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JOHN DICKSON CARR IL TERRORE CHE MORMORA (He Who Whispers, 1946) I Il Club del Delitto si riunirà, dopo cinque anni, al ristorante Beltring, venerdì, primo giugno, alle otto e mezzo. Parlerà il professore Antoine Rigaud. Finora non abbiamo mai ammesso persone estranee, ma se mi usate la cortesia, caro Hammond, di essere mio ospite...? «Come sono cambiati i tempi!» mormorò Miles Hammond. «Avere l'insigne onore di essere invitato al Club del Delitto e ci arrivo con quasi un'ora di ritardo! Anche se le scuse che si possono addurre sono più che plausibili, è una grossa scortesia.» Dovevano essere circa le nove e mezzo, e dal cielo cadeva una pioggia così sottile che si dissolveva in una specie di vapore grigio e appiccicaticcio. In Romilly Street, Miles si fermò e diede un'occhiata in giro. A sinistra, la chiesa di Sant'Anna elevava nella nebbia i muri grigi, ancora intatti, della sua facciata est. Attraverso la grande finestra gotica, priva delle vetrate, s'intravedeva la sagoma vaga di una torre, situata di là dal tempio. Più avanti, Dean Street mostrava le sue ferite. Un reticolato cingeva una larga buca fatta dai bombardamenti. La pace, nell'anno di grazia millenovecentoquarantacinque, tornava lentamente e quasi controvoglia. Quel rione devastato pareva irreale. Ma, in verità, per Miles Hammond, non ancora ripresosi da un lungo incubo, tutto ormai prendeva un aspetto allucinante. Si era arruolato con l'idea che ciascuno dovesse fare del suo meglio perché il mondo non precipitasse nella barbarie. Congedato senza gloria a causa di un'intossicazione dovuta alla nafta, aveva trascorso all'ospedale diciotto interminabili mesi, tanto lunghi che aveva perso la nozione del tempo. Poi, nel momento in cui per la seconda volta dopo la malattia vedeva spuntare sugli alberi le gemme che annunciavano la primavera, gli avevano comunicato la morte di suo zio Charles avvenuta, al riparo dalle bombe, in un albergo del Devonshire. Miles e sua sorella erano gli unici eredi, e lo zio Charles era molto ricco! Ciò significava, per Miles Hammond, la liberazione desiderata tutta la vita, il trovarsi svincolato da qualsiasi servitù e dall'impellente bisogno di
denaro che lo aveva sempre assillato. Finalmente avrebbe potuto staccarsi dal gregge umano, non avrebbe più dovuto subire l'umiliante promiscuità dei tram affollati. E c'era ancora dell'altro; la casa di New Forest, l'immensa biblioteca, vero santuario in cui un tempo lui non entrava senza una certa emozione, come in un paradiso proibito, erano suoi! Miles Hammond era uscito dall'ospedale quasi ristabilito. Vagava sulle gambe ancora un po' malferme in una Londra per lui nuova, oppressa dai razionamenti, una Londra in cui le persone facevano pazientemente la coda e gli autobus erano poco frequenti; una Londra senza liquori, senza luce. Certo nessuno pensava a celebrare la vittoria con scoppi di gioia. La vittoria era costata cara e la popolazione, caduta in una specie di apatia, si riabituava lentamente alla vita normale. E ora il Club del Delitto, istituzione perfettamente pre-bellica, riapriva i battenti... "Con tutto ciò, non faccio che aumentare il mio ritardo!" considerò improvvisamente Miles, tirandosi sugli occhi la tesa del cappello gocciolante di pioggia, e rimettendosi a camminare. Il ristorante Beltring apparve alla sua sinistra. Benché la facciata, intonacata di bianco, avesse perso molto del suo splendore, risaltava ugualmente tra le case vicine, come ai bei tempi antichi, e un portiere gallonato faceva bella mostra di sé sulla soglia. Ma per accedere alle scale del Club del Delitto bisognava fare il giro dell'edificio e, dal lato di Greek Street, varcare una porta bassa che portava a una scalinata ricoperta di spessi tappeti. A mezza strada, Miles si fermò di nuovo. Il brusio che gli giungeva evocava la tranquilla opulenza di un mondo a cui, nonostante il cortese invito del dottor Gideon Fell, si sentiva ancora estraneo. Provò il desiderio di fare dietro-front e di andarsene. La fama del Club del Delitto era leggendaria a Londra dove nessuno ne ignorava l'esistenza. Era composto di tredici membri, di cui quattro donne, tutti più o meno celebri per ragioni diverse. Il Club teneva quattro riunioni all'anno in due stanze contigue riservate a questo scopo al Beltring. In una c'era un bar improvvisato, l'altra era attrezzata per le riunioni. Frédéric, il maître, non mancava di appendere gravemente sopra il camino, prima della seduta, una stampa rappresentante un cranio. Sotto quell'insegna i tredici membri discutevano gravemente sui delitti classici. Vi
prestavano un'attenzione morbosa, come dei fanciulli che ascoltano una bella favola. Così, Miles Hammond, che ancora ieri era una nullità, stava per entrare in quella brillante comunità e, per giunta, molto in ritardo, bagnato come un pulcino e chiedendosi come vi sarebbe stato accolto... Per infondersi coraggio, evocò la lunga schiera di eruditi da cui discendeva. Dopo tutto, colui che era frenato dalla timidezza sulle scale non era il nipote di sir Charles Hammond, insignito nel 1938 del Premio Nobel per la storia? Non gli mancavano, quindi, le credenziali da far valere e non avrebbe certo sfigurato in quella dotta adunanza. In queste condizioni di spirito, giunse nell'atrio dove la luce attenuata dei grandi lampadari emetteva caldi riflessi sul mogano delle porte. Non si sentiva che il lieve brusio di una conversazione lontana. Vide brillare a lettere dorate la scritta: "Guardaroba per uomini". Si sbarazzò del soprabito e del cappello e si diresse verso la porta massiccia del Club del Delitto. La socchiuse e si fermò di botto. «Chi è?» chiese una voce di donna con un'intonazione di allarmata sorpresa, ma si riprese subito: «Scusate» disse. «Cosa desiderate?» «Cerco il Club del Delitto» spiegò Miles. Poi diede un'occhiata all'interno del primo salone. Con sommo stupore, non vide altro che una giovane vestita di un abito lungo bianco che dava l'impressione di essere scaturita, in modo magico, dal disegno del tappeto. Una luce discreta metteva in risalto i ricami dorati delle pesanti tendine chiuse ermeticamente davanti alle finestre che davano su Romilly Street. Una lunga tavola candida era stata attrezzata a bar e vi troneggiavano tre bottiglie sigillate in mezzo a una dozzina di bicchieri. Siccome i battenti di una grande porta erano socchiusi, Miles poté spingervi lo sguardo. Distinse una tavola rotonda apparecchiata con cristalli finissimi, adorna di fiori e circondata da una ben ordinata fila di sedie. Al centro, quattro lunghe candele. Tutto era stato preparato, evidentemente, per la seduta del Club, compreso, ben in evidenza, l'emblema della testa di morto. Ma dov'erano i soci? Frattanto la ragazza aveva fatto qualche passo verso di lui. «Sono desolata» si scusò con voce bassa ed esitante, che gli parve deliziosa, dopo l'affabilità professionale delle sue infermiere. «Vi ho accolto così male...» «Oh, no, non è vero!» «Sì... Potremmo anche presentarci... Mi chiamo Barbara Morell.»
Barbara Morell? Un nome noto, certo! Ma non ricordava da chi l'aveva sentito. Era giovane e i suoi grandi occhi grigi ed espressivi attiravano l'attenzione, come pure la straordinaria vitalità che emanava da lei, fatto poco comune in una società sfinita dalla guerra. Da quanto tempo non aveva visto una donna vestita da sera? Probabilmente lui faceva invece la figura di uno spauracchio, agli occhi di una creatura tanto fresca ed elegante. Il grande specchio posto fra le finestre gli mostrava Barbara Morell di schiena, troncata alla vita dal tavolo che fungeva da bar. Una treccia di capelli biondo-cenere era annodata in crocchia sulla nuca e, al di sopra delle sue spalle, vide se stesso, smagrito, gli zigomi sporgenti sotto lo sguardo stanco, le tempie brizzolate, l'espressione ironica. Si trovò brutto ed ebbe vergogna di pensare che i suoi trentacinque anni dovevano sembrare almeno quaranta alla ragazza. «Io mi chiamo Miles Hammond» disse. «Hammond?» ripeté Barbara Morell, fissandolo in viso. «Allora non siete socio del Club.» «No; sono stato invitato dal dottor Gideon Fell.» «Davvero? Anch'io... Nemmeno io sono socia del Club. E lo strano è...» fece un gesto con le mani «è che nessun socio del Club si trovi qui, stasera. Sembra che tutto il Club sia letteralmente scomparso.» «Scomparso?» «Sì.» Miles diede un'occhiata in giro. «Siamo assolutamente soli, voi, io e il professor Rigaud» riprese la ragazza. «Frédéric non sa più a che santo votarsi e, quanto al professore... Cos'è che vi diverte?» Miles non aveva potuto trattenere un sorriso. «Vogliate perdonarmi» si affrettò a scusarsi. «Mi dicevo...» «Vi dicevate?...» «Stavo dicendomi che da anni il Club si riunisce per ascoltare un oratore dare la sua versione di qualche spaventoso delitto: sezionarlo, analizzarlo, commentarlo, non senza prendervi una specie di piacere crudele... Avete notato, vero, il teschio simbolico, là sul caminetto?» «Sì, e allora?» «Allora» concluse Miles, ridendo di nuovo «sarebbe davvero il colmo dell'ironia se, questa sera, tutti i membri del Club fossero misteriosamente
scomparsi da casa loro... o, ancora meglio, se venissero trovati ciascuno a casa sua, pacificamente seduti in poltrona con un pugnale confitto tra le scapole...» Il macabro scherzo ebbe il successo che meritava. Barbara Morell, invece di ridere, cambiò colore. «Che idea assurda!» esclamò. «Trovate?... Sono desolato, volevo dire soltanto...» «Scrivete forse romanzi gialli?» «No, non ne scrivo, ma ne leggo un'infinità...» «Sapete che questa faccenda è molto seria?» proseguì la ragazza. «Non bisogna dimenticare che il professor Rigaud è venuto da molto lontano per sottoporre al Club un caso degno di nota, il delitto della Torre, e viene accolto così... Bella accoglienza!...» Miles Hammond, che viveva dalla sua uscita dall'ospedale in un'atmosfera di sogno e di irrealtà, si sentiva predisposto ad accettare le ipotesi più fantastiche. «Bisognerebbe fare qualcosa» arrischiò. «Si potrebbe forse telefonare, per sapere che cosa è successo.» «Abbiamo già telefonato.» «A chi?» «Al dottor Fell che è il segretario onorario. Ma nessuno ha risposto. Ora il professor Rigaud sta tentando di pescare il Presidente, il giudice Coleman... Forse lui sarà in grado di darci la chiave del mistero...» La porta dell'ingresso si aprì con violenza e il professor Rigaud entrò. I due giovani compresero subito che, non solo era inutile, ma anche imprudente chiedergli se avesse avuto successo. Era un ometto grassoccio, dai gesti concisi, la faccia abbronzata e solenne. Avanzò fino a metà della stanza col passo di un felino ben pasciuto. Portava un vestito senza pretese di eleganza e un paio di scarpe con la punta quadrata. Se fosse stato di umore migliore, i due giovani avrebbero potuto apprezzare la franchezza del suo sorriso, illuminato dalla presenza di un dente d'oro. Ma, al contrario, in quel momento un fremito d'indignazione gli agitava il labbro superiore e faceva tremolare le lenti dei suoi occhiali a molla. Georges Antoine Rigaud, professore di letteratura francese all'Università di Edimburgo, alzò una mano e in un inglese impeccabile espresse così, con voce rovente di collera, il suo risentimento: «Vi prego di non rivolgermi la parola!» Si mise il cappello e riprese:
«Fare una cosa del genere a me! Da anni mi si implora di venire a parlare al Club del Delitto. E ogni volta ho rifiutato. Il fatto è che io ho orrore della pubblicità e dei giornalisti. In seguito all'assicurazione formale che non ne avrei trovati, ho acconsentito a fare il viaggio da Edimburgo a Londra. E in che condizioni! Non c'è stato mezzo di ottenere un letto. Sembra che siano riservati a certi privilegiati! Come se io, Antoine Rigaud, non avessi il diritto quanto un altro a un buon letto! Al diavolo le loro invenzioni, buone solo ad avvelenare l'esistenza delle persone oneste!». Alzò un pugno minaccioso, agitandolo nell'aria. «Sono pienamente d'accordo con voi» approvò gentilmente Miles Hammond. Il professore parve accorgersi per la prima volta della presenza del suo interlocutore. Il suo occhio vivace brillò dietro le lenti. «Chi siete, giovanotto?» domandò, un po' più calmo. «Non sareste...» «No» rispose Hammond alla domanda non formulata. «Non faccio parte del Club. Sono solo un invitato; mi chiamo Hammond.» «Hammond» ripeté il professore in tono interrogativo ma interessato. «Forse sir Charles Hammond?» «Suo nipote. Sir Charles, dovreste saperlo...» «Ah, certo!» interruppe Rigaud, facendo schioccare le dita. «Sir Charles Hammond è morto. Sì, sì, ricordo di averlo letto da qualche parte. E siete voi e vostra sorella che avete ereditato la sua biblioteca, vero?» «Mio zio era uno storico» spiegò Miles. «Da diversi anni viveva ritirato nella sua casetta di New Forest, mezzo sepolto sotto un vero cumulo di libracci che nessuno riordinava o spolverava. Ce ne sono parecchie migliaia, e io sono venuto a Londra proprio per cercare una persona capace di riorganizzare quella biblioteca. Ma in seguito all'invito del dottor Fell di partecipare alla riunione del Club del Delitto...» «La biblioteca... la biblioteca... di Hammond!» mormorò il professore, sospirando. «Che uomo, quell'Hammond, che grand'uomo! Voleva sapere tutto, approfondire tutto... C'è un solo ramo dello scibile che gli sia rimasto ignoto? Lui apriva tutte le porte. Ho desiderato spesso di poter accedere alla biblioteca Hammond; e ora sarei venuto qui per parlare di questo! Addio, me ne vado!» Si mise il cappello con gesto rabbioso. «Professor Rigaud!» lo chiamò la ragazza con voce dolce. Miles Hammond, i cui nervi ipersensibili percepivano il minimo cambiamento di umore, sentì che, dopo aver parlato della casa di suo zio a
New Forest, l'attitudine dei suoi compagni era lievemente cambiata. Il gesto supplichevole di Barbara Morell per chiamare il professore, confermava la sua impressione. «Professore» implorò la ragazza «non potremmo tener noi la seduta, nonostante tutto?» Rigaud si volse bruscamente: «Che?» domandò. «È innegabile che vi si è mancato di riguardo, lo riconosco! Ma ero tanto contenta all'idea di sentirvi! Il caso di cui dovevate farci un'analisi» si volse a Miles per metterlo al corrente «è straordinario, davvero. È avvenuto in Francia poco prima della guerra, e il professore è probabilmente l'unica persona che sia informata in merito. Si tratta di...» «Si tratta» interruppe Antoine Rigaud «dell'influenza di una certa donna su diverse vite.» «Il signor Hammond e io comporremo, per voi, l'auditorio più attento che abbiate mai avuto. Potete essere certo che non trapelerà una sola parola e che la stampa non sospetterà nulla. Dobbiamo pur mangiare da qualche parte e, se ce ne andiamo, non siamo certi di trovare da mangiare altrove. Signor professore» insisté la ragazza, con voce carezzevole «non è possibile?... Oh, non rifiutate, ve ne prego!» Il maître assunse un'aria arcigna e scocciata. Poi, fece un cenno misterioso a qualcuno che si teneva nascosto nell'atrio e annunciò che il pranzo era pronto. II Quel pranzo, per quanto ristretto, non mancò di lasciare nei due giovani un ricordo incancellabile. La storia raccontata dal professor Rigaud mentre sorbiva il caffè sembrò a Miles Hammond tanto inverosimile che per poco non chiese al narratore se non se l'era sognata. A più riprese credette che Rigaud si burlasse di loro a causa delle occhiate sardoniche che lanciava e che contrastavano con la gravità pomposa del suo racconto. In seguito Miles doveva scoprire che quel racconto non conteneva una parola che non fosse vera. La sola luce delle candele sulla tavola, nei candelieri di rame, rischiarava debolmente la stanza. Il calore era tale che era stato necessario scostare le tendine per lasciare entrare il tiepido alito della notte. La voce del narratore si fondeva col monotono rumore della pioggia che non aveva cessato di cadere. «Lo studio del delitto e dell'occultismo!» aveva proclamato il professore, brandendo ancora in una mano un coltello e nell'altra la forchetta. «Sono i
soli passatempi degni di un uomo di un certo gusto. Siete collezionista, signorina?» chiese, fissando Barbara con il suo sguardo acuto. «Collezionista di che cosa?» «Di reliquie criminali...» «Oh, Dio, no!» «Peccato» disse il professore. «Conosco a Edimburgo un uomo che possiede un nettapenne rivestito di pelle umana: è la pelle di un celebre assassino. Non vi piace?... Dio mi è testimonio che potrei anche darvi nome e indirizzo di una donna, una donna graziosa come voi, che ha rubato la pietra tombale dello strangolatore Douglas. L'ha fatta collocare ai margini di un'aiuola del suo giardino...» «Scusate» domandò Miles «tutti i criminologi hanno gusti così macabri?» Il professore rifletté un momento, prima di rispondere: «Se devo dire il vero, no; vi ho citato solo dei casi tipici. Ora comincio la mia storia.» Aspettò che la tavola fosse sparecchiata e che il caffè fosse versato nelle tazze; poi, posando sulla tavola i gomiti grassocci, aspirò lentamente il fumo del suo sigaro e cominciò: «Nei dintorni di Chartres, a circa sessanta chilometri da Parigi, abitava nel millenovecentotrentanove una famiglia inglese. Conoscete Chartres? Viene considerata» proseguì senza aspettare la risposta «un segno tangibile del Medio Evo, e, in un certo senso, è esatto. Appare da lontano, tra i campi di grano che la circondano, con le torri ineguali della sua cattedrale posta in cima alla collina. Non appena passato tra le torri tonde della Porta Guillaume, il visitatore che percorre in vettura le stradette a ciottoli nelle vicinanze dell'albergo del Grand Monarque vede fuggire da tutte le parti, davanti a sé, una moltitudine di oche e di polli. L'Eure scorre ai piedi della collina, sotto le vecchie fortificazioni e, tra i salici e i peschi che crescono ora sotto le vecchie mura, s'inoltrano di sera le persone che vanno a prendere una boccata d'aria fresca. «Nei giorni di mercato il bestiame fa un rumore infernale. E i venditori che vantano la loro mercanzia gridano anche più forte del bestiame... È un luogo dove le superstizioni spuntano come le erbe tra le pietre, uno di quei luoghi benedetti dove si beve il miglior vino e dove si mangia il miglior pane di Francia, uno di quei luoghi dove si dice: "Mi ci voglio installare e scrivere un romanzo". Non vi parlerò delle industrie di Chartres. Ci interessano solo le concerie, perché la più importante, la ditta Pellettier & C,
apparteneva a Howard Brooke, l'inglese di cui mi propongo di parlarvi. Aveva una cinquantina d'anni e la moglie circa quarantacinque. Il loro unico figlio, Harry, non aveva più di vent'anni. Ora, sono tutti morti, per cui posso parlare di loro liberamente.» Ci fu un senso di freddo che Miles percepì distintamente. Barbara Morell, che guardava con curiosità il professore attraverso il fumo della sua sigaretta, si agitò sulla sedia. «Morti?» ripeté. «Allora non hanno nulla da temere da...» Il professore non tenne conto dell'interruzione e proseguì: «I Brooke avevano abitato a qualche distanza da Chartres, in una casa pomposamente chiamata "Il castello", benché non avesse nulla del castello, sulle rive dell'Eure, il cui letto si stringe in quel punto. Ecco la disposizione» disse allontanando la tazza del caffè in modo da poter disegnare sulla tovaglia. «Là, duecento metri a nord della casa, un vecchio ponte di pietra a schiena d'asino attraversa il fiume: un ponte privato, poiché il signor Brooke possedeva terreni sulle due rive del fiume. Ancora più lontano, sull'altra riva, c'è una vecchia torre in rovina. Questa torre, ricordatelo, non è visibile dalla casa, ma è molto decorativa. Supponiamo di avanzare sul prato, in direzione nord, tra i vecchi salici che bagnano i loro rami nell'acqua verde e profonda. Il fiume fa un'ansa. Ecco il ponte di pietra e infine la torre a strapiombo sull'argine muschioso. È una torre rotonda, in pietra grigio-scura, chiamata la Torre di Enrico Quarto, benché non abbia mai avuto alcun rapporto con quel re. In altri tempi faceva parte del mastio che fu bruciato dagli Ugonotti alla fine del sedicesimo secolo. È tutto quanto ne resta. L'esterno, con le sue feritoie, è intatto, ma è solo un guscio vuoto con una scala ancora praticabile che conduce a un tetto piatto, cintato da un parapetto. I Brooke utilizzavano la Torre, d'estate, come cabina. Ci si rivestivano dopo il bagno nel fiume. Immaginate, ora, quella famiglia inglese di tre persone, padre, madre e figlio, comodamente installata nella sua proprietà a condurre una vita piacevole, forse un po' monotona, fino a...» «Fino a che?...» chiese Miles. «Fino all'arrivo di una certa donna.» Il professore fece una pausa, respirò rumorosamente e, dopo aver scrollato le spalle per indicare senza dubbio che declinava ogni responsabilità, proseguì: «Io sono arrivato a Chartres nel maggio del 1939. Avevo finito la mia "Vita di Cagliostro" e avevo bisogno di tranquillità. Il fotografo Evariste Legrand, mio vecchio amico, mi aveva presentato a Howard Brooke.
«Brooke e io ci eravamo intesi subito, nonostante le differenze dei nostri caratteri. Mi divertiva perché avevo visto in lui il tipico inglese e lui, dal canto suo, aveva trovato, in me, un campione caratteristico del tipo francese. Insomma, ci completavamo, se così posso esprimermi. Lo ricordo bene, un uomo dai capelli grigi, riservato ma affabile. Indossava calzoni alla zuava che avevano suscitato a Chartres lo stesso effetto che avrebbe potuto produrre, a Newcastle, la sottana di un prete cattolico. Ospitale e socievole, capiva lo scherzo, naturalmente nei limiti della buona educazione. Infine, Brooke passava, giustamente, per uno di quegli uomini eccellenti di cui più o meno si possono prevedere tutte le reazioni. Sua moglie gli somigliava molto.» «E il figlio Harry?» «Questa era un'altra musica. Benché fisicamente assomigliasse al padre, non si potrebbero immaginare due caratteri più differenti! Un fascio di nervi quel giovanotto! E pieno di fantasia. Bel ragazzo! Mascella quadrata, naso diritto, occhi regolarmente distanziati, capelli biondi. I genitori lo adoravano al punto da diventare ridicoli. Il padre scoppiava d'orgoglio ogni volta che suo figlio riportava una vittoria sportiva. Si capisce che aveva abbastanza buon senso da non lasciarglielo capire troppo e davanti a lui frenava il proprio entusiasmo, ma quando trovava un ascoltatore, non finiva più di tessere gli elogi di quel figlio prodigio. «Harry, che avrebbe dovuto ereditare i beni e le concerie del padre, imparava saggiamente il mestiere, ma il suo cuore era altrove. Non aveva in testa che un'idea: andare a studiare pittura a Parigi. Lo desiderava tanto ostinatamente, tanto appassionatamente che, ogni qual volta ne aveva parlato ai genitori in mia presenza, mi ero stupito della sua inettitudine, della poca diplomazia usata per raggiungere il suo scopo. «Il padre si era opposto con dolce fermezza a quel progetto insensato. Coltivare le belle arti a tempo perso poteva ancora andare! Ma farne la propria professione, mai! La signora Brooke, poi, era semplicemente annichilita al pensiero che suo figlio potesse trovarsi in uno studio con una donna che indossasse, come vestito, solo il suo sorriso e un paio di orecchini d'oro finto. Il signor Brooke ammoniva il figlio e gli ripeteva continuamente: "Ragazzo mio, ti capisco benissimo. Alla tua età, ero così anch'io, ma mi sono arreso alla ragione. Fai lo stesso, e fra dieci anni riderai delle tue idee di gioventù". «E la madre aggiungeva: "Perché, se ci tieni tanto a dipingere, non rimani qui a ritrarre qualche bel paesaggio o gli animali?". Allora Harry se ne
andava senza rispondere, s'impegnava in una partita di tennis, lanciando le palle come proiettili di cannone e facendo fuggire i compagni di gioco; oppure si lasciava cadere sul prato con le labbra contratte e lo sguardo saturo di rancore. Harry aveva davvero la stoffa di un artista? Il suo desiderio di dipingere posava su basi solide? Non l'ho mai saputo, e capirete poi il perché. «Verso la fine di maggio dello stesso anno la segretaria del signor Brooke, l'angolosa signora McShane, terrorizzata dalle voci di guerra che circolavano, era ripartita bruscamente per l'Inghilterra: una vera catastrofe. La corrispondenza privata di Brooke era enorme. Quando lo vedevo dettare la posta, passeggiando avanti e indietro per l'ufficio con le mani dietro la schiena, mi dava le vertigini. C'era un po' di tutto: lettere relative ai suoi investimenti, lettere ai giornali inglesi, ai suoi numerosi amici, risposte a richieste di sussidio, e che so io... Gli serviva una nuova segretaria e, per giunta, brava. Gli fu mandata la signorina Fay Seton...» «Fay Seton?...» «Sì. Rammento benissimo il giorno del suo arrivo; era il pomeriggio del trenta maggio. Stavo prendendo il tè con i Brooke nel cortile di Beauregard, così si chiamava la loro proprietà. Dietro c'era la facciata della casa, e dalle due parti le ali. «Davanti, un muro costeggiava la strada al di là della quale, attraverso il cancello in ferro battuto, si distinguevano i prati che scendevano con dolce pendio verso il fiume fiancheggiato dai salici. Vedo ancora tutto, come se ci fossi adesso. «Il vecchio Brooke, in una poltrona di vimini, con gli occhiali di tartaruga, tendeva una zolletta di zucchero al cane che faceva delle smorfie. Tutti gli inglesi hanno cani e non si stancano mai di vederli fare smorfie vezzose. Il cane dei Brooke era uno di quei terrier che assomigliano a uno spazzolone per pavimenti. Dall'altra parte della tavola, la signora Brooke, non molto elegante, coi capelli tagliati corti e la nuca rasata, secondo la moda di venti anni prima, si versava una quinta tazza di tè. In piedi, non lontano, Harry si esercitava al golf con una palla immaginaria. Era una di quelle magnifiche giornate di primavera che si vedono solo da noi. In quel momento un'autopubblica si fermò davanti al cancello e ne scese una giovane donna. Doveva essere stata molto generosa nel pagare l'autista, poiché questi era balzato dalla vettura e, con un profondo inchino, si era impadronito delle sue valigie. Poi lei venne verso di noi, sottomessa e timida, e si presentò: "Fay Seton, la nuova segretaria..."
«Ah! Amici miei, che rivelazione! Come descrivervela? «Non immaginate una diva del cinema, sbagliereste in pieno. In lei non c'era nulla di artificiale, anzi, una modestia da violetta, una distinzione innata. Più la guardavo, più la trovavo bella, di un fascino quasi magnetico e splendente di spiritualità. Era abbastanza alta, slanciata ed elastica. Una rossa con gli occhi azzurri che aveva sempre l'aria assente, come di chi segue un sogno interiore. Mentre il vecchio Brooke la presentava a noi tutti, compreso il cane, e sua moglie invitava la ragazza a salire per rinfrescarsi un poco, questa rimase ferma sul sentiero, sorridente. Harry non aveva pronunciato una parola, ma notai che stava falciando nervosamente con il suo bastone da golf un'aiuola vicina. «Io stavo fumando placidamente il mio sigaro e, senza parere, seguivo con la coda dell'occhio le sue reazioni. Non mi occorsero neppure cinque minuti per indovinare che se ne sarebbe innamorato perdutamente. «La giovane Seton proveniva da un'ottima famiglia, ma alcuni rovesci di fortuna l'avevano ridotta a doversi guadagnare da vivere. Il signor Brooke la trattava con molto rispetto e riguardo. Benché non avesse mai esercitato la professione di segretaria, sapeva sbrigare tutti gli incarichi. Si offriva perfino come quarta per una partita di bridge. «Spesso le veniva chiesto di sedere al pianoforte e di cantare, perché lo sapeva fare benissimo. Per finire, si ricorreva sempre a lei, che ci ascoltava tutti con grazia squisita, senza però mai abbandonare quella sua aria assente che ci metteva in imbarazzo. «Fay Seton non praticava alcuno sport. In seguito, seppi che soffriva di cuore. Una o due volte, però, l'avevo sorpresa a nuotare nel fiume in compagnia di Harry Brooke che la incoraggiava. Ah!... se l'aveste vista uscire dall'acqua! Sembrava una naiade, coi suoi bei capelli ramati avvolti in un turbante... Non vi dico altro!... Harry la portava in barca, l'invitava al cinematografo e faceva con lei lunghe passeggiate per itinerari pericolosamente romantici. «Una sera di giugno, Brooke figlio era venuto nella mia stanza all'albergo del Grand Monarque. Devo dirvi che quel giovanotto, tanto timido e impacciato coi genitori, mi prendeva volentieri per confidente. Perché? Non lo so. Forse perché io sapevo ascoltarlo senza parlare. Per farla breve, esercitavo una certa influenza su di lui; gli avevo insegnato ad amare i nostri grandi romantici, cosa che, forse, sarebbe stato meglio non fare. Certo è che, se i suoi genitori avessero saputo delle nostre conversazioni, talvolta esaltate, non me ne sarebbero stati grati.
«Dunque, si era insediato in qualche modo sul davanzale della finestra e si era messo a giocherellare col calamaio. Com'era da aspettarselo, finì col rovesciarlo. Poi mi confidò il suo tormento: "Sono pazzo di lei; le ho chiesto di sposarmi". «"E lei?" avevo chiesto io. "Non vuol saperne di me!" «Ricordo che gridò queste parole con un tale accento di disperazione che temetti, per un momento, che si buttasse dalla finestra. Ero rimasto confuso, non per la sua delusione, ma per il rifiuto della ragazza. A vederla avrei giurato che fosse innamorata di Harry. Mi sarei quasi vantato di leggere nel suo pensiero, come in un libro aperto. Ma bisognava credere che ci fosse in lei un lato enigmatico che non avevo intuito. "Si vede che non avete saputo prenderla per il verso giusto" gli avevo detto. «Il giovane picchiò dei pugni violenti sul tavolo, e mi sembrava che stesse cercando qualcosa da rompere, prima di rispondere: «"Non so nulla. È stato ieri sera quando passeggiavamo sulle rive del fiume. Ho confessato a Fay che l'amavo, e l'ho baciata sulla bocca e sul collo. L'ho baciata fino al punto da perdere la ragione. Poi le ho chiesto di diventare mia moglie. So che Fay è una ragazza meravigliosa e che io non sono degno neppure di allacciarle le scarpe, ma credevo che provasse un po' d'affetto per me. Ebbene, dovevate vederla! Ha cambiato colore; è diventata pallida come una morta e si è messa a gridare: 'No! No! No!' Come se le proponessi qualcosa di abominevole. Poi è fuggita di corsa, in direzione della Torre. Sono rimasto come imbambolato. Già mentre la baciavo, la sua freddezza mi aveva fatto l'effetto di una doccia gelata. Avevo avuto l'impressione di stringere tra le braccia un bel marmo inanimato. Tuttavia!... Le sono corso dietro fra l'erba alta. 'Fay' le ho chiesto, 'c'è qualcun altro, nella vostra vita?' Lei ha emesso una specie di gemito e mi ha assicurato di no. Ne ho dedotto, allora, che mi trovava antipatico, ma lei mi ha giurato che neppure questo era vero. Infine, le ho dichiarato che non avrei perso del tutto la speranza, e siamo rimasti così." «Quella storia mi mise in imbarazzo. Non mi ero aspettato una simile soluzione... anzi! Feci del mio meglio per consolare l'innamorato, gli avevo consigliato di non scoraggiarsi dal momento che, forse, con tatto e pazienza, avrebbe finito per conquistare quel cuore tanto duro. «Avevo ragione. Tre settimane dopo, Harry mi annunciò trionfalmente di essersi fidanzato con Fay Seton. «In confidenza, vi confesserò che i genitori del ragazzo non si mostrarono entusiasti della notizia.
«Fay Seton era una ragazza perfettamente a posto. Niente da ridire sulla sua famiglia, né sui suoi precedenti... una reputazione incontaminata. Aveva tutto per essere ben accettata. Al massimo, si poteva rimproverarle di avere tre o quattro anni più del fidanzato, ma questo era un particolare senza importanza. Brooke padre trovava spiacevole che una ragazza assunta come sua segretaria diventasse sua nuora?... Non lo so. Fatto è che quel matrimonio aveva l'aria di contrariarlo, o meglio, di stupirlo. Suppongo che i Brooke avessero ambito per il figlio una ereditiera nobile o qualcosa del genere. Inoltre... lo ritenevano troppo giovane per sposarsi... ma non restava loro altro da fare che inchinarsi e dire: "Che Dio vi benedica, cari ragazzi!". «La signora Brooke nascondeva male il suo disappunto, e cercava di sorridere fra le lacrime. Il marito, invece, prese l'abitudine di trattare il figlio da amico, di punto in bianco e senza transizione. Ma la cosa era forzata e si sentiva. E quando i Brooke si trovavano soli, si guardavano con tristezza e cercavano di consolarsi a vicenda. "Vedrai che tutto andrà bene!" dicevano, per infondersi coraggio, sotto l'impressione che una catastrofe si fosse abbattuta sulla casa. «Poi, a poco a poco, le cose cambiarono. Non solo si erano abituati all'idea, ma apprezzavano il lato buono di una tale unione. Il matrimonio, forse, avrebbe messo un po' di sale nel cervello del giovane, gli avrebbe fatto prendere a cuore il suo lavoro, e si sarebbe interessato alla prosperità della Ditta Pellettier & C. Infine, la giovane coppia avrebbe abitato con loro o, per lo meno, nelle immediate vicinanze! «Ma, proprio allora, tutto era andato all'aria! E vi prego di credere, non certo per modo di dire! Una di quelle tragedie spaventose che vi piombano addosso, quando meno ve l'aspettate.» Il professore tacque. Aspirò rumorosamente, alzò il bastone che era scivolato a terra, lo appoggiò al tavolo e affondò la mano nella tasca interna della giacca, per trarne un dattiloscritto e una fotografia. «Ecco» disse «una fotografia della signorina Fay Seton. Noterete che è a colori. È un lavoro del mio amico Evariste Legrand e dovrete convenire che se l'è cavata abbastanza bene. Il dattiloscritto è un riassunto del caso che avevo preparato per il Club del Delitto. Ma esaminate piuttosto la fotografia, miei giovani amici.» Sbarazzò la tovaglia dalle briciole di pane che vi erano cadute, ed espose la fotografia alla luce delle candele; rappresentava un viso dalla dolcezza
ossessionante che sembrava rivolto verso un interlocutore invisibile. Le sopracciglia fini, dalla curva regolare, sovrastavano gli occhi ben distanziati. Il naso era diritto e corto; le labbra carnose, sulle quali errava l'ombra di un sorriso, sarebbero sembrate sensuali se l'espressione del viso e la dignità del portamento della testa non avessero smentito questa prima impressione. Il collo grazioso pareva piegare sotto il peso dell'abbondante capigliatura di fuoco, liscia e lucida come un casco. «E ora» riprese il professore in tono di sfida «ditemi se scorgete su questo viso i segni esteriori di una tara!» III «Una tara!» ripeté Barbara Morell, stupita. Un breve riso scosse la pancetta rotonda del professore. «Precisamente!» insisté. «Questa ragazza vi sembra una persona pericolosa?» La signorina Morell aveva ascoltato il racconto del professore con profonda attenzione, non esente, però, da un certo scetticismo. Più volte si era voltata dalla parte di Miles come per renderlo partecipe dei suoi pensieri. Seguì con lo sguardo gli armeggi di Antoine Rigaud che, dopo aver ripescato il mozzicone del sigaro nel portacenere, lo succhiava coscienziosamente fino a trarne una trionfale boccata di fumo azzurrognolo. «Io credo» disse poi con voce acuta «che, per cominciare, convenga stabilire i termini della vostra domanda. Che cosa intendete per donna pericolosa? Una donna tanto seducente da far girare la testa a tutti gli uomini che incontra?» «No!» rispose il professore con enfasi. «Se fosse stato così, sarebbero mancati gli elementi per trarne un dramma. Pensavo ad altro.» «A cosa?» chiese Barbara con una lieve irritazione. «Quella donna aveva istinti criminali?» «Ma no, cara ragazza!» «Era forse un'avventuriera, una di quelle donne che seminano la discordia dovunque si trovino? Era acida o invidiosa o maldicente?» «No» dichiarò il professore. «Niente di tutto ciò; anzi, tutto il contrario. Quando mi conoscerete meglio, saprete che non è facile gettarmi della polvere negli occhi. Ebbene, vi posso dichiarare, per conto mio, che non ho mai visto Fay Seton se non dolce, buona e generosa.» «Allora?»
