FREDRIC BROWN INDAGINE A SKID ROW (The Wench Is Dead, 1955) "...ma questo è accaduto in un altro paese e, inoltre, la ra...
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FREDRIC BROWN INDAGINE A SKID ROW (The Wench Is Dead, 1955) "...ma questo è accaduto in un altro paese e, inoltre, la ragazza è morta". CHRISTOPHER MARLOWE, The Jew of Malta 1 Quando ci si sveglia da una sbornia, il mondo non sembra più tanto coerente. Dio, quanto moscatello avevo trangugiato? Ricordo solo di aver ordinato il quarto litro di vino e Blackie che me lo stava portando, poi è calato il sipario. È a quel punto che si è interrotta la ricerca. Mi rigirai sulla branda e mi drizzai a sedere, in modo da poter guardare dal pannello sudicio della finestra l'orologio che stava nella vetrina del banco di pegni, dalla parte opposta della strada. L'orologio segnava le dieci. "Alzati, Howard Perry" mi dissi. "Alzati, vecchio bastardo, e datti da fare. "Metti i piedi per terra e muoviti, se vuoi tenerti stretto quel lavoro. È un lavoro importante, sai, perché ti permette di bere, di mangiare e talvolta persino di dormire con Billie the Kid, se quella sera lei non ha già agganciato qualche pollo. La tua vita è fatta così, vecchio bastardo. Almeno per un'estate: quest'estate sudicia e pidocchiosa in cui ti sei trovato a vivere a Los Angeles, avanti e indietro da un quartiere malfamato all'altro, come ti eri proposto di fare e come infatti stai facendo. Era questo che volevi, no? È così che un ubriacone saluta il giorno appena nato (o forse spuntato già da un bel pezzo). Uomo, in fondo stai imparando. "Infilati un calzino, poi l'altro, mettiti la camicia semidistrutta e i pantaloni con le tasche vuote, pronto ad andare da Burke e a lavare un migliaio di piatti per settantacinque cent all'ora e un paio di pasti al giorno. Ma lì ti hanno dato una fregatura, perché tu non mangi molto. Gli ubriaconi non lo fanno, e tu ti sei calato nel ruolo alla perfezione. In ogni caso, è difficile che ti venga fame". Naturalmente non ero un avvinazzato, neanche a parlarne. E nemmeno un alcolizzato di qualsiasi altra specie. Mi ero proposto di condurre questo genere di vita solo per un paio di mesi, e l'alcol non fa in tempo a penetrare
nel sangue in un lasso di tempo così breve, specie se uno ha bevuto in modo normale per tutta la vita. Non avrei avuto la minima difficoltà a uscire da quel ruolo e a riprendermi rapidamente. Ma avevo ancora due settimane di tempo per la mia parte. Fra tre settimane sarei tornato a Chicago e avrei ripreso il mio insegnamento in liceo, provando di nuovo la gioia di indossare camicie bianche e perfettamente immacolate. Io sono laureato in sociologia, ma ho lavorato sodo per molte sere nel tentativo di conseguire una specializzazione che, se ottenuta, mi consentirebbe forse di insegnare all'università, piuttosto che in una scuola superiore. E l'esperienza di quest'estate mi serve appunto da sfondo per scrivere la tesi di specializzazione. Un bel progetto di ricerca. Be', forse non si tratta solo di un progetto di ricerca, se devo essere del tutto onesto con me stesso. Oltre che dai miei interessi sociologici, sono stato spinto a fare quanto sto facendo da una sana, e magari un po' grossolana, curiosità. Se ripenso a quando vivevo a Chicago, devo dire che ho acquisito quella curiosità in modo del tutto naturale. Oltre a insegnare in liceo, prestavo servizio part-time in qualità di assistente sociale; la mia zona era West Madison Street, un quartiere più o meno come quello in cui mi trovo adesso a Los Angeles. Skid Row: il regno di barboni, derelitti, alcolizzati, tossicomani, accattoni, prostitute e così via. Era quella la gente con cui dovevo lavorare e che avevo cercato di aiutare. Ma sempre come un outsider, un osservatore esterno. Dato che ero quello che ero - un pallone gonfiato, secondo loro - non potevo mai avvicinarmi davvero a quei tipi, scoprire com'erano fatti dentro, indovinare le loro emozioni. I casi che si studiano sui libri consistono per lo più in bugie, e persino quando sono veri, almeno a prendere in esame i fatti di base, omettono sempre le cose davvero importanti. Naturalmente, non potevo fare la parte del barbone o dell'avvinazzato a Chicago. Conoscevo troppe persone laggiù. Così mi sono trasferito qui. Quinta Strada, Los Angeles, California. Un quartiere malfamato come tanti altri. Un ubriacone come tanti altri. Imparavo velocemente, e questo non mi costava nulla se non parte del mio tempo. Tempo che, comunque, non sarebbe stato perso se ne avessi ricavato qualche materiale per la mia tesi di specializzazione. Ed io pensavo proprio di farcela, per quanto non fossi sicuro al cento per cento sul tipo di materiale che avrei potuto raccogliere. Avrei tratto le mie decisioni una
volta tornato a casa e rientrato nei miei panni. Lì avrei avuto la prospettiva necessaria per guardarmi alle spalle e considerare il tipo di vita che stavo conducendo adesso. Nel frattempo, mi trovavo qui. Ero in ballo e dovevo continuare a ballare, ma sempre rispettando le regole del gioco. Non avevo messo da parte nessuna somma; non avevo beni nascosti; in breve, non potevo contare su nessun asso nella manica per tirarmi eventualmente fuori da qualsiasi pasticcio in cui avessi rischiato di cacciarmi. Me n'ero andato da Chicago in giugno, con indosso i miei vecchi vestiti e senza niente in tasca, a parte un rasoio e alcune altre cosucce che qualsiasi barbone si porta dietro quando viaggia. Ma niente denaro. Neanche un penny. Ero giunto fin qui viaggiando sui treni merci, e se non mi fossi ingegnato a scroccare qualcosa da mettere sotto i denti qua e là, credo che avrei dovuto saltare il pasto. Ci ho impiegato una settimana per arrivare a Los Angeles, e così mi erano rimasti due mesi da trascorrere in città. Avevo calcolato due settimane per il viaggio di ritorno, anche perché poteva darsi che in quello di andata avessi avuto particolare fortuna. Quando misi piede a Los Angeles e mi inoltrai per Main Street, non mi ero calato soltanto nella parte, ma la sentivo profondamente. Ero sudicio e affamato, e quel "LAVAPIATTI CERCASI" nella vetrina di Burke mi era parso un buon segno. Da allora, avevo potuto contare su cibo a volontà e su settantacinque cent all'ora per sette ore nell'arco della giornata. Con quelli mi ci compravo il vino e le sigarette. Mi ero diretto verso Main Street perché quello una volta era il tenderloin di Los Angeles, e io pensavo che lo fosse ancora adesso. Era piuttosto malconcio, in effetti, ma avevo subito scoperto che c'era una zona anche peggiore a est di Main, a cinque o sei isolati dalla Quinta Strada. Così adesso vivevo lì, anche se continuavo a lavorare da Burke all'angolo di Main Street. Forse esageravo nel tenermi stretto quel lavoro. Forse avrei dovuto andare fino in fondo e cercare di tirare avanti senza lavorare. Ma dormire negli androni mi sembrava una cosa un po' eccessiva (questo buco di stanza, senz'aria e senza il minimo comfort, era già abbastanza orribile), e inoltre non ci ho messo molto a scoprire che chiedere l'elemosina non fa per me. Mi manca l'abilità necessaria. Per di più, non volevo farmi sbattere dentro per vagabondaggio e passare la maggior parte del tempo disponibile in galera. Cosa ci avrei guadagnato? Presi un po' d'acqua dalla bacinella crepata e mi strofinai la faccia, poi mi passai il pettine fra i capelli. Per radermi, avrei dovuto aspettare di ave-
re sottomano un buon drink. Mi serviva a tenermi ferma la mano. Se avessi cercato di farlo adesso, molto probabilmente mi sarei tagliato il naso. Ma forse, se specchiandomi non mi fossi visto troppo male in arnese, avrei potuto aspettare fino a sera, così sarei stato sbarbato di fresco nel caso in cui avessi dovuto passare la notte con Billie. Il contatto dell'acqua fredda con la pelle mi aiutò un pochino, ma non molto. Mi sentivo ancora come uno straccio. C'erano un paio di bottiglie di vino in giro, e io ci diedi un'occhiata per controllare che fossero vuote. Lo erano. Poi guardai sotto il letto per accertarmi che non ci fosse finita qualche bottiglia, ma non trovai niente. Mentre uscivo, mi accesi una sigaretta. Che cosa fa un alcolizzato quando si sveglia dopo una sbronza solenne (cosa che gli capita non di rado) e scopre che ha un disperato bisogno di bere? Be', col tempo avevo trovato diverse risposte a quella domanda. La più facile, quella che si poteva mettere in atto anche subito, consisteva nel fare un salto da Billie e scroccarle un drink, se lei era sola e ancora sveglia. Scesi fino al portone e attraversai la strada, la Quinta Strada, diretto verso il caseggiato dove Billie aveva una stanza. Una camera a pensione, luminosa e molto più carina della mia, ma in fondo Billie aveva i soldi per pagarsela. Il mio buco mi costava tre dollari la settimana. Bussai piano alla porta della camera, usando un segnale in codice che avevamo concordato. Se dormiva non l'avrebbe sentito, e se non era sola non mi avrebbe risposto. Ma lei gridò: — La porta non è chiusa a chiave! Entra pure. Mentre mi chiudevo la porta alle spalle, lei aggiunse: — Ciao, professore. — Di tanto in tanto, e giusto per prendermi in giro, lei mi chiamava professore. Naturalmente, non sapeva che io ero sul serio un professore e che, dopo la specializzazione, contavo di approdare all'università. Credo che fosse il mio modo di esprimermi ad averle dato quell'idea. All'inizio, avevo cercato di parlare in modo sgrammaticato, senza alcun rispetto per le regole sintattiche e ortografiche, ma dopo pochi giorni ci avevo rinunciato, perché l'impresa mi sembrava terribilmente ardua. Poi avevo conosciuto Billie. Oltre tutto, mi ero reso conto che la Quinta Strada si era ormai assuefatta a uno stile linguistico più acconcio. Alcuni dei suoi occupanti erano giornalisti, un tempo, e tra di loro c'era anche chi aveva scritto delle poesie. Un tizio in cui mi ero imbattuto per caso era un prete spretato che aveva fatto del bere la sua nuova religione. — Ciao, Billie the Kid — dissi io.
— Mi sono tirata su proprio adesso, Howie. Che ore sono? — Le dieci appena passate — risposi io. — Hai qualcosa da bere in giro per casa? — Gesù, solo le dieci? Be', in fondo devo aver dormito sette ore. Quando Mike ha chiuso, alle due, ho rimorchiato un tizio, ma non si è fermato a lungo. Si drizzò a sedere nel letto e allungò le gambe, poi scostò le coperte e mise in mostra il suo corpo nudo. Aveva un seno stupendo, ben tornito e per nulla cascante, con due capezzoli rosa. Le braccia e le spalle erano sinuose. La figura snella e agile. Il viso non era particolarmente grazioso, ma in fondo non è che io straveda per le facce d'angelo. Aveva gli occhi scuri, con i neri capelli lucenti tagliati alla maschietta che ebbero un leggero tremito non appena lei scosse la testa. Una volta mi aveva detto di avere ventisette anni e io le avevo creduto anche se poteva passare per una ragazza parecchio più giovane, persino adesso che non era truccata e aveva gli occhi un po' gonfi dal sonno. Di sicuro, nessuno avrebbe potuto indovinare che quella ragazza lavorava da cinque anni come entraîneuse, esercitava la più antica professione del mondo, sia pure part-time, e beveva come una spugna. Si era sposata a diciannove anni, mi aveva detto tempo prima, con un uomo che lavorava in una gioielleria. Tre anni dopo, quel tizio era fuggito con una parte considerevole dello stock del suo datore di lavoro e aveva fatto perdere ogni traccia di sé, lasciando Billie con un palmo di naso e nei debiti fino al collo. Wilhelmina Kidler. Billie the Kid. La mia Billie. Ohimé, non è difficile avere Billie. Qualsiasi uomo può adescarla, basta che tiri fuori un rotolo di banconote. Eppure, stranamente, ho scoperto che mi era possibile volerle un po' di bene senza preoccuparmi più di tanto per quello che faceva con gli altri. D'altra parte, anch'io l'avevo conosciuta in circostanze simili, circa sei settimane prima; ero venuto da lei in cerca di un po' d'amore... quel minimo che potevo permettermi, date le circostanze... sapendo già per filo e per segno come stavano le cose. E dunque, perché avrei dovuto scandalizzarmi? Quello che lei vide in me non lo so e non voglio saperlo. — Quel drink — le ricordai. Lei sorrise e sollevò completamente le coperte, poi saltò fuori dal letto e mi passò davanti, nuda, diretta verso l'armadio a muro. Cercava una vestaglia, evidentemente. Io avrei voluto allungare una mano e toccarla, nono-
stante mi sentissi ancora sottosopra dopo la sbornia, ma non lo feci. L'esperienza mi aveva insegnato che Billie the Kid non era mai molto ben disposta di primo mattino; rifiutava immancabilmente tutte le proposte che le venivano fatte prima di mezzogiorno. Proposte serie, intendo dire. Ma potevo sempre cavarmela con un leggero sculaccione su quella parte del corpo fatta apposta per ricevere sculaccioni. E mentre lei mi passava davanti, eseguii puntualmente. Lei non prestò la minima attenzione al mio gesto. Si infilò la vestaglia ricamata stringendosi nelle spalle e si diresse a piedi nudi verso il piccolo frigorifero dietro il paravento che separava quella stanza dal cucinino. Aprì lo sportello del frigorifero e disse: — Maledizione. — Maledizione a che? — domandai. — Sei a corto di liquori? Lei sollevò sopra il paravento una bottiglia di Hiram Walker con all'interno un fondo di manhattan già miscelato e pronto per l'uso. Il manhattan era il drink preferito di Billie; quasi sempre ne teneva almeno una bottiglia o due a portata di mano. La cosa mi andava benissimo, perché io bevevo soprattutto moscatello o sherry; vini dolci, in genere, e il manhattan era per l'appunto dolce. Passare da un vino dolce a un liquore dolce non comporta il minimo problema. È quando si comincia a mescolare che i gusti si confondono e lo stomaco finisce per rivoltarsi. — Quasi a secco — rispose Billie. — Ce n'è solo per un mezzo bicchiere. Tesoro, ti dispiacerebbe fare un salto di sopra e vedere se Mame ha qualche scorta? Ma credo di sì. Ce l'aveva ieri pomeriggio, in ogni caso. Mame è una biondona che lavora al bar di Mike Karas, The Best Chance, lo stesso dove Billie fa l'entraìneuse. Una tipa dura come l'acciaio, Mame. Mi incuteva una paura del diavolo. — Non sarebbe meglio che andassi in un negozio? O sei al verde anche tu? — Non sono al verde, Howie, ma se vai in una bottiglieria non troverai niente di fresco. E i manhattan non valgono un accidente se non sono ben ghiacciati. Lo sai anche tu, no? — Lo so, lo so — dissi. — Ma se Mame non fosse ancora alzata? Mi ucciderà, se la sveglio. Billie sorrise. — Per quest'ora sarà sicuramente in piedi. Ha staccato presto, ieri sera. Aspetta un attimo, comunque; provo a telefonarle. In questo modo, se dovesse dormire sarò io a svegliarla, non tu. — D'accordo — dissi. — Se vuoi farti quel mezzo bicchiere di manhattan che è dentro la botti-
glia mentre telefono, serviti pure. — Posso aspettare — dissi. Lei fece la telefonata e annuì. — Benissimo, tesoro. È già in piedi e può prestarci una bottiglia. Adesso fila. Eseguii all'istante, inerpicandomi dal primo piano sul rétro al secondo piano sul davanti. La porta dell'appartamento di Mame era aperta. Lei era sulla soglia. Aveva pagato il lattaio e attendeva la ricevuta del conto. Fece un cenno col capo verso di me. — Entra e mettiti comodo. Arrivo tra un attimo. Si era scostata un po' dalla soglia, ma la ostruiva quasi per intero. Lo spazio era appena sufficiente perché mi infilassi tra lei e lo stipite ed entrassi. Una volta dentro, mi accomodai sulla poltrona che pareva costruita apposta per far fronte alla stazza di Mame. Era immensa e molto ben imbottita. Feci scorrere le dita sotto il bordo del cuscino; uno degli amici di Mame poteva essersi seduto lì con degli spiccioli in tasca. È incredibile, avevo scoperto col tempo, quanti spiccioli si possono trovare frugando negli interstizi delle poltrone o dei divani quando capita di sedercisi sopra. Stavolta non c'erano spiccioli, però, ma solo una penna stilografica. Aveva un'aria alquanto modesta, e pareva logico supporre che fosse stata acquistata in un grande magazzino. Mame stava chiudendo la porta proprio in quel momento. Io tenni la penna ben alzata, in modo che lei la vedesse. — L'ho trovata sulla poltrona. È tua, Mame? — Era una penna troppo dozzinale per venderla o portarla a un banco di pegni, così preferii comportarmi onestamente e fargliela vedere. — No. Ma puoi pure tenerla, Howie. Ho una penna molto più carina. Una Neversharp. Me l'ha data un ubriaco qualche sera fa, in cambio di qualche bicchierino gratis. — Forse l'ha persa uno dei tuoi amici — dissi io. Non volevo quella maledetta penna. Mame scosse la testa. — No. Lo so chi l'ha persa. Gliel'ho vista in tasca ieri sera. È un tipo che si chiama Jesus, ma per me può anche andare al diavolo. — Mame, mi sembri un tantino sacrilega oggi. Dovresti vergognarti. Lei sorrise. — Ritiro, allora. Comunque, si trattava di un messicano. Mame mi passò davanti e si diresse verso il frigorifero, sempre continuando a parlare. — Sai cos'è successo? Lui mi ha detto di non accendere la luce, quando siamo entrati qui dentro. È andato alla finestra che dà sul
davanti e ha cominciato a sbirciare di sotto, come se qualcuno gli stesse alle calcagna. Poi si è messo a guardare fuori anche dalla finestra laterale, dove c'è la scala antincendio. Ha voluto accertarsi che fosse chiusa e sbarrata... com'è sempre, d'altra parte... quando si è accorto che la scala di sicurezza sbucava lì. Ha chiuso gli scuri, è tornato indietro e ha verificato che avessi chiuso a chiave la porta d'ingresso. Alla fine, ha detto che andava tutto okay e mi ha dato il permesso di accendere la luce. Sentii lo sportello del frigorifero chiudersi e, dopo un attimo, lei fece ritorno con una bottiglia. Ma, invece di porgermela, si sedette di fronte a me, evidentemente con l'intenzione di proseguire nel racconto. — Doveva essere un tipo che scottava — riprese. — Si è tolto la giacca e l'ha gettata su quella poltrona. Dev'essere stato proprio lì che la penna gli è uscita di tasca. Ricordo che, in quel momento, qualcuno ha bussato alla porta. E sai cos'ha fatto lui? — Se l'è squagliata per la scala antincendio? — azzardai. Lei mi lanciò un'occhiata carica di ammirazione. — Howie, sei un fenomeno quando si tratta di capire le cose. Ha afferrato la giacca e se l'è battuta passando da quella finestra. Non si è neppure infilato la giacca; l'ha presa e basta. Mame sogghignò. — E sai chi aveva bussato? Dixie, che sta nella camera qui accanto. Voleva scroccarmi qualche sigaretta, tutto qui. Se mi capita ancora di incontrare Jesus, penso che lo manderò a quel paese. I tipi così nervosi non mi sono mai andati a genio. Perciò tieniti la penna o buttala via. — Forse lui aveva qualche ragione per essere così nervoso — osservai. — Forse, dopotutto, qualcuno gli stava davvero alle costole. — Una ragione ancora migliore per non avere più niente a che fare con lui. — Mame osservò la bottiglia. — Vuoi farti un drink prima di scendere, Howie? Non dalla bottiglia che ti ho portato; questa è per Billie, e voglio che le arrivi tutta intera. Ma ne ho un'altra con qualcosa ancora dentro. Mi sembrava una buona idea. Avevo aspettato a lungo per quel primo drink, e la testa si era messa di nuovo a ronzarmi. Avrei dovuto prendere Billie alla lettera, invece di fare tanto il cerimonioso riguardo a quel fondo di manhattan che le era rimasto in frigorifero. — Certo — dissi. — A patto però che tu mi faccia compagnia. — Io non bevo, Howie. Tengo qualche bottiglia in casa solo per gli amici o quelli che salgono a farmi una visitina. Ma non farti condizionare da questo fatto.
Me ne feci condizionare, invece. Volevo un drink, ma, dato che avevo aspettato così a lungo, potevo attendere qualche altro minuto, finché non mi fossi trovato di nuovo con Billie. Quando mi alzai, qualche istante dopo, Mame mi porse la bottiglia. Nel frattempo, Billie si era tolta la vestaglia e si era infilata un costume. Era un bikini molto succinto, di satin nero. Non la copriva un granché, ma certamente metteva in risalto la sua carnagione chiara. Lei lo calzava a meraviglia. — Ti piace? — mi domandò. — L'ho comprato ieri. — Carino — dissi. — Ma ti preferisco senza. — Forse è meglio che versi da bere, eh, Howie? Per me solo un goccio. — A proposito, sei sicura di non volere qualcos'altro? Lei prese un vestito e cominciò a infilarselo. — Se ti passano questi pensieri per la testa, mio caro professore, forse è meglio che nasconda i miei tesori. Non ti pare una buona tattica? Come vedi, cerco di imitare il linguaggio che a volte usi tu. Io mi diressi verso il cucinino, aprii la bottiglia e versai da bere. — Parlando di quel qualcos'altro — disse Billie non appena le porsi il bicchiere — com'è che ti sei trattenuto così a lungo su da Mame? — Non è quello che pensi tu — risposi. — È solo che Mame è una chiacchierona. Alla tua, Billie. Bevemmo entrambi un sorso. Mi sentii subito meglio. È curioso l'effetto che fa un bicchierino occasionale dopo una colossale sbronza. Ma dev'essere soprattutto un effetto psicologico, perché comincia a manifestarsi prima che sopraggiungano reazioni fisiologiche. All'improvviso, mi venne in mente qualcosa. — Billie — dissi — correggimi se sbaglio, però credevo di averti visto sfoggiare un bel costumino prima. Ma ora vedo che ti sei messa un vestito. Cos'era, biancheria intima? — No, era proprio un costume, Howie. Oggi volevo andare al mare, a Santa Monica. Ma è ancora presto per fare il bagno, così credo che terrò sopra il vestito. Perché non vieni anche tu? — Non sono ricco e vizioso come te, mia cara. Io ho da lavare qualche centinaio di piatti. — Oh, quel maledetto lavoro! Howie, se devi proprio darti da fare... — Devo darmi da fare — dissi. — Ho bisogno di lavorare, e se c'è una cosa da dire su Burke come datore di lavoro è che non strapaga nessuno ma paga regolarmente, tutti i santi giorni. Altrimenti, credo che dovrei passare all'asciutto ben più di una sera.
— Ma non puoi almeno marcare visita per un giorno? Quanti dollari ci fai al giorno? Cinque? Te li posso prestare io. Scossi la testa con estremo vigore. Quella era l'unica cosa su cui non intendevo mollare, né adesso né mai. — Grazie, Billie, ma niente da fare — le dissi. — È così che si arriva a farsi rinchiudere in manicomio. Posso chiederti qualche drink e talvolta cose anche più importanti. Ma farmi prestare dei soldi da te... Mi interruppi di scatto e mi chiesi come mi sarei sentito se avessi accettato dei soldi da Billie. Poi pensai che forse non ero molto coerente col personaggio a cui avevo dato vita. La persona che fingevo di essere avrebbe accettato dei soldi da lei. In ogni caso, perché non accettare qualche dollaro in prestito, segnarmi l'ammontare della somma e poi restituirgliela una volta che fossi tornato a Chicago? Era una tentazione molto forte, senza alcun dubbio. Se avessi accettato di farmi prestare soldi da Billie, avrei potuto fare a meno di lavorare per il resto della mia permanenza a Los Angeles... oltre tutto, fare il lavapiatti non è che sia un gran piacere. Avrei avuto tutti i pomeriggi liberi e questo significava poter passare più tempo in compagnia di Billie. Dato che lei lavorava di sera e dormiva tardi, il momento migliore per vederci era di pomeriggio. Burke chiudeva di domenica, e io avevo trascorso ogni domenica pomeriggio in compagnia di Billie ormai da un mese. Se non avessi lavato piatti tutti i giorni o quasi, avrei potuto stare in sua compagnia ogni pomeriggio per quel po' di tempo che ancora mi restava. Era una tentazione molto forte, ma c'erano almeno due controindicazioni. La prima è che, così facendo, mi sembrava di barare. Se mi fossi fatto prestare dei soldi da lei per poi restituirglieli una volta di ritorno a Chicago, allora tanto valeva che me li fossi portati dietro subito. L'altra ragione è che non volevo vedere Billie troppo spesso, e ciò nel suo stesso interesse. Se non avessi lavorato, avrei finito per trascorrere tutti i pomeriggi con lei. Ma non mi andava l'idea che lei soffrisse quando avrei dovuto dirle che partivo. Le cose tra di noi andavano bene così; non c'era ragione di modificarle. Lei si infilò un paio di sandali. Adesso era vestita di tutto punto. — Ne sei certo, Howie? — mi domandò. — Certissimo — risposi. Poi le sorrisi. — Non potrei amarti così tanto, mia cara, se non amassi di più il mio onore. Aveva l'aria di una citazione fritta e rifritta, ma pensai che forse Billie
non l'aveva mai sentita prima. Mi sbagliavo. — Howie — mi chiese — scherzavi l'altra sera riguardo a quella ragazza? — Quale sera? E quale ragazza? — Qualche sera fa. Avevi detto una frase molto simile a quella che hai detto ora. E quando ti ho chiesto che significato aveva, mi hai risposto che avevi una ragazza con un nome simile a Chicago... Onoria, mi sembra... e che dovevi tornare presto da lei. Non stavi prendendomi in giro? — Non del tutto, Billie — le dissi. Naturalmente ero sbronzo quando mi ero lasciato sfuggire una battuta del genere, dato che adesso non riuscivo a ricordarmene, ma forse era meglio che lei la prendesse così. — Ci scommetto che ti ha messo le corna come tu le hai messe a lei — osservò Billie. Sorrisi a quella battuta e cambiai argomento. — Billie, com'è che Mame non beve? — I drogati non bevono. Non lo sapevi? — Ne avevo sentito parlare. Ma non credevo che Mame si drogasse. — Certo che si droga. È un'eroinomane. Ma non ha l'aria della drogata, questo te lo concedo. — Rispetto a certi tipi che ho visto io, no di certo — dissi. — Prendi per esempio il cuoco di Burke. Quando lo vedo, mi sento accapponare la pelle. — Non provarci, Howie. È roba che fa male sul serio. — Tu l'hai mai presa? — Una volta me ne sono iniettata una dose, giusto per vedere l'effetto. Ma dopo non ho mai più ripetuto l'esperimento. È troppo facile prendere l'assuefazione, e quando diventi tossicodipendente non c'è più modo di uscirne. Pensavo a un paio di persone che avevo seguito a Chicago. — Non è un'affermazione un po' troppo generica, Billie? — le domandai. — Forse non sono molti a uscire dal tunnel, ma qualcuno ci riesce sempre. — Quelli smettono di iniettarsi le dosi e si illudono di esserne fuori; e in effetti lo sono, per un po' di tempo. Dopo che hanno finito, credono che non avranno più tentazioni. Poi, un bel giorno, magari anni dopo, qualcosa comincia ad andare storto e loro si sentono sempre più tristi e infelici, come se non avessero più voglia di vivere. Tutti proviamo questa sensazione, ogni tanto. Ma loro tornano indietro col ricordo e pensano come sarebbe meraviglioso se solo potessero bucarsi ancora una volta... — E ricominciano da capo — dissi io. Mi chiesi se lei aveva ragione e decisi che avrei dovuto fare un controllo non appena tornato a Chicago.
Era qualcosa che dovevo sapere. Lei annuì. — E ricominciano da capo. Non provarci mai, tesoro. — Più ascolto le tue sagge parole, più mi viene sete — dissi. — A proposito... Versai un'altra dose di manhattan per due. 2 Billie e io uscimmo insieme, ma ci separammo davanti al portone quando declinai la sua offerta di prendere una tazza di caffè insieme al drugstore che stava appena dietro l'angolo. Un paio di drink mi avevano dato un bel mordente, un fuoco interno che sarebbe durato almeno per due ore, forse fino a quando non fossi smontato per un rapido pranzo dopo la ressa di mezzogiorno. Bastava solo che non rovinassi l'effetto dell'alcol annegandolo con il caffè. Il sole splendeva meravigliosamente. Anche oggi sarebbe stata una magnifica giornata. E il sole della California è fantastico, perché splende dappertutto con la stessa intensità: sulle macerie di Skid Row come sull'intrico di ville della periferia. Come fa la gente a vivere a Chicago, una città afosa d'estate e glaciale d'inverno, quando potrebbe vivere qui senza spendere molto di più? Perché nessuno pensa a chiudere Chicago o a trasferirla direttamente a Los Angeles? Avevo già deciso che mi sarei trasferito qui - non in un quartiere malfamato, si capisce, ma in una delle zone residenziali della città - subito dopo aver completato il mio perfezionamento ed essere riuscito a ottenere un lavoro nei dintorni. Mi ci sarebbe voluto almeno un anno e forse anche tre, ma prima o poi avrei realizzato i miei sogni. Ma perché, mi domandai all'improvviso, i barboni gironzolano per Chicago, per New York, o per qualsiasi altra città che abbia un clima così tremendo, quando avrebbero la possibilità di trasferirsi in un posto come questo? Un barbone è libero come l'aria; può fare il derelitto e trovarsi al verde dovunque. Per lui, un posto vale l'altro. E allora, perché tutti i barboni dello stato non si decidevano a migrare a Los Angeles? Il clima non costa niente." Oltre tutto, qui i quartieri malfamati non sono più grandi, o apprezzabilmente più grandi, di quelli delle altre città che abbiano una popolazione equivalente. Perché no? Problema: dovevo scoprire perché no. Diedi un'altra occhiata all'orologio nella vetrina del banco dei pegni.
Dovevo ammazzare ancora un po' di tempo prima di cominciare a percorrere i cinque isolati che mi separavano da Burke. Dovevo radermi? Mi tastai di nuovo la faccia. No, la cosa poteva attendere fino alla conclusione del mio turno; allora mi sarei rasato di fresco. Ma non ero disposto ad attendere oltre. Avevo imparato una cosa, frequentando il tenderloin di Los Angeles: se uno non vuole rischiare di finire in galera, gli conviene radersi. Appena i piedipiatti trovano qualcuno con la barbetta ispida che cammina in certe zone, lo sbattono subito dentro con l'accusa di vagabondaggio. Lo avevo imparato a mie spese, e cioè nel modo più traumatico, durante la prima settimana di permanenza in città. Non mi radevo più da parecchi giorni e, una bella mattina, mi hanno messo in galera. Per fortuna non ero soltanto sobrio, nella circostanza, ma anche in grado di dimostrare che avevo un lavoro da Burke. Altrimenti, qualche giorno in gattabuia con l'accusa di vagabondaggio non me lo avrebbe tolto nessuno. Ora mi rado tutti i giorni. Sulla Quinta Strada, anche i barboni che non si sono fatti un bagno dall'ultima volta che hanno sostato in gattabuia si radono quotidianamente, o almeno un giorno sì e un giorno no. Un bicchiere di moscatello da quindici cent mi avrebbe più o meno consentito di ammazzare il tempo residuo, ma non avevo spiccioli in tasca. E nei bar della Quinta Strada nessuno ti fa credito, nemmeno se il barista è un uomo di buon cuore e ti lancia proclami di amicizia. Ha paura di creare un precedente che lo porterebbe alla rovina economica. Mi diressi a passo lento verso la taverna dove di solito bevevo e dove avevo fatto il maggior numero di conoscenze in città, anche occasionali. La taverna si chiamava Barney, ma non avevo mai capito perché; non c'era nessuno con quel nome che lavorasse all'interno. Forse quello era solo il nome del precedente proprietario e Stan Malkewicz, che gli era subentrato, non aveva ritenuto di doverlo modificare. Dal marciapiede, guardai attraverso le porte aperte. C'erano solo pochi avventori davanti al bar. Ma forse la fortuna girava dalla mia parte. Uno di loro, seduto in perfetta solitudine, era Ike Batchelor, uno sbevazzone che una volta faceva l'agente pubblicitario e che adesso racimolava i soldi per bere vendendo biglietti di qualche lotteria clandestina. Doveva averne venduti parecchi, perché quel giorno sembrava nuotare nell'oro. C'era un bicchiere di whisky sul bancone davanti a lui; ma sarebbe stato di vino, se l'avesse comprato con gli ultimi spiccioli che gli restavano. Mentre mi avvicinavo a lui, mi guardò con gli occhi arrossati. Nonostan-
te fosse ancora presto, doveva aver già fatto il pieno. Aveva un viso flaccido e indolente, con una traccia di saliva sul mento. — Chi va là? — chiese. — Amici — risposi. — Allora fatti avanti, amico mio, e dimmi la parola d'ordine. — Ho bisogno di una bevuta, Ike. Mi offri un moscatello? — Parola d'ordine sbagliata. Hai perso. Non ti conosco. — Non fare così, Ike. Sono il tuo vecchio amico Howie. Il tuo amico prediletto. Abbiamo fatto sempre bisboccia insieme, noi due. — Mai sentito parlare di te. Ma il suo tono di voce mi diceva che avrei finito per ottenere quello che volevo, se continuavo a insistere. — Il tuo vecchio amico Howie — dissi — che ha un disperato bisogno di bere qualcosa. Solo un bicchiere, perché devo essere al lavoro tra venti minuti. — Maledetto lavapiatti. — Maledetto venditore di biglietti — replicai. — Sei un banditello da quattro soldi e un vagabondo senza un minimo di cuore. Lui sospirò. — Se non ti salta in mente di chiamarmi creativo, puoi anche startene seduto qui. Sul mio passato ho steso un velo di silenzio. Non so neanche perché te ne ho parlato. Forse ne parlo con tutti quando sono sbronzo, e io sono quasi sempre sbronzo. Forza, siediti su questo sgabello o portatene uno. — Senti, Ike — dissi — mi piacerebbe un mondo spassarmela con te, ma ho solo pochi minuti. Offrimi qualcosa da bere e io ti restituirò il favore, magari raddoppiato, quando finisco il turno di stasera. Sai che mi pagano tutti i giorni, no? — Questa è usura. Il cento percento di interesse al giorno. Non mi piace l'usura. — Non si tratta di usura. Abbiamo tutti e due le stesse probabilità. Io non ti offrirò i due drink, a meno che tu non ti ricordi e me lo venga a dire. E ci sono almeno cinquanta probabilità su cento che la cosa ti esca di testa. Così potrei anche non offrirti nulla in ritorno. Ci sono esattamente le stesse probabilità. Questo magnifico ragionamento mi procurò un sorriso da parte di Ike e un bicchiere di moscatello. Fuori passò una macchina della polizia, a sirena spiegata. — Alla malora i piedipiatti — disse Ike. — Alla malora i piedipiatti — ripetei io.
Sentimmo la macchina della polizia fermarsi a un isolato di distanza, ma a nessuno di noi due venne in mente di andare alla porta per verificare cosa fosse successo. Nella Quinta Strada, quando ci sono di mezzo gli sbirri, ciascuno si fa i fatti propri. Questa è una delle prime cose che si imparano. Sorseggiando il vino dolce e molto aromatico, osservai il riflesso di Ike nello specchio sopra il bancone e cominciai a rimuginare. Quali pressioni sociali avevano fatto di lui un ubriacone... un ubriacone che, al ritmo in cui beveva e col modo di vita che conduceva, non sarebbe di certo durato molto a lungo? Che si fosse trattato, in sostanza, di una ribellione di coscienza contro la fondamentale disonestà del mondo pubblicitario? Di una rivolta contro le menzogne che era costretto a scrivere per guadagnarsi il pane quotidiano? O forse il suo attuale odio per la pubblicità e tutto ciò che la riguardava derivava solo dal fatto che lui era amareggiato per non essere riuscito a tenersi il posto di lavoro? Tra l'altro, il suo era un odio così forte che Ike evitava persino di comprare determinate marche di sigarette e di liquori pubblicizzate, se poteva farne a meno. E si rifiutava di bere, per principio, in tutti quei bar dove la presenza della radio o della televisione poteva costringerlo ad ascoltare i comunicati commerciali. Rimuginai tra me e me, ma non gli chiesi nulla. Questa è una di quelle cose che si imparano quasi subito sulla Quinta Strada: mai fare domande personali o scoprire perché un uomo si è ridotto come si è ridotto. Non che la maggior parte delle volte non si riesca a scoprirlo, però. In vino veritas, come dice il proverbio; e se un ubriaco comincia a raccontare i suoi guai, come di solito fa, si può star certi che non mente. A meno che non si metta a raccontare qualche spacconata su come era importante e riverito in passato. Per il resto, dice la verità. O almeno la verità come la vede lui. Ma Ike non era il tipo del chiacchierone. Più beveva, meno parlava. Di se stesso, quanto meno; anche se, di tanto in tanto, si lanciava in qualche interminabile tiritera - talvolta incredibilmente lucida - su argomenti più o meno astratti. Come adesso. Stava parlando della giustizia. Probabilmente, la sirena della volante aveva messo in moto la catena dei suoi pensieri. — Uno scherzo — stava dicendo — o addirittura una farsa. La giustizia è cieca, sì, ma non per la ragione che dicono loro. È cieca perché non osa guardare a quello che fa, Howie. Non si può avere una società in cui tutti gli uomini sono uguali agli occhi della legge se non c'è una società in cui tutti gli uomini sono uguali sotto ogni altro rispetto.
— Dio ne scampi e liberi! — esclamai. — Dio ne scampi e liberi. Giusto. Ma prendi le multe, per esempio. L'ammontare di una multa non dipende dal grado di infrazione a cui essa si applica o dalla ricchezza del soggetto colto in flagrante. Una multa da dieci dollari punisce allo stesso modo un miliardario e un aiuto spedizioniere con moglie e due figli che guadagna trenta dollari la settimana e si trova nei debiti fino al collo? — Certo che no — risposi. — Se le multe fossero intese come punizione e non come fonte di guadagno per lo stato, dovrebbero essere proporzionate al reddito. — Anche così, però, non colpirebbero tutti nello stesso modo. Un giorno di salario per un poveraccio è molto più importante del reddito quotidiano di un riccone. No, anche se quel sistema potesse venir adottato, non creerebbe più giustizia. — E allora aboliamo le multe — dissi. — Va bene così? Una settimana in gattabuia sarebbe la stessa per tutti. — Dici? Forse sì, ma chissà. Una settimana in gattabuia è un fastidio minore per qualche persona. Per me, a esempio. O per te. Ma per qualcuno potrebbe voler dire la perdita del lavoro, l'incapacità di reinserirsi nella società, il totale cambiamento del suo modo di vita; insomma, un rientro lungo e molto lento. E, in aggiunta a tutto ciò, il marchio permanente dell'infamia. E me la chiami eguaglianza, questa? — Il fardello della rispettabilità — commentai io. — D'accordo, come faresti a rendere le punizioni tutte uguali? — Ormai c'è la pena capitale applicabile su scala planetaria, Howie. È lì che ci stiamo dirigendo con la bomba H e la guerra batteriologica. Perché aspettare? — Be', io preferisco aspettare — dissi. — Ma non qui. Forse è meglio che vada al ristorante. Altrimenti non otterrai i due bicchieri promessi... sempre che te ne ricordi, s'intende. Cominciai di nuovo a vagare. Verso Main Street. Verso una montagna di piatti. Da un lavandino all'altro. Forse avevo qualche minuto di ritardo, ma la cosa non mi faceva né caldo né freddo. Un lavapiatti che si presenta sul posto di lavoro tutti i giorni, anche se con qualche minuto di ritardo, è un gioiello in un ristorante come Burke. Forse Burke non ci avrebbe fatto neppure caso. E anche se ci avesse fatto caso, mi sentivo così allegro per la bevuta che non provavo la minima preoccupazione.
Il mio turno cominciava alle undici. Fino a quel momento, ad occuparsi dei piatti era un ragazzo filippino. Quando subentravo io, lui andava a prendere i piatti dai tavoli e me li portava, dando una mano anche in altri modi finché la gran calca di gente che veniva a mangiare verso mezzogiorno non si dileguava del tutto intorno alle due. Dopo di che, il suo turno era finito. Nei momenti di relativa calma, ci pensavano le cameriere a portare in cucina i piatti da lavare. Tassie - in realtà, il suo vero nome era Anastasio - era già pronto quando giunsi sul posto. Un lavandino era quasi completamente occupato da un'enorme pila di piatti. Sospirai e cominciai ad arrotolarmi le maniche della camicia. Se dovessi mai sposarmi, e probabilmente un giorno o l'altro lo farò, pensavo che c'è almeno un lavoro domestico che non vorrei mai essere costretto a fare. Due mesi come lavapiatti professionista credo che bastino per tutta la vita. Burke era davanti al fornello grande. Cucina sempre lui fino a mezzogiorno, quando comincia la ressa e gli subentra Ramon. — Oggi dobbiamo darci una botta, Howie — mi disse Burke. — Siamo rimasti un po' indietro e abbiamo un mucchio di cose da fare. — Evviva — dissi io, e mi tuffai a capofitto nel lavoro. "Andavo a pesca" come si dice nel gergo di Skid Row. Tassie tornò con un grande vassoio pieno di piatti e cominciò a riempire l'altro lavandino. Lavoravo sodo, senza perdere tempo. Ramon, il cuoco messicano, era in perfetto orario, così Burke andò a dare una mano al bar e a occuparsi delle ordinazioni ai tavoli prima del solito. Ramon sembrava un po' scontroso e aveva una benda messa di fresco sulla fronte. Aveva già due cicatrici dovute a coltellate, ed entrambe vecchie; una sulla guancia e una sul mento. Mi chiesi se adesso si fosse buscato un'altra coltellata in fronte. Ma non avevo intenzione di domandarglielo. Preferivo non immischiarmi nei suoi affari, almeno per quanto mi era possibile. Diventa un tipo insofferente quando ha bisogno di una dose, ed era evidente che adesso ne aveva un bisogno disperato. Sembrava un tossico in stadio già avanzato, e in effetti lo era. Ma con me parlava dei suoi problemi in modo franco. Franco e molto amichevole, di solito. Non che io lo spingessi a raccontarmi tutto nei minimi dettagli o che mostrassi molto interesse alle sue storie. La droga era un po' fuori del
campo di ricerche che adesso stavo conducendo; i barboni non possono permettersela. Una mano mi sfiorò la spalla e io sobbalzai un pochino. Mi voltai e vidi che Ramon era alle mie spalle. Nonostante le cicatrici, ha un viso simpatico quando sorride, e i denti gli brillano, tanto sono bianchi. Ma adesso non rideva e aveva uno sguardo cupo, sofferente. — Howie — mi disse — puoi farrni un favore, no? — Ma certo, Ramon — risposi. — Di che si tratta? — Devo uscire. Ho bisogno di farmi una dose. Mi sento... terribilmente, Howie. Sarò di ritorno tra dieci o quindici minuti. Tu devi solo badare ai fornelli e ricordare le ordinazioni che ti portano le ragazze. — Nessun problema — dissi. Presi una salvietta per asciugarmi le mani, ma lui mi fermò con un gesto improvviso. — Non adesso. All'una. Lo spacciatore da cui mi rifornisco non sarà in zona fino a quell'ora. Vieni da me quando mancano pochi minuti all'una. Ti dirò cosa devi cucinare. All'una meno cinque, mi asciugai le mani e mi diressi ai fornelli. Ramon mi disse cosa stava preparando. — Ho due hamburger in padella. Da un lato sono cotti. Falli cuocere dall'altro ancora per cinque minuti. — Va bene — dissi. — Ma sbrigati. Se Burke dovesse tornare, gli dirò... Ma lui non perse tempo ad ascoltare quello che avrei detto a Burke. Si era già tolto in un lampo grembiule e berretto da cuoco e uscì dalla porta prima ancora che avessi tempo di completare la frase. Una cameriera ordinò un paio di peperoni arrostiti. Erano già quasi cotti, ed io non ebbi il minimo problema nel servirli. Poi tolsi dalla padella i due hamburger e ci aggiunsi il relativo contorno. Mentre posavo i piatti sul bancone, in modo che le cameriere li portassero ai clienti, mi tenevo un po' in disparte. Così, se Burke si fosse guardato alle spalle, non avrebbe notato che ero io e non Ramon a fare quel lavoro. Qualcuno ordinò dello stufato e un pasticcio di maccheroni; i piatti erano già pronti, perciò non ebbi il minimo problema nel trovarli e nel servirli. Ramon tornò prima che succedesse qualcos'altro. Sembrava un uomo del tutto diverso, ora. Era sempre un uomo diverso dopo che si iniettava la sua dose. Almeno, fino a quando gli effetti duravano. I suoi denti lampeggiarono. — Mille grazie, Howie. — Si frugò nella tasca della giacca e ne tirò fuori una bottiglia piatta, da mezzo litro, di moscatello. Me la porse. — Questa è per te, amico mio. — Mil gracias a usted, amigo — dissi.
