Lefort, Aber.sour, Guaraldo, Lyotard, Esposito, Vatter, Tassin, Kohn, Honig, Cavarero, Bernstein, Savarino
Hannah Arendt Introduzione e cura di Simona Forti
Simona Forti insegna Storia del pensiero politico contemporaneo presso l'Universita del Piemonte Orientale. Ha svolto attivita di ricerca alla New School for Social Research di New York e aI Dipartimento di Studi politici dell'Universita di Torino. Si occupa Ji storia Jella filosofia politica del '900. I suoi contributi sono apparsi in "Filosofia politica", di cui e redattrice, "Micromega", "Teoria politica", e in volumi collettanei. Su Hannah Arendt ha pubblicato Vtia della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1994 (! 996').
Bruno Mondadori •
La eolian a .. Readings di filosofia, seienze umane e sociali" e diretta da ANDREA BORSARI
Indice
Hannah, Arendt / Lefort ... [el al] ; imroduzionc e cura di Simonll Forri. [Milano]: Bruno MonJadori, [1999].
352 p.; 17 em. -
(ReaJin~sl.
ISBN 88-424-9462·3 , L. 25.000.
1. Arendt, Hannah I. Leforr, Cillude II. Forti, Simona. 320.5092
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Sch('Ja catalogra/ica d curd di CAt'B. Mtlafro.
Introduzione Hannah Arendt: ftIosofia e politica. di Simona Forti
1
La questione della politica. di Claude Lefort
16
Contro un fraintendimento del totalitarismo. di Miguel Abensour
45
Cristalli di storia: il totalitarismo tra abisso e redenzione. di Olivia Guaraldo
Soprawissuto.
La casa editriee, esperite Ie pratiche per acquisire i diritti di rio
di Jean.Fran,ois Lyotard
produzione dei brani prescelti, rimane a disposizione di quano
tI avessero comunque a
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van tare raglone in proposlto.
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di Roberto Esposito
© Edizioni Bruno Mondadori Milano, 1999 L'editore potra eoncedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste van no inoltrate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano, tel. e fax 02·809506 Progetto grafieo: Massa & Marti, Milano
Polis 0 communitas?
107
La fondazione della liberti!. di Miguel E. Vatter
136
L' azione "contro" il mondo.
n senso dell' acosmismo. di Etienne Tassin
155
Per una comprensione dell'azione. diJerome Kohn
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177
205
Identita e differenza.
Hannah Arendt: filosofia e politica
di Bonnie Honig
eli Simona Forti
Note arendtiane sulla caverna di Platone. di Adriana Cavarera
226
Provocazione e appropriazione: la risposta a Martin Heidegger. di Richard]. Bernstein
249
«Quaestio mihi factus sum». Una lettura heideggeriana. di II concctto d'amorc in Agostino di Luca Savarino
Bibliografia degli scritti di Hannah Arendt 286 Bibliografia degli scritti su Hannah Arendt 307 Elenco dei testi citati 270
310
Indice dei nomi
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Avvertenza Lungo tutto il corso del volwne i riferimenti bibliografici rimandano a una Blbliogra/ia degli scrlttl di Hannah Arendt, ordinata cronologicamente, per quanta riguarda Ie citazioni delIa letteratura primaria; a una Blbliogra/ta deg/i scritti su Hannah Arendl, che comprende la letteratura secondaria su Arendt; a un Elenco dei lesli dlall, entrambi in ordine alfabetico per autore, per quanta riguarda tutte Ie referenze a scritti diversi da quelli di Arendt stessa.
1. RUnasta per Ilrngo tempo un panah della cultura filosofica, conosciuta so!tanto come I. discussa studiosa del totalitarismo 0 l'ide.l!rice della contestata formula della "banalita dd male", I Lrnnah Arendt e stat a consacrata "c1assico" ddla filosofia politica dd Novecento da JUrgen Habellllas. Piu 0 meno da alIora, ha goduto di una progressiva fortuna frno a raggiungere, in questi ultimi anni, i vertici di una notorieta quasi eccessiva e "alIa modi'. La letteratura critica, cresciuta a dismisura neU'u!tin1o decennio, trava dunque nell'ipotesi interpretativa habellllasiana un luogo di confronRl'ebbligato. Nel saggio La collceziol1e comul1icativa d,'{ potere, (Habennas, 1976) egli celebra Vita activa (Arendt, 1958a) come I'architesto della "teoria dell'agire comunicativo", al quale va attribuito il merito di aver riscattato I'agire politico da una troppo salda connessione con I' agire strun1entale. Tuttavia, vestendo i non consueti panni del "realista politico", Habelmas rimprovera ad Hannah Arendt un eccesso di ingenuita teorica: la fede in un'llintersoggenivita inalterata", il mantenimento, ancora metafisico, della separazione tra teoria e prassi, rna anche I' angusto e anacronistico ritorno al pensiero greco. Insomrna, I'impotenza pragmatica e teorica del concetto arendriano di potere, privato eli ogni e1emento strategico, sarebbe dovuta a un pensiero rigidamente normativo che si avvale, senza rielaborarle, delle superate dicotomie aristoteliche. L"'ipostatizzazione dell'immagine della polis, proiettata nell'essenza stessa della politica" (ivi, trad. it., pp. 60-65) precluderebbe ad Hannah Arendt la comprensione della realta istituzionale e sociale della modernita. Ora, se da una parte, ha contribuito a restituire ad Han-
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Hd""db Arendt:/i/mo/t_ t' politic.
nah Arendt la dignita di grande pensatrice, dall'altra, Habennas ne ha costruito quell'immagine di <
che per questo diventa tanto necessaria quanto in-isoh~bi Ie. Gli aweninlenti in questione ci sono ben noti: due guerre mondiali nell'arco di una gener-azione, I'Europa diventata una terra di apolidi, I' ascesa al potere di Hitler, due totalitarismi, la persecuzione degli ebrei, Auschwitz. Hannah Arendt e ebrC'd e nasce in Gennania, ha meno di ventisei anni quando nel193 3 i: costretta a rifUgi'lrsi a Pal-igi, da dove partira per gli 5t,lti Uniti, paese in cui risiedera sino ,t1la morte.' Lo sradimmento, il traunla del nazismo, l'esilio, interrompono la continuita della sua vita e diventano la cifra del suo stesso pensiero. Un pensiero che prende patle alia gnmde requisitoria novecentesca istruita nei confronti delIa dialertica, senza perC. giumre fedeltil alia fenomenologia e nemmeno ilt toto alI'esistenzialismo, seppure riconosciuto come proprio contL'Sto ilosofico di provenienza. Qu,t1siasi presentazinn dell'opera di Hannah Arendt che non tenga conto di uesta sua doppia origine - i traumi storici, vissuti in prima persona, e l'int1uenza della ftIosofia dell'esistenza, in particolare quella di Heidegger - risulta a mio parere riduttiva. Questo e infatti il duplice se· gno sotto cui si colloca la sua rit1essione; e la tensione tra queste due eredita, cosl come il tentativo costante di rine· goziare illoro lascito, a conferire originalita e al tempo stes· so ptoblematicita a un pensiero incurante degli steccati di· sciplinari. La storiogra1ia pili recente muove da questa con· sapevolezza: presupposto ollnai acquisito della "seconda ondata" di studi arendtiani. Meno bisognosi di far quadrare il cerchio e consegnare una volta per tune Hannah Arendt a una detem1inata scuola di pensiero, Ie interpreta· zioni pili accorte sono passate da un interesse espositivo e ricostruttivo a un'interrogazione critica, problematica e per cosl dire laterale. 50prattutto hanno cercato di fare i conti
Tea Ie numcrosissime interpretazioni che si originano da una prospettiva habennasiana. si ved,rna per tutte i lavari di S. Bcnhabib (1988: 1990: 1991: e soprattutro 1996). Per un approccia habennasiaoa. rna "eritica", a1la Arendt e interessante la posiziane di Fel1'df3, 19')8. Un cttimo lavoro di sintesi che mette invcce in eviJenza l'impossibilita ill aceastare ArenJt aJ lIabennas equcllo ill Delruclle. 199}. 2 Si veda l'importantissimo lavoro di R Schiirrnann (Schurmann, 1996), che riene sullo sfonda, altre alia filasafia di Heidegger. di Foucault e di Nietzsche, un'interpretazione "tragica" Jella Arendt su cui costnllsce Ia rilettura Jei passaggi chiave attraverso cui prenJe vita e muore la soggcttivita modema. 'efr. i saggi raecolti in Arendt, 1978a. scrirli a partire dai primi ao• • ru quaranta.
• La filosofa tedesca di arigine ebraiea nasce ad Hannover nel 1906. studia filosafia a Marburga can Heidegger e poi a Heidelberg can Jaspers. Quando nei primi anni quaranta arriva negli Stati Wliti msegncra pre:sso numerose universita, dalla Chicag:o University a Princeton. per approdare verso la fine degli anni sessanta alia New School for Social Resc'
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Hannah Arendt
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Hannah Arendt:/iloso/ia e po"'ica
con I'apparente paradosso di un'opera contesa da correnti filosofiche tra loro in disaccordo: il paradosso cioe di un pensiero politico presentato contemporanearnente come fautore delliberalismo, del neoaristotelismo, del comunitarismo, della tradizione repubblicana, di una teoria delle elite, cosl come di un anarchismo conflittualista e libertario. E il paradosso di un pensiero filosofico annesso a un tempo alI'universalismo, al relativismo, al soggettivismo, al decostmzionismo, al razionalismo e al nichilismo.' I saggi che qui presentiarno' cercano di dare risposte a tali interrogativi. Ognuno di essi si appropria di una singola parte dell' eredita arendtiana, rna tutti partono dalla convinzione che il suo pensiero politico rimanga refrattario a qualsiasi tipo di dassificazione, come pure ritengono inconciliabile la sua radicalita tanto con una prospettiva razionalistico-universalistica quanta con un atteggiarnento nostalgico e antimoderno. Hannah Arendt e pili una loro compagna di viaggio, che un oggetto di studio da cui deriYare progetti per la prassi. Da lei ci si puo separare per singoli percorsi, senza abbandonare l' orizzonte comune. Pur dovendo rinunciare, per ovvie esigenze editoriali, a contributi significativi,' quelli proposti nella raccolta sono tra i piu interessanti di questi ultimi anni. Dagli intellettuali piu
noti agli studiosi piu giovani, alIe cui competenze e talenti abbiarno voluto dare spazio, tutti sono stati chiarnati a offrire allettore italiano, tanto a chi si appresti per la prima volta ad approfondire questa pensiero quanta alIo studioso, "specialista" dell'argomento, una prospettiva da cui guardare ai diversi atteggiarnenti con cui oggi, in !talia e alI'estero, ci si continua a occupare dell'autrice. Nelle pagine che seguono, cerchero di ricostruire l'itinerario che conduce Hannah Arendt a disegnare il profi10 di una politica, 0 meglio, di una cultura post-totalitaria; un'impresa iscritta per molti versi nella logica di «un impossibile necessario». Mi impegnero anche a non sottrarre la parola agli autori qui chiarnati a raccolta, per non togliere allettore il piacere di farsi a sua volta interprete dell'interpretazione. 2. «Che il pensiero della Arendt implichi al suo inte una malinconia ontologica e storica e noto», cosl elllla 40tard nel suo saggio dedicato ad Hannah Arendt e alia figura del sopravvissuto (infra, pp. 66 ss.). Chiedersi da dove provenga la malinconia storica ed esistenziale di chi ha assistito alia Shoah e inutile. Quanto alia sua <
, Per quanta riguarda una discussione ddle diverse interpretazioni e delle ragioni di queste differenze, rni permeno di rimandare a Forti, 1994. Essi 50no tutti pubblicati per la prima volta, fatta eccezione per la traduzione di C. Lefon (1975); B. Honig (1988) e J.. F. Lyotard (1991, la cui traduzione eli Federica Sossi e stata mantenuta senza alcuna modifica). 1 Contribuiscono ad approfondire questa direzione interpretativa i seguenti autori: per quanto riguarda l'Italia: L. Bazzicalupo (1996); L. Boella (1992 e 1995); A. Dal Lago (1987,1989 e 1990); F. Fisterti (1998); P Flores d'Arcais (1995); C. Galli (1988a); B. Henry (1992); A.llluminati (1998); PP Portinaro (1986). Quanto alla Francia si vedano i lavori di A. Enegren (1984); J. Eslin (1996); O. Mongin (980); P Ricoeur (crr. sopranutto Ricoeur in Abensour, 1989);].·M. Roviello (987); J. Taminiaux (1992). In ambito anglosassone, so· prattutto M. Canovan (1992) e i lavori di studiosi provenienti non da que! mondo intellettuale rna scritti comunque in inglese come quelli
di A. Heller (1986 e 1987). Per quanta riguarda la Germania, in cui p~e,:,a1e un'inte!pretazione habermasiana. e da segnalare un gruppo di f1cerca che 51 fa portatore di un approccio pi" radicale e "libeflario". Mi riferisco agli studiosi tedeschi ed dvetici (P Brokmeier, A. Grunenberg. S. Hefti, W. Heuer, U. Ludz, 1. Nordmann, L. Probst, Z. Szankay) che si raccolgono intorno alla "neonata" e internazionaIe "Hannah Arendt Newsletter", pubblicata dall'Istituto di Scienza Politica dell'Universitil di Hannnover in collaborazione con 1'''Han. nah Arendt Archive", disetto a Oldenburg da A. Grunenberg e a New York da]. Kohn.
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Hannah Arendt:/iloso/ia e politlca
Hannah Arendt
arendtiano sia un'efficace risposta critica all'''acosmismo'' di Heidegger,' e costretto ad ammettere, implicitamente, che e impossibile delineare la filosofia politica di Hannah Arendt senza richiamarsi all'<
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conoscere il proprio debito nei confronti di colui "che ha contribuito in modo decisivo a formare la fisionomia del nostro secolo" (Arendt, 1969c, trad. it., p. 166). . Un debito con cui cerca di fare defmitivamente i conti nella sua ultima opera (Arendt, 1978b), dove nel confronto finale con Heidegger rende esplicita l'intenzione di procedere accanto a Heiddeger per andare "oltre" Heidegger. Nell'interpretazione di It detto di Anassimandro (Heidegger, 1950), infatti, condotta nel capitolo La volonta di non volonta di Heidegger, ella proietta, riassumendola nei suoi tratti essenziali, la propria posizione ftlosofica. Nella lettura "eraclitea" che Heidegger fornisce del frammento di Anassimandro" intravede una versione alternativa della «differenza ontologica>>: una versione (<strettamente fenomenologica» che accenna insistentemente a un'altra possibilita di speculazione ontologica (Arendt, 1978b, trad. it. pp. 516-517). Nel modo heideggeriano di affrontare il tema del sorgere e del perire di tutte Ie cose, sono per lei racchiusi un nuovo significato dell'Essere e un diverso rili 0 conferito aile faccende umane, Affermando che rutto cio che possiamo conoscere eun (
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Hannah Arendt
Hannah Arendt, /iloso/ia e politica
la Arendt che egli abbia messo da parte iI problema del «primato originario» dell'Essere per porre in risalto iI «divenire» degli enti. Questa e Ia chiave interpretativa con la quale si appresta a decifrare Ie parole, contenute ne It detto di Anassimandro: <>:
" lvi, p. 348, dove scrive: .
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che iI pensiero puo fare e «poetare I'enigma dell'essere».12 Che I' «errore» sia iI contrassegno di ogni storia umana, e che in questa errare l'Essere non abbia a1cuna implicazione, e la condizione che apre aI pensiero, anche <<non professionale», la possibilita di riflettere sui significato in se di ogni singolo accadimento. Ma ancor pill radicale e la sua adesione alia condanna pronunciata da Heidegger nei con· fronti della «smania di persistere». E dall'assenso senza riserve accordato aile parole con cui egli si pronuncia sui que! <
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Hannah Arendt:/iloso/ia e politica
Hannah Arendt
tempo Ie ambiguita e Ie insidie teoriche; non da ultimo, usare gli strumenti fomiti da Heidegger per decostruire il pensiero heideggeriano stesso. Risulta evidente che l' autrice segue il percotso tracciato da Essere e tempo. Moltissime sono Ie analogie che gia a un primo confronto saltano agli occhi tra i due pensatori. Innanzirutto, e in generale, Ii accomuna la constatazione della fine della tradizione metafisica e la conseguente necessitil di guardare al passato, sia esso strettamente filosofico 0 filosofico-politico, con occhi nuovi, di sottoporlo, cioe, a domande che pongano in questione i concetti e Ie risposte tramandate. COS! come Heidegger, anche Hannah Arendt conduce un'opera di decostruzione della tradizione filosofica: un' opera di demontage che ripercorre Ie tappe dell'egemonia del discotso filosofico a partire da Platone. Se, ancora, per Heidegger il pensiero metafisico equivale alia storia dell' oblio dell'Essere, per la Arendt la filosofia politica della Main Tradition e sostanzialmente riconducibile al tentativo sistematico di liberarsi dell' autentico significato dell' agire politico. Analogamente a quanta accade con la Seinsgeschichte, anche nella ricostruzione arendtiana si tratta di far risaltare, sullo sfondo di una petsistente e profonda continuita, i momenti delle discontinuita epocali. E Ie svolte attraverso cui si afferma il primato della theoria, e con essa un modo di pensare I'Essere sul modello della semplice presenza, corrispondono in ultima analisi alIe varie tappe che nelle opere arendtiane scandiscono il progressivo fraintendimento del vero significato della praxis. Anche se non sempre in maniera esplicitai' la Arendt non manchera di derivare dai cambiamenti del modo di pensare la verita i corrispondenti mutamenti nell' ambito della riflessione sulla politica, Insomma, se per Heidegger la verita, a partire da Platone, si trasforma da gioco non distruttivo di velamento e disvelamento dell'Essere in conoscenza certa dell' ente, in adeguazione necessaria di intelletto e cosa, e proprio questa stessa nozione di verita, come certezza e corrispondenza, che per la Arendt imI~
nJuogo in cui si fa esplicito questo «prestito» heideggeriano e
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conferenza inedita: Arendt, 1969d.
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pone i propri criteri costrittivi alia prassi. Per condurre, ognuno sui propri binari, quest' operazione di ricostruzione e di successiva distruzione delle nozioni tradite, entrambi sono portati a prestare attenzione alia riflessione preplatonica, a quella Friihe greca, come direbbe Heidegger, che testimonia di un pensiero il quale non si e ancora irrigidito nelle forme metafisiche tradizionali. Nella fattispecie, Omero, Erodoto e Tucidide sono per la Arendt significativi esempi della valutazione greca della vita activa, prima che si stabilisse il primato della vita contemplativa. E i punti di contatto non si fermano certo a queste analogie formali. Con il richiamare attravetso questi pochi esempi l'attenzione su alcune convergenze tra i due autori, non si voleva in nulla ridurre I'originalita del pensiero arendtiano, per situarlo in una condizione subaltema a quello di Heidegger. Cio che mi preme segnalare e piuttosto la rilevanza di un "dialogo", di una continuita, e non, come tanti sostengono, di una semplice contrapposizione, tra illascito della filosofia heideggeriana e un approccio, quello arendtiano, che, al pari di quello di altri autori del secondo Novecento, cerca di lasciarsi alIe spalle Ie ambiguita e Ie zone d' ombra di quella stessa filosofia, dislocandosi, almeno stando alle dichiarazioni d'intenti, su di un terreno di riflessione diverso." Cio che la Arendt giunge a pensare si configura, in ulTanto che per certi aspetti si viene a trovare in una situazione talvolta simile a quella di Derrida. Entrambi consapevoli dell'illusorieta I'
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qudla «scienza terribile» che consiste nella tradizione metafisica, essi non mancano tuttavia eli puntare il dito verso l' atteggiamento aneora «teoretico» e «contemplativo» di Heidegger. Si puc dire che anche per la Arendt, come testimoniano Ie pagine de La vita deli4 mente, la temarica della «differenza ontologica» tra Essere cd eoti appaia ancora prigioniera quantomeno di una pater cancdlare con un'unico gesto
nostalgia metafisica. Quasi che Heidegger, per dirla con Derrida, cer~ casse anCOl'a di rispondere al problema dell'origine facendo ricorso a una «parola unica», integra, precedente 00 successivi «erramenti» e al~ Ie successive differenziazioni. E come per il Hlosofo francese non c'e e non c'e moo stata questa parola originaria e univoca, perche ela diffe~ renza ad essere originaria, cos1 anche per la Arendt non esiste Wl uni~ co evento originario, non si da alcun arche, perche e la pluralita ad es~ sere originaria.
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Hanna/; Arendt
Hannah Arendt:/iloso/ia e politica
rima istanza, come una sorta di "ontologia plurale" che rende superf\ua qualsiasi interrogazione sulla verita e sui senso dell'Essere: I'Essere semplicemente si da, e si da secondo una modalitit inestricabilmente legata alI'essere plurale. Nei termini arendtiani, I'operazione heideggeriana di smantellamento rimane incompiuta in quanto si rifiuta di ammettere, come costirutivo anche dd proprio fllosofare, il limite che il mondo delle apparenze oppone al pensiero. Se invece COS! avesse fatto, se avesse cioe scomposto alIa radice, nei suoi dementi fenomenico-quotidiani, I'ipostasi ddI'Io Penso, si sarebbe reso conto che originario non e il celarsi 0 il rivdarsi della Verita dell'Essere, che solo la mente dd fllosofo puo cogliere, ma che originaria e I'esistenza del mondo e degli esseri che qud mondo abitano. Se COS! avesse fatto, soprattutto, non sarebbe caduto nell' errore, dovuto a una sorta di "deformazione professionale", di interpretare I' orrore nazista come un awenimento della 5toria dell'Essere. E a questa proposito che \' atteggiamento malinconico della Arendt, di cui parla Lyotard, si alIontana dal rammemOrare (An-denken) di Heidegger per farsi "responsabile e battagliero" nei confronti di una realta che strappa alIa contemplazione (dr. Guaraldo, infra, pp. 45 ss.). EdalI'autoinganno implicito in ogni puro fllosofare, che il suo pensiero, accettando la sfida del suo essere "gettato" e "siruato", assai pill dell'''Esser-ci'' heideggeriano, trova la forza di testimoniare per cio che e accaduto e che non doveva accadereo Una tesrimonianza sorretta innanzirutto dal faticoso tentativo di ricostruire gli awenimenti che hanno fatto esplodere "il male radicale"; poi, dalIa difficile rifiessione su di un possibile significato inedito di politica; e infme, dalIa sommessa speranza che si possa trovare nella capacita di giudizio il luogo da cui combattere la "banalita dd male". In Le origini delltJtalitansmo (Arendt, 1951a) come dice giustamente Lefort, si manifesta per la prima volta la tensione tipica di Hannah Arendt tra I' abirudine a riflettere con categorie fllosofiche e il dovere etico di rimanere aperta ai singoli eventi. Questo confronto diretto con il <
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considerare il fenomeno totalitario soltanto nelle sue implicazioni storiche e politiche. Esso deve essere affrontato anche da un punto di vista per COS! dire fllosofico 0, meglio, da una prospettiva di senso. Se, come Hannah Arendt sostiene, il totalitarismo rappresenta il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell' epoca modema, e al contempo segna la comparsa, nella storia occidentale, di qualcosa di radicalmente nuovo e impensato, la sua comprensione pone problerni tanto etici quanta epistemologici (dr. Guaraldo, infra, pp.45 ss.). Risultano inutilizzabili Ie categorie tradizionali della politica, dd diritto, dell' etica e della fllosofia; cio che avviene nei regimi totalitari non puo venir descritto in termini di semplice oppressione, di tirannide, di illegalita, di immoralita 0 di nichilismo realizzato. Richiede anche una narrazione che, pur cercando di essere imparziale, non si conceda il lusso della neutralitit. l'abisso dell'inedito deve essere colmato e dunque compreso senza ruttavia che questa si trasfol1ni in un gesto assolutorio (dr. Guaraldo, infra, pp. 45 ss., Lefort, infra, pp. 1 ss., Abensour, infra, pp. 16 sS., ). COS!, pill che ricercare Ie cause che hanno lineannente prodotto il nazismo e 10 stalinismo metodo che traduce in qualcosa di noto e manipolabile cio che invece deve continuare a stupirci come inaudito - \' autrice va alIa ricerca di quelle dinarniche dd passato che, contingentemente, ne hanno per cos1 dire reso pill facile la realizzazione. I nodi storici presi in esame dallibro sono Olmai noti: il faIIimento degli stati nazionali, e della loro promessa di coniugare cittadinanza e universalita dei diritti umani; la massificazione della societa, che trasfol1lla gli appartenenti alIe dassi in atorni impotenti e isolati; I'illimitato desiderio espansionistico dell'imperialismo, che oltre a concorrere alIa formazione di una mentalita dominatrice insegna alI'Europa i metodi illegali e arbitrari messi a punto nelle colonie; il razzismo - in primo luogo, appunto, I' antisernitismo che porta con se il fardello di credenze legate al sangue e al suolo; I'elaborazione di ideologie che pretendono di procedere in accordo con Ie eteme leggi della Narura e della 5toria. Altrettanto famosa e diventata I' analisi dd funzionaXIII
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Hannah Arendt:!iloso/ia e politica
Hannah Arendt
mento intemo di tali regirni: il nazismo e 10 stalinismo, i due esempi di totalitarismo compiuto, non rappresentano una forma estrema di stato forte. Lungi dal presentare una struttura monolitica, I'apparato istituzionale e legale totalitario deve rimanere estremamente duttile e mobile, per pellIlettere la pili assoluta discrezionalita al capo e ad una cerchia ristretta di suoi fedelissimi (Arendt, 1951a, trad. it. pp. 535-599). Ma la differenza fondamentale tra regimi autoritari, dittatoriali 0 tirannici e totalitarismi sta nel fatto che questi ultimi non sono finalizzati a realizzare interessi di parte e nemmeno a conseguire semplicemente il silenzio di ogni forma di opposizione. Essi mirano a un fine ben pili radicale e ambizioso: modificare la realtil per ricrearla secondo gli assunti dell'ideologia. Si puo dire che un regime diventi dawero totalitario quando, eliminata la reale opposizione, vada alia ricerca del <
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re Le origini del totalitarismo in un linguaggio neutrale e con pretese sdentifiche. 16 Come fa notare Lefort, si dovd invece aspettare un elirna di ridiscussione delle filosofie dialettiche perche venga ascoltato il messaggio pili profondo della grande opera del 1951. Soltanto, doe, quando anche il marxismo viene indagato come filosofia che non riesce a capovolgere il progetto razionalistico della modernita, rna anzi ne rafforza I'ipostasi soggettivistica e ne prosegue il programma «del dominio dell'Uno, della chiusura della societa su stessa» (efr. anche Lefort, 1976 e 1981). Se si presta attenzione a Ideologia e terrore, e al testo, fino a poco tempo fa inedito, che ne costituisce il precedente teorico,17 si puo scorgere sotto l' andamento narrativo dell' autrice la volonta di rintracciare una sorta di "metafisica" del totalitarismo. Quella che Hannah Arendt alIora non esitava a chiamare <Ja vera natura del totalitarismo» (Arendt, 1951a) sembra infatti corrispondere a un'esplosiva combinazione di determinismo e
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"Sulla recezione dell'opera del 1951 nella scienza politica americana, mi peImetto di rimandare alIa voce Tolali/ammo, da me redatta per l'Enctdopedia delle ScienZ' Sociali, "Istituto dell'Enciclopedia Italiana", vol. YD, eli prossima pubblicazione. " Subito dopo la pubblicazione de Le origini del totalitarismo, Hannah Arendt inizia una ricerca, presentata alia "Guggenheim Foundation", dal titolo Totalitarian Elements in Marxism. n libro che ne doveva scaturire doveva porre innanzitutto rimedio alIa mancanza, nell' opera del 1951, eli una spiegazione pill atticolata e plausibile delle analogie tra nazismo e stalinismo. Questo libro non viene perc mai dato alle stampe. Alcune sue parti vengono pubblicate autonomamente: per esempio il capitolo Ideologia e Terrore che va a costituire l'epilogo de Le orlglni del totaillarismo; mentre altri due capitoli, i primi due, confluiscono in quello che sara il saggio sulla storia pubblicato in Tro passa/o e futuro. Altee parci verranno utilinate in Vita activo. La sezione centrale, quella scritta per prima, non emoo stata resa pubblica daII' autrice. rna la presento in Wla serie di conferenze all'Universita di Princeton, nell'autunno del 1953. Questo testo, rimasto fino a pochi anni fa ineelito, e stato pubblicato per la prima volta in italiano col ritolo Karl Marx e fa tradizione del penS/ero politico occidentale (Arendt, 1995d), Questo scritto emolto importante per capire gli intenti e I'evoluzione del pensiero eli Hannah Arendt, su ci6 si veda I'Introduzione a Arendt, 1995d, pp. 35-40.
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Hannah Arendt:/iloso/ia e politico
Hannah Arendt
hybris: come se nel dominio totalitario giungessero a loro paradossale com pimento e congiunzione la modema metafisica della soggettivitii e la mentalita evoluzionistico-processuale della tarda epoca modema, veicolata dalle filosofie della storia dialettiche. La volontaristica asserzione per cui <
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del totalitarismo consiste nell'eliminare cia che potrebbe contraddire l'assunto di partenza. Ecco perche, sembra suggerirci Hannah Arendt, solo ad Auschwitz diventa grottescamente vera quell'identitii di Idea e Realta, di Pensiero ed Essere in cui la metafisica in fondo non ha mai cessato di credere. Si puo forse concludere che per quanto non sia stata certo la diretta responsabile dei campi di sterminio, quella concezione che pensa I'Essere sui modello dell' ente, etemamente presente e infinitamente manipolabile, non e del tutto estranea alia "metafisica totalitaria". Per il totalitarismo, assai pili che per la tradizione metafisica, l'essere . non si da indeterminato e plurale, rna si costruisce attraverso I'imposizione unitaria e ordinante di un principio primo al molteplice. In altre parole, forse pili farniliari allessico arendtiano, se la filosofia e con essa la filosofia politica si costruiscono sull'esclusione della pluralita e dell'unicita, i campi di sterminio procedono a sbarazzarsi di fatto di quegli aspetti del reale che non possono essere ridotti alI'unita e alI'identita senza scarto: quell'identita e unita che possono essere realizzate compiutamente solo nella morte." Ecco ricongiunte Ie due fonti da cui il pensiero arendtiano proviene -Ia filosofia heideggeriana e il trauma del nazismo. Si capisce alIora come la critica alia tradizione filosofico-politica, alIe sue categorie cOSI come ai suoi autori, che Hannah Arendt conduce non sia sollecitata da un puro interesse teorico. Esoprattutto la domanda circa il perche del <<male radicale» a portare l'autrice a interrogare il passato, e non pili soltanto il passato storico, rna anche quello filosofico. Insomma, e il problema aperto dal totalitarismo, inteso come un fenomeno generale sorretto da una sorta di "filosofia" propria, a predisporre l'elllleneutica arendtiana a revocare in dubbio «The Great Tradition of A queste stesse conclusioni giungeranno molte tfa Ie interpretazioni filosofiche del totalitarismo. piu 0 meno recenti. Seppure con un lessico diverso, ancbe qotard (infra, pp. 66 ss.), sottoscrive implicitamente che tale idea e rintracciabile in Ideolagio e te"ore. Imputa tuttavia alla Arendt una volonta aneera "treppo riparatrice" che si avvi· dna a questa conclusione. senza toceada. Dello stesso avviso e anche Esposito (infra, pp. 94 ss.; e 1996). 18
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Political Though!». Da qui prendono corpo Ie grandi opere teoriche dell' autrice: da Vita Activa (Arendt, 1958a) ai saggi contenuti in Tra passato e futuro (1961a e 1968a); da Sulla rivoluzione (1963e) a La VIta della mente (1978b). Da qui, I'indagine istruita contro iI rapporto politica-filosofia cosl come e stato impostato dalla tradizione, almeno a partire dalla naseita della filosofia in Greeia. Da quando eioe la <
politica occidentale. Nella propria autointerpretazione, iI totalitarismo, lungi dal proclamarsi al di la di ogni legge, sostiene di giungere direttamente aile fonti da cui iI diritto positivo ha ricevuto la sua legirtimazione. Pertanto, lungi dall' essere arbitrario, e ossequiente a queste forze trascendenti pili di qualsiasi precedente govemo (Arendt, 1951a, trad. it. pp. 373-419). Inoltre, esso pretende di aver dato per la prima volta sostanza alI'uguagiianza teorica, rimasta soltanto una vuota parola; rivendica di aver trovato iI modo per instaurare I'impero della giustizia sulla terra, qualcosa che la debolezza del diritto positivo non e mai riuscita a realizzare (Ibid.). Se la Arendt vedesse in questi awenirnenti soltanto fenomeni politici portati all' eccesso, ripeterebbe semplicemente iI gesto della filosofia. L'unica altemativa che Ie rimarrebbe, per rispondere alia sfida totalitaria, sarebbe astenersi tanto dal discorso filosofico quanto da quello politico. Si tratta, invece, di ripensare a un modo di «essere-insieme» che tenga presenti quegli elementi di contingenza, divenire e pluralita che i «pensatori di professione» hanno negato. Alcune delle difficolta e delle contraddizioni in cui ei si imbatte nel corso della riflessione di Hannah Arendt si devono forse al fatto che prima di diventare una possibilita dell'azione collettiva, la sua trattazione della politica si configura - si e gia accennato - come una sorta di ontologia della pluralita che spiazza quella metafisica, che ha tradotto la sua ossessione per la permanenza e I'unita in un pensiero della stabilita edell' ordine politiei. La strategia di cui I' autrice si serve per" destabilizzare" la pretesa owieta di quei concetti politiei che ai suoi occhi formano la costellazione del pensiero del dominio e che affondano Ie loro radiei pili profonde nell' approccio "metafisico" al mondo e elaborata in Vita Activa e prosegue nelIe opere successive. Essa ridefinisce in primo luogo iI concetto d'azione (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 127-179). Dopo averla distinta dal <
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I' azione politica viene presentata in primo luogo come la pratica attraverso cui I'essere umano conferisce senso alia sua esistenza: si riscatta dalla naturalita del genere affermandosi nella sua singolaritil. Descritta come un fine in se, tra Ie attivita umane e I'unica capace di dare vita aI nuovo. I.:agire, i cui esempi sono tanto la virtU del cittadino greco quanta la sete di gloria dell'eroe omerico, diventa propriamente politico quando si coniuga alia pluralita e alia possibilita di discorso. Una modalita, cioe, con cui I' attore si inserisce nel mondo e rivela aIIo sguardo altrui, e solo tramite esso, iI proprio «chi»,1a propria unicita (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 150-160). Questa azione libera, innovativa, discorsiva, ma anche agonale, che riscatta I'essere umano dalla mancanza di senso della mera vita biologica, e dunque costitutivamente legata alia pluralita. E legata pertanto alia possibilita che i molti compaiano gIi uni agli altri in uno spazio di visibilita reciproca. Ea questo proposito che Bonnie Honig, una delle interpreti statunitensi piu accreditate, sostiene Ia convergenza in una stessa direzione decostruttiva tra I'ipotesi arendtiana della "molteplicita dei suggetti", che diventano tali solo se esposti agIi altri, e iI pensiero nietzscheano del "soggetto plurale" (efr. Honig, infra, pp. 177 ss.). Differente e cio che sostiene Esposito, iI quale vede iI "chi" arendtiano ancora troppo compromesso con una concezione "identitaria" del soggetto, anche se indebolita dall'intersoggettivita; un'ancora ferma aI di qua del limite della vera apertura all'''alterita'~ un'apertura necessaria per ripensare in maniera "diversa" la comunita (efr. Esposito, infra, pp. 94 ss.; e 1998). Quella che in Hannah Arendt viene definita <<spazio politico» 0, spesso indifferentemente, «spazio pubblico» 0 «spazio Jell'apparenza», (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 146156) euna comunitil, come 10 stesso Esposito ammette, che non coincide con alcun territorio 0 spazio determinati; rna sta piuttosto a indicare la condizione di possibilita dell'essere insieme. «Lo spazio dell' apparenza si fmma ovunque gIi uomini condividano la modalita dell' azione e del discorso, e quindi anticipa e precede ogni costituzione fonnale della sfera pubblica e delle varie forme di governo, Ie varie
fonne cioe in cui la sfera pubblica puo essere organizzata» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 146). In questa sua prima accezione, <
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Si tratta eli lUl testa ancora inedito custodito nell'Archivio Arendt.
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nire dall' esterno quali devono essere i fmi ultimi a cui la convivenza politica deve tendere», presupponendo cosi che <Ja vita politica non si giustifichi in base al mero "essere-insieme"».20 Ma un tale bene comune non puo essere trovato se non a prezzo dell' esclusione di chi a que! bene non vuole 0 non puo partecipare. La sfera pubblicopolitica e pertanto la sfera dell'«essere-in-comune» non perche coloro che vi albergano hanno un unico e comune obiettivo, rna piuttosto perche tutti coloro che la abitano hanno qualcosa in comune e questo qualcosa e il mondo. Un mondo ora pili che mai esposto al rischio della distruzione e che, ora pili che mai, richiede all' azione di spendere energie per una continua riedificazione (efr. Tassin, infra, pp. 136 ss.) . Cosi, se si mantiene la comunita politica senza un fine definito, «che implica una sua fme», se la comunita non viene ridotta a res, la praxis non si riduce a poiesis; l' azione non diventa fabbricazione. Quella arendtiana, allora, pur non avendo la radicalita della comunita batailliana, non implicando, cioe, fino in fondo l'espropriazione del soggetto (efr. Esposito, infra, pp. 94 ss.), non coincide pero con un tipo di res publica partico-
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lare ne tantomeno con la polis greca. A suo modo, anch'essa «una comunita inoperosa»,'l che non persegue alcun compimento se non l' «essere-in-comune» grazie al mondo e «per amore del mondo»." Di conseguenza. la Arendt deve esplicitamente ammettere la fragilita che inerisce a tale spazio: «La sua peculiarita e che diversamente dagli spazi che sono opera delle nostre mani, non sopravvive alia realta del movimento che 10 crea. rna scompare non solo con la scomparsa degli uomini - come nelle grandi catastrofi, quando il corpo politico di un popolo viene distrutto - rna con la scomparsa e la fine delle loro stesse azioni» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 146). Insomma,
" n riferimento e al titolo dellibro diJ.-L. Nancy, La communautti
'" Arendt, 1995d. p. 98; e interessante I'intero passo da cui etratla la citazione: <
dtisoeuvrtie (Nancy. 1986). 22 Efacile capire come si sia potuto accusare il pensiero arendtiano di astrattezza e negligenza rispetto alIe questiON concrete: siano esse economiche, sociali 0 istituzionali. In particolare, assai rigida e anacronistica e stata giudicata la dicotomia da lei proposta di pubblico e privato. La sfera privata. ohre a comprendere ogni questione riguardante la vita biologica e affettiva del singolo. riguarda anche i rapporti economici e persino Ie questioni sociali. Per quanto Hannah Arendt facda riferimento alI'opinione dei gred «per i quali una vita spesa nell'esperienza privata, di "cio che e proprio" (tdion), fuori dal mondo comune, e idiota per definizione» (Arendt. 1958a. trad. it. p. 28), accentuando cosl il significato di privazione del tennine privato, non significa affatto che ella abbracci una posizione organidstica in cui il tutto viene prima delle parti. I:arnbito pubblico-politico non si configura mai come qualcosa che viene prima dei dttadini 0 che li sovrasta, rna come do che i singoli possono condividere. Inoltre. la dicotomia pubblico-privato Ie serve per condurre una critica alia modernita, e in particolare a quello che ritiene essere il suo demento costitutivo: il sociale. La sodeta viene watti interpretata come un «ibrido». in cui il privato, nelle sue varie accezioni, rna soprattutto in qudla di riproduzione materiale della vita e di attivita economica assume rilevanza pubblica, invadendo 10 spazio un tempo riseIVato all' azione. Se la societ' e illuogo dellavoro e del conswno, la politica diventa esclusivamente 10 strumento con cui amministrare e gestire i problemi sociali. La societa di massa, in cui domina l' <inistrazione burocratica (ivi, pp. 28-36). Ma quanto pi" la dimenSlone ,Politica dell' esistenza corre il rischio di scomparire tanto pill energIcamente ne vanno ribadite la dignita e l'autonomia (efr. anche Abensour. infra, pp. 1655.).
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esso «e potenzialmente ovunque Ie persone si raccolgano insieme, rna solo potenzialmente, non necessariamente e non per sempre» (ibid.). Lo spazio dell'agire politico, la comunita, si configura aIlora soprattutto come una POSSIbilita, non limitata a un tempo e a uno spazio pr.ecisi; rna una possibilita che in alcune occasioni ediventata attuale. Le sue epifanie pili veritiere privilegiano quei momenti di interruzione della storia in cui a un ordine che sta tramontando non e ancora subentrato il successive; quei momenti che fanno breccia nella vicenda della statualita modern a, 0 che sopravvivono ai suoi margini: Rate, Soviet, insurrezione di Budapest, Primavera di Praga, rivolte degli studenti, episodi di disobbedienza civile. Tale carattere potenziale e non entitativo dello spazio politico viene rafforzato dall'idea arendtiana di potere. Distinto tanto dalla potenza quanta dalla violenza, riconfermato nel suo originario significato di dynamis, viene anch'esso sottoposto a una de-reificazione. Viene COS! recuperata quella concezione non strumentale e non oggettivistica del potere, che pCI' la Arendt ha vissuto ai margini della concettualita dominante. Se il potere non e un possesso degli individui singolarmente presi, se e dynamis, se consiste in relazioni, e vive di esse, non puo pertanto venir ceduto e delegato ad altri (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 146-152; Arendt, 1995d, pp. 93-105). In questa prospettiva va collocata la critica di Hannah Arendt sia all'idea di sovranita sia a quella di rappresentanza, nonche la sua distanza dalla tradizione contrattualistica. Stato, govemo, sovranita, rappresentanza, contratto, i termini con cui la filosofia politica, in particolare quella modema, ha parlato, sono per lei Ie modalita attraverso cui il potere e state messo a tacere (efr. Galli, 1988a). Per fronteggiare I"'evanescenza" e la capacita "eversiva" di un potere COS! inteso, la Arendt sembra in un primo momento appellarsi aIla nozione di autorita, in un' accezione analoga a quella assegnatale dai romani (efr. Arendt, 1961a, trad. it. pp. 130-192). Quella a cui la Arendt si richiama e un' autorita che dovrebbe conferire legittimita a un gruppo politico, senza utilizzare la coercizione e senza ricorrere a un
principio trascendente, a una «Legge delle leggi». Un' autorita che deriva dalla fondazione, 0, meglio, dalla <<sacralita,>, sempre rinnovata, dell' atto della fondazione (Arendt, 1963e; Arendt, 1961a). Ma per quanto grandiosi siano stati gli sforzi delle rivoluzioni modeme nel tentare di far rivivere questa «sacralita dell'inizio», esse hanno posto soltanto in evidenza, coi loro fallimenti, come la < sia andata irrimediabilmente perduta." Hannah Arendt sembra cos!lasciarci in eredita I'enigmatico pensie1'0 di un potere fragile, tanto entusiasmante quanta indeterminabile. E tuttavia, proprio per questo, non solo sempre potenzialmente presente, rna anche tutt'uno con la libertit." Se aIlera ci si chiede qual eil significato della politica per Hannah Arendt non si puo fare a meno di rispondere, insieme aile parole di Vatter e Kohn, che il senso ultimo delIa politica consiste nel suo essere la manifestazione stessa della liberta. Una liberta, che non e la liberta politica pensata dai filosofi, stretta nella riduttiva altemativa di una "liberta di" e di una "liberta da". Essa non e«attiva ed effettiva nel mondo come forza oggertiva, rna piuttOSIO si manifesta nella decostruzione dell' oggertivita delle forze di dominio e nella vistualizzazione dell'ordine costituito» (Vatter, infra, pp. 107 ss.). La liberta non equalcosa di cui ci si puo impossessare una volta I?er tutte, non euna sostanza e nemmeno un fondamento. E un evento che erompe nella normalita del tempo storico, al pari del «Tempo-Ora» di Benjamin. Indeterminabile, se non al prezzo della sua disttuzione, essa deve tuttavia continuare a sostenerci con la «promessa» di un suo arrivo sernpre imminente e con la prospertiva dell'instaurazione del suo regno impossibile."
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Per quanta ne so, al momento, la miglior trattazione che pone in evidenza Ie aporie ddl"'autorita" pensata da Hannah Arendt si troY' ne! saggio di Vatter (In/ra. pp. 107 ss.). Interessante ancbe la prospettiva di B. Honig, che mette a confronto la Arendt con Derrida; si veda Honig, 1991. ~ Queste Ie conclusioni del bellissimo saggio di Ricoeur sui concel· to di potere arendtiano (Ricoeur, 1987). "Cfr. Arendt, 1978b, trad. it. pp. 522·546; da questi presupposti muove anche il confronto tra la Arendt e Char condotto da Kohn. 21
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3. Vi e un aspetto del pensiero arendtiano lasciato in ombra dai saggi qui raccolti e probabilmente da tutta la letterarura critica," forse perch" l'autrice non 10 ha mai elaborato in maniera compiuta. Si tratta del rapporto tra etica e politica. E di nuovo un awenimento concreto, ancora una volta portato dal totalitarismo, a sollecitare la riflessione etica di Hannah Arendt: il processo Eichmann e la polemica che ha seguito la pubblicazione dellibro La banalita del ma-
le. Eichmann a Gerusalemme." Cia nellibro del 1951, rifiuta l'ipotesi del totalitarismo come "tradimento" dei principi etici 0 come imposizione della loro inosservanza. Innanzirutto perche il nazismo ha poruto costruire il «suo vincolo di ferro» proprio sui consenso. Non si puo infatti sostenere che la comunita totalitaria si eriga sui disprezzo di ogni istanza etica. Si assiste, piuttosto, a una perfetta e micidiale simbiosi di politica, diritto e morale. La Arendt cita a questa proposito direttamente da Hitler: <
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A distanza di piu di dieci anni, l'assurdita dell'omologazione, della "messa in riga", della Gleichschaltung, ritoma a inquietare Hannah Arendt e la costringe ad awenturarsi nell'irrisolvibile problema dell'etica e della morale.2lI 1'occasione e offerta dal processo a Eichmann, al quale assiste come inviata del "New Yorker". Ed e come se Ie decisioni che la corte in Tel Aviv doveva prendere la ponessero di fronte alla necessita di ripensare non tanto alla «radicalita del male», quanto alla sua «banalitii». Ora, non era piu sufficiente affrontare il totalitarismo dall' estemo, come prodotto, cioe, della culrura occidentale; occorreva porsi la domanda sui perche dell'adesione dei singoli che ne avevano condiviso, pili 0 meno volontariamente, il progetto.'" Bisognava indagare il funzionamento "soggettivo" di quella grande denegazione del reale messa in atto dall'ideologia: il «cemento etico» del totalitarismo." Non e soltanto tragicomico, allora, che Eichmann consideri se stesso un ligio osservatore dell'imperativo categorico, cosl come il suo continuo richiamarsi al dovere, all'obbedienza alle leggi, all'esecuzione di ordini trascendenti, non e semplicemente una strategia suggeritagli dalla difesa. Eichmann non enemmeno particolannente srupido, 0 non pili di rnilioni di altri tedeschi che al suo posto, se ne avessero avuta la possibilita, SI sarebbero comportati esattamente come lui. Prima di diventare I'importante funzionario, architetto della "soluzione finale", egli si era comportato come tante altre persone che non si erano opposte al nazismo, poiche impressionate dal suo successo e incapaci di emettere il proprio giudizio contro quello che ritenevano un verdetto della storia (Arendt, 1963b e 1995c). La sua mente, come la mente di
" Per lei i due termini sono indistinguibili ~ Si veda Arendt, 1963b, rna anche Htesto inedito del 1965 Lectures On Moraltiy, Archivio Arendt; una parte estata pubblicata su "SoCIal Research", a c. diJ. Kohn (efr. Arendt, 1995d. jO Se nell'opera del 1951 nazismo e stalinismo erana considerati equiv~enti, negli scritti degli anni sessanta viene segnata una differenza tfa I due. Soltanto l'hiclcrismo compie una vera e propria rivoluzione dei criteri etici (Arendt, 1995c).
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quasi tutti coloro che si allinearono, impeeliva eli riconoscere tutto quello che poteva contradelire in un modo 0 neIl'a1tro il sistema eli riferimento. Eichmann osserva, infatti, con zelo e lealta I'imperativo del nuovo ordinamento, il quale non recitava piu "non uccidere", rna aI contrario "tu devi uccidere", non soltanto un nemico che minaccia, rna persone inoffensive che hanno la colpa eli fuoriuscire dai parametri eli umanita stabiliti dal regime (ibid). nprincipio etico supremo eli Eichmann, coneliviso da numerosi suoi connazionali, consiste nella virtU dell'obbeelienza, nella convinzione che senza obbeelienza nessuna comtmita politica puo erigersi. Anche per questa gIi e risultato COS! facile aderire aI nuovo contenuto della legge morale dominante nella Gettnania nazista. In condizioni nottnali, Eichmann e quelli come lui, non avrebbero mai commesso il benche minimo crimine. Finche vivevano in una societa in cui la regola non imponeva I'eliminazione eli esseri considerati assolutamente superfJui si comportavano come onesti cittadini, devoti alia patria, a1lavoro e alia famiglia. Ma nel momento in cui I'uccisione degli ebrei eliventa il nuovo "dovere morale", applicarono fino in fondo la nuova legge, senza la minima esitazione. In Some Questions 0/ Moral Philosophy si legge: <
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circonda. Soprattutto, la bancarotta de! comportamento etico avrebbe a che fare col valore supremo da sempre assegnato dall'etica alia virtu dell'obbeelienza. Ancora in Some Questions 0/ Moral Philosophy - una sorta eli "genealogia della morale" post-totalitaria - ella coinvolge direttamente Ie religioni monoteistiche. Cia che sembra esser stato "rovinoso" per Ie nostre concezioni etiche risale, a suo parere, all' aver fondato il bene sui fatto stesso che fosse Dio a "comandarlo" e dunque alI'aver ritenuto la elisobbeelienza e Ia trasgressione della legge il peccato per eccellenza (Arendt, 1995c, pp. 750-755)." Da questi awenimenti e da queste riflessioni prende Ie mosse la trattazione del giudizio, che occupa la Arendt nell'ultima parte della sua vita. L'inesorabile banalita del male sembra potersi arrestare soltanto attraverso que! giudizio che elistingue, a prescindere da leggi e criteri generaIi, cia che e giusto e cia che e sbagliato." Quei pochi che rifiutarono illoro consenso aI regime, che non collaboratono e non si prestarono ad a1cun tipo eli azione, sono per lei il controesempio fattuale della capacitii ill giudicare e della possibilitit eli una responsabilitit personale. Perche se evero che Ie vie della responsabilita politica erano preduse, era pero sempre aperta la chance del rifiuto a partecipare in prima persona. Una strada percorsa non dai convinti assertori della perennita dei valori morali, rna semmai da coloro che erano inclini a non attenersi aI gia giuelicato. Nell' astenersi, illoro criterio non era I' applicazione di una " In Arendt, 1964d, trad. it. p. 123, scrive: «Sarebbe gia una gnUlde conquista se potessimo cancellare da! vocabolario del nostro pen~ siero morale e politico l'orribile parola "obbedienza"», " In tale prospettiva la Arendt recupera la rerza Critica kantiana imprimendole una CUlVatura assolutamente non trascendentale. ngiudizio morale sarebbe affine a quello di gusto, proprio in quanto riflettente e non determinante. A questa scopa in queUe Lezioni sul1a filasofia politica di Kant, Ie Lectures on Kant's Polziieal Phtlosophy, pubblicate postume, che sarebbero dovute confluire nella terza parte de La vlia della mente dedicata al giudizio, la Arendt forza L'Analliiea del Bello a dellneare Ie competenze di una <Jacoha soggettiva>' in grado di affrontare i fenomeni direttamente. sottraendoli alIa presa della deter· minazione concettuale (Arendt, 1982a). XXIX
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legge universale al caso particolare, rna I'impossibilira di convivere con se stessi qualora avessero compiuto determinati arti. Insomma non uccisero, e nemmeno ubbidirono, non perche si attennero rigorosamente a qualche comandamento morale a priori, rna perche non avrebbero potuto sopportare I'idea di convivere con un assassino (Arendt, 1964d; 1995c). Ecco un'esemplificazione concreta delle possibili implicazioni etiche di quel pensiero critico che libera la facolra di giudizio, sulla quale Hannah Arendt non si stanca di insistere nelle sue ultime opere; come se solo dal pensiero, dal dialogo instancabile dell 'io con se stesso, «dal due-in-uno della vita della mente», potesse emergere una sorta di "impulso morale", al di la di ogni legge. In La VIta della mente (Arendt, 1978b) scrive: «Quando turti si lasciano trasportare senza riflettere da cio che gli altri credono e fanno, coloro che pensano sono tratti fuori dal loro nascondiglio perche il loro rifiuto a unirsi alIa maggioranza e appariscente, e si converte per cio stesso in una sorta d' azione. In simili situazioni la componente catartica del pensiero (la maieutica di Socrate, che porta alIo scoperto Ie implicazioni delle opinioni irriflesse e non esaminate, e con cio Ie distrugge - si trarti di valori, di dortrine, di teorie, persino di convinzioni) L.. J ha un effetto liberatorio su un' altra facolta, la facolta di giudizio L..] La facolta di giudicare cio che eparticolare, cosl come scoperta da Kant, rende manifesto il pensiero nel mondo delle apparenze L.. J La manifestazione del vento del pensiero non ela conoscenza; eI' abilita di discemere il bene dal male, il bello dal brutto. n che, forse, nei rari momenti in cui la posta ein gioco erealmente in grado di impedire Ie catastrofi, almeno per il proprio se" (ivi, pp. 288-89). n totalitarismo, con I'esempio del suo funzionario Eichmann, oltre ai presupposti della metafisica e della filosofia politica, revoca in dubbio i fondamenti stessi delle filosofie morali tradizionali. Non epili possibile pensare I'etica e la morale come la filosofia Ie ha pensate. Non epili credibile pensare la virtli come un habitus che si puo insegnare: si e visto con quanta velocita puo essere sostituito. Ne e pili concepibile un comportamento morale inteso come arre-
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tramento del particolare di fronte a una legge che vale universalmente: se il "tu devi" rimane vuoto e viene utilizzato come condizione necessaria e trascendentale del componamento morale effertivo, puo giungere ad assolvere I'impossibilitit di resistere al male. Ma soprattutto non si puo pili aderire a un' etica della virtU come al contributo soggertivo per la costruzione e il mantenimento di un ethos condiviso. Nell'aristotelismo, sia esso antico 0 contemporaneo, come in tutte Ie fogge di comunitarismo, la questione non emai il comportamento etico del singolo, il valore etico della scelta, rna se questa scelta ebuona per il contesto in cui egli vive. Sia che si segua l'universalismo kantiano, per cui morale e cio che e giusto per turti, sia che si segua il particolarismo aristotelico, per cui morale, etico, e cio che ebene per noi, la politica e la morale rimangono strettamente connesse. Mentre per la Arendt il vero problema etico emerge in quelle situazioni in cui morale e politica entrano in conflitto. Quando il seguire Ie ragioni dell'una 0 dell'altra costituisce un vero e proprio dilenuna. La preoccupazione che percorre Ie riflessioni sul giudizio e la capacita "morale" del pensiero non e quella di porre rimedio al possibile crollo dei valori condivisi di una comunita. E semmai esattamente quella opposta: come epossibile resistere al conformismo di un ethos collettivo, quali sono Ie condizioni che impongono il silenzio quando a parlare euna "voce della coscienza" che ripete la lingua del contesto circostante. Che genere di etica equella che si affaccia dalle ultime riflessioni di Hannah Arendt? Non e possibile chiarirla per esteso, visto che I'autrice ha lasciato la sua elaborazione al10 stato aurorale. Si puo tuttavia affennare che I'etica da lei prospettata separa la morale dalla politica; anzi pone questa distinzione come propria condizione di possibilita; un'etica, dunque, che, oltre a opporsi al primato dell' ethos collettivo sulle istanze dei singoli, decostruisce la concezione di un soggetto morale che, confidando sull' autonomia della propria ragione, si pone a legislatore universale. La messa in discussione di questi presupposti ci autorizza a pensare a una sorta di etica radicale, che pensa insieme assenza di leggi e responsabilita, liberta e singolarita. Nel vuoXXXI
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to dell'etica, la responsabilita morale e qualcosa che si rivolge a me, e soltanto aI mio "10 empirico"; una responsabilita che viene aIIertata dalla concretezza singolare degli eventi. Nessun criterio universale e nessun richiamo aI dovere verso I' ethos di una detertninata comunita possono giusmiCalllli per la mia mancata responsabilitit, per iI mio non awenuto giudizio. Che per la Arendt iI totalitarismo abbia fatto esplodere tutti i criteri etici tradizionali, abbia cioe creato una sorta di impossibilitit di agire moralmente secondo precetti e norme, significa che nelle sue opere si trova gia quella consapevolezza - raccolta e pensata pili a fondo da a1cuni mosoIi contemporanei - che pone I'impossibilita come condizione di possibilita della responsabilita, vale a dire dell' etica." Non vi e infatti etica senza responsabilita, rna non vi e responsabilita senza qualcosa che impedisce, che ostacola, senza un'obbligazione duplice e u1timativa. Non .si e responsabili in senso proprio finch': non ci si confronta con I' assenza di criteri, col VUOlO. Finche non si e di fronte a qucllo che la Arendt chiama <
" Penso.in particolare a Levinas e aile riletture recenti della sua ope· ra, come per esempio quella di Derrida. H Scrive DerriJa: «La condizione eli possibilita di qualcosa come la
responsabilita si apre quando si e costretti a giudicare in quelle situazioni in cui Ie condizioni del giudizio detenninante sono venute meno. Questa etica, aIIora, e ciii che resiste alia normalizzazione, alia socializzazione g1obalizzante, aII'universalizzazione di ogni tipo, soprattutto quando essa assume Ie grottesche sembianze della Gleichschaltung."
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" Si pone da so il problema del soggetto di questa etica. Se da una pane, coloro cite sostengono questa concezione della responsabilita
responsabilita e una certa esperienza della possibilita Jell'impossibile:
non possono e non vogliono piu pensare il soggetto morale come 10 ha pensato la filosofia moderna -l'istanza ultima della ragione, che si trova in uno stato di campleta padronanza di so e della realta che la cir-
la prova dell'aporia a partire da cui i.J:1ventare la sola invenzione pos.si.
conda.
E tuttavia necessario, e per Hannah Arendt particolarmente,
bile, l'invenzione impossibile [ .. .J. E persino impossibile conceplre
continuare a pensare, dall'altra parte, a un "chi" ddla responsabilita,
una responsabilita che consista nel rispondere di due leggi 0 a due ingiunzioni contraddittorie. Certo. Ma non c' eresponsabilita che non sia
l' autrice, una questione che sembra essere, ancora una volta. impossi-
esperienza dell'impossibilc» (Derrida, 1991, pp. 32-33).
bile da risolvere, rna necessaria nella sua urgenza.
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un "chi" del giudizio. Questa e l'ultima questione lasciata aperta dal-
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La questione della politica eli Claude Lefort
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Negli Stati Uniti, Hannah Arendt e stata riconosciuta molto presto come un grande pensatore politico, sebbene i suoi scritti abbiano talvolta innescato vivaci polemiche. In Francia invece, per quanta molte sue opere siano state tradotte, e sorprendente come sia stata ignorata a lungo, in particolar modo dall'intelligencija eli sinistra. E stato Raymond Aron a giocare un ruolo deteuuinante nell'introdurla al pubblico francese. In un certo senso, cia non stupisce. Raymond Aron estato un autentico liberale: nonostante iI suo liberalismo Fosse diverso da quello eli Arendt, entrambi conelividevano un'identica valutazione dei regimi fascisti e stalinisti e sfuggivano alle traelizionali definizioni eli destra e eli sinistra. Ecerto che la grande differenza tra iIliberalismo di Aron e quello eli Arendt consiste nell' attrazione eli quest' ultima per i fenomeni rivoluzionari e, in particolare, nell' interesse che ha manifestato, durante la rivolta d'Ungheria, per la fonnazione dei consigli operai. La rivoluzione non era, per Hannah Arendt, un semplice oggetto di curiosita: era iI tempo dell'in/zio 0 del nuovo in/zio. Sembra in effetti che l'ignoranza, la negligenza e adelirittura I'osti!ita eli cui Hannah Arendt estata oggetto in Francia elipendano dall'influenza del marxismo, che costituiva un evidente ostacolo all' accoglimento delle sue idee. Ora, la nostra e un' epoca eli elisincanto, in cui vengono poste e diffuse questioni nuove. Si puo in tal modo notare come, da molti anni, si eserciti una critica al razionalismo della scienza moderna e ai suoi effetti elistruttivi, rna anche, attraverso cia, all'ideale stesso eli Ragione. Non estata presa a bersaglio soltanto la filosofia dei Lumi, rna la filosofia delIa Storia in quanta tale. Per la precisione, la filosofia della 1
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Storia appare un prolungamento della filosofia dei Lumi, mentre in precedenza era stata percepita come una critica, se non come una negazione, di quest'ultima. Marx non e piu considerato colui che capovolge il razionalismo, rna piuttosto colui che prosegue il progetto della soggettivita incamata nella storia e di dominio dell'uomo sulla natura, e che. ,mantiene l'illusione dell'Uno, di una chiusura dell'umanna su se stessa. Questa critica, va sottolineato, si spinge fino a mettere in discussione la nozione stessa di storia, non solo la storia come "tribunale della ragione", benslla storia come accadere del senso, come ambito alI'intemo del quale siamo situati, da cui siamo formati, e che econdizione del nostro accesso al passato. Spesso tale critica prende di mira anche il concetto stesso di realta sociale, una realtil che si supponeva si manifestasse a livello dei rapporti di produzione. Essa si esprirne al massimo grado nella critica rivolta alIo Stato, considerato come organa di dominio e di omogeneizzazione del sociale, che acquisisce una potenza crescente grazie alia richiesta di soddisfare i bisogni collertivi. La sensibilita di una parte dell'intelligencija della nostra epoca, raffrontata a quella del dopoguerra, induce a screditare tutto cio che appartiene all' ordine della violenza, e a rifiutare la politica come se si confondesse con la violenza. AI giomo d' oggi, chiunque scopra Hannah Arendt non puo non notare con quale vigore abbia aperto la strada alIe presenti questioni, Ie abbia articolate e abbia tentato di darvi una risposta. nche non vuol dire, tuttavia, che Ie sue risposte soddisfino necessariamente Ie nostre attese. Ma gli interrogativi su cui poggia la sua impresa meritano la nostra attenzione. Vorrei mettere in evidenza I'esigenza di pensare che si trova lunge tutto il corso della sua opera.
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E dal1933, sostiene, che data il suo interesse per la politica e per la storia. Ricordando precisamente il27 febbraio, il giomo dell'incendio del Reichstag, afferma: ,
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AlIa prova dei fatti, noi ci imbattiamo in ci" ehe ci riesee inaccettabile e proprio questa esperienza interpretata diventa tesi e filosofia. Equindi legittimo raccontarla francamente, con i ricorsi,le ellissi, Ie divergenze ehe Ie sono propri e con beneficio d'inventario. Facendolo, anzi, si evita l'ipocrisia delle opere sistematiche Ie quali nascono, al pari delle altre, dalla nostra esperienza, rna ostentano di venire dal nien!e, e perci", al momento in cui affrontano problemi di attualita, sembrano dar prova di una sovrumana acutezza di penetrazione, mentre si limitano a ritrovare dottamente Ie proprieorigini (Merleau-Ponty, 1955, trad. it. p. 209).
