PIERS ANTHONY IL CASTELLO DI ROOGNA (Castle Roogna, 1979) Capitolo 1: L'ORCO Millie il fantasma era bella. Naturalmente,...
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PIERS ANTHONY IL CASTELLO DI ROOGNA (Castle Roogna, 1979) Capitolo 1: L'ORCO Millie il fantasma era bella. Naturalmente, non era più un fantasma, era Millie la balia. Non era molto brillante, e non era più giovane. Aveva ventinove anni quando li contava lei, e ottocentoventinove quando li contavano gli altri: era la creatura più vecchia tra quelle legate a Castel Roogna. Era stata stregata quando era una fanciulla di diciassette anni, otto secoli prima, quando Castel Roogna era giovane, e restituita alla vita al tempo della nascita di Dor. Nel frattempo era stata un fantasma, e quell'etichetta non l'aveva mai abbandonata del tutto. E perché avrebbe dovuto? Sotto ogni aspetto, era stata un fantasma molto attraente. In realtà, aveva dei meravigliosi capelli serici e lucenti, che le scendevano simili a spighe mature fino agli incavi delle... ginocchia. Il terreno che quelle trecce coprivano nel passare era... era... come mai Dor non l'aveva mai notato prima? Millie era stata la sua balia per tutti quegli anni, si era presa cura di lui mentre i suoi genitori erano occupati, e avevano la tendenza ad essere occupati per molto tempo. Oh, lo capiva piuttosto bene. Diceva agli altri che il Re si fidava dei suoi genitori, Bink e Chameleon, e chiunque avesse la fiducia del Re era destinato ad essere molto occupato, perché le missioni del Re erano troppo importanti per essere affidate a chicchessia. Tutto questo era abbastanza vero. Ma Dor sapeva che i suoi genitori non erano costretti ad accettare tutte quelle missioni importanti che li conducevano su tutta la Terra di Xanth e oltre. A loro semplicemente piaceva viaggiare, stare lontani da casa. Proprio ora erano lontani, a Mundania, e nessuno andava a Mundania per un viaggio di piacere. Era a causa sua, a causa del suo talento. Dor ricordava quando tanti anni prima aveva parlato al letto matrimoniale che usavano Bink e Chameleon, e gli aveva chiesto che cosa accadeva durante la notte, solo per curiosità, ed esso aveva risposto... beh, era stato molto interessante, soprattutto quando Chameleon era nella sua fase di bellezza, più graziosa e più stupida di Millie il fantasma, che pure se la cavava bene. Ma sua madre aveva udito parte del dialogo, e l'aveva detto a suo padre, dopodiché a Dor non fu più permesso di entrare nella camera da letto. Non
che i suoi genitori non l'amassero, Bink gli aveva spiegato con attenzione; il fatto era che li innervosiva quella che chiamavano "invasione della privacy". Perciò tendevano a fare le cose più interessanti lontano da casa, e Dor aveva imparato a non curiosare. Non quando e dove ci fosse qualcuno che avesse autorità su di lui, ad ogni modo. Millie si prendeva cura di lui; non aveva segreti. È vero che non voleva che lui parlasse al gabinetto, sebbene fosse solo un vaso che veniva svuotato ogni giorno nel giardino del retro dove gli scarabei stercorari trasformavano magicamente tutti i residui in rose dal dolce profumo. Dor non poteva parlare alle rose, perché erano vive. Poteva parlare ad una rosa morta, ma essa ricordava solo quello che era accaduto dopo che era stata recisa, e non era molto. E Millie non gli permetteva di prendersi gioco di Jonathan. A parte questo, era ragionevole e a lui piaceva. Ma non aveva mai notato prima le sue forme. Millie era molto somigliante a una ninfa, con tutti i tipi di sporgenze e morbidezze femminili, e la sua pelle era chiara come la superficie di un baccello dell'erbalatte poco prima che fosse munta. Di solito indossava un leggero abito di garza che le dava un aspetto etereo che ricordava molto il suo passato di fantasma, ma non celava i dolci contorni che erano al di sotto. La sua voce era bassa come il richiamo di un fantasma. Ma aveva più intelligenza di una ninfa e più sostanza di uno spettro. Lei aveva... «Oh, quale sciocchezza sto cercando di capire?», domandò Dor a voce alta. «E io come faccio a saperlo?», rispose il tavolo di cucina in tono irritato. Era stato foggiato in un legno nodoso di quercia, e aveva un carattere contorto. Millie si girò e sorrise meccanicamente. Stava lavando i piatti nell'acquaio. Affermava che era più facile lavarli a mano che trovare l'incantesimo per pulirli, e forse per lei era vero. L'incantesimo era in polvere, era arrivato in una scatola che il Lanciaincantesimi aveva evocato nel Palazzo, e la polvere correva senza sosta. Poche cose erano più noiose che frugare dappertutto alla ricerca di una polvere che correva. Perciò Millie non usava la polvere, sfregava i piatti con le proprie mani. «Hai ancora fame, Dor?» «No,» disse, imbarazzato. Aveva fame, ma non di cibo. Sempre che fame fosse il termine giusto. Si sentì un colpo esitante e goffo alla porta. Millie lanciò un'occhiata, e i suoi capelli ondeggiarono in tutta la loro lussureggiante lunghezza.
«Sarà Jonathan,» disse con vivacità. Jonathan lo zombie. Dor aggrottò le sopracciglia. Non aveva niente di particolare contro gli zombie, ma non gli piaceva averli intorno. Avevano la tendenza a lasciar cadere pezzi di carne putrida dovunque andassero, e non erano piacevoli da vedersi. «Oh, ma che cosa vedi in quel sacco di ossa?», domandò Dor, marcando il corpo e arrotondando le labbra intorno ai denti per imitare l'aspetto di uno zombie. «Beh, Dor, non sei gentile! Jonathan è un vecchio amico. Lo conosco da secoli.» Senza esagerazione! Gli zombie infestavano i dintorni di Castel Roogna dalla stessa epoca dei fantasmi. Naturalmente i due tipi di esseri avevano fatto conoscenza. Ma Millie ormai era una donna, viva, intera e soda. Estremamente soda, pensò Dor nel vederla muoversi agilmente attraverso la cucina verso la porta sul retro. Jonathan, invece, era un orribile morto animato. Un cadavere vivente. Come poteva Millie prestargli attenzione? «La bella e la bestia,» mormorò con ira. Frustrato e irritato, Dor uscì a grandi passi dalla cucina ed entrò nella stanza principale del cottage. Il pavimento era di scorza dura e levigata, lucidata a specchio, e le pareti erano giallo chiaro. Mollo un pugno in una parete. «Ehi, finiscila!», protestò quella. «Mi romperai. Sono solo formaggio, lo sai!» Dor lo sapeva. La casa era un cottage scavato in un grande pezzo di formaggio, già da tempo induritosi. All'epoca in cui era cresciuto, era vivo; ma da quando era una casa era morto, e di conseguenza Dor poteva parlargli. Non che il cottage avesse molto da dire. Dor si lanciò fuori dalla porta principale. «Non osare sbattermi!», lo avvertì quella, ma lui la sbatté lo stesso e ne udì il gemito alle proprie spalle: era sempre stata di prosciutto più che di formaggio. La giornata era cupa. Avrebbe dovuto saperlo: Jonathan preferiva le giornate cupe, perché evitavano che la sua carne, cronicamente in putrefazione, si disseccasse rapidamente. In effetti, stava per piovere. Le nuvole si stavano impastando in spire più scure, e si preparavano a svuotare i loro impianti. «Non mi bagnare!», strillò Dor al cielo in un tono molto simile a quello usato dalla porta con lui. La nuvola più vicina ghignò malignamente, con
un rumore simile ad un tuono. «Dor! Aspetta!», lo chiamò una vocina. Era Grundy il golem: in realtà non era più un golem, non che questo avesse molta importanza. Era il compagno di Dor all'aria aperta, ed era sempre pronto a seguire Dor nelle sue camminate nella foresta. I genitori di Dor avevano sistemato tutto in modo tale che lui fosse sempre controllato da persone come Millie, che non avevano segreti imbarazzanti, o come Grundy, che non se ne curavano anche se li avevano. In effetti, Grundy sarebbe stato molto orgoglioso di avere qualcosa di cui essere imbarazzato. Questo provocò in Dor l'inizio di una serie di pensieri. Non erano solo Bink e Chameleon: nessuno a Castel Roogna amava frequentare Dor. Perché accadeva ogni genere di cose alla presenza dei mobili, e Dor poteva parlare con i mobili. Per lui le pareti avevano orecchie e i pavimenti avevano occhi. Che cosa c'era di male? Perché la gente si vergognava di tutto quello che faceva? Solo il Re Trent sembrava completamente a suo agio con lui. Ma il Re non poteva passare il suo tempo a parlare con un semplice ragazzo. Grundy lo raggiunse. «È una brutta giornata per le esplorazioni, Dor!», lo avvertì. «Questa tempesta significa guai.» Dor guardò cupamente la nuvola. «Va a lavarti quella testa vuota!», le strillò. «Sei una testa di rapa!» Gli venne risposto con una scarica di chicchi di grandine gialla, per cui fu costretto a incurvarsi come un zombie e a ripararsi il volto con le braccia finché la grandinata non fu finita. «Cerca di essere ragionevole, Dor!», lo esortò Grundy. «Non ti immischiare con quella tempesta meschina! Ci inzupperà tutti!» Dor, con riluttanza, cedette al buon senso. «Ci cercheremo un riparo. Ma non a casa; c'è lo zombie.» «Mi chiedo che cosa trovi Millie in lui,» disse Grundy. «È quello che mi chiedo anch'io.» La pioggia stava cominciando. Si affrettarono sotto un albero-ombrello, il cui grande baldacchino sottile si stava spiegando per incontrare le gocce di pioggia. Gli alberi-ombrello preferivano il terreno asciutto, perciò lo riparavano dalla pioggia. Quando brillava il sole, ripiegavano il baldacchino per non ostacolare i raggi. Esistevano anche degli alberi-parasole, che reagivano nella maniera opposta: si allargavano per ripararsi dal sole e si ripiegavano per la pioggia. Quando capitava che i due tipi di alberi fossero seminati insieme, nascevano vera-
mente un mucchio di problemi. Due ragazzi robusti, i figli delle Guardie del Palazzo, si erano già riparati sotto lo stesso albero. «Beh,» gridò uno dei due. «È quel pazzo che parla con le sedie!» «Vatti a cercare il tuo albero, gnomo,» ordinò l'altro ragazzo. Aveva le spalle curve e un mento prominente. «Bada a te, Muso di Cavallo!», disse Grundy in tono rabbioso. «Quest'albero non appartiene a te! Gli alberi-ombrello si dividono con tutti durante una tempesta.» «Non con quelli che parlano alle sedie, nanerottolo.» «Lui è un Mago!», disse Grundy con indignazione. «Parla agli oggetti inanimati. Nessun altro è in grado di farlo; nessun altro l'ha mai fatto in tutta la storia di Xanth, e nessuno lo farà mai!» «Lascia perdere, Grundy,» mormorò Dor. Il golem aveva una lingua tagliente che avrebbe potuto metterli entrambi nei guai. «Troveremo un altro albero.» «Capito?», chiese Muso di Cavallo in tono trionfante. «Il piccolo puzzolente non tiene testa a quelli migliori di lui.» E rise. Improvvisamente ci fu una detonazione proprio dietro di loro. Sia Dor che Grundy sussultarono per la paura, poi ricordarono che era il talento di Muso di Cavallo: lanciare boati. I due ragazzi più grandi scoppiarono in risate fragorose. Dor uscì dal riparo dell'albero-ombrello e con il piede andò a finire su un serpente. Il ragazzo indietreggiò, ma immediatamente il serpente svanì in uno sbuffo di fumo. Quello era il talento dell'altro ragazzo: evocare piccoli rettili innocui. I due continuarono a ridere con tale entusiasmo che caddero contro il tronco dell'albero-ombrello. Dor e Grundy si diressero verso un altro albero, inseguiti da un altro boato. Dor nascose la sua rabbia. Non gli piaceva essere trattato in quel modo, ma contro la superiorità fisica dei ragazzi più grandi era inerme. Suo padre Bink era un uomo muscoloso, in grado di lottare quando l'occasione lo esigeva, ma Dor aveva preso da sua madre: era piccolo e snello. Quanto desiderava di somigliare al padre! La pioggia ormai scrosciava e infradiciava Dor e Grundy. «Perché tolleri una cosa del genere?», domandò Grundy. «Sei un Mago!» «Un Mago della comunicazione,» ribatté Dor. «Il che non conta molto, tra i ragazzi.»
«Conta moltissimo!», gridò Grundy, mentre le sue gambette sguazzavano nelle pozzanghere. Distrattamente Dor si chinò a raccoglierlo; l'ex golem era alto solo qualche centimetro. «Potresti parlare con i loro abiti, scoprire tutti i loro segreti, ricattarli...» «No!» «Sei troppo maledettamente moralista, Dor,» protestò Grundy. «Il potere è di quelli senza scrupoli. Se tuo padre, Bink, fosse stato privo di scrupoli, sarebbe diventato Re.» «Non voleva essere Re!» «Questo non c'entra. Essere Re non è una questione di volontà, è una questione di talento. Solo un Mago completo può essere Re.» «E il Re Trent lo è. Ed è un buon Re. Mio padre dice che la Terra di Xanth è veramente migliorata da quando il Mago Trent la governa. Un tempo era solo caos, anarchia e magia cattiva dovunque tranne che nei Villaggi.» «Tuo padre vede solo la parte migliore di chiunque. È troppo gentile. Tu hai preso da lui.» Dor sorrise. «Beh, grazie, Grundy.» «Non era un complimento!» «Lo so che non lo era... per te.» Grundy si fermò. «A volte ho la sensazione sinistra che tu non sia tanto ingenuo come sembri. Chi sa: forse i piccoli vermi della rabbia e della gelosia rosicchiano il tuo cuore come quello degli altri.» «Sì, è vero. Oggi quando lo zombie è venuto a chiamare Millie...», si interruppe. «Oh, adesso ti accorgi di Millie! Stai crescendo!» Dor si girò verso di lui e, naturalmente, poiché aveva il golem in mano, anche Grundy si girò. «Che cosa vuoi dire?» «Solo che gli uomini notano le donne mentre i ragazzini non lo fanno. Non sai qual è il talento di Millie?» «No. Qual è?» «Il sex appeal.» «Pensavo che fosse qualcosa che hanno tutte le donne.» «Qualcosa che tutte le donne desiderano avere. Quello di Millie è magico. Ogni uomo che le si trovi vicino comincia ad avere delle idee.» Questo non aveva alcun senso per Dor. «A mio padre non fa quest'effetto.» «Tuo padre si mantiene lontano da lei. Pensavi che fosse una coin-
cidenza?» Dor aveva pensato che fosse il suo talento a tenere Bink lontano da casa così a lungo. Era allettante pensare che si fosse sbagliato. «E il Re?» «Il Re ha una volontà di ferro. Ma puoi scommettere che quelle idee gli frullano per la testa, quando nessuno lo vede. Non hai mai notato come lo controlla la Regina quando Millie è nei dintorni?» Dor aveva sempre pensato che la Regina guardasse lui con disapprovazione, quando da bambino Millie lo accompagnava al palazzo. Ora non ne era più certo, perciò non discusse più. Il golem era sempre pieno di pettegolezzi che gli adulti trovavano divertenti anche quando le notizie erano dubbie. Gli adulti possono essere veramente stupidi, a volte. Arrivarono ad un padiglione che era nel frutteto di Castel Roogna. Nel padiglione c'era una pietra essiccante, che era stata messa proprio per situazioni del genere. Quando le si avvicinarono, emanò delle radiazioni calde che cominciarono ad asciugare piacevolmente i loro vestiti. Poche cose facevano sentire così bene come una pietra essiccante dopo un bagno gelato! «Apprezzo veramente i tuoi servigi, essiccatrice,» le disse Dor. «Fa parte del mio lavoro,» replicò la pietra. «Mio cugino, la pietra affilatrice, ha veramente molto lavoro con tutti quei coltelli da arrotare, sai? Ah, ah!» «Ah, ah,» convenne Dor gentilmente, carezzandola. Il guaio di parlare con gli oggetti inanimati era che non erano molto brillanti. Un'altra figura emerse dal frutteto, stringendo in una mano un grappolo di ciliege alla cioccolata. «Oh, no!», esclamò lei nel riconoscere Dor. «Ma questo non è Dodo Dor, lo spione dei mobili?» «Guarda chi parla,» ribatté Grundy. «L'irata Irene, la marmocchia del palazzo.» «Principessa Irene, per te,» rispose adirata la ragazza. «Mio padre è il Re, ricordi?» «Beh, tu non sarai mai Re», disse Grundy. «Perché le donne non possono salire al trono, golem! Ma se fossi uomo...» «Se tu fossi uomo, non saresti Re lo stesso, perché non hai la magia del calibro di un Mago.» «E invece sì!», si infiammò lei. «Il dito puzzolente?», la derise Grundy. «È il pollice verde!», strillò la ragazza infuriata. «Posso far crescere
qualsiasi pianta. Veloce. Grande. Sana.» Dor si era tenuto fuori dalla disputa, ma l'imparzialità esigeva il suo intervento. «È una magia degna di lode.» «Tieniti fuori da questa faccenda, Dodo!», gridò lei. «Che cosa ne sai tu?» Dor allargò le mani. Perché era entrato in una discussione che voleva evitare? «Niente. Io non posso far crescere nulla.» «Ci riuscirai quando sarai un uomo,» mormorò Grundy. Irene restò adirata. «Allora perché ti chiamano Mago, mentre io sono solo...» «Una figlia di papà,» finì Grundy per lei. Irene scoppiò a piangere. Era una bambina piuttosto graziosa, con occhi verdi e una sfumatura verdastra sui capelli a rendere evidente il suo talento, ma i suoi pollici erano del normale colore della carne. Era una ragazzina, e aveva un anno meno di Dor, perciò poteva piangere quando voleva. Ma a lui questo non piaceva. Voleva passeggiare con lei e, per qualche motivo, non ci era mai riuscito. «Ti odio!», gli gridò Irene. Genuinamente sorpreso, Dor le chiese solo: «Perché?» «Perché tu diventerai R... Re! E se io voglio essere R... Regina, devo... devo...» «Sposarlo,» disse Grundy. «Dovresti veramente imparare a finire le frasi.» «Ugh!», gridò lei, e sembrò quasi che stesse per vomitare. Si guardò intorno, e vide una piantina ai margini del padiglione. «Cresci!» le gridò, indicandola. La pianta, sensibile al suo talento, crebbe. Era un pugilombra, con dei piccoli guantoni da box montati su viticci elastici. I guantoni si strinsero e colpirono le ombre create da fulmini lontani. Ben presto la pianta divenne alta, e i guantoni raggiunsero la misura di un pugno umano. Colpirono le vaghe ombre che erano all'interno del padiglione. Dor indietreggiò, ben sapendo che quei colpi avevano una certa forza. Attratta dal suo movimento, e dall'ombra netta creata dal suo corpo, la pianta si sporse verso di lui. I guantoni ormai erano più grandi di un pugno umano, ed erano montati su viticci spessi quanto un polso. Ce n'erano una decina: alcuni colpivano mentre altri indietreggiavano per il colpo successivo, mantenendo così la pianta in equilibrio. Irene guardava, mentre un sorrisetto maligno le aleggiava intorno alla bocca.
«Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio?», chiese Dor, avvilito. Non voleva scappare dal padiglione; la tempesta si era intensificata e una pioggia gialla cadeva a cascata al tetto. Il rimbombo delle gocce era snervante. Vi erano mescolati troppi chicchi di grandine, e dava la brutta impressione che fosse l'ambiente adatto per i fantasmi-tornado. «Beh, io non lo so per certo,» rispose il padiglione. «Ma una volta ho udito una conversazione tra la Regina ed un fantasma, mentre si riparavano da una pioggerella. Lei disse che Bink le aveva sempre dato fastidio, e ora il figlio di Bink dava fastidio a sua figlia. Disse che avrebbe fatto qualcosa, se non fosse stato per il Re.» «Ma io non ho mai fatto niente di male!», protestò Dor. «Sì,» disse Grundy. «Sei un Mago completo. Non lo possono sopportare.» Ormai i guantoni da box lo avevano respinto fino all'orlo del padiglione. «Come faccio a tirarmi fuori da questo guaio?» «Accendi una luce,» disse il padiglione. «I pugilombre non sopportano la luce.» «Ma io non ho una luce!» Un guantone gli sfiorò il petto, ma per evitarlo si bagnò la schiena di pioggia. Era pioggia gialla, non lasciava una scia gialla? «Allora faresti bene a correre,» disse il padiglione. «Sì, Dodo!», convenne Irene. La pianta non le dava noia, visto che era stata lei a fare l'incantesimo. «Va a farti sfondare la testa da un chicco gigante di grandine: un po' di ghiaccio ti farà bene al cervello.» Altri tre guantoni lo colpirono. Dor fuggì sotto la pioggia. Fu di nuovo zoppo fino alle ossa, ma fortunatamente i chicchi di grandine erano piccoli, leggeri e alquanto molli. Il riso di derisione di Irene lo accompagnò a lungo. Folate di vento lo scossero violentemente mentre i fulmini si incrociavano nel cielo. Dor sapeva che non era bene essere fuori con un temporale simile, ma si rifiutava di tornare a casa. Corse nella giungla. «Torna indietro!», gli strillò Grundy in un orecchio. Il golem era aggrappato alle sue spalle. «Va' a ripararti!» Era un consiglio ottimo; i fulmini potevano fare molto male se cadevano vicini. Dopo che erano stati per qualche ora a terra e si erano raffreddati tanto da non essere più luminosi, potevano essere raccolti e usati per colpire pareti e oggetti. Ma uno appena caduto poteva trafiggere un uomo. Ciò non di meno, Dor continuò a correre. La frustrazione e la confusione
che si sentiva dentro erano maggiori di quelle esterne. Non era così confuso da correre i rischi ovvi di quella zona selvaggia. Gli immediati dintorni di Castel Roogna erano sotto un incantesimo che li rendeva sicuri per gli abitanti e per i loro amici, ma la giungla profonda non poteva essere resa sicura a meno di non distruggerla. Nessun incantesimo avrebbe soggiogato a lungo un albero-groviglio, o sottomesso un drago. Invece, certi sentieri erano protetti, e le persone prudenti restavano su quei sentieri. Un fulmine crepitò alle sue spalle e seppellì la propria punta nel tronco di una quercia massiccia, mentre l'asta brillante tremava. Era piccolo, ma aveva tre punte ben affilate e avrebbe potuto distruggere Dor se l'avesse colpito. Il tronco dell'albero si stava coprendo di vesciche per il calore emanato dal fulmine. Dor si era salvato per un pelo. Corse verso il più vicino dei sentieri incantati, uno che conduceva a sud. Lì non l'avrebbe colpito nessun fulmine. Sapeva che la destinazione finale del sentiero era il Villaggio della Polvere Magica, governato dai troll, ma Dor non era mai arrivato così lontano. Quella volta... beh, continuò a correre, sebbene avesse il respiro affannoso. Almeno l'esercizio fisico lo teneva caldo. «È un bene che sia con te,» gli disse Grundy all'orecchio. «Almeno c'è una mente razionale nella zona.» Dor rise, e il suo umore si schiarì. «Una mezza mente, ad ogni modo,» disse. Anche la tempesta si andava schiarendo, come se fosse in tandem con il suo umore. Visto come interagiva con gli oggetti inanimati, un fenomeno del genere era del tutto possibile. Rallentò l'andatura: respirava pesantemente, ma continuò a dirigersi a sud. Quanto desiderava avere un corpo grande, forte e muscoloso che corresse senza affannare o mettesse fuori uso i guantoni del pugilombre, invece di avere quell'ossatura piccola e leggera. Naturalmente, non aveva ancora raggiunto il pieno sviluppo, ma sapeva che non sarebbe mai stato un gigante. «Ricordo una tempesta che avemmo lungo questa strada, prima che tu nascessi,» osservò Grundy. «Tuo padre Bink, Chester il Centauro, e Crombie il Soldato sotto le spoglie di un grifone - il Re l'aveva trasformato per la ricerca, lo sai - e il Buon Mago...» «Il Buon Mago Humfrey?», domandò Dor. «Hai viaggiato con lui? Non lascia mai il suo castello.» «Era la ricerca di tuo padre della Fonte della Magia; naturalmente Humfrey partì con lui. Il vecchio gnomo era sempre avido di conoscenza. E
questo era un bene; fu lui a mostrarmi come diventare reale. Un bene anche per lui; incontrò la gorgone, e avresti dovuto vedere la festa che gli fece. Era il primo uomo con cui avesse potuto parlare senza vederlo trasformare in pietra. Ad ogni modo, quella tempesta fu così terribile che spazzò qualche stella dal cielo. Tutte le stelle galleggiavano nelle pozzanghere.» «Basta, Grundy!», gridò Dor, ridendo. «Credo nella magia, come qualsiasi persona sensata, ma non sono uno stupido! Le stelle non galleggiano sull'acqua. Si spegnerebbero in qualche secondo!» «Forse si spensero. Io cavalcavo un pesce volante in quel momento, perciò non le vidi molto bene. Ma era veramente una tempesta terribile!» Si sentì tremare il terreno, ma non era un tuono. Dor si fermò, allarmato. «Che cos'è?» «Mi sembra che sia il passo di un gigante,» azzardò Grundy. Il suo talento era la traduzione, ed era capace di interpretare qualsiasi cosa dicesse una creatura, ma il rumore di passi non era una lingua. «O peggio. Potrebbe essere...» Improvvisamente si stagliò nell'oscurità. «Un orco!» Dor finì, terrificato. «Ed è sul sentiero! Come mai l'incantesimo non ha funzionato? Dovremmo essere al sicuro su questi...» L'orco camminò verso di loro: un omaccione alto due volte Dor e grosso in proporzione. La sua bocca enorme si spalancò come un abisso. Un orribile brontolio ne uscì come l'alito di un drago affamato. «Di', ometto, mi daresti una mano?», disse Grundy. «Che cosa?», chiese Dor, tanto stupito da dimenticare la paura. «È quello che ha detto l'orco: stavo traducendo.» «Oh. Naturalmente. No! Ho bisogno delle mie mani! Non può mangiarle.» Sebbene non sapesse come impedire ad un orco di mangiare quello che voleva. Gli orchi erano dei grandi mastica-ossa. L'orco brontolò di nuovo. «Io non voglio mangiare il marmocchio; io chiedo solo aiuto,» disse Grundy. Poi il golem sobbalzò. «Scrocchia!», gridò. «L'orco vegetariano!» «Allora perché vuole mangiare la mia mano?», domandò Dor. Il mostro sorrise. L'espressione del suo volto assomigliava di più all'apertura della bocca di un vulcano. Ne uscì sibilando un alito gassoso. «Tu sei lo gnomo dalla voce sonora, poco più grande di un rutto.» «Sono io!», assentì Grundy, rispondendo alla sua stessa traduzione. «Felice di rivederti, Scrocchia! Come sta la dolce signora dai capelli simili ad ortiche e la pelle simile ad una poltiglia, la cui faccia farebbe arrossire uno
zombie?» «È bella come sempre, io non la scorderò mai,» replicò l'orco. Dor stava cominciando a capire da solo le parole dell'orco; il mostro parlava la sua stessa lingua, ma con un accento così strano che le parole ne venivano trasfigurate. «Abbiamo fatto un bel colpo, abbiamo fatto Fracassare, il nostro piccolo.» Dor nel frattempo si era rassicurato che l'Incantesimo del Sentiero funzionava. Quell'orco era innocuo - beh, nessun orco era innocuo, ma almeno quello non era vorace - e perciò poteva stare con gli uomini. «Fracassare un piccolo?» «Fracassare, il figlioletto dell'orco, quasi della tua età, se n'è andato, e noi siamo troppo pochi.» «Hai fracassato tuo figlio?», chiese Dor inorridito. Forse c'era qualcosa che non funzionava nell'Incantesimo del Sentiero, dopotutto. «Dodo! Fracassare è il nome del loro figlioletto,» spiegò Grundy. «Tutti gli orchi hanno dei nomi descrittivi.» «Allora perché Fracassare se n'è andato?», domandò nervosamente Dor. «Le mogli dei troll mangiano i loro mariti, perciò può essere che gli orchi mangino...» «Fracassare si è allontanato sotto la pioggerella, e ora lo cerchiamo.» Quel temporale recente era solo una pioggerella per gli orchi? Aveva senso. Senza dubbio, Scrocchia usava un fulmine come stuzzicadente. «Ti aiuteremo a trovare tuo figlio,» disse Dor, accettando quella missione concreta con entusiasmo. Non c'è niente come una ricerca per ristorare l'animo! La ricerca di Scrocchia era fallita, perciò aveva chiesto aiuto, e pochi esseri umani avevano ricevuto una richiesta simile da un orco! «Grundy può interrogare gli esseri viventi, perché conosce tutte le loro lingue, e io interrogherò gli oggetti inanimati. Lo scoveremo subito!» Scrocchia gettò un sospiro di gratitudine che per poco non mandò Dor a gambe all'aria. Rapidamente si diressero al luogo dove il monello era stato visto per l'ultima volta. Fracassare, spiegò Scrocchia, masticando innocentemente qualche chiodo, aveva preso la sua razione giornaliera di ferro, poi se n'era andato. «Il piccolo orco è passato da questa parte?», chiese Dor ad una roccia vicina. «Sì, ed è andato verso quell'albero,» replicò la roccia. «Perché non interroghi il terreno?», suggerì Grundy. «Il terreno non è un'entità individuale,» rispose Dor. «È solo una parte di
tutta la Terra di Xanth. Dubito che potrei attirare la sua particolare attenzione. Ad ogni modo, la maggior parte di esso è vivo: radici, cimici, germi, cose magiche. Confondono la comunicazione.» «C'è una cresta rocciosa,» indicò Grundy. «Potresti servirtene.» «Buon'idea. Dimmi "acqua" e "fuocherello", mentre io cammino,» le disse Dor, e cominciò a camminare verso l'albero. Scrocchia li seguì con il passo più leggero di cui era capace, in modo che il tremito della terra non soffocasse la voce della roccia. «Fuocherello... fuocherello... acqua... fuocherello,» diceva la cresta rocciosa, instradando Dor nella direzione giusta. Dor ad un tratto si rese conto di essere veramente un Mago. Nessun altro avrebbe potuto compiere una ricerca del genere. La magia di Irene era un talento forte, degno di lode, ma mancava della versatilità del suo. Il suo pollice verde non poteva essere usato a fini non botanici. Un Re, per governare Xanth, doveva essere in grado di esercitare efficacemente il proprio potere, come faceva il Mago Trent. Trent poteva trasformare ogni nemico in una rana, e a Xanth tutti lo sapevano. Ma il Mago Trent era anche astuto; usava il suo talento solo come sostegno alla sua intelligenza e alla sua forza di volontà. Che cosa avrebbe fatto una ragazza come Irene, se fosse salita al trono? Avrebbe costeggiato tutti i sentieri con i pugilombre? Il talento di Dor era molto più efficace. Era in grado di apprendere i segreti di tutti, tranne di coloro che non avevano mai né parlato né agito alla presenza di un oggetto inanimato. La conoscenza era la radice del potere. Il Buon Mago Humfrey lo sapeva. Lui... «È un albero-groviglio!», gli sibilò Grundy all'orecchio. L'attenzione di Grundy ritornò alla realtà. Era un bene che il golem fosse rimasto con lui, invece di interrogare le creature per conto proprio. Dor aveva seguito distrattamente le indicazioni della cresta rocciosa, e ora stava davanti ad un albero-groviglio di misura media. Senza dubbio, questo era il motivo per cui Grundy era rimasto, ben sapendo che Dor era incline a distrazioni simili. Se il piccolo Fracassa era andato vicino all'albero... «Potrei chiederglielo,» disse Grundy. «Ma l'albero probabilmente mentirebbe, sempre che non mi ignori completamente. Le piante non parlano molto, in ogni caso.» Scrocchia si avvicinò. «Grourrh!», ruggì, agitando un dito grande come un randello verso i tentacoli penzolanti. Il messaggio non aveva bisogno di essere tradotto. Il groviglio emise un lamento vegetale di paura e ritrasse i tentacoli.
Dor, stupito, avanzò. «Fuocherello,» disse la cresta rocciosa. Dor entrò nervosamente nel circolo di solito comandato dall'albero-groviglio. «Acqua,» disse la cresta. Allora il piccolo orco aveva deviato poco prima del circolo dell'albero e aveva proseguito. Aveva fatto un giro molto stretto! Ma ora la traccia portava verso il crepaccio profondo di una tana di un nickelpiedi. I nickelpiedi staccano dischi di carne da qualsiasi creatura, perfino da un orco. Se... ma poi la traccia si allontanava. La cresta si abbassava e scompariva nel terreno, ma c'erano parecchie rocce isolate, e furono altrettanto utili. La traccia andava sempre più avanti, serpeggiando attraverso un vasto assortimento di orrori di Xanth: un cactus lancia-aghi, il nido di un'arpia, una fonte velenosa, un fiore mangiatore d'uomini - per fortuna, Fracassare non era un uomo, ma un orco, cosicché il fiore era diventato porpora per la frustrazione - una zona di erbalancia, con le punte delle lance che luccicavano malignamente. E tante altre minacce simili, di cui abbondava quella regione selvaggia. Fracassare aveva evitato di cadere in tutte quelle trappole, finché non era arrivato alla tana di un drago volante. Dor si fermò, sgomento. Questa volta non c'era alcun dubbio: non si passava tanto vicino alla tana di un drago senza pagarne il prezzo. I Draghi erano i signori della giungla. Mostri particolari potevano sconfiggere draghi particolari; ma nell'insieme i draghi governavano le regioni selvagge così come gli uomini governavano quelle civilizzate. Sentirono i cuccioli di drago divertirsi con una povera preda, godendo nel bruciacchiarle ogni possibile via di scampo. I cuccioli di drago avevano bisogno di fare molta pratica per imparare ad usare il getto di fuoco. Un bersaglio fisso bastava fino a un certo punto; dopodiché avevano bisogno di prede vive, per migliorare riflessi e mira. «Fracassare... è qui?», chiese Dor; temendo la risposta. «Fuoco,» rispose cordialmente la pietra più vicina. Scrocchia fece una smorfia, e questa volta nemmeno un'orchessa avrebbe equivocato la sua ira. Si avvicinò a grandi passi verso la scena del delitto. Il terreno danzò sotto l'impatto dei suoi piedi, ma la tana del drago sembrava sicura. L'entrata della tana era una stretta fessura attraverso la quale poteva passare solo il corpo stretto di un piccolo drago. Scrocchia mise una mano su ogni lato della fessura e inviò una corrente potente di energie ai suoi muscoli massicci e nodosi. La roccia si ruppe in pezzi, e d'un tratto l'entrata
ebbe le dimensioni di un orco. I draghi rimasero esposti nel loro nido di diamanti e di altre pietre preziose resistenti al calore. Il problema per i draghi sputafuoco era che il normale materiale per i nidi tendeva a bruciarsi, a fondersi o a bruciacchiarsi spiacevolmente, cosicché i diamanti erano i migliori amici di un drago. Un piccolo orco, non più grande dello stesso Dor, teneva testa a tre piccoli draghi alati mentre il drago femmina li guardava sorridendo benignamente. L'orchetto era di struttura robusta e probabilmente non sarebbe stato da meno di un solo drago della sua misura, ma tre erano troppo per lui. C'erano bruciature tutt'intorno, sebbene il piccolo orco sembrasse ancora illeso. Ai draghi piaceva giocare con il proprio cibo prima di arrostirlo. Scrocchia non ruggì nemmeno. Si sporse a guardare il drago femmina: e il fumo che le usciva dalla bocca affondò verso il pavimento come una nebbia ghiacciata. Perché Scrocchia aveva la stessa massa corporea del drago femmina, e sarebbe superfluo specificare il rapporto tra massa ed energia degli orchi. Lei non era all'altezza di quel soffio, nemmeno con la pancia piena di combustibile. Non mosse nemmeno un muscolo, pietrificata come se avesse guardato negli occhi una gorgone. Poi Scrocchia avanzò verso un draghetto. «Ti torco la coda, grossa lumaca!», gridò con allegria. Lo tirò per la coda, lo fece oscillare tutt'intorno, e lo lanciò con violenza contro la parete più lontana. Il secondo draghetto aprì la bocca e sputò una piccola colonna di fuoco. Scrocchia espirò con tale forza che la fiamma ritornò nella bocca del drago, che fu immediatamente sopraffatto da un eccesso di tosse bollente. Il terzo draghetto, che non era un vigliacco, balzò su Scrocchia con tutt'e quattro le zampe artigliate protese. Scrocchia alzò un pugno. Il drago atterrò in pieno su di esso, si piegò in due tanto che la testa e la coda combaciarono. Poi ricadde stordito sul letto di diamanti. Perfino il più piccolo degli orchi era più coriaceo di un drago qualsiasi, se si pareggiavano le ineguaglianze. Dor non ci aveva mai creduto prima. Pensava che fosse solo una diceria popolare. «Ormai la partita è chiusa, andiamo a casa,» disse Scrocchia, e si chinò a sollevare il figlio dalla tana prendendolo per la collottola. Con l'altro pugno, Scrocchia colpì il nido così forte che i diamanti si polverizzarono e la loro polvere si sparse tutt'intorno. Il drago femmina trasalì: avrebbe avuto una bella pulizia da fare. Senza darle nemmeno un'occhiata, se ne andarono. Solo Grundy non poté resistere a dire l'ultima parola: «È un bene per te
che il cucciolo non sia ferito,» urlò al drago femmina. «Se lo fosse stato, Scrocchia si sarebbe arrabbiato. Non ti sarebbe piaciuto vederlo arrabbiato.» Per fortuna, l'orco era ora di buon umore. «L'ometto mi ha aiutato, come posso ringraziarlo?», chiese l'orco a Dor. Imbarazzato, Dor si schermì. «Siamo stati felici di aiutarti,» disse. «Ora dobbiamo tornare a casa.» Scrocchia rifletté. Gli ci volle un po' di tempo; era grosso ma non intelligente. Si rivolse a Grundy: «Golem di' la verità: che cosa posso fare?» «Oh, Dor non ha veramente bisogno di aiuto,» disse Grundy. «È un Mago.» Scrocchia si gonfiò spaventosamente. «Divento pazzo quando non mi si dice la verità.» Intimorito, Grundy rispose in fretta. «Beh, i ragazzi che girano per Castel Roogna danno un po' noia a Dor. Non è grosso e forte come i ragazzi più grandi, ma ha molta più magia, perciò loro...» Scrocchia lo interruppe con un gesto impaziente. L'orco sollevò gentilmente Dor con una delle sue manone - per fortuna non per la collottola - e lo trasportò lungo il sentiero, verso nord. Il passo dell'orco era così grande che ben presto arrivarono ai confini del frutteto di Castel Roogna. Poggiò Dor a terra e rimase in silenzio mentre il ragazzo ed il golem avanzavano. «Grazie per il passaggio,» disse Dor debolmente. Era molto felice che quel mostro fosse vegetariano. Scrocchia non rispose. Immobile nella sua posizione semicurva, somigliava molto al nodoso tronco di un albero bruciato. Con cautela, Dor si diresse verso la propria casa, passando accanto all'albero-ombrello. La fortuna volle che i due ragazzi fossero ancora lì. Entrambi saltarono su quando videro Dor e, ansiosi di fare un po' di movimento, corsero ad ostacolargli il cammino. «Il piccolo spione è di ritorno!», gridò Muso di Cavallo. «Che cosa fa su un sentiero che è destinato agli uomini?» «Fossi in voi, non lo farei,» disse Grundy a mo' di avvertimento. Per tutta risposta, un serpentello gli atterrò sulla testa. Un boato risuonò alle spalle di Dor. I ragazzi risero a crepapelle. Poi il terreno tremò. I ragazzi si guardarono intorno, temendo che stesse arrivando una valanga. Ci fu un altro tremito che fece battere i denti a Dor. Era l'orco che correva verso di loro a tutta velocità. La bocca di Muso di Cavallo si spalancò quando vide quel mostro slan-
ciarsi su di lui. Era troppo sorpreso per muoversi. L'altro ragazzo cercò di correre, ma il terreno tremava così violentemente che cadde faccia a terra e così restò. Apparvero parecchi serpentelli, che si contorsero nervosamente e svanirono. Da quella parte non c'era nessuna speranza di aiuto. Se anche ci fossero stati altri boati, sarebbero stati coperti dalla violenza del passo dell'orco. Scrocchia camminò a grandi falcate finché non torreggiò sul piccolo gruppo. Il suo busto enorme fece sembrare piccolo lo snello tronco di metallo di un vicino albero di ferrolegno «Dor è mio amico», tuonò, e l'albero-ombrello cadde in frantumi per le vibrazioni. «Mi ha aiutato.» Piccole crepe si aprirono nel duro terreno del sentiero, e da qualche parte un ramo pesante cadde nel sottobosco. «Se vi fate beffe del ragazzo, potrei diventare pazzo.» E fece oscillare il suo pugno enorme sulla testa di Muso di Cavallo, tanto che il vento gli fece rizzare i capelli. Almeno, Dor pensò che fosse stato il vento. Il ragazzo sembrava terrorizzato. Il pugno dell'orco colpì il tronco dell'albero di ferrolegno. Si sentì un clangore assordante. Una sezione tubolare di ferro saltò, lasciando per un attimo la cima dell'albero sospesa in aria. Poi ricadde pesantemente con un fragore che fece tremare di nuovo la terra. Un tronco di ferro era un materiale ben solido! Un acre sbuffo di fumo si alzò dal moncone del tronco: la cima era incandescente con un alone bianco intorno, e parte di essa si era fusa al contatto con il pugno dell'orco. Scrocchia scelse un frammento tagliente di ferro, lo usò per stuzzicarsi i denti, e poi roteò su se stesso. Le sue mostruose calcagna callose scavarono un solco nel sentiero. Si incamminò fragorosamente verso sud, canticchiando un'allegra canzoncina su un massacro. In un attimo scomparve, ma la vibrazione del terreno si calmò solo dopo molto tempo. Lontano, nel Palazzo, si sentirono tintinnare i vetri delle finestre. Muso di Cavallo restò a guardare il moncone di ferrolegno. I suoi occhi si posarono un attimo su Dor, quindi ritornarono al metallo fumante. Poi svenne. «Non credo che i ragazzi ti daranno più fastidio, Dor,» osservò Grundy con serietà. Capitolo 2: L'ARAZZO Dor non fu più infastidito. Nessuno voleva irritare il suo amico. Ma ciò calmò ben poco la sua inquietudine. Le derisioni dei ragazzi non gli dava-
no noia quanto la davano a Grundy. Dor aveva sempre saputo che avrebbe potuto usare la sua magia superiore per riportare gli altri all'ordine. Era l'isolamento generale dagli altri che gli pesava, e la sua nuova consapevolezza di Millie il fantasma. Che differenza c'era tra una mocciosa come Irene e una donna come Millie! Eppure ci si aspettava che Dor passasse il suo tempo con Irene. Non era una bella situazione. Aveva bisogno di parlare con qualcuno. I suoi genitori erano avvicinabili, ma Chameleon variava tanto per aspetto e per intelligenza che non si poteva mai esseri sicuri del modo in cui avvicinarla, e Bink non era molto comprensivo su questo particolare problema. Per di più, entrambi erano in viaggio a Mundania, in missione per il Re. La Terra di Xanth era impegnata a stabilire relazioni diplomatiche con Mundania e, dopo secoli di cattive relazioni, questa era una faccenda delicata, che andava trattata con il tatto più assoluto. Quindi i genitori di Dor erano fuori. Grundy avrebbe chiacchierato con lui tutto il giorno, ma l'ex golem era capace di grande crudeltà nel trattare i problemi altrui. Come, per esempio, quando aveva chiamato il pollice verde di Irene «dito puzzolente». Dor non la biasimava per aver reagito tanto violentemente, per quanto la ripicca gli fosse costata personalmente. Grundy si curava degli altri, era vero - per questo era diventato una persona reale, viva - ma non capiva veramente. Ad ogni modo, conosceva Dor troppo bene. Il nonno di Dor, Roland, il cui talento era stordire - l'abilità di paralizzare la gente - era un'ottima persona con cui parlare, ma era a casa sua nel Villaggio Nord, a due giorni di viaggio oltre l'Abisso. C'era una sola persona a cui Dor poteva rivolgersi, che era umana, competente, matura, discreta, di sesso maschile e dal potere magico equivalente al suo. Era il Re. Sapeva che il Re era un uomo molto occupato. Sembrava che gli accordi commerciali con Mundania fossero costantemente complessi, e naturalmente c'erano molti problemi locali da risolvere. Ma il Re Trent aveva sempre tempo per Dor. Forse questa era la radice dell' ostilità di Irene che si era allargata fino alla Regina e al personale del Palazzo attraverso canali insidiosi. Irene parlava al padre meno di Dor. Perciò Dor cercava di non abusai e del suo privilegio di Mago. Ma questa volta non poteva fare altro che andare. Raccolse Grundy e si diresse al Palazzo. Il Palazzo era Castel Roogna. Per molti anni era stato un castello che non era un palazzo, deserto e abbandonato, ma Re Trent aveva cambiato tutto. Ora era la sede del Governo
di Xanth, così come lo era quando era stato costruito. Crombie il Soldato era di guardia al ponte levatoio che attraversava il fossato. Si trovava lì soprattutto a ricordare ai visitatori di tenersi lontani dall'acqua, perché i mostri del fossato non erano domestici. Si poteva pensare che fosse evidente, ma ogni tanto qualche stupido si avvicinava troppo, o cercava di nuotare nell'acqua nerastra, o perfino cercava di dare in pasto qualche bocconcino ai mostri. Questi tentativi erano invariabilmente coronati dal successo. Talvolta il mostro afferrava tutta la persona, talvolta solo la mano. Crombie dormiva in piedi. Grundy sfruttò l'occasione per fare qualche battuta alle spese del soldato. «Ehi, becco d'uccello; come sta quella puzzona di tua moglie?» Un occhio si spalancò. Immediatamente Grundy riformulò il saluto. «Salve, bel soldato; come sta la tua dolce mogliettina?» Entrambi gli occhi si aprirono, roteando espressivamente. «Gemma sta bene, è bella e odora come una rosa, ed è troppo stanca per andare a lavorare oggi, oserei dire. Ho avuto una settimana di permesso.» Ecco perché il soldato era così assonnato! La moglie di Crombie viveva in caverne sotterranee a sud del Villaggio della Polvere Magica. Era un viaggio troppo lungo da farsi in una breve licenza. Ma Crombie non si riferiva proprio a questo. Il trasportatore del Re lo inviava alle caverne e poi lo riportava indietro quando il permesso era finito. La stanchezza di Crombie non era dovuta al viaggio. «Un soldato sa veramente come sfruttare una licenza,» osservò Grundy con un sorrisetto allusivo che credeva non sarebbe stato capito da Dor. Dor capì, più o meno, solo che non ci trovava niente di divertente. «Questo è certo!», assentì Crombie. «Le donne... non posso né prenderle né lasciarle, ma mia moglie Gemma è una ninfa.» Anche quell'affermazione aveva un significato speciale. Le ninfe non erano solo creature dalle perfette forme femminili e dall'intelletto limitato, utili soprattutto a divertire gli uomini. Era strano che Crombie ne avesse sposato una. Ma era destinato a sposarsi, e si diceva che Gemma fosse una ninfa molto particolare, con un'intelligenza insolita per la sua razza, che svolgeva un lavoro importante. Dor una volta aveva chiesto di Gemma al padre, visto che nessuno degli oggetti locali sapeva qualcosa di lei, ma Bink aveva risposto evasivamente. Questo era uno dei motivi per cui Dor non voleva chiedere di Millie al padre. Millie talvolta sembrava una ninfa, e le risposte evasive erano in-
quietanti. C'era stato qualcosa tra...? No, impossibile. Ad ogni modo, quel tipo di informazioni non potevano essere ottenute dagli oggetti inanimati; non capivano affatto i sentimenti degli esseri viventi. Erano puramente oggettivi. Di solito. «Fate attenzione ai mostri del fossato,» li avvertì zelante Crombie. «Non sono addomesticati.» Lentamente le sue palpebre si abbassarono. Si riaddormentò. «Mi piacerebbe guardare uno dei suoi permessi in uno specchio magico,» disse Grundy. «Ma lo specchio si romperebbe ad X.» Entrarono nel palazzo. Improvvisamente un lupo a tre teste avanzò verso di loro, ringhiando ferocemente. Dor si fermò. «È reale?», mormorò al pavimento. «No,» rispose il pavimento sottovoce. Sollevato, Dor camminò dritto verso il lupo, e lo attraversò. Il mostro era pura illusione, una creazione della Regina. Lei si risentiva della presenza di Dor, e le sue illusioni erano così perfette che non c'era alcun modo di distinguerle dalla realtà tranne che toccandole, il che poteva essere pericoloso se qualcosa non era un'illusione. Ma la sua magia aveva annullato quella di lei, come accadeva di solito. La regina non riusciva mai ad ingannarlo a lungo. «Le Maghe non dovrebbero sfidare i Maghi,» osservò maliziosamente Grundy, e il lupo ringhiò di rabbia mentre svaniva. Fu sostituito da un'immagine della stessa Regina, regale in una veste lunga e con la corona. Ingrandiva e migliorava il suo aspetto per gli ospiti; in realtà, era piccola e tozza. «Mio marito in questo momento è occupato,» disse con formalità esagerata. «Vi prego di aspettarlo nel salotto del primo piano.» Poi sottovoce, aggiunse: «Meglio ancora, aspettate nel fossato.» La Regina non nascondeva l'antipatia che provava per lui, ma non avrebbe mai osato contraddire il Re. Avrebbe informato Dor quando il Re sarebbe stato libero. «Grazie, Vostra Altezza,» replicò Dor con la stessa formalità usata da lei, e si diresse verso il salotto. Il salotto non conteneva nessun quadro, ma solo un enorme arazzo appeso al muro. Un tempo era stata una camera da letto, il padre di Dor aveva detto di avervi dormito una volta, prima che Castel Roogna fosse restaurato. In effetti, lo stesso Dor vi aveva dormito, quando era piccolo: ricordava di essere stato affascinato dal grande arazzo. Ora il letto era stato sostituito da un divano, ma l'arazzo era affascinante come sempre. Rappresentava scene tratte dall'antico passato di Castel Roogna e dei
suoi dintorni, ottocento anni prima. In una sezione c'era il Castello, i suoi bastioni erano ancora in costruzione e vi lavorava una mandria di centauri. In altre sezioni erano rappresentate le regioni selvagge di Xanth, il drago spaventoso dell'Abisso, i villaggi protetti dalle palizzate - difese del genere non si usavano più - e altri castelli. In effetti c'erano molti più castelli nel passato. Quanto più Dor lo guardava, tanto più vedeva, perché le figure dell'arazzo si muovevano quando le si guardava. Poiché era tutto in proporzione: le rappresentazioni degli uomini erano in miniatura, la punta di una delle piccole dita di Dor ne riusciva a coprire perfettamente uno. Ma ogni particolare sembrava autentico. Era mostrata tutta la vita di quelle persone, se ci si curava di guardare abbastanza a lungo. Naturalmente, le loro vite procedevano alla stessa velocità delle vite contemporanee, perciò Dor non aveva mai visto trascorrere una vita intera; sarebbe stato un vecchio prima che ciò accadesse. E, naturalmente, il processo doveva avere delle pause ragionevoli, altrimenti l'arazzo avrebbe già superato da molto la fase in cui Castel Roogna era giovane e sarebbe già arrivato al presente. C'erano aspetti di quella magia che Dor non aveva ancora approfondito; doveva solo accettare quanto vedeva. Intanto, le figure dell'arazzo lavoravano, dormivano, lottavano e amavano in miniatura. I ricordi sommersero Dor. Quali avventure aveva visto, anni prima, fissate su quel quadro mobile! Spadaccini e draghi, belle donne e magie d'ogni tipo! Ma tutto accadeva in un silenzio misterioso; senza parole, la maggior parte delle azioni diventavano incomprensibili. Perché quello spadaccino combatteva con quel drago, ma lasciava in pace quell'altro drago? Perché la cameriera baciava quel cortigiano, e non quell'altro, sebbene fosse più bello? Chi era responsabile di quel particolare incantesimo? E perché quel centauro era così adirato dopo aver incontrato la sua puledra? Avvenivano tanti eventi contemporaneamente che era difficile approfondire una trama generale. Ne aveva chiesto spiegazione a Millie, e lei era stata felice di narrargli gli eroici racconti della sua giovinezza, perché lei era giovane all'epoca della costruzione di Castel Roogna. Ma, sebbene i suoi racconti fossero più comprensibili di quelli dell'arazzo, erano anche più selettivi. Millie non amava le sane carneficine, i pericoli mortali o gli amori passionali. Preferiva episodi di gioie semplici e di vita familiare. Quel genere di cose, però, diventava noioso dopo poco.
Inoltre, Millie non parlava mai di sé, dopo che aveva lasciato il suo villaggio natio. Non raccontava niente della propria vita e degli amori, o di come era diventata un fantasma. E non voleva dire come aveva conosciuto lo zombie Jonathan, sebbene ciò dovesse essere accaduto durante gli otto secoli di vita solitaria a Castel Roogna. Dor si chiese se, nel caso gli fosse mai capitato di essere un fantasma per ottocento anni, gli zombie avrebbero cominciato a sembrargli migliori. Ne dubitava. Ad ogni modo, la sua sete di conoscenza era stata frustrata, e infine vi aveva rinunciato. Perché non aveva semplicemente posto all'arazzo le domande a cui voleva una risposta? Dor non lo ricordava, perciò chiese all'arazzo: «Per favore, spiegami la natura delle tue immagini.» «Non posso,» replicò l'arazzo. «Sono varie e dettagliate quanto la vita stessa, non soggette ad interpretazioni da quelli come me.» Ecco qual era la spiegazione: nel compiere le funzioni che gli erano state assegnate, l'arazzo era abile e diligente; ma quando parlava in qualità di arazzo, non aveva l'intelligenza sufficiente a comprendere le sue stesse immagini. Da esso Dor avrebbe potuto sapere se una mosca gli si era posata sopra nell'ultima ora, ma non le motivazioni di un Mago morto da ottocento anni. Mentre Dor contemplava le immagini, rinacque il suo antico interesse per la storia. Com'era il mondo durante la celebrata Quarta Ondata della colonizzazione umana di Xanth! Poi l'avventura aveva regnato suprema. Non la monotonia, come nel presente. Una rana gigante apparve. «Il Re vi riceverà ora, Mastro Dor,» gracchiò. Era naturalmente un'altra delle illusioni della Regina Iris, che continuava ad ostentare la propria versatilità. «Grazie, faccia di rana,» disse Grundy. Sapeva sempre quando poteva permettersi un bell'insulto senza essere punito.«Negli ultimi tempi hai acchiappato qualche bella mosca con quella tua grande bocca?» La rana si gonfiò per l'ira, ma non poteva protestare a meno di non uscire - o saltare fuori - dal personaggio. La Regina non amava compromettere le proprie illusioni. «Come sta tua madre, la ranocchia?», continuò gaiamente il golem, la malizia a malapena celata nella sua voce. «Si è mai pulita quei bernoccoli rossi sulla sua...» La rana esplose. «Beh, non avresti dovuto gonfiarti tanto,» Grundy rimproverò il fumo che svaniva. «Stavo solo cercando di essere socievole, cervello di rana.»
Dor, con uno sforzo sovrumano, mantenne la faccia seria. La Regina poteva starli osservando, sotto forma di un moscerino invisibile o di qualcosa di simile. A volte lo spirito caustico di Grundy lo metteva nei guai, ma ne valeva sempre la pena. Anche la biblioteca del Re era al primo piano, qualche porta più avanti. Era lì che era sempre possibile trovare il Re quando non era occupato altrove, e talvolta anche quando lo era. Nessuno l'avrebbe dovuto sapere, ma Dor aveva avuto la notizia dai mobili: talvolta la Regina creava un'immagine del Re nella biblioteca, dietro ordine del Re, in modo che potesse ricevere qualche funzionario minore quando era occupato altrove. Il Re non lo faceva mai con Dor, però. Dor andò direttamente verso la biblioteca, notando un fantasma che fluttuava nella sala ombreggiata che era in fondo al corridoio. Millie era stata una della mezza dozzina di fantasmi che vivevano lì, e l'unica ad essere riportata in vita. Gli altri aleggiavano ancora nelle stanze del Castello. A Dor piacevano; erano molto gentili ma alquanto timidi, ed era facile spaventarli. Era certo che ognuno avesse la sua storia ma, come Millie, anche loro erano reticenti sul proprio passato. Bussò alla porta della biblioteca. «Entra pure, Dor,» rispose subito la voce del Re. Sapeva sempre quando arrivava Dor, anche quando la Regina non lo informava. Dor entrò, improvvisamente intimidito. «Io... uh... se non siete troppo occupato...» Il Re Trent rise. «Io sono occupato, Dor. Ma il tuo problema è importante.» Ad un tratto non gli sembrò più così. Il Re era un uomo solido, dai capelli brizzolati, vecchio abbastanza da essere il nonno di Dor, eppure ancora prestante. Indossava una comoda tunica, alquanto sbiadita e logora. La Regina lo vestiva a seconda delle occasioni con qualcuna delle sue illusioni, perciò non aveva bisogno di vestiti veri. In quel momento era molto rilassato e informale, e Dor sapeva che quell'atteggiamento aveva il fine di far sentire Dor a proprio agio. «Io, uh, torno un'altra volta...» Il Re Trent si accigliò. «E mi lasci a studiare il prossimo noioso emendamento al Trattato? I miei occhi sono già stanchi abbastanza!» Un moscone azzurro gli ronzò intorno alla testa, e distrattamente il Re lo trasformò in un piccolo albero di mosconi azzurri che cresceva da una fessura nella scrivania. «Su, Mago... chiacchieriamo un po'. Come ti vanno le co-
se?» «Beh, abbiamo incontrato una grande rana...», cominciò Grundy, ma zittì di colpo quando il Re guardò dalla sua parte. «Uh, al solito,» disse Dor. Il Re gli stava dando lo spunto per parlare; perché non riusciva a farlo? «Il tuo cottage di formaggio è sempre a posto?» «Oh, sì, la casa è perfetta. Anche se parla un po' troppo.» Sciocchezze! «So che hai fatto amicizia con Scrocchia l'orco.» Ma il Re sapeva tutto? «Sì, l'ho aiutato a trovare suo figlio, Fracassare.» «Ma mia figlia Irene non ti vuole bene.» «Non molto.» Dor desiderò di essere rimasto a casa. «Ma lei...» Dor non riusciva a trovare un complimento educato. Irene era una ragazza graziosa; suo padre certamente già lo sapeva. Faceva crescere le piante, ma avrebbe dovuto avere un talento più potente. «Lei...» «Lei è ancora giovane. Comunque, anche le donne mature non sono sempre comprensibili. Durante la notte sembrano trasformarsi in creature completamente diverse.» Grundy scoppiò a ridere. «Questo è certo! Dor ha del tenero per Millie il fantasma!» «Chiudi il becco!», gridò Dor, arrabbiato e imbarazzato. «Una donna eccezionale,» osservò il Re Trent come se non avesse udito l'esclamazione di Dor. «Un fantasma per otto secoli, improvvisamente restituito alla vita nel presente. Il suo talento la rende inadatta ai normali lavori del Palazzo, perciò ha servito come governante nel tuo cottage. Ora tu stai crescendo, e devi cominciare ad abituarti alle responsabilità di una persona adulta.» «Adulta?», chiese Dor, ancora imbarazzato e vergognoso. Non era la rana della Regina ad avere la bocca grande, era Grundy! «Sei l'erede legittimo al Trono di Xanth. Non ti preoccupare di mia figlia. Lei non ha il calibro di un Mago e non può salire al trono a meno che non ci sia alcun Mago disponibile e, in questo caso, solo temporaneamente in attesa della comparsa di un Mago, per garantire la continuità del governo. Se io nel prossimo decennio dovessi scomparire, dovrai succedermi. È meglio che tu sia preparato.» Ad un tratto il presente sembrò una realtà schiacciante, «Ma io non posso... io non...» «Tu hai la magia necessaria, Dor. Ti manca l'esperienza e la forza di usarla propriamente. Sarei trascurato se non provvedessi a farti acquisire l'e-
sperienza necessaria.» «Ma...» «Nessun Mago dovrebbe aver bisogno dei servizi di un orco per rinforzare la propria autorità. Ancora non ti sei indurito alla crudeltà che talvolta è necessario usare.» «Uh...» Dor sapeva che la sua faccia era cremisi. Aveva appena ricevuto un violento rimprovero, e sapeva che era giustificato. Per un Mago dare spazio ai simili di Muso di Cavallo... «Credo che tu abbia bisogno di una missione, Dor. Una ricerca da uomo. Una il cui compimento dimostrerà la tua competenza ad assumere l'incarico cui sei destinato.» La conversazione stava prendendo una direzione completamente diversa da quella anticipata da Dor. Era come se il Re avesse preso le proprie decisioni e avesse chiamato Dor per comunicargli le proprie direttive, invece che concedergli solo udienza. «Io... forse sì.» Forse sì! Certamente sì! «Tu rispetti Millie,» disse il Re. «Ma sei cosciente che non è della tua generazione, e che ha un grande bisogno insoddisfatto.» «Jonathan,» disse Dor. «Lei... lei ama Jonathan lo zombie!» Era indignato. «Allora penso che la più grande gentilezza che qualcuno possa farle sarebbe scoprire il modo di ridare a Jonathan la vita. Poi, forse, le ragioni per cui lei lo ama diventeranno chiare.» «Ma...» Dor fu costretto ad interrompersi. Sapeva che le osservazioni di Grundy erano le meno sarcastiche che gli sarebbero state rivolte se avesse mai espresso qualcuna delle sue idee a proposito di Millie. Lei aveva ottocento anni, e lui era solo un ragazzo. L'unico modo di soffocare tutte le discussioni sarebbe stato darle quello che voleva di più: Jonathan vivo. «Ma come...?» Il Re allargò le braccia. «Io non conosco la risposta, Dor. Ma ci può essere qualcuno che lo sa.» C'era una sola persona nella Terra di Xanth che conosceva tutte le risposte: il Buon Mago Humfrey. Ma era un vecchio bisbetico che esigeva un anno di servizio per ogni Risposta. Solo una persona deterrninata e forte andava a consultare il Buon Mago Humfrey. Ad un tratto Dor comprese la natura della sfida che gli aveva imposto il Re Trent. Prima di tutto, avrebbe dovuto lasciare quel luogo familiare e attraversare le pericolose regioni selvagge fino al castello del Buon Mago. Poi avrebbe dovuto superare tutti gli ostacoli posti dal Mago all'entrata del
castello. Poi avrebbe dovuto servire un anno per la Risposta. Poi usare la Risposta per restituire la vita a Jonathan, sapendo che, nel fare così, avrebbe cancellato ogni possibilità che Millie... La sua mente recalcitrò. Quella non era una ricerca; era un disastro! «I cittadini normali devono preoccuparsi solo di se stessi,» disse Trent. «Un Re deve preoccuparsi del benessere degli altri più di quello proprio. Deve essere pronto a fare sacrifici, a volte anche molto personali. Può essere anche che debba rinunciare alla donna che ama, e sposare quella che non ama, per il bene del regno.» Rinunciare a Millie, sposare Irene? Dor si ribellò, poi capì che il Re non stava parlando di Dor, ma di sé stesso. Trent aveva perso moglie e figlio a Mundania, e poi aveva sposato la Maga Iris, che non aveva mai dichiarato di amare, e aveva avuto un figlio da lei, per il bene del regno. Trent non chiedeva a nessun cittadino quello che non avrebbe chiesto anche a sé stesso. «Io non sarò mai l'uomo che siete voi,» disse umilmente Dor. Il Re si alzò, gli batté una mano sulla schiena tanto che per poco Grundy non cadde dalla sua spalla. Trent poteva essere vecchio, ma era ancora forte. «Io non sono mai stato l'uomo che sono,» disse. «Un uomo è solo l'uomo che sembra essere. Dentro, dove nessuno vede, può avere i vermi rosicchianti del dubbio, dell'ira e dell'afflazione.» Si fermò pensieroso e mostrò a Dor la porta. «Nessuna sfida è facile. La misura della sfida che un uomo affronta dà la misura dell'uomo stesso. Io ti lancio una sfida all'altezza di un Mago e di un Re.» Dor si trovò sul pianerottolo, ancora confuso. Perfino Grundy era silenzioso. Il castello del Buon Mago Humfrey si trovava ad oriente di Castel Roogna: non era lontanissimo, ma era a più di un giorno di viaggio attraverso le infide regioni selvagge per un ragazzo a piedi. Non c'era alcun sentiero incantato fino al ritiro di Humfrey, perché il Mago detestava gli ospiti. Tutti i sentieri portavano lontano dalla sua dimora. Dor non poteva esservi inviato istantaneamente per incantesimo, perché quella era la sua ricerca, la sua sfida personale, e doveva compierla da solo. Dor partì di mattina, usando il suo talento per risolvere una parte del problema del viaggio. «Pietre, datemi un fischio di avvertimento ogniqualvolta mi avvicini a qualcosa di pericoloso per me, e fatemi sapere qual è la strada migliore per il castello del Buon Mago.»
«Possiamo dirti che cos'è pericoloso,» risposero in coro le rocce. Non c'erano silenzi di pietra per lui! «Ma non sappiamo dove sia il castello del Buon Mago. Egli ha sparso dappertutto l'Incantesimo dell'Oblio.» L'avrebbe dovuto sapere. «Io ci sono stato,» disse Grundy. «È a sud dell'Abisso. Vai a nord verso l'Abisso, poi ad oriente, poi a sud verso il castello.» «E se sbaglio, e mi perdo, dove andrò a finire?», chiese Dor stizzito. «Nel ventre di un drago, molto probabilmente.» Dor si diresse a nord, facendo attenzione ai fischi. La maggior parte dei cittadini di Xanth non sapeva dell'esistenza dell'Abisso, perché era stato stregato con l'Incantesimo dell'Anonimato, ma Dor aveva vissuto tutta la vita nelle sue vicinanze e aveva visitato il baratro più volte. Avvertito dal suo talento, evitò le minacce costituite da branchi di draghi, alberi-groviglio, mandrie di formiche-leoni, ortiche strangolanti, erbasega, e altri pericoli simili. Solo suo padre Bink poteva attraversare da solo le regioni selvagge con tranquillità maggiore, e forse il Re Trent. Eppure, Grundy era nervoso. «Se non vivrai tanto a lungo da diventare Re, io mi troverò in un mare di guai,» osservò, e non era solo una battuta di spirito. Quando ebbero fame, le pietre li indirizzarono ai più vicini alberi delle pagnotte, papaveri delle bibite analcoliche e tronchi di gelatina. Poi ripresero il cammino, mentre il giorno finiva. «Senti!», esclamò Grundy. «Ci sono solo sentieri a senso unico dal castello di Humfrey all'Abisso. Ne dobbiamo incrociare per forza uno. Le pietre sapranno dov'è un sentiero del genere, perché avranno visto qualcuno percorrerlo. Gli Incantesimi dell'Oblio riguardano solo la dislocazione del castello del Mago, non i viaggiatori; perciò possiamo aggirare l'incantesimo.» «Giusto!», acconsentì Dor. «Pietre, qualcuna di voi ha visto questi viaggiatori?» Rispose un coro di no. Ma continuò a chiedere man mano che avanzava, e a tempo debito trovò qualche pietra che aveva visto quei viaggiatori. Dopo qualche esperimento, riuscì ad allinearsi con il sentiero, e fece un passo verso l'Abisso. Improvvisamente lo vide: un sentiero sgombro che conduceva ad un ponte che sembrava attraversare l'intera ampiezza dell'Abisso. Ma, quando si voltò dall'altra parte, c'era solo la giungla. Di una magia affascinante, quei sentieri! «Forse se camminassi all'indietro...», suggerì Grundy. «Ma inciamperai in ogni genere di cose!»
«Beh, allora tu camminerai in avanti, e io guarderò indietro e terrò d'occhio il sentiero.» Fecero questo tentativo, e la cosa funzionò. Le pietre davano la direzione, e Grundy lo avvertiva ogniqualvolta egli deviava da una parte o dall'altra. Fecero molta strada, perché naturalmente il sentiero era incantato e non c'era nessun pericolo immediato nelle sue vicinanze. Ma era occorso del tempo per trovarlo, e quando l'oscurità scese, erano ancora nelle regioni selvagge. Per fortuna trovarono un cespuglio di cuscini e prepararono un letto di cuscini multicolori, poi lo circondarono di bombe anti-insetti che raccolsero dalle erbacce delle bombe anti-insetti. Non si dovevano preoccupare della pioggia; Dor chiamò una nuvola di passaggio, ed essa gli assicurò che le nuvole avrebbero riposato tutte quella notte, tranne per una scarica di pioggia a due giorni di cammino da lì. La mattina si rimpinzarono di bacche ragazzieragazze, i cui semi, simili a ragazzi in miniatura, erano un po' amari, e la cui polpa, simile a ragazze minuscole, era un po' dolce, cosicché dovevano essere raccolti insieme per gustarle appieno. Mandarono giù le bacche con il succo ricavato dai semi di caffè, e ripresero la marcia. Dor si sentiva alquanto indolenzito; non era abituato a camminare tanto. «Strano, io mi sento bene,» osservò Grundy. Lui, naturalmente, aveva cavalcato sulla spalla di Dor per la maggior parte del tempo. Un'altra nuvola amica li avvertì quando il castello del Mago fu in vista. Humfrey non aveva pensato di scagliare l'Incantesimo dell'Oblio sulle nuvole, o forse l'aveva trovato inutile, visto che le nuvole tendono a spostarsi di continuo. Dor comprese quanto fosse fortunato nell'avere a che fare con nuvole cumuliformi dal buon carattere, invece che con le nubi dal carattere pessimo. A metà mattina raggiunsero la loro meta. Il castello era piccolo ma grazioso, con le torrette rotonde che si alzavano al di là dei bastioni, e un bel fossato azzurro. Nel fossato nuotava un tritone: un bell'uomo con una coda di pesce, che portava un'asta a tre punte dall'aspetto terribile. Guardò torvo gli intrusi. «Penso che ci siamo imbattuti nel nostro primo ostacolo,» osservò Grundy. «Quel tritone non ha nessuna intenzione di lasciarci passare.» «Come riusciti a passare, quando venisti a fare la Domanda?», chiese Dor. «È accaduto una dozzina di anni fa! È tutto cambiato. Riuscii ad oltrepassare, senza essere visto, l'alga carnivora che era nel fossato, mi arrampicai su una parete di vetro scivoloso, e superai in astuzia un mangiatore di
spade che era all'interno.» «Un mangiatore di spade? Come poteva farti del male?» «Ruttava.» Dor ci pensò, e scoppiò a ridere. Ma il golem aveva ragione: le esperienze passate non erano di alcun aiuto per il presente. Non finché le difese del Buon Mago continuavano a cambiare. Avanzò di un passo fino a toccare con un piede la superficie dell'acqua. Immediatamente il tritone nuotò verso di lui, con la testa e le braccia alzate, il tridente in equilibrio. «È bene avvertirti, intruso, che ho cinque tacche sull'asta del mio tridente.» Dor ritrasse il piede. «Come faremo ad oltrepassare questo mostro?» chiese, guardando il fossato. «Non mi è concesso dirtelo,» replicò l'acqua in tono di scusa. «Il vecchio gnomo ha coperto tutto di controincantesimi.» «Sì, era una sua abitudine,» grugnì Grundy. «Non puoi sgnomare uno gnomo nella sua stessa casa.» «Ma ci deve essere un sistema,» disse Dor. «Dobbiamo solo trovarlo. Questa è la sfida.» «Mentre il Mago ridacchierà, aspettando di vedere se ce la faremo o se saremo infilzati. Ha un senso dell'umorismo simile a quello di un alberogroviglio.» Dor fece il gesto di tuffarsi nel fossato. Il tritone sollevò di nuovo il tridente. Il braccio del mostro era muscoloso, il suo busto emergeva dall'acqua e le punte del tridente brillavano al sole. Dor indietreggiò di nuovo. «Forse c'è un tunnel sotto il fossato,» suggerì Grundy. Camminarono intorno al fossato. In un punto c'era una targhetta metallica su cui spiccavano le parole: I TRASGRESSORI VERRANNO PUNITI. «Non capisco che cosa voglia dire,» si lagnò Dor. «Te lo tradurrò,» disse Grundy. «Significa: sta alla larga.» «Mi chiedo se non significhi qualcos'altro,» rifletté Dor. «Perché Humfrey avrebbe dovuto mettere qui quest'avviso, quando, ad ogni modo, non c'è nessun modo evidente di entrare? Perché scriverlo in una lingua che solo un golena può capire? Sembra che non abbia alcun senso, il che significa che probabilmente ha molto senso, se lo si interpreta correttamente.» «Non so perché perdi tanto tempo per uno stupido avviso, quando devi trovare un modo di attraversare il fossato.» «Ora, se ci fosse un tunnel che il Mago usa per non trovarsi invischiato nei suoi stessi ostacoli, avrebbe bisogno di un segnale per indicarne l'usci-
ta,» continuò Dor. «Naturalmente non vorrebbe che nessuno l'usasse senza il suo permesso. Perciò dovrebbe coprire l'uscita e proteggerla con un Incantesimo-Stai-Alla Larga. Come questo.» «Sai, credo che dopo tutto tu abbia un cervello,» ammise Grundy. «Ma dovresti avere un controincantesimo per aprirlo, e a nessun oggetto inanimato è permesso rivelarti il segreto.» «Ma è solo una pietra. Non troppo intelligente. Potremmo riuscire a imbrogliarla.» «Ho capito. Tentiamo un dialogo, sai che cosa intendo?» Avevano già fatto quel gioco. Dor annuì e sorrise. Si avvicinarono alla targhetta metallica. «Buon giorno, targhetta,» Dor la salutò. «No, non a te,» rispose la targhetta. «Non ti dirò niente.» «È perché non sai niente,» disse Grundy a voce alta, con una leggere ironia nella voce. «Io non so niente!» «Il mio amico afferma che tu non hai nessun segreto da divulgare,» disse Dor alla targhetta. «Il tuo amico è uno stupido.» «La targhetta dice che sei uno stupido,» Dor informò Grundy. «Si? Beh, la targhetta è un dumdum.» «Targhetta, il mio amico dice che sei un...» «Non lo sono!», replicò adirata la targhetta. «Lui è un dumdum.» Le emozioni degli oggetti tendevano ad essere superficiali. «Lui non ha il mio segreto.» «Quale segreto, Dodo?», domandò Grundy, e la sua voce era ancora più ironica di prima. «Il mio vano segreto, ecco che cosa! Non ce l'ha, non è vero?» «Nessuno ce l'ha,» gridò Grundy imbronciato. «Stai mentendo per farcì credere che non sei una testa di granito!» «È così? Beh, allora guarda, stupido!» E la parte superiore della targhetta si spalancò per rivelare un vano interno. Dentro c'era una piccola scatola. Dor afferrò la scatola prima che la targhetta comprendesse il proprio errore. «E che cosa c'è qui?», chiese allegramente. «Ridammela!», gridò la targhetta. «È mia, tutta mia!» Dor studiò la scatola. Sul coperchio c'era un bottone sul quale era scritto NON PREMERE. Egli lo premette.
Il coperchio saltò. Una specie di serpente ne balzò fuori, spaventando Dor che lasciò cadere la scatola. «AH, AH, AH, AH, AH!», ridacchiò. Un oggetto a forma di serpente cadde a terra e la sua energia si spense. «Jack, al vostro servizio,» disse. «Il pupazzo a molla. Sembri proprio uno sciocco.» «Un golem,» disse Grundy. «L'avrei dovuto capire. I golem sono insopportabili.» «Dovresti saperlo, testa di spillo,» replicò Jack. Frugò in una tasca a serpentina e ne trasse un disco luccicante. «Ecco un distintivo per commemorare l'occasione». Lo porse a Dor. Dor si chinò a prendere il distintivo. Aveva due facce. Su una c'era scritto TRASGRESSORE. Sull'altra c'era scritto PUNITO. Dor rise a crepapelle. «Immagino che me lo sia meritato! Ecco che cosa ho guadagnato a cercare un modo più facile per entrare.» Appoggiò il distintivo alla propria camicia, dove aderì magicamente, con il lato su cui era scritto PUNITO in bella vista. Poi raccolse il pupazzo a molla, lo rimise nella scatola, chiuse il coperchio, rimise il tutto nel vano che era dietro la targhetta, e lo chiuse. «Hai recitato bene, targhetta,» disse. «Sì,» acconsentì la targhetta, addolcita. Riportarono l'attenzione sul fossato. «Non c'è nessun surrogato alla mia ingenuità,» disse Dor. «Ma questa diversione mi ha dato un'idea. Se noi possiamo cadere in un tranello...» «Non capisco che cosa stai pensando,» disse Grandy. «Quel tritone conosce il suo compito.» «Quel tritone pensa di conoscere il suo compito. Sta a vedere.» Dor si accovacciò accanto all'acqua e le disse: «Faccio una scommessa con te, acqua. Scommetto che non sai imitare la mia voce.» «Sì?», replicò l'acqua con la stessa voce di Dor. «Ehi, è abbastanza buono, per un principiante. Ma non lo sai fare da più di un punto alla volta.» «Questo è quello che pensi tu!», disse l'acqua con la voce di Dor da due punti contemporaneamente. «Sei migliore di quanto pensassi!», confessò Dor con calore. «Ma la vera sfida è farlo così bene che una terza persona non sappia dire chi sono io e chi sei tu. Sono sicuro che non sapresti imbrogliare quel tritone, per esempio.» «Quel coda di pesce?», domandò l'acqua. «Che cosa vuoi scommettere, sanguisuga?»
«Quest'acqua ti sta chiamando con il nome di un pesce.» Dor rifletté. «Beh, non ho niente che per te abbia valore. A meno che... ecco! Tu non puoi parlare con altre persone, ma hai bisogno di qualcosa che mostri loro il tuo valore. Potresti farlo con questo distintivo.» Dor si tolse dalla camicia il distintivo e mostrò entrambi i lati: TRASGRESSORE/PUNITO. «Vedi, qui c'è scritto che cosa fai agli intrusi. Lo puoi tenere sulla tua superficie come un avvertimento sinistro.» «Mi piace quest'idea!», disse l'acqua con avidità. «Tu ti nascondi, e se il vecchio tridente segue la mia voce invece che te, io vinco il premio.» «Bene,» acconsentì Dor. «Mi dispiace veramente rischiare un oggetto di questo valore, ma del resto non credo che lo perderò. Allora, tu distrai il tritone, e io mi nascondo sotto la tua superficie. Se lui non riesce a trovarmi prima che affogo, il distintivo è tuo.» «Ehi, c'è un errore nella tua logica!», protestò Grundy. «Se tu affoghi...» «Salve, coda di pesce!», gridò una voce dall'estremità più lontana del fossato. «Sono il terrore della giungla!» Il tritone, che aveva osservato tutta la faccenda senza interesse, si girò di scatto. «Un altro?» Dor scivolò nell'acqua, trattenne il fiato e si immerse sotto la superficie. Nuotò vigorosamente, avvertendo l'acqua fredda scorrergli addosso. Non lo colpì nessun tridente. Quando i polmoni cominciarono a premere dolorosamente contro la gola serrata, Dor trovò la parete interna del fossato e tirò fuori la testa. Prese respiro, e anche Grundy boccheggiò. Il golena per tutto il tempo era rimasto aggrappato alla sua spalla. Il tritone stava ancora correndo qui e li, seguendo le voci che cambiavano continuamente posto. «Quassù, muso di pesce! No, qui, tritone! Sei cieco, faccia di pesce?» Dor si issò. «Basta!», gridò. «Hai vinto, fossato; ecco il premio. Mi dispiace terribilmente perderlo, ma tu mi hai battuto.» E lanciò il distintivo in acqua. «Possiamo ripeterlo quando vuoi, sanguisuga,» replicò l'acqua compiaciuta. Il significato del commento precedente di Grundy fu in evidente ritardo. La sanguisuga è un tipo di pesce, incline ad attaccarsi alle gambe dei nuotatori e... ma sembrava che lì non ce ne fosse nessuna. Le voci false cessarono. Il tritone si guardò intorno e sussultò per la sorpresa quando lo vide. «Come hai fatto? Ti ho inseguito per tutto il fossato!»
«Lo hai fatto certamente,» acconsentì Dor. «Sono veramente senza fiato.» «Sei una specie di Mago o qualcosa del genere?» «È una definizione appropriata.» «Oh.» Il tritone si allontanò a nuoto, ostentando la sua noia. Ora era davanti a loro seconda sfida. C'era uno stretto cornicione di pietra tra il fossato e il muro del castello. «È sempre così,» disse saggiamente Grundy. «Un muro liscio. Un ostacolo inanimato. Ma il peggio è sempre dentro.» «Buono a sapersi,» disse Dor rabbrividendo e non solo a causa dei vestiti fradici. Stava cominciando a comprendere la difficoltà della sfida che gli aveva imposto il Re Trent. Ad ogni fase era costretto a mettere in questione le sue capacità e le sue motivazioni: il rischio e lo sforzo valevano il prezzo? Non si era mai sottoposto ad una sfida di questa grandezza, nella quale perfino il suo talento poteva aiutarlo solo per vie traverse. Dal momento che era stato posto quel controincantesimo sulle cose che impediva loro di parlare, egli era costretto a usare la sua magia con molta intelligenza, come aveva fatto con il fossato. Forse quella era la strada necessaria per la virilità, ma avrebbe preferito molto di più avere davanti una strada sicura per tornare a casa. Era, dopotutto, solo un ragazzo. Non aveva i muscoli di un uomo, e certamente non il coraggio. Eppure si trovava lì, ed era meglio che andasse avanti, perché il tritone non l'avrebbe fatto tornare indietro. I muscoli di un uomo. Quell'idea lo affascinava. Se per qualche magia fosse diventato più grande e più forte di suo padre e fosse diventato un esperto spadaccino, tanto da non avere bisogno di essere riportato a casa da un orco... ah, allora i suoi problemi si sarebbero risolti! Niente più trucchi, niente più inganni per distogliere l'attenzione dei tritoni, niente più discussioni con le targhette... Ma era un pensiero stupido. Non sarebbe mai diventato un uomo forte e muscoloso, nemmeno da adulto. Rifecero il giro del castello. Ad intervalli c'erano delle rientranze in cui crescevano delle piante che decoravano il muro liscio. Ma non erano piante avvicinabili. Erbacce-puzza, cavoli-moffetta, edera, sputaveleno. Quest'ultima gli scagliò contro una goccia di veleno, ma egli la evitò. La goccia colpì il cornicione di pietre e vi produsse un foro fumante. Un'altra rientranza conteneva un cactus lancia-aghi, una delle peggiori minacce tra le piante. Dor accelerò il passo nel superarlo, altrimenti il maligno vegetale
avrebbe potuto decidere di lanciargli contro una scarica di aghi. «Tu ti sei arrampicato su una parete di vetro?», chiese Dor in tono scettico, contemplando il muro liscio. Non era un buon scalatore, e non c'erano né appigli né gradini né altri aiuti. «Io ero un golem allora: un insieme di corde e immondizie. Non importava se cadevo, non ero reale. Esistevo solo per fare traduzioni. Oggi non potrei scalare quella parete di vetro, e nemmeno questo muro di pietra. Ho troppa realtà da perdere.» Troppa realtà da perdere. Aveva senso. La stessa realtà di Dor diventava più attraente se pensava alla possibilità di perderla. Perché desiderava il corpo e la forza di un eroe? Lui era un Mago, probabilmente l'erede al trono. Gli uomini forti erano comuni, i Maghi erano rari. Perché gettare via tutto questo per uno zombie? Poi pensò alla bella Millie. Fare qualcosa di gentile per lei, conquistarsi la sua gratitudine. Ah, che pazzia! Ma sembrava anche che lui fosse quel genere di pazzo. Forse lo era diventato crescendo. Il talento di Millie: il sex appeal... Dor picchiettò sulla pietra. Era incredibilmente solida. Non c'era nessuna cavità nascosta. Cercò delle fessure. Gli interstizi tra le pietre erano troppo piccoli per le sue dita, e già sapeva che non c'era nessuna sporgenza per arrampicarsi. «Vediamo che cosa c'è in quelle rientranze,» disse. Ispezionarono le rientranze, con attenzione. Non c'era niente. Le piante maligne crescevano in vasi di pietra che erano poggiati ai bastioni. Non c'era nessuna entrata segreta attraverso il loro terriccio. Ma la nicchia del cactus lancia-aghi sembrava più profonda. In effetti oltre il cactus si vedeva una cavità scura. Un passaggio! Tutto quello che gli restava da fare era escogitare un sistema per passare indenni oltre una delle piante più letali di Xanth. I cactus lancia-aghi avevano la tendenza a sparare prima e a pensare poi. Perfino un alberogroviglio avrebbe ceduto probabilmente ad un cactus lancia-aghi, se fossero cresciuti fianco a fianco. Chester il centauro, un amico del padre di Dor, aveva ancora delle cicatrici che sciupavano i suoi bei quarti posteriori, nel punto in cui un lancia-aghi lo aveva punito. Dor spinse il capo dietro l'angolo. «Che ne diresti di far passare un viaggiatore?», chiese senza molte speranze. Un ago fu sparato direttamente verso la sua faccia. Si ritrasse rapidamente, e l'ago passò fischiando e andò a finire nel fossato. Si sentì un'irata protesta del tritone, che non sopportava che la sua residenza venisse spor-
cata. «Il lancia-aghi dice di no,» tradusse Grundy. «Avrei potuto immaginarlo.» Come avrebbe superato quell'ostacolo? Non poteva nuotare sotto quel cactus, né ragionare con esso, né evitarlo. C'era appena lo spazio per infilarsi, in quella piccola nicchia. «Forse potremmo lanciargli un cappio intorno e tirarlo fuori dalla rientranza,» suggerì Grundy in tono dubbioso. «Non abbiamo una corda,» osservò Dor. «E niente con cui costruirla.» «Conosco qualcosa che ha il talento di creare corde con l'acqua,» disse Grundy. «Allora lui potrebbe superare quest'ostacolo. Noi no. E se avessimo una corda, saremmo infilzati dagli aghi nel momento in cui tireremmo via il cactus.» «A meno che non lo tirassimo direttamente nel fossato.» Dor sogghignò a quest'idea. Poi ritornò serio. «Potremmo fare uno scudo?» «Non abbiamo niente con cui farlo. È lo stesso problema che abbiamo con la corda. Questo cornicione è sterile. Ma se i cactus non amano l'acqua, potremmo forse raccogliere...» «Possono farne a meno, ma la amano,» disse Dor. «Prendono la pioggia. Finché non li allaga. Spruzzarlo non servirebbe a niente, a meno che...» Si fermò a riflettere. «Se potessimo buttargli addosso molta acqua, inondarlo, togliergli il terreno dal vaso, esporre le radici...» «Come?» Dor sospirò. «Non è possibile senza un secchio. Non abbiamo niente per superare questo ostacolo.» «Sì. Un drago lanciafiamme ci riuscirebbe. Queste piante non sopportano il fuoco: brucia i loro aghi. Poi non possono lottare finché non ricrescono i nuovi, e occorre del tempo. Ma non abbiamo fuoco.» Scosse qualche goccia d'acqua dal corpo. «Talvolta vorrei che tu avessi una magia più fisica, Dor. Se potessi puntare il dito e paralizzare, stordire o bruciare...» «Allora il Buon Mago avrebbe altre difese per il suo castello, contro le quali quei talenti sarebbero inutili. La magia non è abbastanza; bisogna adoperare il cervello.» «Come può un cervello impedire ad un lancia-aghi di lanciare gli aghi?», domandò Grundy. «Quella pianta non è intelligente; non puoi fare un patto.»
«Il cactus non è intelligente,» ripeté Dor, mentre un'idea gli si andava formando nella mente. «Allora potrebbe non capire quello che per noi sarebbe ovvio.» «Di qualsiasi cosa tu stia parlando, sappi che non è ovvia nemmeno per me.» Disse il golena. «Il tuo talento è la traduzione. Sai parlare anche la lingua dei cactus?» «Naturalmente. Ma questo che cosa c'entra con...» «E se noi gli dicessimo che siamo pericolosi? Che siamo salamandre incendiarie sul punto di bruciarlo?» «Non funzionerebbe. Potrebbe esserne spaventato, ma tutto quello che farebbe, sarebbe scaricare gli aghi per uccidere la salamandra prima che si possa avvicinare.» «Uhm, sì. E che ne diresti di qualcosa non minaccioso, ma pericoloso? Un uomo di fuoco, magari, che vuole passare attraverso la nicchia con le fiamme al minimo.» Grundy rifletté. «Questo potrebbe andare. Ma se fallisce...» «Una rovina,» finì Dor. «Diventeremmo dei puntaspilli.» Entrambi si girarono a guardare il fossato. Il tritone li osservava attentamente. «Puntaspilli da tutt'e due le parti,» disse Grundy. «Vorrei che fossimo eroi, invece di essere golem e ragazzini. Non siamo tagliati per questo genere di cose.» «Più stiamo qui e più mi spavento,» acconsentì Dor. «Perciò cominciamo prima che mi metta a gridare,» aggiunse, e desiderò di non aver mai detto una frase del genere. Grundy guardò di nuovo il cactus lancia-aghi. «Quando ero veramente un golem, una cosuccia come un lancia-aghi non mi faceva male. Non ero reale. Non sentivo dolore. Ma ora... sono troppo spaventato per sapere che cosa dire.» «Lo dirò io. È la mia ricerca, dopo tutto. Tu non devi parteciparvi. Non so perché stai mettendo a rischio la tua vita, in ogni caso.» «Perché mi preoccupo, stupido.» Il che doveva essere vero. «Okay. Tu devi solo tradurre nella lingua dei cactus quello che dirò.» Dor si fece animo e camminò lentamente verso il mostro vegetale. «Di' qualcosa! Di' qualcosa!» gridò Grundy, mentre gli aghi si orientavano visibilmente verso di loro, pronti a lasciare i loro sostegni. «Sono un uomo di fuoco,» disse Dor in tono incerto. «Io... sono fatto di fuoco. Tutto quello che mi tocca si brucia. Questo è il mio cane di fuoco,
Grundy il brontolone. Sto solo portando il mio cane a passeggio sgranocchiando qualche biscottino di fuoco. Mi piacciono i biscotti!» Grundy emise una serie ininterrotta di rumori striduli e fischi, come un vento che soffiasse attraverso gli aghi eretti del cactus. Il lancia-aghi sembrò prestare ascolto. Gli aghi fremevano attenti. Poteva funzionare, allora? «Vogliamo solo passare attraverso,» continuò Dor. «Non siamo in cerca di guai. Non ci piace bruciare gli aghi a meno che non siamo costretti, perché bruciano, scoppiettano e fanno un cattivo odore.» Vide degli aghi avvizzire mentre Grundy traduceva. Il messaggio stava arrivando a destinazione! «Noi non abbiamo niente contro i cactus, finché stanno al loro posto. Qualche cactus è molto gentile. Tra i migliori amici di Grundy ci sono dei cactus; a lui piace...» Dor si fermò. Che cosa avrebbe fatto un cane di fuoco con un cactus socievole? Inondarlo, naturalmente, con un torrente di fuoco. Non era il caso di dirlo. «Uh, gli piace annusare i loro fiori quando trotterella accanto. Saremmo molto turbati se qualche ago ci colpisse. Quando siamo turbati, diventiamo molto caldi. Molto, molto caldi. In effetti, bruciamo tutto.» Decise di non strafare, altrimenti avrebbe perso credibilità. «Ma in questo momento non siamo troppo caldi, perché sappiamo che un cactus gentile non ci infilzerebbe. Perciò non vogliamo bruciare nessun ago importuno.» Il cactus sembrò rimpicciolirsi, cercando lo spazio per farli passare senza essere toccato. Il suo piano stava funzionando! «i miei biscottini di fuoco sono buoni. Ne vorresti uno, cactus?» Tese una mano. Il cactus emise un breve gemito di paura, quasi come l'albero-groviglio quando Scrocchia l'orco aveva brontolato. Gli aghi si ritrassero. Allora Dor oltrepassò la pianta e penetrò nel passaggio che era dietro la nicchia. Ma era ancora nel raggio d'azione del lancia-aghi, perciò continuò a parlare. Dopotutto, se la pianta capiva il suo trucco, sarebbe diventato un cactus molto arrabbiato. «È stato veramente un piacere conoscerti, cactus. Sei una creatura veramente intelligente. Non come quel cactus che ho incontrato l'altro giorno e che ha tentato di infilzarmi un ago nella schiena. Ho perso la pazienza. Quando perdo la pazienza divento bollente. Mi sono infiammato come una salamandra ferita, sono tornato indietro, e ho stretto quel povero cactus finché tutti i suoi aghi non hanno preso fuoco. Le cicatrici delle scottature devono essergli rimaste, ma sono felice di dire che forse sopravviverà. Per fortuna era un giorno umido: in effetti pioveva, perciò il mio calore gli ha bruciato solo gli strati più superficiali invece di appiccare fuoco a tutta la
pianta. Mi dispiace di averlo fatto. Penso veramente che quell'ago nella schiena sia stato solo un incidente. Gli deve essere scappato. Ma non riesco a fermarmi quando divento bollente.» Girò oltre la curva del passaggio, cosicché non fu più in vista del lanciaaghi. Poi si appoggiò contro la parete, quasi sul punto di svenire. La traduzione di Grundy finì. «Sei il migliore bugiardo che abbia mai conosciuto,» disse ammirato. «Sono il bugiardo più spaventato che tu abbia mai conosciuto!» «Beh, immagino che bisogna fare pratica. Ma sei stato bravo. Riuscivo appena a trattenermi con tutte quelle fandonie! Ma sapevo che, se accennavo ad un sorriso, mi sarei ritrovato pieno di aghi.» Dor rifletté sulle implicazioni di quella storia. Aveva vinto veramente solo con le menzogne. Era quello il modo in cui doveva comportarsi? Ne dubitava. Prese una risoluzione: non avrebbe più mentito. A meno che non fosse assolutamente necessario. Se qualcosa non poteva essere compiuta onestamente, probabilmente non valeva la pena di essere compiuta. «Non avevo mai capito quanto fossi vigliacco,» disse Dor, cambiando argomento. «Non crescerò mai.» «Anch'io sono un vigliacco,» disse Grundy per consolarlo. «Non mi sono mai spaventato tanto da quando sono diventato reale.» «Ancora un ostacolo da superare: il peggiore. Vorrei avere le dimensioni e il coraggio di un uomo!» «Anch'io,» convenne il golem. Il passaggio terminava con una porta normale chiusa con saliscendi normale. «Ci siamo, preparati o no,» mormorò Dor. «Tu non sei preparato,» replicò la porta. Dor la ignorò. Lavorò intorno al saliscendi e aprì la porta. C'era una piccola stanza rivestita di piume di Uccelli del Paradiso. Una donna di perfezione straordinaria stava davanti a loro. Indossava un abito scollato, un paio di sandali, incastonati di gioielli, un ampio fazzoletto e un paio di occhiali scuri, importati da Mundania. «Benvenuti, ospiti,» sussurrò, in un modo tale che lo sguardo di Dor fu attratto verso la sede del respiro, proprio dove la scollatura era più profonda e più piena. «Uh, grazie,» disse Dor, imbarazzato. Quello era il pericolo peggiore? Non aveva bisogno di essere adulto per capire che era un pericolo a cui pochi uomini si sarebbero sottratti. «C'è qualcosa in lei... Non mi piace,» gli sussurrò Grundy all'orecchio. «Mi pare di conoscerla...»