«Allora, signorina Morell, è proprio in questo che consiste il mistero. Il mistero delle voci spiacevoli che avevano cominciato a circolare nella città di Chartres e nei dintorni. Il mistero del comportamento del signor Howard Brooke, il futuro suocero, che aveva trasceso al punto da maledire Fay Seton, a voce alta, sulla pubblica piazza...» Un'esclamazione soffocata, che poteva esprimere tanto l'incredulità, quanto l'ironia, sfuggì a Barbara Morell. «Non mi credete?» domandò il professore. «Sì, sì! Perché non ci dovrei credere? Dal momento che non so nulla di questa storia!» «E voi, signor Hammond? Non dite nulla?» «Io...» rispose Miles, in tono distratto «guardavo...» «La fotografia» completò Rigaud. «Precisamente.» «Vi ha fatto un certo effetto, eh?» «Sì» convenne Miles, passandosi una mano sulla fronte. «Credo che emani un certo fascino. Deve provenire dallo sguardo della signorina Seton, o meglio, dal portamento della testa... Sarà forse meglio che vi riprendiate questa fotografia.» Miles Hammond spinse lontano da sé la fotografia. Improvvisamente, si sentì debole e stanco. Dopo la lunga malattia, la minima emozione era eccessiva per lui. Aveva bisogno di tranquillità; questo era il motivo per cui si rallegrava all'idea di ritirarsi a New Forest. tra i vecchi libri dello zio. Sua. sorella si sarebbe occupata della casa, fino al giorno in cui si sarebbe sposata. Lui avrebbe riposato, riprendendo il gusto di vivere, lontano dalle preoccupazioni e dai rumori del mondo. No, non doveva guardare più quel viso ossessionante. «Le voci concernenti Fay Seton...» continuò il professore. «Quali voci?» domandò Barbara bruscamente. Rigaud continuò, come se non avesse sentito. «Le voci concernenti Fay Seton, fatto strano, non erano mai giunte fino a me. Ora, ascoltate la storia del dodici agosto! Quel giorno, un giorno come tutti gli altri, avevo trascorso la mattinata nella mia stanza, all'albergo Grand Monarque, assorto nella redazione di un articolo per la Revue des deux mondes. Poco dopo colazione, nelle prime ore del pomeriggio, ero andato dal parrucchiere a farmi tagliare i capelli. Uscendo, mi era venuto in mente di passare al Crédit Lyonnais per incassare un assegno prima della chiusura degli sportelli.
«L'aria era insopportabile e, già dal mattino, incombeva sulla città un temporale. La prima persona che avevo visto, entrando in banca, era stato Howard Brooke, che era uscito dall'ufficio del direttore. Avevo trovato la cosa strana, perché, a quell'ora, lui avrebbe dovuto trovarsi al lavoro. Mi aveva lanciato una strana occhiata; ricordo che indossava un impermeabile e un berretto, e teneva in mano una vecchia borsa di pelle nera. Aveva una cattiva cera. «"Caro Brooke!" avevo esclamato, stringendogli la mano, una mano molle e reticente. "Che piacere inaspettato! Come stanno a casa? Spero che tutti stiano bene; la signora Brooke, Harry e Fay Seton!" «"Fay Seton!" aveva esclamato lui. "Che il diavolo si porti quella ragazza!" «Aveva parlato in inglese, ma a voce così alta, che le persone si erano voltate a guardare. Era una cosa che, in tempi normali, l'avrebbe profondamente imbarazzato ma, nello stato di estrema agitazione in cui si trovava, non ci aveva fatto caso. Mi aveva trascinato quindi fuori dalla banca, aveva aperto la borsa e me ne aveva mostrato il contenuto: quattro striminziti pacchetti di biglietti di banca inglesi, amici miei, e in ogni pacchetto, venti biglietti da venticinque sterline; duemila sterline in tutto. «"Ho fatto venire questa somma da Parigi" mi aveva spiegato con le mani tremanti e la voce alterata. "Ho pensato che le banconote inglesi l'avrebbero maggiormente impressionata. Dal momento che Harry non vuole rompere, non mi resta che pagare quella dannata creatura. Vogliate scusarmi!" «Si era raddrizzato, aveva cacciato i pacchetti nella borsa e se ne era andato senza aggiungere altro. «Io ero rimasto lì come un allocco. Avevo scordato il mio assegno, scordato tutto. Ero rientrato al mio albergo sotto la pioggia che cominciava a cadere, ma non ero riuscito a finire il mio articolo... «Mezz'ora dopo ero stato chiamato al telefono; era la signora Brooke che mi implorava con voce fioca: "Per l'amor di Dio! Professore, venite immediatamente!". «Potete immaginare com'ero sconvolto; vi confesso che avevo proprio paura. «Ero corso all'autorimessa, balzato sulla mia Ford ed ero giunto dai Brooke dopo una rapidissima corsa. È un vero miracolo se non ci ho rimesso la pelle! Beauregard sembrava abbandonata. Avevo chiamato senza avere risposta. Mi ero avviato in salotto e ci avevo trovato la signora Brooke sul
divano, rigida come un palo, che faceva sforzi sovrumani per non piangere. «"Che cosa c'è?" avevo chiesto. "Che diamine è accaduto? Qualcosa di spiacevole con la signorina Seton?" «"Non lo so", aveva detto, ed era evidente che non sapeva molto. "Harry dice che sono tutte chiacchiere e si rifiuta di dare ulteriori informazioni. Oh, Dio mio, che tragedia! E per giunta, quella storia dell'altro giorno..." «Mi aveva spiegato che, due giorni prima, era accaduto uno spiacevole incidente di cui non aveva compreso il significato causato da un ortolano, un certo Jules Fresnac, uomo sposato, padre di una ragazza di diciassette anni e di un maschio di sedici. Questo Fresnac forniva verdura e uova a Beauregard, e la signorina Seton era sempre stata molto gentile con lui e la sua famiglia. Ora, mentre due giorni prima lui stava guidando il suo carro sulla strada maestra, aveva incrociato la ragazza ed era sceso da cassetta, tutto congestionato, per coprirla d'ingiurie. La cameriera della signora Brooke aveva assistito da lontano alla scena, e l'aveva riferita alla padrona, senza essere in grado però di ripeterle le parole dell'uomo. «L'unica cosa certa era che l'uomo gridava ed era fuori di sé. L'aveva anche visto chinarsi a raccogliere un sasso e scagliarlo contro la signorina Seton, che era fuggita senza attendere il peggio.» Il professor Rigaud si concesse una pausa. «Deliziosa storiella, eh?» disse infine. «E che lascia supporre di peggio! Torniamo alla signora Brooke; mi aveva raccontato che il marito era tornato dalla banca con la borsa piena di denaro e le aveva annunciato che, alle quattro, avrebbe avuto, alla Torre di Enrico Quarto, una spiegazione in piena regola con la signorina Seton. Poi era salito nella camera di Harry, credendo di trovarvelo. Ne era ridisceso con le pive nel sacco, con la faccia sconvolta e invecchiata, camminando con passo incerto, come malato. Poi, si era diretto alla Torre. «Cinque minuti dopo Harry era ricomparso, veniva dal garage dove aveva eseguito una piccola riparazione all'automobile. La signora Brooke lo aveva informato che il padre l'aveva cercato, e lui aveva esitato un attimo, borbottando parole incomprensibili, poi si era avviato a raggiungerlo. Nessuno, nel frattempo, aveva visto Fay Seton. E la povera donna, piangendo, aveva cominciato a gemere ed ad alzare le braccia verso di me, come per implorarmi: "Signor Rigaud, siete il nostro unico amico, qui; ve ne prego, fate qualche cosa, andate a trovarli; sento che accadrà qualcosa di terribile".
«Mi aveva assegnato un incarico davvero piacevole. Intervenire in una faccenda simile e senza sapere niente di preciso! Ma non avevo potuto rifiutare. Me ne ero andato, a mia volta, verso il fiume. La Torre era poco accogliente, un vero nido di civette. Avevo inciampato nelle pietre seminate tra l'erba tutto in giro. Nessuna porta, se si esclude una breccia nel muro verso ovest, cioè sul lato lontano dal fiume. Avvicinandomi avevo scorto Fay Seton, che era uscita dalle vecchie pietre con un vestito di seta a fiori e sandali di pelle bianca. Portava sul braccio il costume da bagno e un accappatoio, ma non doveva avere fatto il bagno, perché tanto l'accappatoio quanto i suoi capelli erano asciutti. Avevo notato che sembrava oppressa e respirava a fatica. Un po' imbarazzato di sorprenderla in quel luogo, le avevo spiegato che cercavo Harry e suo padre. Mi aveva fissato a lungo, prima di rispondermi. "Sono laggiù, sul tetto della Torre" aveva detto infine, e subito aveva aggiunto: "Credo che stiano bisticciando, ma non ho sentito quello che dicevano, non ho osato disturbarli". Poi si era scusata e se ne era andata. «Allora, ero entrato nella Torre o, meglio, in quello che rimaneva, cioè quattro muri diroccati, un tetto piatto e una scala a chiocciola per accedervi. C'era odor di stantio, là dentro, e non c'era che una sedia rotta e qualche panca di legno. Ma filtrava, dalle feritoie, una luce che mi aveva permesso di distinguere i gradini. Sentii l'eco di una violenta disputa sopra la mia testa e chiamai. La mia voce era rintronata in quella specie di imbuto di pietra. La discussione era cessata di colpo. Allora, salii... Per uno che ha il fiato corto, quell'ascensione era stata tutt'altro che facile. Ero giunto sul tetto, attraverso una specie di botola praticata nella pietra e avevo scorto i due Brooke, uno di fronte all'altro. Il padre con ancora addosso il suo impermeabile, come l'avevo visto alla banca, stringeva le labbra in modo severo. Il figlio, senza soprabito, né cappello, stava perorando la sua causa. Erano tutti e due pallidi e irritati, ma non credo di sbagliare affermando che il mio arrivo, lungi dal contrariarli, li aveva sollevati. "Vi dico..." Era Harry che parlava. «"Vuoi lasciarmi" aveva tagliato corto il padre "regolare questa faccenda a modo mio, sì o no?... Siete voi, professor Rigaud?" «"Sì, amico mio, sono io!" «"Usatemi la cortesia di allontanare mio figlio, finché io non abbia fatto quel che penso sia mio dovere." «"Certo, ma dove devo condurlo?" «"Non ha importanza" aveva risposto Brooke, volgendomi le spalle.
«Avevo dato un'occhiata al mio orologio; erano le quattro meno dieci. L'appuntamento con Fay Seton era fissato per le quattro. Era evidente che Brooke voleva aspettarla. Quanto a Harry, non avevo mai visto un uomo così scoraggiato, vinto. La sua disperazione era evidente. Lo condussi via con me, senza che opponesse alcuna resistenza. «Ora, permettetemi di descrivervi le cose, esattamente come stavano, prima di scendere; Brooke stava in piedi, volgendoci le spalle, sulla piattaforma circondata da un parapetto ad altezza d'uomo le cui pietre erano ricoperte da iscrizioni tracciate dai visitatori. Aveva appoggiato al muro, da una parte, il bastone di legno chiaro e, dall'altra, la borsa di pelle nera, gonfia di carte: vedete la scena? Bene! «Harry e io avevamo raggiunto il bosco di castagni che si stende a ovest e a nord della Torre, oltre il prato. La pioggia incominciava a cadere fitta e, sotto il fogliame che ci proteggeva, era quasi buio. La curiosità mi rodeva e avevo insistito con il giovane perché mi mettesse al corrente dei motivi dell'atteggiamento di suo padre verso Fay Seton. «Dapprima, era sembrato che lui volesse eludere le mie domande. «Si contentava di chiudere e aprire le mani, e di ripetere che tutta quella faccenda era assurda e che non valeva la pena di parlarne. «"Harry" gli avevo chiesto, allora "noi abbiamo chiacchierato parecchio di letteratura, di criminologia e di occultismo. Abbiamo avuto lunghe discussioni su ogni argomento e mi stupisco che non abbiate ancora compreso che, in questo mondo, le cose che provocano le maggiori disgrazie sono proprio quelle che sembrano troppo stupide perché valga la pena di parlarne." Harry aveva risposto, con uno sguardo strano: "Ah! Ah! Avete forse sentito la storia dell'ortolano Jules Fresnac?". «"Vostra madre me ne ha fatto cenno, ma non sono ancora riuscito a capire che razza d'insetto abbia punto Jules Fresnac?" «"Jules Fresnac" aveva cominciato Harry "ha un figlio di sedici anni..." ma non aveva finito la sua frase; dai boschi vicini si era udito il grido di un fanciullo... un grido acuto che mi aveva fatto sobbalzare come se tutti i muscoli del mio corpo si fossero contratti contemporaneamente. Credevo di avere scongiurato il pericolo, allontanando Howard Brooke, Harry e Fay Seton per evitare che si facessero del male! «Corremmo, Harry e io, nella direzione delle grida e arrivammo sul prato, vicino alla Torre. Ci trovammo un assembramento di persone e fummo subito messi al corrente dell'accaduto. «Una famiglia dei dintorni, i Lambert, composta del padre, della madre,
di una nipote, della nuora e di quattro ragazzi, era venuta a fare merenda nei boschi di Beauregard, nonostante il tempo minaccioso. Nascosti, da principio, sotto gli alberi, per non essere sorpresi in una proprietà privata, avevano atteso il momento in cui Fay Seton, Harry Brooke e io ci eravamo allontanati per sparpagliarsi sul prato. I più giovani dei quattro ragazzi avevano allora deciso di esplorare la Torre e avevano scoperto, sul tetto, il corpo sanguinante di un uomo. «Questo aveva provocato gli urli. «Senza ascoltare altro, ero balzato sulla scala e mi ero messo a salire i vecchi gradini, con tutta la velocità consentitami. Ricordo ancora che un'idea mi aveva attraversato la mente: perché Howard Brooke, che era al corrente del difetto cardiaco della sua segretaria, le aveva dato appuntamento in un luogo dall'accesso così malagevole? «Sulla piattaforma giaceva il corpo di Brooke. Era agitato da tremiti, viveva ancora. Faccia a terra, presentava il dorso e nel tessuto dell'impermeabile macchiato di sangue si poteva vedere, sotto la scapola sinistra, un taglio prodotto dall'arma che lo aveva colpito. «Ho forse detto, durante il racconto, che il bastone del mio amico era un bastone con stocco? L'assassino l'aveva sguainato e la lama, tinta di rosso, giaceva al suolo vicino al piede destro del ferito. La borsa di pelle con i fasci di biglietti era scomparsa. «Avevo visto tutta la scena in una specie di foschia mentre, di sotto, la famiglia Lambert continuava a gridare. Erano esattamente le quattro e sei minuti. Avevo preso nota del fatto, non per istinto poliziesco, ma perché mi ero chiesto se Fay Seton fosse stata puntuale all'appuntamento. «Ero corso dal mio amico e lo avevo sollevato con precauzione. Aveva avuto la forza di sorridermi e aveva tentato di parlare. Ma tutto quello che era riuscito a dirmi, erano state queste due parole: "Brutta faccenda!". «Harry mi raggiunse poco dopo: inginocchiato nella chiazza di sangue, chiese a suo padre: "Chi è stato, babbo?" ma il poveretto non poteva più rispondere ed era morto qualche minuto dopo, nelle braccia del figlio, al quale si era aggrappato disperatamente.» Il professor Rigaud riprese fiato. Poi, in tono di profonda gravità, soggiunse: «E ora, fate bene attenzione a quanto vi dirò! Sappiamo che Brooke era in perfetta salute quando lo avevamo lasciato, alle quattro meno dieci. La persona che lo ha ucciso, quindi, doveva essere salita sulla Torre poco dopo, e doveva avere approfittato del fatto che lui volgeva le spalle per e-
strarre il pugnale dal bastone e trafiggerlo. La polizia scoprì che alcuni frammenti di pietra mancavano dal parapetto, come se qualcuno li avesse staccati scalando il muro. Tutto doveva essere avvenuto tra le quattro meno dieci e le quattro e cinque, ora in cui i ragazzi avevano scoperto Brooke moribondo nella Torre.» Il professore inclinò in avanti la propria seggiola. «E tuttavia» concluse «fu provato che, durante quei quindici minuti, nessuno... assolutamente nessuno si era avvicinato a lui.» IV «Mi capite?» insisté Rigaud, facendo schioccare le dita, per attrarre l'attenzione. Miles Hammond sembrò svegliarsi. La forza evocativa del racconto era stata tale che lui vagava ben lungi dal ristorante Beltring. E lo scroscio della pioggia che cadeva in quel momento gli era sembrato quello della pioggia sulla Torre di Enrico Quarto. Si stupì di sentire con tale intensità il dramma che era stato rievocato in sua presenza e si sorprese a parteggiare per Howard Brooke, come se si fosse trattato di uno dei suoi migliori amici. «Scusate» disse. «Avreste la cortesia di ripetere l'ultima frase?» «Con piacere» rispose il professore che si lasciò sfuggire un risolino sardonico. «Ho detto che venne provato come, in quei quindici minuti, nessuno si era avvicinato a Howard Brooke.» «Nessuno si era avvicinato a lui?» «No!... E nessuno avrebbe potuto farlo. È rimasto assolutamente solo, in cima alla Torre.» «Diamine!» esclamò Miles, raddrizzandosi. «Cerchiamo di fare un po' di luce in questa faccenda! Voi dite che aveva ricevuto un colpo di spada nella schiena?» «Precisamente» rispose il professore «e sono anche in grado di mostrarvi l'arma del delitto.» Con una certa enfasi allungò la mano verso il grosso bastone di legno chiaro che aveva appoggiato al tavolo. «Oh!» esclamò Barbara Morell «è...» «Sì» disse il professore «precisamente il bastone del signor Brooke; anch'io sono un collezionista di questa specie di ricordi. Che ne dite?» Con un gesto teatrale Rigaud prese il bastone, ne svitò l'impugnatura e
fece uscire dalla guaina la lama lunga e tagliente che posò sulla tovaglia con reverenza. Era evidente che non era stata pulita da anni; il metallo era ossidato e Miles poté scorgere le macchie brune che il sangue vi aveva lasciato. «Non è una magnifica reliquia?» esclamò il professore, fregandosi le mani. «Se guardate attentamente, vedrete delle macchie di sangue anche nel fodero. Avvicinatelo alla luce...» / Barbara tirò indietro la sedia. «Perché portate in giro simili orrori?» domandò. «Si direbbe che godiate a esibirli...» «Come?» si stupì ingenuamente il professore. «Non vi piace?» «Oh, per niente... Mi fareste un vero favore a riporre quest'arma.» «Scusatemi, ma avevo pensato che un'invitata del Club del Delitto...» Miles, sorpreso, guardava la ragazza in piedi; le mani le si contraevano sullo schienale della sedia. A diverse riprese aveva notato in lei, durante il racconto del professore, segni di nervosismo. Non aveva mai smesso di fumare, e, quando Rigaud aveva riferito la scena tra Jules Fresnac e Fay Seton, Barbara si era protesa come per raccogliere un oggetto caduto sotto la tavola. «Spiegatevi apertamente» diceva il professore in tono incoraggiante. «Perché vi è così sgradevole la vista di un'arma che è servita a commettere un delitto?» Barbara ebbe un sorriso forzato. «Trovo che questi particolari diano troppo verismo al delitto» disse finalmente. «Meglio non metterli tanto in evidenza. Della stessa opinione sono anche gli autori di romanzi gialli, credo...» «Siete una scrittrice, signorina Morell?» «No... non precisamente!» si schermì la ragazza, ridendo. «Ma, per tornare alla vostra storia, c'è stato davvero un delitto? Chi è stato? Forse Fay Seton?» Il professore non rispose subito. Guardava la ragazza con aria indecisa, poi sospirò. «Che volete che vi dica? Ho già insistito sul fatto che quella ragazza non era una criminale... almeno nel senso comune della parola.» «Oh, almeno questo è accertato!» disse Barbara Morell. «Come accertato?» protestò Miles. «Non sono d'accordo. Il professore ha affermato che nessuno ha potuto avvicinare la vittima...» «Questo non potrà essere messo in dubbio» precisò Rigaud. «Come potete esserne certo?»
«Dalle testimonianze... tra l'altro.» «Quali testimonianze?» Dando un'occhiata a Barbara, il professore prese lo stocco e lo fece scomparire nel bastone. Dopo aver accuratamente riavvitata l'impugnatura, lo riappoggiò alla tavola. «Non negherete, mio giovane amico, che io sia un discreto osservatore?» «No» disse Miles sorridendo. «Ve lo concedo senza discutere.» «Beh, lo vedrete anche meglio in seguito!... E spero che mi crederete se affermo che non c'era nessuno nella Torre, né sul tetto, dove avevamo lasciato il signor Brooke. Lo stesso dicasi per il momento in cui eravamo tornati, alle quattro e cinque. Posso giurarvi che nessun criminale vi si era nascosto, aspettando il momento propizio per svignarsela. Dopo la scoperta del corpo, avevo mandato Harry a prevenire sua madre e ad avvisare la polizia. Rimanemmo in nove, la famiglia Lambert al gran completo e io a sorvegliare i dintorni della Torre fino all'arrivo della polizia. Mi direte che l'assassino sarebbe potuto fuggire prima! No, perché nel momento in cui, alle quattro meno dieci, mi ero allontanato assieme a Harry, i Lambert si erano sparpagliati nel prato e - io stesso li ho interrogati - non lo avevano lasciato un solo istante. Il prato non era così grande per cui una persona ci si potesse introdurre sotto i loro occhi senza che se ne accorgessero. Così, salvo ammettere la colpevolezza di uno dei membri della famiglia Lambert con la complicità di tutti gli altri...» Miles socchiuse la bocca per intervenire ma il professore non gliene lasciò il tempo. «Vedo dove volete arrivare» disse. «State per obiettarmi di certo che il lato della Torre verso il fiume non era sottoposto a sorveglianza.» «Appunto» rispose Miles. «È chiaro che l'assassino ha scalato il muro da quella parte. Non ci avete forse dichiarato un momento fa che il parapetto portava tracce di recente sgretolamento, come se qualcuno lo avesse scavalcato?» «Ahimè! Mi spiace disilludervi. Perché tale ipotesi fosse ammissibile bisognerebbe che, per prima cosa, un'imbarcazione si fosse avvicinata ai piedi della Torre; ed è evidente che in questo caso sarebbe stata vista. Inoltre, la parete della Torre, che è alta circa dodici metri, è liscia e non offre appigli. La feritoia più bassa si trova a circa sette metri dall'acqua. Come avrebbe potuto il vostro assassino salire e scendere una volta compiuto il misfatto?» «Ma, insomma! Brooke è stato pur ucciso da qualcuno!» esclamò Miles.
«Non pretenderete che questo delitto sia stato commesso da un...» «Da cosa?» La domanda era stata fatta con tale prontezza che Miles trasalì. Gli sembrò che Rigaud si sforzasse di indurlo a pronunciare una determinata parola. «Quel che intendevo dire» precisò «è che il delitto non può essere stato commesso da un essere soprannaturale, che avesse la possibilità di librarsi in aria...» «Strano che scegliate proprio questi termini!» «Mi permettete di interrompervi?» chiese Barbara che giocherellava con i bordi della tovaglia: «Secondo me, è importante stabilire se Fay Seton si era recata all'appuntamento». «Quel che è certo, è che non fu vista...» «Ma ci era andata?» «Sì, un po' più tardi... quando tutto era finito.» «Dov'era, quindi, durante tutto quel tempo?» «Ah, ah! Eccoci al punto!» esclamò il professore. Eccoci giunti al punto più allucinante del mistero. Perché quel che appassiona in una simile faccenda non sono gli indizi materiali. No!... ma piuttosto l'elemento umano... le relazioni delle persone, i meccanismi del loro pensiero. Prendiamo in esame, per esempio, il caso di Fay Seton. Potreste descrivermi il suo stato d'animo?» «Mi sarebbe impossibile, finché non saprò che cosa aveva fatto per sconvolgere tutta la zona e modificare i sentimenti delle persone. Lo sapete voi?» «Sì» convenne il professore. «Lo so.» «E dove si trovava al momento del delitto?» riprese Miles; nella sua mente le domande si incalzavano. «Che parte le attribuì la polizia nella faccenda? Che cosa ne fu del suo idillio con il giovane Harry? Quale fu, insomma, lo sviluppo della storia?» «Ve lo dirò» promise il professore. «Ma prima, beviamo qualcosa. Ho la gola asciutta... Ehi! Cameriere!» Benché la chiamata del professore, fatta con voce squillante, avesse fatto vacillare la fiamma delle candele, non ebbe risposta. Antoine Rigaud la ripeté senza successo; si sentiva solo il rumore della pioggia contro i vetri. «Perbacco!» borbottò Rigaud, cercando con gli occhi un campanello.
«A dire il vero» notò Barbara con dolcezza «mi stupisco che non ci abbiano già messo alla porta da un pezzo. Bisogna convenire che il Club del Delitto gode di privilegi eccezionali... Sono certamente quasi le undici.» «Effettivamente sono quasi le undici» constatò il professore, alzandosi di scatto. «Non incomodatevi, andrò io a cercare il cameriere.» La porta a doppio battente si chiuse alle sue spalle e di nuovo le fiamme delle candele si agitarono. Miles, che si era avviato con l'idea di precedere il professore, incontrò lo sguardo di Barbara. La ragazza allungò una mano per trattenerlo. Malgrado non avesse pronunciato nemmeno una parola, il suo compagno comprese che lei desiderava parlargli e si sedette. «Ebbene, signorina Morell?» «Non so da dove cominciare...» balbettò la ragazza. «Se mi permetteste di aiutarvi?» propose Hammond con un sorriso che riteneva irresistibile. «Che cosa intendete dire?» «Non voglio avere l'aria di immischiarmi nelle vostre faccende, signorina Morell ma, in confidenza, convenite che vi interessate più a Fay Seton che al Club del Delitto!» «Che cosa ve lo fa pensare?» «Non ho indovinato? Credo che anche il professore se ne sia accorto.» «Beh, sì, è vero!» confessò la ragazza. «Vi devo una spiegazione, e intendo darvela. Ma prima vorrei farvi una domanda molto indiscreta e non so decidermi...» «Coraggio: sto aspettando.» «Quella fotografia vi affascina, vero?» disse Barbara indicando il ritratto di Fay Seton. «Ehm!... sì. In un certo senso, sì.» «Vi state certo domandando che cosa deve provare un uomo innamorato di quella donna?» Se la prima domanda di Barbara era un po' sconcertante, la seconda sbalordì Miles Hammond. «Avete il dono di leggere nel pensiero altrui?» «Scusatemi. Ma non ho ragione?» «No... Un momento! Voi correte troppo...» disse Miles divertito dalla serietà della giovane. «Perché mi fate questa domanda?» «A proposito di una cosa che avete detto al principio della serata... Oh, non tentate di ricordarlo. Può anche darsi che io mi sbagli. Quando sono
stanca, la mia immaginazione mi gioca di questi scherzi. Dimenticate la mia indiscrezione.» «Bisogna che vi spieghi, signorina Morell... io sono uno storico...» «Oh!» fece la ragazza in tono ammirato. «Forse è un modo molto immodesto di presentarmi» continuò Miles con qualche esitazione. «Ma è così. Il mondo in cui vivo si compone di persone che non ho mai conosciuto. Il mio lavoro consiste nel tentare di ricostruire la mentalità degli uomini e delle donne che erano polvere già prima della mia nascita. In quanto a questa Fay...» «È molto seducente, vero?» «Trovate?» domandò Miles. «In ogni caso, la riproduzione è notevole. È raro che le fotografie a colori riescano così bene. Ma, per tornare alla nostra discussione, quella ragazza non è per noi più reale che una lontana figura storica. Non sappiamo nemmeno se sia ancora viva...» «Già» disse la ragazza. «Il professore ha omesso di dircelo.» Si alzò lentamente, con un sospiro. «Vi prego, ancora una volta, di dimenticare le mie domande assurde» implorò. «Erano dovute a una di quelle idee balzane che ci vengono talvolta... Che strana serata, vero? Quel professore sa davvero gettare un incantesimo! A proposito» aggiunse «non vi sembra che ci metta troppo tempo a trovare il cameriere?» Miles Hammond si alzò e chiamò due volte il professore Rigaud. Ma anche a lui pervenne solo il rumore della pioggia nei canali di scolo di Romilly Street. V Miles si diresse alla porta che spalancò. La stanza vicina era deserta e debolmente illuminata. La lunga tavola era stata sbarazzata dalla tovaglia. «Sì, strana serata!» disse Miles. «Potete ben dirlo. Dapprima, scompaiono i membri del Club del Delitto, poi il professore... Si potrebbe evidentemente spiegare la sua scomparsa con il più prosaico dei motivi. Tuttavia...» In quel mentre la porta di mogano che comunicava con l'ingresso si aprì per dare accesso a Frédéric, il maître, il cui sguardo era saturo di rimprovero. «Il signor professor Rigaud è di sotto» annunciò. «Sta telefonando.» Barbara, che si era attardata un attimo per raccogliere la borsetta e spe-
gnere una delle candele che aveva cominciato a fumare, si affrettò a raggiungere Miles. Si fermò di botto e ripeté: «Sta telefonando?» «Sì, signorina» rispose Frédéric. «Ma» obiettò la ragazza «credevo che fosse sceso per dire che ci portassero qualcosa da bere.» «Proprio così, ma mentre stava passando l'ordinazione, qualcuno l'ha chiamato al telefono.» «Ah! Non sapete per caso chi sia?» «Sì, credo il dottor Gideon Fell, il segretario onorario del Club. Il dottore aveva saputo che il professor Rigaud l'aveva cercato all'inizio della serata e quindi desiderava parlargli. Mi è sembrato che il signor Rigaud fosse arrabbiato...» «Dio mio!» mormorò Barbara, costernata. Per nascondere il suo turbamento, assunse un'aria disinvolta e si allontanò per prendere da una delle sedie di broccato rosa il soprabito e l'ombrello. «Sono desolata» disse a Miles. «Bisogna che me ne vada.» «Che?» esclamò il giovanotto. «Non potete farlo! Che dirà il professore, non trovandovi al suo ritorno?» «Non lo so ma, in cambio, so molto bene quello che mi direbbe se mi trovasse qui» disse la ragazza con convinzione. «Ho avuto molto piacere e...» balbettò e arrossì di confusione. La borsetta le sfuggì di mano; il contenuto si sparpagliò sul tappeto. Miles frenò una tremenda voglia di ridere. Aveva scoperto la chiave del mistero. Quando ebbe finito di raccattare gli oggetti sparsi al suolo, chiese: «Siete stata voi dunque a combinare questo convegno... triangolare?» «Io? Combinare questo convegno?» «Siete stata voi a sabotare la seduta del Club, perbacco! Vi siete sbarazzata del dottor Fell e del giudice Coleman e di tutti i membri del Club. Volevate essere la prima a sentire la storia del professor Rigaud. E, siccome sapevate che non era nelle abitudini del Club del Delitto convocare invitati... avevate fatto i conti senza di me...» «Vi prego» disse la ragazza, con la massima serietà. «Non prendetemi in giro.» Scrollò vigorosamente il braccio su cui il giovanotto aveva posato una mano e corse alla porta. Il maître, che fissava il soffitto con freddi occhi di
basilisco, si trasse in disparte per cederle il passo. Miles si precipitò dietro di lei. «Ehi! Aspettate! Non era un rimprovero che intendevo farvi...» Ma la ragazza stava volando giù per la scala che conduceva all'uscita su Greek Street. Hammond si guardò attorno disperatamente, arraffando impermeabile e cappello e incontrò, prima di uscire, il viso di Frédéric, che esprimeva un'eloquente disapprovazione. «I pranzi del Club del Delitto sono compresi nelle spese di casa» domandò «oppure ciascuno paga la sua quota?» «Generalmente, ogni membro paga la sua parte» rispose il direttore «ma questa sera...» «So, so...» disse Miles, mettendogli in mano alcune banconote. «Tenete! Questo dovrebbe bastare a coprire tutte, le spese. Presentate i miei omaggi al professore e ditegli che gli telefonerò domattina per scusarmi. Non so in quale albergo alloggi, ma troverò in qualche modo il suo indirizzo... Vi ho dato denaro a sufficienza, o no?» «Anche troppo, signore. Inoltre...» Ma il giovane non aveva il tempo di ascoltare oltre. Salutò in fretta lo sbalordito maître, affrettò il passo e giunse in tempo per vedere allontanarsi il vestito bianco di Barbara che sporgeva dal suo mantello da sera. Allora si mise le gambe in spalla e, mentre stava per raggiungere la ragazza, gli passò accanto un tassì. Senza sperarci troppo, gli fece un cenno ed ebbe la piacevole sorpresa di vederlo rallentare e fermarsi. Con la sinistra si impadronì di un braccio di Barbara Morell e la trascinò verso la vettura. «Che razza di modi!» lo rimproverò. «Mi permetterete di riaccompagnarvi a casa. Dove abitate?» La sincerità del suo accento vinse la resistenza della ragazza. «A Saint John's Wood» rispose «ma...» «Niente da fare!» esclamò l'autista con la faccia contrita. «Io vado dalle parti di Victoria e ho la benzina appena sufficiente per arrivare a casa!» «Sta bene; potrete sempre condurci fino a Piccadilly Circus...» La portiera fu chiusa con un tonfo e l'automobile si avviò. «Dovete avere una voglia matta di uccidermi» mormorò Barbara, con la caratteristica inflessione di voce della bimba colta in fallo. «Ma no, cara bambina. Lungi da me una simile idea! Anzi... Le circostanze ci hanno reso la vita tanto impossibile, che siamo grati alla sorte per la più piccola rivincita...»
