NAOMI NOVIK TEMERAIRE IL DRAGO DI SUA MAESTÀ (His Majesty's Dragon, 2006) Per Charles sine qua non Parte prima 1 Il pont...
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NAOMI NOVIK TEMERAIRE IL DRAGO DI SUA MAESTÀ (His Majesty's Dragon, 2006) Per Charles sine qua non Parte prima 1 Il ponte della nave francese era reso scivoloso dal sangue e ondeggiava sul mare increspato: ogni attacco poteva colpire tanto chi lo sferrava quanto il nemico cui era mirato. Laurence, nel fervore della battaglia, non aveva tempo di stupirsi per la strenua resistenza nemica, ma nonostante l'euforia dello scontro, il clangore delle spade e il fumo delle pistole, notò l'espressione di profonda angoscia sul volto del capitano francese mentre questi incitava i suoi uomini. Quell'espressione era ancora presente poco dopo, quando si incontrarono sul ponte e il francese consegnò con riluttanza la propria spada. All'ultimo momento la sua mano strinse leggermente l'arma, come per un ripensamento. Laurence levò lo sguardo per assicurarsi che la bandiera fosse stata ammainata, poi accettò la lama con un muto inchino. Non parlava francese, e uno scambio più formale di battute avrebbe dovuto attendere la presenza del sottotenente di vascello, al momento impegnato sottocoperta per mettere al sicuro le armi da fuoco francesi. Terminate le ostilità, i nemici superstiti si accasciarono sul ponte. Laurence notò che ce ne erano meno di quanti se ne sarebbe aspettati su una fregata da trentasei cannoni, e sembravano tutti malati, con le guance incavate. Molti di loro giacevano morti o in fin di vita. Laurence scosse la testa davanti a quello spreco e lanciò un'occhiata di disapprovazione al capitano francese: quell'uomo non avrebbe mai dovuto affrontarli. Innanzitutto, era evidente che la Reliant avrebbe superato la Amitié per armamenti e uomini in qualsiasi situazione, e poi l'equipaggio della nave francese era indebolito dalle malattie e dalla fame. Infine, le vele erano aggrovigliate, e non a causa della battaglia bensì della tempesta di quella mattina. I francesi erano a malapena riusciti a sparare una salva di cannone prima che la Reliant
si avvicinasse e li abbordasse. Il capitano era profondamente sconvolto per la sconfitta, ma non era comunque un ragazzino, non doveva lasciarsi trascinare dai propri sentimenti: non avrebbe mai dovuto condurre i suoi uomini in un'azione tanto disperata. «Riley,» disse Laurence, richiamando l'attenzione del suo luogotenente «fate portare i feriti sottocoperta.» Si agganciò al cinturone la spada del capitano nemico. Non era suo costume comportarsi così, ma stavolta non riteneva che quell'uomo meritasse l'onore di riaverla. «E mandate a chiamare Wells.» «Subito, signore» rispose Riley, girandosi poi a impartire gli ordini necessari. Laurence si avvicinò al parapetto per valutare i danni subiti dallo scafo. Sembrava intatto, e lui stesso aveva ordinato ai suoi uomini di non sparare sotto il livello dell'acqua. Con soddisfazione pensò che non avrebbero avuto difficoltà a condurre la nave in porto. I capelli gli si erano sciolti dalla corta coda nella quale li teneva legati, e gli caddero davanti agli occhi quando guardò in basso. Con un gesto impaziente, li spinse indietro mentre si girava di nuovo verso il ponte, striandosi di sangue la fronte e la chioma schiarita dal sole. Quelle chiazze rosse, insieme alle spalle larghe e allo sguardo severo, gli conferirono a sua insaputa un aspetto selvaggio, mentre ispezionava il suo trofeo, diverso dalla sua solita espressione pensierosa. Wells salì sul ponte in risposta alla chiamata e si portò al suo fianco. «Signore,» esordì senza attendere di essere interpellato «mi perdoni, ma il tenente Gibbs dice di aver trovato qualcosa di strano nella stiva.» «Davvero? Allora andrò a vedere» replicò Laurence. «Vi prego intanto di dire a questo gentiluomo» indicò il capitano francese «che deve darmi la sua parola d'onore, per lui e per i suoi uomini, altrimenti dovremo rinchiuderli.» Il capitano francese non rispose subito, e guardò i suoi uomini con un'espressione avvilita. Sarebbe stato meglio per loro essere sistemati nel cassero di poppa e, comunque, ogni tentativo di riconquista era impossibile in quelle circostanze. Eppure il capitano esitò, abbattuto, e infine con voce rauca disse, «Je me rends», con un'espressione ancora più infelice. Laurence annuì brevemente. «Portatelo pure nella sua cabina» ordinò a Wells, e si girò per scendere nella stiva. «Tom, venite con me? Molto bene.» Scese con Riley alle calcagna, e trovò il tenente ad aspettarlo. Il volto rotondo di Gibbs brillava ancora per il sudore e l'emozione; avrebbe portato
il bottino in porto e, dato che si trattava di una fregata, quasi certamente avrebbe ricevuto la carica di capitano. Laurence era contento, ma non molto. Anche se Gibbs aveva svolto i suoi compiti in modo dignitoso, gli era stato imposto dall'ammiragliato e loro due non avevano legato. Avrebbe preferito che fosse Riley a ricoprire il grado di tenente e, se avessero fatto a modo suo, ora sarebbe toccato a Tom essere promosso. Ma le cose stavano diversamente, e lui non invidiava la fortuna di Gibbs, eppure non se ne rallegrava come avrebbe fatto se la nave fosse stata presa dal sottotenente. «Molto bene, allora, di cosa si tratta?» chiese Laurence. I marinai erano raccolti intorno a una paratia stranamente collocata verso la poppa della stiva, dimentichi dell'incarico di catalogare i beni della nave conquistata. «Signore, da questa parte» rispose Gibbs. «Fate spazio» ordinò, e i marinai si spostarono permettendo così a Laurence di vedere un ingresso nel muro costruito sul retro della stiva. Doveva essere stato fatto di recente, perché il legname era molto più chiaro della bordatura circostante. Abbassandosi per passare dalla porticina, Laurence si ritrovò in una piccola stanza dall'aspetto insolito. Le pareti erano state rinforzate con del metallo, che di certo aveva aggiunto parecchio peso superfluo alla nave, e il pavimento era imbottito con vecchie tele da vela. Inoltre c'era una piccola stufa a carbone in un angolo, al momento non in funzione. L'unico oggetto custodito in quella stanza era una grande cassa, alta circa quanto un uomo alla vita e altrettanto larga, fissata al pavimento e alle pareti con spessi gherlini legati ad anelli di metallo. Laurence non poté non provare una viva curiosità e, dopo un attimo di riluttanza, le cedette. «Gibbs, credo che dovremmo dare un'occhiata al contenuto» disse facendosi da parte. Il coperchio era completamente inchiodato, ma alla fine cedette agli sforzi dei marinai. Aperta la cassa, questi rimossero un primo strato di imbottitura, e molte teste si sporsero in avanti nello stesso momento per vedere cosa vi fosse sotto. Nessuno parlò e, in silenzio, Laurence fissò la curva lucente del guscio d'uovo che sporgeva dalla paglia ammucchiata: era davvero incredibile. «Fate venire Pollitt» ordinò infine. La sua voce sembrava solo leggermente tesa. «Riley, assicuratevi che quelle legature siano ben salde.» Riley non rispose immediatamente, troppo occupato a fissare la cassa; poi scattò sull'attenti e si affrettò a dire, «Subito, signore.» Quindi si chinò per controllare i leganti. Laurence si avvicinò ancora e osservò l'uovo. C'erano pochi dubbi sulla sua natura, benché non potesse esserne certo basan-
dosi solo sulla propria esperienza. Superata la sorpresa, allungò con incertezza una mano verso l'uovo e ne toccò la superficie, con molta prudenza: era liscia e dura al tatto. Si ritrasse quasi subito, non volendo provocare danni. Pollitt scese nella stiva con la sua solita andatura goffa, stringendosi ai corrimano della scala con entrambe le mani e lasciandoci sopra impronte insanguinate. Non era affatto un marinaio, era diventato medico di nave solo alla tarda età di trent'anni, dopo qualche imprecisata delusione sulla terraferma. Era comunque un uomo geniale, benvoluto dall'equipaggio, anche se sul tavolo operatorio non sempre la sua mano era ferma. «Sì, signore?» domandò, poi vide l'uovo. «Buon Dio del cielo.» «Allora, è un uovo di drago?» gli chiese Laurence. Dovette sforzarsi per celare la nota di trionfo nella voce. «Oh, sì, certo, capitano, basta vedere quanto è grosso.» Pollitt si era pulito le mani sul grembiule e stava già togliendo altra paglia dalla cassa, cercando di stabilire le reali dimensioni dell'uovo. «Accidenti, è già piuttosto indurito. Mi chiedo che intenzioni avessero, così lontani da terra.» La cosa non suonava molto promettente. «Indurito?» chiese Laurence secco. «Cosa significa?» «Be', che si schiuderà presto. Devo consultare i miei libri per esserne sicuro, ma credo che il Bestiario di Badke stabilisca con certezza che quando il guscio si è completamente indurito, la schiusa avviene nel giro di una settimana. Che meraviglioso esemplare. Devo prendere le mie corde da misurazione.» Andò via quasi di corsa, e Laurence scambiò un'occhiata con Gibbs e Riley, avvicinandosi a loro in modo che potessero parlare senza essere sentiti dagli uomini che ancora se ne stavano lì a bocca aperta. «Convenite che si trovavano ad almeno tre settimane da Madeira con il vento a favore?» chiese a bassa voce. «Nella migliore delle ipotesi, signore» replicò Gibbs annuendo. «Non riesco a immaginare come siano finiti qui con quell'uovo» disse Riley. «Cos'ha intenzione di fare, signore?» La soddisfazione iniziale si stava trasformando gradualmente in apprensione, man mano che Laurence si rendeva conto di quanto difficile fosse la situazione. Fissò l'uovo con sguardo inespressivo. Anche alla fioca luce della lanterna, il guscio brillava con la calda lucentezza del marmo. «Che sia dannato se lo so, Tom. Ma penso che restituirò al capitano francese la sua spada. Dopotutto non mi stupisce che abbia combattuto con tanto ac-
canimento.» In realtà lo sapeva bene; c'era una sola soluzione possibile, per quanto spiacevole. Laurence guardò pensieroso l'uovo mentre veniva trasferito sulla Reliant, dentro la sua cassa. Era l'unico, a parte gli ufficiali francesi, a essere angosciato. Li aveva lasciati liberi nel cassero di poppa, e loro, avviliti, seguivano attraverso le inferriate lo svolgersi della delicata operazione. I volti dei marinai, invece, erano tutti illuminati da sorrisi di gioia, e anche quelli che non partecipavano al trasporto della cassa si davano un gran da fare, tra spintoni e inutili consigli o avvertimenti urlati a quelli che, già madidi di sudore, erano impegnati nel trasporto. Quando l'uovo fu al sicuro sul ponte della Reliant, Laurence si congedò da Gibbs. «Lascerò i prigionieri con voi, non ha senso dar loro motivo di tentare la disperata impresa di riprendersi quella cassa» disse. «Restiamo vicini con le due navi, per quanto è possibile. A ogni modo, se dovessimo perderci di vista, ci incontreremo a Madeira. Le faccio le mie più sentite congratulazioni, capitano» aggiunse, stringendogli la mano. «Grazie, signore. E, se posso dirlo, sono consapevole... molto grato...» Ma l'eloquenza di Gibbs, di per sé piuttosto limitata, non si spinse oltre. L'uomo tacque e rimase immobile davanti a Laurence, raggiante e determinato. La nave era stata portata a fianco dell'Amitié per poter effettuare il trasporto della cassa. Laurence non ebbe bisogno di una barca, ma gli fu sufficiente saltare oltre bordo. Riley e gli altri ufficiali erano già tornati indietro. Il capitano diede l'ordine di salpare, poi andò direttamente sottocoperta per valutare il problema in privato. Ma, durante la notte, non gli si presentò nessuna alternativa accettabile. Giunto il mattino, Laurence si arrese e diede degli ordini. Poco dopo, gli ufficiali della nave si affollarono nella sua cabina, nervosi e con le loro uniformi migliori; mai, prima di allora, tante persone erano state convocate insieme, e quell'ambiente angusto non permetteva un'agevole sistemazione. Laurence scorse ansia su alcuni volti e curiosità su altri. Soltanto Riley sembrava seriamente preoccupato, forse perché intuiva le intenzioni del suo superiore. Il capitano era in piedi. Aveva fatto portar via la scrivania e la sedia, per guadagnare spazio, anche se aveva conservato il calamaio, la penna e vari fogli di carta, ora posati sul davanzale della finestra di poppa. Laurence si schiarì la voce. «Signori» esordì, «ormai saprete tutti che a bordo della nave francese abbiamo trovato un uovo di drago: Pollitt lo ha identificato con
assoluta sicurezza.» Ci furono molti sorrisi e qualche gomitata furtiva. Il cadetto Battersea esclamò con voce squillante, «Congratulazioni, signore!» e gli altri fecero eco con un brusio di compiacimento. Laurence si accigliò. Capiva il loro entusiasmo, e se le circostanze fossero state leggermente diverse lo avrebbe condiviso. L'uovo avrebbe reso mille volte il suo peso in oro, se l'avessero portato sulla terraferma: tutti gli uomini a bordo della nave avrebbero avuto una parte del bottino e, in quanto capitano, lui si sarebbe preso la fetta più grossa. I diari di bordo della Amitié erano stati gettati in acqua, ma i marinai semplici erano stati meno discreti, e dalle loro lamentele Wells aveva appreso abbastanza da poter capire come mai la nave francese si trovava in quelle condizioni e così lontana dal porto. La febbre tra i membri dell'equipaggio, la bonaccia che li aveva bloccati per quasi un mese, una falla nelle taniche che aveva lasciato la nave a secco di riserve d'acqua, e infine la recente tempesta che aveva colpito anche loro. Era stata una serie di eventi particolarmente sfortunati, e Laurence sapeva che i suoi uomini, superstiziosi per natura, sarebbero stati atterriti dall'idea di trasportare con la Reliant l'uovo che, senza dubbio, era stato la causa di tutte quelle disgrazie. Naturalmente, si guardò bene dal rivelare tutti i dettagli all'equipaggio. Era meglio lasciare i marinai all'oscuro della lunga serie di disastri che aveva colpito la Amitié. Per cui, quando tornò il silenzio, Laurence si limitò a dire: «Purtroppo la nave ha avuto parecchia sfortuna. Sicuramente si aspettavano di toccare terra circa un mese fa, se non prima, e il ritardo ha reso più pressante il problema dell'uovo.» Sulla maggior parte dei volti comparvero imbarazzo e perplessità, anche se la preoccupazione già cominciava a serpeggiare in quegli sguardi. Il capitano concluse dicendo, «In breve, signori, l'uovo sta per schiudersi.» Ci fu di nuovo un brusio, questa volta dovuto alla delusione, e persino qualche lamento; in condizioni normali, Laurence avrebbe preso mentalmente nota dei responsabili per rimproverarli in seguito, ma date le circostanze, lasciò perdere. Avrebbero avuto ben presto motivi più gravi per lamentarsi. Per il momento non avevano ancora capito il vero problema, si erano limitati a confrontare il valore dell'uovo con quello di un cucciolo di drago, assai meno redditizio. «Forse non tutti vi rendete conto» riprese, zittendo con uno sguardo tutti
i bisbigli, «che l'Inghilterra si trova in una difficile situazione per quanto riguarda i corpi d'armata aerei. Naturalmente la nostra gestione è superiore, e i piloti inglesi sono migliori di quelli di qualsiasi nazione al mondo, ma i francesi hanno il doppio dei nostri draghi, e non si può negare che dispongono di una migliore varietà. Un drago ben addestrato per la nostra armata aerea è l'equivalente di cento ottimi cannoni per noi, anche se dovesse trattarsi di un comune Mietitore giallo o un Winchester di tre tonnellate. E Pollitt, basandosi sul colore e la dimensione dell'uovo, crede che questo sia un ottimo esemplare, probabilmente uno delle rare razze grandi.» «Oh!» esclamò inorridito il cadetto Carver, quando comprese le implicazioni di quel discorso. Arrossì quando si sentì tutti gli occhi addosso, e tacque immediatamente. Laurence ignorò l'interruzione; Riley avrebbe sospeso le razioni di grog di Carver senza che gli venisse ordinato. Almeno quella reazione aveva messo gli altri sull'avviso. «Dovremo per lo meno cercare di controllare l'animale» continuò il capitano. «Confido, signori, che tra di voi nessuno sia intenzionato a non compiere il proprio dovere verso l'Inghilterra. I corpi d'armata forse non corrispondono allo stile di vita al quale siamo stati educati, ma la marina non è meno impegnativa, e tutti voi comprendete il significato di un duro servizio.» «Signore...» intervenne ansioso il tenente Fanshawe, un giovane di buona famiglia, figlio di un conte. «Intendete dire che... cioè, che tutti dovremo...» L'enfasi in quel 'tutti' aveva un chiaro significato, e Laurence si sentì avvampare di rabbia. Disse in tono brusco, «Esatto, Fanshawe, tutti. A meno che qualcuno non sia talmente codardo da non voler tentare. In quel caso potrà spiegare le sue ragioni alla corte marziale quando sbarcheremo a Madeira.» Fece spaziare il suo sguardo rabbioso nella stanza. Nessuno lo guardò negli occhi o osò protestare. Laurence era infuriato soprattutto perché comprendeva le ragioni dei suoi uomini, e le condivideva. Di certo chi non nasceva per essere un aviatore non poteva accettare di buon grado l'idea di diventarlo. Lui stesso era riluttante all'idea di dover chiedere ai suoi ufficiali una cosa del genere. Significava, dopo tutto, la fine di ogni parvenza di vita ordinaria. Non era come navigare, dove si poteva comunque rinunciare a solcare i mari e farsi assegnare un incarico a terra. Anche in tempi di pace, un drago non poteva essere tenuto in porto, né gli poteva essere consentito di muoversi liberamente. Impedire a una bestia
adulta di venti tonnellate di fare quello che voleva richiedeva la quasi totale attenzione di un aviatore e di un gruppo di assistenti. I draghi non potevano essere gestiti con la forza, ed erano incostanti nei riguardi di chi li accudiva; alcuni di loro non gradivano affatto essere controllati già al momento della schiusa, e nessuno lo accettava dopo il primo pasto. Un drago selvatico poteva essere tenuto in cattività solo fornendogli costantemente del cibo, occasioni per accoppiarsi e un riparo confortevole, ma non lo si poteva controllare negli spazi aperti né avrebbe mai accettato di parlare con degli umani. Per cui, se un drago appena nato avesse permesso a qualcuno di bardarlo, l'atto avrebbe legato per sempre quella persona all'animale. Gli aviatori non potevano gestire alcun tipo di patrimonio, non potevano avere una famiglia, né erano davvero integrati nella società. Vivevano in isolamento e al di fuori della legge, perché non era possibile punire un aviatore senza perdere anche il suo drago. In tempi di pace vivevano in una sorta di libertinaggio immorale e incontrollato in piccole enclavi, generalmente nei luoghi più remoti e inospitali di tutta la Gran Bretagna, dove almeno i draghi trovavano un po' di libertà. Benché gli uomini dell'armata fossero onorati per il loro indubbio coraggio e la dedizione al dovere, la prospettiva di entrare nei loro ranghi non era attraente per uomini cresciuti in una società rispettabile. Eppure anche gli aviatori provenivano da buone famiglie, alcuni erano figli di gentiluomini, avviati a quel tipo di vita dall'età di sette anni. Per l'armata sarebbe stato un insulto inaccettabile se qualcuno al di fuori dei suoi ufficiali avesse tentato la bardatura. Ma se era necessario che qualcuno corresse il rischio, allora dovevano essere coinvolti tutti. Anche se, qualora Fanshawe non avesse parlato in modo tanto disdicevole, Laurence avrebbe preferito escludere Carver. Sapeva che il ragazzo non tollerava le grandi altezze, e questo limite gli avrebbe impedito di diventare aviatore. Ma, nell'atmosfera che si era creata dopo la penosa richiesta di Fanshawe, sarebbe sembrato un atto di favoritismo. Laurence fece un respiro profondo, ancora fremente di rabbia, poi riprese a parlare. «Nessuno di noi ha l'addestramento necessario per affrontare tale compito, e l'unico modo equo per assegnarlo è attraverso il sorteggio. Naturalmente, i gentiluomini che hanno famiglia saranno esonerati. Pollitt,» disse, voltandosi verso il medico, che aveva moglie e quattro figli nel Derbyshire, «spero vorrete essere voi a effettuare l'estrazione. Signori, ciascuno scriverà il proprio nome su un foglio e lo deporrà in questa borsa.»
Mettendo subito in pratica le proprie parole, strappò un pezzo di foglio con sopra il suo nome, lo piegò e lo mise nella piccola sacca. Riley si fece subito avanti, e gli altri seguirono il suo esempio. Sotto lo sguardo gelido di Laurence, Fanshawe arrossì e, titubante, scrisse il proprio nome. Carver, benché pallido in volto, scrisse con fermezza. Per ultimo toccò a Battersea che, diversamente dagli altri, fu audace e strappò un pezzo di foglio particolarmente grande. Lo si udì mormorare a Carver: «Non sarebbe straordinario cavalcare un drago?» Laurence scosse leggermente la testa per la sconsideratezza di quel ragazzo. Eppure, forse era davvero auspicabile che toccasse a uno dei più giovani, che di certo avrebbe avuto meno difficoltà a adattarsi al compito. Ma sarebbe stato comunque duro vedere uno di loro sacrificato per quell'incarico, e dover affrontare la rabbia della sua famiglia. Ma lo stesso si poteva dire per tutti gli uomini presenti, lui incluso. Anche se aveva fatto del suo meglio per non considerare le conseguenze da una prospettiva egoistica, ora che il momento decisivo stava per arrivare non riusciva a tacitare del tutto le sue personali paure. Un pezzetto di carta poteva causare la fine della sua carriera, un cambiamento radicale della sua vita, il disonore per suo padre. E poi c'era Edith Galman a cui pensare; ma se avesse dovuto escludere gli uomini che avevano una relazione sentimentale, allora non sarebbe rimasto nessuno. In ogni caso, non si sarebbe sottratto a quel compito per nessuna ragione. Non poteva chiedere ai suoi uomini di affrontare una cosa del genere ed essere lui il primo a evitarla. Passò la borsa a Pollitt, facendo uno sforzo per apparire calmo e rilassato, le mani mollemente unite dietro la schiena. Il medico agitò il sacchetto due volte, ci infilò una mano senza guardare e ne estrasse un piccolo foglio ripiegato. Laurence si vergognò nel provare sollievo ancor prima che il nome venisse letto. Il pezzo di carta era piegato una volta in più rispetto al suo. L'emozione durò soltanto un momento. «Jonathan Carver» disse Pollitt. Battersea gemette, mentre Fanshawe emise un sospiro rumoroso e Laurence piegò la testa, maledicendolo ancora una volta. Carver era tanto promettente come ufficiale quanto inutile come aviatore. «Bene, abbiamo concluso» disse il capitano. Non restava altro da fare. «Carver, siete sollevato dai vostri compiti regolari fino al momento della schiusa. Dovrete consultarvi con Pollitt riguardo al procedimento da seguire per la bardatura.»
«Sì, signore» rispose il ragazzo con voce un po' tremante. «Signori, siete congedati; Fanshawe, voglio parlarvi un attimo. Riley, vi affido il comando del ponte.» Riley si toccò il cappello e uscì seguito dagli altri. Fanshawe rimase immobile, rigido e pallido, con le mani strette dietro la schiena, e deglutì, facendo sobbalzare il suo prominente pomo d'Adamo. Laurence lo lasciò a sudare mentre il capo furiere risistemava il mobilio nella cabina, poi si sedette e lo osservò dalla sua posizione di comando, davanti alle finestre. «Ora vorrei mi spiegaste cosa intendevate dire esattamente con l'osservazione di prima, Fanshawe» disse. «Signore, non intendevo nulla» replicò Fanshawe. «È solo quello che si dice sugli aviatori, signore...» Tacque di colpo quando scorse lo sguardo severo del capitano. «Non mi interessa affatto ciò che si dice, Fanshawe» ribatté questi con freddezza. «Gli aviatori sono la difesa aerea dell'Inghilterra, come noi lo siamo in mare, e quando avrete fatto anche solo la metà del peggiore di quegli uomini, allora potrete criticare. Coprirete i turni di guardia di Carver, e svolgerete tutti i suoi compiti, oltre ai vostri, naturalmente, e la vostra razione di grog è sospesa fino a nuovo ordine. Informate il secondo capo timoniere. Siete congedato.» Ma, nonostante la punizione e il rimprovero, dopo che Fanshawe se ne fu andato, Laurence iniziò a camminare nervosamente nella cabina. Era stato severo, e a ragione, poiché quell'uomo si era comportato in modo riprovevole parlando a quel modo, e ancor di più suggerendo il proprio esonero per diritto di nascita. Ma quell'estrazione era stata comunque un atto sacrificale, e provava un rimorso di coscienza quando pensava allo sguardo sul volto di Carver. Il sollievo che ancora provava era disgustoso. Stava condannando il ragazzo a un destino che lui stesso non avrebbe voluto affrontare. Cercò di consolarsi pensando che il drago, a causa dell'incapacità di Carver, avrebbe rifiutato la bardatura. In questo caso nessuno poteva biasimarlo. Avrebbe dato in custodia l'animale con la coscienza pulita. Anche se fosse stato utilizzato solo per gli accoppiamenti, il drago avrebbe reso un grande servizio all'Inghilterra, e averlo tolto ai francesi costituiva già una vittoria. Personalmente sarebbe stato più che soddisfatto di una soluzione del genere, anche se per senso di dovere avrebbe fatto tutto il possibile per tentare la bardatura. La settimana successiva fu molto tesa. Era impossibile non percepire
l'apprensione di Carver, soprattutto quando col passare dei giorni la bardatura progettata dall'armiere iniziò a prendere forma. Altrettanto palese era lo scontento degli amici del giovane e degli uomini del suo gruppo di cannonieri. Carver era un ragazzo popolare e il fatto che soffrisse di vertigini era risaputo da tutti. Pollitt era l'unico di buon umore, non essendo ben informato del malumore diffuso sulla nave, e avendo molto più interesse per il processo della bardatura. Passava molto tempo a esaminare l'uovo, spingendosi fino a dormire e mangiare accanto alla cassa nell'armeria, con grande cruccio degli ufficiali che passavano lì la notte. Il dottore russava rumorosamente, e la cabina era già abbastanza affollata. Pollitt era del tutto inconsapevole della silenziosa disapprovazione di quegli uomini, e vegliò fino al mattino in cui, con una assoluta mancanza di immedesimazione, annunciò allegro la comparsa delle prime crepe sul guscio. Laurence ordinò subito che l'uovo venisse tolto dalla cassa e portato sul ponte. Lo depositarono con cautela su un cuscino speciale, fabbricato per l'occasione con tele da vela e paglia e sistemato su due bauletti legati insieme. Rabson, l'armiere, portò la bardatura: un arnese improvvisato fatto da cinghie di cuoio tenute insieme da dozzine di fibbie, in quanto l'uomo non conoscendo esattamente le dimensioni dei draghi non aveva potuto fabbricarlo in una misura adeguata. Rabson si fece da parte, in attesa, mentre Carver si sistemava davanti all'uovo. Laurence ordinò ai marinai di fare spazio, e molti di loro si arrampicarono sul cordame o sul tetto della tuga per poter assistere meglio alla procedura. Era una bella giornata di sole, e forse la luce e il tepore furono un incoraggiamento per il cucciolo chiuso nell'involucro: l'uovo cominciò a mostrare delle crepe più estese non appena fu poggiato sul suo supporto. Sul ponte si diffuse un certo nervosismo, e dall'alto arrivarono bisbigli rumorosi, che Laurence scelse di ignorare, e alcuni marinai trasalirono quando si intravidero i primi movimenti dall'interno del guscio: la punta di un'ala artigliata sbucò in superficie, e degli unghioli presero a scavare attraverso un'altra crepa. La schiusa finì all'improvviso. Il guscio si spezzò quasi di netto e le due metà vennero scagliate sul ponte, come se l'occupante fosse impaziente di uscire. Il piccolo drago rimase sul cuscino a scuotersi vigorosamente di dosso i frammenti dell'uovo. Era ancora ricoperto dal liquido interno e brillava sotto il sole, umido e lucido; il suo era del nero più puro dalla punta del naso alla coda, e un sospiro di meraviglia percorse l'equipaggio quando
la bestiola spalancò le sue grandi ali a sei vertebre simili a un ventaglio, il bordo inferiore chiazzato con segni ovali grigi e blu scuro. Laurence stesso era impressionato. Non aveva mai visto una schiusa prima d'ora, anche se aveva preso parte a numerose azioni con la sua flotta e aveva osservato i draghi adulti dell'armata aerea quando erano intervenuti in aiuto. Non aveva conoscenze sufficienti per identificarne la razza, ma era di certo estremamente rara: non ricordava di aver mai visto un drago nero in nessuna delle due fazioni, e sembrava anche piuttosto grande, per essere appena uscito dall'uovo. Tutto questo rendeva solo più pressante il loro problema. «Carver, quando siete pronto procedete pure» disse il capitano. Il ragazzo, pallido in volto, si incamminò verso la creatura, allungando una mano tremante. «Buono, drago» disse, anche se le sue parole parvero più una domanda. «Bravo, drago.» L'animale non gli prestò alcuna attenzione. Era occupato a esaminarsi e a strapparsi di dosso i fastidiosi pezzetti di guscio che erano rimasti attaccati alla sua pelle. Anche se era all'incirca delle dimensioni di un grosso cane, i cinque artigli su ciascuna zampa erano comunque impressionanti, lunghi circa tre centimetri. Carver li guardò con ansia e si fermò a un braccio di distanza, aspettando in silenzio. Il drago continuava a ignorarlo, e in quel momento il giovane si girò a lanciare una supplicante occhiata a Laurence e Pollitt. «Forse dovreste parlargli di nuovo» propose esitante il dottore. «Vi prego di farlo, Carver» aggiunse Laurence. Il ragazzo annuì, ma già mentre lui si girava, l'animale lo anticipò scendendo dal cuscino e balzando sul ponte, superandolo. Carver si girò con la mano ancora tesa e uno sguardo di stupore quasi comico. Gli altri ufficiali, che si erano avvicinati spinti dall'emozione durante la schiusa, indietreggiarono spaventati. «Rimanete ai vostri posti» scattò Laurence. «Riley, controlli la stiva.» Riley annuì e prese posizione davanti all'apertura, per impedire al piccolo drago di scendere sottocoperta. Ma la bestiola si girò invece per esplorare il ponte; mentre camminava, faceva saettare la lunga e stretta lingua biforcuta, toccando leggermente tutto quello che era alla sua portata, e si guardava in giro con evidente aria di curiosità e intelligenza. Eppure continuava a ignorare Carver, nonostante i ripetuti tentativi del ragazzo di attirare la sua attenzione, e sembrava parimenti disinteressato agli altri ufficiali. Anche se a volte si sollevava
sulle zampe posteriori per scrutare un volto più da vicino, fece lo stesso per esaminare una carrucola, o la clessidra sospesa, sulla quale picchiettò con curiosità. Laurence si sentì sprofondare; nessuno avrebbe avuto da ridire se il drago non avesse mostrato una particolare inclinazione per un inesperto ufficiale di mare, ma permettere a un esemplare tanto raro, catturato ancora nel guscio, di diventare selvatico sarebbe stato un evidente fallimento. Avevano gestito la cosa basandosi sulle conoscenze più diffuse, sulle frammentarie indicazioni dei libri di Pollitt e sui vaghi ricordi che il dottore conservava di una schiusa cui in passato aveva assistito. Ora Laurence temeva che potessero aver saltato qualche passo fondamentale. Di sicuro era stata per lui una grossa sorpresa apprendere che la creatura sarebbe stata in grado di parlare subito dopo la schiusa. Non avevano trovato nei testi nessun trucco per indurre il cucciolo a parlare, ma di sicuro sarebbe stato accusato da tutti, e lui stesso non se lo sarebbe mai perdonato, se si fosse scoperto che qualcosa era stato tralasciato. Un brusio sommesso si stava diffondendo tra gli ufficiali e i marinai, che di sicuro percepivano la fine ormai vicina di quel momento. Presto Laurence avrebbe dovuto rinunciare e rinchiudere la bestia, per impedirle di volare via dopo che le avessero dato da mangiare. Continuando a esplorare, il drago arrivò di fronte a lui; si accovacciò guardandolo con interesse, e Laurence lo fissò desolato. Il drago batté le palpebre, e il capitano notò che i suoi occhi erano di un blu intenso e le pupille erano strette e verticali. Poi il drago disse, «Perché siete così accigliato?» Di colpo tutti tacquero, e solo con uno sforzo Laurence riuscì a non fissare l'animale con occhi sgranati. Carver, che forse si era già sentito sollevato da quel suo incarico, era in piedi dietro al drago, a bocca aperta. I suoi occhi incontrarono quelli di Laurence con un'espressione disperata, ma il giovane chiamò a raccolta il coraggio e si fece avanti, pronto a rivolgersi ancora una volta al drago. Laurence fissò prima l'animale, poi il ragazzo pallido e terrorizzato, e infine fece un respiro profondo e disse alla creatura: «Ti chiedo perdono, non era mia intenzione. Io mi chiamo Will Laurence, e tu?» Nessun tipo di disciplina avrebbe potuto sopprimere il mormorio di stupore che percorse il ponte. Il cucciolo di drago non parve notarlo, ma rimase a lungo perplesso per quella domanda, e infine rispose: «Io non ho un nome.»
Laurence aveva letto a sufficienza i libri di Pollitt da sapere cosa doveva dire a quel punto. In tono formale, chiese: «Posso dartene uno io?» Il drago, la cui voce era senza alcun dubbio maschile, lo esaminò ancora una volta, si fermò per grattarsi un punto sulla schiena dove però non c'erano frammenti d'uovo, poi replicò con un'indifferenza poco convincente, «Se ti fa piacere.» E Laurence si sentì smarrito. Non aveva pensato seriamente al processo della bardatura, si era limitato a fare del suo meglio affinché avesse luogo, e non aveva idea di quale potesse essere un nome appropriato per un drago. Dopo un momento di panico, la sua mente collegò in qualche modo una nave e il drago, e disse, senza riflettere, «Temeraire», pensando al nobile vascello che aveva visto salpare molti anni prima: la nave e il drago avevano le stesse movenze, eleganti e fluide. Si maledisse per non aver riflettuto, ma ormai aveva parlato. Almeno era un nome onorevole; dopo tutto, lui era un uomo della marina, ed era appropriato... Ma smise di pensare e fissò la creatura con orrore crescente: ovviamente lui non era più un uomo della marina, non poteva esserlo, non con un drago. E nel momento in cui l'animale avesse accettato la bardatura dalle sue mani, Laurence avrebbe cessato di essere un capitano di nave. Il cucciolo, evidentemente ignaro delle emozioni di Laurence, ripeté, «Temeraire? Sì. Mi chiamo Temeraire.» Annuì, uno strano movimento con la testa che oscillava alla fine del lungo collo, e disse con maggior intensità: «Ho fame.» Se non controllato, un drago appena uscito dall'uovo sarebbe volato via dopo il primo pasto; e solo convincendolo ad accettare le bardature di sua spontanea volontà lo si sarebbe potuto controllare e usare in battaglia. Rabson, stupito e spaventato, non si era ancora fatto avanti con la bardatura. Laurence lo dovette chiamare con un cenno. Aveva i palmi sudati, e il metallo e il cuoio gli sembrarono scivolosi quando l'armiere gli passò i finimenti. Il capitano li strinse con forza e, ricordandosi all'ultimo momento di usare il nuovo nome dell'animale, disse, «Temeraire, mi permetti di metterti questo? Poi potremo legarti al ponte e ti porteremo qualcosa da mangiare.» Temeraire ispezionò la bardatura che Laurence gli stava porgendo, facendo scattare fuori la lingua piatta per sentirne il sapore. «Molto bene» disse, e rimase in attesa. Sforzandosi di non pensare ad altro, Laurence si inginocchiò e armeggiò con le cinghie e le fibbie, facendole passare con attenzione attorno al corpo liscio e tiepido, tenendosi alla larga dalle ali.
La fascia più larga andò a cingere la vita del drago, subito dietro le zampe anteriori, agganciandosi sotto il ventre; cucite a incrocio rispetto a questa fascia, due spesse cinghie correvano lungo i fianchi del drago e intorno al petto sporgente, poi passavano dietro le zampe posteriori e sotto la coda. Vari cappi più piccoli passavano lungo le due cinghie, per allacciarsi intorno alle zampe e alla base del collo e della coda, in modo da tenere fissata la bardatura. Altre fasce più strette e sottili legavano invece la schiena dell'animale. Il complicato montaggio richiese una certa attenzione, e Laurence ne fu grato, perché riuscì a concentrarsi solo su quel compito. Mentre lavorava notò che le scaglie erano sorprendentemente morbide al tatto, e pensò che le cinghie metalliche potevano ferire l'animale. «Rabson, fatemi il favore di portarmi altre tele da vela, dobbiamo avvolgere queste fibbie» disse voltandosi indietro. In breve, portò a termine l'operazione, anche se la bardatura e le fibbie foderate di bianco facevano un brutto effetto su quel corpo liscio e nero e non erano della giusta misura. Ma Temeraire non si lamentò, nemmeno quando con una catena legarono la bardatura al candeliere della nave, e protese con voracità il collo verso la tinozza piena della carne rossa e fumante di una capra appena macellata, portata sul ponte dietro ordine di Laurence. Il drago mangiò ingordamente, strappando grossi pezzi di carne e inghiottendoli interi, spargendo sangue e frammenti di cibo sul ponte; sembrava gradire in modo particolare gli intestini. Laurence si tenne a distanza da quel macello e, dopo che l'ebbe osservato per un po' con una leggera e disgustata meraviglia, fu subito richiamato alla realtà dalla voce esitante di Riley, che domandò, «Signore, posso congedare gli ufficiali?» Il capitano si girò e guardò prima il suo tenente poi i cadetti che lo fissavano spaventati. Nessuno aveva parlato o si era mosso dal momento della schiusa che, realizzò Laurence, era avvenuta da meno di mezz'ora. La clessidra si stava svuotando proprio in quel momento. Era difficile da credere, ma era ancor più difficile ammettere che ora lui era vincolato. Tuttavia, la situazione andava comunque affrontata. Laurence immaginava di poter mantenere il suo rango finché non fossero giunti in porto: non c'erano regolamentazioni specifiche per una cosa del genere. In ogni caso, un nuovo capitano avrebbe preso il suo posto a Madeira, e Riley non avrebbe ottenuto la promozione. Lui non avrebbe più avuto modo di fargli alcun favore. «Riley, le circostanze sono imbarazzanti, su questo non c'è dubbio» gli
disse, facendosi forza. Non aveva intenzione di rovinargli la carriera comportandosi da codardo. «Ma credo che per il bene della nave dovrete sostituirmi da subito al comando. Io dovrò dedicare tutta la mia attenzione a Temeraire, e non avrò tempo per altri incarichi.» «Oh, signore!» replicò Riley, avvilito, ma senza protestare. Evidentemente l'idea era venuta anche a lui. Il suo dispiacere, però, era senz'altro sincero: aveva navigato con Laurence per anni e, mentre era al suo servizio, era passato da semplice cadetto a tenente. Erano tanto commilitoni quanto amici. «Non ci lamentiamo, Tom» disse Laurence con voce più bassa e meno formale, lanciando un'occhiata inquieta verso Temeraire, che stava ancora gozzovigliando. L'intelligenza dei draghi era un mistero anche per gli uomini che studiavano proprio quell'argomento; lui non aveva idea di quanto il drago potesse sentire o comprendere, ma pensava che fosse meglio evitare il rischio di offenderlo. Alzando leggermente la voce, aggiunse, «Sono certo che sarete all'altezza del vostro nuovo incarico, capitano.» Facendo un respiro profondo, si tolse le spalline dorate. Erano attaccate saldamente, ma all'epoca in cui era passato al grado di capitano, non era abbastanza ricco da poterne avere molte, e non aveva ancora dimenticato come spostarle da una giacca all'altra. Anche se forse non era del tutto corretto assegnare la carica a Riley senza la conferma dell'ammiragliato, Laurence ritenne necessario evidenziare il cambio di comando in modo visibile. Infilò la spallina sinistra in tasca e fissò la destra sulla spalla di Riley: anche come capitano, avrebbe dovuto indossarne solo una fino a quando non avesse raggiunto tre anni di anzianità. L'emozione era evidente sulla pelle chiara e lentigginosa di Riley, che nonostante le circostanze non poteva non essere felice per quell'inattesa promozione: arrossì visibilmente, e sembrava volesse parlare ma non riuscisse a trovare le parole. «Wells» disse Laurence, facendo un cenno. Dal momento che aveva iniziato, voleva fare tutto nel modo migliore. Il terzo tenente trasalì poi, con voce flebile, disse, «Urrà per il capitano Riley.» L'acclamazione fu ripetuta tre volte, con convinzione sempre maggiore: Riley era un ufficiale molto competente e benvoluto, anche se la situazione era sconcertante. Quando le grida di approvazione si spensero, Riley, controllato il suo imbarazzo, aggiunse: «E urrà per... per Temeraire, uomini.» Questa volta le acclamazioni furono urlate subito a gran voce, anche se forse non con molta gioia. Poi, per chiudere la faccenda, Laurence strinse la mano a Ri-
ley. Intanto Temeraire, finito di mangiare, si era arrampicato su un baule accanto al parapetto per spalancare le ali al sole, dispiegandole e richiudendole. Sentendo urlare il suo nome, si guardò intorno con curiosità, e Laurence gli si portò accanto. Era una buona scusa per lasciare a Riley l'occasione di stabilire il proprio comando e rimettere in ordine la nave. «Perché fanno tanto rumore?» domandò Temeraire, ma, senza aspettare una risposta, fece tintinnare la catena. «Me la puoi togliere? Adesso mi piacerebbe volare.» Laurence esitò. In merito alla cerimonia di bardatura, il libro di Pollitt indicava solo come fare indossare i finimenti all'animale e come farlo parlare. Lui aveva supposto che il drago sarebbe rimasto dove si trovava senza fare altro. «Se non ti dispiace, forse sarebbe meglio tenerla un altro po'» rispose, temporeggiando. «Vedi, siamo piuttosto lontani dalla terraferma, e se ti allontanassi troppo potresti non riuscire a tornare.» «Oh» fece Temeraire, allungando il collo sinuoso oltre il parapetto. La Reliant viaggiava a otto nodi, spinta da un buon vento di ponente, e fendeva l'acqua lasciando dietro di sé una scia di schiuma bianca. «Dove ci troviamo?» «Siamo in mezzo al mare.» Laurence si sedette sul baule, accanto al drago. «Nell'Atlantico, a circa due settimane dalla terraferma. Masterson» aggiunse, attirando l'attenzione di uno degli oziosi marinai che, senza sforzarsi troppo per nasconderlo, continuavano ad aggirarsi in quel punto per rimirare il drago a occhi sgranati. «Sii gentile e vammi a prendere un secchio d'acqua e alcuni stracci, se non ti dispiace.» Quando gli furono portati, Laurence cercò di togliere dalla pelle nera e lucida dell'animale le tracce del suo pasto smodato. Temeraire si lasciò lavare con evidente piacere, poi strofinò la testa contro la mano di Laurence che, involontariamente, sorrise e accarezzò la tiepida pelle scura. Temeraire si mise comodo, appoggiò la testa in grembo a Laurence, e si addormentò. «Signore,» disse Riley, avvicinandosi senza far rumore «vi lascerò la cabina. Non potete privarvene, data la sua presenza» disse, riferendosi a Temeraire. «Volete che mandi qualcuno per aiutarvi a portarlo di sotto?» «Grazie, Tom, sto bene qui per il momento. Suppongo sia meglio non muoverlo a meno che non sia necessario» rispose Laurence, poi pensò che avere l'ex capitano seduto sul ponte non avrebbe facilitato il lavoro di Riley. Eppure, lui non era propenso a spostare l'animale addormentato, e ag-
giunse soltanto: «Mi fareste portare un libro, magari uno di quelli di Pollitt?» Pensava che leggere l'avrebbe aiutato a tenere la testa occupata, e a non avere troppo l'aria di un osservatore. Temeraire si svegliò quando il sole stava tramontando. Laurence sonnecchiava sul suo libro, che descriveva le abitudini dei draghi in un modo tale da farli sembrare vivaci e interessanti come le mucche. Temeraire lo svegliò dandogli un colpetto sulla guancia con il muso arrotondato, e disse: «Ho di nuovo fame.» Laurence aveva già cominciato a riorganizzare le provviste della nave prima della schiusa, ma capì che avrebbe dovuto aumentare gli approvvigionamenti quando osservò Temeraire divorare i resti della capra più due polli uccisi in tutta fretta, con le ossa e tutto il resto. In appena due pasti, il piccolo drago aveva mangiato cibo in quantità pari al suo stesso peso; sembrava già un po' più grande, e si guardava intorno cercando altra carne con aria bramosa. Laurence, Riley e il cuoco di bordo si consultarono preoccupati a bassa voce. Se necessario, potevano chiamare la Amitié e prelevare dalle sue riserve. Poiché gli effettivi della nave francese erano stati decimati dalle sventure che aveva subito, le sue scorte di cibo erano superiori a quelle necessarie per arrivare a Madeira. A bordo di quel vascello, tuttavia, era stivata solo carne salata di manzo e maiale, e la Reliant non se la passava molto meglio. Di questo passo, Temeraire avrebbe divorato le scorte di carne fresca in una settimana, e Laurence non sapeva se il drago avrebbe accettato carne essiccata, o se il sale poteva fargli male. «Credete che mangi il pesce?» suggerì il cuoco. «Ho uno squisito tonno fresco, pescato proprio questa mattina, signore. Avevo pensato di tenerlo per la vostra cena. Oh, volevo dire...» Indugiò, imbarazzato, spostando lo sguardo dal vecchio capitano al nuovo. «Possiamo comunque fare un tentativo, se lo ritenete opportuno, signore» intervenne Riley, guardando Laurence e ignorando la confusione del cuoco. «Grazie, capitano» rispose Laurence. «Possiamo provare a offrirglielo: suppongo che se non gli piace sarà lui stesso a dircelo.» Temeraire guardò incerto il pesce, poi prese a sbocconcellarlo. In breve tempo, l'intero animale, un tonno di quasi sei chili, scomparve nella sua gola, dalla testa alla coda. Il drago si leccò le fauci, poi disse, «È molto duro, ma mi piace.» Poi fece sussultare gli uomini e sé stesso emettendo un forte rumore di digestione.
«Bene,» disse Laurence, allungandosi di nuovo verso il secchio e gli stracci «la cosa è incoraggiante. Capitano, se vi fosse possibile assegnare alcuni uomini alla pesca, forse riusciremo a non macellare il bue ancora per qualche giorno.» Qualche tempo dopo, Laurence portò Temeraire nella sua cabina. La scala fu un problema, e alla fine il drago venne fatto scendere con un sistema di carrucole attaccate alla bardatura. L'animale annusò con curiosità la sedia e la scrivania, poi mise la testa fuori dalla finestra per guardare la scia della Reliant. Il cuscino usato per la schiusa era stato sistemato su un giaciglio ampio il doppio del normale e appeso accanto a quello di Laurence, e il drago ci balzò sopra con facilità e si addormentò quasi subito. Ora libero dal dovere e non più sotto gli occhi dell'equipaggio, Laurence crollò a sedere fissando l'animale addormentato come fosse uno strumento del destino. Prima di lui, nella linea di successione al patrimonio di suo padre, venivano due fratelli e tre nipoti, e tutto il suo capitale era investito in titoli di Stato che non richiedevano un grande impegno di gestione. Almeno quello non sarebbe stato un problema. In battaglia si era trovato a superare i parapetti numerose volte, e poteva rimanere sulle cime degli alberi durante una tempesta di vento senza soffrire di nausea: non aveva paura di cavalcare il drago. Ma per il resto era un gentiluomo, figlio di un gentiluomo. Anche se era partito per mare all'età di dodici anni, era stato abbastanza fortunato da prestare servizio quasi sempre su navi di linea di buon livello, agli ordini di capitani ricchi che dispensavano sontuosi banchetti e intrattenevano spesso gli ufficiali. Amava sinceramente la vita di società: la conversazione, il ballo e un'amichevole partita a carte erano i suoi passatempi preferiti. Quando pensò che forse non sarebbe mai più andato a teatro, provò l'impulso di gettare il giaciglio e il suo contenuto fuori dalla finestra. Cercò di ignorare la voce di suo padre, che nella sua testa lo accusava di essere uno sciocco. Cercò di non immaginare cosa avrebbe pensato Edith quando fosse venuta a saperlo. Non poteva nemmeno scriverle per dirglielo. Anche se per certi versi si sentiva vincolato a lei, non si erano mai fidanzati ufficialmente, dapprincipio per la sua mancanza di soldi e, in tempi più recenti, per le sue lunghe assenze dall'Inghilterra. Ormai aveva guadagnato abbastanza da porre rimedio al primo problema e, se negli ultimi quattro anni fosse rimasto a terra abbastanza a lungo, probabilmente si sarebbe dichiarato. Aveva quasi pensato di chiedere una breve licenza per tornare in Inghilterra alla fine di questo viaggio. Era dif-
ficile rinunciare a un imbarco quando non si poteva essere sicuri di trovarne subito un altro, ma Laurence sapeva di non essere un gran partito, e non credeva che lei avrebbe rifiutato gli altri pretendenti in attesa che facesse ritorno, prestando fede a un accordo semiserio preso da un ragazzino di tredici anni e una bambina di nove. E ormai era un partito ancora peggiore. Ignorava come e dove avrebbe vissuto da aviatore, non sapeva che tipo di sistemazione avrebbe potuto offrire a una moglie. Anche se Edith non avesse avuto niente da ridire, la famiglia di lei poteva sempre mostrare delle contrarietà. Di sicuro quella situazione non era delle migliori. La moglie di un marinaio doveva saper affrontare con serenità le lunghe assenze del marito ma, al ritorno del consorte, almeno non era costretta a vivere in un luogo remoto, con un drago fuori dalla porta e una folla di uomini rozzi come unica compagnia. Laurence aveva sempre coltivato l'intimo desiderio di possedere una casa tutta sua, una casa che aveva immaginato fin nei dettagli durante le lunghe e solitarie notti in mare: necessariamente più piccola di quella in cui era cresciuto, ma comunque elegante, governata da una moglie alla quale avrebbe potuto affidare la gestione sia degli affari che dei figli. Un confortevole rifugio durante le licenze e un caldo ricordo durante la navigazione. Tutto il suo sentire protestava contro il sacrificio di quel sogno ma, date le circostanze, Laurence non era neppure sicuro di poter fare a Edith una proposta onorevole che lei si sentisse costretta ad accettare. E non aveva senso corteggiare altre donne: nessuna che fosse dotata di carattere e buonsenso avrebbe mai scelto di legarsi a un aviatore, a meno che non desiderasse un marito sempre assente e soddisfatto della propria vita insolita, disposto a lasciarle la completa gestione delle sue finanze e a permetterle di stare lontano da lui anche quando tornava in Inghilterra. Una prospettiva del genere, però, non esercitava su Laurence la minima attrattiva. Il drago addormentato, che oscillava avanti e indietro nel suo giaciglio e contorceva inconsapevolmente la coda a causa di qualche strano sogno, era un ben misero sostituto per casa e famiglia. Laurence si alzò e andò alle finestre di poppa, per guardare la scia della Reliant, la schiuma pallida e lattiginosa che scorreva dietro la nave, illuminata delle lanterne; il flusso e il riflusso della marea erano piacevolmente ipnotici. Giles, il cambusiere, gli portò la cena con gran tintinnio di piatti e argenteria, tenendosi a debita distanza dal drago. Sistemò le stoviglie e il vasellame con mani tremanti. Laurence lo congedò non appena gli ebbe servito il pasto e sospirò quando l'uomo se ne fu andato. Aveva pensato di chiede-
re a Giles di unirsi a lui, poiché credeva che un aviatore potesse disporre di un assistente, ma non gli sarebbe servito a molto se aveva così paura di quelle creature. Peccato, avere con sé un volto familiare sarebbe stato piacevole. Consumò la cena frugale in solitudine e velocemente. Manzo salato con una spruzzata di vino, dal momento che il pesce era finito nella pancia di Temeraire. Laurence aveva comunque poco appetito. Dopo il pasto cercò di scrivere alcune lettere, ma fu inutile: la sua mente continuava a vagare per sentieri cupi, e doveva concentrarsi su ogni riga. Alla fine rinunciò, si affacciò un momento per dire a Giles che quella sera non avrebbe cenato, poi si arrampicò sul proprio giaciglio. Temeraire si spostò, rannicchiandosi ancor più sotto le coperte. Dopo aver represso un egoistico moto di rabbia, Laurence si allungò e lo coprì meglio, dato che l'aria notturna era piuttosto fredda, poi si addormentò al suono del respiro regolare del drago, simile a un mantice che si gonfiava e sgonfiava. 2 Il mattino seguente, Laurence si svegliò quando Temerarie si aggrovigliò nel giaciglio, che gli si strinse attorno mentre cercava di scendere. Laurence fu costretto a sganciare il letto per liberare il cucciolo. Temerarie cadde dal tessuto srotolato con un sibilo di indignazione. Laurence dovette carezzarlo e coccolarlo per riportarlo alla calma, come se fosse un gatto adirato, e un istante dopo il drago dichiarò di nuovo di essere affamato. Per fortuna non era molto presto, e i marinai avevano fatto una buona pesca: c'erano ancora uova per la colazione di Laurence, visto che avevano potuto risparmiare le galline, e il drago ricevette un tonno di venti chili. Temeraire riuscì a divorare l'intera creatura e poi, troppo appesantito per risalire sul giaciglio, si accasciò sul pavimento e si addormentò. I giorni successivi trascorsero tutti così: Temeraire si svegliava solo per nutrirsi, e mangiava e cresceva in modo allarmante. Alla fine della settimana non lo fecero più scendere sottocoperta, perché Laurence temeva che sarebbe stato poi impossibile farlo uscire: era già diventato più pesante di un cavallo da traino, e dalla testa alla coda era più lungo di una scialuppa. Dopo aver valutato la sua futura crescita, decisero di spostare le provviste per appesantire la prua e sistemare il drago a poppa come contrappeso. Presero quelle decisioni appena in tempo: Temeraire riuscì a stento a sgusciare fuori dalla cabina con le ali ben chiuse e, secondo le misurazioni
di Pollitt, nel corso della notte acquisì altri trenta centimetri di diametro. Per fortuna, quando si stendeva a poppa la sua mole non era d'intralcio, e il drago dormiva per gran parte della giornata, con la coda che si muoveva di tanto in tanto, per il resto stava quasi del tutto immobile anche quando i marinai erano costretti ad arrampicarsi sopra di lui per svolgere le loro mansioni. Di notte Laurence dormiva sul ponte accanto a Temeraire, sentendo che era quello il suo posto. Il clima continuava a essere clemente, e quindi quella scelta non gli costava alcuna fatica. Ma era sempre più preoccupato dal problema del cibo: presto avrebbero dovuto macellare il bue, in aggiunta a tutto il pesce che riuscivano a prendere. Con il continuo crescere del suo appetito, anche se Temeraire si fosse accontentato di mangiare la carne secca avrebbe esaurito le loro scorte prima che fossero giunti sulla terraferma. Sarebbe stato un problema, pensava Laurence, tenere a stecchetto un drago, e in ogni caso l'equipaggio si sarebbe innervosito. Temeraire era imbrigliato, e per certi versi anche addomesticato, ma non era insolito che un drago selvatico, magari fuggito dagli allevamenti, mangiasse esseri umani se non aveva altro cibo a disposizione; e le espressioni ansiose dei membri dell'equipaggio dimostravano che lo sapevano tutti. Quando arrivò il primo cambiamento atmosferico, a metà della seconda settimana, Laurence lo percepì nel dormiveglia e si svegliò quasi all'alba, qualche ora prima che la pioggia iniziasse a cadere. Le luci della Amitié non erano in vista: le due navi si erano separate durante la notte a causa del vento sempre più forte. Il cielo si fece appena un po' più chiaro, e presto i primi goccioloni iniziarono a picchiettare sulle vele. Laurence sapeva che non poteva fare nulla: era Riley ad avere il comando, e così lui si occupò di tenere buono Temeraire per evitare che costituisse una distrazione per gli uomini. Il compito si rivelò difficile, poiché il drago era molto curioso riguardo alla pioggia e continuava a spalancare le ali per sentire l'acqua che vi batteva sopra. I tuoni non lo spaventavano, e neppure i lampi. «Da cosa sono provocati?» si limitò a chiedere, e rimase deluso quando Laurence non gli seppe rispondere. «Potremmo andare a vedere» suggerì il drago, accennando ad aprire le ali e facendo un passo verso il parapetto di poppa. Laurence trasalì, allarmato; Temeraire non aveva più tentato di volare dopo il primo giorno, pensando più che altro a mangiare, e anche se avevano allargato la bardatura di tre misure, non avevano mai cambiato la catena con una più pesante. Gli anelli di ferro sottoposti allo sforzo avevano già iniziato ad al-
lentarsi, anche se il drago non stava tirando con particolare energia. «Non ora, Temeraire. Dobbiamo lasciar lavorare gli altri, e stare qui a guardare» disse Laurence, afferrando la cinghia della bardatura più vicina e infilandoci dentro il braccio sinistro. Si rendeva conto che il suo peso non poteva più essere un ostacolo per l'animale, ma almeno se si fossero alzati in volo insieme, alla fine avrebbe potuto convincere il drago a tornare a terra. Oppure sarebbe potuto cadere. Cancellò subito quel pensiero dalla propria mente. Per fortuna Temeraire si accucciò di nuovo, anche se controvoglia, e riprese a osservare il cielo. Laurence si guardò intorno con l'idea di chiedere una catena più resistente, ma tutto l'equipaggio era molto indaffarato e non era il caso di interrompere i marinai. In ogni caso, si chiese se a bordo ce n'era una tanto resistente da non essere poco più che un fastidio per l'animale. Di colpo si rese conto che al garrese Temeraire era di quasi trenta centimetri più alto di lui, e le zampe anteriori, un tempo sottili come il polso di una dama, erano diventate più grosse delle sue cosce. Riley stava gridando gli ordini attraverso il megafono. Laurence faceva del suo meglio per non ascoltare: non poteva intervenire, e sarebbe stato solo sgradevole sentire un ordine che non condivideva. Quei marinai avevano già superato una brutta tempesta, e sapevano fare il loro lavoro. Per fortuna il vento era a favore, così la nave poteva correre rapida davanti alla burrasca, e l'albero minore era già stato abbassato. Da questo punto di vista andava tutto bene, e stavano anche mantenendo una rotta approssimativa verso est, ma alle loro spalle un oscuro sipario di pioggia oscurava il mondo, e stava per raggiungere la Reliant. Il muro d'acqua si schiantò sul ponte con il boato di una cannonata inzuppando subito Laurence fino al midollo, nonostante la giacca incerata e il cappello a gronda. Temeraire sbuffò e scosse la testa, simile a un cane, scrollandosi l'acqua di dosso, poi si accucciò sotto le sue stesse ali, che aprì in fretta ripiegandole poi sul proprio corpo. Laurence, ancora attaccato al fianco dell'animale e aggrappato alla bardatura, si ritrovò anch'egli al riparo di quella cupola vivente. Era davvero strano sentirsi in un posto caldo e accogliente pur essendo nel cuore di una tempesta impetuosa. Riusciva ancora a vedere attraverso i punti in cui le ali non si sovrapponevano, e uno spruzzo freddo gli arrivò in faccia. «L'uomo che mi ha portato lo squalo è in acqua» disse Temeraire di lì a poco, e Laurence seguì la traiettoria del suo sguardo. Attraverso la solida massa di pioggia individuò, a circa sei punti a poppa della trave di babor-
do, la macchia sfocata di una camicia bianca e rossa e qualcosa di simile a un braccio che si agitava: Gordon, uno dei due marinai che avevano contribuito a pescare il cibo del drago. «Uomo in mare» gridò Laurence mettendo le mani a coppa intorno alla bocca, e indicò la figura che lottava tra le onde. Riley rivolse uno sguardo angosciato in quella direzione; furono lanciate alcune corde, ma l'uomo era ormai troppo indietro. La tempesta li stava spingendo oltre, e non c'era modo di recuperarlo con le scialuppe. «È troppo lontano dalle corde» disse Temeraire. «Vado a prenderlo io.» Laurence si ritrovò a penzolare in aria ancor prima di poter protestare, e la catena spezzata oscillava accanto a lui, ancora attaccata al collo di Temeraire. La afferrò con il braccio libero non appena gli si avvicinò e la avvolse intorno alle cinghie della bardatura per evitare che frustasse il fianco del drago. Poi si aggrappò saldamente e cercò di pensare solo alla propria incolumità, con le gambe che fluttuavano nel vuoto, e solo l'oceano ad aspettarlo se avesse abbandonato la presa. L'istinto era stato sufficiente per far alzare il drago in volo, ma forse non era sufficiente a tenerli in quota; il vento spingeva l'animale a est della nave. Temeraire continuava a opporvisi frontalmente; ci fu un orribile momento di vertigine quando furono capovolti da una forte raffica di vento, e Laurence pensò che erano spacciati e sarebbero precipitati tra le onde. «Il vento» ruggì con tutta la voce che aveva sviluppato in diciotto anni di navigazione, sperando che Temeraire riuscisse a sentirlo. «Segui il vento, dannazione!» Temeraire serrò la mascella e si raddrizzò, virando verso est. Di colpo la pioggia smise di battere sul volto di Laurence: stavano volando sottovento, a una rapidità impressionante. Ansimò per prendere fiato, asciugandosi le lacrime provocate dalla velocità. Alla fine dovette chiudere gli occhi. Stare sulla coffa con la nave che andava a dieci nodi era, rispetto a quell'esperienza, come trovarsi in mezzo a un campo in un giorno caldo e senza vento. Un riso sconsiderato gli gorgheggiava in fondo alla gola, il riso di un ragazzino, e Laurence riuscì a malapena a soffocarlo e a pensare lucidamente. «Non possiamo andare direttamente da lui» gridò al drago. «Devi virare... devi andare a nord, poi a sud, Temeraire, hai capito?» Forse il drago rispose, ma il vento disperse le sue parole; tuttavia, sembrava che avesse afferrato l'idea. Scese di colpo, dirigendosi verso nord con le ali ricurve a raccogliere il vento. Lo stomaco di Laurence sobbalzò
come se si trovasse su una barca a remi sollevata da una grossa onda. La pioggia e il vento continuavano a colpirli, ma meno di prima, e Temeraire cambiava rotta con la stessa agilità di un cutter, zigzagando nell'aria e tornando gradualmente verso ovest. Le braccia di Laurence erano in fiamme. Infilò il braccio sinistro nella fascia del petto per non perdere la presa, e distese la mano destra per trarre un po' di sollievo. Quando si allinearono alla nave per poi superarla, riuscì a intravedere Gordon in lontananza. Per fortuna l'uomo sapeva nuotare e, nonostante la furia del vento e della pioggia, le onde non erano così grosse da trascinarlo sott'acqua. Laurence guardò dubbioso le zampe di Temeraire. Con quegli enormi artigli, se il drago avesse raccolto Gordon in fretta, la manovra avrebbe potuto uccidere l'uomo anziché salvarlo. Laurence capì che doveva mettersi in posizione per effettuare lui il salvataggio. «Temerarie, lo prenderò io. Aspetta fino a quando non sarò pronto, poi scendi più che puoi» gli disse. Scese lentamente e con prudenza lungo la bardatura fino a penzolare dal ventre del drago, tenendo sempre un braccio agganciato a una cinghia. Un viaggio terrificante, ma quando si ritrovò sotto le cose diventarono più semplici, dato che il corpo di Temeraire gli faceva da scudo contro il vento e la pioggia. Tirò l'ampia cinghia che correva intorno alla vita del drago: forse era abbastanza elastica. Una alla volta fece passare le sue gambe tra il cuoio e la pancia di Temeraire, in modo da avere entrambe le mani libere, poi diede un colpo sul fianco dell'animale. Temeraire si inclinò verso il basso con un rapido movimento, simile a un falco in picchiata. Laurence si sporse, affidandosi alla mira del drago, e le sue dita solcarono la superficie dell'acqua per quasi duecento metri prima di toccare stoffa fradicia e carne. A quel punto Laurence strinse le mani alla cieca, e Gordon si aggrappò a lui. Temeraire cominciò a risalire e ad allontanarsi, con le ali che sbattevano furiose, ma almeno adesso avrebbero viaggiato con il vento a favore. Il peso di Gordon gravava sulle braccia di Laurence, sulle sue spalle, sulle cosce, sforzando tutti i muscoli. La cinghia era così stretta intorno ai polpacci che non riusciva più a sentire le gambe dal ginocchio in giù, e aveva la sgradevole sensazione che tutto il sangue gli stesse fluendo verso la testa. Oscillarono avanti e indietro come un pendolo mentre Temeraire sfrecciava in direzione della nave, e il mondo intero sfrecciò a folle velocità intorno a loro. Atterrarono sul ponte con poca grazia, scuotendo la nave. Temeraire rimase in equilibrio precario sulle zampe posteriori, cercando al tempo stesso di chiudere le ali contro il vento e di resistere alla spinta dei due uomini
appesi al suo ventre che lo trascinavano verso il basso. Gordon si divincolò e fuggì in preda al panico, lasciando Laurence da solo a slegarsi, con Temeraire che sembrava stesse per cadergli addosso da un momento all'altro. Le dita irrigidite si rifiutavano di aprire le fibbie, poi all'improvviso arrivò Wells con un coltello che saettò lucente tra le cinghie. Le gambe di Laurence batterono pesanti sul ponte, e il sangue riprese a scorrere; allo stesso modo Temeraire si lasciò cadere sulle quattro zampe dietro di lui, e l'impatto fece tremare il ponte. Laurence si stese sulla schiena ansimando, senza curarsi, per il momento, della pioggia battente che cadeva su di lui: i suoi muscoli non avrebbero risposto a nessun comando. Wells esitò. Laurence gli fece segno di tornare alle sue occupazioni e lottò per rimettersi in piedi. Le gambe non più intorpidite lo sostennero, e il dolore svanì non appena riprese a muoverle. La tempesta imperversava ancora intorno a loro, ma ormai la nave era fuori pericolo, avanzava rapida grazie al vento che spingeva le sottovele serrate a terzarolo, e sul ponte non c'era più quella sensazione di emergenza. Distogliendo l'attenzione dal lavoro di Riley con un misto di orgoglio e rimpianto, Laurence convinse Temeraire a spostarsi verso il centro della poppa, in modo che il suo peso non sbilanciasse la nave. Appena in tempo: non appena il drago tornò ad accucciarsi, spalancò la bocca in un enorme sbadiglio e infilò la testa sotto un'ala, per una volta pronto a dormire senza la solita richiesta di cibo. Laurence si stese lentamente sul ponte, poggiandosi al fianco del drago. I muscoli ancora gli dolevano per lo sforzo. Si costrinse a restare sveglio ancora per un momento: avvertiva il bisogno di parlare, anche se si sentiva la lingua insensibile e gonfia per la stanchezza. «Temeraire,» disse «ben fatto. Sei stato molto coraggioso.» Il drago sollevò la testa e lo guardò, con le pupille sottili che si dilatarono in due ovali. «Oh» esclamò, sembrando un po' perplesso. Con una fugace staffilata di vergogna, Laurence si rese conto che fino a quel momento non aveva mai rivolto al drago una parola gentile. Lo stravolgimento della sua vita era per certi versi imputabile a quella creatura, ma Temeraire stava soltanto obbedendo alla propria natura, e farlo soffrire per questo era tutt'altro che nobile. Al momento, tuttavia, Laurence era troppo stanco per fare ammenda se non ripetendo, debolmente, «Davvero ben fatto,» per poi carezzare la liscia pelle nera sul fianco del drago. Eppure sembrò che servisse. Temeraire non disse nulla, ma si spostò un po' e cercò di avvolgersi intorno a Laurence, dispiegando un'ala per proteggerlo dalla pioggia. La furia della tempesta
era smorzata da quel riparo, e Laurence sentiva il forte battito del cuore dell'animale contro la propria guancia. Ben presto si lasciò riscaldare dal tepore del drago e, così protetto, scivolò di colpo in un sonno profondo. «Siete davvero convinto che sia una cosa sicura?» domandò Riley preoccupato. «Signore, sono certo che potremmo mettere insieme una rete da pesca, nel caso vogliate ripensarci.» Laurence si sistemò meglio e tirò contro le cinghie avvolte saldamente intorno alle sue cosce e ai polpacci. Non cedettero, anche la parte principale della bardatura rimase immobile, e lui restò saldamente in groppa a Temeraire, subito dietro le ali. «No, Tom, non funzionerebbe, e anche voi lo sapete. Questo non è un peschereccio, e non potete privarvi degli uomini. Uno di questi giorni potremmo benissimo incontrare un'imbarcazione francese, e allora cosa faremmo?» Si piegò in avanti e accarezzò il collo di Temeraire. Il drago teneva la testa piegata all'indietro, e seguiva con interesse la discussione. «Sei pronto? Possiamo andare adesso?» chiese, appoggiando una zampa anteriore sul parapetto. I muscoli si stavano già tendendo sotto la pelle liscia, e nella sua voce c'era un'impazienza palpabile. «Allontanatevi, Tom» disse in fretta Laurence, sciogliendo la catena e tenendosi alla cinghia alla base del collo. «Molto bene, Temeraire, possiamo...» Un singolo balzo e si ritrovarono in aria, con le grandi ali che si muovevano in ampi archi e il lungo corpo del drago allungato come una freccia che saliva dritto verso il cielo. Laurence guardò in basso da sopra una spalla di Temeraire. La Reliant aveva già le dimensioni di un giocattolo per bambini, e oscillava solitaria nella vasta distesa dell'oceano; riuscì a scorgere anche la Amitié, circa trenta chilometri più a est. Il vento era molto forte, ma le cinghie reggevano, e di nuovo Laurence si ritrovò a sorridere come un idiota, incapace di trattenersi. «Andremo a ovest, Temeraire» gridò. Non voleva correre il rischio di avvicinarsi troppo alla terraferma e incontrare una pattuglia francese. Avevano messo una fascia intorno al punto più stretto del collo di Temeraire, vicino alla testa, e ci avevano attaccato delle redini, in modo che Laurence potesse impartirgli meglio la direzione. Controllò la bussola che teneva attaccata al palmo e diede uno strattone alla redine di destra. Il drago smise di salire e subito girò, mettendosi in posizione orizzontale. Il tempo era sereno, senza nuvole e con onde moderate. Le ali di Temeraire battevano con minor foga ora che non stavano più salendo, ma il suo volo divorava co-
munque i chilometri. La Reliant e l'Amitié non erano più in vista. «Oh, ecco un pesce» esordì Temeraire, e di colpo si ritrovarono a scendere a una velocità ancor più vertiginosa. Laurence si aggrappò saldamente alle redini e trattenne un grido. Era assurdo, ma si sentiva allegro come un bambino. La distanza gli diede un'idea della capacità visiva del drago: doveva essere prodigiosa per permettergli di individuare una preda così lontana. Fece appena in tempo a pensarlo e poi ci fu un tremendo spruzzo, e Temeraire stava già risalendo verso il cielo con una focena che si dibatteva tra i suoi artigli, grondando acqua. Un'altra sorpresa: Temeraire si fermò e rimase sospeso in aria per mangiare, con le ali che battevano perpendicolari al corpo in archi circolari. Laurence non sapeva che i draghi potessero eseguire quel tipo di movimento. Non si sentiva a proprio agio, dato che la stabilità di Temeraire era molto approssimativa, e lui sobbalzava violentemente; tuttavia, quella manovra si rivelò molto utile, perché quando i pezzi di interiora caddero nell'oceano sotto di loro, altri pesci comparvero in superficie per nutrirsi degli scarti, e non appena Temeraire ebbe finito la focena afferrò in fretta due tonni, uno in ciascuna zampa, e mangiò anche questi, per poi divorare anche un enorme pesce spada. Col braccio infilato sotto la cinghia del collo per non essere sbalzato via, Laurence era libero di guardarsi intorno e godere della sensazione di essere il signore dell'intero oceano, poiché non si vedevano altre creature o vascelli. Non poté che provare orgoglio per il successo dell'operazione, e il brivido del volo era straordinario: fino a quando fosse riuscito a goderselo senza pensare a quanto gli sarebbe costato, poteva essere felice. Temeraire ingoiò l'ultimo pezzo del pesce spada e scartò l'affilata mascella superiore dopo averla esaminata con curiosità. «Sono pieno» disse, spingendosi di nuovo verso il cielo. «Andiamo a volare un altro po'?» Era un invito allettante, ma erano partiti da più di un'ora, e Laurence non era ancora certo della resistenza di Temeraire. Con rimpianto, disse: «Torniamo alla Reliant, e se vorrai potremo volare un altro po' intorno alla nave.» E sfrecciarono rapidi sull'oceano, ora più vicini alle onde, con Temeraire che le artigliava giocoso di tanto in tanto. Gli schizzi erano una nebbia accecante contro il volto di Laurence, e il mondo scorreva in una macchia confusa, ma aveva sotto di sé la costante e solida presenza del drago. Prese grandi boccate di aria salmastra, e si perse in una gioia infantile, fermandosi solo per mantenere la giusta direzione con le redini dopo aver control-
lato la bussola, tornando infine alla Reliant. Temeraire disse che dopo tutto era pronto a dormire di nuovo, e così atterrarono. Questa volta si posò in modo più aggraziato, e la nave non sobbalzò ma si sistemò dolcemente un po' più in basso nell'acqua. Laurence si liberò le gambe e scese, sorpreso di ritrovarsi con i muscoli un po' indolenziti, ma subito comprese che era un'ovvia conseguenza di quella cavalcata. Riley stava correndo verso di loro, il sollievo chiaramente dipinto sul volto, e Laurence annuì per rassicurarlo. «Non c'è bisogno di preoccuparsi: se l'è cavata perfettamente, e credo che non dovremo più darci pensiero per i suoi pasti. Ce ne occuperemo noi due» disse accarezzando il fianco del drago; Temeraire, già sonnecchiante, aprì un occhio ed emise un brontolio soddisfatto, poi lo richiuse. «Sono molto lieto di saperlo» replicò Riley. «E non solo perché questo ci permetterà di offrirvi una cena rispettabile stasera: per precauzione, abbiamo continuato a pescare in vostra assenza, prendendo un rombo gigante che ora potremo tenere per noi. Con il vostro consenso, potrei invitare alcuni dei membri dell'armeria a unirsi a noi.» «Volentieri. Non vedo l'ora» rispose Laurence, stendendo le gambe per scioglierle. Aveva insistito per abbandonare la cabina principale quando Temeraire era stato spostato sul ponte. Alla fine Riley aveva acconsentito, ma rimediava al senso di colpa per aver sostituito il suo vecchio capitano invitandolo a cenare con lui praticamente ogni sera. Questa consuetudine era stata interrotta dalla tempesta, che però era cessata la notte precedente, e quindi avrebbero ripreso i loro incontri quella sera stessa. Fu una cena abbondante e conviviale, soprattutto dopo che la bottiglia ebbe fatto più volte il giro dei commensali, con i cadetti più giovani abbastanza ubriachi da mettere da parte i loro modi ossequiosi. Laurence aveva il dono della conversazione, e la sua tavola era sempre stata un posto assai gradito agli ufficiali. Come se questo non bastasse, ora che le gerarchie erano saltate, tra lui e Riley stava nascendo una vera amicizia. E così quella cena si svolse in maniera molto informale, tanto che quando Carver si trovò ad aver finito di mangiare, avendo divorato il suo pudding un po' più in fretta degli ufficiali più adulti, poté addirittura rivolgersi direttamente a Laurence, chiedendogli esitante, «Signore, se mi è permesso domandarlo, è vero che i draghi sputano fuoco?» Laurence, piacevolmente pieno di budino alle prugne, accompagnato da numerosi bicchieri di un buon Riesling, accolse la domanda con condiscendenza. «Dipende dalla razza, Carver» rispose, posando il bicchiere. «A
ogni modo penso che sia una capacità estremamente rara. Io stesso l'ho visto soltanto una volta. Era un drago turco nella battaglia sul Nilo, e posso assicurarvi che quando l'ho visto in azione mi sono sentito dannatamente contento che i turchi stessero dalla nostra parte.» Gli altri ufficiali rabbrividirono e annuirono. C'erano poche cose letali come un incendio fuori controllo sul ponte di una nave. «Mi trovavo sulla Goliath» proseguì Laurence. «Eravamo a meno di mezzo chilometro dalla Orient quando quell'imbarcazione prese fuoco come una torcia. Le avevamo messo fuori uso i cannoni sul ponte, e quasi tutti i cecchini sulle coffe erano stati abbattuti, così il drago poté attaccarla a volo radente.» Rimase in silenzio, perso nei ricordi: le vele in fiamme e la loro scia di spessi pennacchi di fumo. La grande bestia nera e arancione che si lanciava in picchiata riversando altro fuoco dalle fauci, mentre il vento generato dalle ali rinvigoriva le fiamme. Il terribile ruggito che solo alla fine venne coperto dall'esplosione, dopo la quale tutti gli altri rumori gli erano sembrati ovattati per quasi un giorno. Una volta, da ragazzo, era stato a Roma, e in Vaticano aveva visto un dipinto di Michelangelo raffigurante l'inferno, con i draghi che bruciavano le anime dei dannati. Era stata una scena molto simile. Ci fu un momento di silenzio generale, durante il quale l'immaginazione raffigurò la scena per coloro che non erano stati presenti. Pollitt si schiarì la voce e disse, «Per fortuna, ritengo che l'abilità di sputare veleno o acido sia più diffusa, non che queste non siano armi straordinarie.» «Mio Dio, lo sono eccome» rispose Wells. «Ho visto la saliva di un drago consumare un'intera vela maestra in meno di un minuto. A ogni modo, non farebbe saltare la polveriera di una nave riducendola in cenere.» «Temeraire sarebbe in grado di fare una cosa del genere?» chiese Battersea, un po' suggestionabile da questo tipo di racconti, e Laurence trasalì. Era seduto alla destra di Riley, come l'ospite più importante, dimenticando, per un momento, che quella era una volta la sua cabina, in quella che un tempo era la sua nave. Per fortuna fu Pollitt a rispondere, così Laurence poté prendersi un momento per mascherare la propria confusione. «Dal momento che la sua razza non è descritta in nessuno dei miei libri, dovremo aspettare di toccare terra e farlo classificare correttamente per conoscere la risposta. Anche se la razza è quella giusta, probabilmente non ci saranno manifestazioni di tale abilità fino a quando non sarà del tutto cresciuto, e questo non avverrà prima di alcuni mesi.» «Grazie al cielo» intervenne Riley, provocando una diffusa risata di con-
senso, e Laurence riuscì a sorridere e alzare un bicchiere in onore di Temeraire con il resto della tavolata. Più tardi, dopo aver augurato la buona notte a tutti, si incamminò con passo malfermo verso poppa, dove Temeraire stava steso con eleganza, da solo, dal momento che da quando era cresciuto l'equipaggio gli aveva lasciato quella parte del ponte. Quando Laurence si avvicinò il drago aprì un occhio e sollevò un'ala in segno d'invito. Laurence rimase un po' sorpreso da quel gesto, ma prese il suo giaciglio e si infilò al calduccio. Srotolò il pagliericcio e ci si sedette sopra, appoggiandosi al fianco di Temeraire, che abbassò di nuovo l'ala, creando intorno a lui un tiepido riparo. «Credi che sarò in grado di sputare fuoco o veleno?» chiese il drago. «Non so come fare. Ci ho provato, ma è uscita soltanto dell'aria.» «Ci hai sentito parlare?» domandò Laurence, spaventato. Le finestre di poppa erano aperte, e la conversazione si poteva udire dal ponte, ma per qualche motivo lui non aveva considerato che Temeraire potesse essere in ascolto. «Sì» rispose l'animale. «La storia della battaglia è stata molto emozionante. Hai partecipato a molti scontri?» «Be', credo di sì» disse Laurence. «Come molti altri uomini.» Questo non era del tutto vero; aveva all'attivo un insolito numero di battaglie, che lo avevano visto in azione fin da giovane, e gli erano valse il titolo di capitano combattente. «È stato proprio durante una battaglia che ti abbiamo trovato, quando eri ancora nell'uovo; ti trovavi a bordo di una nave che abbiamo conquistato» aggiunse indicando la Amitié, le cui luci di poppa erano visibili a due punti verso babordo. Temerarie la guardò con interesse. «Mi avete vinto in battaglia? Non lo sapevo.» Sembrava compiaciuto del fatto. «Ce ne sarà presto un'altra? Mi piacerebbe vederla. Sono certo che potrei essere di aiuto, anche se non so ancora sputare fuoco.» Laurence sorrise per il suo entusiasmo. Era risaputo che i draghi avevano un grande spirito combattivo, una delle cose che li rendeva così preziosi in guerra. «Molto probabilmente non prima di aver raggiunto il porto, ma mi sento di dire che in seguito ne vedremo parecchie. L'Inghilterra non ha molti draghi, quindi è probabile che ci chiameranno spesso a combattere, quando sarai cresciuto» disse. Guardò la testa di Temeraire, in quel momento sollevata per guardare verso il mare. Libero dal costante problema di nutrirlo, Laurence poteva ora occuparsi di quello rappresentato dalla immane forza dell'animale sul
quale lui teneva poggiata la schiena. Temeraire era già più grande dei draghi adulti di alcune altre razze e, almeno secondo il suo inesperto parere, molto veloce. Di certo avrebbe avuto un valore inestimabile per l'esercito e per l'Inghilterra, che sputasse fuoco o no. Con orgoglio pensò che Temeraire non avrebbe avuto paura di nulla; se davvero Laurence stava per affrontare una carriera piena di pericoli, non poteva chiedere un compagno migliore. «Mi racconteresti qualcos'altro sulla battaglia del Nilo?» chiese Temeraire guardando in basso. «C'erano solo le due navi e il drago?» «Cielo, no, c'erano tredici vascelli di linea dalla nostra parte, con otto draghi della Terza Divisione delle forze aeree in supporto, e altri quattro draghi dalla parte dei turchi» rispose Laurence. «I francesi avevano diciassette navi e quattordici draghi dalla loro, per cui eravamo inferiori di numero, ma la strategia dell'ammiraglio Nelson li fece battere tutti in ritirata.» Continuò a parlare, e Temeraire nel frattempo abbassò la testa e si piegò ancora di più verso di lui, ascoltandolo, con i grandi occhi che scintillavano nell'oscurità, e così chiacchierarono a bassa voce e a lungo durante la notte. 3 Con il favore della tempesta arrivarono a Funchal con un giorno di anticipo rispetto alla stima di tre settimane fatta da Laurence, con Temeraire seduto a poppa con uno sguardo eccitato fin dall'avvistamento dell'isola. La sua presenza attirò molta attenzione sulla terraferma, dato che normalmente i draghi non entravano in porto a bordo di piccole fregate, e c'era una folla di spettatori radunata sul molo, anche se tutti si tenevano a debita distanza dalla nave. La nave ammiraglia di Croft si trovava in porto, e nominalmente la Reliant navigava sotto il suo comando. Riley e Laurence avevano concordato che insieme avrebbero informato l'ammiraglio circa l'insolita situazione. La bandiera di segnalazione - Capitano a rapporto - si alzò quasi nello stesso istante in cui gettarono l'ancora, e Laurence si fermò solo un istante a parlare con Temeraire. «Ricorda, devi rimanere a bordo fino a quando non sarò tornato» disse preoccupato. Temeraire non era disobbediente, ma si lasciava facilmente distrarre da tutto ciò che era nuovo e interessante, e Laurence non si fidava molto dell'autocontrollo dell'animale in un mondo tutto da esplorare. «Ti prometto che al mio ritorno voleremo su tutta l'isola,
così potrai vedere tutto quello che vuoi. Nel frattempo Wells ti porterà un vitello e qualche agnello, che non hai mai mangiato.» Temeraire sospirò, poi piegò la testa. «Va bene, ma fai presto» rispose. «Vorrei andare in cima a quelle montagne. E potrei mangiare quelli» aggiunse, guardando un gruppo di cavalli da traino lì vicino. I cavalli scalpitarono nervosamente, come se avessero capito le sue parole. «No, Temeraire, non puoi mangiare tutto quello che vedi per strada» si affrettò a dire Laurence allarmato. «Wells ti porterà subito qualcosa.» Girandosi incrociò lo sguardo del tenente di vascello, e gli comunicò l'urgenza della situazione. Poi, con un'ultima, dubbiosa occhiata al drago, percorse la passerella e raggiunse Riley. L'ammiraglio Croft li stava aspettando con impazienza: doveva aver sentito parte del clamore suscitato dal loro arrivo. Era un uomo alto e singolare, caratteristica accentuata dalla cicatrice sul volto e la mano finta attaccata al moncherino del braccio sinistro, con dita di ferro azionate da molle e ganci. Aveva perso l'arto poco prima del suo avanzamento di grado, e da allora era notevolmente ingrassato. Non si alzò quando entrarono nella sua cabina di rappresentanza, ma si limitò a guardarli accigliato e indicò le sedie. «Molto bene, Laurence, raccontatemi tutto. Suppongo che tutta questa confusione abbia a che vedere con la belva selvatica sulla vostra nave.» «Signore, la belva si chiama Temeraire, e non è selvatico» rispose Laurence. «Tre settimane fa ci siamo impadroniti di una nave francese, la Amitié, e nella stiva abbiamo trovato l'uovo. Il nostro medico di bordo si intende un poco di draghi, e ci ha avvisati che l'uovo si sarebbe schiuso di lì a poco. Così abbiamo potuto organizzare... insomma, io gli ho messo la bardatura.» Croft si raddrizzò sulla sedia e, con gli occhi stretti a fessura, scrutò prima Laurence e poi Riley, accorgendosi solo in quel momento del cambio di uniforme. «Voi cosa? Per cui voi... Buon Dio, perché non avete assegnato il compito a uno dei vostri cadetti?» domandò. «Avete esagerato un po' col vostro senso del dovere, Laurence. Davvero onorevole per un ufficiale della marina decidere di abbandonare la propria nave per passare all'aviazione.» «Signore, io e i miei ufficiali abbiamo estratto a sorte» disse Laurence, reprimendo un moto di indignazione: non si aspettava di essere lodato per il suo sacrificio, ma quei rimproveri erano davvero troppo. «Spero che nessuno abbia mai da ridire sulla mia fedeltà alla marina. Ho semplicemente reputato giusto nei confronti dei miei uomini correre il rischio in-
sieme a loro, e alla fine, pur non essendo stato sorteggiato, non ho potuto evitare di legarmi al drago: la bestia aveva scelto me, e non potevamo rischiare che rifiutasse la bardatura di un'altra mano.» «Oh, al diavolo» concluse Croft, e si accasciò di nuovo con un'espressione imbronciata, tamburellando nervosamente con le dita della mano destra sul palmo metallico della sinistra. Rimase in silenzio, l'unico suono nella cabina era il tintinnare delle unghie contro il ferro. I minuti scorrevano lenti, e Laurence alternava i suoi pensieri dalle migliaia di danni che Temeraire poteva causare in sua assenza alla preoccupazione per quello che Croft avrebbe deciso di fare della Reliant e di Riley. Alla fine l'ammiraglio sobbalzò, come se si fosse appena svegliato, e agitò la mano sana come a scacciar via tutta quella situazione. «Bene, deve pure avere qualche valore. È improbabile che una creatura addomesticata sia pagata meno di una selvatica» disse. «La fregata francese è una nave da guerra, suppongo, non un mercantile, vero? Be', sembra piuttosto promettente, sono sicuro che riusciremo a farne buon uso» aggiunse, e fu chiaro che era tornato di buonumore. E Laurence capì, con un misto di sollievo e irritazione, che l'ammiraglio aveva solo calcolato la sua fetta di bottino. «Proprio così, signore. Si tratta di un'imbarcazione in ottimo stato, con trentasei cannoni» disse educatamente, tenendo per sé molte altre cose che avrebbe voluto dire. Lui non avrebbe mai più dovuto fare rapporto a quell'uomo, ma era ancora in gioco il futuro di Riley. «Sono certo che vi siete comportato nel migliore dei modi, Laurence, ma sarà un peccato perdervi. Suppongo che vi piacerà essere un aviatore» disse Croft, ma il suo tono indicava che non lo pensava affatto. «Non ci sono reparti dell'aviazione nelle vicinanze, e anche il corriere passa una volta la settimana. Immagino che dovrete portarlo a Gibilterra.» «Sì, signore, anche se bisognerà aspettare che cresca un po' di più. Può restare in volo per circa un'ora senza difficoltà, ma non me la sento di fargli affrontare un viaggio più lungo» rispose Laurence con fermezza. «E nel frattempo dobbiamo nutrirlo. Finora ce la siamo cavata con la pesca, ma ovviamente non può andare a caccia qui.» «Be', Laurence, questo certamente non è un problema della marina» disse Croft. Ancora prima che Laurence potesse rimanere sbalordito per quella frase così meschina, l'ammiraglio parve accorgersi di quanto fosse stata infelice la sua risposta e vi pose rimedio. «Comunque sia, parlerò con il governatore. Sono certo che riusciremo a trovare una soluzione. Ora, però, dobbiamo preoccuparci della Reliant e, ovviamente, della Amitié.»