Un'esigenza nata dall'incontro con un evenlo, dall'esperienza, fatta nel corso della sua vita, di un awenimento che l'ha sconvolta e che al tempo stesso Ie eapparso come ,J'evento centrale del nostro tempo>>: la vittoria del nazismo nel1933.
Nessuno scrittore ha messo in evidenza illegame tra il pensiero e I'evento con piu rigore di Hannah Arendt. NessunG ha individuato meglio, in cio che esconosciuto e inatteso, che sconvolge Ie nostre convinzioni e l'universo che condividiamo con il prossimo, illuogo in cui nasce il penslero,la forza che genera il pensiero. Affrontare l'ignoto, at-
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titudine che fu tipica di Hannah Arendt, acquisisce tutto il suo significato quando ci si ricorda della debolezza degli intellettuali tedeschi nel1933, aIlorche rnisero al servizio del <
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cosa del tutto diversa: non si tratta di un nuovo tipo di menzogna 0 di un nuovo tipo di male gia identificato. Ma per Hannah Arendt comprendere significa inoltre accogliere il tempo in cui si vive. Significa non rassegnarsi a cia che accade, rna tentare di nconciliarsi con it tempo e, infine, comprendere se stessi, vale a dire ricercare come abbia potuto nascere, nel mondo che abitiamo, qualcosa come il totalitarismo, dal momento che, in definitiva, non eapparso dal nulla, rna esorto dalla cultura che ci era familiare. E mia convinzione (alla luce dell' affelIllazione secondo cui <
In primo luogo, il totalitarismo e quel regime in cui tutto, in apparenza, si manifesta come politica: il giuridico, I' economico, 10 scientifico, il pedagogico. .Osserviamo come il partito penetri in ogni ambito e diffonda i suoi ordini. In secondo luogo, il totalitarismo appare come quel regime in cui ogni cosa diventa pubblica. In terzo luogo, cia che impedisce di confonderlo con una semplice forIlla di tirannide e I'impossibilitil di considerarlo un tipo di governo arbitrario, nella misura in cui esso si riferisce a una legge, all' idea stessa di una legge ass~luta che non deve nulla all'interpretazione da parte degli uomini, qui e ora: la legge della Storia nel totalitarismo comunista, la legge della Vita nel totalitarismo nazista. In questo regime sembra anche che I' azione sia il valore eminente, dal momento che il popolo deve essere mobilitato e sempre in movimento attorno aile questioni di interesse generale. E anche un regime nel quale regna il discorso. Infine, e un regime che si presenta come rivoluzionario, 5
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che fa tabula rasa del passato e si dedica alia creazione
pubblico, come spesso si dice, sono ugualmente ingannevoli. La verita eche, laddove svanisce la distinzione tra pubblico e privato, spariscono sia il dominio pubblico che quello privato. Cio che nasce, in compenso, e qualcosa che si potrebbe definire il "sociale", inteso come vasta organizzazione, rete di molteplici rappotti di dipendenza, il cui funzionamento eregolato da un apparato dominante.
dell'''uomo nuovo",
Ora, questa completa affermazione della politica implica come suo opposto una negazione. Non si tratta semplicemente del fatto che si possa scoprire come l'ideale del controllo della societa si traduca effettivamente in un dominio totale, come si eserciti una potenza libera da ogni riferimento etico 0 religioso, che non conosce alcun limite, in modo tale che la famosa creazione dell"'uomo nuovo" si trasforma in un attentato contro cio in cui esempre consistita la dignita della condizione umana. E non si tratta soltanto del fatto che la legge, posta terribilmente al di sopra degli uomini, abbia per effetto di sopprimere, nella realta, la validita di tutte Ie leggi positive, di tutte Ie garanzie giuridiche. Ne si tratta semplicemente del fatto che la mistica dell"'Uno", di una sorta di corpo collettivo, conduca in realta alIo sterminio di un nemico intemo. Se ci limitassimo a questo, non andremmo oltre una semplice constatazione. Ma, sotto l'apparenza, dobbiamo scoprire che qui non si tratta affatto di politica, di vita pubblica, di legge, di parola, di rivoluzione intesa come inizio. Dobbiamo piuttosto riconoscere che tali riferimenti sono stati distrutti perche potesse compiersi il progetto di un dominio totale. Come ci si potrebbe fennare, infatti, alI'idea che la politica pervada ogni cosa? Se non esiste alcuna frontiera tra il politico e cio che non epolitico, la politica svanisce, perche essa ha sempre implicato un rapporto definito tra gli uomini, govemato dall'esigenza di dare risposta alIe questioni che mettono in gioco il destino comune. Non vi e politica che la dove si manifesta una differenza tra uno spazio in cui gli uomini si riconoscano reciprocamente come cittadini, collocandosi nell'orizzonte di un mondo comune, e la vita sociale propriamente detta, dove essi fanno semplicemente esperienza della loro mutua dipendenza, in seguito alia divisione dellavoro e alia necessita di soddisfare i propri bisogni. Vale a dire che l'apparente espansione della sfera pubblica, oppure, il che e 10 stesso, la tendenza a inghiottire il privato alI'intemo del 6
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Di solito si crede che, nei regimi totalitari, la legge si affermi al di sopra degli uomini. In un certo senso, questa fenomeno testimonia proprio I'impossibilitil di confondere tali regimi con una fOlllla qualsiasi di tirannia, rna e chiaro che I'idea stessa di "Iegge" edistrutta, e non soltanto violata, come avviene nell' ambito di un potere arbitrario. In effetti, quando si ritiene che la "Iegge" si materializzi nel supposto movirnento della storia, 0 della vita, la nozione di una trascendenza della "Iegge" si perde, e vengono menD i criteri di cio che e lecito e cio che e proibito: nulla si oppone aIla tecnica dell' organizzazione e del dominio. Per la stessa ragione, I'ideale dell'azione, di cui sovente si parla, e che si sostiene costantemente tramite appelli all'attivismo dei militanti, e un'illusione, analogamente all'ideale della parola efficace, che diffonde nell'intera societa la conoscenza dei fmi ultimi e degli scopi immediati. Cio che viene defmito azione non e tale in mancanza di individui agenti. Vale a dire quando non vi siano iniziative che si confrontino con situazioni inedite, rna solamente una decisione del capo che si autointerpreta come l'effetto del movimento della storia 0 della vita, che rifiuta la contingenza e non richiede ad altri che comportamenti confo!lIli aile nO!llle e aile disposizioni. Ugualmente, cio che viene definito "parola" non e piu tale aIlorche la parola non circola piu, sparisce ogni traccia di dialogo e uno solo, il Capo, ha la possibilita di parlare, mentre tutti gli altri si limitano a obbedire e trasmettere. Per la stessa ragione, sotto Ie spoglie della rivoluzione socialista 0 comunista esvanita l'idea stessa di rivoluzione, dal momento che essa implicava l'irruzione della moltitudine sulla scena pubblica, 0 per meglio dire la vera e propria in7
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staurazione di tale scena, come effetto del fermento che poneva gli uomini a contatto I'uno con I' a1tro, facendoli uscire dalloro universo privato, mobilitando la loro iniziativa, istituendo un dibattito comune. A cia si aggiunga che il totalitarismo non mette in evidenza la facolta di iniziare, tipica delle rivoluzioni, ma aI contrario il trionfo di un'ideologia che contiepe la risposta a tutte Ie questioni sorte dagli awenimenti. E il trionfo di una macchina intellettuale che produce Ie conseguenze a partire dai principi, come se il pensiero si separasse dall'esperienza del reale. Questa lertura del totalitarismo, nella sua duplice versione nazista e stalinista, guida I'ulteriore elaborazione della teoria politica di Hannah Arendt, che coglie la politica grazie a un rovesciamento dell'immagine del totalitarismo. Tale movimento I'induce a cercare non il modello (usare questo termine sarebbe tradirne Ie intenzioni) ma i riferimenti della politica in cerri attimi privilegiati in cui i suoi tratti si lasciano decifrare aI meglio: il periodo della citta greca nell'antichita, e, nel corso della modernita, il periodo della Rivoluzione americana e della Rivoluzione francese. Sarebbe forse possibile aggiungere il periodo dei consigli operai in Russia nel1917 e in Ungheria nel1956. Nel caso della Grecia, il pili puro, si osserva, secondo Arendt, il dispiegamento, I' apertura di uno «spazio» in cui, lontani dalle questioni private che appaltengono all'ambito dell'OIkos (l'unita di produzione domestica in cui regna la coercizione della divisione della'lOl'o e del rap porto tra dominanti e dominati) gli uomini si riconoscono come uguali, attraverso la discussione e la deliberazione comuni. All'interno di questa spazio, essi possono competere e cercare, attraverso gesta e "grandi parole", di imprimere la lora immagine nello sguardo e nella memoria pubblici. In tale ambito, il potere si manifesta in un rap porto tra uomini fondato sullo scambio di parole, in vista di decisioni di interesse comune. L'esistenza stessa di tale spazio e condizione della comparsa di un <
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lavoro sarebbero in grado di stabilire, tant'e vero che, sempre secondo Hannah Arendt, la semplice pratica della vita non e sufficiente a far nascere, aI di la di tutti i bisogni da soddisfare e Ie costrizioni che essi impongono, que! bisogno di tutt'a1tro genere (qui e necessario cambiare tennine), quel desiderio di un mondo che trascende la contingenza delle istituzioni. Non si insistera mai a sufficienza sull'idea secondo cui gli uomini si definiscono e si comprendono reciprocamente come uguali grazie alla partecipazione a questa spazio politico e aI fatto di poter aceedere alla vis/bilita su una seena pubbliea. Oppure, si potrebbe anehe dire, e nel eomprendersi come uguali che essi hanno accesso a questa seena. Esiste in tal modo uno strettissimo rapporto, secondo Hannah Arendt, tra I'uguaglianza e la visibilita. All'intemo di tale spazio, la possibilita e addirittura la realta stessa dell'uguaglianza consistono, per ciascun individuo, nell'offrirsi aI gioco recipraeo degli sguardi. Laddove un potere e circoscritto a un organo 0 a un individuo, si sottrae agli sguardi di turri. La disuguaglianza e I'invisibilita vanno di pari passo. E dunque evidente che, per Hannah Arendt, I'uguaglianza non e un fme in se. Essa non consiste, per esempio, nella scoperta, awenuta a un celto punto della storia, del fatto che gIi uomini sono uguali per nascita, ma e piuttosto un'invenzione: I'effetto 0 semplicemente il segno di que! movimento che pone gIi uomini aI di sopra della vita e Ii apre a un mondo comune. . Questo breve riferimento alla politica greca ci peunette eli mettere in evidenza Ie opposizioni che reggono tutte Ie analisi di Hannah Arendt. L'opposizione tra I'azione e illavora 0 I' opera (labor 0 work) che costituisce I' oggetto principale del suo libro VIta activa. L'opposizione tra I'ambito pubblico e quello privato, tra il politico e il sociale, tra il potere e la violenza, tra I'unita e la pluralita, 0 anche I'opposizione tra la vita contemplativa e la vita activa. Prendendo in considerazione quest'ultima opposizione, Hannah Arendt giudica (un giudizio che si trova proprio alIa radice del suo rifiuto di definirsi "filosofa") che la filosofia 9
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abbia avuto origine, con Platone, attraverso il disconoscimento 0 il rifiuto della politica. La liberta che, al centro della citta democratica, si trovava nell'azione, nel dibattito, nelI'apparire, estata rifiutata dalla filosofia, trasferita nel pensiero che si separa dal mondo terreno, visto come il regno della confusione. Per Hannah Arendt, la distinzione tra il sacro e il profano, 0 tra I'universo magico della politica e la vita prosaica, retta dalla costrizione naturale, una distinzione che colloca il sacro 0 la magia nel visibile, nel manifestarsi dello spazio pubblico, ha mutato di senso con la filosofia perche, per essa, I'invisibile (un tempo legato alIe occupazioni private) einvestito della nobiltil propria dell'interiorita, mentre la decadenza va a colpire l'attivitil politica. La forza di questa tradizione sarebbe tale, secondo Arendt, da far giungere i suoi effetti fino a Marx, il quale intende restaurare I' attivita politica realizzando la filosofia, owerossia progettando nella storia e nella societa empiriche I'idea di una logica e di una veritii che derivano proprio dall'oblio di cio che fu I'azione. Ci si puo chiedere come questa idea della politica si articoli, in Hannah Arendt, con una lettura della storia modema. I <, espressione vaga, la cui vaghezza eimputabile alia stessa Arendt, sono, secondo lei, teatro di un notevole cambiamento. Nell' antichita, al tempo della polis, la societa non esisteva: questo mondo era diviso tra Ie questioni relative alia citta e Ie questioni relative alI'ozkos; il tratto distintivo della modernita riguarda invece la nascita del sociale. In altri termini, sotto l'effetto dello sviIuppo della tecnica e della divisione dellavoro e parimenti della nascita delIa scienza modema, il cui progetto e il dominio della natura, si istituisce una rete generale di dipendenze. Essa unisce gli individui, Ie attivitii e i bisogni e implica compiti organizzativi sempre pili complessi, producendo nuovi rapporti di dominio su scala nazionale. A un certo punto il processo di espansione del sociale e di degradazione della politica viene interrotto (nella sua prima fase, per la veritil) dalla Rivoluzione americana e dalla Rivoluzione francese, rna I'una e l'altra non sortiscono ef10
fetti duraturi. Hannah Arendt fa proprio notare come la seconda sia stata quasi subito snaturata dall' awento della «questione sociale». La sventura, afferma in sostanza Arendt, eessere stati costrecti a confondere I'uguaglianza politica con I'uguaglianza sociale, confusione tragica, perche l' uguaglianza non puo che essere politica, confusione che del resto si e tradotta filosoficamente nell'idea insensata che gli individui siano uguali per nascita, nella chimera dei diritti dell'uomo. Occorre segnalare che per Hannah Arendt, come per Burke, non sono reali che i diritti del cittadino, mentre i diritti umani sono una finzione. Se si getta uno sguardo sullo sviluppo delle societa del XIX e xx secolo, appare alIora il ruolo crescente assunto dal10 Stato come organo che si fa carico della gestione del sociale. Mentre la politica perde sempre pili il proprio statuto e 10 spazio pubblico edistrutto, viene meno I'ambito privato. Alloro posto sorgono da una parte I' organizzazione sociale e dall'altra il piccolo mondo individuale, che Hannah Arendt definisce mondo dell'intirnita: quest'ultimo diventa un semplice inganno, soggetto alia standardizzazione dei costumi e dei comportamenti.
Equi che occorre ritomare alIe origini del totalitarismo:
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questa fenomeno, sostiene Arendt, esenza precedenti storici e ha demolito Ie categorie della tradizione occidentale. Rifiutando risolutamente di attribuirgli delle cause, Arendt descrive proprio il suo emergere a seguito delle societa modeme, in termini che non lasciano dubbi sulla sua ragion d'essere. n totalitarismo, secondo Hannah Arendt, nasce da una societa spoliticizzata nella quale I'indifferenza agli affari pubblici, I'atomizzazione, I'individualismo, I'esplodere delIa competizione non trovano pili alcun limite. Sebbene riconosca che I'individualismo borghese ha costituito un ostacolo alia presa del potere da parte di un uomo forte, Arendt non esita a scrivere: <
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e della sacieta, in sena alia quale Ie istituziani palitiche nan erana che la facciata degli interessi privati. Ne Arendt esita a scrivere:
Questa interpretazione di Hannah Arendt richiederebbe numerose riflessioni. _ La prima riguarda la netta opposizione stabilita tra I' ambito politico e I' ambito sociale, e quella, ad essa legata, tra I' uguaglianza politica e la diseguaglianza sociale. Supponendo che si possa parlare di (
Converrebbe anche chiedersi come si prendessero effettivamente Ie decisioni, sotto I'apparenza dell'uguaglianza politica, e attraverso quali mezzi alcuni uo~ ?uscissero a esercitare un' autorita duratura su deterrrunatl setton del popolo. Una questione che Hannah Arendt no?, ha m~ sollevato, convinta da un lato che la persuaslOne Sl esercltl urncamente auraverso la parola e, dall' altro, non meno ingenuamente, che 10 scambio di parole sia in se ugualitario, che non possa essere veicolo di una diseguaglianza di potereo Per giungere alia sua interpretazione della Rivoluzione francese,e difficile capire come possa distinguere I'uguag1ianza politica dalla lotta contro la gerarchia ?eII'Ancien Regime, una lotta che si iscriveva, come ha splegato Tocqueville, nel processo di (Jivellru;tento ~ condizioni», iI quale non si confonde certo con I uguaglianza econorruca, rna che, come ha mostrato sempre Tocqueville, doveva produrre effetti sia di orcline sociale che di orcline politico. Perche si trattava sia della Iiberta che del riconoscimento dell'a1tro come di un proprio simile aII'interno della societa. Per que! che cancerne la critica arendtiana dei diritti dell'uomo, iI cui concetto Ie sembra derivare dalla finzione di una natura umana, e difficile comprendere su quale base fllosafica sarebbe possibile stabilire che iI mutuo riconoscimento degli uomini come simili debba arrestarsi aile soglie della citta. Non si comprende, in patticolare, cosa potrebbe giustificare, aIIora, la condanna, da palte nostra, di un regime totalitario, se non iI fatto bruto, e in certo qual modo accidentale, che iI suo awento metterebbe in pericolo la • • nostra socleta. Hannah Arendt rinviene nel progetto di dominio totale una volonta di esplorare i (Jirniti del possibile» che rive!a la possibilita estrema di mutare la natura stessa dell'uomo. Senza fermarmi alia contraddizione puramente formale insita nel negare I'idea di una natura umana e poi supporre che la si possa cambiare, mi preme sottolineare che, se non consideriamo Ie distinzioni veritillmenzogna, bene/male, giusto/ingiusto 0 anche reale/irnmaginario come costitutive del pensiero politico, 0 del pensiero in generale, accreditiamo I'ipotesi che iI totalitarismo non abbia a1tro ostaco-
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n filisteo che si era ritirato nella sfera privata e pensava esclusivamente aDa sicurezza e aDa carriera era l'ultirno prodotto, un prodotto gia degenerato, della borghesia e della sua fede nel primato degli interessi sodali ed economid. Egli era il borghese isolato daDa propria classe, l'individuo atornizzato sorto daDo sfacelo di questa. I:uomo-massa organizzato da Himmler per i piu atrod crimini visri daDa storia presentava Ie caratterisriche del fIlisteo pi" che quelle della plebe, era il borghesuccio gretto che in mezzo aDe rovine del suo mondo aveva a euore soltanto la sieurezza personale ed era pronto a sacrificare ogni cosa - fede, onore, dignita - al mirtimo pericolo (Arendt, 1951a, trad. it. p. 469).
Senza dubbio Hannah Arendt rifiuta di stabilire una continuita tra democrazia borghese e totalitarismo, rna la ragione sta nel fatto che scopre nelle crisi che hanno seguito la Prima guerra mondiale un evento decisivo, iI crollo del sistema delle dassi e I' uscita delle masse dalle sue strutture sociali, ormai logore, vale a dire la nascita di uomini letteralmente disinteressati, dal momenta che non hanno pili interessi da difendere, e in questa senso sono pronti a tutto, anche a morire.
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Claude Lefort
10 che I' effettiva potenza dei suoi awersari e che riesca in quanta tale a sottrarsi a ogni contraddizione interna. La fOlmula di Hannah Arendt, <
Gli uomini della Resistenza europea non erano ne i primi ne gIi u1timi a perdere illoro tesoro. Dall'estate del 1776 a Filadelfia e restate del 1789 a Parigi fino all'autunno del 1956 a Budapest, Ia storia delle rivoluzioni, chiave politica per decifrare Ia storia pill recondita dell' epoca modema, pub essere narrata come la favola di un tesoro antichissimo, che appare all'improvviso nelIe circostanze piu diverse, e quindi scompare di nuovo celandosi satto i pill svariati e misteriosi travestimenti, come lUla fa~ ta morgana (Arendt, 1961a, trad. it. pp. 26-27).
Nel suo stile di pensiero, sembra si ritrovi qualcosa dell'ispirazione di a1cuni grandi pensatori contemporanei. Per Leo Strauss iI regime confolIlle a natura concepito da Platone non dovrebbe mai esistere, per non essere screditato in a1cun modo. Per Heidegger, guidato da una differente preoccupazione, piu si estende I' oblio dell'Essere, piu iI perieolo aumenta e piu siamo in grado di intendere con rinnovata intensita la questione dell'Essere. Quanto ad Arendt, suggerisce che la politica, come lei I'intende, se anche non si realizzasse piu nella realta, non sarebbe per questa meno politica, e d' a1tro lato lascia inrmaginare, in consonanza con iI pensiero di Heidegger, che piu si estende I'ombra del totaIitarismo piu siamo in grado di decifrarne i tratti. Ora, questi tre pensatori cosllontani I'uno dall' a1tro si 14
riavvicinano nel giudizio sulla modernita. Dal punto di vista politico, il processo della modemitd e11 processo della demo•
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Cia che appare sconcettante e segno di debolezza, in
Hannah Arendt, eche, formulando una legittima critica del capitalismo e dell'individualismo borghese, non si interessa mai della democrazia in quanta tale, la democrazla moderna. Forse perche si tratta di una democrazia rappresentativa e la nozione di rappresentanza Ie eestranea 0 addiritrura awersa? Da sempre, un tratto che unisce iI totalitarismo nazista e quello stalinista eI'odio per la democrazia. Hannah Arendt non se ne cura, cosl legata alla restaurazione della pluralita (contro I'Uno) non nota che iI terribile t~ tativo di fare della societa un corpo uruto, legato aI propno capo iI Fiihrer, la guida suprema, deriva dal rovesciamento d;1 regime che si eistituito distinguendo I' ambito del potere da quello della legge e del sapere, accettando la divisione sociale, iI conflitto, I' eterogeneita dei costwni e delle opinioni e tenendo per I'appunto a distanza, come nessun regime prima, iI fantasma di una societa organica.' Traduzione di Luca Savarino
'Su H. Arendt si veda 30che Lefort (1985, pp. 517-535).
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Contro un /raintendimento del totalitarismo
Contro un fraintendimento del totalitarismo eli Miguel Abensour
Esistere.bbe un pamdosso nel totalitarismo, in quanta categona mterpretatlva. Tale categoria, infatti, si sviluppa al10 stesso tempo sotto iI segno della complessita e della banalizzazione. Complessita, dal momento che si tratta , quantomeno per Ie interpretazioni filosofiche, eli cogliere iI nuovo del nostro secolo, cio che, secondo Hannah Arendt, n~ costituisce iI "cuore" e soprattutto esenza precedentl. SI tratta dunque eli arrivare a descrivere una forma ineelita eli dominio, da non confondere ne con la tirannia, ne con iI elispotismo, iI che implica un'interpretazione complessa della modernitil e un nuovo pensiero della poIitl.ca, estraneo a ogni scicntificizzazione. Sorprende scopnre nelle mterpretazioni dei filosofi la volonta eli spiegare iI fenomeno nella sua originalitil e la decisione eli riscoprire la politica, sia come azione, sia come istituzione del sociale. In breve, a seguito del totalitarismo si eFormato un nuo~o pensiero d~lla politica che, sebbene intrattenga rapporu con la tradizlOne, ad essa non puo essere ricondotto, dal momento che I' esperienza totalitaria ha scavato un abisso tra noi e iI passato. Contemporaneamente, e necessario constatare la banaIizzazi~ne eli tale nozione, che dil vita a molteplici equivoci, a segUito della frettolosa identificazione del totalitarismo con qualsiasi fOHna eli elittatura; fmo alla proposta eli una pseudo-filosofia della storia che aff<':l1na la presenza costante del dominio tra gli uomini, identificandolo sbrigativamente con la poliuca stessa. In effetti, uno dei punti che detellllinano I'equivoco eproprio iI rapporto del totalitariIn relazione al fenomeno totalitario, si smo con la politica. . mostra conunuamente un'oscillazione:
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iI totalitarismo e considerato come eccesso eli politi-
ca, 0 come la politica portata all'eccesso; - 0 iI totalitarismo epensato come la scomparsa della poIitica, la sua elistruzione; pili ancora come iI tentativo surreale di elistruggere iI legame politico e attraverso cio la condizione politica dell'esistenza. Come se iI tatalitarismo avesse attuato la pili raelicale smentita della tesi aristotelica dell'uomo come animale politico.
Equesta iI punto nodale a proposito del quale eurgente e necessario mettere fme all' equivoco, facendo ritorno ad Hannah Arendt. A questa Iivello, la posta in gioco e chiara. Se iI totalitarismo e pensato come eccesso eli politica, 0 come politicizzazione estrema, la critica del totalitarismo e I'uscita dal totalitarismo si orienteranno verso iI "elisinvestimento" nei confronti della politica, che apparira tanto pili legittimo in quanto, in questa caso, la politica eritenuta responsabile del male totalitario. Se, al contrario, iI totalitarismo e pensato come la distruzione della politica, la critica e I'uscita dal totalitarismo si orienteranno in altro modo. AlIa fine dell'esperienza totalitaria, si trattera eli ricreare la politica, eli riscoprirla, affermandone al tempo stesso I'irriducibile consistenza e la eIignita. Riscoperta delle cose politiche, dunque, dal momento che iI tentativo eli elistruggerle e giuelicato responsabile dell'esperienza totalitaria. AI fme eli rendere la tesi pili esplicita possibile, ed eIiminare ogni equivoco, rivolgiamoci a un saggista, Simon Leys, che ha scritto pili volte sui totalitarismo, e in pruticolare sulla sua fonna maoista (1971 e 1980). In seguito, Leys ha dedicato un saggio a OlWell (1984) - autore, come si sa, eli Omaggio alia Catalogna, L:t fattoria degli animali, e soprattutto del celebre 1984 - come se avesse riconosciuto in George OlWelll'ispiratore per eccellenza della sua critica al dominio totalitario. Nelle sue opere, eli cui occorre sottolineare la lucielita critica in un periodo eli oscurantismo, S. Leys analizza iI totalitarismo come Tutto politico nel senso in cui, secondo lui, esso si definisce attraverso la elistmzione e 17
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MlguelAbensour
Contra un /raintendimento del totalitarismo
pili ancora I'annientamento degli elementi e dei valori non politici dell'esistenza e del mondo, in nome della politica, "inseeliata nel posto eli comando", si potrebbe dire. In questo modo, egli ha realizzato con grande talento una «investigazione letteraria», nel senso eli Claude Lefort, del totalitarismo cinese, opponendo ai graneli quadri ideologici la piccola vignetta critica, facendo emergere da un esame del dertaglio inosservato 0 addirittura nascosto la non-verita del Tutto. ntotalitarismo, nella prospertiva del Tutto politico, eIistruggerebbe in egual modo cio che efutile e cio che eeterno, il tessuto impreveelibile della quotielianita, eli cio che nella vita umana ein grado eli produrre la novita, l'imprevisto, cio che Hannah Arendt definisce <
eli un cane il cui furore sia tale da non riuscire pili, a differenza del cane eli Platone, a distinguere tra amici e nemici. "Se la politica deve mobilitare la nostra attenzione, cio avviene aI modo eli un cane rabbioso che vi saltera alla gola se , cesserete un istante eli tenerlo d' occhio. E in Spagna che . egli ha scoperto la ferocia della bestia» (ivi, p. 35). Leys insiste sul rapporto tra questa artitudine eli grande diffidenza nei confronti della politica e I'esperienza spagnola eli Orwell (ivi, p. 36). Certo, Orwell in Spagna ha scoperto 10 stalinismo, la sua estensione cosl come Ie sue devastazioni, rna ridurre la "Iezione eli Spagna" all' oelio per la politica non significa spingersi troppo oltre, tanto pili che I'oelio per 10 stalinismo puo benissimo andare eli pari passo con I'amore per la politica? Orrore della politica in se, oppure orrore della politica eli parte? La questione merita eli essere posta, dal momenta ehe Orwell scopri in Spagna il miracolo della Rivoluzione 0 la Rivoluzione come miracolo, apparizione, invenzione plurale del nuovo. Certe pagine eli Omaggio alia Catalogna sono tra Ie pili belle che si possano leggere sullegame tra gli uomini, sulla metamorfosi eli tale legame in epoca rivoluzionaria, durante cio che Chateaubriand ha defmito Ie <
Simon Leys ci offre dunque un modello perfetto della prima interpretazione del totalitarismo, con i suoi due tempi essenziali: - il totalitarismo come politicizzazione totale 0 eccesso eli politica; . 19
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-Ia reazione considerata legittima a questa nuova forma di dominio, l' odio per la politica, suscettibile di assumere figure molteplici, l'opposizione estetica, metafisica 0, piu vicina a noi, l'opposizione etica.
non esiste che distinguendosi da altre dimensioni di una determinata societa.
politico" e il "Tutto ideologico", owerosia l'imposizione a tutte Ie attivita sociali di un modello dominante controllato da un unico partito? Di qualsiasi cosa si tratti, questa "Tutto politico" trasmesso dall'ideologia - questa identificazione della totalita con un modello ideologico-politico, questo iper-politicismo - non autorizza a screditare la famosa formula di Rousseau nelle Con/essioni, «tout tient d fa polit/~ que», che significa che una certa forma d'istituzione politica esercita un effetto sull'insieme degli elementi di una societa data. A ben vedere, tale proposizione non econdivisa anche da Montesquieu nella sua teoria dei regimi e da Toequeville nella sua deserizione della democrazia americana? Criticare l'iper-politicismo e una cosa, apprezzare il ruolo della politica nell'istituzione del sociale, un' altra. 2. Non eriscontrabile, inoltre, un'altra confusione: quella tra il "Tutto politico" e il tentativo di produrre una socializzazione totale, il cui compimento dovrebbe del resto, stando ai suoi artefici e ai suoi sostenitori, portare alia sparizione della politica? 3. Tale interpretazione del totalitarismo in termini di "Tutto politico" non e anch'essa un pensiero limitato? In effetti, tale concezione non ha il difetto di rimanere unicamente sul piano delle dichiarazioni d'intenti, senza giungere a misurame gli effetti pratici? Supponendo che il totalitarismo sia il progetto di un "Tutto politico" -l'identificazione di politica e totalita - la messa in opera di tale progetto non avrebbe l' effetto di far perdere immediatamente alia politica la sua consistenza e i suoi confmi? Vale a dire che la realizzazione del "Tutto politico" avrebbe l'effetto paradossale di dissolvere la politica, che in un certo sensa
In virtU del suo aspetto radicale, questa modello di interpretazione del totalitarismo ha perlomeno il merito di renderci sensibili alI'atteggiamento di diffidenza nei confronti della politica, largamente diffuso dopo l' esperienza totalitaria. Se nella concezione banale e imprecisa, il totalitarismo appare come uno scatenamento della politica, un eccesso di politica, alIora non si puo che comprendere la diffidenza dell' opinione corrente riguardo alia politica, la sua apoliticita sempre esposta a degenerare in odio nei confronti della politica. Forse occorre fare i conti anche con il risveglio delle vecchie attitudini cristiane che hanno la tendenza ad associare la politica al male; in questo caso, il totalitarismo sarebbe la manifestazione del male politico per eccellenza. Curiosamente, l' opinione e qui ritrasmessa e confortata dalle posizioni di alcuni fliosofi, come se in questo caso la fIlosofia non esercitasse la sua opera di critiea dell' opinione e non tentasse di passare dall'opinione alia verita. Strana rinuncia della fliosofia? Non si tratta piuttosto della riattivazione della spirito di corpo dei fliosofi e della loro tradizionale diffidenza nei confronti della politica cosl ben denunciata da Hannah Arendt? Secondo quest' ultima, dopa l'avvenimento traumatico iniziale - il processo e l'esecuzione di Socrate - i fliosofi soffrirebbero di una "vera e propria defOimazione professionale" che li porterebbe a concepire la politica come un'attivita pericolosa, in grado di intaccare la calma e la serenita necessarie alia vita contemplativa e di rimetteme in discussione il primato. totalitarismo - necessario insistervi - rappresenta un riferimento essenziale del mondo contemporaneo, a partire dal quale ci orientiamo. Da questo punto di vista, e fondamentale l' accettazione a il rifiuto della categoria per rendere canto del nazismo e dello stalinismo. Per coloro che accettano di far ricorso a tale nozione per pensare questa nuova forma di dominio apparsa nel ventesimo secolo, e evidente che il totalitarismo ha sconvolto da cima a fondo
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Di fronte a tale interpretazione del totalitarismo, restano alcuni problemi. 1. Non
e riscontrabile, qui, una confusione tra il "Tutto
n
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iI campo della politica, al punto da renderla irriconoscibile. Non ci si stupid, dunque, che la concezione del totalitarismo accettata possa generare un insieme eli immagini che esercitano un effetto decisivo sui nostro rapporto nei confronti delle cose della politi ca. Gia Benjamin Constant si e levato contro la riduzione della politica a un gioco eli forze materiali e ha sottolineato l'importanza delle opinioni. <<E tuttavia alle sole opinioni che e stato dato iI dominio del mondo. Sono Ie opinioni a creare la forza, creando sentimenti, 0 passioni, 0 entusiasnll» (Constant, 1980, p. 604). Cosl, I'abbiamo visto, I'" opinione" del totalitarismo come "Tutto politico", oltre a essere eliscutibile, porta con se in modo pressoche irresistibile I'oelio per la politica e per tutte Ie passioni che la riguardano. In questa prospettiva, all'esperienza totalitaria spetta d'aver rivelato 0 eventualmente confetlllato la natura profondamente malvagia della politica.
II totalitarismo: dominio totale e distruzione della politiea Fortunatamente esistono posizioni differenti riguardo al totalitarismo. Alcuni filosofi, principalmente Hannah Arendt e Oaude Lefort, possedendo una eliversa percezione del fatto totalitario e avendone proposto un'interpretazione eliversa, hanno potuto, con un solo e identico movimento, criticare il dominio totalitario e contribuire alla riscoperta della politica. In tal modo entrambi si sono opposti agli equivoci dell'opinione sui totalitarismo e al tempo stesso hanno invitato a resistere alla svalutazione generalizzata che affIigge la politica. Due analisi che hanno in comune una medesima ispirazione filosofica; per spiegare il fenomeno totalitario, infatti, entrambi rifiutano eli lirnitarsi a una desctizione empirica che riunisca un certo numero eli caratteristiche, per meg/io cogliere, in una prospettiva fenomenologica, l'essenza eli tale forma eli dominio. Per vie differenti e con perplessita elisuguali, inoltre, ambedue rivitalizzano la problematica della filosofia politi ca. Di fronte al fenomeno totalitario, essi pongono in modo nuovo la questione della differenza tra un regime politico Iibero e iI suo con-
trario, senza per questa cedere all'iIlusione eli una ripresa pura e semplice della tradizione. Sebbene non abbiano la stessa concezione della politica - dal momento che l'una privilegia I'azione, I' altro insiste sull'istitllzione del socialeessi conelividono una tesi essenziale; che iI dominio totalitario, lungi dall'essere un eccesso eli politica, iI "Tutto politico", sia fondamentalmente la elistruzione della dimensione politica. In tal modo essi sviluppano una eliversa posizione riguardo alla politica nella lotta contro il totalitarismo, 0 alia fine del totalitarismo; in breve, una eliversa opinione riguardo alIe possibilita della politica nel mondo post-totalitario. In quest' analisi, daro la priorita ad Hannah Arendt, che permette eli lottare contro iI fraintendimento e eli combatteme gIi effetti. ' Hannah Arendt, nella sua critica del totalitarismo, parte da una teoria dei regirni ripresa da Montesquieu, rna sensibilmente modificata, nella misura in cui aggiunge ai due criteri eli Montesquieu un terzo elemento. Di Montesquieu conserva la elistinzione tra la natura eli un regime la sua forma 0 struttura - e iI suo principio d'azione, vale a elire la passione specifica che 10 fa agire e gIi permette eli perseverare nel suo essere. A questi due criteri ne aggiunge un terzo, cioe la defmizione eli un' esperienza fondamentale su cui ogni regime si fonda, e che rinvia ogni volta a una dimensione della condizione umana. Cosl, la monarchia si fonderebbe sull' esperienza, intrinseca alia condizione umana, secondo cui gIi uomini sono elistinti e differenti tra loro per nascita; la Repubblica sull' esperienza opposta, dell'uguaglianza per nascita eli tutti gli uomini, i quali non si distinguono che per iI differente status sociaIe, il che si manifesta attraverso un'uguaglianza eli potere che rinvia alla condizione della pluralitil. La tirannia, infine, che conduce alia paura, si fonderebbe sull' esperienza dell'angoscia che proviamo in situazione di totale isolamento (Arendt, 1990b, pp. 336-337). Attraverso questi tre , Ho gia dedicato uno studio ai lavon di Gaude Lefort su questo punto (Abensour, 1993, pp. 89-136). •
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La distruzione della politica equivale innanzitutto a un attacco nei confronti della condizione della pluralita, del fatto che sono gli uomini ad abitare la terra; non un uomo, ne la semplice moiteplicitil, rna la pluralitil che include al tempo stesso I'essere-tra gli uomini e l'unicita, cioe la vera condizione ontologica della politica che, secondo la Arendt, deve continuare a suscitare 10 stupore di una filosofia politica rinnovata. Inoltre, distruzione della politica non significa tanto la distruzione degli uomini quanta quella del mondo, quest'orizzonte di senso che essi edificano tra loro nell'intreccio di opera e azione. n mondo, uno spazio intellnedio in cui si svolgono e si giocano gli affari umani, uno spazio d'apparenza dove "io appaio agli altri come gli altri appaiono a me". Solo il rispetto della condizione della pluralita assicura la possibile esistenza di un mondo, e solo I'esistenza di tale mondo e la condizione di possibilita di uno spazio pubblico-politico come spazio di liberta. Distruzione della politica significa infme negazione della liberta in un duplice senso: negazione della liberta di esprimere e scambiare opinioni, e parimenti, negazione della liberta di agire, del poter-iniziare, della capacita di stabilire un nuovo inizio che dipenda dalla presenza degli altri e dal confronto reciproco. Notoriamente, secondo
Hannah Arendt, I'azione, che rinvia alia condizione della natalita, e sempre azione di concerto. In Hannah Arendt i due concetti sono uniti cOSI strettamente che, in un certo senso, per rendere conto fedelmente del suo pensiero basterebbe affellnare che il carattere essenziale del dominio totalitario consiste nel distruggere la politica nella misura stessa in cui esso nega cio che ne costiruisce il fatto fondatore, la pluralita umana. n caso di Arendt e particolarmente interessante; si trovano infatti nella sua opera founule come
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criteri, Arendt definisce il totalitarismo nel modo seguente: esso ha come natura il terrore, come principio d' azione, o meglio di movimento, I'ideologia. Infine, si fonderebbe su un'esperienza fondamentale che ha a che fare con I'isolamento, notevolmente aggravato dall'esperienza modema della disperazione. Ora, tutta la sua analisi tende a mostrare come, a questi tre livelli, il totalitarismo distrugga la vita politica, la sfera politica come ambito degli affari umani, I' essenza stessa della politica, ossia I'azione, dimensione politica per eccellenza. Giudizio che non bisogna affatto intendere alia stregua di una dichiarazione di un giomalista 0 di un uomo politico, rna come la conclusione di un filosofo, che acquisisce tutto il suo senso in rapporto alle categorie essenziali del • suo penslero.
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nio, aIla divisione tra dominanti e dominati e non all' azione orientata aIla liberta, che si svolge tra pari. Arendt non affe1IJla gia, a proposito della tirannia, che si tratta di un regime che si autodistrugge dal momenta che la paura non pu.o v~ere come principio d' azione? Quanto ai regimi totalitan, che sono in verita dei non-regimi, il suo verdetto e senza ambiguita. <<1 regimi totalitari non si sono accontentati di porre fine aIla liberta di opinione rna si sono accinti a distruggere in tutti i campi, per principio, la spontaneita degli uonuru» (Arendt, 1993a, trad. it. p. 38). Innanzitutto, la distruzione della politica, a livello della ?atura dd regime, attraverso il terrore. n regime totalitario m. quanta terrore si defmisce in opposizione al governo costltllZlOn,ale 0 repubblicano. L'essenza dd governo repubblicano e la legge e come tale esso istituisce Ie condizioni della liberta e dell'azione. Le leggi secondo Hannah Arendt assolvono a molteplici funzioni:
gi, la loro stabilita, consista nell'instaurare un complesso gioco tra la conservazione di un mondo comune e l' apertura aile potenzialita di tale cominciamento. <
nterrore conosce al tempo stesso un' assenza di leggi, che
pUbb.licano, peullette agli uomini di sperirnentare i rivolgimentl ~he la ~toria e in grado di apportare e, particolarmente m ambIto politico, la nascita di nuovi uomini. Pensatrice della nascita, della condizione della natalita Hannah Ar,endt ricorda: <> (Arendt, 1990b, p. 342). Seguendo Hannah Arendt, si potrebbe ritenere che l' azione delle leg-
tende ad awicinarlo al dispotismo, e soprattutto uno spostamento della legge, dell'idea di legge, che non e piil l'espressione di un diritto positivo, il quale deriva dalle fonti tradizionali, rna diviene la legge di un processo, sia naturale che storico, pensato come in via di compimento 0 al cui compimento e necessario contribuire. Un gioco tipico dd totalitarismo s'instaura tra la stabilita e il mutamento: affinche la legge dd processo possa svilupparsi, per lasciar libero corso alia sua dinamica, il dominio totalitario stabilizza gli uomini. < suscettibiIi di ostacolare 10 svolgimento dd processo. Abolizione dd tempo politico, aIlora, 0 dd tempo della politica in quanto tempo dd nuovo, dal momenta che la sola temporalita che tale forma di dominio tollera e una temporalita processuaIe, anonima, neutra, che accade in ceno qual modo "aile spalle" degli uomini, a dispetto dd loro dono di agire. Abolizlone dd limite, dunque, che provoca una catena di distruzioni: abolizione dello spazio tra gli uomini che permette di mettere in opera una complessa rdazione tra illegame e la divisione, abolizione delle modalita di comunicazione tra gli uomini e soprartutto di cia che ne sta alia radice, I~ condizione di pluralita. E nei termini di questa descnzlOne che Hannah Arendt propone la sua teoria dd ter-
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- esse istituiscono barriere, pongono e tracciano confmi; . - attraverso tale ddimitazione, esse creano uno spazio differeozlato tra gli uomini (inter-esse) e al tempo stesso rendono possibile la messa in opera delle condizioni ontologiche della pluralita; - eugualrne~te grazie a tali limiti che Ie leggi istituiscono modi di comurucazione tra gli uomini che vivono assieme e agiscono di concerto; -: infine queste leggi, grazie la low stabilita, peltllettono a~ uomini di muoversi all'interno della spazio cosl delinutato.
In altri termini, la stabilita delle leggi, in un regime re-
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rore come giogo 0 vincolo di ferro che, coIpendo questo spazio tra gli uomini, crea uno stato di unita senza precedenti, uno stato di confusione inedito. <Jl terrore sostituisce ai limiti e ai canali di comunicazione tra gli indi\~dui un WncoIo di ferro che h tiene Iegati cosl saldamente da farh sembrare fusi gli uni con gh altri, come fossero un sol uomo. n terrore [. ..] riduce gli uomini all'Uno aboIendo i hmiti creati dalle Ieggi, che assicurano a ogni indi~duo il suo spazio di hberti!» (IbId). Non sono tanto Ie hbelta a venir distrutte, quanto Ia condizione stessa della hberta a essere negata. «Esso [il terrore totalitarioJ si accontenta semphcemente di stringere gh uomini gli uni contro gh altri, in modo che 10 spazio stesso dell' azione hbera, owerosia Ia realta della hberta , scompaia» (i~, p. 343). Ritro~amo Ia stessa analisi in Le origini del totalitarismo, dove I'abohzione della pIuralita e il sorgere dell'Uno sono Iegati. n terrore «sostituisce ai hmiti e ai canali di comunicazione fra i singoh un WncoIo di ferro che h tiene cosl strettamente uniti da far sparire Ia 10ro pluralita in un unico uomo di dimensioni gigantesche. [. .. J Premendo gh uomini uno contro I'altro, il terrore totale distrugge 10 spazio tra esSD> (Arendt 1951a, trad. it. pp. 637-638). Secondo Hannah Arendt, il terrore-Wncolo ferreo distrugge incontestabilmente Ia pohtica negando cio che Ia r~de possib~e e al tempo stesso cio che da essa ereso posslbile. Esso distrugge Ia citta, quella specifica forma di ~ta in .comune, quella sfera pubbhco-pohtica in cui gli uomini aglsc.ono, prendono Ie decisioni comuni, mettendo in opera e ill scena Ia condizione della pluralita attraverso un insieme di rapporti agonistici. Esso distrugge parimenti i frutti dell'agire pohtico, l'istituzione di un ambito degli affari umani, Ia costituzione di un mondo, l'istituzione di un Iegame tra gh uomini, ~sibile e in~sibile, che stia al di Ia delIa necessita e dell'utilita e che abbia a che fare con quello strano fenomeno chiamato "fehcita pubbhca". Cosl il terrore attenta 0 cerca di attentare alla condizione pohtica degli uomini. In breve, 10 staio che instaura il terrore comporta un nulla di societa e un nulla di pohtica. 28
Sebbene non sia aristotehca, senza dubbio Ia critica di Hannah Arendt possiede un'origine aristotehca. Come se, fino a un certo punto, Ia lotta contro il terrore in nome delIa pIuralita riprendesse Ia critica di Aristotele, in nome delIa moItephcita, nei confronti de La Repubblica di PIatone. In effetti, secondo Aristotele, La Repubblica, attraverso I'eccessiva valorizzazione dell'unita farebbe ~oIenza alla citta in quanto manifestazione della moItephcita degli uomini. Per quanta sia evidente che essa [la dttal, diventando sempre piu unitaria, finid con il non essere piii neppure una dtta. Essa eper sua natura una molteplicita e procedendo sempre di pili sulla strada dell'unita diventera da dtta famiglia e da famiglia uomo singolo. [. .. l Eevidente pertanto da do che si edetto che per natura non esiste una citta che abbia lUla unita COSI stretta quafe alcuni vogliono riscontrare in essa, e do che epresentato
come massimo bene delle dtta distrugge Ie dtta stesse in quanto tali (Aristotele, 1955, pp. 84-85). Ripresa della critica di Aristotele fino a un certo punto, diremo noi. Resterebbe da distinguere la pluralita arendtiana dalla moItephcita aristotehca e da precisare che Hannah Arendt non eKarl Popper. Sebbene Arendt abbia professato in diverse occasioni un antipIatonismo sistematico e ben articolato, non ha mai commesso l'errore di fare di PIatone il padre del totalitarismo modemo. Se si considera che il potere euna componente costitutiva della sfera pohtica, il terrore si dedica ancora, pure a questo riguardo, a un'opera di distruzione. Qui appare in tutta Ia sua forza I'analisi arendtiana. Per Hannah Arendt, il totalitarismo, Iungi dal costituirsi in un eccesso di potere, in una accumulazione di potere, come pretende Ia tesi delIa pohticizzazione totale, si sbarazza del potere, di ogni possibilita di potere tra gli uomini, 0 del potere come capacita eli agire di concerto. Si sa come Hannah Arendt sia uno dei rari pensatori della modernita che non possieda una concezione "negativa" del potere, nella misura in cui ~ta di identificare potere e forza, potere e coercizione. Esiste, secondo lei, una rnisteriosa alchirnia del potere, tale che que29
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st'ultimo viene a esistenza lasciando libero corso alIo stare insierne degli uomini, alia «grazia redentrice della compagnia» (Arendt, 1990b, p_ 359). Ponendo un legame tra il potere, la possibilita dd potere, e il fatto di essere-assieme, Hannah Arendt concepisce tale fenomeno come potere tra gli uomini, come potere con gli uomini e non come potere suo potere la manifestazione stessa della pluralita umana. (JI potere, nella misura in cui rappresenta sicuramente una delle componenti pili importanti dell'ambito politico, appare alI'interno dd concerto umano. Gli uomini, nd 10ro essere assieme, costituiscono quella sfera in cui il potere puo apparire e scoprono la sua esistenza nd momenta stesso in cui decidono di agire di concerto» (efr. Arendt, 1958a, trad. it. pp. 146-153). Inversamente, l'isolamento distrugge la possibilita stessa dd potere e della sua comparsa, genera la volonta di dominio. n tiranno, che esolo, senza amici, al di fuori della compagnia dei suoi pari, terne il potere dei molti e vi risponde con la volonta di dominio. Essendosi liberata dal pregiudizio che confonde politica e dominio, Hannah Arendt presenta un quadro ambivalente: dallato della pluralita, il dischiudersi dd potere eli agire di concerto, l'esperienza dell' uguaglianza dd potere tra gli uomini; dallato dell'isolamento, la volonta di dominio di un uomo sugli altri uomini. Arendt descrive la tirannia come fondata «sull'impotenza connaturata a tutti gli uomini che sono soli» (Arendt, 1990b, p. 338). In questo senso il totalitarismo, forma di do!llinio totale, regno illimitato della libIdo dominandi, esdude, per la confusione che instaura tra gli uomini e la distruzione dd legame umano, la possibilita stessa dd potere e dd suo sorgere. In preda a un dominio senza limiti, gli uomini prigionieri dd vincolo di ferro dd dominio totalitario sono precisamente senza potere, fuori dal potere, dalla politica, da ogni possibile azione. Descrizione che vale certamente per i dominati, rna altresi per i dominanti, poiche nd momento in cui si entra nell'orcline dd dominio, si chiude in certo qual modo la porta alia politica e a cia che la fonda, il dono di agire. Non ci si stupira, a questa punto, che Hannah Arendt, in un progetto di ricerca dd 1948, abbia fatto dd campo eli
concentramento l'istituzione essenziale dei regimi totalitari, organizzati alIo scopo di produrre (
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Si potrebbe continuare la dimostrazione esponendo la teoria dell'ideologia in Hannah Arendt, mostrando come l'ideologia, principio d'azione dd regime totalitario, colpisca la politica e contribuisca a distruggerla. E sufficiente, a questo scopo, fissare tre punti salienti.
'Krier, 1985. Su questa punto mi permetto di rinviare aI mio articolo: Abensour, 1996.
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Contra un !rointendimento de! totalitarisma
1. Secondo Hannah Arendt, in effetti, l'ideologia sarebbe il principio d' azione di questa nuova forma di regime, come la virtli e il principio della repubblica 0 l'onore quel10 della monarchia. <
stessa e divenuta movimento; il regime totalitario non esiste che nella misura in cui la si mantiene costantemente in movimento» (Arendt, 1990b, p. 344). n che comporta immediatarnente una modificazione dell'idea di essenza, che non deve pili essere pensata sui versante della pelIllanenza e delIa stabilitil come il bell'animale immobile della Repubblica, rna va co~presa come il dispiegarsi di un processo, come il bell' animale in movimento del Timeo.1n ragione di tale modificazione dell' essenza, dell'idea stessa di essenza, nel caso del regime totalitario, Hannah Arendt puo giungere a questa dichiarazione, sorprendente a una prima lettura, secondo cui il terrore assolve a una duplice funzione, quella di essenza del regime totalitario e quella di principio, subito precisando che non si tratta di un principio d' azione, rna di movimento. Ora, il terrore puo assolvere a tale duplice funzione, possedere questa doppia qualita, perche, nel caso del . ..., . regime totalitario, m quanta essenza, esso e gIa mo~ento e processo, e perche, allimite, si e p~odotta una confuslOn~, sotto il segno del movimento, tra I essenza del regune e il suo principio. Di qui, 10 si e gia osservato, un'inversione dei poli di statico e dinarnico. In un regime ciassico, repubblica 0 monarchia, I' essenza fomisce, per mezro della propna autorita, un quadro stabile all'interno del quale gli uomini possono dar libero corso all' azione nella sua imprevedibilita e spontaneita. AI contrario, in un regime totalitario, la legge come legge di movimento, il terrore come realizzazione di tale legge, come movimento, stabilizza gli uomini, Ii irrigidisce, per ostacolare, impedire I' azione e pelIllettere in tal modo all'essenza di svilupparsi, al movimento di realizzarsi. Ora, cio che vale per il telTOre in un regime totalitario vale, afortiori, per l'ideologia, ossia la legge del movimento, l'imperialismo del movimento, esercita la propria influenza non soltanto sull'essenza del regime, rna sui suo principio. Essa rende dinamica l'essenza, e quanta al principio 10 riduce al solo rango eli principio, di movimento. Nella siruazione totalitaria, la legge del movimento regna sovrana, trasfOlInando tutto cio che tocca in moto. I.:essenza del regime totalitario non ha bisogno (non ha pili bisogno) di principi d'azione, poiche contiene in se medesima un principio di mo-
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vimento che, all' occorrenza, funge da sostituto per ogni azione possibile. Nella misura in cui iI movimento diviene I'essenza del regime, viene fomita una soluzione al problema che affliggeva la teoria classica: come mettere in mote una struttura permanente, che privilegia la stabilita, come rispondere all'esigenza del movimento di un corpo politico. Da cui, in Montesquieu, l'idea di un principio d' azione che, sotto nomi diversi secondo I' essenza del regime, risponda a questa esigenza. La particolarita del regime totalitario consiste nell' aver fomito una soluzione non attraverso la scoperta di un nuovo principio d' azione, rna attraverso la scoperta dell'inutilitii di ogni principio d' azione. Dal momenta che I'essenza stessa edinamica, non epill necessario, ormai, un principio d'azione che la renda dinamica. <
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tario dipende da una parte dal fatto che la sua essenza sia movimento e processo, dall'altra dal fatto che iI principio che 10 anima, l'ideologia, non sia pill un principio d' azione, rna solo un principio di movimento. Pill ancora, questa principio di movimento tipico del regime totalitario rende super£luo ogni principio d' azione, 0, se si vuole, ein nome eli tale principio di movimento -Ie ideologie che enunciano la legge del movimento - che coloro che dirigono iI movimento totalitario eliminano in maniera spietata tutto cio che eanche lontanamente simile all' azione umana. . Per conferire movimento a un carpo politico eli cui il terrore rappresenta I'essenza, non i: piu utile 0 necessario alcun principio d' azione tratto dal campo dell' azione umana - virtu, onore, paura. totalitarismo si fonda, al contrario, su un principio
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nuovo che non ha alcillla considerazione dell' aziane wnana co-
me atto libero e sostituisce al desiderio e aDa volonta eli agire la sete eli conoscere la legge del processo secondo cui opera il terrore. L.. J Cia eli cui ha bisogno il dominio totalitario, a guisa eli principio d' azione, euna preparazione degli inelividui che li destina ad assumere indifferentemente la funzione di camefici 0 quella eli vittime. Ora, questa doppia propedeutica, surrogato del principio d' azione, non i: altro che l'ideologia (Arendt, 1990b, pp. 348-349).
Principio di movimento, principio d'azione? La questione non ha nulla di scolastico: non si tratta solamente di applicare 1a categoria giusta, ne va dell' esistenza stessa della politica. In effetti, definire l'ideologia come principio di movimento significa mostrare che iI regime totalitario, nella misura in cui si spaccia per iI compimento della legge delIa Natura 0 della Storia destinato a produrre iI genere umana, e mobilitato in permanenza contro tutto cio che potrebbe ostacolame iI corso e dunque, in primo luogo, contra il dono di agire, contro l'azione di concerto, contro I'esistenza di un ambito politico, contro la possibilita stessa della politica. Gli uomini sono distolti dall'inter-conoscenza, ounai superflua, per concentrarsi sulla conoscenza delIa legge del movimento, eventualmente accessibile alia saggezza eli uno solo. «Questo non riguarda iI concerto degli
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spiriti umani, rna un sol uomo cui e richiesto di comprendere questa legge ed edif'icare l'umanitii» (ivi, p. 357). L'ideologia totalitaria, in tal modo, net suo asservimento al movimento, lungi dall'essere una politicizzazione a oltranza, un eccesso di politica, rappresenta la figura per eccellen- I za della distruzione dell'ambito politico, da! momento che ! l'ideologizzazione totale della societa a cui essa mira (che conviene distinguere da! «tout tient afa politique») vorrebbe sostiruire in modo permanente la "soluzione" ideologica, che corrisponde alla legge interna de! movimento, al cominciamento imprevedibile dell' azione di concerto. In questo senso, distruzione della politica e dire troppo poco. Si tratta di una negazione pura e semplice della condizione politica dell'uomo, che colpisce la sua qualita di essere-per il cominciamento, owerosia la condizione della natalita. ,,
2. AI di la de! ruolo di ausilio de! terrore, l'ideologia, I quale che sia il suo contenuto, mette in movimento Ie mas- I. se. Essa riesce a trasmettere il proprio impulso alle masse, in un senso 0 nell'altro, grazie all'attrazione che esercita su ! di esse. Di che attrazione si tratta? Dove si colloca? Come renderne con to? Rivolgendo la propria attenzione agli "uomini per tutte Ie stagioni", Hannah Arendt scrive: qua- i lunque sia il contenuto cui aderiscono, 0 il tipo di legge ' eterna cui hanno scelto di credere, una volta che abbiano compiuto questa primo passo, nulla pui'> loro capitare e sono salvi. Immediatamente pone il problema: «Salvi da cosa?» (ivi, p. 356). Logica di un'idea, l'ideologia e un tipo di dottrina che pretende che la chiave, la spiegazione di rutti i misteri delIa vita e de! mondo stia in un'unica formula che deterrnina il processo narurale 0 storico. Dal momenta che l'ideologia e coloro che la condividono tendono a emanciparsi dalla realta percepita attraverso i nostri cinque sensi, invocando una "rea!ta pili vera", nascosta, alla quale e possibile accedere proprio attraverso I'ideologia, essa funziona all'occorrenza come un sesto senso che corregge e soppianta i giudizi de! senso comune.1n tal modo, insiste Hannah Arendt, eproprio dell'ideologia ordinare i fatti secondo una pl'oce-
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dura assolutamente logica che parte da una premessa considerata come un assioma e ne deduce l'insieme de! processo, Ie cui conseguenze logiche si sviluppano alla maniera di un alfabeto.1n questa forma logica che si sostiruisce a! pensiero, risiede I'attrazione che l'ideologia esercita sulle masse, molto di pili che non net contenuto di qualsiasi piacevole paradiso. Quando il mondo che sta tra gli uomini e distrutto, quando gli uomini vivono net deserto, in preda alla desolazione, l' unica bussola che resta loro el'ideologia come logica di un'idea, tanto pili fonte di salvezza quanta pili ein grado di produrre una certezza (<
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intema del movimento, a una dottrina che pretende di spiegare ogni cosa e si fonda sull'illusione che un uomo solo, allimite, basti per comprendere Ie leggi della Narura 0 della Storia e per produrre l'umanita, nella facolta di giudicare, in quanta pensiero largo 0 pensiero aperto, si tratta di pensare (. Mettersi al posto di rutti gli altri esseri umani, grazie al rapporto di intelletto e immaginazione, ecio che rende possibile un «pensare di concerto», 0 un pensiero che virtualmente mantiene «in cerlo modo il proprio giudizio nei limiti della ragione umana nel suo complesso» (Kant, 1989, p. 150). n lavoro dell'immaginazione permette a questa pensiero largo di svilupparsi in uno spazio virrualmente pubblico, tale che il pensiero adotti il punto di vista che Kant attribuisce al cittadino del mondo (Arendt, 1982a, trad. it. p. 68). Mentre l'ideologia, «pensiero prigioniero» 0 pensiero passive che tende verso il non-pensiero, esige obbedienza e sottomissione alia legge intema del movimento, attraverso un gioco d'identificazione, la facolta di giudizio ha come prima massima quella del pensare d4 se. Da questa punto di vista, si potrebbe considerare come I'esperienza totalitaria abbia modificato di riflesso il senso di questa prima massima. Non si tratterebbe piu tanto, come in Kant, di un pensiero libero d4i pregiudizi, quanta di un pensiero senza ideologia, che conduce a una nuova definizione dell'Aujkldrung: I'Aujkliirung significa liberarsi dall'ideologia. Infine, il totalitarismo procede a una distruzione della politica 0 peggio delle condizioni di possibilita della politica a livello dell'esperienza fondamentale della comunita umana. Abbiamo notato come la siruazione d'isolamento degli uomini permetta di rendere conto dell'attrazione che su di essi esercita l'ideologia. Ma I'analisi arendtiana si spinge piu lontano: al di la dell'isolamento che si incontra gia in una tirannia e che lascia ancora deboli possibilita d'azione, non fosse che attraverso la paura, il totalitarismo riposa sull' esperienza fondamentale della deso/azione, owero sui «peri38
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coli di una esistenza abbandonata e superflua» (Arendt, 1990b, p. 360). . . . AI di la delle reali differenze tra solirudine, 1S0lamento . . .,e desolazione, appaiono chiaramente, ruttavta, una contmw~a e un progressivo aggravamento: la mancan~a di. compagru~ propria di questi tre stati, I'assenza di pan e di uguali, distrugge ogni possibilitil di potere - di potere con e di potere Ira. A questo proposito abbiamo visto come I:Iannah Arendt non cessi di ricordare I'esistenza di una relaZlone tra il potere e il fatto di essere assieme, 0 al <;ontnrrio tra I' a;'~ senza di potere e l'isolamento. Se la tiranrua connene m se I genni della propria distruzione, dal momenta che la paura, il suo principio di azione, e antipolitica, il totalitansmo appare, allimite, come un non-regime, d~ momento ,che la desolazione ostacola, con la sua stessa eslstenza che e negaZlone della pluralita, la costitllZione di ogni legame politico e di ogni spazio tra gli uomini dove p~ssa m~estarsl la lora qualita di essere per la liberta e per il co~clamento., Come la tirannia, il totalitarismo cornsponde all esperienza de! deserto, rna considerevohnente aggravata. Quando la tirannia genera il deserto, cio avviene ~~ ~odello delIa pace dei cimiteri: (Ja pace regna» perche il uranno ll111"a a eliminare l'opposizione, a scoraggiarla ne! vero s,:nso delIa parola, alIo scopo di godere (
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Contro un /raintendimento del totalitarismo
serto totalitario mette per di pill in pericolo Ie oasi, vale a dire Ie fonti della vita che esistono indipendemente dalla politica, per esempio l'amore tra Winston e Julia in 1984. Seguendo Ie metafore arendtiane, la desertificazione totalitaria minaccia tanto pill Ie oasi quanto pill noi acconsentiamo a vivere nel deserto «senza comprendedo», owerosia sopportando il deserto, Ie condizioni del deserto, e aspettando che i nuovi venuti, coloro che iniziano, possano uscire dal deserto per edificare un mondo umano. Una volta ancora, Hannah Arendt elontana dalla critica liberale classica che concepisce il totalitarismo come una sottomissione del privato al pubblico, e persino come una confusione tra i due, in questo modo avvicinandosi alia prima interpretazione del fenomeno totalitario. La visione arendtiana e totalmente diversa. In effetti, il dominio totalitario non potrebbe sottomettere la vita privata alia vita pubblica, dal momento che e innanzitutto distruzione di quest'ultima e della sua stessa possibilitil. Piuttosto, e sullo slancio della distruzione dell'ambito pubblico-politico, obbedendo al movimento di desertifidzlone che trionfa, che il movimento totalitario procede alia distruzione di ogni co., muruta umana. II regime totalitario, al pari di ogni tirannide, non puo certo esistere senza distruggere iI settore pubblico, senza distruggere con l'isolamento Ie capacit. politiche degli uomini. Ma esso f. .. J Iungi daIl' accontentarsi dell'isolamento, distrugge anche Ia vita privata. Si basa sull'estraniazione, suI Senso di non appartenenza al mondo, che e fra Ie piu radicali e disperate esperienze umane (Arendt, 1951a, trad. it. p. 651).
