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2003, Gius. :tatierza & Figli e Polity Ptess Prima ·edizione 2003
Traduzione di Fabio Galimberti
Zygmunt Bauman
INTERVISTA SULI1IDENTITÀ aeuradii Benedetto Veccm
Editori Laterza
Premessa di Benedetto Vecchi
Proprietà letteraria riservae:a Gius.. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel maggio 2003 Poligrnfico Dehoniano StabìIìmenro di Bari per contO della Gius . Laterza & Figli Spa CL 20-7008-1 ISBN 88"420"7008-4
La lettura di un testo di Zygmunt BlOlUman è sempre spiazzante, che si tratti di un sa,ggio, di un libro o di una risposta data a una domanda rivolta con lo scopo di scanda,gliare il tema dell'identità, come accade in questo libro-intervista. Va subito detto che è un'intervista «anomala», nel senso che non è stata condotta con un r,egistratore, né ha visto l'intervistatore e l'intervistato l'uno di fronte all'altro. Lo strumento scelto è stata la posta dettroni.ca, che ha impresso un ritmo rapsodicoall'alternarsi delle domande e delle risposte. Venendo a mancare il vincolo temporale dì una conversazione vis-à-vis, il dialogo a distanza è stato infatti segnato da molte pause di riflessione, richieste di chiarimenti, piccoli. «sconfinamenti» su territori diversi da quelli che inizialmente si vol,eva esplorare.. Ad ogni risposta di Bauman il sentimento di smarrimento non poteva che aumentare, perché cresceva la consapevolezza di trovarsi, via vìache il materiale si ac,cumulava, in un continente sempre più vasto dì quello immaginato e dove le mappe conosdute quasi Il nulla servivavano per orientarsi in esso. Già, perché Zygmunt Bauman ha una caratteristica
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che lo differenzia da altri sociologi o «scienziati soda·· li».. La sua è infatti una riflessione in progress, che non si accontenta mai di defmire o ·«concettualizzare» un evento, ma punta a stabilire connessioni ed echi con fenomeni sociali o con maniifestazioni dell' ethos pubblico che sembrano lontani miUe miglia dall'oggetto iniziale di indagine. Nelle pagine che seguono questa erraticità della sua riflessione, che rende impossibile stabilire parentele intellettuali certe o l'appartenenza a scuole di pensiero, è più che evidente. In molte occasioni, Zygmunt Bauman è stato definito come un sociologo edettico.. Una definizione che sicuramente non dispiace all'interessato. E tuttavia la metodologia che egli mette in campo punta a «svelare» principalmente i mille fili che legano l' oggetto indagato con altre manifestazioni del vivere assodato.. Per il sodologo di origine polacca, è infatti fondamentale cogliere la «verità» di ogni sentimento, stile di vita, comportamento collettivo. E questo è possibile solo se, oltre ai tema indagato, si svela il oontesto sociale, cultural,ee politico in cui quel particolare fenomeno si colloca. Da qui dunque il carattere erratico della sua riflessione, sia che affronti la ~crisi;fJ;~UA,~~US~~A\I'~hti€Q:s come accade nel volume La solitudine del cittadino globale (FeltrineUi, Milano 2000), sia che si tratti de~!lJato ruo~i~ntt:~~lh~~~~~_~~~i~!~A:I!~~ll~k4a\tgorfféiiNYènefesséla trama dtTvotume~La decaaenza degli intellettuali (Bollati Boringhieri, To,ri.· no 1992). La sua è quindi manifestazione di un pensiero inquieto, ma rigoroso; ader'ente al presente,. ma attento a definirne la genealogia. O meglio, le genealogie. VI
Nella nostra intervista l'argomento è quello dell'i. , ,doè un argomento che per sua,,2!!~ili!dg:' re e Bauman non si è sottratto scommessa, in primo luogo, a compiere un doppio salto mortale: ha riletto., doè, la storia della moderna sociologìaalla luce proprio gs:ll':~§~çA ~t?!!~~~,~SU!~!,U~~J!1~_a~dld)J!l:jJk»~i!ÀP~ll~~&k~-
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da» si è proiettati in un mondo dove tutto è sfuggente e le ansie, ì dolori, i sentimenti di insicurezza provocati dal <
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logià SOCiare;llri:lartativa.. Non c'è quindi da meraviglìarsi se 1 aocumentl. su cm Si Cimenta la sua propensione a operare «cortocircuiti» tra cultura di massa e cultura «alta» sono articoli apparsi, headli'nes pubblicitari e la riflessione filosofica di Soren Kierkegaard sulla figura di Don Giovanni. ~&:;'""4>P.~~~fi5t~,*M~~Cr;:;W4;$@