«Vorrei fare presente che Riley è stato al comando della Reliant dal momento della bardatura, e l'ha gestita eccezionalmente bene, conducendola in porto dopo una tempesta di due giorni» disse Laurence. «Inoltre ha combattuto valorosamente nella battaglia contro i francesi.» «Oh, ne sono certo, non ho dubbi» rispose Croft, ricominciando a tamburellare con le dita. «Chi avete messo al comando della Amitié?» «Il tenente Gibbs» replicò Laurence. «Già, certo» disse Croft. «Be', dovete capire che non possiamo promuovere a un ruolo di comando entrambi i vostri tenenti. Non disponiamo di così tante fregate.» Laurence faticò a controllarsi. L'ammiraglio stava chiaramente cercando una scusa per procurarsi un regalo da elargire a qualcuno dei suoi protetti. «Signore,» esordì allora con voce glaciale «temo di non capire. Spero non stiate insinuando che ho messo la bardatura al drago solo per liberare un posto. La mia unica intenzione era fornire all'Inghilterra un drago di valore, ve lo assicuro, e mi auguro che anche i magnifici lord nostri superiori la vedano allo stesso modo.» Non poteva insistere più di così sul proprio sacrificio, e non l'avrebbe mai fatto se la posta in gioco non fosse stata la carriera di Riley. Croft parve colpito da quella sua dichiarazione, e dal riferimento all'ammiragliato. Alla fine fece qualche verso imbarazzato, ritrattò le proprie posizioni e li congedò senza dire nulla di definitivo riguardo la rimozione di Riley dal comando. «Signore, sono profondamente in debito con voi» dichiarò Riley mentre tornavano verso la nave. «Spero solo che non vi siate procurato dei guai insistendo tanto. Presumo che l'ammiraglio sia una persona molto influente.» Laurence in quel momento riusciva soltanto a provare sollievo. Erano arrivati al molo e Temeraire era ancora seduto sul ponte, anche se in quel momento la nave era più simile a un mattatoio e le fauci dell'animale erano più rosse che nere. La folla di spettatori si era dileguata. «Se c'è una cosa positiva in tutto questo, Tom, è che non mi devo più preoccupare di chi è influente e chi no. Suppongo che a un aviatore non importi granché» rispose. «Vi prego di non preoccuparvi per me. Vi dispiace se camminiamo più in fretta? Credo che abbia finito di mangiare.» Volare gli fu molto utile per calmarsi: era impossibile provare rabbia con tutta l'isola di Madeira stesa davanti a lui, con il vento tra i capelli e Teme-
raire che gli indicava nuove cose per lui interessanti, animali, carri, alberi, rocce e tutto quello che attirava il suo sguardo. Da qualche giorno aveva sviluppato una tecnica di volo che gli permetteva di tenere la testa parzialmente girata all'indietro, in modo da parlare con Laurence anche mentre volavano. Alla fine decisero di comune accordo di atterrare su una strada vuota che correva sul bordo di una profonda vallata. Un banco di nuvole si stava radunando lungo gli erbosi pendii meridionali, insolitamente vicino al suolo. Laurence rimase seduto a osservarne il movimento, affascinato. Poi scese dal drago. Doveva ancora abituarsi a stare in sella e fu lieto di potersi sgranchire le gambe dopo un'ora di volo. Camminò godendosi il panorama, e pensò che il mattino seguente avrebbe portato con sé qualcosa da mangiare e bere durante il volo: aveva proprio voglia di un panino e di un bicchiere di vino. «Vorrei un altro agnello» disse Temeraire, facendo eco ai suoi pensieri. «Sono molto gustosi. Posso mangiare quelli là? Sembrano piuttosto grandi.» Sul lato opposto della vallata c'era uno splendido gregge di pecore che pascolavano placide, bianco su verde. «No, Temeraire, quelle sono pecore e montoni. Non sono altrettanto buoni e penso che appartengano a qualcuno, quindi non possiamo prenderli. Ma cercherò di convincere il pastore a dartene una domani, se vorrai tornare qui.» «Mi sembra molto strano che l'oceano sia pieno di animali che chiunque può mangiare mentre sulla terraferma tutto appartiene a qualcuno» ribatté Temeraire deluso. «Non mi sembra giusto. Dopo tutto, nessuno le sta mangiando adesso, e io ho fame.» «Di questo passo credo che mi arresteranno per averti trasmesso idee sediziose» disse Laurence, divertito. «Sembri un vero rivoluzionario. Pensa a questo, però: il loro proprietario è lo stesso a cui chiederemo di darti un bell'agnello per la cena di stasera. Dubito che sarebbe disposto a farlo se gli rubassimo le pecore.» «Preferirei avere un agnello adesso» borbottò Temeraire, ma anziché gettarsi sulle pecore riprese a esaminare le nuvole. «Possiamo andare sopra a quelle? Vorrei vedere perché si muovono così.» Laurence guardò dubbioso il fianco della collina avvolto dalle nubi, ma non voleva dire di no al drago, a meno che non fosse necessario. Cosa che accadeva piuttosto di frequente. «Possiamo provare se vuoi, ma mi sembra un po' pericoloso. Sarebbe più semplice alzarci lungo il fianco della mon-
tagna e farci spingere dal vento.» «Oh, ma ci atterrerò sotto, poi potremo salire a piedi» replicò Temeraire, abbassandosi e appoggiando il collo sul terreno per permettere a Laurence di arrampicarsi. «Sarà comunque interessante.» Era strano camminare insieme a un drago, e ancora più strano superarlo in velocità. Un passo di Temeraire equivaleva a dieci di quelli di Laurence, ma l'animale si muoveva molto raramente, preso com'era a guardarsi intorno per mettere a confronto i diversi tipi di nuvole. Laurence si allontanò ancora e poi si fermò sul pendio ad aspettare. Nonostante la nebbia fitta si sentiva a suo agio, grazie ai vestiti pesanti e al mantello impermeabile che l'esperienza gli aveva insegnato a portare con sé quando doveva volare. Temeraire continuò a risalire la collina lentamente, fermandosi di tanto in tanto per osservare le nuvole o per guardare un fiore o un ciottolo. Con sorpresa di Laurence, si fermò in un punto ed estrasse dal terreno una piccola roccia, che portò poi a Laurence con evidente entusiasmo, spingendola con la punta di un artiglio, essendo troppo piccola per le sue zampe. Laurence la sollevò, soppesandola. Era senza dubbio un oggetto curioso: pirite intrecciata con cristalli di quarzo e roccia, grande quasi quanto il suo pugno. «Come sei riuscito a vederla?» chiese con interesse, rigirandola tra le mani e pulendola dai residui di terriccio. «Una parte spuntava dal terreno e brillava» rispose Temeraire. «È oro? Mi piace il suo aspetto.» «No, è soltanto pirite, ma è molto bella, non è vero? Suppongo che tu sia una di quelle creature che accumulano tesori» ipotizzò Laurence, guardando Temeraire con affetto. Molti draghi erano istintivamente affascinati dai gioielli e dai metalli preziosi. «Temo di non essere un compagno abbastanza ricco per te. Non sarò in grado di farti dormire su un cumulo d'oro.» «Preferirei te a un cumulo d'oro anche se fosse molto comodo dormirci sopra» replicò Temeraire. «Il ponte della nave va benissimo.» Lo disse senza enfasi, non sembrava volesse adularlo. Poi tornò a esaminare le nuvole. Laurence rimase a fissarlo, meravigliato e profondamente compiaciuto. Stentava a immaginare una sensazione simile. Era come se la Reliant gli avesse parlato per dirgli che le piaceva avere lui come capitano: elogio e affetto insieme, provenienti da ciò a cui teneva maggiormente. Lo riempirono di una nuova determinazione a dimostrarsi degno dell'encomio. *
*
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«Temo di non potervi aiutare, signore» disse il vecchio, grattandosi dietro un orecchio mentre si raddrizzava allontanandosi dal pesante libro che aveva davanti. «Ho una dozzina di testi che parlano di razze di draghi, ma non riesco a trovarlo in nessuno di questi. Forse la sua colorazione cambierà con l'età?» Laurence si accigliò. Nell'ultima settimana, da quando erano sbarcati a Madeira, era il terzo naturalista che consultava, e nessuno era stato in grado di aiutarlo a determinare la razza di Temeraire. «Comunque sia,» proseguì il libraio «posso darvi un consiglio. Sir Edward Howe della Royal Society si trova sull'isola, per i bagni termali. È passato dal mio negozio la settimana scorsa. Credo che soggiorni a Porto Moniz, nella parte nord occidentale dell'isola, e sono certo che saprà identificare il vostro drago. Ha scritto numerose monografie su razze rare provenienti dalle Americhe e dall'Oriente.» «Grazie mille, davvero. Sono lieto di saperlo» rispose Laurence, felice per l'informazione. Quel nome gli era familiare, e una volta o due aveva anche incontrato Sir Edward di persona a Londra, per cui non avrebbe neppure dovuto perdere tempo a cercare qualcuno che li presentasse. Tornò in strada di buon umore, con una mappa dell'isola e un libro di mineralogia per Temeraire. Era una giornata particolarmente bella, e il drago era sdraiato nel campo che gli era stato riservato poco fuori dalla città, a prendere il sole dopo un pasto abbondante. Il governatore era stato più disponibile dell'ammiraglio Croft, probabilmente a causa dell'ansia della popolazione per la presenza di un drago spesso affamato che si aggirava nel porto: aveva quindi attinto alla tesoreria pubblica per fornire a Temeraire una costante provvista di pecore e bovini. Al drago non dispiaceva questo cambiamento di dieta, e continuava a crescere. Non sarebbe più potuto stare sulla Reliant, e prometteva di diventare più lungo di tutta la nave. Laurence aveva preso una casetta accanto al campo, pagandola poco grazie all'urgenza che il proprietario aveva di andarsene da lì, e i due erano piuttosto felici. Quando aveva tempo di pensarci, Laurence rimpiangeva di aver abbandonato la vita marittima, ma tenere Temeraire in esercizio richiedeva molto lavoro, e poteva sempre andare in città per cena. Si vedeva spesso con Riley o gli altri ufficiali, e aveva anche altre conoscenze in città dovute al suo passato di capitano, per cui gli capitava raramente di passare una serata in solitudine. Anche le notti erano piacevoli, anche se era costretto a torna-
re presto al cottage a causa della distanza dalla città. Aveva trovato un servitore tra gli abitanti del posto, Fernao, e benché l'uomo non sorrideva mai ed era piuttosto taciturno, non era turbato dal drago e sapeva preparare colazioni e cene discrete. Quando Laurence non c'era, di solito Temeraire trascorreva dormendo le ore calde del giorno, e si svegliava solo dopo il tramonto. Dopo cena Laurence usciva e gli leggeva un libro alla luce di una lanterna. Non era mai stato un gran lettore, ma il piacere che Temeraire traeva dai libri era contagioso e Laurence non poteva che essere felice pensando alla probabile gioia del drago per il nuovo libro, che parlava in modo dettagliato delle gemme grezze e di come estrarle, nonostante a lui l'argomento non interessasse per nulla. Era un genere di vita che non si sarebbe mai aspettato di condurre, ma finora, almeno, non aveva sofferto in nessun modo del suo cambiamento di condizione sociale, e Temeraire stava diventando una compagnia insolitamente piacevole. Laurence si fermò in una caffetteria e scrisse a Sir Edward una breve nota con il suo indirizzo, spiegandogli in due parole la sua situazione e chiedendogli di poterlo andare a trovare in visita. La diede al giovane fattorino affinché la portasse a Porto Moniz, aggiungendo mezza corona perché la consegna fosse più veloce. Ovviamente avrebbe fatto molto prima attraversando lui stesso l'isola in volo, ma non se la sentiva di atterrare senza preavviso con un drago davanti alla casa di qualcuno. Poteva aspettare, gli restava ancora una settimana di libertà prima che arrivasse una risposta da Gibilterra con le istruzioni su come presentarsi a rapporto. Il portalettere era atteso per il giorno seguente, e questo gli ricordò di avere trascurato un dovere: non aveva ancora scritto a suo padre. Non poteva permettere che i suoi genitori venissero a sapere della sua nuova situazione da qualche resoconto di seconda mano, o leggendo la notizia sulla Gazette dove sarebbe di certo comparsa. Così, con riluttanza, si rimise a sedere con davanti un bricco di caffè appena fatto e iniziò a scrivere quella lettera necessaria. Era difficile trovare le parole. Lord Allendale non era un genitore particolarmente affettuoso e aveva modi assai formali. L'esercito e la marina erano per lui alternative appena accettabili rispetto alla chiesa per un figlio minore senza possibilità economiche. Mandarlo nell'aviazione era impensabile come avviarlo al commercio, e di certo non avrebbe capito né approvato. Laurence era consapevole che lui e suo padre avevano punti di vista molto diversi in merito al senso del dovere. Suo padre gli avrebbe di
certo detto che il suo dovere principale era verso il buon nome della famiglia, e quindi avrebbe dovuto tenersi ben alla larga dal drago, mettendo da parte le sue sciocche convinzioni sul servizio alla nazione. Laurence temeva ancora di più la reazione di sua madre, poiché lei gli era davvero affezionata, e la notizia l'avrebbe resa infelice, in ansia per la sua salute. Inoltre era amica di lady Galman, e quello che lui le avrebbe scritto sarebbe di certo arrivato alle orecchie di Edith. Ma non poteva inviare una lettera che rassicurasse le due donne senza provocare così la rabbia di suo padre. Si limitò, quindi, a una nota stringata e formale, che presentava i fatti senza fronzoli ed evitava qualsiasi nota di finto rammarico. Non poteva aggiungere altro, eppure sigillò la lettera con un senso di insoddisfazione prima di portarla lui stesso all'ufficio spedizioni. Portato a termine questo compito sgradevole ritornò all'albergo in cui aveva preso una stanza. Aveva invitato Riley e Gibbs, insieme a molti altri suoi conoscenti, a unirsi a lui per il pranzo, come ringraziamento per l'ospitalità ricevuta i primi giorni. Non erano ancora le due e i negozi erano ancora aperti. Guardò le vetrine mentre camminava per distogliere la mente dai cupi pensieri sulla probabile reazione dei suoi familiari e degli amici più intimi, e si fermò davanti a un piccolo banco dei pegni. La catena d'oro era incredibilmente grossa, il genere di oggetto troppo vistoso per un uomo e che una donna non avrebbe mai indossato: spessi anelli quadrati da cui pendevano, alternati, cerchi piatti e piccole perle. Tuttavia, immaginò Laurence, solo per il metallo e le gemme doveva essere molto costosa, probabilmente molto più di quanto lui avrebbe potuto spendere, prudente com'era con le sue finanze ora che non aveva alcuna prospettiva futura di grandi guadagni. Comunque entrò e chiese informazioni. Era davvero troppo cara. «Signore, forse questa andrà bene» suggerì il proprietario, mostrandogli un'altra catena. Sembrava molto simile alla prima, ma senza cerchi e con anelli un po' più sottili. Costava quasi la metà. Era pur sempre un oggetto abbastanza costoso ma lo comprò, sentendosi poi un po' sciocco. A ogni modo quella notte diede la catena a Temerarie, e rimase stupito dalla gioia del drago. Temeraire strinse la catena e non se ne separò più. La esaminò alla luce delle candele mentre Laurence gli leggeva un libro, girandola e rigirandola per ammirare la luce riflessa sull'oro e sulle perle. Quando alla fine si addormentò, la tenne avvolta agli artigli, e il giorno seguente Laurence fu costretto a fissarla alla bardatura prima che il drago acconsentisse a volare.
Quella strana reazione lo rese ancora più felice di trovare il caloroso invito di Sir Edward quando tornò dal volo mattutino. Quando atterrarono nel prato, Fernao gli portò il messaggio e Laurence lo lesse ad alta voce a Temeraire: il gentiluomo li avrebbe ricevuti a loro piacimento, e lo potevano trovare sulla spiaggia vicino alle piscine. «Non sono stanco» disse Temeraire. Era curioso quanto Laurence di conoscere la propria razza. «Se vuoi possiamo andare subito.» In effetti stava sviluppando una resistenza sempre maggiore, e Laurence concluse che, se ce ne fosse stato bisogno, potevano sempre fermarsi a riposare. Risalì sull'animale senza nemmeno cambiarsi d'abito. Temeraire partì con impeto e l'isola sfrecciò via sotto i colpi vigorosi delle sue ali, mentre Laurence si stringeva al suo collo e strizzava gli occhi contro il vento. Impiegarono meno di mezz'ora per arrivare alla spiaggia, mettendo in fuga bagnanti e venditori ambulanti quando planarono sul terreno sassoso. Per un momento Laurence guardò stupito quella gente, poi si accigliò: se erano tanto stupide da pensare che un drago bardato potesse far loro del male non era certo colpa sua. Accarezzò il collo di Temeraire mentre si liberava dai legacci e scendeva dalla sua schiena. «Vado a cercare Sir Edward. Tu resta qui.» «D'accordo» rispose il drago con voce distante. Stava già scrutando con vivo interesse le vasche vicino alla spiaggia, piene di un'acqua molto limpida dalla quale affioravano strane sporgenze rocciose. Non fu difficile trovare Sir Edward: l'uomo aveva notato la folla in fuga e si stava già avvicinando. Era l'unica persona in vista, dopo che Laurence ebbe percorso poche centinaia di metri. Si strinsero la mano e si scambiarono i convenevoli, ma erano entrambi impazienti di arrivare al nocciolo della questione. Sir Edward acconsentì subito con trasporto quando Laurence propose di tornare da Temeraire. «Un nome davvero insolito e affascinante» disse il gentiluomo mentre camminavano, e senza rendersene conto fece sprofondare l'umore di Laurence. «In genere queste bestie ricevono nomi romani, assai stravaganti. Ma di solito gli aviatori superano il processo della bardatura quando sono molto più giovani di voi, e hanno la tendenza a esaltarsi. C'è qualcosa di ridicolo in un Winchester di due tonnellate che si chiama Imperatorius. Diamine, Laurence, come gli avete insegnato a nuotare?» Sorpreso, Laurence si girò a guardare e sobbalzò: in sua assenza, Temeraire era sceso in acqua e ora stava sguazzando in superficie. «Cielo, no,
non gliel'ho mai visto fare prima» rispose. «Come mai non affonda? Temeraire! Vieni fuori di lì» gridò, un po' preoccupato. Sir Edward guardò con interesse il drago che usciva dall'acqua e tornava sulla spiaggia. «Davvero straordinario. Forse le sacche d'aria interne che permettono loro di volare li fanno anche galleggiare, e lui, essendo cresciuto in mezzo all'oceano, non ha paura dell'acqua.» L'esistenza di queste sacche d'aria era un'informazione nuova per Laurence, ma il drago stava per raggiungerli, quindi tenne per dopo tutte le domande che gli vennero subito in mente. «Temeraire, questo è Sir Edward Howe» annunciò. «Salve» disse Temeraire, scrutando l'uomo con lo stesso interesse con cui questi lo osservava a sua volta. «Sono molto lieto di conoscervi. Potete dirmi a quale razza appartengo?» Sir Edward non sembrò turbato per quell'approccio così diretto, e rispose con un inchino. «Spero davvero di potervi dare qualche informazione. Posso chiedervi il disturbo di andare fino a quell'albero in fondo alla spiaggia e spalancare le vostre ali, in modo da vedere meglio la vostra struttura completa?» Temeraire esaudì subito quella richiesta, e Sir Edward osservò i suoi movimenti. «Hm, il modo in cui tiene la coda è molto strano, per nulla comune. Laurence, avete detto che l'uovo era stato trovato in Brasile?» «È un'informazione che non so darvi con precisione, temo» replicò Laurence, studiando la coda del drago. Non ci vedeva niente di insolito, ma ovviamente lui non aveva dei veri termini di paragone. Temeraire la teneva sollevata da terra, e mentre camminava sferzava l'aria con delicatezza. «L'abbiamo preso da una nave francese, partita poco prima da Rio, almeno a giudicare dai segni presenti su alcune delle botti d'acqua. Più di così non vi so dire. Hanno buttato i diari di bordo in mare quando l'abbiamo presa, e il capitano si è rifiutato di darci qualsiasi informazione sul luogo di ritrovamento dell'uovo. Ma credo che non potesse essere più lontano di Rio, considerata la lunghezza del viaggio.» «Oh, questo non è detto» obiettò Sir Edward. «Ci sono alcune specie che restano nell'uovo anche per dieci anni, e venti mesi è un periodo di tempo che rientra nella media. Buon Dio!» Temeraire aveva appena spalancato le ali, che gocciolavano ancora. «Sì?» chiese Laurence incuriosito. «Mio Dio, Laurence, quelle ali» gridò Sir Edward e si mise letteralmente a correre lungo la spiaggia verso Temerarie. Laurence batté le palpebre e
gli andò dietro, raggiungendolo solo quando si fermò accanto al drago. Sir Edward stava accarezzando dolcemente una delle sei cartilagini che dividevano le sezioni delle ali di Temerarie, osservandole con avido interesse. Il drago aveva allungato la testa per guardare, ma per il resto era immobile, e non sembrava infastidito dal fatto che qualcuno gli toccasse l'ala. «Allora, lo riconoscete?» chiese esistente Laurence. Sir Edward sembrava davvero sopraffatto dall'emozione. «Riconoscerlo? No, ve lo assicuro. Nel senso che non ne ho mai visto uno della sua specie. Ci saranno sì e no tre uomini in tutta Europa che ne hanno visto uno. Ma sulla base di questa rapida occhiata ho materiale a sufficienza per tenere un discorso alla Royal Society» rispose Sir Edward. «Le sue ali sono inconfondibili, così come il numero di artigli. È un Imperiale cinese, anche se non so dirvi con certezza di quale discendenza. Oh, Laurence, che gioiello!» Laurence fissò le ali, confuso. Prima di quel momento non aveva mai pensato che la struttura a ventaglio potesse essere insolita, così come i cinque artigli che Temerarie aveva su ciascuna zampa. «Un Imperiale?» domandò con un sorriso incerto. Per un momento si chiese se Sir Edward non lo stesse prendendo in giro. I cinesi avevano cominciato ad allevare draghi migliaia di anni prima che i romani addomesticassero le razze selvatiche d'Europa. Erano alquanto gelosi del loro lavoro, e raramente permettevano a esemplari adulti di razze rare di lasciare il paese. Era assurdo pensare che i francesi trasportassero un uovo di Imperiale sull'Atlantico a bordo di una fregata da trentasei cannoni. «È una buona razza?» chiese Temeraire. «Sarò in grado di sputare fuoco?» «Cara creatura, la vostra è la migliore in assoluto tra tutte le razze. Solo i Celestiali sono più rari e preziosi, e se voi foste un Celestiale i cinesi ci dichiarerebbero guerra perché vi abbiamo messo la bardatura. Potete essere lieto che non è così» concluse Sir Edward. «Tuttavia, anche se non posso escluderlo del tutto, non credo che sarete in grado di sputare fuoco. I cinesi allevano i vostri simili soprattutto per la grazia e l'intelligenza. Dispongono di una tale superiorità aerea da non avere bisogno di questa ulteriore capacità. Tra le razze orientali è molto più probabile che siano i draghi giapponesi ad avere attitudini da battaglia.» «Oh» fece il drago, avvilito. «Temeraire, non essere sciocco, è la notizia più clamorosa che potevamo aspettarci» disse Laurence, iniziando infine a credere a Sir Edward. Si era
spinto troppo in là perché fosse soltanto uno scherzo. Ma non poté fare a meno di chiedere: «Ne siete sicuro, signore?» «Oh, sì» rispose Sir Edward, tornando a esaminare le ali. «Basta guardare la delicatezza della membrana, la consistenza del colore su tutto il corpo e l'equilibrio tra il colore degli occhi e le macchie. Avrei dovuto accorgermi subito che era una razza cinese. È quasi impossibile che provenga da una zona selvaggia, e nessun allevatore europeo o inca è in grado di far nascere una creatura del genere.» Poi aggiunse: «Questo spiega anche il fatto che sappia nuotare. Se ricordo bene i draghi cinesi hanno spesso affinità con l'acqua.» «Un Imperiale» mormorò Laurence ancora stupito, carezzando il fianco di Temeraire. «È incredibile, avrebbero dovuto scortarlo con metà della loro flotta, o mandare direttamente lì un loro addestratore.» «Forse non sapevano cosa portavano con sé» suggerì Sir Edward. «Le uova cinesi sono notoriamente difficili da identificare dall'aspetto, se si esclude la consistenza di pura porcellana. A proposito, suppongo che non abbiate conservato alcun frammento dell'uovo, vero?» domandò speranzoso. «Io no, ma forse qualcuno dei marinai può averne preso un pezzo» rispose Laurence. «Sarò lieto di sincerarmene: vi sono profondamente debitore.» «Niente affatto, il debito è solo mio. Ho visto un Imperiale... ci ho persino parlato!» Fece un inchino a Temeraire. «Potrei essere l'unico fra tutti gli inglesi, anche se le Comte de la Pérouse ha scritto nei suoi diari di aver discusso con un esemplare in Corea, nel palazzo del re.» «Mi piacerebbe leggerli» intervenne Temeraire. «Laurence, riusciresti a procurartene una copia?» «Ci proverò senz'altro» rispose lui. «E, signore, vi sarei molto grato se poteste consigliarmi qualche testo. Qualsiasi informazione sulle abitudini e i comportamenti della razza mi sarebbe utilissima.» «Be', ci sono poche fonti attendibili, temo. Immagino che presto sarete voi l'europeo più esperto di tutti» disse Sir Edward. «Ma vi farò senz'altro avere un elenco, e ho io stesso diversi libri che sarò felice di prestarvi, inclusi i diari di La Pérouse. Se a Temeraire non dispiace aspettare qui possiamo andare al mio albergo e prenderli. Temo che non si sentirebbe molto a suo agio in paese.» «Non mi dispiace affatto, andrò a nuotare di nuovo» rispose Temeraire.
Dopo aver bevuto il tè con Sir Edward e preso alcuni dei suoi libri, Laurence trovò un pastore nel villaggio lieto di accettare il suo denaro, e così poté nutrire Temeraire prima di riprendere il viaggio. Fu però costretto a trascinare la pecora alla spiaggia, con l'animale che belava selvaggiamente e cercava di fuggire molto prima che Temeraire fosse in vista. Alla fine Laurence dovette portarla in braccio e la pecora si vendicò coprendolo di escrementi un attimo prima che lui la lanciasse al drago affamato. Mentre Temerarie banchettava, lui si tolse i vestiti e li pulì alla meno peggio nell'acqua, poi li lasciò ad asciugare su una roccia e fece il bagno con il drago. Laurence non era un nuotatore particolarmente dotato, ma aggrappandosi a Temeraire poté arrischiarsi nelle acque più profonde dove l'animale riusciva a nuotare. La gioia del drago in acqua era contagiosa, e alla fine anche Laurence cedette, spruzzando la bestia e immergendosi per riaffiorare dall'altro lato. L'acqua era meravigliosamente tiepida, e c'erano molte sporgenze rocciose su cui arrampicarsi per riposare un po', alcune grandi abbastanza per ospitarli entrambi. Quando infine ritornarono alla spiaggia erano passate parecchie ore e il sole stava tramontando. Benché si sentisse un po' in colpa, era felice che gli altri bagnanti si fossero dileguati: si sarebbe vergognato se l'avessero visto mentre si trastullava come un ragazzino. Il sole era caldo sulle loro schiene quando sorvolarono l'isola per tornare a Funchal, entrambi contenti, con i preziosi libri avvolti in una tela cerata e legati con una cinghia alla bardatura. «Stasera ti leggerò i diari» stava dicendo Laurence, quando venne interrotto da un suono acuto, simile a uno squillo di tromba. Temeraire si spaventò al punto da bloccarsi a mezz'aria, restando sospeso per un istante; poi ruggì in risposta, un verso stranamente incerto. Si lanciò di nuovo in avanti, e subito Laurence vide da dove proveniva quel richiamo. Un drago grigio chiaro con chiazze bianche sul ventre e striature dello stesso colore sulle ali, quasi invisibile contro le nuvole, molto più in alto di loro. Scese in picchiata con grande rapidità e si portò al loro fianco. Laurence vide che era più piccolo di Temeraire, nonostante questi non fosse del tutto cresciuto, ma l'altro drago riusciva a percorrere una distanza maggiore con un singolo battito delle ali. Il suo cavaliere indossava abiti di cuoio grigio, identici alla pelle dell'animale, e un pesante cappuccio tenuto da fibbie, che l'uomo sganciò per scoprire il proprio volto. «Capitano James, su Volatilus, servizio di consegne» si presentò, fissando Laurence con evidente
curiosità. Laurence esitò. Era chiaro che l'altro attendeva una risposta, ma lui non aveva idea di come definirsi, poiché non era ancora stato ufficialmente congedato dalla marina, né formalmente inserito nei ranghi dell'aviazione. «Capitano Laurence, della marina di Sua Maestà,» disse infine «su Temeraire. Al momento senza assegnazione. Siete diretto a Funchal?» «Marina? Sì, sono diretto lì, e mi aspetto che lo siate anche voi, dopo una simile presentazione» rispose James. Aveva un volto lungo e allegro, ma le parole di Laurence lo avevano fatto accigliare. «Quanti anni ha quel drago, e dove lo avete trovato?» «Sono uscito dal guscio da tre settimane e cinque giorni, e Laurence mi ha vinto in battaglia» disse Temeraire prima che Laurence potesse rispondere. «Come hai incontrato James?» chiese poi, rivolgendosi all'altro drago. Volatilus batté le palpebre dei suoi grandi occhi blu lattiginosi e disse con voce squillante, «Mi sono schiuso! Da un uovo!» «Oh» fece Temeraire, perplesso, e si girò per rivolgere a Laurence uno sguardo sorpreso. Lui scosse rapidamente la testa per farlo tacere. «Signore, se avete delle domande potrò rispondervi meglio da terra» disse a James, un po' freddamente. L'uomo aveva usato un tono di voce autoritario che Laurence non aveva gradito. «Io e Temeraire abitiamo appena fuori città. Volete accompagnarci o preferite che vi seguiamo fino alla vostra base?» James stava guardando Temeraire con stupore, e rispose a Laurence con toni un po' meno bruschi. «Oh, è meglio andare da voi. Nel momento in cui atterrerò sarò assalito da gente che vuole spedire dei pacchi e non riusciremmo a parlare.» «Molto bene. Siamo in una zona di campagna a sud-ovest della città» spiegò Laurence. «Temeraire, fai strada, per favore.» Il drago grigio non ebbe difficoltà a stargli dietro, anche se Laurence pensò che Temeraire stesse celatamente tentando di seminarlo. Era chiaro che a Volatilus era stato insegnato, e con successo, a essere veloce. Gli allevatori inglesi avevano la capacità di gestire le loro risorse limitate per ottenere uno scopo specifico. In questo caso, però, dovevano aver rinunciato all'intelligenza del drago pur di ottenerne la velocità. Atterrarono insieme, tra l'inquietudine del bestiame che era stato consegnato per la cena di Temeraire. «Temeraire, sii gentile con lui» disse Laurence a voce bassa. «Alcuni draghi non sono molto intelligenti, proprio
come le persone. Ti ricordi di Bill Swallow, sulla Reliant!» «Oh, sì» rispose Temeraire con voce altrettanto bassa. «Ora capisco. Farò attenzione. Credi che gli piacerebbe una delle mie mucche?» «Gli andrebbe di mangiare qualcosa?» chiese Laurence a James, mentre entrambi scendevano dalle cavalcature e si incontravano sul campo. «Temeraire si è già nutrito oggi pomeriggio, e in due possono dividersi una mucca.» «Accidenti, è molto gentile da parte vostra» disse James, visibilmente più cortese adesso. «Sono certo che la gradirebbe molto; non è vero, pozzo senza fondo?» Accarezzò con affetto il collo di Volatilus. «Mucche!» esclamò il drago grigio, fissando le bestie con occhi sgranati. «Sistemiamoci laggiù e mangiamo qualcosa insieme» gli propose Temeraire, e si raddrizzò sulle zampe posteriori per afferrare un paio di animali dal recinto. Li appoggiò in un punto sgombro ed erboso del campo e fece un cenno a Volatilus, che zampettò ansioso verso di lui. «Tanta gentilezza è davvero rara, anche da parte del vostro drago» disse James mentre Laurence lo conduceva al cottage. «Non ho mai visto un esemplare così grande dividere il proprio cibo. A che razza appartiene?» «Non sono un esperto, e all'inizio non conoscevo le sue origini. Ma proprio oggi Sir Edward Howe lo ha identificato come un Imperiale» disse Laurence, leggermente imbarazzato. Sembrava che si stesse compiacendo, ma ovviamente quello era solo il reale stato delle cose e lui non poteva evitare di dirlo. James inciampò sulla soglia a quella notizia e quasi andò a sbattere contro Fernao. «Non starete mica... Cielo, no, non state scherzando» disse, ricomponendosi e togliendosi la giacca di cuoio. «Ma come l'avete trovato, e come siete riuscito a bardarlo?» Laurence non si sarebbe mai sognato di interrogare un ospite in tal modo, ma non lasciò trapelare il proprio giudizio sullo scarso contegno di James. Le circostanze, d'altronde, permettevano una certa tolleranza. «Sarò felice di raccontarvelo» rispose mentre lo faceva accomodare nel salotto. «In effetti, mi piacerebbe avere consigli su come devo procedere. Gradite un po' di tè?» «Sì, o del caffè se ne avete» rispose James, avvicinando una poltrona al camino. Ci si accasciò sopra, accavallando una gamba sul bracciolo. «Dannazione, è bello potersi sedere per un minuto. Eravamo in volo da sette ore.» «Sette ore? Sarete distrutto» disse Laurence, sorpreso. «Non sapevo che
potessero stare tanto in volo.» «Oh, Dio vi benedica, abbiamo fatto anche voli di quattordici ore» raccontò James. «Non ci proverei con il vostro drago, però: Volly può restare in aria battendo le ali solo una volta ogni ora, in condizioni climatiche favorevoli.» Fece un enorme sbadiglio. «Ma comunque non è una cosa da poco, soprattutto viste le correnti sopra l'oceano.» Fernao entrò con il caffè e il tè e, dopo che furono entrambi serviti, Laurence raccontò in breve come aveva ottenuto Temeraire e come lo aveva bardato. James ascoltò con aperto stupore, bevendo nel frattempo cinque tazze di caffè e mangiando due vassoi di tramezzini. «Per cui, come potete capire, sono a un punto morto. L'ammiraglio Croft ha scritto all'aviazione di Gibilterra per ricevere istruzioni circa la mia situazione, che immagino sarete voi a consegnare, ma vi confesso che vi sarei davvero grato se potessi farmi prima un'idea di ciò che mi aspetta» concluse. «State chiedendo alla persona sbagliata, temo» disse James vivacemente, bevendo la sesta tazza di caffè. «Non ho mai sentito nulla del genere, e non posso nemmeno anticiparvi nulla sull'addestramento. Sono stato assegnato alle consegne quando avevo dodici anni e mi sono trovato in groppa a Volly che ne avevo quattordici; credo che vi toccheranno molte battaglie, con il vostro splendido drago. Ma,» aggiunse «vi risparmierò ulteriori attese. Andrò subito al mio punto di atterraggio, prenderò la posta e consegnerò la lettera dell'ammiraglio questa notte. Non mi sorprenderei se un capo anziano venisse qui da voi già domani pomeriggio.» «Chiedo scusa, cosa intendete con 'capo anziano'?» domandò Laurence, costretto a chiedere per ignoranza. Il modo di parlare di James era diventato via via più informale a ogni tazza di caffè. «Un capitano anziano» rispose. Sogghignò, tolse la gamba dal bracciolo e si alzò dalla poltrona, sollevandosi sulla punta dei piedi per stirarsi. «Diventerete un buon aviatore. Quasi dimenticavo che ancora non lo siete.» «Grazie, è un bel complimento» disse Laurence, anche se dentro di sé avrebbe preferito che James si fosse sforzato un po' di più per ricordarlo. «Ma non avrete davvero intenzione di volare di notte?» «Invece sì. Non c'è bisogno di dormire, con questo clima. Il caffè mi ha ridato vigore e, con una mucca nello stomaco, Volly potrebbe volare fino in Cina e tornare indietro» rispose James. «A ogni modo, riposeremo meglio a Gibilterra, con giacigli migliori. Vado!» concluse, e uscì dal salotto, prese il giubbotto dall'armadio e si allontanò fischiettando. Laurence, colto
alla sprovvista, ebbe un attimo di esitazione, poi lo seguì. Volly raggiunse James con un paio di brevi saltelli svolazzanti, farfugliando eccitato qualcosa sulle mucche e su 'Temrer', che era il modo migliore in cui riusciva a pronunciare il nome di Temeraire. James lo accarezzò e salì in groppa. «Grazie ancora. Ci rivedremo durante i miei giri se farete l'addestramento a Gibilterra» gridò, salutando con la mano. Poi, in un turbine di ali grigie, divennero una piccola figura nel cielo al crepuscolo. «La mucca gli è piaciuta molto» disse Temeraire dopo un momento, fermo a guardarli accanto a Laurence. Questi sorrise per quel debole complimento all'altro drago e si allungò per grattare il collo di Temeraire. «Mi dispiace che il tuo primo incontro con un drago non sia stato molto positivo» lo rassicurò. «Ma lui e James porteranno il messaggio dell'ammiraglio Croft a Gibilterra, e tra un giorno o due sono sicuro che incontrerai delle menti più congeniali a te.» James non aveva esagerato con le sue previsioni. Il pomeriggio seguente Laurence era appena uscito per andare in città, quando un'ombra gigantesca attraversò il porto e lui alzò lo sguardo e vide un'enorme bestia color rosso e oro che veleggiava nell'aria, in direzione dell'approdo fuori dalla città. Si avviò di buon passo verso la Commendable, sicuro che le comunicazioni gli sarebbero arrivate a bordo della nave. A metà strada fu raggiunto da un giovane marinaio, che gli disse di essere stato mandato dall'ammiraglio Croft. Due aviatori lo stavano aspettando nella cabina dell'ammiraglio: il capitano Portland, un uomo alto e magro con lineamenti severi e il naso aquilino, piuttosto simile lui stesso a un drago, e il tenente Dayes, un giovane di appena vent'anni dall'espressione burbera, con una lunga coda di capelli rossi e sopracciglia dello stesso colore. I loro modi erano distaccati come si diceva fossero quelli di tutti gli aviatori e, a differenza di James, non mostrarono alcun segno di amichevolezza nei suoi confronti. «Be', Laurence, siete proprio un tipo fortunato» esordì Croft non appena ebbe terminato le stentate presentazioni. «A quanto pare vi riavremo sulla Reliant, dopo tutto.» Ancora intento a esaminare gli aviatori, Laurence esitò un istante. «Come dite?» chiese. Portland lanciò a Croft una rapida e sprezzante occhiata, ma in fondo quel suo commento sulla fortuna era stato privo di tatto, se non addirittura
offensivo. «Avete di certo prestato un gran servizio all'aviazione,» disse poi in tono rigido, rivolgendosi a Laurence «ma mi auguro che non ci sia bisogno di chiedervi di continuare. Il tenente Dayes è qui per sollevarvi dall'incarico.» Laurence guardò confuso Dayes, che lo fissava con un pizzico di belligeranza. «Signore,» disse lentamente Laurence, che faceva fatica a pensare «credevo che l'addestratore di un drago non potesse essere sostituito e che dovesse essere presente al momento della schiusa. Mi sto forse sbagliando?» «In circostanze normali avreste ragione, e di sicuro quella che voi descrivete è la condizione più auspicabile» disse Portland. «Tuttavia, a volte capita di perdere un addestratore, per una malattia o un infortunio, e siamo riusciti a convincere il drago ad accettare un altro aviatore nella metà di questi casi. Mi aspetto che la sua giovane età renda Temeraire» indugiò sul nome con una leggera nota di scherno nella voce «ancora più disponibile alla sostituzione.» «Capisco» disse Laurence. E non riuscì ad aggiungere altro. Tre settimane addietro avrebbe accolto una notizia del genere con immensa gioia. Ora gli sembrava stranamente priva di senso. «Naturalmente vi siamo grati» aggiunse Portland, forse sentendo che era necessario un comportamento più civile. «Ma Temeraire starà molto meglio con un aviatore esperto, e sono certo che la marina non rinuncerebbe facilmente a un ufficiale così devoto.» «Siete molto gentile, signore» rispose Laurence con tono formale, inchinandosi. Il complimento non era stato spontaneo, ma capiva che il resto della frase era sincero e sensato. Di sicuro per Temeraire era meglio farsi guidare da un vero aviatore, qualcuno che lo sapesse trattare nel modo giusto, proprio come una nave doveva essere condotta da un esperto marinaio. Era stato solo un incidente ad affidare il drago alle sue cure, e ora che Laurence conosceva la natura straordinaria di quell'animale gli sembrava ancora più ovvio che meritasse un compagno parimenti abile. «È naturale che vogliate far ricoprire quella posizione a un uomo competente, e sono felice di esservi stato utile. Posso accompagnare Dayes da Temeraire, ora?» «No!» disse Dayes con fermezza, per poi zittirsi dopo un'occhiata di Portland, che rispose con maggiore cortesia: «No, grazie, capitano. Vorremmo piuttosto agire come se l'addestratore precedente fosse davvero morto, in modo da rispettare la procedura che abbiamo stabilito per far accettare agli animali un nuovo aviatore. Sarebbe meglio se non vedeste mai
più il drago.» Quello fu un brutto colpo. Laurence stava per obiettare, ma preferì tacere limitandosi a un altro inchino. Se la cosa poteva rendere più semplice il processo di transizione, era suo dovere starne fuori. Eppure, gli faceva davvero male pensare che non avrebbe mai più rivisto Temeraire. Non lo aveva salutato, non gli aveva detto le ultime parole gentili, e andarsene così gli sembrava come abbandonarlo. Era oppresso dal dolore quando lasciò la Commendable, e a sera non era ancora passato. Doveva incontrarsi con Riley e Wells per cena e, quando entrò nel salone dell'albergo in cui lo aspettavano, dovette fare uno sforzo per sorridere e dire, «Be', signori, a quanto pare non vi siete ancora liberati di me.» Parvero sorpresi, ma poi subito si congratularono con entusiasmo, brindando al suo ritorno nella marina. «È la notizia migliore delle ultime due settimane» dichiarò Riley alzando il bicchiere. «Alla vostra salute, signore.» Era chiaramente sincero, nonostante la promozione a cui avrebbe dovuto rinunciare, e Laurence si sentì davvero commosso. La consapevolezza della loro amicizia alleviò il dolore almeno in parte e si unì al brindisi con qualcosa di molto simile al suo solito comportamento. «Eppure mi sembra si siano comportati in un modo piuttosto strano» osservò Wells più tardi, perplesso dalla breve descrizione dell'incontro fornita da Laurence. «Sono stati quasi offensivi, anche nei confronti della marina. Come se uno dei nostri ufficiali non fosse abbastanza bravo per loro!» «No, affatto» lo tranquillizzò Laurence, anche se in cuor suo non si sentiva del tutto sicuro della sua interpretazione. «Si preoccupano per Temeraire e per l'aviazione, ne sono certo, e fanno bene. Come potrebbero essere contenti di avere un aviatore inesperto alla guida di una creatura tanto preziosa? Sarebbe come se noi vedessimo un ufficiale dell'esercito posto al comando di una nave di prim'ordine.» A quest'ultima affermazione ci credeva, ma era una ben magra consolazione. Col passare della serata, sentì crescere il dolore della separazione, nonostante la compagnia e il buon cibo. Era già diventata un'abitudine per lui trascorrere le notti a leggere insieme a Temeraire, o a parlare con lui, o a dormire al suo fianco, e quella brusca interruzione era angosciante. Capì che non stava mascherando alla perfezione i suoi sentimenti. Riley e Wells gli lanciavano sguardi preoccupati, e cercavano argomenti di discussione per coprire il silenzio. Laurence, però, non riusciva a simulare l'allegria che li avrebbe rassicurati. Avevano appena servito il pudding e Laurence stava tentando di man-
darne giù un boccone quando un ragazzo entrò di corsa con un messaggio per lui. Era del capitano Portland che gli chiedeva di tornare subito alla villetta. Laurence si alzò di colpo, riuscendo a malapena a offrire poche parole di scusa, poi sfrecciò in strada senza nemmeno indossare il soprabito; la notte di Madeira era tiepida, e non si pentì di non averlo preso, soprattutto dopo che ebbe camminato di buona lena per qualche minuto. Quando raggiunse il cottage, era così accaldato che avrebbe potuto fare a meno anche della cravatta. Le luci all'interno erano accese. Aveva proposto al capitano Portland di servirsi della casa poiché si trovava nelle vicinanze del campo. Quando Fernao gli aprì la porta, lui entrò e trovò Dayes seduto al tavolo da pranzo con la testa tra le mani, circondato da diversi giovani con l'uniforme dell'aviazione. Portland era in piedi accanto al camino, e fissava le ceneri con una ferma espressione di disapprovazione. «È successo qualcosa?» domandò Laurence. «Temeraire sta male?» «No,» tagliò corto Portland «si è rifiutato di accettare la sostituzione.» Dayes si alzò di scatto dal tavolo e fece un passo verso Laurence. «Una cosa del genere non può essere tollerata! Un Imperiale nelle mani di un maldestro marinaio inesperto...» gridò. I suoi amici lo trattennero prima che potesse lasciarsi scappare altro, ma quella frase era comunque stata oltraggiosa, e Laurence impugnò immediatamente l'elsa della spada. «Signore, dovete riconoscere» ringhiò «che avete passato il limite.» «Basta così. Non ci sono duelli nella nostra armata» intervenne Portland. «Andrews, per l'amore del cielo, mettetelo a letto e dategli un po' di laudano.» Il giovane che teneva Dayes per il braccio sinistro annuì e, insieme agli altri tre, portò via il tenete recalcitrante, lasciando Portland e Laurence da soli, con Fernao che se ne stava impassibile in un angolo, reggendo ancora il vassoio con sopra una caraffa di porto. Laurence si rivolse al capitano dell'aviazione. «Un gentiluomo non può accettare un simile comportamento.» «La vita di un aviatore non appartiene soltanto a lui. Non gli si può permettere di rischiarla così banalmente. Non ci sono duelli nella nostra armata» rispose Portland senza alcuna inflessione. Quella frase, ripetuta due volte, aveva il peso di una legge, e alla fine Laurence fu costretto a riconoscere che era giusta; la mano allentò la presa sulla spada, ma il volto rimase acceso di furia. «Allora dovrà scusarsi, con me e con la marina. È stato un commento oltraggioso.» Portland rispose, «Quindi devo supporre che voi non avete mai sentito o
fatto commenti altrettanto insolenti nei confronti degli aviatori o dell'aviazione stessa, giusto?» Laurence fu zittito dall'evidente amarezza nella voce di Portland. Non aveva mai pensato che anche gli aviatori potessero sentire commenti del genere e riceverne offesa: adesso capiva ancora meglio quanto fosse profondo il loro rancore, visto che il codice dell'armata impediva loro di chiedere soddisfazione per gli eventuali affronti. «Capitano,» disse infine, abbassando la voce «se anche tali commenti sono mai stati fatti in mia presenza, posso affermare di non esserne mai stato responsabile, e quando mi è stato possibile li ho contestati con durezza. Non ho mai tollerato parole di infamia contro una qualsiasi divisione delle forze armate di Sua Maestà, né mai lo farò.» Ora fu Portland a restare in silenzio e, anche se in tono riluttante, alla fine rispose, «Vi ho accusato ingiustamente, e ve ne chiedo perdono. Spero che anche Dayes, quando sarà meno turbato, vi porgerà le sue scuse. Non avrebbe parlato in questo modo se non avesse appena subito una delusione così amara.» «Da quello che mi avevate detto mi era parso di capire che c'erano già in partenza dei rischi di insuccesso» constatò Laurence. «Non avrebbe dovuto crearsi delle così grandi aspettative: di certo avrà successo con un drago appena uscito dall'uovo.» «Ha accettato il rischio» replicò Portland. «E ha sprecato la sua occasione di essere promosso. Non gli sarà permesso di fare un altro tentativo, a meno che non si conquisti un'altra occasione in battaglia, cosa assai improbabile.» E così Dayes si trovava nella stessa posizione di Riley prima del loro ultimo viaggio, tranne forse per il fatto di avere ancora meno possibilità di avanzare di grado, dal momento che i draghi in Inghilterra erano tanto rari. Laurence ancora non riusciva a perdonare l'insulto, ma comprendeva meglio l'emozione che l'aveva dettato. E non poteva impedirsi di provare compassione per quell'individuo, che dopo tutto era solo un ragazzo. «Capisco, e sarò lieto di accettare le sue scuse» disse. Era il massimo che riuscisse a concedergli. Portland sembrò sollevato. «Sono lieto di sentirlo» rispose. «Ora credo che dovreste andare a parlare con Temeraire. Gli siete mancato e credo non abbia gradito la richiesta di accettare un sostituto. Spero potremo discutere di nuovo, domani. Non abbiamo toccato la vostra camera da letto, quindi potrete tranquillamente restare qui stanotte.»
Laurence non aveva bisogno di alcun incoraggiamento: in pochi istanti stava già percorrendo il campo a grandi falcate. Quando fu più vicino, poté scorgere la massiccia sagoma di Temeraire alla luce della luna. Il drago era ripiegato su sé stesso e quasi immobile, tranne per le zampe anteriori che accarezzavano la catena d'oro. «Temeraire» lo chiamò lui varcando il cancello. La testa imponente si sollevò di colpo. «Laurence?» domandò il drago. L'incertezza nella sua voce aveva un suono assai doloroso. «Sì, sono qui» disse Laurence, allungando il passo e alla fine quasi correndo. Con un suono sommesso in fondo alla gola, Temeraire lo accolse nell'abbraccio delle zampe anteriori e delle ali, e Laurence gli accarezzò il naso lucido. «Quell'uomo mi aveva detto che non ti piacciono i draghi, e che volevi tornare sulla tua nave» raccontò Temeraire con un filo di voce. «Aveva detto che volavi con me solo perché era un tuo dovere.» La rabbia tolse il respiro a Laurence. Se avesse avuto Dayes davanti in quel momento, gli sarebbe saltato addosso a mani nude e lo avrebbe percosso. «Mentiva, Temeraire» riuscì a malapena a rispondere, quasi soffocato dalla collera. «Sì, lo avevo pensato» disse il drago. «Ma non è stato bello sentire quelle cose. Ha anche cercato di togliermi la catena. Mi ha fatto davvero arrabbiare. E non voleva andarsene, per cui ho dovuto cacciarlo, e tu ancora non arrivavi. Pensavo che fosse lui a tenerti lontano da me, e non sapevo dove venirti a cercare.» Laurence si piegò in avanti e avvicinò la guancia al fianco morbido e tiepido dell'animale. «Mi dispiace così tanto» disse. «Mi avevano convinto che era nel tuo interesse starti lontano e permettere a quell'uomo di fare un tentativo. Ma avrei dovuto capire che tipo di persona è.» Temeraire restò in silenzio per molti minuti, e i due rimasero fermi a trarre conforto dalla reciproca vicinanza. Poi il drago chiese, «Laurence, ormai sono troppo grande per salire su una nave, vero?» «Sì, direi di sì, a meno che non si tratti di un cargo per i draghi» rispose Laurence, alzando la testa. La domanda lo aveva lasciato perplesso. «Se davvero desideri riavere la tua nave,» disse Temeraire «lascerò che sia qualcun altro a cavalcarmi. Non lui, perché dice menzogne, ma non ti obbligherò a restare.» Laurence rimase immobile per un istante, con le mani ancora sulla testa di Temeraire, avvolto dal caldo respiro del drago. «No, amico mio» disse
infine, a bassa voce, sapendo che quella era l'unica verità. «Preferisco avere te piuttosto che qualsiasi nave della marina.» Parte seconda 4 «No, cerca di sporgere più in fuori il petto, così.» Laetificat si alzò sulle zampe posteriori e diede l'esempio. L'enorme ventre rosso e oro si gonfiò quando la femmina di drago trasse un profondo respiro. Temeraire imitò il movimento. La sua versione era meno impressionante, poiché gli mancavano le vivide macchie della Ramata reale, che era inoltre cinque volte più grossa di lui, ma questa volta riuscì a produrre un ruggito molto più forte. «Oh, ecco» disse poi compiaciuto, rimettendosi a quattro zampe. Le mucche cominciarono a correre in tondo nel recinto, in preda al panico. «Molto meglio» constatò Laetificat, e diede un colpetto d'approvazione sulla schiena di Temeraire. «Fai pratica ogni volta che mangi, ti servirà per aumentare la capacità polmonare.» «Suppongo che non sia una novità per voi sapere che abbiano un grande bisogno di quel drago, considerata la nostra situazione» disse Portland, rivolgendosi a Laurence. I due erano al confine del campo, fuori portata dalla carneficina che i due draghi stavano per compiere. «La maggior parte dei draghi di Bonaparte sono sistemati lungo il Reno, e ovviamente lui è impegnato in Italia. Solo per questo, e grazie al nostro blocco navale, non ci ha ancora invasi. Ma se riuscirà a sistemare le cose sul continente, e potrà disimpegnare alcune divisioni aeree, allora possiamo dire addio al blocco di Toulon: non abbiamo abbastanza draghi qui nel Mediterraneo per proteggere la flotta di Nelson. Sarà costretto a ritirarsi, e in quel momento Villeneuve punterà direttamente allo stretto.» Laurence annuì, cupo. Leggeva gli aggiornamenti sulle mosse di Bonaparte con grande apprensione fin da quando la Reliant aveva attraccato. «So che Nelson ha cercato di attirare in battaglia la flotta francese, ma Villeneuve non è uno sciocco, sebbene non sia un uomo di mare. Un bombardamento aereo è la nostra unica occasione di stanarlo.» «E questo significa che non abbiamo speranze, almeno non con le forze di cui disponiamo al momento» commentò Portland. «L'aviazione centrale dispone di un paio di Lunghe Ali, e forse quegli animali riuscirebbero a
portare a termine la missione, ma non possiamo rischiare di sacrificarli. Bonaparte attaccherebbe all'istante la flotta nello stretto.» «Un bombardamento con draghi normali non funzionerebbe?» «Non è abbastanza preciso sulle lunghe distanze, e a Toulon usano cannoni caricati con schegge avvelenate. Nessun aviatore degno del suo nome rischierebbe il proprio animale avvicinandosi alle loro fortificazioni.» Portland scosse il capo. «No, ma stiamo addestrando un giovane Lunghe Ali e, se Temeraire ci farà il favore di crescere alla svelta, forse i due potranno prendere il posto di Excidium o di Mortiferus allo stretto. Anche uno solo di questi sarebbe sufficiente a Toulon.» «Sono certo che Temeraire farà tutto ciò che può per rendersi utile» gli assicurò Laurence, lanciando un'occhiata al drago che, al momento, era già al lavoro sulla seconda mucca. «E permettetemi di dire che io farò lo stesso. So di non essere l'uomo che avreste voluto, e non posso certo negare che sarebbe meglio avere un aviatore esperto per un ruolo così decisivo. Mi auguro, però, che la mia esperienza marittima non si riveli del tutto inutile in questo ambito.» Portland sospirò e abbassò lo sguardo. «Oh, al diavolo» disse. Era una risposta strana, ma il capitano sembrava preoccupato, non arrabbiato. Dopo un istante, aggiunse, «Non ha senso girarci intorno: voi non siete un aviatore. Se fosse solo una questione di abilità o esperienza ci sarebbero già abbastanza problemi, ma...» Si interruppe. A giudicare dal tono di Portland, Laurence non credeva che volesse mettere in discussione il suo coraggio. Quel mattino l'uomo era stato più cordiale; a Laurence era sembrato di capire che gli aviatori avessero un forte senso di cameratismo e, una volta accettato qualcuno nei loro ranghi, mettevano subito da parte i modi freddi. Per cui non si sentì offeso, e disse: «Signore, non riesco a immaginare quali altre possano essere le difficoltà che avete in mente.» «No, non ci riuscite» disse Portland, elusivo. «Be', e io non ho intenzione di mettermi nei guai. Può darsi che decidano di assegnarvi da qualche altra parte, e non a Loch Laggan. Ma sto correndo troppo: la cosa importante è che voi e Temeraire andiate al più presto in Inghilterra per l'addestramento. Quando sarete lì, il Comando Aereo potrà decidere come meglio servirsi di voi.» «Credete che Temeraire riuscirà a raggiungere l'Inghilterra senza fare soste?» chiese Laurence, preoccupato per il drago. «Saranno più di millecinquecento chilometri, e finora lui ha solo volato da una parte all'altra di
quest'isola.» «I chilometri sono quasi tremila e, no, non correremmo mai un rischio del genere» lo tranquillizzò Portland. «C'è un trasporto, partito da Nova Scotta. Un paio di draghi ci hanno raggiunto da lì qualche giorno fa, per cui conosciamo la sua posizione: saranno al massimo centocinquanta chilometri e vi scorteremo fin lì. Se Temeraire dovesse stancarsi, Laetificat può sorreggerlo abbastanza a lungo da fargli riprendere fiato.» Laurence si sentì sollevato da quel piano, ma quella conversazione lo rese ancor più consapevole della necessità di porre rimedio alla propria ignoranza e inesperienza riguardo i draghi. Per quanto Portland avesse allontanato le sue paure, lui non aveva i mezzi per valutare da solo la situazione. Anche centocinquanta chilometri erano una distanza considerevole, gli sarebbero occorse tre ore o più di volo. Ma almeno era sicuro che ce l'avrebbero fatta: il giorno precedente, andando in visita da sir Edward, avevano percorso per tre volte l'isola, e Temeraire non era parso affatto stanco. «Quando proponete di partire?» chiese. «Il prima possibile; dopo tutto, la nave da trasporto è diretta lontano da qui» rispose Portland. «Riuscirete a essere pronto tra mezz'ora?» Laurence sgranò gli occhi. «Suppongo di sì, se faccio portare tutte le mie cose sulla Reliant perché mi vengano poi recapitate» disse Laurence dubbioso. «E a quale scopo?» domandò Portland. «Laet può portare tutto quello che avete, e non dovremo appesantire Temeraire.» «No, intendevo solo dire che le mie cose non sono ancora impacchettate» rispose Laurence. «Sono abituato ad aspettare la marea per partire, ma credo che da ora in avanti dovrò essere più rapido e previdente.» Portland sembrava ancora perplesso e quando, venti minuti più tardi, entrò nella stanza di Laurence, fissò apertamente il baule che l'uomo aveva riempito a metà. Laurence si fermò mentre stava mettendo dentro un paio di coperte, per colmare lo spazio vuoto in cima. «C'è qualcosa che non va?» chiese, guardando in basso. Il baule era abbastanza piccolo, e non pensava che potesse creare alcun disturbo a Laetificat. «Non mi stupisce che vi servisse del tempo. Fate i bagagli sempre con tanta cura?» chiese Portland. «Non potete semplicemente mettere il resto della vostra roba in qualche borsa? Possiamo fissarle al drago con delle cinghie.» Laurence ingoiò la sua prima risposta. Adesso sapeva come mai gli aviatori indossavano sempre abiti sgualciti. Prima credeva che la cosa fosse
dovuta a qualche tecnica avanzata di volo. «No, grazie. Fernao porterà il resto delle mie cose sulla Reliant, e io me la caverò perfettamente con quello che ho qui» disse, finendo di mettere dentro le coperte. Le strinse con una cinghia in modo da tener ben fermo tutto il contenuto, poi chiuse il baule. «Ecco fatto. Sono a vostra completa disposizione.» Portland chiamò un paio di cadetti per trasportare la cassa. Laurence li seguì all'esterno e, per la prima volta, vide in azione un intero equipaggio aereo. Lui e Temerarie restarono in disparte a osservare con interesse, mentre Laetificat, paziente, lasciava che gli alfieri corressero su e giù per i suoi fianchi con la stessa facilità con la quale si calavano dal suo ventre o le si arrampicavano sulla schiena. I ragazzi stavano sollevando due tele, una sotto e una sopra l'animale. Queste sembravano delle tende sbilenche, incorniciate da numerose strisce di metallo sottili e flessibili. I pannelli frontali che formavano il corpo delle tende erano lunghi e inclinati, per opporre la minima resistenza al vento, mentre i lati e la parte posteriore erano fatti di reticolato. Gli alfieri sembravano avere tutti meno di dodici anni, mentre l'età dei cadetti variava, proprio come su una nave. In quel momento, quattro ragazzi più grandi arrivarono barcollando sotto il peso di una grossa catena avvolta nel cuoio, che trascinarono davanti a Laetificat. La femmina di drago la sollevò e se la sistemò sul garrese, subito davanti alla tenda, e gli alfieri corsero a fissarla al resto della bardatura con cinghie e catene più piccole. Usando altre cinghie stesero una specie di amaca fatta di catene sotto il ventre di Laetificat, e Laurence vide che vi gettavano dentro il suo baule insieme ad altre borse e pacchi. Sussultò per la noncuranza con la quale veniva trattato il bagaglio, e fu doppiamente contento di essersi occupato con cura dell'imballaggio: era sicuro che il suo baule poteva essere rigirato una dozzina di volte senza che il contenuto finisse in disordine. Sopra il cumulo di bagagli sistemarono un'imbottitura di lana e cuoio, spessa quasi quanto il braccio di un uomo, e poi i lati dell'amaca vennero sollevati e agganciati alla bardatura tendendoli il più possibile, in modo da bilanciare il peso del carico e stringerlo al ventre del drago. Laurence non si sentì soddisfatto da quella procedura e pensò che, quando fosse arrivato il momento, avrebbe trovato un sistema migliore per Temeraire. C'era però un sostanziale vantaggio rispetto ai preparativi in mare: dopo solo quindici minuti, stavano guardando un drago già pronto con equipaggiamento leggero. Laetificat si sollevò sulle zampe posteriori, scosse le ali,
poi le batté una dozzina di volte. Il vento che generò era tanto forte che fece quasi barcollare Laurence, ma i bagagli rimasero al loro posto. «È tutto a posto» confermò Laetificat, tornando a quattro zampe. Il terreno tremò per l'impatto. «Sentinelle a bordo» ordinò Portland. Quattro alfieri si arrampicarono e presero posizione sulle spalle e sulle anche di Laetificat, sopra e sotto, agganciandosi alla bardatura. «Schiena e ventre.» Due gruppi di otto cadetti si arrampicarono sul drago, uno entrò nella tenda di sopra e l'altro in quella di sotto. Laurence rimase sorpreso quando si rese conto delle reali dimensioni di quegli spazi. Sembravano piccoli solo in confronto alla gigantesca mole di Laetificat. A seguire vennero i dodici fucilieri, che avevano controllato e caricato le loro armi mentre gli altri montavano l'attrezzatura. Laurence notò che era Dayes a dirigerli, e si accigliò: nella baraonda si era dimenticato di quell'uomo. Dayes non gli aveva porto le sue scuse e, probabilmente, non si sarebbero più rivisti per molto tempo. Forse era meglio così, Laurence non era sicuro che avrebbe accettato di perdonarlo, dopo le bugie che aveva raccontato a Temeraire, e poiché gli era impossibile sfidarlo a duello, la situazione sarebbe stata a dir poco incresciosa. Quando anche i fucilieri furono a bordo, Portland fece un giro completo del drago, passando anche sotto il ventre. «Molto bene. Equipaggio di terra a bordo.» I pochi uomini restanti si arrampicarono nell'attrezzatura sotto la pancia e si fissarono con delle cinghie. Solo allora salì anche Portland, sollevato dalla stessa Laetificat. Il capitano ripeté la sua ispezione sulla schiena del drago, muovendosi lungo la bardatura con la stessa agilità degli alfieri, e infine si sistemò alla base del collo dell'animale. «Direi che siamo pronti. Capitano Laurence?» Laurence, dopo un attimo, si rese conto di essere ancora a terra. Aveva osservato l'intera operazione con grande attenzione, dimenticandosi addirittura di salire a bordo del suo drago. Si girò, ma ancora prima che iniziasse ad arrampicarsi, Temeraire lo afferrò con delicatezza e lo mise sulla propria schiena, imitando i gesti di Laetificat. Laurence sorrise tra sé, accarezzando il collo dell'animale. «Grazie, Temeraire» disse, agganciando le cinghie. Portland aveva deciso che quella bardatura improvvisata poteva andare bene per il viaggio, anche se aveva parlato con un'aria di disapprovazione. «Signore, siamo pronti» annunciò Laurence. «Procediamo, allora. I più piccoli decollano per primi» disse Portland. «Ci metteremo noi davanti quando saremo in aria.»