Se si annodano i fili che abbiamo appena seguito (il terrore, l'ideologia, la desolazione) la diagnosi di Hannah Arendt non puo che rafforzarsi. n dominio totalitario e proprio questa esperienza senza precedenti di distruzione della politica, del suo ambito, delle sue condizioni di possibilita e ancora, net tentativo di produrre un'umaniti! che incama la legge del movimento, una volonta di fada finita con la condizione umana, in quanta condizione politica. Coslla formula implicita del totalitarismo potrebbe essere: . l'uomo eun animale fondamentalmente apolitico, 0 meglio ancora antipolitico, owerosia destinato a vivere lontano dalla citta e cOntro la citta 0, se si vuol dare il suo senso massimo alia cesura totalitaria, controcorrente rispetto all'invenzione della politica, alia rOllura che I'emergere di una comuniti! di cittadini ha rappresentato. 1'esatto contrario rispetto it quell"'evento-miracolo" descritto con queste pa- . role dallo storico Christian Meier: Per Ia prima volta nella storia del mondo, gIi uomini hanno acquisito Ia possibilit. di decidere da se stessi iI tipo di ordine entro il quale desideravano vivere. A dire iI vero, non vi sono giunti che trasfonnando se stessi e costituendosi un'identit' politica. I concenti costituzionali che terminano in archia e in krafia paio· no scontati, al giomo d'oggi. In realt' hanno significato una rivoluzione nella storia del mondo (Meier, 1984, p. 30).
l'esperienza fondamentale da cui il totalitarismo deriva (10 sradicamento e l'inutiliti! da cui sono state colpite Ie masse modeme) e che instaura e generalizza, e unica. La desolazione apre un nuovo modo di esistere, I'essere abbandonato da tutti e da tutto che si sperimenta attraverso una triplice perdita: perdita di me, degli altri e del mondo, In seguito alia distruzione dell'esperienza, la desolazione colpisce la stessa condizione umana, I'essere abbandonato rovina nella vertigine dell'essere superfluo,
Se si crede ad Hannah Arendt, spetta allinguaggio donare a questo passato, a questa rivoluzione, il suo fondamento incrollabile. <
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Contro un !raintendimento del totalitarismo
ni che 'provo~a t~e fraintendimento aI nostro rapporto con la poliuca. SI rrusura parimenti come cio che dovrebbe spingerci ad andare in soccorso della politica tenda aI con!rario a dist?glierci da .essa, ~~ non si ein grado di opporre reslStenza aJ preglUdizi tradizlOnaii e totalitari che in un'epoca post -totalitaria ci comunicano orrore nei confronti della politica. . P~r ~rientare la nostra riflessione dopo I'esperienza totalitana, il che oggi vale per esempio per i paesi dell'Est europeo, Hannah Arendt ci avvisa che il totalitarismo sopravvive aI crollo dei regirni totalitari. I pericoli del totalitansmo «per definizione non possono essere sconfitti per il s.emplice fatto di nportare una vittoria contro i regirni totalitaro> (Ar~ndt, 1990b, p. 360). Che 10 si sia sperimentato in maruera diretta 0 indiretta, il totalitarismo ci lascia «in un vero e. proprio crunpo di macerie». Macerie della politica, ~acene del mondo. Oltre alia politica, il dominio totalitano ha distrutto il mondo, quell'orizzonte di senso che nasce tra gli uomini, in cui tutto cio che ognuno aggiunge con I~ nasclta puo essere visto e udito. L'imperialismo del movunento, scatenato aI punto da estendersi fino aI deserto ha distrutto questa spazio intermedio che si costituisce a1: l'!ncr.ocio di opera e azione e porta U; se, con se, uno spaZl,? di permane.nza. In tal modo, I'esperienza totalitaria ci lasCla m balia di un acosmismo di nuovo genere prodotto della desolazione. ' Cio che ormai e in questione e I'esistenza stessa di un mondo e, in rappOlto con tale esistenza problematica il fatto ch~ esista 0 non, esista, ~ runbito P?litico per gli' affari urn:uu, la posslbilita di un eslstenza polittca, questione prelimina:e nspetto a quals~asi ricostruzione di uno spazio pubblico-polittco. Non Slruno nOl malati di politica per a.veme abusato: per ~ssere stati eccessivrunente politicizza~, son,? la polittca e ~ mondo a essere malati a seguito delI espenenza tOlaiitana, avendo perduto consistenza la pri?Ja, strutrura il secondo. Di qui I' espressione strana a dire il vero, rna legittima, «riscoperta della politica», come se questa conttnente fosse scomparso dal nostro orizzonte. Ma un effetto del dominio totalitario consiste precisrunen-
te nellasciarci alia ricerca della politica perduta - come se, a guisa di schermo, esso avesse ricoperto, nascosto, la dimensione della politica, aI punto da farcene perdere il ricordo, il senso, fmanco il desiderio - e nell'esigere da noi «pescatori di perle» la scommessa della politica ritrovata.
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Ritomiruno aI conilitto delle interpretazioni. Se si continua a condividere la prima interpretazione, si aurnentera la confusione e non si otterra che di addentrarsi maggiormente in un mondo inurnano, nel deserto, conservando la diffidenza nei confronti della politica, considerata rutt' aI pili come un male necessario oppure come uno sttumento destinatq ad runministrare i problemi che derivano dalla coesistenza degli uomini. Quest' orrore della politica e cOSl innocente? Non partecipa forse, a sua insaputa, alI'odio nei confronti dell' azione su cui si costruisce il dominio totalitario? ntema ricorrente della fine della politica non riproduce, volente 0 nolente, l'illusione totalitaria di una eliminazione della politica, 10 scopo del movimento compiuto? Cleco nei confronti della rivoluzione democratica moderna, questo ritomo alia liberta evissuto come ritomo alia Ii, betta di liberarsi dalla politi ca. Prima di alzare la bandiera dell' odio nei confronti della politica, sarebbe forse opportuno provare un sospetto salutare ed enwlciarlo in termini arendtiani: quest' odio non e la ripresa dell' odio nei confronti dell'azione, non pOlta il marchio, Ie stigmate del desetto che ha attraversato? Pili che una parola d' ordine, converrebbe leggervi la confessione di un sintomo, di una sopravvivenza in un mondo post-totalitario delle attitudini che hanno nutrito I'esperienza totalitaria. , Se aI contrario ci volgiruno verso la second a interpretaZione, alia fine del totalitarismo, seguendo il filo dell'analisi proposta, possiruno porre una questione: dopo I'esperienza totalitaria, la politica ha ancora un senso? E incontrare, aI euore di tale interrogativo, una possibilita: questa senso non sara, nei termini di Hannah Arendt, l'evento-miracolo della liberta? E in questa direzione, dopo aver sperimentato 10 sconvolgimento del dominio totalitario, vediruno forse nascere, timido sorgere del sole, un nuovo pensiero Ii43
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bertario, 0 piuttosto un nuovo orientamento eli quella ispirazione che non ha cessato eli tormentare la politica modema? Come se la s£ida del totalitarismo, Ie rovine accumulate, la radicalira della elistruzione avessero rinnovato, come contraccolpo, Ie esigenze eli un pensiero della liberti\: come la liberta non possa pill pensarsi contro la legge, rna con essa, all'unisono con il desiderio eli liberta che l'ha fatta nascere? Come la liberta non possa pill concepirsi contro il potere, rna con esso, inteso come potere eli agire eli concerto? Soprattutto come la liberta non possa pill levarsi contro la politica, rna come la politica sia ormai I'oggetto stesso del desiderio eli libertil? La politica pensata, desiderata, praticata come interrogazione infinita, lungi da ogni idea eli solllZione, sul mondo e il destino degli uomini che abitano la terra. Dei due filosofi interpreti del totalitarismo verso cui ci siamo volti, l'uno, Claude Lefort, non ci fa scoprire un'idea libertaria della democrazia, la democtazia selvaggia? L'altra, Hannah Arendt, non ci comunica un "principio d' anarcma"? La decostruzione della politica cui invita non libera I'azione da! dominio dei principi, della teori. e dei fini? Un' azione libera da ogni arche. Traduzione di Luca Savarino
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Cristalli di storia: il totalitarismo tra abisso e redenzione eli Olivia Guaraldo
If paradosso della realtii Facendo confronti con gli antichi imperi, scambiando espansione per conquista, trascurando la differenza fra Commonwealth e impero (che gli storid preimperialisti conoscevano bene distinguendo fra stanziamenti e possedimenti, colonie e dipendenze, 0, un po' piLI tardi, colonialismo e imperialismo), ignorando, in altre parole, la differenza fra emigrazione di coloni ed esportazione di capitale, gli storid hanno cercato di far dimenticare il fatto inquietante che, a voler spiegare molti importanti awenimenti della storia modema nelloro nesso causale, secondo i criteri della storiografia classica, si ha l'impressione che delle mosche abbiano partorito elefanti (Arendt, 1951., trad. it. p. 183).
Nodo centrale nella ricostruzione arendtiana delle origini del totalitarismo e, come e noto, la comprensibilita delI' accaduto storico. Non si tratta certo eli un problema neutrale, squisitamente epistemologico. 0 meglio, la novita del resoconto arendtiano sta proprio nel fatto che il problema epistemologico non epill neutrale, rna eliviene immeeliatamente problema politico. Le categorie politiche e Ie modalita storiografiche eli indagine del passato non sono pill utili alla comprensione del "senza precedenti". L'inutilita delIa tradizione si rende manifesta in virtU del fatto che l' accaduto storico non vuole essere compreso sine ira et studio. Esso deve, invece, essere "affrontato spregiuelicatamente". Ritmicamente l'insopportabile ereelita eli quell'accaduto ritoma nel testo sul totalitarismo come haunting presence, buia e irriducibile pesantezza che non si lascia mai afferrare del tutto. Non si lascia afferrare nel modo astratto della teotia, rna nemmeno in quello consequenziale e causalisti-
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Cristalli di stario: it totalitarismo Ira abisso e redenzione
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co della storiografia. Cosl come la realta del mondo delle apparenze, quella che Arendt chiama la realta vissuta in n:'~zo ad a1tri uomini, non.e mai sintetizzabile da un prinCtpIO parificatore, da una smtesi che la riduca a concetto, rna e invece un intreccio la cui complessita e compresa solo dal narratore che la osserva dal eli fuori, aIIo stesso modo iI fenomeno reale dello sterminio non puo essere ascritto a una sola causa, a un principio che 10 sintetizzi, a un'unica e rintracciabile origine che 10 esaurisca in quanta fe• nomeno stonco: deve essere possibile affrontare e comprendere il fatto straordinario che un fenomeno cosl piccolo (e nella politica mondiaIe cosl insignificante) come la questione ebraica e I' antisemitisma sia potuto diventare il catalizzatore, prima, del movimento nazista, poi di una guerra mondiale, e infine della creazione delle fabbriche della morte (ivi, po LII). La realta e un intreccio complesso la cui risolvibilita in un principio non e mai possibile (perche, come e noto, la realta, in Arendt, e plurale e irrappresentabilel. La realta e "I'infinitamente improbabile", iI nuovo e I'imprevisto a cui danno vita gli uomini e Ie donne che vengono aI mondo riempiendo la cornice materiale dello "spazio terrestre" con eliscorsi e azioni. Tutto questa e ormai patrimonio preziosissimo della folta "progenie" arendtiana. n problema, in questa caso, non e tanto quello eli tJ!1a comprensione delIa reald tout court, ossia della comprensione comunque poIitica della realta nel suo darsi come apparenza, fenomeno che si mostra e che vuole mostrarsi, rna della comprensione eli una realta inauelita e talmente assurda nella sua novita da sconvolgere tutte Ie categorie intellettuali a elisposizione della traelizione. Se la reald e infmitamente improbabile, la qualita della realta totalitaria sta proprio nell'aver rispettato tale "precetto arendtiano" oltre ogni immaginabilita. n paradosso e evidente. La realta come contingente concretizzarsi di fatti, come imprevisto intrecciarsi eli storie eli vita, e la realta delIa politica intesa da Arendt come dimensione genuinamente terrestre e umana, conelivisa e auspicabile, modalita eli
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lettura, per contrasto, eli una tradizione culturale essenzialmente speculativa e "celeste". La realta del totalitarismo, oltre a essere una realta complessa, intricata, molteplice 0 plurale, esoprattutto, per qualitil e dimensioni, nuova, mai esperita prima. losito, pero, nel suo primario carattere eli novita, vi e, pare superfluo ricordarlo, I'inauelito messaggio eli elistruzione. Comprendere tale realta e compito immenso, gravato non tanto, e non solamente, dalla mancanza eli strumenti, rna dalla tenace volonta eli «comprendere senza giustificare», per mantenere vivo e lacerante iI paradosso. La convinzione che tutto quanta avviene sulla terra debba essere comprensibile all'llomo puo condurre a interpretare la storia con
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luogbi comuni. Comprendere non significa negare I'atroce, dedurre il fatto inaudito da precedenti, a spiegare i fenomeni con analogie e afferrnazioni generali in cui non si awerte piu I' uno delIa realta edell' esperienza. Significa piuttosto esaminare e porrare coscientemente il fardello che il nostro secolo ci ha posta sulle spaile, non negarne l'esistenza, non sottomettersi supinamente al suo peso. Comprendere significa insomma affrontare spregiudicatamente, attentamente la realta, qualunque essa sia (ivi, p. LII).
n ritrno attraverso cui tale nodo percorre tutta I' analisi del totalitarismo e scandito assieme dalla questione epistemologica e dall'istanza etica. n gesto audace che guida Arendt nella ricostruzione dell' accaduto stot·ico nella sua complessita e novita e iI posizionamento responsabile e battagliero nei confronti eli una realta che Ie ha posto una sfida. Se la reald nel suo snodarsi plurale e innanzitutto politica, la sua comprensione non puo prescindere da tale pluralita, la quale per essere compresa nella sua essenza pluraIe richiede una responsabilita etica che rimanga fedele alia "struttura" della realta. Questa responsabilita si incama nell' esigenza arendtiana eli comprendere iI totalitarismo senza giustificame Ie premesse, sia storiche che epistemolagiche, e questa puo awenire solo leggendo la realta con acchio politico. I.:occhio attento alia dimensione plurale e contingente della politica pennette di trattare ogni accaduto storico con .
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Cristalli di storia: it totalitarismo tra abisso e redenzione
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la disincantata consapevolezza che esso e innanzitutto un fatt,o reale e concreto, I~ cui necessita 0 dimensione epocaIe ~ solo un preglUdizio metafisico. 1 AIIo stesso tempo, pero, tale contmgenza non viene esaltata 0 idealizzata in quanto ':aI di la del bene e del male", rna fatta valere come p:ospetuva che assume forte valenza etica. Non elecito, sostI~e Arendt, volere a ogni costa rintracciare cause socio10glche, politIche, economiche 0 filosofiche che avrebbero necessanamente portato aI totalitarismo, quasi per voleme gmstificare iI male e I'assurdita assimilandolo aI processo stonco che meVltabilmente va avanti. n totalitarismo ci ha mostrato, sembra voler dire Arendt nell'introduzione allibr~, che iI Geist hegeliano non conquista progressivament~ I autocosclenza attuandosi nella storia. Ci sono momentI, mteri periodi, in cui Ie alte conquiste dello Spirito occiden.tale sembrano svanite, e rautocoscienza pigramente assop Ita. Trovarsi di fronte a un fatto, a un evento che per la sua specifica natura stonca e quindi temporale eun <
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tento polemico, disgregante, rna assume la valenza di una totale modificazione dei parametri epistemologici di comprensione dell' accaduto storico. Etica e politica rimuovono i pesanti strati di "civilta" e di tradizione, rendono vivo iI paradosso della realta inaudita.' Le due prospettive vogliono svelare I'orrore che sta alia base di tale inaudito, rna aIIo stesso tempo esse non ne devono risolvere iI paradosso. Se la politica e, per Arendt, complessa interprete della realta, essa eanche imprescindibilmente connessa aII'istanza etica di salvare dall' oblio i fatti inauditi di questo secolo rendendo loro giustizia. DaII'incrocio di tali prospettive, dagli angoli di visuale prioritari (i quali sono in stretta interdipendenza) da cui I'autrice osserva iI mondo, si evince • una nuova stona,
Politica dell'irrealtii Ora, riannodando Ie trame plurali del discorso arendtiano, ritomando aI nodo mai sciolto del totalitarismo come fenomeno assolutamcnte nuovo, Ia realt .. gioca un ruolo assai ambiguo. Realta totalitaria eassieme un complesso intrico di fatti e un indecifrabile amalgama di e1ementi.' Questo senz' altro '
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metafisica e ddla filosofia potrebbe essere duplice. Essa ci consentireb· be di guardare aI passato con occrn nuovi, liberi dal farddlo ddla co· strizione di qualsiasi tradizione, e di disporre percio di un patrimonio enonnc di esperienze immediate, senza essere vincolati da alcuna pre· scrizione suI modo di trattare simili tesori: "Notre heritage n'est precede d'aucun testament" (Rene Char»> (Arendt, 1978b, trad. it. p. 94). J La cosa piu interessante e che illibro in origine doveva avere un altro titolo, il quale emolto indicativo del dilemma metodologico che Arendt dovette affrontare nd trattare un argomento storico senza pre· cedenti. ntitolo doveva essere Elements 0/ Shame: Antisemitism - Impenallsm - Racism (Elementi ddla vergogna: antisemitismo - imperialismo - razzismo). Arendt sostiene, in alcune lettere all'editore, che tra i tre «dementi», l'demento «amalgamante» doveva essere l'antisemiti· smo. ntermine «dementi» suggerisce proprio la rottura con la narra· zione storiografica che postula una continuita tra cause ed effetti, L'u· so del termine «amalgama»,. inoltre, suggerisce una combinazione eli dementi la cui unione non eperu detenninata in modo causale e ne·
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Cristolli di slorio: zllolalitarismo Ira abisso e redenzione
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corrisponde alia petitio principii arendtiana: la reaita e irrappresentabile, la realta eI'infmitamente improbabile. Ma come rapportarsi a una re-a1ta che, nella sua infinita improbabilita, ci pone dinnanzi la questione del male? Se, da una parte, la realta politica eassolutamente fragile nel suo darsi e nel suo e1isfarsi, la realta totalitaria ebifronte: fragile perche costruita su equilibri contingenti (e questa corrisponde aII'assunzione arendtiana che la realta e sempre interrelazione umana, legata aIIo spazio dell' apparenza e al fatto che "puc anche non accadere") rna aIIo stesso tempo lacerante nella sua opera eli distruzione. Questa duplicitil appare costantemente nellibro sui totalitarismo. La prima dimensione estrettamente connessa aII'indagine storica della cosiddette "cause". l'antisemitismo, I'imperialismo e il totalitarismo sono fenomeni la cui contingenza storica e stemperata nell'analisi arendtiana proprio per negare a essi I'elemento oggettivo, nel senso hegeliano, eli necessita.' n secondo aspetto, il "precipitato" eli un tale amalgama, viene a delinearsi come realtilla cui strana consistenza e eli essere un prodotto umano dalle caratteristiche non umane. Se da una parte il corso oggettivo della storia viene sconfessato nel suo aspetto inevitabile, dall'altra I'irreversibilita dell'accaduto, I'effetto, si presenta "a conti fatti" come punto eli non ritorno. n "precipitato" totalitario si presenta innanzitutto come realta, dato eli fatto. La qualitil eli tale realtil, perc, e carat-
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cessario, rna nemmeno in modo dd tutta accidentale. La scelta di termini come «clementi» e «amalgama» fcmisee ad Arendt un «vocabo-
lano della contingenzlI>', Cfr. LJ. Disch, 1994, pp. 115-116.
~ Un esempio lampante puo essere riscontrato quando Arendt
af-
fronta l' argomento "sociale" della condizione ebraica in Europa. Se da una parte vi sono numerosi fattori economici che contraddistinguono
Ia condizione ebraica negli stati nazionali, dall'altra fanon apparentemente superfidali, come per esempio la ncia tipicamente borghese delle societa europee di fine secolo, svolgono una funzione altrettanto detenninante a completare il quadro storico che Arendt ha in mente. Le interessanti divagazioni su Disraeli e su Proust "complicano", per cosl dire, il "quadro uftlciale", narrando storie di vita senz' altro im· portanti rna dd tutto contingenti nd loro svolgersi e senz'altro acci·
dentali nelloro intluire sui corso poco probabile della Storia.
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terizzata dal fatto eli essere stata letteralmente "fabbricata" in base a premesse ideologiche che trovano nella contingenza degli altri fenomeni storici il terreno fettile per svilupparsi. La realta dell'accaduto stOl-ico si pone innanzitutto come aIIontanamento dalla realta conelivisa. La realta del totalitarismo come "progetto politico" si fonda sull'irrealta. Arendt parla eli una «autocostrizione del pensiero ideologico» che «eIistrugge tutti i legami con la realta». La realtil conelivisa, quella che lei chiama la «realta dei cinque sensi>., perde, nel mondo dominato dall'ideologia, la sua oggettivita, la sua incontrovertibilita. . Prima di conquistare iI potere e eli creare un mondo confonne alle Ioro dottrine, i movimenti totalitari evocano un mondo menzognero di coerenza che meglio della realta risponde ai bisogni della mente umana e in cui, merce l'immaginazione, Ie
masse sradicate possono sentirsi a proprio agio ed evitare gli incessanti colpi che Ia vita e Ie esperienze reali infliggono agli uomini e alle Ioro aspettative (ivi, p. 488).
n ruolo svolto
dall'ideologia nella manipolazione ineliscriminata della realta produce un effetto totale che e1iviene operativo a ogni livello. La capacita del totalitarismo eli fabbricare in modo inflessibile una realta e eli farla valere plausibilmente attraverso una logica inflessibile, tipica delIa paranoia, vanifica ogni pretesa eli comprensione oggettiva, e, anzi, 10 stesso concetto eli realta perde ogni significato. <
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Cristalli di stono: illofalitarismo Ira abisso e redenzione
Olivia Guaraldo
Que! ehe Ie masse si rifiutano di rieonoseere e la easualita ehe pervade tutta la realta. Esse sono predisposte a tutte Ie ideologie perehe spiegano i fatti come semplici esempi di determi-
ogni altra cosa; procedono cosl con una coerenza che non esi~
ste affatto ne! regno dena realta (ivi, p. 645).
nate leggi ed eliminano Ie coincidenze inventando un' onnipo-
Realta e Abisso
tenza tutto eomprendente che suppongono sia alla radiee di ogni easo (ivi, p. 486).
n pensiero che si emancipa totalmente dalla realta e che rende.prevedibile I'azione umana riducendola a comportamenlO, a fascio di reazioni, e stranamente in grade di fabbricare I'intera rete di dominio totalitario. Questo eiI feno-
La forza poietica dell'ideologia si manifesta apertamente nell'effetto devastante che essa ha avuto sulle masse: soddisfacendo i1loro bisogno di coerenza ha reso la realta infinitamente manipolabile. Essa viene ridotta a coerenza logica, i tratti di casualira che Ie sono propri vengono eliminati, proprio perche viene eliminata la pluralita su cui la realra si fonda: II dominio totale [... J e possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un'immutabile identita di reazioni, in modo che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scamhia-
to con qualsiasi altro. Si tratta di fabbrieare qualeosa ehe non esiste. cioe un tipo umano simile agli animali, la cui unica "liberta" consisterebbe nel "preservare la specie" (ivi, p.
599).
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i , ,
E!iminando I'unicita e la capacita, a essa connessa, di dar vita all'imprevisto, si e!imina la realta stessa. La realta totaIitaria dunque, la realta fabbricata che non merita I' appellativo di "realta", fonda la sua menzogna, 0 meglio I'indifferenza verso la distinzione tra realta e fmzione, sulla assenza di uno spazio comune e condiviso. La realta dell'apparenza, cosl come Arendt la sviluppera in Vita Activa, la realta dei cinque sensi e della condivisione delle percezioni, eeliminata a favore di una realta pili vera, e senza dubbio meno fragile nella sua coerenza.
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meno nuovo che Arendt si trova di fronte. 1.:incontro fata• Ie tra ideologia e storia, tra idee e fatti, innesca un processo assieme pericoloso e dubbio. Sarebbe potuto non accadere, fmire in un fiasco, come una miccia che non conduce alI'esplosivo ma a una esplosione mancata. Di fatto, perc, la miccia esplode lasciando dietro di se un cumulo infmito di maeerie. E sta proprio in questa casualita un poco intrisa di fatalismo (quello di chi osserva Ie macerie, come iI benjaminiano angelo della storia, che ha Ie ali bloccate dalla tempesta) quel nodo mai risolto che ritmicamente lOrna nel resoeonto arendtiano. Si tratta eli un abisso, come lei stessa 10 definisce, un abisso la cui immensira estraniante. 1.:abisso, . che altrimenti edetto un «grottesco divario fra causa ed effetto», sta a separare <de concezioni facili e brillanti» di alcuni pseudointellettuali razzisti, come I' eugeneta Gobineau o l' affascinante Disraeli, e
'I •
II pensiero ideologieo diventa indipendente da ogni esperienza, che non puo comunicargli nulla di nuovo neppure se si tratta di un fatto appena aeeaduto. Emancipatosi cosl dalla realta percepita coi cinque sensi, esso insiste su una realta "piu vera che e naseosta dietro Ie eose pereettibili. [...J Le ideologie [. .. J ordinanD i fatti in un meeeanismo assolutamente logieo, ehe parte da una premessa aeeettata in modo assiomatico, dedueendone ll
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, «D razzismo scaturl da esperienze e costellazioni politiche che erano an~ra sconosciute e sarebbero apparse verarnente strane persino a devotl sostenitori della razza come Gobineau 0 Disraeli. Fra Ie con-
cezioni facili e brillanti di questi semintellettuali e la bestialita attiva e'e un ablsso che nessuna spiegazione 1951., trad. it. p. 256).
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e in grado di coImare» (Arendt,
Olivia Guaraldo
Cristalli di storia: it totalitarismo fra abisso e redenzione ,
Da una parte la realti! "politica" viene, in epoca imperialista prima e totalitaria poi, calpestata. La smania di potere per iI potere e un'~usione di onnipotenza aIIUCInanD I'uomo occidentale. LaffermazlOne di Cecil Rhodes (<
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cleologia, 0 meglio sul dominio planetario di una razza sulle a1tre.' nsuccesso dell'ideologia me trangugia nella sua logica la realta dipende sopratruno dall' ampiezza del progeno .. S~ tale ampiezza, Ie cui dimensioni sfuggono a ogm posslbilit.a eli controllo 0 di misura umana, ma possono essere manIpolate dall'astranezza dei concetti generali, I'ideologia che accompagna i movimenti totalitari fa enorme affidamento: E proprio nella generalita, nella planetarieta di tali concem si perde la concretezza, la limitatezza del reale, legato come cleve essere alia dimensione finita dell' esistenza umana. In questa generalita consiste I' abisso «c~e ne:suna spiegazione potra mai colmare». Nessuna splegazlOne che,. c.ome Arendt la intende, deve partire da que! reale condiVlso e approdarvi nuovamente. E proprio perche lao re~t~ non e pili in questione, perme e rifiuto planetano di ~ Ildeologia si sbarazza, lei la vuole recuperare, ne vu.ole nn~raccI~ re Ie fila leggendo tra Ie pieghe di quella stona degli ablss~. Rileggere quella storia, pero, non deve significru:e giustlfiearla, e giustificada significherebbe pretendere di poted.a spiegare in toto, come se non si fosse aperta a1cuna voragtne e il corso degli eventi Fosse proceduto Iinearrnente.' Come si diceva prima, a conti fatti, a eventi accaduti, la pesantezza dell'irreversibilita e opprimente. Dunque se da una parte la realta de! totalitarismo e nascosta, perche calpestata dall'ideologia, dall' a1tra deve esse-
•Eben nota la connessione diabolica che esiste tra il progetto imperialista e Ie teorie razziali: «E estrernamente probabile che Ie teorie
basate sulla razza sarebbero scorn parse a tempo debito insiem~ con altre opinioni irresponsabili del XIX secolo, se la corsa alia conqw~ta delI'Africa e l'era dell'imperialismo non avessero .esp~sto l'~anlta europea a nuove emozionanti esperienze. La poliuca lffipenalista avrebbe richiesto l'invenzione dd razzismo come Wlica "giustificazione" possi· bile, come scusa per Ie sue imprese, anche se nessuna teoria razzi~e foss e rnai venuta alia luce nel mondo civile» (Arendt, 1951a, trad. It. pp.256-257). ; l:angelo della storia di Beniamin esprime la consapevolezza dell' _bisso: «Ha il viso rivolto al passato. La dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe» (Ben)armn, 1997, tesi IX, p. 37).
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Cristalli di sloria: it Jatalitarlsma Ira abisso e reden1.ione
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re recuperabile. l'abisso deve essere cohnato. Ma iI modo in cui tale abisso viene da Arendt cohnato non e assolutorio. 1'abisso rimane abisso, noi "posteri" tentiamo solo di stare sulla sua soglia cedevole e di avere iI coraggio di guardado. Affrontare spregiudicatamente quella realta che I'ideologia ha nascosto non significa di necessitil comprendeda, cosl come guardare I' abisso non significa gettarvisi dentro. Se una comprensione del fenomeno vi puo essere, essa non puo e non deve essere dissolta nella morbida astrazione neutralizzante della teoria. Proprio perche la speculazione teorica tende sl a "comprendere", ma Ie sue modalita gnoseologiche sono tali da non poter accettare iI carattere "inaudito" di un fatto, in relazione al totalitarismo la conoscenza teo rica contiene un accento fortemente neutralizzante, diremmo quasi apologetico. La fOl1nulazione di concetti astraenti tende a fornire utili griglie di comprensione, strumenti sintetici, "economicamente" efficaci. Le founule, Ie tipizzazioni, Ie categorie rendono facile un tipo di conoscenza "manipolante", atta soprattutto alla modifieazione, alla strumentalizzazione. E quanta ideologicamente e stato fatto. E se iI potere totale dell'ideologia in quanta sistema onnicomprensivo e coerente puo essere cosa del passato, e necessario anehe nel presente astenersi da qualsiasi generaliz• zaztone astraente. Cio che importa e comunque ricordare, stando sulla soglia, che essa e pericolante, ehe lasua voragine e presente e eon essa iI pericolo di finire inghiottiti. E per questa che l'analisi del totalitarismo non deve voler cohnare interamente tale abisso: cio significherebbe dimenticarsi della sua presenza. Gettare un ponte sull'abisso, riannodare i1 passato al presente come se Auschwitz non fosse esistito 0 fosse esistito perche era inevitabile che accadesse, significherebbe dimenticare iI pericolo dell' abisso stesso, che, comunque, nella sua profondita sempre minaccia. Significherebbe far fmta che la realta, nuovamente, puo essere mascherata, travisata, rammendata. Aggiustare la realtit alI'ideologia comporta anehe e soprattutto «giustificare Ie contraddizioni di fatto come stadi di un unico movimento
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coerente».' Non sarebbe molto difficile aggiustare anche iI totalitarismo come uno stadio di un unico movimento coerente. Le ideologie comunista e capitalista hanno tentato di farlo.' La tentazione di impadronirsi della realta a proprio vantaggio eun' eredita totalitaria che i cosiddetti "vincitori" hanno assimilato con grande facilitil. . rAbisso e fa Redenzione
npensiero di Walter Benjamin, e soprattutto Ie sue elaborazioni sul «concetto di storia», offrono interessanti spunti interpretativi al riguardo della questione arendtiana della comprensione del passato. Le riflessioni sugli eventi dei (
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Cristalli di sloria: illotalitarismo Ira abisso e redenzione
OlivIa Guaraldo
e in grado di offrire modalita non
conformiste di lettura
della realta. Nelle tesi" Walter Benjamin e!abora I'interessante critica alla Storia intesa sempre e comunque come storia dei vincitori. La storia dei vincitori, sostiene Benjamin, e conformista. Nell'ipocrisia di conoscere il passato «come propriamente e stato» enascosto <4' aggiustamento della prospettiva», il focalizzare su un esito l'interpretazione di cio che e accaduto. E tale esito e sempre misurato sulla vittoria. La storia dei vincitori, ne! suo bisogno di confol'lnismo, econtinuistica. Nello storicismo Benjamin individua tre aspetti deleteri: la prospettiva di una storia universale, la presenza di un elemento epico per cui la storia si <4ascia raccontare» e I'immedesimazione dello storico con il passato. La storia, cosi come la concepisce Ranke, interpreta il passato come un tempo omogeneo e vuoto, in costante progressione verso il futuro. AlIo stesso modo questo passato si lascerebbe raccontare nella sua fattualira, come e realmente stato. Dilthey fonda la comprensione storica sul concetto eli Erlebnis. Si tratta di una modalita di "struttura del vissuto" per la quale la vita psichica si adegua all' esperienza, ossia la comprende in quanto vi e una identita di struttura tra la modalira psichica e il darsi dell' esperienza. I.:Erlebnis euna sorta di modalita pre-riflessiva della comprensione che, postulando un'identita di struttura tra il vissuto e la sua comprensione, tra I'offrirsi dell'esperienza al soggetto e la sua comprensione psichica, assicura continuira nella comprensione storica. La storia, infatti, non e altro che un insieme di vissuti la cui struttura e identica, ne! senso che il soggetto puo conoscere il passato dal punto di vista del presente, il suo presente culturale e psichico, proprio perche essi hanno la stessa struttura. n modo di presentifica10
Ci~. che onnai comunemente si intende per tesi benjaminiane eil
saggio Ube, den Begri/f der Geschlchle. La traJuzione italiana a cui si fa qui riferimento si attiene al titolo originale, reintitolando Usaggio Sui amcel/o di,IOT/a. La precedente traduzione titolava Tesi di/iloso/ia del·
la slona.
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zione di tale passato eI'immedesimazione. Lo storico si immedesima con gli eventi: comprendere eun ritrovare un io nel tu (Gagnebin, 1978, pp. 56-64). Attraverso la postulazione della «comunanza» (Gemeinsamkeit) tra il presente dell' Erlebnis e il passato che tramite tale precomprensione viene decodificato, 0 l'immedesimazione (Ein/iihlung) con il passato, 10 storicista relativizza il suo punto di vista come punta di vista storico. Ossia, cOSI facendo, si adegua al corso della storia dei vincitori facendolo passare come suo punta di vista. Tale re!ativizzazione ha in se qualcosa di «quietistico» (Beruhigendes). <
Cristalli di storia: il totalitarismo tra abisso e redenzione
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Secondo Gagnebin, per Benjamin la concezione positivistica della storia, che vede il presente solo come cesura tca passato e futuro, non permette alia rilevanza metodologica della storiografo di emerge· re, anzi viene rdativizzata, e la sua posizione nd presente non viene rnai problematizzata. Per Benjamin invece l'istanza metodoJogica, I'in· teresse conoscitivo deve essere parte integrante della narrazione storica, anzi, il suo momenta costitutivo. La prospettiva di interesse. cioe quella di scrivere una storia degli oppressi, quella di redimere il passa· to, e profondamente legata alla concezione discontinua della temporalita, alIa critica ddla storiografia Jei vincitori. alla ricerca di una nuova modalidt di comprensione storica che pennetta di collegare il con<etto di Er/ahrung (esperienza condivisibile) alia storia. La storia e quindi sempre storia del presente, nella misura in cui il presente si col· lega al passato che emerge all'improwiso. Cfr. Gagnebin, 1978, p. 101.
la sua rarnmemorazione, a favore di un'idea. vincitore chi si impossessa dell'ideologia dei vincitori, l'ideologia vuota della Storia come processo, chi si inserisce nel £lusso dei dominatori dimenticando Ie vite calpestate. Vincitore e anche chi non si cura della rea/ta, rna solo della sua proiezione nella dimensione di movimento temporale, di una rea/ra che eletta solo nei termini del suo "passare", del suo essere mero strumento del fururo. Questa e la prospertiva storicista. Ma eanche la prospertiva di chiunque si accodi al corteo del vincitore, contribuendo a trasmetteme il "patrimoruo culrurale" che, in quanto patrimonio di una tradizione di vittoria, e quindi di oppressione, <
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ne riprendono a <
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Cristalli di sloria: if totalitarismo Ira abisso e redenl.ione
Iista storico ricompone la storia partendo dai suoi rifiuti,12 o meglio dai frammenti nascosti che la tradizione di continuita ha impregnato di oppressione, e ne fa una citazione che ha il potere, la forza sowersiva di smuovere illettore dalla calma accettazione del presente, in Arendt la composizione di una storia del totalitarismo che non giustifichi il passato rna 10 affronti spregiudicatamente si realizza nei termini di una narrazione discontinua che disgrega la cronologia come struttura e sottolinea la frammentarieta e Ie strade senza uscita della storia (Benhabib, 1990). In entrambi i casi la distruzione della prospettiva tradizionale, della trasrnissione del passato secondo Ie modalid da sempre accettate perche calibrate sull'esito vittorioso, si assacia in modo indissolubile alia volonta di una ricomposizione del passato che non sia giustificatrice ne tantomena conciliante. La storia cosl composta non si concilia con il presente, rna semrnai ne sowerte la tranguilla fede nella . conunwta. L'incontro tra passato e presente non e mai tranguilla, l'interesse del presente per il passato non e mai "antiguario" rna semrnai sempre e solo rivoluzionario." «Ogni scrittura storica e implicitamente una storia del presente, ed e la particolare costellazione e cristallizzazione di e1ementi in un tutto fatta nel presente che fornisce la guida metodologica alloro significato passato» (Benhabib, 1990, p. 172). La storia eattuale nel momento_in cui essa sorge dall'incontro tra passato e presente. "Attuale" nella doppia significazione di "attivo" e "presente" vale, nella prospetti-
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-- ------------IZ «Montaggio letterario. Non he nulla da dire. Solo da mostrare, Non sottrarro nulla di prezioso e non mi appropriero di alCWl3 espressione rieea di spirito. Stracci e rifiuti. invece, non per fame l'inventario, bensl per renJere loro giustizia nell' Wlico modo possibile: usandoli» (Benjamin, 1986, p. 595). . . l) «Per il pensatore rivoluzionario la peculiare chance rivoluZlo?ana trae comenna dal potere delle chiavi che un attimo possiede su di una ben detenninata stanza del passato, fino ad alIora chiusa. L'ingresso In questa stanza coincide del tutto con I' azione politiclI» (Benjamin, 1997, tesi XYlia, p. 55). -----~
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va benjaminiana, come defmizione di un "montaggio storica" che, nella volond di salvare i fenomeni, dipende da un agire nel presente. L'adesso, 0 Jetztzeit, e l'intensita un presente impegnato nel ritrovamento frammentato del fenomeni passati il guale, proprio nel suo intento di redenzione degli stessi, si attualizza in azione. n fondamento di tale azione storica sta tutto nella distanza che esiste tra la storia intesa come sviluppo, come progresso, e la storia intesa come salvezza 0 redenzione. E la distanza si misura proprio sulla capacitit politica, guindi, attiva, d~~ storia (Gagnebin, 1978, p. 102). Ecco perche la gestualita mslta nella sospensione della continuita, gestualita che e comune a Benjamin e Arendt, e prima di tutto incitamento alI'azione, impegno etico e politico nei confronti di una realta che chiede giustizia. n gesto di sospensione e la costruzione di costellazioni stariche che ne deriva, la costmzione che si oppone alia continuita tradizionale e alia plausibi)ita continu;stica dei vincitori, e innanzitutto "citazione". E citazione perche e gesto ehe si affida alIe citazioni del passato da redimere. Tale passato einfatti "redimibile" solo nei termini della sua citabilitai' ossia della rinuncia volontaria alia sua comprensiane nei termini di una continuitit non frammentata. E nelI'essere citazione che strania illettore, proprio perche 10 strappa dalla comoda visione del continuum storico, tale visiane del passato eanche in-citazione all' azione nel presenteo Dungue la salvezza dei fenomeni, il render ~o:o giusti~ia puo awenire solo prendendo nel presente pOSlZlOne politl-
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prowjso e strappano l'assenso allettore ozioso."» (Arendt, 1968b, trad. it. p. 156).
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Crista!!i di storia: if totalitarismo Ira abisso e reden1.ione
ca rispetto a essi. Tale posizione politica cornincia dalla 10ro comprenSlone. L'indiscutibile afflato etico-politico che anima I'intento arendtiano nella ri-costruzione del fenomeno totalitario si crista1lizza nella ricerca affannosa di una modalita di comprensione che ammetta l'abisso, ossia assuma la rottura della tradizione come imprescindibile, rna che alIo stesso tempo, e proprio in virtu di tale abisso, pretenda di salvare il passato inabissato citandolo. E nella citazione, nella composizione arbitraria degli elementi del passato, arbitraria per chi si accoda aI corteo dei vincitori, trovi la speranza di una comprensione artiva, una comprensione che strappi il lertore ozioso dalla sua comoda posizione di spettatore. Se la realta, qualunque essa sia, deve essere affrontata spregiudicatamente, e se la realta el' <
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sa di ricco e stupendo» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 307) non epiu possibile. Senz'altro, pero, deve essere possibile tentare una redenzione, tentare una azione politica che smuova gli strati pesanti della storia neutrale dei vincitori e faceia emergere la realta, complessa e irrappresentabile, dei sommersi e dei salvati.
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Sopravvissuto
Sopravvissuto
Iniziero ricordando alcuni luoghi comuni, pili 0 menD noti, relativi aI principio stesso di cio che puo venir pensato sotto il termine "sopravvissuto". Ne ho bisogno per far capire come interroghero qui il pensiero di Hannah Arendt La parola "sopravvissuto" irnplica il fatto che un'entita che e morta 0 che dovrebbe esserlo sia ancora in vita. Con il pensiero di questa "ancora", di un rinvio 0 arresto di morte, si introduce una problematica del tempo. Una problematica che conceme il tempo nel suo rapporto con la questione dell'essere e del non-essere di cio che e. Pili precisamente, un tempo in cui I'ente (l'entid) e in rapporto con il proprio inizio e la propria fme, come correntemente si dice. In rapporto con l'enigma del fatto che l'entita perviene aI suo essere d'ente e se ne va da questo essere. Con il fatto quindi che essa per due volte e necessariamente per due volte sia in rapporto con il "suo" non-essere. Appare e scompare. L'enigma di cui parlo e quello di un rapporto con cio che non ha rapporto, con un assoluto. Osservazione familiare, se mi permettete. Ora pero, per cercare di essere meno familiari, bisogna chiedersi quale sia I'istanza in rapporto alla quale il sopravvissuto sopravvive. Esso sopravvive sempre a una morte, rna alla morte di quaIe vita? Hegel afferma che la morte e la vita dello spirito. Nella fenomenologia 10 spirito non sopravvive alia morte, e il su· peramento della vita immediata, e quindi contemporaneamente questa vita in quanta morta (passata) e ravvivata, rivivente. Lo spirito vive in quanta e morto all'istanza che egli stesso /u. E costitutivamente un lutto, nel senso di Freud, la perdita cioe di se stesso poiche, caratterizzato dapprima da una figura, la oggettiva per conoscer!a, que-
st'ultima diventa allora morte( -a) per esso, e poiche grazie a cio 10 spirito ritorna a se (narcisismo dellutto) in una nuova figura. Lo spirito non e nient' altro che oggettivita, e caratterizzato (e questo, un'entid), e la nuova oggettivazione comporta, contiene, conserva quella precedente rna, per COS! dire, modalizzata, nella modalita del non piu. La modalita del non piu e quella della necessita, 0 della terza persona. La figura anteriore non e pili vivente, l'entita che io fui non puo pili dire "io". 10 ne posso ancora par!are solo dicendo essa, allora, alla terza persona. Ed essa non pUG piu essere nient'altro che cio che e stata (e la sua necessita): e, essendo stata «<essente-stato», scrive Heidegger). Hegel risolve questa problema con un "noi": lui (e cioe io allora) e io (ora). Mistero di questa e. Sopravvivere, secondo questa pensiero in cui nulla si perde, deve venir inteso nel senso di essere ancora secondo Ie modalita del potere (possibilita, capacid, eventualita: evento, qualcosa di indeterminato arriva ancora), mentre non si dovrebbe pili, non si dovrebbe potere, poterne pili. La sostiruzione hegeliana e quella di una modalira con un'altra. Esprime in un senso la costituzione paradossale . dell'istanteper il pensiero: I'istante non e t, rna sempre t.dt. I;essente-stato (Heidegger) irnplica nella propria dete1Illinazione contemporaneamente il fatto che esso non e pili, e che quindi non potrebbe essere altro, rna anche il fatto che esso ela potenza (la derivata) di un alrro istante, detto "seguente", in cui si dara come non essendo pili. La formulazione matematica e fenomenologica dell'istante come t.dt fomisce cosl un'intelligenza della sopravvivenza. Cio che e, evivo, rna contiene il proprio non ancora, per cui gia morto. tempo assicura COS! allo spirito, in modo sufficiente, il fondamento della sua idea di sopravvivenza, all'interno della problematica filosofica dello spirito e della coscienza. La Retention di Husser! racchiude, in un ceno senso, I'intero segreto della sopravvivenza. La filosofia dellinguaggio, in senso ordinario, direbbe che il tempo non e che il gioco delle modalita: non porer pili e potere questa non pili. L'irnpossibilita e la possibilita di questo irnpossibile.
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di Jean-Fran~ois Lyotard
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Sopravvissuto
Jean-FranfOlS Lyotard
Questo tempo e quello della coscienza 0 dello spirito, e questa sopravvivenza e la sua assoluta sicurezza, cosl come sicura e la sua morte. Sicura per il fatto che essa e sempre una bella morte, poiche e "trattenuta" nel "noi" costituito contemporaneamente daIl'io ora e daIl'io aIlora. Si pone comunque il problema di sapere se nel ritomo sul non piit qualcosa non venga obliato, qualcosa che dunque non sopravvive, un resto che non resta. Cio che necessariamente sembra dover essere perduto, e la presenza aflora di cio che ora e passato. Cio che ora e necessario, imrnutabile, era aflora contingente. Cio che ora non ha pill potere (nel senso delposstbtle) era aIlora potere 0 potenza. Ce una mortale tristezza in cio che e trattenuto e trasmesso. La tristezza della nottola. Di cio che e legato. La tradizione di cio che allora si provava nel presente e il suo tradimento. n passato e tradito per il semplice fatto che la presenza che esso era viene messa in assenza. Gli manCa un modo, il tonG di cio che e vivo, proprio nel momenta in cui viene ricordato. In termini epistemologici: la sua contingenza, cio che la Arendt, citando Kant, chiama la «desolante contingenza». Desolante perche si rib ella in modo assoluto all'incatenamento necessitante, universalizzante, di cause ed effetti. Ma desolante anche perche la memoria comune non puo che perdere il sapore singolare di esser qui (questo gusto), che e ontologico. (Ma ha mai fuogo questo sapore? Non gli e forse essenziale il fatto d' aver solamente avuto fuogo? Questo sal?ore non deriva farse solamente dal fatto di ricordarsi? E forse qualcos'altro dall'effetto di una mancanza, I'effetto di cio che la memoria manca ricordandosene? Ogni foto, per quanta recente, non e forse essenzialmente ingiallita?) n tradimento del vivente e contenuto nella tradizione che di esso si ha attraverso il sopravvissuto. Viene richiesto affinche persista una traccia dell'antica presenza, necessariamente alterata, "riscaldata". n testimone e sempre un cattivo testimone, un traditore. Ma in fondo testimonia. Tale questione viene qui posta nel quadro di una fIlosofia del soggetto 0 dello spirito, di una fenomenologia. E quella della sintesi del tempo, in Agostino, Cartesio, Kant,
Hegel, Heidegger, la quale e contemporaneamente quella del soggetto. Ora, pero, proprio all'intemo di questa problematica bisogna notare che se si designa la vita dello spirito come una sopravvivenza, si mette l'accento sull'assenza, su quanta si perde in cio che e conservato. n mondo e grigio per la nottola hegeliana, e un disastro per I'angelo di Benjamin che il vento del passato spinge all'indietro verso il futuro. Nel passato non vede che disastro, cosl come la nottola e cieca di fronte al colore della vita. l'angelo vede il passato solo come presente disastrato. 1'astro eil tono di cio che evivo. Si ripropone cosl il problema di sapere se il passato estato in effetti,.aIlora come presente, un disastro, 0 se cio che 10 distrugge e il fatto di ri-vederIo. Hegel sostiene quest'ultima ipotesi, Benjamin la prima. n che fa una differenza, tutta la differenza tra 10 speculativo e il post -speculativo. In Hegel illutto si compie, in Benjamin e diventato impossibile. Questa impossibilita di elaborare illutto della presenza passata (e di ricondurre la sua forza nel se presente, grazie a nuovi oggetti) si chiama malinconia. Se non proprio l'impossibilira di elaborare illutto, per 10 meno I' accento posto sulla perdita irremissibile della presenza, cioe sulla morte, di cio che fu. E secondo questa china, persino cio che ora e presente puo essere sentito come destinato a non essere pill, e costituire cosl I'oggetto di una malinconia "preventiva": non eforse gia morto cio che ora nel presente ha un' aria cosl viva? La stessa nascita, il cominciamento, viene considerata malinconicamente come un'illusione. Cio che viene aIla vita, cioe l'istante come awenimento, il venire fuori dal nulla, egia destinato a ritornare al nulla. 1'unico essere-in-verita non e qui. Questa inversione delle apparenze puo dar luogo a una metafisica. 1'etemo presente, il presente vivente, e sempre assente. 1'essere non e l'ente. Malinconia che, dopo il platonismo, non so bene per quale motivo, si chiarna "occidentale". La si ritrova in ogni pensiero quando inciampa nel suo scacco, che e anche quello della passibilitit, deUa temporalita, della modalita. nsolo modo per il pensiero di non tradire fa presenza sarebbe quello di rifiutarsi a ogni ente e di mantenersi nella
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Sopravvissuto
Jean-Fran,ois Lyotard
malinconia_ Di vegliare sui perpetuo ritrarsi dell' essere ve1'0. Dal momenta che la serie degli enti, istanti e istanze si limita a dispiegare l'infinita serie delle false nascite che corrispondono ad altrettante scorn parse del vero. I pr~senti sono estromessi dalla presenza. Un uomo dice a una donna: ,
Ie al secondo principio della termodinarnica. Presuppone ancora che la complessita non sia altro che una sospensione della semplificazione, e la vita una sopravvivenza. Resta il fatto che nello scrutare I'enigma di questa sopra, di questo, Freud, a sua volta, non ha mai potuto nominare nient'altro che un even to. Qualsiasi nome esso abbia, e ne ha avuti molti. 1'evento della riproduzione sessuale nella storia degli esseri viventi. E nell' ontogenesi individuale, I'eco della differenza sessuale, che e l'evento per "regolare" la ferocia del quale si industria, inconsciamente, l'intera vita dell'individuo. . Ma che cos'e questa e~ento-,-p~v~to della sua denominaZlone sClentifica 0 cogtllnva? t.1 erugma del fatto che ci sia un rapporto con cio che non ha alcun rapporto: che sapendo di nascere e di morire, l'anima (la ben chiamata) teo stimonia il fatto che non c' e solamente cio che e (cza che essa e), rna I'altro da cio che e. E questo rapporto, evidentemente, non ha luogo quando ha luogo, ha avuto invece luogo e avra luogo, e quindi in una sola volta, avra avuto luo· go, sara apparso troppo tardi, scomparso troppo presto, perche sempre e soltanto raccontato. La mia nascita raccontata dagli altri, e la mia morte raccontatarni dai racconti della morte degli altri, i miei racconti e quelli degli altri. Di modo che, essendo essenziale a questa rapporto con il nulla (da dove vengo e verso cui vado) il fatto di essermi a esso riferito, e essenziale alia presenza dell' assenza anche il rapporto con gli altri, a cui essa (questa presenza d'assenza) mi ri-manda. Ed essenziale anche alia /abula che rirma la pulsazione dell'inizio e della fme. Bisogna insistere. Se I'essere 0 il nulla non e l'intera verita, se I'evento non e pura illusione, sostengo alIora che il senso di "sopravvivere" puo essere invertito. Fonllare complessita, organizzazioni 0 ordini, in cui si affenna una capaClta di sistemazione e di stlUtturazione, in cui, come diril la Arendt, si esercita I'enigmatica facoltil di cominciare, tale sopravvivenza puo trasformarsi a sua volta in veritil, e la pl'etesa vita, nella sopravvivenza morta di questa nascita. Tale veritil ha una ragione? Cio che avril ragione, avril avuto ragione su ogni cominciamento, su ogni initium, e la fi-
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Sopravvissuto
Jean-fran,ais Lyatard
ne e la fine dei fini, I' annientamento dei fmi. La ragione che si puo avere 0 dare puo soltanto risolvere i pili complessi polinomi nell'uguaglianza priva di resto di A = A. Tale ragione avril dedotto e ridotto, rna qualcosa dovril aver posto il problema. Forse bisogna andare fino in fondo al nichilismo dell'ultimo uomo, quello che conosce la "banalita del male", che la subisce 0 la arnministra, 0 entrambi contemporaneamente, per trovare una gioia (riprendo a proposito il termine pascaliano, il termine degli spirituali), l'oscura gioia di una richiesta tanto pili profonda quanta pili e improbabile, quanta pili dunque e minacciata d'annientamento e sta pili apertamente di fronte alla verita del nulla. Dicendo cio non intendo ricadere nel pensiero consolatorio di un Hegel. Diro, senza spiegarlo ulteriormente, che tale pensiero della vita come enigma del cominciamento puo essere accettato sol tanto se non si tratta ne di una remissione, ne di una sfida, rna di uno scrupolo. Lo scrupolo di un come se. Lo spirito gettato nella prova del nichilismo, nel passaggio alla disperazione e allo scetticismo (che e permanente), 10 spirito che sa che non c'e nulla da fare e nulla da dire, nessun ente che valga, 0 persino che sia, fa come se cio fosse comunque. 1'effetto di questa clausola non e affatto il cinismo, che rimane completamente tributario del nichilismo e che, attraverso il suo attivismo, persevera nella malinconia del nulla vale. l'effetto non e nemmeno illudismo, in cui un cadavere si agghinda dei colori della vita con un'irresponsabilita macabra e contratta. Non e nemmeno una metafisica "d'artista" della volonta e dei valori. 1'effetto e l'infanzia, che conosce il come se, conosce il dolore dovuto all'impotenza e illamento di essere troppo piccola, di essere qui in ritardo (sugli altril e di essere giun- . ta troppo presto, prematura (quanto alla propria forza), che conosce Ie promesse non mantenute, Ie amare de!usioni, il cedimento, I'abbandono, rna che conosce anche il fantasticare, la memoria, la domanda, l'invenzione, I'ostinazione, che sa ascoltare il cuore, che conosce I' amore, la reale disponibilita alle storie. 1'infanzia e 10 stato dell'anima abitata da qualcosa a cui non viene mai data alcuna risposta, e
la guida nelle sue imprese un'arrogante fedelta a questa ospite sconosciuto di cui si sente ostaggio. 1'infanzia di Antigone. Intendo qui l'infanzia come obbedienza a un debito, che si puo chiamare debito di vita, di tempo, 0 di evento, debito di esser qui nonostante tutto, e soltanto il sentimento persistente di esso, il rispetto per esso, puo salvare I'adulto dal fatto di non essere che un sopravvissuto, un essere vivente a cui viene prorogato I' annientamento. Evero che quasi subito si apprende che la morte impedid di riscuotere il credito, che arrived troppo presto, e a causa di cia soltanto si puo ricadere nella malinconia, 0 nella malvagitit di cercare di morire per ultimi, analizzata da Canetti. (E con cia intendo persino quella malvagita richiesta dalla volonta di testimoniare, di sopravvivere per raccontare.) Ma l'infanzia consiste nel fatto che si e e che si fa come se si trattasse comunque di assolvere I'enigma dell' essere qui, di far fruttare l'eredita della nascita, del complesso, dell'evento, non per goderne, rna per trasmetterlo e affmche sia rimesso. Di farlo fruttare secondo la sua poverta e Ia sua miseria costitutiva, di farlo cioe fruttare come debl~ to del cominciamento. Debito di una tradizione, e di una tradizione del debito. Persino la credenza nel fatto che il debito della nascita verd assolto attraverso I'evento della marte, che I'anima, accolta, sara rimessa, persino questa credenza non resiste all'asprezza di un'infanzia senza pieta. nsuo "come se" impedisce ogni edificazione.
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Ora, dopo queste osservazioni, come e implicato il pensiero di Hannah Arendt in tutto cia? Non sono certo il giudIce, come avrebbe detto Arendt stessa, per deciderlo. Non solo perche non ho abitato abbastanza a lungo la sua opera, rna anche perche il soggiorno che vi ho fatto, per quanta vi riconosca qualcosa di apparentemente molto prossimo a que! poco che ho appena ricordato sotto il titolo di sopravvivenza, mi lascia ne! dubbio di esserle fedele. Per esporre questa incertezza mi soffermo soltanto su tre motivi. Quello della nascita, quello della tradizione e quello de! giudizio, che evidentemente costituiscono un unico motiva, e che non riusciro a chiarire in modo sufficiente.
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Sopravvissuto
n primo, quello della nascita, concerne precisamente il debito di cui ho appena parlato, debito nei confronti del non-essere da cui si e derivati, di cui l'infanzia e il testimo-
gelo annuncio Ia "buona novella" dell' awento: «Un bambino e nato fra noi" (Arendt, 1958a, trad. it. p. 182).
ne del tutto involontario (poich'" "non ha chiesto nulla"). Che il pensiero della Arendt implichi al suo interne una malinconia ontologica e storica e noto. l'abbozzo che qui (con una parola quasi ironicamente scientifica: l'entropia) ho fatto della verita de! non-essere come morte ine!uttabiIe, viene a volte formulato dalla Arendt in termini affini. Cosl, per esempio, in questo passo di Vita aetiva ne! capitolo L'azione, sezione "1'imprevedibilitil e il potere della promessa" :
Richiamo per ora: la <Jegge della mortalitil», l'<, quell'<
Se Iasciate a se stesse, Ie faccende tunane possono solo seguire Ia Iegge della mortalita, che e Ia piu certa e implacabile Iegge di una vita spesa tra Ia nascita e Ia morte. E Ia facolta dell' azione che interferisce can questa Iegge perche interrompe l'inesorabiIe corso automatico della vita quotidiana, che a sua volta abbiarna vista interferire col cicIo del processo vitale biologico, e interromperlo. n corso della vita tunana diretto verso Ia morte condurrebbe inevitabilmente ogni essere umano alIa rovina e
alla distruzione se non fosse per Ia facolta di interromperlo e di iniziare qualcosa di nuovo, una facolta che einerente all' azione, e ci ricorda in permanenza che gli uomini, anche se devono rnarire, non sana nati per morire rna per incominciare. Tuttavia, proprio come, dal punta di vista della natura, il movimento rettilineo del corso della vita dell'uomo tra Ia nascita e Ia morte sembra una peculiare deviazione dalla comune regola naturale del movimento ciclico, cosl l' azione, dal punta di vista dei processi automatici che sembrano determinare il corso del mondo, assomiglia a un miracolo. NelUnguaggio della scienza naturale, essa e"l'improbabilita infinita che si verifica regolarmente". [... J nmiracolo che preserva il mondo, Ia sfera delle faccende tunane, dalla sua normale, "naturale" rovina e in definitiva il fatto della natalita, in cui eontologicamente radicata Ia facolta di agireo E, in altre parole, Ia nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sana capaci in virtu dell'essere nati. Solo Ia piena esperienza di questa facolta puo conferire alle case tunane fede e speranza, Ie due essenziali cararteristiche dell'" sperienza tunana che l' antichita greca ignore completamente. E questa fede e speranza nel mondo che trova forse Ia sua piu gloriosa ed efficace espressione nelle poche parole can cui il Van-
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nascita di nuovi uomini», <
Questo passo rinvia alla sezione precedente dello stesso libro, "L'irreversibilita e il potere di perdonare". n perdono, i'aphienai, I'assolvere e il lasciare passare, viene inteso dalla Arendt proprio come un'interruzione della catena irreversibile degli el/etti dell' azione stessa, in cui I'azione non fa altro che ripetersi mortalmente. n perdono euna re-missione, un nuovo dare, un'interruzione nella sequenza delle necessita, un cominciamento... Perdono contro abbandono. La grandezza di Gesu, rispetto a ogni tradizione, romana, orientale 0 ebraica, consiste nel fatto che, con la parola e con I'esempio, egli insegna che il figlio dell'uomo ha i! potere di rimettere Ie offese. E cia che offende e sempre semplicemente cia che essendo stato. miracolo di Gesu e che egli costituisce un evento nell' ordine del necessario. La buona novella, quella che armuncia che un bambino e nato fra noi, armuncia in verita che con Gesu e la nascita stessa a essere nata, e che I' offesa dell' essere qui, nel mondo degli enti, puo essere rimessa. Esercitato qui e ora, il perdono, la cui nascita viene armunciata dalla novella, non e, a sua volta, che la nascita del nuovo, I'incrinatura del non-an cora nel cupo mondo del sempre uguale. Cosl per.donata, I"'azione", facolta del cominciamento, porta con se, secondo la Arendt, la promessa della sua stessa emancipazione dalla necessita che rieonduce il suo effetto aI nulla dello stesso. Non voglio sostenere che l'ultima parola di Arendt consista in questa pensiero salutista e umanista. n teste tuttavia e del 1958, posteriore di dieci anni alla prima edizione tedesca di Die verborgene Tradition (Sechs Essays: Arendt, 1948a) e di sette alla prima edizione americana di Le origini del totalitarismo in cui si possono trovare Ie prime meditazioni sull'irnpossibile condizione "ebraica". La quale, come enoto, riserva soltanto a Dio il potere di perdonare, e cioe di cominciare e si sottrae quindi alla futile tentazione di un umanismo consolatorio. Se prendo per esempio Ie quattro figure di tale condizione, cosl come vengono analizzate dalla Arendt a partire dal1948, 10 "SchJemihl" delle Melodte di Heine, il "Paria" di Bernard Lazare, il "Sospetto" di Charlie Chaplin e il "K." del Castello di
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Kafka, che Arendt chiama <J'uomo di buona volonta», in esse non scorgo nulla, 0 quasi nulla, di simile alla fede e alIa speranza che la buona novella della nascita promette in Vrta activa. Solo che, purtroppo, la sua lettura del Castello sembra incline a un certo ottimismo: rimanendo ostinatamente al villaggio, K. diventerebbe il testimone (non desiderato) del fatto che nell'ordine che il castello fa regnare sull'umile popolo c'e un debito che non viene assolto. Ma, che io sappia, tale debito, secondo Arendt, non e quello il cui creditore e il non-essere, come miracolo ( la nascita) 0 come minaccia (la morte). Non e il diritto di giudicare, di cominciare, rna il diritto di vivere <
interruzione dell'inevitabile processo di ammortizzamento. La cultura di un popolo, l'organizzazione democratica non sono forse anche modi possibili di perpetuare l'identita? Possibili figure dell'inerte sopravvivenza? Epiuttosto in un testo anteriore, in Noiprofughi (1943), che riappare qualcosa di simile al pensiero dell' interruzione. E riappare veramente, senza perdono, e proprio nel momenta in cui la comunita del perdono, nella persona stessa del suo papa, Pio xu, "dimentichera" di perdonare. Qui, scorgendo nella sorte del Vicario di Hochhuth (Der Stellvertreter), nel1964, la replica di quella appena subita dal suo Eichmann (1963b), Arendt non si sbaglia. Poiche a questi rifugiati non viene offerto alcun rifugio, nemmeno quello dell' assimilazione, politica 0 civile, con il popolo delIa terra d' asilo, e cioe nessuna inscrizione in una tradizione premoderna (pagana) 0 moderna (repubblicana), ne, naturalmente, cristiana. E impossibile quindi sopravvivere in Europa (scrive Arendt nel1943, nel momenta stesso in cui la Juden/rage stava per trovare la sua Soluzione finale), poiche
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, [ll riferimento
eaI titolo originale di tale saggio, We Refugees, tra·
dotto in francese con Nous autres rejugiis, e in italiano Noi projughi. nd.tl
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mente, tutto e troppo veloce_ E in ogni caso, come I'autrice sostiene in Rahel Varnhagen: gIi ebrei non possono assimilarsi senza assimilare nello stesso tempo I'antisernitismo. Quanto alia loro propria tradizione, essa non pub essere mantenuta. Non solo perche gIi shtetl e i ghetti vengono incendiati, Ie comunita espulse, deportate 0 massacrate. Ma perche iI principio stesso di una installazione non e sicuramente conforme alia strana tradizione in cui ire, i politici sono sempre stati denunciati dai profeti in nome di una Parola che disinstalla. Gli ebrei non sono un popolo, ne! senso di una nazione. Senza natura, senza terra. Legati solamente dalla legge dellibro e dal debito di un patto e di una promessa_ Sebbene qui Arendt non 10 dica cOSl chiaramente, I'e10gio che fa a1trove del paria di Bernard Lazare rni autorizza a dirlo aI suo posto. Poiche se nel 1943 Arendt pub scorgere negli ebrei I'«avanguardia» (questa terribile parola) dell'Europa, aIIora perseguitata dal nazismo, e mantenere la speranza disperata della loro inscrizione nella storia modema, e proprio in quanta essi non sono un popolo naturale 0 nazionale, e prefigurano uno stato dell'essere insieme, a cui tutti quei popoli europei sono e stanno per essere destinati dal disastro totalitario. Un essere insieme privo di radici. La cui unica condotta e quella del giudizio, senza un criterio stabilito, ultima risorsa del sopravvissuto. Non c'e a1euna necessita, un essere bisognoso, che per principio possa privare 10 spirito della capacita di distinguere tra cia che e bene e cib che e male. L'esilio, la persecllzione, la Shoah, tutti questi modi accelerati della spedizione aI nulla, non lasciano all' anima la possibilita di trovare soccorso in una tradizione stabilita, e alia sua desolazione lasciano solo la responsabilita di dire SI o no aII'abiezione, l'infanzia dello spirito, la capaciti! di giudicare, che e la vera filiazione. Nella notte di Wiesel, fanciullo, nel grido: <
ehe, per quanta I'autrice non la veda in tal modo, e vero che ne! giudizio riflettente e in gioco, ogni volta, singolannente, la nascita eli un soggetto e quineli eli una comuniti!, rna solamente promessi_ Di modo che con iI bello c' e pura fellciti!, miraeolo della promessa. (Con iI sublime, perb, c'e la sua impossibiliti!, e la minaccia imminente del non-essere. nbello, evento della nascita, iI sublime, della morte. E se nel seminario del 1970 Arendt non si e soffennata sull'''Analitica de! sublime", in cui tuttavia risuona 10 spavento dell' abbandono, credo che sia perche iI desiderio eli proteggere e eli essere protetta contro l'insopportabile, a cui ho aIIuso, vince in questa caso I'ostinato coraggio della sua ricerca.) Problema eli sopravvivenza. Ogni spirito e iI bambino dei propri genitori, e sopravvive loro. La madre eli Arendt non l'ha mai abbandonata, e Arendt non ha mai abbandonato sua madre. Quale spirito pub e1irsi Iibero dal mecca- nismo eli difesa, dall'immemore resistenza a un'assoluta malinconia? Scriviamo poiche abbiamo fallito iI nostro suicielio. Arendt parla lungamente del suicielio degli ebrei in
Noi pro/ughi. (Vi rieordo che nelle caverne eli Jotapata asseeliate dalle . ttuppe eli Nerone nel67, gIi ebrei che hanno resistito sino all'u1timo e1iscutono del fatto se abbiano iI e1iritto eli suiddarsi. E che e Giuseppe Flavio, iI capo, iI traelitore e iI sopravvissuto a preconizzare la "soluzione", per l'appunto la soluzione: ciascuno verra ucciso da un a1tro, estratto a sorte, iI quale a sua volta verra ucciso nello stesso modo. Giuseppe Flavio si da da fare affinche, nell' orribile eliminatoria, iI suo nome esca per ultimo, e tratta poi la propria sorte eon i romani. Serivera cosl Le guerre giudaiche. Nel suo Eichmann Arendt scrive: «Ci sara sempre un sopravvissuto per raccontare la storia» (Arendt, 1963b, trad. it. p. 239).' Che ne sa lei, cosa ne sappiamo noi? La Shoah, una Vernichtung quasi perfetta, emancato poco che nessuno potesse . ' [Per quanto il rinvio sia alI'edizione italian., ho preferito tr.durre
direttarnente dal francese per poter mantenere la parola "sopravvissut?". La traduzione italiana suona infatti: «Qualcuno restera sempre in VIta per raccontare», n,d,/.]