«Ecco, fatti dare un'occhiata,» disse la donna, alzando una mano verso gli occhiali. Lo sguardo di Dor passò dal busto alla faccia. I capelli di lei cominciarono a muoversi sotto il fazzoletto, come se vivessero di una vita individuale. Grundy si irrigidì. «Chiudi gli occhi!», gridò. «Ora la riconosco. Quei serpenti al posto dei capelli... è la gorgone!» Gli occhi di Dor si serrarono. Avanzò lentamente, cercando di uscire dalla stanza prima che qualche incidente lo costringesse ad aprire involontariamente gli occhi. Sapeva chi fosse la gorgone. Il suo sguardo mutava gli uomini in pietra. Se incontravano quello sguardo con il loro. Nel muoversi alla cieca, i piedi urtarono contro un gradino, e Dor cadde a terra. Gettò le braccia in avanti per proteggersi il volto, ma non aprì gli occhi. La caduta fu dolorosa, ed egli giacque immobile, con le palpebre ancora serrate. Si sentì il fruscio di lunghe vesti avvicinarsi. «Alzati, giovane,» disse la gorgone. La sua voce era ingannevolmente dolce. «No!», gridò Dor. «Non voglio diventare di pietra!» «Non diventerai di pietra. Gli ostacoli sono finiti; sei riuscito ad entrare nel castello del Buon Mago Humfrey. Nessuno ti farà del male qui.» «Va' via!», disse. «Non ti guarderò!» Lei sospirò, molto femminilmente. «Golem, guardami tu. Poi potrai rassicurare il tuo amico.» «Nemmeno io voglio diventare di pietra!», protestò Grundy. «Ho fatto troppa fatica a diventare reale per gettare tutto all'aria ora. Ho visto che cosa è successo a tutti quegli uomini che tua sorella la sirena ha attirato con inganni alla tua isola.» «E hai visto anche come il Buon Mago ha annullato i miei poteri. Ora, non c'è più pericolo.» «È vero! Lui... ma come faccio a sapere che l'incantesimo è ancora in funzione? È passato molto tempo da quando...» «Prendi quello specchio e guardami prima attraverso il riflesso,» disse lei. «Poi lo saprai.» «Non posso prendere quello specchio così grande! Sono alto solo qualche centimetro, sono solo un... oh, è inutile! Dor, la guarderò. Se diventerò di pietra, saprai che non puoi fidarti di lei.» «Grundy, non...» «Già l'ho fatto,» disse il golem, con sollievo. «È tutto a posto, Dor, puoi guardare.»
Grundy non lo aveva mai immaginato. Dor strinse i denti, socchiuse un occhio, e vide la stanza illuminata e il piede più vicino della gorgone. Era un piede molto grazioso, con le unghie laccate di una lacca fluorescente, sormontato da una bella caviglia. Strano come non avesse mai notato prima le caviglie di una donna! Si alzò sulle mani e sulle ginocchia, i suoi occhi scivolarono cautamente lungo le sue gambe meravigliosamente modellate, finché la loro visione non fu interrotta dall'orlo dell'abito. Era un abito grazioso e leggermente trasparente cosicché le gambe si intravedevano anche più su... ma basta con gli indugi. Costrinse i suoi occhi riluttanti a scivolare lungo i suoi contorni finché non arrivarono alla testa. I capelli della donna, ora sciolti, consistevano in una massa di serpentelli che si contorcevano. Erano spaventosamente orribili. Ma la faccia... non era nulla. Solo un vuoto, come se la testa fosse un pallone cavo cui fosse stato tolto il pannello anteriore. «Ma... ma ho visto la tua faccia prima: tutto tranne gli occhi...» «Hai visto questa maschera,» disse lei, sollevandola. «E gli occhiali scuri. Non avevi nessuna possibilità di vedere la mia vera faccia.» Così sembrava. «Allora perché...?» «Per spaventarti... se ti manca il coraggio necessario per raggiungere il Buon Mago.» «Ma io ho solo chiuso gli occhi e ho corso,» disse Dor. «Ma hai corso in avanti, non indietro.» «Era vero. Perfino preso dal terrore, non aveva rinunciato alla sua ricerca. Oppure aveva semplicemente corso nella direzione che aveva di fronte? Dor non ne era certo. Osservò di nuovo la gorgone. Una volta abituandosi all'anomalia del volto mancante, la trovò attraente. «Ma tu... che cosa fa qui una gorgone?» «Presto il mio anno di servizio, in attesa della Risposta.» Dor scosse la testa, cercando di raddrizzarla. «Tu - se mi è permesso di chiedertelo - qual è la tua Domanda?» «Ho chiesto al Buon Mago se vuole sposarmi.» Dor non riuscì a parlare. «Lui... lui ti fa... prestare un anno di servizio... per questo?» «Oh, sì. Lui esige sempre un anno di servizio, o qualcosa di equivalente. È per questo che ha tante magie intorno al castello. È da circa un secolo che fa questi affari.» «So tutto! Ma la tua era un genere diverso di...» Lei parve sorridere, dietro la sua invisibilità. «Nessuna eccezione, tranne forse dietro ordine diretto del Re. A me non importa. Sapevo che cosa mi aspettava quando sono
venuta qui. Tra poco il mio anno finirà, e avrò la mia Risposta.» Grundy scosse la sua testolina. «Credevo che il vecchio gnomo fosse un po' tocco. Ma... è completamente pazzo!» «Assolutamente,» disse la gorgone. «Potrei essere una buona moglie, una volta acquisita la pratica. Lui può essere vecchio, ma non è inservibile, e ha bisogno...» «Volevo dire che è pazzo a farti lavorare un anno. Perché non ti sposa subito, e ti fa prestare servizio per tutta la vita?» «Vuoi che gli ponga una seconda Domanda, e che serva un altro anno per la Risposta?», domandò lei. «Uh, no. Era solo curiosità. Non capisco veramente il Buon Mago.» «Tu e tutti gli altri!», acconsentì lei in tono lievemente ironico, e Dor cominciò a provare una certa affinità per quella donna bella e senza volto. «Ma lentamente sto imparando a capirlo. Hai posto un'ottima domanda; dovrò pensarci, e forse potrò trovare da sola la risposta. Se vuole i miei servizi, perché mi ha chiesto di prestarli per un anno quando avrebbe potuto averli subito per tutta la vita? Se non vuole i miei servizi, perché non mi manda a fare la guardia al fossato o a fare qualcosa in un posto dove non deve vedermi tutti i giorni? Ci deve essere un motivo.» Si grattò la testa, e parecchi serpentelli sibilarono. «Perché vuoi sposarlo?», chiese Grundy. «È un vecchio gnomo così gnomesco che non è una gran cosa per una donna, soprattutto se graziosa.» «Chi ti ha detto che volevo sposarlo?» Grundy reagì a scoppio ritardato. «Tu chiaramente... la tua Domanda...» «È solo per informazione, golem. Una volta che saprò se vuole sposarmi, sarò in grado di decidere se devo farlo. È una decisione difficile.» «Sono d'accordo,» disse Grundy. «Il Re Trent deve aver sofferto altrettanto prima di sposare la Regina Iris.» «Tu lo ami?» chiese Dor. «Beh, penso di sì. Vedi, è il primo uomo che mi abbia guardato senza... lo sai.» Lei accennò con la testa verso l'angolo. C'era la statua di un uomo, meravigliosamente scolpito nel marmo. «È...» chiese Dor, allarmato. «No, sono veramente una statua,» gli rispose la pietra. «Un'opera bella e originale di scultura.» «Humfrey non mi permette di operare conversioni reali,» disse la gorgone. «Nemmeno in ricordo dei vecchi tempi. Sono qui solo per riconoscere
gli stupidi e spaventare i deboli di cuore. Il Mago non vuole rispondere ai vigliacchi.» «Allora non mi risponderà,» disse tristemente Dor. «Ero così spaventato...» «No, quella non è vigliaccheria. Essere spaventati ma andare avanti e fare ciò che si deve fare: questo è coraggio. Colui che non ha paura è pazzo, e colui che lascia che la paura lo domini è vigliacco. Tu non sei né l'uno né l'altro. E lo stesso vale per te, golem. Tu non hai mai abbandonato il tuo amico, e hai rischiato il tuo prezioso corpo di carne per aiutarlo. Penso che il Mago risponderà.» Dor rifletté. «Certamente non mi sento molto coraggioso,» disse alla fine. «Tutto quello che ho fatto è stato nascondere la faccia.» «Ammetto che sarebbe stato più di grande effetto se tu avessi chiuso gli occhi e avessi combattuto con me alla cieca,» disse. «O se avessi preso uno specchio. Ne teniamo parecchi a portata di mano, per coloro che hanno il coraggio di prendere questa decisione. Ma tu sei solo un ragazzo. Le norme non sono così rigide.» «Uh, sì,» convenne Dor, non molto soddisfatto. «Mi avresti dovuto vedere quando sono arrivata qui,» disse con calore. «Ero così spaventata: nascosi la faccia... proprio come hai fatto tu.» «Se tu non avessi nascosto la faccia, avresti trasformato tutti in pietra,» osservò Grundy. «Anche questo è vero,» convenne lei. «Ascolta,» domandò Grundy. «Dodici anni fa tu hai conosciuto il Buon Gnomo. Io c'ero, ricordi? Come mai sei venuta solo ora a fare la tua Domanda?» «Ho lasciato la mia isola all'Epoca della Non Magia,» disse con sincerità. «Ad un tratto non funzionava più nessuna magia in tutta la Terra di Xanth, e le creature magiche morivano o diventavano mundane, e tutti gli incantesimi erano distrutti. Io non so perché...» «Io lo so,» disse Grundy. «Ma non posso dirlo. Posso solo dire che non capiterà più.» «Tutte le mie conquiste passate tornarono in vita. C'erano uomini piuttosto turbolenti lì, lo sai: troll e creature simili. Perciò mi spaventai e scappai. Temevo che mi facessero del male.» «Era una paura sensata,» disse Grundy. «Quando tu fuggisti, loro tornarono al Villaggio della Polvere Magica da cui venivano per la maggior parte, e immagino che siano ancora lì. C'era una quantità di donne bramose in
quel villaggio, dopo tutto quel tempo in cui i loro uomini erano mancati.» «Ma quando la magia tornò, l'incantesimo che il Mago aveva fatto sul mio volto scomparve. Era del tipo che dura finché non viene interrotto. Molti incantesimi sono di questo genere, compreso il mio. Di conseguenza, mi fu restituita la faccia, e io... lo sai.» Dor lo sapeva. Aveva ricominciato a fare statue. «Nel frattempo, avevo capito che cosa succedeva,» continuò la gorgone. «Ero stata molto ingenua, lì su quell'isola isolata, ma stavo imparando. Non volevo essere così. Allora ricordai che cosa aveva detto Humfrey a proposito di Mundania, dove la magia non funziona mai - deve esserci certamente un potente controincantesimo su quella terra! - e vi andai. E lui aveva ragione. Ero una ragazza normale. Avevo creduto che non avrei mai sopportato di lasciare Xanth, ma l'Epoca della Non-Magia mi aveva dimostrato che, dopotutto, potevo sopportarlo. E, quando tentai, ci riuscii. Era tutto strano e buffo, ma non brutto come avevo temuto. La gente mi accettava, e gli uomini... sai che non avevo mai baciato un uomo a Xanth?» Dor si vergognò nel sentire quella frase. Lui non aveva mai baciato un'altra donna oltre sua madre che, naturalmente, non contava. Pensò fuggevolmente a Millie. Se... «Ma dopo un po' Xanth cominciò a mancarmi,» continuò la gorgone. «La magia, le creature particolari: sai che sentivo perfino la mancanza degli alberi-groviglio? Quando si è nati nella magia, non la si può mettere da parte tanto semplicemente: è una parte di se stessi. A quel punto fui costretta a tornare indietro. Ma questo significava, come sai, altre statue. Perciò venni al Castello di Humfrey. Nel frattempo avevo saputo che era il Buon Mago - non me l'aveva detto quando ci eravamo conosciuti! - e che non era facilmente avvicinabile, e mi innervosii come una ragazzina. Sapevo che se volevo stare con un uomo a Xanth, l'uomo avrebbe dovuto essere uno come lui. Che avesse il potere di neutralizzare il mio talento. Più ci pensavo... beh, sono qui.» «Non hai avuto problemi ad entrare nel castello?» «Oh, sì! È stato terribile! C'era un corno da nebbia a guardia del fossato, e io avevo trovato una barchetta ma, ogni volta che tentavo di attraversare il fossato, quel corno lanciava delle colonne di nebbia così fitta che non vedevo né sentivo niente, e la barca ritornava sempre a riva. Era una barca magica, capisci: bisognava governarla, altrimenti ritornava al punto di partenza. Io ero tutta coperta dalla nebbia, e i miei capelli sibilavano orribilmente: a loro non piacciono quel genere di cose.»
I suoi capelli, naturalmente, consistevano in una miriade di serpentelli o anguille. Erano piuttosto belli, ora che si stava abituando allo stile. «Come sei riuscita ad attraversare il fossato, allora?» «Alla fine mi feci furba. Timonai la barca direttamente verso il corno da nebbia, non importava quanto fosse densa la nebbia stessa. Era come nuotare attraverso una cascata! Quando raggiunsi il corno... ero dall'altra parte. Perché si trovava all'interno, non all'esterno.» «Accidenti... lo gnomo arriva,» disse Grundy. «Oh, devo tornare al lavoro!», disse la gorgone e si affrettò ad uscire dalla stanza. «Ero a metà del bucato quando siete arrivati; il Mago usa una quantità di calzini!», e se ne andò. «Gli gnomi hanno dei piedoni sporchi,» osservò Grundy. «Somigliano ai goblin, da questo punto di vista.» Il Buon Mago Humfrey entrò. Era, in realtà, somigliante a uno gnomo. Era vecchio, nodoso e basso. Aveva i piedi grandi, nudi e, sì, sporchi. «Non c'è un paio di calzini puliti in tutto il castello!», brontolò. «Ragazza, non hai ancora finito il bucato? Te l'ho chiesto un'ora fa!» «Uh, Buon Mago...», disse Dor, avvicinandoglisi. «Non è che i calzini siano tanto complicati da lavare,» continuò Humfrey in tono irritato. «Le ho mostrato l'Incantesimo della Pulizia.» Si guardò intorno. «Dov'è quella ragazza? Pensa forse che tutta la Terra di Xanth sia fatta di pietra e aspetti solo i suoi comodi?» «Uh, Buon Mago Humfrey,» disse Dor, facendo un altro tentativo. «Sono venuto a chiedere...» «Non posso stare un minuto di più senza i miei calzini!», disse Humfrey, sedendosi sullo scalino. «Non sono più un bambino che gira a piedi scalzi. E anche quando lo ero, portavo sempre le scarpe. Una volta ho versato qui la polvere pruriginosa, e ce l'ho già tra le dita. Se quella stupida ragazza non...» «Ehi, vecchio gnomo!», disse Grundy con un urlo assordante. Humfrey gli lanciò un'occhiata distratta. «Oh, salve, Grundy. Che cosa fai qui? Non ti avevo detto come diventare reale?» «Io sono reale, gnomo,» disse Grundy. «Sto solo parlando la tua lingua, visto che questo è il mio talento. Sono qui con il mio amico Dor, e gli sto mostrando come si fa ad attirare l'attenzione di un Mago.» «Dor non ha bisogno dell'attenzione di un Mago. È un Mago lui stesso. Ha bisogno di una ricerca. Dovrebbe scoprire il segreto della trasformazione in uomini degli zombie, in modo da fare felice Millie il Fantasma. Inol-
tre, non sono vestito per ricevere ospiti. I miei calzini...» «Al diavolo i tuoi calzini!», esclamò Grundy. «Il ragazzo ha fatto tutta questa strada per chiederti come trovare quel segreto, e tu devi dargli una Risposta.» «Al diavolo i miei calzini? Non prima che siano puliti! Non vorrei morire con un paio di calzini sporchi.» «Va bene, gnomo, ti vado a prendere i calzini,» disse Grundy. «Tu resti qui, su questo scalino e parli a Dor, okay?» Saltò giù e corse via dalla stanza. «Uh, mi dispiace...», cominciò Dor esitante. «Ci è voluto un po' prima che Grundy afferrasse il messaggio, ma la capacità cranica dei golem è molto piccola. Ora che ci ha lasciati soli, ti posso comunicare delle riflessioni personali.» «Oh, non mi importa se Grundy...» «Il fatto è che, Dor, tu sei candidato ad essere il prossimo Re di Xanth. Ora supponiamo che io esiga il solito anno di servizio per la mia Risposta, questo sarebbe inopportuno se tu diventassi Re prima della mia morte. Le mie relazioni mi dicono che sarà così. Non si può mai essere assolutamente certi del futuro, naturalmente; i testi di storia futura lo travisano quasi quanto i testi di storia passata travisano il passato. Ma perché rischiare stupidamente? Tu sei un Mago completo per diritto di nascita, con un potere grande quanto il mio, e di genere simile. A tempo debito, ne saprai quanto me. È opportuno trattare con i colleghi Maghi su basi paritarie. Inoltre, la perdita di un anno della tua vita, a questo stadio, potrebbe minacciare il benessere di tuo padre, Bink, che si preoccupa molto per te, e questo sarebbe un danno irreparabile. Ricordo quando stavo tentando di scoprire il suo talento, e il gigante invisibile arrivò qui marciando ad un passo più pesante di quello di un orco e per poco non buttò giù il castello. Ma questa è un'altra faccenda. In questo caso, comunque, io non posso fornirti una Risposta completa, perché c'è un'ambiguità nei documenti. Sembra che sia il segreto professionale di un altro Mago. Sei disposto a fare un patto?» «Io, uh...» disse Dor, non ancora confuso, ma molto vicino ad esserlo. Storia futura? Diventare Re in un futuro prevedibile? Il talento misterioso di suo padre? Un altro Mago? «Molto bene. Tu vuoi l'Elisir della Rinascita. Io voglio delle informazioni storiche su un'Ondata di Xanth, molto vaga ma molto importante. L'elisir è simile all'Elisir della Vita che è abbastanza comune oggi, ma ha una formula nettamente diversa, adattata agli zombie. Solo il Si-
gnore degli Zombie della Quarta Ondata conosce la formula. Se ti do la possibilità di parlare con lui, tu mi farai un resoconto completo delle tue avventure in quel regno?» «La... Quarta Ondata? Ma...» «Allora, affare fatto!», disse Humfrey. «Firma questo atto di cessione, in modo che io possa affidare agli incantesimi il mio testo di storia.» Ficcò una penna d'oca nella mano flaccida di Dor e una pergamena stampata, e Dor firmò automaticamente. «È ottimo fare affari con un Mago ragionevole. Ah, ecco finalmente i miei calzini. Che bello!» Infatti, il golem era ricomparso barcollando sotto il peso enorme. Humfrey si chinò in avanti e cominciò ad infilare i grandi piedi nei calzini. Non c'era da stupirsi, pensò Dor, che si sporcassero così in fretta! Il Mago non si prendeva il fastidio di lavarsi i piedi prima di mettere i calzini. «Il problema con la Quarta Ondata della colonizzazione umana di Xanth è che è avvenuta circa otto secoli fa. Spero che tu abbia familiarità con la storia di Xanth. Il pedagogo centauro ti ha dato tutte le informazioni? Bene. Allora non c'è bisogno che ti ricordi che i Mundani arrivavano in brutali Ondate di conquista. Uccidevano, depredavano e devastavano finché non distruggevano tutto. Poi non restava loro niente di meglio da fare che fermarsi a guardare i loro figli diventare magici. Dopodiché arrivava una nuova Ondata di barbari non magici che li invadevano e li distruggevano. Un'Ondata poteva avere la durata di parecchie generazioni. La più ardita di tutte, per motivi che per ora non approfondiremo, fu la Quarta Ondata. I più grandi Maghi antichi vissero allora: il Re Roogna, che costruì Castel Roogna; il suo grande nemico e compagno di bevute, il Mago Murphy; e il Signore degli Zombie, con cui tu parlerai. Più altri talenti minori come quello della neo-Maga Vadne. Io non so come farai a cavare fuori la formula dell'elisir al Signore degli Zombie. Era una specie di eremita, non era socievole come me.» Grundy sbuffò in segno di disprezzo. «Grazie,» disse Humfrey. Sembrava nutrirsi di insulti. «Siedi, Dor, proprio lì.» Dor, troppo disorientato per protestare, sedette sul tappeto decorato su cui era in piedi, Grundy prese posto accanto a lui. Il pelo del tappeto era folto, e Dor stava comodo. «Ma il problema principale è la struttura del tempo. Il Signore degli Zombie non può venire da te, perciò tu devi andare da lui. L'unico modo attualmente praticabile è andarvi attraverso l'arazzo.»
«L'arazzo?», chiese Dor, sorpreso nel sentir nominare un oggetto così familiare. «L'arazzo di Castel Roogna?» «Esattamente. Ti darò un incantesimo che ti metterà in grado di entrarvi. Non lo farai fisicamente, è naturale; il tuo corpo è troppo grande per essere ridotto in scala. L'incantesimo potrebbe creare un tuo sosia, ma sei cento volte più grande. Perciò tu animerai il corpo di uno dei personaggi che sono già raffigurati nell'arazzo. Dovremo trovare una sistemazione per il tuo corpo attuale... ah, ci sono! Il Corallo-Cervello! Gli devo un favore, o lui lo deve a me... non importa. Il Corallo ha sempre desiderato provare ad essere un mortale. Potrà animare il tuo corpo durante la tua assenza, così nessuno saprà niente. Il golem lo aiuterà a difenderti, naturalmente.» «Lo faccio sempre,» disse Grundy soddisfatto. «Ora il tappeto ti porterà al Corallo, poi all'arazzo. Non preoccuparti; l'ho programmato. È meglio che tu prenda qualcosa da mangiare durante il viaggio. Gorgone!» La gorgone entrò di corsa con tre fialette in mano. «Non ti sei lavato i piedi!», gridò al Mago, che sussultò. Humfrey le tolse dalla mano una fialetta bianca. «Ho dovuto farglielo preparare prima, perciò se pietrifica il tuo stomaco, prenditela con lei, non con me.» Sogghignò nel porgere il contenitore tappato a Dor. «Grundy, tu prenditi cura dell'incantesimo. Ricorda, è in due parti: la gialla lo fa entrare nell'arazzo, la verde fa entrare Corallo nel suo corpo. Non confonderle!» Diede al golem due pacchetti colorati. «O è al contrario? Beh, ora andate. Non posso perdere tutto il giorno con voi.» Batté le mani e il tappeto su cui sedeva Dor si innalzò. Troppo sorpreso per protestare, Dor strinse le mani intorno ai bordi e si aggrappò. «Non ti sei neanche lavato i piedi,» sentì che la gorgone diceva in tono indignato ad Humfrey mentre il tappeto sorvolava la stanza e prendeva posizione. «Ma ho lanciato due Incantesimi di Pulizia a Secco, uno per ogni piede, perciò...» Dor perse il resto del battibecco. Il tappeto uscì dalla stanza, attraversò molte altre camere, virò oltre un angolo, salì lungo un'interminabile scala a chiocciola, e uscì dalla finestra di un'alta torretta, Dor per poco non sì spellò le nocche delle dita contro gli stipiti. Rapidamente la terra si allontanò sempre più. Ormai il castello del Mago sembrava minuscolo. «Ehi... credo di soffrire di vertigini!», gridò Dor, mentre gli girava la testa.
«Che assurdità,» rispose Grundy. «Sei sistemato bene quassù, non è vero? Che cosa vuoi fare, saltare?» «Noooooo!», gridò Dor, inorridito. «Ma potrei tranquillamente cadere.» «Hai solo bisogno di un buon pasto per sistemare lo stomaco durante questo viaggio monotono,» disse Grundy. «Apriamo questa bottiglia bianca...» «Non ho fame! Penso di avere il mal di montagna!» Il golem tirò il tappo che saltò con uno schiocco. Ne uscì un fumo lieve che ondeggiò, turbinò e si addensò in due bei panini, un bicchiere colmo di latte, e un ramoscello di prezzemolo. Dor fu costretto ad afferrare il tutto prima che il vento lo portasse via. «Viaggiamo veramente con stile!», disse Grundy mordicchiando il prezzemolo. «Bevi il latte, Dor.» «Parli proprio come Millie.» Ma Dor ingoiò il latte. Era molto buono: ovviamente era stato appena munto dal baccello, e l'erbalatte doveva crescere su un terreno di cioccolata. «Ho sentito dire che in Mundania mungono il latte dagli animali,» osservò Grundy. Quest'affermazione fece fare allo stomaco di Dor un altro giro. Erano veramente barbari in Mundania. Poi cominciò ad addentare un panino, visto che se non lo mangiava, doveva reggerlo, e lui voleva avere le mani libere per afferrarsi di nuovo al tappeto. Era un panino alla rapa e al prosciutto di porta, il suo preferito. Naturalmente il Buon Mago si era informato sui suoi gusti e l'aveva preparato per quell'occasione prima che Dor arrivasse al castello. Il secondo era un panino al sugo di patate rosse, alquanto gelatinoso, ma di sapore eccellente. La gorgone era un'ottima cuoca. Dor pensò alla stranezza di una creatura formidabile come la gorgone ridotta a fare la cameriera al castello del Mago, in attesa di sapere se Humfrey voleva sposarla. Eppure non era questa la sorte delle donne normali? Forse il Mago le stava solo mostrando che cosa si doveva aspettare dal matrimonio. Poteva essere più importante della sua Risposta reale. Oppure era parte della Risposta! Il Buon Mago aveva le sue particolarità, ma anche una percezione distorta della realtà. Sapeva tutto di Dor, eppure lo aveva lasciato lottare contro gli ostacoli che erano all'entrata del castello. Strana prova d'ammissione! Il tappeto s'inclinò in avanti, provocando a Dor un altro attacco di vertigini. Eppure il suo mezzo di trasporto sembrava sicuro. Il materiale del tappeto pareva reggere il suo corpo solidamente ma comodamente, cosic-
ché Dor non scivolava nemmeno quando il tappeto si inclinava. Meravigliosa magia! Il tappeto virò e cominciò a girare in cerchio per atterrare, ma non atterrò. Si tuffò ad una velocità spaventosa direttamente verso un profondo crepaccio nel terreno. «Dove stiamo andando?», gridò Dor, allarmato. «Tra le braccia di un albero-groviglio!», replicò Grundy. «Un albero grandissimo!» Indicò davanti a sé, e per una volta non sembrava baldanzoso. «Giusto!», convenne il tappeto, accelerando ancora. Era veramente un grande albero-groviglio, uno che nemmeno un orco avrebbe potuto intimorire. Il suo tronco massiccio cresceva dal fondo del crepaccio, mentre i tentacoli superiori si appoggiavano ai bordi. Quale difficoltà doveva superare il viaggiatore che volesse attraversare quell'abisso! Il tappeto virò di nuovo, accelerò ancora e volò a bassa quota sulla cima dell'albero. I tentacoli si alzarono irritati. «Questo tappeto è impazzito?», domandò Dor. «Nessuno si aggroviglia con un albero-groviglio di taglia grande!» «Oh, una grande sfinge potrebbe cavarsela con quest'albero,» suggerì Grundy. «O il vecchio gigante invisibile. O un basilisco.» Il tappeto virò ancora, mentre i capelli di Dor svolazzavano da tutte le parti, e si abbassò per un altro snervante passaggio sulla cima dell'albero. Questa volta i tentacoli erano pronti; si alzarono in una grande massa verde per intercettarlo. «Maledizione!», gridò Grundy, coprendosi gli occhi. «Perché sono diventato reale?» Ma il tappeto si tuffò al di sotto dei tentacoli, sfrecciò accanto al tronco nudo e minaccioso dell'albero-groviglio e si diresse verso la sua base. Il terreno si apriva in una piccola spaccatura in cui si infilava una radice... e il tappeto si lasciò cadere in quel buco. Giù, giù: l'orrore dell'altezza fu sostituito dall'orrore della profondità! Dor si accucciò, aspettandosi di finire schiacciato contro una parete da un momento all'altro. Ma il tappeto sembrava conoscere bene la sua rotta spaventosa: non sfiorò nemmeno una parete. Cominciava a intravedersi una piccola luce: un bagliore che proveniva dalle pareti. Ma il chiarore mostrò solo quanto fosse contorto quell'abisso. Una camera dopo l'altra si apriva e si chiudeva, e corridoi si ramificavano a tutti gli angoli. Ma il tappeto correva sicuro lungo la sua rotta programmata, scendendo sempre più giù nelle viscere di Xanth. Viscere. Dor desiderò che la sua mente non avesse formulato quella fra-
se. Sentiva ancora una nausea nervosa. Quella corsa spericolata... Il tappeto si fermò di colpo davanti ad un cupo lago sotterraneo. In quella debole illuminazione l'acqua stessa assumeva uno strano bagliore che rivelava profondità fangose dai segreti spaventosi. Il tappeto si appoggiò al pavimento della caverna e divenne immobile. «Questa deve essere la nostra stazione,» osservò Grundy. «Ma non c'è niente qui!» Niente di vivente, intendeva Dor. Sono qui, pensò qualcosa nella sua mente. Io sono il Cervello-Corallo: sono qui, sotto la sua superficie del lago. Porti le stimmate del Buon Mago e sei accompagnato dal suo golem. Sei venuto a pagare il debito che ha con me? «Io sono il mio golem!», protestò Grundy. «E non sono più un golem. Sono reale!» «Lui ha detto che tu hai un debito con lui,» Dor rispose nervosamente al Cervello-Corallo. Era un posto sgradevole, e in quella voce mentale si avvertiva un potere inquietante e una qualità aliena. Quella era una creatura dalla magia del calibro di un Mago, ma non era del tutto umana. «Io penso.» È lo stesso, pensò la voce. Forse era il pensiero a parlare. Qual è l'offerta? «Tu... se vorresti animare il mio corpo intanto che il mio spirito è lontano... so che non è un granché di corpo, è solo giovane...» È andata!, replicò il Corallo. Va' a fare i tuoi incantesimi; io ci sarò. «Uh, grazie. Io...» Grazie a te. Esisto da mille anni, ho conservato molti mortali nel mio lago protettivo, senza mai godere delle sensazioni della mortalità. Ora finalmente le proverò, anche se fuggevolmente. «Uh, sì, credo di sì. Capisci che rivorrò il mio corpo quando...» Naturalmente. Gli incantesimi di questo genere sono sempre autolimitanti; passeranno non più di quindici giorni e si riconvertirà. Il tempo sufficiente. Autolimitanti? Dor non lo sapeva. Era un bene che il Mago Humfrey avesse disposto in quel modo. Se Dor avesse tentato di fare egli stesso un incantesimo del genere, avrebbe potuto restare per sempre nell'arazzo. Gli incantesimi migliori erano quelli a prova d'errore. Il tappeto partì senza preavvertimento. «Addio, Corallo!» Dor gridò, ma non ebbe risposta. O il raggio di comunicazione di Cervello-Corallo era breve, oppure aveva cessato di prestare attenzione. Oppure rifiutava le cor-
tesie inutili. Il viaggio di ritorno fu simile alla discesa, con le sue interminabili contorsioni, ma ormai Dor si sentiva più sicuro, e il suo stomaco si manteneva a posto. Aveva una nuova fiducia nella pianificazione del Buon Mago e nella competenza del tappeto. Sussultò appena quando uscirono dalla spaccatura e passarono accanto all'albero-groviglio, sebbene avesse un conato di vomito quando i tentacoli si contrassero. Il tappeto scansò l'abbraccio, lasciando l'albero-groviglio a stringere il nulla, e sfrecciò lungo la base del crepaccio. Quando furono lontani dall'albero, si alzò dolcemente dal crepaccio e si spinse verso il cielo. Il pomeriggio era di una luminosità accecante dopo il buio delle caverne. Presero a volare verso nord. Dor guardò in basso, cercando di scorgere il Villaggio della Polvere Magica, ma vide solo giungla. Una zona era scura, come se fosse bruciata, ma non c'era nessun villaggio. Poi, all'improvviso, Castel Roogna si stagliò all'orizzonte. Il tappeto sorvolò il castello una volta, prese posizione, poi virò verso il basso, entrò attraverso una finestra, attraversò un pianerottolo, ed entrò nella stanza dell'arazzo. «Ecco il primo incantesimo,» disse Grundy, sollevando l'involto giallo. «No, aspetta!», gridò Dor, improvvisamente sopraffatto dalla grandezza di ciò che contemplava. Aveva immaginato di dover solo andare alla ricerca di qualche fonte nascosta nel mondo contemporaneo, e invece si trovava davanti ad un'impresa molto più significativa. Entrare veramente in un quadro... «Ho bisogno di un po' di tempo per sgranchirmi le gambe, per...» Per decidere se avrebbe veramente accettato di affrontare quella sfida. Forse... Ma Grundy aveva già lacerato la carta che avvolgeva il pacchetto. Una nebbiolina gialla si sparse, si diffuse nell'aria e formò una nuvoletta. «Non so nemmeno in quale corpo dell'arazzo...» Poi la nebbia, che si andava espandendo, lo avvolse. Dor si sentì fluttuare, gli parve di cadere senza cadere. Per un momento vide il suo corpo rimanere stupidamente in piedi. Aveva i capelli arruffati e la bocca spalancata. Poi il grande arazzo venne verso di lui, si espanse enormemente. Sulla stoffa c'era un insetto che si allargò e scomparve. Dor guardò un tratto di giungla intricata. C'era un giovane muscoloso che impugnava una spada enorme che brandiva contro... Capitolo 3: SALTATORE
Dor stava in guardia, con la fida spada sguainata. I goblin che gli erano davanti scomparvero, spaventati, prima che riuscisse a vederli bene. Non aveva mai visto dei goblin in carne ed ossa. Erano piccoli, storti e orrendi, con teste, mani e piedi sproporzionatamente grandi. Goblin? Era naturale che non li avesse mai visti! Era da secoli che non si vedevano goblin sulla superficie di Xanth alla luce del giorno! Si nascondevano nelle caverne sotterranee, timorosi della luce. Oh... ma quello non era più il presente! Era l'arazzo che raffigurava il mondo di otto secoli prima. Perciò vi erano i goblin: arditi, non spaventati dalla luce del giorno. Ma lui, che fine aveva fatto lui? Quel corpo... oh, sì, il corpo del giovane gigantesco e muscoloso. Dor non aveva mai provato una simile forza. La spada massiccia era leggera nelle sue mani, sebbene sapesse che con il suo vero corpo sarebbe riuscito a stento a sollevarla con due mani. Era il corpo che aveva sempre sognato di avere! Qualcosa lo punse alla testa. Dor si colpì con una mano, e si sentì girare la testa ma, qualsiasi cosa fosse, se n'era andata. Gli era sembrata una pulce o un pidocchio. Non aveva con sé Incantesimi Antipidocchio. Già le scomodità della vita primitiva si facevano sentire. La giungla era vicina. Rami dalle grandi foghe formavano una muraglia verde dall'aspetto solido. C'erano meno piante magiche del suo mondo solito; gli alberi somigliavano molto di più a quelli di Mundania. Il che aveva senso: la Terra di Xanth era molto più simile nella natura a Mundania di quanto fosse all'epoca di Dor. L'evoluzione: il pedagogo centauro gli aveva insegnato che le cose magiche evolvono in cose più magiche, per competere e sopravvivere meglio. Qualcosa entrò nel suo campo visivo. Dor si girò a guardare... e scoprì che non era stata la sua spada a far ritirare i goblin. Dietro di lui c'era un ragno dell'altezza di un uomo. Dor dimenticò i goblin che si nascondevano. Sollevò la grande spada, avvertendo la facilità con cui il suo corpo la maneggiava. Quello era un guerriero allenato i cui muscoli erano aumentati grazie all'esperienza e all'esercizio, il che era una fortuna, perché Dor non era uno spadaccino. Si sarebbe potuto ferire da solo, se il suo corpo non avesse posseduto ottimi riflessi. Il ragno reagì nello stesso modo. Non portava nessuna spada, ma non ne aveva bisogno. Aveva otto zampe pelose e due enormi occhi verdi... no,
quattro occhi, due grandi e due piccoli... no, ce n'erano almeno sei, sparsi sulla sua testa. Due zanne taglienti spuntavano dalla bocca ed erano inclinate verso il suo interno, e due zampe-bocca erano sistemate all'esterno. Insomma, era la creatura più orribile che Dor avesse mai visto. Si stava preparando a balzargli addosso. Per giunta, la bestia gli lanciava dei trilli, producendo una serie di suoni metallici che potevano essere solo minacce. Grundy il golem li avrebbe tradotti subito... ma Grundy era ad ottocento anni di distanza. Le due zampe anteriori del ragno erano alzate e, sebbene non avessero né dita né artigli, avevano un aspetto spaventoso. E quelle mandibole, e quegli occhi... Dor fece una finta con la spada, e ne fu molto sorpreso: il suo corpo stava mettendo in pratica la propria esperienza. Il mostro si ritrasse e trillò rabbiosamente. «Che cosa sta cercando di dire quella creatura?», si chiese Dor nervosamente, non del tutto sicuro di poter respingere il mostro, nonostante le sue misure e la sua forza fossero di gran lunga aumentate. La spada pensò che Dor le avesse parlato. «Io conosco il linguaggio da battaglia. Il mostro dice che non ha veramente intenzione di combattere, ma che non ha mai visto prima un orrore come te. Si chiede se sei buono da mangiare.» «Un orrore come me!», esclamò Dor incredulo. «Il mostro è pazzo?» «Io non posso giudicare una cosa del genere,» disse la spada. «Sono solo in grado di capire la competenza in battaglia. Questa creatura mi pare disorientata ma piuttosto competente. Per quanto ne sappia, potresti essere tu il pazzo.» «Io sono un ragazzo di dodici anni, e vengo dal futuro o dall'esterno di questo arazzo, come preferisci.» «Adesso i miei dubbi si sono chiariti. Sei indubbiamente pazzo.» «All'inferno, adesso sei nelle mie mani,» disse Dor, irritato. «Farai come dico io.» «Ad ogni modo, le spade sono sempre stati i migliori servi dei pazzi.» Il ragno mostruoso non aveva attaccato. La sua attenzione sembrava essere stata distolta. Era difficile dire quale fosse l'oggetto della sua diversione, perché i suoi occhi puntavano contemporaneamente in molte direzioni. Forse stava solo tentando di comprendere il suo dialogo con la spada. Dor cercò di capire che cosa stesse guardando... e vide ritornare i goblin. Bisogna dire una cosa sui goblin: erano ostili. Nessuno sapeva esattamente che cosa fosse loro accaduto, ma si era ipotizzato che fossero stati
scacciati sotto terra dopo secoli di guerra, a causa del loro odio implacabile per gli uomini. Un tempo, diceva la leggenda, i goblin andavano d'accordo con gli uomini; in realtà, erano imparentati alla lontana con gli uomini. Ma era cambiato qualcosa... «Non è una situazione buona,» disse Dor. «Se combatto con il mostro, i goblin mi attaccheranno da dietro. Ma se volto le spalle al ragno, questi mi mangerà. O qualcosa del genere.» «Allora uccidi il mostro, poi combatti con i goblin,» disse la spada. «Morire in un combattimento onorevole. Questa è la sorte del guerriero.» «Io non sono un guerriero!», gridò Dor, spaventato a morte. Non gli era venuto in mente che il mondo dell'arazzo potesse costituire immediatamente una minaccia per lui. Ma ormai vi era dentro: quel mondo sembrava del tutto reale, e lui non voleva scoprire se gli era possibile morire nell'arazzo. Forse la sua morte lo avrebbe semplicemente catapultato nel suo mondo prematuramente, avrebbe interrotto l'incantesimo e l'avrebbe ricacciato nel suo corpo, senza che la missione fosse compiuta. Forse sarebbe stata una morte più definitiva. «Eri un guerriero fino a pochi minuti fa,» disse la spada. «Certo, un guerriero molto stupido per esserti fatto intrappolare da questa banda multicolore di goblin, ma nondimeno un guerriero. Il cervello, ad ogni modo, non è mai stato un requisito per la guerra; in effetti, tende ad essere uno svantaggio. Ora, all'improvviso, sei timido come non so che, e parli come me. Non lo hai mai fatto prima.» «È il mio talento. Parlare con gli oggetti inanimati.» «Ha tutta l'aria di essere un insulto,» disse la spada, luccicando minacciosamente. «No, affatto,» disse in fretta Dor. In quel momento, non aveva proprio nessun bisogno di far arrabbiare la propria spada! «Sono l'unica persona che ha il privilegio di parlare alle spade. Tutte le altre persone devono parlare con altre persone.» «Oh,» disse la spada, raddolcita. «Questo è un onore insolito. Perché non mi hai mai parlato prima?» Dor si strinse nelle spalle. Non voleva toccare di nuovo il tasto della pazzia. «Forse non me ne sentivo degno.» «Deve essere così,» convenne la spada. «Ora uccidiamo quel mostro.» «No. Se non ha attaccato in questo frattempo, credo che sia vero che non voglia combattere. Mio padre dice sempre che è meglio essere amici, se è possibile. Una volta ha perfino fatto amicizia con un drago.»
«Dimentichi che io sono stata la spada di tuo padre prima che tu mi ereditassi. Non ha mai detto niente del genere. Diceva, 'Ingozzati, tracanna, e fa' l'amore, perché domani saremo sventrati.' Poi il marito di una donzella lo sorprese quando lui aveva tracannato e si era ingozzato, e così finì sventrato.» I Mundani erano dei bruti; Dor già lo sapeva. Perciò quelle notizie sulla famiglia cui apparteneva quel corpo non erano sconvolgenti. Ma era completamente diverso avere quelle notizie di prima mano. «A proposito di fare amicizia con un drago: la parola drago in gergo vuol dire una donna aggressiva.» La spada rise. «Oh, geniale! E assolutamente folle. Hai ragione; il tuo vecchio avrebbe potuto usare un'espressione del genere. Fare amicizia con un drago!» Dor decise di rischiare. Anche se la spada poteva tradurre in linguaggio umano quello che diceva il mostro, non poteva tradurre quello che diceva Dor nel linguaggio dei ragni mostruosi, perché non era il talento della spada. Era a senso unico. Ma la comunicazione avrebbe dovuto essere possibile, se Dor avesse fatto ogni sforzo per riuscire. «Farò un'offerta di pace a gesti,» disse alla spada. «Un'offerta di pace? Tuo padre si rivolterà nella sua tomba inzuppata di alcol!» «Tu devi solo tradurre che cosa mi dice il ragno.» «Io capisco solo il linguaggio da combattimento, non quella robetta da donnicciola,» disse la spada con dignità guerriera. «Se il mostro non combatte, io non ho nessun interesse.» «Allora ti metterò via.» Dor cercò il fodero. Si toccò il fianco, ma non vi trovò nessuna guaina. «Uh, dove ti devo mettere?» La spada disse qualcosa di incomprensibile. «Dove?», ripeté Dor, accigliandosi. «Nel mio fodero, idiota!», disse la spada in tono sferzante. «Dove diavolo è il fodero? Non riesco a trovarlo.» «Non ricordi niente! È di traverso sulla tua grande e stupida schiena, nel posto dove è sempre stato!» Dor si toccò la schiena con la mano sinistra. C'erano dei finimenti a cui era legato il fodero dall'anca destra alla spalla sinistra. Sollevò la spada e cercò di farne entrare la punta nel fodero. Ovviamente c'era un movimento preciso da fare, ma lui non lo conosceva. Se avesse permesso che al suo corpo di farlo automaticamente, non ci sarebbe stato nessun problema. Ma
Dor si stava opponendo alla natura del suo corpo, riponendo una spada davanti alla battaglia. «Fratello!», mormorò la spada con disgusto. Ma quando Dor si rilassò, distratto dai suoi stessi pensieri, il corpo prese il sopravvento, e la spada scivolò nel fodero e finalmente fu assicurata. «Allora, fodero,» disse Dor. «Tu dovresti capire il linguaggio della pace, o almeno della tregua.» «Sì,» replicò il fodero. «Capisco il linguaggio della trattativa-con-ilcoltello-dalla-parte-del-manico e quello della pace-con-onore.» Dor allargò le braccia davanti al ragno mostruoso, che era restato immobile in quel frattempo, mentre i goblin avanzavano lentamente, sospettando una trappola. Dor tentava di comunicare le proprie intenzioni pacifiche. Il mostro aveva allargato le sue zampe anteriori e trillava. Dietro di lui apparve la faccia di un altro goblin che guardava con sospetto la scena. Sembrava che i goblin non fossero alleati del ragno e che non lo capissero meglio di Dor. «Dice che si stava chiedendo quando avresti attaccato,» disse il fodero. «Per un momento aveva pensato che volevi la pace, ma ora ti prepari ad afferrarlo con le tue tenaglie in modo da morderlo, schiacciarlo o pungerlo a morte.» Dor chiuse in fretta le braccia. Il ragno trillò. «Ah, ah,» disse il fodero. «Ora sa di aver scoperto il tuo bluff. Ti stai accucciando per il terrore. Ti può distruggere senza incontrare resistenza.» L'imbarazzo di Dor si trasformò in ira. «Ora guarda qui, mostro!», disse in tono rabbioso, scuotendo il pugno sinistro verso la faccia verde e pelosa della creatura. «Non voglio essere costretto a combatterti, ma se tu mi forzi...» Un altro trillo. «Finalmente!», disse il fodero. «Hai deciso di trattarlo alla pari, senza né minacciare né spaventarti. Il ragno è uno straniero qui, e ha intenzione di dichiarare una tregua.» Stupito e soddisfatto, Dor mantenne la sua posizione. Il ragno portò avanti la zampa sinistra. Dor non si mosse, timoroso che ogni cambiamento di posizione potesse essere equivocato. Lentamente la zampa segmentata si alzò finché l'estremità non toccò il pugno di Dor. «Tregua,» disse il fodero. «Tregua,» acconsentì Dor, sollevato. Il mostro non sembrava più tanto orribile. In effetti, la sua pelliccia verde era bella, a modo suo, e gli occhi splendevano come gemme perfette. La parte superiore del suo addome era variegata cosicché, vista da sopra, somigliava ad un volto umano sorriden-
te: due occhi rotondi di pelo nero, una bocca di pelo bianco, grandi baffi di pelo nero, e un delicato colorito verde. Forse quella rappresentazione aveva lo scopo di spaventare i predatori, anche se Dor preferiva non immaginare chi potesse attaccare un ragno di quella misura. Le otto zampe erano grigie, attaccate alla base del torace. Le due zanne erano arancio scuro, e lunghi ciuffi di peli spuntavano intorno a qualche occhio. Era veramente una creatura graziosa, anche se spaventosa. Improvvisamente i goblin attaccarono in massa. Il corpo di Dor reagì prima che lui sapesse che cosa stava facendo. Si girò, trasse la spada dal fodero, e la brandì contro il nemico più vicino. «Ho sete del tuo sangue nero, figlio delle tenebre!», gridò la spada, in un'allegra cantilena. «Fammi assaggiare la tua carne putrida!» I goblin non avevano affatto paura. Due caricarono direttamente Dor. Erano la menta di Dor, e le loro estremità smisurate li facevano sembrare crudeli caricature del Buon Mago Humfrey. Ma mentre il Mago era solo burbero, i goblin erano cattivi; c'era una malignità incredibile sui loro volti deformi. Avevano corpi magri e sottili, simili a steli di erbacce, e irregolari. Portavano armi rozze: frammenti di pietra, schegge di legno, e rametti spinosi. «State indietro!» gridò Dor, brandendo la spada assetata e affamata. «Io non voglio farvi del male!» Ma emotivamente lui voleva far loro del male. L'antipatia fluiva in lui, per dei motivi che non riusciva ad immaginare. Semplicemente, odiava i goblin. Forse era insita nella natura dell'uomo quella repulsione per delle caricature dell'Uomo. Qualcosa di completamente alieno poteva essere tollerata, come il ragno enorme, ma qualcosa che sembrava un uomo distorto... Poi sobbalzò. Un terzo goblin si era avvicinato furtivamente da un lato e l'aveva morso ad una coscia. Sentì un dolore orribile. Dor gli diede un pugno sulla testa con la mano sinistra, e il dolore fu peggiore. La testa del goblin era di pietra! Dor tentò di afferrare un braccio e tirare via la creatura, ma questa era tenacemente attaccata: lo sbilanciava e continuava a mordere. Intanto, gli altri due stavano avanzando con gli occhietti piccoli e luccicanti fissi sulla lama splendente. Cercavano di aggirare la spada senza pericolo. Dietro di loro si affollavano molti altri goblin. Poi si inserì una zampa pelosa. Si ficcò tra il goblin e la gamba di Dor e fece leva. Il goblin fu scaraventato via, urlante di rabbia. Dor si girò... e guardò nell'occhio più vicino del ragno mostruoso. Vide il proprio riflesso in quella verde profondità: una faccia grande, piatta, bar-
buta, completamente diversa dalla sua vera faccia. Anche considerando la distorsione provocata dal riflesso. «Uh, grazie,» disse. Poi entrambi i goblin che gli stavano davanti gli balzarono addosso. Le loro gambette nodose li spinsero con una forza sorprendente, forse perché i loro corpi erano tanto piccoli e leggeri. Mirarono alla sua testa. Il braccio poderoso del corpo di Dor si fletté. La spada fischiò gioiosa nell'aria, compì un arco e puntò verso l'esterno. Seguì un orribile movimento, come di un bastone che recidesse delle erbacce... e i due goblin caddero in quattro pezzi. Era stato lui a farlo? Dor fissò quel sangue rosso scuro, lo vide diventare nero mentre si spargeva sul terreno. Quei goblin erano morti, e lui era un assassino. Si sentiva nauseato. Il ragno trillò. Dor guardò, e vide quattro goblin arrampicarsi su quattro delle sue zampe, mentre altri tentavano di raggiungere il suo corpo. Il ragno stendeva le zampe verso l'alto, cercava di sollevare il suo corpo globulare in modo da tenerlo lontano dai goblin, ma veniva inevitabilmente buttato giù dal loro peso. La parte inferiore del ventre non era protetta; anche delle piccole pietre appuntite potevano pungerla rapidamente. Dor afferrò la spada, la puntò verso il goblin più vicino e la affondò violentemente. La punta tagliente trafisse quel corpo esile e affondò nella terra accanto al piede del ragno. Non che il ragno avesse piedi nel senso solito del termine; il segmento finale della zampa era lievemente rigonfio e si arrotondava all'estremità, ma era privo di dita. «Non fare così!», gridò la spada. «La terra mi smussa il filo!» Dor la trasse fuori dal terreno. Il goblin trafitto si alzò insieme alla spada. «Ghaaaaah!», gridò: i suoi occhi sporgevano dalle orbite, le braccia e le gambe scalciavano selvaggiamente. Il piccolo mostro non riusciva nemmeno a morire con tranquillità: doveva farlo nella maniera più disgustosa e orrenda possibile. Dor alzò uno dei suoi stivali - prima di quel momento non si era accorto di indossarli - colpì con tutta la forza la faccia contorta del goblin e allontanò la creatura dalla spada. Il sangue schizzò sulla lama mentre il goblin crollava a terra in un mucchietto indistinto. Poi Dor trafisse un secondo goblin, con più attenzione, in modo da non smussare il filo della lama, e rimosse i resti con maggiore efficienza. Qualcosa nel fondo della sua mente stava rigettando, vomitando, rimettendo le budella, ma Dor lo arginò, mentre compiva metodicamente il proprio lavoro.
Il ragno allungò verso di lui una zampa anteriore. Un goblin gridò: aveva quasi raggiunto la schiena di Dor. Dor reagì duramente: trafisse il terzo goblin, poi il quarto. Stava diventando molto bravo in quel lavoro. Improvvisamente i goblin scomparvero. Una dozzina di essi giacevano morti sul terreno, il resto era scappato. Dor ne aveva uccisi sei, perciò il ragno doveva averlo eguagliato uccisione dopo uccisione. Erano un'ottima squadra da combattimento! Ora, finita la battaglia, Dor soffrì nel comprendere che cosa aveva fatto. Il fondo della sua mente ruppe gli argini ed eruppe fuori con disgustoso abbandono. Dor guardò la carneficina, e vomitò il panino al sugo di patate che aveva mangiato da poco, otto secoli prima. Almeno sembrava sugo di patate, più che budella di goblin. Non gli importava molto. Uccidere delle creature umanoidi... Il ragno trillò. Dor non aveva bisogno di traduzione. «Non sono abituato alle carneficine,» disse, reprimendo un altro conato di vomito. «Se solo non avessero attaccato... Io non volevo fare tutto questo!» Sentiva le lacrime bruciargli gli occhi. Aveva sentito dire di ragazze sconvolte per aver perso la verginità; ora aveva una vaga idea di che sensazione fosse. Si era difeso, aveva dovuto uccidere, ma nel farlo aveva perso qualcosa che sapeva non avrebbe potuto recuperare mai più. Aveva versato sangue umanoide. Come avrebbe mai potuto liberare la sua anima da quella macchia infamante? Il ragno sembrò capire. Si avvicinò ad un goblin morto, lo tenne tra le zampe anteriori e affondò le zanne nel cadavere. Ma immediatamente alzò la testa e sputò il sangue del goblin. Di nuovo, Dor non ebbe bisogno di nessuna traduzione: il goblin aveva un sapore orrendo! Non c'era nessun modo di disfare quello che era stato fatto, nessun modo di recuperare la sua innocenza perduta. Il suo corpo aveva lottato nella maniera in cui era abituato. Quando la sua repulsione si attenuò, Dor comprese che sia lui che il ragno mostruoso si erano salvati per un pelo. Se non fossero stati insieme, non avessero stabilito una tregua e non avessero lottato insieme, entrambi sarebbero caduti vittima dei selvaggi goblin. Perché i goblin avevano attaccato? Dor non riusciva a trovare nessuna ragione tranne quella che lui e il ragno erano presenti ed erano sembrati vulnerabili. Se i goblin pensavano di poter prevalere, attaccavano; la cosa sembrava semplice. Forse avevano fame, e Dor e il ragno erano sembrati loro delle prede più facili di altre. Ad ogni modo, erano stati i goblin ad incominciare, di conseguenza Dor si disse che non doveva sentirsi del tutto
colpevole. Aveva fatto ai goblin solo quello che i goblin avevano tentato di fare a lui. Pure, in lui restava una terribile sensazione di rifiuto, di orrore verso se stesso, per la capacità che aveva scoperto in sé di uccidere. Il suo corpo nuovo e potente era stato il mezzo, ma la volontà era stata la sua. Non poteva incolpare nessun altro. Se tutto quello faceva parte del divenire adulti, a lui non piaceva. Diresse la sua attenzione al ragno. Quella creatura era nativa della giungla? Sembrava improbabile. Il fodero aveva detto che il ragno era uno straniero lì, e certamente non sarebbe caduto vittima dei goblin se avesse conosciuto quella regione. Se ne sarebbe stato al sicuro nella sua tela, posta in alto su qualche albero. Dor non aveva visto nessun ragno gigante raffigurato sull'arazzo. Allora sì, quella creatura poteva essere uno straniero, come lo era lo stesso Dor. In ogni caso, era un alleato utile. Se solo avesse potuto parlargli. Beh, poteva parlargli, se elaborava un sistema. Se riusciva a trovare qualche oggetto che capisse i ragni, e non solo per parlare di guerra o di negoziati-con-il-coltello-dalla-parte-del-manico. Qualche ciottolo sul terreno dove i ragni cercavano il cibo, forse, oppure... «Ho trovato!», gridò. «Che cosa c'è?», replicò spaventata la spada. «Hai intenzione di ripulirmi ora, in modo che non arrugginisca?» «Uh, naturalmente,» disse Dor, intimidito. Nella sua epoca le spade avevano tutte Incantesimi Antiruggine, ma ora si trovava in un'epoca primitiva. Strofinò con cura la lama sull'erba più fresca che riuscì a trovare, e la rinfoderò. Poi si avvicinò all'albero più prossimo e ne ispezionò con attenzione la corteccia. Nel frattempo, il ragno mostruoso si stava ripulendo il corpo: si strofinò via il sangue dalle zampe con la bocca finché non ebbe riacquistato il suo aspetto tirato a lucido. Uno dei suoi occhi - venne fuori che ne aveva otto, non sei - guardava Dor. Poiché i suoi occhi guardavano in tutte le direzioni, non doveva muovere affatto il corpo per osservare tutto ciò che lo circondava, ma Dor era certo che uno di quegli occhi fosse dedicato a lui. «Ah!», esclamò Dor. Aveva trovato una ragnatela. «Stai parlando a me?», chiese la tela di ragno. «Sì! Tu sei di un ragno, non è vero? Capisci il linguaggio dei ragni?» «Sì, certamente. Sono stata fatta da un bel Ragno da Giardino a Strisce, il più grazioso aracnide che ti sia mai capitato di vedere, tutto a strisce nere
e arancioni, con delle zampe lunghissime! Avresti dovuto vederlo catturare le zanzare! Ma un meschino uccello acchiappa-moscerini l'ha preso. Non so perché, certamente non era a corto di moscerini...» «Sì, molto triste,» convenne Dor. «Ora ti prenderò con me: posso metterti su una spalla? Voglio che tu traduca quello che dice un ragno.» «Beh, i miei programmi sono...» Dor le diede un colpetto minaccioso con un dito. «... veramente molto flessibili,» concluse in fretta la ragnatela. «In effetti, non sto facendo niente al momento. Cerca di non disordinarmi il disegno quando mi sposti. Il mio padrone si è sforzato tanto nel farlo...» Dor la spostò con cura sulla sua spalla e fissò lì il disegno: mise in disordine solo qualche filo. Poi ritornò dal ragno mostruoso. «Accidenti, quanto è grande!», osservò la tela di ragno. «Non avrei mai creduto che potessero crescere tanto.» «Dimmi qualcosa,» disse Dor al ragno. «Io farò segno di sì o di no, in modo che tu possa capire.» Il ragno trillò. «Vorrei capire che cosa vuoi, creatura aliena,» tradusse la tela. Era quasi come avere Grundy il golem con sé! Ma Grundy poteva tradurre in entrambi i sensi. Beh, suvvia, era un essere umano, benché giovane e inesperto, e avrebbe dovuto riuscire nell'impresa. Dor alzò il pugno nella maniera in cui il ragno usava salutare i suoi pari. Forse, con quel gesto, avrebbe potuto indicare il suo assenso e, allargando le braccia, avrebbe potuto segnalare il contrario. «Desideri rinnovare la tregua?», chiese il ragno. «Non ha veramente bisogno di essere rinnovata - ma naturalmente sei una creatura aliena, perciò non sai...» Dor allargò le braccia. Il ragno si ritrasse allarmato. «Vuoi terminare la tregua? Questo non è...» Confuso, Dor lasciò cadere le braccia. Non funzionava! Come poteva intrattenere una conversazione se il ragno interpretava tutto a modo proprio? «Mi chiedo se hai qualcosa che non va,» trillò il ragno. «Hai combattuto bene, ma ora sembri perplesso. Non sembra che tu sia ferito. Ho notato che hai rigurgitato i resti del tuo ultimo pasto; hai di nuovo fame? Quanto tempo è passato da quando hai mangiato una bella mosca succosa?» Dor spalancò di nuovo le braccia in segno di dissenso, provocando di nuovo la reazione del ragno. «È come se tu, in qualche modo, rispondessi a quello che dico io...» Felice, Dor alzò il pugno.
Sorpreso, il ragno lo osservò attentamente con i suoi occhi più grandi e più verdi. «Tu capisci?» Dor alzò di nuovo il pugno. «Verifichiamolo,» trillò il ragno, eccitato. «Non mi era venuto in mente che tu potessi essere sapiente. Era troppo aspettarselo, soprattutto in un mostro non-aracnide. Eppure hai rispettato il patto. Benissimo: se capisci quello che dico, alza le zampe anteriori.» Dor alzò di scatto le mani al di sopra della testa. «Affascinante!», trillò il ragno. «Forse ho scoperto un'intelligenza nonaracnide! Ora abbassa un'appendice.» Dor abbassò il braccio sinistro. Funzionava: il ragno stava stabilendo la comunicazione con una sapienza non-aracnide! Partirono da quel punto. Nel corso dell'ora successiva, Dor insegnò al ragno - o il ragno dedusse dalla conversazione, a seconda dei punti di vista - le parole umane per sì-bene, no-male, pericolo, cibo e riposo. E Dor imparò - o il ragno insegnò - le seguenti nozioni: Era un maschio adulto di mezza età. Si chiamava Philippidus Variegatus, «Saltatore» in breve. Era un ragno saltatore della famiglia Salticidae, la più bella e raffinata delle famiglie dei ragni, sebbene né la più grande né la più numerosa. Altre famiglie, senza dubbio, avevano altre opinioni riguardo alla bellezza e alla raffinatezza, bisognava ammetterlo. La sua razza non oziava nelle ragnatele, in attesa che una preda vi volasse dentro, né stava in agguato con la speranza di catturare una preda. La sua razza usciva coraggiosamente alla luce del sole - sebbene egli vedesse ottimamente anche di notte, era sottinteso - e andava a caccia di insetti e li catturava con audaci salti. Questo era, dopotutto, un modo di cacciare molto più morale. Saltatore era alla caccia di una mosca dall'aspetto particolarmente succulento che svolazzava sulla parete dell'arazzo, quando qualcosa di strano era accaduto e lui si era ritrovato... lì. Era troppo disorientato per saltare, data la presenza di quella - scusa la descrizione ma la sincerità è necessaria creatura grottesca a quattro zampe, e l'attacco furioso dei goblin-pulci. Ma ora Saltatore era ritornato nel pieno possesso delle sue facoltà... e sembrava non avere dove andare. Quella terra gli era estranea: gli alberi si erano rimpiccioliti, le creature erano orribilmente strane, e sembrava non ci fossero altri della sua razza. Come poteva ritornare a casa? Dor fu allora in grado di capire che cosa fosse successo, ma gli mancavano i mezzi per comunicarlo. Il piccolo ragno stava camminando sull'a-
razzo quando l'incantesimo del Buon Mago Humfrey si era sprigionato, e lo aveva trasportato nel mondo dell'arazzo insieme a Dor. Poiché il ragno era lontano da Dor, la sua trasformazione era stata solo parziale: invece di rimpicciolire in scala come le figure dell'arazzo, e di occupare il corpo di uno dei ragni dell'arazzo, aveva mantenuto il suo corpo originale ed era diventato solo poco più piccolo di prima. Perciò, lì nell'arazzo, Saltatore sembrava un ragno gigantesco, delle dimensioni di un uomo. Dor, se fosse entrato nello stesso modo, avrebbe avuto le dimensioni di parecchie montagne. L'unico modo in cui Saltatore poteva tornare nel proprio mondo era stare accanto a Dor quando questi fosse ritornato. Almeno, questa fu l'ipotesi di Dor. Poteva essere che l'incantesimo riconvertisse tutto quello che aveva messo nell'arazzo quando fosse venuto il momento. Ma sarebbe stato un rischio. Di conseguenza, era più sicuro restare insieme e ritornare più o meno come un'unità: Dor al suo corpo e alle sue dimensioni, Saltatore al mondo contemporaneo. Dor non riuscì a chiarire i particolari, poiché erano a malapena chiari nella sua mente, ma il ragno non era stupido. Saltatore acconsentì: sarebbero restati insieme. Ora entrambi avevano fame. La carne nera dei goblin era immangiabile, e Dor non vide nessuna delle piante familiari della sua epoca. Niente alberi di gelatina, frutti volanti, castagne d'acqua o funghi-pasticci, e certamente nessun insetto gigante con cui Saltatore potesse cibarsi. Che cosa dovevano fare? Allora Dor ebbe un'idea. «Ci sono degli insetti qui intorno?», chiese alla ragnatela. «Sai... quelle creature grandi, con sei zampe, segmentate, con antenne, pinze e altre cose?» «Ci sono degli alberi di granchi ad un'ora di volo da qui,» disse la ragnatela. «Ho sentito gli uccelli stridere qualcosa a proposito di andare a pizzicare su quegli alberi.» Un'ora di volo poteva significare forse sei ore di viaggio a piedi. Dipendeva dall'uccello e dal terreno. «Qualcosa di più vicino?» «Ho visto qualche aragosta-albero qui intorno. Ma hanno un pessimo carattere.» «È proprio quello che volevo. Mi sentirei colpevole ad indicare quelli dal carattere dolce.» Dor si voltò verso Salvatore. «Cibo,» disse, indicando l'albero più vicino. «Uh, è sicuro?», chiese Dor alla ragnatela. «Naturalmente no. Ci sono tutti i tipi di uccelli mangiatori d'insetti lassù,
e forse qualche insetto mangiatore d'uccelli.» Oh. Gli uccelli erano letali per i ragni delle dimensioni di un ragno. Saltatore era diverso. Ma era meglio non correre rischi. «Pericolo,» disse Dor. Saltatore fece battere le zanne l'una contro l'altra. «Tutta la vita è un pericolo. Anche la fame è un pericolo. Io mi sento a casa quando sono in alto.» E continuò ad arrampicarsi sull'albero con una facilità meravigliosa, dritto lungo il tronco. Le sue otto zampe lo aiutavano veramente. Dor aveva supposto che due o quattro zampe erano la cosa migliore, ma già ci aveva ripensato. Lui non poteva arrampicarsi su un albero in quel modo! Dopo qualche attimo il trillo interrogativo di Saltatore penetrò attraverso il fogliame. «A meno che non ci siano mantidi che pregano quassù?» «Chi è che preda?», chiese in tono tranquillo Dor alla ragnatela. «P-r-e-g-a-r-e, non p-r-e-d-a-r-e. Le mantidi pregano per la preda.» «Va bene. Ma che cos'è?» «Un insetto che mangia gli insetti. Grande. Più grande di quasi tutti i ragni.» Proprio così. «Nessuna delle tue dimensioni,» gridò Dor, con la speranza che Saltatore capisse. Poi aspettò nervosamente alla base dell'albero. Nessuna mantide, certo... ma un drago sbuffafumo non sarebbe stato altrettanto cattivo? La sua conoscenza con il grande ragno era recente, ma sentiva una certa responsabilità per Saltatore. Era colpa di Dor se Saltatore si trovava in una situazione così pericolosa, dopotutto. Eppure, se Saltatore non fosse stato trascinato nel gorgo dell'incantesimo, che cosa sarebbe accaduto a Dor, gettato all'improvviso in un branco di goblin? In due avevano superato il pericolo, mentre Dor da solo avrebbe... Tremò al solo pensiero. Già aveva con Saltatore un debito considerevole, e la sua avventura nell'arazzo era appena cominciata! Qualcosa gli si profilò davanti agli occhi. Dor si ritrasse, allarmato, mentre le sue dita frugavano intorno al fianco in cerca della spada... e naturalmente non la trovarono. Poi vide che la cosa era un'aragosta-albero che scendeva lungo un filo. Solo che le aragoste-albero non usavano i fili! No, questa era strettamente legata, inerme, le sue chele verde-foglia erano strette al corpo marrone-corteccia, e la testa ciondolava. Una preda del ragno gigante! Dor provò quasi simpatia per l'aragosta, perché era ancora viva e lottava invano contro i fili che la fasciavano. Ma ricordò quella volta che si era arrampicato su un albero di burro alle noccioline per raccogliere un po' di burro, e un'aragosta l'aveva pizzicato. Da allora in poi ne aveva avuto pau-
ra; erano creature malvagie. Le antenne rosse di quest'aragosta irradiavano malevolenza. Un'altra aragosta legata fu calata fino a pochi centimetri dal terreno, e poi una terza. Poi lo stesso Salvatore volò a terra. «Qualcuna l'ho mangiata,» trillò. «Sono meno succose delle mosche, ma non meno eccellenti. Queste altre le conserverò per i pasti futuri. Ti sono grato per l'opportuna informazione, uomo-Dor.» «Sì,» disse Dor, usando la parola migliore che aveva per indicare direttamente una risposta affermativa. Era felice di averlo potuto aiutare, ma non era abbastanza. La sua responsabilità non sarebbe cessata finché non avesse restituito Saltatore al suo mondo. Ora era il turno di Dor di cercarsi del cibo. Chiese alla ragnatela, ma questa aveva visto soprattutto creature che si muovevano, mentre Dor preferiva il cibo sedentario. Perciò le chiese se avesse visto delle pietre e dei bastoncini di legno, e ben presto trovò un albero di granturco con pochi chicchi maturi. Non era molto, ma gli sarebbe bastato per il momento. La vegetazione magica esisteva. Era solo più rada, più nascosta di quanto fosse alla sua epoca, e lo costringeva a cercarla con più attenzione. Intanto si era fatta sera. Non sarebbe stato sicuro passare la notte all'aperto. Potevano arrivare altri goblin, o potevano rivelarsi altri pericoli. Se quello fosse stato il mondo di Dor, si sarebbero fatti vivi già una mezza dozzina di pericoli, parecchie seccature e un paio di fastidi. Ma forse la banda di goblin aveva allontanato i mostri locali, non amando la competizione. «Riposo,» disse Dor, indicando il sole che declinava. Saltatore capì. «Io vedo benissimo al buio, ma la notte può essere pericolosa per uomo-Dor. Nemmeno gli alberi sono sicuri; ci sono anche altre creature oltre gli uccelli, l'ho notato qualche momento fa. Una somiglianza ad un uccello, ma aveva la faccia di un uomo e un cattivo odore...» «Un'arpia!», gridò Dor. «Faccia e petto di donna, corpo di uccello. Sono spaventose!» Naturalmente sapeva che Saltatore non avrebbe capito quello che lui aveva detto, ma avrebbe raccolto il tono di Dor. «Di conseguenza dormiremo in aria,» concluse Saltatore. «Io ti appenderò ad un ramo e tu dondolerai sicuro tutta la notte.» Dor non era molto fiducioso nemmeno riguardo a questa soluzione, ma non poteva esprimere adeguatamente le sue obiezioni né offrire un'alternativa migliore. Essere legato e appeso ad un ramo come quelle aragoste vive... Con una sfiducia che egli confidava non fosse evidente al ragno, Dor
sopportò di essere avvolto da parecchi fili di seta. Saltatore traeva quel materiale dalle filiere, che erano degli organi sul suo posteriore. Il ragno si dilungò in spiegazioni più dettagliate di quanto desiderasse Dor, mentre procedeva nella sua opera: «La mia seta è un liquido che si indurisce in un forte filo mentre viene estratto. Con le mie sei filiere posso foggiarla in fili di qualsiasi spessore, forza e qualità mi vengano richieste dall'occasione. In questo caso sto usando un filo singolo per l'amaca e una fune a più fili per il cavo principale. Ora, aspetta un momento, mentre faccio il collegamento.» Dor, a quel punto, non poteva fare molto altro che aspettare, come gli era stato richiesto. La seta era un materiale forte! Saltatore si arrampicò nell'aria. Notò la reazione sorpresa di Dor e trillò la spiegazione: «Il mio tirante. L'ho lasciato qui quando ho finito di catturare le aragoste. Noi ragni non potremmo sopravvivere senza i nostri tiranti. Ci impediscono di cadere, sempre. Talvolta io e i miei compagni di covata facevamo delle corse lungo i tiranti, quando ero giovane, saltavamo dai luoghi più alti per vedere chi arrivava più vicino al terreno senza toccarlo...» Si arrampicò ancora e scomparve alla vista. «Compagni di covata?», chiese Dor, soprattutto per far continuare a trillare il ragno in modo da sapere dove si trovasse. «I miei fratelli di sangue che erano usciti insieme a me dal sacco delle uova,» rispose Saltatore dall'alto. «Eravamo parecchie centinaia, perdemmo la nostra prima pelle ed emergemmo nel mondo esterno per diffonderci e difenderci da soli. Non è così per la vostra specie?» «No,» ammise Dor. «Io sono l'unico nella mia famiglia.» «Le mie condoglianze! Qualche mostro ha distrutto tutti gli altri prima che riuscissero a scappare?» «Uh, non esattamente. I miei genitori si prendono cura di me quando sono a casa.» «Il tuo genitore e la tua genitrice restano insieme? Temo di aver equivocato la tua frase.» «Uh, beh...» «Un concetto affascinante: mantenere le relazioni con la compagna e con la prole dopo la procreazione. Forse dovrei verificarlo con la mia compagnia, quando ritornerò, tanto per vedere come se la cava con il sacco delle uova. Non vorrei che i miei ragnetti uscissero dalle uova prima del tempo.» Poi improvvisamente, Dor fu sollevato da terra. Saltatore lo stava tirando in aria come un'aragosta!
Eppure era stranamente confortevole. Saltatore non lo aveva legato, ma aveva sistemato i suoi fili da vero esperto in modo tale che Dor era ben sostenuto senza essere imprigionato. La maggior parte dei fili erano invisibili, a meno che non si sapesse esattamente dove guardare. Il ragno era veramente esperto in quel genere di cose! Era facile rilassarsi in quell'amaca, riposare... e Dor si sentiva al sicuro. Dopo qualche attimo Saltatore scivolò accanto a lui. Dondolarono insieme mentre la serenità della notte li avvolgeva, al sicuro dai pericoli del terreno e degli alberi. Dor sobbalzò. Si grattò la testa. Qualcosa fuggì di corsa tra i suoi capelli. Era di nuovo la pulce, probabilmente la stessa che lo aveva morso quando era appena arrivato. Pensò di parlarne al ragno, che certamente sapeva come catturare una pulce, ma poi si preoccupò di perdere un orecchio nell'operazione. Quelle zanne di Saltatore erano robuste! Quello era un problema che preferiva risolvere da solo. La prossima volta che l'insetto lo avrebbe morso... Dor si svegliò quando la luce filtrò attraverso i rami. Si sentiva intorpidito, perché non era abituato a dormire in posizione verticale, ma sapeva di essere in condizioni migliori di quanto avrebbe potuto. La gamba gli faceva male nel punto in cui il goblin l'aveva morsa, il suo braccio destro era indolenzito per aver retto a lungo la pesante spada, e lo stomaco brontolava per una fame senza precedenti. Ma quello era un corpo in ottime condizioni fisiche; quelle sensazioni erano solo di fastidio. Saltatore si stiracchiò. Si calò a terra per assicurarsi che non ci fossero pericoli, poi si arrampicò di nuovo per calare Dor. Quando i piedi di Dor toccarono terra, il grande ragno mosse abilmente le zampe intorno al suo corpo, e la ragnatela cadde. Dor era libero. Allora, all'improvviso, sentì un urgente richiamo della natura. Si nascose dietro un cespuglio per soddisfarlo. Svolazzare in aria era bello, ma era limitante sotto certi aspetti! Si chiese se gli eroi veri si trovassero mai in imbarazzo per problemi simili; certamente l'argomento non veniva mai trattato nei racconti eroici di quell'epoca. Saltatore trillò quando Dor tornò. Dor ascoltò, ma non capì. Che cosa era accaduto al suo traduttore? Dopo un attimo lo scoprì: il grande ragno l'aveva rimosso quando aveva tolto la ragnatela. Era un errore naturale. Dor trovò un filo della ragnatela di Saltatore e se lo posò su una spalla. «Traduci,» gli ordinò.
«... missione, mentre il mio è solo quello di tornare al mio mondo normale,» stava dicendo Saltatore. «Perciò mi conviene aiutarti a compiere la tua missione, in modo che possiamo tornare entrambi a casa.» «Sì,» acconsentì Dor. «Ovviamente è coinvolta la magia. Qualche incantesimo mi ha trasportato nel tuo mondo. Solo che tu non sembri particolarmente a tuo agio qui. Questo deve essere uno strano aspetto di questo mondo. Tu sei qui per compiere qualcosa, dopodiché sarai liberato dall'incantesimo. Perciò, se restiamo insieme...» «Sì!», acconsentì Dor. Saltatore era un aracnide intelligente. Doveva aver riflettuto tutta la notte, e aveva capito che l'apparente mutazione delle sue dimensioni e l'ignoranza di Dor riguardo a quel mondo erano due fenomeni correlati. «Di conseguenza, la cosa migliore da fare è completare il tuo lavoro il più in fretta possibile,» concluse Saltatore. «Se tu mi indicherai qual è la meta del tuo viaggio...» «Il Signore degli Zombie,» disse Dor. Ma naturalmente questo non era molto chiaro. E poi, non aveva la minima idea di dove trovare il Signore degli Zombie. Questo portò ad una discussione alquanto confusa. Infine Dor chiese informazioni a qualche oggetto locale. Non sapevano niente del Signore degli Zombie, ma avevano sentito parlare di Re Roogna. Sembrava che un distaccamento dell'armata del Re fosse passato da quelle parti. «Il Re Roogna! È naturale!», esclamò Dor. «Lui lo saprà! Lui deve sapere tutto! Prima di tutto dovrei parlare con lui, e lui mi dirà come trovare il Signore degli Zombie.» Era deciso. Dor chiese delle indicazioni generali a vari elementi del passaggio, e poi lui e il ragno cominciarono il viaggio verso Castel Roogna. In un angolino della mente Dor si divertiva all'idea che quello fosse il mondo dell'arazzo, e che tutto l'arazzo fosse all'interno di Castel Roogna. Eppure dovevano affrontare un viaggio di parecchi giorni per raggiungere il Castello. Aveva un senso, in qualche modo, ne era certo. Aveva senso quanto la magia stessa. Si stava abituando a quella nuova giungla. Per meglio dire, a quella vecchia giungla. Molti alberi erano giganteschi, con un fogliame voluminoso e abbondante, ma avevano ben poca magia. Era come se alla magia fosse occorso più tempo per infiltrarsi nelle vegetazioni che negli animali. Le zanzare del sudore erano presenti, e anche i mosconi bottigliablu. I loro corpi-bottiglia rifrangevano i raggi del sole quando li attraversavano ron-
zando. Ma anche quegli insetti minori non si avvicinavano troppo a Saltatore. Era uno dei vantaggi di viaggiare con un ragno. «No!», gridò Dor ad un tratto. «Pericolo!», indicò. «Stai andando verso un albero-groviglio!» Saltatore si fermò. «Deduco che siamo alla presenza di un pericolo? Tutto quello che vedo è una raccolta di viticci.» Nel piccolo mondo normale del ragno non dovevano esserci alberigroviglio, comprese Dor. Gli alberi-groviglio c'erano, per essere più precisi, ma non avrebbero mai infastidito qualcosa di tanto piccolo quanto un ragno. Per di più, Saltatore poteva aver vissuto tutta la vita nella stanza dell'arazzo di Castel Roogna, e di conseguenza non aver mai incontrato nessuno dei pericoli della giungla, senza tener conto delle dimensioni rispettive. Eppure sembrava avere familiarità con gli alberi in generale, quindi doveva aver passato del tempo all'esterno. «Te lo mostrerò,» disse Dor. Raccolse un grande pezzo di legno e lo lanciò verso l'albero. I tentacoli dell'albero-groviglio lo afferrarono in aria e lo frantumarono. «Capisco che cosa intendi,» disse Saltatore con l'aria di aver capito. «Credo di aver camminato sul fogliame di un albero simile una volta nella mia giovinezza, ma non mi prestò alcuna attenzione. Ora che sono di dimensioni maggiori, è tutta un'altra faccenda. Sono felice di essere in tua compagnia, per quanto sia strana la tua figura.» Il che era un discreto complimento. Dor osservò l'albero groviglio da una distanza di sicurezza. Lo aveva identificato troppo tardi, perché apparteneva ad una sottospecie diversa da quella che Dor conosceva. Era più rozzo, più simile ad un albero mundano, con una corteccia sottile sui tentacoli, e inoltre mancava il piacevole tappeto verde alla sua base e il dolce profumo. Gli alberi-groviglio erano diventati più raffinati nel corso dei secoli, mentre le loro prede diventavano più attente. Per una persona abituata al prodotto finale dell'evoluzione, la versione ancestrale e più rozza era difficile da identificare. Avrebbe dovuto prestare più attenzione. C'era meno magia nella giungla, ma quello che c'era era ugualmente pericoloso per lui e per Saltatore. Ripresero il viaggio. La terra di Xanth era una penisola collegata a Mundania da uno stretto istmo montagnoso, situato all'estremità nord-ovest. Il corpo di Dor sembrava essere quello di un Mundano che avesse attraversato di recente l'istmo. Forse quello era il motivo per cui si era lasciato facilmente intrappolare dai goblin. Ci voleva tempo per stimare tutti i rischi
di Xanth, e a volte non bastava nemmeno tutta la vita a certe persone. Un Mundano aveva tutti i riflessi sbagliati, e poteva morire rapidamente. Il che forse spiegava perché i Mundani avevano invaso ad ondate. Si era più sicuri quando si era numerosi. Ora stavano procedendo verso il centro di Xanth e Castel Roogna era in direzione sud. Dor non era certo di come avrebbero fatto ad attraversare l'Abisso che divideva Xanth in due parti. Ai suoi tempi le regioni selvagge settentrionali non erano pericolose come le regioni selvagge meridionali, e poiché ottocento anni prima c'era meno magia - o piuttosto, una magia meno sviluppata - Dor non prevedeva molti problemi da quella parte dell'abisso. Ma la terra di Xanth riusciva sempre ad ingannare la gente, perciò Dor restò in guardia. Castel Roogna. Si chiese se vi fosse un arazzo appeso ad una sua parete che raffigurasse... che cosa? Gli avvenimenti di altri ottocento anni prima? O il presente, incluso Dor stesso che camminava verso il Castello? Un pensiero affascinante! Saltatore si fermò, e alzò le due zampe anteriori più avanzate, che sembravano essere le più sensibili alle novità. Dor non aveva notato orecchie sul corpo del ragno. Era possibile che udisse con le zampe? «Qualcosa di strano,» trillò Saltatore. Il ragno si era abituato alla stranezza di quella terra, e di conseguenza doveva trattarsi di qualcosa di particolare. Dor guardò. Davanti a loro c'era una creatura vagamente somigliante a un draghetto, ma che palesemente non era un drago. Però aveva delle affinità con i draghi. Aveva un corpo irregolare e sinuoso, piccole ali che non sembravano funzionali, artigli, coda, e una testa di lucertola, ma gli mancavano i denti terribili e il fuoco di un drago vero. In effetti, non aveva un'aria molto terribile. «Penso che saremo più sicuri girandogli intorno,» disse Dor. C'era una regione paludosa ad ovest con pozze gorgoglianti e maleodoranti, e un folto di rovi luccicanti ad est, di conseguenza era necessario attraversare il territorio della creatura. «Noi non siamo in cerca di guai, e forse nemmeno la creatura lo è.» Poiché sapeva che Saltatore non era in grado di comprendere tutta quella discussione, Dor diede l'esempio svoltando a destra, per aggirare il mostro ad una distanza di sicurezza senza avvicinarsi troppo alla palude gorgogliante. Ma la creatura allungò un'enorme zampa, in modo da bloccare il cammino a Dor. «Non puoi passare,» stridette. «Questo è il mio dominio, il mio distretto, il mio territorio. Io lo governo.»
Almeno questa creatura parlava! «Noi non vogliamo litigare con te,» disse Dor, ricordando il protocollo degli adulti per occasioni simili. «Se tu ci lasci passare, noi non ti daremo fastidio.» «Se passi, vinci,» disse il mostro. «Io sono Gerrymander. Vinco grazie a qualsiasi configurazione disonesta.» Dor non sapeva dell'esistenza di nessuna creatura del genere alla sua epoca. Doveva essere stato un punto morto dell'evoluzione. Gerrymander che vinceva cambiando la sua forma per bloccare il passaggio agli altri? Una strana definizione di successo! «Io non voglio farti del male, Gerrymander,» disse Dor, e mise la mano sull'elsa della spada. Temeva sembrasse che si stesse grattando una spalla, e desiderò che quel corpo indossasse dei finimenti più convenzionali per la spada, ma non c'era niente da fare. «Ma noi dobbiamo passare.» La forma di Gerrymander assunse una posizione grottesca. Si contrasse alle estremità e si parò davanti a Dor nella sua forma originale. «Non lo farai. Io ho questa carica per l'eternità, senza riguardi per i bisogni o per i meriti degli altri.» La creatura rispondeva lealmente alla sua sfida. Dor era intimorito. Aveva il corpo di un uomo adulto e forte, ma il suo cuore era quello di un ragazzino, e non era mai stato molto portato ai combattimenti. Quei goblin, il modo orribile in cui erano morti... no, non poteva accadere di nuovo! «Allora, dovrò passare da un'altra parte.» Indietreggiò. «Non lo farai!», ripeté Gerrymander. «Nessuno mi soppianta con mezzi leciti!» Il suo collo si allungò con una serie di strani scatti finché la testa venne a fermarsi davanti a Dor. Ormai il ragazzo era per metà circondato dal mostro. La paura improvvisa lo spinse a fare quello che la volontà non voleva. Dor estrasse la spada con la velocità esperta del suo corpo da guerriero e la puntò direttamente verso il cuore della creatura. «Togliti dalla mia strada!» Per tutta risposta, l'ala destra della creatura cominciò ad allungarsi con gli stessi movimenti violenti, formando una barriera informe intorno all'altro fianco di Dor. «Ti sto circondando, sto isolando la tua influenza,» disse Gerrymander: «Non hai potere, le tue radici si stanno disseccando, le tue aspirazioni stanno svanendo. La tua forza sarà mia.» E Dor avvertì uno strano indebolimento, come se dal suo corpo fosse prosciugata l'energia vitale. Terrificato da quella insolita minaccia, reagì violentemente. Colpì con tutte le sue forze il collo del mostro. La grande spada tagliò di netto la sostanza corporea di Gerrymander come se fosse
stato un pezzo di cioccolata. Il mostro si spaccò in due. Ma non uscì sangue. «Non ho bisogno di essere tutto intero,» gridò Gerrymander, mentre dalla testa decapitata spuntavano delle piccole zampe e le orecchie si allungavano. Le orecchie erano ormai arti. «Non ho bisogno di essere ragionevole; ho il potere di riaggiustarmi. Posso essere di ogni forma e di ogni numero. Copro qualsiasi territorio di cui abbia bisogno, senza tener conto della mia base reale, per mantenere il mio potere.» Dor colpì di nuovo e separò una sezione del corpo dal resto, ma la creatura non morì e nemmeno gridò. Dor tagliò il pezzo in una dozzina di segmenti esangui, che continuarono a mantenere la loro formazione intorno a lui. Un braccio si fuse in un tronco, le dita delle mani si allungarono in braccia e zampe separate. Da una zampa spuntarono zampe e una coda. Dalla coda originale crebbe una testa. «Io mi ritorco, io mi divido, io vinco!», gridò la testa originale, mentre i segmenti avanzavano da ogni lato. «Aiuto! Saltatore!», gridò Dor, ormai fuori di sé. «Sono qui, amico,» trillò il ragno. «Rinfodera la tua lama, altrimenti mi ferirai, e io ti aiuterò.» Dor obbedì. Il suo corpo tremava di paura e di umiliazione. Che cosa gli aveva fatto pensare che tutto quello di cui aveva bisogno per essere un eroe era un corpo da eroe? Saltatore fece un salto fenomenale, oltrepassò Gerrymander e atterrò accanto a Dor. «Legherò questa creatura,» trillò il ragno. «La avvolgerò in modo che non potrà muoversi.» Saltatore rapidamente trasse metri e metri di seta dalle sue filiere versatili. Avvolse il suo filo attorno alla coda di Gerrymander, ancorandolo in parecchi punti con dei mucchietti attaccaticci. Poi avvolse di filo un altro segmento e li legò insieme in un involto. Lavorò rapidamente con le sue otto zampe e con meravigliosa abilità, avvolse altri segmenti, e li legò strettamente l'uno all'altro. Stava costringendo Gerrymander a ritornare alla sua forma originale. Quando i segmenti furono riuniti, si fusero, formando un'unica creatura. Le braccia, le zampe, le teste e le code superflue, rifluirono nella massa corporea principale. Gerrymander era stato rimesso insieme. Ma non era abbastanza. «Io accerchio, io seleziono, io vinco!», gridò il mostro, e la sua coda si allungò di nuovo per riempire lo spazio che aveva occupato come segmento separato. I fili di Saltatore non potevano impedirlo. Erano rimasti intorno alla creatura, ancorandola al suolo, ma non potevano impedire ai suoi
prolungamenti di crescere intorno a loro e fra di loro. Il ragno era solo riuscito a rimettere insieme i pezzi che Dor aveva tagliato. Il talento basilare del mostro non era stato colpito. «Temo di essere stato sconfitto anch'io,» trillò Saltatore. «Andiamo, amico, ritiriamoci a riflettere.» Avvolse un filo intorno a Dor, poi balzò ad una decina di metri per appendersi al ramo sporgente di un albero mundano. Quindi gettò il suo filo e tirò lentamente Dor. Gerrymander lanciò un urlo di angoscia pura. «Ah, mi sfuggono!», e cercò di afferrare le gambe di Dor. Dor, con uno strattone, liberò i piedi dalla stretta del mostro. La creatura si allungò, si alzò per seguirlo, e l'afferrò di nuovo. Dor sguainò la spada e squarciò quella zampa che si protendeva grottescamente. L'arto di Gerrymander fu tagliato di netto, e cadde a terra, dove rapidamente si fuse con il resto del corpo. La creatura non subiva nessun danno quando le venivano tagliati dei pezzi, ma era incapace di sollevare quelle sezioni in aria senza un supporto. «Aaaahhh!», gridò disperato. «Sono stato aggirato!» «Dobbiamo solo saltargli oltre!», gridò Dor, comprendendo improvvisamente. «Proprio come lui blocca noi, senza riconoscere nessuna legge di movimento, noi possiamo passare senza rispettare queste leggi. Nel momento in cui passiamo oltre la creatura, vinciamo. Questo è il modo di combattere Gerrymander!» Il mostro sconfitto si stava rapidamente rimpicciolendo fino a tornare alla sua forma originale. Il suo potere esisteva solo finché esisteva una sfida da affrontare. In accordo alla sua definizione. «Sono strane le usanze di questo mondo,» trillò Saltatore. Dor scosse la testa in segno affermativo. Saltatore calò Dor oltre Gerrymander, e i due ripresero il viaggio. Ora Dor sapeva in che modo il ragno si era conquistato il suo nome! Non aveva mai visto prima una tale abilità nei salti. Pensava che tutti i ragni facessero ragnatele, ma Saltatore non le faceva, sebbene avesse una certa facilità con la seta. Dor comprese che non era saggio classificare le creature con troppa leggerezza. C'erano enormi variazioni. Si stavano abituando alle usanze di quella regione, e viaggiavano rapidamente. La maggior parte degli animali selvaggi era diffidente nei confronti di Saltatore, che sembrava più feroce di quanto fosse in realtà, e sembrava completamente alieno in quel mondo... e non lo era. Era solo molto grande per la sua specie. Quando calarono le tenebre, la coppia aveva attraversato la maggior par-
te della regione settentrionale di Xanth, o almeno così stimò Dor. Avevano viaggiato più velocemente, ma si erano dovuti fermare in cerca di cibo ogni tanto. Ricordava che nelle vicinanze ci doveva essere un bosco di alberi della letargia. Non era un buon posto per dormire, perché il dormiente poteva non prendere mai più l'iniziativa di svegliarsi. Perciò, dietro suo ordine, si accamparono lontani dalla foresta principale, sospesi ad un solitario albero di granchimele in un campo. Un ruscello vicino fornì l'acqua a Dor, e i granchi dell'albero costituirono un banchetto non troppo lauto per Salvatore. La mattina dopo attraversarono in fretta il bosco della letargia, senza mai fermarsi a riposare. Dor sentì la sonnolenza sopraffarlo, ma anche quegli alberi non avevano sviluppato la loro magia fino alla potenza dei secoli successivi, ed egli riuscì a lottare contro la letargia. Saltatore, non abituato a quell'effetto, divenne più lento e pigro, ma Dor lo spronò ad andare avanti finché non furono fuori dal boschetto. Alla fine si trovarono ai bordi dell'Abisso. Largo mille piedi e profondo altrettanto, davanti a loro si stendeva il luogo più pittoresco e più pericoloso di tutta Xanth. «Non compare su nessuna carta geografica della mia epoca,» disse Dor, «perché è coperto da qualche Incantesimo dell'Oblio. Ma la maggior parte di noi che viviamo a Castel Roogna è diventata più o meno immune all'effetto dell'incantesimo: di conseguenza noi ricordiamo l'esistenza dell'Abisso. Non so in che modo possiamo attraversarlo tranne che scendere lungo questa parete e arrampicarsi lungo l'altra. Tu puoi farlo facilmente, ne sono certo, ma io non sono un bravo scalatore come, come te, e l'altezza mi innervosisce.» Avevano conversato durante il viaggio, e Saltatore stava già acquisendo un piccolo e versatile vocabolario delle parole usate da Dor. Ormai era in grado di capire il senso generale dei discorsi di Dor. «Credo che possiamo attraversare questo burrone, se dobbiamo,» trillò. «C'è però, un certo elemento di rischio.»' «Sì, il Drago dell'Abisso,» disse Dor, ricordando. «Pericolo?» «Grande pericolo, è sul fondo del burrone. Un drago... come Gerrymander, ma peggio. Denti.» «Possiamo saltargli oltre?» «Il drago farebbe... i denti... non è sicuro,» disse Dor, scoraggiato. Non riusciva a ricordare se il Drago dell'Abisso fosse uno sbuffafumo o un lanciafiamme, ma non voleva rischiare in nessuno dei due casi. Nessuno con il cervello a posto, e non molti con la mente in disordine, attaccavano briga con un drago di taglia grossa!
