Il libro Cosa accade se ti scippano il telefonino e tutta la tua vita è lì dentro? Ti senti persa, naturalmente. È quello che capita a Poppy, una scombinata fisioterapista prossima alle nozze con un affascinante docente universitario. Proprio quando il telefono le serve per una faccenda a dir poco urgente! Perché tra le altre cose, nel bel mezzo di una festa con le amiche ha appena perso il suo prezioso anello di fidanzamento, uno smeraldo come non ne ha mai visti nella sua intera esistenza. Poppy è nel panico, e mentre cerca affannosamente l’anello perduto cosa vede in un cestino dei rifiuti? Un cellulare nuovo di zecca che sembra aspettare proprio lei. È un attimo. Ed è suo.
Non può permettersi il lusso di rimanere scollegata, non in questo momento. Ma di chi è quel telefono? E a cosa si riferiscono gli strani messaggi che riceve? Poppy non ha il tempo di farsi troppe domande. Ha un anello da ritrovare, un matrimonio da organizzare e qualche cosuccia in sospeso con i suoi futuri suoceri. Ma non sa che quel telefono e lo sconosciuto con cui si troverà a condividerlo le metteranno a soqquadro la vita. Ancora una volta Sophie Kinsella supera se stessa in questa scoppiettante commedia degli equivoci incentrata sul telefonino, protagonista assoluto della nostra vita di tutti i giorni e di questo romanzo. E soprattutto complice in un’adorabile storia romantica che diverte e fa sognare.
L’autore
Sophie Kinsella, prima di diventare una scrittrice di successo, era una giornalista economica. Per Mondadori ha pubblicato I love shopping (2000), che è diventato in breve tempo un best seller sia in Italia sia all’estero, I love shopping a New York (2002), I love shopping in bianco (2002), Sai tenere un segreto? (2003), I love shopping con mia sorella (2004), La regina della casa (2005), I love shopping per il baby (2007), Ti ricordi di me? (2008), La ragazza fantasma (2009) e I love mini shopping (2010). L’autrice vive a Londra con il marito e quattro figli.
Sophie Kinsella
HO IL TUO NUMERO
Traduzione di Paola Bertante
A Rex
1 La prospettiva. Devo vedere le cose nella giusta prospettiva. Non è un terremoto e neppure la strage di un pazzo armato o una fusione nucleare, no? Nella classifica delle catastrofi, la mia non è poi così tremenda. No, non così tremenda. Un giorno, quando mi ricorderò di questo momento, mi verrà da ridere e penserò: “Che scema sono stata a preoccuparmi!”. Smettila, Poppy. Non provarci nemmeno. Non sto ridendo, anzi mi sento male. Sto vagando nella sala da ballo dell’hotel con il cuore in gola, cercando invano sulla moquette a motivi blu, dietro le sedie dorate, sotto i tovaglioli di carta usati, dove non lo troverò mai. L’ho perso. Ho perso l’unica cosa al mondo che non dovevo perdere. Il mio anello di fidanzamento. Dire che è un anello speciale non rende assolutamente l’idea. Appartiene alla famiglia Tavish da tre generazioni. È un favoloso smeraldo con due diamanti e Magnus, prima di chiedermi di sposarlo, è dovuto andare a ritirarlo da una cassetta di sicurezza in banca. L’ho messo per ben tre mesi di fila senza mai correre rischi, riponendolo religiosamente ogni sera su un apposito vassoietto di porcellana, toccandomi il dito ogni trenta secondi... E proprio oggi, il giorno in cui i suoi genitori rientrano dagli Stati Uniti, l’ho perso. Proprio oggi. In questo preciso istante, i professori Antony Tavish e Wanda Brook-Tavish stanno tornando in aereo, dopo aver trascorso sei mesi sabbatici a Chicago. Me li vedo che mangiano noccioline caramellate e leggono testi accademici sui Kindle, scambiandoseli. Francamente, non so chi dei due metta più soggezione. Lui. È così terribilmente sarcastico. No, lei. Con tutti quei capelli crespi, sempre lì a chiederti che cosa ne pensi del femminismo. Sì, okay, fanno una paura tremenda tutt’e due. E fra circa un’ora saranno in aeroporto e, ovviamente, vorranno vedere l’anello... No, non andare in iperventilazione, Poppy. Pensa positivo. Devo solo vedere la cosa da un’angolazione diversa. Tipo... che cosa farebbe Poirot al mio posto? Lui non si farebbe prendere dal panico. Manterrebbe la calma e userebbe le sue celluline grigie per ricordare un minuscolo, fondamentale dettaglio in grado di svelare il mistero. Stringo forte gli occhi. Su, celluline grigie, date il meglio di voi. Non credo, però, che prima di risolvere il mistero di Assassinio sull’OrientExpress, Poirot si fosse scolato tre bicchieri di champagne rosé e un mojito. «Signorina...» Un’inserviente con i capelli grigi sta cercando di girarmi intorno con l’aspirapolvere e io ho un sussulto di terrore. Stanno già ripulendo la sala da ballo? E se aspirano anche l’anello? «Mi scusi.» Le afferro la spalla coperta da un grembiule di nylon blu. «Potrebbe darmi altri cinque minuti prima di passare l’aspirapolvere?»
«Sta ancora cercando l’anello?» Scuote la testa perplessa, poi si illumina. «Secondo me, lo ritrova appena torna a casa. Probabilmente è sempre stato lì al sicuro!» «Forse.» Mi sforzo di annuire cortesemente, anche se dentro di me si leva un urlo di protesta. Sarò anche scema, ma non fino a questo punto! Vedo un’altra inserviente dalla parte opposta della sala, impegnata a raccogliere briciole di torta e tovaglioli accartocciati e a buttarli in un sacco nero dell’immondizia. Non è per niente concentrata. Non ha sentito quel che le ho detto? «Mi scusi!» Le corro incontro gridando con voce sempre più stridula. «Sta controllando che non ci sia il mio anello, vero?» «Per ora non si è visto niente, tesoro.» La donna getta nel sacco un altro mucchio di scarti rimasti sul tavolo senza degnarli di uno sguardo. «Faccia attenzione!» Prendo i tovaglioli, li riapro e li tasto in cerca di qualcosa di duro, incurante del fatto che mi sto sporcando le mani di crema pasticcera. «Cara, sto cercando di pulire.» L’inserviente mi strappa i tovaglioli dalle mani. «Guardi che disastro sta combinando!» «Lo so, me ne rendo conto, mi scusi.» Frugo disperatamente fra i vassoietti dei pasticcini che ho fatto cadere a terra. «Ma lei non capisce: se non trovo quell’anello, sono finita.» Vorrei prendere il sacco dell’immondizia ed estrarne il contenuto per analizzarlo con un paio di pinzette come un agente della Scientifica. Vorrei delimitare la sala con del nastro adesivo e dichiararla scena del crimine. Dev’essere qui, dev’esserci per forza. A meno che non ce l’abbia ancora qualcun altro. È l’unica alternativa a cui mi sto aggrappando. Una delle mie amiche l’ha ancora al dito e, chissà come, non se ne è accorta. Magari le è scivolato in borsa... o in una tasca... o forse le è rimasto impigliato nel golfino... Le ipotesi diventano sempre più improbabili, ma io non riesco a smettere. «Ha guardato nei bagni?» La donna tenta di superarmi. Certo che ci ho guardato. Ho controllato a quattro zampe ogni singola cabina, e tutti i lavandini. Due volte. Poi ho cercato di convincere il concierge a chiudere i bagni e a far controllare tutte le tubature, ma lui si è rifiutato. Ha detto che se fossi stata sicura di averlo perso lì, allora sarebbe stato un altro paio di maniche – anche la polizia, ne era certo, sarebbe stata d’accordo con lui –, ma visto che c’erano altre persone in attesa, non potevo cortesemente spostarmi dal banco? La polizia. Bah. Avevo immaginato che dopo la mia telefonata sarebbe arrivata una squadra di auto a sirene spiegate, e invece mi hanno detto di andare a denunciare lo smarrimento in commissariato. Non ho tempo per fare denunce! Devo trovare il mio anello!
Torno di corsa al tavolo rotondo a cui eravamo sedute questo pomeriggio, mi accuccio e passo la mano sulla moquette per l’ennesima volta. Come ho potuto permettere che succedesse? Come ho fatto a essere tanto stupida? L’idea di prenotare un tavolo per il Marie Curie Champagne Tea era partita dalla mia vecchia compagna di scuola Natasha. Non potendo venire alle terme per il weekend del mio addio ufficiale al nubilato, aveva pensato a un ritrovo alternativo. Eravamo in otto e stavamo bevendo allegramente champagne e rimpinzandoci di torta quando, appena prima dell’inizio dell’estrazione dei numeri della lotteria, una delle mie amiche ha detto: “Dài, Poppy, facci provare l’anello”. Adesso non riesco neanche a ricordarmi chi fosse. Annalise, forse? Abbiamo frequentato insieme l’università e ora lavoriamo tutte e due alla First Fit Physio insieme a Ruby, un’altra compagna di studi di fisioterapia. C’era anche lei al tè, ma non sono sicura che si sia provata l’anello. O forse sì? Non posso credere di essere così negata. Come faccio a seguire le orme di Poirot se non riesco neppure a ricordare i fatti basilari? La verità è che se lo sono provate tutte, l’anello: Natasha, Clare ed Emily (ex compagne di scuola a Taunton), Lucinda (la mia wedding planner, ormai quasi un’amica) e la sua assistente Clemency, oltre a Ruby e ad Annalise (che non sono soltanto ex compagne di studi e colleghe, ma anche le mie due migliori amiche. Mi faranno persino da damigelle d’onore). Lo ammetto: mi beavo di tutta la loro ammirazione. Mi sembra ancora impossibile che un oggetto così bello e straordinario appartenga proprio a me. Il fatto è che tutto mi sembra impossibile. Sono ufficialmente fidanzata! Io, Poppy Wyatt. Con un giovane docente universitario alto e bello, che ha scritto un libro e ha persino lavorato in tivù. Appena sei mesi fa, la mia vita amorosa era un vero disastro. Era un anno che non mi succedeva niente di significativo e, mio malgrado, mi stavo ancora chiedendo se dare un’altra possibilità a quel tizio con l’alito cattivo conosciuto su www.match.com... E adesso mancano solo dieci giorni al matrimonio! Ogni mattina mi sveglio, guardo la schiena liscia e lentigginosa di Magnus che dorme accanto a me e, con una punta di incredulità, penso: “Il mio fidanzato, il dottor Magnus Tavish, membro del King’s College di Londra”.1 Poi mi giro dall’altra parte e, con un’altra punta di incredulità, guardo il prezioso anello che brilla sul mio comodino. Che cosa dirà Magnus? Mi si stringe lo stomaco e deglutisco. No. Non pensarci. Forza, celluline grigie, al lavoro. Ricordo che Clare si è tenuta l’anello per un bel po’ di tempo. Non se lo voleva proprio togliere. Poi Natasha ha cercato di strapparglielo dal dito, dicendo: “Adesso tocca a me!”. E ricordo di averle detto: “Trattalo con delicatezza!”. Insomma, non è che io sia stata irresponsabile. L’ho sempre tenuto d’occhio mentre faceva il giro del tavolo. A un certo punto, però, mi sono un po’ distratta perché la lotteria è cominciata e i premi erano favolosi. Una settimana in una villa in Italia, un taglio
di capelli in un salone superlusso e un buono di Harvey Nichols... La sala da ballo brulicava di persone che tiravano fuori i loro biglietti, dal palco venivano annunciati i numeri e ogni tanto qualcuno saltava su gridando: “Sono io!”. Ed è questo il momento in cui ho toppato. È questo il momento per cui adesso mi mangio le mani. Se potessi tornare indietro nel tempo, fermerei questo preciso istante e mi direi in tono severo: “Poppy, pensa alle priorità”. Ma il fatto è che quando accade non te ne rendi conto, vero? Il momento arriva, tu commetti il tuo errore madornale, e poi passa e tu non ci puoi più fare nulla. Insomma, è successo che Clare ha vinto dei biglietti per Wimbledon. Le voglio un bene dell’anima, ma è sempre stata una ragazza un tantino debole di carattere. Sarebbe lei stessa la prima ad ammetterlo. Innanzitutto, non ha controllato i suoi numeri con la dovuta prontezza, poi, quando alla fine si è resa conto di aver vinto, non è saltata su urlando: “Io! Yeeeeh!”, ma si è limitata ad alzare la mano di pochi centimetri e a dire: “Sì!” con una vocina flebile. Neppure le sue compagne di tavolo si sono accorte che aveva vinto. Proprio nel momento in cui mi è balenato il dubbio che Clare stesse sventolando in aria un biglietto della lotteria, la presentatrice sul palco ha detto: “Se non ci sono vincitrici, penso che pescheremo di nuovo...”. “Grida più forte!” Le ho dato una spinta e ho agitato freneticamente la mano: “È qui! La vincitrice è qui!”. “Il nuovo numero è... 4403.” Con mio grande disappunto, una ragazza bruna seduta all’altro capo della sala si è messa a strepitare brandendo un biglietto. “Non è lei la vincitrice!” ho esclamato indignata. “Sei tu!” “Non importa.” Clare si stava già tirando indietro. “Davvero.” “Certo che importa!” ho gridato d’istinto, e tutte le ragazze al tavolo sono scoppiate a ridere. “Vai, Poppy!” ha urlato Natasha. “Lanciati, intrepido cavaliere! Pensaci tu!” “Vai!” È una vecchia gag. Solo perché quell’unica volta, a scuola, avevo organizzato una petizione per salvare i criceti, tutti avevano cominciato a chiamarmi “intrepido cavaliere”. A quanto pare, il mio motto preferito sarebbe: “Certo che importa!”. 2 Be’, comunque, nel giro di due minuti ero sul palco insieme alla ragazza bruna, a discutere con la presentatrice del fatto che il biglietto della mia amica era più valido dell’altro. So che non mi sarei mai dovuta allontanare dal tavolo. Che non avrei mai dovuto abbandonare l’anello, neppure per un istante. Mi rendo conto di aver fatto una stupidaggine. A mia discolpa, però, devo dire che non potevo sapere che sarebbe scattato l’allarme antincendio, no? È stata una scena surreale. Un attimo prima erano tutte lì a mangiare e a bere allegramente e poi, di punto in bianco, è scoppiato il finimondo: sono
scattate in piedi e si sono messe a correre verso le uscite di sicurezza. Ho visto Annalise, Ruby e le altre afferrare le loro borsette e dirigersi verso il retro della sala. Un uomo in giacca e cravatta è salito sul palco per scortare me, la ragazza bruna e la presentatrice verso la porta laterale, impedendoci di andare nella direzione opposta. “La nostra priorità è la vostra sicurezza” continuava a ripetere. 3 Non è che fossi preoccupata neppure in quel momento. Non pensavo che l’anello potesse essere sparito. Immaginavo che una delle mie amiche l’avesse preso e che me l’avrebbe restituito non appena ci fossimo ritrovate fuori dall’albergo. Inutile dire che all’esterno c’era un caos terribile. All’hotel, oltre al nostro tè, si teneva anche un importante convegno d’affari, e i partecipanti sbucavano da tutte le porte affollando la strada. Il personale dell’albergo cercava di fare annunci con i megafoni, gli automobilisti pigiavano sui clacson e io ci ho impiegato un secolo a trovare Natasha e Clare nella calca. “Avete voi il mio anello?” ho domandato immediatamente, cercando di non assumere un tono accusatorio. “Chi ce l’ha?” Tutte e due mi hanno guardato con aria perplessa. “Non so” ha risposto Natasha alzando le spalle. “Non ce l’aveva Annalise?” Così mi sono buttata nella ressa in cerca di Annalise, ma neppure lei l’aveva, anzi pensava che l’avesse Clare, la quale era convinta che l’avesse preso Clemency, che a sua volta ha ipotizzato che potesse averlo Ruby, ma non era già andata via? Il panico ha un modo tutto suo di montarti dentro lentamente. C’è un momento in cui sei ancora relativamente calma e ti dici: “Ma figurati, è assurdo, non puoi averlo perso”, poi, d’un tratto, gli incaricati del Marie Curie Champagne Tea annunciano che, a causa di circostanze impreviste, l’evento si conclude e cominciano a distribuire gli omaggi per gli ospiti. Tutte le tue amiche sono sparite per andare a prendere la metropolitana. Il tuo dito è ancora nudo. E una voce nella tua testa strilla: “Oh, mio Dio! Lo sapevo! Nessuno avrebbe mai dovuto affidarmi un gioiello antico! Che errore! Che errore madornale!”. Ed è così che un’ora dopo ti ritrovi sotto un tavolo a tastare l’orrenda moquette di un albergo, invocando disperatamente un miracolo. (Anche se il padre del tuo fidanzato ha scritto un bestseller sul fatto che i miracoli non esistono e sono pura superstizione, e che la stessa espressione “Oh, mio Dio!” è indice di debolezza di pensiero.)4 All’improvviso mi accorgo che il cellulare lampeggia e lo afferro con mani tremanti. Ho tre messaggi e li faccio scorrere speranzosa. Trovato? Annalise xx Mi spiace tesoro, non l’ho visto. Non ti preoccupare, non spiffero niente a Magnus. N xxx Ciao Pops! Cavolo, che brutta cosa perdere un anello del genere! Veramente, mi sembra di averlo visto... (altro testo in arrivo) Fisso il cellulare galvanizzata. A Clare sembra di averlo visto? Dove?
Sbuco da sotto il tavolo e agito il telefono, ma il testo mancante non vuole arrivare. Il segnale all’interno dell’hotel fa proprio schifo. Chi gliele ha date, le cinque stelle? Devo per forza uscire. «Salve!» dico, avvicinandomi all’inserviente con i capelli grigi, alzando la voce per farmi sentire sopra il rumore dell’aspirapolvere. «Esco un attimo per leggere un messaggio, ma se per caso trovasse l’anello mi chiami, la prego. Il mio numero di cellulare gliel’ho dato: io sono qui fuori...» «D’accordo, cara» mi risponde paziente. Attraverso la hall di corsa, schivando gruppi di partecipanti al convegno, e rallento appena un po’ quando passo davanti alla reception. «Ha ricevuto qualche...?» «Non mi hanno consegnato ancora niente, signora.» Fuori c’è un’arietta profumata con un sentore d’estate, anche se siamo solo a metà aprile, il che è un bene perché il mio vestito da sposa è scollato sulla schiena e io conto su una bella giornata. Davanti all’albergo ci sono degli scalini ampi e bassi e io continuo a fare su e giù, agitando il telefonino nel vano tentativo di intercettare il segnale. Alla fine vado sul marciapiede, scuoto il cellulare con più violenza, lo alzo sopra la testa e mi sporgo su Knightsbridge Street immersa nel silenzio, tenendolo fra le dita tese. Dài, su, forza lo incito mentalmente. Ce la puoi fare. Fallo per Poppy. Ricevi il messaggio. Deve pur esserci un po’ di campo, da qualche parte... ce la puoi fare... «Aaaaah!» Sento il mio grido di orrore prima ancora di capire che cosa sia successo. Ho un dolore lancinante alla spalla, le dita graffiate. Un uomo si sta allontanando in bicicletta, pedalando all’impazzata verso la fine della strada. Prima che giri l’angolo, faccio appena in tempo a scorgere una vecchia felpa grigia con il cappuccio alzato e un paio di jeans neri striminziti. La mia mano è vuota. Ma che cavolo... Mi guardo il palmo incredula, stordita. Sparito. Quel tizio mi ha rubato il telefono. Me l’ha rubato, accidenti a lui. Il cellulare è la mia vita. Non posso esistere senza di lui. È un organo vitale. «Signora, sta bene?» Il portiere corre giù dalle scale. «È successo qualcosa? Quell’uomo le ha fatto male?» «Mi ha... scippato» riesco a balbettare chissà come. «Mi ha rubato il telefonino.» Il portiere annuisce con aria comprensiva. «Sono dei delinquenti. Bisogna stare attenti in zone come questa...» Non lo ascolto. Comincio a tremare tutta. Non mi sono mai sentita tanto persa e spaventata. Che cosa faccio senza il mio telefonino? Come faccio a funzionare? Continuo a cercarlo automaticamente in tasca, dove lo metto di solito. Il mio unico impulso è mandare un SMS a qualcuno e scrivere: “Oh, mio Dio! Ho perso il telefonino!”, ma come posso farlo senza uno stramaledetto telefonino?
Il cellulare è tutto per me. I miei amici. La mia famiglia. Il mio lavoro. Il mio mondo. Tutto. È come se qualcuno mi avesse tolto da sotto i piedi la base su cui poggia la mia intera esistenza. «Vuole che chiami la polizia, signora?» Il portiere mi guarda ansioso. Sono troppo scioccata per rispondere. L’angoscia mi assale di nuovo: l’anello. Ho dato il mio numero di cellulare a tutti: alle inservienti, agli addetti alle pulizie dei gabinetti, agli incaricati del Marie Curie Champagne Tea, a chiunque. E se qualcuno di loro lo trova? E se qualcuno l’ha trovato e proprio in questo momento sta cercando di chiamarmi, ma nessuno risponde perché un tizio incappucciato ha già gettato la mia scheda SIM nel fiume? Oddio!5 Devo parlare con il concierge. Bisogna che gli dia il mio numero di casa. No, che stupidaggine. Se lasciano un messaggio, magari lo sente Magnus. 6 Okay, allora... Gli do il mio numero del lavoro. Sì. Il problema è che in questo momento non c’è nessuno al centro di fisioterapia. Non posso andare lì ad aspettare per ore nell’eventualità che qualcuno chiami. Sto cominciando ad andare fuori di testa. Sta andando tutto a rotoli. Come se non bastasse, quando torno di corsa nella hall dell’hotel, il concierge è occupato. Il suo banco è circondato da una massa di partecipanti al convegno che parlano di prenotazioni di ristoranti. Cerco di intercettare il suo sguardo, nella speranza che mi faccia passare davanti per una questione di priorità, ma lui fa di tutto per ignorarmi, e io mi sento offesa. È vero che gli ho fatto perdere un bel po’ di tempo questo pomeriggio, ma è possibile che non capisca in che situazione orribile mi trovo? «Signora.» Il portiere mi ha seguito nella hall con un’espressione preoccupata. «Possiamo offrirle qualcosa per alleviare lo shock? Arnold!» Chiama sbrigativamente un cameriere. «Un brandy per la signora, per piacere. Offre la casa. Se parla con il concierge, l’aiuterà a chiamare la polizia. Desidera sedersi?» «No, grazie.» Mi sforzo di sorridere. D’un tratto mi viene un’idea. «Magari dovrei chiamare il mio numero! Telefonare al ladro! Gli potrei chiedere di tornare in cambio di una ricompensa... Che cosa gliene pare? Mi presterebbe il suo cellulare?» Allungo la mano e il portiere fa quasi un salto indietro. «Signora, secondo me sarebbe un gesto davvero sconsiderato» dice in tono severo. «E sono certo che anche la polizia glielo sconsiglierebbe. Dev’essere proprio sotto shock. Per cortesia, si sieda e cerchi di rilassarsi.» Non riesco a sedermi, sono troppo agitata. Per tentare di calmarmi i nervi, comincio a girare e rigirare in tondo, con i tacchi che risuonano sul pavimento di marmo. Passo davanti al grosso ficus in vaso... al tavolino con i giornali... a un cestino scintillante... e di nuovo al ficus. È un piccolo, consolante circuito da cui posso tenere costantemente d’occhio il concierge, in attesa che si liberi. La hall è ancora brulicante di manager provenienti dal convegno. Attraverso le porte di vetro vedo che il portiere è tornato sui gradini, impegnato a
fermare taxi e intascare mance. Vicino a me, un giapponese tarchiato in completo blu circondato da uomini apparentemente europei sbraita in una lingua tipo giapponese furioso, gesticolando all’indirizzo di chiunque porti il pass del convegno con il cordoncino rosso intorno al collo. Lui è così basso e gli altri sembrano talmente nervosi che mi viene da sorridere. Il brandy arriva su un vassoio, e io mi fermo un attimo per ingollarlo in un sorso, dopo di che torno al mio monotono circuito. Ficus in vaso... tavolino con i giornali... cestino della spazzatura... ficus in vaso... tavolino con i giornali... cestino della spazzatura... Adesso che mi sono calmata un pochino, comincio a elaborare pensieri omicidi. Quel tipo incappucciato si rende conto di aver devastato la mia vita? Si rende conto di quanto sia essenziale un cellulare? È il furto peggiore che una persona possa subire. Il peggiore. Il mio, per giunta, non era niente di particolare. Era anche bello vecchiotto. Che provi pure, l’incappucciato, a scrivere la B in un SMS o a collegarsi a Internet. Spero che lo faccia e non ci riesca. Allora sì che si pentirà. Ficus... giornali... cestino... ficus... giornali... cestino... E mi ha pure fatto male alla spalla. Bastardo. Forse posso chiedergli un risarcimento milionario. Sempre che lo trovino, cioè mai. Ficus... giornali... cestino... Cestino. Aspetta. Che cos’è quello? Mi blocco e guardo dentro il cestino, chiedendomi se sia uno scherzo o un’allucinazione. È un telefono. Proprio lì, nel cestino. Un cellulare. 1 È specializzato in simbolismo culturale. Dopo il nostro secondo incontro ho dato una scorsa al suo libro, La filosofia del simbolismo, e ho cercato di fargli credere che l’avevo letto secoli fa, casualmente, per mio diletto. (Lui, a essere sinceri, non se l’è bevuta neanche per un secondo.) Sta di fatto, però, che l’ho letto. E la cosa che mi ha colpito di più è questa: è pieno di note a piè di pagina. Mi ci sono appassionata. Sono utili, vero? Ne schiaffi una dove ti pare e fai subito una gran bella figura. Magnus dice che parlano di argomenti marginali rispetto al tema centrale del libro, ma comunque interessanti. Be’, questa è la mia nota a piè di pagina sulle note a piè di pagina. 2 In realtà, non lo dico mai. Del resto, neppure Humphrey Bogart ha mai detto: “Suonala ancora, Sam”. È una leggenda metropolitana. 3 L’albergo, naturalmente, non stava andando a fuoco. L’allarme era andato in tilt. L’ho scoperto dopo, anche se non è stata una gran consolazione. 4 Poirot avrà mai detto: “Oh, mio Dio!”? Scommetto di sì. O “Sacre Bleu!”, che poi è la stessa cosa. Questo non basta forse a contraddire la teoria di Antony, visto che è risaputo che nessuno ha mai avuto celluline grigie formidabili come
quelle del famoso detective? Un giorno, magari, lo farò notare a Antony. Un giorno in cui mi sentirò particolarmente coraggiosa. (Cioè mai, se per caso ho perso davvero l’anello.) 5 Debolezza di pensiero. 6 Mi posso concedere almeno una possibilità di ritrovarlo senza che lui lo sappia, no?
2 Sbatto le palpebre un po’ di volte e guardo di nuovo, ma è ancora lì, seminascosto da un paio di programmi del convegno e da un bicchiere di Starbucks. Che cosa ci fa un cellulare in un cestino della spazzatura? Mi guardo intorno per accertarmi che nessuno mi stia osservando, poi allungo la mano con cautela e lo tiro fuori. Ha qualche goccia di caffè sopra, ma per il resto sembra in perfetto stato. È anche un bel telefono. Un Nokia. Nuovo. Mi volto con circospezione e scruto la hall affollata. Nessuno sta facendo minimamente caso a me. Nessuno mi sta correndo incontro urlando: “Ecco dov’era il mio telefonino!”. Mi aggiro in questa zona della sala da dieci minuti ormai. Chiunque abbia gettato il cellulare nel cestino deve averlo fatto un po’ di tempo fa. Sul retro c’è un adesivo con una scritta piccolissima, “White Globe Consulting Group”, e un numero. Vuol dire che appartiene al White Globe Consulting Group? Qualcuno l’ha buttato via? È rotto? Lo accendo e il display si illumina. Mi sembra in perfetto stato. Una vocina interiore mi dice che dovrei consegnarlo all’hotel. Portarlo alla reception e dire: “Mi scusi, mi sa che qualcuno ha perso questo telefonino”. Proprio così: dovrei andare immediatamente alla reception, come una cittadina civile e responsabile... I miei piedi non si muovono di un millimetro. Le mani stringono protettive il telefono. Il fatto è che ne ho bisogno. Scommetto che il White Globe Consulting Group, qualunque cosa sia, avrà milioni di cellulari. E non è che l’abbia trovato per terra o in un bagno, no? Era in un cestino. Gli oggetti gettati lì dentro sono spazzatura. Sono a disposizione di tutti. Sono stati abbandonati. È così che funziona. Guardo di nuovo nel cestino e intravedo un cordoncino rosso identico a quelli che portano al collo i partecipanti alla conferenza. Do una rapida occhiata al concierge per accertarmi che non mi stia osservando, poi allungo la mano e tiro fuori un pass con la fototessera di una ragazza davvero stupenda; sotto la foto c’è scritto: “Violet Russell, White Globe Consulting Group”. Inizio a formulare un’ipotesi decisamente solida. Potrei essere Poirot. Questo è il telefono di Violet Russell e l’ha gettato via. Mmh... Ci sarà una... ragione. Be’, è colpa sua. Non mia. All’improvviso il telefono comincia a vibrare e io sobbalzo. Oh, merda! È vivo. La suoneria parte al massimo volume, ed è Single Ladies di Beyoncé. Schiaccio subito il tasto per rifiutare la chiamata, ma un attimo dopo la musica riattacca, potente e inequivocabile. Non ce l’ha la regolazione del volume, questo arnese? Un paio di donne vicino a me si sono girate a guardare, e io sono talmente agitata da schiacciare il tasto di risposta anziché rifiutare la chiamata. Le due donne mi stanno ancora fissando, perciò porto il telefono all’orecchio e mi giro.
«L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile» dico, cercando di simulare una voce robotica. «La invitiamo a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.» Così me lo tolgo dalle scatole, chiunque sia. «Dove cavolo sei?» Una voce suadente, da uomo raffinato, comincia a parlare, e io per poco non lancio un gridolino di stupore. Ha funzionato! Mi ha preso per una segreteria telefonica! «Ho appena parlato con Scottie. Ha un contatto e pensa di potercela fare. Sarà come un intervento di chirurgia laparoscopica. È un ottimo metodo. Non lasceranno tracce.» Non oso respirare. E neppure grattarmi il naso, che all’improvviso mi prude in modo terribile. «Okay» continua l’uomo. «Qualunque altra cosa tu intenda fare, fai attenzione, cazzo.» Chiude la chiamata e io fisso il cellulare sbalordita. Non credevo che qualcuno lasciasse veramente dei messaggi. Adesso mi sento un po’ in colpa. È un messaggio personale in piena regola, e Violet non l’ha sentito. Okay, non è colpa mia se ha gettato via il telefono, ma comunque... D’impulso, rovisto nella borsetta in cerca di una penna, e l’unico pezzo di carta che trovo è un programma teatrale.7 Scrivo: “Scottie ha un contatto, chirurgia laparoscopica, niente tracce, fai attenzione, cazzo”. Solo Dio sa a cosa si riferisca. Una liposuzione, forse? In ogni caso, non importa. Ciò che conta è che, se per caso incontro questa Violet, potrò riferirglielo. Prima che il telefono suoni di nuovo, corro dal concierge, che nel frattempo si è miracolosamente liberato. «Salve» dico con il fiatone. «Sono di nuovo io. Qualcuno ha trovato il mio anello?» «Signora, mi permetta di assicurarle» mi risponde lui con un sorriso gelido «che se l’avessimo trovato, l’avremmo già informata. Abbiamo il suo numero di cellulare.» «No, non è vero!» lo interrompo in tono quasi trionfante. «Questo è il problema! Il numero che vi ho dato adesso è... come dire... morto. Fuori uso. Sì, insomma, più o meno.» Ci mancherebbe solo che il concierge telefonasse all’incappucciato e gli parlasse di un anello con uno smeraldo di valore inestimabile. «La prego di non chiamare quel numero. Può usare questo, invece?» Copio attentamente il numero dal retro del cellulare della White Globe Consulting. «Senta, posso fare una prova, per ogni evenienza?» Prendo il telefono dell’hotel e compongo il numero. Un attimo dopo Beyoncé riattacca a strepitare. Okay. Finalmente posso rilassarmi un pochino. Ho un numero di telefono. «Signora, ha altro da dirci? Perché siamo molto occupati...» Il concierge sembra piuttosto scocciato, e dietro di me si sta formando la coda. Così lo ringrazio di nuovo e, carica di adrenalina, mi dirigo verso un divano. Ho un telefono e un piano d’azione. Ci metto solo cinque minuti a copiare il mio nuovo numero di cellulare su venti foglietti con il logo dell’hotel, aggiungendo la scritta in stampatello grande:
“POPPY WYATT – ANELLO DI SMERALDO, CHIAMATEMI, VI PREGO!!!”. Mi accorgo irritata che le porte della sala da ballo sono state chiuse a chiave (anche se sono sicura che le inservienti siano ancora dentro, perché le sento), quindi sono costretta a girare per i corridoi, la sala da tè, i bagni delle signore e persino la spa, consegnando il mio numero di cellulare a ogni membro dello staff dell’albergo che incontro sulla mia strada e raccontando da capo tutta la storia. Chiamo la polizia per comunicare il mio nuovo recapito telefonico. Mando un SMS a Ruby, di cui ricordo il numero a memoria: Ciao! Mi hanno rubato il telefonino. Questo è il mio nuovo numero. Puoi passarlo a tutti gli altri? Notizie dell’anello??? Poi, esausta, mi lascio cadere sul divano. Mi pare di aver trascorso tutta la giornata in questo maledetto albergo. Dovrei chiamare anche Magnus per dargli il nuovo numero, ma non me la sento ancora di parlargli. Ho la strana sensazione che sarebbe in grado di captare l’assenza dell’anello semplicemente dal tono della mia voce. Di percepire la nudità del mio dito appena gli dico: “Ciao”. Anello, ti prego, torna indietro. Ti prego, TI PREGO, torna indietro. Mi abbandono contro lo schienale, chiudo gli occhi e cerco di inviare un messaggio telepatico attraverso l’etere. Ecco perché quando Beyoncé riattacca a cantare scatto come una molla. Forse ha funzionato! L’anello! Qualcuno l’ha trovato! Non controllo neppure il display prima di premere il tasto di risposta e dire eccitata: «Pronto?». «Violet?» Una voce maschile mi colpisce il timpano. Non è la stessa di prima, è più profonda. Il tizio sembra di pessimo umore, sempre che davvero lo si possa capire sulla base di tre sole sillabe.8 Ha pure il respiro affannoso, quindi delle due l’una: o è un maniaco, o sta facendo uno sforzo fisico. «Sei nell’atrio? Il contingente giapponese è ancora lì?» Mi guardo intorno automaticamente. Ci sono un bel po’ di giapponesi vicino alle porte. «Sì, sono ancora qui» rispondo «ma io non sono Violet. Questo cellulare non appartiene più a lei. Non è che potrebbe dire in giro che ha cambiato numero?» Devo togliermi dai piedi gli amici di Violet. Non posso rispondere alle loro chiamate ogni cinque secondi. «Ma, un attimo... chi parla?» domanda l’uomo. «Perché risponde a questo numero? Dov’è Violet?» «Questo telefonino è in mio possesso» ribatto, più sicura di quanto non sia in realtà. Infatti è vero. Possesso vale titolo. 9 «In tuo possesso? Che cavolo...? Oh, maledizione.» Sento altre imprecazioni e un vago rumore di passi. Sembra che stia correndo giù per le scale.10 «Dimmi solo una cosa, se ne stanno andando?» «I giapponesi?» Do una sbirciata al gruppo. «Mah, forse... Non saprei.» «C’è un tizio basso? Sovrappeso? Con i capelli folti?» «Quello con il completo blu? Sì, è proprio davanti a me. Sembra contrariato. Adesso si sta mettendo l’impermeabile.»
Un collega ha appena passato un Burberry al giapponese tarchiato che se lo infila con sguardo truce, mentre dalla sua bocca continuano a fluire torrenti di rabbiose parole giapponesi e i suoi accompagnatori annuiscono nervosamente. «No!» Il grido dell’uomo all’altro capo della linea mi coglie di sorpresa. «Non può andarsene.» «Be’, invece se ne sta proprio andando, mi dispiace.» «Devi fermarlo. Vai da lui e impediscigli di uscire dall’albergo. Vacci subito. Fermalo a qualunque costo.» «Eh?» Rimango a fissare il telefono. «Senti, scusa, ma io non ti ho mai visto in vita mia.» «Neanch’io ho mai visto te» ribatte l’uomo. «A proposito, chi sei? Un’amica di Violet? Mi puoi spiegare esattamente perché ha deciso di abbandonare il suo lavoro nel bel mezzo del convegno più importante dell’anno? Crede che all’improvviso io non abbia più bisogno di un’assistente?» A-ha. Quindi Violet è la sua assistente. I conti tornano. E l’ha piantato in asso! Be’, c’è da capirla, con un capo così prepotente... «Non fa niente.» Si interrompe. «Il problema è che io sono sulle scale, al nono piano, e l’ascensore è bloccato. Sarò al piano terra in meno di tre minuti, e tu devi trattenere Yuichi Yamasaki fino al mio arrivo. Chiunque tu sia.» Che faccia tosta. «Perché sennò?» ribatto. «Sennò un anno di delicate trattative va a rotoli, e solo per uno stupido equivoco. L’accordo più importante dell’anno va a farsi benedire. Un team di venti persone perde il lavoro.» Parla con voce implacabile. «Senior manager, segretarie, tutto il team. Solo perché non riesco a scendere abbastanza in fretta e una persona non vuole collaborare, anche se potrebbe farlo.» Oh, porca miseria. «E va bene!» dico, furente. «Farò quel che posso. Com’è che si chiama quel tizio?» «Yamasaki.» «Mi scusi!» grido, attraversando la hall di corsa. «Mi scusi, signor Yamasaki... Potrebbe fermarsi un attimo?» Il signor Yamasaki si gira con un’espressione interrogativa, e un paio di suoi portaborse si fanno avanti, affiancandolo protettivi. Ha una faccia larga, ancora deformata dall’ira, e un grosso collo taurino avvolto da una sciarpa di seta. Ho la vaga sensazione che non sia il tipo da dilungarsi in chiacchiere amene. Non so proprio che cosa dirgli. Non parlo giapponese, non so niente dell’economia e della cultura nipponica, a parte il sushi. Ma non è che posso andare da lui e dire: “Sushi!”, così, di punto in bianco. Sarebbe come andare da un importante uomo d’affari americano e dirgli: “Bistecca con l’osso!”. «Sono una sua grandissima ammiratrice!» esordisco, improvvisando. «Del suo lavoro. Posso avere un autografo?» Sembra perplesso, e un collega gli bisbiglia una traduzione nell’orecchio. Subito distende la fronte e mi fa un inchino.
Ricambio con cautela la riverenza e lui schiocca le dita, impartendo un ordine secco. Un attimo dopo gli viene aperto davanti uno splendido portablocco di pelle e lui ci scrive sopra qualcosa di elaborato in giapponese. «È ancora lì?» D’un tratto la voce dello sconosciuto salta fuori dal telefonino. «Sì» mormoro. «Ancora per poco. A che punto sei?» Sfodero un sorriso smagliante all’indirizzo del signor Yamasaki. «Quinto piano. Trattienilo. A tutti i costi.» Il signor Yamasaki mi porge il foglio, mette il cappuccio alla penna, si inchina di nuovo e fa per andarsene. «Aspetti!» grido disperatamente. «Le posso... mostrare una cosa?» «Il signor Yamasaki è molto impegnato.» Uno dei suoi colleghi, con un paio di occhiali con la montatura d’acciaio e la camicia più bianca che abbia mai visto in vita mia, si gira verso di me. «Contatti cortesemente il nostro ufficio.» Si stanno allontanando di nuovo. Cosa faccio? Non posso mica chiedergli un altro autografo. Non posso placcarlo come un giocatore di rugby. Devo riuscire ad attirare la sua attenzione... «Ho un annuncio speciale da fargli!» grido, correndogli dietro. «Devo recapitargli un telegramma cantato! È un messaggio da parte dei numerosi ammiratori del signor Yamasaki. Non ascoltarmi sarebbe una grave scortesia nei loro confronti.» A quanto pare, la parola “scortesia” li ha immobilizzati. Si stanno scambiando sguardi accigliati e confusi. «Un telegramma cantato?» chiede sospettoso l’uomo con gli occhiali d’acciaio. «Ha presente il gorillagramma?» butto là. Non sono sicura di aver chiarito granché. L’interprete sta parlando a raffica nell’orecchio del signor Yamasaki, e un attimo dopo mi dice in tono perentorio: «Prego». Il signor Yamasaki si volta, seguito a ruota da tutti i suoi colleghi che si schierano in fila con le braccia incrociate sul petto, in attesa. Alcuni fra gli uomini e le donne d’affari sparsi a gruppi nell’atrio dell’albergo si girano, interessati. «Dove sei?» mormoro disperatamente nel telefono. «Terzo piano» dice la voce maschile un attimo dopo. «Mezzo minuto. Non lasciarlo andare.» «Cominci pure» dice seccamente l’uomo con gli occhiali d’acciaio. Altri ospiti dell’hotel si sono voltati a guardare. Oddio. Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio? Primo, non so cantare. Secondo, che cosa canto a un uomo d’affari giapponese che non ho mai visto in vita mia? Terzo, perché mi è venuta l’idea del telegramma cantato? Ma se non mi do una mossa, venti persone potrebbero perdere il lavoro. Faccio un profondo inchino, tanto per guadagnare un po’ di tempo, e tutti i giapponesi ricambiano.
«Cominci» ripete l’uomo con gli occhiali d’acciaio, con una scintilla minacciosa nello sguardo. Inspiro a fondo. Su, forza, non importa quel che faccio. Devo tenere duro soltanto per un altro mezzo minuto, poi posso darmela a gambe, e questa gente non mi rivedrà mai più. «Signor Yamasaki...» inizio un po’ titubante, intonando la melodia di Single Ladies. «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki...» Agito i fianchi e le spalle come Beyoncé.11 «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki...» A dire il vero, è abbastanza facile. Non ho bisogno di un testo, basta che continui a ripetere “Signor Yamasaki”. Pochi istanti dopo, alcuni giapponesi si mettono a cantare con me, dando delle pacche sulla spalla a Yamasaki. «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki!» Lo indico con il dito e gli strizzo l’occhio. «Ooh, ooh, ooh... ooh-ooh-ooh...» È ridicolo com’è contagiosa questa canzone. Adesso stanno cantando tutti i giapponesi, a parte lo stesso Yamasaki, che se ne sta lì fermo con aria gongolante. Alcuni partecipanti al convegno si sono uniti al coro e sento uno di loro che dice: «Che cos’è? Una specie di flash mob?». «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki... Dove sei?» mormoro nel telefonino senza smettere di sorridere radiosa. «Sto assistendo.» «Eh?» Alzo la testa di scatto e mi guardo intorno nella hall. I miei occhi si fermano di colpo su un tizio in disparte rispetto agli altri, a una ventina di metri da me. Ha un completo scuro, folti capelli neri arruffati e il cellulare premuto contro l’orecchio. Persino a questa distanza vedo che sta ridendo. «Da quant’è che sei qui?» domando furente. «Sono appena arrivato. Non volevo interromperti. A proposito, complimenti» aggiunge. «Mi sa che hai definitivamente conquistato Yamasaki alla nostra causa.» «Grazie» rispondo sarcastica. «Sono felice di aver contribuito. Adesso è tutto tuo.» Faccio un inchino plateale a Yamasaki, poi giro sui tacchi e mi fiondo verso l’uscita, ignorando le grida di disappunto dei giapponesi. Ho cose ben più importanti a cui pensare che a un manipolo di spocchiosi sconosciuti e ai loro stupidi affari. «Aspetta!» La voce dell’uomo mi segue attraverso il ricevitore. «Il cellulare... è della mia assistente.» «Be’, allora non avrebbe dovuto gettarlo via» ribatto io, aprendo la porta di vetro. «Chi lo trova, se lo tiene.» Da Knightsbridge alla casa dei genitori di Magnus nella zona nord di Londra ci sono dodici fermate, e appena riemergo in superficie controllo il telefono. È pieno di nuovi messaggi, una decina di SMS e venti mail, ma solo cinque SMS sono per me e nessuno contiene notizie sull’anello. Uno è della polizia: lo apro con il cuore palpitante di speranza, ma è solo la conferma della
mia denuncia. Mi si chiede anche se desidero ricevere la visita di un agente del servizio di sostegno alle vittime di reati. Gli altri sono SMS e mail per Violet. Mentre li faccio scorrere, noto che in buona parte dei messaggi compare il nome di un certo Sam. Tornando a indossare i panni di Poirot, controllo il registro delle chiamate e, come volevasi dimostrare, l’ultima proviene da “Sam cellulare”. Quindi è lui. Il capo di Violet, il tizio con i capelli scuri arruffati. Lo conferma anche l’indirizzo di posta elettronica di Violet:
[email protected]. Così, per pura curiosità, apro una delle mail. Proviene da
[email protected] e l’oggetto è: “Re: Cena?”. Grazie, Violet. La pregherei di non farne parola con Sam. Adesso sono un po’ in imbarazzo! Oh. Chissà perché è in imbarazzo? Prima di riuscire a trattenermi, ho già cliccato sulla mail precedente, inviata ieri. Jenna, veramente devo dirle una cosa: Sam è fidanzato. Saluti, Violet È fidanzato. Interessante. Mentre rileggo il testo, ho una piccola, strana reazione che non riesco bene a definire: sono sorpresa, forse? Ma perché dovrei esserlo? Non lo conosco nemmeno, quel tizio. Bene, adesso devo sapere tutto. Perché Jenna è imbarazzata? Che cos’è successo? Guardo fra le mail più vecchie e, dopo qualche altro scambio di messaggi, trovo finalmente una lunga mail introduttiva di Jenna, che a quanto pare ha conosciuto questo Sam Roxton a un incontro d’affari, ha perso la testa per lui e due settimane fa lo ha invitato a cena, ma lui non ha risposto alle sue chiamate. ... ho provato di nuovo ieri... forse ho sbagliato numero... mi hanno detto che è famoso per questo genere di cose e che il modo migliore per arrivare a lui è contattare la sua assistente... mi spiace disturbarla... mi faccia sapere, eventualmente, se c’è un altro modo... Povera donna. Mi sento indignata a nome suo. Perché non le ha risposto? Che cosa costa mandare una breve mail solo per dire: “No, grazie”? E alla fine salta fuori che è persino fidanzato, santo cielo. Be’, non fa niente... All’improvviso mi rendo conto che sto ficcando il naso nella posta elettronica di un’altra persona mentre avrei un sacco di cose ben più importanti di cui occuparmi. Le priorità, Poppy. Devo comprare del vino per i genitori di Magnus, e un biglietto su cui scrivere: “Bentornati a casa!”. E, se non riuscirò a trovare l’anello nei prossimi venti minuti... un paio di guanti. Disastro. Disastro. Ho scoperto che non si vendono guanti in aprile. Gli unici che ho trovato erano nello stanzino sul retro di Accessorize. Erano in un vecchio stock natalizio, disponibili solo nella misura “small”. Non ci posso credere: sto veramente pensando di presentarmi dai miei futuri suoceri sfoggiando un paio di minuscoli guanti di lana rossi con tanto di renna. E frangette. Ma non ho scelta: o con quelli, o a mani nude.
Mentre mi appresto a salire la collina che porta a casa loro, comincio a sentirmi male sul serio. Non è solo per l’anello. È l’idea terrificante di incontrare di nuovo i miei futuri suoceri. Giro l’angolo: le finestre della casa sono tutte illuminate. Sono tornati. Mai in vita mia ho visto una casa tanto simile alla famiglia che ci vive quanto quella dei Tavish. È la più antica e maestosa della via e guarda tutte le altre dall’alto della sua posizione sopraelevata. In giardino ci sono tassi e un pino del Paraná. I muri sono ricoperti di edera e le finestre hanno ancora gli infissi originali di legno del 1835. Le pareti all’interno sono rivestite di tappezzerie di William Morris risalenti agli anni Sessanta, e sul pavimento di legno ci sono ovunque tappeti turchi. Solo che in realtà non si vedono, perché sono ricoperti in gran parte di vecchi documenti e manoscritti che nessuno si preoccupa mai di raccogliere. I Tavish non sono molto bravi a tenere la casa in ordine. Una volta ho trovato un uovo alla coque fossilizzato nel letto di una stanza degli ospiti, ancora nel suo portauovo e con la sua brava fetta rinsecchita di pane tostato. Doveva essere lì da almeno un anno. E la casa è piena di libri. Ammassati su scaffali in tre file, impilati a terra e sui bordi di ogni vasca da bagno macchiata di calcare. Antony scrive libri, Wanda scrive libri, Magnus scrive libri e suo fratello maggiore Conrad scrive libri. Persino la moglie di quest’ultimo, Margot, scrive libri. 12 Che è una gran bella cosa. Insomma, è meraviglioso che ci siano così tanti intellettuali di genio in una sola famiglia. Solo che ti fa sentire un tantino, appena un pochino, inadeguata. Non fraintendetemi, io mi ritengo una donna piuttosto intelligente. Voglio dire, per essere una persona normale che è andata a scuola e all’università e si è trovata un lavoro e via dicendo. Loro, però, non sono persone normali, appartengono a una categoria diversa. Sono dei supercervelloni. Sono la versione accademica degli Incredibili.13 Ho incontrato poche volte i genitori di Magnus quando erano di passaggio a Londra perché Antony doveva sempre tenere una qualche importante conferenza, ma mi è bastato per capire tutto. Mentre Antony era impegnato con la sua lezione di teoria politica, Wanda presentava uno scritto sull’ebraismo femminista presso un istituto di ricerca, dopo di che hanno partecipato insieme al “Culture Show”, assumendo posizioni opposte su un documentario che parlava dell’influenza del Rinascimento.14 Questo, insomma, è stato lo scenario del nostro incontro. Nessuna pressione né altro. Nel corso degli anni sono stata presentata a un bel po’ di genitori di fidanzati, ma l’esperienza con i Tavish è stata di gran lunga la peggiore. Ci eravamo appena stretti la mano, scambiando qualche parola di circostanza, e io stavo dicendo con orgoglio a Wanda dove avevo studiato, quando Antony ha alzato lo sguardo dalle sue lenti a mezzaluna e, puntandomi addosso i suoi occhi luminosi e freddi, ha detto: “Una laurea in fisioterapia. Molto divertente”. Mi ha annientato all’istante. Sono rimasta senza parole. Ero talmente agitata che ho dovuto lasciare la stanza per andare in bagno.15
Quell’episodio, naturalmente, mi ha raggelato. Sono stati tre giorni tristissimi. Più la conversazione diventava intellettuale, più io ammutolivo e mi imbarazzavo. Il secondo momento più brutto: quando ho pronunciato “Proust” nel modo sbagliato e tutti si sono scambiati occhiate eloquenti.16 Il momento peggiore in assoluto: quando abbiamo guardato tutti insieme alla televisione “University Challenge” in salotto, e hanno cominciato a fare domande sulle ossa. Erano il mio punto di forza! Le ho studiate benissimo! Conosco i nomi latini e tutto il resto! Ma non ho fatto in tempo ad aprire bocca per rispondere alla prima domanda che Antony mi aveva già preceduto. La volta dopo sono stata più veloce, ma lui mi ha battuto comunque. È stata una specie di gara, e ne sono uscita sconfitta. Alla fine mi ha guardato chiedendomi: “Ma non insegnano anatomia alla scuola di fisioterapia, Poppy?” e io sono rimasta mortificata. Magnus dice che lui ama me, non il mio cervello, e mi invita a ignorare i suoi genitori. E Natasha mi ha detto di concentrarmi sull’anello, sulla casa di Hampstead e sulla villa in Toscana. È fatta così, la mia amica Natasha. La mia soluzione, invece, è stata quella di non pensare mai a loro, punto e basta. Finora ha funzionato. Erano a Chicago, a migliaia di chilometri di distanza. Ora però sono tornati. Oddio! Ho ancora dei dubbi sulla pronuncia di “Proust” (Pruust? Prost?). E non ho ripassato i nomi latini delle ossa. E ho addosso un paio di guanti con le renne sopra in aprile. Con tanto di frangette. Mi tremano le mani mentre suono il campanello. Mi tremano sul serio. Mi sembra di essere lo spaventapasseri del Mago di Oz. Sto per crollare a terra, e Wanda mi incenerirà appena saprà che ho perso l’anello. Calmati, Poppy. Va tutto bene. Nessuno avrà il minimo sospetto. La scusa è che mi sono bruciata la mano. Ecco la mia scusa. «Ciao, Poppy!» «Ah, Felix! Ciao!» Sono talmente contenta che sia venuto lui ad aprire che il saluto mi esce come un debole rantolo. Felix è il più piccolo della famiglia: ha solo diciassette anni e va ancora a scuola. Per questo, mentre i suoi genitori erano via, io e Magnus abbiamo abitato insieme a lui in quella casa, come delle specie di baby-sitter. Non che ne abbia bisogno. È un ragazzo totalmente indipendente, legge dalla mattina alla sera e non ti accorgi neppure che è in casa. Una volta ho cercato di fargli un amichevole “discorsetto sulla droga”. Mi ha corretto cortesemente su ogni punto e ha detto di aver notato che bevevo Red Bull al di là della quantità consigliata, domandandomi se non pensassi di aver sviluppato una dipendenza. È stata l’ultima volta che ho provato a calarmi nei panni della sorella maggiore. Be’... Adesso che Antony e Wanda sono tornati dagli Stati Uniti è tutto finito. Abito di nuovo nel mio appartamento e abbiamo cominciato a cercare una casa in affitto. Magnus voleva a tutti i costi rimanere dai suoi. Secondo lui avremmo potuto continuare a occupare la stanza degli ospiti e il bagno all’ultimo
piano. Sarebbe stato comodo, no? Così avrebbe potuto consultare in ogni momento la biblioteca di suo padre. È fuori di testa? Io non vivrò mai sotto lo stesso tetto dei Tavish. Seguo Felix in cucina, dove Magnus, comodamente adagiato su una sedia, indica la pagina di un dattiloscritto e dice: «Per me, la tua argomentazione qui non regge. Secondo paragrafo». In qualunque modo si sieda, qualsiasi cosa faccia, riesce sempre a essere elegante. Ha le scarpe fatte a mano appoggiate su una sedia, una sigaretta fumata a metà fra le dita17 e i capelli fulvi che gli ricadono sulla fronte a mo’ di cascata. I Tavish sono tutti dello stesso colore, come una famiglia di volpi. Persino Wanda si tinge con l’henné. Magnus, però, è il più bello di tutti, e non lo dico solo perché sto per sposarlo. Anche se ha la pelle coperta di lentiggini, si abbronza facilmente, e la sua capigliatura rosso scuro sembra uscita dalla pubblicità di un prodotto per capelli. Ecco perché li tiene lunghi.18 In effetti, è piuttosto vanitoso, quando si tratta dei suoi capelli. Inoltre, pur essendo un accademico, non è il classico tipo che ha fatto la muffa a furia di starsene tutto il giorno al chiuso a leggere libri. Scia benissimo, e insegnerà a sciare anche a me. Anzi, proprio per questo ci siamo conosciuti. Si era slogato il polso sciando ed era venuto a fare qualche seduta di fisioterapia, dopo che il suo medico gliel’aveva consigliato. Aveva un appuntamento con Annalise, ma lei aveva rinunciato per ricevere uno dei suoi pazienti abituali, e lui alla fine era venuto da me. La settimana successiva mi ha chiesto di uscire con lui e un mese dopo mi ha fatto la proposta di matrimonio. Un mese!19 Magnus alza lo sguardo e si illumina in viso. «Amore! Come sta la mia splendida ragazza? Vieni qui.» Mi fa segno di avvicinarmi per un bacio, poi mi prende il viso fra le mani, come fa sempre. «Ciao!» Mi sforzo di sorridere. «Allora, i tuoi genitori sono tornati? Come è andato il viaggio? Non vedo l’ora di incontrarli.» Faccio del mio meglio per assumere un tono entusiasta, anche se le mie gambe vogliono solo fuggire, uscire dalla porta e scendere di corsa giù da quella collina. «Ma non hai ricevuto il mio SMS?» Magnus sembra perplesso. «Quale SMS? Ah.» D’un tratto mi torna tutto in mente. «Per forza, ho perso il cellulare. Ho un numero nuovo, adesso te lo do.» «Hai perso il cellulare?» Magnus mi fissa. «Che cosa è successo?» «Niente!» rispondo allegramente. «L’ho perso e basta e me ne sono dovuta procurare uno nuovo. Niente di che, non è una tragedia.» Ho deciso che per il momento meno gli dico, meglio è. Non voglio mettermi a discutere su come mai mi sia attaccata disperatamente a un telefono qualsiasi trovato nell’immondizia. «Be’, che cosa mi dicevi nel messaggio?» mi affretto a chiedergli, cercando di cambiare discorso. «Il volo dei miei genitori è stato deviato. Sono atterrati a Manchester. Non saranno qui prima di domani.»
Deviato? Manchester? Oh, mio Dio. Sono salva! Ho avuto un differimento della pena! Le mie gambe non riescono a stare ferme. Vorrei cantare l’Alleluja! Ma-an-chester! Maan-chester! «Dio, che cosa terribile.» Mi sforzo di fare una smorfia di delusione. «Poverini. Manchester. È a un bel po’ di chilometri di distanza! Non vedevo davvero l’ora di incontrarli, che peccato.» Credo di apparire abbastanza convincente. Felix mi guarda con un’aria strana, ma Magnus si è già riseduto e ha ripreso in mano il dattiloscritto. Non ha fatto commenti sui miei guanti. Neppure Felix. Forse posso rilassarmi un secondo. «Allora... ragazzi.» Do una rapida occhiata alla stanza. «Come la mettiamo con la cucina?» Magnus e Felix avevano detto che avrebbero fatto le pulizie nel pomeriggio, ma sembra di essere in un campo di battaglia. Il tavolo è coperto di scatole di cibo d’asporto, e ci sono libri impilati sulla piastra di cottura e persino in una pentola. «I vostri genitori tornano domani. Non sarebbe il caso di darsi una mossa?» Magnus rimane imperturbabile. «Non ci baderanno.» È facile dirlo per lui. Ma sono io la nuora (quasi) che ha abitato qui, e daranno la colpa a me. Magnus e Felix si mettono a discutere di certe note a piè di pagina20 e io, allora, mi avvicino ai fornelli e comincio a riordinare in fretta. Non oso togliermi i guanti, ma per fortuna i ragazzi non mi degnano di uno sguardo. Almeno so che le altre parti della casa sono a posto. Ieri ho fatto un controllo generale, ho sostituito i vecchi, schifosissimi flaconi di bagnoschiuma e ho comprato delle tende nuove per il bagno. Non solo, ho recuperato un mazzetto di anemoni da mettere nello studio di Wanda. Lo sanno tutti che adora quei fiori. Ha persino scritto un articolo sugli anemoni nella letteratura. (È tipico di questa famiglia: una cosa non può semplicemente piacerti. No, devi per forza diventare il più grande esperto accademico in materia.) Quando finisco il mio lavoro, Magnus e Felix sono ancora assorti nella loro discussione. La casa è in ordine. Nessuno mi ha fatto domande sull’anello. Me ne vado finché sono in tempo. «Be’, allora torno a casa» dico con noncuranza e bacio Magnus sulla testa. «Rimani pure qui a tenere compagnia a Felix. Salutami i tuoi genitori.» «Resta qui a dormire!» Magnus mi trattiene afferrandomi per la vita. «Avranno voglia di vederti!» «No, salutali tu da parte mia. Mi farò viva domani.» Sfodero un sorriso radioso perché non si noti troppo che sto indietreggiando lentamente verso la porta, con le mani dietro la schiena. «C’è tutto il tempo.» «Be’, non posso certo biasimarti» dice Felix, alzando lo sguardo per la prima volta da quando mi ha fatto entrare in casa.
«Come, scusa?» dico, leggermente perplessa. «Non puoi biasimarmi per che cosa?» «Per non aver voglia di restare.» Alza le spalle. «Penso che tu abbia dato prova di grande ottimismo, vista la loro reazione. Sono settimane che volevo dirtelo. Sei proprio una brava persona, Poppy.» Di cosa sta parlando? «Non saprei... in che senso?» Guardo Magnus in cerca di aiuto. «No, niente» dice lui, un po’ troppo in fretta. Felix però sta fissando il fratello maggiore, e una luce comincia a balenargli negli occhi. «Oddio, non gliel’hai detto?» «Felix, sta’ zitto.» «Non gliel’hai detto, vero? Non è esattamente corretto da parte tua, Mag.» «Che cosa non mi hai detto?» Continuo a fare avanti e indietro con lo sguardo da una faccia all’altra. «Che cosa?» «Non è nulla.» Magnus ha un tono irritato. «È solo che...» Alla fine mi guarda. «Okay. I miei genitori non hanno fatto esattamente i salti di gioia quando hanno saputo che ci eravamo fidanzati. Tutto qui.» Per un attimo non so come reagire. Rimango a fissarlo interdetta, cercando di elaborare quel che ho appena sentito. «Ma tu mi avevi detto...» Non riesco quasi a parlare. «Mi avevi detto che erano contentissimi! Entusiasti!» «Lo saranno» dice seccamente. «Quando torneranno in sé.» Lo saranno? Tutto il mio mondo vacilla. Era già abbastanza brutto pensare che i genitori di Magnus fossero due geni che intimidivano la gente. E invece? Sono addirittura contrari al nostro matrimonio? «Non ti avevano detto che non potevano immaginare una nuora più dolce e incantevole di me?» Sto tremando tutta. «Che mi mandavano un saluto speciale da Chicago? Erano tutte bugie?» «Non volevo che ti arrabbiassi!» Magnus fulmina Felix con lo sguardo. «Ascolta, non è niente di che. Si ricrederanno. Semplicemente, pensano che abbiamo corso un po’ troppo... Non ti conoscono bene... Sono due idioti» conclude imbronciato. «Gliel’ho anche detto.» «Hai litigato con i tuoi genitori?» Lo fisso sconvolta. «Perché non mi hai detto niente?» «Non è stato un litigio vero e proprio» dice, sulla difensiva. «È stata più che altro una divergenza.» Una divergenza? Una divergenza? «Una divergenza è peggio di un litigio!» mi lamento orripilata. «È mille volte peggio! Oddio, avrei preferito che me lo dicessi... Adesso che cosa faccio? Come li affronto?» Lo sapevo. I professori non mi giudicano all’altezza. Sono come quella ragazza dell’opera che lascia il suo amante perché si sente inadeguata e poi si
prende la tubercolosi e muore, ed è meglio così, perché è stupida e inferiore. Probabilmente, neppure lei sapeva pronunciare “Proust” nel modo giusto. «Calmati, Poppy!» dice Magnus irritato. Si alza in piedi e mi afferra saldamente per le spalle. «È proprio per questo che non te l’ho detto. Sono stupidaggini familiari che non c’entrano niente con noi. Io ti amo. Noi ci sposiamo. Io vado fino in fondo, checché ne dicano gli altri, genitori, amici... chiunque. Questa è una cosa che riguarda noi e basta.» Parla con voce così ferma che comincio a rilassarmi. «In ogni caso, appena trascorreranno un po’ più di tempo insieme a te, si ricrederanno. Ne sono certo.» Non posso fare a meno di sorridere mio malgrado. «Sei la mia meravigliosa ragazza.» Magnus mi abbraccia forte, e io mi aggrappo a lui, cercando di credergli con tutte le mie forze. Mentre si ritrae, lo sguardo gli cade sulle mie mani e mi osserva perplesso. «Amore... perché porti i guanti?» Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Non sto scherzando. Per poco non è saltato fuori tutto il disastro dell’anello. Anzi, sarebbe successo di sicuro, se non fosse stato per Felix. Stavo raccontando la mia scusa ridicola e inconsistente della mano bruciata, con la paura che Magnus potesse insospettirsi, quando Felix ha sbadigliato e ha detto: “Andiamo al pub?”. Magnus si è ricordato all’improvviso di dover mandare una mail e tutti si sono dimenticati dei miei guanti. Io ho approfittato dell’occasione per filarmela. A gambe levate. Sono seduta sull’autobus, lo sguardo perso nel buio della notte, e sento un gran freddo dentro. Ho perso l’anello. I Tavish non vogliono che sposi Magnus. Il mio cellulare è sparito. Mi sento come se mi avessero tolto tutte le mie certezze. Il telefono nella mia tasca riattacca con Beyoncé. Lo prendo senza farmi troppe illusioni. Ovviamente, non è un’amica che chiama per dirmi: “L’ho trovato!”, e neppure la polizia né il concierge. È lui. Sam Roxton. «Sei sparita di corsa» mi dice senza preamboli. «Ho bisogno di quel telefono. Dove sei?» Che stile. Neppure un “Grazie infinite per avermi aiutato a firmare l’accordo d’affari con il giapponese”. «Non c’è di che» replico. «Sempre a disposizione.» «Ah.» Per un attimo sembra confuso. «Già, grazie. Ti devo un favore. Allora, come pensi di fare per restituirmi il cellulare? Potresti lasciarmelo in ufficio, o magari ti mando un corriere. Dove sei?» Taccio. Non ho alcuna intenzione di riportarglielo. Ho bisogno di questo numero. «Pronto?» «Sì, sono qui.» Stringo la presa sul cellulare e deglutisco. «Il fatto è che mi serve. Lo tengo solo per un po’, in prestito.» «Oh, maledizione.» Lo sento sospirare. «Ascolta, temo sia una cosa che non si può “prestare”. Appartiene all’azienda, e io ne ho bisogno. O forse per te
“prendere in prestito” significa “rubare”? Perché, credimi, posso rintracciarti e non ho intenzione di darti cento sterline per il disturbo.» Ah, è questo che pensa? Che io stia cercando di spillargli del denaro? Che sia una specie di ladra di telefonini? «Non voglio rubarlo!» esclamo indignata. «Ne ho bisogno solo per qualche giorno. Ho dato il numero a tutti, ed è veramente un’emergenza...» «Hai fatto cosa?» sembra sbalordito. «E perché mai?» «Ho perso il mio anello di fidanzamento.» Quasi non ce la faccio a dirlo ad alta voce. «È un gioiello antico e di grande valore. Poi mi hanno rubato il cellulare e io ero disperata. Sono passata davanti a un cestino e ho visto il cellulare. Nella spazzatura» aggiungo, rimarcando bene il concetto. «La tua assistente l’ha buttato via. Gli oggetti che finiscono nell’immondizia appartengono a tutti. Chiunque può reclamarne il possesso.» «Stronzate» ribatte lui. «Chi l’ha detto?» «È una cosa... risaputa» rispondo cercando di darmi un tono. «In ogni caso, perché la tua assistente se n’è andata gettando via il telefonino? Non dev’essere un granché come assistente, lasciamelo dire.» «No, infatti. Non è esattamente un’assistente, ma più che altro la figlia di un amico che non avremmo mai dovuto assumere. Lavorava per me da tre settimane. Pare che oggi a mezzogiorno abbia ottenuto un ingaggio come modella, e un minuto dopo se n’è andata. Non si è neanche preoccupata di avvertirmi.» Sembra parecchio arrabbiato. «Senti, signorina... come ti chiami?» «Wyatt. Poppy Wyatt.» «Okay, Poppy, adesso lasciamo perdere gli scherzi. Mi spiace per il tuo anello e ti auguro di ritrovarlo, ma questo cellulare non è un giochino che puoi tenerti per motivi tuoi. È un telefono aziendale su cui arrivano in continuazione messaggi e mail di lavoro. Roba importante. La mia assistente gestisce tutta la mia vita. Ho bisogno di quei messaggi.» «Te li inoltro» gli propongo in fretta. «Ti inoltro tutto. Che cosa ne dici?» «Ma che cavolo...?» Borbotta qualcosa fra sé e sé. «Okay, hai vinto tu. Ti regalo un cellulare nuovo. Dammi il tuo indirizzo. Te lo mando con un fattorino in bicicletta.» «Mi serve questo qui» dico testarda. «Mi serve questo numero.» «Oh, insomma...» «Può funzionare!» Le parole mi escono a raffica. «Appena mi arriva qualcosa te lo giro immediatamente. Non cambierà niente! Cioè, per te è uguale, no? Se hai perso l’assistente, a che cosa ti serve il suo telefonino? Anzi, così è meglio. E poi mi devi un favore per aver fermato il signor Yamasaki» non posso fare a meno di ricordargli. «L’hai detto tu stesso.» «Non intendevo questo, e lo sai benissimo...» «Ti arriverà tutto, te lo prometto!» lo interrompo. «Ti inoltro ogni singolo messaggio. Guarda, adesso ti faccio vedere, dammi solo due secondi...»
Chiudo la chiamata, faccio scorrere tutti i messaggi arrivati da stamattina e li mando subito a uno a uno al numero di cellulare di Sam. Le mie dita si muovono fulminee. SMS di “Vicks Myers”: inoltrato. SMS di “Sir Nicholas Murray”: inoltrato. Ci vogliono soltanto pochi secondi a inoltrarli tutti. E le mail possono essere girate all’indirizzo
[email protected]. Mail di “HR Department”: inoltrata. Mail di “Tania Phelps”: inoltrata. Mail di “Papà”... Esito un attimo. Con questo devo andarci cauta. È il padre di Violet o di Sam? L’indirizzo del mittente della mail è
[email protected], e questo non risolve la questione. Con la scusa che è per una buona causa, apro la mail per darle una scorsa. Caro Sam, è un bel po’ che non ci sentiamo. Ti penso spesso e mi domando che cosa tu stia facendo. Un giorno o l’altro mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con te. Non hai sentito i messaggi che ti ho lasciato sulla segreteria? Non importa. So che sei un ragazzo molto impegnato. Se per caso ti capita di passare da queste parti, sai che puoi sempre fare un salto qui a casa. Avrei una cosetta da dirti – molto bella, per giunta – ma, come dicevo, non c’è fretta. Con affetto, Papà Quando finisco di leggere, sono un po’ scioccata. So che quest’uomo è un perfetto sconosciuto e che non sono affari miei, ma... Voglio dire... Sarebbe il caso di rispondere ai messaggi di un genitore. Che cosa costa trovare una mezz’oretta per scambiare due parole? Suo padre, poi, sembra un uomo così dolce e mite. Povero vecchio, costretto a mandare una mail all’assistente di suo figlio. Avrei voglia di rispondergli io. Di andarlo a trovare nella sua casetta. 21 Be’, comunque. Non è la mia vita. Premo il tasto “inoltra” e la mail se ne va insieme a tutte le altre. Un attimo dopo, Beyoncé riattacca a cantare: è di nuovo Sam. «L’SMS di Sir Nicholas Murray quando è arrivato esattamente?» domanda di punto in bianco. «Mmh...» Controllo sul telefonino. «Circa quattro ore fa.» Le prime parole del testo compaiono sullo schermo, quindi non c’è niente di male se lo apro, no? Oltretutto, non è che sia così interessante. Violet, per cortesia di’ a Sam di chiamarmi. Ha il telefono spento. Un caro saluto, Nicholas «Merda. Merda.» Sam rimane in silenzio per un attimo. «Okay, se ti scrive di nuovo avvisami subito, d’accordo? Telefonami.» Apro la bocca automaticamente per dire: “E a tuo padre? Perché a lui non telefoni mai?”, poi la chiudo di nuovo. No, Poppy. Pessima idea.
«Ah, prima qualcuno ha lasciato un messaggio in segreteria» ricordo all’improvviso. «Parlava di una liposuzione o qualcosa di simile, credo. Non era per te?» «Liposuzione?» ripete incredulo. «Che io sappia, no.» Può evitare di essere così sarcastico. Era solo una domanda. Il messaggio doveva essere per Violet, anche se è improbabile che abbia bisogno di una liposuzione, se è andata a fare la modella. «Allora... siamo d’accordo? Affare fatto?» Per un attimo non risponde: me lo vedo mentre fissa irritato il suo cellulare. Non mi pare propriamente entusiasta della mia proposta, ma che alternative ha? «Farò girare la posta indirizzata alla mia assistente sulla mia casella» dice rabbiosamente, quasi tra sé. «Parlerò con i tecnici domani. Gli SMS continueranno ad arrivare a te, però. Se non me li mandi tutti...» «No, non succederà! Ascolta, so che per te non è il massimo» dico, cercando di ammansirlo «e mi dispiace molto. Ma sono veramente disperata. Tutto lo staff dell’albergo ha questo numero... tutte le inservienti... è l’ultima speranza che mi rimane. Solo per qualche giorno. E ti prometto che ti girerò ogni singolo messaggio. Parola di Brownie.» «Brownie cosa?» Pare confuso. «È un giuramento! Hai presente le Brownie Guides? Tipo gli scout... Alzi una mano, fai il segno e giuri... Aspetta, ti faccio vedere...» Chiudo la chiamata. Sull’autobus davanti a me c’è uno specchio lercio. Mi metto in posa sollevando il telefonino con una mano e facendo il segno delle Brownies con l’altra, poi sfodero il mio migliore sorriso della serie “non sono fuori di testa”. Scatto una foto e la mando a Sam. Cinque secondi dopo arriva un messaggio. Potrei mandarla alla polizia e farti arrestare. Oh, adesso sì che mi sento un po’ risollevata. Ha detto: “Potrei”. Significa che non lo farà. Molto gentile, davvero! Grazie :) :) :) gli scrivo. Ma non ricevo risposta. 7 Il Re Leone. Natasha aveva i biglietti gratis. Credevo che fosse un noioso spettacolo per bambini, e invece è stato fantastico. 8 Secondo me sì. 9 Non ho mai saputo che cosa significhi di preciso questa espressione. 10 Allora forse non è un maniaco. 11 Okay, non proprio come Beyoncé. Come me che imito Beyoncé. 12 E non di quelli con una trama, ovviamente. Libri con note a piè di pagina. Libri che parlano di argomenti tipo la storia, l’antropologia e il relativismo culturale nel Turkmenistan. 13 Mi chiedo se assumano tutti olio di pesce. Devo ricordarmi di domandarglielo.
14 Non chiedetemi niente. Anche se ho ascoltato molto attentamente, non sono riuscita a capire su che cosa fossero in disaccordo. Secondo me, neppure il conduttore era in grado di seguirli. 15 Dopo Magnus mi ha detto che stava scherzando. Ma non sembrava per niente uno scherzo. 16 Non ho mai letto i libri di Proust. Non so perché mi sia venuto in mente di tirarlo in ballo. 17 Lo so. Gliel’ho detto un milione di volte. 18 Non tanto lunghi da farsi la coda, che sarebbe volgare. Della lunghezza giusta. 19 Non credo che Annalise me lo abbia perdonato. Dentro di sé pensa che ora, se non avesse scambiato gli appuntamenti, sarebbe lei a sposarsi, non io. 20 Visto? Le note a piè di pagina sono sempre al centro di tutto. 21 Sempre che abiti davvero in una casetta. Ho questa impressione. Tutto solo, magari, con l’unica compagnia di un cane fedele.
3 Il mattino dopo mi sveglio di soprassalto e vedo il telefonino che lampeggia segnalando l’arrivo di un SMS dal Berrow Hotel: mi viene quasi da piangere per il sollievo. L’hanno trovato! L’hanno trovato! Annaspo per togliere il blocco tasti, con i pensieri che corrono a briglia sciolta. Un’inserviente del primo turno del mattino ha scovato l’anello che intasava il tubo dell’aspirapolvere... l’ha trovato in bagno... ha visto un luccichio sulla moquette... ora è chiuso nella cassetta di sicurezza dell’albergo... Caro ospite, l’estate comincia a metà prezzo. Per ulteriori informazioni, la invitiamo a visitare il sito www.berrowhotellondon.co.uk. Cordiali saluti Lo staff del Berrow Mi accascio di nuovo sul letto, sopraffatta dalla delusione, per non parlare della rabbia che mi assale pensando a chi mi ha inserito nella mailing list. Come hanno potuto farlo? Stanno cercando di giocare con i miei nervi? Allo stesso tempo, comincia a frullarmi nello stomaco una sgradevole consapevolezza. Sono trascorse altre otto ore da quando ho perso l’anello. Più il tempo passa... E se... Non riesco neppure a finire di formulare questi pensieri. Mi alzo di scatto dal letto e vado in cucina. Mi preparerò una tazza di tè e inoltrerò altri messaggi a Sam Roxton. Mi distrarrà un po’. Il telefonino ha ripreso a segnalare l’arrivo di SMS e mail, perciò, dopo aver acceso il bollitore, mi sistemo sullo sgabello vicino alla finestra e li passo in rassegna, facendo uno sforzo immane per non sperare. Neanche a dirlo, tutti i messaggi provengono da amiche che mi chiedono se ho trovato l’anello e mi danno consigli tipo: “Hai cercato nelle tasche della borsetta?”. Non c’è nessun messaggio di Magnus, anche se ieri sera gli ho mandato un paio di SMS chiedendogli che cos’altro avevano detto i suoi genitori sul mio conto, e che cosa aspettava a riferirmelo, e come avrei fatto ad affrontarli adesso, e se magari non stava cercando di ignorarmi di proposito. 22 Alla fine, mi occupo dei messaggi di Sam. La posta, evidentemente, non gliel’hanno ancora trasferita, perché fra ieri sera e stamattina gli sono arrivate circa cinquanta mail. Cavolo, allora aveva ragione! È vero che la sua assistente gli gestisce tutta la vita. Qui dentro c’è di tutto e di più. Messaggi del dottore, dei colleghi, richieste di donazioni, inviti... È una specie di accesso preferenziale all’universo di Sam. Vedo dove compra le sue camicie (Turnbull & Asser). Dove ha frequentato l’università. (Durham). Il nome del suo idraulico (Dean). Mentre faccio scorrere i messaggi, comincio a sentirmi a disagio. Mai in vita mia ho avuto occasione di accedere così liberamente al cellulare di un’altra
persona, neanche a quello delle mie amiche o di Magnus. Ci sono cose che non si condividono, e basta. Cioè, lui ha visto ogni millimetro del mio corpo, inclusi i punti più sensibili, ma non gli permetterei mai e poi mai di avvicinarsi al mio cellulare. I messaggi di Sam si alternano ai miei alla rinfusa, e anche questo mi fa uno strano effetto. Apro due messaggi per me, poi ce ne sono cinque o sei per Sam, poi altri quattro per me. Tutti in fila, uno accanto all’altro. Non ho mai condiviso con qualcuno la corrispondenza telematica. Non mi sarei aspettata di provare un tale senso di... intimità. È come ritrovarsi all’improvviso a spartire il cassetto della biancheria o qualcosa del genere. Be’, niente di grave. Non sarà per molto. Mi faccio il tè e riempio una scodella di cereali. Poi, mentre rumino, faccio scorrere lentamente i messaggi, selezionando quelli di Sam per inoltrarli. Non intendo certo spiarlo o altro. Figurarsi. Ma per mandargli i messaggi devo pur selezionarli e, qualche volta, se per sbaglio li apro, do un’occhiata al testo. Solo qualche volta. A quanto pare, suo padre non è l’unico che ha problemi a mantenere i contatti con lui. Dev’essere veramente scarso nelle relazioni via mail o SMS, perché vedo un’infinità di suppliche rivolte a Violet: “Pensa che sia il modo giusto per raggiungere Sam?”, “Salve! Mi scusi per il disturbo, ma ho lasciato svariati messaggi per Sam...”, “Buongiorno, Violet, potrebbe far presente a Sam la mail che gli ho mandato la settimana scorsa? Ne riassumo i punti principali...”. Non leggo di certo da cima a fondo tutte le mail, e non vado neanche a controllare la corrispondenza precedente, o a criticare le sue risposte per poi riformularle mentalmente. In fin dei conti, quel che scrive o non scrive non è affar mio. Può fare quel che gli pare. Siamo in un paese libero. La mia opinione non ha... Dio, come sono brusche le sue risposte! Quell’uomo mi fa andare fuori di testa! Deve per forza essere così conciso? Deve per forza essere tanto sbrigativo e sgarbato? Mentre do una scorsa a un’altra mail telegrafica, non posso fare a meno di esclamare ad alta voce: «Che cos’è? Scrivere ti fa venire l’orticaria?». È assurdo. È come se avesse deciso di ridurre le parole al minimo indispensabile. Sì, bene. Sam Fatto. Sam Ok, Sam Sarebbe uno sforzo letale per lui aggiungere qualcosa tipo “I miei migliori auguri”? O una faccina sorridente? O anche solo un “Grazie”? E poi, visto che siamo in argomento, perché non risponde a certa gente? La povera Rachel Elwood sta cercando di organizzare una corsa di beneficenza in azienda e gli ha chiesto ben due volte se gli va di guidare una squadra. Perché non dovrebbe farlo? È divertente, fa bene alla salute ed è un modo per raccogliere fondi che andranno in beneficenza. Che cosa c’è che non va?
Non ha risposto neppure alla mail dell’albergo in cui soggiornerà per la convention aziendale che si terrà nell’Hampshire la prossima settimana. Ha prenotato una suite al Chiddingford Hotel, che sembra un posto fantastico, ma deve comunicare a una certa Lindy quando prevede esattamente di arrivare, e non l’ha ancora fatto. Ma la cosa peggiore è che la segretaria del suo dentista gli ha già scritto quattro mail per fissare un appuntamento per un controllo. Quattro. Non posso fare a meno di dare un’occhiata alla corrispondenza precedente, da cui risulta chiaro che Violet a un certo punto ha gettato la spugna. Tutte le volte che gli fissava un appuntamento, lui le scriveva: “Disdici. S”, e una volta addirittura: “Stai scherzando?”. Vuole che gli si guastino tutti i denti in bocca? Alle otto e quaranta, quando esco per andare al lavoro, è già arrivata un’altra serie di mail. Sembra che tutta questa gente cominci a lavorare all’alba. La prima è di Jon Mailer e ha un oggetto piuttosto intrigante: “Cosa bolle in pentola?”. La apro camminando per strada. Sam, ieri sera ho incontrato per caso Ed al Groucho Club ed era conciato ancor peggio del solito. Dico solo una cosa: per un bel po’, meglio non lasciarlo solo con Sir Nicholas, okay? Saluti Jon Ooh, adesso voglio sapere anch’io cosa bolle in pentola. Chi è Ed? E perché era conciato peggio del solito al Groucho Club?23 La seconda mail è di una certa Willow e, appena la apro, vengo assalita da un’orda di lettere maiuscole. Violet, cerchiamo di comportarci da adulti. Hai SENTITO il litigio tra me e Sam. Non ha senso nasconderti le cose. Quindi, visto che Sam SI RIFIUTA di rispondere alla mail che gli ho mandato mezz’ora fa, saresti così gentile da stampare questo allegato e METTERGLIELO SULLA SCRIVANIA, IN MODO CHE LO LEGGA? Grazie infinite. Willow Rimango a fissare il cellulare scioccata, e mi scappa quasi da ridere. Willow dev’essere la sua fidanzata. Wow. Il suo indirizzo è
[email protected]. Quindi è ovvio che lavora nello stesso posto, eppure comunica con lui via mail? Non è strano? A meno che non lavorino su piani diversi. Questo è accettabile. Una volta ho mandato una mail a Magnus dal piano di sopra per chiedergli di prepararmi un tè. Mi domando che cosa ci sia in quell’allegato. Sono ferma davanti alle strisce pedonali e le mie dita esitano. Leggere sarebbe sbagliato. Sbagliatissimo. Questo non è un messaggio inoltrato per conoscenza a una marea di gente. È un documento privato scambiato fra due
persone legate da una relazione sentimentale. Non dovrei leggerlo. È stato già abbastanza ignobile leggere la mail di suo padre. D’altra parte, però... Lei vuole che venga stampato, no? E che sia messo sulla scrivania di Sam, dove chiunque passi potrebbe leggerlo. E poi non è che io sia indiscreta. Non dirò niente a nessuno. Nessuno saprà mai che l’ho letto... Le mie dita sembrano dotate di vita propria. Sto già cliccando sull’allegato. Ci metto un po’ a concentrarmi sul testo, pieno com’è di maiuscole. Sam, non mi hai ancora risposto. Pensi di farlo o no? Pensi che NON SIA IMPORTANTE? Maledizione. È soltanto la cosa più importante DELLA NOSTRA VITA. Non so proprio come tu faccia a startene così calmo tutto il giorno. Mi viene da piangere. Dobbiamo parlare, è estremamente urgente. E so che in parte è colpa mia, ma se non cominciamo a sciogliere i nodi INSIEME, come facciamo a capire chi sta tirando questo o quell’altro filo? Spiegamelo. Il fatto è, Sam, che a volte mi domando se tu ce l’hai un filo da tirare. È questa la cosa peggiore: NON SO NEANCHE SE CE L’HAI, UN FILO. Ti vedo che scuoti la testa, signor Negotutto. Eppure il problema C’È ED È GRAVE, lo capisci o no??? Se fossi un essere umano con un minimo di cuore, ti saresti già messo a piangere. Io lo sto facendo. Ah, un’altra cosa, alle dieci ho un appuntamento con Carter, che tu adesso hai MANDATO A PUTTANE, perché ho dimenticato a casa il mio FOTTUTISSIMO MASCARA. Insomma, puoi essere soddisfatto di te stesso. Willow Ho gli occhi fuori dalle orbite. Non ho mai visto niente di simile in vita mia. Rileggo e a un certo punto mi sorprendo a ridacchiare. So che non dovrei. Non è divertente. La ragazza è chiaramente sconvolta, e so bene di aver detto anch’io cose irripetibili a Magnus in momenti di particolare incazzatura o in balia degli ormoni. Ma non mi sognerei mai e poi mai di scrivere queste cose via mail e di farle stampare dall’assistente del mio fidanzato... All’improvviso mi rendo conto del problema. Oh, merda! Violet non c’è più. Nessuno stamperà il messaggio e nessuno lo metterà sulla scrivania di Sam. Non saprà nulla, non risponderà, e Willow si infurierà ulteriormente. Il guaio è che, al pensiero, mi scappa da ridere ancora di più. Mi domando se sia una giornata particolarmente nera per Willow, o se lei sia sempre così melodrammatica. Non posso resistere all’impulso di scrivere “Willow” nella finestra di ricerca, e sullo schermo compare una nuova serie di mail. Ce n’è una di ieri, con oggetto: “Sam, stai cercando di fregarmi o di prendermi per il culo? O forse NON RIESCI A DECIDERTI???” che mi fa venire un altro attacco di ridarella. Accidenti. Dev’essere un rapporto con molti alti e
bassi. Forse si tirano addosso le cose a vicenda, urlano come dei matti e poi fanno sesso appassionatamente in cucina... Beyoncé attacca di colpo a cantare e a momenti, quando vedo la scritta “Sam cellulare” sul display, mi cade il telefono. Per un attimo mi sorge il folle dubbio che lui abbia doti telepatiche e sappia che ho curiosato nella sua vita privata. Basta ficcare il naso mi riprometto frettolosamente. La smetto con le mie ricerche su Willow. Conto fino a tre e poi rispondo. «Ah, ciao!» Cerco di avere un tono rilassato e innocente, come se prima della sua chiamata avessi pensato a tutt’altro anziché immaginarlo mentre faceva sesso con la sua fidanzata in mezzo a un mucchio di piatti rotti. «Mi è arrivata una mail da Ned Murdoch, stamattina?» esordisce, senza neanche un “Ciao”. «No. Te le ho già girate tutte. Buongiorno anche a te» aggiungo allegramente. «Io sto proprio bene, e tu?» «Ho pensato che potesse essertene sfuggita qualcuna.» Non fa il minimo caso alla mia battutina. «È estremamente importante.» «Be’, io sono una persona estremamente precisa» ribatto secca. «Credimi, tutto quel che arriva qui, arriva anche a te. E non ho ricevuto niente da Ned Murdoch. A proposito, è appena arrivata una mail da una certa Willow» aggiungo con nonchalance. «Te la inoltro subito. C’è un allegato che sembra piuttosto importante, anche se io, ovviamente, non l’ho aperto né tantomeno letto.» «Hrrmm.» Emette una specie di grugnito evasivo. «Allora, l’hai trovato o no, l’anello?» «Non ancora» ammetto a malincuore. «Ma sono sicura che prima o poi salterà fuori.» «In ogni caso, dovresti avvisare la tua assicurazione. A volte c’è un limite di tempo per presentare denuncia. Un mio collega è rimasto fregato così.» Assicurazione? Limite di tempo? Comincio a sudare freddo per il senso di colpa. Il pensiero non mi ha neppure sfiorato. Non ho chiamato la mia assicurazione, e neppure quella dei Tavish. Al contrario, sono rimasta impalata davanti alle strisce pedonali perdendo l’occasione di attraversare, a leggere le mail di altre persone e a ridere di loro. Le priorità, Poppy. «Okay» riesco a dire alla fine. «Sì. Me ne sto occupando.» Concludo la chiamata e per un attimo rimango lì immobile, con le auto che mi sfrecciano davanti. È come se mi avesse dato una svegliata. Devo confessare. L’anello appartiene alla famiglia Tavish. È giusto che sappiano che è stato perso. Glielo devo dire. Ehi, ciao! Sono la ragazza che non volete come nuora e ho una notizia da darvi: ho perso il vostro inestimabile anello di famiglia! Decido d’impulso di concedermi altre dodici ore di tempo e schiaccio di nuovo il pulsante del semaforo. Non si sa mai. Non si sa mai. E poi glielo dirò.
