TAD WILLIAMS IL CANTO DI ACCHIAPPACODA (Tailchaser's Song, 1985) Un ringraziamento particolare a John Carswell, Nancy De...
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TAD WILLIAMS IL CANTO DI ACCHIAPPACODA (Tailchaser's Song, 1985) Un ringraziamento particolare a John Carswell, Nancy Deming-Williams e Arthur Ross Evans per la collaborazione alla stesura di questo libro. Buona danza a tutti quanti. Questo libro è dedicato alle mie nonne, Elizabeth D. Anderson e Elizabeth Willins Evans, che mi hanno dato molto col loro incoraggiamento, e al ricordo di Fever, che è stato un buon amico, ma ancora migliore come gatto.
Poiché voglio trattare del mio gatto... Poiché alla prima occhiata della gloria di Dio a Oriente egli adora con il suo sistema. Poiché lo fa arcuando sette volte il corpo con elegante prontezza... Poiché dopo aver compiuto il suo dovere e ricevuto la benedizione comincia a pensare a se stesso, Poiché lo fa eseguendo dieci azioni successive. Poiché per prima cosa si guarda le zampette davanti per vedere se sono pulite. Poiché per seconda cosa tira calcetti indietro per sgomberare bene il terreno. Poiché per terza cosa si stiracchia
allungando le zampe davanti. Poiché per quarta cosa si affila gli artigli su un pezzo di legno. Poiché per quinta cosa si lava. Poiché per sesta cosa si rotola mentre si lava. Poiché per settima cosa si leva le pulci, per non essere interrotto durante la sua ronda. Poiché per ottava cosa si strofina contro un palo. Poiché per nona cosa guarda in su per avere le sue istruzioni. Poiché per decima cosa va in cerca di cibo... Poiché quando ha compiuto il suo lavoro quotidiano comincia veramente il suo mestiere. Poiché come sentinella del Signore veglia nella notte contro l'avversario. Poiché si oppone ai poteri del buio con la sua pelle elettrica e i suoi occhi abbaglianti. Poiché si oppone al Diavolo, che è morte, facendo una vita attiva e intensa. Poiché nelle sue orazioni mattutine ama il sole e il sole ama lui. Poiché è della tribù della Tigre. Poiché il Cherubino Gatto è un termine dell'Angelo Tigre... Poiché non c'è niente di più dolce della sua pace quando è in riposo. Poiché non c'è niente di più vivace della sua vita quando è in moto... Poiché Dio lo ha benedetto nella varietà dei suoi movimenti... Poiché può zampettare seguendo tutti i ritmi della musica... Christopher Smart, Jubilate Agno. Introduzione Nell'Ora che precedeva l'inizio del tempo, Meerclar Madre-di-tutti uscì
dalle tenebre sulla fredda terra. Era nera e tutta coperta di pelo, come se il mondo intero si fosse unito per diventare pelo. Meerclar scacciò la notte eterna e diede vita ai due. Harar Occhio-d'oro aveva occhi ardenti e limpidi come il sole nell'Ora delle ombre più piccole, aveva il colore del giorno e coraggio e grazia nella danza. Fela Danza-in-cielo, la sua compagna, era bella come la libertà e le nuvole, come il canto di viaggiatori al ritorno. Occhio-d'oro e Danza-in-cielo ebbero molti figli e li crebbero nella foresta che copriva il mondo agli inizi dei Tempi più antichi. Arrampicalesto, Amico-del-lupo, Canta-l'albero e Artiglio-lucente, i loro figli, erano forti di zanne, acuti d'occhio, lievi di passo, eretti e coraggiosi fino alla punta della coda. Ma i più strani e i più belli di tutti gli innumerevoli figli di Harar e di Fela erano i tre Primi Nati. Il maggiore dei Primi Nati era Viror Ventobianco, che aveva il colore del sole sulla neve e della velocità... Il secondo figlio era Grizraz Mangiacuore, grigio come le ombre e pieno di stranezze... Il terzogenito era Tangaloor Zampa-di-fuoco. Era nero come Meerclar Madre-di-tutti, ma le sue zampe erano rosse come le fiamme. Camminava sempre solo e cantava tra sé. C'era rivalità tra i fratelli Primi Nati. Ventobianco era agile e forte, come sognerebbe di essere qualsiasi gatto: nessuno poteva competere con lui nel balzo e nella corsa. Zampa-di-fuoco era astuto come il tempo, sapeva risolvere ogni arcano e indovinello, e componeva canzoni che la Gente continuò a cantare per generazioni. Mangiacuore non poteva confrontarsi con le qualità dei suoi fratelli. Diventò allora invidioso e cominciò a tramare per far cadere Ventobianco e umiliare la Gente. Avvenne così che Mangiacuore allevò una grande bestia contro la Gente. Ptomalkum era il suo nome, ed era l'ultimo discendente del demone-cane Venris, che Meerclar aveva distrutto ai Tempi del Fuoco. Ptomalkum, cresciuto e nutrito con l'odio di Mangiacuore, sterminò molta Gente, prima di essere a sua volta ucciso dal valoroso Ventobianco. Tuttavia Viror Ventobianco riportò gravi ferite per cui ben presto deperì e infine morì. Nel vedere il fallimento dei suoi piani, Mangiacuore fu preso da grande paura, si nascose dentro un buco e scomparve nei segreti della terra.
Grande fu il cordoglio nella Corte di Harar alla morte di Ventobianco, il più amato. Zampa-di-fuoco, suo fratello, fuggì dalla Corte col cuore spezzato, rinunciando a rivendicare il manto della sovranità, e si diede a vagabondare per il mondo. Fela Danza-in-cielo, la madre di Ventobianco, rimase da allora sempre in silenzio per tutta la sua lunga vita. Harar Occhio-d'oro era invece così gonfio di collera che pianse e lanciò grandi imprecazioni. Poi andò ululando nella Solitudine, distruggendo tutto quanto incontrava nel suo cammino alla ricerca del traditore Mangiacuore. Infine, incapace di reggere a tanto dolore, volò in cielo nel seno di Madre-di-tutti. E lì vive ancora, inseguendo il topolino luminoso del sole attraverso i cieli. Spesso abbassa lo sguardo sulla Terra, nella speranza di vedere Viror che corre ancora tra gli alberi nel Mondo della Foresta. Innumerevoli stagioni si susseguirono e il mondo diventò più vecchio prima che Zampa-di-fuoco incontrasse di nuovo suo fratello, il traditore Mangiacuore. Ai tempi del principe Baffolindo, durante il regno della regina Strisciadel-mattino, Tangaloor andò in soccorso dei Ruhuë, la gente dei gufi. Una creatura misteriosa stava devastando i loro nidi e aveva ucciso tutti i cacciatori Ruhu che erano andati alla sua ricerca. Zampa-di-fuoco dispose allora una trappola, scorticando un grande albero fin quasi a reciderlo, poi si mise in attesa del predatore. Quella notte, quando la creatura arrivò, Zampa-di-fuoco fece precipitare l'albero e scoprì con grande stupore che sotto di questo aveva preso in trappola Grizraz Mangiacuore. Mangiacuore supplicò Zampa-di-fuoco di liberarlo, promettendogli di dividere con lui l'antico tesoro di sapienza che aveva scoperto sotto terra, ma Tangaloor gli rispose solo con una risata. Quando si alzò il sole, Mangiacuore cominciò a gridare. Si torceva e strepitava, finché Zampa-di-fuoco, pur temendo qualche tranello, liberò il fratello sofferente da sotto l'albero che lo imprigionava. Mangiacuore era rimasto per tanto tempo sotto terra che il sole lo accecava. Si strofinava con le zampe gli occhi doloranti, gemendo in modo così straziante che Zampa-di-fuoco andò alla ricerca di qualcosa per proteggerlo dai raggi roventi della stella del giorno. Ma quando si voltò, l'accecato Mangiacuore si scavò una galleria, più rapidamente di qualsiasi tasso o talpa, e quando Zampa-di-fuoco, colto di sorpresa, balzò indietro, Mangia-
cuore era scomparso di nuovo nella pancia del mondo. Si dice che viva ancora lì, nascosto alla vista della Gente, che compia altri misfatti sotto terra, e che si strugga per ritornare nel Mondo di sopra... PARTE PRIMA Capitolo 1 ...non ti sbagliare, non abbiamo paura alcuna, siamo lì a vegliare, io e la luna! W.S. GILBERT L'Ora del Buio che si distende era iniziata e il tetto sul quale era accovacciato Acchiappacoda era avvolto dall'ombra. Era immerso in un sogno di balzi e di voli, quando avvertì un insolito fremito nei baffi. Fritti Acchiappacoda, giovane cacciatore della Gente, si svegliò d'improvviso e annusò l'aria. Le orecchie gli fremevano e i baffi erano tesi mentre passava al vaglio gli odori della brezza serale. Niente d'insolito. Che cosa l'aveva svegliato, allora? Mentre meditava tra sé, allungò le zampe e diede inizio a un'arcuata tensione della spina dorsale, che infine si concluse sulla punta della sua coda rossiccia. Quando ebbe terminato di strigliarsi, il senso del pericolo era scomparso. Forse era stato un uccello notturno di passaggio... oppure un cane, là nel campo di sotto... chissà... Forse sto ridiventando un micino, si disse Acchiappacoda, un gattino che schizza di paura per una foglia che cade. Il vento gli arruffò il pelo appena lisciato. Infastidito, Acchiappacoda balzò giù dal tetto nell'erba alta al di sotto. Innanzi tutto, doveva provvedere al cibo. Poi avrebbe avuto il tempo per recarsi al Muro degli Incontri. Il Buio che si distende stava trascorrendo, e la pancia di Acchiappacoda era sempre vuota. La fortuna non aveva danzato con lui. Era rimasto immobile, paziente sentinella all'ingresso della tana di un tasso. Trascorsa un'eternità di respiro quasi silenzioso, e non vedendo comparire l'abitante della tana, Acchiappacoda aveva rinunciato deluso. Aveva grattato rabbiosamente l'ingresso della tana, poi se n'era andato in cerca di altre prede.
La fortuna l'aveva piantato in asso. Perfino una falena era sfuggita al suo rampante attacco, e in un volo a spirale era scomparsa nel buio. Se non riesco ad acchiappare subito qualcosa, si disse preoccupato, dovrò ritornare a mangiare nella ciotola che i Grossi mi hanno lasciato fuori. Per Harar! che razza di cacciatore sono? Un lieve alito di odore fece arrestare bruscamente Acchiappacoda. Assolutamente immobile, tutti i sensi all'erta, rimase accovacciato e annusò l'erba. Era uno Squittente sottovento, ed era molto vicino. Si mosse con la leggerezza di un'ombra, scegliendo con cautela la strada attraverso il sottobosco, poi s'irrigidì di nuovo. Eccolo! Un balzo e mezzo avanti a lui era seduto il mre'az di cui aveva sentito l'odore. Era accovacciato, ignaro della presenza di Acchiappacoda, e si stava riempiendo di semi le guance, arricciando nervosamente il naso, battendo rapidamente le palpebre. Fritti si appiattì sulla terra, dimenando dietro a sé la coda ritta avanti e indietro. Accovacciato, si alzò sulle zampe posteriori, pronto a sferrare l'attacco, immobile, i muscoli tesi. Spiccò il balzo. Aveva calcolato male la distanza. Quando ricadde lì vicino, annaspando con le zampe, lo Squittente ebbe il tempo sufficiente per lanciare un gridolino di paura e poi calarsi come un fulmine dentro il suo buco. Lì in piedi, sulla strada della fuga, Fritti si mordicchiava imbarazzato una zampa. Mentre Acchiappacoda leccava le ultime briciole della ciotola, Sottil'Osso saltò dentro il portico. Sottil'Osso era un gatto selvatico, un pezzato grigio e giallo che abitava in una fognatura al di là dei campi. Era un po' più anziano di Fritti, e se ne vantava molto. «Nre'fa-o. Acchiappacoda.» Sottil'Osso si chinò avanti e si affilò pigramente le unghie su un pilastro di legno. «Hai l'aria di essere ben nutrito, stasera. Dimmi, i Grossi ti fanno fare qualcosa per guadagnarti la cena? Mi domando spesso com'è che succede, sai?» Fritti fece finta di ignorarlo e si diede a lisciarsi i baffi. «Ho notato» proseguì Sottil'Osso «che i Ringhianti, a quanto pare, hanno un qualche accordo: portano cose per i Grossi e saltellano sempre tutt'intorno e abbaiano tutta la notte quando loro sono a cena. È questo che fai anche tu?» Sottil'Osso si stiracchiò con aria noncurante. «È solo per curiosità, capisci... Una notte o l'altra, be', ammetto che non è probabile, ma qualche notte potrebbe succedere che non riesca a procurarmi da mangiare,
e allora sarebbe comodo avere qualcosa da mettere sotto i denti. Dimmi, è molto difficile abbaiare?» «Stai zitto, Sottil'Osso» ringhiò Fritti, poi starnutì una risata e balzò addosso all'amico. Lottarono per qualche momento, poi si divisero, continuando a schiaffeggiarsi l'un l'altro a zampate. Alla fine, ormai stanchi, si accovacciarono per un attimo lisciandosi il pelo. Quando si furono riposati, Sottil'Osso schizzò giù dal portico e scappò nel buio. Fritti si lisciò un'ultima chiazza di pelo sul fianco, poi lo seguì. L'Ora della quiete più profonda era appena iniziata, e l'Occhio di Meerclar era alto nel cielo remoto e imperturbabile. Il vento faceva stormire le foglie degli alberi mentre Acchiappacoda e Sottil'Osso si facevano strada tra i campi, scavalcando steccati, fermandosi per ascoltare i rumori della notte, riprendendo poi a galoppare attraverso i prati illuminati dalla strada. Giunti sotto le fronde dei Vecchi Boschi che fiancheggiavano le abitazioni dei Grossi, poterono annusare l'odore fresco di altri della loro specie. In cima alla salita, oltre un boschetto di querce massicce, si apriva l'ingresso della valle. Acchiappacoda pensava felice alle canzoni e alle storie che si sarebbero scambiati al cadente Muro degli Incontri. Pensava anche a Zampafelpata, alla sua elegante figura grigia e alla sua sottile coda arcuata che aveva avuto quasi sempre in mente, negli ultimi tempi. Era bello essere vivi e far parte della Gente, nella Notte degli Incontri. L'Occhio di Meerclar gettava una luce di madreperla sulla radura. Venticinque o trenta gatti erano radunati ai piedi del Muro, strofinandosi l'un l'altro in statici saluti, odorando il naso delle nuove conoscenze. I più giovani della Gente si azzuffavano spesso per gioco. Acchiappacoda e Sottil'Osso furono accolti da una banda di giovani cacciatori che stavano con aria indolente ai margini della folla. «Bello che siate venuti!» esclamò Zampasvelta, un giovane gatto con un folto pelo bianconero. «Stiamo per fare una gara di Balza-in-aria, finché non arriveranno gli Anziani.» Sottil'Osso si fece avanti per unirsi a loro, ma Fritti fece un garbato cenno col capo e si mosse verso la folla in cerca di Zampafelpata. Non riuscì a riconoscere il suo odore, mentre si faceva strada tra la pullulante moltitudine di gatti. Un paio di micine, appena uscite dall'infanzia, arricciarono civettuolamente il naso davanti a lui, poi scapparono via ridacchiando allegramente. Fritti le ignorò e chinò rispettosamente la testa nel passare davanti a Stira-
lento. Il maschio più anziano, disteso maestosamente ai piedi del Muro, lo degnò di un pigro battito dei suoi enormi occhi verdi e di un intermittente fremito delle orecchie. Zampafelpata non è ancora arrivato, pensò Fritti. Dove poteva essere? Nessuno mancava mai nella Notte degli Incontri, se proprio non vi era impedito. Gli Incontri avvenivano soltanto nelle notti in cui l'Occhio era completamente aperto e più brillante che mai. Forse arriverà più tardi, si disse Fritti. O forse è già in cammino, insieme con Balza-in-alto o con Fruscio-di-foglia, allungando languidamente la sua coda per farla ammirare... Questo pensiero lo fece andare sulle furie. Si voltò e diede una zampata a un giovane tom che faceva salti e piroette tra i suoi piedi. Era il piccolo Balzalesto, il quale gli rivolse uno sguardo così mortificato che Fritti se ne pentì immediatamente: quel micino turbolento era spesso fastidioso, ma sempre animato da buone intenzioni. «Scusami, Balzalesto» gli disse, «non sapevo che eri tu. Pensavo che fosse il vecchio Stiralento, e volevo dargli una lezione.» «Davvero?» ansimò il piccolo. «Davvero l'avresti fatto?» Fritti si pentì subito della sua battuta. Stiralento non l'avrebbe molto apprezzata. «Be', comunque» soggiunse Fritti, «è stato uno sbaglio, e me ne scuso.» Balzalesto era felice di essere trattato come un adulto. «Certo che accetto le tue scuse, Acchiappacoda» replicò in tono grave. «È stato un errore comprensibile.» Fritti soffiò e, dopo aver dato scherzosamente un morso sul fianco del gattino, proseguì per la sua strada. A metà della Quiete più profonda, l'Incontro era ormai in pieno svolgimento, ma Zampafelpata non era ancora comparsa. Mentre uno degli anziani intratteneva la folla lì riunita arrivata ormai quasi a una sessantina di gatti, Acchiappacoda stava cercando Sottil'Osso, che era seduto con Zampasvelta e con gli altri. L'anziano stava descrivendo un grosso e potenzialmente pericoloso Ringhiante che scorrazzava nei dintorni, e Sottil'Osso e gli altri cacciatori stavano ascoltando attentamente quando Fritti si avvicinò. «Sottil'Osso!» sibilò. «Vuoi venire qui un attimo per parlare con me?» Sottil'Osso sbadigliò e si stiracchiò, prima di trotterellare verso il tronco d'albero sul quale era accovacciato Fritti. «Allora, che cosa c'è?» domandò in tono affabile. «È l'ora della mia le-
zione di abbaiamento?» «Ti prego, Sottil'Osso, non è il momento di scherzare. Non riesco a trovare Zampafelpata. Non sai mica dov'è?» Sottil'Osso osservò Acchiappacoda, mentre l'anziano trascinava monotonamente il suo discorso. «Be'» rispose, «mi sembravi un po' preoccupato. Tutto questo baccano per una fela?» «Stavamo facendo la Danza dell'accettazione, la scorsa notte!» esclamò Fritti risentito. «E non abbiamo avuto la possibilità di terminarla prima che si alzasse il sole. Dovevamo concluderla questa notte. E io so che lei intendeva accettarmi! Che cosa può averla costretta a mancare all'Incontro?» Sottil'Osso abbassò le orecchie, fingendosi terrorizzato. «Una Danza dell'accettazione interrotta! Vibrisse Danza-in-cielo! Mi pare di vedere già il tuo pelo che cade! E la tua coda che s'affloscia!» Fritti scosse la testa infastidito. «Lo so, che ti sembra una cosa divertente, Sottil'Osso, e a te, con la tua sfilza di femmine scodinzolanti, non importa niente di una vera Unione. Ma a me importa, e sono davvero preoccupato per Zampafelpata. Ti prego, aiutami.» Sottil'Osso lo scrutò per qualche attimo socchiudendo gli occhi e grattandosi dietro l'orecchio destro. «E va bene, Acchiappacoda» rispose semplicemente. «Che cosa posso fare?» «Be', mi pare che non si possa fare molto, per questa sera, ma se non riesco a trovarla domani, non potresti venire con me per dare un'occhiata in giro insieme?» «Credo di sì» rispose Sottil'Osso, «ma penso che con un po' di pazienza, magari... Ahi!» Zampasvelta era sbucato fuori da sotto, cozzando con la sua testa piatta contro le anche di Sottil'Osso. «Su, venite!» esclamò Zampasvelta. «Che cos'è tutto questo confabulare? Mostrazanne sta per raccontare una storia, e voi ve ne state qui seduti come due grassi eunuchi!» Acchiappacoda e Sottil'Osso balzarono subito dietro all'amico. Una fela era pur sempre una fela, ma una storia non era certo cosa da sottovalutare. La Gente si raccolse più stretta intorno al Muro degli Incontri, in una marea di code dimenanti. Lentamente, con tutta la sua immensa dignità, Mostrazanne s'arrampicò su una parte sgretolata del muro e, giunto in cima, si fermò e rimase in attesa. Mostrazanne, che aveva già visto undici o dodici estati, non era certo un
giovanotto, ma tutti i suoi movimenti erano improntati a un ferreo autocontrollo. Il suo mantello a scaglie di tartaruga, un tempo scintillante di chiazze nere e ruggine, si era un po' sbiadito con gli anni e il pelo ritto che gli spuntava intorno al mento si era fatto brizzolato. Ma i suoi occhi erano limpidi e chiari, e sapeva come far arrestare immediatamente un gattino impertinente da tre balzi di distanza. Mostrazanne era un oel-cir'va: un Maestro dell'antico Canto, uno dei custodi del Tesoro di Sapienza della Gente. Tutta la storia della Gente era contenuta nei suoi canti, tramandati nel Canto supremo dei Tempi antichi da una generazione all'altra come una sacra eredità. Mostrazanne era l'unico vecchio Maestro Cantore che si trovasse nelle vicinanze del Muro degli Incontri, e le sue storie avevano per la Gente la stessa importanza dell'acqua o della libertà di correre e saltare a piacimento. Dall'alto del Muro, Mostrazanne esaminò a lungo i gatti radunati sotto di lui. I mormorii d'attesa si spensero in fusa sommesse. Alcuni dei gatti più giovani, terribilmente eccitati e incapaci di star fermi, si lisciavano freneticamente il pelo. Mostrazanne agitò per tre volte la coda e subito ci fu silenzio. «Ringraziamo i nostri anziani, che vegliano su di noi» esordì. «Elogiamo Meerclar, che col suo Occhio illumina la nostra caccia. Salutiamo le nostre prede che ci rendono dolce la caccia.» «Ringraziamo. Elogiamo. Salutiamo.» «Noi siamo la Gente, e questa sera parliamo tutti insieme dei fatti di tutti. Noi siamo la Gente.» Assorti nell'antico rituale, i gatti oscillavano lentamente da una parte e dall'altra. Mostrazanne iniziò a raccontare la storia. «Ai tempi della giovinezza della terra, quando alcuni dei Primi Nati si mostravano ancora su queste terre, la regina Orecchio-di-seta, nipote di Fela Danza-in-cielo, regnava nella corte di Harar. «Era una buona regina. La sua zampa era pronta a soccorrere la Gente, così come il suo artiglio era rapido nel colpire i nemici. «Suo figlio e coreggente era il principe Noveuccelli. Era un gatto enorme, potente in battaglia, facile alla collera e gonfio d'orgoglio in tutti i suoi anni di gioventù. Al suo Rito del Nome, fu raccontata la storia di come, ancora cucciolo, egli avesse sterminato un branco di storni con un solo colpo dei suoi artigli. Fu così che fu nominato Noveuccelli, e la fama della sua forza e delle sue imprese si propagò tutt'intorno. «Erano trascorse, molte, molte estati dalla morte di Ventobianco, e nes-
suno di coloro che a quei tempi vivevano alla Corte aveva mai visto alcuno dei Primi Nati. Zampa-di-fuoco vagava in solitudine da generazioni, e molti pensavano che fosse morto, o che fosse andato a raggiungere in cielo suo padre e sua nonna. «Mentre i racconti sulla forza e sul coraggio di Noveuccelli cominciavano a passare di bocca in bocca tra la Gente, e mentre Noveuccelli cominciava a prestare ascolto a quegli ignobili che sempre s'appiccicano alla grande Gente, egli cominciò a vedere dentro di sé la grandezza dei Primi Nati. «Un giorno si sparse la notizia, nel Mondo della Foresta, che Noveuccelli non s'accontentava più di essere principe reggente al fianco di sua madre. Fu indetto un Incontro, al quale tutta la Gente doveva accorrere da ogni dove, per banchettare, cacciare e giocare, nel corso del quale lui avrebbe assunto il Mantello d'Harar, che Tangaloor Zampa-di-fuoco aveva dichiarato sacro e destinato soltanto ai Primi Nati, e si sarebbe dichiarato Re dei Gatti. «E così venne quel giorno e tutta la Gente si riunì alla Corte. Mentre tutti saltavano, danzavano e cantavano, Noveuccelli crogiolava al sole il suo grande corpo con lo sguardo rivolto al cielo. Infine si alzò e prese la parola: "Io, Noveuccelli, per diritto di sangue e di zampa, mi presento oggi davanti a voi per assumere il manto della sovranità, che per tanto tempo non è stato indossato. Se nessun gatto ha qualche motivo da addurre per cui non dovrei prendere su di me questo antico Fardello..." «In quel momento si udì un rumore tra la folla e un gatto molto vecchio si levò in piedi. Il suo mantello era tutto cosparso di grigio, soprattutto sulle zampe, e il suo muso era bianco come la neve. «Tu vuoi assumere il manto per diritto di sangue e di zampa, principe Noveuccelli?» domandò il vecchio gatto. «Lo voglio» rispose il grande principe. «Per quale diritto di sangue tu rivendichi la sovranità?» domandò ancora il vecchio baffobianco. «Per il sangue di Fela Danza-in-cielo che scorre nelle mie vene, vecchio sdentato amico di Squittenti!» replicò Noveuccelli accalorandosi, e si erse da dove era accovacciato. Tutta la Gente radunata mormorava eccitata, mentre Noveuccelli s'incamminava verso il vaka'az'me, il seggio di tronco d'albero sacro ai Primi Nati. Davanti a tutta la Gente riunita, Noveuccelli elevò la sua lunga coda e innaffiò il tronco d'albero col suo segnale di territorio. Seguirono altri mormorii d'eccitazione, poi il vecchio gatto si fece avanti trotterellando. «O principe, tu che vorresti essere re dei Gatti» esclamò il vecchio, «for-
se per sangue hai qualche diritto, ma che dire della zampa? Vorresti combattere in duello per il manto?» «Certamente» rispose Noveuccelli con una risata, «e chi si opporrà a me?» La folla roteava gli occhi, alla ricerca di qualche valido sfidante in grado di combattere col possente principe. «Io» rispose semplicemente il vecchio. E la folla sibilò per la sorpresa e inarcò le schiene, ma Noveuccelli si limitò a ridere di nuovo. «Vai a casa, vecchio mio, e combatti con gli scarafaggi» replicò. «Io non combatterò mai con te.» «Il re dei Gatti non può essere un codardo» dichiarò il vecchio gatto. A queste parole, Noveuccelli lanciò un urlo di collera e balzò avanti, sferrando la sua enorme zampa contro il muso grigio del vecchio. Ma questi, con sorprendente agilità, si scansò da parte e colpì con una zampata la testa del principe, che rimase intontito per qualche attimo. Allora cominciarono a darsi battaglia apertamente, e la folla quasi non credeva all'agilità e al coraggio del vecchio gatto che si opponeva a un così grande e gagliardo combattente. «Dopo qualche tempo si avvinghiarono e lottarono a corpo a corpo, ma anche se il principe lo azzannò al collo, il vecchio sollevò le zampe posteriori per graffiarlo, e Noveuccelli rimase sorpreso fin sotto il pelo che quel vecchio macilento potesse fargli tanto male. «Hai perso un po' del tuo pelo, principe» osservò il vecchio. «Vuoi rinunciare alle tue pretese?» Infuriato, il principe ritornò alla carica e ricominciarono a combattere. Il vecchio afferrò allora la coda del principe tra i denti e quando questi tentò di voltarsi per colpirlo sul muso, il vecchio gliela strappò di netto dal corpo. La Gente soffiava di stupore e di sgomento mentre Noveuccelli roteava sanguinante su se stesso per poi affrontare di nuovo il vecchio gatto, che era a sua volta ferito e ansimante. «Hai perduto il pelo e la coda, o principe. Non vuoi rinunciare anche alle tue pretese?» Impazzito dal dolore, Noveuccelli si avventò contro il vecchio e i due ripresero a combattere, soffiando e scambiandosi colpi, tra gocce di sudore e di sangue che luccicavano al sole. E alla fine lo sfidante conficcò i posteriori del principe Noveuccelli sotto una radice del vaka'az'me. «Quando si posò la polvere, un brivido d'emozione corse tra gli spettatori: nell'ultimo scontro, dal mantello dello sfidante si era liberata una gran quantità di polvere bianca: il suo muso non era più grigio e le sue zampe splendevano del colore della fiamma. «Ora mi vedi rivelato, Noveuccelli» dichiarò. «Io sono Tangaloor Zampa-di-fuoco, figlio di Harar, ed è per mio
volere che non esiste un re dei Gatti.» «Tu sei un gatto coraggioso» proseguì, «ma la tua insolenza non può rimanere impunita.» Detto ciò, Zampa-di-fuoco afferrò il principe per la collottola e lo scrollò, tendendone il corpo e le zampe posteriori finché non furono tre volte più lunghi quanto devono essere quelli di un gatto. Poi strappò fuori il principe da sotto la radice dell'albero e dichiarò: "Senza coda e senza pelo, lungo e deforme, ti ho trasformato. Vattene, ora, e non ritornare mai più alla Corte di Harar, tu che ne avresti usurpato il potere. Ma questa sorte ti riservo: tu devi continuare a servire qualsiasi membro della Gente te lo comandi, e così sarà di tutti i tuoi discendenti, finché non libererò la tua progenie da questa maledizione". «Detto ciò, il nostro Signore Tangaloor se ne andò. La Gente scacciò il deforme Noveuccelli, chiamandolo "Uo'mo", che significa "uscito dalla luce del sole", e da allora, ancor'oggi, lui e tutti i suoi discendenti continuano a trascinarsi sulle zampe posteriori, perché quelle anteriori dell'Uo'mo sono state scostate troppo perché possano toccare il suolo. «Noveuccelli, l'usurpatore punito dal Primo Nato, fu il primo dei Grossi. Costoro hanno servito a lungo la Gente, riparandoci dalla pioggia e nutrendoci quando la caccia non è fortunata. E se ora alcuni di noi servono l'Uo'mo caduto in disgrazia, questa è un'altra storia da rimandare a un altro incontro. «Noi siamo la Gente e questa sera parliamo tutti insieme dei fatti di tutti. Noi siamo la Gente.» Terminato il suo canto, Mostrazanne balzò giù dal Muro con un'agilità che stava a smentire le sue molte estati. Tutta la Gente radunata chinò rispettosamente la testa tra le zampe anteriori quando se ne andò. L'Ora della Danza finale stava volgendo al termine, e l'Incontro si sciolse in tanti piccoli gruppi di gatti che si congedavano tra loro, discutevano del Canto e facevano pettegolezzi. Acchiappacoda e Sottil'Osso si trattennero ancora un po', facendo progetti per la sera successiva insieme con Zampasvelta e alcuni altri giovani cacciatori, poi si congedarono a loro volta. Mentre sgambettavano tra i campi, si imbatterono in una talpa che aveva perduto la strada della sua tana. Dopo averla inseguita per un po', Sottil'Osso le spezzò il collo e insieme la mangiarono. Con la pancia piena, si lasciarono davanti al portico di Fritti. «Mri'fa-o, Acchiappacoda» disse Sottil'Osso. «Se domani hai bisogno
del mio aiuto, sarò ai margini del Bosco ceduo, nell'Ora del Buio che si distende.» «Sogni d'oro anche a te, Sottil'Osso. Sei un vero amico.» Sottil'Osso diede un colpo di coda e scomparve. Fritti saltò dentro la scatola che gli avevano lasciato i Grossi e sprofondò nel mondo del sonno. Capitolo 2 È il Vago e l'Elusivo. Incontralo, e non ne vedrai la testa. Seguilo, e non ne vedrai il dorso. LAO-TZÛ Fritti Acchiappacoda era il penultimo di una nidiata di cinque gattini. Quando sua madre, Indez Nido-d'erba, l'aveva annusato per la prima volta e aveva leccato la peluria ancora umida del neonato, aveva avvertito in lui qualcosa di diverso, una vaga sensazione alla quale non sapeva dare un nome. Gli occhi ciechi del neonato e la sua bocca avida erano in qualche modo più insistenti di quelli dei suoi fratelli e sorelle. Mentre lo ripuliva, sentì un fremito nei baffi che preannunciava cose mai viste. Forse diventerà un grande cacciatore, pensò. Fiancopezzato, suo padre, era certamente un bel gatto pieno di salute, che aveva perfino un'aria dei Tempi antichi, soprattutto quando aveva cantato con lei il Rituale, in quella notte d'inverno. Però Fiancopezzato se n'era andato ormai, seguendo il suo fiuto verso qualche oscuro desiderio, e lei, naturalmente, era rimasta sola a curarsi della sua progenie. Mentre Fritti cresceva, Nido-d'erba dimenticò le sue prime percezioni: la familiarità col figlio e le dure fatiche quotidiane per crescere la sua nidiata offuscavano in gran parte la sua sottile sensibilità. Anche se Fritti era un gattino vispo e cordiale, intelligente e svelto nell'apprendere, non mantenne mai nelle dimensioni ciò che faceva presagire il suo padre-cacciatore. Quando l'Occhio si fu aperto sopra di lui per tre volte, Fritti non era ancora più grande di sua sorella maggiore Tirya ed era considerevolmente più piccolo di ambedue i suoi fratelli. L'originale colore crema-albicocca-arancia del suo pelo corto si era scurito, tranne che nelle strisce bianche sulle zampe e sulla coda, e in una piccola macchia lattiginosa a forma di stella che aveva sulla fronte.
Non molto grosso, ma svelto e agile, per quanto può esserlo un gattino ancora piccolo e goffo, Fritti danzò attraverso la prima stagione della sua vita. Ruzzolava con i suoi fratelli e sorelle, inseguiva insetti e foglie e altre cose che si muovevano, e mordeva la sua giovanile impazienza nell'attesa di imparare la difficile lezione della caccia che Indez Nido-d'erba doveva insegnare ai suoi figli. Anche se il nido della famiglia si trovava in una catasta di legname e cianfrusaglie dietro una delle grandi abitazioni dei Grossi, la madre di Fritti portava spesso i suoi piccoli al di là dei margini delle tane dell'Uo'mo, in aperta campagna, perché la tradizione del bosco aveva la stessa importanza di quella della città per i figli della Gente. La sopravvivenza dipendeva dalla loro capacità di divenire più astuti, più svelti e più pazienti, ovunque si trovassero. Nido-d'erba usciva dal suo nido con i suoi piccoli che formavano una sparsa e ruzzolante scorta intorno a lei. Con la pazienza accumulata attraverso innumerevoli generazioni, insegnava alla sua sbandata truppa i fondamenti della sopravvivenza: l'immobilità subitanea, il balzo improvviso, il fiuto sensibile, la vista acuta, il modo di uccidere rapidamente - tutte le tradizioni della caccia che lei conosceva. Insegnava e dimostrava e metteva alla prova, poi pazientemente insegnava di nuovo, finché la lezione non era appresa. Certamente, la sua pazienza era spesso messa a dura prova, e talvolta una lezione eseguita in modo abborracciato era punita con una secca zampata sul muso del colpevole. Perfino una madre della Gente aveva dei limiti alla sopportazione. Di tutti i piccoli di Nido-d'erba, Fritti era quello che più si divertiva a imparare. La disattenzione, però, gli faceva meritare a volte qualche zampata sul muso, soprattutto quando la famiglia andava nei campi e nei boschi, dove gli allettanti sibili e cinguettii dei fla-fa'az e la moltitudine di odori suggestivi della campagna lo trattenevano per qualche attimo a sognare a occhi aperti, canticchiando tra sé alle cime degli alberi, col vento sulla pelle. Questi suoi sogni a occhi aperti erano spesso interrotti da sua madre con una brusca zampata sul muso. Nido-d'erba aveva imparato a riconoscere quel suo sguardo distante. La linea di divisione tra il sogno e la veglia era sottile, tra la Gente. Anche se tutti sapevano bene che gli Squittenti del sogno non potevano soddisfare la fame della veglia e che le zuffe del sogno non lasciavano ferite, nei sogni c'era però nutrimento e liberazione che il mondo della veglia non of-
friva. La Gente dipendeva a tal punto dalle cose quasi intangibili, come i sensi, i presentimenti, le sensazioni e gli impulsi, e queste erano così in contrasto con le solide basi necessarie alla sopravvivenza, che le une sostenevano le altre in un insieme indissolubile. Tutta la Gente era dotata di sensi estremamente affinati, dai quali dipendeva la vita e la morte. Soltanto pochi, però, diventavano, crescendo, oelvar'iz, extrasensitivi, sviluppando l'acutezza dei sensi fin oltre l'elevata media della Gente. Fritti era un gran sognatore, e per qualche tempo sua madre nutrì la speranza che potesse avere questa dote dell'extrasensitività. Dava prova, a volte, di lampi di sorprendente acutezza, come quella volta che soffiò verso il fratello maggiore, appollaiato in alto su un albero, e un attimo dopo il ramo sul quale era posato si spezzò e questi cadde a terra. Fritti rivelò altri sintomi di questa var più acuta, ma col passare del tempo, quando cominciò a uscire dall'infanzia, questi episodi si fecero più rari. Diventò allora più facile alla distrazione, più incline a sognare a occhi aperti che a interpretare i sogni. Sua madre concluse allora che si era sbagliata, e quando si avvicinò il momento del Rito del Nome di Fritti, se n'era ormai completamente dimenticata. La vita di una madre cacciatrice non permetteva di perdersi dietro a idee astratte. Al primo Incontro dopo il terzo Occhio di vita, i giovani gatti venivano condotti al Rito del Nome, una cerimonia che aveva grande importanza. Tra la Gente si cantava che tutti i gatti avevano tre nomi: il nome di cuore, il nome di faccia e il nome di coda. Il nome di cuore era dato dalla madre al momento della nascita. Era un nome dell'antica lingua dei gatti, quella del più alto Canto superiore. Soltanto i fratelli, gli amici del cuore e coloro che partecipavano insieme al Rito dovevano conoscerlo. Fritti era uno di questi nomi. Il nome di faccia era conferito dagli anziani al primo Incontro del giovane gatto, ed era un nome della lingua comune di tutte le creature a sangue caldo, quella del Canto comune. Poteva essere usato ogni volta che era necessario chiamare un nome. In quanto al nome di coda, era comune convinzione tra la Gente che tutti i gatti ne possedessero uno alla nascita, e che si trattasse soltanto di scoprirlo. La scoperta era una questione molto personale: una volta compiuta, non era mai più discussa né condivisa con altri. Era certo, comunque, che alcuni della Gente non scoprivano mai il loro nome di coda e alla loro morte conoscevano soltanto gli altri due. Molti dicevano che un gatto, se
aveva vissuto con i Grossi, gli Uo'mini, perdeva ogni desiderio di scoprirlo e ingrassava nell'ignoranza. Così importanti, segreti e rari erano i nomi di coda della Gente, e con tanta discrezione se ne parlava, che niente, in pratica, era concordato a questo proposito. Questo nome veniva scoperto o no, dicevano gli anziani, e non c'era modo di saperne di più. La notte del Rito del Nome, Fritti e i suoi fratelli di nidiata furono condotti dalla madre allo speciale Annusanaso che precede l'Incontro. Lì, per la prima volta, Fritti vide Mostrazanne, l'oel-cir'va, e il vecchio Lecc'annusa e gli altri saggi della Gente che erano custodi delle leggi e delle tradizioni. Fritti e i suoi fratelli, al pari delle nidiate di altre gatte, furono radunati in cerchio. Stavano ingobbiti l'uno accanto all'altro, mentre gli anziani camminavano lentamente intorno a loro, annusando l'aria ed emettendo un sordo brontolio che aveva la cadenza di qualche lingua sconosciuta. Lecc'annusa si chinò e posò una zampa su Tirya, la sorella di Fritti, poi la prese tra ambedue le zampe. «Ti nomino Cantolimpido. Va' a unirti all'Incontro.» Tirya scappò via, per far conoscere il suo nuovo nome, mentre gli anziani proseguivano l'opera. Uno dopo l'altro, chiamavano i giovani fuori dal mucchio in cui stavano col fiato in gola nell'attesa, e davano a essi il Nome. Infine, rimase soltanto Fritti. Gli Anziani cessarono di camminare e lo annusarono con cura. Poi Mostrazanne si rivolse agli altri. «Anche voi sentite l'odore?» Lecc'annusa annuì. «Sì. L'acqua grande. I luoghi sotto terra. Uno strano segnale.» Un altro anziano, un azzurro malconcio di nome Punta-d'orecchio, grattò per terra con impazienza. «Niente d'importante. Siamo qui per il Rito del Nome.» «È vero» convenne Mostrazanne. «Allora...? Io sento odore di ricerca.» «Io sento odore di battaglia e di sogni.» Era stato Lecc'annusa a parlare. «Io penso che desideri il suo nome di coda prima ancora di ricevere quello di faccia!» osservò un altro anziano, e tutti quanti ridacchiarono divertiti. «Molto bene» esclamò Lecc'annusa, e tutti gli occhi si rivolsero verso Fritti. «Io ti do il nome... Acchiappacoda. Va' a unirti all'Incontro.» Sconcertato, Fritti balzò in piedi e si allontanò di corsa dall'Annusanaso, lontano da quegli anziani ridacchianti che sembravano farsi gioco di lui. Mostrazanne lo richiamò bruscamente. «Fritti Acchiappacoda!»
Voltatosi, incontrò lo sguardo del vecchio Maestro Cantore. Nonostante l'aria divertita che gli faceva arricciare il naso, lo sguardo di Mostrazanne era affettuoso e gentile. «Acchiappacoda... Tutte le cose ci sono nella stagione della terra... ma solo al momento dato. Lo ricorderai, vero?» Fritti appiattì le orecchie, poi si voltò e corse verso l'Incontro. Gli ultimi giorni di primavera portarono il caldo, lunghe passeggiate in campagna... e il primo incontro di Fritti con Zampa-felpata. Mentre si avvicinava alla maturità, Fritti era sempre meno interessato alla compagnia quotidiana di fratelli e sorelle. Ogni giorno, il sole rimaneva più a lungo nel cielo e gli odori portati dal vento sonnacchioso si facevano più dolci e più forti. E così Fritti era sempre più attratto dai vagabondaggi solitari fuori dalla cerchia delle abitazioni in cui la sua famiglia viveva e dormiva. Durante i momenti più caldi dell'Ora delle Ombre più piccole, quando la fame era attenuata dal pasto mattutino e la sua curiosità naturale aveva libero sfogo, Fritti scorrazzava attraverso i prati, come i suoi fratelli della savana, immaginando di dominare tutto ciò che aveva davanti, dall'alto della collinetta su cui stava, tra steli d'erba che gli solleticavano la pancia. Lo attiravano anche le profondità del bosco. Scavava alla base degli alberi, alla scoperta dei segreti degli scarabei che zampettavano tutt'intorno, metteva alla prova la resistenza dei rami esterni, assaporava i misteriosi venticelli nel turbinio dell'aria più alta, attraverso il pelo più sensibile del muso e delle orecchie. Un giorno, dopo un pomeriggio di inebriante libertà ed esplorazione, Fritti uscì dalla sterpaglia che circondava i suoi boschi, e si fermò per togliersi un ramoscello impigliato nella coda. Mentre era lì disteso, intento a strappare il pezzetto di ramo con i denti, udì una voce. «Nre'fa-o, straniero. Sarai mica Acchiappacoda?» Spaventato, Fritti balzò in piedi e si voltò di scatto. Una fela grigia con strisce nere era lì accucciata e lo osservava dal tronco di una quercia ormai morta. Era così immerso nei suoi pensieri che non l'aveva nemmeno vista nel passare, anche se la gattina era appollaiata a soli quattro o cinque balzi di distanza. «Buona danza, signorina. Come mai conosci il mio nome? Io temo di non conoscere il tuo.» Dimenticato il ramoscello impigliato nella coda, Fritti osservò attentamente la sconosciuta. Era una gattina giovane, appa-
rentemente non più vecchia di lui, e aveva minuscole zampe affusolate e un corpo morbidamente rotondo. «Non c'è nessun mistero, né per un nome né per l'altro» rispose la fela con espressione divertita. «Il mio nome è Zampa-felpata ed è questo dal mio Rito del Nome. In quanto al tuo, be'... ti ho visto da lontano a un Incontro e ho sentito parlare di te perché ti piace vagabondare ed esplorare... ed ecco che ti ho colto sul fatto.» Starnutì con garbo un risolino. I suoi attraenti occhi verdi si distolsero. Acchiappacoda osservò la sua coda, che la gattina teneva arrotolata intorno al corpo mentre parlava. Poi questa si sollevò, come per propria volontà, e ondeggiò languidamente nell'aria. Era lunga e sottile, terminava con un delicato puntolino, ed era cerchiata, dalla base alla sommità, dalle stesse strisce nere che avevano i fianchi e le anche. Questa coda, il cui pigro richiamo attirò immediatamente l'ammirazione di Fritti, gli avrebbe procurato guai ancora più grossi di quanto poteva immaginare la sua sfrenata fantasia. La coppietta cominciò a giocare, poi continuò a parlare per tutta l'Ora del Buio che si distende. Acchiappacoda si trovò così ad aprire il suo cuore alla nuova amica, e perfino lui rimase sorpreso da ciò che ne usciva: sogni, speranze, ambizioni, tutti mescolati insieme e quasi indifferenziati l'un l'altro. E Zampa-felpata lo ascoltava sempre e annuiva, come se quello che lui diceva fosse la più preziosa gemma di verità. Quando si congedò da lei, alla Danza finale, Fritti le fece promettere che l'avrebbe incontrato ancora il giorno seguente. Lei lo promise e Fritti corse fino a casa balzellando di gioia, e arrivò al nido così eccitato che svegliò i fratelli e le sorelle addormentati e mise in allarme sua madre. Ma quando venne a sapere il motivo che faceva fremere e contorcere suo figlio tanto da non riuscire a prendere sonno, sua madre si limitò a sorridere e lo tirò a sé con un lieve tocco di zampa. Lo leccò dietro l'orecchio e fece le fusa. «Ma certo, ma certo...» continuò a ripetergli, finché Fritti non varcò finalmente la soglia del mondo dei sogni. Nonostante le apprensioni del pomeriggio seguente, che sembrò trascorrere lentamente come neve al disgelo, Zampafelpata era effettivamente là per incontrarlo quando l'Occhio comparve sopra l'orizzonte. E venne anche il giorno dopo... e quello dopo ancora. Per tutta quell'estate corsero insieme, danzarono e giocarono. Gli amici li guardavano e commentavano che quella non era una semplice infatuazione, qualcosa che si consumava e terminava quando la giovane fela fosse giunta alla sua stagione. Fritti e
Zampafelpata sembravano aver trovato una più profonda affinità, che poteva successivamente maturare in un'Unione, qualcosa che accadeva di rado, soprattutto tra i più giovani della Gente. Acchiappacoda si stava facendo strada tra le immondizie delle abitazioni dei Grossi, nel buio frammentato della Danza finale. Aveva trascorso la notte vagabondando per i boschi in compagnia di Zampafelpata, e come il solito i suoi pensieri erano rivolti ancora alla più giovane fela. Si stava arrovellando per qualcosa, ma non sapeva che cosa fosse. Voleva bene a Zampafelpata più che a qualsiasi suo amico, e perfino ai suoi fratelli, ma la sua compagnia era in qualche modo diversa da quella degli altri: la vista della sua coda che si torceva dolcemente dietro a lei quando si sedeva, o altrettanto delicatamente si sollevava quando camminava, solleticava una parte della sua immaginazione, alla quale non sapeva dare un nome. Immerso in queste meditazioni, per lungo tempo Fritti non prestò ascolto al messaggio che portava il vento. Quando l'odore della paura raggiunse finalmente la sua mente meditabonda e inquieta, Fritti balzò in piedi allarmato, scuotendo la testa da una parte e dall'altra. I suoi baffi fremevano. Balzò avanti e galoppò verso casa, verso il suo nido. Gli sembrava di udire grida terrorizzate della Gente, ma l'aria era quieta e silenziosa. Saltò oltre l'ultimo tetto giù lungo una palizzata, aggrappandosi con le unghie e, arrivato in fondo, si fermò di botto, sbigottito e impaurito. Là dove c'era il mucchio d'immondizie che era stato il nido della sua famiglia... non c'era più niente. Il luogo era completamente pulito, come una roccia spazzata dal vento. Quando aveva lasciato la sua famiglia, quel mattino, sua madre era in cima al mucchio d'immondizie e faceva le pulizie a sua sorella minore, Baffomorbido. E ora erano tutti scomparsi. Schizzò avanti e cominciò a graffiare il suolo silenzioso, come per disseppellire il segreto di ciò che era successo, ma era la terra dell'Uo'mo, e non si poteva romperla con le unghie e coi denti. La sua mente era offuscata da emozioni contrastanti. Piagnucolando, annusò l'aria. L'atmosfera era gravida di gelide tracce di paura. Gli odori della sua famiglia e del suo nido permanevano ancora, ma erano sommersi dai terribili odori della paura e della collera. Anche se le sue sensazioni erano molto confuse per effetto del tempo e dei venti, Fritti poteva anche intuire chi era stato. Erano stati gli Uo'mini. I Grossi si erano trattenuti a lungo, ma non ave-
vano lasciato tracce di paura o di collera. Le loro esalazioni erano come sempre indecifrabili, più simili a quelle delle indaffarate formiche e degli scarabei scavatori che a quelle della Gente. Lì sua madre aveva combattuto fino allo stremo per proteggere i suoi piccoli, ma i Grossi non avevano provato né collera né paura. E ora la sua famiglia era scomparsa. Nei giorni successivi non ne trovò traccia, come temeva. Si rifugiò allora nei vecchi Boschi e visse lì da solo. Mangiando solo quello che riusciva ad acchiappare con le sue zampe ancora maldestre, diventò magro e debole, ma non voleva andare nei nidi dell'altra Gente. Sottil'Osso e gli altri amici gli portavano talvolta qualcosa da mangiare, ma non riuscivano a convincerlo a ritornare tra loro. Gli anziani annusavano saggiamente e mantenevano la calma. Sapevano che ferite come quella erano curate meglio nella solitudine, dove la scelta se vivere o morire era fatta liberamente e mai più rimpianta. Fritti non vedeva più Zampafelpata, che non era venuta a fargli visita nella sua solitudine, a causa del dolore per la sua situazione o per indifferenza. Non sapeva. Quando non riusciva a dormire si tormentava, cercando di immaginarne i motivi. Un giorno, quasi un'apertura e una chiusura dell'Occhio da quando aveva perduto la famiglia, Acchiappacoda si trovò ai margini delle abitazioni dell'Uo'mo. Malato e debilitato, aveva vagabondato lontano dalla foresta che lo proteggeva, in una sorta di sonnambulismo. Mentre era disteso, ansimante e infelice in una chiazza di benefica luce del sole, udì un rumore di passi pesanti. I suoi sensi offuscati gli preannunciarono l'avvicinarsi dell'Uo'mo. I Grossi si avvicinavano e li udì gridare tra loro con le loro voci profonde e roboanti. Chiuse gli occhi. Se era destino che raggiungesse la sua famiglia nella morte, sembrava opportuno che quelle creature terminassero l'opera iniziata dai loro simili. Quando sentì alcune grosse mani che lo afferravano, mentre l'odore dell'Uo'mo lo avvolgeva, cominciò a trapassare, nel mondo dei sogni e oltre, non sapeva. Dopo di che non seppe più nulla. Lentamente, cautamente, lo spirito di Acchiappacoda ritornò in volo ai territori che gli erano familiari. Quando recuperò il pensiero, Fritti riuscì a sentire una morbida superficie sotto di sé e l'odore dell'Uo'mo che aleggiava ancora intorno. Spaventato, aprì gli occhi e si guardò intorno terrorizzato. Era disteso su un pezzo di soffice tessuto, sul fondo di un contenitore. La sensazione di essere preso in trappola lo terrorizzava. Sollevandosi sul-
le zampe malferme, tentò di arrampicarsi fuori. Era troppo debole per saltare, ma dopo parecchi tentativi riuscì a posare le zampe anteriori sul bordo della scatola e a sgattaiolare fuori. Sceso sul pavimento, si guardò intorno e vide un'area aperta, coperta da un tetto, che era annessa a una delle abitazioni dei Grossi. Anche se si sentiva ovunque l'odore di Uo'mo, nessuno di questi era in vista. Stava per trascinarsi verso la libertà quando sentì un impulso più forte, la fame. Sentiva odore di cibo. Volgendo lo sguardo verso il portico, vide un altro contenitore, più piccolo. L'odore del cibo gli dava l'acquolina in bocca, ma si avvicinò con cautela. Dopo averne annusato sospettosamente il contenuto, diede un morso d'assaggio e lo trovò molto buono. Sulle prime tenne l'orecchio teso, temendo il ritorno dell'Uo'mo, ma dopo un po' si abbandonò completamente al piacere del mangiare. S'ingozzò di cibo, ripulendo il contenitore fino in fondo, poi ne trovò un altro pieno d'acqua pulita e bevve. Questo ingozzarsi, nel suo stato di debilitazione, lo fece quasi star male, ma i Grossi che gli avevano offerto il cibo l'avevano previsto e gli avevano lasciato solo esigue razioni. Dopo aver bevuto, barcollò fino alla luce del sole e si riposò per un attimo, poi si alzò per avviarsi verso la foresta. Improvvisamente, uno di coloro che l'avevano catturato comparve oltre l'angolo della grande tana dell'Uo'mo. Fritti avrebbe voluto scappare, ma le sue debilitate condizioni fisiche non lo consentivano. Con sua grande sorpresa, però, il Grosso non lo acchiappò, né lo uccise lì dove stava. L'Uo'mo si limitò a passargli accanto, chinandosi per accarezzargli la testa, poi se ne andò. Ebbe così inizio un'incerta tregua tra Fritti Acchiappacoda e i Grossi. Questi Uo'mini, sul cui portico si era trovato, non ostacolavano mai le sue entrate e uscite. Gli portavano fuori cibo da mangiare, se ne voleva, e gli lasciavano la scatola per dormire se lo desiderava. Dopo aver molto pensato, Fritti giunse alla conclusione che i Grossi erano forse un po' come la Gente: alcuni erano buoni, e non volevano far male, mentre altri non lo erano, ed erano i Grossi di questo secondo genere che avevano portato la distruzione nella sua famiglia e nel suo luogo di nascita. In questo equilibrio Fritti trovò una sorta di pace, e il ricordo di ciò che aveva perduto cominciò a sbiadire nelle sue ore di veglia, se non dai suoi sogni. Quando ritornò in salute, Fritti trovò di nuovo piacere nella compagnia della Gente. Ritrovò anche Zampafelpata, immutata dai baffi alla coda. Gli chiese di perdonarla, se non gli aveva fatto visita nei suoi giorni di smar-
rimento nei boschi, spiegandogli che non avrebbe potuto sopportare la vista del suo compagno di giochi in preda a tanto dolore. E lui la perdonò e ne fu felice. Quando Fritti ebbe recuperato le forze, andarono ancora a correre per la campagna. Era tutto come prima, se non che Acchiappacoda era ora più facile ai silenzi e un po' meno all'allegria. Ora il tempo che trascorreva con Zampafelpata era ancora più prezioso per Fritti. Di quando in quando, parlavano del Rito che avrebbero affrontato quando Zampafelpata fosse arrivata alla sua stagione e Acchiappacoda fosse diventato cacciatore. E così trascorse la loro piena estate, e il vento cominciò a cantare la musica dell'autunno tra le cime degli alberi. L'ultima notte prima dell'Incontro, Fritti e Zampafelpata si arrampicarono sulla collina che guardava giù sulle abitazioni dell'Uo'mo. Rimasero lì seduti in silenzio per molto tempo, nel buio della più profonda Quiete, mentre le luci sotto di loro svanivano a una a una. Infine, Acchiappacoda alzò la sua giovane voce nel canto: Così in alto sopra le cime vibranti degli alberi, sopra il cielo tempestato, noi pronunciamo una Parola. Fianco a fianco, sopra il mondo tormentato al di là del sole e della marea, questa voce si ode... Stiamo viaggiando insieme, le nostre code al vento, stiamo viaggiando insieme, liberati e riscaldati dal sole. Per molto tempo, ormai, abbiamo danzato dentro la foresta, guardando solo avanti, mancando solo della Parola.
Ben presto, però, capiremo il significato nei baffi e nelle ossa... Ora che abbiamo udito... Quando Acchiappacoda terminò di cantare, rimasero di nuovo in silenzio per le ore rimanenti della notte. Il sole mattutino si alzò, disperdendo le ombre e destandoli, e quando Fritti si voltò per strofinare il naso di Zampafelpata e congedarsi da lei, una tacita promessa era sospesa tra i loro baffi che si sfioravano. Capitolo 3 Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. EDGAR ALLAN POE Il mattino dopo l'Incontro, Fritti si destò da uno strano sogno, nel quale il principe Noveuccelli del canto di Mostrazanne aveva catturato Zampafelpata e scappava via tenendola nella sua grande bocca. Quando il Fritti del sogno aveva tentato di liberarla, Noveuccelli l'aveva afferrato scuotendolo violentemente. E Fritti aveva sentito il suo corpo del sogno che si tendeva dolorosamente sempre più, divenendo sottile e trasparente come il fumo. Scuotendosi, come per scrollarsi di dosso quella cupa fantasia, Acchiappacoda si alzò per compiere le sue pulizie mattutine, lisciandosi su tutto il corpo il pelo arruffato dal sonno, leccandosi i baffi fuori posto e concludendo l'operazione con uno schiocco che riportò in perfetto ordine la punta della coda. Mentre s'incamminava nell'erba alta dietro al portico in cui dormiva, Fritti non riusciva a liberarsi di quel senso di premonizione che il sogno avrebbe lasciato per tutta la giornata. Gli sembrava importante, per qualche motivo che non ricordava. Non doveva, né poteva dimenticare quel sogno. Ma perché? Mentre sferrava colpi di zampa contro un dente di leone pazientemente elastico, Fritti ricordò. Zampafelpata! Non era venuta all'Incontro. Doveva andare a cercarla, e scoprire che cosa era successo. Si sentiva ora un po' meno preoccupato della notte precedente. Dopo tut-
to, si disse, erano molti i possibili motivi della sua assenza. Zampafelpata vive in una delle dimore dell'Uo'mo, e questi poteva averla chiusa lì dentro, impedendole di uscire. I Grossi erano così capricciosi... Acchiappacoda si fece strada attraverso il campo d'erba e poi nel mezzo di un bosco ceduo di alberi bassi, costeggiando i Vecchi Boschi. Si trovava a una certa distanza dall'abitazione di Zampafelpata e il viaggio gli prese buona parte della mattina. Finalmente giunse in vista della tana dell'Uo'mo, che si ergeva solitaria tra i campi circostanti. Il posto sembrava stranamente deserto e, avvicinandosi, Fritti non riuscì a fiutare alcuna traccia degli odori familiari. Gridando «Zampafelpata! Sono Acchiappacoda! Nre'fa-o, amica del cuore!» trotterellò verso la casa, ma fu solo il silenzio ad accoglierlo. Vide l'ingresso spalancato, il che era davvero insolito nella tana d'Uo'mo. Raggiunta l'abitazione, affacciò cautamente la testa, poi entrò. L'abitazione dell'Uo'mo non era soltanto priva di vita, ma ad Acchiappacoda apparve priva anche di tutto il resto. I pavimenti e le pareti erano spogli, e perfino i suoi passi felpati riecheggiavano nel vuoto mentre andava da una stanza all'altra. Per un attimo di terrore, quel vuoto gli ricordò la scomparsa della sua famiglia, ma qualcosa era diverso. Lì non c'erano odori di terrore né di turbamento, nessuna traccia di qualcosa di sconvolgente che fosse accaduto. Qualsiasi motivo potesse aver avuto l'Uo'mo per andarsene, sembrava un motivo naturale. Ma dov'era finita Zampafelpata? Un'accurata esplorazione non rivelò altro che stanze vuote. Incuriosito e perplesso, Fritti uscì dall'abitazione, giungendo alla conclusione che Zampafelpata doveva essere scappata via quando l'Uo'mo se n'era andato. Forse in quel momento era nascosta nella foresta e aveva bisogno della sua compagnia, della sua amicizia! Per tutto quel pomeriggio Fritti vagabondò per i boschi, chiamando e miagolando, ma non riuscì a trovar traccia della sua amica. Quando calò la sera, andò a chiedere aiuto a Sottil'Osso, ma i due insieme non ebbero maggior fortuna di Fritti da solo. Esplorarono in lungo e in largo, chiesero notizie a tutta la Gente che incontrarono, ma nessuno fu in grado di aiutarli. E così si concluse il primo giorno delle esplorazioni di Acchiappacoda alla ricerca della sua amica scomparsa. Altre tre albe trascorsero senza alcuna traccia della giovane fela. Per Fritti era difficile credere che Zampafelpata se ne fosse semplicemente andata dal territorio, ma non aveva trovato alcuna traccia di violenza, e nemmeno gli altri della Gente avevano visto né sentito niente di insolito.
Giorno dopo giorno, Fritti continuò le sue ricerche, ormai esausto, ma sempre spinto da una terribile, implacabile necessità. Prima la sua famiglia e il suo nido di nascita, e ora anche questa... Perfino Sottil'Osso dovette rinunciare dopo il terzo giorno. «Acchiappacoda, lo so che è terribile» gli disse l'amico, «ma a volte Meerclar chiama, e noi andiamo. Tu lo sai.» Sottil'Osso abbassò lo sguardo, cercando le parole adatte alla circostanza. «Zampafelpata se n'è andata. È così, temo.» Fritti annuì con un cenno del capo, e Sottil'Osso se ne andò per unirsi all'altra Gente. Ma Acchiappacoda non pensava di abbandonare le ricerche. Sapeva che quello che aveva detto Sottil'Osso era vero, tuttavia era fermamente convinto, in un modo che nemmeno lui capiva bene, che Zampafelpata non era andata a Meerclar, ma viveva in qualche luogo sui campi della terra, e che aveva bisogno del suo aiuto. Alcuni giorni dopo, Fritti stava annusando intorno a una siepe di ligustro, in cui lui e Zampafelpata avevano giocato molte volte a rotola-salta, quando incontrò Stiralento. Nell'avvicinarsi, il vecchio cacciatore fece meno rumore delle foglie d'autunno spinte dal vento, muovendo il suo corpo fulvo con sicuro risparmio di forze. Quando arrivò davanti a Fritti, che si sentiva terribilmente imbarazzato alla presenza dell'anziano maschio, Stiralento si fermò, si accovacciò sulle zampe posteriori e scrutò attentamente il giovane gatto. Nel tentattivo di chinare rispettosamente il capo, Acchiappacoda batté il muso contro un ramoscello di ligustro e si lasciò sfuggire un imbarazzante miagolio di dolore. Lo sguardo freddo e penetrante di Stiralento si trasformò in un'espressione divertita. «Nre'fa-o, Stiralento» lo salutò Fritti. «Si sta bene... ehm... al sole, oggi, vero?» concluse la frase con un gesto imbarazzato perché il cielo era completamente grigio e coperto, e subito si pentì d'aver parlato, e magari di non essere rimasto sotto il cespuglio di ligustro. Nel vedere il giovane gatto così mortificato, Stiralento starnutì un risolino e si accovacciò per terra, dove rimase disteso pigramente, la testa eretta e il corpo apparentemente rilassato. «Buona danza a te, ragazzo» gli rispose, poi s'interruppe per esibire uno splendido sbadiglio. «Vedo che sei ancora alla ricerca di... come si chiama... Zampapesante, è così?» «Zamp-Zampafelpata... Sì, la sto ancora cercando.» «Be'...» L'anziano maschio si guardò intorno per un po', come se stesse
cercando qualcosa di piccolo e insignificante che poteva essergli caduto. Infine soggiunse: «Ah, già... così si chiamava, naturalmente. Verrai all'Annusanaso, questa sera?». «Come?» Fritti era rimasto a bocca aperta. Gli Annusanaso erano riservati agli anziani e ai cacciatori, e soltanto alle questioni importanti. «Perché mai dovrei venire all'Annusanaso?» ansimò. «Be'...» rispose Stiralento sbadigliando ancora, «...da quello che ho capito... anche se solo Harar sa che ho cose migliori da fare che badare a tutti gli andirivieni di voi giovani, da quello che ho capito, sembra che ci siano state molte scomparse dopo l'ultimo Incontro. Sei o sette, comprese la tua piccola amica Zampa-di-pesca.» «Zampafelpata» lo corresse a bassa voce Fritti, ma Stiralento se n'era già andato. Al di sopra del Muro, l'Occhio di Meerclar era sospeso scintillante e incorniciava un supremo bagliore nel nero della notte. «Abbiamo avuto anche noi questo problema, e alcune madri sono molto preoccupate. Non fa piacere averle intorno, negli ultimi tempi. Sono sospettose, capite...» Chi parlava era Caccia-nel-fango, un gatto che viveva in un'altra comunità della Gente, all'altro capo del Bosco ceduo. Questa comunità faceva proprie riunioni separate, e di rado aveva più di qualche fuggevole contatto con la tribù di Fritti. «Quello che voglio dire» proseguì Caccia-nel-fango, «be', che non è una cosa naturale. Già, perdiamo un paio di gattini ogni stagione... e qualche maschio che di quando in quando decide di andarsene senza informare nessuno. Questioni di fele, se fiutate quello che voglio dire. Ma ne abbiamo visti scomparire tre, nell'ultima zampata di giorni, e non è naturale.» Poi il gatto giunto in visita dall'estremo capo del Bosco ceduo si mise a sedere tra i sommessi sibili e mormorii dei capi riuniti della tribù. L'emozione di Fritti, nel trovarsi all'Annusanaso in compagnia degli adulti, cominciava a venir meno. Nell'udire le storie che gli altri raccontavano di quelle misteriose scomparse e nel vedere come quei vecchi gatti saggi intorno a lui scrollavano il capo e si grattavano perplessi il muso, Fritti cominciò d'un tratto a domandarsi se potevano essergli utili nella ricerca di Zampafelpata. Aveva pensato che il suo problema, non appena preso in considerazione dai gatti più anziani, potesse essere risolto, e invece... La fronte e il muso dei custodi delle tradizioni della tribù erano ag-
grottati e perplessi. Acchiappacoda avvertiva un senso di impotenza. Balza-in-alto, uno dei più giovani presenti, pur essendo di parecchie stagioni più vecchio di Fritti, si alzò per prendere la parola. «Mìa sorella, la mia sorella di nidiata Guizzosvelto ha visto scomparire due dei suoi gattini, proprio lo scorso Occhio. È una madre attenta, e i suoi piccoli stavano giocando intorno alle radici di quel vecchio albero ai bordi della Foresta, quando lei si è voltata un attimo perché il suo gattino più piccolo aveva inghiottito una palla di pelo. Quando si è voltata di nuovo, i micini erano scomparsi. E non c'era nemmeno odore di civette o di volpi, ha guardato in ogni parte, come potete immaginare. È molto inquieta.» A questo punto, Balza-in-alto s'interruppe imbarazzato e si mise a sedere. Punta-d'orecchio si alzò a sua volta e guardò i gatti riuniti intorno a sé. «Be', se nessuno ha altre di queste storie da raccontare...» Stiralento sollevò pigramente una zampa. «Scusami, Punta-d'orecchio, io credo... dov'è finito?... ah, eccolo qui. Il giovane Acchiappacoda ha qualcosa da riferire. Sempre che non vi annoi troppo, s'intende.» Stiralento sbadigliò, mostrando i suoi aguzzi incisivi. «Mangiacoda?» gli fece eco Punta-d'orecchio in tono irritato. «Che razza di nome è mai?» Mostrazanne rivolse a Fritti un sorriso. «Acchiappacoda ti chiami, non è così? Su parla, giovanotto, è il tuo turno.» Tutti gli occhi si volsero verso Fritti quando si alzò. «Ehm... be'...» Un'espressione imbarazzata gli fece afflosciare i baffi. «Ecco, capite... Zampafelpata è una mia amica ed è... Be', Zampafelpata è scomparsa.» Il vecchio Lecc'annusa si chinò avanti e lo scrutò a lungo. «Hai saputo niente di ciò che le è successo?» «No... no, signore, ma penso...» «Bene!» esclamò Punta-d'orecchio allungandosi per dare a Fritti una brusca zampata sulla testa, che per poco non lo fece cadere. «Bene» soggiunse, «molto bene, grazie a te, Coda... Coda... bene, è stata una relazione molto utile, giovanotto. E ora, vogliamo andare avanti?» Fritti si affrettò a sedersi di nuovo, fingendo di dare la caccia a una pulce. Sentiva il naso caldo. Dimenacoda, un altro anziano, si schiarì la voce, scandendo alcuni momenti di imbarazzante silenzio, poi domandò: «Ma che cosa dobbiamo fare?». Dopo qualche altro momento di silenzio, tutta la Gente riunita rispose
gridando insieme: «Dare l'allarme alle altre tribù!» «Appostare sentinelle!» «Trasferirsi!» «Non fare più gattini!» Quest'ultima proposta veniva da Balza-in-alto il quale, nel vedere tutti gli altri che lo guardavano, fu improvvisamente infastidito dalla stessa pulce di Acchiappacoda. Il vecchio Lecc'annusa si sollevò pesantemente sulle zampe. Lanciò una severa occhiata a Balza-in-alto, poi rivolse lo sguardo alla Gente in attesa. «In primo luogo» brontolò «sarebbe meglio decidere di non strepitare e saltare intorno in questo modo. Uno scoiattolo con un calabrone nella coda farebbe meno baccano, e con maggior effetto. E ora ricapitoliamo la situazione.» Fissò intensamente lo sguardo per terra, come rimuginando profondi pensieri. «In primo luogo: un'insolita quantità di Gente sta scomparendo. In secondo: non abbiamo assolutamente idea di chi o che cosa possa essere la causa. In terzo: i gatti migliori e più saggi dei nostri boschi sono qui riuniti stasera a questo Annusanaso e non riescono a risolvere l'enigma. Pertanto...» Lecc'annusa si interruppe per saggiare l'effetto delle sue parole «pertanto, anche se sono favorevole a discutere di sentinelle e di analoghi provvedimenti, ritengo importante che menti più sagge, sì, anche delle nostre, siano informate della situazione. Visto com'è sconcertante e paurosa, non ci resta altra scelta che informare alcuni altri di questi avvenimenti. Propongo quindi di inviare una delegazione alla Corte di Harar. È nostro dovere informare la regina dei Gatti!» Soddisfatto di sé, Lecc'annusa si mise a sedere tra la costernazione e la sorpresa generali. «Alla Corte di Harar?» ansimò Caccia-nel-fango. «Ma nessuno della Gente di Dietro-al-Bosco ceduo si è mai recato al trono dei Primi da venti generazioni!» Alle sue parole fecero seguito altri mormorii d'eccitazione. «Nemmeno la Gente da questa parte dei boschi» obbiettò Mostrazanne, «tuttavia penso che Lecc'annusa abbia ragione. Abbiamo sentito queste storie per tutta la notte, e nessuno ha la minima idea sul da farsi. Può essere qualcosa al di là delle nostre capacità. Sono d'accordo sulla proposta di inviare una delegazione.» La folla si zittì per qualche momento, poi due membri dell'assemblea chiesero contemporaneamente: «Chi andrà?». La domanda provocò un'altra baraonda, e Punta-d'orecchio dovette mostrare gli artigli e agitarli tutt'intorno minacciosamente, prima che ritornas-
se la calma. Infine Lecc'annusa prese la parola. «Bene, sarà un viaggio lungo e pericoloso. Ritengo che la mia presenza, come primo degli anziani, sarà necessaria per la mia esperienza e la mia saggezza. Io andrò.» Prima che altri potessero rispondere alle sue parole, si udì un ringhio improvviso dal fondo della riunione e Torcinaso si fece avanti a grandi passi. Era la compagna di Lecc'annusa, gli aveva dato innumerevoli nidiate di figli ed era una gatta che badava al sodo. Marciò diritta fino a Lecc'annusa, lo guardò negli occhi ed esclamò: «No, tu non andrai da nessuna parte, vecchio mastica-topi. Non penserai mica di partire all'avventura e di cantare i tuoi orribili canti di caccia, mentre io me ne resto qui sola come un porcospino?» sibilò. «Pensi forse di trovare qualche bella gattina a corte, vero? Ora che la monterai con le tue vecchie ossa stanche, quella sarà vecchia come me, e allora che differenza fa, vecchio sporcaccione?» Nel tentativo di salvare Lecc'annusa, Mostrazanne si affrettò a intervenire. «Questo è vero, Lecc'annusa!... non dovresti andare, voglio dire. È qui che la Gente ha bisogno della tua saggezza. No, per un lungo viaggio come questo c'è bisogno di giovani gatti in grado di camminare anche in inverno.» Si guardò intorno, e quando i suoi occhi si posarono su Fritti, il giovane gatto sentì un momento di incontenibile emozione. Poi lo sguardo di Mostrazanne si spostò oltre e si posò su Punta-d'orecchio. Il vecchio maschio stagionato si alzò sotto lo sguardo del Maestro Cantore e rimase in attesa. «Punta-d'orecchio, tu ne hai viste molte, di estati» gli disse Mostrazanne, «ma sei ancora forte ed esperto dei sentieri della Foresta esterna. Vuoi guidare tu la delegazione?» Punta-d'orecchio chinò il capo in segno d'assenso. Mostrazanne si voltò poi verso Balza-in-alto, che saltò in piedi e rimase lì fermo, trattenendo il respiro. «Andrai anche tu, giovane cacciatore» dichiarò il cantore delle tradizioni. «Renditi conto di quale onore è per te questa scelta, e comportati di conseguenza.» Balza-in-alto annuì debolmente e si rimise a sedere. Mostrazanne si volse allora a Lecc'annusa, che quasi silenziosamente aveva continuato a scambiarsi zampate con Torcinaso. «Vecchio mio, vuoi scegliere tu un altro emissario?» gli domandò. Lecc'annusa rivolse di nuovo la sua attenzione all'Annusanaso e scrutò attentamente i gatti riuniti in cerchio. La Gente riunita tratteneva il fiato, mentre Lecc'annusa prendeva la sua decisione. Infine fece cenno a Saltatorrente, un giovane cacciatore di tre estati. Acchiappacoda sentì un morso
di delusione, anche se sapeva di essere troppo giovane per avere qualche possibilità. Mentre Lecc'annusa e Mostrazanne erudivano Saltatorrente sulle sue grandi responsabilità, Fritti avvertiva uno strano senso di frustrazione che gli mordeva il cuore. Quando i tre emissari furono riuniti, Punta-d'orecchio si fece avanti per ricevere il messaggio che dovevano portare all'antica Corte di Harar. Lecc'annusa si alzò di nuovo. «Nessuno tra noi ha mai viaggiato fin dove voi dovete recarvi» esordi. «Non abbiamo alcuna sicura conoscenza per guidarvi, ma i canti che parlano della Corte sono ben noti a tutti. Se riuscirete ad assolvere questo incarico e a raggiungere la regina della Gente, ditele che gli anziani del Muro degli Incontri, in questa parte del Bosco ceduo, sotto le fronde del vecchio Bosco, ai confini del suo territorio, le giurano omaggio e fedeltà e chiedono il suo aiuto e la sua guida in questo frangente. Ditele che questa calamità delle scomparizioni ha colpito non soltanto i piccoli gatti e i maschi alla riserva, ma anche, che Harar la maledica, l'intera tribù. Ditele che siamo sconcertati e che non riusciamo a trovare consiglio in questa situazione. Se lei manderà un messaggio, voi siete incaricati di riportarlo con voi.» Poi s'interruppe. «Ah, già. Avete anche il dovere di aiutare e soccorrere i vostri compagni, fino al fallimento, ma non necessariamente, della vostra missione...» A questo punto, Lecc'annusa s'interruppe di nuovo, e dopo un attimo diventò di nuovo il più vecchio gatto della Gente del Muro degli Incontri. Guardò a terra per qualche momento e grattò con la zampa il terriccio. «Noi tutti ci auguriamo che Meerclar vegli su di voi e vi protegga» soggiunse, senza alzare lo sguardo. «Potete parlarne con le vostre famiglie, ma desideriamo che partiate il più presto possibile.» «Che possiate avere una danza fortunata» concluse Mostra-zanne, poi dopo un momento soggiunse: «L'Annusanaso è terminato». Quasi tutta la Gente lì presente si alzò in piedi per farsi strada, alcuni parlando concitatamente tra loro, altri per dare un'ultima annusata o rivolgere un'ultima parola ai tre emissari. Fritti Acchiappacoda fu l'unico che non si trattenne nemmeno un attimo con i coraggiosi membri della delegazione, ma si allontanò dal Muro, in preda a un turbinio di sentimenti sconosciuti. Giunto ai margini della valletta si fermò, affilandosi le unghie sulla ruvida corteccia di un olmo, mentre ascoltava il mormorio della folla dei gatti al di sotto.
A nessuno dei presenti all'Annusanaso importava qualcosa di Zampafelpata, pensò Fritti. Nessuno avrebbe ricordato il suo nome, quando gli emissari fossero giunti alla Corte. Stiralento non riusciva a ricordarlo nemmeno adesso... Per tutti loro, Zampafelpata non significava niente più di un qualsiasi vecchio gatto spelacchiato, e ciò nonostante lui, Fritti, avrebbe dovuto attendere pazientemente mentre Balza-in-alto e gli altri andavano a mettersi in mostra alla Corte della regina, nella speranza che questa risolvesse il problema. Viror del Cielo, che assurdità! Fritti ringhiò, un suono che non aveva mai fatto prima, e strappò un'altra striscia di corteccia. Poi si voltò e rivolse lo sguardo al cielo. In qualche luogo, ne era certo, Zampafelpata stava guardando lo stesso Occhio, e a nessuno importava, tranne a lui, se la sua vita era in pericolo oppure no. E va bene, allora!, si disse. Acchiappacoda sentì una fredda determinazione dentro di sé, quando s'alzò sulla collina, inarcando la testa e la coda. La sfera di Meerclar era sospesa sopra di lui come un severo genitore quando lui le rivolse un'appassionata preghiera: «Per le code dei Primi Nati, io troverò Zampafelpata, o il mio spirito possa volar via dal mio corpo morente! O l'una o l'altra!» Dopo un momento, quando si rese conto di ciò che aveva giurato, Fritti cominciò a rabbrividire. Capitolo 4 E intona un canto solitario che sibila nel vento. WILLIAM WORDSWORTH Per Fritti si rivelò più difficile del previsto lasciare la sua scatola nel portico e la ciotola del cibo. L'impeto della collera e della frustrazione della sera precedente sembrava essersi allentato ai fievoli raggi della Luce che si diffonde: dopo tutto, Fritti era solo un giovane gatto, non ancora un esperto cacciatore. E nemmeno sapeva da dove iniziare esattamente la ricerca della sua compagna perduta. Mentre annusava il logoro tessuto della scatola in cui dormiva, un tessuto così intriso di tanti odori familiari, Fritti si domandava se non era forse meglio attendere un altro giorno prima di mettersi in cammino. Di certo, un po' di caccia e qualche giorno con altri giovani gatti sarebbero serviti a
schiarirgli le idee. Naturalmente... Sembrava un'idea più sensata. «Acchiappacoda! Ho saputo che hai intenzione di partire. È sbalorditivo, sono veramente colto di sorpresa!» Con un balzo e uno scivolone, Sottil'Osso saltò ansimante sul portico e scrutò Fritti con una comica espressione incuriosita. «Intendi partire davvero?» In quel momento, anche se tutti i suoi sensi erano contrari, Fritti udì la propria voce che diceva: «Naturalmente, Sottil'Osso. Devo farlo». Una volta pronunciate queste strane parole, ebbe immediatamente la sensazione di rotolare giù per la collina. Come poteva fermarsi, adesso? Come poteva non partire? Che cosa avrebbero pensato gli altri? Il grande Acchiappacoda, che si pavoneggiava davanti al Muro, dicendo a tutti quanti della sua decisione... Oh, se solo fossi più vecchio, pensò, e non così stupido! Sorprendendo se stesso, Fritti si chinò avanti per leccarsi le zampe con una calma calcolata per far impressione all'amico. Una parte di se stesso si augurava fervidamente che Sottil'Osso lo scongiurasse di non partire, e magari adducesse qualche valido motivo. Invece Sottil'Osso si limitò a sogghignare e poi esclamò: «Per Harar! Zampasvelta e io siamo molto invidiosi. Sentiremo la tua mancanza». «Anch'io sentirò molto la mancanza di tutti voi» replicò Fritti, poi voltò improvvisamente la testa, come per acchiappare qualche pulce. Dopo un attimo di silenzio, si voltò di nuovo e vide l'amico che lo stava osservando con una strana espressione sul muso. Qualche altro attimo di silenzio, poi Sottil'Osso soggiunse: «Be', immagino che questo sia un addio, allora. Zampasvelta e Schiacciamosche e tutti quanti mi hanno incaricato di augurarti buona fortuna da parte loro. Sarebbero venuti qui anche loro, se non che c'era in corso un grande gioco di Tira-Coda, e sono dovuti andare a cercare altra Gente». «Davvero?» esclamò Fritti, sempre più infelice. «Tira-Coda, dici? Be', immagino che non avrò più molto tempo per fare giochi del genere, per un po' di tempo... e poi non mi è mai piaciuto molto, lo sai.» Sottil'Osso sogghignò di nuovo. «Lo credo bene che non ne avrai il tempo... Che avventure ti aspettano!» Guardandosi intorno, Sottil'Osso annusò l'aria. «Il piccolo Balzalesto è venuto qui?» «No» rispose Acchiappacoda. «Perché?» «Oh, voleva sapere quando partivi, e da dove. Sembrava molto preoccupato, e allora ho immaginato che ti avrebbe cercato per augurarti buon viaggio. Ti ammira molto, a quanto pare. Be', immagino che anche lui sen-
tirà la tua mancanza.» «Davvero?» «Già. La Luce che si diffonde è quasi trascorsa, e tu volevi partire prima delle Ombre più piccole. Non era così?» «Oh sì, certamente.» Le zampe di Acchiappacoda sembravano di pietra. Quello che realmente desiderava era ritornare dentro la sua scatola. «Penso che sia ora di mettermi in viaggio...» soggiunse con un tono allegro poco convincente. «Ti accompagnerò ai bordi del campo» propose il suo amico. Mentre camminavano insieme, Sottil'Osso balzellando, Fritti trascinando le zampe, quest'ultimo tentava di ricordare e serbare tutti gli odori che gli erano familiari. Lanciò un saluto silenzioso e un po' enfatico ai campi di erba lucente, al piccolo ruscello quasi asciutto, alla sua siepe preferita di ligustro. Probabilmente non li rivedrò mai più, questi campi, si disse, e soggiunse: «Probabilmente si dimenticheranno di me tra una stagione o anche meno». Per qualche attimo si sentì molto fiero di sé, per il suo coraggio e il suo spirito di sacrificio... ma quando arrivò in fondo al mare d'erba ondulata e, voltandosi, intravide la forma indistinta del portico dell'Uo'mo, sul quale erano posate la sua scatola e la ciotola, sentì un tale bruciore nel naso e negli occhi che dovette fermarsi un attimo per accarezzarsi il muso con le zampe. «Bene...» Sottil'Osso sembrò d'un tratto un po' imbarazzato. «Buona caccia e buona danza, amico Acchiappacoda. Penserò a te fino al tuo ritorno.» «Sei un vero amico, Sottil'Osso. Nre'fa-o.» «Nre'fa-o.» E Sottil'Osso si allontanò balzerellando velocemente. Ad appena cinquanta passi nei Vecchi Boschi, quando era ancora vicino ai bordi relativamente soleggiati e ariosi della foresta, Fritti si sentiva già il gatto più solo di questo mondo. Non sapeva di essere seguito. Quando il sole si levò a mezzogiorno, Fritti continuava a inoltrarsi nelle profondità della foresta. Non l'aveva mai attraversata fino all'altra parte, ma era probabile che Zampafelpata, se fosse fuggita, avrebbe scelto di andare in quella direzione, anziché avvicinarsi alle abitazioni dell'Uo'mo. Anche se il sole era alto nel cielo, la sua acuta vista notturna gli era di
grande aiuto, perché gli alberi crescevano fitti in quelle regioni. Mentre attraversava macchie d'alberi e sottobosco, Fritti si fermava a guardare attonito quegli alberi del cuore della foresta, i loro tronchi curvi e contorti, raggelati in forme sinuose come gli hlizza, serpenti i cui corpi strisciavano anche quando erano stati uccisi. Di quando in quando si fermava a saggiare le unghie su qualche albero che gli era sconosciuto: alcuni di questi avevano la corteccia più dura della terra dell'Uo'mo, altri erano umidicci e spugnosi. Innaffiò alcuni dei più grossi con il suo segnale di territorio, più per affermare la propria esistenza nel mezzo di quell'intrico di rami e di ombre profonde che per spavalderia. Sopra di sé, poteva udire i canti dei diversi fla-fa'az che abitavano le cime più alte dei Vecchi Boschi. Non c'era altro segno di vita, oltre allo scalpiccio quasi silenzioso delle sue zampe. Poi, in un attimo, perfino gli uccelli rimasero in silenzio. Acchiappacoda udì il secco rumore di un colpo e si fermò immobile sul suo cammino. Il rumore echeggiò qualche attimo, poi svanì, assorbito rapidamente dal folto humus del pavimento della foresta. Poi seguì, allarmante, un rapido susseguirsi di questi rumori secchi... tok! to-tok! tok-tok! tok-to-tok!, provenienti dall'alto sopra di lui. Il crescendo di questi rumori si diffondeva da un albero all'altro, propagandosi da un punto al di sopra della sua testa fino all'interno della foresta. Poi scese di nuovo il silenzio. Annusando preoccupato l'aria con i baffi ritti, Fritti si mosse lentamente avanti, lanciando qualche occhiata tra le chiazze illuminate del fitto fogliame sopra di sé. Stava scavalcando cautamente un tronco in decomposizione quando udì un altro secco tok!, e un'attimo dopo avvertì un dolore acuto dietro la testa. Roteò su se stesso, sfoderando gli artigli, ma dietro di sé non vide nessuno. Un altro colpo secco sulla zampa anteriore destra lo fece voltare di nuovo e, nel voltarsi, sentì un terzo colpo doloroso su un fianco. Roteando da una parte e dall'altra, incapace di individuare la provenienza di quei colpi dolorosi, era ora bersaglio di un fuoco di sbarramento di piccoli oggetti duri che lo colpivano dall'alto. Mentre si ritraeva, ringhiando di paura e di impotenza, Fritti fu bersagliato da un'altra scarica, questa volta proveniente da dietro. In preda al panico, Fritti si diede alla fuga, ma subito ricominciò la fitta gragnuola di colpi che provenivano, a quanto pareva, da tutte le parti contemporaneamente. Quei proiettili pungenti sembravano ora piovere sempre più rapidi e fitti. Nel tentativo di proteggersi la testa e di ripararsi gli occhi
mentre correva affannosamente, Fritti inciampò proprio sopra le radici nodose di una quercia e ruzzolò sul terriccio, dove fu subito bombardato da una pioggia di colpi ancora più fitti. Acquattato, riuscì a vedere i proiettili che rimbalzavano per terra: erano pietre di duri gusci di noce. Quel tiro al bersaglio era divenuto ormai insopportabile e, come inseguito da un nugolo di zanzare pungenti, andò a rifugiarsi a capofitto nel sottobosco. Quando tentava di dirigersi da una parte, un diluvio di noci e di piccole pietre lo ricacciava subito indietro, e sempre nella stessa direzione. Gettandosi a capofitto al riparo di un cespuglio di more, sentì le sue zampe che annaspavano d'improvviso nel vuoto e, perso l'equilibrio, precipitò in avanti. Mentre scivolava lungo il precipizio, intravvedendo sotto di sé, a una fatale profondità, il letto asciutto di un torrente, Fritti si contorse bruscamente, riuscendo ad aggrapparsi al cespuglio di more e a rallentare così la sua rovinosa caduta. Aggrappato a quei rami pungenti con tutte e quattro le zampe, con i denti e la coda, si trovò così sospeso precariamente sopra il baratro, dove soltanto i rovi lo dividevano da una lunga, lunga caduta. Rimase lì sospeso per qualche attimo, impazzito per la sopresa e il terrore, quando... tok... to-tok!... un'altra gragnuola di noci e di pietre si abbatté su di lui. Fritti cominciò allora a gemere disperatamente. «Perché... ahi!... perché mi fate male...? ahi!» gridò, e per tutta risposta fu colpito da una nocciola sul suo sensibile naso rosa. «Non ho fatto niente di male a nessuno! Perché... ahi!... voi mi fate male?» Seguì un'altra rapida gragnuola di colpi, poi qualche attimo di tregua. Infine, dall'alto degli alberi, gli giunse una voce acuta e petulante. «Niente di male, dice-dice!» era una voce stridula e infuriata. «Bugiardo-bugiardo! Assassini siete! Venite qui-qui a cacciare e uccidere. Bugiardo-gattobugiardo!» Anche se la voce parlava in tono rapido e concitato, Fritti riuscì a riconoscere la lingua del Canto comune. Con uno sforzo si aggrappò più saldamente alle radici del cespuglio. «Ditemi che cosa ho fatto» supplicò, mentre sperava di avere il tempo di raggiungere il ciglio della salvezza che era soltanto a una zampata di distanza. Da tutti gli alberi gli rispose subito un furibondo squittio che Fritti non riuscì a comprendere, poi un rumore di colpi secchi fece tacere di nuovo le noci. «Noi non siamo stupidi mangiatori di noci, no-no. Gatto-cattivo-gatto, tu
non devi molestare e prendere in giro il popolo dei rikcikcik, oh, no-no!» I rikcikcik! La gente degli scoiattoli! Anche se era lì appeso con la punta delle zampe a un cespuglio di rovi, Fritti rimase per un attimo sorpreso. Si sapeva che gli scoiattoli strepitavano e digrignavano i denti contro gli intrusi, e anche che erano capaci di combattere con tutte le loro forze quando erano alle strette, che erano tra i più forti e coraggiosi del popolo degli Squittenti. Ma che si organizzassero per attaccare uno della Gente, che per di più non era nemmeno a caccia, questo era incredibile! «Ascoltami, o rikcikcik!» gridò Fritti, mentre le sue zampe cominciavano a sentire lo sforzo della tensione. «Ascoltami! Io so che la tua gente e la mia sono nemiche, ma questo è onorevole! Siamo come siamo fatti. Però vi giuro che non ho nessuna intenzione di molestravi né di attaccare i vostri nidi. Sono alla ricerca di un'amica, e qui non mangerò né darò la caccia! Lo giuro sui Primi!» Attese nervosamente una risposta, ma gli alberi rimasero in silenzio. Poi un grosso scoiattolo bruno discese a testa in giù, lentamente, il tronco di un pioppo tremolo, e si fermò nemmeno a due balzi di distanza dalla precaria posizione di Acchiappacoda. Il rikcikcik sembrava furibondo, le labbra tirate sopra i lunghi denti frontali, ma le sue dimensioni erano soltanto un quarto di quelle di Fritti, il quale dovette riconoscerne il coraggio. «Code, zanne, bugie! Ecco che cosa sono-sono i gatti.» Lo scoiattolo parlava ancora adirato, ma più lentamente, ed era più facile capire. «Possibile fidarsi? No-no. Gatti hanno preso-preso signora Frull. Gatti-cattivi gatti.» «Io non ho fatto male a nessuno» protestò lamentosamente Fritti. «Molti-unghie-zanne attaccano i nidi! Anche or-ora gatto assassino ha preso mia chiknek, la mia... compagna. Presa! Tutti semi rovinati, nocciole scavate sotto terra! Terrore, terrore!» Fitte di dolore lancinanti trapassavano le zampe di Fritti, il quale faceva fatica a pensare. Allungò cautamente una zampa sul ciglio del precipizio per alleviare la tensione delle zampe posteriori, ma una pietra lanciata da un albero al di sopra colpì la zampa che s'allungava, e Fritti perse quasi la presa quando ritrasse la zampa dolorante. Uno stridulo coro di voci di scoiattoli tra il fogliame reclamava il suo sangue. Si sforzò di concentrarsi su quello che stava dicendo lo scoiattolo bruno. «Vuoi dire che un gatto ha preso la tua compagna poco fa? Qui vicino?» «Ossa d'uccelli! Occorre, sventura! Povera signora Frull... Presa, è stata presa.»