Quando lui era di buonumore, come adesso, io facevo sovente sfoggio con Ramon delle mie limitatissime conoscenze di spagnolo e cercavo di capire il senso delle sue risposte, se lui replicava nella stessa lingua. Di solito, però, Ramon parlava troppo in fretta per i miei gusti, oppure usava un vocabolario che esulava da quelle poche centinaia di parole o frasi che io avevo imparato durante una vacanza in Messico due estati prima. Lui mi investì con una raffica di parole. — Mas despacio, por favor — dissi. — Non così maledettamente veloce. Ramon sorrise di nuovo. — Ho detto, Howie, che il mondo è un posto meraviglioso per viverci, no? Io tolsi il tappo dalla bottiglia e bevvi un sorso di moscatello. — Certo che è un posto meraviglioso, Ramon. Per il momento, grazie a te. Tornai ai miei piatti e lavorai in fretta per recuperare il tempo che avevo perduto. Tassie ne aveva già portato tre vassoi pieni zeppi mentre io coprivo Ramon. Entrambi i lavandini erano stipati all'inverosimile. Ma per la pausa del pranzo - che iniziava alle due e mezzo - mi ero già messo in pari. Bevvi un lungo sorso di vino e poi rimisi la bottiglia sotto il lavandino, dove l'avevo nascosta in precedenza. Avrei potuto finirla anche subito, senza il minimo problema, ma mi aspettavano ancora diverse ore di lavoro e le avrei trascorse con più allegria se mi fosse rimasto un po' di vino. L'idea di una sorsata ogni mezz'ora mi fece subito star meglio. — Vuoi che ti prepari qualcosa, Howie? Una bistecca, eh? — mi chiese Ramon. Scossi la testa. — Grazie, ma non ho ancora fame. Vado a prendere una boccata d'aria. Mi diressi verso la porta che dava sul vicolo, mi infilai una sigaretta fra le labbra e l'accesi. Mi appoggiai allo stipite della porta, che era aperta. Una boccata d'aria, avevo detto? La direzione del vento era cambiata e aveva portato del fumo in zona. Inoltre, il vicolo puzzava. Il mondo non era un posto meraviglioso? No, per niente. Non era il mondo vero a essere meraviglioso, secondo Ramon; era quel mondo illusorio, colorato di rosa, che vedono solo i drogati quando sono ai sette cieli. Ma quello è un mondo che può facilmente andare in frantumi e trasformarsi in un inferno privato, se il drogato non si buca tutti i giorni od ogniqualvolta ne ha bisogno.
Ma quelli non erano affari miei. O lo erano? Stavo davvero imparando qualcosa? Stavo portando a termine il mio compito? Cercai di allontanare da me quel pensiero, ma non ci riuscii. All'improvviso, mi parve di aver sprecato un'intera estate. "No, maledizione, sto davvero imparando qualcosa" mi dissi. Consideriamo la società come una gigantesca emulsione e i suoi componenti come tante particelle sospese nel liquido. Dato che non tutte le particelle hanno lo stesso peso specifico, alcune di loro andranno a fondo. E il quartiere malfamato - non solo questo, ma ogni quartiere malfamato - rappresenta il fondo. Lo sapevo anche prima, ma in modo razionale, non emotivo. Ecco quello che avevo guadagnato. Fingendo di essere una delle particelle che vanno a fondo, anzi diventando per qualche tempo una di esse, io avevo potuto conoscere di prima mano i derelitti, quelli che avevano rinunciato alla lotta, e associarmi con loro. Larve di uomini: è così che li aveva definiti Jim Tully. Uomini - e anche donne, ma meno - che si erano ritirati dalla competizione, a cui non interessava più un fico secco di niente. Vivevano di minuto in minuto, di giorno in giorno, con il minimo sforzo possibile; solo quel tanto che bastava per sopravvivere. E per bere, se avevano bisogno di bere. Ma non tutti si erano attaccati alla bottiglia. Gli alcolizzati, comunque, ponevano un altro problema: erano quelli che erano perché il bere li aveva ridotti così, oppure avevano bisogno di bere per compensare lo stato di degradazione in cui si erano ridotti? Neanche loro, forse, conoscevano la risposta esatta; perciò, come era possibile che la scoprissi io? E comunque, anche se ci fossi riuscito, che importanza aveva? Era un problema che riguardava gli psicologi, non i sociologi. Karen Horney, scendi dal tuo studio in pompa magna, dimentica le nevrosi dei ricchi e dicci come fa una persona normale a trasformarsi in un ubriacone. E cosa possiamo fare noi per aiutarla. O forse quell'ubriacone lo sa già, meglio di quanto tu non possa spiegarglielo? Ha già scoperto che la strada della non resistenza è la strada migliore, per lui? Vorrebbe davvero il tuo aiuto, Karen Horney, o ti userebbe soltanto per scroccarti da bere? E tu glielo offriresti, anzi ti uniresti a lui in una buona bevuta, sapendo che quel poveraccio non ha bisogno del tuo aiuto e tu non potresti fare niente di più per lui. L'estrema unzione prima che arrivi u-
n'ambulanza e vada a recuperare il suo corpo da un vicolo, o un portone, o un dormitorio. Un ammasso di carne senza più vita né speranza. Ma che cos'è un alcolizzato per uno psicoanalista? O uno psicoanalista per un alcolizzato? L'alcolizzato possiede quello che manca a tutti noi: la sicurezza. Quando si tocca il fondo si acquista sicurezza, perché non si può precipitare più giù di così. Si può solo morire, e quello è un pensiero che rassicura ancora di più. Ma io non ero uno piscoanalista. Avrei davvero ottenuto quello che cercavo? Sarei riuscito a imparare qualcosa, come mi ero proposto? Be', ormai che ero in ballo, tanto valeva ballare. Cos'avrei potuto combinare a Chicago nelle due settimane che ancora mi restavano prima che riprendesse la scuola? Era troppo tardi per qualche lavoretto estivo. E chissà, forse con la giusta prospettiva sarei riuscito a vedere delle cose che adesso non vedevo perché ero ancora troppo vicino agli eventi. Gettai via il mozzicone di sigaretta e mi chiesi se accenderne un'altra o se invece tornare in cucina e farmi preparare qualcosa da mettere sotto i denti. Sapevo che avrei dovuto farlo, prima o poi, ma per il momento non avevo fame. Forse era meglio che facessi un giro intorno all'isolato per prendere una boccata d'aria fresca. Alla fine, decisi che era più semplice starmene lì dove mi trovavo e non fare niente. Però pensai che sarebbe stato bello essere alla spiaggia con Billie the Kid. Sotto la calda luce del sole e fuori da questa nebbia che si andava infittendo sempre di più. Mi sarei accontentato di trovarmi già a Chicago e di essermi lasciato alle spalle tutte queste esperienze, diventate ricordo come ricordo era la mia recente estate in Messico. Ormai perfettamente sobrio, rinsavito, capace di rigare diritto. Un uomo che aveva una meta precisa, che era in grado di realizzare qualcosa. Sì, venire qui era stata un'idea folle. Per sovrappiù, pensai a come avrei vissuto in modo miserabile a Los Angeles, se non avessi trovato Billie o se Billie non avesse trovato me. Billie the Kid, la mia Billie; amorale, simpatica, imprevedibile, gentile, astuta (a parte quello che riguardava me), onesta, dolce, per nulla egoista. Sì, era la mia piccola Billie. Ma non si trovava alla spiaggia, come credevo. Ora stava venendo verso di me dall'imboccatura del vicolo. Indossava ancora lo stesso vestito, perfettamente asciutto, che si era messa sopra il costume da bagno. Quando si accorse che ero lì, si mise quasi a correre. Sembrava preoccu-
pata, quasi terrorizzata. Non l'avevo mai vista in quello stato. Le andai incontro e mi chiesi cosa diavolo fosse successo. Lei si avvinghiò al mio braccio con una tale energia che quasi mi fece male. — Howie... — Era un po' a corto di fiato. — Howie, sei stato tu a uccidere Mame? 3 Per un istante, pensai di non aver sentito bene; poi, l'attimo successivo, mi chiesi se Billie fosse uscita completamente di senno. Dovetti fissarla per diversi secondi prima di capire che lei era perfettamente sana, lucida e serissima. Mame doveva essere davvero morta, e Billie era preoccupata che l'assassino potessi essere io. — Non dire stupidaggini, Billie — replicai. — Ma certo che no. — Howie, non me ne importa se l'hai fatto. Ti aiuterò, ti darò qualche soldo in modo che tu possa scappare. Ma... — Un momento — la interruppi. — Mettiti bene in testa una cosa. Non sono stato io a uccidere Mame. Stava benissimo quando me ne sono andato da casa sua. Cos'è successo? — È morta, Howie. Assassinata. L'ho vista io. Me l'hanno fatta guardare per identificarla, per essere sicuri che fosse davvero Mame. E il fattaccio dev'essere successo più o meno nel periodo in cui tu eri su da lei. — Dopo che me ne sono andato, vorrai dire. Quando sono uscito da casa sua, lei stava benissimo, lo vuoi capire? Anzi, stava meravigliosamente. Il viso di Billie si rilassò un po', come la stretta della sua mano sul mio braccio. — Grazie a Dio, Howie. Ma... andiamo a parlarne da qualche parte, così potremo farci un drink. Ho assoluto bisogno di bere qualcosa. — Ottima idea — dissi. — Mi è rimasto ancora un bel po' di tempo prima di riprendere servizio. Tra l'altro, devono ancora pagarmi. Credo che ci sia tutto il tempo per fare un salto in camera tua e scolarci qualche bicchiere di quel manhattan che ti è rimasto. — Mio Dio, non in camera mia! L'intero edificio brulica di poliziotti. Vieni. Feci per chiederle che differenza c'era se l'intero edificio brulicava di poliziotti, ma lei aveva cominciato a spingermi lungo il marciapiede e io non protestai. Inoltre, forse adesso riuscivo a capire qual era il problema. Se i poliziotti avevano già interrogato Billie - come era praticamente certo, dato
che l'avevano costretta a guardare il cadavere per identificarlo - io avrei dovuto accertarmi che la mia versione dei fatti coincidesse con la sua, prima che gli sbirri mi venissero a cercare e interrogassero anche me. Meglio dare una ripassata alla lezione. All'imboccatura del vicolo, lei mi spinse verso destra. Mi stava tirando con tale vigore che fui costretto a dirle: — Calma, Billie. Qualcuno si metterà in testa che tu voglia rapirmi. Dove stiamo andando? — In un posto qualsiasi. Qui, per esempio. Indicò la porta del bar più vicino e cominciò a marciare in quella direzione. Io la tirai indietro. — Maledizione, Billie, questo è un night! Non sono vestito per l'occasione e, se entrassimo lì dentro, attireremmo l'attenzione di tutti. No, andiamo da Slim. — Tutta quella musica... Non si capisce niente dal rumore. — È proprio per questo che è il locale più adatto. Meglio parlare privatamente in mezzo a un baccano d'inferno che non dover essere costretti a bisbigliare in un mausoleo. — D'accordo, come vuoi. Ma sbrighiamoci. Decisi di non oppormi alle sue sollecitazioni, perché era più facile che resisterle o tentare di calmarla. Slim - o Texas Slim, come suonava il nome completo - si trova in Main Street, quasi un isolato a nord della Quinta Strada. La sua specialità è la musica western e la sua costante il fracasso. Due gruppi di musicisti, se è possibile usare un'espressione del genere, passano il tempo a torturare l'aria dal primo pomeriggio fino all'ora di chiusura, verso le due del mattino. Il locale ha le classiche porte respingenti del saloon e il pavimento è solitamente cosparso di segatura. Ciascuna cameriera porta due rivoltelle giocattolo da sei colpi, con relativa fondina. I musicisti indossano i tipici paramenti del cowboy e persino i baristi portano cappelli in stile. Curioso. Io non mi sarei fatto trovare là per nessuna ragione al mondo, ma stavolta la ragione c'era, e anche speciale. Mentre ci avvicinavamo, Billie si frugò nella borsetta e mi cacciò in tasca una banconota. Nessun problema; avrei saldato il prestito in serata. Come mi ero immaginato, a quell'ora del pomeriggio si vedevano alcuni avventori all'interno, ma il locale non era affollato. Prendemmo un tavolino sul retro. I tavoli accanto al nostro erano tutti vuoti. Mi accorsi che la cameriera stava venendo verso di noi e feci segno a Billie di aspettare, prima di cominciare con le sue rivelazioni. Billie ordinò il suo solito e io decisi di farmi portare un bicchiere di vino.
— Va bene — dissi alla fine. — Cos'è successo? — L'hanno colpita in testa, Howie. Non hanno ancora capito bene con che cosa, ma qualcuno ha detto che poteva trattarsi di un pezzo di tubo o di... — Ehi — la interruppi io. — Fammi un racconto ordinato e dimmi come si sono svolti i fatti per filo e per segno. Comincia da quando ci siamo lasciati davanti al portone di casa tua. Dovevi andare alla spiaggia se non ho capito male, no? Lei scosse la testa. — Mi ero avviata, infatti, ma poi mi sono accorta che avevo dimenticato... Vidi che la cameriera stava tornando verso di noi e feci segno a Billie di tacere. Tirai fuori di tasca la banconota e la guardai. Erano dieci dollari. La cameriera posò i due bicchieri sul tavolino e prese i soldi. — Meglio che aspettiamo il resto — dissi, rivolto a Billie — altrimenti quella tipa finirà per interromperci un'altra volta. Quando la cameriera tornò di nuovo, le diedi venticinque cents di mancia. Tenni un dollaro per me, nel caso avessimo ordinato ancora da bere, e consegnai il resto a Billie. — Non mi serve altro — dissi. — Quando finisco il turno, sarò pagato. Lei scosse la testa e spinse di nuovo verso di me i dollari che avanzavano. — Tienili, Howie. Considerati pure indebitato nei miei confronti, se ti fa piacere, ma potresti averne bisogno nel caso che... be', non si sa mai. Non accettai i soldi, ma decisi che avremmo potuto discuterne anche in seguito. Ora volevo sentire qualcosa riguardo a Mame. Ma lei mi domandò all'improvviso: — Howie, sei tornato anche tu nel palazzo dove abito? Dopo che ci eravamo separati, voglio dire... — No. E dannazione, smettila di seccarmi, Billie. Non ho toccato Mame nemmeno con un dito, né quando sono salito da lei per chiederle quella bottiglia né in seguito. Ora dovremmo confrontare le nostre due storie, ma immagino che la mia sia molto più breve della tua. Se comincio io, credo che finiremo prima. "Quando ti ho lasciato davanti al portone di casa tua, sono andato subito da Barney. Lì ho incontrato Ike Batchelor e gli ho scroccato un drink. Dopo mi sono diretto da Burke e ci sono arrivato intorno alle undici e cinque. Mi sono messo a lavorare e ho fatto una pausa per l'ora di pranzo, giusto poco prima di vederti sbucare dal vicolo. A te la palla". — Eh? Quale palla? — Parlavo in senso metaforico. Puoi cominciare col tuo racconto.
— Ah, bene. Sono andata in un drugstore, come ti avevo detto, per prendere un caffè. Tu non ne volevi, vero? Così mi sono seduta davanti al bancone tutta sola e ho aspettato almeno una decina di minuti prima che il caffè si raffreddasse e potessi berlo. Mentre me ne stavo lì, ho sentito una macchina della polizia passare davanti al locale e fermarsi nelle vicinanze. Ma non credevo si trattasse di qualcosa di particolare; ci sono sempre retate di barboni e di alcolizzati, nella zona. Mi venne in mente una cosa e le dissi: — Già. Quando la volante è passata davanti a Barney, ho sentito anch'io la sirena. Ma non volevo interromperti. Prosegui pure. — Va bene. Nel drugstore, mi sono accorta all'improvviso che avevo dimenticato di portare gli occhiali da sole e l'olio abbronzante, così sono tornata indietro a prenderli. "Non appena sono entrata nell'atrio, un poliziotto mi ha chiesto se abitavo in quel palazzo e io gli ho risposto di sì. Poi quello ha cominciato a farmi un mucchio di domande: se conoscevo Mame, quando l'avevo vista per l'ultima volta eccetera eccetera. Infine mi ha fatto salire per...". — Aspetta un attimo. Che cos'hai detto alla polizia? Hai detto che avevi telefonato a Mame? — Certo che no. Non sono una stupida, Howie. Ho immaginato subito che doveva essere successo qualcosa, e non volevo che tu o io fossimo in qualche modo coinvolti nella faccenda. Se avessi accennato alla telefonata, avrei anche dovuto parlare del resto; che tu eri salito a prendere la bottiglia e così via. Perciò ho detto ai piedipiatti che l'ultima volta in cui avevo visto Mame era ieri sera, quando lei aveva finito il suo turno al locale dove lavora. Ed è la sacrosanta verità, d'altra parte. E stai tranquillo: ti ho tenuto completamente fuori. Non ho detto che eri venuto a trovarmi, né tantomeno che eri salito lassù. "Howie, i piedipiatti stanno setacciando tutta la città per interrogare chiunque gli capiti a tiro. E anche con me non hanno scherzato. Mi hanno portata in centrale e mi hanno fatto firmare una deposizione in perfetta regola." — Credi che ce l'abbiano con te in modo particolare? — Sì, perché ho dovuto ammettere che lavoro nello stesso locale dove lavorava anche Mame. Non capisci? Lo avrebbero scoperto subito se non lo avessi detto, così ho preferito parlare. E, naturalmente, hanno visto le cicatrici sul braccio di Mame e si sono resi conto all'istante che era una tossica. Non so se le abbiano trovato della roba in casa, ma non credo che
il particolare abbia importanza. Per farla breve, devono aver pensato che The Best Chance, il locale, fosse in qualche modo collegato al giro di droga, così hanno continuato a tempestarmi di domande al riguardo. Credo pensino che Mike Karas sia un trafficante di droga e che Mame spacciasse per suo conto. — È così, Billie? — Non credo, Howie. Ma temo che le cose si mettano male lo stesso per lui. Dev'essere coinvolto in qualche specie di traffico, ma non di droga, come invece pensa la polizia. Billie rabbrividì un po'. — Gesù, sono felice di non essere una tossica come Mame, altrimenti la polizia mi avrebbe gettato la croce addosso. Quelli non si sono neanche presi la briga di darmi un'occhiata alle braccia. Hanno chiamato un medico e gli hanno detto di farmi un esame. — Che bisogno c'era? Se fossi stata drogata, avresti dovuto avere delle cicatrici sulle braccia, no? — Solo se fossi stata un'eroinomane. Ma c'è anche della gente che si droga sniffando, Howie. Specie le ragazze, perché non vogliono rovinarsi le braccia. E soprattutto le ballerine o tipe del genere. Comunque, appena mi hanno lasciato andare dalla centrale, sono venuta subito a cercarti. Ho perso solo qualche minuto per accertarmi che non mi seguisse nessuno. E così è. — Errore. Sei stata pedinata. Lei boccheggiò. — Vuoi dire che qualcuno... — Poi si rilassò. — Ah, capisco. Tu vuoi sempre scherzare, Howie, vero? — Tornando a Mame — dissi — chi l'ha trovata e come è successo? — Non lo so, Howie. Quelli mi hanno fatto solo domande. Non mi hanno permesso di interrogarli a mia volta. — Non poteva essere morta molto tempo prima del ritrovamento — dissi. — Vediamo, io sono venuto da te un po' dopo le dieci. Diciamo le dieci e cinque. Sono salito in casa di Mame un paio di minuti dopo e sono rimasto a scambiare quattro chiacchiere con lei per almeno cinque o dieci minuti. Doveva stare ancora bene, intorno alle dieci e venti. — Già. Noi siamo usciti da casa mia alle undici meno venti... ricordo di aver dato un'occhiata all'orologio. E quando ero nel drugstore e ho sentito quella sirena, non potevano essere passati più di cinque minuti, Howie. Mame deve essera stata uccisa non molto dopo che tu sei sceso. Probabilmente, mentre eravamo da me a berci quel paio di drink. Howie, non è che per caso sei stato visto entrare in questo palazzo da qualcuno che ti
conosce? E quando siamo usciti da casa mia, hai notato qualche faccia in particolare? Ci pensai sopra e scossi la testa. Poi mi venne in mente un particolare. — Ma qualcuno mi ha visto entrare da Mame quando sono salito per quella bottiglia. Lei mi guardò, atterrita. — Santo Iddio, Howie. Qualcuno che ti conosce? — No. Un lattaio. Era davanti alla porta di Mame e stava facendosi pagare, quando sono salito. Lei mi ha detto di entrare e aspettarla, e io così ho fatto. Billie era sbiancata in viso. — Mame ti ha chiamato per nome? Ha detto: "Entra pure, Howie" o qualcosa del genere? Mio Dio, se la polizia viene a sapere come ti chiami, o scopre anche solo il tuo nome di battesimo... E tu abiti proprio nel palazzo di fronte, dall'altra parte della strada! — Sto cercando di ricordare — dissi. Mi accorsi che entrambi i nostri bicchieri erano vuoti, così attesi che lo sguardo della cameriera incrociasse il mio e le feci un segno. Billie fece per dire qualcosa dopo che la cameriera se n'era di nuovo andata, ma io la zittii. — Lasciami pensare, Billie. — Cominciai a rimuginare, molto intensamente, fin dopo l'arrivo delle nostre seconde ordinazioni. Alla fine, dissi: — No, non mi ha chiamato per nome. Adesso ne sono certo. Ha detto: "Entra e mettiti comodo. Arrivo tra un attimo". Ma non ha fatto il mio nome. Ne sono sicurissimo. Billie tirò un sospiro di sollievo. — Grazie a Dio. In questo caso, il lattaio potrà fornire al massimo una tua descrizione. E tu sei un tipo abbastanza normale, come centinaia di altri. Voglio dire, non hai due teste o qualcosa del genere. — Qualche volta, dubito persino di averne una. Ma come faranno a sapere che il lattaio si trovava lì? E anche ammettendo che lui legga la notizia sui giornali, perché mai dovrebbe uscire allo scoperto e informare la polizia? Rischierebbe di venire sospettato anche lui, se dicesse che gironzolava nei paraggi più o meno al momento del delitto. — Credo che riusciranno a scoprirlo lo stesso, Howie... chissà, forse ha fatto altre forniture nel palazzo o roba simile. Ti conviene tenerti a debita distanza da quell'edificio, perché la polizia potrebbe anche usare il lattaio come testimone, se lui sostiene che è in grado di riconoscerti. Fossi in te, starei alla larga dall'intero isolato. — Non posso. Io abito in questa zona.
— Suppongo che ci sia un'uscita posteriore nel caseggiato dove abiti, no? Be', usala. Almeno per qualche giorno. Ma credo che faresti meglio a trasferirti. — E attirare l'attenzione di tutti su di me? No, grazie. Ma qualche volta, entrando o uscendo, mi servo dell'ingresso sul retro, così non sembrerà strano se qualcuno dovesse vedermi passare da lì. D'accordo, seguirò il tuo consiglio. E poi l'affitto della mia stanza è pagato sino a dopodomani. Se in seguito dovessi cercare un'altra sistemazione, la cosa non dovrebbe sorprendere nessuno. Billie mi sembrava eccessivamente preoccupata riguardo a questa faccenda, ma in fondo avevo poca roba da traslocare e di conseguenza i fastidi sarebbero stati ridotti al minimo. Per evitarle ulteriori turbamenti, decisi che l'avrei assecondata. — Va bene, Howie — disse Billie. — Serviti della porta sul retro fino a quando non te ne vai. Se dovessero piazzare il lattaio sul portone d'ingresso per fargli effettuare il riconoscimento... — Non lo faranno. Probabilmente, non riusciranno neanche a trovarlo. E adesso piantala di preoccuparti. Comunque, grazie per avermi informato. — Dovevo. Se scoprono che eri lassù poco prima che venisse commesso il delitto... sempre posto che sappiano quando è effettivamente avvenuto... ti troveresti in un mare di guai, tesoro. — Va bene. Ma loro non lo sanno, perciò non è il caso che tu ti preoccupi. Starò attento. Come sei messa stasera? C'è qualche probabilità che tu non debba lavorare? — Non lo so ancora. Non ho parlato con Mike. Spero che non lo mettano dentro o qualcosa del genere, ma non credo che voglia intensificare le sue attività fino a quando questa storia non si calma un po'. E fino a quel momento, non potrò far venire nessuno in camera mia. Sappi che questo... — ...vale anche per me. — Soprattutto per te, Howie. Ma possiamo sempre prendere un drink insieme, suppongo. Senti, stasera smonti alle sette, no? Annuii. — Be', se non dovessi lavorare... voglio dire, nel caso Mike chiuda bottega o non abbia bisogno di me... mi farò trovare da Burke alle sette. A ogni modo, se dovessi lavorare un po' ma non moltissimo, dove potrei trovarti in tarda serata? — Da Barney — risposi. — Dovrò fare un salto a casa per radermi dopo aver smontato, che tu venga oppure no. Poi andrò da Barney; a meno che
non sia già con te, si capisce. A quel punto, sarai tu a scegliere dove andremo. — D'accordo, Howie. Be', credo che faresti meglio a tornare al lavoro. Là avrai meno probabilità di cacciarti in un guaio che non in qualsiasi altro posto. Forza, ti accompagno. Mi accompagnò fino all'imboccatura del vicolo. — Dove vai ora? — le chiesi. — Torno a casa. Tanto, la polizia non può farmi più domande di quante non me ne abbia già fatte, e poi potrei sempre scoprire qualcosa di nuovo sulla faccenda. — Mi rivolse un sorriso piuttosto tirato. — Fai attenzione, Howie. Non ficcarti in qualche guaio con la polizia, capito? Io feci estrema attenzione e badai a non ficcarmi in nessun guaio. Tornai da Burke con dieci minuti di anticipo, così mi preparai un sandwich e lo consumai in gran parte, innaffiandolo con una tazza di caffè. Poi decisi di non attingere più dalla bottiglia di vino che avevo nascosto sotto il lavandino. Volevo essere sobrio, casomai Billie fosse venuta a cercarmi alla fine del turno. I piatti ricominciarono ad impilarsi sull'acquaio ed io mi tuffai nel lavoro. Mi sorpresi a rimuginare su Mame, ma poi mi meravigliai di tanta preoccupazione. In fondo, non erano affari miei. E continuavano a non esserlo almeno finché la polizia non avesse scoperto che mi trovavo a casa di Mame, stamattina. Ma non pensavo che i piedipiatti ci sarebbero riusciti. Il lattaio sembrava essere l'unico anello che avevano per arrivare a me, però non mi sembrava credibile che lui potesse fornire alla polizia una mia descrizione sufficientemente precisa. D'altra parte, anch'io non avrei saputo descriverlo; ricordavo solo che indossava una specie di tuta blu con berretto. Mi pareva di statura media e di corporatura normale, ma non riuscivo assolutamente a rammentare che faccia avesse, posto pure che lo avessi guardato in viso. Non sarei mai riuscito a identificarlo in una fila di personaggi allineati, a meno che non si fosse presentato in uniforme. Io, comunque, non avevo detto né fatto nulla per attirare la sua attenzione più di quanto lui non avesse attirato la mia. Perciò, come avevo detto a Billie, mi sentivo ragionevolmente sicuro che quell'uomo non sarebbe andato di sua iniziativa alla polizia. I piedipiatti sarebbero andati a fargli una visitina per interrogarlo solo se avessero scoperto che lui si trovava là. Ma se il lattaio si fosse recato alla polizia di sua spontanea volontà, gli sbirri avrebbero potuto facilmente sospettare di
lui. Avrebbero potuto non credere alla sua storia che qualcuno era entrato in casa di Mame proprio mentre lui stava facendosi pagare il latte. D'altra parte, per quanto ne sapevo io, poteva anche essere stato lui a ucciderla. E se il lattaio fosse salito da Mame col proposito di farla fuori? In quel caso, quando io mi ero presentato davanti alla porta di Mame ed ero entrato in casa sua, l'uomo doveva essersi sentito preso in contropiede. Ma poteva sempre salire una rampa di scale e aspettare che io uscissi. Dopo di che, non gli restava da fare altro che bussare di nuovo e uccidere Mame. Il movente? E come facevo a saperlo? Forse poteva trattarsi di furto, se per caso lui sapeva che Mame teneva qualcosa di valore in casa. O forse era un drogato anche lui. Chissà che non consegnasse qualche altra cosa, a parte il latte. E magari non era neppure un vero lattaio... ma forse stavo lavorando troppo con la fantasia. In ogni caso, sapevo che quell'uomo si trovava nei dintorni poco dopo che era stato commesso il delitto. E lui sapeva che anch'io mi trovavo lì poco prima. O magari lo avrebbe saputo dopo aver letto i giornali. O lo avrebbe scoperto in altro modo. Forse non leggeva i giornali, ma se avesse continuato a portare il latte da Mame con regolarità, avrebbe finito con l'accorgersi che lei era stata uccisa e si sarebbe magari informato sui particolari. — Stai sognando, Howie? Burke era in piedi dietro di me. Mi resi conto all'improvviso che stavo fantasticando e mi ero dimenticato di lavorare. Ma la sua voce era solo un po' sarcastica, non proprio arrabbiata. Così mi voltai e gli sorrisi, poi tornai a occuparmi dei piatti. Burke fece dietrofront. — Howie — mi disse Ramon dai fornelli — sei un gonzo matricolato. — Cómo? — Dovresti farti pagare di più da Burke. Sei il miglior lavapiatti che lui abbia mai avuto. Ti meriti molto più di settantacinque cent all'ora. "Ecco che arriva il momento della gloria" pensai. "La mia vita non è stata invano. In fondo, sono il miglior lavapiatti che Burke abbia mai avuto. E i lavapiatti vanno e vengono, perciò Burke deve averne visto all'opera molti". — Grazie, Ramon. Forse gli chiederò un aumento, un giorno o l'altro. — Solo che me ne sarei andato troppo presto per preoccuparmi di una cosa del genere. E comunque non potevo spiegare a Ramon che la differenza tra settantacinque cent e un dollaro all'ora era, per me, una differenza puramente accademica.
Lui scosse la testa. — C'è di più, Howie. Tu dovresti diventare cuoco. È così che si fanno i soldi. Sei abbastanza sveglio e lavori sodo. Potresti imparare. Magari cominciando a fare l'assistente cuoco. Poco per volta, potresti apprendere i segreti del mestiere. Se vuoi, posso darti qualche istruzione anch'io. — Grazie ancora. Ci penserò. Ma lui non voleva saperne di mollare. — Un lavapiatti fa il lavapiatti perché non vuole applicarsi, lavorare sodo. È sempre nei bar a sbevazzare e cambia lavoro in continuazione. Va e viene. Ma tu potresti fare molto più di un semplice lavapiatti. Potresti diventare qualcuno. — Forse dovrei fare l'insegnante, eh? — domandai. Lui prese la cosa sul serio. — Perché no? Se avessi abbastanza... come si può dire?... educación... — Sì lo so. Se avessi abbastanza istruzione, vero? Ma stavo solo scherzando, Ramon. — Ma io non scherzavo sulla proposta che ti ho fatto. Dovresti fare il cuoco, davvero. Potresti guadagnare un mucchio di soldi. Certo molti di più, pensai, di quelli che si fanno insegnando sociologia in una scuola superiore. E probabilmente, anche più di quelli che mette insieme un professore universitario. D'altra parte, alimentare il corpo è sempre stato più redditizio che non alimentare lo spirito. E con ogni probabilità sarà sempre così. Non è che mi sentissi molto tentato dai discorsi di Ramon, comunque. Quando uno ha una certa educación, ci sono altri fattori che rivestono una maggiore importanza del denaro. Non riuscivo a immaginarmi nei panni di un cuoco più di quanto non riuscissi a immaginarmi nei panni di un ballerino. Braccio di Ferro l'ha pensata bene: "Io sono quello che sono". E io sono un gentiluomo e uno studioso. Be', diciamo almeno che sono uno studioso. Il lavoro cominciò a rallentare verso le cinque. Io me la prendevo con calma e cercavo di seguire un ritmo regolare, invece di finire tutta la pila in un baleno e magari restare senza far niente finché le cameriere non mi portavano altri piatti. Il tempo passa più velocemente quando si lavora con regolarità ma senza affrettarsi. Se si resta ad aspettare, invece, pare che le lancette non si muovano mai. Lavai tutti i piatti fino all'ultimo. Dopo le cinque, e specialmente dopo le cinque e mezzo, il tempo passa più in fretta. Il periodo più duro per me sono i trenta minuti che vanno dalle cinque e mezzo alle sei. Alle sei subentra un altro lavapiatti, e i nostri
turni si accavallano per circa un'ora. Da quel momento in avanti, però, dei piatti si occupa solo lui. L'uomo che faceva il turno di notte - e ce n'erano stati sei o sette da quando lavoravo lì - era un montanaro che noi chiamavamo Carolina. Si portava sempre dietro una chitarra. Probabilmente, a cantare e suonare non era peggio di molti altri, ma gli piaceva alzare troppo il gomito perché sperasse di poter ottenere lavoro in un night, dove la gente gli avrebbe offerto qualche drink oltre a quelli che lui si sarebbe offerto da solo. Dio solo sa perché la gente offre da bere a tipi del genere, ma questo è proprio ciò che accade. Al momento, Carolina era in bolletta e si trovava con noi da tre interi giorni. Io speravo che si presentasse anche per il quarto, altrimenti per me sarebbero stati guai grossi. Burke mi avrebbe persuaso a fare anche il turno successivo e io sarei stato costretto a rinunciare, dato l'appuntamento che avevo con Billie. Ma forse avrei dovuto dare le dimissioni per convincere Burke a lasciarmi libero. Carolina non era ancora arrivato alle sei. Sospirai e mi concessi una sorsata di vino per farmi coraggio, poi cominciai a lavorare più velocemente. Dieci minuti dopo, però, si presentò Carolina, piuttosto sbronzo ma non abbastanza da non poter lavare qualche piatto. Apparve sulla soglia della porta posteriore proprio mentre io mi giravo da quella parte. Rimase lì qualche secondo, ondeggiando un po' e sorridendo. Era alto e allampanato, ma così curvo che sembrava di statura leggermente inferiore. — Oggi sono senza chitarra — annunciò. — Bene — dissi io. — L'ho impegnata questo pomeriggio. — Anche meglio — commentai. — Perciò dovrai lavorare, se vuoi tornarne in possesso. Vieni a dare un'occhiata qui. Ramon si era voltato e si stava strofinando le mani sul grembiule, gli occhi fissi su Carolina. Grazie a Dio Burke non c'era, altrimenti, con ogni probabilità, lo avrebbe licenziato. Io ero convinto di poterlo persuadere e, una volta che si fosse messo a lavorare, le cose si sarebbero subito aggiustate. — Ma che fretta c'è? E se non avessi nessuna voglia di lavorare, voi cosa potreste farci? Feci segno a Ramon di tenersi alla larga, poi allungai il braccio sotto il lavandino e ne estrassi la bottiglia da mezzo litro di moscatello, piena ancora per un terzo. La sollevai. — Bevi un sorso con me, Carolina — dissi. — Ce n'è rimasto ancora abbastanza per tutti e due. Lui si avvicinò subito alla bottiglia, barcollando. Tracannò una sorsata di
vino con estrema avidità e io fui costretto a portargliela via, altrimenti l'avrebbe finita. Bevve più della metà del vino rimasto, ma dopo cominciò a lavorare. Cominciò pure a cantare, e io dovetti interromperlo. Gli chiesi di farmi sentire un'aria dai Pagliacci, "Vesti la giubba". Lui mi parve sorpreso. — "A ovest di Juba"? Non la conosco, Howie. Ma se ti interessa, conosco "A ovest del Pecos". — Gli risposi che non mi interessava, ma se fosse rimasto in silenzio per i tre quarti d'ora che ancora mi restavano, gli avrei concesso l'ultimo sorso di moscatello disponibile prima di andarmene. Era una specie di patto, suppongo. Lui se ne dimenticò alcune volte e intonò qualche ballata, per interrompersi sempre all'istante quando gli facevo presente la cosa. — Ma non ti piacciono le ballate? — mi domandò una volta. — Gli risposi di no, perché da piccolo, mentre mia madre mi portava in giro, era stata quasi morsa dalla scimmietta di un suonatore d'organo. La cosa suscitò il suo interesse. Voleva sapere in che città la scimmietta aveva morso mia madre. Gli dissi che era successo in Rush Street, a Chicago, e lui si ammutolì. Alle sette gli consegnai la bottiglia e andai a farmi pagare da Burke. Cinque dollari e venticinque cent. Me ne restavano ancora otto dei dieci di Billie, il resto che lei non aveva voluto prendere. Ero ricco. Un maledetto capitalista. 4 Di solito, dopo avere riscosso, esco dall'ingresso principale, ma stavolta dovevo passare dalla cucina e uscire sul retro, perché Billie mi aveva detto che se fosse stata libera alle sette si sarebbe presentata all'entrata posteriore. Non so perché non fossi stato abbastanza veloce da dirle che era meglio vederci davanti all'ingresso principale, ma comunque la cosa non importava. Infatti, lei non venne. Aspettai un quarto d'ora per esserne certo e poi mi allontanai. All'edicola tra la Main e la Quinta comprai due quotidiani serali e poi salii in camera mia, ricordando il consiglio di Billie di star lontano da quella parte dell'isolato che dava sulla Quinta e servirmi della porta posteriore quando fossi rientrato a casa. Mi pareva un po' sciocco, ma in ogni caso non mi costò nulla darle retta. I giornali potevano attendere. Prima dovevo darmi una bella ripulita, pensai. Riempii la bottiglia dell'acqua nel bagno, in fondo al corridoio; poi,
al rientro nella mia stanza, mi rasai e mi diedi una bella spugnatura. Mi rivestii ed ebbi l'accortezza di infilare un biglietto da cinque dollari dentro il calzino sinistro. Se in serata avessi alzato un po' troppo il gomito e qualcuno mi avesse derubato, almeno non sarei rimasto completamente al verde. Qualsiasi cosa succedesse, comunque, otto dollari erano più che abbastanza per divertirmi. Poi passai alla lettura dei quotidiani, interessandomi soprattutto alle notizie che parlavano della morte di Mame. Li esaminai alla luce della lampadina da quaranta watt che pendeva dal soffitto. Quella luce mi avrebbe rovinato la vista, pensai, se mi fosse saltato in mente di studiare qualcosa durante le settimane in cui avevo preso alloggio lì. Il Mirror offriva il resoconto più ampio, con diverse fotografie. C'era una foto di Mame che la polizia doveva aver trovato in casa della vittima. Sembrava scattata almeno una decina di anni prima. Mame dimostrava una ventina d'anni; era piuttosto carina, allora, anche se già alquanto paffutella. I suoi occhi avevano un'aria dolce e innocente. La vita non era stata gentile con Mame, dopo quella fotografia. E quella mattina le aveva dato il colpo di grazia, ponendola al riparo da qualsiasi altro cambiamento. Congelata per sempre nel passato, in compagnia di altri illustri defunti quali Vercingetorige, Anna Bolena, Al Capone. "Mamie Gaynor, ventinove anni" diceva il giornale. Era la prima volta che mi capitava di sentire il cognome di Mame. Si vedeva anche una fotografia scattata col flash dall'interno della camera di Mame. Il fotografo doveva essersi appostato sulla soglia. Il corpo non si vedeva; o era troppo vicino alla porta per poter essere ripreso, oppure era già stato spostato. Ma, a differenza del ritratto di Mame pubblicato sul Mirror, la stanza non sembrava diversa da come io l'avevo vista l'ultima volta. Qualcuno l'aveva perquisita, e con un certo accanimento. I cassetti dei mobili erano tutti aperti e il loro contenuto sparso sul pavimento. Lenzuola e coperte erano state tagliate in minutissime strisce e il materasso spostato. Lo schermo che nascondeva il cucinino era per terra, e sembrava che qualcuno l'avesse esaminato. Lo sportello del frigorifero era aperto; quello che si trovava all'interno - non molto, per la verità - era sparpagliato sul pavimento lì davanti. "Perché Billie non aveva fatto il minimo accenno al disordine in cui si trovava la stanza?" mi chiesi. Era impossibile che non se ne fosse accorta, quando la polizia l'aveva fatta salire per identificare il cadavere di Mame. Ma in fondo io non le avevo fatto la minima domanda sul delitto, con l'u-
nica eccezione dell'arma che era stata usata. Ci eravamo limitati a confrontare i nostri rispettivi movimenti e gli orari in cui erano stati effettuati. La terza fotografia riprendeva l'ingresso del Best Chance e lo ritraeva per quello che in realtà era: l'ingresso di un night piuttosto equivoco. L'articolo occupava meno spazio delle fotografie e non mi rivelò nulla che già non sapessi, a parte il come, il quando e il da chi era stato ritrovato il corpo. Il ritrovamento era avvenuto alle dieci e quarantacinque, pochi minuti dopo che Billie e io eravamo usciti da casa sua per poi separarci. Ricordo che avevo sentito la sirena della polizia qualche minuto dopo. Lo scopritore era stato il proprietario dell'edificio, Richard N. Backus, un uomo di quarantaquattro anni che viveva in un appartamento sul retro del palazzo, al pianterreno. Stando a quello che lui aveva raccontato, la signorina Gaynor aveva pagato l'affitto il giorno prima e si era lamentata per una perdita dal rubinetto del lavandino, in cucina. Lo sgocciolio era così snervante che qualche volta le impediva di prendere sonno la sera. Il padrone di casa aveva promesso di sistemare l'inconveniente non appena avesse avuto tempo e, in mattinata, era salito nella camera della vittima con gli arnesi idraulici per effettuare la riparazione. Aveva bussato lungamente alla porta, ma poi si era convinto che la signorina Gaynor non fosse in casa, perciò aveva deciso di entrare con il suo duplicato. Trovando quello che aveva trovato, aveva subito telefonato alla polizia. Nessun accenno al lattaio. Ma quello non bastava a provare, pensai, che la polizia non sapesse nulla di lui o non lo avesse ancora rintracciato, perché i giornali non parlavano né della storia dell'eroina né del fatto che Mame fosse una drogata. E la polizia era al corrente di quei particolari, perché Billie me ne aveva parlato. Il nome di Billie non era neppure menzionato. Mike Karas era ricordato solo una volta, e di sfuggita, per essere stato il datore di lavoro di Mame e il proprietario del Best Chance, dove lei faceva la barista. L'Herald-Express non mostrava alcuna fotografia, e l'articolo era più breve rispetto a quello del Mirror. Tuttavia, il resoconto metteva in luce un paio di punti minori che non si trovavano in quello del Mirror. Uno era che Mame, secondo la polizia, era morta all'incirca da mezz'ora rispetto al momento in cui Backus aveva scoperto il cadavere. L'altro era che, almeno da quanto si era potuto appurare, l'ultima volta in cui Mame era stata vista viva era quando aveva lasciato il Best Chance intorno alle otto della sera prima. Lei aveva lasciato il locale da sola, chiedendo il permesso di uscire
prima a causa di una brutta emicrania. Che l'emicrania si chiamasse Jesus? Decisi che la cosa non era improbabile. Nel parlarmi di lui, Mame non mi aveva detto dove lo avesse trovato... o dove Jesus avesse trovato lei, quanto a quello. Non mi aveva neanche detto a che ora lo aveva portato nella sua stanza o che le fosse venuto un brutto mal di testa, perciò era probabile che quell'ultimo particolare fosse solo una scusa. Se le cose stavano così, lei aveva di sicuro un'altra ragione per andarsene dal locale prima del previsto. La mia supposizione era che lei e il messicano avessero preso un appuntamento al bar, prima delle otto, e si fossero messi d'accordo per incontrarsi da qualche parte e poi salire nella stanza di lei. In questo caso, lui sarebbe uscito dal night per primo, e Mame, dopo un intervallo ragionevole, sarebbe andata da Mike propinandogli la storia dell'emicrania. Ma se Mame aveva l'abitudine di prendere appuntamenti amorosi con i clienti, e io credevo che l'avesse, allora era più probabile che Mike fosse al corrente della cosa e che, perciò, non ci fosse bisogno di inventare un mal di testa fittizio. Forse era stato Mike a dirle di andare via prima. In ogni caso, Billie lavorava là, perciò lei sarebbe stata in grado di dirmi come si erano svolte realmente le cose. Io non avevo comunicato a Billie la storia che Mame mi aveva raccontato riguardo a Jesus. Ma non era da escludersi che Billie avesse potuto vedere il messicano al Best Chance mentre quest'ultimo parlava con Mame un po' prima che lei si prendesse quel brutto mal di testa. Dovevo chiederglielo. Quei pensieri mi fecero venire in mente che forse Billie stava cercandomi da Barney. Così mi diressi lì, uscendo di nuovo dalla porta sul retro. Erano da poco passate le otto quando arrivai da Barney, ma Billie non c'era. All'interno, non c'era nessuno che conoscevo. Persino il barista era nuovo; mi chiesi se Jerry, che di solito faceva quel turno, avesse cambiato lavoro o fosse stato licenziato. Ma non lo domandai esplicitamente, perché non volevo attaccare conversazione con nessuno prima di aver terminato quel giro di pensieri che avevo cominciato in camera mia, leggendo i giornali. Ordinai del vino e cominciai a sorseggiarlo lentamente, facendolo durare il più a lungo possibile. Il piano per la serata era semplice: rimanere sobrio finché non fosse venuta Billie o finché non fossi assolutamente certo della sua assenza.