Per molto tempo ho pensato di poter fare la dentista. Ho alcuni parenti che fanno i dentisti, e mi era sempre sembrata una professione piuttosto dignitosa. Poi, però, a quindici anni, la mia scuola mi mandò a fare una settimana di tirocinio nel reparto di fisioterapia di un ospedale della nostra zona. I terapisti erano talmente entusiasti del loro mestiere che, d’un tratto, l’idea di concentrarmi solo sui denti mi sembrò un po’ limitante. E non mi sono mai pentita della mia decisione. Fare la fisioterapista mi si addice. Per raggiungere la First Fit Physio da casa mia, a Balham, ci vogliono diciotto minuti esatti a piedi. È dopo il Costa Coffee e accanto alla panetteria Greggs. Non è il posto più chic del mondo: probabilmente guadagnerei di più se lavorassi in un centro più grande o in un ospedale importante. Ma sono lì da quando ho preso l’abilitazione e non riesco a immaginare di andare altrove. Inoltre, lavoro con le mie amiche. Non si rinuncia facilmente a una situazione del genere, no? Arrivo alle nove, pronta per la solita riunione dello staff. La facciamo ogni giovedì mattina per parlare dei pazienti, degli obiettivi da raggiungere, delle nuove terapie, delle ultime scoperte e via dicendo.24 C’è una paziente in particolare di cui desidero parlare, la signora Randall, una sessantacinquenne che adoro con problemi ai legamenti. È quasi guarita, ma la settimana scorsa è venuta due volte, e per questa ha preso tre appuntamenti. Le ho detto di fare gli esercizi a casa con le bande elastiche, ma lei sostiene di avere ancora bisogno del mio aiuto. Mi sa che ha sviluppato una vera e propria dipendenza da noi, il che gioverà anche ai nostri incassi, ma non a lei. Insomma, non vedo l’ora che cominci l’incontro settimanale. Con mia grande sorpresa, però, vedo che la saletta per le riunioni è sistemata in modo diverso dal solito. Il tavolo è stato spinto in fondo alla stanza, con due sedie dietro e una sola davanti, al centro. Sembra allestita per un colloquio di lavoro. La porta d’ingresso tintinna, segnalando l’entrata di qualcuno, e quando mi giro vedo Annalise arrivare con un vassoio del Costa Coffee in mano. I suoi lunghi capelli biondi sono acconciati in un modo elaborato che la fa sembrare proprio una dea greca. «Ciao, Annalise! Che cosa succede?» «Ti conviene chiederlo a Ruby.» Mi lancia un’occhiata di traverso, senza sorridere. «Cosa?» «Non credo spetti a me dirtelo.» Beve un sorso di cappuccino, guardandomi con aria misteriosa da sopra il bordo della tazza. Che succede? Annalise è decisamente permalosa, anzi è proprio un po’ infantile. La vedi tutta zitta e imbronciata, e poi scopri che il giorno prima le hai chiesto troppo bruscamente il fascicolo di un paziente urtando la sua sensibilità. Ruby è l’esatto opposto. Ha la pelle liscia e bianca come il latte, un enorme seno materno, ed è talmente piena di buon senso che praticamente le esce dalle orecchie. Basta starle vicino per sentirsi più sagge, tranquille, allegre e forti. Non sorprende affatto che il centro di fisioterapia abbia successo. In altre parole, io e
Annalise siamo abbastanza brave nel nostro mestiere, ma Ruby è la vera star. Tutti l’adorano. Uomini, donne, nonne, bambini. Ed è lei che ha messo i soldi per aprire il centro,25 quindi ufficialmente è il mio capo. «Buongiorno, bellezza.» Ruby esce con aria disinvolta dalla sala trattamenti, sfoderando l’ampio sorriso abituale. Si è raccolta i capelli indietro fissandoli in una crocchia, con intricati riporti su entrambi i lati. Sia lei sia Annalise sono appassionate di pettinature: è una specie di gara fra loro. «Senti, non sai quanto mi dispiaccia, ma ti devo sottoporre a un colloquio disciplinare.» «Cosa?» La guardo a bocca aperta. «Non è colpa mia!» Alza le mani. «Voglio ottenere il riconoscimento da parte di questo nuovo ente, il PFFA. Il regolamento che ho appena letto dice che se un membro dello staff abborda i pazienti, dev’essere sottoposto a una procedura disciplinare. Avremmo dovuto farlo comunque, lo sai bene, ma adesso devo preparare il rapporto per l’ispettore. Ce la sbrigheremo in pochissimo tempo.» «Non sono stata io ad abbordarlo» dico sulla difensiva. «È stato lui!» «La decisione spetta alla commissione, non credi?» interviene acida Annalise. Ha un’espressione talmente seria da farmi venire un po’ d’ansia. «Te l’avevo detto che hai tenuto un comportamento deontologicamente scorretto» aggiunge. «Meriteresti di essere perseguita a norma di legge.» «Perseguita a norma di legge?» Mi rivolgo a Ruby. Non ci posso credere. Quando Magnus mi aveva fatto la proposta di matrimonio, lei aveva detto che era una storia romanticissima, da far venire le lacrime agli occhi. Sì, certo, era contro le regole, ma secondo lei l’amore era più forte di tutto, anzi, per favore, non potevo farle fare la damigella d’onore? «Annalise non intende propriamente “perseguita a norma di legge”» Ruby alza gli occhi al cielo. «Su, forza, riuniamo la commissione.» «Chi è che ne fa parte?» «Noi» risponde Ruby allegramente. «Io e Annalise. So che dovrebbe esserci anche un membro esterno, ma non sapevo chi chiamare. Dirò all’ispettore che avevo contattato una persona, ma si è ammalata.» Controlla l’orologio. «Bene, abbiamo venti minuti. Buongiorno, Angela!» aggiunge pimpante quando arriva la nostra receptionist. «Non passarci nessuna chiamata, okay?» Angela si limita ad annuire, tira su con il naso e lascia cadere a terra il suo zaino. Ha un ragazzo che suona in un gruppo, perciò la mattina non è mai molto comunicativa. «Ah, Poppy» dice Ruby voltandosi, mentre entra per prima nella saletta riunioni. «Avrei dovuto darti due settimane di preavviso per prepararti, ma non ne avevi bisogno, vero? Possiamo dire che te le abbiamo date? Perché manca poco più di una settimana al matrimonio, e questo significherebbe farti rientrare in anticipo dalla luna di miele o rimandare tutto a dopo il ritorno, e io voglio proprio redigere quel rapporto...» Mi sta indicando la sedia solitaria, al centro della stanza, mentre lei e Annalise si accomodano dietro il tavolo. Mi aspetto che mi puntino una torcia
elettrica negli occhi da un momento all’altro. È orribile. All’improvviso tutto si è capovolto. Sono loro contro di me. «Hai intenzione di licenziarmi?» Precipito assurdamente nel panico. «No! Certo che no!» Ruby sta togliendo il cappuccio alla penna. «Che stupidaggini!» «Forse sì» dice Annalise, lanciandomi un’occhiata minacciosa. È chiaramente molto soddisfatta del suo ruolo di capo-vassallo. So perché ce l’ha con me. Perché io ho trovato Magnus e lei no. Il punto è questo: tra noi due, la bella è Annalise. Persino io ho voglia di guardarla tutto il giorno, e dire che sono una ragazza. Un anno fa, se avessi domandato a una persona qualsiasi “Secondo te, chi di queste tre ragazze troverà un uomo da sposare entro la prossima primavera?”, avrebbe risposto all’istante “Annalise”. Quindi capisco il suo punto di vista. Immagino che si guardi allo specchio (la dea greca) e che, guardando me (gambe magre magre, capelli scuri, punto di forza: ciglia lunghe), pensi: “Ma che c...?”. Inoltre, come dicevo, Magnus all’inizio aveva preso appuntamento con lei, e all’ultimo momento c’è stato un cambiamento di programma. Ma non è colpa mia. «Bene.» Ruby alza gli occhi dal suo blocco formato protocollo. «Signorina Wyatt, riepiloghiamo i fatti. Il 15 dicembre dell’anno scorso lei ha avuto in cura il signor Magnus Tavish in questo centro?» «Sì.» «Per quale lesione?» «Una distorsione al polso riportata mentre sciava.» «Al primo appuntamento, lui ha mostrato qualche... interesse inappropriato nei suoi confronti? O magari è stata lei a mostrarlo nei confronti del paziente?» Ritorno con la mente alla prima volta che Magnus è entrato nel mio studio. Indossava un lungo cappotto di tweed grigio e aveva i capelli luccicanti di pioggia e il viso accaldato per la camminata. Dato che era arrivato con dieci minuti di ritardo, mi si è precipitato incontro e, afferrandomi le mani, mi ha detto: “Sono terribilmente dispiaciuto” con la sua adorabile voce da uomo raffinato. «Io... ehm... no» rispondo, sulla difensiva. «È stato un appuntamento come un altro.» Mentre lo dico, so benissimo che non è vero. Durante gli appuntamenti normali non ti viene il batticuore appena tocchi il braccio del paziente. Non ti vengono i brividi. Non gli tieni la mano appena un po’ più a lungo del necessario. Questo, però, non posso dirlo, ovviamente. Sennò mi licenziano davvero. «La terapia si è protratta per un certo numero di sedute.» Cerco di assumere un atteggiamento calmo e professionale. «Quando ci siamo resi conto che era nato un sentimento, le sedute erano finite. Il mio comportamento è stato ineccepibile.» «Lui mi ha detto che è stato amore a prima vista!» ribatte Annalise. «Come spieghi questo? Mi ha detto che avete provato subito una forte attrazione
reciproca, che avrebbe voluto prenderti lì, sul lettino. Ha detto che tu, con il tuo camice, sei stata la visione più sexy che abbia mai avuto in vita sua.» Io lo ammazzo. Perché gli è venuto in mente di raccontarlo in giro? «Obiezione!» esclamo, fulminandola con lo sguardo. «L’accusa ha estorto la dichiarazione sotto l’influenza dell’alcol e in un contesto non professionale. Pertanto la testimonianza non è valida in tribunale.» «Sì che lo è! E tu sei sotto giuramento!» Mi punta il dito contro. «Obiezione accolta» la interrompe Ruby e alza lo sguardo dal suo blocco, con un’espressione distante e malinconica. «È stato davvero amore a prima vista?» Si sporge in avanti, con il grosso seno che straborda dappertutto sotto il camice. «L’hai capito subito?» Chiudo gli occhi e cerco di visualizzare quel giorno. Non so bene che cosa rispondere, a parte il fatto che anch’io avevo voglia di farmelo sul lettino. «Sì» rispondo alla fine. «Credo di sì.» «È così romantico» dice Ruby sospirando. «E sbagliato!» interviene Annalise bruscamente. «Al suo primo segno di interesse per te, avresti dovuto dire: “Signore, questo è un comportamento inappropriato. Desidero mettere fine a questa seduta e indirizzarla a un’altra terapista”.» «Una a caso, vero?» Non riesco a trattenere una risatina. «Per esempio te, eh?» «Può darsi! Perché no?» «E se avesse manifestato un interesse per te?» Solleva il mento orgogliosamente. «Avrei fatto in modo di non tradire i miei principi morali.» «Io sono stata ineccepibile» ribatto indignata. «Dall’inizio alla fine!» «Ah, sì?» Socchiude gli occhi come un pubblico ministero. «Allora, signorina Wyatt, che cosa l’ha indotta a fare uno scambio di pazienti con me? L’aveva già cercato su Google e aveva deciso di accaparrarselo?» Non avevamo già risolto la questione? «Annalise, sei stata tu a voler scambiare gli appuntamenti! Io non ti avevo chiesto niente! Non avevo idea di chi fosse! Quindi, se pensi di esserti persa un’occasione, mi dispiace per te, sei stata sfortunata. La prossima volta, tieniti stretti i tuoi pazienti!» Per un attimo, Annalise rimane in silenzio. Sta diventando sempre più rossa in faccia. «Infatti lo so» sbotta alla fine, battendosi il pugno contro la fronte. «Lo so, sono stata stupida. Perché ho scambiato gli appuntamenti?» «Ma che problema c’è?» interviene risoluta Ruby. «Annalise, devi fartene una ragione. Evidentemente Magnus non era destinato a te, ma a Poppy. E con questo?» Annalise tace. Vedo che non è per niente convinta. «Non è giusto» borbotta alla fine. «Hai idea di quanti direttori di banca ho massaggiato durante la maratona di Londra? Hai idea della fatica che ho fatto?»
Qualche anno fa Annalise si era appassionata alla maratona di Londra vedendola alla televisione e notando che vi partecipavano frotte di quarantenni in ottima forma fisica, motivati e probabilmente single perché pensavano solo a correre. Sì, certo, i quarantenni erano un po’ vecchiotti, ma avevano stipendi da capogiro. Da allora, ogni anno si offre volontaria come fisioterapista d’emergenza. Si fionda su tutti gli uomini di bell’aspetto e gli lavora i polpacci o altri muscoli, continuando a fissarli con i suoi occhioni azzurri e dicendo che anche lei ha sempre sostenuto le opere di beneficenza.26 A dire il vero, si è procurata un sacco di appuntamenti galanti in quel modo. Un tizio l’ha persino invitata a Parigi, ma niente di serio e duraturo, che invece è quel che vorrebbe lei. Quel che non sarebbe mai disposta ad ammettere, naturalmente, è di avere gusti molto difficili. Dice di volere solo un “uomo semplice, gentile e dotato di saldi principi”, ma di quel tipo ne ha già trovati un po’, sempre innamorati persi di lei, e li ha mollati tutti, persino quell’attore bellissimo (finite le repliche del suo spettacolo si era ritrovato senza lavoro). Quel che Annalise cerca davvero, però, è un uomo che sembri uscito da una pubblicità della Gillette, con uno stipendio o un titolo impressionante. Preferibilmente entrambe le cose. Per questo le rode di aver perso Magnus: perché ha il titolo di dottore. Una volta mi ha chiesto se un giorno sarebbe diventato professore universitario e, quando io le ho risposto: “Sì, probabilmente”, la sua faccia ha assunto un colorito verde. Ruby scrive in fretta qualcos’altro, poi rimette il tappo alla penna. «Be’, credo che abbiamo ricostruito i fatti. Bene, brave tutte quante.» «Non merita una diffida o qualcosa del genere?» Annalise ha ancora il broncio. «Ah, bella domanda.» Ruby annuisce, poi si schiarisce la gola. «Poppy, non farlo mai più.» «Okay» dico, scrollando le spalle. «Lo metto a verbale e lo faccio vedere all’ispettore, così non può dire niente. A proposito, ti ho già detto che ho trovato un reggiseno senza spalline perfetto da mettere sotto il vestito da damigella?» Ruby mi sorride radiosa, tornando a essere la ragazza allegra di sempre. «È di satin, color acquamarina. È stupendo.» «Fantastico!» Mi alzo e allungo la mano verso il vassoio del bar. «Uno è per me?» «Ti ho preso un cappuccino» risponde Annalise, imbronciata. «Con la noce moscata.» Lo prendo e Ruby lancia un gridolino soffocato. «Poppy! Non hai ancora trovato l’anello?» Alzo lo sguardo e le vedo fissare la mia mano sinistra. «No» ammetto a malincuore. «Ma sono sicura che salterà fuori, da qualche parte...» «Oh, merda.» Annalise si è portata una mano davanti alla bocca.
«Credevo che l’avessi trovato.» Ruby si incupisce. «Avevo sentito dire che l’avevi trovato...» «No, non ancora.» La loro reazione non mi piace per niente. Nessuna delle due dice “Non ti preoccupare” o “Sono cose che capitano”. Sembrano entrambe atterrite, persino Ruby. «Allora, che cosa pensi di fare?» Ruby aggrotta la fronte. «Che cosa ha detto Magnus?» chiede Annalise. «Io...» Bevo un sorso di cappuccino, cercando di guadagnare tempo. «Non gliel’ho ancora detto.» «Oh, cavolo» sospira Ruby. «Quanto vale?» Potete star certi che Annalise mi farà sempre le domande a cui non ho nessuna voglia di rispondere. «Parecchio, immagino. Però c’è sempre l’assicurazione...» Lascio fiaccamente la frase in sospeso. «Allora, quando pensi di dirlo a Magnus?» Ruby mi lancia il suo sguardo di disapprovazione. Lo detesto. Mi fa sentire piccola e mortificata. Come quella volta in cui mi aveva sorpreso a scrivere un SMS durante una seduta di terapia agli ultrasuoni.27 Ruby è la classica tipa su cui desideri istintivamente fare colpo. «Stasera. Voi due non l’avete visto, vero?» Non riesco a fare a meno di domandarglielo, anche se è ridicolo, come se di punto in bianco potessero dire: “Ah, sì, ce l’ho in borsa!”. Alzano entrambe le spalle per dire di no. Persino Annalise sembra dispiaciuta per me. Oddio. Sono messa proprio male. Alle sei del pomeriggio la situazione è addirittura peggiorata. Annalise ha cercato su Google “anelli di smeraldo”. Gliel’avevo forse chiesto? No. Nient’affatto. Magnus non mi ha mai detto quanto vale. Gliel’ho domandato scherzosamente la prima volta che me l’ha infilato al dito, e lui ha risposto altrettanto scherzosamente che non aveva prezzo, proprio come me. È stato tutto davvero bello e romantico. Dovevamo andare a cena al Bluebird, e io non avevo idea che avesse in mente di chiedermi di sposarlo. Assolutamente nessuna idea. 28 Be’, comunque, il fatto è che non ho mai saputo quanto valesse l’anello, né l’ho mai voluto sapere. Tra me e me continuo a ripetere giustificazioni da dare a Magnus, tipo: “Be’, non sapevo che valesse così tanto! Avresti dovuto dirmelo!”. Non avrei mai il coraggio di dire una cosa simile. Sì, insomma, bisogna essere proprio imbecilli per non capire che uno smeraldo preso da una cassetta di sicurezza in banca ha un certo valore, no? In ogni caso, il fatto di non avere in mente una cifra precisa mi aveva tranquillizzato un po’. Ora, però, Annalise brandisce una pagina appena stampata da Internet.29 «Art Déco, smeraldo pregiato con diamanti baguette» sta leggendo ad alta voce. «Valore stimato: venticinquemila sterline.» Eh? Mi si gela il sangue. Non può essere vero.
«Non mi avrebbe mai affidato una cosa tanto costosa.» Mi trema leggermente la voce. «I giovani docenti universitari sono poveri.» «Lui non è povero! Hai visto che casa hanno i suoi! Suo padre è famoso! Guarda qui: questo vale trenta bigliettoni.» Mi mostra un altro foglio. «Sembra proprio il tuo. Che cosa ne dici, Ruby?» Non ce la faccio a guardare. «Io non me lo sarei mai tolto dal dito» aggiunge Annalise inarcando le sopracciglia, e a me viene voglia di tirarle un ceffone. «Ma se sei stata proprio tu a chiedermi di fartelo provare!» dico, furente. «Se non fosse stato per te, ce l’avrei ancora!» «No, non sono stata io!» ribatte lei indignata. «Me lo sono solo provato come tutte le altre! Stava già facendo il giro del tavolo.» «Be’, allora chi ha avuto la brillante idea?» Non è la prima volta che mi spremo le meningi per ricordarmelo, ma se ieri la mia memoria era annebbiata, oggi va ancora peggio. Non crederò mai più ai casi di Poirot. Con tutti quei testimoni che dicono: “Sì, ricordo che erano esattamente le 15.06, perché prendendo una zolletta di zucchero ho dato un’occhiata all’orologio, e Lady Favisham era seduta alla destra del caminetto”. Balle. Non hanno la minima idea di dove fosse Lady Favisham: la verità è che non vogliono ammetterlo davanti a Poirot. Mi stupisce che riesca a concludere qualcosa. «Devo andare.» Mi giro prima che Annalise possa sbattermi sotto il naso altri anelli ultracostosi. «Ad avvisare Magnus?» «Prima vado a un appuntamento con Lucinda per il matrimonio. Poi da Magnus e dalla sua famiglia.» «Tienici informate. Mandaci un SMS!» Annalise aggrotta la fronte. «Ah, a proposito, come mai hai cambiato numero di cellulare?» «Ah, sì. Be’, ero uscita dall’hotel per cercare un po’ di campo e tenevo il telefonino con il braccio teso davanti a me...» Mi interrompo. A pensarci bene, non ho proprio voglia di raccontare tutta la storia dello scippo, del cellulare trovato nella spazzatura e di Sam Roxton. È troppo strampalata, e non ne ho la forza. Mi limito ad alzare le spalle. «... e niente: ho perso il cellulare e me ne sono preso un altro. Ci vediamo domani.» «Buona fortuna, signorina.» Ruby mi stringe in un rapido abbraccio. «Mandaci degli SMS!» mi urla dietro Annalise mentre esco. «Vogliamo essere aggiornate ogni ora!» Se fosse vissuta in un’altra epoca, sarebbe stata una di quelle persone a cui piaceva assistere alle esecuzioni pubbliche. Sarebbe stata sempre in prima fila a sgomitare per vedere meglio l’ascia del boia, pronta a prendere nota dei particolari più truculenti per poi esporli sulla bacheca del villaggio, nel caso in cui fossero sfuggiti a qualcuno.
Sì, insomma, quel che si faceva prima di Facebook. Non so perché mi sia presa la briga di correre, dato che Lucinda è in ritardo, come sempre. A dire il vero, non so neanche perché mi sia presa la briga di ingaggiare una wedding planner. Ma questo mi limito a pensarlo tra me e me, perché Lucinda è una vecchia amica dei Tavish e, tutte le volte che ne parlo, Magnus mi chiede in tono concitato e speranzoso: “Avete fatto amicizia, voi due?”, neanche fossimo panda in estinzione e dovessimo fare un cucciolo insieme. Non è che non mi sia simpatica. Il fatto è che mi stressa. Mi manda una marea di aggiornamenti via SMS per dirmi che cosa sta combinando e dove, e non perde occasione di sottolineare quanta fatica stia facendo per me, come quando ha scelto i tovaglioli: un’avventura interminabile che le ha fatto perdere un sacco di tempo e l’ha costretta a tornare per ben tre volte in un grande magazzino di tessuti di Walthamstow. Inoltre, le sue priorità sembrano un po’ assurde. Per esempio, ha ingaggiato a carissimo prezzo un tecnico informatico specializzato in matrimoni, che ha messo in piedi iniziative assurde, tipo aggiornare via SMS tutti gli invitati sulle ultime novità30 e una pagina web a cui si possono registrare gli invitati per fornire informazioni sui vestiti che intendono indossare ed evitare così “incresciose coincidenze”.31 Mentre si occupava di questo, però, Lucinda si è dimenticata di confermare l’agenzia di catering che avevamo scelto, e per poco non ce la siamo persa. Ci incontriamo nella hall del Claridge: Lucinda adora le hall degli alberghi, non chiedetemi perché. Mi siedo e aspetto pazientemente per venti minuti, sorseggiando del tè nero leggero, pentita di non aver disdetto l’appuntamento e sempre più a disagio al pensiero di rivedere i genitori di Magnus. Mi sto domandando se non sia il caso di andare in bagno a vomitare, quando la vedo arrivare con i suoi capelli corvini per aria e sei dépliant sottobraccio, circonfusa da un profumo di Calvin Klein. I tacchetti a spillo ticchettano sul pavimento di marmo, e il suo spolverino di cashmere rosa si apre dietro di lei come un paio d’ali. La segue a ruota Clemency, la sua “assistente”. (Sempre che una diciottenne non pagata possa definirsi tale. Io la chiamerei “schiava”.) Clemency è una ragazza molto dolce ed elegante, terrorizzata da Lucinda. Ha risposto al suo annuncio su “The Lady” per uno stage e continua a ripetermi quanto sia meraviglioso imparare il mestiere direttamente da una professionista di grande esperienza. 32 «Allora, ho parlato con il parroco. La sistemazione a cui avevo pensato non va bene. Quello stramaledetto pulpito deve rimanere dov’è.» Lucinda piomba su una poltrona e si stravacca stendendo le lunghe gambe fasciate da un paio di pantaloni Joseph, mentre i dépliant le scivolano di mano e si spargono a terra. «Non capisco perché la gente non possa essere più d’aiuto. Insomma, adesso che cavolo facciamo? E l’agenzia di catering non si è più fatta viva...»
Faccio fatica a concentrarmi su quello che dice. D’un tratto rimpiango di non aver chiesto a Magnus di vederci prima noi, da soli, per poterlo avvisare dell’anello, così avremmo potuto affrontare i suoi genitori insieme. È troppo tardi? Potrei mandargli un SMS strada facendo? «... E non ho ancora trovato un trombettista.» Lucinda sbuffa, toccandosi la fronte con due unghie laccate. «Ci sono così tante cose da fare. È una follia. Una follia. Se almeno Clemency avesse digitato il programma della funzione come si deve, sarebbe già qualcosa» aggiunge con un pizzico di crudeltà. La povera Clemency diventa rossa come un pomodoro e io le rivolgo un sorriso solidale. Non è colpa sua se soffre di una forma di dislessia e ha scritto hymen, “imene”, al posto di “hymn”, “inno”, ed è stato necessario rifare tutto da capo. «Ce la faremo!» dico in tono incoraggiante. «Non ti preoccupare!» «Ti assicuro che quando sarà tutto finito, dovrò fare una settimana di vacanze alle terme. Hai visto le mie mani?» Me le sbatte davanti. «È per lo stress!» Non so proprio di che diavolo stia parlando: a me le sue mani sembrano perfettamente normali. Comunque, obbedisco e gliele guardo. «Vedi? Sono rovinate. Tutto per colpa del tuo matrimonio, Poppy! Clemency, ordinami un gin tonic.» «Sì, certo, subito.» Clemency scatta diligentemente in piedi. Mi sforzo di ignorare il vago fastidio che provo. Lucinda continua a buttare là frasette tipo: “Tutto per il tuo matrimonio”, “Per farti contenta, Poppy!”, “La sposa ha sempre ragione!”. A volte sembra addirittura sarcastica, il che è davvero sconcertante. Insomma, non gliel’ho mica detto io di fare la wedding planner... Per giunta, le diamo un bel po’ di soldi, o no? Ma preferisco tacere, perché è una vecchia amica di Magnus eccetera eccetera. «Senti, Lucinda, stavo pensando... Le abbiamo già scelte, le auto?» domando titubante. Cala un silenzio sinistro. Da come il naso comincia a fremerle, capisco che dentro di lei sta montando un’ondata di rabbia. Alla fine, quando la povera Clemency ricompare, Lucinda sbotta. «Oh, porca miseria! Oh, cazzo... Clemency!» Sfoga la sua ira sulla ragazzina tremante. «Perché non mi hai ricordato delle auto? C’è bisogno di auto! Dobbiamo noleggiarle!» «Io...» Clemency mi guarda avvilita. «Ehm... non lo sapevo...» «Manca sempre qualcosa!» Lucinda sta quasi parlando da sola. «C’è sempre qualcos’altro a cui pensare. Non si finisce mai. Mi faccio un mazzo così, ma i problemi non finiscono mai, mai, mai...» «Senti, preferisci che mi occupi io delle auto?» mi affretto a proporle. «Posso cavarmela da sola, stai tranquilla.»
«Davvero?» Lucinda sembra riscuotersi all’improvviso. «Puoi farlo tu? No, perché io sono sola e ho passato tutta la settimana a occuparmi di dettagli, tutto per il tuo matrimonio, Poppy...» A vederla così stressata, mi sento un po’ in colpa. «Ma certo! Non c’è problema. Mi basterà cercare sulle Pagine Gialle.» «E con l’acconciatura come sei messa, Poppy?» D’un tratto, Lucinda concentra la sua attenzione sulla mia testa, e io ordino tacitamente ai miei capelli di sbrigarsi a crescere di un altro centimetro. «Non male! Secondo me, riesco a farmi lo chignon. Anzi, ne sono sicura.» Mi sforzo di apparire più ottimista di quel che sono. Lucinda mi ha ripetuto un migliaio di volte che sono stata stupida e poco lungimirante a tagliarmi i capelli sopra le spalle appena prima di fidanzarmi.33 Al negozio dei vestiti da sposa mi ha detto persino che, con la carnagione pallida34 che mi ritrovavo, non sarei mai stata bene in abito bianco e che avrei dovuto sceglierne uno verde acido. Per il mio matrimonio. Meno male che è intervenuta la proprietaria del negozio dicendo che era una stupidaggine, perché il bianco avrebbe creato uno splendido contrasto con i miei capelli neri e i miei occhi scuri. Ho deciso di credere a lei. Il gin tonic arriva, e Lucinda ne prende un lungo sorso. Io bevo un altro po’ di tè nero tiepido. La povera Clemency non ha ordinato niente, ma sembra decisa a mimetizzarsi completamente con la poltrona per non attirare l’attenzione. «E... hai saputo qualcosa dei confetti?» chiedo con cautela a Lucinda. «Ma posso occuparmi anche di quelli» mi affretto ad aggiungere, vedendo la sua espressione. «Benissimo!» Lucinda sospira di sollievo. «Mi faresti un gran favore, perché io sono sola e non ho il dono dell’ubiquità.» Le casca l’occhio sulla mia mano e si interrompe di botto. «Dov’è l’anello, Poppy? Oh, mio Dio, non l’hai ancora trovato?» Quando alza lo sguardo ha un’aria così atterrita da farmi tornare di nuovo la nausea. «Non ancora, ma salterà fuori presto, ne sono sicura. Tutto lo staff dell’albergo lo sta cercando...» «E non l’hai ancora detto a Magnus?» «Lo farò!» Deglutisco. «Presto.» «Ma non era un importante gioiello di famiglia?» Lucinda sgrana i suoi occhi nocciola. «Non saranno lividi di rabbia?» Sta cercando di farmi venire una crisi di nervi? Il telefonino comincia a ronzare e lo prendo, felice del diversivo. Magnus mi ha appena scritto un SMS, mandando in frantumi la mia segreta speranza che i suoi genitori si fossero presi un’influenza gastrica e l’appuntamento fosse stato rimandato. Cena alle otto, famiglia al completo, non vedo l’ora che tu sia qui! «Ah, è quello il tuo telefonino nuovo?» Lucinda lo guarda con aria critica. «Hai ricevuto i messaggi che ti ho inoltrato?»
«Sì, grazie» annuisco. Solo trentacinque messaggi circa che mi intasano la memoria... Appena ha saputo che avevo perso il cellulare, Lucinda ha voluto per forza inoltrarmi tutti gli ultimi SMS che mi aveva spedito, così, per evitare che “perdessi qualche colpo”. Per la verità, però, non è stata affatto una cattiva idea. Mi sono fatta mandare anche tutti gli ultimi SMS di Magnus e delle ragazze del centro di fisioterapia. Ned Murdoch, chiunque egli sia, è riuscito finalmente a mettersi in contatto con Sam. Era tutto il giorno che controllavo in attesa di questa notizia. Do un’occhiata distratta alla posta elettronica, ma non mi sembra poi così fondamentale: “Re: L’offerta di Ellerton. Ciao, Sam. Un paio di cose. Nell’allegato leggerai, bla bla bla...”. In ogni caso, mi conviene inoltrarla subito. Premo l’apposito tasto e verifico che l’invio sia andato a buon fine, poi, con le mani che tremano un po’ per l’agitazione, scrivo una risposta veloce a Magnus. Fantastico! Non vedo l’ora di incontrare i tuoi genitori!!! Che bello!!!! :) :) :) PS Possiamo vederci prima che io arrivi a casa? Devo dirti una cosa. Niente di che. xxxxxxx 22 Okay, non gliene ho scritti solo un paio. Erano sette. Ma ne ho spediti solo cinque. 23 Poirot, probabilmente, avrebbe già capito tutto. 24 Siamo solo in tre e ci conosciamo da una vita. Quindi solo occasionalmente ci lasciamo distrarre da altri argomenti, tipo fidanzati o saldi da Zara. 25 Veramente è stato suo padre, che è anche proprietario di una catena di copisterie. 26 Ignora completamente le donne che prendono storte alle caviglie. Se sei una ragazza e Annalise è in servizio, non partecipare alla maratona di Londra. 27 A mia discolpa, devo dire che era un’emergenza. Natasha e il suo ragazzo si erano lasciati. E poi il paziente mica poteva vedere cosa stavo facendo. Comunque, so di aver sbagliato. 28 So che dicono tutte così, anche se in realtà quello che intendono è: “Gli ho dato un ultimatum, poi gli ho fatto credere che l’idea fosse partita da lui e, sei settimane dopo, tombola!”. Ma in questo caso è stato diverso. Davvero, non me l’aspettavo. Be’, voi ve lo sareste aspettato dopo un mese? 29 Scommetto che non l’ha fatto durante la pausa pranzo. Dovrebbe essere sottoposta lei a un procedimento disciplinare. 30 Servizio che non abbiamo mai utilizzato. 31 Non si è registrato nessuno. 32 Personalmente, ho dei dubbi sulla presunta “esperienza” di Lucinda. Tutte le volte che le chiedo di raccontarmi di altre nozze organizzate da lei, tira fuori sempre lo stesso matrimonio, anche in quel caso di amici, consistente in un pranzo di trenta persone al ristorante. Ovvio, però, che non dico niente ai Tavish, né a Clemency o ad altri.
33 Avrei dovuto essere una veggente? 34 “Cadaverica”, così l’ha definita.
4 Ora sì che capisco la storia. Ora so come si sentivano i condannati a morte durante la Rivoluzione francese, mentre si trascinavano verso la ghigliottina. Uscita dalla metropolitana con il vino che ho comprato ieri, mi avvio su per la collina e il mio passo si fa sempre più lento. Sempre più lento. Anzi, non mi muovo più. Sono ferma. Fisso la casa dei Tavish e continuo a deglutire, cercando di costringermi a proseguire. La giusta prospettiva, Poppy. È solo un anello. Sono solo i tuoi futuri suoceri. È stata solo una “divergenza”. Stando a quel che sostiene Magnus,35 non hanno mai detto esplicitamente di essere contrari al matrimonio. L’hanno solo lasciato intendere. E ora forse hanno persino cambiato idea! Inoltre, ho scoperto una cosa positiva. A quanto pare, la polizza di assicurazione sulla mia casa risarcisce eventuali smarrimenti. È già qualcosa. Mi chiedo addirittura se non mi convenga cominciare a parlare dell’anello partendo dall’assicurazione. “Sai, Wanda, l’altro giorno stavo leggendo il prospetto della mia compagnia assicurativa...” Ma dài, chi sto cercando di prendere in giro? Non c’è via di scampo. È un incubo. Facciamola finita una volta per tutte. Il telefonino vibra, e io lo prelevo dalla tasca ormai solo per abitudine. Ho smesso di sperare in un miracolo. “C’è un nuovo messaggio” dice la voce femminile, familiare e pacata, della segreteria telefonica. L’ho sentita talmente tante volte che mi sembra di conoscerla, questa donna. Quanta gente l’ha ascoltata, incitandola disperatamente a darsi una mossa, con il cuore palpitante di paura o di speranza? Eppure lei rimane sempre, invariabilmente, impassibile, come se non le importasse di quel che sta per dire. Dovrebbero esserci opzioni diverse a seconda dei messaggi, tipo: “Indovina un po’? Novità strepitose in arrivo! Ascolta la tua segreteria telefonica! Yeeeeh!”. Oppure: “Siediti, cara. Prenditi qualcosa da bere. C’è un messaggio per te, e non è una buona notizia”. Premo il tasto “1”, passo il cellulare nell’altra mano e riprendo la faticosa scarpinata. Il messaggio è stato lasciato mentre ero in metropolitana. Probabilmente sarà solo Magnus che mi chiede dove sono. “Buonasera, qui è il Berrow Hotel, ho un messaggio per Poppy Wyatt. Signorina Wyatt, pare che in effetti il suo anello sia stato trovato ieri. Purtroppo, però, nella confusione causata dall’allarme antincendio...” Eh? Che cosa? La gioia mi esplode dentro come un fuoco d’artificio. Non riesco neppure ad ascoltare con attenzione, a registrare tutte le parole. L’hanno trovato! Ho già interrotto il messaggio. Sto digitando a razzo il numero del concierge. Io lo amo. Lo amo! «Berrow Hotel...» È la sua voce.
«Salve!» dico con il fiatone. «Sono Poppy Wyatt. Ha trovato il mio anello? Lei è un angelo! Vengo a prenderlo subito?» «Signorina Wyatt» mi interrompe lui «ha ascoltato bene il messaggio?» «Be’... in parte.» «Purtroppo...» Si interrompe. «Al momento non sappiamo esattamente dove si trovi.» Mi blocco sui miei passi e fisso il telefono. Ha detto davvero quel che mi è sembrato di sentire? «Ha detto che l’avevate trovato.» Cerco di mantenere la calma. «Come fate a non sapere esattamente dov’è?» «Stando a quel che ha detto un membro del nostro staff, quando è scattato l’allarme una cameriera aveva effettivamente trovato un anello di smeraldo sulla moquette della sala da ballo e l’aveva consegnato alla nostra addetta alle relazioni con i clienti, la signora Fairfax. Purtroppo, però, non sappiamo che cosa sia successo dopo. Non l’abbiamo trovato in cassaforte e neppure nelle altre cassette di sicurezza. Ci dispiace moltissimo, e faremo del nostro meglio per...» «Allora chiedete alla signora Fairfax!» Cerco di controllare la mia impazienza. «Scoprite che cosa ne ha fatto!» «Sì, infatti. Purtroppo è andata in vacanza e, malgrado i nostri sforzi, non siamo riusciti a contattarla.» «Non è che ha deciso di fregarselo?» dico atterrita. Lo troverò. Costi quel che costi. Contatterò detective privati, polizia, Interpol... Sono già in tribunale e punto il dito sull’anello, infilato in una busta di plastica per le prove, mentre una donna di mezza età, abbronzata dopo la latitanza sulla Costa del Sol, mi fissa in cagnesco dalla parte opposta dell’aula. «La signora Fairfax lavora onestamente per noi da trent’anni e si è trovata per le mani un’infinità di oggetti personali di grande valore appartenenti ai nostri ospiti.» Sembra lievemente offeso. «Faccio molta fatica a credere che possa aver fatto una cosa simile.» «Allora dev’essere da qualche parte nell’albergo?» Scorgo un barlume di speranza. «È quello che stiamo cercando di scoprire. Naturalmente, appena sapremo qualcosa, mi farò vivo. Posso richiamarla sempre a questo numero, vero?» «Sì!» Stringo istintivamente il cellulare nella mano. «Mi chiami pure a questo numero. Per piacere, si faccia vivo appena sa qualcosa. Grazie.» Chiudendo la chiamata, mi accorgo di avere il fiatone. Non so che cosa pensare. Insomma, è una buona notizia. Più o meno. O no? Solo che l’anello al dito, qui al sicuro, non ce l’ho ancora. Tutti saranno comunque preoccupati. I genitori di Magnus penseranno che sia una persona sbadata e irresponsabile e non mi perdoneranno mai per averli sottoposti a un tale stress. Quindi mi aspetta ancora un incubo terribile. A meno che... No, non potrei mai. O sì?
Sono qui impalata sul marciapiede, con i pensieri che mi vorticano in testa. Okay. Adesso mi concentro. Devo pensare alla soluzione più logica e corretta da adottare. Se l’anello non è veramente andato perduto... Circa quattrocento metri più indietro, sulla via principale, sono passata davanti a una farmacia. Senza quasi rendermi conto di quello che sto facendo, torno sui miei passi. Ignoro la commessa che cerca di dirmi che stanno chiudendo e mi dirigo a testa bassa verso il banco. C’è una specie di guanto da indossare, accanto a rotoli di bende adesive. Compro tutto. Un paio di minuti dopo riprendo il cammino in salita. Ho la mano avvolta nelle bende e non si capisce se abbia l’anello o meno. Non devo neppure mentire, basta che dica: “È difficile mettere un anello con la mano bruciata”. Il che è la pura e semplice verità. Sono quasi arrivata quando sento ronzare il telefono, guardo il display e vedo che c’è un messaggio di Sam Roxton. Dov’è l’allegato? Tipico. Non un saluto né una spiegazione. Si aspetta che sappia sempre che cos’ha in mente. Quale allegato? Nella mail di Ned Murdoch non c’era l’allegato. Non è colpa mia! Io inoltro le mail e basta. Deve essersi dimenticato di metterlo. Perché non gli chiedi di rimandartela CON l’allegato? Direttamente al tuo indirizzo di posta elettronica, magari. So che il mio tono è un po’ esasperato, e lui, ovviamente, coglie la palla al balzo. L’idea di condividere il cellulare è stata tua, se ricordi. Se sei stufa, mandamelo pure in ufficio. Mi affretto a rispondere: No, no! Non c’è problema. Se arriva, te la mando. Non preoccuparti. Ma non dovevi trasferire le mail sul tuo indirizzo? I tecnici hanno detto che ci vorrà poco. Ma raccontano palle. Dopo una breve pausa, scrive: A proposito, hai trovato l’anello? Quasi. L’hanno trovato in albergo, ma poi l’hanno perso di nuovo. Tipico. Infatti. Nel frattempo, mi fermo e mi appoggio a un muro. Sto facendo di tutto per ritardare il momento dell’ingresso in quella casa, lo so, ma è più forte di me. Questa conversazione virtuale via etere con una persona che non conosce né me né Magnus è abbastanza confortante. Pochi secondi dopo, spinta da un improvviso impulso alla confessione, gli scrivo: Non voglio dire ai miei suoceri che ho perso l’anello. È grave, secondo te? Segue un breve silenzio, poi Sam risponde: Perché dovresti dirglielo? Ma che domanda assurda è questa? Alzo gli occhi al cielo e scrivo:
È il loro anello! La risposta arriva quasi immediatamente. No, non è loro. È tuo. Non sono affari loro. Non è un gran problema. Come fa a dire che non è un gran problema? Rispondo premendo i tasti con rabbia. È un dannatissimo cimelio di famiglia. Sto per andare a cena da loro. Si aspettano che io abbia l’anello al dito. È un grandissimo problema, grazie. Per un po’ il telefonino tace, e penso che Sam abbia deciso di concludere la conversazione. Poi, quando sto per rimettermi in marcia, arriva il messaggio. Come spiegherai l’assenza dell’anello? Per un attimo sono combattuta. Perché non sentire un’opinione diversa? Inquadro bene la mano bendata con il cellulare, scatto una foto e gli mando un MMS. Cinque secondi dopo risponde: Stai scherzando. Ci rimango un po’ male e scrivo: Che cosa faresti TU al mio posto? Spero quasi che gli venga un’idea brillante a cui non avevo pensato. Ma lui si limita a rispondere: È per questo che gli uomini non portano anelli. Fantastico. Questa sì che è un’informazione utile. Sto per rispondere anch’io con una battuta sarcastica, quando arriva un altro SMS: Togliti le bende: si vede che sono finte. Mi guardo la mano, scoraggiata. Forse ha ragione lui. Ok, grazie. Mi tolgo una benda e proprio mentre la sto infilando in borsa sento la voce di Magnus: «Poppy! Che cosa stai facendo?» Alzo lo sguardo e vedo che mi sta venendo rapidamente incontro. Concitata, butto il cellulare in borsa e chiudo la cerniera. Mi arriva un altro SMS, ma dovrò leggerlo dopo. «Ciao, Magnus! Che cosa ci fai qui?» «Sono venuto a prendere il latte. L’abbiamo finito.» Si ferma davanti a me, mi posa le mani sulle spalle e mi guarda divertito con i suoi affettuosi occhi castani. «Che succede? Stai cercando di posticipare l’incubo?» «No!» rispondo sulla difensiva. «Certo che no! Sono arrivata adesso.» «So già che cosa mi volevi dire.» «Ah... sì?» Senza volere, mi guardo la mano bendata e poi distolgo subito lo sguardo. «Senti, amore, devi smetterla di preoccuparti per i miei genitori. Quando ti conosceranno meglio, ti adoreranno. Garantisco io. Sarà una serata piacevole, okay? Rilassati e sii te stessa.» «Va bene.» Annuisco, lui mi stringe a sé e guarda la fasciatura. «Ti fa ancora male la mano? Poverina.» Non ha neppure accennato all’anello. Intravedo un barlume di speranza. In fondo, forse la serata non andrà poi così male.
«Allora, hai parlato ai tuoi genitori delle prove? Saranno domani sera in chiesa.» «Sì, sì.» Sorride. «Non preoccuparti, siamo tutti pronti.» Mentre ci incamminiamo, pregusto la scena. L’antica chiesa di pietra. L’organo che comincia a suonare quando entro. Lo scambio dei voti nuziali. So che certe spose pensano soprattutto alla musica, ai fiori o al vestito. Io, invece, ho in mente soprattutto i voti. “Prometto di esserti fedele sempre... nella gioia e nel dolore... nella salute e nella malattia ...” È una vita che sento queste parole magiche. Ai matrimoni di famiglia, al cinema, persino alle nozze reali. Questa formula sempre identica a se stessa, reiterata all’infinito, come una poesia tramandata nei secoli... E ora tocca a noi ripeterla. Un brivido mi percorre la schiena. «Non vedo l’ora di pronunciare i voti» gli dico, anche se gliel’ho già ripetuto un centinaio di volte. Per un breve periodo, appena dopo il fidanzamento, Magnus sembrava propenso a sposarsi in comune. Non è esattamente religioso, e nemmeno i suoi genitori lo sono. Ma appena gli ho spiegato quanto fossi impaziente di pronunciare i voti nuziali in chiesa, lui ha fatto marcia indietro e ha detto che non riusciva a immaginare niente di più bello. «Lo so.» Mi cinge la vita di nuovo. «Anch’io.» «Davvero non ti dispiace ripetere quelle vecchie parole?» «Amore, sono bellissime.» «Anche per me.» Sospiro felice. «Così romantiche.» Ogni volta che mi immagino davanti all’altare con Magnus, mano nella mano, a dirci con voce chiara e squillante quelle parole, tutto il resto passa in secondo piano. Quando però, venti minuti dopo, arriviamo a casa, quel barlume di sicurezza comincia ad affievolirsi. I Tavish sono tornati, poco ma sicuro. Ci sono tutte le luci accese, e attraverso le finestre risuona impetuosa un’opera lirica. All’improvviso, ricordo la volta in cui Antony mi aveva chiesto che cosa pensassi del Tannhäuser, e io gli avevo risposto che non fumavo. Oddio. Perché non ho fatto un corso accelerato di opera lirica? Magnus spalanca la porta d’ingresso e schiocca la lingua. «Accidenti, mi sono dimenticato di chiamare il dottor Wheeler. Ci metto due minuti.» Non ci posso credere: sta correndo su per le scale verso lo studio. Non può abbandonarmi qui. «Magnus.» Cerco di non sembrare troppo in preda al panico. «Vai tu! I miei genitori sono in cucina. Ah, ti ho preso una cosa per la luna di miele. Aprila!» Mi lancia un bacio e scompare dietro l’angolo. Sull’ottomana nell’entrata c’è un pacco enorme con un fiocco. Wow. Conosco il negozio, è molto chic. Lo apro, strappando la bella carta verdina, e ci trovo un kimono giapponese a motivi stampati grigi e bianchi. È una vera favola, e c’è pure una sottoveste di seta coordinata.
D’impulso, entro nel salottino vicino all’ingresso in cui nessuno va mai. Mi spoglio, mi infilo la sottoveste e mi rivesto. Mi va un po’ grande, ma è comunque fantastica. La seta liscia fa un effetto splendido sulla pelle. È proprio un regalo bellissimo. Davvero. In questo momento, però, preferirei che Magnus fosse al mio fianco, mi stringesse saldamente la mano e mi desse sostegno morale. Ripiego il kimono e lo infilo di nuovo in mezzo alla carta da regalo strappata, prendendomi tutto il tempo che mi serve. Magnus non si è ancora fatto vedere. Non posso rimandare oltre. «Magnus?» Dalla cucina giunge la voce acuta e inconfondibile di Wanda. «Sei tu?» «No, sono io, Poppy!» Ho la gola talmente contratta per l’agitazione che la voce mi esce irriconoscibile. «Poppy! Vieni qui da noi!» Rilassati. Sii te stessa. Dài, forza. Afferro saldamente la bottiglia di vino e mi dirigo in cucina, dove ci sono un bel tepore e profumo di ragù. «Bentornati. Come state?» mi affretto a dire nervosamente. «Vi ho portato del vino. Spero che vi piaccia. È rosso.» «Poppy.» Wanda mi piomba addosso. Si è appena tinta la chioma ribelle con l’henné e indossa uno dei suoi strani e ampi vestiti fatti di un tessuto simile a tela di paracadute, oltre alle scarpe con il cinturino con la suola di gomma. Il suo viso è pallido36 e struccato come sempre, anche se si è messa una traccia approssimativa di rossetto. La sua guancia sfiora la mia e mi arriva una zaffata di profumo stantio. «La “fi-dan-za-ta”!» Pronuncia la parola con un’attenzione che sconfina nel ridicolo. «La “promessa sposa”.» «La “futura sposa”» interviene Antony, alzandosi da tavola. Indossa la giacca di tweed che ha nella foto sul retro del suo libro e mi scruta sfoggiando lo stesso sguardo penetrante che ti mette a disagio. «“Il rigogolo sposa la sua compagna screziata, il giglio l’ape.” Un’altra poesiola da aggiungere alla tua collezione, vero, cara?» dice a Wanda. «Ah, ben detto! Mi serve una penna. Dov’è una penna?» Wanda comincia a cercare fra le carte che si sono già accumulate sul ripiano della cucina. «Ah, i danni che questo antropomorfismo ridicolo e ozioso ha inflitto alla causa femminista! “Sposa la sua compagna screziata...” Ti rendi conto, Poppy?!» Mi guarda, e io le rivolgo un sorriso forzato. Non ho la minima idea di che cosa stiano parlando. Il vuoto totale. Perché non possono dire semplicemente “Ciao, come stai?” come le persone normali? «Qual è la tua opinione sulla risposta culturale all’antropomorfismo? Dal tuo punto di vista di giovane donna, dico.» Appena mi accorgo che Antony mi sta guardando di nuovo, sento un vuoto allo stomaco. Oddio. Sta parlando con me? Antro-cosa? Se almeno mi scrivesse le domande cinque minuti prima dandomi il tempo di fare un po’ di ricerche (magari su un vocabolario), forse riuscirei a tirare fuori
qualcosa di intelligente. In fondo, ci sono andata anch’io, all’università. Anch’io ho scritto relazioni piene di paroloni e pure la tesi.37 Una volta la mia insegnante di inglese mi ha persino detto che ho una “mente indagatrice”. 38 Purtroppo, però, non ho cinque minuti. Sta aspettando la mia risposta. In quello sguardo vivace c’è qualcosa che mi incenerisce la lingua. «Mmh... Secondo me è una questione interessante» dico, con un filo di voce. «Decisamente fondamentale ai giorni nostri. Allora, com’è andato il viaggio?» mi affretto ad aggiungere. Magari possiamo passare a parlare di cinema o di qualcos’altro. «Allucinante.» Wanda alza lo sguardo dai suoi appunti. «Perché la gente viaggia in aereo? Perché?» Non so bene se si aspetti una risposta. «Be’, per andare in vacanza o...» «Ho già raccolto degli appunti per scrivere un articolo sull’argomento» mi interrompe Wanda. «“L’impulso alla migrazione”. Perché gli esseri umani si sentono in obbligo di catapultarsi dall’altra parte del pianeta? Vogliono forse seguire le tracce dei loro antenati migranti?» «Hai già letto Burroughs?» le chiede Antony con interesse. «Non il libro, la tesi di dottorato.» Nessuno mi ha ancora offerto da bere. In silenzio, cercando di fondermi con la mobilia, mi avvicino al ripiano della cucina e mi verso un bicchiere di vino. «Mi risulta che Magnus ti abbia dato l’anello di smeraldo di sua nonna...» Vado subito nel panico. Siamo già arrivati all’anello. Mi sembra di cogliere una punta di irritazione nella voce di Wanda, o è solo una mia impressione? Sa già tutto? «Sì! È... è bellissimo.» Le mani mi tremano come foglie, e per poco non rovescio il vino. Wanda non dice niente. Lancia un’occhiata a Antony e alza le sopracciglia con aria allusiva. Che cosa vuol dire? Perché quell’alzata di sopracciglia? A che cosa stanno pensando? Merda, merda, adesso mi chiedono di fargli vedere l’anello, adesso scoppia il... «È... è difficile mettere un anello con la mano bruciata» sbotto disperata. Ecco. Non è proprio una bugia. Non esattamente. «Bruciata?» Wanda si gira di scatto e mi afferra la mano bendata. «Oh, cara! Devi farti vedere da Paul!» «Paul, giusto» Antony annuisce. «Telefonagli subito, Wanda.» «È il nostro vicino di casa» spiega lei. «Dermatologo. Decisamente il migliore sulla piazza.» Si sta già attorcigliando il vecchio cavo a spirale del telefono intorno al polso. «Abita proprio qui di fronte.» Qui di fronte? Sono paralizzata dal terrore. Possibile che la situazione sia precipitata così in fretta? Mi immagino un uomo che entra rapidamente in cucina con la sua
valigetta da medico e dice: “Allora, vediamo” mentre tutti mi si accalcano intorno per guardare che cosa c’è sotto le bende. È il caso di correre al piano di sopra a cercare un fiammifero? O dell’acqua bollente? Sinceramente, preferirei patire un dolore lancinante, piuttosto che confessare la verità. «Accidenti! Non è in casa.» Riaggancia. «Che peccato» riesco a dire a fatica. Magnus entra in cucina seguito da Felix, che mi dice: «Ciao, Poppy» per poi tornare a immergersi nel libro su cui sta studiando. «Allora!» Magnus guarda i suoi genitori e poi me e viceversa, per cercare di capire che aria tira nella stanza. «Come va, ragazzi? È vero che oggi Poppy è ancora più bella del solito? Non è semplicemente stupenda?» Stringe una ciocca dei miei capelli, poi la lascia ricadere. Avrebbe fatto meglio a evitare. So che sta cercando di essere carino, ma così mi mette in imbarazzo. Wanda sembra perplessa, come se non sapesse bene che cosa dire. «Incantevole.» Antony sorride cortese, come se stesse ammirando il giardino di qualcuno. «Sei riuscito a parlare con il dottor Wheeler?» chiede Wanda. «Sì.» Magnus annuisce. «Dice che in realtà il tema centrale è proprio la genesi culturale.» «Be’, allora devo aver capito male» ribatte lei in tono stizzito. «Volevamo vedere se fosse possibile pubblicare i nostri pezzi sulla stessa rivista.» Wanda si volta verso di me. «Gli articoli di tutti noi sei, compresi Conrad e Margot. Un lavoro di famiglia, insomma. Felix si occupa dell’indice. Siamo tutti coinvolti!» Tutti tranne me, mi viene da pensare. Il che è ridicolo. Infatti, voglio forse pubblicare un trattato accademico su una qualche rivista che nessuno legge? No. Sarei in grado di farlo? No. So perlomeno che cos’è la genesi culturale? No.39 «Sapete che Poppy ha pubblicato un articolo su un argomento di sua competenza?» dice Magnus di punto in bianco, neanche mi avesse letto nel pensiero e avesse deciso di intervenire in mia difesa. «È vero, cara?» Mi sorride orgoglioso. «Su, non essere modesta.» «Hai pubblicato?» Antony si risveglia e mi guarda con un’attenzione che non mi aveva mai riservato. «Ah, questo sì che è interessante. Su quale rivista?» Guardo Magnus disperata. Di cosa sta parlando? «Su, dài! Non mi avevi detto che ti avevano pubblicato qualcosa su un giornale di fisioterapia?» Oddio, no. Io lo ammazzo. Come ha potuto tirare fuori questa roba? Antony e Wanda sono in attesa della mia risposta. Persino Felix ha alzato gli occhi, interessato. È chiaro che si aspettano l’annuncio di una scoperta rivoluzionaria sull’influenza culturale della fisioterapia sulle tribù nomadi o qualcosa di simile.
«Sul “Physiotherapists’ Weekly Roundup”» borbotto alla fine, guardandomi i piedi. «Non è esattamente una rivista, in realtà... Una volta mi hanno pubblicato una lettera.» «Una ricerca?» domanda Wanda. «No.» Deglutisco. «Parlava di quando i pazienti puzzano. Ho scritto che, secondo me, i terapisti dovrebbero indossare maschere antigas... Cioè, era una battuta.» Silenzio. Sono così umiliata che non riesco neppure ad alzare lo sguardo. «Ma hai scritto la tesi...» butta là Felix. «Una volta me ne hai parlato, o sbaglio?» Mi giro sorpresa e vedo che mi sta guardando con un’espressione franca e incoraggiante. «Sì, be’... non è che sia stata pubblicata.» Alzo le spalle imbarazzata. «Una volta mi piacerebbe leggerla.» «Okay.» Sorrido, ma è una situazione veramente penosa. È ovvio che non vuole leggerla davvero e sta solo cercando di essere gentile. È molto carino da parte sua, ma serve unicamente a rendere ancora più tragica la circostanza, visto che io ho ventinove anni e lui diciassette. Inoltre, se stava tentando di sostenermi davanti ai suoi genitori, non ci è riuscito per niente perché non lo hanno neanche ascoltato. «Certo, l’umorismo è una forma espressiva da non trascurare in un testo culturale» dice Wanda, dubbiosa. «Penso che Jacob C. Goodson abbia offerto spunti di riflessione interessanti sul tema “Perché gli esseri umani scherzano?”.» «Secondo me era “Gli esseri umani scherzano?”» la corregge Antony. «La sua tesi era che...» Sono di nuovo partiti per la tangente. Sospiro, con le guance ancora in fiamme. Basta, non ce la faccio più. Voglio che qualcuno mi chieda di parlare delle vacanze, o di “EastEnders”, di qualunque cosa tranne questa. Insomma, io amo Magnus e tutto quanto, ma sono qui da appena cinque minuti e sono già completamente esaurita. Come farò a sopravvivere a un Natale dopo l’altro? E se i nostri figli saranno tutti supergeni e io non capirò quel che mi dicono e mi guarderanno dall’alto in basso perché non ho neanche un dottorato? Si sente un odore acre nell’aria e d’un tratto mi rendo conto che il ragù sta bruciando. Wanda è lì che blatera di Aristotele vicino ai fornelli e non se n’è nemmeno accorta. Le prendo delicatamente il mestolo di mano e comincio a mescolare. Grazie a Dio, per fare questo non ci vuole il premio Nobel. Quantomeno occuparmi della cena mi fa sentire utile. Mezz’ora dopo, però, siamo seduti a tavola, e io sono ripiombata nel mio stato di muto terrore. Naturale che Antony e Wanda non vogliano che io sposi Magnus. È chiaro che mi considerano un’imbecille totale. Siamo a metà della pasta al ragù e io non ho ancora spiccicato una sola parola. È troppo difficile. La conversazione è come un rullo compressore. O forse una sinfonia. Sì, e io sono il flauto. E avrei la mia parte nello spartito e mi piacerebbe suonarla, ma non c’è nessun direttore
d’orchestra a darmi il segnale. Così continuo a prendere fiato per cominciare e poi a battere in ritirata. «... il direttore editoriale purtroppo non era dello stesso parere. Così non ci sarà nessuna ristampa del mio libro.» Antony fa un verso di disappunto. «Tant pis.» Drizzo subito le orecchie. Per una volta capisco di che cosa stanno parlando e ho qualcosa da dire! «Oh, che cosa terribile!» intervengo solidale. «Come mai non ci sarà una ristampa?» «Perché mancano i lettori, manca la domanda.» Antony fa un sospiro plateale. «Be’, pazienza, non importa.» «Certo che importa!» Ora mi infervoro. «Perché non scriviamo tutti una lettera all’editore fingendo di essere lettori e dicendo che è un libro straordinario e merita di essere ripubblicato?» Mi immagino già le lettere. “Caro signore, con mio sommo stupore ho appreso che non ci sarà una seconda edizione di questo libro straordinario.” Potremmo stamparle in caratteri diversi e spedirle da varie zone del paese... «E tu saresti disposta a comprare un migliaio di copie?» Antony mi guarda con i suoi occhi di falco. «Io... veramente...» Esito, demoralizzata. «Forse...» «Il fatto è, Poppy, che se per caso l’editore stampasse mille copie che rimangono invendute, io sarei messo ancora peggio di prima.» Mi fa un sorriso feroce. «Capisci?» Mi sento completamente annientata, un’idiota. «Sì» borbotto. «Ho... capito, scusa.» Cercando di mantenere un certo contegno, comincio a sparecchiare. Magnus sta abbozzando un qualche ragionamento per Felix su un foglio e io non so neanche se mi abbia sentito. Quando gli passo davanti, mi fa un sorriso distratto e mi dà un pizzicotto sul sedere. Il che, a essere sincera, non mi fa sentire tanto meglio. Quando torniamo a sederci per il dolce, Magnus fa tintinnare la forchetta sul bicchiere e si alza in piedi. «Vorrei proporre un brindisi in onore di Poppy» dice deciso. «E darle il benvenuto nella nostra famiglia. Oltre a essere bellissima, è una persona splendida, generosa e divertente. Sono un uomo molto fortunato.» Si guarda intorno come per sfidare i presenti a contraddirlo, e io gli sorrido riconoscente. «Dedico questo brindisi anche a mamma e papà: bentornati a casa!» Magnus alza il bicchiere e i suoi genitori rispondono con un cenno della testa. «Ci siete mancati!» «A me no» dice Felix, e Wanda scoppia a ridere. «Certo che no, brutto ragazzaccio!»
«E infine...» Magnus fa tintinnare di nuovo il bicchiere per attirare l’attenzione dei familiari «tanti auguri da tutti noi, mamma! Cento di questi giorni!» Le lancia un bacio. Cosa? Cosa ha detto? Il sorriso mi si è congelato sulle labbra. «Evviva!» Antony alza il bicchiere. «Tanti auguri, Wanda, amore mio.» È il compleanno di sua madre? Magnus non mi aveva detto niente. Non ho un biglietto d’auguri da darle, né un regalo. Come ha potuto farmi una cosa simile? Gli uomini fanno schifo. Felix ha tirato fuori un pacchetto da sotto la sedia e lo sta consegnando a Wanda. «Magnus» bisbiglio disperata, quando si siede di nuovo. «Non mi avevi detto che era il compleanno di tua madre. Niente, neanche una parola! Avresti dovuto farlo!» Non riesco quasi a parlare da quanto sono agitata. È la prima volta che incontro i suoi genitori dopo il fidanzamento, e non gli sto nemmeno simpatica. Ci mancava solo questa... Magnus sembra sbalordito. «Amore, qual è il problema?» Come fa a essere tanto ottuso? «Le avrei comprato un regalo!» dico, approfittando dell’esclamazione di Wanda: «Oh, che meraviglia, Felix!» mentre scarta un qualche libro antico. «Oh!» Magnus agita la mano. «Non ci farà caso. Smettila di stressarti. Sei un angelo e tutti ti adorano. A proposito, ti è piaciuta la tazza?» «Che cosa?» Non riesco neppure a capire quel che dice. «La tazza con la scritta “Oggi sposi”. Te l’ho lasciata sulla cappelliera all’entrata. Per la nostra luna di miele...» mi ricorda, vedendo la mia espressione perplessa. «Ti avevo detto di aprirla! È abbastanza simpatica, secondo me.» «Non ho visto nessuna tazza.» Lo guardo inespressiva. «Credevo che il regalo fosse quella grossa scatola infiocchettata.» «Quale scatola?» chiede lui sconcertato. «E ora, mia cara...» sta dicendo Antony compiaciuto. «Quest’anno, non te lo nego, ho deciso di darmi alle spese pazze. Con permesso...» Si alza per andare in corridoio. Oddio. Mi si torce lo stomaco. No, per piacere, no... «Mi sa che...» provo a dire, ma la voce non mi esce chiaramente. «Mi sa che forse... per sbaglio...» «Ma che c...?» La voce di Antony risuona dal corridoio. «Che cosa è successo?» Un attimo dopo è di nuovo in cucina con la scatola in mano. È tutta sottosopra. La carta da regalo è strappata e il kimono fuoriesce dai bordi. La testa mi pulsa violentemente. «Mi dispiace moltissimo...» Non riesco quasi a pronunciare le parole. «Credevo... credevo che fosse per me e così... l’ho aperta.»
Cala un silenzio di tomba. Hanno tutti la faccia sbalordita, compreso Magnus. «Amore...» mi fa con un filo di voce che poi svanisce, come se non trovasse niente da dire. «Poco male!» esclama Wanda allegramente. «Dammela lo stesso. Del pacchetto non mi importa.» «Ma c’era dentro un’altra cosa!» Antony tasta la carta da regalo. «Dov’è l’altro pezzo? Non c’era?» D’un tratto capisco a che cosa si riferisce e mi sento morire. Tutte le volte che penso che le cose non potrebbero andare peggio, finisce che precipitano, sprofondando in abissi spaventosi e inesplorati. «Mi sa che... Intendi ques...» balbetto, rossa come un pomodoro. «Questa?» Mostro un lembo della sottoveste, e tutti la fissano basiti. Sono seduta a tavola e ho addosso la biancheria intima della mia futura suocera. È come un sogno incasinatissimo da cui ti svegli e pensi: “Accipicchia, meno male che non è successo davvero!”. Hanno tutti un’espressione impietrita e la mascella cascante, come una serie di varianti di quel dipinto, L’urlo. «Io... te la faccio lavare» bisbiglio alla fine con voce roca. «Scusa.» Okay. Insomma, peggio di così la serata non poteva proprio andare. C’è un’unica soluzione: continuare a bere vino fino a stordirmi o a perdere conoscenza. Non so che cosa succederà prima. La cena è finita, e l’incidente del regalo è risolto. Più o meno. Anzi, hanno deciso di trasformarlo in una specie di tormentone di famiglia. Ed è carino da parte loro, anche se Antony continua a fare battute pesanti tipo: “Mangiamo la cioccolata? Sempre che Poppy non l’abbia finita tutta!”. So che dovrei stare allo scherzo, e invece ho un sussulto tutte le volte. Adesso siamo seduti su antichi e gibbosi divani, in salotto, a giocare a Scarabeo. I Tavish vanno tutti pazzi per questo gioco. Hanno un tabellone speciale girevole, eleganti tessere di legno e persino un quaderno rilegato in pelle risalente al 1998, su cui scrivono i punteggi. Al momento Wanda è in testa, seguita a ruota da Magnus. Antony ha giocato per primo, componendo “outstep” (74 punti). Wanda ha tirato fuori “iridiums” (65 punti). Felix “caryatid” (80 punti). Magnus “contused” (65 punti).40 Io “star” (5 punti). A casa mia, “star” sarebbe stata una parola buona. Cinque punti non sarebbero stati affatto male. Nessuno ti avrebbe guardato con aria di commiserazione, schiarendosi la gola e facendoti sentire una sfigata. Non mi capita spesso di crogiolarmi nei ricordi o di pensare al passato. Non sono il tipo. Ma lì seduta su quel divano, annichilita dagli insuccessi, le gambe raggomitolate, a sorbirmi gli odori stantii dei Tavish, dei libri, dei tappeti kilim e del fuoco di legna vecchia, non posso farne a meno. È solo un frammento. Una piccola scheggia di memoria. Noi in cucina. Io e i miei fratellini, Toby e Tom, a mangiare toast con il Marmite seduti intorno al tabellone dello Scarabeo. È un
ricordo molto nitido, mi sembra di sentire ancora il sapore del Marmite in bocca. Toby e Tom erano talmente frustrati che avevano ritagliato una marea di tessere di carta in più e avevano stabilito che se ne potevano prendere quante se ne volevano. La stanza era disseminata di quadratini di carta con sopra le lettere scritte a biro. Tom si era preso sei Z e Toby dieci E. Ciononostante, non erano riusciti a totalizzare più di quattro punti a testa e avevano finito per litigare gridando: “Non è giusto! Non è giusto!”. Mi vengono le lacrime agli occhi e sbatto le palpebre freneticamente. Mi sto comportando da stupida. Sono ridicola. Primo, questa è la mia nuova famiglia e sto cercando di integrarmi. Secondo, Toby e Tom adesso sono tutti e due al college. Hanno tutti e due un vocione da adulti, e Tom ha la barba. Non giochiamo mai a Scarabeo. Non so neppure dove sia finita la scatola. Terzo... «Poppy?» «Ah, sì! Ci sto... pensando su...» Siamo già al secondo giro. Antony ha prolungato “outstep” in “outstepped”. Wanda ha composto contemporaneamente “od”41 e “ovary”. Felix ha scritto “elicit”, e Magnus ha tirato fuori “yuk”, che per Felix non era valido, e invece nel dizionario c’era e gli ha fatto guadagnare un bel po’ di punti grazie a una parola doppia. Ora Felix è andato a preparare un po’ di caffè e io sono rimasta a spostare le mie tessere disperatamente per circa cinque minuti. Quasi non riesco a muovermi, tanto sono umiliata. Non avrei mai dovuto accettare di giocare. È da un bel po’ che fisso quelle stupide lettere e il massimo che mi viene in mente è questo. «“P-i-g”» legge Antony scandendo bene, mentre sistemo le mie tessere. «“Pig”, maiale... Il mammifero, immagino...» «Brava!» dice Magnus in tono sincero. «Sei punti!» Non riesco a guardarlo in faccia. Traffico avvilita per prendere altre due tessere, la A e la L. Come se potessero aiutarmi. «Ehi, Poppy» dice Felix, mentre rientra nella stanza con un vassoio. «Il tuo cellulare sta suonando in cucina. Che cosa hai scritto? Ah, “pig”.» Mentre lui osserva il tabellone, la sua bocca ha una lieve contrazione, e vedo che Wanda gli lancia un’occhiata ammonitrice. Non ce la faccio più. «Vado a vedere chi ha chiamato, se non vi dispiace» dico. «Potrebbe essere importante.» Scappo in cucina, prendo il telefonino dalla borsa e mi appoggio alla stufa, godendomi il suo tepore consolante. Ci sono tre messaggi di Sam. Il primo è “Buona fortuna”, mandato tre ore fa, poi venti minuti fa ha scritto: “Ho un favore da chiederti”, seguito da “Ci sei?”. Anche la telefonata era sua. Mi sa che è il caso di chiedergli che cosa sta succedendo. Compongo il suo numero, piluccando imbronciata gli avanzi della torta di compleanno rimasta sul ripiano della cucina. «Grande, Poppy! Mi faresti un grosso favore?» mi dice appena risponde. «Sono fuori dall’ufficio e il mio telefono ha qualcosa che non va. Non si connette
al server e non riesco a spedire niente. Devo mandare una mail a Viv Amberley. Ti spiace?» «Ah, sì, Vivien Amberley» dico io in tono informato, ma poi faccio subito marcia indietro. Forse non è il caso di fargli capire che ho letto tutta la corrispondenza su Vivien Amberley. È nel reparto strategie e ha presentato domanda per andare a lavorare in un’altra società di consulenza. Sam sta cercando disperatamente di trattenerla, ma non ci è ancora riuscito, e lei ha detto che darà le dimissioni domani stesso. Okay. Lo so, mi sono comportata come una ficcanaso. Ma una volta che inizi a leggere le mail degli altri, non riesci più a fermarti. Devi sapere che cosa è successo. Ho sviluppato una certa dipendenza, a furia di seguire tutte le mail mandate e ricevute, cercando di ricostruire le storie, sempre a ritroso. È come riavvolgere piccole bobine di vita. «Se tu adesso potessi mandarle una breve mail, mi faresti un grande piacere» sta dicendo Sam. «A
[email protected], okay? Lo farei io stesso, ma sono a un seminario sui media.» E che cosa sono io, la sua assistente? «Va bene, okay» dico controvoglia, cliccando sull’indirizzo di Vivien Amberley. «Che cosa devo scrivere?» «“Ciao, Viv. Mi piacerebbe molto ridiscutere con te tutta la faccenda. Ti prego di chiamarmi per vederci domani, quando è più comodo per te. Sono certo che riusciremo a trovare una soluzione. Sam”.» Scrivo tutto con cura, usando la mano non bendata, poi esito. «L’hai mandata?» domanda Sam. Ho il pollice sul tasto “invia”, ma non riesco a premerlo. «Pronto?» «Non chiamarla “Viv”» sbotto. «Non le piace. Preferisce essere chiamata Vivien.» «Cosa?» Sam sembra sbalordito. «Come diavolo...» «L’ho letto in una vecchia mail che ho inoltrato. Aveva chiesto a Peter Snell di non chiamarla “Viv”, ma lui non ci aveva fatto caso. Neppure Jeremy Atheling le aveva dato retta. E adesso anche tu la chiami “Viv”!» C’è un momento di silenzio. «Poppy» dice Sam alla fine, e io me lo vedo con le sopracciglia scure corrugate. «Hai letto la mia corrispondenza?» «No!» rispondo sulla difensiva. «Ho solo dato un’occhiata ad alcune...» «Sei sicura di questa cosa di “Viv”?» «Sì, certo!» «Adesso cerco la mail...» Nell’attesa, mi ficco un pezzo di glassa in bocca, poi Sam torna in linea. «Hai ragione.» «Certo che ho ragione!» «Okay, puoi mettere “Vivien”, allora?» «Aspetta un attimo...» Correggo la mail e la mando. «Fatto.»
«Grazie. Mi hai salvato. Che prontezza! Sei sempre così sveglia?» Eh, sì. Sono talmente sveglia che a Scarabeo l’unica parola che mi viene in mente è “pig”. «Sì, sempre» rispondo sarcastica, ma dubito che abbia colto il tono della mia voce. «Be’, ti devo un favore. E scusami per averti disturbato stasera, ma è abbastanza urgente.» «Non preoccuparti. Mi rendo conto» dico comprensiva. «Comunque, sono convinta che Vivien voglia rimanere alla White Globe Consulting.» Ops! Mi è sfuggito. «Ah, sì? Mi era sembrato di capire che non avevi letto le mie mail.» «No, infatti!» mi affretto a dire. «Cioè... magari una o due qua e là. Tanto per farmi un’idea.» «Un’idea!» Fa una risatina. «Okay, Poppy Wyatt, che idea ti sei fatta? Ho chiesto a tutti un parere, perché non dovrei ascoltare anche il tuo? Come mai la nostra massima esperta di strategie cerca di passare a una società minore, nonostante io le abbia offerto tutto quello che potrebbe desiderare, dalla promozione all’aumento dello stipendio, oltre a una maggiore visibilità...» «Ma è proprio questo il problema» lo interrompo, sconcertata. Possibile che non se ne renda conto? «Lei non vuole le cose che tu le offri. È molto stressata per la pressione a cui è sottoposta, soprattutto dai rapporti con i media. Come la volta in cui l’avete mandata a Radio 4 senza neppure un minimo di preavviso.» C’è un lungo silenzio all’altro capo della linea. «Insomma, che diavolo è ’sta storia?» domanda Sam alla fine. «Come fai, tu, a sapere certe cose?» Non ho via di scampo. «Ho visto il suo report» confesso alla fine. «Prima mi stavo annoiando a morte in metropolitana e ho aperto un allegato...» «Non era scritto nel suo report.» Pare abbastanza incavolato. «Credimi, ho letto quel documento da cima a fondo, e non c’era nulla a proposito della sua presenza sui media.» «Non nell’ultimo.» Faccio una smorfia imbarazzata. «In uno precedente.» Non posso crederci: ho confessato di aver letto anche quello. «Inoltre, nella prima mail indirizzata a te, ha scritto: “Ti ho già esposto i miei problemi, anche se nessuno ci ha mai fatto caso”. Secondo me, è a questo che si riferisce.» Il fatto è che mi sento in completa sintonia con Vivien. Anch’io mi farei prendere dal panico all’idea di dover andare a Radio 4. Tutti i conduttori, lì, parlano esattamente come Antony e Wanda. C’è un altro momento di silenzio, talmente lungo da farmi sorgere il dubbio che Sam non sia più in linea. «Forse hai ragione» dice Sam alla fine. «Forse hai proprio ragione.» «È solo un’ipotesi.» Batto subito in ritirata. «Insomma, è probabile che io mi sbagli.» «Ma perché non me l’ha detto?»
«Magari è imbarazzata.» Alzo le spalle. «Magari pensa di averlo già detto, e che tu non voglia ascoltarla. Forse crede che sia più facile cambiare posto di lavoro.» «Okay» fa Sam sospirando. «Grazie. Indagherò. Sono molto contento di averti chiamato, e scusami tanto per il disturbo.» «Nessun problema.» Curvo le spalle, avvilita, e raccolgo altre briciole di torta. «A essere sincera, mi sono defilata volentieri.» «Ah, sì?» Sembra divertito. «Come hanno reagito alla fasciatura?» «Credimi, la fasciatura è l’ultimo dei miei problemi.» «Cosa succede?» Abbasso la voce, lanciando un’occhiata alla porta. «Stiamo giocando a Scarabeo. È un incubo.» «Scarabeo?» Sembra sorpreso. «È stupendo!» «Se giochi con una famiglia di geni non è per niente stupendo. Trovano tutti parole tipo “iridiums”. A me invece viene in mente “pig”.» Sam scoppia a ridere. «Beato te che ti diverti» dico imbronciata. «Ma dài...» Smette di ridere. «Ti devo un favore. Dimmi che lettere hai. Ti suggerirò una parola come si deve.» «Non me le ricordo!» Alzo gli occhi al cielo. «Sono in cucina.» «Te ne ricorderai almeno qualcuna... Provaci.» «Va bene. Ho una W... e una Z.» È una conversazione talmente assurda che mi scappa una risatina. «Vai a vedere le altre, poi mandami un messaggio. Ti troverò una parola.» «Pensavo che fossi a un seminario.» «Sono in grado di partecipare a un seminario e giocare a Scarabeo contemporaneamente.» Sta dicendo sul serio? È l’idea più ridicola e strampalata che abbia mai sentito in vita mia. E poi significherebbe barare. E poi chi mi dice che sia così bravo a giocare a Scarabeo? «Okay» dico qualche istante dopo. «Ci sto.» Chiudo la chiamata e torno in salotto, dove sul tabellone è comparsa un’altra vagonata di vocaboli impossibili. Qualcuno ha composto “ug”. È una parola inglese? Sembra esquimese. «Tutto bene, Poppy?» mi chiede Wanda in un tono brioso e forzato da cui capisco all’istante che hanno parlato di me. Avranno detto a Magnus che se mi sposa lo diseredano o qualcosa di simile. «Tutto bene!» Cerco di assumere un tono allegro. «Era un paziente» aggiungo, incrociando le dita dietro la schiena. «A volte faccio consulti a distanza, quindi può darsi che debba mandare un SMS, se non vi dispiace.» Nessuno si degna neppure di rispondere. Sono già chini di nuovo sulle loro tessere. Inquadro con il cellulare il tabellone e le mie tessere, poi scatto una foto.
«Un bel ritratto di famiglia!» mi affretto a dire quando alzano tutti lo sguardo per via del flash. Sto già mandando la foto a Sam. «Tocca a te, Poppy» dice Magnus. «Vuoi un aiuto, cara?» aggiunge sottovoce. So che sta cercando di essere gentile, ma c’è qualcosa di offensivo nel modo in cui l’ha detto. «Non importa, grazie. Ce la posso fare.» Comincio a muovere le tessere avanti e indietro, sforzandomi di sembrare sicura di me. Poco dopo, do un’occhiata al cellulare per vedere se mi è per caso sfuggito l’arrivo di un messaggio, ma non c’è niente. Sono tutti concentrati sulle loro tessere o sul tabellone. C’è un silenzio carico di tensione, come in un’aula d’esame. Sposto le tessere sempre più in fretta, invocando l’apparizione di una parola fantastica. Ma, qualunque cosa faccia, mi ritrovo sempre abbastanza nella merda. Potrei comporre “raw” o “war”. Il cellulare continua a tacere. Mi sa che Sam scherzava quando ha detto che mi avrebbe aiutato. Ovvio, era uno scherzo. Mi sento travolgere dall’umiliazione. Che cosa avrà pensato ricevendo una foto del tabellone dello Scarabeo? «Ti è venuto in mente qualcosa, Poppy?» mi chiede Wanda in tono incoraggiante, come se fossi una bambina subnormale. D’un tratto, mi viene il dubbio che mentre ero in cucina Magnus abbia detto ai suoi genitori di essere gentili con me. «Sto solo decidendo tra diverse opzioni.» Mi sforzo di sorridere allegramente. Okay, devo darmi una mossa. Non posso più temporeggiare. Metto “raw”. Anzi, no, “war”. Tanto, che cosa cambia? Sistemo a malincuore la A e la W sul tabellone, quando mi arriva un SMS. WHAIZLED. Usa la D di OUTSTEPPED. Triplichi il valore della parola, più cinquanta punti di bonus. Oh, mio Dio. Non posso fare a meno di ridacchiare, e Antony mi lancia uno sguardo incuriosito. «Scusate» mi affretto a dire. «Solo che... il paziente ha fatto una battuta.» Il telefonino ronza di nuovo. A proposito, è dialetto scozzese. Utilizzata da Robert Burns. «Allora, è quella la tua parola, Poppy?» Antony sta guardando la mia penosa trovata. «“Raw”? Fantastico, brava!» La sua cordialità mi fa male. «Scusate» dico in fretta. «Ho sbagliato. A ripensarci, mi sa che metto questa parola.» Compongo con cura la parola “whaizled” sul tabellone e mi lascio andare contro lo schienale del divano con nonchalance. Segue un silenzio carico di stupore.
«Poppy, cara» dice Magnus alla fine. «Dev’essere una parola vera, lo sai. Non puoi semplicemente inventartela...» «Ah, non conosci questo termine?» chiedo in tono sorpreso. «Mi spiace, credevo che fosse abbastanza noto.» «Uei-zled?» azzarda Wanda, dubbiosa. «Uai-zled? Come si pronuncia esattamente?» Oddio. Non ne ho idea. «Ehm... dipende dalla regione. È in dialetto scozzese, naturalmente» aggiungo con aria edotta, neanche fossi Stephen Fry.42 «L’ha usata Robert Burns. L’altra sera ho visto un documentario su di lui. In effetti, è un po’ una mia passione.» «Non sapevo che ti interessasse Burns.» Magnus sembra colto alla sprovvista. «Sì, sì» dico, cercando di risultare il più convincente possibile. «Da sempre.» «In quale poesia ha usato “whaizled”?» insiste Wanda. «Mmh...» Deglutisco. «È una poesia veramente bella. Al momento non ricordo il titolo, ma fa più o meno così...» Esito un attimo, cercando di immaginare il suono delle poesie di Burns. Una volta ne ho sentite alcune a una festa del Capodanno scozzese. Non ho capito neanche una parola, ma comunque... «’Twas whaizled... when the wully whaizle... wailed... E così via!» mi interrompo allegramente. «Non voglio annoiarvi.» Antony alza lo sguardo dal volume “N-Z” del vocabolario, che è andato subito a sfogliare appena ho sistemato le mie tessere. «Giusto.» Sembra leggermente sconcertato. «“Whaizled”: “wheezed” in dialetto scozzese. Bene, bene. Davvero straordinario.» «Brava, Poppy.» Wanda sta calcolando il punteggio. «Allora, è una parola che vale triplo, più cinquanta punti di bonus... quindi fanno... centotrentuno punti! Il punteggio più alto ottenuto finora!» «Centotrentuno?» Antony le prende il quaderno di mano. «Sei sicura?» «Complimenti, Poppy!» Felix si sporge per stringermi la mano. «Ma no, non è niente di che.» Mi guardo intorno con aria modesta. «Allora, a chi tocca?» 35 Alla fine gli ho estorto l’informazione al telefono durante la pausa pranzo. 36 Magnus dice che Wanda non ha mai preso il sole in vita sua e che secondo lei quelli che vanno in vacanza per starsene sdraiati sui lettini dalla mattina alla sera devono per forza essere minorati mentali. Come me, quindi. 37 Studio sul movimento continuo passivo dovuto all’artroplastica totale del ginocchio. Ce l’ho ancora, nella sua bella cartellina di plastica. 38 Non ha specificato su che cosa indagasse, però. 39 Me la cavo piuttosto bene con le note a piè di pagina, però. Potrebbero incaricarmi di scrivere quelle.
40 Non ho idea di che cosa significhi la maggior parte di queste parole. 41 Che a quanto pare è una parola. Idiota che sono. 42 Intendo lo Stephen Fry di “QI”, non di “Jeeves and Wooster”, benché sia probabile che Jeeves conoscesse piuttosto bene le poesie di Burns.
5 Ho vinto! Ho vinto la partita a Scarabeo! Sono rimasti tutti sbalorditi. Fingevano di non esserlo, ma lo erano eccome. Man mano che il gioco andava avanti, le alzate di sopracciglia e gli sguardi sbalorditi diventavano sempre più frequenti e meno cauti. Quando ho triplicato il punteggio con “saxatile”, Felix mi ha fatto addirittura un applauso e mi ha detto: “Brava!”. Poi, mentre stavamo riordinando la cucina, Wanda mi ha domandato se avessi mai pensato di studiare linguistica. Il mio nome è stato inserito nel quaderno dello Scarabeo di famiglia, Antony mi ha offerto il bicchiere di porto riservato al vincitore, e tutti mi hanno battuto le mani. È stato un momento davvero stupendo. Okay. So di aver barato. So di essermi comportata male. A essere sincera, continuavo ad aspettarmi che qualcuno mi scoprisse. Ma avevo messo il telefonino in modalità silenziosa e nessuno si è accorto che ho scambiato messaggi con Sam dall’inizio alla fine. 43 E poi sì, certo che mi sento in colpa. E mi sono sentita ancora peggio a metà partita, quando ho scritto a Sam, ammirata: “Come fai a sapere tutte queste parole?” e lui mi ha risposto: “Non le so io, ma Internet”. Internet? Sono rimasta talmente scioccata che ci ho messo un po’ a rispondere. Credevo che le pensasse le parole, non che le cercasse su Scarabeo.com o chissà cosa.“Ma questo è BARARE!!!” gli ho scritto. “Tu lo stavi già facendo” ha replicato lui. “Che differenza c’è?” Quindi ha aggiunto: “Lusingato che mi ritenessi un genio”. Poi, naturalmente, mi sono sentita una vera imbecille. In effetti, aveva ragione. Una volta che cominci a imbrogliare, che cosa cambia se usi un metodo o un altro? So che sto accumulando guai per il futuro. So che Sam Roxton non sarà sempre all’altro capo della linea a suggerirmi parole. So che non potrei mai ripetere questo exploit. Ecco perché intendo ritirarmi dallo Scarabeo di famiglia da domani stesso. È stata una carriera breve e brillante. E adesso si è conclusa. L’unico che non ha esagerato con i complimenti è stato Magnus, il che mi ha sorpreso. Sì, d’accordo, mi ha detto “Brava” insieme a tutti gli altri, ma non è che mi abbia riservato un abbraccio speciale o domandato come facessi a sapere tutte quelle parole. E quando Wanda gli ha chiesto: “Ma perché non ci avevi mai parlato del talento di Poppy?”, lui ha fatto un sorrisino veloce, ribattendo: “Te l’avevo detto che Poppy è fantastica in tutto”. Una frase carina, ma non particolarmente significativa. Il fatto è che... è arrivato secondo. Non sarà mica invidioso di me!? Sono più o meno le undici, ora, e siamo nel mio appartamento. Sono quasi tentata di parlargliene, ma è già sparito per andare a preparare una lezione sui
simboli e il pensiero simbolico in Dante44 . Perciò mi raggomitolo sul divano e inoltro la posta arrivata per Sam. Dopo un po’, non posso fare a meno di schioccare la lingua per l’esasperazione. Le mail, nella metà dei casi, sono solleciti o messaggi di gente che lo sta inseguendo. Non ha ancora dato una risposta riguardo alla sua partecipazione alla convention al Chiddingford Hotel, né sulla corsa di beneficenza, né al dentista. E neanche sul completo su misura di James & James che aspetta soltanto che lui vada a ritirarlo quando gli pare e piace. Come si fa a ignorare dei vestiti nuovi? Sono poche, a quanto pare, le persone a cui risponde immediatamente. Una è una ragazza di nome Vicks, che dirige il settore pubbliche relazioni. È molto efficiente e sbrigativa, proprio come lui, e gli ha chiesto un parere su un comunicato stampa che stanno preparando insieme. Spesso inserisce anche l’indirizzo di Violet per conoscenza, e io non faccio quasi in tempo a inoltrargli le mail che lui ha già risposto. Un altro è un certo Malcolm, che gli chiede opinioni su tutto, quasi ogni ora. E naturalmente Sir Nicholas Murray, un uomo chiaramente molto anziano e importante che al momento sta facendo un qualche lavoro per il governo.45 Lui e Sam sembrano pappa e ciccia, a giudicare dalla posta elettronica. Si rispondono in tempo reale, come se stessero facendo una chiacchierata fra vecchi amici. Non capisco molto di quel che si dicono – soprattutto le battute –, ma il tono è chiaro, come il fatto che Sir Nicholas è la persona con cui Sam scambia più mail. L’azienda di Sam è chiaramente una società di consulenza di qualche tipo. Danno consigli alle imprese su come gestire gli affari e fanno un bel po’ di lavoro di “facilitazione”, qualunque cosa sia. Immagino che siano negoziatori o mediatori o qualcosa di simile. Devono essere piuttosto bravi, perché Sam sembra molto richiesto. Solo questa settimana è stato invitato a tre cocktail party e a una gara di tiro con gente di una banca privata nel prossimo weekend. E una ragazza di nome Blue gli ha già scritto tre volte invitandolo a partecipare a un ricevimento speciale per festeggiare la fusione tra la Johnson Ellison e la Greene Retail. Si terrà al Savoy, con jazz band, canapé e omaggi per gli ospiti. E lui non ha ancora risposto. Non ancora. Non lo capisco proprio. Se mi avessero invitato a una festa così favolosa, avrei scritto all’istante: “Sì, sì, vengo! Grazie mille! Non vedo l’ora! :) :) :)”. Lui, invece, non ha neppure risposto all’invito. Alzo gli occhi al cielo e inoltro tutte le mail. Grazie di nuovo per lo Scarabeo! Ti ho appena inoltrato delle nuove mail. Poppy Un attimo dopo suona il cellulare. È Sam. «Ah, ciao...» esordisco. «Okay, sei un genio» mi interrompe. «Immaginavo che Vivien avrebbe lavorato fino a tardi. L’ho chiamata per fare due chiacchiere e ho accennato alle questioni di cui avevamo discusso tu e io. È venuto fuori tutto. Avevi ragione. Domani ci rivediamo, ma credo che rimarrà con noi.»