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Uno :stage di un anno alla London School of EcoBauman non ama molto parlare della sua vita, ma qualche dato della sua biografia può essere utile per ~/ OC)mìlCS, molte conferenze in quasLtutte le grandi universil:à europee.. Questo fino ~:Ù>~19~". che deve essere comprendere l'andamento della s~a riflessione. CQIIS1dterato un llinno q.jksv:dtà:~;~tl&,mta",aSQlidal~ Zygmunt Bauman è nato Pol()nia da unafamiglia eQrea. Fuggito in Unione Sovietica all'inizio della Seco~da guerra mondiale, ha fatto parte dell'eserdto polacco che ha combattuto le armate naziste a fianco dell'Armata rossa. Nel libro Sodetà, etica, politica (Raffaello Cortina, Milano 2002) racconta che il ritorno a Varsavia ha stato impedIto l'insegnamento, coinciso con gli studi e la laurea in Sodologiae che i Zygmunt Blliuman si è quindi trasferito in Inghilterra, suoi primi «maestri» sono stati Stanislaw Ossowski e JuIian Hochefeld, due int,ellettuali polacchi poco codove tutt'ora vive.. In quasi tutti i suoi libri, e particolare in Modernità e Olocausto (TI Mulino, nosduti fuori dalla Polonia, ma fondamentali nella sua Eormazione intellettuale, in primo luogo per averBologna 1992),. esprime gratitudine infinita a Janina, compagna di vita a cui è legato da un forgli trasmesso quella capacità di guardare in «faccia il mondo» senza fare leva su ideologie precostituite. sodalIZIO sentìmentale e intellettuale. È lei forse Diventato una delle figure di rilievo della «scuola delle figure intellettuali più importanti nella risodologica» di Varsavia, Bauman, se interrogato, deflessione di Bauman sulla «modernità solida» prìm.a scrive i duri anni Cinquanta e Sessanta senza nessun «modernità liquida» dopo. rancore veliSO chi osteggiava iI suo lavoro. Anzi, usa Llli sua permanenza in Inghilterra ha coinciso con una sottUe ironia per paragonare la difficile libertà ac" un'intensa fertilità intellettullJ1e. Di alcuni testi si è già fatto cenno.. M.a è indubbio che a partire dalle Sfide cademica nella Polonia con il conformismo dell'accademiaeuropea o statunitense. Ha altresì parole dideltetica (F'eltrinelli, Milano 1996), Bauman si è concentrato§;qpral:Ultto..sull:~i ... .. .. . scret,e sul suo ruolo nell'«Ottohre polacco» deI 1956, quando prese parte a queI forte movimento riforma" fenomeno tore che contestava il ruolo guida dei Poupa! potere questo assune la sottomissione del suo paese ai volere di Mosca. Un'esperi,enza, quella, che ha segnato Bauman, in to sodologia europea,. nonché doparticolar modo per la «resa dei conti» con l'ideolocente all'Università di Leeds, è partito alla scoperta gia ufficiale- il marxismo sovietico - attraverso An" dei <
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tro la globalizzazione (Laterza, Roma-Bari 2001), Voglia di comunità (Laterza, Roma-Ban 2001), La società indzvidualizzata (li Mulino, Bologna 2002), Modernità liquida (Laterza, Roma-Bari 2002) e Ildi'sagio della postmodernità (Bruno Mondadori, Milano 2002) fanno quindi parte deI grande affresco di Bauman sulla globalizzazione, la quale viene considerata come un mutamento radicale e irreversibile. Una «grande trasformazione» che ha coinvolto gli ordinamenti statali, la condizione lavorativa, i rapporti interstatali, le soggettività collettive, il rapporto tra no e l'altro, la produzione culturale e la vita quotidiana di uomini e donne. Anche questo libro·intervista sull'identità può esconsiderato come un tassello di quell'affresco·. Parafrasando una delle risposte di Bauman si può afEermare c9:e.Ja,gl,:Ql:lW"~~~~ign~,*ngOs~J.U,;k~'~
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li!~, Va semmai considerato un processo, cosi come '~~p~ocesso va considerata la sua analisi e comprensione. E lo stesso si può dire per l'identità, quando si manifesta nella crisi del multiculturalismoe neI fondamentalismo islamico.; o quando internet facilita l'espressione di identità prèt-à-porter. O nella crisi dello stato sociale e la conseguent,e crescita del sentimento di insicurezza e di precarietà che questo comporta. O nel <
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zioni di ingiustizia e illibertà presenti nel mondo moderno. Ma
otrebbe sembrare una contraddizione, per qu,esto uomo mite e geloso della sua privacy. Ma è proprio la centralità che egli assegna all'.agorà, in quanto luogo priwegiato dove prendere la parola per criticare l'oramai dilagante privatizzazione della sfera pubblica, che lo rende uno dei critici più lucidi e disincantati dello «spirito deI tempo» imperante nella «modernità liquida».