«Comunque, non abbiamo bisogno di scendere,» trillò Saltatore. «Sto pensando di volare in pallone.» «In pallone?» «Volare aldilà dell'abisso su un filo aviotrasportato. C'è una corrente d'aria che sale verso l'alto; credo che le condizioni siano favorevoli al culmine del giorno, quando l'aria calda si alza. Ma restano dei rischi.» «Rischi,» ripeté Dor, stordito da quell'idea. «Volare su un filo di seta?» «Se la corrente d'aria dovesse cambiare, o dovesse alzarsi un uragano...» Quanto più Dor ci pensava, tanto meno gli piaceva. Eppure le altre soluzioni non sembravano migliori. Non voleva scendere nell'abisso, o tentare di aggirarlo a piedi. Aveva solo un paio di settimane a disposizione nell'arazzo per portare a termine la sua missione, e aveva già usato due giorni. Nel tentativo di aggirare l'abisso avrebbe consumato tutti gli altri. Aveva bisogno di raggiungere Castel Roogna il più in fretta possibile. «Credo che faremmo meglio a volare in pallone,» disse riluttante. Saltatore si portò ai margini dell'Abisso e, tirò della seta dalle filiere. Invece di attaccarla a qualcosa, lasciò che il vento la portasse. Ben presto cominciò a srotolarsi: l'estremità del filo veniva tirata verso l'alto come un aquilone magico. Dor ne vedeva solo qualche metro; più oltre il filo diventava invisibile, non importava quanto si sforzasse di scorgerlo. Non capiva come quella seta potesse trasportare qualcosa aldilà del burrone. «È quasi pronto,» trillò Saltatore. «Permetti che ti assicuri il filo intorno, amico, prima che mi trascini via.» In realtà, l'enorme ragno si aggrappava al terreno. Evidentemente quel filo invisibile lo tirava con grande forza. «Per favore, avvicinati.» Dor si avvicinò, e con abili movimenti delle zampe anteriori il ragno foggiò un'imbracatura per sostenerlo. Poi si alzò un'ulteriore folata di vento, e Dor fu lanciato in aria, al di sopra dell'Abisso. Troppo spaventato per muoversi o gridare, Dor guardò in basso il terribile burrone. Oscillò all'estremità del filo mentre l'aquilone acquistava il suo particolare orientamento. Pensò che sarebbe piombato nell'Abisso, ma poi la corrente ascensionale prese forza e lo trascinò verso l'alto. Le pareti del burrone si inclinarono in basso, su entrambi i lati, fino a creare una base a forma di cuneo. La luce del sole si angolò da est, formando ombre nette sulle irregolarità del dirupo. Anche in quel modo, le profondità dell'Abisso restarono buie. No, non voleva finire laggiù! Quando sorvolò di nuovo il bordo del canyon, il vento si attenuò. Lo sollevava lentamente, ma lo trascinava verso ovest, lungo il burrone. Non lo stava attraversando. Saltatore restava sul bordo e filava un cavo per sé, ma
occorreva del tempo, e la distanza tra loro stava aumentando in maniera allarmante. E se si fossero separati del tutto? Dor conosceva Saltatore solo da due giorni, ma era arrivato a dipendere dal grande ragno. Non solo Saltatore era una compagnia, lottava bene, sapeva fare tanti trucchi utili con la sua seta - come, per esempio, volare! ma era anche adulto. Dor aveva il corpo di un uomo, ma gli mancavano la capacità di giudizio e la sicurezza di un uomo. Si spaventava quando era solo e diventava insicuro, e non sempre per motivi validi. Saltatore, invece, valutava freddamente ogni situazione e reagiva con precisione ed equilibrio. Poteva commettere degli errori, ma non lo abbattevano. Era un'influenza stabilizzante, e Dor ne aveva bisogno. Non l'aveva compreso fino a quel momento, il che faceva parte del suo problema. Non era bravo ad analizzare le proprie motivazioni in presenza di una crisi. Aveva bisogno della compagnia di qualcuno che lo capisse, qualcuno che ponesse riparo agli errori di Dor senza farne un'analisi imbarazzante. Qualcuno come Saltatore. Sentì un dolore sulla testa. Dor si diede un colpo nel punto dolente. Dannazione a quella pulce! Il vento, prima lieve, stava acquistando una forza maggiore. Dor volò più veloce e più in alto. La sua apprensione aumentò. Gli pareva difficile che fosse destinato ad atterrare da qualche parte, certamente non dalla parte opposta dell'Abisso. Poteva anche essere spinto fino al mare e affogare o essere mangiato dai mostri marini. Oppure poteva volare sempre più in alto fino a morire di fame. Nella peggiore delle ipotesi, poteva anche atterrare in Mundania. Perché Saltatore non l'aveva previsto? La risposta era che l'aveva previsto. Il ragno l'aveva avvertito del rischio. E Dor aveva deciso di correre quel rischio. Ora stava pagando il prezzo di quella decisione. Una macchia apparve tra le nuvole. Un insetto... no un uccello... no un'arpia... no un drago... no, era ancora più grande. Un roc... doveva essere un roc, la più grande di tutte le creature alate. Ma quando si avvicinò ancora, Dor lo vide in una visuale migliore e capì che dopotutto era troppo piccolo per essere un roc, sebbene fosse certamente grande. Era un uccello dal piumaggio vivace ma di cattivo gusto. Macchie rosse, azzurre e gialle sulle ah, una coda marrone marezzata di bianco, e un corpo striato da sfumature verdi. La testa era nera, con una macchia bianca intorno ad un occhio e due penne rosse vicino al becco. In breve, un vero guazzabuglio. L'uccello si avvicinò con un occhio fisso su Dor. Era un altro pericolo a
cui non aveva pensato: l'attacco da parte di una creatura volante. Fu sul punto di afferrare la spada, ma si trattenne, nel timore di recidere il filo di seta e piombare nel burrone. Era stato fortunato a non aver tagliato il filo mentre fuggiva da Gerrymander, ma in quel caso si trovava ad un'altezza di gran lunga inferiore. Ma se non si difendeva, l'uccello poteva mangiarlo. Non aveva l'aspetto di un predatore, il becco non era adatto. Somigliava di più ad un uccello che si cibasse di carogne. Ma il modo in cui lo guardava... «Hoo-rah!», gridò l'uccello. Si tuffò in avanti, allungò la grande zampa a forma di mano, e afferro Dor. «Hoo-rah! Hoo-rah!», e diede un poderoso colpo d'ali verso sud, trascinando Dor con sé. Quella era la direzione in cui voleva andare, ma non quello il modo. Preda di un uccello mostruoso e dalla voce sonora! Ora era felice che Saltatore non fosse con lui, perché il ragno non avrebbe potuto aiutarlo contro una creatura così grande, e ne sarebbe stato preda anch'egli. Un grande uccello era la peggiore minaccia possibile per un grande ragno! Ora che il suo destino era deciso, Dor si scoprì molto meno spaventato di quanto aveva pensato. Stava per essere crudelmente divorato, ma la sua sensazione predominante era il sollievo per il fatto che il suo amico fosse sfuggito a quella sorte. Era segno che stava crescendo? Che peccato che non avesse avuto la possibilità di completare il processo! Naturalmente, Saltatore sarebbe restato nel mondo dell'arazzo, senza l'incantesimo di Dor a liberarlo, a meno che l'incantesimo automaticamente non riportasse indietro tutto quello che non apparteneva a quel mondo. Come un ragno vivo, e i resti digeriti di... ma, non sarebbe stato il suo corpo ad essere mangiato. Forse ci sarebbe stato un compromesso: il suo spirito sarebbe morto solo a metà, cosicché sarebbe tornato come zombie. Avrebbe potuto vagare nelle giornate di pioggia e raccontarsi storie di fantasmi con Jonathan. Che felicità! «Hoo-rah!», gridò di nuovo l'uccello, scendendo verso un albero di aspetto mundano, dall'ampio fogliame. In un attimo atterrò su un nido enorme e depositò Dor al centro. Il nido era incredibile. Era formato da tutti i materiali immaginabili e anche inimmaginabili: corde, corteccia, pelli di serpente, alghe, abiti umani, piume, fili d'argento (il padre di Dor aveva parlato di una quercia dalle foglie d'argento che si trovava da qualche parte nella giungla, e l'uccello doveva aver trovato l'albero) scaglie di drago, un panino al burro di noccioline pietrificato, ciuffi di capelli presi dalla coda di un'arpia (le arpie hanno
piume di capelli, o capelli di piume) il tentacolo di un albero-groviglio, frammenti di vetro rotto, conchiglie, un amuleto fatto con la criniera di un centauro, parecchi vermi disseccati, e un miscuglio di oggetti meno identificabili. Ma quello che riempiva il nido era ancora più notevole. C'erano uova, naturalmente, ma non le uova dell'uccello, perché erano di tutti i colori, forme e dimensioni. Uova rotonde, uova oblunghe, uova a clessidra. Uova verdi, porpora, a puntini. Un uovo della misura della testa di Dor, e un altro della misura dell'unghia del suo mignolo. Infine c'era anche un uovo di alabastro da rammendo. C'era anche una gran varietà di noccioline, bacche e viti. C'era un pesce morto e dei fili elettrici, delle chiavi d'oro e libri rilegati in ottone, pigne e coni di gelato. C'era una statua di marmo che raffigurava un cavallo alato, e marmi intagliati provenienti dal corno di un unicorno. C'era una clessidra che misurava i quarti d'ora, e tre anelli uniti, fatti di ghiaccio. Un raggio di sole sporco e dello sterco lucente di lupo mannaro. Cinque pasticche di barbiturici. E Dor. «Hoo-rah!», gridò esultante l'uccello, sbattendo le ali tanto che carte, foglie e piume volarono tutt'intorno in una tempesta di vento in miniatura che scosse il nido. Poi prese il volo. Sembrava che all'uccello piacesse collezionare oggetti. Dor era entrato a far parte della sua collezione. Era il primo uomo della raccolta, visto che non ne aveva visto nessun altro? No, non aveva visto ossa umane. Non che ciò provasse qualcosa. L'uccello poteva digerire le ossa insieme alla carne. Probabilmente era diventato un oggetto da collezione perché era parso un uomo volante: una specie insolita. Dor si fece strada tra le cianfrusaglie e si avvicinò all'orlo del nido in modo da guardare oltre. Ma tutto quello che vide furono strati di foglie. Era certo di essere molto in alto sull'albero, però. Sarebbe stato un suicidio saltare. Poteva scendere lungo il tronco? Il ramo dell'albero su cui era posato il nido era arrotondato, con la corteccia liscia e umida. Solo il fatto che si ramificava alla base del nido rendeva possibile che qualcosa si mantenesse sulla sua sommità. Dor sarebbe quasi certamente caduto. Non era un buon arrampicatore. Sapeva di dover prendere una decisione al più presto, ed entrare in azione prima che l'uccello Hoorah tornasse, ma si scoprì paralizzato dalle obiezioni a qualsiasi azione concreta. Saltare significava cadere e morire; arrampicarsi significava cadere e morire; restare lì significava... essere mangiato?
«Non so che cosa fare!» gridò, vicino alle lacrime. «È facile,» disse la statua di corno di unicorno. «Fai una fune con i frammenti del nido dell'Hoorah, e calati fino a terra.» «Non con la mia sostanza!», protestò il nido. Dor afferrò un pezzo di una corda e lo tirò con violenza dal nido. Si spezzò subito. Tirò un lungo fuscello con lo stesso risultato. Cercò qualche pezza; ma anche quelle mancavano di coesione. Afferrò un filo d'argento, ma era tanto sottile che gli tagliava le mani. «Hai ragione, nido,» disse. «Non con la tua sostanza.» Si guardò intorno, però, prendendo un po' di coraggio. «Qualche altra idea, oggetti?» «Io sono un anello magico,» disse un cerchietto d'oro. «Indossami ed esprimi un desiderio, un qualsiasi desiderio. Io sono onnipotente.» Allora come mai era finito lassù? Ma non poteva permettersi di fare lo schizzinoso. Dor infilò l'anello al mignolo. «Vorrei essere sano e salvo a terra.» Non accadde nulla. «L'anello è un bugiardo,» ringhiò lo sterco di lupo mannaro. «Non lo sono,» gridò l'anello. «Ci vuole solo un po' di tempo. Un po' di pazienza. Abbi fede in me. Sono fuori esercizio, questo è tutto.» La sua affermazione fu salutata da un coro di risate degli altri oggetti che erano nel nido dell'Hoorah. Dor liberò dai rifiuti un angolo del nido e si stese, cercando di pensare a qualcosa. Ma la sua mente non ci riusciva. Poi una zampa pelosa salì oltre l'orlo del nido, seguita da un'altra, e da un paio di enormi occhi verdi, più una collezione di occhi neri più piccoli. «Saltatore!», gridò Dor, felice. «Come hai fatto a trovarmi?» «Non ho mai avuto bisogno di cercarti,» trillò il ragno, e gettò il suo grazioso addome oltre il bordo. Quella faccia pelosa e multicolore non aveva mai avuto un'aria tanto buona! «Come è mia abitudine, ho attaccato un tirante al tuo corpo. Quando la Hoorah ti ha preso, io sono stato trascinato dietro di te, sebbene ad una grande distanza. Oserei dire che ero virtualmente invisibile. Sono restato appeso all'albero, ma quando mi sono arrampicato lungo il filo, fino all'altro capo, ho trovato te.» «È meraviglioso! Temevo di non vederti mai più!» Dimentichi che ho bisogno della tua magia per scappare da questo mondo.» In realtà, il loro dialogo non fu così conciso, perché Saltatore ancora non conosceva molte parole umane, ma, a ripensarci dopo, sembrò una conversazione normale. «Allora ce ne andiamo?» «Sì.»
Saltatore attaccò un nuovo filo a Dor e si preparò a calarlo attraverso il fogliame. Ma proprio allora sentirono il battito di ali enormi. La Hoorah stava tornando! Saltatore balzò fuori dal nido e scomparve al di sotto. Dor, allarmato, ricordò quasi subito che nessun ragno era mai caduto; il suo tirante lo proteggeva. Dor avrebbe potuto saltare nello stesso modo, ma non era certo che il suo tirante fosse ancorato nel modo giusto. Avevano sentito avvicinarsi la Hoorah proprio quando Saltatore si stava occupando del suo tirante, quindi il procedimento era stato interrotto. O forse, Dor disse a se stesso con rabbia, era solo troppo spaventato per fare quello che doveva. Il piumaggio multicolore dell'Hoorah apparve. L'uccello copri il nido. Qualcosa cadde. «Hoo-rah!» Poi l'uccello ripartì di nuovo per la sua insaziabile ricerca di oggetti da collezione. L'oggetto depositato da poco si mosse. Distese braccia e gambe, e una cortina di capelli si sparse sul fondo del nido. Si drizzò e si mise a sedere. Dor guardò. Era una donna. Una ragazza bella e giovane. Capitolo 4: MOSTRI Quando il grande uccello scomparve, Saltatore si arrampicò di nuovo sul nido. La ragazza lo scorse e gridò. I capelli le ondeggiarono intorno. Scalciò. Era una creatura giovane e sana con una voce penetrante, meravigliose trecce bionde, e un paio di gambe estremamente ben fatte. «Va tutto bene!», gridò Dor, non certo se si stesse riferendo alla situazione, che sicuramente non andava bene, o alle gambe nude della ragazza, che andavano più che bene. Il suo corpo notava veramente particolari del genere! «È un amico! Non far tornare l'Hoorah!» La testa della fanciulla si girò di scatto per guardarlo. Sembrava spaventata da Dor quasi quanto dal ragno enorme. «Chi sei? Come fai a saperlo?» «Sono Dor,» disse semplicemente. Forse un giorno avrebbe imparato come presentarsi ad una signora con eleganza! «Il ragno è mio amico.» Con diffidenza, lei guardò Saltatore. «Ooh, è orrendo! Non ho malvisto un mostro come questo. Penso che preferisco essere mangiata dall'uccello. Almeno lo conosco.» «Saltatore non è orrendo! Non mangia le persone. Non hanno un buon
sapore.» Si girò di nuovo a guardarlo, e ancora una volta i suoi capelli ondeggiarono in un turbine. Improvvisamente sembrò familiare. Ma era sicuro di non averla mai vista. Non aveva incontrato nessuna ragazza nel passato. «Come fa a saperlo?» «Siamo stati attaccati da una banda di goblin. Ne ha assaggiato uno.» «Goblin! Ma non sono persone reali! È naturale che abbiano un cattivo sapore!» «Come fai a saperlo?», ribatté Dor, servendosi della sua stessa domanda. «È ovvio che una fanciulla dolce come me abbia un sapore migliore di qualsiasi goblin vecchio e sporco!» Dor trovò difficile respingere quella logica. Certamente lui avrebbe preferito baciare lei piuttosto che un goblin. E chi aveva messo un pensiero del genere nella sua mente? «Non sono in grado di capire interamente il vostro dialogo,» disse Saltatore. «Ma deduco che la femmina della tua specie non si fida di me.» «Hai colto nel segno, mostro!», convenne lei. «Uh, ci vorrà del tempo per abituarti,» disse Dor. «Tu, uh, appari strano a lei come lei appare strana a te.» Saltatore era sorpreso. «Non c'è bisogno di essere così eccessivi!» «Beh, forse ho esagerato.» Diplomazia o verità? «Il mostro parla!», esclamò la ragazza. «Solo che la sua voce viene dalla tua spalla.» «Beh, è difficile da spiegare...» «Nondimeno,» intervenne Saltatore, «faremmo meglio a sgomberare in fretta questo nido.» «Perché la sua voce viene dalla tua spalla?», insisté la ragazza. Evidentemente era molto curiosa. «Ho una ragnatela traduttrice,» spiegò Dor. «La voce di Saltatore è il trillo. Dovresti almeno salutarlo.» «Oh.» La ragazza si sporse, e Dor diede la sua prima sbirciatina in un prosperoso bustino. Stordito, restò immobile come un pezzo di legno. «Salve, mostro-Saltatore,» disse la ragazza alla ragnatela. «Perbacco!» disse la ragnatela. «Ti riempie gli occhi quella...» «Non devi rivolgerti alla ragnatela,» disse Dor in fretta, sebbene gli dispiacesse disingannarla. Ora non si sarebbe più chinata verso di lui. In un angolo della mente si chiese perché mai una ragnatela si prendesse la pena
di fare osservazioni sulla vista particolare che la ragazza le offriva, quando non era certamente una faccenda interessante per i ragni. «... seta gialla,» finì la ragnatela, proprio mentre il ragionamento malizioso di Dor faceva progressi. Oh... naturalmente. I ragni si interessavano alla seta, e la seta colorata doveva essere una novità. «Sono capelli, non seta,» mormorò Dor. Poi, a voce più alta, rivolto alla ragazza: «Saltatore ti capisce senza avere bisogno della ragnatela.» «A proposito di sgomberare il nido...», trillò Saltatore. «Sì! Puoi fare un altro tirante per la ragazza?» «Subito.» Saltatore si mosse verso la fanciulla. «Eeeeeeeh!», strillò lei, facendo svolazzare la seta. «Il mostro peloso viene a mangiarmi!» «Sta' zitta!», disse Dor in tono aspro. Aveva perso la pazienza nonostante l'impressione che gli avevano fatto gli attributi di lei. O quel suo corpo aveva degli appetiti particolari, o stava perdendo la dimensione dell'esperienza di tutta la sua vita precedente! «Farai tornare l'Hoorah.» Con riluttanza, smise di strillare: «Io non voglio far avvicinare quel mostro.» Voleva parlare al ragno, ma non collaborare con lui. Sembrava immatura quanto lo stesso Dor. «Io non posso portarti giù,» le disse. «Ho solo...» Si interruppe. Non era più nel corpo di un ragazzo di dodici anni, ma in quello di un uomo forte. «Beh, forse posso, Saltatore, il filo reggerà noi due?» «Senza dubbio. Devo fare solo un cavo più forte,» trillò il ragno, mentre le sue filiere già erano al lavoro. In pochi attimi aveva preparato una nuova armatura per Dor, con un cavo più forte. Intanto la ragazza, con la sua irrefrenabile curiosità femminile, stava esplorando il nido. «Oh, delle pietre preziose!», esclamò, battendo le graziose manine con eccitazione. «Di che genere?», chiese Dor, domandandosi se in seguito sarebbero servite a pagare del cibo o un riparo. Le pietre preziose non avevano a Xanth lo stesso valore che in Mundania, ma molte persone le apprezzavano. «Siamo perle coltivate,» risposero in coro parecchie voci. «Raffinatissime e bene educate, discendiamo dall'imperatore di tutte le ostriche. Siamo le più aristocratiche tra le pietre preziose.» «Oh, vi prendo!», gridò la ragazza, che non mostrò alcuna sorpresa al sentirle parlare. Le raccolse e le infilò nella tasca del grembiule. In quel momento sentirono tornare l'Hoorah. Dor mise il braccio sinistro
intorno alla vita snella e flessibile della ragazza e la sollevò facilmente; che forza aveva il suo corpo! Forse non erano tanto i suoi muscoli quanto la leggerezza della ragazza. Era lieve come una piuma anche se il suo corpo era pieno. Doveva esserci una magia particolare in ragazze come quella, pensò Dor, per renderle leggere eppure piene. Saltò oltre l'orlo del nido, confidando che il tirante di Saltatore li preservasse da una caduta. La ragazza strillò, scalciò e gli buttò i capelli in faccia. «Zitta,» le disse con la bocca piena di fili d'oro. La teneva stretta in modo che non riuscisse a divincolarsi. Si sentì molto eroico in quel momento. Quando il loro equilibrio divenne più stabile, Saltatore si calò e li raggiunse. Non si muoveva né a scatti né a balzi: scivolò lentamente fino a fermarsi accanto a loro, perché filava il suo tirante man mano che scendeva. «Ho sistemato una carrucola,» trillò. «Il mio peso bilancerà il vostro, ma voi due siete più pesanti di me, perciò faccio assegnamento sull'attrito per rallentare la discesa.» Dor non capì molto di questa spiegazione. Ma se la magia chiamata attrito poteva farli scendere sani e salvi, era un bene. Tutti e tre scendevano ad una velocità buona ma non spaventosa, e questo era un risultato soddisfacente. I rami dell'enorme albero scorrevano interminabili, gli strati di foglie li celavano alla vista del nido. Un'ombra cadde su di loro. Era l'Hoorah, che scendeva volteggiando in cerca dei suoi oggetti smarriti. In breve li avrebbe scorti, perché erano illuminati da un raggio di sole. Dor tentò di sguainare la spada con la mano destra, ma era difficile farlo mentre il braccio sinistro era impegnato a reggere la ragazza. Lei era leggera, ma sembrava che stesse diventando più pesante. Di nuovo, si preoccupò di recidere il tirante quando la lama fosse uscita dal fodero. «Restate fermi!», trillò Saltatore. «Un bersaglio immobile è molto difficile da scorgere.» Dor rinunciò a prendere la spada. Ma non potevano restare immobili. Dor e la ragazza pesavano troppo. Continuarono a cadere, mentre il ragno saliva, trascinato dalla magia della carrucola. Saltatore si afferrò ad un ramo con parecchie zampe, fece qualcosa, e corse velocemente lungo il ramo verso il tronco dell'albero. Dor e la ragazza smisero di cadere. Dor comprese che Saltatore aveva assicurato il proprio filo al ramo, e aveva fermato l'azione della carrucola. Questo lasciò Dor e la ragazza terrorizzata a dondolare nell'aria come
esche per l'Hoorah. Lei si dimenava, si torceva, e scalciava i piedi inutilmente. Il braccio sinistro di Dor, nonostante i muscoli robusti, si stava stancando. Ben presto avrebbero ceduto tutti i muscoli. Le ragazze a volte erano una vera noia. L'Hoorah notò il movimento. «Hoo-rah!», gridò e piegò verso il basso. All'improvviso una forma verde e grigio-bruna li urtò da un lato. Sembrava avere una faccia baffuta. La ragazza lanciò uno strillo acuto e spalancò le braccia, colpendo il naso di Dor con il suo bel gomito. Dor per poco non la lasciò cadere. Ma la forma era ora m contatto con loro, li spinse con violenza di lato, li fece oscillare sul filo finché non arrivarono su un ramo frondoso. L'Hoorah in picchiata li mancò, deviando appena in tempo per evitare di fracassarsi il becco sul tronco. «Tenterò di distrarla,» trillò Salvatore... perché naturalmente era stato lui a salvarli. Era il suo addome variegato e simile ad una faccia quello che aveva visto Dor. «Vi ho legati a questo ramo; l'uccello non vi vedrà se resterete immobili e in silenzio.» Una possibilità da non perdere! La ragazza inspirò e aprì la bocca graziosa per gridare di nuovo. Dor gliela chiuse con la mano destra. «Zitta!» «Uhm uhm, tu... uhm!», borbottava lei, con gli occhi al di sopra della mano di Dor: uno era pieno di rabbia mentre nell'altro c'era ancora terrore. Dor sperò che lei non dicesse quelle parole poco consone ad una fanciulla che temeva stesse dicendo: sarebbe andato a detrimento della sua immagine. «Beh, se solo avessi accettato un tirante per te sola, ora non saremmo in questo brutto guaio.» Le sussurrò Dor in risposta. Ma sapeva di essere ingiusto. L'Hoorah era tornato troppo presto, in ogni caso. «Vieni a prendermi, cervello di piuma,» trillò Saltatore da un altro ramo. Naturalmente la traduzione veniva dalla spalla di Dor. Ma il ragno agitò anche le zampe anteriori e il movimento attrasse l'attenzione dell'uccello. L'Hoorah piombò verso quel ramo... e il ragno fece un balzo di sei metri e ne raggiunse un altro, trillando con passione. Dor sapeva che il grande uccello non poteva capire i trilli di Saltatore, ma il tono era inequivocabile. Ma poi, perché gli uccelli non avrebbero dovuto comprendere il linguaggio dei ragni? Le due specie interagivano piuttosto spesso. Il che dava un'idea del coraggio supremo che Saltatore stava mostrando, perché le creature che più temeva al mondo erano gli uccelli. Per salvare il suo amico e un'estranea, il ragno aizzava contro di sé il suo nemico più spaventoso. «Puoi fare molto meglio, testa di piume!», trillò Saltatore. E balzò di
nuovo, mentre l'uccello roteava in aria. L'Hoorah era notevolmente agile per le sue dimensioni. Dopo parecchi balzi inutili, l'uccello capì che Saltatore era troppo veloce perché lo catturasse. Nel frattempo la traduzione degli insulti del ragno stava colorando le orecchie della ragazza di un delicato rosa madreperla. L'Hoorah si guardò intorno in cerca dell'altra preda. Per fortuna, tutto quello che dovevano fare era restare immobili e in silenzio. Dor, nel tentativo di trovare una posizione più comoda per il braccio sinistro intorpidito, spostò leggermente la presa. La ragazza scivolò, schiacciandosi il seno. Urlò, quasi senza prendere fiato, prendendolo alla sprovvista. Oh, no! Dor, visto che aveva bisogno della mano destra per mantenersi al ramo, le aveva lasciato la bocca scoperta. Uno stupido errore! L'Hoorah comprese immediatamente da dove veniva il suono. Piombò direttamente su di loro. Saltatore era dietro il grande uccello, ma non riusciva a distrarlo ormai. L'Hoorah riconosceva le prede facili quando le trovava. Con l'ispirazione della disperazione, Dor si afferrò con la mano destra al vestito della ragazza, cercando le tasche. Sebbene indossasse un abito vistoso che era corto sulle ginocchia e scollato al corpetto, il grembiule ne copriva la maggior parte, ed era molto utile. Lei gridò come se fosse attaccata - non a torto, a quel caso - ma Dor continuò finché non trovò quello che cercava: le perle coltivate che la ragazza aveva raccolte dal nido. «Qual è il tuo odio prediletto?», chiese mentre lanciava la prima perla in aria. «Io non ho odi prediletti!» ribatté la perla. «Ma odio la gente che mi butta dai rami!» Scomparve alla vista, e l'Hoorah si slanciò dietro al suono della sua voce. Saltatore oscillò verso di loro. «Un trucco meraviglioso!» trillò. «Gettane un'altra di lato, in modo che io vi possa calare tranquillamente a terra.» «Giusto!», convenne Dor. Guardò la ragazza. «E non gridare.» la ammonì. Lei inspirò per gridare. «Altrimenti ti farò il solletico!», la minacciò. Questa minaccia la impressionò. Con umiltà si sgonfiò i polmoni. Gli porse perfino una perla che teneva nella tasca della pettorina, in modo che Dor non dovesse cercarla. Collaborava più di quanto gli piacesse. «E qual è il tuo odio?», chiese alla perla, e la lanciò da un lato.
«Odio la gente incolta che non sa apprezzare le perle coltivate!», gridò. Sentirono un «Hoo-rah!» in lontananza, mentre l'uccello seguiva la perla. L'Hoorah certamente apprezzava le perle coltivate. Quando raggiunsero il suolo, non avevano più perle, ma erano anche fuori pericolo. Avevano perso di vista l'uccello. Dor raccolse qualche bastoncino di legno da usare nel caso la Hoorah tornasse. Poi tutti e tre si affrettarono ad allontanarsi. «Hai visto!», gridò l'anello che Dor aveva al dito. «Ho esaudito il tuo desiderio! Sei sano e salvo a terra!» «Credo di non avere nessuna obiezione,» convenne Dor. Ma dentro di sé aveva qualche riserva in proposito. Dor stimò che ormai fossero abbastanza vicini a Castel Roogna, dal momento che l'Hoorah li aveva trasportati nella direzione giusta, ma il giorno stava finendo e non voleva continuare il viaggio, per paura di cadere in un'altra trappola. Allora cercarono da mangiare. Trovarono qualche cespuglio di caramelle, un pinomelo e delle foglie di tè freddo. Saltatore assaggiò una pignamela, ma dichiarò che preferiva i crostacei. La ragazza finalmente aveva accettato la compagnia del grande ragno, e aveva perfino permesso che Saltatore la legasse e l'appendesse per la notte. Aveva paura, confessò con grazia, degli insetti e delle altre creature che si trovavano a terra, e in quel momento non era nemmeno troppo desiderosa di incontrare uccelli sugli alberi. Così tutti e tre dondolavano appesi ai fili di seta, al sicuro dai predatori dell'aria e della terra. C'erano dei vantaggi nelle usanze aracnidi, decise Dor. Saltatore tacque: senza dubbio dormiva per riposarsi dei formidabili sforzi della giornata. Ma Dor e la ragazza parlarono per un po', a bassa voce, in modo da non attrarre attenzioni indesiderate e/o pericolose. «Da dove vieni?», domandò lei. «Dove vai?» Dor rispose il più concisamente possibile, omettendo i particolari sulla sua età e sui rapporti del proprio mondo con quello della ragazza. Le disse che veniva da una strana terra, simile a quella ma molto lontana, e che era venuto a cercare il Signore degli Zombie, che poteva aiutarlo ad ottenere un elisir per aiutare un amico. Spiegò che Saltatore veniva dalla stessa terra, e che era un suo amico fidato. «Dopotutto, senza Saltatore, non saremmo mai scappati dal nido dell'Hoorah.» La storia della ragazza era altrettanto semplice. «Sono una ragazza di quasi diciassette anni, vengo dalla Palizzata Occidentale, accanto alla bella
spiaggia dove crescono le zucche incantatrici. Andavo alla capitale in cerca di fortuna. Ma mentre attraversavo una cornice rocciosa - per stare lontana dai gigli tigre, che hanno una predilezione particolare per le creature giovani e dolci - l'Hoorah mi ha visto e, benché io abbia urlato, scalciato e dimenato i capelli, proprio come una ragazza deve fare... beh, sai il resto!» «Noi possiamo aiutarti ad arrivare a Castel Roogna, visto che anche noi vi siamo diretti,» disse Dor. Probabilmente non era una coincidenza, visto che il Castello era il centro sociale e magico di Xanth. Senza dubbio dunque andava a Castel Roogna. Lei batté le mani in quella maniera graziosa e da ragazzina che le era propria, e dondolò nella sua amaca con quella sensualità da donna, che anche le era propria. «Oh, veramente? È meraviglioso!» Anche a Dor faceva piacere. Lei era una compagna deliziosa! «Ma che cosa farai a Castel Roogna?», le chiese. «Spero di trovare impiego come cameriera, poi incontrare per caso un bel cortigiano che mi amerà pazzamente e mi porterà via, e io vivrò per sempre felice nella sua ricca casa, quando ormai non mi aspettavo che una vita da cameriera.» Dor, sebbene fosse giovane, sapeva che era un'ambizione poco realistica. Perché mai un cortigiano avrebbe dovuto sposare una volgare cameriera? Ma aveva abbastanza buon senso da non denigrare le sue ambizioni. Invece ricordò una domanda che prima aveva trascurato, forse perché si era concentrato su altri aspetti della natura di lei. Quegli aspetti che la ragazza scalciava, dimenava e ondeggiava tanto volentieri. «Come ti chiami?» «Oh.» Lei scoppiò in una risata argentina, scalciò, dimenò i capelli e ondeggiò in modo del tutto simbolico. «Non te l'ho detto? Sono Millie.» Dor restò senza parole. Naturalmente! Avrebbe dovuto riconoscerla. Dodici anni più giovane - ottocentododici anni più giovane! - giovane, inesperta e piena di speranze, e soprattutto innocente. Spogliata della cupa esperienza di otto secoli di vita da fantasma, una ragazza graziosa e ingenua, poco più grande di lui. Poco più grande? Cinque anni più grande... ed era un divario mostruoso. Lei era una donna in ogni centimetro di pelle, mentre lui era solo un ragazzo di... «Vorrei essere un uomo!» mormorò. «È fatta!», gridò l'anello che aveva al dito. «Io ti dichiaro uomo.» «Che cosa?», chiese gentilmente Millie. Naturalmente lei non l'aveva riconosciuto. Non solo perché non era nel proprio corpo, ma perché Dor non sarebbe esistito per altri ottocento anni.
«Uh, vorrei solo...» «Sì?», disse ansiosamente l'anello. Dor scosse la testa. «Vorrei liberarmi di questa pulce infernale che continua a mordermi, e dormire un po',» disse. «Aspetta,» protestò l'anello. «Io posso fare tutto, ma tu stai chiedendo due cose contemporaneamente!» «Mi metterò a dormire,» disse Dor. Dopo poco, il sonno arrivò. Dor sognò di stare vicino ad un cespuglio di caramelle, adornato vivacemente: desiderava terribilmente una caramella, soprattutto una d'oro che era la più vicina, ma era trattenuto da una maledizione magica che proteggeva i frutti. Non solo non sapeva come raccogliere una caramella senza evocare la maledizione, ma per di più il cespuglio era nel giardino di un'altra casa, cosicché Dor non era del tutto sicuro di avere il diritto di coglierne i frutti. Era un cespuglio alto, e i suoi frutti succosi dondolavano troppo in alto per Dor. Ma lui montava dei trampoli magici, alti e forti, cosicché era abbastanza alto da raggiungere facilmente il delizioso globo dorato. Se solo avesse osato. Se solo avesse potuto. Per di più, da bambino non gli erano mai piaciute tanto le caramelle. Aveva notato che ad altri piacevano, ma non aveva mai capito il perché. Ora ne desiderava tanto una... e diffidava del cambiamento che era avvenuto nel suo animo. Dor si svegliò agitato. Saltatore era appeso accanto a lui, parecchi occhi lo guardarono con preoccupazione. «Stai bene, amico uomo-Dor?», trillò il ragno. «Era... solo un incubo,» disse Dor con voce incerta. «È una malattia?» «Ci sono cavalli magici, illusioni, che la notte inseguono le persone e le spaventano,» spiegò Dor. «Perciò quando una persona di notte vive un'esperienza spaventosa la chiama stallone della notte oppure giumenta della notte.» «Ah, in senso figurato,» convenne Saltatore quando comprese. «Tu hai sognato un cavallo simile. Una giumenta... una femmina.» «Sì. Un... un cavallo di un altro colore. Io... io desideravo molto cavalcare quella giumenta, ma non ero sicuro di poter stare su quella sella d'oro... oh, non so che cosa sto cercando di dire!» Saltatore rifletté. «Per favore, non offenderti, amico. Ancora non capisco molto bene il vostro linguaggio e la vostra natura. Per caso, sei immaturo? Sei una creatura giovane?»
«Sì,» replicò Dor a denti stretti. Il ragno sembrava capirlo abbastanza bene. «Sei al di sotto della normale età di accoppiamento della tua specie?» «Sì.» «E quella femmina della tua specie, che ti dorme accanto, con quella seta d'oro... lei è matura?» «Io... sì.» «Credo che il tuo problema sia naturale. Devi solo aspettare di maturare, poi non sarai più confuso.» «Ma se lei... appartiene ad un altro...?» «Non esiste diritto di proprietà in questo genere di faccende,» lo rassicurò Saltatore. «Lei ti farà capire se ti trova adatto.» «Adatto a che cosa?» Saltatore emise un trillo-sogghigno. «Ti diventerà chiaro al momento giusto.» «Parli come Re Trenti», disse Dor in tono d'accusa. «Che presumo sia un maschio maturo della tua specie, forse di mezza età.» Colto nel segno. Nonostante la confusione e la frustrazione, Dor era felice di avere al fianco una persona simile. L'aspetto esteriore contava poco. Millie si mosse, e Dor desiderò improvvisamente di porre termine a quella conversazione. Era l'alba, ad ogni modo; l'ora di mangiare e riprendere il cammino verso Castel Roogna. Dor chiese indicazioni ai bastoncini di legno e alle pietre, e tutti e tre i viandanti partirono per il Castello. Ma ben presto incontrarono un grande fiume. Dor non ricordava quel fiume, ma naturalmente il suo letto poteva essersi spostato nel corso di ottocento anni, e con i sentieri incantati Dor poteva non aver mai notato un fiume. L'acqua fu molto precisa nel rispondere alla domanda di Dor: il Castello era oltre la riva opposta, e non c'era nessuna maniera opportuna di attraversare l'acqua. «Vorrei un buon sistema per attraversare questo fiume,» disse Dor. «Vedrò di trovarlo,» disse l'anello che portava al dito. «Dammi solo un po' di tempo. Ti ho fatto dormire la notte scorsa, non è vero? Devi avere pazienza, lo sai.» «Lo so,» disse Dor con un sorriso. «Lo gnomo non è stato creato in un giorno, dopotutto.» «Potremmo volare in pallone,» suggerì Saltatore. «L'ultima volta che l'abbiamo fatto, l'Hoorah ci ha acchiappati,» osservò
Dor. «E, se non l'avesse fatto, probabilmente saremmo stati spinti dal vento fuori dai confini di Xanth. Non voglio rischiare di nuovo.» «Volare in pallone dipende solo dai venti,» convenne il ragno. «Avevo intenzione di assicurare un'ancora al terreno, prima, in modo che non potessimo essere spinti troppo lontano e potessimo sempre tornare al punto di partenza, se necessario, ma ammetto che non avevo tenuto conto del grande uccello. In qualche modo, avevo pensato che nessun'altra creatura fosse aumentata di dimensioni come me... A ripensarci ora, era un'ipotesi stupida. Sono d'accordo: voleremo in pallone solo in caso di emergenza.» «Nella mia Palizzata, ci serviamo di barche per attraversare l'acqua,» suggerì Millie. «Con incantesimi per tenere lontani i mostri d'acqua.» «Sai come fare una barca?», trillò Salvatore. La domanda era diretta a Millie, ma la ragnatela che era sulla spalla di Dor tradusse ugualmente. Gli oggetti inanimati tendono a diventare più servizievoli quando li si frequenta per periodi prolungati. «No,» disse lei. «Sono una ragazza.» E le ragazze non sapevano fare niente di utile? Forse voleva semplicemente dire che non era coinvolta nelle faccende degli uomini. «Conosci qualche Incantesimo Anti-Mostro-d'Acqua?», le chiese Dor. «No, lo sa fare solo il Lanciaincantesimi Anti-Mostro della nostra palizzata. È il suo talento.» Dor si scambiò varie occhiate con parecchi degli occhi di Saltatore. La ragazza era carina, ma non era di grande aiuto. «Credo che la tua spada pronuncerà qualche minaccia terribile ai predatori d'acqua,» trillò Saltatore. «Io potrò avvolgere le loro estremità con i miei fili, e renderli vulnerabili alla tua lama affilata.» Dor non trovava di proprio gradimento la prospettiva di combattere con mostri d'acqua, ma riconobbe che la proposta del ragno era fattibile. «Tutto tranne la barca. Ne abbiamo ancora bisogno,» osservò, quasi con sollievo. «Penso che potrei fare un'imbarcazione con la seta,» trillò Saltatore. «In effetti, io posso camminare sull'acqua quando la superficie è calma. Potrei trainare la barca dall'altra parte.» «Perché non vai semplicemente sull'altra riva e assicuri uno dei tuoi fili?», chiese Millie. «Poi potresti tirarci dall'altra parte, come ci hai issato su quell'albero la scorsa notte.» «Ottima idea!», convenne il ragno. «Se solo potessi attraversare il fiume senza attrarre l'attenzione...» «Forse possiamo creare qualche diversivo,» suggerì Dor. «In modo che
non ti noteranno.» Discussero i particolari, poi procedettero all'azione. Raccolsero un certo numero di bastoncini e pietre perché Dor parlasse loro, e questo era già un tipo di diversivo. Poi trovarono degli insetti-puzza, che speravano sarebbero stati un altro tipo di diversivo. Gli insetti-puzza emanano un buon odore quando vengono trattati con gentilezza, ma lanciano un terribile tanfo se vengono maltrattati. Saltatore formò parecchie corde di seta robusta, ne attaccò una ad un albero che sporgeva sull'acqua, e lasciò le altre perché servissero da lacci per Dor e la ragazza. Quando tutto fu pronto, Saltatore si incamminò sull'acqua. I suoi otto piedi creavano dei piccoli avvallamenti sulla superficie ma non l'attraversavano. Era molto veloce, quasi scivolava sull'acqua. Ma improvvisamente sull'acqua si formò un'increspatura. Dietro di lui un muso orrendo emerse in superficie: un serpente di fiume. Vedevano solo una parte della sua testa, ma era enorme. Nessuna imbarcazione piccola sarebbe stata al sicuro, e nemmeno Saltatore lo era. Quello era il tipo di mostro più richiesto per il servizio nei fossati. «Ehi, brutto muso!», chiamò Dor a gran voce. Vide un orecchio fremere sulla testa del mostro, ma il suo occhio vitreo restò fisso sul ragno. C'era bisogno di un diversivo più deciso, e in fretta! Dor prese un bastoncino di legno che gli sembrava adatto ad essere lanciato ad una distanza simile. «Bastoncino, scommetto che non sai insultare quel mostro tanto da farti inseguire.» Gli insulti sembravano essere lo strumento principale per far reagire le creature. «Ah, sì?», replicò il bastoncino. «Allora, mettimi alla prova, faccia sporca!» Dor si specchiò nell'acqua. Era vero, la sua faccia era sporca. Ma avrebbe aspettato. «Va'!» disse, e lanciò il bastoncino verso il mostro. Il bastoncino cadde alle spalle della grande testa: un lancio quasi perfetto. Dor non l'avrebbe mai potuto realizzare con il suo vero corpo! Il mostro si girò di scatto, pensando che lo stessero attaccando alle spalle. «Guarda quel muso pieno di moccio!», gridò il bastoncino, galleggiando tra le increspature. I mostri d'acqua, si diceva, erano molto vanitosi e suscettibili riguardo alle loro facce feroci. «Se avessi un grugno come quello, lo seppellirei nel fango verde!» Il mostro sollevò alta la testa. «Onk!», esclamo adirato. Non sapeva parlare la lingua degli uomini, ma evidentemente la capiva abbastanza bene. La maggior parte dei mostri che sperano di essere impiegati nel servizio di
un fossato, si impegnano a sviluppare la conoscenza dei sistemi di comunicazione dei datori di lavoro. «Sarebbe meglio che ti soffiassi quel tubo prima di soffocare,» disse il bastoncino, infervorandosi nel suo compito. Non sento un rumore come quello da quando un toro-rana venne a sbattere contro il mio albero e si scervellò quel cervello scervellato.» Il mostro assestò un colpo al bastoncino. Il diversivo funzionava! Ma Dor vide formarsi già altre increspature che si dirigevano verso Saltatore. Il ragno si muoveva rapidamente, ma non abbastanza da sfuggire a quelle creature. Era l'ora di un altro trucco. Dor afferrò la corda appesa all'albero, si lanciò e oscillò sull'acqua. «Hoorah!», gridò. Varie teste sbucarono dall'acqua e si girarono verso di lui. Escrescenze provviste di denti e di occhi fiammeggianti su colli sinuosi. «Non potete prendermi, padellemorte!» gridò. Le padellemorte erano creature che si acquattavano nei pressi dei fornelli, ed erano in combutta con furtive teste di rame e gentaglia simile, e avevano le facce più orrende che esistessero. Parecchi dei mostri erano disposti a tentare. Sulla superficie apparvero scie bianche mentre le teste correvano verso Dor. Dor in fretta oscillò verso la riva e fece un balzo a terra. «Quanti mostri ci sono?», domandò, stupito dalla loro quantità. «Sempre uno di troppo rispetto alle tue forze,» replicò l'acqua. «Questa è la procedura standard.» Questo aveva un senso magico. Peccato che non l'avesse capito prima che Saltatore si avviasse sull'acqua. Ma allora, come poteva distrarli tutti? Doveva tentare, altrimenti Saltatore sarebbe stato catturato. Ma lui non era un viaggiatore qualsiasi, era un Mago. Dor raccolse un insetto-puzza, lo arrotolò in una pallottola e lo gettò con quanta forza aveva verso il ragno. Saltatore era ormai al centro del fiume, e correva veloce. L'insetto, arrabbiato per quel trattamento, rimbalzò sull'acqua dietro il ragno e fece esplodere la sua puzza. Dor non la sentiva da quella distanza, ma sentì che i mostri più vicini a Saltatore tossivano e arretravano. Dor lanciò altri tre insetti, tanto per essere più sicuro; poi il ragno fu fuori dalla sua portata. Millie stava facendo la sua parte. Saltellava sulla riva, agitava le mani e chiamava a gran voce i mostri. La sua carne ondeggiava in un modo che per i mostri doveva essere molto appetitoso. Anche a Dor venne la voglia di darle un morso. O qualcosa del genere. Il problema era che i mostri sta-
vano rispondendo troppo bene alle provocazioni di Millie. «Torna indietro, Millie!», gridò Dor. «Hanno dei colli lunghi!» E li avevano veramente. Un mostro allungò di scatto la testa, con le mascelle spalancate. La saliva spruzzò al di là delle file sporgenti dei denti. I suoi occhi crudeli mandavano scintille. Millie, improvvisamente cosciente del pericolo, si immobilizzò. Perché non scalciava e strillava? Si chiese Dor. Forse, in qualche modo, aveva scalciato e strillato prima, cosicché non si sarebbe creato nessun contrasto. Le dita di Dor annasparono sulla spalla in cerca della spada, mentre balzava ad intercettare il mostro. Diede uno strattone all'elsa che si liberò e gli uscì di mano mentre la spada era già fuori del fodero. «Oh, no!», gemette la spada. Dor si trovò in una posa drammatica davanti al mostro, la mano tesa... e vuota. Il mostro restò sorpreso. Poi scoppiò a ridere. Dor, alquanto confuso, si chinò a recuperare la sua arma... e naturalmente il muso si tuffò per morderlo. Dor balzò in piedi, con le gambe allargate per scavalcare la testa del mostro che si abbassava, e colpì la bestia su un orecchio con il pugno sinistro. Poi atterrò, si girò, e mise in azione la spada. Non colpì. Puntò la lama splendente contro la pupilla di uno degli occhi del mostro. Il luccichio della spada scacciò le scintille da quell'occhio. «Ora io ti risparmio, anche se tu non l'avresti fatto,», disse. «Lo prendi come segno di debolezza?» L'occhio guardò la punta della spada. La testa del mostro si scosse in segno di diniego e il mostro scivolò all'indietro. Dor avanzò a grandi passi, mantenendo la punta della spada vicina all'occhio. Dopo qualche attimo la testa scomparve sotto la superficie del fiume. Gli altri mostri, dopo aver assistito a quella scena, non avanzarono. Immaginarono che Dor avesse qualche magia potente. E Dor comprese la verità che il suo corpo già sapeva: tratta con il capo, e avrai trattato con il gruppo. «Beh, è l'azione più coraggiosa che abbia mai visto!», esclamò Millie, battendo di nuovo le mani. Lo faceva spesso ormai, e quel movimento creava delle ondulazioni interessanti lungo il suo busto. Eppure Dor non glielo aveva mai visto fare nel suo mondo. Che cosa era cambiato? Ottocento anni di semi-vita: Ecco che cosa l'aveva cambiata. La maggior parte della sua elasticità giovanile era stata scacciata da quella tragedia. Ma più immediatamente: che cos'era cambiato in lui? Non avrebbe mai
avuto il coraggio di affrontare un mostro di fiume di quelle dimensioni, tantomeno di intimorirlo e costringerlo alla fuga. Eppure l'aveva fatto senza pensarci, quando Millie era stata minacciata. Forse era il suo corpo che stava riprendendo il sopravvento, che reagiva in modo condizionato, fino al punto di affrontare un mostro in maniera tale da sconfiggere contemporaneamente tutta la flotta di mostri. Che genere di uomo aveva occupato quel corpo prima dell'arrivo di Dor? Dov'era andato? Sarebbe tornato quando Dor fosse rientrato nel suo mondo? Aveva creduto che quel corpo fosse stupido, ma invece aveva scoperto che c'erano delle compensazioni notevoli. Forse quel corpo non aveva mai dovuto preoccuparsi troppo dei pericoli, grazie alla sua competenza nell'affrontare il pericolo ogniqualvolta sì presentava. Quel corpo, senza Dor a sconvolgerlo, avrebbe potuto affrontare da solo tutta la banda di goblin. La pulce lo morse poco al di sopra dell'orecchio destro. Dor per poco non si tagliò la testa nel tentativo di schiacciarla con la mano che reggeva la spada. Era in grado di affrontare e sconfiggere i mostri, ma non riusciva a liberarsi di una sola pulce fastidiosa! Uno di quei giorni avrebbe trovato una pianta di repellente anti-pulci. «Guarda... il ragno è arrivato all'altra riva!», gridò Millie. Era vero. I diversivi erano stati sufficienti, dopotutto. Forse c'era stato un mostro in più di quanto Dor potesse affrontare... ma non era stato solo. Sollevato, Dor si avvicinò all'albero dove era stato ancorato il cavo trainante. Già si stava tendendo, sollevandosi dall'acqua, mentre Saltatore si affaticava sull'altra riva a tenderlo. Il ragno poteva esercitare molta forza su di un filo, visto che usufruiva di un particolare sistema di leve con le sue otto zampe. Ben presto il cavo si tese tra i due alberi: si incurvava lievemente solo al centro del fiume, per quanto Dor vedesse. Era un filo estremamente robusto, se confrontato a quelli soliti di Saltatore, ma aveva ancora la tendenza a scomparire in lontananza. «Ora possiamo attraversare il fiume, mantenendoci con le mani al cavo,» disse Dor. E si chiese: Possiamo? «Forse tu puoi,» disse Millie. «Tu sei un uomo grosso, coraggioso, forte e rude. Ma io sono una fanciulla piccola, paurosa, debole e dolce. Non potrei mai...» Se solo avesse saputo qual era il vero corpo di Dor! «Bene ti porterò io.» Dor la sollevò, la sistemò sull'albero a cui era legata l'estremità del cavo, poi fece un balzo con uno sforzo convulso dei muscoli. Sistemò i piedi sul cavo, trovò l'equilibrio, e prese Millie tra le braccia.
«Che cosa stai facendo?», gridò lei, allarmata. Scalciò. Dor notò ancora una volta quanto fossero graziosi i suoi piedi, e con quanta leggiadria scalciava. C'era un'arte di scalciare i piedi, e lei la conosceva: le gambe dovevano flettersi all'altezza delle ginocchia, e i piedi dovevano oscillare appena, non tanto in fretta che le gambe non si vedessero chiaramente. «È impossibile che tu riesca a tenerti in equilibrio.» «E allora?», chiese Dor. «Allora immagino che cadremo nel fiume e che, dopotutto, dovremo nuotare.» Si mosse in avanti, bilanciandosi. «Sei pazzo?», domandò Millie, inorridita. E lui ripeté a se stesso: Sono pazzo? Sapeva che mantenere quella posizione era impossibile senza un aiuto magico, eppure il suo corpo ci stava riuscendo. Che equilibrio meraviglioso aveva quel corpo barbaro! Non c'era da meravigliarsi che le Ondate Mundane avessero conquistato ripetutamente Xanth, nonostante tutti i poteri magici messi in azione contro gli invasori. Millie smise di scalciare, nel timore di fargli perdere l'equilibrio. Dor era sempre più meravigliato, man mano che avanzava. Se avesse compreso prima le potenzialità di quel corpo, avrebbe avuto molta meno paura dell'altezza. Capì ora che la sua preoccupazione riguardo a certi pericoli, come per esempio cadere, non era innata, ma era un prodotto della sua fragilità fisica. Quando aveva fiducia nelle proprie capacità, la paura scompariva. Di conseguenza, entro i limiti, il corpo di un uomo lo rendeva molto più virile anche nell'anima. Poi arrivò un nuovo problema. Forme grandi e orrende svolazzarono dalla foresta e vennero a volteggiare sul fiume. Erano troppo grandi per essere uccelli; le loro teste avevano le dimensioni della testa di un uomo. Il grottesco stormo volò in cerchio per qualche momento, poi scorsero le figure appese al cavo. «Eh, eh, eh!», gridò una, e tutte le creature virarono e piombarono su Dor. «Arpie!», gridò Millie. «Oh, siamo perduti!» Dor voleva prendere la spada, ma non poteva; entrambe le braccia erano impegnate per reggere la ragazza. I mostri del fiume erano nascosti ad una certa distanza. Erano prudenti nell'avvicinare quell'uomo così potente finché era fuori dall'acqua, ma avrebbero potuto ripensarci se fosse caduto in acqua... come sarebbe accaduto ben presto se lui avesse cercato di afferrare la spada, lasciato cadere Millie e perso l'equilibrio. Era inerme. Le arpie si avvicinarono, le loro ali sporche diffusero nell'aria un brutto odore. Erano veramente degli uccelli sporchi! Erano luridi volatili con la testa e il petto di donna. Ma non il bel volto e il seno sodo di Millie. I loro
volti erano da strega e le loro mammelle grottesche. Avevano voci rauche. Le zampe da uccello avevano artigli orrendamente scheggiati. «Che bella scoperta, sorelle!», gracchiò l'arpia a capo dello stormo. «Prendeteli, prendeteli!» Lo stormo si tuffò con strida di gioia. Si avvicinarono decine di artigli mentre le maleodoranti creature afferravano Millie, che strillava, scalciava e dimenava le trecce senza alcuna utilità, come al solito. Fu strappata alla stretta di Dor e sollevata in aria. Poi altre dieci arpie conversero su Dor. I loro artigli si strinsero sui suoi avambracci, sui bicipiti, sui polpacci, sulle cosce, sui capelli e in vita. Gli unghioni erano arrotondati, senza bordi taglienti, perciò non lo ferivano laddove le punte erano intere. Gli serrarono il corpo in una morsa, senza fargli male. Le ali lerce si agitarono potenti, e Dor fu portato verso l'alto, al centro del putrido stormo. Lo trasportarono oltre il fiume e nella foresta. Volavano al livello delle cime degli alberi, cosicché il suo posteriore che si incurvava sfiorava quasi le fronde più alte. Lo trascinarono attraverso la foresta finché non raggiunsero un grande crepaccio nel terreno, e lì scesero. Non era l'Abisso; era di gran lunga più piccolo, molto più simile alla spaccatura nella quale era entrato con il tappeto magico. Era la stessa? No, il posto non era quello e la configurazione era diversa. "Scavati nelle pareti ripide di quel crepaccio c'erano sozzi buchi: caverne che le arpie usavano come nidi. Lo portarono nella più grande e lo lasciarono cadere con poche cerimonie sul pavimento lordo. Dor si alzò, cercando di scuotere lo sporco dagli abiti. Millie non era lì: dovevano averla portata in un'altra caverna. E, a meno che non ci fossero dei passaggi tra una galleria e l'altra - il che sembrava improbabile, visto che quelle creature erano più abili nel volo che nel camminare - egli non avrebbe potuto raggiungerla a piedi. Aveva con sé la spada, ma non poteva sperare di uccidere tutte le arpie in quella degenerata città: lo avrebbero sopraffatto. Due erano i casi: o le arpie lo sapevano e perciò non avevano tenuto in nessun conto la spada, o semplicemente non l'avevano riconosciuta in quel fodero mundano sistemato sul dorso. L'ultima ipotesi sembrava la più probabile. Finalmente stava cominciando ad apprezzare la dislocazione della spada! Di conseguenza, sarebbe stato stupido a tradire il possesso di un'arma facendo una mossa prematura. Avrebbe dovuto aspettare di capire che cosa volessero da lui, se non volessero solo mangiarselo rapidamente, e lottare solo come ultima risorsa.
Aveva scoperto una cosa riguardo all'essere eroi: i pericoli erano più grandi, e le tenebre più buie. Nella sua vita reale non si sarebbe mai trovato in una situazione come quella. Le arpie tornarono e lasciarono una vecchiaccia rugosa, particolarmente brutta. «Perbacco, sei bello robusto!», gracchiò. I capelli appiccicaticci svolazzarono intorno mentre lei chinava il capo, come una gallina. Forse erano piume sulla sua testa. Era difficile dirlo sotto quello strato di letame. «Denti buoni, buon tono muscolare, aitante... sì, andrai proprio bene!» «Proprio bene per che cosa?», domandò Dor con maggiore aggressività di quella che provava. Era spaventato. «Proprio bene per il mio pulcino,» disse con voce stridula la vecchia strega. «L'Eletta Elena, Regina delle Arpie. Abbiamo bisogno di un uomo a generazioni alterne, di un avvoltoio nelle altre.» «Che cosa avete fatto alla... ragazza?» Dor decise di non nominarla, altrimenti quei mostri corrotti avrebbero capito che i due erano legati e avrebbero tentato di ricattarlo, torturando lei. Sapeva che i mostri facevano cose del genere. Era nella natura dei mostri, dopotutto. Aveva ragione. «Verrà cucinata su un fuoco di letame per cena,» gracchiò con allegria l'uccellaccio astuto. «È un bocconcino così delizioso! A meno che tu non faccia quello che ti chiediamo.» «Ma non mi hai detto che cosa mi chiedete.» «Non te l'ho detto?» Il sozzo uccellaccio drizzò la testa. «Stai facendo il finto tonto? Non ti servirà a niente, mio bel maschione! Nel nido con me!» E allargò le sue ali orrende e avanzò, il suo tanfo lo colpì di nuovo. Dor indietreggiò... e si ritrovò in una diramazione della caverna. Allora c'erano passaggi tra una grotta e l'altra. Quello non era abbastanza grande perché Dor potesse stare in piedi; era possibile solo camminare carponi. Perciò camminò carponi, girò una curva e la galleria si aprì in un'ampia camera il cui soffitto a cupola gli permise di rialzarsi. Davanti a lui c'era un'altra arpia... ma che differenza c'era! Questo era un uccello giovane, con le piume di uno splendore metallico, artigli di ottone lucente, la faccia e il petto di un'incantevole fanciulla... ed era pulita. I suoi capelli erano ordinati e pettinati in trecce folte. E se c'erano piume tra i capelli, erano di seta. Era l'arpia più bella che Dor avesse mai visto o immaginato. «E così tu sei l'uomo che Mamma mi ha trovato,» Elena l'Arpia mormorò. Aveva una voce calda e non stridula. Dor si guardò intorno. La camera era spoglia tranne che per un grande
nido al centro, formato di soffici piume tanto che spumeggiava come un magico bagno di bollicine. La camera si apriva sul canyon: un dirupo di una sessantina di metri. Anche se fosse riuscito a scalarlo, come avrebbe liberato Millie? Era difficile scalare una roccia ripida con qualcuno che scalciava i piedi e urlava. «Penso che mi piacerai,» mormorò Elena. «Avevo i miei dubbi quando Mamma ha detto che mi avrebbe trovato un uomo, ma non sapevo che alludesse ad un uomo così bello. Sono felice che non mi sia capitata la generazione dell'avvoltoio, come a Mamma.» «Dell'avvoltoio?», chiese Dor, guardandosi intorno in cerca di un'altra uscita. Se fosse riuscito a strisciare lungo un tunnel, trovare Millie... «Noi siamo per metà umane e per metà avvoltoi,» spiegò l'arpia. «Poiché non esistono maschi della nostra specie, dobbiamo alternare.» Dor non aveva capito che non c'erano arpie maschi. Aveva creduto che ci fossero, nel suo mondo. Ma non aveva mai approfondito la faccenda. Aveva visto solo femmine in realtà: pensava che i maschi non si muovessero e lasciassero alle femmine il compito di trovare il cibo. Ad ogni modo, quella non era una delle sue preoccupazioni, in quel momento. Ebbe un'idea brillante. «Nido, qual è il modo migliore per uscire di qui?» «Fare il favore che ti hanno chiesto,» replicò il nido, e le soffici piume svolazzarono lievi mentre parlava. Erano belle, di sfumature pastello. «Non hanno mai ucciso le creature che si accoppiano con loro, a meno che non avessero molta fame.» «Non so nemmeno che cosa vuole l'arpia!», protestò Dor. «Vieni qui,» mormorò la bella arpia. «Ti mostrerò che cosa voglio, delizioso pezzo d'uomo.» «Vorrei essere lontano da qui,» mormorò Dor. «Io sto ancora lavorando per farti attraversare il fiume,» si lamentò l'anello che aveva al dito. «Che cos'è?», chiese Elena, allargando un po' le sue ali graziose. Le piume delle ali erano bianche come il suo seno, e probabilmente altrettanto soffici. «Un anello magico. Esaudisce i desideri,» disse Dor, sperando che non fosse un'esagerazione. In realtà, non aveva mai colto in fallo l'anello; ma non era sicuro se i suoi successi fossero dovuti alla sua magia. «Oh! Ho sempre desiderato di averne uno.» Dor se lo tolse dal dito. «Te lo posso dare; io voglio solo liberare Mil-
lie.» Accidenti... aveva detto il nome della ragazza. Elena ghermì l'anello che le veniva offerto. Le arpie erano molto brave nel ghermire. «Tu non sei una spia dei goblin, è vero? Noi siamo in guerra con i goblin.» Dor non lo sapeva. «Io... noi abbiamo ucciso dei goblin. Una loro banda ci ha attaccati.» «Bene. I goblin sono i nostri mortali nemici.» La curiosità di Dor fu destata. «Perché? Siete entrambi mostri. Pensavo che andaste d'accordo.» «Un tempo andavamo d'accordo, molto, molto tempo fa. Ma i goblin ci hanno fatto uno sporco tiro, perciò ora siamo in guerra con loro.» Dor si mise a sedere sul bordo del nido. Era soffice e morbido come sembrava. «È strano. Pensavo che solo la mia specie facesse le guerre.» «Noi siamo per metà della sua specie, lo sai,» disse lei. Sembrava sempre più bella man mano che Dor la conosceva. Aveva un lieve odore di rose. Evidentemente solo le arpie vecchie erano così orrende. «Molte creature lo sono, come i centauri, i tritoni, le sirene, i fauni, i lupi mannari, le sfingi, e tutti... tutti loro hanno ereditato la propensione alla guerra che hanno gli uomini. I peggiori sono gli pseudouomini, come i troll, gli orchi, gli elfi, i giganti e i goblin. Tutti loro hanno delle armate e periodicamente vengono presi da smanie distruttive. Quanto sarebbe stato meglio se noi semi-umani avessimo ereditato la vostra intelligenza, curiosità e genio artistico senza la vostra barbarie.» Il suo discorso acquistava un senso sempre crescente. «Forse se aveste ereditato l'altra nostra metà, ora avreste la testa dell'avvoltoio e la parte posteriore degli uomini...» Lei scoppiò in una risata argentina. «L'accoppiamento sarebbe stato più semplice! Ma avrei preferito avere l'intelligenza, nonostante le sue pecche.» «Che cos'hanno fatto i goblin alle arpie?» Lei sospirò, e tirò un sospiro profondo. In quel modo, la sua parte umana era più evidente, e Dor fu felice che lei avesse ereditato dagli uomini la parte superiore. «È una storia lunga, bell'uomo. Vieni, poggia la testa contro la mia ala, e io ti pulirò lo sporco dalla faccia mentre te la racconto.» Non sembrava pericoloso. Si appoggiò alla sua ala, e la trovò soda, liscia e lievemente elastica, con un fresco odore di piume. «Ai tempi in cui Xanth era nuova,» disse in un tono dolce e narrativo, «e le creature stavano sperimentando la prima grande irradiazione delle for-
me, creando tutte le combinazioni magiche che conosciamo oggi, noi semi-umani sentivamo l'affinità che ci univa gli uni agli altri.» Gli leccò delicatamente la guancia con la lingua. Dor stava per protestare, ma poi capì che era quello che lei intendeva per pulire. Beh, lui era stato d'accordo, e del resto la sensazione non era affatto brutta. «Gli uomini di Mundania arrivarono in Ondate selvagge, uccidendo e distruggendo,» continuò l'Arpia, mordicchiandogli l'orecchio. «Noi semiumani dovemmo collaborare solo per sopravvivere. I goblin vivevano vicini a noi arpie e a volte dividevamo le stesse grotte. Loro dormivano di giorno e andavano in cerca di cibo la notte, mentre noi uscivamo di giorno. Di conseguenza, le nostre due specie potevano usare le stesse caverne per dormire. Ma quando le due popolazioni aumentarono non ci fu abbastanza spazio per tutti noi.» Mentre parlava continuava a leccarlo, e ormai era arrivata alla bocca. Le sue labbra erano morbide e dolci su quelle di Dor. Se non fosse stato meglio informato, avrebbe pensato che fosse un bacio. «Alcune delle nostre femmine furono costrette a trasferirsi e a costruire nidi fra gli alberi,» continuò l'arpia, leccandogli l'altra guancia. «Scoprirono che era una soluzione migliore, e ancora adesso nidifichiamo sugli alberi. Ma i goblin divennero avidi di spazio, e compresero che se noi fossimo state di meno ci sarebbe stato posto per più goblin. Allora cospirarono contro di noi, ingenue e innocenti. Le loro femmine, alcune delle quali a quei tempi erano molto graziose, adescarono i nostri uomini, con la lusinga delle... delle...» Si fermò, e le ali le tremarono. Evidentemente era difficile per lei. Ma non era molto facile nemmeno per Dor; ora il petto di lei era contro la sua guancia, poiché Elena si protendeva a leccargli il collo. In qualche modo, trovava difficile concentrarsi sulle parole dell'arpia. «Delle loro braccia e... e gambe,» disse Elena infine. «Non era trascorso molto tempo da quando ci eravamo distaccati dalla specie umana, e i nostri maschi ricordavano ancora e desideravano quelle che chiamavano le donne vere, sebbene la maggior parte delle donne umane ed umanoidi non avrebbero voluto avere niente a che fare con degli artigli d'avvoltoio. Quando le signore dei goblin divennero accessibili - vorrei chiamarle in un altro modo, ma non sta bene che io usi quel tipo di linguaggio - quando quelle creature invitarono i nostri maschi... oh, i maschi sono così stupidi!» «Giusto,» convenne Dor, sentendosi egli stesso abbastanza stupido, semischiacciato tra il collo e il seno dell'arpia. Sapeva che era meglio non discutere con il sesso che era veramente stupido. «E allora perdemmo i nostri maschi, e le nostre femmine si inacidirono.
Questo è il motivo per cui abbiamo la fama di essere maleducate con la gente, una fama esagerata, del resto. Ma a che serve sforzarsi quando non c'è nessun maschio a cui piacere?» «Ma questo fu per una sola generazione,» protestò Dor. «Dovrebbero essere nati altri maschi nelle generazioni successive.» «No. Non c'erano più uova... nessun uovo fertile. Non c'era mai stato un gran numero di maschi. La nostra specie per ogni covata generava cinque femmine per ogni maschio. Ma ora non ce n'erano più. Le nostre femmine stavano diventando vecchie, acide e insoddisfatte. Non c'è nulla di tanto acido quanto una vecchia arpia con il nido vuoto.» «Sì, naturalmente.» Sembrava che Elena avesse finalmente finito la pulizia. Dor non dubitava che la sua faccia fosse pulita e splendente. «Ma perché allora non sono morte tutte le arpie?» «Noi femmine dovemmo cercare maschi di altre specie. Noi detestiamo questa necessità, ma la nostra alternativa è l'estinzione. Poiché in origine deriviamo da un incrocio tra uomo ed avvoltoio - immagino che fu uno spettacolo incredibile, lì alla fonte dell'amore - siamo dovute ritornare a queste due specie per non estinguerci. Ci sono dei problemi, però. I maschi umani e i maschi degli avvoltoi in genere non sono propensi ad accoppiarsi con le arpie, e noi non riusciamo sempre a portarli alla fonte dell'amore per farli innamorare. Quando poi ci accoppiamo con loro il risultato è sempre un pulcino femmina. Sembra che solo un'arpia maschio possa generare i maschi della nostra specie. Perciò siamo diventate uno stormo di vecchie femmine.» Era una storia incredibile! Dor aveva sentito parlare delle nefande fonti dell'amore, dove le più svariate creature bevevano innocentemente, poi cadevano innamorate della prima creatura di sesso opposto che incontravano. Gran parte della popolazione di Xanth era derivata da incroci dovuti a fonti simili. In quel modo si erano create delle specie nuove che in seguito si erano riprodotte. Per fortuna l'acqua dell'amore doveva essere fresca, altrimenti perdeva la sua potenza. In caso contrario, la gente l'avrebbe messa di nascosto nei bicchieri degli amici per fare scherzi di cattivo gusto. Ma Dor capiva come questo fattore costituisse un problema per le arpie, che non riuscivano sempre a portare il loro potenziale compagno alla fonte, né a fargli bere quell'acqua. Tutto il corpo di Elena fu scosso dalla rabbia, e la sua voce assunse il tono stridulo delle vecchie femmine. «E questo è quanto i maledetti goblin ci hanno fatto, e il perché li odiamo e li combattiamo. Vogliamo uccidere tut-
ti i loro maschi, come loro hanno ucciso i nostri. Lotteremo finché non ci saremo vendicate dell'orribile torto che ci hanno fatto. Stiamo già raccogliendo le nostre armate e radunando i nostri alleati tra tutte le specie alate, e compiremo una vendetta terribile eliminando la popolazione dei goblin dalla faccia di Xanth!» Nel frattempo Dor aveva affermato lo scopo per cui era stato portato lì. «Io, uh, io simpatizzo con voi. Ma non posso veramente aiutarvi. Sono troppo giovane. Non sono ancora un uomo.» Lei si tirò indietro e torse la testa per osservarlo, con i grandi occhi splendenti. «Certamente hai l'aspetto di un uomo.» «Sono cresciuto molto in fretta. In realtà, ho dodici anni. Non è molto per la mia specie. Voglio solo aiutare la mia amica Millie.» Lei rifletté per un attimo. «Dodici anni. Potrebbe considerarsi una seduzione dal punto di vista legale. Molto bene. Accetterò l'anello che mi hai offerto, in luogo di... di altro. Forse mi potrà far avere un uovo fertile.» «Posso! Posso!», esclamò l'anello con ansia. «Ad ogni modo, io non volevo veramente farlo,» disse Elena mentre si infilava l'anello nell'artiglio più grande. Lo aveva solo stretto tra le zampe fino a quel momento. «Mamma ha insistito, questo è tutto. Tu puoi riprenderti la ragazza, sebbene alla tua età non capisco che cosa farai di lei. È a quattro caverne a destra di questa.» «Uh, grazie,» disse Dor. «Tua madre non farà obiezioni... voglio dire se vado via così?» «No, se io non lancio delle strida. E io non lancerò delle strida se l'anello funziona bene.» «Ma l'anello ha bisogno di tempo per agire, anche se...» «Oh, vai pure. Non capisci che sto cercando di darti un'opportunità?» Dor se ne andò. Non era certo di quanta pazienza avrebbe avuto l'arpia con l'anello, o se semplicemente non avrebbe cambiato idea Naturalmente era sempre possibile che l'anello funzionasse veramente. Quanto sarebbe stato bello per le arpie se avesse dato loro un pulcino maschio! Ma intanto, lui non voleva perdere tempo. La vecchiaccia lo guardò con sospetto, ma non lo fermò Dor contò quattro caverne a destra ed entrò. E, naturalmente, vi trovò Millie, scarmigliata ma intatta. «Oh, Dor!», gridò. «Sapevo che mi avresti liberato!» «Ancora non ti ho liberato,» l'ammonì. «Ho scambiato il mio anello dei desideri per venire da te.»
«Allora faremmo meglio ad uscire in fretta da qui! Quell'anello non sarebbe neppure capace di uscire da un sogno.» E perché avrebbe dovuto desiderarlo? si chiese Dor. Ispezionò l'uscita della caverna. Come l'altra, si apriva su uno spaventoso dirupo. «Non penso che possiamo semplicemente uscire a piedi. Non credo che esistano delle uscite che non richiedano un paio di ali. Questo è il motivo per cui le arpie non sì preoccupano che scappiamo.» «Loro... loro mi hanno minacciato di cucinarmi per cena. Preferisco saltare piuttosto che...» «Questo serviva solo a costringermi a collaborare,» disse Dor Eppure aveva il timore che non fosse stato un bluff. Perché avrebbero dovuto fare a lei quella minaccia, se non c'era lui ad ascoltare? Le arpie non erano creature gentili. «Collaborare? Che cosa volevano da te?» «Un servizio che non potevo eseguire.» Sebbene quel corpo avesse delle capacità virili e probabilmente poteva... no, non era quello il punto. Millie lo guardò il viso. «È pulito!», esclamò. «Io, uh, l'ho lavato.» I suoi occhi si strinsero. «A proposito di quel servizio... sei sicuro...?» Dannazione all'intuito femminile! Dor si inginocchiò accanto all'uscita della caverna e tastò tutt'intorno al foro con le dita. «Forse ci sono degli appigli o qualcosa del genere.» Non c'erano. La parete del dirupo era dura e liscia come vetro, e il salto faceva paura. Vide delle arpie uscire svolazzando dalle altre caverne: andavano e venivano, sempre volando. Non c'era nessuna speranza da quella parte! Anche se ci fossero stati degli appigli, sarebbero occorse entrambe le mani. Non sarebbe riuscito a reggere Millie con una mano sola, e lei avrebbe strillato, scalciato e dimenato i capelli e sarebbe caduta e morta nel tentativo di fare quella scalata da sola. Lei era una fanciulla deliziosa, ma non molto esperta nelle faccende degli uomini. Non che non potesse fare un rimprovero simile a se stesso, dopo l'incontro con l'Eletta Elena, l'Arpia. Elena aveva visto che le arpie un tempo avevano diviso gli alloggi con i goblin. I goblin non volavano, e dubitava che fossero in grado di scalare quel ripido dirupo. Se avevano diviso quelle caverne, dovevano esserci dei sentieri per loro, da qualche parte. Forse erano stati cementati, dopo che i goblin erano stati scacciati. «Pareti, qualcuna di voi nasconde dei tunnel
per i goblin?», chiese. «Io no!», risposero in coro le pareti. «Volete dire che i goblin non hanno mai usato queste caverne?», domandò Dor, deluso. Elena gli aveva mentito oppure si era riferita ad altre caverne, prima che le arpie si trasferissero in quelle attuali? «Falso,» dissero le pareti. «I goblin scavarono queste caverne, scavarono e scavarono, prima che cominciasse la guerra.» «Allora come facevano i goblin ad entrare ed uscire?» «Attraverso i soffitti, naturalmente.» Dor si colpì la fronte con il palmo della mano. Naturalmente! Uno dei problemi con gli oggetti inanimati era che non avevano molta immaginazione e avevano la tendenza a rispondere letteralmente. La sua domanda era rivolta a tutti gli oggetti all'interno e all'esterno di quella caverna, ma aveva nominato solo le pareti, perciò avevano risposto solo loro. «Soffitto, nascondi un passaggio per i goblin?» «Sì,» replicò il soffitto. «Ti saresti risparmiato un mucchio di guai se mi avessi interrogato prima, invece di far parlare quelle stupide pareti.» «Perché non è visibile?» «Le arpie l'hanno chiuso con fango e sterco. Tutti lo sanno.» «Ecco perché puzza!», gridò Millie. «Usano il loro sterco per costruire.» Dor sguainò la spada. «Dimmi dove devo colpire per aprire il passaggio,» disse. «Proprio qui,» disse un lato del soffitto. Dor infilò la punta della spada e la girò. Un pezzo di fango secco cadde a terra. Affondò ancora di più la spada e tolse un altro pezzo di fango. Il passaggio si apri. Una corrente di aria fetida entrò dal buco. «Che cos'è quest'aria fresca?», la voce di un'arpia stridette dall'ingresso della caverna. «Aria fresca?», esclamò Dor, che per poco non soffocò per la puzza. Lui e Millie si eran più o meno abituati all'odore che pervadeva le caverne, ma ora che l'aria si muoveva, le narici non riuscivano a filtrarla velocemente. Eppure, forse quella corrente d'aria era nauseabonda per le arpie. Poi la vecchiaccia apparve all'entrata. «Stanno cercando di svignarsela attraverso il vecchio passaggio dei goblin!», stridette. «Fermateli!» Dor avanzò a grandi passi per bloccarla, con la spada tesa. A piedi, senza poter allargare le ah, l'arpia era in svantaggio, e fu costretta a ritirarsi. «Arrampicati nel passaggio!» gridò Dor a Millie. «Usa il passaggio dei goblin per scappare!»
Millie alzò gli occhi e guardò la buia apertura. «Ho paura!» gridò. «Possono esserci i nickelpiedi!» Questo lo impressionò. I nickelpiedi erano insetti malvagi, cinque volte più feroci dei centopiedi, con delle tenaglie fatte di nickel. Attaccavano qualsiasi cosa si muovesse nel buio. Ora si erano avvicinate altre arpie. Temevano la lama sguainata di Dor, ma non arretravano più di quanto dovevano. Dor non poteva roteare la spada nella caverna, e non aveva veramente intenzione di versare il loro sangue. Dopotutto, erano semi-umane, e non era bello uccidere delle donne. Che cosa avrebbe fatto? Con le arpie di fronte, Millie che recalcitrava, e un dirupo all'esterno... in quella situazione non poteva imbrogliare nessuno facendo parlare le mura. Era nei guai. Poteva tenere lontani quei sudici uccelli a tempo indefinito, ma non poteva scappare. In realtà, se le arpie cominciavano ad entrare a volo dal lato del dirupo, avrebbe avuto un grande problema, perché non poteva coprire bene entrambe le entrate, e Millie non sarebbe stata di grande aiuto. E, a tempo debito, lui e Millie si sarebbero stancati, avrebbero avuto fame e sete, e avrebbero dovuto dormire. Sarebbero stati di nuovo imprigionati. «Millie, tu devi salire fino a quel passaggio dei goblin!», gridò lui. «Non va bene, non va bene!», gridarono dall'esterno le arpie. «Sappiamo dove sbuca, e alcune di noi sono già di guardia all'uscita. Non potete scappare!» Allora perché glielo dicevano? Era più semplice agguantarlo all'uscita del tunnel dei goblin. Perciò stavano bluffando. Allora Millie gridò. Dor guardò... e scorse un'enorme forma pelosa uscire dal buco. Degli occhi verdi lo guardarono. «Saltatore!» Quanto era felice di rivedere il grande ragno! «Non ho potuto sistemare i miei fili,» trillò il ragno. «Gli uccelli uomodonna mi avrebbero scorto sulla parete del dirupo. Perciò sono venuto in questo mondo.» «Ma le arpie stanno a guardia dell'uscita...» «Ci sono. Ma non mi hanno seguito all'interno, a causa dei nickelpiedi.» «Ma tu...» «I nickelpiedi sono insetti con le tenaglie. Io avevo fame, ad ogni modo. Erano deliziosi.» Naturalmente un grande ragno era in grado di trattare grandi insetti! Ma le arpie erano più spaventose. «Se non possiamo usare il tunnel dei go-
blin...», cominciò Dor. Saltatore assicurò un filo a Millie ed un altro a Dor. «Sto producendo fili sufficienti a calarvi sul fondo, ma voi dovrete lasciarvi cadere. Vi suggerisco di oscillare e scivolare in modo che gli uccelli non saranno in grado di afferrarti.» «Ma io non posso farlo!», protestò Millie. «Non ho braccia grandi e muscolose, ed altre cose!» Dor la guardò. Aveva ragione solo in parte: le mancavano le braccia grandi e muscolose, ma certamente aveva altre cose. «Ti porterò io.» Agitò la spada minacciosamente verso le arpie che premevano in avanti. «Avrai bisogno di tutte e due le braccia per calarti,» osservò Saltatore. «Io salterò dall'altra parte del crepaccio e legherò un cavo di sicurezza. In questo modo potrai oscillare dal centro del burrone, senza urtare le pareti. Ma ti attaccheranno a mezz'aria.» «Non si può impedirlo. Tu dovrai allentare il cavo di sicurezza, in modo da farci scendere lentamente. Solo assicurati che il filo sia ben teso quando cominciamo.» «Sì, è possibile, sebbene sia difficile. I vostri due pesi eserciteranno una grande tensione sul filo.» Dor minacciò con la spada un'altra arpia dalla faccia di strega. «Millie ti guarderà, e mi dirà quando tutto è pronto. Tu falle un cenno dall'altra parte del crepaccio.» «Giusto.» Saltatore corse verso l'apertura che dava sul dirupo e scomparve. Dalle arpie che erano all'esterno si alzò un grido. Non avevano mai visto prima di allora un ragno saltellante, di quelle dimensioni, ed erano stupite e spaventate. «Saltatore sta facendo cenno!», gridò Millie. Era stato veloce! Dor brandì per l'ultima volta la spada contro le arpie, si girò, afferrò Millie con il braccio sinistro, e si buttò oltre il bordo del dirupo. Poi ricordò: teneva ancora la spada nella mano destra. Aveva dimenticato di appenderla al filo. Precipitarono verso il fondo del crepaccio. Millie strillò, scalciò e buttò i capelli contro il volto di Dor. Poi, con uno strappo, il filo si tese. Non aveva bisogno di mantenersi. Saltatore aveva attaccato il cavo a Dor, e aveva legato l'altra estremità al centro del filo che attraversava il crepaccio. Ancora una volta era stato salvato dal buon senso e dalla preveggenza del ragno. Allora Dor capì quando era stato fatto l'attacco; lui era distratto dalle arpie che incalzavano, e non
se n'era accorto. Oscillarono verso il basso e avanzarono verso il centro del crepaccio, rimbalzando leggermente. Le arpie volavano intorno alla coppia, strillavano, ma non facevano nient'altro. Avevano visto la sua spada. Oscillando, attraversarono tutta l'ampiezza del dirupo e per poco non andarono a sbattere contro la parete opposta. Saltatore aveva mantenuto il filo corto in modo che i due non sbattessero, ma arrivarono così vicini alla parete, che Dor fu costretto ad allungare le gambe e frenarsi contro la roccia. Poi cominciarono ad oscillare all'indietro. E di nuovo, in avanti, in archi sempre minori. Quando infine si fermarono, erano sospesi a metà dell'altezza del crepaccio. Le arpie stavano cominciando ad organizzarsi, e cercavano di afferrare Dor e Millie con gli artigli, come avevano fatto prima. Ma Dor questa volta aveva la spada in mano, ed era una bella differenza. L'agitava minacciosamente, e le arpie si tenevano alla larga, imprecavano e perdevano le penne sulla punta della sua spada. Era difficile per quei luridi uccelli eguagliare la sua velocità, perché Dor oscillava e rimbalzava. Però non avevano alcuna intenzione di rinunciare all'inseguimento. Saltatore, che era dall'altra parte del crepaccio, abbassò il filo come solo lui sapeva fare, e Dor e Millie scesero. La rabbia delle arpie aumentava mano a mano che aumentava la distanza. «Non fategli raggiungere il fondo!», gridò una. «C'è il nemico!» Questo non rassicurò affatto Dor. Che utilità c'era nello scappare da un pericolo solo per finire nelle grinfie di un altro? Beh, se ne sarebbe preoccupato a tempo debito. Almeno le arpie non avevano pensato di tagliare il cavo che attraversava l'abisso. O, anche se ci avevano pensato, avevano respinto l'idea. Non volevano uccidere Dor, perché poi sarebbe stato certamente inutile per loro. E Millie non avrebbe avuto un buon sapore, se i suoi resti fossero stati raccolti sul fondo del... ma basta con simili pensieri! Ormai la base del crepaccio era vicina. Era rocciosa, stretta e curva, con fossi e creste. Sembrava non esserci alcuna via d'uscita dal crepaccio, sebbene ciò non fosse sicuro, visto che il fondo del dirupo curvava in entrambe le direzioni e scompariva alla vista. Quando furono più in basso, la direzione in cui procedevano mutò, grazie alle manovre di Saltatore. Ora si muovevano lungo il dirupo piuttosto che attraverso. Le arpie si disperarono maggiormente. «Teneteli lontani dal terreno!», stridette l'arpia più orrenda e più vecchia. «Afferrateli, abbrancateli! Portateli su! Lasciate cadere la ragazza, se siete
costrette, non abbiamo bisogno di lei, ma salvate quell'uomo!» Dor fece oscillare la spada disperatamente, e le tenne lontane, cercando di non recidere il proprio filo. Un artiglio gli si ficcò nella spalla da dietro, e grandi ali sporche gli colpirono la testa. Millie strillò più forte, scalciò con più violenza i piedi, e i suoi capelli, illuminati da un raggio di sole, crearono una pioggia dorata. Non servì a niente. Dor rivolse la spada verso l'alto e l'affondò con violenza al di sopra della testa e in basso, dietro di essa. La punta si infilò in qualcosa. Si sentì uno strillo assordante che momentaneamente coprì il frastuono di Millie, e l'artiglio lasciò la sua spalla. Quando riabbassò la spada, c'era del sangue sulla punta. Allora menò colpi a casaccio in un altro circolo di arpie, tagliando le penne di quelle che gli stavano davanti. Quella violenza lo nauseò, come era accaduto quando lottava la banda di goblin, ma continuò. Ad un tratto il filo si abbassò. Millie emise un classico Eeeeeeeh! mentre cadevano... ma la caduta fu molto breve. I muscoli potenti e i tendini delle gambe di Dor si fletterono al punto giusto, frenarono la caduta e lo mantennero in equilibrio. Aveva ancora Millie stretta a sé. La posò con delicatezza a terra. Il corpetto era uscito dalla gonna. Dor le lanciò una breve occhiata, senza capire che erano due pezzi diversi, e lei rimboccò il corpetto, cosciente di quello sguardo. Almeno aveva smesso di strillare. Una forma verdastra atterrò accanto a loro. «Scusatemi per la caduta,» trillò Saltatore. «Le arpie mi hanno attaccato, e sono stato costretto a muovermi.» «È tutto a posto,» disse Dor. «Ci hai fatti uscire dalle caverne delle arpie.» Le arpie svolazzavano ancora sul crepaccio, ma non attaccavano più. Saltatore era piombato tra loro a sorpresa, servendosi del tirante per frenare all'ultimo momento in modo da non farsi male. Che meraviglia era quel tirante! «Perché le arpie si tengono lontane?», chiese Millie. Era una domanda stupida ma, come la maggior parte di domande di quel genere, non era tanto stupida, dopotutto. Le arpie erano stridule, brutte e puzzolenti - tranne che Elena - ma non erano notoriamente codarde. Perché avevano paura di quel sentiero roccioso? «Una di loro ha detto qualcosa a proposito di un nemico che si trova quaggiù,» disse Dor. Millie strillò e indicò. Un contingente di goblin avanzava lungo il fondo del crepaccio. I loro timori si erano materializzati istantaneamente! «Io posso tenerli a bada,» disse Dor, e avanzò con la spada tesa. Non sa-
peva se era un impulso del suo corpo o della sua mente, ma era anche vero che l'eroismo era facilitato dal suo fisico potente e ben coordinato. Egli sapeva di poter distruggere i piccoli goblin, perciò poteva permettersi di essere coraggioso. Nel suo corpo di dodicenne sarebbe stato, a ragione, esitante... e sarebbe stato considerato un codardo. «Vi porterò fuori di qui,» trillò Saltatore. «Forse più avanti c'è un pendio che io potrò farvi scalare con i miei fili. Tu puoi fare da retroguardia.» S'incamminarono verso est, e Dor camminava all'indietro in modo da fronteggiare i goblin senza separarsi dal gruppo. Ovviamente non c'era nessuna possibilità di fuggire verso le caverne dei goblin. «È solo una piccola banda,» stridette un'arpia. «Li possiamo combattere!Distruggeteli, compagne!» All'improvviso le arpie piombarono sui goblin. Seguì una mischia punteggiata di grida, strida, gemiti e imprecazioni. Si formò una nuvola di piume. Dor allungò il collo per vedere che cosa stesse accadendo, ma la polvere si sollevò e oscurò la scena. Sembravano lottare con le unghie e con i denti, e il combattimento non era affatto delicato. «Guai in vista!», trillò Salvatore, e Millie strillò. Dor si voltò a guardare, e vide altri goblin avanzare da ovest: una banda più grande. Il ragno si preparò a lottare, benché avrebbe facilmente potuto saltare e appendersi alla parete del dirupo, e in questo modo liberarsi dei goblin e salvarsi. Solo che non voleva abbandonare i suoi amici. Ma fu tutto inutile: l'orda lo sovrastò rapidamente. Gli strilli acuti di Millie non l'aiutarono. Una decina di mani le agguantarono le braccia mulinanti, i piedi scalcinati e le trecce ondeggianti. Dor si girò ad aiutarla, ma era già troppo tardi. I goblin lo agguantarono da tutte le parti e lo buttarono a terra. Cercò di scalciare, ma le gambe erano schiacciate dalla massa di goblin. Così, furono catturati dal nemico. Tutti e tre furono portati rapidamente verso est. Erano inermi. Improvvisamente si aprì una grotta nella parete del crepaccio, e la banda di goblin vi entrò. L'interno era buio e freddo. Dor ebbe l'impressione di scendere, ma non poteva esserne sicuro. A tempo debito, furono portati in una camera illuminata da torce gocciolanti. Questo meravigliò Dor, perché nella sua epoca i goblin avevano una paura disperata del fuoco. Ma nella sua epoca i goblin non andavano nemmeno in giro di giorno. In effetti, ce n'erano molto pochi in tutta Xanth. Perciò, questo era un altro dei cambiamenti avvenuti in otto secoli. Ad un'estremità della camera c'era un trono scavato in un complesso
massiccio di stalagmiti. Si aveva l'impressione che la pietra avesse funzionato come cera bollente, formando su di sé strati e striature colorate finché tutto l'insieme si era fuso in quell'unica massa, contorta ma bella. Il trono era occupato da un goblin dall'aspetto particolarmente feroce. Le sue gambe nere e nodose quasi si fondevano alla pietra. «Beh, trasgressori!», gridò adirato il capo dei goblin. «Che cosa vi ha fatto credere che avreste potuto intrufolarvi impunemente nei nostri domini?» Millie strillava tranquillamente e cercava ancora di scalciare. Non le piacevano le mani macchiate dei goblin sulle sue gambe. I goblin, però, sembravano più interessati che arrabbiati. Saltatore stava strillando, ma Dor sapeva che i goblin non lo comprendevano. Perciò avanzò, liberandosi dalle strette dei goblin che lo trattenevano. «Noi non volevamo intrufolarci, signore,» disse. «Noi stavamo solo cercando di scappare dalle arpie.» Aveva poca speranza che quei mostri fossero misericordiosi, ma doveva tentare. La fronte scura del goblin si corrugò per lo stupore. «Tu, un Uomo, chiami signore un goblin?» «Beh, se mi direte il titolo che vi spetta, lo userò,» disse nervosamente Dor, sebbene cercasse di tenere un atteggiamento moderatamente coraggioso. Da qualche parte, lungo la strada, la spada gli era stata tolta di mano, e si sentiva nudo senza la sua arma. «Io sono il Vice-capo Codardo, del Clan dei Goblin del Crepaccio,» disse il capo. «Però, signore andrà bene lo stesso.» Parecchie guardie dei goblin ridacchiarono. Fu Codardo, e non Dor, a reagire alle derisioni. «Trovate divertente l'idea che io sia un signore?», domandò loro con rabbia. «Questo prigioniero non è un eroe, ma un impostore che non sa nulla di onore o di combattimenti, è ovvio,» replicò un altro goblin. «Il suo 'signore' è tanto indegno che potrebbe essere considerato un insulto.» «Ah, sì?», gridò Codardo. «Beh, lo verificheremo, Gorgoglio. Lo affronterai in una Sfida d'Onore?» Gorgoglio esaminò Dor, alquanto sorpreso. Ma ora le risate del clan si rivolsero a lui. «Un solo goblin non affronta un essere umano, anche se è un impostore. Il rapporto normale è di quattro o cinque ad uno.» «Allora porta i tuoi uomini!», gridò Codardo. Si rivolse alle guardie che si trovavano dall'altra parte della sala. «Restituite a questo guerriero la sua spada. Scopriremo se il suo 'signore' è valido.»