«Oh» dico soddisfatta. «Bene.» «No» ribatte lui risoluto. «No, più che bene, fantastico. Incredibile. Hai idea di quanto tempo, quanto denaro e quanti problemi mi hai risparmiato? Ti devo un favore, un favore enorme.» Si interrompe. «E avevi ragione a dire che odia essere chiamata “Viv”. Quindi ti devo un altro favore.» «Non c’è problema! Sempre a disposizione.» «Okay... volevo solo dirti questo. Non ti trattengo oltre.» «Buonanotte. Mi fa piacere che sia andato tutto bene.» Mentre chiudo la telefonata, mi viene in mente una cosa e scrivo in fretta un messaggio. Hai preso appuntamento con il dentista? Ti cadranno tutti i denti!!! Pochi secondi dopo sento il bip della risposta: Correrò il rischio. Correre il rischio? È fuori di testa? Mio zio è un dentista e mia zia è assistente dentale, perciò ne so qualcosa. Cerco su Internet la foto più orribile e ripugnante di denti marci che si possa trovare. Sono tutti neri e qualcuno è caduto. Premo “invia” e gliela mando. La risposta arriva quasi immediatamente dopo: Mi hai fatto rovesciare il bicchiere. Ridacchio e gli rispondo: Paura!!! Mi trattengo a fatica dall’aggiungere: “Senza denti non farai molto colpo su Willow!!!”. Poi però ci ripenso e mi sento un po’ a disagio. Bisogna porsi un limite. Nonostante i nostri scambi di SMS, quest’uomo in realtà non lo conosco. E di certo non conosco la sua fidanzata. Eppure, a dire il vero mi sembra di conoscerla. E non in senso buono. Non ho mai incontrato nessuno e niente di simile a Willow. È incredibile. Mi sa che, da quando ho questo cellulare, avrà inviato venti mail a Sam, una più assurda dell’altra. Almeno ha smesso di mandare messaggi destinati direttamente a Violet, ma continua ad aggiungere l’indirizzo della sua assistente per conoscenza, come se volesse aumentare le probabilità di raggiungere Sam e non gliene importasse nulla di chi legge che cosa. Ma perché deve scrivere i suoi pensieri più intimi via mail? Non potrebbero fare questi discorsi a letto, come tutte le persone normali? Stasera l’ha tirata lunga su un sogno che ha fatto su di lui ieri notte e sul fatto che si sentiva soffocata e ignorata allo stesso tempo: Sam si rendeva conto di essere così letale? Si rendeva conto che le stava CORRODENDO L’ANIMA??? Ho preso l’abitudine di scriverle una risposta, è più forte di me. Stavolta è: “Ti rendi conto di quanto sei letale TU, strega Willow?”. Poi ho cancellato. Naturalmente. La cosa più frustrante è che non posso mai vedere le repliche di Sam. Non c’è nessun botta e risposta; lei non risponde mai alle mail precedenti, ricomincia ogni volta da capo.
A volte i messaggi sono gentili, come quando ieri gli ha scritto: “Sei un uomo veramente speciale, lo sai, Sam?”. Carino da parte sua. Nove su dieci, però, sono lamentele. Non posso fare a meno di provare pena per lui. Be’, è la sua vita. La sua fidanzata. Cavoli suoi. «Amore!» Magnus entra nella stanza interrompendo i miei pensieri. «Ah, ciao!» Chiudo in fretta i messaggi. «Finito il lavoro?» «Non voglio disturbarti.» Indica il cellulare con la testa. «Stai chattando con le tue amiche?» Faccio un sorriso vago e mi infilo il cellulare in tasca. Lo so, lo so, lo so. Non è bello nascondergli le cose. Non dirgli dell’anello, del telefono, niente di niente. Ma come faccio a iniziare adesso? Da dove comincio? E magari poi me ne pentirei. E se gli raccontassi tutto, facessi scoppiare un disastro e mezz’ora dopo l’anello saltasse fuori rendendo inutile la mia confessione? «Come mi conosci!» dico alla fine con una risatina. «Che cosa hai detto ai tuoi genitori stasera?» Passo in fretta all’argomento che mi interessa veramente, e cioè l’opinione che i suoi genitori hanno di me, e se per caso è cambiata. «Ah, i miei genitori.» Fa un gesto impaziente e si lascia andare sul divano. Tamburella con le dita sul bracciolo, lo sguardo perso nel vuoto. «Tutto bene?» gli chiedo cautamente. «Benissimo.» Si volta a guardarmi e mi mette a fuoco, concentrandosi su di me. «Ricordi il nostro primo incontro?» «Sì.» Ricambio il suo sorriso. «Certo che me lo ricordo.» Comincia ad accarezzarmi la gamba. «Sono arrivato in quel posto aspettandomi di vedere la virago. E invece c’eri tu.» Vorrei che la smettesse di dare a Ruby della virago. Non lo è per niente. È una donna bellissima, adorabile e sexy, solo che ha le braccia un filino grosse. Io però nascondo la mia irritazione e continuo a sorridere. «Sembravi un angelo in quel camice bianco. Non ho mai visto niente di così sexy in vita mia.» La sua mano risale lungo la mia gamba. «Ti volevo lì, subito.» Magnus adora raccontare questa storia, e io adoro ascoltarla. «Anch’io ti volevo» mi sporgo verso di lui e gli mordo delicatamente il lobo dell’orecchio. «Ti ho voluto sin dal primo istante.» «Lo so. Me ne sono accorto.» Scosta il tessuto e sfrega il naso contro il mio braccio nudo. «Ehi, Poppy, una volta torniamo in quella stanza» mi bisbiglia. «È stato il sesso più bello della mia vita. Tu con quel camice bianco, su quel lettino, con l’olio da massaggio... Oddio...»46 Comincia a tirarmi su la gonna e poi rotoliamo insieme giù dal divano. Arriva un altro SMS, ma io non ci faccio quasi caso. È soltanto più tardi, quando mi sto preparando per andare a letto e mi sto spalmando la crema,47 che Magnus lancia la sua bomba. «Ah, prima ha chiamato la mamma.» Parla con la bocca impastata di dentifricio. «Per quel tizio, il dermatologo.»
«Cosa?» Sputa e si asciuga la bocca. «Paul. Il nostro vicino. Viene alle prove del matrimonio per controllarti la mano.» «Cosa?» La mano mi si serra automaticamente, e per sbaglio spruzzo della crema per il corpo in giro. «Mamma dice che la prudenza non è mai troppa con le bruciature e secondo me ha ragione.» «Non era necessario!» Sto cercando di nascondere il panico. «Amore.» Mi bacia sulla testa. «È già tutto deciso.» Esce dal bagno, e io guardo il mio riflesso nello specchio. L’allegro colorito post-sesso è sparito. Sono ripiombata nel buco nero del terrore. Che cosa faccio? Non posso fuggire per sempre. Non ho la mano bruciata. Non ho l’anello di fidanzamento. Non ho una conoscenza enciclopedica delle parole dello Scarabeo. Sono completamente fasulla. «Poppy?» Magnus compare sulla porta del bagno con un’espressione eloquente. So che vuole andare a dormire perché domani deve andare presto a Brighton. Sta scrivendo un libro con un professore che lavora lì e continuano ad avere divergenze che richiedono riunioni d’emergenza. «Arrivo.» Lo seguo a letto, mi rannicchio fra le sue braccia e interpreto abbastanza bene la parte di una che si addormenta tranquillamente, ma dentro di me sto ribollendo. Tutte le volte che cerco di prendere sonno, la mia mente viene assalita da un milione di pensieri. Se disdico l’appuntamento con Paul il dermatologo, Wanda si insospettirà? Potrei procurarmi un’ustione finta alla mano? E se raccontassi tutto a Magnus adesso? Cerco di immaginare quest’ultima scena. So che è la cosa più sensata da fare. È quel che consiglierebbero le curatrici della posta del cuore. “Sveglialo e diglielo.” Ma non ci riesco. Non ci riesco e basta. E non solo perché Magnus reagisce sempre malissimo quando viene svegliato di notte. Sarebbe un tale shock per lui. I suoi genitori penserebbero per sempre a me come alla ragazza che ha perso l’anello di famiglia. Rimarrei segnata a vita. Getterebbe un’ombra su tutto. E il punto è che non è necessario che sappiano. Non deve per forza trapelare. La signora Fairfax potrebbe chiamare da un momento all’altro. Se riesco a resistere fino a quel momento... Voglio riavere l’anello, infilarmelo di nuovo al dito in silenzio senza che nessuno si accorga di niente. È questo che voglio. Do un’occhiata alla sveglia – 2.45 –, poi a Magnus, che respira tranquillo, e provo un’ondata di risentimento irrazionale. Per lui è tutto a posto. Di colpo metto giù i piedi dal letto e prendo una vestaglia. Vado a prepararmi una tisana, come raccomandano gli articoli sull’insonnia nelle riviste, oltre a consigliare di scrivere tutti i tuoi problemi su un foglio. 48
Il mio telefonino si sta ricaricando in cucina e, mentre aspetto che l’acqua bolla, clicco pigramente su tutti i messaggi, inoltrandoli metodicamente a Sam. C’è un SMS di un mio nuovo paziente che ha appena subito un intervento chirurgico al legamento crociato anteriore e se la sta vedendo brutta;49 gli mando un messaggio breve e rassicurante, dicendogli che farò il possibile per riceverlo domani. Sto versando dell’acqua bollente su una bustina di camomilla e vaniglia quando l’arrivo improvviso di un SMS mi fa sobbalzare. Che cosa fai sveglia a quest’ora? È Sam. Chi, sennò? Mi siedo con la tisana e ne bevo un sorso, poi rispondo: Non riesco a dormire. E TU che cosa fai in piedi a quest’ora? Aspetto di parlare con un tizio di Los Angeles. Perché non riesci a dormire? La mia vita finisce domani. Okay, forse ho esagerato un filino, ma in questo momento mi sento così. Posso capire che tu non riesca a dormire. Perché domani? Se davvero lo vuole sapere, glielo dico. Mentre sorseggio la tisana, scrivo cinque SMS per raccontargli dell’anello ritrovato e perduto di nuovo. Di Paul il dermatologo che vuole controllarmi la mano. E dei Tavish, che sono già abbastanza infastiditi per la questione dell’anello prima ancora di sapere che l’ho perso. Del mondo che mi si sta rivoltando contro. E di come mi senta una giocatrice d’azzardo che potrebbe risolvere tutti i suoi problemi con un ultimo giro di roulette, ma che non ha più fiches. Ho scritto così in fretta che mi fanno male le spalle. Le ruoto un po’ di volte, sorseggio la tisana e, proprio quando mi sto chiedendo se non sia il caso di aprire la scatola dei biscotti, arriva un nuovo messaggio. Ti devo un favore. Leggo e alzo le spalle. Okay. Mi deve un favore. E allora? Un attimo dopo arriva un altro SMS. Potrei trovarti le fiches. Fisso lo schermo confusa. Avrà capito che la storia delle fiches è una metafora? Starà parlando di vere fiches per giocare d’azzardo? O di “fish and chips”? In assenza del brusio di fondo del traffico giornaliero, la stanza è stranamente silenziosa, a parte qualche occasionale sussulto del frigo. Guardo il display alla luce della lampada, poi mi sfrego gli occhi stanchi, chiedendomi se non sia il caso di spegnere il cellulare e andare a letto. In che senso? La risposta arriva quasi immediatamente, come se Sam si fosse reso conto che il suo ultimo messaggio suonava un po’ strano. Ho un amico gioielliere. Realizza copie per la tivù. Molto realistiche. Ti farebbe guadagnare tempo. Un anello falso? Devo essere veramente tonta, mi dico, perché non ci avevo mai neppure pensato.
43 Ma vigilare sullo svolgimento degli esami non fa parte del lavoro di Antony e Wanda? Dico così, tanto per dire. 44 La prima volta che mi ha detto di essere specializzato in simboli, ho capito “cimbali”, quelli che vengono battuti uno contro l’altro. Ma non gliel’ho mai confessato. 45 Non è che io abbia curiosato, ma non si può evitare di dare un’occhiata alle cose che si inoltrano, e di notare riferimenti al “Primo Ministro” e al “Numero 10”. 46 Okay. Mi avete scoperto. Nel colloquio disciplinare non ho detto tutta la verità. Il fatto è questo: so di aver tenuto un comportamento tutt’altro che professionale e che dovrei vergognarmi. Il vademecum sull’etica della fisioterapia in pratica comincia dicendo: “Qualunque cosa accada, non fare sesso con il tuo paziente sul lettino”. Io, però, la penso così: se fai una cosa sbagliata ma che non fa male a nessuno e nessuno viene a saperlo, è giusto che tu sia punita e che tutta la tua carriera sia compromessa? Non sarebbe meglio contestualizzare i fatti? E poi lo abbiamo fatto una volta sola. E molto in fretta. (Non male. Solo alla svelta.) E una volta Ruby ha utilizzato i locali del centro per fare una festa, e ha tenuto aperte tutte le porte antincendio, il che è assolutamente nocivo e pericoloso. Dunque. Nessuno è perfetto. 47 Il mio regime prematrimoniale prevede il massaggio quotidiano con una crema esfoliante e con un’altra idratante, l’applicazione settimanale di una maschera per il viso, i capelli e gli occhi, cento addominali al giorno, e la meditazione per mantenere la calma. Finora non sono andata oltre la crema per il corpo. E stasera sono un po’ impedita dal bendaggio alla mano. 48 E perché? Perché il tuo ragazzo li trovi? 49 Non do il mio numero a tutti i pazienti, solo a quelli abituali, ai casi gravi e a quelli che hanno l’aria di avere bisogno di sostegno morale. Questo è uno di quelli che dicono di stare benissimo, ma poi ti accorgi che impallidiscono dal dolore. Ho dovuto insistere perché mi chiamasse tutte le volte che voleva, e ripeterlo a sua moglie, altrimenti avrebbe sopportato eroicamente.
6 Okay. Quella dell’anello falso è una pessima idea, per un milione di motivi. Ad esempio: 1) È disonesta. 2) Probabilmente non ci cascherà nessuno. 3) È immorale. 50 Ciononostante, alle dieci del mattino successivo sono in giro per Hatton Garden, sforzandomi di nascondere che fatico a tenere gli occhi aperti. È la prima volta che vengo in questo posto, non sapevo neppure che esistesse. Un’intera strada di gioiellerie? Ci sono più diamanti qui di quanti io ne abbia mai visti. Dappertutto si vedono cartelli che vantano prezzi migliori, carature più alte, valori superiori e design personalizzato. Evidentemente è una specie di città degli anelli di fidanzamento. Davanti ai negozi passeggiano le coppiette: le ragazze indicano le vetrine, e gli uomini sorridono, ma appena la fidanzata si gira fanno tutti una faccia vagamente nauseata. Non sono mai entrata in una gioielleria come questa: una gioielleria vera, da adulti. Gli unici gioielli che ho mai posseduto provengono da mercatini o Topshop. Per il mio tredicesimo compleanno i miei genitori mi avevano regalato due orecchini di perle, ma io non ero andata con loro a comprarli. Sono sempre passata davanti alle gioiellerie pensando che fossero posti riservati ad altri. Ora, però, visto che ci sono, non posso fare a meno di dare una bella occhiata in giro. Chi è che acquista una spilla di diamanti gialli a forma di ragno per dodicimilacinquecento sterline? Per me è un mistero. Come quelli che si comprano quegli orribili divani con i braccioli a ricciolo che pubblicizzano alla tivù. Il negozio dell’amico di Sam si chiama Mark Spencer Designs e, per fortuna, non vende ragni gialli. C’è invece una marea di diamanti con montatura di platino, e un cartello che recita: “Champagne gratis per le coppie di fidanzati. Fate della scelta dell’anello un momento speciale”. Non ci sono riferimenti a riproduzioni o falsi, e comincio a innervosirmi. E se Sam avesse capito male? E se per imbarazzo finisco per comprare un vero anello di smeraldo e devo passare il resto dei miei giorni a pagarlo? A proposito, dov’è Sam? Aveva promesso di passare di qui per presentarmi al suo amico. A quanto pare lavora dietro l’angolo, anche se non mi ha detto esattamente dove. Mi giro e scruto la strada. È strano, perché non ci siamo mai davvero incontrati faccia a faccia. Vedo un uomo con i capelli scuri che cammina rapido sul marciapiede opposto, e per un attimo penso che potrebbe essere lui, poi però sento una voce profonda che dice: «Poppy?». Mi giro e questo sì che è lui, ovviamente: il tipo con i capelli scuri e arruffati che mi sta venendo incontro a lunghe falcate. È più alto di quel che ricordavo da quell’unica volta in cui ci eravamo visti di sfuggita nella hall
dell’albergo, ma effettivamente ha le sopracciglia folte e gli occhi infossati. Indossa un completo scuro con una camicia bianca immacolata e una cravatta color carbone. Mi fa un rapido sorriso e noto che ha denti bianchissimi e regolari. Be’, non resteranno così per molto se non va dal dentista. «Ciao, Poppy.» Quando mi raggiunge, esita un attimo e poi mi tende la mano. «Sono contento di conoscerti come si deve.» «Ciao.» Ricambio il sorriso timidamente, poi ci stringiamo la mano. Ha una bella stretta, calda e positiva. «Alla fine Vivien ha deciso che rimarrà con noi.» Piega la testa. «Grazie di nuovo per il consiglio.» «Non c’è problema!» Alzo le spalle impacciata. «Non è nulla.» «Ho apprezzato molto, davvero.» È strano parlarsi a tu per tu. La vista del suo viso e dei capelli scompigliati dal vento mi distrae. Era più facile via SMS. Mi chiedo se sia così anche per lui. «Allora» dice, indicando la gioielleria «andiamo?» È un negozio veramente chic e costoso. Mi domando se lui e Willow siano venuti qui a scegliere l’anello. Probabile. Sono quasi tentata di chiederglielo, ma non me la sento di tirarla in ballo. È troppo imbarazzante. So veramente troppo di loro. Di solito, le coppie di nuovi amici si incontrano al pub o a casa. Si parla di argomenti rilassanti, tipo vacanze, hobby, le ricette di Jamie Oliver. Solo gradualmente ci si avventura a parlare di cose personali. Con questi due, invece, ho l’impressione di essere stata catapultata in un film-verità sulla loro vita, e a loro insaputa, per giunta. L’altra sera ho trovato una vecchia mail di Willow, in cui si limitava a dire: “Hai idea di quanto mi hai fatto SOFFRIRE, Sam? Per non parlare di quelle cazzo di BRASILIANE!!!”. Avrei preferito non leggerla. Se mai la incontrerò, riuscirò a pensare solo a quello. Le brasiliane. Sam ha suonato il campanello e mi sta aprendo la porta dell’elegante negozio con le luci soffuse. Subito si presenta una ragazza in tailleur grigio tortora. «Buongiorno, posso esservi utile?» Ha una voce vellutata come il miele, che si addice perfettamente all’atmosfera sommessa del negozio. «Abbiamo un appuntamento con Mark» dice Sam. «Sono Sam Roxton.» «Sì, prego.» Un’altra ragazza grigio tortora annuisce. «La sta aspettando. Martha, accompagnali tu.» «Posso offrirle un bicchiere di champagne?» mi dice Martha, sfoderando un sorriso d’intesa mentre ci avviamo. «E lei, signore? Champagne?» «No, grazie» risponde Sam. «Neppure io» gli faccio eco. «Siete sicuri?» Mi guarda con gli occhi luccicanti. «È un grande momento per entrambi. Solo un bicchierino per rilassarvi?» Oddio! Crede che siamo una coppia di fidanzati. Do un’occhiata a Sam in cerca di aiuto, ma lui sta scrivendo qualcosa sul cellulare, e non ho nessuna voglia
di raccontare a dei perfetti sconosciuti come ho perso il mio preziosissimo anello di famiglia né di sentire i loro versi orripilati. «Sto bene così, davvero» sorrido imbarazzata. «Non è... Cioè, non siamo...» «Che magnifico orologio, signore!» Qualcos’altro ha attirato l’attenzione di Martha. «È un Cartier vintage? Non ne ho mai visto uno così.» «Grazie.» Sam annuisce. «L’ho trovato a un’asta a Parigi.» Ora che ci faccio caso, in effetti, l’orologio di Sam è piuttosto straordinario. Ha un vecchio cinturino di pelle e un quadrante d’oro opaco che ha la patina di un’altra epoca. E poi l’ha comprato a Parigi. Niente male davvero. «Santo cielo!» Mentre camminiamo, Martha mi afferra il braccio e si piega verso di me abbassando la voce per parlarmi da donna a donna. «Ha un gusto veramente squisito. Beata lei! Non si può dire lo stesso di tutti gli uomini che vengono qui. Alcuni scelgono autentiche schifezze. Ma un uomo che si compra un Cartier vintage è sicuramente un tipo in gamba!» È una situazione penosa. Che cosa posso dire? «Eh... sì, infatti» mormoro, guardando il pavimento. «Oh, mi scusi, non intendevo metterla in imbarazzo» dice Martha in tono affabile. «Se per caso cambiate idea sullo champagne, ditemelo, mi raccomando. Buon divertimento con Mark!» Ci fa entrare in un ampio laboratorio con il pavimento di cemento e una schiera di armadietti con gli sportelli di metallo. Un uomo in jeans e con un paio di occhiali con la montatura a giorno si alza da un tavolo a cavalletto e saluta Sam calorosamente. «Sam! Quanto tempo!» «Mark! Come stai?» Gli dà una pacca sulle spalle, poi si fa da parte. «Ti presento Poppy.» «Piacere, Poppy.» Mark mi stringe la mano. «Allora, ho sentito che ti serve la riproduzione di un anello.» Una botta di paranoia e senso di colpa mi assale all’istante. Era proprio necessario dirlo così forte, facendosi sentire da tutti? «Sì, ma per pochissimo tempo.» Praticamente, sto sussurrando. «Finché non avrò trovato quello vero. E lo troverò presto, anzi prestissimo.» «Capisco.» Annuisce. «Comunque, fa sempre comodo avere una copia. Realizziamo tante riproduzioni, da portare in viaggio eccetera. Di solito riproduciamo gioielli di nostra produzione, ma di tanto in tanto facciamo un’eccezione per gli amici.» Mark strizza l’occhio a Sam. «Anche se cerchiamo di mantenere un minimo di discrezione. Non vogliamo compromettere la nostra attività principale.» «Sì!» mi affretto a dire. «Certo. Ci tengo anch’io alla discrezione. Tantissimo.» «Hai un disegno dell’anello? Una foto?» «Ecco qui.» Prendo una fotografia che ho stampato stamattina dal computer. Siamo io e Magnus al ristorante, la sera in cui mi ha fatto la proposta di matrimonio. Avevamo chiesto alla coppia seduta al tavolo accanto al nostro di
farci una foto, e io sfoggio orgogliosa l’anello, con la mano sollevata e le pietre bene in vista. Sembro decisamente su di giri, e in effetti era così che mi sentivo. I due uomini osservano l’immagine in silenzio. «Ah, allora è lui l’uomo che stai per sposare» dice Sam alla fine. «Il fanatico dello Scarabeo.» «Sì.» C’è qualcosa nel tono della sua voce che mi fa mettere sulla difensiva. Non so proprio perché. «Si chiama Magnus» aggiungo. «Per caso insegna all’università?» Sam guarda la foto accigliato. «E presentava un programma televisivo?» «Sì.» Provo un moto di orgoglio. «Esatto.» «È uno smeraldo a quattro carati, giusto?» Mark Spencer alza lo sguardo dalla foto. «Forse» dico con un senso di impotenza. «Non lo so.» «Non sai di quanti carati è il tuo anello di fidanzamento?» Sam e Mark mi guardano in modo strano. «Che cosa c’è?» Mi sento avvampare. «Mi spiace. Non sapevo che l’avrei perso.» «È molto carino da parte tua» dice Mark con un sorrisetto furbo. «La maggior parte delle ragazze lo calcola al centesimo, poi arrotonda.» «Oh, be’...» Alzo le spalle per nascondere l’imbarazzo. «È un anello di famiglia. Non ne abbiamo mai parlato, in realtà.» «Abbiamo un bel po’ di montature già pronte. Fammi controllare...» Mark allontana la sedia dal tavolo e comincia a cercare nei cassetti di metallo. «Lui non sa ancora che l’hai perso?» Sam indica la foto di Magnus con il pollice. «No.» Mi mordo il labbro. «Spero che salti fuori e...» «Non è necessario che lo venga a sapere.» Sam conclude la frase per me. «Manterrai il segreto fino alla tomba.» Sento una fitta di rimorso e distolgo lo sguardo. Non mi piace. Non mi piace avere segreti per Magnus. Non mi piace essere una persona che prende appuntamenti all’insaputa del fidanzato. Ma non ho altra scelta. «Ah, continuano ad arrivare mail per Violet, qui» gli dico mostrando il cellulare, per cambiare argomento. «Credevo che a un certo punto i tecnici sarebbero riusciti a risolvere la questione.» «Anch’io, ma hanno avuto molto da fare con il disastro che è successo al nostro sistema informatico.» «Be’, ne sono arrivate altre. È la quarta volta che ti chiedono della corsa di beneficenza.» «Mmh.» Annuisce appena. «Non hai intenzione di rispondere? E la camera d’albergo per quella convention nell’Hampshire? Devi prenotare per una o per due notti?»
«Vedrò. Non ho ancora deciso.» Sam sembra talmente indifferente che ho un impeto di frustrazione. «Non rispondi alle mail?» «Ho le mie priorità.» Digita tranquillamente sul suo cellulare. «Ah, è il compleanno di Lindsay Cooper!» Sto leggendo una mail circolare. «Lindsay del settore marketing. Vuoi che le faccia io gli auguri?» «No.» Il tono è così reciso che mi sento un po’ offesa. «Che cosa c’è di male nel fare gli auguri a una collega?» «Non la conosco.» «Sì, invece. Lavorate insieme.» «Lavoro con duecentoquarantatré persone.» «Ma non è la ragazza che l’altro giorno ha inviato quel documento sulla strategia per il sito web?» dico, ricordando improvvisamente un vecchio scambio di mail. «Non eravate tutti supercontenti?» «Sì» risponde in tono inespressivo. «Che cosa c’entra?» Dio, com’è testone. Lascio perdere il compleanno di Lindsay e passo alla mail successiva. «Peter ha concluso l’affare con Air France. Lunedì, appena dopo la riunione del team, vuole darti un resoconto completo. Va bene?» «Bene.» Sam alza appena lo sguardo. «Tu inoltra. Grazie.» Se gliela inoltro, lui la lascia lì tutto il giorno senza rispondere. «Non posso rispondere io?» gli propongo. «Visto che sei qui e che ho aperto la mail? Ci metto un minuto.» «Ah.» Sembra sorpreso. «Okay, grazie. Rispondi solo: “Sì”.» Sì. scrivo con cura. «Nient’altro?» «Anche “Sam”.» Fisso il display insoddisfatta. Sì. Sam. Sembra un messaggio così spoglio. Così sbrigativo. «Che ne dici di aggiungere qualcosa tipo “Complimenti”?» gli suggerisco. «O “Ben fatto! Yeeeh!”. O semplicemente: “Stammi bene e grazie di tutto”?» Sam non sembra per niente convinto. «“Sì. Sam” basta e avanza.» «Tipico» borbotto tra me e me. Solo che forse non lo dico così piano come penso, perché Sam alza lo sguardo. «Come dici, scusa?» So che dovrei mordermi la lingua, ma non riesco proprio a trattenermi. Sono troppo frustrata. «Sei così brusco! Le tue mail sono così brevi! Orribili!» C’è un lungo silenzio. Sam è sbalordito, come se fosse stata la sua sedia a parlare. «Scusami» aggiungo alzando le spalle, imbarazzata. «Però è la verità.» «Okay» fa Sam alla fine. «Mettiamo le cose bene in chiaro. Primo, il fatto di aver preso in prestito questo cellulare non ti autorizza a leggere e criticare le mie mail.» Esita. «Secondo, breve è bello.»
Mi sto già pentendo di aver parlato, ma ormai non posso più fare marcia indietro. «Non così breve» ribatto io. «E certa gente la ignori del tutto! È scortese!» Ecco. L’ho detto. Sam mi sta guardando malissimo. «Come dicevo, ho le mie priorità. Adesso magari, visto che abbiamo risolto il problema dell’anello, ti va di ridarmi il cellulare, così non dovrai più preoccuparti delle mie mail?» Tende una mano. Oddio. È per questo che mi sta aiutando? Perché gli restituisca il telefonino? «No!» Stringo forte il cellulare. «Cioè... per piacere. Ne ho ancora bisogno. L’albergo potrebbe chiamarmi da un momento all’altro, la signora Fairfax avrà questo numero...» So di essere irrazionale, ma ho la sensazione che, mollando questo telefonino, perderei all’istante ogni speranza di ritrovare l’anello. Lo nascondo dietro la schiena per sicurezza e imploro Sam con gli occhi. «Accidenti.» Sam sbuffa. «Ma è assurdo. Oggi pomeriggio ho un colloquio con una nuova candidata al posto di assistente. È un cellulare aziendale. Non puoi tenertelo!» «No, infatti! Ma posso usarlo ancora per qualche giorno? Non criticherò più le tue mail» aggiungo docilmente. «Promesso.» «Okay, ragazzi!» Mark ci interrompe. «Buone notizie. Ho trovato una montatura. Adesso sceglierò delle pietre da mostrarvi. Scusate un attimo...» Mentre esce dalla stanza, mi arriva un nuovo messaggio. «È Willow» dico a occhi bassi. «Guarda.» Abbasso lo sguardo sulle mie mani. «Sto inoltrando. Senza commenti. Neanche uno.»51 «Hrrmm» borbotta Sam evasivamente, come ha già fatto l’altra volta che ho menzionato Willow. C’è una pausa imbarazzante. Quello che dovrei fare ora sarebbe fargli una domanda in tono gentile, tipo “Allora come vi siete conosciuti, tu e Willow?” e “Quando vi sposate?”, dopo di che potremmo metterci a parlare di liste nozze e di quanto costano le agenzie di catering ma, chissà perché, non me la sento. Hanno un rapporto talmente strano che preferisco non indagare. Sam sa essere brusco e ombroso, lo so, ma non me lo vedo proprio insieme a una stronza lagnosa e ossessionata da se stessa come Willow. Soprattutto ora che l’ho conosciuto di persona. Dev’essere davvero, davvero, davvero bellissima, concludo, una specie di top model. E lui sarà rimasto talmente abbagliato dalla sua avvenenza da non vedere tutto il resto. È l’unica spiegazione plausibile. «Un sacco di persone stanno rispondendo alla mail sul compleanno di Lindsay Cooper» osservo, tanto per riempire il silenzio. «Evidentemente, loro non si fanno problemi.» «Le mail circolari sono opera del diavolo.» A Sam non sfugge quasi niente. «Preferirei spararmi un colpo in fronte piuttosto che rispondere.» Questo sì che è un atteggiamento positivo.
Lindsay è davvero molto gettonata. Ogni venti secondi appare sul display una nuova risposta a tutti, tipo: “Tanti auguri, Lindsay! Qualsiasi cosa tu intenda fare, buon divertimento!”. Il telefonino continua a ronzare e a lampeggiare. Sembra una festa. L’unico che si rifiuta di partecipare è Sam. È insopportabile. Che cosa costa scrivere “Buon compleanno”? Perché rifiutarsi? Sono solo due parole. «Non posso mandarle gli auguri da parte tua?» gli chiedo in tono implorante. «Dài. Non devi fare niente. Li scrivo io.» «Oh, cazzo!» Sam alza lo sguardo dal suo cellulare. «Okay. Come vuoi. Scrivi “Buon compleanno”. Ma niente faccine sorridenti né baci» aggiunge minaccioso. «Solo “Buon compleanno. Sam”.» Buon compleanno, Lindsay! digito con aria di sfida. Spero che ti stia divertendo alla grande oggi. Di nuovo complimenti per la strategia sul sito web, hai fatto un lavoro eccellente. Tanti auguri, Sam Lo mando in fretta, prima che mi chieda come mai stia scrivendo così tanto. «E il dentista?» Decido di giocare il tutto per tutto. «E il dentista?» mi fa eco lui, facendo impennare di botto la mia esasperazione. Sta fingendo di non sapere di che cosa stia parlando o se n’è dimenticato davvero? «Ecco qui!» La porta si apre e Mark compare con un vassoio di velluto blu scuro. «Queste sono le nostre riproduzioni di smeraldi.» «Wow!» esclamo, staccando subito gli occhi dal cellulare. Davanti a me ci sono dieci file di smeraldi luccicanti. Cioè, lo so che sono finti, ma francamente non sarei in grado di distinguerli da quelli veri. 52 «Ce n’è qualcuno che ti sembra particolarmente somigliante a quello che hai perso?» «Quello lì.» Indico una pietra ovale al centro. «È quasi identico. È incredibile!» «Benissimo.» Lo pesca con un paio di pinzette e lo mette su un piattino di plastica. «I diamanti, ovviamente, sono più piccoli e meno vistosi, quindi sono abbastanza sicuro di trovare le copie esatte. Vuoi che sia leggermente anticato?» aggiunge. «Lo opacizziamo un po’?» «Puoi farlo?» domando sbalordita. «Possiamo fare qualsiasi cosa» mi risponde in tono sicuro. «Una volta abbiamo riprodotto i gioielli della Corona per un film di Hollywood. Sembravano veri in tutto e per tutto, anche se poi non li hanno mai usati.» «Wow. Bene... sì, grazie!» «Non c’è problema. Dovrei finire tutto in...» Guarda l’orologio. «Tre ore?» «Fantastico!» Mi alzo sbalordita. Mi sembra impossibile che sia stato così facile, anzi, il sollievo mi rende euforica. Con questo tirerò avanti per qualche giorno, poi ritroverò l’anello vero e andrà tutto bene. Quando torniamo nello showroom, capto un brusio di interesse. Martha solleva la testa di scatto dal quaderno su cui stava scrivendo, e un paio di ragazze
grigio tortora si mettono a bisbigliare e ad annuire verso di me dalla loro postazione accanto alla porta. Mark ci accompagna di nuovo da Martha, che mi fa un sorriso ancora più ampio di prima. «Martha, ti spiacerebbe occuparti di questi cari amici?» dice, consegnandole un foglietto ripiegato. «Ho scritto tutto qui. Arrivederci!» Stringe calorosamente la mano a Sam, poi scompare nel retro del negozio. «Ha un’aria raggiante!» mi dice Martha con uno scintillio negli occhi. «Sono felicissima!» Non riesco a contenere la gioia. «Mark è fenomenale. È incredibile quel che riesce a fare!» «Sì, è speciale. Oh, sono così felice per lei.» Mi stringe il braccio. «Questo è un giorno meraviglioso per voi!» Oh, no... All’improvviso, capisco cosa intende. Lancio uno sguardo eloquente a Sam, ma lui si è allontanato per leggere dei messaggi sul cellulare, ignaro di tutto. «Moriamo tutte dalla curiosità.» Le brillano gli occhi. «Che cosa ha scelto?» «Ehm...» La conversazione ha preso una piega decisamente sbagliata, ma non so proprio come riportarla sulla strada giusta. «Martha ci ha raccontato dell’orologio Cartier vintage!» Un’altra ragazza grigio tortora si unisce alla conversazione, e ne vedo altre due avvicinarsi lentamente con le orecchie tese. «Abbiamo tirato a indovinare, qui fuori.» Martha annuisce. «Credo che Mark le farà preparare qualcosa di veramente speciale e personalissimo, con uno splendido tocco di romanticismo.» Si stringe le mani. «Magari un diamante immacolato...» «Quelli di taglio princess sono molto raffinati» cinguetta una ragazza grigio tortora. «O magari uno antico» interviene un’altra, entusiasta. «Mark ha dei diamanti antichi stupendi, che hanno una storia. Ce n’è uno incredibile, rosa pallido... gliel’ha fatto vedere?» «No!» rispondo in fretta. «Uhm... non avete capito. Non sono... Cioè...» Oddio. Che cosa posso dire? Non voglio entrare nei dettagli. «Un bell’anello è sempre meraviglioso.» Martha sospira felice. «Non importa che cosa sia, in realtà, purché sia magico per voi. Oh, andiamo...» Mi fa un sorriso malizioso. «Devo sapere.» Apre il foglietto con un gesto plateale e radioso. «La risposta è...» Mentre legge, la frase si spegne in una specie di rantolo. Per un attimo sembra incapace di parlare. «Oh! Uno smeraldo finto» riesce a dire alla fine con voce strozzata. «Meraviglioso. E anche diamanti finti. Davvero carini.» Non c’è niente da dire. Mi sento addosso lo sguardo avvilito delle quattro ragazze. Martha sembra la più sconvolta. «Ci è sembrato un anello bellissimo» butto lì, timidamente.
«Lo è! Lo è!» Martha si sta chiaramente sforzando di annuire in modo energico. «Be’... complimenti! È stata molto previdente a scegliere un’imitazione.» Incrocia gli sguardi delle altre ragazze grigio tortora, che si affrettano a intervenire con voce squillante. «Sì, non c’è dubbio!» «Molto previdente!» «Ottima scelta!» Le voci allegre non combaciano affatto con le facce. Una di loro pare sul punto di piangere. Martha sembra un po’ fissata con il Cartier vintage d’oro di Sam. Praticamente le leggo nel pensiero: Si può permettere un Cartier vintage d’oro e compra un anello FINTO per la sua ragazza? «Posso vedere il prezzo?» Sam ha finito di digitare sul cellulare e prende il foglietto dalle mani di Martha. Legge imbronciato: «Quattrocentocinquanta sterline. Però... è caro! Avevo capito che Mark mi avrebbe fatto uno sconto.» Si gira verso di me. «Non ti sembra un po’ troppo?» «Forse»53 annuisco, un po’ umiliata. «Perché è così caro?» Si rivolge a Martha e lei, prima di sfoderargli un sorriso professionale, abbassa di nuovo gli occhi sul suo orologio Cartier. «È per via del platino, signore. È un materiale prezioso e senza tempo. La maggior parte dei nostri clienti apprezza i materiali che durano per sempre.» «Be’, non si può avere qualcosa di meno caro? Per esempio l’argento placcato?» Sam si rivolge a me. «Sei d’accordo, vero, Poppy? La cosa meno cara che c’è.» Sento provenire un paio di gemiti soffocati dalla parte opposta del negozio. Vedo di sfuggita l’espressione orripilata di Martha e non posso fare a meno di arrossire. «Sì, certo!» borbotto. «La meno cara.» «Vado a chiedere a Mark» dice Martha, dopo una pausa piuttosto lunga. Si allontana e fa una breve telefonata. Quando torna alla cassa, sbatte in fretta le palpebre e non riesce a guardarmi negli occhi. «Ho parlato con Mark e mi ha detto che per l’anello può usare il nickel placcato in argento. Così il prezzo scenderebbe a...» Digita di nuovo. «Centododici sterline. Preferite questa variante?» «Be’, certo.» Sam mi dà un’occhiata. «Ovvio, no?» «Capisco. Naturalmente.» Il sorriso radioso di Martha è raggelato. «Okay... d’accordo. Vada per il nickel placcato, allora.» Sembra ritrovare il controllo di sé. «Per quanto riguarda la presentazione, signore, offriamo una confezione di lusso di pelle da trenta sterline, o una più semplice in legno, da dieci. Sia una sia l’altra saranno profilate di petali di rosa e potranno essere personalizzate. Con le iniziali, magari, o un piccolo messaggio?» «Un messaggio?» Sam fa una risata incredula. «No, grazie. E niente scatoline. Lo prendiamo così com’è. Vuoi un sacchetto, Poppy?» mi guarda.
Il respiro di Martha è sempre più affannoso. Per un attimo temo che possa venir meno. «Bene!» dice infine. «Benissimo. Niente scatola, niente petali di rosa, niente messaggio...» Digita sul computer. «E come intende pagare, signore?» Sta chiaramente facendo appello a tutte le proprie forze per rimanere cortese. «Poppy?» Sam mi sollecita con un cenno della testa. Quando tiro fuori il portafoglio, Martha ha un’espressione così inorridita che per poco non muoio dall’imbarazzo. «Allora... lo paga lei l’anello, signora.» Riesce a malapena a pronunciare le parole. «Benissimo! Sì... benissimo. Non c’è assolutamente problema.» Digito il codice PIN e prendo la ricevuta. Nello showroom sono comparse altre ragazze grigio tortora, raccolte a gruppetti, che bisbigliano tra loro e mi guardano. Tutto il mio corpo gronda mortificazione. Sam, ovviamente, non si è accorto di niente. «Tornerete tutti e due a ritirarlo?» È chiaro che Martha sta facendo uno sforzo supremo per darsi un contegno mentre ci accompagna alla porta. «Ci sarà dello champagne ad attendervi e, naturalmente, vi faremo una foto da mettere nel vostro album.» Nei suoi occhi torna a risplendere una flebile luce. «È un momento così speciale, quando lui prende l’anello e lo infila per la prima volta al dito della sua ragazza...» «No, io ho passato fin troppo tempo qui dentro» dice Sam, guardando distrattamente l’orologio. «Non potete mandarlo a Poppy con un fattorino in bicicletta?» Questa per Martha sembra proprio la goccia che fa traboccare il vaso. Le lascio i miei dati e, mentre stiamo uscendo, esclama all’improvviso: «Posso dirle due parole sulla cura e la manutenzione, signora? Sarò brevissima». Mi afferra per il braccio e mi attira di nuovo nel negozio con una presa sorprendentemente forte. «Sono sette anni che vendo anelli di fidanzamento e non ho mai fatto niente di simile» mi bisbiglia preoccupata all’orecchio. «So che è un amico di Mark, ed è chiaramente un gran bell’uomo. Ma... è proprio sicura?» Quando alla fine esco dal negozio, Sam mi aspetta con aria impaziente. «Che cosa ti ha detto? Tutto bene?» «Sì! Tutto bene.» Ho la faccia rossa come un peperone e voglio andarmene al più presto. Mi guardo indietro e vedo Martha che parla concitata con le altre ragazze grigio tortora, indicando Sam con espressione indignata. «Che cosa succede?» Sam aggrotta la fronte. «Non avrà cercato di venderti l’anello più caro, spero, perché sennò vado a dire due parole a Mark...» «No! No, assolutamente.» Esito, quasi troppo imbarazzata per dirglielo. «Allora che cosa ti ha detto?» Sam mi scruta. «Credeva che tu fossi il mio fidanzato e che mi avessi fatto pagare l’anello di fidanzamento» ammetto alla fine. «Mi ha detto di non sposarti. Era molto preoccupata per me.»
Non sto a ripetere la teoria di Martha sulla generosità in fatto di gioielli e quella a letto, e sulla loro relazione di proporzionalità. 54 Vedo spuntare lentamente un barlume di consapevolezza sul viso di Sam. «Be’, divertente.» Scoppia a ridere. «Molto divertente. Ehi...» Esita. «Non volevi che te lo pagassi, vero?» «No, certo che no!» rispondo scioccata. «Non dire stupidaggini. Semplicemente, è un peccato che tutto il negozio ti abbia preso per uno spilorcio quando invece mi hai fatto un favore enorme. Mi dispiace molto.» Faccio una smorfia. Sam sembra perplesso. «Qual è il problema? A me non frega niente di quel che pensano di me.» «Deve pur importartene un po’.» «No, neanche un po’.» Lo guardo attentamente. Ha un’espressione tranquilla. Mi sa che è sincero. Non gliene importa niente. Ma come fa? Magnus si preoccuperebbe. Fa sempre lo scemo con le commesse e cerca di capire se lo riconoscono perché l’hanno visto in tivù. Una volta, al supermercato vicino a casa, gli avevano rifiutato la carta di credito, e il giorno dopo ha voluto per forza tornarci per spiegare che la sua banca era andata completamente in tilt il giorno prima. Oh, be’, in realtà non è che io mi senta poi così male. «Io vado a prendermi un caffè da Starbucks.» Sam si incammina. «Ne vuoi uno anche tu?» «Offro io.» Gli corro dietro. «Ti devo un favore. Un favore enorme.» Non devo tornare al centro prima della fine della pausa pranzo, perché ho convinto Annalise a scambiare la mattinata libera con me. Pagandole una tangente considerevole. «Ricordi che avevo accennato a un certo Sir Nicholas Murray?» dice Sam mentre apre la porta del locale. «Mi deve mandare un documento. Gli ho detto di usare il mio indirizzo di posta, ma se per errore dovesse mandarlo a te, ti prego di avvisarmi immediatamente.» «Okay. È abbastanza famoso, vero?» non posso fare a meno di aggiungere. «Nel 1985 non era al diciottesimo posto nella lista degli uomini più potenti del mondo?» Ieri sera ho fatto un po’ di ricerche su Google e adesso sono aggiornatissima su tutto quel che riguarda la società di Sam. So tutto. Potrei andare a “Mastermind”. Potrei fare una presentazione in PowerPoint. In effetti, mi piacerebbe che qualcuno me lo chiedesse! Cose che so della White Globe Consulting in ordine sparso: 1) È stata fondata nel 1982 da Nicholas Murray, e a un certo punto è stata acquistata da una grande multinazionale. 2) Sir Nicholas è ancora l’amministratore delegato. A quanto pare, riesce a influenzare positivamente l’atmosfera di una riunione con la sua mera comparsa,
e a bloccare un accordo in via di definizione semplicemente scuotendo la testa. Indossa sempre camicie a fiori. È un suo vezzo. 3) Il direttore finanziario era un protetto di Sir Nicholas, ma ha da poco lasciato la società. Si chiama Ed Exton. 55 4) L’amicizia fra Ed e Sir Nicholas si è deteriorata nel corso degli anni, al punto che Ed non è neppure andato al ricevimento per l’investitura a cavaliere di Sir Nicholas.56 5) Ultimamente c’è stato uno scandalo perché un certo John Gregson ha fatto una battuta politicamente scorretta a un pranzo e ha dovuto dare le dimissioni.57 Alcuni hanno pensato che non fosse giusto, ma a quanto pare la politica del nuovo presidente del consiglio di amministrazione è: “tolleranza zero per qualsiasi comportamento scorretto”. 58 6) Sir Nicholas al momento è consulente del Primo Ministro per una commissione speciale su “Felicità e benessere”, che è stata presa di mira da tutti i giornali. Uno di questi ha persino sostenuto che gli anni migliori di Sir Nicholas sono passati e ha pubblicato una vignetta che lo ritrae come un fiore dai petali avvizziti. (Non ne farò parola con Sam.) 7) L’anno scorso hanno vinto un premio per il loro programma di riciclaggio della carta. «A proposito, complimenti per il riciclaggio» aggiungo, smaniosa di sfoggiare la mia preparazione. «Ho letto la tua dichiarazione sul fatto che “la responsabilità ambientale è un punto irrinunciabile per un’azienda che aspiri all’eccellenza”. Verissimo. Anche noi ricicliamo.» «Che cosa...?» Sam sembra preso alla sprovvista, persino sospettoso. «Dove l’hai letto?» «È bastata una ricerca su Google. Non è illegale!» aggiungo, vedendo la sua espressione. «Ero solo interessata. Visto che mando mail a tutto spiano, ho pensato di informarmi un po’ sulla tua società.» «Ah, non ne dubito...» Sam mi lancia un’occhiata perplessa. «Un cappuccino doppio con aggiunta di schiuma, grazie.» «Allora Sir Nicholas è consulente del Primo Ministro! Che storia!» Stavolta neppure mi risponde. Sinceramente, non è un granché come ambasciatore. «Sei stato al Numero 10 di Downing Street?» insisto. «Com’è?» «Stanno aspettando la tua ordinazione.» Sam indica la barista. È chiaro che non ha intenzione di spifferare assolutamente nulla. Tipico. Ci si poteva aspettare che fosse contento del mio interesse per quel che fa. «Un caffelatte scremato, grazie.» Prendo il portafoglio. «E un muffin con scaglie di cioccolato. Lo vuoi anche tu?» «No, grazie.» Sam scuote la testa. «Probabilmente è meglio così» annuisco saggiamente. «Visto che ti rifiuti di andare dal dentista.» Sam mi lancia un’occhiata inespressiva, il che potrebbe significare “Non ti azzardare” o “Non ti sto ascoltando” o “In che senso, il dentista?”.
Comincio a capire come funziona. È come se avesse un interruttore “onoff”, e schiaccia “on” solo quando è interessato. Clicco sul browser in cerca di un’altra immagine rivoltante di denti schifosi e gliela inoltro senza dire nulla. «Per quel ricevimento al Savoy» dico, quando andiamo a prendere le nostre bevande «devi mandare la conferma della tua partecipazione.» «Ah, non ci vado» replica, come se fosse ovvio. «Perché no?» Lo guardo fisso. «Non ho nessun motivo particolare per andarci.» Alza le spalle. «E la prossima settimana è piena di impegni mondani.» Non ci posso credere. Come fa a non voler andare al Savoy? Dio mio, per certi uomini d’affari di alto livello dev’essere una cosa normalissima, vero? Champagne gratis, uffa che barba. Omaggi per gli ospiti, l’ennesima festa, che noia, che barba, che monotonia. «Allora dovresti avvisarli.» Fatico a nascondere la mia disapprovazione. «Anzi, li avviso io adesso. “Cara Blue, grazie infinite per l’invito”» leggo ad alta voce mentre digito. «“Purtroppo, stavolta Sam non potrà partecipare al ricevimento. Un caro saluto, Poppy Wyatt”.» «Non sei tenuta a farlo.» Sam mi sta fissando divertito. «Adesso mi sta aiutando una delle assistenti dell’ufficio. Si chiama Jane Ellis. Può farle lei, queste cose.» Sì, ma le farà davvero?, vorrei controbattere. So che c’è questa Jane Ellis che ha cominciato a comparire occasionalmente nella posta di Sam, ma in realtà lavora per Malcolm, il collega di Sam. Sono certa che l’ultima cosa che vuole è sobbarcarsi l’agenda di Sam oltre al suo lavoro abituale. «Non importa.» Mi stringo nelle spalle. «È diventato un vero tarlo per me.» I nostri bicchieri sono arrivati sul bancone e io gli passo il suo. «Allora... grazie di nuovo.» «Figurati.» Mi apre la porta. «Ti auguro di ritrovare l’anello. E appena il cellulare non ti servirà più...» «Lo so.» Lo interrompo. «Te lo mando con un corriere in un nanosecondo.» «Bene.» Mi concede un mezzo sorriso. «Spero che tutto si risolva per te.» Mi tende la mano e io gliela stringo cortesemente. «Lo spero anch’io per te.» Non gli ho neppure chiesto quando si sposa. Forse fra una settimana, come noi. Magari persino nella stessa chiesa. Arrivo e lo vedo sulla scalinata, accanto a Willow la strega che lo accusa di essere letale. Si allontana a lunghe falcate e io corro alla fermata dell’autobus. Dal 45 sta scendendo un fiume di passeggeri, e subito dopo salgo. Mi porterà a Streatham Hill, e da lì proseguirò a piedi. Sedendomi, guardo fuori e vedo Sam che cammina in fretta sul marciapiede, il viso impassibile, quasi di pietra. Non so se sia per via del vento o se sia stato urtato da un passante, fatto sta che ha la cravatta sbilenca e dà
l’impressione di non essersene accorto. Questo sì che è un tarlo. Non resisto alla tentazione di scrivergli un messaggino. Hai la cravatta storta. Aspetto circa trenta secondi, poi vedo la sua faccia illuminarsi per la sorpresa. Mentre si guarda intorno sul marciapiede, gli scrivo di nuovo: Sull’autobus. A questo punto l’autobus è partito, ma il traffico è intenso e io sto praticamente andando al passo con Sam. Mentre si raddrizza la cravatta, alza gli occhi e mi sorride. Devo ammetterlo, ha un sorriso davvero notevole. Da lasciare senza fiato, specialmente quando si manifesta all’improvviso. Sì, insomma... se si è nella condizione di poter rimanere senza fiato per qualcuno. Be’, non fa niente. È appena arrivata una mail di Lindsay Cooper e io la apro d’impulso. Caro Sam, grazie infinite! Le tue parole mi hanno fatto un grande piacere: è bello sapere di essere apprezzati!! Ho detto della tua risposta a tutto il team che mi ha aiutato a redigere il documento, e il morale è salito alle stelle! Un caro saluto, Lindsay L’ha mandata per conoscenza anche all’altro indirizzo di Sam, quindi l’avrà ricevuta sul cellulare. Un attimo dopo mi arriva un messaggio di Sam: Che cos’hai scritto a Lindsay? Non riesco a trattenere una risatina mentre gli scrivo: Buon compleanno, come mi hai detto tu. Cos’altro? Non vedo perché dovrei dirglielo. Sono capace anch’io di fare orecchie da mercante. Hai chiamato il dentista? rilancio. Aspetto un bel po’, ma siamo tornati al silenzio stampa. Mi è arrivata un’altra mail, stavolta da uno dei colleghi di Lindsay, e mentre la leggo non posso fare a meno di sentirmi vendicata. Caro Sam, Lindsay ci ha informato delle tue parole gentili sulla nostra strategia per il sito web. Il fatto che ti sia premurato di esprimere un parere ci ha onorati e rallegrati moltissimo. Grazie, non vedo l’ora di parlare con te di ulteriori iniziative, magari alla prossima riunione mensile. Adrian (Foster) A-ha. Visto? Visto? Mandare mail di due parole va benissimo. È efficace. Serve allo scopo. Ma il fatto è che poi sei antipatico a tutti. Ora il team del sito web sarà contento e ansioso di dare il meglio di sé. E tutto questo grazie a me! Sam dovrebbe affidarmi sempre la sua corrispondenza!
D’impulso, cerco la milionesima mail di Rachel sulla corsa di beneficenza e premo “rispondi”. Ciao Rachel, conta pure su di me per la corsa di beneficenza. È un’iniziativa fantastica e io sarò felice di sostenerla. Brava! Sam Sembra in forma. Può ben partecipare a una corsa di beneficenza, che diamine! Ormai ho preso l’abbrivio e vado a cercare quell’informatico che aveva chiesto gentilmente a Sam se poteva mandargli il suo CV e delle proposte per l’azienda. In fondo Sam dovrebbe incoraggiare la gente che desidera fare strada, no? Caro James, mi farebbe molto piacere leggere il tuo CV e ascoltare le tue idee. Prendi pure un appuntamento con Jane Ellis, e complimenti per lo spirito propositivo! Sam Adesso che ho cominciato, non riesco più a fermarmi. Mentre l’autobus procede sbuffando, mando una mail al tipo che vuole controllare la sicurezza e l’igiene della postazione lavorativa di Sam; scelgo un giorno e un orario, e poi scrivo a Jane perché lo segni sull’agenda.59 Mando una mail a Sarah, che è stata a casa per un herpes, e le domando se sta meglio. Tutte le mail che mi hanno assillato finora. Tutta quella povera gente ignorata, che cercava di entrare in contatto con Sam. Perché non dovrei rispondere al posto suo? Gli sto rendendo un grande servizio! Mi sembra di ripagarlo per il favore dell’anello. Perlomeno, quando restituirò il telefonino non ci sarà posta inevasa. Ah, perché non mandare anche una mail circolare per fare i complimenti a tutti? Perché no? Che male c’è? Cari collaboratori, voglio solo dire a tutti voi che in questi primi mesi dell’anno avete fatto un ottimo lavoro. Mentre scrivo, mi viene un’idea ancora migliore. Come sapete, tengo in gran conto le opinioni e le idee di tutti voi. Siamo fortunati, noi della White Globe Consulting, ad avere così tanti talenti, e io desidero valorizzarli al massimo. Se avete nuove proposte per la società da sottopormi, vi prego di mandarmele. Siate sinceri! I miei migliori auguri per il resto dell’anno, Sam Schiaccio “invia” con soddisfazione. Ecco fatto. A proposito di motivazione, o di spirito di squadra! Mi lascio andare contro lo schienale con le dita indolenzite da tutto quello scrivere. Bevo un sorso di caffelatte, prendo il muffin e me ne infilo un pezzo enorme in bocca nell’istante in cui comincia a suonare il cellulare. Merda. Proprio adesso.
Premo il tasto di risposta, mi porto il cellulare all’orecchio e cerco di dire: “Un attimo”, ma mi esce un verso gutturale e inarticolato. Ho la bocca piena di muffin appiccicoso. Che cavolo ci mettono in questa roba? «Sei tu?» È una voce maschile giovane e stridula. «Sono Scottie.» Scottie? Scottie? Ho un’illuminazione improvvisa. Scottie. Non era il nome di quell’amico di Violet che era saltato fuori in un’altra chiamata? Quella in cui si parlava di liposuzione? «Fatto. Proprio come dicevo. Un’operazione chirurgica. Niente tracce. Geniale, anche se me lo dico da solo. Adiós, Babbo Natale.» Sto masticando il muffin freneticamente, eppure non riesco a emettere un solo suono. «Ci sei? È questo il numero...? Oh, cazzo...» La voce sfuma proprio nel momento in cui riesco finalmente a inghiottire. «Pronto? Vuole lasciare un messaggio?» È andato. Controllo l’identità del chiamante, ma è un numero sconosciuto. Mi sarei aspettata, a questo punto, che tutti gli amici di Violet avessero il suo nuovo numero. Schiocco la lingua e infilo la mano in borsa per prendere il programma del Re Leone, che è ancora lì. “Ha chiamato Scottie” scrivo accanto al primo messaggio. “Fatto. Operazione chirurgica. Niente tracce. Geniale. Adiós, Babbo Natale.” Se dovessi mai incontrare questa Violet, spero che mi ringrazi per tutti gli sforzi che sto facendo. In effetti, mi auguro proprio di incontrarla. Non ho certo preso nota di tutti questi messaggi per niente. Sto per mettere via il cellulare, quando inizia a lampeggiare per l’arrivo di un’ondata di nuova posta elettronica. Saranno le prime risposte alla mia mail circolare? Do una scorsa e vedo, delusa, che si tratta perlopiù di messaggi aziendali di ordinaria amministrazione e di pubblicità. La penultima mail, però, mi fa rimanere di sasso. È del padre di Sam. Mi ero chiesta che fine avesse fatto. Esito, ma poi apro la mail. Caro Sam, mi domandavo solo se avessi ricevuto la mia ultima mail... Sai, non sono un grande esperto di tecnologia e può darsi che l’abbia mandata all’indirizzo sbagliato. Comunque, rieccomi. Spero che vada tutto bene e che continui a cavartela alla grande a Londra come sempre. Sai bene quanto siamo orgogliosi del tuo successo. Ti ho visto sulle pagine di economia del giornale. Straordinario. Ho sempre saputo che eri destinato a fare grandi cose. Come ti dicevo, vorrei tanto parlarti di una cosa. Non ti capita mai di passare per l’Hampshire? È tanto tempo che non ci vediamo, e ho nostalgia dei vecchi tempi. Con affetto, il tuo vecchio papà
Quando arrivo alla fine, ho gli occhi lucidi. Non posso crederci. Sam non ha mai risposto all’ultima mail? Non gli importa di suo padre? Hanno forse litigato? Non conosco la loro storia. Non ho idea di che cosa possa essere successo fra loro. So solo che c’è un padre seduto davanti a un computer, che tende la mano verso il figlio, ma la sua mano viene ignorata e io non lo sopporto. Non ce la faccio. Qualsiasi cosa sia accaduta, la vita è troppo breve per non fare pace. La vita è troppo breve per portare rancore. D’impulso premo “rispondi”. Non oso fingere di essere Sam con suo padre, questo sarebbe veramente troppo, ma posso stabilire un contatto. Posso far sapere a un vecchio uomo solo che la sua voce è stata ascoltata. Salve, sono l’assistente di Sam. Vorrei informarla che la settimana prossima, il 24 aprile, Sam parteciperà alla convention della sua società nell’Hampshire, al Chiddingford Hotel. Sono certa che sarà felice di incontrarla. Cordiali saluti Poppy Wyatt Schiaccio “invia” prima di poterci ripensare, poi rimango lì immobile per qualche secondo, un po’ agitata per quel che ho appena fatto. Mi sono spacciata per l’assistente di Sam. Ho contattato suo padre. Mi sono intromessa nella sua vita privata. Se lo sapesse, si infurierebbe... In effetti, al solo pensiero mi sento scoraggiata. A volte, però, bisogna osare. A volte bisogna mostrare alla gente quali sono le cose importanti della vita. E io ho la netta e profonda sensazione di aver fatto la cosa giusta. Magari non la più semplice, ma quella giusta. Mi immagino il padre di Sam seduto alla sua scrivania, la testa china, i capelli grigi. Il computer segnala l’arrivo di una nuova mail, lui la apre con un barlume di speranza... un sorriso di gioia gli sboccia in viso... si rivolge al suo cane, gli fa pat-pat sulla testa e dice: “Finalmente rivedremo Sam, ragazzo mio!”. 60 Sì. È stata la cosa più giusta da fare. Espiro lentamente e apro l’ultima mail inviata da Blue. Salve, ci dispiace molto che Sam non possa essere presente al ricevimento al Savoy. Intende forse far partecipare un’altra persona? La prego di segnalarmi il nominativo via mail, e sarà nostra cura aggiungerlo alla lista degli ospiti. Cordiali saluti, Blue L’autobus si è fermato a un semaforo sussultando. Do un altro morso al muffin e fisso la mail in silenzio. “Un’altra persona.” Potrebbe trattarsi di chiunque. Lunedì sera sono libera. Magnus ha un seminario tardi a Warwick. Okay. Il punto è questo. Non mi capiterà mai di essere invitata a una festa così lussuosa. Le fisioterapiste non ricevono inviti del genere. E gli appuntamenti
mondani di Magnus sono tutte presentazioni di libri accademici o austere cene universitarie. Non si tengono mai al Savoy. Non ci sono mai omaggi per gli ospiti, cocktail o jazz band. Questa è la mia unica possibilità. Forse è scritto nel mio karma. Sono entrata nella vita di Sam, l’ho cambiata in meglio... e questa è la mia ricompensa. Le mie dita si muovono prima ancora che io abbia deciso. Grazie infinite per la mail mi ritrovo a scrivere. Sam indica come sua sostituta Poppy Wyatt. 50 Immorale equivale a disonesto? Questa è una domanda che avrei potuto fare a Antony. In circostanze diverse. 51 Ed è un vero peccato, perché muoio dalla voglia di domandargli: com’è che Willow continua a mandarti messaggi attraverso di me, anche se a questo punto saprà di certo che non sono Violet? E che cosa significano tutte queste comunicazioni tramite la tua assistente? 52 Il che mi spinge a domandarmi: se oggigiorno è possibile fabbricare uno smeraldo, allora perché continuiamo a spendere soldi a palate per comprare quelli veri? E poi: non sarebbe il caso di comprarmi un paio di orecchini? 53 In effetti anche a me era sembrato un po’ caro, ma lo consideravo lo scotto da pagare. Di sicuro, non mi metterei mai a discutere sul prezzo in un negozio così chic, mai e poi mai. 54 “Potrei farle un grafico, Poppy. Un grafico.” 55 A-ha! Ovviamente, lo stesso Ed che era al Groucho Club, quello conciato peggio del solito. Chiamatemi Poirot. 56 Rubrica di gossip del “Daily Mail”. 57 In effetti, ricordo di aver visto un articolo in proposito sul giornale. 58 Meno male che non è il mio capo. Non posso dire altro. 59 So che mercoledì a pranzo è libero, perché un tale ha appena disdetto un appuntamento. 60 So che potrebbe anche non averlo, il cane. Però sono abbastanza sicura che ce l’abbia.
7 L’anello falso è perfetto! Okay, non proprio perfetto. È un filino più piccolo dell’originale e ha l’aria un po’ fasulla, ma chi se ne accorgerà senza poterlo paragonare all’altro? L’ho portato quasi tutto il pomeriggio ed è comodissimo. In effetti, è più leggero dell’originale, e questo è un vantaggio. Ora che ho terminato l’ultima seduta del giorno, sono al banco dell’accettazione con le dita delle mani bene in vista. Tutti i pazienti se ne sono andati, persino la cara signora Randall, con cui ho dovuto essere molto ferma. Le ho detto di non ripresentarsi per due settimane, che è perfettamente in grado di fare i suoi esercizi da sola a casa e che nulla le impedisce di tornare a giocare a tennis. A questo punto, naturalmente, ha sputato il rospo. Mi ha detto che temeva di deludere la sua compagna di doppio. Per questo veniva così spesso da noi: per ritrovare fiducia. Le ho detto che ormai era prontissima, e di mandarmi via SMS il risultato della sua prossima partita prima di tornare da me. Ho aggiunto che avrei giocato io con lei, se mai se ne fosse presentata l’occasione, e a quel punto si è messa a ridere e ha ammesso di essersi comportata da stupida. Poi, quando è andata via, Angela mi ha raccontato che la signora Randall è una tennista pazzesca, e una volta aveva partecipato al torneo di Wimbledon nella categoria Juniores. Wow. Per fortuna non abbiamo giocato insieme, allora, visto che io non so neanche fare il rovescio. Ora anche Angela se n’è andata. Siamo solo io, Annalise e Ruby e stiamo osservando l’anello in silenzio: si sente soltanto un temporale primaverile. Un attimo fa c’erano il sole e il vento, poi, di punto in bianco, la pioggia ha cominciato a picchiare sui vetri. «Ottimo.» Ruby annuisce energicamente. Oggi ha i capelli raccolti in una coda di cavallo che rimbalza ogni volta che muove la testa. «Fantastico. Impossibile accorgersene.» «Io me ne accorgerei» puntualizza subito Annalise. «Il verde non è uguale.» «Davvero?» Lo fisso sgomenta. «Il problema è: Magnus è un fine osservatore o no?» Ruby alza un sopracciglio. «Lo guarda mai, quell’anello?» «Non penso...» «Be’, magari per un po’ tieni le mani lontane da lui, per ogni evenienza.» «Tenere le mani lontane da lui? Come faccio?» «Dovrai contenerti!» dice acida Annalise. «Non può essere così difficile.» «E i suoi genitori?» domanda Ruby. «Lo vorranno vedere di sicuro. Ci incontreremo in chiesa, perciò non ci sarà molta luce, ma...» Mi mordo il labbro, improvvisamente nervosa. «Oddio, ma... sembra vero?» «Sì!» risponde subito Ruby.
«No» fa Annalise, con uguale fermezza. «Mi dispiace. Se lo osservi bene, no.» «Be’, allora non farglielo vedere!» dice Ruby. «Se cominciano a guardare troppo da vicino, distraili.» «E come?» «Svenendo, magari? Fingendo di avere un attacco di qualche tipo? Dicendo che sei incinta?» «Incinta?» La guardo e mi viene da ridere. «Sei pazza?» «Sto solo cercando di aiutarti» risponde sulla difensiva. «Magari sarebbero felici di sapere che sei incinta. Forse Wanda non vede l’ora di diventare nonna.» «No.» Scuoto la testa. «Assolutamente. Andrebbe fuori dai gangheri.» «Perfetto! Così non farebbe caso all’anello. Sarebbe occupata a rodersi il fegato.» Ruby annuisce soddisfatta, come se avesse risolto tutti i miei problemi. «Non voglio una suocera infuriata, grazie!» «Si arrabbierebbe comunque» fa notare Annalise. «Devi decidere che cosa è peggio. Nuora incinta o nuora inaffidabile che perde un inestimabile anello di famiglia? Io ti consiglierei la prima.» «Smettetela! Non dirò che sono incinta!» Guardo di nuovo l’anello e strofino lo smeraldo finto. «Secondo me andrà bene» dico, più che altro per convincere me stessa. «Anzi, benone.» «Non è Magnus quello?» domanda Ruby all’improvviso. «Dall’altra parte della strada.» Seguo il suo sguardo. Eccolo lì, con l’ombrello che lo ripara dalla pioggia, in attesa che scatti il verde. «Merda.» Mi raddrizzo e stringo con nonchalance la mano sinistra con la destra. No. Troppo innaturale. Mi infilo la mano sinistra nella tasca del camice, ma è minuscola e il braccio rimane in una posizione innaturale. «Non va bene.» Ruby mi sta guardando. «Non va bene per niente.» «Che cosa dovrei fare?» gemo. «Crema per le mani.» Prende il tubetto. «Vieni. Ti faccio una manicure, poi puoi lasciarci un po’ di crema sopra casualmente... di proposito.» «Geniale.» Do un’occhiata ad Annalise e sbatto le palpebre per la sorpresa. «Ehi... Annalise! Che cosa stai facendo?» A quanto pare, nei trenta secondi trascorsi da quando Ruby ha avvistato Magnus, Annalise si è ripassata il lucidalabbra e spruzzata del profumo, e ora è intenta a sfilare dei ciuffi sexy dallo chignon. «Niente!» dice con aria di sfida, mentre Ruby comincia a massaggiarmi le mani con la crema. Faccio appena in tempo a lanciarle uno sguardo sospettoso che Magnus compare sulla porta, scuotendo l’acqua dall’ombrello. «Ehilà, ragazze!» Si guarda intorno con un sorriso smagliante, neanche fossimo un pubblico entusiasta in attesa del suo ingresso in scena. E mi sa che è proprio così.
«Magnus! Da’ a me la giacca.» Annalise si precipita ad accoglierlo. «Non preoccuparti, Poppy. Stai facendo la manicure. Ci penso io. Ti va un tè, magari?» Oh. Tipico. La osservo mentre sfila la giacca di lino dalle spalle di Magnus. Non lo sta facendo un po’ troppo lentamente? Non sta indugiando un po’? E poi perché lui dovrebbe togliersi la giacca? Stiamo per andarcene. «Abbiamo quasi finito.» Guardo Ruby. «Vero?» «Non c’è fretta» dice Magnus. «Abbiamo un bel po’ di tempo.» Si guarda intorno nella reception e inspira a fondo, come se si stesse godendo uno splendido panorama. «Mmh... Ricordo la prima volta che sono venuto qui come se fosse ieri. E tu, Pops? Dio, è stato fantastico, vero?» Incrocia il mio sguardo con una luce allusiva negli occhi, e io gli lancio subito un messaggio telegrafico: Taci, idiota. Finirà per mettermi in guai seri. «Come va il polso, Magnus?» Annalise gli si avvicina con una tazza di tè. «Poppy non ti ha fissato un appuntamento di controllo dopo tre mesi?» «No.» Pare colto alla sprovvista. «Perché? Avrebbe dovuto?» «Il tuo polso è a posto» dico in tono deciso. «Posso dare un’occhiata?» Annalise mi ignora completamente. «Sai, adesso Poppy non potrebbe neanche più averti in cura. Conflitto di interessi.» Gli afferra il polso. «Dov’è che senti dolore, esattamente? Qui?» Gli sbottona il polsino e gli sfiora il braccio. «Qui?» La sua voce si fa leggermente più profonda, e lo guarda sbattendo le ciglia. «O forse... qui?» Okay. Ha passato ogni limite. «Grazie, Annalise!» Le sfodero un sorriso radioso. «Ma sarà meglio che andiamo in chiesa, noi due, per le prove delle nozze» aggiungo seccamente. «A proposito.» Magnus aggrotta un attimo la fronte. «Poppy, posso dirti un paio di cose veloci? Possiamo andare un attimo nel tuo studio?» «Ah.» Ho un vago presentimento. «Okay.» Persino Annalise sembra colta di sorpresa, e Ruby alza le sopracciglia. «Un tè, Annalise?» propone. «Noi aspettiamo qui fuori. Non c’è fretta.» Mentre faccio strada a Magnus, comincio a rimuginare in preda al panico totale. Ha saputo dell’anello. Dello Scarabeo. Di tutto. Gli è venuta un po’ di fifa. Vuole una moglie con cui parlare di Proust. «Questa porta si chiude?» Traffica con la chiave e un attimo dopo l’ha chiusa. «Ecco fatto. Ottimo!» Quando si gira, ha una luce inconfondibile negli occhi. «Dio mio, Poppy, sei in forma smagliante.» Ci metto cinque secondi a capire l’antifona. «Cosa? No. Magnus, stai scherzando!?» Si avvicina con un’espressione decisa che conosco molto bene. Non se ne parla. Non se ne parla e basta. «Smettila!» Appena si avventa sul primo bottone del camice, lo spingo via. «Sono sul posto di lavoro!»
«Lo so.» Chiude gli occhi un attimo, come se fosse all’apice della beatitudine. «Non so che cosa mi faccia questo posto. Forse è il camice. Tutto questo bianco.» «Be’, peccato.» «Anche tu lo vuoi e lo sai.» Mi mordicchia un lobo. «Dài...» Sa tutto dei miei lobi, accidenti a lui. Per un attimo – solo un attimo – perdo leggermente la concentrazione. Poi, però, mentre sferra un altro attacco ai bottoni del camice, torno di colpo alla realtà. Ruby e Annalise sono a un metro di distanza, dietro la porta.61 Non deve succedere. «No! Magnus, pensavo che volessi parlare di una cosa seria! Del matrimonio o di qualcosa del genere!» «E perché avrei dovuto?» Sta schiacciando il bottone che fa reclinare completamente lo schienale del lettino. «Mmh, mi ricordo questo letto.» «Non è un letto, è un lettino professionale!» «Quello è olio da massaggio?» Ha preso una bottiglietta appoggiata lì vicino. «Ssh!» faccio. «Ruby è lì fuori! Mi sono già beccata un colloquio disciplinare...» «Che cos’è? Uno strumento per l’ecografia?» Afferra la sonda. «Scommetto che potremmo divertirci con questo. Si scalda?» All’improvviso gli luccicano gli occhi. «Vibra?» È come dover tenere a bada un bambino piccolo. «Non possiamo! Mi dispiace.» Mi allontano, mettendo il lettino fra noi. «Non possiamo. Non si può e basta.» Mi liscio il camice. Per un attimo temo che possa mettersi a urlare, tanto si è incupito. «Mi dispiace» ripeto. «Ma è come chiedere a te di fare sesso con una studentessa. Ti licenzierebbero. La tua carriera sarebbe finita!» Magnus sembra sul punto di obiettare, ma poi decide di tenere per sé quel che stava per dire. «Okay, benissimo.» Scrolla le spalle contrariato. «Benissimo. Che cosa dovremmo fare, allora?» «Un sacco di cose!» dico briosa. «Due chiacchiere? Parlare di cose che riguardano il matrimonio? Mancano solo otto giorni!» Magnus non risponde. Non ne ha bisogno. La sua mancanza di entusiasmo è palpabile come una sorta di energia psichica. «O bere qualcosa?» suggerisco alla fine. «Abbiamo tempo per fare un salto al pub prima di andare in chiesa.» «Va bene» risponde fiaccamente. «Andiamo al pub.» «Torneremo qui» gli dico per ammansirlo. «Un altro giorno. Magari durante un weekend.» Che cosa cavolo gli sto promettendo? Oddio. Be’, ci penserò quando sarà il momento. Mentre usciamo dalla stanza, Ruby e Annalise alzano ostentatamente lo sguardo dalle riviste che ovviamente non stavano leggendo.
«Tutto bene?» domanda Ruby. «Sì, benissimo!» Mi liscio la gonna. «Solo... chiacchiere sul matrimonio. Velo, confetti, roba del genere. In ogni caso, sarà meglio che andiamo...» Ho appena visto di sfuggita la mia immagine riflessa nello specchio. Ho le guance infuocate e sto sparando stupidaggini. Mi sto tradendo da sola. «Spero che vada tutto bene.» Ruby dà un’occhiata significativa all’anello, poi a me. «Grazie.» «Mandaci un SMS!» interviene Annalise. «Tienici informate. Moriamo dalla voglia di sapere!» Il punto su cui concentrarsi è questo: l’anello è riuscito a ingannare Magnus. Se ci è cascato lui, ci cascheranno sicuramente anche i suoi genitori, no? Quando arriviamo alla chiesa parrocchiale di St Edmund, mi sento più ottimista di quanto lo sia stata negli ultimi tempi. È una grande chiesa, a Marylebone, e l’abbiamo scelta perché è bellissima. Mentre entriamo, qualcuno sta provando un pezzo chiassoso all’organo. Le panche sono decorate con fiori rosa e bianchi per un altro matrimonio, e c’è un’atmosfera di attesa generale. All’improvviso ho un brivido di eccitazione. Fra otto giorni toccherà a noi! La chiesa sarà decorata con festoni di seta e mazzi di fiori bianchi. Tutti i miei amici e parenti attenderanno entusiasti. Il trombettista lassù, nella galleria dell’organo, io con il mio vestito bianco e Magnus all’altare, con il suo gilet griffato.62 Sta per succedere davvero! Wanda è già in chiesa, intenta a osservare qualche vecchia statua. Quando si gira, mi costringo ad agitare la mano con aria sicura, come se andasse tutto alla grande, noi fossimo amiche per la pelle e lei non mi mettesse affatto in soggezione. Magnus ha ragione, mi dico. Me la sono presa troppo. Mi sono fissata. Probabilmente non vedono l’ora di accogliermi in famiglia. In fin dei conti, li ho battuti a Scarabeo, no? «Ti rendi conto?» Gli stringo il braccio. «Ormai non manca più così tanto!» «Pronto?» Magnus risponde al cellulare, che evidentemente era in modalità vibrazione. «Ah, ciao, Neil.» Fantastico. Neil è lo studente più appassionato di Magnus e sta scrivendo una tesi sui simboli nell’opera dei Coldplay.63 Rimarranno a parlare al telefono per ore. Magnus si scusa muovendo solo le labbra, senza emettere suono, ed esce dalla chiesa. Forse sarebbe stato il caso di spegnere il cellulare. Io il mio l’ho spento. Be’, comunque non importa. «Ciao!» esclamo quando Wanda mi viene incontro lungo la navata centrale. «Che piacere rivederti! Che bella atmosfera, eh?» Non sto esattamente sfoggiando la mano inanellata, ma non la sto neppure nascondendo. Una mano neutrale. La Svizzera delle mani.
«Poppy.» Wanda si lancia a baciarmi la guancia nel solito modo plateale. «Cara ragazza, lascia che ti presenti Paul. Dov’è finito? A proposito, come va l’ustione?» Per un attimo resto paralizzata. Paul. Il dermatologo. Merda. Me n’ero dimenticata. Come ho potuto scordarmi di lui? Come ho fatto a essere così stupida? Ero così contenta di aver trovato la copia dell’anello da dimenticarmi di aver detto di essere ferita a morte. «Ti sei tolta la benda» osserva Wanda. «Eh.» Deglutisco. «Sì, infatti. Perché... in realtà la mano è molto migliorata. Molto.» «La prudenza non è mai troppa, neppure con le ferite lievi.» Wanda mi sta conducendo lungo la navata e a me non resta che seguirla obbediente. «Un nostro collega di Chicago ha battuto un dito del piede e ha fatto finta di niente, poi, di punto in bianco, si è ritrovato all’ospedale con una cancrena! Ho detto a Antony...» Wanda si interrompe. «Eccola. La fidanzata. La promessa sposa. La paziente.» Antony e un uomo anziano che indossa un maglione con lo scollo a V distolgono lo sguardo da un dipinto appeso a una colonna di pietra e lo rivolgono a me. «Poppy» dice Antony «ti presento il nostro vicino di casa, Paul McAndrew, uno dei più stimati professori di dermatologia del paese. Specializzato in ustioni, pensa un po’ che fortuna!» «Fantastico!» La mia voce è uno squittio nervoso, e le mie mani si sono dileguate dietro la mia schiena. «Be’, come dicevo, è migliorata molto...» «Vediamo» dice Paul in tono pratico e cortese. Non c’è via di scampo. Mostruosamente a disagio, allungo lentamente la mano sinistra. Tutti guardano in silenzio la mia pelle liscia e intatta. «Dov’era esattamente l’ustione?» domanda Paul alla fine. «Ah... qui.» Mi indico il pollice in modo vago. «Era una scottatura? Una bruciatura di sigaretta?» Mi afferra la mano e me la sta tastando con tocco esperto. «No. Me la sono scottata su un... termosifone.» Deglutisco. «Mi faceva un male terribile.» «Si era bendata tutta la mano.» Wanda pare divertita. «Sembrava una vittima di guerra! Appena ieri!» «Capisco.» Il dottore mi lascia andare la mano. «Be’, adesso sembra a posto, no? Senti dolore? Un po’ di sensibilità?» Scuoto la testa, rimanendo muta. «Ti prescrivo una crema emolliente» dice con gentilezza «nel caso dovessero ripresentarsi i sintomi. Va bene?» Gli sguardi di Wanda e Antony si incrociano. Fantastico. Mi hanno chiaramente preso per un caso clinico di ipocondria. Be’... pazienza. Non importa. Me ne farò una ragione. Sarò l’ipocondriaca della famiglia. Passerà per una delle mie stranezze. C’è di peggio. Almeno non
hanno esclamato: “Che accidenti hai fatto del nostro inestimabile anello e che cos’è quella patacca che porti al dito?”. Come se mi avesse letto nel pensiero, Wanda mi guarda di nuovo la mano. «L’anello di smeraldo di mia madre, hai visto, Antony?» Indica la mia mano. «Magnus l’ha regalato a Poppy quando le ha fatto la proposta di matrimonio.» Okay. Di sicuro non me lo sto immaginando io: la sua voce è chiaramente tesa, e adesso sta lanciando a Antony un’occhiata eloquente. Che cosa significa? Che voleva tenersi l’anello? Che Magnus non avrebbe dovuto darmelo? Ho l’impressione di essere finita per sbaglio in una delicata situazione familiare a me incomprensibile, che loro non mi spiegheranno perché sono troppo educati, e io non saprò mai che cosa pensano davvero. Ma se è un anello tanto speciale, come ha fatto a non notare che questo è falso? Provo un’irrazionale delusione nei confronti dei Tavish – solo un pochino, s’intende – per la loro mancanza di perspicacia. Si credono tanto intelligenti e poi non riescono neppure a riconoscere uno smeraldo finto. «Un super anello di fidanzamento» dice Paul in tono cortese. «È un pezzo veramente raro, si capisce.» «Non c’è dubbio!» Annuisco. «È antico. Unico.» «Ah, Poppy!» dice Antony, che ha appena finito di osservare una statua vicino a noi. «Adesso che mi ricordo, avevo una domanda da farti.» A me? «Ah, okay» dico sorpresa. «Volevo chiederlo a Magnus, ma credo che sia più il tuo campo che il suo.» «Spara.» Gli sorrido educatamente, aspettandomi una domanda sul matrimonio, tipo “Quante damigelle d’onore ci saranno?” o “Che fiori avete scelto?” o addirittura “Sei rimasta sorpresa quando Magnus ti ha fatto la proposta di matrimonio?”. «Che cosa pensi del nuovo libro di McDowell sugli stoici?» Mi fissa intensamente negli occhi. «Come lo valuti in rapporto all’opera di Whittaker?» Per un attimo sono troppo stordita per reagire. Eh? Cosa penso di che cosa? «Ah, sì!» Wanda annuisce vigorosamente. «Sai, Paul, Poppy è una specie di esperta di filosofia greca. Ci ha beffati tutti, a Scarabeo, con la parola “aporia”. È vero o no?» Non so come, riesco a continuare a sorridere. Aporia. Era una delle parole che mi aveva scritto Sam. In quel momento, dopo qualche bicchiere di vino, ero abbastanza spavalda. Ho un vago ricordo di me che allineo le tessere e dico che la filosofia greca è uno dei miei grandi interessi. Perché? Perché, perché, perché? Se potessi tornare indietro nel tempo, lo fermerei in quel preciso istante e mi direi: “Poppy! Piantala!”. «Esatto!» Abbozzo un sorriso rilassato. «Aporia! Be’, comunque, chissà dov’è il parroco...»
«Stamattina, mentre stavamo leggendo il supplemento letterario del “Times”» Antony ignora il mio tentativo di cambiare discorso «abbiamo visto un articolo su questo nuovo libro di McDowell e ci siamo detti: “Di sicuro, Poppy sarà informata”.» Mi guarda pieno di aspettative. «McDowell ha ragione a proposito delle virtù del Quarto secolo?» Mi sento male. Perché cavolo mi sono spacciata per un’esperta di filosofia greca? Che diamine mi è saltato in mente? «Veramente non ho ancora avuto modo di dedicarmi al libro di McDowell.» Mi schiarisco la gola. «Anche se naturalmente l’ho messo nella lista dei libri da leggere.» «Secondo me, lo stoicismo è stato spesso equivocato come filosofia. Non credi anche tu, Poppy?» «Certo» annuisco io, tentando di darmi un tono il più possibile competente. «C’è un equivoco enorme. Senza dubbio.» «Secondo il mio modo di vedere, gli stoici non erano imperturbabili.» Gesticola come se stesse tenendo un discorso davanti a una platea di trecento persone. «Solo che attribuivano molto valore alla forza d’animo. A quanto pare, erano talmente impassibili di fronte all’ostilità che i loro aggressori si domandavano se non fossero fatti di pietra.» «Straordinario!» dice Paul con una risata. «Dico bene, Poppy?» Antony si gira verso di me. «Quando i galli attaccarono Roma, i vecchi senatori rimasero seduti nel foro, ad aspettarli con calma. I guerrieri rimasero così sbalorditi dal loro atteggiamento imperturbabile da scambiarli per statue. Un gallo arrivò persino a tirare la barba a un senatore.» «Esatto.» Annuisco sicura. «Proprio così.» Finché Antony continuerà a parlare e io a concordare, andrà tutto bene. «Che storia intrigante! E poi che cos’è successo?» Paul mi fissa con aria interrogativa. Guardo Antony per sapere la risposta, ma anche lui sta aspettando che parli io. Così come Wanda. Tre eminenti professori. Tutti in attesa che io spieghi loro la filosofia greca. «Be’!» Faccio una pausa di riflessione, come se mi stessi chiedendo da dove cominciare. «Be’, insomma, è stato... per molti versi... interessante. Per la filosofia. E per la Grecia. E per la storia. E l’umanità. In effetti, si potrebbe dire che fu il momento più significativo della gre...cità.» Mi interrompo, sperando che nessuno si renda conto che non ho risposto alla domanda. C’è un momento di silenzio perplesso. «Ma che cosa è successo?» domanda Wanda un po’ impaziente. «Be’, ovviamente i senatori furono massacrati» dice Antony con una scrollata di spalle. «Ma quel che volevo domandare a te, Poppy, era...» «Che magnifico dipinto!» esclamo disperatamente, indicando un quadro appeso a un pilastro. «Guardate!» «Ah, quello sì che è interessante.» Si allontana per dare un’occhiata. C’è di buono che Antony ha una curiosità insaziabile e quindi è abbastanza facile da distrarre.
«Scusate, devo controllare una cosa sulla mia agenda...» dico in fretta. «Vado...» Mi tremano leggermente le gambe mentre fuggo verso una panca vicina. È un disastro. Adesso dovrò fingere di essere un’esperta di filosofia greca per il resto dei miei giorni. A ogni Natale e a ogni raduno familiare dovrò esprimere un parere sulla filosofia greca, oltre a recitare le poesie di Robert Burns. Non avrei mai dovuto barare, mai. È il mio karma. La mia punizione. In ogni caso, è troppo tardi. Ormai l’ho fatto. Dovrò iniziare a prendere appunti. Tiro fuori il cellulare, apro una nuova mail e comincio a buttare giù un elenco. COSE DA FARE PRIMA DEL MATRIMONIO 1) Diventare un’esperta di filosofia greca. 2) Studiare a memoria le poesie di Robert Burns. 3) Imparare paroloni per lo Scarabeo. 4) Ricordare: sono un’IPOCONDRIACA. 5) Manzo alla Stroganoff. Farselo piacere. (Ipnosi?)64 Guardo la lista per qualche secondo. Può andare. Posso diventare una persona così. Non è poi tanto diversa da me. «Be’, naturalmente, sapete bene quel che penso io dell’arte nelle chiese...» Antony parla ad alta voce. «È assolutamente scandalosa...» Mi faccio piccola piccola per evitare di essere coinvolta nella conversazione. Tutti sanno quel che Antony pensa dell’arte nelle chiese, soprattutto perché ha lanciato una campagna nazionale per trasformare le chiese in gallerie d’arte e cacciare tutti i preti. Qualche anno fa è andato in tivù e ha detto: “Tesori come questi non dovrebbero essere lasciati nelle mani dei filistei”. La frase aveva suscitato un grande clamore, tanto che i giornali avevano pubblicato articoli con titoli tipo Professore attacca i religiosi: “Filistei!”65 e Prof sparla dei preti (quest’ultimo sul “Sun”). Vorrei solo che abbassasse la voce. E se il prete lo sente? Non è esattamente delicato nei suoi confronti. E ora si mette a commentare il programma della funzione religiosa. «“Amatissimi fratelli e sorelle.”» Fa la sua risatina sarcastica. «Amatissimi da chi? Dalle stelle e dal cosmo? Qualcuno si aspetta davvero che noi crediamo all’esistenza, lassù, di un essere benevolo che ci ama? “Al cospetto di Dio”? Ma ti pare, Wanda? Sciocchezze assurde per persone deboli di pensiero.» All’improvviso vedo il parroco della chiesa che si avvicina lungo la navata centrale. Dalla sua espressione torva, si capisce che ha sentito. Ahi. «Buonasera, Poppy.» Mi alzo in fretta dalla panca. «Buonasera, reverendo Fox! Come va? Stavamo giusto parlando della bellezza di questa chiesa.» Sorrido incerta. «Sì, infatti» ribatte lui gelido. «Conosce già...» Deglutisco. «Conosce il mio futuro suocero? Il professor Antony Tavish.»