Fritti colse al volo l'occasione. «Ascoltatemi! Vi prego, non gettate più pietre, sono alla vostra mercé. Tenterò di salvare la tua compagna, se soltanto mi lasciate salire di qui. Non è necessario che abbiate fiducia in me. Ritornate sui vostri alberi, e se io tento di fuggire o di farvi male, potete sempre scagliarmi addosso macigni, zucche, qualsiasi cosa! È l'unica possibilità che avete di salvarla!» La coda eretta e fremente, il grosso scoiattolo bruno lo scrutava con occhi di fuoco. Per qualche attimo, il quadro rimase raggelato: lo scoiattolo immobile come pietra e il piccolo gatto color arancione, che faceva smorfie di dolore, sospeso a un cespuglio sopra uno scosceso precipizio. Poi il rikcikcik parlò. «Vai. Salva chiknek e sarai libero-libero. Parola di mastro Fizz. Sacra promessa della Quercia. Segui, facciamo strada-strada.» Con un balzo e qualche colpo di zampa, mastro Fizz scomparve tra le fronde dei rami al di sopra. Acchiappacoda si arrampicò cautamente fin dove poteva avere una migliore presa, poi sollevò le zampe posteriori contro le radici del cespuglio per fare leva, e con un balzo raggiunse la salvezza. Era più debole di quanto pensasse. I suoi muscoli tremavano, mentre s'arrampicava sulla terraferma, e si fermò per un attimo, ansimando. I rikcikcik facevano sentire le loro voci eccitate tra le foglie. Fritti si alzò faticosamente in piedi e le loro grida stridule gli fecero strada. Ai margini di un boschetto di querce i rikcikcik si fermarono, e lì Acchiappacoda poté vedere che cos'era successo. Uno degli antichi alberi era crollato lì da molto tempo, formando un'enorme arcata, sotto la quale Fritti poteva udire le grida di terrore di uno scoiattolo e annusare l'odore di uno della sua Gente. La quercia caduta faceva da scudo al gatto, il quale poteva così finire in pace la sua preda, al riparo delle pietre e delle noci scagliate dai rikcikcik assetati di vendetta. Lentamente, Fritti scivolò cautamente in mezzo all'intrico di radici che si estendeva a un capo dell'albero caduto. Per convincere l'altro gatto a rinunciare alla preda di caccia che gli spettava di diritto, doveva però usare tatto e deferenza. Quindi, per non impaurirlo, gridò: «Buona danza, fratello cacciatore» mentre s'inoltrava sotto il tronco arcuato. Lì si fermò bruscamente. La signora Frull, con gli occhi strabuzzati dalla paura, era inchiodata sotto la zampa di un grosso maschio color sabbia. Il cacciatore sollevò incuriosito la testa quando Fritti si avvicinò. Era Stiralento. «Ehi, il giovane Acchiappacoda!» Stiralento non sollevò né mosse la zampa posata sopra la scoiattola terrorizzata, ma gli rivolse col capo un
cenno di saluto che non era ostile. «Che sorpresa! Ti stavo aspettando in questa zona, prima o poi, ma l'attesa è così noiosa...» Fece per sbadigliare, ma si trattenne. «Bene, ora che sei arrivato, che ne diresti di dividere con me la preda? È bella grassa, come puoi vedere. Abbiamo lottato anche un bel po', all'inizio. Be', è qualcosa che stimola l'appetito...» I fatti stavano avvenendo troppo rapidamente per Fritti. «Mi stavi... mi stavi aspettando?» domandò sconcertato. «Non... non capisco.» Stiralento starnutì divertito dallo stupore di Fritti. «Mi aspettavo che non capissi. Be', avremo tutto il tempo per parlarne dopo un assaggio di rikcikcik. Sicuro di non avere fame?» domandò Stiralento, sollevando la zampa per sferrare alla scoiattola il colpo di grazia. «Fermo!» gridò Fritti. Era ora Stiralento a mostrarsi stupito. Scrutò Acchiappacoda socchiudendo gli occhi, e il suo sguardo calmo mostrava un'acuta curiosità, come se a Fritti fosse cresciuta una seconda coda. «Che cosa c'è ragazzo?» domandò l'anziano maschio. «È forse qualche strana specie di scoiattolo velenoso?» «Sì... no... oh, senti, Stiralento, non potresti lasciarla andare?» domandò Fritti flebilmente. «Lasciarla andare?» Il cacciatore era veramente sconcertato. «Viror del Cielo! E perché mai?» «Ho promesso agli altri scoiattoli che l'avrei salvata.» Fritti si sentiva tramutare in polvere, sotto lo sguardo incuriosito dell'altro gatto, come polvere che poteva essere spazzata via dal primo soffio di vento. Dopo aver scrutato attentamente Fritti ancora per qualche momento, Stiralento scoppiò in un'enorme risata e rotolò sul dorso agitando in aria le zampe. La scoiattola non si mosse, ma rimase lì immobile, trattenendo il fiato, gli occhi infuocati. Stiralento si rotolò sulla pancia, poi diede a Fritti una pacca affettuosa con le sue enormi zampe. «Oh, Scappacoda!» ansimò. «Lo sapevo che avevo ragione! Te ne vai alla ventura, in cerca di giovani scoiattole da salvare! Ah-ah! che bella canzone sarà la tua!» Stiralento scosse divertito la testa da una parte e dall'altra, poi rivolse di nuovo l'attenzione alla rikcikcik che stava li rannicchiata. Fritti si sentiva bruciare il naso. Non capiva se Stiralento lo stava elogiando o deridendo, o ambedue le cose. «E va bene, allora» disse Stiralento, rivolgendosi alla signora Frull. «Hai sentito che cos'ha detto Acchiappacoda. Ha interceduto per salvarti la vita. Vattene ora, prima che cambi idea.» La rikcikcik rimase immobile. Fritti fece per
avvicinarsi, temendo che Stiralento le avesse involontariamente spezzato la spina dorsale, ma questa schizzò via in mezzo a loro sollevando una nuvola di schegge di corteccia, e scomparve sotto l'arco della quercia. «Mi piacerebbe avere il tempo di ascoltare come sei arrivato a fare promesse agli scoiattoli, ma ho ancora molte cose da fare, prima che compaia l'Occhio.» Stavano camminando insieme, sotto quegli alberi giganteschi, e Fritti doveva correre per tenere il passo con Stiralento. «Comunque, devo fare con te un discorso più importante. Ero sicuro che avresti deciso di partire da solo, ma non potevo prevedere quando saresti partito. E così mi sono dovuto mettere alla tua ricerca fin dall'inizio delle Ombre più piccole.» «Stiralento, temo di non riuscire proprio a capirti. Nemmeno lontanamente, e te ne chiedo scusa. Che cosa potresti aver mai da dire a uno stupido ragazzo come me? E come facevi a sapere che sarei andato da solo alla ricerca di Zampafelpata? E come facevi a sapere quale direzione avrei preso?» Fritti ansimava leggermente, mentre si sforzava di stare al passo del gatto più vecchio. «Troppe domande, piccolo cacciatore. Non a tutte posso rispondere adesso. Basti dire che tutto quanto so non lo apprendo al Muro degli Incontri. Ho vagabondato lontano, ai miei tempi, e ho annusato molte, molte cose. Ammetto che al giorno d'oggi trovo un bel po' di piacere nel crogiolarmi al sole, e certamente non vado a cacciare così lontano come una volta. Però, riesco comunque a cavarmela. «In quanto alle altre tue domande» proseguì Stiralento «be', anche un eunuco nutrito dall'Uo'mo avrebbe potuto fiutare le tue intenzioni, piccolo cercatore. Io lo sapevo già prima dell'Annusanaso, prima che tu stesso lo sapessi, che saresti partito alla ricerca della piccola Zampasaltata.» «Zampafelpata» ansimò Fritti. «Zampafelpata si chiama.» «Certo, certo, Zampafelpata. Lo so» replicò Stiralento in tono impaziente, e forse anche un po' affettuoso. «È un mio modo di dire» soggiunse semplicemente. Stiralento si fermò improvvisamente, e Acchiappacoda si arrestò goffamente al suo fianco. Scrutando Fritti, il cacciatore proseguì: «Strane cose succedono, e non soltanto nel vecchio Bosco. Il fatto che rikcikcik e la Gente si mettano d'accordo non è la più strana tra queste. Non riesco a sentire con certezza quello che sta succedendo, ma i miei baffi mi raccontano storie sconcertanti. Tu hai una tua parte da giocare, Acchiappacoda.»
«Come potrei mai...» accennò a protestare Fritti, ma Stiralento lo mise a tacere con un gesto della zampa. «Non ho più tempo, temo. Senti l'odore del vento?» Fritti inspirò col naso. In effetti, il vento portava uno strano odore di terra fredda e umida, ma i suoi sensi non riuscivano a decifrarlo. «Devi imparare a fidarti dei tuoi sensi, Acchiappacoda» lo ammonì Stiralento. «Hai alcune doti naturali che possono esserti d'aiuto quando la tua mancanza d'esperienza ti fa finire nei guai. Ricorda, usa i sensi che Meerclar ti ha dato. E devi essere paziente.» Stiralento annusò di nuovo l'aria, ma Fritti non riuscì a sentire nient'altro di insolito. Il gatto più anziano strofinò allora il naso sul fianco di Acchiappacoda. «Tieni la spalla sinistra verso il sole calante quando uscirai dalla foresta» gli disse. «Questo dovrebbe tenerti nella giusta direzione. Non esitare a fare il mio nome come raccomandazione, durante il tuo viaggio. In certi posti sono ancora ben ricordato. E ora devo proprio andare.» Stiralento si allontanò trotterellando di alcuni passi. Fritti, sopraffatto dagli eventi, rimase seduto a guardarlo mentre si allontanava. Il grosso gatto si voltò. «Hai già avuto l'Iniziazione alla caccia, Acchiappacoda?» «Be'...» Colto alla sprovvista, Fritti ebbe bisogno di qualche attimo per raccogliere le idee. «Be', no... La cerimonia doveva avvenire all'Incontro dopo il prossimo Occhio.» Stiralento scosse la testa e tornò indietro con un balzo. «Non c'è tempo, né l'ambiente è adatto per il Canto della caccia» gli disse, «ma farò come meglio posso.» Come abbagliato, Fritti osservò Stiralento che si accovacciava sulle possenti zampe posteriori e chiudeva gli occhi. Poi, con una voce molto più dolce di quanto si poteva supporre, cantò: Madre-di-tutti, i doni della caccia noi elogiamo adesso, noi elogiamo adesso. Tienici nel tuo Occhio; la nostra vera coda tu racchiudi. Il sole sta svanendo,
l'Occhio è quello di Sempre.. Madre-di-tutti, ascoltaci, noi ti preghiamo noi ti preghiamo. Artiglio, Zanna e Osso questo è il nostro pegno alla tua luce. Stiralungo rimase qualche attimo accovacciato con gli occhi chiusi, poi li aprì e balzò in piedi di nuovo. Non sembrava rimasta traccia del gatto che parlava e si muoveva lentamente, che Fritti conosceva, tranne lo scintillio degli occhi. Sembrava ora carico di determinazione e di energia, e quando gli si avvicinò, Acchiappacoda si ritrasse istintivamente. Ma Stiralento allungò soltanto una zampa e con questa toccò la fronte di Fritti. «Benvenuto, cacciatore» gli disse, poi si voltò e scappò via, fermandosi un attimo ai bordi di un boschetto più avanti per gridare: «Che tu possa trovare la fortuna danzante, giovane Acchiappacoda». Detto ciò, Stiralento scomparve tra gli alberi. Fritti Acchiappacoda si distese sbigottito per terra. Tutto questo era accaduto realmente? Era trascorso meno di un giorno da quando se n'era andato di casa, eppure sembrava un'eternità. Era tutto così stupefacente! Sollevò una zampa anteriore e si grattò dietro l'orecchio, per dar sfogo a quel confuso conflitto di emozioni. Mentre si grattava furiosamente gli occhi semichiusi, avvertì un movimento tutt'intorno. Balzò in piedi allarmato. Gli alberi circostanti erano tutti affollati di scoiattoli scodinzolanti. Uno dei più grossi, ma non quello che gli aveva parlato poco prima, era sceso giù per il tronco di un olmo, fino all'altezza dei suoi occhi, e stava lì aggrappato, guardandolo. «Tu-tu, gatto-gatto. Ora vieni, su-vieni. Ora parli-parli. È il momento che parli col nostro Signore Snap.» Capitolo 5 La difficoltà di pensare al termine del giorno, quando l'ombra informe copre il sole, e nulla nmane, se non la luce sul tuo pelo. WALLACE STEVENS Fritti stava arrampicandosi tra le cime degli alberi. Il rikcikcik che l'ave-
va convocato stava parecchi rami più avanti, facendogli strada verso l'alto. Dietro e tutt'intorno a lui, gli altri scoiattoli della delegazione balzavano e squittivano nella loro lingua. Fritti aveva la sensazione che stesse arrampicandosi ormai da giorni. Ai vertiginosi piani più alti della grande quercia vivente, la comitiva si fermò per qualche attimo. Fritti si accovacciò su un ramo non molto lungo, in attesa di riprendere fiato. Come tutti i gatti era un buon arrampicatore, ma era molto più pesante degli scoiattoli che lo accompagnavano e doveva aggrapparsi più saldamente e gli era più difficile mantenere l'equilibrio, soprattutto lassù, dove i rami si facevano sempre più esili: di quando in quando uno di questi oscillava vertiginosamente sotto di lui, e allora doveva arrampicarsi velocemente per raggiungerne uno più robusto. Si fermarono su una delle ultime biforcazioni del tronco, dove parecchi grossi rami si estendevano dalla quercia. Si erano arrampicati così in alto che attraverso l'intrico dei rami Fritti non riusciva più a vedere la terra sottostante. La scorta che lo accompagnava, infoltita da decine di altri rikcikcik, lo osservava da prudente distanza, squittendo tra sé per la meraviglia alla vista di un gatto sull'albero del loro Signore. Nonostante le gambe doloranti, Acchiappacoda fu di nuovo costretto ad alzarsi e a seguire i suoi anfitrioni. Dopo essere salita per qualche metro ancora lungo il tronco centrale, arrampicandosi a spirale su per i rami a raggiera, la comitiva voltò su per un largo ramo sporgente. Lontano dal tronco, la circonferenza del ramo si faceva via via più piccola, finché Fritti dovette fermarsi per paura che non sorreggesse il suo peso. Il rikcikcik lo incalzava però ad avanzare, e Fritti si spinse avanti finché non fu costretto a distendersi abbarbicato sulla pancia. Non intendeva andare più avanti. Mentre stava lì disteso, oscillando lievemente nel vento, lo scoiattolo che aveva guidato la comitiva squittì un breve segnale, e riprese allora il rumore, tok-to-tok, che Fritti aveva udito poco prima. Allungando il collo, Fritti riuscì a vedere parecchi Rikcikcik che, stringendo gusci di noce nelle zampe anteriori, li battevano seccamente contro il tronco e i rami dell'albero, producendo scrosci di rumori sintonizzati e cadenzati. Dalle altre cime degli alberi risposero altri scrosci di colpi. Su un ramo perpendicolare a quello di Acchiappacoda, ma separato da parecchi balzi nel vuoto, stava avanzando una lenta e dignitosa processione: dignitosa secondo i canoni degli scoiattoli, ma forse un po' scomposta e balzellante in confronto alla sinuosa grazia della Gente. A Fritti sembrò di riconoscere mastro Fizz e la signora Frull nelle prime file della processio-
ne, che era composta da parecchie zampate di rikcikcik. In testa alla strana processione avanzava un grosso scoiattolo col pelo chiazzato di grigio e una splendida coda cespugliosa. Gli occhi del vecchio scoiattolo erano neri come il carbone e si posarono intensamente su Acchiappacoda, quando la fila degli abitanti degli alberi si fermò per accovacciarsi. Dopo aver osservato maestosamente Fritti per qualche momento, il vecchio scoiattolo si rivolse alla signora Frull. «Questo è il gatto-gatto della Gente gatto che ti ha salvata?» La signora Frull guardò compitamente verso Fritti, che stava rattrappito sul suo ramo. «È proprio lui il gatto-gatto, mio signore Snap» confermò lei timidamente. Acchiappacoda non poté non vedere come i rikcikcik avevano protetto il loro capo da lui, l'infido gatto. All'estremità di quel ramo così sottile, non aveva nessun trampolino da cui saltare, ma anche se ci fosse riuscito, la distanza che separava il suo ramo da quello di Snap era troppo grande. Non che sentisse l'impulso di balzare addosso a qualcuno, in quel momento, però non poteva non ammirare l'astuzia dei rikcikcik. «Ehi tu, gatto-gatto» disse Snap seccamente. «Sì, signore?» rispose Fritti. Che cosa poteva mai volere da lui quel vecchio scoiattolo, in ogni caso? si domandò. «Gatti-gatti e rikcikcik non sono amici. Tu hai aiutato la signora Frull. Perché l'hai fatto, strano gatto strano?» Lo stesso Fritti non aveva ancora trovato una risposta a quella domanda. «Non ne sono certo, signor Snap» rispose. «Avrebbe potuto rifugiarsi col ladro-ladro di ciknek sotto il ceppo, sotto il ceppo» intervenne improvvisamente mastro Fizz. «Non l'ha affatto fatto» soggiunse in tono significativo. Snap chinò la testa e masticò pensosamente un ramoscello, poi guardò di nuovo Fritti. «Sempre a caccia, e combattere-combattere con la gente dei gatti-gatti. La scorsa luna quattro gatti scalato il grande albero. Rubato ciklek... rubato piccoli. Rubati molti piccoli. Quali gatti?» «Non lo so, signor Snap, sono entrato solo oggi nella foresta. Quattro gatti ha detto? Tutti insieme?» «Quattro cattivi gatti cattivi» confermò Snap. «Tutte le zampe che hanno rikcikcik. Quattro.» «Non saprei, mio signore, ma è insolito che la mia Gente vada a caccia insieme in gran numero» replicò Acchiappacoda pensosamente.
Snap meditò per qualche momento. «Tu buon-gatto buono. Manteneretenere promessa, sacro vincolo della Quercia. È prima volta che rikcikcik deve un favore a Gente gatto, fin dai tempi della Radice-in-terra. Tit'insegno una cosa. Se tu hai bisogno-sogno d'aiuto, rikcikcik lo danno. Capito?» Fritti annuì sorpreso. «Buon-gatto buono nei guai canta: Mrikkarrikarek-Snap, e ha aiuto. Canta!» Fritti ci provò: Mreowarriksnap.» Snap ripeté la frase e Fritti riprovò a ripeterla, nonostante la difficile pronuncia squittente. Più volte Fritti la ripeté, assaporando in bocca la strana sensazione di squittire. Tutti i rikcikcik si chinarono verso di lui, incoraggiandolo e insegnandogli come produrre quei suoni. Se Stiralento mi vedesse adesso, allora sì che scoppierebbe in una bella risata, pensò Fritti. Finalmente riuscì a imitare abbastanza bene la frase finché il Signore degli Scoiattoli ne fu soddisfatto. «Nella mia bella foresta bella, canta per avere aiuto. Cantala anche tra gli alberi del fratello, il signor Pop. E poi... Snap-non-sa.» Il vecchio scoiattolo si chinò avanti e fissò Acchiappacoda con i suoi occhi lucenti. «Altra cosa. Se tu dai la caccia a rikcikcik, niente aiuto. Promessa andata-via. Legge della Foglia e Ramo. Capito, buon-gatto?» Snap lo guardò con aria d'intesa. Fritti fu colto alla sprovvista. «Sì, mi sembra di sì... Si, prometto.» Un sospiro di soddisfazione salì dagli scoiattoli lì vicini. Snap, tutto compiaciuto, mostrava i suoi incisivi ormai logori. «Bene, molto-bene» soggiunse gongolando. «È affare-fatto-affare.» Il capo dei rikcikcik fece un cenno con la coda allo scoiattolo che aveva accompagnato Acchiappacoda. «Mastro Click, accompagna gatto giù dall'albero.» «Sissignore, mio signore Snap» rispose Qick. Fritti, vedendo che il colloquio era giunto al termine, cominciò ad arretrare lentamente, un palmo dopo l'altro, sull'esile ramo dell'albero. Gli scoiattoli squittivano allegramente alle sue spalle, e gli sembrò di udire mastro Fizz e la signora Frull che gli auguravano buon viaggio. Mentre scendeva dietro all'agile e scattante Click, Acchiappacoda rifletteva con un certo rammarico sull'accordo che aveva appena stretto con i rikcikcik. Non mi resta che conoscere il Re degli Uccelli e il Re dei Topi, pensò amaramente, e finirò quasi sicuramente col morire di fame.
Gli ultimi momenti del Sole che si stende avevano trasformato in fiamme il cielo sopra la grande foresta. Il riverbero del sole calante si propagava attraverso l'intrico dei rami e chiazzava il tappeto di foglie ai piedi di Acchiappacoda. Alla vigilia della sua prima notte di viaggio, Fritti continuava a trotterellare, addentrandosi sempre più negli antici arcani del vecchio Bosco. Era affamato, non avendo ancora mangiato fin dalla Danza finale del giorno precedente. Improvvisamente, come se fosse stata inghiottita dal Cane Venris, la luce scomparve. In quell'attimo che impiegò per adattare la sua vista al buio, Fritti rimase cieco. Si fermò, e mentre la sua vista notturna compensava le tenebre improvvise, Acchiappacoda scosse la testa e rabbrividì. Vivere per sempre nelle tenebre! Per Harar! Come potevano sopportarlo le creature che abitavano nelle tane e nei cunicoli? Ringraziò Madre-di-tutti, che gli aveva dato vita nei campi aperti, come membro della Gente che godeva di tutti i sensi. Mentre proseguiva il suo cammino con passo instancabile, tipico della sua Gente, Acchiappacoda osservava sbocciare la prima vita notturna del grande bosco. I suoi baffi percepirono le indistinte pulsazioni di calore delle piccole creature che uscivano cautamente per esplorare la notte. Tutti i loro movimenti erano però titubanti, prudenti ed esitanti. Lo stesso Fritti era un elemento di cui molte creature avevano già avvertito la presenza. Gli animaletti che uscivano troppo precipitosamente al primo buio dai loro nascondigli, solitamente non vivevano abbastanza a lungo per raccontare della loro imprudenza alla progenie. Fritti, pensando ora al nutrimento, avanzava con cautela, posando ogni passo sulla terra battuta che non rivelava alcun rumore. Stava cercando qualche posto in cui le correnti d'aria si muovessero in senso favorevole, o non si muovessero affatto, perché aveva intenzione di disporre una trappola. Era da troppo tempo che camminava affamato, e non poteva attendere qualche preda occasionale. Oltre a ciò, Nido-d'erba, sua madre, gli aveva insegnato i segreti della caccia, dopo tutto. Non voleva essere costretto a scavare nidi di Squittenti per nutrirsi di nuovi nati, proprio la prima notte lontano da casa! Avrebbe catturato una preda vera e propria. Gli uccelli notturni roteavano e si libravano sopra di lui. Poteva sentire la presenza dei ruhuë nel loro volo silenzioso. Non erano a caccia, pensò
Fritti, perché i ruhuë preferivano andare alla ricerca e poi piombare in picchiata sul terreno aperto. Era più probabile che stessero lasciando i loro nidi nella vicina foresta. Meglio così, si disse Fritti. La presenza di una civetta avrebbe impaurito le creature della foresta, e per lui sarebbe stato molto più difficile trovare la cena. Altri fla-fa'az notturni fischiavano e zufolavano tra gli alberi, lassù sui rami più alti, dove la Gente era troppo pesante per arrivare. Fritti rinunciò all'idea senza ripensarci. Mentre saltellava in un canalone asciutto e disseminato di rocce, Fritti percepì improvvisamente una sorprendente zaffata di odore di gatto. Si voltò, tutti i muscoli tesi, e l'odore scomparve. Un attimo dopo lo percepì di nuovo, e Fritti lo fiutò abbastanza a lungo per riconoscere qualcosa di familiare in quell'odore. Poi, stranamente, scomparve un'altra volta. Fritti rimase lì perplesso davanti a quello sconcertante fenomeno, i peli irti e il naso fremente. Quell'odore non era mutato d'intensità per qualche movimento o per il calare del vento, era semplicemente scomparso. Quando avvertì di nuovo quell'odore, lo riconobbe. Era naturale che gli sembrasse familiare: era il suo stesso odore. Il suo naso s'arricciava lievemente mentre annusava l'aria, trovando conferma ai suoi sospetti. Si era addentrato in un mulinello di vento notturno, un lento vortice d'aria appena riconoscibile. Le rocce nel letto asciutto del torrente, riscaldate dal sole durante il giorno, scaldavano a loro volta l'aria al di sopra, e a contatto con le fredde correnti d'aria notturna discendenti, imprigionate e dirottate dalle pareti della gola, il conseguente vortice volteggiava pigramente intorno, riportando a Fritti il suo stesso odore. Se non si fosse trattenuto per qualche attimo, l'odore non avrebbe avuto il tempo di ritornare in cerchio fino a lui. Orgoglioso d'aver risolto l'enigma, Fritti balzò fino al capo opposto del letto del torrente e si stava allontanando quando un'idea lo fece fermare. Tornò indietro ed esplorò le pareti della gola per parecchi balzi su e giù, lungo ambedue i lati. E infine trovò quello che stava cercando, l'ingresso seminascosto di una tana di Squittenti. Sapeva che il calore del sole si sarebbe dissipato, prima o poi, e sapeva anche che il trucco poteva funzionare una sola volta. Cautamente si appostò, distendendosi in cima alla parete della gola, a tre o quattro balzi di distanza dall'ingresso della tana. Tastò il bordo della parete sulla quale era appostato e trovò infine un punto che non avrebbe ceduto sotto i suoi mo-
vimenti, facendo precipitare il terriccio e rivelando così il trabocchetto. Poi, ripassato mentalmente il catechismo che sua madre gli aveva insegnato, si immobilizzò nell'attesa. Per non muovere la testa, sentì, più che vedere, che l'Occhio di Meerclar era ormai arrivato a breve distanza. Quando fu finalmente ricompensato da un lieve movimento all'ingresso del cunicolo, Fritti ebbe la sensazione di aver atteso quel momento per oltre una vita. Cautamente, molto cautamente, un muso spuntò fuori dal buco e annusò l'aria, poi al muso seguì il resto del corpo dello Squittente. Si fermò sgranando gli occhi spaventati sull'imboccatura del cunicolo per qualche attimo, rivelando in ogni suo movimento che era pronto a darsi alla fuga al primo segnale di pericolo. Lì accovacciato, il naso arricciato, stava soppesando il rischio. Era un agile topo di campo, color bruno-grigio. Senza accorgersene, Fritti cominciò a dimenare la coda avanti e indietro. Lo Squittente, non fiutando alcun immediato pericolo nelle vicinanze, si allontanò a prudente distanza dall'imboccatura della tana e cominciò a cercare cibo. Il suo naso, le orecchie e gli occhi erano costantemente tesi per avvertire la presenza di predatori. Senza allontanarsi dalla sua tana per più di un rapido balzo, lo Squittente esplorava da una parte e dall'altra le cavità del letto asciutto del fiume. Fritti scoprì che aveva bisogno di tutto il suo autocontrollo per non balzare subito sul topo, che sembrava così vicino. Sentiva lo stomaco che fremeva silenziosamente dalla fame, e anche il tremito impaziente delle zampe posteriori. Ricordava, però, anche il monito di Mostrazanne: avere pazienza. Sapeva che il piccolo Squittente si sarebbe rintanato come un fulmine al primo cenno di movimento. Non devi essere un gattino, si disse Fritti. È un buon piano di caccia, attenderò il momento opportuno. Finalmente, giudicò che il mre'az fosse ormai abbastanza lontano dalla sua tana. Quando il topo voltò per un attimo il dorso alla postazione di Acchiappacoda, questi sollevò la zampa anteriore e la posò lentamente sul bordo della parete, rimanendo subito immobile per vedere se il topo si fosse voltato verso di lui. A poco a poco, con grande cautela, tese in giù la zampa, finché sentì le fievoli correnti dell'aria notturna che gli arruffavano il pelo sulla zampa tesa. La corrente portava l'odore tutt'intorno, in cerchio lungo le pareti della gola, per ritornare lentamente fino al topo da un punto che sembrava vicino alla sua tana.
Quando l'odore di gatto lo raggiunse, il roditore s'irrigidì, le narici dilatate. Acchiappacoda poteva vedere l'elastica, fremente tensione del suo corpo, mentre annusava la presenza di un mortale nemico, che a quanto pareva era appostato tra lui e la via della fuga. Lo Squittente rimase raggelato per parecchi battiti di cuore, mentre la corrente trasportava oltre l'odore di Fritti. Poi, nel tormento dell'incertezza, il topo fece un incerto balzo lontano dall'imboccatura della tana. Proprio verso Acchiappacoda. Tutta l'energia accumulata del gatto si scatenò immediatamente. I suoi muscoli tesi lo portarono in un solo movimento al di là del bordo del letto del torrente. Non appena le sue zampe posteriori toccarono il suolo, il suo corpo fu di nuovo in volo. Il topo non ebbe nemmeno il tempo di emettere un suono di sorpresa prima di morire. Mentre seguiva la direzione della spalla sinistra, secondo le istruzioni di Stiralento, Fritti ripensava a quello strano incontro col vecchio cacciatore. Aveva sempre visto Stiralento nei momenti di riposo, come una figura distaccata, inavvicinabile, e mai si era comportato come quel giorno nei confronti di Acchiappacoda, quando si era mostrato così diverso, pieno di vitalità, di energia. Ancora più strano il fatto che avesse trattato Acchiappacoda con tanta gentilezza e rispetto. Anche se Fritti era sempre stato attento, in passato, a non offendere Stiralento, certamente non aveva mai fatto niente per meritarsi il rispetto dell'anziano cacciatore. Era un enigma che non riusciva a spiegarsi, a differenza di quello delle correnti notturne. Che giornata! Come avrebbero riso gli altri, là al Muro, nel sentire raccontare la storia di uno della Gente che imparava il linguaggio dei rikcikcik sull'albero del Signore degli Scoiattoli. Ma forse non sarebbe mai più ritornato al Muro degli Incontri per far sentire il suo canto. Era uno della Gente, e il suo giuramento lo vincolava. E ora era diventato un cacciatore, nel canto e nel sangue. Eppure il cacciatore si sentiva molto piccolo e triste. Trascorsa la metà della notte, Fritti cominciò ad avvertire un continuo indolenzimento dei muscoli affaticati. Aveva camminato a lungo, secondo il metro di misura della Gente, ancora più a lungo per uno della sua età. E ora doveva dormire. Annusandosi intorno alla ricerca di un posto per dormire, scelse infine una cavità erbosa alla base di un grande albero. Fiutò attentamente il vento e non scoprì niente che gli impedisse di distendersi. Si voltò tre volte den-
tro la piccola cavità, per rendere onore a Madre-di-tutti, a Occhio-d'oro e a Danza-in-cielo, i portatori di vita, poi si raggomitolò, coprendosi il naso con la punta della coda per tenerlo al caldo. Ben presto era addormentato. Nel sogno, era sotto terra, nel buio. Fritti stava sforzandosi di scavare il terriccio che si sfaldava sotto le sue zampe, ma c'era sempre altra terra. Sapeva che qualcosa gli stava dando la caccia, come lui la dava agli Squittenti, e il cuore gli batteva forte in petto. Il raschiare delle sue zampe ebbe finalmente la meglio, e attraverso un muro di terra uscì finalmente all'aria aperta. Lì, in una radura della foresta, c'erano sua madre e i suoi fratelli. Trovò anche Zampafelpata e Stiralento e Sottil'Osso. Tentò di avvertirli del pericolo di quella cosa che lo stava inseguendo, ma la sua bocca era piena di terra, e gli cadeva giù quando tentava di parlare. I suoi amici e familiari, nel guardare Acchiappacoda, cominciarono a ridere, e più lui si sforzava di far capire il pericolo in cui si trovavano a causa di quella cosa che lo inseguiva, che gli dava la caccia, più loro ridevano... finché quei risolini simili a starnuti gli ronzarono nelle orecchie... D'improvviso si trovò sveglio. Le risate si erano tramutate in un acuto latrato. Si mise in ascolto, immobile, e riuscì a udire più chiaramente. Il rumore era molto vicino, e un attimo dopo lo riconobbe: era una volpe che uggiolava nel buio, al di là degli alberi. Le volpi non rappresentavano un pericolo per i gatti adulti. Fritti si rilassò di nuovo per dormire quando udì un altro rumore, il miagolio disperato di un piccolo gatto. Saltò in piedi immediatamente per indagare, balzando fuori dal Bosco ceduo e poi giù per un declivio alberato. I latrati e i ringhi si facevano più forti. Fritti balzò sulla cresta di una roccia che sporgeva sull'intrico del sottobosco. A molti balzi di distanza da lui, giù per il declivio, vide una volpe rossa adulta che aveva intrappolato un piccolo gatto contro una collinetta. La schiena del giovane gatto era arcuata, tutto il suo pelo era irto sul suo piccolo corpo. Non faceva però molta paura a vedersi, pensò Fritti, nemmeno per una dei visl. Mentre balzava giù dalla roccia, Fritti si accorse di qualcosa di strano nella posizione del giovane gatto: sembrava ferito, e nonostante il suo soffiare e sibilare, non era evidentemente in gran forma per combattere. Fritti era sicuro che anche la visl se n'era accorta.
Poi, con sua grande sorpresa, Acchiappacoda vide che il gattino intrappolato dalla volpe era Balzalesto. Capitolo 6 ...gatti acciambellati nel sonno (due mucchi di pelo divenuti uno solo) vibrano le orecchie e mugolano sognano forse lo stesso sogno? ERIC BARKER «Balzalesto! Piccolo Balzalesto!» gridava Acchiappacoda scendendo a grandi balzi il pendio coperto di arbusti. «Sono io, Acchiappacoda!» Il piccolo gatto, nella sua goffa posizione difensiva, rivolse uno sguardo atterrito in direzione di Fritti, ma non diede segno di riconoscerlo. La volpe si voltò bruscamente a guardare il nuovo venuto, ma non cedette terreno. Quando Fritti si fermò, a un balzo o due di distanza, la visl diede un ringhio di avvertimento. «Non ti avvicinare, grattacorteccia! Ce n'è anche per te!» Acchiappacoda poteva ora vedere che la visl era una femmina e che, nonostante il pelo arruffato, non era molto più grande di lui. Era anche magra e le sue zampe tremavano, se per la collera o per la paura Fritti non sapeva. «Perché minacci questo gatto, sorella cacciatrice?» cantilenò Fritti lentamente, in tono suadente. «Ti ha forse fatto male? È figlio di mio cugino, e io devo difenderlo.» La rituale domanda sembrò calmare un po' la volpe, che però non arretrò. «Ha minacciato i miei piccoli» rispose ansimando. «E io combatterò contro tutti e due, se è necessario.» I suoi piccoli! Ora Acchiappacoda capiva meglio la situazione. Le volpimadre, al pari delle matriarche della Gente, erano disposte a tutto pur di proteggere le loro nidiate. Osservò le costole sporgenti della volpe. Doveva esser stato un autunno difficile per la madre e i suoi piccoli. «Com'è stata minacciata la tua famiglia?» domandò Acchiappacoda. Balzalesto, a un salto di distanza, aveva lo sguardo fisso sulla visl, apparentemente ignorando la presenza di Fritti. La volpe scrutò attentamente Fritti. «Alle ombre del mattino avevo portato fuori i piccoli in cerca di preda» raccontò «quando ho sentito l'odore di predatori, grossi predatori. L'odore non mi era familiare, ma aveva qual-
cosa dei tassi e qualcosa dei gatti. Mi sono affrettata a riportare i piccoli giù nella tana, e mi sono distesa su di loro per tenerli tranquilli, ma l'odore del pericolo non si allontanava. Così ho deciso di portare lontano dalla tana il pericolo che era in agguato lì fuori. Ho detto ai piccoli di rimanere dov'erano, poi sono uscita da un secondo ingresso della tana. «L'odore era molto forte, i predatori erano vicini. Mi sono mostrata per qualche attimo e sono scappata via. Dopo un momento, ho udito qualcosa che mi inseguiva. L'ho condotto giù per il burrone e poi su, fino al bordo del bacino, mi sono perfino esposta alla vista sul prato lungo, nella speranza di intravedere alla luce della luna che cosa m'inseguiva...» «E che cos'era?» la interruppe Acchiappacoda. La visl gli lanciò un'occhiataccia e arruffò il pelo. Devi avere pazienza!, si rimproverò Acchiappacoda. «Non lo so, gatto» rispose la volpe sprezzantemente. «Erano troppo furbi per seguirmi fin nel campo d'erba. «Visto che non comparivano, sono dovuta ritornare, per timore che dopo aver rinunciato a inseguirmi fossero ritornati a cercare la tana. Come ho detto, erano però diabolicamente astuti... e mi stavano aspettando quando sono rientrata nella boscaglia, e sono dovuta correre come Volperossa per non farmi prendere. Sono rimasti però nelle ombre del sottobosco. Non so nemmeno con certezza quanti erano. Più di tre, mi sembra.» Fritti era ammirato dal coraggio della volpe-madre, e si domandò se lui avrebbe dato prova di altrettanta abnegazione, in un simile frangente. La visl riprese la parola. «Comunque, ho continuato a correre, abbastanza lontano per sentirmi al sicuro per i piccoli, e alla fine li ho lasciati in un boschetto di ginestre, seminando qualche falso odore da inseguire... spero che tu mi stia ascoltando molto attentamente. Raramente parlo con i gatti, e non succede mai che ripeta loro quello che ho detto.» «Sto ascoltando con molto interesse, sorella cacciatrice.» «Molto bene.» La volpe sembrava ora un po' ammorbidita, e Fritti si augurò di poter rimediare qualsiasi infantile stupidaggine avesse commesso Balzalesto, senza dover ricorrere agli artigli e alle zanne. «Be', dopo un tortuoso percorso sono ritornata al mio nido, e lì ho sentito i miei piccoli che facevano un terribile baccano, latravano, uggiolavano, mi chiamavano. E così ho trovato questo piccolo mostro dentro il nido, accanto a loro. Evidentemente, gli altri mi avevano fatto allontanare, e questo era allora entrato per fare male ai miei piccoli!» concluse, rizzando di nuo-
vo il pelo. Acchiappacoda stava per dirle qualcosa per calmarla, quando Balzalesto lanciò un grido acuto. Fritti e la volpe, voltandosi, videro il gattino che si faceva avanti ansimando. «No, no! Io stavo solo nascondendomi! Mi nascondevo!» ripeté Balzalesto in tono lamentoso. «Mi nascondevo da loro!» Il gattino fu preso da un tremito incontrollabile. Fritti, preoccupato per il piccolo amico, gli si avvicinò lentamente. «Sorella cacciatrice, penso che nella tua comprensibile preoccupazione per i tuoi cuccioli, tu abbia scambiato un'altra vittima per uno dei malfattori.» Era ora al fianco di Balzalesto, e il gattino, uggiolando, affondò sconsolato il muso nel fianco di Acchiappacoda. La volpe trapassò Fritti con uno sguardo penetrante. «Come ti chiami, gatto?» «Acchiappacoda, della tribù del Muro degli Incontri» rispose lui in tono deferente. Sembrava che il suo canto conciliante fosse riuscito a impedire la zuffa. «Io mi chiamo Vinaccia» replicò semplicemente la volpe. «Ti permetto di portar via il figlio di tuo cugino senza alcun rancore. Tu devi però prenderti la responsabilità di tenerlo lontano dalle tane della mia Gente. Se lo trovo ancora una volta vicino ai miei cuccioli, non ci saranno più compromessi.» «È più che giusto, Vinaccia» replicò Acchiappacoda, acconsentendo con un lieve cenno del capo. La visl lo squadrò dall'alto in basso, poi rivolse un'ultima occhiata a Balzalesto, che teneva il muso nascosto sotto la pancia di Acchiappacoda. «Tu canti bene, Acchiappacoda» soggiunse lentamente la volpe, scegliendo con cura le parole. «Ma non credere di poter far conto soltanto su questo, in questo mondo. Anche noi volpi siamo capaci di cantare, e sappiamo molte cose. Però ai nostri cuccioli insegniamo anche come si fa a mordere.» Si voltò e si allontanò a grandi passi, con aria molto solenne. L'alba stava spuntando sopra di loro, e Acchiappacoda era disteso accanto a Balzalesto, ancora tremante, e gli cantava una lenta nenia per tranquillizzarlo. Dopo un po', quando il micino terrorizzato si fu calmato, Fritti lo condusse a dormire sotto l'albero, e lì si acciambellò intorno a lui. Quando il sole del mattino si alzò, coprendo il tappeto del bosco di ombre incrociate, i due erano addormentati. La calura delle Ombre più piccole destò Acchiappacoda. Balzalesto non era più accoccolato accanto a lui.
Fritti alzò allora la testa e vide il piccolo che ruzzolava li accanto, il suo morbido pelo ispido di aghi di pino e di foglie morte. Quando si alzò stiracchiandosi, Fritti si accorse che i suoi muscoli erano molto indolenziti. Mentre guardava con invidia il gattino che sgambettava, decise che avrebbe dovuto rallentare il passo, finché non si fosse abituato a quelle lunghe marce. Balzalesto, che continuava a fare capriole allegramente, mentre Fritti riscaldava al sole le gambe e le zampe doloranti, sembrava essersi ripreso completamente dalla paura della notte precedente. Però, quando Fritti gli domandò che cosa era successo, un'ombra di inquietudine gli attraversò lo sguardo. «Possiamo parlarne dopo mangiato, Acchiappacoda?» domandò. «Ho molta fame!» Fritti assentì, e la parte successiva del pomeriggio la trascorse in una caccia non molto fortunata, rovinata in gran parte dall'abitudine di Balzalesto di miagolare quand'era eccitato. Riuscirono comunque a catturare un paio di scarabei, che pur essendo stranamente solleticanti quand'erano in gola, servirono almeno a riempire lo stomaco. Dopo aver trovato una pozza d'acqua stagnante ma potabile, si sdraiarono all'ombra per digerire. Il lungo, sonnacchioso silenzio era rotto soltanto dal cullante ronzio di invisibili insetti. Poi, mentre Fritti stava per scivolare nel sonno, Balzalesto cominciò a parlare. «Lo so che non avrei dovuto seguirti, Acchiappacoda. Sono sicuro che ti sarò di peso, ma ho tanta voglia di aiutarti. Sei stato gentile con me tante volte, quando Zampasvelta e gli altri mi davano zampate o mi prendevano in giro. Sapevo che però non mi avresti permesso di venire con te, e così mi sono nascosto finché non sei partito, e poi ho seguito le tue tracce. E tutto da solo!» soggiunse con orgoglio. «Ah, è per questo, allora, che chiedevi notizie della mia partenza tra quelli della Gente.» «Proprio così. Volevo sapere da dove saresti partito. Non sono poi molto bravo a seguire le tracce» soggiunse un po' mortificato, ma subito si ravvivò. «Comunque, ho tenuto il naso per terra e ti ho seguito. È andato tutto bene fino a mezzogiorno, poi mi sono confuso. Per un po' mi è sembrato che le tue tracce si fossero mescolate con quelle di altri, poi si sono raddoppiate indietro, su e giù per gli alberi, o almeno l'odore dava questa impressione. Ero molto confuso, ho vagabondato tutt'intorno per un po' di tempo, e quando ho ritrovato le tracce, queste non erano più fresche. Le ho
seguite come meglio potevo, ma si stava facendo buio e avevo fame. Per dire la verità, ne ho ancora. Non si potrebbe trovare qualche altro scarabeo, o qualcosa del genere?» «Più tardi, Balzalesto» tagliò corto Fritti. «Più tardi. Prima voglio ascoltare il resto del tuo canto, piccolo cun're.» «Ah, già. Be', stavo cercando di recuperare terreno, sperando che ti fermassi per dormire o per qualche altro motivo, quando ho udito un rumore dei più terrificanti. Era un enorme stormo di uccelli e tutti sbattevano le ali e vociavano contemporaneamente. Ho alzato lo sguardo e ne ho visti centinaia, un'intera nuvola di fla-fa'az, e volavano tutti come impazziti intorno a questo albero, facendo un rumore terribile. «Sono andato sotto quell'albero, naturalmente, per veder che cosa era successo.» «Dev'essere stato qualcosa di terribile, lassù. C'erano caterve di fla-fa'az morti, sbranati e morsicati, e piume in ogni parte, che scendevano giù volteggiando dai rami superiori. E quando ho alzato lo sguardo, allora ho potuto vedere gli occhi!» «Quali occhi?» domando Fritti. «Occhi, grossi occhi giallo-pallido, come non ne ho mai visti. C'erano troppi rami perché riuscissi a vedere altro, ma sono sicuro di non essermi sbagliato. Poi, qualsiasi cosa fosse, quella cosa ha lanciato un sibilo contro di me, e sono subito scappato. Penso che sia sceso dall'albero per inseguirmi, Acchiappacoda, perché gli uccelli hanno smesso di fare quel tremendo baccano, ma non mi sono voltato a guardare. Correvo e basta.» Balzalesto s'interruppe per un momento a occhi chiusi, poi proseguì il racconto. «Penso che erano forse più di uno, dai rumori che udivo, ed erano veloci. Se non fossi stato così piccolo da infilarmi sotto i cespugli e così via, mi avrebbero acchiappato. Non ho mai avuto tanta paura, nemmeno quando un Ringhiante mi è corso dietro. Alla fine non ce la facevo quasi più a correre, e ho rallentato il passo. Non sentivo più niente dietro di me, comunque, e così mi sono fermato per ascoltare. «Ero lì in piedi con le orecchie tese, quando qualcosa è uscito da sotto una roccia e mi ha afferrato!» «Da sotto una roccia?» ripeté incredulo Acchiappacoda. «Lo giuro sui Primi! Mi ha preso per una zampa! Ecco, guarda questi graffi...» Balzalesto gli mostrò le sue ferite. «Tu non crederai nemmeno a questo, Acchiappacoda, ma la cosa che mi ha afferrato, qualsiasi cosa fos-
se... aveva artigli rossi!» «Be', hai detto che qualcosa stava uccidendo gli uccelli che hai visto, e quindi era sangue, probabilmente.» «Dopo mezz'ora che mi inseguiva tra sterpi e rovi? Avrebbe dovuto pulirlo, il sangue. E poi non era sangue secco, aveva un colore rosso acceso.» Sconcertato, Fritti fece cenno al giovane di continuare il suo racconto. «Ho strillato come un'aquila, naturalmente, e in qualche modo sono riuscito a liberarmi. Mi sono addentrato in un intrico di rovi, più profondamente che potevo, nella speranza che fossero troppo grossi per seguinni fin lì. Non ce la facevo più a correre. Non facevano più rumore, però potevo sentire che erano ancora li vicino. «Poi ho sentito l'odore della volpe, e quelli sono improvvisamente scomparsi. Dopo aver atteso un po' di tempo sono uscito a fatica dal cespuglio e ho trovato la buca della tana. Ho pensato allora di scendere lì dentro, dove avrei avuto un rifugio se fossero ritornati a cercarmi. Poi è ritornata la visl, e penso che saprai tutto il resto.» Fritti si chinò avanti e strofinò la fronte del giovane con il naso. «Sei stato molto coraggioso, Balzalesto. Molto coraggioso. E così non sei riuscito a vedere che cosa ti inseguiva?» «Assolutamente no. Però non dimenticherò mai quegli occhi. E quelle zampe rosse! Brrr...» Balzalesto tremava dalla punta del naso fino alla coda, poi, quando fu passata la paura, si rivolse di nuovo ad Acchiappacoda. «Tutto quel parlare di fla-fa'az mi ha fatto venire una gran fame. Ti ho mica detto che avevo fame?» «Mi sembra proprio di sì» rispose Acchiappacoda con una risata. Riposarono tutto il pomeriggio e si rimisero in cammino al crepuscolo. Acchiappacoda era riluttante a portare con sé Balzalesto, ma giunse infine alla conclusione che non aveva scelta: non poteva mandarlo via, quel micino, farlo ritornare attraverso quel bosco pieno di pericoli, e in quanto a lui non poteva abbandonare le ricerche di Zampafelpata. Camminavano di buon passo. Balzalesto tendeva talvolta a trotterellare avanti, poi s'attardava dietro ad Acchiappacoda, affascinato da una farfalla o da una pietra lucente. Riusciva poi in qualche modo a recuperare terreno, e così avanzavano con andatura costante. Balzalesto riuscì perfino a trattenere i suoi miagolii e i frutti della caccia furono più abbondanti. I giorni trascorrevano. Presero l'abitudine di alternare le marce e il ripo-
so, con un lungo sonno a mezzogiorno, quando il sole era alto, e un altro all'ora della Danza finale, che durava fino all'alba. Durante la marcia, cacciavano, acchiappando strani insetti o piccoli uccelli nascosti tra i cespugli, e davano la caccia alle prede più grosse solo prima dell'Ora del riposo alle Ombre più piccole. Un pomeriggio, Balzalesto riuscì a catturare da solo uno Squittente. Era un giovane topo, e per di più molto stupido, ma Balzalesto l'aveva catturato senza aiuto e ne era comprensibilmente orgoglioso. E poi, sentenziò Fritti, aveva un buon sapore come quelli più furbi. La reciproca compagnia alleviava la noia del viaggio per ambedue i gatti, e le giornate trascorrevano rapidamente. Anche se i salti e le capriole incessanti di Balzalesto a volte infastidivano Acchiappacoda, che allora soffiava e lo colpiva con zampate, questi era però ben contento di avere la compagnia di Balzalesto, il quale, dal canto suo, era molto orgoglioso di andare alla ventura con un gatto più anziano che tanto ammirava. L'ombra della sua prima notte nella foresta sembrava ormai svanita, senza lasciar traccia. La foresta sembrava cambiare continuamente intorno a loro durante il viaggio: ora fitta e intricata, soffocante come un grande cespuglio, altre volte aperta e ariosa come il Bosco ceduo. Poi, al termine del loro quinto giorno di cammino nei boschi, gli alberi cominciavano a sembrare sempre più piccoli e sempre più distanti tra loro. In cima a una roccia che sporgeva sulle cime degli alberi, come una fela che cova i suoi piccini, Acchiappacoda e Balzalesto stavano osservando il sole che si alzava sul loro sesto giorno di viaggio. La foresta sotto di loro si estendeva per un'altra lega o due, divenendo sempre più rada, fino a scomparire. Al di là si estendevano verdi prati ondulati, con filari di alberi piantati nelle cavità lungo i loro fianchi rotondi. Le colline erbose si estendevano in lontananza e le loro estreme propaggini erano avvolte nella foschia del primo mattino. Al di là potevano esserci altre colline o foreste... o chissà che cos'altro. Nessuno di coloro che Acchiappacoda conosceva gli aveva mai parlato di ciò che c'era al di là del Vecchio Bosco. I due compagni annusavano il vento, abbeverandosi degli odori che salivano nell'aria calda. Poi Balzalesto abbassò lo sguardo e diede un colpo sul fianco di Acchiappacoda. Sotto di loro, su un picco inferiore della roccia, stava un altro gatto. Era
strano a vedersi, tutto infangato, la coda cespugliosa, gli occhi allucinati. Mentre Acchiappacoda e Balzalesto lo stavano guardando, il gatto sconosciuto alzò a sua volta verso di loro uno strano sguardo vacuo. Ebbero soltanto un momento di tempo per guardare stupiti il suo pelo arruffato e la coda uncinata, poi lo sconosciuto saltò giù dalla roccia, atterrando in precario equilibrio su un grosso ramo e scomparve quindi tra il fogliame. Al suo passaggio, le foglie oscillarono per qualche attimo, poi rimasero immobili. Capitolo 7 "Oh, non puoi farci niente" disse il Gatto: "Qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta." "Come fai a sapere che sono matta?" domandò Alice. "Devi esserlo" rispose il Gatto, "altrimenti non saresti qui". LEWIS CARROLL Acchiappacoda pensava molto. Quei lunghi giorni di cammino gli avevano offerto tutto il tempo per farlo, e stava ora ricapitolando i fatti accaduti in un modo molto diverso da quello solito dei gatti. La storia dell'inseguimento raccontata da Balzalesto coincideva con le altre notizie che aveva appreso: la scomparsa di alcuni membri della Gente, i racconti riferiti dai rikcikcik delle razzie compiute da gatti. Snap aveva parlato di quattro gatti, e quello stesso numero induceva Fritti a pensare che qualcun altro, e non la Gente, fosse responsabile delle incursioni nei nidi degli scoiattoli. E Vinaccia, la volpe, aveva raccontato che quelle bestie avevano odore un po' di tasso e un po' di gatto. Forse le creature erano abbastanza somiglianti ai gatti da indurre in inganno i piccoli animali come i rikcikcik. Lo stesso Stiralento aveva detto che qualcosa di strano era nell'aria. Forse si trattava di qualche nuova specie di animale da preda? Gli ritornò in mente la descrizione degli occhi e delle zampe che aveva fatto Balzalesto, e rabbrividì. Trasalendo improvvisamente, pensò a Zampafelpata: potevano essere state quelle creature a catturarla? No, Fritti non aveva fiutato nessun odore di paura nel nido della sua casa deserta. Potevano però averla presa nella foresta! Povera Zampafelpata! in un mondo così grande e così pieno di pericoli...
I suoi pensieri furono distratti da Balzalesto, che stava molestando un tasso. Quei grossi animali scavatori potevano inferocirsi, all'occorrenza. Acchiappacoda accantonò le sue meditazioni e si affrettò a salvare il piccolo gatto da una possibile disavventura. Mentre trascinava via Balzalesto per la collottola, Fritti mormorò qualche parola di scusa all'infastidito tasso, il quale gli rispose con uno sprezzante grugnito, poi se ne andò traballando e gonfiando i suoi fianchi a strisce. Una bella lezione non servì molto a raffreddare gli spiriti di Balzalesto. Poco dopo si rimisero in cammino, in direzione dei confini del Vecchio Bosco. Quando si svegliò dal sonnellino pomeridiano, Acchiappacoda sentì un paio d'occhi posati su di lui. Al di là della radura stava lo strano gatto che avevano visto sulla roccia sporgente. Prima che Fritti riuscisse a districarsi da Balzalesto che russava accanto a lui, il gatto era di nuovo scomparso senza lasciar traccia. Fritti ebbe l'impressione che la strana creatura stesse per parlare. Nei suoi occhi traspariva uno strano struggimento. Quella sera, mentre attraversavano un boschetto di pioppi tremoli, se lo trovarono di nuovo davanti. Questa volta il gatto non scappò via, ma rimase lì, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore mentre loro si avvicinavano. Visto da vicino, il gatto offriva uno spettacolo davvero bizzarro. Il suo colore originale era da tempo scomparso sotto la patina di sporcizia e di fango che gli imbrattava il mantello e gli ingarbugliava il pelo in riccioli e grovigli. Ramoscelli e foglie, pezzi di lichene e aghi di sempreverde, ogni sorta di detriti gli addobbava il mantello dalla testa alla punta della coda. I suoi baffi erano spioventi e gli occhi avevano un'espressione triste e sconcertata. «Chi sei, fratello cacciatore?» domandò cautamente Fritti. «Chi stai cercando?» Balzalesto stava prudentemente al fianco di Acchiappacoda. «Chi... chi... il ruhu...» intonò lo sconosciuto in tono solenne, poi riprese a mordicchiarsi il labbro. La sua voce era profonda e maschile. «Qual è il tuo nome?» provò ancora a domandare Fritti. «Ixum squixum...gagliardo bugiardo... e allora?» Lo strano gatto lanciò un vacuo sguardo negli occhi di Fritti. «Mangiapulci io sono, sono io... io corro, così sono... come mi vedete...» «È matto, Acchiappacoda!» sussurrò Balzalesto nervosamente. «Ha la
malattia della bava alla bocca, ne sono certo!» Fritti gli fece cenno di stare zitto. «Ti chiami Mangiapulci? È questo il tuo nome?» «Fa lo stesso, lo stesso. Mangiaerba e Masticapietre... isky piskysquidduum squik... Oh, no!» Mangiapulci si voltò di scatto, come se qualcosa stesse strisciando alle sue spalle. «Vattene via!» gridò all'aria. «Ne ho abbastanza delle tue nenie di danze lontane dalle orecchie, sciocco pasticcio di sibila-topo!» Si voltò poi verso i gatti con un'espressione spiritata negli occhi, ma mentre li guardava, il suo sguardo sembrò trasformarsi e, da folle che era, diventò imbarazzato. «Ah, il vecchio Mangiapulci ha le idee confuse, qualche volta, sì, sì è così» soggiunse, grattando la terra con la sua zampa infangata. «Non vuole fare male, però... mai lo farebbe, capite...» Balzalesto soffiò spaventato. «È proprio matto, hai visto? Dobbiamo andar via!» Anche Acchiappacoda era un po' nervoso, ma c'era qualcosa, in quel vecchio gatto, che lo commuoveva. «Che cosa possiamo fare per te, Mangiapulci?» gli domandò. Balzalesto lo guardò come se anche lui fosse ammattito. «Eccovi qui» riprese lo sconosciuto. «Eccovi qua. Il vecchio Mangiapulci si sentiva solo, voleva parlare con qualcuno. Il mondo è grande, ma sono così pochi quelli con cui parlare...» Il vecchio gatto si grattò distrattamente dietro l'orecchio e ne staccò un piccolo bozzolo che cadde per terra. Mangiapulci si chinò allora per annusarlo avidamente e un attimo dopo lo spazzò via rabbiosamente con una zampata, facendolo rotolare lontano. «Questo è il tuo mondo, non è vero? È questo il tuo mondo» brontolò tra sé, poi sembrò ricordarsi della presenza degli altri. «Chiedo scusa, giovani signori» soggiunse. «Qualche volta mi capita di farneticare. Potrei fare con voi un tratto di strada? Conosco qualche storia e un paio di giochi. Ero un cacciatore, quando il mondo era ancora cucciolo, e sono capace ancora oggi di prendere qualche bella preda!» Rivolse a Fritti uno sguardo pieno di speranze. Acchiappacoda non voleva in realtà avere altra compagnia, ma si sentiva dispiaciuto per quel vecchio maschio malconcio. Ignorando i frenetici cenni di diniego che Balzalesto gli rivolgeva, gli rispose: «Certamente. Saremo onorati di avere la tua compagnia per un pezzo di strada, Mangiapulci». Il vecchio gatto infangato balzò in aria e fece una piroetta così buffa che
perfino Balzalesto non poté trattenersi dal ridere. «Per tutte le impronte di zampa!» gridò Mangiapulci, poi s'interruppe e si guardò rapidamente intorno. Infine si chinò verso i suoi compagni. «Su, andiamo» sussurrò, col tono di voce di un cospiratore. Mangiapulci non era male, come compagno di viaggio. Le sue estemporanee follie non si rivelavano mai pericolose, e dopo un po' di tempo anche Balzalesto accettò la sua presenza senza eccessiva trepidazione. Per tutta la notte li intratteneva con la sua inesauribile scorta di canti e di strane poesie. Quando Fritti, desiderando un po' di quiete, lo pregò di tacere per un po', Mangiapulci rimase silenzioso come un sasso. Quando si fermarono per riposare all'Ora della Danza finale, Mangiapulci era ancora silenzioso. Fritti era dispiaciuto della reazione del vecchio gatto alla sua richiesta, perché non voleva che rimanesse per sempre in silenzio. Si avvicinò allora allo sconosciuto, che era disteso per terra con quel suo strano sguardo vacuo negli occhi. «Hai detto che conoscevi qualche storia, Mangiapulci. Perché non ce ne racconti qualcuna? Ci farebbe piacere.» Mangiapulci non rispose immediatamente. Quando sollevò la testa per guardare Acchiappacoda, il suo sguardo era colmo di una grande, indicibile tristezza. Per un attimo Acchiappacoda pensò di essere lui la causa, ma subito si accorse che il vecchio gatto non lo stava nemmeno vedendo. Poi quello sguardo assente scomparve improvvisamente dalla maschera sporca di Mangiapulci e i suoi occhi si fissarono su Acchiappacoda. Un debole sorriso comparve sulla sua bocca. «Che cosa, ragazzo, che cosa?» «Una storia. Hai detto che ci avresti raccontato una storia, Mangiapulci.» «Già, l'ho detto. E ne so un bel po', di storie di vagabondi e saltimbanchi e cascatori. Quale volete ascoltare?» «Una storia di Zampa-di-fuoco, le sue avventure!» esclamò entusiasta Balzalesto. «Oh...» rispose Mangiapulci, scrollando la sua testa incrostata di fango. «Ho paura di non conoscerne, di belle, gattino... di storie di Zampa-difuoco. Non c'è qualcos'altro?» «Be'...» rifletté Balzalesto, un po' deluso. «Che ne diresti dei Ringhianti? I grossi Ringhianti cattivi e i gatti coraggiosi! Ne sai qualche storia?» «Per la lumaca bavosa! Si dà il caso che ne conosca una bella sui Rin-
ghianti! Volete che ve la canti?» «Oh, sì, ti prego!» esclamò Balzalesto, arruffando il pelo. Era da un po' di tempo che non ascoltava più storie. «Va bene, allora» rispose Mangiapulci, e cominciò a cantare. «Molto tempo fa, quando i gatti erano gatti, e i sorci e i topi cantavano filastrocche nella boscaglia la notte, i Ringhianti e la Gente vivevano in pace. L'ultimo dei cani-demoni era morto e i loro più pacifici discendenti cacciavano a fianco dei nostri aviti avi. E c'era un principe, oh che principe!, di nome Zamperosse, che era grandemente infelice alla Corte in cui regnava sua madre, la regina Balzanuvola. Il principe andava sussurrando e danzando in solitudine, in segreto con le rocce e gli alberi, per avere Avventure...» «Proprio come Zampa-di-fuoco!» strillò Balzalesto. «Stt!» lo zittì Fritti. «Be'» proseguì Mangiapulci «un giorno, quando il sole era alto in cielo e feriva gli occhi, Zamperosse si imbatté in due giganteschi mucchi di ossa posti su ambedue i lati della sua strada, all'imboccatura della valle. Capì di essere giunto alle porte di Barbarbar, la Città dei Cani. I Ringhiami e la Gente non avevano contrasti da tempo, e comunque Zamperosse era principe della sua Gente, e quindi entrò nella valle. «Intorno a sé poté spiare usi e costumi dei Ringhianti, quelli alti e quelli piccoli, quelli grassi e quelli smilzi, che saltellavano e balzavano, scavavano buche e trasportavano ossa di qua e di là. La maggior parte delle ossa, però, veniva trasportata sui pilastri della porta, dove squadre di cani latranti e uggiolanti s'arrampicavano per posarle in cima. Col trascorrere del giorno, per i Ringhianti che s'arrampicavano era sempre più difficile arrivare in cima, dove tentavano, ansimanti e col naso asciutto, di congiungere i due pilastri con un'arcata. «Infine comparve un enorme e maestoso mastino, abbaiando ordini, e i Ringhianti saltavano e facevano acrobazie nello sforzo di soddisfarlo, ma alla fine non riuscirono comunque a fare qualcosa in più per congiungere i pilastri sulla sommità. Tutti i più agili cuccioli della Città dei Cani furono mandati per riempire l'ultimo piccolo buco, che non era più grande di un osso, ma nessuno di questi riusciva ad arrampicarsi in cima ai pilastri ricurvi...» Acchiappacoda aveva una strana sensazione. Mentre era lì disteso, gli occhi chiusi, intento ad ascoltare il canto di Mangiapulci, si accorse che
poteva realmente vedere gli avvenimenti, in un modo che mai gli era riuscito al Muro degli Incontri. Nella sua mente, assisteva alla costruzione delle torri di ossa, agli sforzi dei Ringhianti e del mastino loro capo, come se fosse stato presente. Perché provava questa sensazione? Si leccò le zampe anteriori e la faccia, mentre si concentrava di nuovo sulle parole del vecchio gatto. «Orbene» stava dicendo Mangiapulci, «a quei tempi i cani non erano ancora diventati i miserabili lecca-Uo'mo, sbavatori che sono oggi, ma la Gente li ha trovati sempre divertenti, se non quando erano in battaglia, capite? E così, mentre Zampe-rosse assisteva a quella processione di cagnolini spaventati che s'arrampicavano su per i pilastri dell'arco, scendendone subito dopo sconfitti con la coda tra le gambe, non poté trattenersi dal ridere. «Al suono della risata, l'enorme mastino si voltò inferocito e ringhiò raucamente: "Chi sei tu per ridere in questo modo, gatto?". «Zamperosse smise di ridere e rispose: "Io sono Zamperosse, della stirpe di Harar". «Il mastino lo guardò. "Io sono Rauro Morde-poi-abbaia, il Re di questi cani. Non è opportuno né conveniente che io sia deriso in questo modo!" Detto ciò, il Re dei cani gonfiò il petto e roteò gli occhi con un'aria così tronfia che per poco Zamperosse non scoppiò a ridere di nuovo. «"Da quanto tempo state costruendo questa porta, o Re?" domandò. «"Da tre intere stagioni" rispose Morde-poi-abbaia, "e ci manca soltanto un osso per completare l'opera." «"Capisco" disse Zamperosse, e d'improvviso gli venne la tentazione di giocare un tiro a quel fanfarone del Re dei cani. «"Maestà, se riuscirò a terminare la porta, mi concederete un unico favore?" domandò. «"Che cosa sarebbe?" volle sapere il sovrano con aria diffidente. «"Se riesco a compiere l'opera, vorrei avere un osso tutto per me." «Il Re, pensando a tutte le migliaia di ossa che aveva in suo dominio, uggiolò soddisfatto per quella misera richiesta e rispose: "Avrai qualsiasi osso desideri nel mio regno, purché tu mi porti a termine l'opera". «E così Zamperosse accettò e, preso in bocca l'ultimo pezzo d'osso della porta, si arrampicò con prudenza e agilità su per la traballante arcata di ossa. Giunto in cima, infilò con cura l'ultimo pezzo di osso tra le estremità delle due torri ricurve, dove s'incastrò come l'ultima scaglia posata da Meerclar sulle lucertole. Poi scese di nuovo, tra tutti i Ringhianti che abbaiavano ed esultavano nel vedere terminata la loro opera e la loro imponente
porta che s'ergeva completa. «Mentre tutti i cani guardavano in alto, le orecchie e la lingua penzoloni per l'entusiasmo, Zamperosse si avvicinò alla base di una delle due torri e, dopo qualche momento di accurata ricerca, si chinò per estrarre una delle ossa che erano lì ammucchiate. «Niente accadde per qualche ansimante battito di cuore, poi la porta, oscillando, scricchiolando, gemendo, si inclinò da una parte, poi dall'altra... e infine si schiantò con un rumore come quello di tutti i morti danzanti. «Quando il Re Rauro Morde-poi-abbaia, con la bava alla bocca per lo sgomento e l'orrore, si voltò verso Zamperosse, il principe gli disse soltanto: "Vedi, ho scelto il mio osso, com'era negli accordi!" e scoppiò a ridere. «Mentre spostava lo sguardo da Zamperosse alla sua porta ridotta in frantumi, gli occhi del Re diventarono rossi di collera, e subito ringhiò: "Pre-prendete quel dann-dannato ga-gatto! Ucci-uccidetelo!". E tutti i Ringhiami di Barbarbar balzarono insieme all'inseguimento di Zamperosse, che era però molto più veloce di loro e riuscì a fuggire. «Mentre correva si voltò e gridò di rimando: "Pensa a me, o Re, quando nel tuo orgoglio sgranocchierai un osso seduto sul tuo trono in cima a un letamaio!". «È da quei tempi che noi Gatti e loro Cani siamo nemici ovunque ci incontriamo in queste terre. Loro non hanno mai perdonato l'umiliazione sofferta dal loro Re, e hanno giurato di non perdonarla mai, finché il sole non cadrà dal cielo e i serpenti non impareranno a volare nel vento del mattino.» Quando Mangiapulci ebbe terminato il suo canto, Balzalesto era già addormentato e russava sommessamente. Quella strana sensazione di aver assistito realmente agli avvenimenti stava per scomparire, e Fritti avrebbe voluto interrogare lo strano gatto infangato, ma Mangiapulci era come in uno stato di trance, mezzo addormentato, e non aveva voglia di rispondere. Alla fine, anche Acchiappacoda cedette alla voce del sonno e trapassò nel mondo dei sogni. Il sole del mattino era ormai alto in cielo quando Acchiappacoda fu destato da un'alternante pressione sul petto e sullo stomaco. Balzalesto, ancora appisolato, stava scalciando leggermente con le zampe, mentre stava acciambellato accanto a Fritti. Il gattino, svezzato da poco tempo, stava probabilmente sognando sua madre e il suo nido. Acchiappacoda sentì ancora un fremito di preoccupazione al pensiero di esporre il
suo giovane compagno ai pericoli di quell'avventura. Quelli della Gente erano solitamente cacciatori e avventurieri solitari, una volta usciti dall'infanzia, e il senso di responsabilità era per loro un po' innaturale. Del resto, pensò, molte cose innaturali sono accadute negli ultimi tempi. Mentre Balzalesto continuava a succhiare il latte del suo sogno, Fritti ripensava a sua madre... e d'improvviso fu felice di avere la sicurezza di un altro corpo caldo e peloso con cui acciambellarsi in quelle terre sconosciute. Leccò la morbida peluria all'interno dell'orecchio di Balzalesto, e il gattino addormentato fece le fusa felice. Fritti stava per ricadere nel sonno quando udì una voce. Mangiapulci era in piedi e camminava intorno a grandi passi, borbottando tra sé. Il suo sguardo aveva quell'espressione distante che Fritti aveva già notato. Teneva ben eretto e teso il suo corpo malconcio e incrostato di sporcizia. «...Incalzati e intrappolati, ecco come siamo... intrappolati! Inchiodati contro questo muro, questo muro malfermo e...» Mangiapulci borbottava con foga, mentre camminava avanti e indietro, davanti allo sguardo affascinato di Fritti. «...Gli uccelli e quelli rossi stridenti e strillanti, con gli occhi di gelatina... che ridono e ballano... non si può uscire!... grattare la porta, ma dov'è?... bisogna trovarla...» D'improvviso il vecchio gatto rizzò tutto il pelo, come sorpreso da un suono o da un odore. Fritti non sentiva niente. Soffiando e sibilando, gli artigli tesi, Mangiapulci si appiattì per terra e ringhiò emettendo la voce tra le zanne scoperte: «Eccoli qui! Li sento! Perché mi vogliono? Perché?». Mugolava spostando furiosamente lo sguardo da una parte all'altra, come fosse circondato da nemici. «Mi vogliono e... che male... Ahh!... il vaka'az'me... pietà... Ah! Lì c'è una fessura! Una fessura nel cielo!» Detto ciò, Mangiapulci si contorse e tremò tutto, poi schizzò via nella boscaglia. Il movimento sollevato dalla sua fuga si affievolì rapidamente in lontananza. Al fianco di Acchiappacoda, il suo giovane compagno si era destato. «Che cos'è stato?» sbadigliò sonnacchiosamente, stiracchiandosi. «Mi è sembrato di udire un terribile baccano.» «Era Mangiapulci» rispose Acchiappacoda. «Credo che sia fuggito via. Ha avuto uno dei suoi attacchi, sembrava pensare che qualcosa lo inseguisse.» Fritti scosse la testa da una parte e dall'altra, sforzandosi di cancellare dalla mente la spettrale apparizione di Mangiapulci.
«Be', mi aspettavo che sarebbe successo» commentò pragmaticamente Balzalesto. «Può darsi che ritorni» replicò Acchiappacoda. «Oh, non è un cattivo tipo, in realtà, matto come un cavallo, però. Racconta delle belle storie, mi è piaciuta molto quella di Zamperosse. A proposito, chi era Zamperosse, Acchiappacoda? Non ne ho mai sentito cantare da Mostrazanne. E nemmeno della regina Balzanuvola, del resto.» «Non so proprio, Balzalesto» rispose Fritti, e stava per proporre di andare a caccia per la prima colazione quando si accorse che gli uccelli avevano cessato di cantare. Nella foresta, l'aria era assolutamente immobile. D'improvviso, silenziosamente come l'erba che cresce, parecchi grossi gatti sbucarono dalla vegetazione circostante. Gatti sconosciuti, tutti silenziosi come ombre. Prima che lo sgomento Fritti e il piccolo Balzalesto potessero aprir bocca o fare un movimento, i gatti sconosciuti si erano disposti in un ampio cerchio intorno a loro. Balzalesto cominciò a uggiolare di paura. I gatti sconosciuti li guardavano con occhi freddi, molto freddi. Capitolo 8 Il mio corpo traduce con facilità i misteri. Il mio corpo è il Libro di Come-Andare. Giuro che le mie vie sono profonde come le vie d'acqua. Mando un messaggio con la schiena arcuata ma nascondo più di un messaggio di quanti rivelo. Sollevo la zampa e mando un segnale segreto. PHILIP DACEY Un cerchio mobile circondava ora Fritti e il suo compagno. Gli sconosciuti li accerchiavano, passando l'uno accanto all'altro con movimenti sinuosi delle spalle, annusando continuamente e senza fare un solo rumore.
Il cerchio si strinse sempre più, finché gli sconosciuti arrivarono ad annusare Acchiappacoda e Balzalesto. Fritti sentiva che il gattino era sempre più spaventato, e lo sentivano anche gli altri gatti. Vibrava una specie di tensione elettrostatica tra il cerchio esterno e il suo centro, costituito dai due gatti. Infine, Acchiappacoda non riuscì più a controllarsi, e quando uno degli sconosciuti passò accanto a loro, annusando Balzalesto, Fritti soffiò e lo colpì col palmo della zampa. Invece di reagire o di scappar via sorpreso, il gatto sconosciuto si limitò a annuire col capo e fece un passo indietro. Era tutto nero. I suoi muscoli erano turgidi e lucidi sotto il pelo corto del suo mantello. I suoi occhi erano fessure sottili, d'un colore fumante, ma non sembrava infuriato. Quel gatto non era affatto infuriato, ma terribilmente calmo. «Bene» disse il gatto nero. La sua voce aveva il suono di ghiaia smossa. «Ora sappiamo con chi abbiamo a che fare. Bene.» Si acquattò in terra davanti ad Acchiappacoda, le orecchie tese indietro, gli occhi come tizzoni ardenti. Acchiappacoda, per una reazione di riflesso, si trovò a imitarlo acquattandosi a sua volta. Il gatto nero riprese la parola. «Mi domandavo quanto tempo avrebbe impiegato un mela-mre'az come te a reagire in modo onorevole.» Detto ciò, il gatto nero rimase in silenzio guardando Fritti, come aspettandosi che dicesse qualcosa. Acchiappacoda, già terrorizzato, non aveva alcuna idea di quello che avrebbe dovuto fare. «Vuoi... vuoi che mi arrenda?» domandò titubante. Il gatto nero lo osservò studiandolo. Trascorse qualche momento. «E allora? Fallo!» disse lo sconosciuto. «Io... io... no, non mi arrenderò mai davanti a te!» sbottò Fritti tutto d'un fiato, in un'angoscia di paura e confusione. «Ottimamente!» esclamò il gatto nero. «Ora sì che ci siamo!» Tutti e quattro i compagni del gatto nero si ritrassero da dove questi e Fritti erano accovacciati. «Io sono Vibr'artiglio, gran Capo dei Primi Camminatori» proclamò il gatto nero, agitando ipnoticamente la coda dietro di sé. «Dimmi il tuo nome di faccia, invasore.» «Io sono Acchiappacoda, della tribù del Muro degli Incontri... e non sono un invasore!» soggiunse Fritti, che ora si stava arrabbiando davvero. Vibr'artiglio sembrò soddisfatto della risposta, perché annuì, ma la sua espressione non mostrava altro che impazienza. Distendendosi per terra
ancora più vicino, il gatto nero cominciò a inarcare lentamente le anche, mentre la coda batteva sempre più forte per terra. Istintivamente, Acchiappacoda prese un'analoga posizione. I loro occhi si incrociavano senza muoversi. Fritti si accorse improvvisamente che Vibr'artiglio era grosso quasi il doppio di lui, ma mentre fissava lo sguardo negli occhi dello sconosciuto, questo fatto non sembrava avere importanza. L'importante era quella sua coda nera e sinuosa che sferzava l'aria da una parte e dall'altra... «Piacere di conoscerti, Acchiappacoda» sibilò Vibr'artiglio. «Raccomanda la tua ka al seno di Madre-di-tutti.» «Acchiappacoda!» gridò Balzalesto in preda al panico. Fritti si voltò e spinse il gattino lontano da sé, fuori dal pericolo. «Stai calmo, Balza.» Poi si voltò di nuovo verso il gatto nero e fissò intensamente i suoi occhi a mandorla. «Non essere così precipitoso da dimenticare la tua ka, Signore degli Spacconi.» Poi Fritti balzò avanti. Dagli altri gatti si levò un grido di guerra, che sommerse il belato di paura di Balzalesto. Tutto sembrò accadere contemporaneamente. Fritti sentì un forte impatto, quando Vibr'artiglio balzò a sua volta. Poi si trovò a dibattersi per terra, sforzandosi di allontanare da sé le zampe del gatto più grosso. Si rotolò sulla schiena, sollevando le zampe posteriori per scalciare la pancia dell'avversario. Vibr'artiglio si ritrasse leggermente, e Acchiappacoda poté così scivolar via e alzarsi in piedi. Ma fu soltanto un attimo di tregua, e subito il gatto nero gli fu addosso di nuovo. Più volte rotolarono l'uno sull'altro, colpendosi con gli artigli, miagolando quando cambiavano posizione, avventandosi di nuovo l'uno contro l'altro. Acchiappacoda se la cavò come meglio poteva nei primi momenti, scalciando lo stomaco di Vibr'artiglio, azzannandogli e graffiandogli le zampe e il petto, ma era troppo giovane e privo di esperienza. Il gatto nero era grosso e, evidentemente, veterano di molte battaglie. I due combattenti si separarono per qualche attimo e si rincorsero in cerchio soffiando. Sentivano però tutti e due l'impulso, il bisogno di risolvere la contesa, e in un batter d'occhio si avventarono di nuovo l'uno contro l'altro. Immobilizzato sotto il peso di Vibr'artiglio, Fritti riuscì a compiere un ultimo sforzo, torcendosi e dimenandosi nella presa del grosso gatto, e poi a liberarsi quanto bastava per azzannargli l'orecchio e farne zampillare il
sangue. Esaurite le sue forze, fu di nuovo schiacciato sotto il peso di Vibr'artiglio. Sentì le sue zanne che gli affondavano nella collottola. «Non gridi "basta"?» ringhiò il gran Capo dei Primi Camminatori nel pelo del collo di Fritti. Questi stava tentando di riprendere fiato quanto bastava per arrendersi, quando, improvvisamente, le zanne mollarono la presa sul collo e un miagolio assordante echeggiò attraverso la radura. Acchiappacoda si voltò debolmente sulla schiena, in tempo per vedere Vibr'Artiglio che saltava e balzava tutt'intorno come un gatto indemoniato, nel mentre colpiva Balzalesto con le zampe. Il gattino era appeso con tutte le sue forze, i suoi dentini aguzzi affondati fino alle gengive, nella nera coda lucente di Vibr'artiglio. Riuscito finalmente a sbarazzarsi del piccolo gatto, il gran Capo si accasciò a terra, per il dolore e lo sfinimento, a meno di un balzo da dov'era disteso Fritti. Vibr'artiglio si leccò la coda ferita e lanciò un'occhiata di rimprovero a Balzalesto, il quale gli restituì sprezzantemente lo sguardo. Gli altri gatti circondarono Balzalesto, ringhiando inferociti, ma Vibr'artiglio riprese fiato abbastanza per farli allontanare dicendo: «No, no, lasciatelo stare. Il suo protettore ha combattuto valorosamente, e anche lui è abbastanza coraggioso per la sua età. Non troppo saggio nella scelta degli avversari, magari... be', non importa. Lasciatelo stare». Visto che Balzalesto era in salvo, Acchiappacoda si rotolò sul dorso con le zampe distese in aria. Vide dapprima miriadi di puntolini che aleggiavano sopra i suoi occhi, poi per qualche tempo non vide più niente... Quando si svegliò, Fritti vide che Balzalesto era ora al centro dell'attenzione. Il gruppo dei gatti sconosciuti era radunato intorno a lui, con espressioni sorprese e divertite sulla faccia. A quanto pareva, Balzalesto stava raccontando loro di Mangiapulci, e Fritti vide che Vibr'artiglio rideva quando Balzalesto tentò di imitare una delle piroette di Mangiapulci. Messosi cautamente a sedere, Fritti osservò il capannello di quegli strani gatti. Sembravano ora abbastanza amichevoli, e certamente avevano messo Balzalesto a suo agio, ma Acchiappacoda non aveva altrettanta fretta di fidarsi di loro. Chi erano? Era evidente che Vibr'artiglio era il loro capo. Anche se ora rideva sdraiato per terra, mostrava un'aria di sicuro potere e autorità. Accanto a lui era seduto un grasso maschio brizzolato, il corpo coperto da strisce arancioni e nere come la luce d'estate, lo stomaco appiattito per terra tra le zampe robuste.
Più lontani dal gran Capo c'erano altri due gatti, uno grigio e uno chiazzato bianco e nero. Nessuno di questi era grosso come Vibr'artiglio o come il vecchio striato, però erano agili e muscolosi, e avevano l'aria sicura dei grandi cacciatori. Il quinto gatto, accovacciato all'esterno del perimetro degli ascoltatori di Balzalesto, era molto diverso dagli altri. Nel vederlo, Fritti si sentì raggelare. Il quinto gatto era bianco come il ghiaccio, e anche sottile e snello come un ramo di betulla, ma non era questo che inquietava Acchiappacoda. Aveva occhi strani, tremendi, d'un azzurro lattiginoso, e più grandi di qualsiasi altro gatto che Fritti avesse mai visto. Acchiappacoda ricordò allora quello che gli aveva raccontato Balzalesto, e per un attimo si domandò se non stavano preparando qualche lenta, crudele trappola. Però no... Balzalesto gli aveva parlato di occhi terrificanti, ma ora doveva aver visto quelli di questo gatto bianco. Guardalo, si disse Fritti. Se fossero quelli gli occhi che l'hanno spaventato, Balza sarebbe capace di star li a scherzare con loro? E tra quelle non c'era nemmeno una zampa rossa... Mentre Fritti spostava lo sguardo da una zampa all'altra, Balzalesto si accorse finalmente di lui e lo chiamò allegramente: «Acchiappacoda! Stai bene? Panciapendula ha detto che ti saresti ripreso. Stavo raccontando ai Primi Camminatori delle nostre avventure!» «Lo vedo.» Fritti si avvicinò per unirsi al gruppo dei gatti. Nessuno si mosse per fargli spazio, tranne Balzalesto, e così Fritti si strinse accanto al piccolo amico. Vibr'artiglio lo guardò con i suoi sottili occhi da serpente, ma gli rivolse un affabile saluto con un cenno del capo. «Ben desto, Acchiappacoda. Hai fatto buoni sogni?» domandò. «Non ho fatto sogni» rispose Fritti. Poi diede a Balzalesto un colpetto affettuoso. «Bene, bene...» disse il grosso Panciapendula, spostando il suo enorme ventre per squadrare Fritti. «Ecco qui il giovane guerriero. Hai combattuto davvero bene, ragazzo. Che età hai? Hai già visto sei Occhi, vero?» «Vedrò il mio nono Occhio tra qualche giro del sole» rispose Fritti, abbassando imbarazzato lo sguardo. «Sono piccolo, per la mia età.» Seguì qualche momento di imbarazzato silenzio, rotto infine dalla voce lievemente stridente di Vibr'artiglio. «Non importa. Il coraggio non tiene il conto degli Occhi. Ce n'è tanto poco, che non si deve mancare di riconoscerlo. Tu hai risposto alla sfida e
hai combattuto come comandano le antiche Leggi.» Acchiappacoda aveva la strana sensazione di non comprendere bene. «Non credo che avessi molta scelta.» Panciapendula rise alle sue parole, e Vibr'artiglio increspò divertito le labbra. «Si ha sempre una scelta, piccolo gatto» replicò Panciapendula, e gli altri annuirono col capo. «Ogni giorno si ha una scelta, e se si vuole, ci si può avvoltolare nel pelo e morire da un momento all'altro. Però un Primo Camminatore non lo farà mai, sai? E noi rispettiamo anche la tua scelta.» «Proteggevo il mio amico.» «Molto giusto, molto giusto...» commentò Vibr'artiglio. «A proposito, farei a tutti un grave torto se non presentassi i nostri nomi di faccia. Tu e io ci siamo presentati prima della sfida, ma i miei fratelli di caccia ti sono sconosciuti. È Panciapendula, quello con cui hai parlato.» Panciapendula gli mostrò ironicamente i denti. «Questo è Ciuff'intrecciato.» Il grigio lo salutò con un cenno del capo mentre si annusavano a vicenda. «E quel bel gatto, così buffamente chiazzato, che però gli Squittenti non trovano affatto ridicolo...» soggiunse, mentre il gatto bianco e nero chinava la testa chiazzata, «è Cercazuffa. E quel bel tipo seduto lì tutto solo è Occhiolucente.» Il gatto bianco si voltò inclinando lievemente le orecchie verso Fritti, il quale prese il gesto come un saluto e lo restituì con un cenno del capo. Cercazuffa fece udire la sua voce acuta. «Quando non è nei suoi momenti mistici, è capace di acchiappare un'arvicola o due da solo!» «È il nostro oel-var'iz. Occhiolucente è l'extrasensitivo dei Primi Camminatori.» Nella voce di Vibr'artiglio risuonavano orgoglio e rispetto. Che gatto eccezionale dev'essere Occhiolucente, pensò Fritti impressionato, per meritarsi tanto rispetto perfino da un capo naturale come Vibr'artiglio! «E io temo di essere soltanto Acchiappacoda» replicò Fritti tranquillamente. «Non ho niente di speciale, e temo di essere anche piuttosto piccolo... come ho già detto.» Panciapendula si chinò avanti e gli diede un lieve colpo con la sua larga testa. «Su, non c'è niente di male a essere piccoli. Il nostro Signore Zampadi-fuoco era il più piccolo dei Primi!» «A proposito di Primi... con tutto il dovuto rispetto» lo interruppe Acchiappacoda, «potrei sapere perché vi chiamate Primi-Camminatori?» «Ah già, ci sono molte cose che voi giovani gatti non sapete» osservò Vibr'artiglio. «E andate sempre a caccia in... in branco, come ora?» domandò ancora
Fritti. «Be'...» accennò a dire il gatto nero. Balzalesto si affrettò a domandare a sua volta. «E che cosa è capace di fare Occhiolucente?» Ciuff intrecciato diede un enorme sbadiglio, poi disse in tono disgustato: «Certo che sono bravi a fare domande. Be', io vado a cercare qualcosa per la prima colazione». E si allontanò balzellando agilmente. Vibr'artiglio rimase a guardarlo mentre si allontanava, poi si rivolse di nuovo ad Acchiappacoda. «Ciuff'intrecciato non è un tipo paziente, ma ha altre qualità che compensano abbondantemente questo difetto. E ora proverò a rispondere a qualcuna delle tue domande.» Panciapendula sbuffò alle sue spalle. «I Primi Camminatori» cominciò a raccontare Vibr'artiglio, dopo aver lanciato un'occhiata al corpulento maschio dietro a sé, «sono l'ultima discendenza pura di quella Gente che ha corso insieme col nostro Signore Zampa-di-fuoco nei giorni dei Primi. Il mio antenato di sangue, Affondaartiglio, lo ha servito ai tempi del Principe Dietro-azzurro. Noi siamo impegnati da un giuramento di zampa-e-cuore a custodire quell'eredità. I tempi dei valorosi combattimenti, dei vincoli del giuramento e della verità non moriranno mai del tutto, finché sopravviveranno i Primi Camminatori.» Vibr'artiglio rivolse uno sguardo solenne ad Acchiappacoda e Balzalesto. «Se le Regole e i Comandamenti non sono rispettati, la vita diventa spazzatura, roba senza dignità. Noi Primi Camminatori preserviamo le leggi dei Primi, e a esse diamo vita. Non sempre è facile... molti che hanno sangue che scorre non riescono a essere all'altezza della nostra disciplina.» La sua testa nera ruotò lentamente intorno all'assemblea, poi si voltò verso la foresta. «Il nostro numero sta calando» soggiunse Vibr'artiglio. «E calerà ancor di più questo numero» soggiunse una voce delicata e acuta. Vibr'artiglio e gli altri si voltarono a guardare Occhiolucente, ancora accovacciato a una certa distanza. «Tu l'hai detto. Tu l'hai detto» replicò il gran Capo con voce rauca e stanca. «E può darsi che non sia nemmeno un male» brontolò Panciapendula, con una sfumatura di collera nella voce. «Ci sono alcuni Camminatori, come me, per esempio, che potrebbero farne a meno.» Fritti era ancora incuriosito. «Viaggiate sempre in gruppo così numerosi? È strano davvero...»