«Non vi capisco...» «Mi spiego. Quelle tredici personalità, alle quali avete mandato a monte la serata... come dire... è una specie di consolazione per un comune mortale. Mi fa lo stesso effetto che se sentissi raccontare, ma l'ipotesi è assurda, che un esimio personaggio non sia riuscito a ottenere che gli riservino un posto a teatro e sia stato obbligato a fare la coda, in strada... sotto la pioggia...» «Siete gentile!» mormorò Barbara. «Non cerco di essere gentile» borbottò Miles. «È una cosa che sento istintivamente.» «Ma il povero professore...» «Riconosco che non ci siamo comportati molto bene con il professore. Devo trovare il modo di farci perdonare... Ma a parte questo, signorina Morell, devo dirvi che, pur ignorando i motivi che vi hanno indotto ad agire così, vi assolvo pienamente. Avrei, tuttavia, due appunti da farvi...» «Quali?» «Primo: avete avuto torto a non confidarvi con Fell. È un tipo molto in gamba e avrebbe certamente simpatizzato con voi. Questa storia lo avrebbe interessato al massimo! Ammesso che sia vera... Perché può darsi che si tratti di un sogno fatto dal professore, o di una mistificazione per prenderci in giro. Se aveste detto al dottor Fell...» «Ma io non conosco il dottor Fell... Vi ho mentito anche in questo.» «Non ha importanza.» «Ma sì, è importantissimo!» esclamò Barbara, coprendosi il volto con le mani. «Non conosco nessuno dei membri del Club, ma avevo saputo per caso che il professor Rigaud doveva parlare del caso Brooke. Ho telefonato a tutti i soci, spacciandomi per la segretaria del dottor Fell, avvertendoli che il pranzo era rimandato. Per il dottor Fell, la cosa fu un po' più difficile. Gli ho parlato da parte del Presidente... E avevo una tremenda paura che l'uno o l'altro dei soci gli telefonasse, per chiedere la ragione del rinvio.» Tacque e, senza guardare il suo interlocutore, soggiunse lentamente: «Non crediate che mi sia affannata tanto per il solo piacere di fare un brutto scherzo». «Non ne ho ancora avuto nemmeno il più vago sospetto.» «Davvero?» esclamò Barbara. Il tassì era scosso da continui sbalzi. I fari di un'automobile che passava vicina, in senso contrario, ne illuminarono l'interno. Miles poté vedere, per un secondo, il viso della sua compagna volto verso di lui. Poté scorgervi
un misto di paura, confusione, soggezione e un'evidente simpatia. Nessun dubbio che avesse ancora qualcosa da confidare, ma non lo fece e si limitò a chiedere con tono neutro: «E l'altro rimprovero? Non mi avevate detto che erano due i rimproveri da farmi?». «Sì» rispose Hammond. «Il racconto del professore, voi l'avete intuito, mi ha appassionato. Quindi, siccome il professor Rigaud ha dei buoni motivi per volercene a tutti e due...» «Voi non saprete mai la fine della storia: è questo che volevate dire?» «Precisamente!» «Capisco» rispose la ragazza, giocherellando con la chiusura della sua borsa, gli occhi lucidi come se trattenesse a stento le lacrime. «Dove siete alloggiato a Londra?» «Al "Berkeley". Ma torno domani a New Forest. Mia sorella e il suo fidanzato mi raggiungono qui e poi ripartiremo insieme nel pomeriggio. Perché me lo chiedete?» «Perché, forse, avrete bisogno di me. Ecco qui qualcosa» soggiunse aprendo la borsetta e traendone un manoscritto «qualcosa che vi interesserà; è la relazione che il professor Rigaud aveva preparato per l'archivio del Club. L'ho... l'ho sottratta nel momento in cui vi siete alzato per andare a cercare il professore. Avevo intenzione di mandarvela non appena l'avessi letta, ma dal momento che ho saputo l'unica cosa che desideravo sapere...» e gli mise nelle mani il manoscritto. «Tenetelo voi» aggiunse. «Non posso più far nulla... No, non vedo proprio cosa potrei fare.» Con uno spaventoso stridere di freni, l'autopubblica si fermò davanti all'entrata della stazione della metropolitana di Piccadilly Circus e Barbara balzò fuori dalla vettura. «Non accompagnatemi» supplicò. «Prenderò la metropolitana che mi deporrà a due passi da casa. Siccome il tassì va nella vostra direzione... Hotel Berkeley!» gridò all'autista. La portiera si rinchiuse davanti alle facce sbalordite di otto soldati americani. Miles scorse per un attimo il viso della ragazza che gli sorrideva, poi la giovane si perse nella folla. Il giovane aveva ancora in mano la relazione del professor Rigaud e sembrava che la carta gli bruciasse le dita. Immaginava il giusto sdegno del brav'uomo che, ignorando i motivi che avevano indotto la signorina Morell a comportarsi in quel modo, doveva ritenersi vittima di un tiro di pessimo gusto giocatogli da due sconosciuti. Nemmeno Hammond riu-
sciva a intuire i motivi di Barbara Morell, ma era convinto che soltanto una ragione imperiosa e profondamente onesta poteva aver spinto la ragazza a mettere in piedi l'imbroglio. Ricordava la strana domanda che lei gli aveva posto: "Vi state domandando, senza dubbio, che cosa debba provare un uomo innamorato di quella ragazza?" «E poi, basta!» borbottò, scrollando le spalle. «Che m'importa di questa storia, in fondo?» Certo, le domande s'incalzavano nel suo cervello. Era mai stato svelato il mistero della morte di Howard Brooke? Erano riusciti a scoprire l'autore del delitto e il mezzo con il quale lo aveva commesso? In ogni caso, il professor Rigaud non pareva saperlo. Aveva dichiarato, è vero, di sapere che cosa si rimproverasse a Fay Seton e tuttavia, secondo lui, quella ragazza non aveva nulla della criminale... almeno secondo il senso corrente della parola. Che cosa sperava di scoprire lui, Hammond, nella relazione del professore? Forse i particolari dell'inchiesta, o qualche rivelazione piccante sul conto della bella ragazza dai capelli tizianeschi? No, proprio no! Miles si sentì improvvisamente disgustato. Voleva trovar pace. Obbedendo a un impulso irrefrenabile bussò al vetro che lo divideva dall'autista. «Se avete abbastanza benzina per ricondurmi al ristorante Beltring prima di andare al Berkeley, vi pagherò corsa doppia» disse. L'autista esitò, irritato e contemporaneamente allettato dalla proposta di Miles. Infine rallentò, fece il giro della statua di Eros e risalì per Shaftesbury Avenue. La nuova risoluzione diede le ali al giovane. Siccome, tutto sommato, era trascorso pochissimo tempo da quando Barbara e lui avevano lasciato il ristorante, il professore doveva trovarsi ancora lì. Salì di corsa le scale che portavano al Club. Nell'atrio trovò un ragazzo dall'aria intontita che si disponeva a chiudere. «Il professor Rigaud è ancora qui?» chiese Miles. «È un francese, un signore piuttosto tarchiato con i baffetti corti. Ha un bastone giallo...» «È giù al bar, signore» rispose il ragazzo, guardando Miles con curiosità. «Bene! Usatemi la gentilezza di consegnargli questo» disse Hammond porgendo il manoscritto piegato in due. «Spiegategli che è stato portato via per sbaglio. Grazie.» Dopo di che uscì, riaccese la pipa e salì nell'autopubblica che lo con-
dusse al Berkeley. Si sentiva meglio, quasi sollevato. "Domani" pensava "ultimate le mie faccende a Londra, andrò alla stazione a ricevere Marion e Steve..." L'idea di ritrovarsi presto nella sua casetta di New Forest gli sembrava tanto confortevole quanto quella di un bel bagno in una giornata afosa. Il delitto della Torre di Enrico Quarto aveva cessato di preoccuparlo e la misteriosa personalità di Fay Seton non turbava più la sua immaginazione. Domani, a quell'ora, sarebbe stato a casa sua. Domani... Il tassì si fermò davanti al Berkeley. Miles pagò l'autista e, siccome l'atrio dell'albergo gli sembrò ancora animato, fece il giro dell'edificio per entrare dalla porta di Berkeley Square. Non desiderava proprio incontrare gente. Aveva appena ritirato la chiave e stava chiedendosi se dovesse bere un whisky o meno prima di coricarsi quando il segretario uscì dal suo ufficio, tenendo in mano un foglio di carta. «Signor Hammond!» «Sì?...» L'uomo esaminava il foglio, come se stentasse a decifrare la propria scrittura. «C'è un'ambasciata per voi» disse. «Avevate chiesto a un ufficio di collocamento di procurarvi una persona per catalogare la vostra biblioteca?» «Sì» convenne Miles «e mi avevano anche promesso di mandarmi in serata un candidato. L'ho atteso a lungo, ma invano. Cosa che, del resto, mi ha fatto far tardi per gli altri impegni che avevo in città.» «La persona è venuta, signore. Si è scusata di essere in ritardo e ha chiesto se può presentarsi domattina. Ha asserito di avere avuto delle difficoltà al momento del rimpatrio dalla Francia...» «Dalla Francia?» «Sì, signore.» Le lancette del pendolo dorato appeso alla parete segnavano le undici e venticinque. Miles Hammond smise di giocherellare con la chiave che aveva in mano e domandò: «La persona ha detto il suo nome?» «Sì, signore: è una certa signorina Fay Seton.» VI
L'indomani, sabato 2 giugno, alle quattro del pomeriggio, Miles giunse alla stazione di Waterloo. Il grosso della folla si era diradato, perché parecchi treni che portavano i londinesi a passare il fine-settimana a Bournemouth erano appena partiti. C'era però ancora qualche coda davanti agli sportelli e una voce femminile dall'inflessione energica, amplificata dai microfoni, gridava istruzioni, affinché i passeggeri non sbagliassero sportello. Disgraziatamente, succedeva quasi ogni volta che, come se lo facessero apposta, un colpo di fischietto intempestivo rendeva inintelligibili gli ordini. Così, gli errori erano abbastanza numerosi e provocavano una certa confusione. In altre circostanze, la scena non avrebbe mancato di divertire Miles. Ma il giovanotto, con la valigia posata a terra al proprio fianco, aspettava il suo turno e guardava davanti a sé con occhi insensibili allo spettacolo. Perché si era lasciato indurre a commettere una tale stravaganza? E che cosa ne avrebbero pensato Marion e Steve? Non c'era nessuno al mondo più equilibrato di Marion e di Steve, e quando Miles li vide apparire sentì dissiparsi completamente tutti i suoi dubbi. Marion Hammond aveva sei o sette anni meno del fratello. Era una bella ragazza bruna, forte e sana, dotata di tutto il senso pratico che mancava al fratello maggiore. Adorava Miles e teneva in serbo per lui i tesori di pazienza che certe mamme usano nei confronti dei bambini ipersensibili. A suo avviso, Miles non era mai uscito dall'infanzia. Naturalmente si guardava bene dal dirglielo, e benché non comprendesse nulla di quanto lui scriveva, era fiera di essere sorella di un autore di opere scientifiche. Miles si chiedeva, talvolta, se Marion non avesse ragione quando dichiarava che i libri non hanno alcuna attinenza con le faccende serie della vita. «Davvero, Miles!» esclamò non appena giunta a portata di voce dal fratello. «Che strana idea, la tua, di farci venire qui a quest'ora! Sono le quattro e cinque...» «Lo so.» «Il nostro treno non parte prima delle cinque e mezzo. Bisogna arrivare un po' prima se si vuol trovare un posto, d'accordo, ma... un'ora e mezzo prima della partenza del treno... Miles, che cos'hai? Stai poco bene?» «Ma no, diamine.» «Allora cos'è che non va?» «Devo parlare a te e a Steve» rispose Hammond. «Venite con me.»
Stephen Curtis trasse di tasca la pipa, evidentemente sorpreso. Doveva essere sulla trentina e, a dispetto della calvizie, argomento sul quale era molto suscettibile, era un uomo abbastanza bello, ma di una bellezza un po' volgare. I suoi baffetti biondi lo facevano somigliare a un pilota della Royal Air Force ma, in effetti, prestava servizio al Ministero delle Informazioni. Era lì che due anni prima aveva conosciuto Marion. Miles li condusse in un ristorante vicino. S'installarono vicino a una finestra e Miles ordinò un tè corretto. «Si tratta di una certa Fay Seton» disse «che è stata immischiata in un caso in Francia, sei anni fa. È stata accusata di cose imprecisate e la faccenda ha provocato del chiasso nella regione. L'ho assunta perché mi riordini la biblioteca.» Ci fu una lunga pausa. Marion e Steve si guardarono, poi guardarono Miles, senza parlare. Finalmente, Stephen si tolse la pipa di bocca per domandare: «Perché?» «Non lo so» rispose Miles, scrollando le spalle. «Avevo deciso di non immischiarmene e mi preparavo a dirle che il posto non era più vacante. Ma sono stato ossessionato dal suo viso tutta la notte.» «Tutta la notte? Quando l'hai vista?» «Questa mattina.» Stephen posò la pipa sul tavolo con infinite precauzioni. «Animo, amico, cerca di tornare in te.» «Oh, Miles!» esclamò Marion. «Che cosa ci stai raccontando?» «Se foste così gentili da lasciarmi parlare!» proseguì Miles. «Fay Seton è bibliotecaria. Ecco perché Barbara Morell e il vecchio Coso hanno fatto quella faccia, quando ho spiegato di essere venuto a Londra in cerca di una bibliotecaria. Ma Barbara è stata anche più pronta del professore. Ha intuito che, data la mancanza di personale nel paese, ci sarebbero state molte probabilità che l'agenzia mi mandasse Fay Seton... visto che Fay Seton si trovava disoccupata. E Barbara non si è sbagliata.» Stephen osservava con una certa ansia il suo futuro cognato. «Se tu cominciassi dal principio...» propose. «Dunque, ieri, venerdì mattina, sei venuto a Londra in cerca di un bibliotecario...» «Aveva ricevuto anche un invito a pranzo al Club del Delitto» precisò Marion. «Sì» disse Miles «ed è lì che ho sentito parlare per la prima volta di Fay
Seton... No, ragazzi miei, non sono pazzo e nella mia storia non c'è niente di misterioso. Ho conosciuto Fay Seton questa mattina...» «E lei ti ha dato della sua parte nel dramma una versione che ti ha toccato il cuore» completò Marion. «Qui ti sbagli, ragazza mia. Lei non sospetta nemmeno che io sappia del suo passato. Siamo rimasti nell'atrio del Berkeley a scambiare solo chiacchiere banali.» «Ah, ah!» esclamò Steve. «È giovane, questa signorina Seton?» «Sì, piuttosto giovane.» «Carina?» «Non c'è male... Ma non è questo che mi ha indotto ad assumerla...» «Ah, davvero?» «No; è stato piuttosto un certo non so che nel suo viso» spiegò Miles, con un gesto vago. «Oh, non ho il tempo di mettervi al corrente di tutti i particolari, ora. Volevo semplicemente dirvi che l'ho assunta e che lei prenderà il nostro stesso treno. Per questo, ho voluto avvertirvi prima.» Stephen e Marion si scambiarono un'occhiata e la ragazza si mise a ridere. Non sembrava affatto contrariata. «Sarà, forse, molto divertente» disse. «Divertente?» esclamò Stephen. «Dimmi, Miles, non ti sei dimenticato di portare le carte annonarie?» «Sì, me ne sono dimenticato» rispose questi, con una punta d'amarezza. «Devo convenire, con dispiacere, che questo particolare mi è sfuggito.» «Non fa niente, caro» concluse Marion in tono rassicurante. «Ci aggiusteremo... Ma... Miles! Se fosse un'avvelenatrice?» Quell'idea era venuta improvvisamente alla ragazza, che alzò sul fratello lo sguardo costernato dei suoi occhi castani. «Diamine, cara Marion» disse Stephen. «Che differenza c'è che si sia ucciso qualcuno avvelenandolo, sparandogli o accoppandolo con un attizzatoio? La cosa importante è...» «Un minuto!» interruppe Miles, che tratteneva a stento la sua agitazione. «Non ho detto che quella ragazza abbia ucciso qualcuno. Al contrario, se capisco qualcosa del carattere umano, è l'ultima persona che sospetterei di avere commesso un delitto.» «Si capisce, caro» rispose Marion con indulgenza. «Sono certa che tu ne sia convinto.» «Non hai ancora finito, Marion, di attribuirmi moventi che non mi sono mai sognato d'avere?»
«Miles, ti prego» implorò Marion. «Siamo in pubblico.» «Sì» rincarò Stephen «faresti bene a parlare un po' più sottovoce!» «Va bene, va bene! Ma...» «Prendi!» disse Marion servendolo. «Bevi il tuo tè e assaggia una di queste tartine. Va meglio, ora?... Tornando alla tua bella bibliotecaria, quanti anni hai detto che ha?» «Poco più di trenta.» «Ed è ridotta a cercarsi un posto? Come mai gli uffici di collocamento non se la sono contesa?» «Perché è stata appena rimpatriata dalla Francia.» «Dalla Francia?... Chissà se ha portato un po' di profumo...» «Ora che ci penso» disse Miles, disinvolto «questa mattina mi è parso che fosse profumata...» «Mi piacerebbe anche sapere qualche particolare sul suo passato, Miles. Abbiamo tempo e le terrò da parte una tazza di tè, a patto che non arrivi all'ultimo momento. Così... non si è mai servita di veleno... Ne sei certo? Steve, caro, non bevi nulla?» «Stammi a sentire, mio caro» disse Steve. «Bisognerà che ci racconti questa storia con tutti i particolari; dovrebbe essere interessante. Quel tizio del Club del Delitto deve saperla lunga in merito. Quanto tempo occorrerà a quella signorina Non-so-chi per mettere in ordine i tuoi vecchi libri?... Una settimana?» Miles lo guardò ridendo. «Per compilare il catalogo di quella vecchia biblioteca, caro Steve, con tutti i riferimenti e le schede, saranno necessari due o tre mesi.» Anche Marion parve sgomenta. «Beh!» borbottò Steve «hai contratto un impegno lungo, ma se te la senti... A proposito, volevo dirvi che questa sera non potrò venire con voi.» «Come mai?» esclamò Marion. «Cara, ho tentato di dirtelo più volte in tassì ma, a quanto sembra, non sei stata creata per ascoltare. C'è trambusto in ufficio e io devo lavorare anche stanotte. Ma vi raggiungerò domattina... Mi sto chiedendo» proseguì in tono faceto «se non sia pericoloso lasciarvi viaggiare con quella persona.» «Stephen!» esclamò Marion con un sorriso forzato «non fare l'idiota.» «Idiota io?» «Perché vuoi che se la prenda con noi, quella Fay Seton?» «Siccome non ho l'onore di conoscerla, non ne so nulla. Probabilmente,
non vi farà alcun male... ma...» e Steve si tormentò i baffi. «Io invece sarò contentissima di avere qualcuno che mi aiuti nelle faccende. Quando Miles ha parlato di un bibliotecario, non so perché, mi venne fatto di pensare a un vecchio con la barba bianca. So quello che farò; le cederò la mia stanza e avrò così un pretesto per installarmi in quell'adorabile camera a pianterreno, nonostante l'odore di vernice fresca. Il tuo Ministero è ben seccante, Steve, ma non credo che quella donna fatale avrà ragione di noi in una sola notte. Con che treno arriverai, domattina?» «Quello delle nove e mezzo... E, ti prego, Marion, di non approfittare della mia assenza per prenderti troppe confidenze con la caldaia della cucina. Ti proibisco di toccarla, capito?» «Sì, Steve; io sono la più dolce delle tue schiave.» «Ah, se dicessi il vero!» sospirò l'eletto e parve scordare il soggetto della sua inquietudine passeggera. «Dimmi, Miles» soggiunse «non potresti condurmi a quel Club? Che ci si fa, tra parentesi?» «Ci si pranza, per esempio, e molto bene.» «E la saliera, invece di sale, contiene arsenico?... Beh, ora me ne devo andare.» «Steve!» disse Marion in un tono che suo fratello conosceva molto bene. «Ho dimenticato una cosa. Devo parlarti: mi scusi un momento, Miles?» Miles Hammond, che non dubitava affatto di essere lui l'argomento di quel colloquio confidenziale, prese un'aria indifferente per nascondere la propria contrarietà. Seguì con lo sguardo la ragazza che si allontanava a fianco di Stephen discutendo animatamente. Stephen rispondeva solo scrollando le spalle di tanto in tanto. Hammond lo vide infine sorridere, congedandosi. «Mi spiace molto di essere stato così sgarbato, Marion» si scusò Miles quando tornò la sorella. «Non c'è di che, tesoro» rispose la ragazza con tenerezza. «Ma, ora che sei solo con la tua sorellina, raccontami la storia di Fay Seton.» «Non c'è niente da raccontare. L'ho vista, mi è sembrato che non mancasse di un certo decoro e, siccome ero convinto che fosse stata calunniata...» «Non le hai detto che sapevi...» «Certo che no, diavolo! D'altronde, nemmeno lei ha accennato alla cosa.» «Ti ha dato referenze?» «Non ne ho chieste. Perché ti interessa tanto?»
«Oh, Miles, Miles!» esclamò Marion scuotendo la testa. «Non ti rendi conto del debole che hai per quasi tutte le donne... Sì, è proprio questo il guaio, non te ne rendi conto, e ciò ti rende ancora più vulnerabile. Oh, non assumere quell'aria seccata. Perché ti risenti ogni volta che cerco di parlarti per il tuo bene?» «Ho orrore di queste eterne analisi... Non posso sopportare che mi si sezioni così.» «Non ti seziono! Mi sono accorta che quella donna ti ha fatto girare la testa e vorrei sapere perché, ecco tutto. Sentiamo, Miles: cos'è quella faccenda nella quale si è trovata immischiata?» Miles volse lo sguardo alla finestra. «Sei anni fa» disse «era stata assunta a Chartres come segretaria di un ricco proprietario di concerie a nome Brooke. Si era fidanzata con il figlio, un nevrastenico. E poi c'erano stati dei pasticci...» «Che genere di pasticci?» «Nessuno lo sa. In ogni modo, io lo ignoro. Fatto sta che un pomeriggio Brooke padre è salito sopra una torre mezza diroccata e... Ma non alluderai a queste cose in presenza della signorina Seton? Non voglio che sappia che noi siamo a conoscenza del dramma.» «Non mi crederai così priva di tatto, Miles» protestò Marion in tono di rimprovero. «Va bene! La scena avvenne in un giorno di tempesta, come nei racconti di fate, e il povero Brooke è stato trovato agonizzante in cima alla torre, trafitto con la sua stessa spada... una spada che aveva sempre con sé, nel bastone. Lo strano è che nessuno può averlo avvicinato, a meno che l'assassino non abbia trovato il mezzo di raggiungere la sommità della torre per le vie dell'aria.» Fece una pausa e vide che Marion lo guardava con occhi sbarrati, tra incredula e spaventata. «Miles Hammond!» esclamò. «Da chi ti sei lasciato montare la testa in questo modo?» «Non ho fatto che riferirti un riassunto dell'inchiesta giudiziaria» rispose Miles a denti stretti. «Ti credo, caro, ma chi ti ha raccontato tutta questa storia?» «Il professor Rigaud, dell'Università di Edimburgo, uno scienziato di grido. Non hai letto la sua Vita di Cagliostro?» «No... Chi era Cagliostro?» "Perché" rifletté tra sé Miles "si tende ad accogliere con esasperazione,
nelle discussioni che si hanno con i membri della propria famiglia, domande che da un estraneo sarebbero accolte con un sorriso di indulgenza?" «Il conte Cagliostro» spiegò pazientemente «era un celebre ciarlatano del secolo decimottavo. Il professor Rigaud dimostra che, benché questo Cagliostro fosse sotto diversi aspetti un impostore di prima forza, non per questo mancava di certi poteri paranormali che...» Gli scoppi di riso di Marion gli troncarono la parola in bocca. «Sì» riconobbe «la cosa può anche sembrare comica.» «Puoi ben dirlo! Per conto mio crederò a questo genere di cose solo quando le vedrò con i miei occhi. Ma non è il conte Cagliostro che mi interessa, bensì la ragazza. Chi è? Com'è? Quale influenza ha sulle persone che la incontrano?» «Potrai giudicarlo tu stessa, Marion» rispose Miles che stava guardando dalla finestra. Accennò con la testa verso il cartello che portava l'orario e le indicazioni del treno delle cinque e trenta per Winchester, Southampton e Bournemouth, e disse lentamente: «Eccola!». VII Il giorno, al tramonto, incupiva d'ombre il parco di Greywood, che del resto nemmeno nelle ore più soleggiate lasciava filtrare la luce solare sul sentiero che conduce il viaggiatore fino a New Forest. Un fiume attraversa la proprietà. Bisogna passare sopra un ponte rustico per vedere sorgere davanti a sé la vecchia dimora bianca con il tetto bruno che spicca sul verde dei prati. E non se ne vede che una delle facciate minori. La casa si rivela interamente solo dopo aver salito qualche gradino lastricato, ed aver fatto il giro di una terrazza; un lungo rettangolo, dalle linee sobrie e armoniose, inquadrato in una cornice di querce e betulle che emana un'impressione di pace e tranquillità. Quella sera soltanto due finestre erano debolmente illuminate da lumi a petrolio, in attesa che fosse riallacciata la corrente elettrica. Tuttavia, il chiarore si precisava a mano a mano che calava la notte. Miles Hammond vagava nella vasta biblioteca, portandosi dietro la lampada il cui chiarore riusciva a illuminare solo una piccola zona della stanza. "Tutto andrà bene" pensava. "Ho fatto bene a farla venire!" Ma che caos attorno a lui! Una biblioteca, quella? Un magazzino, piuttosto, dove il suo defunto zio aveva accumulato durante tutta la vita due o tre mila libri di tutti i generi. C'erano opere antiche dalla carta ingiallita; vo-
lumi nuovi ancora intonsi; alcuni in stato pietoso, lerci o stracciati. Libri di tutti i formati. Un indefinibile sentore di cose vecchie e polverose, un tanfo di muffa saliva da quell'ammasso di carta. Miles alzò la lampada sopra la propria testa per rischiarare fino in cima le pile instabili, di altezza ineguale. Si fermò in mezzo alla stanza, scoraggiato. "Tutto andrà bene, deve andare bene!" ripeté questa volta a voce alta, in tono forzato, come se si fosse imposto di reprimere un moto di collera che disapprovava. La porta si aprì e Fay Seton entrò. «Mi avete chiamato, signor Hammond?» chiese. «Io? No, signorina Seton.» «Scusate; m'era sembrato di udire la vostra voce.» «Si vede che parlavo a me stesso. Volete dare una prima occhiata a questo spaventoso disordine?» Fay Seton rimase sulla soglia, con la testa protesa in avanti. Aveva portato un lume anche lei e lo teneva all'altezza del volto che, così, era in piena luce. Miles ne rimase colpito. Il mattino, al momento del loro colloquio al Berkeley e dopo, in treno, non gli era sembrata meno attraente, ma certo diversa dall'immagine che se ne era fatta. Ora, alla blanda luce di quella lampada era come se la fotografia della sera precedente si fosse improvvisamente animata. Per un attimo la passività di quei lineamenti sotto il sorriso educato scosse stranamente il giovane. «Che confusione!» disse allora per nascondere il suo turbamento. «Mi aspettavo di peggio!» esclamò la ragazza con la sua voce armoniosa. «Avrei dovuto almeno togliere il grosso della polvere, prima del vostro arrivo» cercò di scusarsi Hammond. «Oh, non importa, signor Hammond.» «Se la memoria non mi inganna, mio zio aveva acquistato un classificatore e un numero astronomico di schede. Ma non ha mai cominciato il lavoro di schedario. Sia il classificatore che le schede dovrebbero essere in mezzo a questo guazzabuglio.» «Vedrete che li troverò.» «Volevo anche chiedervi se mia sorella ha fatto tutto il possibile per si-
stemarvi decentemente.» «Oh, sì» rispose Fay Seton, con un sorriso. «La signorina Hammond ha anzi proposto di cedermi la sua stanza e di scendere lei al pianterreno. Naturalmente non potevo accettare, tanto più che, per certe mie ragioni, preferisco rimanere da basso. Non avete nulla in contrario?» «No di certo, Non volete entrare?» «Grazie.» S'inoltrò abilmente tra le cataste barcollanti e la grazia dei suoi movimenti era del tutto spontanea. Posò con delicatezza la lampada su un infolio, sollevando pochissima polvere e si guardò attorno. «Molto interessante» disse. «Che cosa studiava vostro zio?» «Un po' di tutto... quantunque si fosse specializzato nella storia del Medio Evo. Era anche un archeologo quotato. Gli piacevano allo stesso modo gli esercizi fisici, lo sport, il giardinaggio, e giocava a scacchi. Ricordo anche che lo appassionavano i problemi di criminologia... e...» s'interruppe bruscamente e sviò la conversazione. «Spero che vi piacerà, qui, signorina Seton!» «Certo! La signorina Hammond è molto gentile. Mi ha pregata di chiamarla Marion.» Miles non dubitava che la sorella si fosse mostrata gentilissima. Già durante il viaggio e i preparativi della colazione improvvisata Marion aveva chiacchierato continuamente, subissando di cortesie la nuova venuta. Ma Miles, che conosceva la sorella, non cessava per questo di essere inquieto. «Sono desolato per la mancanza di domestici» riprese. «Sapete quanto sia difficile, se non impossibile, trovarne. E per noi, nuovi arrivati, le difficoltà sono maggiori. Non avrei voluto che arrivaste a...» «Ma io ne sono entusiasta» protestò la ragazza. «È molto più intimo. Noi tre soli in questa casa; siamo proprio nel cuore di New Forest, vero?» «Sì.» Con passo incerto, ma sempre con la grazia che caratterizzava tutti i suoi movimenti, Fay si diresse nel dedalo dei libri verso una delle finestre. Appoggiando le mani sul davanzale, si sporse. Non era ancora notte fonda. La terrazza, coltivata a erba e leggermente sopraelevata, arrivava fino a un prato cintato da una rete metallica. Al di là, come una grande massa oscura dalla profondità misteriosa, la foresta li circondava da tutte le parti. «È un bosco molto grande?» «Duemila ettari, circa...» «Stento a crederlo.»
«Succede spesso. Sapete che ci si può passeggiare, e anche perdersi, girando per ore e ore? Non è raro che vengano effettuate battute per ritrovare la gente che vi si è persa. In un paese piccolo come l'Inghilterra sembra inverosimile, eppure lo zio affermava che la cosa era successa diverse volte. Vi confesserò che io stesso, poco pratico della regione, non ho mai osato inoltrarmi molto nel bosco.» «Vi capisco! C'è in questi grandi boschi un qualche cosa di... non so come definirlo.» «Si direbbe una foresta incantata, vero?» «Qualcosa del genere, ecco.» «Guardate nella direzione che vi indico. Poco distante di lì, Guglielmo il Rosso è stato ucciso da una freccia nel corso di una partita di caccia. Alla sua memoria è stato eretto un monumento orribile... Una sera di luna andremo a farci una passeggiata, con Marion naturalmente...» «Sarà bellissimo.» Appoggiata alla finestra, Fay Seton rispondeva senza guardare Miles, con l'aria di qualcuno che non ha ascoltato quello che gli è stato detto. Hammond, al suo fianco, osservava sul candore del suo collo i pesanti capelli tizianeschi ravvivati dalla luce. Il profumo sottile ma penetrante che emanava dalla donna cominciava a turbarlo. Fay Seton parve accorgersene, perché si allontanò e tornò dove aveva posato la lampada. Miles parve assorbirsi nella contemplazione del bosco, ma osservava, riflessa nel vetro della finestra, l'immagine di Fay Seton. La vide prendere un giornale, spiegarlo, scrollarlo e disporlo su un mucchio di libri, prima di sedercisi. «State attenta» le gridò, senza voltarsi. «Vi impolvererete tutta.» «Non importa! Si sta così bene qui... L'aria di New Forest deve essere salubre...» «È eccellente. Vedrete come dormirete di gusto!» «Soffrite d'insonnia?» «Qualche volta.» «Vostra sorella mi ha detto che siete stato molto malato.» «È vero, ma ora sono completamente ristabilito.» «La guerra?» domandò la ragazza laconicamente. «Sì... nella sua forma più sgradevole e meno gloriosa.» «Harry Brooke è morto nel millenovecentoquaranta, durante la ritirata di Dunkerque» disse Fay Seton senza variare minimamente l'inflessione di voce. «Era ufficiale di collegamento con gli inglesi nelle forze armate
francesi.» Ci fu un attimo di silenzio, ma il sangue ronzava nelle orecchie di Miles come il brontolio di un tuono; continuava a guardare Fay Seton nel vetro della finestra. «Conoscete la mia storia?» riprese la ragazza con la stessa voce tranquilla. La mano di Miles si mise a tremare così forte che lui fu costretto ad aspettare qualche secondo, prima di voltarsi verso la ragazza. «Chi vi ha detto?...» chiese. «Vostra sorella me l'ha fatto comprendere. Mi ha anche detto che siete d'umore instabile e che avete l'immaginazione molto viva.» «Quella Marion!» «Desideravo esprimervi la mia riconoscenza, signor Hammond, per avermi assunta senza farmi domande. Ne avevo molto bisogno... C'è mancato poco che non mi mandassero alla ghigliottina, sapete? Credo, però, che dobbiate sentire anche la mia versione...» Ci fu di nuovo una pausa. Un soffio di brezza saturo di aromi silvestri venne a rinfrescare l'aria della camera polverosa. Miles, con lo sguardo fisso a una ragnatela che pendeva sopra la sua testa, tossì per dissipare il proprio imbarazzo. «Questa faccenda non mi riguarda, signorina Seton, e per nessuna cosa al mondo vorrei tormentarvi...» «Vi assicuro che non mi tormenterà.» «L'argomento è certo doloroso per voi...» «No, no. Ora non più. Vorrete scusare la mia indiscrezione, signor Hammond, ma da chi siete stato informato...» «Dal professor Rigaud.» «Ah! Georges Antoine Rigaud! Ho saputo che era fuggito dalla Francia durante l'occupazione tedesca e che aveva ottenuto una cattedra in una università inglese. Ora comprendo meglio; la signorina Marion era del parere che le vostre informazioni provenissero da Cagliostro...» Scoppiarono a ridere tutti e due. Miles si sentì sollevato da questo diversivo, ma le voci soffocate nella stanza ingombra suonavano sempre false. «Non fui io a uccidere il signor Brooke» proseguì Fay. «Voi mi credete, non è vero?» «Sì» rispose Miles. «Grazie, signor Hammond. Avevo accettato il posto di segretaria presso il signor Brooke, pur mancando di esperienza. Era una casa molto piacevo-
le. I Brooke si erano mostrati molto gentili e io... fin dal primo giorno...» «Tuttavia, avete rifiutato di sposarlo quando ve l'ha chiesto la prima volta» obiettò Miles, suo malgrado. «Io? Chi ve l'ha detto?» «Il professor Rigaud.» «Ah, lui... Comunque, signor Hammond, poi ci eravamo fidanzati. Ero molto felice, perché ho sempre amato la vita di famiglia. Facevamo dei bei progetti, Harry e io, quando, improvvisamente, erano cominciate a circolare delle voci...» La gola di Miles si chiuse. «Che genere di voci?» «Calunnie. Mi accusavano della peggiore immoralità. E anche di altro... ma è così ridicolo che non vale la pena di parlarne. Io naturalmente non avevo sospettato di nulla, ma il signor Brooke doveva avere ricevuto delle lettere anonime già da qualche settimana quando si era deciso ad agire.» «Strano! Il professore non ha parlato di queste lettere!» «No? Posso anche sbagliarmi. Non ne ho avuto alcuna prova. La situazione era diventata insostenibile. Il lavoro, i pasti, le serate in famiglia erano divenuti penosi e anche la signora Brooke aveva cominciato a sospettare qualcosa. Infine arrivammo a quel terribile dodici agosto... il giorno della morte del signor Brooke. Faceva un caldo insopportabile» proseguì Fay. «Un tempo umido e temporalesco, soffocante. Dopo colazione, il signor Brooke mi aveva chiesto di andare a parlare con lui alla Torre, alle quattro. Non sapevo naturalmente che stesse per andare in banca a ritirare duemila sterline. Ero uscita un po' prima delle tre e il signor Brooke era tornato dalla banca qualche minuto dopo... Tutto questo susseguirsi di ore e di minuti è impresso nella mia memoria; ho dovuto ripeterlo molte volte, in seguito, nel corso degli interrogatori! Avevo intenzione di fare il bagno nel fiume e avevo portato con me un costume da bagno. Poi avevo indugiato un po', passeggiando in riva al fiume... Quando avevo lasciato la casa, signor Hammond, aveva l'aspetto più tranquillo del mondo; Georgina Brooke, la madre di Harry, si occupava delle faccende con la cuoca. Harry era nella sua stanza che scriveva a un vecchio amico, Jim Morell...» «Un momento, signorina Seton!» interruppe Miles raddrizzandosi. «Questo Jim Morell è parente di una ragazza a nome Barbara Morell?» «Barbara Morell?» ripeté Fay Seton. «No, non credo di aver mai sentito questo nome. Che cos'è che ve lo fa pensare?» «Il fatto che... Ma non ha importanza... Continuate.»