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• [La traduzione francese del testo di Arendt e: '<partager fa term>, ed e il termine "partager", condividere, che y,otard riprende subito dopo neIJ'espressione "partager Ie real". n.d.t.)
supera Ie morti e Ie nascite, e cioe ogni rapporto con il nulla, con cio che non ha nessun rapporto. Tuttavia, persino nella tradizione pill" accresciuta", piil autorizzata, nella tradizione che pill "Iega", l'enigma di un qualcosa che non t[Ova risposta alI'interno di tale tradizione deve continuare ad abitare segretamente 10 spirito, la domanda "perche proprio io?", l'enigma della singolarita della nascita, non condivisibile, come quello della morte. La persistenza di tale enigma e sufficiente a rendere 10 spirito accessibile a un al di qua rispetto al mondo della cultura e della tradizione. A mantenerlo nell'infanzia, quindi impreparato. Soltanto se viene preservata la possibilita che questo enigma giunga alIo spirito, la tradizione non e la sopravvivenza serenamente inesorabile di cio che e gia qui, una morte imposta alI'improbabilita di cio che nasce. Ma cosl, se la sua possibilita viene mantenuta, l'incertezza, malinconica 0 stupita, non cessa attraverso Ie generazioni di scuotere il fondamento della tradizione e del consenso che si nutre di essa. Vorrei inquadrare in poche parole il totalitarismo, 0 alcuni asperti dello stesso, che Arendt analizza in rap porto a questa problematica di una tradizione del cominciamento. In rra passato e futuro (ivi, pp. 140 ss.) I'organizzazione del sistema totalitario, analizzata gia in Le origini del totalitarismo del 1951, viene paragonata alia struttura di una cipolla. l'autoritarismo gerarchizza il potere come in una piramide, mentre la tirannide 10 cala indifferentemente al di sopra delle teste livellate. La caratteristica della cipolla totalitaria, osserva Arendt, e che, considerato a partire dal euore, dove risiede il capo, ogni strato appare piil «realiStID> e meno «radicale» quanto piil e distante dal cuore. Visto invece dal di fuori (la «realtit») appare al contra rio piil impegnato, piil militante, piil «duro» di quello che 10 precede in superficie. (Esoterismo, essoterismo: la distinzione pitagorica tra i mathematikoi e i polittkoi attraverso l'iniziazione alla radicalita della dottrina e autoritaria oppure e gia totalitaria?) La mia domanda verte qui sul "realismo" dell' analisi e piil in generale del pensiero di Arendt.
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raccontarla. E i testimoni che parlano vivono nell'orrore di essere stati scelti dal male di sopravvivere per poter raccontare. Di essere "usciti" per ultimi.) (E ricordiamoci anche questa: che noi scriviamo e pensiamo in relativa pace, senza spiare la scampanellata delle sei del mattino. Senza l'immediata e costante minaccia del piil abietto anruentamento. La protezione contro I'abbandono perde la propria urgenza nel pensiero quando la persecuzione e cosllontana. npensiero puo avvicinarsi un po' di piil allato della catastrofe, del sublime per esempio, del non-essere, poiche, a eccezione di qualche terrorista, nessuno oggi ci «rifiuta [a colui che pensal il diritto di coabitare sulla terra» con lui, come fu invece il caso di Eichmann (ivi, p. 284). Piil che «di coabitare sulla terra», direi piuttosto il diritto di condivtdere it racconto,' la nascita e la morte dell'improbabile, di condividere il giudizio. Chi puo perdon are, rimettere il rifiuto di questa condivisione, questa abbandono? E il gesto di protezione che puo essere percepito in Arendt, non deriva forse dal fatto che ella pensava piil vicina di quanta non 10 siamo noi oggi alI'orrore generato da tale rifiuto?) Ritorno alia tradizione. Che oggi e minacciata dal fatto di non essere che una sopravvivenza. Grazie a essa, uno stato di complessita, uno stato di opere si mantiene (per 10 meno) da una generazione alI'altra, di modo che i bambini esprimono illoro lamento e la loro responsabilita a partire da una sofisticata e ben fondata sistemazione dei saperi, dei savoirjaire, dei sentimenti, 0 dell' essere insieme nel senso piil generale. Rinvio alIe belle pagine sull'auctontas romana come fondazione, tradizione e religione, in rra passato e futuro (Arendt, 1961a, trad. it. pp. 146 ss.). Man mano che la tradizione si arricchisce, si trova a essere autorizzata, sempre menD i bambini nascono dal nulla: nascono meno nudi. Possono perdere persino il sentimento del non-essere, assicurati come sono di essere inscritti in una continuita che
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Jean-Franfois Lyolard
<, come diceva Freud. Credo pero che la "realtil effettiva" non debba essere intesa tanto nel senso del fatto stabilito dallo storico, come viene descritta da Arendt nel saggio "Veritil e politica" (scritto nel1967, dopo il rumore suscitato dal suo Eichmann), quanta piuttosto ponendo I'accento su cio che Arendt stessa sottolinea alla fine di questa capitolo: la realta effettiva «e cio che non si puo modificare». La politica si presenta per ipotesi come se avesse il potere di cambiare la realta e la politica totalitaria come se avesse il potere di cambiarla totalmente. Di qui la cipolla, che e un sistema di completo filtraggio del reale (di andata e ritorno), per trasformare la realta in ideologia 0 culrura. Interpretato pero secondo Freud e secondo cio che a mio avviso e essenziale, non e il fatto "bruto" (nel senso di Clemenceau: nessuno puo 0 porra mai dire che sia stato il Belgio a invadere la Germania nell'agosto del 1914) a dover essere filtrato nella realta, rna il suo tenore d' angoscia, la sua valenza di attrazione e repulsione, la sua forza di eccitazione. Ora, questa valenza del fatto non deriva dalla sua "realtil effettiva" stabilita, rna dal fatto che esso sfugge alla rimozione e attraversa gIi strati della cipolla protettrice. n reale deve essere compreso come tl/atto del desiderio e non come un latto stabilito nell' ambito di referenza di un discorso cognitivo. Poiche il cosiddetto fatto reale ha questa capacita d' angoscia solo in quanto esso ha un alleato nel euore della cipolla. Tale alleato e quel qualcosa di cui 10 spirito rimane ostaggio e per il quale non ha garanti 0, come dice Freud, rappr"sentanti, con cui non ha alcun rapporto (alcun racconto). E la "presenza" del nulla, della nascita e della morte, e della singolarita non condivisibile. Di modo che bisogna difendersi dalla cosiddetta realta esteriore solo in quanta essa puo risvegliare questa "verita" interiore, questa qualcosa che, per eccellenza, non puo essere cambiato ne scambiato. Qui Ie categorie di esteriore e di inte-
riore non valgono pill. E quando dico che la realtil esteriore puo risvegliare la verira interiore, attraverso la metafora del risveglio (cosi cara a Proust) mi pongo aII'interno di uno spazio-tempo non secabile e non decidibile, che e "fuori" scena 0 in proscenio, "prima") nel doppio sensa dello spazio del teatro e del tempo della short story, fantasmatica 0 non. Ma "prima" e "fuori" non sono termini appropriati. Semplicemente quando si tratta della Cosa il ritaglio dei luoghi e dei momenti non ha ne luogo ne momento. Hitler, rintanato nel euore della sua cipolla, non e menD esposto alla Cosa di quanta non 10 sia uno srudentello svevo nello strato pill esterno. Quanto alla nascita e alIa morte, e, dunque, alla differenza, sessuale 0 ontologica, il se e sempre nudo. Ma il capo vuole dimenticare e far dimenticare I'infanzia, questa terribile nuditil. Dobbiamo dunque condudere che la Cosa deve apparire come molto minacciosa, che il rapporto con il reale deve essere molto debole, affinche un apparato di esdusione, di oblio, potente come il totalitarismo, debba e possa venire a costiruirsi. Equi che deve essere rrovata I'origine del roralirarismo. Ora, leggendo Le origini del totalitanimo non si trova. no, per quanta ne sappia, molte annotazioni su questa "origine". La descrizione viene fatta in modo essenzialmente esteriore, dal punto di vista storico-politico. Persino il terrore viene analizzato sopratrutto per quanta riguarda iI suo uso, come mezzo per distruggere la legalita precedente. Eccetto questa osservazione: «ll bisogno del terrore nasce dalla paura che con la nascita di ogni essere umano si e1evi un nuovo cominciamento e che esso faccia intendere la sua voce nel mondo». Ma dire «paura» mi sembra troppo poco, e I' osservazione conserva un qualcosa di originario. Questa oggettivazione, questa realismo, predominanti nel testo del 1951 , non diminuiscono di certo I'importanza dell' analisi. Limitano pero la portata che essa puo avere per noi. Poiche, se e vero che la tendenza totalitaria si e innestata su un aumento di angoscia senza precedenti nella storia culrurale, politica e filosofica dell'Occidente europeo, allora la semplice disfatta dei regimi totalitari non sara di
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cetto bastata a prosciugare la fonte dello spirito del totali• tansmo. Voglio riferirmi a tre possibili modi con cui tale spirito puo risorgere, puo soprawivere dopo iI totalitarismo politico analizzato da Arendt, la quale dimostra che per realizzare iI sistema del dominio totale non enecessario ricorrere alIa «plebaglia» e che Himmler deve iI suo potere aI fatto di aver saputo che <de masse di fi!istei perfettamente alIineati fomivano in ogni caso un materiale molto migliore ed erano capaci di crirnini maggiori di quelli commessi dai cosiddetti delinquenti di professione, purche tali crirnini fossero organizzati in maniera ineccepibile e assumessero I'aspetto di routine» (ivi, p. 467). Cio che Himmler comprende, aggiunge Arendt, eche
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nterrore ela realizzazione della legge del movimento; si propone principalmente di far si che Ie forze della natura 0 dell. storia corrano liberarnente .rtr.verso I'umanita, senza I'impedimento dell' azione wnana spontanea e, in quanto tale, cerca di "stabilizzare" gli uomini. E il movimento stesso che individua i nemici dell'umanita contro cui scatenare il terrore; non si permette che alcuna azione libera, di opposizione 0 di simpatia, interferisc. con I'eliminazione del "nemico oggettivo" dena stori. e della n.tura, dena classe e della razz•. [... J nterrore come esecuzione di una legge del movimento, il cui fine ultimo non eil benessere degli uomini 0 I'interesse di un singolo, bensi I. creazione dell'umanita, elimina gli individui per la specie, sacrifica Ie parti" per il ('tutto". La farza SDvrumana dena natura 0 dena storia ha un proprio principio e un proprio fine, di modo che viene ost.col.ta soltanto dal nuovo inizio e dal fine individuale che ela vita di ciascun uomo (ivi, pp.634-637).
Parecchi decenni dopo Hitler e Stalin, iI sistema totalitario non fa cetto piu appello ne alia Storia ne alia Natura per spingersi aI di la della legalid e della facolta di giudizio. Non ha bisogno ne di annullare i trattati e i contratti ne di sterminare vite. n prindpio che rende gli uomini superflui come persone giuridiche, morali e singolari (Catherine Chalier) e presente negli atti stessi della vita amministrata (Adorno) e crea iI vuoto negli spiriti che amministra. Tale principio si chiama Sviluppo. Un'entita non meno astratta e anonima di quanto non 10 siano la Natura 0 la Storia. Accentua aI massimo I' effetto che veniva descritto da Arendt: mettere in movimento, mobilitare tutte Ie energie. Per infrangere la legalita e iI debito della nasdta non Ie sono indispensabili ne I' organizzazione politica strutturata in cipolla ne I'uso del terrore. La legge dello sviluppo, come sapevaJtinger gia nei1930, trova aI contrario nella fOlllla democratica e nell'incessante pianificazione delle legalita per il maggior benessere un mezzo e aI contempo una maschera che, in quantd'accettabili dai "fi!istei", sono molto piu potenti dell' organizzazione totalitaria degli anni trenta. La propaganda brutale si fa discreta e lascia posto aII'inoffenSIva retorica dei media. La mondializzazione non awiene 87
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pili attraverso la guerra, rna attraverso la competizione tecnologica, scientifica ed economica. I nomi storici di questo "totalitarismo" che eun buon bambino non sono pili Stalingrado, la Normandia, e tanto meno Auschwitz, rna l'indice Dow Jones a Wall Street e l'indice Nikkei a Tokio. L'ideologia condivisa da tutti (rna si tratta poi di un'ideologia?) eche bisogna sviIuppare, rendere pili complesso, a ogni costo, al fine di sopravvivere. n nemico non e umano, el'entropia. Quest'ultima appare alia fme della rimanente storia degli uomini come esplosione del sole in supernova, tra quattro miliardi e mezzo di anni. Lo sviluppo ela risposta a questa sfida maggiore. Solo 10 sviluppo egiusto, perche enecessario alia sopravvivenza. E la facoitit del giudizio di immaginare, di rendere omaggio alia nascita del nuovo, pili che soffocata viene qui sollecitata. Sollecitata pero nel soffocante affaccendamento della perfolJllativitit. Sopravvivenza indaffarata. A partire da questa diagnosi sarebbe necessario riprendere per 10 meno la questione dell'ideologia. Lo sviIuppo non eideologico perche e delirante rispetto alia realt" delle cose, rna perche esclude I'inquietudine della nascita e della morte come enigma ontologico. Terza osservazione che si muove nello stesso senso. Un effetto inevitabile del totalitarismo e che ai bambini non viene pili lasciato il tempo dell'infanzia, nel senso ontologico indicato prima. Nel capitolo "La crisi dell'istfllzione" eli Tra passato e futuro, Arendt scrive: «Quanto pili [la societal insinua tra il privato e il pubblico un ambito sociale in cui il privato diventa pubblico e viceversa, tanto pili complica la situazione dei bambini, i quali hanno bisogno della sicurezza del nascondimento per poter maturare indisturbatD> (Arendt, 1961a, trad. it. p. 245). Formulazione che interpreto nel seguente modo: cia che il sistema contemporaneo conserva del totalitarismo eil principio della moltiplicazione delle interconnessioni, non pili pero a forma di cipolla, rna a rete. Le "istituzioni" in cui l'infanzia metteva al sicu1'0 Ie sue insicurezze, Ie sue domande senza risposta, apprendendo nello stesso tempo Ie risposte degli adulti e Ie 101'0 insufficienze, queste istituzioni come la scuola e la fami88
glia in cui si giocava la sotte della tradizione rispetto alI'angoscia, vengono distrutte (basta invettirne la finalitlt) dal sistema contemporaneo poiche in esso l'infanzia e posta in immediato contatto con Ie sue esigenze, che consistono nelIe sue risposte all' angoscia. L'infanzia deve collocarsi il pili presto possibile nelle reti di comunicazione che hanno rimpiazzato gli strati della cipolla per funzionare alloro interno nel modo pili efficace, trasformandosi cioe in veicolo dei messaggi che vi passano e, nel migliore dei casi, per ottimizzare I'infonnazione. Non c'e tempo da perdere interrogando gli antichl, la tradizione. Bisogna invece guadagnar tempo, per evitare il ritorno di cia che deve essere dimenticato, dell' ospite che occupa Ie anime.' n (Jascian; che i morti sotterrino i morti» viene oggi interpretato nel senso dell'abbandono dei corpi alIe pompe funebri 0 alia medicina legale. I morti devono essere farti scomparire 0 essere utilizzati per il progresso. Con i bambini avviene 10 stesso che con i morti, sempre. Sono entrambi i due aspetti di cia che, nella tradizione stessa, puo appellarsi al non trasmissibile. Ci si ricordera forse dei due antagonisti contro cui si batte contemporaneamente il personaggio della parabola di 'Kafka commentata da Arendt nella prefazione a Tra passato e futuro: (<Egli ha due awersari; il primo 10 incalza alIe spalle, dall' origine, il secondo gli taglia la strada davantD> (ivi, p. 29). Non si tratta soltanto del passato e del futuro, rna della morte e della nascita. Cia che pero Arendt non dice e che, se qui i morti sospingono, opprimono l'anima e i bambini Ie sbarrano la via di fuga, e perche tanto gli uni quanto gli altri la sovrastano con il peso di cia che e gia cia che e. n passato esaturo delle sue conseguenze e il futuro dei suoi programmi. n tempo amministrato del castello regna sui tempo dell' anima. . Resta l'interstizio, privo d' estensione, l'istante del giudiZIO, delleggere, dell' apprendere e dello scrivere, l'istante in ~ [<
pare, occupate illegalmente, insediarsi. n.d.t.]
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Sopravvissuto
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all iI bambino (che se si integra troppo velocemente in cio che gIi viene offerto dal sociale gia costituito non puo che sbarrare iI futuro) puo "crescere indisturbato", e, ancora, iI tempo in cui la tradizione, che incalza dalla profondita dei secoli con tutto iI peso di cio che egia stato giudicato, puo essere interrogata. Tra bambini gia morti, che hanno fretta d'essere (intendo d'essere adulti, "maturi") e defunti ancora vivi, che sopravvivono, dunque, entrambi, il pensiero che ha cosl fretta d'essere, "d'esserci", lotta per mantenere I'accesso alia sua verita, alia sua condizione d'ostaggio di qualcosa che non e stato e non sara, rna di cui deve testimoniareo Testimonianza che puo rendere per iI fatto che "giudica". Poiche esso non giudica da un luogo, a nome di qualcosa 0 di qualcuno, passaro 0 futuro, attestando con cio che, in seno alI'inunanenza necessitante e bisognosa, I'obbedienza a cio che non ha legami puo farsi valere. . AI continuo moltiplicarsi degli strati mediatori 0 delle reti mediatiche nell'organizzazione totalitaria considerata spazialmente, corrisponde 10 stato temporale d'urgenza, di decisione, d'effettuazione, che esige la completa adesione di un istante alI'altro. Freud diceva che anche iI tempo, il tempo cronologico, deve essere pensato come una «difesa dagli stimoli». Si tratterebbe di un tempo completo, massiccio, privo della modalita del possibile (passato 0 futuro), saturo, e sufficiente a sazieta. Totale, insomma, nella consecuzione. n non-essere ne e dunque escluso, cosl come I'inquietudine e l' angoscia. E naturalmente, anche la facolta di giudicare. Credo che in quell'uomo senza qualita che e Eichmann a Gerusalemme, Arendt riconosca proprio I' effetto di questa saturazione che chiama la «banalita del male». La totalitarizzazione del tempo attraverso il fatto che i tempi vengono resi omogenei, attraverso la loro banalizzazione, bandisce gIi Urtezlen, la distinzione tra iI bene e iI male. Essa e iI male perche elimina la capacita di discernere iI bene dal male. AlIa frne de I.e origini del totalitarismo Arendt chiarna questo stato <Ja desolazione» (loneliness), iI contrario della solitudine, null'a1tro che I'opposto complementare della massificazione delle singolarita: la massificazione del
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tempo. Eun nuovo male. nvecchio male esige che nel. r~p porto non ancora provato con iI ~on-~sere venga pnvilegiata la scomparsa, la morte, e qumdi I Idea malincoruca 0 criminale della sopravvivenza. n nazismo non diceva solamente: Tu ucciderai, rna anche: Che scompaiano per lasciarci apparire. E nello stesso modo, il vecchio bene, in base alia stessa inquietudine, e la confessione 0 iI rispetto di un debito d' apparizione 0 d'infanzia. E tutto cia viene giudicato senza criterio. Ma la malignita dello Sviluppo contemporaneo consiste nel fatto che esso assopisce l'inquietudine stessa dell' apparizione e della scomparsa. La massificazione 0 il far sopravvivere, la mobilitazione e la saturazione, la decadenza, possono essere ottenute piil facilmente tramite I'organizzazione in reti di comunicazione che con la politica totalitaria. So quanta questa diagnosi sia brutale. So che 10 sviluppo e effettivamente uno sviluppo rispetto alia societa della tradizione. So quali siano i vantaggi della democrazia, iI fatto che essa lasci spazlO al giudizio in modo incomparabilmente maggiore di quanto non 10 faccia il nazismo e ci permetta di non tremare al suono del campanello all' alba. La prova il fatto che siamo qui. E nel Goethe Institut.' nmio problema rimane comunque quello di sapere se la "nascita", la capacita di giudicare, la vocazione a cominciare, che fa sentire la "vita amministrativa" come una semplice sopravvivenza .rispetto alia vera vita dell' anima, mi chiedo se da questo miracolo ancora possibile ci si possa attendere un' a1ternativa al sistema. Un unico esempio, tra gli altri. Nella proliferazione delle iniziative e delle istituzioni civili, specialmente negli Stati Uniti, Arendt ha visto una specie di protezione 0 di resistenza nei confronti del rotalitarismo minaccioso dello Stato-nazione, e doe contro I' oblio del non-essere. Nel , [ll testo qui riprodotto ebbe origine da una conferenza tenuta da
J.F. Lyotard in occasione del convegno Hannah Arendt. Poldique et pensee (Parigi. aprile 1988) organizzato dal College international de Philosophie in collaborazione con il Goethe Institut. cfr. Abensour et 01. (a c. di). 1989. n.d.e.]
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Sopravvissu/o
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conflitto e nella crisi concementi il busing degli studenti bianchi e neri, la troviamo impegnata a sostenere la resistenza delle famiglie e delle autorita locali contro I'applicazione a ogni costa delle misure federali atte ad assicurare il mixage della popolazione scolastica. Nella capacita della societa civile di produrre, cosi, spontaneamente, dei modi di organizzazione che proteggono Ie concrete liberta individuali 0 locali (in tal caso particolarmente importanti perch
qui piLI che mai insistente), viene meno l'idea stessa di un' altemativa, e con essa quella di una rivoluzione. Ed eun bene, poiche questa idea e a sua volta totalitaria. La nascita 0 l'infanzia, il cominciamento, la capacita di giudicare, infine, certo permangono, rna nella "desolazione", nella loneliness. Senza ideologia, la speranza riposta di recente nel consiliarismo immediato grazie al quale si organizzavano Ie lotte degli oppressi non potrebbe essere trasferita sulla possibilita delle iniziative spontanee e locali, che del resto sono utili alI'installazione dell' attuale sistema, quello cioe democratico. n principio del transfert delle forme rivoluzionarie di resistenza verso illibero esercizio della cittadinanza nell' ambito delle leggi democratiche eancora troppo protettivo, e in questo senso ideologico. Euna sopravvivenza . In una realta volta principalmente alia sopravvivenza delle complessita nel mondo fisico, I' altra sopravvivenza, la passibilitil al non-essere, qualsiasi nome Ie si voglia dare, e un debito che persiste, in cui la gioia pascaliana 0 la malinconia kafkiana trovano rifugio, rna solitarie, nel tetro deserto della desolazione. Ed ea partire da questa stata dei luoghi dell' anima che la questione della comunita, dell' essereinsieme, puo e deve essere posta attualmente.
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Traduzione eli Federica Sossi
Polis 0 communitas?
Polis
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communitas?
di Roberto Esposito
rnunitaria, gli abitanti della polis cercano un'identitil perrnanente nella memoria dei posteri, nella immortalita della fama cui Ii destinano parole e azioni illustri: Solo l'esistenz. di una sfera pubblica e I. sua susseguente tra· sfonnazione del mondo in una com unit. di cose che radun. gli uomini e Ii pone in relazione gli uni con gli altri si fonda intera· mente sullo pennanenza. Se il rnondo deve contenere uno spazio pubblico, non puo essere costruito per una generazione e pianificato per una sola vita; deve trascendere l' arco della vita degli uomini mortaU (ivi, pp. 40-41).
1. Si puo dire che Hannah Arendt sia una pensatrice della comunita? 0 bisogna riconoscere che e soltanto la pili radicale pensatrice dell'intersoggettivita? Naturalmente la risposta a questa domanda dipende da cosa s'intenda per "comunita". Se essa eintesa in analogia, 0 addirittura in sovrapposizione, con la polis, aIlora l'interrogativo perde ogni problematicita: non solo Arendt ha pensato la comunita, rna e colei che ne! nostro secolo 10 ha fatto con la maggiore intensita. Allora (e questa la tesi di interpreti anche sottili e originali) si puo asserire senza timore di smentita che
Che la «comunitil» arendtiana sia tenuta insieme dall' aspirazione all'immortaiitil da parte dei suoi membri attra· verso la parola e l'azione e del resto provato a contrario da cio che da essa risulta necessariamente escluso perche reo frattario ai riflettori della dimensione pubblica: I' amore, il dolore, la morte, cia che non soltanto e di per se privato, rna che ha anche una funzione deprivativa nei confronti de! soggetto che colpisce e decentra (ivi, pp. 37 -38). Si potreb· be dire, in questa senso, che la dimensione «pubblica» abo bia la funzione, se non precisamente di accrescere, quanto· meno di rafforzare, di stabilizzare, di sostenere i soggetti . che la "agiscono" attraverso la loro re!azione reciproca. Naturalmente bisogna stare molto attenti ad adoperare, per Arendt, termini fortemente compromessi dalla tradizione metafisica come quello di "soggetto". La sua defini· zione come un «chi» e contrapposto a un «che cosa» (ivi, pp. 130-131) giil ne esclude una formulazione sostanziali· stica. Tanto pili se congiwlta aIla specificazione ulteriore se· condo la quale <
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getto. E d' altro canto ,J' apparenza» (Erscheinung) cui Arendt si riferisce non e affatto identificabile con la «par· venza» (Schein), intesa come qualche cosa di diverso dalla realta, dal momenta che ,<Essere e Apparire coincidono» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 99). Cia vuol dire che Arendt non riduce I'apparire a un orizzonte puramente fenomeno· logico, rna 10 apre a una dimensione propriamente ontolo· gica. Benche non manchi un risvolto pili specificamente scenico, teatrale, secondo il quale i "soggetti" della politica «Janna fa lora apparizione come attori su una scena aIIestita per 101'0» (ivi, p. 101), l'apparire ha per 10 pili il senso di un "verure . all a Iuce " , 0 "all a presenza. " E d unque, d a questa punto di vista, di "esistere". Anzi, si deve osservare che il carattere di "superfieialita" attribuito aII'apparenza come presupposto e risultato della visione altrui sottrae I'esistenza a ogni ripiegamento interiore. La esteriorizza rovesciandola sui suo "fuori" nel senso specifico dell'ek-slstenza. Se il «chi» che noi siamo non e interamente nostro, se sfugge al nostro controllo, esso eper certi versi fuori di noi. Sta, si potrebbe dire, nell' .perto dell' espericnza, con tutti i rischi di imprevedibilita e di contingenza che tale dislocazione comporta. Non e appunto questo (fragilita, impredicabilita, illimitatezza) 10 statuto dell' azione-con-gli-altri? L'iden., " , . ota soggemva, msomma, non e presupposta, rna successlva e conseguente a un'azione "performativa" dello stesso soggetto che I' agisce. Ma questo non e tutto. C' e qualeosa di pili che sembra approssimare la Arendt allessico della comunita: ed e il fatto che tale azione, come estato notato,' non efmalizzata alia conservazione della vita, dal momenta che assume senso proprio dallo scarto che essa sperimenta rispetto ai processi biologico-naturali. Da questa angolo di visuale la ricerca di immortalita per i posteri cui prima si accennava non solo non ha nulla a che fare con l'impulso naturale alI'autoconservazione, rna e a esso inversamente proporzionale. La polis nasce quando la preoccupazione per la vita individuale esostituita dall'amore per il mondo comune. E , Cfr. su questo punto anche llitunin.ti, 1998.
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inversamente declina aIIorche essa ritoma al centro delle dinamiche di potere in forma di biopolitica. Dire che l'azione non e finalizzata all' autoconservazione, tuttavia, e ancora poco. Essa non efinalizzata a nulla se non a s~ stes: sa. Siamo anche oltre la contrapposizione aristotelica di prassi e tecnica. nfme dell'azione fa tutt'uno con essa. Percio ,Je arti che non realizzano alcuna "opera" hanno grande affinitit con la politica» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 206). £. il punto in cui la filosofia arendtiana della pol~s, s~mbra dawero approdare a un pensiero della «comunlta mopetosa»:' azione senza opera, soggetto senza sostanza, pre• senza senza rappresentazlOne. 2. Eppure proprio questa possibile punto di tang=-~ mette in luce una eterogeneita irriducibile. Quanto plu 1 due linguaggi concettuali si accostano, tanto pili emerge la loro distanza. La comunita non ela polIS, e non eneanche la res publica. E eio non solo per la genericitit dell' aggettivo ("pubblico", lontano dall'esprimere tutta la complessitit.del "comune") rna per l'assoluta inaJeguatezza del sostanovo. La comunita non euna res. Eanzi il suo "non", il fondo in . cui la "cosa" minaceia di perdersi 0 la fenditura in cui rischia di scivolare. Basta penetrare un poco pili a fondo nella semantica del termine communitas, e in particolare del munuS che essa condivide, per cogliere questa aspetto. Come ho cercato di dimostrare in un recente lavora che costiruisce 10 sfondo necessario di questa testo (Esposito, 1998), h vedere con un "b" il munus comune non ha nulla ace ene, un "valore", un "interesse". Con una proprieta, un'identita o una qualita, in qualsiasi senso si vogliano adoperare queste espressioni, dei soggetti che vi partecipano. Cos1 come con la stabilita di un possesso 0 l'incremento di un guadagno. AI contrario esso evoca una perdita, un' assenza, una mancanza, nel senso latino del delinquere, come del resto hanno intuito tutti i racconti fondativi che hanno posto alI' origine della societa un delitto comune. Munus e un obbugo, un dovere, un debito. 0 anche, e nello stesso tempo, , Alludo a Nancy, 1986.
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un dono che si da (rna non si riceve) perche si cleve dare e non sipuo non dare. E che percio lascia il donatore sempre privo di una parte della propria "sostanza" pili preziosa: della propria identita soggettiva. Da questo punto di vista viene in luce tutta la problematicita dell' ascrizione di Arendt al lessico della comunita. t:: vero che, come si egia visto, intende I'interesse nel senso etimologico di cio che "sta tra", dell'in-between, 0 dell'infra: «Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che 10 hanno in comune, come un tavolo eposto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni infra, mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 39). Cosl come e lontana dall'interpretare il "mondo-in-comune" come una qualsivoglia forma di appartenenza a una terra, a una patria 0 a una radice, tantomeno concepisce l' essere-insieme nel modo della fusione dei molti nell'uno. Semmai e I'uno, il soggetto in quanta tale, a subire una moltiplicazione irriducibile a qualsiasi tipo di identificazione di cio che eessenzialmente plurale. Non c' esoggetto, nella polis, che non sia gia da sempre i soggetti. 0 meglio, la loro interrelazione. Ma proprio qui sta il discrimine rispetto al pensiero della comunita: cos'e I'interrelazione dei soggetti se non una, la pili esplicita, forma di intersoggettivita? E cos' e, a sua volta, l'intersoggettivita se non il reciproco riconoscimento che fa dell'altro sempre un alter ego-simile in tutto e per turto all'ipse che si vorrebbe contestare e che invece si riproduce raddoppiato? t:: proprio questa gioco di specchi che la com unit a spezza in maniera definitiva. Essa non e semplicemente diversa dall'intersoggettivita, rna il suo opposto. Non e un modo di essere, e rantomeno di "fare", di "agire", di "parlare", del soggetto. Non e un suo attributo 0 un suo prodotto. E neanche la sua proliferazione o dispersione. Bensl la sua esposizione al proprio altro. All'altro dal proprio. Non dunque nel senso "superficiaIe" del "vedere e dell'essere visto", rna in quello di una improprieta radicale che coincide con I'impossibilitil di essere tutto se stesso 0 se stesso come un tutto. Che tale
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improprieta vada intesa nel sens~ dell' estasi di Heidegger odell' autolacerazione di Bataille, (Esposito, 1998, pp. 92126) i due pensatori novecenteschi della comunita (insieme a Simone Weil, per altri versi),' quellb che resta comunque precluso ela semplice traduzione della comunita nella relazione 0, tantomeno, nella comunicazione tra soggetti di azione e di discorso. Ne l' azione ne il discorso in quanto tali, come modalitil soggettive, hanno qualcosa a che vedere con la comunita, se non nella figura stremata della loro inaccessibilita. Nel modo di un'impossibilita che non investe soltanto I'individuo, rna la comunita stessa. La comunita, appunto, e impossibile nel doppio senso che non si puo realizzare e che quell'impossibile la comunita stessa. Gli uornini hanno esattamente questa in comune: I'impossibilitil di "fare" quella comunitil che gia da sempre sono. In questo senso non solo la comunita e limitata, rna coincide con il proprio limite, contro ogni sogno umanistico di "comunitil illimitata della comunicazione" 0 di "comunita dell'azione e del discorso". t:: percio che la comunita non puo escludere, come vorrebbe Arendt, la ferita "privata" del dolore e della morte, dal . momenta che ne ecostituita. La comunita non ealtro dalla faglia che circonda e fora la soggettivita, la sua fmitezza mortale, la soglia che non possiamo lasciarci alle spalle perche da sempre ci precede come la nostra origine in! originaria. Ecco l' accecante verita custodita nella piega etimologica della communitas: la "cosa pubblica" e inseparabile dal niente. Ed proprio il niente della cosa il nostro fondo comune. II munus originario che ci costituisce, e ci destituisce, nel nostro difetto di proprio. t:: appunto il "reato" di cui siamo originariamente rei: quello di non poter fare propria la cosa che pure ci pone in essere. Da questo lato non si puo dire che Arendt sia scesa davvero a fondo nell'abisso della comunita.
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, Cfr. Putino (! 998),
runic. interprete italian. di ispirazione fern-
minista in grado di cogliere nel "vuoto" (di comunita. di genere, di COl-pO: ela stessa cosa) il compito, e la vertigine, del pensiero.
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3. Ma non si puo dire neanche che l'abbia ignorato. Di cio, di questa intllizione trattenuta, per COS! dire, ancora nell'impensato della comunita e tuttavia gia affacciata sulla sua semantica, danno prova soprattutto la prima e l'u1tima opera; quasi a testimonianza di un percorso interamente segnato dalla presenza di un problema sempre affrontato e mai risolto. Per quanto riguarda illavoro iniziale su Agostino, eArendt stessa a informarci in apertura che <de singole parti [di esso1 sono tenute insieme solo dalla questione per Agostino senz'altro evidente - della rilevanza dell'altro» (Arendt, 1929, trad. it. p. 14). Ma cio che ancora pill importa, in direzione del nostro discorso, ela modalitit spe'cifica con cui tale questione eaffrontata; che e quella di un "essere-nel-mondo" irriducibile alia semplice intersoggettivita fenomenologica. n soggetto (questo Arendt coglie nella lettura di Agostino) etagliato, e quasi diviso da se stesso, da una storicita finita che 10 pone in rapporto con I'Altro da se. Da qui la contraddizione che investe la dimensione propriamente comunitaria; resa possibile solo da quell'unione con Dio che contemporaneamente la strappa al mondo degli altri uomini. E come se la comunita fosse sperimentabile solo nella pill assoluta singolarita, quella che unisce verticalrnente I' uomo al suo Creatore nella forma di un dono senza possibile ricambio. Ma e proprio quest' aporia che ci mette direttamente in contatto con il centro vuoto della comunita. E necessario guardare la cosa da entrambi i versanti; e vero che Agostino bl6cca teologicamente il transito verso I'altro attraverso I'esdusivita del riferimento a Dio, rna al con tempo, e appunto per questo, riconduce il cum alia sua dimensione radicalrnente espropriata, alia sua improprieta costitutiva. n fatto che possiamo essere fratelli solo in Cristo sospende la nostra soggettivita,la nostra proprietit soggettiva, al punto "vuoto di soggetto" da cui veniamo e verso cui siamo chiamati come al nostro originario "non". A quel primo munus cui non possiamo corrispondere che in maniera inadeguata e difettiva perche non ne siamo mai veramente padroni. Da qui la scissione che sperimenta il nostro stesso essere; diviso tra due origini, due destinazioni, due volonta reciprocamente contrarie e in100
conciliabili se non in un amore anch'esso venuto da e rivolto fuori di noi. 4 Ma nell'u1tima parte del suo testo, dedicata alia vita socialis, Arendt si spinge ancora pill avanti in una lettura della comunita che, pur nellinguaggio teologico di Agostino, pare arrivare dawero al fondo della "cosa stessa". Non soltanto, infatti, la dilectio proximi epensata a partire dall'essenza finita, eteronoma, non-soggettiva della creatura; cio che ci lega in una medesima "comunita di destino", in una sorte comune, eil nostro essere morituri, la nostra infinita fmitezza. Ma anche la communis fides che a tale consapevolezza si lega e a sua volta preceduta da una communitas pill originaria che Agostino non esita a indicare come «comunita della colpa» (c. luI., VI, 5). La comunita coincide con la correita deterrninata inizialrnente da Adamo e stabilmente fissata da Caino prima ancora che Abele costituisse la civitas Dei. Su questo punto Agostino e terribilmente esplicito; e 10 stanziale Caino, non Abele peregrinans, a fondare la comunita umana (Civ. Dei, xv, I, 2). Non solo; rna a quella prima violenza fratricida rimanda ogni successiva fondazione, come quella di Romolo attesta con tragica puntualita (Civ. Dei, xv, 4-5). Cio vuol dire, conclude Arendt, che la comunita umana e a stretto contatto con la morte, «a partire dai morti e con i morti» (ivi, p. 135). Questa seconda origine, per generazione, resta conficcata come una spina, 0 un dono awelenato, nell' origine per creazione; a testimonianza di una "doppiezza",la duplicitit dell'origine, da cui non sara possibile emanciparsi neanche alIorche gli uomini saranno chiamati alia sanctorum communio, dal momenta che quel passato non puo essere cancellato da una caritas che logicamente ne discende. Qui Arendt, attraverso Agostino, egia dentro illinguaggio della comunita, nella sua costitutiva aporia; evera che la comunitit e impossibile, eppure quell'impossibile e precisamente cio che condividiamo, la forma medesima del • efr. in merito l'introduzione eli DaI Lago (1987, pp. 19 ss.) nonche Bodei (1987, pp. 113-121) e &.metta (1987, pp. 123-138).
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4. Non sempre, tuttavia, e non completamente. Lo di· mostra proprio l'ultima opera incompiuta dedicata alia Critica del Giudizio di Kant (rna anche l'intera Vita della mente: e se Arendt "trovasse" la comunita esattamente quando tematizza "impoliticamente" Ie forme mentali di ritiro dalla scena pubblica?). Se ne conosce I'argomenta· zione centrale: mentre nelle altre due Critiche kantiane la categoria di pluralita non ha alcun rilievu, dal momento che la validita dell'esperienza conoscitiva e morale eva· lutata con il metro dell'universalita oggettiva, la Critica del Giudizio richiede una sorta di paradossale "universa·
lita soggettiva". Si fonda, cioe, su di un consenso reso a sua volta possibile solo dalla preesistenza di un «senso comune» 0 «comunitario» (Gemeinschaftlicher Sinn) che condividiamo con il resto degli uomini. Cio significa che se il soggetto della sfera teoretica e l'io e quello della sfe· ra etica il se, il soggetto del mondo estetico e il noi. E an· zi un noi·altri, un noi costitutivamente aperto al rappor· to con gli altri: la condizione prelimina~e del giudizi~ non e forse quella di assumere il punto dl vista altrUl, di superare la particolarita della propria prospettiva? La comunita toma a profliarsi all' orizzonte. Ma si tratta proprio di comunitil? . ' .. Gia la circostanza che Arendt, a differenza di alto m· terpreti precedenti e successivi, da Goldmann (1945) a Habellnas (1983, trad. it. pp. 110 ss.), intenda sottrarre la Hlosofia kantiana alI'ombra che su di essa proietta all'in· dietro Hegel, mostra un decisivo passo avanti nei con· fronti della tradizionale lettura pre.idealistica: il <
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nostro cum. Ma e anche il punto a partire da cui ella co· mincia a prendere sempre di pili Ie distanzeo dal suo autore, perdendo con esso il suo stesso oggetto. E come se non avesse la forza di sostenere I' antinomia che Agostino Ie ha rivelato, 0 si sentisse obbligata a risolverla in una direzione meno estrema. Come scrive, senza cogliere fino in fondo la perdita di radicalita che il passaggio comporta, un' altra acuta interprete italiana: Arendt interroga adesso < (Boella, 1992, p. 165). E la fase in cui il pensiero di Agostino, interpretato come il punto di svolta verso la spo· liticizzazione modema, viene sempre di pili sostituito dal rio ferimento alia polis greca come spazio dell' apparenza con· divisa dai soggetti che la abitano. EII che la "doppia origi· ne" agostiniana Unitium e principium, come l'autrice conti· nuera a ripetere anche nei testi successivi) si salda in un'u· nica origine rispetto alia quale il corso della storia, soprat· tutto modema, potra anche essere inteso come una sorta di deriva dissolutiva. Benche moltiplicata in infmiti inizi, quanti sono gli uomini, l' origine greca della politica finira per perdere quell'enigmatica "doppiezza" intravista da, e dentro, Agostino, oppure per essere ridotta alia semplice antitesi tra "pubblico" e "privato". E come se, anziche "tradurre" nel proprio lessico la geniale intllizione agosti· niana del carattere non·soggettivo della comunita, Arendt finisse per sacrificarla a una piu tradizionale concezione in· tersoggettiva. .
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spazio che Ii separa conservando la loro individualita 0 cia che la revoca in causa penetrandola e scardinandola in quanta tale? Non si puo dire che gli scritti su Kant fomiscano una risposta decisa a questa domanda. Gia il fatto che il "posto" della comunita venga cercato nella Critica del Ciudizio, anziche in quella della ragion pratica, e un primo indizio che Arendt non ne coglie la connessione necessaria con I'universo della legge, e cioe con la finitezza del soggetto. E infatti la mia impressione e che la sua polemica nei confronti di ogni forma di comunita organica 0 fusionale assuma il carattere pili di una moltiplicazione che di una contestazione della soggettivira. E del resto, I' accento posto sulla natalita, in esplicita contrapposizione alia mortalita, contribuisce a trattenere la differenza nel solco !radizionale dell'infra intersoggettivo, anziche proiettarla nelle pieghe interne di una soggettivita non pili tale appunto perche sdoppiata rispetto a se stessa dali'imperativo cui e "assoggettata" . Da qui l'intonazione umanistica che percorre la stessa decostruzione dell'umanesimo, mai cost evidente come nel saggio sulla Crisi della cultura in cui comincia a delinearsi la sua interpretazione di Kant. Senza sottovalutare la dichiarazione di partenza che <
tiana di Kant.' Si tratta di una innegabile tendenza ad antropologizzare il trascendentale kantiano secondo una indebita sovrapposizione (a volte autorizzata da incertezze dello stesso Kant) tra comunicabilita, comunicazione e comunita di fatto, palese dove Arendt si sforza di individuare Ie <
I
, Si vedano per questo Ie pagine, come sempre equilibrate e competenti, dedicate alia lettura arendtiana di Kant nell'onnai insostitui· bile monografia Forti, 1994, pp. 333-370.
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maginazione, e non della ragione. Rischioso perche l'unico modo di ristabilire il predominio di questa su quella, rispondendo cosl al richiamo della legge, e la violenza di un'imposizione che passa per il sacrificio della sensibilid e dun que per un'infinita lacerazione della soggettivita. Ritorniamo cosl alia questione del limite, e cioe del velo tramite il quale la comunita e "rivelata", contemporaneamente manifestata e protetta dalla legge che la mostra interdicendola, che la mostra interdetta. Cia significa da un lato che la comunita ci e assegnata come la nostra inevitabile dimora. Che ci chiama con una voce che non possiamo lasciare inascoltata perche promana da noi stessi. Ma dall' altro che non possiamo attingerla direttamente, senza il filtro di un nomos che al contempo ci vieta di inscriverla nel Reale. n Reale in quanta tale, la "cosa in se" in termini kantiani resta inawicinabile. E questa contraddizione, cui Kant r~ta fe?ele, ch~ Arendt intravede e perde alIo stesso tempo: che gli UOIIllIll possono sperimentare la comunid solo se accettano la sua legge, quella della loro fmitezza, e cioe, ancora, della sua impossibilita. Eprecisamente questa che essi condividono come illoro munus comune. Come una mancanza che Ii attraversa e Ii oltrepassa, 0 come I'Oggetto irraggiungibile, il Niente-in-comune della loro Cosa. Certo, questa (~~a legg~ e dell'interdetto, della leg&e dell'interdetto) non e I uruca VIa per pensare la comunita. E forse ancora un altro, estremo, modo per non pensarla del tutto, per ripararci dalla accecante verita del suo Oggetto, per restare ancora, e sempre, soggetti. Ma per varcare quella soglia la "6los06a della polis" non basta pill. Bisogna inoltrarsi lungo I'angusto sentiero che, attraverso Kant e oltre Kant, hanna scavato da un lato Heidegger e dall'altro Lacan.'
La fondazione della liberta di Miguel E. Vatter
Necessita e liberta
nconcetto di liberta occupa, alI'intemo dell' economia del pensiero arendtiano, un molo cosl centrale che non sarebbe errata farlo coincidere con quello di vita politica (vita activa). I.:identita tra liberta e vita politica e minacciata sia dalla sfera filos06ca, 0 della vita contemplativa, orientata alIa validid (verita), sia dalla sfera che, in mancanza di un termine migliore, puo essere chiamata della vita biologica, 10 «sfondo oscuro eli cia che e meramente dato, 10 sfondo formato dalla nostra natura unica e immutabile», rivolta alia fattualita (violenza).' Verita e violenza designano, nel discorso arendtiano, due forme di necessita che impongono limiti eteronomi alia vita libera 0 politica. La costrizione che queste limitazioni esercitano sulla politica fu esperita da Arendt nella violenza estrema del fenomeno totalitario e nel compimento della tradizione occidentale della filos06a politica (Arendt fa coincidere la conclusione di tale tradizione con la «crisi dell'autorita,». Non intendo addentrarmi nella questione di eventuali e inquietanti affinita tra il terrore totalitario' (dove la violenza divie•
• Su Lacan e Heidegger Iettori di Kant, dr. Esposito, 1998, pp. 8788 e 92-99.
, Arendt illustra coslla relazione tra fattualita e violenza: (
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ne la fondazione della political e la fondazione filosofica 0 metafisica del dominio politico {nel quale la verita 0 la giustizia fungono da criterio assoluto che stabilisce chi deve governare e chi obbedire}.' Indubbiamente Arendt fa parte eli quella cerchia eli pensatori {assieme all'ultimo Heidegger, Adorno, Levinas e Derrida} che inelividuano nella pulsione metafisica verso criteri eli verita trascendenti e assoluti, e nella loro applicazione alia sfera degli affari umani, un altro grande gesto eli violenza inflitto alia «condizione umana».' Arendt, intrappolata tra questi due ambiti che minaceiano la dimensione della liberta umana, si adopera per salvaguardarla ridefinendo la politica come la pratica della fondazione della liberta {conslilulio liberlatis}. n mio intento e dimostrare che il progetto arendtiano eli fondazione della liberta e aporetico. n tentativo estenuante eli contrastare tanto la violenza quanto la metafisica ingenera un effetto opposto, che corre lungo tutto il eliscorso arendtiano e ne pregiuelica l'intesa finalita. Ma l'aporia del progetto eli fo~ dazione della liberta non eeli per se negativa se torna utile per un ripensamento della politica come esperienza dell'insOlIuontabile conflitto tra foudazione e liberta. Mantenendo vivo tale coullitto e possibile comprendere l'intllizione arendtiana secondo la quale la vita politica puo sopravvivere solo se mantiene vivo il pathos della distanza sia dalla violenza che dalla metafisica. Molti dei commentatori eli Arendt non accettano eli considerare aporetica la sua posizione sulla liberta politica, in quanto tentano eli estrarre dal suo eliscorso un progetto politico positivo. Come sostiene una recente interpretazione, per Arendt iI problema della politica nella modemita e: come possiamo dar
vita a fondazioni stabili senza ricorrere a divinita, fondamenti, 0 assoluti? Epossibile concepire istituzioni dotate eli autorita senza derivare tale autorita da una qualche Iegge delle Ieggi, da una fonte extra-politica? In breve, epossibile proporre uno politica della /ondavone in un mondo ormoiprivo di garanzie tradizionali (e /ondaZlonalD di stahi/ita, iegtttimitii e autorita? (Honig, 1993, p. 97, corsivi miei).
In questa prospettiva il progetto arendtiano sarebbe quello eli risolvere la "crisi eli.legittimita", dovuta.al crollo delle fonti d' autorita metafisiche, attraverso la ncerca eli nuove fonti d' autoritil post -metafisiche. Questa lettura presuppone che la liberta politica sia in prineipio comp~tibile con il progetto eli foudazione. Tale presupposto, ~ ~o a,:viso, non solo e problematico, rna soprattutto smmwsce ~ pensiero arendtiano. Non intendo negare che Arendt tent! eli fOlInulare una "politica della fondazione". Cio che mi preme affermare eche il eliscorso arendtiano eccede questo intento e, in ultima analisi, rivela la contraddizione in termini che e alia base eli una "politica della fondazione": 10 stesso progetto eli dar vita a una "fondazione durevole" alIa liberta politica e al contempo causa dell' estinzione eli quella stessa liberta. . , .., Altre interpretazioni mostrano una magglor sensibilita alia tensione tra liberta e fondazione' rna da essa traggono conclusioni eliscutibili: Se iI politico e, per Arendt, 10 spazio per, 0 la modalita eli, apparizione della liberta, che e in se stessa inseparabile da una particolare nozione del tempo [«i1 tempo come radicalmente aperto a nuove possibilita,,] alIora I' atto eli fondazione della "sfera" politica dev' essere in linea con quella temporalita libera. Ma Ia sfera politica necessita eli una stabilita fondativa proprio perche Ia liberta non puo essere Iasciata in balia del tempo; Ia liberta, per essere una forza attiva ed effertiva nel mon-
, Arendt sostiene che la tradizione della filosolia politica e fin dal suo inizio caratterizzata datI' autorita, e cerca di «legittimare la coercizion"" (Arendt, 1961a, trad. it. p. 151). Sulla <
, efr. Keenan, 1994. 1:articolo di Keenan vuole mostrare come <
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do ha bisogno del costante ausilio eli una fondazione politica (Keenan, 1994, p. 298).
AI contrario, io ritengo che, se la liberta politica non si lascia ingabbiare in alcuna forma politica 0 realta sostanziale, e proprio perche la liberta rivela una intima connessione con la sua storia, e deve «essere lasciata in balia del tempo», secondo modalita da specificare. Analogamente, se la liberta politica rifiuta il «costante ausilio di una fondazione politiGl», allora forse evero che questa liberta non e«attiva ed effettiva» nel mondo comeforza oggettiva, rna piuttosto si rende presente nella decostruzione dell'oggettivita delle forze di dominio, e nella virtualizzazione dell' ordine costituito. n punto di partenza pill idoneo per una discussione di questi temi illibro di Arendt sulle rivoluzioni. fenomeno modemo delle rivoluzioni politiche, cosl come Arendt 10 rappresenta, mette in scena l' agone tra liberta e fondazione. n problema principale nelle rivoluzioni modeme non e tanto quello di "fondare" un nuovo ordine della liberta, bensl qUellO di presentare la liberta politica come quell'elemento, nella sfera degli affari umani, che rende impossibile la fondazione assoluta di un ordine politico. n fenomeno rivoluzionario non deve essere letto semplicemente come il crollo del sistema di autoritit di un ordine antico e il conseguente tentativo di trovare fonti di legittimita per il nuovo. n senso della rivoluzione puo anche essere cercato nel fatto che ogni ordine e "antico" nella misura in cui tenta di istituirsi attraverso un sistema di autorita. Ogni ordine, dunque, deve aprirsi al "nuovo" in quanto ogni tentativo fondativo fallisce proprio perche vi euna incompatibilita tra liberta e autorita.' In VIta Activa la liberta politica viene definita la facolta della spontaneita radicale, del cominciare incondizionatamente qualcosa di veramente nuovo. Quel testo, pero, non prende in considerazione i problemi connessi con Ie possi-
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bili istituzionalizzazioni, 0 fondazioni politiche, di un simile concetto di azione libera.' In Sulfa rivoluzione questa concetto di azione libera viene fatto chiaramente coincidere con l' azione rivoluzionaria. Nelle rivoluzioni modeme, proprio come nella teoria arendtiana dell' azione, «l'idea di liberta e l' esperienza di un nuovo cominciamento» coincidono (Arendt, 1963e, trad. it. p. 25). Ma in Sulfa rivoluzione e detto anche che si puo parlare di rivoluzione solo quando la liberta efondata.' La fondazione della liberta implica inoltre la «costituzione di una repubblica» dove il termine repubblica significa < (ivi, pp. 25-26) In questo contesto Arendt distingue la liberta «come fenomeno politico», definita sia come non-govemo (anarchei che come isonomia, dal concetto di <Jiberazione» che epuramente <
considera il fenomeno delle rivoluzioni essenziahnente "modemo". Moderno equivale qui a rivoluzionario. (Arendt, 196,e, cap. 1).
La «spazio dell' apparenzro>, che ecoevo alla liberta politica, «anticipa e preceJe ogni costituzione formale della sfera pubblica e delle varie forme eli governo, Ie varie forme, cioe, in cui la sfera pubblica puo essere organizzata». Sicuramente Arendt problematizza la potenzialita di questa spazio dell' apparenza. il quale, considerato nei suoi stessi termini, dura nd tempo. In questa contesto }'autrice elabora W1a complessa teoria della promessa, che Keenan riassume bene: (0, trad. it. p. ,2).
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•Equesto il significato pi" interessante della lettura arendtiana, che
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mette ad Arendt di mettere assieme, apparentemente in modo non conflittuale, due aspetti dd suo discorso che in realta sono antinomici e che, in realta, sono implicati dal carattere aporetico della sua strategia discorsiva. In un primo tempo la distinzione tra liberazione e libertil serve a sottolineare che Ie rivoluzioni non sono determinate solo dalla liberazione rna implicano anche la costit1lzione della liberta politica, I'istitllzione di un nuovo ordine secolare (novus ordo saeclorum). In un secondo tempo la stessa distinzione ingenera una certa ambiguita a proposito dello status politico dd <
far valere la sua carica anti-fondativa. La liberta puo essere un fondamento solo in quanta s-fonda. Scopo di questa saggio e suggerire che la liberta funziona sia come Ab- che come Un-grul1d perche iI suo carattere edi essere un evento, non un fondamento. In La vita della mente, Arendt, per indicare l'assenza di fondamento della liberta, parla dd suo «abisso». Ma in molti dei suoi testi I' aporia della fondazione della liberta e repressa aI fine di mettere in opera I'inoperabile: la costituzione di uno stato di non-dominio, I'impiego "archico" di cio che e anarchico, la comprensione dell'inizio incondizionato come condizione di ogni inizio. Arendt tenta questa impraticabile passaggio teoretico per dimostrare che la liberta politica puo realizzarsi politicamente nella forma dello stato senza incorrere nell'impiego politico della violenza. Compito dell' autrice e mostrare come una fondazione non-violenta della liberta sia possibiIe, e come I' attuarsi della liberta in un contesto legale non debba appellarsi a una fonte assoluta di autoritil. Arendt presuppone che sia possibile e necessario dare forma costituzionale alla liberta politica, a condizione che quest'u1~a venga intesa come liberta dal dominio e non dalla necessita. La liberta dalla necessitil chiama in causa la possibilita di una liberta assoluta, per la quale «ogni cosa e possibile 0 epennesSll», ed eapparentata con la possibilita di violenza illirnitata. Siccome la politica non puo arnmettere l'attuazione violenta della liberta, solo la liberta dal dominio eidonea a realizzarsi nella sfera politica. Una delle tesi centrali di Sulla rivoluziol1e e che Ie rivoluzioni modeme che si sono date alla violenza 10 hanno fatto solo perche hanno modificato Ie prioritil dd «compito della fondazio. ne»; Ie rivoluzioni che ricorrono alla violenza sono preoccupate di liberare I'uomo dalla necessita e non solo dal dominio: La critica di Arendt alla violenza nella modernita (i1
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«La rivoluzione americana rimase fennamente orientata verso l'instaurazione della liberta e la fondazione di istituzioni durature: e a col~ro che operavano in questa direzione nulla fu pennesso che trasgredisse il diritto civile. La rivoluzione francese fin dall'inizio devil> da un tale orientamento, spinta dall'urgenza delle sofferenze del popolo; fu 9
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terrore delle rivoluzioni «sociali» in Francia e in Russia, 0 il fenomeno moderno del totalitarismo) eo condotta a partire dalla convinzione che la liberta dalla necessitil implica il fare dell'uomo un mezzo «assoluto» (il totalitarismo allora sarebbe la tremenda realizzazione di quella idea di liberta) mentre la liberta dal dominio e la appropriata assunzione del fatto che l'uomo eo un fine in se stesso (la repubblicana constitutio llbertatis allora sarebbe la realizzazione di quest'altra idea di libertii). Per rendere plausibile I'affermazione che solo la liberta dal dominio puo essere fondata politicamente in modo non violento, Arendt compie due mosse fondamentali. La prima consiste nell'identificare la liberta delle moderne rivoluzioni con l'antico concetto di isonornia (ivi, p. 26). n si· gnificato formale di isonomia non comprende solo il concetto di <. Queste relazioni di inuguaglianza vengono <
stinzione tra lavoro e azione), sono posizioni teoretiche che derivano dall'aderire in toto alia distinzione antica tra necessita e contingenza. Per gli antichi la politica si occupa di quelle cose che «possono essere altrimenti», ossia di cose contingenti, e non di cose (che sono dette essere) <<sempre identiche», Ie cose necessarie. La politica eo limitata alia sfera della contingenza, perche la differenza tra cio che eo necessario e cio che eo contingente eo metafisica, extra-storica. La mossa successiva, quindi, consiste nell' asSumere tale differenza come metafisica, e non politi ca. Su queste basi Arendt puo sostenere che la liberta dalla necessita eo una finalitil sia extra-politica che anti-politica. Una tale liberta, sempre che possa esistere, non eo ne utile ne identica alia liberta dal dominio. Arendt esclude dalla sua analisi I'accezione specificamente moderna di isonornia, la quale problematizza la semplice opposizione tra i due tipi di liberta. I.:isonornia, nell' accezione moderna, abolisce i legarni tra padrone e servo: si puo accedere alia liberta politica solo in condizioni di non dominio, non solo rispetto ad altri cittadini (come per gli antichi) rna rispetto a tutti gli esseri umani.1O La moderna e rivoluzionaria lotta per la liberta dalla necessitil eo parte integrante della lotta contro Ie relazioni di dominio, siano esse «politiche» 0 «pre-politiche» «
determinata da un'esigenza di liberazione non dalla tirannide, rna dal· I. necessita, e fu realizzata dalla illimitata immensita della rniseria dd popolo e dalla pietil che questa rniseria ispirava. Lillegalita dd "tutto perrnesso'" scaturiva anche qui dai sentimenti del euore, la cui stcssa infinita grandez7.a contribul a Scatenare un oceano di infinita vialenza" (Arendt, 1963e, trad. it. p. 98).
rale, che elimina la condi7jone stessa della possibilita che esista uno «schiavo in natura», che invece Rousseau nel suo discorso sull'ineguaglianza sostiene sistematicamente cd esplicitamente,
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,e Questa eI'idea implicita nd concetto hobbesiano di diritto natu·
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La londazione delill liberia
Se Arendt e in sintonia con Machiavelli nel considerare la rivolllzione I'evento della liberta politica, I'autrice non e d'accordo sui fatto che per dare fOlIlla politica a tale evento sia indispensabile la violenza. Per Machiavelli cio e im· possibile: la fondazione della liberta politica, la fonnalizza· zione dell' evento rivoluzionario e ineludibilmente violenta. Ogni tentativo di ampliare il raggio e la durata della sua forza emancipativa trasformandola in uno <<stato di cose» permanente e necessario e condannato al fallimento, in quanto si confuta da se: equivale a fornire una fonna necessaria aIla liberta dalla necessitit." n sintomo di questa fallimento edato dall'insorgere della violenza politica come terrore in ogni processo costituente in quanta tale." Arendt, nella sua
analisi della Rivoluzione americana, sostiene che la realizzazione della liberta politica (concepito come liberta dal dominio) e possibile senza innescare dinarniche di terrore. Tutto cio e pero possibile solo a patto di rinunciare aIla liberta dalla necessitit come traguardo politico, accettando in linea di principio che, assieme aIla fondazione di una liberta dal dominio per alcuni, si giustifichino pratiche di asservimento di altri.