Prologo
:Secondo l'antica usanza dell'Università Cado di Pradurante la cerimonia di conférimento delle lauree bnnnr:is causa viene suonato l'inno nazionale del pae" appartenenza del <
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;~~~;ìiiiit~~~~,Laggiù, però, in Gran Bretagna, io ero un un nuovo venuto , fino a non molto tempo fa un profugo da un paese straniero, un alieno. Poi sono diventato un cittadino britannico naturalizzato, ma quando sei un nuovo venuto puoi mai smettere di esserlo? Non avevo intenzione di passa" re per un inglese e né i miei studenti né i miei colleghi hanno mai avuto il minimo dubbio che fossi uno straniero, un polacco essere esatti.~~~oJ_~:9t.o
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nel. c()mplesso. sereni ed .amilchevoli. Avrei dovuto quiùdIIa"r s~:;~~~~- Fi~~opoi;ccò? Ma anche questa scelta non aveva molto fondamento: trent'anni e passa prima d~Ua cerimonia di Praga ero stato privato della dttadinanza polacca... La mia esclusione era stata ufficial,e, awiata e confermata da quel potere che aveva la facoltà di distinguere il «dentro» dal «fuori», chi apparteneva da chI no: pertanto il diritto all'inno nazionale polacco non mi competeva più... J.anma, lacomnap:lJ.a. deUa .]pia vita e una pe.rsona "f't%iiiil'i[i$lliJiii:±--">""C'-~'>:----;;'-":_-'"--';'#&~"'":qj;(*",;;;;,,;~:r-2t±:~7;~5:~-~:':-';-:;<:,"~>:,,~-;,:0";p _ che ragIonato molto sulle trappole e le tribolazioni dell'identità (d'altronde, è autrice di un libro dal titolo ha trovato la solu· zione: non suonare europeo? Effettivamente, perché no? ~~J(). ~LQJ:.~ i:Jl~~B'~,~~e~: ero nato in Europa, VIvevo itiEUr0i5à:;;l~;~~a;o'fu 'Europa, pensavo euro· peo, mI sentivo europeo; e soprattutto, a tutt'oggi non esiste un ufficio passaporti europeo con l'autorità di emettere o rifiutare un «passaporto europeo», e perciò dI conferire o negare il nostro diritto a chiamarci europei. La nostra decisione di chiedere che venisse suonato l'inno europeo era al tempo stesso «inclusiva» ed «esclusiva» .... Alludeva a un'entità che includeva i due punti di rifierimento alternativi della mia identità, ma contemporaneamente annullava, come meno rilevanti o irrilevanti, le differenze tra di essi e perciò anche una possibile «scissione dI identità». Rimuoveva la questione di un'identità defmIta m termini di nazionalità, quel tipo di identità che mi era stata resa inaccessIbile. Anche gli struggenti versi dell'mno europeo con1tribuIvano allo scopo: alle Menscben wer-
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den Bruder... L'immagin~di «fratellanza» è la sintesi
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~,.s~p?Jt!Jri. mftinseP'~I!Xil.bili,j.n,di12'endenti m,ILMpitL
~cVi racconto questo piccolo episodio perché contiene, in nuce, molti dei fastidiosI dilemmi e delle ossessionanti scehe che tendono a fare dell'<<Ìdentità» una questione di gravi preoccupazionI e accese controversIe. ChI cerca un'identità si trova invariabilmente di fronte allo scoraggiante compito di
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devono fare paragoni, fare soeb:e, farle ripetutamente,. rivedere le scelte faue in altre occasioni, cercare di conciliare esigenze contraddìttorie e spesso incompatibili... Julian Tuwim, grande poeta polacco di origine ebraica, è famoso per aver detto che il fatto che odiasse gli antisemiti polacchi più degli antisemiti di qualsiasi altra parte del mondo era la prova migliore del suo essere polacco (suppongo che il mio essere ebreo sia ·conférmato dal fatto che le iniquità israeliane mi addolorano più delle atrocità commesse da alri paesi.....). Si diventa consapevoli che r$S:iD.n~rte 'za.» e !',~!1~!~!~~.