Fay Seton non insistette. Si rassettò il vestito e parve riflettere, cercando parole più adatte. «Del delitto in sé» disse infine «non so nulla. L'ho ripetuto un'infinità di volte agli ispettori di polizia. Quanto posso dire è che fino alle tre e mezzo non mi ero trovata nelle immediate vicinanze della Torre. Vi avranno già spiegato quello che era successo nel frattempo. Il signor Brooke era tornato dalla banca e aveva chiesto di Harry. Ma siccome Harry era uscito dalla sua stanza per lavorare nell'autorimessa, non l'aveva trovato e si era avviato lentamente verso la Torre, dove mi aveva fissato l'appuntamento per le quattro. In realtà era troppo presto... Quando Harry aveva saputo dove si era diretto suo padre, aveva preso l'impermeabile e l'aveva seguito, mentre la signora Brooke aveva telefonato al professor Rigaud di venire immediatamente. «Alle tre e mezzo, so l'ora perché avevo appena guardato l'orologio, mi ero detta che era venuto il momento di tornare indietro per non giungere in ritardo all'appuntamento. Arrivata alla Torre, avevo sentito delle voci e le avevo riconosciute per quelle di Harry e di suo padre.» Parve a Miles che Fay ripetesse delle frasi che sapeva a memoria per averle dovute dire e ridire, ma non si poteva mettere in dubbio il tono di sincerità. «No» proseguì la ragazza, rispondendo a una domanda che non le era stata rivolta «non ho sentito quello che stavano dicendo. Ma detesto i litigi e avevo preferito allontanarmi. Uscendo dalla Torre, avevo incontrato il signor Rigaud che arrivava e poi ero andata a fare il bagno.» «Come? Siete andata a fare il bagno?» domandò Miles, stupito. «Avevo tanto caldo, e mi sentivo così stanca! Pensavo che un bagno mi avrebbe rinfrescata. Mi ero spogliata nel bosco, come la maggior parte dei bagnanti, ed ero rimasta a lungo nell'acqua a nuotare e a pensare. Alle cinque meno un quarto, mentre tornavo, avevo sentito gridare nelle vicinanze della Torre e visto i poliziotti e una vera folla... Poi Harry era venuto verso di me, con le mani tese e mi aveva gridato: "Dio mio, Fay, mio padre è stato ucciso...".» La sua voce si spense. Alzando una mano si coprì gli occhi. «Scusatemi» riprese quasi subito, scotendo la testa «ma mi sembra di rivivere quei momenti. Le persone che vivono sole hanno spesso di queste allucinazioni.» «Sì, lo so.» «Vi ho detto tutto... Ma se avete delle domande da farmi...»
«Cara signorina Seton, mi avete preso per un giudice istruttore?» «No, no. Ma se avete qualche dubbio, preferisco saperlo subito.» Miles esitò. «L'unico argomento che mi venne contestato» proseguì Fay «fu quel malaugurato bagno. Avevo nuotato effettivamente per circa tre quarti d'ora, ma non fu trovato alcun testimone che potesse confermare che non mi ero avvicinata alla Torre. Del resto, è assurdo immaginare che una persona possa scalare una parete di dodici metri... e in costume da bagno per giunta. Ma, nel frattempo...» Sorrise come se la cosa non avesse più importanza; poi rabbrividì. Miles si scostò dalla finestra e guardò il viso dolce e assente sollevato verso il suo. «Mi credete?» esclamò Fay Seton. «Oh! ditemi che mi credete!» VIII «Si, vi credo» rispose Miles, sorridendole. «Grazie, signor Hammond. Mi era quasi sembrato che foste un po' scettico.» «No, non si tratta di scetticismo; il racconto del professor Rigaud è rimasto interrotto e quindi parecchi punti mi mancavano. Che cosa concluse il tribunale?» «Emise un verdetto di suicidio.» «Suicidio?» «Sì.» «Perché?» «Suppongo» disse Fay, corrugando le sopracciglia «che non siano stati capaci di trovare una soluzione migliore: una scappatoia per non dichiararsi battuti. D'altronde» soggiunse «sul manico del bastone sono state trovate solamente le impronte digitali del signor Brooke padre. Vi hanno parlato del bastone?» «Non solo, l'ho anche visto.» «Il medico legale, un ometto dall'aria molto intelligente, andò fuori dai gangheri quando sentì il verdetto. Mi diede alcune spiegazioni tecniche, che forse non ho ben capito, per dimostrarmi che la direzione della ferita escludeva il suicidio. Il signor Brooke avrebbe dovuto tenere l'arma per la lama e non per l'impugnatura... cosa quasi impossibile...» La ragazza scrollò le spalle.
«Ancora una cosa» disse Miles. «Mi hanno riferito che la cartella con i biglietti di banca è sparita.» «È vero.» «Ma se nessuno è salito sulla Torre, come può essere sparita?» Fay distolse lo sguardo. «Poteva darsi che il signor Brooke l'avesse fatta cadere dal parapetto... durante l'agonia... così hanno creduto.» «Sono state fatte ricerche?» «Sì, subito.» «E non è stato trovato nulla?» «No, né in quel momento né dopo. E sa Dio se hanno frugato nel fiume!» mormorò Fay Seton, facendo scorrere le dita sui libri polverosi. «La faccenda ha avuto enorme risonanza durante il primo inverno di guerra; la povera signora Brooke è morta qualche mese dopo. Si diceva che fosse stato il dolore a ucciderla. Da ultimo, Harry, come già vi ho detto... Quando sono arrivati i tedeschi hanno continuato l'inchiesta per distrarre il pubblico, probabilmente.» «Non sareste potuta tornare in Inghilterra, prima dell'invasione?» «Sì, ma avevo vergogna.» Miles le volse bruscamente le spalle e vibrò un pugno sul davanzale della finestra. «Abbiamo parlato anche troppo di questa dannata faccenda» dichiarò. «Ora vi prometto solennemente di non toccare più l'argomento. Finito! Non vi farò più doman... A proposito: l'avete sposato quell'Harry Brooke, o no?» Nel riflesso del vetro, vide la ragazza aprire la bocca per ridere, poi rovesciare la testa e i suoi lineamenti contrarsi. Per un po' non uscì alcun suono. Infine scoppiò in una risata nervosa che lo spaventò e lo sorprèse in una persona tanto capace di dominarsi. Poco accortamente, mosso da un sentimento di simpatìa protettiva che somigliava pericolosamente all'amore, si diresse verso di lei con la mano protesa. Rovesciò nel passare un mucchio di libri da cui si alzò una colonna di polvere che salì fino alla lampada oscurando la luce. In quel momento la porta si aprì ed entrò Marion Hammond. «Ditemi un po', voi due: sapete che ore sono?» domandò con la sua voce pacata. Miles si fermò, mentre Fay, tornata calma, girò verso la nuova venuta un viso impenetrabile.
«Sono quasi le undici e mezzo» riprese Marion «e se Miles, secondo il suo solito, vuol trascorrere la notte in questa baraonda, è mio dovere vegliare affinché non impedisca agli altri di dormire.» «Marion, ti scongiuro...» «Miles, Miles» gemette Marion «non fare come il solito. Voi non lo conoscete» proseguì rivolgendosi a Fay. «La sua sensibilità nei riguardi degli estranei è quasi eccessiva, ma quando si tratta di me è un'altra faccenda. Come fratello, è un bruto!» «Non credete che sia il caso di tutti i fratelli?» «Forse avete ragione.» Marion, in grembiule, ma pulita e con i capelli accuratamente pettinati, avanzava tra le montagne di libri con una smorfia di disgusto. Con mano ferma prese la lampada di Fay e la porse alla ragazza. «Apprezzo tanto il regalo che mi avete fatto» disse «che voglio regalarvi anch'io qualcosa. C'è una scatola nella mia stanza. Salite e vedrete di che si tratta. Vi raggiungerò subito... Ma... sapete la strada?» Fay sorrise: «Sì» rispose. «Non mi perderei in questa casa. Siete troppo gentile a voler...» «Affatto, mia cara!... Ma, andate subito a vedere!» «Buona notte, signor Hammond!» Con un'ultima occhiata a Miles, Fay richiuse la porta alle proprie spalle. Era rimasta una sola lampada e Marion si trovava nell'ombra; era difficile distinguere l'espressione del suo volto. Tuttavia anche un estraneo si sarebbe accorto che l'atmosfera era satura di elettricità. «Miles, caro» cominciò Marion con dolcezza. «Che c'è?» «Era tremendamente esagerato...» «Cosa era esagerato?» «Sai benissimo quel che voglio dire.» «Al contrario, Marion, non ho la minima idea di quello che tu voglia dire» rispose Miles con un moto di collera. «A meno che tu non abbia origliato alla porta...» «Miles, non fare il bambino!» «Vorresti spiegarmi il significato di questa espressione così poco rispettosa? Credo di capire; non ti piace Fay Seton e cerchi di farmelo comprendere.» «Qui ti sbagli. Mi piace molto. Ma...» «Continua!»
«So che ti arrabbierai, Miles» disse Marion con un gesto d'impotenza «perché possiedo un senso pratico di gran lunga superiore al tuo, ma non è colpa mia se sono così.» «Non ti sto criticando.» «È per il tuo bene, Miles. Anche Steve... e Dio solo sa se lo amo...» «Mi sembra che Steve abbia tanto senso pratico quanto tu ne possa desiderare. Che vuoi di più?» «No, Miles. Steve, nonostante i suoi baffi e la sua aria di persona posata, è nervoso e romantico... quasi quanto te. Può darsi che tutti gli uomini siano così. Non lo so... Ma Steve ha una certa docilità che a te manca, mio caro!» «Per fortuna! Pretenderesti che io ti obbedissi?» «No, non voglio che tu mi obbedisca, ma che tu ascolti i miei consigli, cosa che ti guardi bene dal fare. Pazienza! Non bisticciamo! Mi rincresce di aver tirato in ballo questo argomento.» «Ascoltami, Marion» disse Miles, dominandosi e parlando lentamente per dar più peso alle parole. «Mi interesso a Fay Seton, non come donna, ma per la parte da lei avuta in una faccenda che mi appassiona e mi imbarazza contemporaneamente. Si tratta di un uomo ucciso in cima a una torre alla quale nessuno ha potuto accedere...» «Sì, Miles... Non dimenticarti di chiudere porte e finestre, prima di coricarti. Buona notte!» In silenzio, Marion si diresse verso la porta. «Marion!» «Che c'è?» «Non sei seccata, cara?» «No certo, bestione» rispose l'interpellata con gaiezza. «Ti confesso che, in un certo senso, Fay Seton piace anche a me. E per quanto riguarda quegli assassini che si dissolvono nell'aria, dopo aver commesso il loro delitto, beh, tutto quello che ti posso dire è che desidererei proprio vederne uno.» «Che cosa accadrebbe se ne vedessi uno?» «Oh, non lo so. Credo che proverei a sforacchiarlo con una rivoltella. Ma, Miles, ti ripeto: non dimenticarti di chiudere porte e finestre, e non andartene a passeggiare nel bosco, lasciando la casa aperta. Buona notte!» Rimasto solo, Miles provò a riordinare i propri pensieri. Poi raccolse meccanicamente i libri che aveva fatto cadere e li rimise a posto. Perché le donne ce l'avevano con Fay Seton? La sera prima Barbara Morell non l'aveva forse messo in guardia contro Fay? E non comprendeva
bene che cosa c'entrasse Barbara nella faccenda. Fay, del resto, pretendeva di non conoscerla, quantunque avesse nominato un uomo dallo stesso cognome... Come si chiamava... Ah, sì: Jim. Jim Morell... Miles tornò a sedersi, sul davanzale della finestra. A una ventina di metri dalla casa, il bosco profondo e buio gli inviava il suo respiro possente e calmo. D'un balzo fu fuori. Attraversò la terrazza e raggiunse il praticello da dove poteva vedere, al pianterreno, le finestre della biblioteca, della sala da pranzo, del salone e dell'atrio e, al primo piano, quelle della camera di Marion, che si trovava sopra la biblioteca. Le tendine erano chiuse, di modo che, da quel lato, la casa sembrava buia, ma una terza finestra che dava sopra un'altra facciata di Greywood, che Miles non poteva vedere, proiettava sugli alberi un alone di luce giallastra, perfettamente visibile. Miles ne concluse che sua sorella non dormiva ancora. Notò che un'ombra, che sembrava spostarsi, intralciava regolarmente la sorgente luminosa. Era Marion che andava e veniva per la propria stanza, oppure Fay Seton che l'aveva raggiunta come convenuto? Stridii d'insetti e frusciare di foglie rendevano più vivo il silenzio della notte. Il cielo, dalla parte dove sarebbe presto sorta la luna, impallidiva leggermente. Miles si sentiva nervoso e facilmente impressionabile. Andò ad appoggiarsi alla ringhiera di legno del ponte rustico e ascoltò il sussurro dell'acqua che scorreva. Erano trascorsi forse una ventina di minuti, quando percepì il ronzio di un motore. Sembrava provenire dalla strada maestra. Un istante dopo una vettura spuntò bruscamente nel viale e si arrestò, facendo scricchiolare la ghiaia. Ne scesero due uomini, di cui uno brandiva una lampadina tascabile; era un omone dalle proporzioni gigantesche. Si sarebbe preso facilmente, nell'ampio mantello che allargava la sua sagoma, per un re barbaro: quando tossì, il timbro possente risonò come un grido di guerra. Il suo compagno, un ometto rotondo, gli trotterellava dietro come un botolo, con i piedi leggermente curvati all'indentro. «Dottor Gideon Fell e professor Rigaud!» disse a voce alta Miles, che aveva riconosciuto di colpo i visitatori. I due si arrestarono di botto, sorpresi. Non potevano distinguerlo immerso com'era nell'ombra, e il dottor Fell alzò la lampada illuminando così il proprio viso. Miles provò piacere a rivedere la larga faccia rubiconda, stupita, la zazzera grigia scapigliata che faceva somigliare la sua testa a quella della Gorgona. «Di qui, dottor Fell, sul ponte» gridò Miles, poiché il gigante, dirigendo il raggio luminoso della sua lampada da un'altra parte, non riusciva a sco-
prirlo. «Ah, ah!» esclamò il dottore. Avanzò, dondolando il bastone, e le assi del ponte gemettero sotto il suo peso. «Buona sera, giovanotto, buona sera. Soprattutto, non spaventatevi! Con uomini di età matura e di cultura accademica come noi, bisogna sempre aspettarsi che si lancino in qualche avventura insensata... Parlo evidentemente di...» Le tavole del ponte scricchiolarono di nuovo. Il professor Rigaud si era affiancato al dottor Fell e guardava Miles con occhio curioso e inquisitorio. «Professore» disse Miles «vi devo delle scuse. Avevo intenzione di telefonarvi questa mattina, ma non sapevo il vostro indirizzo di Londra e...» «Non mi dovete alcuna scusa, giovanotto» ribatté il professore. «Sono io, piuttosto, a dovervene.» «Perché mai?» «Devo confessarvi» disse il professore, scuotendo energicamente la testa «che ieri sera mi sono divertito un po' con voi e la signorina Morell... Vi ho spinto all'estremo, vero?» «Suppongo che sia così...» «E quando ci avete detto, incidentalmente, che cercavate un bibliotecario, ero ben lungi dal supporre che quella donna fosse in Inghilterra...» «Parlate di Fay Seton?» «Sì» rispose Rigaud. «Di chi volete che parli? Questa mattina, la signorina Morell mi ha telefonato che la Seton era a Londra e che c'erano delle probabilità che l'ufficio di collocamento vi mandasse proprio lei. Così ho immediatamente telefonato al Berkeley che ha confermato i miei sospetti. Vedete quell'automobile?» soggiunse facendo un gesto in direzione della macchina. «L'ho chiesta in prestito a uno dei mìei amici che è funzionario a Whitehall e che quindi ha benzina. Ho infranto le leggi di questo paese, per venire ad avvertirvi. Bisogna che troviate un pretesto per allontanare quella donna da casa vostra, il più presto possibile.» «Come?» disse Miles, indietreggiando di un passo. «Anche voi?» «Non capisco: che cosa volete dire?» domandò Antoine Rigaud, agitando il fatidico bastone di cui qualcuno si era servito per uccidere Howard Brooke. «Francamente, professore, devo confessarvi che sono stufo di sentirmi dire da tutti quelli che incontro di stare in guardia da Fay Seton.»
«Allora è vero. L'avete assunta?» «Sì; perché non avrei dovuto farlo?» Il professore non rispose subito. I suoi occhi vivaci si alzarono fino a guardare la casa silenziosa, di là del prato. «Chi c'è a Greywood, oltre a voi e alla signorina Seton?» «Mia sorella Marion.» «Nessun domestico? Nessun invitato?» «No. Questa sera non c'è nessun altro. Ma a che cosa tendono queste domande? Non sono libero di assumere la signorina Seton e di farla rimanere in casa mia, tutto il tempo che mi pare?» «No, ragazzo mio.» «E perché?» Il professore esitò un momento, prima di rispondere con lentezza, staccando bene le sillabe: «Perché esponete vostra sorella e voi stesso a un pericolo mortale.» IX La luna si era alzata e la sua luce diafana rendeva più pallido il viso del professore. «Volete seguirmi?» propose laconicamente Miles. I tre uomini raggiunsero la casa e attraversarono l'atrio che conteneva la raccolta d'armi di sir Charles Hammond. Miles introdusse i visitatori nel salone; era una stanza lunga, confortevolmente arredata con poltrone di broccato e circondata di scaffali bianchi. Vi ardeva una sola lampada, a fiamma ridotta, che proiettava sui muri ombre vaghe. Miles, risoluto a tener testa al professore, si schiarì la voce. «Ritengo opportuno avvertirvi» disse «che ho avuto un lungo colloquio con la signorina Seton.» Antoine Rigaud s'irrigidì: «Vi ha narrato...» cominciò. «Mi ha raccontato quanto sapeva della faccenda della Torre. L'istruttoria è finita con un verdetto di suicidio perché le sole impronte digitali trovate sul corpo del reato erano quelle del morto. È esatto?» «È vero.» «Sembra anche che, al momento in cui probabilmente il signor Brooke fu ucciso, la signorina Seton stesse facendo un bagno nel fiume a una certa distanza dalla Torre. Il fatto è stato accertato?» «Sì» disse il professore, annuendo. «Ma credo che si sia ben guardata
dal parlarvi del giovane Pierre Fresnac, il figlio di Jules Fresnac.» «Perché?» protestò Miles, quasi gridando. «Perché questo accanimento nel condannare una donna, soprattutto ai giorni nostri, per la sua condotta privata? Anche se c'è stato qualcosa fra Fay Seton e questo giovane Fresnac...» «Questi inglesi...» sospirò il professore. «Santo Dio! Questi inglesi!» Si tolse il cappello e riprese con pacatezza: «Howard Brooke era come voi» disse con voce ferma che fece trasalire Miles. «Sempre pronto a dare alle mie parole una interpretazione errata...» Tacque un attimo, poi continuò con più foga: «Credete davvero, giovanotto, che un contadino dell'Eure-et-Loire darebbe la minima importanza a un piccolo intrigo tra suo figlio e una ragazza della zona? Ma, anzi, lo divertirebbe, diamine! Ammesso che se ne accorgesse! Non è questo, comunque, che ha potuto sollevare nella regione un'ondata di terrore. No, non è per un amorazzo del genere che Jules Fresnac ha lanciato un sasso contro una donna in piena strada principale». «E allora, che cosa è accaduto?» «Bisogna risalire ai giorni che precedettero la morte del signor Brooke... Il giovane Fresnac abitava con la sua famiglia in una fattoria, sulla strada che conduce da Chartres a Les Mans. Dormiva, insisto su questo punto, in un abbaino al terzo piano.» «E poi?» «Per un certo tempo i Fresnac notarono che il figlio sembrava in preda a depressione. Aveva paura di parlare; non capiva, il poveretto, che cosa gli fosse accaduto, e si credeva vittima di un incubo. Temeva soprattutto di venir punito per una mancanza che non aveva commesso. Ecco perché si era accontentato di annodarsi un fazzoletto bianco attorno al collo ed era stato zitto, credendo di aver sognato. Fu necessario che suo padre strappasse il fazzoletto perché fosse possibile notare il morso che aveva alla gola.» Miles sentì la sua voce, che sembrava venire da molto lontano, chiedere: «Siete pazzo?» «No» rispose il professore «non sono pazzo. Naturalmente il bravo signor Howard non ci capì nulla. Non era con lui che bisognava parlare di uno strano viso, senza corpo e senza peso, che sarebbe stato visto fluttuare nell'aria, fuori dalla finestra. Per lui non si poteva trattare d'altro che di un basso intrigo tra un contadinello e una donna depravata. Ne fu scandalizzato fino al fondo della sua anima britannica. E, da buon inglese, era convinto che qualsiasi donna "immorale" poteva essere allontanata col denaro.»
Rigaud scosse la testa calva... «Ieri» riprese «vi ho presentato la cosa come un enigma. Vi ho detto che quella donna non era una criminale, nel senso che usualmente si dà alla parola. Esattissimo; era una dolce e pudica creatura. Ma c'era in lei un doppio io, sul quale non poteva esercitare alcun potere; e, in certi momenti, lo spirito diabolico che era in lei evadeva... Rivestiva una forma indipendente. Se Howard Brooke mi avesse parlato di queste apparizioni, avrei potuto illuminarlo. Ma no, per lui si trattava di una faccenda da soffocare... Avrei dovuto intuire la verità, forse perché le caratteristiche fisiche, in Fay Seton, erano molto marcate; capelli rossi, corpo snello e sinuoso, sguardo smarrito... così infatti si presenta il vampiro del folklore. Sfortunatamente non ho capito come stavano le cose che quando mi ci hanno fatto sbattere il naso. E ho compreso quello che era successo solo quando Howard Brooke aveva già cessato di vivere e una banda di contadini furiosi si disponeva a lapidare la colpevole.» «Così, secondo voi, Fay Seton avrebbe ucciso il signor Brooke?» «Non lei esattamente, ma un'altra che è in lei.» «Assurdo! A che cosa attribuite le ferite della vittima, allora?» «E voi come spiegate il fatto che nessuno ha potuto avvicinarsi al signor Brooke?» «Ma andiamo, professore!» esclamò Miles. «Non vorrete darmi a intendere che credete a simili storie!» Il dottor Fell, che sotto il mantello teneva le braccia conserte e fissava con aria assorta la fiamma della lampada, abbozzò un largo gesto e cominciò: «Signori...». Ma nel momento stesso in cui i due suoi ascoltatori aspettavano che lui ponesse fine alla discussione, cambiò parere e si grattò gravemente il mento. «Ebbene?» disse Rigaud. «Non nego» enunciò infine il dottor Fell, che stava per rompere in due col suo bastone una statuetta «non nego l'esistenza delle potenze soprannaturali, sono anzi incline a crederci fermamente...» «Come!» esclamò Miles. «Voi credete davvero che degli spiriti...» «Sì» disse Fell con una serietà che costernò Hammond. «E, ammesso questo principio, nulla si oppone ad accettare anche l'esistenza dei vampiri.» Il colosso non parve disposto a pronunciarsi oltre sull'argomento. Andò a prendere il famoso bastone che Rigaud aveva posato vicino a sé. Trasse
la lama che esaminò da vicino, poi fissò la sua attenzione sul bastone e sull'impugnatura. Tentò anche di spingere lo sguardo nell'interno del fodero. «Non avreste, per caso, una lente?» domandò. «C'è una lente in casa» rispose Miles «ma non ricordo dove. Volete che ve la cerchi?» «A dire il vero» rispose il dottore «non credo che mi sarebbe di grande utilità. Ma è innegabile che si ha l'aria più seria e imponente quando si esaminano le cose con la lente. Ehm! ehm! ... Credo di aver sentito dire che c'erano delle macchie di sangue nell'interno del fodero.» «Esatto» precisò il professore. «Le ho mostrate ieri sera alla signorina Morell e al signor Hammond. Ve l'ho detto questa mattina. Che cosa deducete?» «Nulla» rispose Fell, scrollando lentamente la sua chioma leonina. «È un punto da tener presente, semplicemente.» Si frugò nelle tasche e ne trasse un manoscritto che Miles riconobbe immediatamente. «Quando Rigaud mi ha portato questo rapporto, oggi» spiegò «l'ho letto con il massimo interesse. Perbacco! Mi sono detto: ecco una cosa che entusiasmerà il nostro Club! Ma chi diamine è questa Barbara Morell?» domandò poi, fissando Miles «e perché ha mandato all'aria la seduta del Club del Delitto?» «Ah, sì!» disse Rigaud, fregandosi le mani. «È una cosa che interessa anche me: chi è Barbara Morell?» «Non guardatemi come una bestia rara» disse Miles. «Non ne so più di voi.» «Ma l'avete accompagnata a casa.» «No, non a casa; solo fino alla stazione della metropolitana.» «E non avete discusso questa faccenda?» «No. Cioè...» rispose Miles, incerto. L'ometto lo guardò, piuttosto scettico. «Ieri» disse, dopo un momento «questa Morell mi è sembrata molto commossa dal mio racconto. L'ho osservata più volte e ho concluso che conosce Fay Seton e che i suoi interessi le stanno a cuore.» «Vi sbagliate» rispose Miles. «La signorina Seton non ha mai incontrato Barbara Morell, non solo, ma non ne ha mai sentito parlare.» «Ve l'ha detto lei?» «Sì.» «Quando?»
«Questa sera, in biblioteca. Gliel'ho chiesto io stesso.» «Così» disse lentamente il professore, guardandolo qon curiosità «voi sareste la sola delle sue vittime che abbia avuto il coraggio di affrontare l'argomento e di interrogarla?» «No, non è esatto. È stata lei, per prima, a parlarmi della sua storia e a offrirsi di raccontarla.» «Hammond» dichiarò il dottor Fell «mi fareste una grande cortesia, e meritereste tutta la mia gratitudine, se mi ripeteste esattamente quanto quella ragazza vi ha detto questa sera. Ma vorrei che mi faceste una relazione molto fedele del suo racconto, impiegando le sue stesse parole, se vi è possibile.» Miles pensò che doveva essere molto tardi. Marion, senza dubbio, dormiva nella sua stanza sopra la biblioteca. E Fay Seton, pure, a pianterreno. Benché avesse la gola secca, e facesse fatica a parlare, non osò rifiutarsi. Una volta sola il dottore l'interruppe. «Jim Morell!» esclamò poi, così improvvisamente che Rigaud sussultò. «Ma era amicissimo di Harry Brooke! Gli scriveva ogni settimana; conoscete James Morell?» La domanda era rivolta a Rigaud, che scosse energicamente la testa. «No, non avevo mai sentito neppure il suo nome.» «Harry Brooke non l'aveva quindi mai nominato in vostra presenza?» «Mai.» «Difatti, non ne fate menzione, nel vostro pregevole rapporto» disse il dottor Fell, picchiando una manata sul manoscritto. «Tuttavia, Harry Brooke ha scritto a Jim Morell il giorno del... Ma lasciamo perdere. Continuate!» disse a Miles. Miles aveva visto passare in un lampo, negli occhi del dottor Fell, una strana luce, come se una spaventosa realtà gli fosse stata improvvisamente rivelata. E, nel corso del suo racconto, vide ricomparire più volte sul viso largo la stessa espressione che lo trasfigurava. Era possibile, pensava nel suo cervello stanco e pur seguitando meccanicamente il racconto, che il dottor Fell, di cui conosceva lo spirito realistico e obiettivo, si spiegasse davvero l'assassinio di Brooke con un intervento soprannaturale? La cosa gli sembrava inconcepibile. Senza dubbio da un momento all'altro avrebbe scrollato la sua criniera grigia, sarebbe scoppiato in una risata omerica e avrebbe dissipato con una sola parola l'atmosfera tesa che Miles sentiva ingigantire attorno a sé... Ma non accadde nulla.
«È tutto?» chiese il dottore, quando Miles ebbe finito. «Sì, è tutto.» «Bene! ... E ora, caro Rigaud, vorrei fare una domanda anche a voi; una domanda importantissima. Quando avete scritto questo rapporto, avete indubbiamente scelto con cura i termini da impiegare, no?» «Occorre chiedermelo?» Il professore si era raddrizzato, quasi offeso. «Non c'è qualcosa che vorreste esprimere in modo diverso?» «No, ve l'assicuro. Perché questa domanda?» «Benissimo! Vi leggerò due o tre righe del vostro manoscritto» proseguì il dottor Fell, con voce suadente. S'inumidì un dito, si aggiustò gli occhiali e sfogliò il documento. «Ecco» disse. «"Il signor Brooke era ritto, con le spalle rivolte a noi, sulla piattaforma..."» «Scusate» interruppe Miles «ma sono esattamente, credo, le parole che sono state usate ieri sera dal professore. Ora, lui non leggeva. Dunque...» «Evidentemente» disse il professore, sorridendo «sono le stesse parole, e non saprei usarne altre. Tutto quanto vi ho detto ieri sera si trova testualmente nella mia relazione. Continuate, caro dottore, vi prego!» «"... sulla piattaforma circondata da un parapetto merlato ad altezza d'uomo le cui pietre, che si sgretolavano, erano ricoperte di scritte tracciate dai visitatori. Aveva appoggiato al muro, accanto a sé, il suo bastone di legno chiaro e la borsa nera piena di carte."» Gideon Fell ripiegò il manoscritto e chiese: «Tutto ciò è esatto?». «Perfettamente.» «Posso pregarvi di precisare un punto? Voi dite che la polizia, dòpo il delitto, aveva portato via le due parti del bastone per farle esaminare da un esperto? Questo significa che non hanno ringuainato la spada?» «Naturalmente.» Miles fremeva d'impazienza. «Per l'amor di Dio» interruppe «finiamola con tutti questi particolari, e ditemi se credete davvero a questa storia.» «A quale storia?» chiese il dottor Fell, in tono divertito. «A questa storia dei vampiri.» «No» rispose l'omone con dolcezza «non ci credo. È giusto che prima della nostra partenza vi rassicuri su questo punto. Questa gita senza capo né coda è il risultato di un capriccio del mio amico Rigaud che moriva dalla voglia di vedere la biblioteca di vostro zio. Ma, al momento di lasciarvi...»
«Ah, no!» protestò Miles con veemenza. «Non ve ne andrete questa sera!» «Eppure dobbiamo farlo.» «Ma no» insistette il giovanotto. «Perché non pernottate qui? Troveremo bene due camere abitabili. È assolutamente indispensabile che io vi riveda tutti e due, domattina, quando sarò riposato e più lucido. Sono curioso di sapere quello che penserà Marion, dopo aver appreso la fine della storia...» «Ah! Vostra sorella è al corrente?» «Sì, più o meno. Sapete che questa sera le ho chiesto cosa farebbe se si trovasse a faccia a faccia con un essere soprannaturale? E tenete presente che in quel momento non avevo ancora sentito parlare del vostro vampiro!» «Davvero!» esclamò il dottor Fell. «E che cosa vi ha risposto?» Miles si mise a ridere. «Mi ha dichiarato che l'avrebbe bucato con la pallottola di una rivoltella. Devo dirvi che mia sorella non ha alcun rispetto per le scienze occulte. Tutte le storie di fantasmi che le raccontano la divertono un mondo. E questo è, secondo me, il solo atteggiamento ragionevole.» Si volse al professor Rigaud e gli disse, con un profondo inchino: «Vi ringrazio sentitamente, professore, di non aver esitato a fare un viaggio così lungo per avvertirmi del pericolo che mi minaccia, ma vorrete permettermi di restare della mia opinione. Secondo me la signorina Seton ha già sofferto abbastanza senza che...». Tacque di colpo. I tre si guardarono, senza proferire parola, né fare alcun movimento, ma il professore s'impettì e il dottor Fell si lasciò sfuggire dalle mani il bastone. Un colpo d'arma da fuoco aveva rotto il silenzio della casa. X Il professore fu il primo a ritrovare il suo sangue freddo. «Continuate, giovanotto, la vostra interessante teoria. Stavate dicendo che...» Ma la voce, che lui si sforzava di mantenere franca, si mise a tremare. Si rivolse al dottor Fell. «Caro amico» gli disse «suppongo che stavolta siate pienamente convinto.» «No di sicuro!» brontolò il dottor Fell.