Fondazione e liberta
Keenan e convinto che inevitabilmente la liberta, per «essere» debba «cea1jzzarsi», e in questa pulsione alla reaJizzazione 0 compi· mento la liberta si lega alla violenza. Keenan si riferisce «non solo alI'inevitabile affidamento che la liberta fa sulla fondazione, che limiteca la liberta futura, e nemmeno solo al modo per cui la pluralita e l' aper· tufa dcll'azione culminano sempre in [ ... ] un singolo e decisivo atto d.i chiusura. Piu importante. invece, e come 1a stessa condizione della Ii· berui - il fatto che simili decisioni (nella loro singolarita, limitatezza e cruusura) siano ani libert" piuttosto che necessari e che accadano. quindi, di fronte a una pluralita di opinioni, prospettive e criteri, senza alruna garanzia di un accordo 0 di un assolulo che funga da fondamento - sottintende una azione politica all'intemo di un mondo considerato "non politico", owero il mondo della sovranita, dd govemo e dd· la violenza» (Keenan, 1994, p. 319). Questa visione della liberta mi sembra deliherata e macchinosa, come se la -liberta mirasse a "effetti reali" a1 fine di ottenere "cose reali", e quineli venisse coinvolta con la sfera della forza (govemo, violenza eee.). Vorrei opporre a questa una nozione di liberta come trascendenza }inila della realta. Secondo questa nozione la liberta tende a de-realizzare 0 virtualiwre l' ordine dato delle cose: non ha lekJr, perche trascende verso il nulla [no-Ihing]. n fatto che la liberta cada sempre nd reale e un aspetto della /iniludine stessa della sua trascendenza, e cost faeendo essa perde se stessa piuttosto che "realizzarsi". 12 Keenan fa giustamente notare che la ricostruzione "non violenta" che Arendt fa della storia e ddla preistoria della Rivoluzione americana, intenzionahnente non tratta "la violenta distruzione eli una civiltli", se non di due: la questione della schiavitu in America, prima e dopo la Rivoluzione, non e mai affrontata da Arendt nd testo in questione. (Keenan, 1994, p. 321).
Arendt inizia la sua analisi delle rivoluzioni moderne partendo dall' assunto in base al quale rifacendosi a Montesquieu, definisce la costituzione di una liberta positiva un atto che crea potere piuttosto che lirnitarlo. Liberta e potere sono strettamente legati nella costituzione della libetta (ivi, pp. 166-167). La relazione interna tra liberta e potere concorre ad accentuare I'uso ambiguo che l'autrice fa dell'espressione constitutio libertatis: cio che lei intende per «costituzione della liberta» e radicalmente diverso dal «governo costitllzionaie», il quale edefinito a partire dalla capacita della legge di delimitare il potere del governo, mentre quella implica un potenziamento dei soggetti politid. La costituzione della liberta e del potere e una questione extra-costimzionale, non puo essere compresa nei lirniti del governo della legge. Ma, alIo stesso tempo, Arendt vuole conferire aIla sua nozione di liberta positiva quelle caratteristiche che solo un governo costituzionale p"O fornire, e cioe la stabilita e il formalismo garantiti da un sistema giuridico. Costituzione della liberta significa anche consolidamento della liberta.
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L'analisi della costituzione della liberta nell'atto rivoluzionario e sovtadetenninata in quanto la liberta dev'essere contemporaneamente connessa al potere e alla legge. Due significati, 0 due logiche, vigono nella «costituzione della liberti!» della Rivoluzione americana. La prima configura la costituzione come quell' atto che da vita al potere attraverso il «patto» del popela (ivi, pp. 188 ss.). La seconda designa l'atto di costinlzione come quelluogo in cui la fonte della legge risiede nelle regole della Costituzione, intesa come un documento scritto di principi politici, e non nella <
potere e l'unico attributo umana che si esplica solo in quello spazio terreno fra gli uomini per mezzo del quale gli uomini sana reciprocamente callegati - confluiscono nell' atto della fondazione, grazie alla facold eli fare e mantenere promesse, che nel campo della politica eforse la pi" alta delle facolt' umane (ivi, p. 199).
Questa dimensione repubblicana della fondazione della liberta conferisce potere all' azione (in quanta capacita di iniziare qualcosa di radicalmente nuovo) perche vincola, attraverso promesse e patti, l' azione di una pluralita di es• • sen umanl. nproblema della fondazione rimane pero irrisolto fmche non viene tematizzato l' altro significato della canstitutio, quello connesso alla legge e all' autorita. Solo l'unita di liberta e legge, solo I'imposizione di una forma politica a un potere popolare, possono garantire «stabiliti!» alle faccende umane. f:: questa la caratteristica distintiva della Rivoluzione americana che, a differenza di quella francese, non ha fondato l' autorid e la legge sul potere del popolo. Senza 118
questa precauzione, la liberta politica non avrebbe trovato ne stabilita ne forma. Questo perche il potere popolare, che si fonda sulle promesse stipulate tra uguali in una fase di non-govemo, eun fenomeno evanescente: non ha fini al di fuori di se stesso, non produce un orcline in quanta non esercita il comando su cose 0 persone, e di conseguenza non garantisce stabilita alla liberta politica. iJ Sta proprio qui la questione centrale e apparentemente paradossale di Sulfa rivoluzione: se la liberta politica, attraverso la sua istituzionalizzazione giuridica e politica, diviene stabile e fondata, che ne edella sua stessa esistenza? Proprio perche la legge non puo fondarsi solo sulla liberta e sul potere del popolo, rna, al contrario, quella stessa liberta dovrebbe trovare nella legge la sua stabilita e la sua fonna, nell' atto di costituzione politica emerge un «problema di legge»: la Costituzione, intesa come <Jegge fondamentale» che autorizza tutte Ie altre leggi, da dove riceve la sua auto rid, se evero che ne la «grammatica dell' azione» ne la «sintassi del potere» sono in grado di conferirla? L'insorgenza di tale problema ci porta a una delle intuizioni fondamentali di Arendt: il potere politico e la liberta politica non sono fonti d' autorita e anzi, in un senso cruciale, sono al di la della legittimita. 14 Non sono fonti di autorita perch
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di qualche tipo, contrapposto alia legge intesa come un comando. ~ Arendt dunque attribuisce ai rivoluzionari americani una visione della legge simile a quella romana, grazie alIa quale essi poterono fondare la loro <Jegge fondamentale» proprio come un' alIeanza, un patto, e cioe attraverso il «potere» dell' <
tere piuttosto che dell. forza e dell. violenz•. (Cio che egia implicito e il mondo prodotto dell' azione liber. e di concerto, in cui gli eguali che la intraprendono come insieme, legari d. murue promesse e da reciprocita, e .giscono per d.re vita a qualcos. di nuovo.) (Honig, 1993, p. 101).
Questa lettura in realta dimentica che I'argomentazione di Arendt sugli <
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fondazione (una fondazione performativa, 0 «politicll» aI posto di una constariva 0 <<metafisi~ll») alIo stesso tipo legge, intesa come comando. Ma, chiaramente, se la legge e un comando, alIora non ha senso per il singolo prestarI~ < come condizione per obbedire alia legge stessa: Sl obbedisce in forza di una coercizione, per esempio del fatta che essa esercita autorita su di esso. Honig erroneamente attribuisce ad Arendt la convin7ione che potere e autorita abbiano la stessa radice semplicemente perche entrambi sono <
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per i pre~etti giuridici, per la fmma politica che, a sua volta, garanttrebbe alia liberta una «stabile e tangibile realtID>. Una volta accettata la separazione tra potere e autorita il problema puo essere riformulato nei termini del «circolo~ ZlOsO di Sieyes; quelli che si riuniscono per costituire un nu~vo govemo sono essi stessi incostituzionali ossia non hanno I' autorit~ di fare cio che hanno iniziato a fare» (ivi, p. 210). La tradiZlone della filosofia politica tende a risolvere questa circolo vizioso facendo appello a una qualche fonte assol~ta di verita e giustizia (per esempio Ie leggi della natura, 1 comandamenti divini) al fine di fondare I'autorita. Ma per Arendt, ogni appello ad assoluti extra-politici, teor~lIcam~te. accertati, per fondare la liberta politica, e auto?istrutlI,:o, m quanta la liberta politica (come spontaneita mcondizlOnata) comporta I'assenza di eteronomia e dominlO, ?"entre ogni <
fonte del govemo? Che cosa ne e, alia luce dell'atto di fondazione, di quel non-govemo? In Sulla rivoluzione, Arendt non fomisce mai una diretta risposta al perche I'inizio, una volta posto come atto di fondazione, sia <
cludere che cio che assicuro la stabilita della nuova repubblica /u l'autorita insita nell'atto stesso della /ondazione» (ivi, pp. 227-228, corsivi mien. Nella Costituzione politica americana, cosi come in quella romana, un'istituzione concreta e «espressamente destinata alia funzione di detenere I'autorita» (ivi, p. 229). 1.:autoritit del giudiziario americano e analoga a quella del senato romano; in entrambe Ie istituzioni i fondatori sonO presenti, «e con 10ro era presente 10 spirito della fondazione, l'inizio, il principium e il principio di quelle res gestae che da quel momento in poi formarono la storia del popolo romano» (ivi, p. 230). In altre parole l'inizio e autorevole perche vi e un'istituzione che ri-Iega (ye-ligio) Ie azioni politiche a quell'inizio, al fme di «saggiare» il potere e la liberta come una sorta di continuo processo costituente». n nesso interno tra auto rita e atto fondativo esupposto dal fatto che l'autoritit, mantiene «presente» quell'atto attraverse il tempo accrescendone il significato. Auctoritas infatti significa «aumentare, accrescere e ampliare Ie fondamenta che erano state gettate dai progenitori. 1.:ininterrotta continuita di questo accrescimento e I'autorita insita in esso potevano realizzarsi solo atlI'averso la tradizione» (ivi, p. 230). Secondo Arendt, infatti, I'autorita accresce l'atto fondativo alimentando un continuo processo costituente, considerato come una «ripetizione» dell'inizio rivoluziona• 110 stesso.
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n concerto stesso eli autorita romana implica che I'atto eli fondazione sviluppa inevitabilmente la sua propria stabilita e permanenza, e l' auto rita in questa contesto non e altro che una specie di necessaria l'accrescimento", in virtu del quale ogni innovazione e ogni mutamento restano legati alla fondazione, che essi nello stesso tempo contribuiscono ad aumen-
tare e accrescere (ivi, p. 232). [«Quindi gli emendamenti de!la Costituzione accrescono e awnentano Ie fondamenta originarie della repubblica americana, ed eproprio per questo che la stessa autorita della Costituzione americana risiede ne! fat-
']D to che essa puo essere emen data e accresclUta.»
La possibilita eli una ripetizione dell'inizio rivoluzionario per mezzo, e all'interno, de! sistema eli autorid, proverebbe l'esattezza della posizione arendtiana, per cui vi puo essere unit.. tra liberta e autorita, tra repubblica e stato.
Ripetizione e liberta La ripetizione storica puo essere messa in re!azione al cominciamento assoluto in due diversi modi, uno estrinseco e I'altro intrinseco, i quali rispertivamente darmo vita a opposti effetti politici. Per poter avere efficacia d' autorid, la relazione tra ripetizione e cominciamento, 0 inizio, dey'essere eli tipo estrinseco. In questa caso l'inizio funziona da principio 0 legge, in quanta determina 0 condiziona la ripetizione «eli se stesso». La ripetizione in se, pero, non da vita a nulla eli raelicalmente nuovo (affinche questa accada, enecessario che si verifichi una relazione intrinseca tra inizio e ripetizione). Ecco perche la ripetizione dell'inizio, cio che Arendt chiama «accrescimento», e susswnibile a una legge (per esempio la Costituzione) ed ericonoscibilewme incre~en: to dell'inizio fondativo stesso. Questa cOrrlspondenza e CIO che Arendt intende quando afferma che la ripetizione 0 il ritorno dell' atto rivoluzionario consiste in una «coincidenza eli fondazione e conservazione per virrit dell' accrescimento» (ivi, p. 232). In altre parole, I'inizio eassoluto perche easso!-- - -- --- - - - - - - - - - [La pane tra parentesi quadre non epresente nella traduzione ita-
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liana di On Revolution (cfr. Arendt 1963e. p. 202). n.d.t.]
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to dall' essere < inizi. processo eli «accrescimento» quindi una «continua fondazione» la cui continuita de!egittima nuovi, altri inizi (Honig, 1993, p. 115). Non serve a molto affermare che l'accrescimento della fondazione funge da «ritomo "allo spirito delle origini, alIa capacitil umana di dar vita"», ossia a un principio dell'inizio piuttosto che a un inizio dato. Affermando che <J'impegno a emendare e accrescere deriva dal nostro rispetto per un inizio che e situato ne! passato, rna Ie nostre pratiche di emendamento e accrescimento ci rendono i veri possessori di quell'inizio, non semplicemente gli ereeli, rna i costruttori e gli esecutori di esso» (ibid.) si privilegia sempre il primo inizio, l' atto fondativo, collegando I' azione politica alla riesumazione di un «principio» 0 «spirito» che era giil da sempre presente. Come se il principio dell'inizio avesse un suo stesso inizio storico e fattuale, con il quale deve rimanere in costante contatto, di modo da avere accesso a quello stesso principio. Questa convinzione nega la storicita degli eventi: la loro capacita di interrompere il continuum storico e iniziare una nuova serie temporale. In queste condizioni, I'azione politica del cittadino e sempre limitata dalla struttura data dai fondatori: I'acerescimento, in questo caso, non puo arrivare alla rivoluzione come sospensione di ogni forma politica e apettura di uno spazio an-archico. Piuttosto, una tale visione si limita alla n/orma di una data istituzione politica. nsistema che si fonda sull' autorita non accresce l' accadere dei cominciamenti assoluti, degli eventi l'epubblicani, delle discontinuita rivoluzionarie ne! tessuto della tradizione. AI contrario, l'autorita preserva 10 stato nella sua facolta di governare <
n
e
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MIguel E. Valier
La fondazione della flberta
tutta la storia romana mutamento pote sol tanto significare accrescimento e ampliamento dell' antico» (Arendt, 1963e, trad. it. p. 231). La relazione estrinseca tra inizio e ripetizione diviene vi· sibile ogni volta che la «presenza» di un inizio emantenu· ta attraverso la sua ripetizione, ogni volta che <
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significato emancipativo e anti-autoritario. Per dirlacon altre parole: che ogni inizio sia principio di se stesso significa che ogni inizio e gia da sempre una ripetizione, nel senso che ogni inizio e«solo un inizio come un altro», e in nessun modo puc, essere posto come unico e assoluto. Una tale affermazione dunque presuppone che non ci poss~.esse~e un inizio che non sia gid un ritorno, che la sfera politlca Sla caratterizzata dall' assenza di originali da imitare, di esempi da seguire. In breve, che la politica e 10 spazio d~i simuhcri. Questo aspetto rende impossibile I'esistenza di un p~c~ pia che governi I'awento di ogni inizio. In tal senso gli 1illzi sono completamente indiscriminati (nel vero senso termine) per avere il potere di discriminare (taglia.re, .illVl: dere, interrompere) il continuum temporale e qumdi «di sowertire il tempo». 1'autoritil, per contro, costltutlvamente impedisce una tale proliferazione di inizi: ."ri-Ie~~do" ogni azione verso la fondazlOne (per confenre all a.ZlO?~ stessa sanzione religiosa), I'autoritil conserva la conunwta temporale e la stabilita del govemo. La co~s.e.~az~o.n~ ?eli'inizio come fondamento dissolve la posslbilita di 1illZlare nuovamente. . , . . La tensione tra una acceZlOne estrmseca e una mtrmseca del rapporto tra inizio e ripetizione e palpabile nell'unica argomentazione filosofica che Arendt propone a c.onv~da della sua tesi, per cui I' atto di iniziare qualcosa di radicalmente nuovo coincide con la possibilita dell' autoritil. l'argomentazione si rifa al conce~to.di < ch,: ~en~t riprende da Agostino: < (Arendt, 1961a, trad. it. p. 222). Agostino pote sviluppare un tale concetto di libelta, che Arendt adotta in toto, perche egli <
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La londazione della liberta
MIguel E. Vatter
e di conseguenza di mettere in crisi l' edificio romano fondato su un Inizio integro e su una Fondazione assoluta, disfa Ia <
e
Cia che salva 1'atto del1'inizio Jalfa sua arbilrarieiJ eil fatto che poria in se slesso il proprio prtncipio; 0, per essere pili precisi, che I'inizio e il principia, il prtncipium e il principia, non solo sana correlati fra loro, rna sana coevi. I.:assolulo, da cui I'inizio deve trarre la propria validita e che deve salvarlo, per cost dire, dalla sua intrinseca arbitrarieta eappunto il prlncipio che fa fa sua com· parsa nel mondo insieme all'inizio. n modo can cui I'iniziatore awia tulto cio che vuol fare stabilisee la legge dell' azione per tutti quelli che si sana uniti a lui per prendere parte all'impresa e portarla a compimento. In tal modo il principia ispira gli atti che dovranno seguire e resta evidente finch" dura l' azione (ivi, p. 245, corsivi miei).
Qui I'inizio funge da «principio» di se stesso perche non comincia semplicemente qualcosa rna «stabilisce Ia Iegge dell' azione» per gli altri in modo tale che l' azione puo esse· re portata a «compimento». Arendt si rifa qui al concetto greco di inizio, archein, che significa anche «guidare» 0 «governare»:
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1diversi significati di archein ci indicano questa: solo chi gia go· vernava poteva cominciare qualcosa di nuovo (per esempio i padri di farniglia, che governavano sui loro congiunti e sugli schiavi) perche costui era gia reso libero dalle necessita della vi· ta e disponibile per imprese in terre lontane 0 per la cittadinanza nella polis. Comunque, quanti possedevano tale requisi· to non govemavano pill, diventavano govemanti tca goveman-
ti, in mezzo ai loro pari. A questi ricorrevano per aiuto, dalla 10· ro posizione di leader, per iniziare qualcosa di nuovo, per dar vita a nuove imprese; poiche soltanto con l' aiuto altrui, l'archon, il govemante, l'iniziatore e leader poteva veramente agire, prattein, realizzare quello che aveva iniziato (Arendt, 1961a, trad. it. p. 221). L'interpretazione arendtiana del significato di archein e ambivalente. Una delle accezioni di archein significa appunto corninciare, e quindi arnmettere che l'inizio sia anche principio (archei non esclude Ia connessione con una nozione di Iiberta intesa come an-archia, assenza di governo. n secondo significato di archein, pero, introduce un elemento di govemo e quindi di stabilita e forma: «stabilisee Ia Iegge dell' azione». Govemo e comando colorano questa secondo significato fondativo di archein in duplice maniera: in primo Iuogo, come govemo sugli schiavi (inferiori) doveva liberare l' attore/iniziatore daDa necessira; in secondo Iuogo, come govemo sui cittadini (pari) doveva «portare a compimento» l' azione iniziata. Arendt sostiene che questa secondo significato di govemo non e un comando nel senso stretto del termine, non ha alcuna relazione con il dominio in quanto ha origine nella persuasione e nell' atto della promessa. Ma, in questo caso, un govemo di questa tipo non puo otten ere 10 status di <Jegge» o «principio». Arendt, basando I'idea stessa di fondazione della Iiberta sui significati mutualmente esclusivi di archein, si appoggia all'interpretazione <<.tnetafisica» della nozione di inizio (l'autrice parla di <<principium e principio») al fme di <<salvare» l'altra interpretazione di inizio, che in netta opposizione a qualsiasi tipo di fondazione metafisica. In questi te-
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Miguel E. Vatter
fA /ondozione della libertd
sti Arendt ritoma a Platone e Polibio (che aveva criticato duramente fin da Vzta activa) per prendere a prestito la 10· ro nozione eli inizio come arch!!, cio che «govema ne! tern· PO» I'azione e che (ponendosi come fondazione) sottomet· te ogni azione futura bollandola come «supporto», «esecu· zione» 0 ne! migliore dei casi, come <
Storia e liberta
Iogica politica secondo la quale innovazione e rtpetlzzone coincidono ela Iogica della rivoluzione intesa come eventa, e non come istanza eli fondazione, non come costituzione eli una fOlIlla politica.
Nei paragrafo conclusivo eli La vtfa della mente, "L'abisso della liberta e il novus ordo saeclorum", Arendt ritoma sui problema della fondazione del!a,liberta, o.ss!a. sul fatto che la liberta, in quanta «spontanelta eli dare 1lUZ10 a qualcosa eli nuovo» puo essere anche liberta intesa come «realtit stabile, tangibile» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 531). Oral'a· poria e chiara: il problema eli fonda~e !a. liberta pu~ esse· re risolto solo se si ammette che un 1lUZ10 assoluto e pos· sibile e tuttavia ne la filosofia politica ne la mitologia po· litica 'sono in grado eli farlo. Per la prima postulare un ini· zio assoluto significa «pensare l'impensabile», mentre ne! caso della seconda, Ie leggende eli fondazione «inelicano il problema senza risolverlo» (ivi, p. 536). N~a nu~va let· tura arendtiana il mito politico della fondazlOne eli Roma smorza i toni sul problema dell'inizio, dimostrando che la <
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La fondazione della libertd
MIguel E. Vatler
tema tradizionale del fondare <
tomata. Essa citava l' antica Rama esattamente come la moda ci-
ta un abito eli altri tempi. La moda ha buon Iiuto per do che e arruale, dovunque esso si muova nel folto dei tempi lontani. Essa eiI balzo eli tigre nel passato. Solo che ha luogo in un' arena in cui comanda la classe dominante. La stesso saito, sotto il de10 libero della storia, e iI saito elialettico, e come tale Marx ha concepito la rivoluzione (Benjamin, 1997, tesi XIV, pp. 45-47).
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Vi eforse solo un testo, nell'intero corpus arendtiano, che ri£lette 10 spirito benjaminiano della nozione di ripetizione storica come luogo dell'evento rivoluzionario. Si tratta delI'ultimo capitolo di Sulfa rivoluzione, dove I' aporia soffocata del progetto di una constttutio llbertatls viene alia luce: Se la fondazione era 10 scopo e iI fine della rivoluzione, allora 10 spirito rivoluzionario non era piu semplicemente 10 spirito del· l'iniziare qualcosa eli nuovo, rna 10 spirito con cui si awia qual· cosa eli permanente e duraturo. E una istituzione durevole, che incarnasse questa spirito e 10 incoraggiasse a nuove imprese, avrebbe in se i germi della propria rovina» (Arendt, 1963e, trad. it. p. 268).
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Arendt e costretta ad ammettere che <<10 spirito rivoluzionario» non si puo identificare con, ne soprawivere in, «una istituzione durevole». . n riconoscimento della relazione antinornica che si instaura tra Iiberta e fondazione porta Arendt a riflettere sulla storicid della Iiberta: 10 «spirito rivoluzionario» si manifesta in una serie di eventi politici dai quali emergono «spazi di Iiberti!» extra-costituzionali (ivi, p. 306). Cia che colpisce I' autrice, e diviene poi il centro delle sue riflessioni, e che <
La fondazione della liberia Miguel E. Valier
scia al pensiero politico e i1 compito di pensare la libertil politica come evento, e non come fondament? <
cui perde, per sempre, la sua istanza fondativa: ecco per-
che questo inizio, questa evento e anche immediatamente una ripetizione, e si esplica come ereditil. Attraverso i1 titolo ("La tradizione rivoluzionaria e i1 suo tesoro perduto") e l'epigrafe di Rene Char «
Traduzione di Olivia Guaraldo
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L'azione "contro" il mondo. II sensa dell'acosmismo
L'azione "contra" il mondo. n sensa dell' acosmismo , di Etienne Tassin
1'azione, concetto centrale della vita activa, si sviluppa at· traverso una continua tensione con il mondo. Perche I' azione eambivalente: einizio del nuovo, da cui nasce un'autentica comunita politica, rna tende altresl a varcare ogni confine e rischia, per questo, di distruggere tutto cia che ha fatto nascere. Si eprestata scarsa attenzione a questa aspetto dell' analisi arendtiana. Pertanto, la chiarificazione fenomenologica della condizione umana deve cominciare con il neonoscere 11 paradosso costitutivo dell'agire: I' azione attraverso cui soltanto si istituisce un mondo comune tra gli uomini e anche cia che minaccia di distruggerlo. Questo paradosso peunette di comprendere l'acosmismo (worldlessness) della "nostra" epoca (che segue l'epoca moderna) e, paradossalrnente, del "nostro" mondo, nato, scrive Arendt, a seguito dell'esplosione della prima bomba atomica. Attraverse la chiarificazione di questa paradosso, Arendt arricchisce, modificandoli considerevolmente, i contributi della fenomenologia husserliana sul senso della Terra come «archi-originario», e dell'analitica heideggeriana sul carattere esistenziale dell'essere-nel-mondo. l'analisi arendtiana di Vita activa mette in evidenza un duplice acosmismo dell'azione, rintracciabile nelle due modalita di approccio alla condizione umana presenti nell'opera. 1'andamento della delucidazione della condizione umana e in effetti duplice: Arendt procede, da un lato, a un'analisi sistematica delle attivita e delle facolta legate alia condizione umana, che mira a coglierne Ie caratteristiche permanenti (quelle «che non possono andare irreparabilmente perdute finche la stessa condizione umana non sia cambiata») e, dall' altro lato, a un'analisi storica che, allo scopo di comprendere la natura della societa moderna, in136
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daga I'origine dell' «alienazione del mondo moderno, la sua duplice fuga dalla terra all'universo e dal mondo all'io>> (Arendt, 1958a, trad. it. p. 6). Una duplice prospettiva, dunque, che mira a cogliere da una parte quelli che si potrebbero defmire gli esistenziali delle attivita dell' uomo, e dall' altra la loro storicita. Prospettiva esistenziale da un lato, secondo un' analitica che non poggia sul Dasein heideggeriano, rna sulla vita activa; prospettiva epocale dall' altro, che, alia luce delle trasformazioni storiche del gioco delle condizioni umane, tenta di rendere conto dell' awento dell' epoca moderna e della situazione del mondo inaugurato con I'esplosione atomica. A questo duplice approccio alia condizione umana corrisponde, da una parte, cia che chiamero acosmismo eS/~ stenziale dell'azione, inscritto nella struttura stessa di qualunque agire, che d' altra parte peunette esso stesso di comprendere l'acosmismo epocale proprio del mondo moderno.' 1'acosmismo esistenziale dipende dal fatto che la condizione dell' agire e la pluralita, e non I' appartenenza-almondo (worldliness). 1'acosmismo epocale deriva dalla contaminazione dell'opera (poiesis) attraverso i trarti che sono propri dell'azione (praxis): imprevedibillta, irreversibillt", anonimato. 1'esame di questa doppio acosmismo dell'azione, colto attraverso I'analitica della condizione umana, presenta a sua volta una duplice posta in gioco. In primo luogo una posta in gioco di carattere fenomenologico (fondamentale per la chiarificazione dell' agire di concelto come modalita d'instaurazione di un mondo comune), dal momento che mette in risalto il conflitto tra I'apprutenenza-al-mondo e la pluralita, che sottende la differenza di ordine esistenziale tra I'operare (che crea un mondo di oggetti) e I'azione (che instaura un mondo di relazioni umane). 1'analisi arendtiana delle attivita mostra come l'appartenenza-al-mondo, condizione dell'opera, possa certo essere indifferente all'azione, mentre la pluralita, condizione dell' azione, possa rimanere - ---
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Per una giustificazione
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di questa approccio, mi pennetto di rin-
viare a Tassin, 1998.
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Etienne Tassin
L'azione /(contro" it mondo. If senso dell' acosmismo
in se stessa estranea al mondo. Oppure, in altri termini, che I'agire non ha come condizione l'essere-nel-mondo pili di quanta l'opera abbia come condizione la pluralita (al modo in cui posso fabbricare un mondo di oggetti senza relazioni c~n altri uo~, ugua!J.nente posso agire assieme a 10ro per distruggere il mondo di oggetti che e la dimora dell'uomo). In secondo luogo una posta in gioco politica (fondamentaIe per capire la cosiddetta epoca della tecnica che raggiunge un'estensione planetaria), poiche la questione della tecnica puo essere compresa, in definitiva, all'intemo della dimensione che soltanto puo conferirle senso: I'alterazione di ~ mo~~o com~e istituito politicamente da una pluralira di uorruru che aglscono. Se la dismisura <
l'azione umana e profondamente ambigua: inizia una serie di awenimenti, rivela un agente, apre un mondo (comune in ragione di tale apertura la quale fa sl che acceda a una visibilita condivisa), crea un legame tra gli individui a partire dall~ spazio d'apparenza che istituisc~ come luogo dell'agire di concerto. Ma cio che comincia in questa modo non conosce altresl fine: 10 sviluppo dell'azione sfugge all'agente cosl come all' agire stesso, il suo scopo non si re-alizza da se, essa non sembra possedere un tettnine definibile. l'azione sfugge a se stessa: ein-finita e il-limitata in virtU di una <
in epoca modema giunga a rafforzare la dismisura dell' azione e i suoi effetti distruttivi nei confronti del mondo, tale ambivalenza non eaccidentale ne semplicemente epocaIe: essa appattiene all'azione stessa, di cui rappresenta un tratto esistenziale in virtU delle sue condizioni, la pluralita e la natalita. Perche, se l'azione e inizio, quest'uItimo non e un archi: in esso non e compreso alcun fme, ne alcun percorso. Cio che comincia secondo la condizione della natalita non obbedisce a un principio, ne e esso stesso principio di alcunche. Nella nozione dell'inizio, come l'intende con estremo rigore Arendt, c'e !'idea di un sorgere che non affettna ne obbedisce ad alcun principio, di un nascere radicalmente an-archico. 1'inizio e propriamente un miracolo: una rottura di ogni ordine che non e nascita di un ordine nuovo. Perche cio che nasce non eun ordine secondo una natura essa stessa ordinata e gerarchizzata. DaIl'inizio non derivano che altri inizi, la possibilita e non la necessita di altri inizi. 1'ambivalenza dell'azione, in tal modo, equella dell'inizio stesso, che non e un <dondamento» rna un sorgere. Cio che inizia e radicalmente privo-d/~m/sura. E dal momento che la condizione dell'azione e la pluralitil, l'inizio stesso deve sempre essere inteso al plurale. Pensare I'azione e pensare una pluralitil irmumerevole di inizi anarchici e privi di misura. Niente e pili contrario e anche pili ostile a un pensiero suI mondo di un tale pensiero dell' azione! Certo, insiste Arendt, il mondo prodotto dall' operare e una dimora pili antica rispetto a qualsiasi generazione di esseri umani, ed e destinata a sopravviverle. Ma questa stesso mondo non e un mondo comune che in virtU dell'agire umano. 1'originalita e il rigore della sua analisi dell'azione sono tali che Arendt rifiuta di darsi in anticipo un mondo ordinato per accogliere I'azione e misurarla, 0 di minimizzare la dismisura distruttrice dell' azione, affmche l'instaurazione di un mondo comune resa possibile dall' agire non sia contraddetta dalle forze . che esso libera, a causa della propna fondamentale natalitil. Nessuna coerenza a priori garantlsce reciprocamente mondo e azione. Questo e il paradosso che Arendt ha messo in evidenza. IT mondo comune 139
L'azione "contro" if mondo. II sensa dell'acosmismo
Etienne Tassin
nasce dalle azioni degli uomini e Ie azioni possono distruggerlo. Le azioni umane richiedono un mondo piu stabile di se medesime per apparire e svi1uppare i propri effetti, rna I'agire minaccia tale stabilitil. n mondo, certo, non avrebbe nulla di umano e di comune senza Ie azioni, e l'azione non sarebbe null'altro che vana follia senza il suo iscriversi nel mondo. Ma il mondo comune non preesiste aile azioni che gli consentono di apparire, e tuttavia Ie azioni non preesistono purtuttavia al mondo che costituisce illoro luogo. Mondo e azione sono dunque impensabili separatamente, dal momento che non si intende con il termine mondo ne la sola realtil di una terra 0 di una physis, ne il semplice artificio delle cose prod otto da un processo di reificazione (una semplice opera), bensl cio che si instaura inter homines in virtu di un agire di concetto e di una parola plurale, e dal momenta che non si intende con il termine azione una semplice condotta strunlentale, finalizzata al perseguimento di uno scopo specifico, rna la modalitil attraverso cui una pluralitil di esseri creano un legame umano nel corso del dispiegamento di un mondo comune. Qui risiede la difficoltil: mondo e azione sono impensabili separatamente, e tuttavia non e garantita alcuna coerenza. Bisogna dunque cercare di determinare il modo in cui I'azione sviluppa la propria dismisura all'interno di un mondo che essa instaura come mondo comune e che minaccia al tempo stesso di distruggere, e in che maniera la dismisura esistenziale dell' azione incontri la sua dismisura epocale, in modo tale che il mondo moderno si rivela, paradossalmente, un mondo acosmico. In breve, in che modo I' azione instauratrice di un mondo si articoli conflittualmente con un mondo che rende acosmico. Perche a differenza del cosmo, ordinato, finalizzato e gerarchico, il mondo comune che inter homines est a seguito dell' azione non si lascia cogliere ne secondo un ordine, ne secondo una teleologia, ne secondo una gerarchia dell'Essere. Come potrebbe un mondo acosmico costituire una misura delle azioni umane?
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2.
n duplice acosmismo dell' azione
Bisogna esanlinare come la dismisura dell' azione si sviluppi e come definisca, per la nostra epoca, un mondo paradossalmente acosmico. L'azione presenta una duplice dismisura che produce due differenti figure dell' acosmismo: I' acosmismo epocale, manifesto nella dismisura poietica della tecnoscienza moderna, si lascia comprendere a pattire da un acosmismo esistenziale che e, invece, un tratto costitutivo della praxis.
I.:acosmismo epocale 0 la dismisura poietica Con il progetto di un dominio totale, sistematicamente organizzato e messo in opera dal sistema totalitario, l'umanitil moderna ha sperimentato una dismisura radicale elevata a politica e sviluppatasi contra il mondo, nella misura in cui si tratta di un mondo comune. Tra Ie opere umane, segnala Arendt, l'unico equivalente tecnico del terrore politico esercitato dai regimi totalitari e la distruzione totale che deriva dall'utilizzo della bomba atomica. Tale dismisura di opera e azione non e semplicemente quella di un oltrepassamento straordinario e, per cosl dire, eccezionaIe, sia dei limiti abitualmente imposti aile iniziative umane dalla fmitezza delle capacitil dell'uomo, sia dei confini tradizionalmente assegnati aile azioni in virtu di una preoccupazione etico-giuridica per I'umanitil: essa caratterizza I'epoca che si apre di fronte a noi e determina, di conseguenza, I' aspetto del mondo che essa ein grado di far accadere. Poiche I'illimitatezza dell'agire umano non si esprime soltanto nell'impresa di una «trasformazione delIa natura umana» attuata all'interno dei campi di concentramento, rna anche nel processo infmito delle scoperte tecnoscientifiche. n carattere epocale della dismisura delle azioni umane si scontra con il carattere esistenziale dell'appaltenenza al mondo (0 dell'essere-nel-mondo), messo in evidenza dalla fenomenologia, e che costituisce una delle condizioni dell'umano. Elevata a "politica", e generalizzata nel complesso delle imprese tecnoscientifiche, la 141
L'axione "contro ll il mondo. II senso dell'acosmismo
Etienne Tassin
dismisura tecr:opoietica dell'epoca moderna non puo qumdi che apme un mondo acosmico, a1trettanto radicalmente estraneo alla gradevole armonia del cosmo antico che alla cura heideggeriana di un abitare poetico. Mondo acosmzco m che. senso? ~el senso che non puo assolutamente essere IStltulto a rrusura dell'agire, che non offre a1cun quadro, a1cun orizzonte di senso, a1cun "raggio", a1c~a prospetuva.. a1cuna "dimensione" a cui agganciare Ie :Ul0m umane e 1 fenomeni naturali, in breve, un mondo madatto a costituire una dimora per i mortali. I.:acosmz~ smo eif froblema di u'!'epoca che non/a "mondo", un'epoca che SI apre davantl a nO! e sulla soglia della quale ab~lamo lasclato la cosiddetta epoca moderna, quella dell' alienazlOne dal mondo. . Arendt spiega infatti con insistenza come l'acosmismo SI~ il tr~tto detettninante della nostra epoca: tale perdita 0 alienazlone SI produce sui duplice livello della societa e delI~ scienz.a moderna. La societiI si comprende a pattire dalI alienaZ1~me ?a1 m<;nd~ (a favore della vita e del se), la saenza sllascla cogliere m un processo di alienazione dalla terra (~ fa~ore dell'universo e dei processi psichici).' La conq.U1Sta sunbolica del punto di Archimede, che permette . di agJre sulla terra «corne se disponessirno della natura terrestre dall'esterno» (Arendt, 1995e, trad. it. p. 96), produce un~ deterrestnalzzzazlOne tale che aI posto «dell' antica OppOSlZlone tra terra e cielo, abbiamo creato quella tra uomo e umven:o».!Arendt, 1958a, trad. it. p. 200). Non solo la terra non e plU aI centro del mondo ne l'uomo aI centro della te~ra~ ma.l'.ess~re-nel-mondo dei rnortali potrebbe svuota~1 di o~ slgnificato esistenziale. Se la conquista del10 spazlO reahzza tale cambiamento di misura, essa rende plauslbile, ,olt~eche la semplice relativizzazione della terra m seno all umverso, una <
taria rappresenterebbe <
, Arendt,1958a: prol~~o e capitolo VI, in particolare "La scoperta dd punto di Archim~de , t;ad. it. pp. 190·198; "La conquista della SpazlO e la statura dell uomo (1963), in Arendt, 1995e, [rad. it. pp. 7797; Arendt, 1969b, pp. 4-9, 24-26.
, Arendt, 1958a, trad. it. p. 9. I:articolo di Arendt su "La conquista dello spazio e la statura dell'uomo" (Arendt, 1995e) risponde alia domanda posta dai curatori di Great Ideas Today (1963), in vista di un simposio sullo spazio: ,
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L'azione "contra" il mondo. II sensa del/'acosmismo
Etienne Tassin
colo e cosl via. Questi poteri tecnopoietici, che operano come potenza sia distruttiva che creatrice, non sono in se stessi privi di misura. Essi non entrano all'interno del dispositivo della dismisura se non quando, separati da do che da senso alle azioni dell'uomo, si sviluppano in modo fine a se stesso: non tanto al di fuori di ogni controllo umano, quanta senza alcuno scopo rnondano, secondo un processo di sostituzione al (e del) mondo. Nel contesto epocale della modernita, dunque, la potenza tecno· cratica appare pill che mai come cio che distrugge I'appartenenza al mondo e si sviluppa come un rifiuto del mondo, in nome e con i mezzi della razionalita tecnopoietica a cui obbedisce l'universo. La dismisura tecnopoietica non puo che essere valutata in rapporto alla questione politica dell'istituzione (0 della destituzione) di un mondo comune. Perche Ie azioni uma· ne sono distruttive nella misura in cui non sono fmalizzate al mondo comune, che non puo che essere instaurato dal· 10 spazio pubblico della vita politica. Se nel dominio politico si istituisce liberamente Lilla condizione di pluralita, e qui, allura, che possono istituirsi il carattere mondano de· gli ,uomini e il carattere umano del mondo, in breve che puo nascere un senso comune.
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La politica essenzialmente questa ripresa, da parte degli uo· mini, che istituisce illoro essere eli questa mondo satta forma eli una responsabilita verso il mondo, ossia verso il sensa che vi si rivela. Tale responsabilita nei confronti del sensa, all'intemo del mondo, si rivela co·responsabilita; il mondo non puo ricon·
ciliarsi con il sen so, e divenire con do una dimora per l' uomo, che istituendosi come monda comune (Roviello, 1987, p. 7).
Che il mondo possa essere tale dimora comune esige un (
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dell'azione. Tuttavia, a causa dell'acosmismo che appa~ tiene all' azione, tale comprensione della misura non pn· va di ambiguita.
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I.:acosmismo esistenziale dell'azione Se Hannah Arendt ricorda che < (Arendt, 1958a, trad. it. p. 140), perche ha riconosciuto, grazie a un'analisi dell'azione politica che l'acosmismo non costituisce un carattere aCClden· tale'dell'agire, rna il suo tratto dist!ntivo. "Lbyb~s non corrisponde a una volonta di dorruruo. Lungl dall essere oggetto di un volere, la potenza il modo d' ess~re dell' ?yb~s ed illimitata. "L azione umana per essenza infUllta, dhmltata (boundlessness). lnfinita, in effetti, perch.: nulla al suo interno la stabilizza. AI contrario dell'operare, dell'insieme di attivitil umane rivolte alla produzione di una cosa e che si realizzano attraverso la reificazione del processo creativo o di fabbricazione, nulla pone termine all' azione. D~ ~o mento che agire non produrre, nel senso della distlnzlo· ne aristotelica tra praxis e poiesis, I'azione non termma fuori di se non trova come fa I'attivita di fabbricazione, una fine e ~ termine della propria attivita nell'esteriorita di un mondo cui aggiunge Ie proprie opere: "Lazione I' ~pera di se stessa si potrebbe sostenere, se Sl mtende con CIO il fatto che I:azione, non producendo null' altro che se stessa, nulla al di fuori di se, non giunge mai a compiersi come una cosa nel mondo. Ma in tal modo, do per cui essa sfugge alIa reificazione enel medesimo tempo cio per cui sfugge alIa fmitezza dell' opera: non producendo innanzitutto nulla di tangibile, 0 di mondano, che la compia, a~r~verso la coincidenza del termine cui giunge e del fine Cill rrurava, essa non conosce alcuna ragione mondana per cessare. E al modo in cui essa non ha di mira che se stessa in quanto
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L'azione "contro" it mondo. II sensa dell'acosmismo
Etienne Tassin
azione, e non una qualsiasi altra fine che si dia come scopo, al modo in cui essa non ha mai la pretesa di far corrispondere il proprio telos con un ergon altro dal proprio atto, I'azione non incontra in se stessa alcuna ragione prassica per terminare 0 per essere conclusa. La temporalita dell' azione, temporalita propriamente politica, a differenza della temporalita tecnica, non distingue mai il momenta della dynamis da quello dell' energeia: poiche, come abbiamo visto, la quasi-opera dell'azione, l'agire stesso, e contemporaneo della potenza e non la esaurisce durante la sua effettuazione, rna al contrario la rilancia, alIora I'azione si sviluppa secondo una temporalita di cui ne il ritmo, ne la «progresslOne», ne l'esito possono essere misurati. Essa possiede in tal modo il carattere dell'infinitezza: e assolutamente incommensurabzle. Nulla quindi sembra meno mondano di tale incommensurabilita che si lancia nel mondo senza curarsi di quest' ultimo, senza, apparentemente, tendere a esso come al proprio bene, alia propria ragion d'essere 0 alia propria condizione. 1'analisi arendtiana mette in evidenza (cosa che puc. facilmente passare inosservata) che l'appaltenenza al mondo non condiziona I' agire umano: non solo I'azione non produce alcunche nel mondo, rna essa non crea neppure un mondo ne si autoproduce come una cosa del mondo degli artefarti, degli oggerti e delle opere che I'attivita di fabbricazione erige in continuazione contro la frenesia divorante della vita. l'azione, nella sua dismisura costitutiva, ignora il mondo: essa rappresenta una minaccia terribile e permanente per quest' ultimo, pili grande ancora di quella che costituisce il flusso proliferante e ininterrotto del cicio della vita e della morte. Hannah Arendt ci invita cosl a riflettere su un paradosso del tutto sorprendente. l'azione, che Arendt riconosce come un potere di rivelazione del chi, d'istituzione di uno spazio di visibilita e di un legame tra individui agenti, si rivela altresl una potenza distrurtiva, che puc. condurre sia alia destituzione di ogni spazio comune che alia rottura dei legami tra gli uomini. 1'azione, grazie a cui accade un mondo inter homines, deve dunque essere pensata nella sua tendenza a fare esplodere tutto cic. che inter homines est, in modo tale 146
da distruggere sia il mondo che la comunita plurale. Qu~ sto paradosso si rafforza alIorche si .comprende che, tal.e disposizione, lungi dall' essere una disawen~ra d~ll azlone, ne costituisce un tratto fondamentale, lungl dall essere un fenomeno meramente epocale, e un tratto che si puc. definire esistenziale. Arnmettere che la condizione dell'azione non e il mondo, 0 I' appartenenza al mondo, rna la pluralita,. significa infarti indicare nella maniera pili chiara posslbile, che la condizione e~istenziale della pluralita non e una modalita dell' essere nel mondo e non estrutturalmente debitrice nei confronti di quest'ultimo, ragion per cui essa, assieme all'azione, puc. certamente levarsi contro il mondo. E~ettt vamente, la pluralita non possiede in se stessa alc~ Slgruficato mondano: non eun <
L'o1.ione "contro it mondo. II senso dell'ocosmismo ll
Etienne Tassin·
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che <<polemos comune» (Eraciito, Diels-Kranz 80), che I'agon regoli i rapporti sociali, il Mitdasein esige, al contrario, di biasimare una comunitit data che separa ciascun Dasein dal proprio essere. A condizione di non confondere la pluralita esistenziale dell'esistere umano con un «con-essere», non si confondera, di conseguenza, il syn-zen di una comunita plurale con I'essere-insieme di un Mtfdasein votato, in modo ineluttabile, all'anonima e inautentica quotidianita de! Si. La possibilitil di comprendere il carattere fondamentalmente acosmico di un agire che possiede il duplice carattere dell'imprevedibilita e dell'irreversibilita risiede, oltre che nel riconoscimento di questa pluralitil non mondana, ne! ptincipio della natalita. L acosmismo indissociabile dal miracolo dell' agire. Ma questa anche il motivo per cui alberga ne! cuore di ogni politica, come suo problema e sua sfida. Hannah Arendt ha messo in evidenza il paradosso per cui cio che costituisce I' attivita propria della vita politica, da cui derivano l'istituzione di uno spazio pubblico e l'instaurazione di un mondo comune, al tempo stesso cio che rappresenta una minaccia continua, strutturale, per tale ambito, per i legami che vi si aIlacciano, e per il mondo stesso. Bisogna tuttavia anche guardarsi dal confondere i due aspetti dell' acosmismo, esistenziale ed epocale, prassico e poietico. Se I' azione politica dimora di una essenziale dismisura prassica che la vota all'agon, tale illimitatezza (boundlessness) non ha nulla ache vedere con la dismisura poietica che affligge Ie imprese di dominio tecnoscientifico della materia 0 del vivente, 0 i regimi totalitari che non mirano all'istituzione di uno spazio pubblico e all'instaurazione di un mondo comune. Potrebbe . anche darsi (paradosso supremo, su cui Atendt ci invita a riflettere) che solo la dismisura prassica dell' azione sia suscettibile di bloccare la dismisura poietica, che solo I'acosmismo esistenziale ci renda capaci di agire contro I'acosmismo epocale.
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Lin/initezza dell'azione e l'instau/,azione di un mondo comune Dal momenta che I'azione puo al tempo stesso distruggere cio che fa nascere, essa richiede di essere rafforzata per mezzo di promesse, istituzioni, leggi. L azione richiede come sua condizione di perpetuazione l'istituzione di una comunita politica e l'instaurazione di un mondo comune. n mondo dunque al tempo stesso scopo e sostanziale limitazione delle attivitit umane, dal momenta che esso cio a cui tende I' agire politico, che da senso aile altre attivitil e che costituisce illimite delle loro iniziative. Solo I'attivita politica di tipo democratico, che inscrive I' azione nel quadro di una costante deliberazione delle modalita di istituzione e conselvazione di un mondo comune, puo affrontare I'acosmismo dell' azione. Si tratta di una questione politica, non tecnica 0 etica. Non si tratta di una questione tecnica perche [il control101 tecnoscientifico delle condizioni umane 0 [il controllol tecnopoietico della comunitil politica non hanno senso che all'interno della prospettiva dell'istituzione di un mondo comune a cui I'azione politica riporta la condizione umana. Non si tratta di una questione etica perche I'etica oppone la comunita umana al mondo anziche fmalizzarla a esso. Come illustra la storia di Billy Budd, la bonta non di questa mondo e non puo manifestarsi che contro di esso.' Esiste una dismisura della relazione etica che contraddice l'istituzione politica di un mondo comune. Solo la misura della legge politica conferisce all' obbligo etico una dimensione mondana. problema della dismisura tra azione e opera dunque politico e ogni politica degna di questa nome una cosmopolitica: essa ha il mondo come condizione e come orizzonte d'azione. Ma I'ambito politico non il tutto dell'atti-
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Melville. Billy Budd (serilto poco prima della morte di Melville, nel 1891. e pubblieato solamente nelI924). trad. it. di E. Montale. BIlly Budd. gabbiere di parrocchetto, Bompiani. Milano 1965. efr. Arendt, 1963e. trad. it. pp. 86·92. 4
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L'azione "control' if mondo. I! senso dell'acosmismo
vita umana: non e che una sfera, essa stessa limitata, nel contesto delle attivita e del mondo. «Nonostante la sua grandezza», tale sfera politica, scrive Arendt in conclusione di "Verita e politica", elimitata: Essa non comprende l'insieme dell'esistenza dell'uomo e del mondo. E limitata da quelle cose che gli uomini non possono cambiare a proprio piacimento. Ed e solo rispettando i suoi confini cbe questa ambito, dove siamo liberi di agire e di trasfonnare, puo rimanere intatto, preservando la sua integrita e mantenendo Ie sue promesse (Arendt, 1995e, trad. it. p. 76).
Se <
quintessenza (vitalita, mortalita, mondanita, natalita, plura· Iita e dunque Iiberta) non costituiscono che in modo precario i limiti che circoscrivono I' ambito delle attivita uma· ne e fissano i confini eli tutte Ie attivita poietiche e prassiche, di tutte Ie trasformazioni sia del mondo che del se. In un secondo senso, dunque, e necessario cogliere do che ha eli propriamente meta/orieo I'immagine planetaria: iI cosmo non designa infatti solamente la terra intesa in senso fisico, rna, in senso quasi husserliano, qualcosa eli simile a una archi-terra, un archi·originario. Solo, a differenza di Husser!, nella prospettiva arendtiana iI cosmo e meno la metafora eli un'origine, eli un arehe, eli quanta non sia fa me-
ta/ora del mondo umano, eostituito da parole e azioni di cui 10 spazio pubblico, istituito politicamente, costituisee fa seena di apparizione. . Che la terra sia la quintessenza della condizione umana e che I' azione sia la determinazione esistenziale pili alta della vita aetiva significa che iI cosmo un cosmo politico. cosmo e la metafora della elisposizione politica dei legami umani attraverso diffefenti comunita politiche, d. cui di· pendono I' accadere e iI dispiegarsi di un mondo comune. I limiti dell' azione, dunque, non sono unicamente quelli che costituiscono, imperfettamente (e occorrefebbe elire tern· paraneamente?), Ie condizioni a cui esottoposta I'umanita. Essi sono, pragmaticamente, cio che i1legame politico ein grado di tessere tfamite Ie parole e Ie .zioni. Nella prospettiva arendtiana, iI cosmo e dunque meno la metafora di un'armonia 0 di un archi-originario che non di un mondo umano costituito da parole e azioni di cui 10 spazio pubblica, politicamente istituito, forma la scena d' appafizione. n suala e iI cielo al cui interno si colloca I' azione umana non passiedono per I'uomo una realta cosmologica che in fa· gione eli un cosmo politico tessuto dai legami umani, dalla philia polittke, che raddoppia iI mondo cosmico, 10 ricopre di una rete eli relazioni.' La metafofa di cosmo, terra e cie·
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, Hannah Arendt si spiega chiaramente in un passo di Vila acllva dove partendo dalla rivelazione dell'agente nell'azione, esplicita la cli· mensione propriamente umana del mondo comune e finisce con il
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La1.ione IIcontro" if mondo. II senso defl'acosmismo Etienne Tassin
10, permette. di designare l'impalpabilita e l'intangibilita del mondo COStltwto da parole e azioni, la realta cosmopolitica d~ mondo comune che presuppone 10 spazio pubblico di cw Costltwsce, al tempo stesso, la ragion d' essere, mondo della ~ultur~ e delle is~tuzioni. che ricopre il mondo degli oggetu displegato tra gli uonuru attraverso la fabbricazione. n ~o~do umano .tessuto dall'azione e illimite sostanziale dell,'lZlone ~edesuna. Lumanitd cosmologica efa meta/ora
dell umantta cosmopolitica.
Ecco perche, in definitiva,la terra puo essere definita <
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gius~ifi,car:e il .~corso ,alla metafora per re;dere conto dell' elemento in-
~angtbil7 m ClO che mter homines est: <
puo dire che aIlo spazlO mondano, lnSleme con i suoi interessi si sov~ppone WlO sp~io r~azi~nale completamente diverse che ric~pre il p~ono, e che cons~ste di. a!u e, parole e cleve esdusivamente la sua origme al fatto che gIi uonuru agIscono e parlano direttamente gli uni ar,li alt~. Ques~o secondo s~aZ1o, ,0 ,~ra, S<;AActtivo, non e tangibile, poiche .non ~~{Qno ogg~ttl tanglbili m cw esso puo cristallizzarsi. I pro~esSI ddl aw:re e d,el dlscerso non possono lasciare dietro di se risultat1 0 prodottI fmali. Ma con tutta la sua intallgibilita, questa spazio e non rnenoreale del rnondo delle cose che abbiamo visibilmente in com~e, ~Ol chlanuamo questa rcalta "l'intreccio" delle relazioni lUTIane, ~~cando con tale metafora appunto Ia sua natura scarsamente tangtbile» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 133).
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stica, con la distruzione deliberata dello spazio pubblico e dunque del mondo comune. L'acosmismo non e un accidente della storia dell'umanitil, rna cio che essa fa accadere nella realizzazione stessa della propria umanita, come se quest'ultima non potesse compiersi che al prezzo della distruzione. 6 Ma in tal modo diventa manifesto come la lotta contro tutte Ie forme di acosmismo costituisca esattamente il senso politico dell' agire plurale. Niente limita dunque I' azione se non il suo principio e Ie sue virtU: la tessitura dei legami umani, l'intreccio delle relazioni umane attraverso \' azione politica,\' apertura di uno spazio d' apparenza e dunque di visibilita condivisa da cui pl'Oviene il mondo comune. I greci sostenevano che <<solo un costante dialogare univa i cittadini in una polis» (Arendt, 1968c, p. 24). ndialogo non euna discussione piu di quanta I' azione sia una fabbricazione 0 una produzione: ecio che istituisce un mondo nella sua realtil umana attraverso illegame che arricola tra gli uomini. «Questo scambio reciproco [".J si cura del mondo comune, che resta letteralmente "inumano" nella misura in cui gli uomini non discutono costantemente. Perche il mondo non e umano per il fatto di essere stato edificato dagli uomini, e non diventa umano perche vi risuona la voce umana, rna solo allorche e divenuto oggetto del discorso» (ivi, p. 24). Lespe-
rienza del mondo si rivela come fa proto-/ondavone dello spazio politico, che non e che a sua volta l'istituzione del mondo comune, fa /ondazione umana del mondo. Se il mon-
do ela ragion d' essere dello spazio pubblico, al tempo stesso la sua condizione, il suo principio e il suo limite, non 10 e dunque in ragione di un attaccamento arcaico e cosmologico aIla terra, rna in virtu di una comprensione cosmopolitica dello spazio pubblico,la sola a rendere ragione del valore e dei limiti dell' azione umana.
, Equesta iJ senso della citazione di Kafka in esergo al capitolo VI
di Vila aeliva: «Ha trovato iJ punto di Archimede, rna se ne e servito contro se stessOj evidentemente gli estato possibile trovarle solo a questa condizione» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 183).
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Questa e, alla fine, la risposta arendtiana: rivolgere il paradosso dell' azione contro quest' ultima. Dal momento che il problema e nell'azione, la soluzione e nell'azione, dal momen~o che ilproblema epolitico, la risposta epolitica. Se la p,?litlca posslede ancora un senso, per riprendere una questlone posta da Arendt, eproprio perche il mondo potrebbe non aveme pili, owerossia a causa della «proprieta dell' agire eli provocare processi il cui automatismo somiglia molto a quello .de! pro~essi naturali» (Arendt, 1993a, trad. it. p. 26). TUtlaVla, m raglOne della natalita, della potenza eli cominciare che definisce I' agire umano come liberta, e ragionevole pensare che <
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Per una comprensione dell' azione eli Jerome Kohn
.La liberta eil cardine del pensiero politico arendtiano. Per l'autrice la liberta non eun valore tra gli altri, ma la conelizione sine qua non della vita umana. AlIa fine del suo libro Sulfa rivoluzione, Arendt asserisce con Sofocle che una vita senza liberta non e degna di essere vissuta, proprio come per Socrate 10 era una vita non sottoposta a indagine filosofica (Arendt, 1963e, trad. it. pp. 325-326). Se non tutti, certamente molti dei suoi scritti possono essere considerati test intricati ed elaborati sui contenuto di liberta delle varie tematiche che andava analizzando, ivi comprese Ie differenze, storiche e non, tra i tipi eli vita che gli uomini conducono e Ie attivita che svolgono. AlI'inizio fu proprio la liberta (0 piuttosto la sua assenza) a catalizzare la sua attenzione. Per questo motivo il totalitarismo, caratterizzato costitutivamente dai fenomeni dellavoro servile e dei campi eli concentramento, daIIa totale negazione e distruzione della facoltil umana della liberta, e la manifestazione del male nel mondo, un male senza precedenti nella lunga storia dell'umanita. Per contro, l'esperienza pili completa e sviluppata della liberta risiede nell' azione, che, per Arendt, ecostituita da atti e discorsi, sia nell' accezione eli una azione raccontata sia come azione eliscorsiva (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 19-20). Puo darsi che Ie sue riflessioni sulI'agire libero colpiscano, in un modo 0 nell'altro, coloro che sono coscienti eli non aver mai avuto questa esperienza, di non sapere che cosa significhi agire. Cia che ein questione per Arendt einfatti l'attualtfd eli questa esperienza <
Per una comprensione dell'azione
Jerome Kohn
Dovrebbe essere sottolineato che quando Arendt afferrna «umanita e liberta coincidono» non sta parlando solo dell'azione, in quanto <Ja pura facolta dell'essere liberi, la capacita di cominciare, [e] animatrice e ispiratrice di tutte Ie cose grandi e belle» (ivi, p. 224). La straordinaria produzione letteraria nata in condizioni politiche ostili (non solo in questa secolo) puo portare a pensare che il proibire espressioni pubbliche in forma di discorso e di azione favorisca anche I' arte e la ftlosofia. Non e neppurevero che Arendt pensi 0 affermi che I'unico oggetto della politica e la liberta. Arendt, al contrario, sa che la liberta «solo raramente - in tempi di crisi e di rivoluzione - diviene il fine diretto dell'azione politica». Con cio intende dire che I'attivita spontanea in quanta tale dipende dall'azione nel senso specifico che solo I' azione e in grado di portare <
yo. Diverse sono Ie ragioni che motivano la scelta di questo esempio. In primo luogo il suo resoconto fornisce un chiaro esempio fenomenologico di cio che Arendt trova straordinario e unico nell'azione. Inoltre, nel lavoro di Char, e presente in maniera inaspettata il riferimento all'atienazione dal mondo, la graduale diminuzione, negli ultimi tre secoli, della "mondanita", a cui e corrisposta I'ascesa della soggettivita che ha dato vita a teorie dell' azione radicalmente diverse da quella arendtiana. Proprio perche Char e un poeta, che «articola Ie esperienze sollevandole a un grado di splendore che esula dall' ambito della riflessione concettuale» (ivi, p. 220), egli e in grado di esprimere il senso della liberta pur rendendosi consapevole della sua graduale perdita.
Nelle pagine seguenti propongo una lettura accurata di uno degli esempi, citati da Arendt, di agire politico: I'esperienza del poeta Rene Char, che combatte con la Resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale. Char tento di raccontare la sua esperienza di liberta in una lunga serie di aforismi composti durante il suo impegno atti-
Arendt afferma che per essere libera <J' azione deve esserlo tanto dal movente quanta dal fine dichiarato, il quaIe cioe non dev'esserne I'effetto prevedibile» (ivi, p. 203). In altri termini, cio che Arendt intende per azione non puo essere compreso in termini di intenzionalita, e non perche gli attori non siano animati da intenzioni, e nemrneno perche I' esito di qualsiasi azione non possa essere determinato a priori, rna perche I' azione e libera nella misura in cui trascende qualsiasi deteIlllinazione. E la sola attivita della vita activa che, intrapresa per se stessa, e gratuita, concepibile come fine-in-se. I.:azione, inoltre, e la . sola attivita che risulta inconcepibile al di fuori della pluralita umana, che Arendt descrive come la «gioia di abitare insieme con gli altri un mondo la cui realta e garantita per ciascuno dalla presenza di tutti» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 180). I.:affermazione di Arendt colpisce: «Senza ftducia nell'azione e nel discorso come modi di essere insierne, ne la realta del proprio se, cioe la propria identita, ne la realta del mondo che ci circonda possono essere preservate dal dubbio» (ivi, p. 153). Molto di cio che seguira esuggerito dall' opera di Char, rna la specifica relazione tra rnondo e azione, un mondo in cui I'immagine passeggera della liberta di agire possa durare e nel quale, come la Arendt stessa affeIlIla, possa essere realizzata «una co-
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sa che prima non esisteva»,' non emoderna. Prendero poi in considerazione la strana domanda (di Arendt stessa): dove si trovava quando pensava all'azione?