~l.!2:!!c",§.QI]9~§,ç2~~1~!!occia, ~i~içlfi~l~",gJl.,Jl"~~il,,,~~she sono 1ll larga misura negoziabili e revocabil'i';e che i fattori cruciali per entrambe sono le proprie decisioni, i passi che si intraprendono, il modo in cui si agisce e la determinazione a tener tede a tutto ciò. In altr,e parole, alla gent,e non viene in mente di «avere un'identità» fintanto che il suo destino rimane un destino di «apparten,enza», una condizione senza alternative.. Forse costoro cominceranno a concepire questo pensiero solo nella forma di un compito da portare a termine, e da eseguire regolarmente e ripetutamente piuttosto che una tantum. Non rkordo di aver dedicato molta attenzione alla questione della mia «identìtà»,almeno per il suo aspetto nazionale, prima del brutale risveglio dd marzo 1968 quando il mio essere polacco venne messo pubblicamente in dubbio. Credo che fmo a quel momento mi aspettassi,. prosaicamente ,e senza alcun calcolo né esame di coscienza, di lasciate l'UniViersità di Varsavia per andare in pensione quando sarebbe giunto il momento, ed essete seppeUito, quando sa6
rebbe giunto il momento, in uno dei cimiteri di Varsavia. Dal marz,o· 1968 in poi, però, tutti si aspettano da me che io mi autodefinisca, e danno per scontato che abbia una visione ponderata, auentamente equi" librata, acutamente argomentata della mia identità. Perché? Perché una volta messo in movimento, strappato a tutto quello che poteva passare per il mio «habitat naturale», non c'era nessun posto che mi corrispondesse, come si dice, al cento per cento. In qualsiasi posto, ero - dove leggermente, dove in maniera più sensibile- «fuori posto». È accaduto,. dunque,. che nd grappolo di problemi chiamato «la mia identità», la nazionalità si è trovata a rivestire un ruolo di particolare importanza: condivido questo fato con i milioni di rifugiati e di migranti che il nostro mondo in rapida globalizzazione produce a ritmo sempre più. veloce. Tuttavia scoprire che l'identità è un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica è una caratteristica che condivido con un numero molto maggiore di perso" n.e,. praticamente con tutti gli uomini e le donne dell'era della «modernità liquida». Le peculiarità della mia biografia hanno semplicemente drammatizzato e messa bene in vista quel genere di condizione oggi piuttosto dìffuso e in via quasi universale. Nella nostra epoca il intorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati,. mentre le nostre vite indivisono frammentate in una successione di episocollegati fra loro. Pochi tra noi, per non dire nessuno, possono evitare di passare attraverso più di vera o pr,esunta, ben integrata o effimera, «comunità di idee e principi»; perciò la maggior parte 7
di noi ha difficoltà a risolvere (per dirla con Pau!: Ricoeur) il problema della mèmeté (1a coerenza e la continuità della nostra identità nel tempo). Pochi tra noi, per non dire nessuno, sono in contatto con solo una «comunità di idee e principi» per volta, e perciò la maggior pa.rte di noi ha un'analoga difficoltà col probJ,ema della ipséité (la coerenza di tutto ciò che ci distingue come persone). La mia collega e amica Agnes Heller, la cui biografia è piuttosto simile alla mia, si lamentava una volta che essendo donna, ungherese, ebrea, americana, filosofa, era oberata di troppe identità per una persona sola. Beh, avrebbe potuto tranquillamente allungare la lista, ma gli scherni ,di riferimento elencati erano già abbastanza numerosi da dimostrare l'impressionante complessità dei compito. Trovarsi in ogni luogo del tutto o in parte <