Mi venne in mente all'improvviso che, invece di stare a rimuginare, potevo accertarmi subito delle mosse di Billie telefonando al Best Chance. Lei non voleva che io andassi là, specie stasera, e aveva un mucchio di ragioni. Ma io non vedevo niente di male a dare una telefonata. Controllai il numero e lo composi sul disco combinatore. Mi rispose una voce maschile un po' burbera, probabilmente quella di Mike Karas. — Sì, un attimo — mi disse, quando chiesi di Billie. Non appena sentii la sua voce, dissi: — Sono Howie. Quando puoi uscire? — Ciao, Walter — rispose lei. — Sì, non dovrei metterci molto. Da dove stai chiamando? — Ovviamente, non voleva menzionare il bar in cui mi trovavo per la stessa ragione che l'aveva spinta a chiamarmi con un nome sbagliato. Così lo pronunciai per lei. — D'accordo, tesoro. Sarò lì diciamo tra una mezz'oretta. — Perfetto, Billie. Ci vediamo. Riattaccai, chiedendomi se al Best Chance ci fossero dei poliziotti o se Billie avesse assunto quell'aria circospetta a esclusivo beneficio di Mike e delle altre ragazze che potevano ascoltare. Be', ora sapevo che sarebbe venuta e mi sentivo decisamente meglio. Tornai al bar e ordinai un altro moscatello. Decisi di razionarlo per almeno mezz'ora, così avrei dato inizio alla mia serata con Billie in perfetta lucidità di mente. E le cose andarono proprio co: me mi aspettavo. Lei era un po' rossa in viso e mostrava una certa agitazione, il che la faceva sembrare ancora più graziosa del solito. Ci sedemmo a un tavolino con separé e ordinammo da bere. — Com'è che mi hai chiamato Walter? — le domandai. — Poliziotti in giro? — No, quando mi hai telefonato no. Ma ce n'erano prima. Il fatto è che Mike e Roberta stavano ascoltando, e non volevo che sapessero con chi avevo appuntamento. — Billie, non è che la stai facendo un po' grossa? — Neanche per sogno, Howie. Ti troverai nei guai sino al collo, se i poliziotti vengono a sapere che eri lassù poco prima del delitto. Mai avuto grane con i piedipiatti? Probabilmente, per stare al gioco, avrei dovuto rispondere di sì, ma dato che non mi andava di mentire a Billie, scossi la testa in tutta onestà. — Bene. Meglio che tu non abbia precedenti, ma anche così...
— Billie — le dissi. — Ho letto i quotidiani serali. E tu? Lei annuì. — So qualcosa in più rispetto alle notizie riportate dalla stampa. Non molto, è vero, ma credo che sia significativo. — Tra un attimo me ne parlerai. Ma prima dimmi una cosa: eri al Best Chance ieri sera, quando Mame se n'è andata? — Sì. Ed erano all'incirca le otto. I giornali hanno riportato la notizia correttamente. — Ma lei aveva davvero il mal di testa? — Certo che no. Doveva andare a un appuntamento. — Sai con chi? — Be', non sono sicura. Verso il tardo pomeriggio, mentre serviva al bar, aveva parlato con tre o quattro clienti diversi. Potrebbe trattarsi di uno di loro. Forse l'ultimo con cui aveva parlato... e con lui si era trattenuta anche più a lungo, se non ricordo male. L'uomo se n'è andato poco prima di lei. — Era un messicano di nome Jesus? — Be', il nome non lo so, ma comunque era un messicano. Tu però come lo sai? Le snocciolai la storia che Mame mi aveva raccontato quella mattina. — Credo si trattasse dello stesso individuo, Howie. Quello è un nome tipicamente messicano e va pronunciato con la "j" aspirata, no? — Esatto. — Allora quel tizio dev'essere proprio lui. Ora che ci penso, mentre parlavano ho sentito Mame pronunciare il nome di "Jesus" all'americana e ridere diverse volte. Credevo che, dato il nome, lei stesse facendo qualche sorta di giuramento. Ma probabilmente lui le aveva detto che si chiamava Jesus e Mame sapeva abbastanza spagnolo da prenderlo in giro. Annuii. Mame lo avrebbe fatto di sicuro. — L'hai mai visto prima o dopo quell'episodio? — domandai a Billie. Lei scosse la testa. — Che io mi ricordi, no. Non era un cliente regolare, comunque, ne sono certissima. Ma la verità è che tutti i messicani mi sembrano uguali, perciò... La cosa non era molto incoraggiante, ma le chiesi lo stesso di descrivermelo come meglio poteva. — Be', aveva più o meno la tua corporatura, Howie; forse era un po' più basso, ma non di molto. Ben vestito... quasi elegante, direi. Portava un abito blu scuro e un cappello grigio. Come età, direi dai trenta ai quaranta, ma non sono molto attendibile in materie del genere. Credi... credi che quel ti-
po sia tornato la mattina dopo e abbia ucciso Mame? — È possibile. Pensa a tutte le precauzioni che ha preso quando è salito nella stanza di Mame. Forse era deciso a farla fuori appena arrivato. Ma poi ha sentito bussare alla porta, si è spaventato e ha pensato bene di squagliarsela. Billie sembrava pensosa. — Potrebbe anche essere, Howie. Quadra con un altro particolare, uno di quelli che non era sui giornali. La faccenda dell'eroina, voglio dire. O la polizia ha tenuto segreta la notizia che Mame si drogava, oppure ha chiesto ai giornalisti di non pubblicarla. Forse gli sbirri pensano che Mame sia stata uccisa per ragioni di droga. Lei poteva avere qualche dose nella sua stanza e quel tizio l'ha fatta fuori per impadronirsene. — Ma qualche dose per uso personale? O credi che Mame fosse una spacciatrice? Lei si strinse nelle spalle. — Potrebbe essere l'una cosa e l'altra. Fino a ora, però, non si sa che lei spacciasse. A quanto risulta, era solo una consumatrice. Ma non è da escludere la prima ipotesi. — Tu pensi che spacciasse? — In tutta onestà, non credo. E certo non grosse quantità. Altrimenti sarebbe stata piena di soldi. Quello che racimolava da Mike e dai clienti occasionali che si portava a casa giustifica in pieno il suo tenore di vita. E non è che avesse l'abitudine di mettere i soldi sotto il mattone, perché di tanto in tanto veniva a chiedermi qualche prestito. No, non credo che fosse una spacciatrice, Howie. Neanche in piccolo. — Ma se non lo era — replicai io — poteva avere abbastanza roba sottomano perché qualcuno pensasse di ucciderla? — Be', uno che avesse un disperato bisogno di bucarsi avrebbe anche potuto farla fuori per una semplice dose. Ma questo non quadra molto con il presunto carattere di Jesus. — Perché no, se anche lui era un tossico? Forse aveva bisogno di bucarsi e ha capito che Mame era un'eroinomane. Non ti sembra possibile? — Sicuro, ma allora avrebbe chiesto a Mame in che modo stabilire un contatto e come poteva fare a procurarsi della droga, posto che già non lo sapesse. E non poteva certo saperlo, se era appena giunto in città. Non mi sembra credibile che lui l'abbia fatta fuori solo per una dose. Quel tipo non sembrava in bolletta. — Ne sei certa? — Certissima. Stammi a sentire: ha chiacchierato con Mame per mezz'o-
ra, continuando sempre a offrirle da bere. — Credevo che Mame non bevesse. — Bere aperitivi poco alcolici non è bere, Howie. E Mame beveva solo roba del genere. Comunque, anche in una bettola come quella di Mike, ci vogliono dai dieci ai venti dollari per comprare tutti quegli aperitivi che le ha offerto, più le bevande che ha consumato lui. Un drogato che muore dalla voglia di bucarsi non butta via così i suoi soldi, a meno che non ne abbia una buona scorta. Non sei d'accordo? — Non del tutto — risposi con un sospiro. La posizione di Jesus nella faccenda mi era sembrata molto scomoda negli ultimi minuti. — È sempre possibile che Mame spacciasse eroina e ne tenesse una notevole quantità a portata di mano. Abbastanza perché qualcuno la uccidesse per il valore della roba, e non tanto perché l'assassino voleva bucarsi. In questo caso, il colpevole potrebbe anche non essere un drogato. — Già. Ma come ti ripeto, Howie, lei non spacciava. Ci scommetterei la camicia su questo. La conoscevo troppo bene. Se lei si fosse trovata coinvolta in qualche racket, avrei finito per saperlo... — Se non vogliamo chiamare racket l'esercizio della più antica professione del mondo. Billie, puoi dirmi una cosa in tutta franchezza? — Cosa? — Di che si occupa in realtà Mike? Gestisce qualche traffico? E come c'entra nella faccenda? Lei esitò, ma non molto a lungo. — Mike è un ricettatore, Howie. Compra merce rubata, soprattutto gioielli. Ma non ha mai trattato droga. Provai a riflettere su quanto mi aveva appena detto Billie, ma quella notizia non quadrava con l'insieme. Non sembrava aver nulla a che fare con la morte di Mame. Eppure, ciò aumentava la mia curiosità riguardo a un particolare. — Come fai a esserne così sicura, Billie? Gli hai venduto qualcosa? — No. A parte un anello che avevo trovato una volta, ma non è per questo che lo so. La ragione è che io conosco molto bene i gioielli, soprattutto le pietre preziose. Mio marito lavorava per un gioielliere, Howie, e non faceva che maneggiare pietre preziose, così mi ha insegnato praticamente tutto al riguardo. Mike lo sapeva e perciò, in un paio di occasioni, mi ha chiesto di dare un'occhiata a qualche pietra e di stimarla per lui. Lei vide che aggrottavo le sopracciglia e proseguì. — Non fraintendermi, Howie, non è che io faccia abitualmente perizie per lui o mi sia messa in qualcosa di illegale. Niente del genere. È solo che, qualche volta, lui mi
ha chiamato nella stanza sul retro del locale e mi ha chiesto di dare un'occhiata ad alcune pietre. Probabilmente, in quei casi doveva prendere una decisione rapida, magari perché il tizio con cui trattava non poteva o non voleva aspettare i tempi di una delle normali perizie di Mike. D'altra parte, Mike non mi ha mai detto esplicitamente che la roba scottava o che lui voleva comprarla. — I poliziotti non se la sarebbero bevuta, se avessero fatto irruzione durante la tua perizia, Billie. Lei sorrise. — I poliziotti non si bevono un sacco di cose. Prendiamo un altro drink? I nostri bicchieri erano vuoti. Io li presi e li portai al bancone per farli riempire nuovamente. Non c'erano cameriere di servizio da Barney. Mi sedetti di fronte a lei e le domandai: — Quali sono i programmi per dopo? Possiamo andare in camera tua, Billie? È da un mucchio di tempo che non facciamo più niente. — Sono due giorni. Ti pare un mucchio di tempo? — Sì. — Ma non possiamo andare da me, Howie. Almeno fino a quando i piedipiatti non la smetteranno di presidiare il palazzo e questa faccenda non comincerà a sgonfiarsi. Dovrò camminare sulla retta via almeno per un po' di tempo. Andare da me era fuori discussione. La mia camera era troppo male in arnese, posto che non ci fossero altre ragioni. — Ma esistono anche le camere d'albergo, no? — le dissi in tono pieno di speranza. — Se proprio ti va di camminare sulla retta via a casa, potresti almeno divertirti un po' con me all'albergo più vicino, che ne dici? Meglio non sceglierne uno troppo elegante, visto come sono vestito. Ma se andiamo qui vicino, non credo proprio che ne troveremo di particolarmente lussuosi. Lei sorrise, poi allungò la mano sopra il tavolino e la poggiò sopra la mia. — Possiamo fare anche meglio, tesoro. Prima stavo solo scherzando. Mi sono fatta dare la chiave di casa da Roberta; le ho detto che avevo un appuntamento e che mi serviva una stanza, lasciandole credere che si trattasse di un cliente. — Fantastico — dissi. — Ma se anche Roberta ne avesse bisogno per qualche suo cliente? Tra l'altro, dove andrà a dormire? — Roberta non è in affari, attualmente. Non per un paio di notti. Mi hai capito, no? Ma per quanto riguarda il dormire, tesoro, noi non possiamo
stare lì. Ho promesso a Roberta che le avrei restituito la chiave intorno a mezzanotte o poco più tardi. — Dannazione. Se le cose stanno così, forse è meglio restituirgliela subito e andare in un hotel. Gli albergatori non si preoccupano di quanto restano i loro clienti. Lei tirò indietro la mano e assunse un'aria corrucciata. — Howie, qualche volta credo persino che tu non capisca nulla. Non posso stare via tutta la notte da casa mia per la stessa ragione per cui non posso portarci qualcuno. I poliziotti la staranno tenendo d'occhio, e non si faranno sfuggire niente. Forse non pensano che io sappia più cose su Mame di quelle che ho riferito, ma per loro sono dalla parte sbagliata della legge. Mi va già abbastanza bene che non mi abbiano trattenuto come testimone materiale. Fino a quando questa faccenda non si sgonfia, ho il sospetto che, se riusciranno a ottenere qualcosa su di me, mi sbatteranno in galera. Possibile che tu non lo capisca? — Certo che lo capisco. Ma non è un reato passare la notte fuori di casa, no? — Sono d'accordo, ma quelli mi chiederebbero subito dov'ero, per poi passare a un controllo diretto. E se raccontassi qualche panzana, sta' certo che finirei in gattabuia. D'altra parte, se dicessi la verità, arriverebbero subito a te. E, se non lo sai, Howie, anche questo è illegale. Dormire con qualcuno, voglio dire, se non si è regolarmente sposati. Potremmo finire entrambi in galera. Sospirai e decisi di accontentarmi. "Alla malora i piedipiatti", come aveva efficacemente detto Ike Batchelor. — Ancora una cosa — disse Billie. — Mentre siamo da Roberta, non parliamo di Mame. Mio Dio, da quando sono rientrata in quell'edificio, non ho sentito parlare d'altro. E anch'io ho dovuto unirmi al coro. I poliziotti, gli inquilini del palazzo, il personale del Best Chance, tu... — Siamo d'accordo — dissi. — Anch'io posso concedermi qualche ora di libertà da Mame. Ma adesso, prima di andarcene, dato che possiamo ancora parlare di lei, dimmi cos'hai scoperto che non compariva sui giornali. — Si tratta soprattutto della faccenda dell'eroina e del fatto che i poliziotti credono che l'assassino cercasse proprio quella nell'appartamento di Mame. Ah, un'altra cosa... Nessuno dei giornali ha ricordato che la finestra della sua camera era aperta. Pensano che il killer sia entrato dalla porta perché Mame è stata trovata lì vicino, e che l'uomo fosse ancora dentro casa quando ha bussato il vecchio Backus. Poi sono convinti che se la sia da-
ta a gambe passando dalla finestra e scendendo per la scala antincendio. — Proprio come ha fatto Jesus la sera scorsa — dissi. Mi chiesi se questo aumentasse le probabilità che il colpevole fosse lui, ma poi decisi di no. Vero, lui sapeva che c'era una scala antincendio, ma quello era un particolare che chiunque fosse stato in casa di Mame poteva sapere, a meno che la finestra non fosse stata schermata. Infatti, bastava guardare attraverso quest'ultima per vedere le scale di servizio. E io sapevo che la finestra non era stata schermata prima del delitto. — Se l'assassino è fuggito da quella parte perché era spaventato, potrebbe non aver avuto il tempo di trovare l'eroina o qualsiasi cosa stesse cercando. Ma Billie scosse energicamente la testa a quella mia osservazione. — Deve averla trovata, Howie. I poliziotti hanno letteralmente setacciato l'appartamento e non sono stati in grado di trovare nulla. Solo un cucchiaio, una siringa e un contagocce, ma niente droga. Neanche soldi, perlomeno nella borsetta di Mame. Deve aver preso anche quelli. Il suo bicchiere era di nuovo vuoto. Io terminai il mio drink. — Pronta? — le chiesi. — Non saliamo da Roberta insieme, Howie. Ci sono diverse ragioni. Primo, voglio farmi un bagno. Non ho avuto il tempo di farlo, stamattina. E... be', lasciami uscire prima e tu vieni tra una mezz'oretta. Di nuovo quelle storielle da melodramma. Non mi sembrava una ragione valida; poteva sempre fare il bagno anche se c'ero io lassù. Comunque, dissi che andava bene per compiacerla e lei mi comunicò i numeri del palazzo e dell'interno di Roberta in San Pedro Street. Le assicurai che quei numeri erano scolpiti nel mio cuore. — Hai abbastanza soldi per comprare qualcosa da bere, intanto che siamo là? Le dissi che nuotavo nell'oro e che mi sarei incaricato personalmente di quella piccola faccenda. Diedi un'occhiata all'orologio quando lei se ne andò, in modo da calcolare una mezz'ora esatta. Poi tornai al bancone e ordinai un altro moscatello. Se lo avessi sorseggiato con una certa calma, forse mi sarebbe bastato. 5 Un pensiero improvviso per poco non mi accecò col suo fulgore. Jesus era un messicano e, molto probabilmente, un drogato. Ramon era un mes-
sicano e, senza alcun dubbio, un drogato. Non solo, ma uno dei suoi tanti nomi era Jesus. Una volta, mi aveva detto come si chiamava per intero: Ramon Garcia Jesus Toledo Silva e, per qualche strana ragione, me ne ricordavo ancora. In aggiunta, era venuto a lavorare verso mezzogiorno, circa un'ora dopo che l'assassino aveva lasciato la casa di Mame. Ricordo benissimo che aveva una benda applicata da poco sulla fronte e... Sciocchezze, mi dissi. Howie, stai diventando matto. Billie aveva visto Jesus ieri sera, e lei conosceva Ramon. Lo aveva visto almeno una volta; avevamo incontrato Ramon in un bar mentre eravamo insieme e io gliel'avevo presentato. E anche se Billie sosteneva che tutti i messicani le sembravano uguali, si sarebbe ricordata di Ramon per le cicatrici che aveva in faccia; aveva fatto qualche commento al riguardo, qualche tempo dopo. In ogni caso, se Jesus avesse avuto delle cicatrici in faccia, lei me ne avrebbe certo parlato nel descriverlo. Inoltre, chiunque aveva ucciso Mame si era portato via la sua provvista di droga, mentre Ramon era venuto a lavorare praticamente in crisi di astinenza. Erano tutte sciocchezze, e per almeno una dozzina di altre ragioni. Be', per i tre secondi in cui era durata, era stata un'idea davvero brillante. Decisi che siccome Billie e io ci eravamo messi d'accordo di non parlare più del delitto per quella sera, personalmente potevo anche smetterla di arrovellarmi come un ossesso sulla faccenda. Misi subito in atto la decisione. D'accordo, non avrei più pensato a Mame. Se Mame, grande e grossa com'era, non aveva saputo badare a se stessa, perché avrei dovuto... C'ero caduto di nuovo. Stavo pensando ancora una volta a lei. Ma come si fa a non pensare a qualcosa? Semplice, basta pensare a qualcos'altro. "Pensa che devi andare alla toilette" mi dissi. Raccomandai al barista, che comunque sembrava molto poco impegnato, di stare attento che nessuno si bevesse il resto del mio drink e poi mi diressi verso i gabinetti. Mentre tornavo, vidi uno scarafaggio che aveva incrociato la mia traiettoria e se la stava squagliando precipitosamente. Lo schiacciai e sentii un orribile scricchiolio sotto la scarpa. Di ritorno al bar, mi chiesi perché l'avevo schiacciato. Quello scarafaggio non mi aveva fatto niente, né aveva alcuna intenzione di molestarmi. Non si trattava di legittima difesa. Ike e la sua giustizia. Ma c'era una giustizia anche per gli scarafaggi? Pena per essere uno scarafaggio: la morte. Ma perché? Uno scarafaggio non può fare a meno di essere quello che è:
è nato così. Eppure, calpestarne uno è un'azione quasi automatica per un uomo. D'accordo, gli scarafaggi mangiucchiano qualcosa di tanto in tanto, ma non abbastanza da preoccupare un uomo, a meno che non sia un maledetto capitalista e possieda un granaio o un magazzino di merci varie. Per quanto ne sapevo, gli scarafaggi non avevano mai mangiato qualcosa di mio. E anche se l'avessero fatto, che diritto avevo io di uccidere quel particolare scarafaggio per punirlo delle malefatte dei suoi simili? Non l'avevo colto in flagrante delicto, non l'avevo sorpreso a mangiare niente di niente. Stava solo attraversando il pavimento. E neanche il mio, quanto a quello. Ma era troppo tardi per ridargli la vita, ormai. Troppo tardi anche per scusarsi, a meno che non lo facessi col prossimo scarafaggio. Avrei potuto prima scusarmi con lui e poi schiacciarlo. "Howie, devi avere qualche rotella che non funziona nella tua zucca" mi dissi. "Ma senza qualche rotella che non funziona, non saresti nemmeno qui. Peggio: non ti saresti mai messo a bere come bevi adesso". Una mano mi toccò la schiena e io mi girai. Ike Batchelor. Almeno esteriormente, non sembrava ridotto peggio di quanto non fosse in mattinata. L'unica cosa è che aveva un brutto livido sulla fronte. Una giornata terribile per le fronti, pensai, ricordando quella di Ramon. Avrei fatto meglio a stare attento alla mia. — Chi va là? — domandai. — Amici. — Allora fatti avanti, amico mio, e dimmi la parola d'ordine. — Offrimi da bere, Howie. Sono al verde. — Non ricordi? — Cosa? — Il suo sguardo sembrava perplesso. — Questa è la parola d'ordine sbagliata — dissi. — Hai perso. — Dannazione, Howie, tu guadagni. Hai un mucchio di soldi. Lavori, maledetto bastardo. — Va bene — dissi. — Solo uno, però. Ma avresti potuto averne due. — E come? — Lasciamo stare — risposi. — Vedo che hai la memoria corta. — Feci segno al barista di portarci da bere. Ike borbottò qualcosa, poi fece schioccare le dita. — Ci sono! Quei trenta cent che ti avevo prestato! Scossi la testa. — Hai tentato, Ike. Quella sommerta basterebbe per due bicchieri di vino. Ma la risposta è sbagliata. Tu non mi hai prestato niente. — Adesso ricordo. Ti ho offerto due bicchieri e tu hai detto che me li
avresti restituiti quando ti fossi trovato un po' meno al verde. Giusto? — No. Avevamo fatto un accordo. Ti arrendi? Lui ci pensò sopra un attimo, poi rinunciò. Glielo dissi. Ike si mise a imprecare, ma poi sorrise. — Bell'accordo. Va bene, non me ne sono ricordato. Questo vuol dire che hai vinto tu. Comunque, grazie per avermi offerto questo. Sei un tipo in gamba, Howie. — Sono una meraviglia — concordai. — Ma non dovresti fare accordi complicati come questo. Sai una cosa, Howie? — Cosa? — La vita è semplice. È la gente a renderla complicata. Scossi la testa. — La gente è semplice. Ma la vita la rende complicata. Dato che ormai era passata mezz'ora dalla partenza di Billie, lasciai Ike a rimuginare su quel principio da solo. Mentre camminavo sulla Quinta diretto a ovest, verso San Pedro Street, ci ripensai anch'io. Una di quelle affermazioni era vera a esclusione dell'altra? Oppure c'era un briciolo di verità in ciascuna? Chi è in realtà questa gente a cui ora passo davanti, chi sono queste facce sconosciute in una strada sconosciuta? Che cosa le ha fatte diventare quello che sono? Quella ragazza dell'Esercito della Salvezza, che gira di taverna in taverna con un tamburello e raccoglie denaro da barboni alcolizzati per nutrire barboni affamati, è una persona semplice o complicata? E, in generale, la bontà è più complessa del fallimento? Oppure semplici sono solo alcune persone? E se, all'improvviso, tutti diventassero semplici, accetterebbero quella condizione perché anche la vita è semplice? O vorrebbero cambiare subito, e tornare a essere complicati? Sciocchezze, mi dissi. Il mio campo era la sociologia, non la filosofia. Posto che quei ragionamenti fossero davvero filosofia e non un cumulo di idee strambe partorite da una persona col cervello malato, abituata a parlare troppo con se stessa. Non è infrequente, quando si passeggia per strada, sentire tizi che parlano da soli. Percorrono i marciapiedi di giorno e di notte, poi si siedono negli angoli bui delle taverne o nei recessi di qualche vicolo e parlano, parlano all'infinito senza che nessuno li ascolti. Ma forse si rivolgono a qualcuno che non è lì. Pazzi? O sufficientemente furbi da sconfiggere la solitudine del silenzio e popolare un numero immenso di mondi privati per trovare un po' di compagnia? Chissà, una volta forse anche Dio si comportava così.
Il fatto che stessi passando davanti a un negozio di liquori, e che fosse l'ultimo prima di San Pedro Street, mi fece uscire a forza da quelle fantasticherie. Invece di tirare dritto, mi fermai davanti alla porta ed entrai. Ero fortunato, o almeno lo era Billie. Il negoziante aveva dei cocktail già miscelati in frigorifero, perciò Billie non avrebbe dovuto affannarsi coi cubetti di ghiaccio per raffreddare i drink. Comprai del manhattan per lei e del moscatello per me, in parti uguali. Dopotutto pagavo io, anche se i soldi erano di Billie, e il manhattan costa almeno sei volte tanto rispetto al vino. Una donna dai gusti molto costosi, la mia Billie. Mi restavano ancora tre dollari, oltre ai cinque che avevo nel calzino, e adesso tutto era sistemato fino a mezzanotte, ora in cui Billie avrebbe dovuto andarsene. Dopo mi sarei accontentato di qualcosa di semplice e poco costoso; che so, un bicchierino o una bottiglia di vino da sessanta cent, che mi sarei potuto portare in camera. Sempre posto che non fossi già a nanna quando i bar chiudevano, alle due. Ma forse stasera non mi sarei concesso niente. Mi restavano solo un paio di settimane prima del mio rientro a Chicago, ed era tempo che cominciassi a bere un po' di meno. Magari, verso mezzanotte sarei stato pronto a tornarmene a casa e a coricarmi presto, tanto per cambiare. Trovai il palazzo e salii all'appartamento. Bussai secondo il codice convenuto e sentii uno scalpiccio di piedi nudi. Poi la porta si aprì e io entrai. Billie aveva fatto il bagno, però non si era ancora vestita. Indossava una delle vestaglie di Roberta. Ma non la tenne indosso per molto. Quello che successe nei minuti seguenti riguarda solo Billie e me. Dopo, con i drink a portata di mano, ce ne restammo sdraiati a letto. Le nostre teste si toccavano sui cuscini, e il mio braccio era sotto il suo. Parlammo per un po'. Non di Mame, ma di noi stessi. — Billie, perché mi vuoi bene? — Io... non sono sicura, Howie. Vuoi che ti risponda con sincerità, no? — Certo — In questo caso... be', credo che si tratti di un insieme di cose, non una sola. Per esempio... — Vai avanti — dissi, quando mi accorsi che la pausa durava un po' troppo. — Be', sei così gentile... La maggior parte degli uomini non lo è. E non mi riferisco solo a quelli che pagano per avere certi servizi. In quelle circostanze, credo, hanno tutto il diritto di non badare ai sentimenti di una don-
na. Oh, lo so che ad alcune donne piacciono i tipi duri o un po' ruvidi. Ma io non la penso così, ecco tutto. Forse sono molto diversa dalle altre donne; forse sono un po' strana o qualcosa del genere, ma ci sono stati ben pochi uomini... diciamo due o tre... con i quali mi sia davvero piaciuto passare la notte. — Tuo marito? — No, lui non era uno di quelli. Ma allora non conoscevo la differenza. Quello che dovevo fare con lui era solo sesso, o così la pensavo allora. Non è che la cosa mi dispiacesse, ma non era nemmeno tanto importante. Lo stesso piacere che si prova quando ci si lava le mani, né più né meno. Credevo che gli uomini si divertissero molto a fare l'amore, ma non certo le donne. Non che ne soffrissero, però. Era solo qualcosa che bisognava fare per tenersi stretto un uomo, come quando si indossano abiti eleganti, ci si fa la manicure o roba simile. — Tu sei nata troppo presto, Billie. Altrimenti avresti potuto leggere Kinsey da adolescente e ti saresti resa conto che ti mancava qualcosa. Hai detto che avevi diciannove anni quando hai sposato quel lapidario comesichiama, no? — Sì, avevo appena compiuto i diciannove. E lui si chiamava Ralph. Ma che cos'è un lapidario? — Uno che lavora pietre preziose. Eri innamorata di lui? — Che mi venga un accidente — disse lei. — Sposata per tre anni a un lapidario e non lo sapevo! A volte te ne esci con le parole più strane, Howie. Ma ci scommetto che neanche Ralph sapeva di essere un lapidario. — Lo amavi? — Non lo so. Cos'è l'amore? Sospirai. — Non è facile rispondere, Billie. Ma credi di essere stata felice con lui? — Penso di sì. I primi due anni, perlomeno. Ma quando lui se l'è squagliata con tutte quelle pietre e mi ha lasciata con un palmo di naso, la cosa non mi ha per niente distrutta. Mi ha solo fatto uscire fuori di me dalla rabbia. Poteva portarmi con lui, almeno. Sorrisi. — Ci saresti andata? — Non lo so. In tutta sincerità non lo so, Howie. Avevo ventidue anni allora, ma non ero stata molto in giro. Non so come avrei potuto prenderla. Mi versi un altro drink, Howie? Presi la bottiglia di manhattan dal frigorifero e le riempii il bicchiere. Nel mio versai dell'altro moscatello. Stavolta mi sedetti sul letto accanto a
lei; riuscivo a vederla meglio, in quel modo. — Ti dispiace se ti faccio tutte queste domande, Billie? — le domandai. — Santo cielo, no. Stasera sono dell'umore adatto per confessarmi. Vai pure avanti, professore. — Comunque, siamo andati fuori strada — dissi. — Sono ancora curioso di sapere cosa vedi in me, Billie. Hai detto che ti piacevo per un insieme di fattori, non uno solo, ma poi hai accennato unicamente alla mia gentilezza. In ogni modo, non potevi sapere che sarei stato gentile prima di venire a letto con me, perciò dev'essere stato qualcos'altro che ti ha colpito la prima volta. Lei abbozzò un sorriso e disse: — Credo proprio di sì. È... che sia dannata se riesco a definire questa sensazione, Howie. È che tu sei tu, credo. Sei dolce, spontaneo, genuino. È... è divertente averti in giro. Scherzi sempre, e su tutto. — Ma sono un alcolizzato, un barbone... — Tu non sei un barbone, Howie. Lavori, anche se non hai una gran mansione. Ma un barbone non farebbe neanche quello; non lavorerebbe così scrupolosamente come fai tu. E poi, se anche ti piace il vino, cosa puoi farci? Gli alcolizzati non possono fare a meno di essere come sono, non è vero? E lo stesso vale per i drogati, solo che loro stanno peggio. — Gli alcolizzati possono sempre smettere di bere, comunque. Molti lo fanno. — Qualche volta, certo. Ma se decidono di smettere, devono farlo tutto d'un colpo. Non prendere mai più nemmeno un bicchiere. E qualcuno preferisce bere troppo, piuttosto che rinunciare del tutto. Una vita breve ma felice. — Io non... — cominciai, ma poi mi interruppi. Non potevo spiegare qualcosa a Billie senza spiegarle tutto; darle una mezza risposta non aveva il minimo senso. Ma era il caso che le dicessi tutto? Alcune volte ero stato quasi tentato di farlo, ma poi ci avevo ripensato. E sempre per la stessa ragione. Dirle tutto poteva compromettere le cose tra di noi. A Billie io piacevo - e la cosa mi rendeva immensamente felice - per come lei mi vedeva. Le cose erano perfette così; perché correre il rischio che cambiassero? Come potevo sapere in che modo avrebbe reagito? Come si fa ad anticipare con certezza le reazioni di una donna? Più si sa sulle donne, meno le si conosce. Proprio come questa storia della "gentilezza" che Billie aveva appena tirato fuori. Che la mia tecnica con le donne, nel sesso e nelle altre cose,
fosse così diversa da quella della maggior parte degli uomini, era praticamente una novità per me. Nessuna donna me lo aveva mai detto prima. A meno che per gentilezza, Billie non intendesse qualcosa d'altro rispetto alla semplice tenerezza fisica o alla mancanza di cattive maniere. Se le cose stavano così, io potevo essere davvero qualcosa di diverso per Billie, tenendo conto del tipo di uomini con i quali aveva avuto relazioni e del tipo di vita che aveva condotto da quando si era sposata. Anche il suo matrimonio doveva essere stato meno fortunato di quanto lei non si rendesse conto, persino adesso. Billie mi rivolse uno sguardo d'attesa e io pensai che stesse per chiedermi perché mi ero interrotto. Ma invece disse: — Parlami del Messico, Howie. Sospirai. — Billie, ti ho già detto tutto quello che so sul Messico. Perché continui a farmi domande su quella vacanza? Lei mi sorrise. — Parlamene di nuovo, Howie. — Va bene — dissi, dandole un colpetto sulla spalla. Sembrava proprio come una bambina in quel momento, una bambina che chiedesse una favola prima di addormentarsi e, in mancanza di meglio, si accontentasse di una storia che aveva già sentito prima. — La città era San Miguel de... — No, Howie. Comincia come avevi fatto quella volta. Due estati fa... — Due estati fa — dissi, ligio al dovere — ho lavorato sodo per un po' di tempo. Allora non bevevo come faccio adesso, così sono stato in grado di risparmiare abbastanza per trascorrere l'estate, un paio di mesi, in Messico. Avevo sentito che laggiù c'erano posti fuori dalle rotte turistiche dove si poteva vivere come un re con non più di cento dollari al mese. Avevo quanto bastava per andare e tornare con treno e pullman, più altri duecento dollari. Pensavo che mi sarei fatto una vacanza davvero sontuosa. — E qualcuno ti aveva detto che San Miguel de Allende era un buon posto dove soggiornare — intervenne lei. — Esatto. Si trova a circa duecento miglia a nord di Mexico City ed è frequentata da un buon numero di americani, che vanno lì in vacanza o addirittura ci si stabiliscono definitivamente. Ma non si trova sulle rotte più battute, perciò non è una città turistica. La maggior parte degli americani che vivono laggiù è formata da artisti o scrittori; bella gente, ma che di solito non è ricca sfondata, anche se ama fare la dolce vita. Oppure puoi trovarci gente che ha redditi fissi, anche se piccoli; qui sarebbe povera, mentre là se la spassa.
"Puoi trovare sette od otto pensioni con spaziosi cortili interni e piscine presso cui si affittano camere per circa trenta dollari al mese. E tutto il personale domestico che ti serve non ti viene a costare più di cinque dollari al mese. Il resto costa in proporzione. Per quanto riguarda il cibo, puoi sfamare due persone in modo principesco con cinque dollari la settimana. I liquori sono quasi gratis, se ti vanno quelli messicani. A me personalmente la tequila non piace molto, ma il rum è eccellente e si trovano in commercio ottimi vini". — Anche a me piace il rum — disse Billie. — Dimmi qualcosa del party. — Il party? Ah, ti riferisci a quel party dove sono andato io? Quello per cinquanta persone? C'era una gran quantità di roba da mangiare e da bere, più una banda locale per fare un po' di musica e ballare. Fai mente locale e pensa a quanto sarebbe costato qui dare un party del genere; be', là il nostro padrone di casa ha speso esattamente quattordici dollari. Certo, sulla base di un reddito che non supera i cento dollari al mese, non puoi permetterti molto spesso party del genere. Diciamo una volta al mese o poco più. Ma non c'è problema a divertirsi: basta dare un party per essere automaticamente invitati a tutti gli altri. E c'è sempre qualcuno che dà un party, a San Miguel de Allende. — Howie, portami laggiù. — Certo — dissi. — Appena metto da parte un po' di soldi. — Io ho quasi cento dollari. — Con quelli potremmo arrivarci, se non prendiamo l'aereo. Ma poi? Dovremmo girare sui tacchi quasi subito e tornare indietro. Bisogna avere o un reddito mensile dagli Stati Uniti o un capitale fisso per vivere laggiù. Non c'è modo di fare soldi, una volta arrivati. Ci vorrebbe un permesso di lavoro, e anche se lo ottenessi i salari a San Miguel sono bassi come il costo della vita. — Anche...? — Anche la più vecchia professione del mondo? Temo che sia pagata poco anche quella, Billie. In ogni caso, c'è troppa concorrenza. E qualche volta anche gratis o quasi. — Parli di cose così affascinanti, Howie... Parlami un po' della città. — È in montagna, a circa milleottocento metri di altitudine. Il clima è meraviglioso, più o meno come a Los Angeles; con la differenza che lì non c'è smog. Si respira l'aria pura e fresca della montagna, che ti fa quasi ubriacare non meno della tequila o del rum.
"Le stradine sono strette e acciottolate. Alcune sono così ripide che sembrano quasi verticali. Non serve la macchina; si può camminare dovunque si vada. "Le strade sono costeggiate dovunque da muri, nei quali a volte si aprono negozi perfettamente allineati con gli stretti marciapiedi. I muri, vecchi e un po' logori, sono stati costruiti con dei mattoni cotti al sole. Nella schiera dei muri, poi, si allineano diverse porte; basta aprirne una per trovarsi di fronte a un meraviglioso patio e a una casa stupenda". — Ti piaceva vivere laggiù, Howie? — Moltissimo. E spero di tornarci, un giorno o l'altro. Billie, hai il bicchiere vuoto. Un altro drink? Lei sbadigliò. — Certo. Grazie. Ma quando tornai dopo essere andato a prendere la bottiglia in frigorifero, lei si era già addormentata. Guardai l'orologio di Roberta. Le undici e mezzo. "Lasciamo che Billie dorma per una mezz'oretta" pensai. "Io starò seduto accanto a lei, a riflettere". Per il momento, starmene lì seduto era tutto quello che mi andava di fare. Spinsi indietro la bottiglia di Billie e mi riempii il bicchiere con dell'altro moscatello. Invece di sedere nuovamente sul bordo del letto, mi accomodai in una sedia, così non avrei svegliato Billie se mi fossi mosso. Era una serata calda, e Billie non si era ancora rivestita; giaceva a letto nuda. Io mi rimisi le mutande; un uomo si sente un po' stupido a starsene seduto e a riflettere senza essersi coperto i lombi almeno un po'. Povera Billie. Sdraiata sul letto com'era, sembrava così indifesa... Almeno il suo viso, se non proprio il suo corpo, sembrava quello di una bambina, tanto era innocente. Be', forse non era proprio indifesa; non adesso, almeno. In una brutta situazione, in una strada mal frequentata, in un giro losco, Billie se la sarebbe cavata senza alcun dubbio. Ma tra dieci o vent'anni cosa sarebbe stato di lei? Che fine avrebbe fatto? Una buona moglie? Ne dubitavo, perché sapevo che una soluzione del genere non le andava. Era troppo inquieta, aveva troppo bisogno di emozioni e imprevisti per accontentarsi di una vita del genere. Inoltre, le piaceva troppo bere. Aveva passato tre anni da sposata, tempo prima, e si era annoiata terribilmente. In paragone, preferiva la vita che conduceva adesso. Ne avevamo parlato più volte, anche se non proprio in maniera diretta. (Nella mia mente c'era il
seme di un pensiero che avrei potuto portarla con me, una volta di ritorno a Chicago? E che a lei sarebbe piaciuto venire? Che avrebbe potuto essere felice come moglie di un professore di liceo? Ma sarebbe mai riuscita a trasformarsi in una buona moglie? Non è che il mio subconscio stesse giocando col pensiero di Pigmalione e Galatea?). «Io una donna di casa, Howie? Dio mio, quest'idea non mi piace per niente. Cucinare, lavare panni, strofinare pavimenti e un film una volta alla settimana? Gesù!». In maniera indiretta, come ho detto, questo argomento era già affiorato nei nostri discorsi. Ma lei aveva risposto con estrema decisione, e la mia coscienza era stata notevolmente meno confusa dopo quel pronunciamento. Se mai il pensiero di sposarla mi aveva attraversato il cervello, il fatto di poterlo escludere mi sollevava non poco. Fosse vissuta cent'anni, Billie non sarebbe mai riuscita ad andare d'accordo con la gente che io frequentavo a Chicago, formata quasi esclusivamente da accademici del tipo più formale. Né, d'altra parte, loro avrebbero potuto prenderla a benvolere. No, la cosa non avrebbe minimamente funzionato. Billie sarebbe stata fuori posto a Chicago come Zsa Zsa Gabor ih un programma di libri. O una soubrette nei panni di Ofelia. Giochi e divertimenti, drink ed emozioni: questa era la vita di Billie. E la mia vita era stata per lo più noiosa e tranquilla fino a questa avventurosa estate. Anch'io avevo avuto i miei momenti, intendiamoci: non è che mi fossi limitato a sopravvivere. Ma, a volte, istruire una classe può non essere una delle esperienze più entusiasmanti. Adesso avevo ventott'anni, uno in più di Billie the Kid, ma la mia vita era stata relativamente povera quanto ad esperienze. Mi ero limitato a conoscere, più che a vivere. Ventidue anni in aule scolastiche. Otto per le elementari; quattro per il liceo; quattro per l'università. Mi ero laureato a ventidue anni, dopo sedici di studio. Da allora avevo trascorso altri sei anni nelle aule scolastiche, anche se ora sedevo sulla cattedra e non più sui banchi. L'unico dolore serio che avevo provato in vita mia era stato durante quel terribile anno in cui erano morti entrambi i miei genitori. Erano mancati a distanza di poche settimane l'uno dall'altro. Mio padre era morto per un improvviso attacco cardiaco; mia madre, che già si stava consumando lentamente a causa di un'anemia perniciosa, lo aveva seguito meno di un mese dopo. Allora frequentavo il mio secondo anno di università. Mio padre era uno studioso e un uomo assai fine. Nonostante non avesse mai insegnato - lavorava come direttore editoriale e lettore presso una casa editrice di manuali scolastici - amava l'insegnamento più di qualsiasi altra
professione e sarebbe stato molto infelice se io, il suo unico figlio, avessi deciso di fare l'ingegnere o l'avvocato. Non che io obiettassi, comunque; lui mi aveva totalmente conquistato all'idea dell'insegnamento. Ma se fosse vissuto più a lungo, forse, avrei potuto contare su un inizio migliore. Lui mi avrebbe di sicuro fatto studiare fino al conseguimento di una specializzazione o di un master, se lo avessi desiderato. Così avrei cominciato a insegnare come professore associato all'università e non avrei dovuto perdere tempo con la scuola superiore. Ma l'assicurazione che papà aveva lasciato, dopo il costo del funerale e la malattia terminale di mia madre, bastava a malapena a consentirmi i quattro anni di corso per la mia laurea. Avrei potuto cominciare subito a lavorare, di notte e durante le vacanze estive, per la tesi di perfezionamento, ma non l'avevo mai fatto. Ero innamorato della scrittura. Non è che volessi scrivere sul serio, ma mi piaceva l'idea di diventare uno scrittore. A quei tempi, non capivo ancora la differenza. Credevo di avere studiato abbastanza per dedicarmi alla scrittura ed ero convinto che fosse meglio cominciare subito quell'attività, invece di perdere tempo con tesi di perfezionamento che sarebbero state inutili a meno che non avessi deciso di rimanere nell'insegnamento. Scrissi un po'. Non molto, però, e neanche nulla di speciale. Comunque, non riuscii a vendere niente. È a questo punto che avevo deciso di fare quel viaggio in Messico. Tutto ciò che avevo detto a Billie era vero. Ma non le avevo detto proprio tutto. Volevo scrivere un romanzo, ma non ero mai riuscito a iniziarne uno. Così pensai che se avessi potuto contare su due interi mesi di solitudine e di tranquillità, lontano da tutto e da tutti, in un ambiente completamente nuovo, forse ce l'avrei fatta. Intendiamoci, non mi aspettavo di terminare un romanzo in due mesi, naturalmente, ma credevo che se fossi riuscito a progettarne uno e a scrivere qualche capitolo, non avrei avuto difficoltà a terminare il tutto, una volta che fossi tornato a casa. Così mi ero messo a risparmiare per il viaggio estivo. San Miguel de Allende era proprio così come me l'aveva descritta un mio amico. Andava alla perfezione per i miei propositi. Non conoscevo nessuno laggiù e, almeno all'inizio, non cercai nemmeno di fare nuove conoscenze. Ma alla fine del primo mese non avevo ancora scritto una parola, e sapevo che non avrei mai fatto progressi. Non avrei mai scritto un romanzo per la pura e semplice ragione che non avevo nulla da dire.
