Liz Fielding
INCREDIBILE DAISY The Best Man and the Bridesmaid - © 2000 Serie Jolly - gennaio 2001
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Liz Fielding
INCREDIBILE DAISY The Best Man and the Bridesmaid - © 2000 Serie Jolly - gennaio 2001
1 Mercoledì 22 marzo. Prove dalla sarta. Io, in ghingheri, come damigella d'onore. Un vero incubo. D'altra parte, come resistere alle dolci suppliche di Ginny? Prima, però, dovrò pranzare con Robert. La bella (e astuta) Janine lo ha piantato in asso e io rappresento, come al solito, la spalla più vicina su cui piangere. Lacrime di coccodrillo, naturalmente... ma sarà interessante vedere come si trova Robert nei panni del sedotto e abbandonato, una volta tanto. «Velluto giallo? Che cosa c'è che non va nel velluto giallo?» «Niente, suppongo» ironizzò Daisy, «se fare la damigella fosse il sogno della mia vita...» Poiché non lo era, arricciò il naso. «Niente, se mi garbasse la prospettiva di sfoggiare un abito che metterà in risalto tutti i miei difetti fisici.» E si fissò il seno piatto. «O che, nel mio caso, non metterà in risalto proprio nulla.» Seguendo il suo sguardo, Robert considerò la sua mancanza di curve con espressione pensosa. «Niente» rincarò lei per distoglierlo, «se mi piacesse l'idea di scortare una ragazza che passerà alla storia come la sposa più graziosa del secolo, unitamente alle sue more e altrettanto avvenenti cugine, ognuna delle quali apparirà incantevole in velluto giallo!» «Magari sarai incantevole anche tu in velluto giallo» azzardò Robert. Non sembrava convinto. Be', non era necessario che lo fosse. L'importante era che la smettesse di incensare Janine. Daisy era stufa di sentire come fosse meravigliosa Janine. Se era davvero così meravigliosa, allora Robert avrebbe dovuto sposarla... Il suo petto si contrasse al pensiero. «Sembrerò un'anatra» brontolò, più per distrarre se stessa che per altro. Sarebbe stata la giornata di Ginny, dopotutto, e nessuno avrebbe badato a lei. «Facile» esclamò lui divertendosi a stuzzicarla. Daisy ribollì. Il testimone dello sposo era così fortunato, pensò con Liz Fielding
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livore. Robert avrebbe indossato un classicissimo tight e la decisione più grave che avrebbe dovuto prendere era se abbinarlo a un soprabito grigio oppure nero. O forse no. La madre di Ginny stava allestendo quel matrimonio come il regista di un colossal hollywoodiano, e tutto sarebbe stato intonato fino all'ultimo bottone, quindi era improbabile che Robert si dovesse preoccupare anche solo di quel dettaglio. No. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare era accompagnare il fratello di Daisy in chiesa, portare le fedi nuziali e pronunciare un discorso breve ma frizzante durante il ricevimento. Lei lo aveva già visto all'opera. Robert era un esperto di matrimoni... altrui! Avrebbe organizzato un fantastico addio al celibato, facendo tuttavia in modo che Michael arrivasse davanti all'altare sobrio, puntuale e ben vestito. Avrebbe presentato gli anelli al momento giusto, intrattenuto gli ospiti con commenti arguti e rimorchiato la damigella più carina. Per l'ora in cui si fosse conclusa la cerimonia, ogni cuore femminile avrebbe palpitato per lui. Be', non quello della sposa, forse. E la madre della sposa, magari, sarebbe stata troppo impegnata per fargli il filo. Ma la sorella della sposa, le cugine della sposa, le zie della sposa... Non che Robert avesse bisogno del tight per fare colpo. Le donne gli cadevano ai piedi dovunque andasse, qualsiasi cosa indossasse. Donne piacenti. Donne sofisticate. Donne sexy. E per averle gli bastava sorridere. Le damigelle d'onore, per contro, erano ostaggio della madre della sposa. Daisy sospirò. Frappe. Nastri. Velluto. Era già abbastanza atroce così! Perché la madre di Ginny aveva dovuto optare per il velluto giallo? I narcisi degli addobbi non avrebbero soddisfatto da soli la voglia di giallo di chiunque? «Non mi dovresti dare ragione, sai?» sbottò contrariata. «Mi ero data un bel daffare per evitare il ruolo di damigella. Avevo fatto giurare a Ginny che, qualsiasi cosa avesse detto o fatto sua madre, non mi avrebbe costretta a seguirla lungo la navata.» «Ma i tuoi progetti...» «... sono finiti in fumo! Non posso credere che la madre di Ginny abbia permesso a una delle sue protette di andare in settimana bianca così a ridosso del matrimonio!» Lui sorrise. «Una bella sfortuna per te.» Sporgendosi, le arruffò i capelli castani che le uscivano da sotto l'elastico che li teneva legati. «Comunque, sbagli a pensare che sembrerai un'anatra. Le anatre dondolano. Tu, no.» Liz Fielding
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Come complimento, non era il massimo, tuttavia Daisy arrossì di piacere. «Sul serio?» Robert ghignò. «No. Non assomiglierai a un'anatra» confermò. «Piuttosto... a un anatroccolo!» La sua baldanza svanì all'istante. «Già. Sarò arruffata e gialla!» «Arruffata, gialla e...» «Guai a te se dici carina!» «Non mi sognerei mai» protestò lui. Ma gli occhi lo tradirono. Caldi occhi color del caramello che stavano sicuramente ridendo di lei. «Carina non ti si addice. Hai il naso troppo grande.» «Grazie.» «E anche la bocca.» «Okay, hai reso l'idea. Faccio incrinare gli specchi...» «Solo se li prendi a sassate» la corresse Robert con dolcezza. «Sul serio, non capisco perché tu la stia facendo tanto lunga. Starai benissimo!» Figurarsi! «Non sono fatta per il velluto!» protestò Daisy. Tailleur e robes-manteaux erano più il suo genere. Sottolineavano le sue spalle larghe mimetizzando l'assenza di curve. «L'ultima cosa che voglio è infilarmi boccioli di rose tra i capelli! Sembrerò una cresimanda!» «Eh, temo proprio di sì...» «Robert!» Insomma, c'era un limite alla sua sopportazione! Lui le accarezzò la mano e Daisy concluse che avrebbe potuto insultarla tutto il santo giorno se avesse continuato a toccarla in quel modo. «Santo cielo, stai tremando! Non ti ho mai vista così sconvolta.» I tremori, in realtà, non si ricollegavano affatto al look da damigella, ma perché dirlo? «Mica sei obbligata a farlo! Di' a Ginny che non te la senti. Tre damigelle possono bastare, no?» Certo che sarebbero potute bastare. Ma le mezze misure non contavano. Il matrimonio di Ginny sarebbe dovuto essere perfetto e Daisy non poteva, non voleva deludere la futura cognata. E non c'era nessuno che potesse sostituirla. Si era informata. Robert, naturalmente, non avrebbe potuto capire. Era da una vita che la gente si faceva in quattro per assecondarlo in ogni modo possibile. Gli uomini con le sue qualità erano perlopiù mostri, lei lo sapeva. Il fatto che, oltre a essere così desiderabile, fosse anche intelligente, buono e generoso era poco meno di un miracolo. «Mamma, figurati, è felicissima» continuò Daisy. «Sai, non sperava in Liz Fielding
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una seconda chance.» Robert scosse il capo. «Se tua madre vuole che tu faccia la damigella, allora non c'è scampo.» Se? Era l'eufemismo dell'anno! Sua madre aveva una tabella di marcia tutta sua. Con una figlia sposata e già produttiva nel reparto nipoti e un figlio in procinto di seguirne l'esempio, Margaret Galbraith aveva già preso di mira la piccolina di casa. Ventiquattro anni e non un pretendente in vista! Il piano dell'irriducibile signora era composto da più fasi. La numero uno comportava un drastico cambiamento di immagine. Fresco e femminile: ecco il look più adatto a una ragazza senza legami. Da settimane cercava di coinvolgere Daisy in un giro di shopping per sfruttare un grande matrimonio alla moda a cui avrebbero partecipato schiere di scapoli appetibili. Adesso una delle damigelle more, carine e pettorute si era rotta una gamba sciando fuori pista e, con Daisy come unica sostituta possibile, Margaret Galbraith era al settimo cielo. Non c'era assolutamente via di uscita. Le fasi successive avrebbero coinciso con una seduta dall'estetista e una dal parrucchiere. Daisy compiangeva i due poveracci a cui sarebbe toccato l'arduo compito di ravvivare la sua carnagione chiara e dare tono ai suoi capelli castano scuro, privi di riflessi e luminosità! Guardò la mano di Robert contro la propria. Aveva belle mani, le venne fatto di pensare, con dita lunghe e affusolate. Una cicatrice irregolare lungo le nocche non faceva che sottolinearne la forza. L'amico si era procurato quella cicatrice salvandola da un cane feroce quando Daisy aveva sei anni. Lei lo aveva amato persino allora. Per un attimo si concesse il semplice piacere del suo tocco. Solo per un attimo. Poi, ritrasse la mano e sollevò il bicchiere. «Mamma dice che sono ridicola. Che faccio male a preoccuparmi tanto» riconobbe. «È convinta che essere al centro dell'attenzione possa giovarmi.» Robert sospirò. «Mi dispiace. Ma temo proprio che dovrai far buon viso a cattiva sorte.» «Tu lo faresti?» «Per amor di pace, senz'altro» le assicurò lui con calore. «Ma indosserò un panciotto giallo per mostrarmi solidale. Se ti farà sentire meglio.» «Un panciotto di velluto giallo?» «Sempre che la madre di Ginny non si opponga. Oppure tu potresti Liz Fielding
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tingere i capelli di biondo, così saresti in tinta col vestito.» «Uffa, non la stai prendendo seriamente.» E del resto, che cosa prendeva mai seriamente? Robert poteva dolersi all'idea che l'ultima di una lunga serie di fidanzate avesse fiutato la sua irrimediabile avversione al matrimonio e avesse troncato una settimana prima che lo facesse lui. Ma poiché sarebbe stato assediato da donne ansiose di consolarlo, non si sarebbe davvero crucciato a lungo. Daisy dedicò un brindisi mentale alla lungimirante Janine. «Oppure potresti ricorrere a una parrucca» suggerì Robert dopo una lieve esitazione. Lei gli disse, senza mezzi termini, dove si sarebbe potuto ficcare la dannata parrucca. «Ehi, calma, anatroccolino!» fu la risposta. «Stai ingigantendo la cosa. Voglio dire, chi se ne accorgerà se non avrai i capelli perfetti? Tutti gli occhi saranno puntati sulla sposa, non credi?» Non era affatto un commento galante, decise Daisy. Specie per un uomo che, nell'opinione generale, era capace di far spogliare una ragazza con un semplice sorriso. Robert, d'altronde, l'aveva sempre trattata alla stregua di una sorella minore, e quale uomo avrebbe mai sentito il bisogno di essere galante con una sorella? Lo stesso Mike non le aveva mai rivolto un complimento, quindi perché il suo miglior amico si sarebbe dovuto comportare in maniera diversa? Specie dal momento che lei faceva di tutto per mantenere il loro rapporto quanto più neutro possibile. No agli atteggiamenti civettuoli. No agli abiti sexy e ai tacchi alti quando usciva con Robert a pranzo. Poteva amarlo con tutta se stessa. Ma era un segreto che condivideva soltanto col proprio diario. Robert Furneval non era un uomo da matrimonio e, quando si amava veramente qualcuno, nessun altro sarebbe potuto andare bene. Daisy finì il chiaretto e si alzò. Congedarsi con brio era sempre difficile: l'occasione andava colta al volo. «La prossima volta che avrai bisogno di un'amica, Robert Furneval» dichiarò recuperando la borsa da sotto il tavolo, «sfoglia le Pagine gialle. Visto che ti piace tanto quel colore...» «Via, Daisy» sbuffò lui alzandosi in piedi. «Sei l'unica donna ragionevole che io conosca.» Era quasi riuscito a rabbonirla. Ma poi rovinò tutto precisando: «Tranne per una certa tendenza a vestire come una Liz Fielding
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novantenne». Ammiccò. «Non roderti il fegato per uno stupido abito da damigella. Dopotutto, mica dovrai mostrare le gambe!» Lei si inalberò. «Che cosa ne sai tu delle mie gambe?» «Niente. Ma se ben ricordo, hai le ginocchia ossute. Immagino che sia per questo che le tieni sempre coperte. Pantaloni, jeans, gonne lunghe...» Una ruga gli solcò la fronte. «Non vuoi che menta, vero, e che ti dica che sarai fantastica in velluto giallo?» Sarebbe stato simpatico, pensò lei. Per una volta. Ma non si erano mai raccontati bugie. «Siamo amici» protestò. «Gli amici non fingono.» Sì, erano amici. Daisy si aggrappò a quel pensiero. Robert poteva non corteggiarla con mazzi di rose, poteva non portarla in costosi ristorantini francesi e rimpinzarla di salmone affumicato e tartufi, ma nemmeno la piantava in asso dopo un paio di mesi. Erano veri amici. Amici del cuore. E lei sapeva, aveva sempre saputo che solo mantenendo le cose in quel modo avrebbe potuto far parte della vita di Robert. E ne faceva parte. Lui le raccontava tutto. Daisy sapeva cose di Robert che ignorava lo stesso Michael. Aveva coltivato l'abitudine di ascoltare e si faceva trovare sempre tra un'amante e l'altra... per un pranzo veloce o come partner per qualche festa. Ma non per questo s'illudeva di rientrare con lui. Non che Robert l'abbandonasse mai. Faceva sempre in modo che qualche amico fidato la riportasse a casa. Fidato e noioso. Poi, la punzecchiava l'indomani sul suo nuovo fidanzato. «Davvero?» «Che cosa?» Daisy vide che si era accigliato. «Oh, fingere? No» disse in fretta con un sorriso rassicurante. «Non devi farlo mai.» Guardò l'orologio. «Ma adesso devo sottomettermi all'indegnità di farmi restringere la scollatura.» «Restringere?» «Sono abiti stile impero.» Si toccò lo sterno. «Sai, direttamente dal set di Orgoglio e pregiudizio. Le altre ragazze hanno tutte un bel davanzale mentre io...» «Mettiti uno di quei reggiseni imbottiti» fu il suggerimento. «Bisogna avere qualcosa da imbottire.» Robert non trovò nulla da ribattere, tuttavia le sfiorò un braccio. «Non ti preoccupare, Daisy. Andrà tutto bene. E il matrimonio sarà divertente, vedrai.» Liz Fielding
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Le sfuggì un sorriso. «Per te, forse. Il testimone ha via libera con le damigelle, no?» Un lampo divertito gli attraversò lo sguardo. «Non sono mai riuscito a fregarti, eh?» «Mai» ammise lei. «Fila a quella benedetta prova, allora. Così, potrai farmi qualche indiscrezione sabato.» «Sabato?» «C'è una festa a casa di Monty. Verrò a prenderti alle otto, così ceneremo prima.» Non sembrava mai passargli per la testa che Daisy potesse avere altri progetti, e per un attimo lei fu tentata di inventarsi un impegno per sabato sera. C'era soltanto un problemino. In tutta la sua vita, sin da quando era stata capace di gattonare dietro il fratello e il miglior amico di questi, Daisy non era mai stata troppo impegnata per Robert. «Passa dopo le nove e mezzo» obiettò, cercando almeno di fare la difficile. «Le nove e mezzo?» Era sorpreso. «A dire il vero, alle dieci sarebbe meglio» puntualizzò lei. «Dovremo saltare la cena, temo.» «Ah, sì? Riuscirai a liberarti in tempo per la festa?» Il suo tono deluso le strappò un sorriso. «Non ti sarai trovata un fidanzato, vero? Sei la mia ragazza, ricordi?» «Storie» affermò Daisy con decisione. «Sono tua amica. C'è una bella differenza.» Le ragazze di Robert duravano due, tre mesi al massimo, prima che incominciassero a sentire la marcia nuziale e che lui, con finta riluttanza, le lasciasse andare. «Ma sarei andata comunque alla festa di Monty e sarò felice di accettare un passaggio.» Ogni tanto gli faceva bene ricordare che Daisy non era a sua completa disposizione. Ogni tanto faceva bene a ricordarselo lei stessa, sebbene significasse rinunciare a una cena in compagnia per un solitario spuntino davanti al televisore. Poi, avendo ribadito il concetto e avendo aperto una piccola falla nel suo mondo altrimenti perfetto, Daisy tese la guancia per essere baciata. Avrebbe potuto facilmente prolungare l'abbraccio. O trattenersi per il caffè e il dolce. Ma c'era un limite a tutto. Troppo contatto ravvicinato e avrebbe incominciato a dare i numeri. Tra l'altro, il suo atteggiamento distaccato era senz'altro la ragione per cui Robert non si era ancora stancato di lei. Liz Fielding
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«Grazie per il pranzo» gli disse. «Ci vediamo sabato.» E senza voltarsi, si avviò verso l'uscita del ristorante. Il congedo era stato più difficile, quel giorno. Molto più difficile. Infatti Robert era libero e insolitamente vulnerabile. Forse era per quello che lei si era lagnata così tanto dell'abito da damigella. Non per divertire l'amico di sempre, bensì per distrarre se stessa. Sarebbe stato facilissimo dimenticare l'appuntamento dalla sarta, suggerirgli una passeggiata nel parco, prenderlo a braccetto, invitarlo a casa con la scusa di offrirgli un brandy e mostrargli il computer nuovo... Il guaio era che Daisy conosceva Robert troppo bene. E conosceva le sue debolezze. Quel giorno, piantato da una ragazza abbastanza furba da anticipare le sue mosse, avrebbe anche potuto avere la tentazione di scoprire che cosa nascondesse Daisy Galbraith sotto i pantaloni, le gonne lunghe, gli abiti dimessi che sfoggiava ogni volta che s'incontravano. Ma i problemi sarebbero insorti l'indomani. O la settimana successiva. O magari sarebbe passato un mese prima che un'altra donna bella, elegante e più adatta a lui attirasse il suo sguardo. Dopodiché, niente. Niente più pranzetti preziosi. Niente più domeniche in campagna quando Robert passava di buon'ora per portarla a pesca o proporle una passeggiata con i cani. Più niente se non rossori e imbarazzo quando si fossero incrociati per caso. Peggio ancora, Daisy avrebbe dovuto fingere che non le importasse perché Michael non avrebbe mai perdonato al suo miglior amico di aver infranto il cuore della sorellina. Un'avventura con Robert avrebbe potuto guarirla da quell'attrazione fatale, certo. Ma preferiva non pensarci. Si struggeva in quel modo sin da quando aveva guardato dall'alto del seggiolone il vivace bambino di sette anni che suo fratello aveva invitato a casa per la merenda. Essere guarita era l'ultima cosa che voleva. «Le porto un caffè, signore?» Robert scosse il capo, ritirando la carta di credito dal piattino e dirigendosi verso la porta. Se si fosse sbrigato, pensò, avrebbe raggiunto Daisy e attraversato il parco insieme a lei. Le piaceva molto camminare, infatti portava sempre scarpe comode o, come quel giorno, pratiche polacchine, anche a Londra. Era così simpatica e alla mano! Lo era sempre stata, anche da mocciosa quando correva dietro a lui e a Michael... Liz Fielding
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Una ruga gli solcò la fronte. Giallo? Che cosa c'era che non andava nel giallo? Che cosa c'era che non andava nell'aggettivo carino? E, per finire, che cosa c'era che non andava negli anatroccoli? Dal marciapiedi fuori del ristorante vide Daisy scomparire dietro una macchia di pini e capì di aver tardato troppo per raggiungerla. Oh, be', pazienza. Tanto, l'avrebbe rivista sabato. E mentre fermava un taxi, Robert si accigliò. Le dieci? Che cosa diavolo avrebbe fatto Daisy fino alle dieci? Dopo essersi ritrovata in mutande davanti a una terrificante parete di specchi, Daisy fu quasi grata all'abito stile impero che, pur sottolineando la sua mancanza di curve, se non altro la copriva. La sarta aggredì la stoffa in eccesso con un pugno di spilli, adattandola secondo il bisogno. «Ecco fatto» annunciò al termine della modifica. «Può ripassare all'inizio della settimana prossima?» «Immagino che non potrei convincerla in nessun modo a rovesciare qualcosa di indelebile sul corpetto, vero? Una tazza di caffè? Una boccetta di inchiostro?» «Qual è il problema?» La donna sembrava sorpresa. «Non le piace il giallo?» «Più che altro, non mi dona. Chiara come sono...» «Ah, non si preoccupi. Col trucco giusto, sarà una damigella deliziosa.» «Come no?» fu l'ironico commento. «Daisy!» Ginny irruppe nel camerino insieme alle altre damigelle. Tutte alte, more e affascinanti. Robert avrebbe avuto l'imbarazzo della scelta, pensò Daisy con quella parte distaccata del cervello che si occupava di tutto ciò che Robert faceva quando non era con lei. «Sei in anticipo!» «No, cara, siete in ritardo voi.» «Sul serio? Ah, santo cielo, hai ragione. Siamo state dall'estetista.» Rise. «Saresti dovuta venire con noi.» Era un commento che si prestava a più di un'interpretazione, decise Daisy. Ma era sicura che Ginny non avesse parlato con malizia. Ginny non possedeva un'oncia di cattiveria. E pur non vantando misure da maggiorata, Daisy sapeva di avere una carnagione perfetta. Non c'era niente che un'estetista potesse fare, purtroppo, per un naso o una bocca troppo grandi! Ritornò al lavoro stanca e depressa. «Ah, Daisy. Eccoti qua.» Liz Fielding
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Sì, eccola lì. E lì sarebbe rimasta probabilmente per il resto dei suoi giorni: come miglior amica e tappabuchi di Robert. Si ricompose in fretta. Piangersi addosso non sarebbe servito. «Scusa, George, ma ti avevo detto che avrei tardato.» «Ah, sì?» George Latimer si avvicinava alla settantina. E pur essendo un raffinato conoscitore di arte orientale, certo non brillava per memoria. «Sono stata dalla sarta» raccontò Daisy. «Per le ultime modifiche al mio abito da damigella.» «Ah, sì. E hai pranzato con Robert Furneval» aggiunse l'antiquario con espressione grave. Lei restò interdetta. Aveva detto che avrebbe pranzato con un amico. Non aveva nominato Robert. «Come fai a saperlo?» «I tuoi abiti ti tradiscono, cara.» «Davvero?» «Sei coperta da metri e metri di orribile tweed. Di' un po', hai paura che Furneval ti seduca al ristorante se indossi qualcosa di anche lontanamente grazioso quando lo incontri?» Il suo finto stupore non lo aveva ingannato per niente. La memoria di George poteva essere inaffidabile, ma non c'era niente che non andasse con la sua vista. E notare i particolari era ciò che lo rendeva bravo nel suo settore. «Non sapevo che conoscessi Robert» ribatté lei evitando di rispondere. «Solo di sfuggita. Sono amico di sua madre. Donna affascinante. Colleziona porcellane orientali, come certo saprai. Quando ha saputo che cercavo un'assistente, mi ha telefonato suggerendomi di prendere te.» Daisy inarcò un sopracciglio. «Non ne avevo idea.» Jennifer Furneval era sempre stata gentile con lei, forse provando compassione per l'ossuta adolescente che le aveva ronzato intorno nella speranza di essere notata dal figlio. Non che la buona signora avesse mai fatto capire di conoscere la ragione per cui Daisy aveva sviluppato un interesse così profondo per la sua collezione di tesori orientali. Al contrario, le aveva prestato libri e cataloghi, fornendole così una scusa utilissima per ritornare, per ciondolare, per fare domande. E alla fine l'aveva orientata verso una laurea in Storia dell'Arte. Daisy, naturalmente, aveva smesso di puntare Robert molto prima di allora. Aveva smesso il giorno in cui lo aveva visto baciare Lorraine Summers. Liz Fielding
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Aveva sedici anni allora, tutta gomiti e ginocchia, una goffa ragazzetta mora. Le sue amiche si erano trasformate in splendidi cigni. Ma lei no. Si era bloccata in embrione. Il classico brutto anatroccolo. Ma non le era importato tanto, perché i cigni si erano rivelati troppo giovani quando avevano civettato con Robert per ottenere più di un sorriso indulgente. Daisy, invece, non aveva civettato per niente e si era accontentata di fargli compagnia mentre pescava. L'estate in cui Michael si era trovato all'estero con la scuola, Robert le aveva regalato la sua vecchia canna da pesca. Una ricompensa fantastica per lei. Quella e il bacio che lui le aveva dato a Natale sotto il vischio. Era il miglior regalo che avesse ricevuto quell'anno. L'incanto però era durato solo fino a giugno, quando Daisy lo aveva visto baciare Lorraine Summers e si era resa conto che c'erano baci... e baci! Lorraine era stata un vero cigno. Curve eleganti, capelli lisci, e tutta la sicurezza che un anno di studio in Francia avrebbe potuto conferire a una ragazza. Robert era tornato da Oxford fresco di laurea e Daisy era capitata nei paraggi giusto per dirgli ciao. Congratulazioni. Andiamo a pescare domenica? Ma Lorraine, coi suoi jeans aderenti e le sue unghie laccate, l'aveva battuta sul tempo. Dopo quell'episodio, Daisy si era recata a casa di Jennifer solo quando aveva avuto la certezza di non trovarvi Robert. Lui, però, aveva continuato a farsi vivo. Michael si era trasferito negli States per un corso di amministrazione aziendale ma la domenica Robert si era presentato lo stesso con le sue canne o il cane della madre. Be', aveva sempre potuto contare sulle abbondanti colazioni di Daisy, e forse Lorraine e le innumerevoli ragazze che l'avevano seguita nel corso degli anni non avevano avuto voglia di alzarsi all'alba della domenica per il dubbio onore di bagnarsi i piedi... «È preoccupata per lui, credo» continuò George dopo un attimo di riflessione. Daisy passò dal semplice piacere di un argine fluviale avvolto dalla nebbia mattutina alla chinoiserie della Latimer Gallery. «Per Robert? Perché? Ha successo in ogni campo.» «Immagino. Finanziariamente. Ma, come ogni madre, Jennifer vorrebbe vederlo sposato e con prole.» «Mi sa tanto che dovrà aspettare a lungo. Robert conduce l'esistenza dello scapolo perfetto. Un appartamento a Londra, una Aston Martin in Liz Fielding
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garage e schiere di ragazze compiacenti. Certo non rinuncerà a tutto questo per una casa in periferia, una station wagon e notti insonni.» Non notti insonni causate dalle coliche di un neonato, in ogni caso. L'antiquario non obiettò. «Allora è per questo che ti vesti in modo così deprimente quando pranzi con lui?» «Siamo amici» puntualizzò lei. «Buoni amici, ed è così che intendo mantenere le cose. Non voglio che mi confonda con una delle sue ragazze.» «Capisco.» Daisy puntò verso il proprio ufficio. «Faccio il tè?» domandò cambiando argomento. «Così, diamo un'occhiata al catalogo dell'asta di Warbury. Immagino che mi cercassi per quello.» «Infatti. Verrà venduta una bella collezione di porcellane. Martedì ci sarà l'anteprima e vorrei che andassi tu.» Era un grande onore e Daisy arrossì di piacere. «Ma visto che rappresenterai la galleria, ti sarei grato se evitassi Robert Furneval mentre sei là.» George ammiccò. «Mettiti quel tailleur rosso. Quello con la gonna corta. Ti dona.» «Non credevo che il mio abbigliamento ti importasse tanto.» «Sono un uomo. E mi piacciono le cose belle. Hai delle scarpe col tacco alto? Sarebbero l'ideale per distrarre la concorrenza.» Daisy si finse scioccata. «È il commento più maschilista che abbia mai sentito!» Rise. «A dire il vero, avrei visto un paio di meravigliose décolleté in una vetrina del centro. Posso metterle sulla nota spese?» «Solo se prometti di sfoggiarli la prossima volta che Robert Furneval ti porterà fuori a pranzo» ribatté Latimer. «Oh, be'. Allora, dovrò ripiegare sulle solite ballerine nere. Peccato...»