«È inutile che vi ostiniate a ritenere inverosimile una cosa che è appena accaduta. Vostra sorella possiede una rivoltella?» domandò quindi a Miles. Hammond si alzò. Padroneggiava a stento il suo desiderio impetuoso di precipitarsi fuori dalla stanza. Uscì con passo calmo e si mise a correre solo nel momento in cui raggiunse la scalinata che portava al primo piano. «Marion!» gridò con voce alterata dall'angoscia. «Marion! Che succede?» Ma non ottenne risposta. Marion occupava l'ultima stanza in fondo al corridoio. Miles si fermò per prendere un lume su una mensola. Quando fece per alzarne lo stoppino si accorse che gli tremavano le mani tanto da non poterne far uso. Spinse bruscamente la porta ed entrò nella stanza. Marion, in pigiama di seta celeste, era distesa sul letto con il busto proteso in avanti e la testa girata verso una delle finestre che davano sulla parete nord. Le tendine non erano state chiuse, e la luce lunare vi penetrava a fiotti. Non c'era nessun altro nella stanza. Miles avanzò con precauzione, alzando il lume. Uno strano spettacolo si offrì al suo sguardo. Il letto era in disordine, le coperte sgualcite, e lui stentò a riconoscere il viso della sorella, divenuto di un pallore cadaverico; gli occhi erano vitrei e immobili. Il sudore le brillava sulla fronte. La bocca era spalancata e le labbra erano atteggiate a un grido che non era uscito dalla gola contratta. Stringeva in pugno una rivoltella, e una rapida occhiata alla finestra gli permise di vedere che il proiettile aveva infranto uno dei vetri. Lo stupore lo immobilizzò. «Permettete!» disse una voce dietro di lui. Era quella di Antoine Rigaud, pallido ma impassibile, che si era munito anche lui di un lume. «Permettete!» ripeté. «Ho qualche nozione di medicina.» Fece il giro del letto con passo felino, prese la mano inerte della ragazza e delicatamente appoggiò l'orecchio sotto il seno sinistro. Quando si raddrizzò il suo viso esprimeva la più sincera angoscia. «Non è possibile!» esclamò. «Forse lo choc...» «Non vorrete forse dire che mia sorella? ...» esclamò Miles, che a stento riusciva a reggersi in piedi. «Dal punto di vista medico» riprese il professore «non è escluso che una
emozione violenta, uno spavento, per esempio, determini la morte. Se osservate l'aspetto della signorina Hammond, il suo pallore cereo, il sudore che la ricopre, il rilassamento dei muscoli...» Miles non l'ascoltava. Per la prima volta si rendeva conto di amare profondamente la sorella, il solo essere che gli restava al mondo, e con cui era sempre vissuto. «Non pretendo, tuttavia» proseguì il professore «che vostra sorella abbia cessato di vivere. Il polso è appena percettibile. Può darsi che ci sia ancora qualche speranza. Dove abita il medico più vicino?» «A dieci chilometri da qui.» «Potete comunicare con lui? Avete il telefono?» «Sì... ma nel frattempo...» «Intanto» tagliò corto il professore, passandosi una mano sulla fronte «bisogna stimolare il cuore, sollevare le membra, comprimere l'addome e... avete della stricnina?» «Mio Dio! No!» «Avete almeno del sale da cucina? E una siringa ipodermica?» «Credo che Marion ne abbia una; una volta...» Miles si diresse al cassettone, aprì il primo cassetto e si mise a frugare. Gli sembrò che trascorressero lunghi minuti, temette di perdere del tempo prezioso. In realtà non impiegò più di trenta secondi a trovare quel che cercava. «Scendete in cucina» ordinò il professore «e fate bollire la siringa per sterilizzarla, muovetevi!» Miles, correndo verso la porta, si scontrò con il dottor Fell. Lasciò i due vicino a sua sorella e, mentre si scapicollava giù per la scala, sentì il professore che diceva: «Avete visto, caro dottore?» «Ho visto.» «Non indovinate quello che ha visto la signorina Hammond attraverso la finestra?» Le voci si confusero e Miles non riuscì a comprendere la risposta. Le stanze del pianterreno erano illuminate solo dalla luna. Miles accese la lampada tascabile per trovare il numero del telefono del dottore. Non conosceva il dottor Garvice, che non aveva mai avuto occasione d'incontrare dal tempo in cui viveva ancora lo zio. All'altro capo del filo una voce gli fece alcune rapide domande alle quali lui si sforzò di rispondere più chiaramente possibile, nonostante la sua agitazione. Un attimo dopo accese le lampade in cucina. Poi riempì d'acqua due
pentolini, li depose sulla cucina a gas, gettò in uno la siringa e attese che l'acqua si riscaldasse. Erano le due meno venti. Trascorsero due minuti; l'acqua tardava a bollire. Miles si sforzava di scacciare i pensieri inopportuni. Sapeva che Fay Seton non era lontana da lui, ma non voleva evocare l'immagine della ragazza per paura di esserne turbato. Nel momento in cui si voltava per prendere il sale la vide in mezzo alla cucina, appoggiata al tavolo: sfiorava la tela cerata con le dita bianche. La porta era rimasta aperta e Miles non l'aveva sentita entrare. Ma un sicuro istinto, che la sola presenza di Fay era sufficiente a risvegliare, l'aveva avvertito della sua presenza. Nella sua confusione, urtò maldestramente il manico di uno dei pentolini che per poco non si rovesciò. Gli occhi di Fay Seton, di un azzurro cupo, riflettevano un'angoscia immensa e un sentimento d'odio. Ma quando parlò nulla trapelò dal tono della voce. «Che cosa è accaduto?» chiese con dolcezza. Miles non rispose subito. Osservava attentamente la superficie dell'acqua che cominciava a incresparsi. «Mia sorella sta morendo» disse infine. «Può darsi che sia già morta.» «Lo sapevo.» «Come? Lo sapevate?» «Sì. Ero nel dormiveglia quando ho sentito il colpo. Mi sono vestita e sono accorsa subito...» Respirava a fatica, come dopo una corsa sfrenata. «Scusatemi» riprese con uno sforzo. «Ho scoperto una cosa che mi ha sconvolto e che prima non avevo mai notato...» «Che cosa?» «Non posso dirvelo, ora. Spiegatemi invece quello che è accaduto nella stanza della signorina Hammond.» «Marion deve aver visto apparire qualcosa, o qualcuno, alla finestra. Si è spaventata e ha sparato un colpo di rivoltella.» «Un ladro?» «Ci vuol più che un ladruncolo per spaventare mia sorella. Non si potrebbe essere meno nervosi di lei. Inoltre...» «Oh, vi prego, continuate.» «Le finestre della sua stanza sono a più di quattro metri dal suolo. E non c'è alcun appiglio nella facciata perché qualcuno ci si possa aggrappare. È
impossibile che un ladro abbia scalato quel muro.» L'acqua bolliva. Miles riuscì a trovare il sale in un recipiente di terracotta e ne mise un buon pizzico nell'acqua bollente. Mentre stava spegnendo il gas, Fay Seton esclamò: «Oh, scusatemi! Posso aiutarvi?». «No! Lasciatemi solo passare.» Miles si chiedeva se le sue mani sarebbero state in grado di reggere i pentolini. «Il professor Rigaud è qui?» domandò la ragazza a bassa voce. «Sì. Vorreste essere così cortese da lasciarmi passare?» «Avete creduto a quanto vi ho detto?» chiese con ansia. «L'avete creduto?» «Sì, sì, sì!» gridò Miles. «Ma volete o non volete lasciarmi passare? Mia sorella...» Fay Seton si tese in un'espressione combattiva, in cui non c'era più traccia d'umiltà. «Questa situazione non può continuare!» esclamò. Miles non la guardò. Aveva paura di non poter resistere al desiderio di stringerla tra le braccia. Era quanto aveva fatto Harry Brooke, il giovane Harry che marciva nella terra di qualche cimitero militare. Uscì dalla cucina senza voltarsi indietro, portando con precauzione i pentolini. La porta di Marion era socchiusa e lui scansò per miracolo il professore che stava uscendo. «Stavo venendo appunto a vedere che cosa diavolo vi tratteneva in cucina» spiegò Rigaud. L'espressione del suo viso spaventò Miles. «Non è...» cominciò. «No, rassicuratevi. Ho provocato una reazione. Respira e il polso è migliorato... Purtroppo non so quanto potrà durare questo miglioramento. Avete telefonato al medico?» «Sì, è per la strada.» «Bene. Datemi i pentolini. No! No! No! Non entrate. Vi impressionereste e non mi sareste di alcuna utilità... anzi!» Chiuse la porta sul naso di Miles, dopo averlo sbarazzato dei pentolini. Nell'atrio un'ombra passava e ripassava davanti alla finestra. Era il dottor Fell che fumava la sua pipa. «Quell'uomo mi piace» disse senza preamboli. «Parlate del professor Rigaud?»
«Sì, ha del fegato!» «Sono anch'io del vostro parere, e gli sono profondamente grato per l'aiuto che ci dà.» «È un uomo pratico, essenzialmente pratico. Il senso pratico è una qualità che sfortunatamente manca sia a voi che a me. Ma lui ne ha per tre.» «Con tutto questo» disse Miles «crede ai vampiri.» «Sì... è un piccolo difetto che bisogna perdonargli.» «Qual è la vostra opinione su quanto è accaduto?» «Caro Hammond» rispose il dottor Fell, scrollando il capo con fare perplesso «per il momento sarei molto imbarazzato a rispondervi. L'incidente di cui è stata vittima vostra sorella ha sconvolto tutte le mie teorie nel momento stesso in cui credevo di cominciare a vedere chiaro nell'assassinio di Howard Brooke.» «Ah, davvero? Beh, me ne ero accorto. È stato mentre vi ripetevo il racconto di Fay Seton, vero? Il vostro viso ha cambiato espressione. Ho avuto l'impressione che foste inorridito.» «Effettivamente» ammise Fell. «Ma non pensate che, anche per un solo istante, abbia ammesso l'ipotesi di un intervento soprannaturale. Ho semplicemente creduto di intravedere un movente...» «Il movente del delitto?» «No, non esattamente, ma un motivo che ha indotto qualcuno, in seguito a un concatenarsi di fatti, fino al delitto. Un motivo tanto diabolicamente perverso e crudele che...» s'interruppe, poi domandò: «Credete che sia possibile intrattenermi, per un momento, con la signorina Seton?». XI «Certo» rispose Miles. «Credo che sia al piano inferiore.» «Al piano inferiore?» «Sì, la sua camera è al pianterreno. È una delle più accoglienti della casa. È stata rimessa a nuovo recentemente e la pittura ha fatto appena in tempo ad asciugarsi. So che la signorina Seton è alzata; ha sentito il colpo.» «Ah, sì?» «È anche andata nella stanza di Marion e quanto ha visto l'ha tanto sconvolta che non è...» «Perfettamente padrona di sé» completò il dottor Fell, con un sorriso. «Sì, e questi sono i termini che userebbe il professor Rigaud» rispose
Miles «ma non rivanghiamo queste storie. Anche tenendo conto delle difficoltà che avrebbe presentato la scalata alla finestra di Marion...» «Ma, mio caro» interruppe il dottor Fell «è già assodato che nessuno avrebbe potuto tentare una tale scalata. Guardate, piuttosto!» Così dicendo, invitò il suo compagno a sporgersi fuori dalla finestra dell'atrio, spalancata nella notte soffusa di luce lunare. Era contigua alla finestra di Marion, sullo stesso lato della casa. Il dottor Fell indicò, ai piedi del muro, una lunga aiuola vangata di fresco e rastrellata con tale cura che nemmeno un gatto avrebbe potuto camminarci sopra senza lasciare impronte. Ed era chiaramente visibile che la superficie non era alterata da nessuna impronta di passi. «Avete ragione» riconobbe Miles. «Il professore non mancherà di trarre da questo fatto conclusioni favorevoli alla sua tesi. Ma, se è innegabile che Marion ha sparato, non si potrebbe ammettere che lo abbia fatto mirando a un oggetto che si trovava dentro e non fuori della stanza? Questa ipotesi mi sembra molto verosimile.» «Condivido il vostro parere, Hammond, e sono felice di costatare che avete avuto la mia stessa idea. Sfortunatamente non è questo il problema. Il fatto è che qualche cosa, o qualcuno, ha spaventato tanto vostra sorella che, senza l'energico intervento del professore, a quest'ora potrebbe essere morta. Ora, voi avete affermato che la signorina Hammond ha i nervi ben saldi, vero?» «Sì, non l'ho mai vista allarmarsi per una cosa che non ne valesse la pena e dubito che un'apparizione soprannaturale, o pretesa tale, abbia potuto causarle tanta emozione.» «Ne siete assolutamente certo?» «Vi citerò, per convincervi, un caso che ricordo. Quando ero all'ospedale, Marion e Steve venivano a trovarmi spesso e mi raccontavano le vicende più divertenti che capitavano; tra l'altro mi parlarono di una casa stregata che un amico di Steve aveva scoperto. Loro c'erano stati assieme, allo scopo di verificare quanto ci fosse di fondato nelle voci che circolavano.» «Ah? Con che risultato?» «Alquanto sconcertante, credo. Durante la notte, si verificarono fenomeni di carattere completamente inspiegabile. Lo stesso Steve, che non ha alcuna tendenza all'occultismo, si sentì scosso. Marion, invece, si era divertita come una pazza. Rideva fino alle lacrime, rievocando per me la loro avventura e non ha mai dubitato, per un solo istante, di essere stata vittima
di una messa in scena combinata da qualcuno in vena di scherzi. «Capisco» disse il dottor Fell. «È quello che comunemente viene definito un carattere forte. Però, nel caso presente, non bisogna dimenticare che la signorina Hammond, pur non presentando traccia di colpi o di violenza, è rimasta vittima di uno choc nervoso gravissimo e che, indiscutibilmente, deve essersi prodotto un fatto che ne è la causa.» «Di grazia, non ditemi che credete ai vampiri, dottore!» «Non posso rispondervi. Per il momento, mi è impossibile pronunciarmi. Può darsi che la circostanza che ha determinato in vostra sorella uno spavento quasi mortale non abbia carattere soprannaturale; che sia stata vittima di uno scherzo sciocco, per esempio. C'è qualcosa che vostra sorella teme in modo particolare?» «I bombardamenti la spaventano molto, credo; ma non è così per tutti?» «Escludiamo anche questo. Credete che la vista di un ladro armato sarebbe sufficiente per?...» «Mai più!» «Nonostante questo, deve essersi rizzata a sedere sul letto, come se... A proposito, quella rivoltella è sua?» «Sì, certo.» «La teneva nel cassetto del comodino?» «È probabile. Non mi sono mai chiesto dove la tenesse.» Il dottor Fell scrollò la testa, pensoso. Poi pregò Miles di accompagnarlo da Fay Seton. Ma, nel momento in cui stavano per scendere le scale, un viso pallido in cui spiccavano le labbra scarlatte emerse dall'ombra. Le si distingueva a stento la figura, avvolta nell'abito grigio che aveva indossato durante la serata. «Signorina Seton» disse Miles «vi presento il mio vecchio amico, dottor Gideon Fell.» Fay Seton tese la mano pallida al dottore. «Ho sentito già parlare di voi» disse «e so che siete un criminalista di fama. Non siete stato voi a scoprire l'assassino di Frank Dorance nel famoso caso del tennis?» «Ehm...» fece il dottore, imbarazzato. «Non sono, per essere sincero, che un vecchio che ha acquistato qualche esperienza nel corso della sua lunga vita...» «Vorrei scusarmi» riprese Fay, rivolgendosi a Miles «per essermi comportata in modo così ridicolo poco fa, ma ero tanto sconvolta che non mi sono nemmeno ricordata di esprimervi tutta la mia simpatia per la povera
Marion. Posso rendermi utile, in qualche modo?» Aveva già fatto un passo verso la stanza della malata, ma Miles la trattenne. «È meglio non entrare» disse. «Il professor Rigaud si è installato al suo capezzale in attesa del medico e preferisce che non la si disturbi.» «Come sta?» «Non ha ancora ripreso conoscenza» rispose il dottor Fell. «A questo proposito, signorina Seton, vorrei farvi alcune domande. Per mettervi a vostro agio vi dirò subito che, se la signorina Hammond se la cava, la cosa non sarà comunicata alla polizia.» «No?» disse Fay con un sorriso stupito, ma tanto ambiguo da colpire i due uomini. «Ne siete sorpresa? Dovremmo, secondo voi, procedere a un'inchiesta ufficiale?» «Ho forse detto ciò? Sarebbe proprio assurdo. Ma a che proposito volete interrogarmi?» «Rassicuratevi, non si tratta che di chiarire qualche punto... una semplice formalità. Voi siete, e forse lo sapete, l'ultima persona che ha visto la signorina Hammond prima che perdesse conoscenza.» «Effettivamente.» «Il mio amico Miles mi ha riferito dettagliatamente la conversazione avuto questa sera con voi. Ve ne ricordate?» «Certo!» «Verso le udici e mezzo, se non sbaglio, la signorina Hammond è entrata in biblioteca e ha interrotto il vostro colloquio. Le avete fatto un regalo e lei ci teneva a contraccambiarlo. Di modo che vi ha pregato di attenderla nella sua stanza, dove si proponeva di raggiungervi appena finito di parlare col fratello. Tutto ciò è esatto?» «Esattissimo!» «E vi siete recata davvero nella sua stanza?» «Ma sì.» «Subito?» «A dire il vero, no, non subito. Ho pensato che il colloquio di Marion con il fratello sarebbe durato un certo tempo e sono andata in camera mia per spogliarmi. Ho indossato una vestaglia e un paio di pantofole, dopo di che sono salita al primo piano.» «Dopo quanto tempo?» «Dieci minuti o un quarto d'ora, al massimo. Ho trovato Marion in ca-
mera sua.» «E poi?» Il pallido chiarore lunare incupiva le labbra truccate della ragazza che esitò qualche secondo. Era chiaro che cercava di eludere più a lungo possibile una certa domanda del dottor Fell. «Ho regalato a Marion» spiegò «un flaconcino di profumo francese, il Molyneux numero cinque.» «Ah, ah» disse il dottore. «Suppongo che si tratti di quella bottiglietta dorata che è sul suo comodino.» «È probabile» rispose Fay Seton che tornò a sorridere in modo inquietante. «Ricordo, infatti, che Marion l'ha posata vicino a sé, a fianco alla lampada. Lei era seduta su una sedia vicino al letto.» «E... che cosa è successo dopo?» «Quel profumo era una sciocchezza, ma credo che le abbia fatto piacere. Difatti mi ha contraccambiata con una sontuosa scatola di cioccolatini. Ce n'è almeno mezzo chilo. L'ho giù, nella mia stanza.» «Continuate, vi prego.» «Io... veramente, non so che cosa dire. Abbiamo chiacchierato. Ero un po' nervosa e non ero capace di stare ferma. Mi sono messa a passeggiare su e giù per la stanza...» Miles si ricordò, allora, dell'ombra che aveva visto dal giardino interrompere a più riprese il fascio luminoso proveniente dalla stanza di sua sorella. «... Marion voleva conoscere il motivo della mia agitazione, ma non sono stata in grado di dirglielo. Non cessava di parlare di suo fratello, del fidanzato e dei propri progetti. Io, invece, non dicevo un gran che. Guardavo, ricordo, diversi oggetti sul comodino: il lume, la bottiglietta di profumo cui ho già accennato, beh, poco importa... Improvvisamente, circa a mezzanotte, Marion ha deciso che fosse ora di coricarci. Allora sono scesa nella mia stanza e mi sono messa a letto. Questo è tutto.» «La signorina Hammond pareva preoccupata o inquieta?» «Per niente.» Il dottor Fell si cacciò in tasca la pipa spenta e incrociò le braccia. Scrutò per un attimo nella penombra del corridoio attraversato da un raggio di luna il pallido viso di Fay Seton. «Sapete» disse infine «che la signorina Hammond quasi moriva dallo spavento?»
«Sì... è terribile.» «Non avete idea su ciò che possa aver provocato in lei un tale choc?» «Mi spiace, ma non saprei proprio...» «Non più di quanto sappiate, naturalmente, come Howard Brooke sia stato assassinato sulla Torre di Enrico Quarto, sei anni fa?» Senza darle il tempo di accusare il colpo, il dottore proseguì: «Ci sono delle persone, signorina Seton, che hanno delle strane idee. Scriverebbero, per esempio, a un amico lontano cose che, per nulla al mondo, confiderebbero a congiunti. Avete già avuto occasione di notarlo?» Miles sentiva che l'atmosfera stava cambiando. «Siete una buona nuotatrice, signorina Seton?» domandò il dottore. Ci fu un breve silenzio, poi Fay rispose: «Discreta, benché il mio cuore non mi permetta di stancarmi». «Ma, evidentemente, se fosse necessario potreste nuotare sott'acqua, vero?» Miles vide le labbra scarlatte della ragazza contrarsi sui denti candidi. Lei fece un passo indietro, come per sfuggire all'interrogatorio. Nello stesso tempo la porta della camera di Marion si aprì, e il professor Rigaud, in maniche di camicia, diede libero sfogo al suo sdegno. «Che succede?» brontolò. «Perché non viene questo medico, cosa lo trattiene? Vi avviso che non mi è più possibile prolungare le pulsazioni del cuore se tarda oltre...» Ma tacque di botto. Aveva riconosciuto Fay Seton. Allora, mentre Miles dalla porta aperta scorgeva la sorella distesa sul letto con i capelli sparsi e la manica della vestaglia sollevata sul braccio arrossato dalle iniezioni, il dottor Fell poté vedere il professore Georges Antoine Rigaud, dottore in filologia, umanista emerito e disincantato osservatore delle debolezze umane, alzare il braccio nel gesto istintivo del contadino che cerca di proteggersi contro il malocchio. XII Miles Hammond sognava di essere seduto nel salone di Greywood e di leggere attentamente in un grosso libro che teneva davanti il periodo seguente: "Nei paesi slavi la superstizione popolare non attribuisce ai vampiri altra esistenza che quella di un cadavere animato che, rinchiuso di giorno nella sua tomba, ne esce al cadere della notte, in cerca di preda. Nell'Euro-
pa occidentale, e specialmente in Francia, viene dato il nome di vampiro a un demonio che conduce nella comunità una vita apparentemente normale, ma suscettibile di proiettare, durante il sonno, la sua anima sotto forma di pipistrello gigantesco". Miles sottolineò il testo e proseguì: "Creberrima fama est multique se expertos uel ab eis qui experti assent, de quorum fide dubitandum non esset, audisse confirmant, Siluanos et Panes, quos uulgo incubos uocant, improbos saepe extitisse mulieribus et earum adpetisse ac perigisse cuncubitum, ut hoc negare impudentiae uideatur." "Dovrò tradurre questa frase" si disse Miles nel sogno "ma troverò, qui, un dizionario latino?" Passò quindi in biblioteca dove non fu affatto stupito di trovarsi in presenza di una donna elegante, vestita di un lungo abito di mussolina a fiori. Era, e lui lo sapeva, una celebre avvelenatrice dei tempi della Reggenza. Di faccia a lei, dall'altra parte del tavolo, Fay Seton se ne stava seduta modestamente. Miles voleva chiedere a suo zio che stava lavorando in una stanza contigua se avesse un dizionario latino, ma una forza terribile gli paralizzava le gambe, intralciandogli qualsiasi movimento. Sentiva fissi su di sé, con insistenza ossessionante, gli sguardi delle due donne che pareva aspettassero che lui agisse. Un rombo di tuono risuonò in lontananza e Miles si svegliò con il viso inondato di sole. Le finestre spalancate sul giardino lasciavano entrare un fiotto di luce primaverile nel salone. Come mai il salone? Buon Dio! Miles, sdraiato in una poltrona vicino al caminetto, si stirò le membra indolenzite e girò attorno a sé lo sguardo stupito. L'esile suono del telefono gli colpiva le orecchie senza che lui pensasse ad alzarsi, ancora assorto nel sogno. Poi la memoria gli tornò bruscamente. Grazie a Dio, Marion era fuori pericolo! Il dottor Garvice l'aveva dichiarato. Il professor Rigaud dormiva nella stanza di Steve Curtis e il dottor Fell nella sua. Si era sentito troppo stanco in quella notte satura di avvenimenti per rimettere in ordine stanze da lungo tempo non abitate. Ecco perché era in salotto su quella poltrona scomoda. Balzò in piedi ed afferrò il microfono. Gli rispose una voce nota che, senza saper precisare perché, gli faceva vero piacere ascoltare proprio in quel momento. Forse perché il timbro di quella voce era teso come il cristallo e assolutamente privo di qualsiasi inflessione inquietante. «Posso parlare con il signor Hammond?» domandò Barbara Morell, pre-
sentandosi. «Signorina Morell!» esclamò Miles, completamente sveglio, questa volta. «Com'è possibile? Questo è un fenomeno di telepatia!» «Come dite?» «Mi ero ripromesso di chiamarvi, questa mattina, ed ecco che voi mi precedete... Sapete che il dottor Fell è qui? No, no, rassicuratevi, non vi serba rancore. Non abbiamo avuto il tempo di parlare del pranzo disdetto. Anche Fay Seton è a Greywood, ma il dottor Fell non è stato capace di strapparle una confessione. Ha sprecato il fiato. E, sembra quasi incredibile, al punto in cui siamo voi siete l'ultima nostra risorsa. Se ci rifiutate la vostra collaborazione, siamo spacciati.» «Per l'amor di Dio, signor Hammond, siate più esplicito. Rinuncio a comprendere il significato sibillino delle vostre parole.» «Sarebbe una cosa un po' lunga da spiegare... Sentite! Sarebbe meglio incontrarci. Potrei vedervi, quest'oggi, a Londra?» La ragazza rifletté un momento. «Non è impossibile» rispose infine. «A che ora potreste arrivare?» «Oggi è domenica. Credo che ci sia un treno alla una e mezzo... Anzi, ne sono certo. Il viaggio dura circa due ore. Dove potremmo trovarci?» «Verrò alla stazione di Waterloo e andremo in qualche posto a prendere il tè. Ma...» «Ottima idea! No, per il momento, posso dirvi solo che questa notte, nella stanza di mia sorella, è accaduto qualche cosa di assolutamente incredibile di cui dovete aiutarci a scoprire il significato...» Miles si rese conto all'improvviso di non essere più solo. Alzò gli occhi. Stephen Curtis stava in piedi davanti a lui, correttamente vestito di grigio, con l'ombrello accuratamente arrotolato sotto il braccio. Veniva dall'ingresso e aveva udito le sue ultime parole. «Mi spiace di non poter continuare, Barbara» disse Miles. «Arrivederci.» Riappese. Bisognava ora informare Steve dell'accaduto. Grazie a Dio, non doveva comunicargli la morte di Marion. Steve guardava stupito il suo futuro cognato seduto a terra con i capelli in disordine e la barba lunga. «Dunque?...» cominciò. «Non preoccuparti» rispose Miles, alzandosi in piedi. «Marion ha trascorso un brutto quarto d'ora, ma è fuori pericolo e Garvice ha dichiarato che...»
«Marion!» esclamò Steve con voce acuta, impallidendo violentemente. «Che diavolo vai dicendo! Che cosa è successo?» «Non si sa ancora di preciso. Qualcuno deve essere entrato nella sua stanza dove... insomma, questa notte è accaduto qualche cosa di straordinario e Marion ha avuto uno choc violentissimo. C'è mancato poco che non morisse.» Stephen per un po' di tempo non fu in grado di dire parola. Poi strinse nervosamente l'ombrello e, inoltratosi nella stanza, ruppe il manico contro il tavolo. «Si capisce» disse freddamente, quando ebbe ritrovata la calma. «La tua maledetta bibliotecaria non è estranea a questa storia.» «Cos'è che te lo fa supporre?» «Non lo so. Ieri alla stazione ebbi un presentimento. Ci sono delle persone che menano gramo dovunque vadano. Ricordi che ho tentato di mettervi in guardia contro un pericolo, ma tu e Marion mi avete riso in faccia. Oh, Marion! È impossibile!» esclamò disperatamente. E Miles notò sulla tempia del futuro cognato una vena bluastra gonfiarsi. «Marion deve la sua salvezza al professor Rigaud» proseguì Miles. «Lui ha trascorso la notte al suo capezzale. Credo di averti già parlato di lui. Lo vedrai fra poco. Dorme ancora e non è opportuno svegliarlo.» Steve si allontanò. Andò a piazzarsi davanti alla finestra, senza parlare, e Miles non vide più che le sue larghe spalle leggermente curve. Ma un momento dopo Steve si voltò. Hammond si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime e si sentì a disagio. «Sei appena arrivato?» domandò per dissipare l'atmosfera che si era fatta penosa. «Sì. Ho preso il treno delle nove e trenta.» «E... c'era parecchia gente?» «Non troppa.» Poi chiese bruscamente: «Dov'è?». «In camera sua, di sopra. Dorme.» «Posso vederla?» «Ma certo. Ti ho già detto che ora è fuori pericolo. Ha solo bisogno di qualche giorno di riposo. Non fare troppo rumore, però, perché in casa dormono tutti.» Non era vero. Quando Steve varcò la soglia del salotto si trovò faccia a faccia con un omone imponente che reggeva delicatamente, come una cosa preziosissima, un vassoio con una tazza di tè. Stephen era tanto assorto nei suoi pensieri che non prestò attenzione allo sconosciuto. Tutt'al più sentì il
bisogno istintivo di togliersi il cappello che non si era ancora tolto. Scoprì così la sua testa calva. Poi infilò rapidamente le scale non senza aver gridato a Miles, interdetto: «Ti rendi conto che non sarebbe successo nulla se tu non avessi ficcato il naso in quel maledetto Club del Delitto?» Il dottor Fell si volse con il vassoio ancora in mano. «È?...» chiese a Miles. «Sì: Steve Curtis, il mio futuro cognato.» «Ah! Ah! Vi ho preparato una tazza di tè. Sfortunatamente, benché abbia cercato di farlo con tutte le regole d'arte, ho tardato un po' a portarvelo perché nel frattempo mi è balenata un'idea e ho perso tempo a rimuginarla. Temo quindi che non sia più tanto caldo.» «Andrà benissimo» rispose Miles con la serietà delle persone il cui pensiero è visibilmente altrove. Prese il vassoio dalle mani del dottore e bevve distrattamente il contenuto della tazza. Poi riconobbe lealmente i suoi torti. «Tutta colpa mia» dichiarò. «E posso essere contento del mio operato!» «Non siate troppo precipitoso nei giudizi» lo consigliò il dottor Fell. «Sì, sì, sono io l'unico colpevole. Sa Iddio a quale oscuro movente ho obbedito conducendo qui Fay Seton! Sarei imbarazzatissimo a dirvelo, ma rimane il fatto che ce l'ho portata e che ora... Avete sentito quello che ha detto Steve?» «A che proposito?» «A proposito delle persone che portano il malocchio dovunque vadano.» «Sì, ho sentito. Tanti ci credono.» «Ieri sera» proseguì Miles «mi sentivo così stanco e nervoso che quando ho visto Rigaud accennare a un gesto di difesa per proteggersi dal malocchio, non ho provato alcuna sorpresa. Non c'era nulla che potesse stupirmi. Ma questa mattina, dopo qualche ora di sonno e con questo splendido sole, mi è difficile, ve lo confesso, prestare fede alle vostre storie di vampiri. E tuttavia... sento confusamente che qualcosa turba l'atmosfera che ci circonda. Mi sembra di avere attirato su di noi una maledizione. Non so se mi comprendete.» «Perfettamente, ma prima di battervi il petto e addossarvi tutte le colpe non sarebbe saggio chiedervi se Fay Seton è realmente, in questo caso, l'elemento perturbatore?» Miles si raddrizzò, come sotto l'effetto di una scossa elettrica. Il dottor Fell, che lo sorvegliava di sottecchi al di sopra degli occhiali posati di sghembo sul naso, trasse di tasca una scatola da tabacco il cui co-
perchio rigonfio rammentava la pancia del padrone. Accese la pipa e si installò comodamente in una poltrona. «Caro Hammond» cominciò «lasciate che vi dia qualche schiarimento sul mio punto di vista, benché non sia ancora in grado di giungere a una conclusione. Non vi dirò se ancora due giorni fa ero incline o meno a credere all'esistenza dei vampiri. Resta il fatto che la lettura del manoscritto del nostro eccellente amico Rigaud non mi ha convinto e che, ancora ieri, ero piuttosto scettico. Che un vampiro incarnato durante il giorno in un essere umano simile a voi e a me si manifesti la notte per giocare i suoi tiri alle persone sensibili, forse l'avrei anche ammesso. Che vada oltre e infilzi con una spada la vittima prescelta, passi ancora. Il mondo non è forse pieno di cose che, per quanto inspiegabili, non possono essere negate a priori? Ma che lo stesso vampiro sottragga una cartella piena di banconote, eh, no! Nessuno sarà capace di farmelo credere. Questa notte, quando mi avete riferito il caso tale e quale l'avevate sentito dalla signorina Seton e con un particolare che il professor Rigaud aveva omesso nel suo esposto, una verità, per lo meno la ritengo tale, mi è balzata agli occhi, e sono giunto alla conclusione che solo un essere ben vivo, dotato per giunta di uno spirito diabolico, e non un'entità metafisica, aveva ordito tutta la trama. È stato allora che un incidente che quasi costava la vita a vostra sorella è sopravvenuto a cambiare tutta l'impostazione del problema. Eccoci tornati al punto di partenza e Rigaud ha nuovamente buon gioco su di noi. Non sappiamo ancora esattamente quello che è successo questa notte. La signorina Hammond è ancora sotto l'effetto dell'emozione e il dottor Garvice ha raccomandato prudenza nei suoi riguardi. Pare indiscutibile che l'assassinio della Torre di Enrico Quarto e l'attentato di cui vostra sorella è stata vittima sono strettamente connessi, e che le due cose, in un modo che ancora non so spiegarmi, hanno un nesso con la strana personalità della giovane rossa che vi turba tanto.» «Dire che mi turba, è poco» riconobbe Miles. «Sono, come dire...» «...stregato, vero?» «Sì, credo che sia la parola adatta.» «Permettete una domanda? Se venisse provata la colpevolezza di Fay Seton, sia che si tratti di cose di ordine naturale che soprannaturale, i vostri sentimenti subirebbero qualche cambiamento?» «Per l'amor di Dio, dottore, non vorrete anche voi mettermi in guardia contro quella povera ragazza?» «No» gridò il dottor Fell con una smorfia spaventosa e vibrando un tre-
mendo pugno sul bracciolo della poltrona, tanto che Miles ebbe qualche apprensione. «Anzi! Se l'idea che mi è venuta è giusta, diverse persone di mia conoscenza dovranno delle scuse alla signorina Seton. No, caro amico, la mia domanda era accademica, per usare un termine grato a Rigaud. E vi sarei molto obbligato se voleste rispondermi.» «Beh, non lo credo. Non ci si innamora di una donna solo per le sue virtù.» «Ecco un luogo comune, che. pur essendo banale, non è per questo meno vero psicologicamente... Ma torniamo al nostro caso che rimane ancora misterioso. Questa notte ho interrogato la signorina Seton con dei giri di parole. Voglio riprovare, senza perifrasi questa volta, ma temo di non cavarci nulla. Forse sarebbe opportuno metterci in contatto con la signorina Barbara Morell. È l'unica che ci può aiutare.» «Un momento» esclamò Miles, alzandosi. «È già fatta. Mi ha appena telefonato.» «Ah! sì?» chiese il dottore stupito, con un'espressione di vivo interesse. «Che cosa voleva?» «Ora che ci penso» rispose Miles «mi accorgo di non saperlo. Mi sono semplicemente scordato di chiederglielo...» «Caro il mio ragazzo» disse il dottore benevolmente. «Più vi conosco e più mi rendo conto della nostra somiglianza spirituale. Mi asterrò dai commenti perché anch'io faccio ogni giorno cose del genere. Che cosa le avete detto? Le avete parlato di Jim Morell?» «No. Steve è giunto nel momento in cui fissavamo un appuntamento e non ho avuto il tempo di chiederle nulla. Ma mi sono ricordato che, secondo voi, avrebbe potuto fornirci delle informazioni utili. Quindi, siccome agli occhi di tutti passerò, se già non passo, per l'idiota che ha introdotto il lupo nell'ovile, ho creduto mio dovere impegnarmi con tutte le mie forze per circoscrivere il male.» Miles si sentiva sempre più depresso e nervoso. «No!» esclamò improvvisamente. «Fay Seton non è colpevole.» Avrebbe forse cercato di giustificare questa sua fede in lei, se il dottor Garvice, con in mano borsa e cappello, non avesse infilato la testa nello spiraglio della porta. Era un uomo di mezza età, dal viso piacevole e dai capelli grigi. I suoi modi erano gentili e tranquilli, ma lo si intuiva preoccupato. «Signor Hammond» disse con un sorriso «prima di salire dalla mia malata, potrei dirvi due parole?»
