ANNE PERRY INCUBO A DEVIL'S ACRE (Death In Devil's Acre, 1985) 1 L'agente Withers starnutì mentre il gelido vento di gen...
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ANNE PERRY INCUBO A DEVIL'S ACRE (Death In Devil's Acre, 1985) 1 L'agente Withers starnutì mentre il gelido vento di gennaio, salendo dal Tamigi, spazzava il vicolo. Mancavano ancora tre ore all'alba e i lampioni a gas delle strade principali illuminavano a malapena quel luogo deprimente, dove dominava la sporcizia, e confinante con Devil's Acre, all'ombra di Westminster. Starnutì di nuovo. Lo pungeva alla gola l'odore acre del mattatoio, distante una cinquantina di metri, oltre al puzzo dei canali di scolo, di spazzatura stantia e del sudiciume accumulatosi nel corso degli anni. Diamine, era strano... il cancello del cortile era aperto! Non avrebbe dovuto esserlo, non a quell'ora del mattino. Probabilmente non c'era motivo di preoccuparsi: qualche giovane apprendista si era dimenticato di chiuderlo... certi ragazzi erano proprio sbadati. Comunque, era pur sempre un diversivo alla estenuante noia di percorrere gli squallidi marciapiedi. Attraversò la strada e si avvicinò ai freddi locali. Meglio dare un'occhiata all'interno, controllare che tutto fosse in ordine. Mise dentro la testa dal cancello. Regnava il silenzio... soltanto un vecchio ubriaco addormentato sul selciato. Meglio farlo spostare, prima che arrivassero quelli del mattatoio e lo buttassero fuori a calci. Alcuni di loro si divertivano a tormentare i vecchi. — Ehi, paparino — disse a voce alta, chinandosi a scrollare la spalla dell'uomo. — Vattene. Non è posto per te, questo. Com'è che uno si sceglie un posto come questo per farsi una dormita, proprio non lo so! L'uomo non si mosse. — Coraggio, amico! — Lo scrollò con più energia e sollevò la lanterna per vedere meglio. Che il vecchio fosse morto assiderato? Non sarebbe stato certo il primo che l'agente Withers vedeva, e non erano tutti vecchi. Negli inverni rigidi, un sacco di bambini morivano di freddo. La luce illuminò la faccia dell'uomo. Sì, il poveraccio era morto; gli occhi erano spalancati e vitrei. — Strano — disse Withers a voce alta. — Di solito il freddo li uccide nel sonno. — La sua faccia aveva invece un'espressione sbalordita, come se la morte l'avesse colto di sorpresa. Spostò la lanterna verso il basso.
— Dio Onnipotente! — L'inguine e le cosce erano inzuppati di sangue; i pantaloni di lana marrone erano stati squarciati con un coltello e gli organi genitali completamente asportati. Giacevano inservibili tra le ginocchia... sanguinanti, carne irriconoscibile, una massa di polpa scarlatta. La faccia di Withers si coprì di sudore, che gelò all'istante. Ebbe un conato di vomito mentre le gambe prendevano a tremare in maniera incontrollabile. Sant'Iddio, che razza di essere umano era quello capace di fare una cosa del genere a un suo simile? Indietreggiò barcollando e si appoggiò alla parete, chinando un po' la testa per vincere la nausea. Passarono diversi minuti prima che il cervello gli si snebbiasse abbastanza da poter riflettere sul da farsi. Doveva chiedere aiuto, poco ma sicuro. E andarsene da lì, da quell'obbrobrio disteso a terra. Si raddrizzò, si diresse al cancello e lo richiuse con forza alle spalle, ringraziando il vento tagliente dell'est, anche se portava con sé il gelo del mare. I delitti non erano per niente rari nei brulicanti bassifondi londinesi nell'anno del Signore 1887. Ma un atto di una bestialità simile non gli era mai capitato di vederlo. Doveva trovare un collega da mettere di guardia così poi sarebbe potuto andare a fare il suo rapporto e lasciare che della cosa si occupassero i suoi superiori. Grazie al cielo non era abbastanza anziano da dover risolvere lui quella faccenda! Due ore più tardi l'ispettore Thomas Pitt, reggendo una lanterna, chiuse il cancello del mattatoio e rimase in piedi nel cortile. Abbassò lo sguardo sul cadavere, che era nella stessa posizione in cui l'aveva trovato l'agente. Alla luce grigia del mattino aveva un aspetto grottesco. Pitt si chinò e sollevò la spalla del morto per vedere se sotto c'era qualcosa... magari un'arma, o altre ferite. La sola mutilazione non poteva spiegare il decesso. E un uomo violentato in quel modo orribile non avrebbe tentato di proteggersi in qualche modo... almeno di arrestare la fuoriuscita del sangue? Era un pensiero nauseante, e lo scacciò dalla mente, ignorando il sudore freddo che gli inzuppava la camicia. Esaminò il corpo. Non c'era sangue sulle mani del morto, neanche una traccia. Perfino le unghie erano pulite, particolare già eccezionale per chiunque frequentasse un quartiere come quello, addirittura impensabile in uno che dormiva nel cortile del mattatoio! Continuando a cercare, trovò un'ampia macchia scura sulla schiena dell'uomo che inzuppava il tessuto della giacca. Era vicino alla colonna verte-
brale, proprio tra le costole, in direzione del cuore. Sollevò la lanterna per un esame più attento, ma sulle pietre non c'erano altre tracce di sangue. Espirò lentamente e si rialzò, asciugandosi con un gesto inconscio le mani sui pantaloni. Adesso poteva guardarlo in faccia. Aveva un viso quadrato con un grosso naso; la carnagione era di un pallido color prugna e la bocca segnata da rughe di espressione. Gli occhi erano piccoli e rotondi... la tipica faccia di un uomo al quale piaceva fare la bella vita. Il corpo era massiccio, poco più alto della media, le mani forti, carnose e pulitissime, i capelli castano-grigi. L'abito, di grossa lana marrone, era sformato in più punti dall'uso e spiegazzato sullo stomaco. Nelle pieghe del panciotto trovò delle briciole. Pitt ne prese una, la schiacciò tra le dita e l'annusò. Formaggio: stilton, se non si sbagliava, o una qualità simile. Gli abitanti di Devil's Acre non pranzavano a base di formaggio stilton. Ci fu un rumore alle sue spalle, un fruscio di piedi. Si voltò per vedere chi era, felice di avere compagnia. — 'Giorno. Pitt. Cos'abbiamo questa volta? — Era Meddows, il medico legale, un uomo capace di un buonumore insopportabile nei momenti meno opportuni. Ma invece di suonare offensiva, la sua voce in quell'occasione pareva uno sprazzo di equilibrio mentale nel corso di un terribile incubo. — Oh. mio Dio! — Era a fianco di Pitt e fissava il cadavere. — Poveraccio. — È stato pugnalato alla schiena — lo informò Pitt. — Davvero? — Meddows inarcò un sopracciglio e guardò Pitt con la coda dell'occhio. — Be', è già qualcosa. — Si accovacciò, tenne la lanterna in equilibrio nella giusta angolazione e iniziò a esaminare con cura il corpo. — Non occorre che tu stia a guardare — commentò senza voltare la testa. — Ti dirò io se c'è qualcosa di interessante. Tanto per cominciare, questa mutilazione è un lavoro grossolano... basta un coltello affilato e zac! Bell'e fatto! — Non è stata la mano di un esperto? — domandò Pitt fissando sopra la testa di Meddows la luce dell'alba riflettersi nelle finestre del mattatoio. — Per niente, solo... — Meddows sospirò. — Solo l'odio più stramaledetto. — Un pazzo? Meddows fece una smorfia. — Chi lo sa? Prendilo e te lo dirò... forse. A ogni modo, chi è questo povero diavolo? Lo sai già?
Pitt non aveva nemmeno pensato a perquisire il corpo. Era la prima cosa che avrebbe dovuto fare. Senza rispondere si chinò e cominciò a frugare nelle tasche del morto. Trovò tutto quello che si era aspettato, tranne del denaro, e forse quello non si aspettava di trovarlo. C'era un orologio d'oro, molto rovinato ma ancora funzionante, e un anello con quattro chiavi. Una sembrava la chiave di una cassaforte, due erano chiavi di porte, e la quarta doveva essere di una credenza o di un cassetto, a giudicare dalle dimensioni... esattamente quelle che tiene in tasca qualsiasi uomo di mezz'età, moderatamente benestante. Trovò anche due fazzoletti, entrambi sudici ma di buon cotone e con orli ben rifiniti, e tre fatture, due per spese di ordinaria amministrazione casalinga, la terza per una decina di bottiglie di costoso vino di Borgogna... lo si sarebbe detto un tipo che amava soddisfare i propri vizi, almeno per quanto riguardava la tavola. Ma il particolare più importante era il nome e l'indirizzo sulle fatture: Dr. Hubert Pinchin, 23 Lambert Gardens, località molto distante da Devil's Acre sia come livello sociale sia come tenore di vita. Cosa ci faceva il dottor Pinchin nel cortile del mattatoio, ucciso e mutilato in modo orribile? — Dunque? — domandò Meddows. Pitt ripeté nome e indirizzo. La faccia di Meddows si raggrinzì in un'espressione di comica sorpresa. — Davvero inverosimile — commentò. — A proposito, era probabilmente svenuto e quasi morto quando gli hanno fatto questo lavoretto. — Indicò la parte bassa del corpo. — Se può essere di consolazione... Sai dell'altro, vero? — L'altro? Di cosa stai parlando? L'altro cosa? La faccia di Meddows s'indurì. — L'altro cadavere, amico. L'altro che abbiamo trovato castrato come questo. Non mi dire che non lo sapevi? Pitt era sbalordito. Come poteva essergli sfuggita una simile mostruosità? — Un giocatore d'azzardo o un ruffiano — proseguì Meddows. — Dall'altra parte dell'Acre... non appartiene alla tua zona. Ma, come ho detto, anche quel poveraccio era evirato, anche se non così malamente. A quanto pare, abbiamo un maniaco in libertà. Si è riusciti a evitare che i giornali ne facessero una notizia sensazionale. La vittima apparteneva alla categoria di uomini che finisce spesso accoltellata... succede, con il mestiere che fanno. — Si rialzò lentamente, con uno scricchiolio delle ginocchia. — Ma questo è diverso. Forse aveva visto tempi migliori, ma mangiava ancora bene.
E oserei dire che la sua aria trasandata potrebbe essere dovuta più a eccentricità che a mancanza di mezzi. L'abito è logoro, ma la biancheria è nuova, e abbastanza pulita, non la indossava da più di un giorno, direi. Pitt pensò al formaggio stilton e alle unghie pulite. — Sì — disse con voce neutra. Sapeva che Meddows lo stava osservando, e aspettava. — Va bene. Se qui hai finito, sarà meglio farlo portare via. Esegui l'autopsia e fammi sapere se c'è dell'altro. — Naturalmente. A quel punto veniva la parte peggiore. Pitt considerò se poteva demandare a un altro il compito di informare la famiglia, la vedova, se ce n'era una. E, come sempre, non riuscì a sottrarsi alla convinzione che spettasse a lui. Se non l'avesse fatto, avrebbe avuto l'impressione di tradire sia l'agente che mandava in sua vece sia i parenti del defunto. Diede tutti gli ordini necessari agli uomini che aspettavano fuori. Il cadavere doveva essere rimosso e il cortile sigillato, e andava eseguita una perquisizione minuziosa alla ricerca di un indizio sull'autore di quel delitto. Bisognava indagare sui vagabondi che si trovavano nella zona, sugli abitanti del quartiere, sulle prostitute, insomma su chiunque potesse avere visto qualcosa. Nel frattempo, lui si sarebbe recato al numero 23 dei Lambert Gardens per informare la famiglia, a quell'ora probabilmente intenta a far colazione, che il padrone di casa era stato assassinato. Pitt fu accolto da un maggiordomo dall'aria molto competente. — Buongiorno, signore — disse in tono educato. Pitt era uno sconosciuto per lui, ed era troppo presto per una visita mondana. — Buongiorno — rispose Pitt. — Sono della polizia. È questa la residenza del dottor Hubert Pinchin? — Sì, signore, ma al momento il dottor Pinchin non è in casa. Se è un caso urgente, posso raccomandarle un altro medico. — Non mi occorre un medico. Mi dispiace, ma porto brutte notizie. Il dottor Pinchin è morto. — Oh, santo cielo! — La faccia del maggiordomo s'irrigidì, ma conservò il suo sangue freddo. Arretrò di un passo. — Meglio che entri signore. Vuole essere così gentile da dirmi cos'è successo? Sarà meglio che sia io a comunicare la notizia alla signora Pinchin. Sono sicuro che lei lo farebbe con molto tatto, ma... — Per delicatezza, non concluse la frase. — Sì — disse Pitt. con un sollievo che gli procurò un lieve senso di colpa. — Sì. certo. — Com'è successo, signore?
— È stato aggredito, pugnalato alla schiena. Credo che non abbia quasi sofferto. Mi dispiace. Il maggiordomo rimase per un attimo immobile a fissarlo. — Assassinato? — Sì. Mi dispiace — ripeté Pitt. — C'è qualcuno che possa identificare il corpo... magari qualcuno che non sia la signora Pinchin? Sarà penoso. — Era il momento di menzionare la mutilazione? Il maggiordomo aveva ritrovato il controllo dei suoi nervi. — Sì, signore. Informerò la signora Pinchin della morte del dottor Pinchin. Ha una cameriera bravissima che si prenderà cura di lei, e qui vicino abita un altro medico che la assisterà. Il cameriere, Peters, è con noi da dodici anni. Verrà lui a identificare il corpo. — Esitò un attimo. — Suppongo non ci siano dubbi, vero? Il dottor Pinchin era appena un po' più basso di me, senza barba, e di colorito scuro... — Lasciò quella vaga speranza sospesa nell'aria. Ma era inutile. — Il dottor Pinchin aveva un abito di tweed marrone, vecchio di qualche anno? — Sì, signore. È quello che indossava quando è uscito di casa ieri. — In questo caso, temo che ci siano pochi dubbi. Ma forse il cameriere dovrebbe accertarsene prima di comunicarlo alla signora Pinchin. — Sì, signore, naturalmente. Pitt gli diede l'indirizzo dell'obitorio, poi lo informò della natura delle altre ferite, e aggiunse che, di sicuro, la stampa avrebbe dato risalto alla notizia. Sarebbe stato opportuno tenere i giornalisti lontano dalla casa il più a lungo possibile, fino a quando qualche altro avvenimento avesse fatto passare in secondo piano il delitto. Pitt se ne andò senza incontrare la vedova. Non si era alzata dal letto e lui, con la sua immaginazione, vedeva lo shock iniziale, seguito dall'incredulità, poi dalla lenta accettazione della realtà, e alla fine l'inizio di un dolore inconsolabile. Naturalmente, doveva recarsi a parlare con il funzionario che si occupava dell'altro delitto, in apparenza tanto simile. Forse non c'era nessun nesso tra i due crimini, ma sarebbe stato assurdo ignorare quella possibilità. Forse gli avrebbero tolto l'incarico di seguire il caso. Gli era del tutto indifferente; non provava alcun diritto di proprietà, come era capitato altre volte. Chiunque avesse commesso quel delitto era entrato in un regno ben lontano dal mondo ordinario della malavita.
Mentre avanzava contro le raffiche di vento che alzavano da terra i rifiuti, andava ripetendosi che non avrebbe avuto proprio niente da obiettare se gli toglievano quel caso. Attraversò la strada prima che passasse un calesse. Un ragazzo, che stava raccogliendo dello sterco di cavallo, smise di lavorare e si appoggiò alla ramazza. Aveva le mani paonazze e le dita spuntavano dai guanti bucati. Passò una carrozza chiusa, che li schizzò entrambi con un misto di fango e sterco. Il ragazzo sogghignò vedendo l'aria irritata di Pitt. — Avrebbe dovuto mettersi dietro di me, signore — disse in tono scanzonato. — Avrebbe evitato di insozzarsi. Pitt gli diede una moneta e ammise che aveva ragione. Alla stazione di polizia fu accolto con insolita cordialità. — Ispettore Pitt? Sì, signore. Suppongo che sia venuto a proposito del nostro delitto, signore, visto che è simile al vostro, vero? Pitt rimase sorpreso. Come faceva quel giovane agente a sapere di Hubert Pinchin? Il pensiero doveva esserglisi dipinto in viso, perché l'agente rispose alla domanda prima che Pitt avesse il tempo di farla. — È sull'edizione straordinaria del pomeriggio, signore. A titoli cubitali. Una storia davvero orribile. So naturalmente che hanno l'abitudine di esagerare, tanto per far colpo sulla gente. Ciò nonostante... — Dubito che siano riusciti ad aggiungere qualcosa in questo caso — replicò Pitt con sarcasmo. Svolse la sciarpa e si tolse il cappello. Il cappotto gli pendeva più da un lato che dall'altro: doveva aver di nuovo sbagliato ad allacciare i bottoni. — Posso parlare con la persona che si occupa del vostro delitto, se è qui? — Sì, signore. È l'ispettore Parkins. Immagino che sarà felice di vederla. Pitt ne dubitava, ma seguì l'agente nell'ufficio caldo e buio, che odorava di carta vecchia e cera. Era più ampio del suo, e sulla scrivania vide la fotografia di una donna con quattro bambini. Parkins era un uomo bruno ed elegante, seduto a guardare con aria sconsolata un mucchio di carte. L'agente presentò Pitt con voce chiara e forte. L'espressione lugubre abbandonò all'istante la faccia di Parkins. — Si accomodi — lo invitò con cordialità. — Si accomodi... si sieda. Ecco, tolga queste pratiche... si metta comodo, amico. Sì, una storia disgustosa. Vorrà sapere tutto, immagino. L'abbiamo trovato nel canale di scolo. Morto stecchito. Assiderato... certo, non c'è da stupirsi visto il tempo che fa. Un tempo da lupi. E il peggio deve ancora arrivare. È stato accoltellato alla schiena, povero diavolo... una lama lunga e affilata, probabilmente un col-
tello da cucina, o qualcosa del genere. — Fece una pausa per riprendere fiato e si passò la mano tra i capelli radi. — Era un ruffiano, il cadavere è stato trovato da una prostituta del quartiere. Immagino che vorrà occuparsi lei del caso, dal momento che quasi sicuramente è collegato con il vostro. — Più che una domanda, la sua era un'affermazione. Pitt sussultò. — No! — esclamò suo malgrado. — Io pensavo che lei... — Niente affatto. — Parkins agitò le mani, come a voler declinare un favore. — Niente affatto. Lei è il più anziano, e ha molta più esperienza di me. Ho ammirato molto il modo in cui ha risolto la vicenda dei Bluegate Fields. — Vide l'espressione sorpresa di Pitt. — Oh, certe cose si vengono a sapere. Gli amici... una parola qui, una là... — Alzò un dito e lo agitò in un vago gesto di intesa. Pitt era sorpreso e lusingato. Era abbastanza sensibile da sentirsi lusingato che il suo coraggio venisse riconosciuto; era una sensazione particolarmente gradevole. E lui aveva avuto paura durante le indagini per il caso dei Bluegate Fields: aveva rischiato più di quanto potesse permettersi. — Il nostro era soltanto un ruffiano — proseguì Parkins. Meglio averlo perso, anche se non farà molta differenza, naturalmente. Qualcuno non tarderà a prendere il suo posto, anzi, sarà già stato rimpiazzato. Come fare un buco nell'acqua. Il vostro era un medico? Persona perbene. Sarà meglio che prenda tutto l'incartamento... il rapporto dell'autopsia e così via. E suppongo che vorrà vedere il cadavere. — L'avete ancora qui? — domandò Pitt. — Oh, sì, è passata soltanto una settimana. Con un tempo come questo non ci sono problemi. Sì, meglio che lei lo veda. Non si sa mai, forse riuscirà a capire se si tratta dello stesso maniaco. Pitt lo seguì in silenzio fino all'obitorio. Parkins aprì la porta, scambiò qualche parola con l'inserviente, poi invitò Pitt a entrare. Nel locale faceva freddo e c'era un lieve odore di muffa, come di medicinali vecchi. Parkins si avvicinò a uno dei tavoli coperti da lenzuola bianche e, deciso, scostò il telo mostrando non solo la faccia ma tutto il corpo nudo. Era un gesto stranamente indecente, persi no nei confronti del morto. L'istinto di Pitt fu di prendere il lenzuolo e ricoprire la parte inferiore del cadavere, ma si rese conto di non poterlo fare. In fin dei conti si trovava lì proprio per vedere. La ferita però non era identica. Quella era una castrazione grossolana eseguita da una mano inesperta. Il pene non era nemmeno del tutto reciso, i testicoli asportati. — Bene. — Pitt deglutì, con la gola secca.
Parkins rimise a posto il lenzuolo e guardò Pitt con una smorfia di triste umorismo. — Nauseante, vero? Da far stare male. Non lo conosce, per caso? È improbabile, ma non si può mai sapere. — Piegò la parte superiore del lenzuolo. Pitt non aveva nemmeno guardato la faccia. Lo fece, e subito provò una sensazione strana. Aveva già visto quei lineamenti bruni e arroganti, le ciglia folte e la bocca dalla linea sensuale. Almeno, ne era quasi certo. — Chi è? — chiese. — Max. Usava due o tre cognomi diversi: Bracknall, Rawlins, Dunmow. Dirigeva più di un bordello. Tipo molto intraprendente. Perché? Lo conosce? — Credo di sì. Per lo meno assomiglia a uno con cui ho avuto a che fare qualche anno fa... per i delitti di Callander Square. — Callander Square? — Parkins era sorpreso. — Non certo un quartiere per gente di questa risma. Ne è sicuro? — No, non lo sono. Lavorava come cameriere. Allora si faceva chiamare Max Burton se è lo stesso uomo. — Non può scoprirlo? — chiese Parkins con voce più vivace per la curiosità. — Potrebbe essere importante. — Poi si incupì di nuovo. — Anche se a me sembra poco probabile. Ha cambiato stile di vita di parecchio, da allora! — Penso di poter scoprire se si tratta dello stesso uomo — disse Pitt sovrappensiero. — Non dovrebbe essere difficile. Oh, dov'è la ferita che ha provocato la morte? — Qui — rispose Parkins. — Una pugnalata alla schiena, più o meno in questo punto. — Lo indicò sulla schiena di Pitt, vicino alla colonna vertebrale, un paio di centimetri sulla sinistra. Era più in basso della ferita sulla schiena di Pinchin, ma di pochissimo e sullo stesso lato. C'era da tener conto che Max era più alto di Pinchin. — Che tipo di arma? Lunga quanto? Larga quanto? — Lunga circa 15 centimetri, e larga quattro. Potrebbe essere stato un coltello da cucina. Tutti ne hanno uno, niente di insolito. Come il suo, vero? A Pitt non garbò che si riferisse a Pinchin definendolo "il suo", ma capì cosa intendeva Parkins. — Sì — ammise. — Quasi esattamente. — Fu costretto ad aggiungere: — Con la differenza che nel delitto di oggi gli organi genitali sono stati completamente asportati e collocati tra le ginocchia del cadavere.
La faccia di Parkins s'irrigidì. — Lo prenda — disse a voce bassa. — Prenda quel bastardo, signor Pitt. Pitt non era più stato a Callander Square dopo i delitti di tre anni prima. Era curioso di sapere se i Balantyne ci abitavano ancora. Se ne stava in piedi nella pungente aria pomeridiana, sotto gli alberi spogli con la corteccia bagnata di pioggia. Presto sarebbe calata l'oscurità. Era a soli cinque metri dal luogo dove erano stati trovati i cadaveri a causa dei quali si era recato a interrogare i residenti di quelle eleganti case in stile georgiano. Era gente che aveva camerieri per aprire la porta, cameriere per accogliere i visitatori, e maggiordomi a guardia della dispensa e della cantina. Si tirò su il bavero del cappotto, inclinò di lato il cappello e ficcò le mani nelle tasche, rigonfie di pezzi di corda, monete, un temperino, due fazzoletti, un pezzo di ceralacca e innumerevoli foglietti di carta. Si rifiutò di presentarsi alla porta di servizio, come sapeva che si pretendeva che facesse, e andò a suonare all'ingresso principale. Il cameriere lo ricevette con freddezza. — Buongiorno... signore. — L'esitazione era appena accennata, ma sufficiente a far capire che quel titolo era soltanto una forma di cortesia e a parer suo per niente giustificato. — Buongiorno — replicò Pitt calmissimo. — Mi chiamo Thomas Pitt. Vorrei vedere il generale Balantyne per una questione della massima urgenza. Se così non fosse non mi sarei presentato senza prima informarmi se poteva ricevermi. Il cameriere storse la bocca, ma l'obiezione che si era preparato a fare era stata anticipata. — Il generale Balantyne non riceve visitatori casuali, signor Pitt — disse in tono ancor più freddo, squadrandolo dalla testa ai piedi con occhio esperto. Era ovvio dai vestiti che non era una persona di rango, malgrado la proprietà del suo linguaggio. Gli abiti non uscivano di certo dalle mani di un sarto, e quanto al suo cameriere... ogni cameriere degno di quel nome si sarebbe tagliato la gola piuttosto che far apparire il proprio padrone in pubblico conciato in quel modo. Quel panciotto non avrebbe dovuto essere abbinato a quella camicia, la giacca era un disastro, e la cravatta pareva annodata da un cieco con due mani sinistre. — Spiacente — ripeté, ormai sicuro di sé. — Il generale Balantyne non riceve nessuno senza appuntamento, a meno, naturalmente, che non si tratti di conoscenti. Posso suggerirle di scrivergli? O di fargli scrivere da qualcuno per conto suo?
L'insinuazione che fosse analfabeta fu la goccia che fece traboccare il vaso. — Conosco il generale Balantyne — sbottò Pitt. — E si tratta di un'indagine della polizia. Se vuole discuterne sulla porta l'accontenterò. Ma immagino che il generale preferirebbe parlarne in casa! Decisamente più discreto, non le pare? Il cameriere era stupito, e lo lasciò capire. Avere la polizia davanti a casa, per di più all'ingresso principale, era spaventoso. Accidenti all'impertinenza di quell'uomo! Assunse un'espressione solenne, anche se lo disturbava il fatto che Pitt fosse più alto di lui di diversi centimetri, tanto che neanche il vantaggio di trovarsi su un gradino più su gli permetteva di guardarlo dall'alto in basso. — Se si tratta di un furto o di qualcosa del genere, farà meglio a presentarsi alla porta di servizio. Il maggiordomo la riceverà senz'altro... se è davvero indispensabile. — Non si tratta di furto — replicò Pitt in tono gelido. — Si tratta di omicidio, ed è con il generale Balantyne che voglio parlare, non con il maggiordomo. Non credo che farà salti di gioia se lei mi costringerà a tornare con un mandato! Il cameriere sapeva riconoscere la propria sconfitta. Indietreggiò. — Se vuole venire da questa parte. — Si rifiutò di aggiungere il "signore". — Se vuole attendere in soggiorno, forse il generale la riceverà quando potrà. — Attraversò con incedere solenne l'atrio e aprì la porta di un'ampia stanza nel cui camino c'erano le braci di un fuoco, sufficiente a rendere meno fredda l'aria ma non a scaldare Pitt. Il cameriere guardò le ceneri e sorrise compiaciuto. Girò sui tacchi e uscì, chiudendo la porta di legno lucido. Non si era nemmeno offerto di prendergli il cappotto e il cappello. Cinque minuti dopo era di ritorno, con la faccia contratta per la rabbia. Prese il cappotto e il cappello di Pitt e gli ordinò di seguire la cameriera, che l'avrebbe accompagnato in biblioteca. In quel locale ardeva un bel fuoco, che accendeva riflessi scarlatti nelle rilegature in pelle dei libri e faceva scintillare i trofei appesi alla parete di fronte. Il generale era dietro a una grande scrivania cosparsa di calamai, penne, fermacarte, libri aperti e un cannone di ottone in miniatura. Non era cambiato dall'ultima volta che Pitt l'aveva visto: aveva le stesse spalle ampie ed erette, la faccia orgogliosa, i sottili capelli castani, forse appena un po' più grigi di allora. — Ebbene, signor Pitt? — disse in tono formale. Era un uomo che non
sapeva essere spontaneo. Aveva trascorso tutta la vita a rispettare regole, anche di fronte al terrore o al dolore nella sua massima espressione. Soldato quando era ancora ragazzo, dalla collina che sovrastava Balaclava aveva assistito inorridito alla carica della cavalleria. Il massacro della Crimea era impresso in maniera indelebile nella sua memoria. Conosceva gli uomini della "sottile linea rossa" che avevano resistito al tremendo impatto dell'armata russa, uomini che avevano difeso la propria posizione in condizioni impossibili. Erano caduti a centinaia, ma nessuno aveva rotto le righe. — Il mio cameriere dice che deve parlarmi di un omicidio. È esatto? Pitt si scoprì a raddrizzare le spalle, mettendosi non proprio sull'attenti, ma rimanendo a piedi uniti e a testa alta. — Sì, signore. Una settimana fa c'è stato un omicidio molto ripugnante in un quartiere chiamato Devil's Acre, nelle vicinanze di Westminster. — So dov'è. — Il generale aggrottò la fronte. — Ma è successo stamattina? — Stamattina ce n'è stato un secondo. Del primo non si è parlato sui giornali. Comunque, il mio intervento è stato richiesto per quello odierno, e quando ho saputo del precedente sono andato a vedere il cadavere. — Naturalmente. Cosa desidera da me? Arrivato al punto, Pitt provava imbarazzo a dover chiedere a quell'uomo di andare a guardare il cadavere di un ruffiano morto. Che importanza aveva che quell'uomo fosse o non fosse stato il suo cameriere all'epoca dei delitti di Callander Square? Ormai non faceva più nessuna differenza. Si schiarì la gola; non c'era modo di evitarlo. — Credo sia un uomo che lei conosceva. Il generale inarcò le sopracciglia, sbalordito. — Un uomo che conoscevo? — Sì, signore, penso di sì. — Il più brevemente possibile, Pitt gli raccontò della morte di Pinchin e di ciò che l'ispettore Parkins gli aveva mostrato all'obitorio. — Molto bene — disse il generale in tono riluttante, quindi suonò il campanello per chiedere la carrozza. La porta si aprì e, invece del cameriere, entrò una delle donne più straordinarie che Pitt avesse mai visto: Lady Augusta Balantyne. Il suo viso era delicato come una porcellana cinese, ma senza averne la fragilità. Indossava abiti sontuosi di quel gusto raffinato tipico di chi ha sempre avuto denaro e quindi non si sente obbligato a ostentare la propria ricchezza. Guardò
Pitt con un'espressione disgustata: il suo atteggiamento sembrava esigere una spiegazione, non solo per la sua presenza ma per il fatto stesso di esistere. Pitt rifiutò di lasciarsi intimidire. — Buongiorno, Lady Augusta — disse con un lieve inchino. — Spero stia bene. — Io sto sempre bene signor... — Non poteva essersi dimenticata dei loro precedenti incontri: era stato un episodio troppo insolito, troppo doloroso. — Signor Pitt. — Inarcò appena le sopracciglia. Gli occhi erano gelidi. — A quale infelice vicenda dobbiamo la sua visita, questa volta? — Si tratta di un'identificazione, signora — rispose Pitt con calma. Sentì il generale rilassarsi, anche se lo vedeva a malapena con la coda dell'occhio. — Riguarda un uomo che forse il generale Balantyne può dirci come si chiami, cosa che ci sarebbe di grande aiuto. — Bontà divina... quell'uomo non può dire da sé le proprie generalità? — Non sempre la gente dice la verità, signora. Lei arrossì, rendendosi conto di non aver afferrato una cosa ovvia. — E in questo caso, poi, è addirittura morto — aggiunse il generale. — Niente che ti riguardi, mia cara. È mio dovere offrire il mio aiuto, se posso. Direi che non ci vorrà molto. — Hai dimenticato che stasera ceniamo con Sir Harry e Lady Lisburne? — Lady Augusta ignorò Pitt, come se fosse stato uno dei domestici. — Non intendo arrivare in ritardo. Non voglio apparire maleducata, qualunque sia il tuo concetto del dovere. — L'uomo si trova in un obitorio a meno di mezz'ora da qui. — Sulla faccia del generale passò un'ombra d'irritazione. Detestava le cene e, con Harry Lisburne come anfitrione, quella che l'aspettava si prospettava più noiosa che mai. — Devo soltanto guardarlo e dire se lo conosco o no. Sarò di ritorno prima che faccia buio. Lady Augusta sbuffò in maniera impercettibile e uscì senza degnare Pitt di un'altra occhiata. Il generale Balantyne andò nell'atrio, prese il cappotto che il maggiordomo gli porgeva e uscì sotto la pioggia insieme a Pitt nell'istante in cui la carrozza si fermava davanti all'ingresso. Per tutto il tragitto rimasero in silenzio. Pitt non voleva compromettere l'identificazione discutendo del caso, e non si sentiva portato a conversare di banalità. La carrozza si fermò poco distante dall'obitorio. Pitt e il generale scesero e percorsero il sentiero, sempre in silenzio. Una volta dentro, il sorvegliante parve sorpreso di vedere un gentiluomo di rango come Balantyne. ma
riconobbe Pitt e li condusse senza indugi al cadavere. — È questo, signore. — Scostò con un gesto rapido il lenzuolo, con l'aria del prestigiatore che fa apparire un coniglio. Come Pitt prima di lui, gli occhi del generale corsero subito alla mutilazione, senza nemmeno dare un'occhiata alla faccia. Respirò a fondo e poi lasciò uscire l'aria dai polmoni. Aveva già visto la morte molte volte, quasi sempre provocata dalla violenza della guerra o dalla devastazione della malattia. Ciò che rendeva quella morte particolarmente spaventosa era il fatto che fosse deliberata e avvenuta nelle strade di Londra. La maldestra mutilazione non era un incidente causato dal fuoco dei cannoni, ma sembrava la conseguenza di un odio mortale nei confronti di qualcuno di preciso. Ma di chi? Il generale guardò il cadavere in faccia. Pitt, che lo osservava con attenzione, vide un lampo passare nel suo sguardo. — Generale? Balantyne alzò adagio la testa. Pitt non riusciva a leggere le emozioni nei suoi occhi. Aveva di fronte un uomo molto chiuso, non abituato al sollievo che offre l'altrui comprensione. Pitt non era mai riuscito a capirlo a fondo; venivano da due mondi opposti. Balantyne era l'ultimo discendente di generazioni di soldati che avevano servito la monarchia e il paese con totale sacrificio in tutte le guerre fino dai giorni di Azincourt, mentre Pitt era figlio di un guardacaccia di campagna condannato ingiustamente per un reato insignificante. Pitt era cresciuto nella proprietà del suo padrone e aveva acquisito il suo ottimo modo di parlare facendo compagnia al figlio del padrone di casa e aiutandolo negli studi. La vivacità mentale di Pitt era stata per il ragazzo una sfida e spesso un rimprovero per spronarlo a uscire dalla propria indolenza Eppure Balantyne gli era simpatico. Era un uomo che viveva secondo un proprio codice, al quale si atteneva con la stessa severità di un cavaliere antico. — Lo conosce? — lo sollecitò, anche se la domanda era puramente accademica. La risposta era scritta sulla faccia del generale. — Naturalmente — rispose Balantyne a voce bassa. — È Max Burton, che un tempo lavorava come cameriere per me. 2 Gracie entrò in salotto con le prime edizioni dei quotidiani del pomerig-
gio. La sua faccia era soffusa di colore, gli occhi sgranati. — Oh, signora! C'è stato un orribile delitto... il più orribile nella storia criminale di Londra, dicono. Da far tremare le ginocchia anche agli uomini più forti! — Davvero? — Charlotte non smise di cucire. I giornali avevano sempre la tendenza a esagerare... col freddo di gennaio chi si sarebbe fermato per strada a comprarli se avessero raccontato solo storie banali? Gracie rimase inorridita dalla sua indifferenza. — No, signora... è davvero così! Era tutto tagliato a pezzi, in un posto che una signora non deve nemmeno nominare, se vuole continuare a considerarsi una signora. I giornali hanno ragione, signora. A Devil's Acre c'è un feroce maniaco in libertà... e forse i predicatori non sbagliano dicendo che il giorno del giudizio universale è arrivato, ed è Satana in persona! — Gracie impallidì evocando con l'immaginazione la figura del demonio. — Sciocchezze! — la rimproverò Charlotte in tono brusco. Capiva che se non faceva attenzione si sarebbe ritrovata a fronteggiare una crisi isterica. — Su, dammi i giornali e va' a pulire le verdure, altrimenti stasera resteremo senza cena. Se il padrone torna a casa e non trova niente di caldo, andrà su tutte le furie. Era una minaccia inutile. Gracie aveva un enorme rispetto per Pitt: era il padrone, dopotutto, e per di più era un poliziotto, perciò rappresentava la Legge. Chissà quante storie affascinanti e misteriose doveva conoscere! Storie scandalose, peggiori di quelle che si leggevano sui giornali. Ma non aveva per niente paura. Non era il tipo di persona che avrebbe buttato per strada un domestico per una cena non pronta, e Gracie lo sapeva. — È orribile, signora — ripeté, annuendo violentemente per dimostrare che aveva ragione. — Per stasera vuole che prepari il cavolo o le rape? — Tutti e due — rispose Charlotte con aria distratta, già assorta nella lettura. Gracie accettò quel congedo e tornò in cucina, rimuginando sui fatti di quella mattina. Era motivo di grande soddisfazione per lei lavorare per una signora, una vera signora, non una di quelle sfacciate arrampicatrici sociali che si davano un sacco di arie, ma una nata in una famiglia di ceto elevato e cresciuta in una casa con servitori autentici, un maggiordomo, una cuoca, sguattere, cameriere e camerieri. Nessuna delle sorelle o delle amiche di Gracie aveva una padrona come la sua. Era il motivo per cui Gracie godeva di molta stima ed era in grado di consigliare le amiche sul modo giusto di fare questo o quello.
Era vero che Charlotte era un po' decaduta da un punto di vista sociale; un poliziotto non è un gentiluomo, lo sapevano tutti. Ciò nonostante c'erano momenti in cui era molto eccitante. Le cose che avrebbe potuto raccontare, se avesse voluto! Era ovvio, tuttavia, che doveva limitarsi a vaghi accenni senza scendere in particolari. Era molto retta. E, per dire la verità, Gracie non approvava del tutto che la sua padrona a volte finisse coinvolta nelle faccende della polizia. Spesso, si era trovata faccia a faccia con gente che aveva commesso delitti. Dare la caccia a gente come quella, anche se alla fine si scopriva che appartenevano all'alta società, non era una cosa adatta a una signora. Gracie scosse la testa, gettò le rape nel lavandino e cominciò a lavarle e a pelarle. A meno che non si sbagliasse di grosso, la sua padrona aveva in mente di immischiarsi di nuovo in qualche vicenda. Aveva quell'aria irrequieta, iniziava le cose e le piantava a metà, scriveva lettere alla sorella Emily, ora viscontessa Ashworth. Aveva sposato uno di rango più elevato di lei, quella. Non che non fosse molto simpatica, a giudicare dalle poche volte che Gracie l'aveva vista. Di solito era Charlotte a farle visita, nella sua grande casa di Paragon Walk. E chi poteva biasimarla? Gracie si lasciò andare al piacevole sogno di immaginare come poteva essere la casa di una viscontessa. Senza dubbio aveva dei camerieri, tutti alti e belli, e per di più in livrea! Un uomo in livrea faceva la sua figura, a dispetto di quello che dicevano gli altri. Quando Pitt tornò a casa quella sera, Charlotte lo stava aspettando. Aveva letto i giornali con attenzione perché il cadavere mutilato era stato scoperto nella zona di Pitt, e sapeva che la chiamata da lui ricevuta quella mattina, prima dell'alba, probabilmente riguardava il delitto. Ovviamente, non era il genere di caso in cui lei avrebbe potuto dare il proprio aiuto, purtroppo. Era pronta alla sfida, perfino ai rischi di un'altra indagine, ma l'uomo era stato trovato in un luogo di cui non sapeva assolutamente nulla, se non per sentito dire. E ai Lambert Gardens, dove abitava da vivo, non viveva nessun amico dei suoi genitori, perciò anche lì non poteva essere di nessun aiuto. Tuttavia, se il marito era disposto a discuterne con lei, poteva almeno usare il suo acume. In passato si era dimostrata abile a intuire i moventi, e la natura degli esseri umani non cambiava, qualunque fossero le circostanze. Si precipitò ad accogliere il marito appena udì chiudersi la porta d'in-
gresso, precedendo perfino Gracie. Gli prese la giacca, l'appese ad asciugare, quindi si voltò a baciarlo. La sua faccia era fredda. Sapeva che doveva essere stanco; erano passate più di dodici ore da quando era uscito, senza fare colazione. Il buon senso le suggeriva di frenare la curiosità fino a che non avesse finito di cenare. Lo precedette in salotto e parlò del più e del meno mentre Pitt si scaldava davanti al fuoco in attesa che Gracie servisse il pasto. Alle nove, Charlotte decise di essere stata discreta anche più del necessario. — A proposito dell'agente che è venuto a chiamarti stamattina — iniziò. — Era per il cadavere di Devil's Acre? Un'ombra di cupa allegria si dipinse sul viso di Pitt. Quando Charlotte tentava di giocare d'astuzia, lui di solito se ne accorgeva subito, e quindi lei aveva rinunciato ai sotterfugi. Comunque, quel giorno non aveva avuto il tempo di prepararsi ad affrontare l'argomento in maniera più tortuosa. — Sì — rispose guardingo. — Ma i Lambert Gardens, dove abitava, non rientrano nel giro di abitazioni degli amici della tua famiglia. Non c'è niente che puoi fare per aiutarmi. Charlotte non era sprovveduta quanto a tattica. — Certo, hai ragione. Ma non si può non provare interesse per questo delitto. I giornali della sera non parlano d'altro. Pitt fece una smorfia. La moglie cambiò piano d'attacco. — Sii prudente, Thomas. A quanto pare, c'è un pazzo furioso in circolazione. Voglio dire, questo non è un delitto normale, non credi? A proposito, cosa pensi che ci facesse a Devil's Acre un uomo come il dottor Pinchin? Aveva uno studio là? I giornali dicono che era un uomo molto rispettabile. — Non ne era del tutto convinta; aveva conosciuto lei stessa un sacco di gente "rispettabile", e in effetti quell'aggettivo significava soltanto che erano stati o abbastanza furbi o abbastanza fortunati da conservare un'ottima facciata. Dietro alla quale poteva anche esserci il nulla. Pitt sorrise. — Grazie, mia cara, ma non occorre che tu stia in ansia per me. Non me ne andrò a vagare da solo per l'Acre. Sarò al sicuro dai pazzi. Lei considerò la possibilità di fare l'offesa e fingere che il marito l'avesse fraintesa, ma decise subito che non avrebbe funzionato. — Ma certo. Forse sono stata stupida. Probabilmente il dottor Pinchin non era così rispettabile come fanno intendere i giornali. Però dovrebbero fare attenzione a quello che dicono, e d'altronde quel poveretto è morto. — Lo guardò sgranando gli occhi con aria innocente. — Aveva famiglia?
— Charlotte! — Sì, Thomas? Lui sospirò. — Non è il genere di caso in cui puoi immischiarti. Il dottor Pinchin non è l'unica vittima... è la seconda, a quanto ne sappiamo, e qualunque cosa ci sia sotto parte da Devil's Acre. Anche l'altro cadavere è stato trovato là. Non è un delitto semplice, Charlotte, e non c'è dietro il genere di moventi che tu sei così abile a scoprire. Lei ignorò il complimento. — Un altro morto? Non lo sapevo! I giornali non ne parlano. Chi era? Sul viso di Pitt passò un lampo d'irritazione. Charlotte non era sicura se a provocarlo fosse stata lei o le circostanze. Pitt attese diversi secondi prima di rispondere, e quando lo fece fu con voce rassegnata. — In effetti, si tratta di una persona che hai conosciuto. Charlotte avvertì un brivido di emozione, non scevra da un senso di eccitazione, di cui si vergognò all'istante. — Una persona che ho conosciuto? — Ricordi il generale Balantyne, di Callander Square? L'eccitazione si trasformò in un orrore così intenso da farla stare quasi male. La stanza vorticò e Charlotte credette di essere sul punto di svenire. Immaginare il generale, con il suo fiero orgoglio, la sua malinconia, la sua venerazione del dovere... come poteva essere finito a Devil's Acre a morire non in servizio o in battaglia ma in modo così orribile? — Charlotte! Si sarebbe riusciti a tenere segreto il fatto? Era l'ultimo modo al mondo in cui un uomo come lui meritasse di morire! — Charlotte! — La voce di Pitt s'insinuò nelle sue riflessioni. Lei alzò la testa. — Non era Balantyne! Era il suo ex cameriere, Max... ti ricordi di Max? Ma certo! Come aveva potuto essere così sciocca? Deglutì. — Max... Sì, certo che ricordo Max. Un essere odioso. Mi dava sempre la sensazione, quando mi guardava, che potesse vedermi attraverso gli abiti. Pitt fece una faccia allarmata, che si trasformò subito in divertimento. — Che descrizione pittoresca! Non immaginavo che fossi così percettiva! Charlotte sentì di arrossire. Non era nelle sue intenzioni fargli sapere che aveva capito così bene quel tipo di sguardo, soprattutto negli occhi di un cameriere. Non avrebbe dovuto accorgersi di niente! — Ecco... — Tentò di dare una spiegazione, ma rinunciò. Pitt aspettava, ma Charlotte si rifiutava di lasciarsi andare a ulteriori
confidenze. — Cosa ci faceva Max a Devil's Acre? — domandò. — Non credevo che gli abitanti di quel quartiere avessero dei domestici. — Infatti non ne hanno. Gestiva un bordello, anzi, più di uno. Lei rimase impassibile. Nel corso degli anni, aveva avuto occasione di apprendere molte cose sulla miseria e la prostituzione di adulti e di bambini. — Oh! — Ricordava la faccia bruna di Max, il suo modo di guardare con gli occhi socchiusi, la bocca sensuale. Le aveva sempre dato l'impressione di potenza fisica, di una smania che era al tempo stesso sua schiava e sua padrona. — Immagino che fosse piuttosto abile in quel campo. Pitt la guardò, sorpreso. — Voglio dire... — iniziò Charlotte, ma cambiò idea. Perché spiegarsi? Forse non ne sapeva tanto quanto il marito, ma non era una bambina! — Voglio dire che doveva avere un sacco di nemici — proseguì. — Se aveva diverse case di malaffare sicuramente guadagnava bene, e immagino che in quel tipo di mestiere la gente non si faccia molti scrupoli a sbarazzarsi della concorrenza. — Non molti — ammise Pitt con un'espressione che indicava un miscuglio di emozioni per lei incomprensibili. — Forse anche il dottor Pinchin gestiva un bordello — suggerì. — Lo sai, vero, che a volte persone molto rispettabili hanno proprietà in quartieri come quello? — Sì, lo so — replicò Pitt in tono secco. Charlotte colse il suo sguardo. — Certo che lo sai. Scusami. — Non c'è niente che tu possa fare, Charlotte. Non è il tuo mondo. — No, hai ragione — ammise lei, ubbidiente. A quel punto non le sarebbe stato di nessuna utilità insistere oltre, perché non le veniva in mente nessun argomento da proporre. — Non so veramente niente di Devil's Acre. Tuttavia, la mattina dopo, appena Pitt fu uscito, Charlotte cominciò a organizzarsi per assentarsi gran parte della giornata. Gracie, che preferiva badare ai bambini piuttosto che pulire la stufa, lavare i pavimenti o i vetri, accolse le istruzioni di Charlotte con entusiasmo e con una tacita promessa di mantenere il silenzio, anche se non approvava del tutto la sua condotta. La curiosità di una signora avrebbe dovuto limitarsi alle varie storie amorose, a commentare com'era vestita questa o quella, e quanto le era costato... comunque, sempre conservando una certa dignità. Se un gentiluomo
veniva assassinato, era un fatto... ma non un medico che frequentava il Devil's Acre ed evidentemente non era la persona perbene che avrebbe dovuto essere! Gracie aveva udito parlare di posti come quello, e della gente che vi abitava. Charlotte aveva detto che andava a trovare la sorella Emily, ma Gracie immaginava quale fosse il vero scopo della sua visita. Sapeva benissimo che Lady Ashworth non era affatto restia a immischiarsi in questioni scandalose. — Sì, signora. — Accennò un rapido inchino. — Spero che passerà una bella giornata, signora. E che torni a casa sana e salva. — Certo che tornerò a casa sana e salva — ribatté Charlotte prendendo il cappotto che Gracie le porgeva. — Vado soltanto in Paragon Walk. — Sì, signora, non ne dubito. Charlotte le lanciò una rapida occhiata, ma concluse che aveva già parlato abbastanza della discrezione. Insistere sarebbe servito solo ad aumentare i sospetti di Gracie. — Cosa devo dire al padrone signora? — Niente. Sarò a casa molto prima di lui. Anzi, se Lady Ashworth ha altri impegni, potrei essere a casa per pranzo. — E con quelle parole Charlotte uscì dalla porta, scese i gradini e si avviò verso l'angolo, dove c'era la fermata dell'omnibus pubblico. Paragon Walk era di un'eleganza classica sotto il sole invernale. Charlotte percorse a passo veloce il viale fino alla porta d'ingresso di Emily. Il cameriere l'aprì prima che suonasse il campanello. Era naturale che in una casa ben organizzata si badasse ad anticipare gli ospiti. — Buongiorno, signora Pitt — la salutò con educazione. — Buongiorno, Albert — rispose lei con soddisfazione, accettando il tacito invito a entrare. Era molto gradevole essere riconosciuta con tanta prontezza. Le dava la temporanea illusione di appartenere ancora a quel mondo. — Lady Ashworth sta scrivendo delle lettere — la informò il cameriere mentre la precedeva nel grande atrio. Alle pareti erano appesi i ritratti della famiglia Ashworth, che risaliva ai tempi della regina Elisabetta. — Ma sono sicuro che la vedrà con piacere. Ne era sicura anche Charlotte, sapendo quanto la sorella detestasse dedicarsi alla corrispondenza. E sarebbe stata ancor più felice udendo la notizia straordinaria che le avrebbe dato.
Il cameriere aprì la porta del salottino. — La signora Pitt, milady — annunciò. Emily si alzò, allontanando penna e carta prima ancora che Charlotte fosse entrata. Non era alta come lei, e aveva i capelli di un biondo più chiaro naturalmente ondulati e così morbidi che lei glieli aveva sempre invidiati. L'abbracciò con vero piacere. — Come sono contenta di vederti! Non ne posso più di scrivere lettere. Sono tutte per le cugine di George, e non ce n'è una che mi sia simpatica. Ti assicuro che le debuttanti di questa stagione sembrano anche più stupide di quelle dell'anno scorso, che già parevano superare ogni limite! Mi rifiuto di pensare come saranno quelle dell'anno prossimo. Come stai? — Emily fece un passo indietro ed esaminò Charlotte con aria critica. — Hai un aspetto troppo sano per essere alla moda. Dovresti avere l'aria delicata di un giglio, non sembrare una rosa in piena fioritura. Oggi si usa così. E non lo sai che è volgare mostrarsi così eccitate? Cos'è successo? Se non me lo dici, ti... — Non le venne in mente un castigo adeguato; andò alla poltrona davanti al camino e si sedette. Charlotte prese posto sul divano di fronte. — Ricordi i delitti di Callander Square? — esordì. Emily si protese un po' verso di lei. — Non fare la stupida! Chi può scordarsi di un delitto? Perché? Ce n'è stato un altro? — Ricordi quell'orribile cameriere, Max? — Vagamente. Perché? Charlotte, per amor del cielo piantala di fare tanti misteri! Di che cosa diamine stai parlando? — Hai letto dell'assassinio del dottor Hubert Pinchin sui giornali di ieri o di stamattina? — No, naturalmente. — Emily adesso era seduta sull'orlo della poltrona. — Lo sai che George mi dà soltanto le pagine mondane. Chi è Hubert Pinchin e che cos'ha a che vedere con quell'antipatico valletto? Sai essere davvero esasperante. Charlotte si mise comoda, sprofondando nei cuscini, e le raccontò tutto quello che sapeva. Emily serrò le mani, sgualcendo la seta rosa dell'abito. — Oh, cielo... che disgusto! Ma quell'uomo non mi è mai piaciuto — ammise con franchezza. — Aveva lasciato i Balantyne prima della conclusione di quella vicenda, vero? — Sì. Sembra che abbia fatto fortuna come ruffiano. Emily fece una smorfia. — In questo caso forse è giusto che sia stato
trovato in un canale di scolo. E da una prostituta. Credi che Dio abbia il senso dell'umorismo? Oppure il mio è un pensiero blasfemo? — Dio ha creato l'uomo — rispose Charlotte. — Deve possedere almeno uno spiccato senso dell'assurdo. I giornali dicono che il dottor Pinchin era una persona rispettabile. — E allora che cosa ci faceva a Devil's Acre? Si occupava di opere di carità? — Non lo so. Immagino che Thomas lo scoprirà. — Be', uno di ceto elevato che volesse cercarsi una donna di facili costumi per la serata andrebbe al music-hall, o a Haymarket, non certo in un quartieraccio pericoloso come Devil's Acre. Charlotte era un po' delusa. Il mistero si stava dissolvendo davanti ai suoi occhi. — Forse le donne di Haymarket erano troppo costose. Se Max gestiva un bordello, doveva avere dei clienti a Devil's Acre. Se il dottor Pinchin era uno di loro... — Perché ucciderlo? — la interruppe Emily con logica irritante. — Solo un idiota ucciderebbe i propri clienti. — Forse è stata sua moglie. Emily inarcò le sopracciglia. — A Devil's Acre? — Non di persona, stupida! Potrebbe aver assoldato qualcuno. Bisogna odiare molto una persona per fargli una cosa simile. — Hai ragione — ammise Emily, di colpo seria. — Ma, mia cara, tutti gli uomini ricorrono a donne di facili costumi di tanto in tanto, e finché lo fanno con discrezione, una moglie dotata di buon senso non indaga. Se un uomo non dice di sua spontanea volontà dove è stato nell'interesse della propria felicità è più saggio non insistere con altre domande. A Charlotte non venne in mente nessuna risposta che non fosse sgradevole o ingenua. Ognuno doveva affrontare le proprie verità come meglio poteva. La mente di Emily procedeva su un binario diverso. — Strano che quell'orribile cameriere sia ricomparso in scena. Mi metteva sempre a disagio. Sarei curiosa di sapere chi gli ha dato il denaro per aprire un bordello. Insomma, chi era il proprietario dell'edificio, tanto per cominciare? Forse il dottor Pinchin. Ma un pensiero ben più sgradevole s'insinuò nel cervello di Charlotte, legato ai ricordi di casa Balantyne, ai delitti e alle paure del passato e all'improvvisa scomparsa di Max. — Già — ammise in tono brusco. — Già, potrebbe essere così. Vedrai
che Thomas riuscirà a scoprirlo. Emily socchiuse gli occhi e la guardò con sospetto, ma non insistette. — Ti fermi per pranzo? Mentre Charlotte si preparava a far visita a Emily, Pitt scendeva dalla carrozza e si avviava alla porta del numero 23 dei Lambert Gardens. Era una casa alta con una bella facciata, anche se quel giorno, naturalmente, le persiane erano chiuse, c'erano festoni di crespo nero alle finestre e sulla porta vi era una corona. L'insieme produceva un curioso effetto. Non c'era scopo a rimandare: alzò la mano e bussò. Passarono diversi minuti prima che un cameriere dall'aria malinconica gli aprisse. La morte del padrone di casa lo imbarazzava: non sapeva fino a che punto dovesse mostrarsi addolorato, soprattutto considerando la particolarità di quel decesso. Forse doveva fingere di ignorare tutto. Del resto, che cosa poteva dire? La sguattera aveva già dato il preavviso di licenziamento, e lui stava pensando di fare altrettanto. Non riconobbe Pitt. — La signora Pinchin non riceve visite — si affrettò a dire. — Ma se vuole lasciare il suo biglietto, sono sicuro che gradirà le sue condoglianze. — Sono Thomas Pitt, della polizia — spiegò Pitt. — Porgo le più sentite condoglianze alla signora Pinchin, naturalmente, ma purtroppo è anche necessario che le parli di persona. Il cameriere non sapeva decidere a quale dei suoi doveri dare la priorità: da una parte era tenuto a difendere il sacro diritto al dolore dalla volgare intrusione di una simile persona, dall'altra obbedire alla sovranità della Legge era un principio basilare per lui. — Che cosa ne dice di chiamare il maggiordomo? — suggerì Pitt con tatto. — E di permettermi di non aspettare sui gradini? Non vogliamo attirare l'attenzione della servitù e suscitare chiacchiere, vero? La faccia del cameriere divenne quasi comica per il sollievo. Era la soluzione ideale. Le chiacchiere erano inevitabili, ma non intendeva essere incolpato di averle favorite. — Oh, sì, signore... sì. Farò come dice lei. Se vuole seguirmi da questa parte. — Condusse Pitt attraverso l'atrio, nel quale stagnava un leggero odore di stantio, come se da molti giorni nessuna delle porte fosse stata aperta. Gli specchi erano drappeggiati di nero come le finestre. C'era una composizione di gigli in un grande vaso; sembravano artificiali anche se invece erano veri e senza dubbio molto costosi in quel periodo dell'anno.