Laurence annuì. Temeraire si concentrò poi balzò in aria, e il mondo si allontanò sotto di loro. Il Comando Aereo si trovava nella campagna a sud est di Chatham, abbastanza vicino a Londra da permettere consultazioni quotidiane con l'ammiragliato e il Ministero della guerra. Per il viaggio da Dover ci era voluta un'ora di volo facile, con gli ondulati prati verdi che lui conosceva bene stesi sotto di loro come una scacchiera, e Londra un accenno di torri in lontananza, viola e indistinta. Nonostante i dispacci con i documenti fossero giunti in Inghilterra ben prima di lui e quindi il suo arrivo doveva già essere stato annunciato, Laurence venne convocato solo il mattino seguente. E anche allora dovette attendere per quasi due ore fuori dall'ufficio dell'ammiraglio Powys. Alla fine la porta si aprì: entrando, Laurence non poté fare a meno di guardare con curiosità l'ammiraglio Powys e l'ammiraglio Bowden, seduto a destra della scrivania. Dal corridoio non era stato possibile distinguere bene le parole, ma suo malgrado Laurence aveva sentito che i due uomini discutevano a voce alta, e Bowden era ancora accigliato e rosso in volto. «Prego, capitano Laurence, entrate pure» disse Powys, facendogli cenno con una mano grassoccia. «Temeraire è davvero splendido. Questa mattina l'ho visto mangiare e direi che pesa quasi nove tonnellate. Meritate le più alte lodi. È vero che lo avete nutrito solo di pesce per le prime due settimane, e anche durante il trasporto? Notevole, davvero notevole: forse dovremmo riconsiderare la sua dieta.» «Sì, sì, ma questo non c'entra» intervenne Bowden con impazienza. Powys lo guardò con disappunto, poi proseguì con una cordialità forse eccessiva: «In ogni caso l'animale è senz'altro pronto per l'addestramento, e ovviamente dobbiamo fare del nostro meglio affinché anche voi siate all'altezza. Com'era naturale, abbiamo confermato il vostro vecchio grado: poiché gli avete messo voi la bardatura, sareste stato comunque promosso capitano. Ma vi resta ancora molto lavoro da fare, un addestramento di dieci anni non si recupera in un giorno.» Laurence si inchinò. «Signore, Temeraire e io siamo entrambi al vostro servizio» disse, ma con delle riserve. Percepiva nei due uomini lo stesso scetticismo che aveva mostrato Portland in merito al suo addestramento. Durante le due settimane a bordo del trasporto, gli erano venute in mente diverse spiegazioni per quella perplessità, ed erano quasi tutte poco piacevoli. Un ragazzino di sette anni, portato via da casa ancor prima che il suo
carattere fosse del tutto formato, poteva essere facilmente costretto ad accettare un trattamento che un uomo adulto non avrebbe mai tollerato, e che però gli aviatori consideravano necessario, avendolo subito loro stessi. Laurence non riusciva a pensare a nessun'altra ragione per le risposte evasive che riceveva quando faceva domande su quell'argomento. E il suo umore peggiorò ancora quando Powys disse, «Ebbene, dobbiamo inviarvi a Loch Laggan.» Era il luogo menzionato da Portland, che si era detto preoccupato al riguardo. «È inutile sottolineare che è il posto migliore per voi» proseguì Powys. «Dobbiamo sfruttare tutto il tempo possibile per prepararvi a svolgere il vostro dovere, e non mi stupirei se Temeraire raggiungesse una stazza adeguata per il combattimento pesante già alla fine dell'estate.» «Signore, mi scusi, ma non ho mai sentito parlare di questo posto. Suppongo si trovi in Scozia, giusto?» domandò Laurence, sperando che Powys gli fornisse maggiori dettagli. «Esatto, nella contea di Inverness. È una delle nostre basi più grandi, e di certo la migliore per l'addestramento intensivo» rispose l'ammiraglio. «Il tenente Greene, qui fuori, vi indicherà la strada e vi segnalerà un rifugio lungo il percorso in cui potrete trascorrere la notte. Sono certo che non avrete difficoltà a raggiungerlo.» Era un chiaro congedo, e Laurence capì di non poter porre altre domande. In ogni caso, aveva una richiesta più importante. «Parlerò con lui, signore» disse. «Ma se non avete obiezioni, vorrei trascorrere la notte a casa mia, nel Nottinghamshire. C'è abbastanza spazio per Temeraire, e potrà cibarsi dei cervi.» I suoi genitori erano in città, in quel periodo dell'anno, ma i Galman spesso si fermavano in campagna e forse avrebbe rivisto Edith, anche se solo per un momento. «Oh, certo, nessun problema» acconsentì Powys. «Sono spiacente di non potervi dare una licenza più lunga. Ve la sareste di certo meritata, ma non abbiamo tempo da perdere: una settimana di attesa potrebbe essere cruciale.» «Grazie, signore, comprendo perfettamente» disse Laurence, per poi inchinarsi e andare via. Dopo che il tenente Greene gli ebbe fornito una mappa completa per il suo viaggio, Laurence iniziò subito i preparativi. A Dover si era fermato a comprare alcune cappelliere, pensando che la loro forma cilindrica si adattasse meglio al corpo di Temeraire, e così si accinse a riempirle con i suoi effetti personali. Sapeva di sembrare piuttosto strano quando portò a Te-
meraire una dozzina di scatole più adatte a contenere cappelli da signora ma, quando le fissò al ventre del drago e vide che non ne appesantivano il profilo, non poté fare a meno di sentirsi soddisfatto. «Sono davvero comode, non mi danno alcun fastidio» lo rassicurò Temeraire, sollevandosi sulle zampe posteriori e sbattendo le ali per accertarsi che fossero fissate bene, proprio come aveva fatto Laetificat a Madeira. «Non possiamo procurarci una di quelle tende? Staresti molto meglio se non dovessi viaggiare esposto al vento.» «Non so come montarle, amico mio» rispose Laurence, sorridendo per la preoccupazione del drago. «Ma starò bene. Questi abiti di cuoio che mi hanno dato mi terranno caldo.» «In ogni caso dovrete aspettare fino a quando anche tu non avrai una bardatura adeguata: le tende hanno bisogno di moschettoni speciali. Siete pronto a partire, Laurence?» Bowden era arrivato e si era inserito nella conversazione senza che loro se ne rendessero conto. Si mise accanto a Laurence, davanti al torace di Temeraire, e si soffermò un istante a esaminare le cappelliere. «Ah, vedo che avete la tendenza a stravolgere tutte le nostre abitudini per meglio adattarle alle vostre esigenze.» «No, signore, mi auguro di no» rispose Laurence, mantenendo la calma. Non aveva senso inimicarsi quell'uomo: era uno dei comandanti anziani dell'aviazione, e probabilmente avrebbe avuto voce in capitolo nel decidere la destinazione di Temeraire. «Ma il mio baule della marina gli risultava scomodo da portare, e quelle scatole mi sembravano il ripiego migliore che potessi trovare in così poco tempo.» «Forse» disse Bowden, raddrizzandosi. «Mi auguro che metterete da parte le vostre consuetudini nautiche con la stessa semplicità con la quale avete rinunciato al baule, Laurence. Ora siete un aviatore.» «Sono un aviatore, signore, e ne sono lieto» confermò Laurence. «Ma non posso fingere di essere disposto ad abbandonare abitudini e modi di pensare di tutta una vita. Che io lo voglia o no, dubito che sia possibile.» Per fortuna Bowden non si adirò, ma scosse il capo. «No, non lo è. Per questo ho detto che... lasciamo stare. Sono venuto per chiarire una cosa: vi sarei grato se non parlaste con nessuno, al di fuori dell'aviazione, del nostro addestramento. Sua maestà ritiene che i nostri comandanti siano sufficienti a farci ottenere i risultati migliori nelle nostre mansioni. Non ci interessano le opinioni altrui. Sono stato chiaro?» «Perfettamente» rispose Laurence con tono cupo. Quello strano ordine gli riportò alla mente tutti i suoi peggiori sospetti. Ma finché nessuno di
questi diventava concreto, lui non poteva presentare nessuna obiezione; la cosa era irritante. «Signore,» disse, decidendo di fare un altro tentativo per scoprire la verità «se poteste essere così gentile da dirmi perché la base in Scozia è più adatta di questa per il mio addestramento, sarei contento di sapere cosa devo aspettarmi.» «Vi è stato ordinato di andare lì, e questo la rende l'unico posto adatto» tagliò corto Bowden. Poi però parve calmarsi, e aggiunse, in tono meno duro, «Il capo addestratore a Laggan è particolarmente bravo nell'istruire in breve tempo gli aviatori inesperti.» «Inesperti?» chiese Laurence, sbalordito. «Credevo che un aviatore iniziasse il suo servizio all'età di sette anni. Non mi direte che ci sono ragazzi che a quell'età già pilotano i draghi...» «No, naturalmente» rispose Bowden. «Ma voi non siete il primo che si unisce all'aviazione giungendo dall'esterno, o senza l'addestramento necessario. Alcuni cuccioli di drago hanno un carattere assai turbolento, e così dobbiamo accettare nelle nostre fila chiunque venga scelto da quegli animali.» Fece un'improvvisa risata nasale. «I draghi sono strane creature, e non è possibile capirli davvero: ad alcuni di loro piacciono persino gli ufficiali della marina.» Diede una pacca sul fianco di Temeraire e se ne andò all'improvviso, proprio come era arrivato, senza una parola di saluto. Il suo umore sembrava però migliorato, anche se Laurence era perplesso come prima. Il volo fino al Nottinghamshire durò parecchie ore, e gli concesse più tempo di quanto avrebbe voluto per pensare a ciò che lo attendeva in Scozia. Non gli piaceva immaginare cosa Bowden, Powys e Portland si aspettavano che lui disapprovasse, e ancora meno gli piaceva immaginare cosa avrebbe fatto se la situazione si fosse rivelata insostenibile. Durante il suo servizio navale aveva avuto soltanto un'esperienza davvero infelice: all'età di diciassette anni, appena promosso tenente, era stato assegnato alla Shorewise, sotto il comando del capitano Barstowe, un uomo anziano, la reliquia della vecchia marina, nella quale agli ufficiali non era richiesto di essere anche dei gentiluomini. Barstowe era il figlio illegittimo di un mercante di dubbia ricchezza e una donna di dubbio temperamento. Era salpato da ragazzo sulla nave del padre, ed era entrato nella marina come addetto all'albero di trinchetto. Aveva mostrato grande coraggio in battaglia e una predisposizione per la matematica, che gli erano valse la promozione ad assistente del capitano, poi a tenente e, con un col-
po di fortuna, a capitano. Ma non aveva mai perso la rozzezza della sua estrazione sociale. La cosa peggiore era che Barstowe era consapevole della propria ineducazione, e mostrava rancore contro quelli che secondo lui gliela facevano pesare. Non era un rancore immotivato: molti ufficiali lo guardavano di traverso e si lamentavano di lui. Tuttavia, Barstowe aveva ravvisato nell'atteggiamento conciliante di Laurence un insulto voluto, ed era stato implacabile nel punirlo. Probabilmente la morte per polmonite di quell'uomo, sopravvenuta tre mesi dopo la partenza, aveva salvato la vita di Laurence. Di sicuro gli aveva evitato il costante stordimento dovuto ai troppi turni di guardia, un vitto a base di acqua e gallette e i rischi insiti nell'essere alla guida di un reparto cannonieri composto dagli uomini peggiori e più ingestibili dell'equipaggio. Laurence provava ancora spavento quando ripensava a quell'esperienza. Non era affatto pronto a essere comandato di nuovo da un uomo del genere, e nella sinistra dichiarazione di Bowden sull'aviazione costretta ad accettare tutti quelli scelti dai draghi gli pareva di poter leggere un indizio del fatto che il suo istruttore e i suoi compagni sarebbero stati persone di quel tipo. Anche se lui non era più un ragazzo di diciassette anni, e il suo rango era ben superiore a quello di allora, aveva comunque Temeraire e il suo dovere a cui pensare. Strinse involontariamente le mani sulle redini, e Temeraire si voltò. «Ti senti bene, Laurence?» chiese. «Sei stato molto silenzioso.» «Perdonami, mi ero solo perso nei ricordi» lo rassicurò Laurence, dandogli delle pacche sul collo. «Non è niente. Sei stanco? Vuoi che ci fermiamo a riposare?» «No, non sono stanco, ma tu non stai dicendo la verità: sono sicuro che ti senti infelice» rispose Temeraire preoccupato. «Ti dispiace che stiamo per iniziare l'addestramento? O forse ti manca la tua nave?» «A quanto pare sono come un libro aperto per te» disse Laurence, dispiaciuto. «La nave non mi manca affatto, ma ammetto di essere un po' preoccupato per l'addestramento. Powys e Bowden si sono comportati in modo molto strano al riguardo, e non so che accoglienza riceveremo in Scozia, o se ci piacerà.» «Se non ci troveremo bene potremo senz'altro andar via, non è vero?» chiese Temeraire. «Non è così semplice. Siamo soggetti a delle regole, lo sai» replicò Laurence. «Sono un ufficiale del re, e tu sei uno dei suoi draghi. Non possiamo
fare ciò che vogliamo.» «Io non ho mai incontrato il re, e non sono una sua proprietà, come una pecora» dichiarò Temeraire. «Se appartengo a qualcuno, appartengo a te, e tu appartieni a me. Non ho intenzione di rimanere in Scozia se tu sarai infelice.» «Oh, cielo» commentò Laurence. Non era la prima volta che Temeraire mostrava una preoccupante autonomia di pensiero, il che era sempre più evidente man mano che il drago cresceva e passava più ore da sveglio. Laurence non era particolarmente interessato alla filosofia politica, e gli sembrò tristemente strano dover spiegare ciò che per lui era solo ovvio e naturale. «Non si tratta di proprietà in senso stretto, ma gli dobbiamo la nostra lealtà. Inoltre,» aggiunse «avremmo grosse difficoltà a trovarti da mangiare, se la Corona non pagasse il tuo sostentamento.» «Le mucche mi piacciono molto, ma non avrei problemi a mangiare del pesce» disse Temeraire. «Forse potremmo prendere una nave più grande, come il trasporto, e tornare in mare.» Laurence rise per quell'immagine. «Dovrei diventare il re dei pirati e andare a fare scorribande nelle Indie Occidentali, e riempirti una caverna con l'oro preso ai mercantili spagnoli?» Accarezzò il collo del drago. «Sembra emozionante» commentò Temeraire, chiaramente affascinato. «Non possiamo?» «No, siamo nati troppo tardi. I veri pirati non esistono più» rispose Laurence. «Gli spagnoli hanno eliminato l'ultimo gruppo da Tortuga il secolo scorso. Ora ci sono solo poche navi e gruppi di draghi indipendenti, e sono sempre a rischio di essere annientati. E poi non credo ti piacerebbe combattere solo per avidità. Non è come compiere il proprio dovere per il re e la patria, con la consapevolezza di proteggere l'Inghilterra.» «Ha bisogno di essere protetta?» domandò il drago, guardando in basso. «Da qui mi sembra tutto tranquillo.» «Sì, perché il nostro compito e quello della marina consiste proprio nel mantenerla in queste condizioni» disse Laurence. «Se noi non facessimo la nostra parte, i francesi attraverserebbero lo stretto. Sono molto vicini, a est, e Bonaparte dispone di un esercito di centomila uomini che aspettano solo il momento opportuno per invaderci. Per questo dobbiamo compiere il nostro dovere: è come per i marinai sulla Reliant, che non possono fare sempre quello che vogliono, altrimenti la nave non potrebbe salpare.» Per tutta risposta, Temeraire emise un profondo mormorio pensoso, e Laurence sentì quel suono rimbombare fin nel proprio corpo. Il drago ral-
lentò un po' l'andatura, rimanendo qualche istante a veleggiare, poi risalì a spirale prima di assumere di nuovo una posizione orizzontale, molto simile al camminare avanti e indietro di un essere umano. Si guardò intorno ancora una volta. «Laurence, ho riflettuto: se dobbiamo andare a Loch Laggan, allora non ci sono altre decisioni da prendere adesso, e poiché non sappiamo se le cose andranno male lì non ha senso pensare da adesso a cosa faremo. Quindi non dovresti preoccuparti fino a quando non saremo arrivati e avremo visto come stanno le cose.» «Amico mio, questo è un ottimo consiglio, e cercherò di seguirlo» disse Laurence. Poi aggiunse, «Anche se non sono sicuro di riuscirci. È difficile non pensarci.» «Potresti raccontarmi ancora dell'Armada, e di come Sir Francis Drake e la Conflagrantia distrussero la flotta spagnola» suggerì Temeraire. «Ancora?» disse Laurence. «E va bene, anche se comincio a nutrire dei dubbi sulla tua memoria.» «Mi ricordo tutto perfettamente» rispose indignato il drago. «Ma mi piace ascoltarti quando racconti.» Grazie a Temeraire, che gli fece ripetere le sue parti preferite e gli pose domande sui draghi e le navi a cui, secondo Laurence, nemmeno uno studioso avrebbe saputo rispondere, il resto del viaggio passò tranquillamente. Era tardo pomeriggio quando infine arrivarono alla sua casa di Wollaton Hall, e nel crepuscolo tutte le finestre emanavano il loro bagliore. Temeraire, incuriosito, volò un paio di volte in cerchio sopra la casa, con le pupille molto dilatate. Anche Laurence guardò in basso e, contando le finestre illuminate, si rese conto che la casa non poteva essere vuota. Aveva immaginato il contrario, ma ora era troppo tardi per cercare un'altra sistemazione per il drago. «Temeraire, ci dovrebbe essere un prato dietro il granaio, a sudest. Riesci a vederlo?» «Sì, è circondato da un recinto» rispose il drago. «Vuoi che atterri lì?» «Sì, grazie. Temo che dovrò chiederti di rimanere lì. I cavalli impazzirebbero se ti avvicinassi troppo alle scuderie.» Quando Temeraire fu atterrato, Laurence scese e gli accarezzò il naso caldo. «Ti farò avere qualcosa da mangiare non appena avrò parlato con i miei genitori, se sono davvero a casa, ma potrebbe volerci un po'» disse in tono di scusa. «Non c'è bisogno che mi porti del cibo, stasera. Mi sono nutrito bene prima di partire e ho sonno. Mangerò qualcuno di quei cervi laggiù domani mattina» rispose Temeraire, accucciandosi e avvolgendo la coda intorno
alle zampe. «Tu dovresti dormire dentro. Qui fa più freddo che a Madeira, e non voglio che ti ammali.» «È singolare vedere una creatura di sei settimane che gioca a fare la bambinaia» commentò Laurence, divertito. Eppure, già mentre pronunciava quella frase si rese conto di come sembrava impossibile che Temeraire fosse così giovane. Per certi versi il drago era parso già adulto fin dalla schiusa, e non appena era uscito dall'uovo aveva cominciato a osservare e studiare il mondo con entusiasmo tale che le lacune nella sua conoscenza andavano svanendo con una velocità sbalorditiva. Laurence non lo considerava più una creatura di cui era responsabile, ma un amico intimo, il più caro che avesse mai avuto, uno sul quale sapeva di poter fare affidamento. L'idea dell'addestramento gli sembrò un po' meno spaventosa mentre guardava Temeraire che si stava già addormentando, e Barstowe tornò a essere confinato nel suo ruolo di vecchio spauracchio. Non c'era niente nel futuro che lui e il drago non avrebbero potuto affrontare insieme. Ma la sua famiglia era un problema che riguardava solo lui. Raggiungendo la casa dal lato delle stalle vide che la sua prima impressione era stata corretta. Il salotto era illuminato, e in molte delle stanze da letto c'erano candele accese. Doveva trattarsi di un ricevimento, nonostante il periodo dell'anno. Mandò un valletto ad annunciare al padre la sua presenza e poi prese la scala sul retro per salire in camera sua e cambiarsi. Avrebbe voluto fare un bagno, ma pensava che per mostrarsi cortese sarebbe dovuto scendere subito: ogni altro atteggiamento sarebbe parso sdegnoso. Per fortuna aveva con sé il necessario per la toletta serale, per cui si apprestò a lavarsi il viso e le mani nel catino. Aveva uno strano aspetto, riflesso nello specchio, con indosso il nuovo abito verde bottiglia dell'aviazione, con le barrette d'oro al posto delle spalline. Era stato acquistato a Dover, confezionato per un altro uomo e adattato in fretta mentre lui aspettava, ma gli andava abbastanza bene. Oltre ai suoi genitori, in salotto erano riunite più di una dozzina di persone. L'oziosa conversazione si interruppe al suo ingresso, per poi riprendere tra i sussurri che lo seguirono nel suo avanzare. Sua madre gli andò incontro, con il volto tranquillo ma un po' rigido nei lineamenti, e Laurence poté percepire la sua tensione quando si abbassò a baciarle una guancia. «Mi dispiace di essere piombato in casa in questo modo, senza alcun preavviso» le disse. «Pensavo non ci fosse nessuno. Resto solo per una notte e domani mattina partirò per la Scozia.»
«Oh, mi dispiace, mio caro, ma siamo molto felici di averti qui, anche se per poco» rispose lei. «Conosci miss Montagu?» Gli invitati erano per lo più amici di lunga data dei suoi genitori dei quali lui aveva pochi ricordi ma, come aveva sospettato, erano presenti anche i vicini, e Edith Galman era lì con i genitori. Laurence non sapeva se esserne felice o meno: sentiva che avrebbe dovuto essere lieto di rivederla, possibilità che non avrebbe avuto per molto altro tempo, ma c'era qualcosa di contrariato negli sguardi che gli venivano rivolti da ogni parte, e lui si sentiva del tutto impreparato ad affrontarla così in pubblico. L'espressione di Edith, quando Laurence si chinò sulla sua mano, non lasciava trasparire in alcun modo i suoi sentimenti. La ragazza aveva la capacità di non lasciarsi turbare facilmente, e anche se era stata sorpresa dalla notizia del suo arrivo aveva già recuperato la sua compostezza. «Sono felice di vederti, Will» disse con la sua solita calma, e benché Laurence non avvertisse alcun calore nel suo tono, almeno non gli sembrò arrabbiata o contrariata. Purtroppo non ebbe subito l'occasione di parlarle in privato. Era già impegnata a conversare con Bertram Woolvey e, conservando le sue solite buone maniere, si voltò verso di lui non appena lei e Laurence ebbero terminato i convenevoli. Woolvey lo salutò con un cenno educato, ma non fece nulla per cedergli il proprio posto. Anche se i genitori di quest'ultimo frequentavano gli stessi ambienti dei suoi, a Woolvey non era stato chiesto di trovarsi un'occupazione, essendo l'erede diretto del padre. Non aveva alcun interesse politico, per cui trascorreva la maggior parte del proprio tempo a cacciare in campagna o a scommettere in città. Laurence trovava i suoi discorsi monotoni, e i due non erano mai diventati amici. In ogni caso, non poteva evitare di porgere i propri omaggi agli altri invitati: fu difficile reagire con calma a tutti gli sguardi che si fissarono su di lui, e la sola cosa più sgradita delle accuse che percepì nella maggior parte delle voci fu la compassione che sentì nelle altre. Il momento di gran lunga peggiore lo visse quando raggiunse il tavolo al quale suo padre stava giocando a carte. Lord Allendale osservò con grande disapprovazione l'abbigliamento di suo figlio e non gli disse nulla. Il fastidioso silenzio che scese su quella parte della stanza era molto imbarazzante. Fu sua madre a salvarlo, dicendogli di unirsi a una partita a un altro tavolo, invito che lui fu grato di accettare, immergendosi nelle complesse strategie del gioco. I suoi compagni erano gentiluomini più anziani, Lord Galman e altri due, amici e alleati politici di suo padre. Erano gioca-
tori accaniti e, cosa che lui gradì molto, limitarono la conversazione alle frasi di etichetta. Laurence non poté impedirsi, di tanto in tanto, di guardare Edith, anche se non riusciva a sentire la sua voce. Woolvey continuava a monopolizzare la sua compagnia, e Laurence si sentì infastidito nel vederlo chino su di lei a parlarle in modo tanto intimo. Lord Galman lo richiamò gentilmente al gioco, quando la sua distrazione cominciò a rallentare la partita. Laurence, imbarazzato, porse le proprie scuse e tornò a concentrarsi sulle carte. «Suppongo che andrete a Loch Laggan» disse l'ammiraglio McKinnon, dandogli qualche momento di pausa per riprendere il filo del gioco. «Da ragazzo non vivevo molto lontano da lì, e un mio amico abitava vicino al villaggio di Laggan. Vedevamo sempre i draghi volare.» «Sì, signore. È lì che andremo a addestrarci» replicò Laurence, scartando una carta. Il visconte Hale, alla sua sinistra, proseguì il gioco, e Lord Galman vinse la mano. «La gente è molto strana da quelle parti. Metà del villaggio si arruola, ma gli aviatori non scendono mai in paese, tranne qualche volta per andare al pub e incontrare qualche ragazza. Almeno sotto questo aspetto sarà più semplice che in mare, ah, ah!» Solo dopo aver fatto questo volgare commento McKinnon ricordò quale fosse la sua compagnia, si guardò intorno con imbarazzo per accertarsi che nessuna signora avesse sentito, poi lasciò cadere l'argomento. Woolvey rimase con Edith anche per la cena. Laurence, con la sua inaspettata presenza, aveva mandato all'aria la disposizione dei posti a tavola, e dovette sedersi in un angolo, da dove fu costretto a subire tutte le conversazioni ma senza la gioia di potervi prendere parte. Miss Montagu, alla sua sinistra, era graziosa ma aveva un'aria imbronciata, e lo ignorò oltre i limiti della cortesia, parlando solo con il gentiluomo che aveva dall'altro lato, un giocatore incallito che Laurence conosceva più di nome e di fama che di persona. Essere ignorato in quel modo era per lui un'esperienza nuova e sgradevole. Sapeva di non essere più un buon partito da sposare, ma non credeva che questo potesse avere un effetto così disastroso sull'accoglienza riservatagli, e vedersi trattato peggio di un vagabondo scarmigliato e avvinazzato fu oltremodo sconcertante. Il visconte Hale, alla sua destra, era interessato solo al cibo, e Laurence si ritrovò a mangiare in un silenzio quasi assoluto. Cosa ancor più sgradevole, senza nessuna conversazione nella quale impegnarsi, Laurence non poté fare a meno di sentire Woolvey che parlava a
lungo e con scarsa competenza dello stato della guerra e di come l'Inghilterra fosse pronta a reagire in caso di invasione. Woolvey era entusiasta in modo ridicolo, e sproloquiava su come la guardia nazionale avrebbe dato una bella lezione a Bonaparte se questi avesse osato far avanzare il proprio esercito. Laurence si costrinse a fissare il piatto per nascondere la propria espressione. Respingere con la guardia nazionale Napoleone, il padrone del continente, con centomila uomini al suo comando: una pura follia. Naturalmente, quello era il tipo di sciocchezze incoraggiate dal Ministero della guerra per tenere alto il morale, ma vedere Edith ascoltare compiaciuta quel discorso era davvero spiacevole. Laurence pensava che la ragazza lo stesse ignorando intenzionalmente, e di certo Edith non faceva alcuno sforzo per incrociare il suo sguardo. Lui continuò a fissare il proprio piatto per la maggior parte del tempo, mangiando meccanicamente, e sprofondò in un silenzio per nulla consono alla sua natura. Il pasto sembrò interminabile; per fortuna suo padre si alzò poco dopo che le donne ebbero abbandonato la tavola e, mentre tornava in salotto, Laurence colse al volo l'opportunità per congedarsi da sua madre e andarsene, adducendo come scusa il viaggio che avrebbe dovuto affrontare l'indomani. Ma uno dei servitori, trafelato, lo raggiunse proprio sulla porta della sua stanza: suo padre voleva vederlo nella biblioteca. Laurence esitò. Poteva inventarsi una scusa e rimandare l'incontro, ma non aveva senso ritardare l'inevitabile. Ciò nonostante tornò di sotto con passo lento, indugiando con la mano sinistra sulla maniglia, ma poi arrivò una delle domestiche e lui, mettendo da parte la propria codardia, aprì la porta ed entrò. «Mi chiedo il motivo della vostra presenza» disse Lord Allendale senza la minima cordialità, nel momento stesso in cui si chiuse la porta. «Me lo chiedo davvero. Cosa avevate intenzione di fare?» Laurence si irrigidì ma rispose con calma: «Solo una sosta lungo il viaggio verso il mio prossimo incarico. Non sapevo che foste qui, signore, o che aveste ospiti, e sono molto dispiaciuto di essermi presentato così all'improvviso.» «Capisco. Suppongo immaginavate che saremmo rimasti a Londra, con questa notizia che ci ha reso lo zimbello della gente, vero? Il vostro prossimo incarico, ma certo.» Scrutò con disprezzo la nuova divisa del figlio, e Laurence si sentì misero e trasandato, come quando, da bambino, subiva simili ispezioni dopo aver giocato in giardino. «Non sprecherò il mio tempo rimproverandovi. Sapevate perfettamente cosa avrei pensato di tutto
questo, e non ha fatto per voi alcuna differenza: molto bene. Mi farete cosa grata se in futuro eviterete questa casa e la residenza di Londra, posto che riusciate a liberarvi dall'accudimento del vostro animale abbastanza a lungo da poter mettere piede in città.» Laurence si raggelò. Si sentì di colpo molto stanco, e non ebbe la forza di replicare. Udì la propria voce distante e priva di emozioni quando disse, «Molto bene, signore. Me ne andrò immediatamente.» Avrebbe dovuto portare Temeraire a dormire nei pascoli, spaventando senza dubbio le mandrie del villaggio, e al mattino avrebbe dovuto comprargli di tasca sua un paio di pecore o chiedergli di volare senza prima aver mangiato, ma ce l'avrebbero fatta. «Non siate assurdo» ribatté Lord Allendale. «Non vi sto rinnegando. Ve lo meritereste, ma non ho intenzione di inscenare un melodramma a beneficio di tutti. Passerete qui la notte e ve ne andrete domattina, come avevate stabilito. Così andrà bene. Credo non ci sia altro da aggiungere: potete andare.» Laurence risalì le scale più in fretta possibile. Quando chiuse la porta della sua camera si sentì come se si fosse liberato da un pesante fardello. Prima aveva avuto intenzione di chiedere che gli preparassero un bagno, ma ora pensava che non sarebbe riuscito a parlare con qualcuno, nemmeno con una domestica o un valletto: restare da solo e in silenzio era l'unica cosa che desiderava. Si consolò riflettendo che il giorno dopo sarebbe partito presto, e non avrebbe dovuto sopportare un altro pasto formale con gli ospiti, né un altro discorso con suo padre, che raramente si alzava prima delle undici anche quando era in campagna. Guardò il letto ancora per un istante, poi di colpo prese un vecchio abito e indossò un paio di pantaloni consumati dal guardaroba, si cambiò e uscì. Temeraire stava già dormendo, rannicchiato con grazia, ma prima che Laurence andasse via, il drago socchiuse un occhio e sollevò un'ala in un gesto istintivo di accoglienza. Laurence aveva preso una coperta dalle stalle, e quando si fu coricato su un'ampia zampa anteriore dell'animale si sentì comodo e al caldo come meglio non avrebbe potuto desiderare. «Va tutto bene?» gli domandò Temeraire con delicatezza, avvolgendolo con l'altra zampa con fare protettivo e stringendolo ancor più vicino al suo petto. Le ali si sollevarono un poco, come un mantello. «Qualcosa ti affligge. Vuoi che ce ne andiamo subito?» La proposta era invitante, ma poco sensata. Sarebbe stato meglio per lui e Temeraire partire all'alba, dopo una notte di riposo e una colazione tran-
quilla, e in ogni caso non si sarebbe dileguato come se avesse motivo di vergognarsi. «No, no» rispose, accarezzando il drago fino a quando non abbassò le ali. «Non ce n'è bisogno, te lo assicuro. Ho solo discusso con mio padre.» Restò in silenzio. Non riusciva a dimenticare l'incontro né la sua fredda conclusione, e si sentiva afflitto. «È arrabbiato per via del nostro arrivo?» domandò il drago. La pronta intuizione e l'empatia nella voce di Temeraire furono un toccasana per la malinconia di Laurence, e lo spinsero a parlare più liberamente di quanto non volesse. «È sempre la solita, vecchia discussione» disse. «Lui avrebbe voluto che entrassi nel clero, come mio fratello. Non ha mai considerato la marina un'occupazione rispettabile.» «E quindi un aviatore è anche peggio?» chiese Temerarie, adesso forse fin troppo perspicace. «È per questo che non volevi lasciare la marina?» «Forse agli occhi di mio padre l'aviazione è peggio, ma non secondo me: quello che ho ottenuto in cambio è molto più importante.» Si allungò per accarezzare il naso di Temeraire, che si strofinò affettuosamente contro la sua mano. «Ma in realtà mio padre non ha mai approvato la scelta della mia carriera. Sono stato costretto a scappare di casa quando ero ancora un ragazzo per potermi imbarcare. Non posso permettere che sia lui a decidere per me, poiché abbiamo idee completamente diverse sul senso del dovere.» Temeraire sbuffò, un tiepido respiro che uscì in forma di sottili tracce di fumo nell'aria fredda della notte. «Ma non ti ha lasciato dormire in casa?» «Oh, sì» rispose Laurence, sentendosi un po' imbarazzato nel dover confessare la debolezza che lo aveva spinto a cercare la compagnia del drago. «Ho solo pensato che avrei preferito dormire con te invece che da solo.» Ma Temeraire non ci vide nulla di strano. «Basta che tu stia al caldo» disse, sistemandosi con cura e allungando leggermente le ali in avanti, per ripararlo meglio dal vento. «Sto molto bene, non ti devi preoccupare» lo rassicurò Laurence, stendendosi sulla zampa grande e forte e avvolgendosi nella coperta. «Buonanotte, amico mio.» Si sentiva all'improvviso molto stanco, ma era semplice stanchezza fisica. Quella sensazione di sfinimento che lo affliggeva fin nelle ossa era sparita. Si svegliò molto presto, subito prima dell'alba, quando dalla pancia di Temeraire si levò un brontolio abbastanza sonoro da destarli entrambi. «Ho fame» disse il drago Temeraire aprendo gli occhi luminosi e guardan-
do bramoso il gregge di cervi che si aggiravano nervosi nel parco, raggruppati contro un muro lontano. Laurence scese dalla zampa. «Ti lascio alla tua colazione, e io vado a fare lo stesso» disse, dando un'ultima pacca al fianco di Temeraire prima di dirigersi verso casa. Non era in uno stato presentabile, ma per fortuna, data l'ora, gli ospiti non erano ancora in giro e poté raggiungere la camera da letto senza fare incontri che lo avrebbero potuto screditare ulteriormente. Si lavò alla svelta, si infilò la divisa mentre un servitore preparava il suo unico bagaglio, e scese non appena ritenne che l'orario fosse accettabile. Le cameriere stavano ancora sistemando i piatti per la prima colazione sulla credenza, e la caffettiera era appena stata poggiata sul tavolo. Laurence aveva sperato di non incontrare nessuno ma, con sua sorpresa, Edith era già seduta a tavola, anche se non era mai stata mattiniera. Il suo viso appariva tranquillo, gli abiti erano in perfetto ordine e i capelli acconciati delicatamente in un nodo dorato, ma furono le mani strette in grembo a tradirla. «Buongiorno» esordì, con una vivacità che suonò falsa. Mentre parlava, guardava i domestici. «Posso versarvi da bere?» «Grazie» le disse Laurence, l'unica risposta possibile, e prese posto accanto a lei; Edith gli servì il caffè e aggiunse mezzo cucchiaino di zucchero e mezzo di panna, proprio come piaceva a lui. Rimasero seduti rigidamente, senza mangiare né parlare, finché i servitori non terminarono i preparativi e uscirono dalla stanza. «Speravo di avere l'occasione di parlarvi prima della vostra partenza,» disse poi lei a voce bassa, sollevando infine lo sguardo. «Sono davvero dispiaciuta, Will. Suppongo che non abbiate avuto alternative.» A Laurence servì un momento per capire che si riferiva al suo nuovo incarico. Nonostante la sua inquietudine circa l'addestramento, aveva quasi dimenticato che la sua situazione poteva sembrare miserevole. «No, il mio dovere era chiaro» tagliò corto. Poteva tollerare le critiche di suo padre sulla questione, ma non le avrebbe accettate da nessun altro. Edith si limitò ad annuire. «Non appena l'ho saputo ho subito pensato che potesse trattarsi di qualcosa del genere» osservò. Abbassò di nuovo la testa, e fermò le mani, che aveva tormentato fino a quel momento. «I miei sentimenti non sono cambiati nonostante la situazione» disse infine Laurence, quando capì che lei non avrebbe aggiunto altro. La freddezza del giorno prima gli aveva già fatto intuire i sentimenti di Edith, ma non voleva che un giorno lei potesse accusarlo di non aver tenuto fede alla parola data. Avrebbe fatto in modo che fosse lei a troncare il loro rapporto.
«Se i vostri invece lo sono, non dovete che dire una parola per farmi tacere.» Mentre parlava sentì crescere il risentimento, e avvertì il gelo della propria voce: un tono strano per una simile proposta. Edith fece un rapido respiro, spaventata, e disse quasi con rabbia, «Come potete parlare così?» Per un momento Laurence tornò a sperare, ma lei subito proseguì, «Sono mai stata materiale? Vi ho mai rimproverato per le vostre scelte, con tutti i pericoli e i disagi connessi? Se foste entrato nel clero avreste avuto ben altri benefici, e ora vivremmo insieme nell'agiatezza, con una casa tutta nostra e dei bambini, e non dovrei passare il tempo a preoccuparmi mentre voi siete lontano.» Aveva parlato molto in fretta, turbata come lui non l'aveva vista mai, con le guance arrossate. Quello che aveva detto era fin troppo sensato, e Laurence si vergognò del proprio risentimento. Stava per allungare una mano verso di lei, quando Edith riprese a parlare, «Mi sono forse lamentata? Ho aspettato. Sono stata paziente. Ma ho atteso per qualcosa di meglio di una vita solitaria, lontana dalla società, da tutti i miei amici e dalla mia famiglia, con poca attenzione da parte vostra. I miei sentimenti sono quelli di sempre, ma non sono così imprudente o romantica da contare solo sui sentimenti per essere felice e superare ogni ostacolo.» Poi Edith tacque. «Perdonatemi» disse Laurence, sentendosi affranto: tutte le parole di lei gli sembravano ora un giusto rimprovero, nonostante si fosse compiaciuto nel sentirsi ingiustamente biasimato. «Non avrei dovuto parlare, Edith. Avrei fatto meglio a chiedervi perdono per avervi messo in una posizione tanto infelice.» Si alzò da tavola e fece un inchino. Di certo non poteva più restare in sua compagnia, ora. «Vi chiedo scusa e vi prego di accettare i miei più sinceri auguri di felicità.» Ma anche lei si stava alzando, scuotendo la testa. «No, dovete restare e finire la colazione» disse. «Vi aspetta un lungo viaggio, e io non ho affatto fame. No, sarò io ad andare.» Gli offrì la mano, e un sorriso che tremò appena. Laurence pensò che fosse intenzione di Edith congedarsi in modo garbato, ma se anche la ragazza voleva farlo alla fine non ci riuscì. «Vi prego di non pensare male di me» disse a voce molto bassa, e poi lasciò la stanza in tutta fretta. Ma la sua preoccupazione era davvero infondata: Laurence non avrebbe mai potuto pensare male di lei. Si sentiva piuttosto in colpa per averla trattata con freddezza anche solo per un istante, e per aver mancato all'impegno nei suoi confronti. Il loro accordo era stato stabilito tra la figlia di un gentiluomo con una dote rispettabile e un ufficiale della marina di belle
speranze. Lui aveva peggiorato la propria condizione con le sue stesse azioni, e non poteva certo negare che chiunque avrebbe disapprovato l'importanza che dava al senso del dovere. E Edith non era certo irragionevole chiedendo più di quanto potesse offrire un aviatore. A Laurence bastava pensare a tutta l'attenzione e l'affetto che richiedeva Temeraire per capire quanto poco avrebbe potuto dare a una moglie, anche nelle rare occasioni in cui sarebbe stato libero. Era stato un egoista nel farle quella proposta, chiedendole di sacrificare la sua felicità. Non aveva più appetito né era dell'umore giusto per fare colazione, ma non voleva fermarsi lungo il viaggio. Si riempì il piatto e si costrinse a mangiare. Non rimase da solo a lungo. Poco dopo l'uscita di Edith, Miss Montagu scese le scale vestita con un abito da equitazione troppo elegante, più adatto a trottare per le strade di Londra che a una cavalcata in campagna, ma che metteva comunque in risalto la sua figura. La donna entrò sorridendo nella sala, ma quando vide che lui era l'unico presente la sua espressione si fece torva, e si sedette all'altro capo della tavola. Woolvey la raggiunse poco dopo, vestito anche lui per cavalcare. Laurence fece un cenno del capo, salutandoli con il minimo della cortesia, e non prestò attenzione alle loro futili chiacchiere. Proprio mentre stava finendo di mangiare arrivò sua madre, che si era evidentemente vestita in fretta e aveva gli occhi cerchiati. Lo guardò in viso, preoccupata. Lui le sorrise, sperando di rassicurarla, ma si rendeva conto di non poter fare granché: l'infelicità e il distacco coi quali si era corazzato contro la disapprovazione di suo padre e la curiosità generale degli ospiti erano evidenti sul suo volto, nonostante si sforzasse di nasconderli. «Devo partire tra poco. Volete venire a conoscere Temeraire?» le chiese, pensando che almeno avrebbero trascorso alcuni minuti da soli, passeggiando. «Temerarie?» ripeté lady Allendale senza espressione. «William, non vorrai dire che il tuo drago è qui, vero? Buon Dio, e dove si trova?» «Ma certo che è qui. Come potrei viaggiare, altrimenti? L'ho lasciato fuori, dietro le stalle, nel vecchio recinto per animali» rispose Laurence. «A quest'ora avrà finito di mangiare, gli ho detto di sentirsi libero di prendere un cervo.» «Oh!» esclamò Miss Montagu, che stava origliando. Alla fine la curiosità ebbe il sopravvento sulla sua avversione per gli aviatori. «Non ho mai visto un drago. Vi dispiace se veniamo? Che evento straordinario!» Era impossibile rifiutare, anche se Laurence avrebbe voluto farlo, e così,
dopo essersi fatto portare il bagaglio, si avviarono tutti in direzione del campo. Temerarie, seduto sui quarti posteriori, stava guardando la nebbia del mattino che si dissipava gradualmente. Anche da quella distanza sembrava molto grande, contro il freddo cielo grigio. Laurence si fermò un momento per prendere dalle stalle un secchio e degli stracci, poi condusse il suo gruppo di colpo riluttante, provando una certa soddisfazione per l'incedere incerto di Woolvey e di Miss Montagu. Anche sua madre non era del tutto serena, ma non lo dava a vedere, se non stringendo un po' più forte il braccio del figlio, e fermandosi molti passi più indietro quando questi si portò al fianco di Temeraire. Il drago osservò gli stranieri con interesse mentre abbassava il capo per farselo lavare. La mandibola era insanguinata dai resti del cervo, e aprì la bocca per permettere a Laurence di lavargli il sangue dagli angoli della bocca. Sul terreno c'erano tre o quattro palchi di corna. «Ho provato a lavarmi in quello stagno, ma è troppo basso, e il fango mi entrava nel naso» si scusò con Laurence. «Oh, sa parlare!» esclamò Miss Montagu, stringendosi al braccio di Woolvey. I due erano indietreggiati alla vista delle file di denti scintillanti: gli incisivi erano già più grandi del pugno di un uomo, con il bordo seghettato. Temeraire fu inizialmente colto di sorpresa, ma poi le sue pupille si allargarono e, in tono molto gentile, disse, «Sì, so parlare.» Poi, rivolto a Laurence, «Credi che le piacerebbe salirmi in groppa e dare un'occhiata intorno?» Laurence non riuscì a reprimere un lampo meschino di malignità. «Ne sono certo. Venite avanti, Miss Montagu, sono sicuro che voi non siete una di quelle persone così povere di spirito da avere paura dei draghi.» «No, no» disse debolmente la donna, indietreggiando. «Ho già abusato troppo del tempo di Woolvey, dobbiamo andare a cavalcare.» Woolvey balbettò altre scuse e i due si avviarono, inciampando per la fretta di andarsene. Temeraire li guardò un po' stupito. «Oh, avevano proprio paura» commentò. «All'inizio pensavo che quella donna fosse come Volly. Non capisco: non erano mucche, e comunque io ho già mangiato.» Laurence nascose la propria sensazione di trionfo e fece avvicinare sua madre. «Non abbiate paura, non ce n'è alcun motivo» la rassicurò con calma. «Temerarie, questa è mia madre, Lady Allendale.» «Oh, una madre è una persona speciale, vero?» disse Temeraire abbas-
sando la testa per guardarla più da vicino. «Sono onorato di conoscervi.» Laurence le guidò la mano fino al muso del drago e, dopo un primo tentativo titubante, lei prese ad accarezzarlo con maggiore confidenza. «Perbacco! Il piacere è mio» disse. «Siete davvero soffice! Non l'avrei mai immaginato.» Temeraire emise un brontolio compiaciuto per il complimento e le carezze, e Laurence li guardò entrambi sentendosi rincuorato. Pensò a quanto poco importasse il resto del mondo, quando era certo della fiducia di quelli che gli stavano a cuore e aveva la consapevolezza di fare il proprio dovere. «Temeraire è un Imperiale cinese» spiegò a sua madre, con evidente orgoglio. «Uno dei draghi più rari, l'unico esemplare in Europa.» «Sul serio? Davvero splendido, mio caro. Ho sentito dire che i draghi cinesi sono piuttosto fuori dal comune» ricordò. Ma continuava a guardarlo con preoccupazione, e nei suoi occhi c'era una muta domanda. «Sì» disse lui, cercando di fornirle una risposta. «Mi considero davvero fortunato, ve lo assicuro. Magari un giorno potremmo portarvi a volare, quando avremo più tempo» aggiunse. «È davvero straordinario, e non può essere paragonato a nient'altro.» «Oh, a volare, certo» commentò lei piccata, anche se, nel suo intimo, sembrava felice. «Eppure sapete benissimo che non so neanche stare su un cavallo. Cosa farei sulla schiena di un drago proprio non lo so.» «Sareste agganciata saldamente, proprio come me» la tranquillizzò Laurence. «Temeraire non è un cavallo, e non cercherebbe di disarcionarvi.» Temeraire disse con trasporto, «Oh, certo, e se doveste cadere, credo che potrei afferrarvi al volo.» Non era la più rassicurante delle osservazioni, ma il desiderio di compiacere era' evidente, e Lady Allendale gli sorrise lo stesso. «Davvero gentile da parte vostra. Non sapevo che i draghi fossero così beneducati» disse. «Vi prenderete cura di William, non è vero? Mi ha sempre fatto preoccupare il doppio degli altri miei figli, e si caccia continuamente nei guai.» Laurence si sentì un po' indignato per quella descrizione, e ancor di più quando Temeraire disse, «Ve lo prometto, non permetterò che si faccia del male.» «Mi rendo conto che ci stiamo attardando fin troppo. Tra un po' voi due mi avvolgerete nella bambagia e mi darete da mangiare della pappa d'avena» si intromise Laurence, piegandosi per baciare sua madre su una guancia. «Potete scrivermi alla base dell'aviazione di Loch Laggan, in Scozia. È
lì che ci addestreremo. Temeraire, puoi raddrizzarti? Voglio agganciare di nuovo questa cappelliera.» «Ti dispiacerebbe tener fuori quel libro di Duncan?» chiese il drago, obbedendo. «Il tridente navale? Non hai mai finito di leggermi la battaglia di Glorious First, e potresti farlo durante il viaggio.» «Legge per voi?» chiese Lady Allendale a Temeraire, - sorpresa. «Sì. Vedete, io non ci riesco: i libri sono troppo piccoli e faccio fatica a girare le pagine» rispose lui. «Non hai capito. Mia madre è sorpresa di sapere che ho accettato anche solo di aprire un libro. Quando ero un ragazzo lei ha provato un'infinità di volte a farmi leggere» disse Laurence, rovistando in una delle altre scatole per trovare il libro. «Rimarreste abbastanza stupita nel vedere che mi sono trasformato in un topo da biblioteca, madre. Questo drago è quasi insaziabile. Temeraire, sono pronto.» Lady Allendale rise e si portò sul limitare del campo mentre Temeraire sollevava Laurence su di sé. La donna rimase a guardarli, coprendosi gli occhi con una mano, mentre si alzavano in cielo. Una sagoma minuta, che diventava sempre più piccola a ogni battito delle grandi ali, e poi i giardini e le torri della casa si persero dietro la curva di una collina. 5 Il cielo di Loch Laggan era coperto da nuvole basse, di colore grigio perla, che si specchiavano nell'acqua scura del lago. La primavera non era ancora arrivata; una crosta di ghiaccio e di neve ricopriva la riva, con le increspature della sabbia gialla di una marea autunnale ancora conservate sotto il gelido manto. Il frizzante profumo di pini e legna appena tagliata si alzava dal bosco. Una strada di ghiaia piegava dalle spiagge settentrionali del lago fino al complesso della base, e Temeraire ne seguì in volo il percorso che risaliva la bassa montagna. Un cortile quadrato pieno di numerosi capanni di legno era situato in un'ampia radura pianeggiante vicina alla sommità del colle, simile per certi versi a una stalla. All'esterno degli edifici c'erano uomini che lavoravano il metallo e il cuoio: erano di sicuro il personale di terra, preposto alla manutenzione dell'equipaggiamento degli aviatori. Nessuno degnò neppure di un'occhiata l'ombra del drago che passò su di loro quando Temeraire proseguì verso il quartier generale. L'edificio principale era una fortificazione di chiaro stampo medievale:
quattro torri spoglie unite da spesse mura di pietra, che circondavano un enorme spiazzo sul davanti con una casa colonica tozza e imponente che affondava direttamente nella cima del monte e sembrava quasi una sua naturale estensione. Il cortile era quasi tutto pieno. Un giovane Ramato reale, grande il doppio di Temerarie, era steso a sonnecchiare sulle lastre di pietra della pavimentazione, con una coppia di Winchester marroni e viola, persino più piccoli di Volatilus, che dormivano sulla sua schiena. Tre Mietitori gialli di taglia media formavano un ammasso aggrovigliato sul lato opposto del cortile, con i fianchi rigati di bianco che si alzavano e si abbassavano con cadenza regolare. Mentre scendeva a terra, Laurence scoprì perché i draghi avevano scelto quei punti per riposarsi: le lastre di pietra erano tiepide, come se fossero scaldate da sotto, e Temerarie gorgogliò felice e si stese accanto ai Mietitori gialli non appena Laurence ebbe finito di scaricarlo. Un paio di inservienti gli andarono incontro e presero il suo bagaglio. Lui fu inviato sul retro dell'edificio, attraverso corridoi stretti che odoravano di muffa, fino ad arrivare in un altro cortile non recintato, che si affacciava su una vallata striata di ghiaccio. C'erano cinque draghi in volo, che volteggiavano leggiadri come uno stormo di uccelli. A guidare la formazione era un Lunghe Ali, subito riconoscibile dalle increspature bianche e nere che circondavano le ali chiazzate di arancione, e che diventavano blu scuro verso la fine della loro straordinaria estensione. Un paio di Mietitori gialli mantenevano le posizioni laterali, e la retroguardia era composta sulla sinistra da un Ramato grigio, il cui colore in realtà era quasi verde, e sulla destra da un drago grigio argentato con chiazze blu e nere, di cui Laurence non riconobbe la razza. Anche se battevano le ali in modo asincrono, le loro posizioni cambiavano a malapena, fino a che il cadetto del Lunghe Ali non sventolò una bandiera di segnalazione. Allora si fermarono, delicati come ballerini, e invertirono la loro direzione in modo che il grosso drago finisse in fondo allo schieramento. A un altro segnale, che Laurence non vide, tornarono tutti indietro, compiendo un giro perfetto e riprendendo la formazione originale. Capì subito che la manovra permetteva al Lunghe Ali di coprire un ampio tratto di terreno, protetto dal resto dello stormo: naturalmente il grosso drago era la minaccia offensiva più efficace di quel gruppo. «Nitidus, ti abbassi ancora troppo nel passaggio: cerca di seguire uno schema a sei battute d'ala durante il giro.» La voce profonda e tuonante apparteneva a un drago, e proveniva dall'alto. Laurence si girò e ne vide
uno dorato con i segni verde chiaro dei Mietitori e i bordi delle ali di un arancione scuro, appollaiato su un affioramento roccioso a destra del cortile. Non aveva cavaliere né indossava la bardatura, aveva solo un ampio collare d'oro tempestato di pietre di giada verdi. Laurence sgranò gli occhi. Nella vallata, lo stormo ripeté il suo passaggio circolare. «Meglio» urlò il drago in tono di approvazione. Poi si girò a guardare verso il basso. «Capitano Laurence?» chiese. «L'ammiraglio Powys mi ha detto che sareste venuto. Arrivate in un buon momento. Sono Celeritas, il capo addestratore.» Spalancò le ali e balzò agilmente nel cortile. Laurence si inchinò meccanicamente. Celeritas era un drago di stazza media, forse un quarto di un Ramato reale. Era persino più piccolo dell'attuale dimensione di Temeraire. Mormorò mentre abbassava la testa per esaminare Laurence da vicino. Le iridi verde scuro sembrarono girare e contrarsi intorno alle pupille strette. «Hm, bene, siete molto più anziano della maggior parte dei piloti. Ma questo in genere è un bene quando dobbiamo addestrare in fretta un giovane drago, e nel caso di Temeraire credo sia questa la necessità.» Sollevò la testa e gridò di nuovo verso la vallata. «Lily, ricordati di tenere il collo dritto durante il giro.» Si rivolse di nuovo a Laurence. «Torniamo a noi. Da quello che so non ha ancora mostrato particolari capacità d'attacco.» «No, signore.» La risposta e il titolo furono automatici: il tono e le maniere del drago ne palesavano il rango e, nonostante la sorpresa, Laurence rispose come era abituato a fare con un superiore. «E Sir Edward Howe, che ne ha identificato la specie, era dell'opinione che difficilmente ne avrebbe sviluppate, anche se non lo ha escluso del tutto...» «Sì, sì» lo interruppe Celeritas. «Ho letto le opere di Sir Edward. È un esperto delle razze orientali, e mi fido più del suo parere che del mio. È un peccato, uno di quei draghi giapponesi che sputano veleno o creano trombe marine ci avrebbe fatto comodo. Quelli sì che sarebbero utili contro una Flamme-de-Gloire francese. Ma la stazza di Temeraire è per il combattimento pesante, giusto?» «Al momento pesa circa nove tonnellate, e la schiusa è avvenuta quasi sei settimane fa» disse Laurence. «Bene, molto bene, dovrebbe diventare il doppio di adesso» commentò Celeritas strofinando il lato di una zampa sulla fronte, pensieroso. «Tutto è come mi è stato riferito. Bene. Affiancheremo Temeraire a Maximus, il
Ramato reale che si sta addestrando qui. Insieme potranno formare un ampio arco di supporto per la formazione di Lily, la Lunghe Ali laggiù.» Con la testa indicò il gruppo che volava nella valle, e Laurence, ancora disorientato, si girò a guardarlo per un momento. Il drago proseguì, «Naturalmente devo vedere come vola Temeraire prima di stabilire il tipo di addestramento al quale sottoporlo, ma prima devo finire questa sessione, e comunque dopo un lungo viaggio non potrebbe dare il meglio di sé. Chiedete al tenente Granby di farvi conoscere il posto e di mostrarvi i punti di ristoro. Lo troverete al circolo degli ufficiali. Tornate domani con Temeraire, un'ora dopo l'alba.» Era un ordine, e richiedeva una conferma. «Molto bene, signore» rispose Laurence, nascondendo il proprio irrigidimento dietro modi formali. Per fortuna Celeritas non parve notarlo. Stava già tornando al suo punto d'osservazione. Laurence fu contento di non sapere dove si trovava il circolo degli ufficiali. Sentiva che gli avrebbe fatto comodo una settimana tranquilla per mettere ordine tra i propri pensieri, anziché i quindici minuti che gli ci vollero per trovare un servitore e farsi indicare la strada. Tutto quello che sapeva dei draghi era mutato radicalmente: non erano inutili senza i loro piloti, né era vero che quelli senza bardatura servivano solo per gli accoppiamenti. E l'ansia che aveva riscontrato finora negli altri aviatori gli pareva giustificata: cosa avrebbe pensato la gente comune se avesse saputo che venivano addestrati - che addirittura ricevevano ordini - dalle bestie che in teoria dovevano controllare? Naturalmente, riflettendo con razionalità, si rese conto che aveva da tempo prove dell'intelligenza e dell'indipendenza dei draghi, fornitegli proprio da Temeraire, ma queste si erano sviluppate gradualmente nel corso del tempo, e lui era arrivato a considerare il suo compagno come un individuo vero e proprio, senza estendere le implicazioni al resto della razza. Superata la prima sorpresa, riuscì ad accettare senza troppe difficoltà l'idea di un drago come istruttore, ma la cosa avrebbe creato uno scandalo di proporzioni straordinarie tra quanti non avevano simili esperienze dirette. Non era passato molto tempo da quando il governo, dopo che la rivoluzione francese aveva fatto ricadere l'Europa in guerra, aveva proposto di uccidere tutti i draghi non bardati anziché mantenerli col denaro pubblico e conservarli per l'accoppiamento. La spiegazione logica era che, al momento, non c'era bisogno di loro, e che il loro sangue avrebbe solo sporcato la discendenza dei guerrieri. Il Parlamento aveva calcolato un risparmio di ol-
tre dieci milioni di sterline l'anno. L'idea era stata presa seriamente in considerazione, poi abbandonata di colpo senza dare spiegazioni. Si mormorava, tuttavia, che tutti gli ammiragli della zona di Londra si erano presentati al Primo Ministro informandolo che, se la legge fosse stata approvata, tutta l'aviazione si sarebbe ammutinata. In precedenza Laurence non aveva creduto a questa storia, non tanto per la proposta di legge, ma per l'idea che degli ufficiali, anziani e non, potessero comportarsi in un modo simile. Il progetto gli era sempre sembrato sbagliato, ma solo per quella sorta di sciocca miopia tanto comune tra i burocrati, che decidevano di risparmiare dieci scellini di tela da vele mettendo a repentaglio una nave del valore di seimila sterline. Ora rivide la propria indifferenza con un forte senso di mortificazione. Quella minaccia di ammutinamento era stata solo giusta. Assorto nei suoi pensieri, attraversò l'arco d'ingresso al circolo degli ufficiali senza fare attenzione, e riuscì ad afferrare la palla che sfrecciava verso la sua testa solo grazie alla sua prontezza di riflessi. Grida di esultanza e proteste si sollevarono all'unisono. «Quello è un punto valido, lui non è nella vostra squadra!» Un giovane biondo, poco più che adolescente, si stava lamentando. «Sciocchezze, Martin. Certo che è con noi, non è vero?» Un altro dei partecipanti si avvicinò a Laurence con un ampio sorriso per prendere la palla. Era un uomo alto e magro, con i capelli scuri e gli zigomi arsi dal sole. «Parrebbe di sì» rispose Laurence, divertito, passandogli la palla. Fu un po' sorpreso di trovare un gruppo di ufficiali che, al chiuso, facevano giochi da bambini, e in un simile disordine. Con tanto di cappotto e cravatta, lui era vestito in modo assai più formale: un paio di quegli uomini si erano persino tolti la camicia. L'arredamento della stanza era stato ammucchiato alla rinfusa lungo le pareti, il tappeto arrotolato e spinto in un angolo. «Tenente John Granby, non assegnato» si presentò l'uomo dai capelli scuri. «Sei appena arrivato?» «Sì. Sono il capitano Laurence, su Temeraire» rispose lui, e sobbalzò, con non poco sgomento, quando Granby divenne a un tratto serio, perdendo in un istante la sua aperta cordialità. «L'Imperiale!» gridarono quasi tutti, e metà degli uomini e dei ragazzi nella stanza si precipitarono in cortile. Laurence, colto alla sprovvista, si girò a guardarli. «Non ti preoccupare!» Il giovane biondo che si avvicinò a lui per pre-
sentarsi rispose al suo sguardo allarmato. «Sappiamo bene che non bisogna molestare un drago. Stanno solo andando a dare un'occhiata. Anche se forse avrai qualche problema con gli allievi; ce ne sono due dozzine qui, e la loro missione è tormentare chiunque. Sono il cadetto Ezekiah Martin e, ora che lo sai, puoi dimenticare il mio nome di battesimo, se preferisci.» Era talmente ovvio che i modi tra loro fossero informali che a malapena Laurence si sentì offeso, anche se non ci era abituato. «Grazie per l'avvertimento. Farò in modo che Temeraire non si lasci disturbare» disse. Fu sollevato di non riscontrare nel saluto di Martin alcun segno del fastidioso atteggiamento di Granby, e pensò che sarebbe stato meglio avere il giovane cadetto come guida. Non voleva però disobbedire agli ordini, anche se provenivano da un drago, per cui si rivolse a Granby e disse formalmente, «Celeritas mi ha detto di chiederti di farmi da guida. Potresti essere così gentile?» «Ma certo» replicò Granby, cercando di essere altrettanto formale, cosa che però non gli veniva naturale, risultando artificiale e legnoso. «Da questa parte, se non ti dispiace.» Laurence fu contento di vedere che Martin si unì a loro quando Granby fece strada al piano di sopra. La conversazione spensierata del cadetto, che non smise di parlare neanche un istante, rese l'atmosfera molto meno sgradevole. «Così tu saresti quel marinaio che ha strappato un Imperiale dalle grinfie dei francesi. Accidenti, quella storia la conoscono tutti: i mangiarane si staranno rodendo il fegato e strappandosi i capelli» commentò Martin con esultanza. «Ho sentito dire che hai preso l'uovo da una nave con cento cannoni. È stata una battaglia molto lunga?» «Temo che le chiacchiere abbiano ingrandito il mio successo» rispose Laurence. «L'Amitié aveva soltanto trentasei cannoni, era una fregata; e i suoi uomini erano quasi svenuti per la sete. Il capitano ha resistito con valore, ma non è stata una battaglia epica. La cattiva sorte e il maltempo hanno fatto il lavoro per noi. Posso soltanto dire di essere stato fortunato.» «Oh! Be', la fortuna non è certo da disprezzare. Non andremmo molto lontano se non ci accompagnasse» disse Martin. «Ehi, ti hanno messo in un angolo? Sentirai il vento soffiare in continuazione.» Laurence entrò nella stanza circolare della torre e osservò soddisfatto la sua nuova sistemazione. Abituato agli spazi della cabina di una nave, gli sembrava spaziosa, e le grandi finestre ricurve erano un lusso. Affacciava-
no sul lago, dove aveva iniziato a cadere una leggera pioggerella. Quando Laurence le aprì, entrò un profumo umido e fresco, non diverso da quello del mare, a parte l'odore del sale. Le sue cappelliere erano impilate un po' alla rinfusa vicino al guardaroba, che lui ispezionò con una leggera preoccupazione; le sue cose, però, erano state sistemate piuttosto ordinatamente. L'arredamento era completato da una sedia e da una scrivania, e da un letto semplice ma grande. «Mi sembra molto tranquilla, sono certo che mi troverò bene» disse sganciando la spada dal cinturone e appoggiandola sul letto: non se la sentiva di togliersi il soprabito, ma poteva rendere il suo aspetto meno formale almeno liberandosi dell'arma. «Vuoi che ti mostri le mangiatoie, ora?» chiese Granby in tono rigido. Era il suo primo contributo alla conversazione da quando avevano lasciato il circolo. «Oh, prima dovremmo mostrargli i bagni e la mensa» intervenne Martin. «I bagni meritano di essere visti» disse a Laurence. «Furono costruiti dai romani, sai, e sono il vero motivo per cui ci troviamo qui.» «Grazie, sarei lieto di vederli» disse Laurence. Non poteva rispondere in modo diverso se non voleva sembrare scortese, anche se gli sarebbe enormemente piaciuto lasciar andare via il tenente, che non faceva nulla per nascondere la propria malagrazia. Granby poteva anche essere maleducato, ma Laurence non aveva intenzione di comportarsi parimenti. Lungo la strada passarono accanto alla mensa. Martin, chiacchierando, gli disse che i capitani e i tenenti mangiavano al piccolo tavolo rotondo, mentre i cadetti e gli alfieri a quello lungo e rettangolare. «Per fortuna le reclute mangiano prima, perché altrimenti noialtri moriremmo di fame se dovessimo sentire i loro schiamazzi durante i pasti. Il personale di terra mangia dopo di noi» concluse. «Non mangiate mai separatamente?» domandò Laurence. I pasti in comune erano piuttosto insoliti per gli ufficiali, e pensò con malinconia che gli sarebbe dispiaciuto non poter invitare amici alla sua tavola. Era una delle sue più grandi soddisfazioni, da quando aveva accumulato abbastanza denaro da poterselo permettere. «Certo, se qualcuno si ammala gli facciamo portare il pasto in camera» rispose Martin. «Oh, hai fame? Immagino che non hai ancora cenato. Ehi, Tolly» gridò, e subito un servitore che attraversava la stanza carico di biancheria si voltò verso di loro, sollevando un sopracciglio. «Questo è il capitano Laurence, è appena arrivato. Puoi preparargli qualcosa, o deve
aspettare fino a cena?» «No, grazie. Non ho fame. Chiedevo solo per curiosità» intervenne Laurence. «Oh, ma non c'è nessun problema» disse Tolly, rivolgendosi a lui direttamente. «Suppongo che uno dei cuochi possa tagliarti una fetta o due di carne e prepararti qualche patata. Lo chiederò a Nan. Al terzo piano della torre, giusto?» Annuì e se ne andò senza nemmeno aspettare una risposta. «Ecco, Tolly si prenderà cura di te» commentò Martin, per il quale evidentemente era tutto nella norma. «È uno dei migliori. Jerkins non è mai disposto a fare un favore, mentre Marvell è pronto ad accontentarti ma brontola tanto da farti pentire di averglielo chiesto.» «Immagino che avete difficoltà a trovare servitori non spaventati dai draghi» disse Laurence. Iniziava ad abituarsi all'informalità che c'era tra gli aviatori, ma incontrarla anche tra i servitori lo aveva sorpreso. «Oh, sono tutti nati e cresciuti nei villaggi qui intorno, per cui sono abituati sia ai draghi che a noi» spiegò Martin, mentre percorrevano il lungo corridoio. «Credo che Tolly lavori qui da quando era ancora in fasce. Non batterebbe ciglio neanche davanti a un Ramato reale che fa le bizze.» Una porta di metallo negava l'accesso alla scala che scendeva verso i bagni. Quando Granby la aprì, il fresco corridoio fu invaso da un flusso di aria calda e umida. Laurence seguì gli altri due lungo la stretta scala a spirale, che faceva quattro giri e terminava all'improvviso in una sala ampia e spoglia, con ripiani di pietra ricavati dalle stesse mura, e disegni sbiaditi sulle pareti un po' sgretolate: erano ovviamente reliquie dell'epoca dei romani. Su un lato c'erano pile di biancheria piegata e sull'altro mucchi di vestiti gettati a terra. «Lascia le tue cose sugli scaffali» indicò Martin. «I bagni hanno forma circolare, quindi per uscire dovremo tornare qui.» Lui e Granby si stavano già spogliando. «Abbiamo tempo per farci un bagno?» domandò Laurence, un po' dubbioso. Martin si fermò mentre si stava sfilando uno stivale. «Oh, pensavo di fare solo un giro. Non è così, Granby? Comunque non c'è fretta, la cena sarà pronta solo tra qualche ora.» «A meno che tu non abbia cose più urgenti da fare» disse Granby a Laurence, in modo talmente sgarbato che Martin li guardò come se si fosse accorto solo in quel momento della tensione che correva fra i due. Laurence strinse le labbra per trattenere una risposta brusca. Non poteva
inimicarsi tutti gli aviatori che potevano avercela con un uomo della marina, e per certi versi comprendeva i motivi del loro rancore. Avrebbe dovuto vincere le loro diffidenze, proprio come un cadetto inesperto. «Assolutamente no» si limitò a dire. Anche se non capiva il bisogno di spogliarsi solo per fare un giro nei bagni, seguì il loro esempio, piegando i suoi abiti con maggior cura e disponendoli in due pile, sulle quali stese il soprabito per non sgualcirlo. Usciti dalla stanza presero un corridoio a sinistra, che terminava davanti a un'altra porta metallica. Appena l'ebbero varcata, Laurence capì perché si erano spogliati: la stanza era talmente piena di vapore che non si vedeva nulla a più di un braccio di distanza, e lui stesso iniziò subito a sudare. Se fosse stato vestito, il cappotto e gli stivali si sarebbero rovinati, e tutti gli altri abiti si sarebbero inzuppati. Il vapore sulla pelle nuda era molto piacevole, anche se molto caldo, e faceva un gran bene ai muscoli, che si rilassarono dopo il lungo volo. La stanza era rivestita di piastrelle, e nella parete erano state scavate delle panche a intervalli regolari. C'erano altre persone stese in mezzo al vapore. Granby e Martin ne salutarono un paio con un cenno del capo mentre facevano strada verso un'altra stanza buia. Questa era ancora più calda, ma asciutta, e una lunga piscina poco profonda la percorreva quasi per tutta la sua lunghezza. «Ora ci troviamo proprio sotto il cortile, ed ecco perché questo luogo appartiene all'aviazione» indicò Martin. Nella lunga parete erano state costruite delle nicchie profonde, anche queste a distanze regolari una dall'altra, e una recinzione di ferro battuto le separava dal resto della stanza lasciandole però visibili. Metà delle nicchie erano vuote, le altre erano imbottite con del tessuto e contenevano ognuna un uovo voluminoso. «Vanno tenuti al caldo, capisci, dal momento che non possiamo usare i draghi per covarli, o lasciare che li seppelliscano vicino a vulcani o cose simili, come accadrebbe in natura.» «E non c'è spazio per costruirgli una stanza separata?» domandò Laurence, sorpreso. «Certo che c'è» rispose Granby in tono rude. Martin gli lanciò un'occhiata e intervenne subito, prima che Laurence potesse reagire. «Vedi, un sacco di gente passa di qua, e così quando un uovo inizia a indurirsi è più probabile che qualcuno se ne accorga» si affrettò a dire. Sforzandosi di tenere a bada la propria collera, Laurence lasciò cadere il commento di Granby e annuì a Martin. Aveva letto nei libri di Sir Edward
quanto poteva essere imprevedibile la schiusa dell'uovo di un drago. Anche se si conosceva la specie, si poteva soltanto ipotizzare un intervallo di mesi o, per le razze più grandi, anni. «Crediamo che quell'Ali di angelo laggiù stia per schiudersi. Sarà un evento fantastico» proseguì Martin, indicando un uovo di colore marrone dorato con i bordi perlati e chiazze di un giallo più acceso. «È il cucciolo di Obversaria, il drago di bandiera allo Stretto. Finito il mio addestramento sono stato portastendardo su di lei, e nessun'altra bestia si muove meglio.» Entrambi gli aviatori guardarono le uova con espressioni pensierose e malinconiche. Rappresentavano le loro rare possibilità di promozione, ancora più difficili da ottenere rispetto all'approvazione dell'ammiragliato, che poteva essere richiesta o vinta in battaglia. «Hai prestato servizio su molti draghi?» domandò Laurence a Martin. «Solo Obversaria, poi Inlacrimas, che è rimasto ferito il mese scorso in uno scontro sullo Stretto, e così io sono rimasto a terra» rispose il giovane. «Ma il drago sarà pronto a rientrare in servizio tra un mese, e io ho ottenuto una promozione di grado, quindi non posso lamentarmi. Sono appena diventato un cadetto» aggiunse con orgoglio. «E Granby, qui, ne ha cavalcati anche di più. Quattro, giusto? Quali erano quelli prima di Laetificat?» «Excursius, Fluitare e Actionis» tagliò corto Granby. Ma il primo nome era stato più che sufficiente: Laurence aveva finalmente capito, e l'espressione del suo volto si indurì. Granby era con ogni probabilità amico del tenente Dayes, e quanto meno i due erano stati compagni di volo fino a poco tempo prima. Ora gli era chiaro che il comportamento offensivo di Granby non era solo disprezzo per un marinaio finito per caso tra gli aviatori, ma anche una questione personale. In un certo senso era il seguito dell'offesa iniziale di Dayes. Laurence era molto meno incline a tollerare la sua scortesia ora che ne conosceva il motivo, e disse bruscamente, «Andiamo pure avanti, signori.» Fece in modo che non ci fossero più soste per il resto della visita, e lasciò che fosse Martin a condurre la conversazione a suo piacimento, senza dare risposte che prestassero il fianco ad altri commenti. Dopo aver completato il giro dei bagni tornarono agli spogliatoi e, quando si furono rivestiti, Laurence si mostrò calmo ma fermo e disse: «Granby, ora mi condurrete alle mangiatoie, poi potrete considerarvi libero da ogni impegno.» Doveva far capire al tenente che non avrebbe tollerato altre insolenze. Se Granby avesse insistito nel suo atteggiamento, lui avrebbe reagito, ed era meglio che accadesse in privato. «Martin, vi sono grato per la vostra compagnia e
le vostre spiegazioni. Sono state molto preziose.» «Non c'è di che» rispose il ragazzo, guardando perplesso Laurence e Granby, preoccupato per quello che poteva accadere se li avesse lasciati soli. Ma quello che Laurence aveva sottinteso era inequivocabile, e nonostante la sua mancanza di formalità Martin doveva aver capito che quella frase aveva quasi il peso di un ordine. «Ci vedremo a cena, immagino. Arrivederci.» In silenzio, Laurence seguì Granby fino alle mangiatoie, o meglio fino a una sporgenza che le sovrastava, al limite estremo della vallata dove i draghi si addestravano. In fondo alla valle era visibile l'entrata di una cavità naturale, e Laurence notò che c'erano molti mandriani al lavoro. Granby gli spiegò con voce piatta che, a un segnale che partiva dalla cengia sulla quale si trovavano loro in quel momento, i mandriani sceglievano il numero di bestie adeguato a un drago e le liberavano nella valle, dove il drago poteva dar loro la caccia e mangiarle, sempre che non fossero in corso delle esercitazioni di volo. «Direi che è sufficientemente chiaro» concluse Granby in tono seccato, un ennesimo passo oltre la linea della decenza, come Laurence aveva temuto. «Signore» rispose allora con calma. Vedendo Granby confuso, ripeté: «È sufficientemente chiaro, signore.» Sperava che fosse sufficiente per scoraggiare Granby dall'assumere ulteriori atteggiamenti offensivi, ma il tenente rispose imperturbabile, «Non so come sei stato abituato nella marina, ma qui non badiamo all'etichetta.» «Sono stato abituato alla cordialità. Quando non la ottengo, esigo almeno il rispetto dovuto al grado» disse Laurence, liberando infine la sua rabbia. Guardò l'altro uomo con ferocia, e sentì il viso avvampare. «Cambierai subito il tuo atteggiamento nei miei confronti, tenente Granby, o giuro che ti farò sospendere per insubordinazione. E nonostante il tuo pessimo comportamento, non credo che l'aviazione prenderebbe alla leggera una simile accusa.» Granby impallidì, tanto che le scottature del sole sulle sue guance spiccavano ancora di più. «Sì, signore» rispose, e si mise sull'attenti. «Riposo, tenente. Vai pure» disse subito Laurence, e si girò a guardare il campo con le mani dietro la schiena fino a quando Granby non se ne fu andato. Non voleva neanche più guardarlo. Passato l'impeto di rabbia si sentì stanco e triste per il trattamento ricevuto; inoltre, sapeva che avrebbe subito le conseguenze del suo rimprovero a Granby. Al momento del loro
incontro gli era sembrato di natura amichevole e ben disposto, e anche se non lo fosse stato, era pur sempre un aviatore, mentre Laurence era quasi un intruso. I compagni di Granby lo avrebbero di certo appoggiato, e la loro ostilità avrebbe reso la sua situazione ancora più difficile. Ma non aveva avuto scelta. Non poteva tollerare una tale mancanza di rispetto, e Granby sapeva bene che il suo comportamento aveva passato il limite. Laurence era ancora demoralizzato quando tornò indietro, e il suo umore si risollevò solo quando entrò nel cortile e trovò Temeraire sveglio ad aspettarlo. «Mi dispiace averti abbandonato così a lungo» disse accarezzandogli un fianco, più per consolare sé stesso che per il drago. «Ti sei annoiato molto?» «No, affatto» rispose Temeraire. «È venuta un sacco di gente a parlare con me, e alcuni mi hanno preso le misure per una nuova bardatura. Inoltre ho parlato con Maximus, laggiù, e mi ha detto che ci addestreremo insieme.» Laurence rivolse un cenno di saluto al Ramato reale, che aveva aperto un occhio assonnato sentendo il proprio nome. Maximus sollevò la testa massiccia quanto bastava per rispondere al saluto, poi tornò a dormire. «Hai fame?» chiese Laurence a Temeraire. «Dobbiamo alzarci presto per andare da Celeritas, che è il capo addestratore,» aggiunse «e quindi probabilmente non avrai tempo per mangiare domattina.» «Sì, non mi dispiacerebbe mangiare» disse Temeraire. Non sembrava affatto stupito di avere un drago come capo addestratore, e alla luce di quella reazione così pragmatica, Laurence si sentì un po' sciocco per le sue iniziali perplessità: era ovvio che Temeraire non ci vedeva nulla di strano. Laurence non perse tempo ad agganciarsi al drago per il breve volo fino alla sporgenza, dove scese per consentire a Temeraire di cacciare senza avere l'impedimento di un passeggero. Il semplice piacere di osservare il drago alzarsi in volo e scendere in picchiata con tanta grazia riuscì a placare la sua mente. Non importava il modo in cui gli aviatori lo avrebbero trattato, si sentiva sicuro di sé e della sua posizione in un modo che nessun capitano della marina poteva sperimentare. Sapeva come trattare con uomini ostili, se era necessario, e almeno l'esempio di Martin gli aveva mostrato che non tutti gli ufficiali avevano pregiudizi nei suoi confronti. E poi ebbe un altro motivo di conforto. Mentre guardava Temeraire piombare su una mucca dal pelo ispido, per afferrarla e poi sedersi a divorarla, Laurence sentì un brusio di voci entusiaste e, alzando lo sguardo, vide una fila di piccole teste spuntare dalle finestre sopra di lui. «Signore,
quello è l'Imperiale, vero?» gli gridò uno dei ragazzi, i capelli castano chiari e il viso tondo. «Sì, quello è Temeraire» rispose lui. Si era sempre curato dell'istruzione dei giovani nel suo equipaggio, e la sua nave era considerata un'ottima soluzione per formare gli apprendisti. Aveva molti amici di famiglia e compagni di bordo ai quali fare dei favori, e così aveva accumulato una certa esperienza in fatto di ragazzi, per lo più positiva. A differenza della maggior parte degli adulti, non si sentiva a disagio in loro compagnia, anche se quelli ora affacciati alle finestre erano più giovani della maggior parte dei suoi cadetti. «Guardate, guardate, è straordinario» gridò un altro ragazzo, piccolo e scuro di capelli, indicando il drago. Temeraire stava volando radente al terreno; afferrò le tre pecore che avevano liberato per lui, e si fermò a mangiare di nuovo. «Direi che avete più esperienza di me riguardo al volo dei draghi. Temeraire è davvero così splendido?» domandò Laurence. «Oh, sì» fu la risposta unanime ed entusiasta. «Esegue curve strette come se niente fosse,» spiegò il ragazzo coi capelli chiari adottando un tono professionale «e ha una splendida apertura alare. Non spreca nemmeno un battito. Oh, grandioso» aggiunse, tornando a essere solo un ragazzino, quando Temerarie tirò indietro le ali e scese in picchiata per afferrare l'ultima mucca. «Signore, non avete ancora scelto i vostri corridori, non è vero?» chiese speranzoso un altro ragazzo dai capelli scuri, scatenando un vocio tra i suoi compagni. Tutti insieme si misero a proclamare quanto fossero degni di quella che, comprese Laurence, doveva essere una posizione alla quale venivano assegnati i cadetti più fortunati. «No, e immagino che quando lo farò verrò consigliato dai vostri istruttori» rispose, con finta severità. «Quindi direi che vi conviene comportarvi nel migliore dei modi, nelle prossime settimane. Eccoti, hai mangiato abbastanza?» chiese a Temeraire quando questi lo raggiunse sulla sporgenza, atterrando direttamente sul bordo in perfetto equilibrio. «Oh, sì, erano molto gustose. Ora però sono tutto sporco di sangue, posso andare a lavarmi?» disse Temeraire. Laurence si accorse solo in quel momento che durante la visita di prima non gli era stato mostrato un posto dove lavare il drago. Alzò lo sguardo verso i bambini. «Signori, vi devo chiedere un'informazione. Devo portarlo al lago perché possa fare il bagno?»
Lo guardarono tutti con occhi sgranati per la sorpresa. «Non ho mai sentito di un drago che fa il bagno» rispose uno di loro. Quello con i capelli castano chiari aggiunse, «Voglio dire, riuscite a immaginare di lavare un reale? Ci vorrebbero dei secoli. In genere si leccano i denti e le mascelle, come i gatti.» «Non mi sembra molto gradevole. A me piace essere lavato, anche se richiede parecchio lavoro» disse Temeraire, guardando Laurence con ansia. Il capitano represse un'esclamazione e disse con calma, «Certo che richiede parecchio lavoro, ma lo stesso vale per molte altre cose che bisogna comunque fare. Andremo subito al lago. Aspetta qui solo per un momento, Temeraire, vado a prendere degli stracci.» «Oh, ve li porto io!» Il ragazzino con i capelli chiari sparì dalle finestre e gli altri lo seguirono immediatamente e dopo nemmeno cinque minuti andarono tutti sulla cengia con una pila di teli spiegazzati, sulla cui provenienza Laurence aveva dei dubbi. Li prese comunque, ringraziando i ragazzi con solennità, poi salì a bordo, prendendo mentalmente nota del giovane coi capelli color sabbia; aveva il genere di iniziativa che lui apprezzava e teneva in considerazione per la scelta di un ufficiale. «Domani potremmo portare le nostre cinture e venire a fare un giro con voi per aiutarvi» disse il giovane, con uno sguardo fin troppo innocente. Laurence lo squadrò e si chiese se non era il caso di scoraggiare tanta sfrontatezza, ma in realtà era compiaciuto da quell'entusiasmo, quindi si limitò a rispondere con un fermo, «Vedremo.» I ragazzini restarono a guardarli dalla sporgenza, e Laurence vide i loro volti entusiasti fino a quando Temeraire non girò intorno al castello. Una volta arrivati al lago, lasciò che il drago nuotasse per togliersi via gran parte dei resti del suo pasto, poi pulì le ultime tracce di sangue con particolare cura. Era inconcepibile, per un uomo abituato a passare tutti i giorni lo straccio sul ponte della nave, che gli aviatori non lavassero le loro bestie, e mentre strofinava i fianchi lisci del drago ebbe un improvviso pensiero sulla bardatura. «Temeraire, sei sicuro che non ti irriti?» chiese, toccando le cinghie. «Oh, ora non più tanto» rispose l'animale, girando la testa per guardare. «La mia pelle sta diventando molto più dura, e quando mi dà fastidio mi scrollo un po' e sto subito meglio.» «Amico mio, mi sono coperto di vergogna» disse Laurence. «Non te l'avrei mai dovuta lasciare addosso. D'ora in avanti non la porterai a meno
che non dobbiamo volare insieme.» «Ma non è obbligatoria, come là tua uniforme?» chiese Temeraire. «Non vorrei che qualcuno pensasse che sono un selvatico.» «Ti comprerò una catena più grande da portare al collo, e quella basterà» gli rispose Laurence, pensando al collare dorato che indossava Celeritas. «Non ti farò soffrire per un'abitudine che, per quanto ne so, è dettata solo dalla pigrizia. E ho intenzione di lamentarmene seriamente con il primo ammiraglio che incontrerò.» Mantenne la parola, e gli tolse la bardatura non appena atterrarono nel cortile. Temeraire, ancora gocciolante per il bagno nel lago, guardò inquieto gli altri draghi, che li osservavano con interesse da quando loro due erano tornati. Non sembravano turbati, soltanto curiosi, e quando Laurence ebbe avvolto la catena d'oro e perle intorno a uno degli artigli di Temeraire, come fosse un anello, questi si rilassò e si stese sulle tiepide lastre di pietra. «Sto molto meglio senza bardatura. Non immaginavo che mi sarei sentito così» confidò a voce bassa a Laurence, e si grattò una zona scurita della sua pelle, dove una fibbia aveva schiacciato più scaglie insieme, raggrumandole in un callo. Laurence, che aveva cominciato a pulire la bardatura, si fermò e gli chiese scusa accarezzandolo. «Ti chiedo di perdonarmi» disse, guardando l'escoriazione con rammarico. «Cercherò un impacco per quei segni.» «Anch'io voglio togliermi la bardatura» borbottò all'improvviso uno dei Winchester, alzandosi in un rapido volo dalla schiena di Maximus per atterrare davanti a Laurence. «Ti dispiacerebbe aiutarmi?» Lui esitò, non gli sembrava giusto armeggiare con il drago di un altro uomo. «Credo che il tuo pilota sia l'unica persona che possa togliertela» disse. «Non voglio offenderlo.» «Sono tre giorni che non lo vedo» rispose triste il Winchester, abbassando la piccola testa. Era grande appena quanto un paio di cavalli da tiro, di poco più alto di Laurence. Guardandolo più da vicino, questi poté vedere che la pelle dell'animale era striata di sangue rappreso, e la bardatura non sembrava molto pulita e ben tenuta, a differenza di quella degli altri draghi, ma era piena di macchie e di toppe ruvide. «Vieni qui, ti darò un'occhiata» gli disse allora a bassa voce, poi prese i teli ancora zuppi dell'acqua del lago e iniziò a pulire il piccolo drago. «Oh, grazie» disse il Winchester, felice di sporgersi verso gli asciugamani. «Mi chiamo Levitas» aggiunse timidamente. «Io sono Laurence, e questo è Temeraire.»