«Certo» rispose Miles. «Potete parlare liberamente davanti al dottor Fell.» Il medico andò a chiudere la porta, poi tornò verso i due. «Raramente mi è accaduto nel corso della mia lunga carriera di trovarmi in presenza di uno choc nervoso senza che mi sia stato possibile riscontrare, come sul corpo di vostra sorella, la benché minima ferita o la minima traccia di percosse. La signorina Hammond è forse...» esitò a pronunciare una certa parola. «Insomma... voglio dire... si tratta forse di un soggetto particolarmente nervoso?» «No» rispose Miles con la gola contratta. «Lo immaginavo» proseguì il dottor Garvice. «La signorina mi è sembrata, infatti, perfettamente sana di corpo e di mente. Dobbiamo quindi concludere che sia accaduto, in sua presenza, qualche cosa di assolutamente anormale. Mi avete detto, se non erro, che qualcuno l'avrebbe minacciata attraverso la finestra?» «È una nostra supposizione, ma non ne abbiamo ancora la minima prova.» «Siete certi che non ci sia stato un tentativo di furto?» «Sì, o per lo meno, nessun indizio sembra dimostrarlo.» «La polizia è stata avvertita?» «Mio Dio, no!» ribatté prontamente Miles; poi proseguì, cercando di rimanere calmo: «Capirete, non desideriamo che la polizia intervenga». «Sì, sì, capisco... Ehm! La signorina non è mai stata soggetta ad allucinazioni?» «No, perché?» «Perché...» spiegò il medico alzando gli occhi che aveva sempre tenuti fissi al tappeto. «Perché ha parlato più volte di un mormorio che avrebbe sentito.» «Un mormorio?» «Sì, è molto strano.» «Ma comunque questo non sarebbe stato sufficiente, suppongo, per provocare in lei un tale spavento?» «No, sono del vostro stesso parere.» «Un mormorio...» «Beh» concluse il medico. «Spero che non tarderemo a sapere di cosa si tratta. Per ora non è il caso di tormentare la signorina. Ho avuto la fortuna di trovare un'infermiera che sta per giungere. Tornerò da voi dopo aver visto la mia malata. Sarà anche opportuno che visiti quella ragazza... come si
chiama... signorina Seton, vero? Mi è sembrata un po' debole e anemica.» Quando il vecchio medico richiuse la porta, Miles si diresse verso la sala da pranzo. «Devo pensare alla colazione» disse. Poi, rivolto al dottor Fell: «Un mormorio» ripeté «un mormorio... È un indizio che può mettervi su una pista, dottore?». «Disgraziatamente no! Il vampiro, di solito...» «Per l'amor di Dio, smettetela di parlare di vampiri. Il solo sentirli nominare mi urta i nervi.» Il dottor Fell parve non rilevare il rimprovero di Miles. «Secondo la credenza popolare» proseguì imperterrito «il vampiro comincia effettivamente col mormorare qualche parola alla sua vittima, per farla andare in trance. Ma io suppongo che simile trucco, supposto che ci troviamo in presenza di una mistificazione, non avrebbe avuto alcun effetto su un carattere forte come quello della signorina Hammond.» «Avete ragione, Marion è refrattaria a questo genere di influenze.» «È completamente priva di immaginazione?» «Questo è forse un po' esagerato. Ma ha sempre dimostrato il più profondo disprezzo per le storie di fantasmi e, ogni volta che ho tentato di parlare di scienze occulte, mi ha sempre preso in giro. Anche quando in sua presenza ho fatto il nome di Cagliostro...» «Scusatemi, a che proposito? Ah, capisco. Alludevate certo al libro del professor Rigaud.» «Sì, e mia sorella credeva che Cagliostro fosse uno dei miei amici.» «Una persona perversa, quel Cagliostro, ma affascinante, bisogna riconoscerlo» disse il dottore. «E deve qualcosa all'Inghilterra, in fondo...» All'improvviso tacque, lasciò cadere la pipa e si prese la fronte tra le mani. Per un po' rimase in quella posizione, respirando appena. «Scusatemi» disse infine, alzando la testa. «Qualche volta è utile distrarsi... Credo di aver trovato finalmente il bandolo della matassa...» «Quale bandolo?» esclamò Miles. «Ora so che cosa ha spaventato vostra sorella. E non si tratta di un incidente. Il male è stato fatto intenzionalmente, con premeditazione... E questo significa... Dio ci protegga... che...» Miles seguiva sull'espressione mutevole del dottore il lavorio della sua mente. «Saliamo» disse infine Fell. «Sapremo se ho ragione o torto.» Miles annuì e lo accompagnò fino alla camera di Marion.
XIII Una ragazza in uniforme da infermiera aprì loro la porta. La stanza della malata era immersa nella penombra e le pesanti tende di seta azzurra lavorata in oro non lasciavano trapelare che vagamente la viva luce esterna. Marion riposava tranquilla. Nella stanza regnava un ordine perfetto che rivelava a prima vista la presenza di un'infermiera di professione. Stephen Curtis sedeva a fianco del comodino con le spalle curve; era visibilmente abbattuto. Il dottor Fell si avvicinò al medico che stava per uscire. «Dottor Garvice» gli disse con un tono di voce che colpì gli astanti «ieri mi avete fatto l'onore di dirmi che il mio nome non vi era sconosciuto.» Il medico fece un inchino senza parlare. «Non sono medico» proseguì Fell «e non ho nozioni mediche se non quelle dell'uomo della strada. È quindi facile che voi respingiate la domanda che vi farò. È vostro diritto e non ve ne serberò rancore. Premesso questo, mi permettete di esaminare la malata? Vorrei accertarmi dello stato del suo collo e dei suoi denti.» «Ma, caro signore» protestò il medico «la signorina Hammond non presenta alcuna ferita o ecchimosi.» «Lo so» rispose il dottor Fell. «E se sospettate che abbia ingerito una droga o altro...» «No, no, è evidente che la signorina non ha subito lesioni fisiche e che non le è stata somministrata nessuna droga. Non ignoro che è stata la sola paura a provocare la crisi che l'ha abbattuta. Tuttavia, insisto nella mia richiesta.» Il medico fece con la mano un gesto d'impotenza. «Come volete» disse. «Signorina Peters, scostate le tende, per favore. Scusatemi, signori, devo visitare ancora la signorina Seton.» Ma non se ne andò subito, si trattenne sulla soglia, mentre il dottor Fell si avvicinava al letto. Miles non poteva vedere quello che Fell faceva perché le larghe spalle gli coprivano la visuale. «Ebbene?» chiese il medico con un moto d'impazienza. «Avete trovato qualche cosa?» «No» rispose Fell, deluso.
Si era rialzato ed esaminava attentamente lo scendiletto. «Eppure» riprese «ci deve essere un mezzo per provare...» «Provare cosa?» «La presenza di uno spirito malvagio» rispose il dottor Fell. «Avete voglia di scherzare» rispose con asprezza il medico. «Ora devo pregarvi di lasciar riposare la signorina Hammond. Fareste bene a lasciare la stanza anche voi, signor Curtis. La malata ha bisogno di rimanere tranquilla, in calma assoluta.» Rimase in piedi, vicino alla porta, come un pastore che guardi sfilare il suo gregge, mentre il dottor Fell, Miles e Steve uscivano docilmente. «Dottore» disse Fell quando la porta fu chiusa «sfortunatamente non scherzavo affatto... Presto lo capirete anche voi. Ma potrei sapere perché intendevate visitare la signorina Seton?... Sta male?» «No, ma mi è sembrata molto nervosa e vorrei prescriverle un calmante.» «Vorreste essere tanto cortese da invitarla a raggiungerci poi nell'atrio? Abbiamo già avuto in quel luogo un'intervista molto interessante con lei, questa notte...» «Stanno succedendo in questa casa cose che sfuggono alla mia comprensione» rispose il dottor Garvice dopo un attimo di esitazione. «Ma non mancherò di riferire il vostro desiderio. Arrivederci, signori.» Miles lo guardò andarsene con il suo incedere lento, poi strinse un braccio a Curtis. «Animo, Steve» gli disse. «Scuotiti! È ridicolo che tu ti lasci abbattere in questo modo, dal momento che il medico ci ha rassicurato sulle buone condizioni di Marion. Credi che io non mi inquieterei se ne valesse la pena? Dopotutto, Marion è mia sorella...» «Infatti» rispose Stephen «per te non si tratta che di una sorella, mentre per me Marion rappresenta...» «Sì, sì, lo so.» «La differenza sta appunto in questo» soggiunse Stephen. «Tu non l'hai mai amata molto E ora che per di più quell'avvelenatrice ti ha fatto perdere la testa...» «Che diavolo stai dicendo?» «Eh, sì! Ieri, mentre prendevamo il tè a Waterloo, non avete forse detto, tu e Marion, che questa Fay... Vattelapesca aveva avvelenato non ricordo più chi?...» Stephen alzò improvvisamente la voce: «Convieni» gridò «che ti curi poco di tua sorella, ma che sei disposto a mettere sottosopra terra e
cielo per una donnaccia che hai raccolto sul marciapiede...» «Steve! Che diavolo ti prende?» Curtis si calmò di colpo e parve vergognarsi. Scosse la testa, si accomodò il nodo alla cravatta e si scusò immediatamente: «Perdonami, perdonami, Miles! Non so che cosa mi sia successo! Non avevo intenzione di offenderti... Ma qualche volta accade che si perda il controllo sia delle parole, sia degli atti... È meglio che vada a riposare un po'.» «Un momento, Steve! Non entrare in quella stanza!» «Perché no? Non è la mia?» «Sì, ma abbiamo dovuto cederla al professor Rigaud. Ora sta dormendo.» «Ah! quella canaglia di Rigaud!» borbottò Stephen, volgendo le spalle e scendendo le scale a precipizio, come se fosse inseguito da cento diavoli. Miles rimase sbalordito e si domandò se l'influenza malefica che dominava la casa non si fosse estesa anche a Steve. Il dottor Fell, che era rimasto un po' in disparte, si avvicinò al giovanotto. «Hammond» disse con gravità «non stupitevi se mi vedrete tentare un colpo grosso. Sono fermamente deciso, questa volta, a mettere in chiaro la faccenda e la signorina Seton non deve cercare di prendermi in giro come ha fatto questa notte. Voglio interrogarla seriamente; potete assistere anche voi e metto la mano nel fuoco che, fra pochi minuti, sapremo la verità sulla morte di Howard Brooke e sugli avvenimenti di questa notte.» Cominciarono a salire le scale, ma si imbatterono nel dottor Garvice che veniva verso di loro. «Ho creduto mio dovere avvertirvi» disse quest'ultimo «che la signorina Seton è partita.» «Partita? Che cosa volete dire?» esclamò il dottor Fell, con il viso arrossato dalla collera. «Semplicemente che non è più in questa casa, e che ha lasciato una lettera sul tavolo per il signor Hammond.» Miles strappò dalle mani del medico una busta sigillata con il suo nome scritto in caratteri slanciati. La voltò e rivoltò un po' stringendo i denti, mancandogli quasi il coraggio di aprirla. Infine, si decise a leggerla: Caro signor Hammond, Sono spiacente di dovermi recare a Londra oggi per un affare
urgente. Mi accorgo ora di aver avuto ragione a conservare la mia stanzetta in città. D'altra parte... Non avete idea di che utilità possa essere una semplice cartella... Non state in pensiero, sarò di ritorno prima di sera. Sinceramente vostra. Fay Seton. Miles comunicò il contenuto della lettera agli altri. Quando giunse al punto in cui si alludeva alla cartella la sua voce ebbe un tremito; presentiva che quella frase era satura di significati nascosti. «Dio buono!» imprecò il dottor Fell. «Dovevo aspettarmelo! Non ci voleva molto a indovinarlo. Perché non ho...» «Ma che c'è di male?» domandò Miles «dal momento che Fay dice che tornerà questa sera?» «Si capisce» sghignazzò l'omone «torna questa sera! È la sola cosa che vi importi. Che cosa direste se non tornasse? Se non potesse tornare? Sarei curioso di sapere, tra parentesi, a che ora ha lasciato Greywood.» «Non posso illuminarvi su questo punto» rispose il dottor Garvice. «Non dovete rivolgervi a me.» «Ma qualcuno deve pur averla vista, prima che se ne andasse» ruggì il dottor Fell. «Una rossa di tal fatta non passa inosservata.» Aveva gridato tanto forte che la signorina Peters, l'infermiera, socchiuse la porta per zittirlo. Ma tacque e parve contrariata nel constatare che il medico era ancora lì. «Non sapevo che foste ancora qui, dottore!» disse con voce che mal celava il suo disappunto. Ma subito la innata curiosità femminile ebbe il sopravvento. «Ho sentito» disse «che chiedevate di una ragazza dai capelli rossi. Forse è quella che ho incontrato per strada circa tre quarti d'ora fa? Io arrivavo in bicicletta proprio mentre lei saliva sull'autobus.» Il dottor Fell girò su se stesso come una trottola. «Volete dire l'autobus che va alla stazione Centrale di Southampton?» «Si capisce!» «E... c'è un treno per Londra a quest'ora?» «Sì» intervenne il medico «il treno dell'una e trenta. L'autobus arriva alla stazione qualche minuto prima.» «Dio mio» esclamò Miles. «Il treno dell'una e trenta! Ma è quello che dovevo prendere anch'io! Me n'ero completamente scordato.»
«Beh,» fece notare il medico con un sorriso agrodolce «ecco un treno che difficilmente potrete prendere; partirà fra venti minuti.» «Ascoltatemi» disse il dottor Fell, agguantando Miles per una spalla. «Bisogna che voi prendiate quel treno!» «Ma è impossibile, diavolo! Non faccio più in tempo!» «Sì, invece; saltate sull'automobile che il nostro amico Rigaud ha così elegantemente requisito. È indispensabile che raggiungiate a qualsiasi costo la signorina Seton. Si tratta di vita o di morte. Volete tentare?» «Certo! Farò i centoventi all'ora o anche più. Ma se per caso non arrivassi in tempo...» «Ah, mi chiedete troppo!» gemette il dottor Fell come se lo stessero torturando. «In questo caso vi arrangerete a trovare la signorina Seton nella sua "cameretta in città", dove suppongo si rechi. Avete il suo indirizzo?» «No. Ignoravo anche che avesse un domicilio a Londra.» «Ebbene!» concluse il dottor Fell «non vi resta che prendere al volo il treno. Fate presto! Il pericolo è imminente e, vi ripeto, si tratta di vita o di morte. Dovete riuscire.» XIV Un colpo di fischietto stridette nell'aria. Le portiere sbatterono e il treno si avviò. «Non ci riuscirai» ansò Steve Curtis. «Vuoi scommette di sì?» lo sfidò Miles a denti stretti, teso allo spasimo. «Ti proibisco di saltare!» gridò Stephen. Ma Miles correva sulla banchina senza ascoltarlo lungo le vetture di prima classe. Mancò poco che non andasse a sbattere contro un carrello, ma riuscì ad aggrapparsi alla maniglia della porta di un vagone. Il treno accelerava paurosamente la sua corsa e il resto della manovra che gli rimaneva da compiere offriva più di un pericolo. Nel momento in cui riuscì ad aprire la portiera, sentì una contrattura nella schiena e credette di essere proiettato indietro, nel vuoto. Ma con un violento colpo di reni effettuò un'inversione in grande stile e un attimo dopo, mezzo stordito, piombava sul pavimento dello scompartimento. Si sentiva sfinito, e attese vicino alla porta che il suo respiro tornasse normale. Quando si volse, poté vedere dieci paia di occhi fissi su di sé. A eccezione di una corpulenta ragazza in uniforme, i dieci passeggeri dello scompartimento a sei posti lo scrutavano senza soverchia indulgenza.
«Scusatemi» disse Miles, aprendosi un passaggio tra le gambe dei passeggeri stipati. Doveva mettersi subito alla ricerca di Fay Seton. Il treno era lungo; Miles lo percorse tutto, distribuendo energiche quanto opportune gomitate, inciampando a ogni passo nei mucchi di valigie e districandosi a malapena dal groviglio dei bimbi assiepati davanti alle ritirate. Quantunque si esortasse alla calma, a mano a mano che avanzava sentiva ingigantire la sua angoscia. Dopo aver percorso il treno in tutta la sua lunghezza per ben tre volte dovette arrendersi all'evidenza. Quella che cercava non c'era. Si piazzò allora nel corridoio, davanti al finestrino, cercando di frenare i battiti del cuore; ma invano. Il viso inquieto del dottor Fell gli appariva di continuo sul paesaggio sfuggente e il martellamento regolare delle ruote riproduceva alle sue orecchie le ultime raccomandazioni che gli aveva fatto: "Trovatela a qualunque costo e non lasciatela nemmeno per un secondo. Si tratta di vita o di morte". Il viaggio gli parve interminabile. Il cielo si era oscurato improvvisamente e aveva aperto le cateratte. Violente raffiche di pioggia si abbatterono sui finestrini del treno. Finalmente, alle quattro meno venti, il convoglio si fermò alla stazione di Waterloo e Miles, un po' rinfrancato, scorse fra la folla il viso fresco di Barbara Morell che dissipò per un attimo la sua inquietudine. «Salve!» esclamò. «Sono desolato che abbiate dovuto attendermi in una simile ressa.» «Sciocchezze!» rispose la ragazza. «In ogni caso dovevo uscire. Devo andare in ufficio, questa sera.» «In ufficio? Di domenica sera?» «Il fatto è che... sono giornalista» confessò la ragazza «e non una scrittrice come voi credevate. Ma che diavolo vi è successo? Siete stravolto!» «Per forza!» rispose Miles. «Il dottor Fell mi ha incaricato di ritrovare Fay Seton a tutti i costi. Invece, benché fossimo sicuri che si trovasse su questo treno, non sono riuscito a pescarla.» «Eppure c'era; l'ho vista passare appena venti secondi fa.» «È impossibile» ribatté Miles. «Dovete esservi sbagliata. Ho perlustrato tutti i vagoni del treno. Inoltre, come avreste potuto riconoscerla? Non l'avete mai vista!» «Prego, ho visto la fotografia a colori che il professor Rigaud ci ha mostrato, e posso assicurarvi di averla vista scendere dal treno.» Miles si chiese scoraggiato se fosse pazzo, cieco o ubriaco. Come mai Fay Seton era sfuggita alle sue ricerche?
Con quel viso pallido, quelle labbra troppo rosse, quei capelli di fiamma? Ah, come sarebbe stato riposante poter andare a bere un tè con la semplice e fresca Barbara, e rinunciare al folle inseguimento! Ma dopo averla conosciuta erano accadute tante cose che ormai non era più possibile... «Siete proprio certa di aver visto Fay Seton?» chiese ancora. «Assolutamente certa.» «In che direzione è andata?» «Non saprei, è svanita nella folla.» «Un momento! Il dottor Fell ritiene che voi conosciate il suo indirizzo. La signorina Seton ha conservato, sembra, una camera in città. Sapete dove?» «Sì» rispose la ragazza, frugando nella borsetta. «Aspettate... Ecco il mio libriccino degli indirizzi... Seton... 5 Bolsover Place, N. W. I... Non è uno dei quartieri migliori.» «Qual è il mezzo più rapido?» «La metropolitana. La linea è diretta e non dovremo cambiare.» «Scommetterei che è il mezzo scelto anche da lei. Ma, siccome non ha più di due minuti di vantaggio su di noi, dovremmo raggiungerla. Venite con me.» "Dio mio" pregava intanto Miles fra sé "datemi un po' di fortuna! Mettetemi in mano le carte che ci vogliono per vincere questa partita." All'improvviso, mentre acquistavano i biglietti e aspettavano l'arrivo del convoglio, Miles scorse Fay Seton. Era all'altro capo del marciapiede e, quando comparve il treno, si avviò alle porte che si stavano già aprendo. «Fay!» gridò con tutta la sua forza. «Fay!» Ma il suo grido si perse nel frastuono. «Non cercate di correre fra la gente» gli consigliò Barbara «le porte stanno per chiudersi e la perderemo. È meglio salire su questa vettura.» Miles obbedì, ma era disperato. Essere così vicino alla meta senza sapere se Fay Seton gli sarebbe sfuggita una seconda volta... «Se potessi andare fino in fondo al treno!» mormorò, saltando nello scompartimento gremito. «Non tentate nemmeno» supplicò Barbara, indicando un cartello che avvertiva i passeggeri di non passare da una vettura all'altra, finché il treno era in moto. «Vi buschereste una multa, senza risultato.» «Avete ragione.» «Fay Seton scenderà a Camden Town e non potrà sfuggirci. Sedetevi!»
Miles si lasciò cadere su un sedile a fianco di Barbara. «Non vi voglio importunare con mille domande» proseguì Barbara «ma non vi nascondo che sono divorata dalla curiosità. Ditemi, perché avete tanta fretta?» «Charing Cross!» gridò il conduttore. Miles balzò in piedi, ma la giovane lo trattene, sorridendo. «Tranquillizzatevi» gli disse. «Siamo ancora lontani da Camden Town e avete tutto il tempo di parlare. Ora Fay Seton non ci può sfuggire.» Miles si sedette e prese la mano della sua compagna che strinse tra le sue. «Non è molto tempo che vi conosco» disse «ma non c'è altra persona con la quale preferirei parlare in questo momento...» «Lusingatissima» mormorò Barbara, senza guardarlo. «Non sono in grado di descrivervi il fine-settimana trascorso da noi» proseguì il giovane. «Un vero dramma! Non è mancato nulla: un vampiro, un'aggressione notturna. No, proprio niente!» «Che?» chiese ritraendo la mano. «Sì, credetemi, non sto esagerando. E per giunta il dottor Fell ritiene che voi possiate darci un'informazione della massima importanza. Chi è Jim Morell?» «Jim Morell non ha niente a che fare con questa faccenda» dichiarò Barbara; le sue dita si contrassero sulla cerniera della borsetta. «Non sa nulla, non ha mai saputo nulla sulla morte del signor Brooke.» «D'accordo. Ma chi è?» «Mio fratello» rispose la ragazza, passandosi la lingua sulle labbra. «Chi vi ha parlato di lui?» «Fay Seton... Vi spiegherò subito. Ma dov'è ora?» «Nel Canada. È stato prigioniero in Germania per tre anni e lo abbiamo creduto morto. È andato nel Canada per ragioni di salute. È più vecchio di me. Era un pittore noto... prima della guerra.» «E anche amico, credo, di Harry Brooke.» «Sì» disse Barbara a voce bassa ma chiara. «Era amico di quel porco di Harry.» "Perché porco?" si chiese Miles, pur continuando ad ascoltare fremente d'impazienza i nomi delle stazioni che i conduttori annunciavano. «C'è una cosa che vi debbo confessare» disse in tono imbarazzato, ma risoluto. «Io credo all'innocenza di Fay Seton. Ho bisticciato più o meno con tutti a causa di questa mia convinzione: con mia sorella Marion, con il
suo fidanzato Steve Curtis, con il professor Rigaud e forse anche con la prima persona che mi ha messo in guardia contro Fay Seton...» «Io? Io vi ho messo in guardia?» «Sì... Mi sarei sbagliato?» «Oh!» sospirò Barbara. C'era in quell'esclamazione uno stupore così profondo che Miles fu scosso. Poi vide spuntare una luce di comprensione negli occhi grigi e un sorriso sulle labbra di Barbara. «E così, voi credete...» disse quest'ultima. «Sì... sbagliavo?» «Ascoltate, amico mio» cominciò la ragazza, posando una mano sul braccio del compagno «temo proprio che ci sia stato un terribile malinteso. Io mi chiedevo ansiosamente se non sareste potuto venire in aiuto di Fay Seton. Mai, mai nessuna donna è stata tanto ingiustamente, tanto crudelmente, tanto diabolicamente calunniata. L'unica cosa che cercavo di sapere era se aveva avuto la possibilità materiale di commettere quel delitto perché ignoravo tutti i particolari. Notate bene, lei aveva le migliori ragioni del mondo per commetterlo, ma il resoconto del professore prova chiaramente che non è colpevole. D'altronde lo sapevo già Ricordate che al Beltring ho cominciato a interessarmi al racconto del professore solo dal momento in cui ha esposto le circostanze del delitto vero e proprio? Tutto il resto non aveva per me alcuna importanza, perché mi era noto tutto l'intrigo per calunniare Fay Seton. Posso provarlo. Possiedo un intero fascio di lettere che ne fanno fede. Ah! se non fossi stata così vile!... Ma io sono vile, vile, terribilmente vile...» XV «Leicester Square!» strillò il conduttore. Una o due persone entrarono. Un soldato australiano ronfava. Le porte si rinchiusero. Camden Town era ancora lontana. Miles non vedeva nulla attorno a sé. Riandava con la memoria alla serata al Beltring e interpretava diversamente, ora, il contegno di Barbara Morell. «Il professor Rigaud» proseguì la ragazza «è molto perspicace, quando osserva fatti esteriori. Ma non riesce mai a indovinare quello che si cela sotto la superficie delle cose... È stato per un'intera estate il compagno preferito di Harry Brooke, il suo angelo custode. E con tutto ciò nemmeno per un attimo ha intravisto la verità. Non ha mai capito che sotto l'apparenza
del bel ragazzo, ben educato, Harry era un bruto che sarebbe passato sopra a qualsiasi ostacolo per giungere ai suoi fini. Vi ricordate il suo desiderio di dipingere?» «Sì. Rigaud ha insistito su questo particolare.» «E le discussioni che ha avuto in proposito con i suoi genitori? E la rabbia con cui lanciava le palle da tennis, quando usciva dopo quelle discussioni con gli occhi fuori dell'orbita?» «Sì, ricordo tutto.» «Harry sapeva che i suoi non avrebbero mai dato il consenso. Certo, lo adoravano, ma proprio per questo si sarebbero rifiutati di facilitargli una carriera che disapprovavano. Inoltre, non era abbastanza coraggioso da rischiare di perdere il patrimonio tentando da solo la fortuna; e già molto prima di incontrare Fay aveva ideato il suo miserabile piano per forzarli a lasciarlo partire. Quando è arrivata Fay ha visto la possibilità di tradurlo in pratica. Non ho mai conosciuto quella donna» proseguì Barbara, pensosa «ma, a giudicare dalle lettere, posso affermare che è dotata di un temperamento dolce e generoso, ed è completamente sprovvista di senso realistico... Una ragazza romantica!... Il piano di Harry consisteva nel fingere per Fay una grande passione.» «Come dite?» «Sì, di simulare l'amore...» «Un momento» disse Hammond. «C'è un vecchio proverbio che dice: il mondo è sempre pronto a credere che un uomo sia dedito al vino. Si potrebbe aggiungere che il mondo è sempre pronto a credere che una donna...» «... non è che una donnaccia» completò Barbara arrossendo «che si dà a tutti gli uomini che incontra. E, supposto che sia riservata e timida, ottiene solo di venir sospettata anche di più. Diranno tutti che è una santarellina che sa nascondere i fatti suoi meglio di un'altra. Ebbene, quell'Harry, un essere abietto, ha speculato proprio su questo. Non ha esitato a scrivere a suo padre una serie di lettere anonime...» «Lettere anonime? E perché?» «Allo scopo di sollevare contro Fay una vera e propria congiura, unendo il suo nome a quello di Pierre, Paul, Jacques o Jean. I genitori Brooke, che già gradivano poco quel matrimonio, non avrebbero tardato, secondo le speranze del figlio, a esigere da Harry che troncasse la sua relazione con una persona la cui reputazione era tanto dubbia. Harry si sarebbe impuntato e avrebbe rifiutato; dopo di che, premuto dalla sempre maggiore insi-
stenza dei suoi, avrebbe ceduto singhiozzando e non senza dichiarare che, ormai, gli sarebbe stato impossibile vivere in un luogo in cui tutto gli ricordava l'amata. I Brooke, a disagio per il dolore del figlio e desiderosi di alleviarglielo, non avrebbero potuto fare a meno di mandarlo per un anno o due a Parigi a scordare le sue pene. E così il gioco era fatto. Sfortunatamente per lui, non è andata come Harry prevedeva. Benché Howard Brooke non sia rimasto indifferente alle accuse anonime di cui era oggetto la futura nuora, si è guardato bene dal parlarne alla moglie. Harry, inoltre, non riuscì come sperava a scuotere l'opinione pubblica divulgando le sue calunnie. Sapete com'è la gente di campagna; le preoccupazioni del raccolto prevalgono su tutto. Si accontentavano di alzare le spalle, e di dire semplicemente: "E poi?" e, quali che fossero le voci sempre più scandalose che Harry si accaniva a spargere sul conto della sua fidanzata, la gente diceva solo: "E poi?".» Barbara ebbe un sorrisetto nervoso che però seppe reprimere. «Il buon professor Rigaud non sospetta nemmeno nel suo candore» proseguì la ragazza «di essere stato lui a suggerire a Harry l'idea nuova, intrattenendolo per ore e ore sul suo argomento preferito, l'occultismo. Se gli abitanti dei dintorni di Chartres si curavano poco della presunta immoralità di Fay Seton, sarebbe stato sufficiente, invece, risvegliare le vecchie superstizioni popolari per comunicare il fuoco alle polveri. Per quanto possa sembrare assurdo, il ragionamento era giusto e, quella volta, Harry riuscì. Corruppe un ragazzo di sedici anni il quale divulgò una rocambolesca storia di vampiri e simulò uno svenimento, dopo essersi graffiata la gola, per dare apparenza di realtà al suo racconto. Harry non sperava che suo padre prestasse fede a simili inezie ma Howard Brooke, informato dalle dicerie pubbliche che la fidanzata di suo figlio si recava di notte nella stanza del piccolo Fresnac, non chiese ulteriori chiarimenti.» Miles Hammond fremette. «Non metto in dubbio il vostro racconto. Ma, ditemi, come fate a sapere tutti questi particolari?» «Harry stesso li ha scritti a mio fratello. Aveva per Jim, che si era fatto un nome come pittore, un'ammirazione profonda. Per giunta era convinto che mio fratello avrebbe approvato non solo la sua emancipazione, ma anche i mezzi per giungervi. E qui si sbagliava.» «E voi sapevate tutto questo fin dal principio?» «Ma no! Non avevo ancora vent'anni quando Jim riceveva le lettere dalla Francia. Non ne parlava mai, ma io notavo che ogni volta lui si oscurava
in viso. Allora...» «Continuate!» «Verso il quindici agosto dello stesso anno ricordo che un giorno Jim si alzò di scatto, mentre stavamo pranzando, ed esclamò: "Santo Dio! Hanno assassinato il padre di Harry Brooke!". In seguito alluse a quel fatto parecchie volte e cercò di documentarsi sull'episodio, raccogliendo articoli della stampa inglese. Poi, improvvisamente, smise di parlarne. Dopo scoppiò la guerra; nel quarantadue Jim venne dato per disperso, in seguito per caduto. Fu allora che, frugando tra le sue carte, appresi i particolari della storia. In quel momento, non potevo fare qualcosa, né informarmi... Non è stato che la settimana scorsa; sapete come, alle volte, le cose si concatenino e si risolvano di colpo...» «Potete ben dirlo!» «È giunta alla redazione del mio giornale una fotografia, mandata da un'agenzia di stampa, con tre inglesi che tornavano dalla Francia. Una era la signorina Fay Seton che, in tempo di pace, era bibliotecaria. Lo stesso giorno, un collega mi ha informato incidentalmente che il professor Rigaud doveva parlare del caso Brooke al Club del Delitto...» Gli occhi di Barbara si erano riempiti di lacrime. «Ora, il professor Rigaud, lo sapevo, ha orrore dei giornalisti. Era stato possibile indurlo a parlare al Club solo promettendogli che nessun rappresentante della stampa sarebbe stato ammesso. Non potevo chiedergli un'intervista senza mostrargli le lettere di cui ero in possesso e, d'altra parte, non volevo che Jim si trovasse immischiato in qualche tremendo scandalo. Allora...» «Allora avete trovato un mezzo per accaparrarvi Rigaud...» «Sì» rispose Barbara. «Capisco benissimo» disse Miles. «Quando vi ho visto affascinato da quella fotografia, mi sono detta: "Se gli confidassi quanto so? Dal momento che è in cerca di una bibliotecaria, perché non consigliargli di assumere Fay Seton che è stata vittima di una macchinazione infernale e che ha tanto bisogno di aiuto?". Mi avreste creduto sulla parola senza fornirvi delle prove?» «E perché non mi avete detto nulla?» «Non lo so» rispose Barbara, scrollando la testa. «Forse temevo che la mia idea fosse assurda, oppure... mi seccava che Fay Seton vi interessasse tanto... Ma la ragione principale era che non credevo si potesse fare molto per lei... in fondo non era stata riconosciuta colpevole...»
«In quelle lettere c'è qualche accenno all'assassinio di Brooke?» «No, a parte l'ultima.» Con le guance infiammate e gli occhi pieni di lacrime, Barbara trasse dalla borsetta quattro pagine fitte fitte di una scrittura minuta. «Eccola» disse. «Da principio Harry si rallegra della riuscita del suo stratagemma... poi, dopo aver lasciato in sospeso la lettera, cambia tono; avevano trovato suo padre ucciso. Leggete l'ultimo paragrafo» concluse indicandolo al giovanotto. Le lettere ballavano davanti agli occhi di Miles. Jim, è accaduta una cosa orribile. Hanno ucciso mio padre. Rigaud e io l'avevamo lasciato in cima alla Torre, ed è stato ritrovato trafitto da un colpo di spada. Bisogna che questa lettera parta immediatamente. Ti prego, mio caro, di non confidare mai a nessuno quanto ti ho scritto in questi ultimi tempi. Se Fay è colpevole, e l'ha ucciso perché lui le offriva del denaro perché rinunciasse a me, non vorrei che si sapesse che sono stato io a diffondere le dicerie sul suo conto. Potrebbero danneggiarmi. Conto, quindi, sul tuo silenzio, caro amico. In fretta. Harry. C'era, in tutta la lettera, un tale miscuglio di cinismo ripugnante e di incoscienza che Miles si sentì invadere da una rabbia cieca. Harry Brooke era davvero un porco. Il pensiero della povera ragazza piena di paura e di vergogna lo commosse al punto che si indignò contro se stesso per avere sospettato di lei. «Non è colpevole» dichiarò con convinzione. «Non ha nessuna colpa. Ora capisco i sentimenti che la poveretta prova nei suoi stessi riguardi... si sente dannata.» «Che cosa ve lo fa supporre?» «Non è una supposizione, ma una certezza. Tutto il suo modo d'agire le è ispirato dall'idea di essere presa in un ingranaggio, dal quale non potrà mai liberarsi perché un sortilegio la condanna da sempre. Non presumo di sapere quello che è accaduto a Greywood questa notte, ma di una cosa sola sono certo, ed è che Fay Seton non c'entra per nulla. Per giunta, un pericolo la minaccia. Appena saremo scesi da questo treno...» Miles tacque. Per la prima volta durante il tragitto aveva dimenticato, a causa dell'emozione, di prestare attenzione ai nomi delle stazioni che venivano an-
nunciati. «Miles!» gridò Barbara all'improvviso. Ma già le porte si stavano chiudendo. Il campanello trillava e le parole CAMDEN TOWN impresse in bianco sullo sfondo azzurro sfilavano rapidamente sulla loro sinistra. Miles fece un balzo. Tentò furiosamente di aprire la portiera. Un viaggiatore lo avvertì che era troppo tardi. Il soldato australiano si svegliò e il poliziotto di servizio si alzò sollecitamente. Ma gli sforzi di Miles rimasero vani. Di lontano vide Fay Seton, con il soprabito slacciato, un berretto nero posato sui capelli rossi, l'aria assente e disperata, che se ne andava a passi affrettati. XVI La pioggia bagnava il selciato di Bolsover Place. La via era deserta, come se la città fosse abbandonata. Miles, indifferente al mal tempo, stringeva il braccio di Barbara che teneva l'ombrello contro vento. «Non abbiamo perso più di dieci minuti» cercò di confortarlo la ragazza. «Sì, ma in dieci minuti possono accadere parecchie cose.» Il numero cinque era l'ultimo della strada. Nel momento stesso in cui Miles alzava una mano verso il battente del portone istoriato, a una finestra del pianterreno apparve la testa di una donna, che li guardò attentamente; il suo sguardo, più che diffidenza, esprimeva intensa curiosità. «La signorina Fay Seton?» chiese Miles. La donna si volse, fece il gesto di dare una pedata a qualcosa che si trovava dietro di lei, e rispose: «Primo piano, prima camera a sinistra». «Si può entrare direttamente?» «Certo.» «Grazie» disse Miles. La donna fece un inchino e scomparve. Lungo la scala un tanfo di muffa li prese alla gola. C'era tanto buio che a malapena s'intravedevano i gradini. In alto, sul lucernario, si sentiva il ticchettìo della pioggia. «Non mi piace» mormorò Barbara. «Come le è venuta l'idea di alloggiare qui?» «Al giorno d'oggi, e per giunta a Londra, non è facile trovare casa» rispose Miles.