Il cameriere lasciò Pitt in una stanza con un camino spento, dove dopo pochi istanti fu raggiunto dal signor Mullen, il maggiordomo. I radi capelli biondicci erano pettinati con cura e aveva un'espressione decisa. — Mi dispiace, signor Pitt — esordì, scuotendo la testa. — Temo ci vorrà un'altra mezz'ora prima che la signora Pinchin possa riceverla. Gradisce una tazza di tè mentre aspetta? È una giornata molto fredda. Pitt provava rispetto per quell'uomo. Sapeva fare il proprio mestiere; anzi, lo svolgeva con inconsueta abilità. — L'accetto volentieri, signor Mullen, grazie. E se i suoi doveri glielo permettono, mi concede un po' del suo tempo? — Certo, signore. — Mullen suonò il campanello e, quando il cameriere comparve, chiese che venisse portata una teiera con due tazze. Non si sarebbe sognato di prendere il tè insieme a un gentiluomo venuto in visita, e un bottegaio sarebbe stato mandato in cucina. Ma considerava Pitt più o meno del suo stesso ceto, e Pitt si rendeva conto che era un complimento. Sotto molti aspetti un maggiordomo era il vero padrone della casa, e poteva dirigere una decina, o anche più, di domestici. Capitava anche che fosse più intelligente del suo padrone, e sicuramente ispirava più rispetto ai suoi amici. — È da molto tempo al servizio del dottor Pinchin, signor Mullen? — domandò Pitt in tono discorsivo. — Da undici anni, signor Pitt. Prima ero con Lord e Lady Fullerton, in Tavistock Square. A Pitt avrebbe fatto piacere sapere per quale motivo aveva lasciato un posto di maggior prestigio, ma non sapeva come chiederglielo senza offenderlo. Una simile domanda, oltre a essere contraria al rispetto che provava per quell'uomo, da un punto di vista professionale sarebbe stata inutile. Mullen chiarì la cosa di sua spontanea volontà. Forse voleva scagionarsi dal sospetto di incompetenza. — Avevano preso l'abitudine di recarsi nel Devon ogni inverno. — Un'ombra di disgusto gli passò sulla faccia. — Non ci tenevo a seguirli, e non avevo nessun desiderio di oziare in una casa di città vuota per diversi mesi all'anno. — La capisco — convenne Pitt. Una tenuta in una delle contee intorno a Londra sarebbe stata ben altra cosa, con battute di caccia, balli e ospiti per il Natale. Ma ritirarsi nel silenzio del Devon doveva essere una specie di esilio. — E immagino che il dottor Pinchin fosse un datore di lavoro interessante — disse, cercando di scavare un po' più a fondo.
Mullen sorrise con educazione. Era troppo ammodo per riferire tutti i particolari che aveva appreso sulla famiglia Pinchin. A parer suo, i maggiordomi che tradivano la fiducia dei padroni erano da disprezzare e rappresentavano una vergogna per la categoria. Lo fraintese di proposito, come sapevano entrambi. — Infatti, signore, anche se non esercitava la sua professione in questa casa. Aveva lo studio a Highgate. Ma di tanto in tanto abbiamo avuto a cena alcuni eminenti gentiluomini. — Davvero? Mullen gli fece i nomi di chirurghi e medici rinomati. Pitt ne prese nota mentalmente per interpellarli in seguito e vedere se potevano aggiungere qualcosa all'idea che si era fatto di Hubert Pinchin, pur sapendo per esperienza che tutti i professionisti difendevano i propri colleghi, perfino al punto di rendersi ridicoli. Comunque, c'era sempre la speranza di incappare in qualche caso di gelosia personale o professionale che facesse sciogliere la lingua a qualcuno. Da Mullen apprese pochi altri particolari sulle abitudini di Pinchin, soprattutto quella di rientrare spesso molto tardi la sera. Non era un mistero il fatto che a volte restasse fuori tutta la notte, per quali motivi non si sapeva. Si poteva solo ipotizzare che le malattie non sempre scelgono orari decenti. Alcuni minuti più tardi la cameriera della signora bussò alla porta. La sua padrona era pronta a parlare con Pitt, se aveva la bontà di recarsi nella saletta da colazione. Valeria Pinchin era una donna di statura wagneriana, con un seno prosperoso, gli occhi azzurri e una massa di capelli sbiaditi su una fronte ampia. Era vestita di nero, come si conviene a una vedova, non solo per la recentissima morte del marito ma anche per la spaventosa notorietà dell'evento. Il viso pallido aveva un'espressione di cupa fermezza, tipica di chi è sulla difensiva. Guardò Pitt con diffidenza. — Buongiorno, signora — iniziò lui con un inchino e un tono di autentica partecipazione. — Le mie condoglianze per il lutto che l'ha colpita. — Grazie — rispose la signora Pinchin, tirando su con il naso e sollevando il mento poderoso. — Può accomodarsi, signor... ehm, Pitt. Lui prese posto nella sedia di fronte. La signora Pinchin sorseggiò il tè senza offrirgliene una tazza. Dopotutto, Pitt rappresentava una disgustosa necessità, era un'appendice della sordida disgrazia di cui era stata vittima. Non c'era nessun bisogno di trattarlo come un suo pari.
— Mi dispiace, signora, ma sono costretto a rivolgerle alcune domande. — Io non posso esserle di nessun aiuto. — Lo fissò, indignata al solo pensiero. — Non crederà che sappia qualcosa di una simile, abominevole... — S'interruppe, incapace di trovare un termine abbastanza forte. — No, certo. — Non era facile per Pitt provare simpatia per quella donna. Dovette costringersi a richiamare alla mente altre persone in stato di shock con le quali aveva parlato, i loro diversi modi di proteggere le proprio ferite. La signora Pinchin si era un po' rabbonita, ma i suoi occhi continuavano a scintillare e il petto ornato di perline nere si sollevava e si abbassava con indignazione. — Può aiutarmi a sapere molto di più su suo marito — disse Pitt, facendo un altro tentativo. — E di conseguenza su chi avrebbe potuto vedere in lui un nemico. — Voleva essere il più gentile possibile, ma alla fin fine i fatti non potevano essere ignorati. Hubert Pinchin era stato assassinato. Qualcuno era convinto di avere dei validi motivi per ucciderlo. Un semplice rapinatore non evira la sua vittima. La signora Pinchin fu sul punto di dire qualcosa, ma cambiò idea e bevve invece un altro sorso di tè. Pitt aspettava. — Mio marito era... — Era chiaro che aveva difficoltà a esprimere i propri pensieri senza tradire una parte estremamente privata della sua vita, e troppo dolorosa per essere ammessa, tanto più a quel... poliziotto! — Era un uomo eccentrico, signor Pitt. Aveva scelto di esercitare la medicina tra gente molto strana. Esito a dire "indegna". — Tirò su con il naso. — Non voglio essere dura con chi non è stato favorito dalla sorte, ma avrebbe potuto fare una carriera eccezionale. Mio padre — proseguì, sporgendo il mento — è il dottor Albert Walker-Smith. Senza dubbio ne ha udito parlare, vero? Era un nome che a Pitt non diceva niente, ma mentì. — Un uomo molto famoso, signora. La sua faccia si addolcì un po' e per un attimo Pitt temette che gli venisse richiesto qualche commento pertinente. Non aveva la minima idea di chi fosse Albert Walker-Smith, se non l'uomo da cui la signora Pinchin aveva sperato che il marito prendesse esempio. — Ha detto che il dottor Pinchin era un eccentrico, signora. Lo confermano altri fatti indipendenti dalla sua scelta di non sfruttare le proprie capacità per fare carriera?
La signora Pinchin spiegazzò un tovagliolo con le grandi mani. — Non sono sicura di capirla, signor Pitt. Non aveva abitudini riprovevoli, se è questo che intende! — Dietro le sue parole aleggiavano tutte le aberrazioni della virilità maschile intuite solo in parte, pratiche che la sua ignoranza di donna evocava dalle profondità dell'immaginazione. Pitt la guardò, sconfortato. Era così trincerata nella sua dignità, così consapevole delle formalità del dolore che era impossibile ottenere qualche risultato se le faceva domande prevedibili. La sua mente correva incanalata da argini come un vecchio fiume. — Gli piaceva il formaggio stilton? — domandò di punto in bianco Pitt. Le sottili sopracciglia di lei s'inarcarono. — Prego? — disse la signora Pinchin con voce dura. Pitt ripeté la domanda. — Sì, gli piaceva, ma trovo la domanda di una banalità offensiva, signor Pitt. Un pazzo ha aggredito e ucciso mio marito nel modo più... — Le salirono le lacrime agli occhi e deglutì — ...più abominevole, e lei se ne sta lì seduto a chiedermi se gli piaceva il formaggio! — Ha la sua importanza, signora — spiegò Pitt, sforzandosi di essere paziente. La signora Pinchin non era in grado di aiutare se stessa: la sua unica difesa contro paure enormi erano i valori sociali e la dignità. — C'erano briciole di formaggio stilton sui suoi vestiti. — Oh. Le chiedo scusa — disse la signora Pinchin in tono sostenuto. — Immagino che lei sappia fare il suo mestiere. Sì, mio marito amava molto la buona tavola. — Sbaglio o prima ha detto che si dedicava a opere di carità? — Faceva moltissimo lavoro non redditizio! — rispose lei con un improvviso scoppio di rancore. — Sprecava gran parte del suo tempo per gente che era... sì... che era indegna di lui. Se sta cercando di scoprire se aveva rivali nella sua professione, signor Pitt, perde tempo. Mio marito era un uomo di grandi capacità, ma non ne è mai stato consapevole come avrebbe dovuto. — Nella sua voce c'erano anni di delusioni, di occasioni intraviste e perse. — Tuttavia era molto rispettato, ne sono convinto. — Pitt era combattuto tra l'istintiva antipatia per lei e la pietà per la sua frustrazione. Era stata legata a un uomo che l'aveva delusa e non aveva avuto scampo. Il marito avrebbe potuto realizzare i suoi sogni, ma si era invece sempre rifiutato di farlo. La signora Pinchin sospirò. — Oh, sì, in un certo senso è vero. Era mol-
to divertente. Molto simpatico alla gente. — Nella sua voce si avvertì una nota di sorpresa: era un fatto che non capiva, e forse non condivideva coscientemente. La sua delusione era troppo profonda per trovare divertenti i peccatucci del marito. — E di tanto in tanto faceva una diagnosi brillante. Era un ottimo diagnostico, capisce? — Non ricorda nulla che ci possa essere di aiuto, signora... una persona che avrebbe potuto serbargli rancore? Un vecchio paziente, forse, o qualcuno che non aveva accettato la morte di un parente e ne dava la colpa al dottore? Negli ultimi tempi ha notato qualcosa di insolito nel suo comportamento? Forse aveva fatto qualche nuova conoscenza fuori dal comune? — Mio marito non portava a casa i suoi amici di dubbia fama, signor Pitt. — Le sue labbra si serrarono. — C'erano persone che frequentava altrove, come sono sicura che capirà. E non ho notato niente di insolito nel suo comportamento... era normale. — Un'ombra di infelicità le attraversò il volto, un miscuglio di disapprovazione per le abitudini del defunto e un improvviso senso di solitudine per la sua scomparsa. Nonostante tutti i suoi difetti e le sue manchevolezze, si era abituata a lui; aveva fatto parte della sua vita per trent'anni. Adesso non restava più niente. Per un attimo Pitt provò un autentico sentimento di pietà per lei, ma sapeva che il baratro che li divideva era troppo profondo per colmarlo. La sua comprensione non avrebbe alleviato il suo dolore, anzi, sarebbe stata giudicata presunzione. Si alzò. — Grazie per il suo aiuto, signora. Spero di non doverla disturbare di nuovo. Sono sicuro che il signor Mullen sarà in grado di dirmi tutto quello che mi occorre sapere. — Buongiorno, signor Pitt. — Lei lo guardò uscire con aria assente. Si versò un'altra tazza di tè, asciugandosi con il tovagliolo prima la bocca, poi le lacrime che le rigavano le guance. Pitt richiuse la porta senza far rumore. Mullen lo stava aspettando nell'atrio. — C'è dell'altro, signore? Pitt sospirò. — Sì, per favore. Vorrei che mi mostrasse i conti della famiglia e la cantina. Immagino che lei abbia esaminato tutto il personale prima che fosse assunto, e che abbia controllato le loro referenze. Mullen s'irrigidì e la sua espressione divenne gelida. — Certo. Posso chiederle cosa spera di scoprire, signor Pitt? I conti sono in perfetta regola, glielo garantisco. Quanto ai domestici, sono al di sopra di ogni sospetto per onestà e moralità, altrimenti non sarebbero in questa casa. Ed è impossibile che uno di loro passi fuori la notte.
A Pitt dispiaceva di averlo offeso. In realtà, non aveva sospetti su nessuno dei domestici. Quello che stava cercando era la prova del tenore di vita di Pinchin. Di solito un uomo della sua classe sociale non sarebbe andato all'Acre, neanche per divertirsi a buon mercato. Era forse molto meno benestante di quanto sembrava, o molto più ricco di quanto potesse giustificare la sua professione? Spendeva denaro nei bordelli o giocando d'azzardo? Oppure lo guadagnava? Non sarebbe stato il primo uomo, apparentemente rispettabile, ad avere una fonte di reddito nei bassifondi. — Si tratta di semplice routine, signor Mullen — disse con un sorriso. — Proprio come lei controlla le referenze, anche se non ha dubbi. Mullen si rilassò un po'. Rispettava il rigore professionale. — Ha ragione, signor Pitt. Ho familiarità con le procedure della polizia. Se vuole venire da questa parte... Dopo la visita a casa Pinchin Pitt passò il pomeriggio a controllare lo studio di Highgate e a parlare con vari colleghi del defunto, scioccati e molto reticenti. Quando arrivò a casa, alle sette e cinque di sera, era stanco, aveva freddo e sapeva ben poco più di quando era uscito. Se Pinchin aveva delle proprietà a Devil's Acre, ne aveva nascosto ogni documentazione, e non risultavano introiti tranne quelli dello studio di Highgate. Il suo tenore di vita, tuttavia, suggeriva che godesse di un reddito più elevato di quello che potevano giustificare le sue prestazioni professionali. Denaro ereditato? Risparmi? Donazioni? Perfino qualche piccola manipolazione dei libri contabili? O forse ricattava pazienti con indiscrezioni che richiedevano l'intervento di un medico: malattie sociali, un bambino non desiderato... le possibilità erano infinite. Gracie andò ad aprire a Pitt e prese il suo cappotto per portarlo ad asciugare nel retrocucina. — Una serata orribile, signore — disse, scrollando il lungo cappotto. Lo precedette a piccoli passi veloci, borbottando qualcosa a proposito delle ore che era costretto a indossarlo con qualsiasi tempo. Il tutto senza mai incontrare il suo sguardo. Per qualche motivo, era dispiaciuta per lui, e la sua schiena rigida esprimeva disapprovazione. Non gli ci volle molto per tirar le somme quando anche Charlotte si dimostrò dolce e piena di attenzioni. — Sei uscita? — domandò alla moglie. — Solo per poco — rispose lei in tono disinvolto. — Ero a casa prima che cominciasse a piovere. — E senza dubbio sei tornata con la carrozza — aggiunse Pitt. Lei alzò di scatto la testa mentre un lieve rossore le coloriva le guance. — La carrozza?
— Non sei andata a trovare Emily? C'era un'ammirazione riluttante sulla faccia di Charlotte. — Come hai fatto a capirlo? — La schiena di Gracie. — Come hai detto? — La schiena di Gracie. Era rigida per la disapprovazione. Visto che sono appena arrivato a casa, non può essere per qualcosa che ho fatto io. Quindi si tratta di te. Immagino che il motivo sia stato una visita a Emily per raccontarle dei delitti a Devil's Acre, tanto più che uno riguarda il cameriere di una persona che avete conosciuto. Dimmi, mi sbaglio? — Io... Pitt aspettava. — Certo che ne abbiamo parlato! — Gli occhi di Charlotte brillavano e il sangue le coloriva le guance. — Ma è tutto... lo giuro! D'altronde, cos'altro potevamo fare? Impossibile recarci in quel quartiere. Ci siamo però chieste cosa diavolo ci facesse il dottor Pinchin. Ci sono luoghi molto migliori per trovare donne di facili costumi se era quello che voleva, lo sai vero? — Sì, lo so, grazie. I loro occhi s'incontrarono per una frazione di secondo, poi Charlotte distolse lo sguardo con falso candore. — Hai pensato che potrebbe essere stato lui a finanziare Max, Thomas? Come sai, persone che mai sospetteresti a volte si mettono in società con... — Sì, grazie — replicò Pitt, trattenendo a fatica un sorriso. — Ho pensato anche a quello. — Oh. — Charlotte aveva l'aria delusa. Lui le prese la mano e l'attirò a sé. — Charlotte — disse con voce dolce. — Cosa? — Bada ai fatti tuoi! 3 Il giorno seguente Pitt proseguì le indagini secondo la più logica linea di condotta. Indossò il suo cappotto più vecchio e un cappello così malconcio che da tempo non usava più, e sotto una pioggerella insistente si diresse a Devil's Acre, alla ricerca del bordello di Max, o di uno dei tanti. Era un quartiere come molti dei più vecchi bassifondi di Londra, un curioso miscuglio di livelli sociali che vivevano letteralmente uno sopra l'al-
tro. Negli edifici più belli e più alti, con le facciate su strade illuminate, vivevano commercianti abbienti e gente benestante. Sotto di loro, in case più piccole o in strade più secondarie, c'erano camere in affitto per impiegati e bottegai. Ancor più sotto, c'erano le decrepite abitazioni e gli scantinati dei poverissimi, a volte così zeppi di umanità che due o tre famiglie vivevano in un'unica stanza. La puzza di immondizia e di escrementi umani era soffocante. I topi brulicavano ovunque, al punto che un neonato non sorvegliato correva il rischio di essere mangiato vivo. Inoltre, molti bambini morivano di denutrizione o di malattie prima di compiere i sei o sette anni, età in cui potevano accedere con profitto a una delle tante scuole per borsaioli e apprendisti ladri. Tra quel labirinto di vicoli e passaggi c'erano aziende che sfruttavano gli operai, locali nei quali avvocati falliti o impiegati disonesti redigevano falsi affidavit, libri contabili e ricevute, e altri in cui i falsari praticavano la loro arte e i ricettatori concludevano affari. E naturalmente c'erano distillerie di gin, dormitori e bordelli. Sopra tutto questo incombeva l'ombra delle grandi torri dell'Abbazia di Westminster, la cattedrale dove venivano incoronati i re. dove si trovava la tomba di Edoardo il Confessore prima che il normanno Guglielmo salpasse dalla Francia per sconfiggere il re sassone e impadronirsi dell'Inghilterra. E al di là dell'abbazia c'erano il Big Ben e il palazzo di Westminster, sede del Parlamento fin dai tempi di Simon de Montfort, seicento anni prima. Pitt non aveva nessuna speranza di ricevere risposte alle sue domande in quel nido brulicante di topi. La polizia era il nemico naturale, e la popolazione riconosceva d'istinto gli intrusi. In passato vi aveva effettuato un paio di arresti, ma gli era anche capitato più di una volta di chiudere un occhio. Aveva degli amici o, se non proprio degli amici, conosceva delle persone che sapevano quel che conveniva loro fare o dire. Pitt percorse vicoli squallidi, passando davanti a gruppi di giovani sfaccendati dall'aspetto poco rassicurante, che lo osservavano con occhi cattivi. Tenendo le spalle curve, scimmiottò l'andatura furtiva dell'eterno bistrattato, ma senza voltarsi a guardare. Avrebbero fiutato la paura e gli sarebbero saltati addosso come una muta di cani. Camminava perciò con l'aria di sapere dove andava. Come se conoscesse quei vicoli come le proprie tasche. Le assi di legno marcio scricchiolavano. Cinque o sei topi fuggirono al suo avvicinarsi con un tramestio di zampette sulle pietre bagnate. Negli androni erano distesi a terra dei vecchi, forse intontiti dall'alcol, oppure morti.
A Pitt occorse mezz'ora per trovare l'uomo che cercava. Nella soffitta cadente in cui svolgeva il suo lavoro incontrò Harris la Cornacchia, così detto per il timbro della sua voce. Era un uomo di bassa statura, con gli occhi a fessura e il naso a punta, al quale, per essere simile a un topo, mancava solo la coda. Falsificava lettere di raccomandazione e documenti legali. — Cosa vuole da me? — domandò con aria bellicosa. — Non ho fatto niente, almeno niente che lei possa provare. — Perché non tento nemmeno, Cornacchia — replicò Pitt. — Ma se decidessi di farlo, credo che ci riuscirei. — Nooo! — Cornacchia liquidò quella possibilità, ma un'espressione ansiosa si dipinse sulla sua piccola faccia. — Nooo, mai! — Non lo sapremo finché non ci provo, non ti pare? — fece notare Pitt. — Allora, cosa vuole da me? Lei non viene mai a Devil's Acre per niente. — Informazioni, naturalmente. — Pitt lo guardò con un leggero disprezzo. Impossibile che non lo sapesse; fingere di ignorarlo era solo una perdita di tempo. — Non so niente né di furti né di altri reati! — lo avvertì Cornacchia. — Ma certo. Sei un cittadino onesto, che guadagna qualche centesimo scrivendo per quelli che non sanno farlo da sé. — Esatto! — Cornacchia annuì con vigore. — Ma conosci Devil's Acre — continuò Pitt. — Certo, ci sono nato! — Mai sentito parlare di un ruffiano di nome Max? E non mentirmi. Cornacchia, o ti arresto per reticenza in un caso di omicidio! Ed è un brutto caso. — Oh, mio Dio! Allude al poveraccio che è stato... oh, Dio! — Cornacchia impallidì sotto la sporcizia della faccia. — Oh, Dio! — ripeté. — Allora? — lo sollecitò Pitt. — Cosa sai di Max? — Non so chi l'ha ucciso, glielo giuro, signor Pitt. Sarà stato un maniaco. Chi potrebbe fare una cosa simile a un uomo? È disumano. — È scontato che tu non sappia chi l'ha ucciso — ammise Pitt con un sorriso tollerante. — Altrimenti ce l'avresti detto. — Naturalmente — ribadì Cornacchia, evitando però di guardarlo negli occhi. Sospettava che Pitt stesse burlandosi di lui, ma non ci teneva ad averne la conferma. — Lo giuro — aggiunse per prudenza. — Cosa mi dici di Max? — insistette Pitt. — Che tipo era? — Abile nel suo mestiere — rispose Cornacchia malvolentieri. La pro-
stituzione rendeva molto meglio che fare il falsario, e probabilmente ci si divertiva anche di più. — Aveva un talento naturale, lui... per quel genere di cose. — Non voleva esagerare negli elogi. Dopotutto, Max non avrebbe saputo fare un buon falso neanche se si fosse trattato di salvare la pelle. Cornacchia non era nemmeno sicuro che sapesse scrivere. Scrivere bene richiedeva una grande abilità, e non si doveva sottovalutarla. Ricordando la faccia bruna e sensuale e quegli occhi scuri, Pitt non faticava a credere che Max avesse quel genere di talento. — Sì, l'ho sentito dire. Aveva diverse case, vero? Cornacchia lo guardò con cautela. — Lo sa già, vero? — Sì. Che genere di clienti serviva? — Dipende da quale casa. Se allude a quella in Partridge Lane... be', quelle sono autentiche zoccole. Ma se allude a quella in George Street, allora è tutta un'altra cosa. Alcune di loro hanno davvero classe. E, da quel che ho sentito, ai gentiluomini con quattrini forniva signore di alto rango, si può ben dire. — Sorrise con aria astuta, mettendo in mostra i denti anneriti. Era ovvio che l'idea lo divertiva, una specie di oscena vendetta sulla società che l'aveva escluso. — Signore di alto rango? — Pitt inarcò le sopracciglia. Suonava promettente. Guardò Cornacchia con sospetto. — Signore di alto rango? — ripeté con scetticismo. — Così ho detto, che mi creda o no. — Cornacchia capiva che Pitt era interessato, e il fatto gli procurava una sottile soddisfazione. — Forse è da lì che viene il suo assassino. Mai mescolarsi con l'alta società... è una regola d'oro. Non sono abituati a farsi comprare, e la prendono molto male... possono diventare veramente cattivi. Resta tra i tuoi simili, così non ti capita che qualche carogna che non conosce le regole venga a ficcarti un coltello nelle budella. Anche se quello che hanno fatto a Max è ingiustificato, signor Pitt. davvero ingiustificato. Voi sbirri ve ne fregate di quel che capita in questo quartiere. Pitt trattenne un sorriso. — Disgustoso — ammise. — Ma non si sa a quali estremi può arrivare un uomo geloso se qualcuno gli soffia la moglie e poi la vende come prostituta ad altri uomini. Cornacchia sospirò. Non aveva né moglie né figli, ma a volte sognava di averne. Una donna il cui calore non doveva essere comprato o mercanteggiato, figli che l'avrebbero trattato con rispetto... ogni uomo avrebbe dovuto avere quel genere di gioie, almeno per un po' nella vita. — Ammetto che ha ragione, signor Pitt. Mai toccare la famiglia di un al-
tro... questa è un'altra regola che andrebbe scritta a lettere d'oro. Credo proprio che il mestiere del ruffiano sia pericoloso. Le donne sono una merce rischiosa da trattare... per non parlare dei vizi particolari di certi signori che, ho sentito dire, a volte sono molto strani. Storie da non credere ai propri orecchi! Molto meglio vendere lettere. Sai in che acque navighi. La gente non perde la testa per la carta. Pitt non si preoccupò di contraddirlo. — E la casa, quella costosa, è in George Street? — Non gliel'ho già detto? — Cornacchia era paziente, come un maestro con un bambino ottuso. — Sì, grazie. — Pitt si frugò in tasca e ne tirò fuori uno scellino. Lo diede a Cornacchia, che fu lesto a prenderlo. Lo portò alla bocca e lo morse. Soddisfatto da quella prova, fece sparire la moneta. — Grazie, signor Pitt. — Non ti allontanare da Devil's Acre — lo avvertì Pitt. — Se mi hai mentito, tornerò a scorticarti vivo! Cornacchia assunse un'espressione sorpresa. — Non le direi mai delle bugie, signor Pitt! Non mi converrebbe, non le pare? Lei potrebbe rovinarmi il giro di affari. Non giova al buon nome dell'azienda avere gli sbirri alle calcagna. Pitt alzò le spalle e se ne andò, riattraversando il cortile dove c'erano un mucchio d'immondizia e due ubriachi stesi a terra in un angolo. Sotto la pioggia, si diresse a passo veloce verso George Street. Era sicuramente una zona più salubre di Devil's Acre, a pochi minuti di strada dal Parlamento. Max aveva davvero un insolito talento. Se era riuscito a procurarsi alcune "signore di alto rango", come diceva Cornacchia, e tre o quattro prostitute veramente belle ed esperte nella loro arte, in pochi anni sarebbe diventato molto ricco. Pitt trovò la casa senza grandi difficoltà. Non era insolito che un uomo chiedesse indicazioni per arrivarci, e quelli disposti a darle erano spesso ricompensati per il loro disturbo dai proprietari dei bordelli. L'edificio era anonimo, persino un po' scalcinato all'esterno. Avrebbe potuto essere scambiato per una delle solite case con camere in affitto; l'anonimato era necessario in quel mestiere. All'interno, comunque, lo stile cambiava. L'atrio era piuttosto elegante, e ricordò a Pitt che Max aveva servito nelle case di uomini e donne il cui gusto si era nutrito per generazioni di denaro e di cultura. Gente che conosceva dipinti e mobili di valore con la stessa naturalezza con cui sapeva
costruire una frase grammaticale o camminare a testa alta e spalle dritte. Superato l'atrio, si trovò in una sala per ricevere i clienti dove niente era opulento o volgare. I colori tenui facevano da cornice ai mobili e ai dipinti, scelti per armonizzare tra di loro. Il locale offriva anche un piacere tattile; morbidi velluti ai divani e un tappeto che attutiva i passi dando la sensazione di camminare sull'erba. Max era senz'altro un artista! Fu accolto da un uomo in livrea, una via di mezzo tra un cameriere e un maggiordomo. Aveva l'evidente incarico di scegliere gli uomini ai quali permettere di diventare clienti e quelli da indirizzare altrove. — Buongiorno, signore. — Prese visione degli abiti di Pitt e, con un cambiamento d'espressione quasi impercettibile, decise che non doveva avere denaro sufficiente per le tariffe della casa. Ma era troppo furbo per metterlo subito alla porta. Era risaputo che gentiluomini di raffinata estrazione a volte si vestivano nelle fogge più strane. — Buongiorno. — Pitt intuì subito il ragionamento dell'altro e, un po' divertito, recitò la sua parte, sfoggiando modi molto educati. — Sono venuto qui perché mi hanno raccomandato questa casa. — Si assicurò di tenere le spalle ben erette, quasi che il suo indecoroso abbigliamento avesse lo scopo di farsi passare per un abitante di Devil's Acre, cosa verissima anche se per tutt'altro motivo. — Ho saputo da amici (Cornacchia Harris poteva essere definito un amico?) che avete signore di qualità molto più raffinata dei vostri concorrenti. La faccia dell'uomo si rilassò. Decise che Pitt era un gentiluomo; a tradirlo era stata la voce, la bella dizione e il portamento eretto. — È verissimo, signore. A che genere di qualità si riferisce? Abbiamo la qualità dell'esperienza e, se preferisce, la qualità del ceto, anche se la seconda richiede particolari accordi. Dunque il lavoro procedeva come al solito, malgrado la morte drammatica di Max! Pitt arricciò appena il naso e sgranò gli occhi, guardando con un accenno di disprezzo l'uomo. — La qualità del ceto — rispose con un tono tale da far capire che la risposta non poteva essere che quella. — Capisco, signore. Se vuole fissare un appuntamento, farò in modo da organizzare l'incontro. Capirà che in questi casi ci è più difficile accontentare i gusti personali. Ma se vuole dirmi che tipo preferisce, cercheremo di soddisfarla. Sì, Max aveva posseduto un talento che era parente prossimo della genialità!
— Perfetto! — rispose Pitt in tono disinvolto. — Mi piacciono i capelli di colore castano ramato (gli era venuto spontaneo pensare a Charlotte), o comunque scuro. E non mi piacciono le donne grasse, ma neanche troppo magre. Non mi procuri una di cui possa sentire le ossa! — Capisco, signore — ripeté l'uomo con un inchino. — Gusti eccellenti, se mi è permesso dirlo. — Avrebbe potuto essere un maggiordomo che commentava la scelta di un vino. — Se vuole tornare tra tre giorni, le procureremo qualcosa che sarà di suo gradimento. Per la parte finanziaria, sono 50 ghinee, da pagarsi in anticipo, nel momento in cui si veda la signora e la si trovi soddisfacente, naturalmente. — Naturalmente — replicò Pitt. — Devo dire che il mio amico aveva ragione. A quanto pare, la vostra è la casa migliore in assoluto del quartiere. — Non abbiamo rivali — disse l'uomo con semplicità. — Quelli come il signor Mercutt, che credono di poterci imitare, sono di gran lunga inferiori, come forse saprà già. — Mercutt? — ripeté Pitt aggrottando la fronte. — Non credo di avere mai udito questo nome — aggiunse con tono di voce che sollecitava ulteriori informazioni. — Ambrose Mercutt. Una persona mediocre, glielo assicuro, signore, ma con grandi ambizioni. — Una duchessa avrebbe potuto parlare di un'arrampicatrice sociale con l'identica annoiata condiscendenza. Pitt aveva il nome che voleva. Aveva ottenuto tutto quello che c'era da ottenere. Alla locale stazione di polizia avrebbero saputo dove trovare il signor Mercutt. — No. — Scosse la testa. — Non ricordo che qualcuno mi abbia fatto il suo nome. Non dev'essere importante. — Meglio adulare un po' quell'uomo e tranquillizzarlo. La gente che si sente al sicuro rivela molto più di quella sospettosa. L'uomo fece un sorriso soddisfatto. — Proprio così, signore, per niente importante. Vuole dunque tornare più o meno a quest'ora, tra tre giorni? Pitt chinò la testa in segno di assenso e se ne andò, altrettanto soddisfatto. L'ispettore Parkins ricevette Pitt con grande cordialità. Era felice di essersi liberato del caso di Max Burton. Aveva già per le mani un numero piuttosto elevato di crimini insoluti, e quello in particolare prometteva scarse soddisfazioni.
— Signor Pitt, entri! Che giornataccia! Cosa posso fare per lei? Pitt si tolse il cappotto e lo spaventoso cappello, quindi si passò le dita tra i capelli e si sedette di fronte a Parkins. — Amorose Mercutt? — domandò. La faccia di Parkins si rilassò in un sorriso caustico. — Ambrose Mercutt — ripeté. — Un ruffiano con pretese di eleganza e molte ambizioni. Pensa che avrebbe potuto uccidere Max per rivalità? — Max gli stava portando via i clienti. Parkins scrollò le spalle. — Sa quanti bordelli ci sono in questo quartiere? — Era una domanda retorica. Pitt la prese alla lettera. — A Londra ci sono circa ottantacinquemila prostitute. Parkins si coprì la faccia con le mani. — Oh, Dio... così tante? A volte le guardo e mi chiedo come siano finite a fare quel mestiere. Stupido, vero? Ma qui, nella mia zona, ce ne sono almeno duemila. Non possiamo scacciarle; a cosa servirebbe? Ricomincerebbero da un'altra parte. Non per niente la chiamano la professione più antica del mondo. E molti dei protettori sono gente piena di soldi, potente. Immagino che lo sappia anche lei. Un ispettore di polizia che volesse crear loro dei fastidi avrebbe più coraggio che buon senso. Pitt sapeva che era una situazione indegna e dolorosamente vera. — Dunque lei non si è mai interessato molto a Max, o ad Ambrose Mercutt? Parkins fece una smorfia. — Non possiamo far niente. Meglio concentrare i nostri sforzi su crimini concreti che ci portino a sbattere i colpevoli in galera, se riusciamo a prenderli... furti, falsificazioni, rapine, aggressioni. Ce ne sono abbastanza da occupare tutto il nostro tempo. — Quali sono le voci che circolano su Ambrose Mercutt e Max? Parkins si rilassò di nuovo e si appoggiò allo schienale. — Mercutt aveva la clientela di riguardo fino a quando è arrivato Max. Ma Max era in grado di procurare donne di classe superiore... ho sentito dire che alcune sono di ottima famiglia. Dio solo sa perché lo fanno. — La sua faccia rifletteva una totale perplessità, lo sforzo di capire senza riuscirci. — Sì, Mercutt aveva buoni motivi per odiare Max. Ma non credo che fosse l'unico, figuriamoci! Il mestiere del ruffiano è pericoloso. — Dove si procurava Max donne di quel tipo? — Pitt espresse a voce alta i propri pensieri. — L'alta società è in grado di fornire diversivi per conto proprio, nel caso che qualche signora voglia qualche svago extraconiu-
gale. Parkins guardò Pitt con interesse. Aveva lavorato tutta la vita all'Acre o in zone simili: Whitechapel, Spitalfields, luoghi dove non c'era mai nemmeno l'occasione di rivolgere la parola a qualcuno dei "ceti elevati". — Davvero? — domandò, intravedendo un mondo sconosciuto. Pitt si sforzò di non apparire condiscendente. — Mi sono capitati un paio di casi che lo dimostrano — rispose con un lieve sorriso. — Donne? — Parkins era scandalizzato. Pitt esitò. Parkins lavorava a Devil's Acre, in mezzo alla sporcizia e alla disperazione; gran parte dei suoi abitanti erano nati per condurre una vita dura e morire giovani. Ma tutti hanno bisogno di credere in qualche ideale, anche se resterà sempre fuori della loro portata... i sogni sono necessari. — Alcune — rispose mentendo. — Soltanto alcune. Parkins parve rilassarsi e l'ansia sparì dal suo viso. Forse lui stesso si rendeva conto che le sue erano illusioni, ma preferiva conservarle. — Vuole sapere dove può trovare Amorose Mercutt? — Sì. grazie. — Pitt annotò l'indirizzo che Parkins gli diede, chiacchierò ancora un po', quindi prese congedo e uscì nell'aria fredda della sera. Il cielo si era schiarito e il vento dell'est era così tagliente da pungergli la pelle. Il giorno seguente si recò prima in ufficio per controllare se c'erano delle novità degne di interesse, ma trovò soltanto il rapporto dell'autopsia su Hubert Pinchin, che non gli diceva niente di nuovo. Tornò quindi all'Acre per andare da Amorose Mercutt. Si rivelò un compito meno facile di quanto aveva previsto. Poiché Ambrose controllava di persona i propri affari, alle undici del mattino non era ancora alzato, né desiderava ricevere visite, tanto meno di poliziotti. A Pitt occorse mezz'ora per convincere il suo cameriere ad andare a chiamarlo e alla fine Ambrose entrò protestando nella sala da pranzo, arredata con mobili imitazione Sheraton e quadri erotici dei nuovi artisti "decadenti" appesi alle pareti. Era un uomo magro dall'aria languida; indossava una vestaglia di seta e i capelli ondulati gli ricadevano sul viso, nascondendo le sopracciglia piuttosto sbiadite e gli occhi gonfi. Pitt capì subito come mai Max gli aveva soffiato la clientela più raffinata. Max possedeva una sensualità che doveva esercitare un gran fascino sulle donne che lavoravano per lui, e un gusto personale per apprezzare e selezionare le prostitute migliori, e magari anche addestrarle. La natura gli aveva dato un vantaggio che Ambrose, con tutta la sua intelligenza, non
poteva sperare di emulare. — Non ho mai sentito parlare di lei! — disse Ambrose, squadrando Pitt da capo a piedi. — Dev'essere nuovo, qui all'Acre. Non riesco a immaginare cosa voglia. Ho parecchi e buonissimi clienti. Sarebbe sciocco rendermi la vita... difficile, ispettore. — Fece una pausa per vedere se Pitt possedeva l'agilità mentale per capirlo. Pitt sorrise. — Che lei abbia qualche buonissimo cliente è possibile — ammise con freddezza. — Ma forse non tanti quanti ne aveva prima che Max Burton si mettesse a farle concorrenza, vero? Ambrose si agitò. La sua mano strinse la vestaglia di seta e se l'avvolse intorno al corpo. — È per questo che è venuto, per l'omicidio di Max? Per fortuna non aveva scelto di fare il finto tonto. Era un sollievo. — Sì. I suoi affari non m'interessano. Ma Max le aveva portato via una bella fetta di clienti, e anche alcune delle sue donne... non perda tempo a negarlo. Ambrose si strinse nelle spalle. — È un mestiere rischioso. Un anno va bene, un altro male... dipende dalle ragazze che hai. Gli affari di Max andavano bene, ma le sue ragazze l'avrebbero lasciato prima o poi. Succede sempre con le donne di ceto elevato. O finiscono per annoiarsi, o hanno saldato i debiti, oppure si sposano e spariscono. Max non avrebbe retto a lungo. Poteva darsi che Ambrose si fosse autoconvinto di quel che diceva, ma Pitt pensava che Max sarebbe stato sempre in grado di rimpiazzare le ragazze che lo lasciavano. Ambrose doveva aver intuito i suoi dubbi, perché lo guardò con aria di sfida. — Si è mai chiesto... ispettore — la sua voce aveva un lieve tono sarcastico, come se quel titolo non fosse meritato — si è mai chiesto come faceva Max a procurarsi delle donne di classe? Come saprà, donne come le sue non si prostituiscono a Devil's Acre solo perché cercano un diversivo. Se è questo che vogliono potrebbero farlo nella loro cerchia sociale. È sorpreso, vero? — Guardò Pitt negli occhi e vide che non lo era affatto. La sua faccia si indurì. — Se vuole scoprire chi ha assassinato Max e poi l'ha castrato, cerchi tra i mariti o gli amanti delle donne di nobili natali che portava qui! Mi creda, se volessi sbarazzarmi di un rivale in affari, gli pianterei un coltello in corpo e poi lo getterei nel fiume. Non lo mutilerei, lasciandolo dove voi sbirri non fareste fatica a trovarlo. No, ispettore — esitò di nuovo per una frazione di secondo, dando al titolo l'intonazione di un insulto — cerchi qualche uomo da lui cornificato, o del quale ha convinto la moglie o la figlia a prostituirsi.
— E come avrebbe fatto a convincere delle donne di nobili natali a prostituirsi? — volle sapere Pitt, un po' dubbioso. — Anzi, dove avrebbe potuto incontrarne? — Un tempo faceva il cameriere. Probabilmente conosceva altri "servi". — Ambrose usò quel termine per esprimere tutto il suo odio per Max e la sua classe in generale. — Non è da escludere che si trattasse di ricatto. È lì che deve cercare il suo assassino, mi creda! — Forse — ammise Pitt, ostentando più riluttanza di quanta ne provava. Malgrado il disprezzo per Ambrose, doveva ammettere che la sua teoria era molto logica. — In questo caso, come la mettiamo con il dottor Hubert Pinchin? Ambrose allargò le mani in un gesto teatrale. — Dio solo lo sa! Forse era lui a ricattarlo. Forse si serviva della sua professione per trovargli le donne, o per scoprire i loro segreti. Forse quei due erano soci. Come faccio a saperlo? Vuole che sia io a fare il suo lavoro? Pitt sorrise e scorse un'ombra d'irritazione sulla faccia di Ambrose, il quale aveva inteso offenderlo, non divertirlo. — Mi fa sempre piacere un po' di aiuto da parte di un esperto — replicò Pitt con voce soave. — Ho indagato su non pochi omicidi, di tutti i generi. Ne so parecchio di incendi dolosi, di furti con scasso, ma la gestione di un bordello non rientra nelle mie esperienze. Ambrose si riempì i polmoni d'aria per replicare, ma Pitt se n'era già andato prima che trovasse le parole per farlo, lasciandolo al centro dell'elegante stanza dai tenui colori. Pitt uscì nella strada piovosa e grigia. Il semplice fatto di averlo trattato con sfacciata impertinenza lo colmava di soddisfazione. E c'erano anche fondate probabilità che Ambrose avesse ragione. 4 La mattinata non si prospettava molto piacevole per Lady Augusta Balantyne. Aveva deciso che non poteva più rimandare la visita alla figlia Christina per discutere del suo comportamento con la massima franchezza. In serata Christina e Alan Ross avrebbero partecipato alla cena che aveva in programma, ma quello che Augusta aveva da dire esigeva un incontro a quattr'occhi. Come già una volta in passato, quando aveva dovuto porre rimedio alle azioni sconsiderate della figlia, Augusta intendeva tenere il generale Balantyne all'oscuro dell'intera faccenda. Era esperto in tattiche
militari, sapeva disporre cannoni e cavalli, ma quando la battaglia riguardava emozioni e possibili scandali era come un neonato. Durante la colazione conversò delle solite banalità. Il generale Balantyne, naturalmente, non accennò ai delitti a Devil's Acre che riempivano le pagine dei giornali, per non turbarla... non sapendo che lei li aveva già letti da capo a fondo. E Augusta era felicissima di lasciarlo nella sua ignoranza, se così preferiva. Alle dieci Lady Augusta chiamò la carrozza e ordinò al cocchiere di portarla a casa della figlia. Fu accolta con una certa sorpresa. — Buongiorno, mamma! — Buongiorno, Christina. — Entrò, e per una volta non si preoccupò di verificare se i fiori erano freschi o se c'erano nuovi soprammobili... e nemmeno se l'abito della figlia era all'ultima moda. Aveva già espresso il suo parere sulle stravaganze della figlia: a quel punto che se la vedesse Alan Ross. Quel giorno era lì per un motivo molto più grave. Christina era ancora sorpresa. — Ho appena finito di fare colazione. Vuoi una tazza di tè? — No, grazie. Non desidero essere interrotta dall'andirivieni dei domestici. Christina aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi ci ripensò. Si sedette sul divano e prese in mano un lavoro di ricamo. — Non avrai dovuto annullare la cena di stasera, vero? — Per comunicazioni del genere mando i miei domestici — replicò Augusta in tono secco. — Voglio parlarti in privato, e stasera non ne avremmo l'occasione. — Osservò il profilo delizioso della figlia, il mento dalla linea morbida, gli occhi dal taglio obliquo. Come si poteva avere una volontà così focosa e al tempo stesso così poco senso della sopravvivenza? Augusta aveva cercato di inculcarle fin dalla nascita il concetto del possibile e dell'impossibile, e non c'era riuscita. Il suo compito sarebbe stato sgradevole, ma inevitabile. — Per favore, smetti di ricamare... voglio tutta la tua attenzione! È successo qualcosa che mi costringe a non permetterti più di comportarti come stai facendo. Gli occhi azzurri di Christina si spalancarono per la sorpresa di udire mettere in discussione la propria condotta. — Comportarmi come, mamma? — Non trattarmi come se fossi stupida. Christina. So benissimo che vai a divertirti in posti quanto mai sconvenienti. Posso capire la noia...
— Puoi davvero? — la interruppe Christina con scherno. — Hai davvero mai provato cosa significhi essere così annoiate da avere l'impressione che la vita scivoli via senza senso? — Certo che l'ho provato! Credi di essere l'unica donna a trovare il proprio marito noioso e le persone che frequenta così prevedibili da intuire in anticipo ogni loro parola? — Ma, papà... — Un'ombra oscurò il volto di Christina. Era dolore o irritazione? — Doveva essere eccitante, da giovane quando era nell'esercito. — Mia cara, credi sia divertente sentirsi ripetere all'infinito la strategia tattica o la disposizione dei cannoni nella battaglia di Balaclava, o di qualsiasi altro combattimento? Per lui era sleale parlare degli errori o delle ambizioni degli altri, e volgare discutere delle loro avventure amorose davanti alle donne. Buon Dio! A volte mi annoiava al punto che mi sarei messa a urlare e l'avrei volentieri preso a schiaffi. Ma non sarebbe servito a niente. Avrebbe pensato che fossi in preda a una crisi isterica. Perciò ho imparato a fingere di ascoltarlo e a pensare ad altro. Ti basterebbe un po' di autodisciplina, considerando che per te è della massima importanza conservare Alan... — Mi vizia dandomi tutto quello di cui ho bisogno, ma poi mi tratta come se neanche esistessi. — Il viso di Christina si colorò per l'ira. — È così pio da essere quasi insopportabile; avrebbe dovuto sposare una suora! A volte mi chiedo se in lui ci sia un solo briciolo di passione... di autentica passione! Augusta provò una fitta di pena ma la ignorò. Non era il momento adatto. — Non confondere la passione con la semplice eccitazione — ribatté in tono freddo. — L'eccitazione è come giocare a carte con una puglia di fiammiferi... che tu vinca o perda, resti sempre con un mucchio di pezzetti di legno. — Non mi fare la predica! — si ribellò Christina irrigidendosi. — Farò come mi pare e piace. Augusta cambiò tattica. — Leggi i giornali? — E se anche fosse? Se ad Alan non importa, la cosa non ti riguarda. — Allora non puoi sapere che ci sono stati due delitti disgustosi a Devil's Acre — proseguì Augusta. Il colore abbandonò le guance di Christina. Max Burton aveva lavorato come cameriere per loro prima che lei sposasse Alan Ross. Per Augusta era penoso rivangare una vicenda così dolorosa, ma l'incoscienza di Christina non le lasciava altre alternative. — Una delle vittime lavorava come
domestico da noi. — Lo so — rispose Christina a voce bassa. — È molto sgradevole. — Certo. D'altra parte, non è insolito che tipi come lui finiscano assassinati. Non credo che riusciranno mai a scoprire il colpevole, e non ha neanche molta importanza. Indagano soltanto perché vi sono costretti. Ma non è questo il punto. Le indagini sono affidate all'ispettore Pitt... ti ricordi di Pitt? Christina sussultò. — In quel quartiere ci sono case — proseguì Augusta — dove donne ricche vanno di tanto in tanto a cercare qualche diversivo. Oserei dire che le eccita esplorare quel mondo di sozzure e di pericoli. Ne escono forse più appagate? Negli occhi di Christina c'era una luce dura e furiosa. — Non ne ho la minima idea! Augusta sospirò. — Non fingere di essere stupida, Christina. E, soprattutto, non fingere che lo sia io. Può darsi che Alan preferisca ignorare quello che fai, anzi, mi sembra che dimostri una notevole pazienza. Ma non può ignorare uno scandalo... nessuno può. Devil's Acre sarà sottoposto a indagini minuziose. Questi delitti hanno sconvolto la gente, e l'hanno anche spaventata, visto che il dottor Pinchin era abbastanza rispettabile. Se non riesci a controllare la tua smania di frequentare i bassifondi, vai altrove. Anche se sarebbe molto più saggio non andare da nessuna parte. Londra è molto più piccola di quanto pensi; non conserverai a lungo l'anonimato. Forse le tue amiche non frequentano le case da gioco o i music-hall, ma possono farlo i loro mariti. Quella che per te è un'avventura pericolosa per loro è soltanto un divertimento... — Ipocriti! — sbottò Christina. — Mia cara ragazza, smettila di comportarti come una bambina. Sei troppo vecchia. L'ingenuità, scusabile a vent'anni, è tediosa a venticinque, e a trenta diventa ridicola. Corri il rischio di rovinarti la reputazione. Considera bene cosa significherebbe! — Invece, io sono molto popolare e mi considerano molto divertente. — Lo sono anche i buffoni e le prostitute! Desideri essere una di loro? Christina impallidì. — Mi dispiace che tu creda che io frequenti dei music-hall scadenti, mamma. Non ho mai messo piede in uno di essi in tutta la mia vita, perciò non so cosa offrono. Ma se desiderassi giocare d'azzardo, ci sono numerose abitazioni assolutamente rispettabili nelle quali potrei farlo. E non ho bisogno di trovarmi un amante... ho più offerte di
quante ne possa prendere in considerazione! Augusta non si lasciò impressionare. Aveva già visto la figlia assumere quell'aria di dignità offesa. — Davvero? Mi stai dicendo che non sei mai stata a Devil's Acre? — Non ho nessuna intenzione di discuterne con te! Il problema era troppo urgente perché Augusta potesse permettersi di perdere la calma. Non voleva dire a Christina che aveva saputo delle sue escursioni nei bassifondi all'ombra di Westminster da una vecchia domestica fedele. Le avrebbe fatto perdere il posto e, soprattutto, non avrebbe più avuto una fonte preziosa di informazioni. Sapeva di essere l'unica a poter proteggere quella figlia sconsiderata. — Non lo metto in dubbio — replicò in tono acido. — Ma si dà il caso che tu sia stata vista. Devi smettere immediatamente. Adesso Christina era spaventata. Augusta la conosceva troppo bene per lasciarsi ingannare dal suo atteggiamento arrogante. Santo cielo, era ancora così bambina, e tanto irresponsabile! Non un minimo di preoccupazione per le conseguenze. Se vedeva qualcosa che voleva, se ne impadroniva. Da chi diamine aveva preso tanta incoscienza? Non certo dal padre! In vita sua non si era mai lasciato trascinare dall'emotività... magari l'avesse fatto! E Augusta aveva sempre avuto abbastanza forza di volontà da essere almeno discreta. Conosceva il limite tra il piacere e il dovere e vi si teneva in bilico con l'equilibrio di un acrobata. Perché Christina era così sciocca? — Stai davvero mettendo a dura prova la mia pazienza! — esclamò con ira. — A volte ho l'impressione che tu sia uscita di senno! — Se tu non hai mai avuto un'avventura interessante, mi dispiace per te! — Ormai Christina stava urlando; riversava in un veemente disprezzo per quella che considerava una donna inappagata tutta la sua frustrazione, la sua irrequietezza e il suo orgoglio. — Sono andata all'Acre, in una casa di proprietà di un amico. Sì, ci sono andata per incontrarmi con un uomo. Ma non lo dirai ad Alan perché tieni ancor più di me a non mandare in rovina il mio matrimonio. Sei stata tu a scegliere Alan Ross per me... — Era la proposta migliore che avessi avuto, cara ragazza, e sei stata non meno felice di me di coglierla al volo... allora! — le ricordò Augusta. — Chi è il tuo amante? — Sii almeno contenta che c'incontriamo in un luogo molto riservato, e non ai ricevimenti a casa di questo o di quello, nascondendoci nelle varie camere da letto. Chi è non ti riguarda. Ma è un gentiluomo, se è questo che ti preoccupa.
— Allora i tuoi gusti stanno migliorando! — esclamò Augusta con cattiveria, e si alzò in piedi. — Ma d'ora in avanti ti limiterai alla tua, di casa. Ricordati, Christina, l'alta società non perdona le donne, e non dimentica. Si può chiudere un occhio su un flirt... anche su una relazione, se condotta con discrezione. Ma frequentare Devil's Acre non è ammesso. Significa tradire la propria classe sociale. — Andò alla porta e l'aprì. — Sii prudente, cara. Non puoi permetterti un altro errore. — Non ho mai fatto nessun errore! — replicò Christina a denti stretti. — Ti ringrazio per la tua sollecitudine, ma non era necessaria. Augusta aveva deciso che la cena sarebbe stata molto formale, con i domestici in livrea e le cristallerie migliori. Sulla tavola c'erano tre candelabri d'argento e composizioni floreali che dovevano provenire da una decina di serre. Il generale Balantyne evitava perfino di ipotizzare quanto fossero costate. Augusta era vestita in bianco e nero, i suoi colori preferiti, che mettevano in risalto i capelli scuri striati di ciocche argentee e le spalle bianche, ancora perfette. Balantyne fu costretto a riconoscere con un lieve sussulto di sorpresa che aveva un aspetto magnifico. Poteva tuttora vedere in lei la bellezza e la dignità che l'avevano incantato quando era giovane. Era stato certo un matrimonio molto conveniente. Lui veniva da un'ottima famiglia, con una lunga reputazione senza macchia alle spalle, ma tutte le sue onorificenze erano soltanto militari, e non aveva molto denaro. Il padre di Augusta, invece, era conte, titolo che, alla sua morte, sarebbe passato alla figlia indipendentemente da chi avesse sposato. Portava quindi molto in dote, oltre all'eredità di cui sarebbe entrata in possesso in seguito. Comunque, erano state la sua personalità e le sue qualità a spingerlo a chiederne la mano con notevole entusiasmo, e lei era sembrata felice di accettare. Sorprendentemente, anche il padre aveva dato il suo consenso di buon grado. Quei ricordi indussero il generale a riflettere sulla loro figlia e sul suo matrimonio con Alan Ross. Si era trattato di ben altra cosa, certo. Christina non era per niente come la madre, anche se, da quanto poteva giudicare, assomigliava ancor di meno a lui. Non possedeva la bellezza regale di Augusta, ma era graziosissima. E aveva sempre avuto fascino, abbinato a una notevole arguzia... Un'arguzia troppo spesso esercitata a spese di altri, ma del genere che divertiva l'alta società. Un'arguzia innocua era considerata una contraddizione.