Che cosa contorta e meravigliosa è l'orgoglio, pensò Dor. Ora il Vicecapo parteggiava per il prigioniero, e sperava che prevalesse sui goblin. Due goblin si affrettarono con la spada di Dor e alzarono l'elsa perché l'afferrasse. Era felice di riaverla, ma non gli piaceva l'idea di combattere. Non era stato per nulla soddisfatto della strage di goblin che aveva compiuto prima, e quella sensazione sgradevole crebbe quando osservò quanto fossero simili alla sua specie quelle creature. Sembravano diverse, ma il loro orgoglio era simile. I goblin non gli lasciarono nessuna scelta. Sgomberarono un'area circolare al centro della caverna, e cinque goblin del clan di Gorgoglio avanzarono verso di lui. Erano armati di piccoli bastoni e di frammenti taglienti di pietra, e avevano un'aria decisa. Ovviamente intendevano farlo fuori, se ne avessero avuto l'opportunità. Il corpo di Dor prese il sopravvento. Avanzò a grandi falcate verso la banda, facendo oscillare la lama. I goblin si buttarono ai suoi lati. Dor si girò a destra, e diede un calcio così forte ad un goblin, che la creatura rotolò sul levigato pavimento di roccia per andare a fermarsi contro una parete, con il suo coltello di pietra in frantumi. Dor si girò verso gli altri, ondeggiò la spada, e i goblin si allontanarono di nuovo. Un'altra incursione per liberarsi del goblin che gli era sgusciato alle spalle: Dor intercettò la mazza di legno con la sua lama e la colpì con un pugno. Poi ferì la testa del goblin, solida come una roccia: la creatura cadde a terra, stordita. Ad un tratto, Dor si trovò solo nel circolo. Aveva sconfitto la banda, grazie al potere e all'esperienza del suo corpo... e non aveva ucciso nemmeno un goblin. Questo lo faceva sentire meglio. Non compensava i quattro che aveva ucciso prima, ma alleviava alquanto il suo senso di colpa. Codardo sorrise grottescamente. «Allora quel 'signore' è degno oppure no?», domandò retoricamente. «Tieni la tua spada, Uomo. Hai stabilito il tuo status. Vieni... tu e i tuoi amici siete miei ospiti.» Saltatore trillò. «Sembra che i goblin tengano in gran conto lo status,» tradusse la ragnatela. «Sei stato molto intelligente a chiamarlo signore.» Dor era confuso. «Ho solo pensato che è così che si chiama un capo.» «Sembra che avessi ragione.» La prigionia si era trasformata, per quel miracolo di cortesia, in una visita. Il capo dei goblin fece loro servire un pasto sontuoso a base di cavallette candite, zanzare zuccherate e centopiedi glassati. Saltatore disse che la cena era eccellente. Dor e Millie non ne erano tanto sicuri. «Allora stavate combattendo con quelle orrende arpie,» disse Codardo,
facendo un po' di conversazione mentre educatamente strappava i segmenti di un centopiedi con i suoi dentoni gialli e ne tirava le zampette infilate fra le fessure dei denti. Sulle prime era sembrato diffidente nei confronti di Saltatore, ma dopo aver apprezzato il modo in cui masticavano le chele del ragno, che erano dove altre creature avrebbero avuto le mandibole, Codardo sembrò del tutto soddisfatto. Il modo di masticare il Saltatore era ancora più perverso di quello dei goblin, perciò era molto più educato e raffinato. Poi, quando il ragno emise il liquido digestivo che dissolse i manicaretti in un liquido vischioso, che risucchiò nello stomaco, i goblin applaudirono. Non erano mai stati capaci di mangiare in quel modo! «È un bene che vi abbiamo salvati,» disse il capo dei goblin, riposandosi dagli sforzi che faceva per emulare il modo di mangiare di Saltatore. Non importava quanto penasse, era incapace di dissolvere il cibo con la saliva prima di ingoiarlo. «Sì,» convenne Dor. In realtà, le zanzare non erano cattive: avevano una carne succosa e spugnosa, e Millie aveva capito come si mangiavano le cavallette. Le masticava e sputava le zampe fibrose in un modo gradito ai goblin, ma, in qualche modo, i suoi gesti erano graziosi. La tavola del banchetto era ricoperta di zampe. «Perché vi inseguivano?», chiese Codardo. «Noi siamo usciti perché avevamo sentito dei rumori, e vi abbiamo presi perché ogni nemico delle arpie può essere nostro amico.» «Volevano...» Dor non sapeva come esprimersi. «Volevano che io facessi qualcosa per l'Eletta Elena, l'Arpia.» «L'Eletta Elena?», chiese Millie, e la sua fronte si corrugò sospettosamente. Codardo rise tanto da spruzzare le zampe dei centopiedi sul soffitto della caverna. I cortigiani goblin applaudirono quella dimostrazione di virilità. «L'Eletta Elena! Allora è così che fanno! Catturano gli esseri umani per accoppiarsi con loro! Non c'è da meravigliarsi che tu sia scappato! Che destino orribile!» «Oh, non so...», cominciò Dor, poi afferrò l'espressione di Millie. Cambiò argomento. «Hanno detto che è tutto per colpa di voi goblin. Che voi le avete derubate dei loro uomini.» «Ci siamo solo vendicati per quello che ci avevano fatto!», gridò Codardo. «Un tempo dividevamo le caverne, ma loro erano avide di spazio, perciò fecero un incantesimo su di noi. Accecarono la vista alle nostre femmine in modo che vedessero le qualità dei nostri uomini al contrario. I più
audaci, i più coraggiosi, i più belli, i più intelligenti dei goblin, divennero maledetti ai loro occhi. Erano attratte infallibilmente dai più deboli, dai più brutti, dai più stupidi, dai più codardi e ladri tra noi, e si accoppiavano solo con loro. In questa maniera tutta la nostra specie si è inevitabilmente degradata. Un tempo eravamo più belli degli elfi, più astuti degli gnomi, più forti dei troll e avevamo più onore dell'Uomo. E ora guardaci: storti, curvi, stupidi, codardi e inclini al tradimento, tanto che cinque di noi non possono minacciare uno di voi. Le arpie hanno fatto quell'incantesimo, e solo loro possono togliercelo, ma quegli sporchi uccelli rifiutano di farlo. Perciò cercheremo di vendicarci in ogni modo, finché avremo potere su Xanth.» Questa era una parte della storia di cui le arpie non avevano parlato! Dor comprese che la pace era impossibile, perché non c'era nessun modo di riparare al danno fatto alle arpie. A meno che non si rifacesse l'accoppiamento originario tra un essere umano e un avvoltoio per produrre un'arpia maschio. Ma non riusciva ad immaginare né una persona né un uccello sottoporsi ad un accoppiamento simile! Perciò la guerra goblin-arpie sarebbe continuata finché... «Ma saremo noi a ridere per ultimi,» disse Codardo con un ghigno soddisfatto. «I Clan dei goblin già si stanno radunando, appoggiati dai fratelli delle caverne profonde di numero innumerevole, e da altri alleati. Noi estirperemo le arpie e i loro simili dalla faccia di Xanth!» Dor ricordò che anche le arpie stavano radunando le loro truppe alate per la battaglia finale. Sarebbe stato un bel combattimento! Agli onorati visitatori fu data una bella caverna buia per la notte; con dei ratti robusti, per respingere i nickelpiedi, e un orifizio nel soffitto, attraverso cui entrava l'aria fresca. Erano ospiti, eppure c'era qualcosa di inquietante nei padroni di casa. Ricordò le osservazioni di Codardo a proposito della natura dei goblin, la loro propensione al tradimento. Erano così desiderosi di praticare le loro spregevoli arti che, piuttosto che uccidere sul colpo i prigionieri, preferivano fingere che fossero ospiti onorati, per poterli poi tradire? I goblin avevano veramente l'intenzione di metterli in libertà, o stavano solo ingrassando della buona carne fresca per i loro banchetti? Codardo, per sua stessa affermazione, non era una creatura di cui fidarsi. Dor scambiò delle occhiate con gli occhi più grandi di Saltatore. Non fu scambiata nessuna parola, perché i goblin potevano essere in ascolto attraverso i buchi nelle pareti, ma era chiaro che anche il ragno nutriva gli stessi timori.
«Russa sonoramente,» mormorò Dor al pavimento quando si distese al buio. Il pavimento obbedì, e cominciò ad emettere strida, ansiti e fischi tanto che tutti gli altri rumori furono coperti. Dor allora tenne un consiglio con i suoi amici. Di conseguenza, la notte - era difficile dire che ora del giorno fosse laggiù, ma Saltatore aveva un eccellente senso del tempo - si prepararono a svignarsela. I goblin non avevano compreso il potenziale del ragno gigante, poiché Saltatore si era fermato a lottare invece di saltare sulla parete del crepaccio. Di conseguenza, Codardo non aveva messo delle guardie nell'apertura sul soffitto. In realtà, i goblin erano veramente stupidi, come aveva detto il vicecapo. Saltatore saltò sul soffitto, vi si appese, entrò nel foro di ventilazione e lo esplorò. Ben presto fu di ritorno. Issò Dor e Millie. Si fecero strada nell'oscurità il più silenziosamente possibile, mentre il russare del pavimento svaniva in lontananza. Alla fine - alla fine del filo di seta - emersero sulla superficie illuminata dalla luna. Era stato sorprendentemente semplice. Dor sapeva che sarebbe stato impossibile se Saltatore non fosse stato con loro. Saltatore, con la sua sorprendente vista notturna, i suoi fili di seta, e la sua abilità di scalatore. Il ragno aveva reso possibile l'impossibile. Capitolo 5: IL CASTELLO Trovarono un albero sicuro per trascorrere il resto della notte appesi ai fili di seta di Saltatore, poi, la mattina, ripresero il viaggio. Le pietre e i bastoncini di legno furono di grande aiuto come al solito, e i tre trovarono senza difficoltà Castel Roogna prima dell'una. Dor fu in grado di riconoscere la configurazione generale del luogo, ma la vegetazione era completamente diversa. Non c'erano frutteti; al loro posto c'erano molte piante predatrici. E... il Castello era completato solo in parte. Dor aveva visto molte volte Castel Roogna, ma in quella situazione diversa l'edificio sembrava una struttura completamente nuova. Era grande il castello più grande in tutta la Terra di Xanth - e i bastioni esterni erano i più alti e i più massicci. Era quadrato, misurava una trentina di metri per lato, e le mura si alzavano per una decina di metri o più al di sopra del fossato. Era rinforzato da quattro grandi torri agli angoli, le cui forme quadrate sporgevano per, metà al di sopra dell'edificio principale, allargandolo e
gettando grandi ombre scure sulle mura su cui si aprivano varie nicchie. Al centro di ogni lato del castello c'era una torretta rotonda, che sporgeva per metà al di sopra della struttura principale, creando ombre più sottili. Solide merlature sormontavano la cima. Non c'erano né finestre né altre aperture. Ai tempi di Dor ne era stata aperta qualcuna, ma quello era un periodo più avventuroso, e le difese dovevano essere il più robuste possibile. Soprattutto, era un edificio potente e impressionante; Dor non l'avrebbe mai immaginato così. Ma la struttura interna non esisteva; quella bella parte del palazzo, in quella fase, doveva essere solo un cortile. Il muro a nord non era ancora finito; mancava una grande porzione di mattoni al centro, e la torre rotonda di supporto era incompleta. Una mandria di centauri stava lavorando a quel muro. I semiumani si servivano di paranchi, di cavi robusti e della loro forza bruta per issare i blocchi. Lavoravano con meno efficienza e convinzione di quanto Dor si sarebbe aspettato, sulla base della conoscenza dei centauri dei suoi tempi. Sembravano più rozzi, come se la parte umana e la parte equina fossero unite in modo imperfetto. Dor pensò che non solo erano sorte nuove specie in ottocento anni, ma le vecchie si erano raffinate. Dor si avvicinò al centauro sorvegliante, che stava all'esterno del fossato, accanto ad una rozza impalcatura di legno che reggeva un blocco da issare. Sudava abbondantemente nel trottare avanti e indietro, urlando istruzioni ai centauri addetti alla carrucola, cercando di far salire la pietra senza abbattere il muro già costruito. Mosche cavalline ronzavano fastidiosamente intorno ai suoi quarti posteriori; non erano mosche cavalline grandi, ma insetti piccoli e fastidiosi. Si allontanarono ronzando quando Saltatore si avvicinò, ma il centauro non se ne accorse. «Uh, dov'è Re Roogna?», chiese Dor mentre il centauro si fermava a dargli un'occhiata affrettata. «Va a cercarlo!», replicò la sgarbata creatura in tono brusco. «Non vedi che qui siamo occupati?» Al tempo di Dor i centauri erano generalmente molto cortesi, tranne quando venivano svegliati. L'unica eccezione di rilievo era «Zio Chester,» padre di Chet, la compagna di giochi centaura di Dor. Quel sorvegliante centauro aveva qualcosa di Chester, e anche gli altri membri di quella mandria gli somigliavano. Chester doveva rappresentare un ritorno al suo tipo originale: brutti lineamenti, un bel posteriore, struttura fisica potente, carattere sgarbato, ma una creatura dalle ottime qualità una volta che si
conquistava la sua fiducia. Dor e i suoi compagni si allontanarono. Non era il caso, evidentemente, di disturbare i centauri. «Pietra, dov'è il Re Roogna?», chiese Dor ad un blocco di pietra che non era stato ancora trasportato oltre il fossato. «Temporaneamente risiede in una capanna a sud di qui,» rispose la pietra. Come Dor aveva sospettato. Bisognava ancora lavorare molto prima che il Castello fosse abitabile per un Re, sebbene in caso di guerra il cortile interno sarebbe stato un luogo abbastanza sicuro per accamparsi. Nessuno avrebbe scelto di viverci, mentre i centauri issavano pietre massicce tutt'intorno. Andarono verso sud. Dor fu tentato di fare una deviazione per andare a vedere il posto dove ai suoi tempi sorgeva il cottage di formaggio, ma resisté alla tentazione: non vi avrebbe visto nulla. Si imbatterono in una capanna ricavata da una grande zucca, posta in un prato piccolo ma ordinato. Un uomo grassoccio, con i capelli grigi, vestito di un paio di calzoncini corti, macchiati di terra, stava contemplando un albero di ciliege alla cioccolata e, nel frattempo, ne assaggiava un frutto. Era evidentemente, un giardiniere che saggiava il prodotto. L'uomo li apostrofò senza aspettare una presentazione: «Benvenuti, viaggiatori! Venite a mangiare una ciliegia intanto che sono ancora disponibili.» I tre si fermarono. Dor prese una ciliegia e la trovò ottima: una deliziosa copertura di dolce cioccolato fondente, un'imbottitura di polpa di ciliegia con un nocciolo liquido. Anche a Millie piacque quel frutto. «Meglio delle cavallette candite,» disse. Saltatore era troppo educato per fare obiezioni, ma evidentemente aveva un'altra opinione. «Fingi che sia una zecca bella gonfia,» gli suggerì Dor a bassa voce. Il ragno agitò una delle zampe anteriori per fare cenno di sì. «Beh, proviamo di nuovo,» disse il giardiniere, «Ho qualche difficoltà con quest'albero.» Si concentrò sul ciliegio. Non accadde nulla. «State cercando di fare un incantesimo?», chiese Dor, cogliendo un'altra ciliegia. «Per aggiungervi del fertilizzante, o qualcosa del genere?» «Uhm, no. I centauri forniscono una gran quantità di fertilizzante. In realtà...» Gli occhi dell'uomo si spalancarono, spaventati. «Tenete un momento quella ciliegia, signore, per favore. Non addentatela.» Dor si fermò con la ciliegia vicino alla bocca. La prima era così buona che era sconcertato dal fatto che il giardiniere gli impedisse così arbitra-
riamente di mangiare la seconda. Guardò il frutto. Gli mancava il rivestimento di cioccolato, e la sua superficie era di un rosso brillante, ed era dura. «No,» acconsentì. «Deve essere cattiva.» E la lanciò via. «No...» gridò l'uomo, troppo tardi. «È una...» Vicino ci fu un'esplosione. Millie strillò. Il rumore fu assordante, e una ventata di aria calda li colpì. Tutti e quattro si buttarono di lato, lontano dall'esplosione. Lo scoppio si placò. Dor si guardò intorno stupito. Un filo di fumo si sollevava dal luogo dell'esplosione. «Che cos'era?», chiese Dor, sconvolto. Scoprì che aveva la spada in mano, e la rimise nel fodero, quasi senza accorgersene. «La ciliegia-bomba che avete lanciato,» disse il giardiniere. «Per fortuna non l'avete addentata.» «La ciliegia... che era una ciliegia al cioccolato, che veniva da questo...» Dor guardò l'albero. «Ora queste sono ciliege-bomba! Come...» «Deve essere Re Roogna,» disse Millie. «Non l'abbiamo riconosciuto.» Stupefatto, Dor rifletté. Si era immaginato Re Roogna come un uomo molto simile a Re Trent, educato, intelligente, dal portamento imponente, un uomo che nessuno avrebbe preso alla leggera. Ma, naturalmente, il folklore di ottocento anni aveva rivestito il Mago Roogna di uno splendore non corrispondente alla realtà. Non era l'aspetto di una persona che contava a Xanth, era il talento magico. E così, quel giardiniere basso e grassoccio, dalle maniere semplici e gentili, con i capelli radi e grigi, le ascelle sudate e l'aspetto poco attraente: quell'uomo poteva essere veramente il Re. «Quell'albero... lo ha trasformato da ciliegio al cioccolato in ciliegiobomba... il talento del Mago Re Roogna era adattare la magia ai suoi scopi...» «Era?», chiese il Re, alzando un sopracciglio impolverato. Dor stava pensando alla figura storica, che, naturalmente, era contemporanea nel mondo dell'arazzo. «Io, uh, è. Vostra Maestà. Io...» Cominciò ad inchinarsi, poi cambiò idea a metà del movimento, cominciò ad inginocchiarsi, cambiò di nuovo idea, e si trovò in preda alla confusione. Il Re gli poggiò amichevolmente la mano sulla spalla. «Mettetevi a vostro agio, guerriero. Se avessi desiderato obbedienza, l'avrei comunicato fin dall'inizio. È il mio talento che mi rende diverso dagli altri, non la mia funzione. In effetti, la mia funzione è incerta in questo momento. Le mie truppe sono tutte in congedo perché non abbiamo ancora gli alloggi per loro, e mille difficoltà ostacolano la costruzione del mio Castello. Perciò la
presunzione sarebbe fuori luogo, se vi fossi incline.» «Uh, sì, Vostra Maestà,» mormorò Dor. Il Re lo contemplò. «Deduco che siate di Mundania, sebbene abbiate qualche nozione alterata su Xanth.» Lanciò un'occhiata a Millie. «E la giovane donna ha tutta l'aria di venire dalla Palizzata Occidentale. Coltivano bei frutti da quelle parti.» Guardò Saltatore. «E questa persona... non credo di aver mai incontrato un ragno saltatore delle vostre dimensioni, signore. È un incantesimo?» «Mi ha chiamato signore,» strillò Saltatore. «Un Re lo deve fare?» «Un Re,» disse Roogna con fermezza, «può fare tutto quello che vuole. Preferibilmente vuole governare bene. Vedo che la vostra voce è tradotta da una ragnatela che è sulla spalla del guerriero.» La sua espressione si indurì, e cominciò ad avere i modi che Dor si era aspettato in un Re. «Questo mi interessa. Sembra che qui ci sia una magia insolita.» «Sì, Vostra Maestà,» disse in fretta Dor. «Qui c'è un incantesimo notevole, ma difficile da spiegare.» «Tutta la magia è difficile da spiegare,» disse Roogna. «Lui fa parlare gli oggetti,» disse Millie con zelo. «I bastoncini e le pietre non gli fanno del male. Gli parlano. E gli parlano anche le mura, l'acqua e le altre cose. È così che abbiamo trovato la strada per venire qui.» «Un Mago Mundano?», chiese Roogna. «Questa è una contraddizione in termini!» «Io, uh, ho detto che era difficile da spiegare, Vostra Maestà,» disse Dor con circospezione. Una figura si avvicinò: un uomo robusto, squadrato, dell'età del Re, con un lieve sorriso maligno. «Annuso qualcosa di interessante, è vero, Roogna?», domandò. «È vero, Murphy,» replicò il Re. «Ecco, presentiamoci in maniera più adeguata. Io sono il Mago Roogna, temporaneamente Re. Il mio talento è l'adattamento della magia vivente ai miei scopi.» Guardò significativamente Dor. «Io, uh, sono Dor. Cioè, il Mago Dor. Il mio talento è la comunicazione con gli inanimati.» Poi, nel caso non fosse chiaro, aggiunse: «Parlo con le cose.» Il Re invitò Millie a parlare con un'altra occhiata. «Io sono Millie la fanciulla, una ragazza innocente e pura del villaggio della Palizzata Occidentale,» disse. «Il mio talento è...» Arrossì delicatamente, e il suo talento si manifestò con forza maggiore, «il sex appeal.»
Poi toccò a Saltatore: «Io sono Phidippidus Variegatus della famiglia di Salticidae: Saltatore il ragno, in breve,» trillò Saltatore. «Il mio talento, come per tutta la mia specie, è la produzione di fili di seta.» Alla fine fu il turno del nuovo arrivato. «E io sono il Mago Murphy. Il mio talento è far andare male le cose. Sono il principale ostacolo al potere di Roogna, e il suo rivale nel dominio di Xanth.» La bocca di Dor si spalancò. «Siete il Mago Nemico? E siete... proprio qui con il Re?» Re Roogna rise. «E quale sarebbe un posto migliore? È vero che ci opponiamo l'uno all'altro, ma questa è una faccenda politica. I Maghi, come regola, non praticano la propria magia direttamente l'uno contro l'altro. Preferiamo manifestare i nostri poteri più educatamente. Murphy ed io siamo due dei tre Maghi esistenti. Il terzo non ha interesse per la politica, perciò noi due siamo rivali nel dominio su Xanth. Stiamo mettendo alla prova il nostro potere in questo modo: se io riuscirò a completare Castel Roogna prima che l'anno sia finito, Murphy mi cederà, senza contestazioni, il diritto al trono. Se fallirò, abdicherò al trono, e poiché non c'è nessun altro Mago adatto all'incarico, l'anarchia che seguirà metterà in luce Murphy. Intanto, siamo amici, vista la nostra condizione di Maghi. È una soluzione equilibrata.» «Ma...,» Dor era atterrito. «Voi trattate il benessere di tutta la Terra di Xanth come se fosse un gioco!» Il Re scosse gravemente il capo. «Nessun gioco, Mago Dor. Noi siamo assolutamente seri. Ma siamo anche degli uomini d'onore. Se uno di noi vince in guerra, la vince in base alle regole del comportamento umano. Così è la guerra della specie civile.» Saltatore trillò. «Si sta preparando anche la guerra delle specie incivili,» tradusse la ragnatela. «Le arpie e i goblin stanno ammassando le loro truppe per sterminarsi gli uni con gli altri.» Murphy sorrise. «Ah, hai tradito un mio segreto, ragno!» «Se c'è qualcosa che può andare male, andrà male sicuramente,» disse Dor. «Volete dire che la guerra tra i mostri è opera vostra?» «Assolutamente no, Mago,» negò il Nemico. «La guerra dei mostri ha radici che affondano molto più addietro della nostra epoca, e senza dubbio continuerà molto dopo la nostra epoca. Il mio talento semplicemente incoraggia gli scontri più violenti nel momento meno opportuno per Roogna.» «E non ci vuole molto a capire dove le due armate si scontreranno, per puro caso,» esclamò Re Roogna, mentre il suo sguardo si volgeva a nord,
verso il Castello in costruzione. «Speravo che sarebbe stata una sorpresa,» ammise Murphy. «Così ti avrei impedito di richiamare le tue truppe in tempo per difendere il Castello. Ma per l'intrusione di questi visitatori, è andato tutto male.» «Allora il tuo talento ha ingannato te, questa volta!», disse Millie. «Forse è stato un mulinello,» trillò Saltatore. «Il mio talento non è resistente all'influenza di altri Maghi,» disse Murphy. «Le ramificazioni dei talenti del calibro di un Mago si estendono ben aldilà delle apparenze. Se un altro Mago mi si opponesse, il mio talento ne sentirebbe l'impatto, senza tener conto della natura specifica del talento che si oppone. E sembra che un altro Mago sia entrato nel quadro. Occorrerà del tempo per comprendere il significato di questo nuovo elemento.» Era un'osservazione giusta: Dor era entrato letteralmente nel quadro, perché quello era il mondo dell'arazzo, il mondo del quadro. Murphy studiò Dor con un'intensità inquietante. «Vorrei conoscervi meglio, signore. Vorreste accettare la mia ospitalità per la durata del vostro soggiorno qui, o finché non dovremo fuggire tutti nel Castello per sfuggire alle devastazioni dei mostri? Pensavamo che non ci fosse nessun Mago sconosciuto a Xanth, in questa epoca.» «Signore?», trillò Saltatore. Aveva ancora dei problemi con quella parola, dopo averne visto il potere. «Ma voi siete il nemico!», protestò Dor. «Oh, andate con lui,» disse Roogna. «Al momento, non posso ospitare tre persone, sebbene tra poco il Castello sarà finito. La fanciulla può stare con mia moglie, e il ragno oserei dire che sarà più a suo agio appeso ad un albero. Vi assicuro che Murphy non vi farà del male, Dor. È un suo privilegio, secondo le regole della nostra contesa, avere l'opportunità di comprendere il significato dei nuovi elementi, soprattutto se rafforzano la mia posizione. Io ho lo stesso diritto di esaminare i suoi alleati. Entrambi potrete unirvi a me e ai vostri compagni per il pasto serale.» Alquanto confuso, Dor se ne andò con Murphy. «Non capisco questa faccenda; Mago. Vi comportate come se voi e Re Roogna foste amici!» «Abbiamo una pari condizione sociale. Questa non è la stessa cosa che essere amici, ma va bene lo stesso. Non abbiamo altri pari tranne il Signore degli Zombie, che non si può frequentare su queste basi. C'è naturalmente la neo-Maga Vadne, che mi avrebbe aiutato se avessi consentito a sposarla, ma io ho rifiutato e perciò lei si è unita al Re. Ma non è una figu-
ra dominante. Di conseguenza, se desideriamo la compagnia di qualcuno del nostro livello, dobbiamo cercarla l'uno nell'altro. E ora, a quanto pare, anche in voi. Sono estremamente curioso al vostro riguardo, Dor.» Era una situazione imbarazzante. «Vengo da una terra lontana.» «Ovviamente. Non sapevo di nessun Mago residente in Mundania.» «Beh, io non sono veramente di Mundania.» Ma poteva permettersi di dire tutta la verità? «Non ditemelo, lasciatemi indovinare! Non da Mundania... perciò deve essere da qualche parte a Xanth. A nord dell'Abisso?» «Ricordate... l'Abisso?» «Perché non dovrei?» «Uh, immagino che vada tutto bene. Io... il mio popolo ha difficoltà a ricordare l'Abisso, talvolta.» «Strano. L'Abisso è difficile da dimenticare. Allora, vivete a sud dell'Abisso?» «Non esattamente. Vedete, io...» «Esaminiamo il vostro talento. Potete far parlare questa pietra preziosa?», Murphy mostrò uno smeraldo scintillante. «Qual è la tua natura?», chiese Dor alla pietra. Quanto vali? Qual è il tuo segreto?» «Sono di vetro,» rispose la pietra. «Un falso. Non valgo quasi niente. Il Mago ha decine di pietre come me da dare agli stupidi e agli avidi in cambio del loro aiuto.» Murphy alzò un sopracciglio in modo espressivo. «Ma voi non siete un falso, Dor! Per voi ci devono essere pochi segreti nascosti! Un notevole talento informazionale!» «Sì.» «Allora il mistero si infittisce! Come è possibile che un Mago completo sia rimasto nascosto tanto a lungo? Roogna ed io una volta abbiamo messo i finimenti ad un fiutamagia e abbiamo ispezionato tutta la regione. È così che è stato scelto il luogo dove doveva sorgere il Castello. Qui c'è un'alta concentrazione di magia utile, e soprattutto il suo effetto è molto forte. Se la fonte della magia non è nelle vicinanze, non deve essere molto lontana. Perciò abbiamo trovato incantesimi in quantità, ma non Maghi. Eppure, per quanto ne sappiamo, non emerge nessuna magia forte dell'entroterra. Come è possibile che un uomo di aspetto mundano, con riflessi da guerriero, riveli improvvisamente un talento simile? Sembra impossibile.» Dor si strinse nelle spalle.
«In effetti, credo che sia impossibile; o piuttosto che debba essere il risultato di una magia che vada al di là delle nostre conoscenze attuali. Qualche incantesimo particolare...» Si interruppe e alzò un dito. «Un anacronismo! Questo spiegherebbe tutto! Siete della Terra di Xanth... in un'altra epoca!» «Uh, si,» disse Dor. Murphy non era uno stupido! «Sicuramente non venite dal passato, perché storicamente non è registrato nessun talento del genere. Naturalmente molti degli antichi documenti sono andati perduti, a causa delle Ondate. Ma i talenti tendono a diventare più sofisticati con l'andar del tempo, e il vostro è sofisticato. Di conseguenza, dovete venire dal futuro. Quanto lontano? La verità non poteva essere celata a quell'uomo intelligente! «Ottocento anni,» ammise Dor. Erano arrivati alla tenda di Murphy. «Entrate, prendiamo un bicchiere di sidro - nel mio giardino una pressa per il sidro dolce ha appena dato i suoi frutti - e raccontatemi tutto.» «Ma io non sono dalla vostra parte!», esplose Dor. «Io voglio che vinca Re Roogna!» «È naturale. Tutti i benpensanti lo vogliono. Fortunatamente per me, ci sono tanti malpensanti quanti benpensanti. Ma certamente capirete che questa ignoranza serve ai miei scopi, non a quelli di Re Roogna. Solo un'ordinata classificazione dei fatti può favorire un regno stabile.» «Allora perché volete queste informazioni da me? Volete farmi del male?», la mano di Dor sfiorò l'elsa della spada. «I Maghi non agiscono contro i Maghi,» gli ricordò Murphy. «Non direttamente. Non intendo farvi alcun torto personale. Piuttosto, sto tentando di determinare l'influsso ed il significato della vostra presenza qui. L'addizione di un altro Mago completo all'equazione, potrebbe cambiare il risultato della nostra contesa. Se la vostra forza è sufficiente a far pendere i piatti della bilancia a favore di Roogna, e io non posso far nulla, allora gli concederò il trono senza altri disordini e risparmierò a tutti noi molte sofferenze. Perciò conviene sia a Roogna che a me accertare la vostra natura, presto e bene. Perché pensi che vi abbia mandato con me?» «Voi due siete i più strani nemici che abbia mai visto! Non riesco a seguire le tortuosità del vostro gioco.» «Rispettiamo semplicemente le regole. Senza regole, non c'è gioco.» Murphy gli porse un bicchiere di sidro. «Raccontatemi tutta la storia, Dor, e accerteremo se la vostra presenza influisce sulla nostra situazione. Poi
potrete spiegare tutto al Re.» A Dor parve di non avere scelta. Desiderò che ci fosse Saltatore a consigliarlo, oppure Grundy il golem. Non aveva fiducia nelle proprie capacità di giudizio. Ma si sentiva più a proprio agio nel dire la verità. Perciò raccontò al Nemico Mago tutto quanto riuscì a riordinare della sua storia. La sua ricerca per aiutare un zombie a rinascere, l'inclusione di Saltatore nell'incantesimo, le avventure all'interno dell'arazzo. «Non c'è nessun problema nel trovare il Signore degli Zombie,» disse Murphy. «Il problema è che non vi aiuterà.» «Ma solo lui conosce il segreto per ridare la vita agli zombie! Questo è lo scopo del mio...» «Forse lo conosce,» disse Murphy. «Ma non lo dirà. Non fa niente per nessuno. È per questo che vive solo.» «Ma io glielo devo chiedere,» disse Dor cocciutamente. «Intanto voi che cosa farete? Ora che sapete che Re Roogna ha completato, voglio dire completerà, il Castello...» «Questo è veramente un grosso problema. Ma ci sono varie considerazioni da fare. Una è che potete non avermi detto la verità.» Dor fu punto sul vivo. La mano del suo corpo, reagendo a modo proprio all'umore di Dor, si allungò sulla spalla in cerca della spada. Murphy alzò una mano, affatto spaventato. «Parlate in modo così insicuro, eppure il vostro corpo reagisce con tanta aggressività! Questo prova la verità della vostra storia, però. Non costringetemi ad usare la mia magia contro di voi. Altrimenti potreste subire disgrazie, ogniqualvolta mettete in azione la vostra spada. Non vi ho chiamato bugiardo. Ho solo ipotizzato che voi aveste informazioni false. La storia è nota per dare informazioni false. Il castello che conoscete potrebbe essere stato costruito un secolo dopo ed aver ricevuto il nome di Roogna solo per dare verosimiglianza al nuovo ordine. Come farete a saperlo?» «Vero... che cosa?», chiese Dor, confuso. «Verosimiglianza. Realismo. Farlo sembrare credibile e vero.» Dor era perplesso. Un Castello costruito molto dopo, e chiamato Roogna. Non ci aveva mai pensato. «Ma ci sono anche altre possibilità,» continuò Murphy. «Supponiamo che la vostra versione della storia sia precisa; come in realtà può essere. L'avete appena dichiarato. Che cosa potete fare, tranne che cambiare la vostra storia? In tal caso la vostra presenza, nella migliore delle ipotesi, può essere neutrale, e, nella peggiore, capovolgere il risultato dell'attuale com-
petizione tra Roogna e Murphy. Di conseguenza, la vostra venuta può essere di buon auspicio per me. Non ho nessuna intenzione di interferire con voi! Forse è stato il mio talento a portarvi qui, per ostacolare Roogna.» Dor era di nuovo sorpreso. Lui, un agente del nemico? Eppure sembrava anche troppo plausibile! «Ma piuttosto sospetto,» continuò Murphy, «che di fatto vi troverete incapace a cambiare la storia nei suoi aspetti fondamentali. Ritengo che la storia sia proteiforme. Cede sempre ad imperativi particolari ma sempre si riafferma quando la pressione si allevia. Dubito che qualsiasi cosa facciate, avrà un influsso dopo la vostra appartenenza. Sarà un fenomeno interessante da osservare, comunque.» Dor tacque. Quel Mago l'aveva neutralizzato completamente, da vero esperto, senza fare nient'altro che parlare. La cosa peggiore è che Dor temeva che Murphy avesse ragione. Quanto più Dor avesse tentato di interferire nel mondo dell'arazzo, tanto più probabile era che danneggiasse Re Roogna. Di conseguenza, Dor doveva restare il più neutrale possibile, altrimenti il suo aiuto avrebbe potuto rivelarsi disastroso. Finirono il sidro e ritornarono da Re Roogna. «Quest'uomo è veramente un Mago,» annunciò Murphy. «Ma ritengo che non minacci i miei piani, anche se si mette dalla tua parte. Te lo spiegherà come preferisce.» Il Re lanciò un'occhiata interrogativa a Dor. «È vero,» disse Dor. «Mi ha dimostrato che qualsiasi aiuto tenti di darvi... posso ottenere l'effetto opposto. Non lo sappiamo per certo, ma è un rischio. Di conseguenza, devo restare neutrale, con mio grande dispiacere.» Dor era sorpreso di sé stesso: aveva fatto una dichiarazione da adulto. Forse era l'influsso di Murphy. «Molto bene,» disse il Re. «Murphy ha molti difetti. Ma la sua onestà è indiscutibile. Poiché tu non puoi aiutarmi, posso aiutarti io?» «Mi basta che mi diciate dove trovare il Signore degli Zombie.» «Oh, non puoi ottenere niente da lui,» dichiarò il Re a Dor, «Non aiuta nessuno.» «Anche il Mago Murphy me lo ha detto. Ma è d'importanza vitale che io lo veda, dopodiché lascerò questo paese.» «Allora aspetta qualche giorno, finché non avrà completato la fase attuale della costruzione del Castello. Poi potrò fornirti una guida e una scorta. Ti è dovuto grazie alla tua condizione di Mago. Il Signore degli Zombie vive ad est da qui, nel cuore delle regioni selvagge. È difficile arrivarvi.» Dor si spazientì all'idea di dover ritardare la partenza, ma sentì che era meglio accettare l'offerta del Re. Lui e i suoi amici si erano già salvati
troppe volte per un pelo. Una guida e una scorta sarebbero state d'aiuto. Raggiunsero Millie e Saltatore. «Il Re mi ha dato un lavoro!», esclamò immediatamente Millie, saltando, battendo le mani e ondeggiando i capelli fino a nascondersi il viso. «Non appena il Castello sarà completo.» «Se avremo il tempo di aspettare,» trillò Saltatore, «io vorrei ricambiare l'ospitalità del Re, offrendogli i miei servizi per tutta la durata del nostro soggiorno qui.» «Uh...», cominciò a protestare Dor, comprendendo che quello che si applicava a lui stesso avrebbe dovuto applicarsi anche al ragno. «È molto gentile da parte tua,» disse il Re cordialmente. «Ho appreso dalla giovane donna che sei esperto nell'issare e calare gli oggetti. Noi abbiamo un grande bisogno di questa abilità in questo momento. Stasera riposa; domani ti unirai ai miei robusti centauri.» Murphy lanciò un'occhiata significativa a Dor. Il Mago Nemico era contento di mettere alla prova la validità della sua congettura. E Dor anche doveva essere contento. Forse Murphy aveva torto, dopotutto. Non potevano rischiare di presumere che aveva ragione, se non l'aveva. Perciò Dor tacque, visto che non voleva allarmare senza motivo il Re e Saltatore. Tacque, ma non era a proprio agio. Il Re servì loro una cena regale a base di pietanze raccolte da un albero dei pasticci che aveva adattato a quello scopo: pizza, tritato di carne di pecora, formaggio e dolci alle noci, il tutto annaffiato da un eccellente punch alla frutta proveniente da un albero di punch alla frutta. «Nella mia terra,» osservò Dor, «il Re è un trasformatore. Cambia le creature viventi in altre creature viventi. Può cambiare un uomo in un albero, o un drago in un ranocchio. È molto diverso dal vostro talento, Vostra Maestà?» «Un trasformatore,» mormorò Re Rogna. «Questo è un talento potente! Io non posso trasformare un uomo in un albero! Posso solo adattare forme di magia a scopi diversi: un Incantesimo del Sonno in un Incantesimo della Verità, una ciliegia alla cioccolata in una ciliegia-bomba. Perciò, si può affermare che il tuo Re è un Mago più potente di me.» Dor era imbarazzato. «Scusatemi, Vostra Maestà. Non intendevo alludere...» «Non lo hai fatto, Dor. Non sto competendo con il tuo Re. Né con te. Noi Maghi abbiamo una certa solidarietà di condizione: come ho già detto, rispettiamo i talenti degli altri. Mi piacerebbe incontrare il tuo Re. Dopo che avrò completato il Castello.»
«Il che non può essere mai,» disse Murphy. «Ora è con lui che sto competendo,» disse il Re con benevolenza, e diede un morso ad un dolce alle noci. Dor non disse niente, visto che aveva ancora difficoltà ad accettare quella amicizia-rivalità. La mattina Salvatore si presentò alla squadra di operai del Castello. Dor andò con lui per aiutare a tradurre, visto che nessuno era in grado di capire i trilli del ragno, e anche perché era preoccupato riguardo alla possibile influenza di Saltatore sulla storia. O la mancanza di essa. Se Dor o Saltatore avessero danneggiato il successo di Re Roogna... Dor scosse la testa con ansia. Re Roogna era occupato quel giorno, stava adattando nuovi incantesimi per proteggere il tetto del Castello, una volta che la costruzione avesse raggiunto quello stadio. La magia, così sembrava, doveva essere incorporata nel Castello, altrimenti non sarebbe durata. Quella faccenda di adattare gli incantesimi, come, per esempio, convertire l'incantesimo che usava un drago d'acqua per evitare che l'acqua gli spegnesse la fiamma, in un incantesimo che rendesse il tetto impermeabile... beh, quella era certamente una cosa che un trasformatore non sapeva fare! Di conseguenza, Re Roogna non aveva motivo di essere modesto. Era molto difficile comparare la forza dei talenti. Ma se l'offerta d'aiuto di Saltatore fosse servita solo a danneggiare... Si avvicinarono allo stesso sorvegliante centauro che li aveva trattati sgarbatamente il giorno prima. Sembrava che avesse l'incarico di controllare il muro nord, quello ancora in costruzione. La creatura correva e si agitava per l'arrivo di nuovi blocchi di pietra. Pareva che i cavapietre avessero sbagliato qualche incantesimo e ora stessero lavorando con grande ritardo sul programma. «Re Roogna vorrebbe che il mio amico l'aiutasse,» disse Dor. «Può sollevare pietre con i suoi fili di seta, o arrampicarsi su pareti ripide per...» «Un insetto gigante?», domandò il centauro, scuotendo la coda rapidamente, in avanti e indietro. «Non vogliamo nessuno della sua specie fra noi!» «Ma è qui per aiutare!» Allora gli altri operai centauri cominciarono a scendere dal muro e ad affollarsi intorno al gruppetto. Erano giganteschi, e mettevano a disagio. Un centauro dell'altezza di un uomo aveva una massa sei volte maggiore di quella dell'uomo, e quei centauri erano più alti di Dor, il cui corpo era gigantesco rispetto agli altri uomini. «Noi non lavoriamo con gli insetti!» gridò uno. «Buttate fuori di qui
quel mostro!» Imbarazzato, Dor si girò verso Saltatore. «Io... loro non...» «Capisco,» trillò Saltatore. «Non appartengo alla loro specie.» Dor guardò i centauri che parevano desiderosi di un qualsiasi pretesto per riposarsi dalle loro fatiche. «Io non capisco! Tu sai fare tante cose...» «A noi non importa se riesce a sputare fino alla grande luna verde!», strillò uno. «Buttatelo fuori di qui prima che prendiamo lo scacciamosche!» Dor si arrabbiò. «Non dovreste parlargli in questo modo! Saltatore non è una mosca; lui mangia le mosche! Può tenere lontane tutte le mosche cavalline...» «Amico degli insetti!», esclamò il sorvegliante. «Sei peggio di lui! Adesso guarda come vi calpesto tutti e due!» «Sì! Sì!», convennero gli altri centauri, pestando a terra con gli zoccoli. Saltatore trillò. «Queste creature sono ostili. Ce ne andremo.» E si avviò. Dor lo seguì malvolentieri. Ad ogni passo la sua rabbia cresceva. «Non hanno il diritto di fare una cosa simile! Il Re ha bisogno di aiuto!» Eppure nello stesso tempo si chiedeva se non fosse la soluzione migliore. Se a Saltatore non era consentito partecipare ai lavori, la maledizione di Murphy non poteva operare, è vero? Non avrebbero trasformato la storia. Dopo poco tornarono alla tenda reale. Il Re era fuori, accanto ad una pozza d'acqua, dove era imprigionato un piccolo drago d'acqua. La creatura sbuffava fumo rabbiosamente e faceva schiumare l'acqua con la coda, ma Roogna non sembrava preoccuparsene. «Ora sali su questi mattoni per il tetto,» stava dicendo al drago, «la vicinanza favorisce l'adattamento.» Poi alzò gli occhi e scorse Dor e Saltatore. «Qualche problema nel cantiere?» Dor tentò di essere educato, ma la rabbia lo fece esplodere. «I centauri non vogliono far lavorare Saltatore! Dicono che è... diverso!» «Lo sono,» trillò Saltatore. Re Roogna era sembrato un uomo dal carattere bonario ed equilibrato. In quel momento si trasformò. Si drizzò e le mascelle gli si indurirono. «Non sopporterò un atteggiamento del genere nel mio regno!» Fece schioccare le dita, e dopo qualche attimo arrivò un drago volante: un bell'animale rivestito di acciaio inossidabile, con artigli bruniti e un lungo muso adatto a dirigere esattamente sul bersaglio un getto di fuoco da grande distanza. «Drago, pare che i miei operai si stiano ribellando. Va' a prendere il tuo contingente e...»
Saltatore trillò con violenza. «No, Vostra Maestà!», tradusse la ragnatela, che per poco non si strappò nello sforzo di trasmettere la forza della convinzione del ragno. «Non punite i vostri operai. Non sono più ignoranti della mia stessa specie, e stanno facendo un lavoro necessario. Mi dispiace essere causa di rottura.» «Rottura? Con un'offerta di aiuto?» Il Re continuava ad essere accigliato. «Almeno li devo punire con la mia magia. I centauri non devono avere quelle belle code, tanto utili per scacciare le mosche. Posso adattarle a code di lucertola, utili a strisciare tra le rocce. Questo spegnerà la loro irritante arroganza!» «No!» protestò di nuovo Saltatore. «Non permettere che la maledizione distorca il tuo giudizio.» Gli occhi di Roogna si spalancarono. «Murphy! Hai ragione; naturalmente! Questa è opera sua! Se c'era una possibilità di far interferire l'esterofobia, ha trovato il modo di farla interferire!» Dor era troppo sorpreso. Era così, certamente! Il Mago Murphy aveva gettato una maledizione sulla costruzione del Castello e l'offerta di Saltatore l'aveva fatta scattare. I centauri non potevano essere rimproverati. «Tu sei una creatura generosa e sensibile,» disse il Re a Saltatore. «Visto che difendi la causa di coloro che ti hanno fatto torto, devo moderare la mia reazione. Deploro questa necessità, e il torto che ti è stato fatto; ma sembra che non possa profittare della tua offerta di aiuto.» Allontanò il drago volante con un regale gesto della mano. «I centauri sono miei alleati, non miei servi. Lavorano alla costruzione del Castello perché sono molto abili in questo genere di lavoro. Io ho fatto loro dei favori, in cambio della loro opera. Deploro di essermi fatto prendere dall'ira. Per favore, accettate la mia ospitalità finché non abbia approntato per voi una scorta. Nel frattempo, potete osservare come opero, sebbene speri che non mi interromperete con delle domande stupide.» Si misero a guardare il Re. Dor era molto curioso di capire quale fosse il meccanismo per adattare un incantesimo. Il Re lo ordinava soltanto, come Dor ordinava agli oggetti di parlare, oppure era un silenzioso sforzo di volontà? Ma Roogna aveva appena rimesso al suo posto il riottoso drago, quando un folletto-messaggero arrivò di corsa. «Re, signore, c'è un intoppo al cantiere! È stato messo un incantesimo sbagliato sui blocchi di pietra, che invece di unirsi l'uno all'altro, si spingono l'uno lontano dall'altro.» «L'incantesimo sbagliato!», ruggì Roogna, indignato. «Io stesso ho adat-
tato quell'incantesimo solo la settimana scorsa!» Seguì una breve discussione. Venne fuori che un intero strato di mattoni era stato messo nel posto sbagliato, provocando un conflitto tra il suo incantesimo e quello dello strato successivo, e i due strati non si erano saldati l'uno all'altro. Qualcuno aveva sbagliato, e l'errore non era stato tolto in tempo. Erano grandi blocchi, ognuno pesava parecchie centinaia di chili. Roogna si strappò qualche capello dalla testa precocemente grigia. «La maledizione di Murphy! Ci costerà un'altra settimana! Devo mettere ogni blocco con le mie fragili mani? Dite loro di togliere quello strato e di sostituirlo con quello giusto.» Il folletto scappò via, e il Re ritornò al suo lavoro. Ma stava quasi per mettere in opera la sua magia, quando arrivò un altro folletto. «Ehi, Re, un'armata di goblin sta marciando da sud!» Con aria truce, il Re chiese: «Qual è il tempo stimato di arrivo?» «Il tempo stimato di arrivo è zero meno dieci giorni.» «Questa è una scarpa,» brontolò il Re, e ritornò al suo lavoro. Naturalmente il drago d'acqua si era spostato, e occorse una grande fatica per farlo ritornare a posto. La maledizione di Murphy operava anche nelle piccole cose. Il Re fu interrotto brevemente da un altro folletto. «Roog, vecchio mio, una flotta di arpie si sta raccogliendo a nord!» «Tempo stimato di arrivo?» «Dieci giorni.» «Ecco l'altra scarpa,» disse Roogna in tono rassegnato. «I due eserciti convergeranno in questo punto, grazie a Murphy, e quando si saranno distrutti l'un l'altro, il paese sarà in rovina e Castel Roogna in frantumi. Se solo riuscissimo a completare le opere di sostegno in tempo... Ma non abbiamo speranze. Il mio nemico ha realizzato un'ottima macchinazione. Sono costretto ad ammirarlo.» «È un uomo astuto,» disse Dor. «Deve esserci un modo di far deviare quelle armate, se non hanno veramente intenzione di attaccare il Castello. Voglio dire, se i goblin e le arpie non sono affatto interessati al Castello, ma solo per un caso vengono a combattere qui.» Era turbato. Non sembrava che la sua presenza avesse provocato quel problema, ma non ne era assolutamente certo. Se i suoi incontri con le arpie e con i goblin li avessero messi entrambi in movimento... «Ogni tentativo diretto di diversione farebbe sì che ci attacchino,» disse Roogna. «Sono delle creature estremamente intrattabili. Non abbiamo né
la disposizione né i mezzi per respingere quelle due orde brutali. Nel tuo mondo, forse l'Uomo è la creatura dominante, ma qui questo non si è ancora stabilito.» «Se reclutaste altre creature per avere un aiuto...» «Dovrei sprecare la mia magia per ripagare i loro servizi, invece di usarla per costruire il Castello.» «La vostra armata umana... non potete richiamarla dal congedo?» «La maledizione di Murphy è specializzata soprattutto nell'interferire con i messaggi organizzativi. Dubito che riusciremmo a richiamare l'intero esercito prima dell'arrivo dei mostri. E sono sicuro che quegli uomini avranno bisogno di proteggere le proprie case dall'avanzata dei mostri. Penso che sia meglio difendere il Castello con quello che abbiamo a disposizione. È una piccola possibilità, ma è buona quanto l'alternativa. Temo che Murphy mi abbia veramente fermato, questa volta.» «Forse un altro Mago potrebbe essere d'aiuto...», poi Dor si interruppe perché aveva pensato ad un'altra soluzione. «Il Signore degli Zombie! Il suo aiuto avrebbe un certo peso?» Il Re rifletté. «Sì, probabilmente lo avrebbe. Perché rappresenta un centro primario di magia, con tutte le sue ramificazioni, e perché è relativamente vicino, senza nessun Abisso da superare per arrivare qui, e perché gli zombie possono difendere i bastioni, senza aver bisogno di mangiare e di riposare: è l'annata ideale in questo tipo di situazione. Il solo nutrire la mia armata durante l'assedio costituirebbe un problema terrificante. Abbiamo provviste solo per gli operai che lavorano al Castello. Ma questa è una congettura inutile; il Signore degli Zombie non partecipa alla vita politica.» «Io devo vederlo, ad ogni modo,» esclamò Dor, eccitato. «Potrei parlargli, spiegare che cos'è in gioco...» Al diavolo la prudenza! Se il Re poteva perdere senza il suo aiuto, perché non correre il rischio? Forse non avrebbe fatto alcun danno. «Saltatore potrebbe venire con me; è più bravo di me in un mucchio di cose. Il peggio che può accadere è che fallisca.» Il Re si carezzò la barba. «Questo è il guaio. Mi pare un'impresa impossibile, ma poiché tu sei disposto a tentare... dì al Signore degli Zombie che sono disposto a fare uno scambio ragionevole per il suo aiuto.» Alzò un dito, e apparve un altro folletto. Dor si chiese dove si nascondessero quei folletti quando erano fuori servizio. Il Re era evidentemente ben servito, sebbene ne facesse ben poca mostra. Come Re Trent, egli mascherava il suo potere tranne quando mostrarlo si rendeva necessario. «Prepara una
scorta e una guida per un viaggio al castello del Signore degli Zombie. Il Mago Dor partirà in mattinata in missione per me.» Ma la mattina c'era ancora un'altra persona: Millie la fanciulla. «Con la costruzione del Castello rinviata, e tutti i domestici mandati via durante l'emergenza, io non ho ancora nessun lavoro,» spiegò. «Forse posso essere d'aiuto.» Nei secoli futuri sarebbe stata un triste fantasma, avrebbe conosciuto lo zombie Jonathan, e avrebbe cercato di restituirlo alla vita. Lei non sapeva ancora niente di tutto ciò, ma Dor lo sapeva. Come poteva negarle la possibilità di assisterlo in quella missione, visto che era l'ultima per lei? Forse, in qualche modo, avrebbe potuto essere d'aiuto. Perché era così felice della sua compagnia? Sapeva che non avrebbe mai potuto... lei non c'era... il suo corpo apprezzava degli aspetti della ragazza che lui avrebbe a malapena scorto, ma lei non avrebbe mai potuto essere sua in quel modo. E allora, perché avrebbe dovuto ingannarsi con dei sogni impossibili? Eppure quanto era felice di stare con lei, anche per così breve tempo! Capitolo 6: IL SIGNORE DEGLI ZOMBIE La scorta era un cavallo-drago, con la parte anteriore di un cavallo e quella posteriore di un drago. La guida era un altro folletto. «Beh, mattacchioni, partiamo,» esclamò il folletto con impazienza. Era di gran lunga più alto di Grundy il golem, ma più basso di un goblin, e a Dor ricordava entrambi. C'erano tre selle sulla groppa della creatura. Dor ne montò una, Millie un'altra, e Saltatore si abbarbicò alla terza, visto che non era in grado di sedersi. Il folletto si sistemò sulla testa del cavallo-drago, sussurrandogli qualcosa all'orecchio. Di colpo si mossero. Le zampe anteriori, che avevano forma equina, colpivano con violenza il terreno, mentre le zampe posteriori da rettile affondavano gli artigli e davano la spinta. Il mostro galoppava e scivolava a grandi balzi. Millie strillò, e Dor fu quasi catapultato giù dalla sella. Il folletto ridacchiò maliziosamente. Sapeva che sarebbe accaduta una cosa del genere. Saltatore balzò al di sopra della testa di Dor, e atterrò dietro la ragazza. Con abili movimenti il ragno la legò alla sella con fili di seta in modo che non fosse disarcionata. Poi Saltatore fece la stessa cosa per Dor. Immedia-
tamente scomparve il problema di cadere dalla sella, dato che non avevano nemmeno bisogno di mantenersi. «Ah, così togliete tutto il divertimento!», si lagnò il folletto. Il drago si muoveva rapidamente. I sobbalzi si attenuarono quando la creatura prese velocità, e divennero, più o meno, un alzarsi e un abbassarsi. Dor chiuse gli occhi e immaginò di essere su una barca che navigava le onde. Su, giù, oscillazione; su, giù, oscillazione. Cominciò ad avvertire il mal di mare, e fu costretto a riaprire gli occhi. Le foghe e gli alberi correvano oltre. Quella creatura si muoveva veramente! Si infilava attraverso intrichi di vegetazione che sembravano impraticabili. Evitava alberi-groviglio e tane di mostri, e non rallentava l'andatura nemmeno davanti a crepacci di dimensioni discrete. Il folletto era un ometto-cosa insopportabile, tipico della sua specie: distribuiva insulti imparzialmente a tutti, ma sapeva veramente la strada e controllava il drago da esperto. Dor apprezzava la competenza dovunque la trovasse. Questo non significava che tutto il viaggio andasse liscio. Incontrarono colline, valli e curve. Una volta il drago si tuffò in uno stagno paludoso, nuotò con forza ma bagnò loro gambe e piedi. Un'altra volta salì lungo una riva ripida, camminando quasi in verticale finché il terreno non cedette sotto i suoi zoccoli. Una volta un grifone si alzò davanti alla creatura, e lanciò uno strillo di sfida. Il cavallo-drago nitrì e fece una finta con gli zoccoli. Il grifone decise di rinunciare. In breve raggiunsero i domini del Signore degli Zombie, e Dor fu sorpreso nello scoprire che era lo stesso posto dove sarebbe sorto il castello del Buon Mago Humfrey, ottocento anni dopo. Ma forse non era strano: il posto che pareva adatto ad un Mago poteva affascinarne anche un altro. Se Dor un giorno avesse costruito un castello per sé, avrebbe cercato il luogo ideale per farlo, e avrebbe potuto essere guidato da considerazioni simili a quelle di un antico Mago. Comunque, il Signore degli Zombie aveva le sue difese, che si rivelarono formidabili, a loro modo, come quelle del Mago Humfrey. Un paio di zombie si pararono davanti al cavallo-drago, e l'intrepido animale si scostò per evitare il contatto con quella carne putrida. Millie, nel vedere gli zombie, strillò, e perfino il folletto parve disgustato. «Noi non andiamo oltre,» annunciò il folletto. «Qui niente vi darà fastidio, tranne gli zombie. Come farete ad entrare nel castello e a parlare con il loro padrone, non mi importa affatto. Smontate e fateci tornare a casa.» Dor si strinse nelle spalle. Gli zombie non gli facevano particolarmente
orrore, visto che per tutta la vita li aveva, più o meno, associati a Jonathan. Non gli piacevano gli zombie, ma non ne aveva paura. «Molto bene. Di al Re che siamo a colloquio con il Signore degli Zombie, e che manderemo presto nostre notizie.» «Non c'è nemmeno una speranza,» mormorò il folletto. Dor finse di non sentirlo. I tre smontarono. Immediatamente Dor avvertì dei crampi alle gambe; quella cavalcata li aveva veramente ridotti a mal partito! Millie stava con le gambe piegate, incapace perfino di scalciare in modo esatto. Solo Saltatore era indenne. Si era appollaiato sulla sommità della sua sella, visto che era impossibilitato a sedersi. Il cavallo-drago nitrì, roteò su uno zoccolo, su un artiglio e sulla coda, e strisciò via. I tre compagni furono inondati di terra e di ramoscelli scalciati dai suoi zoccoli. Era certamente felice di andarsene da lì! Dor cercò di sciogliersi i muscoli per quanto gli fosse possibile, e zoppicò verso le guardie-zombie. «Noi veniamo in missione per conto del Re Roogna. Portateci dal vostro Signore.» Lo zombie aprì le sue mascelle grosse e marmorizzate. «Nnn ffasssaa nns ssnn!», dichiarò, emettendo un alito fetido. Dor si concentrò per cercare di capire quelle parole. Il suo talento funzionava in quel caso? Quelle cose erano morte, ma erano formate di materia organica. Il legno era organico, ed egli poteva parlargli quando era morto. L'incantesimo che dava vita a quei mostri dava anche loro una pseudo-vita sufficiente ad annullare la sua comunicazione con gli oggetti inanimati? Oppure funzionava solo in parte? Probabilmente, era vera quest'ultima ipotesi: avrebbe potuto conversare con gli zombie, ma con difficoltà. Saltatore trillò. «Credo che abbia detto "Non passa nessuno,"» tradusse la ragnatela che era sulla spalla di Dor. Dor lanciò un'occhiata sorpresa al ragno. Si era arrivati al punto che Saltatore capiva la lingua di Dor meglio di Dor stesso? Saltatore trillò di nuovo. «Non spaventarti. Tutte le vostre parole mi sono estranee, questo è solo un altro aspetto dell'estraneità.» Dor sorrise. «Ha senso! Molto bene; puoi aiutarmi a parlare con gli zombie.» Riportò la sua attenzione sulle guardie, che erano restate silenziose come una tomba, pazienti come il tempo. Non avevano bisogni vitali a spingerli. «Di al tuo Signore che ha dei visitatori. Deve vederci.» «Noooo,» insisté lo zombie, «nnnssnn!»
«Allora dovremo presentarci da soli,» disse Dor, e fece per passare. Lo zombie sollevò un braccio orrendo per bloccargli la strada. Brandelli di carne rotta pendevano intorno all'osso che in alcuni punti era visibile. Millie strillò. Certamente non provava affetto per nessuno zombie in quella fase della sua vita! Ma secoli di vita da fantasma potevano cambiare il modo di vedere di una persona, concluse Dor. Dor allungò la mano per prendere la spada, ma Saltatore era arrivato prima di lui, e aveva legato lo zombie con i suoi fili di seta. Dopo qualche attimo anche l'altro zombie era stato messo nell'impossibilità di muoversi. Dor dovette ammettere che era la soluzione migliore. Gli zombie erano difficili da ammazzare, pensò, perché non potevano essere uccisi. Dovevano essere smembrati, ma i pezzi di carne continuavano a lottare. E questo era uno dei motivi per cui avrebbero costituito un'ottima armata per Re Roogna, se solo Dor fosse riuscito nell'intento. Saltatore li aveva neutralizzati, ma in un modo che non avrebbe dovuto offendere il Signore degli Zombie. Ma non avevano fatto molta strada verso il castello, che sorgeva su un terrapieno in una foresta - ai tempi di Dor erano scomparsi sia il terrapieno che la foresta - quando un serpente zombie li fermò. Sibilava in un modo che ricordava solo da lontano un serpente vivo, ma non c'era dubbio che volesse ostacolare la loro avanzata. Saltatore lo neutralizzò come aveva fatto con gli altri zombie. Che cosa avrebbero fatto senza il grande ragno? Poi un albero-groviglio zombie li minacciò. Questo ostacolo era troppo anche per il ragno. L'albero era alto quattro volte un uomo e aveva forse un centinaio di tentacoli in sfacelo. Anche se fosse stato possibile legarlo, l'albero-zombie avrebbe avuto la forza di spezzare i fili di seta. Perciò Dor lo minacciò con la sua spada splendente, mentre gli altri passavano oltre. Anche un albero-zombie aveva cura delle proprie estremità. In questo modo raggiunsero il castello. Anch'esso era una rovina animata. Le pietre erano cadute dalle mura, rivelando le travi di sostegno fossilizzate, e brandelli di stoffa pendevano dalle aperture delle finestre. Un tempo c'era stato un fossato, ma era stato riempito di detriti; un odore fetido si alzava da quel liquido denso che era rimasto. C'era... sì, un mostropalude zombie che languiva nel fango. Le sue orbite coperte di melma si diressero verso gli intrusi con tutta la ferocia che potevano esprimere in quello stato. Il gruppo attraversò il ponte levatoio semi-crollato e bussò alla porta fradicia. Schegge e frammenti volarono da tutte le parti, ma naturalmente
non ci fu alcuna risposta. Allora, Dor completò la distruzione della porta con qualche fendente, e i tre entrarono. Con qualche scrupolo. «Salve!», disse a gran voce Dor, e la sua voce echeggiò nelle sale sepolcrali. «Signore degli Zombie! Siamo in missione per conto del Re!» Apparve un orco zombie. Millie strillò e fece un balzo all'indietro, mentre i suoi capelli ondeggiavano tanto da rizzarsi sulla testa. La fanciulla scalciò, dimenticando di essere in piedi. Saltatore la circondò con una zampa per evitarle di cadere nel fossato, dove il mostro del fossato cercava invano di sbavare. «Nooo. Viaaa,» rimbombò la voce dell'orco, perché il torace gli era stato svuotato dalla putrefazione. Dor ricordò Scrocchia l'orco e indietreggiò. Un orco zombie era pur sempre un orco. «Dobbiamo vedere il Signore degli Zombie,» disse Millie, sebbene fosse pallida per la paura. A suo modo, anche lei aveva coraggio. «Siii? Oooh.» L'orco si trascinò lungo una sala, e il gruppetto lo seguì. Entrarono in una camera simile ad una cripta. Un altro zombie alzò gli occhi su di loro, e poggiò le mani cadaveriche sul tavolo che aveva davanti. «Con quale pretesto vi siete intrufolati qui?», domandò in tono gelido. «Vogliamo vedere il Signore degli Zombie!», esclamò Dor. «E ora levati di torno, mucchio d'ossa, se non hai intenzione di aiutarci!» Lo zombie gli lanciò un'occhiata cupa. Era un esemplare insolitamente ben conservato, scarno ma non ancora putrefatto. «Voi non avete niente a che fare con me. Non siete ancora morti.» «Naturalmente, non siamo ancora...», Dor si fermò. Quell'«ancora» lo aveva distratto. Saltatore trillò. «Quest'uomo è vivo. Deve essere...» «Il Signore degli Zombie in persona!», finì Millie, terrorizzata. Dor sospirò. L'aveva fatto di nuovo. Quando sarebbe cresciuto e avrebbe imparato a riflettere sulle cose prima di arrivare a delle conclusioni? Prima il Re Roogna, che Dor aveva preso per un giardiniere; ora il Signore degli Zombie. Cercò disperatamente le parole per chiedere scusa. «Uh...» «Perché i vivi mi cercano?», domandò il Signore degli Zombie. «Uh, Re Roogna ha bisogno del vostro aiuto,» disse Dor in fretta. «E io ho bisogno dell'elisir che restituisce la vita agli zombie.» «E io non perdo tempo con la politica,» disse il Signore degli Zombie. «E non ho nessun interesse a restituire la vita agli zombie; indebolirebbe il mio talento.» Fece cenno che si allontanassero e ritornò al suo lavoro: il cadavere di una formica-leone che evidentemente stava per rianimare.
«Aspettate un attimo...», cominciò Dor, adirato. Ma l'orco zombie avanzò minaccioso, e Dor si spaventò. Il suo corpo era grande, forte e veloce, ma non eguagliava in nessun modo il più piccolo degli orchi. Un solo pugno di quella mano enorme... . Saltatore strillò. «Penso che la nostra missione sia fallita.» Dor lanciò un'altra occhiata all'orco, e ricordò come Scrocchia avesse divelto un albero di legnoferro dalla base con un solo colpo distratto. Quella creatura non era in ottime condizioni, visto che era morta, ma probabilmente era in grado di divellere un albero in legnoallurmnio. La fragile carne umana non sarebbe stata un problema per l'orco. Perciò il suo secondo pensiero fu molto simile al primo: non poteva prevalere su quella creatura. Dor si girò. Sapeva che non potevano costringere un Mago ad aiutarli. L'aiuto doveva essere volontario. Il Signore degli Zombie, come l'avevano avvertito gli altri, non era avvicinabile. Un eroe avrebbe trovato una soluzione. Ma Dor era solo un ragazzino di dodici anni, accompagnato da un ragno gigante e da una ragazza che strillava di continuo e che sarebbe diventata un fantasma in giovane età. Non c'era nessun eroe lì! E allora accettò l'amarezza della sconfitta per entrambe le sue ricerche. L'amarezza di crescere, di perdere le illusioni. Dor si aspettava che uno degli altri protestasse, come faceva sempre Grundy il golem. Ma Millie era solo un'inerme fanciulla, con poco spirito di iniziativa, e Saltatore non apparteneva alla specie di Dor. Il ragno comprendeva solo imperfettamente le necessità umane. Uscirono dal castello, e gli zombie non li disturbarono. Discesero lungo la collinetta. Il cavallo-drago se n'era andato, naturalmente. Avrebbe potuto ordinargli di aspettarli, ma non si aspettava di averne bisogno tanto presto. La mancanza di previdenza aveva di nuovo punito Dor. Non che il ritardo facesse una gran differenza, a quel punto. Dovevano semplicemente tornare a piedi. Slegarono le due guardie zombie che Saltatore aveva stretto nei fili di seta. «Non abbiamo niente contro di voi,» spiegò Dor. «La nostra conversazione con il vostro Signore è finita.» Si incamminarono. Millie era una buona camminatrice, quando non strillava o scalciava. I capelli le ondeggiavano intorno naturalmente. Si stava abituando a lei, e la trovava piuttosto affascinante. In effetti che cosa gli importava... ma non sarebbe stato giusto. Doveva stare attento ai pensieri che gli suggeriva il suo corpo mundano. I Mundani non erano molto acuti. All'improvviso si trovarono davanti ad un fuoco da campo. Era un fatto
insolito, perché il fuoco era poco usato nella Terra di Xanth. Pochi cibi avevano bisogno di essere cucinati, e il calore lo si otteneva molto più facilmente versando un po' di acqua di fuoco su qualsiasi cosa si volesse scaldare. Ma quello era chiaramente un fuoco preparato da qualcuno, con i ramoscelli sistemati in una pira circolare. Le fiamme crepitavano allegramente al centro. Qualcuno era stato lì di recente. In effetti, la persona doveva essersi allontanata qualche momento prima dell'arrivo di Dor e dei suoi compagni. «Fermati dove sei, straniero,» disse una voce proveniente dall'ombra. «Sei sotto il tiro del mio arco.» Millie strillò. Dor tese la mano a prendere la spada, poi si fermò. Non sarebbe riuscito a sguainarla prima di essere colpito da una freccia. Non aveva senso compensare la sua mancanza di preveggenza facendosi ammazzare. Saltatore fece un balzo e scomparve tra il fogliame di un albero che li sovrastava. Lo sfidante uscì allo scoperto. Era un uomo dall'aspetto violento e mundano, e non aveva mentito riguardo all'arco. La corda era tesa, la freccia era incoccata e puntata su Dor. Poiché conosceva le capacità del suo corpo mundano, Dor aveva pochi motivi di dubitare della competenza di quell'uomo. Sembrava che tutti i Mundani fossero nati guerrieri. Forse era una compensazione per l'assenza totale di magia. O forse i Mundani dolci, gentili e pacifici, non andavano in giro ad invadere le altre terre. «Chi diavolo sei e perché sei entrato nel mio accampamento?», domandò l'omaccione. «Che fine ha fatto quel mostro che era con te, quella cosa pelosa con tante zampe?» «Io sono Dor, in missione per conto del Re,» disse Dor. Parlò con più coraggio di quanto sentisse, ancora abbattuto dal fallimento della sua missione. «Gli altri sono miei compagni. Chi sei tu, che mi sfidi in questo modo?» «Allora sei di Xanth!», esclamò l'uomo in tono di scherno. «Mi avresti potuto ingannare; sembri proprio un uomo. Prova a fare un incantesimo su di me e io ti trapasso!» Allora quell'uomo era veramente un Mundano. Dor non ne aveva mai visto uno in carne ed ossa. «Tu non hai un talento?» «Non fare il furbo, mostriciattolo!» Poi l'uomo lo osservò meglio. «Di un po', sei anche vestito come uno di noi! Sei sicuro di non essere un disertore?» «Vorresti vedere il mio talento?», chiese Dor con calma.
L'uomo rifletté. «Sì, un attimo. Ma niente trucchi.» Girò la testa e strillò. «Ehi, Joe! Vieni a fare la guardia a questi due!» Joe arrivò. Era un altro bruto, sporco e maleodorante. «Che cos'è tutta questa confusione...» Si interruppe. Le sue labbra si strinsero per emettere un rozzo fischio. «Ti riempie gli occhi quella pupa!» Accidenti, pensò Dor, il talento di Mille era in funzione. Millie lanciò uno strillo simbolico e indietreggiò. Joe avanzò con fare aggressivo. «Ragazzo, io saprei che farmene di una femmina simile!» Tese di scatto una mano e le afferrò il braccio sottile. Questa volta lo strillo di Millie fu sincero. Il corpo di Dor prese il sopravvento. La mano sinistra afferrò l'arco del primo Mundano mentre la destra prendeva la spada e la sguainava. All'improvviso i due mundani si ritrovarono con le spalle al muro. «Lasciala stare!», gridò Dor. Millie si voltò verso di lui, sorpresa e grata. «Beh, Dor... non sapevo che t'importava tanto di me!» «Nemmeno io lo sapevo,» mormorò lui. E sapeva che era una bugia. Aveva deciso di smettere di dire bugie, ma sembravano venirgli fuori naturalmente in occasioni del genere. Anche la bugia di convenienza faceva parte del diventare adulti? Aveva sempre voluto bene a Millie, ma non aveva mai saputo esprimerlo. Solo quella minaccia immediata contro di lei lo aveva spinto ad agire. «Non la passerai liscia!», disse Joe con rabbia. «Qui intorno ci sono le nostre truppe che cercano bottino.» Dor parlò al randello che pendeva al polso dell'uomo. «È vero, randello?» «È vero,» disse il randello. «Costituiscono l'avanguardia della Quinta Ondata Mundana. Hanno marciato lungo la costa, hanno superato l'Abisso e poi hanno tagliato verso l'interno. Sono completamente immuni alla ragione. Tutto quello che vogliono sono ricchezze, donne e vita comoda, in quest'ordine. Scappa finché puoi.» La bocca del primo Mundano si spalancò. «Magia! Ha fatto veramente una magia!» Dor indietreggiò con Millie accanto. Fu un errore tattico, perché, non appena i due Mundani furono aldilà della portata della spada, afferrarono le loro armi. E lanciarono un grido: «Il nemico scappa! Tagliategli la strada!»
Una forma cadde dall'alto: Saltatore. Atterrò sulla testa di uno dei due Mundani e li legò prima ancora che capissero che cosa stesse accadendo. Ma l'allarme era già stato dato, e tutt'intorno si sentivano i passi di uomini che si avvicinavano. «Sarà meglio arrampicarci su un albero,» trillò Saltatore. «I Mundani non ci seguiranno lassù.» «Ma possono colpirci con le frecce!», protestò Dor. «Non ci vedranno!» Saltatore assicurò dei fili a Dor e a Millie, poi cominciarono ad arrampicarsi lungo il tronco di un albero. I Mundani stavano arrivando. Quegli uomini alieni erano peggiori dei goblin! Dor si arrampicava rapidamente, ma Millie era lenta. Sarebbe stata certamente vista. «Li distrarrò!», trillò Saltatore, e si lasciò cadere lungo il tirante. Dor aspettò che Millie lo raggiungesse, poi continuò a salire. Si erano appena infilati nel folto del fogliame, quando i Mundani arrivarono all'albero. Saltatore lanciò un trillo e saltò verso un altro albero. «Prendete quell'insetto!», gridò un Mundano. Si slanciò verso Saltatore, ma mancò il bersaglio. Il ragno saettò lungo il filo. In quel momento Saltatore avrebbe potuto scappare, scomparendo tra il fogliame, o semplicemente balzando oltre i Mundani. Ma Dor stava ancora lottando per issare Millie sull'albero. Perciò l'eroico ragno si calò di nuovo, e trillò in tono minaccioso e offensivo, comprensibile anche senza traduzione. Un altro Mundano si slanciò... e lo mancò. I Mundani non riuscivano a capacitarsi che un nemico potesse alzarsi all'improvviso e scomparire. Ma ce n'erano troppi, ormai il ragno non aveva dove andare. Un Mundano ebbe il buon senso di colpire il tirante con la spada e di tagliare l'invisibile filo di seta. Saltatore cadde a terra. Immediatamente gli uomini balzarono su di lui, gli bloccarono le zampe, proprio come avevano fatto i goblin, in modo che non potesse muoversi. Uomini e goblin: c'era veramente molto differenza tra loro? I Mundani era più alti, ma... Dor stava per tornare indietro ad aiutare l'amico, ma uno degli otto occhi di Saltatore lo scorse. «Non sprecare tutti i miei sforzi!» trillò, sapendo che nessuno oltre Dor poteva capirlo. «Ritorna dal Signore degli Zombie: è l'unico posto dove la ragazza sarà al sicuro.» Dor non ci aveva pensato. Il Signore degli Zombie poteva non essere amichevole, ma almeno non era ostile. Era il posto migliore per attendere che l'orda Mundana passasse oltre.
Si arrampicò, nascosto dal fogliame, e spinse Millie ad andare avanti. L'ultima volta che vide Saltatore, gli uomini lo schiacciavano a terra e colpivano brutalmente il suo soffice corpo con i loro pugni. Non stavano tentando di ucciderlo, stavano tentando di fargli male, di far soffrire il loro nemico il più a lungo possibile prima della morte. Perché Saltatore aveva impedito loro di catturare la ragazza... e perché Saltatore era diverso. Dor trasalì, sentendo il dolore dei colpi sul proprio corpo. Che cosa avrebbero fatto al suo amico? Saltatore aveva lasciato una rete di fili di seta tesa tra il fogliame più alto, per guidare Dor e Millie e per permettere loro un rapido passaggio da un albero all'altro. Era stupefacente quello che aveva compiuto nel breve spazio di tempo che era stato sulla cima dell'albero. E che preveggenza! Dor non aveva mai pensato che il suo amico potesse abbandonarlo, ma non aveva nemmeno previsto il sacrificio che avrebbe fatto Saltatore. Sentiva che le lacrime, indegne di un vero uomo, gli bruciavano gli occhi: temeva che Millie le notasse, poi decise che non gli importava. Saltatore... vedere Saltatore intrappolato in quel modo, forse gravemente ferito, a causa dell'imprudenza di Dor... Ad un tratto si alzò un grande trillo, terribile e penetrante. Era un urlo di dolore agghiacciante. «Gli stanno staccando le zampe!», sussurrò Millie, inorridita. «È questo che i Mundani fanno ai ragni. Tolgono le ali alle farfalle...» Dor vide che il bel volto della ragazza era rigato di lacrime. Lei non si vergognava di piangere! Poi qualcosa si congelò in Dor. «Andiamo!», disse in tono brusco, e si mosse più velocemente. «Non ti importa che...?», domandò lei in tono lamentoso. «Più in fretta!» Con un'espressione di rimprovero, lei avanzò più in fretta. Dor si sentì piccolo come il tacco di una scarpa dell'albero delle scarpe n. 1, sapendo che Millie riteneva che fosse la preoccupazione per la sua salvezza personale a spingerlo, ma non perse tempo per spiegare. Salvatore aveva otto zampe. Ai Mundani occorreva del tempo per strappargliele tutte, e lui doveva usare bene quel tempo. Dopo poco si liberarono dei fili di Saltatore e scesero a terra. Erano ai piedi della collinetta su cui sorgeva il castello del Signore degli Zombie. Uno zombie si drizzò per fermarli, ma Dor lo spinse da parte con tanta violenza che la creatura crollò in un mucchio di carne lacera e di ossa spezza-
te. Dor trascinò Millie dietro di sé. Non si fermarono nemmeno davanti alla porta in frantumi. Dor entrò a grandi passi. L'orco zombie si drizzò, Dor lo schivò con la lama, gliela infilzò sotto un braccio e si slanciò lungo l'atrio buio. Infine irruppe nella camera del Signore degli Zombie, dove la formicaleone zombie stava muovendo i primi passi. «Mago!», gridò Dor. «Devi salvare il mio amico, il ragno! I Mundani gli stanno strappando le zampe!» Il Signore degli Zombie scosse la sua testa scheletrica e agitò una mano emaciata. «Non mi interesso...» Dor lo minacciò con la spada. «Se non mi aiuti in questo istante, ti uccido!» Tanto grandi erano il suo dolore e la sua disperazione. Non bluffava, sebbene temesse che il Mago lo trasformasse in uno zombie. Allora il Signore degli Zombie mostrò un po' di vivacità. «E così, tu, un mortale, osi minacciare un Mago?» «Anch'io sono un Mago!», gridò Dor. «Ma anche se non lo fossi, farei qualsiasi cosa per salvare il mio amico, che si è sacrificato per me e per Millie!» Millie posò una mano sul braccio di Dor, e lo trattenne. «Per favore,» disse. «Non puoi minacciare un Mago. Lascia fare a me, Dor. Non sono un Mago come te, ma ho il mio talento.» Dor si fermò, e Millie si avvicinò al Signore degli Zombie, sorridendo con difficoltà. «Signore, non sono una ragazza impertinente, e non sono una Maga, ma anch'io farei qualsiasi cosa per aiutare il coraggioso amico che ci ha salvati. Se voi solo conosceste Saltatore il ragno... per favore, ora, se avete un po' di compassione...» Il Mago la guardò attentamente per la prima volta. Dor ricordava quale fosse il suo talento, e sapeva quanto addolciva gli uomini. Stava appena cominciando ad apprezzarne l'influsso su di sé. Il Signore degli Zombie, dopotutto, era un uomo, e anche lui doveva sentirne l'influsso. «Tu... resterai con me?», chiese incredulo. A Dor non piacque il suono di quella parola: resterai. Millie allargò le braccia verso il Signore degli Zombie. «Salva il mio amico. Non importa che cosa ne sarà di me.» Una specie di fremito percorse il corpo del Mago. «Non ti succederà niente, ragazza,» disse. «Ma...» Si rivolse all'orco. «Raduna i miei zombie, Egor. Va' con quest'uomo e fa ciò che desidera. Salva il ragno.» Dor se ne andò, corse attraverso le sale buie e uscì dal castello. Il vero
orrore era davanti a lui. L'orco zombie lo seguì, gridando alle creature del castello: «Vengaaa qualcunooo!» Dalle camere adiacenti eruppero degli zombie, che, nella fretta, lasciarono cadere zolle di terra, ossa e denti. Si radunarono dietro l'orco: uomini, lupi, pipistrelli e altre creature troppo putrefatte per essere identificate. In un'orrenda processione seguirono Dor lungo la collinetta. La preoccupazione per l'amico gli dava rapidità, e in qualche modo gli zombie mantennero il passo. Ma, anche mentre correva, Dor si chiese se non avesse lasciato Millie ad un destino brutto quanto quello di Saltatore, che si era precipitato a liberare. Il ragno si era sacrificato per salvare due di loro. Millie si era sacrificata per salvare il ragno. Non gli era mai stata chiara la natura del talento di Millie, sebbene gli si stesse chiarendo: includeva abbracci, baci e... La sua mente recalcitrò. Baciare il Signore degli Zombie? Corse ancora più veloce. Irruppero sui Mundani. La prima cosa che Dor vide fu Saltatore: quei bruti lo avevano appeso ad un ramo per le quattro zampe superstiti. Il ragno era vivo, ma soffriva terribilmente dopo quella tortura. Dor impazzì di rabbia. «Uccidete!» urlò, e stringeva già la spada in mano. Quasi di volontà propria, la lama colpì il collo del Mundano più vicino a Saltatore - quello che aveva in mano la zampa che era stata staccata per ultima. Dor ricordò le zampe dei centopiedi sparse sulla tavola dei goblin. Ma questo era un suo amico! La lama tagliente penetrò nella carne con sorprendente facilità. Tagliò di netto il collo, e la testa dell'uomo cadde a terra. Dor guardò, restò momentaneamente stordito dalle implicazioni del suo atto. Poi guardò di nuovo la zampa strappata, e si girò verso un altro Mundano. Intanto gli zombie attaccavano di buona lena. I Mundani furono colti dal panico, quando si resero conto dell'orrore che li aveva assaliti. Dor aveva sentito dire che i Mundani erano gente superstiziosa. Gli zombie avrebbero dovuto fare leva su quella debolezza. Gli uomini si sparsero, e dopo poco nella radura non c'era niente tranne i vincitori, tre cadaveri e Saltatore. Dor non riusciva a rilassarsi. «Porta il ragno al castello,» ordinò all'orco. «Con attenzione!» Si rivolse agli altri zombie. «Raccogliete le zampe strappate e portatele via.» Sarebbe stato possibile trasformarle in zampe zombie e riattaccarle al corpo del ragno? L'orco raccolse il corpo mutilato. Altri zombie trovarono le zampe mancanti, e si trascinarono dietro anche i Mundani morti. La forza degli zom-
bie era sorprendente, o forse era solo forza di volontà. Portarono il loro bottino al castello. Millie li accolse all'entrata. Aveva un aspetto normale. Gli abiti e i capelli erano a posto. Dor ebbe difficoltà a formulare la sua domanda. «Lui... lui ha...?» «Il Signore degli Zombie è stato un perfetto gentiluomo,» disse lei con vivacità. «Abbiamo solo parlato. È un uomo educato. Penso che sia molto solo. Nessuno lo era mai venuto a trovare.» E non c'era da stupirsi! L'attenzione di Dor ritornò a Saltatore. «È vivo, ma soffre terribilmente. Loro... loro gli hanno strappato quattro zampe!» «Quei bruti!», esclamò lei con passione. All'inizio era parsa una fanciulla innocente, indifesa, ma ora stava reagendo allo stress e all'orrore con personalità crescente. «Come possiamo aiutarlo?» Saltatore rinvenne quel tanto che bastò a trillare debolmente. «Solo il tempo mi può aiutare. Il tempo che mi ricrescano le zampe perdute. Più o meno un mese.» «Ma io devo tornare dal Re entro pochi giorni!», gridò Dor. «E nella mia terra...» «Ritorna senza di me. Forse posso rendere qualche servizio al Signore degli Zombie in cambio della sua ospitalità.» «Ma io devo portare il Signore degli Zombie con me, per aiutare il Re!» Ma anche quello era un punto morto. Il Mago aveva già rifiutato di farsi coinvolgere in faccende politiche. Il Signore degli Zombie era lì. Nella sua distrazione, Dor non si era accorto del suo arrivo. «Perché gli uomini hanno tormentato il ragno?» «Io sono estraneo a questo mondo,» trillò Saltatore. «Sono una creatura naturale, ma, grazie ad un incantesimo, in questo regno di uomini sono diventato un mostro. Solo questi amici, che mi conoscono...» Il suo trillo cessò di colpo. Era svenuto. «Un mostro, ma sensibile e coraggioso,» mormorò pensieroso il Signore degli Zombie. Alzò gli occhi. «Mi prenderò cura di questa creatura finché ne avrà bisogno. Egor, portalo nella camera degli ospiti.» L'orco sollevò Saltatore e si allontanò barcollando. «Vorrei che ci fosse un modo di farlo guarire più velocemente,» disse Dor. «Qualche Incantesimo Medicinale, come l'Elisir della Vita...» Fece schioccare le dita. «Ci sono! So dove si trova una Fonte della Vita, a pochi giorni di viaggio da qui!» Aveva catturato l'attenzione del Mago. «Mi sarebbe utile un elisir del
genere nella mia arte,» esclamò il Signore degli Zombie. «Ti aiuterò ad andarlo a prendere, se dividerai quel prezioso liquido con me.» «Ce n'è in abbondanza,» acconsentì Dor. «C'è solo un tranello. Non si può agire contro gli interessi della Fonte della Vita, altrimenti si perdono tutti i suoi benefici.» «Un patto equo.» Il Signore degli Zombie fece strada verso un cortile interno. Un mostruoso uccello zombie vi era appollaiato. Dor lo guardò. Era un roc! Il più grande di tutti gli uccelli, restituito ad una pseudo-vita dal talento del Mago. Tutto il mondo dei morti era dominato dal potere di quell'uomo! «Porta quest'uomo dove vuole andare,» ordinò il Signore degli Zombie al roc. «Riportalo qui, sano e salvo, con il suo carico.» «Uh, ho bisogno di un orcio o di qualcosa del genere...», disse Dor. Il Mago gli diede due orci: uno per ciascuno. Dor montò sul dorso maleodorante del roc, si aggrappò ai mozziconi putrefatti di due grandi piume, e legò i due orci con una spanna del filo di Saltatore, residuo del suo ultimo tirante. Il roc agitò le sue ali mostruose. La loro ampiezza era così grande che le punte toccarono le mura del castello su entrambi i lati del cortile. Piume sporche volarono via, pezzi di carne caddero dovunque, e la struttura ossea scricchiolò minacciosamente. Ma in quella creatura era restata una forza tremenda. Un roc nella sua giovinezza poteva trasportare un elefante - che era un animale immaginario delle dimensioni di una piccola sfinge - e Dor pesava molto di meno. Perciò anche quel cadavere animato poteva compiere imprese degne di lode. Si mossero rumorosamente nell'aria, scansando per un pelo il tetto del castello. C'erano tanti buchi nelle grandi ali che Dor si meravigliò che non cadessero, e tantomeno che avessero la forza di rendere possibile il volo. Ma l'incantesimo del Signore degli Zombie era miracoloso. Nessuno zombie si disintegrava mai completamente, anche se tutti sembravano sul punto di farlo. Volteggiarono al di sopra del castello. «Va ad est!», gridò Dor. Sperava di riconoscere la zona dall'alto in maniera da trovare il posto. Cercò di visualizzare l'arazzo per orientarsi - non stava forse volando al suo interno? ma quel mondo era troppo reale per una cosa del genere. Dor era stato alla Fonte della Vita una sola volta, con suo padre Bink, che aveva bisogno dell'elisir per qualche oscuro scopo. Durante il viaggio, Bink aveva ricordato le sue avventure in quella zona. Aveva raccontato
come aveva incontrato la madre di Dor, Chameleon (lei allora aveva l'aspetto di Dee, la sua fase normale), e come aveva trovato il soldato Crombie, ferito, e aveva usato l'elisir per ridargli la salute. Dor e Bink avevano fatto visita ad una driade, una ninfa dei boschi legata ad un albero particolare, che somigliava ad una graziosa ragazza dell'età di Millie. Aveva scompigliato i capelli di Dor e gli aveva augurato ogni bene. Ah, sì, era stato un bel viaggio! Ma ora, in aria, Dor non poteva chiedere agli oggetti sulla terra dove fosse la Fonte, non c'erano nuvole abbastanza vicine, e la sua memoria sembrava venirgli meno. Poi scorse nella giungla una macchia particolarmente rigogliosa, che chiaramente beneficava dell'acqua della Fonte. «Laggiù,» gridò. «Alla fonte di quel ruscello.» Il roc zombie cadde come un sasso, si raddrizzò, planò per atterrare, si inclinò lievemente, e picchiò contro un albero con la punta dell'ala. Immediatamente l'ala si frantumò e il corpo del roc sbandò e perse il controllo. Fu un atterraggio forzato che mandò Dor a gambe all'aria. Si alzò, ammaccato ma intatto. Il roc era un rottame. Entrambe le ali erano rotte. Non c'era nessuna possibilità che la creatura volasse in quelle condizioni. Come avrebbe fatto a ritornare in tempo per far guarire in fretta Salvatore? Se fosse tornato a piedi, gli sarebbe occorso un giorno nelle condizioni ideali. Ma con due orci pesanti il viaggio sarebbe stato più lungo. Sempre ché, lungo la strada, non cadesse vittima di un alberogroviglio, di un drago o di qualche altro mostro. Fece una ricognizione. Erano atterrati lontani dalla Fonte, ma vicini ad un bell'albero che era sul pendio della collina. E... Dor lo riconobbe. «Driade!» gridò, correndo verso l'albero. «Ti ricordi di me? Sono Dor?» Non ottenne nessuna risposta. Improvvisamente capì: si trovava nel passato! La driade non l'avrebbe ricordato, probabilmente non c'era nessuna driade ancora, e probabilmente non era lo stesso albero. Anche se l'epoca fosse stata quella giusta, la ninfa non l'avrebbe riconosciuto in quel corpo. Si era comportato come un bambino. Ancora una volta. Sconsolato, scese lungo il pendio. Naturalmente, quello non era lo stesso albero! Quello vero era ad una certa distanza dalla Fonte, non accanto ad essa. Ed un albero di dimensioni medie a quell'epoca, sarebbe stato un albero enorme all'epoca di Dor. Anche le piante invecchiano considerevolmente in otto secoli. Le sue speranze l'avevano illuso! Avrebbe dovuto trovare il modo di venire fuori da quel guaio, senza l'aiuto della driade. Beh, non proprio senza nessun aiuto. «Qual è la strada migliore per usci-
re da qui?», chiese alla pietra più vicina. «Vola su quel roc,» replicò la pietra. «Ma le ali del roc sono rotte!» «Allora spruzzale con un po' di elisir, idiota!» Dor restò immobile per un attimo. Era ovvio! «Sono un idiota!», esclamò. «È quello che ho detto,» convenne soddisfatta la pietra. Dor corse verso il roc, prese gli orci, e ritornò di corsa alla Fonte. «Ti dispiace se prendo un po' del tuo elisir?», chiese retoricamente. «Sì, mi dispiace!», replicò la Fonte. «Tutti voi venite e rubate la sostanza che io mi affatico tanto ad incantare, e che ricompensa ne ricavo?» «Che ricompensa?», replicò Dor. «Tu esigi il prezzo più alto di tutti!» «Di che cosa stai parlando? Io non ho mai chiesto niente!» C'era qualcosa che non andava. Poi Dor capì. Era sempre il fattore degli ottocento anni. La Fonte non aveva ancora sviluppato il suo Incantesimo di Compensazione. Beh, forse Dor poteva farle un favore. «Guarda, Fonte, io intendo pagarti per la tua sostanza. Dammi quei due orci pieni di elisir, e io ti dirò come ottenere una buona ricompensa da tutti coloro che vengono a prendere la tua sostanza.» «È andata!», gridò la Fonte. Dor riempì i due orci fino all'orlo, e notò che i lividi e le contusioni svanirono dal suo corpo non appena toccò l'acqua. Era la Fonte giusta! «Tu hai bisogno di un incantesimo supplementare, grazie al quale nessuno che benefici del tuo elisir possa in seguito agire contro i tuoi interessi. Quanta più acqua ti viene sottratta, tanto più crescerà il tuo potere.» «E se qualcuno "vede" il mio bluff?» «Non sarà un bluff. Tu ti riprenderai la tua magia. Sarà come se non l'avessi mai guarito con il tuo elisir.» «Aspetta, sì... potrei farlo!», disse la Fonte con eccitazione. «Ci vorrà del tempo, forse anche qualche secolo, per costruire questo incantesimo in più, ma poiché è solo una rifinitura della magia originaria, un'ultima clausola, per così dire, sì, funzionerà. Oh, grazie, grazie, straniero!» «Ti avevo detto che ti avrei ricambiato il favore,» disse Dor, soddisfatto. Poi pensò a qualcos'altro. «Uh... io sono solo in visita in questa terra, e tutto quello che faccio potrebbe scomparire dopo la mia partenza. Perciò faresti bene a ricordare attentamente quest'incantesimo, in modo da non perderlo una volta che io sarò andato via.» «Quanto tempo ho a disposizione?»