< in cui iI poeta «condenso iI significato» della sua esperienza durante la guerra.' La prefazione di Arendt, tratta della lacuna tra passato e futuro, e anch'essa complessa, molto densa, e a suo modo strana e sconcertante. Pili tardi I' autrice tratted di nuovo questi stessi temi nella conclusione del primo capitolo del suo ultimo lavoro, rimasto incompleto, La vita della mente (Arendt, 1978b). Nella prefazione, Arendt sembra leggere gli aforismi del poeta in sens~ letterale, come se provenissero dai margini (apo-honzein) dell' esistenza quotidiana, non tanto comuni, Arendt, 1961a, trad. it. p. 203. L'enfasi che Arendt attribuisce all'apparire della novita ein netto contrasto con Heidegger: <<1' essenza dell'agire [... j eUportare a compimento[. .. j dunque pui> essere portato a com pimento in sense proprio solo do che gia c» (Heidegger, 1995a, p. 31). Lo spazio dell'apparenza,~stanza cruciale del pensiero tedesco da Kant a Hegel, fino a Heidegger. econcepito in modo nuovo in questa filosofia momll1na dell'azione di Arendt. , "Premessa: la lacuna tra passato e futuro", in Arendt, 1961a, trad. it., pp. 25-39. Arendt usa 10 stesso aforisma in epigrafe al capitolo conc1usivo di Sulla n·vo/ul.ione, dove l'autrice tennina con una breve discussione in cui oppone alia versione di Char alcuni passaggi dell'Edipo a Colono di Sofode, a cui si alludeva all'inizio di questa articolo (dr. supra, nota 1). Arendt affenna che Ie riIlessioni di Char sono < cio che gli fu lasciato da qud «testamento», e doe «il monologo involontario [ ... J [ill piacere eli comparire in atti e in parole senza equivoci e senza au-
toriflessione che einsito nell'azione». E precisamente per questa visione essenzialrnente moJema e soggettivista della realta che l'esernpio eli Char e preso in considerazione in questa sede.
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cando rna rivelando una pili alta potenzialitil della vita umana aI di la di quegli stessi margini. Si tratta di una potenziaIita che, pur non essendo comunemente ricono~ciuta,. ne! mondo moderno si erivelata inafferrabile sia per iI penslero che per I' esperienza. Char approdo all' azione politica negli anni quaranta, nelle specifiche circostanze della guerra ill Francia. AlIa fine della Terza repubblica, nel periodo imroediatamente precedente la guerra, la vita pubblica 0 politica 10 interessava poco, e fu solo con I'occupazione nazista e iI conseguente collasso di quella vita pubblica, quando la politica era divenuta una scena in balia «del burartiname grottesco di furfanti e sciocchi», che egli scopri la sua «ereditil». Questa, infatti, si rivelo essere un <
Questi "com pagni d' anna", quasi inconsapevoli di co~a stava loro succedendo, si incontravano I'uno con I' a1tro ill. modo diretto, in modo totalmente indipendente rispetto at ruoli che loro stessi avevano sostenuto in precedenza, a volte in qualita di esclusi, all'interno della "societa" francese. Ruoli e distinzioni sociali, <Ja mediocre lastra girevole della vita» (ivi afor. 150), erano divenuti irrilevanti, e persino Ie loro vite'individuali, specialmente i1loro amore di se, risultavano privi di sostanza se confrontati con la ~uova uguaglianza.' Costoro, nel bel mezzo della lotta che lffipe'«Queste note non debbono niente all'amore di sel (Char, 1946, pagina introduttiva).
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gnava tutti indistintamente, apparivano gli uni agli a1tri come pari. Per questo Char parla di un uorno senza cultura teorica, rna cresciuto nelle difficolta, d'una
banta ferma aI bello stabile, la sua diagnosi impeccabile. n suo comportamento era fondato su stimolante audacia e saggezza [ ... JPortava i suoi quarantacinque anni verticalmente come un a1bero della liberta. La amavo senza effusione, senza vana pesantezza. Incrollabilmente (ivi, afar. 157). Char, iI poeta, esprime la sua gratitudine: Ringrazio la sorte d'aver concesso che i bracconieri di Provenza combattano dalla nostra parte. La memoria silvestre di quesri primirivi, la loro artitudine aI calcolo, i1lora fiuto fine can qualunque tempo: un cedimento da parte lora mi sorprenderebbe. Avro cura che vadano calzari da dei! (ivi, afot 79). Char capisce che i suoi compagni sono privi di ogni <
vita, frondista e . I:insinceritii 10 awelenava. Oggi ama, si spende, e impegnato, va nudo, provoca. Apprezzo molto questo a1chimista» (ivi, afor. 30 e 195). Ipnos (Char stesso), si sveglio e «divenne fuoco»: «Tra iI mondo della realta e me stesso», scrive, <<non c'e piu oggi spessore di tristezza» (ivi, afor. 188). <<1 rari momenti di liberta sono quelli durante i quali l'incanscio si fa conscio e iI conscio nulla (0 folie frutteto»> (ivi, afor. 170). .
n significato dell'impegno eli questi uomini, inoltre, andava «a1 di la della vittoria e della sconfitta»' e quindi non erano in questione Ie conseguenze. Essi non si aspettavano <<successo» e persino ascoltare una trasmissione incoraggiante da Londra «deprime» Char, perche «sveglia giusto giusto la nostalgia del soccorso» (ivi, afor. 51 e 75). Da questo punto di vista la loro esperienza era sostanzialmente diversa da quella dei milioni eli soldati regolari che erano stati mobilitati per combattere contro la tirannia con iI solo scopo eli schiacciare iI nemico. Essi, <' e non come rappresentanti di un governo ufficialmente riconosciuto, di un partito 0 eli un esercito, «volenti 0 nolentD> iniziarono a «costituire una sfera della vita pubblica» che era «fontano dagli occhi di amici e nemicD>. Imparando a calcolare <de situazioni in tertnini aritmeticD> la loro «riserva» era <
«D significato piu profondo dd compiere un atto 0 pronunciare
delle parole in pubblico eindipendente dalla vittoria a dalla sconfitta» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 151). 'Arendt, 1958a, trad. it. pp. 131-132. Arendt continua dicendo cosa «(awiene ogni volta che l' essere insieme degli uomini venga a man· care, quando cioe gli uomini sana solo per a contra gli aitri, come per esempio ndla condizione di guerra, in cui gli uomini entrano in azio· ne e usano la violenza alia scopo ill realizzare certi obiettivi per la pro·
pria parte e contra iI nemico [. .. JIn queste situazioni l'azione perde la qualita che Ie fa trascendere la mera attivita praduttiva [... J I:azione senza un nome, un "chi" che Ie sia annesso epriva di significato»,
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role 0 nei fatti», non semplicemente i1loro interesse rna iI reale interesse della Francia. < (ivi, afor. 186 e 189), e in seconda battuta da Arendt che, quasi due decenni dopo, racconto la sua versione di quell'esperienza attraverso Ie parole del poeta. Senza dubbio ne Ie immagini di Char ne iI racconto di Arendt, a dispetto dei sorprendenti punti di contatto, possono sostituirsi Ie une all' altro 0 tantomeno sovrapporsi.' Cio che si rivela paradossale eiI fatto che iI <. Nella premessa Arendt affettna che I' eredita non voluta si riferisce «alia mancanza di un nome» per quel tesoro. Ma non dice forse Char che esso aveva un nome e quel nome era proprio <? In un aforisma citato da Arendt Char si rende conto che coloro i quali sarebbero sopravvissuti alia cessazione delle ostilitil, avrebbero dovuto «rompere con I' aroma di questi anni essenziali L.. J silenziosamente respingere» i110ro <
la Iiberazione della Francia, per la quale questi «giustizieri» (ivi afor. 211 e 217) avevano combattuto, avrebbe dovuto ren'derli immemori di cio che avevano vissuto? Gli uomini della Resistenza non avevano forse fatto cio che avevano fatto al fine di Iiberare la Francia sia d~ traditori ~he dagli invasori, da quell'«esercito di fugglaschi con appeuu di dittatura» (ivi, afor. 20) e dai nazisti? Perche iI < (Arendt, 1963e, trad. it. pp. 155-156 n. 1) ma il punto in questione qui e diverso e pill importante. ~ questa contesto, sia Arendt che Char 10 sottolineano, la <
Ia dd suo ordine>, (Char, 1946, afor. 19). Persino «Nelle nostre tene· bre non c'e un posto per la Bellezza. Tutto il posto e per la Bellezza» (ivi, afor. 237).
Per Arendt e come se la sfera pubblica < smettessero di avere una funzione in assenza del nemico che Ie aveva fatte sorgere. I compagni di un tempo, se non venivano «respinti in quella che ora riconoscevano come I'irrilevanza banale» delle loro vite private, si dividevano in <~, impegnate aI massimo, e come sempre, nella «guerra di carta»
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• Le preoccupazioni liriche 0 poetiche eli Char, per esempio, sono evidenti in tutta la sua opera: <
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]eromeKohn
Per una comprensione dell'a1.ione
ddla politica (cosa che non aveva mai interessato Char). CIO <;he qui, colpisce e iI fatto che non e qudla perdita, la perdita di CIO che una volta aveva nome «Jelicita pubb/ica» in America e <
, nprimo Jei sagp di Tra passato e futuro (di cui la premess. qui di-
Scussa COstltUlsce 1mrroduzjone), "La tradizione e l'eta modema", pre~de in consi~erazione come gia net XIX seeolo Marx, Kierkegaard
it. pp. 115-116). Arendt non nega l'esistenza di processi storici e politici, rna semplicemente afferma che quando questi divengono «automatiCD> sono «altrettanto rovinosi [' .. l per la vita umana» quanto i processi naturali e biologici che conducono «dalla nascita aIla morte» (ivi, p. 224). Cia che veramente conta per Arendt e Char eil senso di libertd esperito ndl' azione, iI quale si afferma contro i processi automatici, qualcosa di «cosl strano» che e difficile da evocare: <,A tutti i pasti [' .. l invitiamo la liberta. n posto rimane vuoto rna iI piatto resta in tavola».'
, •, I
L'ultimo degli aforisrni di Char che Arendt cita «
e Nietzsche abhlano intravisto la necessita di sostituire modi traJjzionali di lettura della realta, tentando e fallendo in tale sostituzione.
• Char, 1946, trad. it. p. 131, citato da Arendt nella "Premessa", cit., p. 26.
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Per una comprensione dell'azione ]erameKahn
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to di vista della sua conclusione, 0 a1meno del suo com pimento preliminare, esso e compreso storicamente. Ossia I' evento viene inserito in un <<modello strutturale» storico (ivi, p. 118), de! quale I'umanita eil «soggetto», < e una perieolosa svalutazione della realta umana e politica.
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,1,
,I
Arendt considera la narrazione, che puo sembrare cosl poco scientifica, come una .diversa. modalita d? pe?s~re I' a~ zione e del rappresentarla m maruera che la liberta nsuoru in essa. Non sono stati i filosofi della politica, della morale, della storia, che hanno rivelato I'azione, rna i poeti epici come Omero, quelli drammatici come Sofocle, Sh~~peare e pili recentemente Bertolt Brecht, i ~uali hanno m:u~ato, ne! loro Jinguaggio e nelle loro trame, I ague di uonuru e donne. Ma Rene Char era solo un poeta, non un eplco. e nemmeno un drammaturgo, la qual cosa puo a1meno. H? parte spiegare perche il suo intento non fos~e quello della liberta evanescente di cui aveva fatto espenenza. In ultima ana1isi Char si appello aile menti pronte a «ere~ ditare e mettere in discussione» quella liberta. Ma quali menti sono oggi in grado di prestare attenzione 0 anche solo tendere I'orecchio a quell' appello? Eparte mtegrante de!la mia tesi la convinzione che Arendt capl e rispose aI problema della liberta in maniera adeguata (non solo grazie a Char, ne! quale pure ritrovo Ie stesse problem,atic~e affrontate con profondita), rna a1tresl importante e chiedersl se Arendt abbia preparato a1tre menti a fare a1trettanto.
ncaso di Rene Char ecomplesso non solo, 0 non princi-
palmente, perche eg/i era un poeta lirico. Char ~ra ~ttore e poeta, e, a1meno per quanto riguarda quesu afonsrru, era Ie due cose simultaneamente. Gli aforismi in quesuone erano stati scritti tra < (Arendt, 1961a, trad. it. p. 293, n. 1) in fretta (<
Proprio perche era la sua stessa esperienza che Char cer167
Per una comprensione dell'azione
Jerome Kahn
cava di ripetere nell'immaginazione (trasfonnarla in un'immagine, immaginarla non trasformandola in cio che non era, rna rivelando cio che di straordinario vi era in essa) egli era svantaggiato rispetto a Omero, che canto dopo secoli cio_ che er_a accaduto nella guerra di Troia, e anche rispetto agli auton drammatici menzionati prima, i quali si ponevano a una certa distanza dalle azioni roe riportavano. Per di pili, e questo vale per ogni attore, Char non possedeva una visuale da cui poter osservare I'intero campo d'azione nel quale lui stesso era impegnato. Se Achille fosse stato Ome1'0, cosl come Char era Char, allo stesso modo non avrebbe potuto cantare la sua storia. Non gli sarebbe mancato il dono della poesia, rna la distanza. Non avrebbe potuto cantare la sua ira perche non ne era separato: egli era la sua ira: La sua ira era, in veritiI in maniera indiretta, cio che 10 spmse a dar vita alla sua storia. Perche anche se egli conosceva il suo destino (come ci dice Omero),' non conosceva la sua stona. La realta si trova sempre davanti all' attore nel senso che questi agendo va verso il futuro, un futuro' che egli stesso (in quanto nessuno agisce mai da solo) non attualizza mai pienamente, di cui non si rende mai pienamente conto. Egli letteralmente non sa cosa sta facendo,lO e questa e il prezzo che paga per essere llbero. Se fosSe'a conoscenza delle conseguenze delle sue azioni non starebbe agendo, rna stal'ebbe contribuendo a costruire un "modello strutturale" storico. n "fine" (tefos) della sua attivita non si troverebbe nelt azione stessa e la sua esperienza di liberta sarebbe illusoria. La grande importanza di Rene Char nel presente contesto e costituita dal fatto che, pur non essendo egli in grado di "dare un nome a" 0 di produrre un'immagine della sua "verita", rimase tuttavia inequivocabilmente fedele alla sua esperienza. Si tratta, in realta, delle due facce di una stessa med~glia. Proprio rimanendo fedele all a sua esperienza, I' espenenza di un attore in una sfera pubblica nascosta, Char
scopn il (, e, contemporaneamente, esSl srrusero eli rappresentare una «ossessione» per lui. Anche la s?TIpike contemplazione di un'immagine roe un tempo gli sarebbe «parsa bella», ora gli appariva come «devastata [.. ,] immaginazione». (
• NelI'episodio in cui Achille i: con la madre Teri dopo la morte di Patrodo (Iliade, XVIll, 78-126). ' .. Cfr. Arendt, 1958a, trad. it. pp. 172, 176,181.
«1'azione non solo eintimamente connessa con la parte dd mondo comune a noi tutti, rna ela sola anivita che 10 costituisca [, .. J uno spazio pubblico [ ... Jnon potrebbe sopravvivere al momento dell'azione e dd discoflio>,(Arendt, 1958a, trad. it. p. 145).
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II
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Per una comprensione dell'azione
pratica de! rome pensare», che i saggi stessi sono «esercitazioni» di pensiero politico i quali non <
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In un seminario tenuto ne!1967 Arendt distingue tra diversi concetti di tempo: greco, romano, ebraico, cristiano e hegeliano." Prende poi in considerazione
passato infinito e un futuro ~to~>. Poi improvvisamente suggerisce che queste due ?ireZlOnl. «po~s~,?o essere mvercite». npresente sarebbe
.l
Egli ha due awersari; il primo 10 incalza aile spalle, dall' origine, il secondo gli taglia la strada davanti. Egli combatte con entrambi. Veramente, il primo 10 SOCCOITe nella lotta col secondo perche vuole spingerlo avanti, e altrettanto 10 soccorre il secon: do nella lotta col primo perche 10 spinge inelietro. Questo pero solo in teoria, per0e ~on. ci s~no soltanto i due ~wers~n ~a an· che lui stesso; e chi puo dire eli conoscere Ie sue mtenzlOlll. Certo, sarebbe il suo sogno uscire una vulta, in un mome~to non QSSelVato - evero che per questa ci vuole una notte billa come non estata mai - dalla linea eli combattimento, e per la sua esperienza nella latta essere nominata arbitro dei suoi avversari, che combattono tra lora.
Arendt collega la parabola di Kafka all' esperienza di Char quando afferma che iI prim,;, <
" H. Arendt, "Hegel Seminar - Chicago 1967", Library of Con· gress, Washington (fondo Arendt).
" Cfr. supra, n. 5 di questo cap. Cio che segue si riferisce a questo ultimo capitola della parte IV dellibro, "Dove siamo quando penSlamol", Arendt, 1978b, trad. it. pp. 291-312.
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e una speculazione sui concetto di tempo. Ora scopriamo
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che si tratta di una detellllinazione temporale del pensare e, pill precisamente, della «percezione temporale» intema dell'io che pensa, nel suo ritrarsi dal mondo delle apparenze nell' attivita riflessiva. Questa sensazione, tuttavia, non proviene dal <<non-visibile» 0 universale su cui si pensa rna dalla mera attivitii del pensare in quanta tale. L':<Egli» di Kafka e I'io che pensa, e la sensazione che «egli» ha di «se stesso» equella di essere impegnato m una lotta che una pura esperienza spirituale. puro passato e il futuro, entrambi ugualmente privi di contenuto (I' «Egli» di Kafka 0 io che pensa enettamente distinto dal «qualcuno» 0 io empirico) sono resi «ugualmente presentD> alia mente come due < si trova «tra» Ie due forze ed esolo il suo inserimento nel «continuum temporale [... J la corrente ininterrotta del puro mutamento» che fa scontrare Ie due forze contro di lui. «[TIJ tempo quale noi 10 conosciamo», passato, presente e futuro, e dovuto alia «presenza delI'uomo», una creatura con un inizio e una fine, il cui arco vitale limitato, la cui durata, e in grado di interrompere il puro scorrere del tempo una volta che e giunto a compimento ed e stato raccontato come storia (Arendt, 1958a, trad. it. p. 69). Cio che pero e difficile da afferrare a proposito del «campo di battaglia» dell' <<EgID> kafkiano, eche l'esperienza e solo di «egID> che si trova nell' «adesso», ossia nella presenza del pensiero. L'io che pensa in quanto tale difende la «sua» presenza lottando sia contro il passato, esperito come cio che 10 spinge verso il «non ancora», sia contro il futuro, esperito come una forza che 10 rimanda nel «non pilD>. Proprio in quanto «egID> si trova in mezzo, si apre la lacuna tra passato e futuro. Ma, ancora una volta, qui si tratta di un'esperienza mentale, I'opposto dell'esperienza ordinaria, nella quale niente epill <
e
n
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ne, secondo Arendt, <<non [ .. .] al tempo stesso, rna alia continuitii. delle nostre occupazioni e delle nostre attivitii nel mondo». Ma «egJi,>, I'io che pensa, e in un <<non-Iuogo», senza un passato ne un futuro, senza una storia, e per questa ragione <, il tempo minaccia costantemente «quella quiete immobile in cui la mente eattiva senza far nulla». Per questa I'«egID> di Kafka sogna un <<momento inosservato» in una notte buia «come non estata maD>, nella quale «egJi,> possa «uscire [ ... J dalla linea di combattirnento» una volta per tutte, contemplare e agire come «arbitro dei suoi awersari che combattono tra loro». Per Arendt, tuttavia, si tratta di un sogno futile, non solo perche equivale all'«antico sogno della metafisica occidentale [.. .] di una regione senza tempo, di un' etema presenza», rna anche, e pill precisamente, perch" e solo la «sua» presenza in lotta che de£lette il corso del tempo «dalla sua posizione originaria 0 [ ... J dalla sua non-direzione ultima, quali che fossero». <<EgID> non e semplicemente un «oggetto passivo [ ... J rna un guerriero che difende la propria presenza, definendo cosl cio che altrimenti potrebbe restargli indifferente come "suo" awel'sario». Senza di <
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sere, per Arendt, Ia <
"'--~"'
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" Dalla frase di Karl Jaspers in epigrafe alla prima edizione di Le origini ,kllolalilartsmo.
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passato non semplicemente sublto rna giudicato e di un futuro non solo voluto rna anche asserito. Da questa stessa esperienza sorse la narrazione politica di Arendt, la sua abilita di immaginare gli eventi dai diversi punti di vista degli attori, di svelare la lzbertd come il vero significato dell' agire, e di giudicare la contingenza del mondo umano in modo imparziale. Per Arendt il «contrario della necessitil non e la contingenza L.. J rna la liberta,> (Arendt, 1978b, trad. it. p. 145) e, in opposizione a quasi tutta la tradizione della moderna fllosofia soggettivistica, l' autrice afferma che liberta non equivale a comprendere la necessitd. Una tale concezione della liberta e inerente alia fllosofia moderna, ed esicuramente per questa che Arendt rifiuto la . Non solo ogni nuova generazione, rna «ogni essere 175
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wnano, non appena acquisti coscienza di trovarsi inserito tra un passato e un futuro infiniti, deve riscoprire e tracciare faticosamente ex novo la via del cammino del pensiero». Quella coscienza non e, per Arendt, la coscienza di un soggetto (sub-iectum) che sottende rutte Ie esperienze, rna la coscienza di essere nel luogo in cui Ie forze del passato e quelle del fururo si scontrano, la coscienza di dare inizio a una nuova forza che, pur essendo sullo stesso piano, eequidistante da entrambe Ie a1tre. n tempo ecio di cui gli esseri wnani sono costituiti? La frase di sant'Agostino, che risuona come un leitmotiv in rurta I' opera di Arendt, pare suggerire una risposta affermativa: <
e
n
Traduzione di Olivia Guaraldo
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Identitil e differenza di Bonnie Honig
La vita della mente, di Hannah Arendt, eun Iibro provocatorio e sorprendente. E provocatorio perche mette in discussione buona parte delle teorie tradizionali sull' attivita del pensare e sulle esperienze mentali dei singoli. E sorprendente perch
,J. Yarborough e P. Stem fanno notare brevemente che la riveduta fonnulazione della volonti! in La vita della mente presenta importanti innovazioni nella tcoria arendtiana della liberd, in quanta in quest' o~ pera <Ja liberta politic.,> " per la prima volta affiancata dalla <Jiberta della Volont"'>. Si veda Yarborough, Stem, 1981. R. Beiner, in un saggio sui giudizio, distingue due diverse accezioni della volonta in Arendt, una precedente e una sllccessiva, rna non fomisce un'analisi sui motivi del cambiamento. Beiner si limita a segnalare una sola differenza tra Ie due fonnulazioni,la Slessa fatta notare da Yarborough e Stern. A proposito della prima accezione Beiner sostiene: «L' aziane. rna non la volonta, e considerata libera [00.] Nella fonnulazione successiva [00.] per contro, [la] volonta [ ,,]liber.,>. Beiner, ruttavia, mette in questione la posizione di Yarborough eStern, sOSlenendo che Arendt. in questa contesto. intende la <
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Identita e di//erenza
Bonnie Honig
breve resoconto della nozione arendtiana di volonta e poi prendero in considerazione una delle suddette critiche, nella speranza di dimostrare che Ia fonnulazione della volonta nel capitolo "Volere" e il concetto di "io" su cui si fonda sono intimamente coerenti e conseguenti alle precedenti posizioni arendtiane su azione e identitil. Nei suoi scritti precedenti Arendt non si preoccupa della vita interiore dell'io, anche perch.:' ritiene inaffidabile Ia conoscenza dell'interiorita. A questa <
libera nella misura in cui e in grado di trascenderli» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 203). Nella sfera pubblica vi sono antidoti universali ed eterni a questi moventi essenzialmente /initi. <<1 principi» ci ispirano «dall' esterno» all' azione, diversamente dai moventi che ci condizionano dall'interno. n principio, pero, «si manifesta appieno» nel mondo degli uomini solo quando questi agiscono in accordo con esso. I principi, inoltre, sono <
lere", afferma che l'io de La vita della mente e framrnentato e «incoerente». Si veda Jacobitti, 1988, pp. 53-76. Nel saggla che segue cer· cheri> di rib_ttere dettagliatamente aile critiche masse daJacabitti ad Arendt, e anche aile critiche formulate da]. Glenn Gray, a sua volta attratto dal carattere framrnentato dell'io cost come emerge da La vita della mente. La sua preoccupazione, tuttavia, non e dovuta all'incoerenza di questa frammentazione, rna al fano che essa offre pochissima sicurezza cantro il male (p. 240). Inaltre, Gray si preaccupa del fatta che Arendt. aderenda aIla contingenza, Iegittimi Ia mancanza di sensa (p. 233). Si veda Glenn Gray, 1979b, pp. 225·244.
Secondo questa prima spiegazione, derivata principalmente da rra passato e futuro, Ia facolta della volonta non si distingue molto da attributi psicologici quali i moventi e Ie intenzioni, rna con divide con essi due importanti caratteristiche: il suo ambito operativo e1'interiorita, ed e determinativa. Di conseguenza l'azione «e libera nella misura in cui e in grado di trascendere», non solo <, rna anche il determinismo della volonta (ivi, p. 203). n successivo interesse di Arendt per Ia vita della mente non rappresenta un cambiamento del suo arteggiamento del tutto indifferente nei confronti della vita interiOl'e del1'io. Arendt fu sollecitata a occuparsi di questa argomento perch.:' riteneva indispensabile che fosse trattato da qualcuno contrario all' assioma «cio che edentro di noi, Ia nostra "vita interiore", epill inerente a quello che "siamo" di cio che appare all'esterno» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 111). Arendt dedico un volume alla facolta del volere in quanto divenne c!Uciale per il suo progetto elaborare una teoria della volonta che potesse servire come alternativa alla concezione filosofica tradizionale, una concezione che si adeguasse meglio a una teoria che favorisce l' azione e il mondo delle apparenze. In La vita della mente, Arendt riafferrna con vigore Ia coincidenza dell'io psicologico con l'io
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---!dentita e dl//erenza
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biologico. La vita della mente ecostituita da tre facolea spirituali, pensare, volere, giudicare, ognuna delle quali contribuisce, a suo modo, all' esecuzione 0 alia significativita dell'azione. Ma Arendt eprudente riguardo alIe facolta spirituali perche, a suo avviso, <
spettiva edi importanza secondaria. In entrambe Ie versioni la volond eimperativa, la sua «attivita essenziale» consiste nel «potere di dettare, di comandare» (Arendt, 1961, trad. it. p. 204).' In nessuna delle due fOlIlluiazioni la volonta e propriamente <Jibera», in quanta «il potere di comandare ... non e questione di liberd, rna di forza 0 debolezza.» (ivi, p. 204).' In Tra passato e futuro Arendt ritorna spesso sulla coincidenza di azione e liberta: «Gli uomini "sono"liberi [... J nel momento in cui agiscono: ne prima ne dopo: "essere" liberi e agire sono la stessa cosa» (ivi, p. 205). In La vita della mente Arendt rimane fedele a questa formulazione, sostenendo che la liberta non e ne un attributo, ne un prodotto della volond. La volond di La vita della mente, defmita come <.' rende possibile I' azione, e dunque la liberta, mettendo in atto un «coup d' etab> ai danni di quegli aspetti determinativi dell'io che ci impediscono di entrare nella sfera pubblica. Le preoccupazioni legate ai bisogni biologici vengono dissipate dalla volonta, Ie motivazioni personali, gli scopi e Ie intenzioni sono spazzati via, Ie facolta spirituali del pensare, del giudicare e persino del volere sono ridotte al silenzio. Qui, come in altri luoghi, la concezione arendtiana della vita interiore si collega con la sua teoria politica. Cosl come la liberazione dalla necessita predispone la scena per la constltutio libertatis nel mondo politico, la liberazione dalla dimensione privata dell'io operata dal coup d'etat delIa volonta rende possibile I'apparire del se agente, la cui azione rende la liberta manifesta nel mondo umano.' Ma, in senso rigorosamente arendtiano, la liberta non ene libe'Cli:. anche Arendt, 1978b, trad. it. pp. 246-247, 372-373. , Arendt, criticando Kant, fa notare 'da stranezza dell'inelividuare il rifugio della liberta in una f_colta dello spirito precipuamente direrta a imporre e comandare» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 195). 'Cfr., per esempio, Arendt, 1978b, trad. it. p. 430. 'Cfr. Arendt, 1978b, trad. it. p. 531 e Arendt, 1963e, pp. 156-157. Vale la pena eli sottolineare, a questo proposito, che la similitudine usa· ta da Arendt per descrivere l'attivita della volonta, il coup d'etat, (,<secondo la felice espressione eli BergsoID>, Arendt, 1978b, trad. it. p. 421) e anch'essa trana dallessico politico.
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Identita e di/lerenza
ra ne vincolata.' E non vi ecoincidenza tra liberazione e liberta, tra volere e agire. Tra ognuna delle due coppie vi e uno iato determinato dalla contingenza: per un momento . tutto e- mcerto. Questa incertezza eiI prezzo da pagare per la liberta.' E, nonostante Arendt si renda conto che iI prezzo eo alto,' non In La vita della mente Arendt occasionalmente usa il termine «vo10nta.libera», rna e importante essere chiari su cosa lei intenda (0 non intenda) con esso. A volte, come fa notare Ronald Beiner, Arendt intende il fatto che 1a volonta e autonoma, non determinata da altre facolta e libera dai dettami de,"intelletto al quale era invece soggetta nelIe precedenti formulazioni (dr. nota 1, supra). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si tratta di qua'cosa di piu fondamentale di una semplice negligenza semantica. SiCL ramente Yarborough eStern hanno ragione quando fanno notare che, secondo Arendt, Ia <, sbagliano ne! ravvisare in questo un nuovo sviluppo presente nell'ultimo Iavoro di Arendt, in quanto, gia in Tra panato e futuro, Arendt afferrna: «Nd suo rapporto con la politica, la liberta. non e un fenomeno della volont"') (Arendt, 1961a, trad. it. p. 203). Che cosa Arendt qui intende, diviene chiaro in La vita delid mente quando distingue Ia <
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10 considera al eli la delle nostre possibilita. Instancabilmente critica coloro i quali, impreparati 0 incapaci eli pagame iI prezzo, ricollocano la liberta dal mondo contingente alia dimensione interiore, attribuendola alia volonta. ( e la «fonte dell' azione». Qui iI volere eo una condizione necessaria dell'azione che pero non interferisce con essa, in quanto la volonta non si rivolge all' azione rna alI'io per conto dell'azione. Proprio per questo l'attivita del volere termina prima che l' azione inizi. In rra passato e futuro, tuttavia, la volonta eo al servizio dell'intelletto, non eo autonoma e funziona in modo meno preciso. Ll non la volonta, bensi l'intelletto (ma colto come desiderabile» un «fine futuro». I:intelletto poi si rivolge alia volonta perche essa faccia cio che non eo in potere dell'intelletto: «comandare l'azione» (ivi, p. 203). n volere, quineli, econdizione necessaria dell'agire, rna, proprio perche la volonta detta l' azione, l' azione eo libera solo nella misura in cui non eo «Sottoposta [.. .] ai dettami della volonta» (ivi, p. • Cfr. anche Arendt, 1978b, trad. it. p. 531.
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!dentitii e dtflerenza
204).10 Secondo questa fOllllulazione i catalizzatori non determinativi dell'azione devono essere i principi che ci ispirano dall' estemo e che non sembrano correlati ne alla volonta ne a qualsiasi altra facolta spirituale. Ma l'ispirazione che ci viene dai principi non basta a farci abbandonare la sfera privata. E necessario anche il coraggio, perche «il coraggio libera gli uomini dalla preoccupazione per la loro vita in ordine alla liberta del mondo» (ivi, p. 209). Tuttavia in La vita della mente non si fa menzione ne del coraggio ne dei principi." La volonta agisce come un catalizzatore e gli oggetti-pensiero «de-sensibilizzati» forniti dal pensare ne sono il contenuto. Questi oggetti eli pensiero ricordano in qualche modo i «principi» della prima Arendt: entrambi sono universali, etemi e generali. La volonta eli La vita della mente, eliversamente da quella eli Tra passato e futuro, si autogenera e da luogo a una attivita limitata nel tempo, che non determina I' azione. Secondo Arendt nessun volere si compie come fine a se stesso, pago di trovare il
proprio adempimento nell'atto stesso di volere [... J ogni volizione guarda davanti a se in vista del proprio fine, dal momento cioe in cui voler.qualcosa si sara convertito nel far-qualcosa. In altre parole, 10 stato emotivo normale dell'io che vuole e l'impazienza,l'agitazione e la cura [SorgeJ, [... J perche i1 progetto della volonta presuppone un Io-posso di cui non esiste nessuna
garanzia. I:inquietudine ansiosa della volonta puo essere placata solo dail'Io-posso-e-faccio, cioe daila cessazione della propria artivita e daila liberazione della mente daila presa di tale attivita (Asendt, 1978b, trad. it. pp. 351-352)." La volonta libera I'io, tra Ie altre cose, dailefacoltil spirituali, indusa se stessa, funge da antecedente 0 condizione dell' agire senza contarninare 0 determinare Ie conseguenze, preservando novita, spontaneitil e impreveelibilita dell'azione." n modo migliore per capire il mutamento della visione arendtiana e per rintracciare elementi della fOIlIlulazione pili tarda negli scritti precedenti e rifarsi a due pensatori che Arendt cita in entrambe Ie versioni: Agostino e Kant. In Tra passato e futuro Arendt adotta la visione eli Agostino: la volonta e elivisa e autoelistruttiva. Arendt parla eli una «presenza simultanea eli un "io voglio" e eli un "io non voglio"» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 212). Fin qui tutto rimane inalterato in La vita della mente, dove ogni artivita spiriA questa proposito einteressante norare che, in ultima analisi, l'a~ zione, a differenza della valonta, non riguarda un "Io·posso" rna un "Noi·possiamo" in quanto l'azione. secondo Arendt, awiene sempre in concerto: <
.utentico dell'azione» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 528).
In tutti i suoi scritti Arendt e irremovibile suI fatto che I' azione possiede come caratteristiche fonc.lamentali la novita e l'imprevedibiIJ
10
Questo spostamento della posizione di Arendt riguardo la vo·
Ionta coincide con la diversa visione del giudizio, come spiega Ronald
Beiner. Facendo notare che in rra pasralo e futuro
me libero L.. J non subordinato ail'intelletto» (Beiner, 1980, p. 127), Beiner sosciene che nell' ultima opera di Arendt <
tivita e situato esclusivamente nella vita della mente piuttosto che venire assegnato a W1a posizione piu equivoca» (ivi, p. 130). " Come mi ha suggerito Richard Flathman, la prima caratterizza· zione arendtiana dd coraggio come condizione necessaria per l' azione e problematica perche il coraggio e W1a disposizione e Ie disposizioni, secondo Arendt, non possono essere condizioni dell' wone. Obiezjoni di questa tipo possono aver portato Arendt a rivedere la sua posizione e assegnare alla volonta in La vita della mente la funzione precedentemente attribuita al coraggio congiunto ai prindpi.
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lita. Cruciale per Ia teoria arendtiana dell' azione e che I. volonta cessi prima che I'azione inizi perche, secondo Arendt, tutti gli antecedenti
hanna qualita causale. «Un potere d'iniziare qualcosa di realmente nUQVO non potrebbe essere preceduto da tale potenzialita: in tal caso quest'ultima figurerebbe come una delle cause dell'ano compiuto»
(Arendt, 1978b, trad. it. p. 342; dr. p. 430). Di qui l'importanza del rio Vlsit.to coup d'etat della volonta, che vanillca ogni possibile precedente dell'azione e assicura che I' azione sia W1 «inizio» caratterizzato,
come tutti gli inizi, da «sorpresa iniziale» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 129). Da qui, inoltre, l'importanza dell'autonomia dell. volonta. Alla domanda «che cosa mette in mote la volonta?» Arendt risponde con Agostino: «"0 la volonta eessa stessa la propria causa 0 non euna volonta"» perche a dena di Arendt stessa <Ja volonta eun fatto, che ndla sua pura fattualita contingente non puc, spiegarsi in termini di cau-
salita,) (Arendt, 1978b, trad. it. pp. 407 -8). 185
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tuale e«riflessiva», si ripiega «su se stessa». Questa riflessivita, tuttavia, e piu forte nell'<<.io che vuole», dove I'<Jo-voglio provoca inevitabilmente il contraccolpo eli una volonta negativa». Nel conilitto tra volere e non volere il vincitore non sconfigge mai completamente l'awersario. «Sussiste tuttavia questa resistenza interiore» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 384). Ora pero Arendt considera questa posizione incompleta, e critica Agostino per non essersi spinto oltre. Agostino avrebbe dovuto fare in modo che il suo precetto «ogni uomo, creato come una singolarita, eun nu~vo inizio in virtu della sua stessa nascita», informasse anche la sua concezione della volonta. Se cosl avesse fatto, affelma Arendt, «avrebbe defmito gli uomini non, aI modo dei Greci, come "mortali", bensi come "natali", avrebbe definito la liberta della Volonta non come ltberum arbitrium L.. J rna come la liberta eli cui parla Kant L.. J la liberta eli una spontaneiti!» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 430). In Tra passato e futuro, tuttavia, Arendt stessa non aveva ancora tratto queste conclusioni. In quella sede, seguendo Kant, parla eli una <
Questa fondamentale aderenza si fonda su un particolare concetto dell'io che per la prima volta viene espresso articolatamente nel capitolo "Volere" e che viene messo in eliscussione da uno dei primi commentatori arendtiani che si sia interessato a quel volume." Nel saggio Hannah Arendt and the Will, Suzanne Jacobitti sostiene che I'io arendtiano e<<.incoerente» e che gli e1ementi della teoria arendtiana che I'<
J
Cfr. Arendt, 1951a, trad. it. p. 648: «La liberta in quanto intima capacita umana si identifica can la capacita d.i cominciare».
Jacobitti ela prima a esaminare il capitola "Volere" come un con~buto a1lateoria arendtiana dell'azione e del se. I brevi commenti eli ~ o~al~ Be-,;?cr SU, "Volere" avvengono all'interno eli un saggio su BGIUJlcare.' AIm, come Yarborough eStern ed Elizabeth Youngruehllo dlscutono solo brevernente, all'interno di una discussione gnerale s~ La VIta del'" mente ,
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dell'identita pili tradizionali considerano gIi e!ementi fondanti l'identitit personale. 18 Questo io e re!ativamente pago eli se nella sfera privata, eriluttante ad abbandonarla perche eterrorizzato dal mettere a rischio la sua vita biologica. Tuttavia, a volte, ispirato da un principio e sostenuto dal coraggio, questa io privato entra nella sfera pubblica e attraverso I'azione rinasce a nuova vita. «Con la parola e con I' agire ci inseriamo ne! mondo umano, e questa inserimento e come una seconda nascita» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 128). La metafora de!la seconda nascita, presente in tutta I'opera arendtiana, e legata al fatto che la nostra «capacita stessa eli cominciamento ha Ie sue raelici nella nata/ita» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 546)." Proprio perche noi, in quanta "novita", siamo apparsi in un mondo che esisteva prima eli noi, possiamo, in questa stesso mondo, dar vita a qualcosa eli nu~vo. La nostra rinascita, pero, epossibile solo se viene reciso il cordone ombe!icale che ci tiene legati all' esistenza biologica e psicologica. ---_. 18 Nel modemo dibattito sull'identidl l'affennazione secondo la quale Ie caratteristiche psicologiche del se non hanno nulla a che fare con la sua identita, e che infatti oscurano l'identitii e ostacolano i1 se nel tentativo eli atteneme una, non trova alcun sastenitare, Tutte Ie pani in questa dibattito, sia che si rifacciano a Hume 0 Locke oppure a Descartes, cansiJerano Ie caratteristiche psicolagiche del se in qualche modo inerenti all'iJentita personale. L'unico argamento di disaccordo il grado di significato che attribuiscono a queste caratteristi· che. Cfr., per esempio, Parfit, 1984 e Williams, 1973. 1'1 La Jescrizione dell' attore come <<11ato a nuova vita» etipica del tono cristiano presente nella retorica arendtiana ogni volta che e in gio· co la nastra «capacita eli cominciamento». Arendt descrive «i1 fatto della nascita» come «il miracolo che preserva il mondo» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 182), oppure: <<1.0 scopo della creazione dell'uomo fu di rendere possibile un inizio» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 546). La retorica ill Arendt eprobabilmente intluenzata dalla convinzione che storicamente liberta e «conversione religios3» siano correlate. «LW1go tuUa la storia della grande filosofia, dai presocratici a Plotino, ultimo filosofo ciassico, manca qualsiasi interesse per la liberta, il cui primo apparire nella nostra traJizione filosofica sgorga da una conversione religiosa, prima di Paolo e poi ill Agostino» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 196. Cfr. Arendt, 1978b, trad. it. p. 318).
Secondo Arendt, quineli, l'identitil, come la liberta, non e data: dev'essere conquistata attraverso I'azione. FinchI' non agiamo, siamo coscienti solo eli «che cosa» siamo. Che cosa siamo e determinato dai ruoli che assumiamo nella vita privata, dalle nostre «qualita e capacira, i L.. l talenti, i L.. l difetti, che [possiamol esporre 0 tenere nascostj,>. Attraverso azione e eliscorso «gli uomini mostrano chi sono, rive!ano attivamente l'unicita della 10ro identita personale, e fanno coslla loro apparizione ne! mondo umano». Ma la rive!azione eli «chi» noi siamo non puo awenire intenzionalmente. Essa «quasi mai e realizzata da un proposito intenzionale, come se si possedesse questa "chi" e si potesse elispome alIo stesso modo in cui si possiedono Ie sue qualitil e si puo elispome. AI contrario e pili che probabile che il "chi", che appare in modo cosl chiaro e inconfonelibile agli occhi degli altri, rimanga nascosto alia persona stessa» (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 130-131). Quineli siamo sostanzialmente incapaci eli determinare noi stessi 0 Ie nostre azioni consapevolmente. Nella visione di Arendt, pero, questa incapacita eli controllare Ie azioni non e dovuta solamente alI'incapacita eli padroneggiarsi. L azione accade nella sfera pubblica, dove viene a trovarsi in un <. Di conseguenza <. Si e nella condizione eli «non riuscire a disfare cia che si efatto anche se non si sapeva, e non si poteva sapere, cosa si stesse facendo» (ivi, p. 175). Lunica via d'uscita da questa aporia, sostiene Arendt, e il perdono, «per consentire alia vita eli proseguire prosciogliendo gli uomini da cia che hanno fatto inconsape-
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voImente» (ivi, p. 177).'" Jacobitti sostiene che <' (Arendt, 1958a, trad. it. p.l75). Arendt affenna che (Nietzsche, 1979a, I, p. 14). Coloro che sono rcalmente forti, secondo Nietzsche, non hanno bisogno ne di perdono ne eli castigo. <
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Arendt arriva persino a congratularsi con Kant per aver avuto < (Arendt, 1958a, trad. it. p. 182; efr. Arendt, 1978b, trad. it. p. 546).
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sua natura interrompere cio che ecomunemente accettato e irrompere nello straordinario, dove non trova pili applicazione cio che evero nella vita comune e quotidiana, perche in tale dimensione ogni cosa esistente e unica e sui generis (ivi, p.151)." Secondo Arendt I'azione ha due «precetti moraID>: il perdono e la promessa. Entrambi servono a «contrastare gli enottni rischi dell'azione» (ivi, p. 181). La promessa ci permette di «gettare nell'oceano dell'incertezza, quale e il futuro per defmizione, isole di sicurezza senza Ie quali nemmenD la continuitit, per non parlare di una durata di qualsiasi genere, sarebbe possibile nelle relazioni tra gli uomini» (ivi, p. 175)." Jacobitti, dunque, ha ragione nel sostenere che, secondo Arendt, la promessa <." Jacobitti, pur con I'intenzione di consolidare questa aspetto della concezione arendtiana, in verita 10 sowerte "perfezionando" il concetto arendtiano di io e trasformandolo in un 2~
Confronta Nietzsche: «Pericle dice ai suoi Ateniesi, in quella famosa orazione funebre. "la nostra audacia si e aperta lUla strada per ogni terra e per ogni mare, erigendosi dovunque monumenti imperituri. nel bene e nel male"» (Nietzsche, 1979a. I. p. 11). Nietzsche sottolinea con approvazione: «Questa .. audacia" delle razze nobili, folle, assurda. improvvisa. il modo in cui si manifesta, l'imprevedibilita e l'improbabilita stessa delle sue imprese [.. .] la loro indifferenza e il disprezzo la sicurezza. il corpo, la vita. Ie comodita,> (Ibid.). Questo . contiene molti dementi decisivi per la concezione arendtiana il disinteresse per Ie comoJita e la sicurezza. la glorificazione delle prestazioni spontanee e sorprendenti, la convinzione che la gloria dell' azione sia indipendente dalla sua bonta. v Si veda ancora Nietzsche: <<.Allevare un animale che possa fare delle promesse - non i: proprio questo il compito paraJossale che la natura si e imposta nei confronti dell'uomo? [...] Non e questo, in realta. il vero problema dell'uomo?» (Nietzsche, 1979a, II, p. 1). Nietzsche, nel secondo saggio della Genealogia critica il processo attraverso cui questa «problema» e state risoho storicamente. Arendt semhra aver tentato di risolvere questa problema fomendo una visione della • • • • promessa a suo avviso menD coerCltlva, menD eslgente e meno cruenta rispetto alla pratica storica verso cui Nietzsche ecos1 critico. "Jacobitti, 1988. il capitolo condusivo.
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«concetto di io forte», che possiede <Ja continuita e la capacita di cui il concetto arendtiano dell' azione ha bisognO».27 Nella versione riveduta e corretta cheJacobitti propone, la promessa non e pili la fonte della «stabilita nel mondo degli affari umani». Questa caratteristica puo ora essere attribuita alia concezione modificata dell'io, che Jacobitti valorizza come l'unica fonte di stabilita. La promessa non «dissolve» pili, nemmeno < (ivi, p. 180)." " Ibid. 28
nmodo in cui Jacohitti tratta il concetto arendtiano di promessa
esintomatico del modo in cui la sua lettura di Arendt venga compli-
cata dalla convinzione che ogni teoria dell' azione debba postulare un agente "coerente". Oltretutto, presupponendo che questa convinzione sia condivisa, Jacobitti indebolisce la sua critica ad Arendt. Per esempio, anche se J acobitti crede che I'afferrnazione di Arendt per cui «gli altri ci giudicherarmo in base a come noi appariremo loro e che in ~uesto senso solo gli altri possono sapere "chi" noi siamo, sia un tema Il!1portante e valido presente nella maggior parte del pensiero arendtlano precedente», insiste che questa <
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L'uomo non puc fare affidamento su se stesso in parte percl1t~ non si puc conoscere mai completamente. L'assunto epistemologico per cui Ia conoscenza di se non e raggiungibile diviene ora istanza normativa. Le teorie dell'azione che postulano un agente in grado di auto-determinarsi, un soggetto coerente proprio perche in una certa misura si conosce, impongono all'io una ingiustificata coerenza. Queste teorie, quindi, negano al se Ia possibilita di cercarsi una coerenza appropriata, un'identitit ottenibile attraverso Ia realizzazione di azioni degne di essere trasformate in storie. Inoltre esse minacciano Ia contingenza del mondo umano individuando nel soggetto coerente una fonte di stabilita. Arendt conviene sui fatto che gli esseri umani non possono vivere in un mondo completamente contingente, e si rende conto della necessita di trovare fonti di stabilita. Ma I'autrice con insistenza afferma che Ia promessa e una fonte di stabilita per il mondo umano perche Ia <
La caratterizzazione dell' autonomia come forma di autodominio, scaturisce dal concetto che Arendt per Ia prima volta esprime compiutamente in La vita della mente, secondo cui vi e «differenza nell'identitit» (Arendt, 1978b, trad. it. p. 282). La nozione di io cosl come eespressa in La vita della mente euna pluralita Ie cui parti, in assenza di un ordine gerarchico, spesso sono in lotta tra loro. Anche in questo caso, la visione arendtiana della vita interiore rispecchia la sua teoria politica. In Vita activa, Arendt afferrna che Ia pluralita, la quale <
e che. eliversa·
prevale la paura de! male. Che cos'e il male? Tre generi di cose: il ca· so, l'incertezza, l'improvviso [... J [maJ e possibile una situazione in cui ci si sente sicuri. si crede alla legge e alla calcolabilita, in cui la coscienza e sazia oitre misura e il gusto del caso. dell'incerto e dell'irnprovviso prorompe come un prurito» (Nietzsche, 1995, p. 1019). JO Anche Nietzsche critica l'autonomia perche richiede un control10 del se troppo ampio_ Egli sostiene che «"autonomo" cd "etieo" sono tennini che si escludono a vicenda» (Nietzsche, 1979a, D, p. 2) e obietta «che in fondo que! mondo [!' eticaJ non si emai piiI liberato di un certo qual odore di sangue e di tottura [... J anche ne! vecchio Kant: l'imperativo categorico sa di crude!t;"> (Nietzsche, 1979a, II, p. 6). . JJ Aneora una volta una posizione analoga a questa e rintraeciabile nella teoria politica di Arendt: «ll pericolo e il vantaggio inerente a lUt-
mente da quelli ehe si fondano sulla sDvranita, lasciano sussistere rim· prevedibilita delle faccende urnane e l'inattendibilita degli uomini [... J Se Ie promesse perdono anche illoro carattere di isole precarie di eertezza in un oee-ano eli incertezza. si dissolve illoro potere vincolante e l'edificio si sgretola» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 180). E, ancora una volta, Arendt fa eeo a Nietzsche: «Un ordinamento giuridico pensato COme sovrano e generale, non come mezzo nella lona tra complessi eli potenza, rna come mezzo contro ogni lotta in genere L.. J sarebbe un principio ostile alla vita, una ,,:-alta che distrugge e dissolve l'uomo, un attentato al futuro dell'uomo, un segno di stanchezza. un cammino tOttuoso verso il nulla» (Nietzsche, 1979a, D, p. 11). " Cfr. Arendt 1978b, trad. it. p. 528: «La libert' politica e possibiIe solo nella sfera della plurahta urnana». Proprio perche Arendt concepisce la differenza come un postulato della politica, diffida della compassione nella sfera pubblica, perche la compassione. secondo lei, eliminala distanza tra Ie persone, e questo «infra» eessenziale per la vita politica. In questo si avvicina a Kant, per il quale il rispetto, espressione del riconoseimento della elistanza che separa ciaselU10 eli noi dagli a1tri, e l'atteggiamento piiI proprio alla sfera politica. In Vita activa il debito di Arendt verso Kant emolto evidente. «ll rispetto [: .. ] euna specie di "amicizia" senza intimita e senza vicinanza; e un nguardo per la persona dalla distanza che 10 spazio de! mondo mette tra noi, e questo riguardo e indipendente dalle quahta che possiamo atnmirare» (ivi, p. 179).
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portera inevitabilmente ad «abolire la sfera pubblica stessa» e al «dominio arbitrario di tutti gli altrD> oppure allo «scambio del mondo reale con uno immaginario in cui gli altri non esistono». Arendt, dunque, critica quei filosofi che, quando si trovano di fronte alla <
parenze quale edato all' uomo come dimora tra una pluralita di cose, costituiscono anche Ie condizioni stesse per reSlstenza del~ rio men tale dell'uomo: tale io non esiste realmente che nella dualita (Arendt, 1978b, trad. it. p. 282J. H
Arendt continua ad argomentare: «Questa dualita originana, per inciso, spiega la ricerca di identita oggi c~si di moda» (ibid.)." In altre parole, quando penslamo mettlamo in mota questa «due-in-uno» del pensiero, rendendo presente questa «dualiti! originaria», e quindi vanificando la nostra pretesa di un'identita che sia originariamente una. Arendt, pero, e convinta che l'identita sia consegwbile, da qui il suo insistere sui fatto che . Proprio perche, secondo Arendt, l'unico momento in cui non siamo soli con noi stessi e quindi dispensati dal pensare e quando agiamo nella sfera pubblica. Arendt sembra qui ribadire la sua posizione: l'identita eun prodotto dell' azione. Jacobitti suggerisce che, durante l'azione,
"Jacobitti, 1988, il capitolo "Arendt's Concept of the Self" e il capitolo condusivo.
" Cfr. anche Arendt, 1963e, p. 109: '
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L'attualizzazione specificamente umana della coscienza come dialogo di pensiero fra me e me stesso suggerisce che differenza e a1terita, Ie caratteristiche COS1 salienti del mondo delle ap-
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te cessa di essere cosciente di se stesso come essere pensante, in quanto cessa di essere «consapevole delle facolta della mente e della loro riflessivita solo finche dura la loro attivitID). Esse spariscono non appena
puo far apparire la cosa satta una luce diversa [... J la moralit' popolare separa la forza dalle manifestazioni della forza, come se aI di I. del fane esistesse un sostrato differente, il quale sarebbe Iibero di manifestare a no la forza. Ma un tale sostrata non esiste, non esiste nessun "essere" dietro il fare,l'agire, il eIi-
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"Jacobitti, 1988, il capitola candusiva. 198
venire: "colui che fa" esolo un accessorio inventato dal fare - il fare etutto (Nietzsche, 1979a, I, p. 13). Arendt e d' accordo con Nietzsche: non vi e alcuna essenza del soggetto, alcuna unita data che attende di essere scoperta 0 realizzata. «Non c'e "essere" dietro l'agin5). E, come Nietzsche, Arendt e convinta che dovremmo assumere un atteggiamento artistico verso la nostra stessa molteplicita. Secondo Arendt agire e la nostra arte e l'identita e il compenso per una performance virtuosistica." Secondo la visione di Arendt, l'io multiplo non abbandona mai la sfera privata. Nella sfera pubblica vi esolo l'azione, in quanto li <
non si offre alla percezione dei sensi, e tale invisibile nel visibile " Su come Nietzsche vede I'approccio alla molteplicit•. dr. 1995, pp. 912. 928, 966, 1049. 1050 e 1979b pp. 299, 355 e soprattutto 290. "Jacobitti.1988. il capitola "Arendt's Coricept of the Sell". 199
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resterebbe per serupre ignoto se non ci fossero spettatori che 10 eontemplassero, l' arnrnirassero, rettifieassero i raeeonti e Ii volgessero in parole (Arendt, 1978b, trad. it. p. 220."
J acobitti suggerisce che la nozione arendtiana di agire Iibero sia minacciata dalla stessa pretesa fOllnulata da Arendt secondo cui l'attore <.'1 Ma questa aspetto ein accordo con la critica di Arendt allegame tra autonomia e Iiberta." Che l'azione risulti comprensibile per gIi spettatori non e una qualificazione della liberta dell'azione, rna una condizione della sua significativita e intelligibilita." Arendt, in tutte Ie sue opere, ritiene che il significato dell' azione venga esaUllto dalla sua forza rivelatrice. E ,
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tore, rna questi non e mai «autore 0 produttore». La sua storia e la sua identitil sono di proprieta della comunitil, in quanta ,J'essenza di chi qualcuno e.> non puo essere «reificata» da lui stesso. Questo sembra essere in accordo con una visione dell'io come molteplicita, una visione che privilegia l'azione sull' attore, che insiste sull'identitil come prodotto, non condizione, dell' azione, che rifiuta di identificare la liberta con I' autonomia, che fomisce agli spettatori un punto di vista privilegiato da cui I'azione puo essere testimoniata completamente, che assegna loro il compito di immortalare l'evento trasfollllandolo in una storia. Questi aspetti, pur controversi, della prospettiva arendtiana, sono, a mio avviso, pili vitali, potenti e fondamentaIi aII'interno di tale prospettiva, di quelli cheJacobitti vuoIe salvare. Questi elementi, assieme ad altre basilari caratteristiche del pensiero arendtiano, non sopravvivono alia revisione di Jacobitti, che implica la nozione di un se pili forte, pili permanente e capace di autodeterminarsi. La metafora della seconda nascita mette chiaramente in evidenza come la distinzione operata da Arendt tra pubblico e privato postuli un io discontinuo. La revisione di J acobitti mette a repentaglio questa discontinuita sollevando la volonta dalla sua funzione di «organo della spontaneita». Secondo questa versione riveduta, la volonta si Iimita a «rispecchiare» il «carattere dell'io»," in quanto I'identitil e concepita come data e non come qualcosa che puo essere ottenuto in alternativa. Rafforzare I'io va a scapito sia delIa contingenza del mondo umano, cosl valorizzata da Arendt, sia della possibilita di introdurre nel mondo la novita. Le azioni intraprese da un io che e a capo di tutte Ie sue facoltil possono sl fallire, rna non sarebbero imprevedibili nel senso arendtiano del termine. Inoltre, insistendo su un soggetto fOite in grado di controllare se stesso e Ie proprie azioni, si dovd insistere anche sulla responsabilizzazione verso Ie azioni stesse. L'unicita dell'azione, un aspetto decisivo della posizione arendtiana, viene quindi .. }acobitti, 1988, il capitolo conclusivo.
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compromessa dal fatto che e passibile di giudizio morale, che vengono ristabiliti il primato del soggetto e una sorta di linearid interiore. La provocazione maggiore alia revisione di J acobitti viene dalla perspicace caratterizzazione arendtiana dell'autonomia come dominio di se. Questa idea di auto-governo, secondo Arendt, distrugge la pluraIita interiore e la differenza, che sono condizioni dell'azione alia stessa stregua della pluralita e della differenza nel mondo umano delle apparenze.
In conclusione, dunque, Ie critiche di Jacobitti ad Arendt portano inevitabilmente a questa denuncia grave e problematica: Arendt, nel tentativo di salvarlo, ha condannato I'agire umano in quanta tale. Di conseguenza e impossibile per J acobitti «costruire con profitto» a partire dagli elementi del corpus arendtiano. In verita, proprio perche in nessun luogo Arendt" auspica una revisione della nozione
A sostegno della sua tesi per cui «si possono trovare accenni a [Wl concetto forte dell'] io in Arenot e che, in realta, 11 volte lei stessa cerca eli svlluppare», Jacobitti cita la caratterizzazione eli Arendt della «persona corne "chi" che si rivela durante una vita di azioru e discorsi, un "chi" che econosciuto meglio dagli altri che non da se stesso. reo roe eli una storia eli vita, che eanche qualcosa eli piiI eli specifiche azio· ni e parole» (Jacobitti, 1988, il capitolo conclusivo). Ma comeJacobit. ti fa notare, questa eun «chi [... J conosciuto meglio dagli altri che non oa se stesso». Secondo Arendt, quindi, questa «chi» puo essere il soggt:tto di una «biografiID>, rna mai di una autpbiografia. Questo «chi» non eun «io che si autaJetenninID>, rna un io la cui storia (e quindi l'identita) e in mani altrui. Se questa io e «anche qualcosa ill piu di speciHche azioni e parole», e perche estato trasformato <
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di io che 10 trasformi in un soggetto in grado di autodeterminarsi, e proprio perche una revisione di questo tipo comporta molti pili problemi di quanti ne possa risolvere, c'e
tolo "Arendt's Concept of the Self'). Jacobitti attribuisce molta importanza all'espressione (' (Arendt, 1978b, trad. it. p. 523). ,, (ivi, p. 522). Si veda anche, a questo proposito, la critica eli Arendt aJ.S. Mill e al suo rifarsi a quello che lei chiama ,do durevole>, (ivi, pp. 415-416). Questa lettura esostenuta da lUl passaggio nd capitolo "Pensare" che chiaramente si riferisce al passaggio appena citato. Dopo aver delineato il percorso che intende seguire nd tracciare una storia della volonta, Arendt afferma: «Allo stesso tempo intendo seguire quell' evoluzione parallela della storia della Volont. secondo cui la volizione e la capacita interiore grazie alla quale gli uomini deciJono "chi" saranno, can quali fattezze desiderano mostrarsi nel rnondo delle apparenze. In altre parole, la volonta, che ha a che fare non con oggetti, rna con progetti, crea in un cefto senso la persona che puo essere biasimata 0 10data. comunque ritenuta responsabile non delle sue azioni soltanto, rna di tutto il suo "Essere", dd suo carattere. Le concezioru maooste ed esistenzialiste, che giuocano un ruolo tanto notevole nd pensiero del XX secolo e pretendono che ['uomo sia il produttore e l'artefice eli se stesso, riposano su tali esperienze, anche se e palese che nessuno si e"fatto" da solo 0 ha "prodotto" ]a propria esistenza; si tratta. credo, dell'u1tima delle fallacie rnetafisiche» (ivi, pp. 309-310). Basandosi esdusivamente sulla seconda frase di questa passaggio, Jacobitti afterrna che Arendt «segue la tradizione sostenendo che proprio perche la volonta equella facolra grazie alia quale siarno liberi e agiarno, in virtU di essa dobbiarno essere ritenuci responsabili e moralmente consapevoJi" (Jacobitti, 1988, il capitolo "Arendt's Concept of the Will"). Secondo la mia lettura. invece, Arendt non caldeggia questa posizione. anzi la contrasta can decisione.
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bisogIlO di rifo~ulare i termini della discussione. Nel saggIO di J~CObIttl sono presenti in nuce gli elementi per un lunge ~ unportante dibattito sui temi del se, dell'identita e dell'azlone. In questa dibartito, pero,Jacobitti deve figurare come I'awersario di Arendt, non come il suo alIeato.
Note arendtiane sulla caverna eli Platone di Adriana Cavarero
Traduzione di Olivia Guaraldo
C'I: un affresco di Vasari 1 che allude obliquamente alia ca-
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vema di Platone. Un uomo sta seduto nello spazio che si apre tra la fiamma di un braciere, che arde alIe sue spalle, e la parete di fronte, su cui si proietta la sua ombra. l'affresea si chiama r:invenvone del disegno: l'uomo I: un artista, e segue con la matita il profllo dell' ombra tracciandone la figura sulla parete. n meccanismo della proiezione gli consente di fungere, al contempo, da soggetto e oggetto della propria rappresentazione. Egli produce e riproduce la propria inImagine. Fissa sulla parete il profllo di un'ombra che edestinata presto a sparire: qualora, per esempio, egli si alzi, si volti e lasci la stanza. La situazione nella caverna platonica eovviamente molto pili complessa. Gli uomini seduti sono molti e sono tutti prigionieri. Legati in modo che non possano muovere neppure la testa, come sottolinea acutamente Hannah Arendt, essi sono costretti a una sola attivid: il vedere. AIle loro spalle c'l: un muretto dietro al quale passano altri uomini che si muovono in flla e portano sulle spalle delle statuette, simulacri. Dietro ancora c'l: un fuoco acceso, la cui luce proietta Ie ombre dei simulacri sul fondo della caverna. Catturati in un meccanismo rappresentativo di cui nulla sanno, i prigionieri vedono ombre mobili sulla parete della caverna che sta 101'0 di fronte. Vedono I'ombra dei simulacri e la propria. Quel che I: certo I: che essi sono spettatori coatti, non artisti. l' artista I: Platone. E meglio dido subito: si tratta di un artista particolarmente duttile e alquanto ambiguo. Narratore di miti e pittore di costituzioni (persino poeta, a quanta pare) egli ar.--~.--------------~
, G. Vasari, L'z'lVenzione del dzsegno, Casa Vasari, Firenze.