Dubitava che fosse mai stata veramente innamorata di Alan Ross, o perfino che fosse capace di amare qualcuno. Ma non si poteva negare la sua assoluta determinazione a sposarlo, cosa che Augusta si era rifiutata di mettere in discussione. Risaliva al periodo traumatico delle settimane di paura e angoscia per gli omicidi in Callander Square, tre anni prima. Il sospetto lo colmava tuttora d'infelicità. Alan Ross gli piaceva: era un uomo insolitamente tranquillo. A volte, il sottile naso aquilino lo faceva apparire forte, perfino arrogante, ma la linea vulnerabile della bocca cancellava subito quell'impressione, lasciando soltanto la percezione delle passioni che potevano giacere nascoste e irraggiungibili. Balantyne non aveva mai capito quali sentimenti Ross provasse per Christina. Invece, era riuscito a conoscere molto più a fondo il figlio. Brandy aveva la stessa bellezza bruna della madre, ma era più dolce. Aveva una predisposizione naturale per la risata: lo si sarebbe persino potuto definire un gusto per l'assurdo, e Balantyne glielo invidiava. Gli sarebbe piaciuto possedere la sua allegria scanzonata. E Brandy aveva dimostrato un coraggio che nessuno si sarebbe aspettato quando aveva insistito per sposare la governante di Reggie Southeron, Jemima. Era una ragazza incantevole, ben educata e con una più che discreta istruzione, anche se, fino al matrimonio, era stata poco più di una domestica. La loro felicità era palese, e alla loro figlia avevano dato il nome della madre di Balantyne, un gesto che gli aveva fatto molto piacere. Sì, Brandy aveva fatto una buona scelta. Il pasto era costituito da sette portate, e naturalmente si protrasse a lungo. Augusta presiedeva a un'estremità della tavola, anche se il vero capotavola era Balantyne. Sul lato più vicino alle finestre, le cui tende verde muschio erano tirate per escludere la notte e la pioggia insistente, era seduto Alan Ross, con la luce delle candele che faceva brillare i suoi capelli biondi. Come al solito, parlava poco. Jemima era seduta al suo fianco. Indossava un abito verde pallido e bianco, e il disegno del tessuto faceva pensare che toccarlo fosse come toccare i petali di un fiore. A Balantyne ricordava la primavera o le prime tenere giornate estive anziché quel gelido gennaio. Jemima gli faceva sempre quell'effetto: lo induceva a pensare alle margherite e agli arboscelli piegati dal vento. In quel momento conversava con Augusta, e di fronte a lei Brandy la osservava, sorridendo. Al suo fianco sedeva Christina, in un impeccabile vestito di un'intensa sfumatura dorata, con i neri capelli scintillanti. Balantyne poteva capire
perché gli uomini la trovavano bella, anche se il suo naso era un po' troppo piccolo, le sopracciglia dritte invece che arcuate, e le labbra un po' troppo carnose per un gusto classico. Ma c'era qualcosa di molto personale in lei, un'impressione di audacia. Possedeva una traccia dell'umorismo di Brandy, ma non la sua tolleranza né il suo senso dell'assurdo. I piatti vennero cambiati e fu servita la portata successiva. — Vi ricordate di quel tale... quel Pitt? — domandò Brandy, alzando gli occhi dal proprio piatto. Stavano mangiando pesce bianco cotto al cartoccio, coperto di una salsa con scaglie di mandorle. A Balantyne non piaceva. — No — rispose Augusta in tono freddo. — L'unico Pitt che conosco era il primo ministro inglese che introdusse l'imposta sul reddito durante le guerre napoleoniche. Alan Ross nascose un sorriso e Jemima chinò la testa. Ma dal modo in cui teneva il collo, Balantyne capì che sorrideva anche lei. — Il poliziotto che aveva sempre l'aria di essere appena uscito da una bufera — proseguì Brandy. — Tre anni fa. Anche lui evitava di alludere agli avvenimenti che allora li avevano sfiorati così da vicino. — Perché mai dovrei ricordarmi di una simile persona? — domandò Augusta in tono di disapprovazione. Brandy sembrava insensibile al gelo della sua voce... o all'avvertimento che vi si intuiva. — Era un tipo che non si dimentica facilmente... — Santo cielo! — lo interruppe Christina. — Era un poliziotto! È come dire che dovremmo ricordare i domestici degli altri! Brandy ignorò anche lei. — È lui che si occupa del caso di Devil's Acre — proseguì. — Lo sapevate? La faccia di Augusta divenne di ghiaccio, ma prima che potesse parlare Christina si rivolse al fratello, con voce insolitamente stridula. — Mi pare molto volgare da parte tua affrontare un simile argomento a tavola, Brandy. Non capisco davvero che necessità ci sia di discuterne. E ti sarei grata se, mentre mangiamo, ti sforzassi di parlare di cose piacevoli. Per esempio, sapevi che la figlia maggiore di Lady Summerville si è fidanzata con Sir Frederick Bryers? Augusta si rilassò, e le sue spalle persero rigidità sotto la seta dell'abito. Ma non riprese a mangiare, come se si aspettasse di dover intervenire da un momento all'altro per salvare la situazione. — Io so che Freddie Bryers non lo sa! — replicò Brandy. — Almeno, martedì non lo sapeva.
Christina rise, ma senza la consueta schietta allegria. — Oh, fantastico! Chissà se scoppierà uno scandalo? Comunque, io non posso sopportare Rose Summerville. Vi ho raccontato cos'è successo alle sue piume quando è stata presentata al principe di Galles? Balantyne non capiva cosa intendesse dire. — Le piume? — ripeté incredulo. — Oh, papà! — Christina agitò la piccola mano ornata di due bei diamanti. — Quando vieni presentata a corte, come acconciatura per il capo devi indossare le piume del principe di Galles. È terribilmente difficile tenerle erette, soprattutto se hai i capelli crespi come Rose. — Raccontò il deplorevole episodio con tanta ironia che anche Balantyne, pur considerando farsesco, e anche un po' crudele, tutto il rituale della presentazione delle debuttanti, fu costretto a sorridere. Lanciò un'occhiata a Jemima che naturalmente non si era mai nemmeno avvicinata a corte. Ma nei suoi occhi danzava una risata, anche se da come atteggiava la bocca si capiva che era indecisa se provare pietà per quelle poverette, costrette a sfilare come bestiame a una competizione con addosso abiti del valore di centinaia di ghinee per il loro debutto nella "Società". L'onore esigeva che trovassero marito prima della fine della Stagione. Furono tolti i piatti e venne servita la portata successiva: aspic di pollo. Il suo colore e la sua consistenza ricordavano a Balantyne della pelle morta, e per un attimo rivide la faccia di Max in quella del cameriere che si chinava a porgergli V aspic sul piatto d'argento. Gli passò di colpo la voglia di mangiare. Sulla tavola il cibo non era più abbondante del solito, ma gli sembrava ugualmente troppo. Ripensò al corpo freddo sulla lastra dell'obitorio. Anche quella era carne: carne bianco-grigiastra, come quella del pollo, con tutto il rosso del sangue defluito nella schiena e nelle natiche. Eppure, anche evirato, Max non gli era sembrato anonimo da morto, come gran parte degli uomini defunti che aveva visto. Quella faccia intensa era troppo simile a quella che ricordava di Max vivo. Augusta lo fissava. Non poteva spiegarle cosa gli stava passando per la mente. Meglio sforzarsi di mangiare, anche se il cibo gli si fermava in gola. L'avrebbe ingoiato aiutandosi con lo Chablis, e il disagio fisico era più sopportabile dell'obbligo costante di cercare di spiegarsi. — Mi piaceva anche la signorina Ellison — disse Brandy di punto in bianco. — Era una delle donne più singolari che abbia mai incontrato. — La signorina Ellison? — Augusta aveva un'aria perplessa. — Non
credo di conoscere nessuna Ellison. Quando ci è stata presentata? — Mai direi. — Brandy fece un ampio sorriso. — Era la giovane donna che ha aiutato papà a mettere ordine tra le sue carte quando ha iniziato a scrivere la storia militare della famiglia. — Per amore del cielo, perché dovremmo parlare di lei? — Christina gli lanciò un'occhiata sprezzante. — Era un essere del tutto ordinario. L'unica cosa degna di rilievo che avesse era la capigliatura. Ma possono averli anche le cameriere, dei bei capelli! — Mia cara ragazza, le cameriere devono avere dei bei capelli — ribatté Brandy con sarcasmo. — E anche tutti gli altri attributi fisici. Ogni famiglia con pretese di eleganza e prestigio sceglie le cameriere in base all'aspetto. Lo sai bene quanto me. — Siamo davvero ridotti a discutere dell'aspetto delle cameriere? — Augusta arricciò il naso come se avesse avvertito un odore sgradevole. Balantyne si sentì obbligato a difendere Charlotte... o forse il ricordo che aveva di lei? Ogni cosa alla quale teneva andava salvaguardata. — La signorina Ellison non era affatto una cameriera — disse, tutto d'un fiato. — Ma certo non era una signora! — ribatté Christina con durezza. — Io le so riconoscere, a differenza di Brandy. A volte penso davvero che certi uomini perdano la testa appena vedono qualcosa di passabile sotto una gonna. — Christina! — La voce di Augusta era come ghiaccio che si crepa, e il suo viso più pallido di quanto Balantyne ricordasse di averlo mai visto. Era così furiosa perché la figlia aveva insultato lui e tutti i presenti? Oppure era furiosa per via di Jemima, che un tempo era stata poco più di una domestica? Si girò a fissare la figlia. — Una delle doti di una signora, Christina — disse con calma — è quella di sapersi comportare nel modo giusto senza mai offendere gli altri, nemmeno in modo casuale, con la propria mancanza di tatto. Christina sedeva immobile, con gli occhi scintillanti e i pugni stretti intorno al tovagliolo. — Al contrario, papà, sono le domestiche e le arrampicatrici sociali che non offendono mai, perché sanno di non poterselo permettere. Seguì un brusio imbarazzato tra i commensali. Fu Alan Ross a parlare, deponendo la forchetta a fianco del piatto. Aveva delle belle mani, forti e magre. — I domestici non offendono perché non osano, mia cara — disse rivol-
to alla moglie. — Una signora non lo fa perché non desidera farlo. Ecco la differenza. A offendere è la gente che non ha obblighi verso nessuno, ma non ha il controllo di se stessa, né sufficiente sensibilità per comprendere i sentimenti degli altri. — Tu credi di avere sempre le idee molto chiare su tutto, vero Alan? — Christina pronunciò quelle parole come se fossero una sfida, o perfino un insulto, sottintendendo che il marito fosse portato a tranciare giudizi. Balantyne sentì una fredda ondata di malinconia e allontanò il piatto da sé. Alan Ross era una degna persona, dotata di senso del decoro. Non si meritava di essere trattato in quel modo dalla moglie. La sola bellezza non era sufficiente: a una donna si chiedeva una certa dolcezza, indipendentemente da quanto fosse intelligente o graziosa. Christina avrebbe fatto meglio a impararlo prima che fosse troppo tardi e finisse per perdere l'affetto di Alan. Avrebbe chiesto ad Augusta di parlargliene. Qualcuno doveva metterla in guardia... Brandy lo strappò a quelle riflessioni affrontando un argomento ancor più spinoso. — Era Max Burton, il nostro ex cameriere, l'uomo ucciso a Devil's Acre, vero? — disse, guardandoli uno dopo l'altro. Il suo intervento servì a troncare la possibilità di una discussione tra Christina e Alan, come probabilmente desiderava. Le mani di Augusta si paralizzarono sopra il piatto. Christina fece cadere il coltello. Alan Ross rimase immobile. Un petalo cadde da un fiore sulla tovaglia, più candido del lino inamidato. Christina deglutì. — Diamine, Brandy, come possiamo saperlo? E tra parentesi, perché dovrebbe importarci? Max se n'è andato da tanti anni, e questa storia è assolutamente disgustosa! — Devil's Acre e i suoi abitanti non ci riguardano in nessun modo — ribadì Augusta. — E mi rifiuto di sentir parlare di certe oscenità alla mia tavola. — Non sono d'accordo, mamma. — Brandy non era per niente intimorito. — Fino a quando tutti si rifiuteranno di parlarne... — Immagino che metà della città non parli d'altro — lo interruppe Augusta. — C'è un sacco di gente che ama sguazzare in questo genere di cose. Non intendo far parte della loro categoria... e non ne farai parte neanche tu, finché sei a casa mia, Brandon! — Non voglio addentrarmi nei particolari. — Brandy si protese in avanti, con un'espressione impaziente sulla faccia. — Sto parlando in generale
delle condizioni sociali nei nostri bassifondi. A quanto pare, Max era un ruffiano. Procurava donne per la prostituzione... — Brandon! Lui ignorò l'interruzione. — Sai quante prostitute ci sono a Londra, mamma? Balantyne guardò Augusta e pensò che non avrebbe dimenticato la sua espressione finché fosse vissuto. Augusta inarcò le sopracciglia e sgranò gli occhi. — Devo dedurre, Brandon, che tu lo sappia? — s'informò con una voce che avrebbe potuto scheggiare la pietra. Le guance di Brandy arrossirono leggermente ma aveva dipinta in viso una determinata espressione di sfida. — Ottantacinquemila. Aggiungere "circa" avrebbe diminuito l'impatto. — E alcune di loro non hanno più di 10 o 11 anni. — Sciocchezze! Alan Ross intervenne per la prima volta. — Mi dispiace, Lady Augusta, ma è vero. Di recente diverse persone illustri e dei ceti elevati hanno sposato la causa di quella gente, e ci sono state molte indagini. — Non essere ridicolo! — Christina rise, ma la sua risata risultò un suono stridulo, senza allegria. — Mamma ha perfettamente ragione. Come potrebbe una persona di rango occuparsi di una simile causa? È assurdo. Non vale la pena discuterne. Balantyne rimase sorpreso dalla prontezza con cui la figlia aveva preso le parti della madre; non era da lei. — Ottantacinquemila "disgraziate" a Londra! — disse, usando l'eufemismo di attualità per indicare le prostitute. Era un modo per fare apparire meno terribile quel mondo squallido e miserabile, e consentiva di pensare che la gente fosse capace di provare compassione. — Disgraziate! — Gli occhi di Brandy erano due fessure colme di sarcasmo. Sezionò il pensiero del padre come se gli avesse letto nella mente. — Risparmiati di voler far credere che noi si provi pietà per loro, papà. Noi non vogliamo nemmeno sapere che esistono! Abbiamo appena detto che non è un argomento adatto alla nostra tavola. Preferiamo fingere che non esistano, o che tutte facciano quello che fanno, peccatrici contente, perché vogliono farlo... — Non dire sciocchezze, Brandy! — esclamò Christina. — Tu non ne sai niente. E mamma ha perfettamente ragione. È molto sgradevole, e trovo maleducato da parte tua costringerci a parlarne. Abbiamo già fatto capi-
re in modo chiaro che non desideriamo conoscere simili volgarità! Jemima — aggiunse rivolta alla cognata. — Sono sicura che tu non desideri sentir parlare di prostitute mentre stai mangiando, vero? Balantyne si protese in avanti, desiderando difendere Jemima. Era particolarmente vulnerabile. Era innamorata di Brandy, e aveva commesso la follia di sposarsi con un uomo di ceto tanto superiore al suo. Ma Jemima sorrise a Christina, e i suoi occhi grigi erano limpidi e sereni. — Troverei l'argomento molto penoso in qualsiasi momento — rispose. — Ma nel caso in cui dovessi pensare alle sofferenze di altre donne, sia fisiche sia morali, senza provarne pena, significherebbe che ho bisogno che qualcuno mi ricordi le mie responsabilità nei confronti del prossimo. Ci fu un attimo di silenzio. La faccia di Brandy si allargò in un sorriso radioso e la sua mano si mosse, come se provasse l'istinto di toccare quella di sua moglie. — Che pensieri pii! — commentò Christina con un'ombra di scherno. — Hai tutta l'aria di un'educanda. Devi imparare a non mostrarti così priva di fantasia, cara. È una tale noia! E se c'è una cosa che l'alta società detesta, è la noia! La faccia di Brandy perse ogni colore. — Ma di solito perdona l'ipocrisia, cara — disse. Poi si rivolse alla sorella. — Ecco perché tu continuerai ad avere successo, almeno finché starai attenta a non diventare troppo esplicita, come in questo momento. Un ipocrita privo di tatto è peggio di una persona noiosa... è offensivo. — Tu non sai niente del bel mondo. Stavo cercando di essere di aiuto. Dopotutto Jemima è mia cognata. Nessuno desidera sembrare una governante, anche se ne ha la mentalità. Santo cielo, Brandy, nessuno di noi sopporta la pedanteria! — Ma certo. — Finalmente Augusta si era ripresa. — Nessuno ha voglia di subire lezioni sui mali sociali, Brandy. Procurati un seggio in Parlamento se t'interessano argomenti di questo tipo. Christina ha ragione. Ma la noiosa non è la povera Jemima; lei ti sostiene, come è giusto che faccia una moglie. Sei tu a essere di un tedio insopportabile. Adesso, per favore, intrattienici con cose piacevoli, altrimenti tappati la bocca e lascia che siano altri a farlo. Si rivolse ad Alan Ross, ignorando Balantyne all'altro capo della tavola. Il generale era ancora oppresso dalla tristezza e cercava le parole per far capire che non era un argomento da liquidare con tanta disinvoltura. Non importava se fosse o non fosse imbarazzante; importava la sua realtà.
— Alan — disse Augusta con un sorriso a fior di labbra. — Christina mi ha detto che sei andato a vedere la mostra alla Royal Academy. Raccontaci, è interessante? Sir John Millais espone anche quest'anno? Non restava altra scelta che rispondere. Ross lo fece di buon grado, descrivendole con delicato umorismo le opere esposte all'accademia. Balantyne pensò di nuovo che quell'uomo gli piaceva molto. Dopo aver terminato il dessert, Augusta si alzò e le donne si ritirarono in salotto, lasciando gli uomini liberi di fumare, se volevano, e di bere il porto che Stride, il cameriere, aveva servito in una caraffa di cristallo Waterford, con il collo in argento e un tappo di fattura squisita. La lasciò sulla tavola e si ritirò con discrezione. Senza sapere per quale motivo, ma la verità era che da giorni aveva accantonato l'argomento in un angolo del cervello, Balantyne tornò a parlare di Max e di Devil's Acre. — L'uomo assassinato era il nostro ex cameriere. — Si riempì il bicchiere e lo sollevò in alto, guardando i riflessi color rubino delle sfaccettature. — Pitt è stato qui. Mi ha chiesto di andare a identificare il cadavere. La faccia di Ross rimase inespressiva. Era un uomo molto riservato, e non sempre era facile capire i suoi pensieri o i suoi sentimenti. A Balantyne venne in mente Helen Doran, che Ross aveva amato prima di Christina, e lo sfiorò il pensiero penoso che forse non aveva mai smesso del tutto di amarla. Soffriva per entrambi, per Ross e per sua figlia. Forse era quello il motivo per cui lei era così... così fragile, a volte, e così scortese. La felicità di Jemima doveva essere per Christina come una sostanza caustica su una ferita. Eppure, la felicità di quanti matrimoni si basava su niente di più che il concedersi un po' di tempo a vicenda, su esperienze che univano una coppia semplicemente perché si trattava di qualcosa che si aveva in comune? I matrimoni riusciti maturavano in una specie di amicizia. Christina aveva almeno cercato di conquistare l'amore di Alan Ross? Possedeva l'intelligenza e la bellezza necessarie per riuscirci; la dolcezza e la generosità era suo dovere acquisirle e dimostrargliele. Di nuovo s'insinuò nella sua mente il pensiero che doveva chiedere ad Augusta di parlarle. Brandy lo stava fissando. — Pitt è stato qui? Non sapevano chi fosse? Balantyne si costrinse a tornare con la mente a Max. — Sembra di no. Usava diversi nomi, ma Pitt ha riconosciuto la sua faccia, almeno così credeva.
Rimase per qualche istante in silenzio. Forse per un oscuro motivo, avevano cercato di convincersi che non si trattava della stessa persona. Adesso era diverso. Non si poteva più negare che l'avevano conosciuto, che avevano vissuto insieme sotto lo stesso tetto e l'avevano visto ogni giorno, anche se, nella sua qualità di domestico, faceva soltanto parte della casa, non era uno di loro. — Povero diavolo — commentò alla fine Brandy. — Crede che troveranno il colpevole? — chiese Ross, voltandosi a guardare Balantyne. La sua espressione era molto intensa. — Se faceva mercato di donne, non si può non provare una certa comprensione per chi l'ha ucciso. Un uomo non può cadere più in basso. — Il commercio dei bambini è ancora più turpe — disse Brandy. — Soprattutto di ragazzi. Ross fece una smorfia. — Oh, Dio! Non ci avevo nemmeno pensato. Quanto poco sappiamo della criminalità! Non riesco a immaginare cosa spinga un essere umano a commettere atti simili. Eppure devono essere migliaia i delinquenti, qui a Londra dove viviamo. E magari li incontro per strada tutti i giorni. — Il commercio di ragazzi — ripeté Balantyne. Dopo trent'anni passati nell'esercito non poteva fare a meno di conoscere gli appetiti e le aberrazioni di uomini lontani da casa, sottoposti alla dura pressione della guerra. Era da presumere che tali appetiti fossero latenti ancor prima della solitudine, e la mancanza di donne li portava al punto di cercare altrove l'appagamento fisico. Però non aveva mai pensato che ci fosse chi si guadagnava da vivere vendendo i corpi di bambini innocenti per soddisfare atti di libidine così turpi. Una mentalità simile gli era del tutto incomprensibile. — Max commerciava in ragazzi? — domandò. — No... in donne, credo — rispose Brandy. — Almeno così dicono i giornali. Ma forse avrebbero comunque evitato di parlarne, se sfruttava i ragazzi. La gente preferisce ignorare che esista questo genere di commercio. Possiamo biasimare le donne adulte, dire che sono immorali e che quello che succede a loro esula dalle responsabilità sociali. La prostituzione è vecchia quanto l'umanità, ed è probabile che non sparirà mai. Possiamo passarci sopra... persino le donne per bene fingono di non sapere. Così non sono costrette a prendere posizione. L'ignoranza è uno scudo molto efficace. Balantyne considerò all'improvviso quanto poco conoscesse veramente Brandy. C'erano in lui una rabbia e un'amarezza che non aveva mai intuito
prima. Gli anni erano passati veloci, e poiché Balantyne riteneva di essere cambiato ben poco, supponeva che neanche Brandy lo fosse. La differenza tra i 45 anni e i 50 era niente, quella fra i 23 e i 28 poteva essere enorme. Guardò il figlio, la curva della sua fronte e il naso, così diverso da Alan Ross: molto bruno, lineamenti regolari e quella bocca dalla linea decisa ed emotiva. Ci si immagina in modo vago che un figlio ci assomigli. Ma Brandy era mai assomigliato a lui? Riflettendoci ora... forse no. — Siamo così superficiali? — disse a voce alta. — Ci difendiamo — rispose Brandy. — Istinto di conservazione. Alan Ross si passò la mano tra i capelli. — La maggior parte di noi evita di accorgersi degli aspetti intollerabili della vita — disse a voce così bassa da essere appena udibile. — Soprattutto se non possiamo farci niente. Non possiamo biasimare una donna che preferisce ignorare che il marito frequenti una prostituta... soprattutto se quella prostituta è una bambina. Accettare oltretutto che anziché una ragazza sia un ragazzo, la costringerebbe a lasciarlo. Sappiamo tutti che il divorzio è la rovina di una donna. Cessa di esistere anche per una società meno severa della nostra. Diventa un oggetto di compassione intollerabile, motivo di fantasie e di allusioni oscene da parte dei meno caritatevoli. No... — scosse la testa con energia. — L'unica scelta che ha è quella di tollerare in silenzio e mai, in nessun caso, permettersi di uccidere l'ultimo prezioso dubbio. Non ha scampo. Una volta tanto Brandy era ridotto al silenzio. Balantyne fissava le fiamme di un candelabro. Cercava di immaginarsi cosa doveva provare una donna in una situazione simile, intrappolata in una relazione di quel genere, sospettando eppure sapendo che non avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere la verità. Anzi, per la sua stessa sopravvivenza, e forse per quella dei suoi figli, doveva essere la complice più fedele nel nasconderla. Non gli era mai passato per la mente che Augusta non fosse altro che una moglie virtuosa e appagata. Era una presunzione insopportabile da parte sua? Insensibilità cieca e stupida? Oppure era più semplicemente la misura della sua fiducia in lei, perfino una specie di felicità? Nella sua vita non era mai stato con una prostituta, anche durante i primi tempi dell'esercito. Certo, c'erano state occasionali sbandate prima di sposarsi, ma per il piacere reciproco, mai per denaro. Ma in seguito non aveva mai nemmeno messo in dubbio il suo dovere morale all'astinenza quando lui o Augusta erano lontani da casa o indisposti. Augusta non era una donna passionale; forse la decenza glielo impediva? E da lungo tempo lui aveva imparato a dominare il proprio cor-
po e le sue esigenze: un simile controllo faceva parte della mentalità di un soldato. Bisogna tenere a freno la noia, il dolore e la solitudine. Alan Ross si appoggiò allo schienale: — Mi dispiace — disse, passandosi di nuovo la mano tra i capelli. — Non era un argomento da trattare. Vi ho rovinato la cena. — No. — Balantyne deglutì e si scosse dalle proprie riflessioni. — Quello che hai detto è vero. È una situazione odiosa, ma non possiamo biasimare la gente se non vuole prendere coscienza di qualcosa che significherebbe solo la loro distruzione. Il cielo lo sa, un uomo che procura prostitute non ha quasi diritto a vivere. Ma la soluzione non è il delitto. E quella mutilazione è una barbarie. — Sei mai stato a Devil's Acre, papà? — chiese Brandy, senza la foga di prima. — O in qualsiasi altro dei nostri bassifondi? Balantyne sapeva che cosa stava pensando. Nella lotta per la sopravvivenza in una povertà opprimente e senza speranze, come potevano essere le persone se non dei barbari? Gli vennero in mente ricordi di accampamenti militari, della Crimea, di Scutari, di morti improvvise e violente, di quello che gli uomini facevano nelle città durante le settimane e le notti in attesa della battaglia. Ogni giorno i loro corpi potevano essere mutilati, impossibili da identificare sotto il sole africano o congelati tra le nevi dell'Himalaya. Se era vero che non conosceva a fondo Brandy, neanche Brandy conosceva lui. — Sono stato trent'anni nell'esercito, Brandy — rispose. — So cosa può accadere alla gente. Ti basta come risposta? — No. — Brandy bevve l'ultimo goccio del suo porto. — Il fatto è che non posso più accettare di ignorare il problema. Balantyne si alzò. — Sarà meglio che raggiungiamo le signore in salotto prima che capiscano che abbiamo continuato a discutere di questo argomento. Si alzò anche Alan Ross. — Conosco un membro del Parlamento che mi piacerebbe incontrare. Vuoi accompagnarmi, Brandy? Potremmo essergli di aiuto. Ho saputo che ha una specie di decreto da presentare alla Camera dei comuni. — A che proposito? — domandò Brandy seguendoli. — A proposito della prostituzione minorile, naturalmente — rispose Ross aprendo la porta. — Ma non parlarne davanti a Christina, se non ti dispiace. È un argomento che la sconvolge. Balantyne ne fu contento. Gli era parso che la figlia si limitasse a consi-
derarla una questione di cattivo gusto anziché penosa. Si vergognò per averla giudicata male. Ma non poteva dire niente: chiedere scusa avrebbe significato rendere palese il suo pensiero. Poco prima di mezzanotte, dopo che gli altri se n'erano andati, Balantyne seguì Augusta su per le scale. — Sai, ogni volta che lo vedo, Alan Ross mi piace sempre di più. Christina è molto fortunata. Lei si voltò e lo guardò con freddezza. — Cosa vorresti dire, con questo? — Esattamente quello che ho detto, e cioè che, se anche con tutta la buona volontà può capitare di scoprire che una persona non è come speravamo che fosse, Alan Ross invece è molto meglio di quanto avremmo potuto immaginare quando l'abbiamo conosciuto. — Non per me — rispose Augusta senza esitare. — Credi che avrei permesso a mia figlia di sposare un uomo del cui valore non fossi sicura? Quelle parole ferirono Balantyne. che parlò senza riflettere. — È difficile dire quante possibilità di scelta avessimo per Christina. Gli occhi di Augusta gli erano estranei come quelli di uno sconosciuto incontrato per caso per strada. La sensazione di benessere provata a tavola svanì come un'illusione. — Io ho sempre delle possibilità di scelta — rispose Augusta in tono tagliente. — Sono molto attenta ad averle. Mi ritieni una sprovveduta, forse? Quello era un pensiero che non l'aveva mai sfiorato una volta dal giorno in cui si erano incontrati per la prima volta, al suo debutto in società. Era di una calma impressionante anche allora. La sua pacatezza, il fatto che non civettasse e non ridesse a sproposito, erano alcune delle qualità che l'avevano attratto. Il ricordo era troppo lontano nel tempo. Tentò di riprovare la sensazione di allora... l'eccitazione, l'impazienza... ma gli sfuggiva. In un certo senso, gli faceva male. Le qualità che un tempo l'avevano incantato, adesso gli mettevano paura, come una porta chiusa. — Non essere ridicola! — L'offesa lo spingeva a difendersi, ostentando l'arroganza di un tempo. — Conosco Christina bene quanto te. — Una bugia madornale. — Ha un carattere molto forte. E anche a te, mia cara Augusta, può capitare ogni tanto di commettere uno sbaglio. Lei era stanca; il suo viso s'indurì, escludendolo definitivamente. Si voltò e riprese a salire le scale. Avanzava con la schiena eretta, ma faticava a salire i gradini. — Certo — disse. — E anche a te, Brandon. Vorrei che evitassi di di-
scutere a tavola di argomenti sgradevoli come i bassifondi e i disgraziati che ci vivono... soprattutto quando abbiamo ospiti. Non è educato e causa soltanto imbarazzo. Pensavo che l'avresti capito da te. Avere una coscienza sociale è nobile, ma ci sono tempi e luoghi appropriati per metterla a frutto. In considerazione del fatto che quel disgraziato un tempo era nostro domestico, ti sarei grata se ti trattenessi dal nominarlo in futuro. Non voglio che tutta la servitù si faccia prendere da una crisi di nervi, per non correre il rischio che metà di loro si licenzi... e al giorno d'oggi è abbastanza difficile trovare buoni domestici. — Raggiunse il pianerottolo e si avviò verso la sua camera da letto. — Buonanotte, Brandon. Non gli restava altro che augurarle a sua volta la buonanotte e proseguire per la propria stanza. Chiuse la porta e rimase immobile. Il locale gli sembrò estraneo, anche se ogni mobile, ogni libro, ogni oggetto gli appartenevano da anni. La mattina successiva Balantyne trovò ad aspettarlo nell'atrio Stride che, pallidissimo, si torceva le mani. Non si vedeva nessuna delle cameriere. Per un istante Balantyne pensò che Augusta avesse intuito giusto. Tutte le cameriere si erano licenziate ed erano fuggite durante la notte, spaventate all'idea di lavorare nella casa in cui aveva lavorato un essere come Max e che quindi da un istante all'altro potessero essere costrette a prostituirsi. Stride aspettava, con espressione vacua. — Cosa c'è? — domandò Balantyne. — Cos'è successo? — I giornali, signore... Tutto lì! Balantyne era furioso per il sollievo. — Perdiana, saranno in ritardo! Se tra un'ora non sono arrivati, manda qualcuno a prenderli! — Gli voltò le spalle e andò a fare colazione. Stride non si era mosso. — No, signore. Temo di non essermi spiegato. I giornali sono arrivati... è il loro contenuto, signore. C'è stato un altro delitto a Devil's Acre, signore, e questo è ancora peggiore. Balantyne non riusciva a immaginare niente di peggio della mutilazione di Hubert Pinchin. Il suo cervello annaspò alla ricerca di altri orrori, senza successo. — Non era così brutalmente... — Stride esitò e deglutì. — Non presentava quelle ferite, signore. Balantyne era confuso e sollevato. — Non così brutalmente? Mi sembrava che avessi detto che era peggiore, o sbaglio?
La voce di Stride si abbassò di tono. — Si tratta di Sir Bertram Astley, signore. È stato trovato fuori da una casa di piacere, solo di uomini. — Di uomini? Sant'Iddio! Intendi dire un bordello per omosessuali? Stride fece una smorfia; non era abituato a tanta volgare franchezza. — Sì, signore. — Bertie Astley... — Balantyne si sentì male. Di colpo l'odore del piatto a base di pesce, riso e uova che proveniva dalla credenza gli fece venire la nausea. — Vuole che le porti del brandy in biblioteca, signore? — si offrì Stride. — Sì, grazie. — Che Dio lo benedicesse. Balantyne non lo aveva mai apprezzato corrìe meritava. — Sì, lo gradirei proprio. — Pieno di riconoscenza, si avviò verso la biblioteca. — Vuole che ne informi Sua Signoria, signore? Balantyne si fermò. Avrebbe voluto proteggere la moglie da notizie così terribili, tenerla all'oscuro da simili orrori. — Dille che c'è stato un altro delitto. — Avrebbe comunque dovuto affrontare la realtà, ma era meglio che l'apprendesse dalle parole discrete di uno come Stride, piuttosto che dall'anonimo sensazionalismo dei giornali. — Sarà meglio dirle anche che si tratta di Sir Bertram Astley, ma non specificare dove l'hanno trovato. — Certo, signore. Purtroppo, la morte di Sir Bertram diventerà presto di dominio pubblico. — Sì. — Balantyne non sapeva cos'altro aggiungere — Sì. Grazie, Stride. — Andò in biblioteca e scoprì che il brandy era già lì, accanto al giornale. Se ne versò una dose generosa, quindi si sedette a leggere. Il corpo di Sir Bertram Astley era stato trovato sui gradini di una casa di dubbia reputazione a Devil's Acre. Che modo di esprimersi idiota! La causa della morte era una profonda pugnalata alla schiena, ma era stato anche sfregiato all'inguine e al basso ventre. Non citavano organi più intimi, ma l'implicazione era ovvia, e stranamente ancor più grottesca per la sua omissione. A quanto pareva, l'intenzione dell'assassino era di mutilarlo come aveva fatto con le vittime precedenti, ma forse era stato spaventato e messo in fuga prima che potesse sfogare il suo folle odio. All'ispettore Thomas Pitt avevano affidato le indagini del caso, in aggiunta ai due precedenti. Balantyne posò il giornale e scolò il brandy in un'unica sorsata. 5
Un sergente era stato mandato con una carrozza a prendere Pitt prima che l'alba spuntasse. L'uomo cincischiava il cappello mentre cercava di trasmettergli l'urgenza del suo messaggio senza dover descrivere l'orrore che aveva visto. Pitt capì al volo. C'era stato un altro delitto. Solo un fatto molto grave avrebbe indotto il sergente a recarsi da lui a quell'ora. — Fuori fa un freddo cane — disse il sergente, servizievole. — Grazie. — Pitt indossò la giacca, e poi un voluminoso cappotto che dava l'impressione di potersi gonfiare come una vela se si fosse alzato il vento. Accettò la sciarpa che il sergente gli porgeva, se l'avvolse intorno al collo, si calcò in testa il cappello e aprì la porta. Come aveva detto il sergente, faceva un freddo cane. Presero posto sulla carrozza, che si avviò traballando sull'acciottolato verso Devil's Acre. — Dunque? — domandò Pitt. Il sergente scosse la testa. — Brutta faccenda — rispose con tristezza. — Sir Bertram Astley. Accoltellato... ma non... be', non proprio a pezzi. — Non mutilato come gli altri? — No... sembrerebbe che il nostro maniaco sia stato interrotto. Ma c'è di peggio, signore. Non so chi sarà a dirlo alla famiglia! È stato trovato sulla porta di un bordello... riservato a omosessuali. — Oh, Dio! — Pitt capì d'un tratto perché il sergente era così impacciato, perché aveva tanta difficoltà a esprimersi. Come si fa a dire a gente come gli Astley che il rampollo della casata è stato assassinato e sfregiato in modo indecente sulla porta di un bordello per pederasti? Adesso capiva il motivo dell'espressione afflitta del sergente. — Mi dispiace, signore. — Il sergente si mise il cappello in testa e lo calcò con il palmo della mano. — Chi l'ha trovato e quando? — domandò Pitt. — L'agente Dabb, signore. L'ho lasciato là con l'incarico di badare che niente venisse toccato. Ragazzo sveglio. Ha scoperto Sir Bertram verso le 4,15, o pochi minuti dopo. Aveva udito suonare il Big Ben. Il corpo era steso davanti alla porta, perciò l'agente Dabb si è avvicinato per vedere cosa ci faceva lì. Naturalmente, si è accorto subito che era morto. Di morti all'Acre e dintorni ne abbiamo non pochi, perciò non gli ha dato molto peso, non al punto da pensare di chiamarmi. Ma il cappotto si apre e Dabb vede cosa gli hanno fatto. A quel punto ci ha mandato a chiamare, e noi siamo venuti a chiamare lei.
— Come facevate a sapere chi era? Per quanto tempo un cadavere può resistere a Devii's Acre senza essere derubato di tutto? Il sergente afferrò il concetto. — Niente denaro, naturalmente, ma aveva ancora i documenti e alcune lettere. Non so cosa dirà il dottore, ma non doveva essere là da molto, non più di un'ora, almeno. Altrimenti, gli altri clienti ci avrebbero inciampato, uscendo. Se ne vanno per tempo, perché all'alba vogliono trovarsi tutti dove non si vergognano di farsi vedere. Di nuovo seduti alla loro tavola, magari per recitare le preghiere insieme alla famiglia! — Il disprezzo nella sua voce era aspro e pungente, anche se Pitt non riuscì a capire se a provocarlo fosse il fatto che frequentassero quel posto o l'ipocrisia di nascondere certe inclinazioni. Forse, in un altro momento, glielo avrebbe chiesto. La carrozza si arrestò e loro due scesero. Erano al confine sud dell'Acre, quasi sul fiume, il cui respiro umido turbinava sullo strato di ghiaccio che si era formato lungo gli argini dopo la pioggia. Sopra di loro, nell'oscurità appiccicosa, incombevano le torri gotiche del Parlamento. Un giovane agente con una lanterna era in piedi accanto a un corpo rannicchiato in un portone. La decenza l'aveva spinto a coprire la faccia del morto con il proprio mantello, e l'agente tremava di freddo. Una ben strana forma di rispetto, pensò Pitt, quella che ci induce a toglierci gli abiti e a congelare fino alle ossa per metterli addosso ai morti già sfiorati dal freddo della tomba. — 'Giorno, signore — salutò l'agente. — 'Giorno, signor Pitt. Ecco cosa significava essere famosi. — Buongiorno, agente Dabb — disse a sua volta, ricambiando la cortesia. Era una strada squallida, che puzzava di sudicio e di immondizie. Sui portoni di fronte dormivano altri derelitti. Visti alla luce grigia, non sembravano molto diversi dal cadavere di Bertram Astley. — Come hai capito che era morto? — domandò, curioso di sapere che cosa avesse indotto l'agente a fermarsi per esaminare quel corpo in particolare. L'agente Dabb raddrizzò un po' le spalle. — Il lato ovest della strada, signore. — Il lato ovest? — Il vento soffia da est, signore. E pioveva anche. Nessuno, neanche un ubriaco, si mette a dormire sul bagnato se c'è un rifugio a venti metri di distanza, riparato. Pitt gli rivolse un sorriso di apprezzamento, quindi raccolse il mantello e glielo restituì. Si chinò sul cadavere. Bertram Astley era stato un bell'uo-
mo: lineamenti regolari, naso sottile, capelli e basette biondi, e baffi appena poco più scuri. Aveva gli occhi chiusi, ed era impossibile intuire quanta vitalità avesse posseduto in vita. Pitt guardò in basso e scostò il cappotto nel punto dove il senso della decenza aveva costretto l'agente Dabb a coprire la ferita. Si trattava di un unico squarcio, non profondo. Non c'era moltissimo sangue. Sollevò le spalle quel tanto che bastava per esaminare la schiena. Vide un taglio nel cappotto e una macchia lunga e scura appena a sinistra della colonna vertebrale. Era quella la ferita mortale, come nelle altre vittime. Rimise il cadavere nella posizione in cui l'aveva trovato. — Hai mandato a chiamare il medico? — domandò. — Sì, signore. — Naturale che l'aveva fatto! Il suo orgoglio professionale non gli avrebbe permesso di tralasciare un particolare così importante. Pitt si guardò in giro. Quella strada non aveva niente d'insolito. Era stretta, fiancheggiata da case cadenti con le parti in legno marcite e l'intonaco rigonfio e scrostato. I canali di scolo traboccavano. Qualcuno avrebbe notato un uomo che trascinava un corpo, o due persone che si azzuffavano? Ne dubitava. E ammettendo che ci fosse un testimone tra i clienti del bordello, sarebbero riusciti a trovarlo e avrebbe comunque parlato? Difficile. L'omosessualità era un reato che comportava severe condanne e l'emarginazione sociale a vita. Ovviamente, praticarla con discrezione era abbastanza comune, ma costringere la gente ad ammettere di esserne al corrente era ben altra cosa. — Controlla se puoi fare dell'altro qui — ordinò Pitt. — Hai l'indirizzo della famiglia? — Sì, signore. — Il sergente glielo porse su un pezzo di carta strappato dal suo taccuino. Pitt sospirò. — È meglio che vada a informarli prima che i giornali abbiano il tempo di stampare un'edizione straordinaria. Nessuno dovrebbe apprendere notizie simili dai giornali. — Infatti, signore. Purtroppo i giornalisti sono già stati qui un'ora fa. Non so come abbiano fatto a sapere... Non valeva la pena di discuterne. C'erano occhi e orecchie dovunque... gente abituata alla morte, e che si accontentava di guadagnare pochi centesimi permettendo a qualche cronista di precipitarsi in Fleet Street con del materiale per titoli sensazionali. Pitt risalì in carrozza e diede al vetturino l'indirizzo della casa londinese degli Astley.
Il cielo cominciava appena a schiarire quando scese dalla carrozza e disse al vetturino che poteva andarsene. Non aveva idea di quanto tempo si sarebbe fermato. La strada era quasi deserta. Una sguattera stava portando fuori l'immondizia: una porta sbatté sul retro. Salì i gradini e bussò alla porta d'ingresso. Gli aprì un cameriere dall'aria sorpresa. Pitt non gli lasciò il tempo di formulare giudizi. — Buongiorno — disse in tono deciso. — Sono della polizia. Purtroppo ho delle notizie molto serie da riferire. Vuole condurmi in un luogo adeguato e informare il capofamiglia? E farebbe meglio a portare del brandy, o qualcosa che secondo lei aiuti a superare uno shock. Il cameriere era stupefatto. Non protestò quando Pitt gli passò accanto e chiuse la porta. — Il signor Bertram... — iniziò. — Non è in casa. Lo so — lo interruppe Pitt. — È morto. — Oh! — Il cameriere cercò di riprendersi ma la situazione superava le sue forze. — Sarà... — Deglutì. — Sarà meglio che vada a chiamare il signor Hodge. il maggiordomo... e il signor Beau, il fratello di Sir Bertram. — Prima che Pitt potesse parlare, il cameriere spalancò la porta del salotto, nel quale una cameriera aveva già pulito il camino ma non aveva ancora acceso il fuoco. — Mi scusi, signore. — Lasciò Pitt solo e scomparve. Pitt si guardò in giro. La stanza era zeppa di mobili sontuosi, molti dei quali esotici; c'erano tavolini giapponesi laccati, altri di ebano intagliato e acquerelli francesi alle pareti. Agli Astley non mancavano né il gusto né i soldi per soddisfare i propri desideri. Un anziano maggiordomo dall'aria seria entrò reggendo un vassoio d'argento con una bottiglia di brandy e dei bicchieri di cristallo. — È esatto quello che dice Frederick, signore, e cioè che Sir Bertram ha avuto un incidente ed è morto? Non c'era motivo di mentire; il maggiordomo sarebbe stata la persona incaricata di controllare il personale e badare che tutte le incombenze domestiche non venissero trascurate durante i primi angosciosi giorni di lutto della famiglia. — Mi dispiace, non si tratta di un incidente. Sir Bertram è stato assassinato. — Oh, santo cielo! — Hodge depose il brandy sul tavolo. — Oh, santo cielo! Non era ancora riuscito a trovare altro da dire quando, pochi istanti dopo, un giovane aprì la porta e fissò Pitt. Indossava una vestaglia e aveva i
capelli biondi umidi, ma non si era ancora sbarbato. C'era una notevole somiglianza tra il suo viso e quello del morto: avevano lo stesso naso sottile e la fronte ampia. Ma la sua faccia, anche se tesa per la paura, era animata; gli occhi erano grandi e azzurri. Chiuse la porta. — Cosa c'è? Pitt si rese conto di quanto era stato fortunato quando Mullen l'aveva sollevato dall'incarico di informare Valeria Pinchin. Credeva di ricordare quanto fosse difficile, ma l'impatto era sempre violento. — Mi dispiace, signore — rispose a voce bassa. Era più facile dirlo tutto d'un colpo, più pietoso che rivelare un particolare alla volta. — Devo informarla che abbiamo appena trovato il cadavere di suo fratello, Sir Bertram, a Devil's Acre. Temo sia stato assassinato. Come il dottor Hubert Pinchin, anche se non è stato mutilato come lui... — S'interruppe; non gli sembrava che ci fosse altro da aggiungere. — Mi dispiace, signore — ripeté. Beau Astley rimase assolutamente immobile per diversi secondi, quindi raddrizzò le spalle e si avvicinò al tavolo. Hodge gli porse un brandy, ma lui lo ignorò. — A Devil's Acre? Era peggio chiederlo subito, nell'intontimento dello shock, o più tardi, una volta svanito l'effetto dell'anestesia e con la ferita aperta e inevitabile? In entrambi i casi, era una sola la risposta che Pitt poteva dare. — Sa cosa poteva essere andato a fare Sir Bertram in quel quartiere? Beau Astley alzò la testa. Alla fine prese il brandy che Hodge gli porgeva e lo bevve in due sorsate. Se ne versò dell'altro e bevve anche quello. — Credo che non ci sia motivo di mentire, ispettore. A Bertie piaceva giocare d'azzardo, anche se non grosse cifre, e credo che il più delle volte vincesse. Di solito si recava in uno dei tanti club per gentiluomini, ma ogni tanto gli piaceva bazzicare per i bassifondi, come nel Whitechapel o nell'Acre. Non riesco a capire il motivo... sono luoghi disgustosi! — Fece una pausa. Pitt era sorpreso; nel suo stato di shock, Beau Astley pareva essersi dimenticato di avere di fronte un poliziotto che gli faceva domande personali sulla sua famiglia. Non c'era condiscendenza nel tono della sua voce. — E Sir Bertram è andato a giocare, ieri sera? — volle sapere Pitt. Beau allungò una mano verso una sedia e Hodge fu lesto ad avvicinargliela. Si sedette. Hodge si ritirò in silenzio e si chiuse la porta alle spalle. — No. — Beau si prese la testa tra le mani e rimase a fissare il tavolo.
— No. E andato da May. Era invitato a cena. — May? — Oh, mi scusi... È la signorina Woolmer. Lei e Bertie dovevano fidanzarsi... credo, almeno. Oh, Dio! Sarà meglio che vada a informarla. Non posso permettere che lo sappia dalla polizia o da qualche stupida pettegola. — Guardò Pitt, senza speranza. — Immagino che non sarà possibile tenere all'oscuro i giornali, vero? Mio padre è morto, ma mia madre vive nel Gloucestershire. Dovrò scriverle... — La sua voce si spense in un sussurro. — Mi dispiace, ma i giornalisti erano già stati sul posto prima del mio arrivo — replicò Pitt. — In un quartiere come quello pochi centesimi sono una bella cifra. — Non ritenne di doversi spiegare meglio. — Certo. — Beau parve di colpo stanchissimo, e la sua faccia perse l'animazione di poco prima. — Le dispiace se vado a vestirmi per andare dalla signorina Woolmer? Non voglio che lo sappia da altri. — Ha ragione, signore, è senz'altro la cosa più opportuna. — Pitt osservò Beau alzarsi. Doveva dirgli il resto: entro mezzogiorno sarebbe stato di dominio pubblico. — Purtroppo c'è dell'altro, signore. È stato trovato... — Cercò la parola giusta. — ...in un luogo molto malfamato. — Me l'ha detto. Devil's Acre. — Sì, signore... ma sul portone di un bordello per uomini. La faccia di Beau s'irrigidì in un tentativo di sorriso. Niente più poteva scioccarlo. — I bordelli sono appunto per loro, non crede, ispettore? Pitt non sopportava di doverglielo dire: quell'uomo gli era simpatico. — No. Nella maggior parte dei bordelli le prostitute sono donne... — Lasciò in sospeso la frase. Gli occhi azzurri di Beau si spalancarono. — È ridicolo... Bertie non era... — No — si affrettò a intervenire Pitt. — Infatti io credo che sia stato ucciso lì per caso. Ma dovevo avvertirla... è probabile che i giornali ne parleranno. Beau si passò la mano tra i capelli che gli ricadevano sulla fronte. — Sì. suppongo che lo faranno. Non lasciano in pace neanche il Principe di Galles, e quindi non avranno nessuno scrupolo con Bertie. Se vuole scusarmi, vado a vestirmi. Hodge le porterà un brandy, o quello che preferisce. Se ne andò prima che Pitt potesse ringraziarlo. Pitt decise di chiedere un tè bollente, e forse una fetta di pane tostato. Bastò quel pensiero per acuire la sensazione di vuoto e di freddo che sentiva dentro di sé. Vedere un cadavere era uno spettacolo macabro, ma i mor-
ti ormai sono insensibili. Era dirlo ai vivi che faceva star male Pitt; si sentiva in colpa e impotente. Era contemporaneamente il portatore di dolore e lo spettatore della sofferenza, al riparo da tutto tranne che dalla propria immagine speculare. Avrebbe preso il tè in cucina. Al momento non aveva altre domande da fare a Beau Astley, ma forse poteva apprendere qualcosa negli alloggi della servitù. Più tardi, dopo che le fosse stata comunicata la notizia, doveva incontrarsi con la signorina May Woolmer, che risultava essere l'ultima persona ad aver visto Bertram Astley prima che si recasse a Devil's Acre. Durante la breve sosta nel tepore della cucina, sorseggiando una tazza di tè, Pitt venne a conoscenza di molti altri particolari attraverso Hodge, il cameriere e parecchie domestiche. Più tardi consumò con tutta la servitù un ottimo pasto alla loro lunga tavola. Le cameriere tiravano su con il naso, i camerieri erano silenziosi, la cuoca e la sguattera avevano gli occhi lucidi. Ma tutto quel che sentiva indicava che Astley era un giovane nobile, con un patrimonio tutt'altro che disprezzabile e dotato di una notevole bellezza. Il suo carattere non aveva niente di insolito: un po' egoista, come ci si può aspettare da un figlio primogenito che fin dalla nascita sapeva di essere l'erede per diritto esclusivo. Le sue abitudini personali rientravano nella norma: un po' di gioco d'azzardo di tanto in tanto, ma chi non se lo concedeva, potendoselo permettere? A volte beveva troppo, ma non diventava né litigioso né sboccato. Nessuna delle cameriere aveva mai avuto motivo di lamentarsi, e lui non lesinava il danaro per l'andamento domestico. Nel complesso, era un gentiluomo simpatico. Poco dopo le due, Pitt fu ammesso in casa Woolmer, di nuovo con riluttanza e solo per impedire ai vicini di notare la sua presenza inopportuna all'ingresso. Nessuno desiderava far sapere di avere la polizia in casa, qualunque fosse il motivo. — La signorina Woolmer non potrà riceverla — disse il cameriere in tono freddo. — Ha appena ricevuto la notizia di un grave lutto ed è indisposta. — Sono al corrente del lutto — rispose Pitt. — Purtroppo, poiché pare che Sir Bertram abbia cenato qui ieri sera, sono costretto a chiedere alla signorina Woolmer se era in uno stato d'animo particolare, se le ha accennato a cosa intendeva fare... L'uomo lo fissava, inorridito dalla sua grossolanità. — Sono certo che se
la signorina Woolmer sa qualcosa di utile, sarà lieta di riferirgliela non appena si sarà ripresa. Fin da prima dell'alba Pitt non aveva provato altro che dolore; a quel punto, finalmente, riuscì a sfogarlo nella collera. — Temo che la caccia a un assassino non possa aspettare i comodi della signorina Woolmer. C'è un pazzo in libertà a Devil's Acre. Tre persone sono già state uccise e mutilate, e se non lo catturiamo è quasi certo che ce ne saranno una quarta e una quinta. Non ho tempo di aspettare che un'indisposizione passi. Per favore, voglia informare la signorina Woolmer che mi scuso per il disturbo in un momento così triste, ma che devo vederla perché potrebbe aiutarmi ad arrestare l'assassino di Sir Bertram. Il cameriere era bianco in faccia. — Sì... se è inevitabile — ammise di malumore. Lasciò Pitt da solo e si avviò lungo il corridoio cercando le parole adatte per riferire il messaggio. Passò più di mezz'ora prima che Pitt venisse accompagnato in salotto, una stanza piena di fotografie, gingilli, pizzi e ricami. Nel camino splendeva un bel fuoco e tutte le lampade erano accese. Le tende, naturalmente, erano abbassate, come si conviene a una casa colpita da un grave lutto. La signorina Woolmer era una giovane di notevole bellezza, accasciata in una posa di composto dolore su un'agrippina. Indossava un abito grigio tortora, il colore giusto per non cadere in un'eccessiva ostentazione dei suoi sentimenti. Aveva capelli folti e scintillanti come miele, e dei lineamenti regolari. Guardava Pitt con i suoi grandi occhi ben distanziati e teneva in mano un fazzoletto bianco. La signora Woolmer stava in piedi alle sue spalle come una sentinella, il seno abbondante avvolto in tessuto color porpora, adatto a un mezzo lutto, molto appropriato in una circostanza così imbarazzante. Aveva capelli biondi come quelli della figlia, ma sbiaditi, e il viso leggermente appesantito. Non nascondeva il suo disappunto e Pitt era l'ovvio bersaglio della sua collera. Lo fissò con aria minacciosa. — Non riesco proprio a capire perché ritenga necessario disturbare il nostro dolore — disse in tono gelido. — Confido che abbia abbastanza buon gusto da essere breve. Pitt avrebbe voluto essere altrettanto villano, dirle cos'era in realtà il buon gusto per lui: una questione di autocontrollo, di riguardo, in modo da non mettere inutilmente in imbarazzo gli altri, tanto meno quelli che non si potevano permettere di rispondere per le rime. — Ci proverò, signora — si limitò a dire. — Ho saputo dal signor Beau Astley che Sir Bertram doveva
venire a cena qui ieri sera. È stato così? Non lo invitarono a sedersi, e anche la signora Woolmer rimase in piedi, sulla difensiva. — Sì, ha cenato qui — rispose con malagrazia. — A che ora se n'è andato? — Poco dopo le undici. Non posso essere più precisa. — Era in buona salute e di buonumore? — Domanda inutile, se mai avessero avuto una lite furibonda, nessuna delle due donne si sarebbe sognata di dirglielo. — Eccellenti. — La signora Woolmer sollevò il mento. — Sir Bertram era sempre molto felice qui. Era affezionato a mia figlia. Anzi, si era rivolto a me con lo scopo di chiedermi la sua mano — Trasse un respiro e un'ombra d'indecisione le passò sul volto. Era una bugia che nessuno poteva smentire? No... anche Beau Astley aveva detto qualcosa del genere. Allora perché quel lieve dubbio? C'era stato qualche screzio la sera precedente... un ripensamento, magari? — Sono molto addolorato per voi. signora — disse Pitt in tono automatico. — Sir Bertram ha forse detto dove intendeva recarsi uscendo di qui? La signora Woolmer inarcò le sopracciglia. — Diamine... a casa, suppongo! — Non capisco. — May parlò per la prima volta. Aveva una voce gradevole. — Tutto questo mi è incomprensibile. — Ed è naturale che lo sia! — esclamò la signora Woolmer irritata. — È incomprensibile per ogni persona decente. Si può solo supporre che sia stato rapito. È questa la traccia che dovrebbe seguire, signor... — Tralasciò il suo nome, alzando una spalla a indicare quanto era trascurabile. — Il povero Sir Bertram dev'essere stato rapito. Poi, quando gli assalitori si sono resi conto di chi era la loro vittima, devono essersi lasciati prendere dal panico... — Forse Bertie si è ribellato? — suggerì May. Le salirono le lacrime agli occhi. — Che coraggio aveva! Non temeva nulla. Alla signora Woolmer quella spiegazione piacque. — Dev'essere andata così, ne sono sicura. Non so perché paghiamo la polizia, dato che permette che accadano certe cose! Pitt aveva interrogato il cocchiere degli Astley durante il pranzo. — Sir Bertram non se n'è andato con la propria carrozza? — chiese a voce alta e chiara. — Come dice? — La signora Woolmer si era aspettata delle scuse o un tentativo di difesa, non quella sorprendente domanda.