«Lui è il mio capitano» dichiarò Temeraire, con appena un accenno di belligeranza nel tono e molta enfasi in quel 'mio'. Laurence lo guardò sorpreso, e interruppe la pulizia dell'altro drago per accarezzargli un fianco. Temeraire si calmò ma continuò a guardarsi intorno con le pupille ridotte a una fessura fino a quando lui non ebbe finito con Levitas. «Vuoi che vada a chiedere cosa è successo al tuo pilota?» domandò poi Laurence al piccolo animale dandogli un ultimo buffetto. «Forse non si sente bene, ma sono certo che si rimetterà presto.» «Oh, non credo che sia malato» commentò Levitas con la stessa tristezza di prima. «Ma io mi sento già molto meglio» aggiunse, e sfregò con gratitudine la testa contro la spalla di Laurence. Temeraire emise un borbottio seccato e graffiò la roccia con gli artigli; con uno strillo allarmato, Levitas volò sulla schiena di Maximus e tornò ad accucciarsi vicino agli altri Winchester. Laurence si rivolse a Temeraire. «Suvvia, non hai motivo di essere geloso» disse in tono gentile. «Non potevo negargli un po' di pulizia, visto che il suo pilota lo sta trascurando.» «Tu sei mio» disse caparbio Temeraire. Dopo un momento, tuttavia, abbassò la testa e con un'espressione imbarazzata aggiunse, «Certo, lui deve essere più facile da lavare.» «Non rinuncerei a un centimetro della tua pelle neanche se fossi grande il doppio di Laetificat» lo rassicurò Laurence. «Ma forse chiederò a uno dei ragazzi di occuparsi di Levitas, domani.» «Oh, è un'ottima idea» rispose Temeraire, rallegrandosi. «Non riesco a capire perché il suo pilota non si fa vedere. Tu non resterai mai lontano così a lungo, vero?» «Mai e poi mai, a meno che non mi costringano con la forza» lo tranquillizzò Laurence. Nemmeno lui riusciva a capire l'assenza del pilota di Levitas. Poteva comprendere che un uomo legato a un drago poco intelligente considerasse la sua compagnia poco gradevole dal punto di vista intellettuale, ma si sarebbe almeno aspettato il semplice affetto con il quale James aveva trattato il suo Volatilus. E anche se più piccolo, di certo Levitas era più intelligente di Volly. Forse non era strano che tra gli aviatori, come in qualsiasi reparto dell'esercito, ci fossero persone meno propense al proprio dovere, ma dato l'esiguo numero di draghi, era molto triste vederne uno infelice, cosa che poteva soltanto peggiorare il rendimento della creatura. Laurence lasciò il cortile portando con sé la bardatura di Temeraire, e si diresse ai capannoni dove lavorava l'equipaggio di terra. Anche se era po-
meriggio inoltrato, molti uomini erano seduti all'esterno, a fumare tranquillamente. Lo guardarono con curiosità, senza dargli il benvenuto, ma senza nemmeno essere scortesi. «Ah, siete il capitano di Temerarie» disse uno di loro, allungando le braccia per prendere la bardatura. «Si è rotta? Ve ne faremo avere una nuova in pochi giorni, ma nel frattempo possiamo sistemare questa.» «No, deve solo essere pulita» rispose Laurence. «Voi non avete ancora un custode della bardatura, e non ve ne possiamo assegnare uno fino a quando non sapremo bene come deve essere addestrato» spiegò l'uomo. «Ma vedremo cosa si può fare. Hollin, ti dispiace dargli una sistematina?» disse, catturando l'attenzione di un giovane all'interno che stava lavorando su un pezzo di cuoio. Questi uscì, pulendosi il grasso sul grembiule, e prese la bardatura nelle sue grandi mani. «Lo farò subito. Mi darà dei problemi dopo, quando gliela dovrò rimettere?» chiese. «Non sarà necessario, grazie. Sta meglio senza, per cui sarà sufficiente lasciarla accanto a lui» lo rassicurò Laurence deciso, ignorando gli sguardi che gli venivano rivolti. «E anche la bardatura di Levitas ha bisogno di un'occhiata.» «Levitas? Be', direi che spetta al suo capitano parlarne con il proprio equipaggio» commentò il primo uomo, fumando la pipa con aria pensosa. Aveva perfettamente ragione, ma la sua restava una risposta meschina. Laurence gli rivolse uno sguardo freddo e deciso, e lasciò che il silenzio parlasse per lui. L'uomo si agitò, a disagio per quell'occhiata dura. Con gran calma, Laurence disse, «Se vanno rimproverati per aver mancato ai loro doveri, bisogna farlo immediatamente. Credevo che gli uomini dell'aviazione fossero sempre e comunque pronti a fare di tutto per aiutare un drago che non sta bene.» «Mi occuperò io di Levitas, quando porterò la bardatura a Temeraire» si affrettò a dire Hollin. «Non è un problema. È talmente piccolo che non mi ci vorrà molto.» «Grazie, Hollin, sono lieto di vedere che non mi sbagliavo» rispose Laurence, e tornò verso il castello. Mentre si allontanava, sentì borbottare dietro di sé, «Un vero tiranno, non vorrei far parte del suo equipaggio.» Non fu bello sentire un commento simile. Non era mai stato considerato un capitano severo, e si era sempre vantato di gestire i propri uomini con il rispetto e non con il pugno di ferro: molti dei suoi marinari erano volontari. Si rendeva conto, però, di aver sbagliato. Parlando in quel modo aveva
scavalcato il capitano di Levitas, che avrebbe avuto tutto il diritto di lamentarsi. Ma non riusciva comunque a rammaricarsene. Levitas era stato evidentemente trascurato, e lasciarlo in quella condizione andava contro il suo senso del dovere. Forse l'informalità dell'aviazione gli sarebbe tornata utile, una volta tanto: con un po' di fortuna il suo intervento non sarebbe parso invadente o addirittura oltraggioso, come invece sarebbe accaduto in marina. In quella sua prima giornata, l'aviazione non gli si era presentata sotto i migliori auspici, e Laurence si sentiva stanco e scoraggiato. Non era successa nessuna delle cose tremende che aveva temuto, niente di tanto grave da non poter essere tollerato, ma comunque gli sembrava tutto complicato e poco consueto. Non poteva fare a meno di rimpiangere il conforto delle rigide regole della marina, che avevano ben delineato il territorio di tutta la sua vita, e provò l'insensato desiderio di poter tornare, un giorno, sul ponte della Reliant insieme a Temeraire, con il vasto oceano intorno a loro. 6 Il sole lo svegliò entrando dalle finestre che davano a est. Quando la notte precedente era finalmente riuscito a rientrare in camera, aveva trovato un vassoio ormai freddo: Tolly aveva mantenuto la parola. Un paio di mosche si erano posate sul cibo, ma per un marinaio quello non era affatto un problema. Laurence le aveva scacciate e aveva mangiato tutto. Aveva in mente di riposarsi solo un poco, prima di cenare e lavarsi. E per questo, sentendosi istupidito, dovette fissare il soffitto per quasi un minuto intero prima di accorgersi di aver dormito tutta la notte. Poi si ricordò dell'addestramento e scattò in piedi. Si era messo a letto con addosso la camicia e i pantaloni, ma per fortuna aveva un cambio per entrambi i capi, e il cappotto era ancora abbastanza pulito. Doveva ricordarsi di cercare un sarto al quale commissionarne un altro. Gli risultò un po' difficile vestirsi da solo, ma ci riuscì, e quando infine scese dabbasso si sentiva a posto. Il tavolo degli ufficiali anziani era quasi vuoto. Granby non c'era, ma Laurence avvertì l'effetto della sua presenza negli sguardi di sottecchi che gli lanciarono due giovani seduti all'estremità del tavolo. Seduto più verso l'ingresso della stanza, un uomo senza giacca, tarchiato e col volto rubizzo, stava divorando un piatto di uova, pancetta e pudding scuro. Laurence si guardò intorno cercando una credenza.
«Buongiorno, capitano. Caffè o tè?» Tolly si portò al suo fianco, con due caraffe in mano. «Caffè, grazie» rispose lui grato; tracannò il contenuto della tazza e la allungò per chiederne ancora prima che il ragazzo potesse girarsi. «Ci serviamo da soli?» chiese. «No, sta arrivando Lacey con uova e pancetta per voi. Se volete altro dovete solo dirlo» spiegò Tolly mentre si allontanava. La cameriera, che indossava un semplice abito di stoffa grossa, esclamò un allegro «Buongiorno!» invece di rimanere in silenzio secondo l'etichetta, ma per Laurence fu così piacevole vedere un volto amichevole che si sorprese a ricambiare il saluto. Il piatto che portava quella donna era fumante, e Laurence smise di crucciarsi del decoro quando assaggiò l'ottimo bacon: era stato affumicato con qualche aroma che lui non conosceva ed era molto saporito, con i tuorli delle uova di un bel colore arancio. Mangiò in fretta, tenendo d'occhio l'avanzata dei quadrati di luce che il sole proiettava sul pavimento entrando dalle alte finestre. «Attento a non strozzarti» gli disse l'uomo tarchiato. «Tolly, dell'altro tè» gridò. La sua voce era così forte che si sarebbe sentita anche in una tempesta. «Sei Laurence?» chiese, mentre la sua tazza veniva riempita di nuovo. Lui ingoiò il boccone e rispose, «Sì, signore, ma io non so chi siate voi.» «Berkley» rispose l'uomo. «Ascolta, che razza di stupidaggini hai messo in testa al tuo drago? È da stamattina che il mio Maximus mi chiede di fare un bagno e di stare senza bardatura. Che assurdità.» «Io non ritengo assurdo, signore, preoccuparmi del benessere del mio drago» disse Laurence a voce bassa, stringendo forte le posate. Berkley lo fissò in volto. «Dannazione, vorresti forse dire che trascuro Maximus? Nessuno ha mai lavato i draghi. A loro non dà fastidio un po' di polvere, hanno le scaglie.» Laurence cercò di tenere a bada il proprio carattere e il tono di voce. Aveva perso l'appetito, però, e quindi posò coltello e forchetta. «Evidentemente il vostro drago non la pensa così. Credete di conoscere le sue esigenze meglio di lui?» Berkley gli rivolse uno sguardo torvo e feroce, poi sbuffò all'improvviso. «Be', le parole non vi mancano, non c'è dubbio. E io pensavo che i marinai fossero tutti cauti e prudenti.» Finì il suo tè e si alzò da tavola. «Ci vedremo più tardi. Celeritas vuole esaminare Maximus e Temeraire insieme.» Fece un cenno del capo che parve piuttosto amichevole, e se ne andò.
Laurence rimase un po' stupito da quel repentino cambiamento, poi si accorse che rischiava di fare tardi e non ebbe più tempo per pensare all'episodio. Temeraire stava aspettando impaziente, e Laurence si ritrovò a pagare il prezzo della sua nobile decisione, dovendogli rimettere la bardatura. Nonostante l'aiuto di due membri dell'equipaggio di terra, riuscì a raggiungere il cortile appena in tempo. Quando atterrarono Celeritas non era ancora arrivato, ma poco dopo Laurence lo vide uscire da una delle aperture scavate nella parete rocciosa. Doveva trattarsi di alloggi privati, riservati forse ai draghi più anziani o valorosi. Celeritas dispiegò le ali e si alzò in volo verso il cortile, atterrando con eleganza sulle zampe posteriori, e guardò con attenzione Temeraire. «Be', sì, un'eccellente profondità toracica. Respira, per favore. Sì, sì.» Si adagiò su tutte e quattro le zampe. «Bene, diamo un'occhiata a quello che sai fare. Due giri della valle, al primo fai curve orizzontali, al secondo tira indietro le ali. Vai con calma, voglio valutare la tua conformazione, non la rapidità.» Diede il via con un cenno del capo. Temeraire balzò di nuovo in volo a velocità massima. «Piano» gridò Laurence, tirando le redini per controllarlo, e il drago rallentò malvolentieri fino ad assumere un'andatura moderata. Eseguì con facilità le curve e poi le picchiate, le risalite. Mentre stavano tornando indietro, Celeritas gridò, «Adesso di nuovo, ma veloce!» Laurence si schiacciò contro il collo di Temeraire mentre le ali sbattevano frenetiche e il vento gli fischiava nelle orecchie. Non erano mai andati così veloce, né il volo era mai stato così esaltante. Laurence non riuscì a trattenersi e, mentre affrontavano una curva, lanciò un breve grido di gioia che soltanto Temeraire poté sentire. Completato il secondo giro tornarono verso il cortile. Temeraire aveva il respiro appena un po' accelerato. Ma non avevano ancora percorso metà della vallata quando udirono un terribile ruggito sopra di loro e una grande ombra li sovrastò: Laurence alzò lo sguardo allarmato e vide Maximus scendere a tutta velocità verso di loro come se li volesse speronare. Temeraire si fermò di colpo e rimase sospeso in aria, Maximus li superò e si arrestò a pochi passi dal suolo. «Cosa diavolo avevi intenzione di fare, Berkley?» ruggì Laurence con tutta l'aria che aveva nei polmoni, alzandosi sulla bardatura. Era infuriato, e gli tremavano le mani, strette sulle redini. «Mi devi delle spiegazioni, immediatam...» «Mio Dio! Come fa?» Gli gridò di rimando Berkley, ma in tono affabile,
come se non fosse successo niente. Maximus stava volando tranquillamente in direzione del cortile. «Celeritas, hai visto?» «Sì. Temeraire, ti dispiace atterrare?» domandò il capo istruttore dal cortile. «Stavano volando contro di voi per un mio ordine, capitano. Non vi agitate» disse poi a Laurence mentre Temeraire si posava sulla sporgenza rocciosa. «È di fondamentale importanza mettere alla prova le reazioni naturali di un drago sorpreso dall'alto, dove noi non possiamo vedere. È un istinto che spesso nessun allenamento riesce a controllare.» Laurence e Temeraire erano ancora agitati. «Non mi è piaciuto» disse con astio il drago a Maximus. «Sì, lo so, lo hanno fatto anche a me quando ho iniziato l'addestramento» rispose l'altro animale, allegro e niente affatto pentito. «Come fai a restare sospeso in aria?» «Non ci ho mai pensato» rispose Temeraire, ora più tranquillo. Allungò il collo per guardare il proprio corpo. «Direi che non faccio altro che battere le ali al contrario.» Laurence accarezzò dolcemente il collo di Temeraire, mentre Celeritas esaminava da vicino le articolazioni delle sue ali. «Credevo che fosse un'abilità comune, signore. Devo dedurre che non è così?» chiese Laurence. «Sì, almeno nel senso che è la prima volta che lo vedo fare in duecento anni di esperienza» replicò secco Celeritas, tornando a sedersi. «Gli Ali di angelo possono eseguire dei cerchi stretti, ma non sono in grado di restare fermi in aria.» Si grattò la fronte. «Dovremo escogitare qualche nuova applicazione per questa tua abilità. Sarai quanto meno un bombardiere letale.» Laurence e Berkley stavano ancora discutendo su quell'argomento e su un eventuale metodo per appaiare Maximus e Temeraire quando si avviarono verso la mensa per la cena. Celeritas li aveva fatti lavorare per il resto del giorno, studiando le capacità di manovra di Temeraire e mettendo in competizione tra loro i due draghi. Naturalmente Laurence sapeva già che Temeraire era straordinariamente veloce e abile nel volo, ma provò un grande piacere nel sentirlo confermare da Celeritas, e anche nel vedere come Temeraire distanziava Maximus, un drago più grande e più adulto. Celeritas aveva persino suggerito di far volare Temeraire al doppio della sua velocità, se si fosse dimostrato capace di mantenere la sua agilità anche da adulto. In quel modo avrebbe potuto effettuare un attacco a volo radente e tornare poi subito in posizione per riprendere il volo con il resto del suo
stormo. A Berkley e Maximus non era dispiaciuto avere Temeraire che volava in cerchio intorno a loro. Naturalmente i Ramati reali erano i draghi migliori dell'aviazione, e Temeraire non avrebbe mai potuto competere con Maximus in peso e potenza, e così non c'era motivo di invidia. Tuttavia, dopo la tensione del primo giorno, Laurence era pronto ad accogliere l'assenza di ostilità come una vittoria. Berkley, poi, era uno strano personaggio, un po' anziano per essere un nuovo capitano e dai modi eccentrici, con un atteggiamento in genere imperturbabile interrotto da sporadici scoppi d'ira. A modo suo, però, era un ufficiale disciplinato e scrupoloso, e anche abbastanza amichevole. Mentre sedevano da soli al tavolo, aspettando che arrivassero gli altri ufficiali, disse a Laurence, «Dovrai affrontare l'invidia di molti, dannazione, perché non ti è toccato aspettare tanto per avere il tuo drago. Io ho dovuto attendere sei anni per Maximus, e ne è valsa la pena, ma non credo che sarei riuscito a non odiarti se ti fossi pavoneggiato davanti a me con un Imperiale mentre lui era ancora nel guscio.» «L'hai atteso?» chiese Laurence. «Vuoi dire che eri stato assegnato a lui ancora prima della schiusa?» «Sin dal momento in cui l'uovo era abbastanza freddo da poterlo toccare» rispose Berkley. «Abbiamo quattro o cinque Ramati reali a ogni generazione. L'aviazione non lascia certo che sia il caso a decidere chi li guiderà. Sono rimasto bloccato a terra dal momento in cui ho accettato l'incarico, e non ho fatto altro che guardare l'uovo e dare lezioni ai novellini, sperando che non ci mettesse troppo a schiudersi, come invece è stato, dannazione.» Berkley sbuffò e tracannò il bicchiere di vino. Laurence si era già fatto un'alta opinione delle capacità di volo di Berkely dopo l'addestramento mattutino, e gli sembrava davvero il tipo di uomo cui si poteva affidare un drago raro e prezioso. E di sicuro era molto affezionato a Maximus, per quanto non lo desse a vedere. Quando si erano separati dai due draghi, nel cortile, Laurence gli aveva sentito dire a Maximus, «Immagino che non starai tranquillo fino a che non avrò tolto anche a te la bardatura, dannazione», per poi affidare proprio quel compito al suo equipaggio di terra. Maximus lo aveva quasi gettato a terra ringraziandolo con un buffetto affettuoso. Gli altri ufficiali stavano iniziando a entrare nella sala; erano quasi tutti più giovani di Laurence o di Berkley, e ben presto la mensa fu piena del trambusto delle loro voci allegre e spesso squillanti. Sulle prime Laurence si sentì teso, ma quello che temeva non accadde: qualche tenente lo guardò
con diffidenza, e Granby si sedette il più lontano possibile, ma a parte questo nessuno parve prestargli particolare attenzione. Un uomo alto, biondo e col naso aquilino gli disse a bassa voce, «Chiedo scusa, signore» e scivolò nella sedia accanto alla sua. Anche se tutti gli ufficiali anziani indossavano soprabito e cravatta per la cena, il nuovo arrivato si distingueva dagli altri per l'accuratezza del suo abbigliamento. «Capitano Jeremy Rankin, al vostro servizio» disse con gentilezza, porgendo la mano. «Non credo che ci abbiano già presentati.» «No, sono arrivato solo ieri. Capitano Will Laurence, al vostro servizio» rispose lui. Rankin aveva una stretta salda, e maniere piacevoli e disinvolte. Laurence lo trovò un buon compagno di conversazione, e non lo sorprese sapere che era il figlio del conte di Kensington. «La mia famiglia ha sempre mandato i figli cadetti in aviazione, e nei giorni in cui questa non esisteva ancora e i draghi erano riservati alla Corona, il mio trisavolo ne allevava un paio» spiegò Rankin. «Per questo motivo non ho difficoltà a tornare a casa. Abbiamo ancora una piccola base che viene usata per le parate, e mi sono trovato spesso lì durante l'addestramento. È un vantaggio che dovrebbero avere anche gli altri aviatori» aggiunse a voce bassa, guardandosi intorno. Laurence non voleva dire nulla che potesse essere frainteso. Finché Rankin, che era uno di loro, faceva delle critiche andava tutto bene, ma detto da lui sarebbe potuto risultare offensivo. Cercò di affrontare il discorso con maggiore tatto. «Deve essere duro, per i ragazzi, andarsene di casa così presto. Nella marina noi... La marina non accetta i minori di dodici anni, e tra un viaggio e l'altro vengono sempre lasciati a terra, in modo che possano tornare a casa. Non credete anche voi, signore, che sarebbe meglio?» aggiunse, rivolgendosi a Berkley. Quest'ultimo emise un grugnito mentre ingoiava un boccone. Lanciò poi un'occhiata leggermente severa a Rankin prima di rispondere a Laurence. «Non proprio. Ai miei tempi anche io frignai un po', credo, ma poi ci si abitua, e poi grazie all'addestramento i ragazzi non hanno nemmeno tempo per sentire la nostalgia di casa.» Riprese a mangiare senza fare alcuno sforzo per portare avanti la conversazione, e a Laurence non rimase che continuare a parlare con Rankin. «Sono in ritardo... oh!» disse un giovane magro, con la voce infantile ma alto per la sua età, correndo al tavolo e facendo un certo trambusto. I capelli rossi si stavano sciogliendo dalla coda nella quale li aveva raccolti. Si fermò di colpo al bordo del tavolo, poi si sedette lentamente e di malavo-
glia accanto a Rankin, dato che era l'unico posto libero. Nonostante la giovane età, era un capitano: il suo cappotto mostrava le doppie barrette dorate sulle spalle. «Ma no, Catherine, affatto. Lascia che ti versi un po' di vino» disse Rankin. Laurence, che stava guardando il giovane con stupore, per un momento pensò di aver sentito male. Poi capì che non era così: il ragazzo era in verità una ragazza. Laurence si guardò intorno, basito: nessun altro sembrava farci caso, e chiaramente la cosa non era un segreto. Rankin si rivolgeva alla giovane con toni gentili e formali, servendole il cibo dai vassoi. «Permettetemi di fare le presentazioni» aggiunse Rankin, voltandosi. «Capitano Laurence di Temeraire, la signorina... oh, no, dimenticavo, lei è il capitano Catherine Harcourt di, ehm, Lily.» «Salve» mormorò la ragazza, senza alzare lo sguardo. Laurence si sentì avvampare il viso. La ragazza indossava dei pantaloni attillatissimi, con una camicia chiusa solo da una cravatta. Spostò lo sguardo sul viso di lei e riuscì a dire, «Al vostro servizio, miss Harcourt.» Almeno ottenne il risultato di farla girare. «No, io sono il Capitano Harcourt» puntualizzò la donna. Sul suo volto pallido risaltava una spruzzata di lentiggini, ed era chiaramente determinata a difendere i suoi diritti. Mentre parlava, lanciò a Rankin uno strano sguardo di sfida. Laurence aveva usato quel titolo per abitudine, senza intenzione di offenderla, anche se evidentemente l'aveva offesa. «Vi chiedo scusa, capitano» disse subito, chinando anche il capo. Restava comunque difficile rivolgersi a lei in quel modo, e riferito a lei il rango sembrava strano: Laurence temeva di sembrare comunque rigido e innaturale. «Non volevo mancare di rispetto.» In quel momento si ricordò anche del nome del drago. Gli era sembrato insolito già il giorno precedente, ma con tutte le preoccupazioni che aveva in mente, quel dettaglio gli era sfuggito. «Immagino che la Lunghe Ali sia vostra» aggiunse con gentilezza. «Sì, è la mia Lily» rispose, e quando pronunciò il nome del drago un calore involontario le si insinuò nella voce. «Forse non sapevate, capitano Laurence, che i Lunghe Ali non accettano piloti maschi. È una loro strana peculiarità, della quale noi dobbiamo essere grati, altrimenti non potremmo godere di una compagnia tanto incantevole» spiegò Rankin, chinando il capo in omaggio alla ragazza. C'era una nota ironica nel suo tono che fece accigliare Laurence. Era palese che la giovane non si sentiva a suo agio, e Rankin non sembrava fare nulla per aiutarla. Lei tornò a concentrarsi sul cibo, fissando il piatto con le labbra
pallide strette in un'espressione infelice. «È molto coraggioso da parte vostra assumervi un simile incarico, miss... capitano Harcourt. Un bicchiere... Bevo alla vostra salute» disse Laurence, correggendosi all'ultimo momento e trasformando il brindisi in un assaggio. Pensava che non fosse giusto costringere una ragazza a bere un intero bicchiere di vino. «Non faccio niente più degli altri» borbottò lei. Poi sollevò il bicchiere in risposta. «Alla vostra.» Laurence ripeté a mente il nome e il grado della donna. Sarebbe stato grossolano ricadere in un errore del genere, dopo che lei l'aveva corretto già una volta, ma gli risultava così strano che non riusciva ancora a crederci. Fece attenzione a guardarla in volto e non altrove. Con i capelli così tirati indietro aveva un aspetto più mascolino, e questo rendeva le cose un po' più semplici, come gli abiti, che inizialmente lo avevano tratto in inganno. Immaginò che la ragazza si vestisse a quel modo proprio per questo motivo, per quanto fosse bizzarro e fuori dalle regole. Avrebbe voluto parlarle, anche se sarebbe stato difficile non fare domande, ma certo non poteva rubare la parola a Rankin. E così non gli rimase che continuare a riflettere tra sé. Pensare che tutti i Lunghe Ali in servizio erano capitanati da donne lo sconvolgeva. Osservando l'esile corporatura della ragazza, si chiese come riuscisse a reggere al peso del proprio lavoro. Lui stesso si sentiva esausto dopo una giornata di volo, e per quanto una bardatura migliore forse poteva ridurre lo sforzo, faceva comunque fatica a immaginare che una donna potesse sostenerlo giorno dopo giorno. Era un compito crudele da assegnare a una donna, ma di certo non si poteva fare a meno dei Lunghe Ali. Erano con ogni probabilità i draghi più letali di tutta l'Inghilterra, paragonabili soltanto ai Ramati reali, e senza di loro le difese aeree inglesi sarebbero state spaventosamente vulnerabili. Tra la curiosità che gli arrovellava la mente e la gradevole conversazione di Rankin, la sua prima cena si rivelò più piacevole di quanto non si fosse aspettato, e si alzò da tavola rincuorato, anche se i capitani Harcourt e Berkley erano rimasti in silenzio per tutta la durata del pasto. Mentre si avviavano, Rankin gli chiese, «Se non avete altri impegni, posso invitarvi al circolo degli ufficiali per una partita a scacchi? Qui mi capita raramente di giocarci e devo confessare che, da quando avete detto di saper giocare, sono ansioso di afferrare al volo questa opportunità.» «Grazie per l'invito, farebbe molto piacere anche a me» rispose Laurence. «Ma per il momento vi chiedo di scusarmi. Devo andare da Temeraire,
gli ho promesso che gli avrei letto qualcosa.» «Leggere?» domandò Rankin, con un'espressione divertita che però non nascose la sua sorpresa. «La vostra dedizione è ammirevole, come è naturale che sia per un nuovo pilota. Ma se posso, permettetemi di assicurarvi che nella maggior parte dei casi i draghi sono del tutto autosufficienti. Molti dei nostri capitani hanno l'abitudine di trascorrere tutto il tempo libero con le loro bestie, e non vorrei che voi lo faceste solo per seguire il loro esempio, o per un senso del dovere che vi porta a rinunciare alla compagnia degli altri esseri umani.» «Siete gentile a preoccuparvi, e vi ringrazio, ma vi assicuro che questo non è il mio caso» rispose Laurence. «Da parte mia non potrei desiderare compagnia migliore di Temeraire, ed è per il bene di entrambi che stiamo spesso insieme. Ma sarei comunque felice di raggiungervi più tardi, questa sera, a meno che non vi corichiate presto.» «Entrambe le cose mi rendono felice» commentò Rankin. «E per l'orario non dovete preoccuparvi. Naturalmente non mi sto addestrando, sono qui solo come messaggero, per cui non devo rispettare le scadenze degli apprendisti. Mi imbarazza dover ammettere che, per la maggior parte dei giorni, non scendo prima di mezzogiorno, ma d'altro canto questo mi concede il piacere di attendere l'incontro con voi, questa sera.» Detto ciò si separarono, e Laurence andò a raggiungere Temeraire. Provò una divertita meraviglia quando trovò tre alfieri appena fuori dalla porta della sala da pranzo. Erano il ragazzino castano e altri due, tutti con degli stracci puliti in mano. «Oh, signore» esordì quello con i capelli color sabbia non appena lo vide uscire. «Le servono altri teli per Temeraire?» chiese ansioso. «Pensavamo di sì, quando lo abbiamo visto mangiare, quindi ve ne abbiamo portati un po'.» «Ehi, Roland, cosa credi di fare?» Tolly, che stava trasportando un carico di piatti dalla mensa, si fermò quando vide gli alfieri che parlavano con Laurence. «Sapete che non bisogna disturbare i capitani.» «Ma io non lo sto disturbando, vero?» chiese il ragazzo, guardando speranzoso Laurence. «Ho solo pensato che forse potevamo dargli una mano. Dopo tutto il suo drago è molto grande, e io, Morgan e Dyer abbiamo i nostri moschettoni. Possiamo agganciarci senza nessun problema» disse con fervore, mostrando una strana bardatura che Laurence non aveva ancora notato. Si trattava di una cintura di cuoio spesso, stretta intorno alla vita del giovane, con un paio di cinghie attaccate che terminavano in quello che a prima vista sembrava l'anello di una grossa catena di acciaio. A un esame
più attento, Laurence notò che poteva essere piegato e agganciato a qualcos'altro. Raddrizzandosi, disse, «Dato che Temeraire non ha ancora una bardatura adeguata, credo che non potrete usare le vostre attrezzature. In ogni modo,» aggiunse, celando un sorriso per quel loro avvilimento «venite con me, e vedremo quello che si può fare. Grazie, Tolly» concluse, facendo un cenno al servitore. «Penso io a loro.» Tolly, dal canto suo, non si preoccupò di nascondere il sorriso. «Benissimo» disse, tornando ai propri compiti. «Ti chiami Roland, giusto?» chiese Laurence al ragazzo, mentre camminava verso il cortile coi tre alfieri che sgambettavano per stargli dietro. «Sì, signore, alfiere Emily Roland, al vostro servizio.» Rivolgendosi ai suoi compagni, e mancando così di notare l'espressione stupita di Laurence, aggiunse, «E questi sono Andrew Morgan e Peter Dyer. Siamo tutti al terzo anno di addestramento.» «Sì, proprio così, e ci piacerebbe molto renderci utili» intervenne Morgan, mentre Dyer, più piccolo degli altri due e con gli occhi più grandi, si limitò ad annuire. «Molto bene» riuscì a rispondere Laurence, guardando furtivamente la giovane. I suoi capelli erano tagliati a scodella, proprio come quelli dei due ragazzi, ed era di corporatura robusta e tarchiata. La sua voce era solo un po' più acuta di quelle degli altri due: il suo errore era stato del tutto naturale. Si fermò un attimo a pensarci e si rese conto che la cosa aveva perfettamente senso. Era ovvio che l'aviazione addestrasse anche qualche ragazza, per la schiusa dei Lunghe Ali, e con ogni probabilità anche il capitano Harcourt era il prodotto di un tale addestramento. Eppure, Laurence non riusciva a immaginare quale genitore potesse assegnare una bambina di pochi anni al rigore del servizio militare. Quando uscirono nel cortile furono accolti da un'attività caotica. Una confusione d'ali e di voci di drago riempiva l'aria. La maggior parte dei draghi, se non tutti, erano appena rientrati dal pasto, e l'equipaggio di terra si stava occupando di loro, pulendo le bardature. Nonostante le parole di Rankin, Laurence vide che quasi ogni drago era con il suo capitano che gli accarezzava la testa o che parlava con lui. Quello doveva essere un comune momento di riposo, in cui sia il drago sia il suo pilota erano in libertà. Non vide subito Temeraire. Dopo averlo cercato un po' nel cortile, si rese conto che si era sistemato fuori dalle mura del recinto, forse per evitare il rumore e la confusione. Prima di andare da lui, Laurence portò gli alfieri
da Levitasi il piccolo drago se ne stava rannicchiato da solo, e guardava gli altri animali con i loro capitani. Era ancora costretto nella bardatura, che però aveva un aspetto migliore del giorno precedente: il cuoio era stato lavorato e passato nell'olio per renderlo più flessibile, e gli anelli di metallo che univano le cinghie erano lucidi. Laurence immaginò che quegli anelli servissero come aggancio per i moschettoni. Anche se Levitas era piccolo rispetto a Temeraire, restava comunque una creatura notevole, e lui pensò che avrebbe di sicuro potuto reggere il peso dei tre alfieri per un breve tragitto. Il drago fu felice per l'attenzione che gli veniva rivolta, e i suoi occhi si illuminarono quando Laurence gli fece la proposta. «Ma certo, posso portarvi tutti con facilità» disse, guardando i tre ragazzini, che ricambiarono lo sguardo con altrettanto entusiasmo. Si arrampicarono, agili come scoiattoli, e ciascuno di loro si agganciò facilmente a due anelli diversi con delle movenze esperte che erano il chiaro frutto di un lungo addestramento. Laurence strattonò le cinghie per assicurarsi che fossero sicure. «Molto bene, Levitas. Portali alla spiaggia. Io e Temeraire vi raggiungeremo tra poco» disse, dando una pacca sul fianco dell'animale. Dopo averli visti partire, Laurence serpeggiò tra gli altri draghi e raggiunse il cancello. Si fermò di colpo non appena intravide Temeraire: il drago sembrava stranamente giù di morale, ben diverso dalla creatura felice che aveva lasciato al termine della mattinata di lavoro. Si portò subito al suo fianco. «Non ti senti bene?» gli domandò, controllandogli le mascelle, ma Temeraire era tutto imbrattato dal sangue del suo ultimo pasto, e questo lasciava presupporre che si fosse saziato a dovere. «Ti ha dato fastidio qualcosa che hai mangiato?» «No, mi sento benissimo» rispose il drago. «È solo che... Laurence, io sono un bravo drago, vero?» Laurence sgranò gli occhi. L'incertezza di Temeraire era una novità. «Il migliore che c'è al mondo. Perché mi fai questa domanda? Qualcuno ti ha detto qualcosa di scortese?» Si sentì ribollire di rabbia al solo pensiero. Gli aviatori potevano guardarlo di traverso e dire quello che volevano, ma non avrebbe tollerato alcuna critica a Temeraire. «Oh, no» lo rassicurò la bestia, ma con un tono che spinse Laurence a dubitare di quelle parole. «Nessuno è stato scortese, ma non hanno potuto fare a meno di notare, mentre ci davano da mangiare, che io non sono come gli altri. Hanno tutti dei colori molto più accesi di me, e le loro ali non
hanno tante articolazioni. Inoltre hanno quelle creste lungo la schiena, mentre la mia è liscia, e le mie zampe hanno più artigli.» Mentre elencava quelle differenze, seguì il proprio corpo con lo sguardo. «Mi hanno guardato perplessi, ma nessuno è stato sgarbato. Credi che dipenda dal fatto che sono un drago cinese?» «Sì, proprio così, e devi ricordare che i cinesi sono considerati i migliori allevatori del mondo» spiegò Laurence con voce ferma. «Semmai gli altri dovrebbero guardare a te come modello, e non il contrario, e ti prego di non dubitare nemmeno per un istante di te stesso. Pensa solo a cosa ha detto questa mattina Celeritas sul tuo modo di volare.» «Ma non posso sputare fuoco, o veleno» si lamentò Temeraire, tornando a sedersi con un'aria mesta. «E non sono grande quanto Maximus.» Restò in silenzio per un momento, poi aggiunse, «Lui e Lily hanno mangiato per primi, e noialtri abbiamo dovuto aspettare che finissero per poi dover cacciare in gruppo.» Laurence si accigliò. Non aveva pensato che potesse esistere un sistema di classi e ranghi anche tra i draghi. «Amico mio, in Inghilterra non c'è mai stato un drago come te, per cui il tuo turno non è ancora stato stabilito» disse, cercando una spiegazione che potesse consolare Temeraire. «Inoltre, forse l'ordine per i pasti ha a che fare con l'anzianità dei capitani, e devi ricordare che io sono l'ultimo arrivato, qui.» «Sarebbe una cosa molto sciocca: sei più grande della maggior parte di loro, e hai molta esperienza» protestò Temeraire, e parte della sua tristezza fu sostituita dall'indignazione per l'idea che Laurence venisse sminuito. «Hai vinto delle battaglie, mentre qui si stanno ancora addestrando.» «Sì, ma io prima ero nella marina, e le cose sono molto diverse in volo» disse Laurence. «Tuttavia è vero che l'esperienza o il rango non sono indice di saggezza o di lignaggio. Non prendertela tanto; sono sicuro che dopo un anno o due di servizio riceverai i riconoscimenti che meriti. Per adesso, l'importante è che tu ti sia nutrito a sufficienza. Altrimenti possiamo tornare subito alle mangiatoie.» «Oh, no, c'era abbondanza di prede» lo tranquillizzò Temeraire. «Sono riuscito a prendere tutto quello che volevo, e gli altri draghi non mi hanno intralciato quasi per nulla.» Tacque di nuovo, chiaramente ancora amareggiato. Laurence disse, «Vieni, dobbiamo farti il bagno.» Temeraire si illuminò a quell'idea e, dopo quasi un'ora al lago trascorsa giocando con Levitas e facendosi strofinare dagli alfieri, gli tornò il buo-
numore. Dopo si avvolse intorno a Laurence nel caldo cortile e il capitano cominciò a leggere per lui, che sembrava sempre più allegro. Tuttavia Laurence notò che il drago guardava di continuo la sua catena, sfiorandola con la punta della lingua, gesto che lui aveva riconosciuto come una ricerca di rassicurazione. Riprese a leggere quindi con un tono più affettuoso, accarezzandogli la zampa su cui stava comodamente seduto. Era ancora accigliato per la preoccupazione quando, più tardi quella sera stessa, entrò nel circolo degli ufficiali. In altre condizioni il silenzio che calò nella sala al suo ingresso lo avrebbe turbato molto di più. Granby, seduto al pianoforte vicino alla porta, si portò una mano alla fronte e lo salutò con un «Signore.» Era uno strano tipo di insolenza, difficile da punire. Laurence decise di rispondere come se il saluto fosse stato sincero, e replicò gentilmente, «Granby» con un cenno rivolto anche agli altri presenti, continuando poi a camminare svelto. Rankin era seduto in fondo alla sala a un piccolo tavolo, e stava leggendo un giornale. Laurence lo raggiunse e in poco tempo prepararono la scacchiera che Rankin aveva preso da uno scaffale. Il chiacchiericcio era già ripreso, e tra una mossa e l'altra Laurence osservava la stanza, cercando di non farsi notare. Ora che ne era consapevole, riuscì a individuare diverse donne tra gli ufficiali. La loro presenza non sembrava condizionare nessuno, e la conversazione, pur rimanendo nell'ambito dell'educazione, era poco raffinata, resa molto caotica e confusa dalle continue interruzioni. Ciò nonostante nella sala aleggiava uno schietto cameratismo, e Laurence non poté evitare di rammaricarsi del fatto che ne era escluso. Capiva che quella segregazione era naturale, una scelta che era insieme sua e degli altri ufficiali, ma questo serviva solo a fargli sentire una fitta di solitudine. Laurence però liquidò subito quell'emozione: un capitano della marina finiva con l'abituarsi a un'esistenza solitaria, e il più delle volte era privo anche della sincera unione che lui aveva con Temeraire. Inoltre, c'era anche la nuova amicizia con Rankin. Laurence riportò l'attenzione sugli scacchi, e smise di guardare gli altri. Rankin era forse un po' fuori allenamento, ma di sicuro non a corto di capacità, e dato che il gioco non era tra i passatempi preferiti di Laurence, la partita risultò equilibrata. Mentre giocavano, Laurence confidò le sue preoccupazioni per Temeraire a Rankin, che lo ascoltò volentieri. «È davvero un peccato che non gli abbiano dato la priorità, ma ti consiglio di lasciare che sia lui a sistemare le cose» suggerì Rankin. «È così che si com-
portano i draghi quando sono liberi. Le razze più forti si prendono le prede migliori, e quelle più deboli si fanno da parte. Deve essere lui ad affermarsi tra i suoi simili per ottenere più rispetto.» «Intendi dire sfidandoli? Non credo sarebbe una condotta saggia» disse Laurence, allarmato da quell'idea. Aveva sentito le vecchie storie di draghi che lottavano tra loro e si uccidevano a vicenda. «Che senso avrebbe permettere che creature tanto preziose si diano battaglia per così poco?» «Raramente si arriva allo scontro. I draghi sanno riconoscere le proprie e le altrui capacità, e ti assicuro che, quando Temeraire si sentirà sicuro della propria forza non permetterà certi comportamenti, né incontrerà particolari ostilità» disse Rankin. Laurence non si sentiva convinto da quella spiegazione: di sicuro non era stata la mancanza di coraggio a impedire a Temeraire di reclamare la precedenza, bensì la sua spiccata sensibilità, che lo rendeva tristemente capace di percepire la disapprovazione degli altri draghi. «Vorrei comunque trovare un modo per tranquillizzarlo» rispose in tono triste. Si rendeva conto che nelle condizioni attuali ogni pasto poteva essere un motivo di scontento per il suo drago, ma quei momenti non potevano essere evitati, se non facendolo mangiare in orari diversi dagli altri, cosa che però lo avrebbe fatto sentire ancor più isolato. «Oh, regalagli un ciondolo e si calmerà» propose Rankin. «È incredibile come i gioielli li facciano felici. Ogni volta che il mio drago si rattrista, gli porto un gingillo ed è subito contento. È come una buona istruttrice per un bambino capriccioso.» Laurence non riuscì a trattenere un sorriso per quel bizzarro paragone. «Avevo appunto intenzione di comprargli una collana» disse, tornando serio «come quella di Celeritas, e sono convinto che lo farebbe felice. Ma non credo che qui ci sia qualcuno a cui commissionare un oggetto del genere.» «A questo posso rimediare io. Vado spesso a Edimburgo per i miei turni da messaggero, e lì ci sono ottimi gioiellieri. Alcuni di loro hanno articoli confezionati apposta per i draghi, dato che qui al nord ci sono molte basi militari a distanza di volo. Se vuoi, sarò lieto di accompagnarti da uno di loro» disse Rankin. «Ci andrò domenica prossima, e se partiamo di mattino presto saremo di ritorno per ora di cena.» «Grazie, ti sono davvero grato» rispose Laurence, stupito e compiaciuto. «Chiederò a Celeritas il permesso di venire.» Celeritas si accigliò quando, il mattino seguente, Laurence fece la sua ri-
chiesta, e lo guardò con occhi penetranti. «Vuoi andare con il capitano Rankin? Bene, sarà il tuo ultimo giorno di libertà per un bel pezzo, perché, in seguito, dovrai essere presente in ogni istante dell'addestramento di Temeraire.» Era stato quasi feroce nel pronunciare quelle frasi, e Laurence rimase sorpreso da tanta veemenza. «Non ho alcuna obiezione, ve lo assicuro» disse, chiedendosi con stupore se quel drago credeva che lui volesse venir meno ai suoi doveri. «Non ho mai pensato di lasciarlo da solo, e sono perfettamente consapevole di quanto la nostra situazione sia urgente. Se la mia assenza rischia di causare qualche tipo di problema, vi prego di rifiutare la mia richiesta senza indugio.» Qualsiasi motivo lo avesse esasperato, Celeritas parve addolcirsi per quella sua dichiarazione. «In effetti, l'equipaggio di terra avrà bisogno di un giorno per sistemare la nuova attrezzatura di Temeraire» disse, con un tono meno duro. «Immagino che potremo fare a meno di te, sempre che Temeraire si lasci bardare anche senza averti qui, e tu potrai fare la tua ultima gita.» Temeraire gli assicurò che per lui non era un problema restare solo, e così l'idea di un viaggio a Edimburgo divenne un progetto concreto. Laurence trascorse parte delle serate successive a misurare il collo del suo drago e quello di Maximus, poiché credeva che il Ramato reale poteva fornire una buona approssimazione delle dimensioni future di Temeraire. A questi disse che gli servivano quei dati per la bardatura, perché voleva fargli una sorpresa. Confidava infatti nel regalo per dissipare il disagio che adombrava il buonumore del suo amico. Rankin esaminava con allegria i diversi modelli che di volta in volta Laurence disegnava. I due avevano ormai preso l'abitudine di giocare a scacchi la sera e cenare insieme. Laurence parlava poco con gli altri aviatori: gli dispiaceva, ma gli sembrava anche insensato farsi avanti senza essere invitato, e tutto sommato era piuttosto soddisfatto della sua attuale condizione. Gli pareva inoltre evidente che anche Rankin era escluso dalla vita comune degli aviatori, forse a causa dei suoi modi ricercati, e visto che con ogni probabilità erano entrambi emarginati per lo stesso motivo, potevano almeno godere della compagnia reciproca. Si incontrava con Berkley tutti i giorni, a colazione e per l'addestramento, e l'altro capitano continuava a sembrargli un aviatore astuto ed esperto, eppure a cena o in compagnia Berkley era silenzioso. Laurence non sapeva se gli sarebbe piaciuta o meno la compagnia dell'altro uomo, né era sicuro
che un eventuale suo invito sarebbe poi stato ben accetto, quindi si limitava a essere educato, e a parlare di argomenti tecnici. Si conoscevano solo da pochi giorni, e non sarebbero mancate le occasioni per conoscere il vero carattere di Berkley. Laurence si era ripromesso di comportarsi in modo adeguato, quando avesse incontrato di nuovo il capitano Harcourt, ma sembrava che lei lo evitasse. La vedeva solo da lontano, benché Temeraire avrebbe volato presto con il suo drago, Lily. Una mattina, però, quando scese per la colazione, lei era seduta al tavolo e, nel tentativo di iniziare una conversazione, Laurence le chiese da dove derivava il nome Lily, supponendo che si trattasse di un soprannome, come per Volly. La donna arrossì e rispose, assai rigidamente, «Mi piaceva quel nome. Posso chiedervi come mai avete chiamato il vostro drago Temeraire?» «A essere sincero, non avevo la minima idea di quale nome potesse essere adatto a un drago, né avevo modo di scoprirlo in quel momento» ammise Laurence, sentendo di aver fatto un passo falso. Nessuno aveva ancora fatto commenti sullo strano nome del suo drago, e solo quando il capitano Harcourt glielo fece notare Laurence si rese conto che forse quella sua prima domanda aveva toccato un tasto per lei dolente. «Gli ho dato il nome di una nave: la prima Temeraire fu sottratta ai francesi, e quella attualmente in servizio è una nave con novantotto cannoni e tre ponti: una delle nostre migliori navi da guerra.» Quella confessione parve rasserenare il capitano Harcourt, che con più candore disse: «Be', visto quanto sei stato sincero, non mi dispiace ammettere che a me è andata più o meno allo stesso modo. L'uovo di Lily non si sarebbe dovuto schiudere per almeno altri cinque anni, e io non avevo ancora pensato a un nome. Quando il guscio si indurì, mi svegliarono nel cuore della notte dalla base di Edimburgo e mi portarono qui a bordo di un Winchester, e riuscii ad arrivare ai bagni un attimo prima che l'uovo si aprisse. Quando lei mi chiese di darle un nome rimasi a bocca aperta, e non mi venne in mente nulla di meglio.» «È un nome affascinante, e le sta benissimo, Catherine» disse Rankin, raggiungendoli al tavolo. «Buongiorno Laurence, hai visto il giornale? Lord Pugh è finalmente riuscito a far sposare sua figlia. Ferrold deve essere proprio in bolletta.» Quel pettegolezzo, che riguardava persone del tutto sconosciute ad Harcourt, la escluse dalla conversazione. Prima che Laurence riuscisse a cambiare argomento, però, la donna si scusò e andò via, e lui perse l'occasione di conoscerla meglio.
I pochi giorni che rimanevano prima del viaggio passarono in fretta. L'addestramento consisteva ancora nel mettere più che altro alla prova le capacità di volo di Temeraire e nello studiare il modo migliore per inserire lui e Maximus nella formazione centrata su Lily. Celeritas gli fece fare un'infinità di giri della vallata, a volte cercando di ridurre i battiti delle ali, altre di aumentare la velocità, ma sempre tenendo i due draghi allineati. Un mattino indimenticabile Temeraire dovette volare quasi sempre a testa in giù, e alla fine Laurence si sentì stordito e paonazzo in volto. Berkley, che era più corpulento, ansimava quando caracollò giù dalla schiena di Maximus, e Laurence balzò a sorreggerlo quando vide che gli cedevano le gambe. Maximus si sporse su Berkley, mormorando preoccupato. «Smettila di lamentarti, Maximus. Non c'è niente di più ridicolo di una creatura grossa come te che fa la chioccia» disse Berkley, lasciandosi cadere sulla sedia che i servitori avevano portato di corsa. «Ah, grazie» disse poi, prendendo il bicchiere di brandy offertogli da Laurence e bevendone un sorso mentre l'altro gli allentava la cravatta. «Mi dispiace avervi sottoposto a un tale sforzo» si scusò Celeritas quando Berkley smise di ansimare e il suo volto perse quel colorito violaceo. «Di solito queste prove sono distribuite nell'arco di due settimane. Forse sto correndo troppo.» «Sciocchezze. Starò bene in un batter d'occhi» rispose subito Berkley. «So fin troppo bene che non possiamo perdere neanche un momento, Celeritas, e non voglio che rallentiate per causa mia.» «Laurence, come mai tanta fretta?» chiese quella sera Temeraire dopo cena, mentre erano seduti di nuovo fuori dalle mura del cortile, a leggere. «Ci sarà presto una grande battaglia alla quale dovremo partecipare?» Laurence chiuse il libro, tenendo il segno con un dito. «No. Mi dispiace doverti deludere, ma è troppo presto perché ci mandino in prima linea. Comunque è molto probabile che Lord Nelson non riuscirà a sconfiggere la flotta francese senza l'aiuto di una delle formazioni di Lunghe Ah che attualmente si trovano in Inghilterra. Sarà nostro dovere sostituirli in patria, in modo che loro possano andare a combattere. Quella sì che sarà una grande battaglia, e anche se noi non parteciperemo direttamente, ti assicuro che il nostro contributo sarà altrettanto importante.» «Non sembra molto eccitante» commentò Temeraire. «Ma se la Francia dovesse invaderci, allora potremo andare a combattere?» Sembrava quasi che lo desiderasse.
«Dobbiamo sperare il contrario» disse Laurence. «Se Nelson distruggerà la loro flotta, questo impedirà a Bonaparte di portare qui il suo esercito. Anche se ho sentito dire che dispone di circa mille vascelli per trasportare i suoi uomini, si tratta comunque di navi da trasporto, e la marina le affonderebbe a decine se cercassero di avvicinarsi senza la difesa della flotta da guerra.» Temeraire sospirò e abbassò la testa sulle zampe anteriori. Laurence rise e gli accarezzò il naso. «Sei davvero assetato di sangue» commentò divertito. «Non temere. Ti prometto che l'azione non mancherà, quando avrai terminato l'addestramento. In primo luogo ci sono parecchie scaramucce sulla Manica, e può darsi che verremo mandati a supporto di un'operazione navale, o forse ci manderanno ad attaccare direttamente la flotta francese.» Temeraire parve molto rinfrancato, e tornò a concentrarsi sul libro con rinnovato entusiasmo. Il venerdì successivo fu dedicato a una prova di resistenza, per stabilire quanto i due draghi riuscivano a restare in volo. I membri più lenti della formazione erano i due Mietitori gialli, quindi Temeraire e Maximus dovettero mantenere la loro velocità per tutta la durata della prova, compiendo interminabili giri della valle, mentre gli altri draghi si esercitavano sopra di loro, controllati da Celeritas. Una pioggia costante confondeva il panorama sottostante in una grigia uniformità, rendendo l'esercizio ancora più noioso. Temeraire girava spesso la testa per domandare, un po' seccato, da quanto erano in volo, e ogni volta Laurence gli rispondeva che non era passato neanche un quarto d'ora dall'ultima volta che lo aveva chiesto. Almeno lui poteva guardare le evoluzioni della formazione, con i colori accesi dei draghi che si stagliavano contro il cielo grigio, mentre al povero Temeraire toccava tenere la testa dritta per mantenere la postura di volo più corretta. Dopo circa tre ore, Maximus cominciò a perdere il passo, le grandi ali battevano più lente e la testa iniziava a cadergli. Berkley lo riportò a terra, e Temeraire rimase a girare da solo. Il resto della formazione scese a spirale per atterrare nel cortile, e Laurence vide i draghi che salutavano Maximus, chinando il capo in segno di rispetto. Da lontano non riusciva a distinguere le parole, ma era chiaro che conversavano tranquillamente tra loro, mentre i capitani si raccoglievano intorno a Celeritas per esaminare la loro prova. Anche Temeraire li vide, e sospirò leggermente, anche se non disse nulla. Laurence si piegò in avanti per accarezzargli il collo, e dentro di sé giurò che gli avrebbe comprato il più bel gioiello di tutta Edimburgo,
anche se avesse dovuto spendere metà del suo capitale. Il mattino seguente Laurence uscì in cortile di buon'ora per salutare Temeraire prima di intraprendere il viaggio. Si fermò non appena fu all'aperto: l'equipaggio di terra si stava occupando di Levitas, e Rankin leggeva un giornale e prestava poca attenzione al procedimento. «Salve, Laurence» lo salutò con gioia il piccolo drago. «Ti presento il mio capitano! Alla fine è tornato, e oggi andremo a Edimburgo.» «Vi siete già conosciuti?» chiese Rankin a Laurence, sollevando lo sguardo. «Allora non esageravi quando hai detto che ti piace la compagnia dei draghi. Spero solo che alla fine non te ne stancherai.» Poi, rivolto a Levitas, disse: «Oggi porterai anche Laurence oltre a me, e dovrai sforzarti per fagli vedere come sai volare.» «Oh, certo, lo prometto» acconsentì subito Levitas, muovendo la testa con entusiasmo. Laurence diede una risposta educata e andò da Temeraire per nascondere la propria confusione. Non sapeva che fare. Non c'era modo di evitare il viaggio senza arrecare una grave offesa a Rankin, ma ormai quella prospettiva lo faceva quasi star male fisicamente. Negli ultimi giorni aveva visto fin troppe prove dell'infelicità e dell'abbandono di Levitas: il drago aspettava con ansia un pilota che non arrivava mai, e se aveva ricevuto delle attenzioni era stato solo perché Laurence aveva chiesto a Hollin e ai suoi compagni alfieri di occuparsi costantemente del piccolo drago e della sua bardatura. Scoprire che il responsabile di quella negligenza era Rankin era stata un'amara delusione, e vedere che Levitas reagiva con tanta gratitudine alla minima attenzione era doloroso. Alla luce di questa nuova rivelazione, i commenti di Rankin sui draghi mostravano una sprezzante alterigia che era solo strana e sgradevole in un aviatore, e il suo distacco dagli altri ufficiali sembrava ora tutt'altro che un segno di distinzione. Tutti gli altri piloti si erano presentati pronunciando anche il nome del drago, solo Rankin aveva dato più importanza al nome della propria famiglia, e Laurence aveva scoperto solo per caso che il suo animale era Levitas. Non aveva dato peso a tutte queste cose, e ora si rendeva conto di aver incoraggiato senza riserve l'amicizia di un uomo che non avrebbe mai potuto rispettare. Accarezzò Temeraire e lo vezzeggiò un po', più che altro per tranquillizzare sé stesso. «C'è qualcosa che non va, Laurence?» gli domandò Temeraire preoccupato, annusandolo gentilmente. «Non sembri in forma.»
«No, sto benissimo, davvero» lo rassicurò lui, sforzandosi di sembrare sincero. «Sei proprio sicuro che non ti dispiaccia se vado?» chiese speranzoso. «Assolutamente no, e poi tornerai per sera, giusto?» ribatté il drago. «Ora che abbiamo terminato Duncan, speravo che potessi leggermi qualcos'altro sulla matematica. È molto interessante quello che mi hai detto su come è possibile, dopo una lunga navigazione, stabilire la propria posizione conoscendo solo l'ora e alcuni calcoli.» Laurence era stato molto contento di lasciarsi indietro la matematica, dopo le difficoltà incontrate per apprendere le basi della trigonometria. «Certo, se ti va» rispose, cercando di nascondere il rammarico. «Ma non preferiresti qualcosa sui draghi cinesi?» «Oh, sì, anche quello sarebbe splendido. Potremmo leggerlo dopo quello di matematica» disse Temeraire. «È bello che ci siano tanti libri e su tanti argomenti diversi.» Se fosse servito a tenere Temeraire impegnato e lontano dalla sua afflizione, Laurence sarebbe stato pronto a rispolverare il suo latino per leggergli i Principia Mathematica in lingua originale, quindi trattenne un altro sospiro di delusione. «Bene, ti lascio nelle mani dell'equipaggio di terra. Vedo che stanno già arrivando.» Hollin era alla testa del gruppo. Il giovane si era occupato della bardatura di Temeraire e di Levitas con tanta buona volontà che Laurence aveva parlato di lui a Celeritas, chiedendogli che fosse assegnato a Temeraire come caposquadra di terra. Quando aveva visto che la sua richiesta era stata approvata si era sentito sollevato, poiché per i ragazzi quel passo doveva essere una promozione importante, e lui non era certo che si potesse realizzare così in fretta. Fece un cenno al ragazzo, «Hollin, saresti così gentile da presentarmi a questi signori?» chiese. Saputi i loro nomi li ripeté mentalmente per memorizzarli, poi li guardò tutti negli occhi e disse con fermezza, «Sono certo che Temeraire non vi creerà difficoltà, e che avrete a cuore il suo benessere mentre fate le sistemazioni necessarie.» Poi, rivolgendosi al drago, «Temeraire, ti prego di non esitare a informare questi uomini se dovessi sentirti a disagio o limitato nei movimenti.» Il caso di Levitas gli aveva dato la prova che, come era piuttosto naturale, certi equipaggi potevano trascurare il drago che veniva loro assegnato se il capitano non era attento. Anche se si fidava dell'impegno di Hollin, Laurence voleva chiarire gli altri membri della squadra che non avrebbe
tollerato alcuna negligenza nei confronti di Temeraire, e purché quegli uomini lo capissero era anche disposto a farsi una reputazione di capitano severo. Forse in confronto ad altri aviatori lo era davvero, ma non avrebbe tralasciato il proprio dovere solo per rendersi più simpatico. In risposta ottenne mormorii di «Molto bene» e «Certo, signore», e riuscì a ignorare le sopracciglia aggrottate e lo scambio di sguardi. «Avanti, allora» disse, congedandoli con un cenno del capo, e con non poca riluttanza si girò per unirsi a Rankin. Non provava più alcun piacere all'idea di quell'escursione. Fu oltremodo sgradevole ritrovarsi accanto a Rankin quando questi aggredì Levitas ordinandogli di piegarsi in una posizione scomoda perché loro potessero salire. Laurence si arrampicò il più in fretta possibile, e fece del suo meglio per sedersi in modo da non gravare troppo sul piccolo drago. Il volo, almeno, fu breve. Levitas era molto veloce, e il paesaggio scorreva sotto di loro a un'incredibile velocità. Laurence fu grato che la stessa velocità rendesse impossibile la conversazione, permettendogli di limitarsi a delle risposte concise quando Rankin gli urlava qualche suo commento. Atterrarono dopo nemmeno due ore dalla partenza, nella grande base cinta da mura che si stendeva sotto l'occhio vigile del castello di Edimburgo. «Resta qui e stai buono. Quando torno non voglio sentirmi dire che hai dato fastidio all'equipaggio di terra» disse Rankin a Levitas in tono brusco, dopo essere sceso. Legò le redini della bardatura attorno a un palo, come se Levitas fosse un cavallo da impastoiare. «Mangerai quando torneremo a Loch Laggan.» «Non voglio disturbare nessuno, e per il cibo posso aspettare, ma ho un po' sete» disse Levitas con un filo di voce. «Ho cercato di volare il più veloce possibile» aggiunse. «E ci sei proprio riuscito, Levitas, e io te ne sono grato. Naturalmente puoi avere da bere» intervenne Laurence. Non avrebbe potuto sopportare oltre. «Ehi, voi» gridò ad alcuni uomini dell'equipaggio di terra che bighellonavano ai bordi dello spiazzo; nessuno di loro si era mosso quando Levitas era atterrato. «Portate subito una tinozza d'acqua fresca, e già che ci siete sistemate la sua bardatura.» Gli uomini sembrarono un po' sorpresi, ma si misero al lavoro sotto lo sguardo severo di Laurence. Rankin non obiettò, anche se, mentre salivano le scale per uscire dalla base e raggiungere le strade della città, disse, «Vedo che ti fai intenerire facilmente dai draghi. Non mi stupisco, poiché è la norma tra gli aviatori, ma devo dirti che ritengo la disciplina molto più ef-
ficace delle smancerie usate di solito. Levitas, per esempio, deve essere sempre pronto per un volo lungo e pericoloso, e per questo è meglio che si abitui a non crearti disagi.» Laurence sentì il peso di quell'imbarazzante situazione: era ospite di Rankin, e quella sera avrebbero fatto insieme il viaggio di ritorno. Eppure non riuscì a trattenersi dal dire, «Non negherò di provare sentimenti di affetto verso i draghi in generale, poiché nella mia esperienza li ho sempre trovati affascinanti e degni di rispetto. Devo però dissentire quando dici che dedicare loro delle ragionevoli attenzioni equivalga a viziarli, e ho sempre constatato che le avversità e gli stenti vengono sopportati meglio da uomini che non hanno mai dovuto subirli senza motivo.» «Certo, ma sai anche tu che i draghi non sono uomini. In ogni caso non ho intenzione di litigare con te per questo» disse Rankin, sereno. E invece questo atteggiamento fece infuriare Laurence ancora di più. Se Rankin avesse provato a difendere il suo punto di vista, avrebbe dimostrato almeno che la sua filosofia era sincera, anche se sbagliata. Ma evidentemente non era così: Rankin si preoccupava solo della propria tranquillità, e quelle risposte erano state solo un tentativo di trovare delle scuse alla sua negligenza. Per fortuna erano arrivati all'incrocio al quale si dovevano separare. Laurence non era più costretto a sopportare la compagnia di Rankin, poiché questi doveva recarsi negli uffici militari della città. Avevano concordato di incontrarsi alla base, prima della partenza, e Laurence fu felice di allontanarsi. Vagò per la città per un'ora senza scopo o direzione, soltanto per calmarsi e schiarirsi la mente. Non c'era modo di migliorare la situazione di Levitas, e Rankin era chiaramente abituato all'altrui disapprovazione. A Laurence tornò in mente il silenzio di Berkley, il palese disagio di Harcourt, il modo in cui gli altri aviatori evitavano quell'uomo, e la disapprovazione di Celeritas. Fu per lui spiacevole pensare che mostrando tanta simpatia nei confronti di Rankin aveva mostrato di approvare il suo comportamento. Adesso sì che meritava davvero gli sguardi gelidi degli altri ufficiali. E non aveva senso dire che non lo sapeva: avrebbe dovuto capirlo. Anziché sforzarsi di imparare i modi dei suoi nuovi compagni d'arme, aveva scelto la compagnia dell'unico che evitavano e guardavano di traverso. E non poteva certo addurre come motivo di scusa il fatto che non aveva tenuto conto del loro giudizio. Alla fine si calmò, ma non fu facile. Capì che non poteva rimediare fa-
cilmente al danno che aveva causato a sé stesso in pochi giorni di sconsideratezza, ma poteva e voleva cambiare il suo comportamento per i giorni a venire. Mettendo davanti a tutto la propria dedizione a Temeraire, che comunque per lui era un atto dovuto, avrebbe dato prova di non condividere la negligenza e di non volerla praticare. Mostrando gentilezza e attenzione ai suoi compagni di addestramento, come Berkley e gli altri capitani della formazione, avrebbe reso chiaro che non si riteneva superiore a loro. Questi piccoli accorgimenti avrebbero richiesto parecchio tempo per rimediare alla sua pessima reputazione, ma non poteva fare altro. Si sarebbe dedicato subito a quel nuovo intento, pronto a resistere finché la situazione non si fosse sistemata. Avendo finalmente smesso di compatire e biasimare sé stesso, cercò di orientarsi e si diresse verso la Royal Bank. I suoi banchieri, a Londra, erano i Drummond, ma sapendo che sarebbe stato assegnato a Loch Laggan, Laurence aveva scritto al suo agente, dandogli istruzioni di mandare alla Royal Bank i fondi derivati dalla conquista dell'Amitié. Non appena si presentò, vide che le istruzioni erano state seguite a dovere. Fu subito accolto con particolare calore e accompagnato in un ufficio privato. Il banchiere, Donnellson, fu felice di informarlo che il bottino derivante dalla presa dell'Amitié includeva anche il premio per Temeraire, pari al valore di un uovo della stessa razza non schiuso. «Non è stato semplice stabilire una cifra, mi è parso di capire, dato che non sappiamo quanto lo avessero pagato i francesi, ma alla fine lo hanno valutato quanto un uovo di Ramato reale. E sono lieto di comunicarvi che i vostri due ottavi del bottino corrispondono a circa quattordicimila sterline» concluse l'uomo, lasciando Laurence senza parole. Dopo essersi ripreso grazie a un eccellente bicchiere di brandy, Laurence capì subito che dietro quella straordinaria fortuna dovevano esserci gli sforzi egoistici dell'ammiraglio Croft. Ma non obiettò, e dopo un breve colloquio in cui diede disposizioni per investire metà del denaro nei fondi del regno, strinse la mano a Donnellson con entusiasmo e se ne andò, portando con sé alcune banconote e dell'oro, oltre a una lettera gentilmente offerta dalla banca da mostrare ai mercanti in caso gli fosse servito del credito. Quelle notizie lo avevano rimesso di buonumore, e si rallegrò ulteriormente comprando parecchi libri ed esaminando numerosi gioielli di valore, immaginando la contentezza di Temeraire per quei regali. Alla fine scelse un grande ciondolo di platino simile a un pettorale, tempestato di zaffiri intorno a una grande perla. L'oggetto era progettato per
essere legato al collo del drago con una catena regolabile per i vari momenti della crescita. Il prezzo gli tolse il respiro, ma firmò comunque l'assegno e attese mentre un ragazzo andava in banca per verificare la sua possibilità di pagare l'importo; poi prese il gioiello ben confezionato e lo portò via, con qualche difficoltà per via del peso piuttosto considerevole. Da lì tornò direttamente alla base, anche se mancava ancora un'ora all'appuntamento. Levitas stava steso da solo, nella polvere dello spiazzo di atterraggio, con la coda avvolta intorno a sé. C'era un piccolo recinto di pecore, nella base, e Laurence ordinò che ne uccidessero una e la portassero al drago, poi si sedette con lui a chiacchierare in attesa di Rankin. Il viaggio di ritornò fu un po' più lento, e Rankin rimproverò Levitas quando atterrarono. Senza preoccuparsi di sembrare maleducato, Laurence li interruppe lodando e accarezzando Levitas. Non servì a granché, comunque, e lui si sentì triste quando vide il piccolo drago raggomitolarsi in silenzio in uno degli angoli del cortile, dopo che Rankin fu entrato nell'edificio. L'aviazione aveva assegnato Levitas a Rankin: Laurence non aveva l'autorità per richiamare quell'uomo, che aveva anche un'anzianità di servizio maggiore della sua. La nuova bardatura di Temeraire era ben assemblata e sistemata su due panche a lato del cortile, e sull'ampio collare era inciso il nome del drago con rivetti argentati. Anche Temeraire era seduto lì fuori, e guardava la silenziosa vallata lacustre che svaniva sempre più nell'oscurità man mano che il sole del tardo pomeriggio scendeva a ovest. Il suo sguardo era pensieroso e un po' triste. Laurence andò subito da lui, portando con sé i pacchi pesanti. La gioia che Temeraire provò nel vedere il ciondolo fu tale da rimetterli entrambi di buonumore. Il metallo argentato era abbagliante contro la sua pelle nera; dopo averlo indossato, Temeraire sollevò il pettorale con una delle zampe anteriori e guardò l'enorme perla con grande soddisfazione, le pupille dilatate al massi mo per esaminarla meglio. «Mi piacciono tantissimo le perle, Laurence» disse, carezzandolo col muso. «È bellissimo. Ti sarà costato una fortuna.» «Vedere che ti sta tanto bene mi ripaga di ogni penny che ho speso» disse Laurence. «È arrivato il premio per la Amitié, per cui non ho problemi di denaro, amico mio. Anzi, posso dire che è merito tuo, dal momento che gran parte della mia ricchezza deriva dalla ricompensa per aver sottratto il tuo uovo ai francesi.» «Be', non è stata certo opera mia, anche se sono molto contento che sia
successo» commentò Temeraire. «Sono certo che nessun capitano francese mi sarebbe piaciuto quanto te. Oh, Laurence, sono così felice, e nessuno degli altri draghi ha un oggetto così bello.» Gli si acciambellò intorno con un profondo sospiro di soddisfazione. Laurence si arrampicò nell'incavo di una delle zampe anteriori e rimase lì seduto ad accarezzare il drago, godendosi la sua gioia serena per quel regalo. Naturalmente, se la nave non avesse subito quei ritardi permettendogli così di conquistarla, Temeraire sarebbe finito con qualche aviatore francese. Laurence non ci aveva quasi mai pensato. Con ogni probabilità quell'uomo stava maledicendo la propria sfortuna, e di certo i francesi dovevano ormai sapere che l'uovo era stato catturato, anche se magari ignoravano che conteneva un Imperiale e che l'animale era stato bardato con successo. Temeraire era ancora intento a rimirare il suo regalo, e a quella vista Laurence sentì svanire la preoccupazione e il dolore. Qualsiasi cosa gli riservasse il futuro, non si poteva lamentare del proprio destino, se paragonato a quello del povero aviatore francese. «Ti ho portato anche qualche libro» disse. «Vuoi che iniziamo da Newton? Ho trovato una traduzione del suo testo sui principi della matematica, anche se devo avvertirti che è molto improbabile che io riesca a dare un senso a quello che ti leggerò. Non ne so molto di matematica, a parte quello che i miei istruttori sono riusciti a ficcarmi in testa perché potessi navigare.» «Leggi pure» rispose Temerarie, distogliendo per un momento lo sguardo dal suo nuovo tesoro. «Sono certo che insieme riusciremo a capirlo, di qualsiasi cosa si tratti.» 7 Laurence si alzò di buon mattino e fece colazione da solo, per avere un po' di tempo prima dell'addestramento. La sera prima aveva esaminato con attenzione la nuova bardatura, ispezionando ciascuna maglia e controllando gli anelli. Temeraire gli aveva anche assicurato che la nuova attrezzatura era comodissima, e che gli uomini dell'equipaggio lo avevano trattato bene. Si sentì in debito verso di loro e, dopo aver fatto mentalmente alcuni calcoli, si diresse alle officine. Hollin si era già alzato ed era al lavoro nella sua postazione. Non appena vide Laurence si fece avanti. «Buongiorno a voi, signore. Mi auguro che non ci siano problemi con la bardatura» esordì il ragazzo.
«No, al contrario, sono molto soddisfatto di te e dei tuoi compagni» commentò Laurence. «È splendida, e anche Temeraire ne è molto soddisfatto, grazie. Sii così gentile da riferire agli altri che farò aggiungere mezza corona alla paga di tutti voi.» «È davvero molto gentile da parte vostra, signore» lo ringraziò Hollin, contento ma non troppo sorpreso. Laurence fu molto soddisfatto nel vedere la sua reazione. Una razione extra di rum o di grog non sarebbe certo stata una buona ricompensa per uomini che potevano facilmente comprare liquori dal villaggio più vicino, e inoltre i soldati e gli aviatori erano meglio pagati dei marinai, per cui si era chiesto quale potesse essere un compenso adeguato. Voleva premiare la loro diligenza senza dare l'impressione di voler comprare i loro favori. «Vorrei anche fare i complimenti a te in particolare» aggiunse Laurence, pacatamente. «La bardatura di Levitas ha un aspetto decisamente migliore, e sembra che anche lui stia meglio. Ti sono riconoscente, so che non era compito tuo.» «Oh, non c'è di che» rispose Hollin con un ampio sorriso. «Quella bestiola era così felice che sono stato proprio contento di aiutarla. Gli darò un'occhiata di tanto in tanto per assicurarmi che stia sempre bene. Dà l'impressione di sentirsi un po' solo» aggiunse. Laurence non poteva certo criticare un altro ufficiale davanti a un ragazzino, per cui si limitò a dire, «Sono certo che ti è stato riconoscente per l'attenzione, e se vuoi andarlo a trovare quando hai tempo, te ne sarei grato.» Non c'era più tempo per preoccuparsi di Levitas o di qualsiasi altra cosa diversa dai suoi doveri più urgenti. Celeritas aveva raggiunto una soddisfacente comprensione delle capacità di volo di Temeraire e, ora che il drago aveva l'attrezzatura nuova, il loro addestramento procedeva con solerzia ancora maggiore. Laurence andava a letto subito dopo cena, sfinito, e doveva farsi chiamare dai servitori per riuscire a svegliarsi alle prime ore del mattino. Riusciva a malapena a mettere insieme due parole a tavola, e passava tutto il tempo libero a sonnecchiare sotto il sole con Temeraire o immerso nel calore delle terme. Celeritas era duro e instancabile. Gli faceva ripetere all'infinito le giravolte e i voli in picchiata, poi le simulazioni di bombardamento alla massima velocità, durante le quali i piloti facevano pratica lanciando ordigni ai bersagli nella vallata. C'erano poi lunghe ore di addestramento con l'artiglieria, finché Temeraire si abituò a sentire dietro di sé la scarica di otto
fucili senza battere ciglio. Le prove con l'equipaggio erano così numerose che durante le manovre e le esercitazioni il drago restava del tutto indifferente quando gli uomini gli salivano sopra o gli spostavano la bardatura. E, a conclusione di ogni giornata di lavoro, c'era un'altra lunga serie di prove di resistenza, e tra infiniti giri della vallata Temeraire riuscì a raddoppiare il tempo in cui poteva rimanere in volo alla massima velocità. Anche quando Temeraire si sdraiava ansimante nel cortile per riposarsi, l'addestratore capo continuava ad allenare Laurence, facendolo arrampicare sulla schiena del drago e su degli anelli fissati alla parete rocciosa per migliorare le sue abilità in un esercizio che gli altri aviatori avevano praticato fin dalla più tenera età. Non era molto diverso dallo stare in cima all'albero di una nave nel mezzo di una tempesta, anche se era difficile immaginare un'imbarcazione che, viaggiando a più di quaranta chilometri orari, potesse ruotare su sé stessa o capovolgersi a suo piacimento. Nei primi giorni Laurence perse più volte l'appiglio, e senza i doppi moschettoni sarebbe caduto da altezze letali almeno una dozzina di volte. Non appena finiva l'addestramento di volo giornaliero, venivano presi in consegna da un capitano anziano, Joulson, per esercitarsi con le comunicazioni aeree. La segnaletica era simile a quella della marina, con le stesse regole fondamentali. Laurence non ebbe grosse difficoltà, ma il bisogno di coordinare in fretta il volo rapido di diversi draghi sospesi in aria rendeva impraticabile la tecnica di pronunciare a voce i messaggi più insoliti. Di conseguenza nell'aviazione c'erano molti tipi di segnali, alcuni dei quali richiedevano anche sei bandiere, e lui e Temeraire dovettero memorizzarli tutti, dato che un capitano non poteva affidarsi soltanto al suo ufficiale di segnalazione. Una comunicazione lanciata o ricevuta anche solo un attimo prima poteva fare molta differenza, per cui sia il drago che il capitano dovevano conoscere tutti i segnali. L'ufficiale di segnalazione fungeva più che altro da supporto. Il suo compito, durante le battaglie, era mandare segnali a Laurence e richiamare la sua attenzione sui nuovi messaggi, non tradurre tutte le comunicazioni. Con imbarazzo di Laurence, Temeraire imparò i segnali più in fretta di lui. Anche Joulson rimase piuttosto sorpreso dall'abilità dell'animale. «E li ha anche studiati più tardi rispetto agli altri draghi» disse a Laurence. «Di solito iniziamo a insegnare i segnali già dal giorno dopo la schiusa. Non l'ho voluto dire prima, per non scoraggiarlo, ma temevo che avrebbe avuto dei problemi. Se un cucciolo di drago è un po' lento e non impara i segnali entro la quinta o la sesta settimana di vita, avrà difficoltà ad apprendere gli
ultimi. Temeraire ha da tempo superato quell'età, e li sta imparando come se fosse appena uscito dall'uovo.» Ma per quanto il drago non avesse grandi difficoltà, imparare a memoria e ripetere di continuo era stancante come qualsiasi sforzo fisico. Trascorsero così cinque settimane di duro lavoro, senza pause, nemmeno la domenica. Laurence e Temeraire si fecero strada insieme a Maximus e Berkley tra le complesse manovre che dovevano imparare prima di potersi unire alla formazione, e durante tutto questo tempo i draghi continuavano a crescere. Alla fine, Maximus aveva quasi raggiunto le sue dimensioni definitive; Temeraire era di poco più basso, meno di due metri, anche se era molto più magro, e la sua crescita interessava piuttosto la massa muscolare e l'estensione delle ali piuttosto che l'altezza. Il suo corpo mostrava delle meravigliose proporzioni: la coda era lunga e aggraziata, le ali aderivano bene al corpo quando erano chiuse e, una volta dispiegate, la loro lunghezza era perfetta per il volo. I suoi colori si erano fatti più intensi, la pelle nera era diventata dura e lucida, tranne che sul naso, e i segni blu e grigi ai bordi delle ali erano più diffusi e si erano fatti opalescenti. Secondo Laurence, per quanto potesse essere poco obiettivo, Temeraire era il drago più bello di tutta la base, anche senza tener conto della grande perla che riluceva sul suo petto. Gli impegni costanti, insieme alla rapida crescita, avevano offuscato l'infelicità del drago, almeno temporaneamente. Era diventato il più grande di tutti, a parte Maximus; persino Lily era più piccola di lui, sebbene avesse una maggiore apertura alare. Anche se Temeraire non si imponeva sugli altri animali e non veniva nutrito per primo, Laurence si accorse che la maggior parte degli altri draghi gli cedeva spontaneamente il posto quando si trattava di mangiare. Temeraire non aveva ancora fatto amicizia con nessuno, ma sembrava troppo occupato per soffrirne, proprio come Laurence con gli altri aviatori. Per lo più, erano uno la sola compagnia dell'altro: si separavano solo quando dovevano dormire o mangiare, e Laurence non sentiva il bisogno di altre amicizie. Anzi, era contento di avere la scusa dell'addestramento per evitare quasi del tutto Rankin. Quando era obbligato a parlare con lui gli rispondeva con distacco, e sentiva che in questo modo aveva impedito che il loro rapporto diventasse più intimo, sperando al contempo di riuscire ad azzerarlo del tutto. La conoscenza di Maximus e Berkley, al contrario, andava facendosi sempre più profonda, e così lui e Temeraire non rimanevano del tutto esclusi dai loro compagni, anche se il drago continuava a dormire all'esterno invece che nel cortile con gli altri.