2 Sabato 25 marzo. Ho comprato quelle famose décolleté. Terribilmente sexy, terribilmente costose! Ma ho usato i soldi che mi aveva dato il babbo per il compleanno. Oh, la tentazione di sfoggiarle stasera alla festa di Monty! Lo farei se Robert non fosse tra gli invitati. Mi chiedo se qualcun altro si sia accorto che mi vesto in maniera diversa quando mi trovo con lui. Michael, forse. D'altra parte, sono certa che Michael sappia anche come stanno le cose. Quanto a me... be', con tutta probabilità continuerò a fare la tappabuchi finché Robert non sarà prossimo al pensionamento. E Liz Fielding
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anche allora rientrerò sola. Daisy ebbe tutto il tempo di contemplare il proprio guardaroba e di preoccuparsi per ciò che avrebbe dovuto indossare alla festa. Tutto il tempo di darsi anche dell'idiota. Avrebbe potuto cenare con Robert in qualche grazioso ristorantino del centro quando invece, per ripicca, aveva preferito uno squallido tramezzino al tonno e l'insensatezza di un quiz televisivo. Bella roba! Scuotendo il capo, spense il televisore, abbandonò il panino e affrontò il proprio guardaroba. Sapeva in partenza che sarebbe stato inutile cercare di colpire Robert. Ma si sarebbe sempre potuta sforzare di rimorchiare qualcun altro, fosse solo per accontentare sua madre. Certo non era una fatalona, ma la sua mancanza di curve non sembrava scoraggiare totalmente il sesso opposto. Quasi tutti i giovanotti che le aveva affiancato Robert, al ritorno da qualche festa, le avevano fatto il filo. I più intraprendenti avevano persino insistito. Chiedendole di uscire, telefonandole finché lei non si era spazientita... Oh, no! Robert non lo avrebbe mai fatto, vero? Daisy arrossì al pensiero che l'amico potesse aver incoraggiato i suoi cavalieri a essere... be', diciamo carini con lei. Che fosse quella la ragione per cui la portava alle feste? Per rimediarle un fidanzato? Possibile che la signora Galbraith gli avesse chiesto di farlo? Col cuore pesante, Daisy dovette ammettere che era proprio il genere di cosa che sua madre avrebbe fatto. Quasi le sembrava di sentirla: «Robert, carissimo, devi avere centinaia di colleghi in banca. Perché non ne presenti qualcuno alla mia Daisy? Sai, non vorrei che mi restasse zitella!». Di buono c'era che Margaret Galbraith non aveva mai cercato di spingere Daisy tra le braccia di Robert. Lui era chiaramente troppo elegante, troppo affascinante, troppo tutto per la più semplice delle ragazze... Daisy tirò fuori un paio di pantaloni grigi a zampa di elefante. Aveva pensato di abbinarli a un semplicissimo dolcevita nero. Se avesse avuto la certezza che Robert non fosse intervenuto alla festa, avrebbe sfoggiato qualcosa di più eccitante. Forse avrebbe dovuto comunque? Dopotutto, se Robert la trovava così poco interessante da sbolognarla ai colleghi, ciò che avrebbe indossato Daisy non avrebbe fatto nessunissima Liz Fielding
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differenza, no? Dannazione. Perché doveva essere tutto così complicato? Lei voleva soltanto essergli amica! Gli amici, però, non si trattavano con condiscendenza... Sbatté le palpebre, ma niente avrebbe potuto fermare la lacrima solitaria che le rigò il viso. Si era sforzata di essere giudiziosa ma lo amava così tanto! Non come le bellone che gli ronzavano intorno. Non la impressionavano le macchine veloci, il prestigioso lavoro nella City, il patrimonio personale di Robert. Lo avrebbe amato senza nessuno di quegli status symbol perché gli voleva bene. Gliene aveva sempre voluto. Aveva sperato che partire per l'università l'avrebbe guarita da quella cotta infantile. Si era veramente augurata di conoscere qualcun altro che le facesse dimenticare Robert. Forse non si era guardata abbastanza intorno. Magari, nel profondo, non aveva voluto farlo. Tuttavia, era arrivato il momento di chiudere col passato. Di ritirarsi dal gioco prima di commettere qualche errore grossolano. Dopo il matrimonio, promise Daisy asciugandosi il viso col dorso della mano. Sì, dopo il matrimonio di Mike avrebbe voltato pagina. Si sarebbe tenuta più impegnata. Avrebbe imparato a sferruzzare... Oh, che cavolo! Adesso stava diventando patetica! Be', avrebbe potuto cambiare registro anche subito. In quel medesimo istante. Quella sera, non avrebbe ciondolato come un'anima persa aspettando che Robert si ricordasse di invitarla a ballare. Quella sera, si sarebbe scelta da sola un cavaliere! Soffiandosi il naso, andò in bagno con intenzioni bellicose. Basta con le tenute dimesse. E basta anche col look acqua e sapone. Si dipinse le unghie di rosso scuro, si spruzzò di profumo e, invece di legarsi i capelli col solito elastico, li lasciò sciolti sulle spalle. Non era chic, lo sapeva. Non aveva nemmeno una pettinatura elaborata. Di bello, i suoi capelli avevano una cosa soltanto: erano folti! Una volta aveva provato a raparsi ma non era servito. L'unica cosa che le aveva impedito di tagliarsi i capelli ancor più corti era stata la sicura consapevolezza che la situazione non sarebbe migliorata di una virgola. Era chiaro. Forse era un'idea da rispolverare adesso, pensò Daisy mentre cercava di dare una forma decente alla capigliatura. Nemmeno la cara, dolce Ginny avrebbe voluto una skinhead tra le sue damigelle... no? Liz Fielding
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Una violenta scampanellata la riportò alla realtà. Consultò l'orologio. Le dieci meno un quarto. Robert era in anticipo. I temporeggiamenti di Daisy sembravano averlo spazientito. Era un fatto così insolito che le scappò da ridere mentre rispondeva al citofono. «È presto.» «Allora mi berrò un drink mentre aspetto» la informò la voce di Robert. Lei lo fece entrare nel condominio e andò ad aprire la porta dell'appartamento prima di ritirarsi in camera da letto e mettersi il rossetto. «C'è del vino in frigo» gridò attraverso la porta, fissandosi nervosamente allo specchio adesso che lui era arrivato e chiedendosi se non avesse esagerato. «Ne prendi un goccio anche tu?» «Sì» confermò Daisy. Aveva senz'altro bisogno di un drink. Oh, be', quando si era in ballo... Indossò un paio di orecchini d'argento e calzò quindi le scarpe nuove. Sarebbero state sprecate, rifletté. Non le avrebbe notate nessuno nella confusione. Se le sfilò in fretta e, da vigliacca qual era, optò per le solite ballerine. Robert, alto ed elegante in pantaloni chiari e camicia blu, esitò quando la vide, osservando i calzoni grigi e la maglia di lamé argento che le disegnava il seno piccolo... e non disse nulla. Senz'altro la trovava ridicola, truccata e agghindata in quel modo, ed era troppo educato per dirlo apertamente. Daisy glielo leggeva in faccia e sarebbe voluta sprofondare. «Sei andata da qualche parte?» indagò Robert infine, allungandole un bicchiere. Per un attimo lei non capì che cosa intendesse. «Non sei potuta uscire a cena» aggiunse lui, spiegandole il motivo della sua domanda. «Oh. Be'...» Daisy arrossì. «Ho lavorato fino a tardi. Per la galleria.» «Un'anteprima? Sarei venuto se lo avessi saputo. Sto cercando qualcosa di speciale per il compleanno di mia madre.» «Davvero? Che cosa?» chiese lei sperando di distrarlo. «Non so. Forse una porcellana da aggiungere alla sua collezione. Allora? Era un'anteprima d'asta?» «Ehm, no. Non proprio.» Robert sorseggiò il vino con espressione scettica. «George non dovrebbe farti lavorare così tanto» sentenziò infine. «Non lo fa. Sul serio.» Evitando di guardarlo negli occhi, Daisy trangugiò il vino e andò a prendere il cappotto. «Andiamo?» Liz Fielding
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Una volta in strada, Robert fermò un taxi. «Avremmo potuto camminare» gli fece notare Daisy. «Se è vero che sei stata a lavorare, meriti un passaggio.» Se era vero? Che cosa diavolo gli ave va fatto dire una cosa del genere? La sensazione che Daisy non fosse stata sincera con lui? Gli era parsa così imbarazzata quando aveva detto di aver lavorato fino a tardi! Imbarazzata e alquanto carina. Se George Latimer avesse avuto trenta o quaranta anni di meno, Robert avrebbe potuto sospettare che ci fosse del tenero tra i due. Ridicolo, certo. Ma un appuntamento che terminava alle nove e mezzo di sera sembrava conciliarsi con un'avventura in cui l'uomo doveva essere a casa con moglie e figli a un'ora rispettabile... Robert tornò a sbirciare la ragazza. Aveva gli occhi insolitamente lucidi, notò malgrado la penombra del taxi. Ed era arrossita in modo così colpevole! Tuttavia Daisy non avrebbe mai intrecciato quel genere di relazione, no? Lui pensava di conoscerla. Ma in realtà non avrebbe saputo dire che genere di donna fosse. Che cosa faceva con esattezza la sera quando le saracinesche della galleria si abbassavano? Non parlava mai molto di sé. O forse era lui a fare poche domande? No, non era esatto. Era bravo a gestire i rapporti, sapeva come trattare le donne... Ma conosceva Daisy così bene! O perlomeno credeva. La ragazza che gli sedeva accanto nel taxi sembrava un'estranea... Aveva sempre pensato a lei come alla sorellina di Michael. Una simpatica mocciosa a cui piacevano i giochi da maschio. Ma quella sera le brillavano gli occhi e sembrava accaldata. Era uno sguardo che lui capiva e riconosceva. Addosso a Daisy, lo metteva in imbarazzo. Un po' come se avesse sollevato un velo e scoperto qualcosa di segreto. Lei si girò proprio allora e per un attimo Robert colse qualcosa di più profondo. Poi, Daisy sorrise e chiese: «Che cosa c'è? Ti manca ancora la bella Janine?». Robert si rilassò. Non era affatto cambiata. Era lui a essere teso. «Orgoglio ferito. Niente di più» assicurò. «Stai perdendo colpi. Attento o uno di questi giorni ti ritroverai a risalire la navata di qualche chiesa, e non sarai quello dietro, che flirta con la damigella di turno, bensì quello davanti, con l'anello al naso.» «Non dovresti infierire così. Sono un uomo distrutto, non vedi?» «Tempo mezz'ora e ti riprenderai. Dimmi, con quale noioso giovinastro Liz Fielding
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mi manderai a casa stasera?» «Che cosa ti fa pensare che ti manderò a casa con qualcuno?» «È ciò che fai sempre. A volte sospetto che tu abbia una riserva segreta di cloni per le emergenze.» «Emergenze?» «Sì, quando rimorchi e non sai come fare con me» spiegò lei ridendo. «Quel genere di emergenza.» «Oh, adesso sei crudele. Vorrà dire che stasera ti accompagnerò personalmente e poi...» «Poi?» Poi, che cosa? Robert poteva anche averla canzonata sui corteggiatori. Ma per quel che gli risultava, Daisy non era mai andata più in là dei saluti con nessuno dei tizi a cui lui l'aveva affiancata, alcuni dei quali avevano insistito per il privilegio. Non che Robert avesse intenzione di dirlo all'interessata. Daisy non meritava lusinghe. Non quella sera. «Non te la caverai con una semplice stretta di mano» le disse. «Non con me. Pretenderò almeno un amaro per il disturbo.» «Come fai a sapere che gli altri ricevono soltanto una stretta di mano?» fu la brusca domanda. «Li interroghi?» «Certo» mentì lui. In realtà non aveva bisogno di chiedere niente. La loro delusione parlava da sola. «Voglio sincerarmi che tu sia arrivata a casa sana e salva.» Daisy alzò gli occhi al cielo. «E non ti è mai venuto in mente che potrebbero mentire?» «Non oserebbero.» «Tu credi?» Stava ridendo di lui. Quindi, andava tutto bene, no? «Un giorno, Robert, avrai una sorpresa. Ma se riuscirai a staccarti dalla prima mora, rossa o bruna che ti farà gli occhi dolci, allora potrai avere tutti gli amari del mondo. Non ti aspettare, però, che io rimanga col fiato sospeso!» «A dire il vero, mi sto tenendo per le belle damigelle» ribatté lui scherzando. «Hai detto che erano belle, no?» «Incantevoli. Se vuoi, te le descrivo dopo.» «Eccoci» mormorò Robert quando il taxi rallentò. Smontò per primo e, per l'ora in cui ebbe pagato il conducente, Daisy era già entrata, con la folla degli invitati che si apriva a ventaglio in un caloroso benvenuto. Era una di quelle ragazze, lui lo sapeva, che tutti erano felici di vedere. Anche Robert era sempre felice di vederla. Anzi, non la frequentava abbastanza. Liz Fielding
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Qualcuno gli passò un drink, poi venne fermato da un tipo che voleva un consiglio gratuito su un investimento, ed era stato appena agganciato da una moretta che sembrava conoscerlo ma di cui lui non ricordava il nome, quando vide Daisy chiacchierare con uno sconosciuto alto e abbronzatissimo. Un fusto che la guardava come se avesse avuto una sola cosa in mente. L'istinto protettivo di Robert si ridestò all'istante. «Scusami» disse alla moretta. E senza tanti rimpianti abbandonò lei e la lotta mentale per rammentare il suo nome. L'uomo era australiano e disgustosamente bello, e Daisy sembrava trovarlo simpatico. Infatti rideva di gusto, particolare che bastò di per sé a irritarlo. Accidenti, il suo cavaliere era lui! «Posso portarti da bere, cara?» le chiese passandole un braccio intorno alla vita. «No, grazie» rispose lei, guardandolo con sorpresa. Sorpresa giustificata, visto che raramente Robert si preoccupava di Daisy una volta arrivati a una festa. Dopotutto lei conosceva tutti. Quasi tutti. «Nick si sta occupando di me. Vi hanno già presentati?» domandò. «Nick, questo è Robert Furneval. Robert, Nick Gregson.» Robert fissò l'australiano con freddezza, quasi a suggerirgli di cambiar aria. Per un attimo l'altro sostenne il suo sguardo. Poi, quando Daisy non accennò a trattenerlo, scrollò le spalle e scomparve tra la folla. «Insomma, qual è il problema?» indagò lei affrontando Robert. «La moretta non ha gradito il tuo repertorio?» Una ruga gli solcò la fronte. «Quale repertorio?» «Non saprei. Ma devi averne uno. Non puoi escogitare qualcosa di nuovo da dire a ogni ragazza che incontri!» «Sei molto suscettibile stasera. È la ricompensa per aver ammesso che sembrerai un'anatra al matrimonio di Michael e Ginny?» «Come?» «Per aver detto che sembrerai un'anatra...!» Purtroppo, la frase sembrerai un'anatra coincise con una di quelle improvvise cadute di livello acustico che si verificano ogni tanto in una stanza affollata, e tutti si girarono a guardarli. Daisy arrossì. «Grazie tante, Robert. Ne avevo proprio bisogno.» E senza aggiungere altro, corse via. Daisy era furiosa. Così furiosa che, per calmarsi, dovette scolarsi un'intera lattina di birra. Liz Fielding
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Forse fu per questo che, quando tornò a incontrare l'australiano, si mostrò insolitamente maliziosa e incoraggiante. Specie dal momento che Robert gli stava facendo gli occhiacci invece di dedicarsi all'affascinante biondina di turno. Nick indicò Robert. «State insieme?» «Io e Robert?» Daisy sgranò gli occhi. «Santo cielo, no, siamo soltanto buoni amici! Lo conosco sin dall'infanzia. È come un fratello.» «Ah, sì?» L'australiano sorrise. Del resto, aveva una splendida dentatura. «Dev'essere istinto fraterno, allora. Ma visto che l'amichetto in questione sembra volermi accoltellare, propongo di fare un salto altrove. Ti va l'idea?» Le andava? La biondina era chiaramente intenta a sedurre Robert. Altri cinque minuti e lui si sarebbe dimenticato la storia dell'amaro, se già non lo aveva fatto. E dimenticato di lei, forse fino alla volta successiva in cui avesse avuto bisogno di qualcuno che gli preparasse un'esca o che gli facesse da partner a qualche festa. Be', era il modo in cui Daisy aveva scelto di proporsi, e Robert ritornava sempre da lei in cerca di tè e comprensione. Lo avrebbe fatto sempre... se Daisy avesse giocato bene le proprie carte. Nel frattempo, era piuttosto piacevole avere un corteggiatore. Mentre lo studiava, fu colta da un'ispirazione. Nick era il genere di ragazzo che sarebbe piaciuto a sua madre. Be', perché no? «Hai progetti di qui a due settimane?» gli chiese con disinvoltura. «Non direi.» Tornò a sorridere. Un vezzo, decise lei, che poteva venire a noia. «Che cosa avresti in mente?» «Niente di speciale. Mi chiedevo se ti sarebbe piaciuto venire al matrimonio di mio fratello, ecco.» «Un fratello fratello?» chiese l'altro. «O un fratello... amico?» «A sposarsi è mio fratello Michael. Robert è soltanto il testimone.» «Allora mi dispiace, perché sarei stato felice di venire. Adoro i matrimoni. Purtroppo, sarò a Perth.» Daisy si chiese come allontanarlo dalla Scozia. Poi, le si snebbiò il cervello. «Vuoi dire Perth in Australia, vero?» Nick stava ridendo di nuovo. Lei incominciava a sospettare che pubblicizzasse di mestiere una marca di dentifricio. «Temo di sì. Ma potremmo vederci lo stesso. Rinuncia al matrimonio di tuo fratello e vieni via con me. Potremmo sposarci noi due!» Liz Fielding
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«Be', è un'idea» ammise Daisy lentamente. «Ma dovrò rifiutare, temo. Sono la quarta damigella, sai?» L'Australia in sé avrebbe anche potuto tentarla. Ma non Nick e i suoi denti! «Non sentiranno la mancanza di una damigella, no?» insistette lui. «Invece sì. Tre damigelle non figurerebbero bene in fotografia. E poi, non è mia abitudine accettare proposte di matrimonio da uomini che conosco appena.» Nick non si scoraggiò. «Abbiamo tre giorni prima che io parta. Tempo a sufficienza per conoscerci meglio. Perché non incominciamo con un ballo?» «Tre giorni interi?» ironizzò Daisy mentre lui l'attraeva a sé. Era più muscoloso di Robert. Una conseguenza senz'altro delle ore trascorse su una tavola da surf a rimediare quell'improbabile abbronzatura. «Non perdi tempo, eh?» «La vita va vissuta, bella.» Non aveva tutti i torti, l'australiano, tuttavia le venne da ridere. «Sei pazzo.» «Perché? Perché voglio conoscerti meglio? Potremmo essere fatti l'uno per l'altro e non scoprirlo mai.» «Dovrò correre il rischio» fece lei. In realtà, non le sembrava un rischio tanto grande. Aveva la sensazione che Gregson volesse conoscerla più che altro carnalmente. Sospettava anzi che i modi franchi e cordiali fossero soltanto una commedia. Nick stava cercando una ragazza con cui divertirsi in attesa di partire. E non faceva il difficile. E va bene, Daisy non aveva nulla in contrario a divertire Robert tra una storia e l'altra. Ma di Robert era innamorata. Be', magari non in quel preciso istante. In quel preciso istante avrebbe voluto dirgli che era pazzo anche lui. Che la vita era una strada a doppio senso e che, se non avesse fatto attenzione, si sarebbe ritrovato vecchio e solo. Naturalmente, sarebbe stato fiato sprecato. E chi era lei per dirgli che si sarebbe ritrovato vecchio e solo quando era assai più probabile che fosse proprio Daisy a diventare l'universale zietta dell'intera combriccola? Robert avrebbe continuato senz'altro ad attirare tutte le infermiere più carine anche quando si fosse rimbambito, e lei sarebbe stata l'idiota che avrebbe spinto la sua sedia a rotelle... «Non ti piacerebbe saperlo?» domandò Nick allontanandosi dalle altre coppie che stavano ballando. Liz Fielding
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Daisy non aveva prestato molta attenzione a ciò che stava dicendo. Ma si sentì in dovere di rispondere. Alzò lo sguardo. «Sapere, che cosa?» Domanda stupida. Le luci erano basse, si trovavano in un angolo buio e lui non ebbe bisogno di ulteriori incoraggiamenti per cercarle le labbra. Fu un bacio piacevole. Niente di particolarmente piccante. Solo un bacio esplorativo, e Daisy si tirò indietro prima che diventasse troppo intenso, studiando il grosso marcantonio abbronzato con un'ombra di rimpianto. Nick sarebbe piaciuto davvero a sua madre. Peccato. «Spiacente» gli disse. «Trovo che sarebbe meglio lasciare le cose come stanno.» Lei sapeva già. Sapeva sin dall'infanzia che c'era un unico uomo nella sua vita. L'australiano restò interdetto, poi rise. «Mi piaci.» «Buon per te. E ora, se vuoi scusarmi...» Sciogliendo l'abbraccio, Daisy si girò... e urtò contro Robert. «Non ti sarai dimenticata del nostro accordo, vero?» chiese lui fulminando Nick con lo sguardo. Accordo? pensò Daisy. Era sempre deciso a portarla a casa? «Oh, santo cielo, Robert, va' a flirtare con qualcuno della tua età!» «Dopo. Balliamo.» E senza darle il tempo di protestare, le cinse la vita. Non come Nick. Non c'era stato niente di sottile nel modo in cui quest'ultimo l'aveva stretta a sé. Robert, ovviamente, non la vedeva in quel modo. Di solito, per quell'ora, si era dimenticato di lei. Era davvero così sconvolto per l'addio di Janine o non c'erano abbastanza ragazze carine da abbordare? «Non ti chiedo se ti stavi divertendo» borbottò rivolto a Daisy. «Sarebbe una domanda superflua.» «È stato interessante» mormorò lei mentre ballavano insieme al ritmo della musica. «Ho anche ricevuto una proposta di matrimonio.» Robert si fermò e deglutì. «No, voglio dire sul serio. Mi sembri un po' tesa. Me lo diresti, vero, se...» «Sì?» «... se le cose non andassero per il verso giusto.» «Per il verso giusto?» Certo che le cose non andavano per il verso giusto! Lui non avrebbe dovuto dare per scontato che Daisy stesse scherzando sulla proposta, tanto per incominciare. E va bene, stava di fatto scherzando. Ma Robert avrebbe dovuto se non altro stare al gioco. «Be', sai. Potrei avergli spezzato il cuore. Ma sono sicura che si riprenderà.» «Chi?» chiese lui. Liz Fielding
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«Nick, è chiaro. Vive in Australia, capisci? Se io andassi in Australia, non potrei fare da damigella a Ginny, no?» «Ehm, no. Immagino di no.» Robert sembrava divertito adesso e Daisy sospirò. «Sto bene, stupido.» Lo spintonò leggermente. «Fila. Hai fatto il tuo dovere. Vado a vedere se Monty ha bisogno di una mano col cibo.» Si diresse in cucina. Lui la seguì, fermandosi sulla soglia quando il padrone di casa accolse Daisy con trasporto. «Carissima! Proprio te cercavo!» esclamò Monty passandole un grembiule «Quelli del Caterine hanno lasciato decine e decine di scatole. Non so da che parte incominciare.» «Metti i vol-au-vent nel forno e sistema le tartine sui piatti. Certo, basterebbe allineare le scatole sul tavolo. Tanto, non si formalizzerebbe nessuno.» Daisy vide Robert e Monty scambiarsi uno sguardo allarmato, e, soffocando un gemito, si legò il grembiule in vita. Ma le venne di pensare che forse si sarebbe divertita di più ad approfondire la conoscenza di Gregson, cercando di dimenticare Robert, che a sgobbare gratuitamente nella cucina di Monty. Scrollando le spalle, aprì le varie scatole. Scaldò pizzette e salatini, poi si concentrò sui sandwich ai gamberi. Quando li ebbe disposti ad arte, si girò. Robert era ancora sulla soglia. Era sconcertante. Di solito non la studiava così tanto, e Daisy non poteva credere che la propria maglia di lamé fosse così spettacolare da monopolizzare la sua attenzione. «C'è un altro grembiule se vuoi darmi una mano» gli fece notare. L'effetto fu immediato. Robert prese un bignè e scomparve senza proferire parola. Un paio d'ore dopo lei decise di averne abbastanza. Aveva fatto circolare il cibo, chiacchierato, ballato più del solito. Era una bella festa. Peccato solo che, ogni volta che si voltasse, Robert fosse lì a guardarla. Una cosa inquietante. Daisy non voleva che la guardasse. Non con quell'espressione preoccupata. Aveva pensato di sapere tutto ciò che c'era da sapere sul modo in cui funzionava la sua mente, ma si era sbagliata. Non che la situazione fosse cambiata così tanto. Robert continuava a far conquiste, per cui Daisy non si aspettava davvero che, all'ora dei saluti, il giovane si sarebbe ricordato del famoso amaro. Ma per nessun motivo gli avrebbe permesso di farla accompagnare a casa da altri. Liz Fielding
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Vedendolo chiacchierare con una bella ragazza, Daisy recuperò il proprio cappotto e si chiese se cercare Monty, ma decise invece di telefonargli l'indomani. Nick la intercettò prima che raggiungesse la porta. «Ehi, non vorrai andartene senza di me, vero? Siamo quasi fidanzati!» Lei rise suo malgrado. «No, che non lo siamo.» «Stai facendo la difficile» protestò l'australiano. «Non la difficile. L'impossibile.» «Niente è impossibile. Una volta, a Las Vegas, ho sposato una donna che avevo appena conosciuto.» «Davvero?» Perché la cosa non la sorprendeva? «E sei ancora sposato con lei?» «Oh, no.» Il suggerimento parve ferirlo. «È il bello di Las Vegas. Sposato oggi...» Fece schioccare le dita. «... divorziato domani.» «Semplice come bere un bicchier d'acqua, eh?» «Be', quasi.» Daisy non sapeva se credergli o meno. A conti fatti, temeva che le stesse dicendo la verità. «Quali sono le tue preferenze? Potremmo andare in qualche località esotica e sposarci sulla spiaggia. È un sogno che accarezzo da anni. Che cosa ne diresti di Bali?» Era una scelta dura. Al momento Bah sembrava molto più allettante del velluto giallo. Ma in fondo non c'era paragone. L'abito era soltanto per poche ore mentre, a differenza di Nick, lei considerava il matrimonio come un impegno per la vita. «Sono allergica alla sabbia» confessò. «E ho paura di volare.» «Sul serio?» Gregson restò zitto per un istante. «Un matrimonio in crociera, allora? Col capitano che fa gli onori di casa?» «Solo gli sciocchi credono che ci si possa sposare a bordo di una nave» ribatté Daisy. Lo scherzo stava incominciando a stancarla. «E ora come ora tutto ciò che mi preme è rincasare. Sola.» Girandosi, uscì nella notte. Ma Nick non era facile da seminare. «Le strade non sono sicure per una donna sola» obiettò seguendola. «Forse no. Ma quanto sicure sono con te?» «Sicurissime. Parola di scout.» E con un gesto imperioso, fermò un taxi di passaggio. «Daisy!» Era Robert. «Eccoti, finalmente. Ti stavo cercando. Sono pronto per quell'amaro che mi avevi promesso.» Prendendola sottobraccio e sorridendo a Nick, aprì la portiera del taxi e la fece accomodare. «Grazie Liz Fielding
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per il taxi, amico. È così difficile trovarne uno a quest'ora di notte...» Detto questo, Robert salì accanto a Daisy e chiuse la portiera, lasciando Nick Gregson solo sul marciapiedi.