— No — rispose May per lei. — Aveva congedato il suo cocchiere, e al momento di andarsene ha fatto chiamare una carrozza pubblica da Willis. Ci eravamo offerte di farlo accompagnare a casa con la nostra, ma non ha voluto saperne. Era molto riguardoso. — Si asciugò la guancia con il fazzoletto. — Molto. — Se soltanto fossimo state più persuasive, forse non l'avrebbero rapito! — La signora Woolmer rivolse di nuovo il suo sguardo di accusa a Pitt: la colpa era tutta della polizia. Gli esponenti dell'alta società non avrebbero dovuto aver bisogno di proteggersi dai delinquenti per strada. Era possibile che Astley fosse stato rapito, ma quanto mai improbabile. Tuttavia, se le Woolmer non sapevano della sua abitudine di recarsi di tanto in tanto a Devil's Acre, era inutile metterle al corrente ora. Probabilmente, non gli avrebbero creduto. E forse l'ira era il loro modo di affrontare il dolore: un modo non insolito. In caso di malattia, il medico risultava incapace di guarire; in caso di crimini, la colpa ricadeva sulla polizia. Pitt le guardò; May si atteneva ancora alle regole di comportamento di una giovane signora. Non si vedeva ancora in lei nessuna traccia della scompostezza del dolore autentico. I piedi erano posati con grazia sull'agrippina, e l'abito era drappeggiato in pieghe composte. Le mani, che teneva in grembo, erano un po' irrequiete, ma belle. Avrebbe potuto essere in posa per un pittore neoclassico, se avessero tolto tre quarti degli oggetti sui tavoli e sul pianoforte alle sue spalle. Novella Britannia, la signora Woolmer stava chiamando a raccolta le forze per respingere il nemico. Dovevano ancora mettere ordine nella confusione dei loro pensieri, e non gli avrebbero rivelato niente d'importante. Era inutile insistere. Forse con il tempo avrebbero ricordato una parola o un gesto significativi. — Se n'è andato con una carrozza verso le undici — ripeté Pitt. — E, per quanto ne sapete, stava bene, era di buonumore e intendeva tornare subito a casa. — Esattamente — confermò la signora Woolmer. — Non so cos'altro immaginava che potessimo dirle. — Soltanto l'ora e il mezzo di trasporto, signora. E che non intendeva far visita a nessun altro. — Allora, se è tutto, sarà così gentile da andarsene e lasciarci sole. Di nuovo in strada, Pitt si diresse a est, contro vento. Si chiedeva come fosse May Woolmer quando la madre non era presente. Bertram Astley l'aveva amata? Era senz'altro bella e aveva modi raffinati che, come mo-
glie, non l'avrebbero fatta sfigurare in società. Possedeva anche l'arguzia dell'autoironia e il buonsenso di elogiare gli altri senza malanimo? Era dolce? Ma erano quelle le doti che Bertie Astley avrebbe preso in considerazione? Forse la bellezza e un carattere docile erano sufficienti. E cos'aveva scorto sulla faccia di Beau Astley nell'attimo in cui aveva pensato a May? Era amore anche quello? Quando l'avesse incontrato di nuovo, doveva ricordarsi che ormai era Sir Beau! E di sicuro un uomo molto più ricco. Dopo un adeguato periodo di lutto, avrebbe preso il posto del fratello sposando May Woolmer? Era prevedibile che la signora Woolmer si sarebbe prodigata perché ciò avvenisse. Pitt rialzò il bavero per proteggersi dal vento. Lo deprimeva il pensiero di dover indagare nella vita privata degli Astley. La mattina successiva fu convocato dal suo capo. Dudley Athelstan era in piedi in mezzo al suo ufficio. L'abito confezionato su misura non faceva una grinza, ma la cravatta era storta e il colletto sembrava troppo stretto. La grande scrivania era cosparsa di giornali. — Pitt! Entri. Dobbiamo fare qualcosa... è spaventoso! Il questore in persona è venuto a parlarmene. Mi aspetto che il primo ministro mi scriva da un momento all'altro. — Per tre delitti in un quartiere dei bassifondi? — domandò Pitt, scettico. — Tra un paio di giorni scoppierà un altro scandalo nell'alta società, e nessuno se ne ricorderà. — Accidenti, ma non si rende conto, Pitt, delle conseguenze di quest'ultimo delitto? La gente rispettabile ha paura a... — Athelstan s'interruppe di colpo. — A recarsi a Devil's Acre? — terminò per lui Pitt con un sorriso. Athelstan emise un grugnito. — Per lei è facile fare del sarcasmo, Pitt. Lei non è costretto a dare spiegazioni a quella gente. Ci sono personaggi influenti che di tanto in tanto vanno a divertirsi in case come quella di Max Burton. Accettano di pagare cifre esorbitanti anche se corrono il rischio di essere derubati o malmenati per strada, ma l'idea di finire assassinati ed evirati...! — Forse è tutta opera di un fervente censore di costumi, che vuole mandare in fallimento i bordelli — suggerì Pitt in tono ironico. — Non sia impertinente — lo rimproverò Athelstan, ma senza acredine. — Non è il momento di scherzare. — Si passò le dita nel colletto per allentarlo. — Dobbiamo risolvere questa faccenda e rinchiudere il responsabile
a Bedlam. E non m'importa se è un uomo di chiesa che vuole ripulire l'inferno con mezzi propri, o un dannato ruffiano che pensa di crearsi un suo piccolo impero. Cos'ha scoperto, finora? — Molto poco, signore... — Non accampi scuse, maledizione! Fatti, testimoni... cosa sappiamo? Pitt ripeté i pochi particolari medici. — Non è di molto aiuto! — gemette Athelstan. — Nessun testimone — aggiunse Pitt. — Neanche uno? Pitt si strinse nelle spalle con un debole sorriso. — Se ne aspettava? Chi avrebbe il coraggio di ammettere che si trovava là? Athelstan gli lanciò un'occhiataccia. — Niente ruffiani, prostitute, vagabondi o gente simile? — No. Athelstan chiuse gli occhi. — Maledizione! Maledizione! Dobbiamo riuscire a sbrogliare questa matassa, Pitt. — Si prese la faccia tra le mani. — Si immagina che cosa ci faranno se la prossima vittima sarà un nobile, o un membro del Parlamento? Ci crocifiggeranno! — Cosa si aspettano che facciamo? Che pattugliamo le strade di Devil's Acre dove ci sono i bordelli? — Non sia idiota! Vogliono che ci sbarazziamo di questo pazzo e che ristabiliamo la normalità. — Fissò Pitt con sguardo supplichevole. — E dobbiamo farlo! Scovi i suoi informatori, le sue spie... usi il denaro, se necessario. Non molto, badi. Non perda la testa! Qualcuno parlerà, qualcuno sa. Cerchi moventi, rivalità, gelosie. Controlli chi stava perdendo soldi. Il mio consiglio è di scoprire chi ha ucciso quel ruffiano, Max, e il resto verrà da sé. Che legame c'è tra Max e quel dottor Pinchin? — Non ne abbiamo trovato neanche uno. — Pitt s'irrigidì, consapevole del proprio fallimento. — Bene, vada a cercarlo! — Athelstan strinse i pugni. — E per l'amor di Dio, lo trovi! Sbatta qualcuno in galera. Dobbiamo porre fine a questo... questo... — La sua mano sbatté a terra il giornale più vicino, scoprendo un mucchio di lettere. — Si stanno lasciando prendere dal panico! C'è gente importante che ha perso la testa! Pitt ficcò le mani in tasca. — Sì... ne sono convinto. — Bene, allora si dia da fare! — urlò Athelstan esasperato. — Torni sul posto e agisca! E così Pitt tornò a Devil's Acre per interrogare più a fondo Ambrose
Mercutt sulla sua rivalità con Max. Lo trovò in vestaglia scarlatta con colletto e polsini di velluto, e di pessimo umore. — Non so cosa diavolo si aspetti da me! — dichiarò furibondo. — Non ho idea di chi abbia ucciso quel disgraziato! Le ho già detto tutto quello che sapevo. Ne aveva un bel numero, di nemici, accidenti a lui! — Lei sembra il primo del gruppo, signor Mercutt. — Pitt si era premunito di due agenti di scorta, e non era nella disposizione d'animo di lasciarsi intimidire da un ruffiano rammollito in vestaglia rossa alle dieci del mattino. — Max Burton le aveva soffiato una buona parte della sua clientela, e almeno quattro delle sue prostitute migliori. Rappresentava una grossa minaccia per la sua attività. — Sciocchezze! — Con un gesto delle lunghe dita, Ambrose liquidò l'idea come assurda. — Gliel'ho già detto, le donne vanno e vengono. E con il tempo avrebbero lasciato Burton per andarsene da un altro. Non c'era niente di straordinario. Se facesse il suo lavoro con un po' più di competenza, ispettore, comincerebbe a cercare tra le donne sposate che lavoravano per lui. Provi con Louisa Crabbe! Scommetto che non ci aveva nemmeno pensato, eh? — Nei suoi occhi si accese un lampo di soddisfazione maligna davanti alla sorpresa di Pitt. — No... non mi sbagliavo! Mi chiedo cosa pensasse di Max, Albert Crabbe. Scommetto che sarebbe stato felice di tagliargli a pezzi le sue parti più intime! — Fece una smorfia. Tanta volgarità era offensiva. Guadagnava abbastanza da vivere agiatamente sfruttando gli appetiti fisici degli altri, ma ne provava disgusto. Si sedette e incrociò le gambe. Per un attimo Pitt pensò che Louisa Crabbe fosse un'invenzione, ma la faccia di Ambrose era troppo sicura, troppo soddisfatta. — Dice davvero? — disse Pitt, cercando di mantenersi impassibile. — E dove posso trovare questo Albert Crabbe? Ambrose sorrise. — Mio caro ispettore, ma lei non sa fare proprio niente? Come posso saperlo, io? Esamini i libri di Max... dev'esserci qualche appunto sul modo in cui la contattava. Nel nostro mestiere bisogna avere un certo acume. I nostri non sono bordelli comuni, dove non si sa cosa ti può capitare. — Grazie — replicò Pitt con sarcasmo. — Confesso che non avevo apprezzato in pieno la sua arte imprenditoriale. — Come? Pitt non si disturbò a spiegarsi. Provava un pizzico di soddisfazione, ma era una misera vittoria, e lui lo sapeva.
— Immagino che Louisa Crabbe non fosse l'unica... ma soltanto quella di cui le interessava dirmi il nome. — Gliel'ho detto, ispettore, Max Burton non mi creava il minimo disturbo. — La faccia di Ambrose era di nuovo placida, tranquilla. — Non mi preoccupavo di chi andava e veniva da lui. Perché avrei dovuto? Ho una clientela fissa e me la cavo molto bene. Naturalmente, c'è gente che lui ha danneggiato. Se fossi nei suoi panni, chiederei alle Dalton. Oserei dire che avevano buoni motivi per essere furiose con Max. Pitt poteva tornare alla stazione di polizia e scoprire tutto sul conto delle Dalton, ma non valeva la pena fingere. — Dove le trovo? Un sorriso di superiorità sfiorò le labbra di Ambrose. — In Crossgate Street. Diamine, ispettore, cosa farebbe senza di me? — Mi rivolgerei a qualcun altro — replicò Pitt. — Non mi faccia venire la tentazione di riflettere. Se Devil's Acre non fosse quel letamaio che è. proverei senz'altro a eliminare qualche bordello. — Guardò la stanza dai colori scialbi. — Ma che differenza farebbe? Ha mai letto delle fatiche di Ercole? Ambrose sapeva che lo stava insultando in maniera a lui oscura, e la cosa lo seccava. — No, non credo — rispose Pitt alla propria domanda. — Prima o poi s'informi delle stalle di Augia. Potremmo prendere in considerazione di deviare il Tamigi. — Non capisco un accidente di quel che sta dicendo! — sbottò Ambrose. — Non farebbe meglio a occuparsi del suo lavoro? Non mi sembra che lei abbia fatto progressi tali da potersi permettere di sprecare il suo tempo... e il mio! Era una verità che faceva male. E con Hubert Pinchin e Bertie Astley morti, il motivo per cui avevano ucciso Max diventava sempre meno importante. — Sir Bertram Astley è mai stato suo cliente? — Fu la domanda finale che Pitt gli rivolse dalla porta. Ambrose inarcò le sottili sopracciglia. — Diamine, ispettore, pensa davvero che chiederei a dei gentiluomini di dirmi il loro nome? Non sia ingenuo. — No, non lo penso affatto, Ambrose. Ma credevo che sapesse comunque chi sono. Ambrose sorrise. Era un riconoscimento indiretto della sua competenza, delle sue capacità professionali. Sul suo viso passò un'ombra di indecisio-
ne, che subito scomparve. — No — disse alla fine. — Né Bertram Astley, né il dottor Pinchin erano miei clienti. — Il suo sorriso si allargò. — Mi dispiace. Pitt gli credeva. Era convinto che non avesse esitato a rispondere per incertezza sull'opportunità di farlo, ma solo per il piacere di esagerare l'importanza della sua clientela, ribadendo in tal modo che non aveva nulla da temere da parte di Max. — Già. — Lo sguardo di Pitt esaminò di nuovo la stanza, mentre un sorriso gli increspava le labbra. — Già, me l'ero immaginato. — Chiuse la porta sotto gli occhi fiammeggianti d'ira di Ambrose. Crossgate Street era sporca e fredda, ma Pitt non ebbe difficoltà a localizzare l'edificio delle Dalton. Era grande e sembrava un posto allegro, tutto arredato in rossi e rosa sgargianti, e c'era un fuoco acceso nel salone benché fosse metà pomeriggio. Si sarebbe detto che le Dalton servissero i clienti ventiquattro ore su ventiquattro. Il posto non aveva l'odore stantio e acre di un locale pubblico nelle ore di chiusura; dovevano esserci delle cameriere, come in qualsiasi casa privata. Fu accolto da una ragazza grassottella con il viso tondo: un tipo abbastanza ordinario con l'incarnato di quella che è appena arrivata dalla campagna. Pitt provò una fitta di compassione al pensiero che facesse un simile mestiere. Comunque, era molto meglio stare in un postribolo come quello, con un tetto sulla testa e dei pasti regolari, piuttosto che battere per strada come tante donne, costrette a vendere il proprio corpo per sfamare e vestire i figli. Le risparmiò l'umiliazione di proporgli i suoi servigi. — Sono della polizia — disse subito. — Voglio parlare con la signorina Dalton. Può darsi che possa darmi informazioni utili. — La signorina Mary o la signorina Victoria, signore? Comunque non sono sicura che vorranno ricevere la polizia. — O l'una o l'altra fa lo stesso. E, mi dispiace, ma insisto per vederle. Si tratta di un delitto. Se mi costringono, tornerò con degli agenti, e la cosa potrebbe diventare sgradevole. Credo che non farebbe piacere a nessuno. Non gioverebbe agli affari delle signorine. La ragazza era sbalordita. Quell'uomo aveva modi educati e parlava con molta proprietà, eppure il suo tono era perentorio. — Se vuole attendere qui... — Si allontanò di corsa, e Pitt si pentì subito. Non era affatto neces-
sario mostrarsi così duri, ma ormai non c'era rimedio. Qualche istante dopo apparve una donna sulla trentina, dalla figura formosa, con un bel viso schietto spruzzato di efelidi. Aveva l'aria di una cameriera nel suo giorno di libertà. L'abito era accollato e di un semplice color lavanda. Non era truccata. — Sono Victoria Dalton — annunciò in tono educato. — Violet dice che lei è della polizia e che vuole parlarmi. Le dispiace accomodarsi in salotto? Violet ci porterà il tè. Sentendosi ridicolo, quasi avesse commesso un errore di giudizio, Pitt seguì in silenzio la schiena dritta della donna attraverso la grande sala rossa e rosa, con i suoi divani e cuscini, lungo un corridoio e dentro un locale più piccolo e più intimo dov'era acceso un altro fuoco. Da un punto imprecisato del piano di sopra gli giunse la risata di una donna, seguita da un gridolino di piacere e da altre risa. Non udì voci maschili. Dovevano essere due donne che si raccontavano le rispettive prodezze. Victoria Dalton prese posto su un grande divano verde e invitò Pitt ad accomodarsi su quello di fronte. Giunse le mani in grembo e lo fissò con aria cortese. — Bene, cosa desidera da noi? Pitt era un po' perplesso; quella donna era così calma, così diversa da Max o da Ambrose Mercutt. Quel posto pareva un'abitazione della media borghesia, accogliente, con un'aria familiare. Si sentiva quasi obbligato a ricorrere a degli eufemismi, il che era ridicolo. — Sto indagando su un delitto, signora — iniziò, in un modo che non era nelle sue intenzioni. Doveva ammettere che lei lo aveva messo a disagio. — In realtà, si tratta di tre delitti. — Molto sgradevole. — La signorina Dalton parlò come se lui avesse fatto un commento sulle condizioni del tempo. Continuava a guardarlo con aria candida, come una bambina ubbidiente. C'era da restare sconcertati. O non aveva afferrato l'esatto significato delle sue parole, oppure la morte era un fatto così ordinario da non avere il potere di turbarla. Incontrando i suoi fermi occhi grigi, Pitt optò per la seconda ipotesi. La cameriera portò il tè e lo lasciò sul vassoio. Victoria Dalton lo versò e gli porse una tazza, che Pitt accettò ringraziandola. — La prima vittima è stato Max Burton — iniziò di nuovo. — Aveva una casa di tolleranza in George Street. Lo conosceva, per caso? — Certo. Sapevamo che era stato assassinato.
— Era esperto nel suo mestiere? — Perché provava tanta difficoltà a interrogarla? Forse perché non gli offriva spunti e, a differenza di Ambrose Mercutt, non era sulla difensiva? — Oh, sì. Aveva un notevole talento. — Per la prima volta il viso mostrò un'emozione: l'ira. Le sue labbra carnose s'incurvarono agli angoli, ma Pitt ebbe la strana sensazione che il gesto indicasse disapprovazione piuttosto che un senso di rancore personale. — Ambrose Mercutt sostiene che offriva donne di ceto elevato nella casa di George Street — proseguì Pitt. Lei ebbe un lieve sorriso. — Sì, è da Ambrose Mercutt dirlo. — È vero? — Oh, sì. Max era molto intelligente. Sa, esercitava molto fascino sulle donne. E ci sono parecchie donne di buona famiglia, sposate per convenienza a uomini senza midollo spinale probabilmente molto più vecchi di loro, poco soddisfacenti a letto, senza appetiti o fantasia... che così finiscono per annoiarsi. Max le affascinava. Cominciavano con l'avere una relazione con lui, poi lui le presentava ai suoi clienti di maggior riguardo. Poteva far pagare cifre elevate per prostitute come quelle. — Ne parlava come qualsiasi commerciante potrebbe parlare della propria merce. — Vi ha sottratto parte della vostra clientela? — domandò con altrettanta franchezza. — Non molta. Noi forniamo esperienza, piuttosto che novità. La maggior parte di queste donne di buona famiglia hanno più che altro voglia di avventura, più... più bisogno di riempire la noia delle loro giornate anziché essere pazienti e sapere come dare piacere. Una brava prostituta possiede senso dell'umorismo e generosità, e non fa domande. — Victoria Dalton sorrise con aria tetra. — Oltre ad avere una notevole esperienza. Era così abituata all'idea che trovava la cosa del tutto normale. Il traffico di donne era la sua vita quotidiana e non suscitava in lei emozione alcuna. Conoscere il mestiere le era indispensabile per sopravvivere. — Cosa può dirmi di Ambrose Mercutt? — domandò Pitt cambiando argomento. — Oh sì, Ambrose ne era danneggiato. Lui ha lo stesso tipo di clientela: gentiluomini con gusti particolari che cercano qualcosa di nuovo, qualcosa che stimoli la loro fantasia, e disposti a pagare per averlo. — Adesso sul viso di Victoria Dalton c'era autentico disprezzo. I suoi occhi si socchiusero e in loro si accese un lampo che avrebbe potuto essere di odio, ma Pitt non avrebbe saputo dire per chi. Forse per quelle donne ricche e viziate,
con denaro e tempo per sguazzare nella prostituzione al solo scopo di divertirsi... mentre le sue, di donne, si prostituivano per vivere. O forse per gli uomini che, pagando, rendevano quel mestiere proficuo? Oppure era odio per Max, perché le aveva portato via dei clienti? O per qualche altro motivo che lui, Pitt, non aveva ancora preso in considerazione? Forse anche lei era stata attratta da Max? Non lo si poteva escludere; era giovane, la curva della sua bocca era morbida e piena. L'uccisione di Max era semplicemente frutto del furore di una donna respinta? Ma se così fosse stato, come spiegare la morte di Hubert Pinchin? — Dove conosceva donne di alto ceto? — domandò invece. — Non qui all'Acre, immagino. L'emozione di poco prima svanì dalla faccia di lei. I suoi occhi tornarono calmi, come acqua grigia spruzzata di ardesia. — Oh, no, andava nei ristoranti e nei teatri frequentati da quel tipo di donne. Un tempo aveva lavorato come cameriere in una casa importante... sapeva come comportarsi. Era molto bello e vestiva con eleganza. Sapeva intuire quando una donna era insoddisfatta, e individuava quelle che avevano il coraggio e la forza di disperazione sufficienti per lanciarsi in qualche avventura. Pitt fu di nuovo costretto ad ammettere che Max possedeva un talento davvero eccezionale, e che l'aveva sfruttato al massimo. Ma se era eccezionale, era anche pericoloso. Cosa succedeva quando quelle donne finivano per annoiarsi, o si spaventavano? L'alta società era disposta a chiudere un occhio su molti argomenti, ma prostituirsi per denaro a Devil's Acre non era cosa da potersi ignorare. C'era un'incolmabile differenza tra quello che poteva fare un uomo senza riportarne danni, a patto che fosse discreto, e quello che si poteva perdonare a una donna, a qualsiasi donna. Il sesso faceva parte della natura dell'uomo, aborrito dai bigotti ma accettato, fino al punto di diventare oggetto di battute maliziose, e guardato dalla maggior parte della gente con una certa riluttante ammirazione. Ma, per convenzione, gli uomini preferivano credere che le donne fossero diverse. Solo le sgualdrine provavano piacere nelle camere da letto. Vendere il proprio corpo era un peccato che portava alla dannazione. Quando le donne di Max vedevano in pericolo la loro sicurezza e il loro matrimonio, come si comportavano? Max permetteva loro di andarsene tranquillamente di nascosto come erano arrivate, cancellando i loro nomi dalla sua memoria? Oppure vivevano per sempre sotto la spada di Damocle?
C'erano migliaia di moventi per un omicidio! Victoria Dalton continuava a fissarlo con aria seria. Pitt non avrebbe saputo dire fino a che punto avesse intuito le sue riflessioni. — Ha mai sentito parlare del dottor Hubert Pinchin? — le domandò. — Anche lui è stato assassinato. — Era un'affermazione, non una domanda. — Abbastanza lontano da qui. No, proprio non so niente sul suo conto. — Esitò un attimo. — Niente di un uomo con quel nome, intendo. Come saprà, qui la gente non dice sempre come si chiama veramente. — Nella sua voce c'era un'ombra di disprezzo. — Era massiccio, cominciava a mettere su pancia. — Pitt descriveva Pinchin come l'aveva visto da morto nel cortile del mattatoio, ma cercando di immaginarlo da vivo. — Aveva capelli radi castano-grigi, un naso largo quasi schiacciato, una bocca che sembrava propensa al riso, degli occhi piccoli e la carnagione olivastra. Indossava abiti sformati. Gli piacevano il formaggio stilton e il buon vino. Veronica Dalton sorrise. — A Londra ce ne sono parecchi di gentiluomini che rispondono alla sua descrizione, e molti di loro, avendo mogli poco disponibili e di inattaccabile virtù, prima o poi trovano la strada che li porta qui. Era il ritratto perfetto di Valeria Pinchin. Non c'era da stupirsi se Hubert Pinchin aveva trovato la strada che conduceva alla casa di Victoria Dalton, un luogo di allegria e di piacere, di cuscini gonfi, di seni morbidi e di compiacenza. — Sì, credo proprio che lei abbia ragione — dichiarò con aria infelice. — Cosa sa di Sir Bertram Astley... giovane, biondo, di bell'aspetto, piuttosto alto? — Si era dimenticato di verificare il colore degli occhi, ma non era comunque necessario. A Londra dovevano esserci diverse centinaia di giovani, anche tra i nobili ricchi, che rispondevano a quelle caratteristiche. — Il nome non mi dice niente — rispose lei con pazienza. — E noi non siamo curiose. Non giova agli affari. Non c'era niente da eccepire. Cominciava a farsi l'idea che l'omicida fosse un pazzo con un odio feroce per la virilità, forse un uomo menomato o impotente tormentato da quell'ossessione al punto da perdere il ben dell'intelletto. L'ipotesi non era per niente soddisfacente, ma fino a quel momento non aveva scoperto nessun legame, per quanto tenue, tra Max, il dottor Pinchin e Sir Bertram Astley. Forse sarebbe emerso qualcosa indagando sulle conquiste di Max, maga-
ri una donna che tutti e tre conoscevano, e che tutti e tre sfruttavano. Sì... l'ipotesi della vendetta di un marito impazzito non era impossibile. Oppure, se la donna stessa era stata ricattata, poteva aver assoldato un sicario per eliminare tutte le tracce della sua colpa. Erano in molti a Devil's Acre che si sarebbero prestati per una piccola somma, assolutamente insignificante in confronto alla rovina che poteva attenderla. E se fosse stata tanto accorta da incontrarsi con il sicario senza dire chi era e nascondendosi sotto un mantello e un cappuccio, avrebbe potuto vivere in futuro abbastanza tranquillamente. Ma perché quella terribile mutilazione? Gli si serrò lo stomaco e provò di nuovo nausea al ricordo di Pinchin con i suoi genitali squartati. Forse era stata veramente l'opera di un marito. O di un padre. C'era troppo odio perché il movente potesse essere del denaro. Erano tutte congetture inutili se non poteva provarle. Si alzò in piedi. — Grazie signorina Dalton, mi è stata di grande aiuto. — Perché era così gentile, quasi deferente con quella donna? Era la tenutaria di un bordello, come Ambrose Mercutt e come lo stesso Max. Forse si trattava di educazione, pura e semplice educazione, e non aveva niente a che vedere con lei. — Se avessi altre domande da farle, tornerò a trovarla. Si alzò anche lei. — Certo. Buongiorno, signor Pitt. La cameriera l'accompagnò alla porta. Fuori stava già calando l'oscurità. Dal fiume saliva la puzza delle fognature, e in quel momento risuonò il lungo lamento di una sirena: le chiatte cariche si dirigevano a valle del Tamigi, verso il porto più trafficato del mondo. Forse ogni delitto era opera di una mano diversa. I giornali ne avevano parlato a profusione. Forse almeno uno dei tre era stato commesso per imitazione. E cosa dire di Beau Astley, che ereditava il titolo del fratello, il patrimonio, e magari anche May Woolmer? Perché avrebbe dovuto sorprenderlo scoprire l'influsso di Satana lì a Devil's Acre? 6 L'omicidio di Bertram Astley era sulle prime pagine di tutti i giornali. La gente era scandalizzata. Dietro le grida stridule di orrore, di oltraggio alla decenza, perfino dietro la compassione si nascondeva un senso reale di panico. Se un uomo come Astley era stato assassinato in quel modo e senza motivo apparente, chi poteva sentirsi al sicuro per le strade?
Certo, non lo si diceva apertamente. Arrivarono lettere ai direttori dei quotidiani con la richiesta di un incremento di forze di polizia, di maggiore efficienza e professionalità nel settore. Si voleva sapere di chi fosse la colpa. Era la corruzione nelle alte sfere a impedire che quei delitti mostruosi fossero ancora insoluti? Un anziano gentiluomo suggeriva perfino di appiccare il fuoco a tutto Devil's Acre e di deportarne tutti gli abitanti in Australia. Charlotte depose il giornale e cercò di sgomberare la mente da quegli echi d'isterismo, di pensare che tipo d'uomo poteva essere stato Bertram Astley. Tutto quello che aveva letto era filtrato dalla rosea vernice dell'emozione, che non permetteva di pensar male del defunto. Semplificare era tanto più facile, lasciandosi andare a sentimentalismi senza mezze misure: Max era malvagio, Astley una vittima innocente; la polizia o perdeva tempo in sciocchezze oppure, peggio ancora, era corrotta. Ma, comunque, la società era in pericolo. Intanto Pitt iniziava a lavorare molto prima dell'alba e non terminava fino a ora tarda. Quando tornava a casa, il più delle volte era troppo stanco per aver voglia di parlare. Ma dove si poteva andare a cercare un maniaco omicida? Doveva aiutarlo. Senza dirglielo, certo; lui le aveva categoricamente proibito di immischiarsi in quella vicenda. Ma era stato prima di Bertram Astley, quando erano implicate solo persone che non rientravano nella cerchia delle sue conoscenze. Adesso le cose erano diverse. Di sicuro Emily conosceva gli Astley, o qualcuno che glieli potesse presentare. Doveva agire con molta discrezione; se Pitt la scopriva prima che avesse ottenuto qualche risultato significativo, sarebbe andato su tutte le furie. — Gracie! — chiamò con voce allegra. Gracie non doveva avere il minimo sospetto. Per quanta buona volontà potesse metterci, quella ragazza era un libro aperto. — Sì, signora? — La testa di Gracie si affacciò alla porta. Il suo sguardo cadde sul giornale. — Oooh... non è terribile, signora? Ce n'è stato un altro! Un vero gentiluomo questa volta, con un titolo e tutto il resto. Non so proprio come finiremo in un mondo come questo, non lo so proprio! — Bene, forse è meglio così — disse Charlotte in tono brusco. — Non ho mai creduto alla "chiaroveggenza". Per me è solo una forma di superstizione, e causa solo un sacco di guai. Gracie era confusa, proprio come lei voleva. — Signora? — Lascia perdere, Gracie. — Charlotte si alzò. — È successo a chilome-
tri di distanza da qui, e non ha niente a che vedere con gente che conosciamo. — Le porse il giornale. — Prendi, più tardi usalo per accendere il fuoco in salotto. — Ma c'è il padrone, signora! — protestò Gracie. — Come hai detto? — Lui c'entra, signora! Ieri sera, quando è tornato a casa, era congelato, e credo che non sappia ancora chi è il colpevole. Le chiedo scusa, signora, se sono stata impertinente. — Un'ombra di ansia le passò sul viso. — Io comunque credo proprio che stia dando la caccia alle forze del maligno. — Tutte sciocchezze! Si tratta di un maniaco. Adesso smettila di pensarci, prendi questo giornale e rimettiti al lavoro. Vado a ordinarmi un vestito nuovo. Ho una prova stamattina. — Ooh! — Gli occhi di Gracie s'illuminarono di colpo. Un abito nuovo era più divertente di un delitto. — Di che colore, signora? Se lo farà fare scollato davanti come si vede sul London Illustrated? — Troppo alla moda. — Charlotte comprava quello che le permettevano le sue risorse. — Non mi piace scimmiottare le altre, come se non sapessi pensare con la mia testa. — Ha ragione, signora. — Anche Gracie aveva una mente molto pratica. — Scegli un bel colore, dico sempre, e il resto verrà da sé; basta sorridere in modo educato ma non tanto amichevole da incoraggiare il prossimo a prendersi delle libertà. — Ottimo consiglio. — Charlotte annuì con il capo. — Ma darò comunque un'occhiata per vedere che cosa si mettono addosso le altre, perciò può darsi che non sia di ritorno per l'ora di pranzo. — Sì, signora. Mai aver fretta quando si compra un abito nuovo. Arrivata a casa della sorella, Charlotte scoprì che Emily era andata dal parrucchiere. Dovette aspettarla quasi un'ora. — Come puoi occuparti di frivolezze simili in una mattina come questa? — chiese a Emily quando entrò nella stanza. — Per amor del cielo, non leggi i giornali? Emily si fermò di colpo, e i lineamenti le si irrigidirono. — Alludi a Bertie Astley? Charlotte, non possiamo far niente! Thomas ti ha già detto di non immischiarti. — È stato prima, quando si trattava solo di quel ruffiano e di quello strambo medico. Adesso hanno ucciso uno della nostra stessa cerchia sociale. — Vuoi dire della mia cerchia sociale! — Emily chiuse la porta e andò a
mettersi davanti al fuoco. — Non conosco gli Astley, e non vedo nemmeno a cosa servirebbe se li conoscessi. — Oh, non fare la stupida! — Charlotte perse la pazienza. — Cosa immagini che ci facesse Bertie Astley a Devil's Acre nel bel mezzo della notte? — Era andato in una casa di piacere. — Vuoi dire in un bordello! Emily fece una smorfia. — Non essere così volgare, Charlotte. Stai cominciando a perdere i tuoi modi raffinati. Thomas ha ragione. Non dovresti immischiarti in questa faccenda... non è il genere di caso che fa per noi. — Nemmeno se Bertie Astley conosceva Max, e se fossero stati coinvolti in qualche affare insieme al dottor Pinchin? — Charlotte buttò lì la più allettante delle esche che le venne in mente: quella di uno scandalo di prim'ordine. Emily rimase per un attimo in silenzio. L'alta società a volte diventava di una noia mortale, lontana com'era dalle cose veramente interessanti. Che importanza aveva se l'abito della tale era di un colore più sofisticato o aveva una scollatura più profonda di quello di un'altra? Perfino i pettegolezzi in quel periodo dell'anno erano stucchevoli. — In questo caso, sarebbe diverso — dichiarò. — È molto grave. Significherebbe che non è stato affatto un pazzo, ma uno sanissimo di mente. Agghiacciante. — Esatto. La semplice idea fece rabbrividire Emily. — Da dove dovremmo iniziare? Quello era meno facile. Le possibilità pratiche a loro disposizione erano molto poche. — Gli Astley — decise Charlotte dopo un istante. — Non c'è nessun altro. Potremmo riuscire a scoprire il vero motivo per cui Bertram Astley si trovava all'Acre, e se conosceva Max o il dottor Pinchin. — Cosa ne pensa Thomas? Charlotte fu sincera. — È sempre troppo stanco per parlare. Non mi dice quasi niente di questo caso. Ci sono state un sacco di critiche, e la polizia è stata accusata di inefficienza, persino di corruzione. Furono quelle parole a eliminare l'ultimo brandello di scrupolo dalla mente di Emily. — Allora dobbiamo dare una mano. Non conosco gli Astley di persona, ma so che Bertram dedicava notevoli attenzioni a May Woolmer. Tutti si chiedevano se lei sarebbe riuscita a intrappolarlo. È la bellezza della Stagione. Non per i miei gusti, però. Molto bella, certo, ma
tutta latte e miele: un'educatissima operaia di caseificio, e ne possiede lo stesso fascino. — Oh, povera me! — Charlotte s'immaginò una ragazza piena di fronzoli, completa di cestino di vimini appeso al braccio. — Oh, non c'è niente che non vada in lei — cercò di minimizzare Emily. — Ma anche questo alla lunga diventa una noia. È prevedibile come una tazza di latte. — Perché mai Bertie Astley voleva sposarla? Ha denaro? O conoscenze altolocate? — indagò Charlotte piena di speranza. — Niente affatto. Ma ha modi perfetti, e di sicuro è molto compiacente. Aggiungi poi che tanta abbondanza di carne bianca come il latte affascina certi uomini. Tenendo conto delle spalle esili di Emily e del seno poco pronunciato, Charlotte si astenne dal fare commenti sull'argomento. Ricordò invece un'osservazione sfuggita a Pitt in un momento in cui era troppo stanco per controllarsi. — Thomas dice che Max aveva perfino donne di buona famiglia che lavoravano per lui. — Sant'Iddio! — Emily restò a bocca aperta per l'incredulità. — Vuoi dire per denaro... con... Oh, no! — Pare di sì. Lo sbalordimento prese il posto dell'incredulità; quindi subentrò una riluttante eccitazione. — Charlotte, ne sei sicura? — Sono sicura che così ha detto Thomas. — Ma com'è possibile che una donna di buona famiglia abbia un bisogno così disperato di denaro da pensare di... Non riesco a immaginarlo! — Non si tratta di bisogno. Sono donne sposate che lo fanno per noia o per frustrazione; allo stesso modo in cui gli uomini si giocano somme più alte di quelle che possono permettersi di perdere, oppure fanno gare folli con un tiro a quattro, rischiando di ammazzarsi quando si ribaltano. — Teneva dei libri contabili... Max? — Non saprei, e non ho ritenuto saggio chiederlo a Thomas, per ora. Ma se ci mettessimo seriamente al lavoro, Emily, non credi che riusciremmo a scoprire l'identità di alcune di quelle donne? Forse una di loro ha ucciso Max perché lui la ricattava. Come movente, sarebbe valido. Emily sporse le labbra con aria dubbiosa. — E il dottor Pinchin che cosa c'entrerebbe? — A volte anche nei bordelli hanno bisogno di medici. Forse era in società con Max. Magari lui ci ha messo il denaro, o ha trovato le donne tra
le sue pazienti. — E Bertie Astley? — Forse era un cliente che l'aveva riconosciuta. Questo spiegherebbe perché non è stato... mutilato... in modo così... — Non ha senso. Se è stato il marito di una di quelle donne a ucciderli, avrebbe odiato Bertie tanto quanto gli altri due. — Be', non è detto che sia stato un marito. Ma qualcuno è stato, no? — Charlotte, non dovremmo... — Emily espirò a fondo. — Ho incontrato May Woolmer due o tre volte. Potremmo andare a farle le nostre condoglianze. Qualcosa di nero da prestarti ce l'ho. Dobbiamo pur iniziare da qualche parte! Andremo da lei oggi pomeriggio. Cosa dirai a Thomas? Come bugiarda sei un fallimento... parli sempre troppo e finisci per tradirti. — Ho detto a Gracie che andavo dalla sarta. Emily sbuffò e le lanciò un'occhiata sospettosa. — Allora sarà bene che ti dia un vestito... per il tuo alibi. — Grazie — disse Charlotte. — Sei molto generosa. Me ne piacerebbe uno rosso. — Sono qui per accontentarti, mia cara! La signora Woolmer rigirò il biglietto con la scritta in oro e lo esaminò con cura. Era di ottima qualità e sobrio. E non si poteva non riconoscere il titolo nobiliare: Viscontessa Ashworth. — Chi è, mamma? — domandò May piena di speranza. Trovava quella condizione di limbo molto noiosa. Nessuno sembrava ancora sapere se Bertie era stato vittima di un aggressore che meritava la fine che avrebbe fatto, qualunque essa fosse; May stessa, perciò, non era sicura dell'atteggiamento da adottare, e incontrare gente stava mettendo alla prova tutta la sua abilità. D'altra parte rifiutarsi di vedere delle persone equivaleva a vivere prigioniera. — Non ne ho idea — rispose la signora Woolmer. C'era una ruga tra le sopracciglia depilate con cura. Era di nuovo vestita di rosso porpora, una scelta oculata per una che non era del tutto sicura di essere in lutto. May era in nero, perché le donava in maniera eccezionale; la sua pelle scintillava come caldo alabastro alla luce del sole. La cameriera fece un inchino. — Se permette, signora, è vestita in modo molto sobrio, signora, ed è arrivata con una carrozza con uno stemma, e con due valletti in livrea. Ed è accompagnata dalla sorella, molto per bene.
Sembra anche lei una signora, ma non mi ha dato nessun biglietto. La signora Woolmer prese una rapida decisione. In società ci si doveva comportare con molto tatto se si voleva arrivare fino alla vetta. La natura le aveva dato una grossa possibilità, con quella figlia che era considerata la più bella ragazza della Stagione. Sarebbe stato un peccato rovinare tutto con un gesto maldestro. Sorrise alla cameriera. — Per favore, fa' accomodare Lady Ashworth e sua sorella, Marigold, poi di' alla cuoca di preparare il tè e i migliori pasticcini... e portaceli. — Sì, signora. — Marigold si ritirò per andare a fare quello che le era stato ordinato. Appena Emily e Charlotte entrarono, la signora Woolmer si sentì più tranquilla. Era ovvio che la Viscontessa Ashworth era una vera dama: bastava vedere la qualità e la discrezione dei suoi abiti. Soltanto la nobiltà sapeva spendere con tanto buon gusto. Anche May era felice. Le due ospiti erano abbastanza giovani da poter scambiare qualche pettegolezzo, e forse in un prossimo futuro avrebbe ricevuto anche un invito. Una cena non ufficiale non sarebbe parsa sconveniente; dopotutto, non c'era stato un vero e proprio fidanzamento con Bertie! Più ci pensava, più si convinceva che era meglio mantenere un cortese e dignitoso silenzio su tutta la faccenda. Che la gente lo interpretasse come preferiva; non dire niente era molto meno rischioso che compromettersi con frasi azzardate. E quasi tutti gli uomini preferivano le donne che non avevano troppe opinioni personali e, quando la posta in gioco era il matrimonio, quella era una qualità che apprezzavano anche le loro madri. Il silenzio e un sorriso dolce erano considerati segni di una natura ubbidiente, una dote molto auspicabile in una nuora. Lady Ashworth era vestita all'ultima moda, in un colore smorzato che sottolineava la sua eleganza. La sorella era molto meno alla moda, ma di una bellezza innegabile. Aveva un volto molto personale, e c'era in lei una cordialità dalla quale May si sentì attratta. — Mia cara! — Lady Ashworth avanzò con le mani tese, e prese quelle di May senza lasciarle il tempo di riflettere su cosa dire. — Sono tanto addolorata. Mi sono sentita in dovere di venire a farle visita per assicurarle tutta la mia partecipazione in un momento tanto angoscioso. May era stata angosciata, ma non come Lady Ashworth supponeva. Non si era mai sentita particolarmente attratta da Bertie. Per la verità, gli preferiva il fratello, Beau, più bello e molto più divertente. Ma bisognava essere
pratiche. Beau era un figlio cadetto con ben poche prospettive, e ne avrebbe avute ancora meno quando Bertie si fosse sposato e ci fosse stata una nuova padrona in casa Astley. Si riprese e sorrise con mestizia. — Grazie, Lady Ashworth, apprezzo molto la sua sensibilità. Non riesco ancora a credere che a una persona che conoscevo sia toccato un destino così orribile. La signora Woolmer le lanciò un'occhiata di avvertimento. Non doveva dire niente che la legasse in modo irreparabile agli Astley. Poteva saltare fuori che avessero chissà quali depravate abitudini. Malgrado gli eufemismi dei giornali, nessuno ignorava dove era stato trovato il cadavere. Ma May era perfettamente consapevole di tutte le trappole e non aveva nessuna intenzione di cascare in una delle tante. Lady Ashworth presentò la sorella, la signora Pitt, e le signore si sedettero. — La vita ci riserva delle sorprese crudeli — osservò Emily con espressione di triste saggezza. — Delle prove molto dure da sopportare. — Abbassò il capo, come sopraffatta dalle proprie riflessioni. May si sentì in dovere di dire qualcosa; le buone maniere lo esigevano. — È vero. Mi... mi rendo conto adesso di quanto poco lo conoscessi. Non avevo mai immaginato che... — S'interruppe, non trovando un modo soddisfacente di concludere la frase. Guardò con schiettezza la signora Pitt. — Credo di essere di una deplorevole ingenuità, e temo che le persone meno caritatevoli stiano già ridendo di me. — Solo gli invidiosi — la corresse la signora Pitt con generosità. — E ce ne saranno sempre. Le assicuro che le persone ammodo non proveranno altro che comprensione per lei. È una situazione in cui ogni donna potrebbe trovarsi. May ebbe la vaga sensazione che la signora Pitt si stesse riferendo alla sua indecisione a proposito di Beau Astley con sottilissima intuizione, e non al suo dolore per Bertie. Era imbarazzante che le proprie motivazioni venissero percepite con tanto acume. Guardò Lady Ashworth e nei suoi occhi azzurro chiaro scorse la stessa franca comprensione. Decise all'istante di farsele alleate. May possedeva il dono della perspicacia; capiva chi poteva ingannare e chi no. Emise un sospiro e fece un sorriso disarmante. — Che sollievo conoscere qualcuno che capisce veramente. C'è tanta gente che parla con gentilezza, ma che pensa soltanto al dolore naturale per la perdita di un amico. La signora Woolmer era sulle spine. Non le piaceva la piega presa dalla
conversazione, ma non sapeva come cambiarla senza mostrarsi scortese. — È vero — ammise Lady Ashworth annuendo. — Si crede di conoscere la gente, e poi succede qualcosa d'imprevisto che fa capire che ci si è sbagliati. Ma cosa si può fare? Se si è presentati da conoscenti rispettabili, ci si fida. Mio marito e io siamo rimasti sbalorditi. — Respirò a fondo. — Naturalmente io non conosco Sir Beau... Ma non era così facile far cadere May in trappola. — Sembra molto simpatico — replicò senza tradire alcuna emozione. Scacciò dalla mente la faccia di Beau, le risate, la voce dolce, ricordi di balli, di luci, di musica, le sue braccia che la circondavano. — Sir Bertram si è sempre comportato in maniera impeccabile con me — terminò in tono pacato. — Certo! — esclamò la signora Woolmer, un po' troppo precipitosa. — Ne sono convinta. — Lady Ashworth sfiorò con le dita la stoffa dell'abito. — Ma mi perdoni se oso dire, mia cara, che a volte gli uomini perdono proprio la testa quando s'innamorano. Ci sono stati perfino dei fratelli che hanno finito con l'odiarsi per una bella donna. — Oh! — La signora Woolmer si portò una mano alla bocca e soffocò un'esclamazione non molto conveniente. May si sentiva a disagio. Certo, si rendeva conto che molti uomini l'avevano desiderata. A cosa serviva altrimenti la Stagione? Ma fino ad allora le aveva considerate emozioni superficiali, tutto parte di una squisita finzione dalla quale le vincitrici uscivano con mariti di loro gradimento e il futuro assicurato sia dal punto di vista sociale sia da quello finanziario. Le perdenti si ritiravano per riflettere sulla tattica da adottare l'anno successivo. May sapeva quali erano i suoi punti forti e come sfruttarli al meglio. Era decisa a vincere la sua battaglia, e l'invidia era quindi inevitabile. Ma l'odio no, e certo nemmeno il genere di passione che scatena il delitto. — Lei mi adula, temo, Lady Ashworth — disse con cautela. — Non ho dato mai a nessuno il motivo per simili sentimenti. — Forse era meglio cambiare argomento, sottoporre all'occhio curioso di Lady Ashworth qualcosa di ancor più scandaloso. — Non ho l'abilità amorosa di molte signore con... — Sorrise a fior di labbra. — Vogliamo dire "esperienza"? Detesto riferire i pettegolezzi, ma sono così ricorrenti che non posso ritenerli del tutto infondati. Ci sono delle signore di ottima famiglia che si comportano come donne di piacere. Loro, indubbiamente, conoscono l'arte di scatenare le terribili emozioni a cui si riferisce lei. Le sue parole ebbero l'effetto di una bomba, proprio come voleva.
— Sciocchezze! — esclamò la signora Woolmer. rischiando di soffocare. — Impossibile che tu sia al corrente di cose simili! Donne di piacere! Ti sarò grata se terrai la lingua a freno. Lady Ashworth alzò la testa e sgranò gli occhi. Ma fu la signora Pitt a dare man forte a May. — È molto imbarazzante — ammise, abbassando la voce in un tono confidenziale. — Ma anch'io l'ho sentito. E da fonte sicura, devo ammetterlo. E così mi chiedo come si possa decidere quando è il caso di approfondire una conoscenza e quando invece è meglio allontanarla. Sono sicura che lei avrà avuto i miei stessi dubbi. Mi sento in colpa anche solo a sospettare di persone che sono probabilmente degne della massima fede, eppure resterei inorridita nel trovarmi, per eccesso di ingenuità, in una situazione dalla quale non potrei uscire con la mia reputazione intatta... per non dire di peggio! Lady Ashworth sembrava in preda a un'emozione incontrollabile. Era stata colta da un accesso di tosse furiosa che le scuoteva le spalle, e si copriva con un fazzoletto la faccia, rossa fino alla radice dei capelli. Per fortuna, in quel momento la cameriera arrivò con il tè e i pasticcini, che rianimarono Lady Ashworth. Il rossore non era scomparso del tutto, ma per il resto sembrava aver ritrovato il controllo di se stessa. La signora Pitt, comunque, aveva ragione. Non ci si poteva permettere di frequentare donne anche soltanto sospettate di un simile comportamento. May si lambiccò il cervello per capire quali tra le sue conoscenti potessero essere coinvolte. Le vennero alla mente diversi nomi, e decise di evitare il più possibile le signore in questione. Forse, per pura cortesia, doveva mettere in guardia la signora Pitt? — Conosce Lavinia Hawkesley? — domandò. Lady Ashworth sgranò gli occhi. Non c'era alcun bisogno di spiegazioni indelicate. May fece diversi altri nomi, quindi trascorsero un'altra piacevole mezz'ora a discutere di moda e di storie d'amore del momento. La signora Woolmer tentò di orientare la conversazione in modo da sapere se tra le conoscenze di Lady Ashworth ci fosse qualche buon partito, ma senza successo. Alle quattro la cameriera aprì la porta per chiedere se le signore volevano ricevere Alan Ross, arrivato a presentare le proprie condoglianze. Lady Ashworth balzò in piedi e afferrò la signora Pitt per la mano. — Vieni, Charlotte, non dobbiamo monopolizzare tutto il pomeriggio delle nostre ospiti! Si rivolse a May. — La sua compagnia era così gradevole da farci di-
menticare le buone maniere. Se ci consente di prendere congedo prima dell'arrivo del signor Ross. non lo metteremo a disagio dandogli l'impressione di volerlo evitare. La signora Woolmer era stupita. — Certo, se... se è questo che desidera. Marigold, per favore, fa' attendere un attimo il signor Ross nel salottino. Marigold si chiuse la porta alle spalle. Lady Ashworth si chinò verso May e bisbigliò in tono confidenziale: — Mia sorella e io abbiamo conosciuto la famiglia del signor Ross durante un periodo tragico, il cui ricordo dev'essere molto angosciante per lui. Credo, mia cara, che sarebbe una gentilezza se non gli dicesse che eravamo qua. Lei mi capisce, vero? May non capiva affatto, ma sapeva cogliere al volo un suggerimento. — Certo. Non occorre che io dica i nomi di due signore venute a farci una visita amichevole. Apprezzo la sua sensibilità, e spero che avrò la fortuna di incontrarla ancora in circostanze meno tristi. — Ne sono sicura — replicò Lady Ashworth in tono convinto, con un lieve cenno del capo. May capì. Non desiderava altro. Fuori in strada, Charlotte si rivolse a Emily. — Cosa ti è saltato in mente? Ci sarebbe servito incontrare Alan Ross! Può darsi che Max passasse attraverso le sue vecchie conoscenze per procurarsi quelle donne. — Lo so! — esclamò Emily. — Ma non in quella casa. Non si fermerà a lungo... possiamo aspettarlo qui fuori. — Si gela! Con quale motivo potremmo trattenerci qui? Capirà che l'abbiamo aspettato se... — Oh, non essere così sciocca. William! — Emily fece un cenno al cocchiere. — Trova qualcosa che non va in uno dei cavalli... tienti occupato fino a quando il signor Ross esce da quella casa. — Sì, milady. — Ubbidiente, William si chinò a passare la mano sulla zampa del cavallo più vicino e iniziò a esaminarla. Il vento, penetrando attraverso il tessuto del cappotto, fece rabbrividire Charlotte. — Perché diamine non potevamo restare e incontrarlo là dentro? — domandò, guardando la sorella con aria minacciosa. — Sono sempre stata convinta che il generale Balantyne ti fosse molto affezionato — disse Emily, ignorando il suo commento. Anche a Charlotte aveva fatto piacere quella considerazione. Il ricordo le procurò un gradevole calore, una punta di eccitazione. — Christina frequenta la cerchia giusta per sapere quali donne Max a-
vrebbe potuto sfruttare — proseguì Emily. — Potrebbe esserci di grande aiuto. — Christina Ross non ci aiuterebbe nemmeno ad attraversare la strada se fossimo cieche! — Charlotte aveva un ricordo molto vivo di Callander Square. — Sarebbe disposta a darmi una mano solo per farmi finire nel fosso più vicino! — Ed è per questo che dobbiamo invece insistere con il generale — commentò Emily con impazienza. — Se ti comporti come si deve ti aiuterà, qualunque cosa tu chieda. Silenzio ora. Il signor Ross sta uscendo. Sapevo che non si sarebbe trattenuto a lungo. Mentre Alan Ross si avvicinava, Emily gli rivolse un sorriso smagliante. Lui ricambiò il sorriso e sollevò il cappello, un po' incerto. Subito dopo il suo sguardo si spostò su Charlotte e la sua espressione si rilassò. — Signorina Ellison? Che piacere rivederla! Spero stia bene. Ha noie con la carrozza? Posso condurla da qualche parte? — Grazie, credo che non sia nulla di serio — si affrettò a rispondere Charlotte. — Ricordi il signor Ross, Emily? Mia sorella, Lady Ashworth... — Voleva dirgli con delicatezza che lei era la signora Pitt. All'epoca dei delitti di Callander Square, aveva trovato impiego in casa Balantyne fingendo di essere una donna nubile che aveva bisogno di un lavoro rispettabile. — Signor Ross... Emily intervenne, porgendogli la mano. — Certo che ricordo il signor Ross. La prego di portare i miei più cordiali saluti alla signora Ross. Confesso che non la vedo da un po' di tempo. Si è sempre così impegnati con gente verso la quale si hanno obblighi di cortesia da trascurare le persone alle quali si è sinceramente affezionati. Sua moglie è molto arguta e spiritosa. Spero di incontrarla di nuovo. Emily detestava Christina da sempre, ma il suo sorriso non vacillò neanche per un istante. — E Charlotte mi ha parlato spesso di lei. Dobbiamo proprio andare a farle visita. Spero che vorrà perdonarci per averla trascurata. — Sono sicuro che sarà felice di vedervi. — Era l'unica risposta che Alan Ross potesse dare. Emily sorrise come se la prospettiva rallegrasse anche lei. — Le dica allora che Lady Ashworth e la signorina Ellison andranno a farle visita martedì prossimo, sempre che riceva, di martedì. — Sono sicuro di sì. Ma perché non venite invece a cena? Sarebbe molto più piacevole. Sarà una riunione per pochi intimi, ma se lord Ashworth
non ha altri impegni... — Credo proprio che non ne abbia — si affrettò ad accettare Emily. Si sarebbe assicurata che George non ne avesse. In caso contrario avrebbe dovuto annullarli. Alan Ross fece un lieve inchino. — Allora provvederò a farvi pervenire l'invito. Siete sicure che non possa esservi di aiuto? — Guardò William, ora in piedi sull'attenti accanto alla testa del cavallo. — La ringrazio, ma è tutto a posto — rispose Emily. — Allora vi auguro una buona giornata, Lady Ashworth. Signorina Ellison. — Incontrò per un attimo gli occhi di Charlotte, sorrise, quindi si diresse alla propria carrozza. Emily accettò l'aiuto di William per salire in carrozza, e Charlotte la seguì, lasciandosi cadere di colpo sul sedile. — Cosa diamine ti ha preso? — domandò con furia. — Perché l'hai lasciato nella convinzione che io sia la signorina Ellison? Non ho proprio bisogno di un lavoro in casa di Christina! Emily liberò la gonna, sulla quale Charlotte si era seduta. — Difficilmente riusciremmo a scoprire qualcosa se sanno che sei sposata con un poliziotto! — le fece notare. — E col poliziotto che sta indagando su questi delitti. Oltretutto, non nuocerà che il generale ti consideri ancora nubile. — Cosa stai... — cominciò a dire Charlotte, ma s'interruppe di colpo. Emily aveva ragione da vendere. Gente come Christina Balantyne non cenava con le mogli dei poliziotti. Se avessero saputo che erano impegnate a indagare su un delitto, lei ed Emily non avrebbero neanche varcato la porta d'ingresso. Dopotutto, avevano il dovere morale di scoprire quanto più potevano. E, per essere sinceri, in più di un'occasione avevano dimostrato di possedere un'insolita abilità! — Sì — disse in tono mite. — Sì, immagino che tu abbia ragione, Emily. Se lei ed Emily volevano ottenere qualche risultato dovevano disporre di tutte le informazioni possibili. Ma non era facile averle da Pitt; fino a quel momento, non aveva accennato a niente di nuovo. A quanto pareva, vagava giorno dopo giorno per lo squallore di Acre, inseguendo una parola qui, un suggerimento là. Ma se era vicino a scoprire qualche legame tra Max, il dottor Pinchin e Bertie Astley, non l'aveva detto a Charlotte. — Thomas? — iniziò a voce bassa.