Per fortuna Antony gli stringe la mano abbastanza gentilmente, ma l’atmosfera rimane elettrica. «Allora, professor Tavish, era impegnato in una lettura?» chiede il reverendo Fox. «Dalla Bibbia?» «Non direi.» Antony scruta il prete con un luccichio negli occhi. «Infatti, non mi pareva.» Il reverendo Fox ricambia il sorriso con aggressività. «Non è proprio la sua lettura preferita, diciamo.» Oddio, l’ostilità fra i due fa sfrigolare l’aria. È il caso di buttare lì una battuta per alleggerire la tensione? Forse no. «Allora, Poppy, saranno i tuoi fratelli ad accompagnarti all’altare?» Il reverendo Fox controlla i suoi appunti. «Sì, esatto.» Annuisco. «Toby e Tom. Mi condurranno sottobraccio lungo la navata.» «I tuoi fratelli!» dice Paul, incuriosito. «Che bella idea. Ma perché non tuo padre?» «Perché mio padre è...» Esito. «Be’, veramente tutti e due i miei genitori sono morti.» Eccolo che cala, come la notte alla fine del giorno: il silenzio imbarazzato. Fisso il pavimento di pietra, conto i secondi e aspetto con pazienza che passi. Quanti silenzi pieni d’imbarazzo ho causato negli ultimi dieci anni? Succede sempre alla stessa maniera. Nessuno sa più dove guardare. Se non altro, stavolta non cercano di abbracciarmi. «Cara ragazza» dice Paul costernato. «Sono così dispiaciuto...» «Non c’è problema!» lo interrompo briosa. «Davvero. È stato un incidente. Dieci anni fa. Non ne parlo mai. Non ci penso neppure. Non più.» Gli faccio il sorriso più scoraggiante che mi viene. Non ho nessuna intenzione di parlarne. Non lo faccio mai. È tutto ripiegato nella mia mente. Impacchettato e messo via. Nessuno vuole ascoltare le storie tristi, questa è la verità. Ricordo che una volta il mio tutor al college mi ha chiesto se stavo bene e se volevo parlare. Appena ho cominciato, mi ha detto: “Non devi perdere la fiducia, Poppy!” in un modo così brusco che in realtà intendeva: “Veramente non ho nessuna voglia di ascoltarti, quindi per piacere dacci un taglio”. C’era un gruppo di supporto, ma io non ci sono andata. Si sovrapponeva agli allenamenti di hockey. In ogni caso, che cosa c’è da dire? I miei genitori sono morti. I miei zii ci hanno accolto a casa loro. I miei cugini erano già andati via di casa, e quindi c’erano le camere da letto e tutto il resto. È andata così. Non c’è altro da dire. «Che splendido anello di fidanzamento, Poppy» osserva alla fine il reverendo Fox, e tutti approfittano immediatamente della distrazione. «Vero che è bellissimo? È antico.» «Un cimelio di famiglia» aggiunge Wanda.
«Molto speciale.» Paul mi dà un buffetto gentile sulla mano. «Un pezzo assolutamente unico.» Il portone sul retro si apre con un clangore di chiavistelli. «Scusate il ritardo» dice una voce familiare e penetrante. «È stata una giornata assurda.» Percorrendo a lunghi passi la navata e portando con sé alcune borse piene di seta, arriva Lucinda. Indossa uno chemisier beige, ha un paio di occhiali da sole enormi sopra la testa e sembra contrariata. «Reverendo Fox! Ha ricevuto la mia mail?» «Sì, Lucinda» risponde il prete, provato. «L’ho ricevuta. Temo che i pilastri della chiesa non possano per nessuna ragione essere colorati d’argento con lo spray.» Lucinda si blocca all’improvviso e una pezza di seta grigia comincia a srotolarsi per la navata. «Ah, no? E io che cosa faccio? Ho promesso al fiorista colonne d’argento!» Si lascia cadere su una panca vicina. «’Sto cavolo di matrimonio. Se non è una cosa, è l’altra...» «Lucinda, cara, non preoccuparti» la rassicura affettuosamente Wanda. «Te la stai cavando di sicuro a meraviglia. Come sta tua madre?» «Oh, lei sta bene.» Lucinda agita la mano. «Non è che io riesca a vederla, però. Sono sempre con l’acqua alla gola per questo... Dov’è quell’imbecille di Clemency?» «A proposito, ho prenotato le auto» mi affretto a dire. «Tutto fatto. E anche i confetti. Mi domandavo, però, se non sia il caso di ordinare dei fiori all’occhiello per gli uscieri...» «Se tu potessi» replica con una certa stizza «mi faresti un piacere.» Alza lo sguardo e sembra vedermi per la prima volta. «Ah, Poppy! Almeno ho una buona notizia da darti: ho trovato il tuo anello. Era rimasto impigliato nella fodera della mia borsetta.» Tira fuori l’anello di smeraldo e me lo porge. Sono talmente sbalordita che riesco solo a sbattere le palpebre. L’originale. Il mio vero, antico, inestimabile anello di fidanzamento. Lì, davanti a me. Come ha potuto...? Che accidenti...? Non riesco a guardare in faccia nessuno, eppure sento gli sguardi sbalorditi saettare intorno a me come raggi laser dall’anello falso a quello vero e ritorno. «Non capisco...» comincia finalmente Paul. «Che cosa succede qui?» Magnus percorre a grandi falcate la navata centrale osservando la scena. «Qualcuno ha visto un fantasma? Lo Spirito Santo?» Ride per la sua battuta, ma nessuno lo segue. «Se quello è l’anello...» Wanda sembra avere ritrovato la voce. «Allora, che cos’è questo?» Indica l’anello falso che ho al dito, che adesso, al confronto, ovviamente sembra una cosetta.
Ho la gola così stretta che faccio fatica a respirare. Devo per forza salvare la situazione. In qualche modo. Non devono sapere che ho perso l’anello. «Sì! Io... pensavo di farvi una sorpresa.» Non so come, trovo qualche parola da dire e riesco a sorridere. Mi sembra di camminare su un ponte che devo costruire io stessa, mentre procedo, con delle carte da gioco. «In effetti... mi sono fatta fare una copia!» Cerco di parlare con nonchalance. «Perché ho prestato l’originale a Lucinda.» Le lancio uno sguardo disperato, pregando che mi dia corda. Per fortuna, sembra essersi resa conto della gaffe che ha fatto. «Sì!» si affretta a dire. «Certo. L’ho preso io per... per...» «... ragioni di design.» «Infatti! Abbiamo pensato che l’anello potesse essere d’ispirazione per...» «Per gli anelli dei tovaglioli» improvviso io. «Anelli di smeraldo per i tovaglioli. Alla fine abbiamo deciso di non farlo» mi premuro di aggiungere. C’è un gran silenzio. Mi faccio coraggio e mi guardo intorno. Wanda si è incupita. Magnus sembra perplesso. Paul ha fatto un passo indietro rispetto al gruppo, come a dire: “Io non c’entro niente”. «Allora... grazie infinite.» Con mano tremante, prendo l’anello da Lucinda. «Adesso... me lo rimetto.» Sono arrivata alla sponda opposta del fiume e mi sto aggrappando all’erba. Ce l’ho fatta. Grazie a Dio. Mentre mi tolgo l’anello falso, lo lascio cadere in borsa e torno a infilarmi quello vero, però, il mio cervello va su di giri. Com’è che Lucinda ha l’anello? E la signora Fairfax? Che cavolo sta succedendo? «Scusa, amore, ma perché mai ti sei fatta fare una copia?» Magnus sembra completamente stranito. Lo fisso, cercando disperata di farmi venire in mente qualcosa. Perché mi sarei dovuta prendere la briga di farmi fare un anello finto, con tutto quel che costa? «Perché ho pensato che sarebbe stato bello averne due» butto là debolmente dopo un momento di silenzio. Oddio. No. Non va bene. Avrei dovuto dire: per i viaggi. «Volevi avere due anelli?» Wanda sembra quasi senza parole. «Be’, spero che il desiderio non riguardi anche il marito, oltre che l’anello di fidanzamento!» dice Antony con un umorismo greve. «Dico bene, Magnus?» «Ah ah ah!» Scoppio in una risata forte, sincopata. «Ah ah ah! Bella questa! Be’, comunque...» Mi rivolgo al reverendo Fox, cercando di nascondere la mia disperazione. «Possiamo cominciare?» Mezz’ora dopo mi tremano ancora le gambe. Non me la sono mai vista tanto brutta in vita mia. Non sono del tutto sicura che Wanda mi creda. Continua a lanciarmi occhiate sospettose, e poi mi ha chiesto quanto costa un anello falso, e dove me lo sono fatto fare, e tutta una serie di altre domande a cui non avevo alcuna voglia di rispondere. Che cosa crede? Che volessi vendere l’originale o cos’altro?
Ci siamo esercitati a percorrere il corridoio centrale della chiesa e a tornare indietro insieme, e ci hanno detto dove ci dovremo inginocchiare per firmare il registro. Ora il parroco ha appena suggerito di provare a ripetere i voti. Io, però, non ci riesco. Non riesco a dire quelle parole magiche in presenza di Antony, sempre pronto a fare i suoi commenti da intelligentone e a ironizzare su ogni frase. Al matrimonio sarà diverso. Dovrà per forza tenere la bocca chiusa. «Magnus» bisbiglio, prendendolo da parte. «Non pronunciamo i voti, oggi. Non mi va davanti a tuo padre. Sono parole troppo speciali per essere rovinate.» «Okay.» Sembra sorpreso. «Per me è uguale.» «Diciamole una volta sola: il giorno del matrimonio.» Gli stringo una mano. «Quando hanno davvero valore.» Anche se Antony non ci fosse, mi rendo conto che non mi andrebbe di anticipare il grande momento. Non voglio fare le prove. Renderebbero l’esperienza del matrimonio un po’ meno unica. «Sì, sono d’accordo.» Magnus annuisce. «Allora... abbiamo finito?» «No, non abbiamo finito!» dice Lucinda indignata. «Neanche per sogno! Voglio che Poppy percorra di nuovo la navata. Sei andata decisamente troppo in fretta rispetto alla musica.» «Okay.» Mi stringo nelle spalle e vado in fondo alla chiesa. «Organo, prego!» strilla Lucinda. «Or-ga-no! Dall’entrata! Scivola morbidamente, Poppy» mi ordina, mentre le passo accanto. «Tu vai a scatti! Clemency, dove sono i nostri tè?» Clemency è appena tornata dal bar, e con la coda dell’occhio la vedo aprire freneticamente bustine di zucchero. «Ti aiuto io!» le dico, interrompendo il passo scivolato. «Che cosa posso fare?» «Grazie» bisbiglia Clemency quando mi avvicino. «Antony vuole tre bustine di zucchero, Magnus prende il cappuccino, Wanda i biscotti...» «Dov’è il mio muffin con doppio cioccolato e crema extra?» dico corrugando la fronte, e Clemency salta su come una molla. «Non l’ho... Posso tornare...» «Scherzo!» dico. «Stavo solo scherzando!» Più lavora per Lucinda, più assomiglia a un coniglio terrorizzato. Non le fa di sicuro bene. Lucinda prende il suo tè (con latte e senza zucchero) con un cenno impercettibile della testa. Sembra di nuovo inviperita, e ha dispiegato sulle panche un foglio enorme. È così pieno di sottolineature, appunti e Post-it che sembra incredibile che sia riuscita a organizzare qualcosa. «Oddio, oddio» sta dicendo sottovoce. «Dov’è il numero di quel cavolo di fiorista?» Sfoglia un mazzetto di pagine e poi si mette le mani nei capelli, disperata. «Clemency!» «Vuoi che te lo cerchi su Google?» le propongo. «Lo farà Clemency. Clemency!» La povera Clemency sobbalza così forte da rovesciare un po’ di tè da un bicchiere.
«Passalo a me» intervengo in fretta, liberandola dal vassoio del bar. «Se potessi, Poppy, mi faresti davvero un favore.» Lucinda sospira esasperata. «Perché siamo tutti qui per te, Poppy. Manca solo una settimana al matrimonio, e c’è ancora una quantità paurosa di cose da fare.» «Lo so» dico, a disagio. «Mi... dispiace.» Non so proprio dove si siano cacciati Magnus e i suoi genitori, così mi avvio verso il fondo della chiesa con il vassoio pieno di bicchieri e cerco di avanzare scivolando sul pavimento, immaginandomi con il velo da sposa. «È assurdo!» Sento prima la voce attutita di Wanda. «È davvero troppo presto!» Mi guardo intorno incerta, ma poi capisco che proviene da dietro una robusta porta di legno su un lato della chiesa. Devono essere in sacrestia. «Lo sanno tutti... L’atteggiamento verso il matrimonio...» Ora sta parlando Magnus, ma la porta è talmente spessa che sento solo qualche parola qua e là. «... non si parla di matrimonio in generale!» D’un tratto Wanda alza la voce. «... voi due!... Non riesco proprio a capire...» «... piuttosto incauto...» La voce di Antony è come un bassotuba che attacca a suonare all’improvviso. Sono incollata al pavimento, a una decina di metri dalla porta, con il vassoio in mano. So che non dovrei origliare. Ma è più forte di me. «... ammettilo, Magnus... sbagliato su tutta la linea...» «... Rinuncia. Non è troppo tardi. Meglio adesso che un divorzio traumatico...» Deglutisco. Mi tremano le mani. Che cosa sto sentendo? Che cosa hanno detto? Divorzio? Probabilmente sto interpretando male, mi dico. Sono solo parole sparse... potrebbero significare qualsiasi cosa... «Be’, potete dire quel che vi pare! Noi ci sposeremo comunque! Vi conviene mettervi l’anima in pace!» La voce di Magnus si alza all’improvviso, nitida come una scampanellata. Mi sento raggelare. È un po’ difficile dare un’interpretazione alternativa a questa frase. C’è una risposta tonante di Antony, e poi Magnus grida di nuovo: «... non finirà in un terribile disastro!». Provo uno slancio d’amore per lui. Sembra così infuriato. Un attimo dopo sento un rumore vicino alla porta e in un lampo mi allontano di una decina di passi. Quando Magnus compare, gli vado incontro, cercando di fingermi tranquilla. «Ciao! Vuoi un tè?» Non so come, riesco a usare un tono di voce naturale. «Tutto bene? Mi stavo chiedendo dove eravate finiti!» «Tutto a posto.» Mi sorride affettuoso e mi afferra per la vita. Non dà il minimo segno di aver appena litigato con i suoi genitori. Non avevo mai notato che fosse un attore così bravo. Dovrebbe darsi alla politica.
«Lo porto io ai miei genitori, dài.» Mi toglie rapidamente il vassoio dalle mani. «Stanno... ehm... guardando le opere d’arte.» «Fantastico!» Riesco ad abbozzare un sorriso, ma mi trema il mento. Non stanno guardando le opere d’arte. Stanno dicendo che il loro figlio si è scelto una pessima moglie. Stanno scommettendo che divorzieremo entro un anno. Quando Magnus esce di nuovo dalla sacrestia, faccio un respiro profondo, ma ho i nervi scossi. «Allora... che cosa pensano i tuoi genitori di tutto questo?» dico adottando il tono più lieve di cui sono capace. «Tuo padre non è esattamente uno che va pazzo per le chiese, no? E neanche... per il matrimonio...» Gli ho dato l’imbeccata perfetta per parlarmi. È tutto pronto. Magnus però alza le spalle imbronciato. «Non c’è problema, per loro.» Bevo qualche sorso di tè, fissando avvilita l’antico pavimento di pietra, cercando di convincermi ad andare fino in fondo. Dovrei contraddirlo. Dovrei dirgli: “Ti ho appena sentito litigare”. Dovrei essere schietta con lui. Ma... non ce la faccio. Non ne ho il coraggio. Non voglio sentire la verità, e cioè che i suoi genitori pensano che io sia una schifezza. «Devo controllare una mail.» È solo una mia impressione, o Magnus sta veramente evitando il mio sguardo? «Anch’io.» Mi stacco da lui mestamente e vado a sedermi su una panca laterale. Per qualche secondo rimango lì ferma con le spalle incurvate, cercando di resistere all’impulso di piangere. Poi prendo il cellulare e l’accendo. Tanto vale aggiornarsi su un paio di cose. Sono ore che non controllo la posta. Vengo subito accolta da una tale quantità di ronzii, lampeggi e bip che per poco non rimbalzo all’indietro. Quanti messaggi non ho ancora letto? Il primo della lista proviene da Sam e risale a circa venti minuti fa: Sto andando in Germania per il weekend. In una zona montuosa. Per un po’ non sarò raggiungibile. Vedere il suo nome mi fa venire una gran voglia di parlare con qualcuno, così gli rispondo: Ciao. Sembra bello. Perché in Germania? Non risponde, ma non importa: scrivere ha comunque un effetto catartico. Quanto all’anello finto, non ha funzionato. Sono stata scoperta e ora i genitori di Magnus mi credono una matta. Per un attimo mi domando se sia il caso di dirgli che l’anello ce l’aveva Lucinda e di chiedergli un parere. Ma... no. È troppo complicato. Non avrà voglia di sapere tutti i dettagli. Mando l’SMS, poi mi rendo conto che potrebbe pensare che io ci stia provando con lui. Mi affretto ad aggiungere: Grazie comunque per l’aiuto. L’ho molto apprezzato. Magari dovrei dare un’occhiata alla sua posta. L’ho trascurata. Ci sono così tante mail con lo stesso oggetto che rimango a fissare lo schermo sconcertata, finché non realizzo: ma certo! Hanno accolto il mio invito a mandare idee! Queste sono le risposte!
Per la prima volta in tutta la serata, mi sento almeno un po’ orgogliosa di me stessa. Se qualcuno ha trovato un’idea strabiliante che rivoluzionerà l’azienda di Sam, il merito sarà tutto mio. Apro la prima mail piena di aspettative. Caro Sam, secondo me dovremmo fare corsi di yoga all’ora di pranzo a spese della società, e anche altre persone sono d’accordo con me. Saluti Sally Brewer Increspo la fronte, dubbiosa. Non è esattamente quel che mi aspettavo, ma immagino che lo yoga sia una buona idea. Okay, passiamo alla prossima. Caro Sam, grazie per la mail. Ci hai chiesto di essere sinceri. Nel nostro reparto circola la voce che questa richiesta di “nuove idee” in realtà sia una scusa per fare fuori un po’ di gente. Perché non provi anche tu a essere sincero e non ci dici se stiamo per essere licenziati? Cordiali saluti Tony Sbatto le palpebre sbalordita. Cosa? Okay, è solo una reazione assurda. Questo tizio dev’essere fuori di testa. Leggo subito la successiva: Caro Sam, esiste un budget per questo programma delle “nuove idee” che hai lanciato? Se lo stanno domandando alcuni responsabili dei vari team. Grazie, Chris Davies Un’altra reazione assurda. Un budget? Che bisogno c’è di un budget per raccogliere idee? Sam, che cazzo succede? La prossima volta che ti salta in mente di lanciare una nuova iniziativa per il personale, ti dispiacerebbe consultare gli altri direttori? Malcolm Quella dopo è ancora più stringata: Sam, che cos’è questa storia? Grazie per avermi avvisato. Anzi, no. Vicks Mi sento un po’ in colpa. Non avevo pensato affatto di poter mettere Sam nei guai con i suoi colleghi. Di sicuro, però, appena le idee cominceranno ad arrivare a frotte, tutti vedranno il lato positivo della cosa, vero? Caro Sam, si è sparsa la voce che stai eleggendo un nuovo “Zar delle idee”. Ricorderai di certo che l’idea era partita da me, tre anni fa, nel corso di una riunione di reparto. Mi pare un po’ ridicolo che qualcuno si sia appropriato della mia iniziativa, e al
momento della nomina spero vivamente di essere in cima alla lista dei candidati. Altrimenti sarò costretto a presentare reclamo a livelli più alti. Saluti Martin Cosa? Proviamo con un’altra: Caro Sam, ci sarà una presentazione particolare di tutte le nostre idee? Puoi farmi sapere qual è il limite di durata della presentazione in PowerPoint? Si può lavorare in squadra? I miei migliori saluti, Mandy Ecco. Vedete? Una reazione brillante, positiva. Lavoro di squadra! Presentazioni! Fantastico! Caro Sam, scusa se ti disturbo di nuovo. Se non vogliamo lavorare in squadra, saremo penalizzati? Io ho litigato con i componenti del mio team, ma adesso tutti conoscono le mie idee, e questo è davvero ingiusto. Tanto perché tu lo sappia, sono stata io ad avere per prima l’idea di ristrutturare il reparto marketing. Non Carol. Saluti Mandy Okay. Be’, è normale che ci siano degli screzi. Non importa. È comunque un risultato positivo... Caro Sam, mi dispiace molto, ma vorrei presentare un reclamo formale nei confronti di Carol Hanratty. Si è comportata in modo assolutamente non professionale riguardo alla questione delle “nuove idee” e ora, a causa del forte stress, sono costretta a prendermi mezza giornata di permesso. Anche Judy oggi è troppo stressata per continuare a lavorare, e stiamo pensando di contattare il sindacato. Saluti Mandy Eh? Cosa? Caro Sam, perdonami per la lunga mail. Ci chiedi di sottoporti nuove idee. Da dove posso cominciare? Lavoro in questa società da quindici anni, nel corso dei quali la disillusione mi è entrata addirittura nel sangue, finché i miei processi mentali... È una mail di circa quindici pagine. Mi lascio cadere il cellulare sulle ginocchia, con la bocca spalancata. Non mi sembra vero di aver letto simili risposte. Non avrei mai pensato di causare tutta questa confusione. Perché la gente è così stupida? Perché deve per forza litigare? Che cosa accidenti ho scatenato?
Ho letto solo le prime mail. Ce n’è un’altra trentina. Se le mando a Sam e lui scende dall’aereo in Germania e le riceve tutte in un colpo solo... All’improvviso risento la sua voce: “Le mail circolari sono opera del diavolo”. E io ne ho mandata una a suo nome. A tutta la società. Senza consultarlo. Oddio. Vorrei davvero poter tornare indietro nel tempo. Mi era sembrata un’idea fantastica. Che cosa mi è venuto in mente? So solo che adesso non posso mandargli tutta questa roba di punto in bianco. Prima devo spiegargli. Dirgli che cosa avevo intenzione di fare. La mia mente si mette in moto. Insomma, adesso Sam è in aereo. Non è raggiungibile, e in fin dei conti è venerdì sera. Non ha senso inoltrargli la posta. Forse prima che arrivi lunedì si saranno dati tutti una calmata. Sì. All’improvviso arriva un SMS e io sussulto, allarmata. Sto per decollare. C’è qualcosa che devo sapere? Sam Guardo il cellulare con il cuore che batte forte, in preda a una leggera paranoia. Deve proprio saperlo in questo preciso istante? Deve proprio? No. Non deve. Al momento no. Buon viaggio! Poppy 61 Anzi, probabilmente ci hanno appoggiato sopra un bicchiere. 62 Il gilet è costato quasi quanto il mio vestito. 63 Secondo me avrebbe più senso scrivere qualcosa sui cimbali nell’opera dei Coldplay, ma che cosa posso saperne io? 64 La prima volta che ci siamo incontrate, Wanda ha preparato il manzo alla Stroganoff. Come facevo a dirle la verità, e cioè che mi fa vomitare? 65 È andato a “Newsnight” e via dicendo. Secondo Magnus, Antony godeva moltissimo dell’attenzione generale, anche se fingeva il contrario. Da quel momento in poi, ha detto cose ancora più controverse, ma nessuna ha avuto l’effetto della storia dei filistei.
8 Non so cosa fare con Antony e Wanda riguardo al Sacrestia-Gate, come l’ho ribattezzato tra me e me. Perciò non faccio nulla. E non ho detto nulla. Lo so che sto facendo finta di niente. Lo so che è un atteggiamento da debole. Lo so che dovrei affrontare la situazione. Il fatto è che non riesco ancora a digerirla, figurarsi se sono in grado di parlarne. Soprattutto con Magnus. Per tutto il weekend sono riuscita a non tradirmi. Ho cenato con la famiglia Tavish. Sono andata al pub con Ruby e Annalise. Ho riso, parlato, scherzato e fatto sesso. E per tutto il tempo mi sono tenuta dentro questo piccolo, logorante dolore al petto. Mi ci sto quasi abituando. Se almeno mi dicessero qualcosa, mi sentirei quasi meglio. Potremmo fare una bella litigata e io potrei convincerli che amo Magnus, che lo sosterrò nella carriera e che anch’io ho un cervello, in realtà. Loro, però, non hanno detto nulla. In apparenza sono stati gentili e garbati, mi hanno domandato dei nostri progetti per la casa e mi hanno offerto vino a volontà. Questo peggiora solo la situazione. Conferma che per loro sono un’estranea. Non sono neppure ammessa ai consigli di famiglia in cui si parla di quanto sia inadeguata la nuova fidanzata di Magnus. Sarebbe ancora accettabile se lui odiasse i suoi genitori, non rispettasse le loro opinioni e potessimo liquidarli come due imbecilli. Magnus, però, li rispetta. Li apprezza. Vanno molto d’accordo. Sono in sintonia quasi su tutto e, quando non lo sono, si limitano a punzecchiarsi bonariamente. Su ogni argomento. Tranne che su di me. Non devo soffermarmi troppo su questo pensiero perché sennò sto male e vado nel panico, perciò mi concedo solo un pizzico di preoccupazione alla volta. Per questa sera ho già dato. Dopo il lavoro sono andata da Starbucks a prendermi una cioccolata calda e sono rimasta lì seduta a rodermi. Vedendomi in questo momento, però, non lo si direbbe mai. Indosso il mio tubino nero corto con i tacchi alti. Sono truccata alla perfezione. Mi scintillano gli occhi. (Due cocktail.) Mi sono appena intravista nello specchio e sembro una ragazza spensierata, con un anello di fidanzamento al dito, che beve Cosmopolitan al Savoy e non ha nulla di cui preoccuparsi. E, in effetti, il mio umore è parecchio migliorato. Un po’ per i cocktail, un po’ perché sono felicissima di trovarmi qui. Non ero mai stata al Savoy in vita mia. È fantastico! La festa si tiene in una sala mozzafiato con pareti rivestite di legno, scenografici lampadari dappertutto e camerieri che distribuiscono drink sui vassoi. C’è una jazz band che suona e tutt’intorno tante persone eleganti che parlano a gruppetti. Molti si danno pacche sulle spalle, si danno il cinque e si stringono la mano, e tutti sembrano di ottimo umore. Io, ovviamente, non conosco nessuno, ma sono già felice di stare a guardare. Tutte le volte che qualcuno nota che sono da sola e fa per avvicinarsi, tiro fuori il telefono per controllare i messaggi, così la persona di turno si gira e se ne va.
Questo è il bello del cellulare. È come un accompagnatore. Lucinda continua a mandare SMS per dirmi che è andata nella zona nord di Londra a vedere un’altra varietà di seta grigia e mi chiede se ho qualche idea per la trama del tessuto. Magnus mi ha scritto da Warwick, dicendo che ha in mente di organizzare un viaggio di ricerca con un professore di lì. Nel frattempo scambio messaggi con Ruby, che ha accettato un appuntamento al buio. L’unico problema è che è un po’ complicato digitare e reggere il bicchiere allo stesso tempo, così alla fine appoggio il Cosmopolitan su un tavolo vicino e scrivo un po’ di risposte: Certo che la seta fiammata grigia andrà bene. Grazie infinite!! Baci, Poppy xxxxx Non penso che ordinare due bistecche sia necessariamente da viscidi... Non è che sta facendo la dieta Atkins??? Tienimi informata! P xxxxx Sembra fantastico, posso venire anch’io?! P xxxxx Sono arrivati anche dei messaggi lunghissimi per Sam. Un sacco di gente ha risposto all’appello di mandare idee. Molti hanno aggiunto lunghi allegati e curriculum. Ci sono persino alcuni video. La gente deve essersi data da fare, durante il weekend. Quando intravedo una mail che ha come oggetto “1001 idee per la WGC – parte prima”, faccio una smorfia e passo oltre. Avevo sperato che nel fine settimana la gente si sarebbe calmata, dimenticandosi di tutta la faccenda. E invece, più o meno alle otto di stamattina, è iniziata ad arrivare la prima valanga di mail, e continua ancora adesso. Gira ancora voce che si tratti di una specie di grande gara per un lavoro. È in corso un’aspra discussione su quale reparto abbia avuto per primo l’idea di espandersi negli Stati Uniti. Malcolm seguita a mandare mail inviperite chiedendo chi abbia approvato l’iniziativa e sostenendo che serve solo a creare una gran confusione. Ma questa gente non ce l’ha una vita privata? Se ci penso vado leggermente in iperventilazione, così ho adottato una nuova tecnica di sopravvivenza: non ci penso. Può aspettare fino a domani. Anche l’ultima mail di Willow a Sam può attendere. Ormai ho deciso che per compensare il carattere orribile che ha dev’essere non solo bella come una top model, ma anche fantastica a letto nonché una mega ereditiera. Oggi gli ha mandato un’altra manfrina lunga e tediosa, chiedendogli di trovarle una marca particolare di esfoliante tedesco già che era lì, anche se probabilmente lui non si sarebbe mai preso la briga di farlo, perché non è il tipo, mentre lei gli aveva portato quel pâté dalla Francia che la faceva vomitare, ma l’aveva fatto per lui, perché è nella sua natura, e Sam potrebbe prendere esempio, ma ha MAI desiderato imparare qualcosa da lei? L’HA MAI FATTO??? Davvero. Io quella non la reggo. Sto tornando in cima alla fila interminabile di mail, quando una in particolare attira la mia attenzione. È di Adrian Foster, del reparto marketing. Caro Sam, grazie per aver dato l’okay al mazzo di fiori da regalare a Lindsay per il suo compleanno... Sono arrivati, finalmente! Visto che oggi non c’eri, li ho messi nel tuo ufficio. Sono nell’acqua, quindi dovrebbero conservarsi.
Saluti Adrian Veramente non è stato Sam a dare l’okay per regalarle i fiori, ma io, a suo nome. Adesso sono meno convinta che sia stata una buona idea. E se domani lui non ha tempo? E se si arrabbia perché deve andare a portarle i fiori? Come posso semplificargli le cose? Esito un attimo, poi scrivo una mail veloce a Lindsay. Ciao, Lindsay, nel mio ufficio c’è una cosa che vorrei darti. Qualcosa che ti piacerà. :) Passa da me domani. Quando vuoi. Sam xxxxx Premo “invia” senza rileggere e bevo un sorso di Cosmopolitan. Per una ventina di secondi riesco a rilassarmi e mi gusto il cocktail in attesa delle tartine. Poi, come se fosse suonata una sveglia, mi riscuoto di botto. Aspettate. Ho messo le “x” dei baci dopo il nome di Sam. Non avrei dovuto farlo. Non si aggiungono baci alle mail di lavoro. Merda. Riapro il messaggio e rileggo con una smorfia. Sono così abituata ad aggiungere i baci che mi è venuto automatico. Sam, però, non li mette mai. Mai. Non ci sarà un modo per ritirarli? “Cara Lindsay, giusto per chiarire, non volevo aggiungere i baci...” No. Tremendo. Devo lasciar perdere. Forse mi sto agitando troppo. Anzi, non se ne accorgerà neppure... Oddio. È già arrivata la risposta di Lindsay. Che velocità. La apro e fisso il messaggio. Allora ci vediamo, Sam. Lindsay xx ;) Due baci e un sorriso con l’occhiolino. È normale? Rimango a guardare per qualche secondo, cercando di convincermi di sì. Sì. Sì, secondo me è normale. Potrebbe benissimo essere normale. Amichevole corrispondenza tra colleghi. Metto via il telefono, svuoto il bicchiere e mi guardo intorno per averne un altro. A pochi metri di distanza c’è una cameriera e io mi faccio strada in mezzo alla gente. «... politica aziendale è un’idea di Sam Roxton?» Una voce maschile attira la mia attenzione. «Che razza di buffonata!» «Lo conosci Sam...» Mi blocco sui miei passi, fingendo di trafficare con il cellulare. Un gruppo di uomini in giacca e cravatta si è fermato vicino a me. Sono tutti più giovani di Sam e vestiti con molta cura. Devono essere suoi colleghi. Mi chiedo se saprei collegare le facce alle mail. Scommetto che quello con la carnagione olivastra è Justin Cole, lo stesso che ha mandato la mail circolare per dire che l’abbigliamento casual il venerdì era d’obbligo, e si poteva farlo con
stile? Con quel completo nero e quella cravatta sottile, pare un poliziotto della moda. «È qui?» domanda un tizio biondo. «Non l’ho visto» risponde l’uomo con la pelle olivastra, scolando un bicchierino di liquore.66 «Quel grandissimo stronzo.» Mi giro di scatto per la sorpresa. Be’, non è una cosa molto carina da dire. Mi arriva un SMS e lo apro, felice di avere un pretesto per tenere le dita occupate. Ruby mi ha mandato una foto di una chioma castana e un messaggio. È un parrucchino??? Non riesco a soffocare una risatina. In un modo o nell’altro, è riuscita a scattare una foto del suo accompagnatore da dietro. Come ha fatto? Lui non se n’è accorto? Do un’occhiata alla foto. A me sembrano capelli normali. Comunque, non so proprio perché Ruby sia così ossessionata dai parrucchini. Forse è tutta colpa di quell’appuntamento al buio dell’anno scorso, in cui il tizio che ha incontrato aveva cinquantanove anni, non trentanove come aveva detto.67 Non credo. Sembra a posto! xxxxxx Quando alzo lo sguardo, vedo che gli uomini che stavano parlando accanto a me si sono spostati altrove. Accidenti. La loro conversazione mi incuriosiva. Prendo un altro Cosmopolitan e alcuni deliziosi pezzi di sushi (se dovessi pagare io, questa serata mi sarebbe già costata cinquanta sterline), faccio per andare verso la jazz band, ma poi sento il fischio di un microfono che viene acceso. Mi giro e vedo che è ad appena un metro e mezzo da me, su un piccolo podio che non avevo notato. Una ragazza bionda con un completo pantalone nero batte sul microfono e dice: «Signore e signori, posso avere la vostra attenzione?». Dopo un po’, più forte, aggiunge: «Gente! È il momento dei discorsi! Prima iniziamo, prima finiamo, okay?». Scoppia una risata generale e la folla comincia a spostarsi verso questo lato della sala. Vengo spinta direttamente contro il podio, che non è proprio il posto in cui vorrei essere, ma non è che abbia molta scelta. «Bene, eccoci qui!» La bionda allarga le braccia. «Benvenuti a questo ricevimento per festeggiare la fusione delle nostre aziende, la Johnson Ellison e la fantastica Greene Retail. Non è solo un matrimonio fra due società, ma fra tanti cuori e tante menti, e dobbiamo ringraziare moltissime persone. È stato il nostro direttore marketing, Patrick Gowan, ad avere per primo l’idea che ci ha permesso di arrivare fin qui. Patrick, vieni!» Un tipo con la barba e un completo chiaro sale sul podio, sorridendo con modestia e scuotendo il capo, e tutti si mettono ad applaudire, me compresa. «Keith Burnley... che cosa posso dire? È stato una fonte di ispirazione per tutti noi.» Il guaio di trovarsi in prima fila è che ti senti molto esposto. Cerco di ascoltare con attenzione e di sembrare interessata, ma questi nomi non mi dicono proprio nulla. Forse mi sarei dovuta documentare un po’. Tiro fuori il cellulare di soppiatto, nella speranza di trovare con discrezione una mail sull’argomento.
«E so che è qui da qualche parte...» L’oratrice si guarda intorno, schermandosi gli occhi con una mano. «Ha fatto di tutto per non presentarsi questa sera, ma non potevamo rinunciare a lui: Mister White Globe Consulting in persona, Sam Roxton!» Alzo la testa di scatto, scioccata. No. Non può essere, non può essere vero... Cazzo. Quando Sam sale sul podio con un completo scuro e il viso vagamente imbronciato, c’è un altro applauso scrosciante. Sono talmente sbalordita che non riesco neppure a muovermi. Era in Germania. Non aveva intenzione di venire, stasera. Che cosa ci fa qui? Dal sussulto di sorpresa che ha quando mi vede, immagino che si stia ponendo la stessa domanda. Sono arrabbiata con me stessa. Come ho potuto illudermi di imbucarmi impunemente a una serata elegante come questa? Ho il viso in fiamme per l’imbarazzo. Cerco di svignarmela, ma la pressione della calca è troppo forte e sono bloccata lì, a fissarlo, muta. «... quando c’è Sam, si sa, le cose sono vicine a una soluzione» sta dicendo la bionda. «Che poi sia proprio quella che uno desidera... Vero, Charles?» Un boato di risate risuona nella sala, e io mi affretto a adeguarmi con finto entusiasmo. È chiaramente una battuta per gente inserita, che anch’io apprezzerei se non fossi un’intrusa. L’uomo vicino a me si gira ed esclama: «Ci è andata giù un po’ pesante, eh!» e io mi ritrovo a rispondere: «Sì, infatti!» e a fare un’altra risatona finta. «E questo mi fa venire in mente un altro personaggio chiave...» Grazie a Dio, quando alzo lo sguardo, Sam non è girato verso di me. La situazione è già abbastanza terrificante. «Un grosso applauso per Jessica Garnett!» Mentre una ragazza in rosso sale sul podio, Sam prende il cellulare dalla tasca e si mette a digitare con discrezione. Un attimo dopo mi arriva un messaggio. Perché ridevi? Mi sento umiliata. Di certo ha capito che cercavo di confondermi tra la folla. Mi sta provocando di proposito. Be’, io non ci casco. Era una bella battuta. Lo vedo controllare il telefono. La sua faccia si contrae in modo praticamente impercettibile, ma so che ha capito. Scrive ancora qualcosa, e un attimo dopo sento ronzare il cellulare. Non sapevo che ci fosse anche il tuo nome sul mio invito. Lo osservo inquieta, cercando di interpretare la sua espressione, ma lui sta guardando di nuovo nella direzione opposta, impassibile. Rifletto un attimo, poi scrivo: Sono passata solo per prendere l’omaggio destinato a te. È compreso nel servizio. Non c’è bisogno che mi ringrazi. E anche i cocktail destinati a me, vedo.
Adesso sta guardando direttamente il mio Cosmopolitan. Alza le sopracciglia, e io soffoco una risatina. Avevo in mente di portarteli in una fiaschetta. Naturalmente. Naturalmente. Anche se io sto bevendo un Manhattan. Ah, bene, adesso lo so. Dovrò buttare via tutti i bicchierini di tequila che ho messo da parte. D’un tratto, mentre sta scrivendo, alza lo sguardo dal cellulare e mi rivolge quel suo sorriso improvviso. Senza volerlo, mi ritrovo a ricambiarlo e mi scappa persino un leggero sospiro. Quel sorriso mi fa un certo effetto, non si può negare. È sconcertante. È... Be’, meglio che rimanga concentrata sul discorso. «... e infine, vi auguro di divertirvi alla grande stasera! Grazie a tutti!» Mentre si leva l’ultimo applauso cerco una via di fuga, ma non c’è. Nel giro di una decina di secondi, Sam scende dal podio e mi si presenta davanti. «Oh.» Cerco di nascondere il mio imbarazzo. «Ehm... ciao. Che strano incontrarti qui!» Lui non risponde: si limita a osservarmi con aria interrogativa. Non ha senso cercare di fare la finta tonta. «Okay, scusa» dico in fretta. «So che non sarei dovuta venire, solo che non ero mai stata al Savoy... Mi era sembrata una festa davvero fantastica, e tu non ci volevi venire...» Mi interrompo, perché lui alza una mano con aria divertita. «Non c’è problema. Avresti dovuto dirmi che volevi venire. Ti avrei fatto inserire nella lista degli invitati.» «Ah!» Sono senza parole. «Be’... grazie. Mi sto divertendo molto.» «Bene.» Sorride e prende un bicchiere di vino rosso da un cameriere di passaggio. «Sai...» dice, ma subito si interrompe pensieroso, stringendo il bicchiere tra le mani. «Ho una cosa da dirti, Poppy Wyatt. Avrei dovuto farlo prima. Grazie. Mi sei stata di grande aiuto in questi ultimi giorni.» «Non è niente, davvero. Non c’è problema.» Mi affretto a liquidare la questione con un cenno della mano, ma lui scuote la testa. «No, ascolta, voglio dirti questo. So che all’inizio sono stato io a farti un favore, ma poi alla fine sei stata tu ad aiutare me. Al lavoro ero rimasto senza un’assistente vera e propria. Tu sei stata bravissima a tenermi aggiornato su tutto. Te ne sono riconoscente.» «Davvero, non è niente!» dico io, a disagio. «Accetta il riconoscimento!» Ride, poi si toglie la giacca e si allenta il nodo della cravatta. «Però, che giornata.» Si getta la giacca sulla spalla e beve un sorso di vino. «Allora, non è arrivato niente oggi? Via etere è calato il silenzio.» Sfodera un altro dei suoi devastanti sorrisini. «Oppure adesso le mie mail arrivano a Jane?» Sul mio cellulare ci sono duecentoquarantatré mail per lui. E continuano ad arrivarne.
«Be’...» Bevo un sorso di Cosmopolitan, cercando disperatamente di guadagnare tempo. «E invece, stranamente, hai ricevuto qualche messaggio. Ho solo pensato di non disturbarti finché eri in Germania.» «Ah, sì?» Sembra interessato. «Di che cosa si tratta?» «Mmh... Cose varie. Ma non sarà meglio aspettare domani?» Mi aggrappo all’ultimo barlume di speranza. «No, dimmelo adesso.» Mi sfrego il naso. Da dove comincio? «Sam! Eccoti qui!» Un uomo magro con gli occhiali si sta avvicinando. Sbatte le palpebre velocemente e ha una grossa cartellina nera sottobraccio. «Dicevano che non saresti venuto stasera.» «Infatti non dovevo venire» replica Sam in tono sarcastico. «Bene. Grande!» L’uomo sembra agitatissimo. «Be’, ho portato questa con me, per ogni evenienza.» Porge bruscamente la cartellina a Sam, che la prende con aria divertita. «Se hai un momento stasera, rimango sveglio fino alle due o alle tre e sono sempre felice di comunicare via Skype da casa... Sono idee in parte un po’ estreme... Be’, comunque! Secondo me, stai facendo una cosa fantastica. E se dietro tutto questo c’è un’opportunità di lavoro... tienimi presente. Be’, okay... Non ti faccio perdere altro tempo. Grazie, Sam!» Poi sparisce fulmineo in mezzo alla folla. Per un attimo entrambi non apriamo bocca. Sam perché è troppo sbalordito, e io perché sto cercando di pensare a cosa dire. «Che cos’è questa storia?» mi chiede alla fine. «Ne hai idea? Mi sono perso qualcosa?» Mi passo nervosamente la lingua sulle labbra. «In effetti c’era una cosa che volevo dirti.» Faccio una risata stridula. «In realtà è piuttosto divertente, in un certo senso...» «Sam!» Una donna grassa dalla voce tonante mi interrompe. «Sono così felice che ti sia iscritto alla corsa di beneficenza!» Oddio! Questa dev’essere Rachel. «Alla corsa di beneficenza?» Sam ripete la frase come fosse una maledizione. «No. Mi spiace, Rachel. Io non partecipo alle corse di beneficenza. Sono felice di contribuire con donazioni, ma le corse le lascio fare agli altri, buon per loro...» «Ma la tua mail!» Lo fissa. «Eravamo così entusiasti della tua partecipazione! Nessuno ci poteva credere. Quest’anno corriamo tutti in costume da supereroe» aggiunge entusiasta. «A te ne ho assegnato uno da Superman.» «La mia mail?» Sam sembra confuso. «Quale mail?» «Quella bellissima mail che mi hai mandato! È stato venerdì, no? Ah, e Dio ti benedica per la e-card che hai spedito alla nostra Chloe.» Rachel abbassa la voce e gli dà un buffetto sulla mano. «È rimasta così commossa. La maggior parte dei direttori se ne fregherebbe altamente della morte del cane di un’assistente, ma spedire una bellissima e-card di condoglianze, con una poesia e tutto...» Spalanca gli occhi. «Be’. A essere sinceri, eravamo tutti sbalorditi!»
La mia faccia si sta surriscaldando. Mi ero dimenticata della e-card. «Una e-card di condoglianze per un cane» dice Sam alla fine con una strana voce. «Sì, anch’io sono sbalordito.» Mi guarda dritto negli occhi. Non ha l’espressione più amichevole del mondo. A dire il vero, ho voglia di darmela a gambe, solo che non posso andare da nessuna parte. «Ah, Loulou!» Rachel all’improvviso agita la mano verso il lato opposto della sala. «Scusami, Sam...» Se ne va, facendosi largo nella ressa e lasciandoci soli. Cala il silenzio. Sam mi fissa senza battere ciglio. Mi rendo conto che sta aspettando che sia io a parlare. «Ho pensato...» Deglutisco. «Sì?» La sua voce è tagliente e gelida. «Ho pensato che magari ti sarebbe piaciuto partecipare a una corsa di beneficenza.» «Ah, sì?» «Sì.» Ho la voce leggermente roca per il nervosismo. «Voglio dire... sono divertenti! Così ho pensato di rispondere. Solo per farti risparmiare tempo.» «Hai scritto una mail fingendo di essere me?» Ha un tono minaccioso. «Stavo cercando di rendermi utile!» dico in fretta. «Sapevo che non avevi tempo, e quelli continuavano a chiedertelo, così ho pensato...» «Anche la e-card è opera tua, immagino.» Chiude gli occhi un attimo. «Maledizione. C’è ancora qualcosa in cui ti sei immischiata?» Vorrei nascondere la testa sotto terra come uno struzzo, ma non posso. Devo sbrigarmi a dirglielo prima che qualcun altro lo avvicini. «Okay, ho avuto quest’altra... idea» dico, con un filo di voce, poco più che un bisbiglio. «Solo che tutti si sono fatti un po’ prendere la mano, e adesso mandano una marea di mail e pensano che ci sia un’opportunità di lavoro in palio...» «Un lavoro?» Continua a fissarmi. «Di che cosa stai parlando?» «Sam.» Un tipo, passando, gli dà una pacca sulla spalla. «Mi fa piacere che tu sia interessato a venire in Islanda. Ti chiamo.» «Islanda?» Sam fa una smorfia scioccata. Mi ero dimenticata di aver accettato anche il viaggio in Islanda.68 Ma ho appena il tempo di fare un altro sorrisino di scuse che Sam viene avvicinato da un’altra persona. È una ragazza con gli occhiali che parla in modo molto concitato. «Non so se ci stai prendendo in giro o che altro...» Sembra un po’ stressata e continua a togliersi i capelli dalla fronte. «In ogni caso, questo è il mio curriculum. Sai bene quante idee ho proposto a questa azienda, ma se dobbiamo fare altri salti mortali, be’... fai tu. Sei tu che decidi.» «Elena...» Sam la interrompe, perplesso. «Leggi il mio report. Ho scritto tutto lì.» Si allontana con aria contrariata. C’è un attimo di silenzio, poi Sam si gira verso di me con un’espressione così minacciosa che mi sento morire.
«Comincia dall’inizio. Che cos’hai fatto?» «Ho mandato una mail.» Striscio un piede avanti e indietro, sentendomi come una bambina monella. «A tuo nome.» «A chi?» «A tutti i dipendenti dell’azienda.» Mi faccio piccola piccola. «Volevo solo trasmettere un... messaggio positivo e di incoraggiamento. Così ho invitato tutti a mandare nuove idee. A te.» «Hai scritto questo? A mio nome?» È così livido di rabbia che indietreggio, un po’ raggelata. «Scusa» dico senza prendere fiato «pensavo che fosse una buona idea. Ma qualcuno si è messo in testa che tu volessi licenziarlo, qualcun altro che tu stia segretamente facendo una selezione per un lavoro, e si sono fatti prendere tutti dal panico... Mi dispiace» concludo sconsolata. «Sam, ho ricevuto la tua mail!» Una ragazza con la coda di cavallo ci interrompe entusiasta. «Allora ci vediamo al corso di danza.» «Ch...» Sam strabuzza gli occhi. «Grazie infinite per l’aiuto. Veramente, finora sei il mio unico allievo! Porta vestiti comodi e scarpe morbide, okay?» Lancio un’occhiata a Sam e deglutisco a vuoto vedendo la sua faccia. Sembra letteralmente incapace di spiccicare parola. Che cosa c’è di male nelle lezioni di danza? Al suo matrimonio dovrà pur ballare, no? Dovrebbe ringraziarmi per averlo iscritto. «Sembra fantastico!» dico incoraggiante. «Ci vediamo il prossimo martedì sera, Sam!» Mentre la ragazza scompare tra la folla, incrocio le braccia sulla difensiva, pronta a dirgli che gli ho fatto un enorme favore, ma quando si gira verso di me ha un’espressione talmente glaciale che perdo tutto il mio coraggio. «Di preciso, quante mail hai mandato a mio nome?» La sua voce suona calma, ma non in senso buono. «... non molte» mento. «Cioè... solo alcune. Volevo semplicemente rendermi utile...» «Se fossi la mia assistente, ti avrei licenziato in tronco e forse ti avrei addirittura denunciato.» Sputa fuori le parole a raffica, come una mitragliatrice. «Vista la situazione, ti posso solo chiedere di restituirmi il cellulare e di... Ciao, Nick» L’atteggiamento di Sam cambia all’istante. Si illumina. «Che bello vederti. Non sapevo che saresti venuto.» Un uomo sulla sessantina con un completo a righe e un’allegra camicia a fiori sta alzando un bicchiere nella nostra direzione. Ricambio il gesto, colpita. Sir Nicholas Murray! Mentre facevo ricerche su Google avevo visto alcune sue foto con il Primo Ministro, il principe Carlo e compagnia bella. «Se posso, non mi lascio scappare una festa» dice Sir Nicholas allegramente. «Mi sono perso i discorsi, vero?» «Hai calcolato perfettamente i tempi» risponde Sam ridendo. «Non dirmi che hai mandato l’autista a vedere se erano finiti!»
«Non avrei avuto niente da dire.» Sir Nicholas gli strizza l’occhio. «Hai ricevuto la mia mail?» «E tu hai ricevuto la mia?» ribatte Sam, abbassando la voce. «Hai proposto Richard Doherty per il premio al miglior negoziatore di quest’anno?» «È un giovane e brillante talento, Sam» dice Sir Nicholas, un po’ sulla difensiva. «Ricordi il suo lavoro con Hardwicks dell’anno scorso? Merita un riconoscimento.» «Sei stato tu a promuovere l’accordo con Ryan Energy. Non lui.» «Lui mi ha aiutato» ribatte Sir Nicholas. «In molti modi. Talvolta... invisibili.» Per un attimo si fissano negli occhi. Sembra che stiano tutti e due soffocando una risata. «Sei incorreggibile» dice Sam alla fine. «Spero che lui te ne sia grato. Be’, comunque, sai che sono appena tornato dalla Germania? Ho un paio di cose di cui parlarti.» Mi ha completamente escluso dalla conversazione, ma non me la prendo. Davvero. Anzi, magari ne approfitto per sgattaiolare via. «Sam, presentami la tua amica.» Sir Nicholas interrompe i miei pensieri, e io gli sorrido con aria nervosa. È chiaro che Sam non ha nessuna voglia di presentarmi, ma ovviamente è anche un uomo educato dato che, dopo trenta secondi di evidente conflitto interiore,69 dice: «Sir Nicholas, Poppy Wyatt. Poppy, Sir Nicholas Murray». «Buonasera.» Gli stringo la mano, cercando di non far trapelare la mia eccitazione. Wow. Io e Sir Nicholas Murray che parliamo al Savoy. Sto già pensando a come buttarla lì con aria indifferente quando mi capiterà di parlare con Antony. «Lei è della Johnson Ellison o della Greene Retail?» mi chiede gentilmente Sir Nicholas. «Nessuna delle due» rispondo io imbarazzata. «Veramente faccio la fisioterapista.» «Una fisioterapista!» Si illumina in viso. «Magnifico! L’ho sempre ritenuta la più sottovalutata fra le discipline mediche. Sono andato da questo Superman in Harley Street per la mia schiena, ma non è riuscito a farla scrocchiare come si deve...» Fa una leggera smorfia. «Quel che le ci vuole è Ruby» dico, annuendo saggiamente. «Il mio capo. È fantastica. Il suo massaggio dei tessuti profondi fa letteralmente piangere anche gli uomini adulti.» «Ah, però.» Sir Nicholas sembra interessato. «Ha un biglietto da visita?» Sììììì! Quando avevamo cominciato a lavorare per lei, Ruby ci aveva procurato dei biglietti da visita, ma finora non me l’aveva ancora chiesto nessuno. «Ecco qui.» Infilo la mano in borsa ed estraggo il biglietto con nonchalance, come se lo facessi di continuo. «Siamo a Balham. È a sud del fiume, magari non conosce il posto...»
«Conosco bene Balham.» Gli brillano gli occhi. «Il mio primo appartamento a Londra era a Bedford Hill.» «Ma no!» Per poco non mi cade la tartina dalla bocca. «Be’, allora deve proprio venire a trovarci.» Non posso crederci. Sir Nicholas Murray che abita a Bedford Hill. Oddio, è stupefacente! Partire da Balham e ritrovarsi con il titolo di cavaliere. È davvero di esempio. «Sir Nicholas.» Il tizio con la pelle olivastra si materializza dal nulla per unirsi al gruppo. «Sono felice che sia venuto. È sempre un piacere vederla. Come vanno le cose al Numero 10? Hanno già trovato il segreto della felicità?» «Si tira avanti.» Sir Nicholas gli sorride rilassato. «Be’, è un onore. Un grande onore.» Il tizio con la pelle olivastra si volta verso Sam e gli dà una pacca sulle spalle. «Sam, amico mio, senza di te non potremmo mai fare quel che facciamo.» Lo guardo indignata. Un attimo fa ha definito Sam un “grandissimo stronzo”. «Grazie, Justin.» Il sorriso di Sam è teso. È proprio Justin Cole. Avevo ragione. Di persona è perfido come nelle sue mail. Sto per chiedere a Sir Nicholas com’è dal vivo il Primo Ministro, quando un ragazzo ci viene incontro con aria nervosa. «Sam! Scusate l’interruzione. Sono Matt Mitchell. Grazie infinite per esserti offerto volontario. La tua adesione gioverà immensamente al progetto.» «Per essermi offerto volontario?» Sam mi fulmina con un’occhiata. Oddio. Non ho idea di cosa stia parlando. La mia mente si mette in moto per cercare di ricordare. Dunque, volontario... per che cosa? «Sì, per la spedizione in Guatemala! Il programma di scambio!» A Matt Mitchell brillano gli occhi. «Siamo felicissimi che tu voglia iscriverti!» Mi sento raggelare. Il Guatemala. Me n’ero completamente dimenticata. «Guatemala?» ripete Sam, con un sorriso forzato. Adesso ricordo. Era piuttosto tardi quando l’ho mandata. Mi sa che avevo bevuto uno o due bicchieri di vino. O... tre. Mi azzardo a guardare Sam di sottecchi: ha un’espressione così inferocita che vorrei darmela a gambe. Ma la verità è che mi era sembrata un’opportunità meravigliosa. E da quel che ho visto della sua agenda, non si prende mai una vacanza. Dovrebbe proprio andarci, in Guatemala. «La tua mail ha commosso tutti, Sam.» Matt gli stringe calorosamente la mano fra le sue. «Non sapevo che tu nutrissi questi sentimenti nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Quanti orfani adotterai a distanza?» «Sam! Oh, mio Dio!» Una ragazza mora, piuttosto ubriaca, si dirige barcollando verso di noi. Sgomitando, costringe Matt a farsi da parte. Ha il viso congestionato, gli occhi imbrattati di mascara e afferra la mano di Sam. «Grazie infinite per la tua e-card su Scamper. Mi hai reso felice, lo sai?»
«Va tutto bene, Chloe» dice Sam teso. Mi lancia uno sguardo incandescente e io sussulto. «Tutte le cose meravigliose che mi hai scritto» singhiozza. «Appena le ho lette, ho capito che dovevi aver perso un cane anche tu. Perché tu mi capisci, vero? Tu capisci.» Una lacrima le scende all’improvviso sulla guancia. «Chloe, vuoi sederti?» chiede Sam liberando la mano dalla sua, ma Justin si mette in mezzo con un sorrisetto malizioso. «Ho sentito parlare di questa famosa e-card. Posso vederla?» «Ho una stampata.» Chloe si asciuga il naso, tira fuori un foglio spiegazzato dalla tasca e Justin glielo prende subito di mano. «Oh, che meraviglia, Sam» dice, osservandolo con finta ammirazione. «Molto commovente.» «L’ho fatto vedere all’intero reparto.» Chloe annuisce in tono piagnucolante. «Tutti dicono che sei una persona straordinaria, Sam.» Sam stringe il bicchiere così forte che la sua mano è sbiancata. Ha l’aria di uno che vorrebbe premere un pulsante e sparire. Adesso mi sento veramente male. Non mi ero resa conto di aver scritto tutte quelle mail. Mi ero scordata del Guatemala. E non avrei dovuto mandare la e-card. Se potessi tornare indietro nel tempo, lo bloccherei in quel preciso istante e mi direi: “Poppy! Fermati! Niente ecard!”. «“Il piccolo Scamper ha raggiunto i suoi amici in cielo, e noi lo piangiamo”» declama Justin. «“Il suo morbido pelo, i suoi occhi luminosi, il suo osso sul divano.”» Si interrompe. «Non sono sicuro che “piangiamo” faccia rima con “divano”, Sam. E, comunque, perché l’osso dovrebbe stare sul divano? Non è molto igienico.» «Dammela.» Sam cerca di togliergliela di mano, ma Justin schiva l’assalto con aria molto divertita. «“La sua coperta nella cuccia vuota, il silenzio soltanto. Se ora Scamper sta guardando giù, saprà quanto stiamo penando.”» Justin fa una smorfia. «“Soltanto”? “Penando”? Ma lo sai o no che cos’è una rima, Sam?» «Per me è molto toccante» dice Sir Nicholas allegramente. «Anche per me» mi affretto a dire. «Mi pare stupenda.»70 «È così sentita» Chloe ha il volto rigato di lacrime. «È bellissima perché è vera.» Ha la faccia tutta impiastricciata di trucco. Le si è persino rotto uno dei tacchi a spillo e non sembra essersene nemmeno accorta. «Justin» dice gentilmente Sir Nicholas. «Magari potresti andare a prendere un bicchiere d’acqua per Chloe...» «Ma certo!» Justin si mette in fretta in tasca il foglio. «Non ti dispiace, vero, Sam, se tengo la poesia? È tanto speciale. Hai mai pensato di lavorare per una ditta di biglietti di auguri?» Si allontana con Chloe e praticamente la sbatte su una sedia. Un attimo dopo lo vedo chiamare sghignazzando il gruppo con cui era prima e tirare fuori il foglio dalla tasca. Mi sento così in colpa che non riesco quasi a guardare Sam.
«Bene!» dice Sir Nicholas con aria divertita. «Sam, davvero non immaginavo che amassi tanto gli animali.» «Infatti, io non...» Sam sembra a malapena in grado di emettere un suono. «Io...» Sto cercando freneticamente qualcosa da dire per salvare la situazione. Ma che cosa posso fare? «Ora, Poppy, mi devi scusare.» Sir Nicholas interrompe i miei pensieri. «Preferirei di gran lunga rimanere qui, ma devo andare a parlare con quel tizio noiosissimo della Greene Retail.» Mi guarda con una faccia talmente comica che non posso fare a meno di ridere. «Sam, noi due parleremo più tardi.» Mi stringe la mano e si infila tra la folla. Avrei voglia di scappare con lui, ma mi trattengo. «Allora!» Mi giro verso Sam e deglutisco un po’ di volte. «Mmh... scusa per tutto.» Sam, senza dire nulla, si limita a tendere la mano aperta. Cinque secondi dopo capisco che cosa vuole. «Eh?» esclamo allarmata. «No! Cioè... non potrei tenerlo fino a domani? Adesso ci sono tutti i miei contatti, tutti i miei messaggi...» «Dammelo.» «Ma non sono ancora andata a comprarne un altro! Non ho un sostituto, questo è l’unico numero che ho, ne ho bisogno...» «Dammelo.» È implacabile. In effetti, fa abbastanza paura. D’altra parte... non me lo può togliere con la forza, no? A meno che non voglia fare una scenata, e questa è l’ultima cosa che desidera al momento, direi. «Senti, so che sei arrabbiato» dico nel tono più contrito di cui sono capace. «Ti capisco. Ma se ti inoltrassi subito tutte le mail? E te lo restituissi domani, dopo avere sistemato ogni cosa? Per piacere!» Almeno avrò la possibilità di prendere nota di alcuni miei messaggi. Sam sbuffa. Vedo che si sta rendendo conto di non avere scelta. «Non mandare neanche una mail» dice dopo un po’, durissimo, lasciando cadere la mano. «Okay» replico io, pentita. «E mi preparerai una lista delle mail che hai spedito tu.» «Okay.» «Domani mi restituisci il telefonino e poi sparisci dalla mia vita.» «Devo venire da te in ufficio?» «No!» All’idea per poco non fa un balzo indietro. «Ci vediamo all’ora di pranzo. Ti mando un messaggio.» «Okay.» Sospiro, ormai abbastanza depressa. «Scusami. Non avevo intenzione di incasinarti la vita.» Speravo quasi che mi dicesse qualcosa di carino tipo “Non ti preoccupare, non me l’hai incasinata” o “Non fa niente, le intenzioni erano buone”, però non è così. Sembra davvero spietato.
«Per caso c’è qualcos’altro che dovrei sapere?» mi domanda bruscamente. «Sii sincera, per piacere. Hai prenotato altri viaggi all’estero? Preso iniziative aziendali al posto mio? Scritto poesie inopportune a mio nome?» «No!» rispondo nervosamente. «Nient’altro. Ne sono sicura.» «Ti rendi conto del disastro che hai scatenato?» «Sì.» Deglutisco. «Ti rendi conto di quanto imbarazzo mi hai causato?» «Mi spiace, mi dispiace molto» dico disperata. «Non volevo metterti in imbarazzo. Non volevo crearti problemi. Credevo di farti un favore.» «Un favore?» Mi guarda incredulo. «Un favore?» «Ehi, Sam.» Una voce roca ci interrompe e una ventata di profumo mi investe. Mi giro e vedo una ragazza sui ventotto anni con tacchi vertiginosi e trucco pesante. Ha i boccoli rossi e un vestito davvero corto. Cioè, praticamente le vedo l’ombelico. «Scusami, posso rubartelo per un attimo?» Mi lancia un’occhiata carica di antagonismo. «Ah... Ehm...» Mi allontano di qualche passo, ma non abbastanza da non sentirli. «Allora. Non vedo l’ora di incontrarti domani.» Lo guarda, sbattendo le ciglia finte.71 «Nel tuo ufficio. Non mancherò.» Sam sembra perplesso. «Hai un appuntamento?» «È così che ti piace giocare?» Fa una risata morbida, sensuale, e si tira indietro i capelli come fanno le attrici di certe serie televisive americane ambientate in splendide cucine. «Io faccio come piace a te.» La sua voce diventa sempre più bassa, fino a mutarsi in un sussurro roco. «Non so se mi spiego, Sam.» «Scusa, Lindsay...» Sam aggrotta la fronte, chiaramente sconcertato. Lindsay? Per poco non mi rovescio il drink sul vestito. Questa ragazza è Lindsay? Oh, no. Oh, no, oh, no! Non va bene. Lo sapevo che avrei dovuto cancellare i baci di Sam. Lo sapevo che quella faccina sorridente che faceva l’occhiolino significava qualcosa. Per poco non mi metto a saltellare per l’agitazione. Posso avvertirlo? Devo fargli qualche segnale? «L’ho sempre saputo, Sam» sta mormorando lei adesso. «Dalla prima volta che ti ho visto. Ho capito che fra noi c’era una vibrazione particolare. Sei davvero sexy.» Sam sembra sbigottito. «Be’... grazie» dice «ma... Lindsay, non è...» «Ah, non ti preoccupare. So essere molto discreta.» Gli fa scorrere delicatamente un’unghia laccata sulla camicia. «Avevo quasi perso ogni speranza con te, lo sai?» Sam balza indietro allarmato. «Lindsay...» «Per tutto questo tempo non hai dato un solo segno... poi, di punto in bianco, cominci a contattarmi.» Spalanca gli occhi. «Mi fai gli auguri di compleanno, ti complimenti per il mio lavoro... Io ho capito subito che cosa c’era sotto. E poi, stasera...» Lindsay gli si avvicina, parlandogli con voce sempre più
languida. «Non hai idea dell’effetto che mi ha fatto leggere la tua mail. Mmh... Ragazzaccio!» «Una mail?» ripete Sam. Si gira lentamente per incrociare il mio sguardo angosciato. Avrei dovuto darmela a gambe finché ero in tempo. Avrei dovuto squagliarmela. 66 Dove l’ha preso? Perché nessuno ne ha offerto uno anche a me? 67 Lui sosteneva di aver sbagliato a digitare. Sì, per puro caso il dito gli sarà scivolato due tasti a sinistra. 68 Non ci vogliono andare tutti, in Islanda? Perché dire no all’Islanda? 69 Quindi non è poi così educato. 70 Okay, lo so che non è vero. A mia discolpa, devo dire che l’ho scelta in fretta e furia su un sito di e-card e che l’immagine era molto carina. Era un disegno a matita di una cuccia di cane vuota che per poco non aveva fatto piangere anche me. 71 Che cosa prescrive l’etichetta quando una donna ha una delle ciglia finte leggermente staccata da una parte? Bisogna dirglielo o sorvolare educatamente?
9 Sono la più dispiaciuta di tutte le persone dispiaciute che siano mai esistite. L’ho fatta veramente grossa. Ho procurato a Sam una marea di lavoro e di guai, ho abusato della sua fiducia e sono stata una vera spina nel fianco. Oggi doveva essere una giornata allegra. Una giornata dedicata al matrimonio. Ho preso alcuni giorni liberi per gli ultimi preparativi per le nozze, e invece che cosa mi ritrovo a fare? A cercare tutti i modi possibili per dire “mi dispiace”. Mi presento all’ora di pranzo con una maglietta grigia da penitente, come si conviene, e una gonna di jeans. Ci vediamo in un ristorante dietro il suo ufficio, e la prima cosa che vedo entrando è un gruppo di ragazze che ricordo di aver incontrato ieri sera al Savoy, raccolte intorno a un tavolo rotondo. Sono sicura che non mi riconoscerebbero, ma passo loro accanto in fretta, a testa bassa: non si sa mai. Al telefono Sam ha definito il ristorante “una seconda mensa aziendale”. Alla faccia della mensa. Ci sono tavoli d’acciaio e sedie foderate di lino e uno di quei menu minimalisti superchic dove tutto è scritto in minuscolo e i piatti sono descritti con il minor numero di parole possibile.72 Non si vede da nessuna parte il simbolo della sterlina.73 Non stupisce che piaccia a Sam. Ho ordinato dell’acqua e sto cercando di decidere se prendere una minestra e un’insalata, quando Sam compare sulla porta. Le ragazze cominciano subito ad agitare le braccia e dopo un attimo di esitazione, lui le raggiunge. Non riesco a sentire quel che si dicono, ma colgo qualche parola qua e là: «... splendida idea...», «... entusiasta», «... molto incoraggiante». Tutti sorridono e hanno un’espressione rilassata, persino Sam. Alla fine si congeda dalle colleghe e viene verso di me. «Ciao. Ce l’hai fatta a venire.» A me non sorride, noto. «Sì. Bel ristorante. Grazie di essere venuto. Sei molto gentile.» Sto cercando di essere più conciliante possibile. «Praticamente vivo qui.» Alza le spalle. «Come tutti, alla WGC.» «Bene... queste sono tutte le mail che ho spedito a tuo nome.» Voglio risolvere la questione una volta per tutte. Mentre gli passo il foglio, non riesco a trattenere una smorfia. Visto così, l’elenco sembra lunghissimo. «Ti ho inoltrato tutto.» Un cameriere mi interrompe portandomi una caraffa piena d’acqua. «Bentornato, signore» dice a Sam, poi fa un cenno a una cameriera che ha in mano un cestino del pane. Quando si allontanano, Sam piega il foglio e se lo mette in tasca senza commentare. Grazie a Dio. Credevo che l’avrebbe esaminato punto per punto, come un preside. «Quelle ragazze lavorano con te, vero?» Indico il tavolo con un cenno della testa. «Di che cosa stavano parlando?» C’è un momento di silenzio mentre Sam si versa dell’acqua, poi alza lo sguardo. «Effettivamente stavano parlando del tuo progetto.»
Lo guardo. «Il mio progetto? Intendi la mia mail sulle idee?» «Sì. Il consiglio di amministrazione l’ha accolto bene.» «Wow!» Per un attimo mi crogiolo al pensiero. «Allora... non hanno reagito tutti male.» «No, non tutti.» «Sono saltate fuori buone idee?» «Effettivamente... sì» dice controvoglia. «Sono emerse riflessioni interessanti.» «Wow! Fantastico!» «Anche se alcuni sono convinti che sia un complotto per licenziare tutti in tronco e uno minaccia di farmi causa.» «Oh.» Sono mortificata. «Mi dispiace» dico. «Salve.» Una ragazza allegra con un grembiule verde si è avvicinata al nostro tavolo. «Posso spiegarvi il menu?74 Oggi abbiamo minestra di zucca gialla, fatta con brodo ristretto di pollo di allevamento biologico...» Passa in rassegna tutti i piatti, e io, inutile dirlo, perdo subito la concentrazione. Alla fine, quindi, non ho idea di quel che c’è, a parte la minestra di zucca. «Per me minestra di zucca, grazie.» Sorrido. «Steak baguette con insalata verde, grazie.» Secondo me, neppure Sam stava ascoltando. Controlla una cosa sul cellulare e si incupisce, e io mi sento subito in colpa. Devo avergli davvero complicato la vita sul lavoro con le mie iniziative. «Volevo solo dirti che mi dispiace moltissimo» dico in fretta. «Scusami per la e-card. Scusami per il Guatemala. Mi sono fatta prendere la mano. So di averti causato molto disagio, e se posso rimediare in qualche modo, dimmelo. Cioè... vuoi che mandi delle mail per conto tuo?» «No!» Sembra che si sia scottato. «Grazie» aggiunge con più calma. «Hai fatto fin troppo.» «Allora, come te la stai cavando?» mi arrischio a dire. «Per esaminare tutte quelle idee, intendo.» «Per ora ci sta pensando Jane. Sta spedendo le mail di rimbalzo.» Arriccio il naso. «Le mail di rimbalzo? Che cosa sarebbero?» «Hai presente quei messaggi tipo: “Sam è felicissimo di aver ricevuto la tua mail. Ti risponderà al più presto. Nel frattempo, grazie per l’interesse”. Tradotto: “Non aspettarti una risposta veloce”.» Alza le sopracciglia. «Ce l’avrai anche tu, una mail di rimbalzo... Torna utile anche per respingere avance indesiderate.» «No, non ce l’ho» dico, leggermente offesa. «Io non rimbalzo mai nessuno. Io rispondo!» «Okay, questo spiega un sacco di cose.» Stacca un pezzetto di pane e comincia a masticare. «Se l’avessi saputo, non avrei mai accettato di condividere con te un cellulare.» «Be’, adesso non è più necessario.» «Grazie a Dio. Dov’è?»
Frugo nella borsa, tiro fuori il telefono e lo metto sul tavolo in mezzo a noi. «Che cavolo è quella roba?» esclama Sam atterrito. «Che cosa?» Seguo il suo sguardo perplessa, poi capisco. Nel sacchetto con gli omaggi del Marie Curie Champagne Tea c’erano degli adesivi per il cellulare, e l’altro giorno li ho appiccicati. «Non preoccuparti.» Alzo gli occhi al cielo vedendo la sua espressione. «Vengono via.» «Meno male.» Sembra comunque sbalordito. Ma insomma... Nella sua azienda nessuno decora il telefonino? Arrivano le nostre ordinazioni e per un po’ siamo distratti da pepe, senape e un piatto di verdure fritte che sostengono di averci sentito ordinare. «Hai fretta?» mi chiede Sam, prima di addentare la baguette. «No. Mi sono presa qualche giorno libero per i preparativi del matrimonio, ma mi sono accorta che non c’è poi così tanto da fare.» La verità è che stamattina Lucinda mi ha lasciato abbastanza di stucco. Le avevo detto secoli fa che mi sarei presa qualche giorno libero per aiutarla. Avevo pensato che avremmo potuto fare insieme le cose più divertenti. Lei, però, in sostanza mi ha risposto “no, grazie”. Ha tirato fuori una lunga storia sul fatto che doveva andare dal fiorista a Northwood75 e passare da un altro cliente, dicendomi praticamente che le sarei stata d’impaccio. Quindi ho la mattina libera. Non avevo nessuna intenzione di andare al lavoro così, tanto per andarci. Mentre mangio la minestra, aspetto che Sam parli spontaneamente del suo matrimonio, ma niente. Gli uomini non sono così presi da queste cose, vero? «La zuppa è fredda?» Sam si concentra d’un tratto sul mio piatto. «Se è fredda, mandala indietro.» In effetti, non è proprio bollente, ma non ho voglia di piantare grane. «Va bene così, grazie.» Sfodero un sorriso e prendo un’altra cucchiaiata. A un certo punto il telefonino suona, e io l’afferro d’istinto. È un messaggio di Lucinda: mi dice che è dal fiorista e mi chiede di confermarle che voglio solo quattro rametti di gypsophila per il bouquet. Non ne so niente. Perché dovrei specificare una cosa del genere? E poi, che effetto faranno solo quattro rametti? Sì, bene. Grazie infinite, Lucinda, sei molto gentile!!! Ormai manca poco!!! Ciao, Poppy xxxxx C’è anche una nuova mail di Willow, ma non ce la faccio a leggerla davanti a Sam. La inoltro in fretta e poso il telefono. «È appena arrivata una mail di Willow.» «Ah...» Annuisce cupo e tutt’altro che incoraggiante. Sto morendo dalla voglia di saperne di più su di lei, ma come faccio a fargli domande senza che la cosa suoni innaturale? Non posso neppure chiedere: “Come vi siete conosciuti?” perché lo so già, grazie a una delle sfuriate telematiche di Willow. Si sono incontrati quando lei è andata a fare un colloquio alla White Globe Consulting. Sam era nel gruppo degli esaminatori e le aveva fatto alcune domande insidiose sul suo curriculum, e lei
avrebbe dovuto capirlo GIÀ DA ALLORA che le avrebbe mandato la vita a puttane. Avrebbe dovuto alzarsi da quella sedia e ANDARSENE. Lui crede forse che uno stipendio a sei cifre sia tutto quel che lei desidera? Pensa che siano tutti come lui? Non si rende conto che per costruire una vita insieme bisogna SAPERE CHE COSA SONO I MATTONI??? Eccetera eccetera. Sinceramente, ho rinunciato a leggerla fino in fondo. «Non ti sei ancora procurata un cellulare?» mi chiede Sam, sollevando le sopracciglia. «Questo pomeriggio vado a fare compere.» Sarà una scocciatura ricominciare con un telefono nuovo, ma non è che ci possa fare granché. A meno che... «In effetti, mi stavo chiedendo...» dico con nonchalance. «Non è che per caso lo vuoi vendere?» «Il cellulare della società, pieno di mail di lavoro?» Fa una risata incredula. «Sei matta? È già stata una follia darti libero accesso alla mia corrispondenza. Non è che avessi alternative, signorina Manolesta. Avrei dovuto denunciarti alla polizia.» «Non sono una ladra!» ribatto, offesa. «Non l’ho rubato. L’ho trovato in un cestino.» «Avresti dovuto consegnarlo a chi di dovere.» Si stringe nelle spalle. «Lo sai anche tu.» «Era proprietà comune! Era a disposizione di tutti.» «“A disposizione di tutti”? Vuoi provare a raccontarlo a un giudice? Se mi cade il portafoglio e finisce momentaneamente in un cestino, il primo che passa ha diritto di rubarlo?» Non so bene se stia cercando di provocarmi o no, quindi bevo un sorso d’acqua, lasciando cadere il discorso. Continuo a rigirarmi il cellulare in mano, restia a ridarglielo. Mi ci sono abituata. Mi piace la sua consistenza. Mi sono persino abituata a condividere la corrispondenza. «Allora, che cosa gli succederà?» Alzo finalmente lo sguardo. «Al cellulare, intendo.» «Jane inoltrerà i messaggi di qualche rilevanza sul suo account, poi sarà cancellato tutto. In entrata e in uscita.» «Sì. Certo.» All’idea che tutti i miei SMS vengano cancellati mi viene da piangere, ma non posso farci niente. Erano questi i patti. Era solo un prestito. Come dice lui, non è il mio cellulare. Lo poso di nuovo sul tavolo a circa cinque centimetri dal mio piatto. «Ti manderò il mio nuovo numero appena lo avrò» gli dico. «Se dovessero arrivare messaggi o mail...» «Te li inoltro.» Annuisce. «O meglio, te li inoltrerà la mia nuova assistente.» «Quando comincia?» «Domani.»
«Fantastico!» Sorrido debolmente e prendo una cucchiaiata di minestra, che a dire il vero è tiepida nel senso negativo del termine. «Infatti è fantastica» dice entusiasta. «Si chiama Lizzy ed è molto in gamba.» Inizia a mangiare l’insalata verde. «Bene, già che sei qui, devi dirmelo. Che accordi hai preso con Lindsay? Che diavolo le hai scritto?» «Ah, sì.» Mi sento avvampare per l’imbarazzo. «Mi sa che ha frainteso la situazione... Be’, non è niente di che, in realtà. Le ho fatto solo dei complimenti e poi le ho mandato dei baci da parte tua. Alla fine di una mail.» Sam mette giù la forchetta. «Hai aggiunto dei baci a una mia mail? Una mail di lavoro?» Sembra quasi più scandalizzato da questo che da qualsiasi altra cosa. «Non l’ho fatto apposta!» dico sulla difensiva. «Mi sono solo scappati. Concludo sempre le mail con dei baci. È carino.» «Ah, capisco.» Alza gli occhi al cielo. «Sei una di quelle persone ridicole.» «Non è ridicolo» ribatto. «Solo gentile.» «Fa’ vedere.» Prende il telefono. «No!» dico terrorizzata. «Che cosa stai facendo?» Cerco di strapparglielo dalle mani, ma è tropo tardi. Ormai l’ha preso e sta facendo scorrere tutti i messaggi e tutte le mail. Mentre legge, alza un sopracciglio, poi si incupisce e all’improvviso scoppia a ridere. «Che cosa stai leggendo?» Cerco di assumere un tono gelido. «Dovresti rispettare la mia vita privata.» Mi ignora del tutto. Non ha idea di che cosa sia la privacy? E che cosa sta leggendo? Potrebbe essere qualsiasi cosa. Prendo un’altra cucchiaiata di minestra, ma è talmente fredda che non ce la faccio più. Quando alzo gli occhi, Sam sta ancora leggendo avidamente i miei messaggi. È orribile. È come se stesse frugando nel mio cassetto della biancheria intima. «Adesso capisci che cosa significa avere qualcuno che ti critica le mail» dice, alzando lo sguardo. «Non c’è niente da criticare» replico un po’ altezzosa. «A differenza di te, io sono gentile e educata, e non rimbalzo le persone con due parole.» «Tu la chiami gentilezza, io in un altro modo.» «Vedi tu.» Alzo gli occhi al cielo. Ovviamente non vuole ammettere che le mie capacità comunicative siano superiori alle sue. Sam legge un’altra mail scuotendo la testa, poi alza gli occhi su di me e mi scruta in silenzio. «Be’?» dico infastidita. «Che cosa c’è?» «Hai paura di essere odiata?» «Cosa?» Lo fisso, senza sapere bene come reagire. «Che cosa stai dicendo?» Indica il telefono. «Le tue mail sono come un piagnucolio continuo. Tutto un baci baci, abbracci abbracci, vogliatemi bene vogliatemi bene!»
«Cosa?» È come se mi avesse dato uno schiaffo in faccia. «Stai dicendo delle enormi... stronzate.» «Senti qui. “Ciao, Sue! Non è che potresti spostare l’appuntamento per l’acconciatura del matrimonio alle cinque del pomeriggio? L’avevo fissato con Louis. Fammi sapere. Se per caso non fosse possibile, non ti preoccupare. Grazie infinite! Sei molto gentile! Spero che vada tutto bene, a presto, Poppy baci baci baci baci baci baci baci.” Chi è Sue? La tua più vecchia e cara amica?» «È la segretaria del mio parrucchiere.» Lo guardo malissimo. «Quindi lei si prende tutti questi ringraziamenti e complimenti e miliardi di baci unicamente perché fa il suo lavoro?» «Sono solo gentile!» taglio corto. «Questo non significa essere gentili» ribatte lui con fermezza «ma ridicoli. È una comunicazione di lavoro. Sii più professionale.» «Io voglio bene al mio parrucchiere!» dico furente. Prendo un’altra cucchiaiata di minestra, cercando di dimenticare quanto fa schifo, e reprimo un brivido. Sam sta ancora passando in rassegna i miei messaggi, come se ne avesse tutto il diritto. Non avrei mai dovuto permettergli di mettere le mani su quel telefono. Avrei dovuto cancellare tutto io stessa. «Chi è Lucinda?» «La mia wedding planner» rispondo controvoglia. «Ah, infatti, mi pareva... Non dovrebbe essere una che lavora per te? Allora perché ti tratta così da schifo?» Per un attimo sono così confusa da non sapere che cosa rispondere. Imburro un pezzo di pane, poi lo poso senza addentarlo. «Infatti sta lavorando per me» dico alla fine, evitando il suo sguardo. «Cioè, io naturalmente le do una mano, quando ne ha bisogno...» «Hai prenotato le auto al posto suo.» Conta sulla punta delle dita, incredulo. «I confetti, i fiori all’occhiello, l’organista...» Mi sento avvampare. So che ho finito per fare al posto suo più di quel che avrei voluto. Ma non ho intenzione di ammetterlo con lui. «L’ho voluto fare io! Non c’è problema.» «In più, se vuoi saperlo, questa Lucinda ha un tono un po’ troppo prepotente.» «È solo il suo modo di fare. A me non dà fastidio...» Sto cercando di cambiare discorso, ma lui non molla. «Perché non glielo dici in faccia? “Guarda che lavori per me, vedi di cambiare atteggiamento.”» «Non è facile come sembra, okay?» Mi sento in posizione di svantaggio. «Non è solo una wedding planner. È una vecchia amica dei Tavish.» «Tavish?» Scuote la testa come se il nome non gli dicesse niente. «I miei futuri suoceri! I Tavish. Il professor Antony Tavish, hai presente? La professoressa Wanda Brook-Tavish? I genitori di Lucinda sono loro grandi
amici, e lei fa parte di quel mondo, è una di loro, e io non posso...» Mi interrompo per sfregarmi il naso. Non so neanch’io dove voglio arrivare. Sam prende un cucchiaio, si sporge verso di me, assaggia un po’ della mia minestra e fa una smorfia. «È gelata. Infatti, mi sembrava. Mandala indietro.» «Ma no, davvero.» Gli sfodero un sorriso automatico. «Va bene così.» «No che non va bene. Mandala indietro.» «No! Senti... non importa. Non ho neanche fame.» Sam mi guarda scuotendo la testa. «Sei una grande sorpresa per me, lo sai? Questo è una grande sorpresa per me.» Tamburella sul telefono. «Che cosa c’è?» «Sei piuttosto insicura per essere una ragazza in apparenza così esuberante» «Non è vero!» ribatto, turbata. «Non è vero che sei insicura? O esuberante?» «Io...» Sono troppo confusa per rispondere. «Non lo so. Piantala. Lasciami in pace.» «Parli dei Tavish come se fossero Dio...» «Be’, è naturale! Sono gente di un altro livello...» Vengo interrotta da una voce maschile. «Sam! Amico mio!» È Justin, e gli sta dando una pacca sulla schiena. Indossa un completo nero, con cravatta nera e occhiali neri. Sembra uscito da Men in Black. «Sempre steak baguette?» «Mi conosci troppo bene.» Sam si alza in piedi e ferma un cameriere di passaggio. «Mi scusi, può portare un’altra minestra per la mia ospite? Questa è fredda. Hai conosciuto Poppy l’altra sera? Poppy, Justin Cole.» «Enchanté.» Justin fa un cenno del capo nella mia direzione, e mi arriva una ventata di dopobarba Fahrenheit. «Salve.» Riesco a sorridere educatamente, ma sono ancora scossa. Devo dire a Sam che si sbaglia di grosso. Su tutta la linea. «Com’è andata la riunione con P&G?» domanda Sam a Justin. «Bene! Molto bene! Anche se naturalmente manchi molto a tutta la squadra, Sam.» Agita il dito in segno di rimprovero. «Non credo proprio.» «Lo sai che quest’uomo è la star della nostra azienda?» mi dice Justin, indicando Sam. «L’erede di Sir Nicholas, a quanto pare. “Un giorno, caro ragazzo, tutto questo sarà tuo”.» «Ma va’, stronzate» dice Sam in tono bonario. «Ovvio.» C’è un momento di silenzio. Si sorridono... ma sembrano più due animali che si mostrano i denti. «Allora, ci vediamo» dice Justin lentamente. «Stasera vieni alla convention?» «Domani, magari» risponde Sam. «Ho un mucchio di lavoro arretrato.»
«Okay, allora brinderemo alla tua salute domani.» Justin mi saluta con un cenno della mano e se ne va. «Scusami» dice Sam rimettendosi a sedere. «Questo ristorante a pranzo è un disastro, ma è il più vicino tra quelli decenti.» Justin Cole mi ha distratta dal turbinio dei miei pensieri. È veramente una carogna. «Sai, ieri sera ho sentito Justin che parlava di te» dico sottovoce sporgendomi sul tavolo. «Ha detto che sei un grandissimo stronzo.» Sam getta indietro la testa e scoppia a ridere. «Non mi sorprende affatto.» Mi mettono davanti un nuovo piatto fumante di minestra di zucca, e all’improvviso mi viene una fame da lupi. «Grazie» gli dico, imbarazzata. «È un piacere.» Inclina la testa. «Bon appetit.» «Ma perché ti ha definito un grandissimo stronzo?» Prendo una cucchiaiata di minestra. «Be’, fondamentalmente siamo in disaccordo su come dirigere la società» dice in tono noncurante. «Negli ultimi tempi la mia fazione ha ottenuto una vittoria, e la sua di conseguenza rode.» Fazioni? Vittorie? Sono sempre in guerra? «Ma che cos’è successo?» Dio, com’è buona questa minestra. La sto ingurgitando come se non mangiassi da settimane. «Davvero ti interessa?» Sembra divertito. «Sì! Certo!» «Un dirigente ha lasciato la società. È stato un bene, a mio parere. Ma non per Justin.» Mangia un boccone di baguette e prende il bicchiere d’acqua. Tutto qui? Non ha intenzione di dirmi altro? Un dirigente se n’è andato dalla società? «Intendi John Gregson?» All’improvviso, mi ricordo la ricerca che avevo fatto su Google. «Cosa?» Sembra colto alla sprovvista. «Come fai a sapere di John Gregson?» «“Daily Mail” online, naturalmente.» Alzo gli occhi al cielo. Che cosa crede? Di lavorare in una bolla asettica e inviolabile? «Ah, capisco.» Sam sembra farsene una ragione. «Be’... no. Quella era un’altra cosa.» «Di chi si trattava, allora? Dài» lo incito, vedendolo esitare. «Me lo puoi dire. Sono la migliore amica di Sir Nicholas Murray, lo sai. Abbiamo bevuto al Savoy insieme. Noi due siamo così.» Incrocio le dita, e Sam ride suo malgrado. «Okay. Non credo che sia un gran segreto.» Esita e abbassa la voce. «Si tratta di un certo Ed Exton. Direttore finanziario. La verità è che è stato licenziato. È saltato fuori che per un po’ ha derubato la società. Nick non ha voluto denunciarlo, ma è stato un grosso errore, perché adesso Ed ci sta facendo causa per licenziamento immotivato.»