3 Sabato 26 marzo. In chiesa con la famiglia. Lettura finale delle pubblicazioni per il matrimonio di Michael e Ginny, dopodiché tutti a pranzo insieme. Mamma sarà nel suo elemento. Robert mi ha offerto un passaggio. Gli ho detto che piuttosto sarei andata a piedi. Spero che non mi abbia presa sul serio. «Daisy?» Lei capì che era Robert nell'attimo stesso in cui suonò il campanello. Persino nel grigiore del primo mattino il suo cuore compì uno di quei balzi prodigiosi che la tradivano sempre. Sbadigliò, guardò l'orologio e si strinse nella vestaglia. «Vattene, Robert» sbottò al citofono. «È prestissimo.» «Sono le sette e mezzo.» «Ah, sì?» Daisy tornò a guardare l'orologio. «Oh, santo cielo, è vero! Pensavo che mancassero venti alle sei.» «Ti servono gli occhiali.» «Non ho bisogno di un paio d'occhiali. Ho solamente bisogno di qualche altra ora di sonno. Caspita, dovevi proprio venire così presto!?» «No. Però speravo che mi avresti offerto la colazione.» «Non te la meriti» ribatté Daisy. «No? Chi altri si sarebbe svegliato alle prime luci dell'alba per accompagnare in campagna un'ingrata mocciosa?» «Saresti andato a casa comunque.» Aprì la porta. «Ma immagino che ti convenga salire.» E andò a preparare il caffè. Robert la raggiunse poco dopo in cucina. «Non ce l'hai veramente con me.» Non era una domanda, bensì l'affermazione di un uomo che sapeva di essere irresistibile. Lei non si girò. Sapeva che stava sorridendo e che anche il suo sorriso sarebbe stato irresistibile. Non era giusto. D'altra parte, chi diceva che la vita dovesse essere giusta? Se lo fosse stata, lei avrebbe avuto gli stessi capelli voluminosi e lo stesso fisico da maggiorata della sorella o, in alternativa, l'altezza di Liz Fielding
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Michael. Ma i suoi fratelli avevano ereditato tutti i geni più promettenti da entrambi i genitori e lei si era dovuta evidentemente accontentare degli avanzi. «Certo che sono arrabbiata!» replicò. «Solo perché sei stato piantato dalla ragione migliore di ogni uomo per rimanere a letto la domenica mattina, non c'è bisogno che tu mi svegli all'alba!» «Intendevo per ieri sera.» «Ieri sera?» Finse di riflettere. «Oh, alludi a Nick? Grazie per avermelo ricordato. Una volta tanto ero riuscita a rimorchiare il ragazzo più affascinante della festa... e tu l'hai scacciato per non perderti uno stupido amaro!» «L'ho perso comunque» le fece notare Robert. «Pensavi sul serio che ti avrei offerto un drink dopo quello?» «Mi stavo semplicemente prendendo cura di te» obiettò lui sulla difensiva. «Lo sapevi che è divorziato? Gregson» aggiunse, casomai Daisy non fosse stata sicura. «Due volte. Me l'ha detto Monty.» «Monty è un pettegolo.» «Lavora per un giornale scandalistico. I pettegolezzi rappresentano il suo pane quotidiano.» Lei scrollò le spalle. Due volte? Era plausibile. Un uomo così lesto a dichiararsi era destinato a finire nella rete ogni tanto. «Non avrai pensato che fossi interessata a diventare la moglie numero tre, spero!» «Be'...» La carogna sembrava dubitarne. «Mi credi davvero capace di sposare uno sconosciuto? Così, per capriccio?» domandò Daisy preparando una caraffa di caffè istantaneo. «Succede. Gli alimenti che paga Gregson ne sono la prova. E l'hai detto tu stessa: è affascinante, l'amico.» Robert si appoggiò allo stipite con un miscuglio di arroganza e presunzione che le fece saltare la mosca al naso. «Sappi, carissimo, che alcune di noi hanno bisogno di più sostanza prima di finire a letto con...!» Capì di aver detto la cosa sbagliata non appena ebbe aperto bocca. Lui raddrizzò le spalle e la sua posizione, pur cambiando di poco, tradì un improvviso imbarazzo. «E va bene, Gregson non figurava sul tuo elenco approvato di accompagnatori!» Quando Robert continuò a tacere, Daisy aggiunse nervosamente: «Apriti cielo, avrei anche potuto desiderare un flirt con lui!». «Era ciò a cui mirava Gregson, suppongo» fu il brusco commento. «Qual è il problema, Robert? Tu puoi svolazzare di fiore in fiore mentre io no? È così? Ma ciò che vale per uno deve valere anche per l'altro!» «Michael avrebbe fatto lo stesso se fosse stato presente.» Liz Fielding
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«Michael è mio fratello. Tu che scusa hai?» «Perbacco. Incomincio a pensare che quel tipo ti piacesse sul serio!» Sembrava scandalizzato e Daisy, intenta a mescolare il caffè, si concesse un sorrisetto. «Al contrario. E proprio il fatto che tu abbia potuto pensarlo a farmi arrabbiare.» «Davvero? Oh, capisco. Be', di questo mi scuso. Sono perdonato?» «Per questa volta» fece lei prendendo due tazze. «Mi dispiace, sai. Per ieri sera. Temo di dare tutto per scontato, a volte. Anche te.» Daisy incrociò il suo sguardo. «Sì, Robert, anche me. Ma solo perché io te lo permetto.» E la stanza piombò nel silenzio mentre il giovane digeriva l'osservazione. «Allora, che cosa ti preparo?» domandò lei allegramente, per sdrammatizzare. «Uova strapazzate?» Senza aspettare risposta, si avvicinò al frigo e aprì lo sportello. «Senti, io...» Lei lo interruppe mentre tirava fuori il cestino delle uova. «Ti va di apparecchiare?» «Sicuro.» Robert prese piatti e posate e preparò la tavola. «Posso farti una domanda?» «Ti spiacerebbe tostare il pane?» replicò Daisy. Aveva la sensazione che volesse chiederle che cosa faceva quando lui non monopolizzava il suo tempo, dandola per scontata. Che cosa avrebbe potuto dire? Che si sforzava di migliorare la propria conoscenza della porcellana orientale? Che leggeva molto? Che trascorreva ore a guardare insulsi programmi televisivi? Tutto vero. Non che non avesse una vita sociale. Al contrario. Ma non il genere di vita sociale che piacesse a Robert. Era una conversazione che preferiva evitare. «Il tostapane è laggiù» insistette quando lui non si mosse. «Okay.» Robert colse il messaggio e passò finalmente all'azione. Lei lo guardò di sottecchi, diffidando di una vittoria così facile. Mentre Robert sciacquava le tazze della colazione, Daisy andò a farsi la doccia, si raccolse i capelli in una treccia ordinata e indossò un'informe gonna grigia che non si sarebbe sgualcita in auto. Poiché pregustava una bella passeggiata dopo pranzo, prese uno zaino e vi infilò dentro tuta e scarpe da ginnastica. Chissà, magari avrebbe portato a spasso il cane. Tornò in cucina. «Pronto?» Liz Fielding
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Robert si era impossessato del suo quotidiano. «Sono pronto da almeno mezz'ora» precisò ripiegando il giornale e alzandosi. «E non sono ancora le nove!» Daisy scosse il capo. «Farai meglio a procurarti un'altra ragazza o le domeniche ti sembreranno lunghissime.» «Ho anche altri interessi, sai?» Quando la vide alzare gli occhi al cielo, scoppiò a ridere. «È vero» insistette. «Sono un ottimo pescatore, ad esempio.» «E quando è stata l'ultima volta che sei andato a pescare?» «Non lo so» borbottò lui. Ci pensò sopra mentre scendevano le scale. «Forse due settimane fa?» chiese poi. «Eri con me.» «Quindi, è stato prima di Natale. Hai incontrato Janine a una festa natalizia e io non sono più stata a pescare da quella volta...» «Oh!» «Allora, vuoi notizie delle tre damigelle?» Una ruga gli solcò la fronte. «Chi, scusa?» «Le damigelle di Ginny» gli ricordò lei mentre Robert le apriva la portiera e la faceva accomodare in macchina. «Sono tutte carine. E tutte decise ad accalappiarti. Ma credo che Diana sarà la più... intraprendente.» Lui ammiccò mentre girava intorno all'auto e si sistemava al posto di guida. «Confessa: mi stai prendendo in giro.» «Poi c'è Maud» continuò Daisy imperterrita. «Maud? Che nome dolce e antiquato...» «Per una ragazza dolce e antiquata.» Il tipo che credeva al matrimonio. «E' carina, Robert. Molto carina. E piuttosto sicura di sé. Conosce l'albergo in cui si terrà il ricevimento e immagino che abbia già deciso dove tenderti l'imboscata. A quanto pare, c'è un'enorme serra gotica.» «L'ideale. Adoro le serre gotiche. Tu, no?» Gli sfuggì un sorriso. «E la ragazza numero tre?» «Se eluderai le prime due, allora provvederà Fiona a distrarti.» «Mmh... Sarà una giornata interessante. Grazie per le dritte. Ti porterò fuori a pranzo la domenica successiva al matrimonio e ti dirò come se la sono cavata le tue colleghe, okay?» Lo scherzo perse il suo brio. Daisy riusciva a sopportare le ragazze di Robert, teoricamente. Da lontano. Ma certo non voleva sentirne parlare. «Vada per il pranzo. Però, niente racconti sconci. Sono troppo piccola.» «Può darsi.» Robert le scoccò un'occhiata. «Anche se Nick Gregson non sembrava pensarlo.» «Nick Gregson non è che un bietolone con troppi denti. Che cosa vuoi Liz Fielding
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mai che ne sappia?» Robert lasciò Daisy a casa dei genitori di lei, sul lato del villaggio opposto alla villetta in cui abitava sua madre dall'epoca del divorzio. La ragazza smontò in fretta. «Grazie per il passaggio. Ci vediamo in chiesa.» Lui assentì. «D'accordo.» La guardò risalire il vialetto e scomparire all'interno della casa. Soltanto allora ripartì con espressione pensosa. Di preciso, quanti anni aveva Daisy? La conosceva da sempre e ricordava ogni fase del suo sviluppo. Da lattante piagnucolosa a bambinetta insopportabile. Da mocciosa invadente a teenager dall'andatura goffa. L'apparecchio per i denti era scomparso da tempo, tuttavia Daisy continuava a portare i capelli intrecciati o raccolti in una coda. E si vestiva sportivamente come allora, con tute da ginnastica e jeans. Agli occhi di Robert, sembrava ancora un'adolescente. Sebbene la sera prima... «Robert!» La madre lo salutò dal cancello. Aveva portato a spasso l'anziano labrador, e il cane si avventò sull'auto scodinzolando come un pazzo. «Ehi, buono, Major!» Robert carezzò l'animale, baciò la madre e l'accompagnò in casa. «Non ti aspettavo così presto» osservò lei chinandosi ad asciugare le zampe del cane. «Ho dato un passaggio a Daisy.» «Ah, sì?» La madre esitò prima di aggiungere: «Be', viaggiare in compagnia è sempre piacevole. Non vedo Daisy da settimane. Come sta?». «Benone. Ma è un po' nervosa per via del matrimonio. Sai che è stata scelta come damigella all'ultimo minuto?» «Me l'ha detto sua madre. Margaret è felicissima, naturalmente.» «Ma non Daisy.» «Ah, no? Strano. La maggior parte delle ragazze sarebbe contenta di agghindarsi ed essere al centro dell'attenzione.» «Via. Sai bene anche tu come è fatta Daisy» obiettò Robert. «Non si agghinda mai.» Be', quasi mai. Si era tirata piuttosto a lucido per la festa di Monty. O per chiunque avesse visto prima della festa di Monty. L'idea che ci fosse stato qualcuno si era radicata nella mente di Robert e rifiutava di andarsene. Daisy poteva aver flirtato con Gregson alla festa, tuttavia non si era arrabbiata veramente quando l'australiano era uscito di scena. Per Liz Fielding
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quanto avesse finto di farlo. Robert si accigliò. Non era da lei fare tanto chiasso... «Sul serio non si agghinda mai?» chiese la madre. «Non credevo che la vedessi così spesso.» «A volte pranziamo insieme.» Che cosa faceva Daisy nel tempo libero? Non parlava mai molto. Però, era un'ottima ascoltatrice. Forse avrebbe dovuto imitarla: avrebbe potuto scoprire qualcosa. «E l'ho portata alla festa di Monty Sheringham ieri sera.» Scrollò le spalle. «Ci sarebbe andata comunque.» «Immagino che Janine sia acqua passata.» «Una scelta sua. Voleva un marito, una famiglia.» «In altre parole, tutte cose che tu ti ritieni incapace di offrire» concluse la signora Furneval. «Felice l'uomo che conosce i propri limiti.» «Può darsi» fu il commento. «Anche se a volte penso che chiunque abbia detto che l'ignoranza è una benedizione avesse ragione. Vorrei tanto non aver mai scoperto le scappatelle di tuo padre. Con tutta probabilità, sarei ancora sposata con lui.» «Vivendo di menzogne?» «Lo facciamo tutti, tesoro. Chi più, chi meno. Le tue conquiste si illudono per esempio di poterti convertire al matrimonio e tu le assecondi in questo.» «Manifesto molto chiaramente le mie idee sull'argomento.» «Ma loro non ti credono.» La madre fece spallucce. «Fingono soltanto di non essere interessate al matrimonio mentre si preparano a convincerti che è la sola cosa al mondo di cui hai bisogno.» «Questo è cinismo.» «No, semplice concretezza. Perché non prepari il caffè mentre salgo a cambiarmi?» «Posso chiederti una cosa?» La madre si fermò ai piedi della scala. «Non hai mai smesso di amarlo, vero?» «Tuo padre? Lo hai visto di recente?» Il modo in cui lo disse gli fornì la risposta che cercava. «Mi ha chiamato, voleva parlare, così abbiamo cenato insieme. Mi ha chiesto di te. Mi chiede sempre di te.» «Sta invecchiando e le ragazze non fioccano più come prima. Come sta?» Robert fece una smorfia e la madre gli mise una mano sulla spalla. «Non gli rassomigli, sai?» «Al contrario. Siamo due gocce d'acqua.» Liz Fielding
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«L'aspetto non significa niente. È ciò che hai dentro a contare. Ma hai ragione, comunque. Non ho mai smesso di amarlo.» «Allora, perché non hai semplicemente guardato dall'altra parte?» chiese lui. «Niente è cambiato, dopotutto.» La madre arricciò il naso. «Ora chi è il cinico dei due?» Scrollò il capo. «Se avessi potuto ignorare certe cose, lo avrei fatto. Per te oltre che per me. Ma quando si affronta la realtà, niente può più essere come prima.» «Dovresti curarti di più, tesoro.» La madre di Daisy agitò le mani per aria. «Non t'importa l'impressione che dai? Guarda tua sorella...» Seduti in salotto, Sarah e il marito vigilavano affinché i figli squisitamente vestiti non si sporcassero prima di uscire. «Stiamo andando in chiesa, mamma, non a una sfilata di moda. C'è bisogno di aiuto in cucina?» «La signora Banks ha tutto sotto controllo. Vieni di sopra con me, voglio provare a sistemarti quei poveri capelli.» Daisy gettò un'occhiata supplichevole in direzione del padre. David Galbraith si schiarì la voce e guardò l'orologio. «Credo che andrò... ehm, a parlare con Andrew.» La moglie lo salutò con un cenno distratto mentre conduceva Daisy al piano superiore e le girava quindi intorno come uno squalo affamato. Venti minuti dopo, Margaret Galbraith si dichiarò sconfitta e lasciò che la figlia tornasse a intrecciarsi i capelli. «Tutta colpa di tuo padre, beninteso!» «Che cosa?» «La sua famiglia ha capelli impossibili! Michael e Sarah hanno preso da me, grazie al cielo, ma tu... Bah, dovrai trovare una soluzione prima del matrimonio.» «Sì, mamma» mormorò Daisy. E quando la madre le fece gli occhiacci, aggiunse: «Ci sto lavorando sopra, davvero. Ho già preso appuntamento col parrucchiere di Ginny. Il giorno della cerimonia verrà direttamente qui ad acconciare sposa e damigelle, ma ha chiesto di vedermi prima così da essere preparato. Andrò in negozio da lui lunedì mattina». «È già qualcosa, suppongo.» Margaret Galbraith sospirò mentre fissava la gonna della figlia. «Fai ancora in tempo a cambiarti, sai? Quella sottana è un disastro. Perché non ti metti quel mio tailleur rosa che...» Rosa! Giallo! Una manciata di canditi e sarebbe sembrata una coppa Liz Fielding
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gelato! «Farò la damigella, mamma! Non è abbastanza? Per favore!» La madre evitò di rispondere, poi chiese: «Come sono, a proposito? Gli abiti da damigella». «Deliziosi!» Daisy ci calcò sopra. Tutto pur di cambiare argomento. E deliziosi, lo erano sul serio. Addosso a una mora pettoruta. Forse avrebbe dovuto seguire il consiglio di Robert e ricorrere a uno di quei reggiseni imbottiti! La madre si lasciò distrarre dalla descrizione degli abiti, poi arrivò Michael e Margaret Galbraith corse dabbasso, dimenticandosi completamente di Daisy. «Ciao, sorellina.» Michael andò ad abbracciarla non appena si fu liberato della madre. «Grazie per essere venuta.» «Figurati. Non sarei mancata per nulla al mondo. Come sta Ginny?» «L'ho lasciata a casa. Verrà in chiesa coi suoi.» Si aggiustò la cravatta. «Tutto molto formale. E tu? Sei sola?» «Be', avevo rimorchiato un fusto incredibile alla festa di Monty ieri sera. Un australiano tutto sorrisi e abbronzatura. Mamma lo avrebbe trovato adorabile ma Robert, purtroppo, non si è fatto impressionare e l'ha mandato via. A quanto pare, è già stato sposato due volte.» «Oh, allora capisco. Robert è sempre stato molto protettivo nei tuoi confronti.» «Davvero?» Daisy si sentì arrossire. Accidenti, proprio non ci voleva. Aveva la sensazione che il fratello fosse l'unico a sospettare i suoi veri sentimenti per Robert. «Sì, be', dopotutto non ha una sorellina sua da tiranneggiare, no?» sbottò un po' bruscamente. «E tu hai sempre condiviso tutto con lui.» Michael alzò una mano. «Non proprio tutto» precisò. «Se vorrà una moglie, dovrà trovarsene una per conto proprio.» «Ma lui non la vuole, una moglie.» «Lo dice soltanto. Non ha ancora incontrato la donna giusta, tutto qui.» «Già. Per questo ne passa in rassegna così tante.» Il fratello rise e Daisy si sforzò di imitarlo. Solo l'incrollabile convinzione che Robert non scherzasse circa la propria intenzione di rimanere scapolo rendeva sopportabili i suoi romanzetti. Ma di colpo l'assalì il dubbio. E se avesse avuto ragione Michael? Se un giorno Robert si fosse presentato con una moglie al braccio? Perché così sarebbe successo. Un tipo come lui non avrebbe seguito la solita trafila. Liz Fielding
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Sarebbe scomparso semplicemente nei Caraibi o nel Pacifico o giù di lì e... «È ora di andare» esclamò Margaret Galbraith emergendo dalla cucina. «Daisy? Ti metti il cappello?» «Che cosa? Oh, no.» «Peccato. Avrebbe risolto tutti i tuoi problemi. Ma ti troverò io qualcosa...» Daisy si riscosse e, prendendo per mano Michael, uscì di casa prima che la madre avesse modo di esumare qualche orribile creazione di feltro e insistere affinché lei la indossasse. «Forza, Michael Galbraith, scapolo di questa parrocchia. Il tempo sta per scadere.» «Non vedo l'ora. Aspetta e vedrai. Sarà così anche per te.» «Ne dubito. La penso come Robert sull'argomento...» «Daisy!» Daisy si girò all'udire la voce di Jennifer Furneval e quando Michael le lasciò andare la mano per raggiungere Robert, lei mosse incontro alla donna più anziana, che la baciò sulla guancia e le camminò accanto in direzione della chiesa. «Sono felice di vederti.» «Come stai, Jennifer?» «Bene. Robert mi ha detto di averti dato un passaggio stamane. Non hai un'auto tua?» «Non ne sento il bisogno a Londra. Ma se andrò in giro per aste, dovrò pensarci.» «George ti ha assegnato quel compito, eh?» «In via provvisoria. La settimana prossima andrò a un'asta nella Wye Valley.» Nominò la località. «Verrà venduta un'interessante collezione di pezzi orientali. Sarai presente anche tu?» «Purtroppo non posso. C'è un vaso Imari che mi piace particolarmente. Ma è troppo rischioso azzardare un'offerta telefonica per qualcosa che si è visto soltanto in fotografia.» «Potrei esaminarlo io e farti sapere. Se ti fidi del mio giudizio. E sarei felice di rappresentarti. Mi è parso di capire che devo a te il mio impiego.» Jennifer rise. «Sciocchezze. Stavo facendo un favore a George. A proposito, come sta?» «Un altro buco nell'acqua, eh, Rob?» Michael rise. «Anche se corre voce che questa volta sia stata la signora a piantarti...» «Janine?» Robert sbuffò. «Bah, c'era da aspettarselo. È un tesoro di ragazza. Ma sta entrando in quel periodo in cui l'orologio biologico reclama un mutuo e dei bambini.» Liz Fielding
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«E allora?» «Allora, il mio orologio biologico è più lento. O forse non è mai partito. Michael, sono un po' preoccupato per Daisy» fece lui cambiando argomento. Mutui? Figli? Ex fidanzate? Aveva ben altro a cui pensare! «Daisy? Perché? Che cosa sta combinando?» «Non so bene. Non parla mai molto di sé, lo hai notato? Le altre ragazze non fanno mistero di dove vanno o di chi frequentano.» Robert guardò avanti. Daisy stava chiacchierando vivacemente con sua madre. Ma senz'altro l'argomento era la comune passione per le porcellane. «È sempre stata così misteriosa o è una cosa nuova?» L'amico rallentò il passo. «Tu la vedi quanto me. Tuttavia, sì, è molto discreta. Che cosa ti rode di preciso?» «È solo una sensazione. Ma l'altra sera l'ho portata alla festa di Monty Sheringham. Ho pensato che prima avremmo cenato. Ma lei ha detto di essere impegnata fino alle dieci. Una cosa di lavoro.» «Tu, però, non le hai creduto?» «Non aveva l'aria di una che aveva lavorato. Sembrava... eccitata, diversa. Mi è venuto il sospetto che ci fosse di mezzo qualcuno. Mike, credi che possa avere una relazione clandestina?» «Con un uomo sposato, vuoi dire? Mia sorella? Sei pazzo?» «So che sembra assurdo» ammise lui. «Ma di che cos'altro potrebbe trattarsi? Se avesse una storia normale, ne parlerebbe, non credi?» «Senti...» Michael lo interruppe come se sapesse qualcosa o fosse sul punto di fare una rivelazione importante. «Sì?» Ma il fratello di Daisy scosse il capo e proseguì. «Sai qualcosa, vero?» Robert avrebbe voluto scrollarlo. «Dimmelo...» Si rese conto che l'amico lo stava fissando e si controllo. «Scusa. Ma mi è sempre stata vicina, Mike. Non voglio che si rovini la vita!» «Non credo che abbia molta scelta a riguardo» fu il commento. «Hai ragione, naturalmente. C'è un uomo di cui è innamorata da molto tempo. Ma il matrimonio è fuori questione.» Lui trasalì. «Innamorata?» Non le aveva tolto gli occhi di dosso, e adesso Daisy era ferma davanti alla chiesa in un piccolo capannello di gente, e rideva di qualcosa che le aveva detto un conoscente. Il sole di marzo le illuminava le ciocche sparse che le sfuggivano dalla treccia e, quando il suono della sua risata lo raggiunse, Robert provò una fitta di Liz Fielding
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dolorosa invidia nei confronti dell'uomo che le aveva catturato il cuore. «Chi è?» «Daisy non vorrebbe che te lo dicessi.» «Perché? Che segreto c'è?» Si girò verso Michael. «Avevo ragione io. È sposato, eh?» «Senti, lasciamo perdere, ti spiace? Non avrei dovuto dire niente. Daisy è grande abbastanza da prendere le proprie decisioni. Che siano giuste o meno.» «Lui è sposato ma non può lasciare la moglie.» Robert ne era sicurissimo. «Lo sapevo che c'era qualcuno ieri sera...» Michael ne profittò per cambiare argomento. «Un australiano, certo. Daisy me ne ha parlato» raccontò ridendo. «Contava di portarlo al matrimonio per rabbonire la mamma. Ma tu l'hai mandato via.» Lui non poteva credere all'indifferenza dell'amico, e rifiutava di farsi distrarre da uno stupido australiano. «Come fai a essere così rilassato? È tua sorella, santo cielo! Devi fare qualcosa!» «Non ha bisogno della balia. Daisy sa quello che fa» fu il severo commento. «Lo ha sempre saputo.» «Come puoi dirlo? È una ragazzina!» «No, Rob, è una donna fatta e finita. Ha ventiquattro anni.» «Ventiquattro anni? Ma era soltanto una bambina...» «... quando tu avevi sette anni. Presto ne compirai trentuno. Come me, del resto.» «Ventiquattro?» ripeté Robert sconvolto. «Santo cielo, continuo a vederla come una mocciosa.» O perlomeno lo aveva fatto fino alla sera prima. Ventiquattro? Dov'erano volati gli anni? Si voltò verso l'amico. «Comunque, rimane tua sorella, anche se ha ventiquattro anni. Ne avete parlato?» «No. Mai. E soffrirebbe da morire se sapesse che te ne ho accennato.» «Perché?» «Fidati, Robert. So di che cosa sto parlando.» Mike si accigliò. «Non le dirai niente, vero? È tuo dovere di testimone portarmi all'altare intero.» «Sarò muto come un pesce.» E lo sarebbe stato. Anche se gli dispiaceva che Daisy non si fosse confidata. Lui le raccontava sempre tutto. «Però farò qualcosa.» «Tipo?» «Tipo, scoprire chi è quell'idiota e dirgliene quattro. Qualche obiezione?» Michael nascose un sorriso. «Nessuna, sir Galahad. Anzi, sono proprio Liz Fielding
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curioso di vedere come te la caverai.» «Non è divertente, Mike.» Daisy era sua amica, la sola persona al mondo che si rendesse sempre disponibile quando lui aveva bisogno. Robert le voleva un bene dell'anima. E certo non le avrebbe permesso di imbarcarsi in qualche storia balorda.