La scala sboccava in un corridoio stretto che guardava in una corte interna, per mezzo di una finestra senza vetro, sostituito da un foglio di cartone. «Primo piano, prima stanza a sinistra» ripeté Miles. «Guardate dove mettete i piedi!» Giunti alla porta, Miles bussò. «Avanti!» rispose una voce calma, dopo un momento. Grazie a Dio, era la voce di Fay! Miles girò la maniglia e la porta si aprì. Fay Seton, ancora con il soprabito, rivolse loro un'occhiata indifferente, ma quando li riconobbe riuscì a stento a soffocare un grido. Miles, con una sola occhiata, notò tutti i particolari della scena. Una lampadina smerigliata posata sul comodino davanti alla quale era Fay rischiarava il mobilio malconcio, la tappezzeria stinta e il tappeto liso. Un baule metallico, che di solito doveva stare sotto il letto, era stato tirato fuori e il coperchio, dal quale pendeva un lucchetto aperto, non era chiuso del tutto. «Che cosa siete venuti a fare qui?» domandò Fay con voce aspra. «Vi ho seguita, Fay, perché mi è stato ordinato. Un pericolo vi minaccia e io sono stato incaricato...» «Scusate la mia accoglienza» disse la ragazza «ma mi avete fatto paura.» Si portò una mano al cuore con un sorriso stanco. «Non mi aspettavo... Dopo tutto quello che... Ma chi è questa signora?» «È la signorina Morell. La sorella di... di Jim Morell. Desiderava vedervi. Non abbiate paura, lei...» Ma Miles si interruppe, paralizzato dalla sorpresa. Aveva scorto sul comodino una vecchia cartella di pelle nera, tutta screpolata e molto gonfia. Era socchiusa e vi si intravedevano dei fasci di biglietti da venti sterline, ingialliti e macchiati di sangue. Il viso pallido di Fay Seton divenne grigiastro quando sorprese la direzione dello sguardo di Miles. «Sì» disse. «Sono macchie di sangue del signor Brooke, c'è caduto sopra quando...» «Fay!» esclamò Hammond «per l'amor di Dio...» «Vedo che la mia presenza è inopportuna» dichiarò allora Barbara, con voce strozzata. «Non volevo venire, ma Miles ha insistito.» Fay insistette perché restasse. Il suo sguardo di un azzurro intenso errò, per un attimo, sui poveri mobili della stanza, poi li pregò di chiudere la
porta. In quella calma apparente era palese un'angoscia così profonda che Miles si sentì girare la testa. Obbedì all'ordine e trattenne per una spalla Barbara che stava per andarsene. Poi trovò la forza di balbettare: «Non è possibile, Fay, che voi siate colpevole, no, non è possibile. Ascoltatemi!» «Perché?» sospirò. Si era lasciata andare su una vecchia poltrona rappezzata; grosse lacrime le scendevano sulle gote e pareva che non se ne accorgesse. Miles, che non l'aveva mai vista piangere, ne fu sconvolto. «Noi ora sappiamo» disse con dolcezza «che siete innocente e che siete stata vittima di Harry Brooke, che vi ha raggirato.» «Ah! L'avete saputo anche voi!» disse Fay, alzando la testa. «Come!?» esclamò Miles, costernato. «Lo sapevate e non avete detto nulla? Oh, Fay, siete pazza? Avete perso il lume della ragione? Perché non avete parlato?» «Perché... Oh, Dio mio!... A che cosa sarebbe servito?» Miles ingoiò con fatica la saliva, si diresse verso il comodino e sollevò con ribrezzo uno dei fasci di banconote. «A causa di questi maledetti biglietti?» domandò. «Suppongo che nella cartella ce ne siano ancora...» «Sì» disse Fay. «Ce ne sono ancora tre pacchi... Li ho rubati. Ma non li ho mai usati.» «C'è altro in questa cartella?» «Ab! Vi prego, non guardate!» «Sta bene. So di non avere il diritto di tormentarvi in questo modo. Vi assicuro che lo faccio perché... è necessario. Sapete che, da sei anni a questa parte, la polizia ha fatto di tutto per trovare la cartella di Brooke e il suo contenuto?» Si udirono dei passi nel corridoio, poi qualcuno bussò alla porta. «Chi è?» chiese Miles. «Polizia!» rispose una voce maschile dal tono gentile, ma autoritario. «Posso entrare?» Miles, smarrito, si cacciò in tasca le banconote insanguinate prima di andare ad aprire. Ma il poliziotto non aveva aspettato di essere introdotto. Dalla soglia, con l'impermeabile addosso, in testa il cappello duro e la mano sulla mani-
glia, stava osservando i tre. «C'è la signorina Seton?» domandò. Fay avanzò adagio verso di lui, senza parlare, indifferente alle tracce di lacrime che le rigavano il viso. Miles non poté fare a meno di ammirare, una volta di più, la grazia dei suoi atteggiamenti e quella particolare dignità della persona che non si fa più illusioni. Nulla, sul suo viso, lasciava trasparire la violenza contenuta dei sentimenti che l'agitavano in quel momento. «Sovrintendente Hadley, della polizia metropolitana» si presentò il funzionario che Miles riconobbe subito per averlo già incontrato. «Il sovrintendente Hadley?» esclamò Barbara, con tono di falsa allegrezza. «Ho avuto occasione di intervistarvi per il Morning Record. Mi avete, anzi, raccontato alcuni aneddoti molto interessanti, senza però autorizzarmi a pubblicarli tutti.» «Esatto» riconobbe Hadley. «Siete la signorina Morell, vero? E voi, senza dubbio, il signor Hammond? Beh, signor Hammond, avete preso un bell'acquazzone.» «Sta di fatto che, quando sono uscito, non pioveva.» «È prudente prendere l'impermeabile quando il cielo è così coperto» disse Hadley. «Vi presterei volentieri il mio, ma temo di averne ancora bisogno.» Questa frase banale sembrò a Miles più inquietante di un attacco diretto che presentiva imminente. Quindi, prese l'iniziativa. «Suppongo» fece bruscamente «che non vi siate disturbato a venire fin qui per parlare del brutto e del bel tempo. Siete amico del dottor Fell, vero?» «Sì» rispose Hadley. Entrò, si tolse il cappello e richiuse la porta. «Il dottor Fell mi aveva assicurato, però, che la polizia non si sarebbe immischiata in questa faccenda.» «Dipende di quale faccenda intendete» rispose Hadley, il cui sguardo fece il giro della stanza per fermarsi, senza curiosità in apparenza, sulla cartella di pelle ben in vista sul comodino. Miles, le cui mani si contraevano in tasca sul fascio di banconote, guardava il poliziotto come se si fosse trovato davanti a una tigre. «Questa mattina ho avuto un lungo colloquio telefonico con il maestro» aggiunse con disinvoltura il sovrintendente. «State parlando del dottor Fell?» «Sì. Ci sono ancora molti punti oscuri nella faccenda. Ho saputo che vo-
stra sorella ha avuto ieri sera un grave choc nervoso.» Miles si accorse che Fay aveva preso la sua borsetta, l'aveva posata sul letto, aveva inclinato lo specchio per metterlo nella giusta luce e si incipriava accuratamente il viso rigato dalle lacrime. «Così, il dottor Fell vi ha informato degli avvenimenti della notte scorsa» commentò Miles, con amarezza. «E ha chiamato la polizia, nonostante le promesse fatte!» «Le cose non stanno proprio così. Il dottor Fell mi ha effettivamente messo al corrente degli avvenimenti, ma in forma ufficiosa, e abbiamo convenuto che noi non saremmo intervenuti che su invito formale. Il dottor Fell mi ha chiesto, soprattutto, di rammentargli un termine scientifico che aveva dimenticato. Si tratta di un esperimento, la reazione di Gonzales, per la quale si impiega della paraffina liquefatta e su cui il dottor Fell desiderava alcuni chiarimenti particolareggiati. Inoltre» proseguì Hadley «voleva anche che gli procurassi l'indirizzo della signorina Seton per il caso che voi, signor Hammond, non foste riuscito a raggiungerla. Gli ho risposto che l'avremmo trovata facilmente dal momento che lei era in possesso di una carta d'identità. Perché voi avete una carta d'identità, vero, signorina Seton?» «Sì» rispose Fay. «Per pura formalità, volete mostrarmela?» Fay trasse il documento dalla borsetta e glielo porse. «Vedo che manca il vostro ultimo indirizzo» fece notare Hadley. «Dipende dal fatto che ho trascorso questi ultimi sei anni in Francia.» «Allora dovete avere una carta d'identità francese.» «L'avevo, infatti, ma l'ho persa da molto tempo.» «Ah, ah! Molto scomodo per la carta annonaria!» La ragazza non rispose. «Qual era il vostro impiego, durante questi ultimi anni, in Francia, signorina Seton?» «Non avevo impiego fisso.» «Ehm! Se le mie informazioni sono esatte, nel trentanove eravate bibliotecaria.» «Esatto.» «Dunque, il signor Howard Brooke vi ha assunta come segretaria, poco tempo prima di morire? Ecco un caso sul quale saremmo oltremodo contenti d'inviare qualche notizia alla polizia francese... E ora vengo al vero scopo della mia visita» disse Hadley, cambiando bruscamente tono. «Ec-
covi la vostra carta d'identità, signorina Seton.» «Grazie» mormorò Fay, che tornò ad appoggiarsi al comodino, nascondendo così la cartella nera. «Il dottor Fell mi ha pregato di sorvegliarvi, signorina. Oh, una sorveglianza del tutto ufficiosa, rassicuratevi. Pare che gli siate scappata...» «Scappata?... Io?» «Con l'intenzione di tornare, s'intende. Ma il dottor Fell aveva appunto intenzione di farvi alcune domande importanti che non possono venire differite. Se non l'ha fatto ieri è perché, nel frattempo, è venuto a conoscenza di alcuni fatti nuovi. Vi pregherei, quindi, di permettermi di interrogarvi in sua vece.» XVII «Interrogarmi a che proposito?» domandò Fay, la cui capigliatura sfavillante eclissava la debole luce della lampada e contrastava violentemente con il pallore del suo viso. «A proposito degli avvenimenti di Greywood. C'è ancora qualche punto oscuro. Non abbiate paura del mio libriccino di appunti, signorina Seton, non fa alcun male. Ci ho solo annotato le domande che sono incaricato di porvi. A meno che, s'intende, non vi rifiutate di rispondere...» «Perché dovrei rifiutarmi?» «Grazie. Parlatemi dell'incidente capitato alla signorina Hammond.» «Io non ne sono responsabile.» «Forse non siete sempre cosciente delle vostre azioni, o delle loro conseguenze, signorina Seton» dichiarò Hadley in tono pacato, ma con uno sguardo che sembrò trafiggere la sua interlocutrice. «Ma, per il momento, non si tratta di questo. Siete proprio voi, vero, la persona che per ultima si è trovata con la signorina Hammond prima che avvenisse l'incidente?» Fay, affascinata dalla sicurezza del poliziotto, chinò il capo. «L'avete lasciata sana e allegra verso quale ora, press'a poco?» «A mezzanotte circa. L'ho già detto al dottor Fell.» «È vero. Si era spogliata?» «Sì, indossava una vestaglia di seta azzurra e stava seduta sopra una sedia, di fianco al comodino.» «Ora, signorina Seton, ricordate l'ora esatta in cui è stato sparato il colpo?» «Mi dispiace, ma non ne ho la minima idea.»
«E voi, signor Hammond?» chiese Hadley, voltandosi verso Miles. «Le testimonianze in merito sono molto vaghe.» «Quello che posso dirvi» rispose Miles «è che sono corso verso la stanza di mia sorella appena ho sentito sparare. Il professor Rigaud mi ha raggiunto quasi subito; poi è arrivato il dottor Fell. In seguito il professore mi ha mandato in cucina a sterilizzare la siringa di cui aveva bisogno... e ricordo che, in quel momento, erano le due meno venti...» «Così, il colpo sarebbe stato sparato approssimativamente verso l'una e mezzo?» «Penso di sì.» «Anche voi la pensate così, signorina Seton?» «Non ricordo... Non faccio mai molto caso all'ora.» «Ma avete sentito sparare?» «Sì, ero nel dormiveglia.» «Poi sembra che siate salita nella stanza della signorina Hammond e che abbiate dato un'occhiata in giro... Scusate, non ho capito la vostra risposta.» «Ho detto "sì"» disse Fay, con voce ferma. «Dormivate al pianterreno?» «Sì.» «Come avete potuto intuire che il colpo provenisse dal piano superiore, e da quella stanza in particolare?» «Ho sentito gente correre per il corridoio del primo piano. Sapete quanto il suono si propaghi durante la notte... Allora mi sono chiesta che cosa stesse accadendo. Ho infilato subito la vestaglia e le pantofole e sono salita, portando il mio lume. La stanza della signorina Hammond era spalancata e la lampada accesa. Per questo sono entrata.» «Che cosa avete visto?» «Ho visto» rispose Fay, alzandosi «la signorina Hammond raggomitolata sul suo letto con una rivoltella in pugno. C'era anche il professor Rigaud che conoscevo e... il signor Miles Hammond. Il professore stava dicendo che la signorina aveva avuto uno choc tremendo, ma che forse non era morta.» «Perché non vi siete fatta vedere?» «Perché ho sentito sulle scale il passo pesante del dottor Fell che stava salendo. Ho pensato che la mia presenza, fra tanta gente, sarebbe stata inopportuna. Quindi, ho spento la lampada e sono ridiscesa per la scala di servizio senza che il dottor Fell mi vedesse.»
«E ora, mi direte che cosa vi ha sconvolto tanto, signorina Seton.» «Non vi capisco.» «Signorina Seton» riprese il poliziotto, ricacciandosi in tasca il libriccino «tutto questo interrogatorio aveva per unico scopo di condurmi a una domanda. Voi avete visto qualcosa che vi ha sconvolto e, un momento dopo, vi siete scusata con il signor Hammond di non aver pensato a offrirgli il vostro aiuto.» «Si capisce!» esclamò Miles. «Non c'è niente di strano se la signorina Seton era sconvolta dopo quanto era accaduto. Basta molto meno... Mi torna alla mente, in questo momento, che lei mi ha dichiarato di aver notato qualcosa che non aveva attirato la sua attenzione prima...» «Perché non vi spiegate francamente, signorina Seton?» chiese il sovrintendente con insistenza. «Non avevate cominciato a fare delle confessioni? Sarebbe così semplice consegnarci la cartella, le duemila sterline e tutto il resto...» Hadley indicava il comodino. In quel preciso istante la luce si spense, senza che nessuno avesse toccato l'interruttore. Hadley e la signorina Seton erano al centro della camera e a una certa distanza. Quanto a Miles e a Barbara, la loro attenzione a quel punto culminante dell'interrogatorio era così tesa che sarebbero stati incapaci di fare il minimo gesto. La stanza, mal rischiarata da una stretta finestra situata molto in alto e con le tende abbassate, piombò nell'oscurità, cosa che contribuì ad accrescere il loro disorientamento. I cervelli si rifiutarono di formulare conclusioni logiche e ne seguì una specie di panico generale. A malapena si accorsero che la porta si era aperta, lasciando penetrare nella stanza un vago chiarore. Un'ombra si precipitò sul gruppo smarrito. Fay Seton cacciò un urlo tremendo. «No, no! No!» gridò. La sua voce fu coperta dal rumore del baule di ferro che si rovesciava sul pavimento. Miles, che si era slanciato in avanti, sentì una spalla passargli di fianco, sfiorandolo. La porta sbatté. Si sentirono dei passi precipitarsi per la scala e, all'improvviso, la luce tornò. Era Barbara che aveva aperto le tendine. La luce del giorno, smorzata dalla pioggia e dalle alte facciate delle case circostanti, penetrò nella camera. Hadley si arrampicò fino alla finestra, che aprì e fischiò. Fay Seton era inginocchiata vicino al letto, le mani contratte sul coprilet-
to. «Non siete ferita?» domandò Miles. «Non c'è più, mio Dio! Non c'è più» ripeteva Fay con voce sorda, gli occhi fissi sul comodino. La cartella di pelle nera era scomparsa. Prima che Miles o Hadley si rendessero conto di quello che stava per fare, Fay si era precipitata fuori della stanza. Nella fuga disperata non vide neppure la cartella sulla quale poco mancò non mettesse i piedi. Miles la raccolse e, mentre l'agitava sopra la testa, inseguendo Fay, caddero tre fasci di banconote. Null'altro, se non un po' di polvere. «Fay» gridò Miles dal sommo della scala. «La cartella è qui, l'ho io.» Fay si fermò e alzò la testa. Miles, proteso sulla balaustra del pianerottolo, ricominciò a gridare, agitando la cartella. «Non capite quello che sto dicendo? Fay, perché non tornate? Dove andate?» Ma la ragazza sembrava non sentirlo. Con la mano appoggiata al corrimano, la testa piegata all'indietro come se i capelli le pesassero troppo, guardava in alto, stupita. Poi le sue gote, che la corsa aveva leggermente arrossate, divennero in un attimo di un pallore mortale, mentre il suo sguardo perdeva qualsiasi espressione. Piano piano, come un vestito che scivoli sulla gruccia, Fay scivolò di fianco e rotolò fino in fondo alla scala. Miles rimase paralizzato dallo spavento. Barbara corse vicino a lui e si sporse dal parapetto, mentre Hadley scendeva i gradini a quattro a quattro. Il poliziotto si abbassò davanti alla forma immobile che giaceva al suolo. Poi si rialzò e sollevò la testa. La sua voce forte rimbombò nella tromba delle scale. «Sapete se ha il cuore debole?» gridò. «Sì» rispose Miles con voce affranta. «Allora bisogna chiamare un'autoambulanza... Che razza d'idea correre a quel modo! Poteva anche morire.» Miles cominciò a scendere la scala con lentezza. Si fermò per un momento dove Fay si era fermata e appoggiò una mano sulla ringhiera dove lei l'aveva appoggiata. Quando raggiunse il sovrintendente lasciò cadere la cartella e si inginocchiò davanti al corpo di Fay. XVIII
Circa un'ora dopo, Miles e Barbara stavano aspettando il ritorno del sovrintendente nella camera di Fay Seton. La lampada elettrica illuminava di nuovo la stanza. Barbara sedeva nella poltrona logora e Miles era seduto sul letto vicino al cappello di Fay, stava guardando il bauletto di ferro, quando Barbara ruppe il silenzio: «Se andassimo in cerca di una trattoria aperta? O, per lo meno, di un caffè qualsiasi dove si possa trovare un panino imbottito?» «No, Hadley ci ha detto di aspettarlo qui.» «Da quanto tempo non mangiate?» Miles abbozzò un pallido sorriso. «Uno dei maggiori doni che la provvidenza possa accordare a una donna» disse «è quello di non parlare di cibo nei momenti sbagliati.» «Scusatemi!» disse Barbara. Dopo un po', riprese: «Può darsi che si salvi, non bisogna perdere la speranza». «Sì...» rispose Miles. Barbara sfilacciava distrattamente la stoffa lisa del bracciolo della poltrona. «Ci tenete proprio tanto?» mormorò. «Forse» rispose Miles. «Ma il nocciolo della questione è un altro!... Si tratta di una creatura che ha avuto nella vita una sfortuna inaudita e che noi abbiamo il dovere di aiutare a rifarsi un'esistenza; bisogna assolutamente che venga riabilitata.» Giocherellava distrattamente con il berretto di Fay. D'un tratto, lo posò sul letto. «E poi, dopo tutto, perché?... Sapete il latino?» chiese improvvisamente. «Non troppo» rispose Barbara stupita. «Perché?» «Questa notte, ho fatto un sogno strano. Stavo decifrando in un vecchio libro un brano scritto in quel latino medievale in cui le desinenze sono differenti, e le "u" rimpiazzano le "v"; mi lambiccavo il cervello, tentando di afferrare il significato di alcune parole. Così passavo nella biblioteca di mio zio in cerca di un dizionario. C'erano Fay Seton e una celebre criminale del diciottesimo secolo. Le due donne mi guardavano e io mi sentivo a disagio. Vorrei sapere come devo interpretare quel sogno curioso...» «Non è difficile» rispose Barbara, alzandosi. Poi, soggiunse sospirando: «Povera ragazza romantica!». «Romantica? Fay?» «Sì. Conosceva l'esistenza di quelle lettere, sapeva che tutte quelle ca-
lunnie sul suo conto erano opera di Harry Brooke e non diceva nulla... Immagino che lo amasse ancora.» «Dopo quanto le ha fatto?» «Certo...» «Non ci credo.» «Può darsi, anzi, proprio per questo. Siamo degli strani animali noi donne... Che abbia avuto anche qualche altra ragione per tacere? Mi domando se quando ha saputo che Harry era morto...» «E io» s'impazientì Miles «io mi domando perché mai Hadley ci lasci ammuffire qui. Che diavolo sta combinando? Quell'ospedale deve essere per lo meno all'inferno!» «Sì, è molto distante. Vorreste andarci?» «Hadley non ci lascerà qui fino al giorno del giudizio universale. Deve pur darci qualche notizia.» Le notizie non erano molto distanti. E ne era latore il professor Antoine Rigaud il cui passo caratteristico già risonava per le scale. Il professore pareva essere invecchiato e meno sicuro di sé di due giorni prima, quando aveva esposto il suo punto di vista sui fenomeni soprannaturali. Si appoggiava pesantemente al bastone famoso. «Signorina Morell» annunciò «e voi, signor Hammond... ho qualcosa da dirvi. Conoscete la storia di D'Artagnan, dei Tre Moschettieri, che conosceva due sole parole di inglese: Come! e God damm!... Ebbene io, cari amici, rimpiango che anche il mio frasario inglese non si limiti a quelle due sole espressioni inoffensive e rudimentali...» «Ci parlerete di D'Artagnan un'altra volta» esclamò Miles, alzandosi. «Come siete arrivato sin qui?» «Il dottor Fell e io» spiegò Rigaud «siamo venuti da New Forest in automobile. Abbiamo telefonato al sovrintendente Hadley. Il dottor Fell è andato direttamente all'ospedale e, quanto a me, eccomi qui!» «Va bene!» disse Miles. «Come sta Marion?» «La sua salute è ottima» rispose il professore. «È comodamente sistemata a letto; mangia, parla... State tranquillo, parla: anzi non fa che parlare.» «Allora sapete che cosa le ha causato un simile terrore!» esclamò Barbara. «Sì» rispose il professore «lo sappiamo. Amico mio» proseguì rivolgendosi a Miles, come se gli leggesse in viso le domande con cui il giovanotto si disponeva a tartassarlo «sono stato indotto in errore da alcuni fatti
che non avevano altro scopo che quello. Ma non crediate che sia venuto qui a recitare il "mea culpa"!... Prendete» disse, porgendo a Miles il bastone. «Permettetemi di offrirvi questa preziosa reliquia. Non mi interessa più. Anzi, mi disgusta... Ve ne faccio dono.» «Ah, no, non so che farmene di quel maledetto arnese, grazie! Buttatelo nel fiume... o dove vi pare! E permettetemi di chiedervi...» «Ci risiamo!» disse il professore buttando il bastone sul letto. «E così, Marion è completamente ristabilita? L'incidente non avrà conseguenze, ne siete certo?» «Sicuro.» «E allora, cosa ha visto?» «Non ha visto nulla» rispose tranquillamente Rigaud. «Come? Voi dite che non ha visto nulla?» «No, niente!» «Non capisco.» «Vostra sorella» riprese il professore «ha semplicemente sentito qualcosa che l'ha terrorizzata. È stato sufficiente un semplice mormorio...» S'interruppe. «Chiunque avrebbe potuto farlo... È di una semplicità sbalorditiva... Eppure...» Nella strada si udì un brusco stridere di freni. Il professore salì sopra una sedia per affacciarsi alla finestra e si mise ad agitare freneticamente le braccia. «È il dottor Fell» spiegò, voltandosi verso verso Barbara e Miles. «È arrivato prima di quanto credevo. Scusatemi, bisogna che me ne vada...» «Dove volete andare?» domandò Miles, stupito. Ma Antoine Rigaud non fece in tempo a varcare la soglia che s'imbatté nel dottor Fell le cui larghe spalle riempivano completamente il corridoio. Era a capo scoperto e tutto avvolto nelle pieghe larghe del cappotto. Il professore tornò sui suoi passi. «Vi porto notizie» annunciò il nuovo venuto, appena il suo respiro fu tornato normale. «Fay Seton?» «Fay Seton è viva. Vivrà ancora forse qualche mese, oppure qualche settimana... Dipende dalle cure. Mi spiace dovervi dire, però, che è condannata... Anzi, lo è sempre stata.» Nessuno parlò. Miles vide Barbara portarsi una mano alla bocca, in un gesto misto d'orrore e di pietà.
«Non è possibile andarla a vedere?» chiese Hammond. «No» rispose il dottor Fell, facendo un gesto all'agente che si celava dietro di lui, e chiudendo la porta: «Ho avuto un colloquio con quella povera figliola di cui conosco ora tutta la pietosa storia... Quanto mi ha narrato, mi ha permesso di colmare le lacune della ricostruzione fatta in precedenza. Ora verrà Hadley... Ha un penoso dovere da compiere. Penoso, preciso, per uno di voi. Ecco perché ho creduto opportuno prepararvi e aprirvi gli occhi su certi aspetti del caso che siete ben lungi dall'immaginare». «Di che caso parlate?» «Dei due delitti che sapete... Ah!» esclamò, vedendo Barbara. «Voi siete la signorina Morell?» «Sì, e vorrei chiedervi scusa...» «Per aver mandato a monte la seduta del Club del Delitto?» «Sì» rispose Barbara. «Storie!» disse il dottore con un gesto disinvolto, che significava come non ci pensasse nemmeno più. Poi, si lasciò andare nella poltrona che scricchiolò sotto il suo peso e appoggiò la testa leonina allo schienale, assumendo un'aria feroce per celare la propria emozione. Trasse di tasca il manoscritto del professor Rigaud e la fotografia di Fay Seton. «Un momento!» disse Miles. «Siete stato informato di quello che è accaduto qui alcune ore fa?» «Sì: Hadley mi ha riferito tutto.» «Vi ha detto di aver rivolto, per prima cosa, a Fay tutta una serie di domande insidiose e tutt'altro che gradevoli, come se si fosse trovato in presenza di un delinquente? E che, nel bel mezzo dell'interrogatorio, si è spenta la luce e qualcuno, o qualche cosa, ha fatto irruzione nella stanza?» «Qualcuno o qualche cosa» ripeté il dottor Fell. «Mi piace la distinzione.» «Come vi pare. Resta però il fatto che è stato rubato il contenuto della borsa e che non era il denaro a interessare il ladro, dal momento che si è scordato d'impadronirsi di tre fasci di biglietti di banca. Il quarto l'avevo in tasca io. Mi sarei risparmiato la fatica di sottrarlo agli occhi di Hadley, se avessi potuto indovinare che era già al corrente di tutto. Del resto, più tardi gliel'ho consegnato. Ha portato via tutto. Vi dico questo per dimostrarvi che hanno avuto troppa fretta ad accusare Fay. Lei è innocente. Avete fatto bene a consigliarmi di parlare con la signorina Morell. Aveva effettiva-
mente delle rivelazioni importantissime da fare. Sapevate, per esempio, che Harry Brooke, quel farabutto, aveva trascinato, proprio lui, il nome di Fay nel fango? Che aveva ordito contro di lei un abominevole complotto?» «Sì, lo sapevo» rispose Fell. «È verissimo.» «Noi ne abbiamo qui la prova» proseguì Miles, facendo un cenno a Barbara, che aprì la borsetta. «Una lettera scritta da quel Brooke il pomeriggio stesso del delitto. È indirizzata al fratello di Barbara che, però, non ha avuto alcuna parte nel delitto. Se avete ancora dei dubbi...» «Mostratemi quella lettera» disse il dottore con il massimo interesse. «Volentieri» rispose Barbara. «Edificante, vero?» disse Miles con amarezza, quando il dottore ebbe finito di leggerla. «Ma a che giova smascherare l'infamia di Harry Brooke, dal momento che nessuno sembra prendersi a cuore i diritti di Fay? Riconoscerete, almeno, che tutto il male è derivato dalle calunnie di quell'individuo...» «No!» esclamò Fell. E il suo "no" risuonò come una schioppettata. «È falso!» «È falso?» riprese Miles. «Non vorrete ricominciare con quella assurda storia di vampiri...» «No, lasciamo stare questo argomento. Non è di ciò che voglio parlare. Disgraziatamente, c'è dell'altro...» «Che cosa intendete dire?» Il dottor Fell fece uno sforzo per sollevare gli occhi dal pavimento che fissava ostinatamente. Finalmente, alzò la testa e osò affrontare lo sguardo di Miles. «Harry Brooke ha formulato contro Fay Seton, nelle lettere che mandava al padre, accuse gravissime che erano pura invenzione. E ora si manifesta l'ironia della sorte, che io oserei quasi definire tragica. Il giovane Brooke si sarebbe stupito molto nell'apprendere, se qualcuno glielo avesse rivelato, che le sue accuse erano fondate.» Un silenzio penoso accolse quella strana dichiarazione. Barbara posò dolcemente una mano sul braccio di Miles. «Questo spiega» riprese il dottor Fell «la parte di mistero rimasta in tutta quella faccenda, anche dopo che l'intrigo di Harry Brooke è stato smascherato. Devo abbordare un argomento molto delicato sul quale non mi dilungherò in particolari. Mi comprenderete anche se parlerò velatamente. Fay Seton è una malata. Si tratta di patologia, e la sua vita non è stata altro che un lungo supplizio. È irresponsabile tanto della sua depravazione, quanto
della deficienza cardiaca che ne è il corollario abituale. Le donne della sua specie non sono rare, ma non sempre la loro vita finisce con una catastrofe. Uno sfortunato concorso di circostanze ha contribuito a causare la sua rovina. La cosa più tragica, nel suo caso, è che nulla della sua natura raffinata e sensibile si concilia con tale perversione sessuale. Non crediate che i suoi modi distinti, la sua dolcezza, la sua stessa riservatezza siano finzione. C'è veramente in lei un fondo di autentica purezza, che presenta i più stupefacenti contrasti con le imposizioni crudeli della malattia. E il professor Rigaud non aveva torto quando vi ha spiegato che in Fay Seton c'era una specie di sdoppiamento della personalità. È un fatto che una parte di lei le sfugge in determinati momenti. Peraltro, allorché è andata in Francia nel millenovecentotrentanove assunta da Howard Brooke, aveva preso la risoluzione di vincere la sua natura. A Chartres la sua condotta era stata irreprensibile. Sfortunatamente...» Il dottor Fell si interruppe per guardare la fotografia di Fay Seton. «Mi domando se mi avete capito bene» disse. «L'atmosfera che circondava quella donna era... Beh, l'avete provato anche voi! Portava con sé dovunque andasse un fascino che emanava dalla sua persona. Era questo ad attirarle la simpatia di quasi tutti gli uomini e l'antipatia di un buon numero di donne... Ricordate l'impressione che aveva fatto sulla signora Brooke, sulla signorina Hammond, su...» Il dottor Fell tacque e guardò Barbara, ammiccando: «Voi, l'avete appena conosciuta, vero?» chiese. «Sì, l'ho vista solo per qualche minuto» rispose Barbara «e non ho avuto il tempo di farmi un'opinione.» «Riflettete un momento, ragazza mia!» «Mi è parsa molto simpatica» rispose Barbara, convinta. «Sì» disse il dottore, pensoso, riprendendo la fotografia di Fay «una ragazza buona, dolce, piena di lodevoli intenzioni, trascinata dal destino in una serie di avvenimenti che sono finiti con due delitti. Due delitti dovuti a una stessa mano...» «Una stessa mano?» esclamò Barbara. Il dottore fece un gesto d'assenso. Poi aggiunse: «Il primo è derivato da un'improvvisazione rivelatasi fatale e miracolosa insieme, suo malgrado. Il secondo, non riuscito, è frutto di una certa premeditazione. Devo continuare?» XIX
«Con il vostro permesso, vi condurrò a Chartres, il giorno dell'assassinio di Howard Brooke. Era, ricordate, il dodici di agosto. Non sono un oratore come il nostro amico Rigaud e non saprei, come lui, dipingervi a piccoli tocchi sapienti la casa, il fiume, la vecchia torre, la giornata burrascosa e la pioggia che non si decideva a venir giù. Ma vorrei evocare, davanti a voi, il piccolo gruppo di persone che si trovavano in quel momento a Beauregard. In verità non si sarebbe potuto desiderare di peggio. Fay Seton si era appena fidanzata con Harry Brooke. Amava, o credeva di amare, quel bel ragazzo dal cuore arido, che non aveva altri pregi se non il bell'aspetto e la giovinezza. «Fay, in fondo, doveva sapere che, nonostante le buone intenzioni, un matrimonio con lei non poteva finire che in un disastro. Ma la forza del suo desiderio d'amore era tale che decise di tentare la sorte. E poi, dopo tutto, si era emendata, e nessuno a Chartres conosceva il suo passato. «Frattanto Harry Brooke, sordo a tutto tranne che alla sua idea fissa, aveva concepito il piano diabolico. Si riteneva prossimo a realizzarlo. Presto lo avrebbero mandato a Parigi a studiare pittura... Che importanza potevano avere i sentimenti di quella ragazza bella, taciturna e fredda che rimaneva tanto indifferente ai suoi baci? Se avesse saputo quello che si celava sotto l'apparente freddezza!... «La catastrofe avvenne in quel momento. Il dodici agosto il signor Brooke fu assassinato. E ora vi dimostrerò come ciò fu possibile.» Miles si alzò e andò a sedersi sul letto vicino al professor Rigaud. Né l'uno né l'altro, ognuno per ragioni diverse, proferì parola. «Volete porgermi l'arma del delitto?» chiese il dottor Fell. Con gesto rabbioso Rigaud gli lanciò il bastone. Fell lo prese abilmente al volo mentre Barbara retrocedeva bruscamente verso la porta. «Buon Dio!» borbottò il professore. «Quando penso che gli indizi erano tanto evidenti!» «Riconoscete anche voi» sottolineò il dottor Fell «che gli indizi d'ordine materiale hanno poca importanza per voi. Ecco perché ve li siete lasciati sfuggire...» «Ma insomma» tagliò corto Barbara. «Chi ha ucciso il signor Brooke?» «Lasciate che vi racconti la cosa a modo mio» rispose il dottore. «Dopo, confrontando il racconto del professore con quello di Fay Seton, trarrete le vostre deduzioni. «Prendiamo, per punto di partenza, il momento in cui Brooke padre torna dalla banca, verso le tre, con i quattrini nella cartella. Poco prima Fay
Seton aveva lasciato la casa con il costume da bagno e l'accappatoio sotto il braccio per andare a passeggiare lungo il fiume. La signora Brooke era indaffarata in cucina. Harry stava scrivendo nella sua stanza una lettera a Jim Morell.» Il dottore toccò con la punta di un dito la lettera, facendo una smorfia di disgusto. «Il signor Brooke» continuò «chiede dove sia suo figlio. La moglie gli risponde che è in camera sua. Non dimenticate che Harry, credendo che suo padre fosse in ufficio, aveva lasciato sul tavolo la lettera incompiuta. Il signor Brooke sale quindi nella stanza del figlio e ne esce poco dopo; ricordate l'impressione che fece sulla moglie in quel momento. Lei lo vide invecchiato e vacillante come se fosse malato... Il poveretto aveva letto la confessione del figlio. Che rivelazione, per lui! Tutto spiegato nei particolari: il mistero delle lettere anonime, l'origine delle voci scandalose, la storia del vampiro! Howard Brooke vedeva chiaramente ora nell'anima del figlio. «Vi stupite ancora se camminava col passo vacillante di un malato? Lentamente si avvia verso la Torre, dove ha dato appuntamento a Fay Seton. Ma non ha più intenzione di maledirla e di cacciarla da casa sua, vuole chiederle scusa.» Il dottore fece una pausa. Barbara ebbe un fremito e cercò gli occhi di Miles che stava ascoltando il racconto del dottor Fell, come allucinato. «Torniamo ai fatti» disse Fell. «Brooke indossava ancora l'impermeabile e il berretto che il professor Rigaud gli aveva visto al Crédit Lyonnais. Non era ancora in cima alla torre che vede arrivare chi? Suo figlio, amici miei, suo figlio che aveva saputo che il padre era rientrato e aveva chiesto di lui. «Qui ricorderò un punto di cui non si parla né nel racconto del professor Rigaud, né nella relazione ufficiale. La sola persona che ne abbia parlato incidentalmente è Fay Seton, quantunque non abbia assistito alla scena. Aveva però la migliore delle ragioni per dare importanza a questo particolare. «Non ha dichiarato ieri sera, al signor Hammond, che Harry quando era uscito di casa per andare in cerca del padre aveva preso l'impermeabile? È vero, amico?» chiese il dottor Fell. «Sì» rispose il giovanotto. «Ma perché non avrebbe dovuto prenderlo? Non avete detto e ripetuto svariate volte che il tempo era minaccioso?»