Che messaggi potevo lanciare ai miei lettori? "Il mondo è un posto disgustoso e noi tutti siamo una massa di luridi bastardi"? Negli anni Venti, Fitzgerald e un mucchio di altri scrittori avevano sfruttato tutte le variazioni possibili su quel tema. Erano quegli scrittori che guardavano a se stessi come a una generazione perduta e avevano fatto diventare il piangersi addosso un fenomeno di culto. Io sentivo di appartenere a quella scuola, posto che fossi mai riuscito a prendere la penna in mano. Ma quella scuola era ormai scomparsa molti e molti anni fa. (O sono ingiusto con loro e con me stesso? Forse quegli scrittori rappresentavano davvero una generazione perduta. C'era il Proibizionismo a preoccuparli, oltre alle donnine facili e a un generale declino nei costumi. Oggi, invece, tutto quello che ci preoccupa è la bomba H. Vogliamo sapere quando e dove cadrà e se sopravviveranno abbastanza uomini per ricominciare da capo). Ma lasciamo perdere le ragioni; probabilmente, non sono nemmeno quelle esatte. A ogni modo, avevo finalmente scoperto che non ero uno scrittore e che non avrei mai scritto un romanzo. Sono rimasto a San Miguel de Allende per due mesi, come ho detto. Ma il secondo mese ho pensato solo a rilassarmi, a fare qualche amicizia e a divertirmi. E quando sono tornato a casa, ho cominciato a frequentare i corsi serali per prepararmi alla tesi di specializzazione. Se volevo continuare a insegnare, era meglio che tentassi di inserirmi all'università, invece di restare attaccato al liceo, con la sua mediocrità mortale, per tutta la vita. Diedi un'altra occhiata all'orologio. Mancavano solo pochi minuti a mezzanotte; era tempo che svegliassi Billie. Anzi, forse era già un po' tardi per restituire la chiave a Roberta. Mi avvicinai al letto e mi sedetti accanto a lei; non si muoveva. Guardandola, mi sentii all'improvviso pieno di rimorsi per averla fatta addormentare. Mi chinai leggermente su di lei e le baciai prima un capezzolo, poi l'altro. Le sue braccia si tesero verso di me. — Che ore sono, Howie? — Quasi mezzanotte. — Quando sono venuta qui, Howie, ho messo l'orologio indietro di mezz'ora. Se vuoi... Volevo.
6 Camminavo. Mi sentivo un po' alticcio ora, anche se non del tutto sbronzo. Camminavo incrociando altri che camminavano a loro volta o se ne stavano fermi. Un'umanità brulicante che andava su e giù per la strada, come uno sciame di mosche diretto verso un mucchio d'immondizia. Oltrepassai bettole, dormitori, altre bettole. In giro, solo musica da ubriachi. Oh, mio padre Credo che fosse fantastico Oh, mio padre... ...ci vuole più di un branco di cavalli selvaggi A tirare il tuo calesse Per tenerti lontana da me. Non voglio una storia di seconda mano Non voglio... C'est si bon. C'est si bon. Cantate, peccatori. Ma ne siete davvero certi? C'est si bon? Una musica vissuta, che proveniva da gole rauche e torturate e si levava sopra il debole lamento di un'armonica: Roccia del tempo, apriti per me Lascia che mi nasconda in te. Cantate, affamati. Cantate per la vostra cena. Cantate perché la roccia si apra e faccia gocciolare una zuppa calda. Cantate per la salvezza della vostra anima, se ne avete una. Sentii un negro fischiettare tra sé e sé un motivetto dixieland mentre mi passava davanti. Batteva delicatamente il piede sinistro, in tempo. Non ballava e non camminava, ma faceva un po' di entrambe le cose. Sentii la voce di un postulante, che mi chiedeva venticinque cent: — Howie, hai un po' di grana, eh? Io sono nei guai fino al collo. Mi servirebbero...
Sentii alcune voci nella notte. "...è stato un furto, una truffa. L'ho visto in tivù e aveva vinto Rocky, te lo dico io. Ma quegli stronzi dei giudici...". "L'idea giusta se l'è fatta venire McCarthy. Quei maledetti rossi...". "No, non te li do venti cent per bere. Cosa credi che sia, Rockefeller? Senti...". "È un racket, certo, ma i soldi si fanno così. Vorrei...". "Hai visto Jake in giro? So che è stato pagato...". "Sì, ti danno un tozzo di pane, ma poi...". Ma cosa ne sapete voi? Sentii uno scalpiccio, poi il rumore di una bottiglia gettata in un vicolo. Sentii un uomo che tossiva, sputava e si metteva a imprecare. Sentii la notte, con la sua mi scela di euforia e di disperazione. Era appena passata la mezzanotte, e la strada aveva poco meno di due ore da vivere. Oh, non è che morisse del tutto alla chiusura dei bar, ma la sua vita diventava furtiva, quasi pericolosa. Venivano fuori i vagabondi; le macchine della polizia rastrellavano la zona e trascinavano via gli ubriachi che non erano riusciti a tornare nei dormitori pubblici e gli spacciatori. Chiusi i bar e le taverne, non restava che bere nei vicoli e negli androni. La bottiglia passava di mano in mano tra coloro che avevano contribuito al suo acquisto e che si dividevano le razioni di liquore con estrema avidità. Ma non si arrivava mai a litigare nella spartizione, anche perché la polizia poteva arrivare da un momento all'altro. Mezzanotte e qualche minuto: l'ora del pericolo. Mi chiesi se Ike fosse ancora da Barney. In caso affermativo, avrei potuto bere il bicchiere della buona notte con lui, anche se sarei stato costretto a offrirglielo. Ma cos'erano i soldi? Ero ricco. Avevo quasi tre dollari in tasca e altri cinque dentro il calzino. Arrivai da Barney e diedi un'occhiata all'interno. Ike non c'era, ma io entrai lo stesso. Il locale, che adesso era tranquillo, mi sembrava molto invitante. Non c'erano né radio né televisione né jukebox: il bar perfetto. Lì potevo concedermi un buon bicchiere di moscatello per quindici cent. Era come trovarsi a casa. C'era ben poca gente all'interno. Otto o dieci clienti, tutti uomini, disposti davanti al bancone. Qualcuno in gruppo e qualcuno da solo. Ma nessuno che conoscessi. Presi uno sgabello libero, pagai e arrivò subito da bere. Me ne stavo lì tutto solo. Un brutto modo per finire una serata gloriosa come quella. Diedi un'occhiata all'uomo accanto a me. C'era uno sgabello vuoto tra noi due. Doveva essere solo pure lui, perché anche lo sgabello accanto al suo, dall'altra parte, era vuoto.
L'uomo guardava dentro il suo bicchiere ed era di profilo rispetto a me. Meglio, così potevo osservarlo senza che lui se ne accorgesse. Lo guardai e cominciai a riflettere. Corporatura media. Abito grigio e cappello a cencio nero. Il vestito, decoroso anche se non sgargiante, lo faceva sembrare più elegante della maggior parte di noi. Ma la stoffa era tutta spiegazzata, come se l'uomo avesse dormito senza togliersi l'abito. E nonostante portasse una camicia bianca, il colletto era decisamente sporco. Il profilo dell'uomo non mi rivelò niente: era regolare. Non poteva trattarsi di un barbone; i barboni non portano camicie bianche. E neanche di una persona perbene; i tipi come quelli non indossano camicie bianche per tre o quattro giorni di seguito senza farle lavare. Che fosse un tipo a posto poi caduto in disgrazia? Avrei supposto che fosse un bevitore periodico, di quelli che, quando non trangugiano alcol, sembrano normali e molto rispettabili. Dallo stato della camicia, era chiaro che l'uomo aveva cominciato a fare baldoria tre o quattro giorni prima. Da allora, non doveva aver più visto casa. Molto probabilmente, ora stava cominciando a riscuotersi e a provare i primi rimorsi; tra un po' sarebbe stato pronto a uscire dal tunnel. Notai che stava bevendo lentamente, e anche quello poteva essere un segno. Il drink che aveva davanti era quasi pieno, e lui non lo aveva toccato da quando mi ero seduto lì vicino. Poteva magari essere un tipo intelligente, uno con cui valeva la pena di fare quattro chiacchiere, come Ike. O poteva essere un disperato in cerca di una spalla qualsiasi per piangerci sopra. O forse non gli andava di parlare, ecco tutto. Era come giocare d'azzardo, ma in fondo non avevo niente da perdere. Se mi avesse seccato, potevo sempre prendere il mio bicchiere e trasferirmi. Estrassi di tasca una sigaretta e la accesi. Poi mi piegai un po' verso di lui. — Mi scusi — dissi — c'è un portacenere proprio vicino a lei. Le dispiace passarmelo? L'uomo si limitò a voltarsi lentamente e a guardarmi. Con gli occhi di uno psicopatico. Occhi raggelanti, mezzo aperti e mezzo chiusi, in cui si leggeva un odio mortale. Gli occhi di un assassino. Senza rispondere, senza neanche dirmi di andare all'inferno, spostò di nuovo lo sguardo sul suo bicchiere. Io terminai il mio drink e me ne andai. Non era il bicchiere della buona notte, e lo sapevo. Non sarei mai andato a casa adesso, dopo quello che avevo visto. Mi sarebbero venuti gli incubi, come minimo. Avevo bisogno di bere, ma di bere in compagnia.
Dannazione, ma dove s'era cacciato Ike? Doveva essere tornato in camera sua, e probabilmente si era addormentato. Quando l'avevo visto stamattina, prima delle undici, mi era sembrato ben intenzionato, e con ogni probabilità aveva continuato a bere fino a tarda sera. Se, come credevo, aveva fatto il pieno, non ci sarebbe stato più modo di risvegliarlo dal suo torpore. Anche se gli avessi portato una bottiglia piena in camera, lui non sarebbe stato in grado di dividerla con me. Continuai a girovagare. Volevo togliermi dalla testa il pensiero di quello psicopatico. Mi guardai alle spalle un buon numero di volte per accertarmi che non mi seguisse. Quello era come una mina vagante, e non volevo che la mina scoppiasse accanto a me. Passi che si trascinavano, in perfetta sincronia con i miei. C'era la coda davanti a una missione, The Guiding Light Mission. Dozzine di uomini facevano la fila a coppie. Arrivavano lì numerosissimi, come uno sciame di uccelli, e facevano i turni. Prima dovevano guadagnarsi l'elemosina ascoltando prediche e cantando inni, poi mettersi in coda davanti al portone ed aspettare che venisse il proprio turno. Una zuppa e un pezzo di pane. La salvezza. Sì, Ramon. Il mondo è un posto davvero meraviglioso, puoi starne certo. Ma che diavolo importava con chi bevevo? Perché non quell'ometto in fondo alla coda? Aveva un paio di baffetti grigi molto radi e un berretto sudicio. Tremava nei suoi abiti malconci, senza fissare niente in particolare. Potevo bere con chiunque; perché non con lui? Perché non scegliere il più derelitto? In fondo, potevo offrire da bere. Ero il califfo Haroun al Rashid, sbucato fuori da una novella delle Mille e una notte. Ero Creso, re Mida, Rothschild, lo spirito di François Villon. Ero un menestrello errante con le toppe agli abiti, ma pur sempre ricco. Mi diressi verso il fondo della coda, proprio dietro l'ometto, e gli parlai da sopra la spalla. — Amico, posso offrirti da bere? Lui si voltò e prese a guardarmi con i suoi occhi azzurri, miopi ed acquosi. — Amico? — gridò. — Hai il coraggio di chiamarmi amico e di offrirmi da bere? Ma lo sai cos'è l'alcol? È la maledizione del genere umano, la maledizione di questa strada! Guardati intorno... — Fece un segno con la mano e la sua voce si alzò di tono. — Il vino dà alla testa e il bere smodato procura guai. Figliolo, ti avverto...
Una macchina della polizia passò accanto al marciapiede, rallentando. Una testa guardò nella nostra direzione. — Sbirri — dissi all'improvviso, sottovoce. — Chiudi il becco o se la prenderanno con noi! Lui si zittì e si appoggiò contro la porta a vetri alle sue spalle, quella da cui era appena venuto. All'interno della chiesa, continuavano gli inni di ringraziamento. E voglio adorare con gioia la Croce Finché il mio fardello non sarà deposto... La vettura della polizia proseguì. — Stavi scherzando? — dissi. — Perché io parlavo sul serio. Lui tirò un profondo sospiro e aprì di nuovo gli occhi. — Credevo che fossi Henny — disse. — Non ci vedo più molto. Non sei Henny? — No. Ma ho un nome piuttosto simile al suo, comunque. Howie. Posso offriti da bere sì o no? — Santo cielo, sì! Non bevo un bicchierino da quando... — Mi guardò più da vicino, con l'aria improvvisamente sospettosa. La sua voce divenne flebile come un lamento. — Figliolo, io non posso darti nulla in cambio, se è questo che hai in mente. — Tranquillo, nonno — gli dissi. — Non c'è nessun secondo fine. Volevo solo offrire da bere a qualcuno. Ora devi solo deciderti. Lui mi strinse il braccio. — Allora, che stiamo aspettando? Senti, io conosco un posto dove si può avere una pinta di sherry per... — Zitto, nonno — lo interruppi. — Posso offrirti solo un bicchiere... be', al massimo due, e ce li berremo in un saloon che si rispetti, come due gentiluomini. La sua faccia si illuminò. — Un saloon — disse con aria interrogativa. — Sei più vecchio di quanto non pensassi, ragazzo, se ricordi ancora quella parola. Ai vecchi tempi c'erano solo saloon; lo so bene io. E adesso, dannazione, trovi solo bar e taverne, magari con i nomi più strani. Hai qualche particolare posto in mente? Io ne conosco uno che... — Il più vicino — dissi con fermezza. Arrivati al locale più vicino, feci sedere il vecchio a un tavolo, poi andai al bancone e ordinai da bere: uno sherry per lui e un moscatello per me. Venticinque cent al bicchiere, ma la dose era generosa. Pieno di gratitudine, lui trangugiò un sorso di sherry e si appoggiò co-
modamente allo schienale della sedia per gustarsi il resto. — Figliolo — disse — grazie. Sai cosa stavo facendo davanti a quella missione? — Sì — risposi. Lui mi guardò. — Mi prendi in giro, figliolo? Certo, aspettavo di poter entrare e farmi dare una scodella di zuppa. Ma la cosa più importante è che volevo parlare con il tizio che gestisce la baracca. Ho un grosso problema, e credevo che lui potesse darmi una mano a risolverlo. — Qualche grillo per la testa, nonno? — Non è che ti prendi un po' troppe confidenze, figliolo? Anch'io ho qualcuno che mi aspetta. Solo che si trova a Ontario. — Ontario? — Già. È una specie di sobborgo che si trova a circa venticinque miglia a est da qui. È a est di Pomona; ci si passa andando a Riverside. Sai dove si trova Riverside, no? — Lascia perdere Riverside. Che ci fa la tua anima gemella a Ontario? Perché non vi rimettete insieme? — È proprio questo il problema, figliolo, anche se non si tratta della mia anima gemella. Vedi, io non sono un barbone, perché ho una figlia che si prende cura di me e mi dà da mangiare. Una bella ragazza, sposata e con due figli. Si chiama Stella, Stella Gray. Gray è il cognome da sposata. E se c'è una cosa nella mia vita di cui posso andar fiero è che l'ho allevata bene e le ho dato una casa come si deve anche se mia moglie è venuta a mancare quando lei aveva dieci anni. I dieci anni li aveva Stella, naturalmente, non mia moglie. E ora che sono troppo vecchio per lavorare, lei mi ha teso la mano e si è presa cura di me. Laggiù ho una stanzetta tutta mia, e Stella non mi fa mancare niente. — A Ontario, vuoi dire? — domandai. — Sicuro, a Ontario. L'unica cosa è che lei non sopporta di vedermi bere; mi concede solo un po' di birra. Lei e Bud tengono una certa scorta di birra in casa. Io posso prenderne una lattina o due al giorno senza che lei si arrabbi. Ma bere birra non è bere. E di tanto in tanto, forse una volta all'anno od ogni sei mesi, non ce la faccio più e scoppio. Ho assolutamente bisogno di scappare e fare un po' di baldoria. Devo, altrimenti mi sembra di impazzire. Ma ormai comincio a diventare vecchio... ne ho settantaquattro sul groppone... e questo è forse l'ultimo colpo di testa che faccio. La festa è finita e sono rimasto completamente al verde. Avevo otto dollari, tre giorni fa. Li avevo messi da parte, poco alla volta, con un intero anno di risparmi. Conoscevo uno straccivendolo laggiù, e tutte le volte che trovavo
stracci o pezzi di ferro glieli portavo. Solo dieci o quindici cent a consegna, ma era meglio che niente. Anche vecchie riviste che trovavo in giro per la casa: impacchettavo tutto e glielo portavo. Sono andato avanti così per più di un anno. Sospirò. — Ma adesso è finita. Questa è l'ultima fuga che faccio e adesso devo tornare a casa, da Stella e Bud. Loro mi capiscono sempre, e sono sicuro che mi perdoneranno. Ma bisogna che arrivi fin laggiù, e non è un percorso breve. Il biglietto del pullman costa un dollaro e quaranta. Senti, figliolo, non potresti... No, non me la sento di chiederteli. Sono un mucchio di soldi, un dollaro e quaranta. Annuii. — Già, proprio un bel mucchio, nonno. Lui sospirò di nuovo. — Suppongo che dovrò telefonare a casa e fare in modo che lei o Bud vengano a prendermi. Oh, loro sarebbero ben felici di farlo, solo che io detesto chiedere favori. Comunque, la telefonata costa sessanta cent. Senti, non potresti prestarmi sessanta cent? Giuro che te li restituisco non appena arrivo a casa. Anzi, ti manderò un dollaro. Stella me lo darà di certo, se le dico a cosa mi serve. Allora, figliolo, me li presti? — Nonno — dissi — potrei anche prestarteli. E lo farei, se tu avessi una figlia a Ontario o se ci fosse anche una sola parola di vero nelle panzane che mi hai raccontato. Ma ti sei messo d'impegno, perciò la tua storia vale almeno venticinque cent. Posso offrirti un altro bicchiere di sherry con quei soldi? Lui annuì tristemente. Quando tornai al tavolo con i due bicchieri nuovamente riempiti, lui disse: — Sono un lurido bugiardo, figliolo. Non mi crede mai nessuno. Sono stato in galera una volta, lo sapevi? Ci ho passato sette anni scontando tre diverse condanne, prima di imparare la lezione. Poi ho fatto ogni sorta di cose, ma la mia vita è stata tutta un pasticcio. — Hai fatto anche qualche piccola conferenza sugli effetti dannosi dell'alcol? Lui si illuminò in viso. — Certo. Ed ero anche bravo, quanto a quello. Solo che, nel frattempo, continuavo a bere, e una sera sono salito sulla piattaforma così sbronzo che ho perso l'equilibrio e sono caduto di sotto. Fine della storia. Ma per lo più ho lavorato in circo. Sai cos'è uno strillone? Annuii. — Li chiamano imbonitori, oggigiorno. Ma ormai non hanno più problemi, con i sistemi di amplificazione che esistono in commercio. Ma ai miei tempi bisognava avere polmoni d'acciaio per riuscire a lavorare. Non
ho fatto solo quello, comunque. Ho girato con uno spettacolino tutto mio per un po'. Sei numeri in tutto. C'erano il ragazzo serpente, la donna cannone, un illusionista, un lettore del pensiero col turbante, un clown e Willie Grauberg. — Chi sarebbe questo Willie Grauberg? Lui sogghignò. — Un ragazzo formidabile, quello. Quattro numeri in uno. Faceva il mangiatore di fuoco, il lanciatore di coltelli... inghiottiva persino spade. Ricordo che aveva un tatuaggio. Con lui il nostro diventava uno spettacolo di dieci numeri. Ma poi è finito anche quello... "Bene, figliolo, questa è la storia della mia vita, eccetto che per un particolare". — Quale? — domandai. Lui aveva abbassato lo sguardo sul suo bicchiere e io mi accorsi che era di nuovo vuoto. Il mio era ancora pieno per metà. "Che diavolo" pensai "forse quell'ultimo particolare vale un'altra bevuta". Le prime due se l'era ampiamente guadagnate. Posai il mio bicchiere sul tavolo, presi il suo e andai al bancone a riempirglielo. — Forza, nonno. Quale sarebbe questo particolare? Lui bevve un sorso di vino e poi mi guardò. — Semplice, figliolo. Che è tutta una maledetta bugia. Quello che ti ho detto è falso dall'inizio alla fine. Ma tu ci hai creduto, vero? C'era una nota di supplica nel suo sguardo. — Certo, nonno — risposi. — Credevo che avessi esagerato un po' di tanto in tanto, ma... — Tutto un cumulo di dannatissime balle. Non sono mai stato in un circo. Non ho mai fatto conferenze sull'astinenza. Non sono mai stato nemmeno in galera. O meglio, ci ho passato qualche giorno, ma solo per ubriachezza. Sospirò. — Buffo, posso raccontare un mucchio di balle e farla sempre franca, a meno che non debba chiedere dei soldi. Lì il giochetto non funziona mai. — Sembri troppo sincero, in quel caso — gli feci notare. — Non hai quel tono indifferente che ti viene spontaneo quando cominci a rivangare il passato. — Forse è come dici tu. Ma sai qual è la vera storia della mia vita? Non esiste. — Non esiste cosa? — Non c'è nessuna storia. Sono nato e cresciuto. Ho lavorato tutta la mia vita senza mai mettere da parte un dollaro. Quando mi sono reso conto
che ero troppo vecchio per continuare a lavorare, ho deciso di vivere sulla strada. Curioso, ma non sapevo cosa dirgli. Lui abbassò lo sguardo sul suo bicchiere e io notai che era ancora vuoto. Se l'era scolato in fretta quell'ultimo. Anche il mio era vuoto, ma quando mi alzai non andai a riempirli. — Nonno — dissi — ora devo vedere una persona. Tu faresti meglio a tornartene alla missione e a farti dare una tazza di brodo. — Ehi, ma è presto! Manca appena un quarto all'una. C'è ancora tempo. — Temo di no. — Senti, siediti qui e lascia che ti racconti qualcos'altro. Prova a indovinare se stavolta mento oppure no. Se poi sei convinto che ti racconti ancora un sacco di balle, allora me ne tornerò alla missione. Mi sedetti e dissi con un po' di impazienza: — Va bene. Lui mi guardò un attimo. — Volevo dirti questo, figliolo. Tu non sei fatto per questa vita. Forse un giorno lo sarai, ma non adesso. Tu sei una persona istruita. Sei un giovinastro a cui piace andare in giro e offrire da bere ai barboni come me, per poi farli parlare e prenderli in giro. Dico bene? — C'è qualcosa di vero in quello che hai detto — risposi — eccetto che io non prendo in giro nessuno. Nonno, sei arrabbiato con me? Lui scosse lentamente la testa. — Allora — dissi — sistemiamo la faccenda così. Io devo andare sul serio. Ma credo a tutto quello che hai detto, e non sto scherzando. Anzi, faresti meglio a chiamare tua figlia a Ontario. Eccoti i sessanta cent per la telefonata. Posai gli spiccioli sul tavolo e me ne andai senza aspettare che lui mi ringraziasse. Ripresi a camminare. Ma non avevo intenzione di tornare a casa. Mi sentivo di nuovo col morale sotto terra; avrei dovuto smetterla prima col vecchio. Adesso ero davvero depresso. Non come Haroun al Rashid nelle Mille e una notte, non come Creso, re Mida o Rothschild. Mi sentivo come una specie di grottesca contraffazione. Dovevo vedere un uomo. Ike. Parlare di qualche astruseria con Ike. Il buon vecchio Ike. Se mi fossi lanciato a discutere di qualche cosa con lui, mi sarei subito sentito meglio. E inoltre mi restava ancora un dollaro, quanto bastava per comprare una bottiglia e dividerla con Ike nella sua stanza, se lui ci fosse stato. Con quella, avremmo potuto scioglierci un po' la lingua. Non dovevo nemmeno ri-
correre ai cinque dollari di riserva che mi ero infilato nel calzino. Lasciai la Quinta e mi diressi di nuovo verso Winston. Mi resi conto che le mie gambe non erano molto sicure, così decisi di concentrarmi mentre camminavo, per non perdere l'equilibrio e finire per terra. Con un po' di attenzione, riuscii a procedere più spedito. La stanza di Ike si trovava al pianterreno, sul retro di un edificio. L'ingresso era nella parte posteriore, ma non me ne sarei servito a meno che non avessi deciso di entrare. Dal marciapiede, era possibile picchiettare col dito sulla finestra di Ike. La finestra era buia. Se Ike si trovava a casa, doveva essere a letto, ma forse non si era ancora addormentato. Battei col dito sul vetro. Nessuna risposta. Non mi restava che andare a casa, pensai. Una volta tanto, mi sarei coricato prima dell'una. Mi voltai, abbandonai l'edificio immerso nel buio e mi diressi di nuovo verso la strada principale. Era più facile uscire da quella zona che non entrarci, perché i lampioni stradali aiutavano parecchio. Estrassi di tasca una sigaretta e i fiammiferi. Mi fermai poco prima di uscire dalla zona buia e accesi la sigaretta. Il bagliore del fiammifero gettò un cerchio di luce all'intorno e mi mostrò qualcosa di strano sull'asfalto, ai miei piedi. Era il profilo di un corpo umano, tracciato col gesso. Feci un passo indietro per vedere meglio, perché mi ero fermato proprio sulla testa della silhouette. Sì, avevo visto bene. Era proprio il profilo di un corpo umano, a braccia e gambe spalancate. Come se un ubriaco o un cadavere avessero giaciuto lì e qualcuno si fosse preso la briga di tracciarne il contorno. Che fosse stato un ragazzino? Non sembrava probabile. Perché un ragazzino avrebbe dovuto fare una cosa del genere? E perché avrebbe dovuto farla chiunque altro? Era uno spettacolo orrendo. Quando il fiammifero si spense e rimasi di nuovo al buio, mi sentii accapponare la pelle. Mi affrettai a entrare nella zona illuminata, ma lo feci costeggiando il muro che sorgeva a fianco della silhouette di gesso sul marciapiede. Non volevo calpestare un'altra volta l'uomo che non c'era. Anche se all'inizio gli avevo messo i piedi sulla testa e lui non si era neppure lamentato. 7
Ero tornato sulla Quinta Strada. Svoltai e mi diressi verso casa. Non era la mia notte, su questo non avevo dubbi. Stava andando tutto storto. Quanto meno da mezzanotte in avanti. Avrei dovuto andare a casa subito dopo aver lasciato Billie. Cercai di dare una tirata alla sigaretta che mi pendeva dalle labbra, ma mi accorsi che non l'avevo accesa. Ricordavo anche il perché. Mi fermai e provvidi. Dall'altra parte della strada, c'era la missione. Diversi uomini in coda stavano ancora aspettando davanti all'ingresso, ma il nonno non c'era. Senza dubbio, si era comprato una bottiglia con i sessanta cent che gli avevo dato, e adesso se la stava tracannando da qualche parte. Be', ero arrivato a una soluzione di ripiego con lui, ma il vecchio se l'era voluta. Però aveva fatto bene a rimproverarmi, perché lo stavo trattando con condiscendenza. Ed è meglio picchiare un uomo piuttosto che trattarlo dall'alto in basso. O gli avevo fatto qualcosa di peggio, trascinandolo via da quella coda e offrendogli tre buoni bicchieri di vino? Non contento, gli avevo dato quanto bastava per una bottiglia di sherry. E anche più, se sapeva dove comprarlo. Stanotte non sarebbe tornato indietro per la scodella di zuppa e il tozzo di pane. Forse domani si sarebbe svegliato in galera, arrestato per ubriachezza, o forse l'avrebbero trovato morto in qualche vicolo. A meno che il bere e il fuggire non fossero più importanti della zuppa e del pane, del pericolo di essere messi dentro e della morte. Lui doveva pensarla così, altrimenti non sarebbe venuto con me. O sarebbe tornato alla missione con quei sessanta cent in tasca per l'indomani. Ma chi ero io per dire se quell'uomo aveva ragione o torto? Ero forse il suo custode? Be', se anche lo fossi stato, avrei gradito istruzioni più chiare per la custodia. "Vai a casa e mettiti a nanna. Sii ragionevole, per una volta". Mi sarei bevuto il bicchiere della buona notte in camera mia, da solo. Mi fermai in un negozio di liquori e comprai un quarto di moscatello al prezzo di venticinque cent. Quanto bastava per terminare la serata e farmi venire un po' di sonno. E appena mi si fossero chiusi gli occhi, sarei stato in camera mia. Entrando nel palazzo, mi venne in mente che avevo promesso a Billie di usare l'entrata posteriore. Ma adesso era troppo tardi. Ero già dentro. Comunque, Billie mi sembrava ridicola con tutte le sue chiacchiere sul presunto pericolo in cui versavo. C'era solo un modo in cui la polizia avrebbe
potuto collegarmi a Mame: l'identificazione del lattaio. Ma, probabilmente, gli sbirri non sarebbero mai riusciti a scovare il lattaio. E se anche l'avessero fatto, lui non sarebbe mai stato in grado di identificarmi, così come io non sarei mai stato in grado di identificare lui. Oltre tutto, non potevano piazzarlo davanti al palazzo ventiquattr'ore su ventiquattro per fargli osservare chi entrava o usciva dall'edificio. Ma non era da escludersi che potessero chiamarlo in centrale per un confronto con qualche indiziato. Pensandoci bene, anzi, era molto probabile. Morale: meglio stare lontano dalla polizia e non farsi arrestare, in quei giorni. Di ritorno in camera mia, non accesi la luce. Mi aggiustai con quella dei lampioni stradali che filtrava dalla finestra; ce n'era abbastanza per consentirmi di vedere dove mettevo i piedi. E poi, odiavo il riflesso della lampadina non schermata che pendeva dal soffitto. Comunque, per evitare di richiamare le zanzare, avrei dovuto chiudere la finestra se accendevo la luce, e non mi pareva il caso. La notte si era piuttosto rinfrescata, ma quell'aria quasi pungente mi faceva stare bene. Con ogni probabilità, a Chicago doveva fare un caldo soffocante. Qualcuno mi aveva detto che c'era stata un'ondata di afa terribile nel Midwest. E una notte d'agosto a Chicago, in quelle condizioni, era quasi peggio dell'inferno. Aprii la bottiglia da un quarto, feci il giro della branda e puntai verso la finestra. Appoggiai i gomiti sul davanzale e guardai fuori. Proprio di fronte a me, al secondo piano del caseggiato dall'altra parte della strada, c'erano le finestre della camera di Mame. Ma adesso quella camera non apparteneva più a Mame. Ormai era una stanza vuota. Entro un paio di giorni, posto che la polizia non avesse avuto nulla in contrario, il proprietario l'avrebbe affittata a qualcun altro. Sulla strada, lo spazio che uno lascia quando muore si riempie molto presto. Mike Karas doveva essersi già procurato un'altra barista. In breve, la camera di Mame avrebbe avuto un altro affittuario, e lo spacciatore che le vendeva l'eroina si sarebbe trovato un nuovo cliente. Non sarebbe rimasto altro di Mame. Solo una pratica negli archivi della centrale di polizia. Era un pensiero curioso, ma, a meno che il caso non venisse risolto e l'assassino trovato, senza alcun dubbio la polizia si sarebbe ricordata a lungo di Mame. La cosa curiosa stava nel fatto che Mame detestava gli sbirri. Questo non vuol dire che la polizia avrebbe lavorato al caso per molto
tempo. Non alacremente, almeno. L'avevano catalogato - e correttamente, per quanto ne sapevo io - come un caso di furto finito male, e l'oggetto era o l'eroina o il denaro. Nelle indagini, avrebbero seguito le tracce che avevano, ma se queste non portavano a nulla, allora avrebbero dovuto arrendersi. Comunque, il caso di Mame sarebbe rimasto un caso aperto, e gli sbirri non l'avrebbero di certo dimenticata. Tra alcuni anni, se avessero acciuffato un uomo reo di aver picchiato una donna dopo averla derubata, gli avrebbero immancabilmente posto qualche domanda su Mame. Magari gli avrebbero chiesto dove si trovava al momento del delitto. Chissà, forse avrebbero persino cercato di accollargli l'omicidio. No, la polizia non avrebbe scordato Mame. La maledetta polizia. Certo che anch'io non mi comportavo da cittadino esemplare, non andando a riferire ai piedipiatti quello che poteva essere l'indizio più importante del caso, la chiave per capire l'intera faccenda. E cioè la storia che Mame mi aveva raccontato solo pochi minuti prima di venir assassinata. La storia di quel Jesus, che sembrava avere una fretta del diavolo. Non c'era il minimo dubbio che io fossi l'ultima persona, eccezion fatta per l'assassino, ad aver visto Mame viva. Ma questo non importava, e il saperlo non avrebbe aiutato molto la polizia. Ma quello che mi aveva detto Mame poteva invece risolvere il caso, posto che mi fossi deciso a parlare. Magari Jesus era qualcuno che loro già conoscevano. Il nome di battesimo e la descrizione potevano essere degli elementi decisivi per acciuffarlo. E forse Billie, che lo aveva visto quando lui era andato al Best Chance per prendere Mame, avrebbe potuto riconoscerlo in base alle foto segnaletiche custodite negli archivi della polizia. Accidenti a Billie, perché non aveva detto la verità agli sbirri quando l'avevano interrogata la prima volta? Non poteva credere sul serio che io avessi ucciso Mame così, su due piedi, dopo che ero salito da lei per farmi prestare quella bottiglia di manhattan. Se avesse dato una buona occhiata alla camera di Mame, si sarebbe subito resa conto che non potevo essere stato io. Nei pochi minuti in cui mi ero fermato da lei, non avrei mai potuto ridurre la stanza in quelle condizioni. No, Billie non era stata molto furba. Anche se, a pensarci bene, c'era un punto in suo favore, che permetteva di spiegarne il comportamento. Lei non sapeva ancora la verità su di me. Per quello che ne sapeva lei, io ero già stato schedato dalla polizia e magari ero anche ricercato da qualche
parte. Billie non sapeva che per me sarebbe stato facilissimo, anche se imbarazzante, chiarire la mia posizione con la polizia. Bastava che andassi in centrale e dicessi chi ero realmente e per quali ragioni mi trovavo qui. Dopo che loro avessero controllato i miei precedenti a Chicago, e le dozzine di referenze su cui potevo contare (il mio curriculum scolastico, la gente che mi conosceva praticamente da sempre eccetera), non sarei più stato sospettato di aver fatto fuori Mame, o per soldi o per droga. Ma Billie non poteva saperlo. Perciò era naturale che avesse mentito per proteggermi. No, non me la sentivo di biasimarla. Ma accidenti, a prescindere da quello che fingevo di essere adesso, io ero in realtà un onesto cittadino... o lo sarei ridiventato molto presto. Ma avevo il diritto di nascondere alla polizia una informazione di vitale importanza in un caso di omicidio, anche se questo avrebbe accorciato la mia estate e avrebbe posto fine al mio esperimento con due settimane di anticipo? Non si trattava di un reato di poca importanza; certo, io avevo visto e lasciato correre un mucchio di reati minori durante l'intera estate. Ma questo non era un reato minore; qui si trattava di omicidio, dello spegnimento di una vita umana. Non potevo continuare a fingere più oltre. La mia messinscena doveva finire subito. Stasera stessa. Ma naturalmente, non potevo recarmi dalla polizia in nottata. Ero troppo sbronzo per farlo, o presto lo sarei diventato. Pensavo ancora con una certa lucidità, ma dovevo essere sobrio prima di passare in centrale. Assolutamente sobrio. Inoltre, c'era Billie. Non potevo mettermi contro di lei e farla finire in un guaio. Se fossi andato dalla polizia a raccontare la mia storia, lei sarebbe passata per una bugiarda. Prima dovevo parlare con Billie, spiegarle come stavano le cose e convincerla a venire alla polizia con me. In centrale ci saremmo spiegati tutti e due e avremmo convinto i poliziotti che lei non voleva fare niente di male, che aveva mentito solo per proteggere me. E loro non avrebbero usato quella confessione contro di lei. Non dopo che Billie si fosse recata in centrale di sua spontanea volontà e dopo che io avessi rivelato quell'informazione importante che poteva anche risolvere il caso. Mi sentivo meglio. Ero tornato di nuovo una persona perbene. Forse mi ero dimenticato cosa si provava a indossare quei panni, almeno un poco, ma adesso ero in grado di vedere con chiarezza. Il dilemma mi aveva torturato per l'intero
pomeriggio e quasi per tutta la serata, a parte quelle due ore fantastiche che avevo passato con Billie. Allora mi ero scordato sul serio di Mame, come del resto avevamo convenuto di fare. Il mio subconscio mi aveva perseguitato; ecco perché tutto era andato storto dopo mezzanotte. O almeno così mi era sembrato. Chissà, forse lo psicopatico era solo un normalissimo ubriaco che magari si sentiva un po' cattivo, ma non era affatto quel mostro che avevo immaginato. Era sempre stato il mio subconscio a farmi rimproverare il vecchio della missione e a trattarlo con condiscendenza; e questo era stato un errore. Infine, se mi ero spaventato a morte per lo scarabocchio di un bambino su un marciapiede, la colpa era ancora del mio subconscio. Comunque, se non altro mi aveva tenuto sobrio, almeno mentalmente, nonostante tutto il vino che avevo trangugiato. Quell'ultimo quarto che avevo comprato da poco era già finito. Nascosi la bottiglia sotto la branda, poi mi alzai per togliermi i vestiti e infilarmi a letto. Ma dannazione, non avevo il minimo sonno. Non mi ero mai sentito così sveglio in vita mia. Se mi fossi coricato allora, sarei rimasto sveglio tutta la notte, a rimuginare di continuo. Ma se fossi andato dalla polizia domani, quella sarebbe forse stata la mia ultima notte. E allora perché non concedermi qualche altro drink? Giusto quelli che bastavano a farmi prendere sonno. Doveva essere l'una e mezzo o giù di lì. Scesi ed uscii. Passai di nuovo dal portone d'ingresso. Perché no? Puntai dritto verso Barney. Ma prima avrei dato un'occhiata all'interno. Se quel tizio con l'abito grigio fosse stato ancora là, non sarei entrato. Probabilmente era solo un ubriaco incattivito, ma anche quelli bastano a provocare guai. Forse avrei trovato Ike. Era passata un'ora e mezzo dall'ultima volta che ero stato lì. O forse avrei trovato qualcuno che conoscevo. Qualcuno con cui poter parlare. 8 La testa mi doleva orribilmente. Quando aprii gli occhi, la luce li abbagliò, perciò fui costretto a chiuderli subito. Poi capii che non ero a letto e li riaprii. Sopra di me c'era un soffitto. Almeno mi trovavo all'interno di qualche
casa. Ma ero sdraiato sul pavimento; un pavimento duro, nudo, senza moquette. Alzai la testa e mi diedi un'occhiata intorno. Vidi un letto e notai che c'era qualcuno disteso sopra. Era un uomo, ma non riuscivo a vederlo bene. Dove diavolo mi trovavo e come avevo fatto a finire lì? Mi drizzai a sedere. Ero completamente vestito, comprese le scarpe. L'uomo sul letto mi volgeva la schiena, perciò non potevo riconoscerlo. Anche lui era vestito, ma non aveva le scarpe. Drizzandomi un altro po', mi accorsi che c'era qualcun altro sul letto, oltre a lui. Mi guardai ancora intorno. Nella stanza c'eravamo solo noi tre. Era una stanza da quattro soldi, non molto più grande della mia e non molto diversa, a parte il fatto che aveva un letto a due piazze in ferro invece di una semplice branda. Inoltre, era provvista di acqua corrente. C'era un lavandino, in un angolo. Alcune bottiglie di vino vuote giacevano sul pavimento. Ne contai tre, ma forse ce n'erano di più, nascoste sotto il letto o chissà dove. Avevo bisogno di bere dell'acqua. Me ne sarei scolato almeno un litro. Mi alzai e puntai dritto verso il lavandino. Poi mi girai in direzione del letto e pensai che adesso, stando in piedi, forse avrei riconosciuto l'uomo che giaceva lì sopra e mi dava la schiena. Ma mi sbagliavo, anche se riuscivo a scorgerlo parzialmente in viso. Era uno sconosciuto. L'altro era coricato a faccia in giù. Indossava un abito grigio tutto spiegazzato. Sopra il bavero della giacca, spuntava il colletto sudicio di quella che una volta era stata una camicia bianca. Decisi di rinviare la bevuta d'acqua e mi diedi un'occhiata in giro alla ricerca della porta. La trovai alle mie spalle e uscii con molta discrezione. Mi trovavo in un androne. Eravamo al pianterreno, e in fondo all'androne si apriva una porta a vetri che dava direttamente sulla strada. Mi diressi alla porta, la aprii e mi ritrovai sul marciapiede, inondato dal sole. Ero nella Quarta Strada, non nella Quinta. Mi trovavo a due isolati e mezzo circa da casa. Forse sarebbe stato meglio che tornassi in camera mia prima di spegnere la terribile sete che provavo. E finché non fossi stato in casa, al sicuro, non avrei cercato né di pensare né di ricordare. Feci proprio così. Arrivato nel bagno in fondo al corridoio, riempii una brocca d'acqua e
bevvi a più non posso. Poi riempii di nuovo la brocca e me la portai dietro. Mi sedetti sul bordo della branda e mi presi la testa tra le mani. Mi faceva meno male adesso, ma il dolore non era del tutto passato. Non mi riusciva proprio di ricordare come avessi fatto a finire in quella stanza insieme a due sconosciuti, uno dei quali, forse, era uno psicopatico. L'ultima cosa che riuscivo a ricordare, per il momento, è che mi ero seduto in camera mia per bere il bicchiere della buona notte e avevo con me il quarto di moscatello che avevo appena comprato. Avevo giusto deciso che in mattinata, dopo aver parlato con Billie, sarei andato dalla polizia. Poi il sipario si sollevò appena un poco. Ricordai che avevo pensato di uscire per bere qualche altro drink, in attesa che mi venisse sonno. E così avevo fatto. Mi ero deciso per Barney e avevo cominciato a dirigermi là. Dopo di che, non ricordavo più niente, nemmeno uno sprazzo di memoria. Buio totale. Fino a quel punto, comunque, non c'erano problemi. Ricordavo tutto, e in esatta sequenza. Ero stato con Billie fino a mezzanotte. Avevo vagabondato un po', ero stato da Barney e lì avevo incontrato lo psicopatico. Poi c'era stato l'episodio della missione e la mia chiacchierata col vecchietto. Ero passato da Ike per invitarlo a bere e, infine, me n'ero tornato a casa. Soldi? Quanto avevo speso? Mi frugai in tasca e tirai fuori due biglietti stropicciati da un dollaro e venticinque cent. Dovevo aver intaccato i cinque dollari che mi ero nascosto nel calzino. Infatti, in tasca avevo meno di due dollari e un quarto quando ero uscito per la seconda volta. A meno che non mi fossi procurato del denaro in qualche modo e da qualche parte, avevo sicuramente intaccato la riserva che tenevo celata nel calzino. Sì, non c'era più niente dentro. E dovevo esser stato io a tirar fuori i soldi. Nessuno sarebbe stato così gentile da rimettermi calza e scarpa o da lasciarmi un paio di dollari, dopo il furto. Vediamo... avevo settantacinque cent, oltre ai cinque dollari. Tenendo conto del resto che mi ero trovato in tasca, avevo speso esattamente tre dollari e mezzo. Cercai di ricostruire quello che poteva essere successo. Senza dubbio, ero andato da Barney. Per qualche strano impulso a cui forse non era estraneo il mio stato di euforia, avevo cambiato idea e stretto amicizia con l'uomo dall'abito grigio e con un altro sconosciuto. Dovevo aver offerto da bere a entrambi e poi, quando Barney aveva chiuso i battenti alle due, avevo probabilmente comprato qualche bottiglia che in seguito era stata portata in casa di uno dei due. Se le tre bottiglie vuote che avevo notato erano
quelle che avevo comprato io, allora era probabile che prima, quando ancora eravamo al bar, avessi offerto diversi giri. A quindici cent al bicchiere, si può comprare un bel po' di vino con tre dollari e mezzo; basta saper scegliere. Con l'inizio di giornata che avevo avuto, probabilmente ero crollato per primo e mi ero addormentato per terra mentre loro andavano a letto. Ma almeno non mi avevano alleggerito degli spiccioli. Potevo dirmi fortunato. Ma adesso stavo terribilmente. Bevvi dell'altra acqua e poi andai alla finestra per dare un'occhiata all'orologio del banco dei pegni. Le nove e mezzo. "Dimentica ieri notte" mi dissi. "Lascia che i vivi seppelliscano i morti e considerati fortunato che non ti sia successo qualcosa di peggio". Ora albeggia e l'azzurro del cielo annuncia un nuovo giorno. Pensaci: lo lascerai scivolar via senza far nulla? No, Thomas Carlyle, questo non accadrà. Oggi cambieranno molte cose. La notte scorsa ha rappresentato il punto culminante e la fine appropriata di un ciclo. E adesso? "Vai fuori e cerca di tenerti lucido". "Fai colazione". Cosa che potevo sempre avere gratis da Burke. Il contratto prevedeva che io potessi fare tutti i miei pasti lì: la colazione in qualsiasi momento della mattinata, il pranzo nell'intervallo libero che avevo dopo il primo turno e la cena dalle sette in avanti, quando smontavo. Ma non avevo mai fatto colazione da Burke, a parte qualche rapida tazza di caffè quando magari arrivavo presto. Oggi avrei fatto un'eccezione alla regola e mi sarei servito una colazione molto abbondante. Non perché avessi fame, Dio ne scampi e liberi. Ma prendere un po' di cibo mi avrebbe aiutato a rimettermi in forze. Da come mi sentivo adesso, non avrei potuto parlare con un minimo di credibilità né con Billie né con la polizia. Ma prima di andare da Burke, mi sarei dato una bella ripulita. Mi spogliai e, con l'acqua che era rimasta nella brocca, mi lavai come meglio potevo. Poi guardai all'interno del mio guardaroba, che era tutto fuorché fornito, in cerca di qualche indumento che fosse almeno presentabile. Trovai un paio di calzini puliti, anche se avevano dei buchi dalla parte dei calcagni.