Nel frattempo era stato assegnato un equipaggio di terra a Temeraire: oltre a Hollin come caposquadra, c'erano Pratt e Bell, rispettivamente armatore e conciapelli, e Calloway come artigliere. Questo era l'equipaggio tipico per la maggior parte dei draghi, ma poiché Temeraire continuava a crescere, ai membri della sua squadra vennero assegnati, seppur con riluttanza, degli assistenti. Prima uno, poi due per ogni compito, fino a che Temeraire si ritrovò ad avere una squadra numerosa quasi quanto quella di Maximus. Il capo bardatore si chiamava Fellowes, uomo silenzioso ma affidabile, con circa dieci anni di esperienza alle spalle, molto abile nell'arruolare uomini al di fuori dell'aviazione. Riuscì a fornire a Laurence otto bardatori. Erano tutti necessari perché Laurence voleva che a Temeraire fosse tolta l'attrezzatura ogni volta che era possibile. A parte coloro che erano addetti al lavoro pesante, il resto dell'equipaggio di Temeraire era composto da ufficiali di buona famiglia; e persino gli stessi manovali erano al livello dei suoi sottufficiali di un tempo. Era strano per Laurence, abituato a dover comandare per lo più uomini rozzi e inesperti. Nell'aviazione non c'era alcun bisogno di quella disciplina brutale, non aveva senso né utilità percuotere o spaventare i membri dell'equipaggio, per loro la punizione peggiore era venir messi da parte. Laurence non poteva negare di preferire questo metodo, anche se si sentiva tristemente sleale a dover ammettere, seppur solo a sé stesso, che la marina aveva i suoi difetti. Come immaginava, i suoi ufficiali erano uomini di valore, proprio come nelle sue esperienze passate. La metà dei suoi fucilieri erano dei cadetti che a malapena sapevano come tenere il fucile, ma sembravano volonterosi e imparavano in fretta: Collin era troppo impaziente ma aveva una buona mira, e se Donnell e Durine erano meno precisi a sparare, sapevano comunque ricaricare in fretta. Non si poteva dire lo stesso del loro tenente, Riggs: irascibile ed emotivo, aveva la tendenza a urlare con rabbia per ogni minimo errore. Lui sapeva sparare molto bene, ed era bravo anche negli altri compiti relativi al suo ruolo, ma Laurence avrebbe preferito che fosse un uomo più equilibrato a dirigere gli altri. Ma in quel campo la scelta non spettava a lui: Riggs aveva anzianità e aveva servito con valore, per cui si meritava la sua posizione, che lo rendeva superiore a molti ufficiali ai quali Laurence stesso aveva dovuto obbedire in marina. Restavano ancora da stabilire gli ufficiali anziani, le sentinelle e l'equipaggio aereo permanente, gli uomini che si sarebbero sistemati sotto il ventre o sopra la schiena di Temeraire, responsabili della gestione dell'e-
quipaggiamento del drago durante il volo. Alla maggior parte dei giovani ufficiali della base non ancora assegnati sarebbe stata data la possibilità di salire a bordo di Temeraire durante il suo addestramento prima delle nomine finali. Celeritas aveva spiegato che questo era un modo comunemente usato per permettere agli aviatori di provare il maggior numero di draghi possibile, dato che le tecniche di guida variavano molto da specie a specie. Martin aveva fatto bene il proprio lavoro, e Laurence sperava di potergli garantire un posto fisso. Anche molti altri giovani promettenti si erano raccomandati a lui. L'unica questione che lo preoccupava davvero era la scelta del primo tenente. Era stato molto deluso dai primi tre candidati che gli erano stati assegnati: erano tutti idonei al ruolo, ma nessuno gli aveva dato l'impressione di essere davvero dotato, ma Laurence era molto esigente quando si trattava del bene di Temeraire, si preoccupava più del drago che di sé stesso. Purtroppo, dopo quei tre uomini gli fu assegnato Granby, e anche se il tenente eseguiva gli ordini alla perfezione, si rivolgeva a Laurence chiamandolo 'signore' e sottolineando ogni volta la propria obbedienza: un comportamento palesemente diverso da quello degli altri ufficiali, che metteva tutti a disagio. Laurence non poteva fare a meno di pensare con rimpianto a Tom Riley. A parte questo, però, si sentiva soddisfatto, anche se era sempre più ansioso di terminare le esercitazioni. Per fortuna Celeritas aveva decretato che sia Temeraire sia Maximus erano quasi pronti per unirsi alla formazione. Restavano da padroneggiare soltanto le manovre più complesse, quelle a testa in giù. Un mattino sereno i due draghi stavano eseguendo proprio una picchiata, quando Temeraire annunciò: «C'è Volly, laggiù, viene verso di noi.» E Laurence, sollevando la testa, vide una piccola macchia grigia sfrecciare verso la base. Volly raggiunse subito la vallata e atterrò nel cortile, violando le regole della base durante una sessione di addestramento, e il capitano James scese per andare a parlare con Celeritas. Interessato, Temeraire si raddrizzò e si fermò a mezz'aria a guardare, facendo sobbalzare tutto l'equipaggio tranne Laurence, ormai abituato a quel movimento. Maximus proseguì ancora un po', poi, accortosi di essere rimasto solo, si girò e tornò indietro nonostante le furenti proteste di Berkely. «Secondo te di cosa si tratta?» chiese Maximus con voce tonante. Dato che era incapace di stare sospeso in volo, era costretto a volere in cerchio senza sosta.
«Ascolta, grosso stupido, se è una cosa che ti riguarda lo verrai senz'altro a sapere» intervenne Berkley. «Ora ti dispiace tornare alle manovre?» «Non so, forse possiamo chiederlo a Volly» rispose poi Temeraire. «E non ha senso continuare a fare questi esercizi; ormai conosciamo già tutte le manovre» aggiunse. Aveva parlato con una tale caparbietà che Laurence si accigliò. Si sporse in avanti, ma prima che potesse parlare, Celeritas li chiamò con insistenza. «C'è stata una battaglia aerea nel mare del Nord, al largo di Aberdeen» disse senza parafrasare, mentre stavano ancora atterrando. «Molti draghi della base di Edimburgo hanno risposto ai segnali di allarme provenienti dalla città. Anche se sono riusciti a respingere l'attacco francese, Victoriatus è rimasto ferito. È molto debole e ha difficoltà a restare in aria: voi due siete grandi abbastanza per aiutarlo a rientrare. Volatilus e il capitano James vi condurranno da lui: partirete immediatamente.» Volly si mise a capo del gruppo e volò via a una velocità impressionante, lasciandosi ben presto gli altri due alle spalle e rimanendo appena al limite del loro campo visivo. Maximus, inoltre, non riusciva a stare dietro nemmeno a Temeraire per cui, usando le bandiere e i megafoni, Berkley e Laurence concordarono che Temeraire sarebbe stato davanti e l'equipaggio avrebbe comunicato a Maximus la direzione. Preso questo accordo, Temeraire scattò subito in avanti, andando, secondo Laurence, un po' troppo veloce. Non ci avrebbe messo molto ad arrivare ad Aberdeen, a quell'andatura. La città distava circa centottanta chilometri e i draghi gli sarebbero andati incontro, riducendo ulteriormente la distanza. Avrebbero poi dovuto ripercorrere il tragitto per riportare Victoriatus alla base e, anche se volavano sulla terraferma e non sul mare, non si sarebbero potuti fermare per una sosta, non potendo scendere a terra con il drago ferito. Era necessario rallentare. Laurence guardò il cronometro attaccato alla bardatura di Temeraire, aspettò che scattasse la lancetta dei minuti, poi cominciò a contare i battiti d'ali. Venticinque nodi: troppo veloce. «Più piano, se non ti dispiace, Temeraire» gridò. «Ci aspetta un bel po' di lavoro.» «Non sono affatto stanco» rispose il drago, ma scese comunque alla velocità di quindici nodi: una buona andatura, che poteva tenere quasi all'infinito. «Fate venire qui Granby» ordinò Laurence. Poco dopo il tenente si arrampicò accanto a lui, alla base del collo di Temeraire, scambiando rapidamente i moschettoni mentre si spostava. «Secondo la vostra stima, qual
è la massima velocità alla quale sta volando il drago ferito» gli chiese Laurence. Per una volta, Granby non rispose con fredda formalità, ma in modo ponderato. «Victoriatus è un Parnassiano» disse. «Di dimensioni mediograndi, più pesante di un Mietitre. A Edimburgo non hanno draghi da combattimento pesante, per cui gli altri che lo stanno sorreggendo devono essere di stazza media: di sicuro non stanno andando a più di trentacinque chilometri l'ora.» Laurence fece mentalmente la conversione da chilometri a nodi, poi annuì: Temeraire stava andando almeno al doppio di quella velocità. Considerata la rapidità con cui Volly avrebbe riferito il messaggio, restavano ancora tre ore prima di poter avvistare l'altro gruppo. «Molto bene. Ci conviene sfruttare il tempo che abbiamo. Fate scambiare di posto gli uomini sulla schiena e quelli sotto il ventre, per farli esercitare, poi credo che proveremo un po' di artiglieria.» Lui si sentiva calmo e tranquillo, ma riusciva a percepire l'eccitazione del drago, evidenziata da deboli contrazioni del collo. Questa era la prima vera azione di Temeraire, e Laurence lo accarezzò dolcemente. Si spostò scambiando i moschettoni, e si girò a osservare le manovre che aveva ordinato. In sequenza, gli uomini cambiavano posto due alla volta, uno per ogni fianco, in modo da bilanciarsi l'un con l'altro. Non appena quello che era risalito sulla schiena si fu agganciato, diede uno strattone alla cinghia di segnalazione, bianca e nera, facendola avanzare di uno scatto. Un momento dopo la cinghia si mosse ancora, indicando che anche l'uomo in basso si era agganciato. Tutto andava per il meglio: Temeraire stava trasportando tre uomini sulla schiena e tre sotto il ventre, e la manovra complessiva richiese meno di cinque minuti. «Alien» scattò Laurence, richiamando una delle vedette: era un alfiere più anziano, che presto sarebbe stato promosso, e che stava trascurando il suo compito di controllare gli altri uomini al lavoro. «Potete dirmi cosa vedete in alto a nordovest? No, non giratevi a guardare. Dovete rispondermi nel momento in cui ve lo chiedo. Parlerò con il vostro istruttore, e ora tornate al lavoro.» Gli artiglieri presero posizione, e Laurence fece cenno a Granby di dare gli ordini. Gli uomini sulla schiena cominciarono a lanciare i piatti di porcellana usati per il tiro a segno, e i fucilieri fecero a turno e cercarono di colpirli. Laurence rimase a guardare, poi si fece cupo in volto. «Granby, Riggs, ho contato dodici centri su venti. Siete d'accordo? Signori, spero
non sia necessario dirvi che questo risultato non sarà sufficiente contro i cecchini francesi. Ricominciamo, stavolta più lentamente: prima di tutto la precisione, poi la velocità, Collins, quindi la prego di non essere così affrettato.» Li fece continuare per un'altra ora intera, poi ordinò ai manovali di esercitarsi con le complicate sistemazioni della bardatura adatta per il volo durante una tempesta. Infine scese a controllare gli uomini mentre ripristinavano l'assetto per il volo in condizioni climatiche migliori. Non avevano le tende a bordo, per cui non poté farli esercitare con l'equipaggiamento completo ma, a giudicare dalla loro destrezza, pensò che non avrebbero avuto difficoltà nemmeno con il resto dell'attrezzatura. Di tanto in tanto, Temeraire si guardava intorno con occhi vivaci per controllare le manovre; per la maggior parte del tempo, però, rimase concentrato sul volo, salendo e scendendo di quota per sfruttare le correnti migliori, spingendosi in avanti con grandi battiti d'ala e utilizzando al massimo ogni spinta. Laurence appoggiò le mani sui muscoli lunghi e fibrosi del collo del drago, sentendo che si muovevano fluidi come olio sotto la pelle, e non volle distrarlo parlandogli, non ce n'era bisogno. Anche senza parole, sapeva che Temeraire era contento di poter finalmente mettere in pratica le faticose esercitazioni dell'addestramento. Solo adesso che si trovava di nuovo impegnato in una vera e propria missione, Laurence si rese conto di quanto lo aveva frustrato quel declassamento da ufficiale ad apprendista. Il cronometro indicava che le tre ore erano quasi trascorse, ed era giunto il momento di preparare il supporto per il drago ferito. Maximus era a circa mezz'ora dietro di loro, e Temeraire avrebbe dovuto trasportare Victoriatus da solo fino a quando il Ramato reale non li avesse raggiunti. «Granby,» chiamò Laurence mentre si rimetteva in posizione alla base del collo «faccia sgombrare la schiena e sistemi tutti gli uomini di sotto, tranne i segnalatori e le vedette.» «Molto bene, signore» rispose Granby annuendo, e subito si accinse a eseguire gli ordini. Laurence lo osservò lavorare con un misto di fastidio e soddisfazione. Per la prima volta nelle ultime settimane, Granby stava svolgendo il suo dovere senza alcun risentimento, e Laurence ne percepiva i risultati: la velocità di quasi tutte le operazioni era aumentata; miriadi di imperfezioni nella sistemazione della bardatura e dell'equipaggio, impercettibili ai suoi occhi inesperti, ora erano state corrette; l'atmosfera tra gli uomini era più rilassata. Erano proprio questi i modi in cui un buon primo
tenente poteva migliorare la vita dell'equipaggio, e Granby si stava dimostrando degno di quel ruolo, anche se questo rendeva il suo atteggiamento di prima ancor più riprovevole. Volatilus si girò e tornò verso di loro poco dopo che ebbero finito di liberare la schiena. James lo spinse in avanti e mise le mani a coppa per gridare a Laurence. «Li ho avvistati, sono due gradi a nord e tre più in basso. Dovrete scendere e raggiungerli da sotto, non credo che potranno salire più in alto di così.» Mentre parlava faceva dei gesti per indicare i numeri. «Molto bene» rispose Laurence attraverso una delle cornette, mentre un segnalatore sventolava le bandiere in segno di conferma. Temeraire ora era troppo grande perché Volly si potesse avvicinare abbastanza per poter comunicare solo a parole. Dopo un rapido segnale del suo capitano, Temeraire si lanciò in picchiata, e subito Laurence vide un puntino all'orizzonte allargarsi in una formazione di draghi. Individuò subito Victoriatus, molto più grande dei due Mietitori gialli che cercavano di sostenerlo. Anche se alle ferite erano già stati applicati degli spessi bendaggi, il sangue era filtrato mostrando gli squarci nei punti in cui il drago doveva essere stato colpito dalle bestie nemiche. Gli artigli del Parnassiano erano insolitamente grandi, e macchiati a loro volta di sangue, così come le sue fauci. I draghi sotto di lui erano sovraffollati, mentre a bordo di Victoriatus c'era solo il capitano e forse una mezza dozzina di uomini. «Date il segnale ai due draghi di supporto: che si preparino a farsi da parte» ordinò Laurence; il giovane segnalatore sventolò le bandiere colorate in rapida sequenza, ricevendo subito la conferma. Temeraire aveva già fatto il giro del gruppo portandosi nella posizione corretta, sotto il secondo drago di supporto, un po' arretrato. «Temeraire, sei pronto?» gridò Laurence. Avevano provato la manovra durante l'addestramento, ma eseguirla ora sarebbe stato diverso: il drago ferito batteva a malapena le ali, e i suoi occhi erano mezzi chiusi per lo sfinimento e il dolore. Anche i due Mietitori di supporto erano palesemente esausti. Si sarebbero dovuti fare da parte molto lentamente e Temeraire, al contrario, doveva inserirsi alla svelta, per evitare che Victoriatus precipitasse verso il basso, impossibile da fermare per via del peso. «Sì, sbrighiamoci, sembrano molto stanchi» gli rispose Temeraire, guardando verso di lui. I suoi forti muscoli erano contratti e pronti, e si era allineato con l'andatura degli altri due draghi: non aveva senso aspettare ancora.
«Segnalate: scambio di posizioni al segnale del drago di testa» annunciò Laurence e il suo messaggio fu confermato dalle segnalazioni degli altri due draghi di supporto. Poi le due bandiere rosse sui fianchi del primo animale furono sostituite da quelle verdi. Il secondo drago si abbassò e si fece da parte non appena Temeraire scattò in avanti. Il primo però fu un po' troppo lento, le sue ali mancarono dei colpi e Victoriatus iniziò a piegarsi in avanti mentre il Mietitore cercava di abbassarsi per fare spazio. «Scendi, dannazione, scendi!» ruggì Laurence con tutto il fiato che aveva nei polmoni. La coda del drago più piccolo si dimenava troppo vicino al volto di Temeraire, impedendogli di mettersi in posizione. Il Mietitore rinunciò a eseguire qualsiasi manovra e si limitò a chiudere le ali: cadde nel vuoto come un sasso. «Temeraire, devi sollevarlo un po' per poterti avvicinare» gridò di nuovo Laurence, piegato sul collo del suo drago. I quarti posteriori di Victoriatus poggiavano sulle spalle di Temeraire anziché molto più indietro, e l'enorme ventre era a meno di un metro, a malapena sostenuto dalla forza sempre più ridotta dell'animale ferito. Con un cenno del capo Temeraire segnalò di aver capito: si spostò ad angolo, spingendo il Parnassiano in alto con la sua grande forza, poi ritrasse di colpo le ali. Fu una caduta breve e repentina, poi il drago dispiegò nuovamente le ali. Con un'unica spinta si posizionò correttamente, e Victoriatus ricadde di nuovo su di lui. Laurence si sentì sollevato, poi Temeraire gridò per il dolore. Laurence si girò e vide con orrore che Victoriatus, confuso e agonizzante, stava artigliando Temeraire, squarciandogli un fianco e una spalla. Più in alto, sentì le urla ovattate dell'altro capitano. Victoriatus si fermò, ma Temeraire stava già sanguinando, e parti della bardatura recisa penzolavano e battevano nel vento. Stavano perdendo rapidamente quota. Temeraire lottava per continuare a volare sotto il peso dell'altro drago. Laurence armeggiò con i moschettoni, gridando al segnalatore di informare gli uomini di sotto. Il ragazzo scese lungo la cinghia del collo, agitando la bandiera bianca e rossa. Un istante dopo, Laurence fu grato di vedere Granby che risaliva con altri due uomini per bendare i tagli, raggiungendo le parti ferite il più in fretta possibile. Accarezzò Temeraire, rassicurandolo e sforzandosi di tenere la voce ferma. Il drago non sprecò energie per girarsi a rispondere, ma continuò a battere coraggiosamente le ali, anche se la testa gli penzolava per lo sforzo. «Non sono profonde» urlò Granby dalla sua posizione vicino agli squar-
ci, e Laurence poté finalmente riprendere fiato e ricominciare a pensare con lucidità. La bardatura stava scivolando dalla schiena di Temeraire; oltre a una grande quantità di cordame poco utile, anche le cinghie principali delle spalle erano state quasi recise, ed erano tenute insieme solo dai cavi al loro interno. Il cuoio però stava per aprirsi in due, e a quel punto le corde si sarebbero spezzate sotto il peso degli uomini e dell'attrezzatura. «Toglietevi tutti le bardature e datele a me» ordinò Laurence al segnalatore e alle vedette. Oltre a lui, i tre ragazzi erano gli unici rimasti di sopra. «Stringetevi bene alla bardatura principale e infilateci sotto le braccia o le gambe.» Il cuoio del loro equipaggiamento era spesso, ben cucito e oliato, forte quasi quanto la bardatura del drago stesso. Laurence si sistemò le tre attrezzature sul braccio e, arrampicandosi lungo la cinghia posteriore, raggiunse la parte più ampia delle spalle. Granby e i due alfieri, che stavano ancora lavorando alle ferite sul fianco di Temeraire, gli lanciarono un'occhiata stupita, e lui capì che non riuscivano a vedere i danni alla bardatura del drago, nascosti com'erano dalle zampe anteriori. In ogni modo non aveva tempo di chiedere che lo aiutassero: le fasce erano ormai sul punto di lacerarsi. Non poteva muoversi normalmente: se avesse cercato di portare il peso su uno degli anelli delle spalle, quello si sarebbe di sicuro spezzato all'istante. Lavorando più in fretta possibile, intralciato da un vento fortissimo, agganciò due parti con un moschettone a due delle tre bardature che aveva con sé, poi le legò con un cappio alla cinghia posteriore. «Temeraire, cerca di restare in orizzontale» gridò. Poi, aggrappandosi alle estremità delle due bardature, sganciò i moschettoni e si arrampicò con cautela sulla spalla, avendo come unico appiglio la mano che stringeva il cuoio. Granby gli stava gridando qualcosa, ma il vento era troppo forte e lui non riuscì a distinguere le parole. Cercò di mantenere gli occhi fissi sulle cinghie; il terreno sotto di loro era splendido, di un verde primaverile e rilassante: erano abbastanza bassi da riuscire a vedere le pecore, simili a puntini bianchi. Era ormai a distanza di braccio dalle lesioni nella bardatura. Con una mano un po' tremante, agganciò il primo moschettone della terza attrezzatura che aveva con sé sull'anello appena sopra al taglio, e il secondo sull'anello immediatamente sotto. Tirò le cinghie il più possibile sfruttando il proprio peso mentre le braccia gli dolevano e tremavano come se avesse la febbre alta. Centimetro dopo centimetro, strinse la bardatura, fino a che lo spazio tra i moschettoni non fu grande quanto il taglio e ne sostenne tutto lo sforzo. Il cuoio smise di lacerarsi.
Sollevò lo sguardo: Granby si stava lentamente arrampicando verso di lui, facendo scattare gli anelli man mano che si avvicinava. Ora che la bardatura era sistemata, lo strappo non era più un pericolo immediato, per cui Laurence non lo mandò via, ma disse «Chiamate Mr. Fellowes, il capo bardatura», per poi indicare la parte strappata. Granby sgranò gli occhi quando raggiunse la zampa anteriore e vide la cinghia spezzata. Non appena si voltò verso il basso per chiedere aiuto, la chiara luce del sole gli illuminò il viso: sopra di loro, Victoriatus stava tremando, le ali si muovevano convulsamente, e il petto del Parnassiano si abbatté con forza sulla schiena di Temeraire, che barcollò a mezz'aria, piegandosi di lato sotto il colpo. Laurence iniziò a scivolare sulle cinghie collegate tra loro, mentre il paesaggio roteava sotto di lui e le mani, stanche e sudate, non gli permettevano di mantenere la presa. «Laurence, tieni duro!» gridò Temeraire, girando la testa per guardarlo. I suoi muscoli e le articolazioni delle ali si tesero, e il drago si preparò ad afferrare il suo capitano nel caso fosse caduto. «Devi continuare a sorreggerlo» ordinò Laurence, terrorizzato. Temeraire non avrebbe potuto salvare lui senza lasciar cadere Victoriatus dalla schiena, condannandolo a morte certa. «Temeraire, non farlo!» «Laurence!» urlò di nuovo Temeraire, flettendo gli artigli e scuotendo la testa in segno di rifiuto, con gli occhi sgranati pieni d'angoscia. Laurence capì che non gli avrebbe obbedito e lottò per tenersi attaccato alle cinghie di cuoio, cercando di risalire. Se fosse caduto, oltre a lui avrebbero perso la vita anche il drago ferito e i membri del suo equipaggio ancora a bordo. Granby lo raggiunse all'improvviso, e afferrò con entrambe le mani la sua bardatura. «Agganciatevi a me» disse, e Laurence capì subito cosa voleva fare. Con una mano ancora stretta alla cinghia riparata, agganciò un moschettone agli anelli sul petto del tenente, poi si aggrappò alla sua bardatura. A quel punto furono raggiunti dai cadetti, e all'improvviso molte mani strinsero Laurence e Granby, aiutandoli a risalire lungo la bardatura del drago, e tenendo fermo Laurence mentre sistemava i moschettoni negli anelli giusti. Il capitano respirava ancora a fatica, ma prese l'altoparlante e disse subito, «Va tutto bene.» La sua voce era appena percepibile. Fece un bel respiro e riprovò, stavolta più chiaramente. «Sto bene, Temeraire. Continua a volare.» I muscoli tesi sotto di loro si sciolsero lentamente, e il drago continuò a battere le ali, riprendendo quota. Tutto il processo era durato all'incirca quindici minuti; Laurence tremava come se fosse rimasto sul ponte
per tre giorni durante una tempesta e il cuore gli batteva all'impazzata. Granby e i cadetti non avevano un aspetto molto migliore. «Ottimo lavoro, signori» disse Laurence, non appena riuscì a parlare con voce ferma. «Lasciamo a Fellowes lo spazio per lavorare. Granby, siate così gentile da mandare qualcuno dal capitano di Victoriatus per vedere se possiamo essere di qualche aiuto. Dobbiamo prendere tutte le precauzioni possibili per evitare ulteriori sobbalzi del Parnassiano.» Lo guardarono per un istante, rimanendo a bocca aperta; Granby fu il primo a tornare in sé, e iniziò a impartire gli ordini necessari. Quando Laurence raggiunse la propria posizione alla base del collo del drago, i cadetti stavano bendando gli artigli di Victoriatus per impedirgli di ferire ancora Temeraire. In lontananza, Maximus stava arrivando ad aiutarli. Il resto del volo fu tranquillo, se si può considerare tale il compito di sostenere in volo il peso di un drago quasi svenuto. Non appena ebbero fatto atterrare Victoriatus sano e salvo nel cortile, i medici accorsero per visitare lui e Temeraire. Con grande sollievo di Laurence le ferite si dimostrarono davvero poco profonde: i chirurghi le pulirono, le esaminarono e, dopo averle giudicate non gravi, le coprirono con una pezza per evitare che si infettassero. Temeraire fu lasciato in libertà e Laurence ricevette istruzioni di permettergli di dormire e mangiare quanto voleva per una settimana. Non era stato il modo migliore per guadagnarsi qualche giorno di vacanza, ma quella tregua fu più che ben accetta. Laurence accompagnò subito Temeraire in una radura vicino alla base, non volendolo sottoporre di nuovo allo sforzo di un volo. Pur essendo in cima alla montagna, lo spiazzo era piuttosto pianeggiante, e ricoperto di soffice erba verde. Era rivolto a sud, scaldato dal sole per quasi tutto il giorno. Dormirono lì fino alla sera successiva, Laurence steso sulla tiepida schiena del drago, fino a quando furono svegliati dalla fame. «Mi sento molto meglio. Sono certo di poter cacciare da solo» disse Temeraire, ma Laurence non ne volle sapere. Andò a piedi fino alla base e chiamò l'equipaggio di terra: in pochi minuti presero del bestiame dai recinti e lo macellarono. Temeraire mangiò fino all'ultimo boccone, poi tornò subito a dormire. Con qualche perplessità, Laurence chiese a Hollin di fare in modo che qualcuno portasse del cibo anche a lui; si sentì a disagio, perché era stato come chiedere al giovane di servirlo personalmente, ma non se la sentiva di lasciare Temeraire da solo. Hollin non parve offendersi ma, quando tornò, con lui c'erano anche Granby, Riggs e un altro paio di
tenenti. «Dovreste andare a mangiare qualcosa di caldo, farvi un bagno e dormire nel vostro letto» disse Granby con calma, dopo aver invitato gli altri ad allontanarsi con un cenno. «Siete coperto di sangue, e il clima non è ancora abbastanza clemente per dormire all'aperto senza rischiare di ammalarsi. Io e gli altri ufficiali faremo a turno per stare con Temeraire e, se dovesse svegliarsi o se dovesse succedere qualcosa, vi avviseremo subito.» Laurence batté le palpebre e si guardò: non aveva nemmeno notato che i suoi abiti erano macchiati dagli schizzi del sangue quasi nero del drago. Si passò una mano sul volto non rasato: stava senza dubbio offrendo al mondo un'orribile immagine di sé stesso. Alzò lo sguardo verso Temeraire, perso nel sonno più profondo, con i fianchi che si alzavano e si abbassavano in un respiro regolare e sommesso. «Sono d'accordo» decise Laurence. «Molto bene, e grazie» aggiunse. Granby annuì. Dopo aver dato un'ultima occhiata al drago, Laurence si diresse al castello. Ora che glielo avevano fatto notare, sentiva sul proprio corpo la sensazione sgradevole dello sporco e del sudore. Il lusso di potersi fare il bagno tutti i giorni lo rendeva ancor più sensibile a quel lezzo. Si fermò nella sua stanza solo per indossare degli abiti puliti, poi si recò ai bagni. Era passata da poco dopo l'ora di cena, e molti ufficiali avevano l'abitudine di lavarsi a quell'ora. Dopo un rapido tuffo nella piscina, Laurence si accorse che la sauna era affollata. Ma non appena entrò, molti compagni gli fecero posto, e lui accettò volentieri quella cortesia, restituendo i cenni di saluto prima di sdraiarsi. Era talmente stanco che solo dopo aver chiuso gli occhi nel piacevole calore si rese conto dell'insolita e grande attenzione che gli era stata rivolta. La sorpresa lo fece quasi balzare a sedere. «Ottimo volo, capitano. Ottimo volo» commentò Celeritas con approvazione quella sera, quando Laurence, in ritardo, andò a fare rapporto. «No, non scusatevi per avere fatto tardi. Il tenente Granby mi ha fornito un resoconto preliminare, e con il rapporto del capitano Berkley ho un quadro ben preciso di quanto è accaduto. Preferiamo che un capitano si preoccupi più del proprio drago che della nostra burocrazia. Mi auguro che Temeraire stia bene.» «Sì, signore, grazie» rispose Laurence. «I medici mi hanno detto che non c'è motivo di allarmarsi, e lui dice di sentirsi abbastanza bene. Avete qualche compito da assegnarmi durante il suo periodo di riposo?» «Solo quello di tenerlo occupato. Potrebbe essere più complesso di
quanto pensiate» disse Celeritas, con uno sbuffo che era il suo equivalente di una risata. «Be', non è del tutto vero: un compito per voi ce l'avrei. Quando Temeraire si sarà rimesso, voi due e Maximus vi unirete subito alla formazione di Lily. Dalla guerra arrivano solo brutte notizie, e l'ultima è la peggiore di tutte: Villeneuve e la sua flotta sono usciti da Toloun coperti da un attacco aereo contro la flotta di Nelson, e ne abbiamo perduto le tracce. Date le circostanze, e considerando la settimana che abbiamo perduto, non possiamo attendere oltre. È quindi il momento di stabilire il vostro equipaggio di volo, e gradirei sentire le vostre richieste. Valutate gli uomini che vi hanno affiancato in queste settimane, e domani ne discuteremo insieme.» Immerso nei suoi pensieri, Laurence tornò alla radura portando con sé una coperta. Aveva chiesto che gli fosse montata una tenda. Pensò che sarebbe stato comodo, accanto a Temeraire, e preferiva quella soluzione all'idea di trascorrere tutta la notte lontano. Il drago stava ancora dormendo placidamente, e la carne intorno alle parti bendate non scottava più. Rasserenato da quell'esame, Laurence disse, «Vorrei parlarvi un momento, Granby», e si allontanò con il tenente. «Celeritas mi ha chiesto di scegliere l'equipaggio» annunciò, con lo sguardo fisso sull'altro uomo, che divenne rosso in volto e abbassò lo sguardo. Laurence proseguì, «Non voglio mettervi nella posizione di rifiutare un incarico. Non so che conseguenze avrebbe nell'aviazione, ma in marina sarebbe una grave onta per la vostra reputazione. Se avete anche la minima rimostranza, ditelo con franchezza, e la cosa finirà qui.» «Signore» esordì Granby, poi tacque di colpo, con aria mortificata: aveva usato quel termine molto spesso con malcelata insolenza. Riprese da capo. «Capitano, sono consapevole di non aver fatto molto per meritare tanta considerazione. Posso solo dire che se siete disposto a passare sopra ai miei comportamenti passati, sarò lieto di ricevere una simile opportunità.» Il discorso suonò un po' ampolloso, come se lo stesse recitando. Laurence annuì, soddisfatto. Se non fosse stato per il bene di Temeraire, non era sicuro che sarebbe riuscito a esporsi in quel modo con un uomo che aveva usato un comportamento tanto irriverente, nonostante gli ultimi avvenimenti. Ma il valore di Granby era così palese che Laurence aveva deciso di correre il rischio. La risposta lo aveva convinto, semplice e rispettosa, anche se pronunciata con un po' d'imbarazzo. «Molto bene» si limitò a concludere. Avevano appena ripreso a camminare, quando Granby disse all'improv-
viso. «Oh, dannazione. Forse non sono capace di trovare le parole giuste, ma non posso esimermi dal dirvi quanto sono dispiaciuto. So di essermi comportato da idiota.» Laurence fu sorpreso dalla sua franchezza, ma non dispiaciuto, e non avrebbe mai potuto rifiutare una scusa presentata con tale sincerità. «Sono molto felice di accettare le vostre scuse» disse, a voce bassa ma con calore. «Da parte mia, è tutto dimenticato, ve lo assicuro, e spero che d'ora in avanti potremo essere commilitoni migliori.» Si fermarono per stringersi la mano. Granby sembrava contento e sollevato, e quando Laurence gli chiese con cautela il suo parere per la scelta degli altri ufficiali, il tenente rispose con grande entusiasmo mentre insieme tornavano al fianco di Temeraire. 8 Ancora prima che gli togliessero le bende, Temeraire iniziò a lamentarsi perché voleva fare il bagno. Alla fine della settimana i tagli avevano fatto la crosta e stavano guarendo, e i medici, seppur con riluttanza, diedero la loro approvazione. Dopo aver riunito quelli che considerava già i propri alfieri, Laurence andò in cortile per comunicarlo al drago, e lo trovò che parlava con la femmina di Lunghe Ali a capo della formazione alla quale si sarebbero uniti. «Ti fa male quando spruzzi?» chiedeva con curiosità. Laurence vide che Temeraire stava esaminando le sporgenze ossee forate ai lati della mandibola, da dove veniva schizzato l'acido. «No, non sento nulla» rispose Lily. «Lo spruzzo esce solo se tengo la testa bassa, e quindi non posso colpirmi da sola. Naturalmente voi dovete fare tutti molta attenzione a evitarlo quando siamo in formazione.» Le enormi ali erano ripiegate contro la schiena, marroni con le pieghe blu e arancione chiaro che si sovrapponevano tra loro e i bordi bianchi e neri risaltavano sui fianchi. Le pupille erano verticali, come quelle di Temerarie, ma erano di un giallo-arancione, e le protuberanze ossee ai lati della mascella le conferivano un aspetto molto selvaggio. Eppure la femmina di drago rimase perfettamente immobile mentre l'equipaggio di terra si muoveva su di lei, pulendo e lucidando ogni centimetro della bardatura con estrema attenzione. Il capitano Harcourt camminava avanti e indietro intorno a lei, supervisionando i lavori. Lily guardò Laurence quando questi si portò al fianco di Temeraire. Gli
occhi inquieti davano al suo sguardo un che di malvagio, ma Lily era solo curiosa. «Tu sei il capitano di Temeraire? Catherine, perché non andiamo al lago con loro? Non sono sicura di voler entrare in acqua, ma mi piacerebbe vedere.» «Al lago?» chiese il capitano Harcourt. La proposta l'aveva distratta dall'ispezione della bardatura, e si girò verso Laurence con evidente stupore. «Sì, porto Temeraire a fare il bagno» rispose Laurence con fermezza. «Hollin, montate la bardatura leggera, per favore, e cercate di agganciarla in modo che le cinghie non tocchino i tagli.» Hollin stava pulendo la bardatura di Levitas, appena tornato dal pasto. «Vai insieme a loro?» chiese a Levitas. «In tal caso, signore, forse non occorrerà mettere la bardatura a Temeraire» aggiunse, rivolto a Laurence. «Oh, mi piacerebbe» rispose il piccolo drago, guardando speranzoso Laurence come per chiedergli il permesso. «Grazie, Levitas» acconsentì lui. «È un'ottima soluzione. Signori, andrete a bordo di Levitas» disse agli alfieri. Da tempo aveva rinunciato a rivolgersi a Roland in un altro modo. La ragazza si sentiva parte del gruppo, per cui era facile trattarla come gli altri. «Temeraire, vuoi che vada con loro o mi porti tu?» «Ti porto io, naturalmente» rispose il drago. Laurence annuì. «Hollin, avete altri impegni? Il vostro aiuto sarebbe prezioso e Levitas non avrà problemi a trasportare anche voi se io vado con Temeraire.» «Ne sarei felice, signore, ma non ho l'attrezzatura» rispose Holin, osservando Levitas con interesse. «Non sono mai salito su un drago. Voglio dire, tranne che per le operazioni di terra. Ma credo che potrei mettere insieme una sorta di bardatura usando i ricambi, se mi concedete un momento.» Mentre Hollin allestiva la propria attrezzatura, Maximus arrivò nel cortile facendo tremare il terreno al suo atterraggio. «Sei pronto?» domandò a Temeraire, compiaciuto. A bordo c'erano Berkley e un paio di cadetti. «Ha piagnucolato così tanto per partecipare che alla fine ho ceduto» disse Berkley in risposta allo sguardo divertito e interrogativo di Laurence. «Se lo vuoi sapere, credo sia una follia. Draghi che fanno il bagno, che assurdità.» Diede una piccola pacca sulla spalla di Maximus, smentendo le proprie parole. «Veniamo anche noi» intervenne Lily, facendo salire Catherine sulla
schiena. Lei e il suo capitano ne avevano parlato in disparte, mentre il resto del gruppo si riuniva. Con delicatezza Temeraire sollevò Laurence che, nonostante gli enormi artigli, non era affatto preoccupato e si sentiva perfettamente a suo agio nella stretta: poteva sedersi nel palmo e sentirsi al sicuro come in una gabbia di ferro. Raggiunta la spiaggia, solo Temeraire si immerse subito e iniziò a nuotare. Maximus provò a entrare in acqua, ma si fermò dove riusciva a toccare, mentre Lily rimase sulla spiaggia a guardare, annusando l'acqua ma restandone fuori. Levitas, come sempre, esitò un momento a riva, poi si tuffò di colpo, alzando grandi spruzzi e sbattendo forte le ali, con gli occhi ben chiusi fino a quando non raggiunse acque più profonde e prese a sguazzare con entusiasmo. «Dobbiamo tuffarci insieme a loro?» chiese in tono un po' preoccupato uno dei cadetti di Berkley. «No, non pensarci nemmeno» rispose Laurence. «L'acqua di questo lago viene dai ghiacciai di montagna, e ci congeleremmo in un istante. Ma la nuotata li ripulirà dalla sporcizia e dal sangue del pasto, semplificandovi il lavoro.» «Hm» grugnì Lily, sentendo queste parole, e lentamente strisciò in acqua. «Sei sicura, mia cara, che non sia troppo fredda per te?» le gridò Harcourt. «Non ho mai sentito di un drago con il raffreddore... credo che sia impossibile, no?» domandò rivolta a Laurence e Berkley. «Il freddo serve solo a svegliarli. A meno che non sia eccessivo, non li disturba» rispose Berkley, poi alzò la voce fino a urlare. «Maximus, brutto codardo, tuffati una volta per tutte. Non ho intenzione di stare qui tutto il giorno.» «Non ho paura» rispose Maximus indignato, e si lanciò in acqua, sollevando un'onda enorme che travolse Levitas e colpì anche Temeraire. Il piccolo drago riemerse sputacchiando, Temeraire sbuffò poi infilò la testa sott'acqua per spruzzare Maximus. Un istante dopo i due avevano intrapreso una battaglia che trasformò il lago nell'Atlantico durante una tempesta. Levitas uscì dall'acqua svolazzando e facendo cadere gocce gelide sugli aviatori in spiaggia. Hollin e gli alfieri iniziarono ad asciugarlo, e l'animale disse, «Oh, quanto mi piace nuotare. Grazie per avermi permesso di venire anche questa volta.» «Non vedo perché tu non possa farlo ogni volta che vuoi» ribatté Laurence, lanciando un'occhiata a Berkley e a Harcourt per osservare la loro
reazione. Nessuno dei due parve contrariato, non sembrava reputassero eccessiva questa sua intromissione nel rapporto tra Levitas e il suo pilota. Lily si era allontanata abbastanza dalla sponda per potersi immergere quasi del tutto, per quanto glielo permettesse la sua forma slanciata che la rendeva perfetta per il galleggiamento. Si tenne alla larga dai due giovani draghi che giocavano, e si grattò la pelle con un lato della testa. Lasciò il lago subito dopo Levitas, più interessata all'igiene che alla nuotata, e mugugnò di piacere quando il capitano Harcourt e gli alfieri presero a pulire le zone rimaste sporche che lei di volta in volta indicava. Infine anche Maximus e Temeraire ne ebbero a sufficienza e uscirono per farsi strofinare. Maximus richiese tutti gli sforzi di Berkley e di due cadetti adulti. Mentre si occupava della pelle delicata del volto di Temeraire, con gli alfieri che pulivano la schiena, Laurence non poté fare a meno di sorridere per come Berkley continuava a lamentarsi della stazza del suo drago. Si fermò, allontanandosi un attimo da Temeraire per godersi la scena: il suo drago stava parlando con gran naturalezza insieme agli altri tre, aveva gli occhi accesi e la testa fiera e dritta, senza più tracce di insicurezza, e anche se quello strano tipo di compagnia eterogenea era qualcosa che un tempo Laurence non avrebbe mai cercato, il semplice spirito di cameratismo gli riscaldò il cuore. Era consapevole di aver dimostrato il proprio valore e di aver aiutato Temeraire a fare lo stesso, ma soprattutto era contento di aver trovato un luogo degno e adatto a entrambi. Il divertimento durò fino a quando tornarono alla base. Rankin li aspettava a un lato del cortile, con indosso l'abito da sera, e si batteva le cinghie della bardatura contro una gamba, palesemente irritato. Levitas atterrò e fece un saltello, allarmato. «Come ti è venuto in mente di andartene via in questo modo?» gli chiese Rankin, senza nemmeno aspettare che scendessero Hollin e gli alfieri. «A meno che tu non vada a mangiare, devi restare sempre qui ad aspettare, hai capito? E a voi chi ha dato il permesso di salire a bordo del mio drago?» «Levitas è stato così gentile da trasportarli per farmi un favore, capitano Rankin» disse Laurence, scendendo dalla zampa di Temeraire e usando un tono di voce duro per distogliere l'attenzione dell'uomo da Levitas. «Siamo solo andati al lago, un segnale sarebbe stato sufficiente a farci tornare subito qui.» «Non voglio correre dietro ai segnalatori per avere il mio drago a dispo-
sizione, capitano Laurence, e vi sarò grato se penserete alla vostra bestia e lascerete che io mi occupi della mia» rispose Rankin con grande freddezza. «Ora sarai tutto bagnato» aggiunse, rivolto a Levitas. «No, no. Sono sicuro di essere quasi asciutto, non sono rimasto in acqua a lungo, lo giuro» rispose il drago, facendosi ancora più piccolo. «Me lo auguro» disse Rankin. «Piegati, svelto. E voialtri farete meglio a stargli alla larga, d'ora in avanti» disse agli alfieri mentre prendeva il loro posto, facendo quasi cadere Hollin con una spallata. Laurence restò a guardare Levitas che si allontanava con Rankin sulla schiena. Berkley e il capitano Harcourt rimasero in silenzio, e lo stesso fecero i draghi. Lily girò di colpo la testa e per la rabbia emise uno spruzzo d'acido. Uscirono solo poche gocce, ma sfrigolarono e fumarono sulla pietra, lasciando dei segni scuri. «Lily!» esclamò il capitano Harcourt, anche se c'era un certo sollievo nella sua voce per la possibilità di spezzare quel silenzio. «Per favore, Peck, porta un po' d'olio» disse a uno dei suoi uomini di terra, scendendo dalla schiena del drago. Lo versò abbondante sulle gocce d'acido fino a che il fumo non smise di salire. «Ecco, copritelo con della sabbia e domani lo potrete lavare senza rischi.» Anche Laurence fu grato per quella piccola distrazione, non si sentiva pronto a parlare. Temeraire lo toccò gentilmente col muso, e gli alfieri lo guardarono preoccupati. «Non avrei mai dovuto fare quella proposta, signore» disse Hollin. «Mi sento in colpa nei confronti vostri e del capitano Rankin.» «Niente affatto, Hollin» replicò Laurence. Si accorse di aver parlato con voce fredda e dura, e cercò di attenuare quell'effetto aggiungendo, «Non avete fatto niente di male.» «Non vedo perché dovremmo stare lontani da Levitas» intervenne Roland, a voce bassa. Laurence non esitò neppure un istante a rispondere; la reazione fu forte e immediata proprio come la rabbia che provava verso Rankin. «Un ufficiale vostro superiore vi ha ordinato di farlo, Miss Roland, e se questo motivo non vi pare sufficiente allora siete nel servizio sbagliato» sbottò. «Non voglio mai più sentire un commento del genere. Portate subito questi teli alla lavanderia, se non vi dispiace. Signori, vogliate scusarmi» aggiunse, rivolto agli altri. «Farò una passeggiata prima di cena.» Temeraire era troppo grande per riuscire a seguirlo senza farsi scoprire, per cui si alzò in volo e andò ad aspettarlo nella prima piccola radura lungo
il sentiero. Laurence aveva deciso di restare solo, ma fu molto felice di sistemarsi tra le zampe anteriori del drago e appoggiarsi al suo corpo tiepido, ascoltando il battito quasi musicale del suo cuore e il risuonare del suo respiro. La rabbia sbollì, ma fu sostituita dalla tristezza. Avrebbe tanto voluto urlare contro Rankin. «Non capisco come Levitas possa sopportare certe cose. Per quanto piccolo, è comunque molto più grande di Rankin» esordì infine Temeraire. «Tu perché sopporti quando ti chiedo di indossare la bardatura o di eseguire delle manovre pericolose?» gli chiese Laurence. «È il suo dovere, ed è abituato così. Fin dalla schiusa è stato educato a obbedire, subendo questo trattamento. Probabilmente non riesce a immaginare nessuna alternativa.» «Ma vede te, e gli altri capitani. Nessun altro drago viene trattato così» protestò Temeraire. Artigliò il terreno, scavando dei solchi profondi. «Io non ti obbedisco per abitudine o perché non so pensare con la mia testa. Lo faccio perché so che lo meriti. Non mi tratteresti mai male, e non mi chiederesti di fare qualcosa di pericoloso o sgradevole senza motivo.» «No, non senza motivo» convenne Laurence. «Ma il nostro servizio è duro, amico mio, e certe volte dobbiamo essere pronti a sostenere un fardello pesante.» Esitò un momento, poi aggiunse, «Mi ero ripromesso di parlarti di una cosa, Temeraire: devi promettermi che in futuro non anteporrai la mia vita a quella degli altri. Ti rendi senz'altro conto che Victoriatus è molto più prezioso per l'aviazione di quanto possa esserlo io, per non parlare del suo equipaggio. Non avresti mai dovuto mettere a repentaglio le loro vite per salvare la mia.» Temeraire si acciambellò ancora di più intorno a lui. «No, Laurence, non ti posso promettere una cosa del genere» disse. «Mi dispiace, ma non ti mentirò: non ti avrei lasciato cadere. Tu puoi anche ritenere le loro vite più preziose della tua, ma io no, perché per me tu vali molto più di tutti loro. Non potrei obbedirti in una situazione come quella, e per quanto riguarda il senso del dovere, più ne sento parlare e meno mi piace.» Laurence non sapeva come rispondere. Era commosso dal valore attribuitogli da Temeraire, ma anche preoccupato all'idea che il drago potesse disobbedire a un ordine se non lo reputava sensato. Laurence si fidava della capacità di giudizio dell'Imperiale cinese, ma sentiva di non essersi speso abbastanza per insegnargli il giusto valore della disciplina e del dovere. «Vorrei essere in grado di spiegartelo nel modo giusto» disse, cominciando a disperare. «Magari cercherò dei libri sull'argomento.»
«Magari» ripeté Temeraire, per la prima volta non entusiasta riguardo alla lettura. «Ma credo che niente potrebbe convincermi a comportarmi diversamente. In ogni caso, preferirei che non accadesse mai più una cosa simile. È stato davvero spaventoso, e temevo di non riuscire a prenderti.» Laurence si concesse un sorriso. «Su questo almeno siamo d'accordo, e sono felice di prometterti che farò del mio meglio perché non si ripeta più.» Roland andò a chiamarlo di corsa il mattino dopo; ancora una volta Laurence aveva dormito nella piccola tenda accanto a Temeraire. «Celeritas vuole vedervi, signore» disse la ragazza. Laurence indossò cravatta e cappotto e Roland lo seguì verso il quartier generale. Temeraire gli rivolse un mormorio assonnato di saluto, aprendo a malapena un occhio prima di rimettersi a dormire. Mentre camminavano, la ragazza domandò, «Capitano, siete ancora arrabbiato con me?» «Cosa?» disse lui perplesso. Poi si ricordò, e rispose, «No, Roland, non lo sono più, ma spero che tu abbia capito perché sbagliavi a parlare in quel modo.» «Sì» disse Roland, e Laurence si sforzò di ignorare il tono un po' dubbioso. «Non ho parlato con Levitas, ma non ho potuto fare a meno di notare che non ha un bell'aspetto, stamattina.» Quando entrarono nel cortile, Laurence lanciò un'occhiata al piccolo Winchester. Levitas era raggomitolato in un angolo, lontano dagli altri draghi, e nonostante l'ora non stava dormendo, ma fissava il terreno con occhi vacui. Laurence distolse lo sguardo: non poteva farci niente. «Puoi andare, Roland» disse Celeritas, quando la ragazza gli ebbe portato Laurence. «Capitano, mi duole avervi svegliato così presto. Per prima cosa, credete che Temeraire sia pronto a riprendere l'addestramento?» «Penso di sì, signore. Sta guarendo molto in fretta, e ieri ha volato fino al lago e poi di nuovo qui senza difficoltà» rispose Laurence. «Bene, bene.» Celeritas rimase in silenzio, poi sospirò. «Capitano, sono costretto a ordinarvi di non interferire più con Levitas» sentenziò. Laurence si sentì avvampare in volto. E così Rankin si era lamentato. Eppure era proprio quello che si meritava: lui stesso non avrebbe tollerato un comportamento tanto invadente nella conduzione della sua nave, o nella gestione di Temeraire. Era dalla parte del torto, quali che fossero i suoi motivi, e la rabbia si trasformò in vergogna. «Signore, mi dispiace avervi messo nella posizione di dirmi una cosa del genere. Vi assicuro che non
capiterà mai più.» Celeritas sbuffò. Dopo averlo rimproverato, non volle calcare la mano. «Non promettetemi nulla, l'opinione che ho di voi scadrebbe molto se pensaste davvero quelle cose» disse. «È una situazione alquanto fastidiosa, e io ne ho colpa come tutti gli altri. Quando io stesso non riuscii più a tollerare quell'uomo, il comando aereo pensò di utilizzarlo come corriere, e gli assegnò un Winchester. Per il bene di suo nonno non volli mettermi contro questa decisione, anche se sapevo che era sbagliata.» Rassicurato dall'addolcirsi dei toni, Laurence fu curioso di sapere cosa aveva inteso Celeritas quando aveva detto di non tollerare più Rankin. Di sicuro il comando aereo non avrebbe mai assegnato un uomo del genere a un drago straordinario come il capoaddestratore. «Conoscevate bene suo nonno?» chiese, non potendo fare a meno di rivolgergli quella domanda. «Fu il mio primo capitano, e ho prestato servizio anche con suo figlio» rispose secco Celeritas, girandosi e abbassando la testa. «Avevo delle belle speranze per quel ragazzo, ma sua madre insistette affinché non venisse addestrato qui, e la sua famiglia gli ha inculcato delle strane idee. Non sarebbe mai dovuto diventare un aviatore, men che mai un capitano. Ma ormai lo è, e resterà tale finché Levitas continuerà a ubbidirgli. Non posso permettere che vi intromettiate. Sapete bene cosa succederebbe se permettessimo agli ufficiali di interferire con le bestie altrui: i tenenti che sognano di diventare capitani difficilmente resisterebbero alla tentazione di sedurre un drago non del tutto felice, e si scatenerebbe il caos.» Laurence chinò il capo. «Comprendo perfettamente, signore.» «In ogni modo, vi fornirò delle questioni più urgenti di cui occuparvi: oggi inizieremo il vostro inserimento nella formazione di Lily» annunciò Celeritas. «Vi prego di andare a prendere Temeraire, gli altri saranno qui tra poco.» Laurence si allontanò pensieroso. Naturalmente sapeva che le razze più grandi vivevano più a lungo dei loro piloti, a meno che non venissero uccisi insieme in battaglia, ma non aveva mai pensato che per questo i draghi rimanessero senza un compagno, né si era chiesto come il comando aereo ovviasse a questa situazione. Era nell'interesse dell'Inghilterra fare in modo che ogni drago fosse sempre in servizio, con un nuovo pilota, ma gli sembrava ovvio anche che l'animale sarebbe stato più felice, con impegni che lo tenessero occupato, lontano dal dolore che Celeritas ancora provava. Tornato di nuovo alla radura, Laurence guardò preoccupato Temeraire che dormiva. Avevano ancora molti anni da trascorrere insieme, e le sorti
della guerra non consentivano di fare alcuna previsione, ma la felicità futura del drago era sotto la sua responsabilità, assai più importante per lui di qualsiasi possedimento terriero, e prima o poi avrebbe dovuto adottare delle misure per assicurarsi che Temeraire stesse sempre bene. Un primo tenente ben scelto, per esempio, poteva prendere il suo posto, se il drago si fosse abituato all'idea nel corso degli anni. «Temeraire» lo chiamò, accarezzandogli il naso. La bestia aprì gli occhi e mormorò debolmente, «Sono sveglio. Andiamo a volare, oggi?» chiese, facendo un enorme sbadiglio con la testa alzata verso il cielo e sbattendo lievemente le ali. «Sì, amico mio» rispose Laurence. «Vieni, dobbiamo metterti la bardatura. Sono sicuro che Mr. Hollin l'ha già preparata.» La formazione normalmente volava in un cuneo che ricordava uno stormo di anatre migranti, con Lily in testa. I Mietitori gialli, Messoria e Immortalis, coprivano le posizioni laterali per difendere Lily da attacchi ravvicinati, mentre le retrovie erano occupate da Dulcia, una femmina di Ramato grigio e quindi più piccola ma più agile, e da un Pascal blu di nome Nitidus. Erano tutti draghi adulti, e tranne Lily, avevano già avuto esperienze di combattimento. Erano stati scelti per la formazione proprio per dare supporto alla giovane e inesperta Lunghe Ali: i loro capitani e i loro equipaggi erano particolarmente fieri delle loro abilità. Laurence fu grato degli interminabili sforzi e degli esercizi ripetuti nell'ultimo mese e mezzo. Se non avessero fatto tanta pratica fino a far diventare le manovre automatiche per Temeraire e Maximus, non sarebbero mai riusciti a stare al passo con le acrobazie che gli altri eseguivano con la massima naturalezza. I due draghi più grandi erano stati aggiunti in modo da formare una coda dietro Lily, chiudendo la formazione in un triangolo. In battaglia il loro compito sarebbe stato quello di respingere i tentativi di dividere lo stormo, di difenderlo dagli attacchi di altri draghi pesanti e di portare i carichi di bombe che gli uomini avrebbero sganciato sui bersagli già indeboliti dall'acido di Lily. Laurence gioì quando vide che gli altri draghi della formazione avevano accolto Temeraire come uno di loro, anche se a nessuno di quelli più anziani restavano energie sufficienti per giocare dopo il lavoro. Per la maggior parte oziavano durante le poche ore di libertà, e stavano a guardare divertiti quando Temeraire, Lily e Maximus si inseguivano in volo. Da parte sua, anche Laurence si sentì accettato dagli altri aviatori e scoprì che,
senza rendersene conto, si era adattato all'informalità dei loro modi. La prima volta che si rivolse al capitano Harcourt chiamandola solo 'Harcourt', durante una discussione dopo l'addestramento, se ne accorse solo dopo che le parole gli furono uscite di bocca. I capitani e i primi tenenti di solito parlavano di tattiche e strategie durante la cena, o di sera tardi dopo che i draghi si erano addormentati. L'opinione di Laurence non veniva quasi mai richiesta, ma lui non se la prendeva: anche se stava iniziando ad afferrare i principi della guerra aerea, si considerava ancora un novellino, e non poteva certo offendersi se anche gli altri aviatori lo consideravano tale. Se non si trattava di contribuire con delle informazioni sulle abilità particolari di Temeraire, se ne restava in silenzio, senza cercare di inserirsi nella conversazione, e preferiva ascoltare per imparare. La conversazione, a volte, verteva sulla guerra. Dato che erano così lontani dalle prime linee, le notizie tardavano settimane ad arrivare, e le congetture erano inevitabili. Laurence una sera vi prese parte e sentì Sutton dire, «La maledetta flotta francese potrebbe essere ovunque.» Sutton era il capitano di Messoria, il più anziano tra loro, veterano di quattro guerre, incline al pessimismo e a un linguaggio colorito. «Ora che sono usciti da Toulon, per quanto ne sappiamo, quei bastardi stanno già attraversando la Manica. Non mi stupirei di trovare gli invasori sulla soglia di casa già domani.» Laurence non poté trattenersi. «Vi sbagliate, ve lo assicuro» disse, mettendosi a sedere. «Villeneuve e la sua flotta sono usciti da Toulon, è vero, ma non per effettuare qualche grande attacco, bensì per fuggire: Nelson non ha mai smesso di inseguirlo.» «Avete ricevuto notizie precise, Laurence?» chiese Chenery, il capitano di Dulcia, distogliendo l'attenzione dalla partita a carte che stava facendo con Little, il capitano di Immortalis. «Sì, ho ricevuto alcune lettere. Una da Riley, il capitano della Reliant» confermò Laurence. «Si trova con la flotta di Nelson: hanno inseguito Villeneuve sull'Atlantico, e mi ha scritto che Nelson spera di catturare i francesi nelle Indie Occidentali.» «Oh, e noi siamo qui senza avere idea di cosa sta succedendo!» disse Chenery. «Per l'amor del cielo, portate qui quella lettera e leggetecela. Non è molto gentile da parte vostra tenerci all'oscuro di tutto ciò.» Aveva parlato con tanto entusiasmo che Laurence non poté offendersi e,
poiché anche gli altri capitani espressero lo stesso desiderio, mandò un servitore nella sua stanza per prendere le poche lettere che aveva ricevuto dai vecchi colleghi che conoscevano il suo nuovo indirizzo. Fu costretto a omettere varie parti in cui chi scriveva si doleva per il suo cambiamento di vita, ma ci riuscì abbastanza bene, e gli altri ascoltarono con grande interesse i frammenti di notizie che lui aveva da offrire. «Quindi Villeneuve ha diciassette navi, contro le dodici di Nelson?» chiese Stutton. «Non capisco che utilità trovi nella fuga, allora. Perché non fa dietrofront? Se corre così sull'oceano, Nelson non può contare su alcun supporto aereo: nessun trasporto riuscirebbe a seguirlo, e non abbiamo basi nelle Indie Occidentali.» «Oserei dire che la nostra flotta potrebbe vincere anche con meno navi» rispose Laurence con convinzione. «Ricordatevi del Nilo, signore, e prima ancora la battaglia di Capo St Vincent: ci siamo spesso trovati in svantaggio numerico e abbiamo vinto comunque, e inoltre lord Nelson stesso non è mai stato sconfitto in un'azione navale.» Con una certa difficoltà riprese il controllo e si interruppe, non volendo passare per un esaltato. Gli altri sorrisero, ma non in modo condiscendente, e Little disse a bassa voce, «Allora dobbiamo sperare che riesca a impegnarli in battaglia. La cosa triste è che mentre la flotta francese rimane intatta noi corriamo un pericolo mortale. La marina non potrà fermarli per sempre, e a Napoleone bastano due o tre giorni di controllo sulla Manica per far passare il suo esercito di invasione.» Era una considerazione pesante, e tutti ne percepirono la portata. Con un grugnito, Berkley ruppe il silenzio che ne era seguito e sollevò il bicchiere per svuotarlo. «Voi potete stare qui a deprimervi. Io vado a letto» dichiarò. «Abbiamo già abbastanza guai senza pensare a quelli altrui.» «Anche io devo alzarmi presto» aggiunse il capitano Harcourt, alzandosi. «Celeritas vuole che domattina Lily, prima delle manovre, si alleni a spruzzare il veleno su dei bersagli.» «Sì, dovremmo andare tutti a dormire» disse Sutton. «La cosa migliore che possiamo fare è mettere in piedi una buona formazione. Se si dovesse presentare l'occasione di fermare la flotta di Bonaparte, state certi che servirà una formazione di Lunghe Ali, e allora chiameranno la nostra o una delle due di Dover.» Il gruppo si sciolse, e Laurence salì nella sua stanza immerso nei pensieri. Un Lunghe Ali era in grado di sputare il suo acido con estrema precisione: il primo giorno di allenamento aveva visto Lily, in volo, distruggere
dei bersagli a quasi centoventi metri di distanza con un singolo getto, e nessun cannone avrebbe potuto colpirla a quell'altezza. L'artiglieria pesante poteva infastidirla, ma l'unica minaccia reale poteva venire dal cielo: sarebbe stata il bersaglio di tutti i draghi nemici in volo, e la formazione stessa era progettata per difenderla. Laurence capiva bene che il loro stormo poteva essere una presenza devastante su qualsiasi campo di battaglia, e non invidiava la sorte di chi si fosse trovato sotto di loro a bordo di una nave. L'idea di rendere un tale servizio all'Inghilterra rinfiammò il suo entusiasmo. Purtroppo, col passare delle settimane, vide chiaramente che Temeraire faticava a trovare nuovi stimoli. Il requisito principale nel volo in formazione era la precisione, e la capacità di mantenere la propria posizione rispetto a quella degli altri. Ora che Temeraire faceva parte di un gruppo era condizionato dagli altri, e avendo una velocità e un'agilità assai superiori alle loro si sentiva limitato. Un pomeriggio Laurence lo sentì chiedere a Messoria, «Fate mai voli più divertenti?» La femmina aveva trent'anni di servizio, e tante ferite di guerra da renderla oggetto d'ammirazione. Sbuffò con indulgenza. «Divertenti non è la parola giusta. È difficile divertirsi nel mezzo di una battaglia» rispose. «Ti ci abituerai, non temere.» Temeraire sospirò e tornò a lavorare senza aggiungere altro. Ma anche se riusciva a compiere il proprio dovere e si impegnava con serietà, non era entusiasta, e Laurence non poteva evitare di preoccuparsi. Fece del suo meglio per consolarlo e stimolare il suo interesse: continuarono a leggere insieme, e Temeraire ascoltava con grande interesse tutti gli articoli riguardanti la matematica e la scienza che Laurence riusciva a trovare. Li seguiva senza difficoltà, e Laurence si trovò nell'insolita posizione di farsi spiegare da Temeraire le cose che lui gli leggeva ad alta voce. Un altro aiuto gli arrivò circa una settimana dopo che avevano ripreso l'allenamento: nella posta c'era un pacchetto da parte di Sir Edward Howe. Era indirizzato, cosa un po' stravagante, a Temeraire, che fu lieto di ricevere della posta tutta per sé. Laurence lo scartò e all'interno trovò un bel libro di storie sui draghi, un testo orientale tradotto da Sir Edward stesso e pubblicato di recente. Temeraire dettò una lettera di ringraziamento molto elegante, alla quale Laurence aggiunse la sua personale gratitudine, e le storie orientali divennero la nota conclusiva di tutte le loro giornate: qualsiasi altra cosa leggessero, terminavano sempre con uno di quei racconti. Dopo che li ebbero fi-
niti, Temeraire fu ben felice di ricominciare da capo o, a volte, di chiederne uno che gli era piaciuto particolarmente, come la storia dell'Imperatore Giallo, il primo drago celestiale, su consiglio del quale era stata fondata la dinastia Han; oppure la storia del drago giapponese Raiden, che aveva allontanato dall'isola l'esercito di Kublai Khan. Gli piaceva soprattutto quest'ultima per il parallelismo con l'Inghilterra, minacciata dalla Grande Armée di Napoleone al di là della Manica. Ascoltava con aria malinconica la storia di Xao Sheng, il ministro dell'imperatore, che inghiottì la perla del tesoro di un drago, trasformandosi lui stesso in drago. Laurence non comprendeva la tristezza di Temeraire per quella vicenda, finché questi gli disse, «Non è reale, vero? Non esistono modi per trasformare un uomo in un drago o viceversa; giusto?» «No, temo che non esistano» rispose lentamente Laurence. Capire che Temeraire avrebbe accettato di trasformarsi era doloroso, perché dava la misura della sua profonda infelicità. Ma il drago si limitò a sospirare e disse, «Oh, lo pensavo anch'io. Mi sarebbe piaciuto, però, scrivere e leggere da solo tutte le volte che volevo, o che tu potessi volare al mio fianco.» Laurence rise, rassicurato. «Mi dispiace davvero che non possiamo vivere simili gioie, ma in ogni caso il processo sembrava molto sgradevole e irreversibile, in quel racconto.» «Hai ragione, e in fondo io non rinuncerei mai a volare, nemmeno per poter leggere» disse Temeraire. «Inoltre, è molto piacevole che tu lo faccia per me. Possiamo leggere un'altra storia? Magari quella del drago che fece piovere, durante la carestia, portando acqua dall'oceano.» Quei racconti erano solo leggende, ma il testo curato da Sir Edward includeva numerose note, che descrivevano l'origine di quei miti basandosi sulle conoscenze scientifiche più avanzate. Laurence sospettava che anche queste fossero un po' eccessive: Sir Edward era un chiaro estimatore di draghi orientali. In ogni caso, quel libro funzionò alla perfezione: Temeraire era determinato a eguagliare il valore dei draghi dei racconti, e affrontò l'addestramento con più entusiasmo. Il libro si dimostrò utile anche per un altro motivo. Poco dopo aver ricevuto quel piacevole dono, Temeraire assunse un aspetto ancor più diverso da quello degli altri draghi: gli spuntarono dei filamenti lungo la linea della mandibola, e una membrana morbida tesa tra corna flessibili intorno alla testa, simile per certi versi a una gorgiera. Tutto ciò gli conferiva un aspetto teatrale e serioso, niente affatto disdicevole, ma non si poteva negare
che fosse diverso da tutti gli altri. Se non fosse stato per il bel frontespizio del libro di Sir Edward, un'incisione dell'Imperatore Giallo che mostrava come anche quel grande drago possedeva le stesse caratteristiche, Temeraire sarebbe stato nuovamente infelice a causa della sua diversità. I cambiamenti nel suo aspetto continuavano a preoccuparlo, e poco dopo la comparsa della gorgiera Laurence lo sorprese a controllare il proprio riflesso sulla superficie del lago, girando la testa di qua e di là, e roteando gli occhi per guardarsi da diverse angolazioni. «Andiamo, tutti penseranno che sei vanitoso» disse Laurence, allungandosi per accarezzare i filamenti penduli. «E in realtà hai davvero un aspetto meraviglioso. Non c'è motivo di agitarsi.» Temeraire emise un breve verso di sorpresa, e si protese verso la mano che lo carezzava. «Che strana sensazione» disse. «Ti faccio male? Sono così delicati questi viticci?» Laurence smise di colpo, preoccupato. Anche se non ne aveva mai parlato con Temeraire, aveva notato che nei racconti di Sir Edward i draghi cinesi, almeno gli Imperiali e i Celestiali, non prendevano parte a molte battaglie, se non nei momenti di maggior crisi per la nazione. Sembravano più famosi per bellezza e saggezza, e se i cinesi li allevavano per queste qualità allora era possibile che quelle protuberanze fossero talmente sensibili da rappresentare un punto debole in caso di combattimento. Temeraire gli diede un colpetto e rispose, «No, non fanno male per niente. Puoi accarezzarli di nuovo?» Quando Laurence riprese a sfiorarli con grande delicatezza, il drago sembrò ronfare del tutto simile a un gatto che fa le fusa, e fu all'improvviso scosso dai brividi. «Credo che mi piaccia molto» aggiunse, con gli occhi socchiusi e offuscati. Laurence allontanò di scatto la mano. «Oh, cielo» disse, guardandosi intorno profondamente imbarazzato. Per fortuna non c'erano altri draghi o aviatori lì nei paraggi in quel momento. «Sarà meglio che parli subito con Celeritas. Credo che tu stia entrando in calore per la prima volta, e questo significa che hai completato la crescita.» Temeraire batté le palpebre. «Oh, molto bene. Ma devi fermarti per forza?» chiese con voce lamentosa. «È una notizia eccellente» dichiarò Celeritas, quando Laurence gli riferì l'accaduto. «Non possiamo ancora farlo riprodurre, perché non possiamo stare troppo tempo senza di lui, ma la cosa mi fa comunque un immenso piacere. Mi preoccupo sempre quando devo mandare un drago immaturo
in battaglia. E lo dirò subito agli allevatori, che valuteranno quali sono gli incroci migliori da fare. L'aggiunta di sangue imperiale alle nostre fila potrebbe rappresentare un vantaggio enorme.» «C'è qualcosa... un qualche sollievo...» Laurence si fermò, perché non riusciva a trovare un modo di porre la domanda senza sembrare oltraggioso. «Dovremo pensarci, ma credo non ci sia motivo di preoccuparsi» rispose asciutto Celeritas. «Non siamo come cani o cavalli, sappiamo controllarci bene almeno quanto voi umani.» Laurence si sentì confortato. Aveva temuto che Temeraire potesse incontrare delle difficoltà trovandosi vicino a Lily o a Messoria, o alle altre femmine di drago, anche se Dulcia era troppo piccola per interessargli come compagna. Ma Temeraire non manifestò nessun interesse di quel tipo nei loro confronti: Laurence provò a chiederglielo, una volta o due, in modo velato, e Temeraire parve piuttosto sconcertato all'idea. Eppure dei cambiamenti ci furono, e divennero gradualmente percepibili. Per prima cosa Laurence notò che Temeraire al mattino si alzava senza dover essere svegliato. Anche il suo appetito cambiò, e mangiava meno di frequente, anche se in quantità maggiore, e capitava che scegliesse di digiunare anche per due giorni di fila. Laurence cominciò a temere che il suo amico scegliesse di patire la fame per non vedersi rifiutata la precedenza e per non dover subire gli sguardi obliqui degli altri draghi a causa del suo nuovo aspetto. Le sue paure vennero del tutto smentite appena un mese dopo la comparsa della gorgiera. Aveva appena fatto atterrare Temeraire alle mangiatoie e si era allontanato dal gruppo di draghi per guardare, quando vennero chiamati Lily e Maximus. Ma stavolta fu convocato con loro anche un altro drago: un nuovo arrivato, di una razza che Laurence non aveva mai visto prima, con le ali che per gli schemi di colore ricordavano il marmo, piene di venature arancioni, gialle e marroni sul fondo di un avorio luminoso. Era molto grande, ma non più di Temeraire. Gli altri draghi della base si fecero da parte e lasciarono passare i tre che erano stati chiamati, ma Temeraire emise un basso brontolio gutturale; non era un ruggito, sembrava più un gracidio, sempre che sia possibile immaginare una rana di dodici tonnellate. Dopo aver fatto risuonare quel verso, Temeraire seguì gli altri tre senza essere stato invitato. Laurence non poteva vedere i volti degli allevatori, in basso, ma questi si erano accalcati intorno alle recinzioni, come se fossero stati colti di sorpre-
sa. Era abbastanza chiaro che nessuno di loro voleva provare a cacciar via Temeraire, e la cosa era poco sorprendente considerato che il drago aveva le mascelle sporche del sangue della sua prima mucca. Lily e Maximus non obiettarono, il drago nuovo ovviamente non percepì nulla di strano, e dopo un momento gli allevatori liberarono nelle mangiatoie un'altra mezza dozzina di animali, in modo che tutti e quattro potessero saziarsi. «È davvero splendido. È vostro, non è vero?» Laurence si girò e vide che chi gli parlava era uno straniero, che indossava spessi pantaloni di lana e una giacca da civile, entrambi con disegni simili a scaglie di drago. Era di certo un aviatore e senza dubbio un ufficiale, poiché la voce e il portamento erano quelli di un gentiluomo, ma parlava con un pesante accento francese, e per un momento Laurence rimase sorpreso dalla sua presenza. Il francese non era da solo, c'era Sutton con lui, e si fece avanti per le presentazioni. Il francese si chiamava Choiseul. «Sono arrivato dall'Austria ieri notte, a bordo di Praecursoris» disse indicando il drago color marmo sotto di loro, che con delicatezza stava prendendo un'altra pecora, tenendosi alla larga dal sangue della terza vittima di Maximus. «È venuto a portarci delle buone notizie, nonostante quel muso lungo» intervenne Sutton. «L'Austria si sta mobilitando, e sta per entrare di nuovo in guerra contro Bonaparte. Suppongo che tra poco il francese dovrà rivolgere di nuovo la sua attenzione al Reno anziché alla Manica.» «Spero di non scoraggiare le vostre speranze in alcun modo,» intervenne Choiseul «e sarei desolato di darvi delle preoccupazioni senza motivo, ma non posso dire di avere grande fiducia nelle loro possibilità. Non voglio nemmeno sembrare ingrato: l'aviazione austriaca è stata così gentile da fornire a me e a Praecursoris un rifugio durante la Rivoluzione, e sono profondamente in debito con loro. Ma gli arciduchi sono degli sciocchi, e non ascolteranno quei pochi generali competenti di cui dispongono. L'arciduca Fernando che combatte contro il Genio di Marengo e d'Egitto! Che assurdità!» «Non direi che la battaglia di Marengo è stata condotta in modo così eccezionale» commentò Sutton. «Se solo gli austriaci avessero fatto arrivare per tempo la seconda divisione aerea da Verona, avrebbe avuto un esito diverso. È stata tutta questione di fortuna.» Laurence non si sentiva abbastanza esperto di tattiche di terra per dare il suo parere, ma quella valutazione era pericolosamente simile a una sbruffonata. In ogni caso, lui aveva grande rispetto per la fortuna, e Bonaparte
sembrava attirarne molta più degli altri generali. Da parte sua, Choiseul sorrise brevemente e non contraddisse Sutton, ma si limitò a rispondere, «Forse le mie paure sono eccessive, ma sono state loro a portarmi qui insieme al mio drago, poiché la nostra posizione in un'Austria sconfitta sarebbe stata insostenibile. Molti miei ex commilitoni sono infuriati con me perché ho sottratto alla nazione un drago prezioso come Praecursoris» spiegò in risposta allo sguardo interrogativo di Laurence. «Alcuni amici mi hanno avvisato che Bonaparte vuole chiedere la nostra resa come condizione per qualsiasi tipo di accordo, e poi ci accuserà di tradimento. Per cui siamo dovuti fuggire di nuovo, e ora ci affidiamo alla vostra generosità.» Parlava con dei modi rilassati e gradevoli, ma i suoi occhi erano segnati da profonde rughe di tristezza. Laurence lo guardò con benevolenza. Aveva già conosciuto ufficiali francesi come lui, marinai che avevano abbandonato la Francia dopo la rivoluzione, soffrendo sulle rive inglesi. La loro situazione era triste e amara: peggiore, secondo lui, di quella dei nobili spodestati, che fuggivano per salvarsi la vita: quei marinai soffrivano nel rimanere inerti mentre la loro nazione era in guerra, e ogni vittoria che si celebrava in Inghilterra era una perdita straziante per la loro marina. «Eh, già, è insolitamente generoso da parte nostra, accettare un Chanson-de-Guerre come Praecursoris» osservò Sutton con sarcasmo pesante ma non malevolo. «Dopo tutto, abbiamo un tal numero di draghi pesanti che a fatica riusciremo a inserirne un altro, soprattutto se si tratta di un veterano valido e ben addestrato.» Choiseul fece un lieve inchino in segno di riconoscenza e guardò con affetto il proprio drago. «Accolgo con gratitudine i complimenti a Praecursoris, ma avete già molti ottimi animali, qui. Quel Ramato reale è davvero meraviglioso, e dalle sue corna vedo che non è ancora cresciuto del tutto. E il vostro drago, capitano Laurence, è una nuova razza? Non ne ho mai visti di simili.» «No, e non ne vedrete altri,» disse Sutton «a meno che non andiate dall'altra parte del mondo.» «È un imperiale, signore, una razza cinese» spiegò Laurence, combattuto tra il desiderio di non sembrare vanaglorioso e l'innegabile piacere nell'esserlo. La reazione stupita del francese, sebbene contenuta, lo soddisfece, ma poi Laurence dovette spiegare le circostanze che lo avevano portato a trovare Temeraire, e non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo nel raccontare la conquista di una nave e di un uovo di proprietà francesi.