«Sì!» Per poco non lancio un gridolino. «Lo sapevo! Per questo era conciato così male, quella volta al Groucho.» Sam fa un’altra risatina incredula. «Sai anche questo. Naturalmente.» «Insomma... Justin si è arrabbiato quando hanno licenziato Ed?» Sto cercando di capirci qualcosa. «Justin stava combattendo strenuamente perché Ed diventasse amministratore delegato e lui il suo braccio destro» dice Sam ironicamente. «Quindi sì, si può dire che fosse abbastanza arrabbiato.» «Amministratore delegato?» dico sbalordita. «E Sir Nicholas?» «Be’, l’avrebbero mandato via se avessero ottenuto l’appoggio necessario» dice Sam in tono pratico. «In questa società c’è una fazione più interessata a intascare profitti a breve termine e a indossare completi di Paul Smith che a tutto il resto. Nick è uno che lavora ragionando sul lungo termine. Non sempre questa posizione è la più apprezzata.» Finisco la minestra e intanto elaboro le informazioni. Sinceramente, la politica delle aziende è molto complicata. Come fa la gente a lavorare? Per noi è già stressante quando Annalise fa una delle sue scenate isteriche sui turni per chi deve andare a prendere il caffè... Finisce sempre che ci distraiamo e dimentichiamo di scrivere le nostre relazioni. Se fossi alla White Globe Consulting, non sarei in grado di fare il mio lavoro. Passerei tutta la giornata a mandare messaggi agli altri impiegati dell’ufficio, a chiedere che cosa succede, se hanno saputo qualcosa di nuovo e che cosa succederà secondo loro. Mmh. Forse è un bene che io non lavori in un ufficio. «Non mi sembra vero che Sir Nicholas Murray abbia vissuto a Balham» dico, d’un tratto. «Ti rendi conto? A Balham!» «Nick non è sempre stato una persona importante, assolutamente no.» Sam mi lancia un’occhiata curiosa. «Durante la tua gita a caccia di informazioni su Google non hai letto la sua storia? Era orfano. È cresciuto in un orfanotrofio. Tutto quel che ha, l’ha ottenuto con il sudore della fronte. Non ha una sola cellula snob in tutto il corpo. Non come questi imbecilli pretenziosi che cercano di farlo fuori.» Si incupisce e si infila in bocca della rucola. «Fabian Taylor dev’essere nella fazione di Justin» osservo pensierosa. «È sempre così sarcastico con te. Mi sono domandata come mai.» Alzo gli occhi e vedo che Sam mi sta guardando torvo e accigliato. «Poppy, di’ la verità. Quante mail indirizzate a me hai letto?» Non può farmi questa domanda. «Tutte, naturalmente. Che cosa credevi?» Ha un’espressione così buffa che all’improvviso mi scappa da ridere. «Appena ho messo mano su quel cellulare, ho cominciato a ficcare il naso nella tua vita. Ho letto le mail dei tuoi colleghi, di Willow...» Non posso fare a meno di buttare lì il nome, per vedere se abbocca. Come previsto, ignora completamente il riferimento. È come se “Willow” non gli dicesse nulla.
Questo, però, è il nostro pranzo di addio. È l’ultima possibilità che ho. Devo insistere. «Allora... Willow lavora su un piano diverso dal tuo?» domando in tono leggero. «Stesso piano.» «Ah, bene. E... vi siete conosciuti sul lavoro?» Si limita ad annuire. È come cavare sangue da una rapa. Un cameriere viene a prendere il mio piatto, e noi ordiniamo il caffè. Quando si allontana, noto che Sam mi sta osservando pensieroso. Sto per fargli un’altra domanda su Willow, ma lui mi precede. «Poppy, cambiamo un attimo discorso. Posso dirti una cosa? Da amico?» «Siamo amici?» ribatto dubbiosa. «Be’, allora da osservatore disinteressato?» Fantastico. Prima evita il discorso su Willow, e poi che fa? Una predica sul perché non bisogna rubare i cellulari? Un’altra lezione sulla professionalità nel rispondere alle mail? «Che cosa c’è?» Non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo. «Spara.» Prende un cucchiaino, come per riordinare i suoi pensieri, poi lo posa di nuovo sul tavolo. «So che non sono affari miei. Non sono mai stato sposato. Non ho mai incontrato il tuo fidanzato. Non conosco la situazione.» Mentre parla, inizio ad arrossire. Non so perché. «No» dico «infatti. Quindi...» Lui prosegue senza darmi retta. «Ma secondo me non puoi... non dovresti... sposarti se in qualche modo ti senti inferiore.» Per un attimo sono troppo sbalordita per rispondere. Cerco freneticamente il modo giusto per reagire. Urlo? Gli tiro un ceffone? Me ne vado infuriata? «Okay, ascolta» riesco a dire alla fine. Ho la gola serrata, ma mi sforzo di parlare in tono pacato. «Prima di tutto, come hai detto tu stesso, non mi conosci. Secondo, io non mi sento inferiore...» «Invece sì. Si capisce da tutto quel che dici, e per me è sconcertante. Guardati. Sei una professionista. Hai successo nel lavoro. Sei...» Esita. «Una donna attraente. Perché dovresti pensare che i Tavish siano “di un altro livello” rispetto a te?» Ci fa o ci è? «Perché sono... come posso dire... persone importanti, famose! Sono tutti geni e otterranno il titolo nobiliare, mentre mio zio è un semplice dentista di Taunton...» sbotto affannosamente. Fantastico. Ora ci sono dentro fino al collo. «E tuo padre?» Ecco, ci siamo. Me l’ha chiesto.
«È morto» dico bruscamente. «Tutti e due i miei genitori sono morti. Dieci anni fa, in un incidente d’auto.» Mi lascio andare contro lo schienale della sedia, in attesa del silenzio imbarazzato. Le reazioni possono essere molto diverse. Silenzio. Mano sulla bocca. Sussulto.76 Esclamazione. Cambio di discorso. Curiosità morbosa. Racconto di un incidente ancora più grave e cruento avuto da un’amica della zia. Una volta una ragazza a cui ne ho parlato è scoppiata a piangere. Mi è toccato guardarla singhiozzare e trovarle un fazzoletto di carta. Ma... è strano. Stavolta Sam non sembra imbarazzato. Non ha distolto lo sguardo. Non si è schiarito la gola, e non ha neppure sussultato né cambiato argomento. «Tutti e due insieme?» domanda infine, in tono più delicato. «Mia madre è morta sul colpo. Mio padre il giorno dopo.» Abbozzo un sorriso poco convinto. «Però non sono riuscita a congedarmi da lui. Se n’era già... quasi andato.» Ho imparato che l’unico modo di cavarsela in situazioni del genere è sorridere. Un cameriere arriva con i caffè, e per un attimo la conversazione rimane in sospeso, ma appena lui se ne va torna l’atmosfera di prima. Sam ha sempre la stessa espressione. «Sono davvero dispiaciuto.» «Non ce n’è motivo!» dico con il solito tono vivace. «È tutto superato. Siamo andati a vivere da mio zio, il dentista, e mia zia, che gli fa da assistente. Loro due hanno allevato me e i miei fratelli più piccoli. Quindi... tutto bene. Tutto bene.» Mi sento i suoi occhi addosso. Guardo prima da una parte e poi dall’altra per evitarli. Mescolo il mio caffè un po’ troppo in fretta e ne bevo un sorso. «Questo spiega molte cose» dice lui alla fine. Non sopporto la sua compassione. Non sopporto la compassione di nessuno. «Non è vero» dico secca. «Non è vero. È successo anni fa, e ormai è un capitolo chiuso. Sono adulta e l’ho superato, okay? Quindi ti sbagli. Non spiega un bel niente.» Sam posa la tazzina di caffè, prende il suo amaretto e lo scarta con calma. «Intendevo dire che spiega perché hai l’ossessione dei denti.» «Ah.» Touchée. Gli sorrido controvoglia. «Sì, mi sa che ho una certa familiarità con le cure dentali.» Sam sgranocchia l’amaretto, e io bevo un altro sorso di caffè. Qualche minuto dopo, pare che il discorso sia concluso e mi domando se sia il caso di chiedere il conto, quando di punto in bianco Sam dice: «Un mio amico ha perso la madre ai tempi in cui frequentavamo il college. Ho passato tante notti a parlare
con lui. Tante notti». Si interrompe. «So com’è. Non è una cosa che si supera. E non cambia niente se si suppone che tu sia “adulto”. Non passa mai.» Non immaginavo che sarebbe tornato sul discorso. Eravamo passati ad altro. La maggior parte della gente è ben contenta di buttarsi su qualsiasi argomento alternativo. «Be’, io invece l’ho superato» dico allegramente. «Ed è passato. Quindi...» Sam annuisce come se non fosse affatto sorpreso dalle mie parole. «Sì, anche lui diceva così. Agli altri. Lo so. Devi per forza.» Si interrompe. «Comunque, non è facile fingere.» Sorridi. Continua a sorridere. Non incrociare il suo sguardo. Chissà come, però, è più forte di me E lo guardo. E all’improvviso mi sento gli occhi bruciare. Merda. Merda. Erano anni che non mi succedeva più. Anni. «Non mi guardare in quel modo» borbotto in tono rabbioso, fissando il tavolo infuriata. «Così come?» Sembra allarmato. «Come se mi capissi.» Deglutisco. «Smettila. Ti prego.» Inspiro a fondo e bevo un sorso d’acqua. Che idiota sei, Poppy. Controllati. Non mi capitava di farmi cogliere così alla sprovvista da... non so neppure da quanto. «Scusami» dice Sam sottovoce. «Non volevo...» «No! Tutto bene. Lasciamo stare. Chiediamo il conto?» «Certo.» Mentre chiama un cameriere, io tiro fuori il lucidalabbra e, dopo un paio di minuti, torno alla normalità. Cerco di pagare, ma Sam non me lo permette, così raggiungiamo il compromesso di dividere il conto. Quando il cameriere ha preso i soldi e tolto le briciole con uno straccio, guardo Sam. «Be’.» Faccio scivolare lentamente il cellulare verso di lui. «Ecco qui. Grazie. È stato bello conoscerti...» Sam non lo guarda neanche. Mi fissa con un’espressione gentile e preoccupata che mi provoca un formicolio dappertutto e mi fa venir voglia di lanciare le cose. Se aggiunge qualcos’altro sui miei genitori, me ne vado. Mi alzo e me ne vado. «Mi stavo domandando...» dice alla fine. «Per curiosità, hai mai studiato qualche tecnica per la gestione dei conflitti?» «Cosa?» Rido forte per la sorpresa. «Certo che no. Non voglio entrare in conflitto con nessuno.» Sam allarga le braccia. «Ecco, vedi? Questo è il tuo problema.» «Io non ho problemi! Tu, semmai. Almeno io sono gentile» non posso fare a meno di dire secca. «Tu sei... penoso.» Sam scoppia a ridere e io arrossisco. Okay, forse “penoso” non era la parola giusta. «Io sto bene.» Prendo la borsa. «Non ho bisogno di aiuto.» «Dài, non essere codarda.»
«Non sono una codarda!» ribatto indignata. «Se sei capace di dare, sei capace di sopportare» dice allegramente. «Quando hai letto i miei messaggi, ci hai visto una persona brusca e penosa, e me l’hai anche detto. Forse hai ragione.» Si interrompe. «Ma sai cosa ho visto leggendo i tuoi?» «No.» Lo guardo imbronciata. «E non voglio saperlo.» «Ho visto una ragazza che corre sempre in aiuto degli altri, ma non aiuta se stessa. E, al momento, hai bisogno di aiutare te stessa. Nessuno dovrebbe andare all’altare sentendosi inferiore o a un livello diverso rispetto a chicchessia o cercando di essere quel che non è. Non so di preciso a che cosa sia riferita la tua lista, ma...» Prende il telefono, schiaccia un bottone e mi fa vedere il display... Cazzo. È il mio elenco. L’elenco che ho scritto in chiesa. COSE DA FARE PRIMA DEL MATRIMONIO 1) Diventare un’esperta di filosofia greca. 2) Studiare a memoria le poesie di Robert Burns. 3) Imparare paroloni per lo Scarabeo. 4) Ricordare: sono un’IPOCONDRIACA. 5) Manzo alla Stroganoff. Farselo piacere. (Ipnosi?) Grondo imbarazzo. Ecco perché la gente non dovrebbe condividere i cellulari. «Non c’entra niente con te» borbotto, fissando il tavolo. «Lo so» dice con gentilezza. «E so anche che lottare per se stessi può essere difficile. Ma lo devi fare. Devi trovare il coraggio. Prima del matrimonio.» Rimango in silenzio un minuto o due. Non sopporto che abbia ragione, ma in fondo so che tutto quello che ha detto è vero. Come i mattoncini del Tetris che si incastrano uno sull’altro. Poso la borsetta sul tavolo e mi sfrego il naso. Sam aspetta pazientemente che io riordini i pensieri. «Si fa presto a parlare» osservo. «Fai presto, tu, a dire: “Trova il coraggio”. Che cosa dovrei dirgli?» «“Dirgli” a chi?» «Non so. Ai suoi genitori, immagino.» All’improvviso mi sento una traditrice a parlare dei familiari di Magnus a sua insaputa, ma ormai è un po’ tardi. Sam non ha la minima esitazione. «Gli dici: “Cari signori Tavish, voi due mi fate sentire inferiore. Pensate davvero che lo sia o me lo sono solo immaginato?”.» «Ma su che pianeta vivi?» Lo fisso. «Non posso! La gente non dice cose del genere!» Sam ride. «Sai che cosa faccio questo pomeriggio? Sto per dire a un amministratore delegato che non lavora abbastanza sodo, che si sta inimicando i
membri del consiglio d’amministrazione e che la sua igiene personale sta diventano un problema aziendale.» «Oddio.» Mi vengono i brividi al pensiero. «Non è possibile.» «Andrà tutto bene» dice Sam con calma. «Gli spiegherò ogni cosa, punto per punto, e alla fine sarà d’accordo con me. È una questione di tecnica e di sicurezza di sé. Praticamente sono uno specialista in discorsi imbarazzanti. Ho imparato molto da Nick» aggiunge. «Riesce a dire in faccia alle persone che hanno un’azienda di merda, e quelle pendono dalle sue labbra. E riesce a dirgli persino che il loro paese è una merda.» «Wow.» Sono abbastanza impressionata. «Vieni ad assistere alla riunione, se non hai impegni. Ci saranno anche altre persone.» «Davvero?» Si stringe nelle spalle. «È così che si impara.» Non sapevo che si potesse essere specialisti in discorsi imbarazzanti. Sto cercando di figurarmi la scena di me che dico a qualcuno che la sua igiene personale è un problema. Non mi ci vedo proprio a trovare le parole, mai e poi mai. Oh, be’, devo andare a vedere. «Okay!» Mi sorprendo a sorridere. «Ci vengo. Grazie.» Mi accorgo all’improvviso che non ha preso il telefono. È ancora lì sul tavolo. «Bene... te lo porto io in ufficio?» dico con nonchalance. «Certo.» Si sta infilando la giacca. «Grazie.» Benissimo. Così posso controllare ancora i miei messaggi. Fantastico! 72 “minestra”, “anatra” eccetera. Lo so che è tutto figo e supermoderno, ma che tipo di minestra? L’anatra cucinata come? 73 Non è illegale? E se volessi pagare in dollari? Sarebbero costretti a concedermelo? 74 Vabbe’, questo è veramente ridicolo. Scrivono un menu incomprensibile e poi pagano una persona per spiegarlo. 75 Perché tutti i fornitori sono in posti così assurdi? Tutte le volte che glielo chiedo, lei parla vagamente di “approvvigionamento”. Ruby dice che è un trucco per chiedere più soldi per le trasferte. 76 Magnus ha sussultato. Poi mi ha stretto forte le mani e mi ha detto di aver colto la mia vulnerabilità e che questo accresceva la mia bellezza.
10 Dev’essere meraviglioso lavorare in un posto come questo. Per me è tutto nuovo nel palazzo in cui lavora Sam: dalla grande scala mobile agli ascensori superveloci, fino al badge di riconoscimento laminato con sopra la mia foto preparato in tre secondi da una macchinetta. Alla First Fit Physio, quando arrivano nuovi pazienti, ci limitiamo a scrivere il loro nome su un registro comprato in cartoleria. Saliamo al sedicesimo piano e percorriamo un corridoio con la moquette verde brillante, fotografie in bianco e nero di Londra alle pareti ed eccentriche poltroncine dalle forme più disparate. Sulla destra ci sono uffici individuali con le pareti di vetro e a sinistra un grande open space con scrivanie variopinte. È tutto così stupendo. C’è un distributore dell’acqua, che abbiamo anche noi, ma qui c’è persino un’area caffè, con una vera macchina Nespresso, un frigo Smeg e un enorme portafrutta. Dovrò fare un discorsetto a Ruby sulle condizioni di lavoro alla First Fit Physio. «Sam!» Un uomo in giacca di lino blu saluta Sam, e io, mentre parlano fra loro, mi guardo intorno nell’open space, cercando di individuare Willow. Quella ragazza seduta con i capelli biondi ondulati che parla con l’auricolare e i piedi appoggiati a una sedia... Potrebbe essere lei? «Okay.» Sembra che Sam stia concludendo la conversazione. «Interessante, Nihal. Devo pensarci.» Nihal. Drizzo le orecchie. Ho già sentito questo nome da qualche parte. Ne sono sicura. Ma dove? Nihal... Nihal... «Grazie, Sam» sta dicendo Nihal. «Ti inoltro subito il documento...» Mentre lui digita sul cellulare, all’improvviso mi ricordo. «Fagli gli auguri per la bambina!» bisbiglio a Sam. «La settimana scorsa è diventato papà. Yasmin. Tre chili e duecento grammi. È stupenda! Non hai visto la mail?» «Oh.» Sam sembra preso alla sprovvista, ma si riprende senza difficoltà. «Ah, a proposito, Nihal, tanti auguri per la bambina. Che splendida notizia.» «Yasmin è un nome bellissimo.» Sorrido radiosa a Nihal. «E tre chili e duecento! Niente male! Come sta?» «E come sta Anita?» aggiunge Sam. «Stanno benissimo tutt’e due, grazie! Mi scusi, non sono sicuro di conoscerla...» Nihal lancia un’occhiata interrogativa a Sam. «Ti presento Poppy» dice Sam. «È qui per una... consulenza.» «Ah, piacere.» Nihal mi stringe la mano, ancora perplesso. «Ma come faceva a sapere della bambina?» «Me l’ha detto Sam» mento tranquillamente. «Era talmente entusiasta che ha dovuto per forza raccontarmelo. Vero, Sam?» Ah, la faccia di Sam! «Sì» dice lui alla fine. «Meraviglioso.»
«Wow.» Il volto di Nihal si illumina di contentezza. «Grazie, Sam. Non mi ero mai reso conto che tu fossi così...» Si interrompe, imbarazzato. «Non c’è problema.» Sam alza una mano. «Di nuovo auguri. Poppy, adesso dobbiamo proprio andare.» Mentre io e Sam camminiamo lungo il corridoio, mi scappa da ridere vedendo la sua espressione. «La smetti, per piacere?» mormora senza muovere la testa. «Prima gli animali, adesso i bambini. Che reputazione vuoi che mi faccia?» «Un’ottima reputazione!» ribatto. «Ti vorranno tutti bene.» «Ehi, Sam» chiama una voce alle nostre spalle. Ci giriamo e vediamo Matt Mitchell, una delle persone che abbiamo incontrato ieri sera, raggiante di gioia. «Mi è appena arrivata la notizia! Anche Sir Nicholas viene in Guatemala! È fantastico!» «Sì, infatti.» Sam annuisce bruscamente. «Ne abbiamo parlato ieri sera.» «Be’, volevo ringraziarti» dice con schiettezza. «So che sei stato tu a convincerlo. Insieme, voi due rafforzerete moltissimo la nostra causa. Ah, e grazie per la donazione. Abbiamo apprezzato molto.» Lo fisso sbalordita. Sam ha fatto una donazione per il viaggio in Guatemala? Una donazione? Ora Matt mi sta sorridendo. «Buongiorno. Non sarebbe interessata anche lei a venire in Guatemala?» Oh, mio Dio, mi piacerebbe moltissimo. «Be’...» comincio entusiasta, prima che Sam mi interrompa deciso. «No, non le interessa.» Accidenti. Che guastafeste. «Magari la prossima volta» rispondo educatamente. «Spero che vada tutto bene!» Mentre Matt Mitchell torna in corridoio e noi proseguiamo per la nostra strada, rimugino su quel che ho appena sentito. «Non mi avevi detto che Sir Nicholas verrà in Guatemala» dico alla fine. «Ah, no?» Sam non sembra per nulla interessato. «Be’, ci viene, invece.» «E hai fatto una donazione» aggiungo. «Quindi pensi che sia una buona causa e che valga la pena sostenerla...» «Ho fatto una piccola donazione» mi corregge arcigno, ma io non mi perdo d’animo. «Allora, tutta questa faccenda... è finita bene. Non è per niente un disastro.» Conto pensierosa sulla punta delle dita. «Le ragazze dell’amministrazione pensano che tu sia un uomo straordinario e che l’iniziativa delle nuove idee sia stata brillante. Hai ricevuto qualche imbeccata interessante per la società. Per Nihal sei una persona di gran cuore, e anche per Chloe e il suo reparto, e Rachel ti adora per aver aderito alla corsa di beneficenza...» «Dove vuoi andare a parare di preciso?» Ha un’espressione talmente minacciosa che mi sfugge un piccolo gemito. «Ehm... da nessuna parte!» Faccio marcia indietro. «Così, dicevo per dire.»
Magari tengo la bocca chiusa per un po’. Una volta attraversato l’atrio, mi aspettavo di rimanere colpita dall’ufficio di Sam, ma in realtà sono molto più che colpita. Sono strabiliata. È un enorme spazio d’angolo, con finestre affacciate sul Blackfriars Bridge, un lampadario-scultura appeso al soffitto e una scrivania gigantesca. Ce n’è un’altra più piccola, all’esterno, che immagino fosse la postazione di Violet. Vicino alle finestre c’è un divano, e Sam mi invita a sedermi lì. «Per la riunione bisognerà aspettare almeno venti minuti. Ho un paio di cose da sbrigare. Mettiti comoda.» Rimango seduta tranquilla per qualche minuto, ma è piuttosto noioso starsene fermi sul divano, perciò dopo un po’ mi alzo e vado alla finestra a guardare le auto minuscole che sfrecciano sul ponte. Lì accanto c’è uno scaffale con un sacco di libri di economia e qualche premio, ma nessuna foto di Willow. Non ce ne sono neppure sulla scrivania. Dovrà pur averne una da qualche parte, no? Mentre mi guardo intorno per cercare di individuarla, noto un’altra porta e non posso fare a meno di osservarla con curiosità. Che cosa c’è dietro? «Il bagno» dice Sam, intercettando il mio sguardo. «Vuoi usarlo? Fa’ pure.» Wow. Ha un bagno dirigenziale! Entro sperando di trovare una splendida distesa di marmo, ma in realtà è abbastanza normale, con una piccola doccia e piastrelle di vetro. Però, un bagno personale in ufficio... Niente male. Ne approfitto per rifarmi il trucco, pettinarmi e risistemarmi la gonna di jeans. Apro la porta e faccio per uscire, quando d’un tratto mi rendo conto di avere una macchia di minestra sulla maglietta. Merda. Magari viene via. Inumidisco un asciugamano e strofino la macchia in fretta. No. Non è abbastanza bagnato. Dovrò piegarmi per metterla sotto il rubinetto. Mentre mi chino, scorgo nello specchio una donna con un elegante completo pantalone nero e sobbalzo. Ci metto un attimo a capire che da qui vedo riflesso tutto l’ufficio, e che lei in realtà si sta avvicinando alla porta di vetro di Sam. È alta e imponente, sulla quarantina, forse, e ha un foglio in mano. Ha un’espressione abbastanza truce. Oh-oh, magari è l’amministratore delegato con l’igiene personale carente. No. No di certo. Guarda che camicia bianca stirata alla perfezione. Oh, mio Dio, è Willow? All’improvviso mi sento ancora più imbarazzata per la macchia di minestra. Non è venuta via per niente, ho una grossa chiazza bagnata sulla maglietta. Insomma, sono conciata da fare schifo. Sarà il caso di dire a Sam che in realtà non posso andare alla riunione? O magari ha una camicia da prestarmi? Gli uomini d’affari non tengono sempre camicie pulite di ricambio in ufficio? No, Poppy. Non essere ridicola. E comunque non c’è tempo. La donna con il completo nero bussa energicamente alla porta e la apre. Guardo nello specchio, in punta di piedi.
«Sam. Devo parlarti un attimo.» «Sì, certo. Che cosa c’è?» Alza lo sguardo e, vedendo l’espressione della collega, si incupisce. «Vicks, che cosa succede?» Vicks! Ma certo, questa è Vicks, la direttrice delle pubbliche relazioni. Avrei dovuto capirlo subito. Mi sembra di conoscerla già, dopo aver letto tutte le sue mail, ed è esattamente come me la immaginavo. Capelli corti castani, modi spicci da donna in carriera, scarpe comode, orologio costoso. E ora ha un’espressione davvero preoccupata. «Solo pochissimi ne sono al corrente» dice, chiudendo la porta. «Un’ora fa ho ricevuto una chiamata da un amico dell’ITN. Sono venuti in possesso di un memorandum interno di Nick e intendono diffonderlo con grande risalto nel notiziario delle dieci.» Fa una smorfia. «È.. è una brutta storia, Sam.» «Un memorandum?» Sembra perplesso. «Quale memorandum?» «Un memorandum che, a quanto pare, lui ha mandato a te e a Malcolm, ti risulta? Alcuni mesi fa... Quando stavate facendo quel lavoro di consulenza per la BP. Ecco. Leggi qui.» Dieci secondi dopo, sbircio da dietro la porta socchiusa del bagno. Vedo Sam che legge un foglio con espressione scioccata. «Ma che cazzo...» «Appunto.» Vicks alza le mani. «Lo so.» «Ma questo è...» Sembra senza parole. «Un disastro» dice Vicks con calma. «Fondamentalmente, parla di accettare delle tangenti. E se si considera che adesso è in una commissione istituita dal governo...» Esita. «Anche tu e Malcolm potreste essere coinvolti. Dobbiamo approfondire.» «Ma... io questo memorandum non l’ho mai visto!» Sam pare aver finalmente ritrovato la voce. «Nick non mi ha mai mandato questa roba! Non ha scritto queste cose. Non le scriverebbe mai. Cioè, lui aveva inviato un documento che iniziava così, però...» «Infatti, anche Malcolm ha detto la stessa cosa. Il memorandum che ha ricevuto lui non era identico a questo.» «Non era “identico”?» ribatte Sam impaziente. «Era diversissimo! Okay, anche quello parlava della BP e affrontava le medesime questioni, ma non diceva queste cose.» Sbatte la mano sul foglio. «Non so proprio da dove diavolo sia spuntato. Hai parlato con Nick?» «Certo. Dice la stessa cosa. Non ha mandato questo memorandum, non l’ha mai visto in vita sua, è sconcertato quanto noi.» «Bene, allora!» esclama Sam. «Blocca tutto! Trova il memorandum originale, telefona al tuo amico dell’ITN e digli che è una bufala. I tecnici informatici saranno in grado di dimostrare quando sono stati scritti i diversi documenti, sono bravi in queste cose...» Si interrompe. «Che cosa c’è?» «Ci abbiamo provato.» Vicks espira. «Abbiamo cercato. Ma non riusciamo a trovare la versione originale del memorandum da nessuna parte.»
«Cosa?» Sam la fissa. «Ma è... assurdo! Nick deve averlo salvato da qualche parte.» «Stanno cercando, qui e nel suo ufficio nel Berkshire. Per ora è l’unica versione che sono riusciti a trovare in tutto il sistema.» Batte sul foglio con un dito. «Stronzate!» Sam fa una risata incredula. «Aspetta. Ce l’ho anch’io!» Si siede e apre un file. «L’avrò messo...» Clicca qualche altra volta. «Ecco qui! Vedi... eccolo...» Si interrompe di botto, ansimando. «Ma che...» Cala il silenzio. Non oso quasi respirare. «No» dice Sam all’improvviso. «Assolutamente no. Questa non è la versione che ho ricevuto io.» Alza lo sguardo, frastornato. «Che cosa succede? Io ce l’avevo.» «Non c’è?» La voce di Vicks è tesa, delusa. Sam clicca di nuovo freneticamente sul computer. «Ma è assurdo» dice quasi fra sé e sé. «Il memorandum è stato mandato via mail. È arrivato a me e a Malcolm attraverso il server aziendale. Ce l’avevo. L’ho letto con i miei stessi occhi. Deve essere qui.» Fissa cupo lo schermo. «Dov’è quella cazzo di mail?» «L’hai stampata? L’hai tenuta? Hai ancora la versione originale?» Vedo un barlume di speranza negli occhi di Vicks. Segue un lungo silenzio. «No.» Sam geme. «L’ho letta a video. E Malcolm?» «Neppure lui l’ha stampata, e trova solo questa versione sul suo portatile. Okay.» Vicks incurva un po’ le spalle. «Okay... continueremo a cercare.» «Dev’esserci per forza.» Sam sembra sicurissimo. «Se i tecnici dicono che non riescono a trovarla, si sbagliano. Chiama altri esperti ad aiutarli.» «Stanno cercando tutti. Naturalmente, non abbiamo spiegato loro il perché.» «Be’, se non riescono a trovarla, dovremo dire all’ITN che quella versione è un mistero anche per noi» dice Sam, deciso. «La contestiamo. Mettiamo in chiaro che io non ho mai letto questo memorandum, che Nick non l’ha mai scritto e che nessuno nella società l’ha mai visto...» «Sam, è nel sistema informativo aziendale.» Vicks sembra stanca. «Non possiamo dichiarare che nessuno di noi l’ha mai visto. A meno che non troviamo l’altro memorandum...» Le arriva un SMS e lei gli dà un’occhiata. «È Julian, dell’ufficio legale. Faranno un’ingiunzione, ma...» Scrolla le spalle scoraggiata. «Adesso che Nick è un consulente del governo, non abbiamo molte speranze.» Sam sta guardando di nuovo il foglio con un’espressione disgustata. «Chi ha scritto questo schifo?» dice. «Non è neppure lo stile di Nick.» «Dio solo lo sa.» Sono così presa che, quando mi suona il cellulare, per poco non muoio di spavento. Guardo il display e sobbalzo di nuovo. Non posso rimanere nascosta qui. Premo il tasto di risposta ed esco rapidamente dal bagno, un po’ malferma sulle gambe.
«Oh, scusate il disturbo» dico a disagio e passo il telefono a Sam. «Sir Nicholas ti vuole parlare». Vedendo l’espressione orripilata di Vicks mi scappa quasi da ridere, se non fosse che sembra pronta a strangolare qualcuno. E quel qualcuno potrei essere io. «Chi è lei?» domanda secca, lanciando un’occhiata alla macchia sulla mia maglietta. «La tua nuova assistente?» «No... è...» Sam agita la mano. «È una lunga storia. Nick!» esclama al telefono. «L’ho appena saputo. Dio mio.» «Hai sentito qualcosa?» mi chiede Vicks con un tono di voce basso e feroce. «No! Cioè, sì. Un po’...» Farfuglio per la paura. «In realtà, però, non ho ascoltato. Non ho sentito niente. Mi stavo spazzolando i capelli. Fortissimo.» «Okay. Ti chiamo dopo. Tienici informati.» Sam chiude la comunicazione e scuote la testa. «Quando accidenti imparerà a usare il numero giusto? Scusa.» Posa distrattamente il cellulare sulla scrivania. «È ridicolo. Adesso vado a parlare di persona con i tecnici. Se non trovano la mail persa, meritano di essere licenziati. Anzi, se lo meritano comunque. Sono degli inetti.» «Non potrebbe essere sul tuo cellulare?» suggerisco timidamente. Gli occhi di Sam si illuminano un attimo, poi scuote la testa. «No. Il memorandum è stato mandato mesi fa. Il cellulare non tiene in memoria mail che risalgono a più di due mesi prima. Comunque buona idea, Poppy.» Vicks sembra non credere alle proprie orecchie. «Ripeto: chi è lei? Ha un pass?» «Sì.» Mi affretto a mostrare il badge laminato. «È... okay. È una visitatrice. Penso io a lei. Andiamo. Dobbiamo parlare con i tecnici.» Senza dirmi una parola, Sam esce in fretta nel corridoio. Un attimo dopo, livida di rabbia, Vicks lo segue. Mentre si avviano, la sento pronunciare una raffica di insulti a basso volume. «Sam, esattamente quando pensavi di dirmi che nel tuo bagno c’era una fottutissima visitatrice che ascoltava tutti i nostri discorsi su una crisi interna? Lo sai o no che il mio lavoro è controllare il flusso di informazioni? Di controllarlo!» «Rilassati, Vicks.» Mentre scompaiono dalla mia visuale, mi lascio cadere su una sedia provando una sensazione di irrealtà. Cavolo. Adesso non so proprio che cosa fare. Devo restare? Devo andare? La riunione con l’amministratore delegato ci sarà lo stesso? Non ho esattamente fretta di andare chissà dove, ma dopo una ventina di minuti di attesa solitaria, comincio a sentirmi nettamente a disagio. Ho sfogliato una rivista piena di parole che non capisco, ho pensato di andare a prendere un caffè (ma poi ho deciso di no). La riunione con l’amministratore delegato sarà stata sicuramente annullata. Sam sarà bloccato da qualche parte. Sto per lasciargli un biglietto e togliere il disturbo, quando un ragazzo biondo bussa alla porta di
vetro. Dimostra più o meno ventitré anni e ha in mano un enorme foglio arrotolato. «Ciao» dice timidamente. «Sei la nuova assistente di Sam?» «No. Io... lo aiuto e basta.» «Okay, okay» annuisce. «Be’, è per via della gara. Della gara di idee, hai presente?» Oddio. Ci risiamo. «Sì?» dico incoraggiante. «Vuoi lasciare un messaggio a Sam?» «Voglio che dia un’occhiata a questo. È una visualizzazione dell’azienda, capisci? Una riorganizzazione simulata. Si spiega da sé, ma ho aggiunto degli appunti...» Mi passa il foglio arrotolato, insieme a un quaderno pieno di annotazioni. So per certo che Sam non degnerà mai questa roba di uno sguardo. Provo un po’ di pena per questo ragazzo. «Okay! Bene, farò in modo che gli dia un’occhiata. Grazie!» Mentre il biondino si allontana, srotolo un angolo di foglio per curiosità e rimango di sasso. È un collage! Come quelli che facevo io più o meno a cinque anni! Stendo il foglio sul pavimento, fissandone gli angoli con le gambe delle sedie. I vari elementi formano un albero, e sui rami ci sono le foto del personale. Dio solo sa che cosa dovrebbe rivelare sulla struttura dell’azienda, ma non mi importa. Quel che mi interessa è che sotto ogni foto c’è il nome della persona. Il che significa che finalmente posso dare un volto a tutta la gente che ha mandato mail attraverso il cellulare di Sam. Questo sì che è intrigante. Jane Ellis è molto più giovane di quel che pensassi, Malcolm più grasso e Chris Davies è una donna, a quanto pare. Quello è Justin Cole e quella è Lindsay Cooper, e quella... Il mio dito si ferma di colpo. Willow Harte. È annidata su un ramo più basso e sorride allegramente. Magra, scura di capelli, con sopracciglia nere molto arcuate. È piuttosto carina, ammetto controvoglia, anche se non a livelli da top model. E lavora sullo stesso piano di Sam. Dunque... Oh, devo farlo. Su, forza. Prima di andarmene, devo dare una sbirciata alla fidanzata psicopatica. Raggiungo la porta di vetro e guardo fuori con circospezione. Non so se lavori nell’open space o se abbia un ufficio personale. Dovrò girare un po’. Se qualcuno mi ferma, dirò che sono la nuova assistente di Sam. Prendo dei fascicoli per mimetizzarmi e mi avventuro fuori con cautela. Un paio di persone impegnate a scrivere al computer alzano lo sguardo distrattamente. Cammino ai margini dell’open space, guardo attraverso le vetrate e sbircio i nomi scritti sulle porte, cercando di individuare una ragazza dai capelli scuri e di captare una voce lamentosa e nasale. Avrà di certo una voce lamentosa e nasale, un sacco di stupide allergie immaginarie e circa dieci terapisti...
Mi fermo di botto. È lei! È Willow! È a una decina di metri di distanza da me, seduta all’interno di uno degli uffici con le pareti di vetro. A essere sincera, non vedo granché di lei, a parte il profilo, una massa di capelli lunghi che scendono dietro lo schienale della sedia e gambe lunghe che finiscono in un paio di ballerine nere. Comunque, è lei di sicuro. Mi sembra di trovarmi di fronte a una specie di creatura mitologica. Mentre mi avvicino, sento un formicolio in tutto il corpo. Ho il terrore che possa sfuggirmi una risatina. È così ridicolo. Spiare una persona che non conosco. Stringo più forte i fascicoli e avanzo ancora un po’. Nell’ufficio ci sono altre due ragazze più giovani, che bevono il tè mentre Willow parla. Cavolo. Non ha la voce lamentosa e nasale, anzi, è melodiosa e da persona sana di mente, sempre che non si ascolti quel che dice. «Naturalmente lo fa solo per farmi dispetto» sta dicendo. «Tutto questo programma è un grandissimo “vaffanculo” rivolto alla sottoscritta. Lo sapete che in realtà l’idea era mia?» «Ma no!» esclama una delle ragazze. «Davvero?» «Eh, sì.» Gira un attimo la testa e io intravedo un sorriso dispiaciuto e solidale. «L’idea di proporre nuove iniziative era mia. Sam me l’ha rubata. Avevo in mente di mandare una mail identica a quella. Stesse parole e tutto. Una sera deve averla vista sul mio portatile.» Sto ascoltando esterrefatta. Sta parlando della mia mail? Vorrei irrompere nella stanza e dire: “È impossibile che te l’abbia rubata, visto che non l’ha neppure spedita!”. «È tipico di Sam» aggiunge, bevendo un sorso di tè. «È così che ha fatto carriera. Non ha la minima integrità morale.» Be’, adesso non ci capisco proprio più niente. O mi sono fatta un’idea del tutto errata su Sam, o è lei che si sbaglia di grosso, perché non me lo vedo proprio a derubare qualcuno di alcunché. «Non so perché debba mettersi in competizione con me» sta dicendo adesso Willow. «Che problemi hanno, gli uomini? Che cosa c’è di male nell’affrontare il mondo insieme, fianco a fianco? Che cosa c’è di male nell’essere una coppia? O accettare questa cosa è un’azione troppo... generosa per la sua stupida testa da maschio?» «Vuole il controllo della situazione» dice una delle ragazze, spezzando a metà un biscotto. «Sono tutti uguali. Non riconoscerà mai i tuoi meriti neanche tra un milione di anni.» «Proprio non capisce che sarebbe tutto perfetto se potessimo semplicemente chiarire le cose? Se riuscissimo ad andare oltre questo momento orribile?» All’improvviso, Willow si infervora. «Lavorare insieme, stare insieme... insomma fare tutto insieme... sarebbe sublime.» Si interrompe e beve un sorso di tè. «Il problema è: quanto tempo posso dargli? Perché non posso andare avanti così ancora per molto.» «Gliene hai parlato chiaramente?» dice la ragazza.
«Ma per piacere! Conosci Sam, e sai bene qual è il suo modo di “parlare”.» Fa il gesto di tracciare due coppie di virgolette in aria. Be’, in questo non posso darle torto. «Mi dispiace.» Scuote la testa. «Non per me, ma per lui. Non vede quel che ha davanti e non sa dare il giusto valore a quel che ha, e sapete una cosa? Perderà tutto. Poi ne sentirà la mancanza, ma sarà troppo tardi. Troppo tardi.» Sbatte la tazza sul tavolo. «Non lo riavrà più.» D’un tratto, rimango colpita. Vedo la conversazione sotto una luce diversa. Mi rendo conto che Willow capisce più di quanto avessi immaginato. Perché, a dire la verità, anch’io ho la stessa sensazione sul rapporto di Sam con suo padre. Lui non sa quel che si perde, e quando lo capirà forse sarà troppo tardi. Okay, non so niente della loro storia. Ma ho visto le mail, mi sono fatta un’idea... I miei pensieri vengono bruscamente interrotti. Nella mia testa hanno cominciato a suonare dei campanelli d’allarme, prima lontani e poi sempre più forti e sgradevoli. Oh, no, no, mio Dio, no... Il padre di Sam. Il 24 aprile. È oggi. Me n’ero completamente dimenticata. Come ho fatto a essere così stupida? L’orrore mi travolge come acqua ghiacciata. Il padre di Sam andrà al Chiddingford Hotel, pregustando un affettuoso incontro con il figlio. Oggi. Probabilmente è già partito. Sarà tutto emozionato. E Sam non ci sarà neppure. Non andrà alla convention prima di domani. Ho combinato un pasticcio enorme. Con tutto quel che è successo, me n’ero scordata. Che cosa faccio? Come risolvo il problema? Non posso dirlo a Sam. Andrebbe su tutte le furie, ed è già così stressato. Disdico l’incontro con suo padre? Mando una rapida mail di scuse e fisso un altro appuntamento? O non farei che peggiorare le cose fra loro? Vedo solo un barlume di speranza. Il padre di Sam non ha mai mandato una risposta, ed è per questo che me n’ero scordata. Quindi magari non l’ha mai ricevuta. Forse va tutto bene... All’improvviso mi accorgo che sto annuendo freneticamente da sola, come per persuadere me stessa. Una delle ragazze che è con Willow alza gli occhi e mi guarda, incuriosita. Ops. «Bene!» dico ad alta voce. «Quindi... faccio così... bene. Sì.» Alzo i tacchi alla svelta. Se c’è una cosa che non voglio è essere scoperta da Willow. Corro a rifugiarmi nell’ufficio di Sam e sto per prendere il cellulare e mandare a suo padre una mail di disdetta, quando lo vedo tornare indietro con Vicks a passi decisi, chiaramente nel bel mezzo di un litigio furibondo. Hanno un’aria un po’ terrificante, e io mi ritiro di corsa in bagno. Entrano bruscamente, e nessuno dei due si accorge di me. «Non possiamo rilasciare un comunicato come questo» sta dicendo Sam, furente. Accartoccia il foglio che ha in mano e lo getta nel cestino. «È una farsa. È uno schiaffo in faccia a Nick, lo capisci o no?»
«Sei ingiusto, Sam.» Vicks sembra offesa. «Al contrario, secondo me è una risposta ufficiale ragionevole ed equilibrata. Nel nostro comunicato non si nega né si afferma che lui abbia scritto il memorandum...» «Ma dovremmo farlo! Dovremmo dire al mondo intero che lui non avrebbe mai scritto cose simili, mai e poi mai! E tu lo sai benissimo!» «Questo spetta a lui affermarlo in un comunicato stampa personale. Quanto a noi, non possiamo apparire in alcun modo indulgenti nei confronti di pratiche del genere...» «Mettere alla porta John Gregson è stato già abbastanza grave» dice Sam sottovoce, come se stesse cercando di dominarsi. «Non sarebbe dovuto accadere. John non avrebbe mai dovuto perdere il lavoro. Ma Nick! Nick è tutto per questa azienda.» «Sam, non lo stiamo mettendo alla porta. Farà anche lui il suo comunicato. Potrà dire quel che gli pare.» «Magnifico» dice Sam sarcastico. «Nel frattempo, però, il suo consiglio di amministrazione non si schiera dalla sua parte. Che razza di fiducia è questa? Ricordami di non chiederti di rappresentarmi, se per caso dovessi trovarmi nei pasticci.» Vicks sobbalza, ma non dice nulla. Le suona il cellulare, ma rifiuta la chiamata. «Sam...» Si interrompe, poi inspira a fondo e ricomincia da capo. «Ti stai lasciando andare all’idealismo. So che ammiri Nick, come tutti noi, del resto. Ma lui non è tutto per questa società. Non più.» Fa una smorfia vedendo l’espressione torva di Sam, ma continua. «È un uomo. Un uomo brillante, molto in vista e con i suoi difetti. E ha più di sessant’anni.» «È il nostro leader.» Sam pare molto arrabbiato. «Il nostro presidente è Bruce.» «È stato Nick a fondare questa maledettissima società, se ricordi bene...» «Molto tempo fa, Sam. Moltissimo tempo fa.» Sam sospira bruscamente e si allontana di qualche passo, come per cercare di calmarsi. Lo guardo, in fibrillazione: non oso neppure respirare. «Allora stai dalla loro parte» dice alla fine. «Non è una questione di parti. Sai bene quanto sia affezionata a Nick.» Sembra sempre più a disagio. «Questa, però, è una società moderna. Non un’eccentrica azienda a conduzione familiare. Lo dobbiamo a chi ci sostiene, ai nostri clienti, al nostro personale...» «Maledizione, Vicks. Ti rendi conto di quel che dici?» Segue un silenzio tesissimo. Evitano di guardarsi in faccia. Vicks ha la fronte corrugata e un’espressione tormentata. Sam ha i capelli più arruffati che mai e sembra furioso. Sono sbalordita dalla tensione che regna in quella stanza. Ho sempre pensato che occuparsi di pubbliche relazioni fosse divertente. Non avevo idea che fosse così.
«Vicks.» Nell’aria si diffonde la voce strascicata e inconfondibile di Justin Cole, e un attimo dopo lui è già nell’ufficio, grondante Fahrenheit e soddisfazione. «Hai tutto sotto controllo, vero?» «Ci stanno lavorando gli avvocati. Noi stiamo solo preparando un comunicato stampa.» Gli fa un sorriso teso. «Per il bene della società, dobbiamo fare in modo che nessun altro dirigente sia infangato da queste spiacevoli... posizioni. Capisci che cosa intendo?» «È tutto sotto controllo, Justin.» Dal tono secco di Vicks, deduco che lo detesta almeno quanto Sam. 77 «Benissimo. Naturalmente è proprio una disdetta per Sir Nicholas. Un vero peccato.» Justin ha l’aria gongolante. «Comunque, comincia a invecchiare...» «Non sta invecchiando.» Sam lo fulmina con lo sguardo. «Sei proprio un piccolo pezzo di merda arrogante.» «Suvvia, un po’ di autocontrollo!» dice Justin amabilmente. «Sai una cosa, Sam? Gli mandiamo una bella e-card.» «Vaffanculo.» «Ragazzi!» li implora Vicks. Ora capisco perché Sam parlava di vittorie e fazioni. Fra lui e Justin c’è un’aggressività brutale. Sono come quei cervi che ogni autunno combattono fino a staccarsi le corna a vicenda. Justin scuote la testa con aria di commiserazione – che per un attimo si muta in sorpresa quando mi scorge nel mio angolo – e lascia la stanza. «Quel memorandum è diffamatorio» dice Sam a voce bassa e furente. «È stato inserito illegalmente nel sistema. Justin Cole lo sa, perché dietro tutto questo c’è lui.» «Cosa?» Vicks è al limite della sopportazione. «Sam Roxton, non puoi andare in giro a dire cose del genere! Sembri un maniaco dei complotti.» «Cazzo! Quel fottuto memorandum era tutto diverso!» Sam pare esasperato dal mondo intero. «Ho visto la versione originale. Anche Malcolm. Non c’erano allusioni a tangenti. Adesso è scomparso da tutto il sistema informativo senza lasciare tracce. Spiegami com’è possibile e poi chiamami pure maniaco dei complotti.» «Non so spiegarlo» dice Vicks dopo un po’. «E non ho neppure intenzione di provarci. Farò il mio lavoro.» «Qui c’è lo zampino di qualcuno, e tu lo sai. Stai facendo il loro gioco, Vicks. Stanno diffamando Nick e tu glielo stai permettendo.» «No. No. Fermati.» Vicks scuote la testa. «Non ci sto. Non mi faccio coinvolgere in questa storia.» Si avvicina al cestino dell’immondizia, prende il comunicato stampa accartocciato e lo liscia. «Posso cambiare qualche dettaglio qua e là» dice. «Ma ho parlato con Bruce, ed è questa la posizione da adottare.» Prende una penna. «Vuoi introdurre qualche piccola modifica? Julian sta per approvarlo.» Sam ignora la penna.
«E se troviamo il memorandum originale? E se riusciamo a dimostrare che questo è falso?» «Benissimo!» La voce di Vicks si alza di colpo. «Allora lo pubblichiamo, l’integrità morale di Nick sarà salva, e faremo una bella festa. Credimi, Sam, non chiedo di meglio, ma dobbiamo adeguarci alla situazione. E al momento c’è solo un memorandum compromettente che non siamo in grado di giustificare.» Vicks si massaggia il viso e si sfrega gli occhi con i pugni chiusi. «Stamane ho cercato di coprire quella faccenda del fattorino ubriaco» borbotta, quasi tra sé e sé. «Ero preoccupata per quello.» Non dovrebbe farlo. Si farà venire le borse sotto gli occhi. «Quand’è che diffonderanno il comunicato?» domanda Sam lentamente. Tutta la sua energia rabbiosa sembra essersi dissipata. Ha le spalle curve e la voce talmente bassa che mi viene quasi da abbracciarlo. «C’è un solo aspetto positivo.» Vicks gli parla in tono più dolce, come se, vedendolo ormai sconfitto, volesse essere gentile con lui. «Lo tengono per il notiziario delle dieci, quindi abbiamo ancora circa sei ore a disposizione.» «In sei ore possono succedere molte cose» butto là timidamente, e tutti e due saltano su come se si fossero scottati. «Lei è ancora qui?» «Poppy.» Persino Sam sembra colto alla sprovvista. «Scusa. Non avevo idea che fossi ancora qui...» «Ha sentito tutto?» Vicks sembra sul punto di picchiare qualcuno. «Sam, sei andato fuori di testa?» «Non dirò niente!» dico in fretta. «Promesso.» «Okay.» Sam espira. «È stato un mio errore. Poppy, non è colpa tua, sono stato io a invitarti. Troverò qualcuno che ti accompagni giù.» Sporge la testa fuori dalla porta dell’ufficio. «Stephanie? Posso rubarti un secondo?» Poco dopo una ragazza di bell’aspetto, con lunghi capelli biondi, compare nell’ufficio. «Puoi accompagnare all’uscita la nostra visitatrice, farle firmare il registro, ritirarle il badge eccetera?» le dice Sam. «Scusami, Poppy. Lo farei personalmente, ma...» «No, no!» mi affretto a dire. «Certo. Sei molto occupato, capisco...» «La riunione!» dice Sam, come se si ricordasse all’improvviso. «Certo, Poppy, mi dispiace. È stata rinviata. Ma la rifaremo. Mi faccio sentire io...» «Perfetto!» Abbozzo un sorriso. «Grazie.» Non si farà sentire. Ma non posso biasimarlo. «Spero per te che tutto si risolva» aggiungo. «E anche per Sir Nicholas.» Vicks ha gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia. È chiaramente in paranoia perché teme che spifferi tutto a chissà chi. Non so come fare con il padre di Sam. Non posso dirglielo adesso... esploderebbe per lo stress. Dovrò mandare un messaggio all’hotel o qualcosa di simile, e poi sparire. Come forse avrei dovuto fare sin dall’inizio.
«Be’... grazie di nuovo.» Incrocio lo sguardo di Sam e vengo subito presa da uno strano magone. Questo è veramente l’addio. «Ecco qui.» Gli porgo il cellulare. «Non c’è problema.» Lo prende e lo posa sulla sua scrivania. «Mi spiace per tutto questo...» «No! Spero solo che...» Annuisco un po’ di volte, non osando dire altro davanti a Stephanie. Mi farà un effetto strano non essere più nella vita di Sam. Non saprò mai come andrà a finire la storia. Magari leggerò di questo memorandum sui giornali. Magari troverò la notizia delle nozze di Sam e Willow nella rubrica degli annunci matrimoniali. «Allora ciao.» Mi giro e seguo Stephanie. In corridoio, altre due persone con delle piccole borse da viaggio procedono insieme a noi, e quando saliamo in ascensore li sento parlare dell’hotel e di quanto fa schifo il minibar. «Oggi c’è la vostra convention, vero?» dico a Stephanie per essere gentile, quando arriviamo al pianterreno. «Come mai non sei là anche tu?» «Oh, andiamo a scaglioni.» Mi guida verso l’atrio d’ingresso. «Molti sono già lì, e fra pochi minuti partirà il secondo pullman. Prenderò quello, anche se la giornata principale sarà domani. Ci saranno la cena di gala e il discorso di Babbo Natale. Di solito, è abbastanza divertente.» «Babbo Natale?» Non riesco a trattenere una risata. «È così che chiamiamo Sir Nicholas. È solo uno stupido soprannome che usiamo fra noi. Sir Nick... St Nick... San Nicola, Santa Claus, cioè Babbo Natale. È un po’ tirato per i capelli, lo so.» Sorride. «Per favore, mi puoi dare il tuo pass?» Restituisco il badge laminato e lei lo consegna all’addetto alla sicurezza. Lui dice qualcosa tipo “bella foto”, ma io non lo sto ascoltando. All’improvviso, ho una strana sensazione. Babbo Natale... Quel tizio che aveva chiamato Violet non parlava di Babbo Natale? È una coincidenza? Mentre Stephanie mi conduce nell’atrio con il pavimento di marmo verso l’uscita principale, cerco di ricordare che cosa aveva detto. Parlava di un intervento chirurgico. Incisioni. Qualcosa che non lasciava tracce... Mi blocco sui miei passi, con il cuore improvvisamente in tumulto. Sam ha appena detto più o meno la stessa cosa. “Senza lasciare tracce.” «Tutto bene?» Stephanie si accorge che mi sono fermata. «Tutto bene! Scusa.» Le sfodero un sorriso e riprendo a camminare, ma ho la mente in subbuglio. Che cos’altro aveva detto quel tizio? Che cosa aveva detto di preciso su Babbo Natale? Su, Poppy, sforzati. «Okay, arrivederci allora! Grazie per la visita!» Stephanie mi sorride di nuovo. «Grazie a voi!» Appena esco sul marciapiede, ho un brivido. Ci sono. “Adiós, Babbo Natale.”
Altre persone stanno uscendo dal palazzo, e io mi sposto un po’ più in là, verso un lavavetri impegnato a gettare acqua saponata sulle vetrate. Infilo una mano nella borsa e comincio a frugare in cerca del programma del Re Leone. Ti prego, non dirmi che l’ho perso, ti prego... Lo tiro fuori e guardo le parole che ho scarabocchiato. “18 aprile. Scottie ha un contatto, chirurgia laparoscopica, niente tracce, fai attenzione, cazzo.” “20 aprile. Ha chiamato Scottie. Fatto. Operazione chirurgica. Niente tracce. Geniale. Adiós, Babbo Natale.” Mi sembra di risentire quelle voci nella mia testa. È come se le stessi riascoltando. Sento quella più matura e sofisticata, strascicata, e quella più giovane e acuta. E all’improvviso capisco senza ombra di dubbio chi aveva lasciato il primo messaggio. Era Justin Cole. Oh, mio Dio. Sto tremando tutta. Devo tornare dentro e mostrare questi messaggi a Sam. Significano qualcosa: non so che cosa, ma di sicuro qualcosa. Apro la grossa porta di vetro e la receptionist mi compare immediatamente davanti. Quando ero con Sam ci aveva fatto cenno di entrare, ma adesso mi fa un vago sorriso, come se non mi avesse appena visto uscire con Stephanie. «Salve. Ha un appuntamento?» «Non esattamente» dico con il fiatone. «Devo vedere Sam Roxton della White Globe Consulting. Poppy Wyatt.» Rimango in attesa mentre lei si gira e fa una chiamata con il suo cellulare. Mi sforzo di aspettare pazientemente, ma non sto più nella pelle. Quei messaggi hanno qualcosa a che fare con la storia del memorandum. Lo so. «Mi dispiace.» La ragazza mi fronteggia con cortesia professionale. «Il signor Roxton al momento è occupato.» «Potrebbe dirgli che è urgente?» ribatto io. «La prego...» Malgrado l’evidente desiderio di dirmi di sparire, la ragazza si volta e fa un’altra chiamata, che dura trenta secondi in tutto. «Mi dispiace.» Mi fa un altro sorriso gelido. «Il signor Roxton sarà occupato per tutto il giorno, e gli altri sono quasi tutti alla convention aziendale. Forse dovrebbe telefonare alla sua assistente e prendere un appuntamento. Adesso, se non le dispiace, potrebbe lasciare spazio agli altri visitatori?» Mi indica l’uscita principale. “Lasciare spazio” significa chiaramente “togliersi dalle palle”. «Senta, devo assolutamente vederlo.» L’aggiro e mi dirigo verso le scale mobili. «Per favore, mi lasci andare di sopra. Andrà tutto bene.» «Mi scusi» dice lei, afferrandomi per la manica «ma lei non può salire! Thomas!» No, dev’essere per forza uno scherzo. Sta chiamando l’addetto alla sicurezza. Che fifona.
«Ma è una vera emergenza.» Guardo tutti e due implorante. «Lui vorrà ricevermi di sicuro.» «Allora telefoni e prenda un appuntamento!» ribatte lei, mentre l’addetto alla sicurezza mi accompagna all’uscita. «Bene!» rilancio io. «Adesso lo chiamo! In questo preciso istante! Ci rivediamo fra due minuti!» Esco sul marciapiede con passo pesante e infilo la mano in tasca. Poi, con sommo orrore, me ne rendo conto. Sono senza cellulare. Sono senza cellulare. Sono impotente. Non posso entrare nell’edificio e non posso chiamare Sam. Non gli posso dire questa cosa. Non posso fare niente. Perché non mi sono comprata prima un telefono nuovo? Perché non me ne vado sempre in giro con un cellulare di scorta? Dovrebbe essere obbligatorio per legge, come la ruota di scorta. «Mi scusi.» Corro dal lavavetri. «Ha un cellulare da prestarmi?» «Mi spiace, tesoro» mi risponde schioccando la lingua. «Ce l’avrei, ma ha la batteria scarica.» «Okay.» Sorrido, senza fiato per l’ansia. «Grazie comunque... Oh!» Mi blocco davanti alla vetrata. Lassù qualcuno mi ama! Quello è Sam! È nell’atrio, a venti metri di distanza da me, e sta parlando concitatamente con un tizio in giacca e cravatta che ha una valigetta di pelle. Spingo la porta d’ingresso, ma Thomas, l’addetto alla sicurezza, è lì ad aspettarmi. «Non ci provi» dice, bloccandomi il passaggio. «Ma devo entrare.» «Se può cortesemente farsi da parte...» «Ma lui vuole vedermi! Sam! Sono qui! Sono Poppy! Sam!» grido, ma qualcuno sta spostando un divano nella zona della reception e il rumore sovrasta le mie urla. «No, non può passare!» dice deciso l’addetto alla sicurezza. «Fuori.» Mi afferra per le spalle e subito dopo mi ritrovo sul marciapiede, ansimando offesissima. Non posso credere che sia successo davvero. Mi ha sbattuto fuori! In tutta la mia vita non mi era mai capitato di essere fisicamente sbattuta fuori da un posto. Non credevo che si potesse fare. Un gruppo di persone si avvicina all’entrata e io mi scosto per farle passare, con il cervello che lavora freneticamente. Dovrei correre a cercare una cabina telefonica? Tentare di entrare di nuovo? Lanciarmi nell’atrio e vedere fin dove riesco ad arrivare prima di essere placcata e sbattuta a terra? Ora Sam è davanti agli ascensori, ancora intento a parlare con il tizio con la valigetta di pelle. Fra poco sarà scomparso. È una tortura. Se solo riuscissi ad attirare la sua attenzione... «Non ha avuto fortuna?» mi domanda gentilmente il lavavetri in cima alla sua scala. Ha gettato acqua saponata su un vetro enorme e sta per ripulirlo con il suo attrezzo.
A quel punto mi viene un’idea. «Aspetti!» gli grido. «Non pulisca! Per piacere!» Non ho mai scritto sull’acqua saponata in vita mia, ma per fortuna non ho progetti molto ambiziosi. Solo scrivere: “MAS”, in lettere di quasi due metri ciascuna. La scritta è un po’ tremolante, ma chi se ne frega? «Ben fatto» approva il lavavetri dal suo punto di osservazione. «Potrebbe venire a lavorare con me.» «Grazie» dico modestamente, e mi asciugo la fronte con il braccio indolenzito. Se Sam non vede la scritta, se qualcuno non la nota e non gli dà un colpetto sulla spalla dicendo: “Ehi, guarda là”... «Poppy?» Mi giro e guardo in basso dalla mia postazione sulla scala. Sam è lì sul marciapiede che mi fissa incredulo. «Era per me?» Saliamo in silenzio al piano di sopra. Vicks sta aspettando nell’ufficio di Sam e quando mi vede si batte il palmo della mano sulla fronte, incredula. «Spero proprio che tu debba dirmi qualcosa di importante» dice Sam sbrigativo, chiudendo la porta di vetro alle nostre spalle. «Ho cinque minuti. C’è una certa emergenza in corso, qui dentro...» Ho una vampata di rabbia. Crede che non me ne renda conto? Crede che abbia scritto “SAM” a lettere saponate alte due metri solo per sfizio? «Grazie molte» dico, usando il suo stesso tono reciso. «Pensavo solo che potessero interessarti alcuni messaggi arrivati sul cellulare di Violet nei giorni scorsi. Su questo cellulare.» Prendo il telefono, ancora posato sulla scrivania. «Di chi è quel cellulare?» domanda Vicks, lanciandomi un’occhiata sospettosa. «Di Violet» risponde Sam. «La mia assistente, ricordi? La figlia di Clive. Quella che se n’è andata per fare la modella.» «Ah, sì...» Vicks torna a incupirsi e mi indica con il pollice. «Be’, allora che cosa ci faceva lei con il telefonino di Violet?» Io e Sam ci scambiamo un’occhiata. «È una storia lunga» dice Sam alla fine. «Violet l’aveva gettato via. E Poppy... gli stava facendo da baby-sitter.» «Mi ero annotata un paio di messaggi.» Stendo il programma del Re Leone tra loro e leggo i messaggi ad alta voce per sicurezza, sapendo di non avere una grafia molto chiara. «“Scottie ha un contatto, chirurgia laparoscopica, niente tracce, fai attenzione, cazzo.”» Indico il programma. «Questo secondo messaggio è arrivato un paio di giorni dopo dallo stesso Scottie. “Fatto. Operazione chirurgica. Niente tracce. Geniale. Adiós, Babbo Natale.” Lascio che registrino bene le parole, poi aggiungo: «Il primo messaggio era di Justin Cole». «Justin?» Sam drizza le orecchie. «Al momento non avevo riconosciuto la sua voce, ma adesso sì. Era lui quello che ha parlato di “chirurgia laparoscopica” e di assenza di “tracce”.»
«Vicks.» Sam la sta guardando. «Dài, adesso devi per forza renderti conto...» «Io non mi rendo conto di niente! Sono solo parole sparse a caso. E come facciamo a essere sicuri che fosse Justin?» Sam si rivolge a me. «Sono messaggi lasciati in segreteria telefonica? Possiamo riascoltarli?» «No. Erano solo... Sai, messaggi vocali. Li hanno lasciati a me, e io me li sono scritti.» Vicks sembra perplessa. «Okay, non ha senso. Non hai dovuto dire chi eri? Perché mai Justin avrebbe dovuto lasciare un messaggio a te?» Sbuffa rabbiosamente. «Sam, non ho tempo per questa roba...» «Non sapeva che ero una persona» spiego, arrossendo. «Ho fatto finta di essere una segreteria telefonica.» «Che cosa?» Mi fissa, senza capire. «Hai presente?» Ho fatto la voce della mia segreteria. «“L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.” E lui ha lasciato il messaggio e io l’ho scritto.» Sam soffoca una risatina mentre Vicks ammutolisce. Prende il programma del Re Leone, corruga la fronte mentre legge le parole e poi guarda le pagine all’interno, anche se le uniche informazioni disponibili sono le biografie degli attori. Alla fine posa di nuovo il programma sul tavolo. «Sam, non significa nulla. Non cambia nulla.» «Non è vero.» Lui scuote la testa irremovibile. «Ecco qui! Sotto i nostri occhi.» Picchietta il programma con il pollice. «Questo è quel che è successo.» «Ma che cosa è successo?» Vicks alza la voce, esasperata. «Chi cavolo sarebbe questo Scottie?» «Ha chiamato Sir Nicholas “Babbo Natale”.» Sam ha il volto teso per la concentrazione. «Questo significa che probabilmente lavora qui. Ma dove? Nel reparto informatica?» «Violet avrà qualcosa a che fare con tutto questo?» mi arrischio a domandare. «In fin dei conti, il telefonino era suo.» Per un attimo c’è silenzio, poi Sam scuote la testa quasi con rammarico. «È stata qui per pochissimo tempo, suo padre è un caro amico di Sir Nicholas... Non posso credere che sia coinvolta.» «Allora perché hanno lasciato a lei i messaggi? Potevano avere il numero sbagliato?» «Poco probabile.» Sam arriccia il naso. «Cioè, perché proprio questo numero?» Guardo automaticamente il cellulare che lampeggia sulla scrivania e mi domando distrattamente se ho ricevuto dei messaggi. Chissà come, però, in questo momento il resto della mia vita sembra lontano un milione di chilometri. Tutto il mondo si riduce a questa stanza. Sam e Vicks sprofondano nelle sedie e io faccio lo stesso.
«Chi aveva il telefonino di Violet prima di lei?» domanda Vicks all’improvviso. «È un cellulare aziendale. Violet è rimasta solo per... Quanto? Tre settimane? Non potrebbe darsi che quel numero in precedenza appartenesse a qualcun altro e che i messaggi siano stati lasciati per errore?» «Sì!» alzo lo sguardo galvanizzata. «La gente sbaglia sempre numero, e scrive mail all’indirizzo sbagliato. Anch’io lo faccio. Ti dimentichi di cancellare, selezioni il nome della persona, salta fuori il vecchio numero e non te ne accorgi nemmeno. Soprattutto se ti risponde la segreteria telefonica.» La mente di Sam sta lavorando febbrilmente. «C’è un solo modo per scoprirlo» dice, prendendo il ricevitore del telefono sulla scrivania. Preme tre tasti, componendo un numero di chiamata rapida, e aspetta. «Ciao, Cynthia, sono Sam» dice in tono disinvolto. «Ho solo una domanda veloce da farti sul cellulare che era stato assegnato a Violet, la mia assistente. Mi domandavo: non è che ce l’aveva qualcun altro prima di lei? Qualcuno ha mai avuto questo numero?» Mentre ascolta, cambia espressione. Fa un cenno rabbioso in silenzio all’indirizzo di Vicks, che scrolla le spalle perplessa. «Benissimo» dice lui. «Grazie, Cynthia...» Dal fiume di parole stridule che trabocca dal ricevitore, si capisce che a Cynthia piace parlare. «Adesso devo proprio andare...» Sam alza gli occhi al cielo, disperato. «Sì, so che avremmo dovuto restituire il cellulare. No, non l’abbiamo perso, non ti preoccupare... Sì, molto poco professionale. Senza preavviso. Lo so, proprietà dell’azienda... Faccio un salto a portartelo... sì... sì...» Alla fine riesce a districarsi. Riattacca il ricevitore e rimane zitto per tre angoscianti secondi, prima di rivolgersi a Vicks. «Ed.» «No.» Vicks espira lentamente. Sam ha preso il telefonino e lo sta fissando incredulo. «Questo era il cellulare aziendale di Ed fino a quattro settimane fa, poi è stato assegnato a Violet. Io non ne avevo idea.» Sam si rivolge a me. «Ed Exton era...» «Me lo ricordo.» Annuisco. «Direttore finanziario. Licenziato. Ha fatto causa all’azienda.» «Oddio.» Vicks sembra veramente sbalordita. Si è accasciata sulla sedia. «Ed.» «E chi sennò?» Sam sembra veramente elettrizzato dalla scoperta. «Vicks, questo non è solo un piano ben orchestrato, è una schifosissima sinfonia in tre movimenti. Nick viene diffamato. Bruce, che è una carogna pusillanime, lo pianta in asso. Il consiglio ha bisogno di un altro amministratore delegato, e alla svelta. Ed, bontà sua, dichiara di rinunciare alla causa e torna per salvare la situazione, e Justin ha la strada spianata...» «Possibile che abbiano messo in piedi tutta questa storia?» dice Vicks, scettica.
Sam abbozza un sorriso storcendo la bocca. «Vicks, hai idea di quanto Ed detesti Nick? Hanno dato fior di quattrini a un hacker per modificare il memorandum ed eliminare l’originale dal sistema informativo. Secondo me, Ed sarebbe pronto a spendere centomila sterline pur di rovinare la reputazione di Nick. Anche duecentomila.» Vicks fa una smorfia disgustata. «Una cosa del genere non succederebbe mai se la società fosse diretta da donne» dice alla fine. «Mai. Maledetti idioti che fanno i macho.» Si alza in piedi, va alla finestra e guarda il traffico, stringendosi le braccia al petto. «Il problema è: chi ha reso possibile tutto questo? Chi è l’esecutore materiale?» Sam è seduto alla sua scrivania e si picchietta nervosamente la penna sulle nocche, il volto teso per la concentrazione. «“Scottie”. Chi è? Uno scozzese?» «Veramente dalla voce non sembrava scozzese» butto là. «Forse il soprannome è uno scherzo?» All’improvviso Sam si concentra su di me, illuminandosi in viso. «Esatto. Certo. Poppy, riconosceresti la sua voce se la sentissi di nuovo?» «Sam!» interviene Vicks prima che io possa rispondere. «Non ha senso. Stai scherzando?» «Vicks, potresti smettere di negare l’evidenza dei fatti solo per un secondo?» sbotta Sam furente, alzandosi in piedi. «Il memorandum falso non è stato un incidente. E neanche la soffiata all’ITN. Sta succedendo davvero. Qualcuno ha agito contro Nick. Qui non si tratta di spifferare qualche imbarazzante...» Per un attimo cerca le parole. «Non so... attività su Facebook. Questa è diffamazione. Una frode.» «È un’ipotesi.» Vicks lo fissa. «Nient’altro che questo, Sam. Poche parole su un cavolo di programma del Re Leone.» Mi sento un po’ offesa. Non è colpa mia se l’unico foglio che avevo era il programma del Re Leone. «Dobbiamo identificare questo Scottie.» Sam si gira di nuovo verso di me. «Se risentissi la sua voce, la riconosceresti?» ripete. «Sì» dico, un po’ innervosita dalla sua veemenza. «Sicura?» «Sì!» «Bene. Allora muoviamoci. Andiamo a cercarlo.» «Sam, fermati un attimo!» Vicks sembra furiosa. «Sei pazzo? Cosa ti salta in mente? Vuoi farle ascoltare tutti quelli che lavorano in questa azienda finché non avrà trovato quella voce?» «Perché no?» dice Sam con aria agguerrita. «Perché è l’idea più ridicola che abbia mai sentito!» sbotta Vicks. «Ecco perché!» Sam la scruta per un attimo e poi si volta verso di me. «Andiamo, Poppy. Setacciamo tutto il palazzo.»
Vicks scuote la testa. «E se anche riconoscesse la sua voce? Cosa fai? Lo arresti tu?» «Sarebbe un inizio» dice Sam. «Pronta, Poppy?» «Poppy.» Vicks mi si para davanti. Ha le guance arrossate e il respiro affannoso. «Non ho la più pallida idea di chi tu sia, ma non devi dargli ascolto. Non devi fare quel che ti dice. Non gli devi niente. Tu non c’entri niente in questa storia.» «Lei non ha problemi» dice Sam. «Vero, Poppy?» Vicks lo ignora. «Poppy, ti consiglio vivamente di andartene da qui. Subito.» «Poppy non è così» dice Sam cupo. «Lei non pianta in asso le persone. Vero?» Il suo sguardo è così intenso e appassionato da toccarmi nel profondo. «Ti sbagli» dico rivolta a Vicks. «Io devo un favore a Sam. E Sir Nicholas è un paziente potenziale del mio centro di fisioterapia, in realtà. Quindi anch’io sono coinvolta.» Mi ha fatto piacere dirlo, anche se scommetto che alla fine Sir Nicholas non ci verrà mai, a Balham. «In ogni caso» continuo, alzando il mento con aria fiera «lui potrebbe essere chiunque, e se anche non lo conoscessi lo aiuterei ugualmente, potendolo fare. Bisogna aiutare il prossimo, se si può. Non credi anche tu?» Vicks mi fissa per un attimo come se cercasse di soppesarmi, poi fa uno strano sorriso beffardo. «Okay, hai vinto. Non posso certo obiettare.» «Andiamo.» Sam fa per dirigersi verso la porta. Io prendo la borsa, dispiacendomi ancora una volta di essermi fatta quella macchia enorme sulla maglietta. «Ehi, commissario Wallander!» gli grida Vicks, sarcastica. «Piccolo particolare. Nel caso in cui te ne fossi scordato, al momento i nostri colleghi sono tutti alla convention o ci stanno andando.» Cala di nuovo il silenzio: si sente solo Sam che riprende a picchiettarsi furiosamente la penna sulla mano. Non oso fiatare. Tantomeno oso guardare Vicks. «Poppy» dice Sam alla fine. «Hai qualche ora di tempo? Puoi venire con me nell’Hampshire?» 77 E me, se è per questo. Anche se nessuno mi ha interpellato.
11 È una situazione davvero surreale, ed eccitante, e un po’ dolorosa, tutto allo stesso tempo. Non è che mi sia pentita del mio nobile gesto, non esattamente. Credo ancora in quel che ho detto nell’ufficio di Sam. Come avrei potuto piantarlo in asso, senza neppure provare ad aiutarlo? D’altra parte, però, immaginavo che mi ci sarebbe voluta più o meno una mezz’oretta. Non certo un viaggio in treno nell’Hampshire, tanto per cominciare. Al momento dovrei essere dal parrucchiere. Dovrei essere lì a parlare di acconciature e a provare la mia tiara. E invece sono nell’atrio della Waterloo Station a prendermi un tè stringendo in mano il telefono che, inutile dirlo, ho afferrato dalla scrivania quando siamo usciti. Sam non poteva certo protestare. Ho scritto a Sue per dirle che mi dispiace moltissimo ma dovrò saltare l’appuntamento con Louis, che naturalmente pagherò lo stesso e di salutarmelo tanto. Una volta finito, ho riletto e cancellato metà dei baci. Poi li ho rimessi tutti. Infine li ho cancellati di nuovo. Forse cinque possono bastare. Sto chiamando Magnus. Questo pomeriggio parte per Bruges per il suo addio al celibato, quindi non l’avrei visto comunque, eppure... Ho la sensazione che sarebbe sbagliato non fargli neppure una telefonata. «Ah, ciao, Magnus!» «Pops!» La linea è disturbatissima e sento un altoparlante in sottofondo. «Stiamo per imbarcarci. Tutto bene?» «Sì! Volevo solo...» Lascio la frase in sospeso, dato che non so bene come continuare. Volevo solo avvisarti che sto andando nell’Hampshire con un uomo di cui tu non sai niente, perché sono rimasta invischiata in una situazione di cui non sai niente. «Stasera esco» gli dico con voce flebile. «Se per caso dovessi chiamare.» Oh. Questa sì che è onestà. Sì, insomma, più o meno. «Okay!» Ride. «Allora divertiti. Devo andare, tesoro...» «Va bene! Ciao! Buona gita!» Il telefono tace all’improvviso, e io alzo lo sguardo verso Sam, che mi sta osservando. Mi sistemo timidamente la camicia, rimpiangendo di nuovo di non avere fatto un salto in un negozio. A quanto pare, Sam tiene davvero una camicia di riserva in ufficio e la mia maglietta era in condizioni talmente spaventose che ho dovuto chiedergliela in prestito. Solo che indossare la sua camicia a righe non fa che rendere la situazione ancora più strana. «Volevo salutare Magnus» spiego inutilmente, visto che lui è sempre stato lì davanti a me e deve aver sentito tutto. «Fanno due sterline.» La commessa del bar mi passa il bicchiere di carta. «Grazie! Okay... andiamo?»
Mentre io e Sam attraversiamo l’atrio e saliamo sul treno, mi sembra tutto irreale. Sono imbarazzatissima. Chiunque ci guardi, ci scambierà per una coppia. E se ci vede Willow? No. Non farti prendere dal panico. Willow era sul secondo pullman diretto alla convention. Ha mandato una mail a Sam per dirglielo. E comunque non stiamo facendo niente di sconveniente. Siamo solo... amici. No, “amici” non mi sembra la parola giusta. Neppure colleghi. Ma neanche conoscenti... Okay. Guardiamo in faccia la realtà. È strano. Do un’occhiata a Sam per vedere se sta pensando la stessa cosa, ma lui è girato verso il finestrino, con il suo solito sguardo fisso e inespressivo. Il treno parte con un sussulto e lui si riscuote. Appena si accorge che lo sto osservando, mi giro subito dall’altra parte. Sto cercando di sembrare rilassata, ma in realtà sono sempre più agitata. In che guaio mi sono messa? Tutto dipende dalla mia memoria. Spetta a me, Poppy Wyatt, identificare una voce sentita qualche giorno fa al telefono per circa venti secondi. E se fallisco? Bevo un sorso di tè per calmarmi e faccio una smorfia. Prima la minestra era troppo fredda, adesso questo è troppo caldo. Il treno accelera e dal coperchio del bicchiere esce del tè, scottandomi la mano. «Tutto bene?» Sam mi ha visto sussultare. «Bene.» Sorrido. «Posso essere sincero?» mi dice bruscamente. «Non si direbbe.» «Sto bene!» protesto. «Solo che... insomma. Stanno succedendo tante cose.» Sam annuisce. «Mi spiace di non essere riuscito a farti assistere alla riunione per mostrarti quelle tecniche di gestione dei conflitti.» «Ma figurati!» Agito la mano. «Questo è un problema più importante.» «Non devi dire “figurati”.» Sam scuote la testa con aria esasperata. «Era proprio questo che stavo cercando di spiegarti. Ti metti automaticamente in secondo piano.» «No! Cioè... be’.» Scrollo le spalle a disagio. «Fai tu.» Il treno si ferma a Clapham Junction e un gruppo di persone sale sulla nostra carrozza. Per un po’ Sam è molto impegnato a mandare SMS. Il suo telefono non ha mai smesso di lampeggiare, e posso solo immaginare quanti messaggi continuino a circolare. Alla fine, però, si infila il cellulare in tasca e si sporge in avanti, appoggiando un gomito sul tavolino in mezzo a noi. «Tutto bene?» gli chiedo timidamente, rendendomi subito conto della stupidità della mia domanda. Sam, bontà sua, la ignora completamente. «Ho una cosa da chiederti» mi dice con calma. «Che cos’hanno questi Tavish per farti sentire inferiore? È per via dei loro titoli? Dei loro dottorati? Dei loro cervelli?» No, basta con questa solfa.
«Tutto! È ovvio! Loro sono... Cioè, tu rispetti Sir Nicholas, no?» ribatto, sulla difensiva. «Guarda come ti stai dando da fare per lui. È perché lo rispetti.» «Sì, lo rispetto, certo. Ma non per questo penso di essere automaticamente inferiore a lui. Non mi fa sentire come un cittadino di seconda classe.» «Io non mi sento una cittadina di seconda classe! Non ne sai nulla. Quindi... smettila!» «Okay.» Sam alza le mani. «Se mi sbaglio, ti chiedo scusa. È solo un’impressione che mi sono fatto. Volevo unicamente darti un aiuto da...» Sento che sta per dire la parola “amico”, poi rinuncia, come ho fatto io prima. «Volevo solo rendermi utile» conclude. «Ma la vita è tua. E io non ci metterò più becco.» Per un po’ c’è silenzio. Ha smesso. Si è arreso. Ho vinto io. Perché invece ho la sensazione che non sia così? «Scusami.» Sam si porta il telefono all’orecchio. «Vicks, cosa succede?» Esce dal nostro scompartimento e a me sfugge un enorme sospiro. Quel dolore assillante è tornato e mi si è annidato tra le costole. Ma ora non so più se sia perché i Tavish non vogliono che sposi Magnus o perché sto cercando di negarlo, o perché sono nervosa per questa scappatella, o per via del tè troppo forte. Per un po’ rimango seduta a fissare il bicchiere fumante. Vorrei non aver mai sentito i Tavish litigare in chiesa. Vorrei non sapere nulla. Vorrei poter cancellare quella nube grigia dalla mia vita e tornare a dirmi: “Come sono fortunata! Vero che è tutto perfetto?”. Sam si risiede e, per alcuni istanti, rimaniamo in silenzio. Il treno si è fermato in mezzo al nulla ed è calata una strana quiete. «Okay.» Fisso il tavolino di formica. «Okay.» «Okay cosa?» «Okay, non hai tutti i torti.» Sam non dice nulla e rimane in attesa. Il treno freme e sobbalza, come un cavallo che stia decidendo in che modo comportarsi, poi riprende lentamente a scorrere sui binari. «Ma non è che mi sono immaginata tutto, o chissà cos’altro ti sei messo in testa tu.» Incurvo le spalle, avvilita. «Li ho sentiti parlare, okay? Non vogliono che Magnus mi sposi. Ho fatto tutto il possibile. Ho giocato a Scarabeo e ho cercato di fare conversazione, e ho persino letto l’ultimo libro di Antony.78 Ma non sarò mai come loro. Mai.» «Perché dovresti?» Sam sembra perplesso. «Perché dovresti desiderarlo?» «Sì, bravo.» Alzo gli occhi al cielo. «Perché chiunque vorrebbe essere famoso, avere un cervellone e andare in tivù?» «Antony Tavish ha un gran cervellone» dice Sam con calma. «Avere un gran cervellone è come avere il fegato o il naso grossi. Perché dovresti sentirti in soggezione? E se avesse un intestino enorme? Ti sentiresti in soggezione lo stesso?» Non riesco a trattenere una risatina.
«A rigor di logica, è un mostro» insiste Sam. «Stai per entrare a far parte di una famiglia di mostri. Essere ai livelli più alti in tutto è da mostri. La prossima volta che ti senti intimidita, immagina una grossa insegna al neon sopra le loro teste con su scritto: “MOSTRI!”.» «Non lo pensi sul serio.» Sorrido, ma al tempo stesso scuoto la testa. «Invece sì che lo penso, eccome.» Adesso ha un’espressione serissima. «Questi accademici hanno bisogno di sentirsi importanti. Scrivono saggi, presentano programmi televisivi per dimostrare di essere persone utili e valide. Ma tu svolgi un servizio utile e valido ogni giorno della tua vita. Non hai bisogno di dimostrare nulla. Quante persone hai curato? Centinaia. Hai attenuato il loro dolore. Hai fatto stare meglio centinaia di esseri umani. Antony Tavish ha mai fatto stare meglio qualcuno?» Sono sicura che c’è qualcosa che non quadra in quel che dice, ma in questo momento non riesco bene a capire che cosa. Non mi resta che provare un certo sollievo. Non ci avevo mai pensato. Ho fatto stare bene centinaia di persone. «E tu? Hai mai fatto stare bene qualcuno?» non posso fare a meno di domandargli, e lui sfodera un sorriso furbo. «Ci sto lavorando su.» Il treno rallenta passando per Woking, e tutti e due guardiamo istintivamente fuori dal finestrino. Poi Sam si gira. «Il punto è che loro non c’entrano niente. Qui si parla di te. Di te e di lui. Magnus.» «Lo so» dico alla fine. «Lo so.» Suona strano sentirgli pronunciare il nome di Magnus. Sembra tutto sbagliato. Magnus e Sam sono talmente differenti. È come se fossero fatti di una pasta diversa. Magnus è così brillante, vivace, prestante, sexy. Ma un tantino egocentrico.79 Mentre Sam è così... schietto e forte. E generoso. E buono. Sai di poter contare su di lui, qualsiasi cosa accada. Sam ora mi guarda e sorride, come se potesse leggermi nel pensiero, e io sento un piccola stretta al cuore, come mi accade sempre ormai quando sorride... Fortunata Willow. Sussulto leggermente per averlo pensato e bevo un sorso di tè per nascondere l’imbarazzo. Quel pensiero mi è balenato in testa senza preavviso. E non ci credo davvero. Cioè, sì che ci credo, ma solo nel senso che auguro ogni bene a tutti e due, come un’amica disinteressata... no, non come un’amica... Sto arrossendo. Arrossisco per i miei ragionamenti stupidi, assurdi e insignificanti che, fra l’altro, nessuno conosce a parte me. Quindi mi posso rilassare. Posso darci un taglio e mettere da parte una volta per tutte la ridicola convinzione che Sam sia in grado di leggermi nel pensiero e capire che mi piace... No. Basta. Basta. È ridicolo. È del tutto... Cancella la parola “piace”. Non mi piace. No.
«Tutto bene?» Sam mi guarda incuriosito. «Poppy, scusami, non volevo turbarti.» «No!» mi affretto a dire. «Non mi hai turbato! Anzi, l’ho apprezzato. Davvero.» «Bene. Perché...» Si interrompe per rispondere al cellulare. «Vicks. Novità?» Mentre Sam si allontana per parlare, riprendo a sorseggiare il tè con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, ordinando al mio sangue di raffreddarsi e al mio cervello di svuotarsi. Devo fare marcia indietro. Riavviare il sistema. Non salvare le modifiche. Per ricreare un’atmosfera più professionale, infilo la mano in tasca in cerca del cellulare, controllo i messaggi, poi lo rimetto sul tavolino. Nella posta non ci sono allusioni alla crisi del memorandum: è chiaro che è nota solo a un numero molto ristretto di colleghi ai livelli più alti. «Lo sai che a un certo punto dovrai comprarti un altro telefono, vero?» dice Sam alzando un sopracciglio quando torna. «Oppure d’ora in poi hai intenzione di fregare tutti i tuoi cellulari dai cestini della spazzatura?» «Sono gli unici posti.» Mi stringo nelle spalle. «I cestini e i cassonetti.» Il telefono segnala l’arrivo di una mail e io faccio per afferrarlo automaticamente, ma Sam mi precede. La sua mano sfiora la mia e i nostri sguardi si incrociano. «Potrebbe essere per me.» «Vero.» Annuisco. «Prego.» Controlla, poi scuote la testa. «Il conto del trombettista per il matrimonio. Tutto tuo.» Con un sorrisino di trionfo, gli prendo il cellulare di mano. Mando una risposta veloce a Lucinda, poi lo rimetto sul tavolino. Pochi istanti dopo ronza di nuovo e tutti e due allunghiamo la mano, ma io lo batto. «Pubblicità di camicie.» Glielo passo. «Non è roba per me.» Sam cancella la mail, poi posa di nuovo il cellulare sul tavolino. «In mezzo!» Lo sposto di qualche centimetro. «Imbroglione.» «E tu tieni giù le mani» replica lui. «Imbrogliona.» Cala il silenzio. Siamo tutti e due pronti a scattare, in attesa che squilli il telefono. Sam sembra così concentrato che mi scappa da ridere. Nel vagone risuona il cellulare di qualcun altro e lui fa per prendere il nostro, ma poi si rende conto dell’errore. «Che tragedia» mormoro. «Non riconosce neppure la sua suoneria.» All’improvviso, sul nostro telefono arriva un SMS e, approfittando della sua momentanea esitazione, me lo accaparro per prima. «A-ha! E scommetto che è per me...» Apro il messaggio e inizio a leggere. Proviene da un numero sconosciuto ed è arrivato solo per metà, ma il succo del discorso è chiaro... Lo leggo di nuovo, e poi ancora. Alzo lo sguardo e mi inumidisco le labbra, improvvisamente secche. Non me lo sarei mai aspettata, mai e poi mai.
«È per te?» domanda Sam. «No.» Deglutisco. «Per te.» «Vicks?» Ha già la mano tesa. «Non dovrebbe usare questo numero...» «No, non è Vicks. Non è un messaggio di lavoro. È... è... personale.» Ciononostante lo rileggo, restia a lasciare andare il telefono prima di essere del tutto sicura di quel che ho letto. Non so se è il numero giusto. Ma ho dovuto avvisarti. Ti ha tradito. Con qualcuno che conosci. (altro testo in arrivo) Lo sapevo, lo sapevo che era una stronza, e questo dimostra che è ancora peggio di quel che pensassi. «Che cos’è?» Sam batte la mano sul tavolo impaziente. «Dammelo. Ha a che fare con la convention?» «No!» Stringo il cellulare più forte. «Sam, mi dispiace molto. E vorrei non averlo visto per prima. Ma dice...» Esito, angosciata. «Dice che Willow ti ha tradito. Mi dispiace.» Sam sembra completamente scioccato. Mentre gli passo il telefono, provo una pena tremenda per lui. Chi cavolo manda notizie del genere via SMS? Scommetto che va a letto con Justin Cole. Quei due sarebbero una coppia perfetta. Scruto il viso di Sam in cerca di segni di sofferenza, ma dopo lo shock iniziale, sembra straordinariamente calmo. Aggrotta la fronte, fa scorrere il messaggio fino in fondo, poi rimette il cellulare sul tavolino. «Tutto bene?» non riesco a fare a meno di chiedergli. Scrolla le spalle. «Non ha senso.» «Lo so!» Sono così turbata per lui che devo per forza dire qualcosa. «Perché l’avrà fatto? Ed è una tale rompiscatole! Un’ipocrita di prima categoria! Insopportabile!» Mi interrompo, temendo di aver superato il limite. Sam mi guarda in modo strano. «No, non capisci. Non ha senso perché io sono single. Non ho una fidanzata.» «Ma se stai con Willow» dico stupidamente. «No, non è così.» «Ma...» Lo guardo inespressiva. Ma come fa a non essere fidanzato? Certo che lo è. «Non sono mai stato propriamente fidanzato.» Scrolla le spalle. «Che cosa te l’ha fatto pensare?» «Me l’hai detto tu stesso! Sì, me l’hai detto tu, lo so.» Ho la faccia corrugata per lo sforzo di ricordare. «Almeno... ah, sì! L’ho letto in una mail mandata da Violet. Diceva: “Sam è fidanzato”. Me lo ricordo benissimo.» «Ah, ecco.» Il suo volto si rilassa. «Di tanto in tanto, usavo questa scusa per scrollarmi di dosso certe persone insistenti.» Si interrompe e poi aggiunge, come per chiarire meglio la cosa: «Donne». «Una scusa?» ripeto incredula. «Allora chi è Willow?»