Ma in fondo, pensai, i buchi non si sarebbero visti. Poi trovai un paio di mutande pulite. Di una camicia pulita neanche a parlarne; ne avevo tre in tutto, ma due erano ancora in lavanderia. Quella che mi ero tolto poco fa era azzurra, e in fondo la indossavo da appena un giorno e mezzo. Decisi che era passabile. Paragonai i pantaloni che stavano nell'armadio, e che avevo indosso quando ero partito da Chicago, con quelli che mi ero appena tolto. Avevo fatto pulire i primi perché mi si erano sporcati quando avevo dormito nei treni merci. Erano un po' lisi ai risvolti, e comunque un'altra lavata non gli avrebbe fatto male. Ma alla fine li preferii lo stesso rispetto a quelli color kaki che attualmente indossavo e che avevo comprato usati. Li avevo pagati un dollaro e mezzo con il mio secondo giorno di paga. Dovevo pur mettermi qualcosa mentre gli altri pantaloni erano in tintoria. Ma ormai anche quel secondo paio si era quasi completamente rovinato, e adesso era in condizioni persino peggiori del primo. Trovai un altro paio di calzini così logori che, al massimo, avrei potuto usarli come stracci per lucidare le scarpe. Queste ultime erano quasi del tutto distrutte perché mi prendessi la briga di lucidarle, ma potevo lo stesso renderle un po' meno peggio di quanto effettivamente non fossero. Mi rasai e, nonostante la mano malferma e le condizioni a dir poco disastrose in cui mi trovavo, riuscii a non tagliarmi. Poi mi pettinai. Ora avevo il mio aspetto migliore. Ma non stavo così bene come sembrava. Mentre mi trovavo ancora in quella disposizione d'animo tanto virtuosa, decisi di fare un po' di bucato. Mi arrotolai le maniche della camicia e cominciai. Lavai le mutande e i calzini che mi ero appena tolto, un altro paio di calzini e tre fazzoletti. Non certo un grande bucato, lo ammetto; non ci impiegai più di cinque minuti. Appesi la biancheria ad asciugare sul bordo di un cassetto aperto del comò. In un soprassalto di zelo, feci anche il letto. Scesi dabbasso e uscii. Stavolta mi ricordai del consiglio di Billie e passai dall'ingresso posteriore. Mi diressi da Burke. Arrivai all'imboccatura del vicolo, lo percorsi ed entrai in cucina. L'orologio all'interno segnalava le dieci e venti. Burke era ai fornelli, ma per il momento non cucinava niente. Stava solo facendo qualche preparativo. Era un pezzo d'uomo, Burke, solido e robusto. Aveva il fisico di un pesista, coi muscoli prominenti, e una faccia
squadrata su cui non avevo mai visto l'ombra di un'espressione... a parte forse qualche volta, e quando ce n'era l'occasione, un lieve corrugamento della fronte. In sei settimane che mi trovavo lì, non l'avevo mai sorpreso a sorridere. Mi ero chiesto spesso che cosa si proponesse di ricavare dalla vita; lavorava in ristorante dalla mattina presto fino all'ora di chiusura, a tarda sera, provvedendo personalmente a cucinare prima e dopo i turni di Ramon. Se non era impegnato ai fornelli, se ne stava al bar o alla cassa. Passava in ristorante quindici ore filate al giorno, per sei giorni alla settimana. Gli unici spazi per la sua vita privata, posto che ne avesse una, erano di domenica. Mi ero domandato spesso cosa facesse la domenica. E perché si logorasse in quel modo gli altri giorni. A cosa servono i soldi se non si ha il tempo di spenderli? Non appena entrai in cucina, lui si voltò. — Salve — disse. Poi diede un'occhiata all'orologio. — Sei venuto a fare colazione? Annuii. — Mi può preparare due uova? Cotte bene, mi raccomando. — Certo. Con prosciutto o pancetta? — Pancetta, grazie. Ma niente patate e nessun'altra aggiunta. Va bene così. Passai dalla porta automatica, entrai nella sala ristorante e mi misi dietro il bancone del bar. Mi versai una tazza di caffè dal distributore. — Ehm... Howie. — Sì? — Una tazza anche per me, ti dispiace? Credo di poter contare su qualche minuto di libertà e vorrei fare quattro chiacchiere con te, mentre mangi. — D'accordo — dissi. — Crema e zucchero? — Solo crema. Posai la mia tazza sul tavolo, tornai di nuovo indietro e presi il caffè anche per lui. Lo posai sul tavolo, di fronte al mio, e mi sedetti. Poi mi vennero in mente le posate; non volevo lasciare quell'incombenza a Burke, così mi alzai e andai a prenderle. Presi anche un cucchiaio per lui, dopo di che tornai a sedere. Assaggiai il caffè - nero ma con qualche zolletta di zucchero - e lo trovai ancora troppo bollente. Mi sarebbe piaciuto avere un goccio di brandy o di whisky per correggere il caffè; quello non mi avrebbe di certo fatto male. Ma non avevo sottomano né brandy né whisky. Burke si avvicinò al mio tavolo e si sedette di fronte a me. — Mi fa piacere vederti mangiare a colazione, Howie. Dovresti farlo sempre.
— Già — dissi. Dato che non volevo sorbirmi una conferenza sull'importanza di un'alimentazione regolare, fui contento che non sapesse quanto poco mangiavo negli altri due pasti. Di regola, ne saltavo uno completamente. In quei frangenti lui era sempre in sala, perciò non poteva accorgersene. — Howie, cosa c'è che non va? — mi domandò. Io alzai lo sguardo dal piatto, sorpreso. — Va tutto bene. Ma non capisco il senso della domanda. — Be', tu fai il lavapiatti qui. — Oh — dissi. Mi chiesi cosa avrei dovuto rispondere, ma non riuscivo a capire dove volesse andare a parare. — Lavori sodo e ti applichi come meglio non si potrebbe. Qualche volta arrivi un po' in ritardo, è vero, ma ti fai sempre vedere tutti i giorni. E adesso sono cinque settimane, se non mi sbaglio. O sei? — Sei, credo. — Bene, perché non ti cerchi un lavoro migliore? Non vuoi lavare piatti per il resto della tua vita, no? Aprii la bocca e la richiusi subito. Come diavolo facevo a rispondergli senza svelargli la verità o comportarmi da maleducato? Lui credeva di farmi un favore, perciò non me la sentivo di dirgli che badasse agli affari suoi. Ma lui proseguì, senza aspettare che rispondessi. — Lo so, le cose devono esserti andate un po' male in questi ultimi tempi. Ma io non voglio sapere niente e non me ne importa un fico secco. Sembravi una specie di barbone quando sei venuto qui. Te l'eri vista brutta, eh? Annuii, concentrandomi sul cibo. — Credevo che saresti durato qualche giorno o al massimo una settimana, come tutti gli altri. Ma invece sei andato avanti per sei fottutissime settimane. Ho avuto dell'altra gente che ha lavorato per me anche più a lungo, ma... — qui fece una pausa e bevve un sorso di caffè — ... erano tipi anziani e non molto svegli, che non avrebbero potuto fare nient'altro. Cercavano di sbarcare il lunario come potevano, e lavare piatti era tutto quello che riuscivano a fare. Ma tu... — Mi guardò e scosse la testa. Poi aggiunse: — Tutto quello che ti serve per ottenere un lavoro più decente, come per esempio fare il commesso in un negozio, è un abito nuovo. Potresti guadagnare due volte tanto, e forse anche più, con minor fatica. Non potevo certo dissentire, così annuii di nuovo. — Ora stammi bene a sentire. Io non voglio farmi gli affari tuoi. È che
ho un'idea ben precisa in testa. Ma forse mi sbaglio. Forse tu hai già pensato a queste cose, ti sei comprato un abito nuovo o stai mettendo via qualche soldo per comprartene uno. Ti prepari alla scalata, insomma. È così? Se fossi stato furbo, avrei annuito e la conferenza sarebbe finita all'istante. Ma non lo ero. Scossi la testa. — Tutti i soldi che guadagni li usi per comprarti da bere, è vero? — Più o meno — risposi. — Bevi vino? Fui costretto ad ammetterlo. — Spendi molto per la tua stanza? Decisi di temporeggiare finché non avessi scoperto cos'aveva in mente, così gli dissi di nuovo la verità. — Tre dollari. — Bene, allora cosa ne diresti di questa proposta? Tu guadagni cinque dollari e venticinque cent al giorno, qui dentro. Non posso offrirti molto di più, ma a sei dollari ci arrivo senza problemi. Ti darò tre dollari in contanti tutti i giorni e terrò i restanti tre in modo che tu non li spenda subito. Il giorno in cui paghi l'affitto, comunque, te li darò tutti e sei, così ne avrai tre da spendere, nel caso ti servissero. Potresti mettere da parte una bella sommetta. Diciamo quindici dollari alla settimana. Fece una pausa e poi aggiunse: — Dato che fai tutti i pasti qui, tre dollari al giorno dovrebbero bastarti per le tue spese. Il vino non costa molto, e tu potresti sbronzarti anche con tre soli dollari. Tra parentesi, non ci baderei più di tanto se lo facessi. Terminò di bere il caffè, si alzò e depose la tazza sul lavandino. Non mi ero accorto di nessuna ordinazione ma una doveva essere stata fatta, perché lui si diresse ai fornelli e si mise a cuocere due hamburger. Poi si avvicinò di nuovo a me, appoggiò le mani sul tavolo e si spinse un po' in avanti. — Sono sei settimane che lavori qui — disse — ma non ti è rimasto un solo spicciolo in tasca. Altre sei come dico io e ti porterai a casa novanta dollaroni. Quanto basta per comprarti un vestito e cominciare una nuova vita. Posso anche darti meno contante e tenerti più soldi in caldo, se pensi di farcela; decidi tu. Potrai avere i dollari messi da parte in qualunque momento. Attese per vedere se avevo qualcosa da replicare. — Grazie mille per l'offerta — dissi. — Le dispiace se ci penso un po' sopra? Tornò ai fornelli e rivoltò i due hamburger, poi mi raggiunse di nuovo. — Spero che tu accetti — disse. — Per il mio bene, oltre che per il tuo.
Trovare lavapiatti e tenerseli è il peggior rompicapo che a uno possa toccare, in un mestiere come questo. E credo che ti fermerai più a lungo, con questo incentivo. Avrai qualcosa per cui batterti. Altrimenti, avrei sempre paura che tu possa piantarmi in asso da un momento all'altro. Per qualsiasi ragione. — Ritornò ai fornelli e stavolta rimase lì. Io avevo terminato di fare colazione ma, dato che non erano passate da molto le dieci e mezzo e avevo ancora tempo, me ne rimasi seduto a riflettere. Burke era davvero una persona perbene, eppure molto probabilmente io stavo per giocargli un brutto tiro. Tra pochi minuti, sarei uscito per telefonare a Billie. Se l'avessi trovata e fossi riuscito a persuaderla a incontrarmi da qualche parte, forse non sarei più tornato a lavorare per quel giorno. Certo non sarei mai arrivato in orario, se Billie e io ci fossimo recati insieme dalla polizia. Anzi, forse non sarei più tornato da Burke; dipendeva da molti fattori. Avrei giocato un tiro mancino a Burke dopo che lui mi aveva fatto un'offerta a dir poco generosa. E senz'altro più generosa per me che per lui, nonostante quello che aveva detto. Ma non potevo farci niente. Se le cose fossero andate come supponevo, non avrei potuto fare a meno di eclissarmi. E non mi pareva neanche il caso di mettergli la pulce nell'orecchio. Se io e Billie dovevamo proprio andare dalla polizia, tanto valeva farlo subito. Ma perché mi stavo tanto ad arrovellare? Ci saremmo andati senz'altro, a meno che lei non si opponesse fermamente. Ma non credo che l'avrebbe fatto, dopo aver sentito quello che avevo da dirle. Be', ero ancora convinto che fosse una buona idea e, d'altra parte, qualcosa dovevamo pur fare. Ma adesso, alla fredda luce del giorno, dovevo ammettere con me stesso che non mi sentivo più tanto disposto a fare il prode cavaliere come mi ero sentito ieri sera, sotto l'influsso dell'alcol. E se ci fossimo dati la zappa sui piedi? Supponiamo che la polizia mi obbligasse a trattenermi in città come teste materiale; in quel caso non sarei stato presente all'inizio della scuola, il mese successivo, col rischio di perdere il lavoro. Forse i piedipiatti non sarebbero rimasti molto impressionati dal fatto di trovarsi di fronte un insegnante di liceo. Be', devo ammettere che insegnare non è una professione molto prestigiosa. Mame mi aveva raccontato l'episodio di Jesus, è vero. Ma che questo avesse qualcosa a che fare con il delitto, era solo una mia supposizione. Se
i due episodi non erano minimamente collegati, allora l'aggiunta della mia deposizione e il cambiamento della versione di Billie non sarebbero stati di nessun aiuto alla polizia. Anzi, potevano anche portare gli investigatori su una falsa pista. Ma accidenti, comunque andassero a finire le cose, almeno avrei parlato con Billie. Posai i piatti sul lavandino e mi diressi verso la porta. — Torno alle undici — dissi a Burke. Stavo quasi per aggiungere che avrei dovuto fare una telefonata, ma mi trattenni in tempo. Mi ero ricordato che c'era un telefono nella sala ristorante. Probabilmente, lui mi avrebbe suggerito di usarlo e io non volevo. Meglio chiamare da una cabina telefonica. Uscii sul vicolo, arrivai sulla strada principale e da lì puntai verso il drugstore all'angolo. Trovai una cabina telefonica aperta e composi il numero di Billie. Lasciai squillare il telefono per un bel pezzo, ma non ottenni nessuna risposta. Maledizione, mi pareva troppo presto perché Billie fosse già uscita, ma doveva essere andata proprio così. Avrei fatto meglio a chiamare mezz'ora prima e a fissare un appuntamento subito dopo la colazione, invece di aspettare tutto quel tempo. Se era uscita così presto, era molto probabile che fosse andata in spiaggia. E chissà, forse ci sarebbe rimasta ancora per molto. Decisi che forse era il caso di tornare da Burke e rimettersi al lavoro fino alla pausa per l'ora di pranzo, intorno alle due e mezzo. Allora, avrei provato a ritelefonare a Bilie. E se dopo averle telefonato non fossi mai più tornato da Burke, non sarei stato assalito da particolari scrupoli di coscienza. In fondo, andandomene, avrei rinunciato a tre ore e mezzo di paga. Inoltre, lavorare mi avrebbe tenuto al riparo dai guai. Per esempio, non sarei stato tentato di bere tanto per ammazzare il tempo, in attesa di entrare in contatto con Billie. Perciò tornai da Burke. Mi arrotolai le maniche della camicia, andai al lavandino e aprii i rubinetti. Burke, che era ai fornelli, si voltò, diede un'occhiata all'orologio e poi mi guardò. — È ancora presto per rimetterti al lavoro. Mancano dieci minuti. — Quante volte ho tardato di dieci minuti? — domandai. Il che mi dava un leggero vantaggio su Burke, almeno per il momento. Quando arrivò Ramon, piazzandosi subito davanti ai fornelli, Burke mi avvicinò un attimo prima di passare in sala. Mi diede una pacca sulla spal-
la e disse: — Pensaci, Howie. Ma spero che tu mi prenda in parola. — Io annuii. — Su che cosa dovresti prenderlo in parola? — mi chiese Ramon quando Burke era già uscito. — O non sono affari miei? Gli riferii che cosa mi aveva proposto Burke. — Bene — disse lui. — Avrebbe dovuto farti quell'aumento già da un bel pezzo. Anche l'altra parte del progetto è interessante. Sempre posto che tu resista, si capisce. — Già — dissi. Volevo pensare, non sorbirmi un'altra conferenza anche da parte di Ramon. Forse il modo in cui risposi gli fece capire il mio stato d'animo, perché da allora non aprì più bocca. Il mio cervello era come un sandwich a tre strati. Il primo strato mi diceva che era mio preciso dovere andare dalla polizia e convincere Billie a venire con me. Il secondo mi diceva di dimenticare l'intera faccenda e proseguire con i miei progetti come se niente fosse successo. Il terzo mi diceva che se Billie aveva ragione nel supporre che io corressi il pericolo di venir acciuffato attraverso la segnalazione del lattaio - e, in quel caso, tanto io quanto lei saremmo finiti nei guai - allora avrei fatto meglio ad accorciare il mio soggiorno a Los Angeles e a partire il più in fretta possibile per Chicago. Se avessi preso quella decisione, avrei dovuto dire a Billie tutta la verità e chiederle qualche soldo in prestito. Quel tanto che bastava per tornare decentemente in treno, o almeno in pullman. In ogni caso, non sarei mai tornato così come ero venuto, e cioè servendomi di qualche treno merci. Non era solo sgradevole, ma un po' pericoloso. All'andata avevo avuto fortuna e non mi era successo niente; ma sarebbe stato così anche al ritorno? Inoltre, lo avevo fatto una volta e mi ero formato una certa esperienza. Non aveva alcun senso ripetere l'esperimento, se non ci fossi stato costretto. Poi mi venne in mente un altro aspetto del problema. Se avessi deciso di restare, potevo sempre tornare in pullman. Bastava che accettassi l'offerta che mi aveva fatto Burke; in quel caso, non sarei stato costretto a chiedere soldi in prestito a Billie. Avevo calcolato che mi ci sarebbero volute due settimane per tornare in treno merci. Ma in pullman una settimana sarebbe stata più che sufficiente. Ciò mi avrebbe permesso di fermarmi qui altre tre settimane, invece di due. Ventun giorni, a quindici dollari la settimana, mi avrebbero fatto ricavare quarantacinque bigliettoni. Sarebbero bastati a pagarmi il pullman? Probabilmente no, tenendo conto dei pasti tra una locali-
tà e l'altra. Ma di sicuro sarei riuscito ad arrivare almeno a Kansas City, e là potevo contare su diversi amici. Amici che conoscevo bene e ai quali avrei potuto spiegare la situazione. Non avrei incontrato difficoltà a farmi prestare da loro i soldi residui per arrivare fino a Chicago. "Diavolo" mi dissi "piantala di girare in tondo. Non cercare nemmeno di decidere finché non senti Billie. Convincila riguardo a quella faccenda o lascia che lei ti dissuada. In quest'ultimo caso, decidi insieme a lei se per te è meglio gironzolare nei dintorni per qualche altra settimana o levare subito le tende. In ogni caso, non dimenticarti di chiederle se può prestarti i soldi per il viaggio di ritorno, con la precisa condizione che tu glieli renderai non appena rimesso piede a Chicago". Smisi di pensare e ripresi a lavare i piatti. La colazione mi aveva fatto bene. Mi sentivo ancora frastornato, ma la testa aveva smesso di dolermi. Sentii dei passi alle mie spalle. Poi una voce maschile domandò a Ramon: — C'è un certo Howard Perry qui? Mi voltai. — Sono io. Era un tizio in borghese. Di sicuro un agente investigativo. La cosa era così lampante che lui non si preoccupò nemmeno di mostrarmi il distintivo. — Polizia — si limitò a dire. — Vorrei parlarle. 9 La mia prima sensazione fu di sollievo. Credo che persino i criminali incalliti, quelli che hanno commesso precisi reati e si trovano in reale pericolo, provino una sensazione simile quando la tensione svanisce e non ci si deve più preoccupare di essere presi, perché si è già in trappola. — Arrivo subito — dissi. Mi asciugai mani e braccia, poi mi avvicinai al poliziotto tirandomi giù le maniche della camicia. Lui puntò con la testa verso l'imboccatura del vicolo e si diresse lì. Io lo seguii, meravigliato che non mi avesse perquisito e che si fidasse di camminare davanti a me. Doveva essere un tipo inefficiente. Anche se il suo collega lo aspettava fuori, l'uomo correva lo stesso un bel rischio. Ma nel vicolo non c'era nessuno. Nemmeno una volante. Mi avrebbe trascinato alla stazione di polizia a piedi? Da solo? Dopo aver fatto alcuni passi, si fermò e si voltò. Sembrava che non avesse intenzione di sbattermi dentro; forse voleva solo parlarmi lì. E quello pareva il suo unico desiderio.
— Perry — disse — lei conosce un uomo che si chiama Ike Batchelor e che abita in Winston Street? — Sì. — Che fosse successo qualcosa a Ike? Ma allora non poteva trattarsi di Mame. — Quando l'ha visto l'ultima volta? Ci pensai. — Ieri sera — risposi. — Da Barney, intorno alle nove e mezzo. Io me ne sono andato proprio a quell'ora, ma lui era ancora lì. — E prima? — Ieri mattina, nello stesso posto. Io stavo venendo a lavorare qui. Comincio alle undici. Ho visto che Ike era da Barney e sono entrato per bere un bicchiere in compagnia. Ma gli è successo qualcosa? Sta bene? — Sta bene. E prima di questo episodio, quando lo ha visto? Gli chiesi di lasciarmi riflettere un minuto, e lui mi accordò il permesso. — L'altro ieri, domenica. Sono rimasto con lui tutta la sera di domenica, più o meno dalle sette in avanti. Ci siamo lasciati verso mezzanotte, o forse anche un po' più tardi. — Dove eravate? C'era qualcuno con voi? — Due altri tizi — dissi, rispondendo alla seconda metà della sua domanda. — Uno era Sam Dobbs. L'altro è un tipo che viene chiamato Blackie. Ma non so se si chiami Black di cognome o si tratti solo di un nomignolo. Siamo rimasti da Barney un altro po', quindi abbiamo deciso di andarcene e siamo saliti nella stanza di Sam Dobbs. — Vuole raccontarmi la storia dall'inizio? Dal momento in cui ha incontrato Batchelor? — Sono andato da Barney alle sette e... — Un attimo. Come fa a sapere che erano le sette? È in grado di affermarlo con assoluta sicurezza? — Se l'orologio di Barney era esatto — risposi — non ho il minimo dubbio. Ricordo che erano le sette perché ci ho dato un'occhiata mentre entravo. Ho addirittura pensato che, se non fosse stata domenica, mi sarei trovato al lavoro. Il mio turno qui finisce alle sette. — E ha la domenica libera? — Come tutti, d'altra parte. La domenica il ristorante è chiuso. — Era lucido, in quella circostanza? — Sì — risposi. — Avevo fatto un sonnellino in camera mia e mi ero appena svegliato. Perciò non avevo ancora bevuto un goccio. — Va bene, vada pure avanti. È entrato da Barney alle sette, giusto? — Sì. Ike era già lì, con Sam e Blackie. I tre stavano facendo quattro
chiacchiere e io mi sono unito a loro. Abbiamo bevuto un bicchiere lì... io parlo per me, s'intende; non so quanti ne abbiano bevuti loro. Poi, dato che nessuno di noi aveva molti soldi... di domenica io non lavoro, perciò sono quasi sempre al verde... abbiamo deciso di mettere insieme quel po' che avevamo e di comprare una caraffa di vino, invece di bere alla spicciolata. Abbiamo fatto l'acquisto nella bottiglieria vicino a Barney. — Siete entrati tutti e quattro? — Tre hanno aspettato fuori. È stato Sam a comprare la caraffa. Poi siamo saliti in camera sua e siamo rimasti lì tutta la sera, facendo quattro chiacchiere e bevendo. — Non è uscito nessuno? Nemmeno per qualche rifornimento? — Oh, sì. Blackie. Sto cercando di ricordare che ore fossero, ma probabilmebnte dovevano essere le dieci. La caraffa era vuota e noi abbiamo scoperto che in tasca ci restavano gli spiccioli per un altro paio di litri. Blackie era quello con meno soldi, così abbiamo mandato lui a fare l'acquisto. — E Batchelor non si è mai mosso da lì? — Mai. Ne sono certissimo. — Va bene. E adesso veniamo a questo Sam Dobbs. Lavora da qualche parte? — Che io sappia, no — risposi. — Ma non è che lo conosca molto bene. L'unico dei tre con cui sono in ottimi rapporti è Ike. — Dove si trova la casa di Sam Dobbs? Gli dissi che era sulla Quinta Strada, a ovest di San Pedro. Non conoscevo il numero civico, ma fui lo stesso in grado di descrivergli l'edificio. Gli ricordai anche che la camera di Sam si trovava al primo piano, con la porta che si apriva proprio in cima alle scale. — Sa dove potrei trovare questo Blackie? C'è qualche posto dove bazzica in particolare? — L'ho visto qui in giro diverse volte — dissi. — Ma non so se frequenti qualche posto in particolare. In ogni caso, basta che lei trovi Sam per avere qualche informazione su Blackie. Anzi, spesso girano insieme. Sam dovrebbe sapere sia il vero nome di Blackie che il suo indirizzo. — Bene — disse lui. — Sa come si guadagna da vivere Ike Batchelor? — No — risposi. Con mia sorpresa, lui sogghignò. — Non credo proprio — osservò — se lo conosce così bene come ha detto. Ma sono contento che lei abbia scelto di mentire su questo punto. Ciò mi fa credere che il resto della sua storia
sia vero. Specie se riesco a scovare Sam e Blackie e loro confermano la sua versione dei fatti. Be', molte grazie. — Un attimo — dissi. — Ike è davvero un mio amico. Si trova in qualche guaio? — Non credo. In ogni caso, non è una faccenda seria. Gli abbiamo trovato addosso dei numeri di qualche lotteria clandestina. Tutto qui. Ma per quanto riguarda la presente faccenda non ci sono problemi. Con la versione dei fatti che ci ha fornito lei, Batchelor è perfertamente scagionato. O lo sarà non appena riesco a parlare con quegli altri due tizi. Arrivederci. Lui se ne andò e io tornai in cucina, assorto nelle mie riflessioni. Non era poi tanto male, per essere un poliziotto. Ma su che diavolo vertevano tutte quelle domande? Non certo su Mame. Lei era stata uccisa ieri mattina, perciò Ike non c'entrava niente. Non appena entrai, Ramon mi rivolse uno sguardo ansioso. — Qualche guaio, Howie? — No — risposi. — Va tutto bene. Solo una semplice chiacchierata su un amico. Tornai a occuparmi dei miei piatti. Mancava mezz'ora alla pausa per il pranzo. Lavorai sodo per terminare prima dell'interruzione. Poi andai direttamente al drugstore e telefonai ancora a Billie. Stavolta lei rispose. — Ciao — dissi. — È di nuovo il professore. Billie, vorrei parlarti a proposito di una faccenda importante. Possiamo vederci da qualche parte? — Vuoi dire adesso? Ma non stai lavorando? — Sì, ma posso interrompere per un po', se sei disposta a vedermi. E se facessi un salto da te? Ormai dovrebbe essere tutto tranquillo, no? — Neanche per idea. Non venire assolutamente qui. E non credo di poterti vedere, oggi pomeriggio. Ho qualcos'altro da fare. — È importante, Billie. — Anche quello che devo fare io è importante. E vale cinquanta dollari. Cinquanta dollari sono un mucchio di soldi, professore. Devo solo posare per qualche fotografia. Non dissi nulla. — Non farti brutte idee, professore. Non si tratta di foto pornografiche. Solo nudi. Che c'è di male nel posare per alcuni nudi? Anche le modelle lo fanno. — D'accordo — dissi. Cinquanta dollari erano cinquanta dollari, e in fondo io non facevo il tutore di Billie. — Ci vediamo stasera, allora?
— Va bene, professore. Come ieri sera? Stesso posto e stessa ora? — Certo, Billie. C'è qualche possibilità che tu riesca a farti dare di nuovo la stessa chiave? Se non mi sbaglio, avevi detto che Roberta non avrebbe dovuto lavorare per almeno un giorno o due. — Non so se riuscirò ad avere la chiave. Può darsi. — Tenta, ti prego — dissi. — Anche se non dovessimo fare niente di particolare, è sempre meglio andare lì che essere costretti a parlare in pubblico. E una volta che attacchiamo a chiacchierare, potremmo anche metterci un mucchio di tempo... — D'accordo, professore. Cercherò. Ciao. Uscii dal drugstore e mi fermai un attimo all'esterno, chiedendomi come ammazzare il tempo. Dopo quell'insolita colazione non avevo la minima fame, perciò non c'era alcuna ragione perché tornassi da Burke prima di un'ora. Perché non potevo concedermi un paio di drink, adesso che le cose stavano cominciando a ingranare? Non era molto probabile che andassimo dalla polizia stasera, sempre posto che ci fossimo trovati d'accordo su quella soluzione. Avremmo fatto tardi, e inoltre ci saremmo messi di sicuro a bere mentre discutevamo in casa di Roberta. Sarebbe stato stupido non farlo. In questo caso, che male c'era se adesso bevevo uno o due bicchieri? Trovai un bar che mi sembrava passabile e ordinai un moscatello. Cominciai a sorseggiarlo e mi sorpresi a chiedermi se Billie avesse detto la verità riguardo a quelle foto o avesse mentito per risparmiarmi un dolore. Cinquanta dollari mi sembravano molti per un semplice nudo, ma in fondo non conoscevo le attuali quotazioni per cose del genere. Comunque, mi disturbava il pensiero che lei potesse posare per delle vere foto pornografiche. "Non pensarci" mi dissi. "Con ogni probabilità, va tutto bene". E se anche non fosse stato così, non erano affari miei. La mia unica preoccupazione doveva essere quella di uscire dal pasticcio in cui mi ero cacciato e tornarmene a Chicago. Ma prima c'era la serata con Billie. Feci in modo che il secondo bicchiere mi durasse fino al momento in cui avrei dovuto andar via per riprendere il lavoro. Tornai da Burke, mi arrotolai di nuovo le maniche della camicia e ripresi a lavare piatti. Mi domandai quanti piatti avessi lavato in sei settimane. E quanto vino avessi bevuto nello stesso periodo. Poi mi chiesi quanti temi avrei corretto l'anno successivo e quello ancora seguente. Ero proprio certo che fosse peggio fare il lavapiatti? Be', comun-
que insegnare pagava di più. Non molto, comunque. "Oltre tutto" pensai "sono troppo in gamba per fare il semplice lavapiatti. Anche Burke lo dice. Povero vecchio Burke, lavora sei ore al giorno per sei giorni filati nell'arco della settimana, e non ha uno straccio di vita privata oltre le attività che svolge in ristorante. Perché?". Che stesse arricchendosi? Ne dubitavo. In caso affermativo, avrebbe assunto un uomo in più per poter lavorare meno lui. Alle cinque, Elsie, una delle due cameriere, fece capolino in cucina e mi disse: — Howie, c'è una telefonata per te. È una signora. La ringraziai, mi asciugai le mani e mi diressi verso il telefono. Doveva essere Billie, pensai, anche se prima non mi aveva mai chiamato mentre ero di servizio. Non ricevevo mai telefonate sul posto di lavoro. Speravo che qualcosa nei nostri piani per stasera non fosse andato storto. Il telefono si trovava sul banco dei sigari accanto al registratore di cassa, ma Burke non c'era. Stava trafficando dietro il bancone del bar. Meglio, così avrei potuto parlare con maggiore riservatezza. — Howie? Sono Billie. Temo che farò un po' tardi per il nostro appuntamento di stasera. Ho pensato che fosse meglio avvisarti. — Molto tardi? — domandai. — Penso di essere libera verso le dieci e mezzo. Ora ti spiego cos'è successo. Subito dopo che mi avevi chiamato, intorno alle tre, sono andata nello studio di quel fotografo, come era previsto. Solo che lui non era pronto. Mi pare di aver capito che gli mancava una particolare specie di pellicola o qualcosa del genere. D'altra parte, non gli era stato possibile avvisarmi che l'appuntamento era rinviato, anche perché l'accordo era stato preso con qualcun altro. Credo che fosse una specie di agente, Howie. E lui... il fotografo, voglio dire... non è riuscito a mettersi in contatto con l'agente e non conosceva il mio numero telefonico. Così mi ha chiesto se potevo passare stasera, assicurandomi che nel frattempo lui si sarebbe munito di tutto. — D'accordo, Billie. Ti aspetterò. Hai visto Roberta? — Le ho telefonato, ed è tutto okay. Sarà da Mike alle sette; io passerò di lì e mi farò dare la chiave prima di arrivare in studio. — Ottimo — dissi. — Ma senti, Billie, cerca di convincerla a farti restare più a lungo. Sgombrare a mezzanotte non è un granché, se arriveremo là più o meno intorno alle undici. — Glielo chiederò, Howie. Ciao. Tornai ai miei piatti.
— Brutte nuove, Howie? — mi domandò Ramon. — No — risposi. — Quando una donna ti chiama, più volte che no sono brutte nuove. O cambia idea, o annulla un appuntamento, o combina chissà quale diavoleria. — Stavolta non è andata così male. Mi ha solo detto che sarà un po' in ritardo. — Guardati dalle donne, amigo. Brujas. Cercano sempre di intrappolarti, di farsi sposare. "No puedo salir ahora porque estoy chantado", come dicono i Pachucos. Significa che non puoi uscire perché sei sposato. — Sei mai stato un Pachuco, Ramon? — Sicuro, quando ero più giovane. Con il costume d'ordinanza e tutto il resto. Sai qual è la cosa più bella nell'essere un Pachuco, Howie? — No. Quale? — Le Pachucas, le ragazze dei Pachucos. Hmmm... — Hanno il sangre caliente, vero? — L'hai detto. — Sospirò, travolto dai ricordi. Poi tornò a occuparsi degli hamburger. Alle sette non avevo ancora fame, ma decisi che era meglio mangiare qualcosa. Molto probabilmente mi sarei messo a bere durante la sera, anche se avrei cercato di tenermi a freno perché non volevo assolutamente eccedere. Dovevo essere lucido quando avrei parlato con Billie. Così, prima di passare da Burke per farmi pagare, mi preparai un sandwich e lo mangiai. — Tre o sei? — mi chiese subito lui. Me n'ero quasi scordato. Ma dato che c'era almeno una probabilità che non sarei tornato l'indomani, gli dissi che volevo sei dollari. Lui aggrottò le sopracciglia e mi parve deluso, perciò mi affrettai a direi — Forse comincerò a risparmiare da domani. È che dovevo due dollari a un certo tizio e prima di tutto voglio saldare il debito. Poi ho portato qualche camicia in lavanderia... — D'accordo, ma quando comincerai cerca di non avere ripensamenti. Chiaro? Gli risposi affermativamente. Lui mi diede i soldi e io uscii che cominciava a imbrunire. Mi diressi a casa. Mi tenevo sul lato nord della strada, così sarei passato davanti a Barney. Volevo dare un'occhiata all'interno per vedere se c'era qualcuno che conoscevo, qualcuno che avrebbe potuto dirmi cos'era suc-
cesso a Ike. Mi premeva sapere se potevo fare qualcosa per lui, fosse solo mandargli una stecca di sigarette. La prigione sarebbe stato indubbiamente un inferno per Ike, senza sigarette. Sbirciai all'interno. C'era Ike. Sembrava pulito e sobrio, ma un po' abbacchiato. Entrai e mi sedetti accanto a lui, poi misi un dollaro sul bancone e ordinai da bere. Anche se avessi speso quell'intero dollaro per lui, sarebbe stato sempre più economico che non spedirgli in galera una stecca di sigarette. Oltre tutto, era il modo migliore per celebrare. — Credevo che fossi nei guai — dissi. — Sono nei guai. Mi hanno beccato con i numeri della lotteria clandestina. — Però sei fuori. — Sì, mi hanno rilasciato mezz'ora fa. Sto cercando di togliermi di bocca il cattivo sapore degli sbirri, ma non ci sono ancora riuscito. Alzai il bicchiere. — Brindiamo alla libertà — dissi. — Finché dura — osservò lui. Brindammo. — Mi hanno rilasciato solo su cauzione, amico mio. Ci hanno pensato i tizi da cui prendo i biglietti a saldarla. Il processo si farà più o meno tra una settimana. — Quando ti ho visto qui dentro, pensavo francamente che avrei ricevuto notizie più incoraggianti. È possibile che vadano giù pesante? Lui scrollò le spalle. — Dipende se il giudice è di buonumore oppure no. Bernstein... ma fai conto che non ti abbia mai detto questo nome... ha incaricato il suo avvocato di occuparsi della faccenda e c'è una possibilità che si riesca ad annullare l'accusa prima che inizi il processo. Motivo: perquisizione illegale. Se invece il processo si fa, posso buscarmi da una semplice ammenda a un massimo di trenta giorni. Bernie pagherà l'ammenda, nel caso, ma non è certo disposto a farsi un mese di galera al mio posto. — Allegro — dissi. — Pensa a quanto ti costerebbe farti trenta giorni in un ospedale per alcolizzati. — Dovrei prenderti a pugni per aver detto una cosa del genere — grugnì. — Ma oggi sono buono e voglio offrirti un bicchiere, se finisci quello che hai lì. — Com'è che sei tanto in grana? Sei appena uscito di galera, no? — Non è che sia in grana, come dici tu, ma ho abbastanza spiccioli da prendermi una bella sbornia, stasera. Bernie è un tipo come si deve. Sapeva che avevo bisogno di alzare un po' il gomito, dopo un giorno e una notte al fresco.
— Va bene — dissi. Terminai di bere e lui ordinò un altro giro. — Inoltre — disse — Bernie si è probabilmente immaginato che se non mi avesse dato qualche soldo, pur di bere mi sarei messo a vendere altri biglietti per la disperazione, rischiando di farmi beccare di nuovo dagli sbirri. E quello non gli avrebbe fatto di certo piacere. — Non avrai mica intenzione di metterti a vendere altri biglietti mentre aspetti il processo, di' un po'? — Certo che sì. In che altro modo potrei procurarmi da bere, dopo stasera? Ne vuoi uno? — No, grazie. Ma cos'è la storia dell'alibi che io ti avrei fornito sabato sera? Mi pare di aver capito che fosse un alibi, almeno. Il piedipiatti che è venuto a interrogarmi oggi pomeriggio al ristorante mi è sembrato soddisfatto delle mie risposte. — Ah, quello. Niente di importante. Solo un delitto. — Chi è stato ucciso? — Uno che non conoscevo. Mi hanno detto il nome chiedendomi se ne avessi mai sentito parlare. Ho risposto di no e adesso non ricordo più come si chiamasse. È stato pugnalato nella zona dove abito io. Mi ricordai all'improvviso della silhouette tracciata col gesso sul marciapiede. E questo mi fece venire in mente un'idea. L'episodio era successo domenica sera, come l'incontro tra Mame e Jesus. E se, dopo essersela squagliata dalla scala antincendio, il messicano avesse attraversato il vicolo e fosse passato da Winston Street, invece che tornare indietro sulla Quinta Strada? Se avesse fatto così, non era da escludere che potesse essere sbucato vicino al palazzo dove stava Ike. — Ike — dissi — quel tipo era per caso un messicano? Un certo Jesus? — Era un messicano, sì, ma non ricordo il suo nome. Comunque, poteva anche chiamarsi così. — Portava un abito blu scuro? — Quando l'ho visto io — rispose Ike — indosso aveva soltanto un lenzuolo. I piedipiatti gliel'hanno scostato un po' dal viso per farmelo identificare, ma io non l'avevo mai visto in vita mia. — A che ora è stato ucciso? Lo sai? — All'incirca. Ma che ne diresti di farci un altro bicchiere? Credo di dovertene uno per quell'alibi. Tra l'altro, se non te l'ho ancora detto, grazie. — No, stavolta salto il giro — gli dissi. — Voglio restare lucido. — Io invece voglio sbronzarmi. E sappi che non intendo parlare a quelli che non bevono con me.
— Va bene, maledizione — dissi. Svuotai in un sol colpo il bicchiere e lui ordinò ancora per due. — Adesso torniamo al problema dell'ora. — La polizia crede che l'abbiano fatto fuori tra le otto e le nove. Hanno scovato due persone nel palazzo che sono passate in quel punto alle otto e non hanno visto nessun cadavere. Questi due tipi sono stati identificati verso le nove. Un medico ha esaminato il corpo più o meno mezz'ora dopo e ha detto che l'uomo era morto da un'ora circa. Questo collocherebbe il decesso intorno alle otto e mezzo, se il medico aveva ragione. Ma in ogni caso tra le otto e le nove. Sono stato esauriente? — Sì — risposi. E pensai: moltissimo. Mame era uscita dal locale in cui lavorava alle otto. Se avesse incontrato Jesus lì fuori, o comunque poco lontano, e lo avesse portato subito in camera sua - non avevano ragione di fermarsi da qualche parte - era probabile che lui se la fosse svignata dalla scala antincendio più o meno intorno alle otto e mezzo. Ma se Jesus era stato ucciso domenica sera, allora non poteva essere stato lui a uccidere Mame lunedì mattina. Ma quel particolare faceva diventare più o meno importante l'informazione di cui ero in possesso? Forse erano stati uccisi tutti e due dalla stessa persona. E senza quello che io sapevo, la polizia non sarebbe mai stata in grado di collegare i due delitti. Vero, le zone coinvolte si trovavano ad appena un isolato di distanza, ma gli omicidi si erano verificati in due giorni diversi, e nessuno era a conoscenza di qualche particolare legame tra le vittime. A meno che la polizia non sapesse qualcosa che io ignoravo e fosse riuscita a stabilire un nesso fra i due cadaveri. — Ike — dissi — conoscevi Mame, vero? Quella bionda che hanno ammazzato ieri mattina, sai... — Non la conoscevo molto bene, ma ho capito a chi ti riferisci. E sì, ho sentito che è stata uccisa, ma questo è tutto quello che so. — La polizia ti ha fatto qualche domanda su di lei? Anche solo se la conoscevi, per esempio... — No. Grazie a Dio, non hanno cercato di accollarmi anche quel delitto. — Stanimi a sentire, Ike — gli dissi — pensaci bene mentre sei ancora lucido. Dimmi qualcos'altro su questa storia. Quello che puoi. Ho una speciale ragione per essere interessato, ma non posso dirtela; mi dispiace. Non ancora, perlomeno. Lui guardò prima me, poi il mio bicchiere ancora mezzo pieno e infine il suo, vuoto. — Maledizione — disse — non me ne importa niente di farmi spremere come un limone da te, ma almeno cerca di essere solidale e bevi.