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Adriana Cavarero
Note arendtiane sulla caverna di Platone
gomenta a dovizia la sua condanna di narratori, pittori e poeti. Li accusa, notoriamente, di non essere dei tecnici bensi degli illusionisti: meri creatori di immagini. Con tutta evidenza, la narrazione della caverna rientra pero tra Ie creazioni pili fantastiche di quest' arte. Anticipando di parecchi secoli il narcisismo artistico esemplificato da Vasari, nel racconto della caverna Platone rappresenta soprattutto se stesso: il filosofo. n prigioniero che si scioglie dai lacci e lascia il mondo delle ombre per salire al mondo luminoso delle idee eappunto il filosofo. Con un rivolgimento di tutta I' anima, la celebre periagoge tes psyches, egli volta Ie spalle al regno delle apparenze e raggtunge quel regno delle vere essenze che e sempre stato la sua patria, che esempre stato illuogo dalla cui prospettiva, attraverso la voce di Socrate, Platone racconta. Questo nota artilicio da ventriloquo fmi~ce per confondere, qui pili che altrove, la trama della storia. Per alcuni versi, il protagonista del racconto e esplicitamente Socrateo Per altri versi, assai pili convincenti anche se nascosti, e invece Platone. Nella sua trama essenziale, il racconto si presenta come una sorta di autobiografia immaginaria creata a posterion' dal filosofo che contempla Ie idee. Viene quasi il sospetto che la scena della caverna, lungi dal rappresentare il mondo ordinario che il filosofo lascia, rappresenti piuttosto il mondo ordinario cosi come il filosofo contemplatore se 10 immagina: norr avendolo mai potuto vedere perche gli ha da sempre voltato Ie spalle. Resta il fatto che, in perfetto spirito platonico, la distinzione «tra un mondo di parvenze, di ombre, e il mondo delle idee eternamente vere» (Arendt, 1961a, trad. it. pp. 65-66) si configura, nel racconto, nei termini di una opposizione che corrisponde a cio che il filosofo colloca dietro 0 davanti a se. n rovesciamento del suo sguardo dall'uno all' altro polo, crea la struttura. ' Si tratta, secondo Hannah Arendt, di un rovesciamento primano che istituisce la tradizione filosofica del «pensare in termini di opposizione» (ivi, p. 63) e funge da modello per tutti i rovesciamenti che, da qui in poi, popolano la storia 206
della filosofia. La periagoge tes psyches genera dunque la struttura oppositiva entro cui si muovono i rovesciamenti successivi operati dai vari filosofi. Come in un gioco alquanto prevedibile, il sistema oppositivo costituito dal rovesciamento platonico funziona da motore e da scenario indiscusso delle loro operazioni di ribaltamento. Luce e oscurita, verita e falsita, essenza e apparenza, spirito e materia diventano i poli di un pensare per opposizioni che passa alIa tradizione come naturale. Altrettanto passa alia tradizione I'atto del rovesciamento: il quale epero OllUai un gesto consentito, anzi, suggerito, che si limita a ribaltare «opposti prefabbricati» (ivi, p. 65). In fondo ePlatone stesso a entrare per primo nel gioco da lui inaugurato. Nel corso del racconto, la periagoge tes psyches viene infatti rimessa in scena nella forma di una seconda inversione. Dopo aver visto il sole, !'idea del bene, ossia I'idea che illumina con la sua luce il regno delle idee, il filosofo fa di nuovo un mezzo giro su se stesso e torna gili, nel buio della caverna. Egli lascia < (ivi, p. 64). La distinzione tra i due mondi continua a essere segnata da un'inversione dello sguardo e tutti questi ribaltamenti, nota Hannah Arendt, <
l'artista Platone sa come disporre Ie luci di scena. Partendo da un mondo tenebroso, popolato solo da ombre, tutto il racconto si proietta, per stadi progressivi, verso la sorgente luminosa: prima il fuoco, analogon del sole, infme 207
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Adriana Cavarero
il sole. stesso. Ovviamente il disegno logico e ontologico che informa il racconto procede in direzione inversa alia sua narrazione. Le ombre medesime sono infatti un prodotto della luce. Esse dipendono dal Fuoco acceso, il quale dipende dal sole come vera e unica origine della luce in quanto tale. n sole viene per primo: fin dall'inizio, il racconto 10 pre-vede. Senza la grammatica del vedere, e la Fonte luminosa su cui si incentra, il mito della cavema non tiene. A partire dallessico che chiama "Ie cose che sono" zdee,' Platone non puo parlare di filosofia se non in termini di visione. Nella stessa Repubblica abbondano gli esempi. n filosofo e colui che gode di vista pill acuta e rivolge il suo sguardo a cio che e pill luminoso. Gli altri sono come ciechi che brancolano nelle tenebre (Repubblica, 484 cod). Qui come altrove, la filosofia consiste per Platone nella contemplazione delle idee. Qui pi" che altrove, il noein in quanto puro pensiero e un ultramondano contemplare, un theorein. n guaio e, come sottolinea Hannah Arendt, che il filosofo non si limita a identificarsi nei suoi .esercizi contemplativi di essenze imrnutabili ed eteme. Egli decide che la contemplazione e I' attivita umana per eccellenza e la adotta come misura dell'umanita degli uomini in generale. Vedere, piuttosto che agire, e cio che, per Platone, rende umani gli uomini. Si comincia cosl a chiarire uno dei tanti elementi bizzarri del racconto, ossia il fatto che Platone descriva «gli abitatori della cavema come se fossero essi pure intenti solo al "vedere"» (ivi, p. 158). Ben saldo nella posizione che identifica il filosofare con il contemplare, il filosofo sfoggia una coerenza estrema. Decide che gli abitatori di un mondo il quale viene da lui descritto in termini di parvenze e di ombre, «sono uomini solo in quanta anch'essi vogliono vedere» (ivi, p. 159): sono spettatori di ombre tanto quanta il filosofo e spettatore di idee. n presupposto «che l'uomo sia umano in quanto posseduto dall'urgenza del vedere» (ivi, p. 159) conferma il filosofo come campione dell'eccellenza 'Com'" noto, il termine ,dea denv. dal verbo ,
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umana. n suo punto di vista, alia lettera, orienta il Fuoco prospettico su cui si sviluppa rutta la trama di un racconto che incomincia da una strana sala di proiezione in cui siedono ancor pill strani spettatori. Ogni stranezza ha i suoi costi in termini di attificio. Per atruare questa messa in scena ci vogliono degli artisti di giochi di luce, degli esperti nell' arte di proiettare ombre. Ben nascosti dietro un muretto e muovendo i loro simulacri entro il fascio di luce, essi creano illusioni e fanno credere agli spettatori che quello delle ombre sia il mondo vero. Invece, il mondo vero e un altro e sta all' estremita opposta, tanto quanto la verita dell'essere sta opposta all'illusorietil delI'apparire. Generata dalla periagoge tes psyches, la struttura oppositiva definisce il mondo ordinario, il mondo comune in cui gli uomini nascono, vivono e muoiono, come un mondo di apparenze che sono mere parvenze. I creatori di tali parvenze non sono dei tecnici in senso proprio, bensl appunto degli illusionisti che ricorrono a una pratica da ciarlatani. Com'e noto, essi appartengono, per Platone, a un ampio catalogo che annovera pittori, scultori, poeti e sofisti. Si tratta di gente che, in modi diversi, abita il mondo delle. apparenze e fa dell'illusionismo un mestiere. Platone si serve qui della loro arte menzognera precisamente per mettere in scena questa mondo. Come gia preannunciato, egli e un artista assai duttile e straordinariamente ambiguo. Pur preoccupandosi di teorizzare la differenza tra i due contrapposti rami dell' arte, quella illusionistica e insipiente dei creatori di imrnagini e quella della fabbricazione che, sul modello dell' opera e del sapere specifico degli attigiani, prende il nome di techne, Platone eccelle in ambedue. Della sua capacita di prodigarsi, non solo nella creazione artistica di imrnagini, rna anche nell' arte tecnica fomisce testimonianza la stessa RepubMea. La "citta migliore", che sta al suo centro, si presenta infatti come I'opera genuina del filosofo. Castruita secondo Ie regole dell' alte che pettiene ai tecnici, essa e il capolavoro politico di Platone.
ncontemplatore di idee e infatti anche un artista politi209
Note arend/iane sulla caverna di Ptatone
Adriana Cavarero
co, un pittore di costituzioni (politeion 'l.ographos) (Repubblica, 50Ic): egli disegna I'orcline giusto della citta rnigliore. Per quanta si riferisca ambiguamente all' arte dei pittori, il suo operare non corrisponde perc alia loro pratica illusionistica bens! prende appunto a modello Ie tecniche di fabbricazione (efr. Arendt, 1958, trad. it. pp. 166-167), I'arte produttiva che pettiene ai tecnici. Visto che sono umani, anche i teOOci incentrano ovviamente la loro opera sull' attivitil fondamentale del vedere, secondo Platone. Guardano, per esempio, alI'idea di letto e poi costruiscono letti secondo Ie misure e Ie proporzioni che !'idea di letto rende evidenti (Repubblica, 596 b). n filosofo fa altrettanto, rna Ie sue visioni e, di conseguenza, Ie sue costmzioni sono di ben altra ampiezza. Egli guarda infatti all' ordine stesso di tutte Ie idee, alia totalitil dell' essere, e costruisce un ordine politico che il pill possibile gli corrisponda. COS! facendo, assume direttamente Ie idee come criteri della sua costmzione politi ca. Poiche egli eI'unico a contemplare il mondo delle idee nella sua interezza, e anche I'unico a conoscere questi criteri. Divenuto esperto, in seguito alIe sue visioni, dei criteri che concernono la politica, il filosofo si mette alI'opera: costruisce la citta migliore e la governa. Applicato al filosofo, il modello delle temiche fa del contemplatore un costruttore dell'ordine politico giusto. I..:economia dello sguardo diventa filosofia politica. Secondo Hannah Arendt, solo questa trasfolIuazione delle idee in criteri spiega perche il filosofo si giri un'altra volta e tomi di nuovo gill, nel mondo della caverna (ivi, pp. 152-60). Solo il passaggio dallo sguardo contemplativo alI' opera politica giustifica il secondo rovesciamento. Perche infatti il filosofo dovrebbe tornare? Per I' economia dello sguardo tutto sarebbe, in fondo, gia perfetto. n mondo delle apparenze elontano, dietro Ie spalle, alI'estremita opposta. Liberatosi dalle sue ombre, com' era pre-visto, il filosofo ha ora raggiunto la sua meta: egli contempla Ie idee e felicemente si appaesa alia luminositil delloro risplendere. Tale risplendere arriva a loro dalla luce dell'idea suprema che di tutte ela pill vera e la pill splendente. Cio 210
che ealesthaton e phanerotaton sta ormai al centro della visione. Ci si aspetterebbe dunque che il suo nome evocasse il bello: e invece si tratta dell'idea del bene. bello infatti <<molto pill adatto del bene per esprimere !'idea suprema» (ivi, p. 156). Grecamente, il bello riluce del. suo smagliante splendore. n bello appattiene per defiIllZlone alia sfera dello sguardo. Tant' e vero che, in molte pagine di Platone, eproprio I'idea del bello la meta ultima, suprema, esc\usiva, degli occhi dell' anima. Poiche anche il racconto della caverna costruisce il suo asse sul rivolgimento dello sguardo, I'idea del bello funzionerebbe dunque alIa perfezione. Essa perc non giustificherebbe affatto il ritome del filosofo nell' oscuritil del mondo di sotto. Perche egli ritomi gill, occorre che !'idea del bello lasci spazio alI'idea del bene I..:idea del bello, nota appunto Hannah Arendt viene rimpiazzata da quella del bene «perche in greco "buono" equivale sempre a "buono a qualcosa", "idoneo"» (ivi, p. 157). Contemplata I'idea del bene, il filosofo si gira un'altra volta e toma nella cavern a per governare coloro che la abitano con criteri "idonei". L'operazione sembra perfett~. La verita delle. idee, assolutamente evzdente poiche in plena luce, garantIsce la bonta di questi criteri. I..: aver visto con occhi puri tanta evidenza, garantisce al filosofo la qualita di esperto. nsuo ritorno nel mondo di sotto si rivela tuttavia un insucces~o. Gli abitatori della cavema non gli prestano ascolto, anzr, 10 den dono. Intenti a contemplare ombre da tutta una vita, essi non possono credere al mondo di luce di cui racconta. La fme della vicenda apre cos!la scena per I'ultim? gesto tragico. Pill incauto che disperato, il filosofo scioglie dar ceppi i prigionieri: ed essi 10 uccidono. . Qu:ucosa dunque, nel ritorno, non funziona: I'opera poliuca e znappllcabzle al mondo della caverna. I..: artista Platone ha creato un'immagine che respinge la sua opera.
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~ ~ostr:uttore della citta migliore, il teOOco dell'opera poliu~a, Sl era del resto, e sin dall'inizio, ambiguamente annunclato come un pittore di costituzioni, ossia come un il211
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Note arend/jane sulla caverna di PIa/one
lusionista. Nell'artista Platone c'e appunto una sorta di paradossale ambiguita, sorprendentemente trascurata da Hannah Arendt, che merita ancora una volta di essere sottolineata. Da un lato, egli ricorre alI'arte come attivita tecnica quando trae dalla sua contemplazione delle idee i criteri idonei (Ie buone regole) per costruire la citta migliore e per govemarla. Da un altro lato, egli si serve dell' arte come pratica illusionistica non solo quando dipinge costiruzioni rna soprattutto quando crea immagini /antastiche caricandole per di pili di una funzione alIegorica. E il caso della cavema. Essa rappresenta innanzirutto il mondo: rna 10 fa in molti sensi e sotto diversi aspetti. Sotto un certo aspetto, la cavema e infatti il mondo 01'dinario della percezione sensibile che, per Platone, non coglie che apparenze, mere parvenze, ombre. In tal senso, essa rappresenta il mondo della sensibilita corporea che il filosofo abbandona per andare ad abitare nel mondo vero delle idee che si contempla con il puro pensiero. Gia annunciata da Parmenide, I'inversione di realta che consegue a questo gesto pone come vero e reale il mondo del puro pensiero e come falso e irreale il mondo in cui gli uomini vivono in came e ossa. Propriamente parlando, infatti, i contemplatori di idee non hanno came e ossa: essi se Ii lasciano aile spalle, insieme a quel mondo di parvenze che non abitano pili con la mente rna solo con il corpo. Si spiega cosl quella celebre idel}tificazione della filosofia con la morte che Platone descrive pili volte e consegna per sempre alia tradizione.' Come sottolinea Hannah Arendt, si tratta di un'identificazione alquanto owia. nfilosofo e morto per il mondo, e tale appare agli altri, proprio perche e andato ad abitare altrove, nel regno del pensiero, in un altro mondo. Egli e un morto in vita che aspetta di lasciare definitivamente il mondo dei vivi. Sotto un secondo aspetto, tuttavia, la cavema e anche un luogo preciso del mondo. Essa e I'Atene che i sofisti in-
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gannano con I'arte illusionistica dei loro discorsi e il cui tribunale ha mandato a morte Socrate. In tal senso, pili che rappresentare il mondo della percezione sensibile, essa rappresenta un determinato mondo politico: il mondo della polis democratica, in mana ai demagoghi, che Platone disprezza. Si spiega cosl quello strano meccanismo di proiezione che utilizza simulacri e inganna i prigionieri nutrendo i 10ro sguardi di ombre. Alla manovra di questa teatro di marionette ci sono appunto soprattutto i sofisti. Ma altri celebri produttori di apparenze (come Omero e gli arristi, in generale, in quanta musict) prendono parte alI'impresa. Manipolatori di anime e cattivi educatori, rutti insieme essi collaborano a trattenere gli ateniesi nella falsita e nell'ignoranza. E si spiega anche, ovviamente, la tragica fine del racconto: Socrate ha tentato di sciogliere gli ateniesi dalle catene dell'inganno, e 101'0 l'hanno ucciso. Secondo Hannah Arendt, c'e comunque un ulteriore aspetto per cui la cavema rappresenta il mondo politico. Non si tratta in questa caso dell'Atene corrotta narrata dal punto di vista di Platone bensl, pili in generale, di quella «sfera degli affari umani» (ibid.) che si incentra sulla facolta dell'azione emerita genuinamente il nome di politica. Categoria centrale della speculazione politica arendtiana, tale sfera e il mondo comune in cui gli uornini stanno in relazione tra loro come una pluralita di esseri unici e agiscono uno al cospetto dell'altro in uno spazio condiviso.' Secondo Arendt, in Grecia ci sono ampie testimonianze di uno spazio politico cosl inteso. Esso viene gia annunciato dai protagonisti dell' epica omerica e trova poi piena attuazione nell'agora della polis democratica. Nel suo aspetto politico, la <<sfera degli affari umani» consiste essenzialmente in un intreccio plurale di atti e parole che appartengono alI'at-
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, Cfr. Arendt, 1987b, trad. it. pp. 16255.; e Cavarero, 1990, pp. 45-52.
• Questo originale concetto di politica illustrato da Hannah Arendt soprattulto nd capitolo V di Vild dclivd, ([958.), e nd sagglo "Sulla violenz.", in Polztzcd e menzognd (Arendt, 1972.), Per un'ampia trattazione rimando all'ottimo studio di Forti, 1994, pp. 273-330.
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Note arendtiane sulfa caverna di Platone
tuaiitiI del contesto spaziale e temporale in cui accadono. I loro effetti non si possono ne prevedere ne controllare. La facold dell'azione e iI mondo politico che essa ingenera sono costitutivamente caratterizzati dalla fragilid e dal rischio: caratteri che gIi eroi omerici, appunto, incamano e che continuano a defmire I' eccellenza umana anche per 1 cittadini della polis. . Si spiega cosll' ossessione del filosofo per cio che: lung! dall'essere fragile e im-pre-vedibile, einvc;ce fisso e.lmffiobile. Egli roma infatti nella cavema muruto di «CtlteID>.la cui certezza deriva da una visione delle idee in quanta pnncipi evidenti di un ordine che eetemamente costante. Trasformando Ie idee in criteri «applicabili al comportamento degli uomini» che vivono < (ivi, p. 155), iI filosofo non fa che trasportare la rassicurante stabilitiI delle idee nel mondo incerto, mobile e rischioso della politica. Uomo di pensiero invece che di azione, egli fonda I' eccellenza umana sui vedere invece che sull'agire e sowerte 10 statuto stesso delIa politica. Secondo Hannah Arendt, iI ritomo del filosofo nella cavema decreta dunque la fine della politica in quanta spazio dell' azione plurale e segna I'inizio della politica .in quant~ sistema costruito sulla theoria dei contemplaton e da eSSl govemato. Con Platone, muore la politica e nasc~ ~a filosofia politica. Detto con Ie parole di Arendt, la tradizlOne delIa filosofia politica «comincio quandp, dopo aver abbandonato la politica, i filosofi tomarono ad occuparse~e. per imporre iI proprio criterio nelle faccende umane» (1Vl: p. 41). Con iI risultato che «gran parte della filosofia polinca, da Platone in poi, potrebbe agevolmente esser~ in~erpret~ ta come una serie di tentativi di trovare fondazlOnl teoretlche e modi pratici per una fuga dalla politica» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 163). Carica di conseguenze per I'intera tradizione, la svolta de! filosofo e dunque cruciale. Rispetto all' origine della £1losofia politica I'interpretazione arendtiana della seconda periagoge platonica porta a risultati convincenti. Un dub214
bio legittimo sui fatto che essa corrispon~h dawero al ritorno di Platone nella cavema, tuttaVla, nmane. Non solo perche tale ritomo sfocia in un omicidio, rna soprattutto perche, comunque la si intenda e anche al di ~iI della definizione arendtiana, <Ja sfera degli affari umanD> assomlglia ben poco alla cavema immaginata. da Platon~. Ci s~mo troppi trucchi, mistificazioni, laccl e mar~h,?ge~. n mondo che iI filosofo si lascia alle spalle non e, m ogru caso una scena condivisa in cui gIi "affari umani". hanno iI ca~attere imprevedibile dell' azione e gli umani stessi si mostrano come una pluraiitiI di esseri unici. E piuttosto un mondo di marionette immobili, di uomini che vivono gli uni accanto agli altri, senza guardarsi in faccia e senza alcuna relazione. Neppure I'ipotesi che questa mondo corrisponda alla cittiI di At~e, osservata 0 ~aginata d~ punto di vista di Platone, glUstifica del resto I uso di.tan~ bizzarri espedienti e la strana esistenza condotta dru pngionieri. La caverna rimane un'immagine che non si adatta ad alcuna nozione di politica. Que! che ecerto eche gIi occhi contemplativi de! fUosofo non sanno piu vedere 0 immaginare ne iI mondo dell' azio: . ne politica, ne la nascita come condizione umana s.uI CUI evento si fonda, secondo Arendt, questa mondo. Mru nato, o nato direttamente al regno del puro pensiero e percio subito morto per iI mondo, iI filosofo disegna direttamente un ordine politico secondo i criteri che ha tratto dalla sua ~on templazione delle idee. Fa parte del paradosso che, COSl facendo, cancelli per mille generazioni future. un mondo .dc;gli affari umani edell' azione politica che egli non ha mru VIsto ne immaginato. Tale cancellazione e appunto la conseguenza maggiore della sua opera politica. l'opera stessa ha tuttavia una sua propria destinazione: essa non prevede alcun ritorno del contemplatore nella caverna. A ben guardare, iI filosofo che torna nella caverna, 0 forse non I'ha mai lasciata, e infatti soltanto Socrate. Ammonito dall' assassinio del suo maestro, Platone non ci torna affatto. Egli rimane invece altrove, IiI dove esempre stato fin dall'inizio: nel mondo delle idee che sta dalla parte opposta. Ed e appunto da questa postazione privilegiata che Ie 215
Note arendtiane sulla caverna di Platone
Adriana Cavarero
Per quanto indulga all'illusionismo, l'arte platonica di creare inunagini ha una certa sottile malizia di stampo filosofico. Platone irnita gli artisti rna si prende anche gioco di loro. Omero e il suo bersaglio preferito. Dice Arendt che la penagoge les psyches costituisce un rovesciamento che e primario, ossia costitutivo, originale, solo in relazione alia stona della filosofia e a quella struttura oppositiva che esso crea consentendo tutti i rovesciamenti successivi. Sorto questo rovesciamento fatale, precisa Arendt, ce ne sta tuttavia un altro che coincide con la stesura della storia della cavema da parte di Platone. Tale storia «e quasi una replica e un ribaltamento della descrizione dell'Ade nell'undicesimo libro dell'Odlssea» (Arendt, 1961a, trad. it. p. 64). Che tra Platone e Omero non corresse buon sangue e cosa nota. Nella Repubblica questa inirnicizia assume una motivazione politica pili esplicita che non altrove. I contempia tori di idee destinati a govemare la citta prodotta dalla loro mente, i nuovi esperti di cio che e buono per i cittadini, scacciano infatti clamorosamente da tale citta tutta la cultura del mondo omerico nonche il fascino del suo metro poetico. Secondo Hannah Arendt, non pago di tanta severita, con l'inunagine della cavema, Platone si ingegna adeli-
rittura a rovesciarlo, questa mondo. Egli sceglie, non a caso, eli lavorare sull'episodio in cui la narrazione omerica raggiunge forse il suo massimo effetto fascinatorio: la discesa di Odisseo nell' Ade, il regno delle ombre. nribaltamento, anche filologicamente, e preciso. <J..e parole eidolon, inunagine, e skia, ombra» (ivi, p. 64), che Omero usa per descrivere la consistenza inunateriale dei morti incontrati da Odisseo, vengono adottate da Platone per definire <
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sue due diverse opere d' arte prendono I'awio. Con una egli si fa pirtore di inunagini, secondo un'arte piena di trucchi e di suggestioni che ricorda molto da vicino quella illusionistica dei pittori. Con I'altra, pur proclamandosi ambiguamente pittore di costituzioni, egli si fa costrurtore dell' ordine politico secondo la tecnica assai pili affidabile degli artigiani. Le due opere non hanno tuttavia un rap porto diretto. A dispetto dei suggerimenti arendtiani, I'opera politica Il;0n si applica alia cavema. Essa attende piuttosto che, non SI sa dove ne quando, un filosofo diventi re 0 un re si faccia filosofo per divina sorle (Repubblica, 499 b-c). Si tratta, com'e noto, del punto pili aporetico dell'opera platonica sulla politica. (Anche se, data la fortuna dell'opera stessa e della filosofia politica che da essa prende inizio e passa alia tradizione, una divina sorle, dopo tutto, Ie tocca.)
Note arendtiane sulla caverna di Piatone
Adriana Cavarero
sciare Omero, egli finisce per moltiplicare il nwnero dei mondi, soprattutto attraverso una serie di ribaltamenti a catena che indicano i morti come vivi e i vivi come morti. Ne fomisce un buon esempio l'Ade, il regno dei morti, che dovrebbe fungere da paradigma del mondo ordinario rna che, invece, si adatta ancor meglio al mondo della contemplazione. La vera vita del filosofo, in questa regno iperuranio, einfatti come una specie di morte volontariamente anticipata da uomini che sono esseri corporei solo in senso molto debole. nluogo di puro pensiero, in cui si appaesa il filosofo, e cost una sorta di Ade luminoso e celeste e abitato da morti, che si contrappone a un Ade wnbratile e sotterraneo e abitato da vivi. Mediante il rovesciamento platonico, la connessione omerica tra la morte e Ie ombre dunque si complica. I vivi in came e ossa appartengono sol tanto alla cavema e alle sue ombre. 5ia l'Ade di Omero che il mondo vero di Plat one sono abitati invece solo da morti: gIi uni regolarmente defunti e incorporei, gIi altri in trepida attesa di esserlo. DalI'omerico mondo di sotto, pieno di tenebre e di ombre evanescenti, i rnorti si sono trasferiti nel mondo di sopra, che riluce di un assoluto splendore. Essi sono ormai rnorti senza ombre e, a quanta pare, senza ombra. 5ia perche il sole sta nel punto pili in alto, allo zenit (efr. lrigaray, 1993, pp. 268-269). 5ia perche chi non ha corpo non ha ombra. Rimane il fatto curioso che, in questa moltiplicazione dei mondi per rovesciamento incrociato, il mondo pili bizzarro e incredibile risulta proprio queuo dei vivi. I quali conducono un' esistenza alquanto strana. Legati ben stretti, essi sono costretti a passare rutta la vita seduti e con gIi occhi fissi a uno schermo: su cui si succedono una serie di ornbre cinesi che, per esplicita dichiarazione di Platone, hanno sempre la stessa frequenza monotona e ossessiva. Come se la vita nel mondo ordinario Fosse un'ipnosi collettiva 0 un cinema che trasmette sempre 10 stesso film.
che in essa si conduce e i marching~gni che la controll~o. Neppure i suggerirnenti arend~ani nescono a splegare I enfasi immaginativa e l'eccesso di finzi~ne c~c; rendono que: sto racconto molto pili incredibile di rum 1 null fantaSl1C1 narrati da Platone. Non solo perche il ra~conto della cavema non e e non si presenta, come un nuto rna PlUttosto come una p'arabola. Ma soprattutto perch
A questa punto, bisogna pur ammetterlo: non solo quelIe politiche, rna anche nessuna delle interpretazioni dell'immagine della cavema giustificano l'esistenza bizzarra
'Gr. Arendt, 19580, trad. it. pp.141 55.; sullo concezione arendtiano dell'eroe omerico rimando al mio Cavarero, 1997, pp. 27-45.
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Note arendtiane sulla caverna di Platone
che egli ha tratto dalle sue visioni. Ce n' e abbastanza perche Platone si mostri ostile a Omero. E tuttavia non e ancora questo il punto. n punto riguarda infarti la figura di Omero in quanto narratore di professione, il quale racconta Ie storie di vita che gli eroi, compiendo grandi azioni, si sono lasciati dietro. CoS! facendo, conferisce loro una fama che si trasmette per generazioni e Ii rende immortali. «Conferire fama imperitura aile parole e aile gesta, e cosl farle soprawivere non solo allabile atto in cui il discorso viene pronunciato e l' atto compiuto, rna anche alia morte fisica dell'agente»' e appunto compito del narratore. Attraverso il racconto di Omero, nel mondo dei vivi vive ancora, immortale, la fama ?egli e~oi. Pla!~ne stesso sa chi sono Ulisse e Achille perche ! poenu omenc! ne narrano Ie imprese. n filosofo ha invece ambizioni diverse. Non gli interessa una fOlllla di immortalitii tra i vivi, bens! l'esperienza di eternita che "Ie cose che sempre sono" regalano aile sue visioni. Tra i vivi, egli edel resto contento di vivere come un morto. L' esistenza in compagnia di altri uomini, nella sfera relazionale degli affari umani, non conta: ne tale esistenza si lascia dietro una storia degna di essere raccontata. Di fatto, come sottolinea Hannah Arendt, non sappiamo chi era Platone anche se ne conosciamo tutte Ie opere (Arendt 1958a trad. it. p. 136). ' , Platone, il filosofo, ha dunque dei buoni motivi per oppors!. a C?mero, il narratore. Essi tuttavia non spiegano ancora il blZzarro mondo della caverna. Per comprenderlo bisogna andare oltre la pista arendtiana e analizzare Omero sotto un aspetto che turbava alquanto i sogni platonici. Si tratt.a degli stra?rclinari el/etti che I'arte narrativa produce sugli ascoltaton. In tutte Ie pagine che Platone dedica a Omero, questa argomento viene analizzato in maniera pedante e ossessiva. La narrazione omerica ha infatti 10 straorclinario potere • Arendt, II COneelto di sloria: nell'antiehila e oggi, in Arendt, 1961a, trad. it. p. 75; rna si veda anche Arendt, 1958a, trad. it. pp. 134·142.
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di incantare gli uditori: come se legasse Ie loro orecchie con
il filo del racconto. 0 forse il filo e quello della voce che canta, con Ie sue iterate cadenze ritmiche. Fatto sta che gli ascoltatori se ne stanno sed uti e immobili. Essi ascoltano, come ipnotizzati, i versi di Omero recitati sempre di nuovo da un aedo: lone, per esempio. Cosicche, in buona sostanza, il racconto e una ripetizione infinita delle stesse storie nella medesima sequenza e con Ie medesime parole. Eppure gli ascoltatori non si stancano mai di sentirle. La catena magnetica, che scende dalla Musa a Omero e all' aedo, Ii tiene imprigionati con lacci invisibili. Come il potere attrattivo del magnete fonna «una lunghissima catena di ferro e di anelli pendenti gli uni dagli altri [.... ] coslla Musa forma gli ispirati, e attraverso questi si costituisce una catena» (lone, 533 doe) di cui gli ascoltatori sono <J'ultimo anello» (Cfr. lone,535e-536a). Non sono dunque tanto bizzarri i prigionieri della caverna platonica! Bizzarra ese mai l'idea di sostituire l'orizronte dell' ascolto con quello della visione, trasportando gli effetti di una pratica di orcline fonetico entro una pratica di orcline visivo. nfilosofo non puo owiamente fame a meno, visto che la contemplazione ela sua specialita. Ne puo fare . a meno di misurare l' umanita degli umani sui vedere, se non sui contemplare. Sennonche la cosa non funziona senza arrifici. Per tenere immobili i prigionieri, con gli occhi fissi sulle loro visioni, il filosofo ha bisogno di tmcchi e marchingegni. n potere magnetico della Musa, fonte di rniele per canti leggeri e alati che incatenano l'ascolto al racconto, deve essere rimpiazzato da un imbrigliamento artificiaIe dello sguardo mediante grosse catene e mdirnentali macchine di proiezione. Le catene stesse, come in un gioco di prestigio un po' maldestro, tl'apassano ambiguamente da un significato metaforico a uno rea1istico. In un certo senso, infatti, gli abitatori della caverna sono proprio gli ascoltatori dei canti epici: gente incatenata dal divino potel'e della Musa e catturata dall'illusionismo narrativo di Omero. n quale ha per di pili la colpa di ingannarli con il suo discorso perche parla eli tutto rna non ha nessuna vera conoscenza delle cose di 221
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Note arendtiane sullo caverna di Platone
Adriana Cavarero
cui parla, e canta, dlIDque, di parvenze menzognere, immaglnl false, ombre. In lID altro senso, pen), essi sono soltanto gli spettatori incatenati da Platone con corde di materia ben robusta: il quale Platone, non soccorso dal dolce magnetismo della Musa, deve applIDto legarli ben stretti affinche tengano 10 sguardo fisso aIIo schermo e non girino mai la testa, ne aII'indietro ne di fianco. Se voltassero la testa indietro, ovviamente, capirebbero troppo presto quel trucco di ombre cinesi che lIDO di loro deve scoprire a tempo debito. nguardare di fianco, invece, e costitutivamente proibito: tant'e vero che non si verifica mai in tutto il racconto della cavema. n fatto e che, voltando la testa di lato, i prigionieri si guarderebbero l'lID l' altro, entrerebbero in relazione. Proprio questa tuttavia e proibito nel mondo della caverna: la possibilita di qualsiasi forma di relazione. Com'e ovvio nell'orizzonte platonico si tratta di lIDa proibizione che ri: guarda innanzitutto il guardarsi, il vedere l' altro. La caverna e lID teatro specificamente visivo dove il suono riveste lID ruolo secondario. Questo mondo di visioni coatte risuona tuttavia anche di voci e di parole, confuse nell' eco che la parete dell' antro rimanda. Parlano i portatori di simulacri e parlano i prigionieri. Essi collegano Ie voci dei portatori aile ombre che i simulacri proiettano sullo schermo ~, avendo in fondo tutta lIDa vita per imparare a memona lIDa sequenza che e sempre la stessa, gareggiano a parole su chi indovina l' esatto succedersi delle ombre. I prigionieri, dlIDque, parlano. Ma non si parlano. Parlano di ombre senza mai vedersi l'lIDl'altro, guardando sempre f!Sso lIDa parete su cui, di se stessi e degli altri non vedono che I'ombra. ' A lID ceno PlIDtO lID prigioniero si slega 0 viene slegato ..Uno solo. La regola e precisa: due si sarebbero guardati ill faccla e avrebbero parlato tra loro, insomma, sarebb~ro e~trati in relazi,?ne. Egli non perde tempo a guardare 1 suO! ex compagm, rna subito si volta e inizia la sua salita verso il sole. Durante il primo tratto del cammino, ~ede i ponatori di simulacri e capisce il trucco. Ma non Ii illterroga sulle ragioni di quella su'ana messa in scena: ca222
pisce tutto da solo e, solitario, procede aII'insu. Altrettanto solitario egli contempla il sole e poi scendedi nuovo giu, nel buio della cavema. Qui gilIDtO, parla della sua esperienza ai prigionieri che non gli credono e 10 deridono. Si cimenta persino, con scarso successo, nella vecchia gara di indovinare la sequenza delle ombre. Poi Ii slega: Ii slega tutti come insieme a tutti loro aveva parlato. Poteva slegame lIDO solo, in fondo: COS! il viaggio in su di un altro prigioniero sarebbe cominciato, questa volta non in solitudine bens! in compagnia di lID altro, una guida giil esperta, lID maestro, lID amico. Invece Ii slega tutti. E loro 10 uccidono. n bizzarro mondo della cavema consiste dlIDque, sostanzialmente, in lIDa serie di meccanismi che costringono alia visione coatta e, al contempo, aII'irreiazione. Per ambedue gli aspetti, Omero entra in gioco. Ci entra come narratore capace di incatenare aile sue parole aseoltatori che Platone sostituisce con spettatori legati ben stretti con catene vere. E ci entra come narratore di lID mondo in cui I'azione su lIDa scena condivisa e la relazione, anche visiva, che essa comporta costituiscono la politica.7 Lordine politico che Platone fabbrica non compona invece nesSlIDa azione e tanto meno lIDa relazione. I filosofi che govemano possono persino essere molti, rna la qu'a!itil della citta migliore non dipende dalloro numero e dalloro confrontarsi con atti e parole, bens! da lIDa visione delle idee che, come ogni pensare, si esperisce sempre in solitudine (dr. Arendt, 1978, trad. it. p. 165). Sintomaticamente, la Repubbliea stessa elID addio a Socrate da parte di Platone. Rappresentato nel Hlosofo che tOlna nella cavema e viene ucciso, Socrate con la sua Hlosofia, radicata nel dialogo con gli altri e ponata nel popoloso mondo dei mercati e delle palestre, lascia il posto aile contemplazioni solitarie e ultramondane di Platone. La dia~ Per un'argomentazione piu ampia sulla categoria eli rdarlone in rio
ferunento alla politica. alla narrazione e allo sguardo, rimando di nuovo al mio Cavarero, 1997, cit.
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Adriana Cavarero
Note arendtiane sulla caverna'di Platone
lettica cambia scenario: da confutazione di stile socratico, che vede iI fllosofo cercare i suoi interlocutori ovunque e soprattutto nei giovani, diventa una disciplina scolastica a cui si accede dopo un preciso programma educativo, verso i cinquant' anni d'eta. Socrate, che incanta gIi interlocutori con i suoi discorsi e Ii paralizza come una torpedine marina, ha del resto molte (forse troppe) delle qualita di Omero. Non gli servono marchingegni e corde spesse. Come Omero protagonista di un mondo orale, egli parla, domanda, ascolta: e i giovani di Atene, come A1cibiade, vengono posseduti dal suo discorso e non possono staccare la loro attenzione dalla sua bocca. Senza strumenti musicali e con Ie nude parole, iI suo e1oquio invasa gIi a1tri ancor pili che la melodia di un f1autista (Simposio, 215 b-e). L'effetto incatenante del discorso, la fascinazione delle parole sugli ascoltatori fa di Soerate un fllosofo che ancora condivide con iI poeta iI divino potere magnetico della Musa. Anche se la filosofia di Socrate non epili un raccontare,
essa non e infatti ancora un vedere e, tanto meno,
lU1
con-
templare essenze u1tramondane. Egli piuttosto guarda in faccia i suoi interlocutori e lascia che essi 10 guardino. Messo in scena dai cosiddetti Dialoghi socratici di Platone, iI suo fllosofare consiste notoriamente in un dialogo che implica la relazione in atto. Egli e iI fllosofo che vive nel mondo degli affari umani e va in cerca della compagnia di a1tri uomini: discorrendo con uno alia volta, perche non gli interessano ne i discorsi rivolti alla folia ne Ie e1ucubrazioni solitarie. Soerate si adatta dunque dawero ben poco alla figura del fllosofo che lascia iI mondo degli uomini per salire, da solo, nel mondo di sopra dedito alla contemplazione immobile e silenziosa. Sin dall'inizio, si era del resto detto che la strategia narrativa tende a sdoppiare iI suo protagonista: chi contempla Ie idee e Platone, chi torna e viene ucciso e Socrate. Nel racconto platonico della caverna, Soerate risulta cosl colui che, paradossalmente, ritorna in un mondo di sotto che non ha mai lasciato e dal quale ha accettato la con danna a mone. Si tratta, in fondo, di un paradosso che denun-
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cia la cruciale equivocita di tutto I'impianto. Pur volendo funzionare come teatro della morte di Socrate, la caverna infatti non rappresenta pi" iI mondo in cui Socrate stesso puC> parlare ai suoi interlocutori e incantarli, rna rappresenta gid un mondo incentrato su visioni coatte dove tutti vengono incantati per mezzo di catene e nessuno mai si guarda 0 si parla. Rappresenta, insomma, la spettacolare imitazione platonica del mondo orale a cui Omero e Socrate appartengono. Bizzarra nella sua configurazione scenica, I'immagine della caverna conduce dunque a risultati a1trettanto bizzarrio A quanta pare, Socrate muore per opera di un mondo ad alta concentrazione visiva in cui non e mai vissuto e di cui non ha mai fatto parte. Dal canto suo, Platone finisce per coinvolgere anche Socrate in quella denuncia dei discorsi incantatori che egli condanna, rna anche copia e riadatta, in termini di visione. La verita e che, per quanta iI suo autore si sforzi di suggerire iI contrario, nello scenario della caverna non c'e appunto posto ne per Soerate ne per Omero. La cavema non e un'immagine del mondo, bensl una proiezione attistica del contemplatore Platone: in cui una certa invidia per I'incanto di certe pratiche orali si trasforrna nella loro macchinosa imitazione e, aI tempo stesso, nella loro inappellabile condanna.
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Provocazione e appropriazione: la risposta a Martin Heidegger
Provocazione e appropriazione: Ia risposta a Martin Heidegger eli Richard J. Bernstein
Solo gli Indolenti vengono "inf!uenzati" veramente, mentre colui che apprende prima 0 poi riesce ad appropriarsi di quelfa parte de!l'opera di un altro che gli e utile, per assimifarfa, come tecnica, nelfa sua stessa opera. Walter Benjamin In venIa non eistruzione, ma provocazione aD che posso ricevere do un altro spirito. Ralph Waldo Emerson
Quando Hannah Arendt morl all'improwiso i!4 elicembre del 1975 non si sapeva molto sulla sua vita privata, se si esclude una ristretta cerchia eli amici intimi. Era sempre stata una persona molto riservata, anche una notorieta Iimitata la metteva a elisagio. La elistinzione tra i! "privato" (eelato nell'ombra e nell'oscurita) e "i! pubblico" (soggetto alia aspra luminosita della luce del sole) era uno degli aspetti pill importanti e controversi del suo pensiero politico. Era cosa nota che Arendt n~ 1924, a eliciott' anni, ando a Marburgo per stueliare con Heidegger. Un anno dopo si trasfed a Heidelberg per scrivere la tesi su sant'Agostino sotto la guida eli Kari]aspers (che a quel tempo era arnico intimo eli Heideggerl. Pochi anni prima eli morire Arendt, in occasione dell'ottantesimo compleanno eli Heidegger, scrisse un saggio di commiato in cui ricordava il potente e£fetto carismatico dell'antico maestro durante l'anno in cui Arendt studio con lui (tre anni prima della pubblicazione di Essere e tempo). Arendt pario della fama che si erano diffusa in tutta la Germania e che attirava numerosi studenti di talento a studiare con Heidegger (Arendt, 1969c, trad. it. p. 169).
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Arendt paragona Heidegger a Platone quando afferma che 10 stupore e l'inizio della mosofia, e cita un passaggio del mosofo sulla capacita «di assumere e di accettare questo stupore come la propria memoria». La metafora della «dimora», <, che Heidegger chiama ethos, etra Ie pill vibranti del suo pensiero. Giocando con questa metafora, paragonando l' attrazione di Heidegger per Hider a quella di Platone per i! tiranno di Siracusa, Arendt affeulla: Ora noi tutti sappiamo che anche Heidegger ha ceduto una volta alia tentazione di mutare la sua" dimora", e di introdursi nel mondo degli affari umani. E per quanto riguarda il mondo, gli andil ancora peggio che a Platone, perche ne! caso di Heidegger il tiranno e Ie sue vittirne non si trovavano al di 1. de! mare rna nella sua terra. Per quanto riguarda 10 stesso Heidegger, credo che Ie cose stiano diversamente. Egli era ancora troppo giovane per imparare dallo shock della collisione [con il mondo degli affari umanil che 35 anni fa, dopo died brevi mesi agitati, 10 ricondusse alia sua dimora, e per inserire ne! suo pensiero 1. propria esperienza (Arendt, 1969c, trad. it. pp. 177-178).'
Quando nel 1969 questa testo venne pubblicato in tedesco, si sapeva gia molto sui coinvolgimento di Heidegger con i nazisti, e cio smentiva quanta Arendt afferma in questo saggio. Esso divenne comunque un documento chiave nella creazione del "milO Heidegger", un mito alimentato da Heidegger stesso, dalla sua farniglia, dai suoi ammiratori: la storia dell"'errore" eommesso da Heidegger nel193334, di cui egli si rese subito conto facendo immediatamente ritomo alia familiare dimora del pensiero. (Molti dei sostenitori di Heidegger affermano ehe dopo i! 1934 i! mosofo divenne un feroee detrattore del nazismo, eriticando, a lezione e nei suoi seminari, Ie dottrine razziste.) n primo vero shock riguardo la relazione tra Heidegger e Arendt awenne quando Elizabeth Young-Bruehl pub, Sull. mia critic. di Heidegger (e sui giudizio di Arendt su di lui). efr. Bernstein. 1992.
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ProYocol.ione e appropriaz.ione: fa risposta a Martin Heidegger
RIchard]. Bernstein
blico, ne! 1982, la biografia della studiosa, rive!ando che, poco dopo che Arendt era andata a studiare con Heideggel' a Marburgo, i due divennero amanti. AI tempo della re!azione, Heidegger aveva trentacinque anni, era sposato con due figli, cattolico, ed era agli albori di una promettente carriera accademica. Young-Bruehl, sulla base di lettere di Arendt al marito e agli amici, oltre che di interviste a persone molto vicine a lei, riusci a ricostruire Ie vicende della storia d' amore. Young-Bruehl, una ex studentessa di Arendt, tratta la cosa con discrezione. La biografa, tuttavia, ci dice che <
Arendt a Friburgo e da una lunga corrispondenza (che include anche uno scambio di poesie) durata, a intermittenza, fino alia morte di Arendt, un paio di mesi prima della morte di Heidegger awenuta ne!1976. Quando Young-Bruehl fece queste rivelazioni nel1982, non provoco uno scandalo. La relazione con Heidegger non svolge un ruolo determinante nella sua biografia. Pill interessante e rivelatrice, in tale biografia, e la storia del coinvolgimento di Arendt con tematiche ebraiche, la sua lotta con la "questione ebraica" iniziata nel 1929 quando comincio a lavorare alia biografia di Rabel Varnhagen (Bernstein, 1996). Inoltre la suddetta biografia non cia molta importanza alI'influenza intellettuale di Heidegger su Arendt, in parte perche Young-Bruehl non simpatizza molto con Heidegger mentre ha molto pill a cuore I' altro grande mentore di Arendt, Karl]aspers. Nei vent' anni successivi aile morti dei due pensatori vi sono stati enormi sviluppi nella ricezione sia di Heidegger che di Arendt. Quando nel 1987 uscl illibro di Victor Farias, Heidegger et Ie nazisme, si awio una furiosa polemica. Nessuna delle precedenti controversie relative al coinvolgimento di Heidegger con i nazisti, praticamente una ogni dieci anni, dalla fme della Seconda guerra mondiale, era stata cosi appassionata e travolgente come quell a scatenata da Farias. Le critiche violente dell' autore, supportate dalla pill sob ria, rna non meno critica, documentazione d'archivio fornita dallo storico di Friburgo Hugo Ott, la pubblicazione di memoriali da parte di Karl Liiwith, Karl] aspers e rnolti altri, hanno contribuito a una pill dettagliata ricostruzione di cio che Heidegger disse e non disse, fece e non fece, nel periodo nazista. Si tratta in realtil di una storia triste, che rivela ambiguita, razionalizzazioni poco convincenti, silenzi di convenienza. Scrivere su Heidegger, gli ebrei e il nazismo e divenuto una specie di industria culturale. Persino i pill ferventi ammiratori di Heidegger sono stati forzati a fornire spiegazioni plausibili circa il rifiuto del filosofo di prendere posizione sull' olocausto, soprattutto dopo che i dettagli
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RIchard]. Bernstein
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Provocazione e approprio'1.ione: la risposta a Martin Heidegger
dell' orrore furono resi noti a tutti alla fme della Seconda guerra mondiale.' Thomas Sheenan, nel suo famoso articolo Heidegger and the Nazis useito sulla "New York Review of Books" il 16 giugno 1988, esordisce cos1: «Vi sono due fatti a proposito di Martin Heidegger incontestabili quanto complessi: il primo e che egli rimane uno dei pili influenti pensatori di questa secolo, il secondo che era un nazista» (Sheenan, 1988). Questo secondo fatto ha dominato I'opinione internazionale negli ultimi dieei anni. Vorrei pero soffennanni sul primo. Indipendentemente da cosa si pensi di Heidegger, della sua filosofia, del suo coinvolgimento politico, del suo spessore morale, del preeiso rapporto (0 dell'inesistenza di un rapporto) tra la sua filosofia e la sua attivita politica, non si puo negare che Heidegger sia stato, e continui a essere, uno dei filosofi pili provocatoriamente influenti di questa secolo. Molti (speeialmente, rna non solo, i filosofi angloamericani) disapprovano questa fatto e spesso 10 considerano una giustificazione delloro disprezzo per rutta la cosiddetta "continental philosophy". Quando dico che Heidegger e stato uno dei pili influenti, controversi e stimolanti pensatori di questa secolo, non mi riferisco ai suoi numerosi discepoli, commentatori 0 sicofanti. Si pensi solo ad alcuni di coloro che srudiarono con Heidegger: Hans Jonas, Leo Strauss, Karl L6with, Hans-Georg Gadamer, Herbert Marcuse e Hannah Arendt. Si pensi anche al fatto che nella seconda meta del xx secolo rutta la filosofia Francese di un certo spessore riconosce l'influenza di Heidegger. La provocazione heideggeriana colpisce proprio per il fatto che trascende Ie feroei lotte intestine che caratterizzano il panorama culrurale Francese: Alexander Kojeve, Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Errunanuel Levinas, Jacques Derrida, Michel Foucault, Philippe Lacoue-Labarthe, Jean-Luc Nancy, sono solo alcuni dei personaggi francesi di spicco che riconoscono un debito intellettuale verso Hei, Sulla mia critica di Heidegger, dr. Bernstein, 1986 (il paragrato "Heidegger's Silence").
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degger. 1:intluenza di quest'ultimo va molt<; ?Itre la Hlosofia. Poeti, critiei letterari e teologi sono stan lSpLran da lill. Anche nel panorama anglofono Rich.ard Rorty,Stanley Cavell e Charles Taylor hanno riconosclUto m Heldegger uno dei grandi Hlosofi del nostro tempo. , Questo lungo elenco di nomi, se~pur inco~plet?, da da pensare. Include ebrei e non ebrel, coloro 1 quali hanno ascoltato Heidegger di persona e col oro che mvece h.~o solo letto i suoi libri. 1:elenco copre alcune gene~azlOn! e m: elude pensatori di convinzioni politich~ ed mtelletruali molto distanti. Tuttavia vi e una carattensnca che Ii a~co muna. Ognuno di loro, anche quelli che si sono nbellan al: I' autorita di Heidegger e l'hanno criticato s~veramente, e stato un pensatore indipendente. Ognuno di loro h~ contribuito in modo originale alla Hlosofia. Nessuno di loro puo essere considerato un discepolo sottomesso. C?gnun<; eli loro secondo Ie parole di Benjamin, si e appropnato «di quella parte dell' opera di un altro che gli e utile, ~er di assimilarla nella sua stessa opera». A questa proPOSltO Hannah Arendt aveva Forse ragione: <<Esiste un maestro, Forse si puo imparare a pensare». Oppure, come Ie piaceva riformulare questo pensiero in contesti ?iversi, ~ vero p~nsa tore non istruisce, rna piuttosto ha il dono di ~ontarrunare gli altri con Ie perpl~si~a che stimolar;o il penslero. Molte sono Ie raglOn! della fascmazlone (che spesso ~fio ra I'ossessione) che il passato nazista di Heide~ge~ contInua a esereitare. Sicuramente, pero, una delle ragton! prmclpaIi e data dal fatto che Heidegger rappresenta, in un certo senso la sfida all'eredita socratica che tanto ha intluenzato la Hl;sofia occidentale, la convinzione che la Hlosofia, I'a: more per la sapienza, ha (0 dovrebbe avere) effetti benefic~ sul modo in cui I'uomo vive e agisce nel mondo. In pochi concordano con quanto Richard Rorty ha affel1:'~to a proposito di Heidegger, che semplicemente non VI e correlazione tra <
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Richard]. Bernstein
Provocazione e appropriol.ione: fa risposta a Martin Heidegger
Arendt. AI tempo della sua morte, Arendt aveva acquisito una discreta fama rna in compenso godeva di un enonne discredito, procuratole dalla polemica che aveva scatenato il suo libro, Eichmann in Jerusalem. Era considerata una figura marginale, scarsamente conosciuta al di fuori degli Stati Uniti e della Gennania. Negli ultimi dieci anni si everificato un aumento esponenziale dell'interesse e della produzione intellettuale sul pensiero di Hannah Arendt, dall'Est europeo alI'America latina, dall'Europa occidentale alI'Estremo Oriente. Solo nel 1995 (nel ventennale dalla morte) in Gennania, Italia, Francia e Stati Uniti si sono tenuti pili di mezza dozzina di convegni dedicati esclusivamente al pensiero di Hannah Arendt e molti altri sono in programma. Continuano a uscire libri, articoli, tesi, traduzioni, pubblicazioni di inediti. Perche? Le risposte sono molte, e nemmeno semplici. Prima del crollo del comunismo nell'Europa orientale, Arendt era divenuta un'eroina intellettuale per molti dissidenti. Adam Michnik fu profondamente colpito dalle opere di Arendt quando Ie lesse in carcere. Sta anche sorgendo una prolifica letteratura femminista su Arendt (sia pro che control. Vi eindubbiamen· te un fascino nella storia di questa ebrea tedesca, che fu co· stretta a lasciare la Gennania nel193 3 e cerco con onesta e sincerita di comprendere gli orrori del totalitarismo. Tuttavia ritengo che la ragione prima di questa nuovo interesse sia dovuta al fatto che, con il crollo del comunismo e la fi· ne di tutte Ie ideologie e gli "ismi" esjstenti, Arendt venga identificata come una delle pensatrici pili originali e indipendenti di questa secolo. Le sue opere ci offrono una nuova fonte di riflessione e ispirazione per affrontare i nostri problemi politici, per capire che cosa la politica ediventata e che cosa possa ancora diventare. Questo e il contesto: il fascino dei sordidi dettagli del passato nazista di Heidegger, la riproblematizzazione del rapporto tra la sua fllosofia, il suo comportamento politico e i suoi silenzi, il crescente entusiasmo per il pensiero di Arendt e la nuova ondata di studi dettagliati sui suoi scritti sia pubblicati che inediti, tutto cio ha fornito il palcoscenico per il cosiddetto "scandalo" provocato da libro di Elz·
bieta Ettinger, Hannah Arendt/Martin Heidegger. Per una serie di assurde contingenze Ettinger e stata la prima persona (oltre agli esecutori letterari) ad avere accesso al car· teggio ArendtIHeidegger. Alan Ryan, nella sua recensione critica allibro, ci dice che il racconto di Ettinger e«da soap opera» e che come lavoro di ricerca e una «disgrazia». Ettinger «riduce ogni cosa a un problema di insicurezza psicologica di Arend!», che descrive come una donna umiliata che non pare in grado di sottrarsi al potere ipnotico dell' «ambiguo» manipolatore Heidegger. Dopo la loro «riconciliazione» del 1950, Heidegger si sef\~ di Arendt, complice volenterosa, per dissimulare il suo passato nazista e salvarsi la reputazione. Ettinger ha scritto «un libretto politicamente nocivo» che viene utilizzato da quanti sono molto propensi a rievocare Ie accuse mosse contro Arendt durante la polemica Eichmann, e ad accusarla di essere un'e· brea «autolesionista» che e «sempre» stata innamorata di un nazista (Ryan, 1996, pp. 22·26). La storia dellegame affettivo tra Arendt e Heidegger ha molte sfumature (quello che gli italiani chiamano "un rapporto sentimentale") rna tali nuances sono del tutto assenti nel racconto voyeuristico di Ettinger. In realta Ettinger, con la sua visione superficiale dei due personaggi in questione, rende solo la storia pili oscura. Che cosa imparo Arendt da Heidegger? In che modo si appropria, trasformandoli, dei temi heideggeriani? Avvicinare Arendt da una prospettiva heideggeriana puo servirci a comprenderla meglio? In che senso, se ve ne e alcuno, Arendt euna allieva di Heidegger? Grazie alia recente pubblicazione di inediti sia di Arendt che di Heidegger possiamo ora affrontare queste tematiche e altre ad esse affmi. AIcuni studiosi, per esempio, hanno studiato con attenzione i testi delle lezioni e dei sentinari che Heidegger tenne al tempo in cui Arendt studiava con lui. In un famoso corso sui So/ista di Platone che Heidegger tenne nel 1924-25, venne discusso a fondo il sesto libro dell' Etica Nicomachea di Aristotele. Sappiamo che questa corso fu una delle ragioni dell'interesse duraturo di Arendt per Aristotele, e specialmente Ie distinzioni, contenute nel testo di Aristote-
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Provocazione e appropria1.ione: fa risposta a lvlartin Heidegger
Rkhard]. Bernstein
Ie discusso nel corso, tra poiesis e praxis, tra techne e phronesis. In aggiunta a questo, avendo a disposizione i manoscritti inediti di Arendt dove iI pensiero di Heidegger e preso in esame e Ie lettere in cui sono frequenti i commenti aI filosofo, si~o in grado di tracciare Ie numerose oscillazi~ ni di atteggiamento e di valutazione di Arendt .verso He!degger. n rapporto intellettuale tra Arendt e He!degger, un tempo trascurato dagli studiosi, sta diventando un aspetto molto importante nella comprensione e nella valutazIone dell'opera di Arendt.' Possiamo tuttavia rispondere ora a una domanda fondamentale. Interroghiamoci su quale sia stato l'impeto,la forza del pensiero politico di Ar~ndt e di H~idegg<;r. ~ che rapporto stanno I'uno con I a1tro? A mlo aVVlSO iI pensiero politico di Arendt puo essere compres~ come una efficace risposta critica a Heidegger, una replica ch<; mette in evidenza soprattutto I'incapacita da parte di Heidegger di comprendere iI significato dell'arendtiana «condizione umana della pluralita».In verita io credo che i concetti arendtiani di politica, azione e pluralitil costituiscano la risposta pili penetrante alia totale incomprensione da parte di Heidegger del signi/icato della vita ~ub blica. La pluralita e I' aspetto fondamentale del penslero politico arendtiano, che forgia gli stessi concetti di azione natalita, discorso, Iiberta, uguaglianza, potere, politlca: spazio pubblico, mondo, opinione (doxa), giudizio e narrazione. Questi concetti formand una rete complessa che costituisce la nozione arendtiana di praxis. La provocazione suscitata da Heidegger, I' appropriazione di a1cuni motivi heideggeriani (che, nel pensiero politico di Arendt, vengono sottoposti a una conversione radicale), , Cfr. Benhabib, 1996, in particolare il capitolo 4, "The Dia1o~~ with Martin Heidegger: Arendt's Ontology of the Human CondlilOn ; dr. anche L. Hinchmann e S. Hinchmann, 1984; Taminiaux, 1992; Ta· miniaux, 1985; Taminiaux, 1991; Villa, 1996. J. Taminiaux ha analizzato accuratamente i corsi e i seminari tenuti da Heidegger a1 tempo
in cui Arendt era sua studente, fomendo il piil clettagliato e conVID' cente resoconto delle complesse risposte critiche di Arendt al penslero provocatorio di Heidegger.
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permisero ad Arendt di mettere in discussione la stessa nozione heideggeriana di essere-nel-mondo. Per essere ancora pili precisi e chiari, io penso ch~ in nessun luogo Heidegger si awicini minimamente a CIO che Arendt mtende pluralita (nemmeno iI Mitsein e Mitdasein di Essere e tempo). Heidegger e insen~ibile alia d~e,ns~one concreta e vitale degli affari umanl. Questa ceclta alUta a capire (rna non la giustifica) la sua n~ive!e p~litica, i suoi interventi disastrosi, gli imperdonablli silenZl. Qw sta la differenza decisiva tra Arendt e Heidegger. Hannah Arendt non e una allieva di Heidegger, rna piuttosto uno dei suoi critici pili acuti e accorti. 1'uso che lei fa dei tr?pi e del vocabolario heideggeriano e rnlrato aIIo scopo di pensare con tro Heidegger. Che cosa intende Arendt per pluralitil? Per quanta Arendt sia stata prodiga nell'introdurre nuovi conce~~ e nuove distinzioni, non e rnai riuscita a dare delle definizloni concise. Per capire iI senso di quei concetti bisogna, seguendo Wittgenstein, osservare iI modo in. cui lei ~tess~ ~e fa uso nei diversi contesti. Possiamo partIre dall espliclta trattazione del tema della pluralita in Vita activa, nel cui pralogo affeulla: «GIi uomini nella pluralita, cioe, gIi uomini in quanta vivono, si rnuovono e agiscono in questa mondo, possono fare esperienze significative solo quando possono parlare e attribuire recipr~camente un sens? aile lora parole» (Arendt, 1958a, trad. It. p: 4). Arendt, mtroducendo la sua trattazione della vita actzva che «deslgna tre fondamentali attivita umane», i1lavoro, I' opera e I' azione, cosl deHnisce I' azione: 1:azione, la sola artivita che metta in rappotto diretto gli uomini senza Ia mediazione di cose materiali, corrisponde alia condizione umana della pluralita, al fatto che gli uomini, e ~o~ ['Uomo vivono sulla terra e abitano il mondo. Anche se tutu gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo. connessi alIa politica, questa pluralita especificamente Ia condizione:- no~ solo Ia conddio sine qUl1 non, rna la conditio per qUl1m - di ogru vita politica (ivi, p. 7). La pluralita non
e semplice!nente molteplicita, a1terita, 235
Richard]. Bernstein
Provocazione e appropriazione: ia risposta a Martin Heidegger
Se ci si fe1lna per un momento a riflettere su questi passaggi preziosi, ci si rende conto di come Arendt stia qui tessendo la sua trama di concetti. Sta cercando di chiarire cos'e I'azione, che considera la piu alta forma di attivita umana. Solo attraverso I' azione possiamo rivelare chi siamo. l'azione non deve essere identificata con cio che normalmente intendiamo con questa termine, un mero fare. 1'azione e una attivita non-teleologica che accade «tra» «
stesso vale per il discorso. n discorso awiene <
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distinzione. Vi e qualcosa di unico nella differenza e distin• Zlone umana. Ma solo l'uomo puo esprimere questa distinzione ed esprimere se stesso, e solo lui puo comunicare se stesso e non sola-
mente qualcosa - sete 0 fame, affetto, ostiliti! 0 timore. Nell'uomo, l'alterita, che egli condivide con tutte Ie altre cose e la distinzione, che condivide con gli esseri viventi, diventano unicita, e la pluralita umana e la paradossale pluralita di essere unici (ivi, p. 128).
Per unicita Arendt non intende solo il fatto che ognuno di noi e nato con qualitil individuali che ci differenziano I'uno daIl' altro, in quanta questa e una caratteristica comune a tutti gli esseri viventi. Solo gli esseri umani possono rivelarsi nella loro unicita (e pluralita) attraverso il discorso e I'azione. Mediante essi, gli uomini si distinguono anziche essere meramente distinti; discorso e azione sono Ie modaliti! in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici, rna in quanta uomini. Questo apparire, in quanta e distinto dalla mera esistenza corporea, si fonda sull'iniziativa, un'iniziativa da cui nessun essere umana puo astenersi senza perdere la sua umanita. Non ecosl per nessun' altra attivita della vita activa L.. J una vita senza discorso e senza azione [... J eletteralmente morta per il mondo; ha cessato di essere una vita umana perche non epiu vissuta fra gli uomini (ivi, p. 128).