varsela in una condizione cosÌl manifestamente arobivalente, meno amminati e pungenti si faranno gli spigoli, meno soverchianti le sfide e meno in.crescioeffetti Si può perfino cominciare a sentirsi dappertutto chez mi, «a casa», ma il prezzo da pagare è acoettare che in nessun posto ci si sentirà pienamente e veramente a casa. Si può aver fastidio di tutti questi disagi e cercare isperando contro ogni speranza) una redenzione o 311una tregua in un sogno di app.artenenza. Ma si può anche tirar fuori, dal proprio destino di non scelta, una vocazione, una missione, un destino scelto coscientemente: ,e farlo a maggior ragione per i benefidche una decisione del genere può portare a chi l'assume e la porta fino in fondo, e per i probabili beneficiche può apportare agli altri intomo a sé. È famosa la dicmarazionedi: Ludwig Wittgenstein che i luoghi migliori per risolvere le questioni filosofiche sono le stazioni terroviarie (si ricordi che non aveva esperienza diretta di: aeroporti...).. Uno dei più grandi di una lunga serie di: raffinatissimi scrittori in lingua spagnola, Juan Goytisolo,che ha visa Parigi e negli Stati Uniti prima di stabilirsi in Marocèo, riassumeva la sua esperienza di vita nelche «l'intimità e la distanza creano situazione privilegiata. Sono entrambe necessaSecondo l'opinione comune, Jacques Derrida, dei più grandi filosofi della nostra epoca di modernità liquida, in perpetuo esilio fin da quando, ra;gazzino ebreo dodicenne, fu espulso da una locale francese per mano del governo di Vichy, ha costruito il suo imponente edificio filosofico SU «incroci culturali». George Steiner,. un acuto e brillan9
te critico cuIturale, ha definito Samue1 Beckett, Jorge Luis Borgese VIadimir Nabokov i più grandi scrittori contemporanei: dò che secondo lui univa questì tre autori, per il r:esto nettamente distinti, e li faceva torreggiare sopra tutti gli altri,. era che ognuno di loro si muoveva a proprio agio in numerosi, differenti univ,ersi linguistici.. Questo continuo attraversare i confini ha permesso loro di esplorare !'inventività e l'ingegno dell'uomo dietro alle solenni e imponenti facciate di credenze apparentemente invincibili e senza tempo,. dando così loro il coraggio necessario per partedpare consapevolmente alla creazione cuIturale,. consci dei rischi e dei trabocchetti di cui, com'è risaputo, le distese sconfinate son piene. Di Georg Simmel, da cui ho imparato molto di più che da qualsiasi altro sociologo e il cui modo di fare sociologia è stato finora (.e, credo, rimarrà fino alla fine) per me l'ideale massimo (benché, ahimè, Ì!raggiungibile), Kracauer dice, a ragione, che uno degli scopi fondamentali che hanno guidato il lavoro di tutta la sua vita è stato quello di <Jiberare ogni fenomeno geistig (spirituale, intellettuale) della sua falsa autosufficienza e mostrarlo incastonato nel più ampio contesto della vita.». Al centro della visione di Simmel, e perciò del suo mondo e della sua visione del proprio posto in quel mondo, c'è sempre l'individuo umano, «considerato come portatore di cultura e come un maturo essere geistig (spirituale, intellettuale), che agisce e giudica nel pieno controllo dei poteri della sua anima e collegato con gli altri esseri umani in un'azione e un sentimento collettivi».. Se continuerete a esortarmi a ,dichiarare la mia idenlO
tità (vale a dire il mio «io presunto», l'orizzonte verso cui tendo e in base a cui valuto, censuro ecorreggo le mie mosse), sappiate che questo è il punto massimo a cui potete spingermi. Di più non posso aVVIcmarmI... 4'
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L'IDENTITÀ COME PROBLEMA
D. Nell'immaginario sociologico, l'identità è sempre qualcosa di evasivo e sfuggente, quasi un apriori. In Émile Durkheim, ad esempio, le identità collettive restano sempre sullo sfondo, ma indubbl'amente nel suo libro più famoso, La divisione del lavoro sociale,. la divisione del lavoro è un fattore contraddittorio. Da un lato mette a rischio i legami sociali, ma al tempo stesso agisce come fattore di stabib'zzazione nella transizione che prepara la creazione di un nuovo ordine sociale. Tuttavia, questo quadro anab'tico, l'identità èda considerarsi Jt11 gj?!:~Atll~!Q.k,U1J,B,,.l~~,·pim"'(}s~~"i!~e'~ jaltflt~,ll'~l,jr.cJj"rJi/;Jtl#.~.lUj'1t è la Sua opinione? R.