Lui aprì gli occhi e la guardò. Era tardi, e Pitt sonnecchiava davanti al fuoco del salotto. Charlotte aveva scelto il momento con molta cura, e cercò di parlare in tono casuale. — Hai appreso qualcosa di nuovo sul conto di Max? — So tutto quello che c'è da sapere su Max — rispose lui. sprofondando ancora di più nella poltrona. — Tranne chi erano i suoi clienti, chi erano le sue donne e chi l'ha ucciso. — Oh. — Charlotte non aveva idea di come proseguire. — Questo significa che non teneva un registro? O che è sparito? — È stato ucciso per strada — le fece notare lui. — A meno che a tenerlo non fosse l'amministratore della sua casa, non c'è probabilità di trovare documenti. Comunque, a quanto ho potuto appurare, non c'è mai stato niente di scritto. Teneva i nomi nella sua testa, e lavorava solo per contanti. — Nessun documento! Ma allora come faceva a ricattare la gente? — domandò Charlotte incuriosita. — Non so se lo faceva. — Pitt tolse i piedi dal parascintille: stava diventando troppo caldo. — Ma può darsi che ne sapesse abbastanza da rovinare la reputazione di chiunque. Le prove non sono sempre indispensabili. Basta una parola detta al momento giusto, avallata da qualche nome e luogo. Anche il solo sospetto può distruggere. Ma il movente del delitto potrebbe essere anche la rivalità professionale. Stava portando via clienti ad altri. Be', comunque, non è cosa per te. È un caso troppo delicato per un dilettante. Charlotte incontrò il suo sguardo e di colpo si sentì molto meno sicura di se stessa. — Oh, sì. certo — ammise. Dopotutto, lei non svolgeva delle vere indagini, si limitava a tenere le orecchie aperte per cogliere qualsiasi informazione che potesse rivelarsi importante. — Ma è naturale che mi interessi, non credi? — aggiunse a propria discolpa. Charlotte non fu del tutto sincera sull'invito a cena di martedì a casa dei Ross. Sapeva per certo che Pitt doveva lavorare. Accennò di essere stata invitata a cena con Emily e George, e gli chiese se gli sarebbe dispiaciuto se accettava, anche se lui non poteva accompagnarla. Era sicura che non glielo avrebbe rifiutato. Dopotutto, dall'inizio del caso non gli era stato più possibile uscire con lei né farle molta compagnia, e comunque sarebbe stata insieme con Emily e George, anche se non a casa loro, come lasciava supporre al marito. Emily le prestò un abito, e per l'occasione Charlotte si vestì in Paragon
Walk, così da potersi servire della cameriera di Emily per l'acconciatura dei capelli. Non provava il minimo scrupolo, perché quell'idea era stata concretizzata da Emily e da Alan Ross. L'abito era di seta color albicocca, con un delicatissimo pizzo di una sfumatura appena più scura, e sembrava nuovissimo. Anzi, le venne da chiedersi se Emily non l'avesse comprato di proposito. Era un colore che la sorella non avrebbe mai portato, con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, mentre si adattava benissimo a una carnagione olivastra e a dei capelli bruni con bagliori rossi. Provò un moto di gratitudine per la sua generosità, sia per averle procurato un vestito che le donava così tanto, sia per averlo fatto in modo così discreto. Decise però di non dire niente, lasciando così che il regalo conservasse tutto il suo valore. Scese invece le scale come una duchessa che entrasse nella propria sala da ballo, e nell'atrio piroettò su se stessa, facendo quindi la riverenza davanti a Emily. La sua eccitazione brillava come la luce dei lampadari. — Il tuo vestito è perfetto — disse, rialzandosi con un po' meno grazia di quanto avrebbe voluto. — Mi sento pronta ad abbagliare tutti e a far morire d'invidia Christina! Grazie mille. L'abito di Emily era di un tenue color acquamarina, e gli orecchini e la collana di diamanti scintillavano come il sole su uno specchio di acqua limpida. Non avrebbero potuto essere più diverse, come infatti volevano... anche se forse Emily non si era aspettata che Charlotte facesse una così splendida figura. Ma fu una considerazione che scartò subito per sorriderle con aperta approvazione. — Adesso, ricordati soltanto di non dire niente di troppo esplicito — l'avvertì. — L'alta società adora gli specchi per vedervi riflesso il proprio volto o la propria eleganza, ma non ama affatto l'immagine della sua moralità o della sua anima. Ti sarò molto grata se ci penserai prima di esprimere un'opinione. — Sì, Emily. — Charlotte si sentiva in dovere di mostrarle la sua riconoscenza. Era evidente che Emily aveva informato George dello scopo di quella cena. Lui aveva acconsentito ad accompagnarle, e a non informare i loro ospiti del matrimonio di Charlotte e di conseguenza della sua attuale condizione sociale, anche se Charlotte non sapeva se Emily gli avesse spiegato il motivo per non farlo. Christina Ross li accolse con palese freddezza. Era ovvio che l'invito era
partito dal marito, e che lei era stata costretta ad adattarsi, visto che non poteva annullarlo. — Come siete stati gentili a venire, Lord Ashworth, Lady Ashworth — disse con un sorriso appena accennato. George s'inchinò e fece un commento educato, vagamente cerimonioso. — E la signorina Ellison! — Lo sguardo di Christina si soffermò sul suo abito, lasciando intuire la propria sorpresa, come un delicato insulto a quella che riteneva la condizione di Charlotte. Certo era inadatto un simile vestito... e chissà come poteva esserselo procurato. — Spero che stia bene, signorina. — Un commento decisamente inutile, perché era anche troppo evidente che Charlotte sprizzava salute da tutti i pori. Christina non attese la risposta, ma indicò loro di accomodarsi. George era del parere che non avrebbero dovuto interferire nella soluzione di crimini, e Bertie Astley era soltanto una conoscenza superficiale. Ma era buono d'indole, a patto che non lo criticassero senza ragione o lo privassero dei suoi abituali piaceri. Emily si era rivelata una moglie eccellente. Non era né stravagante né indiscreta, era raro che perdesse la pazienza, e non gli teneva mai il broncio. Lo sapeva prendere fin troppo bene per il verso giusto per aver bisogno di tormentarlo. Ripensandoci, si rendeva conto di aver rinunciato a uno o due dei suoi divertimenti, forse anche tre o quattro, per farle piacere. Ma a conti fatti era stato meno doloroso di quanto aveva previsto, e del resto si doveva essere preparati a fare qualche concessione. Perciò non era contrario ad assecondarla a coltivare Christina Ross, se lei lo riteneva utile. Sapeva, naturalmente, che era del tutto privo di senso, ma se la cosa la divertiva, perché non accontentarla? E non vedeva motivo perché la serata non dovesse esser piacevole. Quanto a Charlotte, non l'aveva mai capita, né aveva cercato di capirla. Gli era piuttosto simpatica, anzi, a essere sincero, anche Pitt gli era simpatico. Fu così che si dispose a mostrarsi affascinante con Christina e, senza grande sforzo, ci riuscì con molta efficacia. Aveva un bel volto, soprattutto dei begli occhi, e generazioni di privilegi e denaro gli avevano conferito una disinvolta sicurezza. Poteva fissare Christina con ammirazione e farla sentire lusingata per il fatto di dedicarle il suo totale interessamento. Il tempo era scarso, ed Emily non perse neanche un secondo ad abbordare l'argomento per il quale si trovava lì. — È un tal piacere rivederla — disse ad Alan Ross con un sorriso. — George è stato molto contento quando gli ho riferito del suo invito. Passiamo tanto del nostro tempo in com-
pagnia di gente che non è tra la più simpatica! Devo confessare che non sono abile come credevo nel giudicare il mio prossimo. Ho peccato di ingenuità, e mi sono trovata a dover frequentare persone che non avrei scelto se fossi stata più saggia. Ma spesso si impara quando è troppo tardi. Ancora oggi non capisco del tutto. — Abbassò la voce come se stesse confidando un segreto. — Ma ho udito mormorare che certe signore, di famiglia senza dubbio ineccepibile, si sono comportate in modo davvero troppo sconveniente...! — Davvero? — Un'ombra passò sulla faccia di Alan Ross, così fugace che Charlotte non fu certa di non essersela immaginata, ma che le lasciò comunque l'impressione della sofferenza. La non voluta mancanza di tatto di Emily aveva forse risvegliato qualche ricordo del passato? Forse il delitto in Callander Square? — Emily — si affrettò a dire. — Forse non è un argomento adatto a una cena, questo. La sorella la fissò un attimo, stupita, quindi si rivolse di nuovo ad Alan Ross. — Spero di non averla infastidita esprimendo con troppa franchezza i miei sentimenti. — Aveva un'aria ansiosa, ma sotto le ampie pieghe della gonna sferrò un brusco calcio a Charlotte, la quale sussultò, anche se si costrinse a rimanere impassibile. — No, no di certo! — rispose Ross con un gesto vago della mano. — Sono d'accordo con lei. C'è una sola cosa più noiosa e sgradevole della depravazione, ed è l'udirne parlare di continuo e per sentito dire. — Ebbe un lieve sorriso e Charlotte poté solo intuire i pensieri che avevano causato quel commento. — Come ha ragione! — Il piede di Emily diede un altro colpo d'avvertimento a Charlotte, doloroso perché la colse nello stesso punto del precedente. — Trovo estremamente imbarazzante che le donne parlino di questi argomenti. Quanto a me, io non so mai cosa dire! Charlotte spostò il piede fuori della portata di Emily. — E la prova di quanto ne sia scossa — commentò — è che non sappia cosa rispondere... e lei stesso può giudicare quale notevole esempio sia! Il piede di Emily si mosse fulmineo ma incontrò soltanto un mucchio di stoffa. Con la coda dell'occhio lanciò un'occhiata sospettosa a Charlotte, la quale rivolse un sorriso affascinante ad Alan Ross. In quel momento la porta si aprì e un cameriere introdusse il generale Balantyne e Lady Augusta. George e Alan Ross si alzarono. Balantyne fissò Charlotte così a lungo che lei si sentì avvampare. Per un attimo desiderò
con tutta se stessa che Emily non avesse mentito presentandola come la signorina Ellison. Christina ruppe il silenzio. Si alzò e avanzò con le braccia tese in un gesto a effetto, fermandosi davanti al padre. — Papà, che gioia vederti! — Si voltò a metà e, senza calore, porse la guancia a Lady Augusta. — Mamma! Naturalmente, conosci Lord Ashworth. Seguirono le presentazioni d'obbligo formali e George s'inchinò con molta classe. — ...e Lady Ashworth — aggiunse Christina in tono più freddo. Emily si era alzata, come si conviene da parte di una donna più giovane al cospetto di una più anziana quando sono entrambe titolate. Christina si rivolse per ultimo a Charlotte, in piedi anche lei. — Forse ti ricordi della signorina Ellison. che è stata così gentile da assistere papà alcuni anni or sono? — Certo. — Augusta non amava che le ricordassero quel periodo, o qualunque fatto a esso legato. — Buonasera, signorina Ellison. — Era evidente che non riusciva a spiegarsi come mai Charlotte fosse stata inclusa tra gli invitati. — Buonasera, Lady Augusta. — D'un tratto Charlotte non provò più nessun senso di colpa, e ricambiò lo sguardo con la stessa freddezza con cui, immaginava, Augusta avrebbe squadrato una debuttante che non sapesse comportarsi a dovere. C'era un lieve rossore sugli zigomi del generale. — Buonasera, signorina Ellison. — Tossì per schiarirsi la voce. — Che piacere rivederla. Pensavo a lei l'altro giorno... — S'interruppe. — Cioè... un certo episodio me l'ha ricordata. — Io ho pensato a lei spesso. — Charlotte voleva venirgli in aiuto, e le sue parole erano quasi vere. Non leggeva mai di un avvenimento militare senza associarlo, in un modo o nell'altro, al generale Balantyne. Christina inarcò le sopracciglia sbalordita. — Oh, cielo! Non avevo idea che le fossimo rimasti tanto impressi nella memoria, signorina Ellison... o forse lei si riferisce soltanto a mio padre? Charlotte provò il desiderio di ferirla. — Le circostanze del nostro incontro non erano così comuni nella mia vita perché potessi dimenticarle — disse, ricambiando lo sguardo di Christina. La vide impallidire al ricordo dei delitti. — Ma naturalmente ho imparato ad ammirare il generale leggendo le sue memorie. Conoscendolo molto meglio di me, sono certa che lei condividerà il mio rispetto per lui.
Il viso di Christina s'irrigidì. — È naturale... ma si tratta pur sempre di mio padre! Per lei è diverso... signorina Ellison. Il rossore di Balantyne si accentuò, ma sembrava che non trovasse niente da dire. — Tu non hai mai letto le memorie militari di tuo padre, mia cara. — Era stato Alan Ross a dar loro man forte. — L'affetto di una figlia è un sentimento molto differente dal rispetto di una persona imparziale. Il sangue defluì dalla faccia di Balantyne, che si voltò in fretta. — Ma certo! — dichiarò con una certa acidità. — Non riesco a credere che tu pensassi davvero quello che hai detto, Christina. La signorina Ellison voleva semplicemente essere cortese. — Senza guardare Charlotte, si mise a discorrere con George. Emily prese a chiacchierare con Christina, lasciando Charlotte a destreggiarsi in una imbarazzata conversazione con Alan Ross e Lady Augusta. Provò perciò un enorme sollievo quando la cena fu annunciata. La tavola era sontuosa, e Charlotte notò che la sorella la esaminava e probabilmente calcolava quanto doveva essere costata. Emily conosceva la qualità dei cristalli, dell'argenteria e della biancheria da tavola, e sapeva anche con esattezza quanto valeva una cuoca. Charlotte intercettò per un istante il suo sguardo dopo che si furono seduti, e dalla lieve inclinazione di uno dei sopraccigli biondi dedusse che, secondo Emily, Christina aveva speso a piene mani. Fu servita la prima portata e la conversazione si orientò su banalità, sull'importanza di soddisfare l'appetito e al tempo stesso conservare una certa eleganza. Charlotte non vi prese parte; non conosceva la gente della quale si parlava, e non poteva fare commenti sull'eventualità che una certa persona ne sposasse un'altra, e sull'eventuale riuscita o fallimento di un matrimonio. Si scoprì a guardare in direzione del generale Balantyne, l'unico altro commensale non coinvolto, sia per ignoranza sia per mancanza d'interesse. Fu con un certo disagio che lo scoprì a osservarla, nonostante che Christina stesse parlando con grande animazione. Quando ci fu un improvviso scoppio di risa intorno alla tavola, Christina si accorse d'un tratto che due dei commensali erano rimasti indifferenti alla sua battuta. Guardò Charlotte, facendo una lieve smorfia. — Oh, mi dispiace, signorina Ellison. Dimenticavo, naturalmente, che lei non può conoscere la signorina Fairgood, o il nipote del Duca. Che scortesia da parte mia! Si deve sentire esclusa. La prego di perdonarmi.
Non avrebbe potuto dire niente di più calcolato per evidenziare l'esclusione di Charlotte. La conversazione era noiosa e fino a quel momento non se n'era curata, ma ora si sentiva ardere le guance per l'imbarazzo. Rimase in silenzio, perché se avesse parlato non avrebbe potuto fare a meno di essere sgarbata, concedendo in tal modo a Christina un'altra vittoria. — Nemmeno io conosco la signorina Fairgood. — Balantyne prese il suo bicchiere. — E non posso dire di averne sentito la mancanza. Inoltre, mi è indifferente quanto alla signorina Ellison sapere chi dovrebbe sposare il nipote del Duca. Invece — si rivolse a Charlotte — di recente mi sono capitate tra le mani le lettere di un soldato che ha militato nella guerra di Spagna. Credo che le troverebbe interessanti, e molto incoraggianti se si considera i progressi che abbiamo fatto da allora. Ricordo la sua ammirazione per l'opera della signorina Nightingale nell'organizzare l'assistenza ai feriti nella guerra di Crimea. Charlotte non aveva bisogno di fingersi interessata. — Lettere? — ripeté con animazione. — Oh, sono tanto più interessanti di un libro di storia. — Senza un pensiero per la strategia di Emily, si protese in avanti. — Sarei felice di vederle. Sarebbe come... come tenere tra le mani un pezzo autentico del passato, non semplicemente il giudizio di uno storico. Cosa sa di lui... del soldato che ha scritto quelle lettere, voglio dire? Le linee severe della faccia di Balantyne si ammorbidirono. Depose il bicchiere. Trascurò la formalità di rispondere che, naturalmente, poteva vedere le lettere, come se quello fosse un particolare scontato e non occorresse esprimerlo a parole. — Era una persona di notevole intelligenza — disse. — Sembra che si sia arruolato come soldato semplice invece che come ufficiale per sua libera scelta, ed era ovviamente in grado di leggere e scrivere. Le sue osservazioni sono piene di sensibilità, e tradiscono una comprensione molto commovente, devo ammettere. — Non mi sembra un argomento adatto a rallegrare una cena, questo. — Augusta li guardò con disapprovazione. — Non credo che nessuno di noi desideri conoscere le sofferenze di qualche patetico soldato semplice durante la... quello che era. — La guerra di Spagna — precisò Balantyne, ma lei lo ignorò. — Direi comunque che tali sofferenze sono più significative delle aspirazioni matrimoniali della signorina Fairgood — intervenne Alan Ross in tono secco. — Per chi, in nome del cielo? — domandò Christina con sarcasmo.
— Per me — replicò Ross. — Per tuo padre, e, a meno che non sia più educata di quanto finora lo sono stati altri, per la signorina Ellison. Charlotte incrociò il suo sguardo e chinò il capo sul piatto. — Non credo di possedere tanta delicatezza d'animo, signor Ross — disse, sforzandosi di mantenere un'espressione di modestia. — Il mio interesse è genuino. — Che stravagante! — mormorò Christina. — Lady Ashworth, lei stava dicendo che di recente ha conosciuto Lavinia Hawkesley. Non trova che sia una persona quanto mai divertente? Anche se non so fino a che punto non si imponga di esserlo! — Immagino che la poveretta sì annoi a morte — replicò Emily con un'occhiata furiosa a Charlotte. — E non mi sento di biasimarla. Sir James tedierebbe chiunque. Deve avere almeno trent'anni più di lei. — Ma è molto ricco — fece notare Christina. — E non avrà la decenza di morire prima di altri dieci anni. — Oh! — Emily alzò gli occhi al cielo. — Ma cosa può fare quella poveretta per altri dieci anni? Un lieve sorriso si accese sulla faccia di Christina. — Non è priva di immaginazione... — Ed è questa la sua disgrazia! — la interruppe Augusta con asprezza. — Per lei sarebbe molto meglio non averne affatto. E per quanto fertile sia la tua fantasia, Christina, sarebbe più discreto se non ne parlassi. Non desideriamo essere eruditi sulle scorrettezze di altri. Christina trasse un profondo sospiro ma, fatto strano, non ribatté. Anzi, a Charlotte parve che per un attimo fosse impallidita e che i suoi lineamenti si fossero irrigiditi, ma non avrebbe saputo dire se per consapevolezza o per disappunto. — A mio avviso, potrebbe occuparsi di qualche opera assistenziale — suggerì George. — Emily mi dice spesso che c'è tanto da fare. — Sempre la stessa storia! — esclamò Christina con ira. — Quando un uomo si annoia, può andare a giocare a carte o a dadi al suo club, può andare alle corse, a caccia, a giocare a biliardo o a teatro... e in posti anche peggiori. Ma se una signora si annoia, ci si aspetta che si dedichi a opere di beneficenza, che vada in giro a visitare gli affamati o i mendicanti, mormorando loro parole di consolazione e incoraggiandoli a essere virtuosi! C'era troppa verità nel suo sfogo perché Charlotte potesse contestarlo, eppure non sapeva come spiegare a Christina Ross quanta soddisfazione le derivava dall'impegno per ottenere riforme parlamentari. C'era in quell'impegno una realtà, un'urgenza a difendere la vita che, al
confronto, i divertimenti o gli sport sembravano triviali banalità. Si protese in avanti, cercando il modo di esprimere i propri sentimenti. La stavano guardando tutti, ma non le venne in mente niente di adeguato. — Se sta per esporci le delizie delle cronache militari di mio padre, signorina Ellison, la prego di risparmiarsi il disturbo — disse Christina in tono gelido. — Non desidero sentir parlare dell'epidemia di colera a Sebastopoli, né sapere quanti poveretti sono morti nella carica della Light Brigade. A me sembra tutto solo il gioco idiota di uomini che sarebbe meglio rinchiudere a Bedlam. dove non potrebbero fare male a nessuno tranne che a se stessi! Per la prima volta nella sua vita, Charlotte provò un moto di simpatia per Christina. — Riesce a pensare come potremmo imporlo per legge, signora Ross? — disse con entusiasmo. — Pensi a quanti giovani scamperebbero alla morte, se ci riuscissimo! Christina la guardò aggrottando la fronte, un po' sorpresa. Non si era aspettata che qualcuno fosse d'accordo con lei, tanto meno Charlotte. Aveva parlato in quel modo solo allo scopo di essere sgarbata. — Lei mi sorprende — disse con franchezza. — Credevo fosse una grande ammiratrice dei militari. — Odio la cieca vanità — rispose Charlotte. — E deploro la stupidità. Il fatto che siano più pericolose nell'esercito che altrove, tranne forse che in Parlamento, non sminuisce il mio rispetto per il coraggio dei soldati. — In Parlamento? — Augusta non credeva alle proprie orecchie. — Andiamo, mia cara signorina Ellison! Cosa intende dire? — Un imbecille in Parlamento può significare l'oppressione di milioni di persone — intervenne Balantyne. — E Dio sa quanti ce ne sono, pieni di boria, oltretutto. — Guardò Charlotte con esplicita franchezza, come se per un momento si fosse dimenticato che era una donna. — Erano anni che non sentivo esprimere concetti così sensati e in modo così succinto. Ho avuto la sensazione che stesse per dire qualcos'altro quando Christina ha parlato delle forze armate. La prego, di cosa si trattava? — Io... — Charlotte era acutamente consapevole dei suoi occhi puntati su di lei. Erano più luminosi e più azzurri di quanto ricordava. Ed era sempre più consapevole del potere di quell'uomo, della volontà che gli aveva permesso di dare ordini precisi a uomini che rischiavano la vita. Rinunciò a esprimere le proprie sensazioni con la necessaria delicatezza. — Stavo per dire che, quando ho del tempo libero, mi impegno nel tentativo di far riformare le leggi sulla prostituzione infantile, affinché diventi
un reato della massima gravità lo sfruttamento dei minori, siano essi maschi oppure femmine. Alan Ross la fissò con occhi penetranti. — Davvero? — L'espressione di Augusta era di totale incomprensione. — Non avrei immaginato che si potesse riuscire in una simile impresa senza una notevole competenza nel campo, signorina Ellison. — No, certo. — Charlotte accettò la sfida e ricambiò il suo sguardo senza battere ciglio. — È necessario farsela, altrimenti non si avrebbe influenza alcuna. — Lo trovo disgustoso — dichiarò Augusta, chiudendo l'argomento. — Certo che è disgustoso — ripeté Alan Ross rifiutando di farsi zittire. — Credo sia quello che stava dicendo Brandy l'altra sera... ricorda Brandy, signorina Ellison? Ma se le persone in grado di farsi ascoltare dal Parlamento non si curano di queste piaghe, chi riuscirà a ottenere che qualcosa cambi? — La Chiesa — disse Augusta in tono conclusivo. — E sono sicurissima che farebbero un lavoro migliore di quanto potremmo noi, abbandonandoci ad assurde e inutili speculazioni mentre ceniamo. Brandon, vuoi essere così gentile da passarmi la senape? Christina, faresti bene a dire due parole alla cuoca... Questa salsa è del tutto insipida. Non sembra anche a lei, signorina Ellison? — È leggera — rispose Charlotte con un lieve sorriso. — Ma non la trovo sgradevole. — Che strano — commentò Augusta. — Avrei scommesso che la senape fosse molto più di suo gusto. Terminato il pasto, il maggiordomo mise in tavola il Porto. Augusta, Christina, Emily e Charlotte si ritirarono in salotto per lasciare liberi gli uomini di bere e di fumare, se lo desideravano. Era la parte della serata che Charlotte aspettava con maggiore ansia. Era consapevole dell'antipatia di Christina, e ora anche della disapprovazione di Augusta. A quelle due sgradevoli sensazioni, si aggiungeva la preoccupazione per l'eventuale comportamento di Emily. Si trovavano lì con lo scopo preciso di sapere nomi e particolari delle amiche meno rispettabili di Christina per scoprire se qualcuna di loro fosse stata sedotta da Max. Pregava il cielo che la sorella agisse almeno con tatto... nei limiti del possibile, dato l'argomento. Emily le lanciò un'occhiata di avvertimento prima di sedersi con le altre. — Sa, sono d'accordo con lei — disse a Christina con aria da cospiratrice. — Muoio dalla voglia di dedicarmi a qualcosa di più stimolante che far vi-
sita a gente della quale si sa proprio tutto... e intrattenere conversazioni educate e noiose o dedicarsi a opere di beneficenza. Le trovo molto meritevoli, e ammiro le signore che vi si dedicano con entusiasmo. Ma confesso che non è il caso mio. — Basta frequentare la chiesa di tanto in tanto, e occuparsi delle famiglie della servitù; non ci viene chiesto altro — fece notare Augusta. — Le altre opere di beneficenza sono riservate a donne nubili che non hanno niente da fare. Le tengono occupate e le fanno sentire utili. Sapeste quante ce ne sono... non bisogna usurpare la loro funzione! Sembrava che tutte per un attimo si fossero dimenticate che Charlotte rientrava in quella categoria. — Forse prenderò l'abitudine di andare a cavalcare al parco — disse Emily. — Vi si possono incontrare persone interessanti di ogni genere... almeno così ho sentito dire. — Eccome! — replicò Christina. — Ma mi creda, si possono fare cose molto più interessanti e divertenti che scrivere lettere o far visita a gente noiosa. Non è affatto sconveniente, se non si va da sole, andare a far visita... — Lei dipinge, signorina Ellison? — Augusta interruppe Christina a voce alta e penetrante. — O suona il pianoforte? O forse canta? — Dipingo — si affrettò a rispondere Charlotte. — Che brava! — L'opinione di Christina sulla pittura era implicita nel tono. Le donne nubili che non riuscivano a pensare a niente di più eccitante che a starsene sedute davanti a un cameriere erano troppo patetiche per meritare attenzione. Si rivolse di nuovo a Emily. — Ho deciso che andrò a cavalcare al Row tutte le mattine che ne avrò voglia se il tempo è bello. Con un cavallo focoso ci si dovrebbe divertire molto. — Con un cavallo focoso, ragazza mia. si può benissimo finire con la faccia nel fango! — sbottò Augusta. — E vorrei che te ne ricordassi, evitando di correre inutili rischi. La faccia di Christina perse ogni traccia di colore. Teneva gli occhi fissi davanti a sé, senza guardare né Augusta né Emily. Se aveva obiezioni da fare, le tenne per sé. Charlotte cercava disperatamente qualcosa da dire per colmare il silenzio, ma ogni banalità le sembrava grottesca dopo lo scontro emotivo fra le due donne, anche se non sapeva spiegarsene il motivo. Anche ammettendo che Christina si fosse ferita commettendo qualche imprudenza a cavallo, non era delicato alludervi.
— Emily suona il piano — disse Charlotte, tanto per cambiare argomento. — Chiedo scusa. — Augusta deglutì. Sulla sua gola c'erano delle rughe sottilissime che Charlotte non aveva notato prima. — Emily suona il piano — ripeté con crescente imbarazzo. Adesso si sentiva ridicola. — Davvero? E lei? — No. Preferivo dipingere, e mio padre non ha insistito. — Molto saggio da parte sua. È una perdita di tempo forzare un bambino che non ha talento. Non c'erano risposte educate da dare e Charlotte cessò all'istante di sentirsi in colpa per la gentilezza del generale nei suoi confronti, o per la schiettezza dei suoi occhi quando aveva dimenticato le convenienze e le aveva rivolto la parola come se fosse stata un amico con cui poter parlare di argomenti importanti. In effetti, quando gli uomini le raggiunsero poco dopo, fu felice di trovarsi quasi subito impegnata in una lunga discussione con lui sulla ritirata da Mosca. Non aveva bisogno di fingere di seguire ogni sua parola e di condividere il suo interesse per la grandezza di quell'evento storico o la sua pietà per la morte solitaria degli uomini tra le nevi crudeli della Russia. Quando si alzarono per andarsene, era il viso del generale che aveva in mente, non quello di Christina. Solo più tardi; quando Emily le rivolse la parola mentre tornavano a casa, fu assalita di nuovo da un senso di colpa. — Diamine, Charlotte, ti avevo chiesto di conquistare le simpatie del generale per sapere qualcosa di utile... non di incantarlo fino a fargli perdere il ben dell'intelletto! — la rimproverò in tono acido. — Credo che dovresti imparare a controllarti. Quell'abito color albicocca ti ha dato alla testa. Charlotte arrossì nell'oscurità, ma per fortuna né Emily né George potevano accorgersene. — Be', sarebbe comunque servito a poco che cercassi di scoprire quali sono le conoscenti poco rispettabili di Christina — replicò con vivacità. — Mi avete subito bollata come una povera disgraziata che se ne sta a casa a dipingere quando non esce per fare opere di beneficenza! — Capisco la tua antipatia per Christina. — Emily cambiò tattica e assunse un tono di estrema pazienza. — E la condivido... è stata molto scortese con te. Ma non è questo il punto. Eravamo lì per indagare, non per divertirci! Charlotte non sapeva cosa dire. Non aveva appreso niente e, per essere
sincera, lei si era divertita moltissimo. Almeno in certi momenti, altri erano stati semplicemente orribili. Aveva dimenticato quanto potesse essere crudele l'alta società. — E tu hai saputo qualcosa? — domandò alla sorella. — Non ne ho idea — rispose Emily. — Forse. 7 Emily aveva riflettuto molto sui tre delitti e sulle tante e diverse tragedie che potevano esserci dietro. Sapeva benissimo che molti matrimoni venivano conclusi per motivi pratici, e che erano dei tentativi o per migliorare la propria posizione sociale o per mantenere quella che già si aveva. A volte erano unioni che funzionavano non meno bene di quelle coronate dall'infatuazione amorosa, ma quelle in cui la differenza di età o di carattere erano troppo grandi finivano per diventare come prigioni. Sapeva anche che la noia aveva l'effetto di intorpidire la moralità. Che lei non la conoscesse dipendeva dalle sue periodiche avventure nello stimolante e turbolento mondo del crimine, anche se poi le parevano ancora più insopportabili i lunghi e aridi intervalli di banalità mondane. Era un mondo chiuso in se stesso, nel quale i flirt più superficiali assumevano le proporzioni dei grandi amori, delle semplici mancanze di galateo diventavano insulti gravissimi, e i particolari di un abito - il taglio, il colore, le guarnizioni - erano rilevati e discussi come se fossero stati argomenti di vitale importanza. Come aveva giustamente detto Christina Ross, agli uomini era concesso di occupare il loro tempo con ogni tipo di sport, salutare o meno che fosse, e trovare motivo di svago rischiando la frattura di qualche arto. Altri, più attivi, o di moralità più elevata, potevano cercare di conquistare potere in Parlamento o nel commercio, oppure partivano per l'estero e andavano a visitare le missioni in qualche paese sottosviluppato, o entravano nell'esercito, o risalivano il Nilo per scoprirne la sorgente nel cuore del Continente nero. Ma a una donna restava soltanto lo sfogo delle opere di beneficenza. Della casa si prendevano cura i domestici, dei figli prima una balia, poi una governante. Per quelle che non avevano predisposizioni artistiche e non erano dotate di una particolare intelligenza, c'era ben poco da fare se non dare e partecipare a ricevimenti. Come ci si poteva quindi meravigliare se delle donne giovani e irrequiete, come ce n'erano nell'ambiente di
Christina, intrappolate in matrimoni senza passione né allegria né cameratismo, fossero attratte da un tipo rude e pericoloso come Max Burton? E naturalmente Emily non si era mai nascosta l'altra faccia della medaglia, e cioè il fatto che parecchi uomini non riuscivano a soddisfare i loro appetiti tra le pareti domestiche. Molti non lo facevano per un motivo o per l'altro, ma c'erano anche quelli che cedevano alle tentazioni. Non si parlava mai delle "case di piacere", né delle "lucciole" che le abitavano. Dio, quanto odiava quell'eufemismo. E solo con le amiche più intime si parlava delle relazioni clandestine coltivate nelle case di campagna durante i lunghi fine settimana passati tra partite di croquet sui prati estivi, ai grandi balli durante la stagione della caccia, o in altre decine di posti. Comportamenti non giustificabili, ma comunque comprensibili. Perciò, pensando ai tre delitti, Emily prese in considerazione nomi e situazioni che conosceva nella cerchia mondana di Christina, chiedendosi quali donne avrebbero potuto aver avuto rapporti con Max. Sette o otto le sembravano probabili, e altre cinque o sei possibili, benché fosse convinta che non avessero né il coraggio né l'indifferenza necessari per compiere un passo simile. Ma se non avessero trovato niente di più concreto, avrebbe detto i loro nomi a Pitt, in modo che potesse scoprire dove si trovavano i loro mariti nel momento dei delitti. Inoltre, restava sempre la possibilità del riconoscimento, del tradimento, o del ricatto. E se un uomo avesse soddisfatto le sue voglie in un bordello per poi scoprire di aver pagato a quello scopo la propria moglie? Poteva anche darsi che una delle donne sfruttate da Max avesse avuto come cliente Bertie Astley, e che. per qualche motivo, avesse avuto paura di lui o l'avesse odiato al punto di ammazzare non solo Max ma anche Astley. In quel caso, però, non si spiegava proprio che ruolo avesse avuto nella vicenda Hubert Pinchin. L'altra possibilità, più ovvia, era ancora meno piacevole: e cioè che Beau Astley avesse letto dei sensazionali omicidi di Max e del dottor Pinchin e avesse colto l'occasione di imitare quei crimini per sbarazzarsi del fratello maggiore. Non sarebbe stato il primo caso in cui si accollava a un uomo colpevole di due delitti la colpa di un terzo. Beau Astley aveva molto da guadagnare dalla morte del fratello, non c'erano dubbi. Ma fino a che punto l'aveva desiderata? Era in ristrettezze finanziarie, oppure se la cavava bene con eventuali risorse personali? Era innamorato di May Woolmer? Insomma, che genere di persona era? Al tavolo della colazione Emily sorseggiava il suo tè. George non era
nella sua forma migliore. Si nascondeva dietro il giornale, non per leggerlo ma per evitare di dover pensare a qualcosa da dire. — Di recente sono andata a far visita alla povera May Woolmer — commentò Emily in tono spigliato. — Davvero? — La voce di George era distratta, ed Emily si rese conto che non ricordava chi fosse May Woolmer. — È ancora in lutto, naturalmente — proseguì. Fargli domande esplicite non sarebbe servito a nulla. A George non piaceva la curiosità, la trovava volgare e offensiva. Non gli importava che la gente si offendesse per motivi infondati, ma non gradiva apparire sbadato o maleducato. — Come dici, scusa? — Non la stava ascoltando. Con riluttanza, posò il giornale rendendosi conto che Emily non aveva nessuna intenzione di lasciar cadere l'argomento. — È ancora in lutto per Bertie Astley — ripeté Emily. Il viso di George si rischiarò un po'. — Oh, sì, la capisco. Una brutta disgrazia. Era simpatico, poveretto! — Oh, George! — Emily cercò di assumere un'aria scandalizzata. — Cosa c'è? — Era chiaro che non capiva. Il suo era stato un commento banale e senza dubbio Astley doveva essere stato una persona affabile. — George! — Calò il tono della voce e abbassò gli occhi. — So dove l'hanno trovato, capisci? — Cosa? Emily avrebbe voluto poter arrossire a comando. Alcune donne ci riuscivano, ed era molto utile. Evitò comunque di guardarlo, per timore che le leggesse negli occhi la curiosità. — È stato trovato sui gradini di una casa di piacere. — Pronunciò quell'eufemismo come se la imbarazzasse. — Dove oltretutto gli "occupanti" sono tutti uomini. — Oh, mio Dio! Come fai a saperlo? — La sua espressione era sbalordita. — Emily? Per un attimo Emily non seppe cosa dire. La conversazione aveva preso una piega che lei avrebbe dovuto prevedere, cosa che non aveva fatto. Doveva ammettere di aver letto i giornali? O doveva incolpare Charlotte? No, quella non era una buona idea. A George poteva anche saltare in testa di impedirle di incontrarsi così spesso con la sorella, soprattutto quando erano in corso delle indagini su delitti scandalosi come quelli. All'improvviso ebbe un'ispirazione. — Me l'ha detto May. Solo il cielo sa dove l'avrà sentito. Ma sai come si diffondono queste voci. Perché? Non
è forse vero? — Lo guardò negli occhi con totale candore. Non aveva scrupoli a ingannare George su questioni banali. Era sempre molto sincera in quelle importanti, come la lealtà o il denaro. Ma a volte George andava un po' manovrato. Le spalle gli si rilassarono e lui tornò ad appoggiarsi allo schienale, ma la sua espressione era ancora confusa. Due erano le cose che lo tormentavano: i fatti disgustosi riguardanti Bertie Astley, e il dover decidere se era opportuno informarne Emily. Lei, che il più delle volte lo capiva al volo, salvò la situazione prima di trovarsi costretta a ricominciare tutto da capo. — Forse dovrei andare da May e rassicurarla? — suggerì. — Se è soltanto una maligna invenzione... — Oh, no! — George era a disagio, ma molto deciso. — Temo che tu non possa far niente del genere... è tutto vero. Emily assunse un'aria affranta, come se avesse davvero nutrito qualche speranza. — George? Sir Bertram era... cioè, aveva... una natura particolare? — Buon Dio, no! È per questo che è tutto così assurdo! Non riesco proprio a capire. — Quindi aggiunse, con rara franchezza: — Anche se sono convinto che le persone non si conoscono mai abbastanza. Forse era... diverso... e nessuno lo sapeva. Emily allungò la mano sul tavolo e strinse la sua. — Non pensarlo, George — disse con dolcezza. — Non ti pare molto più probabile che qualche altro corteggiatore di May Woolmer fosse così invaghito da coglier l'occasione di sbarazzarsi di lui e di diffamarlo al tempo stesso? In questo modo si sarebbe liberato anche del suo ricordo: come potrebbe May continuare a stimare un uomo dedito a simili indecenze? George rifletté un istante, chiudendo la propria mano sulla sua. C'erano momenti in cui era veramente molto innamorato della moglie. Una cosa era certa: Emily, anche dopo cinque anni di matrimonio, riusciva a non essere mai noiosa. — Ne dubito — disse alla fine. — È bella, certo, ma non riesco a immaginare che qualcuno ne sia così infatuato da arrivare a tanto per lei. È priva di... di passionalità. E ha pochissimo denaro, come ben sai. — Ero convinta che Beau Astley fosse molto attratto da lei — suggerì Emily. — Beau? — L'espressione di George era incredula. — Non lo è? — Ora anche Emily era confusa. — Credo che gli sia simpatica, sì, ma ha altri interessi, e non è affatto il
tipo da uccidere il proprio fratello. — C'è il titolo, e il denaro — fece notare Emily. — Tu conosci Beau Astley? — No — rispose lei. Finalmente erano arrivati al punto. — Che tipo è? — Simpatico... più del povero Bertie, direi. E generoso — disse George con convinzione. — Dovrei proprio andarlo a trovare. — Lasciò cadere a terra il giornale e si alzò. — Beau mi è sempre piaciuto. Il poveraccio dev'essere in uno stato terribile. Un lutto è una faccenda così noiosa... fa sentire ancora peggio di quanto non ci si senta. Nonostante il dolore, è pesante starsene seduti in una casa addobbata a lutto, con i domestici che comunicano a bisbigli e le cameriere che tirano su con il naso ogni volta che ti vedono. Andrò a fargli un po' di compagnia. — Che buona idea! — fu pronta a dichiararsi d'accordo Emily. — Sono sicura che te ne sarà molto riconoscente. Sei molto buono, George. — Come poteva convincerlo, senza far nascere sospetti, a fare qualche domanda a Beau Astley? — Può darsi che abbia una gran voglia di sfogarsi con qualcuno, un amico di cui si possa fidare — disse, osservando la faccia di George. — Chissà come si starà tormentando per capire cos'è realmente successo. E non può ignorare le congetture della gente. Sono sicura che, se fossi al posto suo, vorrei tanto avere qualcuno con cui confidarmi. Se a George passò per la mente che lei avesse altri motivi, la sua espressione non lo lasciò capire. Almeno, Emily non credeva che quell'accenno di sorriso che scorse sulle sue labbra significasse che aveva raccolto il messaggio... George non era forse più astuto di quanto immaginava? E forse pregustava l'idea di indagare un po' per conto proprio? No, assolutamente no! Osservandone la schiena elegante mentre usciva, provò un acuto formicolio di piacevole sorpresa. Tre giorni dopo Emily riusciva a portare Charlotte con sé e George a un ristretto ballo privato, al quale si era assicurata che avrebbero partecipato i Balantyne, Alan Ross e Christina. Quale scusa Charlotte avesse trovato per Pitt erano affari suoi. Emily non sapeva con esattezza cosa sperava di scoprire, ma non ignorava le abitudini di certi gentiluomini dell'alta società. Aveva imparato ad accettare la straordinaria agilità mentale ed etica che permetteva a un uomo di passare la notte a soddisfare i suoi appetiti fisici nei costosi bordelli vicino a Haymarket, e poi comportarsi da perfetto capo di famiglia tra le mura domestiche dove la sua parola era legge e ogni suo desiderio veniva e-
saudito con prontezza. Emily aveva scelto di vivere nel bel mondo e di goderne i privilegi. Perciò, pur non ammirandone l'ipocrisia, non vi si ribellava. Emily non provava la minima simpatia per Christina Ross, ma non aveva difficoltà a credere che lei fosse solidale con le poche donne che osavano infrangere i confini imposti dalla società per comportarsi come gli uomini, perfino al punto di rischiare tutto per una folle festa in maschera in case come quella di Max a Devil's Acre. Per Emily, quello era un comportamento idiota. Soltanto una donna senza cervello avrebbe rischiato tanto in cambio di tanto poco, e disprezzava la stupidità in tutte le sue manifestazioni. Ma si rendeva conto che a volte la noia spazzava via l'intelligenza, e perfino l'istinto di conservazione. Aveva visto donne eccitate convincersi di essere innamorate e buttarsi a capofitto verso la propria rovina. Di solito erano giovani e alla loro prima passione. Ma forse era solo il lato esteriore a cambiare con l'età: la disperazione interiore probabilmente rimaneva inalterata. Così, quella sera, tra le conoscenze di Christina Ross poteva senz'altro esserci almeno una delle donne di Max. Aveva voluto con sé anche Charlotte per il suo spirito di osservazione. Charlotte era molto ingenua su certi punti, ma su altri era di un'acutezza sorprendente. Inoltre Christina non la poteva soffrire, ne sembrava quasi gelosa. Era più facile tradirsi quando si era in preda a una forte emozione. Charlotte diventava veramente molto bella quando si divertiva o dedicava tutta la sua attenzione a qualcuno... come aveva fatto, per un motivo inspiegabile, con il generale Balantyne. Se c'era una cosa che avrebbe potuto far perdere a Christina l'autocontrollo era Charlotte che flirtava con il generale o magari con Alan Ross. Fu così che Emily. George e Charlotte arrivarono al ballo che Lord e Lady Easterby davano per la loro figliola maggiore. Erano in ritardo di quel tanto che consentiva di non apparire maleducati ma che, al tempo stesso, serviva a suscitare un mormorio di ammirazione tra gli ospiti che già affollavano la sala. Emily indossava un abito verde acqua, il suo colore preferito, che metteva in risalto la sua carnagione chiara, i morbidi capelli ondulati splendevano attorno al suo capo come un'aureola. Pareva l'essenza personificata di un fuggevole inizio d'estate inglese quando i fiori sono appena sbocciati e l'aria è screziata di luce fresca e incostante. Aveva dedicato molte cure anche all'aspetto di Charlotte. Aveva riflettu-
to a cosa avrebbe attratto di più il generale, irritando di conseguenza Christina. Fu così che Charlotte fece il suo ingresso nella sala da ballo in un turbinio di luminoso blu genziana, che accendeva nei suoi capelli riflessi ramati. Faceva pensare a una notte tropicale, quando l'oro del sole è scomparso ma perdura il calore della terra. Se si era accorta delle intenzioni di Emily, non lo dava a vedere. Il che era un bene, perché Emily dubitava che la sua rettitudine le avrebbe permesso di aderire a un simile piano, e non era comunque capace di civettare. Ma era da molto che Charlotte non si poteva permettere di vestirsi con tanta raffinatezza, di essere spigliata, di ballare tutta la notte. Non si rendeva nemmeno conto di quanto ardesse dalla voglia di divertirsi. Il loro arrivo attirò l'attenzione dei presenti. Sarebbero bastati, a prescindere dal loro aspetto, il titolo di George e il fatto che Charlotte fosse un viso nuovo, e pertanto misterioso, ma la stupefacente bellezza delle due sorelle causò un diluvio di congetture e chiacchiere sufficienti a tener vive le conversazioni per un mese. Tanto meglio: la serata sarebbe stata particolarmente eccitante. Christina non avrebbe sopportato di vedersi eclissata. Per un attimo Emily fu colta dal dubbio di aver fatto male i suoi calcoli: i risultati potevano essere meno proficui e più sgradevoli di quanto avesse previsto. Scartò subito quel pensiero. Ormai, era troppo tardi per tornare sui propri passi. Avanzò con un sorriso radioso per salutare Lady Augusta Balantyne che, impettita e regale, si preparava a rispondere al saluto con mondana disinvoltura. — Buonasera, Lady Ashworth — disse Augusta in tono freddo. — Lord Ashworth. È un piacere rivederla. Buonasera, signorina Ellison. Emily, di colpo, provò un senso di vergogna. Guardò Augusta, le sue spalle rigide, i sottili tendini del collo sotto la collana di rubini, il peso delle pietre fredde e grevi con il loro color sangue. Augusta aveva davvero paura di Charlotte? Era possibile che amasse il marito? Che quella sua dolcezza d'espressione mentre salutava Charlotte, quel lieve raddrizzare il busto, nascondessero in lui qualcosa di più intenso del semplice piacere di trovarsi in compagnia di una bella donna? Qualcosa che sfiorava un sentimento duraturo, che turba e si lascia dietro una solitudine mai più colmata da un altro affetto...? Forse Augusta lo intuiva? La sala da ballo scintillava di luci e la gente rideva intorno a loro, ma per un momento Emily non si accorse di nulla. Ai soffitti erano appesi numerosi lampadari ricchi di cristalli tintinnanti e dopo qualche accordo striden-
te, le corde dei violini trovarono tonalità piene e ricche. I camerieri si muovevano con eleganza tenendo in equilibrio vassoi con bicchieri di champagne e di punch alla frutta. Tutto quello che Emily voleva era graffiare la vernice del carattere irascibile di Christina, nella speranza che, in un momento di irriflessione, rivelasse qualche particolare sulle donne del bel mondo che potevano aver frequentato il bordello di Max. Ma l'ultima cosa che desiderava era fare del male a qualcuno. Pregava il cielo che Charlotte sapesse come comportarsi. Le sue riflessioni furono interrotte dalle esigenze della conversazione. Vi partecipò solo con metà della mente, facendo qualche sciocco commento su chi avrebbe potuto vincere un concorso ippico quell'estate... non sapeva nemmeno se si stesse parlando del Derby o delle Oaks. Di certo, venne fatto il nome del Principe di Galles. Passò circa mezz'ora prima che l'argomento si esaurisse e Alan Ross chiedesse a Emily se voleva concedergli l'onore del ballo successivo. Strana pratica, il ballo: si stava così vicini a una persona, si facevano i suoi stessi movimenti, ci si toccava, eppure quasi non si parlava. Emily osservava il suo viso. Non era bello come George, ma c'era in lui una carica umana che, più lo conosceva, più lo rendeva attraente ai suoi occhi. Gli avvenimenti di Callander Square le tornarono alla memoria e si domandò quanto ne avesse sofferto. Non era un segreto che fosse stato innamorato di Helena Doran. Era una ferita ancora aperta? Era il dolore che covava dentro ad affilargli le guance e la linea della bocca? Poteva essere un ottimo motivo per spiegare la durezza di Christina, il suo bisogno apparente di far del male a Charlotte. Anche Charlotte doveva ricordarsi di Helena, e in quel momento stava oltrepassando i limiti con il generale facendo di lui un amico. Era comprensibile, anche se crudele, dare inizio a una relazione perché attirati da un seno procace o dalla curva di un fianco. Ma coinvolgersi con il cervello, l'animo e l'immaginazione esulava da ogni regola. Quali regole rispettava Christina? Ne aveva? Emily si guardò in giro mentre volteggiava tra le braccia di Alan Ross e, al di sopra della sua spalla, vide Christina aggrappata a un ufficiale di cavalleria in un'uniforme risplendente. Aveva un'aria molto animata e brillante mentre lo guardava negli occhi e rideva. L'ufficiale era chiaramente affascinato. Emily tornò a guardare Alan Ross. Doveva avere visto la scena, ma la sua espressione non era cambiata. O vi era talmente abituato che sapeva
mascherare le proprie emozioni, oppure la cosa ormai gli era indifferente. La riflessione successiva era ovvia, eppure così sgradevole che per un attimo Emily perse l'equilibrio e sbagliò il passo. In un momento diverso ne sarebbe rimasta mortificata, ma era talmente presa da quella recente scoperta che non le importava niente della sua goffaggine. Christina stessa era forse una delle donne di Max? Alan Ross non era né vecchio né noioso. Ma forse proprio il suo fascino, l'inaccessibilità dell'uomo che c'era dentro di lui, erano un pungolo ancor più acuto della noia a fare altre conquiste, non importa quanto squallide? L'animosità di Emily nei confronti di Christina si trasformò di colpo in pietà. Continuava a non provare simpatia per lei, ma ora era diverso. Stava ballando con Alan Ross, sentiva il tessuto della sua giacca sotto il guanto, e si muoveva in perfetta sincronia con il suo corpo. Anche se si toccavano a malapena, in un certo senso erano uniti. Sapeva di Christina, o intuiva qualcosa? Era stata la sua vanità oltraggiata, così a lungo repressa, che alla fine l'aveva spinto a uccidere e mutilare Max? Era ridicolo! Eccola lì, vestita di seta color verde pallido, che ballava seguendo la musica dei violini sotto tutte quelle luci, tra le braccia di un uomo al quale si rivolgeva come a un amico, e intanto la sua mente lo vedeva vagare lungo sudici vicoli, deciso ad affrontare un cameriere diventato ruffiano e ucciderlo spinto dall'odio causato dalla depravazione della moglie. Come potevano due mondi così diversi coesistere l'uno a fianco dell'altro... o perfino l'uno nell'altro? Quanto distava Devil's Acre... cinque, sette chilometri? Quanto distava invece nel pensiero? Quanti degli uomini presenti, con le loro camicie di un bianco immacolato e i modi educati, passavano le notti a bere e a copulare nei letti di donnacce sguaiate in una casa come quella di Max? La danza terminò. Emily rivolse qualche parola di circostanza ad Alan Ross, e si chiese se avesse anche solo lontanamente immaginato quali erano state le sue riflessioni. Forse, col pensiero, era stato non meno lontano di lei da quella scintillante sala da ballo. Lady Augusta stava parlando con un giovane dai baffi biondi. Charlotte aveva ballato con Brandy Balantyne, ma ora il generale avanzò e le offrì il braccio, non per ballare ma per condurla con sé in direzione di un'enorme serra. Le sue ampie spalle erano molto dritte, ma la sua testa era china verso di lei, pieno di attenzione mentre le parlava. Accidenti a Charlotte! A volte era così stupida che a Emily veniva voglia di schiaffeggiarla! Non si accorgeva che quell'uomo si stava innamorando? Aveva cinquant'anni, era
triste, intelligente, emotivamente indifeso... e idiotamente vulnerabile. Ma Emily non poteva rincorrere Charlotte, prenderla in disparte e cercare di inculcarle un po' di buon senso. E, peggio ancora, quando si fosse resa conto di quello che aveva fatto, Charlotte avrebbe sofferto moltissimo... perché aveva agito inconsciamente. Quell'uomo le piaceva moltissimo, ed era tanto spontanea da lasciarlo capire e da offrirgli la sua amicizia. George era al fianco di Emily e le stava dicendo qualcosa. — Come? — disse lei con aria distratta. — Balantyne — ripeté il marito. — Molto strano, per un uomo del suo lignaggio. Poteva darsi che Emily avesse sue opinioni personali sul conto di Charlotte, e al momento erano tutt'altro che caritatevoli. Ma non era disposta ad accettare critiche su di lei da chiunque altro, nemmeno da George. — Non capisco che cosa tu voglia dire — dichiarò in tono sostenuto. — Ma se decidi di chiedere scusa, sono pronta a perdonarti. Lui era allibito — Credevo che ti interessassero le riforme sociali — replicò scuotendo appena la testa. — Sei stata tu la prima a tirare in ballo l'argomento... tu e Charlotte, naturalmente. Adesso era lei che aveva le idee confuse. Lo guardò con impazienza; le sue parole non avevano alcun senso. — Cosa ti succede? Ti senti poco bene? — chiese George alla fine. Subito dopo sul viso gli passò un lampo di sospetto. — Emily! Cosa stai combinando? Capitava molto di rado che George le facesse domande così personali, ma lei era sempre riuscita a premunirsi con risposte adeguate. E se anche non erano proprio sempre sincere, Emily era sicura che lui non l'avrebbe mai scoperto. Ma in quel momento non aveva il tempo per inventare una bugia plausibile. Non le restava che essere evasiva. — Mi dispiace — disse in tono sottomesso. — Stavo osservando Charlotte e il generale Balantyne. Temo che mia sorella non si renda conto di quel che sta facendo. Credevo ti riferissi a questo, ma mi rendo conto che non è così. — E io credevo che rientrasse in un tuo preciso piano — replicò lui con sincerità. — Sei stata tu a darle quel vestito. Avrai senz'altro previsto che le avrebbe donato molto. Era troppo vicino alla verità per non sentirsi a disagio, ed Emily fu assalita di nuovo da un senso di colpa. — Non voglio che civetti come una stupida! — disse con energia.