Cercazuffa e Panciapendula scoppiarono a ridere. Vibr'artiglio si affrettò a dare una spiegazione. «No, certo che no. Sarebbe davvero strano se i seguaci di Tangaloor Zampa-di-fuoco, che il più delle volte camminava da solo, andassero alla ventura tutti insieme come una masnada di Ringhianti. No, siamo troppo pochi per camminare tutti insieme. Detto ciò, siamo soltanto una zampata di gran Capi, oltre a me. Ciascuno di noi ha il suo territorio, e anche se ci incontriamo la notte dell'Occhio con alcuni vicini, solitamente giriamo da soli.» «Ma qui siete in cinque!» obiettò Balzalesto. «Già, ma questo è un momento particolare. Siamo stati chiamati nel territorio del mio fratello-capo Erb'amara. Tutti i Primi Camminatori che ne sono informati si riuniranno laggiù. Dai tempi di mio padre non siamo così tanti insieme.» «Danzeremo, canteremo e racconteremo bugie» ridacchiò Cercazuffa. «Vibr'artiglio lotterà con Erb'amara, e Panciapendula annuserà troppa erba gatta, tanto da metterci in imbarazzo tutti!» soggiunse, schivando una zampata del vecchio maschio. «Già» sospirò Vibr'artiglio lievemente, «ma purtroppo sono altri i motivi che richiedono questo incontro, e c'è altro a cui pensare, oltre al divertimento.» «Ah, questo è vero» brontolò Panciapendula. «Per esempio sapere chi è quello sterco di cane che ha fatto fuori il povero Caccia-nei-cespugli.» Vibr'artiglio gli diede una leggera spinta. «Tu sei un formidabile cacciatore, vecchio amico, ma a volte la tua bocca corre più in fretta dei tuoi occhi. La sorte capitata a Caccia-nei-cespugli non è un canto piacevole per giovani innocenti come questi» gli disse indicando con un gesto Fritti e Balzalesto. «Lasciamo da parte questo argomento, per adesso.» A Fritti appariva evidente che Vibr'artiglio aveva altri motivi, oltre a quello di non urtare i loro sentimenti, per interrompere il discorso. Come lo stesso Fritti, neanche l'astuto gran Capo nero dei gatti era disposto a mettere da parte ogni prudenza e discrezione al loro primo incontro. Fritti si accorse di ammirare, e non per la prima volta, l'autocontrollo di Vibr'artiglio. «Be', penso che sia giunto il momento di seguire l'esempio di Ciuff intrecciato e di andare a cercare qualcosa da mangiare.» Il gran Capo si alzò sulle zampe e Balzalesto saltò su a sua volta. «Ce ne parlerai più tardi?» domandò il gattino. «Del vostro incontro,
voglio dire, e di Occhiolucente?» «Tutte le cose a suo tempo, piccolo Balzalesto» rispose Vibr'artiglio in tono affettuoso. Questa frase, che Fritti aveva già udito pronunciare dalla bocca di Mostrazanne, riecheggiò nei suoi pensieri quando i gatti si separarono per andare a caccia. Terminata la colazione, il gruppo si disperse ai bordi della radura per ripulirsi e fare un sonnellino. Aveva cominciato a piovigginare, e Acchiappacoda osservava le gocce di pioggia che sollevavano piccole nuvole di polvere sul terreno. Il ticchettio sulle larghe foglie sopra di lui lo stava cullando e sentiva le palpebre che si facevano pesanti. Una presenza gli fece vibrare i baffi e Fritti sollevò lo sguardo. Occhiolucente era accovacciato accanto a lui, il candido manto scintillante di pioggia. «Le prime piogge dell'anno suscitano molte impressioni profonde, non ti sembra?» La voce alta di Occhiolucente era volutamente noncurante. «Mi dispiace, non capisco. Quali impressioni?» «Impressioni. Roba dei sogni. Riconoscere e seguire la guida. Trovo che le prime piogge ... be', quello che ho detto.» La presenza di Occhiolucente e la sua strana conversazione innervosivano Acchiappacoda. «Temo di non capirne molto, di queste cose, Occhiolucente.» L'oel-var'iz guardò Fritti con aria divertita. «Come vuoi...» disse, «come vuoi.» E se ne andò via, come portando una battuta misteriosa in equilibrio sulla sua lunga coda. Dall'altra parte della radura, Vibr'artiglio osservò l'extrasensitivo che si allontanava. Si alzò e si stiracchiò, poi trotterellò lungo il perimetro della radura, scavalcando l'appisolato Panciapendula. Mentre lo guardava camminare, Acchiappacoda fu ancora una volta impressionato dalla controllata potenza del gatto nero. «Sembri perplesso, giovane Acchiappacoda. Forse Occhiolucente ti ha predetto un'incerta fortuna?» domandò il gran Capo, distendendosi a terra accanto a Fritti. «No, no. Voleva soltanto fare amicizia, mi pare, ma non ho capito bene che cosa stava dicendo. Spero di non averlo offeso.» «Non me ne preoccuperei eccessivamente. Gli extrasensitivi sono una strana razza, capisci. Brillanti, guizzanti come uno scinco bagnato, ma un po' bizzarri e capricciosi. È così che sono cresciuti, capisci? Mentre noi altri impariamo ad acchiappare Squittenti, gli oel-var'izë imparano a leggere
il tempo nelle impronte dei serpenti e a cantare alle salamandre per farle uscire dal fango, e altra roba del genere. Questo, almeno, si dice. In ogni caso, sono tutti un po' matti, e Occhiolucente non è sicuramente il peggiore.» Fritti capiva che il gran Capo stava facendo un po' lo stupido a suo beneficio, ma era divertito dal suo tono faceto. «A proposito» proseguì Vibr'artiglio, «vorrei sapere dove siete diretti esattamente, tu e il tuo piccolo amico. Ci farebbe piacere accompagnarvi, se la vostra strada coincide con la nostra.» «Per dire la verità, ci stavo pensando poco fa» rispose Fritti stiracchiandosi stancamente. Si arrestò bruscamente, accorgendosi d'improvviso dell'eccessiva disinvoltura che dava a vedere in presenza del gran Capo. «Penso che dovrò decidermi abbastanza presto» concluse in tono pacato. Vibr'artiglio non diede segno di accorgersi dell'imbarazzo di Fritti. «Purtroppo non possiamo portarvi con noi all'Incontro dei Capi. Esistono forti prevenzioni nei confronti degli sconosciuti, capisci...» Acchiappacoda rimase in silenzio. Il dovere di rintracciare Zampafelpata s'imponeva di nuovo davanti a lui. Com'era difficile assumersi le responsabilità! Fritti sentiva la mancanza dei semplici piaceri dell'infanzia. Come poteva scoprire dov'era? Ogni idea che gli passava per la testa si rivelava sempre, a un più attento esame, impraticabile. «Immagino» disse infine al gran Capo, «che Balzalesto ti abbia detto il motivo per cui stiamo vagando per questi boschi.» «Sì, me l'ha detto, giovane cacciatore. Ed è una cosa giusta e coraggiosa da fare. Vorrei poterti dare qualche saggio suggerimento per aiutarti a ritrovare la tua fela, ma ahimè, il mondo è grande. Non è però la prima vittima di misteriosi avvenimenti, ma di più non posso dire. Sono obbligato a mantenere il silenzio fino all'Incontro dei Capi.» Il gatto nero sollevò una zampa e si grattò pensosamente dietro l'orecchio. «Anch'io ho udito molte storie strane» gli fece eco Acchiappacoda. «Di fatto, la nostra tribù ha inviato una delegazione alla Corte di Harar per chiedere aiuto in questa situazione. Penso che dovrò andare a incontrarla là, per sapere che cosa si è scoperto. Temo di non aver dato più di un'annusata in generale a tutta la faccenda, quando ho deciso di mettermi in viaggio. Sì, credo che dovrò tentare di arrivare alla Corte.» Uno strano sguardo guizzò nelle fessure degli occhi di Vibr'artiglio. «La Corte, eh?» mormorò. «Già, ogni cacciatore deve dirigere le sue zampe su quella strada. Purtroppo, quando arriveremo al limite del Bosco,
tra uno o due giorni di cammino, le nostre strade si divideranno. Il territorio di Erb'amara sta in direzione vez'an, verso est, e la tua strada deve portarti verso va'an. Ti daremo utili indicazioni, però... e tanti auguri.» Poi Vibr'artiglio si alzò in piedi. «Prenditi un po' di riposo, adesso. Vorrei ripartire dopo le Ombre più piccole.» Detto ciò, il cacciatore nero si allontanò con lunghi passi sinuosi. La pioggia era diventata un'acquerugiola continua che bagnava il pelo e infangava le zampe dei viaggiatori. Per tutto quel grigio pomeriggio e la sera, marciarono lungo i margini della vecchia foresta. Balzalesto, che era il più piccolo e il più sbadato, cadde in parecchie pozzanghere, e non sempre per caso. Arrivarono all'ultimo filare di alberi, alle soglie delle colline, mentre il sole stava scomparendo all'orizzonte. Vibr'artiglio decise di fermarsi lì per trascorrere l'ultima notte al riparo degh alberi. Ciuff intrecciato e Cercazuffa scoprirono un posto relativamente asciutto su un'altura al di sotto di una macchia di pini, e dopo una caccia non molto fruttuosa tutta la comitiva riparò nel luogo prescelto per dormire. Per molto tempo rimasero lì distesi in silenzio, osservando i rivoli d'acqua che scorrevano accanto a loro, cercando ciascuno la propria strada per scendere in basso. Balzalesto e Cercazuffa giocarono per qualche tempo a Nascondersi-e-Colpirsi, dietro alla schiena di Vibr'artiglio, finché una zampata casuale colpì il gran Capo sulla testa. Le orecchie ritte, il gran Capo ringhiò contro l'inquieta coppia, costringendola a interrompere con imbarazzo il loro gioco. Poi, quando capì che era una battaglia perduta, il Capo dei Primi Camminatori si rivolse a Panciapendula. «Vecchio mio» gli disse Vibr'artiglio, «sembra che sarà una funga notte. Che ne diresti di un po' di divertimento, se non altro per salvare la mia povera testa da altre zampate di Nascondersi-e-Colpirsi?» «Ottima idea» esclamò Cercazuffa. «Racconta la storia di Ciuff'intrecciato e del porcospino!» Ciuff'intrecciato lanciò a Cercazuffa un'occhiata in gattesco. «Certo» replicò seccamente. «Poi sentiremo la storia della prima caccia al tasso di Cercazuffa.» Cercazuffa alzò lo sguardo allarmato. «Forse è il caso di rimandare a un'altra volta la storia del porcospino» riconobbe. Vibr'artiglio sorrise. «Perché non una canzone o una poesia?» propose. «E stai attento che sia adatta ai nostri giovani amici.»
Panciapendula starnutì una risata e rotolò sulla pancia, che si appiattì in modo impressionante sotto il suo peso. «Ho proprio in mente quello che fa al caso» ridacchiò, «a condizione che certa gente di cui potrei fare il nome si ricordi la buona educazione, e presti attenzione.» A queste parole, Balzalesto, che stava avvicinandosi furtivamente a Cercazuffa, ritornò mansuetamente accanto a Fritti. Panciapendula si mise a sedere, e per poco non batté la sua testa striata contro un ramo basso, poi annusò intorno con aria di importanza. «Ecco qui» disse finalmente, «è una piccola composizione in versi intitolata Acciuffatopi e lo Spirito del Topo. Canticchiò tra sé per qualche momento, poi intonò la canzone. Acciuffatopi era un gatto e gli piacevano i topi, gli piacevano belli grassi e appetitosi Coro: Ehi gatto, gatto matto, gli piacevano i topi. Acciuffatopi, lo sapete, andava sempre a caccia col sole in estate e la neve in inverno. Coro: Ehi gatto, gatto matto, andava a caccia. Un giorno, lungo il fiume spiava lo Squittente grassottello, l'orgoglio di sua mamma-topo, Coro: Ehi gatto, gatto matto, spiava il topolino. Contro il topo saltò, con un balzo e con un tonfo per acciuffarlo tra gli artigli. Coro: Ehi gatto, gatto matto, con un balzo e con un tonfo. Ma sotto le zampe non vide topo alcuno e rimase a bocca aperta e a digiuno. Coro: Ehi gatto, gatto matto, non vide topo alcuno. E allora udì squittire e un topo gli parlò, ma per quanto lo cercasse non lo trovò. Coro: Ehi gatto, gatto matto, un topo gli parlò. Disse la voce: «Caro gatto, io son lo spirito del topo
e ti tormenterò e ti darò la caccia!» Coro: Ehi gatto, gatto matto, io ti darò la caccia. Acciuffatopi voltò la testa alla voce dello spirito e con un gran balzo scappò via impaurito. Coro: Ehi gatto, gatto matto, con un balzo scappò via. Acciuffatopi non acciuffa più topini Ora mangia insetti, cortecce e pesciolini, e... quando capita, un pipistrello che vola basso, ma di topi e sorci non ha più appetito! Coro: Ehi gatto, gatto matto, Tu miagolio d'un gatto matto, Ehi gatto, gatto matto, non mangi più topini! Il finale della canzoncina di Panciapendula fu seguito da molte risate e applausi. Acchiappacoda si accorse che perfino Occhiolucente aveva un'espressione sinceramente divertita sul suo muso ascetico. Capitolo 9 Il vento è tra le canne. Su, vieni. Le foglie delle canne ondeggiano, fruscianti di parole, con stridenti che superano lo stridio della faraona. Il vento è tra le canne. Su, vieni. JEAN TOOMER L'alba mise temporaneamente fine alla pioggia. Dopo il pasto del mattmo, la comitiva si mise in cammino verso i margini della foresta e lì si fermò un po' di tempo, per annusare i venti. Le colline si estendevano in lontananza, avvolte nella foschia. Acchiappacoda si domandò quanto era lontano da casa. Mentre Vibr'artiglio e Panciapendula discutevano sulla strada da prendere, Balzalesto saltava e danzava nell'erba rugiadosa. Il piccolo era comprensibilmente felice di essere uscito dalla pesante cappa della foresta, e Fritti avrebbe desiderato che anche il suo cuore potesse essere così lieve.
Se questa foresta è il posto peggiore che dobbiamo attraversare, allora siamo stati davvero fortunati, si disse Fritti. Era bello essere di nuovo all'aperto, anche se nelle colline sembravano esserci ben pochi nascondigli, e questo era l'unico particolare che deponeva a favore della fitta foresta. Il Capo dei Primi Camminatori gli si avvicinò, mentre i suoi compagni si radunavano a semicerchio dietro a lui. «Penso che tu intenda ancora dirigerti verso la Corte» osservò Vibr'artiglio con voce aspra, che sembrava avere ancora una sfumatura sprezzante. Ma Fritti aveva troppi pensieri in testa per darsene cura. «Sì, Capo. Penso che sia la cosa migliore.» «Bene» replicò Vibr'artiglio, «noi dobbiamo voltare qui verso est, lungo il bordo del vecchio Bosco. Penso che qualche indicazione potrebbe esservi utile, non è così?» «Certamente» rispose Fritti. «Siamo giunti fin qui seguendo qualche vaga indicazione di Stiralento, che però ci ha consigliato di chiedere ancora aiuto, una volta attraversata la foresta.» Il gatto nero si chinò avanti scrutandolo con lo sguardo. «Hai detto Stiralento?» «Già, è un nostro amico del Muro degli Incontri. È stato lui a insegnarmi il canto di caccia!» soggiunse Fritti orgogliosamente. Il gran Capo arricciò il naso e sorrise. «Dimmi, è un tipo grosso, rossiccio?» domandò Vibr'artiglio, «che si comporta sempre come se si fosse appena svegliato?» Fritti annuì. «Stiralento!» esplose con un boato Panciapendula. Il vecchio gatto striato scrollava la testa di piacere. «Il vecchio Stiralento! Perché non ce l'hai detto prima, piccola scaltra lucertola?» Fritti era divertito. «Non pensavo che lo conosceste.» «Se lo conosciamo?» gorgogliò Panciapendula. «Ogni suo odore! Siamo andati a caccia insieme nel Bosco di Radici a sud, per stagioni e stagioni! Che gatto eccezionale! Ah, che razza di piegabaffi!» Vibr'artiglio rivolse uno sguardo affettuoso al vecchio amico, che saltellava come un uccellino. «Panciapendula dice la verità» confermò il Capo. «Non avrai mai ostilità da parte nostra, col nome di Stiralento come presentatore di caccia. Be', se hai la protezione di un simile gatto, mi sento più tranquillo sotto molti aspetti. Stiralento non designerebbe mai per scherzo qualcuno come suo fratello di caccia.» Fritti era ancora divertito. Tutti sembravano trovarlo più importante di quanto lui stesso si credesse. «Be', come ho detto, Stiralento non ci ha can-
tato molto chiaro dove andare al di là della foresta» spiegò. «Ah» sospirò Vibr'artiglio con esagerato rammarico. «... farsi ricordare il proprio dovere da un cucciolo! Penso quasi che il nostro vecchio compagno ti abbia mandato qui per farmi vergognare. Be', ti ho detto che ti avrei dato delle indicazioni, non è così? Bene, stai a sentire attentamente, perché ti darò qualcosa di più delle indicazioni per arrivare alla Corte della Regina.» Il gran Capo voltò lo sguardo al di là del paesaggio collinoso. «E ora ascoltami: prima dovrai andare oltre le colline del Dolce Cammino. Segui il tuo naso, dov'è ora puntato, tieni il tramonto sul fianco sinistro e non potrai sbagliarti. Attraversato il fiume Codatorta, giungerai alle pianure e sarai a metà circa del cammino. Tieni il naso puntato verso u'ea, e alla fine vedrai che le pianure salgono leggermente. Arriverai al Fusafruscianti, e dopo averlo attraversato fino alla sponda opposta, seguilo controcorrente fino ai margini del Bosco di Radici. Lo capirai, quando sarai arrivato. Riuscirai a ricordare tutto?» Fritti rispose che ci sarebbe riuscito. «Io lo aiuterò, signore» assicurò Balzalesto. Tutti ne erano convinti, e così i Primi Camminatori si radunarono per congedarsi da loro. Perfino Ciuff'intrecciato si avvicinò e strofinò il naso con Fritti e Balzalesto. Mentre il suo compagno faceva un'ultima lotta con Cercazuffa, Acchiappacoda trovò Occhiolucente al suo fianco. «Vorrei farti una "visione"» gli disse il gatto bianco. «Sento che soffiano possibilità. Non aver paura.» Fritti non era sicuro di volere quello che Occhiolucente gli offriva, ma era troppo tardi per fare obiezioni. L'extrasensitivo lo aveva già annusato e stava inalando il suo odore giù per la spina dorsale fino alla punta della coda. Poi il gatto bianco si accovacciò sulle zampe posteriori e chiuse gli occhi. Quando li riapri, Acchiappacoda vide con grande sorpresa che il loro colore azzurro lattiginoso si era trasformato in azzurro cupo. Occhiolucente aprì la bocca e ne uscì una voce ansante. «... I grandi gridano nella notte... c'è movimento sulla terra... il desiderio del cuore è trovato... in un luogo inaspettato...» L'extrasensitivo scosse la testa, come infastidito da un rumore troppo forte, poi la sua voce sussurrante proseguì: «... Tutti fuggono dall'orso, ma... a volte lo stesso orso... fa brutti sogni...». E dopo un breve silenzio: «Quando ti trovi in luoghi bui, scegli bene i tuoi amici... o scegli i tuoi nemici...».
Dopo un altro attimo di silenzio, Occhiolucente chiuse di nuovo gli occhi, e quando sollevò le palpebre i suoi occhi avevano di nuovo il colore ceruleo del cielo d'estate. Rivolse poi un cenno del capo allo stupito Acchiappacoda. «Che tu possa trovare la fortuna danzante, giovane cacciatore» gli augurò, prima di andarsene. Fritti era ancora seduto a domandarsi il significato delle oscure parole che Occhiolucente gli aveva cantato, quando Vibr'artiglio gli si avvicinò insieme a Panciapendula che gli camminava pesantemente a fianco. «Prima di augurarti buon viaggio, amico Acchiappacoda, voglio darti ancora qualche consiglio» gli disse il gran Capo. «La Corte può non essere quello che tu ti aspetti. Spero che tu capisca. Noi Primi Camminatori riteniamo che non sia naturale e contrario alla volontà del nostro signore Tangaloor Zampa-di-fuoco, che la Gente viva sempre così vicina l'una all'altra. E oltre a ciò, negli ultimi tempi quel posto ha cominciato a puzzare di Uo'mo.» «Vuoi dire che i Grossi vivono lì vicino?» domandò Fritti sorpreso. «No, certo che no, solo che l'odore dei nostri servitori di un tempo si è propagato fino al Trono di Harar. Immagino però che non sia giusto metterti in testa pregiudizi. Noi, Primi Camminatori, siamo gente solitaria, e molti alla Corte della Regina ci trovano esagerati. Tu dovrai essere cacciatore e fare la tua strada.» Il nero capotribù abbassò lo sguardo per terra. Poi prese la parola Panciapendula. «Il giovane principe Saltasteccati non è però un cattivo tipo. Se hai bisogno di un amico, lui è un buon amico. Un tipo un po' turbolento, ma abbastanza onesto.» Vibr'artiglio alzò lo sguardo e sorrise, facendo balenare i suoi denti aguzzi. «Su, andiamo, vi abbiamo sommerso di tante parole che sarebbero sufficienti a far meditare per qualche stagione un'assemblea di musi grigi. E ora dobbiamo finire di congedarci.» Tutti e tre si avviarono a raggiungere gli altri. Balzalesto sgattaiolò sotto il peso di Cercazuffa e trotterellò al fianco di Fritti. Vibr'artiglio fece un gesto di benedizione con la zampa. «Acchiappacoda e Balzalesto, giovani e coraggiosi cacciatori, amici del nostro vecchio compagno Stiralento, noi vi auguriamo buon viaggio. Sappiate che siete tra i pochi estranei che mai abbiano avuto la possibilità di marciare accanto ai Primi Camminatori.» Fritti e Balzalesto abbassarono il capo. «Vi insegnerò una preghiera che noi recitiamo. Se vi trovate in pericolo e la recitate, qualsiasi Primo Camminatore che possa udirla verrà in vostro
aiuto. Se non ce ne sono intorno, be', allora non sarebbe male pronunciare il nome del nostro Signore l'avventuriero, quale che sia la situazione. Queste sono le parole: Tangaloor, di fuoco acceso, zampadifiamma, tu che cammini più lontano, è il tuo cacciatore che parla, nel bisogno egli cammina, nel bisogno, ma mai nella paura. «Riuscirai a ricordarla? Bene!» Seguì qualche momento di imbarazzato silenzio, poi «Buona danza a tutti e due!» soggiunse Vibr'artiglio. Fritti chinò il capo. «Arrivederci, gran Capo, e arrivederci a tutti voi, Primi Camminatori. La vostra gentilezza è ancora più apprezzabile in quanto non richiesta. Fate anche voi buon viaggio e una buona danza.» Acchiappacoda si voltò e senza guardare indietro si avviò verso le colline. Dopo qualche attimo, Balzalesto lo seguì. Quando i Primi Camminatori erano ormai scomparsi alla vista, i due camminavano ancora in silenzio. I primi giorni sulle colline trascorsero abbastanza tranquilli. Ogni ora circa arrivavano in cima a una delle colline rotonde, che offrivano visibilità in ogni direzione. Calcolando la loro posizione orientandosi col sole, non avevano difficoltà a mantenere la rotta. Il tappeto d'erba faceva da cuscino alle zampe indolenzite dei due gatti e le verdi pendici collinose del Dolcecammino erano popolate in abbondanza da ogni genere di cose e creature commestibili. La vita nelle colline pulsava più tranquillamente, più pensosamente che nella foresta, e persino chi era cacciato sembrava accettare la propria situazione con sereno fatalismo. Non era spiacevole passare attraverso quel paesaggio dolcemente ondulato. Le giornate si stavano facendo più fredde, però. L'autunno era al suo apice, mentre l'inverno era in paziente attesa, e Fritti e Balzalesto potevano avvertire il cambiamento del tempo che incalzava senza fretta. Quando si attardavano o erano allettati da qualche nuovo panorama o odore, il gelo penetrava ancor più nelle loro ossa con un lieve brivido di freddo e li costringeva a riprendere in fretta il cammino. A Fritti dispiaceva vedere il solito buon umore di Balzalesto abbattuto da quella marcia faticosa. Anche Acchiappacoda era malinconico, ma il suo senso di responsabilità nei confronti di quel piccolo gatto coraggioso
era per lui un incentivo nelle ore più tristi della giornata. In un grigio pomeriggio i due gatti erano a caccia per procurarsi il pranzo sul vasto pendio verde di una collina. In cima alla collinetta c'era un piccolo sottobosco di arbusti, e da lì sotto il posto era sembrato adatto per andare in cerca di prede. Annusando ai bordi del boschetto, i due gatti stanarono alla fine un piccolo coniglio e quando questi schizzò via attraverso la distesa d'erba, essi si lanciarono all'inseguimento, andando l'uno da una parte e l'altro dall'altra per bloccare la fuga del praere. Il coniglio si fermò immobile tutt'a un tratto, così improvvisamente che anche i due cacciatori si arrestarono, sorpresi, a loro volta, e in quel momento un'ombra passò sopra le loro teste. Immobile, a eccezione del naso, gli occhi sbarrati dal panico, il praere scomparve subito dopo in un lampo di piume marroni piombato dall'alto. Il falco sfiorò appena il terreno quando ghermì il coniglio, agguantandolo con i suoi artigli adunchi e spezzandogli la schiena. Poi, dopo aver dibattuto per qualche attimo le ali, il meskra si alzò in volo con il corpo inerte del coniglio sospeso tra gli artigli. E infine, dopo aver preso il vento, volteggiò sempre più in alto, lasciando lì i due gatti a bocca aperta. Né il rapace né la sua preda avevano emesso un suono. La collina rimase improvvisamente spoglia e deserta nella fievole luce del sole. Dopo un attimo Balzalesto si volse verso Fritti, battendo i denti per lo spavento. «Oh, Acchiappacoda» piagnucolò, «voglio ritornare a casa.» Fritti non sapeva che cosa rispondere e in silenzio condusse Balzalesto giù per la collina. Più tardi, quel pomeriggio, quando Balzalesto cadde finalmente addormentato, Fritti rimase sveglio a guardare le nuvole che scivolavano lentamente attraverso il cielo basso. Otto giorni erano trascorsi sulle colline, da quando i due gatti avevano lasciato i confini dei Vecchi Boschi; l'Occhio di Meerclar si era aperto completamente e aveva cominciato a richiudersi. Dalle cime delle colline più alte, potevano ora vedere in lontananza un debole riverbero che si snodava in un corso d'acqua indistinto tra le colline all'orizzonte. Fritti fu felice di vederlo, perché era quasi sicuro che fosse il fiume Codatorta, e Vibr'artiglio aveva detto che a quel punto si sarebbero trovati a metà del cammino verso la Corte.
Seguirono la loro strada con un po' più di entusiasmo, ma dapprima la distanza non sembrava diminuire rapidamente, e il Codatorta era sempre un vago bagliore all'orizzonte. Le colline avevano cominciato però a degradare verso il bacino del fiume, e le macchie di alberi che cospargevano il paesaggio circostante erano ora più rade. La tredicesima notte da quando erano usciti dalla foresta poterono finalmente udire il rumore attutito del fiume al di là dei prati. Era un suono confortante, che da lontano era molto simile a quello del ruscello che scorreva accanto al Muro degli Incontri dopo il disgelo di primavera. Prima di dormire, quella notte, i due amici giocarono a Balza-e-Attacca, e Fritti rise per la prima volta da quando avevano lasciato la compagnia dei Primi Camminatori. Il mattino del quindicesimo giorno di marcia sulle colline del Dolcecammino scesero verso la riva del fiume. La bruma era sospesa sull'erba e il cielo aveva odore di pioggia incombente. Il cammino verso il Codatorta, le cui acque scorrevano ormai alte negli argini, era come una discesa dall'altopiano in un mondo di acqua e aria fredda. Quel fiume impetuoso e gorgogliante aveva una vitalità e un'energia ben diyersa da quelle dei timidi, sparuti ruscelli della foresta vicina a casa loro. Il Codatorta schiumeggiava e rideva, trascinando con sé salici e arbusti, che poi mandava a vorticare placidamente lungo la riva, dove rimanevano a galleggiare pigramente. Poi il fiume giocava con essi come il gatto col topo, riportandoli infine nella corrente per trascinarli lontano dalla vista. Fritti e Balzalesto giocarono sulla riva finché il sole non fu alto nel cielo sopra le loro teste e brillò attraverso la foschia, scheggiando col suo riverbero la superficie precipitosa dell'acqua. A turno cercavano di afferrare ramoscelli che galleggiavano sulla riva del fiume, e allungando le zampe nell'acqua si sfidavano a raggiungere quelli più lontani. Soltanto quando Balzalesto rischiò di cadere in acqua, in uno slancio incontrollato, e all'ultimo momento fu acchiappato per la collottola, soltanto allora Fritti cominciò a pensare al problema di attraversare l'ampio e impetuoso corso del Codatorta. Risalirono controcorrente il corso del fiume, scoprendo anse e insenature, mentre il rumore dell'acqua si faceva sempre più forte e irruente. Al di là di una curva nel corso del fiume, ne scoprirono il motivo. In quel punto il Codatorta si restringeva leggermente e scavalcava una formazione di rocce che si elevavano nell'acqua schiumeggiante come denti spezzati.
Quando si avvicinarono, la cima di una delle rocce si mosse leggermente, poi si voltò per guardarli con occhi spalancati. Era Mangiapulci, appollaiato lì come un gufo in mezzo alla corrente. Il Codatorta scorreva impetuoso e schiumeggiante intorno al gatto nero. Mangiapulci guardò per un attimo i due compagni, poi si alzò in piedi, con i peli che spuntavano come aculei su tutto il corpo. Senza dire una parola, barcollò sulla roccia per un momento, poi balzò su un'altra più avanti. Stava cercando un altro punto sicuro su cui saltare, quando Fritti lo chiamò al di sopra del ruggito delle rapide. «Mangiapulci! Sei proprio tu? Siamo noi, Acchiappacoda e Balzalesto, ti ricordi di noi?» Mangiapulci si voltò a guardarli imperturbabile. «Ti prego, torna indietro, Mangiapulci!» gridò Fritti alzando la voce. «Per favore, ritorna qui!» Mangiapulci esitò per un attimo, poi balzò ancora sulla roccia su cui era prima appollaiato. Mentre i due amici lo guardavano, Mangiapulci riattraversò faticosamente il fiume, balzando infine dall'ultima roccia sulla sponda erbosa. E li, dopo averli scrutati sospettosamente per qualche attimo, si accovacciò sulla riva del fiume. Finalmente sembrò lentamente riconoscerli. Pareva che stesse parlando, ma Fritti non riuscì a sentire le sue parole sopra al fragore del fiume, e allora gli fece cenno di seguirli su per la riva. A una certa distanza dal fiume, si fermarono. «Che piacere rivederti, Mangiapulci!» esclamò allegramente Balzalesto. Sembrava aver dimenticato tutte le paure che aveva provato una volta alla presenza di quello strano gatto incrostato di fango. Con un'espressione compiaciuta, ma ancora diffidente, Mangiapulci camminò intorno ai due gatti annusandone l'odore. «Bene-bene-bene» esclamò finalmente, «sono proprio loro, i dimenacoda, gli shinky-shanky in persona!» Inclinò interrogativamente la testa da una parte. «E che cosa vi ha portati fin qui, sulla riva del fiume, piccoli goffi ficcanaso? Venuti qui a inumidirvi il naso? Ah, ma la cosa incredibile è questa... com'è che siete riusciti a cavarvela con le domande insidiose dei gatti del demonio? Vi siete messi le ali e siete volati via? Non sarebbe mica la prima volta» soggiunse in tono misterioso. «Quali gatti del demonio?» domandò Balzalesto. «Abbiamo incontrato soltanto i Primi Camminatori, e sono stati molto gentili con noi.» «Ah, sangue di topo!» ringhiò Mangiapulci e sputò per terra. «Sì, all'ini-
zio sono gentili, questo è vero, ma ben presto vogliono qualcosa, vogliono qualcosa, e fanno sempre pressioni...» Fritti non prendeva molto sul serio le farneticazioni di Mangiapulci. «Be'» lo interruppe, «e ora che siamo tutti qui, non potremmo fare un pezzo di strada insieme? Una volta attraversato il fiume, viaggeremo per le pianure del Nido di Sole. Ci farebbe grande piacere la tua compagnia.» Mangiapulci sorrise e annui. «Sì, passerò da quella parte» acconsentì. «Stavo inseguendo una stella particolarmente altisonante e vociferante, ma...» soggiunse, abbassando le orecchie e la voce «io so dove va a posarsi per l'inverno!» Felice di averli messi a parte del suo segreto, Mangiapulci fece un breve passo incrociato e mordicchiò leggermente l'orecchio di Balzalesto, il quale la prese allegramente. «Ci puoi guidare al di là del fiume?» domandò Fritti. «A quanto pare, tu conosci le rocce migliori.» «Forse che gli scoiattoli non hanno il pelo a strisce sul loro didietro? Certo che posso!» rispose Mangiapulci. Il paesaggio era diverso sulla sponda opposta del Codatorta. Le colline col tappeto erboso del Dolcecammino digradarono e scomparvero entro l'Ora, sostituite soltanto da occasionali cumuli di terra che s'alzavano timidamente sull'erba ondulata. Balzalesto e Acchiappacoda non avevano mai visto niente di paragonabile alle pianure di Nido di Sole. Si stendeva davanti e intorno a loro, apparentemente sconfinata, come un vasto e piatto mare d'erba e di vegetazione aggrappata al suolo. Era un terreno piatto come potrebbe modellarlo solo la natura, e anche se dietro a loro si ergevano le colline, avevano l'impressione di camminare su un altopiano. Il cielo, ora più limpido per i venti e le acque della stagione più fredda, era sospeso sopra le loro teste, e contribuiva anch'esso a dare questa sensazione. Sembrava che fossero stati innalzati su una vasta superficie, che doveva essere esplorata da qualche forza impersonale. Fritti e il suo piccolo amico erano lieti della compagnia di Mangiapulci. Dopo la terza e la quarta alba, la monotona grandiosità della pianura cominciava a farli sentire molto piccoli e insignificanti. Mangiapulci era però un'autentica fonte di distrazioni, sempre provvisto di frammenti di strane poesiole e di proverbi che non si riferivano a niente. Un pomeriggio, accovacciato a riposare nell'erba ondulata, Balzalesto
cominciò timidamente a recitare un brano di una poesia che stava componendo sul loro viaggio alla Corte di Harar. Era una composizione ingenua e ancora incompiuta, tuttavia Fritti la trovò piacevole. Si accorse con sorpresa che sembrava invece mettere a disagio Mangiapulci. Per risparmiare a Balzalesto una situazione imbarazzante, elogiò la sua poesia e poi si rivolse a Mangiapulci per cambiare argomento. «Mi domandavo» provò a dire Acchiappacoda, «per quale preciso motivo questa grande pianura si chiama Nido di Sole. Non vedo nemmeno un nido tutt'intorno, Mangiapulci. Tu lo sai?» Mangiapulci rivolse il suo sguardo malinconico ad Acchiappacoda, e distrattamente si spazzò dal muso una ciocca imbrattata di peluria. «Si dà il caso, piccolo rosicchiatore di zampe di Squittenti, che io lo sappia. Lo so davvero.» «Raccontaci, ti prego! È una canzone?» «No, no, non è una canzone, anche se potrebbe esserlo, immagino.» Mangiapulci scosse tristemente la testa. «È soltanto una cosa che ricordo di aver udito quando ero un gattino, più giovane di qualche Occhio di questo piccolo impiccia-impaccia che c'è qui.» Fritti si rese conto solo allora che non sapeva niente della vita di Mangiapulci. Si ripromise di provare più tardi a portare sull'argomento quel matto, malinconico vagabondo. «Si dice, così dicono quelli che dovrebbero sapere» intonò Mangiapulci, «che quando Meerclar Madre-di-tutti aprì per la prima volta i suoi occhi luminosi, ovunque era buio. Madre-di-tutti aveva la vista più acuta di tutti, naturalmente, ma anche se riusciva a vedere, batteva i denti e rabbrividiva di freddo. E così pensò e ripensò, perché a nessun gatto, nemmeno al più grande di tutti, piace stare al freddo. «Dopo un po', le venne un'idea. Strofinò insieme le zampe, le sue grandi zampe nere, e le strofinò così rapidamente che alla fine ne uscì una scintilla di fuoco del cielo. Allora prese quella scintilla e la posò sulla terra. «Lì rimase a nutrirla e proteggerla col pelo del suo corpo, e la scintilla crebbe. Poi tentò di fuggire via, quando fu più grande, ma ogni volta Madre-di-tutti riusciva a raggiungerla e ad acchiapparla, facendola rotolare attraverso la terra fin dove era nata. «La scintilla continuava a crescere sempre più, grande e voluminosa, e quando lei la catturava e la faceva rotolare, la terra s'appiattiva al loro passaggio. Sempre più grande e rotonda e luminosa diventava, finché la sua presenza nel mondo riscaldò tutti i primi animali.
«Tutte le creature venivano a radunarsi intorno al giovane sole, facendo ressa e spingendosi per avvicinarsi... e tutti gli animali non facevano altro che distendersi lì a crogiolarsi al caldo, finché tutto il mondo non fu deserto e senza vita, tranne quell'unico punto sulla grande pianura appiattita. «Al che Meerclar Madre-di-tutti s'infuriò come il tempo quand'è cattivo e scagliò il sole su nel cielo, dove avrebbe brillato su tutto il mondo in modo equo, e gli abitanti della terra si ridistribuirono nuovamente su tutta la sua superficie. E là nel cielo il sole brilla ancora. «Però, quando il sole ha riscaldato come meglio può e comincia a essere stanco, allora Meerclar lo riprende nel suo seno peloso, e li il sole si rinvigorisce di nuovo. E mentre Meerclar lo tiene, per una stagione il mondo rimane al freddo. «E ora» concluse Mangiapulci «stiamo passando proprio sul luogo in cui Madre-di-tutti lo allevò nella sua infanzia, ecco l'origine del nome. Semplice come i topolini a cena, non vi pare?» Fritti e Balzalesto convennero che era proprio così. Il giorno dopo, poco prima dell'inizio del Buio che si distende, mentre il sole di cui aveva parlato il gatto matto stava calando sull'occidente nuvoloso, Mangiapulci ebbe un'altra delle sue crisi. Il terzetto era immerso fino al petto in un mare ondeggiante d'erba, quando Mangiapulci si mise d'improvviso a sedere, i baffi tesi, e cominciò a bofonchiare. Non sembrava spaventato o preoccupato, questa volta, ma pieno d'entusiasmo mentre mormorava:«... Ah, eccoti qui! Ah! Disteso nella segale, è così? Qui a saltarmi e solleticarmi sotto il naso, vero signore? Ah, ah!». Acchiappacoda e Balzalesto si misero a sedere, nella fiduciosa attesa che, terminato l'incantesimo, potessero riprendere il viaggio. «Aspetta! Aspetta!» gridò Mangiapulci, balzando in piedi. «La stella! Non senti che sta vibrando? Dobbiamo raggiungerla, prima che senta l'odore dei nostri veri colori! Oh, ti prego, non lasciare che faccia ancora troppo tardi! Salterò oltre il muro!» E d'improvviso, senza alcun preavviso, Mangiapulci scappò via, chiamando la stella come se la vedesse balzare davanti a sé. Poi scomparve tra l'alta vegetazione, mentre i suoi compagni sgomenti tentarono di inseguirlo. Mangiapulci era troppo veloce, però, e ben presto anche la sua voce svanì in lontananza. I due amici rimasero in quel posto tutta la notte, con lo stomaco fremente di fame, ma Mangiapulci non fece ritorno. Alla fine desistettero e anda-
rono a caccia. Il mattino seguente si trovarono ancora in due, e si rimisero in cammino. Capitolo 10 Di che cosa vanno a caccia tra le lucenti chiazze d'acqua, sotto la rotonda Luna d'argento, lo Stagno del Cielo, tra l'erba ondulata e gli alberi senza corteccia, le stelle sparse sopra di loro come occhi di animali? W J TURNER Poi cominciarono le piogge. Mentre attraversavano la vasta distesa del Nido di Sole, i due gatti correvano dapprima a raggiungere quegli scarsi ripari che riuscivano a trovare. Ma quando questi divennero ancora più scarsi e le piogge più frequenti, i due si videro costretti a bagnarsi il pelo. Balzalesto si buscò un raffreddore e i suoi starnuti cominciarono ad aggiungersi all'infelicità personale di Acchiappacoda. A volte, un'interruzione di questi starnuti suscitava in lui un'ondata d'affetto per il gattino, e allora Fritti si sforzava di dirgli una parola allegra o di dargli una zampata affettuosa. Altre volte, però, reagiva alla malattia e alla debolezza di Balzalesto con scatti d'irritazione che divampavano e svanivano con la stessa rapidità. Una notte, Balzalesto, infreddolito e spaventato, andò ad acquattarsi sopra di lui durante un violento acquazzone. Tutte le frustrazioni di Acchiappacoda esplosero, e allora spinse via il gattino colpendolo ripetutamente con la zampa. Mentre Balzalesto cercava un riparo nella ramaglia, col suo piccolo corpo scosso da leggeri singulti, Fritti fu colto da un subitaneo momento di terrore. Balzalesto sarebbe morto, e l'avrebbe lasciato solo in quella vasta landa deserta! Allora, rendendosi conto di ciò che aveva fatto, andò a prendere il gattino per la collottola e lo riportò indietro. Leccò tutto il suo pelo bagnato e s'acciambellò intorno a lui per tenerlo al caldo finché la pioggia non fosse momentaneamente cessata.
Alcuni giorni dopo, mentre proseguivano il cammino con indomita determinazione, Fritti cominciò ad avere la sensazione che qualcosa li stesse seguendo. Trascorsa la maggior parte di quel giorno, Fritti aveva ancora quella sensazione che, anzi, si era fatta più forte, e ne parlò con l'aria più disinvolta possibile al suo giovane compagno. «Scusami, Acchiappacoda» obiettò Balzalesto, «le prede sono state terribilmente scarse in questi ultimi tempi, e non abbiamo avuto gran che da mangiare. Davvero, non sarei sorpreso se tu non fossi completamente in te. Chi altri, se non un paio di gatti matti, potrebbe essere in cammino con un tempo come questo?» Era un'obiezione sensata, ma dentro di sé Fritti sentiva che non era soltanto la mancanza di topi che aveva quell'effetto sui suoi sensi. Quella notte, durante la parte più segreta della Danza finale, Fritti balzò improvvisamente in piedi nel loro giaciglio. «Balza!» sussurrò. «C'è qualcosa laggiù! Ecco! Lo senti?» Balzalesto lo sentiva, evidentemente, perché anche lui era ben desto e tremante. Tutti e due aguzzavano lo sguardo nel buio circostante, ma non riuscivano a vedere niente, oltre al vuoto della notte. Qualcosa di freddo, strisciante e formicolante faceva però vibrare i loro baffi, e da qualche punto lì vicino l'aria intrisa di umidità trasportava un odore di sangue e di vecchie cose. Trascorsero il resto della notte come gli Squittenti cui davano la caccia, trasalendo a ogni rumore, ma alla fine quella sensazione s'affievolì, poi scomparve. Nella rada luce del mattino, non avevano più voglia di dormire e ripresero il cammino senza fermarsi a cacciare per la colazione. La pioggia si fece più forte, quel giorno, il cielo era cupo e gonfio di nubi, e di quando in quando soffiava da nord un vento che spazzava le loro facce con folate d'acqua, mentre avanzavano faticosamente. La sensazione di essere osservati non era del tutto scomparsa, e ora aveva contagiato anche Balzalesto. Fu così che quando riuscirono finalmente a catturare un piccolo, fradicio Squittente, nella tarda serata, lo mangiarono in fretta e in piedi, nonostante la fame e la stanchezza. Avevano ancora in bocca gli ultimi bocconi di quella carne filacciosa quando, dalla turbinante, piovosa oscurità avanti a loro, giunse un terrificante ululato che li paralizzò sul posto, arrestando i battiti dei loro cuori. Un altro grido, non meno terrificante, ma un po' più lontano, salì soffocato dall'altra parte.
Erano circondati! Quest'idea angosciosa li colse tutti e due contemporaneamente. Uno strano rumore ansimante giunse loro dal luogo del primo ululato, poi qualcosa s'avventò verso di loro attraverso l'erba alta. Destatosi immediatamente dal suo raggelante stordimento, Fritti si voltò verso Balzalesto e lo colpì così forte con una testata che il gattino quasi cadde per terra. «Scappa, Balza, scappa più svelto che puoi!» squittì Fritti, sforzandosi di tenere bassa la voce. Balzalesto riprese l'equilibrio e tutti e due schizzarono via come serpenti da sotto un masso rovesciato. Dall'altra parte, potevano ora udire il rumore di arbusti smossi e spezzati. Correvano a più non posso, le orecchie appiattite sulla testa e le code tese dietro di loro. Udivano sempre i rumori di qualcosa che li inseguiva. «Ahi, ahi» gemette Balzalesto. «Sono gli stessi, le zampe rosse, poveri noi!» «Per amore di Ventobianco, risparmia il fiato e corri!» ansimò Acchiappacoda. Dietro a loro, si alzò un grido farfugliante che riecheggiava nel vento di tempesta. Correvano sempre più affannosamente, tra la pioggia e le tenebre che li circondavano, nel vento che soffiava contro di loro. Per fortuna, il terreno era piatto e sgombro di rami e di rocce, perché non avrebbero potuto vedere davanti a sé, anche se avessero avuto la presenza di spirito di guardare. Si stavano stancando rapidamente. Finalmente, quando avevano ormai la sensazione di correre da tutta una vita, i rumori dell'inseguimento cominciarono ad affievolirsi e infine scomparvero. Loro però continuarono a barcollare avanti finché poterono, poi sentirono che le gambe non li avrebbero più sorretti per un altro balzo. Rallentarono, incespicando nel cammino, e sforzandosi di udire eventuali rumori degli inseguitori al di sopra del battito dei loro cuori e del loro respiro affannoso. In quel momento una figura enorme sbucò davanti a loro da una macchia di arbusti. «Ora vi abbiamo presi!» esclamò. Con un gemito di disperazione, i due gatti barcollarono avanti e caddero ai piedi dell'enorme figura avvolta nel buio. I sensi di Fritti ritornarono faticosamente alla realtà. Si sentiva sfinito e aveva male allo stomaco. Gli sembrava che tutto il mondo stesse sobbalzando intorno a lui. In quello stato di confusione, si domandò dov'era e che
cosa era successo. Poi ricordò l'inseguimento e quella gigantesca figura che incombeva. Fritti si dimenò per tentare di rimettersi in piedi, ma si trovò imprigionato saldamente. Sentiva qualcosa che gli stringeva la collottola e sotto le sue zampe aveva solo il vuoto. Con un senso di vertigine, apri gli occhi e scrutò intorno a sé. Al suo fianco, vide Balzalesto che veniva trasportato per la collottola, penzolante privo di sensi tra le mandibole del gatto più grosso che Acchiappacoda avesse mai visto. Quel mostruoso maschio grigioverde a strisce nere rivolse a Fritti uno sguardo privo di espressione. Quello che aveva catturato Balzalesto stava camminando accanto a lui, ma i piedi di Fritti non toccavano altro che l'aria... Acchiappacoda voltò lentamente la testa. Non riusciva a vedere la faccia del suo guardiano, tuttavia ne vedeva le zampe, grosse come un ramo d'albero, che misuravano il terreno a lunghi passi. Fritti sobbalzava e dondolava nella presa di questo animale, impotente come un cucciolo di tre giorni. In preda al panico, rovesciò indietro la testa torcendosi, e allora la luce svanì di nuovo. Un po' di tempo dopo, Acchiappacoda si risvegliò, ma non fece altri tentativi per liberarsi. Finalmente, quelle bestie apparentemente instancabili si fermarono. Fritti fu buttato per terra senza molte cerimonie, e accanto a sé udì il tonfo di Balzalesto che a sua volta era stato lasciato cadere, come uno Squittente morto. Poi una voce parlò nel Canto comune, e Acchiappacoda chiuse gli occhi. «Sicuro che non siano quelli che stiamo cercando?» domandò la voce, con un tono di evidente dispiacimento. La paura aveva il sopravvento sulla curiosità, e Fritti non apri gli occhi, ma rimase accovacciato nell'erba col muso in giù. Il gatto che l'aveva portato fin lì prese subito dopo la parola. «Sono scomparsi così, signore» disse in tono lento e basso. «Un attimo prima erano lì, e un attimo dopo non c'erano più. Davvero strano.» «Strano, su questo sono d'accordo con te. E preoccupante non poco» soggiunse pensosamente la prima voce. «Da dove arrivano questi due marmocchi?» «Ci sono corsi incontro, signore. Strillando come scoiattoli fuori dalla tana, e sono caduti per terra. Abbiamo pensato che dovevamo portarli qui. Stavano scappando, proprio così.»
Dopo qualche attimo di silenzio, Acchiappacoda si riprese quanto bastava per sollevare impercettibilmente una palpebra. Dietro le grandi figure indistinte che incombevano su Balzalesto e su lui, ce n'era una più piccola: più piccola sì, ma sempre molto più grande dello stesso Fritti, che rabbrividì silenziosamente. «Non hai visto niente di interessante, prima che scomparissero, Cacciadi-notte?» domandò il più piccolo al guardiano di Balzalesto. Fritti non udì la risposta, ma una risposta doveva esser stata data, perché la macchia più piccola riprese la parola. «Lo so. Era soltanto una speranza. Per tutte le code! Troppe domande, e troppo poche risposte!» Chi parlava rimase in silenzio per qualche attimo, mentre i due gatti attendevano pazientemente, poi si alzò e si avvicinò ad Acchiappacoda per annusarlo. «È soltanto un gattino!» esclamò. «Uno strano posto per fare esperienza.» Poi si rivolse a Fritti, che chiuse immediatamente gli occhi e si afflosciò fino alla punta della coda. La voce si avvicinò alla sua faccia, e Fritti dovette appellarsi a tutto il suo coraggio per non scappar via. «E questo qui non sembra certo un cacciatore. Magari hanno perduto la madre.» Chi parlava si chinò ancora più vicino e annusò l'orecchio di Fritti, poi lanciò un boato così improvviso e altisonante che Acchiappacoda trasalì dalla testa ai piedi per lo spavento. «Io sono il principe Saltasteccati, e ti ordino categoricamente di svegliarti per essere interrogato!» Acchiappacoda, ansimante, le orecchie che ancora gli rimbombavano, gli artigli piantati in terra per aggrapparsi a qualcosa, si alzò barcollante, scrollando la testa. «Saltasteccati?» pensò. Dove ho già sentito questo nome? Nell'aprire gli occhi vide davanti a sé un grosso gatto irsuto che lo guardava incuriosito. Il suo mantello aveva il colore fulvo dorato delle foglie in autunno. Il principe, proprio lui in persona, aveva un'espressione compiaciuta e sporgeva la lingua tra i denti incisivi. Sembrava molto soddisfatto della reazione di Acchiappacoda. Saltasteccati si rivolse poi al grosso gatto pezzato che aveva portato lì Fritti e aveva ora un sogghigno sghembo sul muso. «Non c'è niente come l'autorità» osservò il principe. «Non è vero, Caccia-di-giorno?» «È vero, signore» rispose il grosso gatto. Il fremito incontrollabile dei nervi di Acchiappacoda cominciava a calmarsi. Ora ricordava che era stato Panciapendula a parlargli di Saltasteccati, definendolo un buon amico da avere a Corte.
Mentre guardava il principe sogghignante e i suoi due mostruosi compagni, Fritti si domandò se sarebbe riuscito a sopravvivere a una tale amicizia. Quando il sole cominciò a riscaldare i prati intorno a loro, anche Balzalesto aveva ripreso coscienza al pari di Acchiappacoda. Ancora intorpidito, stanco e spaventato, il gattino non si muoveva né parlava, ma rimase lì in ascolto, mentre Fritti terminava di raccontare al principe le avventure del loro viaggio. Il principe gli pose molte domande, mostrando particolare interesse per l'inseguimento della notte precedente, e ancor più per il resoconto di Balzalesto sulla cosa con le zampe scarlatte che aveva visto nei Vecchi Boschi. Avrebbe voluto interrogare direttamente il gattino in proposito, ma Fritti, preoccupato per la debilitazione del suo piccolo amico, riuscì a dissuaderlo. Pur con riluttanza, Saltasteccati accettò di rimandare a dopo l'interrogatorio. Il principe Saltasteccati spiegò poi che analoghi episodi inquietanti erano avvenuti tutt'intorno alla periferia della Corte di Harar. Saltasteccati e i suoi due imponenti compagni, Caccia-di-giorno e Caccia-di-notte, figli gemelli di un'antica stirpe di Corte, si erano assunti il compito di sconfiggere i malfattori, ma fin'allora non avevano avuto fortuna. «Certo che è un mistero» borbottò Saltasteccati. Sono di qua e di là, e poi scompaiono. Noi tre insieme non riusciamo a tenere il loro passo. Penso che sia un bene se i Primi Camminatori s'interessano a questa faccenda, potrebbero esserci utili altre zampe.» «Ma tu sei il principe!» obiettò Fritti sorpreso. «Non puoi avere tutto l'aiuto che vuoi a Corte?» Saltasteccati sospirò. «Non è esattamente così» rispose, scuotendo la sua criniera rossa come l'oro. «Nessuno la prende sul serio, questa storia, tutti hanno qualcosa di più importante cui pensare. Non interessa a nessuno, se non si sentono mordere la coda... Perfino mia madre e il principe consorte hanno detto, più o meno: "Andate pure alla loro ricerca, se vi divertite". Ah, meriterebbero che questi gatti-tassi, o quello che sono, venissero giù dagli alberi a mangiar loro le orecchie!» A queste parole, Fritti si chiuse in un silenzio preoccupato. Che cosa si poteva fare se la Corte non offriva nessun aiuto? Come poteva proseguire la sua ricerca di Zampafelpata? Il ricordo di Zampafelpata, della sua coda dimenante e del suo naso bordato di nero, ritornò con prepotenza nella sua mente.
Se a nessuno interessa che cosa le è accaduto, pensò rabbiosamente Fritti, a maggior ragione io devo proseguire le ricerche. I suoi pensieri furono interrotti dal piccolo Balzalesto che stava vomitando. Anche le condizioni di salute del suo giovane amico erano un motivo di preoccupazione. La pioggia proseguiva, e Balzalesto si sarebbe ridotto male se non avesse trovato subito cibo e riparo. «Principe Saltasteccati, ritornerai ora alla Corte?» domandò Fritti. «Non ho ancora deciso, per la verità» mormorò il principe. «Penso che potremmo tentare di spaventare qualche altro gatto. Perché me lo domandi?» «Il mio compagno non sta bene, come puoi sicuramente vedere. Se tu ci aiutassi a raggiungere la Corte della Regina te ne saremmo grati.» Saltasteccati sembrava pensieroso. «Questo piccolo trascinazampe non sta molto bene, principe» intervenne in suo aiuto Caccia-di-giorno. «Probabilmente ha bisogno di riscaldarsi.» Saltasteccati si avvicinò allora a Balzalesto, che stava rabbrividendo miseramente sull'erba umida. «Troveremo un posto di tuo gradimento, piccolo» promise il principe nel suo tono burbero e amichevole, «anche se dovessimo trasportarti per tutta la strada. Ti porteremo a corte.» Balzalesto fu trasportato da Caccia-di-giorno e da Caccia-di-notte per le ultime leghe di cammino attraverso le pianure di Nido di Sole, mentre Fritti aveva ancora forze sufficienti per camminare da solo. Ora si trovava a suo agio in compagnia di Saltasteccati e dei suoi compagni di caccia. Il principe era un tipo ciarliero e continuava a raccontare storie di caccia interminabili e ricche di particolari, interrompendo frequentemente il racconto per verificare ogni particolare con Caccia-di-giorno. Era particolarmente difficile, la ricostruzione cronologica dei fatti, quando il suo enorme compagno aveva il turno di trasporto di Balzalesto. «...Ora mi sembra» stava dicendo il principe, «mi sembra, ma in realtà dovrei ricordarmelo, che questo successe il giorno in cui abbiamo preso quell'esemplare di gallo cedrone semplicemente magnifico. Oppure era forse un fagiano? Non ricordi, Caccia-di-giorno? Era forse un fagiano?» «Mmm...» si limitò a rispondere Caccia-di-giorno, mentre trasportava in bocca Balzalesto. «Come hai detto? Un gallo cedrone, hai detto?» «Mmm... mmm...» «Ah, un fagiano? Ne sei sicuro?» E così via.
Il principe era un tipo ameno, sempre sprizzante di buon umore, e si divertiva a dare spintoni di sorpresa ai suoi compagni, facendoli cadere a terra. Poi, contrito, Saltasteccati li aiutava premurosamente a rialzarsi, promettendo di non farlo più senza il debito preavviso. I due gemelli erano così simili d'aspetto da non riuscire a distinguerli, anche se li si poteva riconoscere dall'odore. Caccia-di-giorno non era un gatto particolarmente abile, tuttavia era di buon cuore e molto loquace, al contrario di suo fratello Caccia-di-notte, che era sempre taciturno. Dopo un giorno di viaggio con i tre compagni, Fritti capì finalmente che Caccia-di-notte non aveva colpa del suo atteggiamento scontroso. Era muto e poteva comunicare soltanto nel linguaggio senza parole del Canto comune. Saltasteccati spiegò poi a Fritti che Caccia-di-notte aveva subito una ferita alla gola mentre lo proteggeva da una volpe impazzita, e da allora non aveva più potuto emettere un suono. «Lo ha fatto per me, che Harar lo protegga» concluse Saltasteccati. «Questi sono i miei veri fratelli di caccia, puoi crederci.» Caccia-di-notte sprizzava di un orgoglio perennemente silenzioso. La pianura cominciava a salire sui pendii delle colline. Dalle indicazioni ricevute da Vibr'artiglio, Fritti capì che stavano giungendo ai margini del Nido di Sole. La salita era lieve ma costante, e al termine di una giornata di marcia Acchiappacoda sentiva le zampe posteriori indolenzite. Finalmente giunsero sulle rive del fiume Fusafruscianti, un corso d'acqua, molto più tranquillo del Codatorta, che gorgogliava sommessamente. Il suo letto era cosparso di pietre multicolori, sopra le quali si potevano vedere guizzare pesci luccicanti. Si fermarono per bere, e anche Balzalesto si trascinò a lambire quelle acque gelide e limpide. Erano dolci e rinfrescanti, e quando ebbero terminato di bere, Balzalesto e Acchiappacoda rimasero sdraiati fianco a fianco sulla sponda del fiume, assaporando insieme in silenzio una sensazione di speranza che non conoscevano più da molto tempo. Balza era però ancora molto malato, pensò Fritti. Stava per avvicinarsi per riscaldarlo, quando comparve Saltasteccati. «Bene, eccoci qui al Fusafruscianti! Ancora un salto e un balzo e siamo arrivati, piccolo amico!» disse a Balzalesto. «La vedi quella linea d'ombra laggiù?» Il principe indicò col mento una striscia di buio che scorreva lungo l'orizzonte, appena visibile sullo sfondo del cielo grigio. «Quelli sono i margini del Bosco di Radici, la più vasta, la più grandiosa foresta del
mondo. Se seguiamo il Fusafruscianti per un tratto - nemmeno troppo lungo - sapete dove ci ritroviamo?» domandò Saltasteccati abbassando lo sguardo sui due compagni. «Alla Prima Casa, ecco dove! E lì saremo caldi, ben pasciuti e asciutti come non si può essere altrove!» Sogghignò tra sé e soggiunse: «Certamente non ho intenzione di passare tutto il mio tempo a strofinarmi il pelo a corte, ma anch'io devo ammettere che è un gran bel nido in cui far ritorno!». Il principe diede a Fritti un'amichevole zampata. «Scommetto che gente forestiera come voi resterà a bocca aperta! A bocca aperta!» I giorni seguenti trascorsero per Acchiappacoda in una sorte di sonnambulismo. Balzalesto era in preda alla febbre, adesso, e stava assopito tra le fauci delicate dei gemelli. Acchiappacoda si sentiva stanco come mai era stato nella sua breve vita, ma Saltasteccati e i suoi compagni, ormai giunti vicino a casa, affrettavano il passo, e Fritti non poteva far altro che seguirli. Stavano avanzando adesso lungo la riva settentrionale del Fusafruscianti. Fritti decise che un giorno gli sarebbe piaciuto ritornare lì per esplorare le terre che stavano attraversando, un giorno in cui non fosse stato così esausto e dolorante ai piedi. Lungo le sponde del fiume che sommessamente sciabordava, cresceva ogni tipo di vegetazione. Anfratti e grotte nascoste, protetti dalla pioggia divenuta ora costante, erano invitanti per lo spossato Acchiappacoda, mentre suoni di uccelli e di altri animali lo chiamavano a esplorare. Ogni pelo del suo autocontrollo era necessario per spingerlo a camminare dietro ai suoi più robusti compagni e per resistere alle lusinghe di quel mondo d'acqua. Alla fine, il piccolo drappello di gatti raggiunse i bordi del Bosco di Radici. Nonostante la sua spossatezza, Fritti poteva vedere com'era diversa quella foresta dai Vecchi Boschi di casa sua. In quel luogo si avvertiva un'aria antica che faceva sembrare i Vecchi Boschi, nonostante il loro nome, ancora giovani e freschi. Il Bosco di Radici appariva, odorava e risuonava così antico e solido che quei grandi alberi tutt'intorno non sembravano nemmeno realmente cresciuti. Sembrava, piuttosto, che il mondo stesso fosse cresciuto intorno a quelle radici e quei tronchi. Quando Fritti parlò di queste sue sensazioni con Saltasteccati, questi annuì, ma anziché rispondere col suo solito tono burbero e sbrigativo, il cacciatore color rosso-dorato si limitò a commentare: «È vero. Questa è la prima foresta».
In risposta alle richieste di ulteriori spiegazioni da parte di Fritti, Saltasteccati gli suggerì di attendere per interpellare la Corte. «C'è qualcuno che può parlare della foresta meglio di me, e non vorrei involontariamente offendere nessuno.» Acchiappacoda dovette accontentarsi di questa spiegazione, perché altre non furono date. Tuttavia, quando in seguito si informò della selvaggina nel Bosco di Radici, il principe riprese il suo consueto tono gioviale e descrisse dettagliatamente a Fritti tutto ciò che correva, strisciava, nuotava e volava tra quegli antichi alberi. Le tracce e i segnali di caccia di altre Genti diventavano sempre più frequenti. Ora Acchiappacoda desiderava soltanto arrivare al termine del viaggio e non prestava ascolto alle animate discussioni tra Saltasteccati e i suoi compagni sul significato delle varie tracce, su chi poteva averle fatte, e quando e con chi. Balzalesto, che ora dormiva ininterrottamente, non si accorgeva di niente. Dopo un'altra giornata trascorsa barcollando e zoppicando, anche Acchiappacoda non ce la faceva più a camminare. Allora si lasciò trasportare a fianco del suo piccolo amico nella bocca dei due gemelli chiazzati. Mentre scivolava dentro e fuori un sonno agitato, Fritti udiva indistintamente un suono di voci. Il principe e gli altri gatti si chiamavano e richiamavano, e quando Fritti apri faticosamente gli occhi, vide ovunque intorno a sé figure di gatti, una marea di Gente. Erano troppi per riuscire a vederli tutti, e Fritti chiuse gli occhi di nuovo. Si sentì adagiare su qualcosa di morbido. Poi, quando le voci svanirono in lontananza, rimbalzò ancora nei campi dei sogni. PARTE SECONDA Capitolo 11 La folla, il fermento, il mormorio di questo grande alveare, la città. ABRAHAM COWLEY Il tetto sotto le sue zampe scottava, era doloroso tenerle posate in qualche punto per più di un momento. Passando cautamente le zampe su e giù, scrutò al di là del tetto le spirali di fumo al di sotto. Sapeva che doveva saltare, che doveva mettersi in salvo. Dietro a lui c'era il fuoco. Le delicate
pareti interne del suo naso erano già corrose dal fuoco, poteva udire le fiamme che ruggivano sotto di lui. Ma perché non poteva saltare? La sua famiglia! Dietro a lui, minacciati dal fuoco, c'erano sua madre e i suoi fratelli. Erano in pericolo! Ora ricordava. Una voce lì davanti, in mezzo alla nebbia, lo chiamava. Scrutò in mezzo alle volute grigiastre del fumo, ma non riuscì a vedere niente. Dall'interno dell'abitazione delì'Uo'mo, salivano di nuovo fino a lui le grida terrorizzate dei suoi familiari. La voce proveniente dal fumo lo chiamava per nome, gridandogli di saltare, di mettersi in salvo. Sembrava la voce di Mangiapulci, o forse era di Mostrazanne. Lui tentava di parlare a quella voce, di spiegarle che la sua famiglia era presa in trappola, minacciata dal fuoco, ma la voce continuava a gridargli: salta giù, dimentica la tua famiglia, scappa, mettiti in salvo, scappa! Era preso in trappola! Era in bilico, dietro a lui i gemiti terrorizzati dei suoi fratelli e sorelle, dall'altra parte Mostrazanne, o forse era Mangiapulci, che lo incalzava a saltar giù, a scappare, a correre, correre... non sapeva decidersi, correre... oh, Harar!, corri, corri, corri... Scalciando convulsamente, Acchiappacoda tornò nel mondo della veglia. La luce era molto intensa, gli occhi gli dolevano. Una massiccia palizzata di giganteschi tronchi d'albero lo circondava, incombente dall'alto fino a coprirgli la vista. A molti balzi sopra la sua testa si estendevano i loro rami, intrecciati come fili di un'enorme ragnatela di corteccia. Acchiappacoda poteva però sentire ancora il calore sul muso. Un largo fascio di luce faceva capolino da qualche finestra sul cielo tra i rami più alti, trasformando la chiazza d'erba corta e pruriginosa in cui Acchiappacoda giaceva in un'isola d'estate nel mezzo del fresco antico del bosco. Fritti avvertì la delicata sensibilità delle sue zampe mentre si alzava faticosamente in piedi. Ripiombò a terra e si esaminò le zampe, accarezzandone le parti dolenti con la sua lingua sensibile. La pelle dei cuscinetti era tagliata, e probabilmente aveva perso sangue. Era stata accuratamente ripulita, però, e Fritti non vedeva né abrasioni né spine. Ne aveva calpestate molte, nell'ultima tappa di avvicinamento alla Prima Casa, ma non aveva avuto la forza né la volontà di toglierle. Vi aveva provveduto qualcun altro. Saltasteccati. Saltasteccati l'aveva lasciato lì, e senza dubbio si era preso cura delle sue zampe. Ma dov'era adesso Saltasteccati?
Ancora in preda alle vertigini e un po' intontito, col cuore che solo allora riprendeva le normali pulsazioni dopo quell'incubo, Fritti si guardò intorno. Non c'era altra Gente in vista. La radura tra gli alberi torreggianti era deserta... però Fritti poteva udire delle voci. Da lontano, quanto bastava per dare a quei suoni un sapore irreale, le voci di molti gatti salivano fino a lui trasportate dal vento. Incamminandosi lentamente e cautamente sulle zampe ferite, Acchiappacoda seguì quelle voci lontano dalla radura illuminata dal sole. Alzando lo sguardo mentre camminava sotto gli antichi alberi del Bosco di Radici, Fritti vedeva spesse, viscose liane di lichene che si estendevano da un ramo all'altro, in alcuni punti così fitte da formare una sorta di soffitto naturale. I sentieri che si snodavano intorno alle radici degli alberi sembravano ricoperti da una volta, come gallerie filigranate, e la luce del sole che filtrava attraverso questo baldacchino, tappezzava il terreno di chiazze luminose e trasformava la luce del giorno in un riverbero morbido e soffuso. Ora poteva vedere alcuni della Gente di cui gli era echeggiata la voce attraverso le cortecce dei vecchi alberi e la terra battuta del pavimento della foresta. La foresta era animata di gatti... più di quanti ne avesse mai visti in vita sua fin dall'infanzia, in un unico posto. Erano gatti di ogni dimensione e foggia, gatti che camminavano, cantavano, dormivano, discutevano, un mondo di gatti ai piedi di quegli imponenti alberi senza età. Fritti guardava quell'incredibile varietà di gatti, ma nessuno gli ricambiava lo sguardo. Nessuno sembrava nemmeno accorgersi di lui al suo passaggio. E quanti erano! Là un grasso gatto pezzato stava inseguendo una fela con la coda ricurva, qui una piccola folla circondava un paio di maschi che si azzuffavano. Altri stavano semplicemente distesi e dormivano. Fritti si trovava su un ampio sentiero, un solco scavato da innumerevoli zampe di gatti sul terreno elastico e coperto di foglie. I gatti sciamavano accanto a lui, andavano e venivano. Quelli che incontravano il suo sguardo gli rivolgevano un breve, strano cenno della testa, facendola roteare. Sembrava un gesto quasi naturale, e Acchiappacoda pensò che fosse una forma di saluto peculiare degli abitanti della Prima Casa. Alcuni gatti che passavano in fretta accanto a lui lo spingevano da parte con impazienza. Visto che nessuno sembrava offendersi, ed essendo ancora debilitato e insicuro di sé, quando ciò si ripeté più di una volta, Fritti non vi fece caso più degli altri.
Ma era davvero incredibile la quantità e la varietà di quei gatti! Come faranno ad andare d'accordo per più di un certo tempo? si domandò Fritti. Era qualcosa di innaturale. Sembrava quasi un formicaio. Oppure un luogo di abitazioni dell'Uo'mo. «Acchiappacoda, fermati! Acchiappacoda!» Fritti, voltandosi, vide Sottil'Osso che correva su per il sentiero dietro a lui. O, per lo meno, sembrava Sottil'Osso... ma quando il gatto gli si avvicinò, Fritti vide che era più grosso e più lucido del suo amico del Muro degli Incontri, anche se il loro colore sembrava identico. Divertito, si accorse che per un attimo gli era sembrato perfettamente naturale incontrare Sottil'Osso lì, nella Prima Casa, a tante leghe di distanza dal Bosco ceduo che Fritti non riusciva nemmeno a contarle. Il mio viaggio mi ha abituato alle più strane sorprese, pensò Fritti. Il gatto grigio e giallo balzò accanto a lui e per qualche momento tentò di riprendere fiato. «Nre'fa-o» gli disse Fritti. «Ci siamo già annusati prima?» «So... solo un mo-momento» ansimò il nuovo arrivato, con una ridicola espressione mentre tentava ancora di riprendere fiato. «Scusami» gli disse infine, dopo qualche altro attimo, «ma ero lassù, su un albero terribilmente alto quando te ne sei andato dal posto in cui eri curato, e ho dovuto correre come il povero zio Ventobianco per raggiungerti. Oh!» esclamò, guardandosi intorno, «spero davvero che non mi abbia udito nessun amico o parente del principe Danzarugiada, è stata una terribile mancanza di riguardo...» Poi guardò Acchiappacoda e gli rivolse un sorriso di soddisfazione così timido e buffo che questi, pur non comprendendo affatto ciò che diceva il nuovo venuto, gli ricambiò il sorriso. «Ehm... come hai detto che ti chiami?» provò a domandare Fritti dopo qualche momento. Lo sconosciuto starnutì convulsamente, poi si accarezzò delicatamente il naso coi dorso della zampa. «Scusami» gli rispose, «a volte sono davvero sbadato. Io mi chiamo Ululacanto. Il principe Saltasteccati mi ha chiesto... be', non proprio di sorvegliarti ecco... ma di farti da... da...» Ulula-canto arricciò il naso pensando. «Da guida?» suggerì Fritti. «Ecco, esttamente!... farti da guida. Proprio così, è esattamente questo il senso! E così... eccomi qui!» «È stato gentile il principe Saltasteccati a ricordarsi di me.»
«È un bravo tipo, proprio così. Un po' troppo facile ad azzuffarsi con gli altri, se capisci quello che voglio dire, ma un gatto in gamba. Gli artigli ben piantati per terra, come diciamo noi. Per quanto riguarda il principe consorte...» A questo punto Ulula-canto lasciò significativamente in sospeso la frase e Fritti, non sapendo che cosa dire, annuì educatamente col capo. «Bene, bene» soggiunse Ululacanto improvvisamente, stiracchiandosi in tutta la sua lunghezza. «Bene, bene» ripeté. «Andiamo a vedere la Prima Casa. Tutto il resto, voglio dire. È una cosa terribilmente grande e imponente, soprattutto la Corte. Dovrai attendere per vederla, finché Saltasteccati non combinerà tutto. Davvero sei arrivato dalle pianure del Nido-disole?» «Da molto più lontano, al di là dei Vecchi Boschi» rispose Acchiappacoda. «Incredibile! Davvero stupefacente!» esclamò Ululacanto. «Ci sono alberi dove abiti tu? Immagino che debbano essercene, non è così?» Stavano camminando da pochi minuti quando Fritti si ricordò d'un tratto di Balzalesto. Preoccupato per il suo amico, interrogò Ululacanto. «Oh, l'hanno messo in cura nel posto più caldo, perché era molto più malato di te, e gli hanno portato erbe dolci e un bel pezzetto di topo. Sta molto meglio, adesso» gli assicurò Ulula-canto. «Ti accompagnerò poi a visitarlo.» Mentre proseguivano il cammino, Ululacanto si rivelò una vera miniera di aneddoti e di facezie. Raccontò ad Acchiappacoda che stava studiando per divenire Maestro Cantore, ma il suo insegnante era molto indaffarato per via di qualche Incontro che doveva avvenire quella notte, lasciandolo quindi senza niente da fare, permettendogli di accompagnare Fritti. Gli raccontò anche che quelli del suo "ambiente", un termine che Fritti interpretò come un gruppo di giovani gatti, trovavano tutti Fritti "un tipo veramente a posto" anche se "un po' esuberante". Ululacanto gli spiegò poi che Danzarugiada, il principe consorte, era considerato "terribilmente serio" e "quasi noioso", mentre la regina Dietrosole era "la più adorabile delle gatte, naturalmente". Acchiappacoda era sconcertato dalla familiarità con cui Ululacanto descriveva i capi ereditari della Gente, come fossero un qualsiasi gruppo di abitanti dei vicoli nelle case dell'Uo'mo. I costumi erano ben diversi nella Prima Casa, a quanto pareva, e Fritti avrebbe impiegato un po' di tempo per abituarsi. Molte cose, però, erano
ancora imperscrutabili. «Sono sempre così innumerevoli i gatti che abitano qui?» domandò a un certo punto. «Per i baffi di Dietro-azzurro, no!» ridacchiò Ululacanto. «Di solito non sono nemmeno la metà di questa folla brulicante, direi. Sono tutti qui per la cerimonia di cui ti parlavo.» «Ma anche se fossero soltanto un quarto di questi, sarebbero sempre molti! Come fate a trovare da mangiare? Questa foresta dev'essere disabitata da Squittenti per chilometri e chilometri.» «Be', dobbiamo andare ad approvvigionarci un po' più lontano, a volte» ammise l'apprendista Cantore, «ma il Bosco di Radici è il più grande che esista, e se c'è penuria di cose, mandiamo spedizioni a caccia di selvaggina qui intorno, per spingerla più vicino alla Corte. È un po' faticoso, a volte, certo, tutta questa caccia in più e il resto, ma vale la pena di vivere qui. Voglio dire, non ho mai vissuto altrove, e non vorrei mai viverci. Mai.» Mentre conversavano camminavano, e di quando in quando Ululacanto interrompeva il discorso per richiamare l'attenzione su qualcosa di importante, fosse una particolare chiazza di muschio, un meraviglioso vecchio albero sul quale grattarsi, oppure un altro gatto che secondo Ululacanto era infelice, valoroso o astuto, o comunque degno di particolare attenzione. Molti di questi gatti conoscevano Ululacanto e gli rivolgevano saluti ai quali lui rispondeva allegramente. Alla fine Acchiappacoda decise che la Prima Casa assomigliava a un albero di uccelli più che al formicaio che gli era sembrato a prima vista. Dopo aver visto qualche altro luogo di attrazione e aver conosciuto un paio di fele, "meravigliose amiche" di Ululacanto, che cantavano una melodia dolce e malinconica, i due raggiunsero il luogo che ospitava Balzalesto. Lo trovarono in un'ampia radura illuminata dal sole. Il gattino era sveglio e stava parlando con un'esile fela grigia con occhi verde scuro e pelo corto. «Acchiappacoda!» gridò Balzalesto quando lo riconobbe. «Come sono felice di vederti! Pensavo che avresti dormito tutto il giorno, perdendoti così tutto il divertimento. Non ti sembra che ci siano moltissimi gatti qui intorno?» Fritti si avvicinò e annusò il morbido pelo del gattino. L'odore della malattia sembrava scomparso. «Mi fa molto piacere rivederti, Balzalesto. Ero preoccupato per te.»
«Mi sento benone!» ridacchiò il piccolo gatto. «Sono stati tutti così gentili con me... E ho già fatto amicizie. Ah, dimenticavo, non ho ancora presentato i vostri nomi di faccia. Acchiappacoda, questa è Ombra-di-tetto» soggiunse, indicando la gattina grigia, che chinò il capo compuntamente. «Anche lei è venuta a farmi visita, come vedi» spiegò Balzalesto in tono espansivo. «Nre'fa-o» la salutò Fritti. «Buona danza.» «Altrettanto a te» rispose la gattina. Dopo averle strofinato educatamente la testa, Fritti guardò di nuovo il suo piccolo amico. Balza sembrava effettivamente migliorato, anche se era ancora un po' emaciato. Aveva mangiato pochissimo da quando si era ammalato. Il pensiero del cibo fece venire l'acquolina in bocca a Fritti, nel ricordare d'un tratto che non aveva mangiato niente dal giorno precedente. Aveva fame! Come aveva potuto trascorrere un intero pomeriggio senza pensare a mangiare? Era davvero cambiato da quando se n'era andato da casa. «Balza, Ululacanto mi ha detto che ti hanno portato qualche topolino...» accennò a dire. «Oh, sì, un mucchio di topi. Sono laggiù, li hanno uccisi proprio questa mattina. Serviti.» Acchiappacoda fece per avvicinarsi al mucchio di Squittenti, poi esitò, voltandosi a guardare Ululacanto e Ombra-di-tetto. Ululacanto scoppiò a ridere. «Mangia pure, cu'nre. Non fare caso a noi.» «Be', penso che me ne andrò adesso» disse Ombra-di-tetto. «Magari potresti accompagnarmi, Ululacanto? Non conosco ancora bene la strada.» «Con grande piacere. Ci vedremo presto» soggiunse, rivolgendosi a Fritti e Balzalesto. «Tornerò per accompagnarvi alla cerimonia, verso la fine del Buio che si distende.» «Anch'io ritornerò a farti visita più tardi, Balzalesto» aggiunse Ombradi-tetto. Poi i due gatti si allontanarono con le code ricurve nell'aria, mentre Ululacanto raccontava eccitato qualche episodio di intrighi di Corte alla giovane fela grigia. Acchiappacoda non attese nemmeno di vederli andar via ed era già col muso affondato tra i topi, mentre Balzalesto ridacchiava allegramente nel vedere il gran pasticcio che stava combinando. Il pomeriggio diventò sera, e i due amici erano ancora seduti a parlare. Balzalesto non aveva ancora avuto la possibilità di visitare la Prima Casa, oltre a quello che poteva vedere dal luogo in cui era curato, ed era impaziente di sapere ogni particolare. Mentre Acchiappacoda gli descriveva tutto ciò che Ululacanto gli aveva mostrato o raccontato, ricominciò a piove-
re. Potevano udire il sommesso tamburellare della pioggia sulle foglie sopra la loro testa, e talvolta qualche goccia scivolava nel mezzo, cadendo sull'erba o sul loro pelo. Quasi tutte le gocce erano però intercettate dall'intrico di rami e dalla cortina di licheni, così che i due amici potevano starsene comodamente all'asciutto. Alla fine si distesero l'uno accanto all'altro per fare un sonnellino, mentre il tamburellare della pioggia cullava i loro sogni. Capitolo 12 I buoni muoiono per primi e coloro che hanno il cuore arido come polvere d'estate bruciano tutta la loro candela. WILLIAM WORDSWORTH Verso la fine del Buio che si distende, Ululacanto ritornò al rifugio come aveva promesso. «Sveglia, sveglia, stupidi gatti dormiglioni!» gridò. «Ci sono troppe cose da fare e da vedere! Dobbiamo andare alla Celebrazione!» Rimpinzato di topi e ancora assonnato, Fritti fece fatica a svegliarsi. «Balzalesto sta abbastanza bene per venire con noi?» domandò all'apprendista oel-cir'va. «Ma certo! Non vuoi venire a vedere queste cose terribilmente emozionanti, Balzalesto?» domandò Ululacanto al gattino ancora assonnato. «Sì, penso di averne voglia, anzi ne ho molta voglia» rispose Balzalesto, stiracchiando il suo minuscolo corpo. «Mi sento molto bene, Acchiappacoda.» «Magnifico!» esclamò Ululacanto. «Tutto sistemato, allora. Su, andiamo. Mi tireranno selvaggiamente la coda se arriviamo in ritardo!» Mentre si facevano strada tra le gallerie d'alberi della Prima Casa, si trovarono nel mezzo di una fiumana di Gente, evidentemente in cammino nella stessa direzione. «Stiamo andando proprio alla Corte, Ululacanto?» domandò Balzalesto un po' ansimante. Il gatto grigio e giallo si voltò a guardare al di sopra della spalla, senza rallentare il suo passo sostenuto. «No, la cerimonia si svolge in realtà nella Radura degli Incontri. È l'unico posto che può ospitare tutta la Gente in-
sieme. Verranno gatti da ogni parte del Bosco di Radici, e anche da più lontano, proprio come voi due - pensate! - per essere presenti alla Celebrazione. Salve, Schiant'arbusti! Il tuo pelo è davvero molto lucido, questa sera!» gridò a un gatto di sua conoscenza. «Ma cos'è esattamente questa Celebrazione?» domandò Acchiappacoda. «Voglio dire, è qualcosa di simile alla Notte degli Incontri?» «No, no, è molto diversa. Be', un po' diversa, comunque... Ehilà, Mangia-inghiotti!» gridò a un altro suo conoscente. «Come sta Zampalieve? Bene? Che piacere!» gridò allegramente, poi si rivolse di nuovo ai suoi due protetti. «Mangia-inghiotti farà la Danza dell'Accettazione con la più sfortunata piccola fela bianca e nera... ma dov'ero rimasto? Ah già, la Celebrazione. Immagino che non ci sia niente del genere, là a casa vostra, è così? Be', il nome tutto intero è Celebrazione del Canto di Ventobianco. La celebriamo sempre alla prima apertura dell'Occhio di Meerclar in inverno.» «Ma di che cosa si tratta?» domandò ancora Fritti. «Non vorrei mancare di rispetto, ma non ne ho mai sentito parlare.» «Be', voi saprete chi è Ventobianco, vero?» Fritti annuì e Ululacanto proseguì. «Non sono sicuro di comprenderne tutte le parti più profonde, ma il principe Danzarugiada, il padre di Saltasteccati, sapete?, la prende terribilmente sul serio. Lui racconta una storia, una specie di storia, e noi cantiamo. È qualcosa che ha a che vedere con la Morte e i Campi dell'aldilà, ma io non vi presto molta attenzione. È una cosa quasi noiosa. Per la maggior parte di noi è un'occasione per vedere tutta la Gente della Corte, soprattutto la famiglia della Regina. E per mangiare l'erba gatta, naturalmente. A tutti piace l'erba gatta.» «Ci sarà anche la Regina?» ansimò Balzalesto, che si sforzava di tenere il passo dei due gatti più grossi. «No, lei non partecipa mai, per qualche motivo che ora mi sfugge. Povero me, ho sempre tante cose a cui pensare. Per essere un Maestro Cantore non è come cadere dentro una tana di tasso, capite? Ci vuole fatica! Ah, ah! Ecco qui Striscia-nell'erba! Sono io, Ululacanto!» La Radura degli Incontri era nel mezzo di una vasta distesa nella foresta. Al di sopra, così in alto da essere quasi invisibili, i giganteschi rami degli antichi alberi si incrociavano e s'intrecciavano formando un soffitto a volta. La Radura era una vasta cavità poco profonda, coperta da erba rada e da
foglie di alberi, che andava degradando verso l'estremità opposta a quella da cui arrivavano i nostri tre gatti, e terminava in una sorta di altura sporgente con un'ampia cima piatta. Fritti poté scorgere due o tre gatti già appollaiati su quel punto più elevato. La conca sottostante si stava rapidamente affollando di gatti che facevano le fusa, si aggiravano intorno affaccendati, si strofinavano a vicenda il naso, tutti gatti che arrivavano a frotte nella Radura da ogni parte della foresta. Si aggiravano tutt'intorno in piccoli gruppi, in capannelli di Gente che si formavano e si scioglievano, tra grida e gesti di saluto lanciati da una parte e dall'altra della Radura tra amici e parenti. Balzalesto, stupefatto da quella marea di gatti, si mise a sedere per ammirare lo spettacolo, gli occhi scintillanti di meraviglia. Fritti si sentiva invece vagamente a disagio, e il pelo gli formicolava e gli prudeva come se volesse distaccarsi dal corpo, per lasciargli maggior spazio. Gli sembrava innaturale, inesplicabile che la Gente si radunasse in tal numero. Le occasionali riunioni al Muro degli Incontri erano un'altra cosa, perché a tutti o quasi piaceva stare in compagnia di quando in quando, ma vivere tutti insieme in quel modo, un giorno sì e uno no, mettere giù una zampa e calpestare la coda di un altro gatto... be', per quanto fossero gentili con lui i gatti della Prima Casa, Fritti non aveva intenzione di trattenersi li più a lungo del necessario. Quando i tre gatti trovarono un posto vicino al centro della conca, un grosso gatto con la testa rotonda si fece strada fino alla collinetta che sovrastava la Radura. Era un maschio bianco e nero, e il suo pelo ispido lo faceva sembrare ancora più robusto di quanto non fosse, ed era veramente molto robusto. Rivolse lo sguardo alla Gente radunata, e il rumore delle voci si abbassò. «Questo è Fusatonanti, il ciambellano di Corte» spiegò Ululacanto in un sommesso sussurro emozionato. «È un personaggio molto importante. Gli piace molto mangiare Squittenti e fare sonnellini, ma non vuole essere preso in giro. È vecchio, ma svelto come uno scarabeo.» Fusatonanti tossì sommessamente, poi parlò con una voce sonora come il vento che soffia in un passo di montagna. «Buona danza, brava Gente. A nome di sua baffutissima Maestà, la regina Mirmirsor. Dietrosole, diretta discendente di Fela Danza-in-cielo e autentica sovrana della Gente, e a nome del principe consorte, Sresla Danzarugiada, vi do il benvenuto alla Celebrazione del Canto ai Ventobianco. Il principe consorte e il principe Saltasteccati saranno qui molto presto.»