La stessa Sua. Sì, in effetti, la «identità» ci si rivela unicament,e come qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un «obiettivo», qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare fra offerte alternative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora, anche se questo status precario e perennemente incompleto dell'identità è una verità che, se si vuole che la lotta vada a buon 13
fine, dev'essere- e tende a essere- soppressa e laboriosamente occultata. Oggi questa verità è più difficile da nascondere di quanto non lo fosse al principio deli'età moderna.. Le entità più determinate a realizzare tale occultamento hanno perso interesse; hanno abbandonato il campo di battaglia e sono fin troppo felici di lasciare a noi, singoli uomini e donne, la fastidiosa incombenza di trovare e costruire un'identità, e di realizzare questo compito singolarmente o a piccoli gruppi, piuttosto che congiuntamente... La fragilità e lo statusdi perenne provvisorietà dell'identità non possono più essere celati.. n segreto èdi dominio pubblico. Ma que" sto è uno sviluppo nuovo, abbastanza recente. Mi domando perciò se sia giusto chiedere ai padri spirituali della sociologia,che si tratti di Weher o di Durkhdm, o anche di Simmel (quello, tra tutti loro, che ha saputo vedere più in là,amicipare i tempi futuri), indicazioni su cosa e come pensareriguardo a una questione che è entrata di prepotenza e si è installata stabilmente nellanostta coscienza comune molto tempo dopo la loro morte... 'tutti loto erano impegnati a dialogare con i problemi, l,e preoccupazioni e le inquietudini degli uomini e, delle donne della loro epoca (e nella profondità, scrupolosità e dedizione di questo imp'~gno sta la loro autentica grandezza e il loro più importante lascito per la sodologia posteriore): tra queste inquietudini l'identità non figurava. Suppongo che se avessero potuto rivolgere il loro sguardo, così acuto e penetrante su tutte le grandi questioni della loro epoca, sul tipo di società che sarebbe sorto quasi un secolo dopo .~ la nostra società - avrebbero considerato il 14
subitaneo apparire del «problema dell'identità» nei dibattiti specializzati e nella coscienza comune un rompicapo sociologico tra i più inttiganti.. E un rompicapo, nonché una sfida per la sociolo è davvero: basti pensare che ancora pochi fa l'«identità» non era neanche lontanaal centro dei nostri pensieri, non ,era altro che di meditazione filosofica. 1'identità in sé e per sé, sa.rebbe fascinazione repentina per l'identità che avrebbe attirato l'attenzione dei classici, se essi avesvissuto abbastanza a lungo da confrontarcisi. Avrebbero probabilmente preso spunto dall'affermazione di Martin Heidegger (non erano già più tra noi quando il filosofo tedesco la enunciò): ci si accorge delle cose, ponendole sotto la lente della contemplazione, quando esse svaniscono, vanno in rovina,. iniziano a comportarsi stranamente o ti deludono qualche altro modo.... Poco prima dello scoppio dell'ultima guerra mondiale,. nel mio paese natale, la Polonia, venne condotto uncensimemo della popolazione. La Polonia era allora una società multietnica. Alcune zone del paese erano popolate da un insolito amalgama di gruppi ,etnici,. fedi religiose, lingue e costumi. L'o" biettivo di riplasmare questo amalgama con conversioni e assimilazioni forzate allo scopo di ottener'e una nazione omogenea o quasi, sulla'falsariga, diciamo, del modello francese, era forse perseguito con forza da una parte della élite politica, ma era ben lontano dall'essere universalmente accettato e dalqUt:liLI:l
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l'essere ricercato ìn maniera coerente, un progetto lontanissmo dal compimento. Come normale in uno Stato moderno, gli addetti al censimento erano stati tuttavia addestrati a pensare che ad ogni uomo o donna censiti dovesse corrispondere una nazione di appartenenza. Furono date loro istruzioni di chiedere a ogni suddito dello Stato polacco di dichiarare la propria appartenenza nazionale (oggi si direbbe: la propria «identità etnica o nazionale»). In circa un milione di casi i rilevatori del censimento non riuscirono a ottenere risposta su questo punto:l~l gente da loro int,errogata semplicemente non riusdva ad afferrare il significato di paro" le come «nazione»· e «avere una nazionalità». Nono" stante la pressione esercitata (le minacce e uno sforzo dawero titanico per spiegare il significato di «nazionalità») i cittadini censiti continuavano ostinatamente a dare le sole risposte che per loro avevano un senso: «siamo locali», «siamo di questo posto»,. «siamo di qui», «questa è la nostra terra». Alla fine i r'esponsabili del censimento dovettero arrendersi e aggiungere la voce «locali» alla lista ufficiale delle nazionalità... Polonia non era certo un caso unico, né sarebbe stato l'ultimo casO del genere. Non molti anni dopo, un ricercatore francese. dimostrò che, dopo due s,ecoli di accanito nation-building, per molti francesi della campagna le pays aveva un diametro che non superava i venti chilometri, cinque più cinque meno... Come ha sottolineato recentemente Philippe Robett2 ,«per la maggior parte della storia delle società umane, le relazioni sociali sono rimaste saldamente rinchiuse nell'ambito della prossmità»..