Dor fece un rapido calcolo. «Forse dieci giorni.» «Fisserò quest'incantesimo nella mia mente,» disse la Fonte. «Lo memorizzerò così bene che nulla me lo farà dimenticare.» «Bene,» disse Dor. «Addio!» «Ciao,» disse la Fonte, congedandosi da Dor. Dor ritornò dal roc, prese un po' di elisir dal suo orcio e lo spruzzò sulle ali della creatura. Guarirono immediatamente, in effetti, divennero migliori di prima. Ma restavano ali zombie, carne morta. Dopo tutto, c'erano dei limiti: l'elisir non poteva ridare vita ai morti. Del resto, quello era il motivo della sua ricerca. Solo il Signore degli Zombie poteva fare ciò che era necessario. Intanto, doveva tornare da Saltatore al più presto, altrimenti anche il ragno avrebbe avuto bisogno di essere restituito alla vita. Dor salì a bordo, legò gli orci, e si aggrappò. «A casa, roc!», gridò. Il roc frullò per fronteggiare il canale creatosi con il suo atterraggio forzato, mosse le zampe per accelerare, agitò le ali, e si lanciò violentemente nell'aria. Fu un decollo molto più precipitoso del primo. Dor fece il possibile per mantenersi. L'elisir aveva dato nuova forza alle ali. Per fortuna, le poche gocce di elisir, rimaste sulle mani di Dor, guarirono le piume a cui egli si aggrappava. Divennero dei grandi ciuffi morbidi e colorati, adatti a cappellini per signora, facili da stringersi. Il roc roteò nel cielo, poi volò con energia verso il castello del Signore degli Zombie. Il paesaggio correva sibilando al di sotto. Raggiunsero la loro destinazione nella metà del tempo che era occorso per il viaggio di andata. Non c'era da meravigliarsi che il Mago volesse l'elisir. I suoi zombie sarebbero stati due volte più efficienti! Ma si manifestò un nuovo problema. Dall'alto, Dor vide che i Mundani si erano radunati, e avevano assediato il castello. Erano molti: la loro intera avanguardia doveva essersi raccolta per quell'attacco. Evidentemente non erano vigliacchi. Erano stati presi dal panico davanti alla ferocia dell'attacco degli zombie, ma ora erano furiosi per i tre morti e volevano vendicarsi. Inoltre, probabilmente ritenevano che un castello così ben custodito dovesse nascondere ricchezze enormi, e di conseguenza la loro cupidigia si era destata. Aiutando l'amico Saltatore, Dor aveva apportato un grave danno al Signore degli Zombie. Dor era sicuro che suo padre avrebbe avuto molto più buon senso. Era un altro errore dovuto alla giovinezza, all'inesperienza e all'avventatezza. Quando, oh quando, sarebbe cresciuto e diventato adulto?
Il roc si tuffò come un falco, si inclinò nella virata, e cadde con un tonfo nel cortile del castello. L'atterraggio fu violento, perché le zampe dell'uccello non erano state bagnate dall'acqua della Fonte. Il rumore echeggiò per tutto l'edificio. Il Signore degli Zombie e Millie si precipitarono fuori. «L'hai preso!», gridò Millie, e batté le mani. «L'ho preso,» disse Dor. Porse un orcio al Mago, e tenne l'altro per sé. «Portami da Saltatore.» Millie lo guidò alla stanza degli ospiti. Il grande ragno era disteso, l'icore colava dai moncherini. La faccia di pelo multicolore che era sulla parte superiore del suo addome sembrava fare smorfie di dolore. I suoi occhi, sempre aperti, erano chiusi per la sofferenza. Era in sé, ma tanto debole che il suo trillo si udiva appena. «Felice di rivederti, amico! Temo che le ferite siano troppo estese. Le zampe possono ricrescere, ma anche gli organi interni sono stati danneggiati. Non posso...» «Sì, tu puoi, amico!», gridò Dor. «Prendi quest'elisir!» E versò una dose abbondante dell'acqua della Fonte sul corpo tremante di Saltatore. Come per magia - il che non era un fatto sorprendente - il ragno ritornò intero. Quando il liquido scorse sulla faccia di pelo, il verde, il bianco ed il nero risplendettero fino a brillare. Quando toccò i moncherini, le zampe spuntarono, lunghe, pelose e forti. Quando fu assorbito, gli organi interni si ricostruirono, e il corpo si rassodò. Dopo qualche attimo non c'era alcuna traccia delle ferite subite da Saltatore. «È stupefacente!», trillò. «Non avevo nemmeno bisogno di riavere tutte le mie zampe! Non mi sento così bene da quando sono uscito dall'uovo! Che medicina è mai questa?» «L'Elisir della Vita,» spiegò Dor. «Sapevo dove si trovava una Fonte...» Si interruppe, sopraffatto dall'emozione. «Oh, Saltatore! Se tu fossi morto...» E abbracciò il ragno, per quanto gli riuscì, le lacrime ancora una volta gli riempirono gli occhi. All'inferno l'essere adulti! «Penso che sia valsa la pena subire quella tortura,» trillò Saltatore, con una mandibola vicino all'orecchio di Dor. «Bada che non ti stacchi l'antenna,» trillò il ragno. «Fa pure! Ho abbastanza elisir da far ricrescere un orecchio nuovo!» «Per di più,» aggiunse Millie, «la carne umana ha un sapore orribile. Forse peggiore della carne dei goblin.» Il Signore degli Zombie li aveva seguiti. «Tu sei un essere umano, eppure stimi tanto questa creatura aliena da piangere per lei,» osservò.
«E che cosa c'è di male in questo?», domandò Millie. «Niente,» disse tetramente il Mago... «Assolutamente niente. Nessuno ha mai pianto per me.» Anche nella sua gioia, Dor comprese il significato delle parole del Mago. L'uomo era stato allontanato dai propri simili a causa della sua magia, era diventato un paria. Si identificava con Saltatore, un altro alieno. Quello era il motivo per cui aveva acconsentito a prendersi cura di Saltatore. Più di ogni altra cosa, il Mago doveva desiderare che la gente si prendesse cura di lui, come Dor e Millie si prendevano cura del suo amico. «Aiuterai Re Roogna?», chiese Dor, sciogliendosi dall'abbraccio dell'amico. «Io non perdo tempo con la politica,» disse il Signore degli Zombie, e la sua freddezza ritornò. Perché il Re non era un paria. Quel Mago avrebbe aiutato coloro che gli mostravano della compassione umana, ma il Re Roogna non l'aveva mai fatto. «Almeno vorresti incontrare il Re, parlare con lui? Se l'aiutassi, ti potrebbe far avere i dovuti onori...» «Onori per decreto del Re? Mai!» Dor non poté controbattere quest'affermazione. Neanche lui desiderava quel genere di onori. Se esisteva il concetto di onore disonorevole, era proprio quello. Aveva fatto un altro stupido errore, e aveva di nuovo distrutto ogni possibilità. Che ambasciatore si stava rivelando! Ma c'era un altro problema. «Sai che i Mundani della Quinta Ondata si preparano ad attaccare il castello?» «Lo so,» disse il Signore degli Zombie. «Le mie mosche-occhio zombie hanno riferito che ce ne sono centinaia. Troppi per le mie forze attuali. Ho mandato il roc in giro a raccogliere altri cadaveri per puntellare le mie difese. Per rendere più veloci le operazioni, il roc non atterrerà nemmeno nel cortile del castello. Lascerà cadere i corpi e tornerà immediatamente a cercarne altri.» «I Mundani ce l'hanno con noi,» disse Dor, «perché abbiamo ucciso tre dei loro uomini. Forse se partissimo...» «I miei zombie vi hanno aiutati,» osservò il Signore degli Zombie. «Partendo ora, otterreste solo di essere uccisi. I Mundani hanno circondato il castello. Secondo loro, è ricettacolo di ricchezze insospettabili. Nessuna obiezione ragionevole farà loro cambiare idea.» «Forse, se ci vedono partire,» disse Dor. «Il roc potrebbe portarci fuori. Oh, il roc sarà fuori per tutta la durata dei combattimenti.» «Sembra che dobbiamo restare, almeno per
qualche giorno,» trillò Saltatore. «Forse possiamo aiutare a difendere il castello.» «Uh, sì, faremmo bene,» convenne Dor. «Visto che siamo stati noi a provocare quest'assedio.» Poi, senza nessun motivo, si ritrovò a lanciare un altro appello al Mago. «Uh, Mago... ripenserai alla faccenda dell'elisir che restituisce alla vita gli zombie? Non è una faccenda politica, e...» Il Signore degli Zombie lo guardò con freddezza. Prima che il Mago potesse parlare, Millie gli poggiò una dolce manina sullo scarno braccio. «Per favore,» sospirò. Era intollerabilmente attraente quando sospirava in quel modo. Eppure non poteva sapere che Dor chiedeva quella preziosa sostanza per rendere un favore proprio a lei, ottocento anni dopo. La freddezza del Signore degli Zombie svanì. «Dal momento che lo chiede lei, e che tu sei un uomo buono e leale, ci ripenso. Svilupperò la formula che tu mi chiedi.» Ma era chiaro che la gran parte della responsabilità per quel cambiamento di idea era Millie. E dei suoi sospiri. Dor ottenne una vittoria... ma era incompleta. Aveva avuto successo nella sua missione personale e privata, mentre aveva fallito nella missione per il Re. Era giusto? Non lo sapeva, ma doveva prendere quello che poteva. «Grazie, Mago,» disse con umiltà. Capitolo 7: L'ASSEDIO L'assedio fu una faccenda seria. I Mundani erano molto bravi in quel genere di azioni, visto che erano un esercito. Spinti dalla vendetta, dalla cupidigia e dalla notizia che nel castello c'era una ragazza molto bella, non avevano alcun limite. Circondarono il castello e si prepararono all'assalto. Sulle prime, i Mundani avanzarono attraverso il traballante ponte levatoio e salirono al portone sfasciato. Ma l'orco zombie partì alla carica (gran parte delle sue forze erano state ripristinate dall'Elisir della Vita) e li gettò nel fossato, dove il mostro-palude, restaurato dall'elisir, li masticò. Non li mangiò veramente, perché gli zombie non provavano fame, ma i suoi denti furono ugualmente efficaci. Dopodiché, i Mundani furono più prudenti. «Dobbiamo ripulire il fossato dai detriti,» disse Dor. «Così com'è ora, i Mundani possono guadarlo, e il mostro non può catturarli tutti. Se lo facciamo ora, intanto che si riprendono dallo spavento di aver incontrato Egor l'Orco...»
«Hai la stoffa del tattico,» disse il Signore degli Zombie. «Ad ogni modo, occupatene tu stesso. Io sto lavorando alla tua formula per restituire alla vita gli zombie, che è parecchio complicata.» Perciò Dor portò un drappello di zombie al ponte levatoio. «Io sono un mortale, quindi non devo espormi,» disse loro, e lanciò un'occhiata al mostro-palude. Era stato istruito a non attaccare gli altri zombie, ma questo non serviva a Dor. «Le frecce non possono uccidervi. Di conseguenza, io starò di guardia sui bastioni e vi darò gli ordini. Voi entrerete nel fossato e comincerete a gettare fuori l'immondizia.» Non si sentiva molto eroico in quel ruolo, ma sapeva che era la soluzione più opportuna. I Mundani erano sicuramente degli arcieri eccellenti. Dopotutto, lui era lì a far eseguire un lavoro, non a farsi bello agli occhi di tutti. Gli zombie scesero verso il fossato. Si girarono intorno, incerti. Non erano molto intelligenti, visto che i loro cervelli erano in gran parte putrefatti. L'Elisir della Vita funzionava a meraviglia con i corpi, ma non poteva restituire loro la vita e l'intelletto che un tempo li avevano resi uomini e animali. Dor scoprì che la sua originale repulsione per le loro condizioni cedeva il posto alla malinconia. Quale zombie aveva mai conosciuto la gioia? «Tu con il teschio,» disse a gran voce Dor. «Raccogli quelle alghe e ammassale sulla riva.» Gli zombie si misero al lavoro, con zelo. «Tu con le gambe sfregiate; alza quel tronco e portalo all'entrata. Lo possiamo usare per riparare la porta.» Era inutile spiegare cose del genere agli zombie, ma Dor non poteva impedirselo. Faceva parte del suo processo di autogiustificazione. Se tutto quello che faceva non aveva un valore permanente nel mondo dell'arazzo, che cosa dire allora di quella situazione? Se non fosse stato per lui, i Mundani non avrebbero assediato il castello del Signore degli Zombie. Se il Mago fosse stato ucciso, sarebbe resuscitato dopo la partenza di Dor? Oppure quell'assedio era inevitabile, dal momento che la Quinta Ondata si era diretta da quella parte? Era un fatto storico, ma Dor non riusciva a ricordarne i particolari, sempreché li avesse mai appresi. C'erano degli aspetti della storia che i pedagoghi centauri non insegnavano ai loro allievi umani. Vi avrebbe posto riparo quando fosse tornato a casa. Se fosse tornato a casa... Dalla foresta arrivò qualche freccia diretta contro gli operai zombie, ma senza alcun effetto. Questo fenomeno, evidentemente, diede da pensare ai Mundani. Poi un drappello di guerrieri avanzò con le spade tese e con l'in-
tenzione di tagliare gli zombie a pezzi troppo piccoli per poter agire. Dor si servì di un arco che aveva trovato nell'armeria del castello, antico e logoro, ma ancora funzionante. Non era un esperto in quell'arte, ma il suo corpo, evidentemente, si era allenato anche su quell'arma. Era veramente il corpo di un guerriero completo. Scoccò una freccia contro un Mundano ma colpì quello che era accanto al suo bersaglio prescelto. «Ottimo tiro!» esclamò Millie, e Dor ebbe troppa vergogna di confessare la verità. Senza dubbio, se avesse lasciato fare al corpo, il tiro sarebbe stato esatto, ma Dor aveva tentato di scegliere il bersaglio. Avrebbe fatto meglio a limitarsi alle spade nel futuro. Ma il suo arco fu sufficiente a scoraggiare l'attacco, visto che si trattava solo di un'azione estemporanea dei Mundani, non di un vero assalto al castello. Inoltre, non sapevano che c'era un solo arciere sulle mura. I Mundani si ritirarono, e la pulizia del fossato riprese. Dor era soddisfatto. Stava compiendo qualcosa di utile. Sarebbe stato dieci volte più difficile prendere d'assalto il castello con il fossato profondo e pulito. Beh, forse solo otto volte più difficile. Intanto, Saltatore si arrampicava lungo le travi e le mura interne del castello, stanando gli insetti - che inghiottiva con gioia - e puntellando i punti deboli. Legava le travi che avevano ceduto con le sue corde di seta, e rattoppava i buchi con pezzetti di legno e schegge di pietra che incollava con ammassi vischiosi di seta. Poi sistemò dei fili da una finestra all'altra perché fungessero da allarme in caso di intrusioni da quella parte. Era un castello di piccole dimensioni, costruite a casaccio, con un solo tetto a punta, perciò in breve tempo il ragno riuscì a fare molto lavoro. Millie si occupò delle esigenze alimentari dei vivi. Il Signore degli Zombie, uno scapolo, aveva una buona scorta di provviste, ma evidentemente preferiva soprattutto quelle che richiedevano meno sforzi per essere preparate: palle di formaggio, uova fritte della friggitrice che aveva fatto il nido tra le travi, salsicce dell'albero delle salsicce che cresceva all'interno del fossato, e gamberetti dalle piante dei gamberetti che erano nel cortile. Il cortile era a sud della parte coperta dal tetto, cosicché la luce del sole poteva entrare di sbieco da sud e illuminare la terra che era all'interno delle mura. Vi era un certo numero di piante e di animali, visto che gli zombie non li disturbavano. Millie si diede alla preparazione di pasti più sostanziosi. Trovò della frutta secca nella cantina, e degli ortaggi disidratati, tutti protetti da incantesimi per preservarli dal deterioramento. Preparò un passato di pesche fat-
to a mano e uno stufato di patate-ciottoli. Era stupefacente. E il Signore degli Zombie, dopo i debiti esperimenti nel suo laboratorio, diede a Dor una fialetta di elisir che restituiva alla vita gli zombie. Lo aveva ottenuto dall'Elisir della Vita grazie al suo talento. «Non lo smarrire, e non lo usare con imprudenza,» lo ammonì. «La dose è sufficiente per una sola persona.» «Grazie,» disse Dor, che avvertì subito l'inadeguatezza del suo ringraziamento. «Questo è l'unico motivo per cui sono venuto in questa... in questa terra. Non so dirti quale importanza abbia per me questa fialetta.» «Forse potresti darmene un'idea, comunque,» disse il Mago. «Visto che stiamo per affrontare un assedio, a cui forse non sopravviveremo, una certa curiosità è lecita.» Era stato veramente diplomatico! «Mi dispiace,» disse Dor. «So che preferisci vivere da solo, e se avessi saputo che ti avremmo causato tutti questi problemi...» «Non ho detto che mi dispiaccia la vostra compagnia o questo problema,» disse il Signore degli Zombie. «Mi piacciono entrambi. Voi tre siete persone relativamente semplici, non ambigue, e la sola presenza di una sfida alla sopravvivenza risveglia in me l'amore per la vita che si era sopito.» «Uh, sì,» disse Dor, sorpreso. Il Mago stava diventando socievole! «Meriti di sapere tutto.» Dor si sentiva generoso ora che aveva compiuto una parte della sua missione, e la confessione candida del Signore degli Zombie gli aveva fatto piacere. «Io vengo da ottocento anni nel vostro futuro. Nella mia epoca c'è uno zombie che desidero restituire alla vita per fare un favore a... ad un amico.» Anche in quel momento di confidenza, non riuscì a confessare il suo vero interesse nei confronti di Millie. Quella fialetta l'avrebbe resa felice, e avrebbe reso infelice Dor, ma la missione doveva essere portata a termine. «Tu sei l'unico che conosce questa formula. Di conseguenza, per mezzo di un incantesimo, sono venuto da te.» «Un fatto molto interessante; non sono sicuro di crederci. A chi stai facendo questo favore?» «Ad una... una donna...» Il pensiero di far sapere a Millie quale sarebbe stato il suo destino futuro lo terrorizzava, e perciò decise di non pronunciare il suo nome. Non aveva mai avuto molta fortuna nel mantenere simili decisioni, ma stava imparando a farlo. Quale orrore avrebbe procurato una notizia del genere ad una fanciulla tanto innocente, che strillava, agitava i capelli e scalciava in modo così seducente, al più piccolo allarme? Molto
meglio che non lo venisse a sapere! «E chi è lo zombie?», incitò il Mago, con gentilezza. «Non intendo curiosare in faccende che non mi riguardano, ma gli zombie mi riguardano, perché sicuramente ogni zombie che esiste nella tua epoca è un prodotto della mia magia. Ho in una certa considerazione il loro benessere.» Dor non avrebbe voluto parlare, ma pensò che, da un punto di vista morale, non poteva negare quell'informazione al Signore degli Zombie. «Lei... la donna lo chiama Jonathan. È tutto quello che so.» L'uomo si irrigidì. «Ah, sono stato punito per la mia curiosità inutile!», sospirò. «Conosci questo zombie?» «Io... forse. È una lezione di filantropia. Non ho mai sospettato che avrei fatto un favore simile a quel particolare individuo.» «È uno dei tuoi zombie che sono nel castello?» Dor già sentiva le fitte della gelosia. «Non in questo momento. Non ho dubbi che lo incontrerai tra poco.» «Io non voglio...» No, non poteva dirlo. Quello che doveva essere doveva essere. «Non so se sarebbe opportuno dirgli... voglio dire, ottocento anni sono lunghi da passare, in attesa del ritorno alla vita. Potrebbe desiderare di prendere la medicina ora, e poi non sarebbe più lì per quella donna...» E questa era una tentazione diabolica che Dor doveva sopprimere. La scomparsa di Jonathan dalla sua epoca non solo avrebbe eliminato lo zombie dalla competizione per ottenere i favori di Millie, ma avrebbe anche eliminato il motivo del viaggio nel passato di Dor. Come poteva riportare in vita uno zombie che era già stato riportato in vita otto secoli prima? Ma se non l'avesse fatto... un paradosso che avrebbe potuto essere fatale. «Sono molto lunghi ottocento anni,» convenne il Signore degli Zombie. «Non preoccuparti, non tradirò il tuo segreto.» Chiuse la discussione con un brusco cenno del capo. «Ora dobbiamo occuparci delle difese del castello. I miei insetti-spia mi hanno informato che i Mundani si stanno radunando per un attacco massiccio.» I difensori si accinsero a rispondere all'attacco. Saltatore sorvegliava il muro ad est e il tetto, e aveva sistemato delle trappole, fatte dei suoi fili, per bloccare gli intrusi. Il Signore degli zombie era di guardia al muro a sud, che chiudeva il cortile. Dor si occupava del muro ad ovest. Le difese erano rafforzate da contingenti di zombie, e naturalmente l'orco difendeva la porta, a nord. Millie era rimasta all'interno, a controllare le magie e gli incantesimi ostili, le avevano detto. Nessuno voleva che stesse sui bastioni
durante l'attacco, dove le sue reazioni seducenti sarebbero state una calamita per i Mundani. Le avevano anche affidato una scorta di Elisir della Vita, in modo che potesse soccorrere i feriti. Gli insetti zombie dovevano aver fatto un uso eccellente dei loro occhi risanati dall'elisir, perché l'attacco avvenne secondo le previsioni. Un'ondata di Mundani attaccò un lato del castello. Non il muro a nord, difeso da Egor la cui reputazione era più che sufficiente, ma il muro più debole, che era quello di Dor. I Mundani gettarono dei tronchi nel fossato per formare un ponte di fortuna, appostarono degli uomini con degli scudi enormi su entrambi i lati del ponte per bloccare il mostro del fossato, e una metà di loro passò dall'altra parte. Portavano tre scale da assedio, che gettarono contro il muro. Il castello era stato costruito stupidamente, con un cornicione al di sopra dei due piani, ideale per agganciare delle scale. Il cornicione terminava all'improvviso nell'angolo dove cominciava il cortile, ma conduceva ad una porticina vicina al muro nord. Presumibilmente, quell'accesso serviva a facilitare la pulizia delle grondaie, ma rovinava l'integrità delle difese del castello. Un muro liscio, senza né sporgenze né porte, sarebbe stato di gran lunga migliore! Dor si appostò davanti alla porta e aspettò, sperando di essere pronto. Il suo stomaco era agitato, in effetti aveva l'urgente bisogno di una toilette. Ma naturalmente non poteva andarsene. Nessuno di loro poteva lasciare le postazioni fino a che l'attacco non fosse finito; questo era l'accordo. Non si poteva sapere quali trucchi avrebbero potuto fare i Mundani per allontanare i difensori dalle postazioni, rendendo vulnerabile il castello. Uomini si affollarono lungo le scale. Alla sommità li aspettavano degli animali zombie: un lupo a due teste con le mandibole putrefatte ma con le zanne eccellentemente risanate, un serpente con le spire orrendamente articolate, e un satiro con zoccoli e corna taglienti. I primi uomini che salirono si aspettavano degli zombie umani; ma quegli animali li impaurirono e li resero facili prede. Poi Dor si chinò con un lungo piede di porco - non aveva idea di che cosa se ne facessero i porci di quell'attrezzo - fece leva sulla prima scala e la spinse via dal muro. La scala cadde nel fossato con tutto il suo carico. I Mundani caduti in acqua strillarono. Dor sentì una fitta di rimorso, non si sarebbe mai abituato ad uccidere! In realtà, si disse, non erano caduti da una grande altezza, e l'atterraggio in acqua era stato morbido. Ma gli uomini erano rivestiti di armature pesanti che impedivano loro di nuotare.
Dor si avvicinò alla scala seguente, ma questa era agganciata veramente bene. Il serpente zombie aveva dei problemi a respingere l'assalto furioso. «Che cos'è che ti mantiene?», gridò Dor esasperato, mentre cercava di staccarla dal muro. «Sono una scala incantata,» replicò la scala. «Quegli stupidi Mundani mi hanno rubato da un arsenale di una Palizzata. Non conoscono le mie proprietà.» «Quali sono le tue proprietà?», chiese Dor. «Mi ancoro irrevocabilmente dove vengo agganciata, finché qualcuno non mi ordina: "salpa l'ancora." Allora arretro con violenza. E questo facilita lo sganciamento.» «Talpa l'ancora?» «Non è proprio così. La parola giusta è "salpa", vuol dire alza, e devi pronunciare la frase con autorità.» «Salpa l'ancora!», gridò Dor con autorità. «Ooooh, ora l'hai detto!» gridò la scala: arretrò con violenza e buttò i suoi occupanti nel fossato. Dor si avvicinò alla terza scala. L'indugio alla seconda scala, però, gli aveva fatto perdere del tempo prezioso. Il primo guerriero aveva superato lo shock di incontrare il satiro e l'aveva tagliato a pezzi. Ora tre guerrieri erano sul cornicione, e altri ne salivano. Per fortuna, non avevano lo spazio sufficiente per stare fianco a fianco. Stavano in fila e, finché non si fossero mossi, il quarto non poteva smontare dalla scala. Il primo Mundano lanciò un grido sonoro e abbassò la spada su Dor come se volesse tagliare un ceppo. Il corpo di Dor parò automaticamente il colpo bloccando la spada con il piede di porco. La spada deviò di lato. Simultaneamente, si chinò in avanti, prese alla sprovvista il Mundano e gli colpì lo stomaco con il pugno sinistro. L'uomo si piegò in due, Dor gli afferrò una gamba e lo lanciò oltre il cornicione nel fossato. Si drizzò a fronteggiare il secondo Mundano con un unico movimento fluido. L'uomo fu più prudente nell'attaccare. Si avvicinò a Dor con cautela, con la spada tesa come una lancia, costringendolo ad arretrare. Il Mundano sapeva che non era ancora necessario uccidere Dor. C'era solo bisogno di ampliare il tratto di cornicione tenuto dai suoi compagni, in modo che altri potessero smontare dalla scala. Dor, da parte sua, doveva eliminare quell'uomo e poi il successivo, e quindi occuparsi della scala. Perciò rispose all'attacco del Mundano puntando la sbarra e, rifiutò di cedergli terreno. In quello spazio ristretto, il
piede di porco era un'arma eccellente. Gli occhi del Mundano si spalancarono in un'espressione di stupore. «Mike!», gridò. «Sei sopravvissuto! Pensavamo che ti fossi perso in quella dannata giungla magica!» Sembrava che si stesse rivolgendo a Dor. Poteva essere un tranello. «Bada a te, Mundano!», disse Dor, e deviò la spada dell'uomo, in modo da poterlo spingere con il braccio e la spalla. Il Mundano non fece resistenza. «Mi hanno detto che c'era un uomo che ti somigliava, ma non ci credevo! Avrei dovuto immaginare che il migliore lottatore della truppa ce l'avrebbe fatta! Diavolo, con la tua forza e il tuo equilibrio...» «Equilibrio?», chiese Dor, e ricordò come il suo corpo avesse camminato sul filo di Saltatore attraverso il fiume. «Certo, avresti potuto lavorare in un circo! Ma hai voluto profittare troppo della tua fortuna. Che cosa fai qui, Mike? L'ultima volta che ti ho visto, siamo stati separati da una banda di goblin. Abbiamo dovuto tagliare verso la costa, pensavamo che ci avresti raggiunti... ed eccoci qui! Hai perso la memoria, o qualcosa di simile?» Poi la spinta di Dor ottenne il suo effetto, e il Mundano, sorpreso, cadde nel fossato. Rapidamente, Dor attaccò il terzo, spinse la punta smussata della sbarra nello stomaco dell'uomo, prima che egli si potesse difendere, e anche quel guerriero cadde. Poi Dor spinse il palo sui ganci della scala e fece tanta forza che un'intera sezione del parapetto di pietra cedette e la scala perse l'appoggio. Tutti gli uomini che erano sulla scala caddero urlando. Il lavoro era compiuto. Poi, ergendosi vittorioso sul cornicione, Dor guardò in basso e fu assalito da una reazione multipla. Aveva ucciso, ancora una volta, questa volta non nell'incoscienza o nel dolore per le mutilazioni subite dall'amico, ma per fare il suo lavoro di difesa del castello. Era così che proponeva di fare carriera? L'estrema facilità con cui l'aveva fatto... forse, in parte, era dovuta all'abilità naturale del suo corpo, ma egli aveva usato anche il suo talento per scoprire il segreto della scala. No, egli stesso era responsabile, e fu preso da un senso di colpa, schiacciante e crescente, dopo aver eseguito il suo lavoro. E il Mundano... quell'uomo aveva riconosciuto Dor, o meglio il corpo di Dor, e l'aveva chiamato Mike. Questo doveva significare che quel corpo era quello di un Mundano, un guerriero di quell'armata, un uomo separato dai compagni nella giungla, intrappolato dai goblin e presunto morto. Dor
si era impossessato di quel corpo e ne aveva impedito il ritorno all'armata. Che cos'era accaduto alla personalità del vero Mike? Dor si colpì la testa con una mano. La pulce lo aveva morso di nuovo. Insetto infernale! Accidenti... gli altri chiamavano Saltatore insetto, e a Dor non piaceva. Forse alla pulce non piaceva essere chiamata... oh, basta! A che cosa era arrivato, mentre rifletteva e guardava i Mundani affogati nel fossato? Oh, sì: il destino della personalità dell'originale Mike Mundano. Dor non sapeva dare una risposta. Presumeva che il vero Mike sarebbe tornato quando Dor fosse partito. Quello che lo turbava di più era il fatto che aveva approfittato della sorpresa del Mundano per lanciarlo nel fossato. Il Mundano si era fermato, perché non voleva colpire un amico, e aveva pagato quella cortesia comprensibile con la perdita della posizione raggiunta, e forse della vita. Come si sarebbe sentito Dor se avesse incontrato Saltatore, e l'avesse salutato con gioia, e Saltatore l'avesse colpito? Era stato un gesto crudele! Ciò non di meno, aveva tenuto le proprie posizioni. Sperava che gli altri avessero tenuto le proprie. Non osava controllare di persona. Aveva la sua postazione da difendere, e altri uomini avrebbero potuto lanciare una scala nel momento in cui Dor la abbandonava. La guerra non era bella. Se Dor fosse mai diventato Re, avrebbe fatto in modo che i problemi fossero risolti in qualche altro modo, se fosse stato possibile. Nessuno l'avrebbe mai convinto che ci fosse della gloria nel combattere. Il sole calava lentamente davanti ai suoi occhi. I Mundani si arrampicarono lungo le pareti del fossato, trascinando i loro morti e i loro feriti. Presero anche le scale, sebbene fossero distrutte. Infine arrivò Millie. «Puoi scendere ora, Dor,» disse in tono esitante. «Gli insetti zombie dicono che i Mundani sono troppo occupati con i feriti per fare un altro attacco oggi, e di notte non lo faranno.» «Perché no? Un attacco di sorpresa...» «Perché pensano che questo sia un castello incantato, e hanno paura del buio.» Dor scoppiò a ridere. Non era poi molto buffo, ma la tensione che era in lui aveva trovato il modo di uscire. Si calmò rapidamente. Con sollievo la seguì lungo le scale a chiocciola verso la sala principale. Notò la piacevole oscillazione dei suoi fianchi. Da qualche tempo, notava sempre più spesso particolari simili. Organizzarono un sistema di guardia notturna. Non c'erano stati attacchi
alle altre mura. Dor era stato il solo a combattere. «Saremmo venuti in tuo aiuto,» trillò Saltatore. «Ma temevamo qualche tranello.» «Esattamente,» convenne Dor. «Nemmeno io sarei venuto in vostro aiuto.» «Se non manteniamo la disciplina, non ci resta niente,» disse il Signore degli Zombie. «Noi vivi siamo troppo pochi.» «Ma stanotte tu devi riposare,» disse Millie a Dor. «Ti sei affaticato molto, e meriti un riposo.» Dor non discusse. Era certamente stanco, e aveva qualche fitta al cuore. Questa faccenda del Mundano che l'aveva riconosciuto... Saltatore si accinse a fare il primo turno di guardia. Si sarebbe arrampicato sulle mura e sui soffitti, dentro e fuori. Il Signore degli Zombie si ritirò per la sua mezza nottata di riposo, prima di sostituire il ragno. Restò Millie, che insisté a tenere compagnia a Dor, mentre questi mangiava e riposava. «Hai lottato con tanto coraggio, Dor,» disse, spingendo verso di lui una zuppanocciola. «Mi sento nauseato.» Poi, si rese conto che Millie era trasalita, e aggiunse. «Non della tua cucina, Millie, di uccidere. Colpire degli uomini con un'arma. Buttarli nel fossato. Uno di loro mi ha riconosciuto. Ho spinto anche lui nel fossato.» «Ti ha riconosciuto?» Come poteva spiegarlo? «Ha pensato di avermi riconosciuto. Perciò non mi ha colpito. Non è stato un bel gesto colpirlo.» «Ma loro stavano assaltando il castello! Tu dovevi combattere. Altrimenti tutti noi saremmo stati...» Fece una smorfia nel tentativo di suggerire qualcosa di orribile. Ma non ci riuscì. Era deliziosa. «Ma io non sono un assassino!», protestò Dor con violenza. «Ho solo dodici anni...» Si bloccò, ma non sapeva come correggersi. «Dodici anni di esperienza di guerra,» esclamò lei. «Sicuramente hai già ucciso prima!» Era mal riposta, ma la simpatia di Millie lo gratificava. Il suo corpo stanco reagì. Il braccio sinistro si allungò a stringerle i fianchi. La strinse a sé. Oh, com'era elastico il suo posteriore! «Beh, Dor!», disse lei, sorpresa e compiaciuta. «Ti piaccio!» Dor si costrinse ad abbassare il braccio. Che diritto aveva di toccarla? Soprattutto nelle vicinanze del suo morbido posteriore! «Anche tu mi piaci, Dor.» Gli si sedette in grembo, con il suo posteriore
due volte più morbido e più grande di prima. Il suo corpo reagì di nuovo, e la strinse con un braccio. Dor non aveva mai provato una sensazione simile. Improvvisamente fu cosciente che il suo corpo sapeva che cosa fare, se solo lui gliel'avesse permesso. Fu cosciente che lei voleva. Che sarebbe stata un'esperienza come nessun'altra da lui sognata nella sua giovane età. Aveva dodici anni; il suo corpo era più vecchio. Poteva farlo. «Oh, Dor,» mormorò lei, e chinò la testa per baciarlo sulla bocca. Le sue labbra erano tanto dolci che Dor... La pulce lo morse con forza sull'orecchio sinistro. Dor la colpì... e si diede un pugno sull'orecchio. Il dolore fu breve ma intenso. Si alzò, e spinse con rudezza Millie. «Devo riposare,» disse. Lei non disse più niente, ma restò lì, con gli occhi bassi. Sapeva di averla ferita. Lei aveva commesso il peccato capitale per una ragazza: si era offerta ed era stata rifiutata. Ma che cosa poteva fare Dor? Egli non esisteva nel mondo di Millie. Presto sarebbe partito, e l'avrebbe lasciata sola per ottocento armi, e quando si sarebbero riuniti, lui avrebbe avuto dodici anni. Non aveva nessun diritto! Ma, oh, che cosa sarebbe potuto accadere, se fosse stato un uomo! Durante la notte non ci fu nessun attacco, e nessuno nella mattinata, ma l'assedio continuava. I Mundani si preparavano ad un altro attacco, e gli assediati dovevano semplicemente aspettarlo. Intanto, passava del tempo prezioso, e la situazione peggiorava per Re Roogna. Il Mago Murphy stava sicuramente sorridendo di soddisfazione. Dor trovò Millie e il Signore degli Zombie che facevano colazione insieme. Chiacchieravano allegramente, ma si fermarono non appena Dor li raggiunse. Millie arrossì e distolse il volto. Il Signore degli Zombie aggrottò le sopracciglia. Aveva quasi un aspetto piacevole, una volta che ci si era abituati alla sua magrezza. «Dor, la nostra conversazione era innocente. Ma pare che ci sia qualcosa che non va tra te e la signora. Desideri che vada via?» «No!», dissero insieme Dor e Millie. Il Mago parve perplesso. «Sono stato solo per molto tempo. Forse ho dimenticato come ci si comporta in società. Perciò devo chiederlo in modo alquanto brusco: avresti delle obiezioni, Dor, se io esprimessi un certo interesse per la signora?» Un ghiacciolo verde di gelosia trafisse Dor. Resistette. Ma non riuscì a parlare.
Allora Millie volse i suoi grandi occhi su Dor. In essi c'era una muta preghiera che Dor comprese. «No!», disse lui. Gli occhi di Millie si abbassarono, la donna era stata ferita di nuovo. Due volte, lui l'aveva respinta. Il Signore degli Zombie si strinse nelle spalle ossute. «Non so che cos'altro posso aggiungere. Continuiamo a mangiare.» Dor pensò di chiedergli di aiutare il Re, ma comprese ancora una volta che quello che il Mago faceva dietro sua richiesta poteva essere inattendibile, e allora ebbe un'ispirazione. Quello che Dor faceva poteva mancare di validità, come quello che faceva Saltatore, e quello che faceva Millie avrebbe dovuto essere valido. Lei apparteneva a quel mondo. Perciò se fosse stata lei a persuadere il Signore degli Zombie ad aiutare il Re... Entrò uno zombie. «Ttaacc,» disse con voce stridula. «Ooorra.» «Grazie, Bruce,» disse il Signore degli Zombie. Si rivolse agli altri. «I Mundani si stanno preparando ad attaccare nel giro di un'ora. Faremmo meglio a riprendere le nostre postazioni.» Quella volta i Mundani attaccarono il lato difeso da Saltatore. Avevano costruito un ariete massiccio. Non era un vero ariete; quegli uomini non sembravano essersi ancora evoluti. Era una caricatura di un ariete, fatto con un tronco pesante di legnoferro, montato su ruote. Dor udì il boato e il fragore quando l'ariete rotolò lungo il ponte che i Mundani avevano gettato sul fossato, ed entrò in collisione con la vecchia pietra. Sperò che il muro reggesse, ma non poteva andare a vedere o a prestare aiuto. La sua postazione era quella, e non doveva abbandonarla, altrimenti sarebbe potuto arrivare un altro attacco senza alcun preavvertimento. Gli altri erano stati tanto disciplinati da tenersi lontani dalla sua zona, l'ultima volta, e per lo stesso motivo. Era un particolare genere di coraggio, quello di restare solo e nell'ignoranza. Una freccia cadde sul cornicione. Era scivolata oltre il tetto del castello ed era caduta, il suo impeto spento. «Che novità ci sono dall'altra parte?», chiese Dor alla freccia. «Stiamo tentando di aprire una breccia nel muro,» disse la freccia. «Ma quel maledetto insettone continua a buttare giù le assi del nostro ponte con i suoi fili puzzolenti. Stiamo tentando di colpire quel ragno, ma si muove troppo in fretta. Quella creatura corre su un muro perpendicolare! pensavo che l'avrei colpito...» La freccia sospirò. «Ma non mi è proprio riuscito.» «Che peccato,» disse Dor, con un sorriso. «Non trattarmi con quell'aria di superiorità,» gridò la freccia. «Io sono un'arma di prima classe!»
«Forse hai bisogno di un arciere dal tiro più preciso.» «Questo è certo. Più di una buona freccia è stata rovinata da un cattivo tiratore... oh, a che scopo! Se le frecce dominassero il mondo al posto di quegli stupidi esseri umani...» La vita era dura per tutti, pensò Dor. Anche per i nonanimati. Non parlò più alla freccia, perciò essa non poté rispondere. Gli oggetti, all'inizio, dovevano essere interrogati ogni volta. Solo quando si dava loro un ordine continuo, espresso o non espresso a voce, come la ragnatela che traduceva i trilli di Saltatore, parlavano di propria iniziativa. Oppure quando, grazie alla presenza costante di Dor, essi assumevano un po' del suo talento, come le pareti e le porte del suo cottage di formaggio. Quanto sembrava lontana la sua casa! Dopo qualche tempo, il fragore si placò, e Dor capì che Saltatore era riuscito a respingere l'attacco. Rifletté se fosse il caso di andare a controllare di persona, visto che la minaccia era stata sventata, ma decise di restare al proprio posto. Era molto curioso, ma la disciplina era la disciplina, anche quando diventava virtualmente inutile. E, silenziosamente, un gruppo di uomini con una scala arrivò sotto il suo muro. Stavano cercando di entrare furtivamente! Dor aspettò in silenzio che attraversassero il fossato, che alzassero, agganciassero la scala e vi salissero. Pensavano che Dor non ci fosse oppure che dormisse, e che non prestasse loro attenzione. Quanto erano arrivati vicini alla verità! Poi, proprio mentre il primo Mundano oltrepassava il parapetto, Dor intervenne con la sua leva, spinse la scala via dal muro e la fece precipitare. Notò appena le urla e i tonfi prodotti dagli uomini che cadevano nel fossato. Grazie alla propria costanza, aveva fermato un attacco a tradimento e aveva salvato il castello! Se avesse ceduto alla tentazione e avesse abbandonato la postazione prima del tempo... Si sentì molto più eroico di prima. Infine, gli occhi-spia zombie annunciarono che i Mundani avevano ritirato il loro principale reparto d'assalto, e Dor raggiunse gli altri all'interno del castello. Era mezzogiorno. Mangiarono, poi passarono il lungo pomeriggio a lavorare ad un puzzle, che Millie aveva scoperto nel pulire il salotto. Era un puzzle magico, naturalmente, perché i pezzi erano creature magiche che deliziavano con la loro perfezione. Quando fosse stato completato, sarebbe stato un bel quadro, ma ora era solo una miriade di pezzettini che dovevano essere uniti. I pezzi non si incastravano l'uno all'altro, a meno di
non usare l'incantesimo giusto, che spesso era ingannevole. I frammenti di immagini mostrati dai veri pezzettini cambiavano di continuo. Il principio di quel puzzle sembrava essere simile a quello dell'arazzo magico dell'epoca di Dor, con le figurine che si muovevano come fossero vive. In effetti... «È lui!», esclamò Dor. «Stiamo intessendo l'arazzo!» Gli altri alzarono gli occhi, tranne Saltatore, i cui occhi guardavano sempre su, giù e di fronte, senza muoversi. «Quale arazzo?», chiese Millie in tono alquanto freddo. Era ancora adirata, nella sua maniera dolce, con Dor che l'aveva rifiutata. «Il... io, uh, non riesco a spiegarlo esattamente,» disse imbarazzato. Saltatore intervenne. «Amico, credo di sapere a quale arazzo tu ti riferisca,» trillò. «Ne ha fatto cenno il Re. È in cerca di un quadro da appendere a Castel Roogna, che diverta i visitatori e rappresenti quello che il Re tenta di fare. Questo farebbe proprio al caso, se il Signore degli Zombie volesse cederlo.» «Te lo cedo,» disse il Mago. «Perché rispetto la tua natura. Lo prenderai con te, quando tornerai a Castel Roogna.» «È generoso da parte tua,» trillò Saltatore, e aggiunse un altro pezzo. La sua vista eccellente lo rendeva particolarmente adatto a quel compito. Poteva guardare parecchi pezzi nello stesso momento, sovraimporli nel suo cervello, e cercare quello adatto senza toccare nemmeno un pezzo. Si fermò a trillare al pezzo che teneva tra le zampe, e il pezzo evidentemente comprese l'incantesimo, perché si unì alla massa principale dell'immagine che si andava formando. «Ma se non riusciremo ad aiutare il Re, il Castello non verrà mai completato.» Il Signore degli Zombie non rispose, ma Millie alzò gli occhi, sorpresa. Intercettò lo sguardo di Dor, che annuì. Lei aveva capito! Ma aggrottò la fronte. Dor sapeva qual era il problema: lei era interessata a Dor, e non voleva esercitare il suo fascino magico sul Mago. Non era in grado di comprendere perché Dor la sfuggisse, o perché non continuasse egli stesso a perorare la causa di Castel Roogna. Di conseguenza, Millie si accigliò e si concentrò sul puzzle. Il pomeriggio trascorreva lentamente. Il puzzle era affascinante, un aggeggio eccellente per passare il tempo. Tutti sembravano avvertire la sua attrazione, e reagivano alla sua sfida come se si trattasse dell'armata mundana. «I puzzle mi hanno sempre divertito,» osservò il Signore degli Zombie e, di fatto, era il migliore dei partecipanti umani. Le sue mani scheletriche si muovevano veloci e sicure nel cercare i pezzi, avvicinarli al probabile
incastro, per poi confrontare, respingere, confrontare di nuovo e incastrare. Scarno, sparuto, ma fondamentalmente sano e vigile, il Mago sembrava sempre più umano ad ogni ora che passava in compagnia di Millie. «L'eccitamento della scoperta, senza alcun pericolo. Quando ero bambino, prima che si conoscesse il mio talento, ero solito frantumare blocchi di pietra con un martello, e poi ricostruirli. Naturalmente, mancavano coesione...» «E questo non era un aspetto del tuo talento?», trillò Saltatore. «Ora tu ricostruisci le creature, ma mancano della coesione della vita.» Il Mago rise, era la prima volta che lo faceva in loro presenza. Gettò indietro gli ispidi capelli castani in modo tale che le ossa della fronte e degli zigomi risaltarono maggiormente. «Un'intuizione significativa! Sì, immagino che creare gli zombie non sia molto diverso dal restaurare le pietre. Ma diventa un compito solitario, perché gli altri...» «Capisco,» trillò Saltatore. «Sei una creatura normale, come me, ma questo mondo non ti considera tale. Io ho il mio mondo a cui ritornare, ma tu hai solo questo.» «Potessi anch'io venire nel tuo mondo,» disse il Mago, in tono leggero ma con un certo desiderio occulto. «Per cominciare di nuovo, libero da pregiudizi. Anche tra i ragni, mi sentirei molto più a mio agio.» Millie non parlò, ma il suo atteggiamento si addolcì. Continuarono a lavorare al puzzle. A Dor venne in mente che i rapporti umani erano simili a quel puzzle, composto di pezzi che si incastravano per mezzo delle convenzioni linguistiche. Se solo avesse saputo dove doveva incastrarsi il pezzo che era tutta la sua vita! «Quando ero giovane,» osservò il Signore degli Zombie, dopo un po' di tempo, «sognavo ad occhi aperti di sposarmi e vivere in modo normale, tirando su una famiglia. Non avevo immaginato che sarei diventato quello che sono ora. Avevo un appetito robusto, ero ben in carne, ero appena distinguibile dai ragazzi normali. Poi, un giorno, trovai una rana volante morta, e me ne dispiacqui. Cercai di riportarla in vita, e...» «Il primo zombie!», esclamò Millie. «Esatto. Guardai quella rana volar via con meraviglia, pensando di aver resuscitato un morto. Ma era molto meno di questo. Io ero in grado di resuscitare ad una pseudo-vita i morti. Tranne, forse, che in casi particolari.» Diede un'occhiata a Dor: naturalmente stava pensando all'elisir che restituiva la vita agli zombie. Ma quell'elisir sopravanzava la magia del Signore degli Zombie, incorporava anche la magia dell'Elisir della Vita, perciò era il risultato di una collaborazione. «Da quel momento in poi, la mia carriera
fu stabilita. Contrariamente ai miei desideri, fui innalzato ad una condizione elevata e ad un isolamento che mi mettevano al di sopra di qualsiasi altro. Sembrava che fossero in molti a desiderare quello che potevo fare per loro: creare animali zombie per fare la guardia alle loro case, per combattere le loro guerre, o per fare il loro lavoro. Ma a nessuno importava di frequentarmi ad un livello personale. Me ne disgustai. Non mi piace che ci si serva di me senza alcun rispetto.» L'addolcimento di Millie divenne qualcosa di più. «Poverello!», esclamò. «Voi tre siete i primi che mi hanno frequentato senza provare repulsione,» continuò il Signore degli Zombie. «È vero, siete venuti a chiedermi dei favori...» «Non avevamo capito!», gridò Millie. «Questi due vengono da un altro paese, molto lontano, e io sono solo una fanciulla innocente...» «Sì,» convenne il Mago, guardandola con un'espressione nuova e intensa. «Innocente, ma con un talento che provoca reazioni negli altri.» «Tranne che in voi tre,» disse lei. «Ogni altro uomo vuole sempre afferrarmi. Dor mi ha buttato a terra.» Gli lanciò un'occhiata cupa. «Il tuo amico si trattenne perché non appartiene al tuo mondo: presto dovrà partire e non potrà portarti con sé,» disse il Signore degli Zombie. Dor era stupito e felice della comprensione mostratagli dal Mago. «Di conseguenza, non può farti promesse, ed è troppo onesto per profittarsi di te su basi temporanee». «Ma io partirei con lui!», gridò lei con ingenuità. Saltatore intervenne con un trillo: «È impossibile, fanciulla. Vi è coinvolta la magia.» Il mento di Millie si alzò in un attraente gesto di ribellione. «Ma se a te piacesse restare qui nel mio castello, Millie, vivresti nella condizione di...», cominciò il Mago, poi si fermò. «Ma anche di isolamento. Questo lo devo ammettere.» «Tu hai veramente molta compagnia,» disse Millie. «Gli zombie non sono tanto cattivi quando si impara a conoscerli. Hanno personalità diverse. Loro... non è colpa loro se non sono completamente vivi.» «Spesso sono compagni migliori degli esseri viventi,» convenne il Signore degli Zombie. «Hanno varie emozioni e ricordi vaghi delle loro vite precedenti. È l'ignoranza a renderli sospetti, l'ignoranza della maggior parte della gente normale. Tutto quello di cui hanno bisogno gli zombie è un lavoro da fare, una tomba confortevole in cui riposare, e di benevolenza.»
Dor ascoltava, e notava come Millie e il Mago stessero trovando un accordo. Si costrinse a starne fuori. Il suo coinvolgimento diretto avrebbe potuto invalidare tutto quello che accadeva, se Murphy aveva ragione. Eppure lo irritava sempre di più quel tentativo di servirsi del Signore degli Zombie che, dopotutto, era una persona onesta. «Non credo che mi dispiacerebbe vivere tra gli zombie,» disse Millie. «Ho visto una ragazza zombie nel giardino. Penso che in vita debba essere stata quasi bella come me.» «Quasi,» convenne il Signore degli Zombie con un sorriso. «Fu uccisa da un Incantesimo di Polmonite che era destinato ad un'altra persona. Ma quando l'ho resuscitata, la sua famiglia non ha voluto riprenderla, perciò la ragazza è restata qui. Mi rammarico di non poter disfare la mia magia, una volta che sia stata applicata. Lei è condannata come gli altri a vivere per sempre una pseudo-vita.» «Ho strillato quando ho visto il primo zombie. Ma ora...» «Comprendo che il tuo interesse principale è altrove,» disse il Mago, guardando Dor con la coda dell'occhio. «Ma se, dato per scontato il fatto che non puoi partire con lui, tu volessi riflettere sull'eventualità di restare qui con me...» «Devo aiutare il Re,» disse lei. «Abbiamo promesso di...» Il Signore degli Zombie si arrese all'inevitabile. «Per te, mi dedicherò anche alla politica. Ad Hoc. Usa i miei zombie per...» «No!», gridò Dor, sorprendendo anche sé stesso. «È sbagliato!» Il Signore degli Zombie gli lanciò uno sguardo inespressivo. «Dopotutto, stai affermando il tuo interesse per Millie?» «No! Io non posso averla. Lo so. Ma noi stiamo qui solo perché il castello è assediato, e nel momento in cui l'assedio sarà tolto, torneremo da Re Roogna. È disonorevole permettere che lei approfitti della tua solitudine solo per ottenere il tuo aiuto per il Re. Il fine non giustifica i mezzi.» Aveva sentito Re Trent fare quest'affermazione, ma non ne aveva apprezzato in pieno il significato fino a quel momento. Fine e mezzi, oppure era fini e mezzi? «Tu sei stato generoso con me e con Saltatore, perché hai capito i nostri bisogni e li hai rispettati. Come potresti rispettare Millie se...» Per la prima volta, videro Millie arrabbiarsi. «Io non stavo cercando di servirmi di lui! È un uomo gentile! Ma ho fatto una promessa al Re, e non posso semplicemente andarmene a fare qualcos'altro e lasciare che tutto il Regno crolli!» Dor era mortificato. Non aveva capito fino in fondo l'innocenza di Mil-
lie. «Scusa, Millie. Pensavo...» «Tu pensi troppo!», disse lei, infuriata. «Ma il tuo pensiero va a tuo merito,» il Signore degli Zombie disse a Dor. «E la tua ingenuità va a tuo merito,» disse a Millie. «Ero cosciente delle conseguenze. Sono abituato a fare scambio di favori. Non è nemmeno un male, quando le condizioni dello scambio vengono negoziate apertamente. Sono semplicemente pronto a venire ad un compromesso, in questa circostanza. Se è necessario salvare il Regno per rendere felice Millie, allora sono pronto a salvare il Regno. Quid pro quo. Sono lieto che la signorina mantenga la parola data al Re in modo così fermo. Posso ragionevolmente supporre che manterrebbe nello stesso modo la parola data a te, Dor. O a me, se me l'avesse data.» «Io non l'ho data!», protestò Millie. «Non ho dato la mia parola a nessuno! Non in quel modo.» Ma sembrava lievemente lusingata. «Il problema potrebbe essere accademico,» trillò Saltatore. «Siamo assediati, e ci mancano i mezzi per tentare qualcosa in più della difesa passiva all'interno del castello, con l'aiuto dei fedeli zombie. Non possiamo aiutare il Re in nessun modo.» «E anche se non ci fosse nessun assedio,» disse il Mago, «i miei zombie hanno subito un certo logorio. Sono immortali, ma quando sono fisicamente distrutti e hanno perso dei pezzi, diventano inutili. Potrei fornire al Re solo un aiuto simbolico. Insufficiente a sconfiggere la maledizione che è su Castel Roogna.» «Potresti fare altri zombie,» disse Dor. «Se avessi altri cadaveri.» «Oh, sì, senza limiti. Ma ho bisogno di corpi intatti, e quelli appena morti sono i migliori.» «Se riuscissimo a sconfiggere i Mundani,» trillò Saltatore, «potremmo usare i loro cadaveri per creare un'armata potente.» «Se avessimo un'armata potente, potremmo usarla per vincere i Mundani,» osservò Dor. «È un circolo chiuso.» «Non desidero interferire nelle preoccupazioni umane,» trillò Saltatore. «Ma mi pare di vedere il modo di uscire da questa situazione di stallo. Comporta però qualche rischio...» «Anche restare assediati comporta qualche rischio,» disse il Signore degli Zombie. «Illustraci la tua idea, possiamo esaminarla tutti insieme.» Sistemò un altro pezzo del puzzle, e pronunciò sottovoce l'Incantesimo di Fusione. «È una soluzione che sfrutta tutte le nostre possibilità,» trillò Saltatore.
«Il Signore degli Zombie e Millie devono difendere il castello da soli per qualche tempo, mentre io invierò Dor all'esterno di notte. Posso gettare un filo fino ad un albero vicino e far scivolare Dor lungo la ragnatela, in modo che nessuno se ne accorga. I Mundani non vedono bene come me al buio. Poi Dor deve usare il suo talento per trovare qualcuno dei veri mostri che vivono nelle regioni selvagge - draghi e simili - e chiedere il loro aiuto.» «I draghi non aiuteranno mai gli uomini!», protestò Dor. «Non aiuterebbero gli uomini,» trillò Saltatore. «Combatterebbero gli uomini.» «Ma...» Poi Dor afferrò. «I Mundani!» Saltatore girò la testa in modo da guardarla con tutti i suoi occhi di tre diverse misure. Egli ovviamente non era umano. «Beh, ma...», esitò la ragazza. «Io sarò con Dor,» trillò Saltatore. «I mostri riconosceranno me come mostro, e Dor come Mago. All'interno del castello ci sarà un altro Mago e una donna, e molti animali zombie. Nessun uomo normale. Noi faremo loro questa promessa: i mostri che moriranno nella battaglia per liberarci dall'assedio saranno resuscitati come zombie. Ma soprattutto, i mostri proveranno il brivido di uccidere impunemente degli uomini. Il Re non li condannerà per quello che faranno, visto che è per aiutarlo. «Potrebbe funzionare!», esclamò Dor. «Andiamo!» «Non finché non sarà buio,» trillò Saltatore. «E non finché non avrete mangiato,» aggiunse Millie, che si precipitò in cucina. Saltatore sistemò un ultimo pezzo del puzzle e si ritirò su una trave al piano superiore per riposare. Dor e il Signore degli Zombie restarono ad occuparsi del puzzle, che stava diventando molto grazioso. Avevano già completato il centro, con la raffigurazione di Castel Roogna, e si stavano avvicinando al castello del Signore degli Zombie. Dor era sempre più curioso di sapere che cosa sarebbe venuto fuori. Si sarebbero visti assediati dai Mundani? Quanto riflettevano la realtà quelle immagini magiche? «Hai veramente intenzione di aiutare il Re?», chiese Dor. «Voglio dire, se riusciamo a sbloccare l'assedio qui?» «Sì. Per far piacere a Millie. E per far piacere a te.» Ma Dor era ancora turbato. «C'è qualcos'altro che devo dirti.» «Tu stai per rischiare la tua vita nella difesa del mio castello. Parla senza inibizioni.»
«Millie... è destinata a morire giovane. Lo so dalla storia.» Il Signore degli Zombie restò con una mano immobile a reggere un trasparente pezzo del puzzle tra le dita scarne. Il colore del pezzo si trasformò da un rosso caldo e chiaro in un bleu freddo e glaciale. «So che non mi inganneresti mai di proposito.» Forse aveva parlato troppo disinibitamente! «Ti ingannerei se non ti avvertissi. Lei... forse morte non è la parola giusta. Ma lei sarà un fantasma per secoli. Perciò tu non riuscirai a...» Dor si sentì sopraffatto dal rimorso, all'idea di quello che il Mago non avrebbe potuto impedire. «Penso che qualcuno la ucciderà, o tenterà di farlo. All'età di diciassette anni.» «Che età ha ora?» «Diciassette anni.» Il Mago appoggiò la testa ad una mano. Il pezzo del puzzle divenne bianco. «Credo che potrei trasformarla in zombie, e tenerla con me. Ma non sarebbe la stessa cosa.» «Lei... se tu vuoi aiutare il Re per farle piacere... o per far piacere ad uno di noi... beh, tutti e tre ce ne andremo entro un anno. Allora, forse, non vale la pena...» «La tua onestà è dolorosa,» disse il Signore degli Zombie. «Ma pare che se voglio far piacere ad uno di voi tre, debba farlo in fretta. Può non ripetersi nella mia vita l'opportunità di far piacere a qualcuno che lo meriti.» Dor non seppe che cosa rispondere, perciò tese semplicemente una mano. Il Mago appoggiò il pezzo del puzzle, che era diventato nero, e strinse la mano di Dor. Ritornarono al puzzle, e non parlarono più. Dor rifletté sul puzzle, perché aveva bisogno di non pensare a quella triste storia. Come era possibile che quel puzzle fosse l'arazzo, se tutti loro erano all'interno dell'arazzo? Era possibile entrare in quel quadro in formazione, per mezzo di un incantesimo, e trovare un altro mondo al suo interno? Oppure l'arazzo era stato solo una porta, un punto d'ingresso, e non il mondo stesso? Era una coincidenza che Dor stesse ricostruendo quel puzzle in quel frangente? Il Signore degli Zombie era la chiave di tutta la ricerca, l'elemento vitale, ed era lui ad avere l'arazzo, la chiave per entrare in quel mondo. Ma lo aveva donato a Saltatore. Come si spiegava? Dor scosse la testa. Quei misteri erano al di là della sua comprensione. Tutto quello che poteva fare era... quello che poteva fare. Capitolo 8: PROMESSA
Quella notte Dor e Saltatore lasciarono il castello sul filo del ragno. Sarebbe stato possibile inviare Millie all'esterno nella stessa maniera, ma non volevano sottoporla a quel rischio né volevano abbandonare il Signore degli Zombie, anche se le circostanze fossero state diverse. I Mundani avevano messo di guardia delle sentinelle; Millie avrebbe strillato, e avrebbe provocato un disastro. Dor si fidò della vista notturna di Saltatore, che li guidò attraverso il buio fogliame. Riuscirono a passare senza essere scorti. Ben presto furono nella giungla, aldilà dell'anello costituito dalle truppe mundane. «Sarebbe meglio se cominciassimo dal Signore della Giungla,» disse Dor. «Se lui sarà d'accordo, lo sarà anche la maggior parte degli altri. Questa è la natura della giungla.» «E se il Signore della Giungla non coopera?» «Allora tu dovrai usare il tuo filo di emergenza per allontanarmi dalla sua portata, in fretta.» Saltatore gli legò l'estremità di un tirante, e l'altra la fissò al proprio corpo. In caso di emergenza, il ragno avrebbe potuto agire rapidamente. Dor si scoprì a desiderare di avere della ghiandole per la produzione della seta: quei fili erano estremamente utili. Il ragno trovò una roccia al buio. «Dov'è il Re Drago locale?», le chiese Dor. La roccia lo indirizzò ad uno stretto buco su un pendio roccioso. «È questo?», domandò Dor in tono dubbioso. «Faresti meglio a crederci,» replicò il buco. «Oh, ci credo!», disse Dor, che non aveva alcun desiderio di inimicarsi la residenza del mostro con cui sperava di trattare. «E se hai voglia di andartene non arrostito, faresti meglio a non svegliare il mostro,» disse il buco. Saltatore trillò. «Questa piccola caverna ha una bocca grande.» «Che cosa?», chiese la caverna. Dor deglutì. «Devo svegliarlo.» Poi portò le mani alla bocca e chiamò a gran voce. «Drago! Devo parlarti. Ho delle notizie che ti interessano.» Dal profondo della caverna si udì uno sbuffo. Poi una nuvoletta di fumo uscì dall'imboccatura, bianca sullo sfondo nero, seguita da un brontolio. L'odore di bruciato si diffuse nell'aria. «Che cosa ha detto?», chiese Dor alla caverna. «Ha detto che sei hai delle notizie interessanti, puoi entrare nel suo salotto. La tua vita dipende dal modo in cui saprai promuovere le tue idee.»
«Il suo salotto?», trillò Saltatore. «È un orribile metafora. Quando un ragno fa un invito...» Dor non aveva riflettuto su quel punto. «Lì dentro? Nella caverna del drago?» «Vedi altre caverne, uomo-arrosto?», domandò la caverna. Saltatore emise un altro trillo soffocato. «Che bocca enorme!» «Immagino che dovrò entrare,» disse Dor. «Al buio ci vedo meglio di te. Fai andare me,» trillò Saltatore. «No. Tu non sai usare gli oggetti per farti tradurre il linguaggio del drago, e io non so saltare sugli alberi e attaccar fili alle mura del castello. Io devo parlare con il drago. Tu devi tenerti pronto a portare le notizie al castello.» Deglutì di nuovo. «Nel caso la mia missione fallisca. Ora sei in grado di comunicare anche con Millie, a gesti.» Saltatore lo toccò con una zampa anteriore: una pressione significativa. «La tua logica ha vinto, amico Dor-uomo. Io ascolterò da questa imboccatura, e tornerò da solo se necessario. Ti tirerò con il tirante se me lo dirai, e lo farò in fretta. Fatti coraggio, amico.» «Sono spaventato a morte.» Ma Dor ricordò che cosa aveva detto la gorgone a proposito del coraggio: significava fare ciò che era necessario, nonostante la paura. Ne fu tristemente consolato. Forse, tecnicamente, sarebbe stato un eroe morto invece che un codardo morto. «Se... se succede qualcosa, cerca di salvare qualche pezzettino di me, e tienilo con te. Penso che l'Incantesimo del Ritorno vi si orienterà, e ti porterà a casa quando il tempo sarà scaduto. Non vorrei che tu restassi intrappolato in questo mondo.» «Non sarebbe un male,» replicò Saltatore. «Questo mondo è un'esperienza nuova.» Era un'esperienza maggiore di quella che Dor si aspettava! Inspirò, poi scivolò nella grande bocca della caverna. L'interno non era abbastanza alto da permettergli di stare in piedi, visto che la gola si stringeva, ma questo non significava che il drago fosse piccolo. I draghi tendevano ad essere lunghi e sinuosi. La galleria curvava verso il basso, così buia che era impossibile vedere. «Avvertimi se ci sono crepacci, punte rocciose o altri pericoli,» disse Dor. «Non ce n'è nessun altro oltre il drago,» replicò la parete. «È più che sufficiente.» «Vorrei che ci fosse una luce,» mormorò Dor. «Peccato che abbia regalato il mio anello dei desideri.»
Il drago brontolò dalle profondità. «Vuoi luce?», tradusse la parete. «Ti darò la luce!» E lingue di vivida fiamma crepitarono lungo la galleria. «Non tanta!», gridò Dor, acquattandosi per la paura. Le fiamme si placarono. Era chiaro che il drago comprendeva la lingua umana, e non stava lanciando fiamme indiscriminatamente. Ciò era, nello stesso tempo, rassicurante e allarmante. Se c'era qualcosa di più pericoloso di un drago, era un drago intelligente. Ma, naturalmente, era probabile che il drago più intelligente ottenesse il comando nella complessa gerarchia delle regioni selvagge. A condizione, però, che possedesse la ferocia sufficiente. Alla fine Dor emerse nel ventre della caverna. Era la tana del drago. La luce aumentava e diminuiva, lì, quando il mostro respirava e le fiamme erompevano dalla sua bocca. Quando la luce aumentava, tutta la caverna splendeva perché, naturalmente, il nido era fatto di diamanti. Non meschini come quelli del piccolo drago volante che Scrocchia l'orco aveva intimorito; ma enormi, adatti alla condizione del Signore della Giungla. Rifrangevano la luce, la riflettevano, la facevano convergere e la spezzavano in miriadi di raggi di arcobaleno. Colori cadevano a cascata sulle pareti e sul soffitto, e immergevano il drago stesso di sfumature ririflesse. Scrocchia l'orco non avrebbe mai sconfitto quel mostro nella sua tana! E poi il drago: le sue scaglie erano lucidate a specchio, irridescenti, flessibili e sovrapposte come nelle migliori armature dei guerrieri. I grandi artigli anteriori erano di ottone brunito e terminavano con delle punte aguzze, il muso era placcato d'oro. Gli occhi erano simili a lune piene, le loro venature ricordavano quelle del formaggio verde, e quando la luce cambiava il formaggio cambiava colore. «Siete bello!», esclamò Dor. «Non ho mai visto uno splendore simile!» «Tu mi aduli per disprezzarmi,» grugnì il drago. «Uh, sì, Signore, sono venuto a...» «Che cosa?», domandò il drago tra lingue di fiamma. «Signore?» «Questa era la parola.» Dor lo aveva sospettato. «Uh, signore, io...» «Ormai l'hai detto. Ora dimmi, che cosa vuole un Uomo-Mago da uno come me, un semplice monarca mostro?» «Sono venuto, uh, a fare un patto. Sapete quanto sia insicuro, uh, voglio dire inopportuno, per voi, uh, mangiare gli uomini, e...» Il drago sbuffò uno sbuffo di fiamma sgradevolmente vicino agli stivali
di Dor. «Io mangio quello che mangio! Sono il Signore della Giungla.» «Sì, signore, naturalmente. Ma gli uomini non appartengono alla giungla. Quando ne mangiate troppi, loro cominciarono a, uh, a fare difficoltà. Usano magie speciali per...» «Non ne voglio parlare!» Questa volta, lo sbuffo fu di fumo acre. «Uh, sì, signore. Quello che sto cercando di dire è che ci sono degli uomini che hanno bisogno, beh, di essere mangiati. Uomini mundani che vengono da oltre i confini di Xanth e non hanno magia. Se voi e le vostre truppe vorreste, uh...» «Comincio ad afferrare il senso del tuo discorso,» disse il drago. «Se noi indulgessimo in un certo, diciamo, sport, i vostri Maghi non si opporrebbero? Il Vostro Re Comediavolo si chiama...?» «Re Roogna. No, non credo che si opporrebbe. Per questa volta. A condizione che mangiate solo Mundani.» «Non è sempre facile dire ad un'occhiata se un dato uomo sia un indigeno oppure un Mundano. Avete tutti lo stesso sapore per noi.» Ottima osservazione. «Beh, noi indosseremo delle fasce verdi,» disse Dor, pensando a dei copriletti che aveva visto nel castello del Signore degli Zombie. Potevano essere tagliati a strisce. «Il patto varrebbe solo per questa regione. Non dovete avvicinarvi a Castel Roogna.» «Castel Roogna si trova nel territorio di mio cugino, che è suscettibile sulle violazioni di sovranità,» disse il drago. «C'è cibo in abbondanza in questa zona. Quei Mundani sono particolarmente grossi e succulenti. Capisco. C'è un limite di tempo?» «Uh, due giorni sarebbero sufficienti?» «Più che sufficienti. Li facciamo cominciare dall'alba di domani?» «Va bene.» «Come posso assicurarmi che parli a nome del tuo Re?» «Beh, io...» Dor si fermò, incerto. «Credo che sarebbe meglio verificarlo. Avete un messaggero veloce?» Il drago sbatté a terra la coda. Non era visibile, si perdeva nelle viscere della caverna, ma il rimbombo fu autoritario. Rispose uno strido rauco, e dopo un attimo un uccello entrò starnazzando nel vano principale. Era una femmina lanuginosa, con un pelo ricciuto al posto delle penne. Dor conosceva poco quella razza, sapeva solo che erano timidi e velocissimi. «Uh, sì,» disse Dor. «Uh, avete qualcosa con cui scrivere?» Era andato veramente impreparato. Il drago indirizzò uno sbuffo di fumo contro una parete. Dor guardò.
C'era una nicchia. Nella nicchia c'erano parecchie noci guscio-carta e un ramo di legnoinchiostro. «Ho una segretaria-uccello,» brontolò il drago. «Le piace scrivere a sua cugina che vive aldilà dell'Abisso. Poi le consegna le lettere lei stessa, perché non si fida di nessun altro. Non so perché non le riferisca le proprie chiacchiere a voce. Ma è brava a tenersi al corrente di tutto quello che succede qui intorno, come, per esempio, quale mostro ha bisogno di un morso e quale di una bruciatura, e per quando si aspetta la prossima tempesta di pioggia. Perciò continuò a tenerla. Ora è aldilà dell'Abisso. Lancerà uno strido di rabbia quando scoprirà che la sua roba è stata usata, ma fa pure.» Dor spiegò un pezzo di carta da una noce, prese una scheggia di legnoinchiostro, e, con una certa difficoltà, scrisse: RE ROOGNA: PER FAVORE, CONFERMATE IL PERMESSO PER I MOSTRI DI UCCIDERE MUNDANI PER DUE GIORNI SENZA ALCUNA PUNIZIONE. È NECESSARIO PER LIBERARE DALL'ASSEDIO IL CASTELLO DEL SIGNORE DEGLI ZOMBIE CHE, IN SEGUITO, VERRÀ DA VOI. TUTTI I CITTADINI DI XANTH, CHE SI TROVINO NELLE VICINANZE, DEVONO INDOSSARE DELLE FASCE VERDI PER DISTINGUERSI DAI MUNDANI. FIRMATO, MAGO DOR. Ripiegò il biglietto e lo porse all'uccello lanuginoso. «Porta questo messaggio al Re, e torna immediatamente con la sua risposta.» L'uccello afferrò il biglietto con il becco e partì. Scomparve in una nuvoletta di fiocchi di lana, tanto velocemente che non lo vide nemmeno muoversi. «Devo ammettere che questa prospettiva mi piace,» osservò il Re Drago, e allungò pigramente un artiglio luccicante su un monticello di diamanti. «Se la tua iniziativa dovesse fallire, io potrei ricordare che hai disturbato il mio sonno. Non contare sul fatto che il tuo amico ragno ti tiri fuori. La mia fiamma brucerebbe istantaneamente il suo filo.» La natura della minaccia era assolutamente chiara a Dor. Aveva voglia di strillare e scalciare, era sicuro che avrebbe scaricato la tensione; sembrava che per Millie funzionasse sempre. Ma Dor aveva l'aspetto di un uomo, doveva comportarsi da uomo. «Ero cosciente del rischio quando sono entrato nella tua tana.» «Non hai cercato di supplicarmi o di minacciarmi,» disse il drago. Que-
sto mi piace. Il fatto è che è inopportuno abbrustolire i Maghi, e, soprattutto, non voglio irritare il Signore degli Zombie. Quel suo roc ha rovistato tutta la zona in cerca di cadaveri. Non desidero attaccare briga con quel grande uccello per motivi estetici. Perciò non intendo abbrustolirti, a meno che tu non tenti di danneggiarmi.» «Ero convinto che questo sarebbe stato il vostro atteggiamento. Signore.» L'uccello lanuginoso ritornò in un'altra nuvoletta di polvere, portando un altro biglietto. Dor lo prese e lo lesse ad alta voce: PERMESSO CONFERMATO. FIRMATO, IL RE. Dor mostrò il biglietto al drago. «Sembrerebbe autentico,» disse il drago, e sbuffò un soddisfatto sbuffo di fumo. «Uccello, va' dai miei sudditi e convocali. Dì loro di muovere le code in fretta, altrimenti li brucerò. Darò le istruzioni tra un'ora.» Diresse il muso verso Dor. «È stato un piacere trattare affari con te.» Ma Dor era cauto. Ricordava la maledizione fatta dal Mago Murphy su Castel Roogna: tutto quello che poteva andare male, andava male. Quel messaggio era collegato a Castel Roogna. Perché la maledizione non aveva operato? Era stato tutto troppo facile. «Faresti meglio ad andartene prima che arrivino le mie truppe,» disse il drago. «Finché non li avrò istruiti, tu e il ragno verrete considerati ottime prede.» «Uh, io...» Poi Dor ebbe un'idea. «Permettetemi solo di controllare una cosa, signore. Una pura formalità, ma...» Si rivolse al foglio di carta che aveva in mano. «Vieni da parte del Re?» «Sì,» replicò il foglio di carta. «E il messaggio che porti è veramente il suo messaggio?» «Sì.» «La tua magia sembra autenticare il messaggio,» disse il drago. «Sono soddisfatto. Perché hai interrogato il biglietto?» «Sono solo... prudente. Temo che qualcosa sia andata male.» Il drago rifletté. «È ovvio che non sei esperto di cospirazioni e di complicazioni burocratiche del tipo che noi incontriamo nelle regioni selvagge. Chiedi di quale Re parla.» «Quale Re?», ripeté in modo assente Dor. «Il Re dei Goblin,» rispose la carta.
Dor scambiò uno sguardo terrorizzato con il drago. «Il Re dei Goblin! Non il Re Roogna?» «No,» convenne la carta. «Quell'uccello idiota!» esplose il drago, e per poco non bruciacchiò Dor con il suo alito di fuoco. «Tu l'hai mandato dal Re, senza specificare quale Re, e il Re dei Goblin deve essere più vicino. Avrei dovuto capire che la risposta era arrivata troppo in fretta!» «E naturalmente il Re dei Goblin ha tentato di mandare a monte il nostro piano,» concluse Dor. «La maledizione di Murphy ha operato. Un equivoco era possibile, perciò...» «Significa che non c'è nessun patto fra noi?», chiese minacciosamente il drago tra anelli di fumo. «Significa che il nostro patto non è stato ratificato da Re Roogna,» disse Dor. «Sono certo che il Re sarebbe d'accordo, ma se non riusciamo a fargli arrivare un messaggio...» «Perché il Re dei Goblin lo ha confermato? Ho una certa esperienza dei goblin, e non sono creature gentili. Non hanno nemmeno un buon sapore. Certamente, i goblin dovrebbero essere più felici di far fallire il nostro patto invece di facilitarlo. I goblin non amano gli uomini, e tanto meno i draghi.» «È strano,» convenne Dor. «Avrebbe dovuto mandare un messaggio in cui fosse scritto "patto negato", in modo che noi non potessimo collaborare. Oppure, poteva trattenerlo senza mandare una risposta, cosicché noi saremmo rimasti ad aspettare.» «Invece ci ha dato proprio la risposta che volevamo dal Re Umano, in modo che non perdessimo tempo,» disse il drago. Lanciò qualche sbuffo di fumo, con espressione pensierosa. «Quale sarebbe il danno se gli animali cominciassero ad uccidere una gran quantità di uomini, senza l'approvazione del Re?» Dor rifletté. «Il danno sarebbe enorme,» disse. «Diventerebbe una questione di principio. Il Re non può permettere una carneficina non autorizzata. Egli è nemico dell'anarchia. Un atto del genere probabilmente porterebbe ad una guerra tra i mostri e tutti gli uomini del Re.» «Che finirebbe in una strage micidiale, con i goblin unici signori della terra,» concluse il drago. «Già hanno una forza considerevole. Quei goblin maledetti sono degli animaletti tenaci! Credo che la vostra specie dovrebbe affrontare un problema enorme, se non fosse per il diversivo creato dalle arpie. L'unica cosa che quelle creature fanno bene è procreare. Sono nume-
rosissimi.» «Beh, un uomo può uccidere cinque goblin,» disse Dor. «E un drago ne può uccidere cinquanta. Ma ce ne sono di più di quella cifra per ogni uomo e per ogni drago.» «Uhm.» Convenne pensierosamente Dor. «Sai, sarei stato ingannato da quel biglietto, se tu non avessi interrogato il foglio di carta,» osservò il drago. «Non mi piace essere ingannato.» Questa volta sbuffò un anello di fuoco invece che di fumo. La lingua di fuoco si mosse verso l'entrata del tunnel, roteò, luccicò come un occhio maligno. «Nemmeno a me,» convenne Dor, e desiderò di poter sbuffare fuoco. «Il tuo Re farebbe obiezioni se durante il nostro sfogo qualche goblin finisse, per caso, bruciacchiato?» «Penso di no. Ma sarebbe meglio mandare un altro messaggio a Re Roogna.» «E intanto lasceremo credere ai goblin che ci hanno imbrogliati e ci hanno spinti a fare una guerra tra le specie.» Dor fece un sorriso truce. «Hai un altro messaggero... uno più affidabile?» «Ho altri messaggeri, ma usiamo il tuo talento questa volta. Manderemo un diamante del mio nido al tuo Re, insieme al biglietto. Egli deve rispedire il diamante con la sua risposta detta a voce. Nessun uomo inferiore di condizione restituirebbe una gemma simile, e nessun altro tranne te saprebbe farla parlare.» «Eccezionale!», esclamò Dor. «È difficile pensare che un goblin possa falsificare questo messaggio! Siete un genio!» «Tu mi aduli per disprezzarmi,» grugnì il drago. Era quasi l'alba quando Dor raggiunse Saltatore. Rapidamente tornarono al castello con le novità. Millie e il Signore degli Zombie li accolsero con gioia e sollievo. «Devi essere il primo a sapere le nostre novità,» disse il Mago. «Millie la fanciulla ha acconsentito a diventare mia moglie.» «Allora vi siete scambiati la promessa,» trillò Saltatore. «Congratulazioni,» disse Dor, che provava emozioni contrastanti. Era felice per il Signore degli Zombie, che era un Mago degno e un uomo ottimo. Ma per sé stesso? Millie preparò grandi fasce verdi per tutti loro, compreso il ragno, che
volle un involucro per l'addome. Poi preparò una colazione a base di granturco, raccolto da un'altra pianta che aveva scoperto nel cortile. Il Signore degli Zombie aveva lavorato tutta la notte a trasformare in zombie i cadaveri che aveva trovato il roc, cosicché le difese del castello erano tornate forti. Il Signore degli Zombie irradiava una gioia a malapena trattenuta. Sapeva che Millie non avrebbe vissuto a lungo, ma almeno aveva carpito la sua piccola porzione di paradiso da quello che era a disposizione. Millie sembrava meno eccitata, non era affatto agitata. Era evidente che il Mago le piaceva e le piaceva la vita che lui le offriva; ma c'era la restrizione apportata dalla presenza di Dor e dal suo rifiuto di Millie. tutti loro comprendevano la situazione, tranne che per un paio di elementi. Millie non sapeva che sarebbe morta presto. Né Dor né il Signore degli Zombie sapevano come sarebbe morta, perché lei non ne aveva mai parlato a Dor, nel suo mondo. Inoltre, nessuno di loro era certo dei risultati della campagna militare futura. Forse l'aiuto degli zombie non sarebbe stato sufficiente a portare la vittoria a Re Roogna. Ma, nell'insieme, Dor sentiva che dovevano accontentarsi. Tentava di non guardare la deliziosa figura di Millie, perché il suo corpo era troppo pronto a reagire. Vorrei essere un uomo, pensava con rabbia. Così come stavano le cose, che differenza c'era tra lui e uno zombie? La sua mente animava un corpo che, per altri versi, era morto. La magia del Mago animava gli zombie. Ma naturalmente gli zombie non notavano le curve delle donne. Non avevano interesse per il sesso. Allora che cosa dire di Jonathan lo Zombie, che viveva nella sua epoca? Perché stava sempre attaccato a Millie, invece di riposare in qualche bella tomba? Se il sex appeal di Millie non aveva alcun effetto su di lui, che cos'altro lo motivava? Quale zombie, dopotutto, soffriva la solitudine? Beh, se Dor fosse tornato al suo mondo, e fosse riuscito a resuscitare Jonathan, si sarebbe informato. Doveva esserci qualcosa di diverso in Jonathan, altrimenti Millie lo avrebbe abbandonato secoli prima, quando era ancora un fantasma. Quanti piccoli misteri da quando aveva intrapreso quella missione! Forse Dor non aveva bisogno di più risposte ma di meno domande. I Mundani attaccarono di nuovo all'alba, e questa volta spinsero un grande carro fino ai bordi del fossato. Davanti aveva un braccio sporgente, alto abbastanza da eguagliare l'altezza del muro esterno e lungo abbastanza da superare il fossato. I loro soldati avrebbero potuto marciare dritti nel ca-
stello! Dovevano aver lavorato tutta la notte per costruirlo, ed era un vero pericolo. Fu allora che i mostri attaccarono. Il Signore della Giungla si era dato veramente da fare! Egli stesso conduceva l'assalto: apparve dal profondo della foresta con un orrendo ruggito e un'esplosione di fiamma che avvolse la torre di legno. Dietro di lui venivano un grifone, un drago alato, una balena quadrupede, parecchi conigli carnivori, un paio di troll, un uccello tuono, un gatto-lisca, un ippogrifo, un satiro, un cavallo alato, tre serpianelli, un pantheon, un drago di fuoco, un monoceronte, un'aquila a due teste, un ciclope, uno stormo di oche dalla faccia bianca, una chimera, e un certo numero di creature di aspetto meno comune, che Dor nell'impeto dell'assalto non riuscì a identificare. Quella sembrava l'epoca dei mostri. Ai tempi di Dor i draghi erano più diffusi e gli altri mostri lo erano meno. Probabilmente i più adatti erano sopravvissuti meglio al passare dei secoli, e i draghi erano i più adatti fra i mostri, proprio come gli uomini erano i più adatti fra gli umanoidi, e gli alberi-groviglio erano i più adatti tra le piante predatrici. In quell'epoca la Terra di Xanth stava ancora sperimentando, producendo molte forme bizzarre. I Mundani non erano vigliacchi, però, e sopravanzavano in numero quell'assortimento di mostri. Formarono un nuovo schieramento di battaglia per rispondere a quell'attacco furioso, gli spadaccini davanti, gli arcieri dietro. Dor, Millie, Saltatore e il Signore degli Zombie, dai bastioni videro, con piacere e meraviglia, la battaglia vorticare intorno al castello, lasciandoli fuori. Di tanto in tanto qualche mostro volante arrivava ronzando verso di loro, ma fuggiva via quando vedeva le fasce verdi. Il Re Drago sembrava avere un'armata eccezionalmente disciplinata! Dor fu felice ancora una volta di aver capito l'importanza della cooperazione. I mostri erano un patrimonio inestimabile. Ma non era il risultato di un'azione di Dor più che di Millie? Questo fattore avrebbe invalidato la conclusione? Millie aveva persuaso il Signore degli Zombie ad aiutare Re Roogna, cosicché l'azione era valida. Ma se quest'aiuto poteva arrivare in tempo solo grazie all'intervento di Dor, si invalidava? Era così difficile capire! In quel momento, però, tutto quello che poteva fare era sperare che Murphy si fosse sbagliato, e, intanto, gioire della battaglia. Il Re Drago aveva completato l'assalto al carro di legno in fiamme, e ne aveva tagliato in due il braccio con un unico morso. Non c'era niente che eguagliava un drago in battaglia! Gli arcieri mundani riversarono una pioggia di frecce sulle
scaglie lucide, ma le saette rimbalzarono via senza provocare alcun effetto visibile. Gli spadaccini colpirono la pelle corazzata, ma riuscirono solo a smussare le spade. Il drago fece oscillare la grande coda luccicante e fece cadere una gran quantità di uomini che ammassò in un groviglio brutale di gambe e braccia. Fece oscillare il muso nell'altra direzione, e falciò un altro gruppo di uomini con le fiamme potenti. Dor era felice di non trovarsi lì fuori a cercare di combattere quel drago. Si narravano storie di uomini solitari che avevano ucciso grandi draghi in un combattimento leale, ma erano solo leggende. La realtà era che nessun uomo da solo poteva eguagliare il più piccolo dei draghi, e venti uomini non potevano eguagliare un drago grande. Chiunque ne dubitasse, aveva solo da guardare quel combattimento, nel quale cinquanta uomini armati, in formazione di battaglia, non riuscivano nemmeno a ferire il Re dei Draghi. Nel frattempo, anche gli altri mostri erano impegnati. Il cavallo alato si drizzava e scalciava. I conigli mordevano le gambe dei guerrieri. L'aquila a due teste cavava gli occhi dalle orbite e li ingoiava interi, il satiro stava... Dor lo guardò per un attimo stupito, poi distolse lo sguardo. Non aveva mai immaginato che gli uomini potessero uccidere in quel modo. I mostri più formidabili li circondavano ed esultavano di gioia per quell'orgia di uccisioni. Per secoli si erano trattenuti dall'attaccare troppo apertamente, perché gli uomini potevano vendicarsi molto duramente. Ora i mostri avevano avuto il permesso. Ora, e forse mai più. I Mundani, però, erano duri. Non avevano la magia dalla loro parte, ma compensavano questa mancanza con l'estrema disciplina e la perizia nel combattere. Capirono rapidamente che non avrebbero potuto né vincere né fuggire in un campo di battaglia aperto, perciò ripiegarono sulle difese naturali e artificiali. Il vagone in fiamme costituì un'ottima barricata, e il vicino fossato ne costituì un'altra. Cumuli di sporcizia e di detriti erano stati formati dalla coda del drago, e furono per i Mundani un riparo eccellente. Gli arcieri, accucciati dietro quelle barricate, colpivano i mostri minori: abbatterono le oche dalla faccia bianca e i conigli, e ferirono l'uccellotuono e il gatto-lisca. Gli spadaccini avevano imparato, intanto, a far scivolare le lame sotto le scaglie delle creature ricoperte da armature, per penetrare negli organi vitali. Forse un quarto dei Mundani era morto durante l'assalto iniziale, ma ora una metà dei mostri era morta o ferita, e le sorti della battaglia si stavano capovolgendo. Dor non l'aveva previsto. Erano fenomenali quei bruti!