Fusatonanti si inchinò, mostrandosi, se possibile, ancora più rotondo di quanto non fosse, poi arretrò. Le voci dei gatti li riuniti si levarono di nuovo. Ululacanto lanciò un'occhiata a Balzalesto, che stava ancora guardando a bocca aperta a destra e a manca. L'apprendista Cantore sogghignò e diede un lieve colpo a Fritti. «Niente di tutto questo, là al vostro nido, vero?» commentò. Mentre parlava, un altro gatto si avvicinò salutando Ululacanto per nome. Ululacanto distolse lo sguardo, come se la sua attenzione fosse stata richiamata da qualcosa alle sue spalle, e dimenò la coda fiaccamente in un vago cenno di saluto. Il nuovo venuto si fermò per un attimo, incerto sul da farsi, poi si allontanò zampettando. «Non lo sopporto proprio, quel Gambestorte» confidò Ulula-canto ad Acchiappacoda. «Ha qualcosa che non mi va proprio a genio. Uhmm...» soggiunse, «immagino che non si vedrà nessun tipo interessante finché non avrà inizio la Celebrazione. Be', quanto meno, non dovremo sorbirci nessuna delle lunghe storie strampalate di Fusatonanti. È un caro vecchietto, e ancora in gamba, come mi pare di aver detto, ma è capace di propinare le storie più noiose che ci siano.» Il silenzio era ora calato sull'assemblea e tutti gli occhi erano puntati verso l'altura su cui stava salendo Saltasteccati, accompagnato dagli onnipresenti gemelli. Un gruppo di turbolenti giovani cacciatori in prima fila cominciò a gridargli: «Eccolo qui, Saltasteccati! Chi è che ti ha tirato a lucido, vecchio mio? Ehi, ecco il buon vecchio Salta!». Per qualche attimo il principe fece finta di non udirli, ma lo tradiva l'espressione di imbarazzato piacere che gli trapelava sul muso mentre saliva sull'altura. Trovò un posto e si mise a sedere sulle zampe posteriori, in mezzo ai suoi due enormi compagni che torreggiavano dall'alto. Alcuni altri gatti, che Ululacanto definì dignitari di Corte, vi stavano salendo a loro volta. Poi comparve infine il principe Danzarugiada, seguito da Fusatonanti con la sua andatura ondeggiante. Danzarugiada si appostò in cima alla collinetta. I giovani cacciatori in prima fila lanciarono ancora qualche ovazione all'indirizzo del sorridente Saltasteccati, poi il silenzio scese di nuovo sull'assemblea della Gente. I gatti che stavano ancora cercando un posto per distendersi si fermarono per guardare il principe consorte che stava per prendere la parola. Il mantello di Danzarugiada era di un colore sabbia, che diventava marrone scuro sulle zampe, le orecchie e la coda. Una mascherina marrone si estendeva anche dal naso in su, fin oltre gli occhi a mandorla colore del cielo. Aveva l'aria di un gatto che aveva visto molti luoghi e cose strane,
che considerava non diversamente da come vedeva il sole o le foglie. Voltava la sua testa affusolata da una parte all'altra mentre scrutava la Gente con i suoi occhi a mandorla. Ha qualcosa di molto strano, pensò Fritti. Sembra aver visto tante cose che non gli interessa più vederne altre. «A voi tutti i saluti dell'antica Corte di Harar.» La voce di Danzarugiada era pacata e musicale, ma nascondeva contorni affilati. «Ho qualcosa da comunicarvi, prima dell'inizio delle danze e di tutto il resto. So bene che preferireste danzare, piuttosto che ascoltarmi, e quindi sarò breve.» Dalla Gente riunita si alzò un sommesso mormorio divertito. «Vorrei comunicarvi qualcosa che è stato oggetto delle mie meditazioni, e il Canto di Ventobianco ne fa parte. Prima di iniziare, vogliamo intonare il Canto del Ringraziamento? Ne sarei davvero felice. Su, cantate con me.» Danzarugiada intonò il Canto con voce pacata e melodiosa. Dopo qualche attimo altre voci si unirono alla sua, finché si alzò tutto un coro di voci fino alla cupola dei rami e al cielo stellato al di sopra. Chi è che passa così dolcemente scintillante? È soltanto la neve che cade? Chi ci osserva nel sonno sereno, nell'inverno sereno, dolcemente lento? È Ventobianco, col suo mantello sfolgorante, là dove le stelle danzano e scintillano, dove soffiano i venti d'inverno... dolce Ventobianco, là tu andrai... Acchiappacoda, che non conosceva le parole del Canto, guardava intorno a sé quella moltitudine cantante. Anche Ululacanto teneva la testa rovesciata indietro, estasiato, con gli occhi chiusi. Balzalesto stava accanto a lui, ascoltando in rispettoso e intimidito silenzio. Tutt'intorno la sibilante melodia del Canto Supremo saliva e rimaneva sospesa nell'aria della notte. Se le tenebre ci chiamano dolcemente,
se il giorno è trascorso completamente, noi lo lasceremo come si conviene, solo che tu, Ventobianco, ce lo dica... Qualcosa di quel canto inquietava Fritti. Ventobianco era stato un gatto bello e coraggioso, ma se n'era andato dai tempi più antichi, e quella canzone ne parlava come se i gatti potessero ancora annusarne l'odore, vederlo. Guardò intorno a sé tutti quei musi solenni, rivolti in alto, e provò un brivido. Poi il Canto terminò. Rivolgendo lo sguardo su quella marea di orecchie, baffi e occhi rivolti verso di lui, Danzarugiada cominciò a parlare. «In questa notte misteriosa in cui ricordiamo il sacrificio di Viror Ventobianco, vorrei parlare di un altro gatto che ha sofferto molto, molto tempo fa.» La voce del principe consorte era lenta e misurata, e perfino i giovani turbolenti davanti a lui erano tutt'orecchi. «Molto tempo fa, il principe Noveuccelli fu punito dal fratello di Ventobianco, Tarigaloor Zampa-di-fuoco. Trasformato e deformato nella creatura che ora chiamano Uo'mo, egli fu mandato in esilio nel mondo per servire la Gente, come punizione del suo orgoglio. Ed egli ha sofferto. A ragione? Può darsi. «Generazione dopo generazione, i suoi discendenti hanno servito i nostri antenati, li hanno venerati e si sono curati di loro. Nel corso di un'eternità, la Gente e l'Uo'mo sono divenuti più vicini. Molti della Gente sono divenuti dipendenti dell'Uo'mo, il quale procurava loro ciò che noi della Gente ci siamo sempre procurati da soli.» Questo discorso interessava Fritti. Vibr'artiglio gli aveva detto che sul trono di Harar si avvertiva l'influenza dell'Uo'mo, e Danzarugiada sembrava intenzionato a parlare dell'argomento davanti a tutta la Gente radunata per la Celebrazione. «Molti di coloro che vivono oggi, affermano che la Gente si è indebolita» proseguì Danzarugiada, «che molti di noi, ormai, dipendono da questi strani gatti implumi ed eretti, come se fossero i nostri stessi genitori. Alcuni sostengono che ciò rivela un decimo, un nostro indebolimento. Io non ne sono così sicuro.» Danzarugiada fissò il suo sguardo imperscrutabile sulla Gente sotto di sé.
«Qual è stato il peccato di Noveuccelli? L'orgoglio. Ebbene, tutta la Gente è orgogliosa, naturalmente: non siamo forse il culmine, la punta della coda di tutta la creazione? Non conosciamo forse meglio di tutti la complicata Danza della terra? Non sono questi motivi sufficienti per essere orgogliosi? «Forse. Ma non è stato forse l'orgoglio di Mangiacuore, la sua ambizione di essere Signore di Tutto che ha portato alla morte di Viror Ventobianco? La musica del mondo non è stata forse privata per sempre di quella pura tonalità bianca? «Forse che l'Uo'mo, questo patetico animale troppo cresciuto, che affolla con i suoi simili quegli alveari di carta, che s'aggira per il mondo senza artigli e senza pelo, forse che questo ridicolo oggetto può insegnarci qualcosa?» Il pubblico era sempre più inquieto, e anche se il rispetto dovuto al rango di Danzarugiada imponeva il silenzio, erano in molti ad agitarsi e a sussurrare. Acchiappacoda stava pensando a ciò che aveva detto Danzarugiada. Quelle parole suscitavano in lui una sottile nota di amarezza, perché avevano un vago odore di decadenza. Balzalesto sembrava invece estasiato. Ululacanto allungava il collo da una parte e dall'altra, senza ascoltare, alla ricerca dei suoi amici. «... Perché se noi, nel nostro orgoglio» proseguì Danzarugiada, con gli occhi a mandorla accesi del riverbero della luce, «se noi siamo mantenuti e sfamati da queste umilissime creature, bene, chi può dire che non è per il meglio? Forse Madre-di-tutti vuole che noi apprendiamo l'umiltà, noi, orgogliosi cacciatori...» Ululacanto balzò improvvisamente in piedi. «Per Harar!» mormorò eccitato «me n'ero completamente dimenticato! Masticatopi, il mio maestro, deve cantare una delle antiche storie, questa notte, e devo aiutarlo a prepararsi! Ah, perdonatemi tutti e due, ma devo proprio scappar via. Oh, Danza-in-cielo, mi morderà il naso!» E senza attendere risposta, Ululacanto balzò via, saltando sopra i corpi dei gatti che lo circondavano. Quando Fritti rivolse di nuovo l'attenzione al palcoscenico nella radura, si accorse che Danzarugiada aveva terminato di parlare, e che il pubblico aveva subito cominciato a scambiarsi commenti. Fritti si rivolse al suo compagno. «Che cosa pensi di tutto ciò, Balza?» Balzalesto, destato di soprassalto dai suoi pensieri, lo guardò senza espressione per qualche attimo, poi ri-
spose: «Oh, non saprei proprio. È tutto così grandioso... Pensavo ad alcune cose che Danzarugiada stava dicendo e ho avuto la sensazione che ci fosse una specie di luce davanti a me e che dovevo raggiungerla. Non è stato esattamente per quello che ha detto, ma qualcosa mi ha come ispirato... è stata una sensazione straordinaria, ma temo di non riuscire a spiegarmi molto bene.» «Ne sono stato un po' turbato» replicò Fritti, «ma non riesco nemmeno io a metterci sopra le zampe. Be', immagino che si tratti di qualcosa che va oltre la comprensione di estranei come noi, però nemmeno la Gente di Danzarugiada sembrava prendere tutto questo molto seriamente.» L'intervallo della Celebrazione intanto proseguiva, mentre capannelli di gatti chiaccheravano e discutevano animatamente. Saltasteccati era salito sul bordo della collinetta e stava conversando con i suoi amici lì davanti. «Sembra che non debba succedere niente per un po' di tempo. Io vado a fare me'mre. Tu vuoi rimanere qui ad aspettarmi?» «Sì, penso che rimarrò qui a guardare, Acchiappacoda.» Fritti si fece strada in mezzo alla folla e s'inoltrò nella foresta al di là dei bordi della Radura. Quando ebbe terminato ed ebbe coperto la fossa, andò a passeggiare intorno ai bordi della conca, annusando con piacere l'odore dell'aria pulita dalla pioggia. Mentre zampettava intorno con la testa eretta, un odore sconosciuto gli penetrò nelle narici. Si fermò per un attimo, aspirando col naso. Era un odore pungente e inebriante, e lo seguì. Proprio dietro alla collinetta sulla quale era seduta la famiglia reale, Fritti trovò una macchia di piante con minuscoli fiorellini bianchi. Era da lì che proveniva quell'odore provocante e per un attimo Acchiappacoda si fermò ad assaporarlo. Si sentiva caldo e le ginocchia gli tremavano. Era un odore che lo infiammava e poi lo calmava, gli dava una sensazione di prurito e di pizzicore. Fece qualche passo avanti e strappò una foglia con i denti, l'arrotolò in bocca per un po', poi la inghiottì. Aveva un sapore leggermente amarognolo, ma aveva qualcosa che gli dava voglia di mangiarne altre. Come in un sogno, strappò un'altra foglia verde e la inghiottì... poi un'altra ancora... «Ehi, tu! Che cosa stai facendo qui?» Era una voce stentorea che lo fece trasalire. Fritti fece un balzo indietro dalla pianta fiorita. Un grosso gatto era alle sue spalle. «Non dovresti mettere il naso in quella roba» soggiunse lo sconosciuto in tono di disapprovazione. «E come mai ne mangi tante?»
Fritti si sentiva stordito e istupidito, e s'accorse che stava barcollando da una parte e dall'altra. «Mi dispiace... non sapevo... Ma che cosa sono?» Lo sconosciuto lo guardò con aria diffidente. «Vorresti dirmi che non hai mai visto l'erba gatta prima d'ora? Su, andiamo, ragazzino, non sono mica nato sotto il sole scorso, sai? Vattene via, adesso, su! Punta le tue zampe lontano da qui.» Il grosso gatto gli fece un gesto di minaccia e Acchiappacoda scappò via. Si sentiva molto strano. Erba gatta, pensò. Dunque è questa l'erba gatta. Gli alberi sopra di lui sembravano chinarsi al suo passaggio e il terreno sembrava sconnesso sotto le sue zampe, anche se allo sguardo sembrava piano. Forse che le mie zampe sono diventate l'una più lunga dell'altra? si domandò Fritti. Mentre si faceva strada di nuovo nella Radura, barcollando tra musi baffuti di sconosciuti che si profilavano davanti a lui e poi scomparivano, Fritti cominciò a provare un senso di panico. Dov'era Balzalesto? Doveva trovare Balzalesto. Alla fine riuscì a scorgere il gattino. Anche se gli sembrò un tempo terribilmente lungo quello che impiegò per attraversare la distanza che li divideva, alla fine riuscì a raggiungere il piccolo amico. Tentò di parlargli, ma sentì un'ondata di nausea che saliva dentro di lui. Poteva intravvedere confusamente un'espressione preoccupata sulla faccia di Balzalesto, e la sua voce gli suonava lontana mille miglia. «Acchiappacoda! Che cosa ti prende? Stai male?» Fritti tentò di annuire con la testa, ma la sentiva così calda e pesante che si afflosciò per terra. Mentre rotolava sul dorso, udì debolmente il canto della Gente tutt'intorno che stava alzando la voce all'unisono. Balzalesto era chino sopra di lui, accarezzandolo col muso... Poi anche questo si dissolse in lontananza, come precipitando dentro un buco, un buco nero che stava sprofondando tutt'intorno alla vista di Acchiappacoda. Balzalesto era sempre chino sopra l'amico. Per quanto lo strofinasse col naso, per quanto forte lo chiamasse sopra al canto della Gente, Acchiappacoda rimaneva lì come morto. Balzalesto era solo, il suo amico stava male, forse stava morendo, e lui era lì tutto solo in quella marea di sconosciuti. Capitolo 13
Oh, non pronunciare il suo nome! Lascialo dormire nell'ombra, dove freddi e disonorati giacciono i suoi resti. THOMAS MOORE Balzalesto correva attraverso gli antri e i sentieri deserti della Prima Casa in preda al panico, inciampando nelle radici, scansando le figure incombenti degli alberi intorno a sé. Il bagliore glaciale dell'Occhio di Meerclar si riversava attraverso gli interstizi del fogliame e dei rami sopra di lui. Nella Radura degli Incontri, chino sul corpo privo di sensi di Acchiappacoda ai suoi piedi, aveva chiamato disperatamente e vanamente aiuto. Tutt'intorno, i gatti cantavano e danzavano, si allontanavano chiacchierando fuori dalla Radura, alla ricerca di erba gatta. Saltasteccati se n'era già andato dallo spiazzo erboso, Ululacanto era scomparso, e nessuno si accorgeva del gattino spaventato che miagolava accanto al suo amico. Terrorizzato per la vita di Acchiappacoda era fuggito lontano dal frastuono della Radura, in cerca di qualcuno o qualcosa in grado di aiutarlo e di dargli consiglio. Ma tutti i sentieri del Bosco di Radici erano deserti, e mentre si allontanava dal luogo della Celebrazione, dal rumore e dalla luce, l'antica foresta diventava sempre più cupa. Alla fine si fermò col fiato rotto in brevi ansiti. Non poteva far niente di utile per il suo amico, se si fosse smarrito nei boschi, pensò. Che sciocco era stato! Che stupido, insulso gattino, si rimproverò. Doveva ritornare indietro e cercare aiuto per Acchiappacoda. Se i gatti in festa non volevano aiutarlo, allora sarebbe andato a tirare per la coda la Regina in persona, se era necessario! Voltatosi, si fece strada incespicando verso i flebili rumori provenienti dalla Radura. Giunto all'ultimo filare di alberi che circondavano i bordi della Radura della Celebrazione, si imbatté in Ombra-di-tetto, la fela grigia con cui aveva fatto amicizia quella mattina. A quanto pareva, stava allontanandosi di nascosto dalla festa, tuttavia lo salutò cordialmente. Balzalesto lanciò un grido di sorpresa. «Oh, Ombra-di-tetto! Oh, come sono felice... svelta, vieni ad aiutarmi!» balbettò emozionato. «Vieni ad aiutarmi... c'è Acchiappacoda che... oh, povero me!» Ombra-di-tetto rimase pazientemente in attesa, e quando Balzalesto si fu
finalmente calmato e le ebbe raccontato della misteriosa malattia di Acchiappacoda, annuì con aria preoccupata e lo seguì giù nella conca della Radura degli Incontri. La Celebrazione era ormai in pieno svolgimento, e i gatti lì riuniti cantavano e ballavano sotto l'alta volta degli alberi. Danzavano in cerchio, roteando come ipnotizzati, dimenando le code e puntando le zampe nella luce diffusa dell'Occhio. Molti di essi avevano mangiato valeriana, e nell'aria aleggiava il suono di strani canti e di umori incontrollati. Trovarono Fritti dove Balzalesto l'aveva lasciato, raggomitolato come un gattino appena nato. Aveva il respiro soffocato e non accennò a rispondere quando Balzalesto lo chiamò per nome. Ombra-di-tetto lo guardò per un attimo, poi gli accarezzò delicatamente il petto e il muso con i suoi baffi. Accovacciandosi nell'erba accanto a lui, annusò l'odore del suo alito. Poi, alzandosi, scosse tristemente la sua testa argentata. «Il tuo amico è un goloso o uno sciocco, o tutte e due le cose. Puzza di erba gatta, e soltanto un matto ne mangerebbe tanta da stare così male» spiegò a Balzalesto. «Che cosa gli succederà?» piagnucolò il gattino. Ombra-di-tetto abbassò lo sguardo verso di lui e addolcì la sua espressione. «Non posso saperlo con certezza, giovane cacciatore. Per quanto si sa, un eccesso di foglie e radici di erba gatta impaurisce e accelera il cuore, ma il tuo amico è giovane e forte. In quanto ai suoi effetti sullo spirito, questo è difficile a sapersi. Un po' di quest'erba alleggerisce il ka e provoca canto e felicità. Chi ne mangia molta di più diventa forte e crudele, e fa sogni strani. Quanta ne abbia mangiata il tuo amico... per Harar, non posso saperlo. Dobbiamo avere pazienza.» «Oh, povero Acchiappacoda!» gemette Balzalesto. «Che cosa farò? Che cosa devo fare?» «Aspetterò con te» rispose pacatamente Ombra-di-tetto. "È tutto quello che possiamo fare." Fritti Acchiappacoda stava precipitando, sprofondando in tenebre infinite. La foresta che pulsava, si piegava e si gonfiava intorno a lui era scomparsa... tutto quanto era scomparso... e lui precipitava nel vuoto. Il tempo perdeva ogni significato mentre lui precipitava, nessuna sensazione di vento o di aria che scorreva stava a indicare la velocità con cui si muoveva. Tuttavia, nonostante quella nauseante sensazione di movimento che aveva dentro di sé, sarebbe anche potuto essere immobile.
Dopo un arco di tempo incalcolabile, nel terrore che dilaniava i fumi della sua mente, infine vide... o sulle prime sentì, un vago barlume. Il barlume diventò poi un guizzante tremolio, per poi trasformarsi lentamente in una chiazza di fredda luce bianca. E con suo grande stupore poté vedere nel mezzo di quella luce una forma che a poco a poco si avvicinava, finché poté distinguere la figura di un grande gatto bianco... un gatto senza coda che ruotava lentamente dentro una grande sfera scura. La figura si avvicinava e il riverbero diventava sempre più intenso. Gli occhi del gatto fantasma erano fissi verso di lui, ma erano occhi sfocati, ciechi. Il gatto bianco parlò con una voce fredda, sussurrante, che sembrava provenire da molto lontano. "Chi è là?" gridò. "Chi c'è?" Il suo tono freddo era carico di un'angoscia che andava oltre la comprensione di Acchiappacoda. Fritti tentava di parlare, ma nonostante i suoi sforzi non ci riusciva. In questa tensione, Fritti avvertì un improvviso calore sulla fronte, come se la sua chiazza a forma di stella fosse divenuta una vera stella... come se stesse bruciando. Quella bianca apparizione ruotò silenziosamente accanto a lui per qualche attimo, poi parlò di nuovo. "Aspetta. Mi sembra di vederti, adesso. Ah, piccolo spirito, sei ben lontano dal tuo nido. Dovresti essere allattato al seno di Madre-di-tutti, danzando nei cieli sopra ai Campi felici. Amaramente rimpiangerai di esserti avventurato in queste ombre senza calore." Acchiappacoda si sentiva oppresso da un senso di terrore e di solitudine. Non riusciva né a muoversi né a parlare, ma poteva soltanto ascoltare. "Da molto tempo corro in questi spazi oscuri, ma non riesco a trovare il varco per passare all'altra parte" cantilenò il gatto senza coda, con la sua voce spenta, priva di emozioni. "Da molto tempo cerco la strada per ritornare alla luce. A volte mi sembra di udire cantare... " soggiunse, con gelido rimpianto. "E sempre la porta è al di là, oltre un angolo... qualcosa mi impedisce di raggiungerla. Perché non posso arrivare a quella quiete, a quel tranquillo riposo che è promesso?" Nonostante la paura, Acchiappacoda sentiva crescere dentro di sé una grande pietà per la terribile solitudine del gatto bianco. "Piccola stella, sento qualcosa di strano dentro di te. Che cos'è?" proseguì la desolata voce lontana. "Forse porti un messaggio, oppure ti sei semplicemente perduto... come è successo a me? Forse porti notizie da mio fratello? No, sarebbe soltanto uno scherzo crudele! È troppo freddo, la not-
te è troppo cupa... lasciamo solo, il pensiero di vivere mi brucia... mi brucia! Ahi, che dolore!" Con un gemito soffocato, echeggiante, l'apparizione cominciò a ruotare sempre più rapidamente, fino a scomparire alla vista di Acchiappacoda. Si trovò circondato di nuovo dalle tenebre. Improvvisamente, sentì qualcosa sotto le zampe, anche il buio era sempre impenetrabile. Tentò di aggrapparsi, di immergersi in quella cosa tangibile, solida. Era come la terra, qualcosa da toccare, ed era l'unica cosa oltre a se stesso che si trovava in quella gigantesca, cupa immobilità. Per un attimo, finché non avvertì una presenza. In qualche luogo, in quei pressi senza luce, qualcosa lo stava cercando. Non poteva dire come lo sapesse, non poteva dare un nome al senso che glielo diceva, ma lo sapeva. Qualcosa di enorme, di lento, di implacabile lo stava inseguendo furtivamente... in una silenziosa ricerca che era molto peggiore di qualsiasi rumore potesse esserci in quella inquietante desolazione. La fronte gli bruciava ancora. Forse splendeva? Si sentiva nudo, esposto a tutto. La fronte gli bruciava, e aveva la sensazione che stesse segnalando la sua presenza a quella cosa che gli dava la caccia, come una luce che richiama gli sguardi nella foresta. Acchiappacoda tentò di coprirsi il muso con le zampe, di nascondere quel segnale luminoso, ma non riusciva a raggiungere la fronte. La sua testa si era spostata lontano, no, erano le gambe che si erano rattrappite! Poteva sentirle adesso, sentire che stavano rimpicciolendo, che formicolavano e poi scomparivano, e si trovava disteso impotente sulla pancia, incapace di correre, anche se ogni suo nervo gli gridava di scappare via. La presenza si stava avvicinando, adesso, brancolando alla cieca, toccando sempre più vicino... Tutto quel senso di irrealtà era ora sopraffatto dal terrore. Qualcosa aveva sentito la sua presenza e gli stava dando la caccia. Chiuse ancor più gh occhi, come un gattino appena nato, sperando che quel qualcosa d'invisibile non vedesse lui, ma in quel buio infinito era una crudele finzione scambiare una tenebra per l'altra. Era quasi accanto a lui, tastando... e ora gli sembrò di poterne sentire l'odore, rancido, sporco, più antico della pietra. Il calore sulla sua fronte pulsava come un cuore di fuoco. Poi quel qualcosa lo afferrò e cominciò a scuoterlo, a scuoterlo, a scuoterlo... Per un breve attimo gli sembrò di avvertire un terribile brivido di delu-
sione nell'uscire dalle tenebre, poi si sollevò. Una macchia di luce apparve al di sopra, scintillante come il sole. Nel mezzo di questo squarcio nelle tenebre vide una strana figura alta, una forma simile a quella di un albero senza rami, interamente circondata dall'acqua. Quando sbatté gli occhi alla luce, vide che quella figura prendeva i lineamenti di Ululacanto, che lo scuoteva, continuava a scuoterlo... Acchiappacoda ricadde in un sonno normale, e quando si svegliò più tardi si trovò nella cuccia di Balzalesto. Ululacanto, Ombra-di-tetto e il suo giovane amico erano tutti lì a vegliare su di lui. «Bene, eccoti qui!» esclamò Ululacanto. «Eravamo tutti così preoccupati per te! Immagino che non ce ne sia altra, di erba gatta come quella che hai trovato, intendo dire quella vera! Che piacere vedere che ti senti meglio!» Balzalesto si chinò a leccare il muso dell'amico. La gattina grigia si teneva in disparte, ma studiava Acchiappacoda con lo sguardo. Ancora tremante, Acchiappacoda li ringraziò tutti per le loro premure. Non si sentiva ancora completamente normale; la luce che filtrava tra gli alberi aveva una strana luminosità riflessa, come uno scintillio, e tutti i suoni rieccheggiavano lievemente. Si sentiva molto leggero, quasi inconsistente. Ululacanto si alzò in piedi. «Be', so bene che sei stato veramente male, ma è tutto il mattino che siamo qui, e io ho sempre tante cose da fare... Spero che non me ne vorrai se scappo via a sbrigarne qualcuna.» Prima di uscire, si voltò e soggiunse: «Ah, già, quasi me ne dimenticavo! Il principe ti ha fissato un appuntamento a Corte per questa sera, all'inizio della Quiete più profonda. Se non ti senti ancora abbastanza bene per andare, be', penso che si possa rimandare, ma là alla Reggia lo prendono molto sul serio, il protocollo. Non è che voglia costringerti ad andare, però, se non te la senti...». «Penso che sarò in grado di meritare tanto onore» rispose Fritti dopo un attimo di silenzio. «Sono venuto da lontano per parlare con la Regina, e...» s'interruppe di nuovo. «Sì, certo, ci sarò.» «Molto bene. Ritornerò in tempo per accompagnarti» promise Ululacanto, poi il Cantore chiazzato uscì balzellando dalla pìccola valle nella foresta. Fritti rimase disteso per un po', ripensando a quelle strane sensazioni che aveva ancora dentro di sé, mentre Balzalesto si prendeva cura di lui tutto contento. Dopo qualche tempo, Ombra-di-tetto gli domandò:
«Sei sicuro di essere in grado di presentarti alla Regina, Acchiappacoda?» La gattina grigia lo guardava in attesa di una risposta. «Penso che prima me la sbrigo, meglio sarà» rispose Acchiappacoda. Gli era difficile esprimere quello che provava. «Come ho detto a Ululacanto, sono venuto da molto lontano. Ho fatto una promessa, l'ho giurato solennemente... ma questa Prima Casa, non so come dire... fa sembrare tutto quanto così poco importante... voglio dire, si potrebbe rimanere qui giorno dopo giorno, volendo, e non pensare a niente, ma soltanto alle pulci d'acqua, per esempio. Non a cacciare pulci d'acqua, voglio dire» soggiunse, sforzandosi di farsi capire, «ma soltanto pensarci. Si potrebbe passare un'intera giornata, ogni giorno, solo pensando e ripensando alle pulci d'acqua, e parlando con gli altri delle pulci d'acqua... e invecchiare prima di rendersene conto. E un giorno rendersi conto di non aver mai visto in realtà una pulce d'acqua... ma a quel punto non se ne avrebbe più voglia, perché rovinerebbe tutte queste belle idee. «Ho paura di non riuscire a spiegarmi molto bene» soggiunse Acchiappacoda, «ma ho la sensazione che se riuscissi a trovare la mia amica Zampafelpata, allora mi riuscirebbe meglio perché... scusatemi non riesco proprio a spiegarmi bene...» Ombra-di-tetto si avvicinò a Fritti e lo guardò attentamente, poi lo annusò, non con diffidenza, ma con curiosità, e quindi si mise di nuovo a sedere. «Penso di aver intuito quello che vuoi dire, Acchiappacoda, ma naturalmente anch'io sono un'estranea in questo luogo. Non credo proprio che Ululacanto e gli altri potrebbero capirti.» «È probabile» ammise Fritti. Rivolse lo sguardo a Balzalesto, che aveva terminato di lisciargli il pelo e ora si era accoccolato felice accanto a lui, ascoltando la conversazione. «E tu che cosa ne dici, Balza?» gli domandò. Balzalesto alzò lo sguardo con aria solenne. «Be'» rispose, «non sono sicuro di aver capito tutto quello che hai detto, però ho idea che certe cose che pensa la Gente di qui siano importanti, quanto meno mi fanno venire voglia di fare domande che sembrano importanti... anche se non capisco esattamente che cosa le rende importanti. In questo posto, capite?» ridacchiò il gattino. «Be', in quanto a dare spiegazioni, me la cavo anche peggio del mio saggio amico Acchiappacoda. Penso che potremmo trovare una risposta a queste oscure questioni dopo aver mangiato qualcosa. È passata da un bel pezzo l'ora di mangiare!» «Sono d'accordo, cu'nre» rispose Fritti con un sorriso, anche se non sen-
tiva ancora voglia di mangiare. «Non vorresti venire a caccia con noi, Ombra-di-tetto?» domandò alla silenziosa fela. «Ne sarei onorata.» Per tutta la giornata esplorarono il labirinto della foresta della Prima Casa, scoprendo cunicoli nascosti dagli arbusti e sentieri da molto tempo abbandonati. La Gente della Prima Casa e del Bosco di Radici sembrava molto tranquilla in questo giorno successivo alla Celebrazione. Per la maggior parte, sonnecchiavano oppure erano distesi a chiacchierare pigramente con i loro amici. Molti se n'erano andati dopo i festeggiamenti e i sentieri del Bosco di Radice erano quasi deserti. Ombra-di-tetto prestava molta attenzione a Balzalesto, accompagnandolo nei giochi e seguendolo quando trovava qualcosa che lo interessava. Nei confronti di Acchiappacoda era cordiale, ma piuttosto riservata, e questo non dispiaceva a Fritti, che sentiva ancora gli effetti dell'esperienza della notte precedente. I sintomi che avevano accompagnato il suo risveglio erano in gran parte svaniti, tuttavia non riusciva a liberarsi da una strana sensazione di distacco. Ciò che dicevano i suoi compagni gli sembrava distante, e un pensoso silenzio sembrava circondarlo mentre camminava come uno spirito sotto quegli antichi alberi. Più tardi, all'inizio della serata, Ombra-di-tetto se ne andò, promettendo di ritornare presto. Balzalesto, che aveva saltellato per tutto il pomeriggio come un calabrone, e Fritti, che era ancora un po' sconvolto, ritornarono nella loro cuccia per riposarsi prima dell'appuntamento a Corte. Ululacanto venne a prenderli, controllando a stento l'emozione per il ruolo solenne e grandioso che stava assumendo. I due gatti lo seguirono come sonnambuli attraverso gli antri tortuosi della Prima Casa. Scivolarono attraverso una fitta cortina di argentee betulle e scesero in una piccola valle. Lì, nella luce riflessa dell'unico, grande fascio luminoso dell'Occhio che filtrava attraverso l'intricato tetto della Foresta, videro le figure di molti gatti accovacciati intorno ai bordi della minuscola valle, con occhi rotondi che riflettevano la luce. Una grossa figura uscì in fretta dalle ombre. «Eccola qui, è questa la coppia, allora? Verrà tra poco il loro momento.» Era Fusatonanti, l'imponente ciambellano di Corte, che mentre parlava an-
nuiva con la testa come un salice al vento. «Mai si deve introdurli tutt'a un tratto, questa è la procedura, lo sai. E ora, Ululacanto, lasciali qui con me, sono in buone mani. Puoi aspettarli là in fondo.» Ululacanto sembrava un po' deluso, ma con una scrollata di spalle augurò loro buona fortuna. I due amici seguirono il ciambellano di Corte, che sobbalzando e borbottando tra sé li accompagnò ai piedi di una delle pareti della valle, nei pressi dell'ingresso e della luce. «E ora rimanete qui finché non vi chiamerò. Non fate verso fino ad allora. Ce ne sono altri prima di voi, e il tempo di sua Morbidezza è molto prezioso. State fermi qui, ragazzi.» Poi Fusatonanti si allontanò in fretta, oscillando col suo grosso corpo da una parte e dall'altra. Fritti seguì con lo sguardo Fusatonanti che attraversava la piccola valle. Il ciambellano si insediò nel mezzo di un gruppo di gatti ben lustri e strigliati che erano probabilmente, pensò Fritti, i dignitari di Corte. Davanti a loro erano seduti parecchi altri gatti di diverso aspetto. Uno di essi, un tipo grosso con grosse strisce vistose, si muoveva, anche quando riposava, con una grazia sicura e disinvolta, che a Fritti ricordava quella di Vibr'artiglio. Su un terrapieno erboso in fondo alla valletta, sormontato dal tetto di rami e di foglie di un'enorme quercia, Saltasteccati e Danzarugiada erano seduti fianco a fianco, il primo con una tale espressione di noia maldissimulata e di impazienza che Fritti sorrise tra sé nel buio. Come dovevano infastidire l'animo irrequieto del principe queste faccende! A fianco di Saltasteccati era seduto il principe consorte, sereno e controllato nell'aspetto, ma con occhi che sembravano inquieti e distaccati come un temporale incombente. Nel mezzo del terrapieno, nel centro del fascio di luce, era seduta la regina Mirmirsor Dietrosole, illuminata come una creatura di sogno. Nel vederla per la prima volta, Fritti ebbe l'impressione di contemplare una fontana, una sorgente d'acqua nella foresta. Era limpida, scintillante di bianco, e il suo lungo pelo morbido si diramava dal suo corpo in ogni direzione, come il batuffolo di un soffione. Accanto a sé aveva una piccola ciotola di terracotta, portata forse da qualche abitazione dell'Uo'mo. Davanti agli occhi di Acchiappacoda, l'erede di tutta la dinastia di Harar era seduta con la schiena inarcata e la testa protesa in avanti, una zampa puntata davanti a sé e sospesa in aria, come un aggraziato ramo delle betulle che circondavano la sua Corte. La Regina si mordicchiava graziosamente le parti posteriori.
Capitolo 14 Su quell'alto colle,... la sua pallida corte, nella bellezza e nella decadenza... P B SHELLEY Per tutta la lunga Ora della Quiete più profonda, si svolse l'udienza presso la Corte di Harar. La regina Dietrosole, accovacciata nella cavità della grande quercia, il vaka'az'me, ascoltò silenziosamente tutti coloro che si presentavano davanti a lei. Acchiappacoda ascoltava con distaccato interesse la processione di questuanti che si succedevano davanti al trono. La maggior parte dell'udienza fu dedicata a questioni di territorio, ma ci furono anche conferme di nome e benedizioni di fele in attesa. Per tutta la durata dell'udienza la Regina presiedette remota e imperturbabile splendente come una stella. Alla fine tutti i questuanti, soddisfatti o delusi, scomparvero nella notte. La Regina distese un lungo, aggraziato sbadiglio, e fece un segnale con la coda. Fusatonanti accorse incespicando sul piccolo terrapieno e si chinò sopra di lei. La Regina emise un languido sospiro nell'orecchio chiazzato del ciambellano, mentre questi continuava ad assentire con la testa. «Sì, mia signora, proprio così, troppo giusto» ansimava l'anziano ciambellano. «Bene, vogliamo allora ascoltarlo?» domandò la regina Dietrosole con la sua voce simile all'acqua fresca e limpida di un torrente. «Ma certo, vostra Pelosità» mormorò Fusatonanti, affrettandosi a correre davanti al terrapieno. Socchiuse i suoi vecchi occhi nel buio della valle e annunciò: «Terrore-di-squittenti, gran Capo dei Primi Camminatori, puoi avvicinarti al vaka'az'me!». L'orgoglioso cacciatore multistriato che Fritti aveva già notato in precedenza, si alzò, si stirò e si avvicinò al terrapieno pianeggiante con passo calmo e misurato. Si fermò per un attimo ai piedi della collinetta, poi saltò agilmente dentro il cerchio di luce. «Un Primo Camminatore! Come Vibr'artiglio e come Cercazuffa!» sussurrò Balzalesto eccitato. Fritti annuì distrattamente, mentre osservava Terrore-di-squittenti. Nella luce dell'Occhio che avvolgeva il trono di quercia, il corpo asciutto del gran Capo mostrava le tracce di molte vecchie cicatrici sbiancate sotto il pelo raso. Strisce e cicatrici gli conferivano l'a-
spetto di un vecchio legno stagionato. «Al tuo servizio come sempre, o mia Regina» la salutò il Primo Camminatore, toccando la terra col mento in segno di rispetto. Dietrosole abbassò lo sguardo con espressione freddamente divertita. «Non capita spesso di vedere i Primi Camminatori qui a Corte» osservò. «Nemmeno quelli tra voi che si aggirano nel Bosco di Radici, vicino alla Prima Casa. È un onore inaspettato.» «Con tutto il dovuto rispetto, vostra Eminenza, i Primi Camminatori non si aggirano nel Bosco di Radici.» Terrore-di-squittenti parlava con un tono orgoglioso, sicuro ma pacato. «Come sapete, noi preferiamo la solitudine della foresta. La Corte è troppo... troppo affollata per i nostri gusti.» Cantilenò il termine "affollata" con un'inflessione sottilmente spregiativa, che fece comparire un'espressione di gelo sul muso di Danzarugiada. «Così ci è stato detto, Capo» replicò il principe consorte con voce flautata, «ma ho sentito mormorare che si sta radunando una grande riunione di Primi Camminatori a est delle colline del Dolcecammino. I vostri compagni non troveranno tanta compagnia così deprimente come quella della nostra Corte?» Terrore-di-squittenti gli lanciò uno sguardo torvo, mentre Dietrosole starnutiva graziosamente e arricciava la coda. Poi il Capo parlò misurando palesemente le parole. «L'incontro dei Capi ha lo stesso motivo della questione che mi ha condotto qui. Il principe consorte, sicuramente per buoni motivi conosciuti soltanto a sua Altezza, cerca di aprire vecchie ferite. Ma io non mi farò tirare per la coda. Sono ben più gravi le questioni in gioco.» Fusatonanti, che era rimasto in piedi, ora soffiava nervosamente, e andò a sedersi accanto al principe Saltasteccati, il quale, per la prima volta in tutta la serata, mostrava ora un certo interesse per gli avvenimenti in corso. «Vorrei che tutti voi la smetteste di blaterare per un po'» borbottò il principe. «Sarebbe gradito parlare di qualcosa d'importante, tanto per cambiare.» La regina Dietrosole osservò suo figlio per qualche attimo, poi scosse due volte le orecchie e si rivolse a Terrore-di-squittenti. «Per quanto arrogante e impetuoso possa essere, Saltasteccati ha parlato bene. Tu devi perdonare la nostra scortesia, gran Capo. Mi rendo conto quanto devono pesarti le tue preoccupazioni, e capisco che a voi non piaccia scherzare come a noi.» Rivolse un gelido sguardo verso Danzarugiada e il principe consorte le restituì imperiosamente lo sguardo. «Su, parla, Terrore-di-squittenti,
te ne prego.» Il battagliero Primo Camminatore la guardò per un attimo negli occhi, poi chinò di nuovo il capo e lo tenne abbassato per parecchi battiti di cuore. Poi, sollevato lo sguardo, riprese la parola. «Come sua regale Morbidezza sa bene» esordì, «noi Primi Camminatori siamo pochi di numero e le case dei nostri Capi sono sparse tutt'intorno. Per quanto mi riguarda, la mia giurisdizione si estende su gran parte delle pianure di Nido-di-sole, e su questa parte del Bosco di Radici, fatta eccezione per la Prima Casa, s'intende» soggiunse, con un lieve sorriso verso Danzarugiada. «I territori in direzione u'ea, a nord del Gran Miagolio, erano in precedenza giurisdizione di mio cugino, il gran Capo Caccia-neicespugli. E ora è morto.» Terrore-di-squittenti fece una pausa significativa. La Regina si chinò avanti, la curiosità accesa nei suoi occhi splendenti. «Ci rattrista sapere della scomparsa da questi campi di Caccia-neicespugli, naturalmente» commentò la Regina pensosamente. «Era un coraggioso e astuto cacciatore. Tuttavia non comprendiamo ancora lo scopo della tua ambasciata. I Primi Camminatori hanno sempre deciso le loro successioni senza far ricorso alla nostra Corte.» Terrore-di-squittenti si rimise a sedere e si grattò nervosamente. «E così continueremo a fare, o Regina. Non è la questione della successione di Caccia-nei-cespugli che mi ha condotto qui, bensì il modo della sua scomparsa. Caccia-nei-cespugli è stato attaccato da un nemico sconosciuto e ridotto letteralmente a brandelli. Anche gli altri Camminatori del suo territorio sono scomparsi.» La regina Dietrosole, accovacciata nella cavità di corteccia del vaka'az'me, rabbrividì di sgomento. Il legno perlaceo dell'interno del tronco incastonava la sua bianca figura mentre rivolgeva lo sguardo al Capo. «È orribile!» esclamò. Danzarugiada si avvicinò al Capo con passi silenziosi. «Quale bestia ha commesso quest'azione?» domandò. «E che cosa possiamo fare noi, ora che sei venuto a riferirci questa notizia?» Fritti, seduto tra i pochi spettatori rimasti, sentì Balzalesto tendersi al suo fianco come un ramoscello piegato. Dunque era questo il motivo che aveva condotto fin lì Vibr'artiglio e i suoi amici dal Sud!, pensò. «Nessuno della Gente può dirlo, vostra Maestà» rispose Terrore-disquittenti in tono cupo. «Doveva essere una creatura molto potente, se è stata una soltanto. Se si è trattato di un branco di predatori, la faccenda non
è meno inquietante. Caccia-nei-cespugli è stato dilaniato.» La regina Dietrosole aveva ripreso la sua compostezza. «Perché allora sei venuto qui a turbarci?» domandò. «La sorte toccata a Caccia-neicespugli è orribile a udirsi, ma il Foglia di Topo e i territori a nord sono da tempo luoghi pericolosi, inaccessibili. Perché sei venuto a riferirci queste notizie sconvolgenti?» «Non sono venuto a riferire questi fatti misteriosi per turbare la serenità della Prima Casa» rispose Terrore-di-squittenti, alzando fieramente la testa coperta di cicatrici. «Sono venuto per avvertirvi del pericolo, perché penso che la Corte si trovi ora in una situazione di pericolosa indifferenza. Non si tratta di un incidente isolato, lo so, e lo sapete anche voi. Vostro figlio è andato a perlustrare i confini della Prima Casa a causa di incidenti avvenuti più vicino al nido.» «Ora arriviamo al punto!» esclamò Saltasteccati, compiaciuto, ma Danzarugiada lo interruppe sollevando la sua zampa snella. «Sì, sono avvenute incursioni anche ai nostri confini, ma non c'è niente per cui rizzare il pelo» replicò il principe consorte con la sua voce musicale. «Si è trattato di Ringhiami selvatici, forse, o di un garrin ammalato: potrebbero essere molte le spiegazioni, anche per quanto riguarda la dolorosa morte di Caccia-nei-cespugli.» Il vecchio e malconcio Capo dei Primi Camminatori lanciò a Danzarugiada un'occhiata di tacito disprezzo. «Il grosso garrin può essere pericoloso, certo» ammise «ma è un animale che dorme in inverno e questi avvenimenti sono iniziati durante le ultime nevi. E temo che continueranno anche durante le nevi di quest'anno, quando il garrin sarà ritornato nella sua tana.» Danzarugiada gli restituì lo sguardo, ma non disse nulla. «Qualsiasi cosa sia in agguato nei territori del Nord, e comincia ora a estendersi, non è un figlio naturale di questo mondo, come molti possono confermare. La terra ha grande rispetto per le sue creature. Io ho vissuto in alto e in basso, ma non ho mai visto niente di simile!» «Che cosa intendi dire, Capo?» domandò la regina Dietrosole. «Temo di non capire.» «Qualcosa di strano si è insediato nel territorio al di là del Gratt'Harar. Le creature della foresta di Foglia di Topo stanno migrando, fuggono in massa da quella zona. Gli uccelli che fanno lì il nido in questa stagione stanno volando via attraverso la Grande Acqua. Tra tutta la Gente, voi della Prima Casa dovreste essere informati, perché tutto ciò fa presagire tempi calamitosi.»
«Arriva al punto, Primo Camminatore» lo interruppe Danza-rugiada con voce gelida. «Dovrebbe essere evidente. Qui, intorno alla Prima Casa, è concentrata più Gente che in qualsiasi altro luogo, un'affamata massa di cacciatori che continuamente esplora la boscaglia alla ricerca di fla-fa'az e di Squittenti. Eppure queste creature rimangono qui, dove forse generano nidiate e covate più numerose che altrove, continuando a fare la loro vita. Il Bosco di Radici è la loro casa ancestrale quanto la nostra. Noi della Gente e coloro cui diamo la caccia danziamo tutti insieme. Ed è così che dev'essere. «Ciò che si è insediato nelle pianure del Nord e vi ha lasciato una collina, un cumulo di detriti grande quasi quanto tutta la Prima Casa, questo qualcosa è un pericolo con cui le creature di Foglia di Topo non possono convivere. È un pericolo che tutti noi faremmo bene a prendere in considerazione.» «Bravo!» gridò Saltasteccati. «Per Harar che salta! Fa piacere sentire finalmente qualcuno che parla con buonsenso, da queste parti!» La regina Dietrosole sembrò in procinto di prendere la parola. Fritti e Balzalesto, al pari di tutti gli altri riuniti, si chinarono lievemente in avanti per udire la sua dichiarazione. Si alzò invece Danzarugiada e sbadigliò. «Bene» disse in tono pacato, «è molto interessante ciò che dici, gran Capo, e molte cose ci giungono nuove. La collina, in particolare, sembra una cosa davvero strana, e ne discuteremo a lungo in seguito. Per il momento, tuttavia, non riteniamo opportuno correre dietro alle voci come gattini inesperti, né organizzare spedizioni alla cieca in un territorio che tu stesso hai definito molto pericoloso.» Terrore-di-squittenti stava per protestare, ma Danzarugiada agitò da una parte e dall'altra la sua coda dalla punta marrone, e il Primo Camminatore rimase in silenzio. «Tuttavia» riprese Danzarugiada con enfasi, «noi non siamo insensibili a questo pericolo. Il figlio della Regina, il valoroso principe Saltasteccati, ha il nostro permesso di arruolare quanta Gente ritiene necessaria, senza dimenticare però la salvaguardia dei confini del nostro territorio. Può iniziare fin d'ora.» «Magnifico!» esclamò il principe, balzando in piedi. «Mi fa molto piacere!» balbettò, in modo un po' poco dignitoso, pensò Acchiappacoda, e con un balzo scomparve nel buio. «E ora» proseguì con sguardo severo il principe consorte, «ti chiediamo anche, gran Capo, che dopo esserti incontrato con i tuoi amici Primi Camminatori, tu ritorni qui per farci la cortesia di mettere a parte la Corte di
Harar delle vostre conclusioni. È possibile?» «Certamente, vostra Altezza!» rispose Terrore-di-squittenti, colto alla sprovvista. «Mi auguro che si possa continuare a collaborare in questa...» «Certamente, certamente» lo interruppe Danzarugiada. «Questi sono i desideri della Regina. Dico bene, mia baffutissima Regina?» domandò, volgendosi verso Dietrosole. La Regina, tranquillizzata dalla consueta procedura del rituale di Corte, si limitò ad assentire scuotendo distrattamente la coda. «Molto bene, allora. Immagino che ora siano concluse le udienze di questa notte. Ti ringraziamo ancora, Capo Terrore-di-squittenti, per aver sottoposto questi problemi alla nostra attenzione. Ti prego di porgere le nostre sentite condoglianze agli amici e ai parenti di Caccia-nei-cespugli.» Danzarugiada si accingeva già a scendere dal terrapieno quando Fusatonanti prese la parola in tono indifferente. «Ehmm... uhmm... chiedo umilmente perdono, mio Signore, ma credo che ci sia ancora qualcuno che... ehm... attende il suo turno... se capite ciò che voglio dire.» Danzarugiada ritornò sulla collinetta erbosa con un'espressione infastidita che subito si tramutò in blanda indifferenza. La Regina non prestava più attenzione, e stava lisciandosi un fianco distesa tra le vaste radici del vaka'az'me. «Bene» esclamò il principe consorte, «dove sono costoro? Portateli avanti.» Fritti e Balzalesto, colti del tutto impreparati, furono spinti avanti da Fusatonanti. Allungandosi in avanti, il grosso maschio sussurrò a Fritti in un orecchio: «Cerca di tagliar corto, giovanotto. Le loro Eminenze sono un tantino di malumore.» Fritti, piuttosto nervoso, poteva vederlo chiaramente. Balzalesto era così sopraffatto dall'emozione che tremava silenziosamente accanto ad Acchiappacoda quando si presentarono davanti alla Grande Quercia. «Come vi chiamate e per quale motivo vi presentate a noi?» domandò il principe Danzarugiada in tono impaziente. «Io sono Acchiappacoda e questo è il mio compagno Balzalesto. Siamo della tribù del Muro degli Incontri, all'altro capo dei Vecchi Boschi. Stiamo cercando una nostra amica che si chiama Zampafelpata» soggiunse con voce sempre più flebile. La Regina sembrò finalmente accorgersi della presenza dei due giovani gatti. «E pensate che sia qui, nella Prima Casa?» domandò, volgendo verso lo-
ro i suoi occhi scintillanti. Balzalesto, in preda a una febbrile emozione, esalò un sospiro angosciato e affondò la testa nel fianco di Acchiappacoda, il quale deglutì prima di rispondere. «No, grande Regina, non è questo che pensiamo. Pensiamo invece che possa esser stata presa dalla creatura... o dalle creature di cui parlava Terrore-di-squittenti. Molti altri della Gente del Muro degli Incontri sono scomparsi misteriosamente. Gli Anziani hanno inviato una delegazione a questa Corte proprio per questo motivo» concluse in fretta. Dietrosole sbadigliò lungamente, mostrando i suoi denti acuminati e bianchi come il suo pelo, e una lingua incredibilmente rosea. «Abbiamo ricevuto questa delegazione?» domandò a Fusatonanti. Il vecchio ciambellano rifletté per qualche attimo. «Non si può dire se l'abbiamo ricevuta, vostra Morbidezza» rispose alla fine. «Non mi pare di aver mai sentito parlare prima d'ora della tribù del Muro degli Incontri, ed è sicuro come un topo morto che da lì non è arrivata nessuna ambasciata.» «Come vedete» soggiunse Danzarugiada, «temo che gli avvenimenti del grande mondo passino a volte oltre questa piccola Corte. Mi dispiace davvero di non potere aiutarvi. Avete tutta la libertà di rimanere nella Prima Casa fin quando ne avrete bisogno. Forse, se tutto questo vi interessa, potreste essere d'aiuto a Saltasteccati. Avete già superato il Canto di caccia, vero? Be', non ha importanza. Mri'fa-o, l'udienza della Regina è giunta al termine.» Ululacanto, che, mentre attendeva ai bordi della valletta si era addormentato, li condusse in silenzio attraverso la foresta. Fritti, cupo e vagamente risentito, non aveva niente da dire. Dopo un lungo, muto cammino, Balzalesto ruppe infine il silenzio: «Pensa, Acchiappacoda», gli disse, «siamo stati davvero alla presenza della Regina dei Gatti!» Capitolo 15 Non so che cosa preferire, la bellezza delle inflessioni o la bellezza delle allusioni, il fischio del merlo o quello che viene dopo.
WALLACE STEVENS I giorni trascorrevano rapidamente nella Prima Casa. Fuori del vasto rifugio del Bosco di Radici, era sceso l'inverno. Fritti e Balzalesto ingannavano il tempo sotto i grandi alberi, esplorando, cacciando, diventando grassi e lucidi di pelo. Ombra-di-tetto, sempre compita e riservata, trascorreva con loro gran parte del tempo. Sembrava che le piacesse soprattutto accompagnare Balzalesto nelle sue spedizioni. In un cupo pomeriggio, mentre il gattino e la fela grigia stavano per i meandri della Prima Casa, Acchiappacoda si trovò tutto solo. Ululacanto era partito per una spedizione d'iniziazione, precedente le cerimonie dell'oel-cir'va, e non sarebbe ritornato prima di due albe. Mentre gli altri abitanti della Prima Casa, pochi dei quali Fritti conosceva, s'affaccendavano avanti e indietro, sbrigando misteriose commissioni e incarichi, Acchiappacoda passeggiava tutto solo sotto gli alberi. Era da molto tempo che non camminava senza l'accompagnamento di una voce o la presenza di qualche compagno. Si aggirava intorno ai bordi meridionali della Prima Casa, dove gli alberi sconfinavano nelle pianure di Nido di Sole, camminando al proprio passo, ascoltando i canti che aveva dentro di sé. Si spinse oltre le fronde della foresta, giù per un pendio erboso spruzzato dei fiocchi della prima neve. Era così immerso nei suoi pensieri che non udì nemmeno il gelido gorgoglio del Sussurro di Fusa, finché non fu giunto sulle sue sponde. Accovacciato sulle zampe posteriori, il pelo arruffato per ripararsi dal vento e dalle folate di neve, Fritti osservava il fiume che scorreva fino a scomparire alla sua vista verso est, a vez'an, dove si sarebbe poi congiunto col Gran Miagolio. Più avanti, molto più avanti, c'era il luogo del suo nido e della sua infanzia, la foresta e i campi in cui aveva corso con Zampafelpata sotto il cielo limpido dell'estate. Socchiuse gli occhi per ripararli dal vento gelido, mentre scrutava attraverso la pianura, e pensò allora se non dovesse ritornare a casa. Il Bosco di Radici non sarebbe mai stato la sua casa. Laggiù, al di là delle terre d'inverno, c'era il Muro degli Incontri. Laggiù, c'erano i suoi amici. Ma non c'era la sua famiglia. Non c'era Zampafelpata. Per lungo tempo rimase lì seduto, la coda arrotolata intorno alle zampe, poi si alzò e ritornò su per il ripido pendio del prato, mentre la risata del Sussurro di Fusa s'affievoliva dietro a lui.
«Acchiappacoda!» cinguettò Balzalesto. «Ti abbiamo cercato tutt'intorno! Eri andato in esplorazione? Ombra-di-tetto e io abbiamo qualcosa d'importante da dirti!» Fritti si fermò per attendere il gattino che saltellava lungo il sentiero verso di lui. «Buona danza, Balza!» lo salutò, «e anche a te, Ombra-di-tetto.» La fela sembrava pensierosa e preoccupata. «Ho anch'io qualche notizia da darvi. Ritorniamo al nostro albero, al riparo dal vento.» Nel loro rifugio, dove il vento scuoteva le cime degli alberi sopra di loro, Fritti si rivolse agli amici con un tono serio. «Spero che capirete quello che sto per dirvi, e che non penserete male di me. Ho pensato a lungo, oggi. La mia decisione non è stata così difficile quanto il pensiero di come annunciarvela. Devo andarmene dalla Prima Casa. Sono rimasto qui troppo a lungo, ormai, e sto perdendo la mia determinazione... ma la promessa che ho fatto è ancora importante come quando l'ho presa. Non posso svernare qui tranquillamente mentre non si hanno notizie di Zampafelpata. «Ora che sono giunto alla Corte e ho udito tutto quanto è stato detto, sono giunto alla conclusione che qui non posso attendermi altro aiuto. A quanto pare, qualcosa sta accadendo nel Nord, e ritengo che là devo proseguire la mia ricerca. Ho molta paura, per la verità, e le mie vibrisse fremono a questa prospettiva, però devo andare. Harar mi è testimone, a volte vorrei... Balzalesto, ma tu stai ridendo?» Balzalesto stava effettivamente ridacchiando, mentre dava con la zampa leggere pacche a Ombra-di-tetto. «Ah, ah! Acchiappacoda!» esclamò, tra un risolino e l'altro; «certo che dobbiamo andare. È proprio di questo che parlavamo oggi io e Ombra-ditetto. E anche gli altri giorni. Ma Ombra-di-tetto diceva che dovevi essere tu a decidere quando dobbiamo partire.» Fritti era sconcertato. «Dobbiamo? Ma è la stagione fredda, Balzalesto, e non posso proprio portarti con me. Questo non è il tuo giuramento, la tua ridicola promessa. E oltre tutto, scusami, sei davvero molto coraggioso, ma sei soltanto un gattino. Può essere terribilmente pericoloso, te ne rendi conto?» «Lo so.» Ora Balzalesto aveva un'espressione più seria, ma era ancora divertito dall'aria sconcertata di Acchiappacoda. «Ma penso che con voi due, tu e Ombra-di-tetto, riuscirò a tenermi lontano dal pericolo. E anche noi, forse, possiamo fare altrettanto per te.» «Ombra-di-tetto?» Ora Acchiappacoda era davvero sbalordito. «Ombradi-tetto, tu non ti rendi conto di quanto sia rischiosa questa avventura. Ri-
mani qui con Balza, te ne supplico. Per Harar! Siete tutti e due ammattiti come il vecchio Mangiapulci?» Ombra-di-tetto guardò Acchiappacoda con occhi freddi e profondi. «Anch'io vorrei che il piccolo non insistesse per venire, ma non intende ragioni. Chi sono io per conoscere i disegni di Meerclar? Meerclar chiama la Gente a molti diversi propositi. In quanto a me, non ti rimprovero di non sapere... ma non soltanto tu hai conti da saldare... e promesse da mantenere.» «Però...» accennò a dire Fritti, ma la gattina grigia lo interruppe. «Acchiappacoda, prima che tu arrivassi alla Prima Casa, io mi sono presentata al vaka'az'me per chiedere aiuto, e non ne ho avuto più di te. Anch'io pensavo di partire per il Nord alla ricerca di risposte, e stavo per mettermi in cammino quando siete arrivati voi due, e così ho dimenticato la mia decisione. Ora sono pronta di nuovo.» Fritti la guardava senza capire. «Io vengo dall'altro capo del Bosco di Radici» proseguì Ombra-di-tetto. «Molte leghe e innumerevoli alberi separano il mio luogo di nascita dal trono di Dietrosole. Mio padre era Liscia-baffo, uno degli Anziani della tribù della Luce di Foresta. Era un rispettabile cacciatore, e avevo anche molti fratelli e sorelle. «Quand'ero una giovane fela, disprezzavo i giovani maschi della nostra tribù, tutti vanagloriosi e presuntuosi. Quando sono arrivata alla mia stagione, mi sono tenuta lontana dalla tribù, per non essere tradita dalla mia natura che poteva procurarmi una nidiata che ancora non desideravo. Ho scoperto allora che mi piaceva stare da sola, che mi piaceva la vita solitaria del cacciatore. «Vagabondavo lontano, solitamente sola. A volte portavo con me il mio fratellino di nido, Soffianaso, uno dei pochi della Gente di Luce di Foresta di cui gradivo la compagnia.» A questo punto, Ombra-di-tetto distolse lo sguardo, rivolgendolo verso le alture della foresta per qualche momento. Quando guardò di nuovo verso Fritti, la sua espressione era calma come prima. «Lisciabaffo, che mi aveva procreato, mi prendeva in giro, talvolta, domandandosi se ero una giovane fela, oppure un gatto maschio piccolo e smilzo. Penso che fosse orgoglioso di me, però. Sapevo cacciare come qualsiasi giovane maschio, e me ne vantavo molto meno. «Un giorno decisi di andare in esplorazione verso e'a, nel Bosco di Radici. Chiesi al piccolo Soffianaso se voleva venire con me, ma non si sen-
tiva bene. Lui mi chiese di rimanere a tenergli compagnia accanto al nido, ma l'odore del mattino era troppo intenso e c'erano nuovi venti eccitanti che mi solleticavano le vibrisse, così lo lasciai e me ne andai da sola. «Non vi annoierò con un lungo racconto. Al mio ritorno, ben oltre la Quiete più profonda, trovai uno spettacolo così orribile che stentavo a credere ai miei occhi. Quasi tutti quelli della mia tribù erano morti, sbranati come se fossero stati attaccati da un branco di fik'-az. Soffianaso era tra questi. Ma nessun branco di cani avrebbe mai potuto cogliere di sorpresa la tribù di Luce di Foresta. Gli altri, quelli che non giacevano morti tutt'intorno nella foresta, erano scomparsi senza lasciar traccia. Lisciabaffo era uno di quelli scomparsi. Per molti giorni sono impazzita come un fla-fa'az che ha mangiato bacche velenose. Quando i miei sogni sono ritornati alla luce del sole, ho attraversato la foresta fino alla Prima Casa. Ho atteso a lungo di avere udienza, e quando l'ho avuta mi hanno detto che erano stati i crudeli garrin, i mangiatori di miele, a distruggere la mia gente. Ma io so che non è così. «Quando ho incontrato te e Balzalesto, ho capito che le nostre strade si erano incrociate per qualche motivo. Balzalesto assomiglia molto al mio fratellino Soffianaso, e ora è diventato mio amico. E anche per te, Acchiappacoda, non so bene perché, ma sento una certa attrazione.» Ombradi-tetto distolse lo sguardo nel pronunciare queste ultime parole. «In ogni caso, queste sono le mie disavventure, e ora penso che comprenderai i miei desideri. Partiremo insieme.» Dopo lunghi attimi di silenzio, Fritti si rivolse a Balzalesto. «E tu sapevi tutto questo?» gli domandò con voce flebile. «In parte» rispose il piccolo gatto, «ma non tutto. Perché succedono queste cose terribili, Acchiappacoda?» «Non saprei dirlo, Balzalesto.» Ombra-di-tetto alzò lo sguardo. Il fuoco che si era acceso nei suoi occhi durante il racconto si era ora affievolito. La gattina sembrava infreddolita e stanca. «È meglio che partiamo presto, oppure non partiremo più» disse in tono deciso. «L'inverno è mortalmente rigido in questa parte dei nostri campi.» Come per darle conferma, il vento ululò tra i rami sopra le loro teste. Capitolo 16 La lunga luce increspa i laghi,
e la selvaggia cascata balza trionfante. Soffiano, squillano, soffiano, selvaggi echi che volano. Soffiano, squillano, rispondono gli echi che muoiono, muoiono, muoiono. LORD ALFRED TENNYSON La neve turbinava attraverso i sentieri colonnati del Bosco di Radici. Un gruppo quasi silenzioso di gatti, tra i quali Fritti e i suoi compagni, vagava in ordine sparso tra gli alberi. Alle loro spalle, le loro impronte si riempivano lentamente di neve farinosa. Saltasteccati e il suo gruppo di volontari si stavano dirigendo verso i confini settentrionali della Prima Casa. Terrore-di-squittenti li accompagnava fino ai bordi della foresta, dove avrebbe voltato in direzione di vez'an, verso il territorio del gran Capo Erb'amara. Quando Acchiappacoda e i suoi compagni avevano chiesto di unirsi a loro, Saltasteccati si era mostrato sorpreso e Terrore-di-squittenti un po' diffidente, ma nessuno dei due aveva fatto obiezioni. «Perché mai, in nome dei Baffi di Dietro-azzurro, vuoi camminare nei territori di u'ea in questa stagione, e con una fela e un piccolo gatto, per di più, proprio non lo capisco. Comunque il pelo è tuo, mio giovane gatto» aveva borbottato il principe. I gatti arruolati da Saltasteccati erano perlopiù un'eterogenea accozzaglia di giovani cacciatori e di vecchi maschi malconci che non incontravano i favori delle fele. Uno o due, come il giovane Acciuffatopi e, naturalmente, Caccia-di-giomo e Caccia-di-notte, sembravano dare sicurezza nelle situazioni difficili, ma Acchiappacoda dubitava che gli altri si sarebbero rivelati molto utili di fronte ai "mostri con le zampe rosse" descritti da Balzalesto. Quella scombinata comitiva non dava nessuna prova della disciplina che era invece così evidente tra i Primi Camminatori, e andava alla ventura tutt'intorno mentre attraversava la foresta, ciascuno restio a rispettare il ruolo, così poco gattesco, di camminare accanto ai propri simili. Di conseguenza, quando il gruppo faceva sosta per dormire o per discutere la direzione da prendere, era necessario attendere un secolo prima che gli sbandati si riunissero, e molto spesso bisognava andare alla ricerca degli scomparsi. Nelle ore più fredde della Danza finale, la combriccola si raccoglieva insieme per avere più calore, ammucchiandosi l'uno sull'altro e distendendo-
si a casaccio come foglie morte. Un rumore improvviso provocava di solito una zampata in un occhio o sul muso di qualche compagno vicino, e le zuffe non terminavano mai. Dei tre compagni, soltanto Balzalesto sembrava divertirsi durante quel viaggio. Acchiappacoda e Ombra-di-tetto se ne stavano spesso silenziosi, immersi nei loro pensieri, soprattutto la fela, che si teneva in disparte dall'indisciplinata truppa agli ordini di Saltasteccati. E così quella strana compagnia continuava a camminare attraverso i corridoi alberati del Bosco di Radici, sopra il sottile tappeto della neve fresca... Il quinto Occhio successivo alla partenza dalla Corte di Harar, i viaggiatori si accorsero che il Bosco di Radici cominciava a diradarsi. Ben presto Terrore-di-squittenti, Acchiappacoda e i loro compagni si sarebbero separati dalla comitiva di Saltasteccati per prendere la propria strada. Per festeggiare l'ultima notte trascorsa insieme, i gatti fecero sosta sul far della sera. Trovarono un boschetto al riparo del vento, coperto soltanto da una spruzzata di bianco sul pavimento di terra, poi si divisero per andare in cerca di prede, ritornando uno dopo l'altro dopo una caccia più o meno fortunata. Ombra-di-tetto e Acchiappacoda non andarono a caccia, ma fecero invece una silenziosa passeggiata attraverso i boschi. Camminavano fianco a fianco, senza parlare, l'acre odore dell'inverno nel naso, accompagnati dall'unico rumore delle loro zampe morbide sulla neve. Mentre osservava la fela grigia che camminava con grazia al suo fianco, Fritti sentì più volte l'impulso di parlarle, di sollecitare qualche reazione dalla calma, silenziosa Ombra-di-tetto... ma non riusciva a rompere quel silenzio. Dopo essersi fermati a osservare i punti luminosi che costellavano il cielo della notte, fecero ritorno al boschetto silenziosamente come se n'erano allontanati. Anche Balzalesto, ansimante per il freddo e per l'emozione, era appena ritornato. Era andato a caccia con il principe, e a quanto pareva era riuscito questa volta a soffocare i suoi gridolini, perché la caccia aveva avuto successo. «Fa freddo, vero?» disse con un filo di voce. «Saltasteccati è un magnifico cacciatore, avreste dovuto vederci! Eccolo che arriva!» Il principe stava avvicinandosi passando in mezzo a un gruppo di altra
Gente che stava facendo ritorno, alcuni dei quali stavano ancora leccandosi i baffi. Saltasteccati si avvicinò ai tre compagni e lasciò cadere a terra davanti a loro un grasso rikcikcik. «Spero che mi farete l'onore di dividere con me la mia preda» disse, con orgoglio non molto velato. Fritti si sentiva rimescolare lo stomaco nel vedere i suoi compagni che banchettavano, ma ricordò il giuramento che aveva fatto a Snap. Questo fatto di dover mantenere le promesse, pensò malinconicamente, sembra proprio un modo di me'mre per andare avanti. Saltasteccati alzò lo sguardo, il muso fumante del sangue dello scoiattolo. «Ehi, Acchiappacoda, vecchio mio, che cosa aspetti?» domandò. «È troppo difficile da spiegare, principe. Sono onorato della tua gentile offerta, ma non posso proprio mangiare.» La volontà di Fritti sembrava più forte della sua fame, però non si sentiva sicuro di riuscire a mantenerla ancora a lungo, e si allontanò allora dai suoi compagni. «Be', che ciascuno si lecchi il proprio pelo, come dico sempre» commentò Saltasteccati filosoficamente, e affondò di nuovo il muso nel rikcikcik che stava rapidamente scomparendo. Più tardi, quando tutti i cacciatori erano ritornati, il gruppo si raccolse in un cerchio compatto, volgendo la schiena al vento che soffiava anche in quella radura ben protetta dagli alberi. A turno ciascuno raccontava e vantava le proprie imprese, e molti di coloro che Saltasteccati aveva portato con sé dalla Prima Casa si rivelarono molto abili nel raccontare e cantare storielle divertenti. «È probabile che siano più abili nel raccontare storie che a combattere» mormorò Terrore-di-squittenti ad Arruffapelo, l'unico Primo Camminatore che lo aveva accompagnato dal loro territorio fino alla Corte. Dopo qualche tempo, e molte insistenze da parte dei suoi compagni, il giovane Acciuffatopi si alzò e diede inizio a una danza. Saltellava e s'accovacciava, ora scivolava sullo stomaco, ora balzava in aria come se fosse sollevato su in cielo per il suo naso nero. A volte muoveva soltanto la coda, formando strane curve molto buffe mentre se ne stava immobile con un'espressione d'intensa concentrazione sul muso. Il gruppo di gatti lanciò grida di ammirazione quando Acciuffatopi terminò la sua esibizione, e ancora accaldato corse a rotolarsi in un mucchietto di neve. Terrore-di-squittenti che, suo malgrado, si era molto divertito alla danza
di Acciuffatopi, si alzò e si stiracchiò. Uno dei gatti della Prima Casa lo invitò a raccontare una storia. Gli altri gatti riuniti assentirono e insistettero a loro volta. «E va bene» concesse finalmente il gran Capo, socchiudendo gli occhi un attimo per pensare, «vi racconterò una storia. Non prendetevela a male se noi Primi Camminatori preferiamo le storie con un po' di carne e un po' meno di pelo.» Poi, aperti gli occhi, Terrore-di-squittenti scrollò il suo pelo arruffato e coperto di cicatrici e si mise a sedere sulle anche. «Quello che il vostro stimato principe consorte Danzarugiada ha raccontato di Noveuccelli e della sua deforme progenie mi ha fatto venire in mente qualcosa. Voi sapete come successe che l'uo'mo, il servo, e az-iri'le, noi della Gente, ci siamo scontrati la prima volta? È una vecchia storia, ma non è raccontata molto spesso a Corte, scommetto.» Nessuno, tranne Saltasteccati e qualche vecchio maschio, aveva mai sentito questa storia. Il principe disse che non ricordava come andava a finire. «Già, ma per noi Primi Camminatori è un'abitudine ricordare cose come queste» replicò Terrore-di-squittenti, con un lieve sorriso. Nella foresta inesplorata, sempre camminando, passava il signore Zampa-di-fuoco, solo e senza casa... intonò Terrore-di-squittenti con voce cantilenante, Per molte stagioni aveva viaggiato lontano dalla Prima Casa, cercando ed esplorando in terre disabitate, sotto cieli sconosciuti, dove la Gente mai s'era avventurata. Dopo qualche attimo di silenzio, il Capo cominciò a raccontare: «Ai tempi del principe Forte'artiglio, durante il lungo e felice regno della regina Frusciavento, il nostro Signore Zampa-di-fuoco stava cacciando nelle profondità meridionali del Bosco di Radici. Era da molti inverni che
viveva nelle regioni solitarie e da molte stagioni non vedeva nessuno della Gente. Aveva corso con la visl, aveva lottato col poderoso garrin, aveva inseguito il rapido praere. Sentiva la mancanza dei suoi simili, ma aveva giurato di non fare più ritorno alla Corte di suo padre finché Ventobianco non fosse stato vendicato. «Un pomeriggio incontrò un altro gatto che passeggiava ai bordi del Bosco di Radici, il più bell'esemplare della Gente che avesse mai visto: Come l'estate, la coda ondeggiava calda, finissimo il pelo, nella brezza soffiava. Limpido l'occhio, e flessuoso il passo: come uno spirito apparve a Zampa-di-fuoco. «La sua splendida creatura aveva il colore del grano che ondeggia nei vasti campi al di là del Qu'cef, morbido e ondulato il pelo come le nuvole di gatto sopra Nido di Sole. «"Qual è il tuo nome, bella creatura?" domandò il nostro signore Zampadi-fuoco. «"Il mio nome è Fior-di-vento" rispose lo sconosciuto, con una voce dolce come l'acqua d'un ruscello. "E tu chi sei?" «"Non mi conosci?" domandò il Primo Nato. "Io sono Tangaloor Zampa-di-fuoco, figlio di Occhio-d'oro e di Danza-in-cielo, cacciatore ed esploratore del Primo Sangue!" «"Mi sembra molto bello" osservò Fior-di-vento, sollevando la sua zampa delicatamente affusolata. "Ti piacerebbe passeggiare con me per un po'?" «Il signore Zampa-di-fuoco era colmo di ammirazione per la bellezza di Fior-di-vento, e andarono a passeggiare insieme. A lungo passeggiarono, balzando e ridendo, Zampa-di-fuoco e il morbido Fior-di-vento.
Era estasiato, il Primo Nato finché la terribile storia non apprese. «"Fior-di-vento, hai molti fratelli in casa tua?" domandò Zampa-difuoco dopo un po' di tempo. «"No, io vivo in un'abitazione dell'Uo'mo. Nessun altro della Gente divide il mio nido." «"È strano, perché sento un odore di maschio, anche se molto lieve. Forse siamo seguiti?" Zampa-di-fuoco si guardò intorno incuriosito, mentre camminava sulle sue fiammeggianti zampe rosse. «"Non mi sembra" rispose dolcemente Fior-di-vento. "Sei tu l'unico maschio, oltre a me, che ho visto in tutto il giorno." «Zampa-di-fuoco si voltò di scatto, stupefatto. "Ma tu non sei una fela?" ululò. "Ma come può essere? Sotto ogni aspetto tu non sembri un maschio!" Il Primo Nato era davvero sconvolto. «"Oh già" rispose Fior-di-vento imbarazzato, "dev'essere per quello che mi ha fatto la Gente dell'Uo'mo. Sgomento, Zampa-di-fuoco guardò a lungo, poi vide la verità di ciò che Fior-di-vento aveva detto. Tutta la virilità gli era stata tolta, cambiato era stato in una mezza-fela. «"Ah, l'Uo'mo!!!" gridò il nostro Signore Zampa-di-fuoco. "Stirpe traditrice di Noveuccelli! Ha violentato la nostra Gente! Mi vendicherò di loro, un giorno!" Così detto, corse via nella foresta, lasciando per sempre il mutilato Fior-di-vento. Così parlò Zampa-di-fuoco: maledetti i Grossi,
usciti dalla luce del sole, siano per sempre. Ora i servi si fanno padroni, ma la vera-Gente mai sarà conquistata. «Ed è così che i Primi Camminatori, per ordine del nostro Signore Zampa-di-fuoco, mai cammineranno all'ombra dell'Uo'mo.» Terminato il suo racconto, Terrore-di-squittenti si distese tra Arruffapelo e Saltasteccati. Seguì qualche momento di silenzio, carico di tensione, poi il principe prese la parola. «Be', nemmeno io ho mai tenuto in gran conto questa gente stiracchiata e senza pelo. Una bella storia, davvero bella.» Tutti si rilassarono e molti andarono a congratularsi con Terrore-disquittenti per il suo racconto. Seguirono altri aneddoti e canti, finché tutti, compreso il sovreccitato Balzalesto, furono così stanchi da cadere addormentati. Anche Fritti, pur con la testa piena di pensieri di Zampafelpata, Zampadi-fuoco e artigli rossi, varcò la soglia del mondo dei sogni. La matassa pelosa della Gente si appisolò e trascorse russando le ultime ore della Danza finale. Nell'Ora delle Ombre più piccole, i viaggiatori si trovavano a scendere verso i margini del Bosco di Radici, tra le ultime macchie di conifere e di pioppi che dividevano l'antica foresta dalle alture rocciose che sovrastavano la valle di Gratt'Harar. In quel punto la comitiva del principe avrebbe insediato il suo posto di guardia di confine, mentre gli altri avrebbero proseguito per la loro strada. Il sole splendeva in cielo, anche se faceva ancora freddo. Quando si fermarono ai margini della foresta, poterono vedere le pianure, macchiate di fogliame e coperte da una spruzzata di neve, che si estendevano davanti a loro fino all'ingresso dell'imponente vallata. Il principe Saltasteccati, voltandosi verso i Primi Camminatori Terroredi-squittenti e Arruffapelo, chinò la testa per congedarsi da loro. «Ci incontreremo ancora, e buona danza, gran Capo» augurò. «Dovrai vedere me per primo, quando sarà terminata la riunione dei Capi, prima di sprecare le
tue notizie con quei vecchi scaldacoda laggiù a Corte. Ricorda che io sono il primo ad apprezzare le tue parole.» «Molte grazie, principe» rispose Terrore-di-squittenti in tono grave. «Fa piacere sapere che i veri cuori battono ancora nell'antica casa della nostra Gente.» Il Primo Camminatore rivolse poi lo sguardo ad Acchiappacoda e ai suoi due compagni. «Accompagneremo noi questi tre, Arruffapelo e io, per un breve tratto, finché le nostre strade si separeranno. Che il nostro Signore Zampa-di-fuoco vegli su di voi, Saltasteccati.» Poi si allontanò a rispettosa distanza insieme con Arruffapelo, mentre Fritti, Balzalesto e Ombra-di-tetto si facevano avanti per congedarsi a loro volta. Alla vigilia della partenza per territori sconosciuti e, a quanto pareva, infausti, Acchiappacoda era dispiaciuto di lasciare la compagnia di Saltasteccati. Sapeva che avrebbe sentito molto la mancanza di quel principe burbero e generoso. Quando tentò di parlare, le parole non gli uscirono dalla gola e dovette fingere di strapparsi un ricciolo dalla coda, mentre Ombra-di-tetto si faceva avanti per ringraziare Saltasteccati del suo aiuto. «Buona Danza, principe» soggiunse Balzalesto. «Ho visto tante cose affascinanti, là alla Prima Casa, e non le dimenticherò mai. Sei stato meraviglioso con noi.» «Balza ha parlato anche per me» soggiunse Fritti in tono sicuro. «Ti dobbiamo molto.» Saltasteccati scoppiò a ridere. «Fango di Palude! Anch'io vi sono debitore... se non altro per le notizie che avete portato sui territori verso e'a. Tenetevi alla larga dai guai, questa sarà la mia ricompensa.» Gli altri gatti al seguito di Saltasteccati si fecero avanti a loro volta per dare il loro rauco commiato. Mentre si allontanava con gli altri, Acchiappacoda trovò infine le parole e si voltò per gridare al principe: «Principe Saltasteccati! Tieniti anche tu al sicuro, e ti auguro ogni felicità!» «Non ti preoccupare, piccolo amico» tuonò il cacciatore. «Ho perlustrato questi confini prima ancora di avere l'età per avere il nome. Non devi aver timore per noi!» Poi il principe e il suo seguito scomparvero ai margini della foresta. Il sole era basso nel cielo mentre i cinque gatti scendevano le pianure digradanti. Terrore-di-squittenti, con l'aiuto di Arruffapelo, stava descrivendo il territorio che si trovava avanti a loro. «In realtà» stava dicendo, «dovreste
procedere verso nord anziché nella direzione che stiamo prendendo adesso, se volete attraversare il Gratt'Harar. È da quella parte che si trova il guado. Ma penso che dovreste venire con noi un po' più avanti, fino a vedere il Brontola-Ruggisce. Merita una mezza giornata di viaggio in più, e in realtà non è molto distante dalla vostra strada.» Mentre camminavano, il sempre curioso Balzalesto interrogò il Capo sulla storia che aveva raccontato la sera precedente e sull'atteggiamento dei Primi Camminatori nei confronti della Corte di Harar. «Dopo tutto» domandò, «non è forse vero che moltissimi gatti vivono con l'Uo'mo, nell'abitazione dell'Uo'mo? Che cosa c'è di male?» Il coriaceo vecchio Capo prese la domanda con buona grazia. Sembrava che nessuno se l'avesse mai a male con Balzalesto, pensò divertito Acchiappacoda, fatta eccezione per i tassi e i visl. «Il fatto, giovane cacciatore» rispose Tenore-di-squittenti, «è che noi siamo la Gente, mica Ringhiami che hanno bisogno di chi dà loro da vivere, che vanno a caccia in branco e scodinzolano a tutti quelli che danno loro da mangiare. La Gente è sempre vissuta col suo ingegno e la sua capacità, ha sempre fatto la Danza della tena senza l'aiuto di nessuno. Ora la metà di noi vive in una grassa indolenza, gatti svirilizzati e prigionieri, ma indifferenti, Gente che si alza soltanto per mangiare quello che le danno i figli di Noveuccelli.» Anche se si sforzava di mantenersi calmo, il muso segnato di cicatrici del Capo rivelava l'intensità delle sue emozioni. «E ora» proseguì, «questo veleno si è insinuato perfino nella Corte in cui viveva un tempo il nostro signore Zampa-di-fuoco. Danzarugiada e quel suo insopportabile fatalismo! È sbagliato! Tutti possono capire che un gatto deve correre, deve cacciare... E la Regina! Tangaloor mi perdoni, mangia addirittura in una ciotola, come se fosse una di quei brutti goffi e ottusi che abbiamo cacciato via innumerevoli generazioni fa. La regina della Gente non va nemmeno a caccia!» Tenore-di-squittenti tremava ora di repressa indignazione, e dopo qualche attimo scosse la testa. «Non dovrei lasciarmi prendere dalla collera» soggiunse in tono di rammarico, «ma in questi tempi di grave pericolo, vedere questi miagolanti parassiti che se la spassano, mentre i nostri simili vengono sterminati... be', perdonatemi...» Poi il gran Capo rimase in silenzio e per molto tempo gli altri lo imitarono. I viaggiatori si avvicinarono al Brontola-Ruggisce verso il termine del Sole che si distende. Lì, sul bordo del Gratt'Harar, l'aria fredda era densa di
brume turbinanti. Tutt'intorno si udiva un sordo brontolio. Terrore-di-squittenti, che non parlava più da molto tempo, apparve improvvisamente rianimato. «Questo è uno spettacolo che potete descrivere a generazioni non ancora nate» disse a Ombra-di-tetto. Ai bordi della valle il rumore si faceva sempre più forte, fino a divenire assordante. Fritti si ritrasse. Evidentemente, il nome Brontola-Ruggisce era stato scelto appropriatamente. La foschia era così fitta in quel punto che Terrore-di-squittenti decise di far loro strada attraverso il Sussurro di Fusa, nei pressi della sua discesa al di là del bordo del Gratt'Harar. Mentre attraversavano quelle rocce scivolose, lambite dall'acqua del Sussurro di Fusa, che non era più il placido corso d'acqua che scorreva accanto alla Prima Casa, ma schiumeggiava sotto a loro, Fritti ripensò per un attimo con rammarico a tutte le volte che si era lasciato condurre dagli altri da quando aveva lasciato la sua casa. Una conclusione degna di tutto questo ridicolo viaggio, pensò: finire in acqua ed essere trascinato alla morte dal più tranquillo dei fiumi in tutti i campi di Meerclar. Riuscirono però ad attraversarlo, e perfino Balzalesto evitò di cadere in acqua. Là sul bordo della scogliera, potevano vedere il Sussurro di Fusa che saltava al di là del precipizio, precipitando perpendicolarmente giù per la parete della valle in un'ondata di schiuma bianca, turbinando e tuffandosi oltre le rocce nelle acque dell'imponente Gran Miagolio, molto, molto al di sotto. L'acqua s'innalzava dall'impetuoso fiume che scorreva sul fondo del Gratt'Harar, e da dove erano accovacciati potevano vedere il sole che calava scintillando attraverso la cortina di nebbia e frantumava il cielo in frammenti lucenti d'oro, rosso e porpora. Le cascate del Brontola-Ruggisce ululavano come una belva inferocita, mentre i gatti lo guardavano intimiditi e affascinati dalla sua potenza. Quando il Buio che si distende ammantò infine il sole, Terrore-disquittenti fece loro strada lungo la riva del Sussurro di Fusa, lontano dal precipizio della scogliera. Quando il ruggito della cascata s'affievolì in un lontano rimbombo, si fermarono. Ancora impressionati dall'imponente spettacolo del Brontola-Ruggisce, Acchiappacoda e i suoi amici non si accorsero subito che Arruffapelo e il gran Capo si accingevano a congedarsi da loro. «Mi dispiace non potervi guidare più avanti» disse Terrore-di-squittenti, «ma siamo ormai in ritardo di molti soli all'appuntamento dei Capi. Vi suggerisco di proseguire lungo la parete della vallata, come vi ho detto
prima, e di guadare a Saltostretto. Sarebbe meglio attendere che il sole sia alto prima di guadare, anche se arriverete lì questa notte, perché è una strada infida.» Si lasciarono subito, perché i Primi Camminatori avevano fretta di proseguire il cammino. «Ricordate» si raccomandò Terrore-di-squittenti al momento del congedo, «le terre in cui ora vi avventurate hanno una funesta fama di questi tempi. Siate prudenti. Vorrei poter fare di più per voi, ma ormai avete posato le zampe in terre sconosciute, e chissà che cosa può succedere?» Così detto, il Capo e il suo compagno si separarono da loro. Per quasi due ore, i tre compagni si diressero verso est, seguendo il bordo del Gratt'Harar. Tutti erano immersi nei loro pensieri. Quando arrivarono al massiccio albero che s'ergeva solitario sul bordo della valle, segnando il punto più vicino al guado di Saltostretto, si acciambellarono in silenzio e s'addormentarono. Fritti non fece sogni. Capitolo 17 Chi veglia nella solitudine quando è calata la notte, immaginandosi signore di tutta la terra, può vedere ciò che non c'era al calare del sole, e tremando arriverà a comprendere il pencolo che gli è passato accanto nel buio... Orme... nella sabbia. ARCHIBALD RUTLEDGE La luce del giorno rivelò il guado di Saltostretto, uno stretto ponte naturale di rocce che scavalcava ad arco il Gratt'Harar. La parete opposta della valle era così lontana che il Saltostretto sembrava svanire nel nulla a metà del percorso. Balzalesto puntò preoccupato lo sguardo verso l'altra sponda. «Be', immagino che dovremo attraversare, vero Acchiappacoda?» Fritti annuì. «Se non attraversiamo qui, dovremo tentare di scendere tutto il Gratt'Harar e attraversare il Gran Miagolio al suo inizio. Non credo che ce la faremmo.» «È l'unica strada che abbiamo, adesso» osservò pacatamente Ombra-ditetto. «Terrore-di-squittenti ha detto che sono leghe e leghe di cammino per arrivare in fondo alla valle. Non credo, comunque, che questa sia la co-
sa peggiore che ci aspetta. Vogliamo andare?» Acchiappacoda osservò attentamente la fela. Non credo che sia calma come vuole sembrare, pensò. I baffi mi dicono che anche lei ha paura, forse più paura di noi. Ma di coraggio ce n'è ogni tipo, immagino. «Ombra-di-tetto ha ragione, Balza» disse Fritti a voce alta. «Proviamo.» Superata la grande quercia, le cui radici sembravano ancorare un'estremità del ponte ad arco, Fritti prese la guida del gruppo. Balzalesto lo seguiva e Ombra-di-tetto chiudeva la fila, guardandosi cautamente intorno. Il guado di Saltostretto era più ampio di quanto sembrava da lontano, abbastanza per permettere ai tre gatti di camminare fianco a fianco, e all'inizio il cammino fu abbastanza facile. La pioggia e il freddo avevano però lasciato chiazze di ghiaccio sulla pietra, così che Acchiappacoda e i suoi amici dovevano avanzare lentamente e con molta prudenza. Percorso un tratto del ponte, le pareti della valle cadevano a strapiombo sotto di loro e il ruggito del Gran Miagolio si alzava sempre più forte riempiendo l'aria. Il cammino era sempre più insidioso e il rumore del fiume sommergeva quasi tutti i suoni. I tre gatti attraversavano il canyon in fila indiana e senza parlare, come bruchi su un esile ramo. Verso la metà del ponte di pietra, Fritti sentì il vento che dal fondo della valle saliva turbinando intorno a lui, strappandogli quasi il pelo, e le sue improvvise folate lo costrinsero a fare ancora qualche passo malfermo. Poi si fermò e si voltò lentamente verso i suoi compagni. Balzalesto era un salto o due alle sue spalle, Ombra-di-tetto seguiva il gattino a breve distanza, con un'espressione di ferma concentrazione sul suo grave muso grigio. Mentre Acchiappacoda rimaneva in attesa, Balzalesto si fermò a sua volta, scrutando giù nel Gratt'Harar dall'alto del ponte. «Acchiappacoda! Ombra-di-tetto!» gridò al di sopra del vento. «Vedo uno stormo di uccelli sotto di noi! Sotto di noi! Siamo più in alto degli stessi fla-fa'z!» Eccitato com'era, Balzalesto si sporse ancora di più per godersi quella sensazione. Fritti sentì il cuore che gli si gonfiava di paura, come se stesse soffocandolo. «Balza! Stai lontano da lì» ringhiò. Balzalesto, spaventato, saltò indietro dal bordo e scivolò sulla pietra sdrucciolevole. Ombra-di-tetto, che ora si trovava proprio dietro il gattino, lo afferrò lestamente per la collottola. Il suo morso, forte e sicuro, lo fece miagolare di dolore, ma la gatta mantenne la presa finché le zampe di Balzalesto non trovarono ancora una solida presa. Poi Ombra-di-tetto rivolse ad Acchiappacoda un tale sguardo che
questi si voltò senza dire parola e riprese il cammino interrotto. Nel tratto discendente del ponte, anche Ombra-di-tetto perse l'equilibrio per un attimo a causa di una forte folata di vento, ma riuscì ad accovacciarsi e a mantenersi salda finché il pericolo non fu passato. Intanto il Gran Miagolio continuava a ululare e rumoreggiare sotto quelle tre minuscole creature sospese su un sottile arco di pietra al di sopra delle sue acque impetuose. Quando raggiunsero finalmente la sponda opposta, i tre compagni crollarono a terra con le gambe tremanti e lì rimasero un po' di tempo prima di poter riprendere il cammino. Il paesaggio all'altro capo del guado di Saltostretto era uniforme e desolato. Davanti a loro si estendeva una massa di rocce e di zolle di terriccio macchiate di sterpi e di arbusti pendenti. Mentre si allontanavano dal ponte rastremato e dal ruggito del Gran Miagolio che s'affievoliva alle loro spalle, il freddo silenzio della terra si levava intorno a loro come una nebbia. Oltre agli uccelli, che di quando in quando passavano silenziosamente sopra le loro teste, non c'erano altri segni di vita animale. Il vento che ululava oltre il muso e i baffi di Acchiappacoda portava soltanto aria gelida e un vago odore di nebbia del fiume. Anche Balzalesto annusava incuriosito il vento, poi si voltò verso Acchiappacoda per avere conferma delle sue sensazioni. «Non sento odore di nessun'altra Gente, Acchiappacoda. Non sento odore di nient'altro.» «Lo so, Balza» rispose Acchiappacoda guardandosi intorno. «Non è certo il luogo più ospitale che abbia mai visitato.» Ombra-di-tetto rivolse a Fritti uno sguardo eloquente e soggiunse: «Sono sicura che troveremo vita nella foresta del Foglia di Topo, quanto meno nelle sue profondità». Fritti rifletté su quello sguardo. Forse non vuole che spaventi Balzalesto, pensò. Mentre camminavano, Fritti si accorse di una vaga sensazione di fastidio, qualcosa di inquietante che avvertiva ai margini della sua sensibilità. Era un lieve ronzio o un mormorio, ma era sottile e inconsistente come il rumore di un alveare a mille leghe di distanza. Eppure lo sentiva, e anche se quasi impercettibilmente, si faceva sempre più forte. Quando si fermarono a riposare dietro un masso che li riparava dal vento, Fritti domandò ai suoi compagni se avvertivano anche loro quella sensazione. «Non ancora» rispose Ombra-di-tetto, «ma prevedevo che tu l'avresti
sentita per primo. È un bene che tu riesca a sentirla.» «Che cosa vuoi dire?» domandò Fritti perplesso. «Hai sentito quello che hanno detto Terrore-di-squittenti e Saltasteccati. C'è qualcosa che succede in queste regioni deserte, ed è per questo motivo che siamo qui. Meglio che lo senta tu, prima che questo qualcosa senta noi.» «Che cos'è questo qualcosa?» domandò Balzalesto, con lo sguardo acceso e incuriosito. «Non lo so» rispose Ombra-di-tetto, «ma è qualcosa di brutto. Qualcosa di os, in un senso che non ho mai avvertito prima. L'ho sentito, forse, quando sono ritornata alla casa della mia Gente. Se dobbiamo addentrarci in questo territorio, e siamo qui per questo, non dovremmo almeno ingannarci su questo punto.» Mentre Ombra-di-tetto parlava, lo sguardo limpido e la schiena eretta, Fritti non poté fare a meno di domandarsi come poteva essere quella gattina prima della morte della sua tribù. Era una cacciatrice, su questo non c'erano dubbi, ma il suo sguardo duro e acuto sembrava causato dal dolore più che da altri motivi. Sarebbe mai stata capace di danzare o di ridere? Sembrava strano a dirsi, eppure l'aveva vista giocare col piccolo Balzalesto. Forse, un giorno sarebbe stata più felice. Acchiappacoda se lo augurò. Camminarono ancora un po', quella sera, e quando l'Occhio di Meerclar fu alto sulle loro teste, si fermarono per riposare. Il ronzio che non era un vero e proprio suono era ora più vicino, più insistente, e anche Balzalesto e Ombra-di-tetto potevano sentire qualcosa, come una corrente appena sotto la superficie. Dopo aver tentato di cacciare qualcosa, ma senza successo, i tre gatti si arresero alla desolazione di quel luogo e si acciambellarono tutti insieme in una matassa di pelo per dormire. Acchiappacoda liberò il naso imprigionato sotto una zampa posteriore di Balzalesto e annusò l'aria ancora assonnato. L'Occhio era scivolato sotto l'orizzonte e la rugiada dell'Ora della Danza finale gli bagnava il muso. Qualcosa l'aveva svegliato, ma che cosa era? Sforzandosi di non destare i suoi compagni addormentati, Fritti sollevò la testa in mezzo al groviglio dei loro corpi caldi, come un hlizza che si innalza sulle sue spire. Il ronzio, quella strana pulsazione che sentiva fin nelle ossa, aveva ora cambiato intensità, si era fatto più vibrante, non più vicino, ma più acuto.