«Willow è la mia ex ragazza» risponde dopo un po’. «Ci siamo lasciati due mesi fa.» Ex ragazza? Per un attimo non riesco a parlare. Il mio cervello è come una slot machine che continua a girare in cerca della combinazione vincente. Non riesco a raccapezzarmi. Lui è fidanzato. Dovrebbe essere fidanzato. «Ma avresti... avresti dovuto dirmelo!» Alla fine la mia agitazione viene fuori. «Per tutto questo tempo mi hai lasciato credere di essere fidanzato!» «No, non è vero. Non ne ho mai parlato.» Sembra perplesso. «Perché sei arrabbiata?» «Non... non lo so! È tutto sbagliato.» Respiro affannosamente, cercando di riordinare i pensieri. Come fa a non stare con Willow? Così cambia tutto. Ed è solo colpa sua.80 «Abbiamo parlato di un sacco di cose.» Cerco di assumere un tono più calmo. «Mi è capitato di menzionare Willow un po’ di volte e tu non hai mai specificato chi fosse. Perché tutti questi misteri?» «Non ho fatto nessun mistero!» Sbotta in una risatina. «Se avessimo affrontato l’argomento, ti avrei spiegato chi era. È finita. Non importa.» «Certo che importa!» «Perché?» Mi viene da urlare per la frustrazione. Come fa a chiedermi il perché? Non è ovvio? «Perché... perché... lei si comporta come se steste insieme.» E all’improvviso mi rendo conto che è proprio questo che mi turba di più. «Si comporta come se avesse tutto il diritto di farti le sfuriate. Ecco perché non mi era mai balenato il dubbio che potessi non essere fidanzato. Ma che storia è questa?» Sam sussulta con aria irritata, ma non dice nulla. «Manda i messaggi per conoscenza anche alla tua assistente! Spiattella tutto via mail! È strano!» «Willow è sempre stata... un’esibizionista. Ama avere un pubblico.» Sembra restio a addentrarsi nell’argomento. «Non si pone i limiti che si pongono le altre persone...» «No davvero! Hai idea di quanto sia possessiva? L’ho sentita di sfuggita mentre parlava nel suo ufficio.» Gli altoparlanti cominciano ad annunciare le stazioni successive, ma io alzo la voce per farmi sentire. «Hai idea di come si lamenti di te con le altre colleghe? Ha detto che state attraversando un brutto periodo e che devi darti una svegliata, sennò un giorno ti renderai conto di quel che stai perdendo, cioè lei.» «Non stiamo attraversando un brutto periodo.» Colgo un lampo di autentica rabbia nella sua voce. «Fra noi è finita.» «E lei lo sa?» «Sì che lo sa.» «Sicuro? Sei sicuro al cento per cento che se ne renda conto?» «Certo» replica in tono impaziente.
«Non c’è niente di certo! Come vi siete lasciati, di preciso? Le hai parlato con calma, spiegandole tutto come si deve?» Silenzio. Sam evita il mio sguardo. Quindi non le ha parlato con calma, spiegandole tutto come si deve. Lo so. Probabilmente le avrà mandato un SMS di due parole, tipo: “Fine. Sam”. «Be’, devi dirle di smetterla di mandare tutte quelle mail ridicole, o no?» Cerco di attirare la sua attenzione. «Sam?» Sta di nuovo controllando il cellulare. Tipico. Non vuole sapere le cose, non ne vuole parlare, non vuole neppure cominciare... Mi viene un dubbio. Oddio, è ovvio. «Sam, rispondi mai alle mail di Willow?» No, non risponde, vero? D’un tratto è tutto chiaro. Ecco perché tutte le volte lei ne scrive una nuova. È come se stesse attaccando messaggi su una parete vuota. «Se non le rispondi mai, come fa a sapere cosa pensi davvero?» Alzo ancora di più la voce per farmi sentire sopra gli altoparlanti. «Vedi? Non lo sa! Ecco perché si fa tante illusioni! Ecco perché pensa che in qualche modo tu le appartenga ancora!» Sam non mi guarda neppure in faccia. «Dio, sei veramente un grandissimo stronzo!» urlo esasperata nell’istante preciso in cui gli altoparlanti tacciono. Okay. Ovviamente non avrei parlato così forte se lo avessi saputo. Ovviamente non avrei detto quella parolaccia. Così ora quella madre seduta tre sedili più in là con i suoi bambini eviterebbe di lanciarmi occhiatacce come se li stessi contaminando. «Lo sei sul serio!» continuo inferocita a bassa voce. «Non puoi limitarti a cancellare Willow dalla tua posta pensando che lei sparisca. Non puoi ignorarla per sempre. Non se ne andrà da sola, Sam. Lasciatelo dire. Devi parlarle e spiegarle esattamente come stanno le cose, che cosa c’è che non va e...» «Senti, lascia perdere.» Sam sembra arrabbiato. «Se vuole mandarmi mail inutili, è libera di farlo. A me non cambia nulla.» «Ma è dannoso! Fa male! Non dovrebbe succedere!» «Non ne sai niente» taglia corto. Mi sa che ho toccato un nervo scoperto. E poi cos’è questo, uno scherzo? Adesso viene a dire a me che non ne so niente? «Io so tutto!» lo contraddico. «Mi sono occupata della tua posta, mio caro Signor Assente, Non rispondo, Me ne frego di tutto e tutti.» Sam mi fulmina con gli occhi. «Solo perché non rispondo a tutte le mail con sessanta stupide faccine sorridenti...» Adesso non vorrà mica girare la frittata. Che cos’è peggio, mandare le faccine o non rispondere? «Be’, tu non rispondi a nessuno» ribatto io in tono pungente. «Neppure a tuo padre!» «Cosa?» Sembra scioccato. «Che accidenti ti salta in mente, adesso?»
«Ho letto la sua mail» dico in tono di sfida. «Quella in cui ti scriveva che desiderava parlarti, che gli sarebbe piaciuto vederti nell’Hampshire e che ha una cosa da dirti. Che non vi parlate da secoli e che ha nostalgia dei vecchi tempi. E tu non gli hai neppure risposto. Sei senza cuore.» Sam getta la testa indietro e scoppia a ridere. «Oh, Poppy, non hai proprio idea di quel che stai dicendo.» «Io credo di sì, invece.» «Io credo di no.» «Secondo me, ti accorgerai che capisco un po’ più io della tua vita di te.» Lo guardo con aria di sfida. Adesso spero che il padre di Sam abbia ricevuto la mia mail. Aspetta che arrivi al Chiddingford Hotel e ci trovi suo padre tutto in ghingheri, con una rosa all’occhiello e lo sguardo speranzoso. Forse allora non sarà più così insolente. Sam ha preso il nostro cellulare e sta rileggendo il messaggio. «Io sono single» dice. «Non ho una fidanzata.» «Sì, l’avevo capito, grazie» replico sarcastica. «Hai solo una ex psicopatica che pensa ancora che le appartieni, anche se l’hai lasciata due mesi fa...» «No, no.» Scuote la testa. «Non mi segui. Noi due al momento condividiamo questo telefono, no?» «Sì.» Dove vuole andare a parare? «Quindi il messaggio potrebbe essere rivolto a ciascuno di noi due. Io non sono fidanzato, Poppy.» Alza la testa con un’espressione un po’ cupa. «Tu sì, però.» Per un attimo lo guardo senza capire, poi è come se un liquido gelido mi scorresse lungo la spina dorsale. «No. Intendi... No. No. Non dire stupidaggini.» Gli strappo il cellulare di mano. «Dice “tradito” con la “o”.» Trovo la parola nel messaggio e la indico a mo’ di prova. «Vedi? È chiarissimo. “Tradito”, maschile.» «D’accordo.» Annuisce. «Ma io non sono fidanzato. Dunque non posso essere stato tradito. Di conseguenza...» Lo fisso avvertendo una leggera nausea e ripeto la frase mentalmente al femminile: “Ti ha tradita”. No. Non potrebbe mai... Magnus non farebbe mai... Il cellulare ronza di nuovo facendoci sobbalzare tutti e due. È arrivata la seconda parte del testo. Finisco di leggere il messaggio in silenzio. Non so se è il numero giusto. Ma ho dovuto avvisarti. Ti ha tradito. Con qualcuno che conosci. Mi spiace dirti una cosa simile a pochi giorni dal tuo matrimonio, Poppy. Ma è giusto che tu sappia la verità. Una persona amica Lascio cadere il telefono sul tavolino: mi gira la testa. Non può essere vero. Non può. Mi accorgo a malapena che Sam sta prendendo il cellulare per leggere il messaggio.
«Bella “persona amica”» dice alla fine, in tono grave. «Chiunque sia, desidera solo seminare zizzania. Probabilmente non c’è niente di vero.» «Esatto.» Annuisco ripetutamente. «Esatto. È di sicuro una bufala. Qualcuno che tenta di spaventarmi per niente.» Cerco di sembrare sicura di me, ma il tremore della voce mi tradisce. «Quand’è il matrimonio?» «Sabato.» Sabato. Mancano solo quattro giorni e mi arriva un messaggio del genere. «Hai qualche sospetto...» Sam esita. «Sai chi potrebbe essere stato?» Annalise. Mi viene in mente prima ancora di rendermene conto. Annalise e Magnus. «No. Cioè... Non lo so.» Distolgo lo sguardo e schiaccio la guancia contro il finestrino. Non ne voglio parlare. Non ci voglio pensare, Annalise è mia amica. So che secondo lei Magnus avrebbe dovuto essere suo, ma di sicuro... Annalise in camice che guarda Magnus sbattendo le ciglia. Che indugia con le mani sulle sue spalle. No. Smettila. Smettila, Poppy. Mi porto le mani al viso sfregandomi i pugni chiusi sugli occhi, per cercare di strappare via i miei pensieri. Perché una persona, chiunque essa sia, si è sentita in dovere di mandarmi quell’SMS? Perché l’ho letto? Non può essere vero. Non è possibile. È una cosa volgare, dolorosa, nociva, orribile... Una lacrima mi è scivolata lungo la guancia fino al mento. Non so che cosa fare. Non so come affrontare la situazione. Chiamo Magnus a Bruges? Interrompo la sua festa di addio al celibato? E se non è vero e si arrabbia, e il rapporto fra noi si incrina? «Fra cinque minuti saremo arrivati.» Sam mi parla a voce bassa, in tono cauto. «Poppy, se non te la senti più, ti capisco benissimo...» «No, no. Me la sento.» Mi tolgo le mani dagli occhi, prendo un fazzoletto di carta e mi soffio il naso. «Sto bene.» «No, non stai bene.» «No, infatti. Ma... che cosa posso farci?» «Rispondi a quello stronzo o a quella stronza. Scrivi: “Dammi il nome”.» Lo fisso ammirata. Non mi sarebbe mai venuto in mente. «Okay.» Deglutisco e mi faccio coraggio. «Okay. Adesso glielo scrivo.» Appena afferro il telefono, mi sento già meglio. Almeno sto facendo qualcosa. Finalmente la smetto di pormi delle domande in preda a un’angoscia inutile. Finisco di scrivere il messaggio, premo “invia” con una leggera scossa di adrenalina e bevo l’ultimo sorso di tè ormai freddo. Forza, Numero Sconosciuto. Sputa il rospo. Dimmi che cosa c’è sotto. «Mandato?» Sam non ha mai smesso di guardarmi. «Sì. Adesso non mi resta che aspettare di vedere che cos’ha da dire.»
Il treno sta entrando nella stazione di Basingstoke e alcuni passeggeri si dirigono verso le uscite. Io getto il bicchiere di carta nel cestino, prendo la borsa e mi alzo a mia volta. «Adesso basta pensare ai miei stupidi problemi.» Mi costringo a sorridere a Sam. «Forza, andiamo ad affrontare i tuoi.» 78 Solo quattro capitoli, per la verità. 79 Lo posso dire perché è il mio fidanzato e lo amo. 80 Non so bene perché, ma sento istintivamente che è così.
12 Il Chiddingford Hotel è grande e imponente, con un splendido edificio principale in stile georgiano che si staglia al termine di un lungo viale e alcune dépendance di vetro un po’ meno belle, seminascoste da un’alta siepe. Quando arriviamo, però, sembro essere l’unica ad apprezzarlo. Sam non è proprio di buon umore. Abbiamo avuto qualche problema a trovare un taxi, poi siamo rimasti bloccati dalle pecore e alla fine l’autista si è perso. È da quando siamo saliti in macchina che non smette di digitare furiosamente sul cellulare, e al nostro arrivo due uomini in giacca e cravatta che non ho mai visto ci stanno aspettando sulla scalinata d’ingresso. Sam sbatte delle banconote in mano al tassista e apre la portiera ancora prima che l’auto si fermi. «Poppy, scusami un attimo. Ciao, ragazzi...» Scende per raggiungere gli altri due uomini e io esco dall’auto più lentamente. Mentre il taxi si allontana adagio, osservo i giardini ben curati intorno a me. Ci sono campi da croquet, piante sagomate in forme particolari e persino una piccola cappella che pare perfetta per i matrimoni. Il luogo sembra deserto e l’aria fresca mi fa rabbrividire. Forse sono solo nervosa. Forse è lo shock ritardato. O forse è il fatto di trovarmi in un posto sperduto nel nulla, senza sapere che diavolo ci sto facendo, mentre la mia vita privata sta per andare a rotoli. Tiro fuori il cellulare in cerca di un po’ di compagnia. Tenerlo in mano mi rassicura, ma non abbastanza. Leggo qualche altra volta l’SMS del Numero Sconosciuto, tanto per torturarmi un po’, poi scrivo un messaggio a Magnus. Dopo qualche falsa partenza, trovo la formula giusta. Ciao. Come stai? P Niente baci. Quando premo “invia” gli occhi iniziano a bruciarmi. È un messaggio semplice, ma è come se ogni parola fosse carica di doppi, tripli, persino quadrupli sensi, con un sottotesto straziante che lui potrebbe cogliere e non cogliere. 81 “Ciao” significa: “Ciao, mi hai tradito? L’hai fatto? Ti prego, TI PREGO, dimmi che non è vero”. “Come” significa: “Vorrei tanto che mi chiamassi. So che sei andato a fare una gita di addio al celibato, ma solo sentire la tua voce e sapere che mi ami e non mi faresti mai una cosa simile mi tranquillizzerebbe moltissimo”. “Stai” significa: “Oddio, non lo sopporto. E se è vero? Che cosa faccio? Che cosa dico? Ma se invece NON è vero e io ho sospettato di te senza motivo...”. «Poppy.» Sam si sta girando verso di me e io sussulto. «Sì! Sono qui.» Annuisco e metto via il telefono. Adesso mi devo concentrare. Devo togliermi Magnus dalla testa. Devo rendermi utile. «Ti presento Mark e Robbie. Lavorano per Vicks.» «Sta arrivando anche lei.» Mentre saliamo le scale, Mark controlla il suo cellulare. «Sir Nicholas per ora non si muove. Secondo noi è meglio che rimanga nel Berkshire, in caso di assedio dei giornalisti.»
«Nick non dovrebbe nascondersi.» Sam è accigliato. «Non si tratta di nascondersi, ma di stare tranquillo. Non vogliamo che corra a Londra come se ci fosse un’emergenza in corso. Domani ci riuniamo e vediamo come sono andate le cose. Quanto alla convention, per ora andiamo avanti. Naturalmente, Sir Nicholas sarebbe dovuto arrivare qui oggi, ma dobbiamo ancora vedere...» Esita, facendo una piccola smorfia. «... che cosa succede.» «E l’ingiunzione?» domanda Sam. «Ho parlato con Julian, sta facendo tutto il possibile...» Robbie sospira. «Sam, sappiamo già che non funzionerà. Voglio dire, non la richiederemo, anche se...» Appena entriamo nell’ampio atrio dell’albergo, si interrompe. Wow. Questa convention è molto più hi-tech del convegno annuale dei fisioterapisti. Ci sono enormi loghi della White Globe Consulting ovunque e tutt’intorno sono stati montati degli schermi. Evidentemente qualcuno sta facendo delle riprese in sala, perché si vedono immagini del pubblico seduto. Direttamente davanti a noi ci sono due porte a doppio battente chiuse, da cui giunge d’un tratto una risata scrosciante, seguita, dieci secondi dopo, da quella proveniente dagli schermi. L’atrio è vuoto a parte un tavolo con sopra alcuni badge con i nomi, dietro cui è appostata una ragazza dall’aria annoiata. Quando ci vede, si alza in piedi e mi sorride incerta. «Si divertono» commenta Sam, guardando gli schermi. «Sta parlando Malcolm» dice Mark. «Sta andando alla grande. Noi rimaniamo qui.» Ci guida verso una stanza laterale e chiude bene la porta alle nostre spalle. «Allora, Poppy.» Robbie si rivolge a me con gentilezza. «Sam ci ha parlato della tua... teoria.» «Non è la mia teoria» dico terrorizzata. «Io non ne so niente! Ho solo ricevuto questi messaggi e mi è venuto il dubbio che potessero avere qualcosa a che fare con questa storia, è stato Sam a trarre le conclusioni...» «Credo abbia trovato qualcosa di interessante.» Sam fissa Mark e Robbie negli occhi, come per sfidarli a contraddirlo. «Il memorandum è stato inserito nel sistema ad arte. Su questo siamo tutti d’accordo.» «Il memorandum è... atipico» lo corregge Robbie. «Atipico?» Sam sembra sul punto di esplodere. «Non l’ha scritto lui, punto. L’ha scritto qualcun altro e l’ha piazzato nel sistema informativo. Scopriremo chi è stato. Poppy ha sentito la sua voce. La riconoscerà.» «Okay.» Robbie e Mark si scambiano occhiate preoccupate. «Dico solo che dobbiamo stare attenti. Stiamo ancora pensando a come informare il personale. Se ti metti subito a sparare accuse...» «Io non sparo un bel niente.» Sam gli lancia uno sguardo cupo. «Abbi un po’ di fiducia.» «Allora che cosa pensi di fare?» Mark sembra sinceramente interessato.
«Andiamo a fare un giro. Ad ascoltare. A cercare l’ago nel pagliaio.» Sam si rivolge a me. «Pronta, Poppy?» «Prontissima.» Annuisco, sforzandomi di non dare a vedere che sono nel panico totale. Adesso mi pento quasi di aver annotato quei messaggi. «E poi...» Robbie sembra ancora insoddisfatto. «Forza, mettiamoci subito al lavoro.» Nella stanza è calato il silenzio. «Okay» dice Robbie alla fine. «Coraggio. Andate. Non può fare male a nessuno, immagino. E come spiegherai la presenza di Poppy?» «Nuova assistente?» suggerisce Mark. Sam scuote la testa. «Ne ho appena assunta una nuova e mezzo reparto l’ha già conosciuta. Semplifichiamo le cose. Poppy pensa di venire a lavorare da noi. Le sto facendo dare un’occhiata in giro. Va bene, Poppy?» «Sì! Certo.» «Hai quell’elenco del personale?» «Ecco qui.» Robbie glielo consegna. «Ma sii discreto, Sam.» Mark sta sbirciando la hall dalla porta socchiusa. «Stanno uscendo» dice. «Sono tutti tuoi.» Sbuchiamo nella hall. Entrambe le porte a doppio battente sono aperte e uomini e donne, tutti muniti di badge, arrivano chiacchierando e, in alcuni casi, ridendo. Sembrano abbastanza pimpanti, se si pensa che sono le sei e mezza e che hanno ascoltato discorsi tutto il pomeriggio. «Sono così tanti.» Vedendo tutta quella gente, mi perdo d’animo. «Niente paura» dice Sam, deciso. «Intanto sai che è una voce maschile, e questo toglie di mezzo una buona parte di persone. Facciamo un giro per la sala e procediamo per esclusione. Io ho i miei sospetti, ma... non voglio influenzarti.» Lo seguo adagio nella ressa. La gente prende i bicchieri dai vassoi dei camerieri, saluta e scherza urlando da un capo all’altro della sala. C’è un baccano terribile. Le mie orecchie si tendono a destra e a manca come radar per captare il timbro delle voci. «Non hai ancora sentito il nostro uomo?» domanda Sam, mentre mi passa un bicchiere di succo d’arancia. Mi accorgo che un po’ scherza, un po’ ci spera davvero. Scuoto la testa. Mi sento sopraffatta dal mio compito. Il frastuono nella stanza è come un boato indistinto nella mia testa. Riesco a malapena a cogliere qualche frammento qua e là, figurarsi se ce la faccio a individuare la tonalità esatta di una voce che ho sentito qualche giorno fa, per venti secondi, al cellulare. «Okay, cerchiamo di essere metodici.» Sam sta quasi parlando da solo. «Procediamo per cerchi concentrici. Ti pare che assomigli a un piano?» Gli sorrido, anche se in tutta la mia vita non mi sono mai sentita così sotto pressione. Nessun altro al mondo è in grado di fare questa cosa. Nessun altro ha udito quella voce. Dipende tutto da me. Adesso so come devono sentirsi i cani antidroga agli aeroporti.
Andiamo verso un gruppo composto da alcune donne e due uomini di mezza età. «Ciao!» Sam li saluta tutti cordialmente. «Vi state divertendo? Vi presento Poppy, che è qui per dare un’occhiata in giro. Poppy, lui è Jeremy... e Peter... Jeremy, da quanti anni lavori con noi? E tu, Peter? Cosa sono, tre anni?» Okay. Adesso che ascolto come si deve, da vicino, è più facile. Uno dei due ha una voce bassa e ringhiosa e l’altro è scandinavo. Dieci secondi dopo guardo Sam scuotendo la testa, e lui passa rapidamente a un altro gruppo, cancellando i nomi dalla lista con discrezione. «Ciao! Vi state divertendo? Vi presento Poppy, che è qui per dare un’occhiata in giro. Poppy, hai già conosciuto Nihal. Ehi, Colin, che cosa combini in questi giorni?» È incredibile come sono diverse le voci, se si presta particolare attenzione. Non solo il tono, ma gli accenti, i timbri, i piccoli difetti di pronuncia, i vezzi, i farfugliamenti. «E lei?» chiedo io, sorridendo a un tizio con la barba che non ha emesso una sola sillaba. «Be’, è stato un anno difficile...» comincia impacciato. No, no. Niente. Guardo Sam scuotendo la testa, e lui mi afferra bruscamente per il braccio. «Scusa, Dudley, siamo di fretta...» Si dirige verso il gruppo successivo e si intromette senza preamboli, interrompendo il racconto di un aneddoto. «Poppy, ti presento Simon... Stephanie l’hai già conosciuta... Simon, Poppy stava ammirando la tua giacca. Dove l’hai comprata?» Sam è di una spudoratezza incredibile. Praticamente ignora tutte le donne e non si sforza per niente di nascondere il suo desiderio di far parlare gli uomini. D’altronde non c’è altro modo di procedere, immagino. Più voci ascolto, più mi sento sicura. È più facile di quanto avessi immaginato, perché sono tutte così diverse da quella che avevo udito al telefono. Solo che abbiamo già esaminato quattro gruppi di persone, eliminando tutti. Mi guardo intorno, apprensiva. E se finisco il giro e non sento la voce del tipo del messaggio? «Ciao, ragazzi! Vi state divertendo?» Sam è ancora un fiume in piena quando ci avviciniamo al gruppo successivo. «Vi presento Poppy, che è qui per dare un’occhiata in giro. Poppy, lui è Tony. Tony, perché non le parli del tuo reparto? E lui è Daniel, e... lei è... Ah. Willow.» Quando ci siamo avvicinati lei era girata, quindi non ci aveva visto. Adesso, però, è proprio davanti a noi. Wow. «Sam!» dice, dopo una pausa talmente lunga che comincio a sentirmi imbarazzata per tutti quanti. «Chi è... questa?» Okay. Se il mio SMS a Magnus era carico di significati, le tre paroline di Willow ne sono sommerse. Non bisogna essere esperti di linguaggio willowiano per capire che in realtà intendeva dire: “Chi CAZZO è questa qui e CHE COSA ci
fa con TE? Maledizione, Sam, STAI CERCANDO DI PRENDERMI IN GIRO? Perché, credimi, te ne pentirai AMARAMENTE”. Sì, insomma. Parafrasando. Non ho mai sentito così tanta ostilità in tutta la mia vita. C’è come una corrente elettrica fra noi. Willow ha le narici dilatate e sempre più bianche. Ha gli occhi sbarrati. La sua mano è stretta così forte intorno al bicchiere che si vedono i tendini sotto la pelle chiara. Il sorriso però è ancora dolce e gradevole, e la voce melliflua. Il che, probabilmente, è la cosa che fa più paura di tutte. «Poppy pensa di venire a lavorare da noi» dice Sam. «Ah.» Willow continua a sorridere. «Fantastico. Benvenuta, Poppy.» Mi sta esasperando. Sembra una specie di aliena. Dietro il sorriso dolce e la voce soave si nasconde una serpe. «Grazie.» «Okay, noi però dobbiamo sbrigarci... Ci vediamo, Willow.» Sam mi afferra per il braccio e mi porta via. Oh-oh. Pessima idea. Sento il suo sguardo laser piantato nella schiena. Lui no? Ci avviciniamo a un altro gruppo e Sam si lancia nel suo discorsetto, mentre io tendo diligente le orecchie per sentire meglio, ma non c’è neppure una voce che assomigli anche solo lontanamente a quella del tizio della telefonata. Mentre procediamo, mi accorgo che Sam comincia a perdersi d’animo, anche se sta cercando di nasconderlo. Quando ci allontaniamo da un gruppo di tecnici informatici piuttosto giovani, mi domanda: «Veramente non è nessuno di questi?». «No.» Scrollo le spalle per scusarmi. «Mi dispiace.» «Non dispiacerti!» Fa una risatina forzata. «Hai sentito quel che hai sentito. Non puoi... Se non è uno di loro...» Si interrompe un attimo. «Sicura che non fosse il tizio biondo? Quello che parlava della sua auto? Non ti è parso per niente familiare?» Adesso colgo chiaramente la delusione nella sua voce. «Pensavi che fosse lui?» «Non... lo so.» Allarga le braccia sospirando. «Forse. Sì. Ha i contatti giusti con i tecnici informatici ed è appena venuto a lavorare da noi, quindi Ed e Justin non avrebbero fatto fatica a convincerlo...» Non so che cosa rispondere. Come ha detto lui, ho sentito quel che ho sentito. «Mi sa che qualcuno è andato in terrazza» dico, cercando di rendermi utile. «Proveremo anche là» annuisce. «Ma prima finiamo qui.» Persino io sono in grado di capire che nessuno dei quattro uomini con i capelli grigi in piedi davanti al bar è il tizio della telefonata, e non mi sbaglio. Mentre Sam viene coinvolto in una discussione sul discorso di Malcolm, ne approfitto per allontanarmi e vedere se Magnus mi ha risposto. Ovviamente no. Ma in cima alla posta ricevuta c’è una mail inviata a
[email protected] e, per conoscenza, a
[email protected], che mi fa saltare i nervi. Sam. Bravo, ci hai provato. So ESATTAMENTE che cosa stai cercando di fare e sei PENOSO. Dove l’hai trovata, in un’agenzia? Mi sarei aspettata qualcosa di più da te. Willow Mentre fisso incredula il display, arriva un’altra mail: Cioè, voglio dire, non è neppure VESTITA in modo adeguato per l’occasione. O all’improvviso le gonne di jeans da smorfiosetta sono adatte a una convention? La mia gonna non è da smorfiosetta! E quando mi sono vestita stamattina, non avevo esattamente in programma di andare a una convention, no? Offesissima, premo “rispondi” e scrivo: Veramente per me è una ragazza stupenda. E la sua gonna di jeans non è per niente da smorfiosetta. Beccati questa, strega Willow. Sam Poi la cancello. Naturalmente. Sto per mettere via il cellulare, quando arriva una terza mail da Willow. Ma insomma. Non è il caso di mollare il colpo? Vuoi farmi ingelosire, Sam. Bene. Rispetto la tua scelta. Addirittura mi piace. Il nostro rapporto ha bisogno di scintille. Ma almeno DAMMI UN MOTIVO PER ESSERE GELOSA!!! Perché, credimi, la tua piccola smargiassata non ha fatto colpo su nessuno. Cioè, portarsi in giro una sciacquetta che evidentemente NON HA IDEA DI CHE COSA SIA UNA DANNATA MESSA IN PIEGA... Be’, è una tragedia, Sam. Una TRAGEDIA. Ne riparleremo quando crescerai. Willow Mi tocco i capelli, sulla difensiva. Stamattina mi sono fatta la piega, solo che è difficile arrivare alle ciocche dietro. Cioè, non è che me ne freghi qualcosa di quel che pensa lei, ma non posso fare a meno di sentirmi un po’ ferita nell’orgoglio... I miei pensieri vengono interrotti bruscamente e guardo il display. Non ci credo. Sam mi ha appena mandato una mail. Ha risposto a Willow. Le ha risposto davvero! Solo che ha premuto “rispondi a tutti”, così è arrivata anche a me. Alzo lo sguardo sbalordita e vedo che sta ancora parlando con gli uomini con i capelli grigi, evidentemente assorbito dal discorso. Deve avere scritto molto in fretta. Apro la mail e vedo una sola riga. Dacci un taglio, Willow. Non impressioni nessuno. Fisso il messaggio sbattendo le palpebre. Non le piacerà affatto. Mi aspetto che sferri un altro attacco feroce a Sam e invece non arrivano più mail. Forse è rimasta di stucco come me. «Benissimo. Ne parleremo più tardi.» Sam alza la voce sopra il baccano. «Poppy, vorrei farti conoscere altre persone.» «Okay.» Scatto sull’attenti e infilo il cellulare nella borsetta. «Andiamo.»
Facciamo l’ultimo giro. L’elenco di Sam è coperto di segni di spunta. Ormai avrò ascoltato quasi tutte le voci maschili dell’azienda e non ne ho sentita una sola che assomigli vagamente a quella del tizio della telefonata. Sto iniziando persino a domandarmi se me la ricordo bene, o se sia stata solo un’allucinazione. Mentre ci avviamo lungo un corridoio moquettato, diretti alla terrazza, mi accorgo che Sam è giù di morale. Anch’io lo sono un po’. «Mi dispiace» mormoro. «Non è colpa tua.» Alza lo sguardo e sembra captare il mio stato d’animo. «Poppy, davvero. So che stai facendo del tuo meglio.» Fa una piccola smorfia. «Ehi, mi dispiace per Willow.» «Oh, non ti preoccupare» minimizzo. Camminiamo in silenzio per qualche istante. Vorrei dire qualcosa tipo: “Grazie per avermi difeso”, ma sono troppo imbarazzata. Ho l’impressione che in realtà non avrei mai dovuto trovarmi coinvolta in quello scambio di mail. La terrazza è piena di lanterne e ci sono un po’ di persone, ma decisamente molte meno di quelle all’interno. Fa troppo freddo, ma è un peccato, perché qui fuori c’è proprio una bella atmosfera festosa. C’è un bar e qualcuno sta addirittura ballando. In un angolo della terrazza un tizio con la telecamera sembra impegnato a intervistare due ragazze che stanno ridacchiando. «Bene, magari stavolta avremo fortuna.» Cerco di sembrare ottimista. «Forse.» Sam annuisce, ma vedo che ormai si è arreso. «Che cosa succede se non lo troviamo qui fuori?» «Be’... almeno ci avremo provato.» È teso in volto, ma mi fa un rapido sorriso. «Okay. Al lavoro.» Assumo il mio migliore tono motivazionale, del tipo: “Dài, ce la puoi fare a ritrovare la mobilità all’articolazione coxofemorale”. «Proviamoci.» Usciamo e Sam ripete la solita tiritera. «Ciao, ragazzi! Vi state divertendo? Vi presento Poppy, che è qui per dare un’occhiata in giro. Poppy, lui è James. James, perché non le spieghi di che cosa ti occupi? Lui è Brian, e lui Rhys.» Non è James, né Brian, né Rhys. E neppure Martin, né Nigel. Tutti i nomi della lista di Sam sono stati cancellati. Quando lo guardo in faccia, mi viene quasi da piangere. Alla fine ci allontaniamo da un gruppo di stagisti che non erano neppure sulla lista e non possono essere Scottie. Abbiamo finito. «Adesso chiamo Vicks» dice Sam con la voce un po’ stanca. «Poppy, grazie per avermi dedicato il tuo tempo. È stata un’idea stupida.» «Non è vero.» Gli poso una mano sul braccio. «Avrebbe... potuto funzionare.» Sam mi guarda, e per un attimo rimaniamo così, immobili. «Sei molto gentile» dice alla fine. «Ciao, Sam! Ciao, ragazzi!» Una voce femminile molto acuta mi fa sobbalzare. Dopo aver ascoltato con più attenzione del solito il modo di parlare
della gente sarò anche diventata un po’ sensibile, ma questa voce mi fa proprio saltare i nervi. Mi giro e vedo una ragazza spumeggiante con un foulard rosa in testa avvicinarsi a noi insieme al tizio con la telecamera, che ha i capelli scuri tagliati a spazzola e un paio di jeans. Oh-oh. «Ciao, Amanda.» Sam annuisce. «Che succede?» «Stiamo filmando tutti gli ospiti della convention» dice lei allegramente. «Basta un salutino, lo faremo vedere alla cena di gala...» La telecamera è puntata sulla mia faccia e io sussulto. Non dovrei essere qui. Non posso “fare un salutino”. «Di’ quel che ti pare» mi incita Amanda. «Un messaggio personale, una battuta...» Consulta la sua lista con aria perplessa. «Scusami, ma non so in che reparto sei...» «Poppy è un’ospite» dice Sam. «Ah!» La ragazza distende la fronte. «Benissimo! Sai una cosa? Visto che sei un’ospite speciale, perché non rispondi alle domande della nostra intervista? Che cosa ne dici, Ryan? Conosci Ryan?» aggiunge, rivolta a Sam. «Viene dalla London School of Economics e sta facendo uno stage di sei mesi da noi. Ha girato tutti i nostri video promozionali. Ehi, Ryan, fai un primo piano. Poppy è un’ospite speciale!» Cosa? Io non sono “un’ospite speciale”. Vorrei scappare ma, chissà come, mi sento inchiodata dalla telecamera. «Presentati, e Ryan ti farà le domande!» dice la ragazza allegramente. «Allora, dicci come ti chiami...» «Ciao» dico alla telecamera controvoglia. «Sono... Poppy.» Che stupidaggine. Che cosa posso raccontare a un gruppo di sconosciuti? Magari faccio un salutino a Willow. Ehi, strega Willow, pensi che io me ne vada in giro a pavoneggiarmi con il tuo ragazzo? Be’, ti do una notizia flash. Lui non sta più con te. Al pensiero mi sfugge un verso, e Amanda mi fa un sorriso di incoraggiamento. «Su, forza! Di’ qualcosa tanto per divertirti. Ryan, vuoi cominciare l’intervista?» «Certo. Allora, Poppy, come ti è sembrata la convention finora?» La voce alta e stridula che proviene da dietro la telecamera mi colpisce il timpano come una scossa da mille volt. È lui. È la voce che ho sentito al telefono. La persona che mi sta parlando in questo momento. Il tizio con i capelli a spazzola e la telecamera in spalla. È lui. «Ti stai divertendo?» incalza, e il mio cervello esplode nel riconoscere di nuovo la voce udita al cellulare. Il ricordo mi attraversa la mente come un replay in un programma sportivo. Sono Scottie. Fatto. Proprio come dicevo. Un’operazione chirurgica. «Quale discorso ti è piaciuto di più?»
«Non è andata a sentire nessun discorso» interviene Sam. «Ah. Okay.» Niente tracce. Geniale, anche se me lo dico da solo. Adiós, Babbo Natale. «In una scala da uno a dieci, che punteggio daresti alla festa con i drink?» Sono Scottie. È lui Scottie. Non ci sono dubbi. «Tutto bene?» Si sporge da dietro la telecamera con aria impaziente. «Puoi parlare. Sto girando.» Guardo il suo viso magro e intelligente con il cuore in gola, imponendomi di non lasciar trapelare nulla. Mi sento come un coniglio ipnotizzato da un serpente. «Non fa niente, Poppy.» Sam mi si avvicina con gentilezza. «Non ti preoccupare. Molte persone vanno nel panico davanti alla telecamera.» Lo guardo impotente. Non mi esce la voce. Mi sembra di essere in uno di quei sogni in cui non riesci a gridare mentre qualcuno ti sta ammazzando. «Ragazzi, non credo che le vada di parlare» sta dicendo Sam. «Potreste...» Agita una mano. «Scusa!» Amanda si copre la bocca. «Non volevo spaventarti! Buona serata!» Si allontanano verso un altro gruppo di persone e io li seguo con lo sguardo, pietrificata. «Povera Poppy.» Sam fa un sorriso triste. «Ci mancava solo questo. Mi dispiace, è una cosa nuova che fanno alle convention, anche se non capisco proprio che cosa aggiunga...» «Sta’ zitto» riesco a interromperlo in qualche modo, anche se sono in grado a malapena di parlare. «Zitto, zitto.» Sam mi guarda attonito. Mi avvicino a lui e mi alzo in punta di piedi fino a toccargli l’orecchio con la bocca. I suoi capelli mi sfiorano la pelle. Inspiro, assorbendo il suo calore e il suo odore, poi mormoro con voce lieve come un respiro: «È lui». Rimaniamo fuori per altri venti minuti. Sam fa una lunga telefonata a Sir Nicholas di cui non sento niente, poi una più sbrigativa con Mark di cui colgo alcune parole qua e là, mentre lui continua a girare in tondo con una mano sulla testa: «Be’, la politica aziendale può andare a farsi fottere... Appena arriva Vicks...». È chiaro che il livello della tensione sta salendo. Avevo pensato che Sam sarebbe stato felice del mio aiuto, e invece sembra ancora più cupo di prima. Termina la chiamata dicendo secco: «Ma da che parte stai? Maledizione, Mark». «Allora... che cosa pensi di fare?» domando timidamente dopo che ha concluso la telefonata. «Stanno analizzando la posta elettronica aziendale di Ryan, ma lui è furbo. Non avrà usato il sistema informativo della White Globe Consulting. Avrà fatto tutto per telefono o da un account privato.» «E allora?»
«Questo è il problema.» Sam fa una smorfia, frustrato. «Il guaio è che non abbiamo tempo per discutere su come agire. Non abbiamo tempo per consultare i nostri avvocati. Se fosse per me...» «Lo faresti arrestare, gli confischeresti tutti i suoi beni e lo sottoporresti forzatamente alla macchina della verità» non posso fare a meno di dirgli. «In un sotterraneo buio chissà dove.» Un sorriso riluttante gli attraversa la faccia. «Sì, più o meno.» «Come sta Sir Nicholas?» mi arrischio a domandare. «Fa l’allegrone. Ti lascio immaginare. Non è il tipo da perdersi d’animo, ma ne risente molto di più di quel che dà a vedere.» Si incupisce per un attimo e incrocia le braccia sul petto. «Anche tu lo fai» dico in tono gentile, e lui alza lo sguardo sorpreso, come se l’avessi colto in flagrante. «Mi sa di sì» dice dopo una lunga pausa. «Io e Nick ci conosciamo da tanto tempo. È una brava persona. Ha fatto cose importanti nella sua vita. Ma se questo tentativo di diffamazione avrà successo, la gente si ricorderà solo di questo. I giornali continueranno a pubblicare sempre gli stessi titoli, fino alla sua morte. “Sir Nicholas Murray, sospettato di corruzione.” Non se lo merita, e soprattutto non si merita di essere tradito dal suo stesso consiglio di amministrazione.» Sam si intristisce per un attimo, poi si ricompone. «Be’, andiamo. Ci stanno aspettando. Vicks è qui in giro.» Torniamo verso l’enorme porta d’ingresso dell’hotel, passando davanti a un gruppo di ragazze raccolte intorno a un tavolo, oltre un giardino ornamentale. È un po’ che il cellulare vibra e io lo tiro fuori in fretta per controllare la posta, tanto per vedere se Magnus ha risposto... Fisso il display sbattendo le palpebre. Non ci posso credere. Mi sfugge un gemito minuscolo, e Sam mi lancia una strana occhiata. In cima al display c’è una mail nuova di zecca e la apro, sperando con tutte le mie forze che non ci sia scritto quello che ho il terrore di... Merda. Merda. Fisso la mail in preda all’agitazione. Che cosa faccio? Siamo quasi arrivati all’ingresso dell’hotel. Devo parlare. Devo dirglielo. «Ehm, Sam.» Ho la voce un po’ strozzata. «Ehm, fermati un attimo.» «Cosa c’è?» Si ferma con aria preoccupata e mi si annoda lo stomaco. Okay. Il fatto è questo. A mia discolpa, devo dire che se solo avessi saputo che Sam sarebbe rimasto invischiato in una crisi gravissima e urgente, fra memorandum manomessi, anziani consulenti governativi e notiziari ITN, non avrei mandato quella mail a suo padre. Certo che no. Ma io non lo sapevo. E la mail l’ho mandata. E adesso... «Che cosa succede?» Sam sembra impaziente. Da dove cavolo comincio? Come faccio a rabbonirlo? «Non arrabbiarti, ti prego» butto là come prima misura preventiva, anche se ho l’impressione che sia un po’ come cercare di spegnere un incendio con un cubetto di ghiaccio.
«Per che cosa?» La voce di Sam ha un tono minaccioso. «Il fatto è...» Mi schiarisco la gola. «Io credevo di fare la cosa più giusta, ma capisco che tu magari non la veda esattamente allo stesso modo...» «Che accidenti stai...» Si interrompe, come se gli fosse balenato un pensiero terrificante. «Oddio, no. Ti prego, non dirmi che hai raccontato alle tue amiche di questa...» «No!» rispondo atterrita. «Certo che no!» «Allora che cosa c’è?» Mi sento leggermente ringalluzzita dalla sua ipotesi sbagliata. Almeno non ho spifferato tutto alla mie amiche. Almeno non ho venduto la mia storia al “Sun”. «È una faccenda di famiglia. Riguarda tuo padre.» Sam sbarra gli occhi, ma non dice nulla. «Mi dispiaceva molto che tu e lui non foste in contatto, così ho risposto alla sua mail. Vuole disperatamente vederti, Sam. Ti sta tendendo la mano! Non vieni mai nell’Hampshire, non lo vedi mai...» «Dio santo» borbotta quasi fra sé. «Non ho proprio tempo per questa roba.» Le sue parole mi feriscono. «Non hai tempo per tuo padre? Sai una cosa, signor Pezzogrosso? Forse hai delle priorità un po’ sballate. Lo so che sei impegnato, lo so che è un momento difficile, ma...» «Poppy, smettila. Ti sbagli completamente.» Ha un’aria così impassibile che vengo travolta dall’indignazione. Come si permette di essere sempre così sicuro di sé? «Forse sei tu quello che si sbaglia!» Le parole mi sfuggono di bocca prima che io possa fermarle. «Magari sei tu quello che si lascia scorrere la vita davanti senza farsi mai coinvolgere! Forse ha ragione Willow!» «Come, scusa?» Il semplice riferimento a Willow sembra averlo fatto inferocire. «Perderai molte occasioni! Rapporti con persone che potrebbero darti moltissimo, perché ti rifiuti di parlare, di ascoltare...» Sam si guarda intorno con aria imbarazzata. «Poppy, datti una calmata» mormora. «Ti stai lasciando prendere troppo dalle emozioni.» «Be’, tu invece sei un po’ troppo calmo!» Sto per esplodere. «Sei troppo stoico!» D’un tratto mi balena in mente l’immagine di quei senatori romani che aspettavano di essere massacrati nel foro. «Sai una cosa, Sam? Stai diventando di pietra.» «Di pietra?» Scoppia a ridere. «Sì, di pietra. Un giorno ti sveglierai trasformato in una statua, ma non te ne renderai conto. Rimarrai intrappolato in te stesso.» Mi trema la voce, non so bene perché. A me non importa nulla se anche si trasforma in una statua. Sam mi scruta con espressione cauta. «Poppy, non so proprio di che cosa tu stia parlando, ma dobbiamo rimandare questo discorso. Ho delle cose da fare.» Gli squilla il cellulare e se lo porta all’orecchio. «Ehi, Vicks. Okay, sto arrivando.»
«So che sei alle prese con una grave crisi.» Gli stringo forte il braccio. «Ma c’è un vecchio che ti aspetta, Sam. Che desidera vederti, anche solo per cinque minuti. E sai una cosa? Io ti invidio.» Sam sbuffa forte. «Accidenti, Poppy, non hai capito niente.» «Ah, sì?» Lo guardo, sentendo affiorare come bollicine tutte le emozioni soffocate finora. «Vorrei tanto avercela io, questa possibilità. Vorrei tanto rivedere mio padre. Non sai quanto tu sia fortunato. Non dico altro.» Una lacrima mi scivola lungo la guancia e l’asciugo bruscamente. Sam rimane in silenzio. Mette via il telefono e mi guarda dritto negli occhi. Poi mi parla con dolcezza. «Senti, Poppy. Capisco quello che provi. Non ho nessuna intenzione di sottovalutare i legami familiari. Ho un ottimo rapporto con mio padre e lo vedo tutte le volte che posso. Ma non è così facile, considerato che vive a Hong Kong.» Sussulto inorridita. Possibile che abbiano perso i contatti fino a questo punto? Non sapeva neppure che suo padre fosse tornato in patria? «Sam!» Le parole mi sfuggono di bocca. «Non capisci! È tornato. Vive nell’Hampshire! Ti ha mandato una mail. Voleva vederti. Non leggi proprio niente?» Lui getta indietro la testa e scoppia a ridere, e io lo guardo offesa. «Okay» dice finalmente, asciugandosi gli occhi. «Cominciamo dall’inizio. Chiariamo le cose. Stai parlando della mail di David Robinson, giusto?» «No! Sto parlando della mail di...» Mi interrompo a metà frase, d’un tratto incerta. Robinson? Robinson? Prendo il telefonino e controllo l’indirizzo:
[email protected]. Ho pensato che si chiamasse David Roxton. Mi sembrava ovvio che fosse David Roxton. «Al contrario di quel che hai pensato tu, ho letto quella mail» sta dicendo Sam. «E ho deciso di ignorarla. Credimi, David Robinson non è mio padre.» «Ma se si è firmato “papà”». Sono completamente nel pallone. «Ha scritto “dad”, “papà”. Che cos’è... il tuo patrigno o qualcosa del genere?» «Non è mio padre in nessun senso» mi spiega Sam paziente. «Se proprio lo vuoi sapere, quando andavo al college, frequentavo un gruppo di ragazzi, e lui era uno di loro. David Andrew Daniel Robinson. D.A.D. Robinson. Lo chiamavamo “Dad”, “papà”. Okay? Adesso hai capito, finalmente?» Si avvia verso l’albergo come se l’argomento fosse chiuso, ma io rimango inchiodata dove sono, con la mente in tumulto per lo shock. Non mi va proprio giù. Allora “Dad” non è il padre di Sam? “Dad” è un amico? Come facevo a saperlo? Non bisognerebbe permettere a nessuno di firmarsi “Dad” se non è veramente un genitore. Dovrebbe essere vietato dalla legge. Non mi sono mai sentita tanto stupida in vita mia. Solo che... Mentre sono lì, non posso fare a meno di ripassare mentalmente le mail di Robinson: “È un bel po’ che non ci sentiamo. Ti penso spesso... Non hai sentito i messaggi che ti ho lasciato sulla segreteria? Non importa. So che sei un
ragazzo molto impegnato... Come ti dicevo, vorrei tanto parlarti di una cosa. Non ti capita mai di passare per l’Hampshire?”. Okay. Magari mi sono sbagliata sul padre di Sam, sul cottage e sul cane fedele. Ma queste parole toccano comunque un nervo scoperto per me. Sembrano così umili. Così discrete. David è chiaramente un vecchissimo amico che desidera riallacciare i rapporti. Forse questa è un’altra amicizia che Sam sta lasciando andare in malora. Forse alla fine si incontreranno, e sarà subito come ai vecchi tempi, e poi Sam mi ringrazierà e mi dirà che dovrebbe dare più importanza all’amicizia, che prima non se ne rendeva conto e che io gli ho cambiato la vita... All’improvviso corro dietro a Sam e lo raggiungo. «Allora è un tuo caro amico?» comincio. «David Robinson? È un tuo caro, vecchio amico?» «No.» Sam non rallenta il passo. «Ma dovete pur essere stati amici un tempo.» «Più o meno.» Come si fa a essere così poco entusiasti? Si rende conto di come sarà vuota la sua vita se perde i contatti con la gente che un tempo era stata importante per lui? «Di sicuro, però, esiste ancora un legame fra voi! Magari, se lo incontrassi, ritroverebbe un senso! Aggiungeresti qualcosa di positivo alla tua esistenza!» Sam si blocca all’improvviso e mi fissa. «Ma a te che cosa importa, scusa?» «Niente» rispondo sulla difensiva. «Ho solo pensato che... forse ti sarebbe piaciuto rimetterti in contatto con lui.» «Sono già in contatto con lui.» Sam sembra esasperato. «Più o meno una volta all’anno andiamo a bere qualcosa insieme, ed è sempre la stessa storia. Ha in mente qualche progetto imprenditoriale ma ha bisogno di investitori, di solito si tratta di prodotti assurdi o di marketing piramidale. Se non è un attrezzo sportivo, sono doppi vetri o una multiproprietà in Turchia... E io, come uno scemo, finisco sempre per dargli dei soldi. Poi l’impresa va a rotoli e per un anno non lo sento più. È un circolo vizioso che devo interrompere. Ecco perché non ho risposto alla sua mail. Lo chiamerò fra un mese o due, forse, ma adesso, francamente, è l’ultima persona al mondo che vorrei vedere...» Si interrompe e mi guarda. «Be’?» Deglutisco. Non c’è nessuna via d’uscita. Nessuna. «Ti sta aspettando al bar.» Forse Sam non si è ancora trasformato in una statua perché mentre entriamo nell’albergo non dice nulla ma, guardandolo in faccia, non è difficile individuare i suoi stati d’animo, l’intera gamma: dalla rabbia al furore, dalla frustrazione alla... Be’. Di nuovo alla rabbia. 82 «Mi dispiace» ripeto. «Pensavo...» Lascio la frase in sospeso. Gli ho già spiegato che cosa pensavo. Non è servito a molto, a dirla tutta. Apriamo il pesante portone e vediamo subito Vicks che ci viene rapidamente incontro dal corridoio, con il cellulare all’orecchio e l’aria stizzita.
«Certo» sta dicendo, mentre si avvicina a noi. «Mark, aspetta un attimo. C’è qui Sam. Ti richiamo.» Alza lo sguardo e dice senza preamboli: «Sam, mi dispiace. Mandiamo il comunicato originale». «Cosa?» Sam ha un tono di voce talmente inferocito da farmi sobbalzare. «Stai scherzando, vero?» «Non abbiamo trovato niente su Ryan, né prove né scorrettezze di alcun genere. Mi spiace. So che ci hai provato, ma...» Cala un silenzio teso. Sam e Vicks non si guardano neppure in faccia, ma il linguaggio del corpo è chiaro. Vicks, sulla difensiva, si stringe il computer portatile e un mucchio di fogli contro il petto. Sam si rigira i pugni sulla fronte. Per quanto mi riguarda, sto cercando di confondermi con la tappezzeria. «Vicks, lo sai che sono palle.» Sam sembra fare uno sforzo immane per tenere a bada la sua impazienza. «Sappiamo quel che è successo. Allora che cosa facciamo? Ignoriamo tutte le nuove informazioni?» «Non sono informazioni, solo ipotesi! Non sappiamo cosa sia successo!» Vicks guarda su e giù per il corridoio vuoto e abbassa la voce. «E se non prepariamo subito il comunicato stampa per l’ITN, siamo fritti, Sam.» «Abbiamo tempo» replica Sam in tono agguerrito. «Possiamo parlare con questo Ryan. Interrogarlo.» «Quanto ci vorrà? Che cosa otterremo?» Vicks stringe più forte il suo portatile. «Sam, queste sono accuse gravi. Inconsistenti. A meno che non troviamo qualche prova reale, tangibile...» «Allora rimaniamo a guardare. Ce ne laviamo le mani. E loro l’avranno vinta.» Sam parla con calma, ma io capisco che sta ribollendo di rabbia. «I tecnici stanno ancora cercando a Londra.» Vicks sembra stanca. «Ma se non troviamo delle prove...» Guarda l’orologio. «Sono quasi le nove. Non abbiamo tempo, Sam.» «Lascia che parli io con loro.» «Okay.» Sospira. «Non qui. Ci siamo trasferiti in una stanza più grande con un collegamento a Skype.» «Va bene. Andiamo.» Si avviano a passi rapidi, e io li seguo, anche se non so se devo farlo o meno. Sam sembra così preoccupato che non oso fiatare. Vicks ci guida attraverso una sala da ballo piena di tavoli da banchetto, verso il bar... Si è dimenticato di David Robinson? «Sam» gli dico precipitosamente «aspetta! Non ti avvicinare al bar, dobbiamo passare da un’altra parte...» «Sam!» Una voce gutturale richiama la nostra attenzione. «Eccoti qua!» Trasalgo, inorridita. Dev’essere lui. David Robinson. Quel tizio stempiato con i capelli scuri e ricci in completo grigio chiaro metallizzato, che ha abbinato a una camicia nera e a una cravatta bianca di pelle. Ci sta venendo incontro a lunghe falcate con un enorme sorriso stampato sul faccione e un bicchiere di whisky in mano.
«Quanto tempo, troppo!» Stringe Sam in un abbraccio vigoroso. «Che cosa ti posso offrire, vecchio mio? Oppure è tutto pagato? In tal caso, io lo prendo doppio!» Scoppia in una risata stridula che mi fa accapponare la pelle. Guardo disperata il volto teso di Sam. «Chi è?» domanda Vicks sbalordita. «È una lunga storia. Un amico del college.» «Conosco tutti i segreti di Sam!» David Robinson gli dà una pacca sulla schiena. «Se non vuoi che spifferi ogni cosa, passami un cinquantone. No, scherzo! Mi basta un venti!» Scoppia di nuovo a ridere. È ufficiale: quest’uomo è insopportabile. «Sam.» Vicks nasconde a fatica la sua impazienza. «Dobbiamo andare.» «Andare?» David Robinson fa finta di cadere all’indietro. «Dovete andare? Ma se sono appena arrivato!» «David.» La cortesia di Sam è così gelida da farmi venire quasi i brividi. «Mi spiace. C’è un cambiamento di programma. Cercherò di tornare da te più tardi.» «Anche se ho guidato per quaranta minuti per venire fin qui?» David scuote la testa, mimando ostentatamente la propria delusione. «Non riesci neppure a trovare dieci minuti per un vecchio amico? Che cosa faccio, me ne resto qui a bere da solo come un cretino?» Mi sento sempre peggio. È tutta colpa mia. Devo fare qualcosa per salvare la situazione. «Resto qui io a bere con te!» mi affretto a dire. «Sam, tu vai pure. Ci penso io a intrattenere David. Ciao, sono Poppy Wyatt!» Gli tendo la mano e cerco di non fare una smorfia sentendo la sua stretta umidiccia. «Vai.» Incrocio lo sguardo di Sam. «Vai.» «Okay.» Sam esita un attimo, poi annuisce. «Grazie. Metti pure sul conto dell’azienda.» Lui e Vicks si stanno già allontanando in fretta. «Bene!» David sembra incerto su come reagire. «Non c’è problema! Anche se, a mio modesto parere, a volte la gente si dà un po’ troppa importanza.» «È molto occupato» dico, in tono di scuse. «Cioè, sul serio.» «Allora, tu chi sei? L’assistente di Sam?» «Non esattamente. Diciamo che in un certo senso ho dato una mano a Sam, in modo non ufficiale.» «Non ufficiale.» David mi strizza l’occhio platealmente. «Non dirmi altro. Tutto spesato. Deve sembrare una cosa pulita.» Okay, adesso ho capito: quest’uomo è un incubo. Non mi sorprende che Sam passi la vita a cercare di scansarlo. «Vuoi un altro drink?» gli chiedo con tutta la gentilezza di cui sono capace. «Poi, magari, mi potresti raccontare che cosa fai nella vita. Sam mi ha detto che sei un investitore. Nel settore del... fitness?» David si rabbuia e finisce il bicchiere. «Ho lavorato in quel ramo per un po’. Troppa salute e sicurezza, questo è il problema di quel business. Troppi ispettori. Troppe regole da mollaccioni. Un altro whisky doppio, se paghi tu.»
Ordino il whisky e un grosso bicchiere di vino per me, imbarazzata e mortificata. Non mi sembra ancora vero di aver preso un abbaglio così grande. Non ficcherò mai più il naso nella posta elettronica di nessuno, mai più. «E dopo l’attrezzatura per il fitness?» lo sprono. «Di che cosa ti sei occupato?» «Be’.» David Robinson si abbandona contro lo schienale della sedia e si schiocca le dita. «Poi ho preso la strada degli autoabbronzanti...» Mezz’ora dopo mi gira la testa. Esiste forse un settore in cui quest’uomo non abbia investito? Tutte le storie sembrano seguire sempre lo stesso schema. Lui snocciola sempre le medesime, identiche fasi. “Occasione unica, cioè, unica, Poppy... un investimento serio... sull’orlo di una crisi isterica... tanti bigliettoni, cioè una barca di soldi, Poppy... poi sono successe cose fuori dal mio controllo... quelle dannate banche... investitori miopi... maledette regole...” Sam non ha dato segni di vita, e neppure Vicks. Sul telefonino non è arrivato niente. Sono quasi fuori di me per la tensione, mi chiedo che cosa stia succedendo. Nel frattempo, David si è scolato due whisky, sbranato tre pacchetti di patatine e ora sta intingendo dei tacos in un piattino di hummus. «Ti interessano gli articoli per l’intrattenimento dei bambini?» Perché mai dovrei essere interessata agli articoli per l’intrattenimento dei bambini? «Veramente no» rispondo cortesemente, ma lui mi ignora. Ha tirato fuori dalla valigetta un pupazzo a guanto di un animale con la pelliccia marrone e lo sta facendo ballare sul tavolo. «Mr Wombat. I bambini ne vanno pazzi. Vuoi provare?» No, non voglio provare, ma pur di tenere viva la conversazione, scrollo le spalle. «Okay.» Non ho idea di quel che dovrei fare con un pupazzo a guanto, ma David sembra galvanizzato appena lo indosso. «Sei un talento naturale! Lo porti a una festa per bambini, in un campo giochi, dove vuoi, e quelli prendono il volo. E il bello è il margine di profitto, Poppy. Non ci crederai.» Sbatte la mano sul tavolo. «Inoltre, è un’attività flessibile. Li puoi vendere anche al lavoro. Ti faccio vedere tutto il kit...» Infila di nuovo la mano nella valigetta e tira fuori una cartellina di plastica. Lo fisso confusa. Che cosa intende per vendere? Di sicuro, non che io... «Ho scritto giusto il tuo nome?» Alza lo sguardo dalla cartellina e io la fisso a bocca aperta. Perché c’è il mio nome su una cartellina con sopra scritto “Accordo ufficiale di franchising per Mr Wombat”? «All’inizio prendi un piccolo ordine. Diciamo... cento unità.» Agita la mano in aria. «Li vendi in un giorno, senza problemi. Soprattutto con il nostro nuovo omaggio, Mr Magical.» Mette sul tavolo un pupazzo di plastica di un mago e mi guarda con gli occhi che brillano. «Poi viene la fase più entusiasmante. Il reclutamento!» «Fermati!» Mi sfilo bruscamente Mr Wombat dalla mano. «Non voglio vendere pupazzi a guanto! Non lo faccio e basta!»
David pare non avermi neppure sentito. «Come dicevo, è un’attività flessibilissima. Tutto guadagno nelle tue tasche...» «Non voglio guadagno nelle mie tasche!» Mi sporgo sul tavolo del bar. «Non voglio partecipare! Grazie lo stesso!» Per sicurezza, prendo la penna e faccio una croce sul nome “Poppy Wyatt” scritto sulla cartellina, e David sobbalza come se gli avessi procurato una ferita. «Non ce n’era bisogno! Stavo cercando di farti un favore.» «Grazie, molto gentile.» Cerco di essere cortese. «Ma non ho tempo per vendere wombat, né...» Sollevo il mago. «Chi è questo? Albus Silente?» Che cosa c’entra un mago con un wombat? «No!» David sembra offeso a morte. «Non è Albus Silente, è Mr Magical. La nuova serie televisiva. Il prossimo grande successo. Era tutto pronto.» «Era? Che cosa è successo?» «Per il momento è stata cancellata» risponde lui freddamente. «Ma è comunque un prodotto fantastico. Versatile, indistruttibile, apprezzato da maschi e femmine... Potrei darti cinquecento unità... per duecento sterline?» Ma è fuori di testa? «Non voglio nessun mago di plastica» dico con tutta la gentilezza di cui sono capace. «Grazie lo stesso.» D’un tratto mi viene un dubbio. «Quanti Mr Magical hai comprato?» David non sembra aver voglia di rispondere. Alla fine dice: «Al momento credo che le scorte ammontino a diecimila pezzi» e beve un sorso di whisky. Diecimila? Oddio. Povero David Robinson. Mi fa un po’ pena. Che cosa se ne fa di diecimila maghi di plastica? Ho paura di chiedergli quanti wombat abbia. «Forse Sam conosce qualcuno che li vuole vendere» gli dico incoraggiante. «Qualcuno che ha dei bambini.» «Forse.» David alza lo sguardo, avvilito. «Dimmi una cosa. Sam ce l’ha ancora con me per avergli allagato la casa?» «Non me ne ha mai parlato» rispondo con sincerità. «Be’, forse il danno non è stato grave come sembrava. Quegli acquari albanesi del cavolo.» David sembra depresso. «Robaccia. E i pesci non erano molto meglio. Ascolta il mio consiglio, Poppy. Stai alla larga dai pesci.» Mi scappa da ridere e mi mordo il labbro. «Okay» annuisco, cercando di restare più seria che posso. «Me ne ricorderò.» Finisce l’ultimo taco, sospira forte e si guarda intorno. «Allora, com’era Sam al college?» domando, tanto per prolungare la conversazione ancora un po’. «Ambizioso.» David ha un’aria un po’ indispettita. «Hai presente il tipo? Rematore del college. Sicuro dall’inizio che avrebbe avuto successo. Al secondo anno, ha avuto un momento di sbandamento. Si è messo un po’ nei guai. Ma è comprensibile.» «Perché?» Mi acciglio, non riuscendo a seguirlo. «Be’, sai.» David si stringe nelle spalle. «Dopo che è morta sua madre.»
Rimango raggelata, con il bicchiere sollevato davanti alla bocca. Che cosa ha appena detto? «Mi spiace...» Cerco senza molto successo di nascondere lo shock. «Hai detto che sua madre è morta?» «Non lo sapevi?» David sembra sorpreso. «All’inizio del secondo anno. Una malattia cardiaca, credo. Era stata poco bene per un po’, ma nessuno si aspettava che se ne andasse così in fretta. Sam ha reagito male, poverino. Anche se io gli dico sempre di prendersi pure la mia, di mamma, tutte le volte che vuole...» Non lo sto ascoltando. Sono totalmente nel pallone. Aveva detto che era successo a un suo amico. Ne sono sicura. Mi sembra di risentirlo: “Un mio amico ha perso la madre ai tempi in cui frequentavamo il college. Ho passato tante notti a parlare con lui. Tante notti... Non passa mai...”. «Poppy?» David sta agitando la mano davanti alla mia faccia. «Tutto bene?» «Sì!» Cerco di sorridere. «Scusa. Stavo... pensavo che fosse stato un amico di Sam ad aver perso la madre, non lui. Devo essermi confusa. Che scema. Ah, vuoi un altro whisky?» David non mi risponde. Rimane zitto per un po’, poi mi guarda attentamente, stringendo il bicchiere vuoto fra le mani. I suoi pollici grassocci stanno tracciando un disegno sul vetro e io li osservo, ipnotizzata. «Non ti sei confusa» dice alla fine. «Sam non te l’ha detto, vero? Ti ha detto che è successo a un suo amico.» Lo guardo sorpresa. Ormai l’avevo liquidato come un tipo rozzo e imbecille, ma ha capito al volo. «Sì» ammetto alla fine. «Infatti. Come facevi a saperlo?» «È un tipo riservato.» David annuisce. «Quando è successo, quando sua madre è morta, non l’ha detto a nessuno al college per giorni e giorni. Solo ai suoi amici più intimi.» «Okay.» Esito dubbiosa. «Tu eri uno... di loro?» «Io!» David fa una risatina triste. «No, io no. Io non ero ammesso nel suo sancta sanctorum. Solo Tim e Andrew. Sono i suoi amici più fidati. Remavano sulla stessa barca. Li conosci?» Scuoto la testa. «Quei tre sono unitissimi ancora adesso. Tim lavora alla Merrill Lynch, Andrew fa l’avvocato in qualche studio importante. E, naturalmente, Sam ha un legame piuttosto stretto con Josh, suo fratello» aggiunge David. «È più grande di lui di due anni. Ai tempi veniva a trovarlo al college. Quando le cose si mettevano male per Sam, ci pensava lui a sistemare tutto. Parlava con i suoi tutor. È una brava persona.» Non sapevo neppure che Sam avesse un fratello. Rimango lì seduta a digerire tutte queste informazioni, un po’ giù di morale. Non avevo mai sentito parlare di Tim, Andrew e Josh. Ma, in fondo, perché avrei dovuto? È probabile che scrivano direttamente a lui. È probabile che si tengano in contatto come le
persone normali. In privato. Non come la strega Willow e certi vecchi amici che cercano di spillargli denaro. Finora avevo pensato di avere una panoramica di tutta la vita di Sam, ma non era tutta la sua vita, vero? Solo una casella di posta elettronica. E io l’ho giudicato in base a quella. Ha degli amici. Una vita privata. E un rapporto con la sua famiglia. Un sacco di cose che io ignoro completamente. Sono stata un’idiota a pensare di sapere tutto della sua storia. Conosco solo un capitolo. Nient’altro. Bevo un sorso di vino, cercando di alleviare la strana malinconia che d’un tratto mi invade. Non saprò mai niente degli altri capitoli di Sam. Lui non me ne parlerà e io non gli chiederò nulla. Ognuno andrà per la sua strada, e a me rimarrà l’impressione che mi sono già fatta. La versione di lui che vive nella casella di posta della sua assistente. Mi chiedo quale sia la sua impressione su di me. Oddio. Meglio non approfondire. Al pensiero mi viene da ridere, e David mi guarda incuriosito. «Sei una strana ragazza, tu, eh?» «Ah, sì?» Il telefonino attacca a ronzare e io lo prendo, senza preoccuparmi di apparire maleducata. Mi segnala che ho ricevuto un messaggio vocale da Magnus. Magnus? Ho perso una chiamata di Magnus? Di colpo, i miei pensieri di allontanano da Sam, da David e da questo posto, e tornano alla mia vita. Magnus. Matrimonio. SMS anonimo. “Ti ha tradito...” Mi affollano la mente tutti insieme, come se finora fossero rimasti in fila dietro la porta. Balzo in piedi, premendo i tasti con violenza per ascoltare il messaggio vocale, impaziente e nervosa al tempo stesso. Ma che cosa mi aspetto? Una confessione? Un rifiuto? Perché Magnus dovrebbe sapere che ho ricevuto un messaggio anonimo? “Ehi, Pops!” La voce inconfondibile di Magnus è attutita da una musica di sottofondo. “Potresti chiamare la professoressa Wilson e ricordarle che sono via? Grazie, tesoro. Il numero è sulla mia scrivania. Ciao! Mi sto divertendo un sacco!” Lo ascolto due volte in cerca di indizi, anche se non so proprio che tipo di indizi spero di raccogliere.83 Quando termino di ascoltare il messaggio, ho lo stomaco in subbuglio. Non lo sopporto. Non voglio questo. Se non avessi mai ricevuto quel messaggio, adesso sarei felice. Non vedrei l’ora di sposarmi, di andare in luna di miele e di esercitarmi a fare la mia nuova firma. Sarei felice. Ho esaurito gli argomenti di conversazione, così mi tolgo le scarpe, sollevo i piedi sulla panca e mi stringo le ginocchia al petto, imbronciata. Intorno a noi, nel bar, gli impiegati della White Globe Consulting hanno cominciato a radunarsi a gruppetti. Sento frammenti di frasi ansiose scambiate sottovoce, e ho captato un po’ di volte la parola “memorandum”. La notizia dev’essere trapelata. Guardo
l’orologio e ho una fitta di apprensione. Sono le nove e quaranta. Mancano solo venti minuti al notiziario dell’ITN. Mi chiedo per la milionesima volta che cosa stiano combinando Vicks e Sam. Vorrei poter dare una mano. Vorrei poter fare qualcosa. Mi sento del tutto impotente, qui seduta... «Okay!» Una brusca voce femminile interrompe i miei pensieri. Alzo lo sguardo e vedo Willow davanti a me, che mi sovrasta fissandomi in cagnesco. Si è messa un abito da sera che lascia la schiena scoperta, e noto che le tremano persino le spalle. «Adesso ti faccio una domanda diretta, e spero che tu mi risponda in modo altrettanto schietto. Niente giochetti. Niente raggiri. Niente trucchetti.» In pratica, mi sta sputando le parole addosso. Ma per piacere. Quali trucchetti avrei fatto io, secondo lei? «Ciao» la saluto educatamente. Il guaio è che non posso guardare questa donna senza ripensare a tutte le sue mail assurde piene di maiuscole. È come se ce le avesse stampate in faccia. «Chi sei?» mi chiede rabbiosa. «Dimmi solo questo. Chi sei? E se non me lo vuoi dire, credimi...» «Sono Poppy» la interrompo. «Poppy.» Sembra estremamente sospettosa, come se “Poppy” dovesse per forza essere il mio nome d’arte in un’agenzia di escort. «Conosci David?» aggiungo in tono cortese. «È un vecchio compagno di college di Sam.» «Ah.» Appena sente queste parole, un lampo di interesse le attraversa il viso. «Ciao, David, io sono Willow.» Sposta lo sguardo su di lui, e io, lo giuro, sento una ventata gelida sulla faccia. «Piacere, Willow. Allora, sei un’amica di Sam?» «Io sono Willow.» Lo ripete con un po’ più di enfasi. «Bel nome» annuisce lui. «Sono Willow. Willow.» Ora c’è una punta di tensione nella sua voce. «Sam deve averti parlato di me. Wil-low.» David aggrotta la fronte pensieroso. «Non mi pare.» «Ma...» Sembra sul punto di schiattare per l’indignazione. «Io sto con lui.» «Adesso no, però, eh?» dice David bonario, poi mi strizza leggermente l’occhio. Comincia a starmi simpatico, questo David. Quando ti abitui alla sua camicia orribile e agli investimenti ad alto rischio, non è male. Willow sembra incandescente. «Ma questa... Il mondo sta impazzendo» dice quasi fra sé. «Non conosci me, ma conosci lei?» Mi indica con il pollice. «Pensavo che fosse lei l’amica del cuore di Sam» dice David in tono innocente. «Lei? Tu?» Willow mi squadra da cima a fondo con un atteggiamento incredulo e altezzoso che mi irrita.
«Perché non dovrei?» ribatto decisa. «Perché lui non dovrebbe stare con me?» Willow tace per un attimo, sbatte solo le palpebre molto in fretta. «Allora è così. Mi sta tradendo» mormora alla fine, con voce tremante. «Finalmente la verità viene a galla. Avrei dovuto capirlo prima. Adesso si spiegano... molte cose.» Fa un sospiro plateale, passandosi le dita fra i capelli. «Dove andremo a finire?» Si rivolge a un pubblico sconosciuto. «Dove cazzo andremo a finire?» È completamente fuori di melone. Mi scappa da ridere. Dove pensa di essere, nella sua commedia personale? Chi crede di impressionare con la sua performance? E le sfugge un dettaglio fondamentale. Come fa Sam a tradirla, se lei non è più la sua ragazza? D’altra parte, però, per quanto mi stia divertendo a provocarla, non voglio diffondere notizie false. «Non ho detto che sto con lui» chiarisco. «Ho detto: “Perché non dovrebbe stare con me?”. Allora, sei tu la sua ragazza?» Willow sussulta, ma noto che non risponde. «Chi cavolo sei tu?» Torna ad aggredirmi. «Spunti nella mia vita all’improvviso e non so neanche chi tu sia e da dove sia sbucata...» Sta di nuovo recitando per il loggione. Mi chiedo se abbia frequentato una scuola di teatro e l’abbiano cacciata perché era troppo melodrammatica. 84 «È... una faccenda complicata.» La parola “complicata” sembra infiammarla ancora di più. «Ah, “complicata”.» Traccia due virgolette nell’aria. «“Complicata”. Aspetta un attimo.» All’improvviso, con gli occhi ridotti a due fessure incredule, guarda i miei vestiti. «Quella è la camicia di Sam?» Ahi ahi. Non gradirà per niente la risposta. Magari evito di dargliela. «È la camicia di Sam? Dimmelo subito!» Ha la voce talmente imperiosa e irritante da farmi sobbalzare. «Hai addosso la camicia di Sam? Dimmelo! È la sua camicia? Rispondimi!» «Pensa alla tua brasiliana!» Le parole mi escono di bocca prima che io riesca a trattenermi. Ops. Okay. Quando dici per sbaglio una cosa imbarazzante, il trucco è rimanere relativamente impassibile. Tenere la testa alta e fare finta di nulla. Forse Willow non si è neppure accorta di quel che ho detto. Sono sicura che non se ne sia accorta. Certo che no. Le lancio un’occhiata furtiva, e vedo che ha gli occhi talmente strabuzzati da sembrare sul punto di uscire dalle orbite. Okay, se n’è accorta. E dall’espressione divertita di David, mi sa che se n’è accorto anche lui. «Voglio dire... gli affari» mi correggo, schiarendomi la voce. «Gli affari tuoi.» D’un tratto, dietro una spalla di David, scorgo Vicks. Sta passando in mezzo ai gruppetti di impiegati della White Globe Consulting con un’espressione torva che mi terrorizza. Guardo l’orologio. Dieci meno un quarto.
«Vicks!» L’ha notata anche Willow. Le blocca la strada con aria dispotica, con le braccia incrociate. «Dov’è Sam? Qualcuno mi ha detto che era con te.» «Scusami, Willow.» Vicks cerca di girarle intorno. «Dimmi solo dov’è Sam.» «Non ne ho idea, Willow!» taglia corto Vicks. «Puoi toglierti di mezzo? Devo parlare con Poppy.» «Poppy? Devi parlare con Poppy?» Willow sembra sul punto di scoppiare dalla frustrazione. «Chi cazzo è questa Poppy?» Mi fa quasi pena. Vicks viene verso di me, ignorandola completamente, si china e mi chiede sottovoce: «Sai dov’è Sam?». «No.» La guardo allarmata. «Che cos’è successo?» «Ti ha mandato un SMS? Qualcosa?» «No!» Controllo il telefono. «Niente. Pensavo fosse con te.» «Infatti lo era.» Vicks si sfrega di nuovo gli occhi, e io resisto a fatica alla tentazione di afferrarle i polsi. «Che cos’è successo?» Abbasso ancora di più la voce. «Ti prego, Vicks. Sarò discreta. Te lo giuro.» C’è un attimo di silenzio, poi Vicks annuisce. «Okay. Non abbiamo più tempo. Si può dire che Sam abbia perso, immagino.» Provo una fitta di delusione. Dopo tutta questa fatica. «Che cos’ha detto lui?» «Non molto. Se n’è andato come una furia.» «Che cosa succederà a Sir Nicholas?» Parlo più piano che posso. Vicks non risponde, ma gira la testa, come se volesse sfuggire a quel pensiero. «Devo andare» dice bruscamente. «Se senti Sam, avvisami. Per piacere.» «Okay.» Aspetto che Vicks si allontani, poi alzo lo sguardo con aria indifferente. Willow ha gli occhi fissi su di me come un cobra. «Dunque» mi fa. «Dunque.» Le sorrido amabilmente, proprio quando le cade lo sguardo sulla mia mano sinistra. Spalanca la bocca. Per un attimo sembra incapace di parlare. «Chi ti ha dato quell’anello?» riesce a dire alla fine. Cosa gliene frega a lei? «Una ragazza che si chiama Lucinda» rispondo, per farla incavolare. «Sai, l’avevo perso. E lei me l’ha riportato.» Willow prende fiato, e giuro che è sul punto di mordermi, quando la voce di Vicks risuona dall’altoparlante a tutto volume. «Mi spiace interrompere la festa, ma ho un annuncio importante da fare. Tutto il personale della White Globe Consulting è pregato di tornare immediatamente nella sala conferenze principale. Ripeto, tornate nella sala immediatamente. Grazie.»
All’improvviso, intorno a noi si leva un chiacchiericcio, e tutti i gruppetti di persone cominciano a spostarsi verso le porte, alcuni riempiendosi prima il bicchiere. «Mi sa che per me è arrivato il momento di togliere il disturbo» dice David, alzandosi in piedi. «Dovrai sicuramente andare anche tu. Salutami Sam.» «Veramente non faccio parte del personale» dico, per amor di precisione. «Comunque sì, devo andare. Scusami.» «Davvero?» David scuote la testa con aria confusa. «Allora, un po’ di ragione ce l’ha anche lei.» Gira la testa verso Willow. «Non sei la ragazza di Sam e non lavori per questa azienda. Chi accidenti sei e che cosa c’entri con lui?» «Come ho detto...» Non posso fare a meno di sorridere di fronte alla sua espressione interrogativa. «È... una faccenda complicata.» «Ci credo.» Alza le sopracciglia, poi estrae un biglietto da visita e me lo mette in mano. «Dillo a Sam. Pupazzetti. È una grande occasione per lui.» «Non mancherò» annuisco con aria seria. «Grazie.» Lo guardo dirigersi verso l’uscita e scomparire dalla mia visuale, poi metto via con cura il biglietto da visita per Sam. «Dunque.» Willow incombe di nuovo sopra di me con le braccia conserte. «Perché non cominci dall’inizio?» «Stai scherzando?» Non riesco a nascondere la mia esasperazione. «Non hai proprio nient’altro da fare in questo momento?» Indico la folla di persone dirette alla sala conferenze. «Brava, ci hai provato.» Non batte ciglio. «Sarà molto difficile che un noioso annuncio aziendale diventi una priorità per me.» «Credimi, ti conviene andarlo a sentire questo noioso annuncio aziendale.» «Tu sai già tutto, immagino» ribatte Willow sarcastica. «Sì.» Annuisco, sentendomi all’improvviso scoraggiata. «So tutto. E... mi sa che mi prendo qualcosa da bere.» Torno al bancone del bar. Vedo Willow nello specchio. Dopo qualche istante si gira e va verso la sala con espressione assassina. Parlare con lei mi ha sfinito. No, è stata tutta questa giornata a sfinirmi. Ordino un altro bicchiere di vino, poi mi avvio lentamente verso la sala conferenze. Vicks, in piedi sul palco, sta parlando a un pubblico attentissimo e sconvolto. L’enorme schermo dietro di lei ha il volume azzerato. «... come dicevo, non sappiamo esattamente come sarà presentata la notizia. Noi comunque abbiamo fornito la nostra replica, e al momento non possiamo fare altro. Ci sono domande? Nihal?» «Dov’è Sir Nicholas in questo momento?» La voce di Nihal si leva dalla platea. «Nel Berkshire. Dobbiamo ancora vedere come procedere per il resto della convention. Naturalmente, appena saranno state prese delle decisioni, sarete informati.»
Guardo i volti che mi circondano. Justin, a poco più di un metro di distanza da me, fissa Vicks ostentando fintamente shock e preoccupazione. Adesso alza la mano. «Justin?» dice Vicks controvoglia. «Brava, Vicks.» La sua voce melliflua si spande per la sala. «Posso solo immaginare quanto siano state difficili queste ultime ore per te. In qualità di alto dirigente dell’azienda, vorrei ringraziarti per gli sforzi che hai profuso. Qualsiasi cosa Sir Nicholas abbia detto o non detto, quale che sia la verità, che naturalmente nessuno di noi può sapere davvero, ciò che conta per noi è la tua dedizione all’azienda. Brava, Vicks!» esclama, dando il via a un applauso. Oh. Che serpe. Non sono l’unica a pensarlo, perché si alza subito un’altra mano. «Malcolm!» dice Vicks, chiaramente sollevata. «Vorrei solo mettere in chiaro, di fronte a tutto il personale, che Sir Nicholas non ha fatto quelle dichiarazioni.» Purtroppo, la voce di Malcolm rimbomba un po’ e non sono sicura che lo sentano tutti. «Ho ricevuto il memorandum originale che ha mandato, ed era completamente diverso...» «Sono costretta a interromperti» dice Vicks. «Sta cominciando il notiziario. Alzate il volume, per piacere.» Dov’è Sam? Dovrebbe essere qui. Dovrebbe rispondere a Justin e incenerirlo. Dovrebbe guardare il notiziario. Non capisco proprio. Parte la sigla familiare del telegiornale delle dieci, e poi le immagini si avvicendano vorticosamente sull’enorme schermo. È ridicolo quanto sia nervosa, anche se non c’entro niente. Magari non ne parlano, continuo a pensare. Si sente sempre dire di notizie che vengono scartate... Ecco i rintocchi del Big Ben. Da un momento all’altro annunceranno i titoli. Ho lo stomaco serrato per il nervosismo e bevo un sorso di vino. Guardare il telegiornale è un’esperienza completamente diversa quando si è coinvolti. È così che si devono sentire sempre i primi ministri. Dio, non vorrei mai essere al loro posto. Passeranno tutte le sere nascosti dietro al divano, a sbirciare la tivù fra le dita delle mani. Bong! “Nuovi attentati in Medio Oriente fanno temere instabilità.” Bong! “I prezzi delle case risalgono a sorpresa... Sarà un trend duraturo?” Bong! “Un memorandum fa dubitare dell’integrità di un consulente governativo di spicco.” Ecco. L’hanno trasmessa. Nella sala regna un silenzio quasi sinistro. Nessuno ha parlato né reagito in alcun modo. Secondo me, stanno trattenendo tutti il fiato in attesa di sentire l’intero servizio. È già cominciato quello sul Medio Oriente e si vedono immagini di esplosioni su una strada polverosa, ma io non ci faccio quasi caso. Ho tirato fuori il cellulare e sto mandando un SMS a Sam: Stai guardando? Siamo tutti nella sala conferenze. P Il mio telefono tace. Che cosa sta facendo? Perché non è qui con tutti gli altri?
Fisso lo schermo, mentre il telegiornale trasmette un grafico dei prezzi delle case e un’intervista a una famiglia che sta cercando di trasferirsi a Thaxted, ovunque si trovi. Vorrei che si sbrigassero a parlare, che arrivassero in fretta alla fine. Il mio interesse per i prezzi delle case è ai minimi storici. 85 Poi, d’un tratto, i primi due servizi sono finiti, siamo tornati in studio e il giornalista dice con espressione grave: “Stasera sono emersi dubbi sull’integrità di Sir Nicholas Murray, fondatore della White Globe Consulting e consulente governativo. In un memorandum interno, ottenuto in esclusiva dall’ITN, Murray parla di tangenti e incitamento alla corruzione con apparente indulgenza”. Ora nella sala si levano sospiri e bisbigli. Do un’occhiata a Vicks. Sta fissando lo schermo con un’espressione incredibilmente composta. Immagino che sapesse già che cosa aspettarsi. “Tuttavia, pochi minuti fa ci è giunta la notizia che potrebbe essere stato un altro membro del personale della White Globe Consulting a scrivere le parole attribuite a Sir Nicholas, di cui fonti ufficiali dell’azienda negano di essere a conoscenza. Il nostro reporter Damian Standforth chiede: ‘Sir Nicholas è colpevole... o vittima di un tentativo di diffamazione?’.” «Che cosa?» La voce di Vicks si leva nella sala. «Cosa cavolo...» Si è alzato un brusio, inframmezzato da continui: «Ssh!», «Ascoltate!», «Zitti!». Qualcuno ha alzato il volume. Guardo lo schermo, totalmente in confusione. Sam ha trovato delle prove? Le ha tirate fuori a sorpresa? Sento ronzare il telefono e lo tiro subito fuori dalla tasca. È un SMS di Sam. Come ha reagito Vicks? Guardo Vicks e trasalisco. Ha l’aria di una che vuole sbranare vivo qualcuno. “Negli ultimi anni, la White Globe Consulting ha influenzato considerevolmente il mondo degli affari...” sta dicendo una voce fuori campo, accompagnata da lunghe riprese della sede della società. Ho le dita così cariche di adrenalina che scrivono quasi da sole. Sei stato tu? Sì. Hai contattato personalmente l’ITN? Esatto. Pensavo che i tecnici non avessero trovato prove. Che cos’è successo? Non ne hanno trovate. Deglutisco, cercando di capirci qualcosa. Non so niente di pubbliche relazioni. Sono una fisioterapista, per l’amor di Dio. Persino io, però, direi che non sia il caso di telefonare all’ITN parlando di diffamazione senza avere prove. Come Mentre comincio a digitare, mi rendo conto che non so neppure in quale modo formulare la domanda, così non scrivo nient’altro. Per un po’ c’è silenzio, poi mi arriva un messaggio chilometrico.
Sbatto le palpebre, sbalordita. È l’SMS più lungo che Sam mi abbia mai mandato più o meno del duemila per cento. Ho detto quello che penso. Rimango sulle mie posizioni. Domani rilascerò un’intervista esclusiva sul memorandum originale, su come i direttori abbiano abbandonato Nick, su tutto. È una macchinazione. Le tresche aziendali hanno superato ogni limite. La verità deve venire a galla. Mi avrebbe fatto comodo l’appoggio di Malcolm, ma lui non se l’è sentita. Ha tre figli. Non può rischiare. Quindi sono solo. Mi ronza il cervello. Sam si è messo in prima linea. Si è trasformato in un paladino della giustizia. Non posso credere che abbia compiuto un gesto così estremo. Allo stesso tempo, però... Posso crederci. Non è una storia da poco. Non so che cos’altro dire. Sono sotto shock. Qualcuno doveva avere il fegato di sostenere Nick. Fisso le sue parole pensierosa. Però non ci sono prove, vero? Solo la tua parola. Un attimo dopo risponde: Solleva dei dubbi su tutta la questione. È già sufficiente. Dove sei? Nella sala conferenze. Qualcuno sa che stai messaggiando con me? Guardo Vicks che parla stizzita con un tale, premendosi contemporaneamente il cellulare all’orecchio. Incrocia per caso il mio sguardo e, non so se per colpa della mia espressione, socchiude leggermente gli occhi. Dà un’occhiata al mio telefono, poi mi guarda di nuovo in faccia. Ho una fitta d’apprensione. Non credo. Almeno per ora. Puoi uscire senza farti vedere? Conto fino a tre, poi mi guardo intorno con nonchalance, come se fossi interessata all’impianto di illuminazione. Vedo Vicks con la coda dell’occhio. Sta guardando proprio me. Abbasso il cellulare per non farglielo vedere e scrivo: Dove sei esattamente? Fuori. È un po’ vago. Non so altro. Non ho idea di dove sono. Un attimo dopo, ne arriva un altro: È buio, se ti può servire come indizio. Ho l’erba sotto i piedi. Sei in guai seri? Non mi risponde. Mi sa che equivale a un sì. Okay. Ignorerò Vicks. Sbadiglierò, mi gratterò il naso – sì, così, con aria indifferente –, girerò sui tacchi e mi confonderò con questo gruppo di gente. Dopo di che scivolerò dietro a questo grosso pilastro. Adesso do una sbirciata. Vicks si sta guardando intorno con un’espressione frustrata. La gente cerca di attirare la sua attenzione, ma lei ignora tutti. Riesco quasi a vedere i calcoli
mentali che sta facendo riflessi nei suoi occhi: quante energie cerebrali è il caso di riservare alla strana ragazza che potrebbe sapere qualcosa, ma che forse ci sta facendo solo perdere tempo? Nel giro di cinque secondi sono in corridoio. Dieci secondi dopo ho attraversato l’atrio deserto, evitando lo sguardo del barman dall’aria sconsolata. Fra un minuto avrà un bel po’ di clienti. Quindici secondi dopo sono fuori e, senza fare caso al portiere, corro sul viale di ghiaia e giro l’angolo, finché sento l’erba sotto i piedi e ho l’impressione di averla fatta franca. Cammino lentamente, in attesa di riprendere fiato. Sono ancora sconvolta per quel che è appena successo. Perderai il lavoro? Un altro silenzio. Cammino ancora un po’, abituandomi al buio della notte, all’aria profumata mossa da un leggero venticello, all’erba morbida. A questo punto l’albergo è a quattrocento metri abbondanti di distanza e comincio a rilassarmi. Forse. Sembra piuttosto tranquillo. Sempre che un messaggio di una parola possa comunicare tranquillità.86 Adesso sono fuori. Da che parte devo andare? Chi lo sa. Sono andato dietro all’albergo e ho camminato verso l’oblio. Anch’io sto facendo la stessa cosa. Allora ci incontreremo. Non mi hai detto che tua madre era morta. Ho digitato il messaggio e ho premuto “invia” prima di riuscire a fermarmi. Fisso il display, inorridita dalla mia mancanza di tatto. Non posso credere di aver scritto una cosa simile. Proprio ora. Come se in questo momento potesse essere una priorità per lui. No. Non te l’ho detto. Sono arrivata in fondo a quello che sembra un campo da croquet. Più avanti c’è un bosco. È lì dentro? Sto per chiederglielo, quando mi arriva un altro SMS. Sono stanco di dirlo alla gente. Quel silenzio imbarazzato. Hai presente? Guardo il display sbattendo le palpebre. Non mi sembra vero che qualcun altro sappia del silenzio imbarazzato. Capisco. Avrei dovuto dirtelo. Non desidero certo farlo sentire in colpa. È l’ultima cosa che voglio. Figurarsi. Scrivo una risposta più veloce che posso: No. Non dire mai “avrei dovuto”. È la mia regola. La tua regola di vita? Regola di vita? Non intendevo esattamente questo, ma mi piace l’idea che lui pensi che io abbia una regola di vita. No, la mia regola di vita è...