— Direi che lo fa molto bene. — George stesso sembrava sorpreso. Aveva conosciuto Charlotte prima che sposasse Pitt. Era stata la disperazione della madre, perché rifiutava di comportarsi con il fascino necessario e quel miscuglio di franchezza e sotterfugio, di vivacità e umorismo che erano alla base del successo di una donna. Ma il tempo e la sicurezza delle proprie capacità l'avevano cambiata molto. Non stava flirtando nel senso comune della parola, il tacito invito che rivolgeva a Balantyne non era per una superficiale schermaglia amorosa ma una proposta di autentica amicizia, uno scambio sincero e disinteressato tra due persone intenzionate a dividere gioie e dolori. Emily all'improvviso ebbe la sensazione di aver bisogno di George. — Cosa dicevi a proposito delle riforme sociali? — domandò. Forse lui aveva intuito il suo sconforto, oppure voleva soltanto mostrarsi educato. — Brandy Balantyne stava parlando di riforme sociali — rispose. — Sembra che gli episodi accaduti a Devil's Acre l'abbiano colpito molto. Penso che voglia veramente far qualcosa. — George, che genere di uomini frequenta Devil's Acre e case come quella di Max? — fu la domanda spontanea di Emily. — Ma, Emily... non credo che... — George appariva impacciato, come se trovasse imbarazzante trattare l'argomento con lei. Emily lo fissò sgranando gli occhi. — Tu lo frequenti, George? — No, no davvero! — Era sinceramente scandalizzato. — Se volessi fare qualcosa del genere, andrei almeno ad Haymarket, o al... Be', non andrei di certo a Devil's Acre. — E cosa penseresti di me, se lo facessi? — Non essere assurda. — George si rifiutava di prenderla sul serio. — Ci devono pur essere delle donne là, altrimenti non ci sarebbero i bordelli. — Emily si era dimenticata di usare l'eufemismo per descrivere quei luoghi. — Certo che ci sono delle donne — replicò George con pazienza esagerata. — Ma sono di un genere diverso. Non sono... be'... non sono donne con cui uno farebbe... farebbe altro tranne che... — Fornicare — concluse lei senza esitazione, gettando alle ortiche un altro eufemismo. — Esatto. — Lui aveva le guance un po' arrossate: Emily preferì credere che si sentisse imbarazzato per come si comportavano a volte quelli del suo sesso anziché per colpe personali. Sapeva che la sua condotta non era stata sempre esemplare, ma era abbastanza saggia da non indagare. Soddi-
sfare una simile curiosità avrebbe procurato soltanto infelicità. Da quanto le risultava, dopo che si erano sposati le era stato fedele ed era tutto quello che poteva ragionevolmente pretendere. Gli sorrise con calore sincero. — Ma Bertram Astley lo frequentava! L'ombra tornò a offuscare i suoi occhi e lui parve confuso. — Non credo che dovresti indagare su quella faccenda, Emily. È davvero molto sordida. Non m'importa se t'interessi alle indagini di Charlotte quando sono condotte in modo rispettabile... sempre che tu voglia proprio farlo. — Conosceva i limiti dell'autorità che poteva esercitare senza provocare litigi, e lui odiava le liti. — Ma credo che non dovresti cercare di saperne di più su certe aberrazioni. Ne saresti solo turbata. Emily provò di colpo un enorme affetto per lui. La sua preoccupazione era sincera; conosceva il mondo che lei si apprestava a studiare, ne conosceva le debolezze e le passioni contorte. Non voleva che lei ne fosse sfiorata e ferita. Gli posò una mano sul braccio e gli si avvicinò. Non aveva nessuna intenzione di seguire il suo consiglio. Era molto più decisa di quanto lui potesse immaginare, ma le piaceva molto che lui avesse un'immagine così tenera di lei, così innocente. Era stupido da parte sua, ma per un po' forse soltanto fino al termine di quella serata quando luci e risa si fossero spente, avrebbe finto di essere la creatura innocente che lui credeva. Forse alla dura luce della verità sulla morte di Astley e di Max, e a causa dei suoi timori per Alan Ross che gli era particolarmente simpatico, anche lui aveva bisogno di un po' di finzione. Alan Ross non si stava divertendo; le luci e la musica non gli davano nessun piacere. Non vedeva altro che il viso radioso di Christina, che passava dalle braccia di un uomo all'altro. Si voltò e vide Augusta guardare nella stessa direzione. Era immobile come una statua. Appoggiava la mano sulla balaustra della scala, e la stringeva così forte che le dita erano curve ad artiglio nei guanti di pizzo. Gli occhi di Ross salirono dai braccialetti che portava ai polsi fino alle spalle bianche e al viso. Non si era mai reso conto che fosse capace di simili emozioni anche se non capiva cosa stesse provando: disperazione, paura, una tenerezza che la faceva infuriare? Al di là delle coppie che danzavano nei loro svariati colori c'era la porta della serra, accanto alla quale il generale Balantyne, un po' curvo e con un'espressione gentile, parlava con Charlotte Ellison. Lo sguardo di Ross
indugiò su di lei perché era bella. Non possedeva l'avvenenza impeccabile delle giovanissime, o l'ossatura cesellata delle bellezze classiche ma splendeva di una pura e semplice intensità vitale. Riusciva a intuirne le emozioni anche attraverso la sala. E, vicino a lei, così vicino che la sua mano le sfiorava il braccio, Balantyne sembrava dimentico del resto del mondo. Era quello che Augusta vedeva? Era quello che la feriva e la sconvolgeva? La guardò di nuovo. No, adesso aveva girato il capo nella direzione opposta, e non era possibile che vedesse il generale. Stava ancora guardando Christina, ai piedi della scala ricurva che portava alla balconata, nel suo abito vaporoso di taffettà color prugna, con le guance arrossate. L'uomo al suo fianco le mise un braccio intorno alla vita e le bisbigliò qualcosa all'orecchio, così vicino che lei dovette sentirne l'alito sulla pelle. Alan Ross, in quell'istante, decise che la prima sera in cui Christina fosse uscita da sola in carrozza l'avrebbe seguita per scoprire di persona la verità. Per quanto dolorosa, la verità doveva essere migliore degli spiacevoli pensieri che in quel momento gli affollavano la mente. L'occasione si presentò così presto che lo trovò impreparato. Era il giorno seguente, poco dopo cena. Christina si scusò dicendo che le era venuta l'emicrania e che sarebbe uscita a respirare una boccata di aria fresca. Era stata in casa tutto il giorno e pensava di andare a trovare Lavinia Hawkesley, da qualche tempo indisposta. Raccomandò a Ross di non aspettarla alzato. Luì apri la bocca per protestare, ma subito si rese conto che gli si stava presentando un'occasione ideale. — Come vuoi, se credi che stia abbastanza bene per ricevere — disse, con un lievissimo tremito nella voce. — Oh, di questo sono sicura! È probabile che sia morta di noia, povera cara, se è stata sola tutta la giornata, relegata in casa. Immagino che sarà felice di avere compagnia per un paio d'ore. Non aspettarmi alzato. — No — rispose Alan voltandole le spalle. — No. Buonanotte, Christina. — Buonanotte. — Christina sollevò la gonna dell'abito e uscì dalla stanza. Come era diversa dalla ragazza che lui aveva creduto che fosse! Erano ormai come due estranei, senza più un minimo di fiducia reciproca. Cinque minuti dopo quando udì la porta d'ingresso chiudersi, si alzò e andò a indossare un pesante cappotto. Vi aggiunse una sciarpa e il cappello, quindi scese nella strada gelida. Non fu difficile seguire la carrozza;
non poteva correre sull'acciottolato coperto di brina ma, camminando spedito, riuscì a tenerle dietro. Nessuno gli prestò la minima attenzione. Aveva percorso più di un chilometro quando vide la carrozza fermarsi davanti a una grande casa. Christina scese dalla carrozza e vi entrò. Dal marciapiede di fronte Alan non riusciva a leggere il numero civico, ma sapeva che Lavinia Hawkesley abitava in quel quartiere. Dunque Christina, come aveva detto, si era recata davvero a far visita all'amica, e lui se ne stava lì a tremare dal freddo senza motivo. Era stupido, e patetico. La carrozza si era allontanata. Christina doveva averla rimandata a casa. Si proponeva di fermarsi tutta la notte? O forse intendeva rincasare con la carrozza degli Hawkesley? Alan Ross aspettò qualche minuto, indeciso se tornare a casa, togliersi il freddo dalle ossa con un bagno caldo e andare a letto, oppure restare lì finché Christina non fosse uscita e seguirla di nuovo. Ma rischiava di rendersi ridicolo; era stata un'idea futile, un'aberrazione del suo normale buon senso. Christina era spesso egoista, ma non aveva altre colpe se non quella di essere viziata, di voler essere sempre al centro dell'attenzione, di farsi ammirare. In quel momento la porta della casa si aprì, un fascio di luce cadde sul sentiero, e Christina uscì insieme a Lavinia Hawkesley. La porta si richiuse alle loro spalle e le due donne si avviarono a piedi lungo la strada. Dove diamine stavano andando? Ross si avviò dietro di loro. Quando arrivarono alla strada principale e fermarono una carrozza, lui ne prese un'altra e ordinò al vetturino di seguirle. Il percorso fu più lungo di quanto aveva previsto, tanto che finì per perdere il senso dell'orientamento: sapeva solo che si stavano avvicinando al fiume e al cuore della città. La strada era più stretta, le luci più distanziate. Un tenue alone di nebbia ne rifletteva il bagliore e l'aria umida odorava di stantio. In alto, contro il cielo, torreggiava una grande ombra. Sentì una morsa alla gola e d'un tratto fece fatica a respirare. L'Acre... Devil's Acre! Perché, in nome di Dio, Christina andava in quel posto? Aveva la mente in subbuglio e si tormentava con oscure domande per le quali non c'erano risposte accettabili. La carrozza si fermò e una delle due donne scese. Era piccola, esile, con la testa alta. Christina. Ross aprì lo sportello, mise una moneta nella mano del vetturino e avanzò sul marciapiede buio, cercando di focalizzare la casa dentro alla quale era scomparsa Christina. Era alta, con i vetri delle finestre che scintillava-
no al chiarore dei lampioni a gas... la casa di un mercante? La carrozza con Lavinia Hawkesley era scomparsa. Dovunque stesse andando, si era addentrata ulteriormente nel labirinto dell'Acre. Per la prima volta esaminò la strada. Era stato così assorto a osservare le donne da non accorgersi di niente altro ma ora vide un gruppo di quattro o cinque uomini a una trentina di metri sulla sua sinistra, e altri tre all'imbocco di un vicolo. Si girò. Ce n'erano altri alla sua destra che lo osservavano. Non poteva restare lì; era vestito in modo troppo elegante, e sarebbe valsa la pena di aggredirlo anche solo per il cappotto. Poteva avere la meglio su un uomo, anche se armato, ma non aveva probabilità di scampo contro cinque o sei. Si avviò verso la porta attraverso la quale era scomparsa Christina. Dopotutto, lo scopo di seguirla era stato scoprire dove andava e perché. La porta era chiusa. Se fosse riuscito a entrare e si fosse trovato di fronte a Christina, cosa avrebbe potuto dirle? Non era sicuro di volerle far sapere che l'aveva seguita. Come si sarebbe comportato, in seguito? Doveva chiuderla in casa? Doveva toglierle il proprio affetto? Oppure liberarsene come di una... una cosa? Cos'era venuta a fare lì? I voli frenetici della sua immaginazione erano molto più dolorosi della verità: si conosceva abbastanza per sapere che non avrebbe mai più avuto un solo momento di serenità. E se per caso stava ingiustamente pensando male di lei? Se non aveva nessuna delle colpe che la sua mente le attribuiva? Un rumore alle sue spalle gli procurò un violento brivido di paura. Forse le vittime di Devil's Acre erano sconosciuti come lui, uomini non desiderati in quel quartiere, e squartati per la loro ingerenza? La sua mano sollevò il battente e lo lasciò andare con forza. I secondi passavano lenti. Nella strada si udiva un rumore di passi strascicati. Ross picchiò il battente più volte, quindi girò la testa per guardarsi alle spalle Due degli uomini erano più vicini e continuavano ad avanzare. Non aveva niente con cui battersi tranne le mani, non aveva con sé nemmeno il bastone da passeggio. Cominciò a sudare. Per un attimo pensò di andare loro incontro, di aggredirli per primo, così da farla finita in fretta. Si rifiutava di pensare a come l'avrebbero ridotto in seguito. D'un tratto la porta si aprì, facendogli perdere l'equilibrio. — Sì. signore?
Ross si riprese e scrutò l'uomo che reggeva una candela nell'atrio buio. Era molto malmesso: il ventre gli sporgeva al di sopra della cintura dei pantaloni, le pantofole erano sdrucite e consumate. Era un omone e stava tra Ross e le scale che portavano al piano di sopra. — Sì, signore? — ripeté con calma. Ross disse la prima cosa che gli passò per la testa. — Voglio affittare una camera. L'uomo lo guardò da capo a piedi socchiudendo gli occhi. — È da solo, vero? — Non sono affari suoi. — Ross deglutì. — Ha delle camere? Ho visto una giovane donna entrare poco fa, certo non vive qui! — Non sono affari suoi — ribatté l'uomo, facendogli il verso. — Da queste parti la gente guarda nel proprio piatto e non va a ficcare il naso in quello degli altri. Così non rischiano di farsi tagliare qualche pezzo di dosso. Brutte cose possono succedere ai ficcanaso. Ross si sentì gelare. Per un attimo una parte del suo cervello aveva dimenticato i delitti. Cercò di sembrare calmo, sicuro di sé, anche se aveva la gola secca e la sua voce era più alta del solito. — Non m'importa affatto per quale motivo quella donna è venuta qui — disse. — Chi incontra non mi interessa per niente. Voglio soltanto una sistemazione analoga. — Questo sarà difficile, signore, dal momento che la signora viene per incontrarsi con il gentiluomo che possiede l'intera fila di case. — L'uomo scoppiò in una risata aspra e sputò per terra. — Adesso che suo fratello è stato fatto fuori è tutto suo. Direi che lo squartatore dell'Acre gli ha fatto un bel favore. Ross rimase impietrito. — Cosa le succede? Si è spaventato? Ha paura che lo squartatore dia la caccia anche a lei? Può darsi. — L'uomo rise sotto i baffi. — Forse le conviene squagliarsela finché è ancora tutto intero... e ha ancora le sue sporche budella. — La sua voce era colma di disgusto, e Ross sentì la faccia prudergli per il sangue che gli ribolliva. Quell'individuo credeva che lui fosse andato fin lì per soddisfare qualche voglia innominabile. Ross raddrizzò le spalle, irrigidì i muscoli e alzò il mento. Ma subito dopo ricordò gli uomini appostati in strada e la sua figura si curvò di nuovo. L'orgoglio era un lusso che non poteva permettersi, e non poteva nemmeno osare di mostrarsi curioso. — Ne ha di camere oppure no? — domandò con calma.
— E lei ha del denaro? — L'uomo tese il pollice e l'indice sudici e li stropicciò insieme. — Certo che ne ho! Quanto? — Per quanto tempo la vuole? — Per tutta la notte, naturalmente. — Tutta la notte solo soletto? — L'uomo inarcò le sopracciglia. — Perché non si chiude a chiave in camera e non lo fa a casa? Qualunque cosa le solletichi la fantasia... A Ross prudevano le mani dalla voglia di colpirlo. Resistette alla tentazione per un attimo; ma poi la rabbia, la paura, la ferita bruciante del tradimento di Christina esplosero dentro di lui. Colpì l'uomo con un pugno violento, mandandolo a sbattere la testa contro il muro. L'uomo si accasciò a terra e rimase immobile. Ross si girò, spalancò la porta e uscì in strada. Chiunque ci fosse doveva affrontarlo. Si era precluso la possibilità di restare. Quella volta non esitò. Con il cuore che batteva furiosamente, strinse i pugni, pronto a colpire chiunque avesse avuto l'audacia di molestarlo. Camminava a passi veloci; su un angolo urtò un mendicante buttandolo di lato. L'uomo imprecò, ma Ross proseguì senza fargli caso. Sapeva in che direzione era Westminster, e come raggiungere le strade ben illuminate e la salvezza. Dei passi risuonarono alle sue spalle e lui accelerò l'andatura. Ormai non dovevano mancare più di cento metri. C'era della gente ammucchiata negli androni, sia uomini sia donne. Qualcuno ridacchiò nell'oscurità. Si udì il rumore di una pacca sulla carne. Un mucchio di rifiuti si sfasciò mettendo in fuga numerosi topi. Ross si mise a correre. Era il tardo pomeriggio di due giorni dopo quando la cameriera entrò nel suo studio e disse a Ross che un certo signor Pitt chiedeva di parlare con lui. Pitt? Non conosceva nessuno di nome Pitt. — Ne sei sicura? — Sì, signore. — La cameriera aveva un'aria perplessa. — È una strana persona, signore. Le chiedo scusa, ma è stato molto insistente. Non vuole dire il motivo della sua visita, ma sostiene che lei lo conosce. — Deve sbagliarsi. — Non se ne andrà, signore. Devo chiedere a Donald di dirgli di andarsene? Non oso farlo io stessa. C'è... c'è qualcosa nei suoi vestiti... è come se non fossero i suoi, non so se mi spiego. Ma parla come un gentiluomo, proprio bene...
Ross ricordò di colpo. — Oh, Dio! Sì, fallo accomodare. Lo conosco. — Sì. signore. — La cameriera uscì di corsa, dimenticando l'inchino. Un attimo dopo, Pitt entrò con un sorriso disinvolto come se si trovasse lì in visita di cortesia. — Buongiorno signor Ross. Che tempaccio! — Orribile — ammise Ross. — In che cosa posso esserle utile, signor Pitt? Pitt si sedette e si avvicinò un po' di più al fuoco. Doveva aver consegnato il cappotto alla cameriera, perché ora indossava soltanto pantaloni scuri, una camicia pulita ma di taglia alquanto abbondante, e una giacca le cui tasche sembravano piene di oggetti di strane dimensioni e che sembrava abbottonata in modo sbagliato. — Grazie. — Si strofinò le mani e le tese verso le fiamme. — Gran parte del lavoro di un poliziotto è molto noioso. — Ne sono convinto. — La cosa non interessava a Ross. Non riusciva a provare dispiacere per quell'uomo. — Interrogatori interminabili di gente non molto gradevole — proseguì Pitt. — E naturalmente abbiamo chi ci informa se succede qualcosa di insolito. — Capisco. Ma temo di non far parte del gruppo. Non so niente che possa esserle utile. Mi dispiace. Pitt si voltò a guardarlo. Aveva degli occhi fuori del comune: vi brillava una strana luce, come un raggio di sole attraverso uno specchio d'acqua. — Mi riferivo a un genere di persone del tutto diverso da lei, signor Ross. Come il vecchio che mi ha detto oggi di un gentiluomo che cercava una camera in Drake Street, a Devil's Acre, un paio di notti fa. Un sacco di gentiluomini lo fanno, per motivi personali. Tuttavia, quello di cui sto parlando, ben vestito, linguaggio ricercato, è andato su tutte le furie quando gli è stata mossa una critica al suo comportamento. È molto insolito. I gentiluomini che frequentano certi posti sono ben attenti a passare il più possibile inosservati. Pitt tacque. Sembrava che aspettasse una risposta. Ross si sentì le membra rigide, come se avesse camminato per chilometri e avesse dormito male. — Ne sono convinto — disse a disagio. Il suo ricordo tornò in un lampo all'atrio semibuio, all'odore di sporcizia, al ghigno disgustoso ed esasperante dell'uomo. Si sentì stringere la gola. — Quel gentiluomo invece ha perso completamente le staffe — proseguì Pitt, con una nota di sorpresa nella voce. — Ha preso a pugni il vecchio! Ross deglutì. — Si è fatto male?
Pitt sorrise, abbassando gli angoli della bocca in una minuscola smorfia. — Ha una bella ferita al cranio, una clavicola fratturata, ed è furibondo. Ha messo in giro la voce: se quel tipo si fa rivedere all'Acre gli daranno una lezione che non si dimenticherà. È così che sono venuto a conoscenza dell'episodio. — D'un tratto guardò Ross in faccia con gli occhi che gli brillavano. — Comunque non morirà, se è questo che teme. — Grazie a Dio... io... io... S'interruppe ma era troppo tardi. — Non mi sono recato là per... — Non poteva sopportare che qualcuno, nemmeno quel poliziotto, pensasse che aveva intenzione di incontrarsi con una prostituta. Il viso di Pitt era calmo, perfino cordiale. — No, signor Ross, non l'ho pensato neanche per un momento. Perché ci è andato? Oh, Dio! Come fare a rispondergli? Non poteva dirgli di Christina. Il cuore gli batté forte al ricordo ed ebbe l'impressione che la stanza vorticasse intorno a lui. — Non posso dirlo... è una questione personale. — Che Pitt pensasse quello che voleva. La verità era peggiore di qualsiasi sua eventuale ipotesi. — Ha corso un bel rischio, signore. — La voce di Pitt diventava sempre più gentile, come se stesse parlando a uno che si trovava in un grosso guaio. — Tre uomini sono stati assassinati a Devil's Acre. Ma sono sicuro che lo saprà. — Certo che lo so! — esclamò Ross. Pitt trasse un profondo respiro. — Non è luogo da andare a farci un giro turistico, signor Ross. È sordido e pericoloso, e la gente in questi ultimi tempi ha pagato molto caro per i propri piaceri. Che cosa l'ha condotta a quella casa? Ross esitò. Quell'uomo era come un furetto, che lo inseguiva lungo i tunnel del suo tormento per inchiodarlo e costringerlo a dire la verità. Meglio liberarsene concedendogliene una parte. Avrebbe così salvato l'altra, quella che non sopportava di dire. — Immaginavo a chi appartenesse — mentì, guardando Pitt negli occhi. — Volevo sapere se era vero. Non sopportavo l'idea che un mio conoscente si guadagnasse da vivere con proprietà come quella. — Ed era vero? — domandò Pitt. Ross deglutì. — Sì, temo di sì. — E di chi si tratterebbe, signor Ross? — Di Bertram Astley. — Ah. — La faccia di Pitt si rilassò. — Dunque è da lì che viene il de-
naro degli Astley. E adesso, naturalmente, la proprietà passa a Sir Beau. — Sì. — Ross si sentiva meglio. Pitt non avrebbe mai saputo di Christina, andata a incontrarsi con Beau Astley in quel luogo disgustoso. Sua moglie... là distesa... Scacciò a forza quel pensiero dalla mente. Qualsiasi sofferenza sarebbe stata più sopportabile. — Sì, è così. Forse questo l'aiuterà nelle sue indagini. Mi dispiace, avrei dovuto dirglielo prima. Pitt si alzò. — Sì, signore, penso proprio che avrebbe dovuto farlo. Ma adesso che so — la sua faccia si allargò in un sorriso affascinante — accidenti a me se capisco a che cosa può servirmi! Ross rimase in silenzio. Era svuotato di ogni emozione. Seguì con lo sguardo Pitt che andava alla porta e usciva nell'atrio per prendere il cappotto dalle mani della cameriera. 8 Pitt scese le scale e aprì la porta. Fuori, sui gradini, lucido di pioggia alla luce del lampione, c'era un agente, con il mantello percorso da rivoli d'acqua. Era ancora notte. Pitt sbatté le palpebre e rabbrividì all'impatto con l'aria gelida. — Per amor di Dio, entra! — ordinò irritato. — Cosa c'è adesso? L'agente non si fece ripetere l'invito ed entrò svelto, bagnando il pavimento, ma Pitt era troppo intirizzito per farci caso. Gracie non si era ancora alzata e tutti i camini erano spenti. — Chiudi quella porta, perdiana, e vieni in cucina! — Gli fece strada a lunghe falcate. Il linoleum pareva ghiaccio sotto i suoi piedi nudi. Il pavimento della cucina, perlomeno, era di legno; e la stufa doveva essere accesa; lo era sempre. Forse, alimentando un po' il fuoco, sarebbe riuscito a far bollire l'acqua per il tè. Tornare a letto e riprendere il sonno interrotto era chiaramente impossibile. — Allora, cosa c'è? — domandò di nuovo, dandosi da fare con il fuoco. — E togliti quell'affare — aggiunse indicando il mantello dell'agente — prima di annegarci tutti quanti! Ubbidiente, l'agente si tolse il mantello e lo appese nel retrocucina. In altre circostanze l'avrebbe fatto senza che dovessero dirglielo, ma la notizia che doveva riferire aveva cancellato gli anni di paziente addestramento della madre e della moglie. — Ce n'è stato un altro, signore — disse a voce bassa, tornando in cucina e porgendo a Pitt il bollitore. — Ed è peggiore dei precedenti. Pitt sapeva già il motivo della sua presenza lì, ma sentirglielo dire era
comunque spiacevolissimo. Prima che le parole venissero pronunciate, c'era sempre la speranza che si trattasse di qualcos'altro. La pressione cui era sottoposto era andata progressivamente aumentando; e Athelstan l'aveva mandato a chiamare di nuovo... i giornali stavano diffondendo il panico. Inoltre sapeva che Charlotte, malgrado la sua pretesa aria di innocenza, stava sfruttando la posizione sociale di Emily per avere conferma dei suoi sospetti sulle donne di Max e sulla vita di Bertie Astley. Se avesse accusato Charlotte di agire di nascosto, sarebbe finita in una lite che avrebbe ferito entrambi. E lui non aveva prove concrete a suo carico: semplicemente, la conosceva abbastanza per sapere che niente l'avrebbe fermata. E, per Dio, avrebbe fatto di tutto per catturare lo squartatore di Devil's Acre prima di lei! Era fermo, in mezzo alla cucina, con il bollitore in mano. — Peggiore? — disse. — Sì, signore. Bazzico l'Acre da quando sono entrato nella polizia, ma non ho mai visto niente del genere. Pitt versò l'acqua nella teiera. Il vapore si levò fragrante nell'aria. Prese un pezzo di pane da una ciotola di legno. Qualunque cosa lo aspettasse l'avrebbe presa peggio a stomaco vuoto e con quel freddo. — Chi è? L'agente gli porse il coltello da pane. — Un uomo. Da quello che aveva in tasca, risulta chiamarsi Ernest Pomeroy. L'hanno trovato sui gradini di un istituto di carità, le Sorelle della Misericordia, o qualcosa del genere. La donna che l'ha trovato non sarà mai più quella di prima. Era in preda a una crisi isterica, poveretta, bianca come un lenzuolo, e urlava. — Scosse la testa incredulo e accettò la tazza che Pitt gli porgeva. Con gesto automatico la prese tra le mani per scaldarsele. Pitt tagliò il pane a fette e le mise a tostare sulla piastra della stufa. Prese due piatti, il burro dalla dispensa e la marmellata. Cercò di immaginare quella donna, dedita a ospitare i senzatetto e a consolare gli afflitti. Doveva essere abituata alla morte: non poteva non esserlo, vivendo a Devil's Acre. Non doveva essere nuova ad atteggiamenti osceni, ma era probabile che in vita sua non avesse mai visto un uomo nudo, forse nemmeno con l'immaginazione. — Era mutilato? — chiese, pur sapendo che la domanda era inutile. — Sì, signore. — La faccia dell'agente sbiancò al ricordo. — Tagliato a pezzi, e come... be', come se fosse stato squarciato dagli artigli di un animale. — Trasse un profondo respiro. — Come se qualcuno avesse cercato di strappargli i genitali con le mani.
Aveva ragione, era davvero peggio degli altri. Le ferite di Bertie Astley in confronto erano superficiali, quasi un gesto simbolico. Pensò di nuovo che Bertie non fosse vittima dello stesso assassino e che Beau Astley avesse colto l'occasione di prendere il posto del fratello, dandone la colpa a un pazzo. Era un pensiero che cercava sempre di rifiutare perché Beau Astley gli era simpatico. Il pane stava fumando. Lo girò e bevve un sorso di tè. — Anche lui è stato pugnalato alla schiena? — Sì, signore, più o meno nello stesso punto degli altri. Dev'essere morto quasi subito, grazie a Dio. — Aggrottò la fronte. — Che razza di uomo può fare una cosa del genere a un suo simile, signor Pitt? È contro natura! — Qualcuno convinto di aver subito un torto insopportabile — rispose Pitt d'impulso. — Penso che lei abbia ragione. Sta bruciando il suo pane, signore. Pitt tolse le due fette e ne porse una all'agente, che la prese stupito e contento. Non si era aspettato di fare colazione, anche se in piedi e con del pane bruciacchiato. Era buono, e la marmellata era squisita. — Forse, se qualcuno uccidesse la mia bambina, proverei una gran voglia di ucciderlo — disse con la bocca piena. — Ma non mi sognerei mai di... di strappargli.. le chiedo scusa, signore... i genitali. — Potrebbe dipendere da come ha ucciso tua figlia — replicò Pitt, quindi si accigliò e lasciò cadere il pane mentre tutto l'orrore dell'accaduto s'impadroniva della sua immaginazione. Pensò a Charlotte e a sua figlia, Jemima, che dormivano di sopra. L'agente lo fissò con i rotondi occhi castano chiaro. — Penso che lei abbia di nuovo ragione, signore — disse con una voce che era poco più di un bisbiglio. Di sopra regnava il silenzio. Charlotte non si era svegliata, e nella nursery era accesa un'unica luce. — Farebbe meglio a mangiare, signore. — L'agente era un uomo pratico. Non era una giornata da affrontare a stomaco vuoto. — E si metta addosso qualcosa di pesante... non mi considera impertinente, vero? — No — dichiarò Pitt distratto. — No. — Prese il pane e lo mangiò. Non c'era tempo per sbarbarsi, ma avrebbe finito il tè e avrebbe seguito il consiglio dell'agente. Il cadavere era spaventoso. Pitt non riusciva a immaginare un furore capace di spingere un uomo a smembrarne un altro in quel modo.
— Va bene — disse rialzandosi. Non c'era altro da vedere. Era come i precedenti, ma peggio. Ernest Pomeroy era stato un uomo di aspetto ordinario, forse di peso sotto la media. Gli abiti erano sobri, di buon tessuto, ma tutt'altro che alla moda. Aveva un viso ossuto e piuttosto brutto. Era impossibile dire se aveva posseduto del fascino o del senso dell'umorismo, se quei lineamenti scialbi erano stati mai trasformati da una luce interi ore. — Sappiamo da dove viene? — domandò. — Sì, signore — rispose pronto il sergente di servizio. — Aveva con sé delle lettere. Seabrook Walk. Un quartiere decente, a circa tre chilometri da qui. Ho una sorella che lavora per una signora in quella zona. Di soldi non tanti, ma gente molto rispettabile, non so se mi spiego. Pitt capiva perfettamente. C'era una vasta classe di gente che avrebbe preferito nutrirsi di pane e acqua piuttosto che mostrarsi privo di certi privilegi, al primo posto la servitù. Un'alimentazione frugale poteva, lavorando di fantasia, diventare una questione di gusti. Si poteva anche fingere di non sentire il freddo, ma essere senza servitù poteva solo significare essere poveri. Ernest Pomeroy era fuggito dalla triste ipocrisia della vita per soddisfare per poche ore le sue bramosie, e aveva finito per morire in quelle strade sudicie e altrettanto ingannatrici? — Sì, ti spieghi benissimo. Dovremo trovare qualcuno che lo identifichi. Meglio non la moglie... Può darsi che ci sia un fratello, oppure... — Guardò di nuovo la faccia del morto. Ernest Pomeroy doveva essere più vicino ai cinquanta che ai quaranta. — Oppure un figlio. — Ce ne occuperemo subito, signore — disse il sergente. — Non vorrei imporre una cosa simile a nessuna donna, anche se dovesse guardarlo solo in faccia. Va lei ad avvisare la moglie, signore? — Sì. — Era inevitabile. Doveva essere fatto, e spettava di nuovo a Pitt. — Sì, dammi l'indirizzo, per favore. Seabrook Walk aveva un'aria piatta e grigia alla tenue luce mattutina. La pioggia non riusciva a pulirla, ma solo a bagnarla. Pitt trovò il numero che stava cercando e salì i gradini. Come al solito non c'era motivo di indugiare: non c'era niente che potesse mitigare il dolore, e forse avrebbe appreso qualcosa di utile alle indagini. Doveva pur esserci un legame tra quegli uomini: una conoscenza comune, un vizio, un luogo o un momento, un motivo per cui erano stati oggetto di un odio così profondo. Doveva trovarlo, a qualunque costo. Il tempo non avrebbe avuto la meglio su di lui. E nemmeno l'assassino.
Le strette aiuole, sguarnite di fiori in quel periodo, erano semplici strisce di terra scura. L'erba al centro pareva finta e i cespugli di alloro sotto le finestre sembravano imbronciati. A tutti i vetri erano appese immacolate tende di pizzo. Entro un'ora sarebbero state nascoste dietro le persiane chiuse in segno di lutto. Sollevò il battente lucido e lo lasciò cadere con un rumore stridulo. Passarono diversi minuti prima che una domestica stupita aprisse la porta quel poco che bastava per guardare fuori. Nessuno si recava a far visita a quell'ora. — Sì, signore? — Sono venuto a parlare con la signora Pomeroy. È urgente. — Oooh! Non so se può riceverla ora. — La domestica era chiaramente confusa. — Non ha nemmeno fatto colazione. Potrebbe tornare tra un'ora o due, signore? Pitt era dispiaciuto per la ragazza. Probabilmente non aveva più di 13 o 14 anni, e quello doveva essere il suo primo lavoro. Se l'avesse perso per aver irritato la sua padrona, si sarebbe trovata in serie difficoltà. Poteva anche finire su un marciapiede, meno fortunata delle donne che avevano le capacità e la personalità di lavorare in un postribolo gestito da una delle tante Victoria Dalton. — Sono della polizia — disse Pitt, liberandola dal peso della responsabilità. — Ho delle cattive notizie per la signora Pomeroy, e sarebbe crudele se le venisse a sapere da altri. — Oooh! — La ragazza spalancò la porta e fece entrare Pitt. Guardò i suoi abiti che grondavano di pioggia. Anche in una situazione drammatica sapeva fare il suo lavoro in modo eccellente. — Ehi, è bagnato fradicio! È meglio che si tolga il cappotto e me lo dia. Lo farò appendere nel retrocucina dalla cuoca. Attenda. Salgo ad avvertire la signora Pomeroy che lei è qui, e che è urgente. — Grazie. — Pitt si tolse il cappotto, il cappello e la sciarpa, e li diede alla ragazza. Lei corse via, quasi sommersa dal loro volume. Ubbidiente, Pitt attese che la signora Pomeroy scendesse. Esaminò la stanza. Era piuttosto ampia; i mobili erano di pesante legno scuro. Sugli schienali delle poltrone c'erano poggiacapi ricamati, ma nessun cuscino extra. I quadri alle pareti erano vedute dell'Italia dipinte in dure tonalità di blu (cielo blu, mare blu) con un sole violento. Le trovò brutte e offensive; si era sempre immaginato l'Italia come un bel paese. Sulla mensola del camino c'era una frase religiosa ricamata: "Il prezzo di una
brava donna è inestimabile". Si chiese chi l'avesse scelta. Sullo stipo accanto c'era un vaso di fiori di seta, delicati, con petali sottilissimi: un sorprendente tocco di raffinatezza in una casa priva di fantasia. Adela Pomeroy doveva avere almeno 15 anni meno del marito. Stava in piedi sulla porta in una vestaglia color lavanda, guarnita di gale di pizzo intorno alla gola e ai polsi, e fissava Pitt. I capelli le ricadevano sulle spalle; non si era preoccupata di raccoglierli. L'ossatura del viso era delicata, e il collo troppo sottile. Per qualche anno ancora sarebbe stata incantevole, fino a che le tensioni nervose non avessero scavato rughe più profonde e sciupato la morbidezza della carne. — Birdie mi ha detto che lei è della polizia. — Entrò e chiuse la porta. — Sì, signora Pomeroy. Mi dispiace, ma ho brutte notizie per lei. — Avrebbe voluto che si sedesse, ma lei non lo fece. — Stamattina è stato trovato morto un uomo che crediamo sia suo marito. L'abbiamo identificato da certe lettere che aveva con sé, ma naturalmente ci occorre che qualcuno lo identifichi con sicurezza. Lei non fece un solo gesto né cambiò espressione. Forse era troppo presto. Lo shock a volte produceva quell'effetto. — Mi dispiace — ripeté Pitt. — È morto? — Sì. Gli occhi della signora Pomeroy vagarono per la stanza, guardando gli oggetti familiari. — Non era malato. È stato un incidente? — No. Purtroppo si tratta di un delitto. — Era necessario che sapesse, inutile fingere. — Oh. — Sembrava priva di emozioni. Si avvicinò a passi lenti al divano e si sedette. Con gesto automatico, aggiustò sulle ginocchia le pieghe della vestaglia, e Pitt, per un attimo, pensò che quell'indumento era bellissimo. Pomeroy doveva essere ricco, e più generoso di quanto suggeriva il suo viso. Forse non era grettezza quella che vi aveva visto dipinta, ma solo la vacuità della morte. Poteva darsi che avesse amato moltissimo quella donna, e che avesse risparmiato fino all'ultimo centesimo per concederle quei lussi... i fiori di seta e la vestaglia. Pitt sentì nascere in sé quella che poteva essere un'antipatia ingiusta non vedendo traccia di dolore in lei. — Com'è successo? — È stato aggredito per strada. L'hanno pugnalato. È probabile che sia morto quasi sul colpo. Direi che non ha sofferto più di un istante. Non vedeva ancora emozioni sul viso di lei finché, all'improvviso, vi
passò un lampo di sorpresa. — Per strada? Vuole dire che... che è stato rapinato? Cosa si era aspettata? Le rapine non erano insolite, anche se in genere non si accompagnavano a una violenza così orribile. Forse aveva con sé ben poco di valore. Ma i delinquenti non potevano saperlo se non quando era troppo tardi. — Non aveva denaro addosso — rispose Pitt. — Ma aveva ancora l'orologio in tasca, e una bella borsa di pelle. — Non portava mai con sé molto denaro. — La signora Pomeroy teneva ancora lo sguardo fisso davanti a sé, come se Pitt fosse stato una voce senza corpo. — Una ghinea o due. — Quando l'ha visto per l'ultima volta, signora Pomeroy? — Doveva dirle il resto... dove era stato trovato, come l'avevano mutilato. Meglio che lo sapesse da lui. — Ieri sera. — La sua risposta s'inserì nelle riflessioni di Pitt. — Andava a consegnare un libro a un suo allievo. Era insegnante. Ma immagino che lei lo sappia già... insegnava matematica. — No, non lo sapevo. Le ha detto il nome dell'allievo, e dove abitava? — Morrison. Ma non so dove abitasse... non lontano, comunque. Credo che volesse andarci a piedi. Ci sarà un appunto sulla sua agenda. Era molto meticoloso. — Non c'era ancora emozione nella sua voce, tranne un accenno di sorpresa, come se non riuscisse a capire come un fatto così violento fosse accaduto a un uomo tanto comune. Si alzò e andò alla finestra. Era esile e fragile come un passerotto. Anche nel suo apparente stato di stordimento, aveva una grazia e un modo di tenere la testa alta molto personali. A Pitt riusciva difficile immaginarla tra le braccia dell'uomo la cui faccia aveva visto a Devil's Acre. D'altronde, capitava spesso di non riuscire a capire il motivo per cui la gente si amasse o si odiasse. E quindi che ragione c'era di spiegarsi che tipo di rapporto ci fosse tra quei due? Non sapeva niente di loro. — Riesce a trovare un motivo per il quale si sarebbe recato a Devil's Acre? — domandò. Come al solito, la domanda era brutale, ma lei sembrava così insensibile; forse era il momento più adatto per dirle tutto. Lei non si voltò. A Pitt parve che le sue spalle si fossero irrigidite sotto la seta color lavanda, ma non poté esserne certo. — Non ne ho la minima idea. — Ma sapeva che ci andava, di tanto in tanto? — insistette Pitt. La donna ebbe un attimo di esitazione. — No — disse.
Non valeva la pena discutere con lei. Pitt rimase in silenzio. Forse, parlando, si sarebbe tradita. — È là che è stato trovato? — Sì. — Era... come... come gli altri? — Sì. Mi dispiace. — Ah. Rimase immobile così a lungo che Pitt ebbe il tempo di chiedersi se gli voltava le spalle per nascondere i suoi sentimenti, se avrebbe dovuto chiamare una cameriera per farle portare un tonico, o se lei preferiva essere lasciata sola ad affrontare con dignità il dolore. E se invece stava semplicemente aspettando che lui parlasse? — Vuole che chiami la cameriera per farle portare qualcosa, signora? — A quel punto, non poteva più permettersi di tacere. — Come? Lui ripeté l'offerta. Finalmente la signora Pomeroy si voltò: il suo viso era calmissimo. — No, grazie. C'è dell'altro che desidera chiedermi? Pitt era preoccupato per lei: reagire a uno shock con tanta freddezza e impassibilità era pericoloso. Doveva mandare qualcuno dei domestici a chiamare il suo medico. — Sì, signora. Vorrei sapere i nomi e gli indirizzi dei suoi alunni, e quello di eventuali amici coi quali, secondo lei, potrebbe essersi incontrato nelle ultime settimane. — Il suo studio è sull'altro lato dell'anticamera. Prenda quello che ritiene necessario. Adesso, se vuole scusarmi, desidererei restare sola. — Senza aspettare risposta, gli passò accanto lasciandosi dietro una lieve scia di profumo, e uscì dalla porta. Pitt passò il resto della mattina a esaminare libri e carte nello studio di Pomeroy, cercando di farsi un'idea della vita di quell'uomo e del suo carattere. Pomeroy risultò un individuo meticoloso e banale che aveva insegnato matematica fin da quando si era laureato. Gran parte dei suoi studenti sembravano essere tra i 12 e i 14 anni, e di capacità medie, tranne uno che prometteva veramente bene. Insegnava privatamente nelle famiglie, anche a ragazzi e ragazze insieme. La sua aveva tutta l'aria di una vita coscienziosa e senza macchia, ma anche priva di tracce visibili di buonumore. Gli sgargianti fiori di seta nel salotto non potevano essere stati un'idea sua, e la vestaglia di seta color la-
vanda con i pizzi spumeggianti sembrava andare ben oltre la sua immaginazione, e le sue possibilità economiche. A Pitt venne servito il pranzo da una cuoca che scoppiava in lacrime ogni volta che lui le rivolgeva la parola e poi, nel pomeriggio, copiò tutti i nomi e gli indirizzi degli allievi attuali di Pomeroy e di quelli dell'anno prima e quelli di conoscenti e bottegai. Lasciò la casa senza aver rivisto Adela Pomeroy. Rincasò più presto del solito. Era stanco e cominciava a risentire del freddo patito nel corso della giornata. Si era svegliato con la notizia di un altro delitto, si era recato a esaminare il cadavere disteso scompostamente sui gradini di un istituto di carità, aveva dovuto portare la notizia alla vedova che aveva reagito in maniera incomprensibile, aveva passato ore a intromettersi nella vita del defunto, sviscerandola alla ricerca di eventuali vizi che l'avessero portato a Devil's Acre... e al suo assassinio. Aveva accumulato una quantità di fatti, nessuno dei quali gli suggeriva niente che sembrasse importante. Si sentiva impotente, accerchiato dal dolore e dalla banalità. Se a Charlotte fosse sfuggita una sola battuta allegra o curiosa, la sua ira sarebbe esplosa. Pitt trascorse i quattro giorni seguenti setacciando gli elementi di cui era a conoscenza nella speranza di trovare una traccia abbastanza valida da condurlo a qualcosa di più concreto della follia distruttiva di un pazzo. Parlò con gli allievi di Pomeroy, che sembravano avere una buona opinione del loro insegnante nonostante che avesse passato tutto il suo tempo a instillare nei loro cervelli i principi della matematica. Erano ragazzi tranquilli e puliti che parlavano con rispetto delle persone più anziane, come si conviene a chi è ben educato. A Pitt parve di intuire sotto le frasi di prammatica un sincero affetto, dei ricordi gradevoli e la percezione della bellezza del ragionamento matematico. A volte, suo malgrado. Pitt si trovò a pensare a rapporti intimi tra uomini e ragazzini. casi che gli erano capitati in passato. Ma non riuscì a trovare nessun ragazzo che avesse preso lezioni da solo. Ernest Pomeroy risultava un uomo ammirevole, anche se dotato di troppo poco senso dell'umorismo e di immaginazione per essere simpatico. Tuttavia, era difficile cogliere l'intima natura di un uomo quando di lui si conoscevano solo la sua faccia da morto e i ricordi di ragazzini storditi, ai quali era stato raccomandato di non parlare mai male dei defunti convinti che aver a che fare con la polizia, per qualsiasi motivo, fosse una vera di-
sgrazia. La sovranità della legge andava rispettata, ma da lontano. La gente perbene evitava di trovarsi faccia a faccia con gli esseri inferiori incaricati di farla rispettare. Pitt, naturalmente, chiese alla signora Pomeroy di permettergli di passare in rassegna gli effetti personali del defunto per cercare eventuali lettere o appunti che sottintendessero minacce, inimicizie, o un motivo qualunque per volergli male. Lei esitò e lo fissò con occhi che sembravano ancora impietriti per lo shock. Era una violazione, e Pitt non rimase sorpreso che la sua richiesta la ferisse. Ma doveva pur capire che era necessario farlo, e che impedirglielo sarebbe stato illogico. Inoltre, se fosse stata complice del delitto o avesse avuto altre colpe da nascondere, aveva avuto tutto il tempo di distruggerne le prove prima che lui andasse a informarla dell'accaduto. — Va bene — acconsentì lei alla fine. — Faccia pure, se lo desidera. Non credo che ricevesse molta corrispondenza. Ricordo ben poche lettere. Ma se lo ritiene utile, può prenderle. — Grazie, signora. — Quel suo dolore inaccessibile lo faceva sentire particolarmente impacciato. Se aveva pianto, il suo viso non lo rivelava: aveva uno sguardo pacato e le palpebre erano pallide e non gonfie. Eppure non si muoveva con l'andatura rigida da sonnambula tipica delle persone sconvolte al punto da non riuscire a sfogare la propria emozione e che poi, quando il dolore erompe, crollano a pezzi. Aveva amato Pomeroy? Era più probabile che il loro fosse stato uno dei tanti matrimoni combinati dai genitori. Pomeroy era molto più anziano di lei: poteva darsi che a sceglierlo fosse stato suo padre piuttosto che lei. Eppure persino in quel momento confusionale che segue la notizia della morte e precede l'accettazione di una nuova realtà di vita, Pitt la trovava una donna piena di grazia e di delicatezza. I suoi abiti erano molto femminili, i capelli soffici. Era appena un po' troppo esile per i suoi gusti, ma molti uomini dovevano averla trovata bella. Non avrebbe potuto trovarsi un marito migliore di Pomeroy? L'aveva amato oppure aveva dovuto saldare un debito d'onore? I suoi genitori conoscevano Pomeroy e gli dovevano forse qualcosa? Frugò in tutte le stanze di Pomeroy e lesse tutte le lettere e le ricevute. Come aveva detto Adela Pomeroy, era un uomo di un ordine meticoloso. Dai conti, dall'età e la qualità della mobilia, dal numero dei domestici e dalle riserve della dispensa, sembrava che conducessero una vita frugale. Non c'erano tracce di prodigalità, a parte il vaso di fiori di seta in salotto e
gli abiti di Adela. Era stato lui a regalarglieli, volendo in quel modo manifestarle il suo amore? Non riusciva a immaginarlo un gesto possibile da parte di un uomo come quello che aveva visto a Devil's Acre. Ma era pur vero che l'avevano già privato degli stimoli che animano la carne, della capacità di provare passione e dolore, momenti di tenerezza, sogni o illusioni. Anche da vivi mascheriamo la nostra vulnerabilità. Quale diritto aveva Pitt, o chiunque altro, di sapere che cosa quell'uomo aveva provato per la moglie? Oppure l'indifferenza palese di lei significava che da molto tempo non c'erano più emozioni autentiche tra loro due? La sua morte poteva non essere altro che la fine formale di una relazione solo apparente. Erano sposati da 15 anni, gli aveva detto lei. Non avevano figli. Poteva aver scelto quell'uomo scialbo e più vecchio perché disposto ad accettare una donna la cui moralità era macchiata? O che forse sapeva di essere sterile? E poi, con gli anni, la gratitudine si era trasformata in odio? Lei aveva forse cercato l'amore altrove? Era quella la fonte dei fiori di seta e degli abiti? Era una domanda ovvia e Pitt avrebbe dovuto indagare. Le chiese se aveva mai sentito parlare di Bertram Astley, di Max Burton o del dottor Pinchin. Quei nomi non suscitarono reazione alcuna. Se mentiva, lo faceva in maniera superba. Pitt non trovò riferimenti alle altre vittime tra le carte di Pomeroy. Non gli restava altro da fare che ringraziare la signora Pomeroy e andarsene con una strana sensazione di irrealtà, come se lei gli avesse parlato senza nemmeno accorgersi della sua presenza. Pitt non era che un inserviente di teatro, e lei stava seguendo lo spettacolo che si svolgeva altrove, in un punto a lui invisibile. La mossa successiva, la più ovvia, era di fare un altro tentativo all'Acre, e la migliore fonte di informazioni era Harris la Cornacchia. Pitt lo trovò in una soffitta sudicia, curvo su un tavolo accanto alla finestra, in modo che la luce invernale potesse cadere sul foglio. Troppi occhi attenti e sospettosi avrebbero esaminato la sua opera. Doveva arrivare ai più alti livelli di perfezione, se non voleva rimanere senza lavoro. Guardò Pitt con aria bieca. — Non ha nessun diritto di entrare così in casa degli altri! — esclamò, e coprì il foglio che aveva davanti cercando di non dar nell'occhio. — Potrei denunciarla, signor Pitt. — Non è una visita ufficiale — replicò Pitt, sedendosi in equilibrio pre-
cario su una cassa capovolta. — Le tue capacità professionali non m'interessano. — Davvero? — Cornacchia non ne era convinto. — Perché non lo metti via? — suggerì Pitt. — Così non si impolvera. Non vorrai che si rovini, no? Cornacchia lo guardò con la coda dell'occhio. Tanta clemenza lo confondeva. Era un controsenso che i poliziotti si comportassero in modo così incoerente. Uno non sapeva più che pesci pigliare. Comunque, fu ben lieto di poter far sparire il foglio incriminato. Tornò e si sedette, molto più a suo agio. — E allora? — domandò. — Cosa vuole? Non sarà venuto fin qui per niente! — No, certo. Cosa si dice in giro dei delitti, Cornacchia? — Dello squartatore dell'Acre? Nessuno ne sa niente, e nessuno dice niente. — Sciocchezze. Mi stai dicendo che ci sono stati quattro delitti con feroci mutilazioni all'Acre e che nessuno ha idea di chi sia stato e perché l'abbia fatto? Andiamo, Cornacchia... non sono nato ieri! — Nemmeno io, signor Pitt. E non ne voglio sapere niente. Ho molta più paura di quello che ha ucciso quei poveracci che di lei. Voi sbirri siete una seccatura. Siete un bel danno per la salute e per gli affari, e a volte alcuni di voi sono proprio villani. Ma non siete matti... almeno, non al punto di quel pazzoide! Posso capire un delitto normale. Non sono irragionevole. Ma una faccenda come questa non la sopporto e che io sappia non la sopporta nessuno. Pitt si protese in avanti e quasi cadde dalla cassa su cui era seduto. — Allora aiutami a trovarlo, Cornacchia! Aiutami a sbatterlo dentro! — Vuole dire a impiccarlo. — Cornacchia fece una smorfia. — Non so niente, e non voglio neanche sapere! È inutile farmi domande, signor Pitt. Non è uno di noi. — Allora dimmi chi sono i forestieri. Chi c'è di nuovo all'Acre? — insistette Pitt. Cornacchia assunse un'aria mesta. — E io come faccio a saperlo? È pazzo! Può darsi che venga qui soltanto di notte. Può darsi che non sia nemmeno umano. Non conosco nessuno che sappia qualcosa di questa faccenda. A nessuno dei ruffiani o dei ladri o dei falsari che conosco è stato chiesto di fare una cosa del genere. E lei lo sa che quelli del mio mestiere non si mettono con gli assassini. Sono un artista, io. Per me, diventare violento
con le mani vorrebbe dire rovinarmi il tocco. — Agitò le dita in maniera espressiva, come un pianista. Pitt sorrise. Suo malgrado, gli credeva. Fece comunque un ultimo tentativo. — Cosa mi dici di Ambrose Mercutt? Max gli stava portando via i clienti. — È vero — ammise Cornacchia. — Ci sapeva fare di più, capisce? E Ambrose è un piccolo bastardo malvagio quando si arrabbia, potrebbero dirglielo molte delle ragazze. Ma non è pazzo! Se qualcuno avesse piantato un coltello in corpo a Max e l'avesse gettato nel fiume, oppure se l'avessero strangolato, avrei detto che poteva essere stato Ambrose. — Increspò le labbra. — Ma voi non l'avreste mai trovato, il cadavere. Sparito, punto e basta... Max sarebbe scomparso, e voi sbirri non avreste saputo mai niente. Solo un pazzo o un maniaco fa a pezzi la gente e la lascia per terra perché ci possiate inciampare. — Inarcò le sopracciglia ispide. — Le chiedo, signor Pitt, chi lascia un cadavere davanti a un istituto di beneficenza, dove ci sono tutte quelle sante donne, se ha tutte le rotelle a posto? — Ambrose tiene delle bambine nel suo bordello. Cornacchia? Cornacchia assunse un'espressione reticente. — Non ho detto questo. Un uomo sano vuole una vera donna, non una ragazzina spaventata. — Ne tiene, Cornacchia? — Sant'Iddio! Come faccio a saperlo? Crede che abbia tutto quel denaro per andarci, io? — Ne tiene. Cornacchia? — insistette Pitt con voce più dura. — Sì, sì! Quella piccola carogna avida! Lo faccia impiccare, signor Pitt, si accomodi pure. — Sputò a terra con disgusto. — Grazie. Ti sono molto grato. — Pitt si alzò e la cassa andò in pezzi. Cornacchia la guardò e si immusonì. — Non avrebbe dovuto sedersi su quella cassa, signor Pitt. Lei è troppo pesante... guardi cos'ha fatto! Dovrei fargliela pagare, non le pare? Pitt tirò fuori sei penny e glieli diede. — Non voglio aver debiti con te, Cornacchia. Cornacchia esitò un attimo prima di saggiare la moneta con i denti. Il pensiero di Pitt in debito con lui era molto piacevole, perfino allettante. Ma sei penny subito erano meglio di un debito e c'era il rischio che Pitt finisse per dimenticarsene. — Giusto, signor Pitt. Mai avere debiti con nessuno. Potrebbero venire a riscuoterli nel momento sbagliato. — Lo guardò con occhi innocenti. — Ma se sento chi ha ammazzato quei poveretti, glielo farò sapere.
— Oh, davvero? — Pitt era scettico. — Ci conto, Cornacchia. Cornacchia sputò di nuovo. — Giuro! Oh, Dio... non avrei dovuto dirlo. Povero me! Che Dio mi fulmini se non lo farò! — si corresse, confidando più nella misericordia dell'Onnipotente che non in quella dello squartatore dell'Acre. — Dio ti potrà avere dopo che io avrò finito con te. — Pitt lo squadrò dalla testa ai piedi. — Se gli interesserà quello che resta. — No, signor Pitt, questo non è bello. Sta abusando della mia ospitalità. — Cornacchia era addolorato, ma contento. Era una sensazione che gli piaceva. — Il guaio con voi sbirri è che non sapete essere riconoscenti. Pitt sorrise e se ne andò. Scese con attenzione le scale, evitando i gradini marci, e uscì nell'aria fredda e maleodorante del vicolo. L'indomani si sarebbe procurato una foto di Ernest Pomeroy e l'avrebbe mostrata nei bordelli dell'Acre. Charlotte lo stava aspettando. Era bella, aveva un volto radioso, i capelli soffici e profumati. Lo abbracciò forte, come se stesse scoppiando di energia. — Dove sei stata? — domandò Pitt tenendola stretta a sé. — Solo a trovare Emily — disse con la massima indifferenza. Ma Pitt sapeva perché era andata dalla sorella. Charlotte gli diede un rapido bacio e si scostò. — Sei freddo. Siediti e riscaldati. La cena sarà pronta tra mezz'ora. Il tuo cappotto ha l'aria sudicia. Dove sei stato? — A Devil's Acre. — Pitt si tolse gli stivali e si lasciò cadere nella poltrona, tendendo i piedi verso il fuoco. Charlotte gli passò le pantofole. — Hai scoperto qualcosa? — No — mentì Pitt. Dopotutto, non era niente di definibile. Lei assunse un'espressione afflitta. — Oh, mi dispiace. — Subito dopo s'illuminò, come colpita da un'idea improvvisa. — Forse sarebbe meglio affrontare la vicenda da un altro punto di vista. Suo malgrado, Pitt chiese: — Quale altro punto di vista? — Subito s'infuriò con se stesso per aver ceduto alla curiosità. Charlotte non esitò un attimo. — Dal punto di vista delle donne di Max. Questi delitti sono stati commessi con un odio enorme. Pitt fece un sorriso cupo. Era un eufemismo ridicolo, e lei, al sicuro tra le mura della propria casa, cosa poteva saperne? Lui, invece, aveva visto i cadaveri.