Avvertì una strana, penetrante sensazione. Nelle tenebre intorno al loro cerchio di calore, qualcosa li stava osservando. Acchiappacoda si raggelò con la testa immobile, avvertendo, nonostante la paura, la scomodità della sua posizione. Improvvisamente, come se fosse caduto nell'acqua gelata, sentì come un'ondata di solitudine che lo sommergeva, ma non era la sua solitudine. Qualcosa, qualche creatura aveva indosso questo senso di terribile isolamento come una pelle, e Fritti poteva sentirlo intensamente, come se quella tormentata creatura fosse stata lì, accanto a lui. Ricordò allora il gatto del suo sogno, che ruotava perennemente attraverso il buio, irradiando intorno a sé un senso di gelida disperazione. Era la stessa sensazione? Mentre pensava all'incubo dell'erba gatta, quella sensazione scomparve. Il ronzio era di nuovo una lenta pulsazione, e la solitaria landa intorno a loro era deserta. Fritti poteva sentire, anche se non sapeva perché, che chi li osservava se n'era andato. Svegliò gli altri, che ascoltarono ancora assonnati il suo eccitato racconto, ma dopo un certo tempo divenne evidente che qualsiasi cosa fosse stata non sarebbe ritornata per quella notte. I tre gatti ritornarono allora al loro inquieto sonno. Dopo aver camminato per qualche tempo alla luce del sole del mattino seguente, giunsero in vista della collina. Stavano scendendo attraverso una pianura rocciosa, verso un'ampia valle poco profonda, che si stendeva davanti a loro fino ai piedi di una catena di alte montagne, così lontane da sembrare soltanto forme indistinte contro il cielo. Era ricominciato a nevicare, e mentre la neve si posava fluttuando sul loro mantello, i tre gatti si fermarono a osservare, al di là del fondo screpolato e grigiastro della valle, quella protuberanza cresciuta come un fungo nel suo mezzo. La collina, bassa e massiccia, si elevava sul terreno arido come il guscio di un enorme insetto grigiastro. Mentre scendevano lungo il bordo della valle, i viaggiatori sentirono improvvisamente aumentare quella sensazione. Fritti si ritrasse istintivamente, il pelo ritto, Balzalesto e Ombra-di-tetto scossero la testa come se fossero frastornati da un rumore molesto. «Ecco!» sussurrò Acchiappacoda in preda al panico, sentendosi mancare il fiato. «È vero» assentì Ombra-di-tetto. «Abbiamo trovato la fonte di molti problemi.» Balzalesto si era ritratto di parecchi passi indietro, ed era ora accovacciato, gli occhi sbarrati e il piccolo corpo percorso da tremiti. «È un nido»
disse a bassa voce, «è un nido, e quelle cose che ci sono dentro ci pungeranno, ci pungeranno!» Cominciò a piagnucolare sommessamente, e allora Ombra-di-tetto, anch'essa con passo un po' malfermo, gli si avvicinò accarezzandolo col muso dietro l'orecchio per confortarlo. Poi alzò lo sguardo con aria interrogativa. «E ora che cosa facciamo, Acchiappacoda?» domandò. Fritti scosse la testa perplesso. «Non ne ho la minima idea. Non mi sarei mai aspettato... una cosa simile. Ho... ho paura.» Rivolse lo sguardo a quell'enorme, silenziosa collina e rabbrividì. «Anch'io, Acchiappacoda» replicò Ombra-di-tetto, e il tono della sua voce richiamò lo sguardo di Fritti. Lei gli restituì lo sguardo e l'ombra di un sorriso le passò sul muso, con una lievissima vibrazione dei baffi. Qualcos'altro passò tra loro. Fritti, imbarazzato, si avvicnò allora a Balzalesto. «Sta' tranquillo, piccolo amico» gli disse, annusandogli il muso. Il gattino odorava di terrore, il corpo tremante, la coda cespugliosa arrotolata tra le gambe. «Non ti preoccupare, Balza, non permetteremo chi ti succeda niente.» Fritti non prestava nemmeno ascolto alle proprie parole, ma fissava ancora lo sguardo al di là della valle. «Bene, qualsiasi cosa si decida di fare, ora dobbiamo muoverci di qui» fece osservare Ombra-di-tetto. «Il vento si sta alzando di nuovo e qui siamo completamente esposti. E non soltanto al vento.» Fritti capì che aveva ragione. Erano lì, nudi e indifesi come cimici su una pietra piatta. Fece un cenno di assenso, e tutti e due tentarono di convincere il loro piccolo compagno ad alzarsi. «Su, andiamo, Balzalesto, cerchiamo un posto migliore per distenderci un po', poi ci penseremo.» Anche Ombra-di-tetto si era avvicinata per confortare il gattino. «Non ci avvicineremo, Balzalesto... non adesso. Non voglio trascorrere le ore del Buio vicino a quell'os-collina in nessun caso.» Il piccolo gatto, finalmente convinto a muoversi di lì, si mise in cammino in mezzo a loro, e iniziarono una lunga marcia lungo il bordo della vallata. Lungo i margini della valle, girando intorno alla collina come piccoli pianeti in orbita intorno a un grigio sole spento, i tre compagni camminavano silenziosamente tenendosi vicini. Quando il sole si alzò nel cielo, stendendo una luce velata nella valle, alcune macchie d'alberi apparvero in fondo alla grande conca. Una vasta distesa di alberi si estendeva in lonta-
nanza. «Dev'essere il Foglia di Topo» disse Ombra-di-tetto. Acchiappacoda trasalì al suono così alto della sua voce dopo un lungo silenzio. «Sembra molto distante» soggiunse la gatta, «ma lì troveremo sicuramente rifugio.» «Certamente» convenne Fritti. «Vedi laggiù, Balza? Pensa, alberi da graffiare, Squittenti da cacciare: c'è tutto!» Balzalesto gli rispose con un sorriso forzato e mormorò: «Grazie, Acchiappacoda. Lì starò benissimo». Poi proseguirono il cammino. Verso la fine delle Ombre più piccole, uno stormo di grossi uccelli scuri volò sopra le loro teste. Uno di questi si distaccò dagli altri e scese volteggiando sopra di loro. Aveva occhi lucenti e lucide piume nere. Si librò pigramente per qualche momento proprio sopra le loro teste, poi, dopo aver lanciato un acuto stridio di derisione, si alzò di nuovo in volo per raggiungere i suoi compagni, e con questi scomparve gracchiando alla vista. Mentre il Sole che si stende era ormai giunto alla fine, arrivarono abbastanza vicini alla foresta Foglia di Topo per distinguere le cime dei singoli alberi che svettavano sopra il bordo della valle. Col rapido calare della notte, sembrava aumentare la sensazione di pericolo che proveniva da quel cumulo immerso nell'ombra sul piano della vallata. Acchiappacoda sentiva aumentare dentro di sé le pulsazioni, e solo ripetendo continuamente tra sé la preghiera dei Primi Camminatori riusciva a vincere l'impulso di mettersi a correre fino a cadere a terra esausto. «Tangaloor, di fuoco acceso...» mormorava tra sé, «zampa fiammante, grande camminatore...» Balzalesto e Ombra-di-tetto non sembravano avvertire intensamente quanto lui quella sensazione, tuttavia erano anch'essi tesi ed esausti. La foresta era ormai completamente visibile e si stendeva per molte leghe al di là della conca della valle. Sembrava molto calda e accogliente. Quando il sole cominciò infine a calare, delineando le vette degli alberi con la sua luce dorata, i tre compagni affrettarono il passo, spingendo i loro corpi a uno sforzo ancora maggiore. Quando il sole scomparve sotto il più lontano orizzonte della foresta, lasciando nel cielo soltanto il suo alone rossastro, si alzò un vento freddo e tagliente che sferzava il muso e appiattiva il pelo dei tre compagni di viaggio. Acchiappacoda, seguito a fatica da Balzalesto e da Ombra-di-tetto, affrettò ancora il passo. Il ronzio si faceva sempre più intenso e lo faceva sentire sempre più inquieto. Un panico diffuso, indefinibile, sembrava incalzarlo. Uno dopo l'altro, i tre compagni si diedero alla fuga.
Salirono al galoppo il ripido pendio esterno della valle, arrivando finalmente in cima per vedere dall'alto i bordi del Foglia di Topo. Ormai incuranti di tutto, tranne che di quel senso di oppressione sempre più forte che li assillava, scesero precipitosamente la piccola altura e attraversarono di corsa la pianura rocciosa, per scomparire finalmente sotto le fronde della foresta. La foresta di Foglia di Topo era addormentata, o così sembrava. Una quiete tenebrosa, stagnante, incombeva nell'aria. Quando Acchiappacoda e i suoi compagni si inoltrarono stancamente tra gli alberi, il silenzio della foresta pesava su di loro quanto la loro stessa stanchezza. Una volta al riparo degli alberi, Fritti e Balzalesto desideravano soltanto lasciarsi cadere a terra lì dov'erano, ma Ombra-di-tetto osservò che era importante trovare un posto che fosse più protetto dal freddo e più nascosto. Anche se la collina era ora scomparsa alla vista, non era svanita dal loro ricordo, e pur gemendo per la stanchezza, seguirono il suggerimento della fela e s'inoltrarono ancor più nella foresta. Mentre si facevano strada sull'umida terra grassa, tra il muschio e i funghi del bosco, i tre gatti mantenevano il silenzio che li circondava. La testa china, il passo lento, si fermavano frequentemente arricciando il naso agli odori sconosciuti della foresta di Foglia di Topo. L'umidità pervadeva tutto, la terra e le cortecce intrise d'acqua e gocciolanti: tutta la foresta aveva l'odore delle radici immerse nell'acqua stagnante sotto terra. L'aria era così fredda da far fumare l'alito. Soltanto al termine del Buio che si distende i viaggiatori trovarono un riparo dal vento, offerto da un alto masso di granito e dalle radici di un albero caduto. Caddero subito addormentati e nulla disturbò il loro sonno, ma quando si svegliarono verso la metà della più profonda Quiete, intirizziti e affamati, non si sentivano molto riposati. Non avevano ancora incontrato tracce di creature più grosse degli insetti, e dopo un'infruttuosa ricerca i tre gatti dovettero accontentarsi di un pasto di larve e di scarafaggi. Anche se tutti si sentivano inquieti, Acchiappacoda era particolarmente nervoso e agitato. Quelle pulsazioni della collina, anche se erano notevolmente diminuite da quando erano nella foresta di Foglia di Topo, continuavano ad assillarlo. E poi, a differenza dei suoi amici, non aveva partecipato al banchetto dello scoiattolo offerto da Saltasteccati, ed erano ormai due interi giorni che non faceva un pasto che potesse dirsi soddisfacente.
Mentre inghiottiva l'ultimo scarafaggio, Acchiappacoda sbottò. «Bene, eccoci qui, su questo non c'è dubbio. E nemmeno c'è dubbio che sono stato io a portarvi sull'orlo del precipizio. Bene, mi auguro che vi farà piacere seguirmi ancora mentre faccio una completa figura di Uo'mo! Magari vi piacerebbe anche seguirmi dentro quella collina, così che saremmo tutti orribilmente dilaniati.» Diede una zampata a una ghianda di quercia e rimase a osservarla mentre ruzzolava lontano. «Non dire queste cose, Acchiappacoda» lo rimproverò Balzalesto, «non sono vere.» «È vero, Balzalesto» replicò Fritti con amarezza. «Il più grande cacciatore Acchiappacoda è arrivato alla fine della caccia.» «L'unica cosa vera che hai detto, Acchiappacoda» intervenne Ombra-ditetto con insolita veemenza, «è che abbiamo trovato quello che stavamo cercando. Ed è qualcosa che Saltasteccati, Terrore-di-squittenti e gli altri non possono dire. Abbiamo trovato l'origine del terrore.» «A quanto pare, anche il capo Caccia-nei-cespugli l'ha trovata, e avete sentito che cosa gli è successo! Meerclar ci protegga!» Acchiappacoda era però un po' più calmo, adesso, e pur imbronciato com'era, alzò lo sguardo verso i suoi compagni. «D'accordo, ma il problema rimane: che cosa dobbiamo fare?» Balzalesto guardò i due gatti più anziani, poi propose timidamente, a bassa voce: «Penso che dovremmo ritornare dal principe per informarlo. Lui saprà che cosa fare». Fritti stava per fare obiezioni, quando intervenne Ombra-di-tetto: «Balzalesto ha ragione. Noi abbiamo sentito l'os in quel posto. Noi tre siamo troppo pochi e troppo piccoli. Se pensiamo che spetti a noi da soli affrontare tutto questo, sarebbe un atto di arroganza superiore anche a quello di Noveuccelli.» La fela scosse la testa, con i suoi verdi occhi pensosi. «Se chiamiamo qui gli altri, non mancheranno certo di scoprire quello che noi abbiamo scoperto. E forse, allora, la forza della Corte di Harar si farà sentire in qualche modo.» Si alzò in piedi, confondendosi con le altre ombre della foresta. «Su, ritorniamo alle radici dell'albero finché non c'è il sole. Di certo, non ho intenzione di andare in nessun posto, questa notte.» Acchiappacoda guardò la fela grigia con ammirazione. «Come il solito, parli con un po' di buon senso in più di quanto ne ho mostrato io. E anche tu, Balzalesto.» Poi sorrise al suo giovane amico. «Per Harar! Sono contento che non mi abbiate lasciato partire solo, con la mia stupida testa!»
Nell'Ora che precede l'alba, Fritti non riusciva a dormire. Ombra-di-tetto e Balzalesto avevano accessi di tosse e borbottavano nel sonno, mentre Acchiappacoda stava disteso in mezzo a loro, lo sguardo fisso verso le cime scure degli alberi, i nervi tesi come la corda di un arco. Di quando in quando scivolava in un breve, sognante dormiveglia, dal quale si risvegliava improvvisamente, con la sensazione di essere esposto al pericolo, preso in trappola, col cuore che gli batteva forte in petto. La notte si consumava. La foresta era sempre immobile come pietra. Acchiappacoda stava vagando sulle soglie del sogno quando udì un rumore. Si mise distrattamente in ascolto per qualche attimo, mentre questo si faceva più forte, poi si accorse d'improvviso che qualcosa stava arrivando correndo verso di loro attraverso la boscaglia. Balzò sulle zampe e con uno strattone svegliò i suoi amici ancora intontiti dal sonno. «Sta arrivando qualcosa!» sibilò, arruffando il pelo. Il rumore aumentava. Il tempo sembrava rallentato, ogni attimo si dilatava in un'angosciosa eternità. Una figura irruppe fuori dalla boscaglia, a pochi balzi di distanza. Irsuta e malconcia, gli occhi fuori dalle orbite, l'apparizione uscì con uno schianto all'aperto. Illuminata dall'Occhio che trapelava tra i rami degli alberi, sembrò impiegare un tempo infinito per arrivare fino ai tre compagni. Acchiappacoda, paralizzato dal panico, aveva la sensazione di essere sommerso dall'acqua. La bizzarra figura si arrestò bruscamente con uno scivolone. La luce dell'Occhio illuminò tutta la sua faccia per un attimo. Era la faccia di Mangiapulci. Prima che Fritti, esterrefatto, potesse muoversi o dire una parola, Mangiapulci rovesciò indietro la testa e ululò come una gelida bufera d'inverno: «Correte, correte!» gridò il gatto matto. «Stanno arrivando! Correte!!» Balzalesto e Ombra-di-tetto scattarono sulle zampe. Come per confermare le parole di Mangiapulci, un tenibile urlo soffocato salì dalle tenebre dei boschi più avanti. Con un balzo, Mangiapulci passò oltre Acchiappacoda e i suoi compagni e scomparve. Un altro terribile gemito squarciò l'aria. Con istintive grida di terrore, i tre compagni gli corsero dietro, gettandosi a capofitto nella foresta, lontano da quelle urla spaventose. Acchiappacoda aveva la sensazione di vivere un incubo, tra il lampeggiare della luce dell'Occhio e le tenebre che quasi lo accecavano, la figura di Mangiapulci quasi indistinta davanti a lui tra le rocce e le radici che si alzavano tutt'intorno. La foresta sembrava scorrere precipitosamente dietro
di lui. Poteva sentire Balzalesto e la fela correre affannosamente al suo fianco. Continuavano a correre, senza pensare a cercare un riparo o un nascondiglio, ma soltanto a fuggire, a fuggire! Ora al suo fianco c'era soltanto Balzalesto, che ansimante spingeva con tutte le forze le sue corte zampe di gattino in un parossismo di terrore. Fritti lo stava distanziando, e senza pensarci rallentò il passo, voltandosi per incalzarlo. In quel momento udì uno schianto sopra le loro teste e qualcosa balzò giù dagli alberi. Acchiappacoda sentì artigli acuminati che penetravano nella sua schiena, la dilaniavano, poi fu scaraventato a terra e il suo ka precipitò nel buio più completo. Capitolo 18 Vidi davanti a me il mio giorno infausto. Il sole si alzò fosco su di noi il mattino, sprofondò in una cupa nuvola la sera e sembrava una palla di fuoco. FALCO NERO Un altro impatto doloroso riportò Fritti nel mondo della veglia. Ferito ed esausto, giaceva con gli occhi chiusi. Poteva sentire la pioggia battente che cadeva su di lui, inzuppandogli il pelo. Il colpo improvviso (era stato abbattuto? spinto?) gli aveva mozzato il fiato nel petto. Mentre aspirava avidamente l'aria nei polmoni, gli arrivò un odore che gli fece formicolare la pelle, odore di terra fredda e di sangue dolciastro, e insieme un acuto, penetrante profumo di muschio animale. I suoi muscoli si contrassero istintivamente e un dolore acuto gli percorse la schiena e le spalle. Trattenne un grido di dolore. Lentamente, cautamente, aprì un occhio, ma lo chiuse subito sotto la gelida pioggia battente. Dopo qualche attimo riprovò ad aprirli. Al di là della punta offuscata del suo naso, poteva vedere la faccia malconcia e inzaccherata di Mangiapulci, che stava rannicchiato per terra accanto a lui, e al di sopra dell'arco della sua schiena intravvide anche un pezzo della coda lanugginosa di Balzalesto. «Ecco, ve l'avevo detto che la piccola larva si sarebbe svegliata. E ora se lo può trascinare da solo, quel suo corpo maledetto dal sole.» Acchiappacoda trasalì involontariamente a queste parole che suonavano così vicine alla sua testa. La voce parlava nella lingua del Canto supremo
in un tono impacciato, balbettante, pieno di note dissonanti e di difetti di pronuncia. La sua eco cupa risuonava con violenza. Le orecchie appiattite sulla testa, Acchiappacoda si voltò molto lentamente a guardare dietro la spalla. Qualcosa di grande e di orribile incombeva dall'alto. Tre gatti stavano guardando dall'alto Fritti e i suoi compagni che giacevano sulla terra bagnata. Erano molto grossi, non meno di Caccia-digiorno e di Caccia-di-notte, i compagni di Saltasteccati, ma avevano un aspetto ben diverso, sbagliato, non quello che doveva avere la Gente. Il loro muso era come quello dei serpenti, con la fronte piatta e gli zigomi larghi, le orecchie tese indietro sul cranio. Tre paia di occhi lo guardavano da quelle facce, occhi enormi e infossati che bruciavano di un fuoco inestinguibile. I loro corpi muscolosi erano tesi, allungati e possenti, e terminavano con larghe zampe a spatola con... gli artigli rossi, simili a uncini color del sangue. Acchiappacoda sentiva il cuore che batteva di paura. Una di queste bestie gli si avvicinò socchiudendo i suoi strani occhi. Al pari dei suoi due compagni, era di un nero fuligginoso, con qualche pallida chiazza di colore sbiadito sotto la pancia. «Alzati, me'mre» gli ringhiò. «Sei stato trasportato fin troppo, adesso. Da adesso saltellerai sulle tue zampe, altrimenti assaggerai i miei denti» soggiunse, snudando le acuminate zanne che aveva in bocca. «Hai capito?» Detto ciò, la creatura si chinò sopra Fritti. Il suo alito aveva odore di putrefazione. Fritti sentì la morsa del terrore che gli scendeva dalla gola allo stomaco, e riuscì soltanto a muovere debolmente la testa. «Bene. E ora tu e i tuoi miserabili compagni potete alzarvi.» Acchiappacoda, incapace di sostenere ancora quel terribile sguardo, lanciò un'occhiata ai suoi compagni. Ora poteva vedere la faccia di Balzalesto, che era sveglio, ma mostrava un'espressione sgomenta e intorpidita. Il gattino non ricambiò lo sguardo di Fritti. «Ehi, tu!» Acchiappacoda si voltò di nuovo. «Stai bene a sentire: quando io dico "in piedi" è meglio per te che ti metti in piedi. È Gratt'artiglio che parla, un capo delle Zampe-da-guardia. Non avete ancora perso le vostre miserabili budella solo perché mi piacete, pìccole cimici! E ora in piedi!» Fritti si alzò faticosamente sulle zampe. Sulla schiena sentiva qualcosa di più denso e più caldo della pioggia che gli bagnava il pelo. Sentiva disperatamente il desiderio di lisciarsi il pelo, di pulirsi le ferite, ma la paura era troppo forte.
Gratt'artiglio sibilò alle altre due bestie: «Lungazanna! Mordisvelto! Il sole vi frigga! Non state lì impalati, fateli alzare a calci, questi lumaconi! E se c'è da mordere qualche orecchio, fate pure... Al Grasso non importerà molto se non sono così belli a vedersi!» Gratt'artiglio esplose in una risata, stridente e ansimante che feriva l'udito di Acchiappacoda. Le altre due Zampe-da-guardia andarono a tirare in piedi Balzalesto e Mangiapulci, che erano sempre rimasti in silenzio. Per la prima volta da quando era ritornato nel mondo della veglia, Fritti si guardò intorno. Erano ancora nel Foglia di Topo, a quanto pareva, tra file di alberi che si stendevano ovunque nella notte. Una pioggerella fitta filtrava attraverso i rami degli alberi e il terreno era intriso d'acqua come una spugna. Mentre i tre compagni venivano sospinti in una lenta marcia, Acchiappacoda non riusciva a pensare ad altro: Ecco, sto andando alla morte. Non sono riuscito a trovare Zampafelpata e ora muoio senza riuscirci. Morire, sto per morire. Poi, mentre una delle Zampe-da-guardia lo incalzava con feroci zampate sulla testa e sui fianchi, Fritti si domandò: Dove è Ombra-di-tetto? Anche se Fritti aveva la sensazione di camminare da un'eternità, l'odore dell'aria gli diceva che era soltanto la metà della Danza finale. Era trascorso davvero così poco tempo da quando lui, Ombra-di-tetto e Balzalesto erano accucciati insieme al caldo? Guardò il suo piccolo amico che zoppicava accanto a lui. Povero Balzalesto, si disse, se non fosse venuto... Mentre guardava quella piccola figura lacera e malconcia, sentì per la prima volta una vampata di un sentimento sconosciuto, l'odio. Quelle enormi bestie deformi che li tormentavano con ringhi e zampate erano qualcosa di tangibile, ed essendo reali potevano essere odiate. Dove stavano andando? Dove li conducevano quelle creature? Fritti lo sapeva fin troppo bene: verso la collina. Qualche cosa era riuscito a scoprire, quanto meno: che faccia avesse il male. Questo pensiero sembrava confortarlo un po', anche se Fritti non capiva perché. Era inutile farsi troppe domande, però, perché sapeva, e il pensiero gli ritornò in mente, che stava andando a morire. Mangiapulci, che guidava la fila, aveva cominciato a borbottare tra sé. Acchiappacoda non riusciva a capire una sola parola di quel rabbioso brontolio, e a quanto pareva, nemmeno le Zampe-da-guardia. Dopo qualche momento, cessarono di prestargli attenzione, ma Fritti poteva sentire qual-
cosa che stava crescendo dentro quel pazzo gatto, una tensione che stava gonfiandosi, e questo lo preoccupava. A un tratto Mangiapulci si rivolse con un grido rabbioso a Lungazanna, la guardia che gli era più vicina. «Strisciante!» urlò il vecchio gatto scarmigliato. «Il tuo canto fa schifo! Li conosco bene, il tuo sporco e il tuo buio!» Lungazanna, digrignando i denti per la sorpresa, fece un passo indietro, quasi impercettibilmente, e allora Mangiapulci balzò lontano da lui attraverso gli alberi. Acchiappacoda senti il cuore che gli balzava in gola. La bestia delle Zampe-da-guardia rimase sconcertata soltanto per qualche battito di cuore, poi con un ruggito balzò all'inseguimento di Mangiapulci. Lo raggiunse in pochi attimi e dopo aver gettato il gatto malconcio nel fango, gli saltò sulla schiena. Si udì un grido lacerante, non si capiva di quale dei due, poi, incredibilmente, Mangiapulci si alzò e affondò gli artigli sul muso di Lungazanna. I peli incrostati di fango di Mangiapulci erano ritti come spilloni mentre si faceva avanti, e per un attimo sembrò diventare più grosso e più forte. Poi, quando Lungazanna si riebbe dalla sorpresa e ritornò alla carica, Acchiappacoda vide Mangiapulci quale era realmente: un vecchio gatto, annebbiato dalla follia, alle prese con un mostro grosso il doppio di lui. Lungazanna sferrò una zampata violentissima sul muso di Mangiapulci mentre erano avvinghiati, e il vecchio gatto si afflosciò sul terreno fangoso, grondante di sangue dal naso, e li rimase immobile in silenzio. La Zampa-da-guardia, sibilando come un hlizza, balzò avanti per azzannarlo alla gola, ma si alzò allora la voce stridente di Gratt'artiglio. «Fermati, altrimenti ti strappo gli occhi!» Lungazanna, con gli occhi ardenti ora offuscati dalla sete di sangue, esitò per un attimo. Mostrò le zanne, poi si voltò a guardare il suo capo. Gratt'artiglio ridacchiò con una voce secca, come screpolata. «Bene!» esclamò. «Il vecchio bavoso ti ha fatto scemo, è così?» Lungazanna guardò il suo capo senza dissimulare il suo odio, ma non si avvicinò a Mangiapulci. «Quasi ce la faceva a scappare, eh?» lo derideva Gratt'artiglio. «È stata colpa tua, e quindi lo trasporterai tu per un bel pezzo. Augurati che quel vecchio, patetico pelle-di-topo respiri ancora, perché il Grasso li vuole vivi tutti quanti, almeno finché non li avrà visti. Che cosa pensi che ti farebbe se non fosse possibile, amico mio?» sogghignò Gratt'artiglio. Lungazanna, spaventato, si allontanò dal corpo inerte di Mangiapulci. «Magari ti darebbe alle Zanne-da-guardia, non credi? Be', non sarebbe davvero piacevole!» Lungazanna rabbrividì e distolse lo sguardo dal suo capo. Poi, cautamente, si avvicinò al vecchio gatto e lo annusò, quindi lo
sollevò tra i denti. «Molto bene» soggiunse Gratt'artiglio, facendo un cenno a Mordisvelto che nel frattempo aveva assistito agli eventi senza muoversi. «Andiamo. L'Occhio di fuoco si aprirà tra poco. Dovremo arrivare alla Bocca d'occidente in metà del tempo.» Fritti e il suo giovane amico erano spinti avanti, sempre diritto, senza possibilità di rallentare il passo. La pioggia ininterrotta era ora più fitta, inzuppando il loro pelo e trasformando in un pantano scivoloso i sentieri della foresta. Quando sembrava che la situazione non potesse essere peggiore per i prigionieri, la pioggia si trasformò in grandine. Fritti, sentendo sulla pelle i colpi pungenti dei chicchi di grandine, ricordò i rikcikcik e il loro attacco dall'alto degli alberi. L'attacco della grandine era però incessante e il suo corpo era già infreddolito e spossato. Quando Fritti e Balzalesto tentarono di deviare leggermente dal percorso, per trovare maggiore protezione sotto gli alberi, Gratt'artiglio e i suoi compari li sospingevano di nuovo sul sentiero. Quei bestioni simili a gatti erano insensibili alla grandine, o quanto meno così pareva, e sembravano aver fretta di arrivare a qualche importante appuntamento. Fritti e Balzalesto, mesti e silenziosi, proseguivano il cammino a testa bassa. Le prime tracce dell'alba cominciavano a schiarire l'orizzonte a vez'an, e le Zampe-da-guardia erano sempre più agitate. Improvvisamente, a un impercettibile ordine di Gratt'artiglio, Mordisvelto balzò avanti e scomparve dentro una macchia di felci. Tutti rimasero in attesa nel cupo silenzio del Foglia di Topo. Poi la testa di rettile di Mordisvelto ricomparve e fece un solo cenno. Gratt'artiglio diede un sommesso grugnito di soddisfazione. «E ora, miserabili Squittenti, entrate dentro quei cespugli!» Lungazanna, che trasportava ancora il corpo inerte di Mangiapulci tra i denti, seguì Mordisvelto nel groviglio di arbusti. Dopo un attimo di esitazione, durante il quale soppesò la possibilità di fuggire verso la libertà, per poi rendersi conto che non sarebbe mai riuscito a sfuggire a Gratt'artiglio, Acchiappacoda seguì le Zampe-da-guardia. Balzalesto, lo sguardo sempre fisso davanti a sé, lo seguì zampettando. Forse ci uccideranno qui, pensò. Acchiappacoda si sentì improvvisamente rassegnato alla morte, quasi sollevato al pensiero di poter abbandonare la lotta. In fila indiana, chiusa dal capo delle Zampe-da-guardia, si inoltrarono contorcendosi e a capo chino in mezzo a quell'intrico di liane e rami pen-
denti. Con gli occhi semichiusi, per proteggerli dalle spine davanti a sé, Acchiappacoda per poco non precipitò a capofitto dentro il buco che si aprì improvvisamente davanti a lui. Era un buco largo e buio, un budello che scendeva tortuosamente dentro le viscere della terra, scomparendo rapidamente alla vista. Balzalesto scrutò l'imboccatura della galleria al di sopra della spalla di Acchiappacoda, gli occhi sgranati da un muto terrore. La sua bocca si aprì per un attimo, ma ne uscì soltanto un flebile miagolio. Gratt'artiglio spinse da parte gli utlimi rami. «Bene» esclamò, «e ora scendete lì dentro, striscianti di superficie, altrimenti dovrò spingervi io.» La sua figura deforme incombeva sopra loro con i suoi occhi fiammeggianti. Fritti non sapeva che cosa fare. Forse sarebbe stato meglio morire all'aperto, piuttosto che essere ucciso come un tasso dentro quel buco. Ma nel guardare Gratt'artiglio, sentì riaffiorare il suo odio e desiderò vivere ancora un po'. Perché l'enorme Zampa-da-guardia doveva condurli dentro quella galleria per ucciderli? Forse era vero quello che il capo aveva detto poco prima a Lungazanna. Avevano sempre qualche speranza di fuggire, se fossero rimasti in vita. Bene, concluse Acchiappacoda, immagino di non avere altra scelta. Mentre scendeva cautamente giù nel buco nero, si voltò a guardare Balzalesto. Il gattino era così terrorizzato che stava arretrando dall'ingresso della galleria, preparandosi a scappar via. Acchiappacoda si spaventò. Gratt'artiglio, con un'espressione impaziente sul suo muso di bruto, stava per fare qualcosa. Mentre Fritti esitava, incerto sul da farsi, il capo delle Guardie allungò i suoi artigli rosso-sangue. Spinto all'azione, Fritti balzò avanti, schivando un'improvvisa zampata di Gratt'artiglio, e spinse il recalcitrante Balzalesto verso il buco. Terrorizzato, il gattino cominciò a miagolare divaricando le zampe per opporre resistenza e affondando le unghie dentro la terra umida. «Non aver paura, Balzalesto, non aver paura» Acchiappacoda sentì dire dalla propria voce, «devi avere fiducia in me... non lascerò che ti facciano male. Su, andiamo, dobbiamo scendere.» Detestava se stesso per dover costringere l'atterrito gattino a scendere in quel buio, pauroso budello. Spingendo e strappando con i denti, riuscì ad allentare la presa di Balzalesto e con lui iniziò poi la discesa dentro le tenebre. Capitolo 19
E come un pauroso, rapido fiume, attraverso la nebulosa porta, irrompe fuori un'orribile moltitudine, e ride, ma non sorride mai più. EDGAR ALLAN POE Le pareti e il suolo del cunicolo erano umide. Radici biancastre e brandelli di altre cose che Fritti non si curava di riconoscere, si estendevano dal soffitto di terra. Mentre si allontanavano dall'ingresso della galleria, la luce s'affievoliva a poco a poco e sarebbe scomparsa completamente se non fosse stato per una lieve fosforescenza del suolo che ricopriva il budello. Scendevano sempre più giù, in quella debole luce spettrale, come spiriti di gatti che camminavano nel vuoto tra le stelle. Una volta sceso sotto terra, Balzalesto riprese il suo atteggiamento rassegnato e quasi privo di vita. Il terriccio argilloso sotto di lui s'appiccicava e s'incrostava tra i cuscinetti delle zampe. Il silenzio era assoluto. Dopo un po' di tempo raggiunsero le altre due Zampe-da-guardia, Mordisvelto e Lungazanna, che portava ancora tra i denti il suo informe fardello. E così Fritti e Acchiappacoda proseguivano il cammino, circondati davanti e dietro dagli artigli rossi, sopra e sotto dall'umido terriccio compatto. Per Fritti era impossibile calcolare il trascorrere del tempo. Il gruppo dei catturatoli e dei catturati continuava a camminare, ma quel terreno sempre uniforme non cambiava mai, e il cupo, nauseante riverbero della galleria non aumentava né s'affievoliva mai. Sempre più s'inoltravano nelle profondità, senza alcun suono oltre al loro respiro e a qualche incomprensibile parola che si scambiavano talvolta le Zampe-da-guardia. Acchiappacoda aveva la sensazione di essere da sempre dentro quel buco nero. Cominciava a scivolare dentro e fuori il mondo dei sogni. Pensava ai Vecchi Boschi, ai raggi del sole che penetravano di traverso illuminando il piano della foresta... pensava di correre con Zampafelpata attraverso l'erba meravigliosamente fragrante, solleticante, di rincorrere ed essere rincorso, di crollare infine a terra per fare un sonnellino nel tepore dell'estate. Il viscido, improvviso contorcimento di un lombrico che strisciava sotto le sue zampe lo richiamò bruscamente alle tenebre della galleria. Poteva udire il rauco ansito del respiro di Gratt'artiglio. Si domandò se avrebbe mai più rivisto la luce del sole.
Alla fine, la fame ebbe il sopravvento sui sogni a occhi aperti di Fritti, il quale cominciò a prestare maggiore attenzione ai vermi che si contorcevano nella terra umida del budello. Dopo alcuni tentativi, riuscì a catturarne uno, e con una certa difficoltà a inghiottirlo mentre camminava. Era terribile non potersi fermare mentre mangiava, ma temeva le conseguenze, se avesse rallentato il passo. Anche se non era stato facile, si sentiva un po' meglio dopo quel boccone, e non appena poté catturò un altro verme e mangiò anche quello. Tentò di offrire un altro verme a Balzalesto, ma il gattino non gli prestò nemmeno attenzione. Dopo alcuni inutili tentativi di fargli inghiottire il viscido boccone, Fritti rinunciò e se lo mangiò. La galleria cominciava ora a salire. Dopo qualche tempo, la comitiva arrivò in una piccola caverna sotterranea, non più larga di un paio di balzi, ma col soffitto molto alto. All'interno della caverna, l'aria circolava un po' più liberamente, e quando Gratt'artiglio li fece fermare, Fritti fu felice di distendersi per riprendere fiato e far riposare le zampe indolenzite. Cominciò stancamente a pulirsi le zampe dalla maggior parte delle incrostazioni di fango e di pietre, poi passò la lingua sulla ferita sulla spalla. Il sangue si era seccato e il pelo era incrostato, così che la ferita gli doleva mentre la puliva. Balzalesto era seduto immobile accanto a lui, come paralizzato, e quando Fritti si voltò per lisciargli il pelo, lo lasciò fare senza aprire bocca. Gratt'artiglio e le altre due guardie stavano confabulando sommessamente all'altro capo della caverna. Poi Lungazanna si avvicinò ai due compagni e lasciò cadere accanto a loro il corpo inerte di Mangiapulci. Poi, a un cenno di Gratt'artiglio, si voltò e scivolò su per la galleria all'ingresso opposto della caverna. Mordisvelto e il suo capo distesero i loro grossi corpi nodosi sul suolo dell'antro, osservando i loro prigionieri. Fritti decise che l'atteggiamento migliore era quello di ignorarli per quanto possibile, e continuò a pulire il pelo di Balzalesto e a leccare le molte ferite e abrasioni del giovane amico. Mangiapulci emise a un tratto un gemito e si agitò, ma non si destò dal sonno. Dopo un po' giunse un miagolio soffocato dalla direzione in cui Lungazanna era scomparso. A un ordine di Gratt'artiglio, emesso con un ringhio sommesso e un brusco cenno del capo, Mordisvelto scomparve a sua volta nella galleria, ancor prima che quei suoni cessassero di echeggiare tra le pareti di calcare del cunicolo. Poi seguì un certo trambusto su nel corridoio, durante il quale Fritti poté udire le voci di Lungazanna e di Mordisvelto che discutevano tra loro. Dopo un po' le due guardie ricomparvero nella caverna trascinando un grosso fardello inerte. Gratt'artiglio si alzò e
si avvicinò con le zampe divaricate per esaminare quello che avevano portato. «L'ho trovato nella galleria laterale che esce all'aperto sulla parete della valle, capo» soggiunse Lungazanna, sogghignando con la lingua penzoloni. «Proprio come tu avevi annusato. L'ho preso mentre guardava dall'altra parte, poi ho dovuto trascinarlo giù alla svelta, prima di essere bruciato dall'Occhio di fuoco. Per il nostro padrone è bello grosso, non ti pare?» Detto ciò, Lungazanna si voltò e si pulì orgogliosamente una ferita sul fianco. Interessato, nonostante tutto, Acchiappacoda si allungò in avanti, scrutando nella fioca luce della caverna. Il fagotto che le due Zampe-daguardia avevano trascinato dentro doveva essere qualche animale, e la sua figura raggomitolata emise un lungo gemito di dolore. Gratt'artiglio lanciò un'occhiata a Fritti. «Vieni qui a dare un'occhiata, piccolo Squittente fangoso» gli disse. «Non aver paura, questo qui non può farti male!» Il capo esplose in una risata che echeggiò sulle pareti di roccia della caverna. Acchiappacoda avanzò cautamente verso di lui. Sull'umido pavimento di pietra era disteso un grosso Ringhiante che sanguinava da numerose ferite al ventre e al muso. Mentre Acchiappacoda allungava lo sguardo oltre Gratt'artiglio, il cane aprì gli occhi e alzò uno sguardo annebbiato. Era grosso come le Zampe-da-guardia, e Fritti rimase impressionato e sgomento al pensiero che uno di quei gatti mostruosi potesse catturare da solo un fik'az di quelle dimensioni. Il Ringhiante batté le palpebre, tentando vanamente di scacciare il sangue dagli occhi, e uggiolò penosamente. L'animale doveva avere qualcosa di rotto all'interno e stava morendo. Afflitto e sgomento, Fritti si voltò per ritornare nel suo angolo. Lungazanna alzò lo sguardo dalla ferita che stava leccando e domandò a Gratt'artiglio: «Non dobbiamo dare niente a questi, vero?» indicando Fritti e Balzalesto. Gratt'artiglio guardò i due compagni, Fritti circospetto e nervoso, Balzalesto silenzioso e paralizzato dalla paura. «Dobbiamo soltanto portarli vivi a Vastnir. Non c'è nessun bisogno di dividere con loro i nostri bocconcini.» Detto ciò, Gratt'artiglio affondò le sue unghie scarlatte nella pancia del fik'az, sviscerandola con un rapido colpo. Poi, nonostante le strazianti grida di dolore che non cessavano, la Zampa-da-guardia cominciò a mangiarlo. Fritti si arrotolò intorno a Balzalesto, sforzandosi di non udire quelle grida.
Quando le Guardie ebbero terminato il loro pasto, cospargendo il suolo della caverna dei loro macabri avanzi, si addormentarono. Per prudente ordine di Gratt'artiglio, Mordisvelto e Lungazanna distesero i loro corpi gonfi di cibo davanti agli ingressi della caverna. Una volta arrotolati sul dorso per dormire, con le zampe in alto, i due riuscivano effettivamente a precludere ogni via di fuga. Acchiappacoda poteva soltanto rimanere disteso impotente accanto a Balzalesto e Mangiapulci, mentre i bestioni digerivano la loro preda. Fritti non sapeva da quanto tempo stava disteso accanto ai suoi due compagni silenziosi, ascoltando i borbottii della digestione dei loro guardiani. Cadde infine in un sonno inquieto dal quale fu svegliato da uno strano rumore. Sulle prime, ancora intorpidito dal sonno, pensò che stesse morendo e che i corvi fossero scesi dal cielo per scarnificare le sue ossa, gli sembrava di udirli tutt'intorno, mentre si disputavano accanitamente i bocconi più prelibati. Le loro voci erano rauche, basse e fredde... Poi, quando fu completamente sveglio, si mise in ascolto dei lugubri suoni che riempivano la caverna, ma non erano le voci dei corvi. Sempre distesi sul dorso, appoggiati alle pareti di umida pietra della caverna, le Zampe-da-guardia stavano cantando: Giorno verrà, sulla collina, in cui nessuna luce brillerà sulla terra, e dal profondo, dove dormono i Vecchi, la nostra Gente striscerà fuori senza rumore... Non più nascondersi per attendere la notte, non più ripararsi dalla calda luce del giorno. Il sole morirà, e tutti noi voleremo in alto, per cacciare e azzannare... Il sole, il sole,
il sole morirà e morendo scivolerà fuori dal cielo. E nelle tenebre noi prenderemo tutto ciò che ci manca. Il sole morirà... E quelle voci orribili continuavano il loro spaventoso canto, invocando le tenebre, l'odio e la rivincita, la notte che scendeva sul mondo, il sangue sulla pietra e sulla terra, e la Gente della collina che si sollevava ed estendeva su tutto il loro dominio. Accanto a Fritti, Mangiapulci aprì di scatto gli occhi. Fece per sollevarsi, poi ricadde indietro e rimase ad ascoltare, senza muoversi né parlare, il canto che continuava a trascinarsi. Acchiappacoda lo vide scrollare la testa incrostata di fango e di sangue, stancamente, faticosamente, poi chiudere gli occhi di nuovo. Il canto delle Zampe-da-guardia sembrava non avere mai fine. Dopo un po' di tempo, Acchiappacoda cadde di nuovo in un sonno opprimente, pesante come pietra. Capitolo 20 Ah! La Morte si è eretta un trono, in una strana città solitaria, lontano, là nel fosco Occidente... EDGAR ALLAN POE Al di là della caverna, le gallerie sembravano divenire più calde. Fritti sapeva che al di sopra era inverno, che cadevano la neve e la gelida pioggia. Lì, sotto terra - e a quale profondità, Fritti non sapeva - l'aria era densa di calore e di umidità. Mangiapulci si era alzato e camminava. Borbottava sommessamente tra sé, mentre camminava, ma non mostrava altri segni di resistenza ai suoi guardiani. Lungazanna, col muso non ancora guarito dalle ferite che Mangiapulci gli aveva inferto, si divertiva molto a tormentare il vecchio gatto, che resisteva coraggiosamente a tutti i tentativi di provocazione del guardiano.
Trascinandosi sulle zampe divenute di piombo, Acchiappacoda cominciò a sentire di nuovo le pulsazioni della collina. Lì, sottoterra, era una sensazione diversa, era una vibrazione che penetrava più profondamente nelle ossa e nei nervi. Le pulsazioni della collina sembravano più sommesse e più continue, più penetranti, ma stranamente più naturali. Acchiappacoda capì che stavano avvicinandosi alla loro destinazione. «Riesci a sentirlo, non è vero?» Quella voce aspra e gracchiante fece trasalire Fritti. Gratt'artiglio lo stava seguendo da vicino, osservando con i suoi maligni occhi gialli ogni suo movimento. «Ho capito che hai cominciato a sentire il canto di Vastnir. Hai sensi molto acuti, vero, piccola cimice?» Il capo delle guardie si accostò ad Acchiappacoda. La sua figura massiccia e muscolosa incombeva su Fritti e lo intimidiva tanto da rendergli difficile la parola. «Io... io sento qualcosa» balbettò Fritti. «L'ho già sentito prima... quand'ero sulla terra.» «Bene» soggiunse Gratt'artiglio con un'occhiata maligna, «non sei forse tu quello più furbo? Non ti preoccupare... ci sarà qualcuno che presterà molta attenzione a un giovane gatto furbo come te, là dove stiamo andando, magari più attenzione di quanta ti farebbe piacere.» Poi, con un freddo, sarcastico sogghigno che mise in mostra le sue rade zanne, il capo delle Zampe-da-guardia rallentò di nuovo il passo per rimanere alle spalle di Fritti. Il giovane gatto sentiva prudere e formicolare la pelle intorno ai baffi. Non aveva nessuna voglia che qualcuno, o qualcosa, si interessasse a lui più di quanto già succedeva. Affrettò il passo per raggiungere Mangiapulci e Balzalesto che camminavano silenziosamente davanti a lui. La terra sotto i suoi piedi pulsava. Poco dopo la galleria cominciò ad allargarsi. Ogni centinaio di balzi, la compagnia passava davanti a diramazioni della galleria o a caverne, ma era difficile distinguerle perché sembravano soltanto antri scuri nella parete della galleria principale. L'aria era sempre più calda, di un caldo umido che prostrava Fritti e i suoi compagni. Mangiapulci scrollava la testa da una parte e dall'altra, come per liberarsi da qualcosa che l'avvolgeva. «Eccoci qui, di nuovo nei buchi... mai più, mai più...» Il vecchio gatto matto alzò uno sguardo implorante, dapprima verso l'apatico Balzalesto, poi verso Fritti, che poté soltanto scrollare la testa. «Tutto questo bimbum-bam, tutto questo masticare e biascicare... non si può... non si può...»
Mangiapulci distolse lo sguardo e ricominciò a borbottare da solo. Acchiappacoda diede una lieve spinta con la testa a Balzalesto. «L'hai sentito, Balza? Che cosa pensi di tutto questo? Qualcosa che fa rizzare i baffi, non è vero?» Fritti attese vanamente una risposta, poi provò di nuovo. «Che storie avremo da raccontare, eh?, quando saremo ritornati al Muro degli Incontri? Pensi che la Gente ci crederà?» Dopo qualche attimo, Balzalesto alzò la testa e guardò Fritti con occhi mesti. «Dov'è la mia amica Ombra-di-tetto?» domandò. La sua voce era così sommessa che Acchiappacoda dovette tendere le orecchie per afferrare le parole. «La troveremo, Balza, te lo prometto. Lo giuro sul mio nome di coda, ce ne andremo da qui e la troveremo!» Il gattino lo guardò per qualche attimo con espressione perplessa, poi abbassò di nuovo lo sguardo per terra. Per gli occhi e le orecchie di Danza-in-cielo, imprecò Fritti tra sé, quando la smetterò di fare promesse che non ho la minima possibilità di mantenere? Eppure, pensò, devo trovare qualcosa da dire a Balzalesto. Ha l'aria di uno che sta per lasciarsi andare nei Campi dell'aldilà da un momento all'altro. Quanto meno, sono riuscito a tirargli fuori qualche parola. In quel momento Acchiappacoda si accorse che il rumore nella galleria era cambiato. Sotto il rumore quasi impercettibile dei loro passi, gli sembrò di distinguere una fievole eco di voci, voci di gatti, ma molto lontane. Mordisvelto, il guardiano che gli era più vicino, si voltò e sibilò: «Saremo a casa tra breve. È anche casa tua, per un po' di tempo, comunque». Infine il sentiero sotterraneo si allargò di nuovo e scese più in giù. Le pulsazioni erano ora costanti e quasi familiari, e le voci che Fritti aveva distinto poco prima risuonavano sempre più forti. Poi, quando sembrava che da un momento all'altro stessero per arrivare alla sua fonte, Gratt'artiglio arrestò la processione. «E ora» annunciò, fissando Fritti e i suoi compagni con uno sguardo cupo, «stiamo per entrare in Vastnir attraverso una delle Porte minori. Se fate qualche tentativo di fuga, vi strapperò a pezzi, e mi farebbe molto piacere. E nel caso che pensiate di mettere alla prova la fortuna» soggiunse, socchiudendo gli occhi in direzione di Mangiapulci, il quale distolse nervosamente lo sguardo, «anche se foste così veloci e astuti da sfuggirmi, e ne dubito molto, finireste col desiderare di essere morti sotto i miei artigli, ve lo assicuro. Le Zampe-da-guardia non sono i peggiori, tra gli abitanti della Collina di Vastnir.»
Poi Gratt'artiglio si rivolse agli altri due guardiani. «In quanto a voi due, ricordate che nessuno deve interferire, in particolare le Zanne-da-guardia. I prigionieri devono rimanere con noi fino a mio nuovo ordine, capito? Sarà meglio così.» Seguirono tutti Gratt'artiglio giù per la galleria e poco dopo, voltata una curva, si trovarono in un ampio spiazzo davanti alla porta. In fondo alla galleria, si stagliavano contro un'intermittente luce verdazzurra due enormi Zampe-da-guardia, silenziose e terrificanti, ancora più grosse delle creature che avevano catturato Fritti. Sui due mucchi di terra, ai lati dell'ingresso di cui stavano a guardia, erano posati due crani. Uno era di un enorme Ringhiante, con le cavità orbitali cupe come il dolore, l'altro era il cranio di un grosso animale con le corna. Tutte e quattro le sentinelle rivolsero impassibili lo sguardo ad Acchiappacoda e ai suoi compagni quando varcarono la soglia. Mentre passava sotto l'ingresso ad arco della galleria che s'inoltrava nelle profondità di Vastnir, Fritti fu colto da una strana sensazione. Come gli era già successo durante l'incubo dell'erba gatta, cominciò ad avvertire una sensazione di bruciore sulla fronte. Qualsiasi cosa fosse, però, né i suoi amici né le Zampe-da-guardia se ne accorsero. Al di là della soglia, apparve loro una visione che sarebbe rimasta indelebile nella mente di Acchiappacoda finché fosse vissuto. Davanti a loro si estendeva una vasta caverna con un soffitto alto quanto le cime degli alberi del Bosco di Radici. Era illuminata dalla fosforescenza della terra che avevano già incontrato nella galleria e anche da un lieve riverbero azzurrino delle pietre che si protendevano dal soffitto roccioso. Quella luce spettrale trasformava tutto quanto c'era nella caverna in fantasmi e in ombre evanescenti. Al di sotto, sul suolo della caverna, innumerevoli gatti si muovevano avanti e indietro come termiti dentro un pezzo di legno marcio. Per la maggior parte sembravano comuni gatti della Gente, anche se la loro espressione era così disperata e infelice che sembravano quasi appartenere a un'altra razza. Tra loro si muovevano le Zampe-da-guardia, pesanti e corpulente, che impartivano ordini a quelle orde che sciamavano come insetti avanti e indietro. Era come un orribile incubo della Prima Casa, pensò Fritti. Il fetore di paura, di sangue, di me'mre non interrati si sollevava con le calde correnti d'aria e gli riempiva le narici, soffocandolo. Gratt'artiglio li spinse ringhiando attraverso la caverna, oltre le rocce sporgenti e il terreno
caldo e umido. Si facevano strada attraverso le file di gatti, sfiorando quella Gente che non alzava nemmeno lo sguardo e non faceva altro che trascinarsi verso la tetra destinazione in cui la spingevano le onnipresenti Zampe-da-guardia. Mentre passavano accanto a un gruppo, Fritti vide un piccolo gatto, gli occhi e le costole sporgenti, che sembrava ammalato. Il povero gatto tossiva e barcollava, poi stramazzò sulle pietre. Prima che Fritti potesse muoversi per soccorrerlo, una Zampa-da-guardia si fece avanti a spallate e si chinò sul piccolo gatto sofferente. Poi il bruto lo sollevò per la collottola e lo scrollò con violenza. Acchiappacoda poté udire lo schianto secco di ossa che si rompevano, poi il guardiano scaraventò il corpo inerte da una parte con un cenno spazientito della testa, e la fila di gatti continuò il cammino. Acchiappacoda si fermò a guardarli, poi spostò lo sguardo su quel corpo accartocciato che giaceva lì, ignorato e abbandonato nella terra sporca. Sentì una vampata di odio, che diventò una fiamma che covava lentamente nelle sue profondità. Poi anche lui si voltò. Mentre la fila guidata da Gratt'artiglio giungeva all'altro capo della caverna e si avvicinava alle fauci spalancate di un'altra galleria, una voce sottile e penetrante gridò: «Gratt'artiglio!». La voce sembrava provenire da una delle innumerevoli caverne scavate nella parete di roccia intorno a loro. Il capo fece fermare il gruppo, mentre una figura indistinta compariva dalle tenebre della cavità di una caverna. «Che cosa vuoi da me?» domandò rabbiosamente il capo, con una strana inflessione nella voce. «Ss-succhiass-sangue vuole vederr-rti, Gr-ratt'arr-rtiglio!» rispose la voce sottile, sibilante e beffarda. Mentre la figura dentro la grotta parlava, Fritti poteva vedere il bagliore dei suoi denti, ma non il riflesso della luce degli occhi. «Che ridere!» ringhiò il capo. «E perché mai dovrebbe importarmi?» Nella grotta buia i denti lampeggiarono ancora. «Ss-succhiass-sangue vuole ss-sapere chi sono i tuoi prr-rigionieri. Ss-si parlava di non prrrenderr-re altri prr-rigionierr-ri. Era quess-sta l'intess-sa, no?» «La questione riguarda il Grasso e me, e voi striscianti non dovete ficcare il vostro muso senza peli. Se Succhiasangue vuole parlare con me, mi troverà più tardi nelle Catacombe inferiori.» Poi Gratt'artiglio si voltò e si allontanò. «Ti incontrr-rerà li» sibilò la voce sottile, e dalle ombre della caverna giunse l'eco di una sfumatura divertita.
Mentre entravano nell'enorme galleria scavata nella parete della roccia, Lungazanna domandò sibilando a Gratt'artiglio: «Che cosa vogliono fare di questi, comunque, le Zanne-da-guardia?». Il capo si voltò ringhiando verso di lui. «Tu, tieni chiuso il muso!» Lungazanna non fece altre domande e il gruppo si inoltrò in silenzio giù per la galleria. Gratt'artiglio lo fermò infine quando giunsero in un vasto spiazzo, e lì spinse rudemente da una parte Mangiapulci e Balzalesto, rivolgendosi poi a Mordisvelto. «Tu e questa me'mre gocciolante» ringhiò, indicando Lunga-zanna, «portate questi due giù nelle Catacombe di mezzo. Non devono andare in nessun altro posto, finché non lo dico io. Io, e nessun altro.» Mordisvelto annuì. «Bene, e ora porterò là quello più furbo per un'udienza speciale. Penso che sappiate chi è colui che è interessato a lui. E ora muovetevi!» Detto ciò, spinse Acchiappacoda su per la galleria, mentre le altre Zampeda-guardia conducevano i suoi compagni verso una galleria laterale. Mentre veniva spinto avanti, Acchiappacoda si voltò e gridò al di sopra della spalla: «Tornerò a prenderti, Balza: non ti preoccupare! Abbi cura di lui, Mangiapulci!». Gratt'artiglio gli sferrò una violenta zampata sulla testa, che gli fece lacrimare gli occhi. «Stupido!» ringhiò il bestione. La tortuosa galleria scendeva ancor più nelle viscere della terra, cosparsa tutt'intorno di rocce e di ossa, di cose umide che facevano trasalire Fritti quando vi posava sopra le zampe. Doveva camminare rasente le viscide pareti per evitare il contatto con il terrificante capo delle Zampe-daguardia. Ora la galleria scendeva rapidamente. Il fievole riverbero delle pareti era intercalato da chiazze di luce azzurro-purpurea che sembrava riflessa dalle profondità della galleria. Mentre scendeva ancor più giù, Acchiappacoda notò anche un cambiamento nell'aria, che si stava facendo sempre più fredda. Dopo una ventina di passi era diventata gelida e anche la terra sotto le sue zampe sembrava più dura, forse gelata. Accanto a Gratt'artiglio, Fritti doveva tenere il capo chino per passare sotto la bassa volta del soffitto. Quando sollevò di nuovo la testa, si accorse che erano entrati in un vasto antro, la sede del trono di Vastnir. Erano arrivati nella Caverna del Pozzo... il cuore della collina. L'alto soffitto a volta della caverna appariva buio e distante. Intorno al pozzo centrale, le screpolature del terreno emanavano una luce violacea in
raggi intensi che trapassavano la nebbia sul fondo della caverna. Le pareti al di sopra erano crivellate da grotte e gallerie, ovunque sciamavano dentro e fuori figure scure che s'affaccendavano intorno al vasto bordo del pozzo e s'arrampicavano sulle pietre frastagliate per scomparire nei buchi al di sopra. Fritti poteva vedere il fumo del suo alito nell'aria gelida. Un freddo simile nelle profondità della terra era inspiegabile, ma che cosa non lo era in quel luogo di incubo? Incalzato da Gratt'artiglio, Fritti guardò dentro il pozzo e vide quell'enorme forma che si ergeva dal suo interno, dominando l'antro sotterraneo. Quando si avvicinò, lo stupore si tramutò in orrore. Su dal fondo buio e fumoso del pozzo si alzava una massa formicolante, un cumulo di piccoli corpi che saliva fin sopra il bordo dell'enorme buco sul fondo della caverna, come un vulcano che si erga in una profonda gola. Quella montagna formicolante era formata da una massa di animali, sofferenti, agonizzanti, alcuni già morti. Erano gatti e fla-fla'az, Squittenti, praere, Ringhianti e rikcikcik, un groviglio di animali che si torcevano ed emettevano una miriade di disparati suoni spettrali. Molte di quelle creature erano mutilate e smembrate, quelle sul fondo non si muovevano neppure. Il fetore permeava le narici di Acchiappacoda, che le tappò con una zampa. Si afflosciò sulla terra fredda, tra le esalazioni che salivano intorno a lui, nascondendosi per un attimo quell'orribile spettacolo. Gratt'artiglio si chinò su di lui e lo spinse con la sua larga testa piatta. «Alzati, adesso, stupido scarafaggio. Stai per incontrare sua Signoria.» Con le ginocchia tremanti e lo stomaco tutto contratto, Fritti fu spinto e trascinato verso il bordo del pozzo. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, e invece, disgustato ma affascinato insieme, abbassò lo sguardo su quella montagna formicolante, su quelle migliaia di occhi privi di sguardo e di bocche afflosciate che emanavano sbuffi di vapore. La Zampa-da-guardia avanzò accanto a lui. «Onnipotente!» esclamò. «Il tuo umile servitore ti ha portato qualcosa!» La voce di Gratt'artiglio echeggiava stridente dalle alte pareti tutt'intorno. «Ah, davvero, hai...?» gorgogliò una voce grottesca, viscida come la sugna. «Buttala lì con il resto... La mangerò più tardi.» Una scura figura gigantesca, fino a quel momento invisibile in cima al mucchio di quei corpi, voltò la testa e aprì i suoi enormi occhi bianchi come gusci d'uovo. Occhi ciechi. Acchiappacoda miagolò di paura e balzò indietro, urtando contro il cor-
po roccioso di Gratt'artiglio. Nascondendosi tra le gambe della Zampa-daguardia, Fritti dimenticò per un attimo anche la paura e l'odio che nutriva per il capo delle guardie, perché quella cosa in cima al pozzo cancellava ogni altro pensiero dalla sua mente, come un vento furioso. Era un gatto. Venti, cinquanta, cento volte più grosso di lui, Acchiappacoda non avrebbe potuto dirlo: il suo corpo straripante era così enorme che le sue minuscole gambe non arrivavano a sorreggerlo, ed era adagiato nella sua mole imponente in cima a quella montagna di carne che si contorceva. «No, Grandissimo, questo non è da mangiare... per adesso.» La voce di Gratt'artiglio suonava distante e sottomessa. «È uno di quelli che tu hai sentito, Grandissimo. Ricordi?» L'orrenda creatura ruotò la testa senza collo finché i suoi occhi vacui e ciechi si puntarono sul tremante Acchiappacoda. Le sue narici si dilatarono. «Ah, già...» disse lentamente la voce, simile a fango spiaccicato sulla pietra. «Ora ricordiamo. Aveva compagni con sé? Dove sono?» soggiunse in tono più aspro. «Ne aveva due, mio Signore.» La voce di Gratt'artiglio suonava nervosa. «Un gattino, mio Signore, un piccolo gattino miagolante, e un vecchio gatto matto, sporco e puzzolente come il sole e i fiori. Ma questo qui... è questo che tu cercavi. C'è qualcosa, in questo qui. Ne sono... ne sono sicuro.» «Ah, ah...» gorgogliò il gigante, rotolandosi leggermente su un fianco, come per pensare. Poi abbassò la testa rotonda giù verso il pozzo sul quale giaceva, ma non riuscì a guardare oltre la propria mole. Un'espressione infastidita gli corrugò la vasta fronte, e improvvisamente tre Zampe-daguardia, che assistevano impaurite dall'altro capo del pozzo, balzarono dentro il buco. Rapidamente estrassero dal mucchio il corpo di un gatto che si dibatteva, poi si arrampicarono su per la pancia del mostro, il quale aprì compiaciuto la bocca, e lì fu gettato il corpo del gatto che continuava a contorcersi e a miagolare. Dalla bocca dell'enorme gatto uscirono sinistri scricchiolii quando cominciò a masticare, e un'espressione soddisfatta attraversò la sua faccia senza sguardo. Mentre Acchiappacoda lo guardava sgomento, la bestia deglutì, poi rivolse di nuovo verso lui la sua attenzione. «E ora» biascicò, «vediamo un po' chi è questa Gente che minaccia i nostri progetti.» Acchiappacoda sentì uno strappo violentissimo, come se una bocca enorme lo sollevasse e lo scrollasse. Seguì un dolore molto acuto mentre qualcosa gli trafiggeva il cervello, scavando, perforando, dilanian-
do i suoi pensieri, facendoli a brandelli, calpestando sogni, speranze, idee, stritolandoli incurante al suo passaggio. Una forza invisibile immobilizzava Acchiappacoda, che si contorceva e gemeva mentre la mente della bestia lo invadeva. Quando fu tutto finito, rimase disteso, stordito e tremante, sulla gelida terra accanto al pozzo. Un dolore lancinante gli saliva a ondate dietro la fronte. Infine, Gratt'artiglio domandò con voce umile e sottomessa: «Ebbene, grande Maestro?» La figura al di sopra del pozzo sbadigliò, mostrando le sue zanne annerite. Un breve lampo di luce purpurea gli illuminò il grigio pelo rognoso. «Questa piccola cimice non è niente. C'è qualche vaga traccia, è vero, qualche sintomo, ma nessun potere di cui tenere conto. Non può fare niente. Hai detto che i suoi compagni sono innocui?» «Questo era l'unico che mostrava qualche traccia di diverso, mio Signore, lo giuro.» «Bene...» La voce gorgogliante e greve della creatura aveva ora un tono annoiato e definitivo. «Portalo via. Ammazzalo, oppure mettilo a scavare gallerie, a noi non interessa» Il capo delle Guardie sollevò in piedi Fritti, poi lo spinse verso una porta che portava fuori dalla caverna. «Zampa-da-guardia!» urlò quella cosa rigonfia. Gratt'artiglio roteò su se stesso e si prostrò in un inchino. «Sì, gran Signore di tutti?» «La prossima volta non disturbare così inutilmente le meditazioni del gran Signore Mangiacuore» intimò con un lampo dei suoi occhi lattiginosi. Inchinandosi ripetutamente e tossicchiando, Gratt'artiglio spinse Acchiappacoda fuori dalla Caverna del Pozzo. Acchiappacoda, incespicando stordito, fu spinto attraverso il dedalo dei corridoi di Vastnir. Il suo guardiano seguiva dappresso i suoi passi senza parlare. Anche se era prostrato, Fritti sentiva turbinare nella sua mente i pensieri di ciò che aveva visto. Mangiacuore! Il gran Signore Mangiacuore dei Primi Nati! Lui, Fritti, aveva visto Grizraz Mangiacuore, l'inveterato nemico della Gente! L'aveva udito parlare! Un brivido percorse il suo corpo indebolito al ricordo di quell'enorme cosa senza sguardo che straripava dentro la caverna dietro a loro. Doveva trovare il modo di parlarne con Saltasteccati e gli altri... in un modo o nell'altro. La Corte di Harar doveva essere informata del pericolo...
per quanto potesse essere utile. Ma come era possibile difendersi da una simile potenza, da quei terribili guardiani? Soltanto le caverne principali erano presidiate da centinaia di spietati guardiani, e chissà quanti altri se ne annidavano nelle gallerie e nelle altre caverne di quell'alveare. Che cosa posso fare io, comunque?, si domandava Fritti disperato. Io sono condannato a morte. I suoi pensieri si rivolsero infine a Gratt'artiglio, che soffiava col suo alito caldo sulla sua coda. Acchiappacoda ricordava vagamente che Gratt'artiglio era sembrato imbarazzato alla presenza del terrificante Mangiacuore. Di certo, il capo delle Zampe-da-guardia non avrebbe sopportato che Fritti sopravvivesse a quella scena. Mentre zoppicava immerso nei suoi pensieri, Acchiappacoda sentì una folata di aria secca che gli arruffava il pelo sul muso. Alzò lo sguardo e vide la galleria quasi buia, in cui si intravvedevano figure indistinte che avanzavano verso di loro nel cunicolo più avanti. Con sconcertante rapidità, Gratt'artiglio allungò una delle sue zampe irte di artigli e scaraventò Acchiappacoda contro la parete del cunicolo. Per un momento Fritti dovette sforzarsi di riprendere il fiato, poi ansimando faticosamente, udì uno strano fruscio, come uno scricchiolio di vecchi rami, e improvvisamente la galleria si riempì di ombre sussurranti. Parecchie figure scure gli passarono accanto. Acchiappacoda poteva intravvedere vagamente code e orecchie, ma tutte sembravano scure e indistinte. L'aria era permeata di polvere soffocante e di un odore dolciastro e nauseante. Accanto a lui, Gratt'artiglio chinava ossequiosamente la testa e distoglieva lo sguardo. Un lieve suono sibilante, come di voci secche, polverose, fluttuava nell'aria, infine le strane figure passarono oltre nel corridoio. Mentre Fritti riprendeva fiato, Gratt'artiglio rivolse lo sguardo nel corridoio con occhi brucianti. «Sono gli Ossi-da-guardia» sussurrò nel buio il bestione. «I più fedeli servitori del Padrone.» All'imboccatura di una galleria laterale, che a Fritti appariva identica alle innumerevoli altre che avevano oltrepassato, Gratt'artiglio si fermò. «Non so qual è il tuo segreto» grugnì, aggrottando la fronte fino a coprire gli occhi, «ma so che c'è qualcosa. Non commetterò più l'errore di portarti di nuovo al cospetto del Grasso senza sapere di che cosa si tratta, ma lo scoprirò di sicuro. Anche il nostro Padrone può fare qualche sbaglio, e
credo che tu sia uno di questi.» Il capo delle guardie soffiò rabbiosamente. «Quale che sia il tuo piccolo segreto, te lo caverò fuori con la forza. Nel frattempo puoi tenere occupata la tua miserabile persona. Vai dentro lì» soggiunse Gratt'artiglio, tendendo la sua zampa deforme verso il buco accanto ad Acchiappacoda. Facendosi coraggio, visto che a quanto pareva aveva ancora un po' di tempo da vivere, Fritti domandò: «Dove sono i miei amici?». «Staranno riempiendo le pance delle Zanne-da-guardia se non ritorno in tempo. In quanto a te, stai in guardia. Avrai già troppo da preoccuparti per salvare il tuo miserabile pelo. E ora muoviti!» Il capo diede a Fritti un violento spintone che lo fece barcollare dentro il buco alle sue spalle. Perse l'equilibrio sulla superficie inclinata di ghiaia e andò a scivolare e ruzzolare dentro nel buio sempre più profondo. Mentre si fermava rotolando, udì la voce raschiante di Gratt'artiglio che gridava: «Ritornerò a trovarti molto presto, non temere». Un risolino tossicchiante rimbombò dentro il cunicolo. Acchiappacoda impiegò qualche minuto per abituarsi alla quasi totale assenza di luce all'interno. Era dentro una grotta di roccia, nella quale poteva intravvedere le figure scure di altri gatti accovacciati negli angoli. Le pareti di pietre della caverna trasudavano umidità, l'aria era calda e irrespirabile. Decine di gatti emaciati, con lo sguardo spento, giacevano intorno a lui, e per la maggior parte non si accorsero nemmeno del suo arrivo. Mentre Acchiappacoda strisciava lungo la parete, alla ricerca di un'altra uscita o di un posto per distendersi, alcuni gatti soffiarono debolmente contro di lui, come se fosse un intruso nel loro territorio, ma era una forma di resistenza rituale. Il pensiero di tutta quella Gente stipata in quell'esiguo spazio, costretta a vivere gli uni sugli altri, in quella calura opprimente, riempì di nuovo di collera l'animo di Acchiappacoda. Mentre scavalcava quei corpi distesi tutt'intorno, Fritti si fermò nell'udire una voce conosciuta. Scrutò le facce e le figure dei gatti intorno a lui, ma non ne riconobbe nessuna, e nemmeno gli veniva in niente un nome che si identificasse con quel ricordo. Stava per proseguire attraverso la caverna, quando il suo sguardo si posò sul gatto che era ai suoi piedi. Era rattrappito, magro come un chiodo. I suoi occhi infossati, annebbiati fissavano Fritti colmi di disperazione. Era stata la voce di quella mormorante apparizione che l'aveva fatto fermare, e allora Fritti trattenne il respiro per la sorpresa quando lo riconobbe tutt'a un tratto: era il giovane Balza-
in-alto, uno degli inviati della tribù del Muro degli Incontri alla Corte. Sembrava ormai prossimo alla morte. «Balza-in-alto!» esclamò Fritti. «Sono io, Acchiappacoda! Ti ricordi di me?» Per qualche attimo Balza-in-alto lo guardò senza comprendere, poi il suo sguardo lentamente si accese. «Acchiappacoda?» mormorò. «Acchiappacoda di... casa nostra?» Fritti annuì più volte per incoraggiarlo. «Ah...» Balza-in-alto chiuse gli occhi prostrato, e rimase in silenzio per qualche attimo. Quando li riaprì, il suo sguardo mostrava un barlume di comprensione. «Non capisco» sussurrò, «ma... saresti più fortunato se fossi morto...» Poi Balza-in-alto chiuse di nuovo gli occhi e si rifiutò di aggiungere altro. Ombra-di-tetto era accovacciata al riparo di una roccia sporgente e osservava le folate di neve. L'aria gelida le dava un senso di vertigine. Sentiva un disperato desiderio di alzarsi, di correre e continuare a correre fino a uscire da quell'orribile foresta, lontano da quella terribile collina pulsante che era l'origine di tutte le disgrazie. Quando erano stati attaccati, quella notte, dopo il fugace preavviso dell'apparizione di quel gatto pazzo e arruffato, Ombra-di-tetto era scappata con i suoi amici, correndo all'impazzata. Nonostante la sua esperienza di cacciatrice, era stata presa da un accesso angoscioso di panico, e a un certo punto aveva quasi fatto cadere il piccolo Balzalesto, in quella sua incontrollabile ansia di fuggire. La vergogna che provava a quel pensiero le doleva ancor più delle ferite. Mentre correvano, qualcosa l'aveva afferrata, facendola cadere, e allora si era avvinghiata a qualcosa di grosso, e graffiando e torcendosi era riuscita a liberarsi. Dopo essere fuggita precipitosamente nel fitto degli arbusti, era rimasta li nascosta per un po' di tempo, ascoltando i rumori della fuga e dell'inseguimento che si diffondevano nella notte. Soltanto ai primi raggi della Luce che si diffonde, si era fatta forza per strisciare fuori dal suo nascondiglio, alla ricerca di un riparo dal freddo. Era stata ferita dalla cosa che l'aveva afferrata, e la zampa posteriore le faceva molto male, tanto da non poter sostenere il suo peso, e aveva zoppicato per un lungo tragitto sul terreno gelato prima di scoprire un posto riparato dal vento. Era rimasta lì per due notti e giorni intieri, sofferente, febbricitante, troppo debole per andare a caccia. I suoi compagni erano scomparsi, catturati probabilmente, o forse uccisi,
e in quel momento Ombra-di-tetto non desiderava altro che andarsene, scomparire nelle foreste del sud e non ripensare mai più a quell'orribile posto. In quel momento, però, non poteva andare altrove. L'istinto le diceva di rimanere, doveva prima guarire. Il pensiero di Acchiappacoda e di Balzalesto la turbò per qualche attimo, e la fela sollevò la testa per fiutare l'aria. Poi un dolore lancinante la fece contorcere; posò il mento sulla fredda terra, arrotolando la coda sopra il muso e gli occhi. Nelle profondità dei labirinti di Vastnir, Fritti Acchiappacoda stava scoprendo alcuni dei segreti della collina. Balza-in-alto, il suo amico dei tempi del nido, era troppo debole per parlare a lungo, ma con l'aiuto di un suo giovane amico, Stretta-di-zampa, era riuscito a spiegare alcuni misteri a Fritti. «...Capisci, le Zampe-da-guardia sono perlopiù la forza bruta. Sono feroci, Harar lo sa» spiegò Stretta-di-zampa con una smorfia, «ma non prendono decisioni. Nemmeno i loro capi ne prendono molte, mi sembra.» «Che cosa vuoi dire?» domandò Acchiappacoda. «Non possono nemmeno andare a caccia, se qualcun altro non glielo ordina. Per tutte le vibrisse! Nessuno di loro fa nemmeno me'mre, in questo orrendo formicaio, se qualcuno non dà loro il permesso.» «E tu dici che ce ne sono altri? Altre creature?» Fritti stava pensando alle oscure figure delle Ossa-da-guardia, e tremò nervosamente. «C'è Succhiasangue e le sue Zanne-da-guardia» sussurrò Balza-in-alto con voce tremante, poi tossì. «Questi sono molto cattivi, è sicuro» confermò Stretta-di-zampa, «ancora più brutti e più "sbagliati" se capisci quello che voglio dire, delle Zampe. Sembra che non facciano altro che aggirarsi intorno per tenere tutto quanto sotto controllo. Perfino le Zampe-da-guardia sembrano aver paura di loro.» Acchiappacoda era sconcertato. «Ma da dove vengono? Non ho mai visto né sentito parlare di Gente come loro.» Balza-in-alto scosse la testa e Stretta-di-zampa rispose alla domanda. «Nessuno lo sa. Ma tu-sai-chi...» Il piccolo gatto abbassò la voce e si guardò intorno. «Tu-sai-chi può fare qualsiasi cosa. Altra Gente e Ringhianti? Cose ben peggiori succedono quaggiù...» La voce di Stretta-dizampa si spense in un eloquente silenzio. Inquietato dall'allusione a Mangiacuore, la cui presenza incombeva ancora nel suo ricordo e lo spaventa-
va, Fritti si alzò stiracchiandosi. Si avviò verso l'ingresso della loro caverna e scrutò lungo il cunicolo. «Ma perché tutti questi scavi?» si domandò ad alta voce. Dietro a lui, Balza-in-alto si sollevò sulle zampe anteriori e si trascinò stancamente. «I gatti non sono nati per scavare» dichiarò con inaspettata veemenza. «Punta-d'orecchio ammazzato. Ammazzato Saltatorrente.» Balza-in-alto scosse sconsolato la testa. Sembrava più vecchio del vecchio Lecc'annusa, pensò Fritti. Com'era possibile? Balza-in-alto era poco più anziano di lui. «Continuano sempre a scavare... o piuttosto siamo noi che scaviamo» soggiunse Stretta-di-zampa. «Si direbbe che ce ne sono a sufficienza, ormai, di queste orribili gallerie.» «E perché, allora?» insisté Acchiappacoda. «Non lo so» ammise Stretta-di-zampa, «ma se continuano a scavare in questo modo, ben presto tutte le gallerie saranno unite insieme, e allora l'intero mondo precipiterà nei loro buchi.» «Ammazzato Saltatorrente...» mormorò Balza-in-alto malinconicamente. «Ammazzeranno anche me...» Capitolo 21 Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. DANTE ALIGHIERI (Inferno, II, 10-23) Dopo un lungo periodo di tempo insonne, alcune Zampe-da-guardia arrivarono all'imboccatura della caverna e chiamarono Fritti e gli altri prigionieri al lavoro. Gemendo e ansimando, questi si arrampicarono su per il ripido pendio del cunicolo. Fritti rimase sorpreso nel vedere quanta Gente fosse in grado di muoversi e persino di arrampicarsi su quell'erta salita, ma Stretta-di-zampa gli spiegò che nessuno poteva avere da mangiare se non
riusciva a salire fuori dalla caverna. Quelli che non riuscivano più a salire, rimanevano nella piccola caverna fino alla morte. Balza-in-alto con l'aiuto di Acchiappacoda e di Stretta-di-zampa, riuscì ad arrivare all'ingresso in cima alla salita. Lì giunti, ingurgitarono in gran fretta insetti e larve, mentre i guardiani in attesa li spingevano in fila e li conducevano attraverso una serie apparentemente interminabile di gallerie. Furono poi consegnati a Musocicatrizzato, una grossa Zampa-da-guardia con pelo chiazzato e rado sul corpo muscoloso. Questi condusse i prigionieri, in squadre di tre o quattro, giù per un intrico di brevi gallerie che si dipartivano dalla grotta centrale sotterranea. Acchiappacoda si trovò in compagnia di due vecchi gatti, ambedue così stanchi e malconci che non avevano nemmeno la forza di conversare. Quando arrivarono all'imboccatura della galleria loro destinata, e Fritti domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare: «Ma che cosa dobbiamo fare?». Musocicatrizzato si voltò di scatto e colpì Acchiappacoda con una zampata violenta come una frustata. Fritti si accasciò per terra e Musocicatrizzato, col suo muso bitorzoluto, intersecato dalle cicatrici bianche di molte battaglie, si chinò sopra di lui. «Non permetto a nessun verme-di-sole di farmi domande! È chiaro?» sbraitò. Il suo corpo aveva un fetido odore. «S-sì...» gemette Acchiappacoda. «Non avevo capito!» «Scaverai, ecco che cosa devi fare, e scaverai con tutte le tue forze, che il sole ti bruci! E finirai quando te lo dico io. Hai capito?» Fritti scrollò umilmente la testa. «Bene» soggiunse Musocicatrizzato, «perché d'ora in poi ti terrò gli occhi addosso, e se ti vedo scansare il lavoro ti strappo la lingua! E ora scava!» Fritti corse a raggiungere i suoi compagni, che stavano rannicchiati, impauriti dall'attenzione che era stata richiamata verso di loro. Rivolsero sguardi di tacito rimprovero ad Acchiappacoda, mentre scendevano tutti insieme nella galleria. Il resto della giornata trascorse in un tormento di umidità densa di vapori. Acchiappacoda e i suoi due compagni scavarono il fondo di una piccola galleria, usando le zampe e gli artigli che Meerclar non aveva creato allo scopo di grattare il duro terreno argilloso. Era un lavoro monotono e spossante. In quello spazio angusto Fritti non riusciva nemmeno a trovare una comoda posizione per allungarsi a scavare, e prima della metà di quel giorno cominciò a sentire tutto il corpo indolenzito.
Durante una breve pausa a mezzogiorno, Fritti tentò vanamente di pulire il terriccio incrostato sulle sue zampe dolenti e sanguinanti di ferite. Dopo poco tempo, che sembrò solo qualche attimo di riposo, fu loro ordinato di ritornare nella galleria. Il tempo passava e Fritti desiderava soltanto distendersi per dormire: se l'avessero ucciso, che differenza faceva? Prima o poi sarebbe successo comunque. Ma quando arrivava quasi a convincersene, il muso ringhiante di Musocicatrizzato compariva all'ingresso del cunicolo, ostruendolo con gli occhi lampeggianti e la bocca contorta. Allora Acchiappacoda raddoppiava gli sforzi, scavando ancor più rapidamente e faticosamente, anche quando quel muso scompariva di nuovo dall'ingresso. I due gatti più anziani accanto a lui avevano appreso a usare un ritmo costante, ma non precipitoso, e verso il termine del tempo di lavoro Fritti aveva cominciato a imitarli. Finalmente, Musocicatrizzato ordinò loro di uscire dalla galleria. I tre gatti, ormai esausti, si trascinarono nel buco della loro prigione, scortati dall'onnipresente Zampa-da-guardia. Mentre rotolava giù per il pendio, Acchiappacoda si sentì cadere quasi immediatamente in un sonno profondo, catalettico. Nel più profondo delle Catacombe, a centinaia di balzi di terra e di rocce che li dividevano dal sole, Balzalesto e Mangiapulci non se la passavano meglio di Fritti. Quando Acchiappacoda era stato strappato da loro, Lungazanna e Mordisvelto avevano spinto i due compagni dentro una caverna di molti livelli sottostante, dove avevano avuto ordine di rimanere finché non fosse ritornato Gratt'artiglio a decidere che cosa fare di loro. A differenza di Fritti, condotto poi in quella caverna, Balzalesto e il vecchio gatto erano gli unici abitanti della loro prigione, ma le ossa disseminate sul buio pavimento della caverna facevano intendere che non ne erano loro i primi ospiti. Dopo quelle che erano sembrate interminabili Ore di solitudine, un lieve rumore strascicato ruppe il silenzio della caverna. Sicuro che fossero Zampe-da-guardia ritornate per ucciderlo, Balzalesto si appiattì contro la parete opposta dell'antro, preparandosi a resistere a quell'ultima violenza. Una strana figura evanescente comparve invece sull'ingresso della prigione, e l'immediato sollievo che provò Balzalesto nel vedere che non era uno dei guardiani, fu subito sostituito da un brivido di inquietudine, una strana sensazione, come quella che si prova ficcando il naso in un nido
formicolante di termiti bianche. Mangiapulci, che dormiva a sprazzi nell'altro angolo della minuscola grotta, trasalì e rabbrividì quando la figura avanzò nella caverna. Balzalesto concentrò la sua attenzione verso l'intruso. Che cosa aveva di strano il suo pelo? Quella creatura non ne aveva. Pur avendo forma di gatto, era implume come un gattino appena nato. Sulle prime, Balzalesto pensò inorridito che dovesse essere qualche sorta di mostruoso neonato, perché i suoi occhi erano serrati come quelli della Gente quando esce dal grembo materno. Quella cosa si mosse in direzione di Balzalesto, dilatando le sue enormi narici. Poi parlò con un'alta voce sibilante. «Ah, ah, ecco il nuovo arrivato... è un piacere che tuss-sia qui inss-sieme a noi!» La sua voce era sibilante come quella di un hlizza. Quando gli fu più vicino, Balzalesto poté vedere che era completamente privo di occhi, ma aveva due pieghe di pelle sotto la fronte. Il piccolo gatto si ritrasse ancora più indietro, inarcando la schiena. «Che-che co-cosa vu-vuoi da no-noi?» balbettò il gattino. «Ah, ah conoss-sci il Canto Ss-supremo?» La cosa ridacchiò sinistramente, poi sbadigliò mostrando una bocca irta di denti lunghi e sottili, simili ad acuminati aghi di pino. «Bene, piccolo Ss-squittente di sssuperficie...» sogghignò, «ss-se vuoi ss-saperlo, ss-sono venuto per portarti dal gran Ss-signore SS-succhiass-sangue, che dess-sidera ardentemente conoss-scere un affass-scinante gattino come te.» «Su-succhias-sangue...» ripeté Balzalesto, singhiozzando di paura. «Ss-sì, uno dei grandi capi delle Zz-zanne-da-guardia, proprio lui. Una grandisss-ssima potenza, qui nella collina. SS-suchiass-sangue dess-sidera ss-sapere perché interess-sate tanto, tu e i tuoi compagni, al capo Gratt'artiglio... Capiss-sci, piccolo amico verme, il capo Ss-succhiass-sangue e il tuo guardiano ss-sono amici, diciamo, amichevolmente rivali.» La Zannada-guardia senz'occhi snudò di nuovo la sua corona di denti scintillanti, poi si avvicinò al gattino terrorizzato. La sua pelle senza pelo si dilatava e si raggrinziva mentre la bestia avanzava dimenandosi. «Striscia-morde!» tuonò una voce. «Mi aspettavo che il tuo padrone annusatalpe ti avrebbe mandato qui!» La Zanna-da-guardia fece un balzo indietro, trasalendo, e dilatò le larghe narici. «Gratf artiglio!» sibilò. Il capo delle Zampe-da-guardia era sceso silenziosamente giù per il cunicolo, e ora ostruiva l'unica uscita dalla piccola caverna.
«Il tuo padrone non penserà mica che sia così ingenuo da fidarmi di quegli stupidi dei miei servi, eh?» ringhiò Gratt'artiglio con una rauca risata. «Non ti azzardare a oss-stacolarmi, miss-serabile!» sibilò ancora Striscia-morde. «Te la farò pagare, ss-se ci provi!» Il tono della sua voce fece arricciare il pelo di Balzalesto, ma Gratt'artiglio si limitò a emettere un soffio di disprezzo, poi abbassò la testa mentre la Zampa-da-guardia cominciava a muoversi lentamente in cerchio. Senza alcun preavviso, Strisciamorde balzò avanti snudando le zanne, trovandosi di fronte alla Zampa-daguardia che si ergeva sulle zampe posteriori. Un grande strepito di soffi e di ansiti scoppiò quando le due bestie si avvinghiarono nella lotta. Acquattato contro la fredda pietra, Balzalesto osservava con occhi sgranati i due corpi che si torcevano e soffiavano sul suolo della minuscola grotta. Nel buio, poteva soltanto intravedere la lotta che divampava da una parete all'altra, un bagliore di zanne digrignanti, la pancia chiazzata di Gratt'artiglio rimasta scoperta per qualche attimo. Le code delle due creature, una nuda e avvolta in spirali, l'altra nera e flessuosa, s'intrecciavano l'una con l'altra come serpenti impazziti. Una breve raffica di colpi sordi, un ululato di dolore, poi Gratt'artiglio si avventò a stringere l'avversario tra le sue possenti manibole, ad affondare le zanne nella sua gola senza pelo. I muscoli del robusto collo del capo delle guardie si tesero e pulsarono, e dopo un secco schianto, il suo avversario si afflosciò. Poi il nero bestione lasciò cadere il corpo della Zannada-guardia, che scalciò debolmente per un attimo, poi rimase immobile. Gratt'artiglio si rivolse allora al tremante Balzalesto. Il suo corpo era viscido di sangue, ma non sembrava che questo lo disturbasse più della pioggia. «Non puoi sapere quanto sei stato fortunato, piccolo sorcio di sole!» esclamò con la sua voce raschiante. «Succhiasangue ti avrebbe portato in un mondo di dolori. E ora» soggiunse, indicando Mangiapulci, che aveva continuato a dormire per tutto il tempo, «tu e quella vecchia pelle puzzolente dovrete fare solo quello che vi dico. Tornerò a controllarvi.» Poi Gratt'artiglio scomparve attraverso l'ingresso, senza voltarsi a guardare né Balzalesto, né Mangiapulci né quella cosa senza occhi afflosciata sul pavimento della caverna. Molte ore dopo, Mordisvelto arrivò per condurre Balzalesto a scavare. Aveva la faccia gonfia, la punizione di Gratt'artiglio per la sua negligenza.