Ma Choiseul era evidentemente abituato a quella situazione e ascoltò la storia con un atteggiamento cortese, anche se non fece alcun commento. Nonostante Sutton fosse incline a indugiare sulle sconfitte francesi, Laurence si affrettò a chiedere cosa Choiseul avrebbe fatto alla base. «Mi è parso di capire che una formazione si sta addestrando qui, e che io e Praecursoris ci uniremo alle manovre: credo che dovremo fare da riserva e sostituire eventuali feriti» disse il francese. «Celeritas spera inoltre che Praecursoris possa essere di qualche aiuto nell'addestramento in formazione di alcune delle vostre bestie più pesanti: voliamo in stormo ormai da quasi quattordici anni.» Un tuonare d'ali interruppe la loro conversazione quando gli altri draghi vennero chiamati alle mangiatoie, dato che i primi quattro avevano terminato il pasto. Temeraire e Praecursoris cercarono di atterrare sullo stesso affioramento, lì vicino, e Laurence si allarmò quando vide che il suo drago mostrava i denti e allargava la gorgiera contro l'altro, più anziano. «Vi prego di scusarmi» si affrettò a dire, e corse a cercare un altro posto, chiamando Temeraire e vedendo con sollievo che il drago si allontanava per seguirlo. «Volevo venire da te» disse il drago, con una punta di rancore, e lanciò un'occhiata obliqua a Praecursoris, che aveva occupato il picco conteso e parlava a bassa voce con Choiseul. «Sono nostri ospiti, è segno di cortesia lasciare il posto a loro» spiegò Laurence. «Non sapevo che fossi così feroce nelle questioni di precedenza, amico mio.» Temeraire scavò dei solchi nel terreno davanti a lui con gli artigli. «Non è più grosso di me» protestò. «E non è un Lunghe Ali, per cui non spruzza veleno, e non ci sono draghi sputafuoco in Inghilterra. Non capisco in cosa sia migliore di me.» «Non è affatto migliore» lo rassicurò Laurence, accarezzando la zampa anteriore ancora tesa. «La precedenza è solo una questione di formalità, e tu hai tutto il diritto di mangiare insieme agli altri. Ti chiederei di non essere così litigioso, però. Sono fuggiti dal continente per sottrarsi a Bonaparte.» «Davvero?» La gorgiera di Temeraire si adagiò gradualmente sul collo, e il drago guardò con maggiore interesse i nuovi arrivati. «Ma parlano francese. Se sono francesi, perché temono Bonaparte?» «Sono monarchici, fedeli alla dinastia dei Borboni» spiegò Laurence. «Presumo se ne siano andati dopo che i Giacobini hanno condannato a
morte il loro re. C'è stato un periodo di grande terrore, in Francia, e anche se Bonaparte ha almeno smesso di decapitare la gente, ai loro occhi non è migliore. Ti assicuro che lo disprezzano più di noi.» «Be', mi dispiace di essere stato maleducato» mormorò il drago, e si raddrizzò per rivolgersi a Praecursoris. «Veuillez m'excuser, si je vous ai dérangé» disse, sorprendendo Laurence. Praecursoris si voltò. «Mais non, pas du tout» rispose con calma, e chinò il capo. «Permettez queje vous présente Choiseul, mon capitarne» aggiunse. «Et voici Laurence, le mien» replicò Temeraire. «Inchinati, per favore» sussurrò a Laurence quando questi rimase immobile ed esterrefatto. Il capitano lo accontentò subito. Naturalmente non voleva interrompere lo scambio formale, ma era divorato dalla curiosità, e non appena si misero in volo verso il lago dove Temeraire avrebbe fatto il bagno, gli chiese, «Mi spieghi come diavolo fai a conoscere il francese?» Temeraire si voltò. «Cosa intendi dire? È così strano parlare francese? Non è stato affatto difficile.» «Be', lo trovo sorprendentemente strano, dal momento che non ne avevi mai sentito una parola prima d'ora. Di certo non da me, che a malapena so dire bonjour senza arrossire» rispose Laurence. «Non mi stupisce che sappia parlare francese,» disse Celeritas quando Laurence gliene parlò, quello stesso pomeriggio nella zona di addestramento, «la cosa strana è che vi è capitato di sentirlo solo adesso. Volete dire che quando ha rotto l'uovo non ha parlato in francese, ma direttamente in inglese?» «Be', sì» confermò Laurence. «Vi confesso che restammo tutti sorpresi, ma per il semplice fatto che sapesse già parlare. È una cosa insolita?» «Che abbia parlato no. Impariamo la lingua già nel guscio» spiegò Celeritas. «E lui è stato a bordo di un vascello francese nei mesi prima della schiusa, per cui non mi stupisce affatto che conosca quella lingua. Mi sorprende molto di più che fosse in grado di parlare inglese dopo appena una settimana a bordo con voi. Lo parlava bene?» «Fin dal primo istante» confermò Laurence, compiaciuto da questa nuova prova delle capacità uniche di Temeraire. «Non hai mai smesso di stupirmi, amico mio» aggiunse accarezzando il collo del suo drago che si illuminò di felicità. Tuttavia, Temeraire mantenne un atteggiamento in qualche modo nervoso, soprattutto nei confronti di Praecursoris. Non c'era aperta ostilità, né
particolari inimicizie, ma era evidentemente ansioso di dimostrarsi alla pari del drago più anziano, ancor più quando Celeritas incluse il Chanson-deGuerre nelle loro manovre. Laurence fu segretamente contento di vedere che Praecursoris era meno agile e aggraziato nelle manovre aeree rispetto a Temeraire. Ma la sua esperienza e quella del suo capitano contavano molto, e i due conoscevano e padroneggiavano già molte manovre della formazione. Temeraire si impegnò molto nell'addestramento: a volte Laurence usciva dopo cena e lo trovava a volare da solo sul lago, esercitandosi in manovre che un tempo riteneva noiose, e in più di un'occasione il drago scelse addirittura di sacrificare parte delle loro letture per dedicare maggiore tempo al lavoro. Si sarebbe allenato fino allo stremo delle forze, se Laurence non lo avesse trattenuto. Alla fine chiese consiglio a Celeritas, sperando di trovare un modo per calmare Temeraire, o di riuscire a convincere l'addestratore capo a separare i due draghi. Celeritas ascoltò le sue osservazioni e disse con calma, «Capitano Laurence, voi state pensando alla felicità del vostro drago. È una cosa giusta, ma io devo occuparmi innanzitutto del suo addestramento, e delle necessità dell'aviazione. Non convenite che, dall'arrivo di Praecursoris, Temeraire sia migliorato molto e in fretta?» Laurence rimase a bocca aperta. L'idea che Celeritas avesse intenzionalmente fomentato la rivalità fu dapprima sorprendente, poi quasi offensiva. «Signore, Temeraire è sempre stato volenteroso, e si è impegnato al massimo delle sue possibilità» rispose con rabbia, fermandosi solo quando Celeritas sbuffò per interromperlo. «Basta, capitano» disse il drago, con leggera ironia. «Non lo sto insultando. La verità è che è un po' troppo intelligente per essere il membro ideale di una formazione. Se la situazione fosse diversa, lo metterei a capo di uno stormo o lo utilizzerei come combattente solitario, e sono certo che si comporterebbe alla perfezione. Ma, considerato lo stato delle cose e data la sua mole, abbiamo bisogno di lui in quella formazione, e ciò significa che deve imparare meccanicamente le manovre. Ma quegli esercizi non sono sufficienti a tener desta la sua attenzione. Non succede a molti draghi, ma ho già assistito a simili situazioni, e i segnali sono inequivocabili.» Laurence, purtroppo, non poté obiettare. Le considerazioni di Celeritas erano del tutto sensate. Vedendo che il capitano era rimasto silenzioso, il capo addestratore continuò, «Questa rivalità è sufficiente a superare una comune noia che si trasformerebbe presto in frustrazione. Incoraggiatelo,
fategli complimenti, rassicuratelo sempre sul suo aspetto, e in questo modo non soffrirà certo per qualche piccola diatriba con un altro maschio. È una cosa molto naturale, alla sua età, ed è una fortuna che si sia messo contro Praecursoris e non Maximus. II drago francese è abbastanza adulto da non prendere la cosa sul serio.» Laurence non riusciva a essere altrettanto fiducioso: Celeritas non sapeva quanto Temeraire fosse angustiato. Ma lui stesso non poteva negare che le sue considerazioni scaturivano da un sentimento egoistico, perché non gli piaceva vedere Temeraire sottoposto a tali sforzi. Ma naturalmente era necessario che lavorasse così duramente: lo facevano tutti. Lì, nella verde quiete del Nord, era facile dimenticare che l'Inghilterra era in pericolo. Villeneuve e la marina francese erano ancora in libertà, e secondo le informazioni, Nelson li aveva inseguiti fino alle Indie Occidentali solo per farsi seminare ancora una volta, e ora li stava cercando disperatamente nell'Atlantico. L'intenzione di Villeneuve era senz'altro di riunirsi con la flotta al largo di Brest e cercare di conquistare lo stretto di Dover. Bonaparte aveva moltissimi mezzi in tutte le località della costa francese, in attesa solo di una breccia nelle difese della Manica per dare il via a una massiccia invasione. Quando era nella marina, Laurence aveva servito per molti lunghi mesi su navi che facevano servizio di contenimento, e sapeva bene quanto fosse difficile mantenere la disciplina durante le interminabili giornate, una uguale all'altra, senza vedere alcun nemico all'orizzonte. Le distrazioni derivanti da nuovi compagni, da un paesaggio più vario, da libri e giochi rendevano l'addestramento di gran lunga più piacevole, ma ora comprese che a modo loro erano insidiose quanto la monotonia. Per cui si limitò ad annuire, e disse, «Capisco i vostri piani, signore. Grazie per le spiegazioni.» Ma tornò da Temeraire ancora determinato a porre un freno alle sue esercitazioni ossessive e, se possibile, a trovare un modo alternativo per suscitare il suo interesse verso le manovre. E fu per questo che si ritrovò a spiegare, per la prima volta, le tattiche aeree a Temeraire. Lo fece più per il bene del drago che per sé stesso, sperando di far nascere in lui un interesse più intellettuale per l'addestramento. Ma Temeraire comprese l'argomento con facilità, e in breve le lezioni divennero vere e proprie discussioni, preziose anche per lo stesso Laurence, che in questo modo riusciva a compensare la mancata partecipazione ai dibattiti che i capitani tenevano tra loro. Insieme, i due iniziarono a progettare una serie di nuove manovre, sfrut-
tando le insolite capacità di volo di Temeraire, che potevano adeguarsi ai movimenti più lenti e metodici della formazione. Celeritas stesso aveva espresso il desiderio di progettare quelle manovre, ma l'urgenza richiesta dalla formazione lo aveva costretto a rimandare i piani. Laurence recuperò dalla soffitta una vecchia tavola di volo, chiese a Hollin di riparare una gamba rotta, e sistemò l'attrezzo nella radura, sotto lo sguardo interessato di Temeraire. Era una specie di grande diorama sistemato su un tavolo, con sopra un reticolo. Laurence non aveva le figure dei draghi in scala da metterci sopra, e al loro posto usò pezzetti di legno tagliati e colorati. Legandoli al reticolo con dei fili era in grado di creare posizioni tridimensionali, visibili a entrambi. Fin da subito Temeraire mostrò una predisposizione alle strategie aeree. Poteva stabilire in un attimo se una manovra era fattibile o meno, e descrivere i movimenti necessari per compierla. L'ispirazione iniziale per una nuova tecnica veniva quasi sempre da lui. Laurence, a sua volta, era più bravo nel valutare la forza militare di ciascuna posizione, e suggeriva delle modifiche che potevano essere apportate per aumentare la potenza dell'attacco. Le loro discussioni erano vivaci e rumorose, e attirarono l'attenzione del resto dell'equipaggio. Granby chiese di poter assistere e, quando Laurence gli diede il permesso, fu presto seguito dal tenente in seconda, Evans, e da molti cadetti. I loro anni di addestramento ed esperienza fornirono la base di conoscenze che mancavano sia a Laurence che a Temeraire, e i loro consigli perfezionarono ulteriormente il progetto. «Signore, gli altri mi hanno chiesto di proporvi di provare qualcuna delle nuove manovre» gli disse Granby dopo alcune settimane. «Saremmo ben felici di passare le serate a lavorare, pur di poter dimostrare di cosa siamo capaci.» Laurence fu profondamente commosso, non solo dal loro entusiasmo, ma anche dal fatto che Granby e l'equipaggio provavano il suo stesso desiderio di vedere Temeraire compreso e apprezzato. Fu molto felice di sapere che gli altri erano fieri di Temeraire quanto lui. «Potremmo farlo domani sera, se ci sono abbastanza uomini» disse Laurence. Tutti gli ufficiali si presentarono con dieci minuti d'anticipo. Laurence li guardò un po' confuso mentre lui e Temeraire tornavano dal giro quotidiano al lago. Solo in quel momento, quando li vide tutti allineati e in attesa, si accorse che il suo equipaggio si era presentato in uniforme completa,
anche per quell'esercitazione improvvisata. Gli altri aviatori non indossavano né cravatte né cappotti, soprattutto non con la recente ondata di caldo. Laurence interpretò la scelta dei suoi uomini come un omaggio alle sue abitudini. Anche Hollin e gli uomini di terra erano pronti e in attesa. Nonostante Temeraire fosse un po' agitato per l'emozione, riuscirono a infilargli agevolmente la bardatura da combattimento, e l'equipaggio aereo salì a bordo del drago. «Tutti a bordo e agganciati, signore» annunciò Granby, mettendosi in posizione sulla spalla destra di Temeraire. «Molto bene. Temeraire, inizieremo con il classico giro di pattuglia con clima favorevole, per due volte, poi al mio segnale passeremo alla versione modificata» ordinò Laurence. Il drago annuì, lo sguardo acceso, e si lanciò in aria. Era la più semplice delle nuove manovre, e non ebbe difficoltà a eseguirla. Il problema maggiore, come Laurence si accorse subito quando Temeraire concluse l'ultimo volteggio a spirale, sarebbe stato far abituare l'equipaggio. I fucilieri avevano sbagliato la metà dei bersagli, e i fianchi di Temeraire erano sporchi nei punti in cui i sacchi di cenere che avevano usato al posto delle bombe da sganciare avevano colpito per sbaglio il drago stesso. «Be', Granby, ci aspetta un po' di lavoro prima di poter mostrare in pubblico la manovra» commentò Laurence, e Granby annuì dispiaciuto. «È vero, signore. Ma se i primi tempi provassimo a volare un po' più lenti?» suggerì il primo tenente. «Penso che forse dovremo cambiare noi il modo di pensare» replicò Laurence, controllando le tracce di cenere. «Non possiamo sganciare bombe durante le giravolte, perché rischiamo di colpire il drago. Per cui non possiamo fare lanci costanti: dobbiamo aspettare e sganciare tutto il carico quando è in posizione orizzontale. Corriamo il rischio di mancare il bersaglio, ma è sempre meglio che mettere a repentaglio l'incolumità del drago.» Temeraire volò lentamente in cerchio mentre gli uomini sotto il ventre e quelli sulla schiena sistemarono in fretta la loro attrezzatura da bombardamento. Quando poi riprovarono la manovra, Laurence vide i sacchi di cenere cadere distanti, senza lasciare segni sui fianchi di Temeraire. Anche i fucilieri attesero che il drago fosse orizzontale per sparare, e migliorarono il loro punteggio. Dopo un'altra mezza dozzina di tentativi, Laurence si ritenne soddisfatto.
«Quando riusciremo a sganciare tutto il carico di bombe e colpire l'ottanta percento dei bersagli con l'artiglieria durante questa manovra e nelle altre quattro che abbiamo progettato, allora riterrò il nostro lavoro degno di essere sottoposto all'attenzione di Celeritas» concluse Laurence, dopo che tutti furono scesi e l'equipaggio di terra iniziò a togliere la bardatura a Temeraire e a ripulirlo dalla cenere e dalla sporcizia. «E credo che quella meta sia facilmente raggiungibile: mi congratulo con tutti voi, signori, per l'encomiabile prestazione.» Dapprincipio Laurence era stato parco di lodi, per non dare l'impressione di volersi ingraziare l'equipaggio, ma ora sapeva che il suo entusiasmo non era eccessivo, e fu contento di vedere che gli ufficiali reagirono con calore alla sua approvazione. Erano tutti ansiosi di continuare, e dopo altre quattro settimane di esercitazioni, Laurence cominciò a pensare che fossero davvero pronti per una dimostrazione su larga scala, quando la decisione fu presa al posto suo. «Ieri sera vi ho visti mettere in pratica un'interessante nuova versione delle nostre manovre, capitano» gli disse Celeritas al termine della sessione di allenamento mattutina, mentre i draghi dello stormo atterravano e gli equipaggi smontavano. «Domani ci farete vedere come la eseguite in formazione.» Con un cenno del capo lo congedò e Laurence chiamò subito il suo equipaggio e Temeraire per un'ultima prova. Più tardi, quella sera stessa, Temeraire era nervoso, dopo che gli altri erano tornati nei loro alloggi e lui e Laurence se ne stavano seduti in silenzio al buio, troppo stanchi per fare altro che riposare. «Su, su, non ti agitare» disse Laurence. «Domani andrà benissimo: conosci alla perfezione tutte le manovre, dalla prima all'ultima. Abbiamo aspettato tanto solo per dare più tempo all'equipaggio.» «Non sono preoccupato per il volo, ma cosa succede se Celeritas non approva le nostre manovre?» ribatté Temeraire. «Avremo sprecato tutto questo tempo per niente.» «Se pensasse una cosa del genere non ci avrebbe chiesto una dimostrazione» lo tranquillizzò Laurence. «E in ogni caso non abbiamo perso affatto del tempo: l'equipaggio ha lavorato molto bene, impegnandosi e concentrandosi nell'esecuzione dei vari compiti, e anche se Celeritas disapprovasse le nostre varianti, considererei comunque ben spese queste sere.» Riuscì a calmare Temeraire fino a farlo addormentare, poi anche lui si assopì accanto al drago. Anche se era già settembre il caldo non accennava a diminuire, e Laurence non sentì freddo. Nonostante tutte le rassicurazioni
fatte a Temeraire, il capitano si svegliò alle prime luci dell'alba, e non riuscì a sopprimere una certa agitazione. Quando andò a fare colazione trovò nella sala gran parte dell'equipaggio, nonostante fosse molto presto, e quindi si sentì in dovere di parlare con molti di loro e di mangiare qualcosa, anche se avrebbe preferito bere solo del caffè. Quando uscì in cortile trovò Temeraire, già bardato, che guardava la vallata e muoveva la coda sferzando l'aria. Celeritas non era ancora arrivato, e passarono altri quindici minuti prima che si presentassero gli altri draghi della formazione. Nel frattempo Laurence aveva fatto eseguire al drago e all'equipaggio qualche giro della zona. I membri più giovani erano particolarmente nervosi, e per calmarli li aveva fatti esercitare a scambiarsi di posto. Dulcia atterrò e Maximus arrivò dietro di lei: ora la formazione era al completo, e Laurence riportò Temeraire in cortile. Celeritas non si era ancora presentato. Lily faceva grandi sbadigli e Praecursoris stava parlando con Nitidus, il Pascal blu che conosceva il francese. Il suo uovo era stato comprato da un allevamento francese molti anni prima della guerra, quando i rapporti tra le due nazioni erano abbastanza amichevoli da permettere simili scambi. Temeraire continuava a guardare Praecursoris con espressione dubbiosa, ma per una volta Laurence non se ne curò, se quello serviva a distrarlo. Un vivace sbattere d'ali attirò la sua attenzione; alzando lo sguardo vide Celeritas avvicinarsi e, dietro di lui, scorse le forme di molti Winchester e Grigilunghi allontanarsi in varie direzioni. Più in basso nel cielo, due Mietitori gialli erano diretti a sud insieme a Victoriatus, anche se il Parnassiano ferito non era perfettamente guarito. Tutti i draghi si fecero attenti e si drizzarono a sedere, le voci dei capitani si smorzarono e gli equipaggi piombarono in un pesante silenzio d'attesa, ancora prima che Celeritas toccasse terra. «Abbiamo catturato Villeneuve e la sua flotta» annunciò ad alta voce il capoaddestratore. «Sono stati bloccati nel porto di Cadice, insieme alla flotta spagnola.» Mentre il drago parlava, i servitori continuavano a correre dentro e fuori dal salone, portando con sé pacchi e scatole: persino i cuochi e le cameriere erano stati coinvolti in questo lavoro. Senza che gli venisse ordinato, Temeraire si sollevò sulle quattro zampe, proprio come gli altri draghi. Gli equipaggi di terra stavano già srotolando le reti per il ventre e montando le tende sulle schiene degli animali. «Mortiferus è stato mandato a Cadice. La formazione di Lily deve anda-
re subito alla Manica per sostituire il suo stormo. Capitano Harcourt,» proseguì Celeritas, rivolto alla donna «Excidium è rimasto allo Stretto. Ha più di ottant'anni di esperienza, per cui voi e Lily dovrete allenarvi con lui in ogni momento disponibile. Per ora affiderò il comando della formazione al capitano Stutton. Non è una cattivo giudizio sul vostro lavoro, ma data l'interruzione del vostro addestramento dobbiamo affidare il compito a chi ha maggiore esperienza.» Di solito il capitano del drago a capo della formazione deteneva anche il comando della stessa, poiché aveva il compito di dare il via a ciascuna manovra, ma Catherine annuì senza mostrarsi irritata. «Sì, certo» rispose. La voce le usa un po' acuta, e Laurence la guardò con empatia: Lily era uscita dall'uovo prima del previsto, e Harcourt era diventata capitano subito dopo aver concluso l'addestramento. Questa poteva essere la sua prima vera azione, o quasi. Celeritas le rivolse un cenno d'approvazione. «Capitano Stutton, naturalmente vi consulterete con il capitano Harcourt ogni volta che sarà possibile.» «Certo» disse Stutton, facendo un inchino alla donna dalla sua posizione a bordo di Messoria. I bagagli erano già stati fissati, e Celeritas si prese del tempo per ispezionare a turno tutte le bardature. «Molto bene, provate i vostri carichi. Maximus, inizia tu.» Uno a uno, i draghi si alzarono sulle zampe posteriori e iniziarono a sbattere le ah per scuotere l'attrezzatura, provocando forti correnti in tutto il cortile. Uno alla volta tornarono in posizione e confermarono, «Tutto a posto.» «Equipaggi di terra a bordo» ordinò Celeritas, e Laurence guardò Hollin e i suoi uomini sistemarsi nel cordame sotto il ventre del drago, preparandosi al lungo viaggio. Il segnale arrivò dal basso a indicare che erano pronti, e lui annuì al suo segnalatore, Turner, che alzò la bandiera verde. Gli equipaggi di Maximus e Praecursoris sollevarono le loro bandiere un attimo dopo, mentre i draghi più piccoli li stavano già aspettando. Celeritas si sedette, continuando a controllarli. «Buon volo» augurò semplicemente. Questo fu tutto, non ci furono cerimonie o preparativi. Il segnalatore del capitano Stutton sollevò la bandiera che comunicava la partenza, e Temeraire balzò in aria insieme agli altri, sistemandosi in posizione accanto a Maximus. Il vento soffiava da nordest, quasi direttamente dietro di loro e,
mentre salivano verso le nuvole, Laurence riuscì a scorgere a oriente il debole luccichio del sole sull'acqua. Parte terza 9 Il proiettile del fucile passò così vicino che agitò i capelli di Laurence; il ritorno di fiamma esplose dietro di lui, e Temeraire colpì il drago francese quando li superarono, scavando nella pelle blu scura profondi solchi anche mentre si girava con grazia per evitare gli artigli del nemico. «Signore, il colore indica che è un Fleur-de-Nuit» urlò Granby, con i capelli mossi dal vento, mentre il drago blu si allontanava con un muggito e si girava per tentare un altro attacco alla formazione. Il suo equipaggio stava già scendendo, con fatica, a fermare l'emorragia: le ferite non erano abbastanza gravi da metterlo fuori gioco. Laurence annuì. «Sì, Martin» chiamò ad alta voce. «Tenete pronta la polvere abbagliante, al loro prossimo passaggio gli faremo una sorpresa.» Le razze francesi erano grosse e pericolose, ma notturne per natura, e avevano occhi molto sensibili ai lampi improvvisi di luce. «Turner, date il segnale, se non vi dispiace.» Dal segnalatore di Messoria arrivò una rapida conferma. Il Mietitore giallo era impegnato a evitare l'attacco di un drago francese contro la punta della formazione. Laurence si allungò per toccare il collo di Temeraire e richiamare la sua attenzione. «Lanceremo della polvere abbagliante contro il Fleur-de-Nuit» gridò. «Mantieni la posizione e aspetta il segnale.» «Va bene, sono pronto» confermò Temeraire, quasi tremante, con una nota di eccitazione nella voce. «Fai molta attenzione» non poté evitare di aggiungere Laurence. A giudicare dalle cicatrici, il drago francese era un veterano, e lui non voleva che Temeraire si facesse male per l'eccessiva sicurezza di sé. Il Fleur-de-Nuit sfrecciò verso di loro, tentando ancora una volta di infilarsi tra Temeraire e Nitidus: il suo intento era chiaramente di dividere la formazione, ferendo l'uno o l'altro drago, ed esponendo così Lily a un attacco da dietro al passaggio successivo. Sutton stava già ordinando una manovra per virare e concedere alla Lunghe Ali un'angolatura migliore per attaccare il Fleur-de-Nuit, il più grosso dei draghi francesi, ma per poterla eseguire era necessario respingere quel nuovo assalto.
«Tutti gli uomini ai propri posti, polveri pronte» ordinò Laurence, usando il megafono per amplificare la propria voce, mentre l'enorme creatura blu e nera avanzava ruggendo verso di loro. La velocità degli scontri aerei andava al di là di tutte le esperienze belliche di Laurence. Nella marina uno scontro a fuoco poteva durare cinque minuti, mentre tra i draghi un passaggio si concludeva in meno di un minuto, e poi ne arrivava quasi subito un secondo. Stavolta il drago francese si stava avventando su Nitidus, cercando di stare alla larga dagli artigli di Temeraire. Il Pascal blu, più piccolo, non sarebbe riuscito a mantenere la posizione contro la stazza del nemico. «Stringi a babordo! Avvicinati!» gridò a Temeraire. Il drago rispose immediatamente: le grandi ali nere ruotarono e li spinsero vero il Fleur-de-Nuit, e Temeraire si avvicinò assai più rapidamente di qualsiasi altro drago da combattimento pesante. L'animale francese sussultò e si girò a guardarli, e non appena Laurence scorse il bianco dei suoi occhi gridò, «Accendete la polvere!» Lui stesso chiuse gli occhi appena in tempo, il lampo fu visibile anche attraverso le palpebre, e il Fleur-de-Nuit gridò di dolore. Quando Laurence riaprì gli occhi vide che Temeraire stava dilaniando l'altro drago, gli apriva profonde ferite nel ventre, e i fucilieri abbattevano l'equipaggio nemico. «Temeraire, mantieni la posizione» gridò Laurence: il suo drago rischiava di lasciarsi sopraffare dall'entusiasmo per la lotta. Con uno scatto, Temeraire batté più forte le ali e riprese posto nella formazione. Il segnalatore di Sutton alzò la bandiera verde, tutto il gruppo eseguì un cerchio stretto, e Lily aprì le fauci e sibilò. Il Fleur-de-Nuit stava ancora volando alla cieca, tracciando una scia di sangue nell'aria mentre l'equipaggio cercava di allontanarlo dallo scontro. «Nemico da sopra! Nemico da sopra!» La vedetta di babordo di Maximus indicava freneticamente verso l'alto. Il ragazzo stava ancora gridando, quando un terribile ruggito simile a un tuono risuonò coprendo la sua voce. Un Grand Chevalier scese in picchiata verso di loro. Il ventre pallido del drago gli aveva permesso di confondersi con le nubi senza essere individuato dalle sentinelle, e ora stava calando su Lily, con i grandi artigli spalancati. Era quasi il doppio di lei, addirittura più pesante di Maximus. Laurence restò stupito quando vide Messoria e Immortalis perdere improvvisamente quota. Ci mise un po' per capire che si trattava del riflesso contro il quale Celeritas li aveva messi in guardia tempo addietro: una reazione istintiva che i draghi avevano quando venivano colti di sorpresa dall'alto. Nitidus aveva sbattuto più forte le ali per lo spavento, ma poi a-
veva recuperato la sua posizione. Dulcia rimase al proprio posto, ma Maximus accelerò fino ad allontanarsi dagli altri e Lily ruotò di lato, frenetica e impaurita. La formazione si era sciolta nella confusione, e lei era esposta. «Preparate tutti i cannoni, attaccatelo!» gridò Laurence, facendo gesti frenetici a Temeraire. Ma non era necessario, perché dopo essere rimasto sospeso in aria per un istante, il suo drago si lanciò subito in difesa della Lunghe Ali. Il Chevalier era troppo vicino per respingere del tutto il suo attacco, ma se fossero riusciti a colpirlo prima che si fosse avventato su Lily, avrebbero potuto salvare la loro compagna da un colpo letale e darle il tempo di reagire. Gli altri quattro draghi francesi stavano tornando di nuovo alla carica. Temeraire accelerò all'improvviso, riuscì a malapena a evitare i graffi del Pècheur-Couronné e, con gli artigli protesi, calò sul Grand Chevalier mentre questi ghermiva la schiena di Lily. La Lunghe Ali si contorse, urlando di furia e dolore. I tre draghi erano ora un confuso groviglio, e sbattevano le ali in direzioni opposte, artigliandosi e ferendosi a vicenda. Lily non poteva sputare acido verso l'alto, e quindi dovevano riuscire in qualche modo a liberarla, ma Temeraire era molto più piccolo dello Chevalier, e Laurence vide che gli enormi artigli si piantavano sempre più a fondo nella carne di Lily, anche se l'equipaggio di quest'ultima li colpiva con delle asce. «Portate una bomba quassù» ordinò a Granby. Avrebbero dovuto provare a lanciarne una nelle tende agganciate al ventre del drago francese, nonostante il rischio di mancare il bersaglio e colpire Temeraire o Lily. Temeraire continuava a sferrare colpi preso da un furore cieco, con i fianchi che si allargavano a ogni respiro. Ruggiva con tanta forza che il suo corpo vibrava, e Laurence si sentiva assordato. Il Chevalier tremò per il dolore. Da qualche parte sull'altro fianco, nascosto alla vista di Temeraire dalla massa del drago francese, anche Maximus ruggì. L'attacco ebbe il suo effetto: lo Chevalier muggì con la sua voce profonda e rauca, e gli artigli mollarono la presa. «Sganciati» gridò Laurence. «Temeraire, sganciati. Mettiti tra lui e Lily.» In risposta, il drago si liberò e si lasciò cadere. Lily stava gemendo: il sangue le usciva a fiotti dalle ferite e stava perdendo rapidamente quota. Aver allontanato lo Chevalier non era sufficiente, poiché adesso anche gli altri draghi costituivano un grande pericolo per la Lunghe Ali, finché non fosse riuscita a recuperare la propria posizione di combattimento. Laurence sentì il capitano Harcourt gridare degli ordini ma non riuscì a distinguere
le parole. Improvvisamente l'attrezzatura sotto il ventre di Lily venne sganciata, e la grande rete cadde attraverso le nuvole, le bombe, i bagagli e le scorte precipitarono e svanirono nella Manica. Tutto l'equipaggio si era agganciato alla bardatura principale. Alleggerita, Lily si scosse e con un grande sforzo riprese a salire. Le ferite venivano tamponate con bende bianche, ma anche da lontano Laurence poteva vedere che sarebbero stati necessari dei punti. Maximus teneva testa allo Chevalier, ma il Pècheur-Couronné e il Fleur-de-Nuit, insieme a un altro drago francese di stazza media, si stavano raggruppando in una formazione a cuneo, pronti a caricare Lily ancora una volta. Temeraire mantenne la propria posizione sopra la Lunghe Ali, e soffiò minaccioso, flettendo gli artigli insanguinati, ma Lily stava risalendo troppo lentamente. La battaglia si era trasformata in una mischia selvaggia. Anche se gli altri draghi britannici si erano ripresi dallo spavento iniziale, erano ancora separati. Harcourt era tutta presa dai problemi di Lily, e l'ultimo drago francese, un Pêcheur-Rayé, stava combattendo contro Messoria, molto più in basso. Evidentemente i nemici avevano individuato in Sutton il comandante, e lo stavano tenendo lontano dalla battaglia: una strategia che Laurence dovette a malincuore ammirare. Non aveva alcuna autorità per prendere il comando, era il capitano meno esperto di tutto il gruppo, ma bisognava fare qualcosa. «Turner» disse, richiamando l'attenzione del suo segnalatore, ma prima che potesse impartire un ordine, gli altri draghi inglesi si misero in movimento. «Signore, è stato segnalato un ordine, raggrupparsi intorno al capo della formazione» annunciò Turner, indicando dietro di sé. Laurence si girò a guardare e vide Praecursoris che occupava la posizione di Maximus sventolando le bandiere: non essendo parte della formazione, Choiseul e il suo drago erano andati davanti, ma le vedette dovevano aver scorto i segni della battaglia e ora Praecursoris stava tornando indietro. Laurence toccò la spalla di Temeraire per richiamare la sua attenzione sul segnale. «L'ho visto» confermò il drago, e ritornò subito alla sua posizione. Un altro segnale venne sbandierato, e Laurence si avvicinò ancora di più a Lily. Anche Nitidus si strinse maggiormente, e insieme colmarono il vuoto lasciato da Messoria. Poi arrivò il segnale successivo, 'salire in formazione', e la Lunghe Ali, rincuorata dai draghi intorno a sé, iniziò a sbattere le ali più forte: finalmente aveva smesso di sanguinare. I tre animali
francesi si erano separati, non potendo più sperare di avere successo contro un attacco di gruppo, a meno di non finire a portata delle fauci di Lily, e lo stormo inglese si avvicinò allo Chevalier. Partì un altro segnale: Maximus allontanati. Il drago di Berkley era ancora impegnato in un combattimento ravvicinato con lo Chevalier, e i fucili tuonavano da entrambe le parti. L'enorme Ramato reale sferrò un ultimo colpo con gli artigli e si allontanò, ma lo fece con un secondo di anticipo: la formazione non era ancora abbastanza in alto, e a Lily serviva ancora qualche momento per poter colpire. L'equipaggio dello Chevalier vide il nuovo pericolo e riportò il drago in alto, con molti ordini urlati in francese. Anche se stava sanguinando da molte ferite, la bestia era talmente grande da non essere in pericolo di vita, e riusciva a salire più velocemente di Lily. Un attimo dopo Choiseul lanciò un segnale, mantenere l'altitudine, e tutti rinunciarono all'inseguimento. I draghi francesi si raggrupparono lontani, volteggiando mentre progettavano l'attacco successivo. Ma poi si girarono di colpo e fuggirono verso nordest, e anche il Pêcheur-Rayé si staccò da Messoria. Le vedette di Temeraire stavano gridando e indicavano a sud, e quando Laurence guardò in quella direzione vide dieci draghi volare a gran velocità verso di loro, con i segnali inglesi sbandierati dal Lunghe Ali in testa. Il Lunghe Ali era proprio Excidium: lui e la sua formazione li accompagnarono per il resto del viaggio fino alla base di Dover. I due grossi Urticanti si diedero il cambio per sostenere Lily. La Lunghe Ali stava meglio, ma era esausta, e fece un atterraggio molto pesante, su zampe tremanti. L'equipaggio riuscì a balzare fuori un attimo prima che lei crollasse al suolo. Il volto del capitano Harcourt era rigato da lacrime che la donna non si premurava di nascondere; corse alla testa di Lily e la accarezzò, mormorando dolci incoraggiamenti mentre i medici si mettevano all'opera. Laurence fece atterrare Temeraire al limite estremo della base, per lasciare più spazio ai draghi feriti. Maximus, Immortalis e Messoria avevano tutti subito ferite dolorose e profonde, anche se non erano paragonabili ai danni riportati da Lily, e le loro grida di dolore soffocate erano difficili da sostenere. Laurence represse un brivido e accarezzò il collo liscio di Temeraire. Era profondamente grato per la velocità e la grazia del suo animale, che gli avevano permesso di evitare la sorte toccata agli altri. «Granby, scarichiamo subito Temeraire e poi, se non vi dispiace, vedete cosa possiamo dare agli uomini di Lily. Credo che siamo rimasti senza bagagli.»
«Molto bene, signore» rispose Granby, girandosi per impartire subito gli ordini. Ci vollero molte ore per sistemare i draghi, liberarli dalle attrezzature e nutrirli. Per fortuna la base era molto grande, quasi cento acri inclusi anche i pascoli per il bestiame, e così non fu difficile trovare uno spiazzo per Temeraire. Questi era combattuto tra l'eccitazione per aver preso parte alla sua prima battaglia e una profonda ansia per le condizioni di Lily. Mostrò poco appetito, cosa di per sé sorprendente, e alla fine Laurence disse all'equipaggio di portare via il resto delle carcasse. «Possiamo andare a caccia domani mattina, non sei costretto a mangiare» disse al drago. «Grazie. Adesso non ho affatto fame» replicò Temeraire, poggiando la testa a terra. Restò in silenzio mentre lo pulivano, fino a quando gli uomini dell'equipaggio non ebbero finito e lo lasciarono da solo con il capitano. Gli occhi del drago erano due strette fessure, e per un momento Laurence si chiese se si fosse addormentato, poi Temeraire li dischiuse un po' e chiese a voce bassa, «Ci si sente sempre così, dopo una battaglia?» Laurence non ebbe bisogno di chiedergli cosa intendesse dire: la stanchezza e il dolore del drago erano evidenti. Era difficile trovare una risposta: voleva soprattutto rassicurarlo. Lui stesso si sentiva ancora teso e adirato, e benché quella sensazione fosse familiare, il suo perdurare non lo era affatto. Aveva partecipato a molte azioni, non meno pericolose o mortali, ma la sua prima impresa aerea gli aveva mostrato una differenza cruciale: quando il nemico prendeva la mira contro di lui non metteva a repentaglio la sua nave, ma il suo drago, la creatura che gli era più cara al mondo. E Laurence non riusciva a esaminare con distacco nemmeno le ferite subite da Lily, da Maximus o da qualsiasi altro membro della formazione. Certo non si trattava di Temeraire, ma erano comunque suoi compagni d'arme. Quello scontro era stato diverso da ogni altra battaglia che avesse mai intrapreso, e l'attacco a sorpresa l'aveva colto impreparato. «Temo che dopo una battaglia sia spesso difficile stare bene, soprattutto se un amico è rimasto ferito, o addirittura ucciso» rispose infine. «Ti dirò che ho trovato questo scontro particolarmente impegnativo. Noi non avevamo veri motivi per combattere in quest'occasione, né ne abbiamo trovati di nuovi.» «Sì, questo è vero» convenne Temeraire, e la gorgiera tornò ad abbassarsi sul collo. «Preferirei pensare che abbiamo combattuto così duramente e che Lily è rimasta ferita per qualche scopo. E invece è successo solo che i nemici sono venuti per farci del male, per cui non possiamo nemmeno dire
di avere lottato per proteggere qualcuno.» «Questo non è affatto vero: hai protetto Lily» spiegò Laurence. «E pensa a questo: i francesi sono stati abili e intelligenti nell'attaccarci, prendendoci di sorpresa, con una forza pari alla nostra in numero ma superiore in esperienza. Nonostante ciò li abbiamo sconfitti e messi in fuga. Vale la pena di esserne orgogliosi, non è così?» «Suppongo che tu abbia ragione» rispose Temeraire. Le sue spalle si abbassarono e il drago si rilassò. «Vorrei solo che Lily stesse bene» aggiunse. «Speriamo che guarisca in fretta. Stai pur sicuro che faranno tutto il possibile per lei» disse Laurence, accarezzandogli il naso. «Sarai stanco, non hai voglia di dormire? Vuoi che ti legga qualcosa?» «Non credo che riuscirò a dormire» rispose Temerarie. «Ma mi farebbe piacere se mi leggessi qualcosa, così potrò stendermi e riposare.» Sbadigliò subito dopo aver pronunciato quelle parole, e si addormentò ancora prima che Laurence tirasse fuori il libro. Il clima era finalmente cambiato, e i caldi e regolari respiri che uscivano dalle narici del drago producevano piccoli sbuffi di vapore nell'aria frizzante. Lasciandolo dormire, Laurence andò rapidamente al quartiere generale della base; il sentiero che attraversava i cortili dei draghi era illuminato da lanterne e lui poteva comunque orientarsi con la luce che proveniva dalle finestre. Il vento che soffiava da est portava l'aria salmastra del molo, che si mescolava con l'odore ramato dei draghi, che Laurence ormai conosceva bene e a malapena avvertiva. Gli avevano assegnato una stanza accogliente al secondo piano, con una finestra che dava sui giardini sul retro, e il suo bagaglio era già stato disfatto. Guardò dispiaciuto gli abiti stropicciati: evidentemente i servitori della base erano incapaci quanto gli aviatori stessi quando si trattava di bagagli. Laurence entrò nella sala da pranzo degli ufficiali anziani e fu accolto da un gran vociare, nonostante l'ora tarda. Gli altri capitani della formazione erano tutti intorno a un lungo tavolo, e non avevano toccato il loro pasto. «Si sa niente di Lily?» chiese lui, sedendosi tra Berkley e il capitano di Dulcia, Chenery. Harcourt e Little, il capitano di Immortalis, erano gli unici assenti. «È arrivato fino all'osso, quel codardo, ma non sappiamo altro» lo informò Chenery. «La stanno ancora ricucendo, e non ha voluto mangiare nulla.» Laurence sapeva che era un brutto segno. I draghi feriti diventavano fa-
melici, a meno che non stessero davvero male. «Come stanno Maximus e Messoria?» chiese, guardando Berkely e Stutton. «Hanno mangiato molto e si sono addormentati presto» rispose Berkley. Il suo viso, solitamente disteso, era tirato, e aveva un segno di sangue scuro che gli attraversava la fronte e finiva tra i capelli ispidi. «Oggi sei stato davvero veloce, Laurence. Avremmo potuto perderla.» «Non abbastanza veloce» rispose lui in un sussurro, anticipando i mormorii di approvazione. Non voleva ricevere complimenti per il proprio lavoro, benché fosse fiero di quello che aveva fatto Temeraire. «Comunque più veloce di noi» intervenne Sutton, vuotando il bicchiere. A giudicare dal colorito delle guance e del naso, non doveva essere il primo. «Ci hanno colti di sorpresa, maledetti francesi. Mi piacerebbe sapere cosa diavolo ci facesse lì una loro pattuglia.» «Il tratto aereo da Laggan a Dover non è certo segreto, Sutton» disse Little, unendosi alla tavolata. Spostarono le sedie per fargli posto. «Immortalis sta bene, ora sta mangiando. A proposito, mi passereste quel pollo?» Strappò una coscia con le mani e la addentò con vigore. Guardandolo, Laurence sentì i primi morsi della fame. Lo stesso dovette succedere anche agli altri capitani, e nei dieci minuti successivi regnò il silenzio, mentre si passavano i piatti e si concentravano sul cibo. Non avevano mangiato nulla dalla colazione frugale fatta prima dell'alba alla base di Middlesbrough. Il vino non era un granché, ma Laurence ne bevve comunque parecchi bicchieri. «Suppongo che fossero appostati tra Felixstowe e Dover, e aspettavano solo di intercettarci» proseguì Little dopo un po', pulendosi la bocca e riprendendo la conversazione da dove si era interrotta. «Buon Dio, giuro che non porterò più Immortalis in quelle zone. D'ora in avanti ci muoveremo sempre sulla terraferma, a meno che non vogliamo finire in qualche altra battaglia.» «Hai ragione» concordò Chenery con trasporto. «Salve, Choiseul, prendete una sedia.» Si fece da parte e il francese si unì a loro. «Signori, sono molto felice di dirvi che Lily ha iniziato a mangiare. Sono appena stato dal capitano Harcourt» disse, sollevando un bicchiere. «Un brindisi alla loro salute?» «Alla salute» rispose Sutton, riempiendosi di nuovo il bicchiere. Tutti si unirono al brindisi, e ci fu un sospiro generale di sollievo. «Eccovi tutti qui. State mangiando, spero. Bene, molto bene.» L'ammiraglio Lenton li aveva appena raggiunti: era il comandante in carico della
Divisione della Manica, e quindi di tutti i draghi nella base di Dover. «No, state comodi, non alzatevi» disse con impazienza quando Laurence e Choiseul si misero in piedi e gli altri li imitarono. «Ci mancherebbe altro, dopo la giornata che avete avuto. Passatemi la bottiglia, Sutton. Allora, avete già saputo che Lily ha mangiato? Sì, i medici sperano che potrà riprendere a fare piccoli voli tra un paio di settimane, e nel frattempo voi avete messo fuori gioco un paio delle loro bestie da combattimento più grandi. Un brindisi alla vostra formazione, signori.» Laurence sentì che la tensione e l'angoscia cominciavano finalmente a dissiparsi. Sapere che Lily e gli altri erano fuori pericolo era un grande sollievo, e il vino aveva sciolto il groppo che aveva in gola. Gli altri parevano condividere i suoi sentimenti, e la conversazione si fece lenta e frammentaria; tendevano tutti ad annuire, riversi sui propri bicchieri. «Sono quasi certo che il Grand Chevalier fosse Triumphalis» mormorò Choiseul all'ammiraglio Lenton. «Lo avevo già visto, è uno dei combattenti più pericolosi di tutta la Francia. Quando io e Praecursoris abbiamo lasciato l'Austria si trovava alla base di Dijon, vicino al Reno, e devo dirvi, signore, che quell'animale incarna le mie peggiori paure: Bonaparte non lo avrebbe mandato qui se non fosse assolutamente certo della vittoria contro l'Austria, e di sicuro altri draghi verranno in aiuto di Villeneuve.» «Prima ero solo incline a darvi ragione, capitano, ora ne sono sicuro» rispose Lenton. «Ma per il momento possiamo solo sperare che Mortiferus raggiunga Nelson e faccia il proprio dovere prima che i draghi francesi arrivino da Villeneuve. Non possiamo fare a meno di Excidium finché Lily non si sarà ripresa. Non mi sorprenderebbe sapere che era proprio questo lo scopo del loro attacco; è il tipico ragionamento scaltro di quel corso maledetto.» Laurence non poté non pensare alla Reliant, che in quello stesso momento era sotto la minaccia di un attacco aereo francese, come le altre navi della flotta che stavano assediando Cadice. C'erano molti dei suoi amici e conoscenti, a bordo. Anche se non fossero arrivati i draghi francesi, avrebbero dovuto comunque sostenere una battaglia navale, e quanti di loro sarebbero caduti senza che lui nemmeno lo venisse a sapere? Negli ultimi mesi non aveva dedicato molto tempo alla corrispondenza, e ora se ne pentiva amaramente. «Abbiamo ricevuto notizie dal blocco di Cadice?» domandò. «Hanno dovuto combattere?» «No, almeno che io sappia» gli rispose Lenton. «Oh, è vero, voi siete
quello della marina, giusto? Bene, avevo comunque in mente di usare i draghi non feriti per dei giri di pattuglia sulla flotta della Manica mentre gli altri si rimettono in sesto, così potrete scendere sulla nave ammiraglia a chiedere notizie. Saranno molto felici di vedervi. È da un mese che non riusciamo a mandare qualcuno a recapitargli la posta.» «Partiremo domani, quindi?» chiese Chenery, senza riuscire a reprimere del tutto uno sbadiglio. «No, posso fare a meno di voi per un altro giorno. State con i vostri draghi e godetevi il riposo, finché potete» concluse Lenton con una risata secca e ragliata. «Vi farò tirare giù dal letto all'alba di dopodomani.» Il giorno successivo Temeraire dormì profondamente e fino a tardi, lasciando a Laurence qualche ora di tempo libero dopo la colazione. Il capitano incontrò Berkley a tavola, e insieme andarono a trovare Maximus. Il Ramato reale stava ancora mangiando, una processione di pecore appena macellate gli scendeva giù per la gola, e quando li vide arrivare allo spiazzo li salutò con un grugnito a bocca piena. Berkley aveva portato una bottiglia di vino piuttosto scadente, e la bevve quasi tutta da solo mentre Laurence sorseggiava dal suo bicchiere per essere educato, e insieme discussero della battaglia usando diagrammi disegnati nel fango e ciottoli al posto dei draghi. «Ci farebbe comodo aggiungere un elemento leggero, un Grigiolungo magari, che faccia da sentinella volando sopra la formazione» suggerì Berkley, sedendosi pesantemente su una roccia. «Tutti i nostri draghi più grandi sono giovani. Se loro si fanno prendere dal panico, anche quelli piccoli reagiscono allo stesso modo, nonostante la loro maggiore esperienza.» Laurence annuì. «Almeno mi auguro che questa piccola disavventura gli abbia insegnato a gestire meglio la paura» osservò. «In ogni modo, i francesi non possono sperare di avere sempre delle condizioni tanto favorevoli. Senza la copertura delle nuvole non ce l'avrebbero mai fatta.» «Signori, state studiando la battaglia di ieri?» Choiseul, che stava andando al quartier generale, si fermò da loro e si accovacciò accanto allo schema. «Mi dispiace di essermi perso l'inizio.» Il suo cappotto era impolverato e la cravatta era bagnata di sudore: sembrava che non si fosse ancora cambiato dal giorno prima, e delle sottili vene rosse gli striavano il bianco degli occhi. Abbassò lo sguardo e si sfregò la faccia. «Siete stato sveglio tutta la notte?» chiese Laurence. Choiseul scosse il capo. «No, ma ho fatto i turni con Catherine... volevo
dire con il capitano Harcourt, al capezzale di Lily, altrimenti lei non sarebbe riuscita a dormire.» Chiuse gli occhi e fece un enorme sbadiglio, rischiando di cadere. «Merci» disse, ringraziando Laurence per avergli teso la mano, e si rimise lentamente in piedi. «Devo lasciarvi, voglio portare qualcosa da mangiare a Catherine.» «Vi prego, andate a riposare, ci penserò io» propose Laurence. «Temeraire sta dormendo e non ho niente da fare.» Anche Harcourt era ben sveglia, pallida per la preoccupazione ma di nuovo padrona di sé. Impartiva ordini agli uomini del suo equipaggio e dava a Lily pezzi di manzo ancora fumanti dalla sua stessa mano, continuando a incoraggiarla con dolci sussurri. Laurence le aveva portato un panino al bacon, e lei lo avrebbe preso tra le mani insanguinate pur di continuare a nutrire il suo drago, ma Laurence riuscì a farla allontanare per lavarsi e mangiare mentre un cadetto prendeva il suo posto. Lily continuò a ingurgitare carne, tenendo un occhio dorato fisso sul suo capitano, in cerca di rassicurazioni. Choiseul tornò prima che Harcourt avesse finito. Si era tolto il cappotto e la cravatta, e un servitore lo seguiva con una caraffa di caffè, forte e bollente. «Il vostro tenente vi sta cercando, Laurence. Temeraire ha iniziato ad agitarsi» disse, sedendosi accanto alla ragazza. «Io non riesco a dormire. Il caffè mi ha fatto bene.» «Grazie, Jean-Paul, se non sei troppo stanco la tua compagnia mi farebbe piacere» disse Catherine, sorseggiando la seconda tazza. «Non preoccupatevi, Laurence, sono sicura che Temeraire sarà in ansia. Vi sono grata per essere venuto.» Laurence fece un inchino a entrambi, pur sentendosi in imbarazzo per la prima volta da quando aveva conosciuto Harcourt. La ragazza si era appoggiata alla spalla di Choiseul senza nemmeno rendersene conto, e il francese la guardava con innegabile affetto. Lei era giovane, dopo tutto, e Laurence sentì il peso dell'assenza di una chaperone. Si consolò pensando che non poteva succedere niente con Lily e l'equipaggio lì presenti. In ogni caso, lui non poteva restare lì date le circostanze, per cui si allontanò di corsa, diretto alla radura di Temeraire. Il resto del giorno lo trascorse in un piacevole ozio, seduto comodamente nel solito incavo della zampa anteriore di Temeraire a scrivere lettere. Quando era in marina, con molte ore da riempire, era solito intrattenere una fitta corrispondenza, e ora era rimasto indietro con molte risposte. Anche sua madre era riuscita a scrivergli diverse lettere brevi e affrettate,
probabilmente per non farsi scoprire dal marito: quanto meno non erano affrancate, e lui fu costretto a pagare per poterle ricevere. Dopo essersi ingozzato per compensare la mancanza d'appetito della sera prima, Temeraire si fece leggere le lettere che il suo capitano stava scrivendo e gli dettò le sue aggiunte, mandando i saluti a Lady Allendale, e a Riley. «E raccomanda al capitano Riley di fare i miei migliori auguri all'equipaggio della Reliant» aggiunse. «Sembra che sia passata una vita, non è così, Laurence? Sono mesi che non mangio un pesce.» Laurence sorrise per il modo in cui Temeraire aveva misurato il tempo. «Sono successe un sacco di cose, è vero, ed è strano pensare che non è passato nemmeno un anno» disse, sigillando la busta e scrivendo l'indirizzo. «Spero solo che stiano tutti bene.» Era l'ultima lettera, e la mise in cima alla pila con una certa soddisfazione. Ora si sentiva a posto con la propria coscienza. «Roland» chiamò, e la ragazza si staccò di corsa dal gruppo degli alfieri, che stavano facendo un gioco con dei sassolini. «Porta queste all'ufficio postale» le ordinò lui, consegnandole il plico. «Signore,» iniziò Roland con un certo imbarazzo, prendendo le lettere, «quando ho fatto, posso avere la serata libera?» Laurence fu stupito da quella richiesta. Molti cadetti avevano chiesto e ricevuto una licenza per visitare la città, ma l'idea di un alfiere di dieci anni che vagava da solo per Dover era assurda, anche se non si fosse trattato di una ragazzina. «Starai da sola o andrai insieme agli altri?» le chiese, pensando che forse era stata invitata da uno degli ufficiali più grandi per una rispettabile passeggiata. «No, signore, sono da sola» rispose lei. Aveva un'aria così speranzosa che per un momento Laurence pensò di portarla fuori lui stesso, ma non poteva lasciare Temerarie da solo a rimuginare sui fatti del giorno precedente. «Magari un'altra volta, Roland» rispose con gentilezza. «Staremo per un bel po' qui a Dover, e ti prometto che avrai altre occasioni.» «Oh» commentò delusa Roland. «Va bene, signore.» Se ne andò talmente delusa che Laurence si sentì in colpa. Temeraire la guardò allontanarsi e domandò, «Laurence, c'è qualcosa di particolarmente interessante qui a Dover? Molti uomini dell'equipaggio vogliono andarci.» «Oh, cielo» replicò Laurence. Si sentiva in imbarazzo a dover spiegare che la maggiore attrattiva della città erano le prostitute del porto e i liquori a buon mercato. «Be', in una città ci sono molte persone, e quindi ci sono
più occasioni di intrattenimento» azzardò. «Più libri?» lo incalzò Temeraire. «Ma io non ho mai visto Collins o Durine leggere, ed erano molto emozionati all'idea di andare in città. Ieri sera non hanno parlato d'altro.» Laurence maledisse in silenzio i due giovani cadetti per avergli complicato la faccenda, e già pianificava i loro compiti settimanali con uno spirito di vendetta. «Ci sono anche i teatri e i concerti» aggiunse. Ma era evidente che stava nascondendo qualcosa: il peso della disonestà era fastidioso, e non poteva sopportare di mentire a Temeraire, che dopo tutto era ormai un adulto. «Ma temo che alcuni di loro ci andranno per bere e per frequentare brutte compagnie» ammise con maggiore franchezza. «Ah, ti riferisci alle prostitute» disse Temeraire, stupendo Laurence al punto di farlo quasi cadere. «Non sapevo che ci fossero anche loro, in città, ma ora capisco.» «Dove diavolo hai sentito parlare di loro?» gli chiese Laurence, cercando di controllarsi. Sollevato dal fardello della spiegazione, si sentì profondamente offeso dal fatto che qualcun altro avesse dato chiarimenti a Temeraire. «Me ne ha parlato Victoriatus, a Loch Laggan. Non riuscivo a capire come mai gli ufficiali scendessero al villaggio anche se non avevano famiglia laggiù» spiegò il drago. «Ma tu non ci sei mai andato. Sei sicuro che non ti piacerebbe?» aggiunse, quasi speranzoso. «Amico mio, non devi dire cose del genere» disse Laurence, arrossendo e ridendo allo stesso tempo. «Non è argomento per una conversazione rispettabile, e se non è possibile impedire agli uomini di seguire questa abitudine, di certo non bisogna incoraggiarli. Parlerò con Dunne e Collins: non sono cose di cui dovrebbero vantarsi, soprattutto se ci sono alfieri nelle vicinanze.» «Non capisco» proseguì Temeraire. «Vindicatus diceva che è molto bello e attraente per gli uomini, perché altrimenti dovrebbero sposarsi, e la cosa non sembrava molto allettante. Però se tu lo volessi davvero, non credo che a me dispiacerebbe.» Pronunciò quell'ultima frase con ben poca sincerità, guardando Laurence di sottecchi, come per studiare gli effetti del suo discorso. L'allegria e l'imbarazzo di Laurence svanirono di colpo. «Temo che ti abbiano dato informazioni completamente sbagliate» disse lui con gentilezza. «Perdonami, avrei dovuto parlarti prima di queste cose. Non ti devi preoccupare: tu sei il mio impegno principale e lo sarai sempre, anche se
mi dovessi sposare, e non credo che lo farò.» Si fermò un momento, chiedendosi se altre parole avrebbero solo aggiunto altre preoccupazioni per il drago, ma alla fine scelse la via della sincerità totale e aggiunse, «C'era una specie di accordo tra me e una dama, prima che ti trovassi, ma da allora lei ha rotto l'impegno.» «Vuoi dire che ti ha rifiutato?» chiese Temeraire, indignato, dimostrando che i draghi sapevano essere scontrosi quanto gli uomini. «Mi dispiace molto, Laurence. Se vorrai sposarti sono certo che troverai un'altra donna, molto migliore.» «Sei davvero lusinghiero ma, te lo assicuro, non ho alcuna intenzione di cercare una sostituta» rispose Laurence. Temerarie chinò leggermente la testa, soddisfatto, e non fece altre domande. «Ma, Laurence...» iniziò a dire, poi si fermò. «Se non è un bell'argomento vuoi dire che non ne dovrò più parlare?» «Devi fare attenzione a evitarlo in mezzo alla gente, ma con me potrai sempre parlare di tutto quello che vorrai» lo tranquillizzò Laurence. «Sono solo curioso. Se a Dover ci sono solo le prostitute, allora Roland non ci può andare perché è troppo giovane per loro?» «Comincio a sentire il bisogno di un bicchiere di vino per farmi forza e sostenere questa conversazione» disse Laurence con mestizia. Per fortuna Temerarie si accontentò di poche altre spiegazioni sui teatri e i concerti, e sulle altre attrazioni di una città. Rivolse volentieri la sua attenzione a una discussione sul tragitto del loro giro di pattuglia, che un corriere aveva consegnato quel mattino, e chiese anche se era possibile avere del pesce per cena. Laurence fu felice di vederlo così rinfrancato dopo le disavventure del giorno prima, e aveva appena deciso di portare comunque Roland in città, se al drago non dispiaceva, quando vide arrivare la ragazza in compagnia di un altro capitano: una donna. Laurence era seduto su una zampa anteriore di Temerarie e si rese conto solo in quel momento del suo stato di disordine: corse dietro al drago in modo da essere riparato dal corpo dell'animale. Non c'era tempo per rimettersi il cappotto, appeso a un albero poco distante, ma si infilò la camicia nei pantaloni e si legò in fretta la cravatta. Fece di nuovo il giro per inchinarsi, e quando vide chiaramente la donna per poco non inciampò. Non era brutta, ma il suo volto era deturpato da una cicatrice che poteva essere stata causata solo da una spada. L'occhio sinistro era leggermente chiuso a un angolo, dove la lama lo aveva manca-
to di poco, e sul volto correva una riga rossa, che svaniva in una cicatrice più sottile e bianca sul collo. Doveva avere la sua stessa età, o forse qualche anno in più, con quella ferita era difficile stabilirlo, ma in ogni modo indossava le triple mostrine che le conferivano il ruolo di capitano anziano, e sul risvolto aveva una piccola medaglia d'oro del Nilo. «Siete Laurence, non è vero?» chiese, senza perdere tempo con le presentazioni formali, mentre lui era ancora occupato a nascondere la propria sorpresa. «Io sono Jane Roland, il capitano di Excidium. Vorrei chiedervi il favore personale di lasciarmi Emily per questa sera, se non avete bisogno di lei.» Lanciò un'occhiata eloquente agli altri alfieri, che erano tutt'altro che impegnati. Aveva parlato con sarcasmo, ed era palesemente offesa. «Vi chiedo scusa» disse Laurence, comprendendo il proprio errore. «Pensavo che volesse la licenza per visitare la città. Non avevo capito che...» Riuscì a trattenersi appena in tempo: era quasi certo che fossero madre e figlia, non solo perché avevano lo stesso cognome, ma anche per una certa somiglianza non solo fisica, ma non poteva dare nulla per scontato. «Ma certo che potete averla con voi» concluse. Sentendo la sua spiegazione, il capitano Roland si rilassò. «Ah! Capisco: temevate che potesse cacciarsi in qualche guaio» disse, con una risata insolitamente cordiale e poco femminile. «Be', vi prometto che non la lascerò scorrazzare in libertà, e la riporterò indietro per le otto. Vi ringrazio, io ed Excidium non la vedevamo da più di un anno, e temevamo di aver dimenticato come è fatta.» Laurence si inchinò e le guardò allontanarsi; Roland si affannava per tenere il passo lungo e mascolino della madre, senza mai smettere di parlare con entusiasmo ed emozione, salutando i suoi amici con la mano mentre se ne andava. Osservandoli, Laurence si sentì un po' stupido: si era ormai abituato alla presenza del capitano Harcourt, e avrebbe dovuto saper trarre le sue conclusioni. Dopo tutto Excidium era un altro Lunghe Ali, e presumibilmente aveva insistito per avere un capitano femmina proprio come Lily, e dato che aveva prestato servizio per tanto tempo, era improbabile che il suo capitano avesse evitato le battaglie. Eppure Laurence dovette ammettere di essere sorpreso, e non poco sconvolto, di vedere una donna ferita in modo così evidente e profondo. Harcourt, il suo altro esempio di capitano donna, non era di certo una signora, ma il fatto che fosse comunque giovane e consapevole della sua recente promozione, forse la rendevano meno sicura di sé. Con la discussione con Temeraire sull'argomento matrimonio ancora
nella mente, Laurence non poté evitare di pensare perplesso al padre di Emily: se il matrimonio era scomodo per un aviatore uomo, sembrava quasi inconcepibile per una donna. L'unica cosa che riuscì a immaginare fu che Jane fosse frutto di un rapporto occasionale, e non appena l'idea gli venne alla mente si rimproverò per aver fatto un pensiero del genere su una donna del tutto rispettabile che aveva appena conosciuto. Ma quella sua azzardata supposizione si rivelò corretta. «Temo di non averne la più pallida idea, non lo vedo da dieci anni» gli disse la donna più tardi quella stessa sera. Lo aveva invitato a unirsi a lei per cena al circolo degli ufficiali dopo aver riportato a casa Emily, e dopo qualche bicchiere di vino Laurence non riuscì a trattenersi dal chiedere informazioni sul padre della ragazza. «Non eravamo proprio sposati, sapete. Credo che non conosca nemmeno il nome di sua figlia.» Jane sembrava priva di qualsiasi vergogna, e dopo tutto Laurence si era reso conto che una situazione più ortodossa sarebbe stata impossibile per un'aviatrice. Ma nonostante ciò si sentiva a disagio; per fortuna, lei se ne accorse ma non la prese come un'offesa personale, e infatti disse, «Oserei pensare che i nostri modi vi risultano ancora piuttosto stravaganti. Ma vi potete sposare, se lo volete, non è una cosa proibita nell'aviazione. È solo difficile per l'altro coniuge, che viene messo sempre in secondo piano rispetto a un drago. Da parte mia non ho mai provato un desiderio del genere. Se non fosse stato per il bene di Excidium, non avrei mai pensato a dei figli, anche se Emily è un tesoro e sono molto felice di averla. Ma nonostante tutto, è stato un inconveniente.» «Quindi Emily diventerà il prossimo capitano di Excidium?» domandò Laurence. «Posso chiedervi se i draghi, quelli che vivono a lungo, vengono sempre ereditati in questa maniera?» «Quando è possibile sì. Stanno molto male quando perdono un pilota, sapete, ed è più probabile che accettino quello nuovo se è qualcuno con cui hanno già dei contatti, o qualcuno che possa condividere il loro dolore» spiegò Jane. «Per cui ci fanno riprodurre, proprio come loro. Immagino che anche a voi chiederanno di fare un paio di figli per l'aviazione.» «Buon Dio» esclamò lui, spaventato dalla notizia. Aveva scartato l'idea di avere figli insieme al progetto di un matrimonio, fin dal momento del rifiuto di Edith, e la sua convinzione si era rinsaldata dopo aver sentito le obiezioni di Temeraire. Non riusciva a immaginare come gestire la situazione. «Immagino che debba essere piuttosto sconvolgente per voi, mi dispia-
ce» commentò la donna. «Mi offrirei io, ma vi conviene aspettare fino al decimo anno d'età del drago, e in ogni caso io non sono disponibile al momento.» A Laurence servì un po' per capire cosa intendesse, poi sollevò il bicchiere di vino con mano tremante, cercando di nascondervisi dietro. Sentiva le guance avvampare nonostante tutti i suoi sforzi per evitarlo. «Siete molto gentile» disse parlando nel calice, soffocato tra il dispiacere e la risata: era un tipo di proposta che non si sarebbe mai sognato di ricevere, anche se era stata fatta solo per metà. «Catherine però potrebbe essere perfetta per voi» proseguì Roland, con quel tono spaventosamente pratico. «Sì, sì, andrebbe proprio bene. Ne potreste fare uno per Lily e uno per Temeraire.» «Grazie mille!» rispose lui con fermezza, cercando disperatamente di cambiare argomento. «Posso portarvi qualcosa da bere?» «Oh, sì, del Porto sarebbe perfetto, grazie» rispose la donna. Ormai Laurence era ben al di là dello stupore, e quando tornò con il vino e lei gli offrì un sigaro già acceso, fu ben lieto di accettarlo. Continuarono a parlare ancora molte ore, fino a restare da soli nel circolo, con i servitori che non si sforzavano più di nascondere gli sbadigli. Salirono le scale insieme. «Non è poi così tardi» disse la donna guardando il bell'orologio in cima all'ultima rampa. «Siete già stanco? Se volete potremmo fare una partita o due di picchetto nella mia stanza.» Si sentiva talmente a suo agio con lei che accettò la proposta con grande naturalezza. Quando infine la salutò per tornare alla propria stanza, molto più tardi, un servitore stava percorrendo il corridoio e gli lanciò un'occhiata. Solo allora Laurence si preoccupò per il proprio comportamento, e si sentì a disagio. Ma il danno, se ce n'era stato, era già fatto. Allontanò quel pensiero dalla propria mente e andò a letto. 10 Laurence era ormai diventato abbastanza esperto da non stupirsi più di tanto quando, il mattino seguente, si accorse che la loro avventura notturna non dava adito a nessun pettegolezzo. Al contrario, il capitano Roland lo salutò con calore a colazione e lo presentò ai suoi tenenti senza mostrare il minimo imbarazzo, e insieme andarono dai loro draghi. Laurence vide che Temeraire stava a sua volta finendo l'abbondante colazione e ne approfittò per fare un discorso severo e riservato a Collins e
Dunne circa la loro indiscrezione. Non aveva intenzione di comportarsi da bigotto, né di predicare castità e temperanza, ma non credeva che fosse troppo puritano preferire che gli ufficiali del suo equipaggio dessero un esempio rispettabile ai più giovani. «Se proprio dovete intrattenervi con simili compagnie, suppongo che non siate comunque tenuti a diventare dei lenoni e a far credere ai nostri alfieri che dovrebbero comportarsi anche loro così» disse, e i due cadetti si agitarono, imbarazzati. Dunne aprì addirittura la bocca, e fu sul punto di protestare, ma si arrese allo sguardo glaciale di Laurence, che non avrebbe tollerato nessun livello di insubordinazione. Eppure, dopo aver ripreso i due uomini per poi rispedirli ai loro doveri, il capitano si sentì un po' a disagio ricordando il modo tutt'altro che casto in cui lui stesso aveva passato la notte. Si consolò dicendosi che Roland era una sua pari grado, la sua compagnia non poteva essere paragonata a quella delle prostitute e, cosa più importante, loro due non avevano dato spettacolo in pubblico. Eppure queste scuse gli sembravano un po' deboli, e fu così lieto di potersi concentrare sul lavoro: Emily e gli altri due corrieri lo stavano già aspettando vicino a Temeraire, con la grossa borsa della posta per la flotta di contenimento. La forza stessa della marina britannica comportava delle peculiari condizioni di isolamento per quelle navi. Raramente c'era bisogno che un drago venisse spedito ad assisterle, poiché ricevevano tutto il necessario dalle fregate, tranne i dispacci e le provviste più urgenti, e così i membri dei loro equipaggi avevano ben poche opportunità di aggiornarsi sulle notizie più recenti o di ricevere la corrispondenza. I francesi avevano ben ventuno navi a Brest, ma non osavano uscire allo scoperto e affrontare i marinai britannici, assai più abili. Senza un supporto navale, nemmeno uno stormo da combattimento pesante era disposto a rischiare un bombardamento aereo, non con i cecchini già pronti sugli alberi e gli arpioni e l'artiglieria sui ponti. Di tanto in tanto, col buio i francesi tentavano degli attacchi isolati, di solito portati da un drago di qualche razza notturna, ma spesso i fucilieri erano una risposta sufficiente, e se anche si fosse alzato in volo un intero stormo, allora i draghi inglesi di pattuglia a nord avrebbero potuto far partire le segnalazioni luminose. L'ammiraglio Lenton aveva deciso di riorganizzare di volta in volta i draghi rimasti illesi nella formazione di Lily, sia per tenere impegnati gli animali sia per poter controllare zone più estese. Quel giorno Temeraire avrebbe volato in testa, con Dulcia e Nitidus ai fianchi: avrebbero seguito la formazione di Excidium fino alla prima tappa di pattuglia sulla Manica,
e da lì si sarebbero staccati per un rapido passaggio sullo squadrone principale della flotta impegnata nello stretto, che in quei giorni si trovava poco lontano da Ushant e teneva in stallo il porto francese di Brest. Oltre ai benefici bellici, quella visita avrebbe fornito alle navi della flotta anche una breve fuga dalla solitaria monotonia del loro incarico di contenimento. L'aria del mattino era fredda e frizzante, non c'era nebbia, il cielo era chiaro e luminoso, l'acqua quasi nera. Strizzando gli occhi contro il bagliore del sole, Laurence si rammaricò di non poter imitare alfieri e cadetti, che si stavano passando del kohl nero sotto gli occhi, ma poiché occupava la testa della formazione avrebbe dovuto guidare il gruppo che si sarebbe separato e con ogni probabilità gli sarebbe stato richiesto di salire a bordo della nave ammiraglia per fare visita all'ammiraglio stesso, lord Gardner. La clemenza del clima garantì un viaggio piacevole, anche se non molto tranquillo: le correnti aeree presero a variare in modo imprevedibile quando furono in volo sopra i mari, e Temeraire continuò a seguire il suo istinto, salendo e scendendo di quota per sfruttare i venti migliori. Dopo un'ora di pattugliamento, raggiunsero il punto di separazione; il capitano Roland sollevò una mano in segno di saluto quando Temeraire deviò verso sud superando Excidium; il sole era quasi a perpendicolo sopra di loro, e l'oceano in basso scintillava di raggi riflessi. «Laurence, vedo le navi davanti a noi» disse Temeraire circa mezz'ora più tardi, e lui sollevò il telescopio, ma dovette portarsi una mano al viso e strizzare gli occhi contro il sole prima di riuscire a vedere le vele sull'acqua. «Buon avvistamento» rispose al drago, poi disse: «Per favore, Turner, segnali il nostro arrivo.» Gli addetti alle comunicazioni eseguirono la serie di sbandieramenti necessari a denotare la loro appartenenza all'esercito britannico: nel loro caso era una mera formalità, grazie all'insolito e notevole aspetto di Temeraire. Poco dopo, furono avvistati e identificati; la nave al comando sparò una salva di nove cannoni, un saluto forse maggiore di quello dovuto a Temeraire, che non era ufficialmente a capo della formazione. Che il gesto fosse dovuto a un'errata valutazione o alla generosità, Laurence fu compiaciuto da quell'attenzione e ordinò ai fucilieri di rispondere all'omaggio mentre passavano in volo sopra le imbarcazioni. La flotta era una gioia per gli occhi, con le lance lunghe e aggraziate che già venivano messe in acqua per raccogliersi intorno alla nave ammiraglia in attesa della posta, e le grandi navi di linea che bordeggiavano contro il
maestrale per tenere la loro posizione, le vele bianche un lucente contrasto con l'acqua scura, i colori sventolati con orgoglio da tutti gli alberi maestri. Laurence non poté resistere all'impulso di sporgersi in avanti per guardare da sopra la spalla di Temeraire, tendendo al massimo le cinghie collegate ai suoi moschettoni. «Segnali dalla nave ammiraglia, signore» disse Turner quando furono abbastanza vicini da poter distinguere le bandiere. «Chiedono al nostro capitano di atterrare a bordo.» Laurence annuì: proprio come aveva previsto. «Prego, Turner, accetti la richiesta. Granby, credo che possiamo effettuare un passaggio sul resto della flotta a sud mentre si preparano ad accoglierci.» Gli equipaggi della Hibernia e della vicina Agincourt avevano cominciato a mettere in acqua le piattaforme galleggianti che, legate insieme, avrebbero fornito una superficie di atterraggio ai draghi, e una piccola lancia già vi si aggirava intorno, raccogliendo i cavi da rimorchio. Laurence sapeva per esperienza che quell'operazione richiedeva del tempo, e anche se i draghi fossero rimasti a volare in cerchio lì sopra la procedura non sarebbe certo durata meno. Passarono così sopra le altre navi e, al ritorno, trovarono pronte le piattaforme. «Fate salire gli uomini sistemati sotto il ventre, Granby» ordinò Laurence, e l'equipaggio si mosse in fretta per risalire sulla schiena del drago. I pochi marinai rimasti sul ponte fecero subito spazio quando Temeraire cominciò la sua discesa, con Nitidus e Dulcia alle calcagna; la piattaforma oscillò e si abbassò sull'acqua spinta dal peso dell'Imperiale cinese, ma le corde che la tenevano insieme ressero lo sforzo. Nitidus e Dulcia atterrarono ai lati di Temeraire quando questo si fu stabilizzato, e Laurence scivolò giù dal suo drago. «Corrieri, portate la posta» disse, e lui stesso prese la busta sigillata dei dispacci che l'ammiraglio Lenton aveva inviato all'ammiraglio Gardner. Poi salì con agilità sulla lancia che lo aspettava, mentre i suoi corrieri, Roland, Dyer e Morgan, si affrettavano a consegnare le borse con la posta ai marinai che protendevano le mani. Laurence si spostò a poppa; Temeraire si era steso per garantire un miglior equilibrio della piattaforma, e aveva poggiato la testa sul bordo, molto vicina alla lancia, causando un certo disagio all'equipaggio dell'imbarcazione. «Tornerò subito» disse Laurence al drago. «Rivolgiti pure al tenente Granby se ti serve qualcosa.» «Va bene, ma non credo sarà necessario: sto più che bene» rispose Temeraire, attirandosi gli sguardi sorpresi dei marinai. Gli occhi di quegli
uomini si sgranarono ancora di più quando il drago aggiunse: «Ma se dopo potremo andare a caccia, te ne sarò molto grato; sono sicuro di aver intravisto dei tonni davvero grandi mentre venivamo qui.» La lancia era un vascello elegante dalla linea essenziale, e portò Laurence alla Hibernia a una velocità che lui un tempo avrebbe considerato elevatissima; abituato al volo, però, rimase in piedi accanto al bompresso, controvento, guardandosi intorno, e quasi non sentiva la brezza che gli soffiava sul volto. Dalla nave avevano fatto scendere una sedia legata al cordame, ma Laurence la ignorò sdegnato: le sue gambe non avevano ancora dimenticato la vita da marinaio, e in ogni caso arrampicarsi lungo la fiancata della Hibernia non gli sembrava nulla di difficile. Il capitano Bedford lo stava aspettando per accoglierlo a bordo, e sobbalzò per la sorpresa quando Laurence si issò a bordo: avevano prestato servizio insieme sul Nilo, nella Goliath. «Buon Dio, Laurence, non avevo idea che foste qui nella Manica» disse, dimenticando i saluti formali e dandogli invece il benvenuto con una vigorosa stretta di mano. «Quella bestia è vostra, dunque?» chiese, guardando Temeraire con occhi sgranati e notando che il drago era per stazza di poco inferiore alla Agincourt, una nave da settantaquattro cannoni. «Mi pareva di aver capito che fosse uscita dall'uovo appena sei mesi fa.» Laurence non poté fare a meno di gonfiarsi di orgoglio, e sperò di riuscire a nasconderlo quando rispose: «Sì, quello è Temeraire. Ha meno di otto mesi, anche se la sua crescita è ormai quasi completa.» Smetterla di vantarsi gli costò un certo sforzo, ma lo fece perché sapeva che sarebbe risultato assai irritante, come quegli uomini che non sanno parlare d'altro che della bellezza delle loro signore o dell'intelligenza dei loro pargoli. In ogni caso, Temeraire non aveva bisogno di essere elogiato: chiunque lo guardasse avrebbe di sicuro notato la sua eleganza, le sue forme così particolari. «Oh, capisco» rispose Bedford, guardandolo con una certa perplessità. Poi il tenente accanto a lui richiamò la sua attenzione con un colpo di tosse, Bedford gli rivolse un'occhiata e disse: «Perdonatemi; sono stato così sorpreso da questo incontro che vi ho lasciato qui in piedi. Vi prego, seguitemi, Lord Gardner vi sta aspettando.» Lord Gardner aveva da poco raggiunto la sua posizione di comando della flotta nella Manica, in seguito al pensionamento dell'ammiraglio precedente, sir William Cornwallis; l'infausto compito di seguire a un capo di tale successo in una posizione così difficile aveva già cominciato a lasciare
i suoi segni. Laurence aveva servito nella Manica diversi anni addietro, come tenente; non aveva conosciuto Gardner, ma l'aveva visto più volte, e il suo volto gli sembrava palesemente invecchiato. «Sì, Laurence, giusto?» disse, quando il tenente di bandiera fece le presentazioni, e mormorò altre parole che lui non riuscì a sentire. «Vi prego, accomodatevi; devo leggere subito questi dispacci, poi vi consegnerò un messaggio da portare a Lenton da parte mia» aggiunse poi, spezzando il sigillo della busta e studiandone il contenuto. Lord Gardner grugnì e annuì tra sé mentre leggeva le missive; quando la sua espressione si fece più dura, Laurence capì che era arrivato al rapporto sulla recente battaglia. «Bene, Laurence, mi pare di capire che avete già partecipato a delle azioni pericolose» disse, mettendo infine da parte le lettere. «Ed è solo un bene che tutti voi riusciate a fare esperienza, ritengo: ben presto vedremo altre battaglie, e sono queste mie parole che dovete riportare a Lenton. Ho mandato in esplorazione vicino alla costa tutte le lance, gli sloop e i brigantini che potevo rischiare, e i francesi sono operosi come api sulla terraferma nei pressi di Cherbourg. Non siamo riusciti a capire cosa stanno facendo, ma è difficile che non si tratti di un'invasione, e a giudicare da come fervono le loro attività devono avere intenzione di cominciare tra breve.» «Possibile che Bonaparte abbia più notizie di noi sulla flotta di Cadice?» chiese Laurence, turbato dal discorso dell'ammiraglio. L'alto livello di sicurezza che si poteva intuire da quei preparativi era spaventoso, e sebbene Bonaparte fosse tutt'altro che umile, la sua arroganza si era raramente mostrata infondata. «Di sicuro non conosce gli ultimi eventi, di questo ne sono certo, grazie al cielo. Voi stesso mi avete portato la conferma che i nostri corrieri percorrono con continuità le loro rotte» rispose Gardner, battendo un dito sui fogli di carta poggiati sulla scrivania. «Tuttavia, non può essere così folle da pensare di muoversi senza la sua flotta, e questo suggerisce che ne attende presto l'arrivo.» Laurence annuì; forse quell'aspettativa era mal riposta o irreale, ma il fatto stesso che Bonaparte la nutrisse significava che la flotta di Nelson era in pericolo. Gardner sigillò l'involto con i propri dispacci e glielo porse. «Ecco; vi sono molto grato per la vostra presenza, Laurence, e per averci portato la posta. Ora voglio sperare che vi unirete a noi per la cena, ovviamente insieme agli altri capitani del vostro stormo» disse, alzandosi da dietro la
scrivania. «Anche il capitano Briggs della Agincourt sarà dei nostri, credo.» Una vita intera di addestramento nella marina aveva inculcato in Laurence la consapevolezza che un simile invito da parte di un ufficiale di rango superiore equivaleva a un ordine, e sebbene Gardner non fosse più un suo comandante, gli risultò impossibile anche solo immaginare di rifiutarlo. Ma non poteva fare a meno di pensare a Temeraire con una certa preoccupazione, e ancora più a Nitidus. Il Pascal blu era una creatura nervosa, che richiedeva una gestione assai accorta da parte del capitano Warren già in circostanze normali, e Laurence era sicuro che il drago si sarebbe agitato all'idea di dover restare a bordo di una piattaforma improvvisata senza il suo pilota e senza nessun ufficiale con un rango più alto dei tenenti in vista. Eppure non era infrequente che i draghi fossero lasciati in attesa in condizioni simili; nel caso di una minaccia aerea più grave, ce ne sarebbero stati molti di più e si sarebbero dovuti accontentare di quelle piattaforme come sistemazione temporanea, con i loro capitani convocati di frequente dagli ufficiali della marina per una pianificazione congiunta. A Laurence non piaceva l'idea di dover sottoporre gli animali a quell'attesa per un invito a cena, ma in tutta sincerità non credeva che corressero alcun pericolo. «Signore, sarebbe un grandissimo piacere, e sono sicuro di poter parlare anche a nome dei capitani Warren e Chenery» rispose: non c'era altro da fare. In effetti Gardner non aveva affatto l'aria di chi aspetta una risposta, e si era invece già avviato verso la porta per chiamare il suo tenente. Tuttavia, solo Chenery si presentò quando l'invito fu segnalato dalla nave, e portò scuse sincere ma ben pochi rammarichi. «Nitidus si agiterebbe se lo lasciassimo da solo, capite, e così Warren ha preferito restare con lui» si limitò a dire, e non parve neanche accorgersi di aver parlato a Gardner con fin troppa confidenza. Laurence si preoccupò per gli sguardi sorpresi e per certi versi offesi che gli vennero rivolti non solo da lord Gardner ma anche dagli altri capitani e tenenti di bandiera, anche se non poté fare a meno di provare anche un forte sollievo. La cena, tuttavia, iniziò con un certo imbarazzo, e andò avanti allo stesso modo. L'ammiraglio era palesemente oppresso dalle preoccupazioni e responsabilità che il suo ruolo comportava, e c'erano delle lunghe pause tra i suoi commenti. La tavola sarebbe rimasta avvolta da un pesante silenzio se non fosse stato per Chenery, che era nella sua solita forma smagliante, di buo-
numore e pronto alla conversazione, e parlava liberamente, ignorando la convenzione navale che riservava a lord Gardner il diritto di avviare ogni discorso. Quando Chenery si rivolgeva direttamente a loro, gli ufficiali della marina facevano delle pause lunghe e significative prima di rispondergli nel modo più stringato possibile, lasciando poi cadere l'argomento. Laurence sulle prime si sentì a disagio, ma presto cominciò a adirarsi. Doveva essere chiaro anche agli individui più suscettibili che l'aviatore si comportava a quel modo per ignoranza degli usi navali; i suoi discorsi erano innocui, e restare seduti in uno sdegnoso silenzio era di sicuro molto più maleducato. Chenery non poté fare a meno di notare la freddezza di quelle reazioni, e se per il momento sembrava solo perplesso, o al limite offeso, non ci avrebbe messo molto a risentirsi anche lui. Quando provò per l'ennesima volta ad avviare la conversazione, Laurence gli offrì subito una risposta. Portarono avanti la discussione loro due per diversi minuti e poi Gardner, distolto dal suo cupo rimuginare, alzò lo sguardo e contribuì con un'osservazione, e così si unirono anche gli altri ufficiali; grazie all'impegno di Laurence, il discorso si protrasse per il resto della cena. Quello che doveva essere un momento di svago divenne una sorta di impegno, e così Laurence fu davvero grato quando il vino fu portato via dalla tavola e vennero invitati a salire sul ponte per fumare un sigaro e prendere il caffè. Con la tazza tra le mani, andò ad affacciarsi dal parapetto per vedere meglio la piattaforma galleggiante: Temeraire dormiva tranquillo col sole che gli batteva sulle scaglie e una zampa anteriore che penzolava in acqua, e Nitidus e Dulcia riposavano appoggiati addosso a lui. Bedford gli si affiancò per dare anche lui un'occhiata, osservando un silenzio che Laurence giudicò di condivisione; dopo un istante il capitano della marina disse: «Suppongo che il vostro drago sia un animale prezioso e dobbiamo essere lieti di averlo con noi, ma è spaventoso come vi abbia incatenato a una vita del genere, con compagnie così bizzarre.» Laurence non riuscì a reagire subito a una frase che era dettata da un'evidente compassione; cinque o sei risposte salirono insieme alle sue labbra. Trasse un profondo respiro che gli tremò in gola e con voce bassa e feroce disse: «Signore, non vi permetto di parlare a me in tal modo, né di Temeraire né dei miei commilitoni; non credo che a voi piacerebbe essere l'oggetto di simili commenti.» Bedford indietreggiò, come spaventato dalla sua veemenza. Laurence si girò e posò con forza la tazza di caffè sul vassoio del cameriere di bordo.