4 Domenica 26 marzo. Non ho mai visto Michael così felice. È entrato in chiesa con un sorriso talmente beota che avrei voluto schiaffeggiarlo. Chiunque penserebbe che sia il primo uomo al mondo a innamorarsi. Se la semplice lettura delle pubblicazioni lo fa sentire così bene, chissà che cosa gli farà il matrimonio! Ginny è così fortunata. Robert, per contro, si comporta in modo alquanto strano. Come se non volesse perdermi di vista. Buffo. «A che ora vorresti ripartire?» chiese Daisy. Michael e Ginny si erano congedati subito dopo il caffè e tutti gli altri li avevano imitati nel giro di breve tempo. Ma Robert non sembrava avere premura di rientrare a Londra. Sua madre era stata invitata al pranzo ma non era potuta venire, e adesso lui sedeva languidamente davanti al fuoco, chiacchierando con il padre di Daisy. «Non c'è fretta.» Poi, il suo sguardo si fece più attento. «O sì?» «No. Mi chiedevo soltanto se avevo il tempo di portare a spasso Flossie.» Lo spaniel della madre drizzò le orecchie all'udire il proprio nome e Daisy, che si era infilata la tuta da ginnastica non appena erano rientrati dalla chiesa, le accarezzò il muso. «Farò il tè quando ritorno.» «Aspetta. Ti accompagno.» «Non c'è bisogno...» incominciò lei col cuore in gola. Cercava di non apparire troppo entusiasta della sua compagnia. Ma non era sempre facile. «Al contrario» la interruppe lui con vivacità. «Ho proprio bisogno di camminare per smaltire gli effetti della cucina di tua madre.» Daisy fece una smorfia scettica quando lui si alzò in piedi. Robert aveva un fisico asciutto e l'idea che avesse bisogno di esercizio per tenersi in forma era ridicola. Lui incrociò il suo sguardo e scrollò le spalle. «Non penserai che mi mantenga così rimpinzandomi di torta di mele, spero! Dolci come quelli vanno scontati col dolore.» Liz Fielding
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«Oh, be', se passeggiare con me è una penitenza per la golosità, vieni pure. Puoi usare gli stivaloni del babbo» ribatté lei con finta disinvoltura. Stava diventando più difficile. Forse era il matrimonio, l'evidente felicità di Michael e Ginny, la consapevolezza che lei non avrebbe mai avuto niente del genere, perché il matrimonio con qualcun altro sarebbe stato un ripiego. Mai una possibilità. Margaret Galbraith si affacciò sulla soglia della cucina. «Qualcuno gradisce un tè? Oh, state già partendo?» «No, mamma, portiamo a spasso Flossie. Va' a sederti adesso. Penserò io al tè quando rientreremo. Mi aiuterà Robert.» «Ah, sì?» chiese l'interessato, sorpreso. «Devi bruciare quelle calorie, ricordi?» «Be', grazie. Mi pare un'ottima idea» osservò la signora Galbraith accomodandosi sul divano. «Non andrete lontano, vero? Minaccia di piovere.» «Mi prenderò cura di lei, Margaret.» La mano di Robert sulla sua spalla giunse inattesa e Daisy sussultò. «Vieni, Flossie» fece lui. «Ora della passeggiata.» Lo spaniel non ebbe bisogno di altri incoraggiamenti. Certe cose, per fortuna, non cambiavano mai. Camminarono in silenzio per un po', seguendo il sentiero che costeggiava il fiume. Flossie trotterellava davanti a loro, agitando la coda e abbaiando ai fagiani. «Sei ancora arrabbiata con me per via di Nick Gregson?» chiese Robert dopo qualche minuto. «Non essere sciocco.» «Sciocco? Ma se mi hai evitato tutto il santo giorno!» «Sono stata impegnata tutto il santo giorno. E, se proprio lo vuoi sapere, ho flirtato con Nick solo perché speravo di trascinarlo al matrimonio. Come cavaliere. Purtroppo, ritornerà in Australia martedì.» «Tre giorni sono molti in una relazione.» «Ho impiegato meno di tre ore a capire che Nick non era esattamente il mio tipo. Ma è il guaio di invitare gli uomini a uscire. Pensano che tu li stia corteggiando.» «La parità ha i suoi inconvenienti, cara.» Le scoccò un'occhiata. «Io andrei bene? Come cavaliere!» Daisy ebbe una stretta al cuore. «No, Robert. Non andresti bene per niente. Mia madre non ti prenderebbe sul serio.» «Tua madre?» ripeté lui ridendo. Poi, assentì. «Oh, capisco. Tua madre.» Liz Fielding
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«Esatto. Non potrei mai spacciarti per un pretendente. Non con lei.» Robert esitò, poi disse: «Pensavo... Non c'è ragione per cui non dovremmo dormire qui stanotte e ripartire domani di buon'ora. Potremmo fare un salto al pub dopo cena». Una passeggiata fino al pub del villaggio, la possibilità di trascorrere un'ora accanto al fuoco, loro due soltanto... Daisy aveva goduto della totale attenzione di Robert per tutto il giorno. E adesso quello. Era troppo. «Spiacente» si costrinse a dire. «Ma devo rientrare stasera.» «Oh, be'. Era soltanto un'idea. Vai da qualche parte?» Daisy sbirciò nella sua direzione. Di solito non era così interessato ai suoi programmi. Ma Robert aveva lo sguardo puntato in avanti e lei non capì a che cosa stesse pensando. «No. Ma domani dovrò alzarmi presto.» «Non avrei mai detto che George Latimer fosse un negriero. Ma prima ti fa lavorare il sabato sera e poi ti obbliga a una levataccia il lunedì mattina. Forse dovrei parlargli.» «No!» si affrettò a dire lei. «Non si tratta di lavoro.» L'ultima cosa che voleva era che Robert chiedesse a George di sabato. «Ho appuntamento dal parrucchiere di Ginny. Aveva un buco libero soltanto alle otto. E poi andrò dalla sarta per l'ultima prova.» «Capisco.» Gli sfuggì un sorriso. «E così, vai a spuntarti le penne...» «Quel poveraccio dovrà davvero rimboccarsi le maniche per cavare qualcosa di decente dai miei capelli. Ti dirò, lo compiango. Nessuno dovrebbe affrontare una prova del genere alle otto di lunedì.» «I capelli ti stavano molto bene sabato sera. Dovresti portarli sciolti più spesso.» Daisy riuscì in qualche modo a non svenire e, poiché Flossie scelse quel preciso istante per dare la caccia a un'anatra, ne profittò per correre avanti, evitandosi così l'imbarazzo di un commento. Per l'ora in cui ebbe riacciuffato il cane e controllato che l'anatra fosse illesa, la sua treccia si era praticamente disfatta e l'effetto era tutto fuorché grazioso. Ma il momento era passato. E non c'era più bisogno di rispondere all'inatteso complimento. Lo faceva in continuazione, pensò Robert mentre la guardava trafficare con i ciuffi ribelli che le sfuggivano dalla treccia. Ridicolizzare il proprio aspetto prima che qualcun altro potesse farlo al posto suo. Un'abitudine che doveva aver sviluppato per sottrarsi agli incessanti paragoni della Liz Fielding
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madre con la sorella maggiore. Lui non era mai riuscito a capacitarsene. Sarah poteva anche essere attraente secondo i canoni tradizionali, ma parlava troppo e, a differenza di Daisy, ascoltava raramente. E a proposito di Daisy... era quello che si celava dietro la sua relazione segreta? Robert l'aveva sempre considerata una persona forte, ma ognuno aveva le proprie debolezze. E poteva darsi che adesso un uomo senza scrupoli si stesse approfittando di lei, facendo leva sui suoi complessi. «Non ti dispiace rientrare stasera, vero?» domandò Daisy dopo un po'. «Affatto.» Si sarebbe davvero alzata presto, si chiese Robert, o sperava di ritagliare un'ora col suo amante misterioso? «È solo che la giornata di oggi mi ha riportato al passato.» Si fermò quando raggiunsero il pontile. «Ho come l'impressione che i miei giorni migliori si siano svolti lungo questo fiume. Ricordi la volta in cui Mike ha infilato un bastone in un nido di vespe e gli insetti ti sono volati tra i capelli?» «Oh, sì, quello è stato molto divertente. Specie quando tu mi hai gettata nel fiume per evitare che lo sciame mi pungesse.» «Ti ho tirata fuori.» «Sì, Robert, mi hai tirata fuori. E mi hai tolto le vespe bagnate dai capelli e alla fine sei stato punto tu.» Daisy gli prese la mano. «Ti si erano gonfiate tutte le dita.» Gli sfiorò la cicatrice sulle nocche. «E ti sei procurato questa quando mi hai salvata dal cane di Billy Pemberton.» Incrociò il suo sguardo. «Ero una bella seccatura, eh?» «Non sai quanto» confermò lui ridendo. «Ti sopportavamo solo perché avevi sempre l'accortezza di portare le cibarie.» «Sapevo che non mi avreste rimandata a casa se vi avessi procurato da mangiare.» Sei anni e già sapeva come arrivare al cuore di un uomo, pensò lui. «Forse dovremmo tornare il prossimo week end. Se tu metterai il cibo, io metterò le esche.» Daisy non parve entusiasta. «Sempre che tu non debba lavorare di nuovo fino a tardi.» «Be', sarà una settimana frenetica. Dovrò assentarmi un paio di giorni per un'asta. Va bene se ti dico qualcosa più avanti?» «D'accordo. Chiamami sul cellulare, nel caso non mi trovassi in ufficio.» Proseguirono per un po'. «Dove si terrà quell'asta?» «Nella Wye Valley» spiegò lei. «Forse farò un'offerta anche per tua madre. C'è un vaso Imari che le piace molto. Ma non sarà in grado di partecipare all'asta.» «Ah, sì? Sembra una cosa interessante.» Liz Fielding
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«A dire il vero, sono un po' nervosa. È la prima volta che George mi manda in giro con il libretto degli assegni.» Daisy rabbrividì. Nervosismo, pensò lui, più che la temperatura, ma si infilò le mani in tasca e fece sporgere il gomito, offrendole il braccio. «Qua, attaccati, così ti tengo calda.» Dopo una lieve esitazione, lei lo prese a braccetto. Da quanto esisteva quell'esitazione? Da quando Daisy aveva l'amante? L'immagine di lei che giaceva tra le braccia di uno sconosciuto gli strappò una smorfia, e le strinse con forza il braccio, come a proteggerla. Lei tornò a rabbrividire. «Penso che sia ora di rincasare» mormorò. «Flossie! Qui, tesoro.» E prima che Robert potesse fermarla, si liberò della stretta. «Facciamo una gara!» propose poi. E incominciò a correre. «Chi arriva ultimo asciuga le zampe al cane!» Da dietro, sembrava ancora la ragazzina che ricordava lui. Ma era soltanto un'illusione. Daisy Galbraith poteva ancora portare la treccia. Ma a ben guardare, non c'era più niente di infantile in lei. Erano quasi le venti quando arrivarono all'appartamento di Daisy. «Grazie per il passaggio» fece lei. E smontò in fretta, come se non vedesse l'ora di liberarsi. Ma Robert non aveva nessuna intenzione di farsi congedare. Ogni volta che aveva abbordato argomenti personali, Daisy lo aveva distolto snocciolandogli le meraviglie del suo computer nuovo. «Se sei davvero così grata, perché non mi mostri il tuo favoloso PC?» Un'ombra le passò sul viso. «Non ne vedi abbastanza in banca?» «Non è la stessa cosa. Mia madre stava parlando di prenderne uno, collegarsi a Internet, avere un indirizzo di posta elettronica. Col fatto che conosce gente in tutto il mondo, mi pare logico. Vedo che tu sei molto soddisfatta del tuo computer. Magari sarebbe adatto anche a lei. È facile da usare?» «Facilissimo. Ti farò avere i dettagli.» «Grazie, ma preferisco dare un'occhiata adesso.» Robert smontò dall'auto e, ignorando la manifesta riluttanza della ragazza, chiuse la portiera. «Naturalmente, non direi di no a una bella cioccolata in tazza» aggiunse. «O a una fetta di torta.» «Non faccio torte.» «Mi accontenterò di un biscotto.» Liz Fielding
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«E va bene.» Daisy capitolò. «Puoi restare mezz'ora. Non di più. Voglio coricarmi presto.» «Intesi.» Quando furono di sopra, lei accese il computer e andò in cucina. «Qual è la tua password?» domandò lui subito dopo. «Che cosa?» «La password. Senza non posso fare niente.» Daisy apparve sulla soglia. Era un po' rossa. «Ci penso io.» Accostandosi alla scrivania, gli sfilò la tastiera. «Girati. È un segreto.» «Guarda che non ho intenzione di ritornare a notte fonda e rovistare tra i tuoi file» protestò lui ridendo. «Non è questo il punto.» «Ti dirò la mia password se tu mi dirai la tua» insistette Robert. Ma Daisy aspettò che si voltasse e, dopo un attimo, lui abbassò lo sguardo. Doveva essere il nome dell'amante, pensò. Ecco il perché di tanti misteri. Restò in ascolto. Sei battute, poi Invio. Sei lettere. Un nome? Un cognome? Un nome. «Va bene, puoi guardare adesso. È molto facile. Clicchi qui per navigare su Internet e qui per...» «C'è anche una rubrica, con gli indirizzi e tutto?» «Sicuro. Qua.» Daisy cliccò un'icona e ottenne una lista di file. «Guarda. Si accede così alla rubrica.» Cliccò il mouse. «Visto? È tutto molto semplice...» «Daisy» la interruppe Robert. «Hai per caso lasciato il latte sul fuoco?» Lei sussultò. «Santo cielo, sì!» Girandosi, corse via. Per il momento in cui ritornò, con due tazze fumanti e una pila di biscotti al mais, lui aveva sfilato un dischetto vergine dal portafloppy vicino al computer, copiato il file con la rubrica ed era adesso apparentemente impegnato a navigare su Internet. «L'ho salvato appena in tempo» fece Daisy posando il vassoio sulla scrivania. «Che cosa?» «Il latte.» Le scappò da ridere. «Lo sapevo. Gli uomini non sanno resistere ai giocattoli nuovi.» «Bell'acquisto, complimenti.» Robert uscì dal programma, spense il computer e guardò i biscotti. Una merenda deliziosamente infantile. «Sarà meglio che mi vada a lavare le mani.» «Fa' pure.» Il bagno di Daisy era dipinto di verde, con un bordo di carta a fiori. Liz Fielding
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C'erano piccole candele bianche e dorate dappertutto, e il vago odore fruttato del bergamotto saturava il piccolo ambiente. Per un attimo gli balenò davanti agli occhi l'immagine di Daisy che giaceva nell'acqua della vasca, con la pelle chiara illuminata dalla luce delle candele e i suoi capelli folti che le ricadevano umidi ai lati del viso e sulle spalle. Era una visione sensuale e sconvolgente al tempo stesso, e Robert fece involontariamente un passo indietro. Non aveva mai pensato a lei in quei termini. Come a una donna. Salvo che... perché altrimenti si sarebbe trovato lì? Si era introdotto nel bagno di Daisy al solo scopo di cercare le prove dell'esistenza di un uomo nella sua vita. Ma un controllo veloce lo rassicurò. Non c'era niente. E persino l'uomo più meticoloso avrebbe lasciato una traccia della propria presenza, no? Uno spazzolino, un rasoio... Il sollievo di Robert fu però rovinato dalla constatazione che spiare un'amica era davvero un'azione spregevole. Si punì con il sospetto che l'amante di Daisy fosse troppo discreto per venire nell'appartamento della ragazza. Che cosa aveva detto Michael? Non molto. Solo che il matrimonio sembrava essere fuori questione. Che cosa diavolo significava? Che l'uomo era separato, forse, e impossibilitato a divorziare per via dello scandalo? Che si trattasse di qualcuno in vi sta? A quello aveva alluso Michael? In ogni caso, Robert sarebbe andato in fondo alla cosa. Ma non indugiò. Il dischetto nella tasca interna della giacca bruciava come un tizzone ed era sicuro di avere la colpa stampata in faccia. «Ti chiamerò tra un paio di giorni» disse, scusandosi con Daisy non appena poté. «Così ceneremo insieme.» Lei parve insolitamente riluttante ad accettare l'invito. «Va bene se rimandiamo? Sarò piuttosto impegnata questa settimana.» «È la seconda volta che mi respingi. Incomincio a sospettare che la mia migliore amica mi stia nascondendo qualcosa.» «Oh, certo, Mr. Insicurezza.» Daisy gli rivolse un sorriso birichino. «È solo che ho quell'asta, il matrimonio...» ... e una relazione clandestina, pensò lui. Quella doveva assorbire parecchio tempo. Aspettare una chiamata, tenersi perennemente a disposizione... Bah, Daisy meritava di meglio. «Dovrai pur mangiare» le fece notare. «E speravo che avessi qualche idea per l'addio al celibato di Michael.» Liz Fielding
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«Perché, un addio al celibato richiede idee? Credevo che bastassero fiumi di alcool e una procace spogliarellista.» «È ciò che consiglieresti?» «Le tradizioni vanno rispettate» ribatté lei. «Ginny farà il suo addio al nubilato la settimana prossima. E posso assicurarti che faremo tutto secondo le regole. Margarita ghiacciati, cibo messicano e un autentico ballerino di flamenco!» «Be', sono scioccato.» Le fece l'occhiolino. «Dopo mi dirai tutto, vero?» «Solo se tu mi racconterai i retroscena della festa di Michael.» «Ah!» Daisy rise. «Forse è meglio lasciare certe cose all'immaginazione.» Andò alla porta. «Ora di salutarsi. Hai avuto più della mezz'ora promessa.» «Il tempo vola quando ci si diverte.» Si chinò a baciarla sulla guancia e poi, d'impulso, le depose il più casto dei baci sulla bocca. Lei non disse nulla, si limitò a fissarlo, e il suo sguardo era come il ricordo di un sogno ricorrente eppure indistinto che lo ossessionava. Senza preavviso Robert dovette lottare contro il desiderio di stringerla e baciarla come avrebbe meritato, non in qualche luogo sperduto da un uomo mendace, ma con dedizione totale. E per la seconda volta quella sera, si ritrovò a indietreggiare. Daisy chiuse la porta e vi si addossò contro. Tremava come una foglia. «Non significa niente. Non significa niente.» Se lo ripeté parecchie volte. Robert era Robert. Un bacio contava per lui come una stretta di mano. Non era stato nemmeno un vero bacio. Solo un fugace contatto di labbra. Una manifestazione di affetto. Priva di qualsivoglia significato. L'aveva già baciata una volta e lei si era illusa inutilmente. Be', era stata poco più di una bambina all'epoca. Non si sarebbe illusa di nuovo. Staccandosi dalla porta, si avvicinò alla scrivania e radunò le tazze sporche. Ma le tremavano le mani. Tutto tremava. Forse avrebbe dovuto alzare un po' il riscaldamento. O fare un bel bagno bollente. Fu soltanto quando si fu immersa nell'acqua calda della vasca che cessò di tremare. Ricomponendosi a fatica, si ripromise di diradare i propri incontri con Robert. Basta con i pranzi e le passeggiate in campagna. Basta con le seratine casalinghe. Non lo avrebbe più rivisto fino al matrimonio. Ma sarebbe stato tanto più facile crederlo se le sue labbra non avessero continuato ad ardere per effetto di quell'insignificante bacetto. Bagno Liz Fielding
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caldo. Doccia fredda. Non servì niente. Robert introdusse il dischetto nel proprio PC e digitò il comando di stampa. Poi, si chiuse in bagno e cercò di lavare via la sensazione spiacevole che lo aveva assalito dopo aver frugato nella vita privata di Daisy. La doccia non funzionò. Si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi e fissò la propria immagine riflessa nello specchio. Lo stava facendo per lei, si disse. Un giorno Daisy lo avrebbe ringraziato, ne era sicurissimo. La sua immagine non parve altrettanto convinta, così si cosparse il viso di schiuma da barba e prese il rasoio. Poi, tornò a posarlo. Si sarebbe rasato l'indomani, quando la sua mano fosse stata più ferma. L'appartamento sembrava molto silenzioso. Janine aveva sempre avuto lo stereo acceso quando si trovava lì. Oppure, era stata al telefono. Lui avrebbe apprezzato l'insolita quiete, solo che quella volta significava soltanto che la stampante aveva finito. Che era arrivato il momento di sezionare la vita privata di Daisy Galbraith. Prima si versò un drink, ne aveva bisogno, poi prese il tabulato e andò a sedersi sul divano. Daisy conosceva molte persone, ma alcune si sarebbero potute escludere sin dall'inizio. Le donne, tanto per incominciare. Robert si fermò, con la penna sul primo nome. Donne? Una donna? Per un attimo gli mancò il fiato. Poi, con tremendo sollievo, capì di sbagliare. Michael aveva senz'altro parlato di un uomo... un uomo di cui la sorella era innamorata da tempo. Quando si erano conosciuti? Come aveva fatto lui a non accorgersene? Era chiaro che Michael sapeva chi fosse quell'uomo, quindi perché lui no? Che cosa aveva notato Mike che a Robert era sfuggito? Di qualsiasi cosa si trattasse, l'amico gli aveva fatto chiaramente capire che si sarebbe dovuto arrangiare. E va bene. Sarebbe andato avanti per eliminazione. Chi fosse rimasto avrebbe rappresentato la risposta. Forte di quel convincimento, Robert scorse la lista, depennando tutte le donne, poi i parenti. Alcuni uomini li conosceva, e fu in grado di eliminare anche quelli. C'era il proprio nome e lo barrò con vigore. Dei restanti, tre avevano nomi con sei lettere e, dovendo incominciare da qualche parte, li sottolineò con decisione. Samuel Jacobs aveva sei lettere tanto nel nome quanto nel cognome. Liz Fielding
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Quest'ultimo sembrava indicare origini ebraiche. Se ortodossi, i familiari si sarebbero potuti opporre a un eventuale matrimonio, supponeva Robert. Conrad Peterson. Era un nome familiare. Ma il tipo viveva in Nuova Zelanda e sembrava un candidato improbabile. Il terzo nome era Xavier O'Connell. Padre Xavier O'Connell. E Robert trasalì nell'accorgersi che era un prete. L'impedimento supremo. Vuotò il bicchiere d'un fiato e guardò l'orologio. Erano quasi le undici. Non troppo tardi per telefonare a un prete. Alzando il ricevitore, compose il numero accanto al nome. «St. Catherine's. Desidera?» Robert non si era aspettato una voce femminile e restò spiazzato per un secondo. «Ehm, potrei parlare con padre O'Connell, per cortesia?» «E' piuttosto tardi. Padre O'Connell potrebbe essersi coricato. Non potrebbe richiamare domani?» Tardi? Coricato? «Temo di no. È urgente.» «Allora andrò a chiamarlo» replicò la donna con una punta di freddezza. Ci fu una pausa, poi una voce dall'accento irlandese disse: «Sono padre O'Connell. Posso esserle utile?». Robert si schiarì la voce. «Padre O'Connell, mi chiamo Robert Furneval. Sono un amico di Daisy Galbraith.» «Furneval?» ripeté il prete. «Il figlio di Jennifer, immagino.» Lui si era aspettato una sfuriata o qualche secondo di attonito silenzio. Tutto fuorché quello. «Conosce mia madre?» «Certamente. Ci siamo incontrati a Hong Kong vent'anni fa. Lei era a caccia di tesori e io mi sono divertito ad aiutarla. Come sta?» «Ehm, bene.» «E Daisy? Sta bene anche lei?» chiese l'uomo con improvvisa trepidazione. «Non è ammalata?» «No. Non è ammalata.» «Forse è per la traduzione che chiama? Sto procedendo a rilento, lo so. Fino agli ottant'anni me la sono cavata benissimo. Ma da allora mi è calata la vista e le cose sembrano richiedere più tempo del previsto.» Robert deglutì. «Sono sicuro che a Daisy non spiaccia aspettare» improvvisò. «E lei, figliolo?» chiese O'Connell. «Ha qualche problema?» «Sì, padre. Ma a quanto pare, non è lei la persona che mi può aiutare a risolverlo. Scusi se l'ho disturbata a un'ora così tarda.» «Quando vuole, ragazzo mio. E dica a Daisy di venirmi a trovare. Si Liz Fielding
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aggreghi anche lei. Questo posto è abbastanza confortevole, ma brulica di vecchi noiosi! Lo so bene io, sono uno di loro!» E rise. «Mi circondo volentieri di giovani.» Il St. Catherine's, intuì Robert mentre riabbassava il ricevitore, non era una chiesa, bensì un pensionato per preti anziani. Fu con un cuore assai più leggero che cancellò il nome di Xavier O'Connell dalla lista.