«Ora dobbiamo aiutare i nostri alleati,» disse il Signore degli Zombie. «Oh, no, non farlo!», protestò Millie, protettiva. «Verrai ucciso, e non ci siamo ancora sposati.» «La mia vita è compiuta, nel momento in cui ricevo un avvertimento simile da una persona come te,» mormorò il Mago. «Non prenderti gioco di me! Sono preoccupata!» «Non intendevo prendermi gioco di te,» disse lui in tono grave. «Per tutta la vita ho desiderato di avere attenzioni del genere. Cionondimento, c'è un dovere da adempiere.» «No!» «Sta tranquilla, mia cara. Gli zombie non possono morire.» «Oh.» L'innocenza le si addiceva ancora. Dor, nel sentire quel breve dialogo, soffrì di nuovo di gelosia. Ma riconobbe che Millie aveva trovato nel Mago il migliore uomo possibile. Il Signore degli Zombie la amava, ma amava anche l'onore. Sapeva che lei sarebbe morta presto, eppure si accingeva a sposarla. Aveva quel tipo di disciplina che Dor si sforzava di raggiungere. Per il Signore degli Zombie non c'era nessun conflitto particolare tra l'amore e l'onore: essi si fondevano. Il Mago inviò fuori dal castello un contingente di zombie che indossavano delle fasce verdi. Sia i mostri che i Mundani ne furono sorpresi. Ma i mostri lasciarono passare gli zombie senza opporsi. I morti-viventi si slanciarono alla carica, lungo la strada raccolsero le armi cadute e menarono colpi con mano incerta ma terribile. I Mundani si trovarono a combattere con gli zombie. Ma erano stati colti di sorpresa dalla sortita, ed erano respinti dal disgusto provocato in loro da quelle creature semi-morte. I vivi reagirono in maniera violenta, cominciando a colpire nel gruppo degli zombie e si ferirono l'un l'altro. Allora i mostri si radunarono e attaccarono di nuovo. Gli zombie avevano capovolto di nuovo le sorti della battaglia: le posizioni difensive dei Mundani furono invase, e la carneficina riprese. Ma i mostri erano stanchi ormai, e alcuni si fermavano a rimpinzarsi sui cadaveri dei Mundani. I mostri erano grandi nella ferocia, non nel numero, e alcuni erano morti. I Mundani erano ancora i più numerosi e, dopo il caos creato dagli zombie, la loro eccellente disciplina fu ripristinata. Le sorti della battaglia si stavano capovolgendo nuovamente, nonostante gli sforzi degli zombie. Ce n'erano troppo pochi perché resistessero a lungo. Poi qualche Mundano più astuto e intelligente afferrò il significato delle fasce verdi. Ne strappò una ad uno zombie smembrato e se l'avvolse intor-
no alla vita. E naturalmente i mostri non l'attaccarono. «È un disastro!», esclamò Dor, ricordando Murphy. «Tra qualche attimo, indosseranno tutti le fasce verdi!» «Ci caleremo giù con i miei tiranti,» trillò Saltatore. «È più veloce.» «Ma...», cominciò Millie, spaventata. Dor sentì la gratitudine sommergerlo: lei si preoccupava anche del suo benessere. Saltatore assicurò un tirante alla vita di Dor. Dor saltò oltre il parapetto. Saltatore continuò a filare la seta, e lo fece cadere, con rapidità ma con attenzione, nel fossato. Millie emise un grido soffocato, ma Dor stava bene. L'acqua aveva attutito l'impatto, e il movimento all'esterno era tale che nemmeno il mostro del fossato lo notò. Nuotò verso la riva. Saltatore balzò a terra, poi scivolò sulla superficie dell'acqua per assicurarsi che Dor stesse bene. Nessuno prestò loro attenzione. Oltrepassarono il grifone che era occupato a sbudellare un Mundano. La creatura alzò lo sguardo, vide le fasce verdi, e ritornò al suo lavoro. Dor e Saltatore avanzarono indisturbati fino al più vicino Mundano che indossava la fascia verde. L'uomo menava colpi vigorosi contro la chimera, che indietreggiava incerta. Il mostro non sapeva se fosse legittimo schiacciare quel nemico con la fascia verde, per quanto sgradevole si rendesse. Dor non ebbe alcuno scrupolo. Andò all'attacco, con la spada sguainata. Il Mundano lo vide. «Vieni amico, facciamo fuori questo mostro muto!» E la lama di Dor lo infilzò. L'unica reazione che il Mundano ebbe prima di morire fu di sorpresa. «Okay, chimera, continua!», Dor incitò il mostro. La chimera, risolti i suoi dubbi, ritornò ad attaccare i Mundani privi di fascia. Dor passò al più vicino Mundano munito di fascia verde. Cominciò a sentire degli scrupoli. Si sentì in colpa per quello che stava facendo, finché non ricordò a se stesso che era la stessa cosa che stavano facendo i Mundani: mascherarsi da amici. Se non avessero cominciato ad impersonare gli uomini risparmiati dai mostri, non sarebbero stati ingannati dalle vere fasce verdi. Dor stava semplicemente ripristinando la validità delle designazioni. Allora gli scrupoli si fermarono, poi con riluttanza si ritirarono. Un campo di battaglia non era il luogo adatto per gli scrupoli. Saltatore rappresentava un'anomalia: somigliava ad un mostro, ma indossava la fascia. Un drago alato lo guardò sorpreso, poi ritornò alla mischia. Saltatore avvolse in fili di seta un Mundano, gli staccò la testa con le sue tenaglie, poi proseguì. Il ragno si stava divertendo. Dopotutto, quei
Mundani l'avevano torturato staccandogli quattro zampe. Grazie all'attività di Dor e Saltatore, i mostri ritornarono lentamente ad avere il predominio sui Mundani. I Mundani questa volta non contennero l'attacco dei nemici; indietreggiarono verso il loro campo-base, incalzati dai mostri, dagli zombie, e da Dor e Saltatore. Subirono altre perdite, e la battaglia era pressoché conclusa. Poi saltò fuori un altro Mundano astuto. I Mundani astuti erano un fastidio! Si avvicinò a Dor, mentre questi aveva il braccio teso, e gli strappò dalla vita la fascia verde. «Ora combatti!», strillò. Il Colpo di ritorno di Dor lo trafisse. Ma il danno era fatto. La fascia era seppellita sotto il corpo, e l'ippogrifo lo stava caricando. Dor non aveva nessun sistema per distinguersi dai Mundani. L'ippogrifo aveva la parte anteriore di un grifone e la parte posteriore di un cavallo. Questo gli dava un eccellente abilità nella lotta, unita alla velocità nella corsa. Il becco d'aquila e gli artigli sì tesero minacciosi. Dor balzò di lato, poi gli ferì un'ala con la spada. Non colpì troppo forte, perché non voleva ferire gravemente oppure uccidere una creatura che era dalla sua parte, ma doveva difendersi. Poi fu il turno dell'ippogrifo. La creatura chiuse le ali e caricò di nuovo. Dor capì che non sarebbe sopravvissuto a lungo a quell'assalto. Il mostro era troppo grande, troppo veloce, troppo forte. Aveva timore della spada di Dor, ma era capace di schivarla. L'ippogrifo era stanco, ma lo era anche Dor. «Saltatore!», gridò Dor. Ma poi vide che Saltatore era impegnato con tre Mundani privi di fascia. Non riusciva a venirne fuori, tantomeno ad andare in aiuto di Dor. La balena quadrupede si alzò tra loro, aprì le enormi fauci da cetaceo per inghiottire un Mundano, e così bloccò a Dor la strada verso Saltatore. Ormai non aveva più dove andare. Oh, era terribile! Ma il Signore degli Zombie, che era in alto sui bastioni del castello, lo stava guardando. Si udì un flebile strillo di Millie, si vide una pioggia di scintille dorate intorno al capo della fanciulla; poi arrivò il debole comando del Mago: «Egor!» E l'orco zombie uscì dal castello, portando con sé una mazza smisurata. Si fece strada tra Mundani e mostri, e si diresse verso Dor. Finché non incontrò la balena terricola. Quel mostro era semplicemente troppo grande per muoversi, e non aveva intenzione di cedere il passo ad un orco, anche se era un orco zombie con la fascia verde. La balena non attaccò; restò semplicemente immobile con il suo corpo gigantesco. Aveva la testa e le zanne di un cinghiale, il dorso era coperto di irte punte e aveva
zampe di leone: era una creatura lenta ma terribile. L'orco fu costretto a girarle intorno... e in quegli attimi di ritardo, l'ippogrifo allargò le ali, e sventolò una nuvola di polvere sulla faccia di Dor, che ne fu momentaneamente accecato. Poi rapidamente artigliò la spada e lo disarmò. Dor tese le braccia in avanti, in un inutile gesto di difesa... E si trovò sollevato in alto, disarmato. Sorpreso, ammiccò ripetutamente gli occhi irritati, li liberò della polvere, e scoprì che era appeso alla lunga punta ad uncino della coda del Re Drago. A quindici metri di distanza, il muso del drago sbuffò ed emise nuvolette di fumo. «Che cosa sta dicendo?», domandò Dor ad una pietra, mentre veniva trasportato. «È meglio che tu stia più attento alla fascia, Mago!», tradusse la pietra. Il Re Drago aveva riconosciuto Dor, e lo aveva salvato. Dopo qualche attimo, Dor fu depositato accanto al fossato, fuori dalla mischia. La coda serpeggiò all'indietro per riemergere con Saltatore. «Con il tuo permesso,» ruggì il Drago, «Ucciderò personalmente qualche uomo con la fascia. Non c'è nessuno qui dei vostri, tranne gli zombie, giusto?» «Giusto!», gridò Dor, felice della perspicacia del drago. I mostri normali potevano non accorgersi della differenza, ma il Re Drago ovviamente la notava. «Non c'è da meravigliarsi che sia il Re,» trillò Saltatore. Il ragno aveva perso un piede, ma per il resto era intatto. «Dobbiamo rientrare nel castello; i mostri vinceranno.» «Giusto. Dobbiamo richiamare Egor?» «Si sta divertendo tanto; lasciamolo sfogare.» Rientrarono nel castello, dove Millie li aspettava con l'Elisir della Vita. Dopo qualche attimo il piede del ragno era ricresciuto e le numerose abrasioni di Dor erano scomparse. Millie abbracciò brevemente Saltatore, si girò verso Dor, e si trattenne dal ripetere un gesto simile. Dopotutto, era ormai promessa ad un altro uomo. Ritornarono sui bastioni a guardare la conclusione della battaglia. In quella fase, i mostri stavano recuperando il tempo perduto. I duri Mundani diventarono meno duri quando videro profilarsi la sconfitta, e infine ruppero le file e fuggirono. I mostri li seguirono, abbattendoli senza pietà. I dintorni del castello furono abbandonati, il terreno era coperto dei corpi di uomini e mostri, e di pezzi di zombie che continuavano a lottare. «Ora devo lavorare,» disse il Signore degli Zombie. «Dor, se tu sorveglierai il trasporto dei cadaveri al mio laboratorio, io li trasformerò in fede-
li zombie. Occorreranno alcuni minuti di lavoro per ciascuno, perciò non dovrai affrettarti, ma quanto più velocemente agiremo, tanto più forti saranno gli zombie. Poi dovremo raggiungere il castello di Re Roogna in un giorno, se vogliamo arrivare in tempo per essere utili.» Dor annuì. Vide che il Mago aveva un aspetto stanco, e ricordò che aveva passato tutta la notte precedente a creare nuovi zombie. Quell'uomo aveva bisogno di riposare! Ma il riposo avrebbe dovuto attendere. Dopotutto, anche Dor non aveva riposato di più. Si organizzarono e si misero al lavoro. Millie cercava i cadaveri migliori di uomini e di animali: si era così abituata al sangue che non lanciò nemmeno un urlo simbolico. Dor trasportava i cadaveri fino ad una zona operativa. Saltatore li avvolgeva nei fili di seta e li issava aldilà del fossato, nel castello. Dapprima si concentrarono sui Mundani. Quando ne fu animato un certo numero, i nuovi zombie intrapresero il lavoro di trasporto dei cadaveri, e il ritmo si accelerò. Ben presto si accumulò un mucchio di corpi che aspettavano l'opera del Mago. Il Re Drago tornò. Era macchiato di sangue, e numerose scagliespecchio erano state scalfite, ma per il resto era in ottime condizioni. «Che divertimento!», brontolò. «Non è rimasto nessun uomo vivo.» Non emetteva fiamme quando parlava: le aveva usate tutte per il momento. «Oh, lasciate che vi dia un po' di Elisir!», esclamò Millie. Lo spruzzò del prezioso liquido, e istantaneamente il drago riacquistò una salute perfetta. Poi Millie si avvicinò agli altri mostri che tornavano con passo strascicato, e li curò nello stesso modo. «Si potrebbe quasi amare una creatura del genere, quantunque sia umana,» disse il drago in tono pensieroso. «C'è qualcosa in lei...» «I mostri morti saranno trasformati in zombie, come promesso,» disse in fretta Dor. «Non ce n'è bisogno. I sopravvissuti mangeranno i morti, come è nostra abitudine. Non ci interessa diventare zombie.» «Abbiamo preso i cadaveri intatti. Se vi soddisfa mangiare quelli fatti a pezzi...» «Andranno benissimo.» E i mostri si slanciarono sul posto. Fu una scena strana e orribile: il drago, il grifone ed il serpente attaccavano violentemente i cadaveri, mentre gli zombie trascinavano altri cadaveri in un silenzio sepolcrale, e la bella Millie si aggirava spruzzando tutti i vivi di Elisir della Vita. «Dov'è Egor?», trillò Saltatore.
Ottima domanda! Non c'era traccia dell'orco zombie che aveva lottato con tanto valore per salvarli. Andarono alla ricerca dell'orco. «Ti riferisci all'orco?», chiese il Re Drago, mentre dilaniava le gustose budella di un Mundano e schioccava le lunghe labbra. «Aveva qualche problema con i Mundani, l'ultima volta che l'ho visto.» Corsero sul campo di battaglia abbandonato. In fondo, a pezzetti, c'era Egor l'Orco. Gli ultimi sopravvissuti dei Mundani l'avevano tagliuzzato in pezzetti che ancora tremavano. «Forse possiamo ancora aiutarlo,» disse Dor, mentre il suo stomaco si ribellava. Si era abituato al sangue, ma quello era un amico! «Raccogliamo tutto quello che possiamo trovare di Egor, rimettiamolo insieme, e spruzziamolo di Elisir.» Fecero quanto aveva detto Dor, e l'orco tornò intero, tranne che per la parte di una mano e di un piede, e una porzione della faccia che non erano riusciti a trovare. Lo zombie non poteva più parlare, e camminava zoppicando. Ma nelle sue condizioni, non lo si notava molto. Ritornarono al castello. «A voi mostri interesserebbe unirvi a noi per la difesa di Castel Roogna?», chiese Dor. «Sono certo che il Re - il Re Uomo - gradirebbe il vostro aiuto.» «Chi dovremmo combattere?», chiese il Re Drago, leccando un gustoso intestino. «Principalmente, goblin e arpie.» Il Drago emise una voluta di fumo. «È vero che ho motivi di rancore verso il Re dei Goblin, ma non dimentichiamo il nostro punto di vista. Uccidere uomini è un divertimento. Uccidere altri mostri è un tradimento. Non possiamo aiutarvi in questo caso.» «Oh. Beh, signore, noi vi ringraziamo per...» «È stato un piacere, signore.» Il drago affondò un dente nel cadavere e ne estrasse uno splendido fegato. «Non mangiavo così bene da cinquant'anni. Morirò di indigestione.» Inghiottì il fegato. «Uh, sì,» convenne Dor. Il fegato non era mai stato il suo piatto preferito, e, dopo quella scena, dubitava che avrebbe cambiato idea. «Noi mostri non parteciperemo alla battaglia ma, dal momento che nutriamo del risentimento verso i goblin e dell'antipatia verso le arpie, mi sento libero di fare un commento,» disse il drago, e fissò un occhio lucente su Dor. «Questa battaglia per il castello degli zombie è stata solo la prova generale per il prossimo assedio. I goblin sono più duri degli uomini. Pre-
paratevi bene, meglio di questa volta, altrimenti sarete sconfitti.» «Più duri dei Mundani? Ma i goblin sono così piccoli...» «Fate attenzione al mio avvertimento. Arrivederci.» Il Re Drago si allontanò alla ricerca di un altro cadavere succulento. Dor scosse la testa, a disagio; se il drago pensava che la prossima battaglia sarebbe stata peggiore... Tornarono al castello, dove il Signore degli Zombie era ancora al lavoro. Stava prendendo forma una nuova armata di zombie. Gli altri davano tutto l'aiuto possibile, ma quello era un compito del Signore degli Zombie, e solo la sua magia ne aveva il potere. Lavorò tutto il giorno e tutta la notte, diventando più scarno del solito, ma gli zombie continuavano a trascinarsi fuori dal laboratorio e a mettersi in fila nel cortile. L'armata mundana era numerosa! Mangiarono una cena indisciplinata, a base di fagioli saltellanti e succo di bolle; i fagioli saltellavano ad ogni momento nel succo. Millie riuscì a farne mangiare un po' al Mago, che continuava a lavorare. La maggior parte dei cadaveri era scomparsa dalla zona circostante. I Mostri si erano rimpinzati e si erano incamminati barcollando verso le tane, con sorrisi zannuti e una scarica finale di rutti. Un distaccamento di zombie stava seppellendo i frammenti non mangiati e inutilizzabili. La notte fu avvolta da un silenzio malsano. Infine l'ultimo cadavere fu animato. Il Signore degli Zombie sprofondò in un sonno simile ad un coma, e Millie si aggirò intorno al Mago, con espressione preoccupata. Anche Dor e Saltatore si addormentarono. Capitolo 9: VIAGGIO Di prima mattina partirono per Castel Roogna. Sarebbe stato più semplice che il roc li avesse trasportati singolarmente al Castello, ma due fattori sconsigliavano questa soluzione. In primo luogo, c'era un'armata di circa duecentocinquanta zombie da trasportare, e per un numero del genere l'unica possibilità era camminare. In secondo luogo, i cieli erano pattugliati da sentinelle aeree, messaggere delle arpie. Il roc, per quanto fosse enorme, sarebbe stato dilaniato a mezz'aria da quelle maligne creature, se avessero deciso che era un nemico. Come forse lo era. Il Signore degli Zombie aveva vissuto così a lungo recluso che aveva solo una vaga conoscenza della zona, e Dor, quando era arrivato con il cavallo-drago, non aveva osservato il paesaggio, tenendo presenti i limiti degli
zombie. Gli zombie avevano la tendenza a trascinarsi a fatica, e i piedi si impigliavano nelle radici e nei viticci: di conseguenza inciampavano o si smembravano. La maggioranza era costituita da zombie mundani dal corpo più forte di quelli più vecchi, ma anche più inesperti e inclini agli incidenti. Perciò era necessario andare avanti in ricognizione per cercare una strada adatta: una più o meno piana, evitando le magie pericolose, e che fosse ragionevolmente breve. Dor e Saltatore funsero da ricognitori: l'uomo ispezionava il terreno e il ragno controllava le minacce che potevano nascondersi tra gli alberi. Lavoravano insieme per analizzare i fattori incerti, per determinare se dovessero essere ignorati, eliminati o evitati. Quando avevano esaminato una parte sufficiente del percorso, sistemavano dei segnalatori magici lungo il cammino, in modo che l'armata degli zombie li seguisse. Tutto quello che i due amici dovevano fare era stare molto avanti, in modo da avere il tempo di ritornare indietro e cambiare il percorso, se necessario. Le regioni selvagge di Xanth non erano sofisticate come lo sarebbero state all'epoca di Dor. La magia non aveva avuto ancora il tempo sufficiente di arrivare a quei piccoli ritocchi e a quelle rovinose variazioni che avevano reso, in seguito, i sentieri non protetti tanto pericolosi. Ma c'era magia grezza in abbondanza, e nessun sentiero incantato da seguire. Dor riteneva che per lui la giungla fosse il pericolo più grande che avesse mai conosciuto, se si lasciava andare alla distrazione. Una delle prime minacce in cui si imbatterono furono i cani finocchio. Le piante evidentemente stavano schiacciando un pisolino, con i musi nascosti sotto la coda, ma si svegliarono quando Dor vi finì dentro. Dapprima abbaiarono, poi, preso coraggio, cominciarono a morsicare. Arrabbiato, Dor le colpì con la spada, e ne falciò un semicerchio. Poi fu preso dai rimorsi quando le creature guairono e uggiolarono, perché in realtà non costituivano una minaccia per lui. Ciascun cane cresceva su un gambo, che affondava le radici nel terreno, e non poteva muoversi oltre quel raggio. E poi, avevano denti troppo piccoli per fargli veramente male. Saltatore era saltato aldilà della macchia di piante, e non era stato morsicato. I cani ora uggiolavano e si accucciavano alla vista dei loro compagni di branco morti. Era uno spettacolo triste. Dor uscì a grandi passi dalla macchia, con la spada sguainata e tesa davanti a sé, e si sentiva depresso. Perché doveva sempre reagire prima e pensare poi?
«Ma una pianta animale che morde gli estranei deve subire le conseguenze,» trillò Saltatore per consolarlo. «Una volta caddi tra gli afidi, e le loro formiche-guardiane mi attaccarono. Fui costretto ad ucciderne parecchie, prima che le altre rinunciassero. Se avessero avuto un po' di intelligenza, avrebbero capito che la mia presenza lì era accidentale. Stavo sfuggendo ad una vespa letale. I ragni preferiscono mangiare le mosche, non gli afidi. Gli afidi sono disgustosamente dolci.» «Immagino che le formiche non siano molto brillanti,» disse Dor, confortato da quella analogia. «Esatto. Hanno straordinarie reazioni innate, e vivono in società molto meglio dei ragni, ma come individui tendono ad avere una mentalità rigida. Quello che era buono per i loro antenati-formiche è sufficiente anche per loro.» Dor si sentì molto meglio. In qualche modo, Saltatore riusciva sempre a salvarlo dai guai fisici e da quelli mentali. «Sai, Saltatore, quando questa impresa sarà finita, e torneremo ai nostri rispettivi mondi...» «Sarà una triste separazione,» trillò Saltatore. «Ma tu hai la tua vita da vivere e io ho la mia.» «Sì, è naturale. Ma se in qualche modo riuscissimo a mantenerci in contatto...» Dor si interruppe, perché improvvisamente si erano imbattuti nel finocchio più grande di tutti. Era massiccio quanto Dor, con un gambo spesso quanto un tronco d'albero, e chinava il capo munito di corna per pascolare sull'erba vicina. «Questo somiglia molto ad un animale erbivoro,» trillò Saltatore. «Guarda, ha i denti da ruminante, non da carnivoro.» «Oh, una pecora vegetale,» disse Dor. «Una creatura storica, estinta ai nostri giorni. Produce lana per fare coperte. Nella mia epoca coltiviamo direttamente alberi delle coperte.» «Ma che cosa succede quando consuma tutto quello che c'è entro il suo raggio d'azione?», chiese Saltatore. «Non lo so.» Dor vide che l'erba era bassa nel cerchio che la pecora poteva raggiungere con il muso; era rimasto poco. «Forse è per questo motivo che si sono estinte.» Continuarono. Lì il terreno era abbastanza regolare; gli zombie non avrebbero avuto problemi. Dor sistemò i segnalatori, man mano che avanzavano, certo che quel percorso sarebbe stato ottimo. Si avvicinarono ad una zona boscosa, dove gli alberi avevano grandi fiori multicolori, la cui
fragranza era piacevole ma non soffocante. «Sta attento ai vapori tossici,» avvertì Dor. «Dubito che gli stessi elementi chimici avvelenerebbero anche me,» trillò il ragno. Ma quei profumi erano innocenti. Le api ronzavano intorno ai fiori, e ne coglievano il polline. Dor passò sotto gli alberi senza essere molestato, e Saltatore saltellò da un ramo all'altro. Oltre gli alberi c'era una attraente radura. C'era una bella fanciulla che si spazzolava i capelli. «Oh, scusami,» disse Dor. Lei sorrise. «Sei un uomo!» «Beh...» «Sei solo?», fece qualche passo verso di lui. Saltatore si lasciò cadere da un albero, e arretrò lateralmente. Quello che Dor sulle prime aveva preso per un vestito, ad uno sguardo più approfondito, si rivelò una copertura di foghe verdi sovrapposte l'una all'altra, come le scaglie di un drago. Era una creatura morbida, dall'odore dolce, con un volto grazioso. «Io... uh... noi stavamo solo...» «Io vivo per gli uomini soli,» disse lei, e aprì le braccia per abbracciarlo. Dor, incerto sul da farsi, non fece nulla: di conseguenza lei riuscì a stringerlo tra le braccia. Il corpo di lei era fresco e sodo, le labbra dolci; somigliavano ai petali di una rosa. Il corpo di Dor cominciò a reagire, come aveva fatto con Millie; voleva... «Amico,» trillò Saltatore, che era dietro la donna dalle foglie verdi. «È usuale?» «Io... non lo so,» ammise Dor, mentre le labbra di lei si protendevano avide verso le sue. «Mi riferisco all'aspetto di questa femmina,» trillò il ragno. «È molto strano.» Forse lo era, per un ragno! «Sembra... che... sia...» Dor si fermò perché le labbra della fanciulla avevano coperto le sue. Oh, quella donna era affascinante! «Sembra che sia un bell'aspetto,» concluse dopo un momento. Quei seni, quella vita sottile, quelle cosce piene... «Esito a interrompere il vostro rituale di saluti. Ma se tu esaminassi il suo posteriore...» «Uh, certamente.» Il lato anteriore era piuttosto interessante, ma non aveva alcuna obiezione a vedere il resto. Il suo corpo sapeva bene che una
donna attraente è interessante da qualsiasi lato. Dor si ritrasse e con gentilezza fece girare la donna. Dietro era cava. Come un calco di gesso di qualche oggetto, o una ciotola di ceramica plasmata su una roccia. Era solo un guscio solidificato. Non aveva affatto organi interni, né viscere. Erano visibili spiragli di luce nei punti in cui sul davanti c'erano le aperture degli occhi, delle narici e della bocca. «Che cosa sei?», domandò Dor, e la rigirò. Sul davanti, restava estremamente femminile. «Sono una sposalegno,» replicò lei. «Pensavo che lo sapesti. Io conforto gli uomini soli.» Una facciata che copriva il vuoto assoluto! Un uomo che faceva all'amore con una creatura simile... «Io... uh, credo di non aver bisogno di quel genere di conforto,» disse Dor. «Oh.» Lei sembrava delusa. Poi si dissolse in una nube di vapore e scomparve. «Sono stato io?», chiese Dor, mortificato. «Io l'ho fatta scomparire? Non avevo quest'intenzione!» «Penso che lei esista solo se incontra un uomo,» suggerì Saltatore. «Senza dubbio, si riformerà per il prossimo viaggiatore.» «È quasi come essere uno zombie.» Nel fare quest'affermazione, Dor sentì l'allegria gorgogliare dentro di lui, finché non esplose all'esterno, in una risata. «Un'amante zombie!» Poi ricordò l'amante di Millie nella sua epoca, Jonathan, e ritornò serio. Non era affatto divertente! Continuarono. La radura si apriva su una valle rocciosa. Le rocce erano irregolari, alcune di dimensioni discrete, con bordi taglienti: un disastro per gli zombie. Ma al centro correva un sentiero sgombro. In un punto, il sentiero era interrotto da una piccola ghirlanda sostenuta da quattro ramoscelli simili a corna. Tutto quello che dovevano fare era rimuovere la ghirlanda e i suoi sostegni, e il sentiero sarebbe stato libero. Dor si mosse verso la ghirlanda... poi si fermò. Era sospetto. «Qualcosa, o qualcuno, vuole che tocchiamo quella ghirlanda,» disse. «Lascia fare a me.» Saltatore assicurò una pietra ad un filo di seta, e la lanciò contro la ghirlanda. Il terreno si spaccò violentemente. Emerse un serpente, sul cui capo c'erano quattro corna. Era sepolto nella terra, tranne che per quelle quattro corna. Il rettile colpì la pietra che Saltatore muoveva con il filo per farla
sembrare viva. «È una fortuna che abbiamo controllato,» disse Dor, scosso. «Meglio tu che noi, pietra.» La pietra tremò. «Oh, il veleno!», gemette, e si frantumò in ghiaia. «Deve avere un veleno potentissimo!», esclamò Dor. «Sì,» convenne la ghiaia, e si frantumò in un mucchietto di sabbia. «Che cosa può fare il veleno ad uno zombie?», trillò Saltatore. «Niente, credo. Come si può uccidere una cosa che è già morta?» «Allora possiamo ignorare il verme con le corna.» Perplesso, Dor annuì. «Solo che dobbiamo mettere un avvertimento per Millie e il Signore degli Zombie, in modo che capiscano di dover mandare avanti uno zombie.» Tornò indietro e sistemò un segnalatore magico del tipo ALLARME. Quando l'avrebbero visto, avrebbero mandato avanti Egor l'Orco per far saltare la trappola. Se il verme con le corna era intelligente, se la sarebbe filata da quel sentiero! La valle si apriva su un campo di vegetazione erbosa, disseminata di alberi mundani. Era un bello scenario, ma tutta quella zona era bella, e migliorava man mano che andavano avanti. Se solo avesse guardato con più attenzione quando aveva viaggiato sulla sella del cavallo-drago! Si perdeva molto a viaggiare velocemente. Poi riconobbe la vegetazione. «Cetre!», esclamò con gioia. «Se ce n'è qualcuna matura...» «Che cosa sono le cetre?», trillò Saltatore. «Un cereale. Se si immergono delle cetre vecchie nell'acqua o nell'erbalatte, si trasformano in una ottima zuppa.» Scosse qualche gambo, e ottenne dei chicchi piatti. «E quelli sono alberi primitivi di nocciole miste.» «Le nocciole crescono sugli alberi?», chiese il ragno dubbioso. «Con la magia, tutto è possibile.» Dor si avvicinò ad un albero, afferrò un grappolo di nocciole e lo tirò in basso. Le nocciole rimasero attaccate al ramo. «Sono nocciole dure!», disse. Poi perse la presa sul grappolo, e barcollò all'indietro. Il ramo ritornò di scatto a posto, e una piccola grandinata di nocciole cadde intorno a Dor. Una gli colpì il naso, ed egli tossì. Ne arrivarono altre, ed egli tossì di nuovo. «Oh, no... ci sono anche gocce per la tosse!», disse, e si ritrasse. Ma aveva le sue cetre vecchie e le nocciole miste. «Ora ho bisogno solo dell'acqua.» Il campo scendeva verso un fiume dall'acqua cristallina, ma per fortuna non di cristallo. Vi nuotavano pesci gatto che miagolarono speranzosi
quando videro Dor, poi corsero via, per quanto era loro permesso dalle code di pesce, quando si accorsero che non si trattava di carne rossa. Un branco di pescecani salì a galla per annusare, ma videro immediatamente i gatti e si slanciarono al loro inseguimento abbaiando. Era evidente che quell'acqua era potabile. Dor immerse le due manciate di cibo in un buco-marmitta, e immediatamente ottenne una massa soffice. Ne offrì a Saltatore, ma il ragno rifiutò, e preferì darsi alla pesca di granchi. Perciò Dor mangiò da solo la sua zuppa di cetre, gustandola immensamente. Comunque, quel percorso, apparentemente eccellente, era tagliato da quel fiume. Il corso d'acqua era piccolo ma profondo. Non sarebbe stato un problema per Saltatore e Dor, ma sarebbe stato un disastro per gli zombie in marcia, che non ne sarebbero mai riemersi intatti. Guardare un fossato dalle acque immobili era una cosa; nuotare nella corrente era un'altra. Sarebbe stato possibile abbattere qualche albero per formare un rozzo ponte sul fiume, ma sarebbe occorso del tempo e forse si sarebbero ridestate magie ostili. Perciò seguirono il fiume lungo la riva, in cerca di un posto migliore per guadarlo. Non era mai possibile prevedere che cosa ci fosse più avanti. Poteva esserci un ponte naturale non ancora visibile. Non c'era. C'era una collina. Il fiume la risaliva allegramente e discendeva dall'altra parte. Dor e Saltatore contemplarono lo spettacolo, chiedendosi che cosa fare. Un fiume che saliva e scendeva con la stessa facilità, non doveva essere molto arrendevole. «Potrei preparare un'imbracatura per portarli uno alla volta dall'altra parte,» trillò Saltatore. «Uno sforzo simile ti logorerebbe e ti distruggerebbe per sempre,» obiettò Dor. «E dovremmo aspettare qui finché non arrivano gli zombie, invece di andare in avanscoperta. Abbiamo bisogno di un ponte oppure di un guado.» Seguirono il fiume lungo la collina. «Mi chiedo se possiamo deviarlo temporaneamente,» trillò Saltatore. «Dovremmo sempre far passare gli zombie dall'altra parte,» osservò Dor. «A meno che non riuscissimo a rigirarlo su se stesso, il che non mi pare molto ragionevole.» Sulla cima della collina, un gallopesce cantò. «Oh, chiudi il becco,» gli disse Dor. Ma quello era vivo, perciò non gli obbedì. Ai piedi dell'altro versante della collina c'era un'orca: un enorme mostro grasso con i denti che sporgevano dalla bocca. L'acqua le scorreva addosso e intorno; e non c'era nessuna possibilità di attraversare il fiume in quel
punto! Ritornarono sulla cima della collina. «Mi dispiacerebbe tornare indietro e cercare un altro percorso,» disse Dor. «È un percorso eccellente per gli zombie, fino a questo punto. Dobbiamo escogitare un modo di passare dall'altra parte!» «Che cos'è che fa risalire il fiume?», chiese il ragno. «La magia, naturalmente. C'è qualcosa nel terreno che lo fa sembrare in pendenza, mentre in realtà è in salita.» «Ho notato che le pietre qui hanno una struttura diversa. Forse è questo il motivo?» «Potrebbe essere. Pietre incantate. La magia non può essere nell'acqua stessa, altrimenti il fiume salirebbe fino al cielo. Credo.» Allora Dor si chiese in che modo l'acqua salisse fino al cielo, per poi creare la pioggia. Forse c'erano dei corsi d'acqua che salivano in alto. Quanto della magia di Xanth restava inspiegabile! «Ma se spostiamo le pietre, il fiume cambierà semplicemente letto, e allora l'orca si ritroverà all'asciutto e verrà a cercarci. L'unica cosa più infuriata di una gallina bagnata è un'orca asciutta. Abbiamo bisogno di guadare il fiume, non di spostarlo.» «Ma potremmo provare.» Saltatore immerse una zampa nell'acqua per spostare qualche pietra. L'acqua rispose alzandosi più in alto, formò un piccolo arco nell'aria, poi ricadde nel suo letto. «Senti, ma se la facessimo saltare abbastanza in alto, potremmo passarvi al di sotto,» esclamò Dor. Entrò in acqua per aiutare Saltatore a spostare le pietre incantate. Il fiume si alzò sempre più in alto. Alla fine si formò un arco che lasciò sgombro il letto del fiume per parecchi metri. «Se potessimo alzarlo un altro po', in modo da camminarvi al di sotto, senza chinarsi...», disse Dor con ansia. Spostò un altro mucchio di pietre. «Forse dovremmo trattenerci dal...», ammonì Saltatore. «È un'assurdità! Funziona a meraviglia. Non vogliamo che gli zombie tocchino l'acqua, perché si bagnerebbero tutti, e sono troppo stupidi per chinarsi in modo giusto.» Dor tirò su altre pietre. E, ad un tratto, il fiume si capovolse. Invece di inarcarsi in avanti, si inarcò all'indietro, formando un cappio nell'aria. Spruzzava d'acqua la base della collina, poi continuava a salire il pendio come prima. Invece di formare un ponte d'acqua, avevano duplicato il corso del fiume. «Dobbiamo spostarlo di nuovo.»
«No,» trillò Saltatore. «Potremmo dare origine ad altri problemi. Possiamo attraversarlo in questo modo.» E mostrò a Dor che si era creato uno stretto canale tra i due flussi paralleli di acqua, nel punto in cui si alzavano a spirale in aria. L'acqua si alzava ad occidente e cadeva ad oriente, incrociandosi in alto. In effetti, si trattava di una variante dell'arco originario; ora il guado era nord-sud invece che est-ovest. Dor fu costretto a dargli ragione. Sistemò un segnalatore magico accanto al cappio d'acqua, e poi i due compagni continuarono. Che spettacolo naturale avevano lasciato agli zombie! Proprio mentre se ne andavano, si sentì un «Oink!» sorpreso. Un maiale di mare era stato trasportato nel cappio. Dor ridacchiò. Il paesaggio oltre il fiume era ancora piacevole. Era la più bella regione che Dor avesse mai visto. Stava veramente godendosi quel viaggio, un cambiamento completo dopo le violenze appena passate, e sperò che anche Saltatore lo stesse trovando piacevole. Fin troppo presto sarebbero arrivati al Castello, avrebbero completato la loro missione, e poi sarebbe arrivato il momento di tornare a casa. Dor non era molto ansioso di tornare. Il sentiero migliore curvava in una vallata profonda, nella quale il fiume creava un meandro e formava un lago meraviglioso. Dor se ne stupì; nella sua epoca tutta quella regione tra il castello del Buon Mago e Castel Roogna era coperta da una fitta giungla. Come poteva essersi trasformata in modo così esteso? Ma rammentò di nuovo a se stesso che per la magia non c'erano spiegazioni logiche. Accanto al lago c'era una piccola montagna, la cui base aveva le stesse dimensioni del lago. Forse aveva un diametro di mille passi, sempre che fosse possibile misurare a passi la montagna o il lago. Eppure il lago sembrava profondo, e la montagna alta; sebbene l'acqua fosse limpida, il fondo si perdeva nelle tenebre, mentre la neve incappucciava la cima della montagna. Di conseguenza, entrambi quegli elementi del paesaggio dovevano essere magicamente ingranditi, visto che erano molto più grandi di quanto sembrassero. Quello che era un altro tipo di magia che Dor non capiva. Quale incantesimo impediva alla neve di sciogliersi sulle cime delle montagne più alte? Visto che le montagne erano più vicine al sole cocente, il calore lì doveva essere violento, eppure le montagne si comportavano come se ci fosse il gelo. Qual era il fine di un incantesimo simile? Era opera di un antico Mago, il cui talento era trasformare il caldo in freddo, permanentemente? Non c'era modo di saperlo, ahimè. Beh, avrebbe potuto arrampicarsi lassù e in-
terrogare quella montagna, ma sarebbe occorsa una grande fatica e lui aveva altre cose da fare. Forse quando fosse tornato alla sua epoca... Vi erano delle persone nel lago, sulla montagna e tra i due. Belle donne nude e uomini lievemente pelosi. «Credo che ci siamo imbattuti in una colonia di ninfe e fauni,» osservò Dor. «Dovrebbero essere innocui ma inaffidabili. Meglio lasciarli soli. Il problema è che il percorso migliore passa tra la montagna e il lago, dove la colonia è più affollata.» «Non è possibile seguire quel percorso?», trillò Saltatore. «Beh... le ninfe... Io sai.» Ma naturalmente il ragno non lo sapeva, visto che prima di quell'avventura non aveva mai avuto esperienze con l'umanità. «Le ninfe, loro...» Dor scoprì di non saper dare spiegazioni, visto che non era sicuro nemmeno lui. «Credo che lo scopriremo. Forse andrà tutto bene.» Le ninfe scorsero Dor e gridarono un allegro benvenuto. «Allegro benvenuto!» Scorsero Saltatore ed espressero il loro orrore. «Orrore!» Scalciarono a passo di danza e agitarono i capelli. I fauni dal piede caprino si slanciarono aggressivamente verso i due amici. «Calmatevi,» gridò Dor. «Io sono un uomo, e questo è un mio amico. Non abbiamo intenzione di fare del male.» «Oh, allora va tutto bene,» esclamò una ninfa. «Ogni amico degli uomini è nostro amico.» Ci fu uno scroscio di applausi, e delle danze improvvisate di gioia che crearono degli effetti meravigliosi all'anatomia delle ninfe. Abbastanza bene. «Il mio nome è Dor. Il mio amico è Saltatore. Vi piacerebbe vederlo saltare?» «Oh, sì!», gridarono. Allora Saltatore fece un salto di cinquanta metri, meravigliandoli. Saltatore poteva fare di gran lunga meglio quando voleva. Ovviamente era prudente, in modo da non far sapere ai fauni e alle ninfe i propri limiti, nel caso servisse. Lentamente Dor stava imparando il modo di pensare degli adulti; era più sleale del modo di pensare dei giovani. Ma Dor era felice di aver pensato all'esibizione di salto; il ragno era diventato un oggetto di divertimento innocuo per quella gente. «Io sono una naiade,» gridò una ninfa dal lago. Era bella, aveva i capelli simili ad alghe pulite e i seni che galleggiavano sull'acqua in modo seducente. «Vieni a nuotare con me!» «Io, uh...», esitò Dor. Le ninfe potevano non essere vuote dentro come le sposelegno, ma non erano nemmeno come le donne vere. «Io mi riferivo a Saltatore!», gridò lei, ridendo.
«Preferisco pattinare,» trillò Saltatore. Avanzò con attenzione sull'acqua e si lasciò scivolare graziosamente sulla superficie. Le ninfe applaudirono allegramente, poi si tuffarono nel lago e nuotarono dietro al ragno. Una volta che si era conquistata la loro fiducia, non avevano più limiti! «Io sono una driade,» gridò un'altra ninfa da un albero. Aveva i capelli verde foglia, le unghie marrone corteccia, ma il suo busto era nudo e florido come quello delle ninfe d'acqua. «Vieni a dondolarti con me!» Dor non aveva ancora imparato a reagire a quel genere di offerte, ma poi ricordò di nuovo la sposalegno cava. «Io, uh...» «Io mi riferivo a Saltatore!» Ma il ragno era già in arrivo. Se c'era una cosa che faceva meglio di pattinare sull'acqua, era arrampicarsi sugli alberi. Dopo qualche attimo, le altre driadi sciamavano dietro di lui. Ben presto strillavano di gioia, oscillavano dai tiranti di seta attaccati ai rami, scalciavano i piedi. Dor s'incamminò verso la montagna, vagamente imbronciato. Era felice che il suo amico fosse popolare, eppure... «Io sono un'oreade,» gridò una ninfa dal ripido pendio della montagna. «Vieni ad arrampicarti con me!» «Saltatore e occupato,» disse Dor. «Oh,» disse lei, delusa. Poi un fauno lo avvicinò. «Vedo che le ragazze non ti attirano molto. Vuoi unirti a noi ragazzi?» «Sto solo cercando un percorso per un'armata,» replicò Dor brevemente. «Un'armata! Le armate non ci riguardano!.» «Che cosa vi riguarda?» «Noi danziamo e suoniamo il flauto, inseguiamo le ninfe, mangiamo, dormiamo e ridiamo. Io sono un orefauno, legato alla montagna, ma potresti unirti ai drifauni degli alberi se preferisci, oppure ai naifauni del lago. Non c'è molta differenza tra noi.» Così sembrava. «Io non voglio unirmi a voi,» disse Dor. «Sto solo perlustrando questa zona.» «Vieni alla nostra festa, comunque,» lo incitò un fauno. «Forse ci ripenserai dopo aver visto quanto siamo felici.» Dor cominciò ad esitare, poi capì che il giorno stava per finire. Era meglio passare la notte lì piuttosto che nelle regioni selvagge, e poi era curioso riguardo alla vita e alla logica delle ninfe e dei fauni. Nella sua epoca, quelle creature erano sparse su tutta Xanth, ed erano altamente specializza-
te: una ninfa per ogni scopo. I fauni erano in gran parte scomparsi. Perché? Forse la chiave era lì. «Va bene. Lasciatemi solo perlustrare il terreno più avanti, poi tornerò per la vostra festa.» A Dor erano sempre piaciute le feste, sebbene non ne avesse viste molte. La gente disapprovava il fatto che lui parlasse alle pareti e ai mobili, e apprendesse tutti quei fatti intimi che si celavano dietro gli intrattenimenti formali. Peccato, perché gli intrattenimenti informali erano generalmente molto più interessanti. Sembrava esserci qualcosa di particolare negli adulti; la loro natura cambiava quando si riunivano in piccoli gruppi, soprattutto quando tali gruppi consistevano di un maschio e di una femmina. Se quello che facevano era buono e morale, perché non lo facevano davanti agli occhi di tutti? Era sempre stato incuriosito da questa faccenda. I fauni gli danzavano intorno allegramente, suonando i piccoli flauti, mentre Dor camminava oltre il lago e la montagna. Sulla testa avevano ciuffi di capelli simili a corna, e le unghie dei piedi erano tanto lunghe e spesse da sembrare zoccoli, ma erano umani. Nei secoli successivi, corna e zoccoli sarebbero diventati reali, man mano che i fauni avrebbero assunto una loro distinta identità magica. Quando aveva visto quei fauni per la prima volta, aveva pensato che fossero veri, ma l'occhio della mente aveva loro attribuito particolari ingiustificati. Dor capì che se lui, o un qualsiasi altro uomo, lo avesse scelto, avrebbe potuto unirsi a loro, subito, e i suoi capelli e le unghie dei piedi sì sarebbero sviluppati nello stesso modo. Aveva un senso; gli zoccoli erano di gran lunga migliori per correre su un terreno roccioso dei piedi normali, e le corna era una difesa naturale, quantunque fossero ancora simboliche. Erano un'arma che non si poteva perdere incautamente come poteva accadere con le altre armi. E per quanto riguardava la danza, quei piedi piccoli, duri e ben proporzionati, erano migliori di quelli enormi, molli e piatti di Dor. Ad un tratto, si vide simile ad un goblin. Le sottospecie di fauni erano già distinguibili, come lo erano le specie di ninfe. I drifauni della foresta avevano capelli verdastri e un pelo marrone corteccia sulle gambe e sulla parte inferiore del busto, e le loro corna terminavano con un uncino che li rendeva capaci di raccogliere i frutti più bassi. Avevano le dita dei piedi affilate, quasi appuntite, in modo che potessero arrampicarsi sui tronchi lisci, sebbene avessero una certa difficoltà nel camminare. Forse era quella la chiave della loro scomparsa finale come specie: erano diventati tanto specializzati da non poter più lasciare gli albe-
ri, e poi era accaduto qualcosa a quegli alberi. Gli orefauni della montagna avevano gambe più potenti, gli zoccoli si fondevano all'arto come quelli delle capre o dei daini. Anche le loro mani stavano acquistando un aspetto caprino, che li rendeva abili a correre a quattro zampe, e le loro corna erano incurvate all'indietro per dar loro la possibilità di caricare a testa bassa. I naifauni del lago avevano zoccoli e corna piatti, a forma di pinna, appuntiti verso l'alto come arpioni; potevano infilzare i pesci più stupidi, quando avevano fame. Invece del pelo, avevano scaglie delicate sulla parte inferiore del corpo. Un naifauno vide che Dor lo guardava. «Dovresti vedere mio cugino il nerefauno,» gridò, schizzando allegramente acqua. «Vive nel mare, alla foce di un fiume, e ha le scaglie simili a quelle di un serpente di mare, e le pinne al posto dei piedi. Sa veramente nuotare, ma cammina a malapena sulla terra.» Scaglie e pinne per il fauno marino. Quella specializzazione alla fine aveva potuto portare ai tritoni e alle sirene, loro controparti, che avevano perso completamente le gambe a favore della coda? Ma Dor aveva incontrato un tritone li... no, era al Castello del Buon Mago Humfrey, otto secoli dopo. Non c'erano naifauni o nerefauni all'epoca di Dor, perché erano diventati tritoni di mare e di lago, e le naiadi e le nereadi erano diventate sirene. Stava assistendo alla prima grande irradiazione della specie delle ninfe e dei fauni, stava osservando con i propri occhi l'evoluzione di uno dei rami maggiori delle creature di Xanth. Era affascinante! E anche sottilmente orribile, perché rappresentava la continua disumanizzazione dell'Uomo. C'erano state molte uccisioni nella Terra di Xanth ma, anche così, la popolazione era diminuita nel corso dei secoli più di quanto giustificassero gli spargimenti di sangue. Perché gli esseri umani avevano abbandonato la loro specie, ed erano diventati sottospecie come quelle: tritoni e sirene. Infine, se quell'evoluzione fosse continuata, non sarebbero rimasti veri esseri umani nella Terra di Xanth. Re Trent stava cercando di invertire questa tendenza, stabilendo contatti con Mundania. Voleva innestare a Xanth un nuovo ceppo di pura razza umana, senza subire un'altra disastrosa Ondata di conquista. Allora Dor apprezzò molto di più l'importanza di quel progetto. I suoi genitori, Bink e Chameleon, erano profondamente coinvolti in questi sforzi. «Datevi da fare, genitori!», mormorò con fervore tra sé e sé. «Quello che state facendo è più importante di quello che sto facendo io.»
Nel frattempo, stava trascurando il suo compito: perlustrare il percorso per gli zombie. Dor si guardò intorno e scoprì di trovarsi in una zona di folta boscaglia. Le piante sembravano innocue, ma diventavano più grandi e più alte verso occidente. Forse al centro di quell'estensione, arrivavano alla dimensione di alberi. Alcuni avevano rami che sporgevano dalla cima, privi di foglie, con rametti laterali che si attaccavano ad angolo retto. Parvero vagamente familiari a Dor, ma non riuscì assolutamente a classificarli. Se rappresentavano una minaccia, quale forma questa avrebbe assunto? Non erano alberi-groviglio, né rovi-veleno, né cactus lancia-aghi. Che cosa avevano che lo preoccupava? Pensò di interrogare qualche roccia isolata, ma non voleva rivelare la natura della sua magia alla presenza dei fauni. Se si fosse preoccupato maggiormente, avrebbe usato il suo talento. Per il momento, si sarebbe limitato a guardare. «Che cosa sono questi cespugli?», chiese all'orefauno, che sembrava a disagio lì, sul terreno pianeggiante, ma affrontava i disagi per amore della compagnia. «Sono pericolosi?» «Non arriviamo mai così lontano,» ammise l'orefauno. «Sappiamo che ci sono pericoli al di fuori del nostro territorio, perciò non ce ne allontaniamo mai. Ad ogni modo, altrove, che cosa potrebbe esserci di interessante per noi?» «Beh, tutto il mondo è interessante!», disse Dor, sorpreso. «Non per noi. A noi piace il posto in cui viviamo. Noi abbiamo il territorio migliore in tutta Xanth, dove non arrivano mostri, il tempo è sempre bello, e c'è cibo in abbondanza. Dovresti assaggiare la nostra rugiada di montagna!» «Ma... ma, viaggiare amplia la mente,» protestò Dor, e ricordò con vergogna quanto poco avesse viaggiato prima di entrare nell'arazzo. Ma sapeva che quell'avventura l'aveva già maturato considerevolmente. «Chi vuole essere ampliato?» Dor fu preso alla sprovvista. Se quelle creature veramente non si interessavano... «E se accade qualcosa a questo territorio e voi dovete trasferirvi? Dovreste almeno esplorare i dintorni per essere pronti.» «Essere pronti?», chiese l'orefauno, perplesso. Dor capì che la differenza tra lui e quelle creature non era solo fisica. I loro rispettivi atteggiamenti differivano. Mettere in dubbio la necessità di essere pronti ad ogni evenienza... beh, era infantile.
Beh, comprendeva sempre meglio i motivi della scomparsa dei fauni da Xanth. Naturalmente, anche le ninfe erano imprevidenti, ma ci sarebbe sempre stato un mercato per le belle ragazze nude, perciò la loro sopravvivenza era più sicura. Qualsiasi cosa somigliasse ad una bella ragazza aveva il proprio mercato, perfino tronchi vuoti come le sposelegno. Forse, come le arpie, le ninfe si sarebbero alla fine evolute in una razza ad un solo sesso, che si accoppiava solo con maschi di altre specie. Dor si accorse che l'orefauno era stanco, perciò rallentò e si voltò. «Penso che sia un ottimo percorso; esplorerò il resto domani, con Saltatore.» L'orefauno provò un grande sollievo. Ritornò a passo di danza verso la montagna, e fu subito raggiunto dai fauni meno avventurosi. «È l'ora della festa!», gridò, e fece un balzo da capra. Gli altri ripeterono, come fosse una canzone: «Festa! Festa!» Prepararono un grande falò tra la montagna e il lago: ammucchiarono caspugli-falò secchi e diedero fuoco con una piccola salamandra irascibile. Le salamandre dei tempi di Dor appiccavano fuochi che bruciavano tutte le sostanze tranne la terra, ma quella salamandra era un antenato primitivo che appiccicava solo un fuoco normale, per fortuna. Quel fuoco bruciava solo il legno, e si poteva spegnere. Misero dei ciuffi di malva - raccolti da un cespuglio di malva che cresceva nella palude ad un'estremità del lago - su dei bastoncini e li arrostirono sulla fiamma. Le ninfe e i fauni del lago portarono cetrioli di mare freschi e granchi genuini per Saltatore. Cioccolata calda gorgogliava in un angolo del lago, ed era un'ottima bibita. Le creature degli alberi portarono frutta e nocciole, e le creature di montagna fecero rotolare fino a valle un'enorme palla di neve per preparare bibite ghiacciate. Dor assaggiò la rugiada di montagna, che era effervescente, gustosa e inebriante. Le ninfe e i fauni sedettero in un grande circolo intorno al falò, e gustarono gli svariati manicaretti. Dor e Saltatore si unirono a loro, si rilassarono e si divertirono. Dopo essersi rimpinzati, i fauni tirarono fuori i flauti e zufolarono melodie intricate e affascinanti mentre le ninfe danzavano. I corpi delle donne ondeggiavano e oscillavano in modo fenomenale. Dor non aveva mai visto niente di simile! Ben presto i fauni cominciarono a rispondere ai segnali anatomici: abbandonarono i flauti, e si unirono alla danza con movimenti allusivi. Non passò molto che la danza non fu più una danza, ma la realizzazione del rituale che la danza aveva solo suggerito. Quelle creature facevano in pubblico quello che gli adulti dell'epoca di Dor facevano solo in privato!
«È una procedura normale?», chiese Saltatore. «Perdona la mia curiosità; ma ignoro le abitudini della tua specie.» «Sì, questa è una normale festa per celebrare i riti della primavera,» disse l'orefauno. «Non ci sono feste per le altre stagioni?», chiese Dor. «Quali altre stagioni? È sempre primavera qui. Naturalmente, i riti non hanno come risultato dei bambini; ha qualcosa a che fare con la nostra immortalità. Ma è divertente celebrarli, ad ogni modo. Sei invitato ad unirti.» «Grazie, rimpiango che non sia la mia specie,» esitò Saltatore. «Io, uh... aspetterò,» disse Dor. Il suo corpo era tentato, ma lui non voleva darsi prematuramente a quella vita. Gli ritornò alla mente l'immagine della sposalegno. «Come vuoi. Nessuno è costretto a fare niente, qui, mai. Tutti noi facciamo solo quello che vogliamo fare.» Osservò lo spettacolo per qualche altro momento. «A proposito... perdonatemi.» L'orefauno balzò per afferrare un'oreade di passaggio. La ninfa strillò in maniera seducente, agitò i capelli e scalciò i graziosi zoccoletti, dando a Dor la sensazione di dejà vu e la visione di quello che normalmente i vestiti nascondono. Poi la appoggiò a terra e fece quello che evidentemente dilettava entrambi. Dor prese un appunto mentale; se ne avesse mai avuto l'occasione, voleva sapere come agire. Era certo che non avrebbe mai più visto una fanciulla scalciare senza ripensare a quella scena. A quell'azione era stata aggiunta una nuova dimensione di significato. «Se sono immortali e non depongono uova,» trillò Saltatore, «come fanno ad evolversi?» «Dor non ci aveva pensato. «Forse cambiano essi stessi di continuo. Con la magia...» «Vieni, unisciti a me!», gridò una graziosa naiade, dimenando con abilità i fianchi ricoperti di scaglie delicate. «Rimpiango di...», cominciò Salvatore. «Io mi riferivo a Dor!», gridò lei, ridendo. Dor osservò che cosa provocavano quelle risate e quegli strilli nella zona toracica delle ninfe. Era quello il motivo per cui ridevano e strillavano tanto spesso? «Togliti quegli stupidi vestiti, e...» Scalciò lievemente. «Uh, io...» disse Dor, e si sentiva molto tentato, nonostante le riserve personali. Dopotutto, se la ninfa voleva... Ma quello sarebbe stato il primo passo per unirsi a quella colonia, e non
era certo che fosse una decisione intelligente. Una vita facile, piena di divertimenti, ma che futuro aveva? Il divertimento era il fine ultimo dell'Uomo? Finché non ne fosse stato sicuro, era meglio che aspettasse. «Dovresti provare almeno una volta,» disse lei, come se gli leggesse nella mente. Forse non era difficile; in quella fase, la mente di un uomo era concentrata su un solo pensiero. Si udì un rombo assordante. Un torrente di corpi scuri si riversò sul gruppo. Era un'orda di goblin! «Reclutatori!», gridò il capo dei goblin, facendo una smorfia sdentata di gioia maligna. «Chiunque sia catturato verrà reclutato nell'armata dei goblin!» E afferrò per le braccia un drifauno. Il fauno era più grosso del goblin, ma, paralizzato dalla paura, sembrava incapace di difendersi. Le ninfe strillarono e si slanciarono verso il lago, gli alberi e la montagna. Così fecero anche i fauni. Nessuno pensò di difendersi, di serrare le file e opporsi agli incursori... Dor notò che c'erano solo otto goblin, rispetto ad un centinaio e più di fauni e ninfe. Qual era il problema? Era che i goblin ispiravano terrore al solo apparire? La mano di Dor cercò la spada. I goblin non ispiravano terrore a lui! «Aspetta, amico,» trillò Saltatore. «Questi non sono affari nostri.» «Non possiamo stare seduti e lasciare che prendano i nostri amici!» «Sono molte le cose che non conosciamo a proposito di questa situazione,» trillò il ragno. A disagio, ma rispettando l'opinione di Saltatore, Dor riuscì a trattenersi. I goblin catturarono velocemente cinque dei fauni più robusti, li gettarono a terra, e li legarono con delle funi. I goblin catturavano solo, non uccidevano; volevano uomini forti per la loro armata. Perciò, come al solito, Saltatore aveva avuto ragione nell'essere cauto. Dor non avrebbe guadagnato nulla nel fare strage con la sua spada. Almeno, niente di cui valesse la pena. Ma era ancora perplesso: che genere di creature erano quei fauni che accoglievano gli estranei, ma rifiutavano di aiutarsi l'un l'altro in caso di bisogno? Se non lottavano per la loro stessa gente... «Sono cinque,» disse il sergente goblin. «Ne abbiamo bisogno di un altro.» I suoi occhi vagarono nel buio, poi caddero su Dor, che stava immobile. «Uccidi l'insetto; cattura l'uomo.» I goblin accerchiarono i due amici. «Penso che siano diventati fatti nostri,» disse Dor, truce. «Sembra che tu abbia ragione. Forse dovresti tentare di parlamentare.» «Parlamentare!», esclamò Dor, indignato. «Hanno intenzione di uccidere
te e di arruolare me nella loro armata!» «Noi siamo più civili di loro, non è vero?» Dor sospirò. Si rivolse al sergente goblin. «Per favore, rinunciateci. Noi non siamo coinvolti nella vostra guerra. Non desideriamo...» «Prendetelo!», ordinò il goblin. Evidentemente quei goblin non avevano capito che Dor non era semplicemente un fauno più grosso, ma una creatura che era in grado di fronteggiare cinque goblin. Gli altri sette si slanciarono su Dor. Saltatore balzò al di sopra delle loro teste mentre la spada di Dor baluginava in un arco maligno. Era una delle attività in cui quella spada eccelleva. Due goblin caddero, il sangue si sparse a terra e divenne nero. Poi il filo di Saltatore catturò il sergente e il ragno lo avvolse nella seta con l'efficienza di otto zampe ben allenate. «Badate al vostro capo!», gridò Dor, e abbatté un altro goblin. I restanti quattro guardarono. Il sergente era avvolto in un bozzolo di seta ed era inerme. «Fatemi uscire di qui!», strillò. I goblin si precipitarono verso di lui. Non avevano più voglia di combattere con Dor, una volta che il rapporto era caduto da sette su uno a quattro su uno. Ora sapevano di dover combattere con quelle sudice manine. Poi, dal cielo, si tuffarono delle creature: arpie. «Carne fresca!», gridò il sergente arpia. Dor sapeva che quello era il suo grado, perché la sporcizia che aveva sulle ali era striata. «Issatela!» Quei sozzi uccellacci afferrarono i corpi disponibili: cinque fauni, tre goblin feriti, e il sergente goblin avvolto nel bozzolo. Grandi ali luride batterono violentemente, sollevando polvere. «I fauni no!», gridò Dor, perché tra loro c'era l'orefauno che aveva fatto amicizia con lui. Afferrò gli zoccoli penzolanti dell'orefauno e lo tirò. Sorprese da quella resistenza vigorosa, le arpie lo lasciarono andare. Saltatore lanciò un cappio, afferrò un drifauno e lo tirò giù. Ma gli altri tre, insieme ai quattro goblin scomparvero nel cielo. Gli altri goblin corsero via. Saltatore aveva avuto ragione a consigliare cautela? Dor non era sicuro. Non gli importava nulla dei goblin, ma gli dispiaceva per i tre fauni scomparsi. Avrebbe potuto salvarli, se avesse attaccato prima? O sarebbe stato legato e portato via? Non c'era modo di saperlo. Certamente, Saltatore una volta che aveva agito, l'aveva fatto con molta efficacia: aveva reso inoffensivo il capo, invece di battersi stupidamente con la truppa, come aveva fatto Dor. Saltatore aveva scelto la condotta più sensata, l'unica che presenta-
va meno rischi. Grazie a quella condotta, avevano subito perdite, ma non avevano perso la battaglia. Le ninfe e i fauni ritornarono, ora che la battaglia era conclusa. Erano stati colpiti dal duplice attacco dei goblin e delle arpie. Tre dei loro compagni erano stati presi. Ovviamente, ogni loro illusione di sicurezza era stata frantumata. La festa, naturalmente, era finita. Spensero il falò e si ritirarono nei vari habitat. Dor e Saltatore si appesero al ramo di un enorme albero; non apparteneva a nessuno, visto che quelle creature non erano ancora arrivate alla fase una-creatura-un-albero. La notte li avvolse nell'oscurità. La mattina Dor e Saltatore si svegliarono tranquillamente, ma ebbero una sorpresa. La prima ninfa che scorse Saltatore strillò e si tuffò nel lago, e per poco non affogò, visto che era un'oreade, non una naiade. I fauni si affollarono aggressivamente intorno ai due amici. Dor fu costretto a presentare se stesso e Saltatore, perché nessuno li ricordava. Saltatore saltò di nuovo per farsi ammirare, e rapidamente fecero amicizia con tutta la comunità, per la seconda volta. Non parlarono del raid di reclutamento fatto dai goblin. Quei fauni scomparsi erano stati dimenticati, letteralmente, e l'orefauno, che Dor aveva salvato, ovviamente non era cosciente di essersi salvato per un pelo. Tutta la comunità sapeva che lì non erano mai arrivati mostri. Era una parte del segreto dell'eterna giovinezza: i fauni e le ninfe non potevano permettersi di essere appesantiti dalla dura realtà delle esperienze passate. Erano per sempre giovani, e necessariamente innocenti. L'esperienza invecchia la gente. Come stava invecchiando Dor. «Almeno i goblin non avranno molto successo nel fare reclute tra i fauni,» mormorò Dor mentre si lasciavano la colonia alle spalle e si dirigevano verso occidente. «Non si può fare affidamento su delle truppe che hanno bisogno di essere istruite daccapo, tutti i giorni.» «Le arpie non avranno questo problema,» trillò Saltatore. Le arpie erano alla ricerca di carne fresca. L'avevano trovata. «Ciò non di meno, l'effetto può scomparire dopo qualche giorno, quando gli individui vengono portati via da questa zona,» continuò Saltatore. «Se fossimo restati più giorni, avremmo sentito l'effetto dell'incantesimo, e saremmo restati per sempre. Quelli che vengono allontanati per forza, probabilmente ritornano al loro stato originario.» «Ha senso,» convenne Dor. «Se si resta un po' di tempo a divertirsi con
loro...» Pensò alla naiade che lo aveva tentato, e alle altre naiadi con i seni galleggianti sull'acqua. «Poi si viene presi dall'incantesimo, e non ci si ricorda più che cosa si doveva fare.» Fu scosso da un brivido, in parte per l'orrore e in parte per il desiderio. Si addentrarono tra i cespugli più grandi, lasciandosi dietro i segnalatori. I fauni e le ninfe non avrebbero manomesso i segnalatori; non avrebbero ricordato a che cosa servivano. Entro un giorno l'armata di zombie avrebbe attraversato la regione. Dor stimò che ormai avevano superato la metà del percorso tra il Castello del Signore degli Zombie e Castel Roogna. Il peggio era sicuramente passato, e per la sera lui e Saltatore sarebbero arrivati dal Re con le buone notizie. «Quelle piante mi turbano,» trillò Saltatore. «Anche a me. Ma sembrano innocue, sono solo strane.» Saltatore si guardò intorno, senza muovere né la testa né gli occhi, grazie alla sua anatomia. La direzione del suo sguardo era solo un problema di attenzione, e Dor si era abituato ai particolari movimenti del ragno che la segnalavano. «Sembra che non ci sia un percorso migliore di questo. Il terreno è piano e sgombro, e non ci sono creature ostili. Ma non mi fido.» «I sentieri più promettenti sono spesso i più pericolosi. Dovremmo diffidare di questo sentiero perché non ci sono creature ostili,» osservò Dor. «Lasciamelo osservare da un altra posizione, e tu continua come se niente fosse,» trillò Saltatore. Balzò oltre un cespuglio e scomparve. Dor continuò a camminare. Non aveva difficoltà a fingere l'innocenza! Era ottimo il sistema che avevano. Il ragno era più agile e non poteva cadere in trabocchetti improvvisi, grazie al suo tirante, mentre Dor aveva la solidità del suo grande corpo mundano e la potenza della sua spada. Egli avrebbe distratto i nemici potenziali mentre Saltatore li osservava di nascosto. Chiunque attaccasse Dor poteva trovarsi legato e appeso ad un filo di seta. I cespugli ora erano più alti di lui e sembravano affollarglisi intorno, benché non si muovessero. Le vere piante ambulanti sembrava che non fossero ancora nate a Xanth. Dor, comunque, le osservò attentamente, visto che c'erano altri modi di muoversi oltre camminare. Gli alberigroviglio, per esempio, afferravano la preda al volo. I rampicanti rapaci sì avvolgevano attorno a chiunque fosse tanto stupido da toccarli. C'erano anche delle piante che si sradicavano periodicamente solo per trovare un posto migliore. Ma quelle piante particolari erano decisamente fisse. Addentrarsi in quella macchia che si infittiva, dava l'impressione che i cespu-
gli ondeggiassero e si avvicinassero. Erano tutti tanto simili che sarebbe stato facile smarrirsi in quella macchia, ma Dor lasciava dietro di sé i segnalatori magici, perciò non si sarebbe perso e avrebbe potuto sempre tornare indietro. E naturalmente Saltatore stava guardando. Che cosa sarebbe stata la sua avventura senza Saltatore? Dor tremò al solo pensiero. Era certo che la presenza del grande ragno fosse accidentale, non progettata né prevista dal Buon Mago Humfrey quando gli aveva organizzato la spedizione. Ma, senza quella coincidenza, Dor sarebbe sopravvissuto anche a quel suo primo scontro con i goblin? Se fosse morto lì nell'arazzo, che cosa sarebbe accaduto al suo corpo che era a casa? Forse Humfrey sapeva come sfilare l'arazzo e ritesserlo, in modo che la morte di Dor fosse eliminata ed egli potesse tornare sano e salvo, ma anche così, sarebbe stato un fallimento umiliante. Molto meglio sopravvivere con i propri mezzi... e Saltatore gli aveva reso possibile farlo. Fino a quel momento. Ancora più importante era la maturità di pensiero apportata dal grande ragno. Dor apprendeva costantemente dal suo amico. I giovani di ogni specie tendono ad essere felici ma imprudenti, come i fauni e le ninfe. Era facile pensare di restare indefinitamente imprigionati in un'innocenza simile. Ma, visto in prospettiva, quel pensiero si rivelava un incubo. Dor stava, per così dire, emergendo dallo stadio di fauno a quello di Saltatore. Scoppiò a ridere, trovando buffa quell'immagine. Si immaginò di cominciare con delle piccole corna e un paio di zoccoli, poi di vedersi crescere altri quattro arti e altri sei occhi per somigliare al ragno. Prima di quell'avventura non avrebbe capito affatto una fantasia del genere! Nel bel mezzo della risata, accadde qualcosa che lo gelò e gli soffocò la risata. Si guardò intorno, ma non vide niente. Solo le piante che ora gli arrivavano di nuovo alla vita. Che cos'era accaduto da sconvolgerlo tanto? Non riusciva a capirlo. Si strinse nelle spalle e continuò a camminare. Dopo qualche momento, per mostrare meglio la propria noncuranza, e incidentalmente assicurarsi che Saltatore conoscesse la sua posizione esatta - in caso servisse! -, cominciò a fischiettare. Non era un buon fischiatore, ma riusciva a fischiare un bel motivetto. E quella cosa impercettibile accadde di nuovo. Dor si fermò e si guardò intorno. Aveva visto Saltatore con la coda dell'occhio? No, avrebbe riconosciuto il suo amico senza nessuno sforzo. Quanto desiderò in quel momento di avere qualche occhio in più! Ma al diavolo la prudenza; aveva vi-
sto qualcosa e voleva sapere che cosa fosse. Non c'era niente. Gli alti cespugli erano immobili, sembravano quasi mundani. Solo le foghe si agitavano di tanto in tanto alla brezza. Alla base erano folti: il loro fogliame era così fitto che i tronchi si vedevano appena. In alto si assottigliavano, le foghe erano più rade e più piccole, sulla cima i cespugli erano spogli. In alcuni, il ramo centrale si alzava diritto per qualche metro e aveva parecchi rami laterali, privi di foglie. Era uno strano disegno per una pianta, ma non aveva l'aria minacciosa. Forse erano dei sensori per il sole o per il vento, che inviavano informazioni al corpo principale della pianta. Molte piante amavano sapere che cosa stesse accadendo, perché piccoli cambiamenti nel clima potevano avere una grande influenza sul benessere dei vegetali. Dor ci rinunciò. Lì non c'era assolutamente niente da scoprire. Avrebbe potuto chiederlo ad uno dei bastoncini che erano a terra, naturalmente. Ma lo evitò. Qualcosa nell'ingenuità dei fauni e delle ninfe lo faceva desistere da quell'espediente. I fauni e le ninfe dipendevano stupidamente dalla loro ignoranza, dalla loro montagna, dagli alberi e dal lago, invece che dalla loro intelligenza, prontezza e iniziativa. Se egli fosse dipeso dalla sua magia invece che dalle sue facoltà di osservazione e di ragionamento, non sarebbe mai diventato l'uomo che avrebbe dovuto essere. Ricordò quanto poco il Mago Trent si servisse del proprio potere di trasformazione; ora quel comportamento aveva un senso nuovo per lui. La magia era da considerarsi sempre come ultima risorsa, erano le altre qualità che andavano rafforzate. Così si trattenne, evitò la strada più facile, deciso a risolvere quel problema da solo. Forse quello che cercava era invisibile. Ai suoi tempi, si diceva esistessero giganti invisibili, sebbene nessuno ne avesse mai visti. E come li si sarebbe potuti vedere? Dor ridacchiò. Accadde di nuovo, come se fosse stato azionato dalla sua risata. E questa volta riuscì a sorprenderlo. La cima di una delle piante si era mossa! Non era oscillata al vento, si era mossa. Si era girata di proposito, ruotando il tronco per orientarsi su Dor. Dor rifletté. Avanzò di parecchi passi, fischiando e osservando attentamente... e l'antenna si girò per seguire la sua avanzata. Non c'erano più dubbi. La pianta si orientava su di lui. Beh, le piante facevano bene a seguire i movimenti delle creature, perché l'avvicinarsi di un mostro o di un uomo poteva segnalare una distruzione istantanea, soprattutto se si trattava di una salamandra di cattivo u-
more, o di un uomo che cercava legna per costruirsi una casa. Che cosa c'era di meglio per tenersi informati, di un'antenna rotante! Di conseguenza, era probabile che le piante fossero innocue. Dor si era preoccupato perché aveva scorto il movimento ma non aveva visto l'oggetto. Aveva pensato ad animali o ad alberi-groviglio, non ad una semplice rotazione delle piante. Continuò a camminare con nuova fiducia, fischiettando ancora. Ora era visibile più di una pianta-antenna; quella sembrava la fase matura dei cespugli. I piccoli all'orlo non avevano antenna; i medi avevano l'antenna ma non potevano ruotarla, i maturi erano perfettamente funzionanti. Finché non facevano nient'altro che guardare... Supponendo che potessero guardare senza occhi. Probabilmente potevano. Dor sapeva che esistevano altri sensi oltre quelli dell'uomo, e altrettanto efficaci. Forse quelle piante rispondevano ai suoni, perciò avevano reagito alla sua risata, che doveva sembrare veramente strana ad un vegetale. Oppure avevano risposto al calore del suo corpo. O all'odore del suo sudore. Come avrebbero reagito agli zombie? Sorrise tra sé e sé; gli zombie creavano ben poco trambusto quando passavano! La foresta - perché tale era diventata - si aprì su una radura erbosa. Al centro c'era una depressione, su cui c'era un tumulo. Il tumulo sembrava fatto di legno, ma non aveva né rami né foghe. Che cos'era? Gli alberi-antenna guardavano solo, non agivano. Questo non avrebbe protetto quella foresta dalle minacce, a meno che non ci fosse qualcos'altro. Qualcosa che fosse in grado di agire, una volta che gli alberi avessero intercettato la minaccia. Quel tumulo poteva essere un congegno di difesa? In una situazione normale, Dor l'avrebbe lasciato stare, perché poteva essere rischioso immischiarsi con fenomeni incomprensibili, Ma lui stava perlustrando il percorso per l'armata degli zombie, e non voleva farla finire in qualche trappola sleale. Probabilmente quell'escrescenza era innocua, visto che sembrava immobile. Ma doveva esserne certo. Non era così stupido da avvicinarsi al tumulo, naturalmente. Si guardò intorno in cerca di qualche pezzo di legno, trovò un vecchio ramo secco, e lo usò per dare un colpo all'escrescenza. In quel modo, riusciva appena a toccarla, stando sul bordo della depressione. Non si sarebbe sorpreso se fosse sgorgata dell'acqua che avrebbe riempito la pozza, o se la protuberanza fosse sprofondata in un fosso spaventoso. Tutto il bosco poteva essere carnivoro, attirava gli animali al suo centro e li faceva cadere tra le sue enormi mascelle...
Ma non accadde nulla. Le sue supposizioni erano stupide. Perché gli alberi avrebbero dovuto prendersi tanta pena, quando era molto più semplice afferrare le prede di passaggio, come facevano gli alberi-groviglio, o allontanare gli intrusi con rovi, Incantesimi dell'Oblio e cattivi odori? E non era stato nemmeno attratto a quel tumulo. Vi era arrivato solo perché aveva bisogno di trovare un percorso per gli zombie. Beh, qualsiasi cosa fosse sembrava inerte, e quindi, probabilmente, innocua. Gli zombie potevano passare senza rischi. Dor si girò e vide Saltatore. «Sembra che non ci siano minacce,» trillò Saltatore. «Hai definito la natura di questa formazione?» Dor si immobilizzò. Il ragno gli si era avvicinato silenziosamente alle spalle, furtivamente, con l'intenzione di fargli del male. Solo per fortuna Dor si era girato in tempo. Ora la sinistra creatura stava fingendo di essere innocua, finché non si fosse avvicinata abbastanza da mordere la testa di Dor con le sue spaventose chele. «C'è qualcosa che non va?», trillò Saltatore, mentre le sue enormi orbite verdi scintillavano malignamente. «Sembra che tu non ti senta bene. Posso aiutarti?» E il mostro fece un passo verso Dor con le sue lunghe zampe pelose. Dor sguainò la spada. «Indietro, traditore!», gridò. «Non ti avvicinare!» Il ragno indietreggiò prudentemente, come se fosse confuso, al di fuori della portata della spada. «Amico, che cosa significa tutto questo? Io cerco solo di aiutarti.» Infuriato oltre ogni limite dalla duplicità di quel mostro, Dor affondò la lama. La spada scivolò in avanti con una precisione che il suo corpo non avrebbe mai potuto raggiungere. Ma il peloso aracnide saltò oltre la testa di Dor, fuori dalla portata della lama. Dor si girò di scatto. Saltatore era atterrato sulla protuberanza di legno. Perfino nella sua giusta ira, Dor mantenne una certa prudenza. Non voleva entrare in quella misteriosa depressione. Perciò restò sul bordo, in guardia, ad osservare il nemico ragno. L'atteggiamento di Saltatore era cambiato. Si bilanciò su sei zampe, mentre le due anteriori colpirono delicatamente l'aria. Dor capì che era una posizione di combattimento. «Allora mi attacchi senza nessuna provocazione?», domandò la creatura, e il suo trillo aveva un sottofondo stridente. «Avrei dovuto saperlo che è meglio non fidarsi di una creatura aliena.» Il bastoncino che Dor aveva usato per toccare la protuberanza era ai suoi
piedi. Si chinò a raccoglierlo con la mano sinistra, tenendo la spada pronta con la destra. «Tu sei quello che ha tradito la fiducia!», gridò agitando il bastone verso il ragno. Fu un errore tattico. Saltatore gettò un filo intorno all'estremità del bastone e lo tirò a sé. Dor fu quasi trascinato nella depressione prima di lasciarlo andare. Barcollò all'indietro. Il ragno afferrò al volo l'opportunità. Saltò oltre la depressione e atterrò accanto a Dor. Gettò un altro cappio e afferrò il braccio di Dor che reggeva la spada. Dor perse l'equilibrio, ma poi reagì con i riflessi da guerriero del suo corpo potente. Tirò indietro il braccio. Tali erano la forza e il peso del suo corpo, che fu il robusto aracnide a perdere l'equilibrio. Nessuna zampa del ragno poteva eguagliare il braccio di Dor, non aveva muscoli. Saltatore avanzò, non cadde, perché era pressoché impossibile cadere per una creatura ad otto zampe, ma vacillò verso Dor. Dor invertì il movimento e menò un colpo violento con la spada. Il ragno balzò in alto, evitando per un pelo la lama. Lì non c'erano rami sporgenti, perciò il ragno doveva ridiscendere. Dor restò con la spada puntata in aria, in attesa che il ragno vi si infilzasse. Ma aveva fatto i conti senza la mostruosa agilità della creatura. Saltatore atterrò sulla spada con le zampe spalancate, che si chiusero rapidamente intorno alla punta della lama e la mantennero. Il suo peso trascinò a terra spada e braccio, e Dor cadde al di sotto. Immediatamente i nauseanti fili di seta furono tutt'intorno a Dor e lo imprigionarono. Dor chiuse il pugno sinistro e lo affondò nel soffice addome del ragno. La carne cedette disgustosamente, e fili di seta si tesero e si spezzarono. Poi Dor poggiò entrambe le mani sulla spada e la tirò verso l'alto, trascinando anche il ragno. Scalciò con un piede per far sloggiare il nemico, ma questo fu un altro errore. Il ragno avvolse di seta quella gamba, strinse forte e Dor si ritrovò le due mani e un piede legati insieme. Quelle zampe sottili e lunghe erano incredibilmente veloci! Dor cadde sulla schiena, dimenandosi per liberare gli arti. Ma ormai il ragno era sopra di lui, gli gettava addosso strati e strati di seta, stringendolo sempre più forte. Dor si dibatteva con violenza, strappò molti fili, ma le forze lo stavano abbandonando. Ben presto fu legato irrimediabilmente. Il mostro avvicinò la testa a quella di Dor. Le orribili chele verdi e pelose si aprirono, pronte a ridurre in poltiglia la faccia inerme di Dor. Le zanne aguzze erano allungate. I due occhi frontali, i più grandi, scintillavano. Dor strillò, scalciò i piedi legati e agitò la testa inutilmente come Millie.
Come era arrivato a quel punto? Ma anche in quel momento di distruzione, conservava qualche sentimento umano. «Perché hai finto di essere mio amico?», domandò. Saltatore richiuse le mandibole. «Questa è un'ottima domanda,» trillò. Poi indietreggiò, sistemò i fili e trainò Dor verso un grande albero. L'antenna sulla cima dell'albero roteò fino a coprirlo, ma non poteva fare nulla. Il ragno saltò su un ramo robusto, assicurò un filo, poi issò Dor in aria, dove il ragazzo dondolò inerme. Quindi il ragno scese lungo il proprio tirante e atterrò accanto a Dor. «La risposta è: io non ho finto di essere tuo amico,» trillò Saltatore. «Ho fatto una tregua con te e ti ho trattato con gentilezza, credendo che avresti onorato la tregua nello stesso modo in cui l'onoravo io. Poi, ad un tratto, senza preavviso, mi hai attaccato con la tua spada e io ho dovuto difendermi. Tu sei l'unico che ha finto.» «Io non ho finto!», gridò Dor, lottando invano contro i fili che lo stringevano. «Tu sei strisciato furtivamente alle mie spalle!» «Credo che la si potrebbe vedere così. Ma tu hai attaccato me, non io te.» «Tu sei saltato contro di me e hai afferrato la mia spada. Quello era un attacco!» «È accaduto dopo che tu hai cercato di colpirmi con la spada e mi hai pungolato con il bastone. Allora ho compreso la tua natura ostile, e ho preso i provvedimenti appropriati.» Allora il ragno si fermò a riflettere. «Io non sentivo nessuna ostilità nei tuoi confronti, fino a quel momento. Perché un bastone avrebbe dovuto provocarmi quando una spada non l'ha fatto?» «Non capisci che hai una natura aliena?», domandò Dor. «Qui c'è qualcosa che non quadra. Quando sei diventato ostile nei miei confronti?» «Quando hai tentato di uccidermi a tradimento, alle spalle, naturalmente!» «E quando è accaduto?» «A che gioco stupido vuoi giocare?», domandò Dor. «Lo sai che è accaduto quando stavo guardando la protuberanza di legno.» «La protuberanza di legno,» ripeté il ragno, pensieroso. «La prima volta che ho sentito ostilità verso di te è stato quando sono atterrato sulla protuberanza. Può essere una coincidenza?» «Che importa!», gridò Dor. «Tu per primo hai cercato di attaccarmi a
tradimento!» «Rifletti: con il bastone hai toccato quella protuberanza, l'hai toccata indirettamente, e sei diventato ostile verso di me. Poi io l'ho toccata e sono diventato ostile verso di te. Quella protuberanza deve avere qualcosa a che fare con tutta questa faccenda.» La logica cominciò a penetrare nelle emozioni di Dor. Lui aveva toccato la protuberanza, poco prima... di quello che era accaduto. Sapeva che il ragno era un nemico, ma... «La magia può fare molte cose,» continuò Saltatore. «Può cambiare l'amicizia in odio?» «Può far amare due estranei,» disse Dor involontariamente. «Immagino che possa fare anche il contrario.» «Le piante-antenna hanno seguito la nostra avanzata. Se fossimo stati ostili, come avrebbe fatto questa foresta a difendersi?» «Avrebbe lanciato qualche incantesimo, naturalmente, visto che questi alberi non sono attivi alla maniera degli alberi-groviglio. Ci avrebbero fatti addormentare, o ci avrebbero fatto venire prurito, o qualcosa del genere.» «O farci arrabbiare l'uno contro l'altro?» «Sì, anche questo. Tutto è possibile...» Dor si fermò. «La nostra lotta... un incantesimo?» «Le antenne ci hanno osservati. Se avessimo attraversato la foresta senza fermarci, forse non sarebbe accaduto nulla. Ma noi ci siamo soffermati, abbiamo curiosato, e allora la foresta si è vendicata. Ci ha messi l'uno contro l'altro. Ha capovolto i sentimenti che proviamo l'uno per l'altro. Questa non sarebbe una difesa eccellente?» «Capovolgere i sentimenti! Questo significherebbe che quanto più forte è l'amicizia tanto peggiore è...» «Io sono estremamente arrabbiato con te,» trillò Saltatore. «Io sono assolutamente furioso con te.» «Siamo tutti e due furibondi, quanto più è possibile? Questo indicherebbe un'amicizia molto forte.» «Sì!», gridò Dor, e fu come se il peso che aveva sul cuore esplodesse. «Quell'incantesimo... potrebbe mettere intere armate l'una contro l'altra!», esclamò. «Nel momento in cui qualcuno urta la protuberanza, questa viene attivata.» La logica ora era penetrata nel profondo della sua mente. Non aveva più dubbi che fossero vittime di un incantesimo maligno. L'odio per l'amico stava scomparendo. Non era ragionevole in quella circostanza. Saltatore non si era avvicinato furtivamente. Il ragno si muoveva sempre si-
lenziosamente, e l'attenzione di Dor era assorbita dalla protuberanza. Dor aveva ritenuto che Saltatore fosse un nemico senza nessun buon motivo... tranne l'incantesimo. «Posso liberarti ora?», trillò Saltatore. «Sì. Ho capito che cosa è accaduto. Era un incantesimo temporaneo, che ha perso forza con il passar del tempo.» «La ragione distrugge gran parte della magia,» convenne Saltatore. Oscillò lateralmente e con pochi movimenti veloci liberò Dor. «Mi dispiace quello che è accaduto,» trillò. «Anche a me! Oh, scusami, Saltatore! Avrei dovuto capire...» «Anch'io ne sono stato coinvolto. Le emozioni hanno sopraffatto la ragione... quasi.» «Ma dimmi, perché non mi hai staccato la testa con le chele? Pensavo che stessi per farlo.» «La tentazione è stata grande. Ma, normalmente, non si deve uccidere un nemico indifeso, a meno che non si abbia fame. Si conserva la carne viva finché non ce n'è bisogno. E a me non piace il sapore del tuo tipo di carne. Di conseguenza, era contro la logica ucciderti, e questo mi turbava. Preferisco essere governato dalla logica. Cerco di capire la situazione completamente, da ogni punto di vista. Cerco di guardarla con tutti e otto gli occhi, come trilliamo noi aracnidi.» «Io non ho cercato di capire la situazione,» confessò Dor. «Io ho solo lottato.» «Tu sei più giovane di me.» E quindi immaturo, superficiale, incline agli errori dovuti all'ignoranza e alle emozioni. Come lo sapeva bene! La maturità del ragno li aveva salvati ancora una volta, dando loro il tempo e la lucidità di lottare liberi dall'incantesimo. «Ma quanti anni hai, Saltatore?» «Sono uscito dall'uovo sei mesi fa, in primavera.» «Sei mesi!», esclamò Dor. «Io sono uscito dall'uovo - voglio dire sono nato - dodici anni fa. Sono più grande di te!» «Sospetto che i nostri cicli siano diversi,» disse diplomaticamente Saltatore. «Tra tre mesi morirò di vecchiaia.» Dor era sconvolto. «Ma non ho nemmeno avuto il tempo di conoscerti!» «Non è importante la lunghezza della vita, ma la qualità,» trillò Saltatore. «Quest'impresa con te ha significato vivere bene.» «Tranne per quanto riguarda i goblin e i Mundani,» disse Dor, ripensando a quelle esperienze.
«Ti sei buttato alla ricerca dell'Elisir della Vita, mettendo in grave pericolo la tua vita, solo per permettermi di sopravvivere alle torture mundane,» gli ricordò Saltatore. «Forse è valsa la pena di vivere quell'esperienza per capire fino a che punto arrivi la tua lealtà. Su, finiamo la nostra missione senza nessun rimpianto.» Dor sarebbe stato così felice di perdere una gamba per verificare l'amicizia del ragno? Ne dubitava. Sembrava che dovesse ancora maturare. Si lasciarono cadere a terra e sistemarono i segnalatori in modo che l'armata degli zombie girasse alla larga dalla protuberanza di legno incantata. Quella difesa della foresta sembrava superflua e sleale, ma naturalmente una trappola evidentemente sarebbe stata vanificata immediatamente. Dor fu improvvisamente triste, e non solo a causa della magia ostile. Saltatore... sarebbe morto tra tre mesi! Capitolo 10: BATTAGLIA Arrivarono a Castel Roogna senza altri avvenimenti significativi, nel pomeriggio. Il Re fu molto felice delle loro notizie. «Allora hai persuaso il Signore degli Zombie! Come hai fatto?» «In realtà, è stata Millie,» disse Dor, ricordando i limiti che potevano avere le sue azioni. «Sta per sposare il Signore degli Zombie.» «Dovete aver fatto una bella fatica!» «Sì.» Meglio omettere i particolari. «Quando arriveranno gli zombie?» «Dovrebbero arrivare un giorno dopo di noi, se tutto va bene.» Poi Dor si mise una mano sulla bocca. «Ma noi abbiamo messo dei segnali lungo la strada in modo che niente possa andare male!» «Speriamo sia così,» disse il Re seccamente. «Faremmo meglio a stabilire delle comunicazioni regolari. Sarà un problema, perché i goblin controllano la terra e le arpie l'aria. Non ho richiamato il mio esercito, perché l'attraversamento del territorio controllato dai mostri sarebbe stato incredibilmente pericoloso. Di conseguenza, non ho corrieri militari. Fatemi vedere.» Rifletté brevemente, mentre Dor fu colto dall'ansia: nessuna truppa a difendere Castel Roogna! «Peccato che non ci sia un fiume tra noi e l'armata zombie. Dovremo servirci della terraferma.» «Il cavallo-drago!», esclamò Dor. «No, ho dato il permesso ai miei draghi di andare a difendere le proprie residenze, che sono molto più vulnerabili di questo alto Castello. Vediamo
che specie di pesci abbiamo.» «Pesci?», chiese stupito Dor. «Ma non possono...» Il Re li guidò all'acquario reale. L'ansia di Dor intanto era diventata fifa bella e buona. Niente truppe, niente draghi... e ora il Re contava sui pesci? Il Re Roogna prese nella rete uno scintillante pesce dorato. «Fatemi vedere,» disse, e si concentrò. Il pesce diventò blu. Sull'acqua si formò uno strato di ghiaccio. «Accidenti... l'ho trasformato in un pesce ghiaccio,» disse Roogna. «Non serve a niente.» Si concentrò di nuovo. Il pesce diventò di un rosso fiammeggiante e l'acqua ribollì al dimenarsi della coda del pesce. «No, questo è un pesce fuoco. Sto passando un momento difficile!» Dor osservava. Il Re stava realizzando magie significative: i suoi fallimenti erano maggiori dei successi più grandi di qualsiasi creatura inferiore. Il Re si concentrò di nuovo. Il pesce diventò marrone, la sua pelle divenne simile a quella di un verme. «Ah, questo è il mio pesce terrestre!», esclamò soddisfatto. Scribacchiò un biglietto, lo appallottolò e lo inserì nella bocca del pesce. Gli disse: «Va' fino all'armata degli zombie e ritorna indietro con la risposta del Signore degli Zombie.» Il pesce annuì, poi attraversò la rete, la parete della vasca, e scomparve. «Ora vediamo che cos'altro c'è,» disse il Re. Passò all'uccelliera reale, e con la rete prese un uccello a forma di palla. Le ali erano così mozze che poteva a stento volare, il becco e gli artigli sporgevano di pochi millimetri. «Questo colombo rotondo non serve a molto in questa forma.» Si concentrò. Improvvisamente apparve una grande cinghia a stringere il corpo del colombo. «No, no!», disse il Re, irritato. «La legge di Murphy mi deve perseguitare anche nei particolari insignificanti? Non un colombo legato. Voglio un colombo terrestre!» E l'uccello assunse il colore del pesce terrestre. «Ecco! Ora aspetta finché non avrò un messaggio da mandare. Allora volerai attraverso il terreno e lo consegnerai.» Riportò la sua attenzione su Dor. «Tu sei relativamente un estraneo per me, Mago, eppure ho fiducia in te e nel tuo amico Saltatore. Al momento, sono estremamente a corto di personale. Accetteresti di avere un impiego al mio servizio?» Dor fu preso alla sprovvista. «Vostra Maestà, io sono solo in visita qui. Presto, molto presto, dovrò tornare a casa.» Il Re sorrise cupamente. «Ti offrirei un mezzo di trasporto come già ho
fatto. Ma sono a corto anche di mezzi di trasporto, e i goblin hanno circondato in parte il Castello. L'unica via d'uscita è verso il castello del Signore degli Zombie, e anche quella non è più sicura. Preferirei che tu trascorressi l'assedio qui, a Castel Roogna, anche se decidi di non prendervi parte.» «Un altro assedio! Ne ho appena vissuto uno!» «Questo sarà peggiore, te l'assicuro. Abbiamo risorse maggiori di quelle del Signore degli Zombie, ma la situazione è più complicata. Preferirei combattere i Mundani piuttosto che i goblin e le arpie.» Il Re Drago aveva detto la stessa cosa. Peggio di quello che era accaduto al castello del Signore degli Zombie? Dor ancora non riusciva a crederci. Aveva lottato con goblin e arpie e li aveva trovati rivoltanti ma non così pericolosi. E le forze nemiche non stavano attaccando Castel Roogna. Era solo capitato che scegliessero quel luogo come teatro della loro guerra privata. Ma sarebbe stato vano cercare di viaggiare attraverso quelle orde. «Beh, ho ancora qualche giorno. Darò tutto l'aiuto che posso.» «Ottimo! Ti affiderò i bastioni nord. Dovrai tenere a briglia stretta i centauri, ma ti obbediranno se ti farai rispettare. Devono lavorare a quel muro fin quando sarà possibile. Ogni pietra in più aumenta la nostra sicurezza.» «Oh, io non sono un capo!», protestò Dor. «Sono solo...» «I miei corridori mi hanno tenuto informato dei tuoi successi, prima che i nemici cominciassero l'assedio. È vero che non sei ancora un capo esperto, ma sembri avere un buon potenziale. Hai reagito in modo eccellente all'attacco mundano al castello del Signore degli Zombie.» «Le vostre spie hanno visto tutto? Io pensavo che non sapeste che cos'era accaduto lì» Il Re rise. «È saggio che un Re abbia informazioni maggiori di quelle che lascia credere agli altri. Le mie spie non si sono potute avvicinare alla battaglia. Ma mi hanno riferito di un uomo, rispondente alla tua descrizione, che faceva patti con i mostri, e qualcosa a proposito di fasce verdi. E poi, naturalmente, c'è stato il messaggio che ho ricevuto da Re Drago. Ho presunto che sapessi che cosa stavi facendo. In realtà, non ho informazioni di prima mano, però, e sono ansioso che tu me le dia.» Ma il Re aveva ottime informazioni di seconda mano! Re Roogna assomigliava a Re Trent, sotto alcuni aspetti fondamentali. Forse tutti i Re avevano una somiglianza innata. C'era qualcosa di particolare in loro. Forse era un aspetto speciale della maturità. «Un giorno lo capirai, Dor,» disse Roogna. «È evidente che la tua terra ti sta istruendo per questa carriera e, in questo modo io posso ripagarti, entro
certi limiti, dei favori che mi hai fatto. Dovresti diventare un ottimo Re, con le esperienze adatte.» Dor ne dubitava, ma non discusse. Non capiva come fosse possibile che fare un altro favore a Re Roogna costituisse una ricompensa per un favore precedente. Se quella era la logica degli adulti, ne faceva volentieri a meno. La bocca del pesce terrestre spuntò dal terreno ai loro piedi. Il Re si chinò a prendere il biglietto appallottolato dalla bocca dell'animale. «Grazie, corriere,» disse. «Puoi ritornare alla tua vasca per rinfrescarti.» Allargò il biglietto, e si accigliò. «È del Signore degli Zombie. Il sentiero tracciato da te è buono, ma ora sono circondati dai goblin e non possono procedere.» «A che distanza sono?» «Appena dopo il boschetto di antenne.» Gli venne in mente l'immagine di lui che lottava con il suo più caro amico. Che orrore! «Se qualche goblin disturba il centro di quel boschetto...» «Sono troppo astuti per farlo. Aspettano che gli zombie lascino il boschetto, prima di intraprendere una qualsiasi azione.» «Perché i goblin si curano degli zombie? Non sono le arpie i loro nemici?» «Un'osservazione eccellente. Gli zombie dovrebbero essere in grado di marciare infastiditi. A meno che qualcosa non vada male.» «E ovviamente qualcosa va male,» disse Dor. «Re Murphy comincia a seccarmi.» «Io lotto con questo genere di fastidi fin da quando è cominciata la nostra contesa. Credi che normalmente io abbia bisogno di molti sforzi per adattare la magia ai miei scopi specifici? Ma questo è un ottimo esercizio di disciplina.» «Sì,» convenne Dor. «Dopo quest'esperienza, sarò molto più attento a tutto quello che faccio, perché so che le cose non vanno sempre bene senza nessuno sforzo.» Il Re guardò verso oriente, sebbene l'armata degli zombie fosse troppo lontana per essere visibile. «È probabile che la foresta di antenne sia infastidita dalla presenza di tante truppe, perciò ha suggerito ai goblin che gli zombie sono nemici.» «Ma se i goblin si sono mantenuti fuori da quella foresta...» «La loro armata si è tenuta lontana. Ma i loro esploratori hanno ficcato il naso in ogni cosa, esattamente come hai fatto tu. Se un esploratore ha riportato la notizia di un'armata nemica...»