«Signore, temo sia giunto per noi il momento di partire» disse a Gardner, tenendo calma la propria voce. «È la prima volta che Temeraire percorre questa rotta, per cui sarà meglio se torniamo indietro prima del tramonto.» «Ovviamente» rispose Gardner, tendendo la mano. «Che il Signore acceleri il vostro viaggio, capitano; mi auguro di rivedervi presto.» Nonostante le scuse fornite all'ammiraglio, quando Laurence tornò alla base stava ormai per calare la notte. Dopo aver visto Temeraire che ghermiva diversi tonni dall'acqua, Nitidus e Dulcia avevano espresso il desiderio di provare a pescare, e Temeraire era stato più che contento di proseguire con le dimostrazioni. I membri dell'equipaggio più giovani non erano ben preparati a stare in groppa a un drago mentre questi cacciava; ma dopo la prima discesa a capofitto si abituarono all'esperienza, smisero di strillare e vissero tutto come un gioco. Laurence scoprì che il suo malumore non poteva resistere a tanto entusiasmo: i ragazzi esplodevano in rumorose acclamazioni ogni vota che Temeraire risaliva con l'ennesimo tonno che gli si dibatteva tra gli artigli, e in molti chiesero addirittura il permesso di scendere sotto il ventre del drago, per poter meglio godere degli spruzzi lanciati dalle prede. Pieno di cibo fino a scoppiare e più lento nel suo volo di ritorno verso la costa, Temeraire mormorava versi di gioia e soddisfazione; poi si girò verso Laurence con occhi colmi di gratitudine e disse: «È stata proprio una splendida giornata, vero? Era da tanto che non facevamo un volo così bello», e Laurence scoprì che non aveva più bisogno di nascondere la rabbia con le parole, perché non ne provava più. Nella base avevano appena cominciato ad accendere le lanterne, lucciole giganti nel buio degli alberi sparsi, e l'equipaggio di terra che si muoveva in una processione di torce già mentre Temeraire iniziava la sua discesa. Gli ufficiali più giovani erano quasi tutti ancora zuppi d'acqua e rabbrividirono dal freddo quando scesero dal corpo caldo del drago; Laurence li congedò perché andassero a riposare, e rimase a osservare l'equipaggio di terra che liberava Temeraire dall'imbracatura. Hollin lo guardò con un'aria di lieve rimprovero quando gli uomini sganciarono le cinghie del collo e delle spalle, incrostate di scaglie, lische e interiora di pesce e già maleodoranti. Ma Temeraire era troppo felice perché Laurence potesse sentirsi in imbarazzo. Si limitò infatti a dire con allegria: «Temo che vi abbiamo causato del lavoro ulteriore, Hollin, ma almeno per questa notte non ci sarà biso-
gno di dargli da mangiare.» «Certo, signore» rispose cupo Hollin, e continuò a dirigere il lavoro dei suoi uomini. Gli uomini tolsero tutta l'imbracatura e lavarono il drago seguendo una tecnica ormai collaudata che usavano spesso dopo i suoi pasti: si passavano i secchi d'acqua come in una catena contro gli incendi. Temeraire fece un enorme sbadiglio, emise un rumore di digestione assai meno silenzioso e si accasciò sul terreno con un'espressione così compiaciuta che a Laurence venne da ridere. «Devo andare a consegnare questi dispacci» gli disse. «Tu vuoi dormire o desideri che leggiamo qualcosa insieme?» «Perdonami, Laurence, ma temo di aver troppo sonno» rispose Temeraire, sbadigliando di nuovo. «Laplace è difficile da seguire anche quando sono ben sveglio, e non voglio correre il rischio di non afferrare bene qualche passaggio.» Laurence, da parte sua, trovava abbastanza difficile anche pronunciare bene il francese nel quale Laplace aveva scritto il suo trattato sulle meccaniche celesti, e non ci provava neanche a comprendere il significato dei principi che leggeva al drago, quindi fu più che disposto ad accondiscendere ai desideri di Temeraire. «Molto bene, amico mio, ci vediamo domattina allora» gli disse, e rimase ad accarezzargli il naso finché il drago non chiuse lentamente gli occhi, cominciando a respirare col ritmo regolare del sonno profondo. L'ammiraglio Lenton accolse con un cipiglio preoccupato i dispacci e il messaggio riportato a voce. «Non mi piace, neanche un po'» disse. «E così si sta dando da fare sulla terraferma, vero? Laurence, credete che stia costruendo altre navi lungo la costa e che abbia quindi in mente di rinforzare la sua flotta senza che noi lo sappiamo?» «Forse potrebbe riuscire a realizzare qualche goffa imbarcazione da trasporto, signore, ma certo non delle navi di linea» rispose subito Laurence con grande sicurezza. «E di trasporti ne ha già parecchi, in qualsiasi attracco lungo la fascia costiera: è difficile credere che possano servirgliene altri.» «E tutto questo sta succedendo nei dintorni di Cherbourg, non a Calais, nonostante la distanza sia maggiore e la nostra flotta lì sia più vicina. Non riesco a darmi una spiegazione, ma Gardner ha ragione: sono sicuro, dannazione, che quell'uomo ha in mente qualcosa di diabolico, ma non può fare nulla finché la sua flotta rimarrà qui.» Si alzò di scatto e uscì di gran
carriera dall'ufficio; non sapendo se interpretare quel gesto come un congedo, Laurence seguì l'ammiraglio attraverso il quartier generale e poi all'esterno, fino alla radura dove Lily riposava per riprendersi dal suo infortunio. Il capitano Harcourt era seduto accanto alla testa del drago, e le carezzava continuamente la zampa anteriore; Choiseul era con la donna, e leggeva a bassa voce per lei e Lily, che aveva gli occhi ancora offuscati dal dolore. Tuttavia, un segno incoraggiante c'era: il drago aveva evidentemente ripreso a mangiare cibo solido, a giudicare dal grande cumulo di ossa che l'equipaggio di terra stava ancora spazzando via. Choiseul mise giù il libro e sussurrò qualcosa al capitano Harcourt, poi andò incontro all'ammiraglio e a Laurence. «Lily si è quasi addormentata; vi prego, lasciatela riposare» disse, con voce molto bassa. Lenton annuì e fece cenno a lui e a Laurence di allontanarsi dal drago. «Com'è la sua situazione?» chiese. «Davvero buona, signore, a sentire i medici; dicono che sta guarendo molto in fretta» rispose Choiseul. «Catherine è sempre rimasta al suo fianco.» «Bene, bene» commentò Lenton. «Ci vorranno tre settimane, stando alla previsione iniziale dei dottori. Bene, signori, ho cambiato idea: ho intenzione di inviare Temeraire in pattuglia ogni giorno finché Lily non si sarà ripresa, invece che farlo alternare sempre con Praecursoris. Al contrario dell'Imperiale celeste, voi non avete bisogno di fare esperienza, Choiseul, quindi dovrete tenere in esercizio il vostro drago in qualche altro modo.» Choiseul si inchinò, e se anche era stato contrariato da quell'annuncio non lo diede a vedere. «Sono lieto di servire, in qualsiasi modo, signore: non avete che da indicarmelo.» Lenton annuì. «Bene, per ora rimarrete con il capitano Harcourt tutto il tempo possibile; sono sicuro che sapete cosa significhi avere un drago ferito» decise. Choiseul tornò dalla donna accanto a Lily, che si era addormentata, e l'ammiraglio condusse via Laurence senza perdere il suo torvo e preoccupato cipiglio. «Capitano,» disse poi «mentre siete di pattuglia, voglio che proviate a eseguire delle manovre con Nitidus e Dulcia; so che non vi siete addestrato a lavorare con una piccola formazione, ma Warren e Chenery vi saranno d'aiuto. Ho bisogno che, in caso di necessità, Temeraire sia pronto a guidare in battaglia un paio di draghi da combattimento leggero.» «Molto bene, signore» rispose Laurence, un po' stupito; l'impulso a
chiedere qualche spiegazione era molto forte, e lo represse con gran difficoltà. Arrivarono alla radura dove Excidium si era appena addormentato; il capitano Roland stava parlando con gli uomini del suo equipaggio di terra mentre esaminava un pezzo della bardatura. La donna salutò entrambi con un cenno del capo e li raggiunse, tornando con loro al quartier generale. «Roland, potreste fare a meno di Auctoritas e Crescendium?» chiese a un tratto Lenton. Lei inarcò un sopracciglio, guardando l'ammiraglio. «Certo, se devo» rispose. «Che sta succedendo?» Lenton non parve contrariato da quella domanda così diretta. «Dobbiamo cominciare a valutare l'idea di spedire Excidium a Cadice quando Lily potrà tornare in volo» disse. «Non voglio che il regno vada perduto per la mancanza di un drago nel posto giusto. Qui possiamo resistere ai raid aerei con l'aiuto della flotta nella Manica e con l'artiglieria di terra, e le navi nemiche non devono assolutamente fuggire da Cadice.» Se Lenton avesse davvero deciso di mandar via Excidium e la sua formazione, quell'assenza avrebbe reso la Manica più vulnerabile agli attacchi aerei; d'altronde, se la flotta franco-spagnola fosse uscita da Cadice e si fosse diretta a nord per unirsi alle navi nei porti di Brest e Calais, Napoleone avrebbe ottenuto una superiorità numerica così schiacciante da poter trasportare in un solo giorno la sua intera forza di invasione. Laurence non invidiava l'ammiraglio, costretto a prendere una decisione; senza sapere se le divisioni aeree di Bonaparte erano a metà strada da Cadice o ancora lungo i confini australiani, la scelta era molto azzardata. Eppure bisognava decidere, e anche restare immobili sarebbe stata una decisione, ma Lenton era chiaramente pronto ad agire e correre il rischio. E il significato degli ordini che l'ammiraglio aveva dato per Temeraire adesso era ovvio: Lenton voleva disporre di una seconda formazione, per quanto ridotta e inesperta. A Laurence pareva di ricordare che Auctoritas e Crescendium fossero draghi di stazza media, parte delle forze di supporto di Exciudium: forse Lenton aveva intenzione di unirli a Temeraire, per creare un'agile forza d'attacco a tre. «Il tentativo di prevedere le mosse di Bonaparte mi dà i brividi al solo pensiero» disse il capitano Roland, facendo eco ai sentimenti di Laurence. «Ma siamo pronti ad andare ovunque ci manderete; se necessario, imparerò a eseguire le mie manovre senza Auctor e Cressy.» «Bene, cominciate ad allenarvi» rispose l'ammiraglio mentre risalivano
le scale verso l'ingresso. «Adesso vi devo lasciare, ho altri dieci dispacci da leggere, purtroppo. Buona notte, signori.» «Buona notte, Lenton» disse Roland, e quando l'uomo se ne fu andato lei si stiracchiò con uno sbadiglio. «Ah, il volo in formazione sarebbe una vera noia senza qualche cambio di tanto in tanto. Che ne diresti di mangiare qualcosa?» Presero zuppa e pane tostato, seguito da dell'ottimo formaggio Stilton, il tutto annaffiato da una bottiglia di Porto, e ancora una volta si sistemarono nella stanza di Roland per qualche partita a picchetto. Dopo alcune mani accompagnate da chiacchiere oziose, lei si mostrò per la prima volta diffidente: «Laurence, posso osare...» Quell'inizio lo fece sobbalzare, poiché la donna non aveva mai esitato ad affrontare qualsiasi argomento. «Ma certo» la interruppe, cercando di immaginare cosa mai volesse chiedergli. All'improvviso, Laurence era consapevole di ciò che gli stava intorno: il letto disordinato, a meno di un passo; il colletto aperto del suo vestito, che lei aveva indossato dietro un paravento, liberandosi di cappotto e brache non appena erano entrati in stanza. Laurence fissò lo sguardo sulle carte, arrossì e gli tremarono un po' le mani. «Se hai qualche remora ti prego di dirmelo subito» aggiunse Roland. «No» si affrettò a rispondere Laurence. «Sarei davvero lieto di poterti accontentare. E di questo ne sono sicuro» concluse dopo una breve pausa, rendendosi conto che lei non aveva ancora fatto la sua domanda. «Sei molto gentile» osservò la donna, e uno strano sorriso le guizzò sul volto, col lato destro della bocca che si alzava di più di quello sinistro, segnato dalla cicatrice. Poi il capitano Roland proseguì: «E ti sarò grata se vorrai dirmi, in tutta sincerità, cosa pensi del lavoro di Emily e della sua predisposizione per questo tipo di vita.» Laurence dovette faticare molto per non arrossire quando si rese conto di essersi del tutto sbagliato nelle sue supposizioni, e le difficoltà aumentarono quando lei aggiunse: «So che è davvero strano da parte mia chiederti di parlar male di lei, ma so cosa succede affidandosi troppo alla linea di successione, senza un buon addestramento. Se hai motivo di dubitare del valore di Emily, ti prego di dirmelo adesso, affinché ci sia ancora tempo a sufficienza per rimediare.» La preoccupazione del capitano Roland era palese, adesso, e pensando a Rankin e al modo infausto in cui trattava Levitas, Laurence si sentì molto vicino alla donna; questa immedesimazione gli permise di uscire dall'im-
barazzo nel quale si era impantanato da solo. «Anche io ho visto le conseguenze alle quali ti riferisci» disse, affrettandosi a rassicurarla. «E senz'altro parlerei con franchezza se ne vedessi i segni; ma devi capire che non l'avrei mai presa come mio corriere se non fossi stato del tutto sicuro della sua affidabilità e del suo senso del dovere. Certo, lei è troppo giovane perché la mia certezza possa essere assoluta, ma credo sia comunque una ragazza davvero promettente.» Roland emise un sospiro che fu come una raffica di vento, poggiò le spalle allo schienale della sedia e lasciò cadere le carte che aveva in mano, smettendo di mostrare attenzione per la partita. «Oh Dio, non sai che sollievo mi hai dato» disse. «Lo speravo, ovviamente, ma non credevo di potermi fidare del mio giudizio a tal riguardo.» Rise, e andò al cassettone per prendere un'altra bottiglia di vino. Laurence le porse il bicchiere per farselo riempire. «Al successo di Emily» propose, e insieme brindarono; poi lei gli tolse il calice di mano e gli diede un bacio. Si era sbagliato davvero: in quel frangente, il capitano Roland non si dimostrò affatto titubante. 11 Laurence non poté che rabbrividire per il modo caotico in cui Jane tirava fuori gli abiti dal suo guardaroba per ammucchiarli sul letto. «Posso aiutarti?» le chiese infine, mosso dalla disperazione, e si impossessò dei suoi bagagli. «No, sul serio, concedimi questa libertà: nel frattempo potrai esaminare la tua rotta» concluse. «Grazie, Laurence, è davvero gentile da parte tua» rispose lei, e si sedette davanti alle mappe. «Sarà un volo piuttosto lineare, spero» proseguì, annotando i calcoli e spostando i piccoli frammenti di legno che rappresentavano le sparse navi di trasporto che avrebbero fornito a Excidium e alla sua formazione dei punti di riposo lungo il viaggio verso Cadice. «Se il clima resta clemente, ci metteremo meno di due settimane.» Vista l'urgenza della situazione, i draghi non potevano affidarsi a un singolo trasporto, ma avrebbero volato da un'imbarcazione all'altra tentando di predirne la posizione in base alle correnti e al vento. Laurence annuì, anche se con espressione leggermente cupa; mancava appena un giorno a ottobre, ed era fin troppo verosimile che in quel periodo dell'anno il clima non fosse favorevole. Quindi Jane rischiava di dover scegliere se cercare una nave trasporto che con ogni probabilità era finita
fuori rotta o cercare riparo sulla terraferma, esposta all'artiglieria spagnola. Tutto questo presumendo, ovviamente, che nessuna tempesta distruggesse l'intera formazione: di tanto in tanto, i draghi venivano abbattuti dai fulmini o dai venti forti, e cadendo nelle acque dell'oceano correvano il serio rischio di annegare con tutto il loro equipaggio. Ma non c'era alternativa. Lily si era ripresa con grande rapidità; già il giorno prima aveva guidato la sua formazione in un giro di pattuglia completo, atterrando senza dolore o segni di irrigidimento. Lanton l'aveva osservata, aveva scambiato due parole col capitano Harcourt e poi era andato subito da Jane con l'ordine di partire per Cadice. Laurence se lo aspettava, ovviamente, ma questo non cancellava la sua preoccupazione, sia per i draghi che dovevano partire sia per quelli che sarebbero rimasti. «Ecco, andrà bene» disse Jane, e mise giù la penna avendo finito di elaborare la rotta. Laurence alzò lo sguardo dai bagagli, sorpreso: era sprofondato nel malumore e aveva continuato a impacchettare i vari oggetti senza pensarci. Solo in quel momento si rese conto che erano rimasti entrambi in silenzio per quasi venti minuti, e che lui reggeva tra le mani uno dei corsetti della donna. Lo ripose subito in cima agli altri indumenti sistemati con ordine e chiuse la valigia. La luce del sole cominciava a entrare dalla finestra: non c'era più tempo. «Suvvia, Laurence, non fare quella faccia triste; ho volato fino a Gibilterra una decina di volte» disse Jane, e andò da lui per schioccargli un bacio. «Temo che tu te la passerai peggio, qui: di sicuro i nemici tenteranno qualcosa, quando verranno a sapere che alcuni di noi sono partiti.» «Sono più che sicuro delle tue capacità» rispose Laurence suonando il campanello per chiamare i servitori. «Spero solo che non stiamo commettendo tutti un grosso errore di valutazione.» Era il massimo della critica che poteva fare a Lenton, soprattutto su una questione nei confronti della quale lui non poteva essere obiettivo. In ogni caso, sentiva che se anche non avesse avuto dei motivi personali per preoccuparsi delle condizioni di Excidium e della sua formazione, si sarebbe comunque preoccupato per la carenza di informazioni più dettagliate sulle quali basare un piano d'azione. Volly era arrivato tre giorni prima, con un rapporto pieno di pessime notizie. A Cadice era arrivato un gruppo di draghi francesi, meno di un decimo di quelli di stanza lungo il Reno, ma sufficienti a impedire che Mortiferus costringesse la flotta a uscire allo scoperto. E, per aggiungere altri motivi di ansia, nonostante avessero impiegato in mansioni di esplorazione e
spionaggio quasi tutti i draghi leggeri e veloci non necessari al trasporto dei dispacci, ancora non sapevano nulla delle manovre di Bonaparte nella Manica. Laurence accompagnò Jane alla radura dove riposava Excidium, e la osservò salire a bordo del drago: furono dei momenti strani, poiché gli sembrava di provare delle sensazioni meno forti del dovuto. Un tempo si sarebbe conficcato una pallottola in testa prima di permettere a Edith di affrontare dei pericoli da sola, eppure poté salutare il capitano Roland avvertendo solo una leggera fitta di dolore, quasi la donna fosse uno qualsiasi dei suoi compagni di aviazione. Lei gli lanciò un bacio dalla schiena di Excidium, dopo che tutto l'equipaggio fu salito a bordo. «Ci rivedremo tra pochi mesi, ne sono sicura, o anche prima, se riusciamo a stanare quei mangiarane» gridò lei. «Che i venti ti siano favorevoli, e tieni d'occhio Emily.» Laurence la salutò sollevando una mano. «Che Dio ti dia velocità» rispose, e rimase a guardare Excidium che agitava le sue enormi ali e si dirigeva verso e gli altri draghi della sua formazione che si levavano in volo per raggiungerlo, finché tutti gli animali non divennero sempre più piccoli fino a scomparire in lontananza. Sebbene tenessero d'occhio i cieli sopra la Manica, le prime settimane dopo la partenza di Excidium furono tranquille. Non ci fu nessun raid, e Lenton si convinse che i francesi erano riluttanti ad attaccare poiché credevano che il grande drago fosse ancora alla base. «E quanto più a lungo riusciamo a ingannarli, meglio è» disse ai capitani riunitisi dopo un altro pattugliamento senza eventi da riportare. «A parte i benefici che questa situazione comporta per noi, è auspicabile che i francesi non si accorgano della formazione che sta per raggiungere la loro preziosa flotta a Cadice.» Fu di conforto per tutti ricevere la notizia dell'arrivo di Excidium, notizia che Volly riportò quasi due settimane dopo la partenza. «Avevano già cominciato ad attaccare quando io sono partito» raccontò il giorno seguente, mentre faceva una rapida colazione prima di iniziare il viaggio di ritorno. «Si sentivano gli spagnoli gridare per miglia e miglia: i loro mercantili cadono a pezzi come qualsiasi altra nave sotto gli spruzzi dei draghi, e lo stesso si può dire di case e negozi. Credo che cominceranno loro stessi a sparare addosso ai francesi se Villeneuve non esce allo scoperto, nonostante l'alleanza.» L'atmosfera si alleggerì dopo queste incoraggianti notizie, e Lenton so-
spese gli ultimi turni di pattuglia concedendo a tutti la libertà di festeggiare, una tregua ben accetta da uomini che fino a quel momento avevano lavorato a ritmi frenetici. I più attivi si recarono in città, ma quasi tutti si accontentarono di un po' di sonno, come fecero anche i draghi esausti. Laurence colse l'opportunità per godersi una bella serata di lettura con Temeraire; restarono insieme fino a tarda notte, leggendo alla luce delle lanterne. Poi Laurence prese a sonnecchiare, e si svegliò all'improvviso, con la luna alta nel cielo: la testa di Temeraire era una sagoma scura contro il firmamento lucente, e il drago stava scrutando a nord della loro radura. «C'è qualche problema?» gli chiese Laurence. Mentre si metteva a sedere, gli giunse un debole rumore, stranamente acuto. Il suono, tuttavia, cessò subito. «Era Lily, credo» disse Temeraire, e la gorgiera gli si raddrizzò all'improvviso. Laurence scivolò a terra in un istante. «Rimani qui; tornerò appena posso» disse, e il drago annuì senza mai distogliere lo sguardo. I sentieri che attraversavano la base erano per lo più bui e deserti: la formazione di Excidium era lontana, i draghi leggeri erano in esplorazione, e il freddo della notte aveva spinto anche gli equipaggi più solerti al chiuso nelle caserme. Il terreno si era gelato tre giorni addietro, ed era compatto e abbastanza duro da far risuonare i passi di Laurence. La radura di Lily era vuota, a parte il drago; un debole mormorio veniva dalle caserme, le cui finestre illuminate erano visibili in lontananza, attraverso gli alberi, e nessuno si aggirava tra gli edifici. Lily era accovacciata, immobile, e artigliava il terreno in silenzio. Si sentirono delle voci basse, e rumore di pianto; Laurence si chiese se non si stava intromettendo in qualche momento di intimità, ma il palese disagio del drago lo spinse a farsi avanti: uscì nella radura, chiamando a gran voce: «Harcourt, sei lì?» «Non ti avvicinare.» Era la voce di Choiseul, bassa e tagliente: Laurence girò intorno alla testa di Lily e si fermò, paralizzato da una terribile sorpresa: Choiseul teneva il capitano Harcourt per un braccio e aveva in viso un'espressione disperata. «Non fate rumore, Laurence» disse; aveva una spada in mano, e dietro di lui c'era un cadetto accasciato al suolo, con le macchie di sangue che si allargavano scure sul suo cappotto. «Nessun rumore.» «In nome di Dio, che avete in mente di fare?» chiese Laurence. «Harcourt, stai bene?» «Ha ucciso Wilpoys» rispose lei confusa; si reggeva appena in piedi, e quando le illuminò il volto con la luce della torcia, Laurence poté vedere
che un livido le si stava già scurendo sulla fronte. «Non badate a me, andate a chiamare aiuto: vuole fare del male a Lily.» «No, giammai» disse Choiseul. «Né a lei né a te, Catherine, lo giuro. Ma se vi intromettete, Laurence, allora non rispondo più di me stesso. Non vi azzardate.» Sollevò la spada; il sangue riluceva lungo la lama, poco lontano dal collo di Harcourt, e Lily rifece quel suono strano, un lamento acuto che sembrava graffiare le orecchie. Choiseul era pallido, il volto sembra verdognolo alla luce della torcia, e sembrava abbastanza disperato da poter commettere una sciocchezza; Laurence rimase immobile, sperando di avere una migliore occasione per agire. Choiseul lo fissò ancora per un istante, poi si convinse che non si sarebbe mosso e disse: «Andremo tutti insieme da Praecursorius; Lily, tu rimarrai qui, e ci seguirai solo quando avremo preso il volo. Ti prometto che a Catherine non succederà nulla finché mi obbedirai.» «Oh, maledetto, codardo e traditore, sei un cane!» esclamò la donna. «Credi davvero che verrò in Francia con te, a leccare gli stivali di Bonaparte? Da quanto tempo stai complottando contro di noi?» Si dibatté per liberarsi, nonostante fosse ancora barcollante, ma Choiseul la strattonò e lei finì quasi a terra. Lily ruggì, sollevandosi a metà e dispiegando le ali: Laurence poteva vedere l'acido nero che riluceva all'estremità dei suoi speroni ossei. «Catherine!» sibilò il drago, il suono distorto dai denti digrignati. «Silenzio, e adesso basta» disse Choiseul, tirando a sé la donna e bloccandole le braccia. La spada era ancora ben salda nella sua mano, e gli occhi di Laurence ancora la fissavano, nella speranza di poter intervenire. «Lily, tu ci seguirai e farai come ho detto. Adesso andiamo; si metta in moto, monsieur, all'istante.» Indicò con la spada la direzione da prendere. Laurence non si girò, ma camminò all'indietro e, raggiunta l'ombra degli alberi, rallentò l'andatura, in modo che Choiseul gli si avvicinasse senza rendersene conto. Ci fu un istante di lotta furiosa, poi tutti e tre finirono ammucchiati per terra, la spada volò via e il capitano Harcourt rimase intrappolata tra i due uomini. L'impatto col terreno fu duro, ma Choiseul era finito sotto e per il momento Laurence stava avendo la meglio; dovette però sacrificare il suo vantaggio spostandosi di lato per liberare Harcourt e toglierla da quella posizione pericolosa, e Choiseul ne approfittò per colpirlo al viso, liberandosi del tutto. Rotolarono per terra in una lotta piuttosto maldestra, tentando entrambi
di prendere la spada anche mentre si sferravano pugni. Choisueul era di struttura possente e più alto, e sebbene Laurence avesse più esperienza nel corpo a corpo, il peso del francese cominciò alla lunga a diventare un fattore determinante. Lily stava ruggendo, mentre da lontano si sentivano voci che urlavano preoccupate, e la disperazione diede a Choiseul un ultimo slancio di forza: l'uomo affondò un pugno nello stomaco di Laurence e si tuffò verso la spada mentre l'altro si piegava in due annaspando per il dolore. Poi ci fu un tremendo boato sopra i due: il terreno tremò, i rami si piegarono facendo piovere foglie e aghi di pino, e un immenso albero secolare fu divelto dal terreno accanto a loro. Temeraire era lì, e batté con furia le ali uscendo allo scoperto. Altri ruggiti, questa volta di Praecursoris: le ali chiare color marmo del drago francese si intravedevano nel buio, in avvicinamento, e Temeraire si girò indietro per affrontarlo, gli artigli già protesi. Laurence si tirò in piedi e si scagliò contro Choiseul, spingendolo a terra con tutto il proprio peso: la lotta lo stava stremando, ma il pericolo corso dal suo drago lo spronava a superare anche i conati di vomito che cominciava ad avvertire. Choiseul riuscì a girarsi e a stringere una mano intorno alla gola di Laurence che, soffocando, colse con la coda dell'occhio un movimento improvviso e poi vide che il suo avversario si afflosciava: il capitano Harcourt aveva raccolto una sbarra di ferro dall'attrezzatura di Lily e aveva colpito il francese dietro la testa. La donna stava quasi svenendo per la fatica, e Lily cercava di passare attraverso gli alberi per raggiungerla; finalmente gli uomini dell'equipaggio arrivarono di corsa nella radura, e molte mani aiutarono Laurence a rimettersi in piedi. «Fate la guardia su quell'uomo laggiù, portate delle torce» disse lui ancora annaspando. «E fate venire qualcuno con la voce forte e un megafono; in fretta, dannazione» aggiunse, poiché Temeraire e Praecursoris stavano ancora volando uno intorno all'altro, e facevano saettare gli artigli. Il primo tenente di Harcourt era un uomo dall'ampio torace, con una voce che non aveva bisogno di alcun megafono: non appena ebbe capito cosa stava succedendo, si portò le mani ai lati della bocca e urlò a Praecursoris. Il grande drago francese si interruppe e prese a volare in cerchio per qualche disperato istante mentre guardava verso il basso, dove Choiseul era stato imprigionato. Infine, col capo chino, il drago tornò a terra, con Temeraire che lo osservava sospeso in aria fino a quando non atterrò.
Maximus era poco lontano, e Berkley si era precipitato nella radura appena aveva sentito quel frastuono. Prese il comando, e assegnò ad alcuni uomini il compito di incatenare Praecursoris e ad altri quello di portare Harcourt e Choiseul dai dottori; un altro gruppo fu incaricato di seppellire il povero Wilpoys. «No, grazie, posso farcela da solo» disse Laurence allontanando da sé le mani volenterose che volevano portar via anche lui; il respiro era quasi regolare, e lui si avviò lentamente verso lo spiazzo dove era atterrato Temeraire, vicino a Lily, per confortare entrambi i draghi e cercare di calmarli. Choiseul rimase addormentato per gran parte del giorno successivo, e quando alla fine si svegliò aveva la voce impastata e si esprimeva con difficoltà. Tuttavia, il mattino del giorno dopo tornò padrone di sé e subito si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda. Praecursoris era tenuto d'occhio da tutti gli altri draghi, e gli era stato ordinato di non alzarsi in volo, pena la morte di Choiseul: una simile minaccia era il solo modo per farsi obbedire da un drago, e così adesso il drago del francese era vittima dello stesso stratagemma che il suo padrone aveva attuato con Lily. Praecursoris non fece alcun tentativo di disobbedire, ma si raccolse mesto sotto le catene, senza mangiare nulla, gemendo di tanto in tanto. «Harcourt,» disse Lenton alla fine, entrando nella sala da pranzo e trovando tutti lì raccolti, in attesa «sono davvero spiacente, ma devo chiedervi di provarci: quell'uomo non ha parlato con nessuno, ma se quel ratto giallo ha un minimo di onore deve quanto meno sentirsi costretto a darvi delle spiegazioni. Ve la sentite di chiedergliene?» Lei annuì, e poi svuotò il bicchiere, ma il suo viso era così pallido che Laurence domandò: «Vuoi che ti accompagni?» «Sì, se non è un problema» rispose subito la donna con gratitudine, e lui la seguì nella piccola e buia cella dove era detenuto Choiseul. Questi non guardò neppure il capitano Harcourt, né le parlò; scosse il capo e rabbrividì, arrivando persino a piangere mentre lei gli poneva le domande con voce incerta. «Oh, che tu sia dannato» urlò infine la donna, fremente di rabbia. «Come hai potuto... dove hai trovato il coraggio per fare una cosa del genere? Tutto quello che mi hai detto era una menzogna; confessa, avevi organizzato anche quella prima imboscata, mentre tornavamo qui? Confessa!» Il capitano Harcourt parlò con voce rotta e Choiseul, che aveva le mani
davanti al viso, se le tolse e gridò a Laurence: «In nome di Dio, falla andare via; ti dirò tutto quello che vuoi, ma porta via questa donna.» Poi si coprì di nuovo il volto. Condurre quell'interrogatorio era l'ultima cosa che Laurence avrebbe voluto, ma non poteva prolungare le sofferenze di Harcourt senza nessuno scopo; le toccò una spalla, e subito lei fuggì via. Era oltremodo sgradevole dover fare delle domande a Choiseul, ma la cosa peggiore era sapere che quell'uomo era stato un traditore sin dall'Austria. «So cosa pensi di me» aggiunse il francese, accorgendosi dell'espressione disgustata sul volto di Laurence. «E per certi versi hai ragione. Ma non avevo scelta.» Laurence si era ripromesso di limitarsi alle domande, ma quel meschino tentativo di giustificarsi gli infiammò l'animo e non poté resistere: con voce carica di disprezzo, disse, «Potevi scegliere di essere onesto, e di fare il tuo dovere nel posto che ci hai implorato di concederti.» Choiseul rise, ma non c'era alcuna allegria in quella risata. «Proprio così. E quando Bonaparte sarebbe arrivato a Londra questo Natale, cosa avrei fatto? Guardami pure male, io non ho dubbi, e ti assicuro che se avessi creduto di poter cambiare in qualche modo il risultato, avrei agito di conseguenza.» «E invece sei diventato un traditore per la seconda volta e l'hai aiutato, mentre il tuo primo tradimento poteva essere perdonato solo se avessi dimostrato di credere nei principi che andavi professando» rispose Laurence; era turbato dalla sicurezza del francese, anche se non gli avrebbe mai concesso il lusso di darlo a vedere. «Ah, i principi» disse Choiseul; tutta la sua spavalderia l'aveva abbandonato, e ora sembrava solo esausto e rassegnato. «La Francia non è a corto di draghi come voi, e Bonaparte ne ha persino giustiziato alcuni per tradimento. Che importanza hanno per me i principi se vedo la ghigliottina incombere su Praecursoris, e dove altro potevo portarlo? In Russia? Il drago vivrà almeno per altri duecento anni dopo la mia morte, e di sicuro sai come li trattano laggiù. E certo non potevo volare fino in America senza una nave trasporto. La mia sola speranza era nel perdono, e Bonaparte me l'ha offerto ma con un prezzo da pagare.» «Vale a dire Lily» concluse con freddezza Laurence. Sorprendendolo, Choiseul scosse il capo. «No, il prezzo non era il drago di Catherine, ma il tuo.» Quando Laurence lo guardò stordito, lui aggiunse. «L'uovo cinese gli era stato mandato come dono dal trono imperiale, e Bo-
naparte voleva che lo recuperassi. Non sapeva che Temeraire era già nato.» Choiseul si strinse nelle spalle e allargò le mani. «Pensavo che se l'avessi ucciso, forse...» Laurence lo colpì in pieno viso, abbastanza forte da scaraventarlo sul pavimento in pietra della cella; la sedia vacillò e cadde scricchiolando. Choiseul tossì sputando sangue, e la sentinella aprì la porta e si affacciò all'interno. «Tutto a posto, signore?» domandò, guardando direttamente Laurence, senza degnare di uno sguardo il francese ferito. «Sì, puoi andare» rispose Laurence senza emozione, pulendosi il sangue dalla mano con un fazzoletto mentre il soldato richiudeva la porta. In situazioni normali si sarebbe vergognato per aver colpito un prigioniero, ma al momento non avvertiva il minimo rimorso. Il cuore ancora gli batteva forte. Choiseul rimise lentamente in piedi la sedia e tornò a sedersi. Con meno fervore, disse: «Mi dispiace. Alla fine non sono riuscito a farlo, e così ho pensato di ripiegare su...» Si fermò, vedendo che sul volto dell'altro uomo era tornata la rabbia. L'idea stessa che per tanti mesi una minaccia aveva strisciato così vicino a Temeraire, sventata solo da un momentaneo ripensamento del francese, era sufficiente a far gelare il sangue nelle vene di Laurence. Con una certa riluttanza, completò la frase di Choiseul: «E così hai pensato di ripiegare su una ragazza, hai tentato di sedurla e rapirla nonostante fosse poco più che una bambina.» Il francese non disse nulla, e in effetti era difficile immaginare come potesse provare a difendersi da quell'accusa. Dopo una breve pausa, Laurence aggiunse: «Ormai non puoi più accampare motivi d'onore: dimmi quali sono i piani di Bonaparte, e forse Lenton farà mandare Praecursoris negli allevamenti di Terranova, sempre che tu abbia davvero agito per il suo bene, e non per salvare la tua miserabile vita.» Il francese impallidì, ma disse: «So molto poco, ma quel poco te lo dirò se l'ammiraglio dà la sua parola.» «No» fece Laurence. «La tua sola scelta è dirmi tutto e sperare in una pietà che non meriti: non scenderò a patti con te.» Choiseul chinò il capo, e quando parlò la sua voce era tremante e così bassa che Laurence dovette sforzarsi per sentirla. «Non conosco le intenzioni di Bonaparte, non nei dettagli, ma desiderava che io indebolissi soprattutto questa base, spingendovi a mandare quanti più draghi possibile a sud, nel Mediterraneo.»
Laurence si sentì sgomento fino a star male: almeno questa parte del piano era stata portata a termine con successo. «Ha qualche stratagemma per portare la sua flotta via da Cadice?» domandò. «Un modo per far arrivare qui le sue navi senza incontrare Nelson?» «E credi che Bonaparte si confidasse con me su queste cose?» rispose il francese senza alzare la testa. «Io ero un traditore anche per lui, e si è limitato a farmi sapere gli obiettivi che dovevo conseguire, null'altro.» Con poche ulteriori domande, Laurence si convinse che davvero Choiseul non sapeva altro; lasciò la cella sentendosi sia sporco che allarmato, e andò subito da Lenton. Le notizie fecero calare un pesante drappo di malumore su tutta la base. I capitani non avevano reso noti i dettagli, ma anche l'ultimo dei cadetti o dei membri di terra si rendeva conto che un'ombra incombeva su di loro. Choiseul aveva calcolato bene i tempi del suo attentato: il corriere non sarebbe tornato alla base se non tra una settimana, e poi ce ne sarebbero volute almeno altre due per riportare nella Manica almeno parte delle forze stanziate nel Mediterraneo. Le truppe della milizia e diversi distaccamenti dell'esercito erano già stati inviati sul posto: sarebbero arrivati in pochi giorni, per cominciare a istallare altre postazioni di artiglieria lungo la costa. Laurence, che aveva anche altri motivi di ansia, aveva parlato con Granby e Hollin perché aumentassero il livello di allerta nella sorveglianza di Temeraire. Se Bonaparte era davvero così infastidito per aver perso un suo tesoro personale, era probabile che mandasse un altro agente, questa volta direttamente per uccidere il drago che ormai il francese non poteva più reclamare come suo. «Devi promettermi che starai attento» Laurence disse anche allo stesso Temeraire. «Non mangiare nulla a meno che uno di noi non ti sia vicino e l'abbia approvato; e se qualcuno che non ti ho mai presentato cerca di avvicinarsi a te, non permetterglielo per nessun motivo, anche se per farlo dovessi volare in un'altra radura.» «Starò attento, Laurence, te lo prometto» rispose il drago. «Però non capisco perché l'imperatore francese dovrebbe volermi morto; che vantaggio ne trarrebbe lui? Non farebbe meglio a chiedere un altro uovo?» «Amico mio, dubito fortemente che i cinesi acconsentirebbero a inviarglielo, dopo che il primo è stato sottratto ai suoi stessi uomini» rispose lui. «Sono ancora sorpreso che gliene abbiano dato uno, in effetti: Bonaparte deve avere qualche diplomatico di immenso talento alla sua corte. E sup-
pongo che l'orgoglio dell'imperatore francese sia ferito dal fatto che un semplice capitano britannico ha preso il posto che lui aveva intenzione di occupare.» Temeraire sbuffò, sprezzante. «Sono sicuro che non mi sarebbe mai piaciuto, nemmeno se fossi nato in Francia» disse. «Sembra una persona davvero sgradevole.» «Oh, non direi. Certo, si parla molto del suo orgoglio smisurato, ma non si può certo negare che sia un grande uomo, anche se è un tiranno» rispose Laurence con una certa riluttanza; sarebbe stato molto più felice se fosse riuscito a convincere sé stesso che Bonaparte era un idiota. Lenton dispose che le squadre di pattuglia dovevano uscire in formazione dimezzata, affinché gli altri draghi restassero alla base per un addestramento bellico intensivo. Col favore della notte, altri animali arrivarono in segreto dalle basi di Edimburgo e Inverness, e tra questi c'erano Victoriatus, il Parnassiano che avevano salvato Temeraire e gli altri. Il suo capitano, Richard Clark, ebbe la gentilezza di andare a presentare i suoi omaggi a Laurence e al suo drago. «Spero possiate perdonarmi se vi manifesto solo ora il mio rispetto e la mia gratitudine» disse. «Devo confessare che a Laggan non riuscivo a pensare ad altro che alla salute di Victoriatus, e poi ci è stato ordinato di partire senza alcun preavviso, come senza dubbio è successo anche a voi.» Laurence strinse di buon grado la sua mano. «Vi prego, non vi date pensiero» disse. «Spero che il drago si sia ripreso del tutto.» «Ebbene sì, grazie al cielo, e ha fatto appena in tempo» aggiunse con aria cupa. «Mi pare di capire che ci si aspetti un attacco da un momento all'altro.» E invece i giorni continuarono a susseguirsi, resi dolorosamente interminabili dall'attesa, e non accadde nulla. Arrivarono altri tre Winchester come esploratori aggiunti, ma tornavano sempre dalle loro incursioni verso le spiagge francesi con la notizia di pesanti truppe di pattuglia lungo la costa nemica: non c'era modo di addentrarsi per acquisire altre informazioni. Anche Levitas faceva parte dell'avanscoperta, ma il gruppo era abbastanza numeroso perché Laurence non fosse costretto a incontrare spesso Rankin, cosa della quale fu solo grato. Si sforzò di non vedere sul piccolo drago i segni di una trascuratezza alla quale ora non poteva più porre rimedio, perché sapeva che se si fosse ancora intromesso avrebbe rischiato di causare una lite con pesanti ricadute sul morale di tutta la base. A ogni modo poté giungere a un compromesso con la propria coscienza: si propo-
se di non dire nulla quando la mattina presto vedeva arrivare Hollin alla radura di Temeraire, con un secchio pieno di stracci sporchi e un'espressione di colpevolezza in viso. L'accampamento cadde in preda al terrore la notte di domenica, dopo la prima settimana di attesa: Volatilus non era ancora arrivato. Il clima era stato abbastanza clemente, di sicuro non poteva essere quella la causa del ritardo; rimase mite per altri due giorni, e poi per un altro ancora, e il drago continuava a non farsi vedere. Laurence si costrinse a non guardare verso il cielo e a ignorare gli uomini che invece lo facevano, finché una notte non trovò Emily che piangeva in silenzio fuori dalla radura, scivolata via dalle caserme per un po' di intimità. La ragazza rimase molto imbarazzata quando si accorse di non essere sola, e finse che le fosse entrata della polvere negli occhi. Laurence la invitò in camera sua, dove chiamò i servitori perché portassero del cioccolato, e poi le disse: «Avevo due anni più di te quando andai in mare per la prima volta, e per tutta una settimana piagnucolai ogni notte.» Lei sembrò così scettica a riguardo da strappargli una risata. «Non me lo sto inventando per consolarti» le assicurò. «Quando un giorno sarai capitano, e troverai uno dei tuoi alfieri nelle tue stesse condizioni di adesso, immagino che gli dirai quello che io ho appena detto a te.» «Io non ho tanta paura» disse Emily, assonnata e tranquilla grazie alla combinazione di stanchezza e cioccolato. «So che Excidium non permetterà che succeda qualcosa di male a mia madre, e lui è il drago migliore di tutta Europa.» L'imbarazzo per quella lieve scortesia parve risvegliarla, e la ragazza si affrettò ad aggiungere: «Ovviamente, Temeraire è buono quasi quanto lui.» Laurence annuì con aria seria. «Ed è molto più giovane. Forse un giorno eguaglierà Excidium, quando avrà più esperienza.» «Sì, sarà proprio così» disse Emily, molto sollevata, e lui nascose un sorriso. Cinque minuti dopo la ragazza fu sopraffatta dal sonno, e Laurence la adagiò sul suo letto e andò a dormire con Temeraire. *
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«Laurence, Laurence.» Si agitò, battendo le palpebre, e guardò verso l'altro; Temeraire, ansioso, gli stava dando dei colpetti per svegliarlo, sebbene il cielo fosse ancora buio. Laurence percepì in modo un po' confuso un basso vocio, e poi il crepi-
tare delle armi da fuoco. Fu in piedi in un istante: nella radura non c'era nessun membro del suo equipaggio e neanche gli ufficiali. «Che succede?» chiese Temeraire, alzandosi anche lui e dispiegando le ali mentre Laurence gli scendeva di dosso. «Siamo sotto attacco? Non vedo nessun drago in volo.» «Signore, signore!» Morgan arrivò di corsa nello spiazzo, quasi cadendo per la fretta e la concitazione. «Volly è arrivato, signore, e c'è stata una grande battaglia, e Napoleone è rimasto ucciso!» «Oh, questo significa che la guerra è già finita?» chiese deluso Temeraire. «Non ho partecipato nemmeno a una battaglia vera e propria.» «Forse la notizia è stata distorta passando di bocca in bocca; sarei sorpreso se Bonaparte fosse morto davvero» disse Laurence. Di sicuro era arrivata una buona notizia, ma di una portata tale che lo faceva dubitare della sua veridicità. «Morgan, vai a svegliare Hollin e l'equipaggio di terra, porgi le mie scuse per l'orario e chiedi che portino a Temeraire la sua colazione. Amico mio,» si rivolse poi al drago «vado a vedere cosa riesco a scoprire, e tornerò quanto prima a raccontarti tutto.» «Si, ti prego, fai in fretta» rispose fremente Temeraire, alzandosi sulle zampe posteriori per guardarsi intorno da sopra le cime degli alberi. Il quartier generale era già illuminato; Volly era accucciato nel campo di parata e divorava famelico una pecora, mentre un paio di membri dell'equipaggio di terra tenevano lontano il fiume di persone che si riversava dalle caserme. Diversi soldati della milizia e dell'esercito stavano sparando colpi in aria, e Laurence fu costretto a farsi strada a spintoni per raggiungere l'entrata. La porta dell'ufficio di Lenton era chiusa, ma il capitano James era al circolo degli ufficiali, e mangiava con un'avidità seconda solo a quella del suo drago, circondato da tutti gli altri capitani che gli chiedevano notizie. «Nelson mi ha ordinato di aspettare; diceva che i nemici sarebbero venuti allo scoperto prima che io fossi riuscito a fare un altro giro» stava raccontando James, con la bocca piena di pane tostato, mentre Sutton tentava di ritrarre la scena su un pezzo di carta. «Non riuscivo a crederci, eppure è andata proprio così, sono usciti allo scoperto, domenica mattina, e lunedì mattina li abbiamo affrontati nei pressi di capo Trafalgar.» James ingollò una tazza di caffè, e tutta la compagnia attese impaziente che finisse, poi mise da parte il vassoio per prendere il foglio di carta dalle mani di Sutton. «Ecco, lasciate che ve lo mostri» disse, tracciando dei cerchietti per segnare la posizione delle imbarcazioni. «Ventisette navi e do-
dici draghi da parte nostra, contro trentatré e dieci dei loro.» «Due colonne, che hanno incrociato per due volte le loro linee?» chiese Laurence, studiando con approvazione il disegno: era la strategia perfetta per creare scompiglio tra i francesi, i cui inesperti equipaggi non avrebbero certo saputo porre rimedio a quella manovra. «Cosa? Ah, le navi. Sì. Con Excidium e Laetificat sopra la colonna che doppiava il nemico e Mortiferus su quella che viaggiava sottovento» rispose James. «Lo scontro è stato molto acceso, ve lo posso assicurare; non riuscivo a vedere quasi nulla dall'alto a causa delle nuvole di fumo. A un certo punto mi è sembrato che la Victory fosse spacciata: gli spagnoli avevano uno di quei maledetti Flecha-del-Fuego, che sfrecciava tra le navi più veloce dei proiettili dei nostri cannoni. Quel drago ha incendiato tutte le vele della Victory prima che Laetificat lo facesse fuggire via con la coda tra le gambe.» «Quali sono state le nostre perdite?» chiese Warren, e la sua voce pacata si aprì un varco tra le emozioni di tutti gli animi sovreccitati. James scosse il capo. «È stato un vero e proprio bagno di sangue, senza dubbio» disse mesto. «Suppongo che siano morti circa mille dei nostri uomini e anche il povero Nelson ci è andato assai vicino: il drago lanciafiamme aveva incendiato una delle vele della Victory, che è caduta addosso all'ammiraglio, sul cassero di poppa. Un paio di uomini dalla mente sveglia gli hanno versato addosso il barile dell'acqua, ma dicono che le medaglie gli si erano fuse nella pelle, e ora le porterà addosso per sempre.» «Un migliaio di uomini, Dio abbia misericordia delle loro anime» osservò Warren; la conversazione cessò, e quando riprese fu sulle prime piuttosto sottotono. Ma l'emozione e la gioia col tempo ebbero la meglio sui sentimenti che forse sarebbero stati più appropriati per quelle circostanze. «Spero vogliate scusarmi, signori» disse Laurence, quasi urlando per via del baccano che era diventato assordante e gli impediva di acquisire qualsiasi altra informazione. «Ho promesso a Temeraire che sarei tornato in fretta. James, suppongo che il rapporto sul decesso di Bonaparte sia fasullo, giusto?» «Sì, purtroppo, a meno che non gli prenda un colpo quando saprà della battaglia» rispose a gran voce il capitano di Volatilus, scatenando uno scoppio di risate che si trasformò senza soluzione di continuità in una strofa di Hearts of Oak, e il canto seguì Laurence quando questi uscì dalla sala. Non si spense neanche all'esterno, ripreso dagli uomini che erano in giro nella base.
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Quando sorse il sole, la base era per metà deserta. Quasi nessuno aveva dormito: il buonumore era arrivato ai limiti dell'isteria, e uomini che fino a poco prima avevano avuto i nervi tesi oltre il limite si erano finalmente lasciati andare. Lenton non provò neppure a richiamare i suoi all'ordine e distolse lo sguardo quando gli aviatori si riversarono in città, per portare la notizia a chi ancora non l'aveva sentita e per unirsi alle urla di giubilo. «Qualsiasi schema di invasione avesse in mente Bonaparte, questa battaglia gli ha di sicuro fatto cambiare idea» disse Chenery esultante, più tardi quella sera stessa, insieme agli altri su un balcone a guardare il ritorno degli aviatori che ancora si agitavano nei campi da parata, completamente ubriachi ma troppo felici per litigare, con il vento che di tanto in tanto portava verso di loro frammenti di canzoni. «Quanto mi piacerebbe vedere la faccia che ha fatto...» «Penso che gli stavamo dando troppo credito» osservò Lenton; le sue guance erano arrossate dal Porto e dalla soddisfazione, e ne aveva ogni diritto: la sua idea di far partire Excidium si era rivelata esatta, e aveva contribuito materialmente alla vittoria. «Penso che la sua marina sia assai meno efficace dell'esercito e delle forze aeree. Un uomo poco addentro a certe questioni potrebbe ben immaginare che trentatré navi di linea non possono assolutamente perdere contro ventisette.» «Ma come è possibile che le sue divisioni aeree ci abbiano messo così tanto a raggiungere il luogo dello scontro?» chiese Harcourt. «Solo dieci draghi, e da quanto ha detto James più della metà erano spagnoli: nemmeno un decimo delle forze che aveva in Austria. Possibile che dopo tutto non siano partiti dal Reno?» «Ho sentito dire che i passi sopra i Pirenei sono dannatamente difficili da percorrere, anche se non ci ho mai provato di persona» rispose Chenery. «Ma io oserei dire che Bonaparte non li aveva mai fatti uscire dalle basi, pensando che Villeneuve avesse con sé le forze necessarie, e quei draghi sono rimasti in una radura a oziare e ingrassare. Senza dubbio ha creduto per tutto questo tempo che Villeneuve sarebbe passato attraverso la flotta di Nelson, perdendo al massimo una o due navi. E noi eravamo qui ad aspettare il loro arrivo, a chiederci dove fossero e a mangiarci le unghie senza nessuna ragione.» «E adesso il suo esercito non può più arrivare da noi» disse il capitano
Harcourt. «Citando le parole di Lord St Vincent, 'non direi che non possono venire, ma che non possono venire dal mare'» rispose Chenery con un sogghigno. «E se Bonaparte pensa di prendere l'Inghilterra con quaranta draghi e i loro equipaggi, be' che ci provi pure, così gli potremo far assaggiare un po' di quei cannoni che gli uomini della milizia si sono presi la briga di installare. Sarebbe un peccato che tanto lavoro andasse sprecato.» «Confesso che non mi dispiacerebbe poter dare un'altra lezione a quel furfante» osservò Lenton. «Ma non sarà così sciocco; dobbiamo accontentarci di aver fatto il nostro dovere, e lasceremo agli austriaci la gloria di spazzarlo via. Le sue speranze di invasione sono morte.» Ingoiò l'ultimo sorso di Porto e, a un tratto, disse: «Non c'è più motivo di rimandare la questione: non abbiamo più alcun bisogno di Choiseul adesso.» Nel silenzio che era piombato sul balcone, il rapido respiro del capitano Harcourt parve quasi un singhiozzo, ma la donna non protestò. Fu anzi ammirevole il modo in cui la sua voce rimase ferma quando si limitò a chiedere: «Avete deciso cosa fare con Praecursoris?» «Lo manderemo a Terranova, se accetterà di andarci; laggiù hanno bisogno di un altro maschio per gli allevamenti, e il drago non è di per sé malvagio» rispose l'ammiraglio. «La colpa è di Choiseul, non sua.» Scosse il capo. «È davvero un peccato, ovviamente, è per molti giorni i nostri animali saranno assai infelici, ma non c'è altra scelta. Meglio chiudere in fretta la questione: domattina.» A Choiseul fu concesso di passare un po' di tempo con Praecursoris, anche se il grosso drago era quasi tutto coperto di catene e controllato da Maximus e Temerarie ai suoi fianchi. Laurence sentì i brividi che percorrevano il corpo del suo amico mentre svolgevano quello sgradevole compito, costretti a osservare Praecursoris che muoveva la testa da un lato all'altro in segno di diniego e il francese che si prodigava in disperati tentativi di convincerlo ad accettare la soluzione proposta da Lenton. Alla fine la grande testa del drago si chinò nel più impercettibile dei cenni d'assenso, e Choiseul si avvicinò per poggiare una guancia contro il naso liscio di Praecursoris. Poi le guardie si fecero avanti. Praecursoris provò ad attaccarle, ma le catene lo tirarono indietro, e quando i soldati portarono via Choiseul il drago urlò, un suono spaventoso. Temeraire si ritrasse da quel lamento, agitando le ali e gemendo a voce bassa; Laurence si sporse in avanti e si stese sul suo lungo collo, carezzandolo senza sosta. «Non guardare, amico
mio» gli disse, e le parole facevano fatica a uscire dalla sua gola strozzata. «Presto sarà tutto finito.» Praecursoris urlò ancora una volta, alla fine, poi si accasciò pesantemente a terra, come se ogni energia vitale avesse abbandonato il suo corpo. Lenton segnalò che gli altri draghi potevano andare, e Laurence toccò un fianco di Temeraire. «Via, via» gli disse, e il drago si lanciò subito via dal patibolo, sfrecciando verso il mare calmo e deserto. «Laurence, posso portare Maximus e Lily qui?» chiese Berkley nel suo solito modo diretto, arrivando nella radura senza nessun preavviso. «C'è abbastanza spazio, mi pare.» Laurence sollevò il capo e lo guardò, ancora stordito. Temeraire era ancora rannicchiato nel suo sconforto, la testa nascosta sotto le ali, inconsolabile: avevano volato per ore, loro due da soli e l'oceano di sotto, finché alla fine Laurence aveva pregato il drago di tornare sulla terraferma, per paura che potesse stancarsi fino allo sfinimento. Lui stesso si sentiva indolenzito e confuso, come se avesse la febbre. Aveva già assistito a delle impiccagioni, una triste realtà della vita da marinaio, e Choiseul si era meritato quella sorte assai più di molti altri uomini che Laurence aveva visto penzolare da una fune, quindi non avrebbe saputo dire perché provava una tale angoscia. «Se vuoi» rispose a Berlkey, senza entusiasmo, tornando a chinare il capo. Non lo alzò neppure quando al rumore delle ali e al muoversi dell'ombra di Maximus che arrivò nella radura, la sua enorme massa sovrapposta al sole finché non atterrò pesantemente accanto a Temeraire; poi giunse anche Lily. Subito i tre draghi si accovacciarono uno vicino all'altro, e dopo qualche istante Temeraire si allungò per poggiarsi meglio agli altri due, e Lily stese le sue grandi ali per coprirli tutti. Berkley condusse il capitano Harcourt da Laurence, che sedeva poggiando la schiena su un fianco del suo drago, e la spinse a mettersi accanto a lui; la donna non oppose alcuna resistenza. Poi il massiccio capitano di Maximus si sedette con movenze poco aggraziate di fronte agli altri due, e tirò fuori una bottiglia scura. Laurence la prese e bevve con curiosità: rum, forte e non annacquato, e lui non aveva mangiato nulla quel giorno. Gli andò subito alla testa, e lui fu grato per quella sensazione di stordimento. Dopo un po' Harcourt iniziò a piangere, e Laurence fu sconvolto quando si accorse che anche lui aveva il viso bagnato, nonostante avesse stretto la spalla della donna per confortarla. «Era un traditore, nient'altro che un bu-
giardo traditore» disse lei, strofinando via le lacrime con il dorso della mano. «Non mi dispiace neanche un po', neanche un po'.» Aveva parlato con forza, come se cercasse di convincere sé stessa. Berkely le passò la bottiglia. «Non si tratta di lui, che era marcio e maledetto e si meritava quella fine» osservò. «A te, come a tutti gli altri, dispiace per Praecursoris. Ai draghi non importa nulla di patria e re, lo sai: Praecursoris non sapeva niente, andava solo dove Choiseul gli diceva di andare.» «Dimmi un po'» intervenne a un tratto Laurence «secondo te Bonaparte avrebbe davvero fatto giustiziare il drago per tradimento?» «Mi sembra verosimile, i continentali lo fanno, di tanto in tanto. Più per spaventare gli aviatori che per punire le bestie» rispose Berkley. Laurence si pentì di aver fatto quella domanda, si pentì di aver scoperto che, almeno su quello, Choiseul aveva detto la verità. «Di sicuro i nostri copri aerei gli avrebbero garantito rifugio nelle colonie, se lo avesse chiesto» disse con rabbia. «Non ha nessuna scusante. Voleva riavere il suo posto in Francia, ed era disposto a mettere a repentaglio la vita di Praecursoris per ottenerlo, poiché noi avremmo anche potuto decidere di condannare a morte il drago.» Berkley scosse il capo. «Sapeva che siamo troppo a corto di bestie per fare una cosa del genere» spiegò. «Non che io voglia scusare quell'uomo. Direi che hai ragione. Pensava che Bonaparte ci avrebbe travolto, e non voleva andare a vivere nelle colonie.» Si strinse nelle spalle. «Ma resta il fatto che il suo drago ne ha sofferto molto, e non aveva fatto niente di male.» «Questo non è vero» intervenne a sorpresa Temeraire, e tutti alzarono lo sguardo su di lui; anche Maximus e Lily sollevarono la testa per ascoltare. «Choiseul non poteva costringerlo a volare via dalla Francia, né a venire qui con l'intenzione di causare a noi dei danni. A me non sembra che sia innocente.» «Ma forse non capiva molto bene cosa gli veniva richiesto di fare» provò a controbattere il capitano Harcourt. Temeraire rispose, «Allora doveva rifiutare finché non avesse compreso del tutto; non è ingenuo, come Volly. Avrebbe potuto salvare la vita del suo pilota, e il suo onore. Io mi vergognerei se il mio pilota venisse giustiziato e io no, se avessi fatto quello che ha fatto Praecursoris.» Poi, frustando l'aria con la coda, aggiunse con voce carica di veleno, «E in ogni caso non permetterei a nessuno di uccidere Laurence, nessuno deve neanche
lontanamente provare a farlo.» Maximus e Lily borbottarono il loro assenso. «Io non permetterei mai a Berkley di diventare un traditore,» disse il grosso drago «ma se lui lo facesse lo stesso, calpesterei chiunque provasse a impiccarlo.» «Io invece prenderei Catherine e fuggirei via, credo» dichiarò Lily. «Ma forse anche Praecursoris voleva fare qualcosa del genere. Credo che non sia riuscito a spezzare tutte quelle catene, poiché è più piccolo di voi due e non ha nessuna arma, né fuoco né veleno. Inoltre era da solo, e ben controllato. Io non so cosa farei, se non potessi scappare» concluse a voce bassa. I tre draghi sprofondarono in una nuova tristezza, tornando a rannicchiarsi uno accanto all'altro, finché Temeraire sollevò il capo e dichiarò con improvvisa fermezza, «Ecco secondo me cosa dovremmo fare: se mai uno di noi avrà bisogno di salvare il suo pilota, gli altri lo aiuteranno. Così non dobbiamo più preoccuparci. Non è possibile fermare noi tre insieme, o quanto meno non possono impedirci di fuggire.» Tutti e tre parvero davvero rallegrati da quel piano brillante; Laurence si pentì del rum che aveva bevuto, poiché non era in grado di formulare la protesta che sentiva di dover muovere, e con una certa urgenza. «Smettetela con queste idee, maledetti cospiratori, o ci farete impiccare tutti» disse per fortuna Berkley al posto suo. «Che ne dite invece di mangiare qualcosa? Noi piloti non toccheremo cibo finché non lo farete voi per primi, e se davvero volete proteggerci potete benissimo cominciare evitando di farci morire di fame.» «Non credo che tu corra quel rischio» rispose Maximus. «Appena due settimane fa il dottore ha detto che sei troppo grasso.» «Al diavolo!» esclamò Berkley drizzando la schiena, e Maximus sbuffò divertito da quella reazione ai suoi insulti; in breve i tre draghi si lasciarono convincere ad accettare del cibo, e Maximus e Lily tornarono alle loro radure per mangiare. «Mi dispiace comunque per Praecursoris, nonostante abbia agito male» dichiarò poi Temeraire quando ebbe concluso il suo pasto. «Non capisco perché non hanno permesso a Choiseul di andare nelle colonie con lui.» «Deve esserci un prezzo per certe cose, altrimenti accadrebbero più spesso, e in ogni caso il francese si meritava la sua punizione» rispose Laurence, la mente rischiarata da un po' di cibo e del caffè. «Choiseul aveva intenzione di infliggere a Lily le stesse sofferenze che ora sta patendo Praecursoris: come ti sentiresti se i francesi mi prendessero prigioniero e ti
dicessero che se vuoi salvare la mia vita devi volare per loro contro i tuoi amici e compagni di un tempo?» «Sì, capisco» disse Temeraire, ma non c'era convinzione nella sua voce. «Eppure mi sembra che avrebbero potuto punirlo in qualche altro modo. Non sarebbe stato meglio tenerlo prigioniero e costringere Praecursoris a volare per noi?» «Vedo che hai capito bene cos'è la legge del contrappasso» osservò Laurence. «Ma credo che per il tradimento non possa esserci nessuna punizione inferiore alla morte: è un crimine troppo spregevole per essere castigato solo con la prigionia.» «Ma Praecursoris non va punito allo stesso modo solo perché la cosa non sarebbe pratica, in quanto lui può essere utile per l'allevamento?» chiese Temeraire. Laurence rifletté sulla questione e non riuscì a trovare una risposta. «In tutta onestà, credo che in quanto aviatori disprezziamo l'idea di mettere a morte un drago, e così abbiamo trovato una scusa per lasciarlo in vita» disse infine. «E dato che le nostre leggi sono pensate per gli uomini, forse non sarebbe stato giusto applicarle anche a Praecursoris.» «Oh, su questo posso anche essere d'accordo» commentò Temeraire. «Alcune delle leggi delle quali ho sentito parlare mi sembrano davvero poco sensate, e le rispetto solo per non causare problemi a te. Se proprio volete giudicare anche noi con delle leggi, mi sembrerebbe solo ragionevole che ci consultaste sull'argomento, e da quello che ho letto del parlamento non mi pare che i draghi siano invitati a presenziarvi.» «Il prossimo passo è protestare contro la tassazione senza rappresentazione, poi getterai nelle acque del porto una cassa di tè» disse Laurence. «Sei in tutto e per tutto un giacobino nell'anima, e penso che sia inutile continuare a tentare di farti cambiare idea; non posso fare altro che lavarmene le mani e negare ogni responsabilità.» 12 Il mattino del giorno dopo Praecursoris era già andato via, partito per un trasporto di draghi che da Portsmouth sarebbe salpato verso Nuova Scozia, da dove sarebbe poi stato trasferito a Terranova per essere infine richiuso negli allevamenti che erano di recente sorti sull'isola. Laurence aveva evitato di rivedere il misero animale, e si era impegnato a tenere Temeraire sveglio fino a tardi la notte precedente, in modo che rimanesse a dormire
durante la partenza di Praecursoris. Lenton aveva scelto i tempi di quell'operazione con grande sagacia: la gioia generale per la vittoria di Trafalgar non si era ancora spenta, e contrastava in qualche modo l'infelicità dei singoli capitani e dei draghi. Lo stesso giorno della partenza del drago francese, nella base girarono degli opuscoli che annunciavano uno spettacolo di fuochi d'artificio alla foce del Tamigi: Lily, Temeraire e Maximus, i draghi più giovani e maggiormente condizionati dalla sorte di Praecursoris, furono inviati ad assistervi su ordine dell'ammiraglio. Laurence fu profondamente grato per quella decisione quando le figure di luce accesero il cielo e la musica prese a fluire sull'acqua dalle chiatte ormeggiate: Temeraire aveva gli occhi sgranati dall'emozione, e le brillanti esplosioni di colore si riflettevano sulle pupille e sulle scaglie della sua pelle mentre il drago piegava la testa da una parte all'altra nello sforzo di carpire meglio i suoni. Per tutto il viaggio di ritorno alla base, parlò solo della musica, dei fuochi e delle luci. «Era un concerto, quindi, come quelli che si tengono a Dover?» chiese. «Laurence, non possiamo tornarci qualche volta, magari mettendoci un po' più vicino? Me ne starei seduto in silenzio, e non darei fastidio a nessuno.» «Purtroppo i fuochi d'artificio e gli spettacoli come questo sono un'occasione speciale, amico mio: in realtà nei concerti c'è solo la musica» disse Laurence, evitando di rispondere. Non aveva difficoltà a immaginare la reazione degli abitanti di una città nella quale un drago si fosse presentato per seguire un concerto. «Oh» fece Temeraire, ma non parve molto deluso. «Mi piacerebbe comunque tantissimo; stasera non sono riuscito a sentire molto bene la musica.» «Non so se in città sia possibile farti entrare nei luoghi dove si tengono i concerti» ammise Laurence, parlando lentamente e con riluttanza. Ma poi si rallegrò per un'improvvisa ispirazione, e aggiunse: «Tuttavia, potrei assumere dei musicisti e farli venire alla base a esibirsi per te; sarebbe assai più comodo.» «Sì, mi piacerebbe davvero tanto» rispose Temeraire con trasporto. Comunicò l'idea a Maximus e Lily non appena furono atterrati, e gli altri due draghi mostrarono lo stesso interesse. «Accidenti a te, Laurence, dovresti imparare a dire di no, o ci condannerai a subire ogni sorta di assurdità» commentò Berkley. «Voglio proprio vedere se qualche musicista accetterà di venire qui, per passione o per de-
naro.» «Per passione forse no; ma sono convinto che, per una settimana di stipendio e un pasto abbondante, qualsiasi musicista andrebbe a suonare anche nel manicomio di Bedlam» rispose Laurence. «A me sembra una bella idea» intervenne Harcourt. «Io sarei molto contenta di assistere a un concerto nella base. L'ultima volta che ne ho visto uno avevo sedici anni: dovetti indossare la gonna per l'occasione, e dopo appena mezz'ora il tizio seduto accanto a me cominciò a sussurrarmi frasi irriguardose finché non gli versai una tazza di caffè sui pantaloni. Mi rovinò il piacere della musica, anche se quell'uomo se ne andò immediatamente.» «Cristo re dei cieli, Harcourt, se mai avrò motivo di offenderti mi accerterò che tu non abbia nulla di bollente tra le mani» osservò Berkley, mentre Laurence era combattuto tra lo stupore per gli insulti ricevuti dalla donna e quello parimenti forte dovuto al modo in cui lei aveva reagito. «Be', avrei preferito dargli un pugno, ma per farlo dovevo alzarmi. E non avete idea di quanto sia difficile sistemarsi la gonna per stare sedute: la prima volta mi ci vollero cinque minuti interi» rispose lei. «Quindi non avevo intenzione di ripetere l'intera procedura. Poi il cameriere mi passò accanto, e pensai che il caffè poteva essere una soluzione più semplice, e comunque più idonea al comportamento giusto per una ragazza.» Ancora un po' sconcertato da quel racconto, Laurence augurò la buona notte ai due capitani e portò Temeraire nel suo spiazzo. Anche quella notte, dormì nella piccola tenda accanto al drago, sebbene l'animale si fosse ripreso del tutto. Come ricompensa, il mattino seguente fu svegliato con le prime luci da Temeraire che scrutò nella tenda con un grande occhio e gli chiese se magari non aveva voglia di andare a Dover e organizzare il concerto per quello stesso giorno. «In realtà avrei voglia di dormire fino a un'ora più civile, ma poiché questo è evidentemente impossibile, forse chiederò a Lenton il permesso di andare» rispose lui e strisciò fuori dalla tenda continuando a sbadigliare. «Posso fare colazione, prima?» «Oh, certo» disse Temeraire in tono di grande generosità. Borbottando un po', Laurence indossò il cappotto e si avviò verso il quartier generale. A metà strada dall'edificio, quasi si scontrò con Morgan, che correva a cercare proprio lui. «Signore, l'ammiraglio Lenton Vuole vedervi» annunciò il ragazzo ansimando per l'emozione dopo che Laurence l'ebbe fermato. «E dice che Temeraire deve indossare l'attrezzatura da
combattimento.» «Va bene» rispose il capitano, celando il proprio stupore. «Vai subito a riferire il tutto al tenente Granby e a Hollin, e poi fai ciò che ti dirà il tenente; bada bene a non parlarne con nessun altro.» «Sì, signore» disse il ragazzo, e scattò di nuovo verso le caserme; Laurence accelerò l'andatura. «Entrate pure, capitano» lo invitò Lenton quando lui bussò alla porta dell'ammiraglio; sembrava che tutti gli altri capitani della base fossero già nel suo ufficio. Con gran sorpresa di Laurence, c'era anche Rankin, seduto vicino alla scrivania di Lenton. Per tacito accordo, erano riusciti a non parlarsi sin dal trasferimento di Rankin da Loch Laggan, e Laurence non aveva saputo nulla dei compiti di Levitas e del suo capitano, che però dovevano essere stati più pericolosi di quanto lui aveva immaginato: Rankin aveva delle bende sporche di sangue intono una coscia, e anche i suoi abiti erano macchiati di sangue; il suo volto era pallido e contratto in una smorfia di dolore. L'ammiraglio aspettò l'arrivo degli ultimi ritardatari per iniziare; poi, in tono cupo, disse: «Credo che ve ne siate già accorti, signori: abbiamo festeggiato troppo in fretta. Il capitano Rankin è appena tornato da un volo sulla costa. È riuscito a infiltrarsi oltre i confini del nemico, e ha dato un'occhiata a quanto sta organizzando quel maledetto corso. Guardate.» Spinse sulla scrivania un foglio di carta, sporco di polvere e macchie di sangue che però non impedivano di vedere l'elegante disegno tracciato dalla mano precisa di Rankin. Lawrence si accigliò, cercando di trarre un senso da quella figura: sembrava una nave di linea, ma senza parapetti intorno al ponte, nessun albero, delle strane travi che sporgevano a prua e a poppa e nessun alloggio per i cannoni. «A cosa serve?» chiese Chenery, girando il foglio verso di sé. «Credevo che avesse già delle navi.» «Forse vi diventerà tutto più chiaro sapendo che le fa trasportare dai suoi draghi» disse Rankin. Laurence capì subito: quelle travi servivano da punto di appiglio per gli animali. Napoleone voleva far volare le sue truppe al di sopra dei cannoni della Marna, mentre gran parte dell'aviazione britannica era impegnata nel Mediterraneo. Lenton disse: «Non sappiamo per certo quanti uomini può trasportare ognuna di quelle...» «Signore, se posso, vorrei chiedere quanto sono lunghi quei vascelli» lo interruppe Laurence. «E se il disegno è in scala.»
«Per il mio occhio sì» rispose Rankin. «Quello che ho visto a mezz'aria aveva due Mietitori accanto, ed era comunque più lungo: direi circa sessanta metri da poppa a prua.» «Quindi è probabile che, all'interno, siano strutturati su tre livelli» disse cupo Laurence. «Se usano delle amache, Bonaparte può far entrare circa duemila uomini in ognuno per un viaggio breve, se decide di non portare delle provviste.» Un mormorio allarmato percorse la stanza. Lenton rispose: «Ci vogliono meno di due ore per attraversare lo stretto, anche se partono da Cherbourg, e Napoleone ha più di sessanta draghi.» «Buon Dio, potrebbe spostare cinquantamila uomini entro mezzogiorno» disse un capitano che Laurence non conosceva, un uomo arrivato da poco, ma quello stesso calcolo occupava la mente di tutti gli altri ufficiali. Era impossibile non guardarsi intorno e conteggiare le proprie forze: meno di venti uomini, un buon quarto dei quali erano esploratori e corrieri, capitani le cui bestie potevano fare ben poco in un combattimento. «Ma di sicuro quelle cose sono impossibili da manovrare in aria, e i draghi avranno difficoltà a trasportare un simile peso, no?» chiese Sutton continuando a studiare il disegno. «Con ogni probabilità ha usato del legno leggero: gli serve che durino solo un giorno, dopo tutto, e non devono neanche essere impermeabili» rispose Laurence. «Ha bisogno solo che il vento soffi da est. A giudicare da quanto sono sottili, opporranno ben poca resistenza alle correnti. Ma saranno vulnerabili, una volta in volo, e immagino che Excidium e Mortiferus stiano già tornando da noi, è così?» «Si trovano minimo a quattro giorni di volo da qui, e Bonaparte deve saperlo bene quanto noi» replicò Lenton. «Ha sacrificato quasi tutta la sua flotta e quella spagnola per accertarsene, e non sprecherà questa occasione.» L'ovvia verità di questa affermazione fu subito chiara a tutti e di nuovo il silenzio piombò nella stanza, carico di una triste attesa. L'ammiraglio guardò il ripiano della scrivania, poi si raddrizzò con una lentezza che non gli era affatto propria: per la prima volta Laurence si accorse che i capelli dell'uomo erano grigi e radi. «Signori,» iniziò Lenton in tono formale «il vento soffia da nord oggi, quindi forse ci resta un po' di tempo se Bonaparte sceglie di aspettare una corrente migliore. Tutti i nostri esploratori voleranno a turno nei pressi di Cherbourg: avremo almeno un'ora di preavviso. Non c'è bisogno di dirvi che saremo in una schiacciante inferiorità numerica. Possiamo solo fare del
nostro meglio, e rallentare ciò che non possiamo fermare.» Nessuno parlò, e dopo un istante l'ammiraglio aggiunse: «Avremo bisogno di tutti i draghi di stazza media e pesante che non fanno parte di uno stormo, e il loro compito sarà distruggere quei mezzi di trasporto. Chenery, Warren, voi prendete la posizione intermedia ai lati di Lily, e due dei vostri esploratori quella di punta. Capitano Harcourt, senza dubbio Bonaparte starà usando dei draghi per difesa: la vostra missione sarà tenerli quanto più possibile occupati.» «Sì, signore» rispose la donna, e tutti gli altri annuirono. Lenton trasse un profondo respiro e si passò una mano sul viso. «Non c'è altro da aggiungere, signori: andate a prepararvi.» Non c'era motivo di tenere i suoi uomini all'oscuro di quelle notizie: i francesi avevano quasi catturato Rankin sulla via del ritorno, e sapevano già che il loro segreto non era più tale. Laurence quindi spiegò tutto ai sui tenenti, e poi li mise al lavoro. Vide che la notizia veniva trasmessa attraverso i vari ranghi, e gli uomini si protendevano uno verso l'altro per ascoltare, con i volti induriti dalla comprensione del pericolo, finché qualsiasi oziosa conversazione mattutina non fu spazzata via. Laurence fu orgoglioso di vedere che anche gli ufficiali più giovani reagivano con grande coraggio, entrando subito in azione. Temeraire avrebbe usato l'attrezzatura completa da combattimento pesante per la prima volta in una vera battaglia; quella per il pattugliamento era molto più leggera, e quando si erano scontrati con i draghi francesi indossava quella da viaggio. Temeraire rimase dritto e immobile, girando solo la testa per osservare con grande emozione gli uomini che gli sistemavano l'imponente imbracatura di cuoio dalla tripla rivettatura, cominciando ad agganciare gli enormi pannelli in maglia di ferro che avrebbero fatto da armatura. Laurence si accinse a ispezionare l'equipaggiamento, e si rese conto solo allora che Hollin non era nei paraggi; guardò per tre volte in tutta la radura prima di convincersi che l'uomo era assente, e poi chiamò Pratt, l'armatore, distogliendolo dal suo lavoro sulle grandi piastre che avrebbero difeso il petto e le spalle di Temeraire durante il combattimento. «Dov'è Hollin?» gli chiese. «Accidenti, non mi pare di averlo visto stamane, signore» rispose Pratt grattandosi la testa. «Ma la scorsa notte era alla base.» «Molto bene» disse Laurence, e lo congedò. «Roland, Dyer, Morgan»
chiamò. Quando i tre corrieri si presentarono da lui, ordinò: «Andate a cercare Hollin, e se lo trovate ditegli che lo voglio subito qui, grazie.» «Sì, signore» risposero i tre quasi all'unisono, e sfrecciarono via in direzioni diverse dopo essersi brevemente consultati. Laurence tornò a osservare il lavoro dei suoi uomini, cupo in volto: già era una sorpresa e uno smacco il fatto stesso che Hollin fosse venuto meno al suo dovere, ma la questione era aggravata dall'urgenza del momento. Si chiese se l'uomo non si fosse ammalato, per andare poi dai dottori. Sembrava l'unico motivo plausibile, ma in quel caso avrebbe dovuto incaricare qualcuno dei suoi colleghi di avvisare il capitano. Passò più di un'ora, e Temeraire era in armatura completa con l'equipaggio che si esercitava a bordo sotto lo sguardo severo del tenente Granby, quando la giovane Roland tornò di corsa nella radura. «Signore,» esordì, triste e ansimante «Hollin è con Levitas. Non vi arrabbiate, vi prego» aggiunse tutto d'un fiato. «Ah» fece Laurence, un po' imbarazzato. Non poteva certo dire alla ragazza che aveva da tempo deciso di fingere di ignorare quelle visite, e quindi era naturale che lei fosse riluttante a mettere nei guai un suo compagno. «Dovrà rispondere di questo suo gesto, ma non subito: andate da lui e ditegli di venire immediatamente qui.» «Signore, gliel'ho già detto, ma Hollin ha risposto che non può abbandonare Levitas e mi ha mandata via, perché venissi a implorarvi di raggiungerlo, se potete» disse Roland parlando in fretta e guardandolo di sottecchi per vedere come avrebbe reagito a quell'insubordinazione. Laurence sgranò gli occhi: non si spiegava quella stranissima reazione, ma dopo un istante la stima che nutriva per Hollin ebbe la meglio. «Granby,» chiamò «devo assentarmi un attimo: lascio tutto nelle vostre mani. Roland, resta qui e vienimi a chiamare subito se succede qualcosa» aggiunse rivolto alla giovane. Poi si avviò quasi di corsa, combattuto tra rabbia e preoccupazione, restio a esporsi ancora una volta alle lamentele di Rankin, soprattutto in quelle circostanze. Nessuno poteva negare che quell'uomo aveva eseguito con coraggio il proprio dovere, e insultarlo proprio adesso sarebbe stato quanto meno scortese. Eppure, Laurence non riuscì a non adirarsi contro Rankin quando arrivò a destinazione: la radura di Levitas era una di quelle piccole e vicine al quartier generale, senza dubbio scelta per comodità del capitano e non del drago. Il terreno era maltenuto, e quando Laurence vi entrò vide che Levitas giaceva in uno spiazzo di sabbia nuda, con la testa
poggiata in grembo a Hollin. «Ebbene, Hollin, che succede?» chiese Laurence con un tono reso tagliente dall'irritazione; poi si avvicinò e si accorse della voluminosa fasciatura che copriva un fianco e il ventre del drago, zuppa di un sangue quasi nero. «Mio Dio» esclamò suo malgrado. Gli occhi di Levitas si aprirono al suono della sua voce e si alzarono su di lui in uno sguardo speranzoso; erano vitrei e pieni di dolore, ma dopo un attimo vi si accese la luce della coscienza. Il piccolo drago riconobbe il visitatore, sospirò e richiuse gli occhi senza dire una parola. «Signore,» disse Hollin «mi dispiace, so di avere delle responsabilità, ma non potevo lasciarlo da solo. Il dottore è andato via, ha detto che non c'è più niente da fare e che non gli resta molto. E qui non c'era nessuno, nemmeno un uomo che si degnasse di portare un po' d'acqua.» Si fermò, poi ripeté, «Non potevo lasciarlo da solo.» Laurence si inginocchiò accanto a Hollin e poggiò una mano sulla testa di Levitas, sfiorandola appena per paura di causargli altro dolore. «No» disse. «Ovviamente non potevate.» Fu però lieto di trovarsi così vicino al quartier generale. C'erano degli uomini che oziavano vicino alla porta, e poté mandarli ad aiutare Hollin. Rankin era al circolo degli ufficiali. Stava bevendo del vino, aveva già ripreso gran parte del suo naturale colorito e si era cambiato gli abiti sporchi di sangue; Lenton e un paio di capitani esploratori erano con lui, e discutevano sulle posizioni da mantenere lungo la linea costiera. Laurence lo raggiunse e gli disse: «Se potete camminare, alzatevi; altrimenti vi porterò io.» Rankin posò il bicchiere e gli rivolse uno sguardo pieno di freddezza. «Cosa, scusate?» ribatté. «Immagino sia un'altra delle vostre ufficiose...» Laurence non gli prestò attenzione, ma afferrò lo schienale della sua sedia e la sollevò. Rankin cadde in avanti, dimenandosi scomposto per rialzarsi da terra; Laurence lo prese per il bavero del cappotto e lo tirò in piedi, ignorando il suo sussulto di dolore. «Laurence, in nome di Dio, cosa...» iniziò a dire Lenton, sconvolto, alzandosi a sua volta. «Levitas sta morendo: il capitano Rankin desidera dirgli addio» lo interruppe Laurence, guardando l'ammiraglio dritto negli occhi e tenendo Rankin per il bavero e per un braccio. «Vi chiede di scusarlo.» Gli altri capitani erano a bocca aperta, incerti se intervenire o meno. Lenton guardò Rankin, poi si rimise a sedere molto lentamente. «Va bene»
disse, e prese la bottiglia. Anche gli altri ufficiali tornarono ai loro posti. Rankin avanzò inciampando, senza neanche provare a liberarsi dalla morsa di Laurence, limitandosi a rannicchiarsi in tutto; fuori dalla radura, il capitano di Temeraire si fermò. «Adesso sarai buono con lui, capito?» disse all'altro dopo averlo fatto girare verso di sé. «Gli farai tutti i complimenti che si è guadagnato in questi anni e che non ha mai ricevuto; gli dirai che è stato coraggioso e leale, un compagno migliore di quello che avresti meritato.» Rankin non rispose, ma fissò Laurence come se fosse pazzo e pericoloso; lui lo scrollò di nuovo. «Per Dio, gli dirai questo e altro, e spera che alla fine io sia soddisfatto» disse con furia, poi riprese a trascinarlo. Hollin era ancora seduto con la testa di Levitas in grembo, e ora aveva accanto a sé un secchio d'acqua, nel quale immergeva un panno per strizzarlo poi nella bocca aperta del drago. Guardò Rankin senza preoccuparsi di nascondere il proprio disprezzo, ma poi si piegò sul capo dell'animale e disse: «Levitas, forza, svegliati: guarda chi è venuto a trovarti.» Il drago aprì gli occhi, che erano però lattiginosi e ciechi. «Il mio capitano?» chiese con voce incerta. Laurence spinse Rankin in avanti e lo fece inginocchiare con ben poca gentilezza; l'altro capitano annaspò e si strinse la coscia, ma disse: «Sì, sono qui.» Alzò lo sguardo su Laurence, poi deglutì e, a disagio, aggiunse: «Sei stato molto coraggioso.» Non c'era naturalezza né sincerità in quella frase, che era stata priva di ogni grazia. Ma Levitas si limitò a rispondere, con voce molto bassa: «Sei venuto.» Leccò le gocce d'acqua che aveva all'angolo della bocca. Il sangue continuava a riversarsi lento da sotto la fasciatura, nero e lucente, abbastanza denso da separare i diversi strati di bende. Rankin si scosse, in imbarazzo; calze e pantaloni gli si stavano inzuppando, ma guardò di nuovo Laurence e rimase immobile. Levitas emise un basso sospiro, e poi il già impercettibile movimento del suo torace cessò. Hollin gli chiuse gli occhi con la sua mano grande e callosa. La mano di Laurence, invece, era ancora stretta con forza sulla nuca di Rankin; in quel momento la tolse, sentendo che la rabbia era andata via, sostituita da un muto disgusto. «Vai» disse. «Ci occuperemo noi della sua sepoltura, noi che gli volevamo bene, non tu.» Non guardò neppure quando il capitano abbandonò la radura. «Non posso restare» disse piano a Hollin. «Potete pensarci voi?»