5 Lunedì 27 marzo. Perché diavolo Mike e Ginny hanno deciso di sposarsi? Nessuno si sposa più di questi tempi! E perché io non ho pensato di andare a sciare? Mi sarei potuta rompere qualcosa... Il naso sarebbe bastato? Chi vorrebbe mai una damigella col naso rotto? Doloroso, però... ma non doloroso come andare dal parrucchiere. E perché Robert mi ha dato quel bacio? «Be', sarà una passeggiata.» Seduta in un salone di bellezza di Mayfair, Daisy batté le palpebre mentre lo specchio le rimandava un'infelice combinazione di occhiaie violacee e ciocche color fango. «Una passeggiata?» ripeté. Nessuno aveva mai osato dire che i suoi capelli sarebbero stati una passeggiata. Il parrucchiere sorrise. «Ogni tipo di capello ha il suo punto di forza. Bisogna solo saperlo cogliere. Ecco il segreto.» «Ma a me non piacciono i miei capelli. Vorrei averli più luminosi!» «Sì, e io vorrei assomigliare a Robert Redford.» Il sorriso si accentuò. «Bisogna valorizzare ciò che si ha, cara mia, e ciò che hai tu sono capelli folti e sani.» «E spenti.» «È solo che non li sai valorizzare. In realtà sono bellissimi.» Bellissimi? L'idea non l'aveva mai sfiorata. Si era sempre sentita dire che i suoi capelli erano un disastro. Aveva provato shampoo, gel, lacche di ogni tipo... Valorizzarli? «Dovrò abituarmi all'idea. Nel frattempo, sistemali tu.» «Volentieri.» L'uomo prese le forbici e incominciò a spuntare. «Li pareggerò soltanto.» Gli altri parrucchieri le parlavano in continuazione, Liz Fielding
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forse sperando di evitare l'esplosione finale quando non fossero riusciti a raddrizzarle i capelli. La sicurezza di quel tipo era piacevolissima e Daisy incominciò a rilassarsi. «Ecco» concluse il parrucchiere dopo una decina di minuti. «Ho fatto.» Le passò le dita tra le ciocche bagnate. «Tutto qui?» La chioma non sembrava tanto diversa. Solo più ordinata. «Niente intrecci di nastri e boccioli di rose?» «Non oggi. Un tralcio di edera, un paio di boccioli bianchi il giorno della cerimonia e voilà. Sarai splendida.» Splendida? Gentile da parte sua, ma non era convinta. La sua sola speranza era di non apparire ridicola accanto alle affascinanti morettine. «Vorrei avere la tua sicurezza.» «Non ne hai bisogno, hai la mia reputazione. Nel frattempo, smettila di legarti i capelli con gli elastici. E prova a dormire di più. In alternativa, usa un correttore, altrimenti nessuno ti guarderà i capelli.» «Potrebbe essere una soluzione.» «Ma non quella giusta» le fece notare il coiffeur. «Ti darò un velo di fondotinta.» Il fondotinta attenuò le occhiaie ma certo non poté ovviare alla mancanza di sonno. Daisy faticava a tenere gli occhi aperti mentre sfogliava il catalogo dell'asta, sforzandosi di non pensare a quel bacio gentile che l'aveva tenuta sveglia tutta notte. Si ridestò con un sussulto quando le cadde la testa sulla scrivania. Per un attimo non capì che cosa fosse successo né dove si trovasse. Poi, si strofinò gli occhi e guardò l'orologio. Ora di pranzo. O piuttosto, ora della sua prova dalla sarta. Forse una passeggiata nel parco e un po' di aria fresca le avrebbero giovato. Robert non era riuscito a contattare Samuel Jacobs domenica sera e ora sapeva perché. Il signor Jacobs aveva apparentemente fondato una società di importazione nel diciannovesimo secolo per assecondare la moda dei manufatti orientali, perendo senza lasciare eredi quando la sua nave era naufragata nel mar della Cina. La compagnia che portava il suo nome esisteva tuttora e continuava a importare capolavori dall'Oriente. Robert dubitava tuttavia che Daisy fosse innamorata di una società d'importazione, per quanto prestigiosa. Avendo tolto Samuel Jacobs dalla Liz Fielding
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lista, si trovò alquanto in imbarazzo. Aveva già eliminato la terza possibilità. Conrad Peterson non era mai sembrato un candidato probabile come amante segreto di Daisy ma, poiché il suo nome era sembrato così familiare, Robert si era servito di Internet per indagare sul suo conto. Peterson era risultato essere un noto collezionista, il che spiegava senz'altro perché Daisy lo avesse inserito nel suo database. Nondimeno, le ragioni della sua notorietà andavano più che altro ricercate negli alimenti astronomici che l'uomo era costretto a versare da quando la moglie lo aveva sorpreso a letto... col segretario! Accidenti a Mike e al suo dannato riserbo! Come diavolo pretendeva che Robert intervenisse se non gli forniva qualcosa su cui basarsi? Salvo che Michael non gli aveva chiesto di intervenire: era stata tutta un'idea sua. Si domandò se Ginny sapesse. Non avrebbe potuto chiamarla di punto in bianco. Aveva bisogno di una scusa per parlarle. Meglio ancora, di una scusa per vederla. E sorrise nel ricordare la proposta che aveva fatto a Daisy. «Ginny? Sono io, Robert. Me lo faresti, un piacere? Avrei bisogno di un metro di quel velluto giallo che indosseranno le tue damigelle.» «Come fai a sapere del velluto giallo? Dovrebbe essere un segreto.» «Non dirò niente a nessuno. Ma solo se potrò averne un metro.» «È un ricatto. Che cosa vuoi farci?» «Una sorpresa per Daisy.» «Piacevole, spero.» «Parola di scout. Potresti farmelo avere in ufficio nel primo pomeriggio? Ti racconterò tutto allora, magari davanti a una bella tazza di tè.» «Farò una scappata. Ma sarà meglio che ne valga la pena.» «Fidati.» E riattaccando, Robert passò alla mossa successiva. Teoricamente, avrebbe dovuto vedere Daisy quanto più possibile e stare ad ascoltarla, una volta tanto. Ma tra il parrucchiere, la sarta e l'addio al nubilato di Ginny, lei aveva affermato di essere troppo impegnata per vederlo in settimana. Se le avesse telefonato, Robert si sarebbe sentito soltanto liquidare. Pertanto, avrebbe dovuto costringere Daisy a chiamare lui. Prese un foglio, vergò un breve messaggio e lo infilò in una busta, poi lo indirizzò a Daisy presso la Latimer Gallery e si avviò verso la porta. «Mary, esco un istante» disse alla segretaria. «Ma hai una conferenza video con Delhi tra mezz'ora» esclamò la Liz Fielding
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donna. «E il pranzo dei soci subito dopo.» «Tranquilla. Vado e vengo... purtroppo.» «E quello che cos'è?» Daisy guardò con sospetto il pacchetto di un famoso negozio di specialità gastronomiche quando tornò dalla sarta con l'abito da damigella modificato. George fece spallucce. «È arrivato con un taxi dieci minuti fa. C'è un biglietto» aggiunse inutilmente, visto che lei aveva già sollevato la busta quadrata che si trovava in cima al pacco. Daisy trasalì nel riconoscere la calligrafia. Inspirando a fondo, tirò fuori il messaggio e lo scorse in fretta. Carissima Daisy, poiché è dovere del testimone prendersi cura di tutte le damigelle, non soltanto di quelle carine, mi sono voluto sincerare che tu non saltassi il pranzo per colpa della sarta. Robert P.S. Grazie per la cena. «Quel farabutto!» esclamò. «Non soltanto di quelle carine, figurarsi!» Gettò via il breve scritto e aprì la scatola. «Oh!» Un foglio di carta oleata avvolgeva uno squisito assortimento di salatini e tartine. «Cena?» domandò George sbirciando il messaggio mentre sceglieva un vol-au-vent al salmone. «Solo biscotti e cioccolata in tazza.» «Sul serio?» Parve divertito. «L'ultima donna che deve avergli offerto quella particolare combinazione sarà stata sua madre. Hai fatto centro.» «Dici?» Daisy guardò le splendide tartine. «Sì, immagino di sì.» Ma lungi dal rallegrarsi, si rabbuiò. Qualcosa le diceva che la sua vita così scrupolosamente ordinata fosse sotto assedio. Che Robert stesse mirando a qualcosa. Accidenti a Janine per aver aperto gli occhi due settimane prima del matrimonio e aver lasciato Robert con un buco più grande del solito nella sua movimentata vita sociale! C'era stato un tempo in cui Daisy avrebbe gradito quella parentesi, assaporando il piacere della sua compagnia e accantonando i ricordi così Liz Fielding
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come uno scoiattolo conservava le noci in vista dell'inverno. Ma ora come ora non pensava di poter sopportare due intere settimane di continui contatti senza tradirsi. Non dopo quel bacio. Spinse le tartine verso George, di modo che potesse servirsi meglio. Lei non aveva appetito. «Be'? Non lo ringrazi?» chiese il gallerista. «Senz'altro si aspetta una chiamata.» Ma Daisy non si mosse. Robert era annoiato, si disse, e flirtare gli veniva naturale. Lei aveva declinato i suoi inviti quella settimana e così facendo si era resa interessante. Per questo Robert l'aveva baciata, concluse Daisy rabbiosamente. E voltando le spalle al telefono, ingoiò un salatino. «Ho finito di guardare il catalogo» annunciò poi cambiando argomento. «E ho segnato i pezzi per cui vorrei fare un'offerta al prezzo di base. Forse sarebbe meglio che tu dessi un'occhiata.» Gli allungò la lista. George la prese. «Vediamo... Ecco, su questi due articoli potresti sbilanciarti un po'.» Li sottolineò. «Questo che cos'è?» «Oh, è un vaso che Jennifer Furneval mi ha chiesto di verificare per lei. Non ti secca, vero?» «Affatto. Ma scommetto quello che vuoi che non è giapponese. Sai che cosa cercare?» L'antiquario annotò una cifra accanto al numero del lotto senza aspettare risposta. «Certo che lo sai. Ma checché ne dica Jennifer, non lo pagare più di così.» Le cercò lo sguardo. «A differenza di te, si lascia trasportare quando vuole qualcosa.» Il suo tono ambiguo le strappò una smorfia. «Stiamo parlando ancora di porcellane?» «E di che cos'altro, se no?» ribatté George. Sembrava così innocente che lei fu quasi sul punto di credergli. «Se scoprirò che è una copia, prenderò qualcos'altro, magari. Robert le sta cercando un regalo di compleanno.» «Finché ti aggiudichi i pezzi che vuoi, puoi fare ciò che credi. A proposito, sei riuscita a trovare una camera al Warbury Arms?» «Messaggi?» Il pranzo dei soci gli era parso interminabile, e mentre tutti intorno a lui si erano dilungati sulla fusione proposta, Robert non aveva fatto altro che pensare a Daisy. Le erano piaciute le tartine? Mary gli passò la lista delle chiamate insieme a un pacchettino bianco. Liz Fielding
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«Una signorina ha portato questo.» Consultò il taccuino. «Una certa Ginny Layton. Molto graziosa.» «E molto in anticipo» osservò lui consultando l'orologio. «No, sono in ritardo io. Avrei voluto parlarle, maledizione.» «Ha detto che le dispiaceva rinunciare al tè. Ma aveva un problema col catering e non poteva aspettare.» «Ah, be', pazienza. Mi sarebbe piaciuto sentire il suo parere...» Notando l'espressione scettica di Mary, aggiunse: «Potrà anche sembrarti graziosa ma, visto che avrai sicuramente notato l'enorme brillante che porta al dito, avrai altresì capito che è anche molto fidanzata. Anzi, sta per sposarsi con il mio migliore amico». Scorse la lista dei messaggi. «Tutto qui? Non ha chiamato nessun altro?» «Nessuno. Forse stai perdendo il tuo tocco, Robert. Come si chiama questa volta?» «Daisy Galbraith...» incominciò lui. Poi, s'interruppe. «Ehi, non è come sembra. È solo una vecchia amica.» Mary ammiccò. «È vero. La conosco dall'infanzia. Se chiama, puoi chiederglielo. Ma preferirei che me la passassi subito. E nel frattempo, vedi se riesci a rintracciare mia madre.» «È così serio?» «Serio?» ripeté Robert. Certo che era serio. Solo troppo tardi capì che la segretaria lo stava prendendo in giro. Ricomponendosi, dichiarò: «Cara Mary, quando mai è così serio?». Si accorse di avere ancora il pacchetto in mano e glielo rese. «Ti spiacerebbe farlo recapitare al mio sarto? Lo sta aspettando.» «Velluto giallo?» «Hai sbirciato.» «Sapevi che lo avrei fatto.» «È stoffa per un panciotto. Per il matrimonio della bella Ginny Layton. Farò il testimone e ho pensato che sarebbe stato divertente studiare una versione maschile dell'abito delle damigelle.» La donna rise. «Ottima trovata. Il velluto è un tessuto così...» «Mia madre?» la interruppe lui con una punta di irritazione. «Quando avrai finito di ciarlare, beninteso...» Sua madre non era in casa, il che, rifletté Robert, era probabilmente meglio. Se Mary trovava che il suo interesse per Daisy fosse più che amichevole, forse qualsiasi altra persona lui avesse contattato sull'argomento avrebbe pensato lo stesso e con minor indulgenza. Liz Fielding
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Tra l'altro, l'informazione di cui aveva bisogno era facilmente ottenibile da Monty Sheringham. Inutile avere un amico che lavorava per un giornale scandalistico se poi non lo si sfruttava. Monty non ebbe nemmeno bisogno di consultare l'esperto di antiquariato. L'asta a cui avrebbe partecipato Daisy doveva essere quella di Warbury Manor. La famiglia era famosa per i suoi scandali. Dal momento che la ragazza avrebbe senz'altro pernottato nella zona, era logico supporre che il suo amante l'avrebbe raggiunta con la scusa di partecipare lui stesso all'asta. Be', avrebbe pernottato anche Robert. C'era un unico albergo decente nel villaggio di Warbury, il Warbury Arms. «Spiacente. L'unica camera rimasta è una singola senza bagno» spiegò l'impiegata della reception. «Colpa dell'asta.» «Va bene. Se non c'è altro, mi adeguerò.» Robert trascorse il resto del pomeriggio e buona parte della serata a rivedere gli appuntamenti e a organizzare l'ufficio in previsione della propria assenza. Non fu facile, e soltanto rincasando si rese conto che Daisy non aveva chiamato per ringraziarlo delle tartine. Doveva essere veramente molto impegnata per dimenticare le buone maniere, o molto decisa a non parlare con lui. Ma perché? Allentandosi la cravatta, Robert riavvolse il nastro della segreteria telefonica e si versò due dita di whisky. «Robert?» La voce di Janine parve accarezzare l'aria. «Tesoro, mi dispiace disturbarti. Ma hai trovato una sciarpa di seta grigia? Ne avrei urgente bisogno. Se sì, fammi sapere.» Lui non aveva trovato nulla. Ma del resto non aveva nemmeno guardato. Janine aveva aspettato il più possibile a chiamare, per fargli sentire la propria mancanza prima di tentare un nuovo approccio. Ma Robert non era interessato a riprendere la relazione, né voleva impegnarsi. Tale padre, tale figlio. Quasi. Suo padre era un egoista. Aveva voluto tutto, e sua madre aveva pagato il prezzo. Lui non avrebbe fatto niente del genere a nessuna donna. Avrebbe cercato la sciarpa di Janine e l'avrebbe rimandata per corriere. Ci fu un bip. «Robert, sono Ginny. Mi è spiaciuto non vederti oggi perché avrei voluto chiederti un favore. È per qualcosa che Mike mi ha detto riguardo a Daisy. Mi sento in colpa per averla costretta a fare la damigella. È un ruolo che detesta con tutte le sue forze, così mi domandavo: ti prenderesti cura di lei al matrimonio? Vorrei tanto che la Liz Fielding
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facessi divertire. Sei un vecchio amico, e non mi viene in mente nessun altro che potrebbe intrattenerla meglio di te.» «Adulatrice» borbottò Robert. «Mike è un uomo fortunato.» Ma che cosa aveva detto Mike a Ginny? Era ciò che avrebbe voluto sapere. «Robert.» Finalmente. Controllò l'ora in cui era stato lasciato il messaggio. Le sedici, quando Daisy avrebbe potuto trovarlo in ufficio. Decisamente lo stava evitando. Robert fu tuttavia contento di sentire la sua voce. «Grazie per le tartine. E' stato un pensiero gentile. Ci vediamo al matrimonio. Mi riconoscerai senz'altro. Sarò il brutto anatroccolo sulla sinistra.» Lui scoppiò a ridere. «Ti terrò d'occhio» promise. Poi, sottovoce, aggiunse: «In ogni senso». «Robert, mi faresti un piacere?» La voce decisa di sua madre lo riportò alla realtà quando scattò il messaggio successivo. «Ho chiesto a Daisy di fare un'offerta per un vaso orientale a un'asta che avrà luogo questa settimana. Ma non ho pensato a come effettuare il pagamento e, poiché potrebbe trattarsi di un importo considerevole, ti chiederei di farle avere un assegno. Grazie, figliolo.» Lui alzò il bicchiere in direzione della segreteria telefonica. Si era per l'appunto chiesto come spiegare a Daisy la propria presenza a Warbury. «No, mamma, grazie a te, per avermi fornito esattamente la scusa di cui avevo bisogno!»
6 Martedì 28 marzo. Il viaggio in treno è stato infernale, l'anteprima affollatissima, per non parlare della pioggia! Aveva ragione George, naturalmente. Il vaso Imari non è giapponese. C'è qualcos'altro, però, che mi piacerebbe comprare per Jennifer. Ardua impresa. Senz'altro non sono stata la sola a rovistare gli scatoloni in cerca di qualche tesoro sfuggito ai periti... Forse avrei dovuto avvertire i facchini. Potrebbe rompersi. Accidenti! Daisy si tolse gli stivaletti bagnati, appese in bagno l'impermeabile gocciolante e si spogliò. Non aveva mai visto tanta pioggia in vita sua! Stese gli indumenti fradici e, dal momento che il Warbury Arms non faceva parte di quelle catene che fornivano ogni genere di gadget, Liz Fielding
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certamente non accessori lussuosi come gli accappatoi, s'infilò il chimono di seta che si era portata da casa. Poi, afferrando un asciugamano, occupò una vecchia poltrona e incominciò a sfregarsi vigorosamente i capelli. Al momento della prenotazione si era sentita in colpa per il costo di una doppia. Ma si era trattato dell'ultima camera decente e, dopo una giornata trascorsa a esaminare i tesori, e i vecchiumi, accumulati per generazioni dalla famiglia Warbury, una giornata in cui la pioggia era caduta senza posa, Daisy sapeva di meritarla. Il suo sguardo indugiò sul minibar. Ci sarebbe stata una bottiglietta di brandy? Pensando a come l'avrebbe rinfrancata un goccio di liquore, si ripromise di controllare. Tra un momento. Ora come ora voleva soltanto chiudere gli occhi. Solo per qualche secondo. Poi, avrebbe dato un'occhiata. Il Warbury Arms era una vecchia locanda di campagna con stufe di maiolica e paioli di rame appesi alle pareti, l'immagine stessa della vecchia Inghilterra tanto cara ai turisti, e in quel caso, constatò Robert, non c'era finzione. L'atmosfera era autentica. Era autentica anche la pioggia e dovette aprirsi un varco tra la folla di antiquari e collezionisti riunitisi in vista dell'asta per raggiungere il banco della reception. «La signorina Galbraith della Latimer Gallery alloggia qui?» domandò mentre firmava la scheda di registrazione. Era sicuro di sì. Ma tanto valeva controllare. «Sì, signor Furneval. È arrivata poco fa. Cenerete insieme? Le consiglio di prenotare. Siamo pienissimi.» «Prima vedrò che cosa desidera fare la signorina.» Era del tutto possibile che Daisy avesse altri progetti e non fosse contenta di vederlo. Era un pensiero così deprimente che per un attimo fu tentato di girare sui tacchi e ritornare a casa. Ma solo per un attimo. Michael poteva aver scelto di chiudere gli occhi, ma lui no. «Qual è il suo numero di camera?» Salì a depositare la sacca da viaggio nella propria stanza e, dopo essersi rinfrescato, andò in cerca di Daisy. La sua camera si trovava sul davanti dell'albergo e Robert aspettò prima di bussare. Aveva una scusa pronta ma esitava lo stesso, sentendosi come uno di quegli investigatori da strapazzo che speravano di cogliere in flagrante il classico marito fedifrago. Liz Fielding
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Alzò la mano e l'accostò alla porta. Non era così che aveva previsto di affrontare Daisy. L'impiegata della reception non aveva parlato di nessun altro. Ma ciò non significava che la ragazza fosse sola... Gli sfuggì un sospiro. Forse avrebbe fatto meglio a tornare dabbasso e ad aspettare che Daisy scendesse. Sarebbe stato più delicato. Salvo che forse non sarebbe scesa. Forse avrebbe optato per il servizio in camera. Lui non aveva pensato molto a ciò che avrebbe fatto se Daisy si fosse trovata con qualcuno. Intuiva che sarebbe stata imbarazzata e non voleva niente del genere. Erano amici, buoni amici, e Robert si preoccupava sinceramente per lei. Poi, ricordò il modo in cui Daisy lo aveva guardato dopo che lui l'aveva baciata. E di colpo non ebbe più voglia di essere delicato. Doveva sapere. Bussò alla porta. Non ci fu risposta. Forse Daisy era in bagno. Oppure stava consultando il catalogo dell'asta e rifiutava di essere disturbata. Una settimana prima Robert non si sarebbe aspettato nient'altro. Ma era stata una settimana lunga e forse, pensò, la ragazza giaceva tra le braccia del suo amante segreto... Tornò a bussare. E questa volta vibrò la porta. Daisy si ridestò di soprassalto. Per un attimo non capì dove si trovasse o che cosa l'avesse svegliata. Poi, sollevò il capo e consultò l'orologio, chiedendosi se avesse dormito tutta notte in poltrona. La sensazione era quella ma, in realtà, era lì da mezz'ora soltanto. Si raddrizzò sbadigliando. Ci fu un colpo alla volta, abbastanza energico da farle capire che non era il primo. Con un sospiro, si alzò e, pensando che fosse la cameriera, aprì la porta. «Ciao, Daisy.» «Robert!» Di solito aveva il tempo di prepararsi ma, colta così alla sprovvista, indietreggiò sconvolta. Interpretando il movimento come un invito a entrare, lui la seguì all'interno. Robert non aveva saputo bene che cosa aspettarsi ma, quella Daisy assonnata e in chimono, lo mise fuori combattimento. Deglutì a fatica mentre ciò che era sembrato un gesto amichevole si trasformava in qualcosa di maledettamente personale. Per un attimo fu tentato di baciarla di nuovo. Oppure anche quella era soltanto metà della storia? Non era forse vero che non era riuscito a togliersi Daisy dalla testa sin dalla festa di Monty? Liz Fielding
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La gelosia non lo aveva forse roso nell'attimo stesso in cui la ragazza era stata adocchiata da quel Gregson? «Bella stanza. Grande per te soltanto, però» «Non c'era molta scelta» ribatté lei sulla difensiva. «Era rimasta soltanto un'altra camera, mansardata e senza bagno. Per cui l'ho scartata. Robert, che cosa diavolo ci fai qui?» «Sono in missione.» Si avvicinò al tavolino su cui poggiava un piccolo bollitore per la preparazione di bevande calde. Il contenitore era freddo e si guardò intorno, sbirciando nel bagno. Cercando tracce di un altro occupante. Una giacca da uomo sulla sedia, una scarpa sotto il letto. Niente. Il sollievo fu di breve durata. Dopotutto era presto. Forse non era shock ciò che aveva visto sul volto di lei, bensì delusione. «Niente tè?» «Mi stavo decidendo tra il tè e il brandy quando mi sono addormentata» confessò Daisy soffocando uno sbadiglio. «Che genere di missione?» «È troppo presto per il brandy.» «Può darsi, ma è stata una giornata infernale. Su, da' qua, prima che mi penta» gli disse lei facendosi allungare il bollitore. Andò in bagno e riempì il serbatoio dell'acqua. «Che genere di missione?» ripeté. «Più che altro è una spedizione di soccorso» precisò lui. «Sono qui per farti compagnia, portarti fuori a cena...» Daisy riemerse dal bagno. Aveva un aspetto deliziosamente scarmigliato e il corto chimono lasciava intravedere gambe lunghe e tornite. Robert ripensò alla mocciosa che aveva rincorso insieme a Michael. Le sue gambe erano state lunghe anche allora. Per questo le ginocchia erano sembrate così grandi e ossute. Il ricordo gli strappò un sorriso. «Che cosa c'è di così buffo?» «Niente.» Ridiventò serio. Le gambe avevano forma, adesso. E le ginocchia erano perfette. «Ti sei fatta qualcosa ai capelli» osservò per distrarsi. «Ti avevo detto che sarei andata dal parrucchiere. Non ha combinato molto. Solo una spuntatina. Deve aver pensato che non ne valesse la pena. Perché sei qui, Robert?» «Non mi hai creduto riguardo alla cena?» «No.» Daisy fece ondeggiare il bollitore. «Nessuno si metterebbe in viaggio con questo tempo a meno di non essere obbligato a farlo.» «Vero.» «Mi stai dicendo che sei dovuto venire?» Liz Fielding
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«Ordini dall'alto» confermò lui. «Ho trovato un messaggio in segreteria che mi diceva di presentarmi qui col libretto degli assegni.» Le prese il bollitore di mano, inserì la spina nella presa, poi pigiò l'interruttore. «Acquisterai qualcosa per mia madre, no?» aggiunse. «Pensava che ti avrebbe fatto comodo un assegno.» Le sfuggì un gemito. «Oh, santo cielo! Mi dispiace, ma hai fatto tanta strada per niente. Il vaso che desiderava tua madre è soltanto una copia.» Robert non si scompose. A interessarlo era stata la scusa in sé, non il vaso. Ma Daisy sembrava delusa. Così, finse di esserlo anche lui. «Dannazione. Speravo di regalarglielo per il compleanno.» «Te lo avrei proposto se fosse stato ciò che lei pensava.» «Be', forse c'è qualcos'altro?» «Forse.» Lui la studiò. Daisy era stanca. Infatti aveva le occhiaie. Tuttavia, c'era una luce nel suo sguardo, un'eccitazione che Robert dubitava fosse da ricollegarsi all'asta. Lo turbava, così si voltò e infilò due bustine di tè nelle tazze fornite dall'albergo. «Vedrò quello che riesco a trovare» continuò lei. «Che cosa ti piacerebbe?» «Bah! Lo saprò quando lo vedrò.» «Vedere?» «Ma certo. Adesso che sono qui, tanto vale che mi trattenga per l'asta, no?» «Oh!» Per un attimo Daisy fu tentata di parlargli del piatto Kakiemon che aveva trovato in una scatola di stoviglie assortite. Aveva sperato di regalarlo lei stessa a Jennifer, ma sarebbe stato uno splendido regalo di compleanno da parte di Robert. Se fosse riuscita ad aggiudicarselo per un prezzo ragionevole. Ma non si poteva mai dire come reagivano a un'asta persino le persone più equilibrate, e non voleva rischiare che l'entusiasmo del giovane finisse col tradire la sua scoperta. Sempre che non avesse preso un granchio, beninteso. «Dove alloggi?» «Nella camera mansardata senza bagno che tu hai rifiutato, suppongo» rispose lui. «Non essere sciocco. Non hai visto la folla dabbasso? Non ci sarà una sola stanza disponibile nel giro di chilometri e chilometri!» Robert capì che aveva frainteso, ma non chiarì l'equivoco. Se era stato precipitoso e il suo amante fosse arrivato più tardi, sarebbe stato meglio se Liz Fielding
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la ragazza lo avesse pensato fuori dai piedi. Punzecchiarla un po', però, non avrebbe guastato. Daisy se lo sarebbe anzi aspettata. «Be', hai un letto in più» osservò indicando i letti gemelli col comodino al centro. Non il suo ideale per una notte di passione. «Non mi vorrai buttare fuori, spero! Piove!» «Non ti scioglierai.» «Forse no. Ma se non mi toglierò queste calze bagnate, prenderò il raffreddore.» «La polmonite. C'è bisogno di un virus per prendere il raffreddore.» «La polmonite? Sul serio? Con un raffreddore potrei fare lo stesso il testimone. Contagerei tutti gli invitati, naturalmente. Ma con la polmonite...» Lasciò la frase in sospeso. «E naturalmente, senza di te, Michael e Ginny dovrebbero cancellare la cerimonia» fece Daisy. Poi rise. «Col cavolo.» Era il loro solito scambio di battute, ma Robert avvertì un'ombra di nervosismo nella sua voce. E così, il letto in più era già stato promesso a qualcuno e lui avrebbe fatto da terzo incomodo. Era soltanto ciò che si era aspettato, tuttavia fu assalito da una rabbia sorda. Doveva sapere. «Andrò a cercar mi una camera nel villaggio di Ross» annunciò. «Ma non vedo perché prima non dovremmo cenare.» «A dire il vero» mormorò lei, «mi ero ripromessa di ordinare un panino e coricarmi presto.» E quasi a convincerlo, si rannicchiò in poltrona. «Da sola?» Le parole uscirono non richieste. «Torna pure a Londra, Robert. Troverò io qualcosa per il compleanno di tua madre. Mi pagherai quando ci rivedremo.» Lui scrollò le spalle. Daisy non aveva colto il doppio senso. Oppure era molto brava a nascondere i propri sentimenti. Discreta. Era ciò che aveva detto Michael. Era molto discreta. «Non mi negherai una tazza di tè prima di sbattermi fuori, vero?» Senza aspettare risposta, Robert versò l'acqua calda sulle bustine del tè. «Ecco, proprio come lo fa la mamma» commentò quando ebbe aggiunto il latte. Le passò la tazza. Poi, scoccandole un'occhiata, commentò: «Sai, non ti dovresti preoccupare per le tue ginocchia. Non sono affatto ossute». Lei diventò rossa e si abbassò il chimono, cercando di coprirsi, e qualcosa in Robert minacciò di scoppiare. Perché diavolo faceva tanto la ritrosa? Le sue gambe non erano propriamente un mistero per lui. Gliele aveva viste un miliardo di volte all'epoca in cui avevano nuotato tutti Liz Fielding
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insieme giù al fiume. Lui, Michael e Daisy. «A che ora inizia il divertimento?» domandò brusco. «Quale divertimento?» Sembrava interdetta. Sensi di colpa? «Domani. L'asta.» «Oh, capisco. Non lo definirei un divertimento. Comunque, si incomincia alle dieci. Se riuscirò a prendere il treno delle quindici, sarò a cavallo.» «Puoi chiedere un passaggio a qualcuno.» «Non viaggio con gli sconosciuti.» Robert inarcò un sopracciglio. «Magari incontrerai qualche amico.» Finì di sorseggiare il tè, depose la tazza e andò alla porta. «Certo, se restassi, potrei riaccompagnarti io» soggiunse gettando l'esca. Ma Daisy non abboccò. «Ti annoieresti. Non sarà una di quelle aste eccitanti che si vedono nei film, con quadri che raggiungono quotazioni astronomiche.» «Sono già stato ad altre aste. Sei proprio sicura di non volere cambiare idea riguardo alla cena?» «Sicurissima.» Alzandosi, lo seguì alla porta. «Grazie.» Lui la guardò, vide qualcosa di assai simile alla disperazione nei suoi occhi, e poiché le voleva bene davvero, si allungò a sfiorarle una guancia. «Sai, sto incominciando a pensare che tu ti voglia sbarazzare di me, anatroccolo. Non hai un amante segreto nascosto nel bagno, vero?» «Dannazione, mi hai scoperta!» esclamò lei, e scoppiò a ridere. Ma poi tornò a rabbuiarsi. «Mi raccomando, va' piano» sussurrò. E sollevandosi in punta di piedi, lo baciò sulla guancia. Robert fremette. Soltanto una settimana prima avrebbe riso al pensiero di Daisy con un amante nascosto nella doccia. Ora non riusciva a togliersi l'idea dalla mente, e guardò la porta del bagno, chiusa con cura dopo che lei aveva riempito la caraffa, e si chiese se non avesse per caso colpito nel segno. Daisy chiuse la porta e gemette. Accidenti a Robert per essere così affascinante e irraggiungibile! Accidenti, sì. E tuttavia lei non poteva farlo. Non poteva mandarlo via con quella pioggia solo per risparmiarsi un dolore. Perché dormire con lui platonicamente sarebbe stato un incubo! Spalancò la porta, pronta a richiamarlo, ma il corridoio era deserto. «Uffa!» Si infilò gli stivaletti ancora bagnati e, senza nemmeno Liz Fielding
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allacciarseli, prese le chiavi e si tirò dietro la porta. Poi, prima di cambiare idea, corse verso le scale. «Robert!» Lui si trovava a metà rampa quando si girò, e per un attimo rimase immobile. «Che cosa c'è, anatroccolo?» «Io, ehm, ho cambiato idea riguardo alla cena» annunciò lei, improvvisamente accorgendosi di aver richiamato l'attenzione della folla di uomini e donne che gremiva il bar e la hall dell'albergo. Il sorriso di Robert la distrasse. «Soltanto riguardo alla cena?» Daisy tossicchiò. «Jennifer non mi perdonerebbe mai se ti scacciassi in una notte come questa quando c'è un letto in più che aspetta soltanto di essere occupato.» Tacque, aspettando che lui sdrammatizzasse la situazione con una battuta. Robert risalì invece le scale e, stringendole la mano, sussurrò: «Perché non ti rivesti mentre prenoto un tavolo?». Rivestirsi? Per un attimo lei non collegò, poi si guardò e trasalì. Santo cielo: stava indugiando in chimono sul ballatoio di un albergo affollato! Chimono e stivaletti slacciati. Oh, grandioso. Senza curarsi di rispondere, girò sui tacchi e corse via. Alle sue spalle sentì un'eco di risate e arrossì. L'ambiente degli antiquari era così piccolo! Quel giorno era riuscita a rovistare i lotti meno pregiati dell'asta senza farsi notare. Con un gesto impulsivo si era messa al centro dell'attenzione, e di lì a trent'anni la gente avrebbe continuato a dire: «Daisy Galbraith? La conosco. Ero a Warbury quando è corsa dietro a un uomo senza niente addosso...». Gli antiquari erano come i pescatori: non rovinavano mai una bella storia attenendosi strettamente alla verità. Si chiuse in camera. Maledizione, perché si era andata a cacciare in quel pasticcio? Di solito era così accorta! Lo era diventata a sedici anni quando si era resa conto di avere due scelte: tenere il cuore sotto chiave o farselo spezzare da Robert Furneval. Perché si era lasciata andare proprio ora? Mentre cercava una risposta, colse la propria immagine nello specchio dell'armadio e rabbrividì. Troppe gambe in mostra, troppo di tutto. E l'imbarazzo aveva colorato ogni centimetro del suo corpo di un terribile rosa che faceva a pugni coi suoi capelli scuri. Il pensiero di scendere nella hall le toglieva il fiato. E se avessero optato per il servizio in camera? No, sarebbe stato anche peggio. Avrebbe Liz Fielding
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significato trascorrere l'intera serata sola con Robert in una camera da letto. Che cosa avrebbero fatto? Di che cosa avrebbero parlato? E poi ci sarebbe stato del disagio quando si fossero cambiati per la notte. Lei era sicurissima che Robert non portasse il pigiama. Se fossero stati dabbasso, Daisy si sarebbe potuta inventare una scusa grazie alla quale salire per prima e farsi trovare a letto con gli occhi chiusi quando lui l'avesse raggiunta. Ma adesso le conveniva affrettarsi, altrimenti Robert l'avrebbe nuovamente sorpresa in déshabillé. Si tolse gli stivaletti e aprì l'armadio. Non c'era molta scelta. Non era una di quelle ragazze che viaggiavano con l'intero guardaroba appresso. Non aveva mai visto la ragione di portarsi più del necessario. Per esplorare Warbury Manor, aveva indossato un paio di vecchi pantaloni, il genere di indumento che non si stropicciava e che, abbinato a una camicetta di seta, le sarebbe tornato utile anche a cena... Perlomeno se lei non fosse stata sorpresa dal temporale e non fosse finita in una pozzanghera. Il che le lasciava soltanto l'elegante tailleur che aveva deciso di sfoggiare all'asta dietro insistenza di George. E le scarpe col tacco di dieci centimetri che aveva comprato per completare il look. Si era addirittura ripromessa, e non senza un certo compiacimento, di distrarre gli altri offerenti accavallando le gambe al momento giusto. Ebbene, li aveva distratti, tutti quanti, e non aveva nemmeno avuto bisogno dei tacchi! Solo coi tempi aveva sbagliato. Ah, che cosa non avrebbe dato per un'anonima gonna grigia e le semplici ballerine con cui aveva tormentato George! Scuotendo il capo, andò a farsi la doccia. Robert non sapeva bene che cosa stesse provando. Confusione, forse. Se non addirittura shock. Aveva lasciato la camera di Daisy in preda alla disperazione più totale. Uno stato d'animo di per sé foriero di guai. Ma poi lei gli era corsa dietro richiamandolo e, quando si era girato, Robert l'aveva vista indugiare sul ballatoio con quel minuscolo chimono che le copriva appena le cosce... Be', con tutta probabilità anche gli altri occupanti del Warbury Arms versavano in stato di shock. A sconvolgere lui, tuttavia, non erano state le gambe. Le aveva viste altre volte, e senza quegli orribili stivaletti. No, era stata la gioia devastante che lo aveva assalito nel valutare le implicazioni di quel ripensamento. Ma poi gli erano ritornate in mente le Liz Fielding
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parole di Michael. C'è un uomo di cui è innamorata da molto tempo... Poteva darsi che Daisy fosse sola quella sera. Forse il suo uomo non si era liberato per tempo. Ma qualcuno c'era. Be', forse non tutto il male veniva per nuocere. L'idea stessa di Robert Furneval innamorato faceva ridere i polli. Invece, per la prima volta in vita sua, avrebbe voluto piangere per la propria incapacità di amare Daisy. Ed ecco che il bisogno egoistico di proteggerla da una delusione sentimentale diventava di colpo grottesco. E va bene. Avrebbe dichiarato la camera mansardata, si sarebbe trattenuto per la notte e le avrebbe dato un passaggio fino a casa. Daisy non si meritava niente di meno. Poi Robert avrebbe fatto ciò che voleva lei e si sarebbe tenuto alla larga fino al matrimonio. Con un po' di fortuna, Fiona, Maud o Diana avrebbero pensato a distrarlo. Considerando la propria incostanza, pensò amaramente, non avrebbe impiegato molto a riprendersi. «Vorrei prenotare un tavolo per stasera» disse all'impiegata della reception. «Per le venti o le ventidue? Faremo doppio turno stasera.» «Le venti andranno...» incominciò. Poi si girò quando la donna di mezza età alla sua destra alzò la voce. «Ma dovete avere una camera! Prenderò qualsiasi cosa. Mi si è rotta l'auto e non c'è modo di farla riparare prima di domani.» Era fradicia, sfinita e chiaramente esasperata. «Può avere la mia stanza, signora» propose Robert. «La ventitré» aggiunse quando l'impiegata lo guardò sorpresa. «Farò a metà con qualcuno.» La donna tentò di ringraziarlo ma lui la interruppe. «Non è un problema. Andrò a recuperare la mia roba e le porterò la chiave.» Non un problema. Non troppo. Perlomeno il suo bel gesto aveva neutralizzato la bugia che aveva raccontato a Daisy. Adesso tutto ciò che avrebbe dovuto fare era affrontarne le conseguenze. Lei aveva lasciato la porta socchiusa. Robert sentì scrosciare la doccia e bussò con forza per farle sapere che era lì. «Posso versarti un drink?» L'acqua si fermò. «Ehm, sì. Grazie. Esco tra un minuto.» «Non c'è fretta.» Gli avrebbero fatto comodo alcuni minuti da solo. Rovistò il minibar, trovò un brandy per Daisy e un whisky per sé, e stava osservando la pioggia che rigava il vetro della finestra quando lei aprì la Liz Fielding
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porta del bagno. «È mio questo drink?» «Brandy. Ti riscalderà.» E si voltò appena. Tanta discrezione si rivelò inutile. Daisy era avvolta in un grande telo di spugna. «Mi porterò questo in bagno» annunciò Robert sollevando il proprio bicchiere. «Non abbiamo molto tempo. Ho detto che avremmo cenato alle venti. Ho pensato che avresti preferito non fare tardi.» Inspiegabilmente si sentì arrossire. «Le venti andranno benissimo.» Lui si chiuse nel bagno e visualizzò per un attimo Daisy che saettava per la camera, vestendosi e truccandosi a tempo di record, così da essere pronta per quando Robert fosse uscito. L'immagine gli strappò un sorriso, e sorseggiò il whisky, tendendo l'orecchio per ascoltare ciò che avveniva nell'altra stanza. Ciò che sentì fu il sommesso clic della forcella mentre lei alzava il ricevitore per fare una telefonata.