Se vuoi che continuiamo a parlare, devi offrire il prossimo giro. E bere con me. Ora datti da fare e vuota il bicchiere. Sospirando, accondiscesi alla sua richiesta. — Molto bene — disse lui. — Ieri sera sono andato a casa... un attimo, che ore erano quando ci siamo visti qui? — Tu sei venuto un po' dopo le nove. Io sono rimasto una mezz'oretta e poi me ne sono andato. — Va bene. Io ti ho imitato dopo pochi minuti. Ero al verde, e tu mi avevi piantato in asso. Non riuscivo a trovare nessuno a cui scroccare da bere o a cui vendere un biglietto, così me ne sono andato. Ho deciso che per quella sera poteva bastare e mi sono diretto a casa per dormirci sopra. Non ci passavo più dal pomeriggio del giorno prima, e cioè domenica. Ecco perché non sapevo niente del delitto commesso nella mia zona. "Sono andato a casa, ho acceso la luce e mi sono spogliato. Stavo per mettermi a letto quando ho sentito qualcuno che bussava alla porta in modo molto brusco. Ho subito pensato a uno sbirro; bussano tutti così. Comunque, in quella occasione erano in due, vestiti entrambi in borghese. Uno di loro ha cominciato a interrogarmi, mentre l'altro perquisiva la stanza. Avevo nascosto i biglietti nel miglior modo possibile, prima di aprire la porta, ma loro li hanno trovati lo stesso". — Bella rottura, eh? — domandai. — Già. Be', mi hanno fatto un mucchio di domande, ma mi è sembrato che volessero sapere in particolar modo dove ero stato e perché non ero più tornato a casa per oltre ventiquattro ore. Insistevano soprattutto su domenica sera. Diavolo, ero stato in così tanti posti che sul momento non riuscivo a ricordare cosa avessi fatto domenica sera. Ero piuttosto sbronzo e credo che loro abbiano capito poco delle mie risposte, esattamente come io capivo poco delle loro domande. "Alla fine, mi hanno ordinato di vestirmi. Ho sentito che uno dei due diceva all'altro che dovevano portarmi dentro per la faccenda dei numeri e che mi avrebbero interrogato il giorno dopo, appena fossi tornato lucido. Così mi hanno sbattuto in cella e me ne sono rimasto lì buono buono fino a stamattina. "Be', stamattina sono venuti di nuovo a parlarmi. Mi hanno chiesto se conoscessi un messicano con un certo nome... forse si chiamava Jesus, Howie, ma non ne sono certissimo... e poi mi hanno portato in obitorio per farmi vedere il cadavere. Io non lo conoscevo, e così quella parte si è aggiustata automaticamente. L'unica maledetta cosa è che non riuscivo a ri-
cordare cosa avessi fatto o dove fossi stato domenica sera. "Quelli mi hanno lasciato tranquillo per un po', sperando che mi schiarissi le idee, e poi ci hanno riprovato. Stavolta, però, mi ha interrogato un altro poliziotto, una delle persone più umane che abbia mai trovato tra gli sbirri, anche se lo dico con la morte nel cuore". — Dev'essere quello che è venuto a parlare con me. Abito marrone chiaro e cravatta azzurra? — Sì. Be', lui mi ha spiegato per filo e per segno com'erano andate le cose. Dove e quando avevano trovato quel tizio e tutto il resto. Poi mi ha detto senza tanti giri di parole che non avevano alcuna ragione di sospettarmi. Avevano interrogato tutti nel palazzo e, dato che io non ero rientrato, avevano dato l'incarico all'agente di ronda di controllare quando si fosse accesa la luce in camera mia. A quel punto l'agente doveva telefonare in centrale, così gli altri sarebbero arrivati a interrogarmi. "Poi l'uomo mi ha detto che un avvocato stava cercando di farmi uscire su cauzione per quella storia dei numeri... Bernie deve avere un amico in centrale che gli aveva fatto la soffiata, perché io non avevo ancora avuto modo di telefonare a nessuno... e che non appena sarebbero stati in grado di scartarmi come testimone materiale dell'omicidio, sarei potuto uscire. In ogni caso, non potevano accettare la cauzione fino a quando quel punto non fosse stato chiarito. Come facevano a sapere che non avevo ucciso il messicano, se io stesso non ne ero sicuro? Se non sapevo quello che avevo fatto, non potevo nemmeno sapere quello che non avevo fatto". — Giusto — commentai. — Già. Quel tipo mi ha fatto sentire meglio. Così mi sono messo a pensare con maggiore energia. Gli altri piedipiatti mi avevano confuso non dicendomi su cosa vertevano quelle domande e cercando di prendermi in castagna non appena aprivo bocca. Be', alla fine sono riuscito a ricordare cos'avevo fatto domenica sera. Tu, Sam, Blackie e io avevamo attaccato a bere da Barney per poi finire la serata in casa di Sam. Credo di essere rimasto là tutta la notte, e questo spiega perché non ero tornato a casa. Invece tu, in qualche modo, te l'eri svignata ed eri rientrato. "Ma non riuscivo ancora a ricordare dove si trovasse la casa di Sam; in fondo, era la prima volta che andavo lì. E non sapevo nemmeno come dirgli dove poteva trovare voi tre. Così ho dovuto fornirgli il tuo nome e dirgli dove poteva trovarti. Tutto qui, Howie. Non c'è altro. E adesso che ne diresti di un altro bicchiere?". Ma questa volta trovai una scusa per squagliarmela. Ike voleva sbronzar-
si e io volevo restare lucido. Stasera avremmo finito per sbranarci a vicenda. 10 Sentivo un leggero effetto di annebbiamento dovuto al vino, ma non eccessivo. Pensavo che sarebbe del tutto cessato quando avrei dovuto incontrare Billie. Forse potevo anche permettermi uno o due bicchieri non troppo ravvicinati, nel frattempo. Ora che ci pensavo, ci sarei stato praticamente costretto. Perché Billie aveva detto che poteva arrivare anche alle dieci e mezzo. In ogni caso, non era da escludersi che il fotografo finisse prima. Se lui aveva già preparato i suoi attrezzi all'arrivo di Billie - luci, macchina fotografica e tutto il resto poteva anche metterci meno di un'ora per finire le operazioni. Si possono scattare un mucchio di foto in un'ora. E lei non doveva certo cambiarsi tra una foto e l'altra. Perciò, nel caso che Billie si fosse sbrigata prima del previsto, anch'io dovevo tenermi pronto per quella eventualità. Non potevo lasciarla seduta in casa di Roberta ad aspettarmi. Non mi restava che tornare da Barney intorno alle nove e attendere lì un'ora e mezzo o anche qualcosa di più. Be', avrei pur sempre trovato Ike laggiù, perciò quattro chiacchiere erano assicurate. E, stavolta, non gli sarebbe riuscito il giochetto di ricattarmi e costringermi a partecipare a ogni giro. Mi aveva già detto tutto quello che sapeva sul secondo delitto. O meglio, sul primo; era accaduto il giorno precedente a quello in cui era stata assassinata Mame. Ma fino alle nove, avrei fatto meglio a starmene chiuso in camera mia. E questo voleva dire che avrei dovuto passare a casa poco più di due ore. Forse dovevo procurarmi qualcosa da leggere. Nonostante la luce fosse molto bassa, non mi avrebbe fatto troppo male agli occhi leggere per un paio d'ore soltanto. E questo è il tempo che mi ci vuole per terminare un romanzo poliziesco. Ne comprai uno all'edicola più vicina. Era un libro pieno di sangue e di sesso, almeno a giudicare dalla copertina. Rientrai passando dall'ingresso principale. Avevo finito di assecondare Billie su quel particolare punto. Cominciai a salire le scale, ma mi fermai quando sentii che qualcuno mi chiamava. — Signor Perry! — Non poteva che essere la mia padrona di casa, la signora Grant, e questo per due ragioni: la voce era la sua, e lei era
l'unica persona in tutta Los Angeles che mi chiamasse "signor Perry". Forse persino con una punta di sarcasmo; non ne ero certo. Stava dirigendosi verso di me dalla porta di casa sua con un'andatura che si sarebbe detta marziale, anche se l'effetto era un po' comico. Era alta solo poco più di un metro e mezzo e doveva pesare quasi cento chili. C'era una cosa che non ero mai riuscito a spiegarmi nel suo comportamento: lei vestiva con la stessa goffaggine e trascuratezza delle donne che frequentavano il quartiere, ma si pettinava sempre con molta cura i capelli, che portava leggermente ondulati, e si truccava di tutto punto. Anzi, di solito il make-up era persino troppo carico. Generalmente, quando le donne cercano di rendersi attraenti, più spesso che no esagerano. La signora Grant aveva deciso di essere seducente solo dal collo in su. Pareva che solo la faccia e i capelli le premessero, forse perché si era resa conto che sarebbe stata fatica sprecata interessarsi della parte che andava dal collo in giù. Stasera calzava delle scarpe da tennis sporche e, sopra un vestito di cotone che sembrava quasi unto tanto era sudicio, si era infilata una maglia con i gomiti consunti. — Signor Perry — disse. — Oggi è venuto un poliziotto a cercarla. Ike doveva avergli dato anche il mio indirizzo di casa, oltre a quello del ristorante. — Sì — dissi. — Mi ha trovato sul posto di lavoro e abbiamo parlato lì. — Non sono stata io a dirgli dove lavorava, signor Perry. — Forse temeva che la stessi accusando. — Non ci sarebbe stato niente di male anche se lo avesse fatto — replicai. — Si è tutto appianato. — Domani deve pagarmi l'affitto della camera. — Esatto — dissi. — Be', temo di averle lasciato quella camera per un prezzo troppo generoso. Potevo guadagnarci di più. Perciò sono costretta ad aumentarle l'affitto da tre a quattro dollari. — Signora Grant — ribattei — se lei crede che sia finito nei guai con la polizia e mi aumenta l'affitto per questo, devo dirle subito che si sbaglia. Il poliziotto che è venuto qui voleva farmi qualche domanda su un'altra persona... e adesso anche quella persona è perfettamente in chiaro, perché ho potuto fornirle un alibi. — Oh, bene. Ma non si trattava di quello, anche se le confesso che non mi piace avere la polizia in giro per casa. Sono sempre quattro dollari, a partire da domani.
Per un attimo, mi venne quasi voglia di dirle che, se le cose stavano così, mi sarei trovato un'altra camera. Poi mi venne in mente che probabilmente sarei partito domani, e comunque la stanza non mi sarebbe servita per più di due o tre settimane. Non mi sembrava proprio il caso di perdere tempo a cercare un'altra camera per risparmiare due o tre dollari. Pensai al libro che avevo appena acquistato e decisi che forse anch'io potevo giocare al rialzo. — D'accordo, signora Grant — dissi — vada per i quattro dollari. Ma in questo caso vorrei almeno avere una lampadina un po' più decente. Da ora in poi non è escluso che passi più tempo a leggere, perciò vorrei una lampada più forte e un paralume. Lei esitò solo un attimo. — Va bene, signor Perry. Le darò subito una nuova lampadina. Per il paralume, però, dovrà aspettare fino a domani. Penso di passare al supermercato e, già che ci sono, comprerò anche quello. Trotterellò via e, un minuto dopo, era già di ritorno, una specie di obeso Prometeo che in questo caso donava non il fuoco ma la luce. Mi porse la lampadina. — Lasci l'altra in cima al comò, passerò a prenderla. Ah, signor Perry... — Sì? — La luce elettrica costa. È sicuro di non uscire o di non addormentarsi con la luce accesa? — Starò attentissimo, signora Grant — risposi. — La ringrazio. Prima di girarmi e di salire mi inchinai, con sua estrema sorpresa. Appena giunto nella mia stanza, cambiai le lampadine. La camera sembrava persino molto peggio di quanto non lo fosse nella penombra. Ma almeno sarei stato in grado di leggere senza alcun problema. Prima, però, feci un po' di pulizie. Non mi ero ricordato di fermarmi in tintoria per ritirare le altre due camicie, ma ora non avevo voglia di fare un viaggio supplementare per andare a prenderle, tanto più che quella che avevo indosso era ancora piuttosto in ordine. Le mutande, i calzini e i fazzoletti che avevo lavato in mattinata erano già asciutti, perciò li riposi. Poi mi accomodai come meglio potevo sulla branda e cominciai a leggere il libro. Ma dopo due capitoli, sentii che il mio interesse vacillava. Dopo un po', mi accorsi che avevo voltato diverse pagine senza nemmeno ricordare cosa avevo letto. Era un libro pieno di sangue e di sesso, ma non c'era niente che sembrasse particolarmente realistico. I personaggi erano molto stereotipati, non veri come avrebbero potuto essere Mame o Jesus.
Anche se non lo avevo mai visto e non conoscevo quasi nulla di lui, Jesus mi sembrava più vero dei tizi evocati dalla fantasia dell'autore. Per quanto riguarda il sesso, poi, mi sembrava molto più piacevole pensare a Billie e a quello che probabilmente avremmo fatto tra poche ore. Sempre che lo facessimo, s'intende. Forse lei si sarebbe infuriata con me nell'apprendere che l'avevo presa in giro per tutto quel tempo, fingendo di essere una persona che in realtà non ero. Inoltre, avrei dovuto dirle che stavo per lasciarla presto, forse il giorno dopo o al più tardi fra poche settimane. Be', dovevo prendere in esame anche quella eventualità. A prescindere dalle conseguenze del mio comportamento, o da ciò che avremmo deciso in seguito tutti e due, finalmente stasera avrei parlato chiaro con Billie the Kid. Le avrei rivelato tutto. Non avevo intenzione di tergiversare fino a quando non avessi fatto l'amore con lei. No, l'amaro calice andava bevuto subito. Ma sarei riuscito a persuadere Billie a recarsi dalla polizia? E quanto a quello, ero ancora deciso io stesso ad andarci? Non era stata un'idea un po' donchisciottesca? Naturalmente, allora, quando l'idea mi era venuta in mente, avevo pensato che Jesus avesse ucciso Mame. Ma adesso tutto quello che potevo rivelare alla polizia era che Jesus aveva fatto un salto in casa di Mame poco prima di venir ucciso. Senza quell'informazione era impossibile collegare i due delitti, prova ne era il fatto che la polizia non aveva posto a Ike nessuna domanda riguardo a Mame. Ma se i due crimini non fossero collegati, dopotutto? Mame non aveva alcun particolare tipo di rapporto con Jesus; non c'era alcun legame tra di loro, a parte quel breve episodio che lei mi aveva raccontato. Ed è certo che Mame non mi avrebbe detto quello che mi aveva detto, se il legame tra i due fosse stato più profondo di quanto non sembrasse. Una consolazione, pensai. Che andassi spontaneamente alla polizia, o che loro arrivassero a me indagando su Mame, non potevano certo sospettarmi di aver ucciso Jesus. L'alibi che avevo fornito a Ike valeva anche nell'altro senso. Al diavolo quella storia, decisi. Meglio pensare a Billie. E così feci. Senza alcuna intenzione di dormire, mi coricai sulla branda. E, non sapendo quanto tempo fossi rimasto lì, mi svegliai con l'orribile sensazione di aver dormito per ore e di aver mancato l'appuntamento con
Billie. Mi precipitai alla finestra per dare un'occhiata all'orologio dall'altra parte della strada. Andava tutto bene. Erano le nove spaccate. Una sveglia nel mio cervello mi aveva fatto uscire dal torpore giusto in tempo. Rimasi in piedi e mi stirai. Ora mi sentivo alla perfezione. L'effetto di appannamento che mi era venuto dopo la bevuta con Ike era passato. Fortuna che avevo mangiato quel sandwich da Burke prima di bere; mettere sotto i denti qualcosa mi aveva indubbiamente aiutato. Spensi la luce e pensai con una punta di sarcasmo alla promessa che avevo fatto poco prima alla signora Grant. Be', l'avevo subito infranta. Scesi e andai da Barney. Il buon vecchio Barney. La vita comincia lì. Ike era ancora dentro, sempre seduto sullo stesso sgabello. Sembrava in discrete condizioni e parlava normalmente, perciò ne dedussi che aveva rallentato il ritmo delle bevute dopo che me n'ero andato. — Chi va là? — domandò mentre mi sedevo. — Un amico che non è ancora sbronzo — dissi — e che non vuole diventarlo. — Voglio la parola d'ordine. — Sopra la panca... — iniziai. — Ora prova ad arrivare fino in fondo, se ci riesci. — Nessun problema. Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa. Voglio proprio vedere se riesci a battermi. In caso contrario, ti toccherà offrire il prossimo giro. Scossi la testa con estrema fermezza. — Niente da fare, Ike. Ordiniamo da bere solo quando ciascuno ha finito il suo bicchiere, senza fretta. E se uno finisce prima, ordina solo per sé. Non sei ancora al verde, vero? Lui scosse cupamente la testa. — Ma potrei ritrovarmici presto, se continuo a bere qui. Compriamoci una caraffa di vino e andiamo in qualche altro posto. — No. Ho un appuntamento con Billie e devo aspettarla proprio qui. — Bella figliola, quella Billie. Ma tu non te la meriti di certo. — Sono i miei soldi che vuole. E oggi ho avuto un aumento. — Col cavolo che l'hai avuto. È stata la divina provvidenza a regalartelo, per avermi fornito l'alibi che mi ha fatto uscire da quel buco puzzolente. Ti dovevo ancora un giro o eravamo pari quando te ne sei andato? — Credo che fossimo pari — risposi. — In questo caso, adesso offro io. E non preoccuparti, non sarai obbligato a offrire il prossimo giro. Quindici cent valgono bene la libertà.
— D'accordo — dissi. Lui fece le ordinazioni. — Ora sono libero — disse lui. — Anche se possono sbattermi in galera per trenta giorni. Non è poi così tanto, no? — Solo un mesetto. — Al diavolo. Comunque, il tempo è sempre soggettivo. Posso farmi trenta giorni in una sola settimana senza il minimo problema. Ma stavo parlando della libertà. Sai una cosa, Howie? Di questi tempi, non c'è nessuno più libero di noi. Guarda la maggior parte della gente: si arrabatta in modo ridicolo per arrivare a una qualche meta. Come se ci fosse ancora una meta da raggiungere. Lavora sodo tutta la vita e poi cosa ottiene? — Un fico secco? — suggerii. — Peggio. Te lo immagini essere incatenato notte e giorno a moglie e figli? E il lavoro... — Io ce l'ho un lavoro — dissi. — Ma non ti ci sei legato mani e piedi. È un lavoro talmente pidocchioso che potresti andartene quando vuoi o arrivare in ritardo senza il minimo problema. Insomma, non c'è ragione che tu abbia timore di perderlo. Potresti sempre averne un altro almeno altrettanto passabile. Certo, ti ho preso spesso in giro riguardo a quel lavoro, Howie, ma almeno ha una cosa positiva. Fa talmente schifo che non devi neanche preoccuparti di tenerlo. Te ne rendo merito. — Ma i ricchi? Non sono liberi anche loro? — Non come noi. Passano un mucchio di tempo a preoccuparsi dei loro soldi e, di conseguenza, hanno anche maggiori sofferenze. Sono sempre a parlare di tasse e di investimenti, mentre noi ci accontentiamo di un pezzo di pane e il resto del tempo siamo perfettamente liberi. Mai sentito parlare di Thorstein Veblen? Se avevo mai sentito parlare di lui? Ma se era un sociologo come me! Avevo tenuto parecchi corsi su Veblen. Comunque, mi limitai a rispondere: — Sì, ho letto la sua Teoria della classe agiata. — Hai sprecato il tuo tempo. È una teoria che non sta in piedi. Siamo noi la classe agiata. Più hai e più vuoi, più vuoi e più ti preoccupi, più ti preoccupi e più duramente devi lottare. Ma se non hai niente e non vuoi niente, allora non c'è nessuna ragione di mettersi a lottare. Sei libero. — Ma se tutti la pensassero così, chi si occuperebbe dei raccolti? Chi ci aggiusterebbe le scarpe? O, cosa più importante, chi farebbe la vendemmia? Chi imbottiglierebbe il vino? Chi penserebbe a spedirlo? — Ah, devo ammettere che su questo punto hai ragione. Siediti un atti-
mo, intanto che ci rifletto sopra. — È un punto di importanza capitale — dissi. — Di importanza capitale, già. Ma la risposta sta nella gente ottusa. Quei tipi un po' tonti che stanno sempre con noi. Quelli con lo sguardo da pesce bollito, sai? — I lavoratori del mondo. — Gli sgobboni e gli spilorci. — I non bevitori. — Gli astemi per obiezione di coscienza. — Mi arrendo — dissi. — Hai vinto tu. Andammo avanti così per un'ora e un quarto, fino all'arrivo di Billie. Ero rimasto perfettamente lucido; mi ero concesso solo tre bicchieri di vino. Billie the Kid, la mia Billie, sembrava dolce, fresca e candida come se, invece di tornare da una seduta fotografica dove aveva posato nuda, avesse appena fatto la prima comunione. "E allora, caro Perry, che c'è di sbagliato in questo? Vuoi metterti a fare il bigotto? Perché non avrebbe dovuto accettare? E poi, una donna nuda non può essere altrettanto fresca e candida di una coi vestiti?". — Un drink prima di squagliarcela? — le chiesi. Lei scosse la testa. — Andiamo da Roberta prima. Al momento, ho più bisogno di rilassarmi che di bere. Gesù, che fatica mettersi in posa! — Va bene — dissi. Salutai Ike e presi il braccio di Billie. L'aria della sera era fresca. Le nottate sono la parte migliore delle estati di Los Angeles. — Ti sei divertita? — le chiesi mentre camminavamo. — È stato tremendo, Howie. Quelle orribili luci... Lo studio era caldo da morire! — E il fotografo? Lei fece un sorrisino. — Se anche lo era, si è guardato bene dal mostrarlo. Che tu ci creda o no, Howie, sua moglie era nello studio. Suppongo che non si fidasse di lui. Lavora come sua assistente. Mi sentii meglio. Billie non poteva essersi inventata quella storia. Quindi, non si trattava davvero di foto pornografiche. Non so perché, ma il pensiero che Billie potesse posare per delle foto pornografiche mi lasciava l'amaro in bocca. Eppure, accettavo tranquillamente il fatto che lei dormisse con altri uomini. Forse perché il sesso in se stesso è qualcosa di retto e di onesto, sia che uno debba pagare per farlo sia che lo eserciti gratis. Ma è anche qualcosa di privato, che non può venir fotografato e poi riprodotto
in rivistine speciali perché qualche degenerato si faccia venire la bava alla bocca. Forse i degenerati sbavano anche sui nudi, ma in quel caso che si accomodassero pure. Un corpo umano, specie quello di Billie, non ha niente di cui ci si debba vergognare. Che gli invidiosi si mettessero pure a sbavare; io non avevo bisogno di ricorrere alle foto. — Dio mio, Howie, sono felice che lui abbia rimandato la seduta a stasera. Di giorno, in pieno agosto, sarebbe stato ancora più tremendo. Comunque, non vedo l'ora di fare una doccia fredda da Roberta. — È la prima volta che posi, Billie? — Per un fotografo, sì. E non è stato male; lo farò di nuovo, se mi chiamano. Prima avevo posato alcune volte per un pittore, ma non mi è piaciuto affatto. Devi stare ferma un mucchio di tempo... Ti sembra di impazzire mentre te ne stai lì, e dopo ti viene un terribile mal di schiena. Ci stavamo avvicinando al negozio di liquori dove avevo scoperto, l'ultima volta, che il proprietario teneva in ghiacciaia dei cocktail già pronti per l'uso. Chiesi a Billie se dovevo prenderle il solito. — Stavolta no, Howie. Roberta ha detto che ha diversa roba in casa. Anche vermouth, così potremo prepararci dei veri manhattan. Mi ha raccomandato di servirmi senza il minimo problema, tanto ci saremmo aggiustate in seguito. Il fatto, però, è che non ha vino. Se vuoi berne, dovresti comprartene .una bottiglia. Ti serve qualche spicciolo? — Sono ricco sfondato — dissi. — Ma per stasera rinuncio al vino e bevo quello che bevi tu. — D'accordo, Howie. Roberta si è dispiaciuta per non avermi detto di usare i suoi liquori anche l'altra volta. Parte tra un paio di giorni e vuole finire le scorte. — Ottimamente, faremo del nostro meglio per darle una mano. Se ne va definitivamente? — Non lo so ancora. In ogni caso, va a Sacramento almeno per un po'. Il mondo delle entraìneuse è piuttosto in subbuglio di questi tempi, specie nel night di Mike. Dopo quello che è successo a Mame, la polizia ha ficcato il naso nelle attività del locale, e gli affari vanno a rilento. È una specie di mortorio. E quando entra qualcuno si ha sempre paura di farsi avanti, perché potrebbe essere un informatore mandato dalla polizia. Se la musica non cambia entro un paio di giorni, anch'io dovrò trovarmi un altro night. Eccoci arrivati. Billie inserì la chiave ed entrammo. — Howie, ho davvero bisogno di darmi una bella rinfrescatina. Ma non
ci metterò molto. Nel frattempo tu potresti preparare i drink, eh? Mi diede un rapido bacio ed entrò in bagno. Io trovai una rivista e lessi per qualche minuto prima di mettermi a preparare i drink, così sarebbero rimasti ben freddi. Calcolai i tempi quasi al centesimo di secondo; infatti, avevo appena finito con i cocktail che la porta del bagno si aprì. Billie mi apparve come Dio l'aveva fatta, mettendo a dura prova le mie migliori intenzioni. Sembrava pronta per essere fotografata o qualcosa del genere. Ero quasi sul punto di cedere. Poi tirai un profondo sospiro e dissi a Billie di mettersi addosso qualcosa. Dovevo parlarle di un argomento molto importante e dovevo farlo subito, prima di qualsiasi altra cosa. — D'accordo, Howie. — Attraversò la stanza con passo felpato fino all'armadio a muro. Lì trovò una vestaglia di Roberta e la indossò. — Ma mi sentivo così fresca e libera senza niente! — Sì, però io non sarei mai riuscito a concentrarmi e a parlarti con un minimo di buon senso. E desidero proprio farlo. Ecco il tuo drink. Ora mettiti comoda e stanimi a sentire. — Si tratta di Mame? — In parte. Ti ricordi la storia di quel Jesus che Mame mi aveva raccontato? Lei se ne ricordava, perciò andai avanti da lì e la misi al corrente degli ultimi sviluppi. Non tralasciai nulla. Il mio racconto la lasciò un po' sorpresa, ma non troppo. — E allora, Howie? Il messicano è stato ucciso dopo aver lasciato Mame, e con questo? — E con questo è probabile che tutti e due siano stati uccisi dallo stesso killer. E se la polizia conoscesse il legame tra i due casi, forse potrebbe risolverli prima. Altrimenti, è possibile che alla soluzione non si arrivi mai. Ecco perché sono convinto che la polizia dovrebbe venir informata. — Vidi un'espressione di dolore diffondersi sul viso di Billie e mi affrettai a proseguire. — So che non ti piacciono i piedipiatti, Billie, e capisco anche perché. Ma qui non si tratta di un crimine da niente, su cui potremmo anche sorvolare. Qui si tratta di omicidio. Anzi, di due omicidi a sangue freddo. Non ti pare che questo cambi le regole? — Howie, ma ti ha dato di volta il cervello? Non puoi dire agli sbirri questo senza rivelare come sei venuto a saperlo. E ciò ti costringerà ad ammettere che ti trovavi in casa di Mame proprio intorno all'ora del delitto. Oltre tutto, cosa ti fa pensare che ti crederanno?
— Perché non dovrebbero credermi? E poi, non possono sospettarmi di aver ucciso il messicano. Il mio alibi è solido come quello che ho fornito a Ike. — Questo non significa niente, perché c'è solo la tua parola che Mame ti abbia effettivamente raccontato quella storia. Magari diranno che te la sei inventata al solo scopo di collegare i due casi, visto che per uno di essi eri provvisto di un ottimo alibi. E nel caso di Mame non avevi affatto un alibi, tutt'altro. "Howie, non sei mai stato nei guai con la polizia? Non credo che tu abbia mai avuto problemi seri, altrimenti non parleresti come hai parlato. Una volta che gli fornirai quella testimonianza, loro penseranno solo a incastrarti. Sapranno che eri con Mame poco prima del delitto. Non avranno bisogno di altro per cucinarti come si deve. A quel punto, si saranno completamente dimenticati delle storielle che ti ha raccontato Mame. Penseranno solo a torchiarti. "Non hanno trovato nessun altro da mettere sotto pressione, Howie. Credi che si limiteranno a farti qualche domanda? Ti interrogheranno a suon di pugni e di ceffoni, fino a farti sputare l'anima. Ti legheranno su una sedia con una lampada da cinquecento watts in faccia e continueranno a colpirti tutte le volte che proverai anche soltanto ad abbassare le palpebre. Ti interrogheranno fino a quando non sarai tu stesso a desiderare di aver ucciso Mame. Ammetterai il delitto per farla finita e concederti un po' di sonno. Gli sbirri sanno essere dei maledetti bastardi quando si tratta di omicidio, Howie. "E se non hanno ancora nessuna pista da seguire, potrebbero decidere che tu vai alla perfezione. Potrebbero incastrarti senza il minimo problema. Basta che prendano alcuni oggetti nella stanza di Mame e dicano di averli trovati in casa tua. Cosa vale la tua parola contro quella di un poliziotto? E c'è la camera a gas in questo stato. Ti piace l'odore del cianuro, Howie?". Sospirai. Volevo che Billie si sfogasse fino in fondo, prima di procedere alla mia confessione. E mi pareva proprio di esserci riuscito. Billie si fidava del dipartimento di polizia così come McCarthy si fidava del Politburo. — Billie — dissi — forse sono un boy scout, ma non credo che la polizia cerchi di affibbiare omicidi a degli innocenti. Non a Los Angeles, perlomeno. Ma c'è qualcos'altro che devo dirti. E quando racconterò alla polizia quello che sto per dirti adesso, insieme alla storia precedente, sono proprio convinto che mi crederanno. Dopo aver controllato, s'intende. Vedi, Billie, io non sono esattamente quello che credi tu...
Le raccontai tutto. L'insegnamento, la tesi di specializzazione, i miei progetti. Lei se ne stava tranquillamente seduta ad ascoltare. Non riuscii a capire come stesse prendendola fino a quando non finii con un: — Ecco tutto — e lei si mise a ridere all'improvviso. — Che mi venga un accidente, Howie. Dovevo immaginare che c'era qualcosa sotto. Tu eri così diverso dagli altri! Ma non ci sono riuscita. Mi hai proprio preso in giro per benino. — E non ce l'hai con me per questo? — Certo che no. Ti ho sempre chiamato "professore", e in fondo è proprio quello che sei. — Be', diciamo che sono un insegnante di liceo. La mia paga non è molto superiore a quella che guadagno come lavapiatti da Burke, l'avresti detto? Dovrò sgobbare ancora per qualche anno, prima di poter arrivare alla docenza universitaria. Ma non capisci che questo cambia tutto? — Riguardo alla polizia? Ma non penserai ancora...? — Un attimo — dissi. Mi avvicinai a lei e la strinsi tra le braccia. — Facciamo una pausa, anche se i drink sono già finiti. Ti seccherebbe aspettare qualche minuto, prima che ne prepari altri due? — Nessun problema, Howie. — E adesso che mi sono tolto questo peso dallo stomaco — osservai — che ne diresti di toglierti qualcosa pure tu? Anche il resto della conversazione poteva aspettare. E così fu. 11 Preparai i cocktail e ne portai uno a Billie, poi mi sedetti sulla sponda del letto con l'altro. — Non sei davvero niente male, Billie the Kid — le dissi. — E anche tu te la cavi, professore. Gesù, pensare che sei... — Sospirò. — Ma cosa sarebbe questa sociologia? — Il dizionario la definisce come la scienza che studia l'origine e l'evoluzione della società, oppure le forme, le istituzioni e le funzioni dei gruppi umani. — Santo cielo, e tu insegni una cosa del genere? — In un certo senso. Diciamo che ne spiego i rudimenti. Ma Billie, non capisci che questo cambia completamente le cose? Il fatto che io sia un insegnante, voglio dire, non un lavapiatti o un barbone.
— In che modo cambierebbe le cose, Howie, a parte il fatto che tu te ne andrai tra poco per tornare a Chicago? — Partirò, è vero, ma non è questo a cui alludevo. Io volevo riferirmi a quella faccenda della polizia e dei due delitti. Mame e il messicano, ci sei? Non capisci che la polizia crederà di sicuro alla mia storia, una volta fatti tutti i controlli del caso? Perciò è mio dovere, anzi nostro dovere, andare dalla polizia e dire quello che sappiamo. Lei si drizzò a sedere così all'improvviso che qualche goccia di liquore si rovesciò dal bicchiere. Spalancò gli occhi. — Howie, non vuoi mica farmi questo, vero? — Perché no? — Perché... perché quelli getterebbero la croce addosso a me, tesoro. — Per cosa? Tu hai solo cercato di tenermi fuori dai guai. — Già, ma per farlo ho dovuto giurare il falso, capisci? Dopo che mi hanno interrogato, ho dovuto firmare una deposizione. E con i miei precedenti, credi che mi lascerebbero andare via tanto tranquillamente? Ti sbagli, Howie; mi rifilerebbero almeno due o tre anni di galera! — Ti hanno fatto anche giurare sulla deposizione che avevi firmato? — Sì. Mi hanno chiesto di alzare la mano e tutto il resto. E in fondo alla deposizione, c'è scritto che io ho esplicitamente giurato. Non avrei neanche una possibilità. Mi chiesi se l'avrebbero davvero incastrata. Poi mi chiesi perché mi davo tanto pensiero. Se c'era anche una sola possibilità che quelli gettassero davvero la croce addosso a Billie, allora che andassero pure al diavolo. E si risolvessero da soli i propri delitti. Dovevo a Billie più di quanto dovessi al dipartimento di polizia della città di Los Angeles. E lo spergiuro che lei aveva commesso era stato fatto per salvare me, non lei. — D'accordo, Billie — dissi. — Hai vinto. Che gli sbirri vadano al diavolo. — Propongo un brindisi, professore. — Lei sporse il suo bicchiere verso il mio, facemmo cin cin e infine bevemmo. Billie posò il bicchiere sul tavolo; io mi diressi verso il frigorifero e glielo riempii, attingendo dalla caraffa dove avevo preparato i manhattan. Mentre ero lì, finii di bere anche il mio drink e poi riempii il bicchiere. Era un sollievo aver finalmente deciso che non sarei andato dalla polizia. Ero certo che ne sarei venuto fuori pulito e senza alcuna conseguenza spiacevole, ma forse ci sarebbe voluto un po' di tempo perché la mia posizione venisse chiarita. Con ogni probabilità, la polizia mi avrebbe trattenuto fino
a quando non avessero espletato i controlli a Chicago. Corso di sociologia per studenti dell'ultimo anno. Codice della malavita: al diavolo gli sbirri, che si risolvessero da soli i loro delitti. Stavo imparando, forse anche troppo. — Grazie, Howie — disse Billie mentre le porgevo il drink. — Ora siediti e stammi a sentire. Mi sedetti. — Sono tutt'orecchi — dissi. — Quanto tempo ti resta? Quando devi tornare a insegnare? — Tra poco meno di un mese. Ma non mi sono portato soldi dietro, perciò devo calcolare almeno due settimane per il viaggio di ritorno. — Stai attento, Howie. Non vorrei che ti mettessero dentro con l'accusa di vagabondaggio o roba del genere. — È un rischio che devo correre. Ma stai tranquilla, probabilmente non succederà. — Però potrebbe succedere, e magari rischi anche di perdere il lavoro. No, devi tornare in treno. Te li posso prestare io i soldi. — Forse così ci metterei meno tempo, Billie. In ogni caso, ho abbastanza risparmi in banca da sdebitarmi con te non appena sarò a Chicago. Ho duecento dollari sul conto corrente. — Ti serve così tanto? Scossi la testa. — Un centinaio basteranno. Preferirei viaggiare in treno, comunque. Prenderò una cuccetta. In treno si dorme sempre meglio che in pullman, e credo che il biglietto costi più o meno sui settanta dollari. — Ma avrai bisogno di un vestito nuovo, Howie. — No, partirò con quello che avevo quando sono venuto qui. Pulito e stirato farà tutt'altra figura. Non sarò proprio un modello di Esquire, ma nessuna delle persone che conosco mi vedrà fino a quando non sarò a casa. E lì avrò tutto il tempo di cambiarmi. Non preoccuparti, non troverò una folla a darmi il benvenuto. — Va bene, posso prestarti cento dollari. Óra sono piuttosto a secco perché ho comprato di recente un vestito nuovo, ma posso racimolare quella somma più o meno in una settimana. E, se torni in treno, non dovrai partire tra due settimane; potrai fermarti per tutto il mese. — Be', propongo di venire a un compromesso e di accordarci su tre settimane. Anche in treno ci vorranno almeno quarantott'ore, e per svariate ragioni vorrei arrivare qualche giorno prima dell'inizio della scuola. — D'accordo, tre settimane. Gesù, sarà molto curioso non averti più intorno. Ma lo sapevo fin dal principio che sarebbe finita così. Io non vado
bene per te. — Tu vai benissimo per me. Anzi, questa sarebbe stata un'estate d'inferno, se non avessi incontrato te. — Certo, ti vado bene per quello che devi fare adesso. Ma dopo, quando tornerai a essere una persona rispettabile, sarà tutt'altra musica. — All'improvviso, sorrise. — Mi metterai in un libro, Howie? — Non ho intenzione di scrivere un libro. Solo una tesi, che probabilmente non sarà mai pubblicata. O se lo fosse, diventerebbe uno di quei noiosi libri accademici che solo i colleghi del mestiere riescono a leggere. — Ma io comparirò nella tesi? — Il tuo nome no. Può essere che avrai una particina in una statistica. In questo caso, posso dirti già fin da ora che sei la più bella statistica che abbia mai incontrato. — Come sei carino, Howie! L'unica cosa che mi dispiace è che non sei un miliardario travestito, invece di un professore. Sospirai. — Magari. — Così mi avresti portata in Messico. — Si drizzò a sedere all'improvviso, rovesciando un po' di liquido dal bicchiere che teneva in mano. — Howie! Non potremmo andarci lo stesso? Per tre settimane, voglio dire. Quello che posso mettere insieme io, più i tuoi risparmi a Chicago... se vuoi spenderli con me, si capisce. — Temo che non sia possibile, Billie. Quello che potremmo racimolare tra tutti e due basterebbe a malapena a pagarci il biglietto aereo. Perché dovremmo andarci in aereo, dato che abbiamo il tempo contato. Col treno o col pullman ci metteremmo un'eternità. A mezzanotte e mezzo, Billie doveva andarsene per riconsegnare la chiave a Roberta. Io la accompagnai fino a un centinaio di metri dal Best Chance. Non voleva che mi avvicinassi di più. Vagabondai fino alla Quinta Strada e a Main Street. Scesi dalla collinetta su cui sorge il primo isolato della Quinta Strada, a est di Main. Guardai dall'alto il sordido spettacolo che mi offriva Main Street, con la sua giungla di luci al neon. È adesso cosa farai, piccolo uomo? Come sempre, dopo aver lasciato Billie, mi sentivo piuttosto depresso. Ero quasi sobrio, ma non mi sarebbe dispiaciuto essere un po' più sbronzo, così avrei potuto tornarmene a casa e mettermi a letto. Non sarebbe stata una cosa da poco, pensai, riprendere le mie vecchie abitudini e andarmene a letto ogni notte senza aver bevuto o
quasi, una volta che fossi tornato a Chicago. Mi domandai se non fosse il caso di cominciare subito l'opera di rieducazione. Poi respinsi quel pensiero. Che diavolo, in fondo mi restavano solo tre settimane. Anzi, ora che avevo messo in chiaro la faccenda con Billie, potevo anche recitare la mia parte fino in fondo. Grazie a Dio, lei non si era risentita per quello che le avevo detto. Un'altra donna mi avrebbe sputato come minimo in faccia, se avesse saputo che l'avevo presa in giro praticamente dal giorno stesso in cui l'avevo conosciuta. Mi sarebbe mancata Billie, e molto. Ma il resto no. Non quella stanza che sembrava una scatola di sardine, non la sporcizia, o le sbornie, o i piatti da lavare. E nemmeno il bere, una volta che avessi ripreso la mia vita di sempre. Bere può essere una faccenda molto preoccupante, se chi beve non può più farne a meno. Lasciai che i miei piedi mi trasportassero. Giù nell'inferno. Giù fino a quel lurido buco di Barney, che a quell'ora sembrava tranquillo. Diedi un'occhiata alla vetrina per accertarmi che Abito Grigio, lo psicopatico che era stato mio compagno di bevute l'altra sera, non fosse più lì. Non c'era nessuno che conoscessi, pensai. Poi però, una volta dentro, vidi Blackie, che sedeva al tavolino più in fondo con un bicchiere di vino davanti a sé. Il suo sguardo incrociò per un attimo il mio; gli feci un cenno di saluto con la mano, ma mi sedetti davanti al bancone e ordinai un moscatello. Blackie si avvicinò e si sedette sullo sgabello accanto al mio. Sembrava un po' giù di corda. — Hai saputo di Ike? — mi chiese. — Cosa? Che è stato in galera e che adesso è uscito? — È morto. — Ma sei pazzo? — dissi. — Ho bevuto qui dentro con lui solo poche ore fa. — È morto meno di un'ora fa. È stato schiacciato da un camion a due isolati da qui. Gesù, l'ho visto cadere con i miei occhi. — Si passò alcune volte la mano davanti agli occhi, come se qualcosa gli offuscasse la vista. — Offrimi da bere, Howie. Cristo, ne ho proprio bisogno. Tutto quel sangue... Non stava scherzando; era impossibile che fosse così bravo come attore. Gli offrii da bere e gli feci compagnia. — È morto sul colpo? — gli domandai. Speravo di ottenere la risposta
che mi ripromettevo, altrimenti mi sarei sentito in imbarazzo per avergli fatto una domanda del genere. — Credo di sì. Non si è nemmeno messo a gridare. Le ruote gli hanno schiacciato il torace prima che quel maledetto camion facesse in tempo a frenare. Era un autotreno grande come una casa. Comunque, quando sono riusciti a estrarlo da sotto le ruote, lui era già morto. — Blackie si passò un'altra volta la mano davanti agli occhi. Aveva svuotato il suo bicchiere d'un fiato. Io cercai di attirare l'attenzione del barista e puntai l'indice sul bicchiere vuoto del mio amico. — È successo proprio dietro l'angolo di San Julian — riprese Blackie. — Il sangue sarà ancora lì, a meno che non si siano procurati un idrante o qualcosa del genere per lavare la strada. Gli è uscito soprattutto dalla bocca, Gesù, ce n'era una pozza grande come una fontana. — Era sbronzo? — gli domandai. — Io sono stato con lui fino alle dieci, e allora sembrava perfettamente lucido. — Dev'essersi messo a bere come un matto subito dopo che te ne sei andato tu, allora. Comunque, ricordo che era un po' malfermo sulle gambe. Ha visto che ero dall'altra parte della strada e ha cominciato ad attraversare in diagonale. Io mi sono accorto del camion e gli ho gridato di stare attento, ma era troppo tardi. L'autotreno non andava neanche particolarmente veloce, ma lui è caduto proprio lì per strada ed è rotolato sotto le ruote. Gesù... Blackie trangugiò in un sol colpo anche il suo secondo bicchiere di vino. Poi, con la mano stretta avidamente intorno al bicchiere, come per essere sicuro che nessuno potesse strapparglielo, se ne rimase seduto a fissare lo specchio sudicio dietro il bancone del bar. Forse vedeva una doppia morte riflessa nello specchio: quella di Ike e l'annuncio della sua. Così avrei detto io, perlomeno. "Be', Ike, ce l'hai fatta" pensai. "Sei riuscito a centrare la fuga definitiva, quella grossa. È come se te la fossi cercata, anche se è accaduto mentre eri ubriaco. Dev'essersi svolto tutto rapidamente; così rapidamente che, con ogni probabilità, non te ne sei nemmeno accorto. Ora non dovrai più bere, Ike, per non essere costretto a pensare. Non dovrai più scontare nemmeno quei trenta giorni. Ti vantavi di poterli fare in una settimana, vero? Il tempo è soggettivo, dicevi. Ma quanto ci metterai a fare tutta l'eternità?". — Senti, Howie — disse Blackie — puoi prestarmi un dollaro? Voglio comprare un bottiglione di vino e sbronzarmi come si deve. Ne ho bisogno. Domani raccatterò un dollaro da qualche parte e salderò il debito.