— Dovresti cercare qualcuno a cui era stata rovinata la vita — proseguì Charlotte. — Ammettiamo che Max avesse sedotto una donna, e che il marito l'avesse scoperto... potrebbe averlo odiato al punto di ucciderlo in quel modo... non solo Max ma chiunque avesse contribuito a disonorare la moglie. — E come avrebbe fatto a scoprirlo? — Se voleva giocare a fare il poliziotto, che rispondesse a tutte le domande che Athelstan gli avrebbe posto! — Non c'è legame alcuno tra Max e Hubert Pinchin. Non riusciamo a trovare nessuno che li conoscesse entrambi. — Forse Pinchin era il medico della casa di Max. — Buona idea. Ma non lo era. Il medico lì è un vecchio corvaccio espulso dall'ordine, guadagna parecchio. Non dividerebbe quel lavoro con nessuno. — Corvaccio? È così che la malavita chiama un dottore? — Charlotte non aspettò risposta. — E se il marito si fosse presentato come cliente e avesse scoperto che la prostituta che gli proponevano era sua moglie? In quel modo avrebbe saputo anche chi era il ruffiano! — Era un'ottima ipotesi, e lei lo sapeva. — E che fine avrebbe fatto la donna, secondo te? — ribatté Pitt con sarcasmo. — Il marito l'ha forse impacchettata e se l'è riportata a casa? Sono sicuro che l'avrebbe voluta... a quel punto! — Non lo penso neanche per un momento. — Charlotte sbuffò e lo guardò con impazienza. — Ma non potrebbe divorziare da lei, vero? — Perché no? Dio sa se ne avrebbe i motivi! — Oh, Thomas, non essere ridicolo! Nessun uomo ammetterebbe di aver trovato sua moglie che si prostituiva a Devil's Acre. Anche se la polizia non stesse cercando qualcuno con un movente per i delitti, sarebbe rovinato per sempre. Per un uomo, la derisione unita alla compassione sono peggiori della morte. Pitt non aveva niente da obiettare. — E va bene — disse di malumore. — Probabilmente la ucciderebbe, ma senza chiasso, al momento giusto. Charlotte impallidì. — Ne sei veramente convinto? — Perdiana, Charlotte! Che cosa vuoi che ne sappia, io? Se è capace di fare a pezzi il suo ruffiano e i suoi amanti, cosa potrebbe impedirgli di abbandonarla nel canale di scolo di una zona più rispettabile? Tienilo bene a mente e piantala di immischiarti in cose che non capisci... rischi solo di fare danni creando un sacco di sospetti. Ricordatelo: se hai ragione, lui ha ben poco da perdere ormai!
— Non sono stata... — Per amor del cielo, credi che sia stupido? Non so cosa tu stia combinando con Emily, ma so senz'altro quel che avete in mente. Lei rimase seduta, immobile, con le guance in fiamme. — Non mi sono mai avvicinata a Devil's Acre e, per quanto ne so, non ho parlato con nessuno che ci sia mai stato! — si difese. Dal modo in cui scintillavano i suoi occhi, Pitt capì che stava dicendo la verità. Non pensava, comunque, che gli avrebbe mentito. — Però ci hai tentato — commentò in tono acido. — Bene, neanche tu sei riuscito a fare granché. Potrei darti i nomi di cinque o sei donne dalle quali cominciare. Che ne dici di Lavinia Hawkesley? È sposata con un uomo noiosissimo, di almeno trent'anni più vecchio. E Dorothea Blandish e la signora Dinford e Lucy Abercorn? E cosa te ne pare della neovedova Pomeroy? Ho sentito dire che è molto graziosa, e conosce un paio di persone decisamente dissolute. — Adela Pomeroy? — Per un attimo la sorpresa gli fece dimenticare l'ira di poco prima. — Sì — confermò Charlotte con soddisfazione alla vista della sua faccia. — E ce ne sono altre. Ti farò un elenco. — Fallo, e poi dimentica tutta questa storia. Restatene in casa! Si tratta di delitti, Charlotte, delitti disgustosi e violenti. E se t'immischi, corri il rischio di finire ammazzata anche tu. Obbediscimi, una volta tanto! Lei rimase in silenzio. — Mi hai sentito? — Senza volere. Pitt aveva alzato la voce. — Se tu ed Emily andate in giro a diffondere chiacchiere, Dio sa a quale maniaco potreste dar fastidio... supponendo che riusciate ad avvicinarvi alla verità. È molto più probabile che si tratti di una vendetta che riguarda la zona dell'Acre e che l'alta società non c'entri per niente. — Cosa ne dici allora di Bertie Astley? — Cosa ne dico? Possedeva degli edifici nell'Acre, un'intera strada. È da là che vengono i soldi degli Astley. — Oh, no! — Oh, sì! Forse aveva anche un bordello, ed è stato eliminato da un rivale. — Cosa farai? — Ci tornerò e cercherò ancora, naturalmente. Cos'altro potrei fare? — Thomas, sii prudente! Pitt conosceva i rischi, ma le alternative erano peggiori: un altro omici-
dio, l'indignazione dell'opinione pubblica che rasentava l'isterismo, Athelstan che premeva sempre più perché arrestasse qualcuno per far contenti il Parlamento, la Chiesa, i clienti dell'Acre e di altri bordelli sparsi in tutta Londra. E poi il terrore, la furia e il senso di colpa che gli sarebbero piombati addosso se veniva commessa un'altra atrocità. Ma, e quello era forse il suo pensiero dominante, sentiva la necessità di risolvere il caso prima che Charlotte, scovando una traccia tra le relazioni mondane di Emily, cominciasse a seguirla e finisse in una situazione per lei ingestibile. Le aveva proibito di immischiarsi non solo perché la sua vita poteva correre seri pericoli, ma anche per dimostrarle che non aveva bisogno del suo aiuto. — Certo che sarò prudente. Non sono uno sciocco. Lei lo guardò con la coda dell'occhio e non aprì bocca. — E tu stattene a casa, resta fuori da questa storia! — aggiunse Pitt. — Hai già abbastanza da fare qui senza andare a ficcare il naso in faccende che possono procurarti solo guai. Ciò nonostante, quando il giorno seguente tornò all'Acre, si premurò ancora più del solito di scegliersi un abbigliamento che passasse inosservato, e assunse un'andatura che era un misto tra la sicurezza di chi sa dove sta andando e l'aria furtiva e scoraggiata di chi prevede che sarà un viaggio inutile. La giornata era fredda, il cielo grigio e dal fiume soffiava un forte vento. C'erano tutte le scuse per calcarsi il cappello in testa e coprirsi la faccia con la sciarpa. I radi lampioni a gas dell'Acre luccicavano nell'aria buia del mattino come lune sperdute in un mondo squallido e tortuoso. Pitt aveva con sé una buona fotografia di Pomeroy e intendeva scoprire tutto il possibile sui bordelli per clienti che prediligevano i minorenni. Sperava di scoprire i motivi per cui Pomeroy si era recato in quella fogna e immaginava che fossero in relazione a un bisogno che non avrebbe osato soddisfare in Seabrook Walk. Niente altro avrebbe condotto in un luogo simile una persona tanto compassata e meticolosa quasi fino all'ossessione. Aveva iniziato la giornata nell'ufficio di Parkins a raccogliere tutte le indicazioni che la polizia poteva dargli sui bordelli che sfruttavano i bambini. Gli diedero perfino i nomi di informatori e lo misero al corrente di piccoli segreti personali che gli avrebbero permesso di esercitare un po' di pressione per ottenere la verità. Ma nessuno era disposto a dire di conoscere Pomeroy né di averlo avuto come cliente.
Alle dieci di sera, Pitt era intirizzito e si sentiva le ossa indolenzite per la stanchezza. Quello che stava per fare era l'ultimo tentativo. In quel bordello non doveva dire chi era: il portiere di Ambrose Mercutt lo conosceva già. Faceva parte del suo mestiere ricordare le facce. — Cosa vuole? — domandò con ira. — Non può venire qui durante l'orario di lavoro. — Sto lavorando anch'io! — sbottò Pitt. — E sarò ben lieto di non disturbare i tuoi clienti, se mi tratterai con civiltà e risponderai a qualche domanda. L'uomo rifletté per un istante. Era alto e magro e aveva un orecchio mozzato a metà. Indossava una giacca dal taglio alla moda, e portava un fazzoletto di seta legato intorno al collo. — Quanto vale, per lei? — domandò. — Niente. Ma ti dirò quanto vale per te: un lavoro assicurato e un bel collo... senza brutte escoriazioni di corde! Un cappio può rovinare il futuro di un uomo. L'uomo sbuffò. — Non ho ucciso nessuno. Ho solo buttato fuori a calci un paio di tizi che pretendevano più di quanto avevano pagato. — Ridacchiò mettendo in mostra i lunghi denti. — Ma non reclameranno di certo. I gentiluomini che vengono da queste parti si guardano bene dal reclamare! E non sarà lei, uno sbirro, a fargli cambiare idea. Preferirebbero morire piuttosto che sporgere reclamo contro un ruffiano! — Si mise in posa e cominciò a dire in falsetto: — La prego. Vostro onore, le prestazioni di questa prostituta non erano all'altezza della cifra che ho pagato! Vorrei che lei la costringesse a essere più compiacente. Vostro onore! — Cambiò posizione, mise l'altra mano sul fianco e guardò dall'alto in basso. — Ma certo, Lord Sporcaccione! Mi dica soltanto quanto l'ha pagata e dove posso trovarla. Baderò io che le dia soddisfazione! — Hai mai pensato di fare l'attore? — domandò Pitt in tono allegro. — Faresti sbellicare dalle risa. L'uomo esitò; ogni sorta di luminose possibilità gli si presentarono alla mente. Suo malgrado, era lusingato. Si era aspettato di scatenare una reazione violenta, non di ricevere dei complimenti. Pitt tolse di tasca la fotografia di Pomeroy. — Cos'è? — domandò l'uomo. — Lo conosci? — Pitt gliela diede. Sui giornali non erano apparse foto di Pomeroy. — Perché? Cosa gliene importa?
— Cosa m'importa non ti riguarda, ma credimi, m'importa... al punto che continuerò a cercare finché non troverò chi gli ha soddisfatto i suoi gusti particolari. E se continuo a farmi vedere qui attorno, non sarà un bene per i vostri affari, non credi? — D'accordo, lo conosciamo. E con questo? — Perché è venuto qui? L'uomo non credeva alle proprie orecchie. — Cos'ha detto? È stupido, per caso? Per cosa diavolo crede che venga? Era un maledetto invertito, il bastardo. Gli piacevano molto giovani... di sette o otto anni. Ma non potrà mai provarlo, e io non ho detto niente. Adesso se ne vada prima che rovini il suo, di collo, con un bel taglio da un orecchio all'altro! Pitt non aveva bisogno di prove per credergli. Sapeva fin dall'inizio che non ce ne sarebbero state. — Grazie. — Rivolse all'uomo un breve cenno del capo. — Non credo che dovrò disturbarti di nuovo. — Sarà meglio! — gli gridò dietro l'uomo. — Lei non è benvisto da queste parti! Si cerchi un altro posto, per il suo bene! Pitt aveva tutte le intenzioni di andarsene il più in fretta possibile. Prese a camminare a passo veloce, con le mani in tasca per proteggerle dal freddo e la sciarpa avvolta intorno alle orecchie. Dunque, Pomeroy era un pederasta. Non era una sorpresa; se l'era aspettato. Quello che cercava era solo una conferma. Bertie Astley aveva posseduto una serie di case all'Acre. Il mestiere di Max non era mai stato un segreto. Restava soltanto da stabilire i motivi che avevano spinto Pinchin in quel quartiere. Oltre, naturalmente, a scoprire il legame comune, il luogo o la persona che univa l'uno all'altro... il movente. Faceva un freddo cane. Il vento, con il suo odore acre di fogna, gli faceva lacrimare gli occhi. Sollevò la testa, raddrizzò le spalle e accelerò il passo. Forse fu per quello che non li udì avvicinarsi nell'oscurità. Aveva risolto il mistero di Pomeroy, aveva portato a termine il suo compito e aveva dimenticato che si trovava ancora in pieno Acre. Camminando con l'aria soddisfatta di chi ha uno scopo da raggiungere, dava nell'occhio come un coniglio bianco in un campo appena arato. Il primo lo colpì alle spalle. Avvertì una fitta alle reni; inciampò e finì per terra. Rotolò su se stesso, a ginocchia piegate, quindi le distese con tutte le sue forze. I suoi piedi incontrarono un corpo che cedette sotto la violenza della spinta e cadde con un grugnito. Ma ce n'era un altro all'altezza della sua testa. Roteò i pugni e cercò di recuperare l'equilibrio. Un colpo
gli si abbatté su una spalla, doloroso ma innocuo. Sferrò un pugno accompagnandolo con il peso di tutto il corpo, ed ebbe la soddisfazione di udire uno scricchiolio di ossa. Subito dopo avvertì un colpo al fianco. L'avrebbe preso alla schiena se non si fosse girato per sferrare un calcio. Non poteva far altro che darsela a gambe per salvare la pelle. Cento, forse duecento metri al massimo, e sarebbe arrivato al limite dell'Acre, e lì avrebbe potuto trovare una carrozza. Il fianco gli doleva: doveva avere un tremendo livido, ma un bagno caldo e qualche frizione con un linimento sarebbero bastati a guarirlo. I suoi piedi volavano sull'acciottolato. Non si vergognava affatto di scappare: soltanto un imbecille sarebbe rimasto in quel posto. Cominciava a mancargli il respiro e il dolore al fianco era diventato più acuto. Sembrava che mancasse un chilometro alla strada illuminata e al traffico. Gli spettrali aloni dei lampioni a gas erano sempre troppo lontani. — Ehi, tu! Dove stai andando così di fretta? — Una mano lo afferrò e lo trattenne. In un attimo di panico, tentò di sollevare il pugno e colpire l'uomo, ma il suo braccio era di piombo. — Come? Era un agente... un agente in servizio di ronda. — Oh, grazie a Dio! — esclamò. La faccia dell'uomo divenne enorme e sfocata. — Ehi, amico, hai l'aria di non stare troppo bene. Cos'hai? Ehi! Qui! Perdi sangue dal fianco! È meglio che ti porti subito in ospedale! Non voglio che tu mi muoia tra le braccia. Qua! Resisti ancora un po'. Carrozza! Carrozza! In una nebbia di luci oscillanti e con un freddo da intontire, Pitt si sentì spingere su una carrozza che lo trasportò sballottandolo lungo le strade, poi lo aiutarono a scendere con cautela e lo condussero in un labirinto di stanze illuminate. Fu svestito, visitato e tamponato con qualcosa che bruciava maledettamente. Poi gli cucirono la ferita, fortunatamente ancora anestetizzata dal colpo. Lo bendarono, lo rivestirono e gli diedero da bere qualcosa di così forte che gli bruciò la gola e gli fece girare la testa. Alla fine fu gentilmente riaccompagnato a casa. La mattina seguente si svegliò così indolenzito da non potersi quasi muovere, e passò un attimo prima che si ricordasse il perché. Charlotte era china su di lui, pallida e con i capelli in disordine.
— Thomas? — disse con ansia. Lui gemette. — Ti hanno accoltellato. Mi hanno detto che la ferita non è molto profonda; ma hai perso un sacco di sangue. La tua giacca e la camicia sono rovinate! Suo malgrado, Pitt sorrise. Charlotte era davvero molto pallida. — È terribile. Sei sicura che non si possano recuperare? Lei tirò su con il naso, ma le lacrime le rigarono le guance e Charlotte le coprì con le mani. — Non piangerò! È tutta colpa tua. Sei un perfetto idiota! Pomposo come un vescovo mi dici quel che devo e quel che non devo fare, e poi te ne vai all'Acre da solo a fare domande pericolose e a farti accoltellare. — Prese dal comò uno dei suoi grandi fazzoletti e si soffiò il naso. — Immagino che, malgrado tutto questo, tu non abbia nemmeno visto chi è lo squartatore, vero? Pitt si sollevò un po', facendo una smorfia per il dolore al fianco. In realtà, non era affatto sicuro che fosse stato lo squartatore dell'Acre ad aggredirlo. Avrebbe potuto essere qualsiasi gruppo di tagliaborse. — E immagino anche che tu sia affamato — aggiunse Charlotte, ficcando il fazzoletto nella tasca del grembiule. — Bene, il dottore ha detto che ti sentirai molto meglio dopo una giornata a letto. — Mi devo alzare... — Tu farai quel che ti è stato ordinato! — urlò Charlotte. — Non scenderai da quel letto finché non te ne darò il permesso! E non osare discutere! Passarono tre giorni prima che fosse abbastanza forte da tornare alla stazione di polizia, con una fasciatura molto stretta e una costosa bottiglia di porto nello stomaco. La ferita si stava rimarginando, e anche se gli faceva ancora male, riusciva a muoversi. Aveva riflettuto a lungo sugli indizi raccolti sui delitti a Devil's Acre, e si sentiva in obbligo di riprendere le indagini. — Ho assegnato altri uomini al caso — lo rassicurò Athelstan con un gesto preoccupato. — Tutti quelli di cui posso fare a meno. — E cos'hanno scoperto? — domandò Pitt, al quale, in via eccezionale, era stato permesso, anzi era stato addirittura offerto, con tutta la benevolenza, di sedersi nella grande poltrona imbottita invece di restare in piedi. Era una sensazione piacevole, e lui si appoggiò allo schienale, allungando le gambe. Poteva essere la prima e ultima volta che gli veniva concesso un simile privilegio.
— Non molto — ammise Athelstan. — Non sappiamo ancora che legame ci fosse tra quei quattro uomini. Non sappiamo perché Pinchin si sia recato all'Acre. È sicuro che non si tratti di un maniaco, Pitt? — No, non ne sono sicuro, ma non lo credo. Un medico, se non ha troppi scrupoli, può trovare molte occupazioni all'Acre. Athelstan fece una smorfia di disgusto. — Suppongo che sia così. Ma quale delle tante praticava, e per chi? Pensa che fosse lui a procurare a Max le donne di buona estrazione? — È possibile, anche se non c'erano molte donne dell'alta società tra le sue pazienti. — È tutto molto relativo, Pitt. Qualunque donna appena decente farebbe la figura di una signora all'Acre. Riluttante, Pitt si alzò. — Sarà meglio che vada a fare qualche altra domanda... — Ma non da solo! — esclamò Athelstan allarmato. — Non posso permettermi un altro omicidio all'Acre! Pitt lo fissò. — Grazie — replicò in tono secco. — Mi dispiacerebbe crearle dei fastidi. — Maledizione... — Prenderò con me un agente... due, se preferisce. — È un ordine, Pitt... un ordine, lo capisce? — Sì, signore, andrò con due agenti. Ambrose Mercutt era furibondo e terrorizzato all'idea che lo incolpassero dell'aggressione a Pitt, cosa di cui ormai tutti parlavano all'Acre. — È solo colpa sua! — si lamentò Mercutt. — Girovagare in luoghi dove non è desiderato, ficcando il naso negli affari degli altri... per forza l'hanno accoltellata! È una fortuna che non l'abbiano strangolata! Lei è stato un vero stupido. Se dà fastidio alla gente come ha fatto qui con noi, mi sorprende che non l'abbiano uccisa. Pitt non ribatté. Ammetteva di avere sbagliato, non tanto per l'essersi recato all'Acre da solo, ma per aver dimenticato che non doveva dare nell'occhio. Era stato sbadato e. come diceva Ambrose, molto stupido. — E scommetto che le dispiace che non l'abbiano fatto — disse Pitt. — Chi bada alle sue donne quando si ammalano? — Cosa? Pitt ripeté la domanda, ma Ambrose afferrò al volo quel che sottointendeva. — Non Pinchin, se è questo che pensa.
— Forse. Ma parleremo con tutte le sue donne, tanto per verificare. Forse ricordano qualcosa che lei ha dimenticato. La faccia di Mercutt era bianca. — D'accordo! Può darsi che ne abbia curata una o due di tanto in tanto. E con questo? Era molto utile. Qualcuna di queste stupide puttane ogni tanto resta incinta. Se ne occupava lui, e si faceva pagare in natura. Perciò non avrei avuto nessun interesse a ucciderlo, non le pare? — Sempre che lui non la stesse ricattando. — Ricattare me? — L'idiozia di quell'idea rese la sua voce stridula. — Per che cosa? Tutti sanno che lavoro faccio. Non fingo di essere quello che non sono. Io avrei potuto ricattare lui, avrei potuto rovinarlo professionalmente, se avessi voluto. Ma la situazione mi stava bene. Quando è stato ucciso, ho dovuto sostituirlo. Pitt non riuscì a smuoverlo da quella versione, neanche tempestandolo di domande. Alla fine se ne andò con i due agenti per passare a un altro bordello, e poi a un altro ancora. Erano le cinque quando, stanco e indolenzito, arrivò con i due agenti alla casa delle sorelle Dalton. L'aveva tenuta per ultima di proposito; ne pregustava il calore, l'atmosfera gradevole, e forse una tazza di tè. Quella volta erano presenti sia Mary sia Victoria; fu ricevuto con la stessa calma pacata del primo incontro e fu invitato ad accomodarsi in salotto. Quando gli offrirono una tazza di tè, accettò forse con eccessiva precipitazione. Mary lo guardava con sospetto, ma Victoria era gentile come la volta precedente. — Ernest Pomeroy non veniva qui — disse, porgendogli una tazza colma. — Lo so — replicò Pitt prendendola. — So già dove andava. Io stavo pensando al dottor Pinchin. Victoria inarcò le sopracciglia e i suoi occhi grigi parevano il mare in inverno. — Non vedo tutti i nostri clienti, ma non lo ricordo. Di sicuro non è stato assassinato qui... o nelle vicinanze. — Lo conoscevate forse per motivi professionali? Il fantasma di un sorriso le sfiorò le labbra. — Vi riferite alla sua professione o alla mia, signor Pitt? Lui ricambiò il sorriso. — A quella del dottore, signorina Dalton. — No. Godo buona salute e, quando sto male, ne so abbastanza per curarmi da me. — E le donne che lavorano per lei?
— No — si affrettò a intervenire Mary. — Se qualcuna si ammala, ce ne occupiamo noi. Pitt si girò a guardarla. Era più giovane di Victoria. Non aveva la stessa forza di volontà né la stessa espressione decisa della sorella ma, come lei, aveva l'aspetto campagnolo, il naso corto e il viso spruzzato di efelidi. Aprì la bocca e la richiuse nuovamente. Pitt capì al volo: non voleva ammettere di praticare aborti. — Certo, a volte chiamiamo il medico — intervenne di nuovo Victoria. — Ma non ci siamo mai servite di Pinchin. Non ha mai messo piede in questa casa. Pitt le credeva, ma voleva godersi ancora un po' di quel calore, e non aveva terminato il suo tè. — Vuole dirmi un solo motivo in base al quale dovrei crederle? — domandò. — Quell'uomo è stato assassinato, è naturale che lei non voglia ammettere di averlo conosciuto. Victoria lanciò un'occhiata alla sorella, quindi alla tazza di Pitt. Prese la teiera e la riempì di nuovo senza chiedergli se voleva dell'altro tè. — Niente affatto. Quell'uomo era un macellaio, e non voglio che le mie ragazze vengano massacrate al punto di morire dissanguate o di restare troppo mutilate per continuare a lavorare. Mi creda! Pitt si scoprì a chiedere scusa. Era ridicolo. Stava bevendo il tè con la tenutaria di un bordello e le stava dicendo che gli dispiaceva se qualche medico faceva abortire delle prostitute in modo così maldestro! E se fosse stata una bugiarda di prim'ordine? — Lo chiederò di persona alle ragazze. — Finì di bere il tè e si alzò. — Soprattutto alle ultime arrivate. Mary si alzò stringendo le mani a pugno. — Non può! — Non essere sciocca — la rimproverò Victoria. — Certo che può, se vuole. Pinchin non ha mai messo piede in questa casa, a meno che non ci sia venuto come cliente. Le sarei grata, signor Pitt, se non sarà offensivo con le ragazze. Non lo permetterò. — Lo fissò con sguardo fermo, ricordando a Pitt le governanti incontrate presso grandi famiglie. Victoria, senza attendere la sua risposta, lo condusse al piano di sopra e prese a bussare a una porta dopo l'altra. Pitt ripeteva ogni volta le stesse domande a prostitute formose e ridacchianti e poi mostrava loro la foto di Pinchin. Le stanze erano calde e odoravano di profumo scadente, ma erano arredate con colori vivaci e più pulite di quanto si era aspettato. Dopo la quarta, Victoria venne chiamata a occuparsi di qualche emer-
genza, e Pitt rimase solo con Mary. Stava parlando con l'ultima ragazza, tutta pelle e ossa, che non doveva avere più di quindici o sedici anni ed era chiaramente impaurita. Lei guardò la foto di Pinchin e Pitt capì subito che stava mentendo quando disse di non conoscerlo. — Pensaci bene — l'avvertì Pitt. — Fa' molta attenzione. Puoi finire in prigione per aver mentito alla polizia. La ragazza divenne bianca come il gesso. — Adesso basta! — intervenne Mary. — È soltanto una cameriera... che bisogno dovrebbe avere di individui come quello? La lasci in pace. Il suo compito è solo di pulire. La ragazza fece per allontanarsi. Pitt la trattenne per il braccio, non con rudezza, ma impedendole comunque di andarsene. Lei cominciò a piangere. Profondi singhiozzi le scuotevano le spalle, come se fosse sopraffatta da un dolore disperato. Di colpo, Pitt capì che era una delle tante "massacrate" da Pinchin, una che era riuscita a sopravvivere ma conciata al punto di non poter essere mai più una donna normale. Alla sua età avrebbe dovuto ridere, inventarsi storie romantiche, aspettare con ansia di sposarsi. Avrebbe voluto consolarla, ma non c'era niente che lui, o chiunque altro, potesse dire o fare. — Elsie! — Era la voce di Mary, alta e spaventata. — Elsie! — La piccola cameriera stava ancora piangendo, aggrappata ora al braccio di Mary. Dall'estremità del corridoio arrivò un basso ringhio. Pitt si girò. Là, sotto la lampada a gas, c'era un tozzo bullterrier bianco, con i denti in mostra e le gambe arcuate che tremavano. Dietro di lui era ferma la donna più mastodontica che avesse mai visto, con le braccia nude che le penzolavano lungo i fianchi, la faccia piatta come una padella e gli occhi infossati in pieghe di grasso. — Non si preoccupi, signorina Mary — disse la donna con una vocetta sottile come quella di una ragazzina. — Non gli permetterò di farle del male. Se ne sta andando, vero, signore? — Avanzò di un passo e il cane, rizzando il pelo, avanzò con lei. Pitt si sentì assalire dall'orrore. Aveva forse davanti lo squartatore di Devil's Acre? Era quella montagna di donna con il suo cane? Aveva la gola secca; deglutì a vuoto. — Buttalo fuori, Elsie! — strillò Mary. — Buttalo fuori! Con le maniere forti! Coraggio! Aizzagli contro Dutch! Il donnone avanzò di un altro passo. La sua faccia era inespressiva. Forse aveva le maniche arrotolate fino al gomito perché stava lavando o impa-
stando il pane. Al suo fianco, Dutch ringhiò di nuovo. — Basta così! — La voce di Victoria risuonò dalla cima delle scale, dove era scomparsa poco prima. — Non è necessario, Elsie. Il signor Pitt non è un cliente... e non farà del male a nessuno. — Il suo tono divenne più brusco. — Davvero, Mary, a volte sei proprio stupida! — Estrasse un fazzoletto dalla manica e lo porse alla cameriera. — Adesso calmati, Millie, e continua il tuo lavoro! Piantala di frignare... non c'è motivo di piangere. Coraggio! — Guardò la ragazza allontanarsi di corsa, seguita dal donnone e dal cane. Mary aveva l'aria imbronciata, ma rimase zitta. — Mi dispiace — disse Victoria a Pitt. — Abbiamo trovato Millie in pessime condizioni. Non so chi fosse il responsabile, ma può darsi che sia stato Pinchin. La povera creatura per poco non è morta dissanguata. Era rimasta incinta e il padre l'aveva cacciata di casa. Era finita in una delle case e lì l'avevano fatta abortire. Poi, quando l'hanno cacciata perché non era più di nessuna utilità, noi l'abbiamo accolta. Non c'era niente che Pitt potesse dire. Non c'erano parole che potessero esprimere il suo orrore per quella vicenda. Victoria lo riaccompagnò dabbasso. — Mary non avrebbe dovuto chiamare Elsie. Interviene solo quando qualche cliente crea problemi. — Il suo viso era inespressivo. — Spero che non si sia spaventato, signor Pitt. Più che spavento, aveva provato un autentico terrore: era ancora tutto sudato. — Per niente — mentì. — Grazie per la sua franchezza, signorina Dalton. Adesso so cosa ci faceva Pinchin all'Acre, e da dove provenivano i suoi guadagni extra. Lei per caso non sa a chi forniva le sue prestazioni professionali? — Millie era con Ambrose Mercutt, se è questo che vuole sapere — rispose Victoria con calma. — Non posso dirle niente di più. — Non credo che mi occorra altro. — Pitt uscì nell'atrio e i due agenti, paonazzi, scattarono in piedi facendo cadere le ragazze che tenevano sulle ginocchia. Pitt si rivolse a Victoria facendo finta di niente. — Grazie, signorina Dalton. Buonanotte. Victoria rimase altrettanto imperturbabile. — Buonanotte, signor Pitt. 9 Il generale Balantyne non riusciva a cancellare dalla mente i delitti di Devil's Acre. Non aveva mai udito il nome del dottor Pinchin né dell'ulti-
ma vittima, Ernest Pomeroy, prima che i giornali ne facessero sinonimo di orrore e abominio. Ma la faccia di Max Burton, con le sue palpebre pesanti e le labbra carnose, suscitava in lui ricordi angoscianti di altri delitti, incidenti dolorosi del passato che non aveva mai capito del tutto. E Bertie Astley apparteneva alla stessa classe sociale di Balantyne, qualcosa in meno dell'aristocrazia, ma molto più della borghesia. Tutti potevano arricchirsi e imparare o almeno imitare le belle maniere. L'arguzia, l'eleganza e perfino la bellezza non contavano: erano qualità piacevoli, ma nessuno dotato di buonsenso se ne lasciava abbindolare. Gli Astley, invece, erano persone con una buona educazione alle spalle: generazioni di onorevole reputazione, di servizi resi alla Chiesa o allo stato, li avevano inseriti in un ristretto mondo di privilegiati che un tempo era sembrato dorato e sicuro. Di tanto in tanto qualche mascalzone o imbecille lo abbandonava, ma a nessun estraneo era mai stato concesso di accedervi. Come mai il cadavere di Bertram Astley era stato trovato sui gradini di un bordello per omosessuali? Balantyne, naturalmente, non era tanto ingenuo da escludere la possibilità che Astley vi si fosse recato per il motivo più ovvio, o che fosse stato assassinato lì per caso da un pazzo. E non poteva nemmeno smettere di temere che non si trattasse di una disgrazia ma di un omicidio premeditato. Diffidava della comoda ipotesi che fosse stato un assassino qualsiasi a scegliere due uomini, Max e Bertie, così dissimili, ma entrambi suoi conoscenti. Accennò all'argomento con Augusta. Lei pensò subito che volesse discutere di Devil's Acre, e di progetti per sanare la piaga della prostituzione e dei mali che ne derivavano, e il suo viso divenne impenetrabile. — Diamine, Brandon, per essere un uomo che ha trascorso la parte più matura della sua vita nell'esercito, sei stranamente ingenuo! — commentò con un'ombra di disprezzo. — Se credi di riuscire a modificare gli istinti basilari della natura umana con qualche legge ben intenzionata, allora il tuo posto è sul pulpito di qualche paesino dal quale potresti dispensare sentenze e luoghi comuni a signorine attempate e irreprensibili senza far danni. Qui, in una società sofisticata, sei ridicolo! Balantyne si irritò. Augusta non era soltanto crudele, ma del tutto ingiusta. E non aveva capito quel che intendeva dire lui. — Ho sentito definire l'omicidio di Bertie Astley in molti modi — disse in tono tagliente — ma tu sei la prima a usare l'espressione "sofisticato". È un termine di cui mi sfugge la pertinenza. Le guance di Augusta si coprirono di rossore. Il marito l'aveva fraintesa
di proposito. — Non apprezzo il sarcasmo, Brandon. E tu non possiedi l'arguzia necessaria per permettertelo. Bertie Astley è solo la sventurata vittima del pazzo che sta facendo questo scempio. A che scopo fosse andato in quel quartiere probabilmente non lo sapremo mai, e non ci riguarda. Lascia che riposi in pace e rispetta il dolore della sua famiglia. È indelicato al massimo continuare a rammentare le circostanze della sua morte. Un vero gentiluomo non lo farebbe. — Allora è tempo che ci siano meno gentiluomini e molti più poliziotti, per prendere qualche serio provvedimento — replicò Balantyne. — Da parte mia, non desidero nel modo più assoluto che a Londra si trovino altri cadaveri mutilati. Augusta lo guardò con aria annoiata. — Di gentiluomini già scarseggiamo. Io vorrei che ce ne fossero di più, non di meno! — Gli voltò le spalle e se ne andò, lasciandolo con la sensazione di aver avuto la peggio, malgrado si sentisse dalla parte della ragione. Il giorno seguente, Christina pranzò con la madre, ma si rifiutò di andare con lei a far visite. Balantyne si trovò così da solo con la figlia in salotto. Il fuoco ardeva nel camino e nella stanza c'era una bella luce calda. L'atmosfera era familiare: pareva fossero tornati indietro nel tempo, quando lui era giovane e lei una bambina, e il loro affetto era una realtà scontata. Si appoggiò allo schienale della poltrona e osservò Christina, in piedi accanto al rotondo tavolo di marmo. Aveva un volto molto grazioso, con lineamenti fini, labbra piene, occhi grandi, capelli luminosi. La sua figura, nell'abito elegante, conservava la freschezza di una ragazza. Era uno strano miscuglio di bambina e donna... forse in quello risiedeva il suo fascino. Aveva avuto molti ammiratori prima di sposare Alan Ross e, a giudicare dalle occasioni mondane in cui l'aveva incontrata, ne aveva tuttora, anche se erano più discreti. — Christina? Lei si voltò a guardarlo. — Sì, papà? — Tu conoscevi Sir Bertram Astley. — Non lo disse con il tono della domanda, perché non avrebbe accettato un diniego. Lei rimase voltata verso di lui, ma abbassò gli occhi su una porcellana posata sul tavolo. L'argomento era volgare, non degno di discuterne. — Superficialmente — rispose. — Prima o poi nell'alta società si finisce per conoscere quasi tutti. — Non gli chiese il perché di quella domanda. — Che tipo di uomo era? — Simpatico, per quanto potevo giudicare. Ma del tutto comune.
Era così sicura di sé che Balantyne non poteva non crederle. Eppure, sapeva che frequentava ambienti che non erano né semplici né ingenui. Era molto meno innocente di quanto lui non fosse stato alla sua età... Forse lo era ancora? — Cosa ne pensi di Beau Astley? Christina esitò un attimo. C'era un'ombra di rossore sul suo volto, o era il riflesso del fuoco? — Affascinante — rispose con voce inespressiva. — Molto simpatico, anche se non posso dire di conoscerlo bene. Il mio è un giudizio superficiale. Se ti aspetti da me qualche osservazione profonda, papà, temo che ti deluderò. Non avevo idea che Bertram Astley avesse tendenze perverse. Ero convinta che facesse la corte a quella sciocca della Woolmer, e che intendesse sposarla. Dal momento che non è ricca e che non viene da una grande famiglia, posso solo supporre che si trattasse di una questione fisica. — Lanciò un'occhiata al padre. — Mi dispiace se ti scandalizzo. A volte ti trovo di idee incredibilmente ristrette. Balantyne sapeva che la figlia la pensava in quel modo, ma lo feriva sentirselo dire. Non voleva insistere sull'argomento difendendosi e, al tempo stesso, si rendeva conto che avrebbe dovuto farlo. Non poteva permettere a Christina di parlargli con così poco rispetto. — Allora o non è andato a Devil's Acre per i motivi che si suppone, oppure era un uomo di gusti molto diversi — disse in tono secco. Christina rise di cuore. Le sue mani tenevano sollevato in aria il soprammobile di porcellana; aveva belle dita, sottili e lunghe. — Sai, mi aspettavo che ti saresti infuriato e invece, a quanto pare, hai un certo senso dell'umorismo. — Senso dell'assurdo — la corresse Balantyne. — Se Bertie Astley corteggiava la signorina Woolmer con tanto impegno, come dici tu, mi è difficile credere che andasse a soddisfare appetiti del tutto differenti a Devil's Acre. Oppure la signorina Woolmer l'aveva respinto? Christina fece una smorfia. — Tutt'altro. Si aggrappava a lui come una donna in procinto di annegare. E la madre era anche peggio. E adesso si accaparreranno il povero Beau, se ci riescono. — E il "povero Beau" è contrario? Lei esitò di nuovo, mentre le sue dita si stringevano intorno al soprammobile. — Non ne ho la minima idea. Come ho detto, non lo conosco molto, e la cosa non mi riguarda. — Rimise il soprammobile al suo posto e sorrise, allontanandosi dal tavolo per andare verso il fuoco. La luce scintil-
lò riflessa dal satin del suo abito, prima di annidarsi di nuovo tra le ombre. — Avevi mai sentito parlare di una delle altre vittime? — Appena l'ebbe detto, Balantyne si rese conto che era una domanda stupida, e avrebbe voluto rimangiarsi le parole. — A parte Max, naturalmente! — aggiunse per renderla almeno logica. Forse nella mente della figlia si agitò qualche ricordo dei tempi in cui Max lavorava per loro come cameriere. La vide deglutire e si sentì in colpa per averlo nominato. — Molto difficile — rispose Christina. — Uno non era un medico e l'altro un insegnante? Non appartenevano certo al mio ambiente, papà. Non c'è un detto a proposito della necessità che abbina strani compagni di letto, o qualcosa del genere? — Scoppiò in una risata un po' aspra. — Forse erano tutti vittime dello stesso vizio. Forse andavano a Devil's Acre a giocare d'azzardo, e avevano perso. Mi sembra di aver sentito dire che Bertie Astley giocava. Non pagare i propri debiti è una colpa gravissima, lo sai. Non te l'hanno insegnato, sotto le armi? — Mettevano al bando chi non li pagava — rispose Balantyne con calma, fissandola. — Non li uccidevano e... — Esitò a usare un termine molto descrittivo davanti alla figlia, ma subito dopo si vergognò del proprio imbarazzo. Perché balbettare eufemismi come una vecchia? Perché avrebbe dovuto parlare della virilità sottovoce? — Non li castravano — concluse. Lei parve non prestare attenzione a quel termine. La luce del fuoco le coloriva le guance; Balantyne non riuscì a capire se era arrossita. — A Devil's Acre non ci sono ufficiali e gentiluomini, papà — gli fece notare con un certo sarcasmo. — Metterli al bando non servirebbe molto. Aveva ragione, certo. A che cosa sarebbe servita una simile minaccia? Il vincente non avrebbe recuperato neanche un centesimo, mentre i perdenti avrebbero scelto altri luoghi per il futuro. E il creditore non avrebbe osato pubblicizzare la cosa per non perdere la faccia, rischiando che da quel momento nessuno più lo pagasse. — In realtà — proseguì Christina voltandosi a guardarlo — avrei pensato che quello fosse uno dei metodi più efficaci. Mi sorprende che ci siano voluti quattro morti per raggiungere lo scopo. — È più che sorprendente. È incredibile. La luce sul vestito accentuava le curve snelle del corpo della figlia. Non sembrava molto diversa da quando aveva diciassette anni, eppure Balantyne aveva l'impressione che fosse irraggiungibile. Era stata sempre così, e soltanto la sua presunzione gli aveva permesso di credere di conoscerla
perché era sua figlia? — Non si arriva a odiare a quel punto per un debito di gioco. — Tornò sull'argomento perché non l'aveva ancora esorcizzato. — Che fossero matti? — Christina si strinse nelle spalle. — Chi può saperlo? Papà, è una vicenda veramente disgustosa. Dobbiamo proprio parlarne? Parole di scusa gli salirono alle labbra, ma poi cambiò idea. — Tu riesci a non pensarci? — chiese invece. — Io no. — Si vede — replicò Christina, con un'ottima imitazione del disprezzo di Augusta. — Certo che riesco a non pensarci. Diversamente da te, non trovo particolarmente affascinanti le avventure nei bassifondi. Preferisco di gran lunga l'ambiente in cui sono cresciuta. — Credevo che lo trovassi noioso. Te l'ho udito dire spesso. Christina sollevò il mento e si allontanò di qualche passo. — Mi stai suggerendo di dare un'occhiata a Devil's Acre per trovarmi qualche diversivo? Non credo che ad Alan farebbe piacere! E la mamma ne resterebbe sconvolta. — Andò al campanello e lo suonò. — Purtroppo, al pari di molte donne, dovrò sopportare un po' di noia e un sacco di banalità nella vita quotidiana. Ma trovo estremamente ampolloso il tuo atteggiamento moraleggiante. Non hai la minima idea di cosa ci sia dietro quei delitti, e non riesco a capire perché vuoi continuare a parlarne, a meno che non sia per sentirti superiore. Non voglio più discuterne. Come dice la mamma è una vicenda troppo sordida. Un cameriere rispose alla chiamata. — Per favore, la mia carrozza, Stride — gli disse con freddezza. — Torno a casa. Guardandola andarsene, Balantyne provò un misto di sollievo e di solitudine. Era la differenza tra uomini e donne, o tra una generazione e l'altra ad aprire quel baratro tra le loro mentalità? Erano sempre meno le persone con cui parlava volentieri e con le quali aveva l'impressione di discutere argomenti importanti, e non di scambiare solo parole convenzionali che non significavano niente per nessuno. Perché aveva voluto discutere dei delitti con Christina? O con chiunque? C'erano migliaia di altre cose di cui parlare, tutte piacevoli, interessanti, perfino divertenti. Perché Devil's Acre? Perché nel ricordare le parole di Brandy sulla miseria e la sofferenza, riusciva a capire l'odio che poteva aver spinto qualcuno a uccidere un essere come Max... anche se la feroce mutilazione superava la sua comprensione. Lui lo avrebbe eliminato con
un colpo di pistola al cervello. Ma forse, dopotutto, se fosse stata sua moglie o sua figlia che Max aveva sfruttato nel suo bordello, avrebbe potuto avvertire il bisogno non solo di ucciderlo ma anche di distruggere la sua virilità. Ci sarebbe stata una sorta di giustizia nel farlo. Non riusciva a pensare ad altro. E non c'era nessuno con cui poterne discutere senza suscitare collera o essere accusato di vuoto moralismo. Era così che lo vedeva la sua famiglia, le donne che amava? Un uomo insensibile, pomposo, ossessionato da una serie di sordide uccisioni in un quartiere di cui non sapeva niente? Di sicuro non era così che lo vedeva Charlotte. Gli era parsa interessata. Che lo fosse soltanto per cortesia? Ricordò le lettere del soldato di Wellington in Spagna; lei aveva mostrato di trovarle eccitanti. Quella luce sul suo volto era stata solo una manifestazione di gentilezza? Era un pensiero odioso. Si alzò, lasciò la stanza e andò nel suo studio. Prese un foglio di carta e scrisse a Emily Ashworth. Era la sorella di Charlotte; avrebbe saputo come farle pervenire il messaggio che le lettere del soldato erano disponibili, se a Charlotte interessava leggerle. Mandò il cameriere a consegnare la lettera prima di avere il tempo di ripensarci. Il pomeriggio seguente appena giunta un'ora decorosa per far visita, la cameriera entrò a comunicare che la signorina Ellison era nella saletta della colazione, e chiedeva se il generale desiderava riceverla. Balantyne sentì un'ondata di eccitazione pervaderlo, e il sangue affluirgli alle guance. Era ridicolo... lei era lì per vedere le lettere. Non c'era niente di personale. Si sarebbe dimostrata altrettanto sollecita se a possederle fosse stato un altro. — Sì. — Deglutì e cercò di guardare la cameriera con aria disinvolta. — Certo. È venuta a vedere certi documenti storici, perciò falla accomodare in biblioteca e portaci il tè. — Sì, signore. — Se la cameriera trovava strana la cosa, non lo fece capire. Balantyne si alzò e si lisciò la giacca. Con un gesto inconscio, portò le mani alla cravatta. Era troppo stretta. L'allentò un po' e si assicurò davanti allo specchio che fosse annodata a dovere. Charlotte era in biblioteca. Si girò e gli sorrise. Lui non notò nemmeno le calde tonalità di rosso del suo abito né che aveva gli stivali bagnati. Vi-
de soltanto la luce sul suo volto. — Buongiorno, generale — disse Charlotte. — È molto gentile da parte sua permettermi di leggere quelle lettere. Spero di non averla disturbata. — No... no, per niente. — Avrebbe voluto che lei lo chiamasse per nome, ma sarebbe stata una familiarità eccessiva proporglielo. Doveva comportarsi con dignità, altrimenti l'avrebbe messa in imbarazzo. — In questo momento non ho impegni. — Più tardi avrebbe preso il tè con Robert Carlton, un lieve ritardo non avrebbe avuto importanza; erano vecchi amici e non badavano ai formalismi. — Lei è molto generoso. — Charlotte sorrideva sempre. — La prego, si accomodi. — Le indicò la grande poltrona accanto al camino. — Ho detto alla cameriera di portarci il tè. Spero lo gradisca. — Oh, sì, grazie. — Charlotte si sedette e appoggiò i piedi al parafuoco. Per la prima volta, Balantyne notò quanto erano bagnati e logori i suoi stivali. Distolse lo sguardo e andò a prendere le lettere da uno scaffale della libreria. Le esaminarono insieme per una mezz'ora. La cameriera portò il tè, Charlotte lo versò, quindi si immersero di nuovo nel mondo sconosciuto della Spagna all'inizio del secolo. Il soldato scriveva con tanta intensa sincerità da riuscire a intuire i suoi pensieri, le sue emozioni, da sentire la vicinanza di altri uomini e l'impatto della battaglia, la sua fame, le lunghe ore trascorse ad attendere la battaglia, la sua paura. Alla fine Charlotte si appoggiò allo schienale e fissò un punto lontano, con gli occhi sgranati. — Sa, con i suoi scritti quel soldato mi ha regalato una porzione della sua vita. Mi sento molto ricca. La maggior parte della gente è limitata a un'epoca e a un luogo, mentre io ho avuto il privilegio di vedere un'altra epoca e un altro luogo in modo così vivido che è come se ci fossi stata. Balantyne guardò il suo viso illuminato dal piacere, e si sentì ridicolmente ricompensato. La sensazione di essere solo svanì, come svanisce la notte quando tutta la terra si protende verso il sole. Si scoprì a ricambiare il suo sorriso. D'istinto allungò la mano a sfiorare per un breve attimo quella di Charlotte. Tutto il suo corpo era avvolto dal calore che emanava da lei. Riluttante, ritrasse la mano. Era un momento che non aveva il coraggio di prolungare; l'intensità con cui lo desiderava era sufficiente a metterlo in guardia. Quali parole scegliere che fossero sincere? Avrebbe distrutto l'atmosfera di quel momento se si fosse abbassato a pronunciare qualche banalità, nata
magari nella mente di altri. — Ne sono felice — si limitò a dire. — Quelle lettere sono state molto importanti anche per me. Avevo l'impressione di conoscere quel soldato meglio di quanto conosca la gente con cui m'incontro e parlo, e le cui esistenze credevo di capire. Charlotte distolse gli occhi dai suoi e trasse un profondo respiro. Il generale osservò le curve morbide del suo busto, la gola, la bella linea della guancia. — Il fatto di vivere a contatto con delle persone non significa conoscerle — disse Charlotte pensierosa. — Se ne conosce solo l'aspetto esteriore. A Balantyne venne in mente Christina. — Si ha la tendenza a credere che agli altri interessino le stesse cose che interessano a noi — proseguì Charlotte. — A volte è un trauma scoprire che non è così. Non riesco a cancellare dalla mente i delitti di Devil's Acre, eppure la maggior parte della gente che conosco preferisce non udirne parlare. Le circostanze ricordano miserie e ingiustizie che fanno male. — Si girò a guardarlo negli occhi, un po' imbarazzata. — Chiedo scusa... trova sconveniente che vi abbia accennato? — Trovo offensivo e spaventoso che ci sia chi preferisce ignorarle — fu la risposta sincera del generale. L'avrebbe considerato anche lei ampolloso come Christina? Non doveva avere che qualche anno di più. Quel pensiero lo colpì con un dolore improvviso. Si stava comportando in modo ridicolo. — Generale Balantyne? — Charlotte, molto seria, gli sfiorò la manica. — Davvero non l'ho offesa accennando a quell'argomento? Lui si schiarì la gola. — Assolutamente no! — Si appoggiò allo schienale rigido della sua sedia, in modo da non sentire il calore di lei o il tenue profumo di lavanda e di pulito. Sensazioni violente lo assalivano, e lui fece appello al buon senso per sedarle. Udì la propria voce come se venisse da molto lontano. — Ho cercato di discuterne. Brandy è molto preoccupato, e anche Alan Ross. Ma le donne ne restano turbate. — Ecco che era di nuovo pomposo! Lei però non parve accorgersene. — È naturale che Christina ne sia sconvolta — disse, guardandosi le mani strette in grembo. — Dopotutto conosceva Sir Bertram Astley, e conosce la signorina Woolmer, con la quale lui era fidanzato. Ed è più che naturale che la polizia si chieda se il signor Beau Astley potesse invidiare il fratello al punto di volerlo morto, visto che ne avrebbe ereditato il titolo e le proprietà. E ovviamente la signorina Woolmer è molto affezionata anche a lui... ho sentito dire che è estremamente affascinante. In quanto sua amica, Christina non può non es-
sere addolorata per lui. Deve soffrire parecchio non solo per il lutto, che l'ha colpito, ma anche per i pettegolezzi che i malvagi fanno sul suo conto. Balantyne ci pensò, ma concluse che Christina non aveva espresso la minima compassione. Anzi, gli aveva dato l'impressione che quella vicenda la infastidisse. D'altra parte, Charlotte stava attribuendo a Christina le emozioni che avrebbe provato lei stessa. — Inoltre, quel disgraziato, Max Burton, una volta lavorava come cameriere in questa casa —proseguì Charlotte. — Benché sia difficile che vi interessi la sua sorte, è sgradevole pensare che una persona che conoscevate abbia fatto una fine simile. — Come fa a sapere che si trattava del nostro cameriere di un tempo? — domandò Balantyne sorpreso. Non ricordava che avessero alluso a Callander Square sui giornali, o al lavoro precedente di Max. E Burton non era un nome insolito. Il rossore imporporò le guance di Charlotte, che distolse lo sguardo. A Balantyne dispiaceva metterla in imbarazzo, ma riteneva importantissimo che tra loro due ci fosse la massima sincerità. — Charlotte? — Ammetto di avere ascoltato dei pettegolezzi — rispose lei, un po' sulla difensiva. — Emily e io ci battiamo per richiamare l'attenzione di persone influenti sulle condizioni di certa gente, soprattutto sui giovani costretti a prostituirsi. A quanto pare, non si può combattere questa situazione con le leggi, ma si può influenzare l'opinione pubblica in modo che quelli che praticano simili abusi finiscano per trovarsi in una posizione intollerabile. — Alzò la testa e lo guardò negli occhi, sfidando la sua disapprovazione. Niente di quanto poteva dire avrebbe alterato le sue convinzioni. Balantyne provò un impeto di gioia intuendo i suoi pensieri. — Mia cara — disse con candore. — Non vorrei certo farlo. Un lampo di confusione passò nello sguardo di lei. — Chiedo scusa? — Non mi sta forse sfidando a cercare di farle cambiare idea? A manifestarle la mia disapprovazione? Il volto di Charlotte si rilassò in un sorriso, e Balantyne si rese conto con orrore quanto desiderasse toccarla. L'unione delle menti non era sufficiente; c'erano cose al tempo stesso troppo forti e troppo delicate per trasmetterle con mezzi così semplici come il linguaggio. Emozioni a lungo assopite nel suo intimo ruppero la barriera che le tratteneva, distruggendo il suo equilibrio. Avrebbe voluto che quel pomeriggio si protraesse in un futuro indefinito senza notte, per impedire ad Augusta di tornare a casa e riportare la normalità... e la solitudine.