7 Martedì sera o mercoledì mattina. Non importa. Quello che importa, invece, è che sono stata stupida. Incredibilmente stupida. Robert è un uomo fatto e finito e la sua auto non teme certo il maltempo, ma io mi sono fatta commuovere, col risultato che ora dormiamo a un metro di distanza l'uno dall'altro! Riesco quasi a toccarlo e c'è un silenzio tale che lo sento respirare. Una vera tortura! E come se non bastasse, tutti verranno a sapere che abbiamo trascorso la notte insieme! Daisy fissò la porta del bagno dietro cui era scomparso l'unico uomo che mai avesse amato. Di lì a un attimo avrebbe sentito la doccia scrosciare e non avrebbe pensato ad altro che a Robert. Robert nudo sotto il getto, con l'acqua che gli scorreva sulla pelle... Sollevò il telefono in cerca di una distrazione qualsiasi. «Ciao, Daisy.» George Latimer rispose al secondo squillo. «Tutto bene?» «A parte la pioggia, sì.» «Nessun problema, allora?» Lei esitò. «Non un problema, esattamente...» Liz Fielding
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«Be', se non è un problema, di che cosa si tratta esattamente!» Esattamente si trattava di Robert Furneval, che al momento era nudo nel suo bagno e insieme al quale lei avrebbe dormito quella notte. Be', non insieme, ma nella stessa camera. Il che era esattamente il problema. «Be', George, credo di aver individuato qualcosa di davvero speciale.» «Mmh... Dubito che sia autentico» sentenziò l'antiquario quando Daisy gli ebbe parlato del piatto che aveva trovato tra le stoviglie di Warbury Ma nor. «È facile farsi trasportare.» Farsi trasportare? Era l'ultima persona al mondo che si facesse trasportare! Repressione era il suo secondo nome. Il che spiegava perché non si trovasse anche lei nuda e nella doccia al momento. «Scoperte del genere sono rarissime ormai.» La voce di George la riportò alla realtà. «Ma non impossibili, no?» insistette. Aveva sentito di ciotole inestimabili che erano state riscoperte dopo aver conosciuto gli impieghi più modesti. «Non impossibili» ammise George. Ma il suo tono era scettico. «Non lasciare tuttavia che il desiderio di gloria offuschi il tuo buonsenso.» «Pensi che dovrei farci una croce sopra?» «A meno che tu non voglia una scatola di stoviglie. Sei una professionista, non una cacciatrice di occasioni.» «Ma se avessi ragione?» «Perché mi chiami, Daisy? Non posso autenticare una porcellana per telefono. Decidi tu.» Lei non lo aveva chiamato per consultarlo sull'autenticità del piatto. Non era il suo dilemma. Sapeva ciò che aveva visto. «Non ti ho telefonato per questo. Mi chiedevo solo se avvertire gli organizzatori.» «Potresti. Ma non te lo consiglio. Se hai ragione tu, faranno la figura degli incompetenti. Non ne saranno felici e certo non lo dimenticheranno. E nemmeno gli altri. Verrai seguita a tutte le aste da stuoli di giornalisti, antiquari e curiosi. Naturalmente, nell'eventualità di un abbaglio, sarai tu a pagarne le conseguenze e tutti rideranno di te e della Latimer Gallery.» «E il venditore?» «Sei un'antiquaria, Daisy» borbottò George. «Se gli organizzatori si sono lasciati sfuggire qualcosa, non è colpa tua. Ma adesso dimmi, i lotti di cui abbiamo parlato promettono bene?» Daisy lo aggiornò, poi riappese e si accorse di aver raggiunto lo scopo. George l'aveva distratta. Anzi, la sua condiscendenza l'aveva irritata. Incominciò ad asciugarsi. Avrebbe comprato l'intero lotto di stoviglie e Liz Fielding
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avrebbe chiesto a Latimer di esaminarlo. Se si fosse sbagliata, pazienza, avrebbe rivenduto tutto a un rigattiere. E se il piatto fosse stato autentico, be'... non avrebbe pestato i piedi a nessuno con la sua scoperta, quindi non ci sarebbero stati problemi. Era seduta davanti alla toletta in sottoveste nera e col rossetto in mano quando si aprì la porta del bagno. «Sei coperta?» Non particolarmente. Aveva pensato di farsi trovare pronta e vestita di tutto punto per l'ora in cui Robert fosse emerso dal bagno. Ma questi avrebbe riso di tanta modestia, e dopo che George aveva messo in dubbio il suo fiuto, Daisy non aveva voglia di farsi ridere dietro. «In rapporto alla mia recente apparizione nella hall in chimono e stivaletti, direi di essere vestitissima.» Quando non ci fu risposta, si girò. Robert era appoggiato allo stipite. Portava un telo di spugna intorno ai fianchi e nient'altro. Nemmeno un sorriso. Be', tanto meglio così. Salvo che i capelli bagnati e quel puntino di schiuma da barba sul mento conferivano un'intimità insopportabile alla sua presenza nella stanza. Era passato molto tempo da quando Daisy aveva visto Robert a dorso nudo e gli anni lo avevano soltanto migliorato. Il torace si era irrobustito ed era scolpito come una statua greca. Le spalle erano più ampie e le braccia muscolose. Era il corpo, all'epoca solo abbozzato, del giovane dio di cui si era innamorata da adolescente, e per un attimo le mancò il fiato. Poi, quando lui continuò a tacere, deglutì e ritrovò la voce. «Che cosa c'è?» «Non pensavo che tu fossi il genere di ragazza a cui piace la lingerie nera.» «Sul serio?» Daisy si buttò sul sarcasmo. «Be', che cosa te ne pare?» In realtà preferiva non saperlo e, prima che Robert potesse rispondere, aggiunse: «Buffo. Io non ho mai pensato alla tua biancheria». Bugiarda! Ci hai pensato eccome. Boxer di cotone neri. O slip aderenti e neri... Distogliendo lo sguardo, finì di ritoccarsi le labbra, poi si alzò e andò verso l'armadio. Conscia di Robert che osservava ogni sua mossa, tirò fuori il tailleur, si infilò la gonna e se l'allacciò. Era corta. Troppo corta. Si sentiva nuda. Indossò la giacca corta alla vita e, per darsi tono, controllò il contenuto della borsetta. Finalmente Robert si mosse, aprì la sua sacca da viaggio e tirò fuori una camicia bordeaux e una cravatta. Lei trattenne il fiato. Era un tipo da boxer. Ma li portava bianchi. Sorprese da entrambe le parti, quindi. Lui si Liz Fielding
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ritirò in bagno. Nell'intimità del bagno, Robert espirò piano. Aveva dubitato quando Mike aveva detto che sua sorella era una donna fatta e finita. Mike doveva aver pensato che fosse stupido. O cieco. O entrambe le cose. Santo cielo, dove era stato lui mentre Daisy cresceva? Perché non si era accorto di com'era cambiata? Perché non l'aveva mai vista sotto quella luce? O forse non aveva guardato... O forse lei non aveva voluto che Robert vedesse. No. Quello era ridicolo. Tuttavia, non si poteva negare che Daisy avesse una sorta di doppia personalità. Da un lato, era la ragazza semplice e cordiale che lui aveva sempre conosciuto e in aiuto della quale era accorso a Warbury. L'amica che gli aveva fatto compagnia a pranzo ogni volta che Robert si era ritrovato senza fidanzata. Ma, a quanto pareva, c'era anche un'altra Daisy. Elegante, misteriosa e sexy. La mora che si era data il rossetto davanti alla toletta in lingerie nera sapeva esattamente ciò che stava facendo. Era una creatura dalle spalle vellutate e dal seno alto e piccino, che per una volta non era nascosto da indumenti informi, bensì valorizzato da un velo di pizzo nero. Era una donna con un amante segreto. Una donna che non aveva bisogno di protezione. Gli tremarono le dita mentre si abbottonava la camicia. Accidenti, non sarebbe mai dovuto venire. Ma non c'era altro da fare ormai e, a meno di non sfidare la pioggia torrenziale, lì sarebbe dovuto rimanere. Forse la pioggia sarebbe stata più sicura. Il tuono assordante che squarciò la quiete serale smentì quell'ipotesi, e Robert non era pazzo. Non proprio. Tuttavia, si attardò nel bagno. Fino a quel momento, non aveva mai dovuto pensare a ciò che avrebbe potuto dire a Daisy. La conversazione era fluita libera e leggera. Ora, si chiedeva quali argomenti affrontare. Già, di che cosa avrebbero parlato? Del matrimonio, si disse Robert. Avrebbero potuto parlare del matrimonio. No. Oh, santo cielo, no. Niente fiori d'arancio e discorsi svenevoli. Gli avrebbero ricordato soltanto ciò che lui non avrebbe mai potuto avere. Ciò che non aveva mai voluto... fino a quel momento. Un argomento neutro. Ecco ciò di cui aveva bisogno. E inspirando a fondo, uscì dal bagno. «Bene» esclamò mentre si infilava la giacca. «Visto Liz Fielding
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che domani verrò all'asta, dovrai educarmi. Non voglio ripartire con un pappagallo impagliato sotto il braccio.» Daisy rise mentre lui apriva la porta della stanza e le faceva segno di passare. «Credevo che fossi già stato a un'asta.» «Infatti. Avevo sette anni e mio padre mi fece sedere con le mani sotto le gambe tutto il tempo.» «Tuo padre? È un collezionista anche lui? Jennifer non me ne ha mai parlato.» «Solo perché non lo è. È uno storico. Si occupa di storia sociale e il suo interesse era accademico Sai, curiosare nella vita di quelle famiglie che avevano abitato per generazioni nello stesso posto Ha incontrato la mamma a un'asta.» «Ah, sì?» Robert non nominava mai il padre e lei annaspò in cerca di parole. «Devi esserti annoiato a morte» mormorò infine. «No.» Avere il padre per sé tutto il giorno lo aveva ripagato dell'agonia di stare zitto e seduto. «Mi ha portato fuori a pranzo, mi ha dato un bicchiere di vino annacquato e mi ha permesso di mangiare ciò che volevo.» E aveva flirtato con una delle graziose cameriere. Si accorgeva adesso, col senno di poi, che il padre si era recato in quel ristorante proprio per incontrare la cameriera in questione. Aveva permesso al figlio certe libertà solo allo scopo di distrarlo. «Lo vedi mai?» «Mio padre? Ogni tanto. Quando rimane senza fidanzata incomincia a pensare che mia madre sia l'unica donna che abbia amato sul serio, così mi invita fuori e cerca di convincermi a portare anche lei.» «E tu lo assecondi?» «Non ce n'è motivo. La sua capacità di concentrazione è pari a zero quando si tratta di donne. Se gli fosse importato abbastanza, si sarebbe fatto avanti da solo.» Si voltò quando raggiunsero le scale. Era un'impressione sua, oppure Daisy sembrava più alta del solito? Guardando in basso, si rese conto di non sbagliare. Daisy portava tacchi vertiginosi. Janine aveva sfoggiato scarpe come quelle. Erano costate una fortuna, ma lei le aveva considerate come il più sexy degli accessori e Robert aveva dovuto darle ragione. Ma quella era Janine e questa era Daisy. Daisy, che portava ballerine e jeans oppure gonne lunghe e stivaletti. Daisy, che si legava i capelli. Perlomeno in sua presenza. Sussultò. «Che cosa ne è stato degli stivaletti?» Liz Fielding
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«Li ho messi ad asciugare» rispose lei. E seguendo il suo sguardo, si fissò le scarpe. «George ha insistito per i tacchi. Vuole che li usi per distrarre la concorrenza.» «Con me funziona.» «Oh, questo è niente.» Rise. «Aspetta di vedere quando incrocio le gambe! Ho fatto le prove davanti allo specchio.» Una ruga gli solcò la fronte. «Vuoi proprio dare scandalo stasera?» «È un'idea. Se mi spaccio per una bella vamp mora, nessuno di questi famosi antiquari mi prenderà sul serio, domani.» «Non vuoi essere presa sul serio?» «Non domani. E non stasera. Mi aiuterai?» Robert esitò. «Se posso. Che cosa avresti in mente?» Pensa, pensa! «Be', hai conosciuto un sacco di ragazze, tu.» «Mi stai dicendo che sono un esperto di stupide vamp more, magari anche svampite?» «Non sia mai!» protestò Daisy ammiccando. «Trovo anzi che Janine fosse piuttosto sveglia.» «Solo piuttosto?» «Be', abbastanza sveglia da sparire al momento opportuno» riconobbe lei. «Ma se fosse stata davvero intelligente, a quest'ora starebbe organizzando il proprio matrimonio. No?» Robert la guardò e rise. «Sei maledettamente acuta, Galbraith.» «Zitto, è un segreto!» E calandosi nel ruolo della svampita, Daisy ridacchiò. «Ehi, non strafare» consigliò lui. «O sembrerai una gallina più che una vamp...» «Lo terrò a mente.» Era già meglio. Si stavano punzecchiando di nuovo, e questo la rassicurò alquanto mentre attraversavano la hall. «Temo che non avrai tutta l'attenzione che meriti» osservò Robert poco dopo. Aveva ragione. La folla si era diradata, adesso che gli ospiti si erano ritirati in camera o in sala da pranzo. «Non c'è che una soluzione» ribatté Daisy spavalda. «Ordineremo champagne. Lo schiocco del tappo richiama sempre l'attenzione.» A riprova, fece schioccare le dita e alcune teste si girarono. «Sei stanca e affamata. Potrebbe darti alla testa.» «Magari!» proruppe lei. Liz Fielding
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Daisy era così col suo amante? Vivace? Provocatoria? Robert si vergognò dei propri pensieri. Ma non poteva farci niente. Era a quell'uomo misterioso che la ragazza aveva telefonato quando lui si era chiuso in bagno? Lo aveva chiamato per dirgli di non venire? Sospirando, lasciò che il maitre li scortasse a un tavolo d'angolo. «Gradisce la lista dei vini, signore?» Ma Robert scosse il capo. «Porti soltanto una bottiglia di Bollinger.» Consultò il menu. «E prenderemo le crespelle ai funghi con...» Ritrovò il buonumore. «... con l'anatra all'arancia.» «Ehi!» esclamò Daisy quando l'uomo si fu allontanato. «Preferisco ordinare da sola.» «Sei una svampita, ricordi? E le svampite amano dipendere dai loro cavalieri.» «Non sembra divertente.» «Ma può esserlo, credimi» fu l'ambiguo commento. Il cameriere aprì la bottiglia con gesti calibrati e il tappo sgusciò via senza rumore. Ma alcuni avventori si voltarono comunque e sorrisero nell'immaginare qualche occasione festosa. «Eccoti lo champagne» osservò Robert mentre alzavano i bicchieri. «Adesso bisogna brindare.» «A che cosa?» «Scegli tu.» «Va bene. A una grossa vincita, allora!» «Una patita della lotteria, eh?» commentò lui. «Già. Punto sempre qualcosa con George.» «Non l'avrei mai detto. Ma dimmi, che cosa ci faresti con tutti quei soldi?» «Senz'altro il giro del mondo. In nave, però.» «In nave?» Era sorpreso. «Come mai?» «Ho paura di volare. E tu? Che cosa ti compreresti se vincessi una grossa somma?» «Non gioco mai alla lotteria.» «Non importa. È solo una fantasia. Buttati.» Robert si sforzò. Doveva pur volere qualcosa! Qualcosa di così costoso da richiedere una vincita milionaria. Ma c'era soltanto una cosa che desiderava. Non lo aveva saputo o, per meglio dire, non ne aveva mai sentito la mancanza prima di quella sera. Ma la capacità di amare una Liz Fielding
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donna con tutto il cuore e per tutta la vita... be', non era qualcosa che il denaro potesse comprare. «Un'isola tropicale» improvvisò. «Uno yacht.» Patetico. Cercò di ridere. «Una squadra di calcio.» Vide la delusione negli occhi di lei. Senz'altro lo considerava uno stupido. Ma dirle la verità sarebbe stato impossibile. «Non è giusto. Tu hai avuto più tempo per pensarci!» Robert stava mentendo. Per un attimo Daisy aveva scorto qualcosa nei suoi occhi, un desiderio così intenso da risultare inesprimibile. Lei gli avrebbe chiesto volentieri di che cosa si trattasse. Ma conosceva la profondità di quel desiderio nascosto. Sapeva che Robert avrebbe finto di non sapere ciò di cui Daisy stava parlando. Al posto suo, lei avrebbe fatto altrettanto. Allungandosi, gli sfiorò la mano. «Me lo dirai un'altra volta.» E sorrise al cameriere che, nel frattempo, era arrivato con le loro ordinazioni. La cena si svolse in silenzio, e Robert ne subì il peso. Non era abituato a certe pause nella conversazione, non con Daisy. E senz'altro non era la mancanza di argomenti a bloccarlo. Si sentiva pieno di parole e moriva dalla voglia di tirarle fuori. E se lo avesse fatto? Lei lo conosceva meglio di chiunque. Non lo avrebbe preso sul serio. Peggio ancora, poiché lo conosceva così bene, si sarebbe offesa... Tuttavia Robert voleva farle capire quanto tenesse a lei. «Che cosa ne dici di questo?» esclamò all'improvviso. «Se vincessi alla lotteria, comprerei un torrente scozzese pieno di salmoni. E un cottage. E due canne. Una per me e una per te!» Daisy alzò gli occhi dal piatto. «Non mi freghi. i porteresti con te solo per i miei panini!» Era convinta di sapere tutto di lui. Be', tanto valeva farglielo credere. «Perché no? Sono fantastici.» Sorrise mentre le cercava la mano. «Verresti a pescare con me?» chiese poi. Lei sorrise. «Vinci alla lotteria e lo saprai. Ma spicciati. Perché se vincerò io per prima, mi imbarcherò...» «Ma guarda, non è commovente? Daisy e Robert che si tengono per mano! E che pasteggiano a champagne, niente di meno. C'è qualcosa che non avete detto al vecchio Monty?» Daisy ritrasse la mano. «Monty! Che cosa diavolo ci fai qui?» «Devo scrivere un pezzo sull'asta» raccontò l'altro, chinandosi a baciarla. «Ero certo di trovarti qui.» Tossicchiò. «Perlomeno ci speravo. Liz Fielding
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Non ti ho ancora ringraziata per l'aiuto che mi hai dato alla festa.» «Nessun problema» ribatté lei. Era felice di cambiare argomento. E Robert non la biasimava davvero. Quasi gli sembrava di vedere le antenne del giornalista drizzarsi in vista di una storia succulenta. «È stata una bella festa.» «Non per Nick. Quel poveretto si è visto soffiare la ragazza dei suoi sogni.» Monty rise. «Sei perfido, Robert.» Lui era troppo furbo per farsi provocare. «Stavo soltanto proteggendo un'amica.» «Che devozione. O forse hai ereditato l'occhio di tua madre per le cose belle?» Monty era così bravo con le parole. Qualsiasi replica si sarebbe prestata a pericolose strumentalizzazioni. «Sono qui per firmare un assegno. Mia madre ha chiesto a Daisy di esaminare un pezzo e possibilmente di comprarlo.» «Capisco» commentò il giornalista. «Be', la mia trota si sta raffreddando. Continuate pure ad amoreggiare, voialtri. Ma raggiungetemi più tardi al bar per un drink. Così potrete raccontarmi tutto.» Robert lo guardò allontanarsi. «Ficcanaso» borbottò sottovoce. «Ah, Monty non è male» protestò Daisy. «Solo un po' sciocco. Ma che cosa ci fa qui? Non si occupa di arte. Tiene una rubrica di pettegolezzi.» «Sì, quest'asta è l'ultimo sussulto di una dinastia in declino. Speriamo che sia troppo impegnato coi Warbury per dedicare un trafiletto a noi.» «Oh, ma...» Le venne da ridere. «Non oserebbe mai!» «È un pettegolo di professione, cara. Non ci conterei troppo.» Robert stava aspettando quando Monty entrò nel bar dell'albergo un'ora dopo. «Sei solo, vecchio mio?» «Daisy ha avuto una giornata lunga» spiegò lui ordinando un brandy. «Sono sicuro che avrai modo di parlarle domani se il crollo di una dinastia non ti terrà troppo occupato.» «No. La storia è ben documentata e già scritta. Sto solo cercando qualche nota di colore. Sai, la folla che spolpa le ossa e via dicendo... Conosci il genere.» «Dovresti trovare abbastanza materiale da riempire la tua rubrica.» Monty si fece versare un whisky. «Se è un'allusione al fatto che Liz Fielding
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preferiresti non leggere il tuo nome sul giornale...» «Non m'importa di me. Spero che a te importi abbastanza di Daisy da non comprometterla.» «Ho già controllato con l'impiegata della reception.» «Allora saprai che ho prenotato una stanza singola.» «So anche che l'hai ceduta a una signora in difficoltà.» Il giornalista trangugiò il liquore. «Potrei sbagliare, ma non credo proprio che dormirai in macchina. Una notte così piovosa!» Robert non rispose. «No, non credo. Non conosci un bravo fiscalista, per caso? Qualcuno che non chieda troppi soldi?» Lui si rilassò di colpo. «Sono certo che potrei trovare qualcuno. Per un amico.» Monty non parve avvertire il suo tono sarcastico. «Grazie. Ce ne beviamo un altro?» Chiamò il cameriere. «A dire il vero, non sono veramente sorpreso.» «Riguardo a che cosa?» «Te e Daisy. Oh, faccia pure un altro giro, offre lui.» Si voltò verso Robert. «No, ci stavo pensando a cena. Be', tu torni sempre da lei, no? Perdi la testa per qualche bellona, ma non dura mai. E poi ecco che di colpo rispunti a teatro o da qualche parte, e la ragazza al tuo fianco è Daisy. Di nuovo.» «Non ti seguo.» «Allora non sei intelligente come credevo.» E Monty sollevò il bicchiere che il cameriere aveva provveduto a rabboccare. «Cincin!» «Daisy?» Non ci fu risposta e, nella fioca luce dell'abatjour tra i due letti, Robert vide che la ragazza stava dormendo. Giaceva sul fianco, col viso premuto contro il cuscino e una raggerà di fili castani tutt'intorno. Aveva desiderato rassicurarla riguardo a Monty ma non c'era motivo di svegliarla. L'avrebbe ragguagliata l'indomani. E allentandosi la cravatta, osservò il lento movimento della sua respirazione. Monty si sbagliava. Erano amici, tutto lì. Erano sempre stati amici. Sin dall'infanzia... Daisy sembrava ancora una bambina. Le sue labbra erano schiuse a rivelare il candore dei denti, e la pelle aveva lo splendore dell'aurora. Robert si sporse, volendo sfiorarle una guancia, e per un attimo le sue dita Liz Fielding
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le indugiarono sul viso. Daisy appariva intatta, splendente, e qualcosa dentro di lui si contrasse. Non voleva che le accadesse niente di male. Sapeva che avrebbe fatto di tutto per evitarlo. La sua mano si chiuse a pugno. E indietreggiando, andò in bagno a svestirsi, disgustato all'idea che, mentre la sua mente accarezzava i nobili ideali dell'amicizia, il suo corpo perseguiva intenti ben più bassi e carnali.