«Sì» rispose l'altro, carezzando la piccola testa del drago. «Non potremo fare molto, con la battaglia imminente e tutto il resto, ma mi accerterò che abbia una degna sepoltura. Vi ringrazio, signore: per Levitas questo è stato molto importante.» «Meritava di più» rispose Laurence. Rimase un altro po' a guardare il piccolo drago, poi tornò al quartier generale per recarsi dall'ammiraglio Lenton. «Ebbene?» gli chiese questi quando fu ammesso nel suo ufficio. «Signore, chiedo scusa per il mio comportamento» ribatté Laurence. «Sono lieto di pagarne le conseguenze, qualsiasi cosa decidiate di fare.» «No, no, ma cosa avete in mente? Io mi riferivo a Levitas» disse irritato Lenton. Laurence fece una pausa, poi rispose: «Morto, e con dolore, ma alla fine è stato meglio.» L'ammiraglio scosse il capo. «Un vero peccato» osservò, versando del brandy per sé e per il capitano. Svuotò il proprio bicchiere con due grandi sorsate, e poi emise un pesante sospiro. «E questo è il momento peggiore in cui Rankin poteva trovarsi senza bestie» disse. «Un Winchester sta per nascere a Chatham, con grande anticipo: è questione di giorni, a giudicare dall'indurimento del guscio. Mi sono sforzato di trovare qualcuno degno della posizione e disposto ad accettare quel tipo di drago, e adesso Rankin è libero e le notizie che ci ha portato hanno fatto di lui un eroe. Se io non lo mando a Chatham e il drago non viene bardato, verremo citati da tutta la sua maledetta famiglia, e la cosa verrà portata in parlamento.» «Preferirei vedere un drago morto piuttosto che nelle mani di Rankin» disse Laurence, posando con forza il suo bicchiere. «Signore, se volete un uomo che faccia onore al nostro corpo, mandate Hollin: garantisco con la mia vita per lui.» «Cosa, il capo del vostro equipaggio di terra?» Lenton si accigliò, ma la sua espressione era più che altro pensosa. «Mi sembra una buona idea, se davvero lo ritenete idoneo, e di sicuro quell'uomo non vedrebbe la scelta come un intralcio alla sua carriera. Immagino non sia un gentiluomo.» «No, signore, a meno che con gentiluomo non intendiate una persona nobile d'animo e non di nascita» rispose Laurence. Lenton sbuffò «Be', non siamo così rigidi sull'argomento noi aviatori, la cosa non è fondamentale» rispose. «Direi che potrebbe funzionare davvero. Sempre se non saremo tutti morti o prigionieri per quando l'uovo si schiuderà.»
Hollin rimase a occhi sgranati quando Laurence lo sollevò dai suoi doveri, e disse con una certa incredulità: «Un drago tutto mio?» Dovette girarsi per nascondere il viso, e Laurence fece finta di non accorgersene. «Signore, non so come ringraziarvi» concluse Hollin, sussurrando per evitare che gli si incrinasse la voce. «Ho promesso che avreste fatto onore all'aviazione: badate di non smentirmi, e mi riterrò soddisfatto» rispose Laurence porgendogli la mano. «Dovete partire subito: la schiusa è attesa da un giorno all'altro, e c'è già una carrozza che vi aspetta per portarvi a Chatham.» Stordito, Hollin accettò la stretta di mano, prese la borsa con le sue poche cose che i suoi colleghi gli avevano preparato in gran fretta, e si lasciò condurre alla vettura dal giovane Dyer. Gli altri uomini dell'equipaggio si congratularono con lui, e dovette stringere tantissime mani, finché Laurence, temendo che gli facessero perdere troppo tempo, non li mise al lavoro dicendo: «Signori, il vento soffia ancora da nord: liberiamo Temeraire di qualche pezzo d'armatura per la notte.» Temeraire osservò la partenza di Hollin con una certa tristezza. «Sono contento che il nuovo drago avrà lui al posto di Rankin, ma sarebbe stato ancora meglio se lo avessero assegnato da subito a Levitas, perché forse Hollin avrebbe impedito che morisse» confessò a Laurence mentre gli uomini erano alle prese con la sua imbracatura. «Non possiamo sapere cosa sarebbe successo» rispose il capitano. «Ma non sono sicuro che a Levitas avrebbe fatto piacere quel cambiamento; anche nella morte, l'unica cosa che desiderava era l'affetto di Rankin, per quanto possa sembrarci strano.» Laurence dormì ancora una volta con Temerarie, rannicchiato tra le zampe del drago e avvolto in diverse coperte di lana per proteggersi dalle prime gelate. Si svegliò poco prima dell'alba, in tempo per vedere le spoglie cime degli alberi che si piegavano come a volersi allontanare dal sole che sorgeva: il vento soffiava da est, dalla Francia. «Temerarie» chiamò lui a bassa voce, e la grossa testa del drago si alzò a fiutare l'aria. «Il vento è cambiato» disse Temeraire, e si piegò a strofinare il naso contro il suo capitano. Laurence si concesse il lusso di giacere cinque minuti con le mani poggiate sulle scaglie strette e morbide del muso del drago. «Spero di non averti mai reso infelice, amico mio» gli disse piano.
«Mai, Laurence» rispose Temeraire sottovoce. L'equipaggio di terra arrivò di corsa dalle caserme non appena lui lo chiamò suonando il campanello. La maglia di ferro era stata lasciata nella radura, sotto un telo, e per una volta il drago aveva dormito con addosso l'imbracatura pesante. Ci volle poco a prepararlo, mentre dall'altro lato dello spiazzo Granby ispezionava le attrezzature e i moschettoni di tutti gli uomini. Anche Laurence si sottopose a quell'esame, poi si prese un istante per pulire e ricaricare le sue pistole e per agganciarsi la spada al cinturone. Il cielo era freddo e bianco, con poche nuvole più scure che correvano veloci, simili a ombre. Non era ancora arrivato nessun ordine. Su richiesta di Laurence, Temeraire lo prese sulle spalle e si mise in piedi sulle zampe posteriori; il suo capitano poté così vedere la buia linea dell'oceano oltre gli alberi e le navi che oscillavano nel porto. Il vento lo colpiva con forza sul viso, freddo e salato. «Grazie, Temeraire» disse, e il drago lo rimise giù. «Granby, facciamo salire a bordo l'equipaggio» ordinò poi. Gli uomini di terra li salutarono con grida fragorose, più un ruggito che un'acclamazione, quando Temeraire si alzò in volo; Laurence poté sentire lo stesso rumore echeggiare in tutta la base man mano che gli altri grossi animali si lanciavano verso il cielo. Maximus era una grande e lucente presenza nella sua luminosità rosso dorata, e faceva apparire più piccoli tutti gli altri; anche Victorianus e Lily risaltavano sulla massa dei piccoli Mietitori gialli. La bandiera di Lenton garriva sul suo drago, Obversaria, una Ali d'angelo dorata; era di poco più grande dei Mietitori, ma fendette con grazia il nugolo di altri draghi e si portò in testa, ruotando le ali quasi come faceva Temeraire. Poiché gli animali più grossi erano stati destinati a missioni indipendenti, Temeraire non era più costretto a mantenere la velocità della formazione, e ben presto riuscì a sistemarsi alle spalle del gruppo di testa. Il vento soffiava contro di loro, freddo e umido, e il basso rumore sibilante del loro passaggio portava via tutti gli altri suoni, lasciando solo scricchiolii dell'imbracatura e lo schiocco di cuoio delle ali di Temeraire, ogni battito simile al tendersi di una vela. Nient'altro spezzava l'innaturale e pesante silenzio dell'equipaggio. Si erano già portati a distanza di contatto visivo: da lontano, i draghi francesi sembravano una nube di passeri o gabbiani, per quanto erano numerosi e per come si muovevano all'unisono. Il nemico si teneva a una considerevole altitudine, circa duecentottanta metri sul livello del mare, ben fuori portata da qualsiasi cannone o mitragliatore. Sotto di loro si stendeva una meravigliosa e inutile parata di vele
bianche: la flotta della Manica, con molte navi avvolte dal fumo dei disperati tentativi di abbattere i draghi francesi. Altre navi avevano preso posizione in prossimità della terraferma, nonostante il terribile rischio di piazzarsi così vicino a una spiaggia e sottovento; se i francesi venivano costretti ad atterrare sul limitare della scogliera, sarebbero comunque stati a portata dei cannoni lunghi, anche se per pochi istanti. Excidium e Mortiferus stavano tornando da Trafalgar a una velocità folle insieme alle loro formazioni, ma non c'era speranza che arrivassero prima della fine della settimana. Non c'era nessuno tra loro che non conoscesse alla perfezione il numero di uomini che i francesi potevano inviare contro di loro. Razionalmente, non c'era mai stata nessuna speranza di vittoria. Ciò nonostante, vedere quei numeri trasformarsi in carne e ali fu tutt'altra cosa: ben dodici di quei leggeri vascelli di legno scoperti da Rankin, trasportati ognuno da quattro draghi e difesi da altrettante bestie. Laurence non aveva mai sentito di un simile dispiegamento di forze nella recente storia bellica; erano numeri da Crociate, quando i draghi erano più piccoli e, data la maggiore vastità del territorio di guerra, più facili da nutrire. Con questo pensiero in mente, Laurence si girò verso Granby e, con calma ma a voce alta perché lo sentissero anche gli altri uomini, disse, «Dar da mangiare a tutti quei draghi per un lungo periodo deve essere un grosso problema dal punto di vista logistico: passerà molto tempo prima che Bonaparte possa ritentare una strategia simile.» Granby si limitò a fissarlo per un attimo con gli occhi sgranati; poi sobbalzò e si affrettò a rispondere, «Proprio così; avete ragione. Vogliamo far eseguire qualche esercitazione all'equipaggio? Credo ci resti un'altra mezz'ora prima di raggiungere il nemico.» «Va benissimo» rispose Laurence, mettendosi in piedi; il vento era molto forte, ma afferrandosi alle cinghie dell'imbracatura lui riuscì a girarsi indietro. Agli uomini non piaceva molto incontrare il suo sguardo, ma la cosa ebbe il suo effetto: le schiene si raddrizzarono, cessarono i mormorii. Nessuno se la sentiva di mostrare paura o riluttanza al capitano. «Johns, scambiatevi le posizioni, prego» urlò Granby nell'altoparlante; ben presto gli uomini sulla schiena e quelli sotto il ventre cominciarono a muoversi sotto la direzione dei loro tenenti, riscaldandosi abbastanza da non sentire più i morsi del vento: i loro volti sembravano un po' meno emaciati. Non potevano fare pratica con l'artiglieria, non con gli altri equipaggi così vicini, ma con un'encomiabile dimostrazione di prontezza, il tenente Riggs ordinò ai suoi fucilieri di sparare a salve, per sciogliere le dita.
Durine aveva mani lunghe e sottili, che in quel momento erano bianche ed esangui per il freddo; mentre ricaricava, il corno con la polvere da sparo gli scivolò dalle dita e quasi cadde fuori bordo. Lo recuperò Collins, sporgendosi dalla schiena di Temeraire appena in tempo per afferrare la cordicella. Il drago si girò indietro quando partirono i primi spari, ma si raddrizzò senza che ci fosse bisogno di dirglielo. Stava volando tranquillo, a una velocità che avrebbe potuto sostenere quasi per un giorno intero; non aveva il fiato grosso e neppure corto. L'unico problema era il suo morale tropo alto: quando le bestie francesi furono meglio visibili, Temeraire si lasciò prendere dall'emozione e scattò in avanti. Tuttavia, a un tocco della mano di Laurence, tornò tra ad allinearsi agli altri del suo gruppo. I draghi francesi destinati alla difesa dei vascelli si erano schierati in una formazione a maglie larghe, con i più grossi sopra e i più piccoli sotto in una massa sfrecciante e imprevedibile, un muro che proteggeva i mezzi di trasporto e gli animali che li trainavano. Laurence pensò che se fossero riusciti a superare quell'ostacolo ci sarebbe stata qualche speranza. Le bestie destinate ai vascelli, quasi tutti dei Pêcheur-Rayé, una razza di medie dimensioni, erano molto affaticati: non erano abituati a trasportare quel peso, la stanchezza stava avendo la meglio su di loro e sarebbero stati di sicuro vulnerabili a un attacco. Ma erano difesi da più di quaranta draghi francesi, contro i loro ventitré, e questi ultimi erano per lo più Grigioni e Winchester, tutt'altro che un problema per dei veri draghi da combattimento come quelli del nemico. Oltrepassare quel muro era quasi impossibile, e anche se ci fossero riusciti, gli assalitori si sarebbero poi ritrovati isolati e a loro volta vulnerabili. Su Obversia, Lenton fece sventolare le bandiere per l'attacco: ingaggiate il nemico più da vicino. Laurence sentì i battiti del cuore che acceleravano, avvertì il tremito dell'emozione che si sarebbe spento solo dopo i primi momenti di battaglia. Sollevò l'altoparlante e urlò al drago, «Scegli il tuo bersaglio, Temeraire; la cosa migliore sarebbe se tu riuscissi a portarci vicino a uno dei mezzi di trasporto.» Data la confusione dovuta al grande numero di draghi, si fidava più dell'istinto di Temeraire che del suo. Se c'era un varco nella linea francese, era sicuro che il suo drago l'avrebbe trovato. In risposta, Temeraire si lanciò subito contro uno dei vascelli esterni, come se volesse colpirlo frontalmente; all'improvviso raccolse le ali e scese in picchiata, e i tre draghi francesi che avevano serrato i ranghi davanti a
lui scattarono all'inseguimento. Facendo ruotare le ali, Temeraire si fermò e rimase sospeso a mezz'aria mentre gli altri tre gli saettavano accanto; con pochi e possenti battiti d'ala riprese a salire direttamente verso il ventre scoperto del primo trasportatore sul lato di babordo, e Laurence poté vedere che quel drago, una piccola femmina di Pêcheur-Rayé, era chiaramente esausto; le ali si muovevano a fatica, anche se l'andatura era ancora regolare. «Preparate le bombe» ordinò. Quando Temeraire sfrecciò oltre la Pêcheur-Rayé, ferendola a un fianco con gli artigli, l'equipaggio lanciò gli ordigni sul ponte del mezzo di trasporto. Il crepitio dei fucili si alzò in risposta dalla schiena del drago francese, e Laurence sentì un urlo alle sue spalle: Collins alzò le braccia al cielo e si afflosciò trattenuto solo dalla bardatura, mentre il suo fucile cadeva nelle acque sottostanti. Un istante dopo anche il corpo dell'uomo finì in mare: era morto, e uno degli altri aveva tagliato i legacci della sua bardatura. Non c'erano cannoni sul vascello, ma il ponte era costruito a spiovente, come un tetto: tre bombe rotolarono via prima di esplodere, tracciando una scia di fumo mentre cadevano via, inutili. Tuttavia, due scoppiarono in tempo. L'intero mezzo di trasporto perse quota quando lo stupore fece perdere l'andatura alla Pêcheur-Rayé, e nelle assi di legno si aprirono degli squarci. Laurence intravide un volto pallido e atterrito all'interno, sporco di polvere e reso disumano dalla paura, poi Temeraire si allontanò. Il sangue gocciava da qualche parte sotto il ventre, un sottile rivolo nero; Laurence si sporse a controllare, ma non vide nessuna ferita, Temeraire volava senza difficoltà. «Granby» chiamò lui a gran voce, indicando il sangue. «Dagli artigli. È dell'altra bestia» urlò in risposta il primo tenente dopo un attimo, e Laurence annuì. Ma non ci fu occasione per un secondo attacco: altri due draghi francesi si diressero contro di loro. Temeraire salì verso il cielo con rapidi battiti d'ala, inseguito dagli animali nemici: avevano visto il suo trucco di prima e volavano a un'andatura più cauta, per non superarlo qualora si fosse arrestato all'improvviso. «Inverti la direzione, e vai verso di loro» urlò Laurence al suo drago. «Fucili pronti» ordinò Riggs dietro di lui mentre Temeraire prendeva un profondo respiro e girava su sé stesso a mezz'aria. Non dovendo più lottare contro la forza di gravità, si tuffò contro i draghi francesi, ruggendo con furia. Quel verso tremendo fece tremare le ossa di Laurence nonostante il
boato del vento; il primo dei loro inseguitori si ritrasse, rannicchiandosi, e le ali si aggrovigliarono intorno alla testa del secondo. Temeraire si lanciò senza esitazione tra le due bestie, attraverso il fumo acre degli spari nemici e dei fucili inglesi che urlavano le loro risposte; diversi cadaveri francesi vennero liberati dall'imbracatura e caddero in acqua. Temeraire artigliò un fianco del secondo drago aprendovi uno squarcio profondo mentre lo superava; il sangue che uscì dalla ferita schizzò i pantaloni di Laurence, ribollente contro la sua pelle. Temeraire si allontanò, e i due animali nemici ancora si dibattevano per districarsi: il primo inseguitore era conciato davvero male, ed emetteva acuti versi di dolore. Girandosi indietro, Laurence lo vide fuggire via, di ritorno verso la Francia: visto il vantaggio numerico, gli aviatori di Bonaparte non avevano nessun bisogno di mettere a repentaglio la vita di un animale ferito. «Ottimo» urlò Laurence, incapace di trattenere la sensazione di trionfo, con voce piena di orgoglio, nonostante quanto fosse assurdo indulgere in simili emozioni nel mezzo di una battaglia tanto disperata. Dietro di lui, l'equipaggio gridò frenetico quando il secondo drago francese si allontanò in cerca di un altro bersaglio, non avendo il coraggio di sfidare da solo Temeraire. Questi tornò subito verso il loro obiettivo principale, con la testa fieramente dritta: era ancora illeso. La loro compagna di formazione, Messoria, era già arrivata al vascello: con la scaltrezza che le derivava da un'esperienza trentennale, lei e Sutton avevano superato lo schieramento di difesa francese e stavano continuando l'attacco sulla debole Pêcheur che Temerarie aveva già ferito. Un paio di draghi più piccoli, dei Poux-de-Ciel, erano giunti in sua difesa; messi insieme la loro stazza era maggiore di quella di Messoria, ma questa stava usando tutti i suoi trucchi, incitandoli a venire avanti nel tentativo di crearsi un'apertura e colpire la Pêcheur. Dal ponte del mezzo di trasporto si levava dell'altro fumo: l'equipaggio di Sutton doveva aver mandato a segno qualche bomba. Fiancheggiare a babordo, segnalò Sutton dalla schiena di Messoria quando Laurence e il suo drago si avvicinarono. Messoria scattò contro i due Poux per attirare su di sé la loro attenzione, e nel frattempo Temeraire raggiunse il fianco della Pêcheur e colpì, gli artigli che squarciavano la maglia di ferro con un rumore orrendo, il sangue che schizzava copioso. Ruggendo, provando d'istinto a difendersi da Temeraire, il drago francese staccò una delle zampe anteriori dalla trave del vascello; questa era assicu-
rata all'animale da numerose e pesanti catene, ma ciò nonostante il mezzo di trasporto si inclinò visibilmente su un lato, e Laurence poté vedere gli uomini che strillavano all'interno. Temeraire eseguì una sgraziata ma efficace manovra per evitare l'attacco dell'altro drago, rimanendo comunque vicino; squarciò via altri pezzi della maglia di ferro del nemico e artigliò di nuovo la carne della Pêcheur. «Fuoco a raffica» urlò Riggs, e i fucilieri bersagliarono con ferocia la schiena del drago francese. Laurence vide un ufficiale nemico mirare alla testa di Temeraire; impugnò allora le sue pistole, e al secondo colpo l'altro uomo cadde stringendosi una gamba. «Signore, chiedo il permesso di arrembaggio» gridò da dietro Granby. I fucilieri e l'equipaggio sulla schiena della Pêcheur avevano subito gravi perdite; la groppa del drago era quasi del tutto libera, e il momento era ideale; Granby era in attesa con una dozzina di uomini, tutti con le spade sguainate e una mano pronta a sganciare i moschettoni. Era giunto il momento che Laurence temeva più di qualsiasi altra cosa, e fu con grande riluttanza che ordinò a Temeraire di posizionarsi lungo il fianco del drago francese. «Arrembaggio» urlò poi, concedendo il permesso a Granby con una sensazione di vuoto allo stomaco; non poteva esserci nulla di più sgradevole che osservare i suoi uomini mentre si lanciavano senza imbracatura tra le mani del nemico, mentre lui doveva rimanere al suo posto. Da lontano si levò un terribile ululato di dolore: Lily aveva colpito un drago francese in pieno viso, e la bestia si graffiava la faccia con gli artigli, dibattendosi da una parte all'altra, impazzita per il dolore. Temeraire inarcò le spalle d'istinto, e lo stesso fece la Pêcheur; Laurence indietreggiò come per fuggire da quel suono insopportabile. Poi l'urlo si spense, all'improvviso, ma la causa di quel sollievo era terribile: il capitano dell'animale ferito era strisciato lungo il collo per ficcare una pallottola nella testa del suo drago, pur di risparmiargli una lenta morte, con l'acido che si sarebbe fatto strada attraverso il cranio fino al cervello. Gran parte dell'equipaggio si era trasferita già su altri draghi, alcuni uomini accolti persino sulla schiena di Lily, ma il capitano si era sacrificato. Laurence lo vide cadere insieme al suo drago, e i due furono accolti dall'oceano. Si liberò dalla macabra fascinazione di quello spettacolo: la sanguinosa battaglia sulla schiena della Pêcheur volgeva in loro favore, e già un paio di cadetti erano al lavoro sulle catene che collegavano il vascello alle zampe del drago. Ma la situazione del drago francese non era passata inosser-
vata: un altro animale stava sopraggiungendo verso di loro a gran velocità, e alcuni uomini di gran coraggio già si arrampicavano fuori dagli squarci nel vascello per arrivare alle catene e salire sulla schiena della Pêcheur, nel tentativo di aiutare i loro commilitoni. Non appena Laurence li notò, ne vide scivolare un paio lungo il ponte e cadere giù, ma ne restavano più di una decina, e se avessero raggiunto il drago avrebbero di sicuro cambiato l'esito della battaglia di Granby e i suoi. In quel momento Messoria strillò, un lungo e acuto lamento. «Ritirati» urlò Sutton. La femmina di drago perdeva sangue scuro da un taglio profondo sul torace, e un'altra ferita su un fianco era già stata coperta di bende bianche; Messoria scese di quota e si allontanò, lasciando liberi i due Poux-de-Ciel che la stavano attaccando. Sebbene questi fossero più piccoli di Temeraire, l'Imperiale cinese non poteva combattere la Pêcheur se l'avessero assalito anche da un'altra direzione: Laurence doveva richiamare indietro il gruppo di abbordaggio o abbandonare quegli uomini e sperare che riuscissero a catturare il drago nemico, assicurandosene la resa tramite la cattura del capitano. «Granby!» urlò Laurence; il tenente si guardò intorno, col sangue che gli colava da una ferita sul viso, e annuì non appena si rese conto della loro posizione. Poi fece cenno a Laurence di allontanarsi. Questi toccò il collo di Temeraire e gli urlò gli ordini; con un ultimo colpo che dilaniò la carne fino a esporre il bianco dell'osso, Temeraire si distanziò dalla Pêcheur, e rimase sospeso in aria perché potessero comunque seguire l'andamento dell'abbordaggio. I due piccoli Poux non lo inseguirono, ma rimasero nei pressi dell'altro drago francese: non osavano avvicinarsi abbastanza da permettere ai loro uomini di passare sull'altro animale, poiché Temeraire li avrebbe facilmente sopraffatti se si fossero esposti a quel modo. Eppure, lo stesso Temeraire era in pericolo. I fucilieri e metà degli uomini posizionati sotto il ventre erano andati all'arrembaggio; il gioco valeva la candela, perche se fossero riusciti a catturare la Pêcheur avrebbero neutralizzato il vascello. Se anche il trasporto non fosse caduto in acqua, i tre draghi restanti sarebbero comunque stati costretti a tornare in Francia. Ma ciò non toglieva che Temeraire aveva pochi uomini a bordo, e questo lo esponeva a sua volta a un arrembaggio: non potevano rischiare nessun combattimento ravvicinato. Granby e i suoi stavano decisamente avendo la meglio contro gli ultimi uomini rimasti a resistere sulla schiena del drago francese, e di sicuro avrebbero conquistato il drago prima dell'arrivo dei soldati dal vascello.
Uno dei Poux-de-Ciel scattò in avanti e tentò di portarsi accanto alla Pêcheur; «Attacca» ordinò Laurence, e Temeraire si tuffò all'istante, artigli in fuori e zanne snudate, spingendo la piccola bestia a una frettolosa ritirata. Laurence dovette ordinare al suo drago di allontanarsi di nuovo, ma l'intervento era stato sufficiente. I francesi avevano perso la loro occasione, e la Pêcheur stava urlando con ansia, la testa girata all'indietro: Granby era sul collo del drago e teneva puntata la pistola alla testa di un uomo - avevano preso il capitano. Su ordine di Granby, le catene furono staccate, e il drago francese catturato venne diretto verso Dover. La bestia volò controvoglia e piano, girandosi ogni istante, preoccupata per il suo capitano. Ma andò via, e il trasporto rimase sbilenco, con tre draghi che si sforzavano disperatamente di reggerne il peso. Laurence non ebbe però modo di gioire per quel trionfo. Altri due draghi stavano venendo verso di loro: un Petite Chevalier, assai più grosso di Temeraire nonostante il nome, e un Pècheur-Couronné, un drago di stazza media che subito andò ad afferrare la trave libera del vascello. Gli uomini ancora aggrappati al tetto del trasporto lanciarono le catene penzolanti all'equipaggio della nuova bestia, e qualche istante dopo il mezzo aereo era di nuovo dritto e in viaggio. I Poux-de-Ciel stavano tornado all'attacco da due direzioni diverse, e il Petit Chevalier cercava di aggirarli da dietro: Temeraire era in una posizione esposta e sempre più disperata. «Ritirati» gli urlò Laurence, per quanto odiasse quell'ordine. Il drago si girò subito, ma i draghi che lo inseguivano si fecero più vicini: l'Imperiale aveva combattuto duramente per quasi mezz'ora, e cominciava a essere stanco. I due Poux-de-Ciel lavoravano di concerto, e cercavano di spingere Temeraire verso il grosso drago alle sue spalle, sfrecciandogli davanti per farlo rallentare. Il Petit Chevalier accelerò all'improvviso, e quando riuscì ad affiancare l'Imperiale una manciata di uomini balzò da un drago all'altro. «Attenzione, siamo sotto arrembaggio» urlò il tenente Johns con la sua rauca voce di baritono, e Temeraire si guardò intorno, allarmato. La paura gli diede nuove energie per allontanarsi dall'inseguitore; il Chevalier rimase indietro, e quando Temeraire colpì con gli artigli uno dei Poux-deChiel, anche i due piccoli draghi abbandonarono la caccia. Tuttavia, otto uomini erano riusciti a passare e si erano già agganciati alla bardatura; Laurence ricaricò con ferocia le pistole, se le infilò nel cinturone, allentò la cinghia del moschettone e si mise in piedi. I cinque uomini
sotto il comando del tenente Johns stavano tentando di contenere gli assalitori al centro della schiena di Temeraire. Laurence cercò di raggiungerli il più in fretta possibile. Il primo colpo che sparò mancò il bersaglio, il secondo prese un francese dritto al petto; l'uomo cadde tossendo sangue, e rimase a penzolare inerte dall'imbracatura. Poi si passò al caotico e frenetico volteggiare delle spade, col cielo che schizzava via troppo veloce per vedere altro se non gli uomini davanti a sé. Un tenente francese di fronte a Laurence vide le sue mostrine d'oro e gli puntò contro una pistola; Laurence sentì a malapena il discorso che il nemico provò a fargli, e non gli prestò attenzione, ma fece volare via l'arma con l'elsa della spada e batté il calcio della propria pistola contro una tempia del francese. Il tenente cadde; l'uomo dietro di lui si tuffò, ma era controvento, e l'affondo penetrò appena oltre il cappotto di cuoio di Laurence. Questi tagliò le cinghie del nemico e lo spinse via con un calcio allo stomaco, poi si guardò intorno in cerca di altri nemici; ma per fortuna i francesi lanciatisi all'arrembaggio erano tutti morti o disarmati, mentre nel suo equipaggio erano caduti solo Challoner e Wright; e il tenente Johns, che era rimasto appeso al suo moschettone, il sangue che si riversava con furia da una ferita da pistola al torace. Prima che potessero provare a curarlo, il tenente esalò un ultimo, rantolante respiro e rimase anch'egli immobile. Laurence si piegò e chiuse gli occhi vitrei di Johns, poi riagganciò la spada al cinturone. «Martin, prendete il comando della postazione, sostituite il tenente. Fate sparire questi corpi.» «Sì, signore» rispose Martin, ansimando; aveva un taglio insanguinato sul viso, e chiazze rosse tra i capelli biondi. «Coma va il braccio, capitano?» Laurence si guardò: un po' di sangue filtrava dallo strappo nel cappotto, ma riusciva a muovere l'arto senza provare dolore e non si sentiva debole. «Solo un graffio; rimarginerà subito.» Scavalcò un cadavere per tornare alla sua postazione sul collo del drago, si assicurò con i moschettoni e poi si tolse la cravatta per legarla stretta intorno alla ferita. «Arrembaggio sventato» gridò, e Temeraire rilasciò le spalle, libero dalla tensione. Si era allontanato dal centro della battaglia, mossa perfetta quando si veniva abbordati; tornò subito in azione, e quando Laurence guardò verso l'altro poté osservare per intero il 'campo' di battaglia, dove non era oscurato dal fumo o dalle ali dei draghi. Solo tre vascelli erano sotto attacco, e i draghi inglesi erano fronteggiati
da un gran numero di bestie francesi. Lily volava in pratica da sola: solo Nitidus era rimasto con lei, e gli altri elementi della formazione non erano in vista. Laurence cercò Maximus, e lo trovò a combattere contro un loro vecchio nemico, il Grand Chevalier; i due mesi passati dall'ultimo scontro avevano portato Maximus più vicino alla stazza del drago francese, e ora i due si affrontavano con tremenda ferocia. Da lontano i rumori della battaglia sembravano ovattati, mentre un altro, assai più letale, si sentiva in tutta la sua pienezza: l'infrangersi delle onde, che si rompevano ai piedi delle scogliere. Erano stati ricacciati verso la spiaggia, e Laurence riusciva a vedere il bianco e il rosso dei soldati schierati sulla terraferma. Non era ancora mezzogiorno. All'improvviso una falange di sei grossi draghi si staccò dalle linee francesi e scese in picchiata verso la terraferma, ruggendo a squarciagola mentre i loro equipaggi lanciavano bombe. Gli esili ranghi di uomini in uniforme rossa si dispersero come polvere al vento, e il gruppo di miliziani al centro quasi si sciolse, gli uomini si inginocchiarono coprendosi la testa con le mani, anche se non subirono nessun danno reale. Una dozzina di cannoni fecero fuoco, alla cieca; uno spreco di proiettili, secondo Laurence, e il primo vascello poté effettuare la sua discesa quasi senza intralci. I quattro draghi che lo trasportavano si avvicinarono uno all'altro, volando in uno stretto stormo direttamente sopra il mezzo, e lasciarono che la chiglia di legno si scavasse un punto d'appoggio nel terreno con la sola forza dell'impatto. I soldati inglesi nelle prime file levarono in alto le braccia quando un'immensa nuvola di polvere esplose sui loro volti, e poi metà di loro caddero morti quasi all'istante: la parte anteriore del vascello si era aperta come la porta di un fienile, e una . raffica di fucilate era esplosa dall'interno per falcidiare la prima linea di nemici. Si levarono urla di 'Vive l'Empereur!' mentre i soldati francesi si riversavano fuori attraverso il fumo: più di mille elementi, che trascinavano con sé un paio di cannoni da diciotto libbre; gli uomini si disposero a difesa delle bocche da fuoco mentre gli artiglieri arrivavano di corsa con i proiettili. Le giubbe rosse spararono una raffica in riposta, e pochi istanti dopo la milizia riuscì ad aggiungersi con una salva un po' più discontinua, ma i francesi erano veterani temprati dall'esperienza: per quanto morissero a decine, strinsero i ranghi per coprire i varchi lasciati dai caduti e mantennero la loro postazione. I quattro draghi che avevano trasportato il vascello si stavano togliendo le catene. Liberi da quel peso, si involarono di nuovo per unirsi ai combat-
timenti, e le forze aeree inglesi videro accrescersi la loro inferiorità numerica. A breve sarebbe atterrato un altro di quei mezzi, ancor più protetto dai soldati già in posizione, e altri quattro draghi ancora avrebbero peggiorato la situazione per i britannici. Maximus ruggì furioso, si liberò a suon di artigli dal Grand Chevalier e si lanciò in un improvviso e disperato inseguimento del vascello che aveva iniziato la sua discesa: nessuna tecnica, nessuna manovra, il grosso drago si limitò a tuffarsi in picchiata. Due animali più piccoli provarono a sbarrargli la strada, ma Maximus stava sfruttando tutto il proprio peso in quel volo: pur ricevendo graffi di zanne e artigli, spazzò via i due nemici. Uno fu scagliato di lato; l'altro, un Honneur-d'Or a strisce rosse e blu, andò a sbattere contro la scogliera, con un'ala disperatamente protesa. L'arto strusciò contro la scabra superficie di pietra, facendo volare schegge polverose mentre la bestia cercava un appiglio per arrampicarsi in cima. Una fregata leggera da circa ventiquattro cannoni, con il pescaggio basso, era rimasta coraggiosamente vicino alla spiaggia: prima che il drago riuscisse a risalire sulla scogliera, tutti i cannoni sulla fiancata della nave ruggirono come il tuono. La bestia francese urlò una sola volta, un verso più forte del clangore degli spari, e cadde; la spietata marea scaraventò il cadavere e il resto dell'equipaggio contro gli scogli. Su nel cielo, Maximus era atterrato sul secondo vascello e stava artigliando le catene; la bestia del capitano Berkley era troppo grossa perché i draghi che trasportavano il mezzo potessero reggerne il peso, eppure si sforzarono mostrando un grande valore, e con una possente spinta riuscirono tutti insieme a sospingere il loro carico oltre i bordi della scogliera poco prima che Maximus riuscisse a spezzare del tutto le catene. Il guscio di legno cadde per circa sessanta metri, e si spaccò come un uovo, riversando uomini e cannoni ovunque, ma l'impatto col terreno non fu devastante. I sopravvissuti si rimisero in piedi quasi subito, e si portarono in salvo dietro la linea già schierata dei loro compagni. Maximus era atterrato, pesante, dietro le truppe inglesi: i suoi fianchi esalavano vapore nell'aria fredda, col sangue che scorreva copioso dalle molte ferite, le ali afflosciate. Provò a batterle per rialzarsi in volo ma non ci riuscì, e ricadde sui quarti posteriori, tutto tremante. Tre o quattromila francesi erano già atterrati, insieme a cinque cannoni; i soldati inglesi lì raccolti erano appena ventimila, per lo più appartenenti alla milizia, chiaramente poco propensi a caricare vista la presenza dei draghi nel cielo. In molti si erano già dati alla fuga. Se il comandante nemico
avesse avuto un minimo di buonsenso, avrebbe aspettato che fossero scesi altri tre o quattro vascelli prima di partire all'attacco, e se i suoi uomini si fossero impossessati delle postazioni di fuoco avrebbero potuto usare la stessa artiglieria britannica contro Temeraire e gli altri, liberando così la zona per un più sicuro approdo degli altri mezzi. «Laurence,» disse l'Imperiale girandosi «ne stanno atterrando altri due.» «Sì» rispose lui, a voce bassa. «Dobbiamo provare a fermarli, altrimenti perderemo la battaglia sulla terraferma.» Temeraire rimase in silenzio per un attimo, cambiando rotta di volo in modo da portarsi davanti al primo dei vascelli. Poi disse: «Non possiamo farcela, vero?» Le due vedette sul davanti, dei giovani alfieri, erano in ascolto, e così Laurence dovette parlare a loro oltre che al drago: «Non a lungo, forse» rispose. «Ma possiamo ancora impegnarci per difendere l'Inghilterra: se li costringiamo ad atterrare uno alla volta, o in posizioni meno favorevoli, la milizia potrà trattenerli ancora un po'.» Temeraire annuì, e Laurence pensò che aveva capito anche la verità inespressa: la battaglia era perduta, e il loro era solo un vano tentativo. «E in ogni caso dobbiamo provarci, perché altrimenti lasceremmo i nostri amici a combattere senza di noi» disse il drago. «Credo sia questo il significato dei tuoi continui discorsi sul dovere; lo condivido, almeno in questo senso.» «Sì» rispose Laurence, con la gola dolente. Avevano superato il vascello e volavano sopra la terraferma, sopra il confuso mare rosso della milizia. Temeraire stava girando per mettersi di fronte al mezzo aereo; Laurence ebbe appena il tempo per poggiargli una mano sul collo, un silente gesto di comunione. La vista di quanto accadeva sulla costa aveva rincuorato i draghi francesi, che si muovevano con maggiore celerità. C'erano due Pêcheur a prua del vascello, di dimensioni più o meno simili, ed entrambi sani: Laurence lasciò al suo drago la scelta dell'obiettivo, e ricaricò le pistole. Temeraire si fermò e rimase a volteggiare a mezz'aria davanti ai draghi nemici, spalancando le ali come a sbarrar loro la strada; la gorgiera si era drizzata, e la pelle grinzosa era di un grigio traslucido nella luce del sole. Un brivido lento e profondo percorse il suo corpo quando il drago trasse un respiro, e i fianchi si gonfiarono espandendo la già massiccia gabbia toracica, mettendo in risalto le ossa. La pelle era tesa allo spasmo, e Laurence cominciò a preoccuparsi: poteva sentire l'aria muoversi sotto di sé, negli
ampi polmoni di Temeraire. Un basso riverbero parve crescere attraverso la carne del drago, come il rullare di un tamburo. «Temeraire» lo chiamò Laurence, o quanto meno ci provò: non riuscì a sentire neanche la propria voce. Avvertì un singolo, tremendo brivido scuotere il drago, mentre tratteneva più che poté il respiro. Poi Temeraire spalancò le fauci, e ne uscì un ruggito che era più potenza che suono, una spaventosa ondata di rumore così forte che parve distorcere l'aria davanti al drago. Laurence in un primo momento non riuscì a vedere attraverso quella strana foschia; quando gli si schiarì la vista, ebbe difficoltà a comprendere ciò che aveva di fronte. Il vascello si stava frantumando come se tutti i cannoni di una nave l'avessero colpito, il legno leggero crepitava come spari di fucile, uomini e artiglieria pesante si riversavano nella schiuma delle onde che si infrangevano ai piedi della scogliera. Laurence aveva male alle orecchie e alla mandibola, come se l'avessero colpito alla testa, e il corpo di Temeraire tremava ancora sotto di lui. «Credo di essere stato io a fare questo» disse il drago, e parve più sorpreso che compiaciuto. Laurence condivideva i suoi sentimenti, incapace di parlare per lo stupore. I quattro draghi erano ancora legati alle travi del vascello devastato, e uno di loro sanguinava dal naso e lanciava urla strozzate di dolore. Nel frenetico tentativo di salvare l'animale, l'equipaggio sganciò le catene, lasciando che i frammenti cadessero via, e la bestia riuscì a planare per quattrocento metri, atterrando alle spalle delle linee francesi, dove si rannicchiò e prese ad artigliarsi la testa gemendo. Alle acclamazioni dei soldati inglesi risposero i fucili del nemico: i soldati sulla terraferma stavano sparando a Temeraire. «Signore, siamo alla portata di quei cannoni, se riescono a caricarli» disse con ansia Martin. Il drago sentì e volò rapido sopra il mare, dove rimase sospeso, momentaneamente fuori pericolo. L'avanzata francese si era arrestata, molti dei draghi dello schieramento di difesa si agitavano, confusi almeno quanto gli stessi Laurence e Temeraire. Ma i capitani nemici avrebbero presto capito tutto, o quanto meno avrebbero ripreso il controllo di sé e si sarebbero lanciati all'attacco contro l'Imperiale cinese per abbatterlo. Restava ancora pochissimo tempo per sfruttare l'effetto sorpresa. «Temeraire,» chiamò con fervore Laurence «vola più basso e vedi se riesci a colpire quei vascelli da sotto, mantenendoti alla stessa altezza delle scogliere. Turner,» disse poi rivolto al caposegnalatore «attiri l'attenzione
delle navi e mostri loro il segnale per ingaggiare il nemico da vicino; credo che capiranno cosa ho intenzione di fare.» «Ci proverò» gli rispose il drago con un po' di incertezza, e scese in picchiata, concentrandosi e gonfiandosi di un altro spaventoso respiro. Incurvandosi poi verso l'altro, ruggì contro il fondo di un vascello che era ancora sopra le acque. La distanza era maggiore, e il mezzo non si frantumò, ma tra le assi dello scafo si aprirono grandi crepe; i quattro draghi che lo reggevano dovettero all'improvviso impegnarsi nel disperato tentativo di evitare che si aprisse del tutto. Una formazione a cuneo di draghi francesi si tuffò verso Temeraire, circa sei draghi di grande stazza capitanati dal Grand Chevalier. L'Imperiale cinese sfrecciò via e, al tocco di Laurence, scese ancora di più verso il mare, dove una mezza dozzina di fregate e una nave di linea lo aspettavano. Subito dopo il suo passaggio, i lunghi cannoni delle imbarcazioni spararono le loro bordate, uno dopo l'altro, facendo sparpagliare i draghi francesi in preda al panico nel tentativo di evitare i proiettili e gli arpioni. «Adesso il prossimo, svelto» urlò Laurence, sebbene quel comando non fosse affatto necessario: Temeraire si era già girato su sé stesso. Andò subito sotto il secondo vascello: era il più grande, trasportato da quatto draghi di stazza grossa e con le insegne con l'aquila d'oro che garrivano dal ponte. «Quelle sono le sue bandiere, vero?» chiese Temeraire. «Bonaparte è lì a bordo?» «Più probabile che ci sia uno dei suoi luogotenenti» rispose Laurence urlando per farsi sentire nel vento, ma si sentì comunque sopraffatto dall'emozione. I draghi da combattimento francesi si stavano schierando di nuovo, più in alto, pronti ad attaccarli ancora; ma Temeraire si lanciò in avanti con una feroce determinazione, distanziandoli. Il vascello più grande, fatto di legno più resistente, non si ruppe con la stessa facilità, ma comunque il legno scoppiò come colpi di pistola, in un turbinio di schegge. Temeraire scese in picchiata per prepararsi a un secondo passaggio; all'improvviso, Lily gli fu accanto, e Obversaria apparve dall'altro lato, con Lenton che urlava negli altoparlanti: «Il vascello, pensate solo al vascello: ci occupiamo noi di queste maledette canaglie...» I due draghi si girarono per intercettare lo stormo di draghi francesi che si era lanciato all'inseguimento di Temeraire. Ma non appena questo cominciò a risalire, dal vascello danneggiato vennero emessi altri segnali. I quattro draghi che lo trasportavano cambia-
rono rotta all'unisono, e presero ad allontanarsi; tutti gli altri mezzi ancora in volo si arresero e cambiarono direzione, iniziando il lungo e spossante volo di ritirata verso la Francia. Epilogo «Laurence, sii gentile, portami un bicchiere di vino» disse Jane Roland, lasciandosi cadere nella sedia accanto alla sua senza curarsi che la gonna si sarebbe spiegazzata. «Due giri di danza sono più che sufficienti per me; non ho intenzione di alzarmi da questo tavolo se non quando andremo via.» «Preferisci farlo subito?» chiese lui, alzandosi. «Sarei felice di accompagnarti.» «Se credi che io sia così goffa in un abito da non poter fare mezzo chilometro a piedi su un terreno piano senza cadere dillo pure, e io ti colpirò sulla testa con questa graziosa borsetta» rispose la donna con la sua risata profonda. «Non mi sono imbellettata in questo modo solo per sprecare tutta la fatica scappando via troppo presto. Io ed Excidium saremo di nuovo a Dover tra una settimana, e allora solo il Signore sa quando avrò un'altra occasione per assistere a un ballo, men che mai uno organizzato in nostro onore.» «Verrò a fare rifornimento con te, Laurence. Se hanno intenzione di darci da mangiare solo questi stuzzichini francesi allora ne prenderò altri» disse Chenery, alzandosi a sua volta. «Ottima idea» intervenne Berkley. «Porta tutto il vassoio.» Giunti ai tavoli del buffet furono costretti a separarsi per la folla che vi si accalcava, e che andava sempre più aumentando; la buona società londinese era ancora delirante di gioia per le duplici vittorie di Trafalgar e Dover, e per il momento sembrava entusiasta di quegli stessi aviatori che in precedenza aveva sdegnato. Laurence riuscì a conquistare il suo bicchiere di vino senza grandi difficoltà grazie all'uniforme e alle mostrine, e rinunciò con rammarico all'idea di procurarsi un sigaro per sé; sarebbe stato il massimo della scortesia indulgere in quel vizio quando Jane e il capitano Harcourt non potevano farlo. Prese invece un secondo bicchiere, immaginando che avrebbe comunque fatto contento qualcuno al suo tavolo. Con entrambe le mani impegnate, fu felicemente costretto a limitarsi a un lieve inchino quando fu fermato lungo il tragitto di ritorno. «Capitano Laurence» lo salutò miss Montagu, sorridendo in modo ben più amichevo-
le di quando si erano incontrati a casa dei suoi genitori; la donna sembrò delusa di non potergli porgere la mano. «Rivederla è davvero splendido; sono passati anni da quando eravamo tutti insieme a Wollaton Hall. Come sta il caro Temeraire? Ho avuto il cuore in gola quando ho sentito le notizie: ero sicura che sareste stati nel pieno della battaglia, ed è evidente che avevo ragione.» «Sta molto bene, grazie» rispose Laurence con tutta l'educazione che riuscì a racimolare; quel 'caro Temeraire' gli corrodeva l'animo, ma non si sarebbe comportato con aperta scortesia nei confronti di una donna che aveva conosciuto come ospite dei suoi genitori, nonostante suo padre non si fosse ancora lasciato rabbonire dalla nuova approvazione sociale di cui godevano ora gli aviatori; non aveva senso esasperare il loro disaccordo e rendere forse ancor più complicata la situazione per sua madre per un così futile gesto. «Posso presentarvi lord Winsdale?» gli chiese Miss Montagu, girandosi verso il suo accompagnatore. «Questi è il capitano Laurence, il figlio di lord Attendale, sapete» aggiunse in un sussurro che Laurence riuscì a malapena a sentire. «Certo, certo» disse Winsdale, con un cenno del capo appena percettibile che parve considerare come un gran segno di condiscendenza. «Siete proprio l'uomo del giorno, Laurence, e vi meritate i migliori elogi. Dobbiamo ritenerci tutti fortunati che siate riuscito a conquistare quell'animale in nome dell'Inghilterra.» «Le vostre parole sono troppo gentili, Winsdale» rispose Laurence, non menzionando, volutamente, alcun titolo onorifico. «Dovete scusarmi: tra poco questo vino sarà troppo caldo.» Miss Montagu non poté non accorgersi della freddezza del suo tono; per un istante parve adirarsi, poi con gran dolcezza disse, «Ma certo! Forse in questi giorni andrete a trovare Miss Galman, e allora potrete portarle i miei saluti. Oh, che sciocca: dovrei dire Mrs Woolvey, ormai, e lei non è più in città, vero?» Laurence la guardò con gran disprezzo; era meravigliato dalla combinazione di perspicacia e malizia che aveva permesso a quella donna di scoprire il legame tra lui e Edith. «No, credo che al momento lei e il marito stiano visitando la regione dei laghi» rispose e si inchinò prima di andar via, profondamente grato del fatto che Miss Montagu non fosse riuscita a sorprenderlo con quella notizia. Sua madre lo aveva informato a riguardo con una lettera inviata poco
dopo la battaglia che lo aveva raggiunto mentre era ancora a Dover; dopo avergli comunicato del fidanzamento, aveva aggiunto: «Spero che quanto ti scrivo non ti arrechi troppo dolore; so che hai a lungo ammirato quella donna, e in effetti io stessa l'ho sempre considerata affascinante, sebbene non possa condividere la sua scelta in questo frangente.» Lui però era preparato a quel colpo già da prima dell'arrivo della lettera: la notizia del matrimonio di Edith non poteva essere una sorpresa. Così era riuscito a rassicurare sua madre in tutta sincerità. E in effetti, lui condivideva anche la scelta di Edith: col senno di poi si rendeva conto di come sarebbe stata disastrosa la loro unione, per entrambi; negli ultimi nove mesi, per esempio, non avrebbe potuto dedicarle che un pensiero. Non c'era motivo per cui Woolvey non dovesse diventare un marito perfetto. Lui non lo sarebbe stato di certo, e pensava che avrebbe potuto augurarle ogni felicità con leggerezza, se mai l'avesse rivista. Ma ciò nonostante le insinuazioni di Miss Montagu lo avevano irritato, e il suo volto doveva aver assunto un'espressione alquanto severa; quando tornò al tavolo, Jane prese il bicchiere di vino e disse: «Ci hai messo un bel po'. Qualcuno ti ha infastidito? Non fare caso a certe sciocchezze; vai a fare un giro qui fuori, e guarda come Temeraire se la sta spassando. Ti farà tornare il buonumore.» L'idea era molto allettante. «Credo che lo farò davvero, se me lo concedete» rispose Laurence, con un inchino rivolto a tutti i suoi compagni. «Dai un'occhiata anche a Maximus da parte mia, vedi se vuole qualcos'altro per cena» gli urlò dietro Berkley. «E a Lily!» aggiunse il capitano Harcourt, poi si guardò intorno imbarazzata per vedere se qualcuno ai tavoli vicini aveva sentito: gli invitati a quella festa naturalmente non avevano capito che le donne con gli aviatori erano a loro volta dei capitani, e davano per scontato che fossero le mogli di qualche ufficiale, sebbene il volto di Jane con le sue cicatrici aveva attirato diversi sguardi pieni di stupore, che lei aveva semplicemente ignorato. Laurence lasciò i suoi compagni alle loro discussioni rumorose e vivaci, e si avviò verso l'uscita. L'antica base nei pressi di Londra era stata da tempo inglobata dalla città in costante espansione, e l'aviazione l'aveva abbandonata, se non per l'uso che ne facevano i corrieri. Per l'occasione, però, era stata reclamata, con un grande padiglione eretto sul confine settentrionale, dove un tempo sorgeva il quartier generale. Su richiesta degli aviatori, i musicisti si erano posizionati sul limitare del padiglione stesso, in modo che i draghi si potessero raccogliere all'esterno
e ascoltare le loro esecuzioni. Sulle prime gli artisti avevano reagito con una certa ansia a quell'idea, spostando in avanti le loro sedie, ma col farsi della sera i draghi si erano mostrati un pubblico ben più entusiasta rispetto alla rumorosa folla e l'ansia era stata gradualmente sconfitta dalla vanità dei musicisti. Quando Laurence uscì, trovò il primo violino che aveva addirittura abbandonato l'orchestra e suonava brani di diverse arie con un certo fare didattico, dimostrando ai draghi il lavoro di diversi compositori. Maximus e Lily erano tra il pubblico in ascolto, seguivano affascinati e ponevano numerose domande. Dopo un istante, Laurence si accorse, con sua grande sorpresa, che Temeraire si era invece rannicchiato in una piccola radura lontano dagli altri, in disparte, e parlava con un gentiluomo del quale lui non riusciva a vedere il volto. Allora superò i draghi raccolti davanti al musicista e si avviò, chiamando a voce bassa Temeraire; l'uomo si girò quando sentì la sua voce. Con un piacevole stupore Laurence riconobbe Sir Edward Howe, e si affrettò a raggiungerlo e salutarlo. «Sono davvero molto lieto di vedervi, signore» disse stringendogli la mano. «Non sapevo che foste tornato a Londra, nonostante mi sia premurato di chiedere vostre notizie non appena siamo arrivati.» «Ero in Irlanda quando la notizia mi ha raggiunto; sono appena giunto in città» rispose Sir Edward, e solo allora Laurence si rese conto che l'uomo indossava ancora gli abiti da viaggio e aveva gli stivali sporchi. «Spero vogliate perdonarmi: ho dato per scontata la vostra accettazione di una mia visita nonostante la mancanza di un invito formale, nella speranza di parlare subito con voi. Quando ho visto la folla all'interno, ho pensato fosse meglio restare fuori con Temeraire finché voi non foste arrivato piuttosto che provare a trovarvi lì dentro.» «In realtà, sono in debito con voi, che vi siete preso un tale disturbo» rispose Laurence. «Confesso di aver nutrito un grande desiderio di parlarvi sin da quando ho scoperto l'abilità di Temeraire che, sospetto, è alla base della notizia che vi ha condotto qui. Lui sostiene che la sensazione che gli dà è identica a quella del ruggito; non riusciamo a spiegarci come il semplice suono possa produrre effetti così straordinari, e nessuno di noi aveva mai sentito nulla del genere.» «No, certo che no» disse Sir Edward. «Laurence...» Si fermò per lanciare un'occhiata ai draghi raccolti tra loro e il padiglione, che stavano tutti esprimendo la loro rombante approvazione per la prima esibizione, appena conclusasi. «Possiamo parlare in un luogo più appartato?»
«Possiamo sempre andare alla mia radura, se preferite un posto più silenzioso» rispose Temeraire. «Sarò felice di portare entrambi, e mi ci vorrà un istante per arrivarci in volo.» «Potrebbe essere un ottima soluzione, se siete d'accordo anche voi» disse Sir Edward a Laurence, e il drago li prese con cura tra le zampe posteriori, depositandoli con delicatezza nello spiazzo deserto prima di accucciarsi a sua volta. «Vi chiedo scusa per avervi arrecato un tale disturbo e per aver interrotto la vostra serata» dichiarò Sir Edward. «Signore, vi assicuro che l'interruzione in questo caso mi rende molto felice» rispose Laurence. «Vi prego di non preoccuparvi al riguardo.» Era impaziente di scoprire cosa sapeva Sir Edward; nel suo animo si agitava una certa preoccupazione per la salvezza di Temerarie, dovuta alla paura dell'arrivo di un agente di Napoleone, reso forse persino più probabile dalla recente vittoria. «Non vi terrò più sulle spine» disse Sir Edward. «Sebbene non pretenda affatto di capire i principi meccanici alla base della capacità manifestata da Temeraire, gli effetti sono descritti nella letteratura sui draghi, e quindi sono in grado di identificarla: a proposito, i cinesi e i giapponesi la chiamano 'vento divino'. Questo vi dice poco più di ciò che sapete già per esperienza diretta, temo, ma la cosa davvero importante è questa: è una capacità tipica di una sola e unica razza: il Celestiale.» Il nome rimase sospeso nel silenzio per lunghi istanti; Laurence non sapeva cosa pensare. Temeraire guardò incerto i due uomini. «È molto diverso dall'Imperiale?» chiese. «Non sono entrambi delle specie cinesi?» «In effetti sono molto diverse» gli rispose Sir Edward. «I draghi Imperiali sono abbastanza rari, ma i Celestiali vengono donati solo agli imperatori stessi o ai loro parenti più prossimi. Sarei sorpreso se al mondo ne esistessero più di qualche decina.» «Gli imperatori stessi» ripeté Laurence, stupito e sempre più vicino alla comprensione. «Forse non lo sapete, signore, ma abbiamo scoperto una spia francese alla base di Dover poco prima della battaglia: quell'uomo ci ha rivelato che l'uovo di Temeraire era destinato non alla Francia in generale, ma a Bonaparte in persona.» Sir Edward annuì. «La cosa non mi meraviglia. Il senato ha dato la corona a Bonaparte a maggio dell'anno scorso; il periodo del vostro incontro col vascello francese suggerisce che i cinesi gli avevano donato l'uovo non appena saputa la notizia. Non riesco a immaginare perché gli abbiano reso un tale omaggio: non hanno mai dato altri segnali di volersi alleare con la
Francia, ma la tempistica degli eventi è troppo precisa per ammettere altre spiegazioni.» «E se avevano previsto anche il momento della schiusa, allora si spiega anche la scelta del mezzo di trasporto» concluse Laurence per lui. «Sette mesi dalla Cina alla Francia, girando intorno a capo Horn: i francesi potevano sperare di riuscirci solo servendosi di una fregata, nonostante ciò che avrebbe comportato.» «Laurence,» iniziò Sir Edward con gran mestizia «vi devo chiedere perdono con tutto il cuore per avervi fuorviato in tal modo. Non posso nemmeno appellarmi all'ignoranza: ho letto diverse descrizioni dei Celestiali, e ho visto molti ritratti. Eppure non mi è venuto in mente che la gorgiera e i filamenti potessero svilupparsi solo in età adulta; per forma del corpo e delle ali sono identici agli Imperiali.» «Non datevene pensiero, vi prego; non ho nulla da perdonarvi» rispose Laurence. «Non avrebbe fatto alcuna differenza per il suo addestramento, e alla fine siamo venuti al corrente di questa sua abilità in un momento più che opportuno.» Sorrise a Temeraire, e carezzò la slanciata zampa anteriore davanti a sé mentre il drago sbuffava il suo divertito assenso. «E così, amico mio, sei un Celestiale; la cosa non dovrebbe affatto sorprendermi. Ecco perché Bonaparte si è tanto adirato per averti perso.» «E immagino che continuerà a essere furente» commentò Sir Edward. «E, peggio ancora, anche i cinesi potrebbero prendersela con noi, quando verranno a sapere questa notizia; sono permalosi fino all'eccesso, quando si tratta del rispetto per l'Imperatore, e senza dubbio proveranno irritazione al pensiero di un ufficiale di servizio in possesso del loro tesoro.» «Non vedo come la cosa riguardi loro o Napoleone» disse Temeraire, infastidito. «Non sono più nel guscio, e non mi importa se Laurence non è un imperatore. Abbiamo sconfitto Napoleone in battaglia e lo abbiamo fatto scappare via nonostante la sua corona; non mi pare che ci sia chissà quale meraviglia nel portare quel titolo.» «Non ti inquietare, amico mio; i cinesi non hanno nessun appiglio per muovere obiezioni» disse Laurence. «Non ti abbiamo preso da un loro vascello, un'imbarcazione che forse si poteva considerare neutrale, ma da una nave da guerra francese; loro hanno scelto di donare il tuo uovo a un nostro nemico, e tu sei un bottino in tutto e per tutto legittimo.» «Sono lieto di saperlo» intervenne Sir Edward, anche se sembrava perplesso. «Ma i cinesi possono comunque decidere di mettere in discussione l'intera faccenda; hanno scarsissima considerazione delle leggi, e si azzera
del tutto quando queste entrano in conflitto con la loro nozione di comportamento adeguato. Sapete per caso in che posizione sono rispetto a noi?» «Potrebbero crearci un bel po' di problemi, suppongo» rispose titubante Lawrence. «So che non hanno una marina degna di tale nome, ma si sente parlare tanto dei loro draghi... Porterò la notizia all'ammiraglio Lenton, comunque, e sono sicuro che saprà meglio di me come affrontare qualsiasi divergenza di pareri sulla faccenda.» Un frenetico rumore d'ali venne dall'alto, e poi il terreno fu scosso da un pesante impatto: Maxiums era tornato alla sua radura, poco distante da quella di Temerarie; Laurence poteva vedere la sua pelle rosso e oro attraverso gli alberi. Altri draghi più piccoli li sorvolarono, di ritorno verso i rispettivi spiazzi: il ballo si stava evidentemente concludendo, e Laurence si accorse dalle lanterne quasi consumate che si era fatto un bel po' tardi. «Dovete essere stanco per il vostro viaggio» disse girandosi di nuovo verso Sir Edward. «Sono di nuovo profondamente in debito con voi, signore, per le informazioni che mi avete portato. Posso chiedervi l'ulteriore concessione di unirvi a me per la cena di domani? Non voglio costringervi a restare in piedi qui con questo freddo, ma confesso di avere molte domande da porvi sull'argomento, e sarei davvero lieto di apprendere qualsiasi cosa voi sappiate sui Celestiali.» «Sarà un piacere» rispose Sir Edward, e si inchinò a entrambi. «No, grazie, posso trovare da solo la via del ritorno» disse poi quando Laurence propose di accompagnarlo. «Sono cresciuto a Londra, tornando spesso a vagare in città da ragazzo, sognando i draghi; oserei dire che la conosco meglio di voi, se siete stato qui solo per pochi giorni.» Presero appuntamento per il giorno dopo e poi Sir Edward salutò entrambi. Laurence aveva deciso di passare la notte in un albergo nei paraggi dove il capitano Roland aveva preso una stanza, ma si scoprì poco propenso a lasciare da solo Temeraire; cercò allora delle vecchie coperte nelle stalle al momento occupate dagli equipaggi di terra, e si fece un nido un po' polveroso tra le zampe di Temeraire, col cappotto arrotolato a mo' di cuscino. Si sarebbe scusato con Jane al mattino, e lei avrebbe capito. «Laurence, com'è la Cina?» chiese distrattamente il drago, dopo che si furono sistemati insieme, con le ali che proteggevano entrambi dall'aria invernale. «Non ci sono mai stato, amico mio. Ho visto solo l'India» rispose lui. «Ma a quanto ne so è davvero splendida; è la nazione più antica al mondo,
sai, persino più antica di Roma. E di sicuro i loro draghi sono i migliori del pianeta» aggiunse, e vide Temeraire gonfiarsi di orgoglio. «Be', forse potremmo andarci, quando la guerra sarà finita e noi avremo vinto. Mi piacerebbe conoscere un altro Celestiale, un giorno» disse il drago. «Ma riguardo al fatto che mi avevano mandato da Napoleone... questa è una grande sciocchezza; non permetterò mai a nessuno di portarti via da me.» «No, amico mio» rispose Laurence, sorridendo nonostante tutte le complicazioni che sapeva sarebbero nate se la Cina avesse mosso le sue obiezioni. Il suo animo condivideva la semplicità della prospettiva di Temeraire, e si addormentò quasi subito cullato dalla sicurezza del lento e profondo battito cardiaco del drago, così simile all'infinito vociare delle onde. Brani tratti da Osservazioni sull'Ordine dei Draghi in Europa, con appunti sulle razze orientali di Sir Edward Howe, F.R.S. Londra John Murray, Albemarle Street 1796 Prefazione dell'autore sul sistema di misurazione del peso dei draghi L'incredulità è la più verosimile reazione da parte della maggioranza dei miei lettori alle stime che appariranno nelle pagine seguenti per descrivere il peso delle varie razze di draghi, ben diverse da quelle prima d'ora diffuse. La stima di dieci tonnellate per un Ramato reale adulto è comunemente risaputa, e già una simile massa richiede uno sforzo di immaginazione; cosa dovrà dunque pensare il lettore se io riporto che è grandemente errata per difetto, proponendo invece una valutazione più vicina alle trenta tonnellate, che invero raggiunge le cinquanta negli esemplari più grandi di questa razza. Per delle spiegazioni, rimando il lettore alla recente opera di M. Cuvier.
Nei suoi ultimi studi sulle sacche d'aria che permettono ai draghi di volare, M. Cuvier ha a sua volta attinto all'opera di Cavendish e alla sua ingegnosa identificazione dei gas peculiari, più leggeri dell'aria, che riempiono queste sacche, e ha di conseguenza proposto un nuovo sistema di misurazione, che considerando l'alterazione del peso dovuta alla presenza di dette sacche, fornisce un miglior metodo di paragone tra il peso dei draghi e quello di altri grandi animali terrestri, nei quali non sono presenti tali organi. Chi non ha mai visto un drago in carne e ossa, e ancor più chi non ha mai visto una delle razze più imponenti, nelle quali questa discrepanza appare estremamente pronunciata, sarà forse scettico; ma chi come me ha avuto l'occasione di vedere un Ramato reale accanto al più grande degli elefanti indiani, il cui peso si considera sia di circa sei tonnellate, spero si unirà a me nella scelta di un sistema di misurazione che non suggerisce la ridicola ipotesi secondo la quale il primo, che potrebbe divorare l'altro quasi in un sol boccone, debba pesare meno del doppio. Sir Edward Howe, dicembre 1795 V Razze native delle isole britanniche - Razze comuni - Rapporto con le razze continentali - Gli effetti della dieta moderna sulle dimensioni - Ereditarietà del Ramato reale - Razze in grado di sputare acido o veleno. [...] Vale la pena riconoscere che i Mietitori gialli, spesso ingiustamente considerati con sdegno dovuto alla consuetudine, si possono trovare ovunque in virtù delle loro numerose qualità eccellenti: di appetito generalmente robusto e mai schizzinosi nella dieta, resistenti a qualsiasi condizione climatica tranne il freddo e il caldo eccessivi, quasi sempre di buon umore, questi draghi hanno contribuito alla nascita di quasi ogni stirpe su queste isole. Rientrano a pieno nelle specie di stazza media, sebbene la loro razza sia assai più variegata di tante altre, con un peso che va dalle circa dieci tonnellate fino alle diciassette di una moderna specie più grande. Il peso medio si aggira tra le dodici e le quindici tonnellate, con una lunghezza media di circa quindici metri e una ben proporzionata apertura alare di circa venticinque. I Mietitori malachite si distinguono dai loro cugini più comuni soprattut-
to per via della colorazione: laddove i mietitori gialli sono per l'appunto di un giallo maculato, talvolta con delle striature bianche simili a quelle di una tigre lungo i fianchi e sulle ali, quelli malachite sono di un colore più vicino al marrone, con chiazze verde chiaro. È opinione comune che siano il risultato di incroci spontanei durante le conquiste anglosassoni tra i Mietitori gialli e i Lindorm scandinavi. Data la loro predilezione per il clima freddo, è più facile trovarli nella Scozia nordorientale. Dai resoconti dei cacciatori e le loro collezioni d'ossa, sappiamo che un tempo il Vedovante grigio era diffuso come i mietitori, anche se è ormai difficile trovarne uno; data la sua natura violenta e la tendenza a rubare armenti, questa razza è stata oggetto di una caccia che l'ha portata quasi all'estinzione, sebbene alcuni esemplari si possano ancora rinvenire allo stato brado nelle più isolate regioni montane, soprattutto in Scozia, o negli allevamenti, dove ne sono tenuti alcuni per garantire la conservazione della specie. Sono piccoli e aggressivi, di rado superano le otto tonnellate, e il loro colore grigio maculato è ideale per il camuffamento in volo, cosa che ha ispirato l'incrocio con i più tranquilli Winchester per produrre la razza dei Grigioni. Le razze francesi più comuni, il Pècheur-Couronné e il Pêcheur-Rayé, sono imparentate più ai Vedovanti che ai Mietitori, se dobbiamo basarci sulla conformazione delle ali e la struttura dello sterno, in entrambe le razze è carenato e saldato alle clavicole. Questa peculiarità anatomica rende entrambi perfetti per la creazione di razze da combattimento leggero e servizi di corriere... Gli incroci con le specie continentali sono anche alla base delle razze più grandi attualmente presenti in Inghilterra, nessuna delle quali può essere considerata nativa delle nostre terre. Con ogni probabilità questo è dovuto al clima: i draghi più imponenti prediligono un ambiente caldo, dove le loro sacche d'aria possono più facilmente compensare il loro peso massiccio. È stato ipotizzato che le isole britanniche non possono fornire pascoli abbastanza ricchi da nutrire le razze più grandi; le pecche di questa linea di pensiero saltano all'occhio se si prende in considerazione la dieta assai varia che i draghi possono tollerare in termini di quantità. Allo stato brado, è risaputo, i draghi mangiano solo una volta ogni due settimane, soprattutto in estate, quando preferiscono dormire molto e quando le loro prede sono più grasse; non sorprende allora il fatto che le specie selvatiche non si avvicinano nemmeno alle dimensioni di quelle addomesticate, nutrite quotidianamente e con maggiore abbondanza, soprat-
tutto nei primi anni, fondamentali per la crescita. Come esempio basti considerare le regioni desertiche di Almeria, una regione nel sudest della Spagna scarsamente popolata di capre che è però il luogo d'origine del feroce Cauchador Real, uno degli antenati del nostro Ramato reale; le specie domestiche di quella razza da combattimento raggiungono un peso di circa venticinque tonnellate, mentre allo stato brado è difficile trovare esemplari che ne superino dieci o dodici... Il Ramato reale è al momento la razza più grande conosciuta, raggiungendo in età adulta le cinquanta tonnellate di peso e quasi trentasette metri di lunghezza. Ha una colorazione intensa, che va dal rosso al giallo con molte differenze tra i singoli esemplari. I maschi sono in media un po' più piccoli e con la maturità sviluppano delle corna sulla fronte; entrambi i sessi hanno una cresta ossea ben visibile e spinosa sulla schiena, che li rende un difficile obiettivo per gli arrembaggi. Queste grosse bestie sono senza dubbio il maggior trionfo dei cambi di allevamento britannici, il prodotto di circa dieci generazioni di lavoro e incroci accorti, e fanno intravedere i grandi benefici che si potranno ottenere con l'accoppiamento, forse non solo dal punto di vista economico. Fu Roger Bacon che per primo suggerì di incrociare le femmine del piccolo Ramato lucente con il grande Conquistador, portato in Inghilterra come parte della dote di Eleonora di Castiglia. Sebbene la sua proposta fosse basata su un'erronea supposizione dell'epoca, secondo la quale il colore indicava l'influenza di un qualche elemento naturale e, quindi, l'arancione delle due razze fosse segno di una sorta di parentela, l'incrocio fu assai fruttuoso, portando alla nascita di una prole ancor più imponente del già prodigioso genitore e più resistente nei voli di lunga durata. Josiah Colquhoun di Glasgow ha suggerito che la chiave di tale successo risiede nelle sacche d'aria del Ramato lucente, sproporzionatamente grandi rispetto alla razza, ed è accertato che il Ramato reale ha ereditato questo tratto dalla sua progenitrice femmina. Gli studi anatomici di M. Cuvier indicano infatti che l'immane massa corporea del Ramato reale comprimerebbe troppo i polmoni del drago se fosse supportata solo dal suo sorprendentemente delicato sistema scheletrico... Mentre nelle isole britanniche è impossibile trovare razze in grado di sputare fuoco, nonostante i molti tentativi da parte dei nostri allevatori di indurre questa preziosa caratteristica, così mortale per le nostre navi quando è impersonificata dal Flamme-de-Gloire francese e dal Flecha-de-Fuego spagnolo, i nostri Sputatori si distinguono per la produzione di un veleno
in grado di immobilizzare la preda. Sebbene la razza sia troppo piccola e voli ad altitudini troppo poco elevate per essere una vera bestia da combattimento, gli incroci con l'Honneur-d'Or, per le dimensioni, e con l'Ali di ferro russo, un'altra specie velenosa, hanno portato a diverse razze assai preziose: migliori nel volo, di stazza media, con sostanze tossiche più potenti. Gli ulteriori incroci tra queste stesse razze, con innesti di quelle di origine, sono culminati nella fruttuosa schiusa di un drago che merita il suo nome di Lunghe Ali, durante il regno di Enrico VII. In questa razza, il veleno è diventato così potente da poter essere definito un acido, la cui forza può essere usata non solo contro le altre bestie in volo ma contro degli obiettivi di terra. Le sole altre razze davvero in grado di produrre acido attualmente conosciute sono il Copacati, un drago sudamericano, e il Ka-Riu del Giappone. Purtroppo, i Lunghe Ali vengono subito identificati in battaglia e sono impossibili da confondere, data l'insolita apertura alare che dà loro il nome: sebbene questi draghi superino di rado i diciotto metri di lunghezza, hanno spesso un'apertura di trentasei metri, e le ali mostrano una colorazione molto caratteristica, dal blu all'arancione, con delle vivide striature bianche e nere lungo i bordi. Hanno gli stessi occhi gialli-arancio del loro progenitore, lo Sputatore, e una vista assai acuta. Sebbene la razza fu dapprincipio considerata non addomesticabile, e si valutò addirittura l'idea di estinguerla poiché la si riteneva troppo pericolosa per poter essere bardata, durante il regno di Elisabetta I vennero sviluppati nuovi metodi di bardatura che permisero di domare questi draghi, il fondamentale strumento della distruzione dell'Armada... XVII Confronto tra razze orientali e occidentali - Antichità delle razze orientali - Le razze native più conosciute degli Imperi di Cina e Giappone - Caratteristiche tipiche dell'Imperiale - Una nota sul Celestiale. [...] I segreti dell'allevamento dell'Imperiale sono assai gelosamente custoditi, essendo questo drago un vero e proprio tesoro nazionale, e vengono trasmessi solo per via orale a pochi eletti o affidati a documenti codificati con gran cura. Di conseguenza se ne sa ben poco in occidente, e in realtà in qualsiasi altro luogo che non sia negli immediati dintorni della capi-
tale dell'impero. Le fugaci osservazioni di qualche viaggiatore hanno apportato solo una manciata di dettagli incompleti; sappiamo che l'Imperiale e il Celestiale si distinguono per il numero di artigli sulle zampe, che sono cinque, a differenza di tutte le altre razze di draghi che ne hanno quattro; allo stesso modo, la membrana alare è separata da sei ossa invece delle cinque delle razze europee. In oriente, la credenza diffusa vede queste due razze ben superiori alle altre per intelligenza, capaci di conservare con la maturità l'eccezionale memoria e la capacità di apprendimento linguistico che i draghi di solito perdono nei primi anni di vita. Sulla veridicità di queste dichiarazioni abbiamo attualmente un solo testimone, ma più che affidabile: M. le Comte de la Pérouse ha incontrato un Imperiale alla corte coreana, regno che in virtù degli stretti rapporti con l'impero cinese si vede spesso concesso il privilegio di un uovo di Imperiale. M. le Comte de la Pérouse, il primo francese a visitare quella corte nel passato recente, era stato richiesto perché impartisse lezioni sulla sua lingua nativa, e a giudicare dai suoi documenti, il drago, sebbene fosse già adulto, era più che in grado di sostenere una conversazione in francese già un mese dopo, un successo che sarebbe difficile ottenere anche da un linguista di gran talento... Dai pochi disegni che abbiamo in occidente, si può dedurre che il Celestiale sia un vicino parente dell'Imperiale, ma sappiamo poco altro su questa razza. Il vento divino, la più misteriosa delle abilità dei draghi, ci è noto solo in via indiretta, e si crede che i Celestiali siano capaci di causare tempeste e terremoti in grado di radere al suolo una città. È indubitabile che gli effetti siano stati grandemente esagerati, ma c'è un notevole rispetto per questa abilità tra le nazioni orientali, e la cosa ci sconsiglia da congedare con troppa fretta questo talento ritenendolo puro frutto della fantasia... Ringraziamenti I miei ringraziamenti vanno innanzitutto e soprattutto al gruppo di lettori che per primo ha visto La maestà del drago nel suo completarsi, dal primo all'ultimo capitolo, e che mi ha fornito non solo un pubblico entusiasta per il quale scrivere ma anche un'enorme quantità di consigli eccellenti: Holly Benton, Dana Dupont, Doris Egan, Diana Fox, Laura Kanis, Shelley Mitchell, L. Salom, Micole Sudberg e Rebecca Tushnet; e ringrazio Francesca Coppa, che mi ha detto cosa fare sin dall'inizio. Grazie anche a Sara
Rosenbaum e a tutti gli altri di Livejournal per i suggerimenti sul titolo. Sono stata abbastanza fortunata da avere l'aiuto di un'agente meravigliosa, Cynthia Manson, che è anche un'amica, e i consigli di non uno ma due terribili editor, Betsy Mitchell alla Del Rey e Jane Johnson della HarperCollins uk. Molti altri amici e lettori mi hanno dato coraggio e supporto lungo la via, aiutatomi in ogni modo, dal titolo alla correzione degli errori; vorrei poterli elencare tutti, ma devo limitarmi a un sentito e grande 'grazie'. Mi piacerebbe anche ringraziare le molte persone che sono uscite dai binari della loro consueta occupazione per aiutarmi con la mia ricerca: Susan Palmer dello Soane Museum di Londra, Fiona Murray e lo staff di volontari alla Georgian House di Edimburgo, ed Elen Roche al Memori Hotel a Dublino. A mia madre a mio padre e a Sonia vanno tutto il mio amore e la mia gratitudine. Per finire con la cosa più importante, questo libro è dedicato a mio marito, che mi ha fatto tanti doni che non potrei mai nominarli tutti, il primo e più bello dei quali è la gioia. FINE