— Col cavolo che lo farai — gli dissi. — Comunque, mi associo anch'io. Ho deciso che faremo una veglia. Conosci un posto dove non si spenda molto? Dev'essere stata una veglia coi fiocchi, anche se non ricordo molto. Cominciò nella stanza di Blackie. Eravamo lui, io e un bottiglione di vino. Ma più tardi arrivarono degli altri e forse cambiammo anche posto. Non ricordo di essere tornato in camera mia. 12 Era la mattina del giorno del giudizio, anche se non lo sapevo. Mi svegliai sentendo un rumore insolito per le estati di Los Angeles: il rumore della pioggia che tamburellava sul tetto. Aprii gli occhi e vidi che il vetro della finestra era grigio; era appena l'alba e non dovevo aver dormito per più di poche ore. Mi sentivo come uno straccio. Chiusi gli occhi e cercai di rimettermi a dormire, ma il lenzuolo era caduto dalla branda e io ero rimasto nudo e infreddolito. Frugai con la mano per terra e cercai di afferrare il lenzuolo; all'improvviso, mi resi conto che nella stanza c'era un odore molto sgradevole. L'odore del vomito. Era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere, almeno per quanto mi ricordavo. Mi drizzai a sedere e trovai il lenzuolo, poi me lo strinsi intorno e mi coricai di nuovo. Ma non riuscivo a riprendere sonno, a causa di quel maledettissimo odore. Prima avrei dovuto pulire, e pensai con un senso di orrore che c'erano ben poche cose che detestavo di più. Mi sedetti sull'orlo della branda e diedi un'occhiata intorno mentre mi infilavo le mutande. Non riuscivo a capire dove avessi vomitato fino a quando, alzatomi, non mi resi conto che avevo riempito la catinella. Non era un pensiero molto confortante, certo, ma le cose potevano anche andare peggio. Portai la catinella nel bagno in fondo al corridoio sognando di avere una terza mano per turarmi il naso, poi versai il contenuto nella tazza e tirai lo scarico. Dopo aver sciacquato la catinella, tornai nella camera e notai che c'era dell'acqua nella caraffa. Ne bevvi almeno un quarto, ma ciò non contribuì a farmi star meglio. L'odore acre del vomito continuava ad aleggiare nella stanza. Mi diressi verso la porta e la aprii, sperando che un filo di corrente potesse ventilare la camera. La lasciavo spesso aperta nelle notti afose; i pensionanti erano tutti uomini, e la signora Grant non saliva mai prima di mezzogiorno. Inol-
tre, di solito andavo a letto senza il becco di un quattrino, perciò non era il caso che mi preoccupassi di qualche furto. Adesso ero al verde o mi restava ancora qualche spicciolo? Ma non avevo alcuna voglia di mettermi a controllare. Me ne tornai a letto e chiusi di nuovo gli occhi. La pioggia continuava a tamburellare sul tetto. Era una pioggia insistente. Ricordavo qualcosa a proposito di Ike. Ah, già, era morto. Ecco perché avevamo fatto quella veglia con relativa sbronza. Una veglia. La veglia per l'alba che ha disperso in volo le stelle dalla distesa della notte. Caro vecchio Omar anche lui beveva come una spugna. Ma chissà se dopo ha mai vissuto mattine come questa? In caso affermativo, però, è certo che non ha mai scritto quartine per immortalarle. Una volta, comunque, si era chiesto da qualche parte cos'è che i vinai possono comprare di più prezioso della roba che vendono. Forse la risposta era: una rapida cura per le sbornie. Quel maledetto odore! Povero Ike, pensai, e per un attimo mi sentii triste. Poi capii che non era per Ike che mi sentivo triste; era per me. Ike se n'era andato, ormai. Non doveva più tribolare. Mi sentivo un po' giù perché non avrei più potuto scambiare quattro chiacchiere con Ike. Non avrei nemmeno più potuto bere in sua compagnia, anche se in quel momento l'idea del bere mi faceva stare ancora peggio. Che diavolo di ore erano? E se la finestra grigia significava soltanto che fuori c'era una giornata grigia, e che quindi poteva anche essere più tardi di quanto non pensassi? Se avevo già dormito cinque o sei ore, non aveva senso che cercassi di riprendere sonno. A quel punto potevo anche alzarmi, guardare in faccia la realtà e ricominciare a soffrire. Con un gemito, tirai i piedi fuori dal letto, stavolta dalla parte che dava verso la finestra. Mi alzai e appoggiai le mani sul davanzale. All'improvviso, mi parve che la stanza prendesse a ruotare, tanto che persi quasi l'equilibrio e rischiai di cadere dalla finestra. Avrei potuto morire proprio lì, in un attimo, con la stessa fulmineità con cui ieri sera era morto Ike. E poi parlano di una provvidenza che dovrebbe proteggere i pazzi e gli ubriachi... Feci appello a tutte le mie forze per non cadere, e cercai di fendere con lo sguardo la fitta coltre di pioggia per vedere l'orologio dall'altra parte della strada. Mi ci volle un minuto perché i miei occhi riuscissero a mettere a fuoco l'obiettivo e a leggere l'ora. Vidi che erano le otto. Quanto avevo dormito? Quattro ore, pensavo. Era quasi l'una quando Blackie e io ave-
vamo attaccato quel bottiglione. Quattro ore di sonno potevano bastare come no; non sapevo neanche io se tornare di nuovo a letto o restare in piedi. Ike era più fortunato di me, a quel riguardo. Non doveva più preoccuparsi di cosa avrebbe fatto in mattinata. O di scovare un modo per bere come una spugna senza ubriacarsi del tutto. Mi rimisi di nuovo a letto e mi rimboccai il lenzuolo fin sotto il mento. Sentivo ancora un po' freddo. Avrei dovuto infilarmi la camicia mentre ero in piedi, ma se l'avessi fatto adesso mi sarei svegliato ancora di più. La pioggia continuava a tamburellare sul tetto. Alla fine, presi sonno. Ma non doveva essere un sonno molto profondo, perché ci sono dei frammenti di sogno che ricordo benissimo. E chissà, forse i sogni sono solo dei frammenti. Non ricordo di aver mai fatto un sogno intero, di una certa durata, che avesse un minimo di senso. Barney era diventato nel sogno un bar tutto d'oro. Non chiedetemi come faccio a sapere che si trattava di Barney, perché nel sogno tutto era diverso. Il locale era almeno mille volte più grande, le pareti così lontane che si perdevano nell'oscurità, il soffitto trapuntato di stelle come il cielo e sospeso a centinaia di metri sopra la mia testa. Quel posto non aveva niente di familiare, eppure sapevo che era Barney. Ero completamente solo lì dentro, e avevo una sete del diavolo. Ma non c'era modo di ordinare da bere, perché non si vedeva nessun barista. E anche se avessi voluto fare da solo, non c'erano bottiglie in vista. Solo il nudo bar dorato e il soffitto che sembrava un cielo a mezzanotte. E una solitudine che mi faceva sentire l'unico essere vivente nell'universo. Poi il bar sparì e il pavimento si dissolse sotto i miei piedi; cominciai a volteggiare nello spazio e, invece del soffitto stellato, ora avevo il cielo sopra la testa, un cielo di cui nessun uomo ha mai fatto l'esperienza in vita sua. Guardavo in basso e il cielo era sotto di me e sopra di me; mi avvolgeva interamente. Non appena le stelle cominciarono a muoversi, a cambiare, il terrore si impadronì di me. Queste ultime, infatti, non vagavano più a casaccio, ma formavano nel loro moto precisi modelli o figure geometriche che si avvicinavano e diventavano sempre più luminose: pentagoni, ottagoni, addirittura una croce. All'improvviso, un rumore mi svegliò. Fu la mia salvezza. Aprii gli occhi e guardai verso la finestra, nella direzione da cui proveniva la luce del sole; la pioggia aveva cessato di cadere. Ormai ero sveglio, ma qualcosa
del terrore che avevo provato nel sogno ancora permaneva e si era come trasferito nella realtà, focalizzandosi sul rumore che avevo appena sentito. Una porta era stata chiusa. La porta della mia stanza. Non l'aveva fatta sbattere il vento, perché si era chiusa dolcemente, tranquillamente. L'aveva chiusa una mano. Una mano furtiva. Per un attimo, il terrore ancora persistente del mio incubo mi raggelò e non riuscii più a muovermi. Poi un altro rumore, il cigolio di un'asse dell'impiantito in camera, tramutò quel terrore irrazionale in uno più razionale. Mi drizzai improvvisamente a sedere e mi voltai, pronto a urlare, per difendermi. Ma mi tranquillizzai subito. Era solo Billie the Kid, che si era immobilizzata in un punto tra la porta chiusa e la mia branda. — Ssst, Howie! — sussurrò, portandosi un dito alle labbra. Mi accorsi che teneva la borsetta e le scarpe con l'altra mano; camminava a piedi nudi, infatti. — Co...? — cominciai a dire, ma mi fermai non appena lei mi zittì di nuovo. Poi si avvicinò e si sedette sull'orlo della branda accanto a me, mentre io spostavo le gambe per farle un po' di spazio. — Howie — sussurrò — c'è qualcosa d'importante. — Quello me lo immaginavo già. Billie non era mai venuta in camera mia prima; sapeva dov'era solo perché dava sulla parte anteriore dell'edificio e una volta le avevo indicato la finestra. — Sei sveglio? Completamente sveglio? — Suppongo di sì — le dissi. Quando la vidi aggrottare le sopracciglia, aggiunsi sottovoce: — Che ore sono? — Non lo so... credo le nove passate. Aspetta un attimo. Appoggiò le scarpe per terra, aprì la borsetta e prese a frugare all'interno, tirando fuori una bottiglia da un quarto di whisky che mi passò. — Ecco, aprila pure e bevine un sorso. Voglio vederti completamente sveglio. Guardai la bottiglia e mi sentii rabbrividire, ma la presi lo stesso. Essermi svegliato così di soprassalto mi aveva fatto venire un terribile mal di testa; mandare giù un bicchiere di whisky nelle condizioni in cui mi trovavo non sarebbe stato facile, ma almeno mi avrebbe schiarito un po' le idee. E ne avevo bisogno; il mio cervello era così annebbiato che non mi ero ancora chiesto perché mai Billie fosse venuta a svegliarmi in quel modo. Mentre svitavo il tappo della bottiglia, Billie si avvicinò al tavolo e mi versò un bicchiere d'acqua dalla caraffa. Per fortuna, pensai, mi ero svegliato in precedenza e avevo pulito il disordine che altrimenti lei avrebbe trovato. Mi porse il bicchiere d'acqua. Io trangugiai il whisky e l'acqua mi aiutò a deglutirlo e a tenerlo nello stomaco.
— Meglio che ne beva uno anch'io — sussurrò lei. Le passai bottiglia e bicchiere e mi alzai. — Un attimo — mormorai. Andai nel bagno in fondo al corridoio e, quando fui di ritorno, aggiunsi: — Non c'è bisogno di tenere la voce così bassa. Il tizio nella camera accanto se n'è andato, e la stanza dalla parte opposta del corridoio è libera. Se parliamo tranquillamente, non può sentirci nessuno. Tra l'altro, la padrona di casa non sale mai prima di mezzogiorno. E adesso vuoi dirmi cosa bolle in pentola? — Howie, devi lasciare la città al più presto. Oggi. — Perché? — Si tratta di quel lattaio. I piedipiatti lo stanno usando per rintracciare te. E lui può rovinarti. — Rovinarmi? — Sì, potrebbe identificarti. E i piedipiatti sono convinti che tu abbia ucciso Mame perché, secondo la deposizione del lattaio, tu ti trovavi là poco prima del delitto. Se mi dai retta è meglio che te la squagli, Howie. Forse potresti anche mettere le cose in chiaro con quelli, ma se ti beccano e ti costringono a dire la verità, allora verranno a cercare me e mi sbatteranno in gattabuia, proprio come ti avevo detto. — Va bene — dissi. — Se le cose stanno così, non mi oppongo. C'è urgenza assoluta o abbiamo un po' di tempo per parlare? — Un po' di tempo c'è. Basta che parliamo in questa stanza. Quando metti piede fuori di qui, vedi di lasciarti alle spalle questo quartiere il più in fretta possibile. — Dov'è che hai saputo la novità? Da Mike, quando sei tornata ieri notte? — No, stamattina, meno di mezz'ora fa. E l'ho saputo dal lattaio in carne e ossa. Si chiama Greener, Dave Greener. Dammi un altro sorso di whisky, Howie. Solo un goccetto. Le porsi la bottiglia e ne approfittai per bere un sorso anch'io. Poi annegai il sapore del whisky in un mare d'acqua, attingendo stavolta direttamente dalla caraffa. — Com'è che gli hai parlato, Billie? — Be', stamattina mi sono svegliata abbastanza presto e ho cercato di rimettermi a dormire. Alle otto e mezzo, quando lui ha bussato alla porta, ero ancora sdraiata a letto. Per caso, bussando, ha usato quella specie di codice che usi anche tu. O mi è sembrato molto simile, perlomeno. Convinta che fossi tu, mi sono messa a sedere sul letto e gli ho detto di entrare.
Lui ha aperto la porta. — Billie fece un risolino. — Sedevo a letto ed ero nuda dalla vita in su. Avresti dovuto vedere la sua faccia! Così mi sono tirata rapidamente su le coperte e gli ho detto di aspettare un attimo fuori, il tempo necessario a infilarmi una vestaglia. Lui ha eseguito prontamente. Poi io l'ho fatto di nuovo entrare e gli ho chiesto cosa volesse. Avevo come la sensazione che potesse trattarsi del lattaio di Mame, e in effetti lo era. — Cosa voleva? — Vendermi del latte, naturalmente. Cercava di convincermi a entrare a far parte dei suoi clienti abituali. Io sono stata al gioco e ho finto di essere interessata, così forse avrei potuto scoprire se era il lattaio di Mame e, in caso affermativo, se era andato alla polizia dopo il delitto. L'ho fatto entrare anche perché potesse parlare senza remore. — Avete parlato solo di latte o di qualche altro argomento, dopo che lui ti aveva vista praticamente nuda? — Oh, ha fatto una specie di timido tentativo, te lo concedo. E non lo biasimo neanche per questo. Ma è un ometto piuttosto mite e non mi è stato difficile tenerlo a bada. Mi sono fatta riferire i prezzi del latte e gli ho detto che ci avrei pensato perché forse avevo intenzione di trasferirmi, e in quel caso... — Vuoi trasferirti sul serio? — No., ma non volevo assolutamente comprare il latte, Howie. Cosa vuoi che me ne faccia del latte? Così ho dovuto guadagnare tempo, facendogli però credere che potevo diventare una cliente abituale in seguito. Mentre discutevamo, gli ho chiesto con la massima indifferenza se aveva altri clienti nel palazzo. Ecco come sono riuscita a farlo parlare di Mame. Era estremamente agitato per l'accaduto; il fatto che avesse fatto da testimone e tutto il resto, voglio dire. — È stato lui a recarsi dalla polizia o l'hanno trovato i piedipiatti? — L'hanno trovato loro, perché lui non aveva letto i giornali in quei giorni. Di conseguenza, non sapeva che Mame fosse morta fino a quando la polizia non era venuta a comunicarglielo. Continuava a lasciare un quarto di latte tutte le mattine fuori della porta. Ha lasciato una bottiglia anche ieri mattina, martedì. È così che gli sbirri l'hanno trovato. Non riuscivo a capire. — E cioè come? — Ieri, a una certa ora, devono essere piombati in camera di Mame. Stanno ancora lavorando al caso, dopotutto, quindi non c'è niente di strano. Arrivati alla porta, avranno visto la bottiglia all'esterno. Dall'etichetta sulla bottiglia saranno risaliti al nome del produttore e, tramite quello, al lattaio
che faceva le consegne nella zona. "All'inizio, gli hanno fatto delle semplici domande di routine. Ma poi si sono resi conto che lui era passato a riscuotere da Mame lunedì mattina, poco prima che lei venisse uccisa. È a quel punto che è saltata fuori la tua presenza. Lui ha detto che ti ha visto entrare da Mame mentre era ancora sulla soglia. La polizia crede che tu sia l'assassino, e questo ha fatto diventare il lattaio il testimone chiave. È solo lui che può incastrarti". — Ma quel tipo è sicuro di potermi identificare? — domandai. — Io gli ero vicino più o meno come lui era vicino a me, eppure non so se sarei in grado di riconoscerlo. Ha fornito una buona descrizione alla polizia? — Be', direi di sì. Non è probabile che riescano ad acciuffarti solo in base a quella descrizione, ma lui sostiene di averti guardato bene in faccia ed è convinto di poterti identificare, se dovesse capitargli di incontrarti di nuovo. È così sicuro del fatto suo che deve avere ragione. Se ti vede, sei finito, Howie. E lo sono anch'io, se mi becca la polizia. Sospirò. — È un'ottima cosa che tu non abbia precedenti. Lo hanno tenuto alla stazione di polizia per tutta la giornata di ieri e gli hanno fatto esaminare diverse foto segnaletiche. E stasera... o magari tutte le sere, per un po' di tempo... gli faranno fare la visita guidata. — Visita guidata? Che visita? — Su e giù tra la Quinta Strada e Main Street. Faranno in modo che guardi attentamente tutti quelli che passano, poi lo porteranno a dare un'occhiata alle varie bettole e sale da gioco della zona. Due piedipiatti saranno sempre in sua compagnia, pronti ad acciuffarti se lui dovesse vederti. Dio mio, Howie, è stato un vero colpo di fortuna che oggi abbia bussato da me! Altrimenti ti avrebbero beccato stasera, ci puoi giurare. — Esatto, Billie — dissi. — E tu sei stata molto furba a lavorartelo. Non solo, ma hai ragione su tutta la linea. Devo andarmene subito, oggi stesso. Se non ce la fai a trovare immediatamente i soldi per il treno o il pullman, viaggerò su un merci. — No, non farlo. Potrebbero vederti in qualche stazione mentre salti giù da un treno e accusarti di vagabondaggio. A quel punto ti porterebbero dalla polizia e saresti automaticamente schedato, rischiando così che il lattaio possa identificarti. Troverò i soldi necessari... domani, se non riesco oggi. Ho venti dollari con me e trentacinque in banca. Inoltre, devo ancora incassare quei cinquanta delle foto di ieri. Il fotografo ha già pagato l'agente, ma io non sono ancora riuscita a vederlo. — Bene. Ma nel frattempo cosa faccio? Devo starmene qui?
— No, è meglio che tu non ti faccia più vedere in questa zona. Cercati una camera d'albergo a non meno di una dozzina di isolati da qui. Sai dove si trova il Wilkins Hotel? È a sei o sette isolati a nord lungo Spring Street, dopo il municipio. — Posso trovarlo — risposi. — Ma... — Presi i pantaloni che pendevano dallo schienale della sedia e frugai nella tasca dove di solito tenevo i soldi. C'era qualche spicciolo, ma nessuna banconota. — Credo di essere al verde. Billie prese il borsellino, ne estrasse due biglietti da dieci dollari e me li porse. — Se è tutto quello che hai, è meglio che ti tieni qualcosa. Potresti sempre aver bisogno di soldi per... per una ragione o per l'altra. Lei annuì. Io presi solo una delle due banconote; lei ripose l'altra nel borsellino e lo infilò dentro la borsetta. — Howie, ce l'hai una valigia? Scossi la testa. — Allora te ne presto una io. Chiedi una stanza per due persone, così potrò salire a portarti i soldi e... e ci saluteremo là. È più sicuro che tu vada alla stazione da solo. Meglio che ci vedano insieme il meno possibile, da adesso in avanti. — Vuoi dire che porterai la valigia in albergo, dopo che mi sarò presentato alla reception? — No, Howie, no. Ci vedremo da qualche parte prima che tu vada là... o che ci andiamo insieme. Potrei anche presentarmi con te in hotel, ma l'essenziale è che abbiamo una valigia. Non è mica un albergo a ore, che cosa credevi? Le cose stavano cominciando a farsi confuse. Sospirai. — Ora stammi a sentire, Howie — riprese lei — e ficcati bene in testa quello che ti dico. Appena me ne vado, fatti la barba e datti una ripulita. Poi vestiti... mettiti il miglior vestito che hai, non importa quale sia. Non perdere tempo a farti il bagno; potrai farlo in albergo, se vuoi, mentre mi aspetti. E adesso è meglio che cominci a impacchettare la tua roba. Hai altri indumenti, a parte quelli che indossi? Ti ci sta tutto in un pacco? — Anche un pacchettino — la corressi. — Bene. Ricordati di passare dalla tua padrona di casa e dirle che te ne vai. Dille che hai trovato una sistemazione migliore, non che stai per lasciare la città. Meglio non far pensare alla gente che tu sia sparito all'improvviso. Annuii. La cosa era fattibile, anche perché avrei dovuto pagare il nuovo affitto proprio oggi, se mi fossi fermato. — E poi dove ci vediamo, Billie?
— Esci passando sempre dall'ingresso posteriore, Howie. Dirigiti verso la Quarta Strada e da lì punta dritto su Spring Street. Io ti aspetterò all'angolo tra la Quarta e Spring Street. Tra mezz'ora ti va bene? — Penso di sì — risposi. — Un attimo, prima di andartene! Finiamo il whisky. — La bottiglia era sul tavolo; in base a una mia stima approssimativa, doveva esserci ancora una razione per ciascuno all'interno. Trovai un paio di bicchieri colorati in un cassettone e li riempii più o meno allo stesso livello. — A un'estate meravigliosa, Billie — dissi. Facemmo tintinnare i bicchieri e bevemmo. Lo era stata, naturalmente. Ma non del tutto. Mi chiesi se provavo gioia o tristezza al pensiero che presto sarebbe finita e che, dopotutto, non avrei passato con Billie quelle ultime tre settimane. Con ogni probabilità, avrei fatto ritorno a Chicago entro dopodomani. Sarei tornato di nuovo rispettabile e avrei ripreso la mia vita di sempre, pronto a insegnare per un altro anno scolastico. Ormai per me c'erano solo i libri e il consueto tran-tran quotidiano della vita di un professore. E questo, decisi, mentre il liquore mi scendeva nello stomaco con una sensazione di bruciore, sarebbe stato il mio ultimo drink a Los Angeles... eccetto probabilmente un brindisi d'addio con Billie poco prima della mia partenza. È chiaro che non avrei potuto rinunciare a un brindisi d'addio, ma volevo salire in treno o in pullman perfettamente lucido. Billie posò il bicchiere e si alzò, riprendendo la borsetta e le scarpe. — Camminerò in punta di piedi come sono entrata — disse. — Sei sicuro che mezz'ora ti basti? — Sicurissimo. Ma la Quarta e Spring Street sono piuttosto affollate a quest'ora. A quale angolo ti riferivi? — Uhm... quello a nord-ovest. C'è un drugstore lì; il primo che arriva può aspettare all'interno e dare un'occhiata alle riviste. Ciao, Howie. — Un attimo — dissi. Mi avvicinai a lei e la baciai con foga. — Sei una ragazza meravigliosa, Billie, lo sai? — Dimmelo quando siamo in albergo, professore. Credo che un'oretta potrebbe anche avanzarci laggiù. Ma adesso è un po' presto per eccitarti. Non glielo dissi, ma ero ancora stordito dal sonno, dall'improvviso risveglio e dai postumi della sbornia, per eccitarmi proprio allora. Versai dell'acqua fresca nella caraffa, mi lavai e mi rasai. Poi cominciai a vestirmi. Trovai della carta - i giornali che avevo comprato per leggere il resoconto della morte di Mame - feci un pacchetto in cui infilai tutte le mie
povere cose e lo legai con dello spago. Pensai un attimo se era il caso di seguire il suggerimento di Billie e dire alla signora Grant che mi trasferivo. Decisi che potevo anche seguirlo. Bussai alla porta e le spiegai come stavano le cose. Lei non parve sorpresa. L'unico particolare che la meravigliava, probabilmente, era che mi fossi preso il disturbo di avvisarla. — D'accordo, signor Perry. Ma se è solo una camera più grande che vuole, non ci sono problemi. Ne ho una libera al primo piano che potrei affittarle. — Non si tratta di questo — le spiegai. — È che mi trasferisco da un mio amico che ha già un alloggio. Il suo compagno di camera ha appena lasciato la città. — Va bene, signor Perry. Se qualcuno dovesse cercarla? — Molto probabilmente non lo farà nessuno — risposi. — Comunque, la casa si trova dalle parti di San Pedro, ma non conosco l'indirizzo esatto. Se qualcuno dovesse cercarmi, gli dica pure di passare da Burke. Sa dove si trova, vero? Lei annuì e poi perse ogni interesse nei miei confronti. Ancheggiando, si diresse nel corridoio dove si trovava il tavolo polveroso su cui il postino depositava la corrispondenza quotidiana. Lì cominciò a frugare tra le dozzine di lettere. Non c'era alcuna ragione che io mi fermassi oltre, ma preferivo non uscire dalla porta posteriore in sua presenza. Lei poteva mettersi a fare qualche supposizione, e la cosa non mi sembrava tranquillizzante. Alla fine decisi di uscire dall'ingresso principale, contando sul fatto che il lattaio fosse ancora al lavoro e si trovasse a parecchi isolati di distanza dal palazzo. Svoltai a destra e tirai dritto fino all'angolo successivo. Da lì avrei tagliato in direzione della Quarta Strada. Vidi un furgone del latte venire verso di me e mi tuffai all'improvviso in una tabaccheria lì vicino. Comprai un pacchetto di sigarette e finsi di essere interessato a una rastrelliera di pipe fino a quando il furgone non fu del tutto sparito dalla strada. Mi sarei preso a schiaffi per non aver chiesto a Billie a quale compagnia casearia appartenesse il lattaio. Finché non l'avessi chiesto, mi sarei sentito invadere dalla paura nel vedere un furgone del latte. E forse mi sarebbe successo anche a Chicago, almeno finché non avessi fatto mente locale. All'angolo, prima di svoltare verso nord, mi fermai un attimo per lanciare un'ultima occhiata alla Quinta Strada. Era sempre la stessa. I quartieri malfamati non cambiano mai.
La gente che li abita va e viene. Ike se n'era andato ed io stavo imitandolo, sia pure in un altro senso. Ma, da qualche altra parte, due nuovi relitti umani avrebbero preso il nostro posto, anzi forse stavano già prendendolo. C'è sempre spazio nei bassifondi di una città. C'è spazio anche nelle zone più elevate, ma bisogna combattere duramente per conquistarselo. Per raggiungere il fondo, tutto quello che si deve fare è lasciarsi scivolare dal gradino in cui ci si trova, uno qualsiasi. Provatelo anche voi, qualche volta: non c'è niente di più facile. A tutti è concesso diventare barboni. 13 Era un drugstore come tutti gli altri, un grande magazzino in miniatura. Lì dentro si vendeva quasi tutto, a parte i generi di drogheria e i mobili più sofisticati. Allineati in vetrina c'erano vari esemplari delle merci disponibili: sedie a sdraio e tavolini da carte, noci e olive, barattoli di marmellata e scatole di gelatine. C'erano anche articoli da ferramenta, carta da lettere, bigiotteria e giocattoli. E poi ancora sigari, sigarette, popcorn, costumi da bagno... C'era un reparto dedicato agli alcolici e una tavola calda dove si poteva consumare il pranzo. In breve, c'era praticamente tutto fuorché un barbiere; ma in fondo si poteva sopravvivere anche senza. E se uno si fosse voluto tagliare i capelli da solo, o farseli tagliare in casa, lì avrebbe trovato tutti gli arnesi necessari. Billie non era ancora arrivata. Vagai in tutti e reparti alla sua ricerca e poi mi fermai davanti all'edicola, fingendo di dare un'occhiata alle copertine delle riviste illustrate e dei libri tascabili allineati in vetrina. Ma non venne nessuno a esporre le riviste uscite in giornata, perciò, dopo cinque minuti, mi stancai di aspettare lì. L'odore del caffè appena fatto mi stuzzicava non poco, e c'erano alcune sedie vuote davanti al bancone della tavola calda, vicino all'edicola. Potevo sempre mettermi comodo mentre aspettavo. Mi sedetti, ordinai una tazza di caffè e cominciai a sorseggiarla. Il gusto non era così buono come l'odore, e anche questa non era una novità, ma non ebbi alcun problema nel mandare giù il caffè. Dopo mi sentii un po' meglio, anche se il nervosismo non mi aveva ancora abbandonato del tutto. Solo il tempo è in grado di curare completamente una sbornia, e ce ne vuole molto. Il tempo oppure una nuova ubriacatura, ma i pochi bicchieri di whisky che avevo bevuto non erano certo sufficienti a produrre quell'ef-
fetto. Continuavo a tenere un occhio incollato all'ingresso principale e all'edicola, ma Billie doveva essere passata dalla porta che dava sulla Quarta Strada, alle mie spalle, perché improvvisamente si materializzò sulla sedia accanto a me. — Ciao, Howie. L'odore mi sembra buono. Ne ordini una tazza anche per me? Senti, mi dispiace di essere in ritardo, ma... — Un attimo — dissi. Avevo incrociato lo sguardo della cameriera e volevo ordinare il caffè di Billie finché c'era ancora tempo. — Mi sono fermata in banca — disse Billie. — È per questo che sono in ritardo. Ma si trovava praticamente sulla strada e ho pensato che era meglio fare un salto lì, prima di tutto. E poi ho comprato una nuova valigia. Era un'occasione e non l'ho pagata molto. Ho preferito fare così, invece di tornare a casa e prendere la mia. Non so se i piedipiatti stanno ancora gironzolando per l'isolato oppure no, ma in caso affermativo, vedendomi con la valigia, mi avrebbero senza dubbio fermato per chiedermi che intenzioni avevo. Abbassai lo sguardo sulla valigia, che era scivolata in mezzo alle nostre sedie. — Bene — dissi. — Quanto hai speso? Voglio sapere quanto devo renderti esattamente. — Faremo i conti prima che tu parta. Nel frattempo, ti dispiace passarmi lo zucchero, eh? Eseguii. — Va bene, ma li faremo su tutta la linea. Voglio essere sicuro di non dimenticarmi niente. Ti mando un assegno per posta aerea o preferisci che ti rimborsi con un vaglia telegrafico? — Be', può andare bene anche un assegno, ma forse è meglio un vaglia telegrafico. In banca potrebbero farmi aspettare un po' di tempo, prima di comunicarmi che l'assegno non è scoperto e quindi procedere al pagamento. Nel frattempo, non vorrei essere costretta a chiedere qualche soldo in prestito. Vedi, sul conto corrente non c'era quanto pensavo; quando ti ho detto che avevo trentacinque dollari, avevo dimenticato un assegno staccato in questi ultimi giorni. Così adesso ho solo venticinque dollari sul conto, e anche tenendo conto dei cinquanta che arriveranno dall'agente per le foto, siamo ancora lontani dalla cifra necessaria. — Billie — dissi — va bene qualsiasi somma. Non voglio che ti metta il cappio intorno al collo per trovarmi qualche dollaro in più. Tra l'altro, non è necessario che per tornare prenda il treno fino a Chicago. Con un biglietto per Phoenix o per St. Louis, ad esempio, posso coprire parte del tragitto
e mettermi lo stesso al sicuro. Partendo così presto, poi, avrò tutto il tempo per arrivare a Chicago scroccando qualche passaggio o salendo su un treno merci. — Howie, non voglio assolutamente che tu faccia una cosa del genere. È pericoloso fare l'autostop e viaggiare nei merci. Hai usato un sistema del genere nel viaggio di andata, lo so, ma forse sei stato solo fortunato. — Potrei esserlo di nuovo. — Oppure no, Howie. Ho deciso: cercherò di mettere insieme abbastanza soldi da permetterti di comprare un biglietto che copra l'intero viaggio di ritorno, anche se magari ci impiegherò tutto domani per riuscirci. Ma tu sarai al sicuro una volta in albergo, anche se io dovessi metterci qualche ora in più. — Dovrò mangiare. — Hanno un ristorante che è sempre aperto. Comunque, puoi anche telefonare alla reception e farti servire in camera. Ecco perché ho scelto questo albergo... tra l'altro si chiama Wilkins, non dimenticarlo. Ha la comodità del servizio in camera, eppure resta sempre un hotel a buon mercato, dove non sembrerai fuori posto con i vestiti che hai. Quasi tutti gli alberghi che offrono un servizio simile sono decisamente più eleganti. Metti quel fagotto con le tue cose dentro la valigia, prima che ce ne andiamo. Mi posai la valigia sulle ginocchia e scoprii che non era vuota. C'era qualcosa di pesante all'interno. — Ho comprato un paio di bottiglie, Howie — disse Billie — nel caso che vogliamo farci un bicchiere o due in camera. Una di manhattan già miscelati... potremmo farci portare qualche cubetto di ghiaccio dal bar dell'albergo... e una di moscatello per te, se preferisci bere vino. Aprii la valigia, misi dentro l'involto con i miei indumenti e richiusi. — Bevi tu stasera, Billie — le dissi. — Io preferisco marcare visita. — Come mai? — Voglio restare lucido. Non penserai mica che possa bere come ho bevuto fin qui, una volta di ritorno a scuola, no? — Hmmm... credo di no. Ma per un giorno di più, che male può farti? — Un giorno di più è sempre un giorno di più, ora che finalmente ho deciso. Oltre tutto, non voglio andare in stazione ubriaco. E se la polizia mi notasse? — Va bene, come vuoi. Ho finito col caffè, perciò possiamo anche andare. E infatti ce ne andammo. Appena fuori, lei disse: — Cammina un po'
davanti a me, Howie, e poi girati da questa parte. Voglio darti un'occhiata. Io andai avanti con la valigia, mi voltai e mi misi di fronte a Billie finché lei non mi raggiunse. — Va tutto bene, a parte i pantaloni — disse. — La giacca tiene ancora, ma quei pantaloni sono proprio senza speranza. Troppo sdruciti e sfilacciati perché una lavata e una buona stiratura possano rimetterli in sesto. Devi comprartene un altro paio. — Non riuscirei mai a trovarne un paio che s'intoni perfettamente con la giacca. — Be', puoi sempre buttarti sullo spezzato. Molti uomini lo fanno. Questa è una giacca blu, perciò dei pantaloni grigio chiaro andranno benissimo. E, già che ci sei, fatti dare una lucidata alle scarpe. Anche quella servirà. Sospirai e accondiscesi. Mi feci lucidare le scarpe nell'isolato successivo e comprai un paio di pantaloni abbastanza economici in quello seguente. Attesi che me li accorciassero e imbastissero i risvolti, poi li indossai. Riposi i vecchi calzoni dentro la valigia, non perché volessi tenerli, ma per dare più consistenza ai miei bagagli. Anche con le due bottiglie che Billie aveva comprato e il mio pacco di indumenti, la valigia era ancora piena solo per metà. Comunque, lo specchio nel negozio di abbigliamento mi fece capire che Billie aveva ragione: i pantaloni nuovi e le scarpe lucide facevano davvero una grande differenza. Sembravo quasi rispettabile. Perlomeno, l'addetto alla reception del Wilkins non mi diede una seconda occhiata. Firmai il registro e ci scrissi: "Signore e signora Lloyd Abernathy, Walla Walla, Washington". Abernathy era un nome per cui avevo sempre avuto un debole, e Walla Walla era un posto che mi incuriosiva. Ma avrei anche potuto firmare "John Smith", perché l'impiegato non si prese nemmeno la briga di leggere. Citofonò a un fattorino e gli porse una chiave. Da quel momento, eravamo ospiti a tutti gli effetti dell'albergo. Il fattorino mi prese la valigia di mano e noi lo seguimmo fino all'ascensore. Al secondo piano, ci dirigemmo verso una stanza che dava sul retro dell'edificio. Lui si mise ad armeggiare con finestre e tapparelle finché non gli diedi mezzo dollaro. Quando se ne andò, mi diedi un'occhiata in giro. Era una camera d'albergo come un milione d'altre, né bella né brutta, né luminosa né buia, né pulita né sporca. — Vuoi che faccia portare su qualche cubetto di ghiaccio per il tuo manhattan, Billie? — Aspettiamo ancora un po', Howie. Almeno finché non mi sono procu-
rata i soldi, voglio dire. A quel punto sarò più rilassata. E forse mi andrà anche di divertirmi con te. — In tutti i sensi? — In tutti i sensi, sì. Senti, Howie... — Sono tutt'orecchi. Lei mi si avvicinò. — Howie, credo di poter racimolare i soldi che ti servono per oggi, forse anche per questo pomeriggio. Ma, dato per scontato che ci riesca, finché tu resti in questa camera sei perfettamente al sicuro. Oltre tutto, la camera è pagata anche per stanotte e... e puoi sempre prendere un treno che parta di mattina, no? — A una condizione — dissi. — Che tu non mi pianti in asso a mezzanotte o all'una. Devi dormire qui, almeno per quest'ultima notte. — Va bene, concesso. Mi metterò d'accordo con Roberta, così se i piedipiatti dovessero chiedermi dove ho passato la notte, potrò sempre dire che ho dormito con lei. Lei mi coprirà di certo, su questo non c'è dubbio. Comunque, dovrei vederla in ogni caso, anche perché ho intenzione di chiederle se può prestarmi qualche dollaro. Sporsi in avanti le mani per abbracciarla, ma lei mi respinse. — Howie, anch'io devo porti una condizione. — Quale? — Che se passi la notte in questa stanza e io resto con te, devi rinviare l'idea di non toccare più alcol almeno fino a domani. Non sarebbe lo stesso, altrimenti, ti pare? — No, non sarebbe lo stesso — ammisi. — Ma domani nemmeno un goccetto. Starei male, in treno. — Va bene. — Che stia male in treno? Lei sorrise. — Se pensi che abbia voluto dire questo... Ma promettimi una cosa, tesoro. — Tutto quello che vuole, signora Abernathy. — Eh? Chi sarebbe questa signora Abernathy? — Tu. — Le dissi il nome che avevo usato per la nostra registrazione. — Dovevi assolutamente saperlo, nel caso avessi bisogno di telefonarmi o di farmi avere un messaggio. Ma cos'è che dovrei prometterti? — Che non alzerai troppo il gomito mentre io sono via. Un bicchiere o due va bene, ma se quando torno ti trovo sbronzo, sono guai. — Non berrò neanche un goccetto, Billie. Resterò assolutamente sobrio, lo giuro su una pila di manuali di sociologia. A che ora pensi di tornare?
— Hmmm... al più tardi verso le cinque. Ma anche prima, se riesco a trovare abbastanza denaro. Ci vediamo, tesoro. La salutai dandole un bacio e lei uscì. Sentii il ticchettio dei suoi tacchi alti sul corridoio senza moquette all'esterno della camera. Mi sedetti sulla sponda del letto; mi chiesi quanto avrei dovuto aspettare e in che modo avrei ammazzato il tempo. Tra l'altro, non sapevo nemmeno che ore fossero. Be', quello avrei potuto scoprirlo senza il minimo problema. Sollevai il ricevitore e lo domandai alla centralinista. Le dieci e quarantotto, mi disse lei. La ringraziai e riappesi. Le dieci e quarantotto. Questo voleva dire che mancavano dodici minuti alle undici, e per le undici sarei dovuto essere da Burke. Me n'ero completamente dimenticato. Burke era un tipo a posto; accidenti, il minimo che potevo fare era chiamarlo con almeno qualche minuto di anticipo e dirgli che non sarei venuto. Così avrebbe potuto appendere subito il suo cartello "LAVAPIATTI CERCASI", invece di aspettare magari un paio d'ore in attesa che mi presentassi. Sì, almeno quello potevo farlo per lui. Mi misi subito in azione. C'era una cabina telefonica giù nell'atrio, e avrei fatto meglio a usare quella invece di chiamare facendomi passare la linea dalla centralinista. Avrei dovuto dire a Burke chi ero, ed era possibile che la ragazza ascoltasse mentre parlavo. Scesi nell'atrio, comprai un pacchetto di sigarette all'apposito bancone e poi entrai nella cabina telefonica per chiamare Burke. Gli dissi che mi dispiaceva ma che dovevo licenziarmi, perché avevo trovato un lavoro che mi avrebbe reso due volte tanto. E se avessi accettato, dovevo cominciare subito, oggi stesso. — È un buon lavoro, Howie? Non si tratta di qualche giro malavitoso? Gli dissi che era un buon lavoro. Commesso in un negozio, proprio come lui mi aveva suggerito. Un amico mi avrebbe prestato qualche dollaro per comprarmi dei vestiti nuovi e per tirare avanti fino al primo giorno di paga. — Sei un bravo ragazzo, Howie — commentò lui. — Sono contento di perderti, sapendo che hai trovato un buon lavoro. E se per caso ti trovi a corto di soldi, vieni da me e troverai sempre qualcosa da mettere sotto i denti. Sai che di solito non faccio credito... non potrei, in una zona come questa... ma mi risulta che tu hai ancora parecchi pasti da consumare in base al nostro vecchio contratto. Perciò, anche se non potrai pagare...
Lo ringraziai e tornai nella mia stanza. Ero contento di averlo chiamato. Il modo migliore per ammazzare il tempo, pensai, sarebbe stato di mettersi a dormire per un po', se appena mi riusciva. Mi tolsi le scarpe e i miei nuovi calzoni, in modo che non si gualcissero, e mi coricai sul letto. Intrecciai le mani dietro la testa e chiusi gli occhi. Dopo qualche secondo, mi ritrovai di nuovo con gli occhi aperti, fissi al soffitto. Li richiusi e si aprirono un'altra volta. Niente da fare, non avevo il minimo sonno. Avevo voglia di bere. Cercai di persuadermi che un paio di bicchieri mi avrebbero fatto dormire, o almeno rilassato quel tanto che bastava per farmi venire sonno. Ma poi mi convinsi che ero un dannato bugiardo. Due bicchieri, o anche tre o quattro - tutti quelli che potevo bere senza sbronzarmi del tutto, insomma non mi avrebbero fatto venire assolutamente sonno. Quella era solo una scusa. Comunque, restava il fatto che avevo voglia di bere. Accidenti, che fossi davvero un alcolizzato? Be', da quando mi ero trasferito qui, non avevo fatto altro che bere senza il minimo riguardo, e per di più ogni sera. Mi ero trovato un lavoro che mi teneva occupato tutti i giorni, ma mi chiesi se non l'avessi fatto perché, in caso contrario, non avrei potuto continuare a bere. Non ero un alcolizzato in precedenza, ma non potevo esserlo diventato dopo due mesi di bevute così abbondanti? Sciocchezze, mi dissi, qui non si tratta di alcolismo. È tutta una questione di abitudine, invece; un'abitudine che avrei però dovuto spezzare il più presto possibile. Bisognava che restassi a secco per un po', diciamo per alcune settimane, prima di poter toccare di nuovo un bicchiere di vino, magari in occasione di qualche festa a Chicago. Forse era persino un bene che le cose si fossero svolte in quel modo, così sarei tornato con tre settimane di anticipo e avrei potuto mettermi alla prova. Se fosse stato assolutamente necessario, avrei anche potuto trascorrere una settimana in clinica per disintossicarmi, ma non credevo che sarei dovuto arrivare a quegli estremi. Diavolo, in fin dei conti non stavo controllandomi alla perfezione, proprio ora? Avevo voglia di bere, eppure resistevo stoicamente. E avrei continuato a resistere fino all'arrivo di Billie. Gliel'avevo promesso, e sarei rimasto fedele alla mia promessa. Ma Billie mi aveva complicato maledettamente le cose, mettendo quelle due bottiglie nella valigia. Sarebbe stato un gioco da ragazzi aprirne una qualsiasi e bere un goccetto... Mi alzai e cominciai a passeggiare avanti e indietro, tanto per tenermi
impegnato. Mi chiesi di nuovo che ore fossero e sbirciai fuori della finestra per vedere se ci fosse un orologio pubblico da qualche parte. Ma la finestra dava su un vicolo interno, e non c'erano orologi. Continuai a passeggiare su e giù per la stanza. Perché non ero stato abbastanza furbo da portarmi qualcosa da leggere? Adesso mi pentivo di aver gettato via quel romanzo poliziesco che avevo tentato di leggere l'altra sera senza poi riuscirci. Speravo che ci fosse una rivendita di giornali nell'atrio dell'albergo, ma poi mi venne in mente che non c'era. Non sapevo nemmeno dove fosse l'edicola più vicina, e non mi piaceva l'idea di dover percorrere a piedi qualche isolato. In ogni caso, avevo promesso a Billie che non avrei lasciato l'albergo. Ora faceva caldo nella stanza. Mi tolsi la camicia e i calzini, poi mi sdraiai sul letto restando in mutande. All'improvviso, mi venne in mente Ike. Ike che rideva di me perché volevo bere ed ero costretto a restare a bocca asciutta. "Vattene, Ike. Non capisci: io non sono quella persona indegna che fingevo di essere. Non sono un avvinazzato. Era solo uno scherzo, e adesso lo scherzo è finito. Ora ridivento un essere rispettabile. Ma se crollo proprio adesso, dopo che ho deciso di non bere e l'ho anche promesso a Billie...". Mi chiesi di nuovo che ore fossero. Chissà, forse era arrivata l'ora di pranzo. Non era possibile che fosse l'una? Non avevo fame, ma mangiare era un modo come un altro per tenermi impegnato e ammazzare il tempo. Dovevo farmi portare il pranzo in camera o era meglio scendere e mangiare nel ristorante dell'albergo, appena dopo l'atrio? Decisi che mi sarei fatto portare qualcosa in camera. Non perché ci fosse qualche pericolo nello scendere al ristorante. Ma Billie avrebbe potuto telefonare, e si sarebbe preoccupata se non avessi risposto. Mi drizzai a sedere sulla sponda del letto e sollevai il ricevitore. Domandai l'ora alla centralinista. Quando lei mi disse che erano le undici e nove, io proruppi in un: — Cosa? — Imperturbabile, lei ripeté. Ero certo che fossero passate almeno due ore da quando Billie se n'era andata. Invece non era passata nemmeno mezz'ora. Meno di venti minuti da quando ero sceso nell'atrio per telefonare a Burke. Di questo passo avrei finito con l'impazzire, e anche presto. Dovevo assolutamente trovare qualcosa da fare. Se avessi avuto un mazzo di carte, avrei potuto fare un solitario, ma non ce l'avevo. Se mi fossi portato un libro, ora avrei avuto qualcosa da leggere. Persino un giornale...
"Un attimo" pensai "ma io ce l'ho un giornale!". Anzi, a dire la verità ne avevo due. Quei due quotidiani che avevo comprato lunedì pomeriggio per tenermi informato sul delitto di Mame. Avevo letto il resoconto dell'omicidio in ciascuno dei due, ma non il resto delle notizie. Poi avevo usato i giornali per impacchettare le mie cose e avevo messo l'involto nella valigia. Erano vecchi di due giorni, adesso; ma che diavolo, in fondo non mi tenevo informato sugli avvenimenti del mondo da almeno due mesi. Qualsiasi notizia ci avessi trovato, sarebbe stata nuova di zecca per me. Aprii la valigia. Le due bottiglie, per fortuna o chissà cosa, erano avvolte in carta marrone, non in giornali. Se avessi sfasciato il pacchetto, non avrei trovato nulla da leggere, a parte le etichette. Comunque, non avevo alcuna ragione per sfasciarlo. Tirai fuori l'involto con la mia roba, ruppi lo spago e lo aprii. Infilai gli indumenti dentro la valigia, lisciai i fogli di carta e ricomposi perfettamente i due giornali. La foto di Mame fece capolino dalla prima pagina del Mirror. "Mamie Gaynor, ventinove anni" diceva la didascalìa. Proprio come avevo letto lunedì sera, né più né meno. Non era cambiato niente. Nessuno avrebbe mai potuto cambiare qualcosa al riguardo. E perché, poi? Ormai Mame avrebbe sempre avuto ventinove anni; non sarebbe mai invecchiata di un giorno. Non si sarebbe mai sposata e non avrebbe più cambiato il suo nome da signorina. La lampada accanto al letto non faceva molta luce, così mi trasferii su una poltrona e la sistemai in modo da avere la finestra alle mie spalle. Poi misi i piedi sul letto. Presi prima il Mirror, perché era in cima, e cominciai a rileggere l'articolo sulla morte di Mame. Non c'era nulla che non ricordassi dalla prima lettura. Non era stata cambiata o aggiunta nemmeno una parola. Pagina due. "Disastro aereo. Morte ventiquattro persone". "Il Marocco francese presto indipendente?". Lessi tutti gli articoli e voltai pagina. C'era la lista delle vittime dell'incidente aereo. E poi un titolo: "Identificata la vittima dell'omicidio". Cominciai a leggere l'articolo con la stessa indifferenza con cui avevo letto gli altri, ma feci un balzo dalla poltrona quando lessi che il cadavere era stato trovato "nei pressi di Winston Street". Tornai indietro e rilessi l'intero articolo dall'inizio, con più attenzione.