8 Mercoledì 29 marzo. Non ho chiuso occhio. Nemmeno per un minuto. Alla fine mi sarei anche potuta appisolare, stavo fingendo egregiamente di dormire quando Robert è venuto a letto, ma poi lui mi ha sfiorato una guancia e sono stata lì lì per tradirmi. Se non si fosse spostato subito... Quando Daisy sgusciò fuori del letto, Robert dormiva ancora. Giaceva supino, con le lenzuola intorno ai fianchi. Sembrava così giovane e forte, come se gli anni fossero volati via, e lei avrebbe voluto toccarlo, come aveva fatto lui la sera prima. Allungò la mano, poi si ritrasse. Meglio lasciarlo dormire e vestirsi in santa pace. Portò i propri abiti in bagno e si fece la doccia. Poi, preparò una tazza di tè e la posò sul comodino accanto a Robert. Per un attimo restò ferma dov'era, godendosi il piacere di quell'inaspettata intimità. «Ciao» sussurrò. E quando una lacrima scese a rigarle il viso, si chinò a baciarlo sulla guancia. Lui non si mosse. Be', non c'era proprio ragione di svegliarlo. Girandosi, Daisy lasciò la stanza. Il telefono svegliò Robert. Cercò a tentoni l'apparecchio sconosciuto e rovesciò una tazza, spargendo una cascata di tè freddo sul comodino. Imprecando sommessamente, sollevò infine il ricevitore e borbottò: «Furneval». In sala da pranzo si respirava un clima di soffusa eccitazione mentre antiquari e collezionisti si riunivano per la colazione. Daisy andò al buffet. La sola idea di mangiare la stomacava, ma aveva bisogno di trangugiare almeno una spremuta o non sarebbe arrivata all'ora di pranzo. Monty arrivò prima di lei alla caraffa. «Qua. Lascia che ti serva io. Robert dorme ancora?» chiese lui. E Liz Fielding
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quando Daisy arrossì, aggiunse: «Non ti preoccupare, non parlerò». «Non c'è niente di cui parlare, Monty.» «No? L'ha detto anche Robert.» Il giornalista rise. «Ma era comunque pronto a comprare il mio silenzio.» «Comprare il tuo silenzio?» Quanto poteva valere una reputazione nel Duemila? «Via, non vorrai che ci creda! Sai benissimo che io e Robert siamo soltanto buoni amici...» «Sul serio?» Il giornalista le riempì il bicchiere. «Non sapevo che fosse una cosa così seria!» «... e nessuno avrebbe mai mandato via qualcuno in una notte da lupi come quella.» Daisy depose il bicchiere prima di rovesciarne il contenuto e studiò il buffet. «Nemmeno tu.» Scelse uno yogurt al naturale e, poiché sapeva che scantonare non sarebbe servito a nulla, si girò verso Monty e concluse: «Puoi anche cercare di convincermi che sei un mostro di cattiveria. Ma io so bene che non è vero». «Oh, diavolo» sbuffò l'altro. E sorrise come uno scolaro birichino. «Non lo dirai a Robert, vero? Ha promesso di procurarmi un fiscalista a buon mercato.» Be', quello forniva una risposta alla sua domanda. Una reputazione in cambio delle prestazioni di un fiscalista. Era un bene che Daisy non avesse un'immagine gonfiata dei propri meriti. Ridendo, scosse il capo. «Il tuo segreto è al sicuro con me. Non dirò nulla se non sarai tu a farlo.» Stava sognando. Prima che il telefono squillasse. Stava sognando Daisy. Dopo il brusco risveglio, quando si era tardivamente ricordato dove fosse e con chi si trovasse, si era girato, aspettandosi di vederla sotto le coperte come un topolino, riluttante ad affrontare una giornata fredda e piovosa. Ma la pioggia si era fermata in un punto imprecisato della notte, il sole filtrava attraverso le tende... e il letto di Daisy era vuoto! Qualcosa lo indusse a toccarsi la guancia. Era umida e, quando si guardò le dita, notò una traccia di rosso. Riconobbe il colore. Era il rossetto che Daisy si era data la sera prima. Il colore infranse il sogno, e Robert ricordò il bacio con cui Daisy lo aveva salutato. Nessun sogno, allora. «Daisy?» La porta del bagno era socchiusa e la valigia della ragazza sostava davanti alla porta. «Dannazione!» Robert gettò via le coperte e controllò comunque il bagno. Soltanto allora gli venne in mente di consultare l'orologio. Erano quasi le nove. Liz Fielding
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Aveva impiegato ore ad addormentarsi, ore in cui era rimasto ad ascoltare il respiro di Daisy, lunghe ore in cui si era arrovellato nel tentativo di chiarire il mistero. E la carognetta lo aveva lasciato dormire. Guardò la propria immagine nello specchio sopra il lavabo. La guancia era ancora sporca di rossetto. E quello strano umidore... Portandosi le dita alle labbra, Robert avvertì l'inconfondibile sapore del pianto. Daisy si lisciò la gonna del tailleur. Il rosso, decise, le donava. E senz'altro non avrebbe fatto sfigurare la galleria apparendo sciatta. Nervosa, magari. Ma non sciatta. Perlomeno aveva smesso di piovere. Il sole brillava e, poiché Monty le aveva dato uno strappo al maniero, lei non si era nemmeno dovuta infangare le scarpe nuove. Monty andò a guardare le glorie e gli sprechi dei Warbury mentre Daisy si registrava tra gli offerenti, ritirava il proprio numero e dava un'ultima occhiata agli oggetti che si augurava di poter acquistare. Superò anche con noncuranza la panca su cui erano allineate le scatole con i lotti di stoviglie, guardando appena quello a cui era interessata lei. Quando entrò nel padiglione riservato all'asta, inquadrò Robert. Non sembrava contento. Robert aspettò che Daisy entrasse nell'ampio padiglione temporaneo che era stato eretto davanti a Warbury Manor in vista dell'asta. C'erano decine di persone che entravano a reclamare i posti migliori. Ma, malgrado la folla, lei spiccava come una rosa tra i papaveri. Fino a una settimana prima, Robert avrebbe detto di sapere tutto ciò che c'era da sapere su Daisy Galbraith. Si era sbagliato. Era adesso evidente che non sapeva nulla di lei. Quella donna, quell'incredibile visione, era una sconosciuta, una sconosciuta di rosso vestita che, in altre circostanze, lui avrebbe fatto di tutto per conoscere. Le andò incontro. «Avresti dovuto svegliarmi» esordì brusco. Daisy fece spallucce. «Sembravi così beato che non ho avuto cuore di disturbarti. Qual è il problema? Hai saltato la colazione?» La sua insolenza contrariò Robert, così come l'immagine sexy, che sembrava tanto più palese alla luce del giorno. Non gli piaceva. Preferiva la ragazza acqua e sapone che aveva contemplato nel sonno la sera prima. Una ragazza che non avrebbe mai portato quella nuance di rossetto. Il rossetto, tuttavia, incantò anche lui. L'idea che Daisy lo avesse baciato Liz Fielding
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mentre dormiva gli provocò un'ondata di calore innaturale che spazzò via la contrarietà. «La colazione era l'ultimo dei miei pensieri. Ha telefonato tua sorella.» «Sarah?» Una ruga le solcò la fronte. «Come mai?» «Non ne ho idea. Aveva troppa fretta di chiudere la conversazione e spargere la notizia che avevo trascorso la notte con te per lasciare un messaggio.» «Gliel'hai detto tu?» domandò lei sussultando. «Che avevi trascorso la notte con me?» «No. È una conclusione a cui è arrivata da sola sentendo la mia voce. Dormivo quando ha squillato il telefono, altrimenti non sarei stato così stupido da rispondere. Per questo avresti dovuto svegliarmi.» «Oh, santo cielo» mormorò Daisy. «Mi dispiace.» Lui la fissò stranito. «Perché ti stai scusando?» «Be', sembri comprensibilmente irritato. Credo non sia il tipo di pettegolezzo che possa giovare alla tua immagine.» «La mia immagine?» Quale immagine? Di che cosa diavolo stava parlando? «Alla tua non pensi?» Lei ci rise sopra. «Ma io non ho un'immagine, Robert. Be', non quell'immagine, comunque.» Esitò. «Anche se suppongo che un pettegolezzo del genere potrebbe fornirmene una... Senti, va bene se ci sediamo finché c'è ancora posto? Ecco, laggiù.» Lo tirò per la manica. «Non ti preoccupare» continuò mentre si accomodavano. «Chiamerò Sarah e le spiegherò tutto.» «E speri che ti creda?» «Perché no? Lei avrebbe fatto lo stesso per un amico in difficoltà.» Un breve ragionamento e persino sua sorella avrebbe dovuto ammettere che Daisy e Robert Furneval formavano un'accoppiata a dir poco improbabile. «Non avrei ragione di mentirle.» E l'amante di Daisy? si chiese lui. Come l'avrebbe presa? Al posto suo, Robert non sarebbe stato così fiducioso. «Se la scelta fosse stata tra dividere una camera con Sarah e il diluvio, avrei scelto il diluvio» sbottò. «In effetti è molto loquace.» «Be', ti assicuro che stamane non lo era affatto.» Ci risero sopra finché non ebbe inizio l'asta. «Possiamo andare?» chiese Robert un paio di ore dopo, quando Daisy Liz Fielding
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ebbe battuto i concorrenti e si fu aggiudicata l'ultimo articolo del suo elenco. «Tra un attimo.» «Credevo che avessi finito.» «C'è ancora una cosa. Una scatola di stoviglie.» «Una scatola di stoviglie?» ripeté Robert incredulo. «E come diavolo contavi di portarla a casa in treno?» Lei arrossì. «Mi riaccompagni tu, no?» «E se non fossi venuto?» «Oh, be', in qualche modo mi sarei arrangiata.» Il che rispondeva alla domanda su chi avesse chiamato la sera prima. Il suo amante, naturalmente. Per dirgli di non venire. Robert aveva sperato di scoprirne l'identità al momento di saldare il conto dell'albergo ma Daisy lo aveva preceduto. «Sì, certo che ti saresti arrangiata...» «Senti, perché non vai a prenderti un caffè? Non ci metterò molto.» «No, ti aspetto.» «Allora, per l'amor del cielo, smettila di sventolare il tuo numero o ti ritroverai con una pila di padelle arrugginite. Qua, dallo a me.» Lui le consegnò il talloncino e la guardò contendersi svogliatamente con gli altri offerenti lotti su lotti di vecchie stoviglie. «Che cosa diavolo stai facendo? La vuoi, quella roba, o no?» «Al prezzo giusto.» Daisy mostrò il numero di Robert quando iniziarono le offerte per l'ennesima scatola di porcellane ammuffite. Alzò l'offerta una volta e poi un'altra ancora. Il suo rivale, seduto sull'altro lato del padiglione, raddoppiò l'importo. Lei parve perdere interesse ma, poi, proprio mentre il lotto veniva battuto, sollevò il talloncino e al tempo stesso incrociò adagio le gambe. Per il momento in cui il suo concorrente si fu riavuto dallo stupore, il lotto era suo. «Ecco, ho fatto!» annunciò trionfante. «Andiamo a formalizzare l'acquisto.» «Sono scioccato» proruppe Robert. «È stata la più spaventosa manifestazione di astuzia femminile che mai mi sia capitato di vedere.» «Non ci credo. Tra l'altro, è da stamane che quello mi sbava dietro.» «Che cosa pretendi con una gonna così corta e quelle autoreggenti nere che...!» «Sono collant. Le autoreggenti sarebbero state volgari.» «Mi fa piacere sentirtelo dire.» La prese per un braccio quando si staccò Liz Fielding
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da lui. «Si può sapere che cosa ti passa per la testa?» «A me? Niente!» Gli restituì il talloncino. «Va' a pagare il tuo conto, Robert. L'ultimo lotto è stato battuto per te.» Lui fece per protestare. Poi si rese conto che gli sfuggiva qualcosa, così tirò fuori il libretto degli assegni e andò a pagare una scatola di vecchie stoviglie. «E adesso?» «Adesso va' a prendere l'auto e carica quella scatola sul sedile posteriore. Ti ho appena procurato il regalo di compleanno che cercavi.» «Che cos'è?» Robert aveva portato la scatola nell'appartamento di Daisy e ora stava guardando il piatto sudicio e non particolarmente esaltante che la ragazza teneva in mano. «Un piatto Kakiemon del diciassettesimo secolo. Viene dal Giappone.» «Scherzi?» «No.» Lo posò sul tavolo di cucina. «Non ne sono stata sicura finché non l'ho toccato. Ma è senz'altro autentico.» «Non lo vorrà George Latimer?» «George ha avuto la sua occasione ma ha pensato che io avessi le traveggole. Tra l'altro, non c'è ragione per cui debba averlo George. Te lo sei aggiudicato tu: è scritto nero su bianco. Hai fatto l'offerta, lo hai pagato.» «Avresti potuto dirmelo» bofonchiò lui. «C'era la possibilità che mi fossi sbagliata, nel qual caso ti avrei rimborsato per poi rivendere le stoviglie a un rigattiere.» Ogni aspetto era stato preso in esame. «A proposito di rimborsi, dobbiamo dividere il conto dell'albergo.» «Non occorre. Tanto, pagherà la galleria. E non c'è stato nessun addebito extra per il tuo pernottamento. Non capisco perché. L'impiegata della reception mi ha detto che, date le circostanze, nulla era dovuto.» Si accigliò. «Quali circostanze?» «Non saprei» mentì Robert. E indicando il piatto, aggiunse: «Devo andare. Me lo avvolgeresti in un pezzo di carta?». «Mmh, sì. Cioè, no. Lasciamelo, così te lo pulirò. E farò anche il pacco.» «Grazie. Sei sicura di non volerlo tu?» «No. Mi piace molto, certo, ma non ne faccio una passione. Lo avrei comunque dato a Jennifer come ringraziamento. Ho scoperto solamente da poco che è stata lei a farmi assumere da George.» «Allora, sarà un regalo da parte di entrambi. Il suo compleanno è domenica prossima. Ti va di venire con me? Sempre che tu non sia Liz Fielding
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occupata, s'intende...» Quando lei gli gettò un'occhiata, mormorò: «Be', che cosa c'è?». «Niente» fece Daisy. «Ma è la prima volta che mi chiedi se sono occupata. Di solito parti dal presupposto che non lo sia.» Era veramente così insensibile? Be', non più. Era l'ultima volta che avrebbe dato per scontata Daisy Galbraith! «Nessun presupposto. Te lo domando perché ti vorrei con me.» «Devo ammettere» mormorò lei dopo una lieve esitazione, «che mi farebbe piacere essere presente quando Jennifer aprirà il pacco. Ma non venirmi a tirare giù dal letto alle sette e mezzo. Sabato c'è l'addio al nubilato di Ginny. Chissà come sarò stordita domenica mattina!» «Noi uomini festeggiamo venerdì.» «Attenti a non farvi arrestare. Ginny non ve lo perdonerebbe mai.» «Faremo i bravi, promesso. E tu... be', divertiti.» Robert si fermò sulla soglia, pensando al bacio tenerissimo che si erano scambiati l'ultima volta. Ma non c'era stata premeditazione allora. Adesso sarebbe stato diverso e, mentre esitava, Daisy lo baciò in fretta sulla guancia e richiuse la porta. Daisy sospirò a fondo. Separarsi da Robert, constatò, stava diventando sempre più difficile. Il telefono incominciò a squillare. Lei non avrebbe voluto parlare con nessuno ma si staccò dalla porta e andò a rispondere, notando la spia lampeggiante della segreteria telefonica. Immaginava chi potesse averla chiamata. Sua sorella, sua madre, George... «Pronto?» «Daisy, è la quinta volta che provo!» «Scusa, mamma, sono appena tornata da quell'asta a Warbury Manor.» «È stato un viaggio proficuo?» «Mi sono aggiudicata tutto ciò che volevo. Avevi bisogno o è soltanto per chiacchierare? Scusa se te lo chiedo ma non vedo l'ora di buttarmi sotto la doccia.» «No, niente di speciale. Sarah ti cercava, così le ho dato il numero dell'albergo. Ti ha trovata?» Intuendo dove volesse parare, Daisy fu evasiva. «So che ha telefonato. Che cosa voleva?» «Una babysitter per venerdì sera.» «E mi ha chiamata a Warbury per questo?» «È un'emergenza. Il successo della sua serata di beneficenza dipende da questo. Io ho una riunione in parrocchia, altrimenti mi sarei offerta.» «Oh, d'accordo» commentò lei ridendo. «È proprio una crisi. Non ti preoccupare, andrò io.» «Com'è andata dal parrucchiere?» «Meglio del Liz Fielding
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previsto.» «Bene, bene.» «È tutto, allora?» Era un gioco crudele. Sua madre moriva dalla voglia di scoprire che cosa fosse successo a Warbury, ma chiaramente non aveva il coraggio di chiederlo. «Mamma?» «Vieni giù per il fine settimana?» «Be', io e Robert andremo da Jennifer domenica.» «Ah, sì?» Il tono era incredulo. «Come mai?» «È il suo compleanno. Ho trovato qualcosa di speciale per lei all'asta e Robert vuole che io sia presente quando le consegnerà il regalo.» «Le porterò dei fiori, allora.» «Sono sicura che li gradirà. E verrò a salutarti. Porterò con me l'abito da damigella. Okay?» E con un saluto frettoloso, Daisy riattaccò. Pigiò il pulsante della segreteria. «Cara, sono io, Sarah. Sono rimasta così interdetta quando Robert ha risposto al telefono stamane, che ho dimenticato perché avessi chiamato. Spero che tu sappia quello che stai facendo. Non è esattamente un tipo raccomandabile e ho sempre pensato che tu fossi una ragazza seria. In ogni caso, mi terresti i bambini venerdì sera? Andy andrà all'addio al celibato di Mike, io sarò alla serata di beneficenza della casa per anziani e la mia solita babysitter ha l'influenza. Sono disperata.» Con un sorriso, Daisy passò al messaggio successivo. «Daisy, te lo sei aggiudicato?» chiese la voce di George. «Era un vero Kakiemon?» Ops. Le altre chiamate erano di persone che avevano riattaccato. Sarah o sua madre. O persino George che riprovava, magari. Robert buttò la giacca sulla sedia più vicina e si precipitò al telefono. Stava impazzendo. Non riusciva a togliersi Daisy dalla testa. «Mike? Devi dirmi chi...!» «Ehi, calma, amico. Qual è il problema?» «Daisy. È lei il problema. Porta tacchi altissimi, minigonne vertiginose e biancheria nera! Mi sta facendo impazzire!» «Biancheria nera?» «Chi frequenta, Mike?» «Strana domanda per uno che conosce il colore della sua biancheria. E poi non ho detto che frequenta qualcuno ma solo che ne è innamorata.» «Vuoi dire che mi sono fatto in quattro per nulla? Non ha una Liz Fielding
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relazione?» Robert si sentì come sulle montagne russe. Daisy non aveva l'amante. Su. Ma era innamorata. Giù. «Di chi è innamorata? Lo conosco?» «Sì» sbuffò Michael. «Certo che lo conosci.» «E allora, per carità, piantala di farmi soffrire!» «Non posso. Ma ti darò un indizio. Elinor James.» E rise. La carogna pensava che fosse divertente, eh? «Ci vediamo venerdì.» Riattaccando, Robert si passò una mano sul viso. Daisy era così innamorata di quel suo uomo misterioso da non concedersi nessun'altra relazione. Lui non sapeva se fosse meglio o peggio. Un amante che era poco più di una fantasia costituiva un rivale temibile per un uomo in carne e ossa. Una fantasia non si dimenticava dei compleanni o degli anniversari. Non diceva la cosa sbagliata né si comportava male. Non c'erano aspettative che lo riguardassero. Il suo compito era solo di essere amato. Ma non aveva responsabilità di quell'amore. Come faceva a saperlo lui? Elinor James. Era stata la fantasia di Robert una volta. Diavolo, aveva fatto impazzire tutti i maschi della scuola. Alta, bionda e con un sorriso da favola...