Il dottore gli fece un cenno per invitarlo a tacere e proseguì: «Il professor Rigaud segue la stessa strada fatta da padre e figlio parecchio tempo dopo di loro e, giunto ai piedi della Torre, incontra Fay Seton. Lei gli dice che i due, là in alto, bisticciano, che non ha sentito quello che dicevano, né osato disturbarli. Ma Rigaud vi ripeterà che aveva "un'espressione torturata" e che si è allontanata, voltando il viso. «Sulla Torre Rigaud trova il padre e il figlio in uno stato di estrema agitazione, tutti e due sono pallidi e nervosi. Gli sembra che Harry stia perorando la sua causa, mentre il padre esige che gli si lasci regolare quella faccenda a modo suo. Howard Brooke prega poi l'amico di portar via il figlio. «In quel momento Harry non ha né soprabito né cappello, tenetelo presente. Il bastone è appoggiato al parapetto della Torre, come pure la cartella piena di carte: è stata questa parola a mettermi una pulce nell'orecchio. Gonfia. Era tutt'altro che gonfia quando il signor Brooke aveva fatto vedere il contenuto all'amico Rigaud uscendo dal Crédit Lyonnais. Non conteneva, in effetti, che quattro sottili mazzetti di biglietti di banca. Cosa c'era dunque in quella cartella che appariva tanto gonfia? «E poi, non è tutto: guardate!» Fell alzò il bastone giallo. Con precauzioni infinite ne fece uscire la lama lunga e sottile. «Quest'arma» disse «è stata trovata sguainata, dopo il delitto. La lama giaceva vicino al corpo del signor Brooke. Il fodero era rotolato fino al muro. La polizia ha portato via i due pezzi separati per sottoporli all'esame di un esperto. In altre parole» tuonò il narratore «le due parti dell'arma sono state immesse l'una nell'altra solo molto tempo dopo il delitto, cioè dopo che il sangue era ben coagulato! Eppure sussistono all'interno del fodero macchie di sangue! Non vi dice nulla questo fatto?» «Oh» rispose Barbara «forse comincio a capire. Dunque, il povero signor Brooke, affranto per quello che aveva saputo, se ne andava verso la Torre, riflettendo su quel che doveva fare...» «Sì» l'interruppe il dottore «e noi lo seguiremo. «Harry Brooke doveva essere sulle spine. Si ricordava della lettera lasciata sul tavolo non finita. Suo padre era entrato nella stanza. L'aveva letta? Doveva accertarsene. Prende quindi l'impermeabile e parte di corsa in cerca del padre. «Lo trova in cima alla Torre. Un'occhiata al viso disfatto gli basta per convincersi che la lettera è stata letta e che il male era fatto. Ne segue una
violenta spiegazione. Le voci si alterano; in quel momento giunge Fay Seton. Sente il rumore della disputa e, inquieta, sale silenziosamente la scala. Ascolta. Ascolta e vede: i due uomini non lo sospettano! Vede Harry e suo padre, tutti e due con l'impermeabile. Vede il bastone giallo e la cartella nera appoggiati al parapetto. Quali amari rimproveri ha fatto al figlio Howard Brooke? Ha minacciato di diseredarlo? Non ha solennemente giurato che, vivo lui, Harry mai avrebbe messo piede a Parigi? Gli ha rinfacciato con profondo disprezzo il suo odioso stratagemma per insudiciare la reputazione della ragazza che lo amava?... Fay Seton ha sentito tutto... «Accade spesso che le scenate di questo genere vadano più in là di quanto si desideri. È quanto deve essere accaduto quel giorno. Il padre ha voltato improvvisamente le spalle al figlio e Harry, che vedeva crollare le sue speranze, Harry in un accesso di rabbia, preso il bastone, estrae la lama e trafigge suo padre.» Il dottor Fell, pronunciando queste parole, aveva rinfoderato la spada e l'aveva deposta ai suoi piedi sul pavimento. «È stato in quel momento» riprese «che Brooke è stato colpito.» «In quel momento!» esclamò Miles. «Sì» ammise il dottore «e dovevano essere circa le quattro meno dieci. Il professor Rigaud non poteva tardare a comparire. Un attimo dopo lui incontra Fay Seton che era scesa di corsa, terrorizzata. La medicina legale ci insegna che le ferite fatte con una lama lunga e sottile danno in un primo tempo al ferito l'impressione che la ferita non sia grave. È quanto è accaduto. Possiamo immaginare quali furono le reazioni del padre, perché conosciamo la forza d'animo degli uomini di quella tempra; Howard Brooke sente la voce di Rigaud che giunge in quel momento. Non ha che una preoccupazione, un desiderio: non denunciare il figlio! «È stato lui senza dubbio che ha ordinato: "Dammi il tuo impermeabile!". Perché il suo presentava un largo strappo prodotto dalla lama. E cominciava già a macchiarsi di sangue. Bisognava fare in fretta e nascondere il sangue che colava dalla ferita... «Possiamo immaginarlo mentre arrotola il suo impermeabile e lo caccia nella cartella di cuoio, rimette la lama nel fodero e s'infila frettolosamente l'impermeabile del figlio... «Quando il professore giunge alla sommità della Torre, si svolge la scena seguente: Harry balbetta "Vi dico..." e il padre l'interrompe in tono perentorio: "Vuoi o non vuoi lasciarmi regolare questa faccenda a modo mio?".
«Ah, amici miei, la faccenda di cui parlava non era quella ipotizzata da Rigaud! Poi Brooke prega il professore di condurre via il figlio e volta le spalle. «Rigaud si allontana con il giovane Harry "floscio e sconfitto". Che cosa avrebbe fatto l'uomo rimasto sulla Torre? «Ma doveva tornare a casa, diavolo, e distruggere la prova dell'attentato di cui si era reso colpevole il figlio... Tornare a casa! ... Sfortunatamente...» «Continuate! continuate!» ansimò Rigaud facendo schioccare le dita, come per rianimare lo spirito del narratore. «Voleva tornare a casa...» «Allora s'accorge di non poter più camminare» disse semplicemente il dottore «Howard Brooke si sente mancare. Si chiede se per caso non morirà lì e se non lo troveranno con la prova insanguinata del delitto nella cartella. Quell'uomo amava suo figlio. Certo, aveva voluto mostrarsi molto severo, stigmatizzare la sua condotta, ma non certo rovinarlo! No! A nessun costo. «Quell'uomo morente dà prova di una forza d'animo meravigliosa. Si cambia nuovamente soprabito e sostituisce nella cartella l'impermeabile strappato e sporco di sangue con quello di Harry. Suo figlio è salvo. Ma bisogna ancora far scomparire la cartella, perché il soprabito di Harry è pure macchiato del suo sangue e la sostituzione sarebbe forse stata scoperta presto. Non vuole gettarla semplicemente al di sopra del parapetto, avrebbe galleggiato sulla superficie dell'acqua. Così ha la forza di staccare dal muro semidiroccato un frammento di pietra, e di zavorrare la cartella perché vada a fondo, di lanciarla nel vuoto e, infine, di cancellare dal bastone le impronte di Harry. Poi sguaina la lama e dispone le due parti dell'arma sull'impiantito. Dopo di che, completata la sua messa in scena, crolla a terra, ma è ancora vivo. E vive ancora quando Rigaud e Harry tornano, rende l'ultimo respiro nelle braccia del figlio al quale si aggrappa disperatamente per provargli che non l'ha tradito: Dio, abbi pietà dell'anima sua!» soggiunse il dottor Fell, coprendosi gli occhi con una mano. Per qualche secondo non si sentì che il respiro affannoso del narratore. «Vi ho esposto quella che considero la sola spiegazione plausibile della morte di Howard Brooke» concluse. «La chiave del "miracolo" sta nel fatto che l'impermeabile di un uomo somiglia a quello di un altro. Gli impermeabili inglesi, in particolare, si somigliano ancor più degli altri, perché sono incredibilmente vecchi e sudici. Quando andate in un ristorante, levatevi la curiosità di dare un'occhia-
ta al guardaroba e saprete dirmene qualcosa. Sembra che si tratti di una questione di prestigio, di distinzione, direi quasi di casta! Al nostro amico Rigaud non sarebbe mai venuta l'idea di aver visto il signor Brooke con due soprabiti diversi, e quando questi è stato trovato moribondo con addosso il soprabito, nessuno ha avuto dubbi. Nessuno... eccetto la signorina Seton.» «Credete che sapesse» domandò il professore. «Senza dubbio.» «Ma cosa ha fatto, secondo voi, dopo avermi lasciato ai piedi della Torre?» «Posso dirvelo io» annunciò Barbara, con voce pacata. «Lo so, perché avrei fatto la stessa cosa, se fossi stata al suo posto... È andata a fare il bagno... Oh! Lasciate che vi spieghi i fatti come li vedo io! Aveva saputo la verità sul conto di Harry. L'aveva visto colpire il padre, ma non credeva che la ferita fosse così grave. Allora è andata a fare il bagno perché... Ma sì, per avere il tempo di riflettere, per calmare i nervi tesi, per sorvegliare, chi lo sa? dal fiume quello che sarebbe accaduto in seguito, come si sarebbe comportato il ferito. Ha nuotato sotto la Torre dove nessuno poteva scorgerla. E ha visto cadere la cartella. È così?» «Avete indovinato» disse il dottor Fell inchinandosi. «Allora si è tuffata, ha preso la cartella ed è corsa a nasconderla nel bosco, senza comprendere subito perché il signor Brooke l'avesse buttata vìa.» «Sì» intervenne Miles «non è stato che dopo, quando Harry le si è precipitato incontro gridando: "Dìo mio! Fay, mio padre è stato ucciso" che ha visto chiaro nel gioco del suo ex fidanzato e ha ricostruito tutta la scena. Ora mi spiego perché, a questo punto del suo racconto, avesse un'aria così scettica.» «Un momento» disse il professore, alzando una mano. «Quella donna aveva in mano, fin dal primo giorno, le prove per mandare Harry Brooke alla ghigliottina.» «Avete indovinato anche voi!» disse il dottor Fell. «Perché non se ne è servita?» «Ma non capite» esclamò Barbara «che era giunta a un tal punto di stanchezza morale e di disgusto della vita, che tutto le era diventato indifferente? Denunciare Harry? Con quale diritto? Può anche darsi che gli abbia dichiarato che, se la polizia l'avesse arrestata, non l'avrebbe denunciato. Frattanto avrebbe conservato in luogo sicuro la cartella. E ha saputo nasconderla bene! Per sei anni... L'ha portata in Inghilterra... ma non ha mai avuto
occasione di servirsene fino... fino a...» La voce di Barbara divenne un sussurro indistinto. «Fino a quando?...» tuonò il professor Rigaud che non l'abbandonava con lo sguardo; la sua voce fece vibrare l'aria. «Siete prossima alla fine. Non fermatevi a mezza strada! Non ha mai avuto occasione di servirsene fino al giorno in cui...?» Miles Hammond non ascoltava più. I suoi occhi mandavano lampi d'odio. «Così» ghignò «Harry Brooke ha trovato sempre il mezzo di trarre le castagne dal fuoco con lo zampino altrui! Dopo il padre, ora è la sventurata Fay che lo ha presto sotto la sua protezione... Ah! Ah! Gli Harry Brooke di questo mondo se la cavano sempre. Non pretendo di sapere se è per caso o con l'aiuto della Provvidenza; resta il fatto, però, che quel farabutto, che si meriterebbe di finire sulla ghigliottina o quanto meno all'ergastolo, è sfuggito al meritato castigo, mentre la giustizia umana si accaniva contro una donna che non aveva fatto del male a nessuno, che... Oh! se avessi incontrato quell'uomo sei anni fa! Darei la mia anima al diavolo per poter saldare il conto con lui!» «Niente di più facile» disse il dottor Fell «ci tenete proprio a soddisfare questo vostro desiderio immediatamente?» Nel medesimo tempo un rombo di tuono li fece sobbalzare e un colpo di vento fece entrare nella stanza alcune gocce di pioggia. Fell, la cui larga faccia violacea divenne quasi grigia, alzò la voce: «Hadley, siete qui?» gridò. Barbara si allontanò precipitosamente dalla porta per andarsi a collocare ai piedi del letto. Il professor Rigaud si lasciò sfuggire un'imprecazione. Poi, la maniglia della porta si mosse come se diverse mani vi si aggrappassero e s'intese un rumore di lotta nel corridoio. Tre uomini, di cui uno si dimenava con furia, entrarono bruscamente nella stanza. Uno era il sovrintendente Hadley, l'altro un poliziotto in divisa. Miles non riconobbe subito il terzo. «Professor Rigaud» ordinò il dottor Fell, con voce chiara «volete avere la cortesia di procedere all'identificazione di quest'uomo? Quello di mezzo... sì.» Miles, che osservava il prigioniero dibattersi, lanciò un grido ed esclamò: «Ma sentite un po'! Che diamine state facendo? È Steve Curtis, il fidanzato di mia sorella che state malmenando. Non bisognerebbe...»
«Dobbiamo procedere a una verifica» precisò il dottor Fell. «Ma credo che la prova sia esauriente: l'uomo che si spacciava per Stephen Curtis non è altri che Harry Brooke.» XX Il direttore del Beltring, uno dei rari ristoranti nei quali si mangi bene anche di domenica, aveva per il dottor Fell un culto quasi fanatico e trovava sempre il mezzo di riservargli una saletta particolare anche se telefonava all'ultimo momento. Ma Frédéric assunse un'aria quasi glaciale quando riconobbe i tre invitati del dottore. Erano il professor Rigaud, il signor Hammond e la signorina Morell. A dire il vero, nessuno dei tre sembrava a suo agio, soprattutto quando furono introdotti nella sala da pranzo del Club del Delitto e il maître poté notare che, se mangiavano, era più per educazione che per appetito. Una cosa di cui era certo era che il disagio sarebbe aumentato, dopo il pasto. «Ora» gemette il professore con voce lamentosa «venite al sodo senza tergiversare!» E Miles, impaziente d'apprendere la fine della storia, pregò il dottor Fell di continuare il suo racconto. «Sta bene» disse quest'ultimo, gesticolando con la pipa e sporcando così di cenere lo sparato della propria camicia. «Vi prego di risalire alla notte scorsa, quando Rigaud e io siamo giunti come due prodi cavalieri per fare un sortilegio al vampiro.» «Desideravo, soprattutto, vedere la biblioteca di sir Hammond» rettificò il professore. «E dire che non sono riuscito a mettervi piede... Così è la vita!» «Mi avevate appena comunicato la versione del caso, tale e quale come l'avevate saputa dalla signorina Seton» rammentò il dottor Fell, rivolto a Miles. «In quel momento ero già convinto della colpevolezza di Harry, ma non riuscivo a trovare un movente plausibile. Sospettavo anche, per quanto vagamente, che fosse lui l'autore delle lettere anonime mandate al padre. Tenete presente, tuttavia, che non avrei mai sospettato che potesse esserci qualcosa di vero nelle accuse lanciate contro Fay Seton, che non vedevo se non nella veste della vittima tradita da colui che amava. È stata necessaria la confessione di quella disgraziata all'ospedale per gettare una luce crude-
le su tutti i punti che erano ancora oscuri. Ma ieri sera non ero ancora giunto a quel punto, e stavo appunto per tentare di provarvi che la storia del vampiro era una fandonia quando abbiamo sentito lo sparo nella stanza di vostra sorella... Ho continuato a brancolare nel buio, fino al momento in cui ho confrontato alcune informazioni che avevo avuto da voi con quelle che mi ha fornito vostra sorella, quando si è rimessa, e ora sono in grado di spiegarvi quello che è accaduto. «Sabato pomeriggio, avete incontrato vostra sorella e il presunto Steve Curtis alla stazione di Waterloo. È stato allora che avete lanciato la vostra bomba, annunciando l'assunzione di Fay Seton. Vi ricordate come Steve Curtis ha accolto la notizia? «Evidentemente, ora che vediamo tutto sotto un'altra luce, dire che sembrava contrariato, sarebbe poco. Resta il fatto che lui ha scelto proprio quel momento per comunicare che non sarebbe venuto a Greywood, quella sera. Prima non ne aveva parlato, vero?» «No, e ricordo perfettamente lo stupore di Marion. Ma Steve ha tirato fuori il pretesto di alcune difficoltà al Ministero che lo obbligavano a rimanere a Londra.» «Avete fatto, per caso, il nome del professor Rigaud?» Miles si passò una mano sulla fronte, come per concentrarsi nel cercare di ricordare la scena. «No» disse «non mi sembra. Credo di aver parlato del professore, ma senza nominarlo...» «Fay Seton» riprese il dottore «era in possesso della prova della colpevolezza di Harry Brooke. Supposto che scomparisse, nessuno avrebbe sospettato che ci fosse una relazione tra Stephen Curtis e Harry Brooke.» «Santo Dio!» esclamò Miles, spingendo indietro la propria sedia. «Piano, amico mio» raccomandò il dottor Fell. «È proprio qui che voglio fare appello alla vostra memoria. Avete o non avete parlato di camera da letto in presenza del sedicente Steve Curtis?» «Ehm... sì! O meglio, è stata Marion che ha espresso l'intenzione di cedere la sua camera a Fay Seton e di scendere lei stessa in una camera del pianterreno che era appena stata rimessa a nuovo.» «Ah, ah!» disse il dottore. «Così vostra sorella voleva alloggiare Fay Seton nella propria stanza. Perché non l'ha fatto?» «Perché Fay Seton ha rifiutato... Preferiva il pianterreno, per il suo cuore... Così non avrebbe dovuto salire le scale.» «Va bene! Ammettiamo, ora, che qualcuno si sia appostato in giardino,
poco prima di mezzanotte, sotto le finestre che credeva fossero quelle di Fay Seton; che cosa avrebbe visto? Fay Seton in pigiama che andava e veniva lentamente per la camera. La signorina Hammond non era visibile dal momento che era seduta vicino al comodino e, quindi, abbastanza lontana dalla finestra. Immaginate ancora di disporvi a uccidere qualcuno e che, per far ciò, vi introduciate di notte nella sua stanza. Vi avvicinate alla persona addormentata e vi sale alle narici l'odore caratteristico del suo profumo. «Come poteva l'assassino sospettare che quel profumo fosse un regalo di Fay a Marion? Sì, Harry Brooke, alias Stephen Curtis, aveva preparato il suo delitto con molta destrezza. Ma ha sbagliato donna. Questo è il punto che ho penato di più a risolvere. Non riuscivo a comprendere il motivo di quel misterioso attentato alla vita della signorina Hammond. Tuttavia, un incidente molto significativo accaduto l'indomani mattina avrebbe dovuto aprirmi gli occhi. Era la prima volta che vedevo Steve Curtis. Arrivava da Londra fresco e riposato ed è entrato nel salotto nel momento in cui voi, Hammond, stavate telefonando alla signorina Morell. Camminavo dietro di lui con un vassoio e vi ho sentito dire: "È accaduto questa notte nella camera di mia sorella un fatto davvero incredibile". Poi avete incominciato un'altra frase che non avete finito perché avete scorto Stephen Curtis ed era importante, prima di tutto, rassicurarlo. Ricordate?» Sì, Miles ricordava l'irruzione di Steve, con l'ombrello sotto il braccio. Lo vedeva ancora impallidire nell'apprendere la notizia. «Ho notato allora» disse il dottor Fell «che la sua voce è salita di due ottave quando ha gridato: "Marion?". Certo, la sua emozione non aveva nulla di men che naturale e non possiamo rimproverarci di non essercene stupiti in quel momento. Ma, se fossimo stati più accorti, non avremmo notato che si trattava piuttosto di una specie di rabbia disperata? Ricordate il gesto furioso con cui ha spezzato il manico dell'ombrello contro lo spigolo del tavolo? Era forse la reazione di un fidanzato sconvolto nell'apprendere che la sua amata ha corso un pericolo mortale? No, sotto la maschera placida di Stephen Curtis, riappariva il giovanotto collerico che rinviava le palle da tennis come proiettili da cannone quando gli avvenimenti lo contrariavano. Aveva voluto togliere di mezzo Fay che era a conoscenza del suo delitto e aveva fatto cilecca. Per giunta, aveva messo a repentaglio la vita di Marion. Marion, con la quale sperava di rifare la propria esistenza... Per completare la sua sconfitta, gli avete annunciato che il professor Rigaud, un altro testimonio del suo passato, dormiva al primo piano, nella
sua stessa stanza! Capite ora perché è andato a piazzarsi davanti alla finestra, voltandovi la schiena? Perché aveva gli occhi pieni di lacrime! Era agli estremi. Si era messo in una situazione spaventosa.» «Dottor Fell, scusate se vi interrompo» mormorò Barbara. «So di non avere voce in capitolo, ma vorrei pregarvi di risparmiare i nervi del povero Miles e di dirci, finalmente, che cosa ha terrorizzato la signorina Hammond. Quale idea machiavellica ha potuto germinare nel cervello di Harry Brooke, e come gli è venuta?» «Ah! Signorina Morell» intervenne il professor Rigaud gonfiando il petto al punto da rassomigliare a Napoleone a Sant'Elena. «È da me che ha avuto l'idea. E a me, l'ha data Cagliostro...» «Naturalmente!» disse Barbara. «Perché "naturalmente"?» domandò il professore punto sul vivo. «Perdonatemi» si scusò la giornalista «intendevo solo alludere alle conversazioni che avete avuto con Harry Brooke. Parlavate sempre di criminologia e di occultismo...» «Perché parlare sempre d'occultismo?» s'impazientì Miles. «Marion è stata spaventata da qualcuno che voleva far del male a Fay, ecco tutto!» «Non è tanto semplice quanto credete» protestò con dolcezza il dottor Fell. «E dello sparo, ve ne siete scordato?» «Non è stata vostra sorella a sparare...» «Allora hanno sparato a lei?» «No...» Barbara posò una mano sul braccio di Miles. «Se lasciassimo raccontare al dottor Fell i fatti a modo suo?» suggerì gentilmente. «Sì» approvò questi «non è per il piacere di mettervi in imbarazzo che procedo in questo modo, ma nell'intento di ricostruire, davanti a voi, le tappe del mio ragionamento. Avrei dovuto comprendere subito che vostra sorella non poteva avere sparato. Era distesa, come accade di solito alle persone colte da choc nervoso e, tuttavia, stringeva tra le dita contratte la rivoltella. Ora, logicamente, svenendo avrebbe dovuto lasciar cadere l'arma. Se la stringeva ancora, amici cari, significa che era stata messa nella sua mano dopo lo sparo, piegando ogni dito in modo da far credere che lei non l'aveva lasciata andare. Per tornare a Cagliostro e all'episodio al quale s'è ispirato Harry Brooke, ve lo riassumerò in poche parole. Proprio qui a Londra i membri di una società segreta dell'epoca avevano fatto inginoc-
chiare Cagliostro, con gli occhi bendati, e gli avevano messo in mano una rivoltella assicurandogli che era carica e intimandogli di appoggiarla contro la tempia e di premere il grilletto. Convinto che si trattasse di uno scherzo, Cagliostro aveva ubbidito. Ma, invece del semplice scatto che si aspettava, c'era stata una detonazione formidabile e un colpo violento gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Per finire la storia, la pistola non era carica, ma qualcuno, vicino alla vittima, aveva sparato con un'arma carica nel momento in cui Cagliostro aveva premuto il grilletto. Contemporaneamente, un complice dava una bastonata in testa alla vittima... Che bella idea, per un delitto! E, a maggior ragione, se la vittima è sofferente di cuore! Imbavagliarla con un fazzoletto, appoggiare alla sua fronte la gelida canna di una rivoltella scarica e, per alcuni eterni minuti, mormorare al suo orecchio che la ucciderete... e come e perché... Poi premere lentamente il grilletto affinché la vittima senta meglio gli scatti del meccanismo... e pam! Sulla testa!» La mano del dottor Fell picchiò sul piano del tavolo. «Scusate» disse, vedendo gli altri sobbalzare «volevo rendervi meglio la perfidia del procedimento. L'idea geniale di Harry Brooke fu di aver messo in mano a quella che credeva morta una rivoltella carica per far credere che lei avesse sparato contro qualcuno. La riuscita dello stratagemma era sicura nel caso di una donna dal cuore debole. Giudicate voi dall'effetto che ha prodotto sui nervi solidi di vostra sorella, signor Hammond! Sapete che, in certi momenti, nessuno può vantarsi di essere indifferente agli spari o alle esplosioni. Non mi avete detto, forse, che era la sola cosa capace di spaventare la vostra coraggiosa sorella? Grazie al cielo è sopravvissuta allo choc. Felicitiamoci di quanto è accaduto perché abbiamo tutto il diritto di chiederci quale vita l'attendeva se avesse avuto la disgrazia di sposare Harry Brooke! È stato nell'esaminare la stanza di vostra sorella, signor Hammond, nella speranza di trovarvi qualche indizio che mi è sorta l'idea che Harry Brooke e Stephen forse erano una sola persona. L'episodio della vita di Cagliostro che ho ricordato un momento fa mi ha indotto a rievocare i colloqui del professor Rigaud con il giovane Brooke. Ma perché Harry Brooke avrebbe attentato alla vita della signorina Hammond che non conosceva neppure? E poi Harry Brooke era morto! Tutti punti interrogativi che mettevano a dura prova il mio cervello. È stato allora che mi sono ricordato del contegno di Fay Seton la notte dell'attentato. Lei girava per la stanza di Marion in preda a una forte agitazione. Perché? Ha rifiutato di spiegarcelo.»
«Sì» confermò Miles «quando mi ha raggiunto in cucina, ha esclamato: "Questa situazione non può durare!".» «È stata quella frase a mettermi sulla pista giusta» disse il dottor Fell. «Quando questa notte ho interrogato la signorina Seton circa la visita da lei fatta alla signorina Hammond, poco prima della mezzanotte, mi ha dichiarato tra l'altro: "Stavo guardando diversi oggetti sul comodino: la lampada, il flaconcino di profumo cui ho già accennato...". Perché insisteva su quel punto? Quale parte aveva avuto la lampada? Che cosa aveva illuminato sul comodino? Hammond, volete dirci quel che c'era sul comodino di vostra sorella?» «Io... non lo so» rispose Miles stupito. «Una sveglia, credo, una scatola di sigarette, e poi... ah! sì, una fotografia incorniciata di Steve e Marion.» «Ci siamo! La fotografia di Steve Curtis, dello pseudo Steve Curtis! E la signorina Seton l'ha riconosciuto! Immaginate ora il suo turbamento e il suo orrore. Quell'Harry, dal quale si credeva salva e al quale aveva perdonato tutto il male che le aveva fatto, rientrava nella sua vita! Stava per unirsi sotto falso nome con Marion Hammond, che aveva fede in lui e che meritava una sorte migliore. Che cosa poteva fare, lei stessa, se non fuggire da quella casa dove non avrebbe potuto esimersi, tra qualche ora, dal trovarsi a faccia a faccia con lui? Già, in quel momento decise di partire. Un attimo dopo, va già oltre. Ha preso una grave risoluzione. Il fatto è che intanto è sopravvenuto un avvenimento nuovo, un attentato di cui non dubita nemmeno per un attimo quale sia l'autore, e che l'attentato stesso sia stato in realtà diretto contro di lei. La sua vita è in pericolo. Questa volta, denuncerà il criminale. Ecco perché, quando lascia Greywood, porta con sé la famosa cartella che contiene le prove della colpevolezza di Harry. "Non avete idea" scrive "di che utilità possa essere una semplice cartella." Ma faceva i conti senza Harry Brooke. Ecco il motivo, caro Hammond, per il quale vi ho spedito a Londra con il mezzo più rapido, ingiungendovi di ritrovarla e di non lasciarla più. Ma tutto è andato per traverso.» «Potete vantarvi di avermi causato parecchie emozioni» intervenne il professor Rigaud, picchiando sul tavolo, per richiamare l'attenzione. «Questo maledetto burlone si è precipitato nella camera dove dormivo, mi ha tirato giù dal letto e mi ha trascinato alla finestra per indicarmi due persone che uscivano dalla casa e dirmi: "Vedete il signor Hammond? Ma l'altro, l'altro, chi è? Presto, ditemelo...". "Diamine" ho risposto "o sto sognando, oppure... sembra Harry Brooke!" Il mio persecutore si è slanciato al telefono.»
«Non mi ero ricordato» spiegò il dottor Fell «che Hammond aveva letto il biglietto di Fay ad alta voce. L'uomo, smarrito, nascosto nell'ombra, non ne aveva perso una parola, così è venuto alla stazione con voi, vero, Hammond?» «Sì, ma non ha preso il treno.» «Sì, invece, è salito dopo di voi. Non l'avete visto, ma se anche l'aveste visto non l'avreste forse nemmeno riconosciuto, perché cercavate una donna. Un giornale spiegato davanti al viso è bastato a nasconderlo ai vostri occhi. In quanto a Fay, non l'avete trovata per la semplice ragione che lei ha fatto quello che parecchie belle donne oggi fanno per evitare la ressa, ha chiesto al capotreno di lasciarla viaggiare nel suo sgabuzzino. È partita per Londra in un impeto di collera. Voleva mettere fine alla persecuzione cui si sentiva sottoposta. Voleva denunciare Harry, dire quanto sapeva sul suo conto. Ma quando il sovrintendente l'ha invitata a parlare, si è accorta di non poterlo fare.» «Credete che amasse ancora Harry Brooke?» domandò Barbara. «No, l'amore era finito, ma deve aver riflettuto, indubbiamente, che non doveva prendersela con Harry, ma con il destino... Perché, infine...» «Vorrei sapere» interruppe il professor Rigaud «quando Harry Brooke è divenuto Stephen Curtis.» «A mio avviso» rispose il dottor Fell «Harry Brooke non ha sopportato a lungo la minaccia che pesava su di lui. Quella spada di Damocle, l'idea che Fay Seton avrebbe potuto parlare e che una bella mattina avrebbe sentito scendere sul proprio collo il gelido triangolo d'acciaio della ghigliottina... no, doveva trovare una via d'uscita... Probabilmente è esistito un vero Stephen Curtis che è caduto a Dunkerque e dei cui documenti Harry, nel caos della ritirata, è riuscito a impadronirsi. In Inghilterra si è ricostruita una nuova identità. La cosa era facile perché nessuno lo conosceva. È riuscito abbastanza presto a crearsi una bella posizione ed era sul punto di sposare una signorina che aveva ereditato una fortuna. Tutto procedeva dunque per il meglio allorché è entrata in scena Fay. Ricordate la domanda che vi ha fatto quando ha appreso che avevate assunto la signorina Seton?» «Sì» rispose Miles. «Voleva sapere quanto le sarebbe stato necessario per catalogare la biblioteca. Credeva che poche settimane sarebbero state sufficienti.» «Precisamente! In tal caso avrebbe fatto in modo di stare alla larga per un po'. Ma gli avete dichiarato che il lavoro sarebbe durato dei mesi. Decide, quindi, di sbarazzarsi della donna che minacciava di rovinargli l'avve-
nire... e si è ricordato della storia di Cagliostro...» Il professor Rigaud si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte. «E dire che sono stato io...» cominciò «io che, senza accorgermene, gli ho suggerito l'idea! Ma il suo genio criminale ha fatto il resto. Lui, da solo, ha pensato di mettere una rivoltella in mano alla sua vittima. A che scopo avrà seguito Fay Seton a Londra? Voleva ucciderla?» «Siatene certo» rispose il dottor Fell. «L'avrebbe proprio assassinata, poi avrebbe fatto scomparire le prove a suo carico. Fremo al pensiero di ciò che sarebbe accaduto a Bolsover Place, se Hammond e la signorina Morell non fossero arrivati in tempo. Harry Brooke li ha seguiti. Non sapeva l'indirizzo di Fay Seton, e non era riuscito, nemmeno lui, a scovarla sul treno. Dal corridoio della casa di Bolsover Place ha potuto sentire tutto quanto è accaduto nella stanza e l'arrivo di Hadley rappresentava, per lui, la firma della sua condanna a morte. Doveva giocare l'ultima carta; impadronirsi del corpo del reato prima che Fay lo denunciasse. Ha svitato le valvole della luce elettrica, con il favore dell'oscurità si è precipitato nella stanza, si è impadronito della cartella ed è fuggito. Poi si è liberato della cartella perché quello che l'interessava era solo l'impermeabile. Uscendo dalla casa, è andato a finire nelle braccia...» «Di chi?» domandò Miles. «Del poliziotto accorso al colpo di fischietto di Hadley. Erano stati presi accordi precisi per telefono. Harry Brooke, alias Stephen Curtis, è stato condotto al posto di polizia di Camden Street dove è stato trattenuto fino all'arrivo del professor Rigaud e mio. Quindi è stato condotto a Bolsover Place per l'identificazione formale da parte del professore. Vi ho già detto, mio caro Hammond, che il compito che Hadley deve ancora condurre a termine sarà penoso per uno di voi. Vengo alla conclusione: non credo vi dobbiate preoccupare per l'avvenire della signorina Hammond. Quanto dirò non è molto cortese, ma lei mi ha fatto l'impressione di essere una ragazza di carattere. La perdita di Stephen Curtis non le arrecherà molto danno... al contrario. Per Fay Seton è un altro paio di maniche... Ora sapete tutta la sua storia. Quello che ignorate, tuttavia, è quale sia stata la sua vita in questi ultimi sei anni... Un calvario! Ci siamo chiesti di che vivesse; e siccome non voleva produrre la sua carta d'identità francese è probabile che non abbia avuto altra risorsa che la prostituzione... C'è tuttavia, nel carattere di quella sfortunata donna, una generosità, direi quasi una nobiltà, che le ha impedito fino all'ultimo di denunciare quello che era stato il suo amico. Non ha più che pochi mesi di vita, nella migliore delle ipotesi, e ora
è all'ospedale, malata, disperata... Che pensate di ciò?» «Vado all'ospedale» dichiarò Miles. Barbara Morell respinse bruscamente la propria sedia. «Miles!» esclamò. «Non fate una simile pazzia! Voi non l'amate davvero! Non può avere reale consistenza per voi... non più di quanta ne abbiano bisogno i personaggi storici di cui ricostruite l'esistenza. Lo sapete!... Siete un idealista che si lascia trascinare da impulsi generosi, ma insensati. Miles, ve ne prego!» Ma Miles già stava prendendo il cappello che aveva gettato prima sopra una sedia. Barbara Morell giunse le mani: «Oh, Miles!» supplicò. «Parlo per il vostro bene. Qualunque sia l'idea che avete in testa, dovete riflettere che questa faccenda non può che finire male. Miles, Miles... Pensate a quello che è, a quello che è stata!» «Me ne infischio di quello che è stata» sbottò Miles. «Vado da lei!» E, per la seconda volta, uscì a precipizio dalla saletta da pranzo del Beltring, scese di corsa le scale e scomparve nella notte di pioggia. FINE