«Dobbiamo salvarli!», gridò Dor. «Ci manca davvero il personale,» disse il Re, con dispiacere. «Tutto quello che abbiamo sono i centauri, che devono restare a lavorare al muro. È proprio per questo che abbiamo bisogno dell'aiuto degli zombie. Non è certo che abbiamo le forze sufficienti a proteggere il Castello non ancora completo, e non osiamo indebolire ulteriormente le nostre risorse.» «Ma gli zombie stanno venendo ad aiutarvi! Senza di loro perderete ad ogni modo!» «Sì. È un problema a cui non ho ancora trovato soluzione. La maledizione di Murphy sta acquistando forza, blocca tutti i miei sforzi.» «Beh, io non ho affrontato tanti pericoli per far catturare il Signore degli Zombie e Millie dai goblin!», disse ardentemente Dor. «Andrò io stesso a salvarli.» «Preferirei che non rischiassi di persona,» disse Roogna, accigliato. «Non è che sia insensibile al loro destino. È che sono sensibile al destino dei più. Possiamo aiutarli meglio da Castel Roogna, sempre che possiamo aiutarli.» Dor stava per lanciarsi in una replica violenta... poi ricordò come Saltatore avesse controllato le proprie reazioni nella foresta delle antenne, e avesse salvato la situazione. Doveva prevalere la logica, non le emozioni! «Come possiamo farlo?» «Se fosse possibile portare uno squadrone di arpie in quelle vicinanze...» «Sì!», gridò Dor. «Poi attaccheranno i goblin, e nessuno dei due contendenti avrà modo di preoccuparsi degli zombie. Ma come fare? Le arpie non onoreranno nessuna nostra richiesta.» «Il problema, secondo me, è l'esca. Dobbiamo attrarle in quella zona, senza sacrificare nessuno del nostro personale.» «Non c'è nessun problema!», disse Dor, eccitato. «Avete una catapulta?» «L'abbiamo. Ma le arpie non inseguiranno delle pietre volanti.» «Lo potrebbero fare... dopo che avrò lanciato il mio incantesimo su quelle pietre. Fatemi parlare con le munizioni.» «Ce n'è un'unità sul muro nord. Dove avevo pensato di metterti, ad ogni modo.» «Come, c'è qualcosa che va bene?», chiese Dor, sorridendo. «È una situazione complessa, in via di sviluppo. Murphy non può occuparsi di ogni particolare in ogni occasione. Il suo talento, come il mio, si sta sforzando fino all'estremo. Presto sapremo chi è il Mago più potente.» «Sì, credo di sì. E abbiamo molti Maghi dalla nostra parte.» «Però, una sola evenienza negativa può frustrare tutti i nostri sforzi. In
questo senso, Murphy può eguagliare parecchi Maghi.» «Farei meglio ad andare a vedere quella catapulta. Conosciamo la dislocazione dell'armata delle arpie?» «I centauri ne sono al corrente. Non amano né le arpie né i goblin, e i loro sensi sono acuti.» Il Re cambiò argomento. «Manderò un messaggio al Signore degli Zombie, per dirgli di avanzare non appena compaiono le arpie.» Dor si affrettò al muro nord. Per quanto fosse incompleto, era molto più solido delle mura del castello del Signore degli Zombie. Era difficile immaginare i piccoli goblin assaltare con successo un bastione così massiccio, soprattutto se, intanto, lottavano con le arpie. Scale strette salivano lungo l'interno del muro, finché sboccavano sul bastione superiore. I centauri camminavano nervosamente lungo il bastione. Non erano né gli studiosi dell'epoca di Dor né i guerrieri di un'altra epoca. Erano dei semplici operai, non ben equipaggiati per la guerra. Ognuno portava un arco e una faretra, però. I centauri erano sempre stati buoni arcieri. Gli operai avrebbero dovuto essere impegnati nella costruzione, ma i grandi blocchi di pietra erano lì dov'erano stati issati: non erano stati messi al loro posto. I centauri guardavano attentamente fuori. «Il Re mi ha affidato questo muro,» annunciò Dor, richiamando la loro attenzione. «Abbiamo tre cose da fare. Primo, dobbiamo completare la costruzione di questo muro fin dove è possibile, prima che comincino i combattimenti. Secondo, dobbiamo difenderlo quando arriveranno i mostri. E terzo, abbiamo una missione speciale. Io... farò un incantesimo sul proiettile di questa catapulta, e...» «Chi sei?», chiese un centauro. Era il primo che Dor aveva incontrato, quello che si era rifiutato di dirgli dove fosse Re Roogna, e che aveva incitato gli altri centauri contro Saltatore. Che caso sfortunato dover lavorare con quella creatura in particolare e con quella squadra! Caso sfortunato? Era colpa di Murphy! Quella maledizione diventava sempre più forte, non più debole, man mano che si avvicinava la conclusione. Il presunto caso fortunato di avere la catapulta proprio sul bastione a cui Dor era stato assegnato, non era affatto un caso fortunato. Era il posto peggiore per Dor. Ma doveva combattere quella maledizione. Dopotutto, anche lui era un Mago, e se questo aveva un significato... «Centauro, io sono il Mago Dor,» disse freddamente. «Ti rivolgerai a me con il rispetto che esige la mia condizione.»
«L'amico degli insetti!», esclamò il centauro. Appoggiò le mani sui fianchi anteriori. Era una creatura grossa, muscolosa, più alta di Dor. Dor era certo che l'abilità del proprio corpo con la spada gli avrebbe dato un vantaggio fisico su quella creatura, ma non voleva che la situazione degenerasse in una rissa. Ora che il centauro aveva scoperto il suo bluff e l'aveva sfidato, quale doveva essere il passo successivo di Dor? Non era il caso di servirsi di finezze di linguaggio, e non c'era tempo di conquistarsi lentamente la fiducia e il rispetto del centauro. Dor doveva risolvere il problema nel giro di pochi minuti. Di conseguenza, avrebbe dovuto servirsi del proprio talento. «Vieni con me, centauro,» disse. «Ti devo dire qualcosa in privato.» «Venire con te, amico degli insetti?», domandò incredula la creatura. Avanzò di qualche passo e fece il gesto di colpirlo con un pugno. Dor gli puntò la spada alla gola. Il corpo di Dor l'aveva fatto dopotutto: aveva agito prima di pensare. Ma in questo caso era una reazione appropriata. Il centauro sbatté gli occhi. Il contrattacco l'aveva impressionato. Quella lama scintillante avrebbe potuto forargli l'arteria prima che egli riuscisse a ritrarsi... e poteva ancora farlo. Decise di acconsentire all'invito di Dor, almeno finché non avesse potuto mettere gli zoccoli in posizione di attacco. Dor rinfoderò la spada e si girò di schiena, come se non si preoccupasse affatto della reazione possibile del centauro. E naturalmente, se il centauro avesse colpito in quel momento, sarebbe stato un atto di codardia davanti a tutti i suoi compagni. Seguì Dor in un posto appartato, dove la catapulta era sistemata dietro un merlo. Dor si girò a guardare i finimenti del centauro. «Come si chiama?», chiese. «Cedric Centauro,» replicarono i finimenti. Il centauro sussultò, ma non parlò. «Qual è il suo vero problema?», chiese Dor. «È impotente,» replicarono i finimenti. «Ehi, non puoi...», cominciò Cedric. Ma era troppo tardi per nascondere il suo segreto. Dor non aveva capito la risposta, e ne aveva bisogno, in questo caso. «Che cosa è impotente?» «Lui.» «Voglio dire, che cosa significa impotente?» «Impotenza.»
«Che cosa?» «Avresti dovuto dire 'che cos'è l'impotenza?'», dissero i finimenti. «Non importa!», esclamò il centauro, agitato. «Farò funzionare la catapulta!» «Non cerco di molestarti,» gli disse Dor. «Sto cercando di risolvere il tuo problema.» «Ah!», dissero in tono ironico i finimenti. «Non fate osservazioni spiritose!», disse Dor, irritato. «Spiegate solo che cos'è l'impotenza.» «Questo stallone non stallona. Ogni volta che tenta di...» «Basta,» gridò Cedric. «Ti ho detto che farò funzionare la catapulta, o farò qualsiasi altra cosa! E non ti chiamerò più amico degli insetti! Che cos'altro vuoi?» Dor stava cominciando a capire il problema. Era simile a quello che provava il suo corpo quando gli impediva di rispondere a Millie o ad una ninfa. «Io non voglio niente. Solo...» «Mettigli vicino una puledrina, diventa un castrato,» dissero i finimenti. «Non hai mai visto mente del...» Cedric mise le mani sui finimenti e li strappò con violenza, il volto imporporato. «Basta così,» disse Dor. «Voglio che ci sia armonia tra noi. Non dirò a nessun altro questo segreto.» Si rivolse ai finimenti rotti. «Anche se siete rotti, potete parlare.» «Oh, che dolore!», gemettero i finimenti. «Ora capite come si sente Cedric. Non è bello farsi beffe delle incapacità altrui.» Dor pensava al modo in cui i ragazzi più grandi si erano fatti beffe di lui, nella sua epoca. «Certo che non è bello!», convenne il centauro. «Che cosa è responsabile dell'impotenza di Cedric?» «Un incantesimo, naturalmente,» dissero i finimenti, mortificati. Ora il centauro era sorpreso. «Un incantesimo?» «Che incantesimo?», chiese Dor. «Un Incantesimo di Impotenza, scemo!» «Non parlare così ad un Mago!», esclamò il centauro, e diede un calcio ai finimenti. «Voglio dire, come funziona?» «Capovolge i desideri normali al momento critico, di conseguenza...» «Di conseguenza, quanto più forte è il desiderio, tanto più forte è il
blocco,» disse Dor, ricordando la sua esperienza nella foresta delle antenne. Che incantesimo ignobile! «Perciò quando si avvicina alla sua sensuale puledrina grigia pomellata, lui...» «Brucerò questi finimenti!», gridò Cedric. Ma non sembrava completamente dispiaciuto. Doveva aver creduto che quella condizione fosse una sua colpa, e la scoperta che era provocata da un incantesimo esterno era una buona notizia. «Come può essere annullato l'incantesimo?», chiese Dor. «Non lo so,» dissero i finimenti. «Dopotutto, sono solo un articolo di abbigliamento. Io so solo quello che ho osservato.» «Allora come fai a sapere dell'esistenza di questo incantesimo?» «Questo gonzo dormiva quando è stato gettato l'incantesimo, ma io ero sveglio. Io non dormo mai.» «Come potresti dormire se non sei vivo?», domandò Cedric, e un po' della sua aggressività naturale era tornata. «Chi ha gettato l'incantesimo?» Ma i finimenti non gli risposero. «È stato il mio rivale, Fancyface? Gli infilerò la coda nel muso!» «Chi ha gettato l'incantesimo?», chiese Dor. «È stata Celeste,» replicarono i finimenti, compiaciuti. «Ma è la mia puledrina!», gridò Cedric. «Perché avrebbe dovuto...» Si fermò, la sua brutta faccia prese un'espressione concentrata. «Quella piccola bastarda! Non c'è da meravigliarsi che fosse così comprensiva! Non c'è da meravigliarsi che si vantasse tanto di essermi fedele! Lei sapeva perché non potevo...» «Mi dispiace di non poter scoprire la cura,» disse Dor. «Non ti preoccupare, Mago!», disse Cedric. «I centauri non creano magie. Deve aver avuto l'incantesimo da una strega umana. Devo solo andare da qualche stregone a comprare un controincantesimo. Ma non lo dirò a Celeste...» Sorrise avidamente. «Oh, no, non glielo dirò! lascerò che mi stuzzichi, come al solito, e fingerò finché... oh, avrà una bella sorpresa!» Ritornarono dove erano gli altri centauri. «Come sta l'amico degli insetti?», disse uno dei centauri, e lanciò un nitrito. Cedric si girò a guardarlo con uno sguardo d'acciaio. «Io sto benissimo,» disse. «E sta bene anche il Mago. Gli daremo tutto l'aiuto che possiamo, e faremo esattamente quello che dice.» Non era una domanda. Dor finse di non notare la mortificazione degli altri centauri. Erano stati messi in riga, senza dubbio! «Dove si trova uno squadrone di arpie, entro il
raggio d'azione della catapulta?» chiese. Un centauro, che era accanto al parapetto, alzò la testa. «In quella direzione,» disse, indicando verso nord. «In quella direzione, signore!», lo corresse Cedric, e gli diede uno scapaccione sul fianco. «Ti devi rivolgere al Mago con il dovuto rispetto.» «Uh, chiamami solo Dor,» disse Dor. Aveva ottenuto il rispetto che voleva, ma ora aveva cambiato idea. «Vengono dall'Abisso, Signor Dor,» disse il centauro, che era accanto al parapetto. «Puoi lanciare un proiettile a sud-ovest dello squadrone?» «Posso lanciare un proiettile sul becco dell'arpia capo, Dor!», disse Cedric. «Esattamente nel suo gozzo.» «Beh, io preferirei che lo lanciassi a sud-ovest dello squadrone.» Cedric si strinse nelle spalle. «Un gioco da puledri.» I centauri si raccolsero intorno alla catapulta, portarono indietro il fusto, l'assicurarono, e alzarono una pietra pesante nella cinghia. Orientarono la macchina verso nord-est e regolarono l'altezza. «Ora ripeti quello che dico, fino a che non cadi a terra,» disse Dor alla pietra. «Le arpie sono bestie puzzolenti e senza cervello.» «Le arpie sono bestie puzzolenti e senza cervello!», ripeté allegramente la pietra. «Fuoco,» disse Dor. Cedric fece partire il colpo. Il braccio della catapulta balzò in alto. Il proiettile si inarcò al di sopra della foresta, e la pietra gridò: «Le arpie sono be...», e il resto della frase si perse. «Adesso la prossima pietra deve essere lanciata a sud-est della prima,» disse Dor. «Fino ad avere una catena di pietre che porti le nostre arpie dove vogliamo noi, nei pressi della foresta delle antenne.» «Capisco, Mago,» disse Cedric. «Poi che cosa succederà?» «Poi in quella zona incontreranno una banda di goblin.» Il centauro sorrise. «Spero che si distruggeranno l'uno con l'altro.» Anche Dor lo sapeva. Se le arpie erano poche, i goblin avrebbero continuato a bloccare l'avanzata degli zombie; ma se le arpie erano troppe, sarebbero state loro a bloccare l'avanzata degli zombie. E poteva già essere tardi. Già arrivavano voci che le tremende armate dei goblin stavano avanzando da sud, e che i numerosi stormi delle arpie erano in volo da nord. Castel Roogna era sempre il centro di quella guerra, grazie al potere, continuo e malefico, della maledizione di Murphy.
«Mago,» disse una voce melodiosa alle spalle di Dor. Si girò e si trovò davanti una donna matura. «Io sono la Neo-Maga Vadne: sono venuta ad aiutare nella difesa di questo muro. Come posso rendermi utile?» «Neo-Maga?», chiese Dor, con uno stupore poco diplomatico. Ricordò che Murphy aveva detto qualcosa riguardo ad una Maga che stava aiutando il Re, ma i particolari erano svaniti dalla sua mente. «Il mio talento è giudicato al di sotto del livello di una Maga,» disse lei, sorridendo ironicamente. «Qual è il tuo talento?», Dor si rese conto di essere troppo diretto, ma non aveva ancora imparato le formule di cortesia degli adulti. «La topologia.» «Che cosa?» «La topologia. Il cambiamento delle forme.» «Puoi cambiare la tua forma? Come un lupo mannaro?» «Non la mia forma,» disse lei. «Altre forme.» «Trasformi, per esempio, le pietre in pasticcini?» «No, il mio talento, è limitato alle forme animate. E non posso cambiarne la natura.» «Non capisco. Se tu trasformi un uomo in un lupo...» «Nelle linee generali sembrerà un lupo, ma sarà sempre un uomo. Non avrà il pelo folto, non avrà l'odorato acuto del lupo. La topologia non è una trasformazione vera.» Dor pensò a Re Trent, che poteva trasformare un uomo in lupo, un lupo che aveva tutte le capacità di un vero lupo, e che poteva generare dei cuccioli di lupo. Quello era un talento superiore, di gran lunga maggiore di quel semplice cambiamento delle forme. «Credo che tu abbia ragione. Non sei una Maga. Per qualche ragione che non sapeva, i Maghi erano più potenti delle Maghe. «Ma la tua magia è ugualmente utile.» «Grazie,» disse lei, con freddezza. «Non sapremo di che utilità sarai qui finché non vedremo quale lato attaccheranno i goblin, sempre che attacchino un lato. I goblin dovranno scalare le mura, perciò potremo spingere le scale quando le agganceranno, ma le arpie voleranno. Puoi top... topol... puoi esercitare la tua magia a distanza?» «No. Solo a contatto diretto,» disse lei. «Non è di grande aiuto.» Rifletté, ignaro della smorfia di lei. «Forse è meglio che tu stia accanto al parapetto e trasformi i goblin in pietre, man mano che arrivano in cima.»
«Li possiamo usare come proiettili per la catapulta!», esclamò Cedric. «Buon'idea!», convenne Dor. «Io farò parlare le pietre dei bastioni, per distrarre i nemici, ma in modo che nessuno di voi venga ingannato. L'obiettivo è far sì che le creature attacchino gli oggetti sbagliati, che rompano le proprie armi e le proprie teste, e vi diano il tempo di attaccarle. Naturalmente, speriamo che non cerchino di assalire questo castello, visto che, in realtà, non hanno nessuna ragione di farlo, ma conoscete la maledizione di Murphy. Se i goblin e le arpie ci lasceranno in pace, noi li lasceremo in pace. Nel frattempo, voi centauri sistemate quanti più blocchi è possibile sul muro; un solo blocco in più potrebbe essere importante.» I centauri si misero al lavoro di buona lena. Le pietre furono sistemate e connesse rapidamente. Era una buona squadra di lavoro, quando voleva. A tempo debito, il Re invitò Dor e Vadne ad una riunione dello stato maggiore. C'era anche Saltatore; gli era stata affidata la difesa del muro est. Anche il Mago Murphy era presente, con grande sorpresa di Dor. «I goblin hanno mandato un messaggero,» disse Re Roogna. «Ho pensato che tutti voi dovevate essere presenti a quest'incontro.» Mentre parlava, entrò un tipico goblin nodoso. Indossava pantaloncini corti e neri, una camicia nera e un paio di scarpe enormi. Aveva il solito cipiglio dei goblin. «Abbiamo bisogno del vostro castello per accamparci,» disse il goblin, mostrando i denti ingialliti e spezzati. «Vi diamo un'ora per sgomberarlo.» «Apprezzo la vostra gentilezza,» disse Re Roogna. «Ma questo Castello non è ancora finito. Dubito che vi sarebbe di grande utilità.» «Siete sordo, o solo stupido?», chiese il goblin. «Ho detto di sgomberare.» «Mi dispiace, ma non siamo disposti a farlo. Comunque, c'è una bella radura ad est che potreste usare...» «È inutile contro i mostri volanti. Abbiamo bisogno di altezza, di bastioni, di riparo... e di grandi provviste di cibo. Entreremo tra un'ora. Se non siete andati via, vi mangeremo.» Il goblin si girò sui grossi piedi e se ne andò. «Adesso abbiamo un messaggero da parte delle arpie,» disse il Re, celando appena un sorriso ironico. La più decrepita e la più rugosa delle arpie vecchie svolazzò nella stanza. «Ho visto quel goblin!», stridette. «Complottate con il nemico. Vi squarceremo lo stomaco per vendicarci!» «Abbiamo negato ai goblin il permesso di usare la nostra proprietà,» disse Re Roogna.
«Volevo ben dire! Noi useremo la vostra proprietà!», stridette l'arpia. «Abbiamo bisogno di un posto per appollaiarci, di celle per i prigionieri, di cucine per preparare la carne!» «Mi dispiace, ma non possiamo mettervi a disposizione il nostro Castello. Non parteggiamo per nessuno.» Non c'erano dubbi, pensò Dor. Entrambi i contendenti erano repellenti. «Ti ridurremo a brandelli!», stridette l'arpia. «Avete stretto un'alleanza con i goblin! Tradimento! Tradimento! Tradimento!» Volò via. «E ora basta con i divertimenti,» disse Re Roogna. «I bastioni sono pronti?» «Pronti per quanto possibile,» trillò Saltatore. «La situazione non è ideale.» «Sono d'accordo.» Disse il Re, accigliato. «Voialtri forse non comprendete appieno la gravità della situazione. I goblin e le arpie sono creature con cui è difficile avere a che fare. Sono più numerosi degli esseri umani, e sono tutti uniti, mentre la nostra razza è sparsa su tutta la Terra di Xanth. Non è ragionevole pensare di resistere ad un assedio dei loro eserciti senza l'aiuto degli zombie, e anche allora sarà difficile. Il Signore degli Zombie è stato bloccato...» Lanciò uno sguardo al Mago Murphy. «Ma è di nuovo in marcia.» Lanciò uno sguardo a Dor. «La domanda è, arriverà in tempo?» «Un'ottima domanda,» disse Murphy. «Siamo d'accordo che, se il Signore degli Zombie non arriva prima dell'inizio dei combattimenti...?» Il Re guardò tutti gli altri con espressione interrogativa. Dor visualizzò i bastioni. I goblin avrebbero dovuto scalare una novantina di metri di muro, rinforzato dalle torri quadrate agli angoli e dalle torri rotonde al centro. Ma prima dovevano superare il profondo fossato. Non riusciva a capire come potessero costituire una grave minaccia immediata. Le arpie normalmente erano troppo pesanti per subire questo trattamento. Perché, allora, il Re era così preoccupato? Anche se incompleto, Castel Roogna avrebbe dovuto essere impenetrabile a quei nemici. Un lungo assedio sembrava improbabile, perché gli assediati si sarebbero uccisi l'un l'altro, e il cibo avrebbe scarseggiato. «Che cosa succede se gli zombie non arrivano prima dell'inizio della battaglia?», chiese Dor. «Sarebbe un'ignominia che questo bell'edificio fosse danneggiato, che morissero delle creature,» spiegò Murphy. «È più ragionevole ridurre l'effetto della maledizione, prima che la situazione diventi sfavorevole.» «Vuoi dire che potresti far revocare la guerra arpie-goblin, l'assedio,
semplicemente così?» «Non semplicemente così. Ma posso ridurli, questo sì.» «Trovo difficile crederlo,» disse Dor. «Quelle armate sono già in marcia. Non gireranno e se ne andranno a casa, solo perché tu...» «Il talento del re è plasmare la magia per i suoi propri fini. Il mio è plasmare le circostanze, in modo che interferiscano con i piani degli altri. Sono le due facce della stessa medaglia. Dobbiamo solo determinare quale dei due talenti prevarrà. Distruzioni e spargimenti di sangue non sono indispensabili. In effetti, io deploro e aborro...» «Ci sono già stati spargimenti di sangue!», esclamò Dor, adirato. «Che genere di gioco macabro è questo?» «Il gioco del potere politico,» rispose Murphy, imperturbabile. «Un gioco in cui il mio amico è stato torturato dai Mundani, la mia vita è stata messa in pericolo, e noi due siamo stati aizzati l'uno contro l'altro,» disse Dor, ormai in preda alla rabbia. «E Millie deve sposare il Signore degli Zombie...» Si interruppe, mortificato. «Allora ti interessa quella ragazza,» mormorò Vadne. «E hai dovuto rinunciarvi.» «Non è questo il punto!» Ma Dor sapeva di essere arrossito. «Vogliamo essere giusti?», disse Murphy. «Il tuo problema con la ragazza non dipende da me.» «No, non dipende da te,» ammise Dor, risentito. «Chiedo scusa, Mago.» Gli adulti sapevano scusarsi con gentilezza. «Ma tutto il resto...» «Mi dispiace che siano successe queste cose quanto dispiace a te,» disse Murphy con calma. «Questo contrasta con le nostre intenzioni. Volevamo che il Castello fosse un mezzo pacifico per stabilire i nostri diritti. Sarei felice di togliere la maledizione e lasciare che i mostri vadano via. Ma devo avere il permesso del Re.» Re Roogna non parlò. «Vorrei fare una domanda,» trillò Saltatore, mentre la ragnatela sulla spalla di Dor traduceva per tutti. «Quali sarebbero le conseguenze della vittoria del Mago Murphy?» «Un ritorno al caos,» replicò Vadne. «I mostri attaccherebbero impunemente gli uomini. Gli uomini non conoscerebbero altra legge che la spada e la magia. Ci sarebbero: blocco delle comunicazioni, perdita delle conoscenze; vulnerabilità alle invasioni mundane, diminuzione dell'importanza del ruolo umano nella terra di Xanth.» «È desiderabile tutto questo?», insisté Saltatore.
«È lo stato naturale,» disse Murphy. «I più adatti sopravviveranno.» «I mostri sopravviveranno!», gridò Dor. «Ci saranno altre sette, otto Ondate mundane di conquista, e ciascuna sarà una carneficina. Le regioni selvagge diventeranno così folte e pericolose che solo i sentieri incantati saranno percorribili. Nella mia epoca ci saranno meno uomini veri di quanti ce ne sono nella vostra...» Accidenti. L'aveva fatto di nuovo. «Mago, da dove vieni esattamente?», domandò Vadne. «Oh, dovresti saperlo! Murphy lo sa.» «E non l'ho detto,» disse Murphy. «Murphy è un uomo d'onore, una volta che si comprendono le sue maniere,» disse Vadne, e lanciò un'occhiata obliqua al Mago. «Una volta ho chiesto la sua mano, ma lui ha preferito il caos ad una casa ben organizzata. E così non ho un Mago da sposare.» «Tu cerchi di sposarti al di sopra del tuo livello,» le disse Murphy. Vadne mostrò i denti in uno strano incrocio di sogghigno e sorriso. «Per tua definizione, Mago!» Poi si rivolse di nuovo a Dor. «Ho lasciato che la passione mi travolgesse. Da dove hai detto che vieni, Mago?» Dor improvvisamente capì l'interesse di Vadne per lui... e fu felice di essere inabile. Era stato facile parlare con Elena l'Arpia, come lo sarebbe stato con questa donna, e per ragioni simili. Vadne non era una ragazza morbida e dolce come Millie. Era una donna matura, in cerca di un marito che le desse lo status cui lei aspirava. «Io vengo da ottocento anni nel futuro, e anche Saltatore.» «Dal futuro!», esclamò Re Roogna. Si era mantenuto il più possibile fuori da quella discussione, per dare briglia sciolta agli altri, ma quell'affermazione lo costringeva a partecipare. «Esiliato da un Mago rivale?» «No, non c'è nessun altro Mago nella mia generazione. Io sono partito per una ricerca. Io... io penso che diventerò Re, alla fine, come avete congetturato prima. L'attuale Re vuole che faccia esperienza.» Era ovvio che Re Roogna non aveva discusso della situazione di Dor con nessun altro, e aveva permesso a Dor di presentarsi a modo proprio. Dor apprezzava sempre più le sfumature della discrezione degli adulti. Era significativa sia in quello che faceva sia in quello che non faceva. «Ho solo dodici anni, e...» «Ah, sei in un corpo preso in prestito.» «Sì. Usare questo corpo mundano era il modo migliore per farmi venire qui. Un'altra creatura anima il mio vero corpo, e se ne prende cura durante la mia assenza. Ma io non sono certo che le mie azioni qui abbiano un valore permanente, perciò non voglio interferire troppo.»
«Allora tu conosci il risultato della contesa Roogna-Murphy,» disse il Re. «No. Credevo di saperlo, ma ora capisco che non lo so. Castel Roogna è completo nella mia epoca, ma è stato abbandonato e dimenticato per secoli. Potrebbe averlo completato un altro Re. E ci sono state tutte quelle Ondate, cui ho fatto cenno, tutti gli altri avvenimenti negativi, e il declino dell'influenza dell'Uomo a Xanth. Perciò Murphy potrebbe aver vinto.» «Oppure potrei aver vinto io, e aver tenuto lontano il caos solo per qualche altro decennio,» disse Roogna. «Sì. Dal mio punto di vista, ottocento anni nel futuro, non posso proprio dire se il caos è cominciato quest'anno o cinquant'anni dopo. E ci sono altre cose che non quadrano, come l'assenza dei goblin dalla superficie della terra, nella mia epoca, e la relativa scarsità delle arpie. Non so proprio come spiegare questi fenomeni.» «Bene, quello che sarà, sarà,» disse Roogna. «Credo che, dal punto di vista storico, quello che facciamo qui abbia ben poco significato. Avevo sperato di dare inizio ad una dinastia di ordine, di tenere Xanth lontana dal caos, ma pare che ciò non sia destinato ad essere. È una stupida vanità credere che l'influenza dell'uomo si possa estendere molto oltre la sua epoca, e io me ne sono liberato. Ma spero di fare tutto il bene che posso in questo secolo, e di lasciare Castel Roogna come monumento alla mia speranza di una Xanth migliore.» Guardò gli altri. «Dovremmo prendere le nostre decisioni in base ai nostri principi.» «Allora dovremmo lottare per mantenere l'ordine, fin quando sia possibile mantenerlo!», disse Dor. «Per un decennio, per un anno, o per un mese, qualsiasi cosa possiamo fare è un bene.» Murphy allargò le braccia. «A tempo debito, scopriremo se anche un mese è possibile.» «Credo che il consenso sia evidente,» disse Re Roogna. «Difenderemo il Castello. E spero che il Signore degli Zombie arrivi in tempo.» Tornarono alle loro postazioni. I problemi cominciarono subito. Da sud arrivarono gli stendardi scuri dell'armata dei goblin, il cui passo di marcia scuoteva le fondamenta del Castello. Dor era sulla cima della torre, che era sull'angolo nord-est, e guardava in lontananza. Battevano tamburi, suonavano corni, per mantenere il ritmo del passo. Come un mostruoso tappeto nero, l'armata si stendeva sul campo che era aldilà del Castello. Luci scintillavano dalle punte delle piccole armi dei goblin, e una melodia sommessa si udiva sopra il fragore, simile ad un rombo in sordina. I goblin canta-
vano: «Uno, due, tre, quattro, Uccidi due, tre, quattro. Uno due, tre, quattro. Uccidi due tre quattro,» e così via, senza fine. Era privo di fantasia quel canto, ma era pieno di passione e l'effetto si cumulava, si espandeva e martellava la mente. Avevano anche degli alleati. Dor vide contingenti di gnomi, di troll, di elfi, di nani, di ghoul e di gremlin, ognuno con il suo stendardo e il suo canto. Lentamente si formò un orrendo arazzo, un mosaico di contingenti, gli elfi in verde, i nani in marrone, gli gnomi in rosso, i troll in nero, e tutti marciavano, marciavano. Sembrava che le creature fossero tante da seppellire il Castello sotto la sola massa dei loro corpi, allungando il nero tappeto sui bastioni. Ma naturalmente, non potevano. Non avrebbero potuto scalare un muro verticale solo grazie al loro numero. Poi, da nord, arrivarono in volo le arpie e i loro servi alati. La flotta gettò un'ombra scura sulla terra e sul Castello, e oscurò il sole. C'erano contingenti di corvi, di vampiri, di lucertole alate, e di altre creature che Dor non riconobbe. Nella loro massa somigliavano a grossi nembi che oscuravano il cielo a segmenti, la luce trapelava solo per delineare le linee di confine tra una squadriglia e l'altra. Di conseguenza, le ombre avanzavano a grandi quadrati neri sul terreno, una spaventosa marcia parallela. Il punto di convergenza, naturalmente, era Castel Roogna. Le due armate avrebbero potuto veramente distruggersi l'un l'altra, ma, nel processo, il Castello sarebbe andato distrutto, se riuscivano ad entrarvi. E se la battaglia fosse durata a lungo? Gli abitanti del Castello potevano morire di fame, in attesa che i combattimenti finissero, anche se nelle mura non si fosse aperta nemmeno una breccia. E se i goblin avevano macchine da assedio o usavano i troll più robusti per abbattere le mura, mentre le arpie e i vampiri impazzivano sui bastioni... Dor stava cominciando a capire quanto potesse diventare spiacevole l'assedio. I Mundani avevano fatto solo degli assalti sporadici contro il castello del Signore degli Zombie, ma i goblin e le arpie erano tanti che gli attacchi sarebbero stati incessanti. La conseguenza sarebbe stata il logorio dei difensori del Castello, finché non sarebbe più stata possibile nessuna difesa, e il Castello sarebbe stato invaso. Dovevano avere la possibilità di sostituire i difensori. Quello era il ruolo chiave che aveva il Signore degli Zombie: fin quando la battaglia continuava, ci sarebbe stata materia prima per i nuovi zombie, che avrebbero protetto i bastioni dalle invasioni delle creature viventi. Per il momento non c'era ancora traccia degli zombie. Anche se fossero
apparsi in quel momento, non avrebbero avuto il tempo di entrare nel Castello prima che i goblin l'accerchiassero. Il Signore degli Zombie era in ritardo. Il trucco di Dor con le pietre parlanti della catapulta era fallito? Oppure era stato insufficiente. Avrebbe dovuto dire al Re di mandare dal Signore degli Zombie il suo pesce terrestre. Il Mago Murphy gli si affiancò. Sembrava avere libero accesso in tutto il Castello. «Bah! È veramente un peccato. La gente sensata dovrebbe risparmiarsi le difficoltà create dalla maledizione.» Cedric il Centauro lo guardò in cagnesco. «Se tu non fossi un Mago, ti direi che sei una bastarda mosca del letame, con le ali di moccio.» Dor restò in silenzio. Il centauro era stato abbastanza esauriente. Dor scorse un boomerang sulla rastrelliera per le armi, che era appoggiata alla parete della torre centrale. «Sei magico?», gli chiese. «Naturalmente. Ritorno sempre nella mano di chi mi ha lanciato.» Il Mago Murphy scosse la testa, si strinse nelle spalle e se ne andò. La sua maledizione sembrava operare indipendentemente dalla sua presenza. Stava solo curiosando qui e lì. «Beh,» disse Dor al boomerang, «va' a dare un'occhiata e vedi se puoi scorgere l'annata degli zombie.» Lanciò il boomerang verso nord-est. Era conscio della stranezza di chiamare armata duecentocinquanta creature, quando le arpie erano migliaia e i goblin decine di migliaia. Ma gli zombie erano sostituibili. Potevano diventare un'armata di migliaia e migliaia, a tempo debito. Il boomerang roteò lontano, scintillando alla luce del sole non ancora coperta dalle arpie, descrisse un cerchio e ben presto tornò nella mano di Dor. «Molti goblin,» riferì. «Nessuno zombie.» Dor sospirò. «Dobbiamo solo resistere finché non arrivano.» Ma era pessimista. Nessuna delle sue esperienze l'aveva preparato alla grandezza di quello scontro. C'erano così tanti mostri! Una volta che i goblin avessero accerchiato il Castello, come avrebbero mai potuto gli zombie passare attraverso l'armata nemica? Ma bisognava affrontare i problemi con ordine. C'erano le arpie in arrivo. Si avvicinavano più velocemente, simili ad una spaventosa tempesta, stavano già per arrivare al muro nord. «Interrompete la costruzione. Pronti agli archi,» ordinò Dor ai centauri che lavoravano febbrilmente. Obbedirono con alacrità. Ma immediatamen-
te vide che i mostri volanti erano più delle frecce nelle faretre dei centauri. Era un male. «Non lanciate,» disse loro. «Prima di iniziare fatemi parlare con qualche freccia.» Uno squadrone di vampiri li assalì: le enormi ali di pelle erano repellenti, le zanne scintillanti spaventose. «Ripeti quello che dico,» disse Dor alla prima freccia incoccata nell'arco di Cedric. «Vicino, non ce la faresti a mordere nemmeno un pomodoro marcio!» La freccia ripeté. Agli oggetti piacevano molto gli insulti. «Continua a dirlo,» disse Dor, e fece cenno al centauro di far partire la freccia. «Al di sopra delle loro teste,» disse a Cedric. Cedric parve sorpreso, ma non discusse. Alzò l'arco e lasciò partire il dardo. Guardarono la freccia volare in alto. Mancò la fila più avanzata dei vampiri e volò al di sopra delle loro teste. Dor sapeva che gli altri centauri pensavano che fosse fatica sprecata. Perché lanciare una freccia con l'intenzione di mancare il bersaglio? Improvvisamente, ci fu un certo movimento nelle file avanzate. «Ah sì?», gridò un vampiro - almeno il suo strillo così suonava - e si slanciò ad affondare le lunghe zanne in un'ala del vicino. La vittima reagì con rabbia, e affondò le proprie zanne nell'ala più vicina, coinvolgendo così un terzo vampiro. La formazione dello squadrone era così compatta che in un attimo venne sconvolta. I vampiri lottavano l'uno contro l'altro in una rissa aerea, volavano in tondo e non prestavano alcuna attenzione al Castello o ai goblin in arrivo. «È stato un ottimo trucco, Mago,» disse Cedric. Dor fu felice di essersi preso la briga di convertire quella creatura ostinata, invece di combatterla. Saltatore glielo aveva fatto capire. Se ci fosse stato il modo di fare amicizia con i goblin e le arpie... Era possibile, quando era già così tardi? Se i goblin femmina fossero state persuase ad apprezzare i migliori dei maschi, invece dei peggiori? E le arpie... se avessero riavuto i maschi della loro specie? Sarebbe occorso una specie di incantesimo di massa per i goblin, e la nascita di almeno un'arpia maschio dall'accoppiamento di un essere umano con un avvoltoio. C'era una Fonte dell'Amore a nord dell'Abisso. E non esisteva il modo di arrivarci, in quel momento. Ad ogni modo, quell'idea era plausibile, ma lo disgustava. Quale essere umano e quale av-
voltoio si sarebbero offerti di...» In ogni caso, sarebbe stato troppo tardi per salvare il Castello; occorreva del tempo perché una creatura fosse concepita, nascesse e crescesse. Ci sarebbero voluti anni per generare una sola arpia maschio, anche se tutto fosse stato in ordine. Avevano bisogno di qualcosa che fermasse subito quella battaglia... e Dor sapeva che non importava quanto tentasse: la maledizione di Murphy avrebbe fatto fallire i tentativi, come aveva fatto fallire le trattative con i due contendenti. Castel Roogna avrebbe dovuto solo aspettare che la tempesta passasse, con la speranza di reggerla. Poi un'orda di goblin caricò da est, e circondò il Castello. L'armata dei goblin era avanzata da sud, ma si era allargata tanto verso est e verso ovest che Dor aveva visto distintamente le due ali dagli angoli del muro nord. In quel momento si stavano avvicinando come acqua che scorresse intorno ad una roccia in un torrente. Non marciavano più disciplinatamente e con passo ritmato, non si sentivano più i tamburi. L'armata era tornata al suo stato naturale di orda. Gli alleati dei goblin dovevano attaccare gli altri muri. Ad assaltare quello nord c'erano solo goblin, e Dor temeva che fossero gli avversari più determinati. La nuvola disorganizzata di vampiri stava ora assalendo i bastioni. Rapidamente Dor camminò lungo i merli, parlando alle pietre sporgenti delle parti di muro già complete. «Ripetete quello che dico: Prendi questo, faccia zannuta! Le mie frecce ti aspettano! Ecco che arriva una freccia di fuoco!» Ben presto ottenne un guazzabuglio di commenti simili, che aveva lo scopo di confondere i vampiri quando si avvicinavano. Dor sperava che i vampiri fossero troppo stupidi per capire che lì non c'erano arcieri. Questo gli permise di concentrare i centauri sulla sezione incompleta del muro, che era ancora priva di merli. I centauri, che erano sul muro est, lanciavano ciliegie-bomba per spezzare l'attacco. Bang! e un goblin sobbalzava e crollava a terra. Bang! e un altro goblin cadeva. Ma c'erano più goblin che ciliegie-bomba. Poi Bum! quando un ananas aprì un cratere e gettò per aria i goblin come bambole di pezza. Ma i goblin non si fermarono. Corsero alla carica su quel fosso fumante, calpestarono i cadaveri dei loro compagni e arrivarono al fossato. I mostri del fossato si alzarono ad incontrarli, afferrarono i goblin da dietro e li ingoiarono tutti interi. Ma arrivarono altri goblin che si tuffarono in acqua. «Non sapevo che i goblin fossero capaci di nuotare,» osservò Dor, sorpreso.
«Non sanno nuotare,» disse Vadne. I goblin circondarono i mostri del fossato, li artigliarono, li presero a pugni, li morsero. I mostri aprirono velocemente le bocche voraci e si rimpinzarono. E, mentre ognuno di loro mangiava una dozzina di goblin, ce n'erano mille che si accalcavano. I mostri si ritirarono in acque più profonde, ma i goblin li inseguirono, si attaccarono ai loro dorsi come formiche nere, li morsero come nickelpiedi. Molti caddero in acqua quando i mostri del fossato si scossero, e affondarono nelle profondità fangose, mentre altri goblin si buttarono in acqua. «Che utilità c'è?», chiese Dor, incredulo. «Stanno cercando di costruire ponti o qualcosa del genere? Muoiono inutilmente!» «Tutta questa guerra è inutile,» disse Vadne. «I goblin non sanno costruire, quindi non hanno ponti.» «Sembra che non abbiano nemmeno scale,» osservo Dor. «Perciò non possono scalare il muro. È completamente folle!» I goblin continuarono ad affluire, affondavano, affogavano, finché il fossato fu pieno dei loro cadaveri. L'acqua straripò. Ormai nel fossato c'era una massa solida di carne su cui si riversò l'orda. I mostri del fossato erano stati soffocati da quella massa. Non c'era più traccia di loro. I goblin avanzarono fino alla base del muro. Nel loro attacco non si notava una grande strategia. I goblin semplicemente continuavano ad arrampicarsi l'uno sull'altro, nel tentativo di salire lungo il bastione verticale. Dor guardò la scena con fascino morboso. La tattica dei goblin d'acqua aveva riempito il fossato e aveva fatto sì che i sopravvissuti passassero aldilà, ma non poteva far loro salire il muro di pietra! I goblin non si fermarono. Le orde continuavano a spingere in avanti, rifiutandosi di riconoscere la natura della barriera. Quando i primi furono calpestati e giacquero a terra, i secondi salirono più in alto lungo la parete. Poi si formò un terzo strato, e poi un quarto. Il muro non era ancora completo in quel punto, ma c'erano pur sempre una novantina di metri tra il fossato e il punto più basso. Quelle stupide creature pensavano di poter sormontare l'ostacolo calpestando i corpi dei compagni? Sarebbero occorsi trenta strati di goblin schiacciati! Sorprendentemente, quegli strati si formarono. Ogni strato richiedeva un numero maggiore di corpi, perché il muro di corpi si inclinava all'indietro, verso il fossato. Ma le creature continuavano ad arrivare. Cinque strati, sei, sette, otto, nove, dieci... già erano ad un terzo della salita, grazie alla co-
struzione di un terrapieno fatto dei corpi dei loro morti e moribondi. Cedric stava accanto a Dor a guardare quello spettacolo orribile. «Non avrei mai pensato di provare dispiacere per i goblin,» disse. «Non li stiamo uccidendo noi: si stanno ammazzando da soli... e solo per arrampicarsi sul muro di un castello, di cui non hanno bisogno!» «Forse questa è la differenza tra uomini e goblin,» disse Dor. «E centauri.» Ma si chiese se fosse vero. I Mundani, che, dopotutto, erano uomini veri, avevano assaltato il Castello del Signore degli Zombie con la stessa determinazione e la stessa mancanza di logica dei goblin. E la squadra di centauri non aveva mostrato un'intelligenza particolare, prima del colloquio privato di Dor e Cedric. Quando la febbre della guerra assaliva una società... La marea di goblin continuava a salire. Ormai erano a metà strada, e avanzavano ancora. Non era più possibile dire dove fosse il fossato. C'era solo una mostruosa scala di corpi che seguiva obliquamente il muro. I goblin andavano alla carica, salivano sul mucchio di corpi, attingendo a delle risorse che sembravano illimitate, e buttavano via le loro piccole vite. Non pareva nemmeno esserci un sacrificio cosciente in quei mostri; era evidente la mancanza di previdenza, quando incontravano la barriera e venivano calpestati da quelli che li incalzavano alle spalle. Quelli che restavano sotto mordevano selvaggiamente i piedi di quelli che li calpestavano, prima che la pressione crescente li schiacciasse. Forse i capi goblin, che erano dietro le linee, sapevano quello che facevano, ma i soldati normali stavano obbedendo solo agli ordini. Forse erano stati colpiti da un incantesimo di «carica», che dominava l'egoistico istinto di conservazione, tipico dei goblin. Dor osservava la scena con un orrore che cresceva insieme alla massa di goblin. Contro una simile marea, che difese avevano! Frecce e ciliegiebomba erano inutili; avrebbero solo facilitato la produzione di cadaveri da usare come supporto per lo strato successivo. Alla fine, Dor capì perché il Re si preoccupava tanto di quella minaccia. I goblin erano peggiori dei Mundani. Intanto, l'armata delle arpie stava riacquistando un certo ordine. Dor aveva preparato alcune frecce che avevano ingannato gli ottusi vampiri per qualche tempo. I merli parlanti erano stati di grande aiuto. Ma ora le arpie stesse si stavano adunando per una carica. Quelle creature avevano un'intelligenza quasi umana, e non si sarebbero lasciate ingannare a lungo da oggetti inanimati; sembrava si preparassero ad assaltare proprio quando i
goblin avrebbero infine superato il muro. Probabilmente questa non era né una coincidenza né un effetto della maledizione di Murphy; quegli sporchi uccellacci volevano solo essere certi che i goblin non si impadronissero del Castello. Dor e i centauri sarebbero morti schiacciati come i mostri del fossato. La cosa peggiore è che pareva non ci fosse niente da fare. I nemici erano troppo numerosi, troppo stupidi. «Questo è il momento in cui posso intervenire,» disse Vadne, sebbene fosse di poche parole. «Posso fermare i goblin... credo.» Dor lo sperava. Lanciò occhiate nervose alle altre mura. Erano più alte e meglio fornite di esplosivi, perciò sembrava avessero incontrato meno difficoltà. Si chiese come se la stesse cavando Saltatore; da lì non riusciva a vedere il ragno. Perfino la seta dell'aracnide poteva fare poco per fermare quelle miriadi di goblin. La mano di un primo goblin si aggrappò al bordo del merlo, o piuttosto nel posto dove il merlo non era stato ancora costruito. Vadne era pronta. Toccò la mano... e il goblin divenne una palla, che rotolò lungo il pendio di corpi ammassati. Apparve un'altra mano. Lei trasformò in una palla il secondo goblin. Poi arrivò una moltitudine di mani, che tennero la neo-Maga in continuo movimento. Gli strati si stavano ammassando su entrambi i lati di quel punto privo di merli,- cosicché lei doveva saltare da un lato all'altro per toccare le mani dei goblin. Sarebbe stata sopraffatta ben presto. Non poteva difendere il muro da sola. Nessuno poteva farlo. «Fate entrare le arpie,» gridò Dor agli arcieri, che stavano colpendo solo i capi di ogni carica potenziale, per ritardare di poco l'assalto. Quando le frecce cessarono, le arpie e i vampiri sciamarono verso il muro. I vampiri non erano intelligenti, ma avevano capito di essere stati imbrogliati, e ora erano assetati di sangue. Ma il nemico più ovvio per loro erano i goblin. Le creature volanti caddero sui goblin, letteralmente, e affondarono zanne ed artigli nei loro corpi. I goblin lottarono violentemente, i pugni robusti colpirono musi e occhi, le mani nerborute torsero colli. Sembravano aver perso le armi che avevano, nella scalata del muro, o forse preferivano affrontare i nemici in modo più animalesco e violento. Fu un momento di tregua per i difensori del Castello, ma ora i cadaveri si ammassavano ancora più in fretta, sempre più in alto: ormai il mucchio era alto quanto il bastione. Ben presto i goblin sarebbero stati in grado di invadere il Castello, e la magia di Vadne sarebbe stata inutile. Non aveva
nessun senso venire sepolti da migliaia di palle! «Puoi rimpicciolirli, trasformarli in granelli di sabbia?», strillò Dor al di sopra del fragore della battaglia. «No. La loro massa è sempre la stessa, qualsiasi forma io dia loro. Non posso fermarli.» Peccato. Re Trent li avrebbe fermati, trasformandoli in moscerini, tanto piccoli che non sarebbero mai riusciti ad arrivare all'altezza del muro. Oppure avrebbe trasformato un centauro in salamandra, e l'avrebbe usato per appiccare fuoco ai corpi, riducendoli rapidamente in cenere. Vadne era veramente meno di un Mago. Non che Dor stesse facendo molto meglio. Aveva aiutato a tenerli lontani per qualche tempo, ma ormai non poteva più fermarli. Poi ebbe un'ispirazione. «Trasformali in blocchi!», gridò. Vadne annuì. Si avvicinò al varco che era nei merli, mentre Dor le proteggeva le spalle con la spada. Immediatamente, cominciarono ad apparire blocchi di pietra usati nella costruzione del Castello, ma più grandi dei mattoni normali. I centauri li sistemarono sul muro, alzandolo rozzamente di qualche metro. I blocchi di goblin ora respingevano la marea di goblin! «Questo è quello che definisco un buon goblin!», esclamò Cedric. «Una testa di pietra!» Ma anche quelle buone teste di pietra non erano sufficienti. Tendevano a muoversi e a cedere, sebbene Vadne ne facesse qualcuno con i bordi ad incastro. Non avevano la densità della pietra, né la durezza, e scivolavano man mano che venivano aggiunti altri blocchi. Come aveva detto Vadne: un goblin con la forma di blocco era sempre un goblin, buono a niente. Dor si frugò la mente alla ricerca di una soluzione. Come si poteva difendere Castel Roogna da questa massa orribile di attaccanti? Anche i cadaveri erano sufficienti a seppellirlo! Dal pavimento sbucò la testa di un colombo terrestre. Dor prese il messaggio dal becco, mentre continuava a roteare la spada per proteggere Vadne. COME VA? chiedeva il messaggio. «Ripeti continuamente quello che ti dico, finché il Re non ti sentirà,» disse Dor alla carta. Non poteva permettersi di distogliere l'attenzione dai goblin e dalle arpie, tanto da scrivere un biglietto. «Possiamo resistere solo per altri cinque minuti. Situazione disperata.» Rimise il biglietto nel becco del colombo, e lo vide nuotare, o piuttosto volare attraverso il pavimento. Non gli piaceva mandare un messaggio così disperato, ma doveva essere realistico. Lui, Vadne e i centauri avevano fatto il possibile, ma non era
abbastanza. Se quel muro fosse caduto, sarebbe caduto tutto il Castello. L'attacco era più che mai simile ad una burrasca violenta, con la marea di goblin in superficie e le nubi di arpie in aria. Non avevano nessun modo di fermare quella valanga di creature. Gli zombie avrebbero potuto annullare quella minaccia? Sì, avrebbero potuto, decise Dor. Perché il Signore degli Zombie avrebbe trasformato i corpi ammassati in zombie, che avrebbero respinto i goblin vivi, e gran parte di quelli morti, lontano dai bastioni. Se solo il Signore degli Zombie fosse stato lì! Dopo qualche attimo, il Re era sul muro. «Oh, misericordia!», esclamò Roogna. «Non avevo idea che la situazione fosse così disperata! Le due ali dell'orda dei goblin devono essere convenute in questo punto, e devono aver raddoppiato l'ammasso dei corpi. Sulle altre mura sono ancora a metà strada. Avresti dovuto chiamarmi prima.» «Eravamo troppo occupati a combattere i goblin,» disse Dor. Poi spinse da parte il Re, mentre un'arpia gli si tuffava addosso. L'uccellaccio mancò il Re, e imprecò. «Sì, questo è decisamente il punto critico della difesa,» disse il Re, mentre numerose palle di goblin rotolavano lungo il muro e cadevano nel cortile interno del Castello. Si chinò a guardare un blocco di goblin, che restituì lo sguardo; era spaventosamente cubico. «La marea più alta, il muro più basso. Ve la siete cavata bene.» «Non abbastanza,» disse Dor, e schivò un'altra arpia in tuffo. «Stiamo per cedere al loro assalto;» come se non fosse evidente! «Ho qualche incantesimo di emergenza nell'arsenale,» disse Roogna. «Sono pericolosi, perciò non volevo usarli, ma temo che l'occasione sia arrivata.» Evitò un vampiro. «Andateli a prendere!», gridò Dor, disperato all'idea di quel ritardo. Perché il Re non gli aveva detto che c'erano altre magie a disposizione? «Vostra Maestà!» «Oh, li ho portati con me, in caso servissero.» Il Re mostrò una fialetta con un liquido chiaro. «È il succo digestivo concentrato dello stomaco di un drago. Deve essere lanciato sopravvento rispetto al bersaglio, sottovento rispetto al lanciatore. Se qualche corrente d'aria...» Scosse il capo, malinconicamente. «La maledizione di Murphy potrebbe costarci un Re. Mettetevi al riparo, per favore.» «Vostra Maestà!», protestò Vadne. «Non potete mettere a rischio la vostra vita!»
«È naturale che posso,» la riprese il Re. «Questa è la mia battaglia, per la quale tutti voi state rischiando le vostre vite. Se la perdiamo, io sono perso comunque.» Si inumidì un dito e lo tenne al vento. «Bene, soffia verso ovest. Posso liberare il muro. Ma non vi avvicinate finché non è sgombro.» Si recò all'angolo nord-est. «Ma la maledizione farà cambiare il vento!», protestò Dor. «La maledizione è arrivata al suo limite estremo,» disse il Re. «Per questa magia non occorre molto tempo, e non credo che il vento cambierà.» I goblin si stavano arrampicando oltre il bordo del muro, dove venivano affrontati dalle arpie urlanti. Dor, Vadne e i centauri si ritrassero verso la superficie interna del muro, e si affollarono verso l'estremità ad est, sottovento rispetto al lancio. Il Re aprì la fialetta. Ne uscì un fumo giallastro, che fu preso dal vento e spinto oltre il bordo del muro. Scese sui goblin all'attacco... e li fuse in un liquido limaccioso e nero. Non gridarono nemmeno. Affondarono nella massa sottostante. Si dissolsero, scorsero lungo il muro di pietra, colarono in rivoletti attraverso le fessure, gocciolarono lungo i blocchi di pietra, e scomparvero alla vista. Le arpie ghermirono i goblin che si dissolvevano, furono colpite dal succo, e si sciolsero anche loro. Un fetido odore si alzò da quel liquido: l'odore del vomito caldo. Il vento girò, e riportò un filo di fumo magico verso il muro. «La maledizione!», gridò Dor, inorridito. I centauri più vicini arretrarono, cercando disperatamente di evitarlo, ma grazie alla natura maligna della maledizione, il fumo li seguì. Ad un centauro si dissolse la bella coda. «Sventolate via il fumo!», gridò Dor. «Abbiamo bisogno di ventagli!» Vadne toccò il goblin più vicino. Divenne un ventaglio enorme. Dor glielo strappò dalle mani, e lo usò per creare una corrente d'aria opposta. Vadne ne fece un altro, e poi un altro, e i centauri li presero. Tutti insieme riuscirono a creare una corrente contraria. Il fumo giallo indietreggiò come se cercasse di aggirare l'ostacolo, orribile nella sua determinazione incosciente. «Dove stai andando?», gli gridò Dor. «Andrò verso est per altri due metri, poi a nord al di sopra del muro,» replicò il fumo. «Gli avanzi migliori sono lì,» Si allontanarono dalla sua traiettoria. Il fumo seguì il percorso prestabilito, poi scomparve. «Ah, Murphy,» disse Vadne. «C'è voluta la magia di un Mago per sconfiggerti, ma ti abbiamo sconfitto.»
Dor assentì debolmente. Re Roogna, scampato per un pelo al fumo, si allontanò dal parapetto. «Ha cercato di andar male, ma non ci è riuscito. Assolutamente.» Dor guardò oltre il muro. Sotto si stendeva un oceano spumeggiante, gorgogliante, il cui livello calava man mano che l'effetto del succo penetrava nei corpi sottostanti. La marea scese, rifluì lungo il bastione e fu risucchiata dal fossato liquefacendo quanto vi era di organico. Non passò molto che a nord non c'era più nulla, tranne il mare nero. «Un altro po' di questo fumo sulle altre mura distruggerà tutta l'armata dei goblin!», osservò Dor, che si sentiva le ginocchia molli e lo stomaco ancora più molle. «Ci sono molti problemi,» disse Re Roogna. «Primo, il vento sulle altre mura soffia nella direzione sbagliata: farebbe più danni a noi che ai nemici. Secondo, non è efficace contro le forze aeree delle arpie, poiché tende a scendere e loro volerebbero al di sopra del fumo. Terzo, questa fialetta è tutto quello che avevo. Ho ritenuto che fosse troppo pericolosa per conservarla in grandi quantità.» «Questi sono problemi piuttosto gravi,» ammise Dor. «Quale altra magia c'è nel vostro arsenale?» «Niente di adattabile rapidamente, temo. C'è il flauto magico che ho creato, in via sperimentale, dal frutto di un albero dei flauti: suona da solo quando viene soffiato, e tutte le creature lo seguono per sempre. Ma non abbiamo bisogno di attirare qui i goblin o le arpie, vogliamo mandarli via. C'è anche un anello magico: qualsiasi cosa vi passi attraverso, scompare per sempre. Ma ha solo cinque centimetri di diametro, perciò vi possono passare attraverso solo oggetti di piccole dimensioni. E poi c'è un Incantesimo dell'Oblio.» Dor rifletté. «Non potreste invertire la magia del flauto, in modo che allontani le creature?» «Potrei, se la maledizione non interferisce. Ma trascinerebbe via anche noi.» «Uhm. E va bene. Vadne potrebbe allargare l'anello?» Il Re si frugò in una tasca. «L'unico sistema è provare.» Prese un anello d'oro e lo porse a Vadne. «In realtà, non sono molto allenata con gli oggetti inanimati,» disse lei. Ma prese l'anello e si concentrò. Per un momento non accadde niente, poi l'anello si allargò. Divenne sempre più grande, ma nello stesso tempo l'oro che lo componeva si andava assottigliando. Alla fine, l'anello era un cer-
chio di mezzo metro di diametro, formato da un sottile filo dorato. «Meglio di così non posso,» disse Vadne. «Se cerco di allargarlo di più, si romperà.» Aveva un'aria stanca, evidentemente quella magia le era costata molta fatica. «Dovrebbe servire,» disse Dor. Prese il corpo di un goblin e lo lanciò attraverso il cerchio. Non emerse dall'altra parte. «Sì, penso che sia utile.» Lo restituì al Re, le cui dita scomparvero quando lo toccarono. Ma riapparvero quando il Re cambiò mano. Sembrava che non fosse pericoloso maneggiare il cerchio. «E l'Incantesimo dell'Oblio,» continuò Dor, «potrebbe far dimenticare ai goblin e alle arpie il motivo per cui stanno combattendo?» «Oh, sì. È estremamente potente. Ma se lo facciamo esplodere qui al Castello, dimenticheremo tutti il motivo per cui siamo qui, e perfino chi siamo. Di conseguenza, il Mago Murphy avrebbe la sua vittoria, perché il Castello non verrebbe completato. E i goblin e le arpie continuerebbero a lottare ugualmente. Le creature di quella specie non hanno bisogno di motivi per combattere. Lo fanno istintivamente.» «Ma anche il Mago Murphy dimenticherebbe tutto!» «Senza dubbio. Ma la vittoria sarebbe sempre sua. Lui non gareggia per ottenere il potere, tenta solo di impedire che lo ottenga io.» Dor guardò la sterile distesa nera a nord, e la battaglia che ancora infuriava altrove, intorno al Castello. Il flauto del pifferaio magico, un cerchio-anello magico, e un Incantesimo dell'Oblio. Tutte magie ottime e potenti... che per l'anomalia della situazione non potevano essere adoperate per invertire il corso degli avvenimenti. «Murphy, troverò un sistema,» giurò Dor tra sé e sé. «Questa battaglia non è ancora finita.» Almeno così sperava. Capitolo 11. DISASTRO «Zombie: là!», gridò un centauro, e indicò verso est. Eccoli finalmente: gli zombie erano ai margini della foresta, al di là dei goblin in movimento. Il fumo dello stomaco di drago aveva annullato il mucchio mostruoso di goblin presso il muro nord, ma quell'effetto stava scomparendo ormai, e i goblin stavano rifluendo dalle ali est e ovest. Due erano i casi: o anche i nuovi invasori sarebbero stati dissolti, e allora la zo-
na non era sicura nemmeno per gli zombie, o non sarebbero stati dissolti, e allora gli zombie non potevano passare. Come avrebbe fatto il Signore degli Zombie ad arrivare al Castello? «Il Signore degli Zombie deve raggiungere il Castello, dove può installare il suo laboratorio magico e lavorare tranquillamente,» disse Dor. «Ora che è in vista, deve esserci un modo.» «Sì, credo che a questo punto farebbe pendere il piatto della bilancia dalla nostra parte,» convenne Re Roogna. «Ma il problema di trasporto sembra insuperabile. È difficile abbastanza tenere i mostri fuori dal Castello; qualsiasi cosa al di là dei bastioni diventa proibitiva.» «Se lo crediamo noi, lo devono credere anche loro,» disse Dor. «Forse possiamo sorprenderli. Cedric, verresti con me per una missione pericolosa?» «Sì,» disse immediatamente il centauro. Il Re gli lanciò un'occhiata, lievemente sorpreso di quel cambiamento. Evidentemente, Dor aveva ottenuto dai centauri più di quanto Roogna si aspettasse. «Voglio prendere il flauto del Re, allontanare le creature dagli zombie, e portarle in un posto dove possiamo far esplodere, senza rischi, l'Incantesimo dell'Oblio. Tutto questo impedirà ai goblin di tornare qui in tempo per interferire con il Signore degli Zombie. Ce la faresti a reggere il cerchio magico, in modo tale che qualsiasi attaccante via aerea vi passi attraverso, mentre corri per sfuggire agli attacchi via terra?» «Io sono un centauro!», disse Cedric. Risposta sufficiente. «Questa è veramente,» disse il Re, «un'avventura rischiosa!» «Non c'è niente da fare,» disse Dor. «I goblin si stanno ammucchiando lungo le altre mura. Prima che il giorno sia finito, arriveranno ai merli, e voi non avete più succo di drago per liquefarli. Dobbiamo far arrivare gli zombie!» Il Mago Murphy era salito di nuovo sul bastione. «Vai in cerca di guai,» disse. «Rispetto il tuo coraggio, Dor, ma devo insistere perché tu non vada così stupidamente nell'orda dei goblin.» «Ascolta, faccia di moccio...», cominciò Cedric. Dor lo interruppe. «Se ti preoccupassi veramente, Mago, annulleresti la maledizione. La tua vera paura è che il piano abbia successo?» Il Mago nemico non rispose. «Ci sarà bisogno di qualcuno per condurre gli zombie al Castello,» disse Vadne.
«Beh, pensavo che forse Saltatore...» «Il grande ragno? È meglio che lo tenga con te, a proteggerti le spalle,» disse lei. «Io guiderò gli zombie.» «È molto generoso da parte tua,» disse Dor, soddisfatto. «Tu puoi trasformare qualsiasi creatura che si avvicini agli zombie. Il Signore degli Zombie è l'unico che deve essere protetto; avvicinati a lui quanto più ti è possibile, e...» «Lo farò. Partiamo per questa missione, prima che sia troppo tardi.» Sia il Re che il Mago Murphy scossero il capo con rassegnazione, e sembrarono stranamente simili. Ma Roogna andò a prendere il flauto e l'Incantesimo dell'Oblio. Si organizzarono alla porta principale. Dor montò su Cedric, Saltatore gli montò accanto, e lo assicurò saldamente al dorso del centauro con la sua seta. Vadne montò un altro centauro. Gli altri centauri del muro nord si disposero lungo il muro est, con gli archi pronti. Poi la piccola comitiva uscì nella mischia di goblin e arpie. Dal muro si riversò una colonna di fuoco; i centauri lanciavano frecce infuocate e i goblin, i troll, gli gnomi, e i ghoul presero fuoco. In questo modo, si liberò momentaneamente un sentiero in quella calca fitta. Bombeciliegie e ananas continuavano a bombardare l'armata. Il bombardamento non pareva disturbare i goblin e le loro schiere, ma rese Dor estremamente nervoso. E se un ananas fosse atterrato nelle sue vicinanze? Si sarebbe ridotto a pezzetti! E, tenendo conto della maledizione di Murphy... «Cambia direzione!», strillò. Sorpreso, Cedric balzò di lato, e finì in un contingente di elfi. Ci fu un'esplosione davanti a loro. La granata sibilò sotto il naso di Dor, e lo scoppio gli perforò le orecchie. Undici corpi volarono via. Cedric deviò per evitare il profondo cratere fumante. «Ehi!», tuonò la voce di un centauro dal muro. «Mantenete la vostra direzione! Per poco non vi ho colpiti con un ananas!» Cedric ritornò sulla propria rotta. «I Centauri hanno occhi acuti e riflessi pronti,» osservò. «Altrimenti sarebbe andato male qualcosa.» La maledizione di Murphy aveva tentato, però, ed era quasi riuscita a far interferire Dor con l'ottima capacità di tiro del centauro. Dor capì che avrebbe fatto meglio a limitarsi ai propri compiti. Portò il flauto alle labbra, contento che Saltatore fosse lì ad aiutarlo, cosicché aveva le mani e l'attenzione libere. Soffiò per prova nell'imboccatura. Il flauto emise una melodia strana, ritmica, affascinante, che si alzò al di sopra del clamore della battaglia, e fece cadere un silenzio immediato.
Poi nani e gremlin, vampiri e arpie, e innumerevoli goblin, sciamarono dietro i centauri, sospinti da quella musica magica. I mostri alati si avvicinarono veloci, e si tuffarono verso Dor. Cedric contorse il suo busto umano con l'agilità tipica dei centauri, e guardò indietro mentre continuava a galoppare in avanti. Formò un arco in aria con il cerchio magico, intercettando gli sporchi uccellacci man mano che arrivavano... e tutti quelli che passavano attraverso il cerchio svanivano. Dor si chiese dove andassero, ma era troppo impegnato a suonare il flauto - se quel soffiare affannoso si poteva definire suonare - e a tenere il corpo chino, per non farsi prendere nel cerchio. Non poteva stare attento a tutti i particolari! Con due delle sue zampe, Saltatore teneva una lancia, con la quale infilzava tutti i goblin e i loro simili che si avvicinavano troppo. Nessun mostro poteva eguagliare il galoppo del centauro ma, dal momento che stavano attraversando tutta l'armata dei goblin, molti mostri si avvicinavano da ogni lato. Dor vide che Vadne trasformava i goblin che toccava in fette di torta, mentre il suo centauro colpiva le creature aeree con i pugni. Rapidamente raggiunsero il contingente degli zombie. «Seguite questa donna fino al Castello!», gridò Dor. «Io porterò via i mostri! Tappatevi le orecchie finché non sarò lontano!» Sì, sarebbe stato un bello scherzo per Murphy attirare i goblin solo per attirare il Signore degli Zombie e Millie nella stessa trappola! Ma un problema previsto era un problema in gran parte risolto. Poi si allontanò, e riprese a suonare il flauto magico. Non importava come lo suonasse: la musica emergeva nitida, dolce e allettante. E le creature la seguivano. «Dove andiamo?», chiese Cedric mentre galoppavano. Dor ebbe un'ispirazione. «All'Abisso!», gridò. «A nord!» Il centauro aumentò la velocità. L'aria fischiava nelle loro orecchie. Per prova, Dor tenne il flauto al vento, e sì: suonava. Questo gli faceva risparmiare fiato. I goblin restarono indietro, e anche gli elfi e i nani, ma i troll continuavano a tenere il passo. Cedric accelerò ancora, e allora anche i vampiri cedettero. Ma Dor continuava a suonare, e le creature continuavano a seguire. Come dovevano fare per forza. Alla velocità del centauro, non ci volle molto per arrivare all'Abisso. Dovettero aspettare di essere raggiunti dalle orde terrestri e aeree. «Adesso voglio che si avvicinino all'orlo, poi farò esplodere l'Incantesimo dell'Oblio,» disse Dor e, momentaneamente, mise il flauto da
parte. «Con un pizzico di fortuna, le arpie voleranno oltre l'Abisso e si perderanno, e i goblin non riusciranno a seguirle: di conseguenza non saranno più in grado di combattere.» «Pietà degna di lode,» trillò Saltatore. «Ma per raccoglierne qui una certa quantità, per ottenere il massimo effetto dall'incantesimo, tu devi restare a suonare il flauto per qualche tempo. Come scapperemo noi!» «Accidenti! Non ci avevo pensato! Siamo intrappolati dall'Abisso!» Dor guardò in basso il terribile salto e fu preso dalle vertigini. Quando avrebbe smesso di essere un bambino distratto? O era la maledizione di Murphy che, dopotutto, li aveva raggiunti? Dor si sarebbe sacrificato per far dimenticare la guerra ad arpie e goblin? «Posso risolvere questo problema,» trillò Saltatore. «Possiamo sorvolare in pallone l'...» «No!», gridò Dor. «C'è un mucchio di cose terribili che possono andare male, e andranno male, se sorvoleremo in pallone l'Abisso. L'ultima volta che abbiamo tentato...» «Allora possiamo calarci oltre il bordo, nell'Abisso, dove i goblin non possono seguirci,» suggerì Saltatore. «Possiamo usare l'anello magico per proteggerci dalle arpie.» A Dor non piaceva nemmeno l'idea di scendere nell'Abisso, ma le arpie, i goblin e gli altri mostri stavano affluendo numerosi, alla ricerca della musica perduta, e lui doveva prendere rapidamente una decisione. «Va bene, Cedric, tu galoppa via; sei troppo pesante per farti reggere dalla seta del ragno.» «Questo e certo!», disse Cedric. «Ma dove dovrei andare? Non credo di poter tornare al Castello. Ci sono un paio di bilioni di mostri minori che vengono in questa direzione, e io dovrei oppormi a tutta la marea.» «Va' da Celeste,» suggerì Dor. «Il tuo lavoro qui è finito onorevolmente, e lei sarà felice di vederti.» «Ma prima devo passare dallo stregone!», esclamò Cedric, con un ghigno. Fece un cenno di saluto, poi galoppò verso ovest. Saltatore riattaccò il tirante a Dor, poi si calò lungo il ripido pendio. Quelle camminate disinvolte su una parete quasi verticale stupivano ancora Dor. Comunque, in quel momento quella capacità era decisamente utile. Dor riprese a suonare il flauto, perché i goblin cominciarono a perdere interesse. La musica li spinse impetuosamente in avanti. Gli si avvicinarono con tanta rapidità che si incastrarono l'uno nell'altro, e si bloccarono. Ma di dimenavano con tanta violenza che Dor sapeva che il blocco avreb-
be ceduto da un momento all'altro. Ma continuava a suonare, in attesa che Saltatore gli dicesse che era pronto. Infine i suoi nervi cedettero. «Sei pronto?», gridò. E i goblin, liberati momentaneamente dalla implacabile spinta in avanti, si rilassarono... e il blocco cedette. Dor annaspò in cerca della spada, pur sapendo che non avrebbe mai potuto resistere a quella massa di nemici, ma... Ma a che cosa stava pensando? Doveva usare l'anello magico! Cedric glielo aveva lasciato. Lo sollevò e lo tenne davanti a sé. Il primo goblin si slanciò direttamente su Dor che per poco non lasciò cadere il cerchio, per la paura che la creatura si fracassasse contro di lui. Ma quando ebbe attraversato il cerchio, il goblin svanì. Proprio davanti alla sua faccia, come se avesse colpito una parete invisibile e fosse stato respinto. Che magia potente! «Pronto!», trillò Saltatore da sotto. Appena in tempo, perché altri tre goblin stavano caricando, e Dor non era certo che sarebbe riuscito a farli passare tutti e tre attraverso il cerchio. Molto probabilmente l'avrebbero spinto, e il loro peso l'avrebbe trascinato nel dirupo. «Saltatore!» Dor si fidava dell'amico. Saltò. All'indietro, nel dirupo. Volò nell'abisso, sfuggendo alla presa dei goblin, oscillò verso il basso e lateralmente, perché Saltatore, previdentemente, aveva manovrato i fili in modo che Dor non urtasse contro la parete. Il ragno pensava sempre a tutto prima di Dor, anticipava quello che poteva andare male e lo annullava. Perciò la maledizione di Murphy aveva poco potere su di lui. Per questo motivo Saltatore aveva impiegato tanto tempo a preparare tutto, pur sapendo che Dor era in una situazione disperata, ai bordi del canyon. Si era assicurato che nessun errore tradisse Dor. E quella era, naturalmente, la risposta alla maledizione. Maturità. Solo una persona superficiale e incurante poteva cadere vittima della maledizione, poiché le dava la possibilità di agire. I vampiri e le arpie sciamarono verso il basso, sebbene la maggioranza lottasse con i goblin ai bordi dell'Abisso. «Afferra! Afferra!», strillavano. Una caratterizzazione perfetta. Dor si trovò ad oscillare all'indietro. Teneva il cerchio davanti a sé, e lo muoveva verso l'orrendo stormo. Dove passava l'anello, non restava nemmeno un'arpia. Ma lo assalivano da ogni lato... Allora Saltatore lo tirò verso la parete, in modo che Dor avesse la schiena coperta e potesse tenere il cerchio davanti a sé. Dor si accorse allora che il margine del dirupo non era levigato. Il ragno aveva usato con intelligen-
za le sporgenze per ancorare una struttura di fili, in modo che Dor avesse lo spazio per oscillare lontano dalla parete. Una notevole impresa di ingegneria che nessun altro tipo di creatura avrebbe compiuto in così breve tempo. «Dammi l'anello!», trillò Saltatore. «Tu suona il flauto!» Giusto. Dovevano richiamare quante più creature fosse possibile in quel luogo. Dor tese a Saltatore l'anello e portò il flauto alle labbra. Saltatore si muoveva rapidamente, usando il cerchio per proteggere sé a Dor. Allora le arpie si tuffarono nel dirupo con un intento chiaro, attirate dalla musica. Passarono attraverso il cerchio, si fracassarono contro la parete, si colpirono tra loro e caddero dritte nell'Abisso, con le ali sporche che fluttuavano libere. I vampiri non facevano di meglio. Poi i goblin e i troll cominciarono a cadere dal bordo, anch'essi richiamati dalla musica del flauto. Dor esclamò. «Li stiamo uccidendo! Questa non era la mia intenzione! È il momento di lanciare l'Incantesimo dell'Oblio!» «Ne rimarremmo vittime anche noi,» gli ricordò Saltatore. «Parlagli.» «Parlargli? Oh!» Dor prese l'ampolla di vetro. «Incantesimo, come vieni fatto esplodere?» «Esplodo quando una voce me lo ordina,» replicò l'ampolla. «Una qualsiasi voce?» «È quello che ho detto.» Dor aveva ottenuto la sua risposta. Mise l'ampolla in una nicchia nella parete. «Conta da uno a mille, poi datti l'ordine di esplodere,» le disse. «Senti, è proprio furba questa!», disse l'incantesimo. «Uno, due, trequattro-cinque...» «Piano!», disse aspramente Dor. «Un numero a secondo.» «Uff...» Ma l'incantesimo riprese a contare più lentamente. «Sette, otto... che guastafeste!... nove, dieci, vecchia con i ceci!» «Che cosa?», stridette un'arpia vicina, prendendola come un'offesa personale. Si tuffò verso l'ampolla, ma Saltatore la intercettò con il cerchio. Un altro guaio potenziale era stato scongiurato. «E non dire niente che offenda le arpie,» Dor disse all'incantesimo. «Ah, puah. Undici, dodici...» Saltatore si mosse rapidamente di lato, assicurò l'altro capo di un nuovo filo che aveva attaccato a Dor, e lo tirò. Non era veloce come correre su un terreno piano, ma era utile. Si mossero costantemente verso occidente, lontano dall'ampolla dell'in-
cantesimo. Dor continuò a suonare di tanto in tanto il flauto, per tenere i goblin ammassati sull'orlo senza farne cadere troppi. Sentì svanire in lontananza la voce dell'incantesimo, e questo rese urgente la fuga. Era un problema organizzativo. Lui e Saltatore dovevano arrivare abbastanza lontano da non essere nel raggio d'azione dell'incantesimo, senza, però, attirare anche i goblin e le arpie al di fuori di esso. Inevitabilmente, una buona quantità di mostri sarebbe scappata, ma forse quelli storditi dalla detonazione dell'incantesimo avrebbero apportato una confusione sufficiente alle armate, e avrebbero impedito agli altri di tornare al Castello. Sembrava non esserci una strategia ben delineata. Doveva solo arrangiarsi quanto meglio possibile, confidando di trarne abbastanza profitto da mettere in vantaggio Castel Roogna. Dopotutto, aveva funzionato bene con l'assedio mundano al castello del Signore degli Zombie. Quanto sarebbe stato bello se ci fossero state soluzioni semplici per tutti i problemi della vita! Ma quanto più Dor si avvicinava all'età adulta, tanto meno soddisfacenti diventavano quelle soluzioni. La vita stessa era complessa, perciò le soluzioni della vita erano comprese. Ma occorreva una mente matura per apprezzare le contorsioni di quella complessità. «Centocinque, centosei, asino che sei!» cantilenava l'incantesimo. «Centosette, centootto, tutti a testa sotto!» Quella era una mente semplice! Dor si chiese ancora una volta che raggio avrebbe avuto l'esplosione. L'Abisso l'avrebbe incanalata? In quel caso, l'incantesimo sarebbe arrivato lungo il canyon, invece di salire sul bordo, dove erano i goblin. Forse lui e Saltatore avrebbero dovuto risalire sull'orlo prima che esplodesse l'incantesimo, e acquattarsi a terra, sperando di essere al riparo dall'effetto diretto dell'incantesimo. Ma non potevano risalire troppo vicino ai goblin, che si aggiravano intorno all'orlo. Le arpie cercavano ancora di colpirlo, costringendo Saltatore a saltare con il cerchio. Fortunatamente, il grosso della loro attenzione era preso dai goblin, i loro nemici principali. Dor e Saltatore erano solo bersagli casuali, attaccati solo perché erano lì. Tranne se Dor suonava il flauto, come continuava a fare di tanto in tanto. «Trecentoquarantasette, trecentoquarantotto, zuppa di pancotto,» diceva l'incantesimo, sempre più lontano. Fin quando l'avesse sentito, doveva presumere di trovarsi nel raggio d'azione dell'incantesimo. «Non possiamo andare più veloci?», chiese nervosamente Dor. Pensava che stessero muovendosi rapidamente, ma i numeri erano passati con subitaneità da cento a trecento. A meno che l'incantesimo non stesse imbrogliando, saltando i numeri... no, gli inanimati non hanno l'intelligenza per
imbrogliare. Dor era stato distratto dai suoi sforzi e dai pensieri cupi. «Non è prudente, amico,» suggerì Dor al ragno. «Così potrai allacciare i fili più velocemente.» Saltatore fu d'accordo, e gli porse il cerchio magico. Un'altra arpia si tuffò, lanciando strida. Dor la raccolse nel cerchio, e lei scomparve senza dire né ah né bah. Che cosa accadeva alle creature che attraversavano il cerchio? Le arpie sapevano volare, i goblin sapevano saltare; perché non ne uscivano? Dall'altra parte, c'era un inferno che li uccideva istantaneamente? Non gli piaceva. Saltatore era avanti a sistemare l'ancora per la successiva oscillazione. Dor ebbe qualche attimo di solitudine. Infilò un dito nel centro del cerchio, dal lato opposto, e lo vide sparire dalla sua parte. Vide il dito in sezione obliqua, come se fosse stato reciso da una lama: la pelle, i capillari, i tendini, l'osso. Ma non sentì dolore. Il suo dito sentiva una sensazione di frescura, non di freddo. Non c'era nessun inferno, lì, e nessun gelo. Ritrasse il dito e lo trovò intatto, con suo sollievo. Lo infilò dal lato più vicino, e ottenne lo stesso effetto, solo che questa volta non vedeva la sezione obliqua. Sembrava che entrambi i lati del cerchio portassero dove portavano. Un mondo diverso? Saltatore tirò il filo, e Dor oscillò, sentendosi in colpa per quegli esperimenti rischiosi. Avrebbe potuto perdere un dito in quel modo. Beh, forse no; aveva visto le dita del Re scomparire e riapparire intatte. «Controlliamo che cosa fanno i goblin,» disse Dor. Per qualche tempo, non aveva suonato il flauto. Il ragno si arrampicò rapidamente lungo la parete per sbirciare con due o tre occhi oltre il bordo, tenendo giù il resto del corpo. «Sono tutti raggruppati,» trillò. «Credo che seguano le arpie... che stanno seguendo noi.» «Oh, no! Murphy colpisce ancora! Non possiamo allontanarci dall'Abisso, se loro ci seguono!» «Dovremmo essere lontani dal raggio d'azione dell'incantesimo ora,» trillò Saltatore per consolarlo. «Allora ne sono lontani anche i goblin e le arpie! Questo non è un bene!» Dor sentì che stava diventando isterico. «Il nostro tentativo doveva essere quello di allontanare dal Castello un gran numero di creature,» osservò Saltatore con giudizio. «Il nostro scopo era distrarle in modo che il Signore degli Zombie riuscisse ad entrare a Castel Roogna. Se lui ha avuto successo, anche noi abbiamo avuto successo.» «Credo di sì,» convenne Dor, più calmo. «Di conseguenza, non importa
molto se le arpie e i goblin non vengono colpiti dall'Incantesimo dell'Oblio. Ma come faremo mai ad uscire da qui? È troppo tardi per bloccare lo scoppio dell'incantesimo.» «La perseveranza darà i suoi frutti. Se continuiamo fino a notte...» Saltatore drizzò il corpo, e sollevò le due zampe anteriori per sentire meglio. «Che cos'è?» Dor cercò di capire in quale direzione fosse orientato il ragno, e non ci riuscì. Dannazione a quegli occhi pluridirezionali! «Che cos'è che cosa?» Poi lo sentì. «Novecentoottantatre, novecentoottantaquattro, sulla testa lo scettro, novecentoottantacinque...» Un'arpia portava l'ampolla dell'incantesimo verso di loro... e l'ampolla stava per esplodere! «Oh, Murphy!», gemette Dor. «Questa volta ce l'hai fatta!» «Qual è il grande segreto di quest'ampolla parlante?», stridette l'arpia. «Novecentonovantadue, le spese sono tue,» disse l'incantesimo. «Smettila di contare!», strillò Dor all'incantesimo. «Il conteggio non si può interrompere una volta iniziato,» replicò compiaciuto l'incantesimo. «Presto,» trillò Saltatore. «Assicurerò il tirante, in modo che possiamo tornare. Dobbiamo scappare attraverso il cerchio magico.» «Oh, no!», gridò Dor. «Non dovrebbe essere pericoloso, ti ho visto provarlo.» «Novecentonovantasette, novecentonovantotto,» continuava inesorabilmente l'incantesimo. «Tutti a testa sotto!» Saltatore saltò attraverso il cerchio. Dor esitò, terrorizzato. Potevano ritornare? Ma se restava lì... «Mille!», gridò felice l'incantesimo. «Finalmente lo dico!» Dor si tuffò nel cerchio. L'ultima cosa che sentì fu: «Deto...» Arrivò nelle tenebre. Erano piacevoli, neutre. Il suo corpo sembrava essere sospeso nell'assenza di sensazioni. Era immerso in un vuoto temporale, in una sicurezza perpetua. Tutto quello che gli restava da fare era dormire. Tu non sei come gli altri, gli disse un pensiero. «Naturalmente no,» pensò Dor in risposta. Qualsiasi forse la sostanza in cui era sospeso, non permetteva una conversazione fisica, perché non c'era movimento. «Vengo da un'altra epoca. Come il mio amico Saltatore il ragno. Chi sei tu?» Io sono il Corallo-Cervello, il custode della fonte della magia.
«Il Corallo-Cervello! Ti conosco! Tu dovresti animare il mio corpo!» Quando? «Ottocento anni nel futuro. Non ricordi?» Non sono in condizione di poter ricordare, visto che per ora sono una creatura del mio tempo. «Beh, nella mia epoca tu... uh, è complicato. Ma credo che io e Saltatore faremmo meglio ad uscire da qui non appena l'Incantesimo dell'Oblio scompare.» Hai fatto esplodere un Incantesimo dell'Oblio? «Sì, un incantesimo maggiore, all'interno dell'Abisso. Per far smettere la guerra ai goblin, alle arpie e ai loro alleati. Loro...» Gli Incantesimi dell'Oblio sono permanenti, durano finché non c'è un contro-incantesimo. «Credo che questo valga solo per le creature che ne vengono colpite. Ma...» Hai fatto sì che l'Abisso dimenticasse sé stesso. «L'Abisso? Ma non è vivo! L'incantesimo colpisce solo le creature viventi, le creature che ricordano.» Perciò tutte le creature viventi dimenticheranno l'Abisso. Stupefatto, Dor comprese che era vero. Aveva fatto sì che l'Abisso fosse dimenticato da tutti, tranne che da quelli il cui oblio sarebbe stato un paradosso. Come le persone residenti nelle sue vicinanze, che altrimenti vi sarebbero caduti e morti. Le loro morti sarebbero state inesplicabili per i loro amici e i loro parenti, il che avrebbe portato a complicazioni infinite che avrebbero neutralizzato rapidamente l'incantesimo. Il paradosso era un potente contro-incantesimo naturale! Ma tutte le persone che non avrebbero avuto nessuna urgenza di saperlo, avrebbero semplicemente dimenticato l'Abisso. Nella sua epoca, era così... e ora sapeva come fosse accaduto. Era stato lui, con l'esplosione dell'incantesimo. Ma se quello che faceva lì non aveva un valore permanente, come poteva...? Non aveva tempo per rifletterci. «Dobbiamo tornare a Castel Roogna. O almeno, non possiamo restare qui. Sarebbe un paradosso se arrivassimo alla nostra epoca.» Sembrerebbe di sì. Io vi libererò dal mio fluido conservativo. La radiazione primaria dell'incantesimo non vi colpirà; la secondaria potrebbe colpirvi. Non dimenticherete la vostra identità e la vostra missione, ma potrete dimenticare l'Abisso, una volta che ve ne allontaniate. «Sono alquanto immune da questo effetto,» disse Dor. «Sono uno dei re-
sidenti nella regione dell'Abisso. Purché non dimentichi il resto.» Una domanda, prima di liberarvi. Attraverso quale apertura tu e tutte quelle creature siete entrati nel mio regno? Avevo creduto che l'ultimo grande anello fosse andato distrutto cinquant'anni fa. «Oh, abbiamo un anello di cinque centimetri di diametro, e l'abbiamo allargato a mezzo metro di diametro. Possiamo farlo tornare alle dimensioni originali quando non ci servirà più.» Ve ne sarò grato. Forse ci incontreremo di nuovo... tra ottocento anni, pensò il Corallo. Poi Dor sbucò fuori dal cerchio e dondolò dal tirante. Saltatore lo seguì. «Non avevo previsto l'immobilità,» trillò il ragno. «Non ti preoccupare. Non possiamo pensare a tutto, sempre.» Saltatore non era offeso. «È vero.» Le arpie erano visibili in lontananza, ma non prestarono più attenzione a Dor e a Saltatore. Volteggiavano in aria, cercando di ricordare che cosa stavano facendo lì. Il che era esattamente quello che Dor aveva voluto. I goblin, però, erano in una situazione più triste. Anche loro si aggiravano senza scopo, ma avevano dimenticato che i precipizi erano pericolosi, e cadevano nell'Abisso a ritmo sostenuto. L'azione di Dor aveva decimato l'orda dei goblin. «Non lo si può impedire,» trillò Saltatore, che si era accorto del suo rimorso. «Non possiamo anticipare o controllare tutte le ramificazioni di un dato avvenimento.» «Sì, credo che tu abbia ragione,» convenne Dor, ancora turbato dalla carneficina di cui era stato causa. Sarebbe diventato indifferente a quel genere di stragi quando fosse maturato? Sperava di no. Saltarono sui bordi dell'Abisso. I goblin li ignoravano, poiché non si ricordavano di loro. Lo scoppio dell'incantesimo era stato, evidentemente, devastante nei pressi dell'esplosione, cancellando completamente la memoria. Dor scorse un frammento di vetro a terra. Si chinò a raccoglierlo. Era un frammento dell'ampolla dell'incantesimo. «L'hai fatto veramente, non è vero?», gli disse. «È stata una bella esplosione!», convenne felice il frammento. «Oppure no? L'ho dimenticato!» Dor lo lasciò cadere e continuò. «Spero che Cedric si sia allontanato in tempo. Quell'incantesimo era più potente di quanto mi aspettassi.» «Cedric ce l'ha fatta sicuramente.»
Si affrettarono verso il Castello, ignorando le orde che vagavano senza meta. La battaglia non era finita a Castel Roogna, ma era evidente che la sorte era mutata. Man mano che ci si allontanava dal centro dell'esplosione dell'incantesimo, l'effetto diminuiva. Intorno al castello c'era solo un po' di confusione. Ma era rimasto solo un terzo dei goblin e delle arpie, e i bastioni erano difesi dagli zombie. Il Signore degli Zombie ce l'aveva fatta! I difensori li scorsero, e cominciarono un tiro di sbarramento con le ciliegie-bombe per aprire una via d'accesso al Castello. Ma anche così, fu necessario adoperare spada e cerchio magico per passare attraverso le armate, perché i goblin e le arpie si risentivano se degli estranei interferivano nella loro battaglia. Di conseguenza, Dor fu costretto ad uccidere ancora. La guerra era l'inferno, pensò. Lo stesso Re Roogna li accolse all'ingresso. «Meraviglioso!», gridò. «Hai sentito la metà dei mostri con il flauto e li hai colpiti con l'Incantesimo dell'Oblio. Vadne ha condotto il Signore degli Zombie nel Castello, mentre i goblin erano distratti dal flauto. Fin da quel momento sta trasformando in zombie i morti in battaglia. L'unico problema è portarli dentro.» «Allora c'è un lavoro per me,» disse Dor. Scoprì che voleva congratulazioni per aver compiuto una strage. Il Re, la gentilezza fatta persona, non fece alcuna obiezione. «La tua dedizione ti fa onore.» Saltatore si offrì di aiutarlo, naturalmente. Coperti dagli arcieri centauri che erano sui bastioni, i due amici uscirono, Trovarono i corpi migliori, li legarono con la seta, e li portarono al riparo. Poi issarono i cadaveri con i fili. Erano ormai esperti in quel lavoro. Quando ne ebbero raccolti una decina, li trasportarono al laboratorio del Signore degli Zombie. Millie era lì, pallida e scarmigliata, ma alzò gli occhi e sorrise quando Dor entrò. «Oh, sei salvo, Dor! Ero così preoccupata!» «Preoccupati del tuo fidanzato,» disse lui seccamente. «Lui sta lavorando.» «Sì, certamente,» disse Vadne. Preparava i corpi per il Signore degli Zombie; li convertiva in grandi palle che potevano essere facilmente rotolate, poi restituiva loro le forme originarie. Il risultato era che il mago produceva zombie ad una velocità tripla di quella che aveva nel suo castello. Si perdeva più tempo in tutta la procedura, che non nella trasformazione vera e propria. «Sta facendo un'armata per difendere questo Castello!» «Anche Dor ha fatto molto!», disse ostinatamente Millie.