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RIchard J. Bernstein
Provocd1.ione e appropriazione: fa risposta a Marfin Heidegger
na necessita 0 inevitabilita storica. Fintanto che siamo ancora esseri wnani, abbiamo la possibilit. reale eli agire politicamente, a partire dalla nostra pluralita cos~tutiva. . . Anche iI modo in cui Arendt comprende iran momentt eli improvvisa comparsa dello spirito rivoh ~z!onario nell' et' m<; dema puo essere fatto risalire alia sua VlSlone della pluralita. Dal tempo della Rivoluzione americana fino alia rivolta ungherese del 1956 (e si potrebbe aggi~gere,. f~o. ~ primo movimento per i elirirti civili negli Statt Urutt,l ~10 d~ movimento eli Solidarnos.: in Polonia, e degli altn moVlmenti eli elissidenza nell'Est europeo che hanno preceduto iI crollo dei regimi comunisti nel1989), in ra~ mo~enti la pluralit' e elivenuta una realta politica. Sono 1temp11? Cill gli spazi pubblici si creano spontaneamente, qu:mdo 1 < della libert' pubblica elivengono una realta mondana e tangibile. Arendt considerava quest~ miracolose esplosi~ ni dello spirito rivoluzionario come I segnali della «stona piu reconelita dell'epoca moderna» (efr. Arendt, 1961a, trad. it. p. 27). .. Possiamo notare come Arendt, nella sua analisl della pluralita, dell'azione, del eliscorso e della politica, trasfiguri~ cune delle istanze heideggeriane. In Essere e tempo Heldegger scrive: «L'Ess.erci.e apertura». Nel ,con~esto ?eII'analitica esistenziale eli Hetdegger, 10 scopo e chlame iI rapporto del Dasein con I'essere. Arendt, pero, si aIIon~ana d~ Heidegger, appropriandosi del concetto heldegge~ano eli apertura (Erschlossenheit) per spiegare .Ie I?od:ilita. attra: verso cui gli esseri wnani si mostrano gli urn .agli aI~n negli spazi pubblici che sorgono quando gli StesSI essen wnaru danno vita a una comunit' politica (polity). Agenda e parIando gIi uomini mostrano chi sana, rivdano attivamente I' unicita della Ioro identita personale, e fanno cos1 Ia Ioro apparizione nd mondo umana [... j Questa rivdarsi d~
"chi" qualcuno e, in contrasto con it "che cosa" -Ie sue qualita
e capacita, i suoi talenti, i suoi difetli, che puo esporre 0 tenere nascosti - e implicito in qualunque cosa egli dica a faCCla [...I Questa capacita di rivdazione dd discorso e dell: azione emerge quando si ecan gli a1tri; non per ne contro a1tn, rna nd sem238
plice essere insieme con gli a1tri (Arendt, 1958a, trad. it. pp. 131-132).
Possiamo estendere Ia nostra analisi della pluralit. seguendo i binari eli pensiero che hanno portato Arendt a concentrarsi sulla natalit',la libert' e I'uguaglianza politica. Anche se azione e eliscorso aIIo stesso tempo presuppongono e tutelano la pluralita autentica, entrambi hanno bisogno dell'iniziativa, <. Arendt chiama natalit' la capacit' eli dare inizio a qualcosa eli nuovo. <(Arendt, 1951a, trad. it. p. 656). Le affermazioni apparentemente paradossali eli Arendt ci aiutano a capire meglio cosa lei intenda per pluralita. Se agire significa prendere un'iniziativa, iniziare (e questa inizio etutt'uno con la libett' wnana), aIIora si potrebbe essere tentati eli dire che gli inelividui possono agire in isolamento. Arendt nega con decisione che vi sia tale possibilit•. Non esiste azione, e quineli liberta, se non vi epluralita. Questa liberta mondana e tangibile non eda confondersi con la "liberta della volont'" che elivenne una preoccupazione per i filosofi. Arendt fa una affermazione ancora piu dura: la tradizione filosofica <
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-Provocazione e appropriozione: fa risposta a Martin Heidegger
Richard f. Bernstein
mente, la preoccupazione filosofica per la libert' interiore che inizia con Sant' Agostino, rna una tale libert' ha bisogno della "compagnia degli altri uomini" e lUlO "spazio comune e pubbhco in cui incontrarli": "un mondo organizzato politicamente,
in a1tri termini, nel quale ogni uomo libero potesse inserirsi attraverso l'azione e il cliscorso" (ivi, p. 199). Anche qui assistiamo alla radicale trasformazione di un motivo heideggeriano. Anche Heidegger cerca di svincolare la sua nozione ontologica di liberta dallegame con la liberta della volonta, cosl ben radicata nella tradizione metafisica occidentale. <, dice Heidegger, <>: l' esperienza politica. Heidegger non si occupa quasi mai della liberta politiea. Ho fin qui sostenuto che la trama di concetti e distinzioni che Arendt elabora al fme di iIlllffii!1are il significato delIa politica e condizionata dalla sua concezione della pluralita. La relazione diviene ancor pili chiara se si analizza il modo in cui Arendt si serve dell'uguaglianza (isonomia) come concetto politico. I.' autrice opera una netta distinzione tra uguaglianza sociale e politica, affermando che l'una non deve essere confusa con l' altra. Come Nietzsche e Foucault, Arendt e convinta che l'aspirazione all'uguaglianza sociale porti a una nonnalizzazione repressiva che <
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nomia dei greci, rna e un'uguaglianza che si e manifestata anche nei consigli sorti spontaneamente durante Ie rivoluzioni modeme. La politica, nell' accezione di Arendt, puo verificarsi solo quando gli esseri umani si confrontano l'uno con l' altro e discutono da uguali. A prima vista puo sembrare paradossale (e forse utopico) che la politica possa escludere il govemo, il govemo di un singolo, di un gruppo, 0 di una classe su tutti gli altri. La radicalira della nozione arendtiana di politica diviene chiara quando Arendt parla della polis come delluogo in cui <
mini erano nati 0 creati eguali; aI conrrario, perche gli uomini erana per natura non eguali e avevano bisogno di una istituzione artificiale, la polis che in virtu del suo nomos li rendesse eguali. L'eguaglianza esisteva solo in questa specifico ambito politico, in cui gli uomini si incontravano fra loro come dttadini e non come persone private (Arendt, 1963e, trad. it. pp. 26-27).
Vorrei introdurre un ulteriore concetto nella nozione di pluralira: l'opinione (doxa). Attraverso esso possiamo approfondire I'analisi attomo alle nozioni di mondo comune e condiviso e di pluralita. Questo aspetto ci portera nuovamente alle differenze fondamentali che esistono tra Arendt e Heidegger. I.'opinione (doxa) ela materia stessa della politica. Doxa e un telIuine collegato sia all'opinione che alla fama. Comunemente consideriamo "opinione" tutto cio che elegato a una preferenza soggettiva. (Quando per esempio diciamo «ognuno ha diritto alla propria opinione»). Oppure si pensa alle opinioni come a delle preferenze, verificabili attraverso sondaggi. La nozione al'endtiana di opinione non solo eradicalmente diversa da queste due accezioni, rna vuole essere una critica di questa modo di concepire l'opinione.
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Richard]. Bernstein
Provoca1.ione e appropria1.ione: to risposta a Martin Heidegger
<, <Ja caratteristica distintiva dell'eta moderna» (Arendt, 1958a, trad. it. p. 187) Nell'epoca modema si e verificata <J'eclissi di una sfera pubblica comune», una si-- ------------
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Si veda come Arendt parla di Soc rate. il cittadino che cerca di estrarre la verila dalle opinioni dei suoi concilladini (Arendt. 1986b. pp.73-103). 4
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tuazione che, secondo Arendt, ha portato alla <
In modo un po' sarcastico Arendt affenna anche che <
Richard f. Bernstein
Provocazione e appropriazione: fa risposta a Marlin Heidegger
mitologie non concettuali quali quella del "Popolo e suo10"» (ivi, p. 72). Qualsiasi cosa si pensi della critica di Arendt a Heidegger, una cosa ecerta. Per Arendt non vi ein Essere e tempo nemmeno un'allusione alla pluralira. L'autrice contrappone ai Se isolati di Heidegger la nozione di «comunicabilitil» di Jaspers (che sembra pili vicina alla pluralita arendtiana). Pare un'ironia della sorte il fatto che, mentre Arendt scriveva l'articolo in questione, interpretando Heidegger come un filosofo esistenzialista, 10 stesso Heidegger nella sua Lettera sull'''umallismo'' ripudiava, in modo energico, questa interpretazione "esistenzialista" di Essere e tempo (Heidegger, 1995a).' Si potrebbe obiettare che l'ostilita di Arendt verso Heidegger, cOSI come emerge da questo articolo, fosse dovuta pili che altro alla rabbia e all' atteggiamento ambivalente che l'autrice nutriva nei confronti del filosofo. La vera questione filosofica e stabilire se i concerti di Mitseill e Mttdaseill precorrano la pluralita arendtiana. Ma non eforse delI'in£luenza di I Ieidegger su Arendt che ci stiamo occupando? Forse ci si aspetta di scoprire i punti di contatto tra i due, piuttosto che una feroce critica di Arendt al concetto heideggeriano di un Se isolato e atomizzato. Lasciamo da parte per un artimo la questione dell'interpretazione arendtiana di Heidegger. Consideriamo invece cosa il filosofo dice in Essere e tempo a proposito di Mitseill e Mitdaseill. Heidegger introduce I'argomento nel capitolo 4 della prima sezione di Essere e tempo: <<1'essere-nel-mondo come con-essere ed esser-se-stesso. n "Si"». Si tratta di un capitolo importante: il titolo ci fa capire che si tratta delIa famosa analisi del <
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tri", in questo caso, non sono coloro che restano dopo che io mi sono tolto. Gli altri sono piuttosto quelJi dai quali per 10 pili non d si distingue e fra i quali, quindi, si e anche» (Heidegger, 1976b, p. 153). Se considerata nella prospertiva della pluralita arendtiana, questa posizione fa riflettere. Arendt non parlerebbe mai di pluralita in questi termini. n punto centrale della sua nozione di pluralita, come condizione umana dell' azione, e proprio il fatto che gli esseri umani manifestano la loro pluralira distinguendosi I'uno dall' altro attraverso azioni e discorsi. Ritornando a Heidegger, non emolto difficile capire la distanza che separa i due pensatori a questo riguardo.
ncampo su cui camminiamo appartiene a qualcuno e appare
pi" 0 meno ben tenuto dal suo coltivatore; illibro che leggo e stato comprato presso [... J donato a [... J e cosl via. nbattello ancorato alla riva rimanda in quanto tale a un conoscente che sta per fare una gita; rna anche come "battello sconosciuto" manifesta gli a1tri. Gli a1tri che si "incontrano" entro il complesso dei mezzi utilizzabili intramondani, non sono pensari come se si aggiungessero alle cose innanzi tutto semplicemente presenti. AI contrario, queste "cose" si incontrano a parrire da un mondo in cui sussistono come utilizzabili per gli a1tri; mondo, questo, che eanche, fin da principio, il mio (ivi, pp. 152-153).
Risulta chiaro da questo passaggio che quando Heidegger afferma < dell' essere e applicabile solo alle dimensioni arend245
Provocazione e appropriazione: ta risposta a Martin Hezdegger
Richard]. Bernstein
tiane del lavoro edell' opera. Per esempio, secondo Heidegger, quando sto usando (0 non usando) degli strumenti, gli a1tri sono Ii per me. Heidegger insiste nel sottolineare che con-essere e attributo esistenziale dell'Esserci e non caratteristica ontica di una pluralita di esseri umani. Perche Heidegger introduce i concetti di Mttsein e Mitdasein solo a questa punto della sua analisi? <
quanta modi di essere del Si, costituiscono do che noi chiamiarna "pubblidta" [... J La pubblidta oscura tutto e presenta do che risulta cosi dissimulato come notorio e accessibile a tutti (ivi, p. 164).
Se si volesse rintracciare un punto preciso dell' opera di Heidegger dove, secondo Arendt, il fllosofo sbaglia, sarebbe proprio qui. lronicarnente Arendt e d' accordo con Heidegger nella descrizione delle «condizioni esistenti» in questi tempi bui, rna non con I' affenllazione secondo cui queste possono rivelare qualcosa di ontologicarnente rilevante sulla pubblicita. Nella sua prefazione a Men in Dark Times Arendt scrive: « ... il punto e che la sarcastica e perversa affenl1azione [di Heideggerl "Das Licht der Olfentlichkhezt verdunkelt alles" ("Ia luce della sfera pubblica oscura tutto") colpl il cuore stesso della questione, e non era a1tro che la pili concisa ricapitolazione delle condizioni esistenti» (Arendt, 1968, p. IX). Heidegger, secondo Arendt, non riesce a comprendere che esiste uno spazio pubblico creato dall' azione plurale e comune degli uomini. Per usare espressioni heideggeriane contro Heidegger stesso, potremmo dire che il fllosofo e incapace di distinguere la vita pubblica autentica dalle sue espressioni degenerate, dove sulla pluralita prevale il "Si".
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Questo accade, per dirla con Arendt, quando il sociale ingloba e oscura il politico. La riflessione arendtiana sulla pluralita e condotta in modo da svelare e recuperare una diversa modalita del pensare la vita pubblica, una modalita per la quale la parola e I' azione svelino la pluralita, la liberta pubhlica e mondana. Insisto ancora su un punto centrale. Non voglio certo negare che Arendt si serva di molti temi heideggeriani, sviluppandoli poi in modo diverso. Ci si potrebbe, pero, spingere oltre. Difficilmente Arendt avrebbe potuto sviluppare una nuova visione originale della politica se non si Fosse appropriata dei temi heideggeriani e se non Fosse stata stimolata dal suo pensiero. Ma il pensiero di Arendt, a differenza di quello di Heidegger, si e sempre basato sulle realta concrete che la toccavano da vicino, gli orrori del XX seco10. Fino dai primi anni trenta Arendt si e occupata senza sosta dello scontro tra fllosofia e politica. Esempre slala cosciente, in modo acuto, della tendenza dei fllosofi e dei "pensatori puri" a fuggire (e denigrare) la caotica contingenza delle realta politiche. Lei, a differenza di Heidegger, non ha mai ceduto a questa tentazione. Ettinger riporta che il 28 ottobre 1960 Arendt scrisse a Heidegger comunicandogli che gli aveva spedito una copia della versione tedesca di Vtta activa. (Non esiste a1cuna lettera di Heidegger in cui questi commenti illibro 0 afferrni di averlo ricevuto.) Arendt scrive: «Ii accorgerai che illibro non porta a1cuna dedica. Se i rapporti fra noi non fossero stati cosl mutevoli - voglio dire Ira, ossia ne io ne tu - ti avrei chiesto il pennesso di dedicaltelo; Ie idee dellibro erano gia nate nei primi giorni a Marburgo ed esso deve t~tto, in ogni suo aspetto, ate. Sembrerebbe impossibile, VlSto come stanno ora Ie cose; rna almeno volevo dirti, in un modo 0 nell' altro, i farti nudi e crucID>. Su un foglietto a parte, Arendt scrisse dei versi che non spedl mai a Heidegger: Vita Activa:
Questo libra non ha dedica. Come avrei potuto dedicarlo ate, rnio Eidato amico,
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Richard]. Bernstein cui sana rimasta Fedele e Wedele, rna sempre nell' amore. (Ettinger, 1995, trad. it. p. 102)
Come tante case che Arendt scrisse a Heidegger, questi versi si prestano a molte interpretazioni, pur indicando la profonditil dellegame che univa Arendt a Heidegger e il debito intellettuale nei suoi confronti. La frase che pili colpisce e«aI quale sono rimasta fedele e infedele». Arendt, in modo quasi nietzscheano, era fedele a Heidegger. Ma, pensando in modo indipendente [Selbstdenkenl, pensando contyo Heidegger, gli era stata anche infedele (che e un aItro modo di essere fedeli). n pensiero politico di Arendt e una replica forte alia provocazione di Heidegger. Ella fu in grado di illuminare cio che Heidegger non capl mai: il significato prezioso e molteplice della pluralita umana, dell'azione e della liberta mondana e tangibile. Traduzione di Olivia Guaraldo
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«Quaestio mihi factus sum». Una lettura heideggeriana di It concetto d'amore in Agostino di Luca Savarino
Gli interpreti che si sono finora cimentati nel non agevole compito di scrivere sulla dissertazione di dottorato di Hannah Arendt, Der Liebesbegri/l bet' Augustin, pubblicata nel 1929 a Berlino dall' editore Springer, hanno sottolineato, spesso in modo poco pili che generico, I'influenza del pensiero di Martin Heidegger su questa testo giovanile. La presenza di Heidegger appariva evidente nel determinare 10 stile e la "tonalita" complessiva della dissertazione. Sebbene non potesse essere ricondotto a specifiche trattazioni del problema dell' amore in Agostino, il debito arendtiano sembrava collocarsi allivello delle domande fondamentali dell'interrogazione heideggeriana di quel periodo, relative al rapporto tra essere e tempo e alia costituzione dell'uomo come essere temporale.' Negli ultimi anni la critica ha messo in luce con sempre maggior frequenza I'influsso esercitato su Arendt dalle opere e dal pensiero di Heidegger. E noto come la riproposizione heideggeriana del problema ontologico, in Essere e tempo, fosse preceduta, nei corsi di Friburgo prima e di Marburgo in seguito, dal tentativo di mettere in luce I'insufficienza dell'apparato teorico tradizionale in nome di una «ermeneutica dell'effettivita,>, di una riflessione a partire dal concetto di vita, che la metafisica, ancorata a una concezione dell' essere obiettiva e modellata sulla presenza, si dimostrava incapace di pensare. La riformulazione heiI
A. Dal Lago fa notare come l'insistenza arendtiana sulle aporie
temporali dell'amore introduca lU1 «tono heideggeriano decisivo ndl'interpretazione di Agostino» (Dal Lago. 1987, p. 19). Si vedano anche, su questa punta: Young-Bruehl, 1982a, trad. it. p. 106; Petitdemange, 1996, p. m.
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Luea Savarino
«Quaestio mihi/actus sum»,,,
deggeriana della questione dell' essere appariva giustificata dall'inadeguatezza del modo in cui, tradizionahnente, veniva posto il problema della storieita e concretezza dell'esistenza effettiva dell'uomo. Gli interpreti hanno collocato la critica di Hannah Arendt alla metafisica in nome dell'agire politico sullo sfondo di tale orizzonte problematico. La nozione di essere-nelmondo e la critica di Heidegger alla semplice-presenza vengono utilizzate dalla Arendt per una decostruzione del pensiero politico tradizionale. Storicamente, il privilegio che il theorein ha conferito a eio che possiede stabilita e permanenza ha condotto alla perdita della dimensione originaria della praxis e alla riduzione di quest'u1tima alla poiesis, aIl'ambito del fabbricare e del produrre. La filosofia ha potuto ignorare, in tal modo, i requisiti di pluralita e novitil che appartengono all'agire, illuogo in cui si realizza originariamente e autenticamente la liberta dell'uomo.' Emerito di]. Taminiaux aver chiarito in maniera definitiva I'importanza dell'interpretazione heideggeriana di Aristotele, nel periodo di Marburgo, per 10 sviluppo del pensiero di Arendt (Taminiaux, 1992). Lo sforzo di Taminiaux e rivolto da un lato a mettere in luce I'influenza della rilettura heideggeriana di a1cune tematiche dell'Etica Nicomachea, dall' a1tro a sottolineare la specifieita della appropriazione arendtiana della praxis aristotelica, in contrasto con I'intento ontologico che guida Ie analisi di Heidegger. La rivalutazione della praxis come sede ~utentica dell' abitare umano assume una valenza diversa rispetto all'essere-nelmondo heideggeriano. Arendt sottolinea primariamente quei caratteri di politieita e intersoggettivita del mondo comune che in Essere e tempo paiono secondari. La recente pubblicazione di buona parte dei corsi di Friburgo e Marburgo permette di ricostruire il contesto in cui nasce I'interrogazione ftIosofica di pensatori come Hannah Arendt, Karl L6with e Hans] onas, che assistevano in quegli anni alle lezioni di Heidegger, e che hanno interpretato I'insegnamento di quest'u1timo in chiave umanistica e -~-
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'Cfr. Volpi, 1987, p. 80. Si veda anche Schiinnann, 1982.
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mondana. Tale contesto non esegnato unicamente ~alle interpretazioni fenomenol<;,gichc: di ,,\ristotele, m~ ~lvela I~ sforzo di Heidegger di flesammare I fondamentl f!IOSOfiCI della tradizione cristiana e il pensiero di Agostino ill p~rt1colare. A partire da una riflessione sull' esperienza religlOsa del cristianesimo delle origini, infatti, vengono formulate qui per la prima volta a1cun.e n~zioni ~he acquisir~o pro: gressivamente un ruolo. di Pf1ffiO rlanO nd pc:nslero di Heidegger e che conflulfanno nell ontologla di Essere e tempo, dove assumeranno un senso autonomo flspetto alla loro provenienza religiosa e cristiana. Non sem~ra dunque casuale che I' origine del percorso ftIosoHco del tre pensatori citati in precedenza sia segnata da una rilettura dell' 0.. pera agostullana. .., . La pubblicazione dei COrsi tenutl da Heldegger a Fflburgo nel semestre invemale del 1920-21 end semestre estlvo dd 1921, dal titolo rispertivamente Introduzlone alia fenomenologia della religione e Agostino e il Neopla~omsmo (Heidegger, 1995b) consente di definire con magglOf precisione il panorama filosofico entro cui collocare la di~s~r: tazione su Agostino e di sottrarsi in tal m~do alla g~eflclta del dibattito attomo all'infIuenza dd penSlero di HeIdegger su quest'opera giovanile di Hannah Arendt. A un'analisi filosoficamente atrenta delle lezioni, infatti, non possono sfuggire Ie significative linee tematiche che si rifletteranno a1cuni anni dopo nello scritto di Arendt.' )
, L. Boella, nella "Postfazione" all"edizione italiana della .di~erta. zione di dottorato di Arendt, nota come, a parttre dru cors~ di H~l degj(er, anche Jonas e LOwith abbiano affrontato negli stessl 30m, m riferimento ad Agostino, temi simill. <£ evidente che la g"!'erazlOne degli allievi di Heidegger, nellaseconda ,meta d~gli anni venn, SlOrlenta decisamente verso la questtone dell essere-mSleme e qumdi dell,a fondazione del ruolo dell' altro aU'interno dell'essere-nel-mondo hel· degj(eriano» (Eoella, 1992, p. 154). . . ~ Non e certo che Hannah Arendt conoscesse il contenuto del corsi tenull da Heidegger a Friburgo, a cui non aveva assistito. Ar~d( stessa. a proposito della fama precoce di H~idegger, ~corda ,come 1 (~: sti delle lezioni circolassero, sotto fonna di appuntl, tra gli. stud;onn. «Ma nel caso di Heidegger non c'era nulla di l~gibile che gtustilicasse la sua fama, nulla di scriltO, salvo gli appunn presl aUe sue lezlom,
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«Quaestio mihi factus sum»".
Luca Savarino
II progetto filosofico complessivo di Heidegger negli anni eli Friburgo, all'interno del quale eliventa comprensibile la sua interpretazione del cristianesimo delle origini, si delinea a partire dalla presa d' atto della differenza di principio tra filosofia e scienza e dalla parallela critica alIa pretesa d'originarieta del teoretico. Heidegger descrive in piil luoghi la genesi dell'atteggiamento teoretico nei termini di una devitalizzazione dell' ambito dei rapporti concreti entro cui esso nasce. L' evoluzione della coscienza verso l'esperienza eli tipo teoretico avrebbe dunque origine da una perdita del carattere originario eli una espe• rlenza V1ssuta. La rinuncia al teoretico non implica il venir meno eli qualsivoglia pretesa eli esaustivita del sapere: la filosofia non si fonda su un'esperienza irrazionale, rna fa piuttosto riferimento al tentativo eli cogliere una connessione preteoretica. La vita come ambito originario risulta da sempre articolata in una serie eli nessi e rappotti vitali. Ogni situazione, sostiene Heidegger, possiede un carattere unitario e compiuto: essa non puo essere descritta adeguatamente come un processo, rna ha piuttosto da fare con qualcosa come un evento, qualcosa che «accade» a un io con cui la si. , .. . tuazlOne e Costltutlvamente ill rapporto. Si assiste chiaramente, nella riflessione heideggeriana eli questi anni, al progressivo emergere eli un'idea eli storicita come dimensione originaria: ogni situazione e <<storica» e racchiude una ricchezza eli riferimeoti vitali che la dimensione teoretica non consente eli cogliere e che si esprimono, talora, tramite il riferimento alla corporeita e alla sensibilitil. E evidente come Heidegger proceda in elirezione eli una forma eli sapere che consenta eli rispettare l'ambito della vita nel suo carattere eli evento, un sapere che, pur senza rinunciare alla propria portata teo rica e conoscitiva, non ricada nell'oggettivismo. Una filosofia che prenda coscienza della propria essenziale differenza d' oggetto rispetto alle •
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----- . -- - - - che passavano ill mano in mano» (Arendt, 1969(, trad. it. p. 169). E comunque evidente la profonda identita ternatica che lega la dissertazione arendtiana alle lezioni di Heidegger.
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scienze mira ad atticolare l'esperienza fattuale che costituisee la dimensione originaria del vivere, quella che Heideggel' definisce «faktische Lebenser/ahrung», esperienza eli vita relativa alla fatticita. La filosofia come scienza originaria preteoretica, che tenta eli cogliere la costitutiva dinamicita e Ie modalita concrete della vita effettiva, si serve del concetto eli «attuazione» (Volhug). L'atteggiamento teoretico fa riferimento unicamente al «Che cosa» eli un oggetto e dunque non puo che situarsi a livello eli cio che Heidegger definisee «senso eli contenuto» (Gehaltsinn): cio che caratterizza la devitalizzazione dell' esperienza vissuta e proprio la separazione eli un contenuto, ridotto a un mero «dato eli fatto» , dalla sua concreta attuazione. In tal modo, pero, l'io storico svanisce, I'esperienza vissuta edestoricizzata e devitalizzata e della ricchezza eli riferimenti presenti nella situazione non resta che un semplice essere inelirizzati a qualcosa. La filosofia, al contrario, rivolge 10 sguardo verso l' attuazione, verso il «Come» della vita nelle sue differenti modalira. All'interno eli tale contesto teorico, Heidegger si rivolge all' esperienza re1igiosa cristiana con I'intento eli recuperarne un nueleo originario che si collochi al eli la eli ogni deformazione ad opera eli una concettualita metafisica eli provenienza greca. n cristianesimo delle origini rappresenta uno dei paraeligmi storici eli un pensiero libero dalla supremazia dell' atteggiamento teoretico e oggettivante. In questa senso, I'analisi dell'esperienza re1igiosa delle prime comunita cristiane si rivela funzionale, nei primi anni venti, all'elaborazione eli un' ermeneutica dell' effettivita, al progetto ontologico eli una filosofia che sappia atticolare e descrivel'e Ie mutture dell' esistenza. L'interpretazione delle Epistole eli Paolo ai galati e ai tessalonicesi, nel primo dei due corsi in questione, e guidata da un intento strettamente filosofico. Enecessario, affetma Heidegger, evitare qualsiasi presupposto eli tipo dogmatico: per comprendere I'universo spirituale che emerge dalle Epzstole non occorre cercarvi un sistema teologico compiuto, rna e piil utile evidenziare l'esperienza re1igiosa fonda253
«Quaestio mihi jactus sum» ... Luca Savarino
mentale che domina la sua predicazione, iI conflitto appassionato tra la fede e la legge.' L'interpretazione fenomenologica intende mettere in luce iI modo in cui I'esperienza religiosa del cristianesimo delle origini giunge, nelle Lettere paoline, a un' autocomprensione e a un' esplicazione categoriale che nascono dalla concretezza della vita e non la ricoprono arbitrariamente. A1I'interno di questa orizzonte concettuale Heidegger intende spiegare I'origine della dogmatica: iI significato autentico della teologia consiste nel tentativo di pensare, tramite una spiegazione concettuale (Explication), iI senso della vita religiosa. Paolo, sottolinea a pill riprese Heidegger, elontano da ogni forma di concettualita teoretica, avulsa dalla effettivita dei legami che costituiscono iI nesso di una situazione storico-esistenziale (dr. ivi, p. 72). Nell'interpretazione del testo della prima Epistofa ai tessalonicesi, Heidegger introduce, in riferimento a due termini che Paolo usa con frequenza, «esser divenuti» e «sapere» (avere visto) (dr. ivi, p. 93), una serie di tematiche che costituiranno, sebbene con un'accennlazione diversa, I' ossatura del discorso di Hannah Arendt. Per mezzo di tali espressioni, I'Apostolo fa riferimento a un passato che costituisce un legame tra se e la comunita. I tessalonicesi sono < La fllosofia non fa riferimento a una dimensione sovrastorica, rna costituisce piuttosto un «ritomo a do che e originariamente storico [Riickgang ins Urspriingilch-Hislorischesl» (ivi, p. 90).
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spiritualitit cristiana edeterminata nel suo svolgm,ento temporale, un principio che rimanda. a un pa~sa~o Vlv':I1te, gravido di effetti e di promesse per iI futuro. Lesp~nenza d<;l rap porto con Dio, in tal modo~ non isola sem?licemente iI credente, estraniandolo da ogru relazlOne con iI prossuno e con iI mondo, rna si concretizza nel ri-vivere un passato che accomuna Paolo e i tessalonicesi (dr. ivi, pp. 94:95). . La discussione heideggeriana dei passi della pruna Epistofa ai tessalonicesi relativi allaparousia consente di defuur~uI teriOlIllente iI senso non metafisico, effettivo, dell' esp~nen za di vita e di fede delle prime comunitit cristiane: esso Sl ~ve la qui nella non esauribilita, sui piano del ~ontenuto, dell ~ nuncio della parola di Dio e del messagglO della predicaz~o ne paolina. Paolo rifiuta di rispond~re alla d?manda relatlva al «Quando» di un evento che non e determmabile attraverso un calcolo cronologico, rna fa piuttosto riferimento all' attuazione di due diverse strutture dell'esperienza e di due modalita dell'attesa di un accadimento futuro. L'attesa della parousia rimanda in talmodo.al «C?me» di una decisionerelativa al proprio esserci, che Sl espr~e attr~verso ?u,e fOl1~l~, una autentica e una inautentica, dell attuazlOne di se (dr.1Vl: pp. 99-100). L'esser-divenuti si con~retizza ~ ~ m~do di comportarsi che accomuna Paolo. e I tessal?rucesl: un ar;goscia vigile, carica di problematlclta, che Heldegger defuu~ce <J3ekummerung», «cura», e che presuppone un tempo pnv? eli quantitit organizzabili e ordinabili secondo flussl regol~n, contraddistingue la temporalitll cristiana. Solo. un atteggla: mento che non scenda a livello dei contenutl consente di mantenere apelta tale problematicitit e di vivere iI senso autentico, escatologico, della Zeitlichkell.' .. . La struttura della speranza cristiana e irnduclbile alla semplice aspettativa di un evento futuro, inserito all'inter: no di una concezione Iineare, quotidiana, della temporalita «ll lora attuale essere e iIloro "esser-divenuti"» (ivi. p. 94). 8 «ll sensa dd "Quando", dd tempo, in cui vive iI. cristiano», .aEfer rna Heidegger, «possiede un carattere dd tutta pa.rtl~olare. Not l.~b biamo caratterizzato in precedenza, da un punta di Vlst~ ~onnale: La religiosita cristiana vive la temporalita [Zeitllchkeill"» (lVI, p. 104). 7
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(efr. ivi, p. 102). n senso dell'attesa dell'awento del Messia non e spiegabile, secondo Heidegger, in termini psicologistici e oggettivanti, rna si da nella sua originarietit soltanto attraverso una «distruzione» delle categorie della filosofia tradizionale. Appare decisivo, per comprendere l'influenza di queste lezioni sulla dissettazione arendtiana, che Heidegger faccia risalire la mancata comprenslOne della problematica escatologica da patte della teologia contemporanea alIe deformazioni prodotte dalla tradizione metafisica.' 1'introduzione di modalita concettuali della filosofia greca alI'interno dell'orizzonte spirituale del cristianesimo si rivela infatti inadeguata al senso dell' esperienza paolina: la vocazione autentica della teologia va ricondotta piuttosto a un sapere che sia diretta espressione della vita religiosa (efr. ivi, p. 97). Nell'ultima pane del corso Heidegger affronta un problema che sara al centro dello scritto di Hannah Arendt su Agostino: la relazione tra l'annuncio della parousia, che si gioea interamente sul piano dell' attuazione, e Ie concrete Slgnificativita entro cui il cristiano si trova a vivere. Dal momento che il senso della Zeitlicbkeit rinvia al rappono che lega il eredente a Dio, e lascia da pane ogni attesa di un contenuto mondano, «oecorre comprendere quale senso abbiano, per il cristiano, i riferimenti del mondo-collettivo e del mondo-ambiente [mit-und umweltlicbe Beziige]» (ivi, p. 116). Come epossibile conservare un rappono con Ie altre persone e con il mondo, per il credel)te proietta:o in una relazione di fede, apparentemente assoluta, con DIO? Una domanda, questa, di cui Arendt sottolineera gli aspetti problematici e aporetici: Heidegger mostra piuttosto come i contenuti e Ie significativita mondane non vengano minimamente messi in discussione, dal punto di vista del senso di contenuto e del senso di riferimento, da un accadere che si colloca a livello dell' attuazione. l'esperienza «Questo problema», afferma Heidegger. «gia nd Medioevo n~:m veruva pili compreso in maruera originaria. a seguito dell~ p~net~azlo, ne della fdosofia platonico·aristotelica all'interno del cnsoaneslmO» (ivi, p. 104).
di fede del cristiano accade interamente davanti a Dio: e unicamente I'attuazione entro cui si concretizzano i contenuti e i riferimenti mondani che si trasforma a seguito delI' annuncio. Paolo esperisce il mondo a partire dalla consapevolezza di vivere nella dimensione del ,«ancor solo» [nu~ nocb] (efr. ivi, p. 119). In tal modo, pero, il credente sublsce una trasfigurazione delle situazioni esistenti~ c?e conferisce loro un senso nuovo: la consapevolezza di vIVere nelI'imminenza dell'evento escatologico, a seguito della rottura provocata dal Geworden-sein cristiano, aumenta a dismisura la problematicita e il bisogn? dell' esistenz.a. . Heidegger riconduce a questa sltuazlOne il nconoscl: mento specificamente cristiano-paolino della creaturalita dell' esistenza. La dinamica della Grazia, in certo qual modo, edirettamente connessa con la poverta esistenziale che scaturisce dalla rinuncia a ogni contenuto mondano e con una salvezza che non e in potere dell'uomo raggiungere. 1'esperienza di Dio accentua l'angoscia, al co~tra~o di qualsiasi comprensione metafislca, che, sltuandosl allivello dei contenuti e dei riferimenti mondani, la placherebbe (efr. ivi, p. 122). . nmotivo dell'insufficienza delle capacita umane, lasclate su Agostino a se stesse, ricompare nel corso successivo,, . , e il neoplatonismo: Heideg.ger, attraverso un ~terpretazlOne fenomenologica del X Llbro delle ConfesslOnt, pr~segu~ ~~ tentativo di ricavare dall'autointerpretazione dell effettlVlta eristiana Ie categorie fondamentali della vita. . . 1'esposizione si organizza qui attorno ad alu:ru pU?tI principali: in primo luogo Heidegger sottolinea il motlvo esistenziale della ricerea di se e di Dio narrata nelle Confessioni, che risuona nell' agostiniano «QuaestIo mthi factus sum». Ponendo principalmente I'accento sul «Come» dell'esposizione, pill ehe sui eontenuti, viene evidenziata b non riducibilita dell'interrogazione alIo sguardo oggettlvante della metafisica. Heidegger mette in luce come, neil' analisi agostiniana della memoria, la tradizionale classificazione delle facolta dello spirito acquisisca un senso nuovo, libero dalla supremazia di un atteggiamento teoretic? La nuova Sinngebung (donazione di senso) delle categone
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tradizionalmente utilizzate per la definizione dell'uomo e frutto del particolare modo eli procedere dell'analisi che nasce dall'esperienza esistenziale della ricerca e dell,U;contro con Dio (efr. Heidegger, 1995b, p. 181). La riflessione agostiniana procede in modo fenomenologicamente orient~to e si ri~ela, agli occhi eli Heidegger, funzionale al repenmento eli una modalita eli esplicazione dell'esistenza eliversa risp~tto ~ quella tradizionale (efr. ivi, p. 232). Gia a questa pnmo livello eli analisi, pero, il motivo strettamente esistenziale dell'interrogazione si perde talora sulla scona dell' influenza eli una traclizione, quella della metafisica greca, che penetra nel eliscorso e, in particolare amaverso I' equazione vita-felicitil-verita, impronta eli se Ie tematiche relative alla ricerca eli Dio (efr. ivi, p. 193). Un secondo momenta decisivo dell'interpretazione eli Heidegger e il riferimento all' analisi agostiniana della tentatto e della cura (Bekiimmertsein) come motilita fondan:entali de~' esis.tenza. Anche qui, come nel caso dell' espen~a paolina, il m~tenersi aperti all' ascolto della parola eli DIO cOillclde con I espenenza della creaturalitil e dell'insufficie~za delle pretese umane. Dio comanda la giustizia e la contmenza, una giustizia e una continenza che non e in potere dell'uomo ottenere con Ie proprie forze. lO Heidegger IllIra a ~,ostrare, sulla scona del testa agostiniano, I'intrascenelibilita della sltuazione esistenziale descritta con il termine tentatio. Le eliverse clirezioni della tentazione non r~ppresentano altro, infarti, che la pretesa eli uscire dall'inslcu.rez~a e dall~ problematicita che sempre accompagnano la VIta, ill. elirezlOne eli qualche fOllna eli goclirnento mondan~ o,eli una definiti~a e autocompiaciuta contemplazione eli se e delle propne opere. 1'impossibilitil della continenza, dunque, e connessa con I'ineliminabile tendenza della vita effertiva a cadere fuori eli se, a elisperdersi nelle Hcidegger rende il senso dd terrnine continentia con l'espressio· ne Zusa:nmenhalten., che indica il tencr unito do che e disperso nel ~olteplice. La contmenza, dunque, rappresenta il contromovirnento di reeupero del Sf eontro I.. tenden~.. dell.. vit.. effettiv.. ..n.. dispersione nel moltepliee delle signifie..uvlt .. monda.ne (dr. ivi, p. 205). 10
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concrete significativitil mondane che eli volta in volta Ie vengono incontro (efr. ivi, p. 209). 1'esperienza cristiana della Grazia rimanda, dal punto eli vista heideggeriano, alla coscienza della storicita della Bekiimmerung e della costitutiva tendenza deiettiva della cura. Nel sottolineare la storicita della vita, Heidegger affronta eli passaggio un motivo che sara al centro delle considerazioni arendtiane relative al concetto eli appetitus. Le possibili elirezioni della vita si fOllnano unicamente nel de/luxus nella elispersione tra Ie concrete significativita mondane: cura assume in tal modo due eliversi sensi eli riferimento, il timere e il desiderare (efr. ivi, p. 207). Dal momenta che I' esperienza della vita effettiva e storicamente situata in un orizzonte eli aspettativa gravido eli significato, la vita si presenta sotto fonna eli costante desiderio eli benessere nelle awersita e eli tirnore delle awersita nel benessere. A piu riprese, Heidegger nota nel corso delle lezioni I'int~odursi eli temi ed espressioni della metafisica greca nel raglOnamento agostiniano. l'autenticita dell' esperienza eli fede eli Agostino e pensata attraverso I' apparato concettuale neoplatonico e in tal modo non riconosciuta in modo originario. La pretesa eli una visione eli Dio caratterizzata contenutisticamente, che e alla base dell'idea dellafruitio Dei, ein contrasto con I'inquietucline e I'angoscia della vita effettiva descritte da Agostino nel X Libro delle Con/essioni. Le considerazioni eli Heidegger relative al processo eli commistione tra cristianesimo e categorie della metaftsica si concentrano in particolar modo sulla elistinzione tra uti e fr:
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p. 271). E peccato confondere l'orcline della delectatio, amando cio che va utilizzato e utilizzando cio che va amato. A questo proposito Heidegger pone una questione che diventera decisiva per Hannah Arendt: come si colloca, all'interno dell'ordzitata dzlectio, I'uomo? A meta strada tra I'ente intramondano e iI bene assoluto, I'esserci va amato per se stesso, oppure in relazione ad altro?" Heidegger sembra notare, qui, come Ia dinamica della relazione di/rui e uti conduca intrinsecamente alia svalutazione dell' amore del prossimo. Cio che va amato per se stesso, infatti, costituisce la beatitudine, rna della vita beata non abbiamo, su questa terra, che l'imrnagine (efr. zbzd.). Heidegger insiste in partico[ar modo sui peculiare senso estetico della fmizione di Dio, che riconnette esplicitamente con la tradizione della metafisica neop[atonica. 12 L'idea della fmizione sembra irrimediabilmente connessa con un atteggiamento di tipo teoretico che guarda alia vita come a una totalita «semplicemente presente». La vita viene in tal modo privata della motilita e dell'inquietudine che carattenzzano I'effettivita: gli ideali greci della quiete edell' autarchia penetrano aII'interno dell'esperienza cristiana." n secondo aspetto della critica di Heidegger alia distinzione di uti e /rui riguarda la funzione ordinatrice, su cui insistera a lungo Arendt, che tali categorie possiedono aII'interno dell'universo di valori agostiniano. Anche Ia tendenza assio[ogizzante va messa in rapporto con I'aspetto neop[atonico del pensiero di Agostino e con la propensione per [a teoretizzazione che questa manifesta: la dottrina del sommo <
eun concetto decisivo della teologia medioevale>. (ivi, p. 272).
«Per Agostino, 10 scopo della vita ela quiete. Vita praesens: "in re laboris, sed in spe quietis; in came vetustatis, sed in fide novitatis"» IJ
(ibid).
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bene e !'idea ascetica del cammino che a esso conduce manifestano in maniera partico[arrnente chiara, infarti, ['intreccio di e1ementi della metafisica greca con I'esperienza cristiana. «NeI comp[esso», afferrna Heidegger, <
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penetrazione di e1ementi della metafisica greca nel quadro dell'esperienza religiosa cristiano-paolina. Arendt riprende la polarita messa in luce da Heidegger nei corsi di Friburgo e fa risalire a Paolo I' aspetto originario, cristiano, del pensiero di Agostino." La disserfazione intende cogliere I'intreccio tra I'esperienza cristiana dell'amor Dei e dell'amor proximi e Ie categorie di pensiero attraverso cui essa e pensata, di derivazione neoplatonica: occorre indagare, afferma Hannah Arendt, la «persistenza, per quanta nascosta, di orientamenti neoplatonici in ogni problematica cristiana e la specifica trasfonnazione da essi provocata, si potrebbe quasi dire I'effetto di occultamento, da un punto di vista orientato in senso puramente cristiano» (ivi, p. 18). La prima parte della dissertazione ededicata a un' analisi della struttura formale del concetto agostiniano di amore come appelilus. La tesi arendtiana e chiara: la struttura Iinalistica dell'appelilus, corrispertivo dell'orexls greca (efr. ivi, p. 31), non permette di cogliere in maniera originaria la relazione tra I'uomo e il suo mondo, fatto di cose e altre persone. A tale nozione inerisce infarti in maniera costitutiva una tendenza obiertivante e astraente: la separazione delI' oggetto desiderato da ogni rapporto con il mondo, che viene successivamente ripristinato attraverso un legame puramente esteriore. 17 Anche il soggetto desiderante, del resto, e pensato come isolato rispetto alia realta che 10 circonda: l'appelitus rappresenta in certo qual modo il ponte, oggertivo e strurnentale, gettato tra due realta tra cui non sussiste alcun legame vitale. Nella misura in cui il mondo viene percepito solo nella forma di una semplice-presenza oggertiva, I'unico rapporto che il desiderio consente di instaurare re-
sta una fOlllla di relazione strumentale. 18 Lappelilus si fonda sull'ideale solipsistico della padronanza di se e delle cose est erne. Arendt mostra come il desiderio di un bene si rovesci inevitabilmente, con una dinamica che gia Heidegger aveva messo in luce, nel timore della perdita di cio che s~ possiede. Tutto cio cui I'a~~eli:us aspira e qualcosa ~u c~ esercitare un potere non pm mmacclato dalla paura: I bern terreni, pero, sono costitutivamente aI di fuo? della pOles/~s dell'uomo che non ne dispone in via di prmclplO. n deslderio attu~ in tal modo una svalutazione di tutto cio che e mondano e temporale: aII'interno del contesto aperto dalI'appelitus il presente viene dimenticato e oltrepassato nel tendere verso un sommo bene proiettato in un futuro assoluto (efr. Arendt, 1929, trad. it. p. 61), Arendt come Heidegger, riconduce a un contesto concettuale g~eco, neoplatonico,l'ideale di autosufficienza e ~ potere solipsistico che fonda. Ia ~truttura ~ella. fmalita: <<.Agostino ha chiaramente attmto il punto d awlO per la trattazione della Iiberta, quale ci erestituita dal De lib. arb., dalla tradizione greca: I'originario isolamento. ideale delI'uomo dal suo mondo rispetto aI quale dappnma deslderio (orexIs) e libido gettano un ponte, rna in cui egli n?n trova il suo bene (agalhon), dipende dal mondo, pOiche sta ~ di fuori (exo) rna I'uomo non evisto nel suo legame onglnario con il m'ondo, preliminare a ogni questione di Iiberti!» (ivi, p. 57), . La prima parte della dissertazione rimane pero all'mterno dell'orizzonte segnato dai corsi heideggeriaru anche per un altro aspetto: !'idea dell'irriducibilita del rapporto og" <
< (Arendt, 1929, trad. it. p. 14). [7 «Nd suo essere oggetto eli aspirazione, la res per l'amor e indio pendente dal riferimento ad altri oggetti e rappresenta solo il bonum che Ie inerisce, nell'isolamento.. (ivi, p. 23).
rata l' appartenenza dell'uomo al mondo - che si riduee ,a mondo u~ lizzato e al tempo stesso torna a esistere per l'uomo solo m quanto u~ Jizzato.. (ivi, p. 44). Lidea dell'insufficienza eli una struttur~ categonaIe tdeologica per fondare positivamente il rappotto con nmondo e con il prossimo, evidente all'interno dell'orizzonte ~gostmlano: condurra dd resto nd corso dell'opera della Arendt, all approfondimento della distinzione tra azione e fabbrieazione e alla polemiea nei confronti della filosofia politica classica. Sulla critica asendtiana all'idea di finalita, si veda Savarino, 1997.
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gettivante instaurato dal desiderio, eli matrice greca, all' originaria esperienza re\igiosa cristiana. «Tale negazione eli se e pseudocristiana, poiche non scaturisce dalla coscienza della propria creaturalita e dell'insufficienza eli tutto cia che e umano [. ..] bensl e solo I'ultima conseguenza, che oltrepassa se stessa, dell' amore che desidera e della ricerca del proprio bonum» (ivi, p. 41)." Proprio i concetti cristianopaolini eli caritas e agape sembrano offrire una via eli uscita positiva alle aporie eli un rapporto puramente esteriore con il reale: per Paolo, infatti, I' amore e I'espressione eli un legame che si instaura a partire dall'annuncio della parola eli Dio. J..:agape sembra sottrarsi agli esiti della concettualita agostiniana e alla costitutiva impossibilita eli quest'ultima eli rendere pensabile I' essere nel mondo, nella misura in cui e espressione eli un' appartenenza originaria che lega il credente a Dio e rappresenta in tal modo un, «segno della perfezione» anche in prospettiva mondana. E questo il motivo per cui, per Paolo, I' amore non ha mai fine, mentre la caritas eli Agostino, pensata a partire dal concetto eli appetitus, sembra destinata a tramutarsi nella contemplazione estetica e contemplativa del}iui. Quest'ultima non coincide con la cantas, rna e semplicemente il fme cui essa mira: il desiderio, in quanto forma eli attivita strumentale, e significativo solo nella misura in cui conduce a un tefos estemo alI'artivita stessa, estinguendosi. <do Paolo, I'amore eI'unico atteggiamento che si sottrae all' altemativa eli credere e eli vedere e eli conseguenza e gia su questa terra il "vincolo della perfezione"; solo I'amore mette fine realmente all'abbandono dell'uomo da parte eli Dio, ossia non e un appetitus, rna espressione dell'appartenenza a Dio e "non cessa mai", perche in esso e solo in esso si ha un reale supera-
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efr, ivi, p, 40: «La cantos media tra uomo e Dio (cosl come la cuplditas tra uomo e mondo), Si limita pero a mediare, non eespressione di W1' appartencnza origin aria preesistente. Ogru desiderare si determina tuttavia in confonnita all'oggetto desiderato e gli esottomesso. Tale sottomissione all'oggetto del desiderio signllca che il cammino vero di se, il cui esito stava sotto il segno dell' autarchia greca, si capovolge nella ncgazione di se "pseuJocristiana"». 19
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mento della creaturalitit dell'uomo, del suo essere-mondo. [...JIn Agostino non troviamo un significato dell' agape fondamentale come in Paolo, ove riveste il molo eli possibilita della perfezione gia in questo mondo» (ivi, p. 42)." Arendt riprende in tal modo Ie considerazioni heideggeriane a proposito della dimensione contemplativa e obiertivante insita nell'idea della}iuitio Dei, e insiste sulla funzione ordinatrice della elistinzione agostiniana tra uti e/rui. Dio rappresenta il fine ultimo dell' amore, a partire dal quale viene compreso ogni bene terreno: solo Dio deve essere amato per se stesso, ogni altra cosa va invece utilizzata nella misura in cui si dimostra in grado eli condurre al summum bonum. In tal modo, pero, il rap porto originario tra uomo e mondo viene meno: il mondo stesso e la vita dell'uomo sono condannati all'instabilitit e alla mancanza eli significato. La seconda parte della elissertazione inizia con il dimostrare come la stmttura teleologica dell'appetitus, eli origine greca, si foneli su una pili originaria relazione nei confronti del reale, eli marca cristiana, basata sulla memoria e non sul desiderio. Solamente il recupero eli una relazione rammemorante, non strumentale, nei confronti eli Dio, non pili percepito come summum bonum, rna come origine eli ogni creatura, perrnette eli sottrarsi al rapporto svalutante che I'appetitus instaura con il mondo." Mentre I'appetitus rende I'uomo elipendente dalla beata vita proiettata in un futuro assoluto, la relazione rammemorante riporta la creatura a un passato premondano, a qualcosa fuori-eli-lui che e un prima-eli-lui ed e espressione del proprio rapporto con il Dio (efr. Arendt, 1929, trad. it. p. 66). Tale passato, nella misura in cui si fa sapere, viene esperito come possibilita '" Cfr. ivi, p. 51: (
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dell'apertura eli un futuro: appare chiaramente l'analogia con la strurtura della temporalita che, anche attraverso I'interpretazione di Agostino, Heidegger tentava di elaborare negli anni di Marb,urgo." nCreatore rappresenta un duplice ante nspetto all essere creato, al tempo stesso il da-dove e il verso-dove: in primo luogo perche esiste da sempre prima dell'uomo, in secondo luogo perche diventa una possibilita del suo essere futuro, dopo la morte, Proprio qui, tuttavia, si manifestano i limiti dell' adesione di Hannah Arendt aile tematiche trattate nei corsi di Heidegger e la specifica curvatura cui tali questioni sono sottoposte nel testo arendtiano. Limiti segnati dal costante riferimento di Arendt alia dimensione intersoggettiva dell' essere nel mondo, che in Heidegger riveste un ruolo secondario rispetto al predominante interesse ontologico. Anche la seconda parte della dissertazione, infatti, dal punto di vista dell' amore de!. prossimo riproduce gli esiti aporetici delIa pnma. Come diventa pensabile la vita nel mondo, si chiede Arendt, se il ritomo a se significa il ritomo a cio che e prtma del mondo e che sara dopo il mondo, rna che comunque resta per.~rincipio juon dal mondo e dal tempo? < eli ogni tendere umana solo in quanta Vlene ncordata m questa specifieD essere-possibile e a partire da un passato.p:ecedente ?gni elemento terreno-mondano. Attraverso la memona il passat~ Vle,ne a//ualiwto nella sua possibilita eli essere di nuo22
Es-
vo esperIto, OSSl3 Vlene attratto nel presente e percle cosi il carattere eli "p~ato" def!nitivo. passato vi~e percin salvato nella memoria, poi-
n
che questa, oIVentanoo presente, 51 trasforma in futuro possibile» (ivi,
pp.62·63),
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proprio ante." Lamore, come la morte, possiede nei confronti dei beni terreni una funzione livellatrice: la coscienza isola il credente e 10 estrania dal mondo. Anche nel caso della relazione rammemorante, rivolta verso il passato, come gia per il desiderio che si proiettava nel futuro, non sembra dunque possibile fondare l'autonornia e la consi~tenza del mondo e del prossimo: <
prta ongme, ossta la prOletta Indtetro pruna del mondo (prima del suo mgresso nd mondo) e quindi al suo proprio non-ancora».
. " R Bodei, in un bel saggio suU'interpretazione arendtiana di AgoSlIno, mette in luce l'influenza sui pcnsiero di Arendt dei modelli e delle categorie del mondo politico romano (dr. Bodei, 1987, pp. 113-114).
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so eli Dio, oggetto della fede, non crea eli per se a1cuna comunita, in che modo si realizza, per Agostino, una comunanza dei credenti? La comunita cristiana e1iventa pensabiIe unicamente a partire dalla fede come fatto storicamente determinato, che nasce dalla morte redentrice eli Cristo e che accade in una societas data. Una comunita fondata, in defmitiva, sulla comune e1iscendenza degli uomini da Adamo e su un passato segnato dal peccato, che rimane come ammonimento contro cui lottare. Attraverso la scelta della fede, infatti, il cristiano trasforma la societas naturale nella e1iscendenza nei confronti del peccato, una e1iscendenza che rimane vincolante anche per il credente ormai toccata dalla Grazia: «Solo il passato fa della pura soggettivita della fede una/Ides communis» (Arendt, 1929, trad. it. p. 139}." Anche in questa caso, pero, Arendt sottolinea come i legami intersoggettivi non vengano rispecchiati in maniera sode1isfacente da un amore fondato su un'uguaglianza eli situazione: <<1'''amato'' non viene scelto, ma egia dato da sempre, prima eli ogni scelta, come colui che si trova nella medesima situazione» (ivi, p. 145). La e1issertazione si conclude con la segnalazione dell' aporia cui inevitabilmente va incontro I'esperienza eli fede cristiana, eli fronte alia quale si arena ogni e1iscorso sulla storicita e sull' amore del prossimo (efr. ivi, pp. 146-147). L'interpretazione eli Agostino, dopo questa prima esperienza filosofica giovanile, muted di-segno: Ie vicende biografiche e intelletruali che hanno coinvolto Arendt negli anni successivi rendono arduo ricostruise Ie linee eli una continuita, che persiste comunque nei motivi fondamentali del-
la sua opera." Anche per questa ragione, la pretesa eli mettere in e1iscussione l'influenza eli Heidegger sull' opera eli Hannah Arendt, avanzata eli recente da a1cuni interpreti a pattire da una riletrura della e1issertazione e, piu in generaIe, dell'interpretazione arendtiana eli Agostino, sembra destinata aI fallimento." L'esito della e1issertazione introduce piuttosto un ulteriore, paradossale, elemento eli contatto tra Hannah Arendt e Martin Heidegger. Anche in Heidegger, infatti, il cristianesimo, in particolare il cristianesimo delle origini paolino e agostiniano, negli anni successivi a Essere e tempo perdera progressivamente d'importanza fino a scomparire del tutto come tema a se stante. Sebbene 10 scritto arendtiano, nato nel contesto dell'interesse heideggeriano per I' esperienza religiosa del cristianesimo delle origini, mirasse a evidenziare una serie eli tematiche che la lettura eli Heidegger lasciava in secondo piano, e che preludono invece alia successiva attenzione eli Arendt per la politica e per il mondo comune, cio che sembra accomunare i due pensatori e proprio la sparizione, e1iversamente motivata, delle tracce agostiniane e il ritorno aile profonelita dell'esperienza greca, presocratica. Un esito che sembra testimoniare ancora una volta come l'itinerario concetruale eli Hannah Arendt e Martin Heidegger si sia sviluppato in modo parallelo, mantenendo, pur nella e1istanza dettata dalla diversita eli interessi, una direzione e un ritrno convergenti.
n efr. ivi, p. 138: «TI passato non pertanto, come sembrava, SCffiplicemente annullato, bensl, in quanto condizione di peccato appaltenente a1 passato, eassolutamente vincolante. Non rimane puro essere passato, rna torna di nuovo a essere esperito nella nuova interpretazione a partire dalla nuova situazione ontologica dell'uomo redento. Solo in questa reinterpretazione pennane autonomo in quanta clarita. accanto all'essere esperito di nuovo, e solo da questa clatita il prossimo trac la sua rilevanza specificID>.
"Su questo punto si veda il recente saggio di Beiner, 1996, pp. 269284. " E questa la tesi di fondo dei curatori dell'edizione inglese della dissertazione. ora pubblicata con l'aggiunta ddle annotazioni, frutto dellavoro di revisione di Arendt stessa (efr. Arendt, 1929, trad. ingl. 1996, a cura di e con un saggio interpretativo di]. Vecchiarelli Scott e ].c. Stark). Secondo i due interpreti, 10 scritto su Agostino, ingiustamente trascurato dalla critica anglosassone, conterrebbe in nuce tutti i principali nodi problematici e metodologici del pensiero arendtiano della maturita. Sulla base di un'originale rilettura dell'opera di Agostino, Arendt prenderebbe congedo, gia all'epoca della dissenazione, dall'irnpostazione fenomenologica di Heidegger. Gli autori non sembrano del resto riconoscere in maniera adeguata la decisiva influenza di Heidegger proprio sull'interpretazione arendtiana di Agostino (efr. Vecchiarelli Scott e Stark, 1996, pp. 115·211).
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Bibltografia degli 'miti di Hannah Arendt
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a cura eli Simona Forti
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Indice dei nomi
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Gray,J.G., 178, 187
Abensour, M., IV, XIII, xvrn, XXIII, 16, 18,20,22-24,26,28,3032,34,36,38,40,42,44,91 Adorno, Th.W., 87, 108 Agostino (sant'), VI, 68,100-102, 127,176,185-186,188,226, 240,249,251,254,256-257, 259-269 Archfinede, 142,153 Aron, R, 1 Bataille, G., 99 Beiner, R, 177, 182, 184, 187, 269 Benhabib, S., II, 62, 234 Benjamin, W,XXV,22,55,57-64, 69,132,226,231 Bergson, H., 181 Bernstein, RJ., V-VI, XXVI, 226230,232,234,236,238,240, 242,244,246,248 Blucher, H., 92 Bodei, R, 37,101,267 Boella, L., IV, 102,251,261 Brecht, B., 167 Burke, E., 11
Char, R, xxv, 14,49,134,156165,167-171,176 Clemenceau, G., 84 Dal Lago, A., IV, 101,249,265 Derrida,]., XI, xxv, XXXII, 108, 135,230 Descartes, R, 188 Dilthey, W, 58 Disch, Lj., 50 Disraeli, B., 50, 53
Habermas,]., 1-11,103 Hegel, G.F.W., 66-67, 69, 72, 103,158,170 Heidegger, M., II-III, V-XII, 3,14, 67,69,99,106,108,158,226235,237 -263,266,269 Heine, H., 77-78 Himmler, H., 12,86 Hinchmarm, L., 234 Hinchmarm, S., 234 Hitler, A., III, XVI, 85,87,227 Hochhuth, B., 79 Honig, B., IV, XX, xxv, 109, 120121,125-126,177-178,180, 182,184,186,188,190,192, 194,196,198,200,202,204 Hume, D., 188 Husser!, E., 3, 67,151,228
Machiavelli, N., XXI, 116 Marcuse, H., 230 Marx, K, xv, XXI, 2, 10, 132, 164 Meier, Ch., 41 Melville, H., 149 Merleau-Ponty, M., 3, 230
Michnik, A., 232 Eichmann. A, XXVI·x:xvm, xxx, 79,81-82,84,90,232-233 Emerson, R W, 226 Eraclito, VII, 148 Esposito, R, XVII, XX, XXII, 94, 96-100,102,104,106 Ettinger, E., VI, 233, 247 -248 Farias, V,229 Finley, M., 12 Flathman, R, 184 Flavio, G., 81 Fotti,S.,I,IV, VI, 105, 108, 190191,213 Foucault, M., II, 230, 240 Freud, S., 66, 70-71, 84, 90
Canetti, E., 73 Cartesio vedi Descartes Cavarero, A., xvrn, 94, 205-206, 208,210,212,214,216,218220,222-224 Cavell, S., 231 Celan, P., 78 Chalier, c., 87 Chaplin, c., 77
Gadamer, H-G., VI, 230 Gagnebin,J-M., 59-61, 63 Galli, c., IV, XXIV, 48, 163 Gaus, G., 4 Gesu, 76-77,190,267 Gobineau, A. de, 53 Goldmarm, L., 103
310
Mommsen, Th., 120 Montesquieu, Ch.-L. de Secondat,20,23,32, 34, 117, 119120
illuminati, A., IV, 96 lrigaray, L., 218 Jacobitti, S., 177-178, 187, 190, 192-193,196-204 Jaspers, K, III, 3,174,226,228229,244 Jonas, H., 230, 250-251, 254 Jiinger, E., 86-87
Nancy,J-L., XXII!, 97, 230 Nietzsche, F., 11,164,190-196, 198-200,240 Omero, XI, 167-168,213,216221,223-225 Ott, H., 229
Kafka, F., 78, 89,153,171-173 Kant, 1., XXIX-XXX, 38, 68, 75, 102-106,158,166,180-181, 185-186,190-191,194-195, 203 Kateb, G., 198 Keenan, A., 109-111, 116 Kierkegaard, S., 164 Kohn,J., v, xxv, XXVII, 155-156, 158,160,162,164,166,168, 170,172,174,176 Kojeve, A., 230
Paolo (san), 188,253-255,257, 262,264-265,267 Pamt, D., 188 Pericle, 192 Petitdemange, G., 249 Platone, VI, X, xvrn, 10, 14, 19, 29,130,205-225,227,233 Plotino, 188 Polibio, 130 Popper, K, 29 Proust, M., 50, 85
La Boctie, E. de, 37
311
Hannah Arendt RaJ:netta, G., 101 Ranke, L. von, 58 Rhodes, e., 54 Robespierre, M., 132 Rorty, R, 231 Rousseau,].-]c,20, 103, 115 Rousset, D., 92 RovieIJo, A-M., lV, 144 Ryan, A., 233 Sartre,}.-P.,230 Savarino, L., VI, 15,44, J54, 249250,252,254, 256, 2~S, 260, 262-264,266,268 Schiirmann, R, n, 107, L,iQ Shakespeare, W, 167 Sheenan, T., 230 Sieyes, E.-]., 122 Socrate, XXX, 21,155,206,213, 215,223-225,242 Sofode, 155, 158, 167 Stalin,JV.,87 Stark,J.e., 269 Stem, P., 177, 182, 187
Strauss, L., 14,230 Taminiaux,}., lV, VI, 234, 250 Tassin, E.,XXI-Jom, 136-138, 140, 142,144,146,148,150,152,154 Taylor, Ch., 231 Tocqueville, CA., 13,20 Varnhagen, R, 80, 229 Vasari, G., 205-206 Vecchiarelli, S., 269 Villa, D., VI, 234 Virgilio, 131-132 Volpi, F., VI, 250 Well, S., 99 West, R, IX Wiesel, E., 80 Williams, B., 188 Wittgenstein, L., 235 Yarborough,}., 177, 182, 187 Young-Bruehl, E., 187,203,227229,249
-
Anno
Ristampa
99000102
012145
Finito di s[ampare nel gennaio 1999 prcsso New Agel. San Vittore Olona (Milano)
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