Ricordiamo che, per andare da Parigi a Marsiglia, nel XVIII secolo si impiegava lo st,esso tempo che durante l'Impero Romano. Per la maggior parte delle persone, la «società» in quanto «Wtalità» suprema della coabitazione umana (sempre che pensassero in questi termini), coincideva con il proprio immediato circondario. «Si potrebbe parlare di una società di conoscenza r,eciproca», suggerisoe Robert. 411'i11:,,_ terg9cli gJ1l::!ì.ta.tetedifamilia ti tàdaJ.la;culla...allaJl&. "ti~jl ..p~;QCC.uparo ..~a.eia;s€I:}n€};'j€H!a .. tfGppGeuid~~~.... P~t ....e!ìserevalutata,.• taJJtnm€\lIW.0k.negDziato.. (2l.lalsiasi situazione di incertezza al riguardo (come nel caso dei relativamente pochi «senza padrone» che vagavano per le strade, anch'esse senza padrone, non avendo trovato che vivere nella loro co" munità natale) non era che un fenomeno marginale e un problema minore,. facilmente affrontato e risolto con misure ad hoc come la marécbaussée, la prima forza di polizia della storia occidentale. Ci san volute la l,enta disintegrazione e r affievolirsi deUa tenuta delle comunità locali, sommati alla rivoluzione dei trasporti, per spianare il terreno alla nascita dell'identità: come problema e, principalmente, come compito. I margini si sono rapidamente allargati, fino a invader,e le aree che rappresentano il cuor,e della coabitazione umana. D'improwiso si poneva la necessità di pone la questione dell'identità, perché non c'era nessuna risposta ovvia a disposizione.. li nascente Stato moderno, messo di fronte all'esigenza di creare un ordine che non veniva più automaticamente rigenerato all'interno delle ben radicatee strettamente intrecciate «società di familiarità
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redproca», ha posto tale questione a fondamento delle sue nuove ,e inusuali rivendicazioni di legittimità. Sembrava naturale supporre che la migliore risposta alla rapida espansione del «problema dell'identità» dovesse essere un'analoga espansione delle attività di controllo dell'ordine come quelle messe in atto e collaudate dalla maréchaussée., Lo Stato-nazione, come ha osservato Giorgio Agamben, era uno Stato che faceva della «natività della nasdta» il «fonda-. mento della propria sovranità». «La finzione qui implicita», evidenzia Agamben, «è che la 'nascita' diventi immediatamente 'nazione', in modo che non possa esserci alcuno SCarto fra i due momenti»3. Gli sventurati individui oggetto del censimento polacco semplicemente non etano riusciti ad assorbire questa finzione .come una lampante «realtà di fatto». Rimanevano esterrefatti a sentire che si doveva avere un'«identità nazionale» e si poteva ess,ere interrogati su quale tosse questa nazionalità. Non è ,che fossero persone particolarmente ottuse e prive di immaginazione... Dopo tutto, cruedere«chi sei tu» ha senso solo se tu sai di poter essere qualcosa di diverso da ciò che sei; ha senso solo se hai una ,scelta, e se cosa scegliere dipende da te; ha senso, ;l;cioè, solo se tu devi fare qualcosa per consolidare e 'rendere «reaIe» la scelta. Ma è precisamente dò che 'non succede ai residenti dei villaggi più isolati e degli Ifnsediamenti nelle foreste, che non hanno mai avuto l'neanche occasione di pensare di trasferirsi in altri i1uoghi, tantomeno di cercare, s.coprire o inventare ~ima cosa così nebtÙosa (anzi, così im-pensabile) coIne <
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mondo spogliava la questione dell'«identìtà» del significato che altri modi di vita (che le nostre usanze linguistiche ci spingono a chiamare «moderni») ren" devano evidente. }orge Luis Borges avrebbe descritto la situazione dei «locali» molestati come un caso di persone cui viene imposto un compito «che non è vietato agli altri», ma a loro soltanto, come accadde ad Averroè quando si sforzava di tradurre Aristotele in arabo. «Chiuso nell'ambito dell'islam», e cercando di «immaginare che cos'è un dramma senza sapere che cos'è un teatro», Av,erroè «non poté mai sapere il signie commedia»4. ficato di