Lusingato suo malgrado, Dor capì che Millie provava ancora qualcosa per lui, e che sarebbe stato ancora possibile... Ma doveva reprimere quei pensieri. Non solo il suo tempo in quel mondo era limitato, ma se avesse interferito con quel particolare aspetto della storia, e la sua interferenza fosse stata permanente, avrebbe paradossalmente negato tutta la sua missione originale. E poi Millie era ormai stata promessa ad un altro uomo, e Dor non aveva nessun diritto di... di fare quello che desiderava. «Tutti stiamo facendo quello che possiamo, per il bene della Terra di Xanth,» disse, alquanto incerto, visto i pensieri che lo animavano. Quanto sarebbe stato meglio per lui, se avesse trovato una ragazza più vicina alla sua età e alla sua condizione, e... «Vorrei avere un talento del calibro di un Mago completo, come il tuo,» disse Vadne al Signore degli Zombie mentre cambiava forma ad un altro cadavere. Dor notò che la neo-Maga era in grado di trattare creature viventi e morte, e oggetti inanimati come l'anello magico: un talento a largo raggio. «Tu ce l'hai,» disse sorpreso il Signore degli Zombie. «No, sono solo una neo-Maga.» «Io definirei il tuo talento topologico come un talento del calibro di un Mago,» disse, e trasformò il cadavere in uno zombie. Lei si illuminò a quel complimento, che aveva un significato ancora maggiore, perché era evidente che era stato fatto con sincerità, senza pensare al suo effetto. Vadne guardò il Signore degli Zombie con una stima nuova. Che potenza poteva avere un complimento, pensò Dor, e archiviò l'informazione di un angolo della sua mente; per consultazioni future. Dor uscì a prendere altri cadaveri. Saltatore lo aiutò, come sempre. Continuarono a lavorare finché ci fu luce, e lentamente le arpie e i goblin diminuirono mentre gli zombie aumentarono. Le arpie zombie si occupavano della difesa aerea, alleggerendo la situazione. Eppure Dor era insoddisfatto. Era entrato nell'arazzo per una missione: procacciarsi l'elisir per riportare uno zombie alla vita. Ma nel mentre la portava al termine, si era lanciato in una nuova missione: convertire il Signore degli Zombie alla causa di Re Roogna. Ora che aveva compiuto anche questa missione, ne cercava un'altra. Qual era? Ah, ecco. Quella stupida guerra tra arpie e goblin... era possibile fare qualcosa, invece di difendere Castel Roogna, distruggendo entrambi i contendenti? Perché non risolvere i problemi che avevano causato la guerra? Aveva già analizzato quella situazione e non aveva trovato nessuna so-
luzione. Ma allora il tempo a disposizione era poco. Ora che il Castello stava prevalendo, ora c'era tempo, e Dor sapeva quali fossero le magie a disposizione. Il cerchio magico, per esempio, che portava al tenebroso Iago conservativo del Corallo-Cervello... «Ho trovato!», esclamò. Saltatore diresse su di lui quattro o cinque occhi. «Ho perso qualcosa?» «Ancorami, in modo che non cada dentro. Devo attraversare il cerchio per parlare con il Corallo-Cervello.» Il ragno non fece discussioni né domande. Assicurò a Dor un robusto tirante. Dor appoggiò il cerchio magico ad una parete e vi infilò la testa. «Corallo-Cervello!», pensò, visto che era impossibile respirare o parlare nel fluido conservativo. Non era solo acqua, aveva una stasi magica. «Sono di nuovo Dor, l'uomo che viene da ottocento anni nel futuro.» «Qual è il tuo problema?», chiese parzialmente il Corallo. «Hai in deposito un'arpia maschio?» Sì. Una immatura, esiliata trecento anni fa da una rivale nella successione al trono delle arpie. «Un maschio di stirpe regale?», pensò Dor, sorpreso. Secondo la legge delle arpie un membro della Famiglia Reale non può essere giustiziato come un cittadino comune. Perciò fu messo al sicuro, e l'anello d'accesso fu distrutto. «Lo puoi liberare ora? Avrebbe un grande peso sulla nostra situazione attuale.» Lo libererò. Ma ricorda che mi devi un favore. «Sì. Parlerò di nuovo con te, tra ottocento anni.» Dor tolse la testa dal regno del Corallo. La sua testa era stata in stasi, ma il resto del corpo aveva conservato la sensibilità. Dopo qualche momento, un uccello spuntò dal cerchio. «Benvenuto, Principe,» disse Dor formalmente. La creatura allargò le ali e si orientò verso di lui. «E tu chi sei, uomocosa?» «Io sono il Mago Dor. Ti ho liberato dal regno del Corallo-Cervello.» L'arpia gli lanciò uno sguardo imperiale. «Mostra il tuo potere.» Dor raccolse una penna caduta all'arpia. «Quanti anni ha il Principe?», chiese. «Escluso il tempo dell'esilio.» «Il Principe ha dodici anni,» rispose la penna. «È la mia età!», esclamò Dor. «Sarai sicuramente un gigante quando avrai completato la crescita!»,
disse la penna. Il Principe intervenne. «Molto bene. Riconosco la tua condizione, e parlerò con te. Io sono il Principe Aroldo. Che cosa desideri?» «Tu sei l'unica arpia maschio vivente,» disse Dor. «Devi farti avanti e reclamare la corona, per conservare la tua specie. Ti chiedo solo due favori: di non coabitare con altri che con i tuoi simili, e di darmi il controincantesimo per la maledizione che il tuo popolo ha scagliato contro i goblin.» Il Principe lo guardò con alterigia. «Un favore mi hai fatto, ma osi chiedermene due! Non avrò nessun problema di coabitazione quando sarò adulto, visto che avrò tutte le arpie del mondo con cui popolare il mio harem. Per quanto riguarda l'incantesimo, non ne so niente.» «È accaduto dopo il tuo esilio. Puoi scoprirne la natura interrogando i tuoi sudditi.» «Lo farò,» disse l'arpia. «E se la scoprirò, ti fornirò il contro-incantesimo come ricompensa.» Dor condusse il Principe da Re Roogna, che trasalì per la sorpresa quando notò il sesso dell'arpia. «Una rara magia!», mormorò. «Dobbiamo consegnare il Principe Aroldo l'Arpia al suo popolo,» disse Dor al Re. «Le arpie non avranno più necessità di combattere, una volta che l'avranno.» «Capisco,» disse il Re. Guardò di sottecchi il Mago Murphy, che gli era accanto. «Dichiareremo un cessate il fuoco totale finché non sarà libero. Controllerò personalmente i bastioni, per essere sicuro che nulla vada male.» «Puoi anche riuscire a liberare l'arpia,» disse Murphy cupamente. «Ma la mia maledizione avrà effetto dovunque. Tu non hai ancora vinto.» Ma aveva l'aria stanca; era evidente che il suo talento era teso al massimo. Nessun Mago, comunque dotato, poteva resistere a lungo al potere di tre Maghi. A Dor dispiaceva quasi per lui. «Ma sto per farlo,» disse Roogna. Scortò il Principe fino al muro, e avvertì i centauri di non fare fuoco contro l'arpia. Il Principe Aroldo allargò le ali e si slanciò nel cielo. Le femmine più vicine lanciarono strida di stupore. Poi le arpie sciamarono verso il principe. Per un terribile momento, Dor temette che non avessero capito chi era, e che l'avrebbero fatto a pezzi; ma avevano capito immediatamente la sua natura. Persero ogni interesse nella guerra contro i goblin. Dopo qualche momento, tutta la flotta era volata via, lasciando ai
goblin niente da combattere, tranne qualche vampiro stanco. Poi un'arpia solitaria si staccò dallo stormo e ritornò al castello. Un centauro fischiò. «Elena!», gridò Dor, riconosciutala. «Per ordine del Principe Aroldo,» disse Elena. «Il contro-incantesimo.» Depositò un ciottolo nella sua mano. Ammiccò. «Peccato che non abbia sfruttato la tua occasione, bell'uomo, non ne avrai mai più un'altra. Ho usato l'anello che mi hai dato per chiedergli il compagno più bello possibile, e ora sono la prima concubina del Principe.» Indicò l'artiglio a cui era infilato l'anello. Evidentemente le cose accadevano in fretta tra le arpie; solo pochi minuti prima il Principe era volato via. «Buon per te,» disse Dor. «Sapevo che ci sarei riuscito,» replicò l'anello, pensando che Dor si rivolgesse a lui. «Io so fare tutto!» Elena guardò l'anello. «Oh, e così parli di nuovo!» «Da ora in poi sarà silenzioso,» disse Dor. «Grazie per il controincantesimo.» «È il minimo che potevo fare per te,» disse, e sospirò. I centauri stralunarono gli occhi. Poi l'Eletta Elena allargò le graziose ali e se ne andò. Tutti i maschi che erano affacciati al parapetto la guardarono, e perfino qualcuno degli zombie più sani ammirò le sue forme. Lanciarono sguardi di sfuggita a Dor, e si chiesero che cosa avesse fatto per attirare l'attenzione di una creatura tanto notevole. Dor era soddisfatto. Elena, alla maniera delle arpie, aveva acchiappato al volo la sua opportunità. E chi poteva dirlo: forse l'anello dei desideri aveva veramente funzionato. Dor rivolse la sua attenzione al ciottolo-incantesimo. «Come vieni evocato?», gli chiese. «Io non vengo evocato; vengo revocato,» replicò il ciottolo. «Non sono un contro-incantesimo, sono l'incantesimo originale. Quando vengo revocato, gli incantesimi si annullano.» «Come vieni revocato, allora?» «Mi devi riscaldare su una fiamma, e la mia magia evapora fino a scomparire.» Dor porse il ciottolo al Re. «Questo ciottolo dovrebbe risolvere i problemi dei goblin. Quando non avranno più ragioni di combattere, i goblin dovrebbero tornare a casa. Allora la maledizione di Murphy non potrà più far continuare la battaglia qui.»
«Sei fenomenale, Mago!», disse Re Roogna. «Hai usato la mente invece del corpo, in un modo veramente regale.» Si affrettò ad andarsene con il ciottolo-incantesimo. Il Re riscaldò il ciottolo secondo le istruzioni, ma nell'orda di goblin non si vide alcun cambiamento. Il Re non se ne spaventò. «L'incantesimo originale era insidioso,» spiegò. «Ha fatto sì che le femmine dei goblin scegliessero solo i maschi negativi. Il danno ai goblin si è compiuto nel corso di molte generazioni. Occorreranno molte altre generazioni per porvi riparo. Le femmine non sono qui, sul campo di battaglia, perciò i maschi non sanno ancora del cambiamento. Quindi non vedremo i suoi effetti immediatamente, e non ne beneficeremo noi stessi, eppure valeva la pena di fare questo lavoro. Noi non stiamo cercando solo di difendere Castel Roogna; stiamo costruendo una Terra di Xanth migliore.» Agitò con allegria una mano. «È sera; dobbiamo cenare e dormire, mentre gli zombie fanno la guardia. Credo che la vittoria sia finalmente a portata di mano.» Così sembrava. Il Mago Murphy aveva un'aria depressa. Dor, che si sentì improvvisamente stanco, mangiò di fretta, sprofondò nel letto preparato nella parte completa del Castello, e dormì tranquillamente. La mattina si svegliò e scoprì che il Signore degli Zombie era su un letto vicino, e il Mago Murphy su un altro. Tutti erano stanchi, e c'era poco spazio all'interno del Castello. La maggior parte dei goblin si era allontanata durante la notte, e aveva lasciato migliaia di cadaveri sul campo di battaglia. Gli zombie erano restati di vedetta. I centauri avevano ripreso la loro opera di costruzione, visto che non servivano più alla difesa del Castello. Sembrava probabile che Castel Roogna sarebbe stato completato come previsto. Era stata imbandita una tavola per la colazione nella sala da pranzo, tra zolle di terra, pezzi di zombie e armi abbandonate. Nella camera c'erano Re Roogna, il Mago Murphy, Vadne, Saltatore e Dor. Murphy aveva poco appetito. Sembrava scarno quasi quanto il Signore degli Zombie. «Credo sinceramente che abbiamo la vittoria in mano,» disse il Re. «Perché non abbandoni con eleganza, Murphy?» «Resta ancora un aspetto della maledizione,» disse Murphy. «Se dovesse fallire, allora sono finito, e mi ritirerò. Ma devo resistere fino a che non si manifesta.» «Abbastanza giusto,» disse Roogna. «Io ho perseverato quando sembrava che la tua maledizione avesse vinto. In realtà, se non fosse arrivato il giovane Dor con il suo amico...»
«Certamente niente di quello che ho compiuto ha influito sul risultato,» disse Dor, a disagio. Perché lì, infine, poteva essere la vittoria di Murphy. «Pensi ancora che quello che fai non sia valido?», chiese il Re. «Possiamo verificarlo subito. Da qualche parte ho uno specchio magico...» «No, io...» Ma il Re, nella sua gratitudine, già si era avviato a cercare lo specchio. «Forse è arrivato il momento di verificarlo,» disse Murphy. «Il tuo coinvolgimento, Dor, è diventato così penetrante e complesso che è difficile capire che cosa potrebbe essere annullato. Posso aver fatto un'ipotesi sbagliata. La mia maledizione ha funzionato anche contro di te?» «Credo di sì,» disse Dor. «Mi sono andate male molte cose...» «Allora le tue azioni devono avere validità, perché altrimenti la mia maledizione le avrebbe ignorate. Anzi, se i tuoi sforzi non fossero stati validi, la mia maledizione avrebbe potuto appoggiarli, in modo che avessero un ruolo importante nel falso successo di Roogna. Se il Re fosse dipeso da te invece che dalla sua propria...» «Ma come posso cambiare il mio...», Dor lanciò un'occhiata a Vadne, poi si strinse nelle spalle. Non riusciva a ricordare se la neo-Maga sapesse di lui oppure no. Che cosa importava finché Millie non lo veniva a sapere? «Il mio passato?» «Non lo so,» disse Murphy. «Avevo pensato che sarebbe stato un paradosso, e perciò non valido. Ma ci sono aspetti della magia che nessuno immagina. Forse ho commesso un grave errore, che mi è costato la vittoria. L'Abisso è dimenticato nella tua epoca?» «Sì.» Rimuginarono su quel problema, masticando focacce dal regale albero delle focacce. Poi Murphy disse: «Potrebbe essere uno di quegli avvenimenti storici i cui fattori possono essere cambiati solo finché il risultato è lo stesso. Se Re Roogna fosse destinato a vincere, non importerebbe il modo in cui arriva alla vittoria, o chi lo aiuta. Quindi il tuo coinvolgimento potrebbe essere valido, pur non cambiando niente. Stai semplicemente ricoprendo un ruolo che, in tua assenza, potrebbe ricoprire un altro individuo.» «Potrebbe essere,» convenne Dor. Si guardò intorno. Gli altri sembravano interessati alla discussione, fatta eccezione per Vadne, che taceva. Qualcosa lo turbava a questo proposito, ma non riusciva a definire che cosa fare. «Ad ogni modo, lo sapremo presto. Il mio potere si è sforzato fino all'e-
stremo,» continuò Murphy. «Se non ottengo la vittoria entro oggi, sarò inerme. Non so esattamente quale forma prenderà la mia maledizione, ma in questo momento è all'opera, e credo che si rivelerà distruttiva. Il risultato rimane incerto.» Il Re ritornò con il suo specchio. «Fatemi pensare... come devo formulare la domanda?», disse tra sé e sé. «Le richieste agli specchi vanno fatte in rima. Questo fattore è stato inserito nella loro struttura dal Mago che ha creato questo tipo di vetro. Ah.» Posò lo specchio. «Specchio, specchio del mio cuor; possiamo fidarci di Dor?» «Trito e ritrito,» mormorò Murphy. La parte anteriore di un bel centauro apparve nello specchio. «Significa che la risposta è affermativa,» disse Roogna. «Se appare la parte posteriore, la risposta è negativa.» «Ma molti centauri hanno la parte posteriore più bella di quella anteriore,» osservò Dor. «Perché non chiedergli semplicemente quale parte vincerà?», suggerì Murphy, in tono aspro. «Dubito che funzionerà,» disse il Re. «Perché se la risposta influenzasse le nostre azioni, sarebbe un paradosso. E poiché abbiamo a che fare con una magia molto forte, la domanda potrebbe essere aldilà dei poteri limitati dello specchio.» «Oh, scopriamo la risposta da soli,» disse Murphy. «Abbiamo lottato fino a questo punto, possiamo anche terminare la lotta nel modo più corretto.» «Sono d'accordo,» disse Roogna. Mangiarono altre focacce, e le annaffiarono con sciroppo d'acero, ricavato dal rarissimo acero. Diversamente dagli altri alberi magici che producevano bibite, l'acero distillava solo una goccia alla volta del suo sciroppo, ed era diluita, perciò bisognava bollire una gran quantità d'acqua per rendere lo sciroppo una vera prelibatezza. In effetti, gli aceri non esistevano più a Xanth all'epoca di Dor. Forse li aveva sfruttati troppo e, di conseguenza, quella specie magica era scomparsa come la maggior parte degli alberi mundani. Il Signore degli Zombie entrò nella sala. Vadne alzò la testa. «Vieni a sederti accanto a me,» lo invitò. Ma lui non era socievole. «Dov'è Millie la fanciulla, la mia fidanzata?» Gli altri si scambiarono sguardi perplessi. «Credevo che fosse con te,» disse Dor.
«No. Io ho lavorato fino a tardi la notte scorsa, e non sarebbe stato conveniente che restasse sola con me. L'ho mandata a dormire.» «Non ti sei comportato così al tuo castello,» osservò Dor. «Allora non eravamo fidanzati. Dopo la promessa, possiamo farci compagnia solo in compagnia di altri.» Dor pensò di chiedere a proposito del viaggio dal castello degli zombie a Castel Roogna, che aveva compreso almeno una notte all'aperto. Ma si trattenne. Sembrava che il Signore degli Zombie avesse delle idee conservatrici riguardo al decoro, e le rispettasse rigidamente. «Non è venuta a fare colazione,» disse il Re. «Deve aver dormito fino a tardi.» «Ho bussato alla porta della sua stanza, ma non ha risposto,» disse il Signore degli Zombie. «Forse non sta bene,» suggerì Dor, e immediatamente si pentì della sua schiettezza, perché il Signore degli Zombie trasalì come se fosse stato punto. Il Re intervenne con calma. «Vadne, va a controllare la stanza di Millie.» La neo-Maga se ne andò. Ben presto fu di ritorno. «La sua stanza è vuota.» Allora il Signore degli Zombie si agitò veramente. «Che cosa le è accaduto?» «Non ti preoccupare,» disse Vadne per consolarlo. «Forse si è stufata della vita del Castello ed è tornata alla sua Palizzata. Sarei felice di aiutarti in sua assenza.» Ma lui non si calmò. «Lei è la mia fidanzata! La devo trovare!» «Chiediamo allo specchio,» disse il Re. «Qual è una rima per fanciulla?» «Stella,» disse Murphy. «Grazie, Mago,» disse il Re. Appoggiò lo specchio al muro. «Specchio, specchio della mia stella, che cosa è accaduto alla...» La sedia di Dor cadde a terra mentre lui si sporgeva per vedere l'immagine che si andava formando. Lo specchio scivolò e cadde. Si spezzò in due pezzi, e non servì più a nulla. Il Signore degli Zombie lo guardò. «La maledizione di Murphy!», esclamò. «Perché dovrebbe impedirci di trovare Millie?» Si voltò infuriato verso Murphy. Il Mago Murphy allargò le braccia. «Non lo so. Ti assicurò che non ho niente contro la tua fidanzata. Mi ha colpito per il suo fascino.»
«Colpisce tutti per il suo fascino,» disse Vadne. «Il suo talento è...» «Non la denigrare!», disse il Signore degli Zombie. «È solo per lei che ho acconsentito a sporcarmi le mani con la politica! Se le succede qualcosa...» Si interruppe, e cadde un silenzio denso di significato. Improvvisamente la natura della maledizione finale fu chiara a tutti. Senza Millie, il Signore degli Zombie non aveva nessun motivo per appoggiare il Re, e Castel Roogna avrebbe perso la sua difesa principale. Sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa che interrompesse i lavori di costruzione... e sarebbe accaduta sicuramente. Murphy avrebbe vinto. Ma le arpie e i goblin erano andati via, pensò Dor. Restava qualcosa che costituisse una vera minaccia per il Castello? E capì con orrore che c'era una minaccia: gli stessi zombie. Gli zombie ora controllavano Castel Roogna. Se sì fossero rivoltati contro il Re... «Sembra che la tua maledizione abbia colpito con una precisione estrema,» disse Re Roogna, che evidentemente aveva compreso le implicazioni di quella faccenda. Il risultato era ancora incerto! «Dobbiamo trovare rapidamente Millie, e temo che non sarà facile.» «È stata la mia sedia a far scivolare lo specchio,» disse Dor, impressionato. «È colpa mia!» «Non ti accusare,» disse Murphy. «La maledizione colpisce dove è più facile, proprio come l'acqua cerca i canali più bassi. Sei stato solo usato.» «Beh, allora, la troverò!», gridò Dor. «Sono un Mago, come te.» Si guardò intorno. «Parete, dov'è Millie?» «Non chiederlo a me,» disse la parete. «È da ieri sera che non entra nella sala da pranzo.» Dor uscì nell'atrio, gli altri lo seguirono. «Pavimento, quando l'hai vista per l'ultima volta?» «Ieri sera, dopo cena,» disse il pavimento, Né la parete né il pavimento decisero di creare difficoltà per i particolari. Sapevano a chi si riferisse Dor, compresero il suo stato d'animo, e non gli diedero problemi. Dor, nel percorrere l'atrio, rintracciò a casaccio i vari percorsi di Millie. Si manifestò un problema: Millie, come gli altri, si era mossa molto durante la serata, e le pareti, i pavimenti e i pochi mobili non erano in grado di distinguere i vari andirivieni. Era una traccia che si incrociava e si riincrociava, cosicché non era possibile determinare il punto di uscita. Millie era stata lì, quando il Signore degli Zombie l'aveva mandata a dormire, e non era più tornata. Non era arrivata nella sua stanza. Dov'era andata?
«L'ingresso principale, vedi se ha lasciato il Castello,» suggerì il Re. Dor dubitava Millie se ne sarebbe andata in quel mondo almeno non volontariamente. Ma interrogò la porta principale. Non era uscita da lì. Interrogò i bastioni. Millie non vi era andata. In effetti, non era andata da nessuna parte. Era come se fosse svanita al centro dell'atrio. «Qualcuno avrebbe potuto farla sparire?», chiese Dor a voce alta. «Far sparire le persone non è un talento comune,» disse Re Roogna. «Non conosco nessuno che oggi sia in grado di fare una cosa del genere.» «Il cerchio magico!», trillò Saltatore. Oh, no! Presero il cerchio, che conservava il suo mezzo metro di diametro. «Millie la fanciulla ti ha attraversato la notte scorsa?», gli domandò Dor. «No,» disse il cerchio aspramente. «Nessuno mi ha attraversato da quando tu hai infilato la tua stupida testa e hai portato fuori il Principe delle Arpie. Quando mi farai ritornare alle mie dimensioni normali? Sto scomodo, allargato in questo modo.» «Più tardi,» gli disse Dor, sentendosi sollevato. Poi il sollievo si trasformò in ansia. Se Millie avesse attraversato il cerchio, almeno sarebbe stata sana e salva, e forse recuperabile. Così come stavano le cose, il mistero restava, e diventava sempre più critico. «Interroga il flauto,» suggerì Saltatore. «Se qualcuno l'ha suonato e ha attirato Millie da qualche parte...» Dor interrogò il flauto magico. Anche il flauto negò di essere coinvolto nella sparizione di Millie. «Potrebbe mentire?», chiese Vadne. «No,» rispose brevemente Dor. Ripercorsero nuovamente il Castello, ma non ottennero altre informazioni: la sera precedente Millie aveva lasciato il Signore degli Zombie, si era avviata verso la sua stanza... e non vi era mai arrivata. Nessuno aveva visto accaderle una disgrazia. Poi Saltatore ebbe un'altra idea. «Se Millie è stata vittima di un divertimento puzzolente...» «Che cosa?», chiese Dor. «Un gioco sporco,» disse la ragnatela, correggendo la traduzione. «Non puoi aspettarti che usi sempre l'espressione giusta.» Dor sorrise. «Continua.» Saltatore trillò ancora. «... vittima di maleodoranti trucchi, allora è probabile che ne sia responsabile un'altra persona. Dobbiamo accertare dove si trovassero tutti gli altri esseri viventi al momento della scomparsa di
Millie.» «Hai un intuito insolitamente penetrante,» disse Re Roogna al ragno. «Vedi le situazioni da punti di vista insospettati e nuovi.» «Dipende dal fatto che ho gli occhi dietro la testa,» disse Saltatore con praticità. Interrogarono gli altri. I centauri erano rimasti sui bastioni ad aiutare gli zombie. Dor, Saltatore e Re Roogna dormivano. Il Signore degli Zombie aveva lavorato fino alle ore piccole, poi era andato nella toilette degli uomini, e da lì era andato a dormire. Il Mago Murphy aveva fatto un giro innocente per il Castello, si era fermato alla toilette degli uomini, e poi era andato a letto. La Neo-Maga Vadne aveva aiutato il Signore degli Zombie, ma era andata alla toilette delle donne poco prima che Millie fosse mandata a dormire. Era ritornata a lavorare più tardi con il Signore degli Zombie, poi era andata nella sua stanza a dormire. Non c'era nessuna traccia da quella parte. «Che cosa accade nella toilette delle donne?», chiese Saltatore. «Uh, anche le donne hanno le loro funzioni,» disse Dor. «Escrezioni. Capisco. Millie è andata nella toilette?» «Spesso. Le donne giovani hanno un grande amore per luoghi simili.» «Ne è uscita l'ultima volta?» Gli uomini si guardarono. «Non abbiamo controllato lì?», gridò Dor. «E voi uomini vorreste andare a curiosare in un posto del genere!», protestò Vadne. «È indecente.» «Faremo solo domande lecite,» l'assicurò il Re. «Niente voyeurismo.» Vadne non parve soddisfatta, ma non protestò oltre. Si recarono alla toilette delle donne, dove Dor, alquanto diffidente, chiese alla porta: «Millie la fanciulla è entrata qui la notte scorsa?» «Sì. Ma non ti dirò che cosa aveva da fare,» disse orgogliosamente la porta. «Poi è uscita?» «Pensa quello che vuoi, non è più uscita,» disse la porta, sorpresa. «Doveva avere parecchio da fare!» Dor alzò gli occhi per incontrare quelli verdi di Saltatore che erano fissi su di lui. Avevano trovato Millie! Quasi. Entrarono. La toilette delle donne era pulita, vi erano molti bacilli e vasi, e un grande pozzo nero per l'eliminazione dei rifiuti. In un angolo c'era un montacarichi per inviare al piano superiore la biancheria di bucato. Nient'altro.
«Millie non è qui,» disse Dor, deluso. «Allora questo è il posto da cui se ne è andata, disse il Re. «Interroga tutti gli oggetti di questa stanza, se è necessario, finche non scopriamo esattamente le modalità del suo decesso. Volevo dire dipartita,» si corresse in fretta, cosciente della presenza del cupo Signore degli Zombie. Dor interrogò gli oggetti. Millie era entrata, si era avvicinata ad un bacile, aveva guardato il proprio volto, bello ma stanco, riflesso in un specchio mundano... e Vadne era entrata nella stanza. Vadne aveva spento la Lanterna Magica. Nel buio, Millie aveva strillato per la sorpresa e lo spavento, c'era stato un fruscio, come se qualcuno agitasse i capelli, e uno scalpitio sul pavimento, come se qualcuno scalciasse. Questo era tutto. Vadne aveva lasciato la stanza da sola. La luce era rimasta spenta fino al mattino... quando non c'era più traccia di Millie. Vadne si muoveva di traverso verso la porta. Saltatore lanciò un cappio e l'afferrò, per impedirle di scappare. «E così sei stata tu?», gridò il Signore degli Zombie. La sua faccia scarna era contorta da una rabbia incredula, gli occhi erano fiammeggianti. «L'ho fatto solo per te,» disse lei, confessando tutto. «In ogni caso, lei non ti amava, amava Dor. Ed era solo un fenomeno da baraccone, non aveva il talento del calibro di un Mago. Tu hai bisogno di una...» «Lei era la mia fidanzata!», gridò il Signore degli Zombie, il volto stravolto dall'ira. Dor dentro di sé sentiva la stessa passione di quell'uomo. Il Signore degli Zombie l'amava, come Dor. «Che cosa ne hai fatto di Millie, strega?» «L'ho messa dove non la troverete mai!», strillò Vadne. «Questo è omicidio,» disse Re Roogna, truce. «No!», gridò Vadne. «Non l'ho uccisa. L'ho solo... trasformata.» Dor capì la strategia di Vadne. Il Signore degli Zombie avrebbe potuto rianimare il cadavere di Millie. Così come stavano le cose, non poteva fare niente. Saltatore scrutò nel pozzo nero con i suoi occhi più grandi. «È possibile?», chiese. «Svuoteremo tutto il pozzo nero per trovarla!», gridò il Re. «E poi,» disse Vadne, «che cosa farete? Senza di me non potete restituirle quel suo stupido corpo.» «Neo-Maga,» disse Re Roogna, truce. «Ti siamo grati per l'aiuto che ci hai dato durante questa battaglia. Non vogliamo mostrarti il nostro sfavore.»
«Oh, puah!», disse lei. «Ti ho aiutato solo perché Murphy non mi aveva voluto, e io volevo sposare un Mago.» «Hai fatto una scelta sbagliata. Se non restituisci la fanciulla, dovremo giustiziarti.» Lei fu colta di sorpresa, ma restò spavalda. «Allora non la riavrete mai più, perché i talenti non si ripetono mai.» «Ma si sovrappongono,» disse Roogna. «Nel corso di decenni, di secoli! L'unico sistema per salvarla è accettare le mie condizioni.» «Quali sono le tue condizioni?», chiese il Re, con gli occhi ridotti ad una fessura. «Dor sposerà Millie. Piace molto di più, a quella sfacciata. Io prenderò il Signore degli Zombie.» «Mai!», gridò il Signore degli Zombie, con le mani strette a pugno. Vadne lo affrontò. «Perché costringerla a sposarsi con un uomo che non ama?», domandò lei. Questo lo colpì. «Con il tempo, lei...» «Quanto tempo? venti anni, quando non sarà più così giovane e dolce? Duecento anni? Io ti amo ora!» Il Signore degli Zombie guardò Dor. Il suo volto esprimeva dolore ed emozione, ma la voce era ferma. «Dor, c'è qualcosa di vero in quello che dice Vadne. Sono sempre stato cosciente che Millie... se tu avessi...» La voce gli si spezzò, ma si costrinse a continuare. «Preferisco vedere Millie sposata con te, piuttosto che imprigionata in qualche forma orrenda. Se tu...» Dor capì che gli veniva di nuovo offerta Millie. Tutto quello che doveva fare era accettarla, e lei sarebbe tornata e Castel Roogna, sarebbe stato salva. Un suo semplice sì avrebbe annullato l'ultimo danno della maledizione di Murphy. Era tentato. Ma comprese che quella trasformazione era il destino che lui si aspettava per Millie. Se avesse preso Millie ora, le avrebbe potuto offrire... niente. Dor ben presto sarebbe ritornato alla propria epoca. Vadne evidentemente non ci credeva, ma era vero. Se lui rifiutava Millie, lei sarebbe rimasta imprigionata dall'incantesimo, sarebbe stata un fantasma per ottocento anni. Un destino orribile, ma inevitabile. Se avesse interferito in quel momento, avrebbe veramente cambiato la storia. Non c'era alcun dubbio, perché lo sapeva personalmente. Avrebbe creato un paradosso, il tipo proibito di magia... e per la logica perversa del-
la situazione, Murphy avrebbe vinto. La maledizione alla fine aveva costretto Dor a cambiare troppo la storia, e, di conseguenza, ad annullare se stesso. Se avesse rifiutato le condizioni di Vadne, Re Roogna avrebbe perso ugualmente, perché il Signore degli Zombie gli si sarebbe rivoltato contro. In entrambi i casi, il Mago Murphy avrebbe vinto. Che cosa doveva fare Dor? Dal momento che entrambe le alternative portavano al disastro, Dor poteva fare quello che riteneva più giusto, comunque fosse doloroso. «No,» disse Dor, pur sapendo che condannava Millie alle pene della vita da fantasma. Otto secoli... e quale ricompensa l'aspettava poi? Fare da balia ad un bambino! Diventare amica di uno zombie! «Lei deve andare al suo fidanzato... o a nessuno.» «Ma io sono il suo fidanzato!», gridò il Signore degli Zombie. «Io la amo, e poiché la amo, la cedo a te! Farei qualsiasi cosa, pur di impedirle di soffrire!» «Vero amore,» disse Re Roogna. «Tocca a te, Dor.» «Mi dispiace,» disse Dor. Capiva ora che il suo amore per Millie era inferiore, perché decideva di farla soffrire. Stava infliggendo coscientemente un dolore a tutti loro. Ma l'alternativa era il sacrificio di tutto quello per cui avevano lottato. Non aveva scelta. «Quello che è giusto è giusto, e quello che è sbagliato è sbagliato. Io...» Allargò le braccia, incapace di formulare il suo pensiero. Il Signore degli Zombie lo guardò tristemente. «Credo di capire.» Poi, inaspettatamente, gli offrì la mano. Dor la strinse. Improvvisamente si sentì un uomo. «Se tu non la restituirai alla sua forma originale,» disse il Re a Vadne, in tono adirato, «ti farò passare attraverso il cerchio.» «Stai bluffando,» disse Vadne. «Non rinuncerai al tuo Regno, solo per punire me.» Ma il Re non stava bluffando. Le diede ancora un'altra possibilità, poi fece portare il cerchio. «Lo farò ritornare alle sue dimensioni originali,» minacciò. «Così non potrete usarlo.» «Ma tu lo attraverserai ugualmente,» disse il Re, e c'era qualcosa nella sua espressione che la intimorì. Attraversò il cerchio e scomparve. Il Re si rivolse al Signore degli Zombie. «È una questione di principio,» spiegò. «Non posso permettere che un suddito commetta un crimine simile
impunemente. Rovisteremo questo Castello per trovare Millie in qualsiasi forma sia stata trasformata, e scopriremo quale magia può ritrasformarla. Forse, periodicamente, possiamo richiamare Vadne dal lago conservativo per vedere se è pronta a ritrasformare la fanciulla. Con il tempo...» «Il tempo...» ripeté il Signore degli Zombie, con la voce rotta dal pianto. Tutti sapevano che quel progetto avrebbe richiesto forse tutta una vita. «Intanto, mi scuso umilmente per quello che è accaduto, faciliterò in ogni modo il ritorno al vostro castello. Spero che un giorno ci incontreremo in circostanze migliori.» «No, non ci incontreremo più.» A Dor non piacque il tono in cui fu detta quella frase, ma restò in silenzio. «Capisco,» disse il Re Roogna. «Chiedo di nuovo scusa. Non vi avrei chiesto di portare qui gli zombie, se avessi saputo quale forma avrebbe preso la maledizione. Mi dispiace vederli andare via.» «Gli zombie non stanno andando via,» disse il Signore degli Zombie. Dor avvertì una paura crescente. Che cosa aveva intenzione di fare il Signore degli Zombie, nel suo dolore e nella sua disillusione? Avrebbe potuto distruggere tutto, e non c'era nessun modo di fermarlo tranne che ucciderlo. Dor irrigidì le braccia, rifiutandosi di toccare la spada. «Ma non c'è niente che vi trattenga qui ormai,» disse Re Roogna. «Io non ho comprato Millie con il mio aiuto, non ho comprato la sua mano!», gridò il Signore degli Zombie. «Sono venuto qui perché ho capito che le avrebbe fatto piacere, e non voglio darle un dispiacere nemmeno ora che è morta, cambiando le mie decisioni. I miei zombie resteranno qui fin quando ci sarà bisogno di loro, ad aiutare Castel Roogna a superare questa crisi e le altre che verranno. Sono vostri per l'eternità, se li volete.» La bocca di Dor si spalancò. «Oh, li voglio!», disse il Re. «Preparerò un bel cimitero per loro, dove potranno riposare tra una crisi e l'altra. Li nominerò i Guardiani d'Onore di Castel Roogna. Ma...» «Basta,» disse il Signore degli Zombie, e si voltò verso Dor. Ma non parlò. Lanciò a Dor uno sguardo enigmatico, poi uscì lentamente dalla stanza. «Allora io ho perso,» disse Murphy. «La mia maledizione ha funzionato, ma è stata sconfitta dalla lealtà del Signore degli Zombie. Non posso sopraffare gli zombie.» Anche lui se ne andò. Restarono Dor, Saltatore e il Re. «È una vittoria triste,» disse Roogna.
Dor non poteva che essere d'accordo. «Resteremo per aiutarvi a pulire il Castello, Vostra Maestà. Poi Saltatore ed io dobbiamo tornare alla nostra terra.» Ritornarono, tristi e afflitti, nella sala da pranzo, ma nessuno si curò di finire la colazione. Si misero al lavoro: seppellirono i cadaveri rimasti sul campo di battaglia, rimossero i rifiuti, rimisero in ordine i libri caduti nella biblioteca. Il palazzo principale non era stato ancora costruito, ma la biblioteca era come sarebbe stata ottocento anni dopo, a parte i particolari decorativi. Un grande volume era in qualche modo finito nel montacarichi. Dor tenne il libro tra le mani per un momento, colpito da una strana sensazione, poi lo mise su uno scaffale nella biblioteca. Nel pomeriggio trovarono il Signore degli Zombie impiccato ad una trave. Si era suicidato. In qualche modo Dor sapeva - o avrebbe dovuto sapere - che sarebbe finita in quel modo. L'amore era stato troppo improvviso, la perdita troppo ingiusta. Il Signore degli Zombie sapeva che Millie sarebbe morta, sapeva che cosa avrebbe fatto. A questo si riferiva quando aveva detto al Re che non si sarebbero incontrati mai più. Ma quando lo tirarono giù, si rivelò l'aspetto più sorprendente e più macabro del disastro: il Signore degli Zombie non era precisamente morto. In qualche modo, si era trasformato in uno zombie. Lo zombie si allontanò con passo strascicato, e non fu più visto. Ma Dor era sicuro che stesse soffrendo, e avrebbe sofferto in eterno, perché gli zombie non muoiono mai. Che punizione si era inflitto il Signore degli Zombie nel suo dolore! «In un certo senso, è giusto,» mormorò Re Roogna. «È diventato uno dei suoi zombie.» Il personale del Castello, che il Re aveva mandato a casa per la battaglia, stava tornando. Le cameriere e i cuochi, i cavalli e i draghi. L'attività riprese, ma a Dor le sale sembravano vuote. Che vittoria avevano ottenuto! Una vittoria dolorosa, disperata e colma di rammarico. Infine Dor e Saltatore si prepararono a partire, poiché sapevano che l'incantesimo, che li aveva portati nell'arazzo, li avrebbe presto portati a casa. Volevano essere lontani da Castel Roogna quando fosse accaduto. «Governate bene, Re Roogna,» disse Dor, mentre stringeva la mano del monarca per l'ultima volta. «Ti auguro ogni bene, Mago Dor,» replicò Roogna. «Ti auguro ogni successo e ogni felicità nella tua terra, e so che quando verrà il tuo momen-
to di governare...» Dor fece un gesto di disprezzo. Aveva imparato molto, lì... più di quanto avrebbe voluto. Non voleva pensare a che cosa avrebbe fatto, se fosse diventato Re. «Ho un regalo per voi,» disse Saltatore, offrendo una scatola al Re. «È l'arazzo-puzzle che il Signore degli Zombie mi ha dato. Non posso portarlo via con me. Vi chiedo di montarlo a vostro comodo, e appenderlo alla parete di qualsiasi stanza riterrete più adatta. Vi procurerà molte ore di divertimento.» «Avrà sempre un posto d'onore,» disse il Re, accettandolo. Poi anche a Dor venne in mente qualcosa. «Anch'io ho un oggetto importante che non posso portare con me. Ma posso recuperarlo, dopo ottocento anni, se voi sarete tanto gentile da incantarlo all'interno dell'arazzo.» «Non c'è nessun problema,» disse Re Roogna. Dor gli diede la fialetta dell'elisir per ridare la vita agli zombie. «Lo farò rispondere alle parole 'Salvatore di Xanth.'» «Uh, grazie,» disse Dor imbarazzato. Dor salì sui bastioni per salutare i centauri che erano restati. Cedric non c'era, naturalmente, visto che era tornato a casa. Ma Egor l'Orco era presente, e Dor gli strinse con cautela la grande mano ossuta. Era tutto fatto. Dor non era più abile nelle separazioni che nei saluti. Si allontanarono dal Castello, attraversarono il campo di battaglia, abbandonato e distrutto... e finirono in una maligna macchia di erba-sega che era ai bordi. Saltatore, più attento di Dor, lo allontanò appena in tempo dalla sega più vicina. Ritornarono nella giungla. Le visibili, tangibili regioni selvagge, dove il male aveva una certa finezza. In qualche modo sembrava di essere a casa. Eppure mentre avanzavano metodicamente nella foresta, evitando trappole, pericoli, e annullando rischi in un modo che era loro abituale, Dor scoprì di essere turbato da un dolore che non era legato solo agli esseri umani. Rimuginò, e infine capì. «Sei tu, Saltatore,» disse. «Stiamo per tornare a casa. Ma lì io sono un ragazzino, e tu sei un piccolo ragno. Non ci vedremo mai più! E...» Sentì che stavano per spuntargli delle lacrime da bambino. «Oh, Saltatore, sei il mio migliore amico, sei stato al mio fianco nell'avventura più importante e più pericolosa della mia vita, e... e...» «Ti ringrazio per il tuo interesse,» trillò il ragno. «Ma non è necessario che ci separiamo completamente. La mia casa è accanto all'arazzo. Ci sono
molti insetti grassi e pigri che cercano di mangiarne la stoffa, e ora ho una ragione particolare per tenerli lontani. Cercami lì, e mi troverai sicuramente.» «Ma... ma tra tre mesi io sarò solo un ragazzino e un po' più grande... e tu sarai morto!» «È la durata naturale della mia vita,» lo rassicurò Saltatore. «In questi tre mesi vivrò quanto tu vivrai nei prossimi trent'anni. Racconterò ai miei figli di te. Sono felice che mi sia stata data l'opportunità di conoscere la vostra specie. Altrimenti, non avrei mai capito che anche le specie giganti hanno un'intelligenza e provano sensazioni. Ho imparato cose importanti, e ne sono soddisfatto.» «E anche io!», esclamò Dor. Poi spontaneamente, gli porse la mano. Il ragno alzò solennemente una zampa anteriore e strinse la mano di Dor. Capitolo 12: RITORNO Un momento prima Dor dondolava appeso ad un filo di ragno su un piccolo abisso; il momento dopo era nel salotto di Castel Roogna, davanti all'arazzo. «Sei tu, Dor?», chiese una voce familiare. Dor si guardò intorno e scorse una figura minuscola, umanoide. «Naturalmente, sono io, Grundy,» disse al golem. «Chi altri vuoi che sia?» «Il Corallo-Cervello, naturalmente. Nelle ultime due settimane è stato lui.» Naturalmente. Dor si riprese rapidamente. Non era più un Mundano grosso e muscoloso; era un ragazzino piccolo e minuto, di dodici anni. Era nel suo corpo. Beh, sarebbe cresciuto a tempo debito. Si concentrò sull'arazzo, in cerca di Saltatore. Il ragno avrebbe dovuto essere laddove si trovavano quando l'incantesimo si era invertito, nelle regioni selvagge... ah, c'era una macchiolina. Dor si sporse a guardare la minuscola creatura, tanto piccola che l'avrebbe potuta schiacciare con la punta del mignolo. Non che avrebbe mai fatto una cosa del genere! La creatura alzò in un cenno di saluto una zampa anteriore in segno di saluto. «Dice che hai uno strano aspetto nel tuo vero corpo,» disse Grundy. «Dice...» «Non ho bisogno di traduzioni!», disse Dor, in tono aspro. Improvvisamente gli occhi gli si annebbiarono di lacrime, non sapeva se di gioia o di dolore. «Noi... noi ci rivedremo, Saltatore. Presto. Tra pochi
giorni... pochi mesi, secondo il tuo tempo... voglio dire... oh, Saltatore!» «A chi interessa uno stupido insetto?», chiese Grundy. Dor strinse un pugno, e per un istante ebbe la tentazione di schiacciare Grundy e ridurlo nella poltiglia da cui era nato. Ma si controllò. Grundy come poteva sapere che cosa significasse Saltatore per Dor? Grundy apparteneva al vecchio mondo, non illuminato. Non c'era niente che Dor potesse fare. Il ragno aveva la sua vita da vivere, e Dor aveva la sua. La loro amicizia era indipendente dal tempo e dalle dimensioni. Ma oh, sentiva una fitta al cuore! Era un altro aspetto del diventare uomini? Ne valeva la pena? Ma Dor aveva amici anche lì. Non doveva permettere che la sua esperienza nel mondo dell'arazzo l'allontanasse dal suo mondo. Distolse lo sguardo dall'arazzo. «Salve, Grundy. Come vanno le cose nel mondo reale?» «Non ne parliamo!», esclamò il golem. «Conosci il Corallo-Cervello, che ha animato il tuo corpo? Beh, è un bambino... voglio dire che è ancora più infantile di te, a volte: ficca il naso dovunque, fa dei faux passes...» «Che cosa?» «Errori culturali. Come ruttare a tavola. Mi ha fatto veramente sgobbare!» «Sembra divertente,» disse Dor, sorridendo. Si stava già abituando al suo piccolo corpo. Gli mancava la forza del gigante mundano, ma non era un cattivo corpo. «Senti, devo parlare con quel Corallo. Gli devo un favore.» «No, affatto. Gli devi un pugno sul muso, se proprio vuoi. Se ha un muso. Siete pari: Corallo si è divertito ad usare il tuo corpo, mentre tu andavi nella terra dell'arazzo per una bella vacanza.» Una vacanza! «Gli devo un favore da ottocento anni fa.» «Oh, beh, certo, dillo allo gnomo.» «Chi? Oh, il Buon Mago Humfrey. Lo farò. Devo vedere subito Jonathan lo zombie.» «Oh, sì. Hai preso quella roba?» «L'ho presa. Credo.» «Eccezionale! Il primo zombie resuscitato insieme al primo fantasma resuscitato! Per secoli, lei è stata intoccabile e lui indegno di essere toccato. Che storia d'amore truce!» Dor avrebbe detto qualcosa di villano al golem, ma la recente esperienza lo aveva reso discreto. Perciò cambiò argomento. «Forse farei meglio a
parlare prima con Re Roog... Re Trent. È lui che mi ha affidato quella ricerca.» Grundy si strinse nelle spalle. «Proprio così. Io non voglio più parlare con Corallo.» «Con lui parlerò dopo.» Dor non poteva impedirsi di stuzzicare un po' il golem. «Senti, sai che cosa ha fatto quella creatura con il tuo corpo e con Irene?» «Chi?» Dor era distratto, pensava alla sua prossima discussione con Corallo-Cervello. Che genere di favore gli avrebbe dovuto fare, dopo ottocento anni? «La Principessa Irene, figlia del Re. Te la ricordi?» «Beh, è stato ottocento anni fa, in un certo...» Dor capì a scoppio ritardato. «Che cosa ha fatto il mio corpo con Irene?» «Corallo era molto curioso sulle differenze tra anatomia maschile e femminile. Corallo è asessuale, o bisessuale, o qualcosa del genere, capisci, e...» «Basta! Capisci che sto per vedere suo padre?» «Perché credi che abbia alluso a quest'argomento? Ho cercato di coprirti, ma Re Trent ha sale in zucca e Irene è una spiona. Perciò non sono sicuro che...» «Quando io... voglio dire, il mio corpo...?» «Ieri.» «Allora forse sono ancora in tempo. A volte, lei non parla con il padre per giorni e giorni.» «In un caso del genere, avrebbe potuto fare un'eccezione.» «Sì, è vero!» convenne Dor, preoccupato. «Ah, che cosa importa? Il Re sa che è una marmocchia.» «È la mia reputazione a cui penso.» Nel mondo dell'arazzo, a Dor era stato accordato il rispetto dovuto ad un uomo adulto, e quel sentimento era ormai importante per lui. Ma c'era anche altro. Anche le altre persone avevano sentimenti. Pensò a come Vadne si fosse illuminata di gioia quando il Signore degli Zombie l'aveva complimentata per il suo talento... e come la maledizione di Murphy avesse tramutato quel sentimento nella rovina propria e della Maga. E i sentimenti di Millie! I sentimenti erano importanti, anche quelli dei marmocchi. Dor si rivolse al pavimento. «Dov'è Irene?» «Non viene qui da giorni.»
Si trasferì sul pianerottolo, e faceva domande man mano che camminava. Ben presto la trovò: era nel proprio appartamento nel palazzo. «Tu va' da un'altra parte,» disse a Grundy. «Devo vedermela da solo.» «Ah!», si lamentò il golem. «Le tue battaglie con Irene sono così divertenti.» Ma, obbediente, se ne andò. Dor ispirò profondamente, e quel movimento gli ricordò fuggevolmente l'Eletta Elena l'Arpia: raddrizzò le spalle, poi bussò educatamente. In fretta, lei aprì la porta. Irene aveva undici anni, ma con la sua nuova maturità, Dor vide che era una bambina estremamente graziosa, sul punto di sbocciare in una bella fanciulla. Aveva dei bei lineamenti, e, sebbene non avesse ancora una figura femminile, la" struttura prometteva bene. Altri due, o forse tre anni e sarebbe diventata una rivale di Millie. Con un talento diverso, naturalmente. «Beh?», disse lei, con la voce acuta per il nervosismo. «Posso entrare?» «Ieri l'hai fatto. Vuoi giocare di nuovo a marito e moglie?» «No.» Dor entrò e chiuse con calma la porta dietro di sé, mentre lei arretrava. Come procedere? Era ovvio che aveva avuto una reazione violenta e che era diffidente nei suoi confronti, senza essere veramente spaventata. Aveva sistemato delle piante in vaso tutt'intorno alla stanza, e una era un albero-groviglio in miniatura: lei non doveva temerli! Non aveva ancora parlato con suo padre. Mentre la cercava, aveva stabilito che non si era avvicinata alla biblioteca il giorno precedente. Irene era la marmocchia del palazzo, e il suo talento era lontano dall'avere il calibro di quello di un Mago. Nessuno l'avrebbe mai definita nemmeno una Maga. Aveva una lingua tagliente e delle leziosaggini insopportabili. Ma, Dor ricordò di nuovo a se stesso, era una persona. L'aveva sempre considerata con un certo disprezzo perché il talento di lei era, in sostanza, inferiore al proprio, ma anche quello di Millie era inferiore. La magia era importante, certamente, e in alcune situazioni era vitale, ma in altre situazioni era trascurabile. Il Signore degli Zombie l'aveva capito. Allora Dor provò vergogna, non per quello che il suo corpo poteva aver fatto ieri, ma per quello che lui, Dor, aveva fatto un mese fa, un anno fa. Aveva calpestato i sentimenti di un'altra persona. Non importava che l'avesse fatto senza cattiveria. Come Mago completo, erede legittimo al trono di Xanth, avrebbe dovuto comprendere il risentimento e la frustrazione naturale di coloro ai quali non erano date le sue opportunità. Come Irene, figlia di due dei tre migliori talenti della generazione passata, condannata alla condizione di nullità, perché aveva solo una magia comune. Ed era don-
na. Come si sarebbe sentito lui in una situazione del genere? Come si era sentito suo padre Bink, quando era un bambino apparentemente privo di magia? «Irene, io... io sono venuto a chiedere scusa.» Ricordò con quanta umiltà Re Roogna avesse chiesto scusa al Signore degli Zombie, sebbene il problema solo indirettamente dipendesse da lui. I re possono essere umili! Non avevo alcun diritto di fare quello che ho fatto, e mi dispiace. Non accadrà mai più.» Lei lo guardò con espressione interrogativa. «Stai parlando di ieri?» «Sto parlando di tutta la mia vita!», esclamò. «Io... io ho una magia forte, sì. Ma è innata in me: è un caso, non un merito personale. Anche tu hai una magia, una buona magia, superiore alla media. Io faccio parlare le cose morte; tu fai crescere le cose vive. Ci sono situazioni in cui il tuo talento è di gran lunga più utile del mio. Io... ti guardavo dall'alto in basso, ed era un errore. Non posso biasimarti per le tue reazioni negative. Io avrei fatto la stessa cosa. In effetti, hai lottato con molto più coraggio di quello che io abbia mai avuto. Tu sei una persona, Irene. Una bambina, come me, ma pur sempre un essere umano che merita rispetto. Ieri...» Si arrestò, perché non aveva un'idea chiara di che cosa avesse fatto il Corallo. Avrebbe dovuto chiedere i particolari a Grundy. Allargò le braccia. «Mi dispiace, e chiedo scusa, e...» Lei alzò un dito, in uno dei suoi tipici gesti leziosi, e lo fece tacere. «Stai rinnegando quello che è successo ieri?» Dor non poté fare a meno di pensare a quello che aveva fatto il giorno prima: aveva attirato goblin e arpie con il flauto magico, aveva oscillato sull'Abisso appeso ad un filo di ragno, aveva fatto esplodere l'Incantesimo dell'Oblio che ancora inquinava l'Abisso, aveva issato cadaveri dal campo di battaglia per farli trasformare in zombie: avventure impareggiabili, ormai passate per sempre. Il giorno prima era ottocento anni prima. «Non posso rinnegare quello che è successo ieri. È parte della mia vita, ormai. Ma...» «Senti, credi proprio che sia una bambinella ingenua, che non sa niente di niente?» «No, Irene. Io sono stato l'ingenuo. Io...» «Vuoi dire che non sapevi che cosa stavi facendo?» Dor sospirò. Quanto era vera quell'affermazione! «Veramente non ho nessuna giustificazione. Ingoierò la pillola. Hai il diritto di essere arrabbiata. Se vuoi dire a tuo padre...»
«Al diavolo mio padre!», disse lei aspramente. «Me ne occuperò io stessa! Ti restituirò esattamente quello che mi hai dato!» Dor non ne fu rassicurato. «Come vuoi. È tuo diritto.» «Chiudi gli occhi e sta' fermo.» Stava per colpirlo. Dor lo sapeva. Ma era stata colpa sua. Lui aveva permesso che il Corallo-Cervello usasse il suo corpo. Lui era il responsabile. Chiuse gli occhi e rimase immobile, costringendo le mani a penzolare lungo i fianchi. Forse quello era il modo migliore per risolvere la faccenda. Sentì che lei si avvicinava, avvertì quasi il movimento del suo corpo. Lei stava alzando un braccio. Sperò che non l'avrebbe colpito in basso. Meglio sul petto o sulla faccia, anche se gli avesse lasciato un segno. Lo colpì sulla bocca. Ma era un colpo stranamente morbido. In effetti... In effetti, lo stava baciando! Assolutamente sorpreso, Dor la circondò con le braccia, in parte per tenersi in equilibrio, e in parte perché era quello che si doveva fare quando si veniva baciati da una ragazza. Sentì il corpo di lei cedergli, i capelli ondeggiare. Aveva un buon odore e un buon sapore. Poi allontanò la testa e lo guardò. «Che te ne pare?», chiese. «Se questa intendeva essere una punizione, non ha funzionato,» disse lui. «Hai un modo piacevole di baciare.» «Anche tu,» disse lei. «Mi hai sorpreso ieri. Pensavo che stessi per picchiarmi o per strapparmi i vestiti, o qualcosa del genere. Ero pronta a strillare, ed è stato tutto goffo e impacciato, con i nasi che si urtavano, e roba simile. Allora mi sono esercitata la notte scorsa con la mia bambola gigante. È stato meglio, questa volta?» Un bacio? Era tutto quello che avevano fatto il giorno prima? Dor si sentì le ginocchia molli! Nessuno era più bravo di Grundy a gonfiare un pettegolezzo! «Non c'è confronto!» «Dovrei spogliarmi ora?» Dor si sentì gelare per la vergogna. «Uh...» Lei rise. «Pensavo che ti avrebbe imbarazzato! Se non l'ho fatto ieri, che cosa ti fa pensare che l'avrei fatto oggi?» «Niente,» disse Dor, e sospirò il sollievo. Aveva visto ninfe nude a bizzeffe, nell'arazzo, ma quello era il mondo reale. «Assolutamente niente. Assolutamente e completamente niente.» «Vuoi sapere che cosa è stato ieri?», domandò lei. «È stata la prima volta che ti sei veramente interessato a me. La prima volta che si sia interessato a me qualcuno che non voleva solo far crescere una pianta in fretta.
Qualcuno che non mi ha chiamato la marmocchia di palazzo, quella che avrebbe dovuto essere una Maga ma sa solo far crescere stupida roba verde. Hai un'idea di che cosa vuol dire avere due genitori del calibro di un Mago ed essere una grande delusione per loro, perché non solo sei una donna, ma hai anche un talento ignobile?» «Tu hai un buon talento!», protestò Dor. «E non c'è niente di male ad essere una donna!» «Oh certo, certo,» rispose. «Tu non hai mai avuto un talento stupido. Tu non sei mai stato donna. Con te le persone non sono mai state gentili solo per quello che tuo padre e tua madre potevano far loro, mentre alle spalle sparlavano di te e ti chiamavano 'talento da giardiniere', 'cresci-cavoli', e la 'ragazza-verdura' e...» «Io non ti ho mai chiamato così!», gridò Dor. «Non a parole. Ma l'hai pensato, non è vero?» Dor arrossì, incapace di negarlo. «Io... non lo penserò più,» promise, vergognoso. «E soprattutto,» continuò lei, spietata, «sai che i tuoi genitori prendono le tue parti perché devono farlo, ma in privato pensano proprio le stesse cose degli altri...» «Non il Re,» protestò Dor. «Non è questo tipo...» «Chiudi il becco!», gridò lei, e gli occhi le si riempirono di lacrime di rabbia. Dor tacque, e lei si ricompose. Le donne di qualsiasi età erano capaci di ricomporsi in fretta. «E ieri sei stato diverso. Continuavi a farmi domande, e facevi veramente attenzione, proprio come se nel tuo cottage di formaggio non avessi una bomba del sesso come Millie da spiare per capire tutta la faccenda. E non hai detto una parola sulla magia, non hai fatto parlare nessun oggetto, né niente del genere. Eravamo solo io e te. Volevi solo sapere che cosa significa essere una donna. Era come se stesse parlando qualcos'altro, qualcosa di terribilmente curioso e ignorante, che voleva imparare da me. Sulle prime, ho pensato che ti stessi prendendo gioco di me, che mi stessi stuzzicando, ma non hai mai sorriso. Poi hai voluto baciarmi, e io ho pensato ora mi morderà le labbra oppure mi pizzicherà e scoppierà a ridere, ma non hai riso. Allora io ti ho baciato, ed è stato terribile, mi sono ammaccata il naso. Che diavolo! Ho pensato che almeno sapessi come fare, ma non lo sapevi, e hai detto solo, 'Grazie, Principessa,' e te ne sei andato. Io sono rimasta a lungo sul letto a cercare di scoprire dove fosse il trucco, che cosa stessi raccontando ai ragazzi...» «Non ho raccontato niente...», protestò Dor.
«Lo so. Mi sono informata. Tu non hai detto niente, e nemmeno il golem. Allora mi è sembrato che tu fossi veramente interessato a me, e...» Lei sorrise, ed era dolce e luminosa quando lo faceva. «Ed è stata la più grande esperienza di tutta la mia vita! Tu sei un vero Mago, e...» «No, questo non ha niente a che fare con...» «Allora mi sono esercitata a baciare, in caso servisse. Poi tu sei arrivato solo per chiedere scusa, come se avessi fatto qualcosa di sporco. Perciò ho pensato che non ne avevi l'intenzione, che l'avevi fatto solo per pietà, e...» «No!», gridò Dor, preso da un'angoscia improvvisa. «Non è stato affatto così!» «Ora lo so. Ma non puoi biasimarmi per averlo pensato.» Lei sorrise di nuovo. «Senti, Dor, so che domani sarà come prima, e io per te sarò la mocciosa di palazzo, ma... mi daresti un altro bacio?» Dor si sentì molto gratificato. «Con piacere, Irene.» Si chinò a baciarla di nuovo. Lui era ancora giovane, e così lei, ma quello era un assaggio di che cosa avrebbero potuto provare quando entrambi sarebbero cresciuti. «Forse ci baceremo ancora, qualche volta?», chiese lei con ansia. «Mi piace essere una donna, ora.» «Qualche volta,» fu d'accordo Dor. «Ma dobbiamo litigare anche, altrimenti gli altri ci stuzzicheranno. Siamo ancora giovani...» Ma non troppo giovani, pensò. Vedeva la strada che aveva davanti con grande chiarezza ormai, dopo la sua esperienza nell'arazzo. «Lo so.» Tacquero, e sembrò che non ci fosse nient'altro da dire. Allora Dor andò alla porta e l'aprì. Si fermò a guardarla, ricordando che aveva detto che i suoi genitori erano delusi di lei. Era seduta sul letto, immersa in una gioia solitaria. «Non il Re,» ripeté Dor con calma. «Ne sono convinto.» Irene sorrise. «No, non il Re.» «E nemmeno io.» «È la stessa cosa,» disse lei. Dor uscì e chiuse la porta. Sapeva che non era finita con lei. Non oggi né domani, né per il futuro. Non era affatto finita. Grundy lo aspettava. «Qualche occhio nero? Denti rotti? Lividi? Era terribilmente silenzioso lì dentro.» «È una graziosa ragazza,» disse Dor, mentre si dirigeva verso la biblioteca. «Strano che non l'abbia mai notato prima.» «Fratello!», protestò il golem. «Prima noti Millie il fantasma, poi Irene la marmocchia. Dove vuoi arrivare?»
Alla maturità, pensò Dor. Stava crescendo, nuovi orizzonti si aprivano, e lui era felice. Arrivarono alla biblioteca. «Entra,» disse Re Trent, prima che Dor bussasse. Dor entrò e si sedette sulla sedia che gli aveva indicato il Re. «Ricordate che mi avete mandato a compiere un'impresa, Vostra Maestà? Sono tornato.» Il Re alzò una mano, con il palmo in fuori. Dor pensò al modo di salutare di Saltatore. «Non voglio ingannarti, Dor. Humfrey mi ha avvisato, e io non ho potuto resistere a non guardare l'arazzo. So bene che cosa hai fatto.» «Volete dire che l'arazzo mostrava me, quello che facevo, mentre lo facevo?» «Certamente, una volta che ho saputo quale personaggio guardare. Tu e quel ragno... sei stato fortunato a non ucciderti nell'Abisso! Ma non avevo nessuna possibilità di revocare l'Incantesimo prima che fosse terminata la sua durata naturale. Ho sudato al pensiero di che cosa avrei dovuto dire a tuo padre, se...» Dor rise nervosamente. «Ed io ero preoccupato per il padre di Irene!» Re Trent sorrise. «Dor, io non vado curiosando nel palazzo, ma la Regina lo fa. Ha notato subito il cambiamento avvenuto in te, ha visto che non usavi mai il tuo talento, e ha scoperto tutto su Corallo-Cervello. Nella camera di Irene c'è un suo ritratto; la Regina ha semplicemente sostituito al ritratto una sua immagine illusoria e ha avuto un posto in prima fila, come dicono a Mundania. Ha visto tutto ieri... e oggi. E mi ha appena avvisato.» Dor si strinse nelle spalle. «Non rimpiango quello che ho fatto. Né ieri né oggi.» «Lo so, Dor. Stai crescendo bene. Non credere che la Regina ti sia nemica. Lei vuole che sua figlia segua la sua strada, e sa che cosa è necessario, anche se può farle rabbia. Sono cosciente di quanto sia stata delicata la situazione nella camera di Irene. Tu l'hai affrontata con la diplomazia che mi sarei aspettato in un capo.» «Quella non era diplomazia! Io credevo in ogni parola!» «La diplomazia e la verità non sono incompatibili.» «Irene non è affatto male, una volta che la si conosce bene! Lei...» Dor si fermò, imbarazzato. «Che cosa sto facendo, dico a voi queste cose? Voi siete suo padre!» Il Re mise amichevolmente una mano sulla spalla di Dor. «Mi hai fatto
piacere, Mago. Ora, grazie alla tua avventura, conosco il segreto del flauto e del cerchio che sono nell'Arsenale Reale; potrebbero essere estremamente utili in qualche occasione. Non ti tratterrò dal completare la tua impresa. Devi concluderla, perché ci saranno degli incarichi per te nel mondo di oggi, intanto che impari a governare Xanth.» Si avvicinò ad un basso scaffale e ne prese un tappeto arrotolato. «L'abbiamo conservato, nel caso ti servisse.» Era il tappeto magico. «Uh, grazie, Vostra Maestà. Ho un viaggio da fare.» Dor salì sul tappeto. «Corallo-Cervello,» gli disse, e il tappeto partì. Quando il tappeto salì in alto e il paesaggio di Xanth moderna si stese come un arazzo, Dor sentì una nostalgia improvvisa per il mondo dell'arazzo da cui era partito. Non che quel mondo fosse superiore al suo. La sua magia era, in generale, più rozza, la sua politica più violenta. Era la sua esperienza di virilità e di amicizia, soprattutto con Saltatore. Sapeva che non sarebbe mai stato capace di ricreare la magia personale di quella esperienza. Eppure, come la conversazione con Irene gli aveva mostrato, c'erano magie inaspettate anche in quel mondo. Doveva solo apprezzarle. Il tappeto scese nel sottosuolo, attraversò le caverne sotterranee. I goblin regnavano ancora lì, lo sapeva, sebbene fossero quasi scomparsi dalla superficie di Xanth. Che cosa era successo ai goblin? Non erano stati tutti uccisi durante la battaglia di Castel Roogna, e l'Incantesimo dell'Oblio non li aveva cancellati. In seguito, era avvenuta una calamità tra i goblin? Poi arrivò al lago sotterraneo. I trasporti moderni erano certamente migliori di quelli antichi; quel tappeto non ci aveva messo niente ad arrivare dal Corallo-Cervello. Nessuna calamità è avvenuta tra i goblin, pensò il Corallo-Cervello. La maledizione delle arpie sulla popolazione dei goblin fu annullata sulla superficie, ma rimase nelle profondità di Xanth. Perciò i goblin della superficie sono diventati, generazione dopo generazione, più intelligenti, più belli e più nobili d'animo, fino a che non sono più stati riconoscibili come mostri. I veri goblin, ai giorni nostri sono quelli delle caverne. «Allora ho cancellato la loro specie!», esclamò Dor. «Non l'avevo previsto!» La loro specie, come tu l'hai conosciuta, era un'orrenda distorsione, un fardello per loro stessi più che per gli altri. Si curavano così poco di se stessi che erano felici di morire durante gli assalti ad un castello. Tu hai fatto bene a liberarli dalla loro maledizione, ed a restituire i maschi alle arpie.
«A proposito,» disse Dor. «Tu hai ceduto il Principe Araldo l'Arpia come favore a me, e ora sono venuto a restituire il favore, come ho detto che avrei fatto.» Non ce n'è bisogno, Mago. Quando sei venuto due settimane fa, non ho collegato. Dopotutto, avevi un corpo diverso quando ti ho incontrato la prima volta, ottocento anni fa. Ma nelle scorse due settimane mi è tornato tutto alla mente. Tu mi hai restituito quel favore ottocento anni fa. «No, io sono ritornato alla mia epoca. Perciò...» Tu hai aiutato Re Roogna a vincere. Perciò il suo rivale, il Mago Murphy si è ritirato dalla politica, preferendo aspettare una situazione migliore. È venuto da me. «Murphy è stato esiliato?», chiese Dor, sorpreso. È stato un esilio volontario. Re Roogna avrebbe voluto la sua compagnia, ma Murphy era inquieto. È nel mio lago conservativo, ora. Forse tra qualche secolo lo libererò, quando Xanth avrà bisogno del suo talento. Perciò, in cambio del Principe delle Arpie, ho avuto Murphy e Vadne, che un giorno potrebbero formare una bella coppia. Tu non mi devi niente. «Io, uh, credo di no, se la vedi così,» disse Dor. «Ma...» Se mai deciderai di uscire di nuovo dal tuo corpo, tienimi presente, pensò il Corallo. Ho imparato molte cose sulla vita, anche se non comprendo ancora molto bene la natura sessuale dell'Uomo. «Nessuno la capisce,» disse Dor, con un sorriso. Io non provo emozioni. Ma nel tuo corpo le ho provate. Mi piaceva la piccola Principessa. «È attraente,» convenne Dor. «Uh, senti... io avevo promesso di far tornare il cerchio d'ingresso alla misura di anello, ma...» Sei perdonato. Addio, Mago. «Addio, Corallo.» Il tappeto partì e rifece rapidamente il percorso attraverso le caverne sotterranee. Quando emerse all'aria aperta esitò, finché Dor non si ricordò di non avergli detto dove dovesse andare. «Al castello del Buon Mago Humfrey.» Dor ricordò che il castello di Humfrey stava dove un tempo sorgeva il castello del Signore degli Zombie. Ma i due castelli avevano una struttura diversa. Probabilmente quel luogo era stato distrutto e ricostruito più di una volta. Humfrey, come al solito, era alle prese con un libro voluminoso, e non prestava attenzione a quello che avveniva intorno a lui, almeno così sembrava. «Sei di nuovo tu?», domandò in tono irritato.
«Ascolta, gnomo...», cominciò Grundy. Il Buon Mago sorrise: una cosa rara per lui. «Perché ascoltare, quando posso leggere? Osserva.» E fece loro cenno di guardare il libro, al di sopra della sua spalla. «Ma io non sono un assassino!» Protestò Dor, con violenza. «Ho solo dodici anni...» Si bloccò, ma non sapeva come correggersi. «Dodici anni di esperienza di guerre!», esclamò lei. «Sicuramente hai già ucciso prima!» Era mal riposta, ma la simpatia di Millie lo gratificava. Il suo corpo stanco reagì. Il braccio sinistro si allungò a stringerle i fianchi. La strinse a sé. Oh, com'era elastico il suo posteriore! «Beh, Dor!», disse lei, sorpresa e compiaciuta. «Ti piaccio!» Dor si costrinse ad abbassare il braccio. Che diritto aveva di toccarla? Soprattutto nelle vicinanze del suo morbido posteriore! «Più di quanto possa dire.» «Anche tu mi piaci, Dor.» Gli si sedette in grembo, con il suo posteriore due volte più morbido e più grande di prima. Il suo corpo reagì di nuovo, e la strinse con un braccio. Dor non aveva mai provato una sensazione simile. Improvvisamente fu cosciente che il suo corpo sapeva che cosa fare, se solo lui gliel'avesse permesso. Fu cosciente che lei voleva. Che sarebbe stata un'esperienza come nessun'altra da lui sognata nella sua giovane vita. Aveva dodici anni; il suo corpo era più vecchio. Poteva farlo. «Oh, Dor,» mormorò lei, e chinò la testa per baciarlo sulla bocca. Le sue labbra erano tanto dolci che Dor... La pulce lo morse con forza sull'orecchio sinistro. Dor la colpi... e si diede un pugno sull'orecchio. Il dolore fu breve ma intenso. Si alzò, e spinse con rudezza Millie. «Devo riposare,» disse. Lei non disse più niente, ma restò lì, con gli occhi bassi. Sapeva di averla ferita. Lei aveva commesso il peccato capitale per una ragazza: si era offerta ed era stata rifiutata. Ma che cosa poteva fare Dor? Egli non esisteva nel mondo di Millie. Presto sarebbe partito, e l'avrebbe lasciata sola per ottocento anni, e quando si sarebbero riuniti, lui avrebbe avuto dodici anni. Non aveva nessun diritto! Ma, oh, che cosa sarebbe potuto accadere, se fosse stato un uomo. Dor era arrossito. «Vuoi... vuoi dire che questo libro racconta tutto, perfino i miei sentimenti?» Ma era ovvio che lo faceva. «Non avremmo mai permesso che un futuro Re di Xanth andasse in giro
senza controllo,» osservò Humfrey. «Soprattutto quando era coinvolta la nostra storia. Non che potessimo fare qualcosa, una volta che l'Incantesimo dell'Arazzo era stato lanciato. Ma era utile assistere ad un'esperienza fatta da un altro...» «Era valido?», chiese Dor. «Voglio dire, ho cambiato veramente la storia?» «Questa è una domanda che non avrà mai una risposta soddisfacente. Direi che l'hai cambiata, e non l'hai cambiata.» «Una tipica risposta da gnomo,» disse Grundy. «Bisogna considerare la struttura della storia di Xanth,» continuò il Buon Mago. «Una serie di Ondate Mundane di conquista, che decimavano ogni volta la popolazione. Se ogni persona avesse vissuto e si fosse riprodotta senza pause, ogni interruzione nel processo avrebbe eliminato molti degli abitanti di oggi. Tutti i discendenti di quella persona. Ma se, in ogni caso, un'Ondata mundana li distruggeva tutti...» Si strinse nelle spalle, «avrebbe potuto avere luogo un cambiamento considerevole, annullato completamente dopo una o due generazioni. Nel qual caso non si sarebbero creati paradossi relativi alla nostra epoca. Io direi che la battaglia di Castel Roogna sia stata reale, e che tu abbia cambiato quella realtà. Tu hai riscritto il copione. Ma hai cambiato solo i dettagli di quell'episodio particolare, non il corso generale della storia. È importante?» «Credo di no,» disse Dor. «A proposito di quella pagina che stavo leggendo,» disse Humfrey. «Sembra che tu ti preoccupassi della tua virilità. Non ti è venuto in mente che eri più uomo nel declinare l'offerta della fanciulla che nell'accettarla?» «No,» ammise Dor. «La virilità è più del sesso.» Come se avesse avuto l'imbeccata, la gorgone entrò nella stanza in un abito splendido e sexy, ma ancora senza volto. «Questa è propaganda maschile,» disse con quel vuoto che aveva al posto della bocca. «Certamente, la femminilità è più del sesso, ma l'uomo è un organismo più elementare.» «Oooo, che cosa hai detto!», esclamò Grundy, scuotendo i minuscoli indici in segno di condanna. «Ho detto organismo,» disse lei. «Tu confermi la mia ipotesi.» «Fuori di qui, tutti e due,» disse aspramente Humfrey. «Il Mago ed io stiamo tentando di fare un discorso importante.» «Temevo che non me l'avresti mai chiesto,» disse Grundy. Saltò su una spalla della gorgone, scrutò nel nulla incorniciato dai riccioli di serpente.
Un serpentello sibilò. «Lo stesso vale per te, piccoletto,» gli disse in tono aspro, e il serpente si ritrasse. Scrutò nell'abisso profondo della scollatura della gorgone. «Andiamo, dolcezza. Andiamo in cucina a fare uno spuntino.» Quando restarono soli, Humfrey sfogliò qualche pagina del volume di storia. «Sono stato sorpreso di sapere che il Castello degli zombie sorgeva nello stesso posto del mio,» osservò. «Se oggi fosse vivo, sarei felice di dividere questo castello con lui. Era un Mago notevole ed intelligente, e anche un uomo sensibile.» «Sì,» convenne Dor. «È stato il fattore principale nel successo di Re Roogna. Meritava molto di più della tragedia che ha sofferto.» Sentì un'altra fitta di rimorso. Humfrey sospirò. «Quello che è stato, è stato.» «Uh, hai già dato alla gorgone la tua Risposta?» «Sei la persona più venale che conosco!», disse Dor, con una sfumatura di ammirazione. «Ogni volta che penso di aver visto l'ultima, tu vieni fuori con una trovata peggiore. Hai intenzione di sposarla?» «Tu che cosa pensi?» Dor visualizzò il corpo della gorgone in una prospettiva storica. «È straordinaria. Se ti vuole, sei finito. Non ha bisogno del volto per pietrificare un uomo. In senso figurato, naturalmente.» Il Buon Mago annuì. «Hai imparato un nuovo modo di parlare! Il concetto chiave è 'lei vuole.' Pensi che lo voglia veramente?» «Per quale altro motivo sarebbe venuta qui?», domandò Dor, perplesso. «La sua motivazione originaria era basata in gran parte sull'ignoranza. Quali pensi che siano i suoi sentimenti, una volta che mi abbia conosciuto bene?» «Uh...» Dor si sforzò di trovare qualcosa di diplomatico da dire. Il Buon Mago aveva i suoi pregi, ma non era un uomo facile da avvicinare, o da trattare. «Di conseguenza, la cosa più gentile da fare è darle l'opportunità di conoscermi bene... abbastanza bene,» concluse il Mago. «L'anno!», esclamò Dor. «Quell'attesa per la risposta? Non è per te... è per lei! In modo che possa cambiare idea, se...» «Precisamente,» Humfrey aveva un'espressione triste. «Ma è stato un bel sogno, anche per un vecchio gnomo.» Dor annuì. Capì che il Buon Mago non era indifferente al fascino della gorgone, più di quanto il solitario Signore degli Zombie fosse stato indiffe-
rente al fascino di Millie. I due Maghi erano simili... e si profilava una tragedia simile. «Ora dobbiamo concludere il tuo caso,» disse bruscamente Humfrey, che non voleva più pensare a quella fine inevitabile. «Non mi devi più nessun favore, naturalmente. Il libro di storia è sufficiente, e considero ottimo l'investimento. Ho finalmente risolto molti antichi misteri, come l'origine dell'Incantesimo dell'Oblio sull'Abisso. Perciò ti posso lasciare andare a casa, il tuo conto è saldato.» «Grazie,» disse Dor. «Ti ho riportato il tappeto magico.» «Oh, sì. Ma non ti lascerò a piedi. Credo di avere un Incantesimo di Evocazione ficcato da qualche parte. Fallo cercare alla gorgone prima di partire. Ti porterà a casa in un lampo.» «Grazie.» Era un sollievo non dover affrontare un altro viaggio attraverso la giungla. «Ora devo dare l'elisir a Jonathan.» Il Buon Mago aggrottò la fronte. «Hai dovuto prendere una decisione particolarmente difficile, Dor. Credo che tu abbia agito correttamente. Quando diventerai Re, la disciplina nelle azioni e nelle emozioni che hai appreso nel corso di questa ricerca, ti sarà di grande utilità. Ti potrà servire di più del tuo talento magico. L'esilio di Re Trent a Mundania lo maturò in modo simile. Sembra che ci siano delle qualità che non si possono apprendere nella sicurezza del proprio ambiente familiare. Tu sei già molto più maturo di quanto lo sia la maggior parte della gente.» «Uh, grazie,» mormorò Dor. Doveva ancora imparare l'arte di ricevere con grazia i complimenti. Ma il Mago era già tornato a leggere il suo librone. Dor si avvicinò alla porta. Proprio mentre usciva dalla stanza, Humfrey osservò, senza alzare gli occhi: «Mi ricordi molto tuo padre.» Improvvisamente, Dor si sentì molto bene. Grundy e la gorgone stavano bevendo una soda-urlo in cucina. Dor sentì il rumore a parecchie stanze di distanza. Si servivano di cannucce; quella della gorgone si infilava nel nulla della sua faccia, dove scompariva la soda. Ma lei aveva una faccia, solo che non la si poteva vedere. Dor si chiese che effetto faceva baciarla. Al buio, doveva sembrare del tutto normale. Tranne che per i serpentelli. «Mi serve l'Incantesimo di Evocazione,» disse Dor. «Quello che trasporta in un lampo.» Gli urli svanirono quando la gorgone smise di bere la soda. «So esattamente dov'è. Ho classificato e archiviato tutti gli incantesimi. È la prima
volta in un secolo che questo castello è in ordine.» Si allungò verso una mensola alta, e la sua figura si tese in maniera seducente. Che donna sarebbe stata, se solo il suo volto fosse stato visibile! Ma no, sarebbe stata una rovina. La sua faccia pietrificava gli uomini letteralmente. «Ecco,» disse lei, e prese un oggetto che somigliava ad un tubo chiuso. Aveva una lente ad un'estremità, e un interruttore sull'altra. «Devi solo girare l'interruttore, lì, quando sei pronto.» «Sono pronto subito. Voglio andare nella stanza dell'arazzo a Castel Roogna. Vieni, Grundy?» «Un attimo.» Il golem succhiò l'ultimo urlo dalla soda - non più di un gemito, in realtà - e attraversò la stanza. «Vuoi veramente sposare il Buon Mago, ora che lo conosci bene?», chiese Dor con curiosità alla gorgone. «Che cosa farebbe con gli incantesimi e con i calzini, senza di me?», replicò lei. «Questo castello ha bisogno di una donna.» «Uh, sì. Tutti i castelli ne hanno bisogno. Ma...» «Che tipo d'uomo darebbe vitto e alloggio ad una bella ragazza per un anno, senza mai toccarla, solo per riflettere, sapendo che probabilmente lei cambierà idea in quel periodo?» «Un uomo buono. Paziente. Serio.» Poi Dor annuì, e capì il senso della domanda della gorgone. «Un uomo degno di essere sposato.» «Quando sono venuta qui, pensavo di volerlo. Ora ne sono certa. Sotto quella scorza, si nasconde un Mago intelligente, e anche un uomo sensibile.» Erano pressoché le stesse parole che Humfrey aveva usato per descrivere il Signore degli Zombie! Ma sembrava che quella tragedia dovesse risparmiare lo gnomo, dopotutto. I paralleli arrivavano solo fino a quel punto. «Ti auguro ogni felicità.» «Ci crederesti che su quello scaffale ci sono tre Incantesimi della Felicità?» Lei ammiccò. «E anche un Incantesimo di Potenza: ma non ne avrà bisogno, credo.» Dor la guardò con gli occhi del barbaro corpo mundano, che era stato il suo per qualche tempo. «Giusto,» convenne. «In realtà, per essere felice, ha bisogno solo di un libro di avventure, come quello che sta leggendo ora, sull'antica Xanth. Anch'io lo leggerò, appena il Mago l'avrà finito. Ho capito che c'è un mucchio di sesso, di magia e un eroe barbaro, veramente stupid...» In fretta, Dor girò l'interruttore. L'incantesimo lampeggiò... e lui si trovò
davanti all'arazzo. «Salvatore di Xanth,» disse, sentendosi stupido, e la fialetta di elisir sbucò fuori da un posto invisibile, dov'era stata nascosta per ottocento anni. Doveva acchiapparla prima che cadesse in frantumi a terra, ma gli mancavano i muscoli e i riflessi del suo corpo mundano, e la mancò. La fialetta precipitò... E s'arrestò con uno strattone, appesa ad un filo invisibile. Restò ad oscillare, intatta. Le era stato attaccato un tirante di seta. «Non ci sei riuscito, Murphy!», gridò Dor, quando l'ebbe ghermita. Cercò il suo amico Saltatore, che l'aveva salvata ancora una volta con la sua seta, ma non lo vide. Poi, con l'oggetto della sua ricerca in mano, si chiese: come si poteva incantare un oggetto all'interno di un arazzo che era all'interno di un arazzo? E come poteva uscire dall'arazzo principale? O i due arazzi erano una sola cosa? Dovevano esserlo, perché... ma non potevano esserlo, perché... Gli sembrava di sfiorare un paradosso in quel punto, ma non riusciva ad afferrarlo. Ad ogni modo, aveva l'elisir. Meglio non approfondire il problema, la risposta poteva non piacergli. Ma indugiò a guardare l'arazzo. Vide Castel Roogna. Il personale stava ripulendo gli ultimi resti della battaglia e preparava il cimitero aldilà del fossato, il cimitero che era ancora la residenza degli zombie. Avevano difeso bene il Castello, per tutti quei secoli, ma ora che non correva nessun pericolo, giacevano tranquilli nelle tombe. Tranne Jonathan, la strana eccezione. Sembrava che gli zombie avessero personalità diverse, come gli esseri umani. Il suo sguardo si concentrò sul posto che aveva abbandonato. Dor e Saltatore avevano tentato di avvicinarsi il più possibile laddove erano entrati nel mondo della Quarta Ondata. Avevano tagliato attraverso la giungla, e la giungla aveva tentato di tagliarli, quando avevano incontrato quell'erbasega, avevano attraversato l'Abisso con fili di seta per scendere e risalire. Per fortuna il drago dell'Abisso era altrove in quel momento, forse era stato colpito dall'Incantesimo dell'Oblio. Poi si erano addentrati nella zona settentrionale di Xanth. Quando si erano avvicinati al posto, la loro presenza aveva attirato l'incantesimo, ed erano tornati. Lì, vicino a quel punto, c'era il gigante mundano. Non aveva più l'enorme ragno come compagno. Aveva vagabondato fino ad una capanna, protetta da una palizzata, e aveva chiesto un riparo per la notte. Era davanti alla padrona della capanna, una donna giovane e attraente. Mentre Dor guardava, le minuscole figure si animarono. «Che cosa stanno dicendo?», chiese Dor a Grundy.
«Pensavo che non avessi bisogno di traduzioni!» «Grundy...» Il golem tradusse in fretta: «Sono un barbaro, da poco liberato da un incantesimo. Sono stato trasformato, o portato, nel corpo di una pulce, mentre un'ombra aliena prendeva possesso del mio corpo.» «La pulce,» esclamò Dor. «Quella che era nascosta tra i miei capelli e mi mordeva continuamente! Era il Mundano!» «Chiudi il becco, mentre traduco,» disse Grundy. «Questa lettura di labbra è difficile.» Riprese a tradurre: «Quella creatura ha fatto di tutto per distruggermi, mi ha fatto attraversare l'Abisso con una fune, mi ha gettato tra gli zombie, mi ha buttato da solo contro un'armata di mostri...» «Ora esagera!», gridò Dor, indignato. «E quell'orribile ragno gigante!», continuò la traduzione. «Vivevo quotidianamente con la paura che scoprisse il mio corpo di pulce e...» Il Barbaro tremò. «Ora, mi sono finalmente liberato. Ma sono stanco e affamato. Posso fermarmi per questa notte?» La donna lo osservò. «Per una storia del genere, puoi fermarti tre notti! Ne sai altre?» «Molte altre,» disse modestamente il barbaro. «Nessuno che sa mentire in questo modo, può essere cattivo.» «Giusto,» convenne il Mundano, vilmente. La donna sorrise. «Sono vedova. Mio marito è stato arrostito da un drago. Ho bisogno di un uomo che governi la fattoria: un uomo forte, paziente, non troppo brillante, disposto a metter su...» Allargò le braccia e si girò di lato, sospirando. Il barbaro notò il suo sospiro. Era ottimo, era di quelli a cui i barbari normalmente fanno attenzione. Il Mundano sorrise. «Beh, non sono troppo paziente.» «Beh, sei quasi perfetto,» disse la donna. Dor distolse lo sguardo, soddisfatto. Il suo corpo mundano avrebbe avuto la felicità che meritava. Qualcosa in quella scenetta gli ricordò Cedric il centauro. Come gli andavano le cose con Celeste, la puledrina impertinente? Ma Dor si trattenne dal curiosare; ormai non erano più affari suoi. Qualcosa attrasse la sua attenzione. Concentrò lo sguardo su un angolo dell'arazzo. C'era il minuscolo Saltatore che agitava una zampa. C'era un altro ragnetto accanto a lui. «Hai trovato un amico!», esclamò Dor. «Non è un amico, è la sua compagna,» disse Grundy. «Vuole sapere do-
v'è stato nei cinque anni in cui è scomparso. Perciò, quando l'uscita della fialetta dell'elisir lo ha avvertito della tua presenza, l'ha portata qui per fartela conoscere.» «Dille che è vero, tutto vero,» disse Dor. Poi: «Cinque anni?» «Due settimane, secondo il tuo tempo. Anche a lui sono sembrate due settimane. Ma quando è tornato a casa...» «Ah, capisco.» Dor scambiò delle cortesie con la scettica Signora Saltatore, salutò di nuovo l'amico, promise di ritornare il giorno-mese seguente, e uscì dalla stanza, sentendosi meglio. «Ti muovi con una nuova sicurezza,» osservò Grundy. Sembrava triste. «Non avrai bisogno di me per molto tempo ancora.» «È la pena che si paga per crescere,» disse Dor. «Tra qualche anno mi sposerò, e tu potrai fare la guardia del corpo a mio figlio, proprio come l'hai fatta a me.» «Sicuro,» disse il golem, lusingato. Lasciarono il Castello, e si diressero verso il cottage di formaggio. Sentiva un'ansia e una nostalgia crescenti, man mano che si avvicinava alla sua casa. I suoi genitori dovevano essere ancora fuori, per la loro missione a Mundania. Solo Millie sarebbe stata a casa. Millie la fanciulla, Millie il fantasma, Millie la balia. Che cosa le aveva detto il Corallo-Cervello, quando animava il suo corpo? Che cosa le doveva dire ora? Millie aveva un'idea di che cosa Dor avesse fatto nelle due settimane precedenti? Dor si fece forza ed entrò. Non bussò. Era il suo cottage, dopotutto. Era solo il ragazzino a cui Millie badava. Lei non sapeva, non avrebbe mai dovuto sapere, che lui era stato il Mago con l'aspetto di un guerriero mundano, tanti secoli prima. «Di' un po',» chiese Grundy, mentre attraversavano quella casa notaignota verso la cucina. «Quale nome hai usato, nell'arazzo?» «Il mio nome, naturalmente. Il mio nome e il mio talento...» Oh, no! Il sistema più sicuro per identificare una qualsiasi persona nella Terra di Xanth era saperne il nome ed il talento. Si era tradito involontariamente! «Sei tu, Dor?», chiamò Millie dalla cucina, con voce flautata. Troppo tardi per scappare! «Uh, sì.» Non c'era niente da fare tranne che vedere se lei lo riconosceva. Oh, quegli errori da dodicenne! «Uh, stavo solo parlando ad un muro.» Schioccò le dita verso il muro più vicino. Di' qualcosa, muro!» «Qualcosa,» disse il muro, obbediente.
Lei si fermò sulla soglia della cucina, ed era meravigliosamente bella. Aveva dodici anni di più di quando l'aveva vista l'ultima volta, ma era quasi regale nella sua maturità improvvisa. Ora aveva portamento, eleganza, statura. Era invecchiata, nello spazio di una notte, di più di un decennio, mentre Dor aveva perso altrettanti anni. Un baratro si era aperto tra loro, un baratro di età e di tempo, enorme quanto l'Abisso. Dor l'amava ancora. «Beh, non hai parlato con i muri per due settimane,» disse Millie. Dor sapeva che doveva essere vero: il Corallo aveva animato il suo corpo, ma non aveva il suo particolare talento magico. «C'è qualcosa che non va?», chiese Millie. «Perché mi fissi in quel modo?» Dor si costrinse ad abbassare gli occhi. «Io...» Che cosa poteva dire? «Io... mi pare di averti visto da qualche parte.» Lei rise con un'eco della dolcezza e dell'innocenza che lui aveva conosciuto e amato nella fanciulla dell'arazzo. «Questa mattina, Dor, quando ti ho servito la colazione!» Ma non avrebbe più rimandato. La cosa che temeva di più era il riconoscimento; doveva affrontarlo subito. «Millie... quando eri giovane... prima di essere un fantasma... avevi degli amici?» Lei rise di nuovo, e questa volta Dor notò la pienezza e la rotondità del suo corpo che rideva con lei. «È naturale che avevo degli amici!» «Chi erano? Non me ne hai mai parlato.» Il cuore gli batteva veloce. Lei aggrottò la fronte. «Non mi stai prendendo in giro, non è vero? Ma io non posso dirtelo. Nelle vicinanze fu fatto esplodere un Incantesimo dell'Oblio, ed io, da fantasma, ho vissuto vicino alla zona dell'oblio per molti secoli. Non ricordo i miei amici.» L'Incantesimo dell'Oblio! Le aveva fatto dimenticare... lui. Ma Dor tentò ancora, perversamente, spinto da un impulso che si rifiutava di definire. «Come... sei morta?» «Qualcuno mi ha incantato. Mi ha trasformato in un libro...» Un libro! Il libro che lui aveva trovato nel montacarichi che portava alla biblioteca dalla toilette delle donne. Vadne doveva averla trasformata in quel libro, poi l'aveva inviato al piano superiore, e nessuno ne aveva capito il significato. Uno stupido errore, un favore della maledizione di Murphy. Dor stesso aveva messo il volume in uno scaffale della biblioteca, dove era rimasto ottocento anni, indisturbato. «Non ricordo nemmeno che cosa fosse il mio corpo, o dove fosse,» con-
tinuò Millie. «O forse era stato gettato un incantesimo anche su questo. Tutto era vago, soprattutto all'inizio, e poi sono diventata un fantasma, ed è stato più facile non pensarci. I fantasmi non hanno una mente molto solida.» Lei si fermò ad osservare Dor. «Ma a volte mi ritorna in mente qualcosa. Tuo padre mi ricorda qualcuno, qualcuno che credo di avere amato... ma non riesco a ricordare. Ad ogni modo, è morto da ottocento anni, ormai, e ora c'è Jonathan. Conosco Jonathan da secoli, e lui è terribilmente gentile. Quando ero sola, abbandonata e confusa, soprattutto dopo che Re Roogna morì e il Castello cadde nell'oblio - Re Roogna ebbe un regno lungo e felice, ma doveva finire prima o poi - Jonathan venne e mi aiutò a resistere. Non gli importava che ero solo un fantasma. Se solo...» Allora Millie aveva amato Dor... e l'aveva dimenticato sotto l'influsso dell'Incantesimo dell'Oblio. Il suo nome e il suo talento non l'avevano tradito, dopotutto. Niente nella sua nascita e nella sua giovinezza in quel mondo l'aveva all'armata, dal momento che lei non aveva mai conosciuto le origini di quell'antico eroe, ed era quasi impossibile che lo collegasse a Dor. Solo Jonathan le era stato di conforto in tutti quei secoli. Lei non aveva dimenticato Jonathan, perché lo zombie era sempre stato lì. Un fantasma e uno zombie inquieto, che si aiutavano l'un l'altro, quando il resto del mondo li aveva dimenticati. Perché torturare Millie con il ricordo di un dolore antico? Dor sapeva che cosa doveva fare. «Millie, ho ottenuto l'elisir per riportare Jonathan in vita.» Alzò la fialetta. Lei lo guardò, incredula. «Dor... ora ricordo qualcosa. Tuo padre... mi ricordava te. Non nell'aspetto, ma nel...» «Io non ero ancora nato!», disse Dor con voce rauca, e si pentì di quell'impulso che l'aveva spinto a ricordarle proprio quello. «Stai ragionando al contrario. Io ti ricordo mio padre... perché sto crescendo.» «Sì, sì, naturalmente,» lei convenne, incerta. «Ma... il tuo talento di... ricordo di aver parlato a delle perle in un grande nido, o qualcosa del genere...» «Prendi l'elisir,» disse Dor, e glielo porse. «Chiama Jonathan.» Oh, Jonathan, pensò con dolore. Sai che occuperai il posto del suo amore, e del suo fidanzato? Sii buono con lei, in nome di quello che non è mai potuto essere! Millie era troppo distratta per prendere la fiala. «Io... ma, c'è qualcosa. Un grande barbaro che si chiamava...»
«Jonathan!», Dor urlò con tutto il fiato che aveva il suo corpo attuale. «Vieni qui!» La porta si aprì, perché Jonathan era sempre vicino a Millie. Una fedeltà di secoli e secoli! Entrò a passo strascicato nella cucina, lasciando cadere le solite zolle di terra e fango. Non importava quanto ne cadesse, uno zombie ne aveva sempre altro: faceva parte dell'incantesimo. Il suo corpo era scheletrico, gli occhi erano orbite marce, e lo circondava il nauseante tanfo della putrefazione. «Ma ora so che era solo un amore passeggero,» continuò Millie. «Il barbaro mi ha lasciato, mentre Jonathan è rimasto.» Dor strappò la fialetta. «Acchiappa!», gridò, e lanciò il prezioso liquido sullo zombie. Immediatamente il corpo cominciò a sanarsi. La carne fu magicamente restaurata, i tessuti si riempirono, la pelle si tese e si schiarì. La figura si raddrizzò, si riempì, si allungò. «E così il mio vero amore è Jonathan,» concluse Millie. Poi alzò gli occhi, comprese la trasformazione che stava avvenendo, e i suoi capelli ondeggiarono come nei vecchi tempi. «Jonathan!», gridò. Rapidamente sparirono gli ultimi attributi da zombie. La figura divenne quella di un uomo vivo, scarno ma sano. «Il Signore degli Zombie!», esclamò Dor, quando alla fine lo riconobbe. «Non ho mai saputo il tuo nome!» Poi si allontanò, perché il vero amore prendesse il posto che gli spettava. Jonathan e Millie andarono l'uno verso l'altra, lei scalciò appena i piedi, e Dor seppe che la sua ricerca era finita. FINE