Mi interrompo per pensarci su. Una regola di vita. Non è affatto una cosa da poco. Mi vengono in mente un bel po’ di buone regole, ma una regola di vita... Sono sulle spine. Silenzio, sto pensando. Poi finalmente mi viene l’ispirazione. Scrivo sicura: Se è nel cestino della spazzatura, è a disposizione di tutti. Segue un momento di silenzio, poi il cellulare segnala l’arrivo di una risposta: :) La guardo incredula. Una faccina sorridente. Sam Roxton ha mandato una faccina sorridente! Un attimo dopo mi invia il seguito. Lo so. Non ci credo neppure io. Rido forte, poi una folata di vento mi colpisce alle spalle facendomi rabbrividire. Va bene tutto, ma io sono in mezzo a un campo nell’Hampshire senza giacca e senza sapere dove sto andando né che cosa sto facendo. Forza, Poppy. Concentrati. Non c’è la luna e le stelle devono essere tutte nascoste dalle nuvole. Riesco a malapena a scrivere: Dove SEI? Nel bosco? Non vedo niente. Dall’altra parte del bosco. Ti aspetto. Mi incammino fra gli alberi con cautela, imprecando quando una gamba mi rimane impigliata in un rovo. È probabile che ci siano ortiche e tane di serpenti. Anche trappole, direi. Prendo il cellulare, cercando di scrivere ed evitare i rovi allo stesso tempo. La mia nuova regola di vita: non attraversare da sola un bosco buio e spaventoso. C’è di nuovo silenzio, poi arriva un messaggio. Non sei sola. Stringo più forte il cellulare. È vero, il fatto che lui sia all’altro capo della linea mi dà sicurezza. Vado avanti e per poco non inciampo nella radice di un albero, mentre mi chiedo in che fase sia la luna. Sarà crescente, immagino. O decrescente. Vabbe’, lasciamo stare. Cercami. Sto arrivando. Guardo il messaggio incredula. Cercarlo? E come faccio? È buio pesto, non te ne sei accorto? Il mio telefono. Cerca la luce. Non gridare. Potrebbe sentirti qualcuno. Scruto nell’oscurità. Non vedo nulla, a parte le ombre scure degli alberi e le sagome minacciose dei cespugli di rovi. Eppure immagino che la cosa peggiore che potrebbe succedermi è cadere giù da un dirupo inatteso e spaccarmi tutte le ossa. Avanzo ancora un po’, ascoltando i miei passi leggeri e respirando a fondo l’aria umida e muschiata. Tutto bene? Sono ancora qui.
Ho raggiunto una piccola radura ed esito un attimo, mordendomi il labbro. Prima di andare avanti, voglio scrivere tutto quello che non sarò in grado di dire appena lo vedrò. Sarò troppo imbarazzata. Via SMS è diverso. Volevo solo dirti che hai fatto una cosa straordinaria esponendoti in prima persona in questo modo. Bisognava farlo. È così tipico di Sam minimizzare. No. Non è vero. Ma tu l’hai fatto. Aspetto un po’, sentendo il vento in faccia e ascoltando il verso di un gufo appollaiato chissà dove sopra di me, ma lui non risponde. Non me ne importa, io non mollo. Devo dirgli queste cose perché ho la sensazione che non lo farà nessuno. Avresti potuto scegliere una strada più semplice. Certo. Ma non l’hai fatto. È la mia regola di vita. D’un tratto, senza preavviso, mi bruciano gli occhi. Non so come mai. Chissà perché di colpo mi sono commossa. Vorrei scrivergli “Ti ammiro”, ma non ce la faccio. Neppure via SMS. E invece, dopo un attimo di esitazione, digito: Ti capisco. Ovvio. Anche tu faresti lo stesso. Fisso il display sconcertata. Io? Che cosa c’entro io? Non è vero. Ormai ti conosco piuttosto bene, Poppy Wyatt. Lo faresti eccome. Non so che cosa dire, perciò riprendo a camminare nel bosco, nel buio che sembra diventare sempre più fitto. Mi verrà un crampo alla mano a furia di stringere il cellulare così forte, ma è come se non riuscissi ad allentare la presa. Più lo stringo, più mi sento vicina a Sam. Mi sembra di tenerlo per mano. E non voglio lasciarlo andare. Non voglio che questo momento finisca. Anche se continuo a inciampare, ho freddo e sono nel bel mezzo del nulla. Non ci capiterà mai più di trovarci in un posto come questo. Scrivo d’impulso: Sono felice di aver trovato il tuo telefono. Un attimo dopo arriva la risposta: Anch’io. Mi si accende una piccola scintilla nel cuore. Forse l’ha detto solo per cortesia. Ma non credo. È stato bello. Strano ma bello. Strano ma bello mi sembra azzeccato, sì. :) Mi ha mandato un’altra faccina sorridente! Da non crederci! Che cos’è successo all’uomo un tempo conosciuto come Sam Roxton? Sta allargando i suoi orizzonti. Ah, a proposito, dove sono finiti tutti i tuoi baci? Guardo il telefono e mi stupisco di me stessa.
Non lo so. Mi hai guarita. Mi rendo conto che non ho mai mandato baci a Sam. Neppure una volta. Strano. Be’, adesso posso rimediare. Mi scappa quasi una risatina mentre premo sulla “x”. xxxxxxxx Un attimo dopo arriva la risposta: xxxxxxxxxx Scoppio a ridere e mando una sfilza ancora più lunga di baci. xxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxxxxx xoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxo xoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxox :) :)xxx:) :)xxx:) :)xxx Ti vedo. Scruto di nuovo nell’oscurità, ma lui deve avere una vista migliore della mia, perché io non vedo nulla. Davvero? Sto arrivando. Mi sporgo in avanti, allungo il collo, socchiudo gli occhi in cerca di una lucina, ma non c’è niente. Deve aver scorto un’altra luce. Non ti vedo. Sto arrivando. Non sei per niente vicino. Sì, invece. Sto arrivando. Poi, all’improvviso, sento i suoi passi sempre più vicini. È dietro di me, a circa trenta metri di distanza. Per forza non riuscivo a vederlo. Mi dovrei girare. Mi dovrei girare immediatamente. Adesso sarebbe naturale voltarsi, gridare un saluto, agitare il cellulare in aria. Ma i miei piedi sono inchiodati a terra. Non riesco a muovermi. Perché appena lo farò dovrò essere di nuovo cortese e obiettiva, e tornare alla normalità. E non lo sopporto. Voglio rimanere qui. Nel luogo in cui possiamo dirci qualsiasi cosa. In questo momento magico. Sam si ferma, proprio dietro di me. C’è un attimo fragile, intollerabile, in cui io aspetto che infranga il silenzio, ma anche lui sembra sentirsi allo stesso modo. Non dice nulla. Avverto solo il suono lieve del suo respiro. Lentamente, mi cinge da dietro con le braccia. Chiudo gli occhi e mi appoggio al suo petto, sentendomi irreale. Sono qui in piedi in un bosco con Sam, e le sue braccia mi stringono, anche se non dovrebbero. Non so che cosa sto facendo. Non so come andrà a finire. E invece... lo so. Certo che lo so. Perché quando le sue mani mi afferrano dolcemente la vita, io non fiato. Quando mi gira verso di lui, io non fiato. Quando la sua barba corta mi sfrega il viso, io non fiato. Non ne ho bisogno. Stiamo ancora parlando. Ogni suo tocco, ogni contatto con la sua pelle è un’altra parola,
un altro pensiero, una continuazione del nostro dialogo. E non abbiamo ancora finito. Non ancora. Non so da quanto siamo qui. Cinque minuti, forse. Dieci. Ma l’attimo non può durare in eterno, e infatti non dura. La bolla non scoppia, evapora piuttosto, e noi ci ritroviamo nel mondo reale. Ci rendiamo conto di essere abbracciati, ci stacchiamo, a disagio, sentiamo soffiare in mezzo a noi l’aria fredda della notte. Distolgo lo sguardo, schiarendomi la voce, e mi strofino la pelle per liberarla dal tocco delle sue mani. «Allora, dovremmo...» «Sì.» Mentre ci avviamo, nessuno di noi due parla. Non posso credere che sia successo. Mi sembra già un sogno. Una cosa impossibile. Eravamo nel bosco. Nessuno ha visto né sentito nulla. Quindi è successo davvero?87 Il telefono di Sam squilla e lui se lo porta all’orecchio. «Ciao, Vicks.» E così, come niente fosse, è tutto finito. In fondo al bosco vedo un gruppo di persone avanzare sull’erba verso di noi. Adesso arrivano le conseguenze. Devo essere un po’ stordita dall’incontro con Sam, perché non riesco a essere partecipe. Mi rendo conto che Vicks, Robbie e Mark stanno alzando la voce mentre Sam rimane calmo, che Vicks è sul punto di piangere, anche se sembra un po’ improbabile per una come lei, che si parla di treni, di auto e di briefing urgenti alla stampa, e che alla fine Mark dice: «Sir Nicholas ti vuole parlare, Sam» e tutti fanno un passo indietro, quasi con rispetto, quando lui risponde al telefono. Poi, all’improvviso, arrivano i taxi per riportare tutti a Londra, noi andiamo verso il viale d’entrata e Vicks impartisce ordini a destra e a manca dicendo di presentarsi in ufficio alle sette di mattina. Mi assegnano all’auto su cui viaggerà anche Sam. Dopo che sono salita, Vicks si sporge all’interno e dice: «Grazie, Poppy». Non riesco a capire se stia facendo del sarcasmo. «Di nulla» replico, nell’eventualità che sia sincera. «E... mi dispiace. Per...» «Sì» risponde lei seccamente. Poi il taxi parte. Sam è intento a mandare messaggi con un’espressione corrucciata. Controllo il mio cellulare per vedere se Magnus si è fatto vivo, ma non trovo niente. Così lo abbandono sul sedile e guardo fuori dal finestrino, lasciando che i lampioni diventino un unico flusso luminoso e chiedendomi dove diavolo sto andando a finire. Non mi sono neanche resa conto di essermi addormentata. Chissà come, però, la mia testa è sul petto di Sam, che sta dicendo: «Poppy? Poppy?», e d’un tratto mi sveglio completamente, ho il torcicollo e sto guardando fuori dal finestrino da una strana prospettiva. «Oh.» Mi metto di nuovo seduta e faccio una smorfia, perché mi gira la testa. «Oh, scusa. Oddio. Avresti dovuto...» «Non c’è problema. Abiti qui?»
Sbircio fuori con la vista un po’ appannata. Siamo a Balham, davanti al mio palazzo. Controllo l’orologio. È mezzanotte passata. «Sì» rispondo incredula. «Abito qui. Come hai fatto...» Sam fa un cenno verso il telefono ancora sul sedile. «Ho trovato il tuo indirizzo lì dentro.» «Ah. Okay.» Non posso lamentarmi dell’invasione della mia privacy. «Non volevo svegliarti.» «No. Certo. Va bene.» Annuisco. «Grazie.» Sam prende il cellulare e pare sul punto di darmelo, poi esita. «Ho letto i tuoi messaggi, Poppy. Tutti.» «Ah.» Mi schiarisco la voce, incerta su come reagire. «Wow. Be’. Mi sembra un po’... troppo, non credi? Cioè, lo so di aver letto tutte le tue mail, ma non c’era bisogno che tu...» «È Lucinda.» «Che cosa?» Lo guardo in silenzio. «Secondo me, è Lucinda.» Lucinda? «Ma che... Perché?» «Ti ha raccontato un mucchio di bugie, in modo sistematico. Non avrebbe potuto essere in tutti i posti in cui ha detto di essere stata. È fisicamente impossibile.» «Veramente... me n’ero accorta anch’io» ammetto. «Pensavo stesse cercando di farsi pagare più ore, o qualcosa del genere...» «Si fa pagare all’ora?» Mi sfrego il naso, sentendomi stupida. In effetti, no. Si fa pagare a forfait. «Hai mai notato che Magnus e Lucinda ti mandano sempre SMS a distanza di dieci minuti l’uno dall’altra?» Scuoto lentamente la testa. Perché avrei dovuto notarlo? Ricevo un miliardo di SMS ogni giorno, da gente di tutti i tipi. E, in ogni caso, come ha fatto lui ad accorgersene? «All’inizio della mia vita lavorativa facevo l’analista.» Sembra un po’ imbarazzato. «Questa è la mia specialità.» «Che cosa?» domando io, perplessa. Tira fuori un foglietto e io mi copro la bocca con una mano. Non ci credo. Ha disegnato un grafico. Con orari e date. Telefonate. SMS. Mail. L’ha fatto mentre io dormivo? «Ho analizzato i tuoi messaggi. Adesso ti spiego.» Ha analizzato i miei messaggi. Come si fa ad analizzare i messaggi? Mi consegna il foglio e io lo guardo sbattendo le palpebre. «Ma che...» «Vedi la correlazione?» Correlazione. Non ho idea di cosa stia parlando. Mi ricorda gli esami di matematica. «Mmh...»
«Prendi questa data.» Indica il foglio. «Tutti e due ti scrivono una mail intorno alle sei, chiedendoti come stai eccetera eccetera. Poi, alle otto, Magnus ti avvisa che rimarrà a lavorare fino a tardi alla London Library e, qualche minuto dopo, Lucinda ti dice che sta pensando di comprare delle giarrettiere per le damigelle d’onore in un grande magazzino di Shoreditch. Alle otto di sera? Ma per piacere.» Rimango in silenzio per qualche istante. Adesso mi ricordo quella mail sulle giarrettiere. Anche allora mi era parsa un po’ strana, ma come si può trarre conclusioni da una sola mail bizzarra? «Be’, in ogni caso, chi ti ha chiesto di analizzare la mia posta?» Mi rendo conto di apparire molto stizzita, ma è più forte di me. «Chi ti ha detto che erano affari tuoi?» «Nessuno. Stavi dormendo.» Allarga le braccia. «Scusami. Ho cominciato a curiosare distrattamente, e poi ho individuato un modello.» «Due mail non sono un modello.» «Non sono solo due.» Indica il foglio. «Il giorno dopo Magnus ha un seminario serale straordinario che si era “dimenticato” di menzionare. Cinque minuti dopo, Lucinda ti parla di una bottega di merletti nel Nottinghamshire. Solo che due ore prima era a Fulham. Da Fulham al Nottinghamshire? All’ora di punta? Non è fattibile. Secondo me è un alibi.» La parola “alibi” mi fa rabbrividire leggermente. «Due giorni dopo, Magnus annulla via SMS il vostro appuntamento a pranzo. Un attimo dopo, Lucinda ti manda una mail per dirti che sarà occupatissima fino alle due. Ti scrive solo per dirti questo. Perché avrebbe dovuto farti sapere che è occupatissima proprio all’ora di pranzo di un giorno qualunque? Sam alza lo sguardo, in attesa di una mia risposta. Mi piacerebbe averne una. «Non... lo so» dico alla fine. «Non lo so.» Mentre Sam continua a parlare, mi sfrego in fretta i pugni chiusi sugli occhi. Adesso capisco perché Vicks lo fa. Per isolarsi dal mondo, anche se solo per un secondo. Perché non me n’ero accorta? Perché non mi ero accorta di nulla? Magnus e Lucinda. Sembra una barzelletta di cattivo gusto. Una dovrebbe essere impegnata a organizzare il mio matrimonio. L’altro dovrebbe esserne protagonista. Insieme a me. Ma aspettate un attimo. Di colpo, mi balena un pensiero in testa. Chi è che mi ha mandato il messaggio anonimo? L’ipotesi di Sam non può essere fondata, perché qualcuno deve pur averlo fatto. Di sicuro non può essere stato un amico di Magnus, e non conosco nessuno della cerchia di Lucinda, quindi chi cavolo... «Ricordi quando Magnus ti ha detto che doveva aiutare uno studente per il dottorato? E Lucinda ha disdetto il vostro appuntamento al pub, mandando Clemency al suo posto? Se controlli i tempi...» Sam sta ancora parlando, ma lo sento a malapena. Ho una stretta al petto. Naturalmente. Clemency. Clemency.
Clemency è dislessica. È normale che scriva con poca precisione e che non si firmi, terrorizzata com’è da Lucinda. Ma è anche plausibile che desideri avvisarmi, se c’è qualcosa che devo sapere. Mi tremano le dita quando afferro il telefono e trovo il messaggio. Rileggendolo, mi pare di sentire la voce gentile e ansiosa di Clemency. Sembra proprio che l’abbia scritto lei. È come ascoltarla parlare. Clemency non si inventerebbe mai una cosa simile. Dev’essere convinta che sia vero. Deve aver visto qualcosa... sentito qualcosa... Mi accascio sul sedile dell’auto. Ho le membra indolenzite. Mi sento prosciugata e consumata, e ho un po’ voglia di piangere. «... Be’, comunque.» Sam sembra rendersi conto che non lo sto più ascoltando. «Voglio dire, è solo un’ipotesi, nient’altro.» Ripiega il foglio e io lo prendo. «Grazie. Grazie per averlo fatto.» «Io...» Si stringe nelle spalle, un po’ imbarazzato. «Come dicevo. È la mia specialità.» Per un po’ rimaniamo tutti e due in silenzio, anche se sembra che stiamo ancora comunicando. Ho l’impressione che i nostri pensieri vortichino sopra di noi, intrecciandosi, agganciandosi, incontrandosi per un attimo e poi divergendo di nuovo. Lui segue la sua strada, io la mia. «Allora» dico infine. «Adesso è il caso che ti lasci andare. È tardi. Grazie per...» «No» mi interrompe. «Non dire sciocchezze. Grazie a te.» Mi limito ad annuire. Mi sa che siamo tutti e due troppo sfiniti per dilungarci in discorsi. «È stato...» «Sì.» Alzo lo sguardo e commetto l’errore di incrociare i suoi occhi alla luce argentea del lampione. E per un attimo vengo trasportata di nuovo indietro nel... No. Non farlo, Poppy. Non è mai successo. Non ci pensare. Cancellalo. «Allora. Ehm.» Afferro la maniglia della portiera cercando di tornare alla realtà, alla razionalità. «Devo ancora restituirti il telefono...» «Sai una cosa, Poppy? Tienilo pure. È tuo.» Mi stringe le dita intorno al cellulare, serrandomi la mano per un attimo. «Te lo sei guadagnato. E per piacere, non preoccuparti di inoltrarmi altri messaggi. Da domani tutte le mail arriveranno alla mia nuova assistente. Il tuo lavoro è finito.» «Be’, grazie!» Apro la portiera, poi mi volto d’impulso. «Sam... spero che vada tutto bene.» «Non ti preoccupare per me. Io me la caverò.» Mi sfodera il suo sorriso portentoso, e mi viene una voglia improvvisa di abbracciarlo forte. Sta per perdere il lavoro e riesce ancora a sorridere in quel modo. «Io spero che vada tutto bene a te» aggiunge. «Mi spiace per... questa storia.»
«Oh, starò bene!» Faccio una risatina debole, anche se non so esattamente cosa significhi quello che ho appena detto. Il mio futuro sposo forse va a letto con la mia wedding planner. In che senso starò bene? Il tassista si schiarisce la voce e io sobbalzo. È notte fonda. Sono seduta in un’auto sulla strada. Forza, Poppy. Avanti. Datti una mossa. La conversazione deve finire. Così, anche se è l’ultima cosa che vorrei fare, mi costringo a uscire, a chiudere la portiera e a dire: «Buonanotte!», poi raggiungo il portone di casa mia e lo apro, perché so istintivamente che Sam non si allontanerà finché non mi avrà visto al sicuro. Poi torno fuori e guardo l’auto che si allontana. Quando scompare dietro l’angolo controllo il cellulare, un po’ speranzosa, un po’ in attesa... Ma è scuro e silenzioso. Rimane scuro e silenzioso. E, per la prima volta da molto tempo, mi sento completamente sola. 81 Okay, non lo coglierà di sicuro. Lo so. 82 Sì, insomma, non è poi una gamma così ampia. 83 Magnus se la intende con la professoressa Wilson? No, impossibile. Ha la barba. 84 E poi, in che senso sono spuntata nella sua vita? 85 E non è che partisse da livelli tanto alti. 86 Secondo me, sì. È solo una questione di dire la cosa giusta al momento giusto. 87 Un’altra domanda da porre a Antony Tavish. Anzi, no.
13 L’indomani è su tutti i giornali. In prima pagina. Appena mi sono svegliata, sono andata in edicola e ho comprato tutti i quotidiani che c’erano. Ci sono foto di Sir Nicholas, del Primo Ministro, di Sam, di Ed Exton e persino una di Vicks, sul “Daily Mail”. I titoli sono pieni di “corruzione”, “tentativo di diffamazione” e “integrità”. Il memorandum è pubblicato per intero, dappertutto, e c’è una dichiarazione ufficiale del premier, dato che Sir Nicholas fa parte di una commissione governativa. Ci sono addirittura due vignette in cui Sir Nicholas viene raffigurato con una valigetta piena di soldi su cui c’è scritto “Felicità”. Sam, però, ha ragione: intorno alla faccenda regna un clima di confusione. Certi giornalisti chiaramente pensano che il memorandum sia autentico. Altri l’esatto contrario. Un editoriale dice che Sir Nicholas è un presuntuoso e che di sicuro è sempre stato corrotto, un altro sostiene che è noto per la sua discrezione e integrità morale e che non può avere scritto una cosa simile. Se l’obiettivo di Sam era quello di sollevare dubbi, ci è riuscito in pieno. Stamattina gli ho mandato un SMS: Tutto bene? Lui però non mi ha risposto. Immagino che sia impegnato, a dir poco. Io, nel frattempo, mi sento da schifo. Ieri notte ci ho messo ore a addormentarmi tanto ero agitata, poi però mi sono svegliata alle sei di mattina e sono scattata a sedere sul letto con il cuore in gola, prendendo subito il cellulare in mano. Magnus mi aveva mandato un messaggio di cinque parole: Mi sto divertendo un sacco. M xxx “Mi sto divertendo un sacco.” Che cosa significa? Niente. Magari si diverte un sacco, congratulandosi con se stesso perché io ignoro totalmente l’esistenza della sua amante segreta. Ma potrebbe anche divertirsi un sacco pregustando candidamente una vita di fedele monogamia, senza avere la più pallida idea dell’abbaglio che Clemency ha preso chissà come sul suo conto e su quello di Lucinda.88 O magari decidere, ormai pentitissimo, di non tradirmi mai più e di confessarmi tutto non appena sarà rientrato a casa. 89 Non ce la faccio. Ho bisogno che Magnus torni qui, in questo paese, in questa stanza. Ho bisogno di chiedergli: “Mi hai tradito con Lucinda?” e di ascoltare la sua risposta, e a quel punto magari riusciremo ad andare avanti e io capirò come comportarmi. Fino ad allora, mi sembrerà di vivere nel limbo. Quando vado a prepararmi un altro tè, mi intravedo nello specchio dell’ingresso e faccio una smorfia. Ho i capelli per aria, le mani sporche di inchiostro di giornale, lo stomaco distrutto dall’acidità e la pelle tirata. Alla faccia della cura di bellezza prematrimoniale. Secondo il mio programma, ieri sera avrei dovuto fare una maschera idratante. Non mi sono neppure struccata. In origine avevo progettato di dedicare questa giornata ai preparativi per le nozze, ma tutte le volte che ci penso mi si torcono le budella e mi viene da piangere o insultare qualcuno. (Be’, Magnus.) Non ha senso rimanere qui tutto il
giorno con le mani in mano. Devo uscire. Devo fare qualcosa. Bevo qualche sorso di tè e poi decido di andare al lavoro. Non ho appuntamenti, ma potrei aggiornare l’archivio. Così almeno sono costretta a farmi una doccia e a darmi una mossa. Sono la prima ad arrivare in ufficio e rimango seduta, immersa nel silenzio, a controllare i fascicoli dei pazienti, lasciandomi cullare dalla monotonia del lavoro. La pace dura più o meno cinque minuti, dopodiché arriva Angela con la sua andatura ciondolante e comincia a fare baccano, accendendo il computer, la macchinetta del caffè e il televisore montato alla parete. «È proprio necessario?» Faccio una smorfia per il rumore. Mi sembra di avere i postumi di una sbronza, anche se ieri sera non ho bevuto troppo, e farei volentieri a meno di tutto questo fracasso nelle orecchie. Angela, però, mi fissa come se avessi violato un diritto umano fondamentale. «Io guardo sempre “Daybreak”.» Non vale la pena di discutere. Potrei spostare l’archivio nel mio studio, ma non ho l’energia neppure per fare quello, così incurvo le spalle e cerco di estraniarmi dal mondo esterno. «C’è un pacco per te!» Angela mi sbatte davanti una busta imbottita. «Starblu. È il costume da bagno per la luna di miele?» Fisso la busta con sguardo inespressivo. Ai tempi in cui avevo ordinato quella roba ero un’altra persona. Adesso ricordo che ero andata su Internet durante la pausa pranzo, in cerca di bikini e vestaglie. Non avrei mai immaginato che a tre giorni dal matrimonio sarei stata qui a domandarmi se sposarmi o meno. “... e oggi apriremo con i sospetti di corruzione a livello governativo.” La voce del presentatore attira la mia attenzione. “In studio con noi abbiamo un uomo che conosce Sir Nicholas Murray da trent’anni: Alan Smith-Reeves. Alan, c’è molta confusione attorno a questa vicenda. Che cosa ne pensa?” «Io quello lì lo conosco» dice Angela, dandosi un tono, appena Alan SmithReeves comincia a parlare. «Lavorava nello stesso palazzo in cui c’era il mio ufficio di prima.» «Ah, okay.» Annuisco per cortesia, quando sullo schermo compare una foto di Sam. Non riesco a guardare. Solo vederlo mi procura un dolore lancinante al petto, anche se non so nemmeno perché. Perché è in difficoltà? Perché è l’unico a sapere di Magnus? Perché ieri sera mi ha abbracciata in un bosco e adesso probabilmente non lo rivedrò mai più? «Però, è un bell’uomo» dice Angela, osservando Sam con occhio critico. «È lui Sir Nicholas Vattelapesca?» «No!» rispondo, con più veemenza di quanto vorrei. «Non dire stupidaggini!» «Okay, va bene!» Mi guarda risentita. «Ma a te che cosa te ne frega?» Non posso rispondere. Devo fuggire da tutto questo. Mi alzo in piedi. «Vuoi un caffè?»
«Lo sto già preparando, non vedi?» Angela mi lancia un’occhiata interrogativa. «Stai bene? E in ogni caso, che cosa ci fai qui? Pensavo che avessi la giornata libera.» «Volevo portarmi avanti con il lavoro.» Prendo il mio giubbotto di jeans. «Ma forse non è stata una buona idea.» «Ah, eccola!» La porta si spalanca, e Ruby e Annalise si precipitano dentro. «Stavamo appunto parlando di te!» dice Ruby stupita. «Che cosa ci fai qui?» «Avevo pensato di sbrigare un po’ di lavoro d’archivio, ma me ne sto andando.» «No, non andare! Aspetta un attimo.» Ruby mi afferra la spalla, poi si rivolge ad Annalise. «Bene, Annalise. Perché non dici a Poppy di cosa stavamo parlando? Così non dovrai scriverle una lettera.» Oh-oh. Sta indossando i panni della direttrice. E Annalise ha un’aria molto imbarazzata. Che cosa succede? «Non lo voglio dire.» Annalise si morde il labbro come una bambina di sei anni. «Le scrivo una lettera.» «Diglielo, invece. Così la facciamo finita.» Ruby sta fissando Annalise con quel suo sguardo severo a cui non si può sfuggire. «E va bene!» Annalise prende fiato; ha le guance leggermente arrossate. «Poppy, scusami per l’altro giorno. Mi sono comportata male con Magnus. Ho sbagliato e ho agito così per farti un dispetto.» «E poi?» la incalza Ruby. «Scusami per averti stressato. Magnus è tuo, non mio. Appartiene a te, non a me. E non parlerò mai più dello scambio di appuntamenti» conclude in fretta. «Promesso.» Ha un’aria talmente contrita che mi commuovo. Non posso credere che Ruby abbia fatto una cosa simile. Dovrebbero mettere lei alla guida della White Globe Consulting. Sistemerebbe Justin Cole in quattro e quattr’otto. «Be’... grazie» dico. «Mi fa piacere.» «Sai, Poppy, mi dispiace veramente.» Annalise si torce le mani con aria avvilita. «Non voglio rovinarti il matrimonio.» «Annalise, fidati. Non mi rovinerai il matrimonio.» Sorrido, ma mi accorgo con orrore di essere sul punto di piangere. Se c’è qualcosa che rovinerà il mio matrimonio, è che sarà annullato. È che Magnus non mi ama veramente. È che sono stata un’idiota, una povera illusa... Oddio. Sto per piangere. «Che c’è, signorina?» Ruby mi scruta attentamente. «Stai bene?» «Sì, bene!» esclamo, sbattendo furiosamente le palpebre. «Stress da matrimonio» dice Annalise. «Oddio, Poppy, finalmente anche tu ti stai trasformando in una sposa isterica? Vai così! Ti aiuto io. Sarò la tua damigella isterica. Forza, andiamo insieme a fare una bella scenata da qualche parte. Ti tirerà su di morale.»
Abbozzo un sorriso e mi asciugo gli occhi. Non so come rispondere. Che cosa faccio, spiffero tutto su Magnus? In fin dei conti sono le mie amiche, e io ho bisogno di sfogarmi. E se alla fine fosse solo un malinteso? Il Numero Sconosciuto90 non si è più fatto sentire. Sono soltanto ipotesi. Non posso dire ai quattro venti che Magnus mi è stato infedele, basandomi unicamente su un SMS anonimo. Così poi Annalise lo scrive su Facebook, dandogli del traditore, e si mette a fischiare mentre percorriamo la navata della chiesa.91 «Sono semplicemente stanca» dico alla fine. «Lo so io che cosa ti ci vuole!» esclama Ruby. «Una colazione con i fiocchi!» «No!» dico atterrita. «Non entrerò nel vestito!» Sempre che mi sposi. Mi viene di nuovo da piangere. Prepararsi al matrimonio è già abbastanza stressante di per sé. Prepararsi a un matrimonio o a una rottura all’ultimo minuto con annullamento è roba da far venire i capelli grigi. «Certo che ci entrerai» ribatte Ruby. «Lo sanno tutti che le spose perdono due taglie prima delle nozze. Tu, signorina, hai un margine enorme su cui giocare. Approfittane! Abbuffati! Non potrai farlo mai più!» «Hai perso davvero due taglie?» domanda Annalise, guardandomi un po’ risentita. «Non è possibile.» «No» dico cupamente. «Forse mezza.» «Be’, quindi hai diritto a un caffelatte con ciambella» dice Ruby diretta alla porta. «Andiamo. Un po’ di cibo consolatorio ti rimetterà in sesto. Abbiamo mezz’ora di tempo. Diamoci dentro.» Quando Ruby si mette in testa un’idea, non la ferma più nessuno. In un attimo è fuori e cammina decisa sul marciapiede, poi entra nel Costa Coffee, due portoni più in là. Quando io e Annalise la raggiungiamo, sta andando alla cassa. «Buongiorno a tutti!» comincia allegramente. «Vorrei tre caffelatte, tre ciambelle, tre croissant vuoti, tre croissant alle mandorle...» «Basta, Ruby!» Comincio a ridacchiare. «Tre brioches al cioccolato... Se non riusciamo a finirle, le offriremo ai pazienti... Tre muffin alla mela...» «Tre pacchetti di mentine» dice Annalise. «Mentine?» Ruby le lancia un’occhiata sprezzante. «Mentine?» «E dei dolcetti alla cannella» si affretta ad aggiungere Annalise. «Così va già meglio. Tre dolcetti alla cannella...» Il cellulare comincia a suonarmi in tasca e io mi sento ribollire lo stomaco. Oddio, chi sarà? E se è Magnus? E se è Sam? Lo prendo, allontanandomi di un passo da Ruby e Annalise, che stanno discutendo sui biscotti da ordinare. Quando vedo il display ho una stretta al petto. È il Numero Sconosciuto. Alla fine mi ha chiamato, chiunque sia.
Ecco. Adesso saprò la verità. Nel bene o nel male. Sono talmente pietrificata che mentre rispondo mi trema la mano, e all’inizio mi manca persino il fiato per parlare. «Pronto?» sta dicendo la ragazza all’altro capo della linea. «Pronto? Mi senti?» È Clemency? Non riesco a capire. «Pronto» riesco a dire alla fine. «Sono Poppy. Clemency?» «No.» La ragazza sembra sorpresa. «Ah.» Deglutisco. «Okay.» Se non è Clemency, allora chi è? Il mio cervello si mette freneticamente al lavoro. Chi altro può avermi mandato l’SMS? Questo significa che dopo tutto Lucinda non c’entra? Vedo Annalise e Ruby che mi osservano incuriosite e mi allontano dalla cassa. «Bene.» Cerco disperatamente di assumere un tono dignitoso e di non sembrare una che stia per subire un’umiliazione terribile e mandare a monte il suo matrimonio. «Hai qualcosa da dirmi?» «Sì. Sto cercando di contattare Sam Roxton. È urgente.» Sam? La tensione che mi è montata dentro si sgonfia di botto. Quindi alla fine non è il Numero Sconosciuto o, perlomeno, è un Altro Numero Sconosciuto. Non so se essere delusa o risollevata. «Come mai hai questo numero?» mi sta chiedendo la ragazza. «Conosci Sam?» «Ehm... Sì, lo conosco.» Cerco di ricompormi. «Scusa. Per un attimo ti ho scambiato per un’altra persona. Vuoi lasciare un messaggio per Sam?» Lo dico automaticamente, prima di rendermi conto che non devo più occuparmene. Ma posso sempre prendere un messaggio per lui, no? Così, tanto per ricordare i bei tempi andati. Per rendermi utile. «Ci ho già provato.» Sembra un po’ spazientita. «Non capisci. Devo parlare con lui oggi. Adesso. È urgente.» «Ah, okay. Ti posso dare il suo indirizzo di posta elettronica...» «Stai scherzando.» Mi interrompe spazientita. «Sam non legge mai le mail. Però, credimi, è importante. Devo parlargli al più presto. È per via del cellulare. Quello che hai in mano tu adesso.» Cosa? Rimango a bocca aperta, chiedendomi se sto impazzendo. Come accidenti fa questa strana tipa a sapere quale telefono ho in mano? «Chi sei?» domando sbalordita, e lei sospira. «Nessuno si ricorda di me, vero? Ero l’assistente di Sam. Sono Violet.» Tutto quello che posso dire è che, grazie a Dio, non ho mangiato i dolcetti alla cannella. Violet si rivela una ragazza alta circa tre metri, con lunghe gambe magre che sbucano da un paio di pantaloncini di jeans sfrangiati ed enormi occhi scuri con tracce di trucco intorno.92 Sembra un incrocio tra una giraffa e un galago.
Fortunatamente abita a Clapham, e le bastano cinque minuti per raggiungermi. Ed eccola qui, al Costa Coffee, a ruminare un tramezzino di pollo e a bere uno smoothie. Ruby e Annalise sono tornate al lavoro, il che è un bene, perché non me la sentirei proprio di raccontare loro tutta la saga. È troppo surreale. Come Violet mi ha ripetuto più volte, se per puro caso non si fosse trovata a Londra, fra un impegno e l’altro, e se per puro caso non avesse visto i titoli dei giornali mentre andava a prendere il latte, non avrebbe mai saputo dello scandalo. E se per puro caso non avesse avuto un cervello in testa, non avrebbe mai capito che cos’era successo. Ma la gente sa essere riconoscente? Sa ascoltare? No, mai. Sono tutti degli idioti. «I miei genitori sono andati a fare questa stupida crociera» dice sprezzante. «Ho provato a controllare la loro rubrica, ma non sapevo chi fosse chi, capisci? Così ho cercato di chiamare il numero di Sam, poi quello di Nick, ma ho trovato solo delle assistenti arroganti. Non volevano proprio darmi retta. Io, però, devo dirlo a qualcuno.» Batte la mano sul tavolo. «Perché sono sicura che è successo qualcosa. L’avevo quasi capito persino allora, hai presente? Ma Sam non mi ascoltava. Hai mai l’impressione che non ti ascolti?» Per la prima volta si concentra su di me. «A proposito, chi sei tu, esattamente? Hai detto di averlo aiutato. In che senso?» «È un po’ complicato» dico dopo un momento di pausa. «Era leggermente in difficoltà.» «Ah, sì?» Dà un altro morso al tramezzino e mi guarda incuriosita. «Come mai?» Se n’è già dimenticata? «Be’... mmh... tu te ne sei andata senza preavviso, ricordi? Non eri la sua assistente?» «Ah, okaaay.» Sgrana gli occhi. «Sì, insomma. Quel lavoro non faceva proprio per me. E l’agenzia mi ha chiamata e voleva che prendessi subito un aereo, perciò...» Aggrotta la fronte come se ci stesse pensando per la prima volta. «Immagino che si sia incazzato un po’, ma hanno un sacco di personale. Se la caverà.» Agita una mano in aria. «Allora, lavori anche tu lì?» «No.» Come faccio a spiegarglielo? «Ho trovato questo cellulare e l’ho preso in prestito, così ho conosciuto Sam.» «Me lo ricordo quel telefono. Sì.» Lo guarda storcendo il naso. «Non rispondevo mai alle chiamate.» Trattengo un sorriso. Doveva essere la peggiore assistente sulla faccia della terra. «Ma è proprio per questo che ho capito che c’era sotto qualcosa.» Finisce il suo tramezzino in modo plateale. «Per via dei messaggi che arrivavano. Su quello lì.» Tocca il telefono con un dito. Okay. Finalmente arriviamo al sodo. «Messaggi? Quali messaggi?»
«C’erano un mucchio di messaggi vocali. Non per Sam, ma per un tizio di nome Ed. Non sapevo che cosa farmene, così li ascoltavo e prendevo nota. E c’era qualcosa che mi puzzava.» «Perché?» Comincia a battermi forte il cuore. «Provenivano tutti dallo stesso tipo, che parlava di modificare un documento. Spiegava come l’avrebbero fatto, quanto ci avrebbero messo, quanto sarebbe costato... Roba del genere. C’era qualcosa che non tornava, hai presente? Ma non suonava proprio sbagliato.» Arriccia il naso. «Sembravano solo... strani.» Ho le vertigini. Questo è troppo. Messaggi vocali sul memorandum indirizzati a Ed. Su questo cellulare. Questo cellulare. «L’avevi detto a Sam?» «Gli avevo mandato una mail e lui mi aveva detto di ignorarli. Ma io non volevo. Capisci? Avevo questa sensazione.» Beve un sorso di smoothie. «Poi stamattina apro il giornale e vedo Sam che parla di un memorandum e dice che qualcuno deve averlo cambiato, e io penso: “Sì!”.» Batte di nuovo la mano sul tavolo. «È andata proprio così.» «Quanti messaggi vocali hai ricevuto?» «Quattro? Cinque?» «Ma adesso non sono più nel telefono. Io, almeno, non ne ho trovati.» Ho paura di farle quest’ultima domanda. «Li hai... cancellati?» «No!» Sorride trionfante. «Questo è il punto! Li ho salvati. Cioè, li ha salvati il mio fidanzato, Aran. Una sera ero lì che ne trascrivevo uno e lui mi ha detto: “Salvalo sul server, baby”. E io: “Ma come si fa a salvare un messaggio vocale?”. Allora lui è entrato in ufficio e li ha convertiti tutti in un file. Aran sa fare cose incredibili» aggiunge orgogliosa. «È un modello come me, ma crea anche videogiochi.» «In un file?» Non la seguo. «E adesso dov’è questo file?» «Dev’essere ancora lì.» Scrolla le spalle. «Sul computer dell’assistente. Sul desktop c’è un’icona chiamata “Voicemails”.» Un’icona sul computer dell’assistente di Sam. Appena fuori dal suo ufficio. Ce l’avevamo sempre avuta lì, sotto il naso... «Ci sarà ancora?» All’improvviso vado nel panico. «Non è che l’hanno cancellata?» «Non vedo perché avrebbero dovuto.» Scrolla le spalle. «Quando sono arrivata io, non avevano cancellato un bel niente. Avrei dovuto barcamenarmi in mezzo a un casino di vecchie cagate.» Mi viene quasi da ridere istericamente. Tutta quell’agitazione. Tutti quegli sforzi. Sarebbe bastato andare a controllare il computer appena fuori dall’ufficio di Sam. «Be’, comunque domani vado negli Stati Uniti e dovevo avvisare qualcuno, ma al momento è impossibile mettersi in contatto con Sam.» Scuote la testa. «Ho provato a mandargli mail, SMS, a chiamarlo... Voglio dire, se sapesse che cos’ho da dirgli...» «Fammi provare» dico dopo un momento, poi scrivo un messaggio a Sam:
Sam, devi chiamarmi. Subito. Ho notizie su Sir Nicholas. Forse ti saranno d’aiuto. Non è una perdita di tempo. Credimi. Chiama subito. Ti prego. Poppy «Be’, buona fortuna.» Violet alza gli occhi al cielo. «Come ti dicevo, ha fatto perdere le sue tracce. La sua assistente dice che non risponde a nessuno. Né alle mail né alle telefonate...» Si interrompe, sentendo la suoneria gracchiante di Beyoncé. Sul display è comparsa la scritta “Sam cellulare”. «Okay.» Spalanca gli occhi. «Mi hai stupito.» Schiaccio il tasto di risposta e mi porto il telefonino all’orecchio. «Ciao, Sam.» «Poppy.» La sua voce mi riscalda come un raggio di sole. Avrei così tante cose da dirgli. Ma non posso. Non ora. Forse mai. «Senti» gli dico. «Sei in ufficio? Vai al computer della tua assistente. Sbrigati.» Dopo un attimo di esitazione, risponde: «Okay». «Guarda il desktop» dico. «C’è un file chiamato “Voicemails”?» Per un po’ c’è silenzio, poi la voce di Sam risuona di nuovo nel cellulare. «Affermativo.» «Okay!» esclamo, tirando un sospiro di sollievo. Non mi ero accorta di trattenere il fiato. «Devi leggere attentamente il file. E parlare con Violet.» «Violet?» Sembra colto alla sprovvista. «Non vorrai mica dire Violet, la mia ex assistente fuori di testa...» «È qui con me adesso. Ascoltala, Sam. Ti prego.» Le passo il cellulare. «Ehi, Sam» dice Violet con nonchalance. «Mi spiace di averti piantato in asso eccetera. Ma comunque ci ha pensato Poppy ad aiutarti, no?» Mentre parla, vado a prendermi un altro caffè al banco, anche se probabilmente non dovrei, agitata come sono. La voce di Sam mi ha mandato in confusione. Appena l’ho sentita mi è venuta voglia di dirgli tutto. Di raggomitolarmi e di starlo ad ascoltare. Ma è impossibile. Primo perché è già nei guai fino al collo. Secondo perché chi è lui, per me? Non un amico. E neppure un collega. Solo un tizio che non ha nessun ruolo nella mia vita. È finita. A questo punto, non possiamo fare altro che dirci addio. Forse ogni tanto ci scambieremo un SMS. Forse ci rivedremo imbarazzati fra un anno. Avremo tutti e due un’aria diversa e ci saluteremo in modo impacciato, pentendoci subito di essere andati all’appuntamento. Rideremo dell’assurdità di tutta la storia del cellulare. Non faremo nessun accenno a quel che è successo nel bosco. Perché non è successo. «Tutto bene, Poppy?» Violet, in piedi davanti a me, mi sta agitando il cellulare davanti alla faccia. «Tieni.» «Ah!» Mi riscuoto e lo prendo. «Grazie. Hai parlato con Sam?» «Ha aperto il file mentre eravamo al telefono. È piuttosto esaltato. Ha detto che ti avrebbe chiamato più tardi.»
«Ah. Okay... non è necessario.» Prendo il mio caffè. «Be’, comunque.» «Ehi, che bell’anello.» Violet mi afferra la mano.93 «È uno smeraldo?» «Sì.» «Che figata! Allora, chi è il fortunato?» Tira fuori uno smartphone. «Posso fare una fotografia? Sto raccogliendo idee per quando Aran diventerà miliardario. L’hai scelto tu?» continua mentre si risiede. «No, era già così quando lui mi ha chiesto di sposarlo. È un anello di famiglia.» «Romantico.» Violet annuisce. «Wow. Allora non te lo aspettavi?» «No. Assolutamente.» «E hai fatto una faccia tipo: “Cazzo!”?» «Sì, più o meno» annuisco. In questo momento, la sera in cui Magnus mi ha chiesto di sposarlo mi sembra solo un vago ricordo. Ero così su di giri. Mi sembrava di essere entrata in una bolla magica dove era tutto perfetto e luccicante, e non sarebbe più potuto succedere niente di brutto. Dio, che cretina sono stata... Una lacrima mi scende sulla guancia prima che possa fermarla. «Ehi.» Violet mi guarda preoccupata. «Stai bene?» «Ah, non è niente!» Sorrido, asciugandomi gli occhi. «È che...le cose non stanno andando proprio alla grande. Forse il mio fidanzato mi tradisce e io non so che cosa fare.» Dirlo ad alta voce mi fa sentire meglio. Respiro a fondo e le sorrido. «Scusami. Lascia stare. Non te ne può fregare nulla.» «No. Figurati.» Solleva i piedi sulla sedia e mi guarda intensamente. «Perché non sai se ti tradisce o no? Perché sospetti di lui?» «Ho ricevuto un SMS anonimo. Tutto qui.» «Be’, ignoralo.» Violet mi fissa. «Oppure hai qualche sensazione di pancia? Sembra uno che potrebbe farlo?» Rimango zitta per un attimo. Mi piacerebbe così tanto risponderle: “Ma no, figurati! Neanche per sogno!”, ma ho troppe immagini stampate in testa. Cose che mi ero rifiutata di vedere, che avevo cercato di cancellare. Magnus che flirta con le ragazze alle feste. Magnus circondato da tutte le sue studentesse, con il braccio distrattamente appoggiato sulle spalle di qualcuna. Magnus che viene praticamente molestato da Annalise. Il fatto è questo: Magnus piace alle ragazze. E a lui piacciono loro. «Non lo so» dico, fissando il mio caffè. «Forse.» «E hai qualche idea di chi possa essere la donna con cui ti tradisce?» «Forse.» «Bene!» Violet sembra galvanizzata. «Affronta la situazione. Gli hai parlato? E con lei?» «Lui è a Bruges per l’addio al celibato. Non posso parlargli. E lei...» Mi interrompo. «No. Non posso. Cioè, è solo un’ipotesi. Probabilmente non ha fatto niente di male.»
«Sei sicura che sia un addio al celibato?» dice Violet sollevando le sopracciglia, ma poi sorride. «No, era solo una provocazione.» Mi dà un colpetto sul braccio. «Ma sì, certo. Senti, cara, adesso devo andare a fare i bagagli. Spero che ti vada tutto bene. Salutami tanto Sam.» Mentre esce dal bar a lunghe falcate, più o meno sei teste maschili si girano. Credo proprio che se Magnus fosse qui, la sua sarebbe fra quelle. Per un po’ rimango a fissare il caffè imbronciata. Perché la gente continua a dirmi che devo affrontare la situazione? Io affronto le cose, un mucchio di volte. Ma adesso non è che posso andare a interrompere l’addio al celibato, o fermare Lucinda per strada e accusarla così, su due piedi. Cioè, ci vogliono delle prove. Fatti. Un SMS anonimo non dimostra nulla. Il telefonino attacca a suonare Beyoncé e io mi irrigidisco mio malgrado. È quel... No. È il Numero Sconosciuto. Ma quale accidenti di numero sconosciuto? Bevo un sorso di caffè per prepararmi e poi rispondo. «Pronto, Poppy Wyatt.» «Salve, Poppy. Mi chiamo Brenda Fairfax. La chiamo dal Berrow Hotel. Sono andata in vacanza per alcuni giorni, sennò, naturalmente, l’avrei cercata subito. Le chiedo scusa.» La signora Fairfax. Dopo tutto questo tempo. Mi scappa quasi da ridere. Se penso a come avevo aspettato disperatamente di sentire la voce di questa donna... E ora è del tutto irrilevante. Mi hanno restituito l’anello. È superfluo. Perché telefona? Ho già detto al concierge che l’ho ritrovato. È tutto finito. «Non deve scusarsi...» «Ma mi scuso lo stesso, naturalmente! Che equivoco orribile.» Sembra piuttosto agitata. Forse il concierge le ha fatto la ramanzina. Forse le ha detto di chiamarmi per chiedere scusa. «Non si preoccupi, la prego. Mi sono presa uno spavento, ma è tutto passato.» «Un anello di tale valore!» «Non importa» dico in tono rassicurante. «Non è successo niente di grave.» «Eppure non riesco ancora a capire! Sa, una delle cameriere me l’aveva consegnato e io lo stavo mettendo in cassaforte. Lo stavo proprio facendo.» «Davvero, non mi deve spiegare niente.» Mi fa un po’ pena. «Sono cose che capitano. C’è stato l’allarme antincendio, si è distratta...» «No!» La signora Fairfax sembra leggermente offesa. «Non è andata assolutamente così. Come dicevo, stavo per metterlo in cassaforte ma, prima che potessi farlo, è arrivata una signora e mi ha detto che era suo. Un’altra ospite del Marie Curie Champagne Tea.» «Un’altra ospite?» ripeto, dopo una pausa sconcertata. «Sì! Ha detto che era il suo anello di fidanzamento e che lo aveva cercato disperatamente da tutte le parti. Era molto credibile. La cameriera mi ha confermato che era seduta a quel tavolo, e poi la signora se l’è infilato al dito. Be’, chi ero io per dubitare delle sue parole?»
Mi stropiccio gli occhi, domandandomi se ho sentito bene. «Mi sta dicendo che un’altra donna ha preso il mio anello? Spacciandolo per suo?» «Sì! Ha detto con grande decisione che l’anello le apparteneva. Se l’è infilato subito al dito e, in effetti, le andava a pennello. Le stava molto bene, a dire il vero. Lo so che, per correttezza, avrei dovuto chiederle di dimostrare di essere la proprietaria, e le assicuro che, alla luce di questo inconveniente, rivedremo le procedure di sicurezza...» «Signora Fairfax.» La interrompo, visto che delle procedure di sicurezza non potrebbe fregarmene di meno. «Posso farle una domanda? Per caso quella donna aveva i capelli lunghi e scuri? E un cerchietto di strass?» «Sì. Lunghi capelli scuri con un cerchietto di strass, come dice lei, e uno splendido vestito arancione.» Chiudo gli occhi, incredula. Lucinda. È stata Lucinda. L’anello non era rimasto impigliato nella stoffa della sua borsa. Se l’era portato via apposta. Sapeva che mi sarei spaventata a morte. Sapeva quanto fosse importante. Ma l’ha preso lo stesso, spacciandolo per suo. Dio solo sa perché. Mentre saluto la signora Fairfax, mi pulsa una vena in testa. Respiro affannosamente e stringo i pugni. Quando è troppo è troppo. Può darsi che non possa provare che va a letto con Magnus, ma di sicuro posso chiederle conto di questa cosa. E lo faccio subito. Non so che cosa stia facendo Lucinda oggi. È da un po’ che non ricevo né mail né SMS da lei, il che è strano. Mentre le scrivo il messaggio, mi tremano le mani. Ciao, Lucinda! Come stai? Che cosa combini? Posso aiutarti? Poppy. Lei risponde quasi immediatamente: Sto eliminando delle cianfrusaglie in casa. Non ti preoccupare, niente che richieda il tuo aiuto. Lucinda. Lucinda vive a Battersea, a venti minuti da qui. Non le darò il tempo di inventarsi una scusa. La coglierò di sorpresa. Prendo un taxi, do l’indirizzo e poi mi lascio andare contro il sedile, cercando di rimanere calma e risoluta, anche se più ci penso più mi sembra assurdo. Lucinda ha preso il mio anello. Vuol dire che è una ladra? Ne ha fatto una copia e ha tenuto quello vero per venderlo? Mi guardo la mano sinistra, d’un tratto dubbiosa. Sono proprio sicura che sia quello autentico? O forse voleva aiutarmi in qualche modo? Si era dimenticata di averlo preso? Dovrei concederle il beneficio del dubbio... No, Poppy. Non ha senso. Quando arrivo davanti al palazzo signorile in cui vive, un uomo in jeans sta aprendo il portone. Mi intrufolo dentro e salgo le tre rampe di scale che portano all’appartamento di Lucinda. In questo modo non potrà prevedere in alcun modo il mio arrivo.
Magari mi apre la porta con addosso l’anello vero, più tutti gli altri gioielli rubati ad amiche ignare. Magari non trovo nessuno, perché lei in realtà è a Bruges. Magari viene Magnus ad aprirmi, avvolto in un lenzuolo... Oddio, smettila, Poppy. Busso energicamente, come se fossi un fattorino e, a quanto pare, il trucco funziona, perché lei spalanca la porta con una smorfia stizzita e il telefonino all’orecchio e poi rimane lì impalata, con la bocca aperta. La fisso, anch’io senza parole. Il mio sguardo si sposta sull’enorme valigia all’entrata, si abbassa sul passaporto che tiene in mano e torna alla valigia. «Il più presto possibile» dice. «Terminal quattro. Grazie.» Chiude la chiamata e mi guarda malissimo, come per sfidarmi a chiederle che cosa stia facendo. Mi sto lambiccando il cervello in cerca di qualche frase ispirata e caustica da dirle, ma la bambina di cinque anni che c’è in me mi batte sul tempo. «Hai preso il mio anello!» Mentre sbotto, mi sento avvampare, tanto per accentuare l’effetto. Magari dovrei battere anche un piede per terra. «Ma per piacere.» Lucinda storce il naso sprezzante, come se accusare la propria wedding planner di furto fosse un insulto al bon ton. «L’hai riavuto, no?» «Ma tu te lo sei portato via!» Entro in casa sua, anche se non mi ha invitato, e non posso fare a meno di guardarmi intorno. Non c’ero mai stata. È un appartamento molto chic, chiaramente arredato da un architetto, ma non c’è una sola superficie che non sia coperta di cianfrusaglie, e si vedono bicchieri di vino dappertutto. Ecco perché dà sempre appuntamento negli alberghi. «Senti, Poppy.» Sospira indispettita. «Ho da fare, okay? Se sei venuta qui per insultarmi, devo chiederti di andartene.» Eh? È lei che ha fatto una cosa sbagliata. È lei che ha preso un anello inestimabile spacciandolo per suo. Come ha potuto sorvolare su questo fatto, comportandosi come se fossi io in torto per aver menzionato la cosa? «Senti, se non c’è altro io sono piuttosto impegnata...» «Ferma lì.» La forza della mia voce mi coglie di sorpresa. «Non ho ancora finito. Voglio sapere esattamente perché hai preso il mio anello. Intendevi venderlo? Avevi bisogno di soldi?» «No, non avevo bisogno di soldi.» Mi lancia uno sguardo torvo. «Vuoi sapere perché l’ho preso, signorina Poppy? L’ho preso perché avrebbe dovuto essere mio.» «Tuo? Ch...» Non riesco neppure a finire la parola, figurarsi la frase. «Sai, Magnus è una mia vecchia fiamma.» Butta là l’informazione con nonchalance, come si getta un pezzo di stoffa su un tavolo. «Cosa? No! Non me l’aveva detto nessuno! Siete stati fidanzati ufficialmente?»
Ho la mente in tilt per lo shock. Magnus è stato con Lucinda? Magnus è stato fidanzato? Non mi aveva mai detto di avere chiesto a un’altra donna di sposarlo, tantomeno a Lucinda. Perché non ne so nulla? Che cosa sta succedendo? «No, non siamo mai stati propriamente fidanzati» dice controvoglia, poi mi lancia uno sguardo assassino. «Ma avremmo dovuto. Mi ha chiesto di sposarlo. Con quell’anello.» Sento una fitta di dolore misto a incredulità. Magnus ha chiesto a un’altra ragazza di sposarlo con il mio anello? Il nostro anello? Vorrei girare sui tacchi e darmela a gambe, tapparmi le orecchie... ma non posso. Devo andare fino in fondo. Pare tutto assurdo. «Non capisco. Non ci capisco nulla. Hai detto che avreste dovuto essere fidanzati. Che cos’è successo?» «Si è tirato indietro, tutto qui» dice furibonda. «Quel codardo maledetto.» «Oddio. A che punto? Avevate già organizzato il matrimonio? Non ti ha mica piantata in asso, vero?» domando inorridita. «Non ti ha mica mollata all’altare?» Lucinda ha gli occhi chiusi, come se stesse rivivendo tutta la scena. Ora li riapre e mi lancia un’occhiata aggressiva. «Molto peggio. Se l’è fatta sotto a metà della proposta.» «Eh?» La guardo senza capire. «Che cosa...» «Eravamo andati a sciare, due anni fa.» Aggrotta la fronte mentre ricorda. «Non sono mica scema, sapevo che si era portato l’anello di famiglia e che aveva intenzione di chiedermi di sposarlo. Una sera avevamo appena finito di cenare ed eravamo soli nello chalet. C’era il fuoco acceso, lui si è inginocchiato sul tappeto e ha tirato fuori una scatolina. L’ha aperta e dentro c’era quel magnifico anello antico di smeraldo.» Lucinda fa una pausa, respirando affannosamente. Io non muovo neanche un muscolo. «Mi ha preso la mano e mi ha detto: “Lucinda, mia cara, vuoi...”.» Inspira a fondo, come se facesse fatica a proseguire. «E io stavo per dire sì! Ero pronta! Stavo solo aspettando che finisse la frase. Lui invece si è bloccato. Ha cominciato a sudare. Poi si è alzato in piedi e ha detto: “No. Accidenti, no. Scusa. Non ce la faccio. Scusami, Lucinda”.» No, non è possibile. Non è possibile. La guardo incredula, mi scappa quasi da ridere. «E tu che cosa gli hai detto?» «Ho gridato: “Non ce la fai a fare che cosa, brutto stronzo? Non sei nemmeno riuscito a chiedermi fino in fondo di sposarti!”. Lui, però, non ha più detto nulla. Ha chiuso la scatolina e ha messo via l’anello. Punto e basta.» «Mi dispiace» dico debolmente. «È una cosa orribile.» «Ha talmente la fobia dei legami impegnativi da non poter neppure pronunciare una maledettissima proposta di matrimonio! Non è neanche stato capace di andare fino in fondo!» È livida di rabbia, e io non la biasimo.
«Ma allora perché hai accettato di organizzare il suo matrimonio?» le domando incredula. «Non è come riaffondare il coltello nella piaga ogni giorno?» «Era il minimo che potesse fare per me.» Mi guarda male. «Avevo bisogno di lavorare, anche se mi sa che cambierò settore. Organizzare matrimoni è un incubo!» Adesso si spiega tutto il malumore di Lucinda. Adesso si spiega tutta quella aggressività nei miei confronti. Se avessi sospettato anche solo per un secondo che era una vecchia fiamma di Magnus... «Non mi sarei mai tenuta l’anello» aggiunge cupa. «Volevo solo farti prendere un po’ di paura.» «Be’, ci sei riuscita in pieno.» Non mi sembra vero di essermi aperta con questa donna, di essermi fidata di lei, di averle parlato di tutti i miei sogni sul giorno delle nozze... Ed è un’ex di Magnus. E lui, come ha potuto farmi una cosa simile? Come ha potuto pensare che potesse funzionare? È come se mi fosse caduto un velo dagli occhi. Mi sembra di vedere finalmente le cose come stanno in realtà. E non ho ancora neppure affrontato la mia paura più grande. «Mi ero fatta l’idea che tu andassi a letto con Magnus» sbotto. «Cioè, non quando stavate insieme, ma adesso. Negli ultimi tempi. La settimana scorsa.» Lei rimane in silenzio e io alzo gli occhi, sperando che neghi tutto con una risposta acida. Ma appena incrocio il suo sguardo, lo distoglie. «Lucinda?» Afferra la valigia e comincia a trascinarla verso la porta. «Me ne sto andando. Ne ho abbastanza di tutta questa storia. Merito una vacanza. Se solo sento un’altra parola sui matrimoni...» «Lucinda?» «Oh, per l’amor di Dio!» sbotta impaziente. «Può darsi che sia andata a letto con lui un paio di volte per ricordare i bei tempi andati. Se non sei capace di tenerlo d’occhio, non dovresti sposarlo.» Le squilla il cellulare e risponde. «Salve. Sì. Sto scendendo. Mi scusi.» Mi fa uscire dall’appartamento, sbatte la porta e la chiude a doppia mandata. «Non te ne puoi andare così!» Tremo come una foglia. Lei alza le mani. «Sono cose che capitano. Non avresti dovuto scoprirlo, e invece...» Spinge la valigia verso l’ascensore. «Ah, a proposito, se pensi che abbia tirato fuori l’anello dalla cassetta di sicurezza solo per noi due, toglitelo dalla testa. Siamo solo le ultime della lista, tesoro.» «Cosa?» Sto andando in iperventilazione. «Quale lista? Lucinda, aspettami! Di che cosa stai parlando?» «Ragiona, Poppy. È un problema tuo. Io ho pensato ai fiori, alla funzione religiosa e a quei fottutissimi... cucchiaini da dessert.» Schiaccia un pulsante e le porte dell’ascensore cominciano a chiudersi. «Questo problema è tutto tuo.» 88 D’accordo, è improbabile. 89 D’accordo, è ancora meno probabile.
90 Cioè Clemency. Forse. 91 E se pensate che non lo farebbe mai, è solo perché non conoscete Annalise. 92 O è un look molto artistico, come quelli che si vedono sulle riviste di moda, o ieri non si è struccata. (Be’, da che pulpito.) 93 Nessuno mi aveva mai afferrato la mano per guardare l’anello. È decisamente un’invasione del mio spazio privato.
14 Dopo che Lucinda se n’è andata, rimango lì immobile per tre minuti buoni, sotto shock. Poi mi riscuoto bruscamente, raggiungo le scale e scendo. Mentre esco dal palazzo, spengo il cellulare. Non mi posso permettere distrazioni. Devo pensare. Devo rimanere sola. Come ha detto Lucinda, tocca a me risolvere questo problema. Mi avvio sul marciapiede, senza badare alla direzione che prendo. I miei pensieri continuano a girare intorno ai fatti accaduti, alle ipotesi, alle teorie e poi di nuovo ai fatti. Man mano che cammino, però, sembrano riordinarsi. Sono sempre più decisa. Ho un piano. Non so da dove venga questa determinazione improvvisa: se sia stata Lucinda a spronarmi o se mi sia stancata di evitare i conflitti con un nodo allo stomaco. Stavolta lo affronterò di petto. Sì, lo farò. La cosa più assurda è che continuo a sentire la voce di Sam nelle orecchie, che mi rassicura, mi sostiene e mi dice che ce la posso fare. È come se mi stesse facendo un discorso di incitamento. E io mi sento più forte. Convinta che ci riuscirò. Sarò una Poppy completamente nuova. Quando arrivo all’angolo di Battersea Rise, mi sento pronta. Tiro fuori il cellulare, lo accendo e, senza leggere nessun messaggio nuovo, chiamo subito Magnus. Lui naturalmente non risponde, ma era previsto. «Ciao, Magnus» dico, assumendo il tono più serio e risoluto di cui sono capace. «Mi puoi richiamare al più presto? Dobbiamo parlare.» Okay. Bene. Un messaggio dignitoso. Breve, incisivo e chiaro. Adesso chiudi la chiamata. Chiudi la chiamata, Poppy. Ma non ci riesco. Ho la mano incollata al telefono. Mentre sono in contatto con lui, anche se solo attraverso la sua segreteria telefonica, sento sgretolarsi tutte le mie difese. Voglio parlare. Voglio che mi chiami. Voglio che sappia quanto sono sconvolta e ferita. «Perché... mi sono giunte delle notizie, capisci?» mi sorprendo a dire. «Ho parlato con la tua grande amica Lucinda.» Pronuncio “Lucinda” con enfasi rabbiosa. «Che mi ha detto delle cose a dir poco scioccanti, quindi mi sa che dobbiamo parlare al più presto. Perché, a meno che tu non abbia qualche spiegazione portentosa, cosa che non mi pare molto probabile, non è possibile che Lucinda mi abbia mentito. E qualcuno deve aver mentito per forza. Qualcuno deve...» Bip. Accidenti, mi hanno tagliato. Spengo di nuovo il cellulare maledicendomi. Alla faccia del messaggio breve e incisivo. Alla faccia di una Poppy completamente nuova. Non era così che avrei voluto dirglielo. Vabbe’, non importa. Almeno l’ho chiamato. Almeno non mi sono tappata le orecchie facendo finta di niente, pur di non affrontare la situazione. E adesso
passo a un altro punto della mia lista. Vado in strada e fermo un taxi con un cenno della mano. «Salve» dico, salendo in macchina. «Mi porti ad Hampstead, per piacere.» So che oggi Wanda è in casa, perché mi aveva detto che si doveva preparare per un intervento alla radio che farà stasera. Come volevasi dimostrare, mentre mi avvicino alla casa, la musica esce impetuosa dalle finestre. Non so se ci sia anche Antony, ma non mi importa. Possono ascoltare tutti e due. Quando arrivo, tremo come l’altra sera, ma in modo diverso. Positivo. Del tipo: “Forza, Poppy, fai vedere chi sei”. «Poppy!» Wanda spalanca la porta con un gran sorriso. «Che bella sorpresa!» Piomba su di me per darmi un bacio, poi mi scruta in viso. «Sei passata a salutarci, o c’è qualcosa...» «Dobbiamo parlare.» Per un attimo fra noi cala il silenzio. Evidentemente ha capito che non intendo perdermi in chiacchiere amene. «Ah, sì, d’accordo. Entra pure!» Sorride di nuovo, ma colgo segni di preoccupazione nei suoi occhi e nella lieve increspatura della sua bocca. Wanda ha una faccia molto espressiva: la sua pelle chiara è pallida e fragile come un fazzoletto di carta, e le rughe intorno agli occhi si flettono in una miriade di modi diversi, a seconda dell’umore. Succede così, immagino, in assenza di Botox, trucco o abbronzatura artificiale. In compenso, però, si hanno delle espressioni. «Faccio il caffè?» «Perché no?» La seguo in cucina, che è dieci volte più disordinata di quando ci vivevo io, qui, insieme a Magnus. Non posso fare a meno di storcere il naso sentendo un cattivo odore, che immagino provenga dal mazzo di fiori abbandonato sul bancone, a marcire dolcemente ancora nella carta. Nel lavello c’è una scarpa maschile con una spazzola, e su tutte le sedie ci sono pile di vecchie cartelline di cartone. «Ah.» Wanda indica vagamente in giro, come se una sedia potesse liberarsi magicamente. «Stavamo cercando di rimettere in ordine le carte. Ma fino a che punto ha senso archiviare? Questo è il problema.» Un tempo mi sarei subito affannata a cercare qualcosa di intelligente da dire sugli archivi. Adesso invece la guardo dritto in faccia e dico bruscamente: «Scusa, ma vorrei parlarti di un’altra cosa». «Sì, infatti» dice Wanda dopo un momento di pausa. «L’avevo immaginato. Sediamoci.» Toglie un mucchio di cartelline da una sedia, scoprendo un grosso pesce avvolto nella carta per alimenti. Okay. Allora la puzza proveniva da lì. «Ecco dov’era finito. Incredibile.» Aggrotta la fronte, esita un attimo, poi ci rimette sopra le cartelline. «Proviamo in salotto.» Mi siedo su uno dei divani gibbosi e Wanda ci trascina davanti una sedia antica con la seduta ricamata. L’odore di fumo stantio, kilim ammuffiti e potpourri è soffocante. Dalle antiche vetrate dipinte delle finestre filtra una luce dorata. Questa stanza è così tanto Tavish. Anche Wanda. È seduta alla sua solita
maniera intransigente, ginocchia ben separate, gonna alla tirolese sulle gambe, testa protesa ad ascoltare, capelli crespi tinti con l’henné tutt’intorno al viso. «Magnus» comincio, poi mi interrompo subito. «Sì?» «Magnus...» Mi interrompo di nuovo. Per un attimo cala il silenzio. Wanda sta per assumere un ruolo così importante nella mia vita, eppure la conosco a malapena. Abbiamo mantenuto rapporti perfettamente civili e distaccati, parlando solo di cose insignificanti. Ora sembro sul punto di infrangere il muro che ci separa, ma non so da dove cominciare. Le parole mi ronzano in testa come mosche. Devo acciuffarne una. «A quante ragazze Magnus ha chiesto di sposarlo?» Non avevo in mente di cominciare da qui, ma perché no, in fin dei conti? Wanda sembra colta alla sprovvista. «Poppy!» Deglutisce. «Oddio. Credo davvero che Magnus... È una questione...» Si sfrega il viso e noto che ha le unghie sporche. «Magnus è a Bruges. Non riesco a trovarlo. Quindi sono venuta a parlare con te.» «Capisco.» Wanda assume un’espressione grave. «Lucinda mi ha riferito che io sono solo l’ultima della lista. Magnus non mi aveva mai detto che ce n’erano state altre prima di me. Non mi aveva neppure detto che lui e Lucinda avevano avuto una storia. Nessuno me l’aveva detto.» Non riesco a nascondere il mio risentimento. «Poppy. Non devi...» Vedo che Wanda si sta arrampicando sugli specchi. «Magnus è presissimo da te, davvero, e non dovresti preoccuparti... di quello. Sei molto carina.» Starà anche cercando di essere gentile, ma l’ha detto in un modo inquietante. Che cosa intende per “molto carina”? È una maniera un po’ accondiscendente per dire: “Non hai cervello, ma il tuo aspetto è okay?”. Devo dire qualcosa. Per forza. Adesso o mai più. Vai, Poppy. «Wanda, tu mi fai sentire inferiore.» Le parole mi sfuggono di bocca. «Pensi davvero che lo sia o me lo sono solo immaginato?» Ahi. L’ho detto. Non posso credere di averlo fatto davvero. «Cosa?» Wanda strabuzza gli occhi al punto che per la prima volta mi accorgo che sono di un azzurro stupendo, tendente al violetto. Non mi aspettavo che rimanesse così scioccata, ma ormai non posso più tirarmi indietro. «Quando sono qui, mi sento inferiore.» Taccio per un attimo. «Sempre. E mi sono chiesta se pensate davvero che lo sia o se...» Wanda si è infilata tutte e due le mani nei capelli crespi. Trova una matita, la tira fuori e la posa sul tavolo distrattamente. «Mi sa che noi due abbiamo bisogno di berci qualcosa» dice alla fine. Si alza dalla sedia, prende una bottiglia di scotch dall’armadietto dei liquori e riempie due bicchieri. Me ne porge uno, solleva il suo e beve un lungo sorso. «Sono un po’ scombussolata.»
«Mi dispiace.» Mi sento subito in colpa. «Ma no!» Alza una mano. «Assolutamente no, cara! Non devi dispiacerti per aver espresso in buona fede la tua percezione delle cose, fondata o meno che sia.» Non ho idea di che cosa stia dicendo, ma credo che stia cercando di essere gentile. «Sono io che ti devo chiedere scusa» continua «se ti sei sentita a disagio, per non dire “inferiore”. Anche se è un’idea talmente assurda che non riesco neppure a...» Lascia la frase in sospeso con aria sconcertata. «Poppy, davvero io non capisco. Posso chiederti perché hai avuto questa impressione?» «Siete tutti così intelligenti.» Scrollo le spalle, a disagio. «Pubblicate articoli sulle riviste e io no.» Wanda sembra perplessa. «Ma perché dovresti pubblicare articoli?» «Perché...» Mi sfrego il naso. «Non lo so. Non è quello. È che... tipo, non so pronunciare “Proust”.» Wanda pare ancor più sconcertata. «Sì che lo sai pronunciare.» «Okay, adesso lo so! Ma prima no. Quando ci siamo conosciuti continuavo a fare errori, poi Antony ha detto che la mia laurea in fisioterapia era “divertente” e io ci sono rimasta malissimo...» Mi interrompo, all’improvviso ho un groppo in gola. «Ah.» Una luce le balena negli occhi. «Senti, non devi mai prendere Antony sul serio. Magnus non ti ha avvisato? Il suo senso dell’umorismo può risultare un po’ “eccentrico”, diciamo. Non so quanti amici abbia offeso con le sue battute inopportune.» Alza un attimo gli occhi al cielo. «Ma, al di là di questo, è una cara persona, te ne accorgerai tu stessa.» Non ho il coraggio di replicare, quindi prendo un sorso di scotch. Di solito non lo bevo mai, ma adesso è proprio perfetto. Quando alzo lo sguardo, Wanda mi sta fissando con i suoi occhi penetranti. «Poppy, non siamo tipi da sdilinquirci. Ma credimi, Antony ha un’ottima opinione di te, come me, del resto. Se sapesse delle tue ansie, ne sarebbe immensamente dispiaciuto.» «Allora perché avete litigato in chiesa?» Le scaglio le parole addosso furibonda, prima di riuscire a trattenermi. Wanda reagisce come se le avessi tirato uno schiaffo. «Ah, ci hai sentito. Mi dispiace. Non me n’ero accorta.» Beve un altro sorso di scotch con un’espressione tesa. D’un tratto non ne posso più di essere educata e di girare intorno agli argomenti. Voglio andare al sodo. «Okay.» Poso il bicchiere. «Il motivo per cui sono venuta qui è che ho saputo che Magnus è andato a letto con Lucinda. Perciò manderò a monte il matrimonio. Tanto vale, quindi, che anche tu mi parli fuori dai denti e mi dica che non mi hai mai potuto sopportare.»
«Lucinda?» Wanda si porta una mano alla bocca con aria scioccata. «Oh, Magnus. Che disgraziato, che disgraziato. Quando imparerà?» Sembra estremamente demoralizzata. «Poppy, mi dispiace moltissimo. Magnus è... come posso dire? Un uomo pieno di difetti.» «Quindi... te lo aspettavi?» La fisso. «Non è la prima volta che lo fa?» «Temevo che potesse fare qualche stupidaggine» dice Wanda, dopo un momento di pausa. «Ho paura che, fra tutte le qualità che ha ereditato da noi, non rientrino né l’impegno né la costanza nei rapporti. Ecco perché eravamo preoccupati per il matrimonio. Magnus è famoso per lanciarsi in avventure romantiche, ricredersi, cambiare idea e sconvolgere la vita a tutti...» «Quindi è vero che l’ha già fatto.» «In un certo senso.» Fa una smorfia. «Anche se non eravamo mai arrivati alla chiesa. Ci sono state altre tre fidanzate ufficiali, più Lucinda, che ci è andata vicina, credo. Quando ci ha annunciato di nuovo di volersi sposare con una ragazza che quasi non conoscevamo, ammetto che non abbiamo fatto i salti di gioia.» Mi guarda con franchezza. «Hai ragione. È vero che in chiesa abbiamo cercato di dissuaderlo con una certa insistenza. Secondo noi avreste dovuto aspettare un altro anno, per conoscervi meglio. Non volevamo assolutamente che tu rimanessi ferita dall’idiozia di nostro figlio.» Mi gira la testa. Non avevo idea che Magnus avesse fatto altre proposte di matrimonio. Quattro, per giunta, calcolando anche quella (mezza) a Lucinda. Com’è possibile? È colpa mia? Gli ho mai chiesto di parlarmi del suo passato? Sì. Sì! Certo che sì. Il ricordo mi torna nitido in mente. Eravamo a letto, dopo quella cena al ristorante cinese, e ci eravamo messi a parlare di tutte le nostre vecchie fiamme. Okay, anch’io avevo omesso qualcosina,94 ma non quattro proposte di matrimonio. Magnus non mi ha mai detto niente in proposito. Neanche una parola. Tutti gli altri, però, lo sapevano. Ora naturalmente si spiegano le occhiate strane che Antony e Wanda si scambiavano e la tensione nella loro voce. Sono stata così paranoica. Ero convinta che mi considerassero una schifezza. «Credevo che mi detestaste» dico, quasi fra me e me. «E che foste arrabbiati con lui per avermi dato l’anello di famiglia perché... Mah, non so. Perché non ne ero degna.» «Non ne eri degna?» Wanda sembra totalmente sconvolta. «Chi è che ti ha messo queste idee in testa?» «E allora qual era il problema?» Sento riaffiorare il vecchio risentimento. «Lo so che non eravate per niente contenti, quindi è inutile fingere.» Per un attimo, Wanda appare combattuta. «Vogliamo parlare con assoluta franchezza?» «Sì» rispondo decisa. «Per piacere.» «Bene, allora.» Wanda sospira. «Magnus è andato a ritirare quell’anello dalla cassetta di sicurezza in banca così tante volte, ormai, che io e Antony abbiamo elaborato una nostra teoria in merito.» «E cioè?»
«Usare l’anello di famiglia è molto semplice.» Allarga le braccia. «Non richiede nessuno sforzo mentale, quindi può farlo d’impulso. La nostra teoria è che quando vorrà davvero impegnarsi con una donna, troverà un anello da solo. Lo sceglierà con cura. Ci penserà su. Forse lo lascerà scegliere direttamente a lei.» Mi fa un sorriso triste. «Quindi, quando abbiamo saputo che aveva preso di nuovo l’anello di famiglia... temo che siano scattati dei campanelli d’allarme.» «Ah. Capisco.» Mi rigiro l’anello intorno al dito. D’un tratto mi sembra goffo e pesante. Pensavo che possedere un anello di famiglia fosse una cosa speciale. Pensavo che significasse un maggiore impegno da parte di Magnus. Adesso, però, lo vedo come lo vede Wanda. Come una scelta facile, poco impegnativa. Mi sembra impossibile che tutte le mie convinzioni siano state ribaltate. Di aver frainteso tutto. «Per quel che può valere» aggiunge Wanda, un po’ avvilita «mi dispiace moltissimo che le cose siano finite in questo modo. Sei una ragazza davvero carina, Poppy. Molto divertente. Non vedevo l’ora di averti come nuora.» Mi aspetto che quel “molto divertente” mi faccia saltare i nervi, di scattare dandole una risposta pungente... e invece, chissà come, non succede. Per la prima volta da quando ho conosciuto Wanda, sono in grado di prendere alla lettera le sue parole. Per “molto divertente” non intende “dotata di scarso quoziente intellettivo e laurea inferiore”, ma “molto divertente”. «Dispiace anche a me» dico, e sono sincera. Sono davvero triste. Proprio adesso che cominciavo a capire Wanda, è tutto finito. Pensavo che Magnus fosse perfetto e che il mio unico problema fossero i suoi genitori. Adesso sento che è l’esatto contrario. Wanda è fantastica: peccato per suo figlio. «Ecco qui.» Mi sfilo rapidamente l’anello dal dito e glielo porgo. «Poppy!» Sembra sbalordita. «Di sicuro...» «È finita. Non voglio portarlo più. È vostro. A essere sincera, non l’ho mai sentito mio.» Prendo la borsa e mi alzo. «Adesso mi sa che devo andare.» «Ma...» Wanda sembra confusa. «Non essere precipitosa, ti prego. Hai parlato con Magnus?» «Non ancora.» Sospiro. «Ma è irrilevante. È finita.» La conversazione è praticamente giunta al termine e Wanda mi accompagna alla porta. Prima che me ne vada, mi stringe una mano e io provo un improvviso slancio d’affetto per lei. Magari ci terremo in contatto. Magari perderò Magnus, ma guadagnerò Wanda. La pesante porta d’ingresso si chiude, e io mi faccio strada fra gli ipertrofici rododendri che costeggiano il vialetto fino al cancello. Mi aspetto di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Il mio fidanzato perfetto alla fine si è dimostrato ben lontano dalla perfezione. È un uomo bugiardo, infedele, inaffidabile, con la fobia dei rapporti impegnativi. Dovrò disdire il matrimonio. I miei fratelli non dovranno più accompagnarmi all’altare. Dovrei essere a pezzi. E invece, mentre mi avvio giù per la collina, mi sento solo stordita.
Non sono in grado di affrontare la metropolitana, e non mi posso permettere un altro taxi. Così raggiungo una panchina appartata, al sole, e per un po’ rimango lì seduta con lo sguardo perso nel vuoto. I pensieri mi fluttuano in testa alla rinfusa, rimbalzando l’uno sull’altro, come per assenza di forza di gravità. Dopo tutto quello che... Mi chiedo se riuscirò a vendere il vestito da sposa... Avrei dovuto sapere che era troppo bello per essere vero... Devo avvisare il reverendo... Non credo che Magnus sia simpatico a Toby e Tom, anche se non l’hanno mai ammesso... Magnus mi ha mai amato davvero? Alla fine sospiro e accendo il telefonino. Devo tornare alla vita reale. Il cellulare lampeggia segnalando la presenza di nuovi messaggi, fra cui una decina di Sam, e per un attimo penso stupidamente: oddio, è telepatico, sa già tutto... Appena li leggo, però, mi rendo subito conto della mia stupidità. È ovvio che non mi mandi messaggi personali. Qui si parla strettamente di lavoro. Poppy, ci sei? È incredibile. Il file era sul computer. C’erano dentro i messaggi vocali, che confermano tutto. Puoi parlare? Chiamami appena puoi. Qui è cominciata la festa. Stanno cadendo delle teste. Questo pomeriggio c’è la conferenza stampa, anche Vicks ti vuole parlare. Ciao Poppy, ci serve il cellulare. Puoi telefonarmi al più presto? Senza preoccuparmi di leggere tutti i messaggi, lo chiamo. Un attimo dopo il telefono comincia a suonare e io mi sento improvvisamente nervosa. Non so davvero perché. «Ciao, Poppy! Finalmente! È Poppy.» La voce entusiasta di Sam mi accoglie, e sento baccano in sottofondo. «Qui stiamo tutti esultando. Non hai idea di cosa significhi per noi la tua piccola scoperta.» «Non è mia» dico sinceramente «ma di Violet.» «Ma se tu non avessi risposto alla sua chiamata e non l’avessi incontrata... Vicks dice: “Complimenti, batti un cinque!”. Vuole offrirti da bere. Come tutti noi.» Sam sembra totalmente euforico. «Allora, hai ricevuto il mio messaggio? I tecnici vogliono controllare il cellulare per vedere se è rimasta qualche traccia.» «Ah, okay. Sì, certo. Te lo porto in ufficio.» «Ti crea problemi?» Sam sembra preoccupato. «Ti sto sconvolgendo la giornata? Che cosa stavi facendo?» «Ah... niente.» Sto solo mandando a monte il mio matrimonio. Mi sto solo sentendo un’emerita imbecille per tutto. «Perché ti posso mandare un fattorino...» «No, davvero.» Mi sforzo di sorridere. «Non c’è problema. Vengo subito.» 94 Non è necessario che si sappia di quel tipo biondo conosciuto alla festa delle matricole.
15 Stavolta non ho problemi a entrare nel palazzo: praticamente c’è un comitato di accoglienza ad attendermi alla porta. Sam, Vicks, Robbie, Mark e alcune altre persone che non conosco sono lì in piedi accanto all’ingresso, pronti a consegnarmi il badge, a stringermi la mano e a darmi un sacco di spiegazioni che vanno avanti per tutto il tragitto in ascensore e che io seguo solo per metà, visto che loro continuano a interrompersi a vicenda. Ma il succo è questo: i messaggi vocali sono incriminanti al cento per cento. Alcuni membri del personale sono stati interrogati. Justin ha perso il suo aplomb e praticamente ha ammesso tutto. Fra i complici c’è anche un altro alto dirigente dell’azienda, Phil Stanbridge, cosa che ha lasciato tutti di stucco. Ed Exton ha fatto perdere le sue tracce. Gli avvocati si stanno riunendo. Nessuno sa se ci saranno procedimenti penali, ma il punto è che il buon nome di Sir Nicholas è salvo, e lui è al settimo cielo. Come Sam, del resto. All’ITN sono un po’ meno contenti, visto che da “consulente governativo corrotto” sono passati a “conflitto aziendale interno risolto”, ma intendono ancora trasmettere un servizio sulle ultime novità, sostenendo di aver scoperto tutta la macchinazione. «L’intera azienda subirà uno scossone enorme» sta dicendo Sam con entusiasmo, mentre percorriamo rapidamente il corridoio. «Tutte le linee guida della società dovranno essere ridefinite.» «Allora hai vinto tu» mi arrischio a dire, e lui si ferma, sfoderando il sorriso più ampio che gli abbia mai visto. «Sì. Abbiamo vinto noi.» Riprende a camminare e poi mi fa entrare nel suo ufficio. «Eccola! È lei in persona. Poppy Wyatt.» Due uomini in jeans si alzano dal divano, mi stringono la mano e si presentano come Ted e Marco. «Allora, sei tu quella che ha il famoso cellulare» dice Marco. «Posso dare un’occhiata?» «Certo.» Infilo la mano in tasca, tiro fuori il telefono e glielo consegno. I due lo esaminano per qualche istante, schiacciando tasti, socchiudendo gli occhi, passandoselo a vicenda. Non ci sono altri messaggi vocali compromettenti lì dentro mi viene da dire. Credetemi, ve ne avrei parlato. «Ti spiace se lo tengo io?» dice Marco alla fine, alzando lo sguardo. «Lo vuoi tenere?» La mia voce tradisce una tale apprensione che lui reagisce a scoppio ritardato. «Scusa. È un telefono aziendale, quindi avevo pensato...» «Non lo è più» dice Sam accigliandosi. «L’ho regalato a Poppy. È suo.» «Ah.» Marco sembra un po’ disorientato. «Il fatto è che dobbiamo esaminarlo approfonditamente. Potremmo metterci un po’ di tempo. Potrei dirti che te lo restituiremo, ma chi può sapere quando?» Guarda Sam in cerca di aiuto.
«Cioè, sono sicuro che possiamo procurartene un altro, il massimo della tecnologia, tutto quello che vuoi...» «Assolutamente.» Sam annuisce. «Senza limiti di prezzo.» Mi sorride. «Puoi prenderti il telefono più hi-tech che c’è in circolazione.» Non voglio il telefono più hi-tech che c’è in circolazione. Io voglio quel telefono. Il nostro. Voglio tenerlo al sicuro, non lasciarlo sezionare dai tecnici. Ma... che cosa posso dire? «Sì, certo» sorrido, anche se avverto una leggera stretta allo stomaco. «Prendetelo pure. È solo un cellulare.» «Per quanto riguarda i tuoi messaggi, contatti eccetera...» Marco scambia qualche occhiata dubbiosa con Ted. «Ho bisogno dei miei messaggi.» Il tremore della mia voce mi preoccupa. Mi sento quasi violata, ma non posso farci niente. Sarebbe irragionevole e poco collaborativo. «Potremmo stamparli.» Ted si illumina. «Che ne dici? Te li stampiamo tutti, così li potrai conservare.» «Alcuni sono miei» sottolinea Sam. «Sì, alcuni sono suoi.» Annuisco. «Come?» Marco guarda prima me, poi Sam. «Scusate, sono un po’ confuso. Di chi è il cellulare?» «In realtà è suo, ma io l’ho usato...» «Lo abbiamo usato tutti e due» spiega Sam. «Insieme. In condivisione.» «In condivisione?» Marco e Ted sembrano così sbalorditi che mi scappa quasi da ridere. «Non ho mai visto nessuno condividere un cellulare» dice Marco schiettamente. «È una cosa perversa.» «Neppure io.» Ted rabbrividisce. «Io non lo condividerei neppure con la mia ragazza.» «Allora... com’è andata?» domanda Marco incuriosito, guardando prima Sam poi me. «Ci sono stati momenti difficili» dice Sam, sollevando le sopracciglia. «Sì, di sicuro ci sono stati momenti difficili» annuisco. «Ma in realtà lo consiglio vivamente.» «Anch’io. Tutti dovrebbero provarci almeno una volta.» Sam mi sorride, e io non posso fare a meno di ricambiarlo. «O...kay.» Marco ha l’aria di uno che stia trattando con due pazzoidi. «Be’, ci penseremo su. Andiamo, Ted.» «Quanto ci metterete?» chiede Sam. Ted corruga la fronte. «Potrebbe volerci un po’ di tempo. Diciamo un’ora?» Escono dall’ufficio e Sam chiude la porta. Ci guardiamo per un minuto, e io noto una minuscola ferita sulla sua guancia. Ieri sera non ce l’aveva. Ieri sera. Un attimo dopo, vengo trasportata di nuovo nel bosco. Sono al buio, l’odore del terreno umido nelle narici, i rumori della natura nelle orecchie, le sue braccia intorno a me, la sua bocca...