Mangiapulci non riusciva a destarsi dal sonno, e la Zampa-da-guardia, ancora zoppicante e di pessimo umore, morse l'orecchio arruffato del vecchio gatto fino a farlo sanguinare. Mangiapulci non si svegliò, tuttavia, anche se il lieve movimento del suo petto dimostrava che era ancora vivo. Esasperato dai suoi vani tentativi, e forse temendo ulteriori punizioni, Mordisvelto trattò Balzalesto ancora più brutalmente del solito, mentre lo spingeva fuori al lavoro. Balzalesto fu assegnato a una squadra di altri schiavi e trascorse un lungo periodo di tempo caldo e afoso graffiando il terriccio delle pareti della galleria con le sue piccole zampe. Sembrava che trascorressero intere giornate, mentre il mondo di Balzalesto si faceva sempre più piccolo in un incubo ripetitivo di scavare e scavare, al quale seguiva la solitudine della minuscola caverna al termine del turno di lavoro. Mangiapulci giaceva sempre nel suo stato di torpore, e non si alzava né per mangiare né per fare me'mre, dando a vedere solo qualche occasionale movimento. Le Zampe-da-guardia giunsero così alla conclusione che aveva abbandonato ogni desiderio di sopravvivere e lo lasciarono languire nella piccola grotta di roccia, quando arrivavano per spingere fuori Balzalesto ai lavori di scavo. Un giorno, mentre veniva condotto da Lungazanna attraverso l'enorme caverna che stava dietro la più grande Porta di Vastnir, Balzalesto ebbe l'impressione di vedere Acchiappacoda. Il gatto che gli sembrava il suo amico faceva parte di una numerosa squadra di schiavi che, a quanto pareva, erano condotti verso una delle gallerie esterne. Balzalesto lo chiamò emozionato, ma se era proprio Acchiappacoda, era troppo distante, perché il gatto con la stella bianca sulla fronte non si voltò nemmeno. Balzalesto si prese una crudele zampata sul muso da Lungazanna, e fu trattenuto più a lungo del solito nei lavori di scavo. Quando fu riportato nella sua cella, quella sera, Balzalesto cominciò a pensare seriamente alla possibilità di non rivedere mai più Acchiappacoda. Già aveva perduto Ombra-di-tetto, e non vedeva alcuna possibilità di riuscire a fuggire da quella collina. Fino a quel momento aveva sperato nel suo intimo che tutta quell'esperienza fosse soltanto un brutto sogno, un incubo. Ma infine Balzalesto si rese conto che i suoi occhi erano aperti. Ora sapeva dov'era. Sapeva che sarebbe rimasto li fino alla morte. Una strana sensazione di liberazione accompagnò questa consapevolezza. In un certo senso, era come se fosse stato liberato qualcosa
dentro di lui per correre sotto il cielo, lasciando lì soltanto il corpo. Per la prima volta da quando era stato catturato dalle Zampe-da-guardia, Balzalesto riuscì a dormire serenamente. All'ombra degli alberi ai margini della foresta di Foglia di Topo, nel sole delle Ore più piccole offuscato e distante nel cielo invernale, Ombra-ditetto scrutava attraverso la cupa vallata la forma tozza della collina. Anche se si sentiva abbastanza bene per camminare, ora che il dolore della zampa sinistra era quasi scomparso, si sentiva quasi obbligata ad andare a dare un'ultima occhiata alla causa della sua infelicità. Vastnir era accovacciato come qualcosa di vivente, in attesa del momento opportuno per sorgere e colpire. Ombra-di-tetto ne sentiva le pulsazioni che le penetravano nello stomaco, le davano un senso di nausea. Ora non desiderava altro che voltarsi, andarsene via da lì. In qualche posto, lo sapeva, c'erano foreste incontaminate da quella maledizione, foreste profonde, pulite. E se la maledizione si fosse diffusa, bene, c'erano ancora posti in cui lei non sarebbe mai stata raggiunta per tutta la sua vita. Per tutto quel cupo pomeriggio, Ombra-di-tetto rimase a guardare quella maledetta collina. Quando scesero le tenebre, trovò un nascondiglio e si addormentò. Alle prime luci dell'alba stava guardando di nuovo Vastnir. E pensava. Capitolo 22 Io sento il legame della natura che mi chiama, carne della carne, ossa delle ossa tu sei, e dal tuo stato il mio non sarà mai separato, nel male o nel bene. JOHN MILTON Nel suo sogno, Acchiappacoda stava sulla cima di un alto spuntone di roccia, centinaia di balzi sopra di una foresta immersa nella nebbia. Abbassando lo sguardo dalla sua postazione, poteva udire le voci di creature che lo stavano cercando nelle nebbie sottostanti, esili voci che salivano fino alle sue orecchie. Faceva freddo, lì sulla roccia, e gli sembrava di essere lì da sempre. Al di sotto, il verde mare gelato della foresta si distendeva all'infi-
nito in lontananza. Anche se sapeva di essere in pericolo, Fritti non aveva paura, ma soltanto una sensazione di cupa ineluttabilità: ben presto, i suoi inseguitori avrebbero perlustrato tutti i nascondigli nei boschi sottostanti, e inevitabilmente la loro attenzione si sarebbe rivolta alla guglia di roccia. I loro occhi brucianti si sarebbero concentrati sul fondo per poi spostarsi in alto... Mentre guardava la nebbia turbinante che oscurava la linea di separazione tra terra e cielo, Fritti vide uno strano disegno in quei vapori di fumo, come una spirale di connessione. Con la rapidità e la nitideza che sono tipiche dei sogni, questo disegno prese la forma di un gatto bianco che ruotava e ruotava mentre si avvicinava al suo aereo rifugio. Non era però il gatto bianco della sua allucinazione nella Prima Casa. Quando la figura roteante fu più vicina diventò quella di Occhiolucente, l'oel-var'iz dei Primi Camminatori. Librandosi al di sopra di Fritti, Occhiolucente cantò con la sua voce alta e penetrante: «Perfino il garrin ha paura di qualcosa... perfino il garrin ha paura...». D'improvviso si alzò un forte vento che fece danzare i vapori della nebbia, e Occhiolucente scomparve turbinando nelle tenebre. Il vento soffiava impetuoso tra gli alberi e intorno alla roccia di Acchiappacoda. Poteva udire grida di paura e di disperazione che salivano dai cacciatori sotto di lui, e infine rimasero soltanto le nebbie che turbinavano, e il ruggito del vento e l'eco di voci perdute... Acchiappacoda si destò sul pavimento caldo e umido della sua cella, in mezzo ai corpi dormienti dei suoi compagni di prigionia. Si sforzò di raccogliere i frammenti del sogno che stavano già sciogliendosi come neve al sole. Occhiolucente. Che cosa gli aveva detto l'oel-var'iz quel giorno, tanto tempo fa, quando stavano congedandosi da Gratt'artiglio e dai suoi compagni...? "...Tutti fuggono dall'orso... ma a volte l'orso fa brutti sogni..." Anche nel sogno, Occhiolucente aveva accennato al garrin, l'orso... ma che cosa intendeva dire? Di certo non parlava di un vero garrin? "Tutti fuggono dall'orso..." Alludeva forse a Mangiacuore? Brutti sogni... c'era forse qualcosa che perfino Mangiacuore temeva? Ma che cosa? I pensieri di Fritti furono interrotti dall'arrivo della Zampa-da-guardia. Nella confusione che seguì, mentre si alzava faticosamente e s'arrampicava
su verso l'uscita per consumare il suo misero pasto, Acchiappacoda sentì dissolversi il sogno nella sua mente, cancellato dalla cruda realtà. Sulla terra, un Occhio si era aperto, si era chiuso e si era aperto di nuovo da quando Fritti era stato condotto nella collina di Vastnir. Il brutale lavoro quotidiano, le crudeli punizioni, l'orrenda realtà che lo circondava avevano fiaccato in gran parte la sua capacità di resistenza. Raramente pensava ai suoi amici: la sua impossibilità di aiutarli, e di aiutare se stesso, era terribile quanto la prigionia; quel pensiero era ancora più tormentoso che sprofondare nel fango con tutti gli altri, che disputarsi qualche scarafaggio o un posto in cui mangiare, che tener sempre gli occhi aperti per timore delle Zampe-da-guardia o delle Zanne-da-guardia. Era più facile non pensarci, vivere alla giornata. Un giorno, una voce corse silenziosamente tra le fila degli schiavi della galleria: «Stanno arrivando le Ossa-da-guardia!» Le Ombre frusciami arrivavano da una galleria abbandonata e la luce sembrò offuscarsi. Tutti i prigionieri si erano gettati a terra, gli occhi serrati, e perfino le Zampe-daguardia sembravano nervose, col pelo ritto. Per un momento, Fritti aveva sentito l'impulso di rimanere in piedi, di affrontare quella spaventosa realtà che impauriva perfino i loro colossali guardiani, ma quando quelle strane voci e quell'odore nauseante e penetrante giunsero fino a lui, sentì le zampe molli e anche lui cadde a terra, senza alzare lo sguardo, finché i prescelti di Mangiacuore non scomparvero. In questo modo, nelle cose piccole e in quelle grandi, a poco a poco, lo spirito di Fritti si era gradualmente fiaccato. Fugaci alleanze venivano strette tra i prigionieri, e perfino il naturale individualismo dei gatti aveva ceduto lentamente alla tensione della situazione, ma erano alleanze effimere, che svanivano alla prima disputa su un boccone di cibo o su un posto in cui stendersi per qualche attimo. I momenti di distrazione erano ben pochi, e meno ancora quelli di allegria. In una notte interminabile, in cui i prigionieri giacevano nella loro cella sotterranea, qualcuno chiese però di ascoltare una storia. L'audacia della richiesta era tale che molti prigionieri si guardarono intorno impauriti, temendo di veder comparire le Zampe, come se qualcuno potesse subito precipitarsi a impedire un semplice divertimento come quello. Visto che nessuno compariva, la richiesta fu avanzata di nuovo. Orecchiotagliato, un vecchio gatto malconcio del Bosco di Radici, accettò allora di provare a raccontarne una. Rimase a lungo a guardarsi intensamente le zampe e dopo un altro rapido sguardo all'ingresso del cunicolo cominciò a parlare.
«Una volta, molto, molto tempo fa, il nostro Signore Zampa-di-fuoco si trovò sulle sponde del Qu'cef, la Grande Acqua. Desiderava attraversarla, perché gli era giunta voce che la Gente abitante sull'altra sponda, discendente per linea materna da suo cugino, il principe Pietra-di-cielo, viveva in una terra di grande bellezza e ricca di cacciagione. E così si sedette sulla riva della Grande Acqua, domandandosi come raggiungere l'altra sponda. «Dopo un po' di tempo chiamò Pfefirrit, un principe dei fla-fa'az che gli era debitore di un favore da molto tempo. Pfefirrit, un airone di grandi dimensioni, arrivò e si librò sopra il grande cacciatore, ma non avvicinandosi troppo. «"Che cosa posso fare per te, o abilissimo tra i gatti?" domandò. Zampadi-fuoco glielo disse e il principe degli uccelli volò via. «Al suo ritorno, il cielo dietro di lui era oscurato da fla-fa'az di ogni genere. All'ordine del loro principe, volarono tutti sopra il Qu'cef e cominciarono a battere le ali, sollevando un gran vento, così freddo che ben presto l'acqua gelò. «Tangaloor Zampa-di-fuoco si mise allora in cammino, preceduto dai fla-fa'az che trasformavano in ghiaccio la Grande Acqua sotto i suoi passi, così che egli poté attraversarla a piedi. Quando arrivarono all'altra sponda, Pfefirrit scese in volo e gli disse: "Il debito è così saldato, signore dei gatti", e volò via. «Bene, cu'nre-le, alcuni giorni dopo, il nostro Signore Zampa-di-fuoco aveva esplorato tutta quella lontana regione. Era davvero molto bella, ma gli abitanti gli sembravano strani e un po' primitivi, più inclini al parlare che al fare. Decise così di ritornare nella sua terra e si diresse allora verso la sponda dell'acqua. «La Grande Acqua era ancora gelata e quindi Zampa-di-fuoco s'incamminò per far ritorno a casa. La strada era lunga, però, non per niente si chiama Grande Acqua, e quando si trovò nel mezzo, il ghiaccio cominciò a sciogliersi. Zampa-di-fuoco cominciò allora a correre, ma la strada era troppo lunga e il Qu'cef si sciolse sotto i suoi piedi, facendolo precipitare nell'acqua gelida. «Nuotò a lungo in quel terribile gelo, ma il suo grande cuore non si arrendeva, e faticosamente continuava a spingersi verso la terra. A un tratto, improvvisamente, alzò lo sguardo e vide un grande pesce con una pinna sul dorso e più zanne di quante ne abbiano le Zanne-da-guardia, che nuotava in cerchio intorno a lui. «Bene, bene» esclamò il pesce, «che cos'è questo tenero bocconcino che
trovo a nuotare intorno a casa mia? Chissà se ha un buon sapore come sembra." «Orbene, Zampa-di-fuoco si era visto perduto quando aveva visto le dimensioni di quel pesce, ma quando questo parlò, si sentì colmare di gioia perché aveva visto una via d'uscita da quella situazione. «"Certo che ho un buon sapore" replicò il nostro Signore Tangaloor. "Tutti i gatti che nuotano sono tenerissimi. Sarebbe un peccato, però, se tu mi mangiassi." «"E perché mai?" domandò l'enorme pesce, nuotando sempre più vicino. «"Perché" rispose Zampa-di-fuoco, "se tu mi divori, non ci sarà nessuno a mostrarti quella baia alla luce del sole in cui la mia Gente abita e sguazza sempre nell'acqua, dove un grande pesce come te potrebbe mangiarne in tale quantità da non essere mai sazio." «"Hmm" rifletté il grande pesce, "e se io ti risparmio, tu mi mostrerai dove abitano questi gatti che nuotano?" «"Certamente" rispose Zampa-di-fuoco. "Lasciami solo salire sulla tua schiena, in modo da poterti mostrare la strada." Così detto, si arrampicò sull'enorme schiena pinnata del pesce che cominciò allora a nuotare. «Mentre si avvicinavano alla sponda opposta del Qu'cef, il pesce volle sapere dove era la baia in cui abitavano i gatti nuotatori. «"Ancora un po' più avanti, ne sono certo" rispose il Signore Tangaloor, e così proseguirono finché non furono molto vicini a riva. Il pesce chiese di nuovo di sapere dov'era quel posto. «Soltanto un po' più vicino" rispose Tangaloor. Si avvicinarono ancor più alla riva finché, tutt'a un tratto, l'acqua fu così bassa che il gigantesco pesce si trovò nell'impossibilità di andare avanti. Scoprì allora che era ormai arrivato troppo vicino a terra anche per poter ritornare indietro, e non poté far altro che ruggire di rabbia mentre Zampa-di-fuoco balzava giù dalla sua schiena e raggiungeva a piedi la sabbia. «"Grazie per il passaggio, amico pesce!" esclamò. "In realtà, temo che non si faccia molto nuoto, da queste parti, però ci piace molto mangiare! E ora vado a cercare qualche altro amico della mia Gente e ritorneremo qui per banchettare con te, come tu avresti fatto con noi!" «"E così successe. Ecco perché, da allora in poi, nessun gatto è mai entrato volentieri in acqua... e mangiamo soltanto quei pesci che possiamo catturare senza bagnarci."» Tutti i prigionieri risero quando Orecchiotagliato terminò il canto della
sua storia. Per un attimo sembrò che tutta la terra e le pietre che dividevano quella Gente dal cielo fossero scomparse e che stessero cantando insieme sotto l'Occhio di Meerclar. La collina non dormiva mai. Come un alveare di insetti impazziti, il labirinto di gallerie e di caverne brulicava di strane figure e di voci sommesse. La pallida luce della terra fosforescente faceva apparire corridoi e caverne come uno spettacolo di formicolanti, evanescenti fantasmi. Altrove, altre gallerie non illuminate erano buie come lo spazio tra i mondi, ma anche in quei luoghi cupi e desolati si muovevano figure invisibili e soffiavano venti dalla fonte ignota. La collina era da poco tempo nell'Occhio del sole. Cinque o sei stagioni soltanto erano trascorse da quando il terreno gibboso della valle aveva cominciato a sollevarsi, gonfiandosi come un ramo d'albero infestato da uova di vespe. Come la ferita cui assomigliava, la collina copriva in superficie il più profondo tumulto al di sotto: leghe e leghe di gallerie che si estendevano capillarmente, percorrendo la terra sotto la collina e la foresta e i corsi d'acqua in ogni direzione, come una stupefacente ragnatela sotterranea. Al centro di quella ragnatela, sotto la piatta volta di Vastnir, un ragno crudele e incomprensibile ne controllava i fili, col suo corpo impassibile, con la sua mente che esplorava fino ai limiti del suo dilagante dominio. Grizraz Mangiacuore, nato da Occhio-d'oro e Danza-in-cielo, corrompendosi sotto la terra fin da quando il mondo era giovane, sentiva avvicinarsi il suo momento. Lui era una forza, e in un mondo impoverito progressivamente dalla scomparsa e dalla diminuzione dei Primi Nati, rappresentava una forza alla quale nessun altro poteva paragonarsi. Lui era insediato nel cuore della collina e le sue creature si moltiplicavano intorno a lui, diffondendosi all'esterno. Anche le gallerie si estendevano, trivellando dal basso la superficie del mondo. Ben presto non ci sarebbe stato luogo così distante da sfuggire al suo dominio. E la notte era sua: le sue creature, nate nelle tenebre della terra, dominavano anche le tenebre al di sopra. Tesi gli ultimi fili della ragnatela, avrebbe dominato anche le Ore della luce. Non gli serviva altro che il tempo, soltanto una frazione di tempo al confronto con l'eternità in cui aveva atteso e progettato... e bruciato d'impazienza. Che cosa poteva ostacolarlo, ora che era così vicino al tramonto finale? I suoi familiari e i suoi pari erano scomparsi dalla terra senza lasciar traccia, se non nella mitologia e nella venerazione. Lui era una potenza, e qual era la potenza che poteva opporsi a lui?
La sua fredda, inesorabile intelligenza soppesava questi argomenti e li trovava ben solidi, eppure permaneva ancora un piccolissimo, quasi insignificante pulviscolo di inquietudine. Mangiacuore distese di nuovo la sua mente alla ricerca, alla ricerca... Già dall'alba Ombra-di-tetto stava camminando nervosamente avanti e indietro tra i radi alberi ai margini della foresta di Foglia di Topo. A occidente, oltre la vasta distesa della valle, era ancora assopita la collina. Avanti e indietro, posando lievemente le sue morbide zampe grigie una dopo l'altra, Ombra-di-tetto camminava prudentemente tutt'intorno. La sua testa era china, come se camminando fosse immersa in profondi pensieri o in importanti decisioni da prendere, ma in realtà la sua decisione era già stata presa. Il sole, che scintillava nell'aria fredda e gettava bagliori di diamante dalla terra innevata, aveva oltrepassato la meridiana e stava iniziando la sua rapida discesa invernale quando la fela grigia interruppe il suo assorto camminare e tese l'orecchio verso la terra. Rimase immobile per alcuni lunghi secondi, come se il vento che scendeva dalle montagne sopra di lei l'avesse raggelata, il pelo e le ossa, lì dove stava. Poi, scrollando lievemente la testa, abbassò il naso per annusare, respirò per qualche attimo, e tese improvvisamente di nuovo l'orecchio. Soddisfatta, tese la zampa, tastò lievemente la neve incrostata e cominciò a grattare la fredda pelle bianca della terra addormentata. Una volta eliminata quella crosta friabile, appoggiò il suo peso sulle zampe posteriori e cominciò a scavare in profondità. Il terreno era quasi gelato e le zampe le dolevano, ma Ombra-di-tetto continuò rapidamente la sua opera, sollevando mucchi di terriccio e di pietre che rotolavano sotto la sua coda. L'Ora era trascorsa, e Ombra-di-tetto cominciava a temere di essere stata ingannata dai sensi. La terra era dura e compatta, e la sua piccola figura esile era per gran parte immersa sotto il bordo del buco. Poi, d'improvviso, una sua zampa andò scavando oltre il fondo del buco, nel vuoto sottostante. Una folata di aria calda e fetida salì attraverso il varco, e la gatta si ritrasse sgomenta. Era questo che stava cercando, però, e si riaccinse con determinazione a scavare. Dopo aver grattato ancora un po', riuscì a infilare la testa e i baffi dentro l'apertura. Quando infilò anche le zampe anteriori, fu presa da un attimo di panico, sentendosi sospesa nel nulla, penzolando
disperatamente nel vuoto. Il buio sconosciuto che si apriva sotto di lei era come un abisso senza fondo. Il suo peso trascinò anche le zampe posteriori oltre il bordo che si sfaldava del buco, e cadde solo per un attimo, atterrando lievemente sul terriccio del fondo di una galleria. Voltò per qualche momento lo sguardo verso il buco sopra di lei, illuminato dalla luce del sole al tramonto. Sembrava un buco molto piccolo, adesso, anche se non molto distante. Non era distante, ma era definitivamente dietro di lei. La testa bassa, gli occhi verdi sgranati per cogliere quella poca luce che c'era in quel mondo buio e ostile, Ombra-di-tetto scese silenziosamente giù nel sottosuolo. Capitolo 23 La paura della morte? Sentire la nebbia nella gola, la foschia sulla faccia. ROBERT BROWNING Attraverso una delle immense grotte con la volta di pietra, il malconcio gruppo di gatti si trascinava stancamente verso le gallerie degli scavi. Acchiappacoda scrutava quella marea ondeggiante di animali senza speranza alla ricerca di Stretta-di-zampa, finché riuscì a riconoscere il piccolo gatto pelle-e-ossa in fondo alla fila, e allora rallentò ancor più il suo passo strascicato finché Stretta-di-zampa non lo raggiunse. «Salve, Acchiappacoda!» lo salutò Stretta-di-zampa, con una flebile eco della sua voce un tempo così vivace. «Sembri un po' più in forze. Come va la tua spalla?» «Meglio, mi sembra» rispose Fritti, «ma non credo che guarirà mai completamente.» Sollevò la zampa anteriore e la scrollò per metterla alla prova. «Senti» soggiunse Stretta-di-zampa in tono di cospirazione, «ho mandato un messaggio a quel tipo lassù, nelle Catacombe superiori, e mi ha mandato a dire che non ha visto nessuno dei tuoi amici, ma terrà gli occhi aperti.» Stretta-di-zampa gli rivolse un sorriso che voleva essere d'incoraggiamento. Stavano passando attraverso una delle enormi porte interne, e dovevano abbassare la voce fino a sussurrare, perché le pareti della galleria si restringevano e l'eco delle loro parole certamente avrebbe nchiamato
l'attenzione indesiderata dei guardiani. «Ti ringrazio per il tentativo, Stretta-di-zampa» disse Fritti. «Come stava Balza-in-alto, questa mattina?» L'inviato del Muro degli Incontri non era riuscito ad alzarsi per andare al lavoro, negli ultimi due giorni, e di conseguenza non aveva potuto mangiare. «Molto male, temo. Sta lì disteso e dice che se si muove perderà il suo nome di coda.» Camminarono in silenzio per qualche momento nel mezzo di quella massa infelice di gatti con gli occhi sbarrati. Le sovrastanti Zampe-daguardia camminavano ai lati della mesta processione, avvicinandosi di quando in quando per minacciarli o pungolarli. «Balza-in-alto morirà tra breve» disse Acchiappacoda. Nel mondo di sopra, sarebbe stato stupito nell'udire pronunciare una frase simile con un tono di voce così calmo. «Non ha più la forza sufficiente per vivere» convenne Stretta-di-zampa. «Il nome di coda è tutto quello che ha...» In una grotta nella parete di roccia al di sopra della Porta più grande, Ombra-di-tetto stava guardando sotto di sé gli scheletri che vivevano sotto la collina. Ottenebrata dalla tensione necessaria per controllare i propri istinti, stanca e spaventata, la fela era riuscita nondimeno a farsi strada fin nel centro pulsante della collina. Quando la galleria era terminata improvvisamente davanti alla parete della caverna della Porta più grande, Ombra-di-tetto aveva potuto vedere tutt'a un tratto il male, l'os, in tutta la sua interezza. Le guardie deformi, i prigionieri malati e morenti al di sotto, le luci spettrali e la calura malsana dell'aria: tutto questo l'aveva colpita con palpabile violenza, mentre s'arrampicava barcollando sopra la caverna. Non riuscendo a riprendere fiato, aveva perduto l'equilibrio davanti all'ingresso della grotta ed era caduta, come un corpo inerte, sul buio pavimento. Molto dietro di lei, in vicinanza della superficie, il naso arricciato di una delle cieche Zanne-da-guardia aveva fiutato qualcosa di strano: una galleria non autorizzata che si apriva sul mondo di sopra. La terra era stata smossa da poco. I tentativi di fuga erano frequenti, naturalmente, ma ogni volta fallivano. Questo caso sembrava diverso, però. Il fiuto sensibile della creatura senza
pelo che aveva scoperto il buco percepiva un fatto strano: il buco era stato scavato verso l'interno, non verso l'esterno... Nelle profondità di Vastnir, una figura sbucò da un antro scuro e penetrò in un altro ancora più buio. Il calore e le correnti d'aria guidarono la figura verso ciò che cercava. «Padrone Ss-succhia-Ss-sangue!» esclamò. Seguì qualche attimo di silenzio, e poi: «Pellerognoss-sa! È da un pezzo che m'infastidiss-sce la tua press-enza ss-sgradevole. Penss-so che dovrò metterci fine, prima o pp-poi.» Anche lì, nel buio, si poteva avvertire l'inquietudine di quella figura. «Ti prego, padrone, non ess-sere impazz-ziente! Ti porto importanti notizie!» Un altro lungo silenzio, durante il quale Pellerognosa poté sentire col fiuto e con l'udito l'avvicinarsi di Succhiasangue, come la Gente al di sopra avrebbe potuto vederlo alla luce del sole. Dovette farsi forza per resistere all'impulso di fuggire. «Che coss-sa puoi dirmi che potrebbe ss-sembrarmi interess-sante, vecchio bavoss-so...?» Il tono di Succhiasangue faceva presagire una morte imminente e dolorosa, ma Pellerognosa seppe cogliere l'occasione e ne approfittò: «Sssoltanto una coss-sa, meraviglioss-so Ss-signore, ss-soltanto quess-sto: qualcoss-sa ha ss-scavato una galleria dentro Vass-sstnir! Qualcoss-sa che viene dal mondo del ss-sole! Ho trovato il poss-sto dove la coss-sa è entrata, sopra la grande Porta!». Succhiasangue si avvicinò finché il calore del suo alito investì il suo atterrito sottoposto. «E perché dovrebbe interess-sarmi?» sibilò il capo delle Zanne-daguardia, ma ora la sua voce aveva un tono sottilmente più confidenziale. «Ss-suppongo che tu abbia detto tutto quanto a ogni coss-sa che cammina, ss-striscia o sscava da qui alle Catacombe più bass-sse, non è coss-sì?» «No, no, grande Ss-signore!" mormorò Pellerognosa, felice di aver intuito giustamente. «Ss-sono venuto ss-subito qu-qui!» «Vai a chiamarmi Muss-ssoss-scuro. Ss-sei proprio ss-sicuro che foss-se una galleria d'ingress-sso? Ss-se ti ss-sei ss-sbagliato...» «Oh, no, n-no» si affrettò a rispondere Pellerognosa, ansimando di paura. «Ne ss-sono ass-ssolutamente ss-sicuro, ss-signore!» «Allora manderò a chiamare Bast-Imret» replicò Succhiasangue con voce bassa, compiaciuta.
«Vuoi ff-fare intervenire le Oss-ssa-da-guardia...?» gemette Pellerognosa. Succhiasangue digrignò i denti, facendo sanguinare la sua pelle senza pelo. «Imbecille! Come oss-si perss-sino ress-spirare in mia press-senza? Ssstai lontano dal mio nass-so, lecca-bava! Va' a chiamare Muss-soss-scuro, poi vai a ss-striss-sciare ss-sotto qualche ss-sass-sso finché non avrò dimenticato la tua ess-siss-stenzz-za!" Ansimante, Pellerognosa scappò via, mentre Succhiasangue si leccava il muso screpolato e senza pelo. Mentre si trascinava con gli altri schiavi di ritorno dagli scavi nella galleria, Acchiappacoda alzò lo sguardo sfinito, e vide accanto a sé la cupa figura di Gratt'artiglio con un crudele sogghigno sulle sottili labbra scure. «Mre'fa-o, faccia-di-stella» lo salutò Zampa-da-guardia in tono sarcastico. «Come ti trovi nella tua nuova casa?» Acchiappacoda non rispose e continuò a camminare. Gratt'artiglio non sembrò aversela a male. «Abbiamo ancora dell'orgoglio, è così? Be', provvederemo anche a quello... no, non mi sono dimenticato di te, stai sicuro.» Gratfartiglio si fermò un attimo per stiracchiarsi, sfiorando con la pancia chiazzata il fondo della galleria. Quando ebbe terminato, raggiunse di nuovo Fritti con la sua sciolta falcata. «Abbiamo tutto il tempo per fare quattro chiacchiere, prima o poi» gracchiò. «Ho pensato di venire qui solo per assicurami che facessi il tuo esercizio quotidiano. Non vorrai mica diventare grasso e pigro, vero, piccola lumaca?» Gratt'artiglio fissò lo sguardo su Acchiappacoda, che gli rispose in atteggiamento fiero, poi soggiunse in tono più sommesso: "Sta succedendo qualcosa. Tutte quelle piccole salamandre di Succhiasangue stanno correndo qua e là, come se avessero il fuoco sulle loro piccole, orrende code. Volevo solo farti sapere che ti sto tenendo d'occhio, a prescindere da quello che sta succedendo. Ho la sensazione, non so perché, che tu c'entri in qualche modo. Non cercare di fare quella faccia da innocente, ricordati solo questo: verrò a sapere qualcosa di te. Scoprirò qual è il tuo segreto». Poi Gratt'artiglio si voltò. «Buona danza, verme-disole» soggiunse la Zampa-da-guardia allontanandosi trotterellando. Fritti abbassò lo sguardo mentre udiva i passi pesanti di Gratt'artiglio che si allontanavano. Si domandava soltanto quali altre sofferenze lo aspettavano ancora.
Nella sua caverna, dove era in compagnia soltanto della figura immobile, inerte di Mangiapulci, Balzalesto era in preda a un sogno del dormiveglia. Anche se i suoi occhi erano chiusi, gli sembrava di poter vedere tutto chiaramente, come se fosse stato nel mondo soprastante. Gli sembrava di trovarsi ancora sul guado di Saltostretto, sopra il Gran Miagolio che scorreva ruggendo sotto di loro. Dal suo punto d'osservazione, sull'arco di roccia, poteva vedere la collina accovacciata in tutta la sua mole opprimente. Su un fianco era aperto un buco dal quale usciva una fila di figure scure che si muovevano in una strana danza, ma con qualche proposito maligno e misterioso. Balzalesto udì allora un forte squillo di trombe, come se il sole avesse trovato la voce. Le figure scure allora si scomposero e si diedero a correre disordinatamente, poi si lasciarono cadere e scomparvero sotto terra. Il ruggito del Gran Miagolio era più forte, adesso, e dalle sue acque emerse una grande forma bianca dal profilo mutevole e incerto. La figura attraversò la vallata, e là dove le danzanti figure scure erano cadute per essere inghiottite dalla terra, crescevano ora rigogliosi alberi e fiori. La figura bianca si avvicinò poi alla collina e al suo tocco l'enorme cumulo si schiuse, rivelando i petali di una grande rosa nera, chiazzati dai colorì del tramonto. In quella luce abbagliante, la figura bianca si rimpiccioliva, anzi non rimpiccioliva, ma si trasformava in una nebbia che s'innalzava in cielo. Pervaso da un senso di pace, sentendosi innalzare insieme con quella nebbia del sogno, Balzalesto non si accorse per qualche tempo che qualcuno lo stava scrollando. Aprì di malavoglia gli occhi e vide davanti a sé la faccia ossuta, arcigna, digrignante di Lungazanna. «Oh no, anche tu... È già abbastanza fastidioso quell'altro» gracchiò la Zampa, indicando Mangiapulci. «Su, alzati, voglio darti un'occhiata.» Gli fece una sommaria ispezione dal muso alla coda, poi voltò lo sguardo dietro di sé e lo rivolse di nuovo verso il piccolo gatto con espressione irritata. «Gratt'artiglio vuole che vi tenga d'occhio. Tutta la collina è in subbuglio perché è entrato qualcuno che non dovrebbe essere qui. Mi dispiace quasi, per quella stupida me'mre, quando le metteranno le zampe addosso.» Con un'espressione di istintivo piacere per il probabile destino che attendeva l'intruso, Lungazanna si distese sul pavimento della caverna. Anche se chiuse gli occhi di nuovo, Balzalesto aveva ormai perduto l'ispirazione del suo sogno. Udiva fiocamente il rumore di molte creature che camminavano nelle gallerie fuori della sua cella.
Acchiappacoda guardò Stretta-di-zampa senza capire. «Come hai detto?» domandò ancora assonnato. «Uno della Gente appena arrivata vuole parlare con te. Non farmi domande» ripeté Stretta-di-zampa, scrollando la testa. «Là, all'ingresso del cunicolo.» Poi Stretta-di-zampa ritornò al suo giaciglio. Mentre si stiracchiava, Fritti sentì il dolore alla spalla e la morsa della fame nel ventre. Avanzando con la cautela che gli consentivano le sue stanche membra, Fritti si fece strada in mezzo al groviglio di corpi addormentati e gementi. Accanto all'ingresso della grande caverna, raggomitolata contro una parete vicina all'ingresso del cunicolo, vide la figura di un piccolo gatto grigio rannicchiato su se stesso. Mentre si avvicinava, poté udire l'eco del movimento che ferveva ai piani superiori. Il piccolo corpo disteso sembrò rabbrividire. «Mre'fa-o» disse Fritti allo sconosciuto, con stentata cordialità. «Mi chiamo Acchiappacoda e ho saputo che tu...» Interruppe la frase a metà, sentendosi fremere i baffi. La figura del nuovo arrivato gli sembrava molto familiare, anche lì nell'oscurità. «Ombra-di-tetto!» ansimò. La sua mente turbinava. Era stata lì anche lei tutto il tempo, al lavoro nelle gallerie della collina? Ma era veramente lei? «Zitto!» sibilò la fela. Ancora incredulo, Fritti si chinò per annusarle il naso, i fianchi. Ombradi-tetto! Mentre lui l'annusava sognante, lei gli diede una zampata sul naso. Come un gattino colto in fallo, Acchiappacoda allora si alzò, guardandosi imbarazzato intorno. Nessuno degli altri prigionieri prestava loro alcuna attenzione. Allora Fritti si chinò così vicino a lei che i loro baffi s'intrecciarono, e cominciò allora a lisciarla con ardore. Poi le domandò sommessamente, con la lingua ancora impastata di pelo: «Come sei arrivata qui?». «Ho scavato fino a una delle gallerie» rispose lei. Anche se parlava in tono pacato, gonfiava intanto i fianchi. Dev'essere stato terribile per lei, pensò Fritti: sperduta in questo posto, alla ricerca di un gatto in mezzo a innumerevoli altri. «Ma come hai fatto, in nome di Meerclar, come hai fatto a trovarmi?» le domandò ancora, continuando a lisciarle il pelo. «Come ho fatto... a trovarti? Be', veramente non lo so, Acchiappacoda. Sapevo soltanto che dovevo trovarti. Non riesco a spiegartelo adesso... non riesco nemmeno a pensare... Vuoi smetterla?» esclamò, arruffando il pelo, e Fritti cessò subito di lisciarlo. «Non ne abbiamo il tempo!» soggiunse.
«Dobbiamo andarcene da qui, penso che mi stiano cercando.» Si alzò sulle zampe leggermente tremanti. Acchiappacoda non replicò, ma si alzò a sua volta. «Non possiamo andarcene senza Balzalesto» obiettò. Improvvisamente, inaspettatamente, gli venne in mente Zampafelpata, lo scopo della sua ricerca, per la quale aveva lasciato il Muro degli Incontri tanto tempo prima. Forse era lì anche lei, in qualche posto? Forse era ancora viva? Pensò al macabro trono di Mangiacuore e si sentì d'un tratto piccolo e impotente. «Sai dov'è tenuto prigioniero?» domandò Ombra-di-tetto. Fritti si voltò a guardarla. Era davvero esausta, e lui non era in forma migliore. «Balzalesto?» domandò. «No, non l'ho più visto da quando ci hanno separati.» Lanciò un'occhiata preoccupata su per il cunicolo. «Temo allora che non avremo il tempo per cercarlo» replicò la fela in tono pacato. «Saremo fortunati se riusciremo a uscire di qui noi due» soggiunse, avviandosi verso l'ingresso del cunicolo. Acchiappacoda era sgomento. «Ma non possiamo abbandonarlo! Sono stato io a portarlo qui! È soltanto un gattino!» Ombra-di-tetto si voltò a guardarlo e gli rispose con un ringhio: «Acchiappacoda, non essere stupido! Potremmo impiegare giorni prima di trovarlo... Dobbiamo uscire di qui e avvertire la Gente alla Prima Casa, altrimenti sarà troppo tardi per tutti! Sarà molto meglio anche per lui se riusciamo a portare qui i soccorsi, piuttosto che farci catturare e ammazzare. Dobbiamo andare a informare Saltasteccati e tutti gli altri. Su, andiamo!». Fritti tentò di fare altre obiezioni, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a farle comprendere la realtà, per quanto riguardava Mangiacuore o le Zanne-da-guardia, oppure le leghe di gallerie percorse strisciando accanto a quella diabolica genia di creature sotterranee. Ombra-di-tetto non aveva comunque intenzione di attendere per ascoltarlo, ma stava già risalendo il piano inclinato della galleria, verso il riverbero di una fioca luce e l'eco di voci rauche e aspre. Fritti la seguì. La collina ferveva di attività. Le Zampe-da-guardia si riunivano in gruppi, confabulavano tra ringhi sordi, poi si dividevano di nuovo per sguinzagliarsi lungo le gallerie e fare irruzione dentro le celle delle caverne. Quando Acchiappacoda e Ombra-di-tetto arrivarono al corridoio principale fuori dal cunicolo, le Zampe erano entrate in forze nella caverna accanto a quella che loro due avevano appena lasciato. Ringhi rabbiosi e fievoli mia-
golii di dolore echeggiavano su nella galleria m cui ora si trovavano. Si diedero alla fuga, tenendosi nell'ombra più fitta accanto alla parete della galleria. Dopo essere passati davanti a molte altre caverne, trovarono un cunicolo apparentemente abbandonato, buio e coperto di muffa, e vi entrarono precipitosamente. Lo strepitio alle loro spalle si era leggermente affievolito, e si fermarono per qualche attimo mentre Ombra-di-tetto cercava di orientarsi. A occhi chiusi, si lasciò guidare dall'istinto, cercando nei sensi della memoria la strada per il buco d'ingresso che aveva scavato. Dopo qualche attimo di riflessione, si diresse giù per il cunicolo. Si tenevano lontani dalle principali arterie di comunicazione, approfittando del riparo delle gallerie di raccordo, delle grotte e dei cunicoli non ancora terminati. Andavano su e giù, salendo a spirale verso la superficie, verso la via della fuga. Più di una volta rischiarono di essere scoperti. Una volta, nell'udire il rumore di passi che si avvicinavano, dovettero infilarsi precipitosamente dentro un piccolo cunicolo non terminato, e lì rimasero appiattiti contro la parete, raggelati dal terrore, trattenendo il fiato, mentre due Zampe-daguardia discutevano se valesse la pena di esplorare il loro nascondiglio. Finalmente, quando i due bestioni decisero di andarsene e si allontanarono a lunghi balzi, Fritti si accorse che faceva fatica a riprendere il fiato. Finalmente iniziarono l'ultima, ripida salita verso l'ingresso scavato da Ombra-di-tetto. Scrutando al di là di un angolo, videro l'ultima galleria completamente buia. Mentre avanzavano silenziosamente, intravvidero davanti a sé il barlume della luce di una stella, la via dell'uscita, in fondo al corridoio. Da tanto tempo Fritti non vedeva il cielo che si sentiva quasi ebbro di eccitazione. Nonostante l'opprimente afa della collina, una ventata di aria gelida gli accarezzò la schiena e gli arruffò la coda. Fritti balzò avanti gioiosamente, per un attimo ebbe l'impressione di sentire già l'erba sotto le zampe e un vento freddo sul pelo. Udì Ombra-di-tetto che lo chiamava sommessamente, ma in tono pressante. Non le prestò ascolto. Poi la luce della stella scomparve. Immediatamente qualcosa lo colpì, cogliendolo completamente alla sprovvista. Il richiamo sommesso di Ombra-di-tetto diventò un grido di paura. Qualcosa incombeva sopra di lui, qualcosa che lo azzannava e lo mordeva. «Muss-soss-scuro! Non lass-sciare ss-scappare l'altra!» sibilò una voce nel buio, e Fritti udì gridare di nuovo Ombra-di-tetto. La cosa che stava sopra di lui cercava di azzannarlo alla gola con i suoi denti aguzzi, e men-
tre Fritti si torceva disperatamente, sentì fremere la sua pelle senza pelo sotto le proprie zampe. Era una Zanna-da-guardia! Si dibatteva disperatamente per liberarsi dalla presa di quella creatura e riuscì a conficcare i denti nella sua carne per un breve palpito, e ne fu ricompensato da un sibilante gemito di dolore del suo aggressore. Poi sollevò le zampe posteriori e udì uno sbuffo di aria. In quell'attimo di tregua, riuscì a liberarsi e corse allora verso il punto in cui aveva appena udito la voce di Ombra-di-tetto. I suoi occhi si stavano finalmente abituando a quella completa oscurità e vide un'altra figura che si ergeva, appena in tempo per schivare in parte il suo colpo, che tuttavia lo fece rotolare a terra. Andò ad accovacciarsi accanto al corpo rannicchiato di Ombra-di-tetto. «Ss-squarciapancia! Vai a aiutare Muss-soss-scuro con i prigionieri!» Fritti poteva ora distinguere la figura allungata, senza pelo da cui proveniva quella voce, accovacciata dietro a quella che doveva essere la loro via d'uscita. La sua testa senza occhi annuiva soddisfatta. «E coss-sì» sibilò «ss-siete ritornati come previss-sto al voss-stro buco d'ingress-so. Bene, bene. Viss-sto che vi piace tanto viaggiare, ora vi porrrteremo a viss-sitare il noss-stro regno, d'accordo?» Le altre due figure scure erano ora a fianco di Ombra-di-tetto e di Acchiappacoda, e una di queste propose: «Perché non li ammazziamo qui sssubito, capo Ss-succhiass-sangue?». Il capo delle Zanne-da-guardia lasciò sospendere nell'aria buia e scura, un lungo attimo di silenzio. «Dovress-sti penss-sare, prima di farmi domande, Ss-squarciapancia, sssoprattutto dopo che ti ss-sei dimoss-strato coss-sì ineff-ficc-ciente. Quessste creature ci hanno causs-sato gravi fass-stidi, e dovremo fare in modo di ripagarli del diss-sturbo. Ma vivranno ancora un po', perché dess-sidero ssscoprire certe coss-se. Ma non c'è niente che poss-sso ss-scoprire da te. Capiss-sci che coss-sa voglio dire?» Squarciapancia stava per balbettare una risposta quando una figura scura irruppe dentro la galleria alle spalle di Acchiappacoda e di Ombra-di-tetto, abbattendo come birilli le due Zanne-da-guardia. Senza curarsi di accertare l'identità del loro misterioso benefattore, Fritti e la fela balzarono in piedi e ritornarono indietro di corsa nella galleria. Dietro a loro, potevano udire ringhi e strepiti, e gli echi di una violenta zuffa. Al di sopra di tutto, si udiva la voce furibonda di Succhiasangue che strideva: «F-fermateli! Ffermateli!».
Il tempo si dilatò in un unico cupo e interminabile momento mentre Fritti e Ombra-di-tetto fuggivano attraverso le buie caverne esterne. Lontano dalle Zanne-da-guardia, lontano dalla galleria scavata da Ombra-di-tetto, lontano da tutto: non riuscivano a pensare ad altro. Acchiappacoda perdeva sangue dalle nuove ferite, e la spalla gli pulsava e bruciava a ogni passo. Correvano nel buio quasi completo, affidandosi al fiuto dei baffi e all'udito acuto, nei cunicoli pressoché privi della terra fosforescente che illuminava gran parte di Vastnir. Inciampavano nelle pietre e nelle rocce disseminate sul pavimento, e parecchie volte, nella loro fuga all'impazzata, urtarono contro le pareti di terra, per poi alzarsi e riprendere la fuga. Alla fine dovettero rallentare il passo, avendo smarrito completamente l'orientamento, dopo essere passati davanti a innumerevoli gallerie laterali immerse nell'oscurità. «Temo che rimarremo intrappolati qui dentro per sempre» ansimò Ombra-di-tetto, mentre avanzavano insieme a lunghi balzi. «Se teniamo il fianco sinistro verso la parete e continuiamo a voltare verso l'esterno, prima o poi dovremmo arrivare a una delle gallerie d'uscita... o quanto meno lo spero» ansimò Acchiappacoda. «Comunque, è l'unica cosa che riesco a pensare.» Flebili suoni e sussurri salivano dalle caverne e dalle gallerie laterali. Alcuni di questi erano i lontani rumori di Vastnir che salivano dalle caverne principali. Altri, non identificabili, erano gemiti e sussurri, e una volta fu il tonfo di qualcosa di grosso che precipitava nell'acqua di un pozzo profondo. Stavano camminando cautamente intorno al pozzo, e per tacita intesa non parlarono del rumore che era salito dalle sue profondità. Continuavano a girare verso l'esterno e i rumori della collina si facevano sempre più fievoli a ogni curva. L'aria sembrava diventare più fresca, e quando Fritti glielo fece notare, Ombra-di-tetto osservò che stavano avvicinandosi alla superficie, lasciandosi dietro l'innaturale calura di Vastnir. A Fritti non sembrava però che fosse il freddo dell'inverno. Era un freddo intenso, ma umido e appiccicoso, come se stessero correndo in mezzo a una fitta nebbia. Era diversa dall'aria che avevano sentito nei pressi dell'apertura scavata da Ombra-ditetto. Ma non aveva senso discutere, e Fritti tenne per sé i suoi dubbi. Mentre avanzavano in quello che alle orecchie e ai baffi sembrava un ampio corridoio dall'alto soffitto, Fritti udì un rumore diverso, un rumore che, per quanto fievole, sembrava quello di passi silenziosi. Ne accennò sommessamente a Ombra-di-tetto e rallentarono, camminando con un pas-
so pressoché silenzioso, le orecchie tese. Se erano passi, dovevano però essere molto lontani, tanto da non essere quasi udibili. La coppia accelerò allora leggermente il passo. Il corridoio, o quello che era, si restrinse improvvisamente, e si trovarono bruscamente in una galleria così bassa che Acchiappacoda batté la fronte contro il soffitto. Questo cunicolo saliva e scendeva a spirale, come se fosse stato scavato tra grosse rocce o intorno ad altri ostacoli insormontabili. Fritti e Ombra-di-tetto si sdraiarono a terra e procedettero quasi strisciando. Infine il cunicolo si aprì in un'altra caverna ampia e ben costruita. Alcuni passi più avanti, Acchiappacoda si accorse di qualcosa di diverso. «Ombra-di-tetto!» sussurrò eccitato. «C'è una luce!» E una luce c'era, anche se si poteva notare soltanto in contrasto con la fitta oscurità che avevano attraversato. Quale che fosse, la luce proveniva da dietro un angolo all'estremità della vasta caverna, ed era fievole e riflessa. Non sembrava avere nemmeno la stessa luminosità della terra. «Penso che siamo vicini all'uscita!» rispose Ombra-di-tetto, e per qualche attimo Fritti ebbe la sensazione di veder brillare i suoi occhi. Camminarono sempre più veloci, fino a correre quando furono in grado di vedere gli ostacoli, massicce radici di alberi e pietre, che si profilavano sullo sfondo del fioco bagliore in fondo al grande antro. L'aria era sempre gelida, ma ora era più asciutta. Ovunque c'era polvere, molta, molta polvere. Fritti era balzato avanti a Ombra-di-tetto, che d'un tratto si arrestò con un grido: «Acchiappacoda! C'è qualcosa lì!». E allora una delle forme scure in mezzo a loro si alzò; e col suo movimento l'aria si riempì improvvisamente di un odore nauseante, dolciastro. Ombra-di-tetto squittì, con uno strano gridolino soffocato, mentre Fritti si fermava inciampando. Entrambi i gatti rimasero lì come paralizzati. Una voce secca, come un rumore di rami strofinati insieme, uscì da quella forma oscura. «No, non passerete» disse la voce. Le sue parole erano lontane, come pronunciate da grande distanza. «Ora appartenete alle Ossa-da-guardia.» «No!» tuonò un'altra voce. Incredulo, raggelato da una strana sensazione di terrore frenetico, Acchiappacoda vide gli occhi infossati e la faccia deforme di Gratt'artiglio che comparivano improvvisamente dalle tenebre dietro a Ombra-di-tetto. La fela grigia, sopraffatta, cedette alla rassegnazione e abbassò la testa. «Sono stato io a prenderli a Succhiasangue e alle sue Zanne-da-guardia. Questi due sono miei!» ringhiò Gratt'artiglio, ma senza avvicinarsi.
«Tu non puoi pretendere niente» sussurrò quella strana voce sospirante. «Nessuno può interferire con Bast-Imret. Io eseguo il volere del Padrone di Tutti.» L'Osso-da-guardia si avvicinò, ondeggiando lievemente con un rumore di cuoio avvizzito, e il capo delle Zampe-da-guardia indietreggiò, barcollando come se fosse stato colpito da qualcosa. «Prenditi la fela, se vuoi» soggiunse Bast-Imret. «A noi interessa l'altro. E ora vai. Il tuo posto è nelle profondità.» Gratt'artiglio, mugolando come per qualche invisibile ferita, balzò avanti e prese per la collottola Ombra-di-tetto, che non oppose resistenza, poi si voltò e scomparve nel buio della galleria ingombra di detriti. Fritti tentò di chiamare Ombra-di-tetto, ma non ci riuscì. Tutti i suoi muscoli fremevano nella tensione del tentativo di darsi alla fuga. La figura scura di Bast-Imret si voltò. Aveva forma di gatto, ma era avvolta nel buio più fitto, anche quando era illuminata dal nverbero di fronte ad Acchiappacoda, il quale non riusciva a guardare la sua faccia né i punti neri che dovevano essere i suoi occhi. Distogliendo la testa, si dibatté, e per qualche momento con successo. Sentiva le zampe molli come gelatina, ma riuscì a voltarsi e a strisciare con la forza della disperazione lontano dall'Osso-da-guardia. «Non c'è via d'uscita» sussurrò il vento. No, pensò Fritti, non è il vento. Corri, stupido! «Non c'è via d'uscita» alitò ancora il vento, e Fritti sentì mancarsi le forze. Non è il vento, devo scappare, devo scappare... «Vieni con me, adesso.» Non era il vento a parlare, Fritti lo sapeva, e continuò a strisciare. «Ti porterò nella Casa delle Ossa-da-guardia» cantilenò nel suo tono monocorde Bast-Imret nelle tenebre dietro a lui. «Suonano sempre gli zufoli, là nell'oscurità, e quelli senza faccia e senza nome cantano nelle profondità. Non c'è scampo. I miei fratelli ci aspettano. Vieni.» Fritti riusciva a stento a respirare. L'odore di polvere, di droghe, di terra gli dava le vertigini... lo pervadeva... «Noi danziamo nell'oscurità» intonò ancora Bast-Imret, e Fritti sentì i suoi muscoli che s'irrigidivano. «Danziamo nell'oscurità e ascoltiamo la musica in silenzio. La nostra casa è profonda e silenziosa. La terra è il nostro letto...» La luce sembrava ora più intensa. Acchiappacoda era riuscito a raggiungere quasi la curva della galleria. Socchiuse gli occhi, abbagliato. Senza
preavviso, la figura scura di Bast-Imret fu davanti a lui, bloccando l'uscita della galleria. Un'aria secca, venefica, sembrava emanare dall'Osso-daguardia. In un accesso di tosse, Acchiappacoda s'afflosciò per terra, incapace perfino di strisciare. La creatura incombeva sopra di lui, cantilenando con la sua voce lontana parole sconosciute. Dentro di sé, Fritti sentiva salire vampate di terrore, come un panico ardente, ma trovò in qualche modo la forza per lanciarsi avanti. Quando urtò contro la creatura, sentì il suo pelo polveroso che cedeva. Bast-Imret si accasciò a terra con un rumore simile a quello dei rami spezzati, aggrappandosi a Fritti mentre questi, con quelle che erano le sue ultime forze disperate, si sforzava di spingersi più avanti. Oltre la curva della galleria, verso la libertà che rappresentava. L'Osso-da-guardia era però avvinghiato a lui, e nelle tenebre la polvere soffocante e l'odore dolciastro li avvolgevano ambedue come un'altra ombra. Fritti sentì le zampe dell'Osso-da-guardia, fragili ma tenaci come radici d'albero che spezzano la roccia, che s'avvolgevano intorno al suo collo. Il suo muso secco tentava di raggiungere la sua gola. Con un estremo guizzo di repulsione, Acchiappacoda si Uberò dalla presa della creatura. Si udì uno schianto agghiacciante quando Fritti se ne distaccò. Tra gli artigli e i denti aveva grosse ciocche di peli e pezzi di pelle scorticati, e mentre arrancava verso la luce riuscì a intravvedere il cupo riverbero di vecchie ossa scure e del cranio sogghignante di Bast-Imret. Mentre s'arrampicava su per il breve tratto del cunicolo, Fritti sentì un dolore bruciante tra un occhio e l'altro, una sensazione che pulsava e scottava. Quando raggiunse l'incombente disco grigiazzurro del cielo, si voltò per un attimo e vide quella cosa orribile alle sue spalle, eretta in piedi nelle ombre sul fondo del cunicolo, con la sua bocca di scheletro che lentamente si apriva e si chiudeva. «Mi ricorderò di te finché moriranno le stelle...» imprecò la voce lontana, priva di tono. Il fuoco divampò ancora nella testa di Fritti, poi scomparve. Acchiappacoda si spinse fin sul bordo del buco. La luce era così vivida che davanti agli occhi gli danzavano macchie luminose. Incespicando, quasi cadendo in avanti, riuscì faticosamente a trascinarsi lontano dal buco, lontano da Vastnir. Il mondo era bianco. Tutto era bianco. Poi tutto diventò nero.
PARTE TERZA Capitolo 24 Oh, magico sonno! O uccello consolatore che discendi sul mare tempestoso della mente finché non è placato e silenzioso! JOHN KEATS Dolore e stanchezza facevano a gara, sotto la pelle di Acchiappacoda. Alta nel cielo era sospesa la pietra fredda e bruciante del sole. Il mondo era immerso nella neve: alberi, pietre e terra erano ammantati in un uniforme sudario bianco. Come piccole punture, il gelo faceva dolorare le zampe di Fritti mentre arrancava attraverso la foresta di Foglia di Topo. Da quando aveva ripreso conoscenza, si era trascinato quasi alla cieca, allontanandosi il più possibile dalla collina. Sapeva che doveva trovare riparo prima del Buio che si distende, quando quelle figure mostruose sarebbero uscite dalle loro gallerie per dargli la caccia... La neve dietro di lui era macchiata di rosso. Nel tardo pomeriggio, Fritti era ancora in fuga, disperato, incapace di pensare. Stava perdendo rapidamente le forze. Non aveva trovato più niente da mangiare, dopo quello che doveva esser stato il mattino del giorno precedente, e la fame, come succedeva solitamente agli schiavi delle gallerie, contribuiva a debilitarlo. Acchiappacoda era ora penetrato nel profondo della foresta. Colonnati di alberi ne sostenevano il tetto, la terra era ovunque coperta di gelo. La stanchezza e il riverbero gli facevano bruciare e lacrimare gli occhi, e di quando in quando gli sembrava di veder muovere qualcosa. Allora si fermava, si acquattava sul freddo tappeto di neve col cuore palpitante... ma non c'era niente, nient'altro che un mondo statico. Nell'antica foresta la vita sembrava cancellata da quella cosa malvagia che le stava crescendo accanto: il Foglia di Topo non emetteva alcun rumore, ma ascoltava in silenzio lo scricchiolio dei suoi passi, non faceva movimenti, ma osservava immobile la sua faticosa marcia. Col trascorrere della giornata, mentre i morsi del dolore al naso, alle orecchie e alle zampe si affievolivano, per essere sostituiti da una strana as-
senza di sensazioni, non scompariva quell'impressione di impercettibili movimenti che lo accompagnavano. Con la coda dell'occhio, Fritti intravvedeva fugaci presenze nell'ombra, ma quando voltava la testa, soltanto gli alberi carichi di neve incontravano il suo sguardo. Cominciava a domandarsi se non stesse forse impazzendo, ossessionato dalle ombre come il vecchio Mangiapulci, quando una delle sue improvvise occhiate colse il bagliore di un occhio. Scomparve immediatamente dietro i rami degli alberi tra i quali era apparso, ma era un occhio, questo era certo. Quando un altro lievissimo movimento accanto a lui richiamò di nuovo la sua attenzione, Fritti non si voltò ma continuò a camminare barcollando, rimanendo in guardia con una sorta di scaltrezza quasi parossistica. Nella sua estrema stanchezza, non prendeva nemmeno in considerazione l'eventualità che potesse essere qualche nemico in agguato. Come un gattino che gioca con uno spago penzolante, dapprima impacciato e disinteressato, ma pronto a balzare un attimo dopo sulla preda, Fritti riusciva a pensare soltanto a quella cosa che si muoveva e ad acchiapparla per mettere fine al gioco. A capo chino, seguito da una scia di gocce color cremisi che ora macchiavano la neve in modo più irregolare, Fritti vide a un tratto un guizzo di qualcosa di scuro e di veloce tra gli alberi alla sua destra. Con aria indifferente, spostò allora leggermente la direzione irregolare della sua marcia verso quella parte, finché non fu circa a un balzo dal bordo del bosco. Un altro guizzo proprio davanti a lui, e Fritti dovette trattenersi a forza per non spiccare il balzo. Con prudenza, ora, con prudenza... Si fermò per un attimo, si accovacciò e leccò una delle sue zampe sanguinanti, sempre con i muscoli tesi, ignorando le fitte di dolore, in attesa... in attesa di un altro movimento... ecco! Fritti balzò, quasi rotolando, e di schianto penetrò nel sottobosco dibattendo le zampe. Qualcosa era caduto dai rami più bassi e stava ora scappando davanti a lui. Con un ultimo slancio delle sue forze, Fritti spiccò un altro balzo. Quando le sue zampe fecero presa, Fritti cadde a capofitto contro il tronco di un albero e rotolò stordito da una parte, mentre sentiva qualcosa di piccolo e di caldo che si dibatteva sotto di lui. Tenendo ferma con una zampa quella cosa, Fritti si alzò e scrollò la testa. Non avvertiva dolore, né gli sembrava di essere ferito, ma si sentiva soltanto stanco... spossato... Per la prima volta vide nebulosamente la sua preda. Era uno scoiattolo,
gli occhi strabuzzati dal terrore, le labbra ritratte sui lunghi denti piatti. Un Rikcikcik, si disse. Ricordava qualcosa dei rikcikcik... forse erano cattivi da mangiare? Erano velenosi? Gli sembrava di avere la testa sepolta nella neve. Perché sentiva così freddo? Perché non riusciva a pensare? Gli scoiattoli. C'è qualcosa che dovrei dire a questo scoiattolo? si domandò. Si sforzava di pensare. Ogni pensiero gli sembrava un altro difficile passo da fare. Abbassando lo sguardo su quel piccolo corpo tremante, sulla sua folta coda, sentì un barlume di ricordo. Sollevò la zampa che imprigionava il rikcikcik, che rimase lì immobile, scrutandolo con gli occhi sbarrati dal panico. «Mrrik... Mrikkarik...» balbettò Fritti, sforzandosi di ricordare quel suono. Sapeva che doveva pronunciarlo. «Mar... Murrik...» Ma era inutile. Sentiva un gran peso morbido che gli gravava sulla schiena, gli faceva vacillare le zampe. «Aiutami» ansimò, nel linguaggio del Canto comune. «Aiutami... Mastro Snap mi ha detto di ripeterti... Mrirrik...» Poi Acchiappacoda crollò sulla neve accanto allo sbigottito scoiattolo. «E ora, gatto-gatto, parla brrrteek: perché hai fatto il nome del fratello mastro Snap?» Sopra la testa di Fritti, era appeso a testa in giù sul tronco di un albero, un vecchio e paffuto scoiattolo con la coda ricurva e gli occhi luccicanti. Dietro a lui, dando prova di minor coraggio, c'era una falange di Rikcikcik che scrutavano Fritti dietro il tronco e tra le foglie dell'albero. «Parla, allora... parla!» squittì il capo degli scoiattoli. «Come fai a conoscere mastro Snap? Paria-paria!» «Tu dici che mastro Snap è tuo fratello?» domandò Acchiappacoda, mentre si sforzava di sgombrare la mente dalle ragnatele. «Ma certo!» stridette lo scoiattolo in tono un po' irritato. «Snap è fratello di Pop, e mastro Pop sono io, capi-capisci stupido gatto-gatto?» Ancora confuso, Fritti rifletté un attimo su queste parole. «Io dovrei dirti qualcosa, mastro Pop... voglio dire, mastro Snap, tuo fratello, mi ha detto di ripeterti... com'è che diceva...?» Mastro Pop emise uno squittio d'impazienza. «Proverò a ripeterlo» mormorò Fritti. "Mrrrarreowrr... No, non è così. Mrrik... Meowrrk... Per Harar! Non riesco a ricordarlo!» Acchiappacoda si accorse che ora il seguito di mastro Pop sembrava avere meno paura di lui, e tutti stavano infatti squittendo divertiti. Acchiappacoda si sentiva dolorante, confuso e stanco, e per un attimo la mente gli
vacillò. Poi, d'improvviso: «Per tutti gli speroni!» esclamò. «Ora ricordo!» Fritti scoppiò a ridere, anche se sentì una fitta di dolore. «Mrikkarrikareksnap!» È così, vero?» In quel momento di euforia, sentì improvvisamente la testa più leggera e si abbandonò a terra lì dove stava. Mastro Pop si chinò su di lui e lo fissò con uno sguardo penetrante. «È vero. È il giuramento della sacra Quercia di Snap. Noi lo onoriamo. Strani, strani tempi. Sei in grado di camminare, strano gatto-gatto?» Zoppicando, Fritti seguì la comitiva dei Rikcikcik nel fitto della foresta di Foglia di Topo. Mentre si trascinava dietro gh agili scoiattoli squittenti, Fritti notò distrattamente il rosso riverbero del sole calante. Qualcosa di confuso, in un angolo della sua mente, si sforzava di richiamare la sua attenzione sulle tenebre che si addensavano... ma la testa gli doleva, ed era troppo difficile pensare. Era sul vapore crescente del suo alito che concentrava la sua attenzione. Con passi che scricchiolavano sulla neve, Fritti seguiva la disordinata comitiva dei rikcikcik. A un tratto il gruppo si fermò. Acchiappacoda rimase lì stordito finché mastro Pop e altri due rikcikcik discesero dagli alberi per mettersi al suo fianco. Mentre guardava le loro code arcuate e le schiene arrotondate, Fritti sorrise loro amichevolmente e disse: «Io sono stato dentro la collina, sapete?». I compagni del signore degli scoiattoli si ritrassero squittendo a queste parole, mentre mastro Pop rimase lì fermo, con lo sguardo acceso e pensoso. Poi fece silenziosamente cenno agli altri di ritornare e insieme spinsero Acchiappacoda dentro la cavità di un ceppo d'albero colpito dal fulmine. L'interno era ben riparato e senza neve. Dopo aver barcollato intorno per tre volte, automaticamente, per rendere onore ai Primi Nati, Fritti crollò a terra. Un corteo di rikcikcik portò aghi di pino e pezzi di corteccia, con i quali Fritti fu coperto dal naso alla punta della coda. «Parle-parleremo al prossimo sole, strano gatto-gatto» disse Pop. «Ora vuoi dormire, non è vero?» Ma Acchiappacoda era già scivolato oltre i confini dei campi del sonno. Quella notte un nugolo scuro di forme sguinzagliate alla ricerca turbinò vorticosamente tutt'intorno, ma senza risultato, senza scoprire il rifugio in cui dormiva Fritti. Nelle profondità del sonno, Fritti si trovava ai bordi di una vasta distesa d'acqua agitata dalla tempesta, ma silenziosa. L'ampia distesa lucente si stendeva a perdita d'occhio, e le forme di fla-fa'az volteggiavano e scendevano in picchiata nel cielo grigio.
Quando finalmente si svegliò, la breve giornata invernale era già trascorsa per metà. Verso la fine delle Ombre più piccole, Fritti si trovò di nuovo di fronte a mastro Pop il quale, accompagnato dalla sua corte, era ritornato all'albero cavo di Acchiappacoda. Nel suo imperioso balbettio, il signore degli scoiattoli gli raccontò che avevano atteso a lungo il risveglio del loro ospite-gatto, e alla fine avevano desistito per andare a procurarsi cibo. Acchiappacoda, che ora si sentiva infinitamente meglio dopo il lungo sonno, poté solo allora scoprire quante diverse parti del suo corpo gli dolevano e pulsavano. Aveva anche una fame divorante, e forse anche i rikcikcik se n'erano accorti, perché lo stesso Pop si mostrava più prudente del giorno precedente. Da parte sua, Acchiappacoda aveva una gran voglia di andare a caccia, ma in considerazione della sua precaria alleanza con i rikcikcik, che erano la sua preda naturale, decise che sarebbe stato meglio attendere il momento opportuno per uscir fuori senza dare nell'occhio. E così, nonostante lo stomaco che protestava, Fritti rimase ad ascoltare pazientemente il lungo resoconto di mastro Pop sulle loro attività mattutine. «Dunque... ora-ora è il momento di parla-parlare, eh?» squittì l'imponente signore degli scoiattoli. «Perché sei qui, gatto-gatto? Perché parli del brutto posto?» Fritti fece del suo meglio per spiegargli gli avvenimenti che l'avevano condotto nella foresta di Foglia di Topo. Il racconto era necessariamente lungo e occupò buona parte del pomeriggio. Quando raccontò del salvataggio della signora Frull e della successiva udienza davanti a mastro Snap, i suoi ascoltatori risposero con acuti squittii di approvazione. I rikcikcik rimasero poi ad ascoltare, nervosamente affascinati, la descrizione della Prima Casa, la pullulante metropoli dei gatti. E quando raccontò infine di Vastnir e della sua terribile prigionia, parecchie giovani femmine furono colte da vertigini e i loro compagni dovettero sventolarle con le loro folte code. Mastro Pop ascoltava in un cupo silenzio, interrompendolo soltanto per avere chiarimenti su alcuni punti che riguardavano la collina e i suoi abitanti. «... e poi vi ho trovato... o piuttosto voi avete trovato me» concluse Acchiappacoda. Mastro Pop annuì col capo. «Quello che non capisco» soggiunse Fritti, «è perché siete ancora qui. Pensavo che tutti se ne fossero andati dal Foglia di Topo» domandò, con un'occhiata interrogativa al signore degli scoiattoli. «Molti rikcikcik sono andati. Molti andati-andati» rispose il sovrano.
«Ma Pop non va. Non può-può. È il nido della tnbù dai tempi delle Radiciin-Terra. Pochi-pochi altri sono rimasti anche. Vivere o morire.» Fritti annuì in segno di comprensione, e per qualche momento l'insolita assemblea rimase m silenzio. Un improvviso e inaspettato presentimento di mortalità, trasportato dal vento gelido, sfiorò Fritti nel ricordare il suo dovere. «Ho un favore da chiederti, mastro Pop» gli disse. «Chiedi.» «Ho un messaggio da far pervenire alla Prima Casa, ai Signori della mia Gente. Deve arrivare lì al più presto. Io non sarei in grado di camminare abbastanza rapidamente. Mi sento ancora molto debole.» «Andranno i rikcikcik» replicò mastro Pop senza esitare. «Noi portiamo parola-parola. Mandiamo mastro Plink. Mastro Plink è così veloce come noce-che-cade.» Un giovane rikcikcik, accovacciato sulle zampe posteriori, si gonfiò visibilmente d'orgoglio. «Sembra molto in gamba» commentò Fritti in tono d'approvazione. «Ma non dovrebbe andare solo, però. È un messaggio importante, e il viaggio fino al Bosco di Radici è lungo e pericoloso. E poi...» soggiunse Acchiappacoda, cercando di usare il maggior tatto possibile. «... e poi i gatti della Prima Casa non conoscono come me il coraggio e il valore dei rikcikcik. È possibile che... accada qualche malinteso. Sarebbe preferibile inviare una delegazione numerosa.» Quando afferrò il senso delle parole di Acchiappacoda, mastro Plink sembrò sgonfiarsi, mentre due o tre delle femmine più giovani erano ancora sul punto di venir meno. Mastro Pop prese allora l'iniziativa. «Ghianda meravigliosa! Non ti preoccupare, amico-gatto. Molti rikcikcik andranno presto. Plink sarà il piccolo capo.» Squittì per qualche attimo col giovane maschio, il quale sembrò un po' rassicurato. Fritti comunicò loro il messaggio da riferire, ripetendolo parecchie volte prima che Plink e i suoi giovani compagni lo imparassero a memoria. «...e ricordate» si raccomandò in tono grave, «se non trovate lì il principe Saltasteccati, il messaggio dev'essere riferito alla regina Dietrosole in persona.» Gli scoiattoli lì riuniti squittirono lievemente per l'emozione, poi Pop fece capire con un cenno che la riunione era conclusa. La caccia di Fritti non diede risultati straordinari. Riuscì a catturare una quantità sufficiente di insetti e di bruchi per soddisfare almeno in parte la sua fame, e prima di andare a dormire si lasciò perfino convincere da ma-
stro Plink, divenuto ora suo amico, ad assaggiare una castagna. Anche se il rikcikcik lo aiutò a rimuovere la buccia ingombrante della castagna, Fritti non la trovò un'esperienza gastronomica molto soddisfacente, e pur profondendosi in ringraziamenti, giunse tra sé alla conclusione che non sarebbe mai diventato un vero scoiattolo. Nella foresta di Foglia di Topo l'inverno stava imperversando. Folate di neve e di vento gelido costringevano il piccolo manipolo di mastro Pop a stare rintanato nei nidi. I messaggeri erano partiti accompagnati da grandi cerimonie, e dopo la loro partenza Acchiappacoda era caduto in uno stato di letargo. Una volta assolta la sua più importante incombenza, quella di avvertire gli abitanti della Prima Casa, Fritti cedette infine agli effetti del tormentoso periodo trascorso sottoterra. I contatti con i rikcikcik erano ora meno frequenti, e Fritti trascorreva sempre più tempo raggomitolato nel suo nido dentro il ceppo d'albero, riparandosi dal freddo e recuperando le forze. I frutti della caccia erano scarsi, e quindi, per risparmiare energie, trascorreva lunghi periodi di tempo sonnecchiando, con brevi ore di veglia che difficilmente si distinguevano da quelle del sonno. Acciambellato dentro il suo albero schiantato dal fulmine, la coda curvata a protezione del naso, Fritti vagava con la mente nel ricordo delle cose che aveva fatto e visto. Come se fossero stati lì presenti, le raccontava ai suoi amici del Muro degli Incontri: Sottil'Osso, Zampasvelta, il solitario Stiralento, il gentile Mostrazanne. Come sarebbero stati stupiti! A volte pensava a Zampafelpata, alla grazia del suo passo e al morbido profilo del suo collo e della sua testa. Fantasticava di ritrovarla e di riportarla a casa, di raccontarle tutte le sue avventure che lei avrebbe ascoltato stupefatta e ammirata. "Per me?" gli avrebbe domandato. "Hai fatto tutto questo per me?" Poi il vento fischiava sopra il ceppo d'albero, arruffandogli il pelo, e allora si ritrovava di nuovo nel bosco di Foglia di Topo. E pensava a quelli che aveva lasciato, abbandonati al loro terribile destino dentro la collina. Forse è per questo che sono stato nominato Acchiappacoda, si disse amaramente. Non ho fatto altro che inseguire la cosa più vicina, come un gattino che rincorra la propria coda muovendosi in cerchio fino a cadere sfinito. Un giorno, quando era trascorso circa metà Occhio da quando era stato trovato dai Rikcikcik, Fritti stava ritornando al suo nido dopo un lungo
pomeriggio di caccia infruttuosa. Dal bosco di Foglia di Topo non era stata cancellata ogni forma di vita, ma le poche creature rimaste stavano rintanate durante il lungo e freddo inverno. Acchiappacoda si sentiva solo e indeciso. Si fermò per affilarsi le unghie sulla corteccia di un alto albero di pino e alleviare quel lieve senso di frustrazione, scrollando una pioggia di neve farinosa dai rami più alti. E in quel momento ebbe un'improvvisa rivelazione. Il suo periodo nel bosco di Foglia di Topo era terminato. Quella grande foresta deserta, immersa nella neve e nel silenzio, era come una stazione di transito, una zona neutrale. Come il dormiveglia, era un luogo in cui non poteva rimanere, ma doveva recuperare le forze per muoversi in una direzione o nell'altra. In quel momento, mentre stava con il dorso inarcato, i baffi inumiditi dall'aria fredda, ricordò le parole di uno degli Anziani alla sua cerimonia del Nome: "Desidera avere il nome di coda prima ancora di ricevere quello di faccia". Tutti avevano riso, ma ora Fritti riconosceva la verità di quelle parole. Si era messo in viaggio non solo per trovare Zampafelpata, ma anche per conquistare qualcosa. Era stato guidato, in verità, ma aveva scelto lui di seguire. E ora doveva volgersi da una parte o dall'altra. Poteva ritornare da dove era venuto, lasciando a Saltasteccati e agli altri il compito di vincere o fallire... oppure poteva portare a termine il suo viaggio. Non che lui potesse fare granché con le sue piccole zampe, però poteva portare a termine il viaggio. I suoi amici prigionieri, impotenti, e lui non poteva salvarli, forse, ma erano arrivati lì con lui e ora si appartenevano a vicenda. Per un attimo, un attimo soltanto, pensò di riuscire a capire, di ascoltare finalmente la propria voce più intima, di aver scoperto il suo nome di coda. Sentì arruffarsi il suo pelo e un brivido incontrollabile lo percorse. Si lasciò cadere sulle zampe anteriori, poi fece ritorno al suo nido. Solo quando si fu acciambellato per dormire capì infine che in realtà intendeva fare ritorno alla collina. Capitolo 25 I leoni attraversano la savana di rovi e scompaiono. Anche se la giornata è ininterrotta, il passaggio del sole rappresenterà il cielo,
le ossa rappresenteranno il tempo. JOSEPHINE JACOBSEN All'alba Acchiappacoda era in cammino verso il confine a va'an del Foglia di Topo. Non era andato a congedarsi dai rikcikcik. Anche se mastro Pop aveva onorato gli impegni assunti da Snap, Fritti si sentiva a disagio nel continuare a coinvolgere gli scoiattoli, i quali stavano già lottando per la propria sopravvivenza. Il caso e le strane circostanze li avevano resi alleati, ma Acchiappacoda sapeva che i rikcikcik e la Gente erano prede e cacciatori, e lo sarebbero sempre stati. Sperava soltanto che quell'innaturale alleanza si prolungasse finché il messaggio non fosse stato consegnato alla Gente del trono della Regina. Mentre camminava silenziosamente nel paesaggio di alberi innevati, Fritti pensò alla Prima Casa e alle sue esperienze laggiù, ma era un poco convinto tentativo di tenere la mente occupata. Ben presto la collina sarebbe comparsa alla sua vista, e non c'era motivo di spingere fin là i suoi pensieri. Tra i radi filari di alberi e di felci che costeggiavano la grande foresta, Fritti udì un rumore che scendeva dall'alto, un frullare di ali. Pensò per un attimo di correre al riparo, ma prima di riuscire a fuggire dallo spiazzo bianco in cui si trovava, allo scoperto, due forme nere scesero dall'alto. Pronto ad affrontare, così sperava, qualsiasi disgrazia stesse per capitargli, Fritti si accovacciò con il pelo ritto. Le due nere creature si appollaiarono su un ramo sopra di lui sollevando una folata di piume color ebano. Fritti si rilassò... ma non molto. Erano soltanto due corvi, i krauka, uno grande e uno piccolo. Non erano i più innocui dei fla-fa'az, ma non erano neanche abbastanza forti per affrontare gli artigli della Gente. Tuttavia, Fritti li guardava con diffidenza, mentre i corvi, a loro volta, lo scrutavano con i piccoli occhi scintillanti. «Tu sei l'Acchiappacoda?» domandò l'uccello più vecchio con voce tutt'altro che musicale. «Cer-rto, papà, ha lì la stella sulla testa, non vedi?» gracchiò il più piccolo. Acchiappacoda fece un passo indietro sorpreso. «Ma voi sapete parlare!» esclamò. «Conoscete il Canto comune?» Con un aspro gracchiare divertito, il krauka più grosso abbatté le ali, sollevandosi lievemente dal ramo. Poi si posò di nuovo e si diede a lisciarsi le penne sul petto con aria divertita, senza distogliere lo sguardo da Fritti. «Ce ne sono molti che non hanno pelo, eppur-re par-rlano quasi meglio
dei gatti!» Il grosso corvo ridacchiò di nuovo. «Quelli che hanno lunga vita come noi, be', pr-rima o poi impar-rano. Già, perfino questo qui, il mio figlio maggior-re» soggiunse, indicando il corvo più piccolo, «anche se non ha gr-ran che di sale in zucca.» «Bene» replicò Fritti, dopo qualche attimo di riflessione. «Immagino che non dovrei più sorprendermi di nulla, ormai. Come conoscete il mio nome?» «Quelli che conver-rsano con gli scoiattoli non dovrebber-ro merravigliar-rsi se gli alber-ri conoscono tutti i segr-reti. Ben poco succede in questa for-resta che sfugga alle or-recchie del vecchio Skoggi, che sono io.» «Il mio vecchio babbo è il miglior-re capo kr-rauka di questi boschi!» fece eco il corvo più piccolo orgogliosamente. «...e il mio giovane Kr-relli qui pr-resente non ha ancor-ra il cer-rvello che il gr-rande Uccello Nero dar-rebbe a un fungo.» Skoggi si chinò e diede una beccata sulla testa del figlio. Krelli gracchiò di dolore e si allontanò sul ramo, lontano dal becco paterno. «La pr-rossima volta pensaci, pr-rima di apr-rire quel tuo buco per-r mangiar-re!» lo rimproverò Skoggi. «E non andar-re a par-rlar-re dei nostrri affar-ri con qualsiasi mar-rmotta ti capiti di incontr-rar-re.» Fritti era divertito, nonostante tutto. «Però, a quanto pare, sembra che voi conosciate gli affari miei» osservò. «Come ho detto poco pr-rima» ridacchiò il corvo, «i r-rikcikcik non fanno altr-ro che par-rlare. Conser-rvano le noci, ma non i segr-reti. Ormai lo sanno tutti da dove vieni» soggiunse, facendo un cenno con la lucente testa nera, «che vieni da lì. Dalla collina, voglio dir-re. Sei ben conosciuto da tutti quelli che non sono ancor-ra fuggiti dalla parte di Foglia di Topo, anche se sono ben pochi, or-rmai. E or-ra dove stai andando, mastr-ro Acchiappacoda?» Anche se il krauka sembrava innocuo, Fritti decise di essere prudente. Dopo qualche attimo rispose: «Oh, per la verità stavo solo esplorando la foresta. In realtà, dovrei forse essere già in cammino». «Ah, magar-ri, magar-ri...» gracchiò Skoggi. Si spostò leggermente lungo il ramo, arruffando le penne nere come la pece, poi si fermò e scrutò attentamente Fritti con l'angolo di un occhio socchiuso. «Se non fosse evidente che sei un gatto di gr-rande astuzia, con l'occhio attento a conserrvarti quella bella pelliccia folta che hai indosso... be', se non fosse per questo, si dir-rebbe che stavi dir-rigendoti ver-rso la collina, quella lassù.»
Per le vibrisse di fela! imprecò Fritti tra sé: il krauka era un tipo scaltro! «Però...» obiettò Acchiappacoda, «se è vero quello che dici, perché mai dovrei avvicinarmi di nuovo a quel posto terribile?» «Questo è ver-ro. Un posto davver-ro terr-ribile. Cattivi esser-ri che non si cur-rano di dove mettono i denti vengono fuor-ri str-risciando. Sembr-ra un posto cupo e terr-ribile davver-ro, e lo è davver-ro. La for-resta è quasi deser-rta, or-rmai, e quello che c'è là dentr-ro è così br-rutto... Che cosa può far-re una pover-ra anima per-r pr-rotegger-re la sua famiglia e metterre qualche boccone nei lor-ro tener-ri becchi?» Lanciò un'occhiata a Krelli, simulando un affetto poco convincente. «E allora» domandò Fritti, «perché voi rimanete qui?» «Per-rché» gracchiò Skoggi, con un sospiro di dolore, «questa è l'unica casa che conosciamo. È davver-ro difficile lasciar-re dietr-ro il nido di quasi mille gener-razioni. Cer-rto» soggiunse con una rauca risata, «è diventato molto più facile, di questi tempi, dar-re da mangiar-re ai nostr-ri piccoli. Quelle cr-reatur-re che vivono sottoterr-ra sono davver-ro cattive, ma almeno si lasciano dietr-ro quello che non mangiano.» Ridendo convulsamente, per poco non precipitò giù dal ramo. Fritti fece una smorfia. «Eh, già» proseguì Skoggi, ancora scosso dalle risate, «poco impor-rta chi mangia e chi è mangiato, c'è sempr-re qualcuno di questi ultimi che viene lasciato dietr-ro. E questo è il maggior-r vantaggio d'esser-re nati krrauken.» «Ma manger-remo anche mastr-ro Acchiappacoda, babbo?» domandò Krelli con ingenua curiosità. In un lampo, Skoggi volò sopra il ramo dell'albero e col suo forte becco impartì una rapida e severa lezione sul cranio del suo primogenito. «Se interr-rompi ancor-ra i tuoi genitor-ri, testadir-rapa, ti str-rapper-rò tutte le piume e ti butter-rò giù dall'alber-ro per-r far-rti mangiar-re dai gatti della collina! Non si può mangiar-re tutto quello che passa da queste parrti!» Poi si rivolse ad Acchiappacoda. «E or-ra, mio bel gatto, tutti e due sappiamo che non sei così r-rimbambito da r-ritor-rnare dir-ritto dentr-ro quella orr-ribile collina. Cer-rto. Comunque sia, se davver-ro ci andassi, potr-rei magar-ri dar-rti un piccolo consiglio?» Fritti rifletté per un attimo, poi rivolse un teso sorriso al krauka. «Be', visto che stiamo parlando di questa stupidaggine, e ammesso che avessi bisogno di un consiglio, che cosa vorresti in cambio?» Ora fu la volta di Skoggi di mostrare un'aria freddamente divertita. «Voi gatti non siete così cr-retini come si canta di voi. Per-rò, in questo
caso, il fatto ipo-te-ti-co che io ti aiuti, avr-rebbe da sé la sua r-ricompensa, anche se, e l'Uccello Ner-ro lo sa, non c'è nessuna pr-robabilità di successo. Ti inter-ressa?» Fritti annuì accettando l'offerta. «Bene, allor-ra, voglio dir-rti questo: «In tempi non molto lontani, quando abbiamo visto cr-rescer-re nella nostr-ra for-resta quel mucchio di escr-rementi, non c'er-rano galler-rie che por-rtavano fuor-ri. La pr-rima er-ra una piccola galler-ria, e quando hanno scavato quelle più gr-rosse, questa piccola non è stata più usata. Io cr-redo che non sia ancor-ra sor-rvegliata per-rché è nascosta... I gatti della collina non avevano allor-ra il poter-re che hanno or-ra. Ecco come puoi trovarrla...» Quando Skoggi ebbe terminato di parlare, si rivolse a suo figlio. «E orra, testadir-rapa volante, mettiti bene nel cr-ranio tutto quanto, nel caso che un gior-rno ti chiedano di r-raccontar-re come sei stato l'ultimo a veder-re il cor-raggioso mastr-ro Acchiappacoda.» E con un'altra gracchiante risata, il corvo si librò in aria, seguito dal tremante Krelli. «Aspettate!» gridò Acchiappacoda, e i due neri fla-fa'az si fermarono in volo. «Se non ti interessa chi mangia chi, perché mai mi hai aiutato?» «Giusta domanda, mastr-ro Gatto» rispose raucamente Skoggi. «Capisci, io cr-redo che al r-ritmo in cui vanno questi gatti della collina, ben pr-resto avr-ranno spazzato via tutto il Foglia di Topo pr-rima dell'autunno. Cerrto, ovunque vadano, ci sar-rà sempr-re da mangiar-re per noi kr-rauka... Ma io sto diventando vecchio. Pr-refer-risco alzar-rmi il mattino dal nido e tr-rovare qualcosa da mangiar-re già pr-ronto. E così, se avr-rai for-rtuna, mi far-rai il favor-re di r-ripor-rtar-re la tua Gente nella for-resta!» Poi, con un'altra aspra risata gracchiante, i due corvi scomparvero. «Balzalesto! Ti prego ascoltami!» Ombra-di-tetto attraversò cautamente la caverna e diede al gattino una spinta non troppo delicata con una delle sue zampe grigio-ombra. Balzalesto diede un brontolio infastidito, ma rimase con gli occhi chiusi e non si mosse. Ombra-di-tetto era preoccupata. Balzalesto aveva continuato quasi sempre a dormire o a starsene sdraiato senza parlare da quando Gratt'artiglio l'aveva condotto dentro la caverna. Il gattino aveva riconosciuto a stento la sua presenza, sollevando la testa soltanto una volta, un po' di tempo dopo il suo arrivo, per dire: «Oh, buona danza, Ombra-di-tetto» prima di cadere di nuovo nel suo torpore. Dopo
d'allora aveva risposto poche volte alle insistenti domande della fela, ma con scarso interesse. In un angolo della caverna, Mangiapulci era lungo disteso come morto. «Balza, ti prego, parlami. Non so per quanto tempo ancora potrò rimanere qui. Possono venire a prendermi da un momento all'altro.» Pensava a Gratt'artiglio, e la paura le fece arricciare il pelo. Il capo delle Zampe-daguardia l'aveva gettata rudemente dentro il buco della cella, promettendole di ritornare presto "per occuparsi di lei", dopo essersi presentato a rapporto al Signore di Vastnir. La cosa doveva essere successa, alcuni giorni prima, ma il lungo protrarsi delle Ore del buio lo faceva sembrare un periodo ancora più lungo. Gratt'artiglio poteva ritornare a prenderla da un momento all'altro. «Balzalesto!» tentò di nuovo a chiamarlo. «Mi capisci? Siamo in un terribile pericolo!» Gli diede un'altra spinta. «Su, svegliati!» Con un gemito, Balzalesto rotolò su un fianco, lontano dalla zampa che lo importunava. «Ohh, Ombra-di-tetto, perché non mi lasci in pace? Qui è bellissimo e non voglio...» Rimase in silenzio per qualche attimo, mentre la sua espressione di beatitudine si trasformava in una smorfia. «... non voglio ritornare dov'ero prima» concluse mestamente. Ombra-di-tetto era esasperata e cominciava a sentire un po' di panico. «Che cosa vuoi dire? Stai sognando, Balzalesto.» Il piccolo gatto scrollò la testa e riprese la sua aria trasognata. «No, Ombra-di-tetto, non capisci. Io sono qui col gatto bianco. C'è una grande pace. Sto imparando molte cose. Ti prego, non essere in collera con me. Vorrei che potessi vedere anche tu, Ombra-di-tetto!» esclamò accalorandosi, con gli occhi sempre chiusi. «La luce... e il canto...» Poi Balzalesto rimase di nuovo in silenzio, e nonostante tutti i suoi sforzi, la fela non riuscì a farlo parlare di nuovo. L'imboccatura della galleria abbandonata era proprio nel punto indicato dal corvo, nascosta dietro un cespuglio di ginestre ricoperto di neve, ai margini del bosco. Acchiappacoda tastò sospettosamente con una zampa i vecchi detriti tutt'intorno all'ingresso, ma non avvertì l'odore di nessuna presenza recente. Abbassando la testa sotto il cespuglio che lo ricopriva, cominciò a raspare nel terriccio e nei detriti che ostruivano in parte il buco. Quando ebbe aperto un varco sufficiente per mettere dentro i baffi, infilò dentro la testa e annusò di nuovo. L'interno della galleria aveva odore soltanto di terriccio vecchio e di qualche animaletto che vi aveva trovato rifu-
gio. Sentì vacillare per un attimo la sua rinnovata determinazione, ma poi mise una zampa dentro. Al di sopra della foresta imbiancata, il sole era giunto all'Ora delle Ombre più piccole. Quella galleria era molto più asciutta delle altre in cui aveva camminato all'interno della collina. Quella sua aria abbandonata lo rassicurava e si sentiva bene mentre avanzava baldanzosamente giù nelle profondità. Il riverbero della terra gli permetteva di vedere solo a sprazzi, ma era sufficiente. Poco dopo cominciò a passare davanti alle gallerie laterali, da alcune delle quali salivano zaffate di aria calda e umida. Si stava avvicinando alle principali arterie di attività, e sapeva che ora doveva essere più guardingo. Il rumore era così sommesso, così fievole, che sulle prime Acchiappacoda non si accorse che il silenzio di quella galleria abbandonata era stato rotto da un altro rumore. La pulsazione della collina nel suo subconscio gli era diventata così familiare, durante la sua lunga prigionia, che quasi non si accorse di udirla di nuovo. Quando finalmente penetrò nei suoi sensi coscienti, Fritti si accorse che questa volta sembrava sottilmente differente. Era un rumore che lo inquietava, anche se non capiva perché. Poi comprese. Il rumore si faceva a poco a poco più forte, come se la sua fonte fosse ora più vicina. Ogni passo sembrava avvicinarlo sempre più all'origine di quel rumore sordo, quasi impercettibile. Quando era prigioniero nella collina, però, gli era sembrato sempre uguale: remoto, eppure onnipresente, come se tutta la collina di Vastnir producesse quel lento, sordo brontolio. Ora quel rumore cominciava a definirsi, diventando rimbombante e sibilante, sicuramente più forte, sempre più forte a ogni suo passo. Quando Fritti svoltò una curva, il cunicolo prese a scendere ripidamente mentre un miasma di aria calda e umida saliva dal buio fondo della galleria. Acchiappacoda si ritrasse, spazzandosi freneticamente il muso con una zampa per pulirsi gli occhi da quella foschia appiccicosa. Ancora determinato, nonostante un senso di tremore che lo accompagnava, Fritti socchiuse gli occhi per proteggerli dalle folate dei miasmi e continuò ad avanzare. Mentre scendeva cautamente lungo il pendio, passò al di sotto di una porta o di una qualche apertura, perché d'improvviso la pulsazione diventò un ruggito che echeggiava e rimbombava dalle pareti di un'enorme caverna che Fritti non poteva vedere a causa della nuvola di nebbia in cui si trovava avvolto.