Il cadavere di un uomo assassinato domenica sera dopo aver subito un furto, in un vicolo nei pressi di Winston Street, era stato identificato lunedì mattina per quello di un certo Jesus Encinas di Mexico City. Sul corpo non era stato rinvenuto nessun documento, ma le etichette con la scritta Hecho en Mexico su vestiti, cappello e scarpe avevano fatto pensare che l'uomo fosse un messicano. E nell'ipotesi che fosse anche un turista, la polizia aveva effettuato alcuni controlli negli alberghi del centro città. Al Berengia, gli investigatori avevano appreso che un certo Jesus Encinas, di Mexico City, era registrato in quell'albergo da domenica mattina. Aveva lasciato la sua camera poco dopo la registrazione e non era più tornato. L'addetto alla reception che aveva trascritto i dati sul registro e il fattorino che gli aveva portato la valigia in camera erano stati condotti a visionare il cadavere ed erano entrambi sicuri dell'identificazione. Alcune carte trovate nella valigia, compreso un passaporto e il biglietto di un piroscafo, avevano fornito alla polizia ulteriori dati. L'uomo era arrivato a Los Angeles domenica mattina sul presto a bordo del piroscafo Queen Anne, che proveniva da Tokio. Il messicano aveva fatto un viaggio d'affari in Oriente per conto della Rodriguez y Encinas, una ditta di Mexico City specializzata nell'importazione di oggetti artistici e di cui la vittima era socio. La polizia aveva telefonato al signor Rodriguez a Mexico City, per informarlo della morte del socio e per saperne qualcosa di più. Così avevano saputo che la sosta di Encinas a Los Angeles non era dovuta ad affari. L'uomo aveva amici in città e aveva progettato una vacanza di quattro o cinque giorni prima del viaggio di ritorno, in aereo, a Mexico City. Rodriguez aveva inoltre riferito che il suo socio non aveva alcun nemico, e che perciò il furto pareva l'unico motivo plausibile dell'omicidio. Questo era tutto ciò che il Mirror aveva da offrire. Prima di leggere un nuovo articolo, presi lo Herald-Express per vedere se c'era qualche altro particolare sull'identificazione. Lo Herald-Express presentava la storia in modo migliore, anche tipograficamente. L'articolo cominciava in fondo alla prima pagina ed era accompagnato da una foto di Encinas, non molto nitida e senza dubbio presa dal suo passaporto. Sopra la foto, c'era il titolo: UOMO D'AFFARI MESSICANO DERUBATO E UCCISO Gli unici fatti nuovi che lo Herald-Express riportava, però, erano che
Encinas aveva trentasei anni e che era scapolo. Il suo socio Rodriguez aveva detto che Encinas non aveva con sé una grande somma in contanti, e perciò era probabile che fosse stato scelto come vittima di un furto per errore. La dichiarazione di Rodriguez era scaturita dal fatto che Encinas aveva incassato un traveler's cheque per l'ammontare di cinquanta dollari alla reception dell'albergo, proprio durante la registrazione. L'uomo aveva lasciato nella sua stanza una busta contenente altri quattrocento dollari, sempre in traveler's cheques. Rodriguez sarebbe arrivato a Los Angeles in aereo e lì, una volta che la polizia avesse dato il nulla osta per la rimozione di Encinas, avrebbe preso accordi con le autorità competenti per trasferire il cadavere a Mexico City, dove si sarebbero svolti i funerali. Era tutto. Ecco chi era il Jesus Encinas di Mame: un uomo d'affari di trentasei anni, partito da Mexico City per l'Oriente e fermatosi brevemente a Los Angeles con l'intenzione di spassarsela un po' con qualche bella di notte prima di tornare a essere una persona rispettabile. Ma c'erano alcuni particolari che non quadravano. Perché era andato in una zona malfamata, quando poteva permettersi qualcosa di molto meglio? Il Berengia è un albergo dove notoriamente si va per divertirsi, dato che è pieno di donnine disponibili. E ciò vuol dire che Encinas avrebbe potuto avere tutto il divertimento che voleva anche lì: gli bastava chiamare e farsi mandare una ragazza in camera. Non gli sarebbe costata sicuramente di più, rispetto a Mame. Be', forse c'era una risposta anche a quel problema. La gente ha gusti diversi. Forse a lui piacevano le bionde formose, volgari e un po' aggressive; una ragazza come Mame era sicuramente qualcosa di molto diverso dalle señoritas piccole e scure che poteva trovare anche al suo paese. E diverso anche dalle geishe di Tokyo, gentili, minute e dai capelli corvini, se Encinas aveva cercato di unire l'utile al dilettevole pure lì. Ma non c'era il minimo indizio negli articoli che spiegasse perché era tanto spaventato. Perché si era comportato in quello strano modo con le luci? Perché aveva guardato fuori da una finestra e poi se l'era squagliata dall'altra? Quella parte della storia non si adattava al quadro d'insieme; lì Encinas non sembrava un rotariano giunto a Los Angeles per divertirsi, ma un criminale che aveva paura della polizia o di qualche altro malfattore. Be', perché no? I suoi affari legittimi potevano anche essere, in tutto o in parte, una copertura per qualcos'altro. Forse non comprava solo oggetti
d'arte in Giappone. Magari trafficava in eroina, per esempio. In quel caso avrebbe potuto scegliere Mame, come avevo supposto fin dall'inizio, perché si era accorto che era una tossicodipendente e sperava di trovare, tramite lei, uno spacciatore di un certo livello a cui poter vendere la roba che aveva portato con sé. Avrebbe guadagnato molto di più vendendola a Los Angeles che non a Mexico City; posto che trovasse il compratore adatto, si capisce. Sì, uomo d'affari legittimo oppure no, quell'idea mi piaceva sempre di più. In effetti, se lui era davvero un uomo d'affari con tutti i crismi e aveva portato con sé una partita di droga per la prima volta, era naturale che fosse molto più nervoso e impaurito di un semplice criminale. Ma cos'era capitato all'eroina? Se Encinas la portava con sé, l'assassino gliel'avrebbe rubata subito. Perciò che ragione avrebbe avuto di tornare da Mame, ucciderla e frugare la stanza da cima a fondo? Ovviamente, doveva essersi convinto che la sua prima vittima aveva venduto la roba a Mame o gliel'aveva lasciata in deposito perché la vendesse lei. Ma le cose non erano andate così, altrimenti Mame non mi avrebbe mai raccontato la storia con l'aria di divertirsi. No, lei mi aveva detto la verità. Se ci fosse stato qualcosa di grosso, se ne sarebbe stata ben zitta. Naturalmente, lui poteva aver lasciato l'eroina in albergo. In quel caso, la polizia se n'era impossessata e non aveva passato la notizia ai giornali. Oppure, Encinas poteva averla nascosta da qualche parte tra il momento in cui era uscito dall'albergo e quello in cui aveva incontrato Mame. Forse l'aveva lasciata al deposito bagagli di una qualche stazione di pullman o l'aveva spedita al suo fermo posta. Qualcosa del genere, insomma. Ma perché, dopo aver derubato e ucciso Encinas, l'assassino aveva aspettato dodici ore o più prima di andare da Mame? La risposta mi arrivò in un lampo. Era ancora relativamente presto quando Jesus aveva abbandonato Mame. Così lei era probabilmente uscita e aveva deciso di passare la serata in un altro modo. Se l'assassino era andato a casa di Mame e non aveva trovato nessuno, non sarebbe stato in grado di fare irruzione nella stanza, a meno che non fosse un ladro professionista e avesse con sé gli strumenti del mestiere. E siccome non voleva farsi sorprendere a gironzolare nei dintorni dopo aver commesso un omicidio, aveva rinunciato ed era tornato la mattina dopo, sul tardi, in modo da avere la certezza che Mame sarebbe stata a casa. Ma a me cosa importava, in fondo? Non erano affari miei, e quindi perché mi davo tanta preoccupazione, specie adesso che stavo per partire de-
finitivamente? Ripresi il Mirror e lessi gli altri articoli, poi feci lo stesso con lo HeraldExpress. A parte gli annunci economici e le quotazioni in Borsa, lessi praticamente tutto. Poi, ora che non avevo più niente da fare, mi assalì di nuovo una voglia disperata di bere. Cominciai a passeggiare un'altra volta avanti e indietro per la camera. E quando il telefono squillò, sussultai violentemente. 14 A meno che qualcuno non si fosse sbagliato di numero, doveva essere per forza Billie. Perciò, dato che temevo si fosse dimenticata il nome con cui doveva chiamarmi, sollevai il ricevitore e dissi: — Parla Lloyd Abernathy. Lei fece un risolino. — Me n'ero dimenticata, Howie. Fortuna che mi è venuto in mente il numero della stanza, altrimenti non avrei potuto chiamarti. Comunque, non mi hai ancora detto come mi chiamo io. — Senti... — Va tutto bene, Howie. La centralinista non è in ascolto. Non hai sentito quel clic dopo che hai sollevato il ricevitore? Che stai facendo? — Sto diventando matto. Che ore sono? Quanto pensi di metterci ancora? — È l'una, Howie, o quasi. Ma come sarebbe a dire che stai diventando matto? C'è qualcosa che non va? — No, scherzavo. È che non so cosa fare e mi sto annoiando a morte. Quando torni? — Non prima del tardo pomeriggio, tesoro. Ho qualche problema a trovare certe persone. Ora però vado a pranzare. Faresti meglio a mettere qualcosa sotto i denti anche tu, così stasera avremo fame più o meno alla stessa ora. — Sei lontana da qui? Perché non torni in albergo? Potremmo pranzare insieme. — No, sono troppo lontana. Ma adesso pensa a mangiare. — D'accordo, Billie, ma pranzerò al ristorante. Sono al sicuro se non esco dall'albergo, e non mi va di ordinare in camera per poi mangiare da solo. — Capisco. Cercherò di essere di ritorno per le cinque. Comportati bene.
— Lo farò. Ciao, signora Abernathy. — Ciao, professore. Dato che ero rimasto in mutande, mi tolsi anche quelle e feci una doccia prima di scendere. Occupai un tavolo al ristorante e ordinai. Ci misi un po' di tempo a mangiare, tanto non dovevo fare niente di particolare in seguito. Anzi, sperai in cuor mio di non avere mai più così tanto tempo a disposizione come ne avevo adesso. Ordinai un'altra tazza di caffè e la bevvi con estrema lentezza. Nonostante questo, l'orologio del ristorante segnava ancora l'una e quarantacinque. E Billie non sarebbe tornata prima di altre tre ore. Tre ore in cui avrei dovuto aspettare in camera e girarmi i pollici senza niente da fare. Avrei finito con l'impazzire. Oppure non avrei resistito alla voglia di bere e mi sarei attaccato alla bottiglia, salvo poi maledirmi per aver ceduto e rotto una promessa. Non solo: avrei dovuto ammettere con me stesso che ero diventato sul serio un alcolizzato. E dannazione, non lo ero. Potevo controllarmi, ne ero certo. Sarebbe andato tutto bene. Passando tre ore da solo in quella camera, senza nemmeno una finestra con una vista decente? La mia dava su un vicolo. Era quasi meglio starsene seduti lì. Ma non potevo fermarmi in ristorante tutto il pomeriggio. E non avevo intenzione di prendere un altro caffè. Avevo voglia di bere. Bisognava che avessi il coraggio di ammetterlo: avevo voglia di bere. Parliamoci chiaro, non osavo salire in camera perché, se l'avessi fatto, mi sarei convinto con una scusa o l'altra che non c'era niente di male nel bere un goccetto. Così avrei aperto la bottiglia di moscatello e mi sarei messo a bere. Oh, mi sarei detto che in fondo bevevo solo un bicchiere, ma, una volta cominciato, sarei andato avanti senza il minimo problema. Potevo sorseggiare con calma il vino e non tracannare un bicchiere dopo l'altro. Insomma, potevo bere con una certa gradualità, in modo che se anche mi fossi scolato l'intera bottiglia al ritorno di Billie, non sarei stato sbronzo. Ci voleva ben più di un litro di vino per farmi uscire di testa, specie ora che avevo messo un po' di cibo nello stomaco. Ma se mi fossi lasciato andare, avrei finito col rovinare tutto. Avrei guastato la serata a Billie, e anche a me. No, non sarei tornato in quella stanza. La mia piccola lotta personale era qualcosa che avrei potuto gestire meglio e più facilmente dopo il mio ri-
torno a Chicago, circondato dall'ambiente familiare e di nuovo a contatto con le vecchie consuetudini. Anzi, molto probabilmente non sarebbe stata affatto una battaglia, laggiù. Avrei finito col chiedermi perché mi preoccupavo tanto. Ma per questo pomeriggio, il mio ultimo pomeriggio qui, avrei evitato il problema. Avrei fatto una passeggiata. Magari sarei andato al cinema. Non avrei rischiato di finire nei guai, se mi tenevo a debita distanza dalla Quinta Strada e da Main Street. E dai bar, naturalmente. Andare al cinema sarebbe stata forse la soluzione migliore. Qualsiasi film mi andava bene, o quasi. Pagai il conto alla cassa, mi diressi verso l'atrio e lì mi sedetti davanti a una piccola scrivania. Scrissi un bigliettino per Billie: "Vado al cinema. Torno per le cinque". Indirizzai la busta alla "signora Abernathy" e la lasciai alla reception con la chiave della stanza. Poi mi avvicinai alla centralinista, le comunicai il mio numero di camera e le chiesi di far pervenire lo stesso messaggio a tutti quelli che avrebbero telefonato. Se Billie fosse tornata prima di me o avesse telefonato di nuovo, avrebbe capito che andare al cinema non era poi un gran pericolo, specie se mi fossi tenuto alla larga da Main Street, come lei sicuramente avrebbe supposto. Ma, con ogni probabilità, Billie non avrebbe più chiamato e io sarei tornato prima, così lei non si sarebbe accorta di niente. Attraversai la Prima Strada, passai lungo Broadway e da lì mi diressi verso il centro città. Incrociai diversi cinematografi, ma i film in programmazione mi sembravano poco allettanti. Oltrepassai anche diversi bar e cercai di ricordare se avevo promesso a Billie che non avrei bevuto affatto o semplicemente che non avrei toccato le bottiglie in camera. Capii subito dove sarei andato a finire, se avessi continuato con quei pensieri, e smisi all'istante. Tagliai per Pershing Square e mi sedetti su una panchina. Accesi una sigaretta e mi resi conto che, dopotutto, non avevo voglia di andare al cinema. Mi diedi un'occhiata intorno fino a quando non vidi un orologio e notai che erano solo le due e qualche minuto. Bene, cosa diavolo volevo fare a parte bere un goccetto, che fatalmente avrebbe innescato una spirale incontrollabile? All'improvviso, mi venne in mente la risposta, che era semplicissima. Perché non andare da Burke e dargli una mano per un paio d'ore? Se aveva bisogno d'aiuto, si capisce; ma molto probabilmente le cose stavano così. Anche se avesse già trovato un altro lavapiatti, quel poveraccio non poteva
certo aver cominciato in tempo e adesso, dopo che era appena passata l'ora di punta per il pranzo, doveva essere irrimediabilmente indietro. Io mi sarei guadagnato un dollaro o qualcosa di più, e allo stesso tempo avrei fatto un grosso favore a Burke. Glielo dovevo, in fondo. Potevo dirgli che al negozio presso cui avevo trovato lavoro mi avevano comunicato di passare l'indomani mattina. Perciò potevo contare su un paio di ore libere che mi sarebbe piaciuto utilizzare per dargli una mano, sempre che lui fosse d'accordo. E lo sarebbe stato, senza alcun dubbio. Se poi fossi entrato passando dal vicolo e dalla porta della cucina, e fossi uscito nello stesso modo, non avrei corso nessun rischio. E se anche il lattaio avesse fatto qualche giro con un poliziotto di scorta prima delle cinque, poteva magari dare un'occhiata anche ai ristoranti, ma di certo non sarebbe entrato in cucina. Bene. Un buon lavoro manuale, veloce e impegnativo: ecco cosa mi ci voleva per tirarmi fuori dai guai. Forse era l'unica cosa che potesse davvero salvarmi. Mentre lavavo i piatti, mi sarebbe stato difficile pensare a bere. Continuai a camminare anche mentre cercavo di decidere. Attraversai la Sesta Strada ed entrai nel vicolo. La porta della cucina era aperta. Mi fermai un attimo sulla soglia e sbirciai all'interno. Il lavandino era letteralmente pieno di piatti, e pareva che nessuno se ne stesse occupando. La pila era talmente alta che per un attimo quasi mi scoraggiai. Ramon era solo in cucina; mi dava le spalle e si era messo davanti al ceppo dove si taglia la carne. Stava facendo a pezzettini un pollo, usando di volta in volta il coltello o la mannaia. Lavorava con estrema rapidità e destrezza. Sentì i miei passi che si avvicinavano e si voltò, con un ampio sorriso in cui spiccavano i denti bianchissimi. — Howie! — Poi si girò di nuovo verso il ceppo e mi disse da sopra la spalla: — Sei venuto a lavorare? Il capo mi ha detto che avevi trovato qualcosa di meglio da fare. — Sì, ma il nuovo lavoro comincia solo domani mattina — spiegai. — Così pensavo di dare una mano in cucina, se Burke non ha ancora trovato nessun sostituto. — No. È uscito giusto poco fa per andare a cercare qualcuno. — Un lavapiatti, vuoi dire? Lui annuì. — Doveva passare da diverse agenzie di collocamento. Se n'è andato quando la ressa è un po' calata. Ma Howie, puoi pure metterti al lavoro, se vuoi. Mi assumo io la responsabilità; gli dirò a che ora hai comin-
ciato. Va bene? — Va bene — risposi, cominciando ad arrotolarmi le maniche della camicia. — È davvero buono il nuovo lavoro? — Assestò l'ultimo colpo all'ultimo pollo e si voltò ancora verso di me. Ma stavolta vidi quello che non avevo visto quando, poco fa, si era girato un attimo a guardarmi. La fasciatura che aveva sulla fronte adesso era sparita. Ma sotto non c'era una cicatrice da coltello, come avevo supposto. C'erano quattro lunghi graffi che andavano dall'alto in basso, a circa due centimetri di distanza l'uno dall'altro. All'improvviso, nella mia mente scattò una scintilla. Così all'improvviso che non ebbi neanche il tempo di pensare. Sentii che la mia voce diceva: — Mame Gaynor aveva delle unghie affilate, eh? Era stata la mia voce a parlare, non io. Io avrei avuto abbastanza buon senso da non accusare un assassino di omicidio in sua presenza e quando, per di più, lui brandiva una mannaia. Forse qualcuno sarà sufficientemente coraggioso o stupido da fare una cosa del genere, ma non io. Non chiedetemi come successe; quelle parole sbucarono di colpo dalla mia bocca e invasero l'aria circostante. La morte può essere un evento repentino. Solo la fortuna, una casualità o la provvidenza che assiste i pazzi e gli ubriachi avrebbero potuto impedirmi di imparare una lezione del genere, e definitivamente, nei pochi secondi che seguirono alle mie parole. Forse fu la provvidenza, che faceva ammenda per essersi addormentata l'altra sera, quando Ike era caduto rotolando sotto un camion. Gli eventi successivi furono così fulminei che non ebbi nemmeno il tempo di gridare o di tentare una via di fuga. Non potevo correre perché la mano sinistra di Ramon si era avvinghiata allo sparato della mia camicia e mi bloccava. La mano destra, che brandiva la mannaia, si sollevò con un movimento ad arco, pronta a mozzarmi la testa. Feci l'unica cosa possibile, dato che non potevo indietreggiare per sottrarmi al colpo. Mi scagliai verso di lui, cercando di passare sotto il suo braccio. Avevo anche spostato la testa di lato per rischiare il meno possibile, ma Ramon stava indietreggiando dopo l'urto, e il colpo della mannaia andò completamente fuori misura. Perso l'equilibrio, Ramon continuò a indietreggiare anche dopo, finché scivolò su qualcosa e si sentì un violento rumore mentre la sua testa batteva contro lo spigolo della grande cucina metallica.
Sì, la morte può essere un evento repentino. In qualche modo, io sapevo che Ramon era morto sul colpo. Con il respiro affannoso, mi inginocchiai sul pavimento, infilai la mano dentro la camicia del cuoco e la tenni ferma qualche secondo in corrispondenza del cuore. Non c'era più battito. Sul pavimento, vicino al punto in cui lui era caduto, c'era una lunga striscia di grasso che terminava in una pelle di pollo. Era su quella che Ramon era scivolato mentre indietreggiava. Una minuscola pelle di pollo che, senza dubbio, mi aveva salvato la vita, perché lui mi aveva afferrato per la camicia e non avrebbe di certo sbagliato un altro colpo con quella mannaia. Dalla finestra di comunicazione col ristorante, la voce di una cameriera gridò: — Due hamburger con patatine! 15 Me la squagliai da lì il più in fretta possibile. Ma, prima di uscire, mi fermai un attimo sulla soglia e mi diedi un'occhiata alle spalle, per accertarmi di non aver lasciato alcun segno della mia presenza nel locale. Non c'era niente che potesse incriminarmi; in fondo, non avevo toccato nulla, a parte Ramon. E, sempre eccezion fatta per Ramon, nessuno mi aveva visto entrare lì dentro, di questo ero certo. Conoscevo entrambe le cameriere che erano in servizio, e se qualcuna mi avesse visto parlare con Ramon dalla finestra di comunicazione, mi avrebbe senza dubbio salutato. O si sarebbe messa a strillare, se si fosse data un'occhiata alle spalle durante la breve lotta. Mi costrinsi a camminare giù per il vicolo, vincendo la tentazione di mettermi a correre. Non vidi nessuno. Sulla Sesta Strada, mentre cominciavo a fare a ritroso il percorso da cui ero venuto, mi sentii in salvo. Ma avevo ancora una paura del diavolo, che non riuscivo a togliermi di dosso. E tutte le scommesse che avevo fatto con me stesso a proposito del bere mi sembravano ormai vanificate. Alcolismo, promesse, risoluzioni e altre diavolerie a parte, un uomo che si è salvato per il rotto della cuffia come avevo fatto io e che, sia pure accidentalmente e senza volere, ha appena ucciso un altro uomo, come minimo si merita un buon drink. Generoso e forte. A quattro isolati di distanza e di nuovo in centro città, in Broadway Street, mi fermai in un bar. Mi misi a sedere su uno sgabello davanti al bancone e ordinai un doppio whisky liscio con acqua a parte.
La mia voce era risuonata in modo normale, ma non mi fidavo delle mani. Mi sforzai di tenerle in grembo fino a quando il barista non si voltò. A quel punto, le tirai su e le appoggiai sul bancone, col bicchiere in mezzo. Non tremavano eccessivamente. Dato che il barista mi aveva versato il doppio whisky in un bicchiere grande, il liquido non arrivava fino all'orlo, così riuscii a bere senza versarne nemmeno una goccia. Tracannai il liquore tutto d'un fiato e mi sentii lo stomaco avvampare. Il bruciore si calmò solo quando bevvi un sorso d'acqua. Da una radio o da un juke-box si diffondevano nel locale le note di una canzone alla moda. Mi parve la voce di Dean Martin. Sentivo solo la canzone e il rumore del traffico lungo Broadway Street. Poi si aggiunse la voce del barista, che si era voltato di nuovo e stava guardando il mio bicchiere vuoto. — Un dollaro, amico. Io tirai fuori le banconote, tutte da un dollaro, che mi si erano spiegazzate in tasca. Me ne restavano quattro. Ne posai due sul bancone e ordinai un altro whisky. — Ancora doppio? Risposi di sì, chiedendo però che stavolta ci aggiungesse un po' di soda. Lui eseguì e raccolse i due dollari, poi, sforzandosi di essere un po' più cordiale, mi chiese se tifassi per i Braves; avevano vinto di nuovo e adesso si trovavano a soli sei punti dagli Yankees. Ma io facevo il tifo per i Cubs e glielo dissi. In ogni caso, era da un pezzo che non seguivo più l'andamento del campionato; quest'anno i Cubs avevano qualche possibilità? Lui mi lanciò un'occhiata perplessa e si diresse verso l'altra estremità del bancone. That's amore, cantò di nuovo la voce di Dean Martin. Sollevai una mano di un paio di centimetri dal bancone e la guardai. Era ferma. Magari mi fossi sentito così tranquillo anche dentro di me! Invece, ero ancora sconvolto. Bevvi una piccola sorsata del mio secondo whisky; volevo farlo durare. Non avevo intenzione di sbronzarmi, nemmeno stanotte con Billie. In effetti, se Billie avesse già trovato i soldi, sarei salito su quel treno per Chicago il più in fretta possibile. Ma mi sarei pure accontentato di una tappa intermedia, se lei non fosse riuscita a racimolare il denaro sufficiente per l'intero viaggio. Da come mi sentivo adesso, avrei fatto di tutto pur di andarmene da Los Angeles. Ed era meglio non perdere neanche un secondo. Forse adesso Billie era già tornata in albergo e mi stava aspettando. Mi diedi un'occhiata nel locale, in cerca di una cabina telefonica. Ne trovai
una e decisi di investire dieci cent per chiamare il Wilkins. Domandai alla centralinista se c'erano state telefonate per me, ma la risposta fu negativa. Le chiesi allora se poteva chiamare il telefono della nostra camera, ma anche in questo caso non ci fu alcuna risposta. Billie non era ancora arrivata. Sulla parete accanto alla cabina telefonica, c'era un cartello con la classifica aggiornata del campionato di baseball. Ci diedi un'occhiata. Gli White Sox erano secondi e i Cubs settimi, a circa una trentina di punti dai primi. Non c'era da meravigliarsi che il barista mi avesse rivolto quell'occhiata perplessa, quando gli avevo chiesto se i Cubs avessero ancora qualche possibilità. Tornai davanti al bancone e mi rimisi a bere. E così, Ramon aveva ucciso sia Mame che Jesus. Buffo: una volta avevo fatto l'ipotesi che Ramon fosse il visitatore messicano di Mame per poi scartarla subito dopo. La verità è che non avevo mai pensato a lui come a un possibile assassino. Perché mai avrei dovuto? Naturalmente, però, avrei dovuto indovinare che le abitudini di Ramon e il suo costante bisogno di drogarsi - o di bucarsi, come si dice in gergo - lo avrebbero costretto a incrementare in un modo o nell'altro il suo stipendio da cuoco. Se gli ci volevano tre dosi al giorno, almeno da quanto supponevo io, e calcolando che il costo medio di una dose ammontava ormai a cinque dollari, quasi l'intero stipendio che Burke gli passava sarebbe finito in eroina. E anche se i pasti erano gratis e Ramon, come tutti i drogati, non beveva, doveva pur pagare l'affitto e comprarsi qualche straccio da indossare. Almeno di tanto in tanto, era costretto a rubare o soldi o droga. A cosa mirava domenica sera, quando si era messo a seguire Jesus Encinas? All'eroina, decisi. Se avesse ucciso Encinas solo per un furto qualsiasi, non avrebbe avuto alcuna ragione al mondo per tornare da Mame. Ma se invece sapeva, o aveva ragione di credere, che Encinas si era portato dietro dell'eroina dal Giappone, allora i conti tornavano. Quando non aveva trovato la roba addosso a Encinas, era tornato da Mame a prenderla. Solo che la droga non si trovava nella stanza di Mame. Se Encinas trafficava in eroina, allora l'aveva nascosta da qualche parte o l'aveva lasciata nella sua stanza d'albergo. Ma la polizia non aveva fornito informazioni al riguardo. Di sicuro, Ramon non aveva trovato nemmeno la provvista personale di eroina di Mame, altrimenti non sarebbe venuto a lavorare nelle condizioni di sofferenza in cui l'avevo visto lunedì a mezzogiorno, subito dopo che l'aveva uccisa. Dato che, in base alle informazioni di Billie, la polizia non
aveva trovato eroina in casa di Mame, era probabile che lei avesse appena preso la sua ultima dose e dovesse rifornirsi di lì a poco. Ma in fondo cosa m'importava? E perché mi preoccupavo tanto di scoprirlo? — Un altro? Il barista stava guardando il mio bicchiere: era vuoto. Io annuii e misi un altro dollaro sul bancone. — Sa quanti treni al giorno ci sono per Chicago? — Più o meno una mezza dozzina. Tutti con nomi buffi: Chief, SuperChief, El Capitan, Golden State... Io prendo sempre il Golden State. Costa di più, ma ne vale la pena. — Sa a che ora parte? — All'una e mezzo del pomeriggio. Perché? Deve partire oggi? — Sì. — Be', c'è anche il California Limited. È più lento, ma può ancora farcela a prenderlo. Mi pare che parta intorno alle sei. — Grazie. Lo prenderò. Il barista raccolse il mio dollaro. — Qual è il problema? Torna indietro per dare una strigliata ai Cubs? — Esatto — risposi. — Devo comunicare alla squadra qualche messaggio da parte sua? — Non servirebbe a niente — disse lui. — Ma mi saluti Bughouse Square. Si diresse di nuovo all'altra estremità del bancone. Io tornai al mio whisky e pensai a quale orribile pasticcio era stata quell'estate. Non c'era niente da salvare; niente a parte Billie, si capisce. Billie the Kid, la mia Billie. Mi sarebbe mancata terribilmente. Forse, se adesso fossi tornato in albergo, era probabile che l'avrei trovata là. Terminai di bere e mi alzai dallo sgabello. Ma quando uscii dal bar, mi accorsi che il whisky mi stava dando addosso. Be', perché no? Se uno beve tre doppi whisky in meno di mezz'ora, come minimo li sente. Altrimenti bara. Comunque, non barcollavo; anzi, riuscivo a vedere bene e a pensare con coerenza. Ma adesso non avevo più paura. Non mi preoccupavo più. La scena della morte di Ramon era qualcosa che aveva avuto luogo molto tempo prima ed era capitata a qualcun altro. Io mi sentivo bene. Mi sentivo come un eroe e mi chiesi perché non mi fossi sentito così anche prima. Diavolo, non avevo risolto due delitti di cui la polizia non sa-
rebbe probabilmente mai venuta a capo? E, come ciliegina sulla torta, non avevo appena giustiziato l'assassino? L'avevo fatto così bene che nessuno avrebbe mai sospettato che Ramon fosse stato ucciso. Avrebbero scambiato quella morte per un puro e semplice incidente. Diavolo, ero Superman, Dick Tracy e il Santo in una sola persona! Howard Perry Mason. L'Uomo Mascherato della Quinta Strada. Solo che adesso l'avevo fatta finita con la Quinta Strada; non potevo più tornarci a causa di un maledetto lattaio. Che probabilmente aveva mentito alla polizia o aveva esagerato la portata delle sue affermazioni, magari solo per darsi un po' di arie o per il piacere di ricevere tante attenzioni. Aveva detto di essere in grado di identificarmi, se mi avesse rivisto. Eppure mi aveva incrociato solo una volta, qualche giorno fa. E io non avevo nemmeno parlato. Ma se anche lui era convinto di potermi identificare, sarebbe stata sempre la sua parola contro la mia. Non c'era alcun bisogno di coinvolgere anche Billie e di metterla nei guai. Potevo sostenere che quel tizio dava i numeri e che io non conoscevo affatto Mame. Dopotutto, la conoscevo ben poco e solo attraverso Billie; la polizia non sarebbe stata in grado di smentirmi. Perciò di cosa mi preoccupavo? E di cosa si preoccupava Billie? Non era il caso che accorciassi le mie ferie per tornare a Chicago prima del previsto. Avrei potuto fermarmi un altro paio di settimane e spassarmela senza alcun... "Dannazione" mi dissi. "Howie, questo è pensare da ubriachi. Ed è quello che succede quando uno si mette a bere come hai appena fatto tu. Tu devi assolutamente tornare a Chicago, e lo sai benissimo. Devi metterti in salvo. Devi tornare a scuola, ai libri, agli sguardi impertinenti delle tue allieve. E prima ti lasci alle spalle questo pasticcio, meglio sarà, che tu sia in effettivo pericolo oppure no". La passeggiata mi ridiede un po' di lucidità. La chiave della stanza e il biglietto che avevo lasciato non c'erano più; Billie doveva essere tornata. La trovai in bagno, intenta a farsi la doccia. Chiuse subito il rubinetto, non appena mi sentì entrare. — Howie, sei tu? — Cosa faresti se non fossi io? — le chiesi. — Mi metterei a strillare. Ho i soldi, Howie. Quanto basta per il viaggio fino a Chicago. Com'era il film? — Fantastico — le dissi. — Maledettamente realistico, quasi tridimensionale. Mi ha fatto una paura del diavolo.
— Te l'avevo detto che non avresti dovuto uscire! Senti, mi sono fatta dare qualche cubetto di ghiacciò nel salire, così non dovremo chiederli per telefono. Sono nel secchiello sulla toletta. Ti dispiace aprire la bottiglia di manhattan? Arrivo tra un minuto. Presi la bottiglia dalla valigia, la aprii e versai da bere a Billie. Poi mandai al diavolo tutte le mie apprensioni e versai una dose anche per me. Billie uscì dal bagno con addosso il bikini nero che mi aveva fatto vedere lunedì mattina. Corse verso di me e mi gettò le braccia al collo. Io la abbracciai a mia volta e le diedi una pacca sul sedere. — Andiamo a fare una nuotata? — Pensavo che questo sarebbe stato un bel costume per il nostro party, Howie. Non lo credi anche tu? — Se si toglie facilmente, credo proprio che sia un bel costume. — Si toglie, si toglie... Ma prima facciamoci un paio di drink. Sei in crisi di astinenza anche tu, Howie, o mi hai preso in giro? Si allontanò leggermente da me e mi spinse la testa in avanti per annusarmi il fiato. Ma si fermò all'improvviso, fissandomi negli occhi. — Howie, mi sembri... strano. C'è qualcosa che non va? — È successo un fattaccio — le dissi. — Forse è meglio che ti racconti tutto. Ci mettemmo comodi entrambi, con i drink a portata di mano, e cominciai il racconto. Le dissi tutto. Lei allungò una mano e la posò sulla mia. — Dev'essere stato terribile, Howie. Sei... sei sicuro che non ti abbia visto nessuno? — Ragionevolmente sicuro — risposi. — Non c'è niente di cui preoccuparsi. La polizia lo prenderà per un incidente. Diavolo, è stato sul serio un incidente! O un caso di legittima difesa, se vuoi metterla su questo piano. — Gesù, una mannaia! Non mi meraviglio che tu ti sia fermato a bere. E non ti biasimo, davvero. Resta seduto, Howie, ci penso io a preparare un altro paio di drink. C'è una cosa che non riesco a capire, comunque: come faceva quell'Encinas a sapere... o anche Ramon, quanto a quello... che Mame era una spacciatrice? — Forse la cosa non sta in questi termini. Forse loro credevano che Mike Karas fosse uno spacciatore ed Encinas cercava di mettersi in contatto con lui tramite Mame. Sapeva che Mame lavorava per lui. Billie si strinse nelle spalle. — Be', credo che adesso non abbia più importanza, ma comunque quel tizio si sbagliava. Mike non ha mai toccato droga in vita sua, né per spaccio né per uso personale. Ora lasciamo i cu-
betti dentro i bicchieri ancora un minuto, in modo che i drink si raffreddino bene. Poi ci penserò io a toglierli prima che il ghiaccio si sciolga. — Billie si avvicinò e si sedette sulle mie ginocchia. — Ti mancherò? La abbracciai — Tantissimo — ammisi. E mi accorsi all'improvviso che non stavo affatto esagerando. Ci baciammo e restammo avvinghiati l'uno all'altra per qualche secondo, poi lei balzò in piedi. — Howie, prima che mi dimentichi voglio darti i soldi. Sono stata fortunata: ho ottenuto più del previsto. Quella mia amica di cui ti parlavo e che sono andata a trovare a Gardena ha vinto una forte cifra a poker ieri sera, così mi ha prestato un centinaio di dollari. Ora posso dartene centocinquanta. Dovrebbero bastarti, no? — Sono anche troppi. Cento basteranno, Billie. Hai tenuto il conto di quanto ti devo in tutto? — Be', considerando anche la valigia, circa centoventicinque dollari. Aprii bocca per protestare, dato che il debito, secondo me, ammontava a ben più che centoventicinque dollari. Ma cambiai subito idea e annuii. Probabilmente, nel calcolo Billie si era dimenticata di qualche dollaro, ma non mi pareva il caso di discuterne adesso e cercare di stabilire la cifra esatta. Avrei sempre potuto colmare la differenza mandandole un regalino da Chicago... un buon orologio, diciamo. Lei avrebbe preferito così, e in fondo anch'io. — Ecco i nostri drink, Howie. — Grazie, Billie. Vuoi che ti mandi i soldi con un vaglia telegrafico o credi che un assegno spedito per via aerea sarà abbastanza veloce? — Un assegno andrà benissimo. Ma senti, non indirizzarlo a me. Più tardi ti darò nome e indirizzo della mia amica a Gardena. Spediscilo lì a nome mio. — Va bene, ma perché? — La prudenza non è mai troppa. La polizia sta ancora indagando sul delitto di Mame e continua a fare controlli su quelli che la conoscevano. Non credo che controllino anche la posta, ma non si sa mai. E se quando mi arriva l'assegno, il tuo nome fosse saltato fuori da qualche parte? Perché correre un rischio inutile? — D'accordo, non lo correremo. Ma non scordarti di darmi l'indirizzo della tua amica. — E i soldi. Anzi, meglio che te li dia subito, tutti e due. — Allungò un braccio, prese la borsetta da sopra il ripiano della toletta e la aprì. Contò dieci biglietti da dieci dollari nel borsellino e me li passò, poi continuò a
frugare più a fondo nella borsetta. — Howie, credo di non avere né carta né matita con me. In ogni caso, la ragazza si chiama Hazel Carpenter e l'indirizzo è facile da ricordare: 101 Wood Street. — Forse sì, ma comunque preferisco scriverlo. Chissà, potrei confondermi nel ricordarlo. — Mi alzai e puntai dritto verso la porta. — Scendo un attimo fino alla reception e... — Howie, ma non avevi una stilografica in qualche tasca, quella che avevi trovato sul divano di Mame e che lei ti aveva regalato? Hai controllato se c'è ancora inchiostro? Non solo non avevo controllato, ma mi ero del tutto dimenticato di quella penna. Una volta solo mi era ricapitata tra le mani: quando mi ero cambiato camicia e avevo trasferito la penna in quella pulita meccanicamente, senza neanche pensarci. Dovevo averlo fatto per forza, perché al momento la stilografica si trovava nel taschino della camicia che ora indossavo. Be', se la penna funzionava mi sarei risparmiato due viaggi su e giù per le scale. Svitai il cappuccio. Qualcosa scintillò e cadde a terra. Erano tante minuscole pietruzze luccicanti che sembravano diamanti. Billie boccheggiò. In un attimo, appoggiò mani e ginocchia sul pavimento e li raccolse uno per uno. — Howie! — La sua voce era una specie di urlo sussurrato. — Sono proprio diamanti! E sono veri! Io fissai la penna che tenevo ancora in mano: una penna vuota all'interno e senza neanche il pennino. Ma c'era ancora qualcosa nel cappuccio. Mi era rimasto in mano, così il contenuto non si era rovesciato sul pavimento. Svuotai il cappuccio, battendolo sul palmo della mano. Si trattava di diamanti ancora più grossi, sei in tutto, che erano stati infilati nel cappuccio perché erano troppo larghi per poter essere contenuti nel cannello della penna. Quella stilografica da grande magazzino che mi ero tenuto in tasca per più di due giorni! La mia ipotesi si era rivelata inesatta. Non era eroina che Jesus Encinas voleva contrabbandare a Los Angeles, ma diamanti. Aveva cercato di entrare in contatto con Mike Karas tramite Mame, d'accordo, ma solo perché aveva scoperto da qualche parte che Mike era un ricettatore che trafficava in diamanti rubati o contrabbandati. Ma perché aveva cercato di contattare Mike proprio attraverso Mame? Forse avevo una risposta anche per quello. Ramon. Ramon Garcia Jesus Toledo Silva doveva essere uno degli "amici" che Encinas aveva a Los
Angeles. Probabilmente, in qualcuno dei suoi precedenti viaggi, il messicano aveva davvero importato eroina, ed era riuscito a venderla a un grosso spacciatore tramite Ramon. Però stavolta Encinas non aveva portato droga con sé, ma diamanti. Forse, anche in questo caso, aveva chiesto a Ramon dove poteva piazzarli. Magari li aveva persino fatti vedere a Ramon. E, stavolta, il cuoco gli aveva dato un'indicazione sbagliata, o almeno parzialmente sbagliata. (Sapeva davvero Ramon che il capo di Mame faceva il ricettatore in pietre preziose?). Che l'avesse saputo oppure no, Ramon gli aveva detto che poteva mettersi in contatto con Mike Karas tramite Mame e poi l'aveva seguito. Mentre Encinas stava dirigendosi in casa di Mame, deve aver notato che qualcuno lo tallonava, anche se magari non si è accorto che era proprio Ramon la sua ombra. E... Provai un leggero brivido. Per due giorni, dopo che Ramon aveva commesso il suo secondo delitto e non era riuscito a trovare la penna in casa di Mame, io avevo lavorato per parecchie ore in cucina, solo con lui. Con quella penna che mi sporgeva dal taschino della camicia. La mia vita non sarebbe valsa un maledetto centavo se lui se ne fosse accorto e l'avesse riconosciuta, o se io, per una ragione qualsiasi, gli avessi detto dove e come ne ero entrato in possesso. Billie era ancora sul pavimento, ma ormai aveva raccolto tutti i diamanti che erano caduti. Adesso sedeva per terra a gambe incrociate, i diamanti stretti nel palmo di una mano. Ogni tanto li guardava ed emetteva gridolini di soddisfazione. Carne bianca e bikini nero, la mia Billie. — Diciotto, Howie. Sono tutti uguali, e hanno questi meravigliosi riflessi bianco azzurrini... Non ho una lente, ma so che devono essere purissimi, altrimenti non sarebbero tutti così perfettamente uguali. Howie, siamo ricchi! Ricchi? Quei diamanti non erano miei. Io ero un uomo onesto, un insegnante, che adesso si apprestava a tornarsene a Chicago. Mi inginocchiai e depositai nel palmo dell'altra mano di Billie i sei diamanti più grossi che erano nel cappuccio della penna. — Che ne dici di questi? Lei boccheggiò di nuovo. — Cinque carati l'uno... forse sei. E sono perfettamente uguali anche questi. Howie, sai cosa sono queste pietruzze? — Come sarebbe a dire "cosa sono"? Sono diamanti, no? — Certo, ma per noi rappresentano interi anni in Messico, tesoro. Due, tre... forse anche cinque. A... Come si chiamava quel posto, Howie? — San Miguel de Allende — risposi.
— Tu hai detto che per duemila dollari all'anno potremmo vivere come un re e una regina laggiù, vero? Howie, caro, Mike ci darà almeno diecimila dollari per questi. Si stava vestendo in tutta fretta e la sua voce mi giungeva un po' smorzata, ma riuscivo a sentirla lo stesso. Dio, come la sentivo! Si infilò il vestito facendolo passare dalla testa e armeggiò per chiudere la lampo con una sola mano, visto che con l'altra teneva i ventiquattro diamanti. Si infilò un paio di scarpe e si diresse come un fulmine alla porta, ma poi si fermò un attimo. Tornò di corsa verso di me e mi gettò le braccia al collo. — Howie, vuoi venire anche tu? Voglio dire, non so se ti fidi a lasciarmi andare con... La baciai. — Mi fido ciecamente di te, Billie the Kid. Anche se dovessi affidarti molto più di quello che adesso hai in mano. Se ne andò. Sì, mi fidavo di lei. Sapevo che sarebbe tornata. Ma non mi importava, perché tanto io non sarei stato più lì al suo ritorno. I soldi erano suoi e poteva tenerseli. A quell'ora sarei già partito per Chicago, perché se non lo avessi fatto sarei andato incontro a uno o più anni di sbronze continue. E alla fine di quell'uno o più anni, come mi sarei ridotto? Nelle stesse condizioni in cui avevo finto di trovarmi quest'estate. Anzi, peggio ancora, perché allora sarei stato un alcolizzato all'ultima spiaggia. Un barbone in un qualche Skid Row. Un avvinazzato che lavava i piatti per comprarsi un po' di vino e che era talmente scoppiato da non riuscire nemmeno più a essere un buon lavapiatti. Un miserabile accattone costretto a coricarsi sui marciapiedi vicino ai rigagnoli. E troppo distrutto persino per avere la forza di tornare indietro. Mi ero scolato metà del mio drink. Adesso avrei finito il resto e poi me ne sarei andato. Avevo bisogno di molto coraggio per mettere in atto la mia decisione. Billie avrebbe capito quando, al suo ritorno, non mi avrebbe più trovato lì. Finii di bere. Mi alzai per... Andarmene? Ma non sarei andato da nessuna parte. Ora lo sapevo che sarei rimasto lì. Mi versai un altro drink con le mani perfettamente ferme e mi sedetti di nuovo sulla sponda del letto. Non sarei più tornato a Chicago, a meno che... "Oh, Billie, Billie the Kid, sii disonesta e non tornare, non tornare più. Tieniti tutto e lasciami bere fino a che non prendo sonno ancora questa
volta, quest'ultima volta. Voglio svegliarmi in una stanza vuota dove non sarò più costretto a scegliere o a prendere decisioni, perché non ho la forza necessaria per farlo. Fallo tu per me, Billie. Non tornare indietro, non tornare più. "Non...". Poi Billie era di nuovo tra le mie braccia. La mia dolce, la mia amata Billie. Mi sussurrava: — Ottomila, tesoro, ottomila dollari. Ora lasciami andare. Voglio un drink anch'io. Tu hai avuto modo di scolartene parecchi nel frattempo, no? Ma io sono buona e riempirò anche il tuo bicchiere. — All'improvviso, si scostò leggermente da me e mi guardò in faccia. — Howie, mi è venuto in mente qualcosa. Ricordi che una volta mi avevi detto di avere una ragazza di nome Onoria dalle tue parti? Stavi mica scnerzando? O esiste davvero una ragazza con quel nome? Abbozzai un sorriso. — Stavo solo scherzando, Billie the Kid. E adesso prepara quei drink. Stavo solo scherzando, certo, ma chi volevo prendere in giro? Onoria: l'Onore. Ma è mai esistita una ragazza con un nome simile? Sì, ma questo è accaduto in un altro paese e, inoltre, la ragazza è morta. FINE