9 Domenica 2 aprile. L'addio al nubilato di Ginny è stato... esplosivo! E nessuno ha parlato di Robert. Nemmeno Sarah. Anzi, l'ho trovata insolitamente discreta e nemmeno tanto ciarliera. Strano! Daisy si vestì con praticità più che con eleganza. Jeans, camicetta di flanella, il suo maglione d'angora preferito. «Sembri...» «... comoda?» suggerì lei quando Robert lasciò la frase in sospeso. «Stavo per dire soffice. Ma ho pensato che forse non lo avresti considerato un complimento.» Aveva paura di offenderla? «Vuoi dire come un orsacchiotto?» chiese Daisy divertita. «È l'angora. Ricorda una pelliccia.» «Posso sentire?» E prima che lei potesse fermarlo, Robert l'abbracciò teneramente. La pressione del suo mento freddo, il leggero pizzicore della barba contro la tempia di Daisy. Gli odori mescolati della schiuma da barba, del Liz Fielding
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sapone e del dentifricio che suggerivano che non si era alzato da molto e che, mentre Daisy aveva indugiato sotto la doccia, a un paio di chilometri di distanza lui aveva fatto la stessa cosa... «Mmh... Forse hai ragione» concluse Robert. E sciogliendo l'abbraccio, accarezzò l'angora. «Ma dovrò riabbracciarti quando ti sarai tolta il maglione. È del tutto possibile che tu sia soffice anche senza. Sei pronta?» Lei batté le palpebre. «Per un altro abbraccio?» «Pronta per andare» specificò lui. E sorrise mentre Daisy si dava segretamente della stupida. «Possiamo riprovare dopo con l'abbraccio, se vuoi.» «No, grazie.» Gli passò la scatola con l'abito da damigella. «Ecco, caricala in macchina. Porterò io il regalo di tua madre.» «L'addio al nubilato come è andato?» Robert la guardò mentre attraversavano la città nell'ovattato silenzio di quella domenica mattina. «Ci siamo divertite molto. E la festa di Mike?» «Bene anche quella. Sarah ha parlato di Warbury?» «Solo di sfuggita. Credo che la combinazione di margarita e chile le abbia intorpidito la lingua.» «Buono a sapersi.» Daisy soffocò uno sbadiglio. «Santo cielo, sono sfinita. Ti spiace se schiaccio un pisolino?» «Affatto. Dormi pure.» Lei abbassò il sedile e chiuse gli occhi, felice di avere una scusa per non parlargli. La sua compagnia incominciava a pesarle. Da giorni provava disagio. Ma solo adesso si sentiva pronta ad affrontare le cause di quel malessere. Dopo il matrimonio sarebbe partita. Avrebbe lasciato Londra, lasciato la Latimer. Lasciato Robert. Era ora di trasformare certe fantasie in realtà. Perlomeno quelle che erano in suo potere. Cina, Giappone... Robert parcheggiò davanti alla casa di sua madre, poi svegliò Daisy. «Siamo arrivati» disse. Lei aprì gli occhi e si stiracchiò. «Di già? Buffo. Stavo sognando il Giappone.» Evitando il suo sguardo, raddrizzò il sedile. «Scusa. Non sono stata di compagnia.» Vide Jennifer uscire in giardino, così scese dalla macchina. «Buon compleanno!» esclamò. E corse ad abbracciarla. C'era stato un tempo in cui aveva abbracciato in quel modo anche Robert. Molti anni prima. Quando quegli abbracci appassionati si erano trasformati in educati baci sulla guancia? «Mi spiace interrompere la festa, ma ho promesso alla mamma che le Liz Fielding
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avrei portato L'Abito. Spasima per vederlo.» «Vuoi che ti accompagni?» «No, aiuta tua madre a riordinare. Ma se non ritorno tra mezz'ora, vieni per cortesia a salvarmi. Porta Major, magari, e proponi una passeggiata. Flossie farà il resto.» «È una cara ragazza, figliolo.» Sua madre lo raggiunse alla finestra mentre Robert guardava Daisy attraversare il giardino. «E' molto intelligente. Avrebbe dovuto tenerlo per sé, quel piatto, sai? O rivenderlo. Vuole andare in Giappone e in Cina a studiare, ed è costoso.» Giappone. Daisy aveva sognato il Giappone. «Non ne ha voluto sapere. Te lo avrebbe dato comunque.» La guardò. «Parlami di lei, mamma.» «La conosci da una vita. Più di me.» «Lo so. E pensavo di conoscerla meglio di chiunque. Ma di recente la trovo così diversa).» «Non è Daisy a essere cambiata» mormorò la madre sorridendo. «Sei tu.» Robert si accigliò. «Sbagli. Tu vedi soltanto questa ragazza.» E indicò la finestra. «Una ragazza acqua e sapone che porta maglioni larghi e vecchi jeans...» «A me pare carina con quel maglione.» «E a me deliziosa» rincarò lui. Deliziosa e sexy. Tanto che avrebbe voluto toglierle il dannato indumento e riabbracciarla senza più fermarsi. Controvoglia, riprese il discorso. «Ma dovresti vederla quando lavora! Minigonne. Tacchi alti. Rossetto!» La signora Furneval ebbe un gesto di sorpresa. «Scusa, caro, ma non vedo quale sia il problema. Non pretenderai che lavori in una galleria del West End in abiti sportivi, spero!» «No.» Ma lui ricordava l'orribile paludamento che Daisy aveva sfoggiato in occasione del loro ultimo pranzo. La coperta di un cavallo sarebbe stata più eccitante. Altro che tailleur rosso! «Non porta mai vestiti così quando esce con me, sia che lavori o meno.» «E tu vorresti?» «Che cosa? No!» Poi, si corresse. «Be', forse. Non so che cosa voglio.» «Invece sì. Solo, non sei pronto ad ammetterlo.» «Non sarebbe opportuno, no? E' di Daisy che stiamo parlando. Non potrei mai farle male.» Liz Fielding
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«Questo lo so.» «Allora vedi anche come sia impossibile.» «Perché pensi sempre di essere come tuo padre? Incapace di impegnarti?» domandò la madre. «Perché attribuisci così tanta importanza al modo in cui si comporta? L'ho lasciato quando tu avevi sette anni. Ti ho cresciuto io. C'è stato un solo uomo nella mia vita. Ho amato soltanto quello. Sei anche figlio mio.» «Natura contro educazione?» esclamò lui. «Ho quasi trentun anni e non ho mai incontrato una donna capace di avvincermi per più di qualche settimana.» «Tranne Daisy.» Robert non si provò a negarlo. «Tranne Daisy.» Era ciò che aveva voluto dire Monty sul fatto che lui tornava sempre? «Perché non mi sono accorto della verità se non quando è stato troppo tardi?» «Non è mai troppo tardi. A volte, però, è troppo presto. Daisy è stata troppo giovane per molto tempo. Quando aveva sedici anni, ho temuto che commettesse qualche sciocchezza.» La signora Furneval sospirò. «Ho temuto che la commettessi tu. Ti ricordi quel Natale, quando l'hai baciata sotto il vischio?» «Il vischio.» Un'immagine si formò nella sua mente e di colpo ricordò. Ecco dove aveva visto quello sguardo, il mesto desiderio per qualcosa di irraggiungibile, lo sguardo che annientava la volontà di un uomo. «Non pensavo che qualcuno avesse visto.» «In effetti sembravi abbastanza perso» riconobbe la madre. «O mi sbagliavo?» «No.» Robert scosse il capo. «Che cosa hai fatto?» chiese poi. «Perché hai fatto qualcosa, te lo leggo in faccia. Che cosa?» «Ho chiamato tuo padre e gli ho chiesto di portarti a sciare. E dopo, poiché Daisy era così demoralizzata e io mi sentivo tanto in colpa, l'ho accompagnata a Londra e le ho fatto visitare i musei più importanti.» Le sfuggì un sospiro. «Ricordi come correva qui quando sapeva che saresti venuto a casa dall'università? L'anno in cui ti sei laureato, poi, si è addirittura consumata in attesa del tuo rientro. Ma dev'essersi trovata altrove quando tu sei finalmente ritornato, perché Lorraine Summers l'ha preceduta.» «Lorraine?» «Era reduce da un anno a Parigi e sembrava una principessa. Ha sposato Liz Fielding
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un avvocato di Maybridge.» «So chi ha sposato Lorraine Summers» sbuffò lui. «Mi chiedevo soltanto che cosa c'entrasse.» «Immagino che Daisy ti abbia visto baciarla» fu la risposta. «Non è mai più entrata in questa casa quando sospettava che ci fossi tu.» «Ma è ridicolo! La vedevo di continuo. La vedo tuttora di continuo.» «No, caro» protestò la madre. «La vedi per appuntamento. La porti a pranzo o a una festa. Non la vedi mai per caso.» «Può darsi. Ma Londra è un po' più grande del nostro villaggio. Quando sono a casa, la vedo tutto il tempo!» «A casa non ha niente da nascondere.» Robert si meravigliò. «Da nascondere?» «A casa è la ragazza che hai sempre conosciuto. La vedi, certo, ma solo nel modo in cui Daisy vuole che tu la veda. Ti aspettava a Warbury?» «Be', no.» «Già» fece la signora Furneval. «Credevo che le avresti semplicemente telefonato. Mai più mi sarei aspettata che le saresti corso appresso.» Rise. «Se ci avessi riflettuto sopra, avrei organizzato meglio le cose.» «Non avresti potuto organizzarle meglio nemmeno se ci avessi riflettuto sopra giorno e notte» le assicurò lui. «È un peccato che io non abbia saputo giocare meglio le mie carte. Ma non sono andato a Warbury per l'assegno. Era soltanto una scusa.» «Ah, sì?» La madre incominciò a sparecchiare. «Perché ci sei andato, allora?» «Ero preoccupato per Daisy. Mike mi aveva detto che era innamorata di qualcuno. Sembrava una faccenda torbida. Ho temuto che frequentasse un uomo sposato.» «Daisy?» Ci fu una risata. «Vuoi dire che sei corso a Warbury per salvarla da qualche mascalzone privo di scrupoli? Oh, tesoro, è così romantico!» «Non proprio» bofonchiò Robert. «In realtà a dettare il mio gesto cavalleresco è stata soltanto la gelosia. Ero furioso all'idea che qualcuno si fosse preso ciò che avevo sempre considerato mio.» «Daisy.» «Sì, accidenti, Daisy! Mike si è divertito a stuzzicarmi. Me ne rendo conto ora. Voleva farmi pensare a lei.» Una smorfia gli increspò le labbra. «E, dannazione, ci è riuscito! Non ho pensato ad altro negli ultimi giorni.» Liz Fielding
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«Malgrado i jeans e i maglioni larghi?» «Malgrado quelli.» La signora Furneval finì di sparecchiare e Robert l'aiutò a portare in cucina i piatti sporchi. «Ho sempre pensato che, una volta che lei fosse cresciuta, la natura avrebbe fatto il suo corso. Ma non avevo contato su Daisy. È una ragazza decisa e non era disposta a giocare. Non era disposta a diventare uno dei tuoi tanti trastulli...» «Per l'amor del cielo!» «E' una ragazza seria» insistette la madre. «Dovrai convincerla che sei degno del suo amore.» «Come Elinor James.» «Chi?» «Niente. Una cosa che ha detto Mike.» Elinor James avrebbe potuto avere qualsiasi ragazzo della scuola. Lui non aveva fatto eccezione. Ma non si era voluto mettere in fila. Si era tenuto orgogliosamente in disparte. Per un po' i suoi amici avevano scommesso su quanto avrebbe resistito. Poi, un bel giorno, avevano incominciato a scommettere su quanto sarebbe passato prima che lei invitasse fuori lui. Quali dei suoi amici lo stavano osservando ora? Aspettando di vedere quanto avrebbe impiegato a capire che Daisy era lì... Monty, senz'altro. Lo aveva detto a chiare lettere. E Michael, naturalmente. Michael che, con le sue mezze parole, aveva né più né meno sbloccato la situazione. Robert si passò una mano sul viso. Sua madre sapeva. Forse anche Sarah sapeva. Forse l'unico ad aver ignorato la verità era lui. O forse l'aveva chiusa fuori, aveva sepolto il ricordo di quella ragazzina che gli aveva rubato il cuore. «Avevi ragione, sai? Riguardo a Daisy. Ma anche torto. Sapevo che era troppo giovane. Lorraine era una semplice distrazione. Mi sono distratto per anni, aspettando che Daisy crescesse. E quando l'ha fatto, io ero...» «... distratto?» «Come diavolo la convincerò a prendermi sul serio?» «Tu vuoi che lei lo faccia?» «Oh, sì.» La signora Furneval s'intenerì. «Può darsi che una bella passeggiata ti chiarisca le idee. Porta Daisy nel frutteto, figliolo. Magari è rimasto un rametto di vischio...» «Hai portato il vestito!» Margaret Galbraith prese la scatola e la portò di sopra. «Daisy, è stupendo!» dichiarò poi tirando fuori l'indumento. Liz Fielding
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«Mettitelo, avanti. Voglio vedere come ti sta. Oh, guarda questo!» Sollevò il reggiseno imbottito. «Sì, be', avevo bisogno di un rinforzino. Sai, con una scollatura così profonda...» Si era immaginata come sarebbe stato. Ma dopo gli avvenimenti di Warbury, tutto ciò che avrebbe distratto l'irriducibile signora era gradito. Lei, però, non si sarebbe svestita davanti a sua madre. Sarebbe già stato abbastanza brutto anche così. «Aspettami giù. Scenderò appena pronta.» «Sì. Così, potrà vederti anche tuo padre.» Daisy si spogliò controvoglia e indossò l'abito. A turbarla non era il fatto di sfilare bensì l'inevitabile espressione delusa che si sarebbe dipinta sul volto di sua madre. «Daisy?» La signora Galbraith stava diventando impaziente. «Arrivo!» E sollevando la gonna, corse dabbasso. Per un attimo entrambi i genitori restarono in silenzio. «Allora?» «Sei splendida, figliola. Non trovi, Margaret?» osservò il padre incoraggiante. «Be'. Pensavo che il giallo sarebbe stato disastroso, invece... Il corpetto è un amore e la gonna cade alla perfezione. Un effetto incantevole. Certo, sulle altre ragazze, con la loro carnagione scura, il giallo risalterà maggiormente ma anche così, col trucco più adatto... Girati.» Lei si girò. Robert era fermo sulla soglia del salotto. La guardava in modo strano. Nessun sorriso canzonatorio, nessun ghigno buffo, solo il genere di sguardo che Daisy aveva sempre desiderato. Intenso e coinvolgente. Passarono cinque minuti di orologio prima che lui spezzasse il silenzio. «Altro che anatroccolo. Qui vedo soltanto un cigno.» E accorgendosi di come tutti lo stessero osservando, aggiunse: «La porta di servizio era aperta. Ho lasciato Major in giardino». Poi, si batté la fronte con esagerata contrizione. «Oh, no, non ditemi che porta sfortuna se il testimone vede la damigella prima del matrimonio!» Il signor Galbraith rise, ma la moglie arricciò il naso con palese disapprovazione. «Sarà meglio che vada a cambiarmi» dichiarò Daisy precipitosamente. E corse via. La madre, indignata, si affrettò a seguirla. «Un cigno, figurarsi! Non farti incantare da quello!» Liz Fielding
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«Non ha mai cercato di incantarmi» puntualizzò lei spogliandosi. «Non ci ha mai provato, vorrai dire! Bah! È tale e quale suo padre.» «Non sapevo che conoscessi il padre di Robert.» «Non lo conosco.» La signora Galbraith appese l'abito nell'armadio. «Ma l'ho visto in foto. Divorziati da più di vent'anni e quella povera Jennifer tiene ancora la sua foto sul comodino! È una bella donna, eppure non l'ho mai vista con un altro uomo. Certo, quella combinazione di fascino e bellezza è micidiale. Dovrebbe esserci una legge che la proibisce! Robert è il ritratto del padre. E si comporta anche come lui.» Daisy alzò gli occhi al cielo. «Mamma.» Fece per dirle che non era successo niente a Warbury. Invece dichiarò: «Ho ventiquattro anni. E conosco Robert da una vita. Mi fido di lui. Non farebbe nulla per ferirmi». Per un attimo la madre restò interdetta. «Lo so» disse infine. «Scusa. A volte ti tratto ancora come una bambina. Ma in fondo, per me, lo sarai sempre. Tutti voi. Sarah dice che la soffoco, con tutte le mie prediche. Ma che cosa può fare una povera madre una volta che i piccoli hanno lasciato il nido?» «Vivere. Divertirsi. Viaggiare.» Daisy l'abbracciò. «La prossima settimana il matrimonio sarà finito e tu ti sentirai terribilmente svuotata. E aprile, mamma. Chiedi al babbo di portarti a Parigi. O compra tu stessa i biglietti e porta lui. Non c'è bisogno di essere giovani o appena sposati per andare in luna di miele!» Daisy e Robert s'inoltrarono nel frutteto, con Major e Flossie che si rincorrevano più avanti. Lo sguardo di lui si fissò su un vecchio melo. «È troppo presto per i fiori» avvertì lei. «Non cerco fiori» fu la risposta. «Cerco il vischio. Cresce sui meli. Be', su questo in ogni caso.» «Non in aprile.» «C'è sempre» insistette Robert continuando a studiare i rami. Daisy s'innervosì. «Meglio tornare indietro. Dove sono i cani?» Fece per andare via, ma lui la trattenne per un braccio. «Ricordi il Natale dei tuoi sedici anni?» le chiese. «Quando io ti ho baciata sotto il vischio?» «Sì» rispose lei sottovoce. Il suo primo bacio. Così dolce, così speciale... «Lo avevo tagliato da quest'albero» continuò Robert. Guardò in alto. «Sono sicuro che fosse quest'albero.» «Abbatteranno il frutteto in autunno.» Liz Fielding
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Ma lui ignorò il commento. «Ricordi che cosa ti ho detto in quell'occasione?» Una ruga le solcò la fronte. «E tu?» «Mi ero dimenticato. O forse l'avevo rimosso. Ma ora rammento benissimo. Ho detto: "Ti aspetterò".» Daisy deglutì. «Io non avrei voluto aspettare.» «No» riconobbe Robert incrociando il suo sguardo. «Né avrei voluto io. Ma eri troppo giovane. Se avessi avuto anch'io sedici anni, be', sarebbe stato perdonabile...» Quello era imperdonabile. Che lui le facesse ricordare. C'erano voluti mesi, anzi, anni per ridimensionare un episodio che tanto inutilmente l'aveva illusa! «Daisy, mi baceresti sotto il vischio un'ultima volta?» sussurrò lui riscuotendola. «Prima che abbattano l'albero?» Lei fremette quando lo vide chinarsi. «No, non farlo...» Ma le loro bocche si stavano già sfiorando con sensuale dolcezza. Robert ripeté il contatto più volte, evocando quel bacio lontano. Poi, ritraendosi, sorrise. «Mi sta ritornando tutto, ora.» «Ti prego...» Doveva andarsene, lo sapeva. Prima di tradirsi. Forse Robert l'avrebbe lasciata andare e forse no. Daisy non era più troppo giovane e lui era libero... Ma Flossie, eccitabile e infangata, sfrecciò tra gli alberi e si gettò addosso a loro. E in un modo o nell'altro, nella, confusione, gli abiti da pulire, il tè da preparare, la normalità tornò gradualmente a riaffermarsi.
10 Sabato 8 aprile. Oggi si sposeranno Ginny e Michael. Ma è ancora prestissimo. Robert è passato poco fa e ho sentito lui e Mike portare fuori i cani. Di solito getta un pugno di ghiaia contro la mia finestra per vedere se vado anch'io, ma non stamane. Forse era una cosa da uomini. Non che io sarei andata con loro. Non ho tempo per passeggiare. Dopo quel bacio nel frutteto niente sarà più come prima, dannazione. Ma non cederò... non... Anche a costo di andare all'estero pur di non cadere in tentazione! Tutto ciò che devo fare è superare questa giornata. Con un pizzico di fortuna, Robert avrà dimenticato di avermi invitata a pranzo e non scoprirà che sono in viaggio se non quando sarà troppo tardi. Liz Fielding
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La chiesa era splendida, con ghirlande di fiori gialli sull'altare e i banchi decorati da fiocchi di tulle. E Ginny così bella! Piangere ai matrimoni era accettabile, Daisy lo sapeva, ma quel dolore tremendo che come un macigno le gravava sul cuore era senz'altro più di quanto non dettassero le convenzioni, no? Se solo Robert non avesse indossato quel ridicolo panciotto giallo! Lei si era preparata a tutto fuorché a quello. Lo aveva fatto per divertirla e, quando si girò a guardarla, Daisy capì che si aspettava un cenno di riconoscimento. Gli rivolse un sorriso stentato, poi si concentrò sul bouquet di rose gialle e narcisi che teneva in mano. Il Giappone. Si aggrappava alla promessa del Giappone. Le valigie erano pronte, il biglietto anche. Caro George! Non solo l'aveva lasciata andare senza farle problemi ma aveva contattato amici, procurandole un alloggio finché Daisy non avesse deciso che cosa fare. Forse era felice di accomiatarsi da lei: non era stato del tutto contento di come aveva gestito la faccenda del piatto. Non era tagliata per fare l'antiquaria, le aveva detto. Avrebbe fatto meglio a dedicarsi allo studio dell'arte. E forse aveva ragione. Sabato notte il bacio di Robert aveva tenuto sveglia Daisy. Si era girata e rigirata, ripensando alle parole della madre, tale e quale suo padre e povera Jennifer, e immaginando se stessa, con trent'anni di più e tutti che dicevano: «Povera Daisy, era innamorata di Robert Furneval, ma lui era tale e quale suo padre...». Poi, lunedì mattina, quando era arrivata alla galleria, George le aveva detto che avevano vinto alla lotteria. Solo dieci sterline. Cinque sterline a testa... Ma lei aveva pensato lo stesso alla fantasia con cui si erano trastullati lei e Robert quella sera a Warbury. Era sembrato destino: aveva vinto alla lotteria. La cifra non contava. Aveva i soldi che le aveva lasciato il nonno, quelli che la madre considerava la sua dote. Be', Daisy non avrebbe avuto bisogno di una dote ed era giunta l'ora di realizzare almeno uno dei suoi tanti sogni. Aveva pianto durante tutta l'ora successiva. Non ne andava orgogliosa. Ma George le aveva offerto il proprio fazzoletto ed era rimasto ad ascoltare mentre lei riversava tutto il dolore, tutta la passione imbrigliata, tutto l'amore. Poi, l'antiquario le aveva preparato un ottimo tè verde e, Liz Fielding
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mentre Daisy lo aveva sorseggiato tra i singhiozzi, aveva chiamato alcuni amici. In seguito, l'aveva mandata a casa a organizzarsi. E così, l'indomani, sarebbe partita per Tokyo, verso una nuova vita e una nuova cultura. Era l'ora in cui si avveravano i sogni. Ma a distruggere l'illusione era arrivato Robert col suo dannato panciotto giallo. Il sogno sbagliato. Attraverso il velo tremolante delle lacrime, Daisy vide Michael baciare Ginny. Poi, Robert la prese sottobraccio ed ecco che entrambi si accodarono agli sposi che uscivano dalla chiesa raggianti. Daisy tirò su col naso. «Mi sono... commossa» balbettò. Lui tirò fuori il fazzoletto, le sollevò il mento e, facendo attenzione a non rovinarle il trucco, le asciugò il pianto. Poi, l'abbracciò per un secondo e lei si lasciò cullare. «Ecco, fa' un respiro profondo.» Daisy ubbidì e Robert tornò a prenderla sottobraccio. Il suo sguardo non era canzonatorio, bensì comprensivo, come se sapesse ciò che provava. Ridicolo! Ma al momento di lasciare la chiesa, Robert la prese decisamente per mano. Confusa, Daisy guardò le altre damigelle con aria contrita. Non era così che sarebbero dovute andare le cose. Lui, tuttavia, sembrava dimentico delle graziosissime morette in giallo. Una volta al ricevimento, cercarono tutte di attirare la sua attenzione, di farlo andare in qualche oscuro angolino, ma nemmeno la serra gotica si rivelò una tentazione. Robert fu gentile ed educato, certo. Però non si sbilanciò con nessuna. Una volta tanto non flirtava. Una cosa da non credersi... I discorsi erano finiti, gli sposi si stavano cambiando e Robert era scomparso. Daisy ne profittò per uscire sulla terrazza, sottraendosi al rumore e alle risate. Ancora pochi minuti. Non appena Ginny e Mike fossero partiti, sarebbe potuta scappare anche lei. «Finalmente ti ho trovata.» Robert attraversò la terrazza, sfilandosi il soprabito. «Devi avere freddo. Tieni.» Le mise l'indumento sulle spalle. Conservava il calore del suo corpo e Daisy se lo avvolse con segreto piacere. «Grazie. C'è troppo rumore dentro.» «Mi pare di capire che non ti piacciano i matrimoni in grande stile.» «Infatti li detesto.» «Tu che cosa farai?» Liz Fielding
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«Quando?» «Quando ti sposerai.» Lei lo guardò un istante, poi si girò. «Non mi sposerò. Diventerò un'esperta di arte orientale e viaggerò per il mondo.» «Incominciando dal Giappone.» «Come...?» Per un attimo, solo per un attimo, pensò che Robert avesse scoperto il suo segreto. Perché doveva essere un segreto. Lui doveva pensare di avere tempo. Daisy conosceva Robert. Lo aveva visto in azione. Warbury gli aveva fatto venire certe idee, gli aveva ricordato una questione in sospeso e l'episodio nel frutteto aveva rappresentato l'esordio di una campagna per entrare nel suo letto. «Rispondi» insistette lui quando Daisy continuò a tacere. «Se decidessi di sposarti, che cosa vorresti?» Il sollievo la rese garrula. «Oh, niente di speciale. Solo una cerimonia tranquilla...» «Niente damigelle, quindi.» Si guardò il panciotto. «Niente velluto giallo.» «Nemmeno un testimone» assicurò lei. Specie non un testimone. «Ci sto. Vuoi sposarmi?» Daisy ridacchiò nervosamente. «Non hai niente di meglio da fare, Robert? Tipo legare palloncini e coperchi all'auto degli sposi?» «Già fatto.» «Potresti sempre sedurre una damigella.» Lui rise. «Ti stai offrendo volontaria?» «Robert...» «Robert! Daisy! Eccovi.» Sarah emerse dalla sala da ballo con un sorriso beota. Poi, guardò i due sulla terrazza e trasalì, come intuendo di aver interrotto qualcosa di importante. «Mi dispiace, ma gli sposi se ne stanno andando.» «Arriviamo.» Daisy restituì il soprabito a Robert. Poi, rientrando a precipizio, andò a piazzarsi con gli altri ai piedi della grande scala. Ginny era in cima, col bouquet in mano, e quando vide la cognata, sorrise e si voltò prima di lanciare i fiori. Li prese qualcuno alle spalle di Daisy e tutti si girarono incuriositi. Robert. Si era fermato dietro di lei e il bouquet che Ginny aveva cercato di gettare nella sua direzione era arrivato a lui... Ci fu una pausa per l'umorismo, la vivace battuta che avrebbe rallegrato amici e parenti. Ma l'umorismo andava al di là delle sue possibilità e, Liz Fielding
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quando Robert le offrì il bouquet con un piccolo inchino, Daisy non poté far altro che accettarlo e rassegnarsi al corale oh! che si levò dall'assemblea. Fu questione di attimi. Ma a lei parve passare un'eternità prima che tutti si gettassero addosso agli sposi e, con un ultimo sussulto di flash, li accompagnassero alla macchina in attesa. «Non capisco. Come sarebbe a dire che c'è un problema?» Come se volare non fosse già abbastanza sconvolgente! «Il mio biglietto è stato riconfermato!» L'impiegata del check-in arrossì. «Abbiamo cercato di contattarla ieri. Ma non l'abbiamo trovata. E non c'è un vero problema. Le abbiamo trovato posto su un altro volo che parte tra mezz'ora.» Un altro volo che passava per Nuova Delhi, con uno stop-over di ventiquattro ore. Daisy non era affatto felice. Aveva prenotato un volo diretto proprio per evitare inutili decolli e atterraggi. «L'abbiamo spostata in prima classe» continuò la donna. «E ci sarà un'escursione gratuita...» Be', inutile arrabbiarsi. Non era colpa dell'impiegata se il computer aveva combinato un pasticcio. Daisy telefonò alla madre per comunicarle l'imprevisto. «Informa tu George, va bene, mamma? Dovrà avvisare le persone che mi avrebbero dovuta ospitare.» «D'accordo. Mandami una cartolina del Taj Mahal.» «Il che cosa?» «E, cara, sii... tanto felice!» Prima che lei potesse ribattere, la madre riattaccò. Era stata insolitamente lacrimosa quando si erano salutate. Lei poteva solo attribuirlo al matrimonio, allo champagne. Ma anche così Margaret Galbraith era parsa sull'orlo delle lacrime! Il Taj Mahal? Daisy non si era resa conto che la madre conoscesse l'India così bene. Lei, tra l'altro, non aveva nemmeno accennato a Nuova Delhi. Si era limitata a dire che... Oh, be', forse era una di quelle cose che si dicevano a chi andava in India. Mandami una cartolina del Taj Mahal. Ritrovò il sorriso. Se era quella l'escursione in programma, avrebbe senz'altro accettato. Andò a sistemarsi in prima classe e tirò fuori il libro che si era portata. Odiava quel momento. I minuti prima del decollo, il lento rullare sulla Liz Fielding
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pista, il crescente ronzio dei motori. Che tensione! «... che i sedili siano in posizione eretta e che la cintura di sicurezza...» Era sciocco avere paura, lo sapeva. Conosceva le statistiche. Morivano più persone cadendo dal letto. Ma si aggrappò comunque ai braccioli e chiuse gli occhi. Qualcuno occupò il posto accanto al suo. Daisy sentì il clic della cintura di sicurezza. Intuiva di dover sembrare un'idiota, ma niente avrebbe potuto farle aprire gli occhi prima del decollo. Niente se non una mano fresca sopra la sua. E la voce di Robert che diceva: «Allora è vero». L'incredulità fu più forte della paura e Daisy si voltò di scatto. «Robert?» Vedeva bene che era lui. Ma non poteva crederci! «Pensavo che avresti preso la nave.» «Troppo costoso.» «Ma so che hai vinto alla lotteria.» «Dieci sterline. Be', cinque, in realtà, visto che le ho divise con George...» Si fermò. Non era importante. «Perché sei qui?» «Per farti compagnia. Per firmare un contratto con una banca indiana. Per chiederti di sposarmi. Non necessariamente in quest'ordine. Ho una settimana prima di dover rientrare.» L'aereo incominciò a muoversi ma lei non se ne accorse neppure. «Stai andando in India?» Era scioccata. «Che incredibile coincidenza!» «Nessuna coincidenza. Era tutto calcolato. Vuoi sposarmi?» Non poteva essere vero. «Sto andando in Giappone!» «L'India è di strada» osservò lui. «Per modo di dire. Quanto ci starai?» «Quanto ci vorrà. Stai scappando, Daisy. Fuggendo di nuovo da me.» L'aereo si fermò e curvò. «Ci siamo nascosti entrambi ma è ora di smetterla. Vuoi sposarmi?» Il ronzio dei motori diventò assordante. «Non sei il tipo che si sposa.» «Hai fatto incetta di pettegolezzi, vedo. Come me, d'altronde.» «Senti, ti conosco, Robert. Pensi: "Questa e Daisy. Adesso che ho visto le sue gambe, voglio aggiungerla alla mia collezione. Ma non mi posso divertire con Daisy perché... be', perché...".» «Perché Mike non mi rivolgerebbe più la parola? O perché mia madre mi sbatterebbe la porta in faccia? O peggio, perché la tua mi userebbe il mattarello in testa?» Lei non disse niente. «Visto? Anch'io so come Liz Fielding
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ragioni. Ci è voluto un po' e ho avuto bisogno di un piccolo aiuto.» «Aiuto?» Da chi? «È stato Mike a lanciarmi l'esca» spiegò Robert. «Ha detto che eri innamorata di qualcuno... be', da sempre. Per giorni ho cercato di scoprire chi ti stesse complicando la vita. L'avrei sistemato io.» «Oh!» «Qual è la password del tuo computer?» Era una conversazione surreale. «Rabbit.» «Rabbit?» «Chiamo il mio computer Roger» confermò Daisy. «Roger Rabbit.» Lui scosse la testa con espressione incredula. «Importa?» «A quanto pare, no.» La stretta sulla mano si intensificò. «Monty aveva capito, sai? È stato lui a farmi notare come tu fossi l'unica ragazza di cui non mi stancassi mai.» «Monty ha detto questo?» . «Ha sorpreso anche me. Ma è ciò che fa, tesoro mio. Osserva gli amori altrui e ci scrive sopra.» «La cosa sta peggiorando.» «E non ho finito.» Daisy gemette. «So da mia madre che mi hai visto baciare Lorraine Summers e che è da allora che hai incominciato a evitarmi. Eri troppo giovane per una vera relazione, Daisy. E io ero troppo giovane per saper aspettare. Ti prego, sposami.» Ma lei era troppo scombussolata per rispondere. «Tua madre sa che sei qui?» «Lo sanno tutti. Via, è evidente che...» «Smettila» protestò Daisy ritraendo la mano. L'aereo stava vibrando. «Devo pensarci!» «Invece no» ribatté lui. «Sei su questo aereo perché stai fuggendo di nuovo. Ma non te lo permetterò. Hai sempre avuto il meglio di me, Daisy. Non ti ho mai mentito e non incomincerò a farlo ora. Ti amo. Ti ho sempre amata. Aspetterò, se dovrò provarlo. Ma penso che abbiamo entrambi aspettato abbastanza.» Le imprigionò il viso tra le mani. «E adesso vuoi sposarmi?» Stavano sfrecciando lungo la pista. Il cuore di Daisy batteva al ritmo dei motori. Rischio. La vita era un rischio. Ma conosceva Robert. Non mentiva mai. Non barava mai. Poteva anche essere come il padre. Ma era pure come Jennifer. Il suo cuore, una volta donato, non sarebbe appartenuto mai a nessun'altra. E la verità era chiara come il sole al di sopra delle nubi. Stavano volando! Lei stava volando! «Champagne, signori?» Robert guardò Daisy. «Champagne, amore mio?» Liz Fielding
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Un brivido le corse lungo la schiena. «Sì. Oh, sì, grazie.» Ma mentre lui le porgeva il bicchiere, aggiunse: «No. Aspetta. Non capisco. Come facevi a sapere che sarei stata su questo aereo? Avrei dovuto prendere un volo diretto per...». Lui fece tintinnare il proprio bicchiere contro quello di Daisy. «Ai computer brindò, «fantastici capri espiatori. E a un'impiegata d'agenzia piena di romanticismo!» «Mi stai dicendo che hai organizzato tutto?» «Con qualche spinta. Dopo aver predisposto il tuo viaggio, George si è fatto prendere dagli scrupoli, così ha chiesto consiglio a mia madre. E poiché lei sapeva che cosa provavo io, mi ha chiamato.» «Robert, c'è gente che mi aspetta...» «Gente che è stata informata di un tuo possibile ritardo» la interruppe lui. «È una scelta tua. Sposami, prosegui per Tokyo la settimana prossima e io ti raggiungerò non appena mi sarò liberato. Oppure resta con me e andremo insieme. Prenderò un anno sabbatico per studiare le procedure bancarie giapponesi mentre tu fai quello che vuoi.» «Hai pensato proprio a tutto, eh?» «Sono un banchiere. Pensare è il mio lavoro. Ma devo dire che è stata una settimana dura.» «Perché non hai detto nulla prima che io partissi?» «Perché stavano succedendo troppe cose. C'erano troppe distrazioni» dichiarò Robert. «E perché pensavo che avrei avuto bisogno di otto ore e mezzo senza cani infangati e sorelle impiccione, otto ore e mezzo con te legata a un sedile e senza possibilità di fuga, per convincerti. Ho sbagliato di otto ore e venticinque minuti.» «Mi hai colta soltanto in un momento di debolezza» precisò Daisy. «E' stata un'ottima cura contro la paura di volare, però.» Gli rivolse uno sguardo adorante. «È significativo, immagino. Dovrò restare con te, Robert, fosse solo per stringerti la mano durante i decolli...» Daisy indossava un sari rosso, Robert un abito tropicale color crema. Le formalità erano state sbrigate. Adesso sedevano insieme, contemplando il futuro e uno dei più meravigliosi monumenti del mondo. Poi, quando un'immensa luna bianca si alzò nel cielo d'India, Robert si girò verso Daisy. «Ti amo» sussurrò. «Ti amerò sempre.» «E io amo te» rispose lei. «Ti ho sempre amato.» Liz Fielding
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Lui le sfiorò la splendida vera di brillanti che le aveva infilato al dito poche ore prima. «L'attesa, amore mio, è finita.» E la baciò. FINE
Liz Fielding
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