Sembrano le cascate del Brontola-Ruggisce, pensò. Il suo pelo stava rapidamente inzuppandosi d'acqua. Capì allora che doveva essere capitato davanti a qualche grande cateratta sotterranea. Poi quelle strane brezze sotterranee cambiarono direzione e i miasmi si diradarono. Nella penombra del terreno fosforescente, Fritti poté vedere la gigantesca caverna sopra la quale era acquattato, come un insetto, su uno degli stretti speroni di roccia che ne bordavano le pareti. Al di sotto, rossa e schiumeggiante, si riversava un'immensa massa d'acqua. La caverna era priva di fondo, c'era soltanto quel gigantesco fiume fumante che scorreva senza fine da una parte all'altra, riempiendo di nebbie e di caotici suoni la grande caverna a volta. Acchiappacoda sentì la calura del fiume ardente che gli saliva sulla faccia, quando si chinò cautamente dallo sperone di roccia per guardare in giù. La violenza martellante dell'acqua che s'infrangeva contro le pareti della caverna e scompariva tra le rocce sottostanti, diede improvvisamente a Fritti un senso di vertigine, di sbigottimento davanti all'imponenza di quello spettacolo. E mentre il fiume scendeva rimbombando nelle tenebre al di sotto, lampeggianti comete di schiuma schizzavano in alto per schiantarsi infine molto sopra la sua testa e ricadere poi alla loro fonte di provenienza. Fritti si ritrasse dallo sperone, e rimase rannicchiato per qualche tempo accanto all'imboccatura della galleria. Infine quel tumulto assordante cominciò a dargli un senso di nausea e allora si spinse più avanti. Intorno alla caverna, quasi sul lato opposto, poteva vedere numerose gallerie, nere come il carbone sullo sfondo della roccia scura spruzzata di un color cremisi. Camminando rasente la parete della caverna, Fritti si diresse verso quelle gallerie, procedendo con cautela lungo quell'alto sentiero abbarbicato alla roccia sopra il fiume impetuoso. Camminava lentamente. Di quando in quando, il vento cambiava misteriosamente direzione e allora scendevano di nuovo le turbinose nuvole di vapore, costringendolo a fermarsi e ad acquattarsi finché non riusciva a vedere di nuovo la strada. Mentre procedeva passo dopo passo intorno al perimetro della mostruosa caverna, Fritti teneva lo sguardo fisso sul sentiero davanti a sé, e talvolta, quando intravedeva qualche movimento con la coda dell'occhio, alzava lo sguardo ma scorgeva soltanto spruzzi di schiuma. Una volta gli sembrò di vedere due minuscole figure che sgambettavano su uno dei sentieri che percorrevano a zig-zag la parete opposta, ma quando socchiuse gli occhi per vedere attraverso la foschia, le folate di nebbia si alzarono ancora e quando si diradarono tutto gli apparve come
prima. Dopo un tortuoso cammino che sembrava un'eternità, giunse finalmente alla parete opposta. Facendosi strada lungo il ripido sentiero, arrivò alle imboccature delle gallerie, al di sopra del ruggito e dello schianto del fiume ribollente. La prima galleria che raggiunse era anch'essa fumante di vapori, e si affrettò oltre, verso quella successiva, che gli portò una gradita ventata di aria più fresca. Una volta entrato, la temperatura calò rapidamente. Rallegrato da questo favorevole presagio, Fritti si allontanò rapidamente dall'enorme caverna. Dopo aver lasciato alle spalle gli ingressi di numerose gallerie, l'eco del fiume era ora ritornata al suo sommesso brontolio precedente. Si lasciò cadere sul pavimento del cunicolo, godendosi per un attimo quel relativo silenzio e l'aria fresca. Dopo qualche attimo di respiro, cominciò a passare la lingua sul pelo arruffato e fradicio. «Ehi, tu!» La voce sferzò le ombre della galleria. Fritti balzò in piedi, e nelle orecchie il battito del suo cuore risuonava più forte dell'eco dell'acqua ruggente. «Ff-fermo!» sibilò la voce. «Ss-stai lì ff-fermo e ff-fai quattro chiacchiere con Pellerognoss-sa della Zz-zanne-da-guardia!» Capitolo 26 Ah, volesse Dio che questa mia carne potesse essere dove l'aria la lavi e lunghe foglie la coprano; dove una marea d'erba si rompe nella schiuma dei fiori; o dove i passi del vento scintillano lungo il mare. ALGERNON SWINBURNE Paralizzato, Acchiappacoda rimase lì immobile mentre passi scricchiolavano nella galleria avvicinandosi a lui. Poteva sentire il respiro fischiante della creatura che si avvicinava. Un desiderio quasi irresistibile di fuggire si scontrava dentro di lui con un cupo, irreale senso di rassegnazione, e rimase ondeggiando lievemente al suo posto. «Il mio compagno e io vogliamo parlarti, ss-sconoss-sciuto» sibilò di nuovo, ora più vicino. Un suo compagno, pensò Fritti, dunque sono in due. Le zampe gli tremavano e rizzò in alto la coda in attesa. Tra le tenebre si profilò la testa senza occhi della Zanna-da-guardia. Il suo corpo senza pelo avanzò barcol-
lando, mentre Fritti non distoglieva lo sguardo. Dove una volta si dilatavano le enormi narici sul muso senza occhi della Zanna-da-guardia, si vedeva ora soltanto un'orrenda ferita di carne dilaniata. Pellerognosa si fermò vacillando a meno di un balzo e mezzo di distanza da Acchiappacoda, annusando interrogativamente avanti e indietro col suo muso scarnificato. «Ss-sei qui?» domandò la Zanna-da-guardia. Acchiappacoda sentì il cuore che gli balzava in petto e involontariamente diede un miagolio di sollievo. La creatura era stata ferita e non poteva sentirlo bene, ma solo vagamente! «Ahhh» alitò Pellerognosa. «Ss-sei qui. Ti ss-sento, adess-sso. Vieni, non ci lass-sciare. Il mio compagno e io abbiamo per-rso la ss-strada.» La cosa cieca si avvicinò, tendendo l'orecchio verso Fritti. «Come ti chiami?» Acchiappacoda considerò di nuovo la possibilità di fare un tentativo di fuga verso la libertà, ma la scartò. Era una situazione, forse, che poteva essere volta a suo vantaggio. Era pericoloso, naturalmente, ma che cosa non lo era, lì sotto terra? «Ehm... Camminagallerie» disse d'un fiato, dopo un attimo di esitazione. «Ss-splendido! Hai un nome che ss-sembra ff-fatto apposs-sta per aiutarci. Ss-sei una delle Zz-zampe? La tua voce ss-sembra molto alta.» «Si, ma sono ancora giovane» si affrettò a rispondere Acchiappacoda. «Ahhh!» ansimò Pellerognosa, soddisfatto. «Ss-sicuro, con gli ultimi preparativi, anche i giovani ss-sono mess-ssi in ss-servizio. Ss-su, devi guidarci. Come vedi, ss-soff-fro di una momentanea inff-fermità.» Borbottando tra sé, la malconcia Zanna-da-guardia si voltò e arrancò su per il corridoio. Fritti lo seguì a breve distanza. Gli ultimi preparativi? si domandò. Che cosa sta succedendo? «Devi ess-ssere pass-ssato oltre il Ff-fiume-che-ss-scalda» disse Pellerognosa, voltando lievemente la testa. «Io non mi ss-sarei mai avvicinato coss-sì. Il rumore dell'acqua mi diss-sorienta, una coss-sa incredibile, non ti ss-sembra?» «Sì, sì, certamente» assentì Acchiappacoda. «Che cosa ti ha portato in questa zona solitaria della collina?» domandò, allungando il passo per udire meglio la risposta della creatura senza pelo. Pellerognosa rimase un po' in silenzio, poi rispose: «Purtroppo mi è success-ssa una dis-sgrazia, capiss-sci... Un giovane come te forss-se non capiss-sce, ma ci ss-sono molte ingiuss-stizie... ingiuss-stizz-zie verso la
gente come me. Capiss-sci, non voglio criticare ness-ssuno, no davvero, ma ss-sono ss-stato punito ingiuss-stamente perché un prigioniero è ssscappato. Ma io non ero nemmeno lì, ho dato soltanto la notizia al mio padrone, il Signore Ss-succhiass-sangue. E quando ss-si è verificata la fuga, lui è ss-stato punito dal Padrone di Tutti. E a mia volta, ne ho pagato io le conss-seguenzz-ze...». La Zanna-da-guardia diede un lieve gemito gorgogliante. Con un brivido di paura, ma anche di orgoglio, Fritti pensò che era proprio della sua fuga che Pellerognosa stava parlando. Dopo qualche momento, la Zanna cessò di lamentarsi e soggiunse: «Il mio compagno è un po' più avanti. Ss-spero che non ss-se ne ss-sia andato. Anche lui ha ss-subito un'ingiuss-stizz-zia. Ah, ecco, mi ss-sembra di sssentirlo!». Acchiappacoda si era dimenticato del suo compagno, ma ora poteva sentire il suo profondo, rauco ansimare, e quando voltarono l'angolo vide una grossa forma scura distesa nel cunicolo. Pellerognosa avanzava lentamente a tentoni, annaspando davanti a sé con la sua grossa zampa raggrinzita, poi diede una spinta a quel grosso corpo scuro. «Alzz-zati! Alzz-zati!» gridò. «Ho trovato il giovane Camminagallerie, che ci aiuterà a trovare la ss-strada del ritorno. Alzz-zati!» Quando la creatura sdraiata si sollevò stancamente, Pelle-rognosa disse a Fritti: «Forss-se vi conoss-scete già. Il mio amico era un perss-sonaggio importante delle...». Un muso fin troppo familiare, bitorzoluto e deforme, apparve a Fritti quando la figura si voltò e posò su Fritti uno sguardo carico d'odio. «Acchiappacoda!» ringhiò Gratt'artiglio, sollevandosi sulle zampe posteriori. Prima ancora che Fritti potesse muovere il suo corpo irrigidito, Pellerognosa si chinò e sferrò sul muso di Gratt'artiglio una tremenda zampata, che gli fece perdere l'equilibrio e lo mandò a rotolare per terra gemente. «Ss-stai zz-zitto, ss-stupido!» sibilò la Zanna-da-guardia, poi voltò la sua testa cieca verso Acchiappacoda, ancora irrigidito dallo spavento. «Non ff-fare cass-so a quess-sto qui» rassicurò Fritti. «Non ha la tess-sta a poss-sto, capiss-sci. Il Padrone di Tutti l'ha conciato male per la quessstione dello ss-stess-sso prigioniero, e ora vede quess-sta perss-sona in ogni ombra. È una coss-sa davvero triss-ste, non ti ss-sembra?» In effetti, Gratt'artiglio non stava prestando attenzione a Fritti, che gli era accanto, ma si stava strofinando il mento nel terriccio, continuando a imprecare il nome di Acchiappacoda. Alla fine si fermò e alzò lo sguardo verso la Zanna-da-guardia. «Perché sei stato via... tanto tempo?» domandò Gratt'artiglio a Pellero-
gnosa. Quella voce supplichevole che veniva da un corpo così possente sembrava spaventosamente innaturale. Fritti emise il fiato che aveva a lungo trattenuto. Il mondo sotterraneo, che si era chiuso intorno a lui come una cappa gelida e pesante, si dilatò di nuovo. Incredibile, la fortuna continuava ad assisterlo! Essere così vicini a Gratt'artiglio e non essere riconosciuti da lui! «Alzz-zati, mass-ssa di carne!» ordinò Pellerognosa. Il miagolio lamentoso della Zampa-da-guardia sembrava quasi comico ad Acchiappacoda, ora che si sentiva più tranquillo. «Ho trovato qualcuno che ci aiuterà a trovare la ss-strada del ritorno alle gallerie principali, dove poss-ssiamo trovare qualcoss-sa da mangiare! Alzz-zati!» Gratt'artiglio eresse la sua grossa mole. «Non ha la tess-sta a poss-sto, come ti dicevo» soggiunse Pellerognosa, come per scusarsi, quando il terzetto s'incamminò per la galleria. «Sssarebbe morto, nonoss-stante la sua ff-forzz-za, ss-se non foss-sse ss-stato per me!» La voce della Zanna-da-guardia aveva uno strano tono orgoglioso. Acchiappacoda si trovava ora nella non invidiabile situazione di fare da guida e da compagno a due creature che si auguravano la morte di lui e di tutta la sua Gente, di guidarli attraverso gallerie a lui completamente sconosciute, fin giù nel segreto centro del labirinto. Gratt'artiglio, anche se ora era in piedi e camminava, non dava alcun segno di riconoscere Fritti. Il suo comportamento era a volte inebetito, per diventare poi improvvisamente folle di rabbia. A un tratto si voltò verso Acchiappacoda ululando: «Venti neri! Venti neri!», tentando di agguantarlo con le sue possenti zampe. A un brusco richiamo di Pellerognosa, riprese di nuovo a gemere sottomesso. «Male, male» biascicò Pellerognosa, scrollando la testa coperta di cicatrici. «Una volta era un capo molto importante, ss-sai?» Dopo aver camminato ancora un po', affidandosi ai minimi cambiamenti della temperatura e della pressione per orientarsi nella direzione che sperava giusta, Acchiappacoda trovò il coraggio per tentare di strappare qualche informazione a Pellerognosa approfittando della sua temporanea amicizia. «Come vanno questi "preparativi finali", eh? Ho paura che mi troverò coinvolto in qualcosa d'importante, eh?, lassù... sopra la terra.» «Ness-ssuno dice niente al povero vecchio Pellerognoss-sa» si lamentò la Zanna-da-guardia, «ma ho ss-sentito molte coss-se. Grandi movimenti,
grande ff-fermento... Ho ss-sentito dire da due miei ff-fratelli, non molto tempo ff-fa, che press-sto la ss-superff-ficie ss-sarà ss-spaccata!» La superficie... spaccata? Quelle parole suonarono sinistre alle orecchie di Fritti. Qualcosa di terribile, d'incomprensibile, stava per accadere, e per quanto ne sapeva, soltanto lui e un piccolo gruppo di balbettanti rikcikcik erano le uniche creature che potevano fare qualcosa. No, pensò Acchiappacoda, correggendosi: io non posso fare altro che trovare i miei amici, e probabilmente morire con loro. Con la mobilitazione di Vastnir, la fuga sarebbe stata molto difficile per uno solo, impossibile per tre o quattro. No, l'unica speranza, e molto tenue per di più, era affidata a quegli scoiattoli balzellanti e a una Corte oziosa e indifferente. «Faccia-di-stella! Strisciante Faccia-di-stella traditore, ti strapperò il cuore!» Ululando, Gratt'artiglio si era fermato d'un tratto nel cammino, volgendo bruscamente il suo muso nero da una parte e dall'altra. Improvvisamente, Fritti si rese conto che, anche se Gratt'artiglio era impazzito e Pellerognosa era cieco, lui aveva effettivamente una stella bianca in fronte, e sarebbe stato facilmente riconosciuto da qualsiasi altro abitante dei piani inferiori della collina più dotato di sensi. Mentre Pellerognosa cercava di calmare la furiosa Zampa-da-guardia, Fritti abbassò la testa e strofinò la fronte nel terriccio. Poi, dopo aver spazzato via la polvere dagli occhi, si sollevò di nuovo. Spero che questo serva a nasconderla, pensò, o almeno a farla passare inosservata. Non assomiglierò mai a una Zampa-da-guardia, ma posso almeno sperare di essere scambiato per uno schiavo qualsiasi. La Guardia senza pelo aveva costretto Gratt'artiglio a riprendere il cammino, e anche se questi continuava a emettere strani gemiti, per un po' di tempo non interruppe più la loro marcia. Il senso dell'orientamento di Acchiappacoda sembrava funzionare. Cominciava infatti a sentire segnali di attività sempre più intensa nei cunicoli che percorrevano, e odori più forti e recenti provenienti dai passaggi laterali. Fritti provò a pensare al modo di trovare i suoi amici prigionieri. Sapeva che poteva camminare con passo rapido e sicuro soltanto nei cunicoli esterni, quelli meno frequentati, e che, una volta giunto nel centro di attività della collina, il suo trucco non sarebbe più servito a niente. Un'eco di voci aspre giunse improvvisamente da oltre una curva. Gratt'artiglio, come per una sorta di preveggenza, scelse proprio quel momento per distendersi, adagiando il suo grosso corpo con la pancia chiazzata sul
pavimento della galleria. Acchiappacoda si guardò disperatamente intorno, e dopo qualche lungo attimo scorse un minuscolo cunicolo nella parete davanti alla quale erano appena passati. Risate stridenti e soffianti echeggiavano lungo la galleria, mentre Fritti balzava indietro e s'introduceva dentro quel piccolo spazio, che si rivelò soltanto una fessura e per di più molto stretta. Le risate a un tratto cessarono, e udì il passo di zampe pesanti che si avvicinavano. Poi qualcuno parlò, nell'inconfondibile tono ringhiante delle Zampe-da-guardia. «Che c'è qui? Che cosa fa qui sulla strada questo mucchio di me'mre non sepolta?» Seguirono rauchi latrati divertiti, poi un'altra voce altrettanto sgradevole soggiunse: «Evidentemente, c'è qualcuno che ha bisogno di essere scorticato, da queste parti, per il Grasso! Chi è il responsabile?». Pellerognosa parlò in tono umile. «Vi ss-supplico, ss-signori, non fffateci male! Come potete vedere, ss-sono in compagnia di due voss-stri importanti ff-fratelli! Diglielo tu, Camminagallerie!» «Due!» sghignazzò la prima Zampa. «Io ne vedo uno solo, e sembra anche un grosso rottame senza ossa! Tu che cosa vedi, Squarci'artiglio?» «Esattamente questo. Una massa di carne inutile e una piccola talpa cieca che si contorce. A meno che non sbagli i conti, Squarciazanna, questi sono soltanto due. Il piccolo Squittente ci ha mentito!» Pellerognosa emise un gemito di paura e Fritti udì le due Zampe-da-guardia che si avvicinavano. «Ha mentito alle Guardie in missione per il Padrone! Penso che dovremo farlo saltare un bel po', non ti pare?» «Camminagallerie! Ss-salvami! Ss-salvaci!» La voce di Zanna-daguardia si alzava sempre più isterica, mentre Fritti, acquattato nella sua nicchia, tratteneva il fiato. Si udì un gemito soffocato, poi la voce impastata di Gratt'artiglio. «Acchiappacoda! È stato quello con la stella in faccia! No, padrone... padrone Mangia... Mangiacuore, non il fuoco! Il mio ka... no! Ahhh!» La sua voce si alzò in un gemito sempre più lacerante. Le due Zampe-da-guardia emisero alcuni suoni di sorpresa. «Per la luce sanguinante!» bofonchiò Squarciazanna. «È davvero una Zampa!» «È Gratt'artiglio» ansimò Squarci'artiglio nervosamente. «È stato prescritto! Il Padrone di Tutti lo ha punito. Non dobbiamo toccarlo!» «Puah! Hai ragione. Questo posto puzza di sporco, che schifo! E quel miagolante verme cieco... andiamo, andiamocene da qui.» Il tono disgustato della voce
di Squarciazanna non dissimulava la paura che strisciava al di sotto. Davanti alla fenditura in cui era nascosto Fritti, si udì un rumore di rapidi passi che si allontanarono lungo il corridoio. Fritti rimase in attesa per un tempo che gli sembrò molto lungo, poi uscì cautamente nella galleria. Il corpo glabro di Pellerognosa era rannicchiato accanto alla figura nera e supina di Gratfartiglio... e per un attimo Fritti ne fu stranamente commosso. Poi la Zanna-da-guardia voltò il suo muso devastato, e quella sensazione scomparve, sopraffatta dalla ripugnanza. «Chi ss-sta lì?» gridò Pellerognosa. Acchiappacoda si schiarì esitante la voce, poi rispose: «Sono io, Camminagallerie, naturalmente. Sono andato a esplorare qualche galleria di raccordo. Ho appena incontrato un paio di miei colleghi. Voi li avete visti?». «Ci hanno minacciato!» ansimò Pellerognosa. «Ss-stavano per ammazzzzarci! Perché te ne ss-sei andato?» «Te l'ho detto!» replicò Fritti, simulando un tono di collera. «E ora alzati, e fai alzare anche quello. Ho cose più importanti da fare, e vi aiuto solo perché siete così patetici e indifesi. E ora, vogliamo metterci in cammino o no?» «Oh ss-sì, Camminagallerie! Ss-su, Gratt'artiglio, devi alzzarti, adesssso!» Guidato da Acchiappacoda e seguito dal riluttante Gratt'artiglio, lo scombinato terzetto riprese il cammino, dirigendosi verso il centro delle forze che stavano radunandosi. Capitolo 27 Non con una mazza, il cuore è infranto, né con una pietra... Una frusta così piccola che non si può vedere Ho conosciuto, e sferzava la Magica Creatura fino a farla cadere. EMILY DICKINSON Strane cose stavano accadendo nel mondo al di sopra del labirinto. Gnda e luci distanti rendevano misteriose e inquietanti le Ore della notte. Le fele
partorivano gattini così insoliti che non potevano sopravvivere. Il principe Danzarugiada, della Prima Casa, faceva cupe predizioni. Molta Gente aveva paura. Ovunque, la terra non sembrava solida, ma mobile e infida. L'Occhio si aprì completamente un intero volgersi del sole prima del previsto, e rimase sospeso nel cielo rosso e gonfio. Le Notti degli Incontri echeggiavano di domande che non potevano avere risposta e di paure senza nome! La Notte cieca, la notte del più grande buio, stava per arrivare. Alcuni mormoravano che questa volta il buio avrebbe portato l'os. L'os era sulla bocca di molti, e nella mente di molti altri... Sotto terra, il Grasso, assiso sul suo macabro trono di morti e moribondi, stava tessendo una tela di strane forze. Le energie battevano e pulsavano intorno al suo trono di potere così intensamente che a volte l'aria stessa, dentro la Caverna del Pozzo, diventava compatta e resistente come l'acqua. Strane immagini si formavano e svanivano, guizzando ai margini della vista come lampi di luce sulle palpebre di un dormiente. A volte, nessun altro, oltre alle Ossa-da-guardia, poteva assistere il Padrone di Tutti, e le Zampe rimanevano, brontolando, nelle gallerie intorno alla caverna del Padrone. Perfino Acchiappacoda, alla periferia delle principali arterie di Vastnir, poteva ora sentire l'incombere di... qualcosa. Anche Gratt'artiglio aveva cessato di parlare, borbottare, ululare, e si trascinava avanti con uno sguardo opaco, senza vita, negli occhi infossati. Si fermava continuamente per grattarsi, affondando gli artigli color cremisi sul muso scuro, tanto che sembrava voler farlo sanguinare. Fritti capiva, anche lui sentiva prudere la pelle. Il terzetto si era fermato accanto a uno dei corridoi principali, scrutando in una buia galleria in discesa che dava accesso alle più ampie arterie al di sotto. Squadre di Zampe-da-guardia marciavano con passo fermo, oppure spingevano gruppi di prigionieri che cadevano a terra e incespicavano. A fianco di Acchiappacoda, Pellerognosa tendeva l'orecchio al rumore dei passi che si faceva incessante accanto a loro. «Ahh!» esclamò la Zanna-da-guardia, raggiante, col suo muso sfregiato raggrinzito in una ragnatela di segni. «Hai ss-sentito? Ass-scolta! Grandi coss-se ss-stanno ss-succedendo... Grandi coss-se!» Il suo muso senza peli prese un'espressione avvilita. «Com'è ingiuss-sto... che un ff-fedele ssservitore come me...» piagnucolò. Fritti, preoccupato dalle legioni di Zampe-da-guardia tutt'intorno, fece distrattamente un cenno d'assenso, dimenticando per un attimo che l'altro non poteva vederlo.
«Io ss-sono nato per ss-servire il Ss-signore di Tutti» continuò a lamentarsi Pellerognosa. «Com'è poss-ssibile che ss-sia ss-stato ridotto in quesssto ss-stato?» Le recriminazioni della Zanna-da-guardia ebbero finalmente il loro effetto, e un'idea cominciò a prendere forma nella mente di Acchiappacoda. «Pellerognosa, ho qualcosa d'importante da dirti» gli confidò Fritti sommessamente. «Allontaniamoci un po' dal corridoio.» Ritornati indietro nel corridoio, accanto all'instupidito Gratt'artiglio, Fritti domandò: «Voi dite che siete fedeli al... Padrone di Tutti?». «Oh, ss-sì!» ribadì energicamente Pellerognosa. «È l'unico ss-scopo della mia vita!» «Allora posso confidarti un segreto. Prometti di mantenerlo?» «Ss-sicuramente, Camminagallerie, ss-sicuriss-ssimamente!» confermò Pellerognosa, saltellando su e giù, in un'orribile, parodistica dichiarazione di fedeltà. «Lo giuro, ss-sul Ss-sass-sso ss-schiumeggiante delle Zazampe-da-guardia!» «Bene» rispose Acchiappacoda, riflettendo poi per qualche attimo. «Sua Signoria... il Padrone ha urgente necessità di avere informazioni su un certo prigioniero. Non ha fiducia nei suoi capi, però. Alcuni di loro, come... be', se proprio devo dirlo, come Succhiasangue si sono dimostrati indegni di fiducia, se capite quello che voglio dire.» La Zanna-da-guardia saltellava e dondolava eccitato. «Ss-sicuro! Capisco benissimo. Come Ss-succhiass-sangue, ess-sattamente!» «Dunque» prosegui Fritti con tono d'importanza, cominciando a prenderci gusto «il Padrone ha prescelto me per ritrovare e tenere d'occhio il prigioniero. Ma nessuno deve saperlo! Potete ben capire che sarebbe imprudente... soprattutto adesso!» Allo stesso Fritti sfuggiva la logica di tutto ciò, ma Pellerognosa sembrava affascinato dall'idea. «In ogni caso» prosegui, «il Padrone di Tutti ha designato me all'incarico, e io designo voi. Voi dovete trovarmi il prigioniero, e nessuno deve sapere perché, e nemmeno sospettarlo. Ci riuscirete?» «Ass-stuto Camminagallerie, chi ss-soss-spetterà mai del vecchio, ssseminff-fermo Pellerognosa? Ss-sì, ci riuss-scirò!» «Bene. Il prigioniero che dovete trovarmi è la fela che accompagnava il fuggitivo Acchiappa... Acchiappa...» Tossicchiò esitante, in modo convincente. «Acchiappazampa. Quello che ha fatto impazzire Gratt'artiglio. La fela che era con lui è ancora viva, vero?» «Non lo ss-so, Camminagallerie, ma lo ss-scoprirò!» assicurò la creatura
senza occhi in tono grave. «Molto bene» replicò Fritti. «Vi incontrerò qui, in questo posto, quando saranno trascorsi tre turni di lavoro. Saprai ritrovare il posto?» «Oh, ss-sicuramente. Ora che il Ff-fiume-che-ss-scalda non mi ribolle più nelle orecchie, poss-sso ritrovare ovunque la ss-strada.» «Muoviti, allora, e porta Gratt'artiglio con te, ma sta' attento a tenerlo lontano da guai che possano richiamare l'attenzione.» Fritti voleva soprattutto evitare di essere legato a quel bestione impazzito, che poteva essere ancora più pericoloso se avesse ritrovato la memoria. «E ricorda» soggiunse, «se tradisci me, tradisci il tuo Padrone. E ora andate!» Carico di rinnovata determinazione, Pellerognosa si affrettò a far alzare Gratt'artiglio, poi tutti e due s'incamminarono faticosamente. Acchiappacoda trattenne a stento uno starnuto di risate nel vederli scomparire nella galleria. Ma il più difficile doveva ancora arrivare. Ora che era risolta la questione, Acchiappacoda sentiva quietarsi a poco a poco i suoi febbrili pensieri. Aveva molta fame, e questo era un problema. Mantre stava appiattito contro la parete della galleria, osservando un'altra squadra di prigionieri che veniva condotta agli scavi, esaminò le alternative che aveva davanti. Sarebbe stato possibile, immaginava, tentare di tenersi nascosto, rubacchiando qua e là qualcosa da mangiare, eludendo i guardiani con l'uso dell'astuzia o con la velocità. Prima o poi, però, sarebbe stato catturato. Nessun membro della Gente era libero dentro la collina, o quanto meno non ne aveva visti. Stava correndo un grosso rischio, e aveva già le zampe piene di problemi. Un altro gruppo di prigionieri, controllati da un paio di burbere Zampeda-guardia, stava percorrendo il corridoio sotto di lui. Mentre passavano davanti al suo nascondiglio, uno degli schiavi nelle prime file crollò a terra. Seguirono molti miagolii quando gli altri schiavi tentarono di soccorrere il caduto, urtandosi l'uno con l'altro. Poi le due Zampe, sguainando i loro artigli rossi, si fecero strada in mezzo a quella massa. Fritti colse allora l'occasione, e balzato fuori dalla galleria si diresse rapidamente verso il fondo della fila. Sarebbe stato più facile, concluse, evadere da una di quelle squadre di schiavi, piuttosto che vivere come un fantasma per chissà quanto tempo. E poi, chi avrebbe mai dato la caccia a un prigioniero evaso dentro una prigione? «Ehi tu, miserabile topo di sole!» ringhiò una voce. Acchiappacoda alzò lo sguardo verso il muso mascelluto di uno dei guardiani. «Ti ho visto,
sai!» ringhiò la Zampa. «Prova a squagliartela un'altra volta e ti strappo quella roba per essere maschio!» La massa degli schiavi delle gallerie riprese poi il cammino, portando Fritti con sé. La vita nella squadra degli schiavi non era così difficile come prima. Fritti si sentiva più forte, dopo il riposo nel bosco di Foglia di Topo, e anche se non aveva trovato molte prede, aveva pur sempre mangiato meglio delle povere creature con cui era imprigionato. Lo rattristavano le sofferenze e l'infelicità che vedeva tutt'intorno a sé, ma ora la situazione era diversa: si era unito a quel gruppo di prigionieri di sua volontà e tra quelli agiva clandestinamente. Anche se il cuore lo metteva in guardia, non riusciva a trattenere un senso di contenuto orgoglio. Ora aveva uno scopo e aveva già conseguito importanti successi. La fortuna stava danzando con lui. Anche gli altri prigionieri avvertivano qualcosa di diverso nell'atmosfera della collina. Il fermento, l'ansiosa attesa di avvenimenti incombenti li avevano prostrati. Nessuno, tra i prigionieri, raccontava più storie o cantava. Anche i loro argomenti di conversazione erano privi di interesse, deprimenti. Nel suo insieme, la massa dei prigionieri era come rannicchiata, in attesa del colpo che stava per abbattersi. Uno degli altri prigionieri riferì laconicamente ad Acchiappacoda le voci che circolavano tra i loro guardiani: delle luci e dei rumori che si udivano nella Caverna del Pozzo, delle Zampe e delle Zanne che si riunivano in gruppi ansiosi e impazienti che venivano poi inviati nelle gallerie più esterne. Fritti, sforzandosi di non mostrarsi preoccupato, tranquillizzò il prigioniero, un grosso maschio con un occhio solo che si chiamava Goffazampa, per avere da lui altre notizie, ma il gatto, ormai esausto, non aveva altre da darne. Era ormai da due turni di lavoro che Fritti si trovava con gli schiavi delle gallerie, e la sua impazienza continuava ad aumentare, perché sapeva di avere sempre meno tempo a disposizione. Non riusciva a pensare ad altro che al pericolo che correvano i suoi amici. La Prima Casa e la sorte della Gente erano ormai sbiaditi nel suo ricordo, come inutili astrazioni. Dopo aver lasciato Goffazampa, Acchiappacoda si rannicchiò in un angolo della caverna, in attesa che i guardiani venissero a spingerli fuori. Quel tempo che trascorreva chino a scavare, si trascinava lentamente come lo stillicidio di una goccia d'acqua. Anche se le sue zampe erano
graffiate e sanguinanti, Fritti continuava a scavare nonostante la stanchezza, sforzandosi di dimenticare le ore dell'attesa con la semplice forza fisica. Quando la sogghignante Zampa-da-guardia, all'imboccatura della galleria, impartì l'ordine di cessare gli scavi, Acchiappacoda e gli altri esausti prigionieri, cominciarono a risalire faticosamente. Tenendosi cautamente in fondo alla fila, Acchiappacoda si fermò quando l'ultimo gatto davanti a sé si trascinò fuori dal bordo della galleria, poi ritornò rapidamente sui suoi passi in fondo al breve cunicolo, verso il mucchio di terra che aveva scavato, e contorcendosi, s'infilò come meglio poteva sotto il terriccio smosso, e rimase lì immobile. Sentiva, in alto, rumori di passi dei prigionieri. Per un attimo, un ardente occhio giallo scrutò giù nel cunicolo, ma la terra e le tenebre nascosero la vista di Acchiappacoda a una più attenta ispezione, e ben presto udì lo scricchiolio dei passi dei prigionieri che si allontanava. Rimase a lungo in silenzio in fondo al buco, e quando il suo cuore ebbe battuto molte volte si trascinò cautamente verso la superficie. La piccola caverna dalla quale si estendeva la ragnatela delle gallerie era deserta. La fioca luce della terra non rivelava altri movimenti oltre al suo. Con aria indifferente, ma rapidamente, si spazzò via dal muso, dalle zampe e dalla coda la maggior parte del terriccio, poi si diresse silenziosamente verso il corridoio principale, lungo il quale gli altri prigionieri e le guardie erano già scomparsi. Nella caverna in cui Balzalesto stava sognando il gatto bianco, anche Ombra-di-tetto si era finalmente addormentata. La tensione dell'attesa del ritorno della Zampa-da-guardia per vendicarsi e la forzata impotenza della sua situazione l'avevano logorata fino al punto in cui non aveva più forze né capacità di resistenza. Il mento posato tra le zampe, era rimasta a lungo distesa, osservando i corpi addormentati e impotenti di Balzalesto e di Mangiapulci, mentre la disperazione l'avvolgeva come una nebbia calda. Quando il guardiano si affacciò malignamente col muso all'ingresso della caverna, vide tutti e tre i gatti distesi in un'immobilità quasi mortale, e mostrando le sue zanne gialle in un sogghigno soddisfatto, si ritirò. Mangiapulci aprì di scatto gli occhi, e per un attimo, mentre il suo corpo giaceva sempre inerte e immobile, si riempirono di un intenso fuoco freddo. Poi la luce vacillò nelle loro profondità e sembrò spegnersi. Le palpebre si riabbassarono, e tutto rimase di nuovo immobile come pietra.
Pellerognosa era già in attesa di Fritti, quando questi arrivò alla galleria di raccordo. La Zanna-da-guardia stava facendo una breve danza d'attesa, attorcigliando e torcendo la coda senza pelo come un nuotatore in procinto di annegare. Acchiappacoda, che si era fatto strada attraverso la collina fino al luogo dell'appuntamento, per un periodo di tempo che sembrava eterno, si avvicinò il più silenziosamente possibile, ma fu accolto dai sibili acuti ed eccitati di Pellerognosa. «Camminagallerie, ss-sei arrivato! Ho notizz-zie, grandi no-tizz-zie!» «Silenzio!» sibilò a sua volta Fritti. «Che notizie?» «Ho ss-scovato la tua prigioniera!» esclamò la Zanna-da-guardia gioiosamente. «Pellerognos-sa ce l'ha fatta!» Acchiappacoda sentiva l'incalzare del tempo. «Dove? Dove è?» Pellerognosa sogghignò, facendo scintillare sinistramente tutte le zanne sotto il muso coperto di cicatrici. «Oh, non lontano da qui, ss-sì!, molto vicino! E coss-sì l'abile Pellerognosa ha ss-servito il Padrone di Tutti!» Sforzandosi di tenere a freno l'impazienza, Fritti ascoltò con la gola secca Pellerognosa che descriveva dov'era tenuta prigioniera Ombra-di-tetto. Quando la cieca Zanna-da-guardia ebbe terminato di parlare, Acchiappacoda cominciò a indietreggiare, almanaccando di trovare un piano d'azione, poi si fermò improvvisamente. È meglio mantenere le apparenze, si disse. Questa creatura è un terribile nemico, ma può anche rivelarsi un prezioso» alleato. «Sei stato abile» disse alla Zanna-da-guardia. «Il Padrone ne sarà soddisfatto. Ma ricorda: non una parola con nessuno!» «Ss-sicuramente no! Non una ss-sola parola dall'abile Pellero-gnoss-sa!» Mentre guardava le capriole di gioia di quella creatura, Fritti si accorse improvvisamente di qualcosa che era sfuggito alla sua attenzione nell'emozione del momento. «Dov'è Gratt'artiglio?» domandò. «Dovevi tenerlo con te.» Un'improvvisa espressione di paura attraversò il muso sfregiato di Pellerognosa. «Ah già, Camminagallerie, quello là. Ss-sì, è malato di oss-ss. Non è voluto ss-stare con me, e non ho potuto coss-stringerlo, è molto ffforte, come ss-sai. È ss-scappato via nella galleria gridando ss-strane cossse. È ss-stato punito a causs-sa di quel prigioniero, e ora è malato di ossss.» Non c'era niente da fare, pensò Fritti. «Non importa» disse a Pellerognosa, che si rianimò immediatamente. «Vai, ora, e se ho bisogno di te ti cer-
cherò.» Poi Acchiappacoda corse via nella galleria di raccordo e attraversò il corridoio principale, fermandosi in una nicchia sul lato opposto, riparato nelle tenebre da sguardi indiscreti. Quando si voltò a guardare, vide Pellerognosa, col suo muso storpiato e contorto in un sorriso, che continuava a saltellare e a contorcersi nell'ombra. Al riparo di macchie di buio più fitto, nascondendosi furtivamente alle squadre degli inquieti abitanti della collina che si radunavano, Fritti avanzava come uno spettro attraverso il sottosuolo che si stava svegliando. Gli animali della collina erano onnipresenti, ovunque si muovevano, sussurravano, si piegavano sulle loro zampe color rosso acceso. Fritti arrivò infine alla congiunzione delle tre gallerie che Pellerognosa gli aveva descritto. Dopo essersi guardato cautamente intorno, accertatosi che nessuno prestava attenzione, Fritti strisciò dentro il corridoio che la Zanna-da-guardia gli aveva indicato. La coda eretta, i baffi tesi e tutti i peli ritti, Acchiappacoda strisciò giù nella galleria. L'ingresso di un cunicolo si apriva nella parete della galleria davanti a lui. Era quello! Sentì l'impulso di balzarvi dentro, ma si trattenne. Con prudenza, con prudenza... Arrivò fino al buco e scrutò cautamente verso il fondo. Nella fioca luce in fondo al cunicolo poté allora vedere... Balzalesto! Il cuore gli batteva forte in petto. Il gattino e Ombra-di-tetto erano dunque prigionieri nella stessa caverna! La fortuna continuava ad assisterlo. Chinandosi ancora più in giù, riuscì a vedere altre due figure. Ombra-ditetto! E quello non era forse il vecchio Mangiapulci? Ma perché nessuno di loro si muoveva? Forse erano... no, non era così: poteva vedere i fianchi di Balzalesto che si gonfiavano e sgonfiavano. Qualcosa si abbatté su di lui come un albero caduto. Con un gemito di dolore, Acchiappacoda rotolò sul lato dell'ingresso della caverna. Sopra di lui, con una massiccia zampa pronta a sferrare un altro colpo, incombeva una grande figura nera. Il muso quasi familiare di una Zampa-da-guardia lo stava scrutando malignamente dall'alto. «Che cosa fai qui, allora?» ringhiò il bestione. «Ni-niente!» squittì Fritti. «Mi-mi chiamo Ca-Camminagallerie, e ho perduto la strada» rispose, cercando di farsi piccolo. La Zampa si avvicinò. «È proprio vero?» ringhiò di nuovo, e il suo alito caldo gli fece socchiudere gli occhi. Anche la bestia socchiuse gli occhi. «Un momento, hai una
faccia che conosco. Cos'è quel segno che hai sulla testa?» La testa? La fronte? Per tutte le lacrime di Danza-in-cielo! imprecò Fritti tra sé. Doveva aver spazzato via la polvere che gli mascherava il muso quando era uscito dalla galleria degli schiavi. Fritti si contorse improvvisamente, in un disperato tentativo di fuga, ma la pesante zampa calò sul suo collo, solleticandogli la gola con i suoi artigli scarlatti. «Per il Grosso!» esclamò la Zampa. «Ma questo è il nostro piccolo topo di sole che è scappato! Questa sì che è bella!» In un fremito di disperazione, Fritti riconobbe allora chi l'aveva catturato. Era Mordisvelto, il compagno di Gratt'artiglio, che ora mostrava le zanne alla sua preda in un orribile sogghigno. «Bene, bene» ridacchiò la Zampa, «è davvero una bella fortuna che sia stato io a scoprirti. È per colpa tua che hanno rovinato il capo. Tutto per colpa tua!» La sua zampa premeva crudelmente sulla gola di Fritti, che tossiva senza possibilità di scampo. «Bene, sono io il capo, ora» sogghignò Mordisvelto. «E farò in modo che tu abbia quello che meriti.» La sua figura nera si accovacciò e avvicinò gli occhi infossati al muso del suo mugolante prigioniero. La voce della Zampa si abbassò in un vendicativo sussurro. «Ti porterò immediatamente dal Grasso!» Capitolo 28 Ovunque tu sia, il nostro tormento Ti troverà assiso in trono sul più cupo altare della nostra straziante Perfezione. Bestia, bruto, bastardo. Oh, cane, mio Dio! GEORGE BARKER Spinto, pungolato, minacciato, morsicato da Mordisvelto, Acchiappacoda percorse i corridoi ora affollati della collina. Alcuni abitanti della collina, nel vedere la nera e muscolosa Zampa-da-guardia che spingeva il piccolo gatto arancione, si voltavano a guardare incuriositi quella strana coppia. Non era insolito vedere qualche prigioniero che veniva condotto alla punizione o alla morte, ma quel piccolo gatto ringhiava e recalcitrava, opponeva resistenza! Era da molto tempo che non si vedeva qualche abitante del sole che mostrava volontà di combattere.
Annebbiato dal dolore, dall'impotenza e dalla rabbia, Fritti si accorse però di uno strano particolare: intorno non si vedevano schiavi, nessuna squadra di lavoro si trascinava faticosamente per le strade di Vastnir. A quanto pareva, il loro lavoro era terminato. Era naturale, quindi, che fosse stato scoperto. Mordisvelto spingeva Fritti verso il basso, in mezzo a masse di indifferenti Zampe-da-guardia e di sibilanti Zanne-da-guardia con la pelle raggrinzita. Sempre più giù, da un livello all'altro, oltre la Porta più grande, per arrivare infine nell'anticamera a volta della Caverna del Pozzo. Davanti all'ingresso del trono di Mangiacuore, un gruppo di guardie stava discutendo animatamente. Chi apparentemente le comandava, un bestione tozzo e robusto, che aveva solo un moncone di coda, stava tentando apparentemente di ristabilire l'ordine. Impartì un secco ordine a uno dei suoi sottoposti, il quale indietreggiò ringhiando, per poi strisciare di nuovo in avanti a testa bassa. «Ehi, Schiacciaerba!» gridò Mordisvelto alla Zampa senza coda. «Che cosa fate qui, tu e la tua banda di acchiappatopi?» Schiacciaerba si voltò per scrutare i nuovi arrivati. «Ah, sei tu, Mordisvelto! Male, molto male tutto questo.» «Di che cosa stai mugolando?» domandò Mordisvelto, facendo penzolare la lingua in un sogghigno. «Si tratta da Zann'azzanna, questo qui» rispose Schiacciaerba con aria preoccupata. «Lui e alcuni altri dei miei hanno udito strani rumori nelle Catacombe superiori.» «Come qualcosa che grattava» spiegò Zann'azzanna cupo, aggrottando il muso. «Non è bene.» Mordisvelto diede un'aspra risata latrante. «Quello che servirebbe a questa gente qui è una bella morsicata. Dovresti avere la zampa più dura con questi scansafatiche, Schiacciaerba.» Rise di nuovo, e un inquieto mormorio passò tra le guardie di Schiacciaerba. «E che cosa fate qui, in ogni caso?» domandò ancora Mordisvelto. «Il Padrone vi strapperà gli occhi!» Schiacciaerba trasalì. «Stavano venendo direttamente qui, senza di me, se non li fermavo! Che cosa ne pensi?» «Penso che sembra un ammutinamento. Già, è una massa di ammutinati quella che comandi, mio caro, stupido amico. Qualcosa che gratta.. Ah-ah! Sangue e fiamme! Vi accorgerete che il Padrone è ben peggio di qualsiasi cosa che gratta!»
«E tu che cosa fai qui, comunque?» sibilò inferocito Zann'azzanna. Senza alcun preavviso, Mordisvelto lo assalì, buttandolo a terra e mordendogli l'orecchio. «Col tuo capo puoi magari parlare come se fosse un gattino miagolante, ma non ci provare con me!» sibilò Mordisvelto nell'orecchio sanguinante di Zann'azzanna con voce bassa e minacciosa, poi si rivolse agli altri che stavano guardando avidamente interessati. «Si dà il caso che io stia portando al Padrone di Tutti un importante prigioniero. Se sarete fortunati, sarà così soddisfatto di me da dimenticarsi di strapparvi le budella.» «Un prigioniero importante? Quella roba lì?» domandò Schiacciaerba. «L'unico che è riuscito a evadere, fino adesso» ringhiò Mordisvelto. «Deve aver avuto qualche aiuto, è vero o no? Non vi sembra logico? E lo capite che cosa vuol dire, lo capite?» La Zampa si chinò avanti per dare maggiore enfasi alle sue parole. «Una cospirazione, ecco che cosa vuol dire! Pensateci su!» E Mordisvelto mostrò le zanne compiaciuto di sé. «Ma se è evaso, come mai è ritornato?» domandò una delle guardie di Schiacciaerba. Mordisvelto lo fulminò con un'occhiata. «Ne ho abbastanza delle domande di gente come voi» rispose in tono minaccioso. «Ho cose più importanti da fare che stare qui a chiacchierare con gatti rognosi come voi. Ora vado a incontrare il Padrone. E ora vattene, Schiacciaerba, e porta via con te i tuoi compari che piagnucolano di "qualcosa che gratta", tornatevene nella vostra galleria. Qui non avete niente da fare.» «E tu non hai nessuna autorità per darmi ordini, Mordisvelto» replicò l'altro capo in tono di sfida, ma poi se ne andò seguito dalla sua borbottante compagnia. Zann'azzanna, dopo aver lanciato un'occhiata carica d'odio, li seguì fiaccamente. «Gerite senza spina dorsale» commentò Mordisvelto in tono compiaciuto. Fritti era rimasto immobile nel corso della disputa, mentre sentiva le pulsazioni che emanavano dalla caverna lì accanto, le pulsazioni del potere stritolante, onnipresente di Mangiacuore. Quasi non si accorse che Mordisvelto lo stava spingendo avanti, verso l'ingresso. La nebbia ondeggiava davanti ai suoi occhi e un sordo dolore pulsante cominciò a farsi sentire sulla sua fronte. Le due guardie sulla porta, una Zampa e una Zanna, fecero un lieve cenno del capo quando riconobbero Mordisvelto, ma non si voltarono a guardare quando condusse dentro Fritti. Quando passarono sotto l'arcata, furo-
no avvolti da una nebbia fredda. Acchiappacoda stava già rabbrividendo. Nel mezzo della caverna, il trono dell'Impossibile si ergeva dal pozzo, dove i corpi dei morenti si contorcevano ondeggiando nella luce azzurra e violacea. In cima a quel monolito di sofferenze era assiso Mangiacuore, oscillando, cieco e immobile come un'immensa larva appena covata. Sotto di lui, decine di servitori si affaccendavano febbrilmente intorno al bordo del pozzo. Mordisvelto, ora sgonfiato della sua spavalderia, spinse lentamente Acchiappacoda verso l'enorme bestia. Stavano davanti al grande buco circolare, e il capo delle Zampe si sforzava di trovare il coraggio per parlare, quando si udì d'un tratto un grande fermento in fondo alla caverna, nei pressi dell'ingresso principale. Fritti riuscì a vedere alcune Zampe-daguardia che correvano rapidamente attraverso il portale, ma la nebbia che si alzava da terra gli impediva di capire che cosa stava succedendo. La creatura in cima al pozzo voltò lentamente la testa in direzione del rumore. Mordisvelto tossì sonoramente, ma il Padrone continuò a rivolgere lo sguardo al di là della grande caverna con le pareti di roccia. «Gr-Grandissimo Signore.. Onnipotente, ti prego, ascolta il tuo schiavo!» La voce di Mordisvelto si alzò fino in cima al pozzo. La testa massiccia di Mangiacuore ruotò lentamente, voltandosi finalmente a fissare i suoi occhi lattiginosi verso di loro. Sia il capo delle Zampe-da-guardia, sia il suo prigioniero si ritrassero istintivamente di un passo. Il Primo Nato li scrutava senza espressione. «Grandissimo Signore, il tuo servo Mordisvelto ti ha portato il prigioniero evaso, quello con la stella in faccia. Guarda!» Il bestione chiazzato fece un passo indietro, lasciando Acchiappacoda solo e tremante davanti al bordo del grande pozzo, sotto l'impenetrabile sguardo scrutatore di Mangiacuore. Mordisvelto, che inconsciamente continuava a estrarre e ritrarre gli artigli nell'attesa, alla fine non riuscì più a sostenere quel silenzio. «Ho fatto bene, Grandissimo? Sei soddisfatto del tuo servitore?» Mangiacuore voltò lentamente la testa verso la Zampa-da-guardia. «Tu vivrai» disse. La sua voce sembrava provenire da secoli di disfacimento. Mordisvelto accennò a farfugliare qualcosa, ma prima che riuscisse a parlare, quella voce morta, incrostata di fango, soggiunse:«Hai fatto bene. E ora vai». Strabuzzando gli occhi, Mordisvelto si ritrasse verso l'ingresso, poi si
voltò e scomparve. Acchiappacoda si accasciò sulla terra fredda, dove i vapori della nebbia turbinavano tra lui e il pozzo. Quando si diradarono, vide che gli antichi occhi ciechi del Grasso erano rivolti in alto, senza vedere. La massa di corpi tormentati sui quali quella cosa era adagiata si sollevò leggermente, come per uno strano sussulto collettivo. Il Padrone di Vastnir sembrò non accorgersene. Improvvisamente, come un freddo e viscido intruso, la voce di Mangiacuore parlò dentro la mente di Acchiappacoda. «Io ti conosco.» La greve presenza di quella voce si introduceva senza sforzo nei suoi pensieri. Acchiappacoda, oppresso da un senso di nausea, strofinò la testa contro il terreno gelato della caverna, ma non riuscì a espellere la voce. «Tu non sei una minaccia. Libero o prigioniero, vivo o morto, sei meno di un granello di polvere sulla mia strada.» Quella cosa senza età, che soffocava i frenetici pensieri di Fritti in una inerte disperazione, continuò a parlare monotonamente: «Ma ho ancora bisogno dei miei servi... ancora per un po', almeno. Tutti devono sapere com'è futile, tutti devono sapere che ogni resistenza è futile. Dovrei ridurli in un pulviscolo e mandarti a galleggiare tra le stelle...». Un terrificante senso di vuoto riempì la mente di Fritti, come se fosse stato improvvisamente scaraventato nell'abisso senza fine. In qualche luogo poteva sentire il proprio corpo che strideva di terrore... in qualche luogo remoto, irraggiungibile. «Tuttavia» riprese quella voce spaventosamente monotona e martellante, «tu sei già stato promesso. Bast-Imret e Knet-Mekri e tutte le Ossa-daguardia ti hanno rivendicato. Sarai portato nella Casa della Disperazione, e lì ti tratterrai finché il tuo ka non riuscirà a librarsi nel grande vuoto...» Come a un tacito ordine, alcune figure grigie, avvolte nelle nebbie, uscirono dalle grotte in alto sulla parete, sopra il pozzo di Mangiacuore. Una lenta, spaventosa processione si avviò giù dalle pareti crivellate della caverna, lenta e implacabile come il ghiaccio nero che si forma nelle paludi in inverno. Nella fioca luce violacea che baluginava dalle cavità della roccia, erano figure indistinte... senza forma. Ardenti scintille, che potevano essere occhi, brillavano. Una lieve brezza scese sospirando dall'alto della grotta, e le tenebre si fecero un po' più fitte. Le altre creature si ritrassero silenziosamente per lasciare il passo alle Ossa-da-guardia. Una forza irresistibile inchiodava a terra Acchiappacoda, il quale non poteva fare altro che guardare quella
processione di ombre che si avvicinavano. Un improvviso fermento all'ingresso opposto della caverna, accompagnato da alte grida di allarme delle Zampe-da-guardia, fece voltare gli sguardi di tutti, tranne quello della bestia cieca seduta sopra il pozzo. La processione delle Ossa-da-guardia si arrestò, e le loro forme indistinte si incresparono. Al di sotto di Mangiacuore, i corpi dei morenti si sollevarono di nuovo, poi per qualche attimo tutto fu immobile. Una figura solitaria entrò barcollando attraverso l'ingresso principale nella Caverna del Pozzo. Era una Zanna-da-guardia, e la sua pelle senza pelo era coperta di ferite e sanguinante. «Ss-siamo attaccati!» stridette l'animale. «C'è grande mass-ssa-cro alla Porta di vezz-z'an! E anche in altri poss-sti!» Un grido reboante si alzò dalle bestie lì riunite, poi si udirono altri rumori provenienti dalle gallerie al di là della grande caverna. «Che cosa c'è? Che cosa c'è?» gridò una delle Zampe-da-guardia, presa dal panico. «Ss-sono quei traditori dei Primi Camminatori! Ss-sono arrivati con i vermi di ss-sole della Prima Cass-sa! Tradimento! All'attacco!» Stridendo e sibilando, la Zanna-da-guardia crollò al suolo. La caverna diventò immediatamente un pandemonio: Zanne e Zampe insieme saltavano, ringhiavano, urlavano, rovesciandosi tutti insieme dentro e fuori le gallerie. Dall'esterno della caverna, i rumori del combattimento si facevano più intensi e più vicini. Al di sopra del caos, Mangiacuore stava immobile come un ghiacciaio. Acchiappacoda, disteso per terra ai bordi del pozzo, osservava tutto come se fosse un sogno. Le grida e il subbuglio non lo sfioravano, non penetravano il gelo paralizzante che Mangiacuore aveva deposto nel suo cuore e nel suo ka. Quando una massiccia ondata di animali che si dibattevano si riversò dentro attraverso l'ingresso della caverna, gli artigli e le zanne incrociati in una lotta mortale, Fritti continuò a guardare quella massa impazzita con la stessa incuriosita indifferenza con cui avrebbe osservato le onde che increspavano un lago in estate. Solo quando alcune figure nelle prime file della battaglia cominciarono ad apparirgli vagamente, indistintamente familiari, Fritti sentì accendersi lievemente il suo interesse. Un grosso gatto nero, simile a una Zampa, ma più snello e agile, stava combattendo con instancabile furore nel mezzo di una massa di Zanne-daguardia digrignanti. Chi era? E perché doveva interessargli? Sentiva che era importante ricordarlo. Lì accanto, un secondo grosso maschio, il corpo
intersecato da profonde cicatrici, stava lottando e dilaniando una Zampada-guardia molto più grossa di lui. E un altro ancora. Forse conosceva anche quello? Un enorme gatto striato entrò di schianto attraverso l'ingresso, abbattendo le guardie che gli si paravano davanti. Mentre volgeva lo sguardo attraverso la caverna, dall'alto del suo distacco, Fritti sentì l'impulso di sorridere, nonostante il fatto che quel gatto panciuto stava lottando per la sua vita. Perché? si domandò. Perché sto sorridendo? Perché è Panciapendula, e Panciapendula è un tipo buffo. Panciapendula. Panciapendula e Terrore-di-squittenti e poi... e poi Vibr'artiglio! I suoi amici. I suoi amici erano arrivati! Il gelo si scioglieva nel suo cuore. La Gente era arrivata, finalmente! Era arrivata! Fritti si alzò sulle zampe con un fievole grido di felicità. Il combattimento stava dilagando, adesso, e si avvicinava sempre più a lui, circondando gradualmente il pozzo sul quale era seduto il Padrone, nel suo imperscrutabile potere. Acchiappacoda barcollò verso la parete della caverna, trovando un precario rifugio in un anfratto della roccia. Le guardie erano già balzate avanti a lui, per gettarsi nella mìschia. Lentamente, come ubbidendo a un tacito ordine, gli abitanti della collina arretrarono, fino a formare un cerchio intorno al pozzo fumante e violaceo nel mezzo della caverna. Gli attaccanti ritornavano in massa alla carica, ma s'infrangevano contro la linea delle guardie davanti al pozzo. Alcune figure che si dibattevano precipitavano ululando oltre il bordo del pozzo, scomparendo nelle nebbie che avvolgevano il trono del Padrone. Gli attaccanti si ritirarono, preparandosi a lanciarsi di nuovo all'attacco. Per qualche palpito di cuore, tutto fu immobile, e quasi si poteva sentire il pelo che si arruffava... poi la voce di fango e di tuono di Mangiacuore rimbombò nella caverna. «FERMI TUTTI!» Seguì un silenzio impaurito, e per qualche attimo nient'altro che l'eco di quella terribile voce risuonò nell'aria. Vibr'artiglio, che si era arrampicato sulla parete della caverna, fissava lo sguardo nella foschia del pozzo. Poi il suo stridulo sibilo, carico di superstiziosa paura, ruppe quel silenzio. «Per i capezzoli della Madre-di-tutti!» Sibili di paura salirono anche dall'altra Gente, e centinaia di schiene e di code si inarcarono contemporaneamente. La voce di Mangiacuore riempì di nuovo la caverna. «Mi domandavo se
i lacché che venerano il ricordo dei miei defunti fratelli avrebbero trovato alla fine il coraggio di cercarmi nel mio covo. Ascoltatemi, allora, annusatoli di Zampa-di-fuoco e inseguitori di Ventobianco: l'ultimo dei Primi Nati non può essere affrontato da una marmaglia miagolante come voi. Siete scesi troppo in profondità, strisciatoli di superficie.» Il peso di queste parole attanagliava gli attaccanti come qualcosa di tangibile, ma nemmeno gli abitanti della collina si muovevano, tanta era la forza che imponeva Mangiacuore. E infine si alzò Terrore-di-squittenti, con la sua vecchia faccia malconcia e impassibile, i baffi tesi e orgogliosi. «Parole!» esclamò il gran Capo dei Primi Camminatori del Bosco di Radici. «Abbiamo portato qui più autentici membri della Gente di quante stelle ci siano in cielo, Signore del formicaio, e anche adesso stanno penetrando in massa dentro la tua tana di conigli. I tuoi giorni sono finiti!» Tutt'intorno, gli attaccanti scuotevano la testa e facevano fusa di stupore e di orgoglio, così che un grande rumore incessante riempiva quel vasto spazio roccioso. «Tu puoi star seduto come un rospo sulla tua imitazione del vaka'az'me, finché non finirà il tempo» esclamò ancora Terrore-di-squittenti, «ma noi non poseremo mai il mento per terra davanti a te! Il tuo potere è finito!» La risata di Grizraz Mangiacuore rotolò giù con la forza travolgente di una valanga. «STUPIDI!» tuonò. «Tu osi parlare a me di potere, tu con la tue insignificanti vite simili alle foglie che cadono! Che ridere!» La sua risata gonfiò di nuovo la caverna. Alle sue parole seguì un sordo brontolio dal di sotto, e il cumulo che faceva da trono a Mangiacuore oscillò bruscamente. «Tu parli del vaka'az'me» tuonò, mentre il brontolio si faceva più forte. «Voi pensate di vedere il trono di Mangiacuore, ma non vedete niente!» Il Padrone della collina esplose in una risata divertita, e la sua voce era raggelante come una raffica di pioggia. La Gente gemeva, e sarebbe fuggita, ma Terrore-di-squittenti fece un passo avanti e la massa si fermò. Prima che il Capo dei Primi Camminatori potesse pronunciare una parola, il corpo scuro e gonfio di Mangiacuore cominciò a oscillare e sobbalzare in cima a quella massa di carne in putrefazione. «Pensate forse che stia qui appollaiato per intimorire quelle cose pietose e sgambettanti che mi servono?» domandò il Grasso. «Per mettere paure ultraterrene nella mente di gente come voi? Ah, ah, ah! AH! AH AH AH!» La voce di Mangiacuore si alzò fino a divenire uno stridio assordante. «Come Fela Danza-incielo che mi ha partorito, io sto dando calore a questo mucchio di carne che si contorce. Io sto dandole POTERE!»
Il brontolio che saliva dal pozzo stava divenendo un rumore lacerante, risucchiante. Le luci che lampeggiavano dalla terra stavano ora vibrando come impazzite. Le creature lì radunate, la Gente Ubera al pari delle Zampe-da-guardia, cominciarono a ululare di paura e ad allontanarsi precipitosamente dal pozzo. Un'enorme forma emerse da sotto il corpo di Mangiacuore, come se fosse stata covata o si fosse formata dai vapori che uscivano dal pozzo. Produceva un suono simile al grido di innumerevoli cose morenti, miriadi di voci che si univano in un unico grido senza anima. Ululando e stridendo, tutte le creature intorno al pozzo si dispersero verso le pareti della caverna, mentre quella cosa enorme saliva prepotentemente fuori dal pozzo. La fioca luce purpurea illuminava qualcosa di mostruoso e di informe, di scuro e irriconoscibile. Era un'indistinta, allucinante immagine di qualche cane demoniaco, col muso bavoso e gli occhi arrossati. Era composto dai corpi in disfacimento e contorti contenuti nel pozzo, poveri animali morenti e sofferenti che si scioglievano in un'unica grande forma. Alcuni della Gente, coraggiosi fino alla follia, tentarono di opporsi e di combattere. Ma quella cosa fu sopra di loro in un attimo, implacabile e mortale. «Io l'ho partorito! È il fikos! Io l'ho partorito!» La caverna echeggiava di grida, di morti e morenti, di un caos assordante. Mentre la cosa simile a cane flagellava torcendosi, si alzò sopra a tutto la voce di Mangiacuore: «Fikos! Ecco il vostro tormento! Il tormento di tutti coloro che camminano sulla superficie del mondo!!». Acchiappacoda voltò le spalle a quella spaventosa visione e fuggì dalla Caverna del Pozzo. Capitolo 29 Molteplici astuzie ha la volpe, una sola ne ha il porcospino, e molto efficace. ARCHILOCO Vastnir era un pandemonio. Mentre Fritti correva nella semioscurità, vedeva intorno a sé altre forme feline che sciamavano disordinatamente senza meta, stridendo come pipistrelli impazziti. Acchiappacoda riusciva a pensare soltanto ai suoi amici, l'orrore e la
morte che aveva lasciato dietro di sé erano troppo grandi. Sembrava la fine di ogni cosa, di tutta la vita, della ragione, della speranza. E voleva affrontarla insieme con i suoi amici. Nessuno lo inseguiva nella fuga. Zampe e Zanne-da-guardia combattevano tra loro, oltre che con la massa della Gente libera che avanzava. I prigionieri, richiamati dalle loro caverne dall'eco del tumulto, sciamavano fuori disordinatamente, arrancando, gridando, cercando disperatamente una via d'uscita. La voce tonante, irragionevole del fikos rintronava attraverso la collina, seminando devastazione e follia. Fritti si sforzava di ricordare le vaghe indicazioni che gli aveva dato Pellerognosa. Più di una volta, nella confusione dei corpi, temette di aver perso la strada. Finalmente riconobbe la curva che scendeva verso il fondo. Le orecchie appiattite, si lanciò di corsa giù per la discesa della galleria. Ombra-di-tetto e Balzalesto erano accovacciati, i peli ritti contro la parete di fondo della caverna. Ai loro piedi era disteso Mangiapulci, ma ora i suoi occhi erano aperti. Osservò Acchiappacoda con uno strano, tranquillo interesse, quando questi apparve all'ingresso della caverna. Per qualche attimo, Ombra-di-tetto non sembrò riconoscere Fritti, poi scrollando incredula la testa, balzò avanti chiamando il suo nome. «Acchiappacoda! Sei arrivato! Che cosa sta succedendo?» Gli si avvicinò annusandolo, ma Fritti passò oltre, verso Balzalesto. «Balza!» esclamò. «Sono io, Balza! Stai bene? Puoi camminare?» Balzalesto alzò lo sguardo per un attimo, come se non capisse, poi un fievole sorriso si distese sul suo muso. «Nre'fa-o, Acchiappacoda» gli rispose. «Sapevo che saresti arrivato.» Fritti, voltandosi, vide Ombra-di-tetto che stava guardando in alto preoccupata. «Stanno succedendo cose tenibili, Ombra-di-tetto» le disse. «La Gente è arrivata, ma si è trovata di fronte un grande pericolo. Qui non possiamo fare niente di utile. L'unica possibilità che abbiamo è andarcene subito, approfittando della confusione. Aiuta Balzalesto ad alzarsi. Io mi occuperò di Mangiapulci.» Senza fare domande, la fela grigia balzò avanti per aiutare il piccolo gatto, ma Balzalesto si alzò sulle zampe malferme. «Posso farcela» disse. «Aspettavo solo che arrivasse Acchiappacoda» soggiunse in tono misterioso, poi si stiracchiò inarcando il suo piccolo corpo. Mangiapulci si rivelò più difficile da trattare. Anche se era sveglio e non opponeva resistenza, appariva ancora più confuso del solito. Sembrava non comprendere la necessità di tanta fretta e trotterellava intorno per la caver-
na, annusando gli angoli come se fosse appena arrivato. «È sempre stato nei campi dei sogni da quando siamo stati catturati» spiegò Balzalesto. «È la prima volta che lo vedo in piedi da non so quanto tempo.» «Spero che si ricordi come si usano le zampe» brontolò Acchiappacoda, «perché abbiamo ben poco tempo a disposizione, se non è già troppo tardi. Su, andiamo. Guiderò io la fila. Tu, Ombra-di-tetto, la chiuderai e aiuterai Mangiapulci.» «Ma dove andiamo?» domandò la fela. «Se la Gente è arrivata alla collina, non ci saranno guardie in tutte le vie d'accesso e d'uscita?» «Penso di conoscere un'uscita che non è sorvegliata» rispose Fritti, «ma dobbiamo rischiare. Dobbiamo andare, adesso! Vi racconterò quello che posso mentre corriamo.» In fila indiana si avviarono verso l'uscita, guidati da Acchiappacoda, che mise fuori il naso per accertarsi che la strada fosse sgombra. La galleria esterna era deserta, ma dall'alto scendevano i rumori di un grande tumulto. Quando arrivò all'uscita della caverna, Mangiapulci si fermò per un attimo, voltandosi a guardare la grotta in cui era stato imprigionato per tanto tempo. Per la prima volta da quando aveva varcato le porte di Vastnir, Mangiapulci parlò. «Un posticino intimo e carino...» mormorò sommessamente, poi si lasciò spingere avanti da Ombra-di-tetto. Mentre i quattro percorrevano gli affollati corridoi, Fritti tentava di raccontare tutto ciò che aveva visto. Tutt'intorno a loro, morti e morenti erano mescolati insieme, in mezzo al tumulto dei viventi. Il terreno fluorescente che ricopriva le grotte e le gallerie brillava soltanto a tratti, adesso, e il pericolo sembrava annidarsi ovunque nella collina sempre più cupa. Parecchie volte trovarono la strada ostruita dagli abitanti della collina e dovettero aprirsi un varco a forza. Fritti e Ombra-di-tetto lottavano per la libertà come impazziti, sconcertando Zampe e Zanne: come mai quella piccola Gente non si arrendeva docilmente? Ovunque, il mondo della collina sembrava franare, e per i suoi terrorizzati abitanti, quegli schiavi disperati e irriducibili erano soltanto un'altra spaventosa prova dell'eclisse della normalità. Ogni volta, le Guardie, colte di sorpresa, fuggivano sgomente, in cerca di vittime più docili. Mangiapulci non partecipava a queste lotte contro gli attaccanti, ma se ne stava rattrappito in disparte, mugolando penosamente. Anche Balzalesto
si teneva stranamente in disparte, e non alzava la sua piccola zampa per difendersi nemmeno quando era direttamente minacciato. Rimaneva invece a guardare con indifferenza gli attaccanti, finché questi si ritiravano, intimoriti da ciò che non riuscivano a comprendere. Acchiappacoda e Ombradi-tetto, impegnati in continue battaglie a difesa della loro piccola pattuglia, avevano subito numerose ferite. Balzalesto, ancora incolume, li seguiva come un gattino che assista a un gioco divertente. «Non so se riusciremo ad andare avanti così ancora a lungo» ansimò Ombra-di-tetto, mentre fuggivano dalla scena di un'altra mischia. «Qualcuno prenderà il comando di queste creature, prima o poi, e allora potremo raccomandare le nostre ka a Meerclar.» «Lo so» ansimò a sua volta Fritti. Non aveva speranze da offrire: in effetti, i cunicoli che percorrevano diventavano di momento in momento sempre più pericolosi. Risparmiava il fiato, per farne miglior uso nella corsa. Finalmente, mentre percorrevano le gallerie verso l'esterno, arrivarono in una zona meno popolata. L'attacco della Gente della Prima Casa aveva allontanato gran parte delle sentinelle ai margini della collina, e mentre i quattro procedevano per la loro strada, il fragore della battaglia andava affievolendosi alle loro spalle. Si affievoliva anche la luce della terra, ma Fritti aveva già percorso quei sentieri e, ciò che era più importante, poteva ora seguire il rumore che lentamente aumentava del Fiume-che-scalda. Il sibilo e il ruggito del fiume sotterraneo si facevano sempre più forti alle loro orecchie, mentre esploravano una successione di strette e basse gallerie. L'aria stava facendosi sempre più umida. Da uno stretto cunicolo sbucarono in una grotta che era l'ultima, ricordò Fritti, prima della grande caverna del Fiume. La fuga sembrava impossibile, adesso, anche se Fritti sapeva che dietro a loro la Gente libera stava combattendo, e perdendo, una battaglia di mortale importanza. Fermò i suoi compagni per descrivere loro l'insidioso percorso che avevano davanti, ma le parole gli rimasero in gola. Quando si voltò, Mangiapulci era scomparso. «Ombra-di-tetto!» gridò. «Dov'è Mangiapulci? Pensavo che tu lo seguissi.» La fela grigia, leccandosi le ferite, si voltò a guardare nel buio deserto dietro a loro, e un'espressione imbarazzata attraversò i suoi occhi verdi.«Mi dispiace, Acchiappacoda» rispose sommessamente. «Balzalesto è
inciampato in qualcosa di appuntito e stava zoppicando. Sono andata avanti per aiutarlo, Mangiapulci era proprio dietro a noi e...» Fritti scrollò la testa per la delusione e il dispiacere. «Non è colpa tua, Ombra-di-tetto. Non potevi prevederlo. Ecco, ora vi descrivo la caverna più avanti e la strada per passare oltre il fiume.» Con un cenno della testa Ombra-di-tetto confermò che aveva capito, quando Fritti ebbe terminato di parlare. Balzalesto era rimasto a guardare Acchiappacoda in silenzio, nella penombra sempre più fitta. «Spero di riuscire a raggiungervi prima che abbiate attraversato il fiume» soggiunse Fritti, «ma se non ci riesco, tenetevi sulla destra e proseguite verso la superficie.» «Che cosa vuoi dire?» domandò Ombra-di-tetto sconcertata. Nel vedere il suo turbamento, Acchiappacoda si rattristò e non riuscì a parlare. Inaspettatamente, fu Balzalesto a parlare in vece sua. «Ritorna a cercare Mangiapulci» spiegò il piccolo gatto. Ombra-di-tetto era sbalordita. «Ritornare? Acchiappacoda, non puoi farlo. Il tempo a disposizione è sempre più breve. Non sacrificarti per nulla!» «Non è per nulla» replicò Fritti. «Devo andare. E voglio che voi andiate avanti. Se riesci a portare fuori di qui Balza e te stessa, mi sentirò più tranquillo per tutto il resto. E ora andate, vi prego.» Fece per voltarsi, ma Ombra-di-tetto con un salto si interpose tra lui e la galleria. Nel suo dolore, la fela sembrava più infuriata di quanto Fritti l'avesse mai vista, molto più infuriata di quando combatteva per la propria vita. Sembrava che avesse perduto il passo nella danza sulla terra, e non riuscisse a ritrovarlo. «Balzalesto!» gridò. «Diglielo anche tu di non andare. Non lasciare che vada a rincorrere la coda della morte!» Ma Balzalesto si limitò a guardarla col suo solito sguardo affettuoso, poi disse: «Deve andare. Ti prego, Ombra, non rendere tutto più difficile.» Poi si rivolse a Fritti. «Ti auguro di trovare la fortuna danzante, Acchiappacoda. Ritorna a raggiungerci, se ci riesci.» Per un attimo Acchiappacoda rimase meravigliato dalla trasformazione del suo giovane amico. I rumori del tumulto e della battaglia che scendevano giù per le gallerie lo richiamarono alla sua missione. «Mri'fa'o, cari amici» augurò a sua volta, e si sarebbe fermato per annusare tutti e due, ma non se la sentì di affrontare lo sguardo di Ombra-ditetto. Con un balzo la superò e corse su per la galleria, ritornando sui suoi passi.
I cunicoli esterni, attraverso i quali erano appena passati in relativa sicurezza, si stavano di nuovo riempiendo delle ombre scure di Zampe e di Zanne. Le bestie pullulanti tutt'intorno sembravano aver trovato la loro coesione, e Fritti pensò che era un segno di cattivo auspicio per Vibr'artiglio, Saltasteccati e tutti gli altri. Dall'alto, e Fritti non sapeva quanto, giungeva il rumore strisciante, graffiante di qualcosa di enorme che si muoveva nelle Catacombe superiori. E questo era ancora di peggior auspicio. Poteva ben immaginare qual era la maligna presenza che era uscita dalla Caverna del Pozzo e si stava ora trascinando attraverso le gallerie superiori. Acchiappacoda non pensava che Mangiapulci potesse essere andato molto lontano, lungo il loro percorso, ma se invece... allora anche la ritrovata determinazione di Fritti non era abbastanza forte per spingerlo di buon grado nelle vicinanze o in vista di quella cosa ai livelli superiori. Mentre strisciava lungo uno stretto corridoio, camminando in punta di zampe per il fatto di aver scorto un gruppo di Zampe-da-guardia che stavano alla biforcazione della galleria, a meno di una ventina di balzi avanti a lui, Fritti si arrestò bruscamente nell'udire un rumore inatteso, una sommessa risata che proveniva da lì vicino. Abbassando lo sguardo, scorse una fessura tra il pavimento di pietra e la parete. Era da lì che proveniva quel rumore. Si acquattò, sempre tenendo d'occhio le Zampe alla biforcazione del corridoio, che erano impegnate, per quanto poteva vedere in lontananza e in quella fioca luce, in qualche discussione. Posando l'orecchio accanto alla fenditura, Fritti si mise in ascolto. Non era una risata quella che aveva udito, era uno strano piagnucolio. Spinse la testa dentro la fenditura, riuscendo a introdurre a malapena i baffi, e scrutò all'interno. Una forma scura era raggomitolata in un piccolo anfratto alla base della parete della galleria. «Mangiapulci?» chiamò Fritti sommessamente. Se la creatura lo udì, non diede risposta. Acchiappacoda si calò cautamente dentro la cavità. L'interno era quasi completamente buio e così stretto che Fritti non aveva spazio per stare in piedi, così che fu costretto a stringersi contro il pelo arruffato e sporco di quel corpo. Dev'essere proprio Mangiapulci, pensò Fritti. Nessun altro ha il pelo così sporco. Diede una brusca spinta a quel corpo che singhiozzava. «Mangiapulci, sono io, Acchiappacoda. Su vieni, sono venuto per portarti via da qui.» Fritti spinse ancora il gatto matto, e allora il suo mugolio diventò una
sconnessa fiumana di parole. «In trappola, in trappola e in trottola... in trottola come trottatori... trottatori... oh, questo è male, os, e anche più...» Fritti era esasperato, ma avrebbe dovuto aspettarselo che Mangiapulci ricadesse nelle sue farneticazioni. «Su, vieni» lo incalzò. «Non abbiamo tempo.» I suoi occhi si erano un po' abituati alla quasi totale oscurità, e a stento riusciva a distinguere la figura irsuta e ispida che gli stava accanto. «Non capisci, non capisci...» gemeva la voce. «Ci hanno messo indosso un pelo di pietra... hanno preso i teschi di pietra e ne hanno fatto una gabbia... è troppo stretta! Giù, in profondità, come brucia!» Dopo queste ultime parole, la sua voce si alzò fino a divenire un ululato. Acchiappacoda tremava. Se avesse continuato così, lo avrebbero sicuramente sentito. La sua pazienza cominciava a essere sopraffatta dalla paura. Strinse allora tra i denti un brandello di quella peluria sporca e lo strappò con tutte le sue forze. Una zampa, pesante come un macigno, lo spinse da parte e lo inchiodò a terra. Il cuore gli balzò in petto. Forse si era sbagliato? Forse non era Mangiapulci? Questa sarebbe stata l'ultima ironia del destino, pensò. Andare a inseguire il proprio nome di coda per altruismo e poi trovarsi intrappolato stupidamente in un buco con una bestia infuriata. Acchiappacoda tentò di divincolarsi sotto la ferma presa della zampa, ma si trovò impotente come un gattino appena nato. I suoi sforzi fecero voltare la cosa che lo teneva prigioniero, e per un attimo il suo muso fu illuminato dalla fioca luce che scendeva dall'apertura della cavità. Era proprio Mangiapulci. La flebile luce gli illuminò gli occhi, allucinati come ghiaccio che si frantuma. «Il mio sangue ha chiamato il turbine!» gridò Mangiapulci. «La cosa che uccide, che ruota... Oh, pietà di me! Io sono nel suo centro, non mi lascerà mai... Oh, perfino il vuoto sarebbe più dolce...!» Quando queste ultime grida echeggiarono nel corridoio di sopra, Fritti udì il rumore di zampe che correvano e di voci aspre che discutevano. Erano stati scoperti. Diede un ultimo strappo, ma Mangiapulci, con la forza della sua pazzia, non lasciò la presa. Fritti era come inchiodato a terra sotto una quercia abbattuta. Impotente, Fritti chiuse gli occhi in attesa della morte. Il tempo sembrava non trascorrere, com'era successo prima, quando le Zampe-da-guardia erano uscite dalla notte... tanto, tanto tempo fa. Vagando con la mente, trovò qualcosa in un angolo della memoria e lo riesumò
per esaminarlo. Era la preghiera che Vibr'artiglio gli aveva insegnato, o piuttosto il suo inizio. Mentre la sua mente rievocava pigramente quel frammento di canto, una parte di sé era ancora in ascolto del rumore di passi al di fuori della cavità e dei gemiti soffocati di Mangiapulci. Quel frammento di sapienza fluttuava davanti agli occhi della sua mente... Tangaloor, di fuoco acceso... sì, era così che cominciava. Che strano, che la ricordasse proprio in quel momento. «Tangaloor, di fuoco acceso...» ripeté ad alta voce, e rimase in ascolto del dolce contrasto che facevano quelle parole col rauco ansimare della bestia che gli stava accanto e con le aspre grida delle bestie al di fuori. Altre parole della preghiera presero voce, un altro pezzo del canto. «Zampa-difiamme, tu che cammini più lontano... il tuo cacciatore chiama...» Com'è che finiva? Ah, sì: nel bisogno, ma mai nella paura. Era proprio così. Cantò di nuovo, tutto di filato, questa volta, dimenticando l'ansimare di Mangiapulci accanto a lui. Le Zampe-da-guardia nel corridoio erano stranamente immobili. Tangaloor, di fuoco acceso, zampadifiamma, tu che cammini più lontano, è il tuo cacciatore che parla, nel bisogno egli cammina, nel bisogno, ma mai nella paura. Pur tenendo gli occhi chiusi, Fritti si accorse di qualcosa che stava cambiando. La luce stava inondando la cavità, una scintillante luce cremisi che penetrava all'interno delle sue palpebre. La terra fosforescente doveva risplendere di nuovo. Aprì gli occhi... ma il riverbero era fioco come prima. Era invece un bagliore rosso che si stava sprigionando dall'interno della stessa cavità. Nel buio, le zampe di Mangiapulci avevano cominciato a risplendere come se si fossero incendiate. Mangiapulci cominciò a roteare e ondeggiare stranamente. La luce si diffondeva e la stessa aria accesa di rosso cominciò a brillare come per una gran calura, anche se la temperatura era invariata. Poi ci fu un grande lampo, e una voce, come il canto di tutta la Gente unita sotto l'Occhio di Meerclar, gridò trionfante: «IO SONO...!» La semplice forza di quella voce scaraventò Fritti indietro, facendogli
battere la testa contro la parete della cavità. Mentre barcollava ancora intontito, vide che la grande luce si era affievolita. Mangiapulci era accovacciato accanto a lui, col suo nero corpo quasi invisibile, le zampe rosse come il fuoco, come il sole al tramonto. I segni della follia e della confusione erano scomparsi: il pelo era folto e Uscio, gli occhi guardavano Acchiappacoda con una saggezza, un amore e un orgoglio che il giovane gatto non aveva mai visto prima. C'era anche qualcosa di triste, che incombeva su di lui, come un secondo pelo. Fritti capì che era alla presenza di tutto ciò che era grande nella sua razza. «Nre'fa-o, fratellino» gli disse Mangiapulci, ma ora Fritti sapeva che non era più Mangiapulci, che il suo vero ka era ritornato. La voce aveva la melodia della notte, delle cose che conoscono l'antica, delicata danza che conoscono anche la terra e le sue cose. Fritti si lasciò cadere sulla pancia, coprendosi gli occhi con le zampe, poi si acciambellò come una palla. «No, fratellino» disse quella voce meravigliosa, «non devi fare così. Non devi provare vergogna davanti a me, proprio il contrario. Mi hai aiutato a trovare la strada del ritorno dopo un lungo viaggio scuro, e in un momento di grande necessità. Sono io che devo inchinarmi davanti a te e ai tuoi sforzi.» Così detto, Zampa-di-fuoco, perché era proprio lui, sollevò la zampa di Fritti e con questa gli toccò la fronte. La stella bianca sulla fronte di Fritti lampeggiò nella penombra della minuscola caverna. «Ah, piccolo mio, ho seguito la tua luce come Irao Pietra-di-cielo ha seguito la stella del mattino nell'Oriente sconosciuto» cantò Tangaloor. «Spero soltanto di essere arrivato in tempo.» L'aria nella piccola cavità scintillò di nuovo e Zampa-di-fuoco sembrò crescere fino a riempire ogni interstizio della grotta. «Devo ora sistemare alcuni vecchi conti» proseguì. «Ho vagabondato per troppi anni, imprigionato nella mia follia, mentre mio fratello alimentava la sua corruzione. Ha evocato poteri che la terra doveva tenere per sé, come ho fatto io, un tempo. Le mie ragioni erano migliori, eppure sono rimasto come un guscio rotto e il mio ka è volato via. Molte perversioni sono state scatenate da mio fratello Mangiacuore, e devo mettervi fine.» La sua presenza sembrò restringersi lievemente. «Aaah! E anche mio fratello Ventobianco dev'essere vendicato, altrimenti il suo ka non avrà mai più riposo. Purtroppo, innocenti come te sono stati coinvolti nelle vicende dei Primi Nati. Dimmi, giovane Acchiappacoda, che cosa posso fare per te? Per quanto sia una nullità, farò tutto il possibile per saldare il mio debito. Su, parla, perché tra poco dovrò andare.»
Ancora sbalordito, Fritti rimase per qualche attimo in silenzio. Quando finalmente parlò, si accorse di non essere capace di alzare lo sguardo verso chi gli stava davanti. «Desidero che i miei amici fuggano al sicuro, loro e tutta la Gente coraggiosa che è venuta qui.» Il Primo Nato rimase in silenzio, come se stesse guardando in lontananza. Quando parlò, la sua voce era dolce. «Fratellino, molti di quei coraggiosi se ne sono andati, i loro ka sono volati nel seno di Madre-di-tutti. Nemmeno io posso trattenerli, altrimenti avrei salvato anche mio fratello, che tanto amavo. In quanto alla fela e al gattino, bene, cercherò di aiutarli, ma in questo momento hanno bisogno della tua presenza più che della mia. Non posso spiegartelo, ma è così.» Fritti balzò in piedi e arrancò verso l'uscita, ma Zampa-di-fuoco lo richiamò con una risata. «Posso attendere ancora un momento, te lo prometto. Ho visto qualcos'altro, un altro desiderio che è forte dentro di te. Tu cerchi qualcosa, anche se hai perso il filo della ricerca. Questa ricerca è servita a condurti fino a me, e quindi mi sembra più che giusto che io ti aiuti.» Fritti ebbe la sensazione di precipitare dentro occhi profondi come il cielo... e un attimo dopo si guardava sbigottito intorno, da una parete all'altra: la minuscola cavità sotterranea era deserta. Poi gli giunse una voce che penetrava nella sua mente senza sforzo, come quella di Mangiacuore, ma lievemente e con rispetto. «Ti ho dato la conoscenza per portare a termine la tua ricerca. Vorrei poterti dare di più, ma tra breve avrò un disperato bisogno di tutte le mie risorse. Sarai sempre nei nostri pensieri, fratellino.» Poi la presenza scomparve e Fritti rimase completamente solo. Stupefatto, Fritti si ricordò allora delle Zampe-da-guardia che si stavano radunando fuori dalla cavità. Quando sollevò cautamente la testa fuori dalla fessura, scoprì che la galleria era deserta come se non fosse mai stata abitata dai tempi di Harar. Soltanto alcuni mucchietti di polvere, lievemente smossi da un inatteso vento freddo, rompevano l'immobilità assoluta. Incapace di ricordare come aveva percorso quel tratto di strada, né quali sentieri aveva seguito, Acchiappacoda si trovò a salire il tortuoso sentiero che costeggiava la caverna del Fiume-che-scalda. Il grande fiume ribollente ruggiva più forte che mai, e le sue acque sembravano schizzare ancora più in alto sulle pareti rocciose che lo racchiudevano. La strada davanti a
lui era offuscata dalla nebbia, mentre Fritti riprendeva la salita. Il fiume sembrava effettivamente balzare ancora più in alto: gli spruzzi d'acqua arrivavano a infrangersi contro l'imponente soffitto della caverna, per poi ricadere come pioggia sibilante. Nonostante la scarsa visibilità, Acchiappacoda si muoveva con passo sicuro e svelto sul percorso accidentato ed eroso dall'acqua. Era stato toccato da qualcosa di molto superiore a lui, e ne risentiva ancora i benefici effetti. Il vento cambiò direzione, soffiandogli proprio sui baffi, e in quell'attimo udì l'acuto grido di paura e di dolore di Balzalesto. «Balzalesto, Ombra-di-tetto! Sto arrivando!» gridò Fritti. Immediatamente si lanciò a balzi lungo lo stretto sentiero, affidandosi a un istinto che sapeva di non possedere, nella frenetica corsa per raggiungere i suoi amici. Quando voltò scivolando una curva del viottolo, annaspando per mantenere la presa sopra le acque che rimbombavano e fumavano sotto di lui, vide davanti a sé i suoi due compagni. Ombra-di-tetto era china sul sanguinante Balzalesto, mentre si batteva accanitamente contro una creatura nera grande il doppio di lei. Era Gratt'artiglio. Il nero bestione, striato e macchiato di sangue, voltò i suoi occhi allucinati all'arrivo di Acchiappacoda. Un sogghigno ringhiante increspò il suo grosso muso. «Stella-in-faccia. Stella-in-faccia, l'Acchiappacoda! Lo ucciderò, un giorno o l'altro. Lo ucciderò!» Gratt'artiglio diede una latrante risata, mentre Ombra-di-tetto si ritraeva, ferita e ansimante. Acchiappacoda si fece avanti inferocito, mentre Gratt'artiglio si accovacciava a terra, sferzando l'aria dietro di sé con la folta coda. Un sordo brontolio, che scendeva dalle rocce del soffitto, sembrò percorrere la caverna. Fritti si fermò di scatto in un tratto più ampio del sentiero, inarcando la schiena ad alcuni balzi di distanza dalla Zampa-da-guardia. Il sinistro brontolio si propagò di nuovo al di sopra del fragore del grande fiume. «Vieni a prendermi, se vuoi, Gratt'artiglio» lo sfidò Acchiappacoda, manifestandogli nella voce tutto il suo disprezzo. La Zampa sogghignò di nuovo, dimenando furiosamente la coda. «Vieni a prendermi, quando hai finito di prendertela con i gattini, testa di garrin!» Gratt'artiglio digrignò i denti e si alzò sulle zampe, il pelo corto irto sulla schiena come erba tagliata. «Ombra-di-tetto!» gridò Acchiappacoda, al di sopra del crescente fragore di sopra e di sotto. «Prendi Balzalesto, e non ti fermare!» «È ferito gravemente, Acchiappacoda» gridò di rimando la fela. La
Zampa-da-guardia avanzava sinuosamente sul sentiero in direzione di Fritti, portando la morte nei suoi artigli scarlatti. «Una ragione in più per portarlo in superficie!» gridò ancora Fritti. «Questa è la mia battaglia. Tu hai fatto tutto quello che potevi. Vai, ora!» Fritti guardò Ombra-di-tetto mentre si voltava e s'incamminava lungo il sentiero insieme con Balzalesto, che si trascinava a stento. Poi rivolse di nuovo l'attenzione alla creatura che gli stava davanti. Erano uno di fronte all'altro: il piccolo gatto color arancione con la stella bianca e lo scuro bestione con gli artigli di sangue che veniva dal sottosuolo. Con le anche e le code frementi, rimasero a lungo a fissarsi. Poi la Zampa-da-guardia balzò in avanti, e in quel momento si udì un altro grande boato dall'alto. Un attimo prima del contatto, Fritti vide precipitare dall'alto una grandine di pietre, poi Gratt'artiglio gli fu addosso. Mordendo e scalciando, rotolarono sullo stretto sentiero sopraelevato, tra il ringhio sommesso della bestia scura cui rispondeva in pari intensità l'ululato furioso di Acchiappacoda. Affondarono i denti e si morsicarono, poi si separarono, muovendosi in cerchio nello spazio limitato del piccolo spuntone roccioso, mentre l'istinto di morte li richiamava lentamente sempre più vicini l'uno all'altro, finché, con un balzo, furono di nuovo avvinghiati. Il rituale si ripeté più volte. Le dimensioni più grandi di Gratt'artiglio stavano logorando le già esauste forze di Acchiappacoda, ma il piccolo gatto non voleva arrendersi. Lottarono e si morsicarono, si separarono e si avvinghiarono di nuovo. Tutti e due si muovevano con la tormentosa lentezza di creature cieche, avvolte nelle tenebre, che si dibattevano sul fondo della Grande Acqua, come cose cieche immerse nel fango. Alla fine, Fritti fu sopraffatto e fu spinto sul bordo del sentiero. La testa gli pendeva inerte, in preda alle vertigini, sopra le acque impetuose del fiume. La caverna echeggiava ora dell'incessante caduta delle pietre dal soffitto, come se forme gigantesche stessero danzando sul tetto sopra le loro teste. Fritti giaceva immobile. Uno zampillo inarcato di liquido bruciante gli schizzò sul muso, mentre Gratt'artiglio affondava le sue zanne nella sua collottola. Fritti sentiva le sue possenti mandibole che si chiudevano, si chiudevano... poi d'un tratto la pressione s'allentò. La Zampa-da-guardia aveva allentato la presa, mentre guardava fissamente Fritti, con le sue enormi zampe sul petto del piccolo gatto. Qualcosa mutò, nello sguardo di Gratt'artiglio, e i suoi occhi s'appannarono.