Charlotte lo stava guardando. Gli aveva letto quei pensieri in viso? La luce di sfida svanì dagli occhi di lei. — Solo su quell'argomento — disse in tono pacato. — Perché so di avere ragione. Ce ne sono moltissimi altri sui quali potrei essere costretta a darle ragione se mi facesse notare che ho torto. Io stessa mi sento in torto. Il generale non sapeva a cosa si stesse riferendo, e sarebbe stato indelicato chiederlo. Ma non credeva che avesse detto quelle parole per falsa modestia o per mettersi in evidenza. Provava un senso di colpa che la disturbava. — Tutti abbiamo dei difetti, mia cara — disse con dolcezza. — Nelle persone che amiamo, le loro virtù ce li fanno passare in secondo piano. Le qualità meno buone, evitiamo di notarle. Sappiamo che ci sono, ma non ci feriscono. Se la gente non avesse debolezze, cosa potremmo offrire di nostro che possano considerare prezioso? Charlotte si alzò di scatto, e per un attimo a lui parve che ci fossero delle lacrime nei suoi occhi. Forse lei conosceva i suoi pensieri, sapeva che cosa stava cercando di dire, e al tempo stesso di non dire? L'amava. Finalmente il suo cervello l'aveva espresso a parole. Sarebbe stato imperdonabile metterla in imbarazzo. Doveva controllarsi, a qualunque costo. Raddrizzò le spalle. — Mi sembra un ottimo lavoro quello che ha intrapreso con Emily — disse, pregando il cielo che la sua voce suonasse normale. — Sì. — Charlotte continuò a voltargli le spalle e a guardare il giardino fuori dalla finestra. — Vi sono impegnati anche Lady Cumming-Gould e il signor Somerset Carlisle, il membro del Parlamento. Abbiamo già ottenuto dei risultati. — Alla fine si girò e gli sorrise. — Sono felice della sua approvazione. Adesso che l'ha espressa, posso confessare che, in caso contrario, ci sarei rimasta male. Balantyne sentì il calore bruciargli di nuovo le guance con un misto di piacere e di sofferenza. Si alzò e prese le lettere del soldato dalla scrivania. Non sopportava l'idea che lei se ne andasse, ma era altrettanto intollerabile lasciare che restasse ancora. Non doveva tradirsi. L'emozione che provava era così intensa e così poco affidabile che doveva restare solo. — La prego, le prenda e le rilegga se vuole. Charlotte capì che era un congedo. — Le terrò con molta cura — disse. — Sento che è amico di entrambi. La ringrazio per questo pomeriggio eccezionale. Buongiorno, generale Balantyne. Lui trasse un profondo respiro. — Buongiorno, Charlotte. — Suonò il
campanello. Quando il cameriere arrivò, rimase a guardarla allontanarsi con la schiena eretta e la testa alta. Rimase dove lei l'aveva lasciato, cercando di conservare la sensazione della sua presenza, di avvolgersi in un bozzolo dorato prima che il calore si dileguasse lasciandolo di nuovo nella sua solitudine. Quella notte Balantyne non dormì bene. Fece in modo di essere fuori quando Augusta tornò, e quando rientrò a casa era già in ritardo per la cena. — Non riesco a capire come ti vada di passeggiare a quest'ora — commentò la moglie scrollando il capo. — È buio pesto, ed è una delle sere più fredde dell'anno. — È bello, invece — rispose lui. — Immagino che adesso ci sia la luna. — Il vero motivo che l'aveva spinto a passeggio era rimandare il momento dell'incontro con sua moglie che avrebbe determinato la fine di un sogno e il ritorno alla normalità della vita. Cercare di spiegarglielo sarebbe stato crudele e incomprensibile per lei. E così affrontò invece un altro argomento sgradevole. — Augusta, credo che sarebbe opportuno che tu facessi due chiacchiere con Christina e le dessi qualche consiglio. Augusta inarcò le sopracciglia e si bloccò con il cucchiaio a metà strada dalla bocca. — Davvero? A che proposito? — A proposito del suo comportamento con Alan. — Pensi che venga meno ai suoi doveri? — Non è così semplice. — Balantyne scosse la testa. — Ma il dovere non genera amore. È testarda, sgarbata. Non ha mai un attimo di dolcezza. È completamente diversa da Jemima, per esempio. — Naturalmente. — Augusta portò il cucchiaio alla bocca e mangiò con eleganza. — Jemima è stata educata come una governante. È scontato che sia molto più ubbidiente e riconoscente. Christina è di sangue nobile. Non era necessario ricordargli che il padre di Augusta era stato un conte, mentre il suo aveva soltanto meriti militari. — Stavo pensando alla sua felicità — insistette con fermezza. — Si può essere principesse e non ispirare necessariamente amore. Tornerebbe solo a suo vantaggio se fosse un po' più carina con Alan, e se desse molto meno per scontata la sua devozione. Non è uomo da lasciarsi incantare dalle apparenze, o da amarla di più perché vede che altri uomini la trovano attraente. Augusta diventò di colpo pallida e le sue dita s'irrigidirono intorno al
cucchiaio. — Stai male? — chiese Balantyne confuso. — Augusta! Lei sbatté le palpebre. — No... no, sto benissimo. Ho soltanto ingoiato il boccone troppo in fretta. Cosa intendi dire, di Christina? È stata sempre un po' civetta, ma è naturale per una bella donna. Alan non può prendersela per questo. — Ma tu parli di apparenze! — Perché Augusta non riusciva a capire? — Io sto parlando di amore, di dolcezza. Augusta sgranò gli occhi, nei quali un'ombra di amaro umorismo confuse Balantyne. — Stai facendo il romantico, Brandon. Da te non mi sarei aspettata niente di così... così giovanile! — Volevi dire ingenuo? Al contrario, le ingenue siete tu e Christina... a immaginare che una relazione possa sopravvivere senza sentimenti sinceri e qualche sacrificio in nome della dolcezza. Si può convincere il prossimo a concludere un affare, ma non si può imporre a nessuno un affetto. Augusta rimase in silenzio per diversi minuti, riflettendo sulle sue parole e sulla risposta da dargli. — Non credo che dovremmo interferire in affari che non ci riguardano più — disse alla fine. — Christina è ormai una donna sposata. Della sua vita privata è responsabile Alan, e tu usurperesti i suoi diritti dandole dei consigli, soprattutto su questioni così personali. Balantyne non credeva alle proprie orecchie. Era l'ultima risposta che si sarebbe aspettato da lei. — Vuoi dire che tu saresti disposta a guardarla distruggere il suo matrimonio perché consideri un'interferenza darle dei consigli? Non ha cessato di essere nostra figlia solo perché è diventata la moglie di Alan, e noi non abbiamo certo smesso di volerle bene. — No, che non abbiamo smesso di volerle bene! — replicò Augusta con impazienza. — Ma, secondo la legge, adesso è Alan responsabile per lei. Per una donna il matrimonio è un cambiamento ben più grande di quanto tu creda. Quello che succede tra loro due, sono loro faccende private, e noi commetteremmo un grosso errore a interferire. — Sorrise a fior di labbra. — Ti avrebbe fatto piacere, Brandon, se mio padre ti avesse dato dei consigli su come comportarti con me? — Io ti dicevo di dare consigli a Christina... non ad Alan! — Li avresti accettati, tu, da tuo padre? Era un pensiero del tutto nuovo per lui. Non gli era mai passato per la mente che qualcun altro avrebbe potuto preoccuparsi per la sua vita privata. Sarebbe stato offensivo! Ma Christina era sua figlia, e lui stava cercando di convincere Augusta, sua madre, a consigliarla di modificare degli at-
teggiamenti dai quali le sarebbe derivata soltanto infelicità. — Non me la sarei presa a male se tua madre ti avesse suggerito di dare più peso all'affetto che al dovere, se l'avesse ritenuto necessario. Anzi, mi domando se non l'abbia mai fatto. — Non l'ha mai fatto! — esclamò Augusta con un'ombra di durezza. — E non darò consigli a Christina a meno che non me li chieda lei. Farlo per prima significherebbe presumere che so quali sono i loro rapporti, e lei si vedrebbe costretta a parlarmi di argomenti molto personali. Non la metterò in una situazione simile, e non voglio che mi creda curiosa. Balantyne non sapeva più cosa ribattere: sembravano parlare due lingue diverse. Lasciò che il silenzio chiudesse l'argomento. Non poteva parlare lui con Christina: non sapeva come iniziare, né come evitare che si mettesse a ridere o si offendesse. Ma poteva parlare ad Alan Ross. Sentendo di non poter aspettare l'occasione propizia, il giorno seguente Balantyne andò a far visita al genero, a un'ora in cui riteneva probabile che Christina non fosse in casa. E se ci fosse stata, non sarebbe parso strano che chiedesse di scambiare due parole da solo con Ross. Il pensiero di quel colloquio non lo rallegrava, perché aveva abbandonato l'idea di ricorrere a sotterfugi. Dal momento che i suoi stessi sentimenti erano stati spogliati delle abituali protezioni di riti e parole, trovava molto più facile decidere di essere franco. Christina era fuori. Alan Ross lo fece accomodare nel suo studio, dove stava scrivendo delle lettere. Era una stanza piacevole, di gusto molto maschile, nella quale Alan passava sicuramente molto tempo e teneva i suoi beni personali. Si scambiarono frasi convenzionali per qualche minuto. Normalmente sarebbero passati a discutere argomenti di interesse comune, ma quel giorno Balantyne era troppo preso dal motivo della sua visita per perdere tempo in convenevoli. Appena il cameriere ebbe lasciato il vassoio con lo sherry e i bicchieri, si rivolse a Ross. — Conoscevi bene Bertie Astley? — gli domandò. Alan Ross parve impallidire. — Non molto. Balantyne esitò, incerto su come continuare. C'era dolore sotto quella risposta educata, forse il ricordo di Christina che rideva e civettava? Chissà perché, s'immaginava i fratelli Astley come due uomini eleganti e spiritosi, divertenti come non era mai stato Alan Ross. Era di natura più seria, più profonda e molto più difficile da comprendere.
— Io non l'ho mai conosciuto — proseguì Balantyne. — Credi che fosse andato di sua volontà nel luogo in cui l'hanno trovato morto? Ross sorrise a fior di labbra e i suoi occhi azzurri incontrarono quelli di Balantyne. — Ne sarei sorpreso. Mi era sembrato un uomo normalissimo, le poche volte che l'ho visto. — Vuoi dire che corteggiava molto le donne? Il sorriso di Ross si allargò. — Non più di quanto non faccia un giovanotto che si sente stringere dal cappio del matrimonio e che desidera godersi la libertà finché può. La madre della signorina Woolmer è di un rigore micidiale. Balantyne ricordò le sue ultime settimane da scapolo, prima che si decidesse a chiedere al padre di Augusta la sua mano. Sapeva che l'avrebbe fatto, certo, eppure era piacevole giocare con l'idea che poteva non farlo, assaporare con l'immaginazione ogni genere di altre possibilità che non avrebbe mai colto. Incrociò lo sguardo di Ross. Si capivano alla perfezione. — Immagino che Christina sia molto sconvolta per la sua morte. — Era più un'osservazione che una domanda. Avrebbe spiegato la tensione che avvertiva in lei. Aveva sempre odiato manifestare il proprio dolore. — Non in particolare, anche se gli era piuttosto affezionata — replicò Ross. che aveva girato il capo. I suoi lineamenti erano tesi. — È affezionata a un sacco di gente. Balantyne sentì la pelle coprirsi di sudore. Affezionata? Era un eufemismo per qualcosa di molto più volgare, più promiscuo? Oppure era l'intensità dei suoi sentimenti per Charlotte, il forte desiderio fisico provato per lei che gli facevano pensare male di Christina? Anche lei era stata posseduta da quella stessa smania, ma senza amore? Guardò il viso di Ross, ancora rivolto verso il fuoco. Era un viso ermetico, dalla forte ossatura ma con una bocca molto vulnerabile. Invadere i suoi sentimenti sarebbe stato imperdonabile. In quel momento Balantyne credette di capire quel che Ross non avrebbe mai detto, e cioè che Christina era una donna di facili costumi. Non avrebbe mai saputo come era potuto accadere. Forse Ross si era aspettato troppo da lei, una maturità, una sensibilità di cui lei non era capace. Forse l'aveva confrontata con Helena Doran. Un errore... non si deve mai paragonare una donna a un'altra. Eppure, santo cielo, come era facile farlo quando si sa cosa significa amare! Non c'era forse in un angolo del suo cervello, doloroso e vivido, un ricordo degli occhi di Charlotte che lo guardavano e che, pur-
troppo, l'avrebbero sempre costretto a confrontarli con quelli di qualsiasi altra donna? S'impose di pensare a Christina. Appena sposata, Christina poteva essersi sentita confusa, ferita all'idea di non essere riuscita a piacere a Ross. Un uomo dovrebbe insegnare a una donna con dolcezza, essere pronto ad aspettare mentre lei si adegua a un tipo di vita così nuovo... all'aspetto fisico... Le sue riflessioni si arrestarono. Era un aspetto nuovo per Christina, quello? Gli tornarono alla memoria ricordi dell'epoca dei delitti a Callander Square, particolari che Augusta si era rifiutata di discutere. Si era occupata di tutto, in modo così competente... e non gli aveva mai detto niente. Christina cercava forse in altri uomini il conforto di essere desiderata perché il marito che lei amava l'aveva respinta? Oppure era semplicemente una donna leggera e immorale alla quale un uomo solo non bastava? Ma per quanto grande potesse essere il desiderio, di sicuro la fedeltà... Che genere di fedeltà era la sua per Augusta? Era stata la consapevolezza di ferire Charlotte a trattenerlo da qualsiasi eccesso il giorno prima, dal toccarla, dal prenderla tra le braccia... e... E che cosa? Niente... tutto! Ed era stato l'egoismo, la paura del rifiuto che avrebbe visto nei suoi occhi, l'orrore di lei nel capire quali erano i suoi reali sentimenti a fermarlo. Non certo il pensiero di Augusta. E, per di più, Charlotte si sarebbe rattristata in maniera irrimediabile nel sapere quali tempeste aveva scatenato, e lui l'avrebbe persa. Non sarebbe mai più tornata in Callander Square, mai più sarebbe rimasta da sola con lui, neanche come semplice amica. L'avrebbe considerato un vecchio ridicolo? O, peggio, spregevole? Scacciò quel pensiero; non c'era niente di assurdo nell'amore. Ma nel caso di Christina? Aveva ereditato da lui quella predisposizione? Non le aveva mai parlato di fedeltà o di modestia; aveva lasciato quel genere di incarico ad Augusta. Era dovere di una madre istruire la figlia sulla condotta da tenere una volta sposata. Da parte sua sarebbe stato indelicato, e avrebbe causato solo imbarazzo. Ma avrebbe potuto parlare di ritegno, di moralità. E non l'aveva mai fatto. Aveva dunque un grosso debito nei confronti della figlia? Chissà quanto doveva ad Alan Ross!... Alzò gli occhi e vide che Ross stava aspettando che lui parlasse. Possibile che avesse intuito i suoi pensieri? — Christina conosce Adela Pomeroy — disse Ross con un lieve cipiglio, come se il fatto lo lasciasse perplesso.
Quel nome non diceva niente a Balantyne. — Adela Pomeroy? — ripeté. — La moglie dell'ultimo uomo assassinato all'Acre... il precettore — spiegò Ross. — Oh. — Rifletté un istante. — Come mai Christina conosce la moglie di un precettore? — È una donna graziosa — rispose Ross. — E annoiata. Credo che cercasse qualche diversivo in... — Fece un lieve gesto con la mano. — In compagnia di qualcuno con vedute più larghe. Cosa intendeva dire? Migliaia di donne erano afflitte dalla noia di tanto in tanto. Non si poteva allargare la propria cerchia mondana a sfere più elevate se non si era graziose, e disposte a... Adela Pomeroy era dunque un'altra donna di facili costumi? Ma se era così, perché avevano ucciso Ernest Pomeroy? Avrebbero dovuto uccidere Adela. E Bertie Astley... era stato l'amante di Adela? E che legame c'era tra il medico e gli altri? Erano tutti vittime dello stesso pazzo? O forse uno dei delitti era stato commesso a somiglianza degli altri, sfruttando con grande abilità l'occasione che si presentava... per ereditare un titolo e un patrimonio, o per sbarazzarsi di un marito noioso, o... e al pensiero il corpo gli si velò di sudore... per vendicarsi di chi aveva disonorato e violato il proprio talamo. — Che tipo è la moglie del medico? — domandò con voce roca. Ross distolse lo sguardo. — Non ne ho idea. Perché? I lineamenti di Balantyne erano tesi. — Per nessun motivo in particolare — borbottò, a corto di spiegazioni. Scacciò dalla mente il pensiero che l'aveva assalito; era indegno di un uomo come Ross. Il genero gli offrì lo sherry, ma lui rifiutò. Il suo calore non sarebbe bastato a scaldarlo. Notò che anche Ross non ne bevve. Da quanto tempo conosceva la vera natura di Christina? Non doveva averlo intuito al momento di sposarla. La verità era emersa poco alla volta, infliggendogli una pena sempre più grande? Oppure era stata la scoperta di un attimo, come una ferita lancinante? Guardò il viso di Ross. Sarebbe stato imperdonabile discutere l'argomento con lui. Era un suo dolore privato e, malgrado quello che poteva intuire, Balantyne aveva l'obbligo di tacere. Non sopportava che Ross sospettasse, anche per un solo istante, la natura dei pensieri che gli erano passati per la testa. Desiderava fuggire, rifugiarsi in qualche terra fantastica dove poter stare con Charlotte, parlarle, vedere il suo volto, toccarla, imparare a condividere con lei una miriade di cose.
Senza dubbio anche Alan Ross avrebbe voluto trovarsi in un luogo del genere, con una donna onesta e generosa. Ma sapeva quale era il suo dovere, e fino a quel momento aveva trovato il coraggio di compierlo. Balantyne sedeva immobile. La sua mente annaspava alla ricerca di parole che facessero capire a Ross che non era solo e che, lungi dal provare pietà, sentiva per lui un'enorme ammirazione e un rispetto che sconfinava in un profondo affetto. Ma non c'erano parole adatte, nessuna trasmetteva la realtà del dolore. I due uomini rimasero a lungo seduti, con la caraffa intatta dello sherry tra loro e i ceppi che scoppiettavano nel camino. Alla fine Balantyne si alzò. Di lì a poco Christina sarebbe rientrata, e lui non desiderava vederla. Si accomiatò con le consuete frasi alle quali Ross diede le solite risposte. Ma, mentre si stringevano la mano, per un attimo il generale ebbe la sensazione che le cose non dette erano state comprese... almeno le cose buone. Ci sarebbero state altre occasioni di mostrarsi cortese, di far capire a Ross che non era indifferente al suo dolore, perché anche lui soffriva della stessa solitudine e anche lui rimaneva consapevolmente condizionato dal senso del dovere. — Buongiorno, signore — disse Ross con un debole sorriso. — Grazie per la visita. — Buongiorno, Alan. È stato un piacere vederti. Nessuno dei due alluse alle mogli. Niente messaggi, niente saluti da riferire. Balantyne uscì in strada, sferzata dal tagliente vento pomeridiano. Non era venuto con la carrozza. Preferiva la solitudine e l'esercizio fisico, voleva sentire il vento sulla faccia. E poi, andando a piedi, avrebbe rimandato il momento di rientrare a casa. 10 Charlotte non disse a Pitt che aveva rivisto il generale Balantyne. In effetti, non gli aveva parlato di nessuna delle visite fatte, anche se capiva che lui ne era al corrente. Da quando l'avevano portato a casa dall'ospedale, pallido e con gli abiti inzuppati di sangue, si era resa conto di quanto fosse importante per lui catturare l'assassino di Devil's Acre, importante al punto da non badare ai rischi che correva. Si sentì gelare al ricordo di quanto fosse stato vicino alla morte. Era un fatto al quale di solito rifiutava di pensare... alle possibilità che aveva di restare ferito o perfino ucciso, eventualità
di fronte alle quali si sentiva del tutto impotente. Sapeva che Pitt disapprovava il suo interessamento al caso, anche se si limitava a far visita ai Balantyne. E, per essere sincera, si sentiva un po' in colpa perché aveva provato piacere nel sentirsi affascinante con addosso gli abiti di Emily e danzare in saloni pieni di luci, musica e colori. Era meraviglioso pavoneggiarsi... appena un po'! Provava una sincera simpatia per il generale Balantyne. Con lui, aveva commesso un errore gravissimo. Non l'aveva mai sfiorata l'idea che potesse provare per lei qualcosa di più profondo di un sentimento di amicizia. Certo, aveva desiderato essere ammirata da lui, essere considerata bella e interessante; ma non aveva creduto che potesse accadere realmente. L'ultima volta, tuttavia, aveva notato sul suo volto un'espressione tenera, intensamente personale e particolarmente palese. Sapeva che non era più un gioco mondano, al quale partecipare o dal quale tirarsi indietro a seconda delle occasioni. Non poteva dirlo a Pitt, era fuori discussione. Quando tornò a casa quella sera era stanco e infreddolito, con il fianco così dolorante che faticava a muoversi, gli portò la cena su un vassoio in salotto e attese in silenzio che mangiasse. Alla fine la curiosità e l'ansia ebbero la meglio sul buon senso e, come al solito, non riuscì a evitare di parlare. — Non hai ancora scoperto nessun legame tra le vittime? — domandò, cercando di mantenere un tono casuale. Pitt le lanciò un'occhiata scettica e spinse indietro il vassoio. — Grazie, era tutto molto buono. Charlotte aspettava. — No! — esclamò Pitt con energia. — Ognuno di loro aveva degli interessi all'Acre, ma finora non ho trovato nessuno che li conoscesse tutti e quattro. — Ognuno di loro aveva degli interessi laggiù? — Era un particolare che non le aveva mai detto. — Max dirigeva un bordello. Ma gli altri? — Pinchin praticava aborti... — Per Max? — lo interruppe lei con impazienza. — Che mi risulti, no, ma è possibile. — Allora, qualche signora dell'alta società... — Charlotte s'interruppe. Già come idea non era delle più felici, e per giunta si era rovinata con le proprie mani. Pitt, forse, non le avrebbe più fornito altre informazioni. — Scusami.
— Scuse accettate. — Le labbra di Pitt s'incurvarono in un lento sorriso. Chiuse gli occhi e sprofondò nella poltrona. Charlotte fece appello a tutta la sua pazienza, assunse di proposito un'espressione calma e contò fino a cento prima di aprire di nuovo bocca. — E Pomeroy? Non mi dirai che insegnava alle prostitute come tenere i loro conti? Suo malgrado, il sorriso di Pitt si allargò, ma per spegnersi subito. — No, era un pederasta... un povero depravato! Passò un altro centinaio di secondi. — Oh! — mormorò Charlotte alla fine. — E Bertie Astley, come ti ho già detto, era proprietario degli edifici di un'intera strada, compresa una distilleria di gin — aggiunse Pitt. — Adesso sai tutto, e non c'è niente che tu possa fare. Charlotte tentò di immaginarsi Pomeroy. Che genere d'uomo era quello che concupiva i corpi immaturi di bambini, troppo giovani per non desiderare altro che sicurezza e approvazione da parte degli adulti? Non avrebbero preteso niente da lui, e non avrebbero mostrato né desiderio né biasimo. E certo non avrebbero mai riso di lui se era goffo o carente. Come non immaginarli, terrorizzati notte dopo notte, in attesa che uomini sempre diversi accarezzassero i loro corpi raggiungendo il culmine dell'eccitazione, per concludere in un finale disperato e in un atto di intimità violenta che non avrebbero capito e al quale non avrebbero partecipato. Rabbrividì malgrado il fuoco, rannicchiandosi su se stessa come se si sentisse minacciata. — Lascia perdere — disse Pitt sottovoce dalla poltrona di fronte. Adesso i suoi occhi erano aperti e la stavano osservando. — Pomeroy è morto. E tu non puoi eliminare la pederastia... — Lo so. — Lascia perdere, allora. Ma Charlotte non ci riusciva. La mattina seguente, appena Pitt fu uscito, diede istruzioni a Gracie per la giornata, indossò il cappotto più caldo, andò a piedi alla fermata dell'omnibus e salì su quello diretto a Paragon Walk. — Dunque? — domandò Emily appena fu arrivata. — Cos'hai saputo? Raccontò alla sorella che Pitt era stato accoltellato. Non l'aveva ancora vista dopo l'incidente. — È terribile! Oh, mia cara, sono così addolorata! Sta davvero bene?
Hai bisogno di qualcosa? — No, grazie. Oh... — Era un'offerta troppo allettante per ignorarla. — Sì, se hai una bottiglia di porto... — Porto? — Sì, è un ottimo corroborante, soprattutto con questo tempo. — Non preferiresti del brandy? — Emily era in vena di generosità, e Pitt le era simpatico. — No, grazie. Il porto andrà benone. Ma puoi darmene due bottiglie, se vuoi. — Ha scoperto qualcosa? Era lo squartatore di Devil's Acre? L'ha riconosciuto? — È convinto che fossero dei comuni ladri. Ma adesso sa molte cose. — Le riferì i motivi per cui Pinchin e Pomeroy si recavano all'Acre. Emily rimase in silenzio per diversi minuti. — Forse questo spiega perché Adela Pomeroy andava a caccia di amanti! — commentò alla fine. — Povera donna. Comunque, per quanto depravato fosse suo marito, frequentare un essere come Max non ha giustificazioni. — Sei sicura che Adela Pomeroy fosse a caccia di amanti? — chiese Charlotte, subito pentendosi della domanda. Temeva la risposta. — E anche se lo era, non significava che avesse a che fare con Max. — No, lo so. Ma ultimamente mi sono data molto da fare per sapere con certezza chi frequenta quell'ambiente. — Emily! Non avrai...? — No! Ma questo mi porta a un altro argomento. Indagare va bene, Charlotte, ma il tuo comportamento con il generale Balantyne è stato del tutto irresponsabile. Critichi Christina Ross, giustamente perché civetta, ma l'unica differenza tra te e lei è che tu hai circoscritto il tuo campo d'azione a un solo uomo. E questo non migliora certo le cose. Anzi, le peggiora, per il danno che ne potrebbe derivare. Charlotte avvampò per la vergogna, tanto da non riuscire a guardare in faccia la sorella. Sapeva già di essere in torto, ma il rimprovero di Emily la faceva sentire ancora più in colpa. — Non è stato intenzionale — si difese. — Sciocchezze! — sbottò Emily. — Volevi un diversivo eccitante e te lo sei preso. Non hai previsto la conclusione perché non ti sei presa il disturbo di riflettere! — Bene, se tu sei tanto intelligente, perché non mi hai avvertita? — ribatté Charlotte, ingoiando il groppo che aveva in gola. — Perché non ci ho pensato nemmeno io — ammise Emily. — Come
potevo prevedere che ti saresti comportata come una stupida? Un tempo non avresti saputo civettare nemmeno se ti avessero puntato un coltello alla gola! — Non stavo civettando! — Sì, invece! — Emily sospirò e chiuse gli occhi. — Forse sei anche troppo stupida per accorgerti del tuo successo, te lo assicuro. Ma non ti condurrò mai più con me. Sei un disastro. — Sì, che mi condurrai con te, invece... non potresti sopportare di essere lasciata in disparte se ci fosse un altro delitto che riguardasse l'alta società, e se le indagini venissero affidate a Thomas. Emily la fissò sdegnata. — So di essermi comportata male — proseguì Charlotte. — Non serve che tu me lo faccia notare. Se potessi, cancellerei quello che ho fatto. — Non puoi. Tanto vale quindi trarne qualche vantaggio. Cos'altro sai? Da parte mia mi sono chiesta se tutti i delitti sono stati commessi dalla stessa persona. O se, peggio ancora, se uno solo era importante. — Cosa vuoi dire... Come può non essere importante un delitto? — Se uno solo aveva importanza per l'assassino, intendo. Supponiamo che Beau Astley volesse uccidere il fratello per il denaro. Credo ce ne sia molto. Se avesse ucciso Bertie in un modo tradizionale, sarebbe stato il primo a essere sospettato. Ma se Bertie era soltanto uno tra tanti morti, nessuno dei quali aveva legami di nessun genere con Beau... — È spaventoso! — Sì, lo so. E Beau mi piace sempre di più ogni volta che lo vedo. Ma gli assassini, e anche i pazzi, non sono necessariamente persone antipatiche, mentre, purtroppo, lo sono molte persone per bene e sane di mente. Charlotte sapeva che era vero. — Bertie Astley possedeva le case di tutta una strada all'Acre. Ecco da dove viene il denaro degli Astley. — Oh! — Emily emise un sospiro. — Avrei dovuto pensarci. — Non mi sembra che sia di molto aiuto. — Secondo Thomas, chi è stato? — Non vuole dirmelo. Emily rifletté per un po' in silenzio. — Mi chiedo... — iniziò Charlotte. — Cosa? — Non ne sono sicura. — Stava pensando a Christina. Se anche lei era stata una delle donne di Max... giovane, smaniosa, insoddisfatta perché Alan Ross non le dava quell'amore totale e ardente che lei voleva, aveva
tentato di mettere se stessa alla prova con altri uomini, passando così da una relazione all'altra, in una ricerca interminabile? E se Ross l'aveva scoperto... Perché no? Non doveva essere difficile, una volta avuto i primi sospetti. — Non essere sciocca! — esclamò Emily con impazienza. — Certo che ne sei sicura. Forse ti sbagli, ma sai cosa intendi dire. — No, non lo so. — Oh, Charlotte! Non puoi far finta di niente, una volta avuta l'idea. Certo che potrebbe essere stato Balantyne. — Il generale! — Charlotte era inorridita. — Oh, no! No, non può essere! — Perché no? — disse Emily con dolcezza. — Se Christina era una delle donne di Max, non sarebbe riuscito a sopportare una simile onta. È abituato alla disciplina e al sacrificio. I soldati che infangano il proprio nome prendono un'arma e scelgono la strada più onorevole. In un certo senso è una specie di compensazione... possono anche essere considerati con un vago senso di rispetto. L'avrebbe fatto per Christina, non credi? — Ma non ha sparato a Christina! Perché avrebbe ucciso tutti gli altri? Non ha senso! — Era una protesta al vento, e lo sapeva. — Certo che ha senso. — Emily allungò una mano a toccare Charlotte. — Ha combattuto in Africa, vero? Ha visto ogni genere di rituali selvaggi e di atrocità. Forse per lui non è così terribile. Forse Max l'ha incontrata a qualche ricevimento, l'ha avvicinata, e lei è diventata una delle sue donne. Sarebbe stato un motivo valido per uccidere Max e mutilarlo in quel modo. — E Bertie Astley? — Era una domanda sciocca. La risposta era ovvia... era stato uno degli amanti di Christina. Emily non si disturbò nemmeno a rispondere. — D'accordo...allora perché Pinchin? — insistette Charlotte. — Potrebbe averla aiutata ad abortire, e forse adesso non può più avere figli. — E Pomeroy? Cosa ne dici di lui? Gli piacevano solo i maschi in tenera età! — Non so. Forse sapeva. Forse aveva visto qualcosa. — Non ci credo. Non credo che il generale Balantyne farebbe... che potrebbe fare una cosa simile. — Certo che non ci credi. Non vuoi. Ma, mia cara, a volte le persone alle quali teniamo molto fanno cose orribili. Le facciamo noi stessi... cose brutte, stupide e dolorose. Forse tutto è nato da una debolezza di poco con-
to e poi è diventato... Charlotte trasse un lungo respiro e scosse la testa. Sentiva le lacrime pungerle in gola. — Non ci credo. Potrebbe essere stato Alan Ross. Aveva motivi più validi e più probabilità di essere scoperto. E non è nemmeno da escludere che sia stato invece il marito di qualche altra donna. Dobbiamo continuare a indagare. Quando ne sapremo di più, dimostreremo che non è stato né il generale né Alan Ross. Chi altro frequenta quell'ambiente dissoluto? — Un sacco di gente. Ti ho già detto più di una decina di nomi. — Dobbiamo perciò scoprire chi sono i mariti di quelle donne, i loro padri, fratelli, amanti, e stabilire dove si trovavano al momento dei delitti. — Non sarebbe più semplice farlo fare a Thomas? — fu il logico suggerimento di Emily. — Non posso dirgli che indaghiamo per conto nostro. È già abbastanza furioso per quel poco che sa. Non devi scoprire dov'erano tutte e quattro le notti dei delitti... una sarà sufficiente, una qualunque. — Oh, grazie tante! Così è tutto più facile, una vera bazzecola! E tu cosa farai, nel frattempo? — Io vado a trovare il generale Balantyne. Dimostrerò che non è stato lui. E neppure Alan Ross. — Charlotte... sii prudente! Charlotte la fulminò con un'occhiata. — Cosa pensi che mi possano fare? Nella peggiore delle ipotesi mi diranno qualche bugia. Difficile che possano farmi bandire dal bel mondo, visto che non ne faccio parte. Tu datti da fare con le tue indagini. Con un po' di moine potresti convincere George a fare la metà del lavoro per te. Buona giornata. Arrivò a casa Balantyne in orario di visite, in parte per avere la certezza di essere ricevuta, ma soprattutto perché era molto probabile trovare il generale da solo. Il cameriere aprì la porta e la osservò un po' incerto. — Buongiorno — disse lei in tono deciso. Per amor del cielo, doveva ricordarsi che la conoscevano come la signorina Ellison. Per un attimo aveva rischiato di annunciarsi come la signora Pitt. Era una bugia che andava chiarita, ma in quel momento non se la sentiva di farlo. — Buongiorno, signorina Ellison — rispose il cameriere educatamente. Se notò gli abiti semplici e gli stivali bagnati, non lo lasciò capire. — Milady non è in casa, ma c'è il generale, con la signora Christina. — Tenne la
porta spalancata in un muto invito. Charlotte non perse tempo ad accettarlo, sperando che il cameriere attribuisse la sua fretta al vento e alla neve anziché a un'impazienza indecorosa. — Grazie — disse, cercando di compensare con l'aria più dignitosa possibile. — Desidererei parlare con il generale, se posso. — Aveva già la scusa pronta. — Riguardo certe lettere della guerra di Spagna che mi ha prestato. — Certo, signorina. Se vuole accomodarsi da questa parte... — Il cameriere richiuse la porta e l'accompagnò in salotto. Era deserto, ma il fuoco ardeva nel camino. Era probabile che il generale fosse in biblioteca, e la figlia con lui. Era un'eventualità che Charlotte non aveva previsto. Avrebbe preferito non dover parlare in presenza di Christina. L'unica via d'uscita era tentare di annoiarla mettendosi a parlare di vicende militari inducendola in tal modo a lasciarli soli. Il cameriere tornò dopo diversi minuti per condurla in biblioteca. Grazie al cielo Christina se n'era già andata: forse aveva trovato troppo tedioso anche il solo pensiero di Charlotte e delle sue lettere. Il generale era in piedi davanti al camino. Era teso, con gli occhi puntati sulla porta. Il cameriere si ritirò con discrezione, lasciandoli soli. — Charlotte... — Non sapeva se andarle incontro. All'improvviso si sentiva a disagio: i suoi sentimenti erano talmente prossimi a manifestarsi da spaventarlo. Charlotte si era preparata in fretta e furia qualche commento sulle lettere. Ma non le servivano più, non aveva scuse per tergiversare. Sentiva la gola contratta e la bocca secca. — Il cameriere ha accennato alle lettere. — Balantyne stava cercando di aiutarla. — Ha scoperto qualcosa? Lei evitò i suoi occhi e guardò il fuoco. In quel momento Balantyne si accorse che aveva freddo ed era bagnata. Si scostò dal camino e la sua espressione si addolcì mentre le diceva. — Venga a scaldarsi. Charlotte sorrise. In qualsiasi altro momento, un gesto simile avrebbe avuto molta importanza. In tutta la sua vita aveva sempre visto gli uomini occupare il posto più vicino al fuoco. — Grazie. — Si avvicinò e sentì il calore solleticarle la pelle. Ben presto avrebbe raggiunto anche i piedi intorpiditi.
Era inutile continuare a rimandare. — Non sono venuta per le lettere — disse lentamente mentre continuava a guardare le fiamme per evitare gli occhi di lui. — Sono venuta per i delitti a Devil's Acre. Ci fu un attimo di silenzio. Nella sua ansia aveva dimenticato Pitt. Poiché Emily l'aveva presentata come signorina Ellison, Balantyne aveva senz'altro dedotto che il suo matrimonio fosse fallito... e lei non l'aveva mai disilluso. Provò un'ondata di vergogna e si voltò. Balantyne la stava guardando. La tenerezza disperata del suo volto era inequivocabile, e aperta a ogni ferita. Eppure, continuare a tacere sarebbe stato imperdonabile. A ogni sua visita, peggiorava le cose. Non c'era niente che potesse fare per alleviare la sofferenza di lui. La gentilezza, la vergogna o la pietà l'avrebbero solo umiliato e imbarazzato. Si affrettò a parlare, prima di avere dei ripensamenti. — Non ho scuse da addurre. Se non che mi sta molto a cuore scoprire chi ha ucciso quegli uomini a Devil's Acre, e anche il problema della prostituzione e... — Anche a me! — esclamò Balantyne con convinzione, ma subito vide l'espressione angosciata del volto di lei. — Charlotte! Cosa c'è? — Era rimasto immobile, ma lei ebbe l'impressione che le si fosse avvicinato, tanto era concentrato su di lei. — Le ho mentito. — Usò le parole più crude. Sarebbe stata una vigliaccheria evitare il suo sguardo, perciò lo fissò dritto negli occhi. — Emily mi ha presentato come signorina Ellison perché desiderava che lei pensasse a me come a una persona libera. E io gliel'ho permesso, dato che Max aveva lavorato in questa casa. Speravamo di scoprire qualcosa. — Tralasciò di accennare ai suoi sospetti su Christina. Lentamente in lui affiorò un nuovo dolore, subito seguito da un cocente imbarazzo. Aveva cancellato dalla mente Pitt e il suo matrimonio. Aveva desiderato... o sognato qualcosa? Adesso tutto stava andando in frantumi intorno a lui. — Sono sempre sposata con Thomas Pitt — bisbigliò Charlotte. — E sono felice. Balantyne si sentì avvampare. Le voltò le spalle, provando un acuto desiderio di nascondersi. Lei l'aveva sfruttato e ora se ne vergognava amaramente, perché gli era affezionata. Attribuiva un'enorme importanza all'opinione che aveva di lei e, se l'avesse disprezzata per il suo comportamento, ne avrebbe risentito per sempre. — Mi vergogno molto — disse a voce bassa. Doveva fingere di ignorare
che lui l'amava? Avrebbe salvato il suo orgoglio permettendogli di conservare quel segreto? Oppure sarebbe stato un ulteriore affronto sminuire quello che era il dono più grande che lui potesse offrirle? Cercò di interpretare la sua espressione, ma non vide altro che tenerezza nei suoi occhi e una confusione cocente. La luce della lampada si rifletteva sulle ossa della sua guancia. Avrebbe voluto toccarlo, abbracciarlo... ma era assurdo. Ne sarebbe rimasto offeso, forse avrebbe provato perfino disgusto. Non avrebbe capito che. pur amando Pitt, provava per lui qualcosa di esclusivo e profondo. Avrebbe potuto scambiare il suo sentimento per compassione, e non c'era niente di peggio. — Ho mentito per omissione — proseguì Charlotte per rompere il silenzio. — Non ho detto niente di falso. — Sembrava un tentativo di scusarsi. — La prego, eviti le spiegazioni. — Balantyne aveva ritrovato finalmente la voce. — Anche a me interessano i delitti di Devil's Acre. Immaginavo che non fosse venuta per le lettere. Per quale motivo è qui, dunque? — Ma le lettere m'interessano davvero! — esclamò Charlotte, quasi con il tono di una bambina, mentre le lacrime le sgorgavano dagli occhi. Tirò su con il naso e se lo soffiò con il fazzoletto. — Ho delle notizie molto allarmanti. Pensavo che... che avrebbe voluto saperle subito. — Io...? — Il generale aveva già intuito che non aveva ancora finito di soffrire, che c'era dell'altro. L'improvvisa sensazione lo indusse ad allontanarsi di qualche passo, permettendo a Charlotte di sedersi senza dargli l'impressione di respingerlo. Era un sentimento delicato e nuovo per Balantyne. — Cos'ha scoperto? — si affrettò a domandare. — Max dirigeva due case. — Esitò a usare la parola "bordello". Era troppo cruda. Lui non parve afferrare il significato della frase. — Davvero? — La sua confusione era palese nella voce. Ora si comportavano tutti e due in modo formale, come se la scena di poco prima non fosse mai accaduta. Era più facile per entrambi. Charlotte proseguì prima che ci fosse il tempo di pensare alle emozioni. — Una era normale, come qualunque altra a Devil's Acre. L'altra era per clienti di classe molto elevata. — Sorrise con amarezza. — Clienti di riguardo. Forniva perfino donne di buona famiglia, molto buona in alcuni casi. Balantyne taceva. Charlotte cercò di immaginare cosa gli passava per la testa: incredulità, orrore, intuizioni? Dolore.
— Adela Pomeroy era una di loro. Lui continuava a tacere. — Pomeroy era un pederasta. Suppongo... — Charlotte s'interruppe. Stava cercando di scusare quella donna. Perché? Per scusare anche Christina, per lui? Di nuovo, con prepotenza, desiderò di poterlo tenere stretto tra le braccia, di sfiorare le ferite irraggiungibili... come se lei fosse in grado di alleviarle! Era un'idiozia. Non avrebbe fatto che interferire nel suo imbarazzo, sopravvalutando l'affetto che aveva provato per lei, e che forse era già stato distrutto dalla sua doppiezza... e da quella minaccia tanto più incombente. — Mi dispiace — disse, guardando il fuoco. — E cosa sa degli altri? — domandò il generale. La sua voce era indecifrabile. — Il dottor Pinchin eseguiva aborti sulle prostitute, non sempre con successo. Si faceva pagare in natura. La signora Pinchin era una donna molto severa e molto morigerata. — E Bertie Astley? — Balantyne era molto obiettivo, e mascherava i propri sentimenti per lei, o per Christina, o per chiunque altro, cercando di capire i fatti. — Possedeva una serie di edifici all'Acre: appartamenti, laboratori, una distilleria di gin. Certo, Beau Astley potrebbe averlo ucciso per il denaro. Sono attività che rendono molto. — Charlotte lo guardò. — Lo crede possibile? — Balantyne appariva perfettamente calmo, ma i muscoli del viso erano tesi e la mano sinistra, lungo il fianco, era stretta a pugno. — No — rispose Charlotte con uno sforzo. La porta si spalancò di colpo e Christina entrò, pallida in faccia, con gli occhi che le luccicavano. Indossava un mantello e portava una grande borsa. — Diamine, signorina Ellison, che piacere rivederla! — disse a voce un po' troppo alta. — Lo giuro, lei è la persona più studiosa che abbia mai conosciuto. Sarà in grado di tenere conferenze sulla vita dei soldati nella guerra di Spagna. È di questo che stavate discutendo, vero? La bugia che si era preparata salì spontanea alle labbra di Charlotte. — Le mie cognizioni sono molto limitate, signora Ross. Ma un mio conoscente è molto interessato all'argomento. Volevo mostrargli le lettere del generale, ma prima di farlo sono venuta a chiedere il suo permesso. — Quanta correttezza da parte sua venire di persona! — Christina si av-
vicinò alla scrivania e, sempre guardando Charlotte, aprì un cassetto. — Chiunque sarebbe ricorso al servizio postale, soprattutto con una giornata così orribile. Le strade sono già bianche di neve, e non accenna a smettere. Si congelerà, tornando a casa! — Il suo viso si contorse in una leggera smorfia. Prese qualcosa dal cassetto che mise nella borsa, e poi lo richiuse con uno scatto. Il generale era troppo furioso per quella mancanza di rispetto a Charlotte per preoccuparsi di chiederle cos'aveva preso. — Manderò la signorina Ellison a casa con la carrozza, naturalmente — sbottò. — Tu sei certamente venuta con la tua, perciò non avrai bisogno della mia, vero? — Ma certo, papà! Pensavi che fossi venuta con l'omnibus? — Andò alla porta e l'aprì. — Buongiorno, signorina Ellison. Spero che al suo... conoscente la guerra di Spagna piaccia tanto quanto sembra piacere a lei. — Uscì e si richiuse la porta alle spalle. Un istante dopo udirono un rumore di zoccoli e una portiera che sbatteva. — Credo che abbia preso in prestito qualcosa di suo — gli fece notare Charlotte, più per rompere il silenzio che per un reale interesse verso quel particolare. Balantyne andò alla scrivania e aprì il cassetto dal quale la figlia aveva preso l'oggetto. Per un attimo la sua faccia espresse perplessità. C'erano rughe di sofferenza e una nuova vulnerabilità nella linea della bocca. Christina era stata una delle donne di Max. Charlotte capì che Balantyne o lo sapeva o lo intuiva. E Alan Ross? — Ha preso la mia pistola — mormorò Balantyne, diventato di un pallore mortale. Per un attimo Charlotte rimase paralizzata. Subito dopo balzò in piedi. — Dobbiamo seguirla — ordinò. — Trovi una carrozza. Se n'è appena andata. Ci saranno le tracce sulla neve... possiamo seguirla. Qualunque cosa abbia in mente di fare, forse siamo in tempo a fermarla. Balantyne si precipitò alla porta e chiamò il cameriere. Gli tolse dalle mani il cappotto di Charlotte, ignorando il proprio, quindi l'afferrò per un braccio e la trascinò alla porta. Un attimo dopo erano all'aperto, in un turbinio di neve. Balantyne attraversò di corsa la strada. La vettura di Christina era ancora in vista, e stava rallentando per girare l'angolo. C'era un'altra carrozza che avanzava passando da un cono di luce all'altro. — Carrozza! — urlò Balantyne agitando le braccia. — Carrozza! Charlotte annaspava tra i cespugli, fradicia fino alle caviglie, cercando di
stare al passo con lui. Aveva la faccia bagnata e insensibile per il freddo, e le sue mani erano troppo gelate per cercare di estrarre i guanti dalla borsetta. Sulla carrozza si trovava già Sir Robert Carlton. Balantyne spalancò la portiera. — Emergenza! — urlò al di sopra del vento. — Scusami, Robert! Ne ho bisogno! — Facendo affidamento su una lunga amicizia e un carattere generoso, tese la mano e quasi trascinò fuori Carlton, quindi sollevò Charlotte per la vita e la issò nella carrozza. Indicò quindi al vetturino la direzione in cui era scomparsa Christina, lanciò una manciata di monete all'uomo esterrefatto e finì quasi sul fondo quando costui, esaltato dalla vista del denaro, lanciò i cavalli in corsa. Charlotte si mise seduta dritta e si aggrappò alla maniglia. Non c'era né il tempo né un motivo per sistemare le pieghe della gonna. La vettura stava per girare l'angolo della piazza e Balantyne si sporgeva dal finestrino per vedere se Christina li precedeva ancora o se l'avevano persa nella bufera di neve. Gli zoccoli dei cavalli erano curiosamente silenziosi sul soffice mantello bianco, e la vettura ondeggiava da una parte all'altra, sbandando quando le ruote slittavano. In qualsiasi altro momento Charlotte sarebbe stata terrorizzata, ma ora la sua mente era tutta concentrata su Christina, armata della pistola del generale. Si sentiva male per la paura, ma non pensava affatto alla propria incolumità. Era Alan Ross che stava andando a uccidere? Era stato lui, quindi, ad assassinare prima Max e poi gli altri... e Christina aveva finito per scoprirlo? Gli avrebbe sparato? O gli avrebbe offerto di suicidarsi? Balantyne ritrasse la testa dal finestrino. Il vento gli aveva arrossato la pelle e i capelli erano incrostati di neve. — Sono ancora davanti a noi. Ma dove sta andando? Non so dove siamo. Non vedo altro che neve, e un lampione di tanto in tanto. Non riconosco niente. — Non sta andando a casa? — domandò Charlotte, pentendosi subito dopo aver detto quelle parole. — No, mi sembra che abbiano girato verso il fiume. — Aveva pensato anche lui ad Alan Ross? Procedevano ora in un mondo silenzioso, nel quale il rumore degli zoccoli era attutito e le ruote si limitavano a un lieve fruscio. Si udivano solo il sibilo della frusta e le grida d'incitamento del vetturino. Avevano rallentato e procedevano al piccolo trotto lungo un continuo susseguirsi di curve.
A quanto pareva, non avevano perso di vista l'altra carrozza, perché il vetturino non aveva mai chiesto ulteriori istruzioni. Dove stava andando Christina? Ad avvertire Adela Pomeroy? Di che cosa? Aveva forse ingaggiato qualche pazzo per far uccidere il marito? Le risposte si affollavano nel cervello di Charlotte, e nessuna poteva essere quella giusta. Continuava a respingere l'unica che in cuor suo sapeva essere la verità. Christina stava recandosi a Devil's Acre! In uno dei bordelli... Al suo fianco, Balantyne taceva. Qualunque fosse l'incubo che l'ossessionava, lo combatteva da solo. Un'altra curva, un'altra strada coperta di neve, un incrocio, e alla fine si arrestarono. Comparve la testa del vetturino. — La sua amica è entrata là dentro! — Agitò una mano e Balantyne spalancò la portiera e balzò a terra lasciando Charlotte a sbrigarsela da sola. — Laggiù. — Il vetturino agitò di nuovo la mano. — Nel bordello delle sorelle Dalton. Non so cosa ci sia andata a fare, mi domando. Se suo marito si trova là dentro, farebbe meglio a fingere di non saperlo... non si dà la caccia a un marito come una forsennata. Non è decoroso! Ehi! Meglio che la signora resti in carrozza! Sant'Iddio! Non può portarla là dentro, amico! Ma Balantyne non lo stava ascoltando. Attraversò la strada e salì i gradini dove, nella neve intatta, si vedevano ancora le impronte di Christina. — Ehi! — Il vetturino fece un altro tentativo. — Signorina! Ma Charlotte stava già seguendo Balantyne e lo raggiunse sui gradini. Non c'era nessuno a sbarrare loro l'ingresso. La porta era accostata; la spalancarono insieme. All'interno li accolse il grande atrio, con i suoi sfarzosi addobbi rossi, le gaie lampade a gas e i caldi toni rosati che Pitt conosceva. Era ancora troppo presto; non c'erano né clienti, né voluttuose ragazze dagli occhi dolci. C'erano soltanto Victoria Dalton nel suo abito marrone e la sorella Mary, con un abito blu ornato di pizzi. E davanti a loro c'era Christina con la pistola in mano. — Siete pazze! — La voce di Christina era strozzata e le sue mani tremavano. Ma la canna della pistola era sempre puntata al petto di Victoria. — Non bastava uccidere Max, dovevate anche mutilarlo... dopodiché avete ucciso gli altri! Perché? Perché? Perché avete ucciso gli altri? Non l'ho mai voluto... non vi ho mai detto di farlo! La faccia di Victoria era curiosamente inespressiva. Solo i suoi occhi mostravano emozione, lampeggiando di odio. — Se tu fossi stata costretta
a prostituirti quando avevi nove anni, non avresti bisogno di chiedermelo! Tu lo fai per divertimento... tu permetti ad animali come Max di sfruttare il tuo corpo. Ma se gli uomini se la fossero spassata con te da quando eri bambina... se te ne fossi stata sdraiata a letto e avessi udito attraverso le pareti di cartone tua sorella di sette anni urlare quando la penetravano con i loro grossi corpi osceni... ansimanti e sudati. Con le mani che ti tastavano dappertutto... gioiresti a pugnalarli, e a strappargli... Le mani di Christina s'irrigidirono e la canna della pistola salì verso l'alto. Charlotte si lanciò in avanti. Era troppo lontana per raggiungere l'arma, ma fece perdere l'equilibrio a Christina e l'arma cadde a terra, senza far fuoco. Ci fu un urlo di rabbia, e Charlotte si sentì graffiare da dita forti come artigli. Cadde a terra battendo il fianco, soffocata dagli abiti. Tese le braccia cercando qualcosa da colpire, da tirare. Le sue mani trovarono dei capelli, ne afferrò una ciocca e strappò con forza. Ci fu un grido di dolore. Un altro corpo atterrò su di lei, aumentando il groviglio di abiti; la punta di uno stivale la colpì con forza al fianco. Si alzarono altre urla e si udì la voce di Christina che imprecava. Charlotte era inchiodata al pavimento, mezzo soffocata da montagne di tessuto e dal peso dei corpi. I suoi capelli si erano sciolti e le cadevano sulle spalle e sul viso. Una mano li afferrò e li tirò. Una fitta dolorosa le percorse la testa. Si dibatté, sferrando pugni in tutte le direzioni. Dov'era la pistola? — Basta! — La voce di Balantyne tuonò sovrastando il baccano. Nessuno gli fece caso. Christina, carponi, stava infierendo su Victoria Dalton, il viso contorto dalla furia. Mary Dalton sollevò la mano e la colpì con tutte le sue forze. Christina si rialzò in piedi e le assestò un calcio, che la raggiunse a una spalla strappandole un gemito e mandandola distesa a terra. Victoria si tuffò per prendere la pistola, ma Charlotte le si scagliò addosso, prendendola per i capelli e torcendole la testa all'indietro. Aveva uno strappo nella gonna attraverso il quale si vedeva la biancheria e un pezzo di coscia. Urlando, ma senza rendersene conto, si guardò intorno alla ricerca disperata dell'arma. D'un tratto ci fu uno sparo assordante. Rimasero tutte pietrificate, come se ognuna di loro fosse stata colpita. — Basta! — ordinò Balantyne furibondo. — Alzatevi! Sparerò alla prima che mi disubbidisce!
Molto lentamente, si rialzarono... graffiate, scarmigliate, con le vesti a brandelli. Charlotte cercò di unire i lembi della gonna per nascondere la coscia. — Oh, mio Dio! — Balantyne aveva l'arma in mano; era pallidissimo e gli zigomi sporgevano aguzzi. Christina avanzò di un passo. — Ferma dove sei! — le ingiunse il padre con voce tagliente come un coltello. Charlotte sentiva le lacrime pungerle sotto le palpebre. Ormai intuiva le risposte, e non c'era niente che potesse fare; niente per Balantyne, niente per Victoria o Mary... niente per Alan Ross. — Queste donne hanno ucciso Max Burton? — Balantyne parlava alla figlia come se le altre non esistessero. — Sì! Sono pazze! Sono... — Christina s'interruppe e deglutì, terrorizzata dall'espressione del padre. Il generale si rivolse a Victoria Dalton. — Perché solo adesso? Perché avete aspettato così a lungo? La faccia di Victoria era dura. — È stata lei a pagarmi per farlo — disse in tono piatto, con una sincerità implacabile. — Prima ha fornicato lei stessa con Max, poi si è prostituita con altri uomini per lui... Ma quando Max ha cominciato a diventare avido e a ricattarla, si è spaventata. Doveva sbarazzarsi di lui. — La sua faccia si contorse per la pietà... pietà per Ross e disprezzo per Christina. — Temeva che il marito potesse scoprirla, poveraccio, così si è tenuta un solo amante: Beau Astley. Charlotte fissava Balantyne. La sua faccia era bianca per il dolore. Ma non c'era traccia di lotta interiore in lui, nessun tentativo di respingere la verità. — E perché il dottor Pinchin? — domandò, sempre puntando la pistola. — Meritava di morire — rispose Victoria con freddezza. — Era un macellaio! — E cos'aveva fatto Bertie Astley per essere giustiziato? Victoria storse le labbra in segno di disprezzo. — Possedeva tutta la strada. Affittava le stanze a uomini ricchi perché potessero incontrarsi in segreto con le loro donnacce. Si arricchiva così. La sua famiglia manteneva i suoi bei salotti e pagava l'eleganza delle sue signore con i profitti ricavati dal nostro sudiciume! — E suo fratello avrebbe dovuto esserci riconoscente! Avrebbe dovuto pagarci... — iniziò a dire Mary, ma Victoria si girò di scatto e le assestò un violento schiaffo, lasciandole un segno rosso sulla guancia.
In quell'istante Christina avanzò e si protese per afferrare l'arma; le sue mani si strinsero intorno a quella del padre e la spostarono per puntare la canna della pistola contro Victoria. Victoria, con gesto rapido, prese qualcosa da un tavolo vicino. La luce scintillò per un attimo sulle lame e le forbici calarono sul petto di Christina, facendo zampillare il sangue. Dalla pistola partì un colpo diretto al soffitto. Balantyne afferrò la figlia mentre crollava lentamente sulle ginocchia e si accasciava a terra. La tenne tra le braccia. Charlotte prese uno sgabello e colpì Victoria con tutte le sue forze, facendola cadere e lasciandola stordita e immobile sul tappeto rosso. Quindi rimase ferma in mezzo alla stanza, sempre tenendo ben stretto lo sgabello. Mary, presa dal panico ora che era rimasta sola, si chinò su Victoria piangendo come una bambina smarrita. Dov'era Pitt? Charlotte era al limite della resistenza; il dispiacere era troppo violento, impossibile da sopportare. Si sentiva svuotata da qualsiasi sentimento che non fosse la pietà, e aveva tutto il corpo indolenzito. Le lacrime le rigavano le guance, ma era troppo sfinita anche per singhiozzare. Balantyne adagiò con delicatezza Christina sul pavimento. Aveva gli occhi chiusi e il pizzo del corpetto era scarlatto di sangue. Charlotte tese la mano a sfiorare la testa di Balantyne. L'accarezzò con gesto lieve, quindi si voltò e vide sulla soglia un agente della polizia; dietro di lui c'era la familiare e bella figura da spaventapasseri di Pitt. Naturalmente... gli spari! Pitt doveva aver lasciato altri agenti di fuori. Pitt avanzò lentamente, scansando il poliziotto che si frugava nelle tasche alla ricerca delle manette per Mary e Victoria. Non rivolse la parola a Balantyne. Niente di quello che poteva dire sarebbe servito a lenire in alcun modo il suo orrore e il suo dolore... e niente più poteva ormai sfiorare Christina. Circondò con tenerezza le spalle di Charlotte e la tenne stretta. Le toccò le mani, le braccia, le scostò i capelli dalla faccia. — Hai un aspetto ridicolo! — esclamò, di colpo furioso dopo aver constatato che non era ferita e che non aveva ossa rotte. — Buon Dio... come sei ridotta! Va' a casa! E non osare mai più fare una cosa simile! Mai più! Guai a te se mi disubbidisci! Mi hai capito? Lei annuì, troppo sopraffatta dall'orrore, dalla pietà e dal senso di sicurezza che le dava il suo amore per sentire la necessità di parlare.
FINE