No. Smettila, Poppy. Non tornare indietro. Non ricordare, non chiederti e non... «Che giornata» butto lì alla fine, alla ricerca disperata di qualcosa di neutro da dire. «Veramente.» Sam mi accompagna al divano e io mi siedo imbarazzata, come se stessi per fare un colloquio di lavoro. «Bene. Adesso siamo soli... Come stai? Come va il resto?» «Non c’è molto da dire.» Scrollo le spalle con ostentata indifferenza. «Ah, a parte il fatto che ho deciso di mandare a monte il mio matrimonio.» Dirlo ad alta voce mi dà un leggero senso di nausea. Quante volte dovrò ripetere queste parole? Quante volte dovrò dare spiegazioni? Come me la caverò nei prossimi giorni? Sam annuisce, facendo una smorfia. «Okay. Brutta storia.» «Non è il massimo.» «Gli hai parlato?» «Ho visto Wanda. Sono andata a casa sua. Le ho detto: “Wanda, pensi davvero che io sia inferiore a voi o me lo sono solo immaginato?”.» «No!» esclama Sam, entusiasta. «Giuro.» Non riesco a fare a meno di ridere vedendo la sua espressione, anche se mi viene pure un po’ da piangere. «Saresti stato orgoglioso di me.» «Vai, Poppy!» Alza una mano per battere un cinque. «Lo so che ci voleva fegato per farlo. E qual è la risposta?» «Mi ero immaginata tutto io» ammetto. «In realtà, lei è un tesoro. Peccato che abbia un figlio del genere.» Per un attimo c’è silenzio. Mi pare tutto così surreale. Il matrimonio non si fa più. L’ho detto ad alta voce, quindi dev’essere vero. Eppure sembra vero quanto dire: “Gli alieni hanno invaso la terra”. «Allora, che cosa pensi di fare adesso?» Sam incrocia il mio sguardo e mi pare di scorgere un’altra domanda nei suoi occhi. Una domanda su noi due. «Non lo so» dico, dopo un momento di pausa. Sto cercando di rispondere silenziosamente alla sua domanda, ma non so se i miei occhi stiano facendo il loro dovere. Non so se Sam capisca. Un attimo dopo, non ce la faccio più e abbasso in fretta lo sguardo. «Mi sa che mi conviene prenderla con calma. Mi aspettano un bel po’ di menate orrende.» «Non ne dubito.» Esita. «Caffè?» Oggi ho bevuto così tanto caffè che mi sembra di essere la pallina di un flipper... D’altra parte, però, non riesco a sopportare questa tensione emotiva. A valutare la situazione. A capire Sam. Non so che cosa mi aspetto né che cosa voglio. Siamo due persone che il caso ha fatto incontrare per un breve periodo e che ora stanno portando avanti una transazione d’affari. Tutto qui. Allora perché ho un vuoto allo stomaco tutte le volte che apre bocca per parlare? Che cosa cavolo mi aspetto che mi dica? «Un caffè sarebbe perfetto, grazie. Ce l’hai decaffeinato?» Lo vedo trafficare con la macchina del Nespresso sistemata su un banco contro una parete
dell’ufficio e con il beccuccio del latte. Credo che sia un diversivo gradito a tutti e due. «Non ti preoccupare» dico alla fine, vedendolo scuotere stizzito il beccuccio. «Lo posso prendere nero.» «Tu odi il caffè nero.» «Come fai a saperlo?» Rido per la sorpresa. «Una volta l’hai scritto in una mail a Lucinda.» Si gira, storcendo leggermente la bocca. «Pensi di essere l’unica ad aver dato qualche sbirciatina?» «Hai buona memoria.» Scrollo le spalle. «Cos’altro ricordi?» Cala il silenzio. Quando i nostri sguardi si incrociano mi batte forte il cuore. I suoi occhi sono così intensi, scuri e seri. Più li guardo, più voglio guardarli. Se sta pensando a quel che penso io, allora... No. Piantala, Poppy. Non è sicuramente così. E poi non so neppure io a cosa sto pensando, non esattamente... «Anzi, lascia perdere il caffè.» Mi alzo di scatto. «Esco un attimo.» «Sicura?» Sam sembra colto alla sprovvista. «Sì, non voglio starti fra i piedi.» Evito di guardarlo mentre gli passo davanti. «Ho delle commissioni da sbrigare. Ci vediamo fra un’ora.» Non vado a fare nessuna commissione. Il fatto è che sono priva di forze. Il mio futuro è deragliato e so che dovrò prendere qualche iniziativa, ma al momento non ce la faccio. Uscita dall’ufficio di Sam, mi metto a ciondolare in giro e arrivo fino alla cattedrale di St Paul. Mi siedo sui gradini in una zona soleggiata, a guardare i turisti, fingendo di essermi presa una vacanza dalla mia vita. Poi, finalmente, torno indietro. Quando arrivo all’ufficio di Sam lui è al telefono, mi fa un cenno di saluto con la testa e indica l’apparecchio in un gesto di scuse. «Toc toc!» La testa di Ted sbuca dalla porta e io sussulto. «Tutto fatto. Abbiamo messo al lavoro tre persone.» Entra nella stanza con una pila di fogli formato A4. «L’unico problema è che abbiamo dovuto stampare ogni SMS su una pagina diversa. Accidenti, sembra Guerra e pace.» «Wow.» Mi sembra impossibile che abbia tutti quei fogli. Di sicuro, non posso aver mandato così tanti SMS e mail! Insomma, ho tenuto il telefono solo per qualche giorno. «Bene.» Ted posa la pila di fogli sul tavolo con aria professionale e la separa in tre parti. «Mentre procedevamo, uno dei ragazzi li ha smistati. Questi sono di Sam. Mail di lavoro eccetera. Posta ricevuta, inviata, bozze, tutto. Sam, ecco qui.» Gliele porge, mentre lui si alza dalla scrivania. «Benissimo, grazie» dice, dando un’occhiata ai fogli. «Abbiamo stampato anche gli allegati. Dovresti averli anche sul tuo computer, Sam, ma per sicurezza... E questi sono tuoi, Poppy.» Dà un colpetto a un altro mucchio di fogli. «Dovrebbe esserci tutto.» «Okay. Grazie.» Li faccio passare rapidamente. «Poi ce n’è un altro gruppo. Ted corruga la fronte con aria perplessa. «Non sapevamo bene come comportarci al riguardo. Sono... di tutti e due.»
«In che senso?» Sam alza lo sguardo. «È la corrispondenza fra voi due. Tutti gli SMS, mail e quant’altro vi siete mandati a vicenda. In ordine cronologico.» Ted si stringe nelle spalle. «Non so se qualcuno di voi li voglia tenere, o se preferiate eliminarli... Sono importanti?» Posa i fogli sul tavolo e io fisso incredula il primo. È una fotografia sgranata di me allo specchio, che faccio il giuramento delle Brownies con il telefonino in mano. Mi ero dimenticata di quell’episodio. Giro la pagina e trovo un unico SMS di Sam: Potrei mandarla alla polizia e farti arrestare. Poi, sul foglio successivo, c’è la mia risposta: Molto gentile, davvero! Grazie :) :) :) Mi sembra passato un secolo da quando Sam era solo uno sconosciuto all’altro capo della linea. Da quando non l’avevo ancora incontrato e ignoravo che persona fosse... Avverto un movimento alle mie spalle. È venuto a dare un’occhiata. «Che strano vedere tutto stampato» dice. «Sì, infatti.» Annuisco. Trovo una foto di denti marci e tutti e due scoppiamo a ridere. «Ci sono un bel po’ di foto di denti, eh?» dice Ted, guardandoci incuriosito. «Ci siamo chiesti come mai. Lavori in campo dentistico, Poppy?» «Non proprio.» Do una scorsa ai fogli, ipnotizzata. C’è tutto quel che ci siamo detti. Pagine e pagine di messaggi mandati e ricevuti, come un libro degli ultimi giorni. WHAIZLED. Usa la D di OUTSTEPPED. Triplichi il valore della parola, più cinquanta punti di bonus. Hai preso appuntamento con il dentista? Ti cadranno tutti i denti!!! Hai la cravatta storta. Che cosa fai sveglia a quest’ora? La mia vita finisce domani. Posso capire che tu non riesca a dormire. Perché domani? Non sapevo che ci fosse anche il tuo nome sul mio invito. Sono passata solo per prendere l’omaggio destinato a te. È compreso nel servizio. Non c’è bisogno che mi ringrazi. Come ha reagito Vicks? Quando arrivo ai messaggi di ieri sera, rimango senza fiato. Vedendo quelle parole, mi pare di essere tornata lì. Non oso guardare Sam, né mostrare la minima emozione, perciò continuo a sfogliare con aria indifferente, leggendo solo qualche SMS qua e là. Qualcuno sa che stai messaggiando con me? Non credo. Almeno per ora. La mia nuova regola di vita: non attraversare da sola un bosco buio e spaventoso. Non sei sola.
Sono felice di aver trovato il tuo telefono. Anch’io. xoxoxoxoxoxoxoxoxoxoxo Non sei per niente vicino. Sì, invece. Sto arrivando. E all’improvviso sento un groppo in gola. Basta. Piantala. Sbatto gli ultimi fogli sul mucchio e alzo lo sguardo con un sorriso allegro. «Wow!» «Sì, insomma, dicevo» riprende Ted alzando le spalle «che non sapevamo che cosa fare con quelli.» «Ci pensiamo noi» dice Sam. «Grazie, Ted.» Sembra impassibile. Non saprei proprio dire se abbia provato qualcosa leggendo quegli SMS. «Allora, adesso possiamo fare quel che vogliamo con il telefono?» domanda Ted. «Non c’è problema.» Sam annuisce. «Ciao, Ted.» Quando Ted esce dalla stanza, Sam torna alla macchina del Nespresso e si mette di nuovo al lavoro. «Dài, permettimi di prepararti un caffè. Adesso ho capito come si fa.» «Ma no, davvero, sto bene così» comincio, ma il beccuccio attacca a spruzzare latte caldo facendo un tale baccano che non ha senso tentare di parlare. «Ecco qui.» Mi porge una tazza. «Grazie.» «Allora... li vuoi tu?» Indica la pila di fogli. Un brivido caldo mi percorre tutto il corpo e, per guadagnare tempo, bevo un sorso di caffè. Il cellulare è andato. Queste pagine stampate sono l’unica testimonianza di quel momento strano e meraviglioso. Certo che le voglio. Chissà perché, però, non riesco ad ammetterlo davanti a Sam. «Per me è uguale.» Cerco di assumere un tono noncurante. «Li vuoi tu?» Sam non dice nulla, si limita ad alzare le spalle. «Cioè, non è che mi servano...» esito. «No.» Scuote la testa. «Sono tutte cose abbastanza irrilevanti...» Sul suo telefono arriva un SMS e lui lo prende dalla tasca. Osserva il display e si incupisce. «Oh, no. Maledizione. Ci mancava solo questa.» «Che succede?» dico allarmata. «Riguarda i messaggi vocali?» «No, non quelli.» Mi guarda con un’espressione cupa. «Cosa accidenti hai scritto a Willow?» «Come?» Lo fisso confusa. «È sul piede di guerra per via di una mail che le hai mandato. Ma perché cavolo le hai scritto?» «Non le ho scritto niente!» Lo guardo perplessa. «Non le scriverei mai una mail! Non la conosco nemmeno!»
«Be’, lei dice tutt’altro...» Si interrompe quando gli arriva un secondo messaggio. «Okay. Eccoci qua... La riconosci?» Mi passa il cellulare e io comincio a leggere. Strega Willow, vuoi LASCIARE IN PACE SAM una volta per tutte e SMETTERLA DI SCRIVERE CON TUTTE QUELLE ODIOSE MAIUSCOLE? Giusto per tua informazione: non stai più con lui. Quindi che te ne frega di quel che stava facendo ieri sera con quella “smorfiosetta”? Perché non ti trovi qualcos’altro da fare nella vita????? Mi sento raggelare. Okay. Forse ho scritto qualcosa di simile prima, in metropolitana, mentre stavo venendo in ufficio da Sam. Ero solo irritata dall’ennesima sfuriata di Willow. Mi sono sfogata un po’. Ma non l’ho mandata. Cioè, ovvio che non l’ho mandata. Non l’avrei mai, mai mandata... Oddio... «Io... ehm...» Quando finalmente alzo la testa, ho la bocca un po’ asciutta. «Può essere che l’abbia scritto per scherzo, e che abbia accidentalmente schiacciato “invia”. È stato solo un errore. Cioè, non intendevo farlo» aggiungo, perché sia chiaro. «Non l’avrei mai fatto apposta.» Riguardo le parole e immagino Willow che le legge. Dev’essere andata su tutte le furie. Mi spiace quasi di non aver assistito alla scena. Mi scappa da ridere, immaginandola con gli occhi strabuzzati, le narici dilatate e il fuoco che le esce dalla bocca... 95 «Ti sembra divertente?» mi chiede seccato. «Be’, no» rispondo, turbata dal tono della sua voce. «Voglio dire, mi dispiace moltissimo. Ovviamente. Ma è stato un semplice errore...» «E allora, che cosa cambia?» Mi strappa il cellulare di mano. «È una gran rottura di scatole e non mi ci voleva proprio...» «Scusa un attimo!» Alzo una mano. «Non capisco. Perché dici che non ti ci voleva? Perché pensi che sia un problema tuo? Sono stata io a mandare la mail, non tu.» «Credimi.» Mi lancia uno sguardo feroce. «Alla fine diventerà un problema mio.» No, non ha proprio senso. Perché diventerà un problema suo? E perché è così arrabbiato? Lo so che non avrei dovuto inviare quella mail, ma neppure Willow avrebbe dovuto scrivergli quella sfilza di menate assurde. Perché sta dalla sua parte? «Senti.» Cerco di mantenere un tono calmo. «Le scrivo una mail di scuse, ma secondo me hai avuto una reazione esagerata. Non è più la tua ragazza. Quindi tu non c’entri niente.» Non mi sta neppure guardando in faccia. Sta scrivendo sul cellulare. A Willow? «Sei ancora legato a lei, vero?» La verità mi colpisce come un pugno nello stomaco. Perché non me ne ero resa conto prima? «Sei ancora legato a lei.» «Ma va’.» Aggrotta la fronte, spazientito.
«Sì, invece! Se non fosse così, questa mail non ti farebbe né caldo né freddo. Penseresti che se l’è meritata. Saresti divertito. Staresti dalla mia parte.» Mi trema la voce e ho l’orribile sensazione di arrossire. Sam sembra sconcertato. «Poppy, perché sei così sconvolta?» «Perché... perché...» Mi blocco ansimando. Per motivi che non potrei mai dirgli. Motivi che non riesco neppure a confessare a me stessa. Mi si rivolta lo stomaco per l’umiliazione. Chi credevo di prendere in giro? «Perché... non sei stato sincero!» Finalmente le parole mi escono di bocca. «Mi hai raccontato un mucchio di frottole, dicendo che fra te e Willow era finita e che lei avrebbe dovuto capirlo. Come fa a capire, se reagisci in questa maniera? Ti comporti come se contasse ancora molto per te e sentissi di doverle qualcosa. E questo mi dice che sei ancora legato a lei.» «Questa è una stronzata colossale.» È livido di rabbia. «Allora perché non dirle di smetterla di infastidirti? Perché non farla finita una volta per tutte? Ma forse, in realtà, tu non vuoi farla finita, eh, Sam?» Alzo la voce per l’agitazione. «Questo rapporto balordo a distanza ti piace?» Ora anche Sam respira affannosamente. «Non hai nessun diritto di fare commenti su una cosa di cui non capisci nulla...» «Ah, scusami!» Faccio una risatina sarcastica. «Hai ragione. Infatti, non ci capisco proprio niente. Magari vi rimettete insieme, e spero che sarete molto felici.» «Poppy, per l’amor di Dio...» «Cosa?» Poso bruscamente la tazza, sbattendola sul tavolo e rovesciando un po’ di caffè sui fogli con la nostra corrispondenza. «Oh, adesso li ho rovinati. Mi dispiace. Ma immagino che non dicano niente di importante, quindi non è grave.» «Eh?» Sam sembra avere qualche difficoltà a seguirmi. «Poppy, non possiamo sederci con calma e... ricominciare da capo?» Non penso di riuscire a calmarmi. Mi sento volubile e fuori controllo. Tutte le emozioni più oscure e profonde stanno venendo a galla. Non avevo confessato del tutto neppure a me stessa le mie speranze. Non mi ero resa conto di aver dato per scontate così tante cose... Be’, comunque mi sono illusa come una scema e adesso me ne devo andare il più presto possibile da qui. «Scusa.» Faccio un respiro profondo e, non so come, riesco a sorridere. «Scusa. Sono solo un po’ stressata per via del matrimonio eccetera. Va tutto bene. Senti, grazie per avermi prestato il cellulare. È stato bello conoscerti e ti auguro tanta felicità. Con o senza Willow.» Afferro la borsa con le mani che mi tremano ancora. «Allora, ehm... Spero che vada tutto bene con Sir Nicholas, cercherò notizie sui giornali... Non ti preoccupare, me la caverò...» Non riesco quasi a guardarlo negli occhi mentre mi dirigo alla porta. Sam sembra profondamente sconcertato. «Poppy, non andartene via così. Ti prego.»
«Non sto andando via in nessun modo particolare!» dico allegramente. «Sul serio. Ho da fare. Devo mandare a monte un matrimonio, procurare un leggero infarto a un po’ di gente...» «Aspetta. Poppy.» La voce di Sam mi fa fermare, e mi giro. «Volevo solo dirti... grazie.» I suoi occhi scuri incrociano i miei e, per un attimo, riescono a trapassare la mia barriera difensiva coperta di spine. «Anch’io.» Annuisco, con un nodo in gola. «Grazie.» Alzo una mano per fargli un ultimo saluto e mi allontano lungo il corridoio. Tieni la testa alta. Non ti fermare. Non guardarti indietro. Quando arrivo in strada, ho il viso leggermente bagnato di lacrime e nella mia mente ribollono pensieri inquieti e furenti, anche se non so bene con chi sono più arrabbiata. Forse con me stessa. C’è solo una cosa in grado di tirarmi su di morale. Nel giro di mezz’ora entro in un negozio di telefonia, stipulo il contratto più caro che mi propongono, e ora possiedo un super smartphone di ultima generazione. Sam ha detto “senza limiti di prezzo”: be’, io l’ho preso in parola. E adesso lo devo battezzare. Esco dal negozio e trovo un punto lontano dal rumore dal traffico. Compongo il numero di Magnus e, sentendo scattare subito la segreteria telefonica, annuisco soddisfatta. Proprio quel che volevo. «Okay, piccolo pezzo di merda.» Riverso nell’ultima parola più veleno possibile. «Ho parlato con Lucinda. So tutto. So che sei andato a letto con lei, so che le hai chiesto di sposarti, so che questo anello è stato dato a destra e a manca, so che sei un bugiardo schifoso e, tanto perché tu lo sappia... il matrimonio è annullato. Mi hai sentito bene? Annullato. Quindi, spero che troverai un’altra buona occasione per sfruttare al meglio il tuo gilet. E la tua vita. Ci vediamo, Magnus. Anzi, no.» Ci sono momenti particolari per cui è stato inventato il gelato Magnum al cioccolato bianco, e questo è uno di quelli.96 Non me la sento di fare le telefonate adesso. Non ce la faccio ad avvisare il prete, i miei fratelli e le mie amiche. Sono troppo depressa. Prima devo raccogliere le energie. Così, quando arrivo a casa, ho già un piano. Stasera: guardare film consolatori in DVD, mangiare Magnum, piangere tanto. Maschera per i capelli.97 Domani: annunciare al mondo che il matrimonio è annullato, affrontare le conseguenze, guardare Annalise mentre cerca di non esultare eccetera eccetera. Ho mandato il mio nuovo numero di cellulare a tutti quelli che conosco, e sono già arrivati degli SMS di risposta, ma non ho ancora parlato con nessuno del matrimonio. Posso aspettare fino a domani. Ovviamente, non voglio vedere niente che abbia a che fare con matrimoni o simili,98 così alla fine ripiego sui cartoni animati, che si rivelano i più strappalacrime di tutta la collezione. Guardo Toy Story 3,99 Up,100 e intorno a mezzanotte sono alle prese con Alla ricerca di Nemo. Sono raggomitolata sul divano con il mio pigiama antidiluviano e la mia copertina di pelliccia, il vino
bianco a portata di mano, i capelli unti di maschera rigenerante e gli occhi più gonfi dell’universo. Questo film mi fa piangere sempre, ma stavolta sono già devastata prima ancora che Nemo sparisca.101 Mi sto chiedendo se non sia il caso di cercare qualcosa di meno violento e brutale, quando sento suonare il citofono. Strano. Non aspetto nessuno. A meno che... Toby e Tom sono arrivati con due giorni di anticipo? Sarebbe proprio da loro presentarsi a mezzanotte, dopo un viaggio in economia su qualche pullman. Grazie alla posizione strategica del divano, non devo neppure alzarmi per aprire, perciò prendo il citofono, metto in pausa il film e chiedo incerta: «Chi è?». «Sono Magnus.» Magnus? Mi alzo a sedere sul divano come se avessi preso la scossa. Magnus. Qui. Sotto casa. Ha sentito il messaggio? «Ciao.» Deglutisco, cercando di ricompormi. «Pensavo che fossi a Bruges.» «Sono tornato.» «Già. Allora perché non hai usato la tua chiave?» «Pensavo che avessi cambiato la serratura.» «Ah.» Mi scosto un ricciolo dagli occhi gonfi di lacrime. Quindi ha sentito il messaggio. «Be’... no, non l’ho cambiata.» «Posso salire, allora?» «Immagino di sì.» Metto giù il citofono e mi guardo intorno. Merda. Questa stanza è un porcile. Per un attimo vado nel panico e sento il bisogno impellente di balzare in piedi, eliminare gli involucri dei Magnum, sciacquarmi i capelli, sbattere i cuscini, truccarmi gli occhi e trovare una mise attraente. Annalise farebbe così. E forse è proprio questo a bloccarmi. Chi se ne frega se ho gli occhi gonfi e la maschera sui capelli? Non sposerò quest’uomo, quindi il mio aspetto è irrilevante. 102 Sento la chiave girare nella toppa e faccio ripartire Alla ricerca di Nemo con aria di sfida. Non metterò in pausa la mia vita per lui. L’ho già fatto abbastanza. Alzo leggermente il volume e aggiungo un po’ di vino nel bicchiere. Non gliene offrirò, quindi è meglio che non se lo aspetti. E non gli darò neppure un Magnum. 103 La porta cigola alla solita maniera, e io so che lui è nella stanza, ma tengo lo sguardo fisso sullo schermo. «Ciao.» «Ciao.» Alzo le spalle con noncuranza. Con la coda dell’occhio vedo Magnus sospirare. Sembra un pochino nervoso. «Dunque.» «Dunque.» Sono capace anch’io di fare questo giochetto. «Poppy.»
«Poppy. Cioè, Magnus.» Mi incupisco. Mi ha scoperto. Alzo gli occhi per errore, e lui corre subito ad afferrarmi le mani, come ha fatto la prima volta che ci siamo incontrati. «Piantala!» Le tiro subito indietro, praticamente ringhiando. «Non te lo permetto.» «Scusa!» Alza le mani di scatto come se gliele avessi scottate. «Non so chi tu sia.» Guardo avvilita Nemo e Dory. «Mi hai mentito su tutto. Non posso sposare un bugiardo traditore. Quindi fai prima ad andartene. Non so neppure che cosa sei venuto a fare qui.» Magnus fa un altro enorme sospiro. «Poppy... Okay. Ho commesso un errore. Mi arrendo. Lo ammetto.» «Un “errore”?» gli faccio eco, sarcastica. «Sì, un errore! Non sono perfetto, va bene?» Si passa le dita fra i capelli in un gesto di frustrazione. «È questo che ti aspetti da un uomo? La perfezione? Vuoi un uomo perfetto? Perché, credimi, non esiste. E se è per questo che mandi a monte il matrimonio, solo perché ho commesso un semplice errore...» Alza le mani, con gli occhi che riflettono la luce colorata dello schermo. «Sono umano, Poppy. Sono un essere umano pieno di difetti e imperfezioni.» «Io non voglio un uomo senza difetti» taglio corto. «Voglio un uomo che non vada a letto con la mia wedding planner.» «Purtroppo non possiamo scegliere i nostri difetti. E io ho avuto modo di pentirmi ripetutamente della mia debolezza.» Come fa a tenere quell’atteggiamento nobile, quasi fosse lui la vittima? «Oh, poverino.» Alzo di nuovo il volume del film, ma, con mia sorpresa Magnus prende il telecomando e spegne la tivù. All’improvviso cala il silenzio e lo guardo sbattendo le palpebre. «Poppy, non puoi fare sul serio. Non è possibile che tu voglia mandare tutto a monte solo per un minuscolo...» «Non è solo per quello.» Sento una vecchia ferita bruciarmi nel petto. «Non mi avevi mai parlato di tutte le altre fidanzate. Non mi avevi mai detto di aver fatto la proposta di matrimonio anche a Lucinda. Pensavo che quell’anello fosse speciale. A proposito, adesso ce l’ha tua madre.» «Ho chiesto ad altre ragazze di sposarmi» dice lentamente. «Ma adesso non capisco proprio perché.» «Perché le amavi?» «No» risponde lui con improvvisa veemenza. «Non le amavo. Ero fuori di testa. Poppy, tu e io... noi due siamo diversi. Potremmo farcela. Lo so. Dobbiamo solo riuscire a superare il matrimonio...» «Superare?» «No, non volevo dire quello.» Sospira con impazienza. «Senti, ti prego, Poppy. È tutto pronto. Tutto organizzato. L’episodio con Lucinda non c’entra niente, quel che conta siamo solo io e te. Possiamo farlo. Io voglio farlo. Voglio farlo veramente.» Lo guardo, stupita da tanto fervore. «Magnus...»
«Questo ti farà cambiare idea?» Con mia enorme sorpresa, si lascia cadere in ginocchio accanto al divano e si infila una mano in tasca. Rimango a fissarlo completamente senza parole mentre apre una scatolina per gioielli. Dentro c’è un anello di fili d’oro intrecciati con un piccolo diamante incastonato. «Ma da dove... spunta quello?» Non riesco quasi a parlare. «L’ho comprato per te a Bruges.» Si schiarisce la gola, come se fosse imbarazzato. «Stavo passeggiando per le vie della città. L’ho visto in una vetrina e ho pensato a te.» Non ci posso credere. Magnus ha comprato un anello. Solo per me. Mi pare di risentire la voce di Wanda mentre dice: “Quando vorrà davvero impegnarsi con una donna, troverà un anello da solo. Lo sceglierà con cura. Ci penserà su”. Eppure non riesco a lasciarmi andare. «Perché hai scelto proprio questo anello?» lo metto alla prova. «Perché dici che ti ha fatto pensare a me?» «I fili d’oro.» Fa un sorriso timido. «Mi ricordavano i tuoi capelli. Non il colore, naturalmente» si corregge in fretta. «La lucentezza.» Però, bella risposta. Abbastanza romantica. Alzo gli occhi, e lui mi fa un sorrisino speranzoso. Oddio. Quando ha quell’aria da cucciolo così dolce è quasi irresistibile. I pensieri continuano a girarmi vorticosamente in testa. Dunque ha commesso un errore. Un errore molto, molto grosso. Voglio davvero gettare tutto via per questo? Io sono così perfetta? Diciamocelo, ventiquattr’ore fa ero fra le braccia di un altro uomo in un bosco. Pensare a Sam mi procura una leggera stretta al cuore, e mi riporto subito all’ordine. Smettila. Non pensarci. Mi sono lasciata coinvolgere dalla situazione, tutto qui. Forse anche a Magnus è successa la stessa cosa. «A cosa stai pensando?» Magnus mi sta guardando intensamente. «Mi piace moltissimo» bisbiglio. «È stupendo.» «Infatti.» Annuisce. «È delizioso. Come te. E desidero che tu lo porti. Allora, Poppy...» Posa la sua mano calda sulla mia. «Dolce Poppy... vuoi...?» «Oddio, Magnus» dico impotente. «Non lo so...» Sul mio smartphone ci sono dei nuovi messaggi e li leggo, tanto per guadagnare un po’ di tempo. È appena arrivata una mail da
[email protected]. Il mio cuore manca un battito. Questo pomeriggio ho mandato a Sam una mail con il mio nuovo numero, tanto perché ce l’avesse, e all’ultimo momento ho aggiunto: “Scusa per oggi” con un paio di baci. Così, per rasserenare un po’ l’atmosfera. Adesso mi risponde. A mezzanotte. Che cos’avrà da dirmi? Apro il messaggio con le mani tremanti, facendo le ipotesi più strampalate. «Poppy?» Magnus sembra un po’ offeso. «Tesoro? Possiamo concentrarci su noi due?» Sam è felicissimo di aver ricevuto la sua mail. La contatterà al più presto. Nel frattempo, grazie per l’interessamento. Leggo quelle parole avvertendo una fitta di umiliazione. La mail di rimbalzo. Mi ha fatto mandare la mail di rimbalzo dalla sua assistente.
D’un tratto, ricordo quella volta al ristorante: “Ce l’avrai anche tu, una mail di rimbalzo... Torna utile anche per respingere avance indesiderate”. Be’, più chiaro di così non potrebbe essere, no? E adesso sento qualcosa di più di una leggera stretta al petto... Questo è un dolore vero, lancinante. Sono stata così stupida. Che cosa mi ero messa in testa? Almeno Magnus non si era illuso che fra lui e Lucinda ci fosse stato qualcosa di più che un’avventura passeggera. In un certo senso, è stato più fedele di me. Cioè, se Magnus sapesse la metà di quel che è successo negli ultimi giorni... «Poppy?» Magnus mi sta guardando. «Cattive notizie?» «No.» Getto il telefonino sul divano e, non so come, riesco a sfoderare un sorriso smagliante. «Hai ragione. Capita a tutti di commettere stupidi errori. Di lasciarsi trascinare dagli eventi. Di essere distratti da cose... irreali. Ma quel che conta è...» Comincio a essere a corto di parole. «Sì?» mi incoraggia Magnus con gentilezza. «Quel che conta... è che mi hai comprato un anello. Da solo.» Mentre pronuncio queste parole, i miei pensieri sembrano riorganizzarsi e consolidarsi. Tutte le mie illusioni svaniscono. Questa è la realtà, ce l’ho davanti agli occhi. Adesso so che cosa voglio. Prendo l’anello dalla scatolina e lo osservo per un attimo, sentendo il sangue pulsare forte nella testa. «L’hai scelto per me. E io lo adoro. E, Magnus... Sì.» Lo guardo negli occhi, d’un tratto indifferente a Sam, desiderosa di dare una svolta alla mia vita, di andare via da qui, verso qualcosa di nuovo. «Sì?» Mi guarda come se non fosse sicuro di aver udito bene. «Sì.» Annuisco. Magnus mi prende l’anello in silenzio. Mi solleva la mano sinistra e me lo infila all’anulare. Non ci posso credere. Sto per sposarmi. 95 Licenza poetica. 96 Neppure il fatto che il nome del gelato mi ricordi la persona che voglio dimenticare mi ferma. 97 Tanto vale continuare a seguire il programma. 98 Il che esclude in partenza la maggior parte dei miei DVD, a quanto pare. 99 Strappacuore. 100 Ancora più strappacuore. 101 Ma che razza di film comincia con una mamma pesce e tutte le sue belle uova luccicanti che vengono mangiate da uno squalo? Dovrebbe essere una storia per bambini. 102 N.B. Non dovrebbe essere comunque irrilevante? 103 Perché me li sono mangiati tutti.
16 Magnus non è superstizioso. È tale e quale a suo padre. Perciò, anche se oggi è il giorno delle nozze – anche se lo sanno tutti che porta sfortuna –, ieri sera è rimasto a dormire da me. Quando gli ho chiesto di andare a casa dei suoi, si è immusonito dicendo di non essere così ridicola, e poi che senso aveva portare via tutta la sua roba per una notte sola? Ha aggiunto che le persone che credono a cose del genere sono... A quel punto si è bloccato. Ma io so che stava per dire “deboli di pensiero”. Meno male che si è trattenuto, perché altrimenti ci sarebbe stato un litigio colossale. Sono già abbastanza indispettita con lui. Non è il massimo, il giorno delle nozze. Dovrei essere al settimo cielo. Non sporgere la testa dalla cucina ogni cinque minuti per dire: “E un’altra cosa che fai sempre...”. Ora so esattamente perché hanno introdotto l’usanza di rimanere separati la notte prima del matrimonio. L’amore, il sesso, la castità e compagnia bella non c’entrano niente. Questa usanza esiste solo per evitare di litigare e di andare all’altare pestando i piedi, inviperite con lo sposo, progettando di spiattellargli in faccia tutte le verità domestiche una volta tolte di mezzo le nozze. Volevo farlo dormire in salotto, ma c’erano già Toby e Tom con i loro sacchi a pelo.104 Almeno gli ho fatto promettere di andarsene prima che mi metta l’abito da sposa. Insomma, c’è un limite a tutto. Mentre mi verso una tazza di caffè, lo sento declamare in bagno e ho un ennesimo sussulto di irritazione. Si sta esercitando a pronunciare il discorso. Qui. In casa. Non dovrebbe essere una sorpresa? Non sa proprio niente di matrimoni? Mi avvicino alla porta del bagno, pronta a fargli una sfuriata, poi mi fermo. Tanto vale che ne ascolti un pezzetto. La porta è leggermente socchiusa e, sbirciando all’interno, lo vedo parlare da solo davanti allo specchio, in vestaglia. Noto con sorpresa che è piuttosto agitato. Ha le guance arrossate e il fiatone. Forse si sta calando nella parte. Forse farà un discorso molto appassionato su come io abbia dato un senso alla sua vita, e tutti si metteranno a piangere. «Tutti dicevano che non mi sarei mai sposato. Che non ce l’avrei mai fatta.» Magnus fa una lunga pausa. Mi chiedo se non si sia perso per strada. «Be’, guardatemi. Sono qui, visto? Sono qui.» Beve un sorso di qualcosa che assomiglia a un gin tonic e si guarda allo specchio con aria bellicosa. «Eccomi qui. Sposato, visto? Sposato.» Lo guardo dubbiosa. C’è qualcosa che non va nel suo discorso, anche se non so bene che cosa. C’è qualche piccolo dettaglio che stride, pare sbagliato... fuori luogo... Ci sono. Non sembra felice. Perché non sembra felice? È il giorno del suo matrimonio.
«L’ho fatto.» Alza il bicchiere verso lo specchio con espressione torva. «Dunque, voi che dicevate che non ne sarei stato capace, potete andarvene tutti affanculo.» «Magnus!» non posso fare a meno di esclamare, scioccata. «Non puoi dire una cosa del genere nel discorso nuziale!» Magnus sobbalza e, quando si gira, tutta la sua aria bellicosa svanisce all’istante. «Poppy! Tesoro! Non sapevo che mi stessi ascoltando.» «Questo è il tuo discorso?» domando. «No! Non esattamente.» Beve un lungo sorso. «È un work in progress.» «Be’, non l’hai ancora scritto?» Do un’occhiata al suo bicchiere. «È un gin tonic?» «Credo che mi sia concesso un gin tonic il giorno del mio matrimonio, no?» L’aria bellicosa sta tornando. Cos’ha che non va? Se fossi in una di quelle serie televisive americane ambientate in lucide cucine di lusso, adesso andrei da lui, gli poserei una mano sul braccio e gli direi teneramente: “Sarà un giorno meraviglioso, amore”. Allora la sua espressione si raddolcirebbe e lui direbbe: “Lo so”. A quel punto ci baceremmo e, grazie al mio fascino e alla mia amorevolezza, la tensione si allenterebbe. Ma non sono in vena. Anch’io so essere bellicosa, se voglio. «Bravo.» Mi rabbuio. «Allora sbronzati. Ottima idea.» «Non mi sbronzo, Dio santo. Ma dovevo prendere qualcosa per alleviare un po’ la...» Si blocca di colpo, e io lo guardo scioccata. Che cosa stava per dire? La tortura? La sofferenza? Mi sa che gli sono venute in mente le stesse parole, perché si affretta a concludere: «... l’emozione. Devo alleviare un po’ l’emozione, sennò sarò troppo su di giri per concentrarmi. Tesoro, sei bellissima. Che pettinatura stupenda. Sei favolosa». Il suo solito charme accattivante è tornato in tutto il suo splendore, come il sole che spunta da dietro una nuvola. «Non mi sono ancora pettinata» dico con un sorriso forzato. «Il parrucchiere sta arrivando.» «Be’, non permettergli di rovinarti i capelli.» Raccoglie le punte e le bacia. «Adesso mi tolgo subito dai piedi. Ci vediamo in chiesa!» «Okay.» Lo guardo allontanarsi, un po’ inquieta. Rimango così per tutta la mattinata. Non è che sia proprio preoccupata. Più che altro, non so se dovrei esserlo. Cioè, consideriamo i fatti. Prima Magnus è tutto premuroso e mi implora di sposarlo, poi, di punto in bianco, è un fascio di nervi, come se lo stessi costringendo con un fucile puntato addosso. È solo un attacco di fifa? Gli uomini si sentono sempre così il giorno delle nozze? Devo tollerarlo come un normale comportamento maschile, come quella volta che gli era venuto il raffreddore e aveva cercato su Google “sintomi del cancro al naso, naso che cola”?105 Se papà fosse ancora vivo, potrei chiederlo a lui.
Ma non posso davvero indugiare su pensieri come questi, non oggi, altrimenti sarò a pezzi. Sbatto forte le ciglia e mi sfrego il naso con un fazzoletto di carta. Forza, Poppy, stai allegra. Smettila di inventarti problemi inesistenti. Sto per sposarmi! Appena arriva il parrucchiere, Toby e Tom sbucano dai loro bozzoli e si preparano il tè in due tazze gigantesche che si sono portati da casa.106 Si mettono subito a chiacchierare con il parrucchiere e a provarsi i bigodini, facendomi morire dal ridere, e per la milionesima volta mi ritrovo a rimpiangere di non vederli più spesso. Poi si dileguano per andare a fare colazione al bar, Ruby e Annalise arrivano con due ore di anticipo perché non stavano più nella pelle, il parrucchiere annuncia di essere pronto a cominciare, e mia zia Trudy chiama per dire che sono già quasi arrivati, che ha i collant smagliati e se conosco un posto dove può andare a comprarsene un altro paio. 107 Poi entriamo nel turbinio del phon, dello smalto alle unghie, del trucco, dell’acconciatura, della consegna dei fiori, della vestizione, della svestizione per andare al bagno, della consegna dei panini, del quasi disastro con lo spray autoabbronzante (in realtà era solo una macchia di caffè sul ginocchio di Annalise) e, all’improvviso, prima che me ne renda conto, sono le due, le auto sono arrivate e io mi ritrovo davanti allo specchio con l’abito e il velo. Tom e Toby sono al mio fianco, talmente belli nei loro tight che mi devo di nuovo asciugare le lacrime. Annalise e Ruby sono già andate in chiesa. Ci siamo. Sono i miei ultimi momenti da single. «Mamma e papà sarebbero stati molto fieri di te» dice Toby impacciato. «Che splendido vestito.» «Grazie.» Cerco di alzare le spalle con nonchalance. Immagino di avere un bell’aspetto, come ogni sposa. Indosso un abito lunghissimo e attillato, con una scollatura profonda sulla schiena e piccoli merletti sulle maniche. I capelli sono raccolti in uno chignon.108 Ho un velo sottilissimo, una cuffia ornata di perline e uno splendido mazzolino di gigli. Chissà come, però, c’è qualcosa che non va in me, come in Magnus stamattina... È l’espressione, mi rendo finalmente conto con sgomento. Non va bene. Ho gli occhi inquieti, la bocca scossa da continui spasmi, e non sono per niente radiosa. Cerco di mostrare i denti, sfoderando un ampio sorriso, ma ho un’aria mostruosa, come una specie di terrificante sposa clown. «Tutto bene?» Tom mi guarda incuriosito. «Bene!» Mi tiro giù il velo, cercando di coprirmi meglio il viso. Il fatto è che la mia espressione non conta. Tutti guarderanno lo strascico. «Ehi, sorella.» Toby guarda Tom come se cercasse la sua approvazione. «Tanto perché tu lo sappia, se per caso avessi cambiato idea per noi non c’è problema. Anzi, ti aiutiamo a scappare. Ne abbiamo parlato, vero, Tom?» «Treno delle 16.30 da St Pancras.» Tom annuisce. «Sei a Parigi per l’ora di cena.» «Scappare?» Lo guardo costernata. «In che senso? Perché vi è venuto in mente di organizzare una fuga? Magnus non vi è simpatico?»
«Ma no! Figurati! Mai detto niente di simile.» Toby alza le mani, sulla difensiva. «Abbiamo solo... lanciato l’idea. Così, per offrirti un’alternativa. Lo consideriamo un nostro dovere.» «Be’, non consideratelo un vostro dovere.» Mi esce una voce più acida di quel che vorrei. «Dobbiamo andare in chiesa.» «Mentre ero fuori, ho comprato i giornali» aggiunge Tom, porgendomene una pila. «Vuoi dargli un’occhiata in macchina?» «No!» salto su inorridita. «Certo che no! Altrimenti mi macchio il vestito di inchiostro!» Soltanto il mio fratellino più piccolo potrebbe suggerirmi di leggere il giornale in macchina mentre vado a sposarmi. Come se fosse una cosa talmente noiosa da richiedere un passatempo. Detto questo, mentre Toby fa un’ultima capatina in bagno non posso fare a meno di dare una scorsa veloce al “Guardian”. A pagina 5, sotto il titolo Scandalo scuote il mondo degli affari, c’è una foto di Sam, e, appena la vedo, ho una stretta al cuore. Meno forte di prima, però. Ne sono sicura. L’auto, una Rolls-Royce nera, fa una scena incredibile nell’insignificante via di Balham in cui abito, e una piccola folla di vicini si è radunata per vedermi scendere. Faccio una giravolta e, quando salgo in macchina, tutti battono le mani. Partiamo, e io mi sento una vera sposa felice e radiosa. Solo che non devo essere poi così radiosa, perché mentre percorriamo Buckingham Palace Road Tom si sporge verso di me e mi dice: «Poppy? Che cosa c’è, soffri di mal d’auto?». «Eh?» «Sembra che tu stia male.» «No, non sto male.» Gli lancio un’occhiataccia. «Invece sì» ribatte Toby, guardandomi dubbioso. «Sei tipo... verde.» «Già, verde.» Tom si illumina. «Sì, è quel che volevo dire io. Come se stessi per vomitare. Stai per vomitare?» È tipico dei fratelli. Perché non ho delle sorelle? Adesso mi direbbero che sono bellissima e mi presterebbero il loro fard. «No, non sto per vomitare! E comunque non importa.» Mi giro dall’altra parte. «Nessuno mi vedrà sotto il velo.» Il mio smartphone suona e lo tiro fuori dalla pochette da sposa. È un SMS di Annalise: Non passate per Park Lane! Incidente! Siamo imbottigliati! «Scusi.» Mi sporgo verso l’autista. «C’è un incidente a Park Lane.» «Ah, sì, ha ragione» conferma lui. «Allora facciamo un’altra strada.» Mentre svoltiamo in una via laterale, mi accorgo che Tom e Toby si stanno scambiando delle occhiate. «Cosa c’è?» domando alla fine. «Niente» risponde Toby in tono rassicurante. «Appoggiati tranquilla allo schienale e rilassati. Vuoi che ti racconti delle barzellette per distrarti un po’?» «No, grazie.»
Guardo fuori dal finestrino e vedo le strade scorrermi accanto una dopo l’altra. E all’improvviso, prima che io mi senta abbastanza pronta, siamo arrivati. Quando scendiamo dall’auto le campane della chiesa suonano con rintocchi scanditi e ritmici. Una coppia di ospiti ritardatari che non riconosco corre su per le gradinate, la donna si tiene il cappello con la mano. Mi sorridono e io ricambio con un timido cenno del capo. Sta succedendo davvero. Lo sto facendo veramente. È il giorno più felice della mia vita. Dovrei fissare nella mente ogni singolo istante. Soprattutto la mia felicità. Tom mi scruta attentamente e fa una smorfia. «Pops, hai una faccia tremenda. Vado a dire al parroco che stai male.» Mi supera deciso e va dritto verso la chiesa. «No, fermati! Non sto male!» grido furente, ma è troppo tardi. È partito in missione. E infatti, pochi istanti dopo, il reverendo Fox sta uscendo di corsa dalla chiesa con un’espressione allarmata. «Oh, poveri noi, tuo fratello ha ragione» dice, appena mi vede. «Non hai una bella cera.» «Sto bene!» «Perché non ti concedi qualche minuto per stare un po’ da sola e riprenderti, prima che cominci la cerimonia?» Mi accompagna in una stanzetta laterale. «Siediti un attimo, bevi un bicchiere d’acqua, vuoi un biscotto, magari? Ce ne sono nell’atrio della chiesa. Tanto dobbiamo aspettare le damigelle. Sono rimaste imbottigliate nel traffico, immagino...» «Vado a vedere se arrivano» dice Tom. «Non saranno lontane.» «Io vado a prendere i biscotti» interviene Toby. «Tutto bene, sorellina?» «Tutto bene.» Escono tutti, e io rimango sola nella stanza silenziosa. Su uno scaffale c’è uno specchietto: mi guardo e faccio una smorfia. È vero che sembro malata. Cosa c’è che non va in me? Il mio smartphone suona e sobbalzo per la sorpresa. È un messaggio della signora Randall. 6-4, 6-2. Grazie, Poppy! Ce l’ha fatta! È tornata a giocare a tennis! È la notizia più bella che ho ricevuto oggi. All’improvviso, vorrei essere al lavoro, lontano da qui, impegnata a curare una persona, a fare qualcosa di utile... No. Smettila. Non essere stupida, Poppy. Come fai a desiderare di lavorare il giorno del tuo matrimonio? Devo essere una specie di mostro. Sono l’unica sposa al mondo che preferirebbe essere al lavoro. Non c’è nessuna rivista specializzata in matrimoni che pubblichi articoli su come sembrare radiose, e non sul punto di vomitare. Mi è appena arrivato un altro SMS, stavolta da Annalise. Finalmente!!!! Ci stiamo muovendo! Tu sei già arrivata? Okay. Concentriamoci sul qui e ora. Il semplice gesto di rispondere mi rilassa un po’.
Appena arrivata. Un attimo dopo lei risponde: Argh! Facciamo più in fretta che possiamo. Comunque, tu dovresti essere in ritardo. Porta fortuna. Hai ancora addosso la giarrettiera blu? Annalise ci teneva così tanto che indossassi una giarrettiera blu da portarmene tre diverse stamattina. Scusate, ma a cosa servono le giarrettiere? A essere sincera, farei volentieri a meno di questo elastico stretto che mi blocca la circolazione, ma le ho promesso di metterla. Certo! Anche se probabilmente mi cadrà la gamba. Una bella sorpresa per Magnus la prima notte di nozze. Mando l’SMS con il sorriso sulle labbra. Questo scambio di messaggi stupidi mi sta tirando su di morale. Metto giù lo smartphone, bevo un sorso d’acqua e faccio un respiro profondo. Okay. Mi sento meglio. Il telefono segnala l’arrivo di un altro messaggio, e lo riprendo per vedere cosa mi ha risposto Annalise... Ma è di Sam. Per qualche istante non riesco a muovermi. Sento subito un nodo allo stomaco, come un’adolescente. Oddio. Sono patetica. Che vergogna. Vedo la parola “Sam” e vado in pezzi. Una parte di me vorrebbe ignorare il messaggio. Cosa me ne frega di quel che ha da dirmi? Perché dovrei dedicare un millimetro di spazio mentale a lui il giorno delle nozze con tutte le cose a cui devo pensare? Ma so che non riuscirei mai ad arrivare fino in fondo al matrimonio con un messaggio non letto che brucia nel mio smartphone. Lo apro, cercando di mantenermi il più calma possibile, a parte il fatto che ho le dita quasi paralizzate, e mi accorgo che è in tipico stile Sam, di una parola sola: Ciao. Ciao? Che cavolo dovrebbe significare, per l’amor di Dio? Be’, non mi va di essere sgarbata. Lo ricambio con una risposta ugualmente espansiva: Ciao. Un attimo dopo arriva un altro messaggio: È un buon momento? Cosa? Parla sul serio? O è una battuta sarcastica? O... Poi capisco. Ovvio. Pensa che abbia annullato il matrimonio. Non lo sa. Non ne ha idea. E all’improvviso vedo il messaggio sotto un’altra luce. Non vuole dire niente di particolare. Solo mandarmi un saluto. Deglutisco, cercando di farmi venire in mente qualcosa da scrivere. Chissà come, non sopporto l’idea di dirgli cosa sto facendo. Non subito. Non proprio. Allora sarò breve. Tu avevi ragione e io torto.
Fisso il messaggio perplessa. Avevo ragione su che cosa? Digito lentamente: In che senso? La risposta arriva quasi immediatamente: Su Willow. Tu avevi ragione e io torto. Mi spiace di aver reagito male. Non volevo darti ragione, anche se ce l’avevi. Le ho parlato. Che cosa le hai detto? Le ho detto che era finita, basta. Di smetterla di mandare mail, sennò l’avrei denunciata per stalking. No, non è possibile. Non ci posso credere. Come ha reagito? È rimasta abbastanza scioccata. Ci credo. Per un po’ c’è silenzio. Mi è arrivato un nuovo SMS di Annalise, ma non lo apro. Non voglio assolutamente spezzare il filo che mi lega a Sam. Stringo forte il cellulare, fissando il display, in attesa di vedere se mi manda un altro messaggio. Deve scrivermi ancora... Poi sento il bip. Non sarà un giorno facile per te. Oggi avrebbe dovuto esserci il matrimonio, no? Ho un vuoto allo stomaco. Che cosa gli rispondo? Che cosa? Sì. Be’, ti mando una cosa che ti tirerà su di morale. Tirarmi su di morale? Guardo il display perplessa, poi all’improvviso arriva un’immagine e scoppio a ridere per la sorpresa. È una foto di Sam dal dentista. Sorride a trentadue denti e ha un adesivo per bambini sul colletto, con un personaggio di un cartone animato e la scritta: “Sono stato un bravo paziente!”. L’ha fatto per me penso, prima di potermi trattenere. È andato dal dentista per me. No. Non dire sciocchezze. È andato per i suoi denti. Esito, poi scrivo: Hai ragione, mi hai tirato su di morale. Bravo. Era ora! Un attimo dopo, risponde: Hai un momento per un caffè? All’improvviso, mi accorgo con orrore di essere sul punto di piangere. Come può chiamarmi adesso per invitarmi a prendere un caffè? Come può non sapere che le cose sono cambiate? Che cosa pensava che facessi? Le mie dita sono rigide mentre scrivo nervosamente. Mi hai rimbalzato. Che cosa? Mi hai mandato la mail di rimbalzo. Io non mando mai mail, lo sai. Deve essere stata la mia assistente. È fin troppo efficiente. Non è stato lui?
Basta, non ce la faccio più. Adesso scoppio a piangere o a ridere istericamente o... boh, non so neanch’io. Nella mia testa era tutto risolto. Avevo messo ogni cosa al suo posto. Adesso sono di nuovo nel pallone. Lo smartphone segnala l’arrivo di un altro SMS di Sam: Non sarai mica offesa, vero? Chiudo gli occhi. Devo spiegarglielo. Ma spiegare cosa, e come... Alla fine, senza quasi aprire gli occhi, rispondo: Non capisci. Che cosa non capisco? Non riesco proprio a scriverlo. Semplicemente, non ce la faccio. Tendo invece il braccio più che posso, mi scatto una foto e poi osservo il risultato. Sì. C’è tutto: il velo, la cuffia, una parte di abito da sposa, un angolo di bouquet di gigli. Non ci possono essere dubbi su quel che sta succedendo. Seleziono “Sam cellulare” e poi premo “invia”. Fatto. L’immagine è nell’etere. Ora lo sa. Probabilmente non mi richiamerà mai più. È finita. È stato uno strano, breve incontro fra due persone e adesso si è concluso. Sospiro e mi lascio cadere su una sedia. Le campane hanno smesso di suonare e nella stanza è calato uno strano silenzio. Finché non ricominciano i bip. Frenetici e insistenti, come una sirena d’allarme. Prendo lo smartphone, scioccata, e li vedo in fila, un SMS dopo l’altro, tutti di Sam. No. No no no no. :( Non farlo. Non puoi. Fai sul serio? Poppy, perché? Mentre leggo i messaggi, ho il respiro corto e affannoso. Non avevo intenzione di affrontare questo discorso, ma adesso non ce la faccio più, devo rispondere. Che cosa vuoi che faccia, che me ne vada? Ci sono 200 persone che mi aspettano. La risposta di Sam arriva fulminea: Pensi che lui ti ami? Mi rigiro l’anello di fili d’oro al dito, cercando disperatamente di aprirmi un varco fra tutti i pensieri contraddittori che mi attraversano la mente. Magnus mi ama? Cioè... che cos’è l’amore? Nessuno lo sa esattamente. Nessuno è in grado di definirlo. Nessuno può spiegarlo. Ma il fatto che un uomo scelga un anello solo per te a Bruges dovrà pur essere un buon inizio, no? Sì. Sam doveva aspettarsi la mia risposta, perché ribatte immediatamente con tre messaggi di fila.
No. Ti
sbagli.
Fermati. Fermati. Fermati. No. No. Vorrei gridargli in faccia che non è giusto. Non mi può dire tutte queste cose. Non mi può sconvolgere la vita proprio ora. Secondo te che cosa dovrei fare??? Invio il messaggio proprio mentre si apre la porta. È il reverendo Fox, seguito da Toby, Tom, Annalise e Ruby, che parlano tutti insieme concitatamente. «Oh, mio Dio! Che traffico! Pensavo che non ce l’avremmo fatta ad arrivare...» «Sì, ma comunque non si poteva cominciare senza di voi, no? È come con gli aerei.» «Sì che si può. Una volta mi hanno scaricato i bagagli da un aereo che dovevo prendere, perché mi stavo provando un paio di jeans e non avevo sentito le chiamate per l’imbarco...» «C’è uno specchio? Devo rimettermi il lucidalabbra...» «Poppy, ti abbiamo portato dei biscotti...» «Non vuole i biscotti! Deve essere magra per il grande momento!» Annalise si precipita da me. «Che cos’è successo al velo? È tutto stropicciato. E hai il vestito storto. Fammi...» «Tutto bene, signorina?» Mentre Annalise mi sistema lo strascico, Ruby mi abbraccia. «Pronta?» «Credo...» Mi gira la testa. «Credo di sì.» «Hai un aspetto fantastico.» Toby sta sgranocchiando un biscotto. «Molto meglio di prima. Ehi, Felix voleva farti un salutino. Non ti dispiace, vero?» «Ma no, certo.» Mi sento impotente, lì in piedi, con tutti che mi girano intorno. Non riesco neppure a muovermi perché Annalise mi sta ancora aggiustando lo strascico. Il mio smartphone suona, e il reverendo Fox mi fa un sorriso gelido. «Ti conviene spegnerlo, non credi?» «Pensa se suonasse durante la funzione» dice Annalise ridacchiando. «Vuoi che te lo tenga io?» Tende la mano, e io la fisso paralizzata. C’è un altro SMS di Sam. La sua risposta. Una parte di me ha una voglia così disperata di leggerlo, che riesco a malapena a tenere le mani ferme. Un’altra parte di me, però, mi dice di smetterla. Di non farlo. Come posso leggerlo adesso, appena prima di andare all’altare? Mi scombussolerà. Sono qui, il giorno del mio matrimonio, circondata da amiche e parenti. Questa è la mia vera vita. Non un tizio a cui sono collegata via etere. È arrivato il momento di dirci addio. Di tagliare questo filo. «Grazie, Annalise.» Spengo lo smartphone e per un attimo guardo la luce che svanisce. Adesso non c’è più nessuno, lì dentro. È una scatola morta e vuota. Lo consegno ad Annalise e lei se lo infila nel reggiseno. «Tieni i fiori troppo in alto.» Mi guarda preoccupata. «Sembri molto tesa.»
«Sto bene.» Evito il suo sguardo. «Ehi, indovina un po’?» Ruby arriva con il suo vestito frusciante. «Mi ero dimenticata di dirtelo, avremo un paziente famoso! Hai presente quell’uomo d’affari che è sempre al telegiornale? Sir Nicholas qualcosa?» «Vuoi dire... Sir Nicholas Murray?» domando incredula. «Esatto.» Sorride raggiante. «Ci ha chiamato la sua assistente per prenotare una seduta con me! Ha detto che gli ero stata raccomandata da una persona che lui stima moltissimo. Chi potrà mai essere?» «Non ne ho... idea» riesco a dire Sono così commossa. E un po’ spaventata. Non avrei mai immaginato che Sir Nicholas si sarebbe ricordato della mia raccomandazione. Come farò a guardarlo in faccia? E se per caso mi parla di Sam? E se... No, smettila, Poppy. Quando rivedrò Sir Nicholas sarò sposata. Tutto questo episodio bizzarro sarà ormai dimenticato. E io sarò serena. «Avverto l’organista che siamo pronti» dice il reverendo Fox. «Andate ai vostri posti per l’entrata.» Annalise e Ruby si mettono dietro di me, Tom e Toby ai miei fianchi, con le braccia morbidamente intrecciate alle mie. Qualcuno bussa alla porta, poi spunta la faccia da gufo di Felix. «Poppy, sei stupenda!» «Grazie! Entra pure!» «Volevo solo augurarti buona fortuna.» Mi viene incontro, evitando con cura di pestare il bordo del mio vestito. «E dirti che sono molto felice che tu entri a far parte della nostra famiglia, come tutti noi. I miei genitori sono entusiasti di te.» «Davvero?» domando, cercando di nascondere il tono dubbioso. «Tutti e due?» «Sì, certo» annuisce convinto. «Ti adorano. Ci sono rimasti malissimo quando hanno saputo che il matrimonio era stato annullato.» «Annullato?» ripetono quattro voci all’unisono. «Il matrimonio era stato annullato?» domanda Tom. «Quando?» chiede Annalise. «Non ci hai mai detto niente, Poppy! Perché non ci hai detto niente?» Magnifico. Ci manca solo questo, il corteo nuziale che mi fa il terzo grado. «È stata solo una cosa passeggera» cerco di minimizzare. «Sì, insomma, una specie di tremarella prematrimoniale dell’ultimo minuto. Succede a tutti.» «La mamma ha fatto una sfuriata terribile a Magnus.» Gli brillano gli occhi dietro gli occhiali. «Gli ha detto che era un idiota e che non avrebbe mai trovato una donna migliore di te.» «Davvero?» Non posso fare a meno di essere un po’ compiaciuta. «Oh, era furiosa.» Felix sembra molto divertito. «Praticamente gli ha tirato l’anello in faccia.» «L’anello di smeraldo?» domando sbalordita. Quell’anello vale migliaia di sterline. Neppure Wanda si sognerebbe di lanciarlo in giro per una stanza.
«No, quello di fili d’oro intrecciati. Quello lì.» Indica la mia mano con un cenno del capo. «Quando l’ha preso dalla sua toeletta per darglielo, gliel’ha gettato addosso, ferendolo alla fronte.» Ride. «Niente di grave, naturalmente.» Lo fisso raggelata. Che cos’ha appena detto? Wanda ha preso quell’anello dalla sua toeletta? «Credevo...» Cerco di assumere un tono tranquillo. «Pensavo che l’avesse comprato a Bruges.» Felix mi fissa inespressivo. «Oh, no. È della mamma. Era della mamma.» «Okay.» Mi inumidisco le labbra secche. «Insomma, Felix, che cos’è successo esattamente? Perché gliel’ha dato? Avrei voluto esserci anch’io!» continuo in tono leggero. «Raccontami tutto.» «Be’.» Felix strizza gli occhi, come per cercare di ricordare. «La mamma gli ha detto di non provarci nemmeno a darti di nuovo l’anello di smeraldo, e ha tirato fuori l’anello d’oro dicendo che non vedeva l’ora di averti come nuora. Poi papà ha detto: “Non sprecare energie, è evidente che Magnus non ha la costanza necessaria per affrontare un matrimonio”, e Magnus si è arrabbiato moltissimo e ha detto che invece ce l’aveva, eccome, e papà ha ribattuto: “Guarda come ti sei comportato con il lavoro a Birmingham”, così si sono messi a litigare furiosamente, come al solito... poi abbiamo ordinato del cibo d’asporto.» Sbatte le palpebre. «Tutto qui, più o meno.» Annalise si è sporta in avanti per ascoltare. «Ah, allora è per questo che hai cambiato anello. Lo sapevo che non eri allergica agli smeraldi.» Questo anello è di Wanda. Non è un regalo speciale di Magnus per me. Mi fisso la mano con un leggero senso di nausea. Poi mi viene in mente un’altra cosa. «Quale lavoro a Birmingham?» «Hai presente? Quello che ha lasciato. Papà si arrabbia sempre con Magnus, dicendo che molla regolarmente tutto. Mi spiace, pensavo che lo sapessi.» Felix mi sta osservando incuriosito quando, d’un tratto, le note impetuose dell’organo sopra di noi ci fanno sobbalzare. «Ah, si comincia. Mi conviene tagliare la corda. Ci vediamo di là!» «Sì, okay.» Non so come, riesco ad annuire, ma mi sembra di essere su un altro pianeta. Devo digerire tutta questa roba. «Pronti?» Il reverendo Fox è sulla porta e ci fa segno di uscire. Quando arriviamo sul retro della chiesa, rimango mio malgrado a bocca aperta. È piena di splendide decorazioni floreali e tante file di persone con il cappello, e c’è un’aria vibrante di aspettativa. Intravedo la testa di Magnus davanti all’altare. Magnus. Al pensiero mi si rivolta lo stomaco. Non posso... Ho bisogno di tempo per riflettere... Ma non ho tempo. La musica dell’organo diventa sempre più incalzante. D’un tratto, il coro prorompe in un canto trionfale. Il reverendo Fox è già sgattaiolato verso l’altare. Il giro in giostra è cominciato e io sono a bordo. «Tutto bene?» Toby sorride a Tom. «Non farla inciampare con i tuoi piedoni.»
Ci siamo. Stiamo percorrendo la chiesa, la gente mi sorride e io cerco di assumere un’espressione serena e felice, anche se i miei pensieri sono sereni più o meno quanto le particelle frenetiche del CERN. Non importa... è solo un anello... Sto reagendo in modo eccessivo... Ma mi ha mentito... Wow, guarda che cappello si è messa Wanda... Dio, com’è bella questa musica, Lucinda ha fatto bene a chiamare il coro... Quale lavoro a Birmingham? Perché non mi ha mai detto niente? Com’è il mio passo scivolato? Merda. Okay, così va meglio... Forza, Poppy. Cerca di vedere le cose nella giusta prospettiva. Hai un rapporto splendido con Magnus. Che l’anello l’abbia comprato lui o no è irrilevante. Un lavoro qualsiasi a Birmingham è irrilevante. Quanto a Sam... No. Togliti dalla mente Sam. Questa è la realtà. Questo è il mio matrimonio. È il giorno del mio matrimonio, e non riesco neppure a concentrarmi come si deve. Che cosa c’è che non va in me? Lo faccio. Ce la posso fare. Sì. Forza. Coraggio... Perché diavolo Magnus è così sudato? Quando arrivo all’altare, quest’ultimo pensiero sovrasta momentaneamente tutti gli altri. Non posso fare a meno di fissarlo sconcertata. Ha un aspetto tremendo. Se io ho una brutta cera, sembra che lui abbia la malaria. «Ciao.» Mi fa un sorriso moscio. «Sei stupenda.» «Stai bene?» gli bisbiglio, mentre passo il bouquet a Ruby. «Perché non dovrei?» ribatte lui, sulla difensiva. Non mi pare affatto la risposta giusta, ma non è che possa attaccarlo proprio adesso. La musica si è fermata e il reverendo Fox si rivolge alla congregazione con un sorriso entusiasta. I matrimoni devono essere la sua passione. «Fratelli e sorelle. Siamo qui riuniti al cospetto di Dio...» Appena sento echeggiare nella chiesa queste parole familiari, comincio a rilassarmi. Okay, ci siamo. Adesso arriviamo al dunque. Questo è il momento tanto atteso. Le promesse. I voti. Quelle antiche parole magiche che sono state ripetute così tante volte sotto questo tetto, generazione dopo generazione. Dunque, può essere che abbiamo avuto qualche imprevisto prima della nozze. Quale coppia non ne ha? Ma se ci concentriamo sui voti, possiamo fare in modo che siano speciali... «Magnus.» Il reverendo Fox lo guarda, e dalle panche si leva un brusio carico di attesa. «Vuoi prendere questa donna come tua sposa nel Signore, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?» Magnus ha gli occhi leggermente velati e il fiato corto. Sembra uno che si prepara psicologicamente alla finale dei cento metri alle Olimpiadi. «Magnus?» lo incita il reverendo Fox.
«Okay» risponde lui, quasi fra sé e sé. «Okay. Ci siamo. Ce la posso fare.» Prende un gran respiro e con una voce forte e drammatica, che arriva fino al soffitto, dichiara orgoglioso: «Sì». Sì e basta? Sì e basta? Non ha ascoltato? «Magnus» bisbiglio con una punta di tensione nella voce. «Non devi dire solo: “Sì”.» Magnus mi guarda, chiaramente sconcertato. «Certo che devo dire “Sì”.» Mi stanno venendo i nervi. Non ha ascoltato neanche una parola. Ha detto “Sì” e basta, perché nei film americani fanno così. Lo sapevo che avremmo dovuto ripassare i voti insieme. Avrei dovuto ignorare i commenti sarcastici di Antony e costringere Magnus a ripeterli. «Non devi dire “Sì”, ma “Sì, lo voglio”!» Cerco di non sembrare troppo turbata. «Non hai ascoltato la domanda? “Vuoi”... “Vuoi”...» «Oh.» Magnus capisce e il suo volto assume un’espressione distesa. «Okay. Scusate. “Sì, lo voglio”, allora, anche se di sicuro non è molto importante» aggiunge, scrollando le spalle. Cosa? «Procediamo?» sta dicendo in fretta il reverendo Fox. «Poppy.» Mi sorride. «Vuoi prendere quest’uomo come tuo sposo...» No, mi dispiace. Non posso lasciargliela passare. «Mi scusi, reverendo Fox.» Alzo la mano. «Ancora una cosa. Scusate.» Per sicurezza, mi giro verso i presenti. «Devo solo chiarire una cosetta, ci metterò un attimo...» Mi rivolgo a Magnus bisbigliando furente: «In che senso “non è molto importante”? Certo che lo è! È una domanda. E tu dovresti rispondere». «Tesoro, secondo me stai interpretando la questione un po’ troppo alla lettera.» Magnus è chiaramente a disagio. «Non possiamo andare avanti?» «No, non possiamo andare avanti! È una domanda ben precisa! Vuoi prendermi come tua sposa? Una domanda. Che cosa pensi che sia?» «Be’.» Magnus scrolla le spalle di nuovo. «Lo sai. Un simbolo.» È come se avesse dato fuoco alla mia miccia. Come può dire una cosa simile? Eppure sa quanto siano importanti i voti per me. «Non tutto, nella vita, è uno stramaledettissimo simbolo!» esplodo. «È una domanda vera, reale, e tu non hai risposto come si deve. In realtà, non credi affatto in quel che hai detto, vero?» «Per l’amor del cielo, Poppy...» Magnus abbassa la voce. «Ti sembra il momento?» Che cosa mi sta suggerendo? Di pronunciare i voti e poi discutere se ci credevamo veramente o no? Okay, quindi forse avremmo dovuto parlarne prima di trovarci all’altare. Adesso me ne rendo conto. Se potessi tornare indietro nel tempo, agirei diversamente. Ma non posso. O adesso o mai più. E, a mia discolpa, devo dire che
Magnus sapeva che cosa fossero i voti, no? Cioè, non è che glieli abbia propinati a sorpresa. Non sono esattamente un segreto. «Sì che mi sembra il momento!» Alzo la voce per l’agitazione. «È questo il momento! Proprio questo!» Mi giro di scatto verso i presenti, che mi guardano impazienti. «Alzi la mano chi pensa che lo sposo dovrebbe credere nei voti che pronuncia il giorno delle nozze.» Cala il silenzio assoluto. Poi, con mia enorme sorpresa, Antony alza lentamente la mano, seguito da un’imbarazzatissima Wanda. Annalise e Ruby li imitano immediatamente. Di lì a trenta secondi, tutte le panche sono piene di mani sollevate. Tom e Toby le hanno alzate entrambe, e anche i miei zii. Il reverendo Fox pare completamente disorientato. «Sì che ci credo» dice Magnus, ma in modo così fiacco e poco convincente che persino il reverendo Fox fa una smorfia. «Veramente?» Mi giro verso di lui. «Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia? Finché morte non ci separi? Ne sei proprio sicuro? O volevi solo dimostrare a tutti che sei in grado di affrontare il matrimonio?» Non avevo previsto di dire queste parole, ma appena mi escono di bocca sento che corrispondono al vero. È proprio così. I conti tornano. Il discorso agguerrito di stamattina. La sua fronte sudata. Persino la proposta di matrimonio. Non mi stupisce che abbia aspettato solo un mese. Per lui il matrimonio non è mai stato una cosa fra noi due, ma una specie di dimostrazione. Forse perché suo padre l’ha accusato di fuggire sempre da tutto. O per la sfilza di proposte di matrimonio precedenti, Dio solo lo sa. Fatto sta che è una storia sbagliata in partenza. Una follia. E io ci ho creduto perché ho voluto crederci. All’improvviso mi accorgo di essere sul punto di piangere, ma mi rifiuto di lasciarmi andare. «Magnus» dico più dolcemente. «Senti. Non ha senso andare avanti. Non sposarmi solo per dimostrare che non vuoi fuggire sempre da tutto. Perché prima o poi fuggirai, quali che siano le tue intenzioni adesso. Succederà.» «Sciocchezze» replica rabbiosamente. «Te lo dico io. Non mi ami abbastanza per prendere un impegno del genere.» «Sì, invece!» «No, non è vero, Magnus» dico io, quasi stancamente. «Non illumino la tua vita come dovrei. E tu non illumini la mia.» Mi interrompo. «Non abbastanza. Non abbastanza da legarci per tutta la vita.» «Veramente?» Magnus sembra scioccato. «Non lo faccio?» Mi accorgo di aver offeso la sua vanità. «No. Mi dispiace.» «Non devi dispiacerti, Poppy» mi dice, chiaramente seccato. «Se è così che ti senti...» «Ma anche tu ti senti così!» esclamo. «Sii sincero! Magnus, io e te non siamo destinati a stare insieme per sempre. Io non sono al centro della tua vita e tu
non sei al centro della mia. Secondo me, l’uno per l’altra non siamo altro che...» Faccio una smorfia cercando un modo per spiegarmi. «Note a piè di pagina.» Cala il silenzio. Magnus sembra voler trovare una risposta, ma non ci riesce. Gli tocco la mano, poi mi rivolgo al prete. «Reverendo Fox, mi dispiace. Le abbiamo fatto perdere tempo. Mi sa che è il caso di chiudere qui.» «Capisco» dice il reverendo Fox. «Oh, capisco.» Prende il fazzoletto e si asciuga la fronte con aria confusa. «Siete sicuri... forse cinque minuti in sacrestia per chiarirvi...» «Non credo che servirebbe» dico gentilmente. «Mi sa che abbiamo finito. Vero, Magnus?» «Se lo dici tu.» Magnus sembra davvero abbattuto e per un attimo mi domando... No. Non ho dubbi. Sto facendo la cosa giusta. «Bene... Come ci comportiamo adesso?» domando esitante. «Il ricevimento lo facciamo lo stesso?» Magnus pare incerto, poi annuisce. «Be’, tanto vale. Visto che abbiamo pagato.» Scendo dall’altare, poi mi fermo. Che imbarazzo! Non eravamo preparati a questo. Tutti i presenti ci guardano rapiti, ansiosi di sapere come andrà a finire. «Allora... Ehm... Io...» Mi giro verso Magnus. «Cioè, non è che possiamo percorrere la navata insieme.» «Vai prima tu.» Scrolla le spalle. «Poi vengo anch’io.» Il reverendo Fox sta facendo un cenno all’organista, che all’improvviso comincia a suonare la marcia nuziale. «No!» strillo inorridita. «Niente musica! Per piacere!» «Oh, scusate!» Il reverendo Fox fa subito segno all’organista di smettere. «Stavo cercando di dirle di non suonare. Temo che la signora Fortescue sia un po’ sorda. Forse non ha sentito bene quel che è successo.» Che disastro. Non so neanche se sia il caso di tenere il bouquet. Alla fine lo prendo dalle mani di Ruby, che mi dà una stretta solidale al braccio, mentre Annalise bisbiglia: «Sei pazza?». La musica finalmente si è fermata, perciò mi avvio lungo la navata centrale in silenzio, senza guardare in faccia nessuno, sentendomi prudere dappertutto per l’imbarazzo. Oddio, è orribile. Dovrebbe esserci una strategia di fuga per questa eventualità. Dovrebbe esserci un paragrafo nel libro delle preghiere. Uscita della sposa che ha avuto un ripensamento. Mentre cammino sul pavimento di pietra, nessuno fiata. Tutti mi fissano, ma la cacofonia di bip lungo le panche mi dice che qualcuno sta accendendo il cellulare. Benissimo. Immagino che faranno a gara a chi riesce a postarlo per primo su Facebook. D’un tratto, una donna seduta a un’estremità di una panca alza una mano davanti a me. Porta un grosso cappello rosa, e io non ho la più pallida idea di chi sia. «Ferma!»
«Chi, io?» Mi fermo e la guardo. «Sì, tu.» Sembra un po’ confusa. «Mi spiace disturbarti, ma ho un messaggio per te.» «Per me?» domando sconcertata. Ma se non la conosco nemmeno. «Infatti è molto strano.» Arrossisce. «Ah, scusa, dovrei presentarmi. Sono la madrina di Magnus, Margaret. Non conosco molta gente qui. Ma durante la cerimonia mi è arrivato un SMS da un tizio di nome Sam Roxton. Veramente... non è per te, ma su di te. Dice: “Se per caso ti trovi al matrimonio di Poppy Wyatt...”.» Qualcuno dietro di lei sussulta di sorpresa. «Anch’io ho ricevuto lo stesso messaggio!» esclama una ragazza. «Uguale identico! “Se per caso ti trovi al matrimonio di Poppy Wyatt...”» «Anch’io! Lo stesso» Le voci cominciano a rimbombare per tutta la chiesa. «È arrivato ora! “Se per caso ti trovi al matrimonio di Poppy Wyatt...”» Sono troppo confusa per parlare. Che cosa sta succedendo? Sam ha scritto a tutti gli invitati al matrimonio? Ci sono sempre più mani alzate, telefonini che suonano, persone che esclamano. Ha scritto a tutti gli invitati? «Abbiamo ricevuto tutti lo stesso SMS?» Margaret si guarda intorno incredula. «Allora, vediamo. Se vi è arrivato il messaggio, leggetelo ad alta voce. Uno, due, tre... “Se per caso...”» Quando il boato di voci si alza, mi sento mancare. Non può essere vero. Ci sono duecento persone, e quasi tutte stanno leggendo sul proprio cellulare. Le parole echeggiano nella chiesa come una preghiera di massa, un coro di tifosi allo stadio o qualcosa di simile. «“... ti trovi al matrimonio di Poppy Wyatt, vorrei chiederti un favore. Interrompi la cerimonia. Ferma la sposa. Bloccala, ritarda tutto. Sta commettendo un errore. Dille almeno di ripensarci.”» Sono pietrificata in mezzo alla chiesa, con il bouquet in mano, il cuore in tumulto. Non posso credere che abbia fatto una cosa simile. Non ci posso credere. Dove ha trovato tutti i numeri di telefono? Glieli ha dati Lucinda? «“Lascia che ti spieghi perché. Una volta un uomo intelligente disse: ‘Tesori come questi non dovrebbero essere lasciati nelle mani dei filistei’. E Poppy è un tesoro, anche se non se ne rende conto.”» Non posso fare a meno di lanciare un’occhiata a Antony, che è lì con il cellulare in mano e le sopracciglia molto sollevate. «“Non c’è tempo per parlare, discutere o essere ragionevoli. Ecco perché sono dovuto ricorrere a un rimedio tanto estremo, e spero che anche tu faccia lo stesso. Intervieni come puoi. Di’ qualsiasi cosa ti venga in mente. Questo matrimonio è sbagliato. Grazie.”» Quando la lettura finisce, sembrano tutti leggermente storditi. «Ma che cosa...» Magnus sta scendendo rapidamente dall’altare. «Chi è stato...»
Non posso rispondere. Le parole di Sam continuano a girarmi vorticosamente in testa. Vorrei strappare il cellulare di mano a qualcuno e rileggerle. «Adesso rispondo!» esclama Margaret all’improvviso. «“Chi sei?”» dice ad alta voce, digitando sul cellulare. «“Il suo amante?”» Preme il tasto “invia” con un gesto plateale, e in chiesa cala il silenzio assoluto, finché all’improvviso il cellulare non suona. «Ha risposto!» Fa una pausa a effetto, poi legge: «“Amante? Non lo so. Non so se lei mi ama. Non so se io amo lei”». Nel profondo del cuore, mi sento terribilmente delusa. Ovvio che non mi ama. Pensa solo che non dovrei sposare Magnus. Sta solo sistemando una faccenda che considera sbagliata. È completamente diverso. Non significa che nutra dei sentimenti per me. Figuramioci... «“Posso solo dire che è a lei che penso.”» Margaret si interrompe e, mentre legge, la sua voce si raddolcisce. «“Sempre. Che è la sua voce che voglio sentire. Il suo viso che spero di vedere.”» D’un tratto ho la gola serrata. Deglutisco disperatamente, cercando di non scompormi. È a lui che penso. In continuazione. È la sua voce che voglio sentire. Quando il mio telefono squilla, spero che sia lui. «Ma chi è questo?» Magnus pare incredulo. «Sì, appunto, chi è?» gli fa eco Annalise dalla sua postazione di fianco all’altare, e in chiesa qualcuno inizia a ridere. «È solo... un tizio. Ho trovato il suo cellulare...» Lascio la frase in sospeso con un senso di impotenza. Non so proprio come spiegare chi è Sam e che cosa siamo stati l’uno per l’altra. Il telefono di Margaret suona di nuovo, il vocio cessa a poco a poco e in chiesa cala un silenzio carico di aspettativa. «È lui.» «Che cosa dice?» Riesco a malapena a parlare. C’è un tale silenzio che sento quasi il battito del mio cuore. «Dice: “E sarò qui, fuori dalla chiesa. Avvertila”.» È qui. Non mi rendo neppure conto che sto correndo, finché uno degli uscieri non si scosta bruscamente di lato. Il pesante portone della chiesa è chiuso, e io devo provare a tirarlo cinque volte prima di riuscire ad aprirlo. Esco di slancio, fermandomi in cima al primo gradino, ansimante, guardando in tutte le direzioni, in cerca del suo viso... Eccolo. Dall’altra parte della strada. È sulla porta di Starbucks, con un paio di jeans e una camicia blu scura. Quando incrocia il mio sguardo, gli si formano delle rughe intorno agli occhi, ma non sorride. Continua a guardarmi le mani. Nei suoi occhi brucia una domanda gigantesca. Non l’ha ancora capito? Non vede da solo la risposta? «È lui?» bisbiglia Annalise accanto a me. «Affascinante. Posso prendermi Magnus?» «Annalise, dammi il cellulare» dico, senza staccare gli occhi da Sam.
«Eccolo.» Un attimo dopo ho lo smartphone in mano, acceso, pronto, e gli sto mandando un messaggio. Ciao. Lui scrive una risposta e, un attimo dopo, arriva. Bella mise. Senza volerlo, mi guardo l’abito da sposa. È una cosa vecchia. C’è un lungo silenzio, poi lo vedo scrivere di nuovo. Tiene la testa abbassata e non la alza neppure quando ha finito, neppure quando il messaggio arriva sul mio telefono. Allora sei sposata? Inquadro con cura l’anulare sinistro nudo con lo smartphone. “Sam cellulare”. “Invia”. Una folla di invitati alle nozze preme dietro di me per vedere, ma io non muovo la testa di un millimetro. Tengo gli occhi incollati a Sam, per vedere che faccia fa quando gli arriva il messaggio. Distende la fronte, sul suo viso compare il sorriso più felice e luminoso che ci sia. E alla fine mi guarda. Potrei addormentarmi tranquilla in quel sorriso. Adesso mi sta scrivendo di nuovo. Ti va un caffè? «Poppy.» Una voce mi giunge all’orecchio, interrompendomi. Mi giro e vedo Wanda. Mi guarda ansiosa da sotto il cappello, e ha l’aria di un’enorme falena morta. «Poppy, mi dispiace. Ho agito in modo vergognoso ed egoista.» «In che senso?» domando, momentaneamente confusa. «Il secondo anello. L’ho detto io a Magnus... almeno, gli ho suggerito di...» Wanda si blocca facendo una smorfia. «Lo so. Hai detto a Magnus di fingere di averlo scelto apposta per me, vero?» Le tocco il braccio. «Wanda, ti ringrazio. Ma è meglio che ti riprenda anche questo.» Mi sfilo l’anello dalla mano e glielo do. «Mi sarebbe piaciuto molto averti come nuora» dice tristemente. «Ma questo non avrebbe dovuto offuscare il mio buon senso. Ho sbagliato.» Il suo sguardo si sposta su Sam, dall’altra parte della strada. «È lui, vero?» Annuisco, e il viso di Wanda si addolcisce, come un petalo di rosa stretto fra le dita e poi lasciato andare. «Allora va’. Va’.» Senza indugiare oltre, scendo la gradinata, attraverso la strada, schivando le macchine, ignorando i clacson, strappandomi il velo dalla faccia, finché non sono a circa trenta centimetri da Sam. Per un attimo rimaniamo lì, uno di fronte all’altra, respirando affannosamente. «Allora hai mandato un po’ di messaggi in giro» dico alla fine. «Solo un paio» replica Sam facendo segno di sì con la testa. «Interessante» annuisco anch’io. «Ti ha aiutato Lucinda?»
«Sembrava felicissima di mandare a monte il matrimonio.» Sam annuisce di nuovo con aria divertita. «Però non capisco lo stesso. Come hai fatto a trovarla?» «Ha un sito web abbastanza vistoso.» Sam sorride ironico. «L’ho chiamata sul cellulare, e si è dimostrata più che desiderosa di collaborare. Anzi, ha mandato lei stessa il messaggio. Non sapevi di avere a disposizione quel sistema automatico super avanzato per contattare tutti gli invitati?» Il sistema di comunicazione via SMS di Lucinda. Alla fine è tornato utile. Sposto il bouquet nell’altra mano. Non avevo mai notato quanto siano pesanti i fiori. «È una tenuta un po’ troppo elegante per entrare da Starbucks» osserva Sam squadrandomi da capo a piedi. «Indosso sempre un abito da sposa per andare a prendere il caffè. Aggiunge un tocco piacevole alla situazione, non credi?» Mi volto e non riesco a trattenere una risatina. Tutti gli invitati si sono riversati fuori dalla chiesa e sono rimasti lì a guardarci come degli spettatori. «Che cosa si aspettano di vedere?» Sam segue il mio sguardo, e io alzo le spalle. «Chi lo sa? Potresti sempre improvvisare un balletto. O raccontare una barzelletta. O... baciare la sposa?» «Non la sposa.» Mi abbraccia e mi stringe lentamente a sé. I nostri nasi praticamente si toccano. Lo guardo dritto negli occhi. Sento il calore della sua pelle. «Te.» «Me.» «La ragazza che mi ha rubato il cellulare.» Le sue labbra mi sfiorano un angolo della bocca. «La ladra.» «Era in un cestino.» «È comunque un furto.» «No, non è vero...» comincio, ma adesso la sua bocca è sulla mia e non riesco più a parlare. E d’un tratto la vita è bella. So che la situazione rimane incerta, che non tutto è risolto. Ci saranno ancora spiegazioni da dare, recriminazioni da affrontare e una gran confusione. Ma in questo momento sono fra le braccia dell’uomo di cui potrei essere innamorata, e non ho sposato l’uomo che sono sicura di non amare. E, da quello che vedo, mi sembra che per adesso le cose vadano piuttosto bene. Alla fine ci stacchiamo, e dall’altra parte della strada arrivano le grida di apprezzamento di Annalise. Non è molto fine da parte sua, ma è fatta così. «A proposito, ti ho portato un po’ di materiale da leggere» dice Sam. «Se a un certo punto dovessi annoiarti.» Infila le mani nel giubbotto e tira fuori un plico di fogli formato A4 macchiati di caffè. Quando li vedo ho un tuffo al cuore. Li ha tenuti lui. Anche se ci eravamo lasciati male. Ha tenuto i nostri messaggi. «È interessante?» Riesco ad assumere un tono noncurante.
«Non male.» Dà una scorsa ai fogli, poi alza la testa. «Sto già aspettando con ansia il seguito.» «Ah, sì?» Ora mi guarda in un modo che mi fa venire i brividi ovunque. «Quindi sai già come andrà a finire?» «Be’... ho solo una vaga idea.» Mi sfiora la schiena nuda e io sento un’improvvisa vampata di desiderio. Sono prontissima alla prima notte di nozze.109 Non ho bisogno di champagne, né di tartine, né di cene a tre portate, né del primo ballo. E neppure dell’ultimo. Allo stesso tempo, però, rimane il problema di quelle duecento persone in piedi dall’altra parte della via, che mi stanno guardando come se fossero in attesa di istruzioni. Alcuni di loro hanno fatto molta strada per venire qui. Non posso piantarli in asso. «Allora... ci sarebbe questa festa» dico timidamente a Sam. «Ci vengono tutti i miei amici e parenti in blocco, fanno veramente paura, più tutti gli amici e parenti del tizio che avrei dovuto sposare oggi. E ci sono un po’ di confetti. Vuoi venire?» Sam alza le sopracciglia. «Credi che Magnus mi ammazzerà?» «Non lo so.» Do un’occhiata a Magnus al di là della strada. È lì che ci guarda insieme a tutti gli altri, ma non mi pare che abbia un’aria troppo omicida.110 «Non credo. Che cosa faccio? Gli mando un SMS per chiederglielo?» «Se vuoi.» Sam scrolla le spalle, tirando fuori a sua volta il telefonino. Magnus, l’uomo con cui mi trovo adesso è Sam. So che non è molto usuale, ma posso portarlo al nostro ricevimento di nozze? Poppy xxx PS perché non inviti qualcuno anche tu?? Un attimo dopo arriva la risposta. Se proprio devi. Mag Non è esattamente entusiasta, ma non sembra neppure intenzionato ad ammazzare qualcuno. 111 Sto per mettere via il cellulare, quando sento un altro bip e lo guardo stupita. È un SMS di Sam. Deve averlo mandato adesso, pochi secondi fa. Senza guardarlo, apro il messaggio e vedo: <3 È un cuore. Mi ha mandato un cuore da innamorato. Senza dire nulla. Come un piccolo segreto fra noi. Ho gli occhi lucidi ma, mentre scrivo la risposta, riesco non so come a mantenere la calma: Anch’io. Vorrei dire altro... ma no. Posso farlo più tardi. Premo “invia”, poi alzo lo sguardo sorridendo radiosa, prendo Sam per un braccio e raccolgo lo strascico dal marciapiede polveroso. «Su, forza. Andiamo a divertirci al mio matrimonio.» FINE112
104 Sono ancora lì, in coma profondo. 105 È successo davvero. 106 Le mie, a quanto pare, sono “da femmina”. 107 Secondo lei, fuori da Taunton non esistono negozi. 108 Alla fine sono abbastanza lunghi. A malapena. 109 Sì, insomma, magari non proprio la “prima notte di nozze”. Ci dovrebbe essere un’espressione specifica per indicare la “notte trascorsa con l’amante per cui si è lasciato il promesso sposo”. 110 Anzi, sembra stare molto meglio di quando stava per essere costretto a sposarmi. 111 Personalmente, sarei pronta a scommettere un bel po’ di soldi che prima della fine della serata starà pomiciando con Annalise. 112 Note a piè di pagina a cura di Poppy Wyatt.
RINGRAZIAMENTI Sono infinitamente riconoscente e soddisfatta per il lavoro svolto dalla mia editor Joy Terekiev e dalla fantastica squadra della Mondadori. Un grande ringraziamento va anche a tutti i lettori italiani, che continuano a leggermi: è il vostro entusiasmo a rendere così divertente scrivere questi libri.