«Stella-in-faccia?» esclamò in tono interrogativo. La sua espressione di folle odio sembrò tramutarsi in qualcosa di simile alla paura. «Sei davvero tu, stella-in-faccia?» Sembrò allora riconoscere Fritti per la prima volta, come se avesse fin'allora combattuto contro gli spiriti, contro ombre che d'un tratto erano divenute reali. E di nuovo l'espressione di Gratt'artiglio si mutò lentamente in uno sguardo di odio. «Tu mi hai disturbato, tu, piccolo topo di sole» ringhiò il bestione. La Zampa-da-guardia ruotò la testa da una parte e dall'altra, sconcertato, volgendo lo sguardo negli angoli più lontani della caverna. «Che cosa è successo?» gridò. «Che cosa è stato della mia...?» Un orribile fragore sommerse tutto, e poi un diluvio di pietre grigie precipitò davanti agli occhi di Fritti, cancellando Gratt'artiglio dalla sua vista. Poi anche la pioggia di pietre cessò d'improvviso e Acchiappacoda si trovò solo sullo sperone di roccia. Alzando faticosamente la testa, vide le ultime pietre che rotolavano giù per la parete rocciosa sotto di sé, per scomparire infine, in un grande tonfo, nelle acque gonfie del fiume. Di Gratt'artiglio non c'era più traccia. Fritti si mise in piedi e si arrampicò faticosamente sui detriti della valanga, poi proseguì zoppicando lungo il tortuoso sentiero. La caverna tremava visibilmente, adesso, e le acque di sotto balzavano e danzavano in impetuosi spruzzi che salivano verso il soffitto della caverna. La calura era opprimente: Acchiappacoda dovette fare appello a tutte le sue forze per non accasciarsi li dov'era e non muoversi più. Raggiunse infine una galleria che portava all'esterno. Alle sue spalle, la caverna del grande Fiume minacciava di sgretolarsi. Sempre più intontito, Fritti posava una zampa avanti all'altra, e continuò a trascinarsi finché gli mancarono le forze, e allora cadde disteso sul pavimento della galleria. Poteva vedere, in una felice allucinazione, quello che sembrava uno squarcio di cielo. Anche le pareti della galleria stavano tremando. Che buffo, pensò: tutti sanno che non c'è il cielo sotto terra...! L'ultimo rumore che udì fu uno schianto dirompente che saliva dalla caverna al di sotto. Sembrava che tutti gli alberi del bosco di Foglia di Topo fossero caduti contemporaneamente. Poi la galleria crollò alle sue spalle. Capitolo 30 Pover'anima sconcertata! Anima tormentata, perplessa,
labirintica! JOHN DONNE La primavera avanzava ed esplodeva, portando con sé pervadenti odori e profumi. Anche la terra sotto la schiena di Acchiappacoda era calda di attività e di rinnovata vita. Ben presto si sarebbe alzato per far ritorno al suo nido, alla sua scatola nel portico dell'Uo'mo... ma per il momento stava bene lì, disteso sull'erba. Un venticello lieve gli arruffava il pelo. Agitò distrattamente le zampe in aria, godendosi il piacevole effetto rinfrescante. Gli occhi chiusi, dopo una lunga giornata trascorsa alle prese con Squittenti e graffiando alberi, si sentiva capace di rimanere lì disteso per sempre. La brezza carezzevole portò con sé un lieve squittio, fievole come quello dell'allegro topo di campagna quando trova un tesoro sepolto sotto terra. Nelle profondità della terra. E di nuovo si udì quel grido, più forte, adesso, e a Fritti sembrò di udire il suo nome. Perché mai qualcuno doveva disturbarlo? Si sforzò di riprendere il suo piacevole sogno interrotto, ma la voce implorante si fece più insistente. Il venticello era più forte, adesso, e cantava accarezzandogli i baffi e le orecchie. Perché rovinargli quella giornata perfetta? Sembrava la voce di Zampafelpata, oppure di Ombra-di-tetto: fele tutte e due, che ti trattavano come un vecchio capo quando ce n'era bisogno, e poi ti seguivano tutt'intorno ululando, come se fossero ferite... Da quando aveva riportato Zampafelpata da... da... ma dove l'aveva trovata? Non era trascorso più di un Occhio da quando... «Acchiappacoda!» Di nuovo quel grido. Corrugò la fronte, ma non intendeva assolutamente accondiscendere ad aprire gli occhi. Be', magari, solo per dare un'occhiatina... Ma perché non poteva vedere niente? Perché era tutto buio? La voce gridò di nuovo, echeggiando come se stesse per svanire in una lunga, buia galleria... o come se fosse lui stesso a precipitare lontano, nelle tenebre... La luce! Dov'era la luce? Qualcuno, o qualcosa, gli stava leccando la faccia. Una lingua ruvida, insistente, gli stava raschiando le parti più dolenti del muso, ma quando Fritti si sforzò di distogliere la testa, il dolore si fece più acuto. Rimase disteso, rassegnato, e dopo un po' piccole chiazze di luce cominciarono ad apparirgli davanti agli occhi. Non riusciva a dare un senso a quei puntini luminosi che turbinavano e saltellavano davanti ai suoi occhi, ma il suo
fiuto riconobbe infine un odore che era familiare. I puntolini galleggianti cominciarono ad agglomerarsi. Come l'erba alta spinta da parte da una zampata, il buio cominciò a diradarsi. Ombra-di-tetto, con tutta la sua concentrazione, stava lavandogli il muso con la sua ruvida lingua rosa. Fritti non riusciva a mettere a fuoco: Ombradi-tetto era molto vicina, e lo sforzo era troppo faticoso, tuttavia l'odore gli diede conferma. Pronunciò il suo nome e rimase sorpreso quando lei non reagì. Provò ancora, e questa volta la fela si ritrasse indietro, poi chiamò qualcuno che Fritti non riusciva ancora a vedere: «Si è svegliato!». Fritti si voltò per darle il benvenuto, per dirle com'era felice di rivederla nei campi dei viventi, sempre che lì si trovasse, ma prima di riuscire a pronunciare altro che un suono, scivolò di nuovo nel buio. Quando più tardi Fritti si risvegliò, accanto a Ombra-di-tetto stava un altro gatto rosso, grosso e ispido. Impiegò un po' di tempo prima di riconoscere il principe Saltasteccati. «Che cosa... che cosa...» La sua voce era molto flebile. Deglutì. «Che cosa è successo? Siamo... sulla terra?» Ombra-di-tetto si chinò su di lui con i verdi occhi scintillanti. «Non sforzarti di parlare» gli disse per calmarlo. «Sei al sicuro. Saltasteccati ti ha portato fuori.» Fritti avvertì un lieve, irrazionale morso di invidia. «Dov'è Balzalesto?» domandò. «Lo vedrai presto» rispose Ombra-di-tetto, rivolgendo un'occhiata al principe. Saltasteccati sprizzava del suo esuberante buon umore. «Eravamo preoccupati per te. No, non pensare... soltanto preoccupati eravamo. Che mischia, ragazzi, che mischia! Una battaglia fantastica!» Il principe sembrava sul punto di sferrare a Fritti una delle sue amichevoli zampate, ma Ombra-di-tetto si interpose tra lui e la sua probabile vittima, che cominciava già a sentirsi stanco. «Ora dormi, e lascia che Meerclar guarisca le ferite» gli disse. Acchiappacoda, controvoglia, si lasciò ricadere nel sonno. Quante domande da fare... Fritti trovò la guarigione nel campo dei sogni. Poco dopo scoprì che poteva mettersi a sedere, anche se con un certo senso di vertigini. Dopo un'accurata visita su se stesso, scoprì che non aveva riportato ferite molto gravi. Le sue numerose ferite non sanguinavano più, e le pazienti cure di Ombra-di-tetto avevano ripulito quasi tutto il sangue rappreso sul suo corto pelo. Aveva gli occhi gonfi e faceva fatica ad aprirli per più della metà, ma
in generale le sue condizioni erano buone. Ombra-di-tetto non voleva rispondere ancora alle sue domande, e stava pazientemente in silenzio quando lui la incalzava per avere notizie. Saltasteccati veniva spesso a far visita ad Acchiappacoda, mentre questi recuperava le forze, ma per il suo carattere inquieto gli era difficile stare li a chiacchierare a lungo, e le sue visite erano sempre cordiali, ma brevi. I sogni di Fritti non erano completamente sbagliati. La terra era effettivamente più calda. Le estreme propaggini della foresta di Foglia di Topo erano ancora ammantate di neve, simile a un mantello bianco che si estendeva fino alla foschia all'orizzonte, tuttavia il bordo della foresta in cui Acchiappacoda si era svegliato era verde e umido, al pari del rado tappeto d'erba, come se la neve fosse stata sciolta d'improvviso da un caldo sole. Ombra-di-tetto gli disse che anche tutta la zona intorno alla collina era così, ma pensava che sarebbe nevicato ancora. In fondo, erano ancora gli ultimi sgoccioli d'inverno. I giorni trascorrevano, e dopo non molto tempo Fritti poté alzarsi e camminare. Insieme con Ombra-di-tetto andò a esplorare la foresta prematuramente verde, trotterellando con lei sul terreno umido di quella falsa primavera. Qua e là si poteva udire un solitario fla-fa'az che cinguettava coraggiosamente sulle cime degli alberi. Fritti non aveva ancora visto Balzalesto, ma Ombra-di-tetto gli promise di accompagnarlo presto a visitarlo. Anche Balzalesto era in via di guarigione, gli spiegò, e non doveva subire emozioni. Di quando in quando, in quel verde scenario fuori stagione, comparivano le facce spaventate di altra Gente, macilenta e stralunata. Per la maggior parte, quelli che erano riusciti a guadagnarsi la libertà nelle ultime Ore della collina, si trattenevano solo per poco tempo, andandosene poi alla ricerca di migliori territori di caccia o per fare ritorno alle loro case. Nessuno spirito di cameratismo sembrava legare tra loro questi superstiti, che si allontanavano a uno a uno quando erano abbastanza in forze per mettersi in cammino. Soltanto i malati e i morenti rimanevano con la pattuglia dei cacciatori di Saltasteccati, e ben presto anche il principe li avrebbe guidati verso i boschi frondosi della Prima Casa. Una piccola pattuglia di guardia sarebbe rimasta a presidiare la zona Nel vedere questi sopravvissuti, Fritti si domandò ad alta voce quale era stata la sorte delle innumerevoli moltitudini, di schiavi e padroni, che non erano riusciti a fuggire. Nell'udire la sua domanda, Ombra-di-tetto gli de-
scrisse come meglio poteva le ultime ore di Vastnir. «Quando ti abbiamo lasciato con quella... quella bestia» raccontò, «non mi sarei mai aspettata di rivederti. Sembrava che il mondo intero stesse andando in pezzi.» Camminò per qualche minuto in silenzio. Fritti cercò qualcosa di rassicurante da dirle, ma Ombra-di-tetto lo interruppe con un'espressione stranamente severa. «Balza era mezzo morto, sanguinante. L'ho trasportato per la collottola nell'ultimo tratto della galleria. Tutto precipitava, si schiantava... sembrava una battaglia di creature gigantesche. Finalmente ce l'abbiamo fatta a uscire di lì, nella valle, che era coperta di neve. C'erano anche altri, che sciamavano fuori gridando. Eravamo come ka perduti, inciampavamo, cadevamo nella neve. La terra continuava a tremare.» La passeggiata li aveva condotti ai margini del Foglia di Topo. Davanti a loro si stendeva la pianura degradante, sdrucciolevole per la neve da poco sciolta, e le gocce scintillavano sulle foglie della stentata vegetazione. Ombra-di-tetto gli fece strada, mentre continuava a raccontare. «Ho visto qualcuno che correva tutt'intorno, facendo grandi rumori e guidando la Gente avanti e indietro... era Saltasteccati, naturalmente. L'ho raggiunto e gli ho raccontato quello che era successo. Temo di esser stata un po' confusa, a quel punto, ma il principe ha capito. Ha domandato: "Acchiappacoda? Il giovane Acchiappacoda?". Saltasteccati non è molto vecchio, ma si comporta come se gli piacesse esserlo. Comunque ha detto: "Non si può lasciarlo lì, non il giovane Acchiappacoda. Bisogna fare qualcosa, a qualsiasi costo!". Tu sai come parla. Insomma, ha raccolto un po' di Gente, quella ancora in forze, e io li ho condotti fino alla galleria. Poi sono rimasta con Balzalesto che... che era molto debole e sofferente...» «Ti hanno trovato semisepolto sotto la terra e le rocce, e ti hanno portato fuori appena prima che il resto della collina crollasse completamente. Per molto tempo non ho saputo nemmeno se eri vivo o morto. Non ce la facevo ad attendere di saperlo.» Fritti stava camminando sopra una radice contorta e l'espressione sul muso della fela grigia gli sfuggì. Fermatosi per un attimo a scrollare una zampa inzuppata di neve, Fritti le domandò: «Che cosa vuol dire, che la collina è crollata completamente? Temo di non ricordare bene com'è finita». «Vieni, andiamo a vedere» replicò Ombra-di-tetto. Arrancarono ancora un po' su per la salita, immersi nei loro pensieri. Finalmente giunsero ai margini della valle, là dove una volta si ergeva la col-
lina. Là dove una volta Vastnir sollevava la sua testa brulicante sul fondo della valle, si vedeva ora un ampio bacino poco profondo, dove il terreno era sprofondato come sotto il peso di una zampa smisurata. La terra era nera come l'ala di un krauka. Sulla strada del ritorno a Foglia di Topo, Fritti chiese ancora di vedere Balzalesto. «Sai, è stato mio compagno più a lungo di chiunque altro, Ombra» le disse. La fela sembrò infastidita dall'uso del suo nome abbreviato. «Non ho mai cercato di impedirtelo, Acchiappacoda» replicò, visibilmente a disagio. «Ho solo suggerito quello che mi sembrava meglio... È diventato molto strano» soggiunse dopo qualche attimo. «Come fargliene una colpa, dopo quello che ha passato?» replicò Fritti. «Chi potrebbe farne una colpa a chiunque di noi?» «Lo so, Acchiappacoda. Povero Balzalesto... E povero Mangiapulci, anche.» Fritti la guardò con aria interrogativa, ma Ombra-di-tetto si limitò a scrollare mestamente la testa. «Non mi sono ancora informata, ma penso di potere immaginarlo» soggiunse. «Era già... insomma, sei arrivato troppo tardi per aiutarlo, non è così?» Fritti considerò il suo segreto e decise di tenerlo per sé. «Quando l'ho trovato... Mangiapulci era scomparso.» E questo era in gran parte vero, pensò Acchiappacoda. «Che tristezza...» sospirò Ombra-di-tetto. «Be', immagino che dovrei accompagnarti a vedere Balzalesto. Domani, va bene?» Fritti assentì con un cenno del capo. «Non lo conoscevo bene» proseguì Ombra-di-tetto. «Mangiapulci, voglio dire. Cerca di capirmi, non intendo mancare di rispetto a nessuno, ma certo è che hai amici e conoscenti ben strani!» Fritti scoppiò a ridere. «Bene, ti sfido alla corsa!» le disse, e insieme si diedero a correre come fulmini. L'arrivo silenzioso della Luce che si diffonde portò con sé Saltasteccati e altri visitatori. Mentre stava stiracchiandosi, Fritti avvistò il principe che avanzava col suo passo baldanzoso attraverso il sottobosco, il pelo ispido scintillante di umidità. Al suo fianco, camminava impettita l'elegante figura nera di Vibr'artiglio. All'esclamazione di gioia di Acchiappacoda seguirono festosi saluti tutt'intorno, poi i tre gatti, due grandi e uno piccolo, si distesero soddisfatti a chiacchierare.
«Ho sentito dire che la fiducia in te di Stiralento era ampiamente meritata, Acchiappacoda.» Le gravi parole di Vibr'artiglio lo fecero fremere d'orgoglio, ma la maturità gli imponeva di non mostrare il suo compiacimento. «Sono onorato di sapere che grandi cacciatori come te e il principe la pensiate così, gran Capo. Devo ammettere che per la maggior parte del tempo trascorso lì dentro, avrei accettato volentieri una morte rapida e indolore. Davvero l'avrei accettata.» «Ah, ma non è stato così, vero?» tuonò Saltasteccati. «È questo il fatto!» «E ho saputo anche che hai mandato gli scoiattoli a chiedere aiuto» sorrise Vibr'artiglio. «Un mezzo insolito, ma efficace.» Questa volta Acchiappacoda non riuscì a reprimere un fremito. «Vi ringrazio tutti e due» rispose. «La cosa più importante, però, è che siate arrivati voi. L'ho visto, siete stati magnifici.» Poi Fritti si fece serio. «E ho visto anche... quella cosa che Mangiatore ha fatto uscire dal pozzo. Orribile... è stato orribile.» Vibr'artiglio annuì. «Cose come quella non dovrebbero esistere. Già ora stento a ricordare com'era, tanto era malvagia. L'os diventato carne: spero che tra poco sarò felice di non riuscire a ricordare il suo aspetto. Ma ci ha causato gravi perdite. Terrore-di-squittenti, che Harar benedica il suo grande cuore, è caduto davanti a quella cosa, e tanti altri che non riesco a calcolare.» «E... Panciapendula è... morto?» domandò sommessamente Fritti. Vibr'artiglio rifletté in silenzio per qualche attimo, poi sollevò la testa con un sogghigno divertito. «Panciapendula? È stato gravemente ferito... ma vivrà.» Il capo dei Primi Camminatori ridacchiò. «Ci vuole altro che il terrore per uccidere quel vecchio pancione.» Fritti, felice di sapere che il grasso Primo Camminatore era sopravvissuto, ridacchiò a sua volta. Saltasteccati sorrise, ma sembrava stranamente riservato. «Molta, molta Gente coraggiosa è caduta» disse il principe. «Il mondo non vedrà più una simile compagnia di Gente come quella per molte stagioni, più stagioni di quanti alberi ci sono nella foresta. Molti coraggiosi non ritorneranno più da quella collina... Ahimè!» Il naso roseo di Saltasteccati si arricciò di dolore e di rabbia. «Acciuffatopi... e il giovane Arruffapelo... Ficcanaso... e i Capi, il vecchio macilento Erb'amara e Terrore-disquittenti... Caccia-di-giorno e Caccia-di-notte, i miei fidi compagni, sono
morti mentre mi proteggevano, sapete... e sono tutti laggiù, nella fredda terra, mentre noi siamo qui, al sole.» Visibilmente commosso, il principe si voltò strigliandosi la coda. Fritti e Vibr'artiglio rimasero a fissare la terra tra le loro zampe. Acchiappacoda sentiva prudere il naso caldo. «Ma... ma che cosa intendeva fare Mangiacuore?» domandò Fritti alla fine. «Perché è successo tutto questo? Per Meerclar!» ansimò, sfiorato per la prima volta da quel pensiero. «Mangiacuore è... se n'è andato, vero? è morto?» domandò ancora, guardando ansiosamente il Capo dei Primi Camminatori. «Pensiamo proprio di sì» rispose in tono grave Vibr'artiglio. «Ne abbiamo parlato, il principe e io. Se non altro, per poter riferire alla Regina com'è finita. Sì, pensiamo proprio che Mangiacuore se ne sia andato per sempre. Niente potrebbe essere sopravvissuto in quell'Ora finale.» Saltasteccati, che si era rialzato, esclamò: «Oh, sì, quello sì che è stato un vero graffiazzanna!». «Che cosa è successo?» volle sapere Fritti. «Be'» rispose Vibr'artiglio, «quando il fikos è uscito dal pozzo, noi abbiamo tentato di combattere, ma quella cosa era scatenata e siamo stati costretti a ritirarci dalla caverna.» «Ritirarci?» tuonò Saltasteccati. «Scappare, vuoi dire! Con la coda tra i baffi, come Squittenti atterriti! E chi potrebbe farcene una colpa?» «Alcuni sono rimasti a combattere, mio principe... come Terrore-disquittenti.» Mortificato, Saltasteccati fece cenno al gran Capo di proseguire. «In ogni caso, ci siamo ritirati nelle caverne esterne, e lì abbiamo incontrato il principe e la sua Gente, che si erano aperti un varco nella porta più piccola. Il fikos si è fatto strada fuori della caverna, ma non sembrava avere uno scopo: distruggeva tutto nel suo cammino, amici o nemici che fossero. Sembrava incurante di tutto. Seguendo qualche impulso, si è arrampicato su per uno dei corridoi principali, ed è stato questo, io credo, che ci ha salvati dalla completa disfatta. Tutto era nel caos. La Gente combatteva e moriva...» Saltasteccati lo interruppe. «Cominciava a fare buio, non dimenticarlo.» Vibr'artiglio annuì gravemente. «È vero. Era come se quell'enorme cosa mostruosa, o forse lo stesso Mangiacuore, stesse assorbendo tutta la luce... che la respirasse... non so come dire. Stavamo combattendo nel buio più completo quando qualcosa... qualcosa come il fuoco del cielo, ma sottoterra... è schizzato dentro, bruciando e travolgendo tutto al suo passaggio. Ed
è andato diritto dentro la caverna di Mangiacuore, come se avesse avuto una propria volontà. Non ho mai visto niente di simile.» Fritti sentiva una gioia indicibile dentro di sé. «Come vorrei averlo visto!» «Dalla nostra posizione, potevamo vedere la Luce che erompeva dalla caverna di Mangiacuore, come se il sole fosse penetrato attraverso un buco della terra. La terra intorno a noi cominciò a tremare. Grandi schianti e tuoni, come... come se il cielo stesse precipitando o la foresta intera stesse danzando sopra le nostre teste. Saltasteccati ha gridato allora di correre, di portare fuori tutta la Gente...» «Questo è vero» interloquì il principe. «...e tutti si sono allora lanciati di corsa per le gallerie che portavano fuori. Le creature di Mangiacuore correvano in cerchio, come fla-fa'az ubriachi di bacche, stridendo e azzannandosi l'un l'altra... una visione che vivrà per sempre davanti ai miei occhi.» «In quel momento stava crollando tutto» intervenne Saltasteccati. «Tutto precipitava e dal pavimento salivano vapori e acqua calda... che cataclisma è stato, per i Primi Nati! Chi avrebbe mai osato immaginarlo?» Acchiappacoda rifletteva su tutto quanto aveva udito. Quante cose a cui pensare... Doveva cercare di descrivere quello che gli era successo? Ma era sicuro che fosse successo realmente? «Perché?» domandò alla fine. «Che cosa voleva Mangiatore?» «Non potremo mai saperlo veramente» rispose il gran Capo, aggrottando la fronte nera come la pece. «Possiamo immaginare che Mangiacuore volesse vendicarsi dei discendenti di Harar. Da molto tempo era sotto terra, e aveva continuato a meditare, fin dai tempi più lontani della punta della coda, di sottomettere la Gente al suo dominio. Doveva essersi stancato delle sue disgustose riproduzioni dei figli di Meerclar, del loro saltellare e scodinzolare... ma lui era effettivamente uno dei Primi Nati, e non credo che i suoi propositi, o la sua follia, potranno mai essere conosciuti da noi. Ha evocato cose estranee alla danza della terra, e sembra che un equilibrio fosse turbato. La danza è una cosa complicata, e un turbamento da una parte crea un controturbamento.» Il gran Capo scoppiò a ridere. «Me lo vedo ancora adesso, Saltasteccati, che mi guardava come avessi avuto il male della bava alla bocca! Ha ragione lui, capisci, Acchiappacoda: è inutile cantare il canto se si devono indovinare le parole.» Vibr'artiglio fu interrotto di nuovo, questa volta da un acuto squittire che scendeva dalla cima degli alberi. Saltasteccati e il Capo si scambiarono u-
n'occhiata. «Per tutti i capezzoli!» gemette afflitto Saltasteccati. «Me n'ero dimenticato.» «Sembra proprio che se ne siano accorti» osservò Vibr'artiglio, quando ripresero quegli squittii rabbiosi. «Ti prego, mastro Pop!» gridò. «Perdonaci la nostra scortesia e vieni giù. Non ci siamo semplicemente resi conto del passare del tempo.» Una processione di rikcikcik, mastro Pop in testa, con un'espressione sdegnosa sul muso rotondo e irto di denti, discese in fila indiana dal tronco di un pioppo. Anche se mastro Pop aveva un'espressione offesa, gli altri del suo seguito strabuzzavano gli occhi ed erano visibilmente nervosi alla presenza dei tre gatti. Mastro Pop fece fermare il suo seguito. Il suo naso rimase però puntato ostinatamente verso il cielo finché il principe Saltasteccati tossicchiò imbarazzato. «Mi dispiace terribilmente, Pop. Mi dispiace davvero. Non volevo recare offesa ai rikcikcik. Ce n'eravamo semplicemente dimenticati, ecco tutto.» Fritti si domandò se l'imbarazzo del principe era dovuto alla sua dimenticanza oppure al fatto di doversi scusare con gli scoiattoli. Il capo dei rikcikcik osservò per un attimo l'imbarazzato principe. «Venuti soltanto per salutare il valoroso gatto Acchiappacoda gatto» disse, in tono sempre un po' risentito. Il signore degli scoiattoli si rivolse allora a Fritti. «Promessa mantenuta, come vedi-vedi. Rikcikcik fatto bene. Ora si deve ri-riportare indietro altri rikcikcik. Il male se n'è andato.» Poi Pop gli rivolse un secco cenno col capo, che Fritti ricambiò. «La tua gente è molto coraggiosa, mastro Pop» rispose Fritti. «È quello mastro Plink? Sei stato molto coraggioso, Plink.» Il giovane scoiattolo gonfiò la coda d'orgoglio, e gli altri rikcikcik squittirono d'ammirazione. Anche mastro Pop ridacchiò per manifestare la sua approvazione. «Scoiattoli...» borbottava il principe Saltasteccati. Pop gli lanciò un'occhiata di fuoco. «Spiega ad Acchiappacoda che cosa abbiamo deciso, Saltasteccati» suggerì Vibr'artiglio. «Be'...» disse il principe, ancora imbarazzato, «insomma... Per tutti gli speroni! Sei stato tu a proporlo, Vibr'artiglio. L'idea è stata tua» concluse in tono stizzito. «Bene» acconsentì il Capo dei Primi Camminatori, «è stato dichiarato dal principe Saltasteccati, figlio di sua Pelosità Maestà la regina Mirmirsor
Dietrosole, che in riconoscimento dei servizi da loro resi, i rikcikcik potranno vivere indisturbati dalla Gente entro i confini del Foglia di Topo, e che i Primi Camminatori applicheranno questo decreto per quanto è in loro potere.» Alle sue parole seguirono sommessi squittii di approvazione da parte del seguito di mastro Pop. «Naturalmente, fuori dai confini del Foglia di Topo dovrete stare attenti al pelo delle vostre code» aggiunse Vibr'artiglio, in un tono che non era minaccioso. Mastro Pop rivolse a Vibr'artiglio un'occhiata soddisfatta ed emise un risolino di approvazione. «E così» squittì il signore degli scoiattoli con la sua voce stridula, «tutto è stato fatto-fatto.» Poi si rivolse di nuovo a Fritti. «Buona raccolta di noci, strano gatto-gatto.» Mastro Pop infine si voltò e guidò di nuovo tra i rami degli alberi la fila ondeggiante e scodinzolante del suo seguito. Un attimo dopo erano tutti scomparsi. «Non so cosa farci, ma non mi sembra una cosa giusta» brontolò Saltasteccati. «Sono scoiattoli...» Quando scesero le Ombre più piccole, Ombra-di-tetto arrivò per accompagnare Fritti a visitare Balzalesto, conducendolo lontano dal campo di Saltasteccati, in un boschetto di alberi alti fino alle nuvole. Quando vide la pallida, soffice figura di Balzalesto in una chiazza di luce al centro della radura, Fritti si staccò dalla fela e corse avanti. «Balza!» gridò. «Mio piccolo cu'nre!» Balzalesto sollevò lo sguardo al suono di quella voce e poi si alzò in piedi con una grazia che rivelava la sua giovane età. Acchiappacoda lo raggiunse in un attimo, annusandolo e colpendolo con la testa, mentre l'atteggiamento distaccato di Balzalesto fu interrotto per un attimo da un fremito di piacere. «Che piacere rivederti, finalmente!» esclamò Acchiappacoda, mentre girava intorno all'amico, annusandone gli odori familiari. «Non speravo più che avremmo potuto rivederci tutti insieme...» Fritti s'interruppe, spalancando gli occhi e la bocca per l'orrore. Balzalesto non aveva più la coda! Dove ondeggiava una volta il suo pennacchio lanuginoso, c'era adesso un moncone cicatrizzato, ripiegato tra le sue zampe posteriori. «Oh, Balza!» ansimò Fritti. «Oh, Balza, la tua povera coda! Per Harar!» Ombra-di-tetto si fece avanti. «Mi dispiace non avertelo detto prima, Acchiappacoda. Volevo farti vedere che Balzalesto era vivo e sano, prima di tutto, altrimenti ti saresti ammalato di preoccupazione, mentre avevi bisogno anche tu di guarire.»
Balzalesto gli rivolse un sereno sorriso. «Ti prego, non essere così addolorato, Acchiappacoda. Tutti abbiamo perso e guadagnato qualcosa in quel posto. Quando hai assalito Gratt'artiglio nella caverna del Fiume, mi hai salvato da qualcosa di ben peggiore.» Per Fritti, questa non era una consolazione. «Se solo fossi arrivato prima...» mugolò. Balzalesto incontrò il suo sguardo con un'espressione colma di saggezza. «Non avresti potuto» rispose il gattino senza coda. «Sai bene che non avresti potuto. Tutti noi abbiamo fatto la nostra parte. Una coda è piccola cosa da perdere, se si può trovare il proprio nome di coda.» Balzalesto prese un'espressione distaccata, mentre Ombra-di-tetto rivolgeva a Fritti un'occhiata preoccupata. «Che cosa vuoi dire, Balza?» domandò Fritti. «Abbiamo liberato il Gatto Bianco» rispose Balzalesto in tono sognante. «L'ho visto. L'ho visto nel suo dolore e l'ho visto nella sua gioia, quando è crollata la collina. È ritornato nel corpo scuro della Madre-di-tutti.» Il gattino scrollò la testa, come per schiarirsi le idee. «Tutti abbiamo perduto qualcosa, ma abbiamo guadagnato qualcosa di molto più grande» soggiunse, guardando intensamente Ombra-di-tetto, «anche se non lo sappiamo ancora.» Fritti guardava stupito il suo piccolo amico, che stava facendo discorsi sognanti come un extrasensitivo. Balzalesto colse il suo sguardo, e il suo piccolo muso s'increspò di calore e d'affetto. «Oh, Acchiappacoda» ridacchiò, «come sembri ridicolo! Su, andiamo a cercare qualcosa da mangiare.» Mentre camminavano, Balzalesto gli raccontò rapidamente di Ventobianco. «...c'è qualcosa di vero, dopo tutto, in ciò che ha detto Danzarugiada. Una fela si sacrifica per i suoi piccoli, e tu stavi per sacrificarti per noi.» «Non è così semplice, Balza» replicò Acchiappacoda, che si sentiva a disagio. «Viror vuole che tutti noi siamo lieti, io credo» proseguì il gattino, «mentre Danzarugiada... be', il principe vede molte cose, ma penso che sia troppo tetro. Ventobianco ha sempre amato correre, sentire il vento sul suo pelo, e non vuole che i suoi figli diventino mistici e malinconici, ma devono ricordare che se non sono disposti a restituire il dono che è stato dato loro, in qualsiasi momento, allora quel dono non servirà a niente.»
«Temo che tutti i tuoi sogni e i tuoi pensieri ti abbiano portato al di là della mia comprensione, Balza» disse Acchiappacoda. Ombra-di-tetto fece una smorfia. «Ma tu stesso mi hai insegnato quasi tutto, Acchiappacoda!» replicò Balzalesto divertito. Si fermò per chinarsi su un ramo caduto, facendo scappare via un grosso insetto spaventato. Con un paio di balzi, il gattino catturò l'insetto che correva e un attimo dopo lo stava sgranocchiando. «Comunque...» riprese Balzalesto, parlando con la bocca piena, «ho deciso di ritornare alla Prima Casa per rimanervi. C'è molta gente saggia, laggiù, compreso il principe consorte, e ho molte cose da imparare.» Come genitori apprensivi, Ombra-di-tetto e Acchiappacoda camminavano in silenzio dietro al balzellante Balzalesto. Capitolo 31 Il meglio è come l'acqua. L'acqua è buona, benefica tutte le cose e non compete con esse. Abita in luoghi che tutti rifuggono. È per questo che è così vicina al Tao. LAO TZÛ Mentre il suo corpo dormiva, stretto comodamente tra quelli di Balzalesto e di Ombra-di-tetto, Acchiappacoda incontrò il signore Tangaloor nel buio del campo dei sogni. Le zampe del Primo Nato erano circonfuse da una luce rosea e la sua voce era melodiosa. «Ti saluto, fratellino» esclamò Zampa-di-fuoco. «Ti trovo in miglior forma di quando ci siamo parlati l'ultima volta.» «È vero, mio signore.» «Perché, allora, non ti sei ancora accinto a terminare la tua ricerca? Ti ho detto dove puoi trovare ciò che cerchi. Il tuo ka inquieto mi dice che hai bisogno di trovare la soluzione.» Negli spazi ombrosi del sonno, Fritti comprese la verità delle parole di Zampa-di-fuoco. «Forse è soltanto per via dei miei amici» rispose. «Temo che abbiano ancora bisogno di me.» Il Primo Nato uscì in una sommessa, divertita risata. «I miei fratellini e le mie sorelline sono forti, Acchiappacoda. La nostra Gente non permette che l'amore li vincoli in questo modo. I forti s'incontrano nella forza.»
L'ombra della figura di Tangaloor cominciò a svanire, e allora Fritti lo chiamò. «Aspetta! Perdonami, mio signore, ma vorrei domandarti un'altra cosa.» «Per mia madre!» rise il Primo Nato. «Sei diventato sfrontato, giovane Acchiappacoda. Che cosa vuoi sapere?» «La collina... Che cosa è successo laggiù? Mangiacuore se n'è andato?» La presenza di Zampa-di-fuoco d'un tratto lo avvolse completamente, confortante e tangibile. «Il suo potere è infranto, fratellino. Di lui non è rimasto nient'altro che l'odio. Si era corrotto nelle tenebre troppo a lungo, non aveva nessun altro scopo. Cieco e immobile, non avrebbe mai potuto emergere dal sottosuolo, il sole l'avrebbe bruciato.» «Vuoi dire che non c'era alcun pericolo, allora, per i nostri campi?» domandò Fritti sconcertato. La voce melodica di Zampa-di-fuoco si fece grave. «Nient'affatto, mio piccolo gatto. C'era grande pericolo. Le sue creature erano fin troppo reali. Lo stesso fikos era una creatura di puro e semplice odio, partorita per andare dove lui non poteva, sopra la terra, per annidarsi malvagiamente sotto il sole... Oh sì, era davvero un pericolo mortale, e avrebbe seminato sui campi della luce un orrore sul quale soltanto i figli di Mangiacuore avrebbero potuto camminare impunemente. E se nemmeno loro avessero potuto camminarvi, che cosa poteva importare a mio fratello? Nessun'altra creatura di Meerclar avrebbe più potuto assaporare, in ogni caso, il dolce passo della danza del giorno.» La voce di Zampa-di-fuoco si stava facendo più fievole, adesso, e Fritti doveva tendere il suo orecchio di sogno per distinguerla. «Come ogni odio antico, irragionevole, il fikos era incurante di tutto e tutto avrebbe distrutto... se io non fossi stato richiamato da lontano, nemmeno i più coraggiosi della Gente avrebbero avuto il potere di fermarlo.» «Mio signore Zampa-di-fuoco!» chiamò Fritti nel sogno che svaniva. «Balzalesto ha detto che tuo fratello è stato liberato!» «Il nostro signore Viror ha sofferto per l'eternità...» mormorò la scintilla rossa che rapidamente s'affievoliva. «Ora l'equilibrio è stato ristabilito... Guarda i cieli, fratellino... e buon viaggio!» Fritti balzò di scatto in piedi. Ai suoi lati, i due suoi compagni protestarono nel sonno. Allungando il collo, Fritti scrutò il cielo nero della Danza finale. «Guarda i cieli» gli aveva detto Zampa-di-
fuoco. Lo spirito di Fritti cantò a quella visione meravigliosa. Al di sopra dell'orizzonte verso u'ea, adagiata come una goccia di rugiada sul petalo di una rosa nera, scintillava una stella che Acchiappacoda non aveva mai visto prima. Scintillava e bruciava, come un fuoco bianco contro la pancia di Meerclar. Ombra-di-tetto stava per ritornare alla Prima Casa insieme con Balzalesto. «Voglio almeno vederlo lì al sicuro» disse a Fritti, mentre facevano insieme un'ultima passeggiata. «E poi, se qualcuno della mia tribù è sfuggito alla distruzione di Vastnir, ritornerà nelle nostre terre nel Bosco di Radici settentrionale. Vorrei vedere se qualcuno di loro è ancora in vita.» La comitiva di Saltasteccati sarebbe partita per la reggia di Dietrosole il prossimo sole. I gelidi venti dell'inverno avevano ricominciato a soffiare, la neve era ritornata strisciando sopra i freddi bordi della collina. «Se non sapessi già del tuo desiderio di terminare la ricerca» soggiunse Ombra-di-tetto, fermandosi per guardare Fritti negli occhi, «be', allora ti chiederei di venire con me. Ma so già che non puoi.» Mentre la fela parlava, Fritti guardava il suo bel muso orgoglioso. I suoi baffi erano illuminati dalla luce del mattino. «So che Balzalesto ha meno bisogno delle nostre attenzioni di quanto immaginiamo» replicò Fritti dolcemente. «Vorrei poter venire con voi. Mi sembra strano che le nostre avventure si concludano in questo modo.» Ombra-di-tetto continuava a guardare Acchiappacoda negli occhi. Fritti sentì un amore profondo per quella cacciatrice che non faceva risparmio dei suoi sentimenti. «Il mio nome è Firsa Ombra-di-tetto» gli disse sommessamente. Sorpreso, Fritti sentì battere forte il suo cuore nel silenzio. Gli aveva detto il suo nome del cuore! «Il mio... il mio è Fritti Acchiappacoda» le disse infine. «Madre-di-tutti vegli su di te, Fritti. Ti penserò spesso.» «Spero di poter rivederti un giorno... Firsa.» Il suo nome del cuore! Non conosceva nemmeno quello di Zampafelpata! Per tutto il cammino del ritorno, i pensieri di Acchiappacoda continuarono a turbinare confusi. Il principe Saltasteccati, mostrando la sua impazienza nelle profonde
impronte che lasciava sul terreno, camminava nervosamente avanti e indietro, impartendo ordini e direttive. «Su, svelti! Vi siete lisciati abbastanza, ragazzi! Su, finiscila, Zampalieve, e alza le zampe. È tempo che ci mettiamo in viaggio!» Molta Gente faceva ressa attorno al principe. Il lungo cammino di ritorno al Bosco di Radici stava per cominciare. Fritti si era già congedato da Saltasteccati e dagli altri. Il principe gli aveva dato un'affettuosa testata dicendogli: «Ancora in cammino, allora? Sei il più grande camminatore che abbia mai conosciuto, piccolo leccabaffi! Bene, devi assolutamente venire a trovarmi a Corte. E allora le faremo rizzare le orecchie, a quella Gente che se ne sta sempre seduta sulla coda!». Vibr'artiglio, che stava per partire per l'incontro dei Capi che doveva designare i successori di quelli caduti nella collina, si era fermato a sua volta per augurare un affettuoso buon viaggio. Ora Fritti era seduto con i suoi due più cari amici, e si sentì improvvisamente stanco di partire. Mentre annusava la guancia di Ombra-di-tetto, strofinò il muso contro il suo caldo, soffice pelo, senza parlare. «Non ti dirò che spero di rivederti, perché già lo sai» gli disse Balzalesto. Nonostante la sua nuova sensitività, il piccolo gatto sembrava smarrito. Acchiappacoda si commosse e gli strofinò il muso per qualche attimo. «Sono sicuro di rivedervi tutti e due» disse in tono pacato. «Mri'fa-o, amici miei.» Saltasteccati stava sbraitando i suoi ultimi ordini alla Gente radunata, in mezzo a un grande mormorio di voci. Acchiappacoda si voltò e s'incamminò verso la foresta di Foglia di Topo per riprendere il suo viaggio. Il vento freddo faceva stormire i rami degli alberi. Al di là del disgelo, che stava ora calando, il Foglia di Topo era ancora immerso nel freddo invernale. Acchiappacoda, solitaria figura nel bianco sterminato della foresta, stava pensando alla trasformazione del suo piccolo amico Balzalesto. I suoi pensieri erano accompagnati soltanto dal lieve scricchiolio delle sue zampe che affondavano nel manto nevoso. Balzalesto era davvero cambiato. Anche se faceva capriole e giocava come tutti i gattini, e anche se non aveva sicuramente perso il suo infantile appetito, nondimeno non aveva più una certa innocenza. Parecchie volte, mentre ascoltava il piccolo Balzalesto che parlava come un anziano brizzolato, col suo piccolo corpo accorciato della lunghezza della coda, Fritti aveva provato un sentimento di profonda, inesplicabile malinconia.
La coda che aveva perduto non sembrava preoccupare Balzalesto quanto Acchiappacoda. L'assillava l'idea che il suo piccolo amico fosse stato malmenato e mutilato da Gratt'artiglio, era per lui come una ferita che tardava a guarire. «È strano, Acchiappacoda» gli aveva detto Balzalesto, «ma è come se fosse ancora qui. Non ne sento la mancanza. In questo momento, posso sentire che si arrotola dietro di me, posso sentire perfino soffiarci il vento!» Acchiappacoda non sapeva che cosa dire, e il micino aveva soggiunto: «In un certo senso, è meglio così. Voglio dire... be', visto che non posso vederla e niente le può capitare: è perfetta, pura. E lo sarà sempre. Riesci a capire che cosa voglio dire?». Fritti non c'era riuscito, quel giorno. Ma ora, mentre zampettava silenziosamente attraverso la grande foresta, cominciava a capire. I giorni trascorrevano uno uguale all'altro, come gli alberi della foresta, mentre Fritti procedeva verso vez'an attraverso il Foglia di Topo. Le parole del Primo Nato gli facevano strada. «Segui il tuo naso verso il desiderio del cuore» gli aveva detto Zampadi-fuoco, negli ultimi momenti trascorsi insieme nella collina, «attraverso la grande foresta, col sole nascente negli occhi. La strada ti condurrà fuori di lì, infine, e oltre le paludi di Schizzazampa, per arrivare finalmente alle rive di Qu'cef, la Grande Acqua. Seguirai quelle rive finché vedrai una strana collina che splende nella notte... e si innalza dalle acque. È questo il posto che l'Uo'mo chiama Villa-on-Mar, e lì troverai ciò che cerchi.» Ora i cicli del giorno e della notte, del viaggio e del sonno, e tutti gli altri segnali di caccia del mondo di sopra ritornavano alla mente di Acchiappacoda. Doveva cacciare soltanto per sé, e soltanto di sé era responsabile. Come l'argenteo pesce pril che saltava e sguazzava controcorrente fino alle alture del Gran Miagolio, così i soli del viaggio di Fritti rimbalzavano attraverso il cielo, succedendosi l'uno dopo l'altro. E in questo modo attraversò il Foglia di Topo. L'antica foresta stava ritornando alla vita. Il garrin addormentato nelle caverne si era svegliato brontolando dal suo letargo. L'aggraziato tesri, maschi e femmine di cervi, antilopi, daini, lepri, e qualche loro figlio ancora barcollante, correvano con passo lieve nel vento. Acchiappacoda sentiva rivivere la sua affinità con questo mondo, mentre si affievoliva il ricordo degli orrori della collina. Era uno dei figli della terra, e nemmeno la lunga
stagione trascorsa sotto terra poteva cancellare la sua esperienza della danza. Godeva di ogni segno dell'inverno che svaniva e del ritorno della vita in quel Foglia di Topo un tempo infestato e devastato. Venti soli erano saliti e calati da quando aveva lasciato i suoi amici, e ora Acchiappacoda si trovava finalmente vicino alle estreme propaggini della foresta. Gli ultimi due giorni di viaggio l'avevano portato in un luogo in cui la terra cominciava a degradare dolcemente e l'aria sotto i grandi alberi aveva uno strano odore pungente. Ogni alito era permeato di umidità, un'umidità non calda, come quella del grande Fiume sotterraneo, ma fredda come la pietra e salata come il sangue. Non aveva mai sentito un odore simile. Ogni respiro accelerava i battiti del suo cuore. Un mattino, mentre discendeva le ultime alture del Foglia di Topo, Fritti si accorse di un grande, lento rumore. Simile alle fusa soddisfatte di Madre-di-tutti, si alzava attraverso la vegetazione sottostante, vasto e imponente. Quando si fermò un attimo tra i radi alberi che circondavano il Foglia di Topo, Fritti riuscì a vedere qualcosa che scintillava davanti a sé. Un secondo sole, gemello di quello che annunciava le Ombre più piccole, che era sospeso basso nel cielo, sembrava splendere davanti a lui attraverso un varco nei bordi frastagliati della foresta. Quando ebbe terminato di lisciarsi il pelo, Fritti si alzò e riprese la discesa, con la coda che ondeggiava alla lieve brezza come un ramo di salice. Quando si avvicinò a quel varco vide che non era un altro sole, ma un suo riflesso, incredibilmente enorme. Tra due grandi sequoie si fermò a scrutare giù per il declivio sempre più ripido, al di là dell'inizio delle paludi. Trattenne il fiato. La Grande Acqua, levigata come una roccia spazzata dal vento, si stendeva fino all'orizzonte. Il grande Qu'cef, rosso dorato come Saltasteccati, tratteneva e restituiva il bruciante riflesso del sole, come un pulviscolo lucente dell'occhio di Harar. Il richiamo del Qu'cef, paziente, indicibilmente tranquillo, saliva fino al promontorio su cui Fritti si era fermato attonito. Rimase a guardare per tutto il mattino, mentre l'occhio del sole saliva nel cielo e la Grande Acqua diveniva a sua volta dorata, poi verde, e infine, alle Ombre più pìccole, prese l'intensa tonalità azzurro del cielo notturno. Poi, con la voce senza risposta del Qu'cef che gli riempiva ancora le orecchie e i pensieri, riprese la discesa verso le paludi. Le paludi di Schizzazampa si estendevano dalle rive del Qu'cef verso
sud, fiancheggiando la foresta di Foglia di Topo, lungo i margini di vez'an, fino a terminare sulle sponde del Gran Miagolio. Le paludi erano piatte e gelide, e l'umido terreno molliccio sprofondava sotto le zampe di Acchiappacoda. Per tutto il tempo che restò nello Schizzazampa, le sue zampe non furono mai asciutte. Per giorni di seguito ebbe nel naso l'odore salmastro del Qu'cef e nelle orecchie la sua voce. Come il suono delle fusa di sua madre, quando era poppante, il richiamo del Qu'cef era. il primo suono che udiva al risveglio, e lo sciabordio delle sue onde lo cullava nel sonno, attraversando la grande palude in cui Fritti era acciambellato su un giaciglio di giunchi. Anche la palude aveva avvertito l'allentarsi della morsa dell'inverno. Fritti poté così procurarsi abbondanti pasti di topi di palude e di altre strane creature che nondimeno si rivelarono saporite. Al suo arrivo, strani uccelli si alzavano spesso in volo stridendo dai loro nidi nascosti tra i giunchi, ma Fritti, una volta saziata la fame, si limitava a guardarli, ammirando meravigliato i loro splendenti colori. Al termine di un pomeriggio, dopo una caccia fortunata, Fritti si trovava a camminare accanto a un grande stagno immobile nel mezzo della palude, bordato tutt'intorno da erba alta e da giunchi. Il sole calante aveva indorato il Qu'cef in lontananza e anche lo stagno sembrava uno specchio di fuoco immobile. Accovacciato, Acchiappacoda annusava l'odore dell'acqua. Aveva odore di sale, e non la bevve, anche se l'acqua corrente non abbondava nello Schizzazampa. Pur avendo sempre lo stomaco pieno, aveva spesso sete. In quel momento, chino sopra lo stagno, vide una cosa strana: un gatto scuro di pelo, ma con una stella simile alla sua lo stava guardando sotto la superficie dell'acqua. Sorpreso, Fritti fece un balzo indietro, e in quel mentre anche il gatto d'acqua, a sua volta spaventato, scomparve. Quando Fritti si avvicinò di nuovo lentamente, l'altro gatto lo scrutò cautamente attraverso le acque immobili. Rizzando il pelo, soffiò contro lo sconosciuto, il quale fece altrettanto, ma nell'accovacciarsi Fritti smosse con la zampa una pietra che cadde in acqua. E lì dove cadde la pietra, piccole onde concentriche incresparono la superficie dell'acqua in un cerchio che continuava a estendersi. E sotto i suoi occhi il gatto d'acqua si frantumò in tanti pezzi galleggianti, infine scomparve. Solo quando si riformò il muso dello sconosciuto, che lo guardava con un'espressione stupita simile alla sua, Fritti capì che non era un vero animale, ma qualche spirito o ombra d'acqua che
imitava ogni suo movimento. È così che sembro, allora? si domandò Fritti. Quel giovane gatto smilzo è come me? Rimase seduto a lungo, osservando in silenzio il Fritti dello stagno, finché la definitiva scomparsa del sole ne oscurò la superficie. L'Occhio di Meerclar comparve al di sopra, e l'aria si riempì dell'affaccendato ronzio di insetti volanti. Come in un sogno, udì allora un suono, un suono profondo al di sopra del lontano mormorio della Grande Acqua. Una voce si alzò in un monotono canto, una voce strana, profonda eppure lieve, carica di strane dissonanze senza senso. Attorno se ne va, poi su e attorno attorno... Insetti tetri e neri conducono il cieco, cantano il canto... Speranza, il calore del cuore, ora roca e sorda, ha udito come va attorno, va attorno, attorno al mondo... Fritti ascoltava meravigliato. Chi poteva essere che cantava una simile canzone nella solitudine dello Schizzazampa? S'incamminò silenziosamente tra i giunchi intorno allo stagno, seguendo quella voce verso la sponda opposta. Mentre scivolava tra le erbe ondeggianti, il canto si alzò di nuovo: ...Crocchiano, crocchiano guardando la ruota roteante, girovagando da destra a sinistra vanno per la tortuosa strada... e ora i senzanome s'accorgono, senza saperlo, che mai hanno udito come va attorno, va attorno, attorno al mondo... Quando quella voce vibrante si spense di nuovo, Acchiappacoda s'avvicinò al luogo dal quale sembrava provenire. Non riusciva a fiutare nessun odore particolare, soltanto quello delle paludi salmastre e quello ripugnante del fango. Scacciò via con la coda un nugolo di moscerini d'acqua e si spinse avanti tra i giunchi. Accovacciata al bordo dello stagno c'era una grossa rana verde, con la gola che si gonfiava e sgonfiava e la pancia sprofondata nel fango. Quando Acchiappacoda s'avvicinò lentamente alle sue spalle, la rana non si voltò, ma disse soltanto: «Benvenuto, Acchiappacoda. Siediti a parlare». Sempre più incuriosito, Fritti fece ancora qualche passo e s'accovacciò
su un intreccio di sterpi spezzati sul fondo fangoso. Ormai sembrava che tutti conoscessero il suo nome e i suoi affari. «Ho udito il tuo canto» disse Fritti. «Come fai a conoscermi? Chi sei?» «Madre Rebum io sono. Il mio popolo è antico. Io sono la più antica.» Mentre parlava, sbatteva i suoi grandi occhi. «Qui nella palude, noi jugurum conosciamo tutto. Sangue e acqua, osso e pietra. Mia nonna mangiava insetti in questa palude quando i cani volavano e i gatti nuotavano.» Senza cambiare espressione né muoversi dalla sua posizione, madre Rebum, come per imitare la sua antenata, fece schizzare fuori la sua lunga lingua grigia e, zac!, acchiappò un moscerino. Dopo averlo deglutito, proseguì: «Zampa-che-cammina, già da cinque soli ho sentito parlare di te, nella mia palude. Gli stupidi gabbiani hanno portato tue notizie mentre camminavi su e giù per i campi di fango. Mosche e moscerini riporteranno tue notizie quando sarai passato. Niente di ciò che passa per il Burum-gurgun sfugge all'attenzione della vecchia madre Rebum.» Fritti guardava meravigliato quell'enorme rana. La luce dell'Occhio d'argento chiazzava il suo ruvido dorso. «Qual era la canzone che stavi cantando?» le domandò. Madre Rebum gracidò una risata. Tendendo le zampe, si sollevò, e dopo aver dato un'occhiata di sbieco a Fritti, si lasciò ricadere pesantemente. «Ah!» esclamò. «Un canto di potenza, ecco cos'era. Dopo i Giorni del Fuoco, gli jugurum sono soliti cantare queste melodie di potenza per tenere l'oceano nelle sue profondità e il cielo sospeso al sicuro di sopra. Il mio canto era solo un piccolo canto, senza tante ambizioni. Aveva lo scopo soltanto di portare fortuna al viaggiatore.» «A me?» domandò Fritti. «Perché proprio a me? Che cosa ho mai fatto per te?» «Be', meno di niente, mio caro girino peloso» ridacchiò la rana divertita. «L'ho fatto per rendere un piacere a un altro, al quale dovevo un favore, uno ancora più vecchio di madre Rebum. Colui che mi ha chiesto di aiutarti camminava sulla terra già quando Jargum la Grande, progenitrice del mio popolo, saltava nelle paludi del mondo più antico, così mi è stato detto. Hai un potente protettore, piccolo gatto.» Acchiappacoda pensò di poter intuire il significato delle sue parole. Quindi era ancora sotto l'ala protettrice del suo patrono. Quel pensiero attutiva la sferza gelida del vento che soffiava attraverso lo stagno salato. «Non pensare, però» proseguì madre Rebum «di essere esente da qual-
siasi obbligo. Il tuo protettore mi ha detto che hai preso parte ai grandi avvenimenti del nord-ovest, è così?» Fritti assentì. «Bene, allora mi racconterai la tua storia, perché quegli ignoranti gabbiani me l'hanno riferita a spizzichi e bocconi. Non posso governare come si conviene il Burum-gurgun, la Palude al centro del Mondo, se non sono tenuta informata di ciò che avviene ogni giorno alla periferia.» La Palude al centro del Mondo, ripeté tra sé Fritti sorridendo, poi cominciò a narrare la sua lunga storia. Era quasi giunta l'Ora della più profonda Quiete quando ebbe terminato. Madre Rebum era rimasta a sedere immobile per tutta la durata del racconto, osservandolo attentamente con i suoi occhi protuberanti. Quando Fritti terminò di parlare, madre Rebum sbatté gli occhi ripetute volte, poi rimase in silenzio per qualche attimo, gonfiando e sgonfiando la gola. «Bene» commentò alla fine, «sembra che ci siano stati molti grandi spruzzi negli stagni della Gente-gatto.» Si interruppe per acchiappare un insetto che volava basso nell'aria notturna. «Mangiacuore era una forza, una grande forza, e la sua caduta provocherà molte onde nell'acqua. Ora capisco perché il tuo spirito è tormentato, piccolo peloso.» «Tormentato? Perché dici questo?» «Perché?» ridacchiò madre Rebum. «Perché lo so. Ti ho visto mentre guardavi l'ombra nell'acqua. Ho ascoltato il tuo canto per metà della notte. Il tuo cuore è sconcertato.» «Davvero?» Fritti non era sicuro che gli piacesse la piega che aveva preso la conversazione. «Oh sì, mio coraggioso, curioso ranocchio... ma non aver paura. Se soltanto segui i miei consigli, troverai felicemente la tua strada. Ricorda soltanto una cosa, Acchiappacoda: tutti i tuoi guai, le tue ricerche, i tuoi viaggi, le tue lotte non sono altro che una bollicina nel grande stagno del mondo.» Fritti si sentì avvilito, e anche un po' irritato. «Che cosa vuoi dire? Molte cose importanti sono accadute da quando ho lasciato la mia casa. Non ne sono stato io il responsabile, perlopiù, ma ho fatto la mia parte. È anche possibile che sarebbe andata peggio, se non fosse stato per me» concluse, con una punta d'orgoglio. «Questo te lo riconosco. Ti prego, non arruffare così il pelo!» ridacchiò la vecchia rana. «Ma rispondimi: la neve ha coperto Vastnir?» «Penso che ormai l'abbia coperto, credo di sì. E allora? Tra poco sarà
primavera.» «Esattamente, pesciolino mio. E dimmi, gli uccelli sono ritornati al Foglia di Topo?» Acchiappacoda non era sicuro di capire che cosa volesse dire. «Molti fla-fa'az sono già ritornati... anche questo è vero.» Madre Rebum gli rivolse il suo verde sorriso senza denti. «Bene, bene, non ti farò altre domande. Posso vedere da sola, qui nello stagno di ninfee che è la mia casa, che il sole attraversa ancora il cielo ogni giorno. Hai capito, allora?» «No» rispose Fritti caparbiamente. «È così. Quando arriverà un altro inverno e diventerà poi un'altra primavera, la collina di Vastnir e tutte le opere di Mangiatore saranno scomparse completamente, rimarranno soltanto nel ricordo. Prima che siano trascorsi molti altri inverni, tu e io saremo scomparsi, lasciando soltanto le nostre ossa, che diventeranno la casa di minuscole creature. E sai una cosa, coraggioso Acchiappacoda? Non per questo la danza del mondo perderà un solo passo.» La rana si sollevò faticosamente sulle zampe anteriori. «E ora, amico gatto, devo andare a immergere queste vecchie ossa in un bel bagno di fango. Ti ringrazio per il piacere della tua compagnia.» Così detto, madre Rebum saltellò ai bordi dello stagno, e per metà immersa nell'acqua stagnante si voltò a guardare. I suoi occhi rotondi si socchiusero sonnacchiosi. «Non avere mai paura!» soggiunse. «Ho tessuto bene il mio sogno. Se hai bisogno di aiuto, lo avrai, almeno una volta. Stai attento in particolare alle cose che si muovono in acqua, perché è lì che che ho la maggior parte del mio potere. Buona fortuna a te, Acchiappacoda!» Poi con un balzo e un tuffo, madre Rebum scomparve nell'acqua dello stagno. Capitolo 32 Il vento sul lago, l'immagine della più pura verità. I CHING (Il Libro dei Mutamenti)
Nell'ultima notte trascorsa nella palude di Schizzazampa, Fritti fece un lungo e strano viaggio nel campo dei sogni. Il suo spirito si librava come un fla-fa'az sopra colline, alberi, acque, e il vento della notte gli batteva sul muso. Come la grande akor che aveva il suo nido sulle alte montagne, continuava a salire in alto, in alto, sempre più in alto. La pancia della notte di Meerclar era il suo regno, e lì avrebbe viaggiato. Mentre volava, il vento gli parlava nelle orecchie con le voci di molti altri: Nido-d'erba, sua madre, Mostrazanne e Stiralento. Tutti chiamavano il suo nome nell'ululato impetuoso del vento... ma lui continuava a volare, finché anche la voce di Balzalesto chiamò il suo nome, non con paura, ma come meravigliata. Quando la udì, Acchiappacoda scese precipitosamente, volteggiando nelle tenebre. I venti ruggenti diventavano i miagolii impazziti di Mangiapulci e di Gratt'artiglio, e quelli sommessi di Ombra-di-tetto, intercalati dalle loro grida che chiamavano il suo nome del cuore ripetutamente. «...Fritti Acchiappacoda... Fritti... Fritti... Fritti Acchiappacoda...» Poi il rumore impetuoso del vento diventò un grande, incessante ruggito. Stava scivolando sopra la Grande Acqua, così vicino che gli sembrava di poter toccarla con una zampa e accarezzarne le onde. Il vento salmastro gli appiattiva i baffi e il cielo notturno intorno a lui era deserto e silenzioso, se non per il rumoreggiare del Qu'cef. Un vivido lampo, come la stella di Ventobianco, comparve allora all'orizzonte. Trasportato rapidamente più vicino, sulla grande groppa del vento, Fritti poté vedere la luce che brillava, s'affievoliva, brillava di nuovo. Una grande coda grigia si alzò allora dalle acque del Qu'cef. Incombeva sopra le acque, e sulla sua cima la luce che aveva visto ardeva come il fuoco del cielo. Stava volando in quella direzione, incapace ormai di fermarsi, quando udì la voce di Occhiolucente, l'extrasensitivo, che echeggiava nel vento: «Il desiderio del cuore... si trova in un luogo inatteso... inatteso...» E improvvisamente le correnti d'aria lo trascinarono di nuovo in alto, oltre la luce scintillante... e la grande coda oscillante sprofondò di nuovo nell'acqua, spegnendo il suo bagliore... e poi... poi un'altra luce si accese, più tenue, diffondendosi sul bordo inferiore del cielo notturno... Era l'alba. Fritti si mise a sedere sul suo giaciglio d'erba, mentre il vento mattutino della palude gemeva attraverso gli steli e i giunchi. Si alzò stiracchiandosi, mentre ascoltava gli insetti notturni che intonavano il loro ul-
timo coro. Infine Fritti uscì dalle paludi, attraversando un piccolo ruscello, lontano parente del Gran Miagolio, che scorreva sulla punta meridionale della Grande Acqua, segnando il confine con Schizzazampa. Sulle rive del Qu'cef digradavano prati spazzati dal vento, con un verde tappeto d'erba che saliva a poco a poco sul loro fianco destro. Lontano, al di là dei prati, Fritti poteva vedere le abitazioni dell'Uo'mo, piccole e isolate l'una dall'altra. Stava camminando ora in direzione u'ea, tra campi verdi alla sua destra e la ghiaia della spiaggia alla sua sinistra. Lanose erunor brucavano tutt'intorno sui prati ondulati. I loro corpi villosi punteggiavano le colline come grosse nuvole sporche discese sulla terra, troopo pesanti per galleggiare in cielo. Lo guardarono incuriosite al suo passaggio, quel piccolo gatto arancione, e quando Fritti le chiamò, loro si limitarono a fare una smorfia compiacente con i loro denti ingialliti, ma non risposero. Quando Acchiappacoda vide la luce, pensò sulle prime che fosse una stella. Era disceso dal sentiero tra i prati per camminare lungo la spiaggia. L'Occhio di Meerclar, che stava diventando pieno, aveva azzurrito la sabbia e inargentato le onde. Grazie alla luce del suo spirito, Fritti aveva catturato un granchio, ma non era riuscito ad aprire la sua umida e viscida corazza. Irritato, l'aveva osservato mentre si allontanava traballando da una parte, come fosse restio a voltargli la schiena. Poi, per qualche tempo, aveva continuato a camminare affamato avanti e indietro sulla spiaggia, nella speranza di trovare qualche boccone meno protetto. Disperando ormai della sua buona sorte, Acchiappacoda aveva alzato lo sguardo e aveva visto un vago bagliore all'orizzonte del Nord. Dopo un attimo il bagliore era scomparso, ma mentre Fritti scrutava nel buio, la luce si accese di nuovo, e per un attimo illuminò il cielo della notte. Un palpito di cuore dopo, era svanita di nuovo. Mentre guardava rapito, Fritti continuava a camminare sulla spiaggia. Quella stella diversa dalle altre ripeteva il suo ciclo, tra bagliore e tenebre. Le parole del Primo Nato ritornarono alla mente di Acchiappacoda: "... una strana collina che brilla nella notte...". La macchia all'orizzonte s'illuminò di nuovo, e Fritti ricordò allora il suo sogno: la coda sul mare, la coda ondeggiante con la punta luminosa. Che
cosa aveva davanti a sé? Dimenticata la cena sulla spiaggia, Fritti s'arrampicò su per la salita disseminata di pietre. Quella notte aveva voglia di camminare. Quella notte e la successiva Fritti seguì il richiamo della luce, e il mattino dopo giunse in vista della strana collina. Come aveva detto Zampa-di-fuoco, la collina si elevava nel mezzo della Grande Acqua, ben lontana dalla spiaggia di ghiaia. Era una collina dell'Uo'mo, vide Fritti, che s'ergeva alta, innaturalmente diritta, ed era bianca come la neve fresca. Acchiappacoda si fece strada fino a una penisola alberata che si estendeva nel mare come una zampa tesa. Dalla sua punta, Fritti poteva intravvedere l'isola sulla quale era cresciuta la collina dell'Uo'mo. L'isola era accovacciata nel grembo del Qu'cef, sollevandosi sopra le onde impetuose. Il suo dorso era verde d'erba. Fritti riusciva a vedere minuscole erunor che si muovevano lentamente sul tappeto verde. Alla base di quella cosa simile a una collina, che assomigliava più a un grande tronco bianco senza rami, era accovacciata un'abitazione d'Uo'mo simile a quella in cui Fritti aveva abitato, là al Muro degli Incontri, molto, molto tempo prima. Quella era la sua meta, ed era così vicina che gli arrivava anche l'odore delle erunor, facendogli vibrare i baffi. Ma tra Acchiappacoda e il desiderio del suo cuore si estendeva un migliaio di balzi sull'azzurro ondeggiante del Qu'cef. Scese il Buio che si distende, e la luce accecante si accese ancora sulla cima della collina dell'Uo'mo. Acchiappacoda la sentiva come un bruciore nel cuore. Trascorsero altri due giorni. Fritti era sempre sulla penisola, indeciso e frustrato, alla caccia di quelle poche prede che riusciva a trovare tra le felci e gli arbusti. Mentre perlustrava la spiaggia, fumante di pensieri e di progetti, gli uccelli di mare volteggiavano e si tuffavano in cielo sopra la sua testa. Gli sembrava di sentire le loro voci che lo chiamavano beffarde: «Fritti... Fritti... Fritti...». Hai il cervello di un insetto, si rimproverò Acchiappacoda. Perché non riesci a risolvere questo problema? Ricordò allora la storia di Tangaloor che Orecchiotagliato aveva raccontato dentro la collina. Be', per la coda lucente di Harar, pensò, a che cosa mi può servire? I fla-
fa'az non mi devono nessun favore. Svolazzano e ridono di me. Allungò lo sguardo attraverso le acque profonde. Non sono nemmeno sicuro che riuscirei a convincere un grosso pesce a non mangiarmi, si disse. E oltre tutto, devono essere ormai tutti a conoscenza del famoso trucco usato da Zampa-di-fuoco. Depresso, Fritti continuò la sua attesa. Il quarto giorno da quando era arrivato in quella piccola lingua di terra, Fritti vide qualcosa che stava arrivando verso di lui sopra le onde. Accovacciato tra gli arbusti in quel lembo di terra, rimase a osservare il misterioso oggetto che sobbalzando attraversava il Qu'cef. Sembrava un mezzo guscio di noce buttato via dai rikcikcik dopo il pasto, ma era più grosso, molto più grosso. Qualcosa si muoveva al suo interno. Quando il guscio si avvicinò alla penisola, Fritti poté vedere meglio quella cosa che si muoveva, era uno dei Grossi, un Uo'mo. Il Grosso stava muovendo due lunghi rami avanti e indietro nell'acqua. Il guscio, grigio come una vecchia corteccia d'albero, scivolò oltre il punto d'osservazione di Fritti e si fermò infine sulla spiaggia di una piccola insenatura in fondo alla penisola. L'Uo'mo ne scese e dopo essersi affaccendato con una specie di lungo rampicante, batté per terra i piedi e s'incamminò tra i prati verso le altre abitazioni dell'Uo'mo. Fritti corse allora emozionato giù per la penisola, scavalcando radici e pietre, e quando giunse all'insenatura, si guardò prudentemente attorno, ora che il Grosso era scomparso, e infine scese a esaminare da vicino quella strana cosa. Ne annusò l'odore. Evidentemente, non era un guscio di noce, ma qualcosa costruito dall'Uo'mo. Era una cosa lunga il doppio dell'altezza del Grosso. La vernice grigia si stava scrostando su un fianco, rivelando il legno al di sotto. Aveva l'odore del Qu'cef e di Uo'mo, di pesce e di altre cose che Fritti non sapeva identificare. Per un po' di tempo si aggirò intorno, annusando quegli strani odori, poi saltò dentro. Continuò lì ad annusare ed esplorare, nel tentativo di scoprire che cosa la faceva nuotare come un grosso pril grigio. Forse nuoterà anche per me, pensò, e mi porterà attraverso l'acqua. Ma la cosa stava semplicemente ferma sulla spiaggia di sassi, per quanto Fritti vi stesse dentro e per quanto lo desiderasse. Si distese sul fondo di quella specie di grosso guscio. Continuava a pensare, sforzandosi di sco-
prire un modo per far sì che lo portasse là, fino alla collina che brillava. E continuava a pensare... a pensare... e tutto quel pensare, insieme col caldo del pomeriggio, lo fece appisolare. Si svegliò di soprassalto. Disorientato, Fritti guardò sgomento intorno a sé, ma non riuscì a vedere altro che i fianchi del guscio di noce che nuotava. Un rumore di passi avanzò scricchiolando sulla ghiaia verso di lui. Ancora assonnato e sconcertato, non osando balzar fuori e mostrarsi all'Uo'mo, Fritti si infilò sotto un mucchio di tela grezza, che gli prudeva sulla pelle quando si rannicchiò sotto il suo peso confortante. I passi dell'Uo'mo si fermarono, poi tutto il guscio cominciò a scivolare grattando sul fondo sulla spiaggia. Sconcertato, Fritti si aggrappò con gli artìgli al legno sotto di sé. Lo scricchiolio cessò bruscamente, sostituito da una sensazione di movimento ondulatorio. Acchiappacoda udì il Grosso che saliva pesantemente oltre il bordo, poi una sequenza regolare di scricchiolii e di tonfi. Dopo qualche tempo, Fritti trovò il coraggio necessario per affacciarsi col suo naso rosa sotto le pieghe del tessuto che lo copriva. La schiena massiccia dell'Uo'mo era voltata verso di lui, mentre il Grosso muoveva avanti e indietro i rami d'albero. Il guscio era interamente circondato dall'acqua. Madre Rebum gli aveva parlato di "cose che si muovono nell'acqua", pensò Fritti, e quindi se riesco nell'impresa e non annego in questo strano guscio di noce, forse dovrò ringraziare lei. Si raggomitolò nel suo nascondiglio, la coda sopra il naso, e si addormentò di nuovo. Era trascorso un po' di tempo, non sapeva quanto. Il guscio si fermò bruscamente con un tonfo. Fritti udì che l'Uo'mo frugava tutt'intorno, ma senza scoprire il suo nascondiglio. Finalmente l'Uo'mo scese dal guscio e si allontanò con passo pesante. Acchiappacoda rimase lì in silenzio per un po' di tempo, poi uscì per stiracchiarsi e guardarsi intorno. L'isola si ergeva davanti a lui. Il guscio si era fermato contro una passerella di legno che si estendeva per un tratto nell'acqua, terminando in un sentiero di terra battuta che si snodava su per un declivio erboso. In cima a questo sentiero, Fritti poteva vedere l'abitazione dell'Uo'mo, e torreggiante al di sopra, come un bianco vaka'az'me senza rami, l'incombente collina dell'Uo'mo. Il sole era ancora nel cielo e la collina bianca era immersa nel buio.
Fritti s'incamminò su per il sentiero sconnesso. L'erba gli solleticava le zampe, e camminava con passo lieve. Il vento che soffiava dalla Grande Acqua, accarezzandogli il naso e i baffi, gli dava la sensazione di essere arrivato in capo al mondo. Una figura scura si distaccò dalla massa del nido dell'Uo'mo, e con passo pesante e lento scese per un tratto giù per la collina. Era un grosso cane, largo di petto e di zampe. Con una strana sensazione di serenità e di fiducia, Acchiappacoda continuò a salire tranquillamente su per il prato. Sconcertato, il fik'az chinò la testa sopra una spalla e lo osservò. Dopo qualche attimo di attenta ispezione, gli parlò. «Che cosa fai qui?» ringhiò il mastino. «Chi sei? Che cosa vuoi?» La sua voce era profonda e lenta come il rombo lontano del tuono. «Io sono Acchiappacoda, mastro fik'az. Buona danza a te. E io, con chi ho il piacere di parlare?» Il cane lo squadrò socchiudendo gli occhi. «Spacca-spaventa, ecco chi sono. Ma tu non hai risposto alla mia domanda. Che cosa fai qui?» «Oh, davo soltanto un'occhiata intorno» rispose Fritti, dimenando la coda con aria innocua. «Sono appena volato dall'altra parte dell'acqua, e ho pensato di dare un'occhiata in giro. Un bel posto, vero?» «Già» borbottò Spacca-spaventa. «Ma tu non dovresti essere qui. Stai alla larga, capito?» Il grosso cane prese un'aria truce, abbassando il muso, poi chinò di nuovo da una parte la testa. «Hai detto... che sei volato qui?» domandò lentamente. «Ma i gatti non possono mica volare.» Mentre parlavano, Acchiappacoda aveva continuato ad avvicinarsi e ora, a meno di cinque balzi di distanza dal fik'az, si accovacciò a leccarsi con aria disinvolta. «Oh sì, certi gatti volano» replicò. «Anzi, tutta la mia tribù di gatti volanti sta pensando di fare il nido in questo posto. Abbiamo bisogno di un posto per deporre le uova, capisci?» Acchiappacoda si alzò e cominciò a girare in largo intorno al cane. «Già, proprio così» soggiunse, guardando da una parte e dall'altra. «Centinaia di gatti volanti... gatti grossi, piccoli... un'idea meravigliosa, non ti pare?» Era quasi passato oltre, al sicuro, quando un ringhio profondo, rauco gli arrivò da Spacca-spaventa. «I gatti non possono mica volare. Non glielo permetterò!» Il mastino balzò verso di lui latrando, e Fritti allora si voltò e schizzò via su per la collina. Fatti pochi balzi, si accorse che non c'erano alberi sui
quali arrampicarsi, né palizzate da scavalcare: era tutto terreno aperto fino in cima alla salita. Be', si disse all'improvviso, perché dovrei affannarmi a correre? Ho affrontato pericoli ben peggiori, e sono ancora vivo. Si voltò di scatto per affrontare il grosso mastino che si stava avventando contro di lui. «Vieni avanti, annusamerda!» soffiò Acchiappacoda. «Vieni qui a conoscere un figlio di Zampa-di-fuoco!» Spacca-spaventa, mentre abbaiava, si trovò d'improvviso di fronte a un gatto infuriato che soffiava e graffiava. I suoi furiosi latrati si trasformarono in un mugolio di sorpresa quando gli artigli acuminati di Fritti affondarono nel suo muso. Come un piccolo turbine arancione, Fritti balzò d'improvviso sopra il Ringhiante, sfoderando zanne, artigli e tutta la sua voce stridente. Colto di sorpresa, Spacca-spaventa si ritrasse, scuotendo la sua grossa testa, e in quell'attimo Acchiappacoda scappò via di nuovo, le orecchie appiattite, la coda ritta dietro di sé. Mentre lo sgomento Ringhiante si passava cautamente la lingua sul naso dilaniato, Fritti raggiungeva l'abitazione dell'Uo'mo. Saltando e annaspando, salì sopra un basso muretto di pietra e da lì su un tetto di cannicciate. E lì dall'alto emise il suo grido di trionfo. «Non prenderla più alla leggera, la Gente, stupido bestione!» Sotto di lui, Spacca-spaventa ringhiava furibondo. «Vieni giù, gatto, e ti mangio in un boccone» minacciò in tono sprezzante. «Ah, ah!» ridacchiò Acchiappacoda. «Ti porterò qui un esercito della mia Gente e ti morderemo la coda e le chiappe cascanti, finché non morirai di vergogna, ah, ah!» Spacca-spaventa si voltò e si allontanò con tutta la sua pesante dignità. Fritti camminò avanti e indietro sul cannicciato del tetto, mentre il suo cuore riprendeva le normali pulsazioni. Si sentiva meravigliosamente bene. Dopo qualche ricerca, chinandosi sotto il bordo del tetto e arricciando il naso, trovò una finestra aperta sotto le grondaie del tetto. Si guardò attentamente intorno, alla ricerca del Ringhiante, ma Spacca-spaventa era sceso di parecchi balzi giù per la collina a leccarsi le ferite. Fritti scese giù per il muro di pietra, poi risalì rapidamente fino al davanzale. Si fermò un attimo per misurare la distanza dal pavimento, ondeggiò sul davanzale poi spiccò il balzo. Nel mezzo della stanza, arrotolata in una palla di folto pelo, stava dor-
mendo Zampafelpata. Capitolo 33 Un certo prigioniero, non so chi fosse, disse una volta che nessun vincolo lo legava a questa vita, e l'unica cosa che gli sarebbe dispiaciuto lasciare era il cielo. YOSHIDA KENKO Zampafelpata non diede segno di riconoscerlo. Fritti le stava davanti, la schiena inarcata, le zampe tremanti, e non riusciva a parlare. La fela sollevò languidamente la testa e lo guardò a lungo. «Sì? Che cosa vuoi?» «Zampafelpata!» ansimò Fritti. «Sono io, Acchiappacoda!» La fela sgranò gli occhi per la sorpresa. Per un lungo momento rimasero tutti e due immobili. Poi Zampafelpata scrollò la testa sbigottita. «Acchiappacoda? Il mio piccolo amico Acchiappacoda? Sei davvero tu?» In un palpito di cuore si alzò sulle zampe e subito furono vicini, annusandosi, strofinandosi il naso e il muso. Fritti sentiva un grande calore nel petto. Ben presto la stanza si riempì dell'assonnato rumore delle loro fusa. Più tardi, naso contro naso, Fritti raccontò a Zampafelpata i suoi viaggi e le sue avventure. Sulle prime Zampafelpata gli rispose con parole di elogio e di stupore, ma col proseguire del racconto, gli fece sempre meno domande. Alla fine, rimase completamente in silenzio, mentre lisciava felice il pelo di Fritti che continuava a raccontare. Quando ebbe terminato di parlare, Fritti si rotolò da una parte per guardare Zampafelpata. «E ora devi raccontarmi come sei arrivata fin qui!» esclamò. «Sono sceso nelle profondità della terra per trovarti, ma tu sei qui, al sicuro. Che cosa è successo?» Zampafelpata sollevò il mento. «Sei stato davvero coraggioso, Acchiappacoda, ad arrivare fin qui per cercarmi. E tutte quelle orribili creature... Sono davvero impressionata. Ma la mia storia, temo, non è certo così emozionante.»
«Ti prego, raccontami!» «Be', in realtà è molto semplice. Un giorno, sembra tanto tempo fa, ormai, l'Uo'mo mi ha messo semplicemente dentro una scatola. Sai, una scatola come quelle per dormire, ma col coperchio. Be', non è proprio che mi ha chiuso dentro la scatola, in realtà c'era lì un pezzetto di pesce pril. Sai, io sono molto ghiotta del pesce pril, naturalmente, altrimenti non sarei mai entrata lì dentro. Sono rimasta dentro la scatola per molto tempo, ma potevo vedere fuori attraverso qualche buco. Abbiamo viaggiato e viaggiato, finché siamo arrivati finalmente alla Grande Acqua. Lì siamo saliti su un guscio e abbiamo nuotato attraverso l'acqua.» «Anch'io ho viaggiato sul guscio!» esclamò Fritti emozionato. «Ecco come sono arrivato qui!» «Naturalmente» replicò Zampafelpata distrattamente. «Be', è così che sono arrivata in questo posto. Mi sembra molto carino, non ti pare?» «Ma quel Ringhiante?» domandò Acchiappacoda. «Non hai mai avuto problemi con lui? Si direbbe che non è un posto molto tranquillo per vivere, con un tipo come quello.» «Chi, Spacca-spaventa?» Zampafelpata scoppiò a ridere. «Oh, è soltanto un cucciolone. E poi io non vado molto fuori. È così piacevole e caldo qui dentro... E l'Uo'mo mi dà tante cose buone da mangiare. Così piacevole e caldo...» La sua voce si andò spegnendo. Fritti era sconcertato. A quanto pareva, Zampafelpata non aveva mai corso nessun pericolo. «Mi hai pensato spesso?» le domandò, ma non ebbe risposta. Zampafelpata si era addormentata. Quando il Grosso entrò nella stanza e li trovò distesi accanto, Acchiappacoda balzò in piedi rizzando il pelo. L'Uo'mo si avvicinò lentamente, senza fare rumore. Fritti non scappò via e allora l'Uo'mo si chinò per accarezzarlo lievemente. Acchiappacoda si ritrasse, ma il Grosso non lo inseguì, si accovacciò soltanto con la sua zampa tesa. Fritti si mosse cautamente verso di lui. Quando gli fu abbastanza vicino, provò ad annusarla con aria diffidente. La zampa dell'Uo'mo aveva un piacevole odore di pesce, e Fritti socchiuse gli occhi, arricciando il naso di piacere. L'Uo'mo posò qualcosa sul pavimento accanto a lui, e Fritti la riconobbe immediatamente: era una ciotola di cibo. Dopo aver annusato il suo contenuto, la diffidenza di Acchiappacoda si dileguò rapidamente. Il Grosso gli grattò un orecchio mentre mangiava, ma Fritti non ci fece caso.
Zampafelpata sembrava diversa. La snellezza e la grazia delle sue zampe e della coda erano le stesse, ma adesso era diventata più grassottella, più rotonda e morbida sotto il suo folto pelo. Non sembrava nemmeno più pimpante come una volta, ma preferiva dormire al sole, piuttosto che correre e saltare, e Fritti faceva fatica a convincerla a giocare con lui. «Sei sempre stato così giocherellone, Acchiappacoda» gli disse un giorno, e Fritti si sentì offeso. La situazione non è esattamente quella che mi aspettavo, si disse. Lei era evidentemente felice di rivederlo, naturalmente, e di avere un compagno con cui conversare, ma Fritti non si sentiva soddisfatto. Sembrava che Zampafelpata non capisse tutto quello che lui aveva passato per ritrovarla, e nemmeno gli prestava più molta attenzione quando lui le raccontava delle meraviglie della Prima Casa e della maestosità dei Primi Camminatori. Il cibo era molto buono, però. Il Grosso offriva loro pranzetti deliziosi ed era sempre gentile con Acchiappacoda, lo accarezzava e lo grattava, e gli permetteva di andare e venire a suo piacimento. Fritti non andava molto d'accordo con Spacca-spaventa, il mastino, tuttavia avevano stabilito una precaria tregua tra loro. Fritti stava però attento a non allontanarsi troppo dai luoghi riparati. E così trascorrevano i giorni nel luogo che Zampa-di-fuoco aveva chiamato "Villa-on-Mar". Ogni sole era più caldo di quello precedente. Stormi di fla-fa'az migranti si fermavano per breve tempo sull'isola, nel loro tragitto verso nord, e Fritti si divertiva molto con loro, anche se raramente era così affamato da darsi seriamente alla caccia. Il tempo trascorreva tranquillamente, come un placido ruscello. Anche Acchiappacoda stava ingrassando, e si sentiva inquieto. Una sera di primavera avanzata, quando l'Occhio di Meerclar stava diventando ancora pieno, parecchi Grossi arrivarono attraverso il Qu'cef su un grosso guscio per far visita all'Uo'mo. Il nido si riempì di Grossi e delle loro voci altisonanti che echeggiavano ovunque. Alcuni di loro tentarono anche di giocare con Acchiappacoda. Grosse zampe lo afferrarono e lo sollevarono in alto stringendolo, e quando lo portarono vicino alla faccia, il loro alito sgradevole lo fece contorcere. Quando Fritti riuscì a liberarsi, le loro voci risonanti rimbombaro-
no tutt'intorno. Fritti balzò sul davanzale della finestra, ma lì fuori c'era di guardia Spacca-spaventa, e sembrava di cattivo umore. Correndo tra le zampe dei Grossi che muggivano e tentavano di afferrarlo, Acchiappacoda riuscì a rifugiarsi nella stanza in cui Zampafelpata dormiva acciambellata. «Zampafelpata!» gridò, spingendola col muso. «Svegliati! Dobbiamo andarcene da questo posto!» Sbadigliando e stiracchiandosi, la fela lo guardò incuriosita. «Ma che cosa stai dicendo, Acchiappacoda? Andarcene? E perché mai?» «Questo posto non va bene per noi» rispose Fritti in tono concitato. «I Grossi ci prendono, ci portano con loro, ci strofinano, ci danno da mangiare... e non c'è posto per correre!» «Stai dicendo cose assolutamente senza senso» replicò Zampafelpata freddamente. «Siamo trattati molto bene, invece.» «Ci trattano come micini. Questa non è la vita di un cacciatore. È come se non avessi mai lasciato il nido di mia madre Nido-d'erba.» «Hai ragione» replicò Zampafelpata. «Hai ragione, perché ti comporti come un inquieto neonato. Ma che cosa vuol dire "andarcene"? Perché mai dovrei andare in qualche altro posto?» «Possiamo nasconderci nel guscio, come io ho già fatto prima. Possiamo andarcene di nascosto e ritornare nella foresta, nelle paludi, dove vuoi» rispose Fritti esasperato. «Potremo correre dove vogliamo. Possiamo far crescere una famiglia.» «Ah, una famiglia, è così?» replicò Zampafelpata. «Be', toglitelo subito dalla testa. Ne ho avuto abbastanza del tuo zampettare e annusare, Danzain-cielo lo sa bene. Te l'ho già detto, che non sono minimamente interessata a cose di questo genere. Sono davvero stupita di vedere che ti comporti in modo così ridicolo. La foresta, proprio lì! Col pelo arricciato e coperto di foglie, senza niente da mangiare per giorni e giorni di seguito! Tra visl e garrin... e Harar sa che cos'altro! No, no, grazie tanto.» Quando vide l'espressione offesa, sconcertata sul muso di Fritti, Zampafelpata addolcì il suo tono. «Stammi a sentire, caro Acchiappacoda» gli disse. «Tu sei mio amico e penso che sei un tipo molto speciale. Penso anche che sei un po' agitato. I Grossi possono essere rumorosi e a volte fanno paura. Stai alla larga da loro, allora, e domani sarà tutto tranquillo come prima.» Gli strofinò il muso con il naso e soggiunse: «Va' a dormire, adesso. Vedrai dopo com'è sciocco tutto questo». Poi posò la testa e richiuse gli occhi.
Fritti rimase lì seduto a occhi aperti. Perché non capisce?, si domandava. Qui c'è qualcosa che non va, lo sento. Ma che cos'era? Perché si sentiva intrappolato, come quand'era sotto terra? Zampafelpata miagolò nel sonno e stiracchiò le zampe. Dovrei essere felice, pensò Fritti. Ho ritrovato Zampafelpata, questo era il desiderio del mio cuore... ma era proprio questo? Il mio signore Zampadi-fuoco ha detto che avrei trovato il desiderio del mio cuore qui, a Villaon-Mar... Acchiappacoda si avviò lentamente verso la finestra aperta e saltò sul davanzale. La grande luce sulla collina sopra l'abitazione gettava il suo fascio luminoso attraverso le acque scure del Qu'cef. L'aria era calda e piena degli odori di cose che crescevano. Quando il guscio andò a sbattere di nuovo sulla spiaggia, Fritti uscì dal suo nascondiglio. Schizzò davanti ai Grossi sbigottiti e, uscito dal guscio, attraversò di corsa la spiaggia di ghiaia. La mandria degli Uo'mini fece rumori di sorpresa. Con un lampo della sua coda arancione, arrivò in cima alla salita e scomparve nei prati illuminati dall'Occhio. Era disteso su una collinetta erbosa e pensava a tutte le cose che avrebbe fatto. Balzalesto lo aspettava alla Prima Casa. Doveva rivederlo. E anche tutti i suoi amici del Muro degli Incontri, naturalmente. Che storie aveva da raccontare! Quanti posti doveva ancora vedere! E Ombra-di-tetto, naturalmente. Firsa Ombra-di-tetto, scura e sottile come un'ombra. Un uccello notturno trillò. Il mondo era così grande, e il cielo di notte era così pieno di luci scintillanti! Come un fuoco, come una stella che gli bruciava nel cuore e nella testa, gli venne in mente: aveva capito! Scoppiò a ridere e saltò, poi rise di nuovo. Saltellò e piroettò sulla cima della collina, e la sua voce si alzò piena di giubilo. Quando ebbe terminato la danza, balzò giù per la collina e corse per i campi, dimenando la coda dietro di sé. L'Occhio di Meerclar osservava impassibile la sua figura agile che scompariva nell'erba alta. Nota dell'Autore
Fatte rare eccezioni, tutte le parole sconosciute che si trovano in questa storia fanno parte del Canto Supremo della Gente. La Gente, al pari dei loro fratelli e sorelle di sangue caldo, e di alcuni altri, possiede due linguaggi. Il linguaggio d'ogni giorno, quello che condividono con la maggior parte degli altri mammiferi, è il Canto comune, composto prevalentemente da gesti, odori e posizioni, oltre che da alcuni suoni e gridi facilmente decifrabili che completano la gamma delle espressioni. In questa storia il Canto comune è stato approssimativamente tradotto nella nostra lingua. In particolari circostanze, o per specifici fini descrittivi, laddove il Canto comune è inadeguato, è stato usato il Canto Supremo. Quasi tutti i rituali e le parti narrative fanno parte di questa categoria. Il Canto Supremo è un linguaggio prevalentemente verbale, anche se il suo significato può essere evidenziato dalle posizioni e dall'enfasi. Il lettore non deve però cercare continuamente il significato delle parole, perché anche se gran parte del Canto Supremo è stato tradotto all'interno del testo, non manca tuttavia un glossario in appendice per aiutare la memoria. Alcune osservazioni a proposito della pronuncia. La c è sempre pronunciata s: per esempio il nome Meerclar si pronuncia "Mere-slar". Nei casi in cui è usata la s, è stato soltanto per rendere più chiara la pronuncia. Per esempio, ho ritenuto che la parola "Vicl", nonostante la sua vera pronuncia, fosse un po' difficile e ho usato quindi la dizione "Visl". La lettera f ha un suono morbido, come ffth. Le vocali tendono a essere conformi alla pronuncia latina. FINE