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Identità può entrare nella Lebenswelt solo come compito, come un ciJmpitoancora non realizzato, non compiuto, come un appello, come un dovere e un in19
citamentoad agire: e il nascente Stato moderno ha fatto tutto il necessario per render,e obbligatorio tale compito nell'ambito della sua sovranità territoriale. L'.id~ntitàJ}at:a~çQ:me fin;Zi()ne.av~va:J:~~gtlQ..d.L un g!!'!n dispiegaI1l.'~QLQ-gLfQirg~iQBi"e~c9nYiQçimento p~r irrobl1siir$ie,'cQa~LinJJni!ci~itt[,(più correttamente: nella sola realtà pensabile); e c!lt1l~:::t..,~tortl! della nascita e m,atutazione.deUoStatomodemo Questi~,~~~~~. La finzione della «natività della nascita» ha svolto il ruolo di protagonista tra le formule messe in campo dal nascente Stato moderno per legittimate la propria richiesta di subordinazione incondizionata dei suoi sudditi (aspetto in certo qual modo" e curiosamente, trascurato da Max Weber nella sua tipologia delle legittimazioni). Stato e nazione avevano bisogno l'uno dell'altra, almo matrimonio" si è tentati di dire,. era stato contratto in paradiso..... Lo Stato cercava l'ubbidienza dei suoi sudditi rappresentandosi come a compimento dci destino della nazione e una garanzia della sua continuazione, Dall'altro lato, una nazione senza uno Stato sarebbe stata destinata a essere dubbiosa dd suo passato, insicura nd suo presente e incerta dd suo futuro, e perciò fatalmente condannata a un'esistenza precaria.t:lQ!!,J2~~S~~~0 'P~! . .~.,R()t~r~~st~U.9~Sl~ltQ . .di,deHn.j re"classifiQ:U;~s.e" 'g{,~ga.r~".~eParare . .e•. .$ele;ziQ!!f!!:~I,çtiffiçJlme!lteJ~i!~.I:'e 'gato di tradizioni locali, dialetti, l~gg!SQ!t§Yety,diua" rIe'eill§2I?f[ffi~,sr'"~are1:)f):~~éò~t~~~elJle.rifQr grato)~"gil,~f2~a' JGig;TIe alla.neè~s~iiayiiitàe",~~~e-
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l~~e lo Stato ,era il compimento del destino
della na" zione,. era anche una condizione necessaria per l'esi" 20
di una nazione che riv,endicava - con clamore, za ed efficacia - un destino comune. La rego:':;) re.gio, eius natio funzionava in doppia dire'«identità nazionale» fu fin dal principio, ed è rià per lung:a t'empo, un concetto agonistico e un di battaglia. La sovrapposizione della comu~ nazionale coesa con l'aggregato di sudditi dello o era destinata a .rimanere non soltanto eternamente incompiuta, ma anche perennemente precaprogetto, che richiedeva una v~gilanza contiuno sforzo gigantesco e l'impiego di una granforza per far sì che tale richiesta fosse ascoltata e in atto (Ernest Renanchiamava la nazione pl.ebiscito quotidiano», nonostante parlasse ddl'espe.rienza dello Stato francese, famoso almeno fin dall'epoca napoleonica per le sue ambizioni tipicamente centraustkhe). Nessuna di queste condizioni si sarebbe potuta soddisfare in mancahza della coincidenza tra il territorio di residenza e l'indivisa sovranità dello Stato, che consiste anzitutto, come suggerisce Agamben rifacendosi a Carl Schmitt, nd potere di esenzione. La sua ragion d'essere stava nel tracciare, irrigidire e sorvegliare il ·confine tra «noi» e <40ro». L' «appartenenza» avrebbe perso a suo smalto e il suo potere seduttivo insieme con la sua funzione di integrazione!disciplina, se non fosse stata fortemente selettiva e non fosse stata costantemente rimpolpata e rinvigo.rita dalla minaccia e dalla pratica dell'esclusione. "'di . , . l ," 1_ l L.•. 1'~Il:tIt~ . . 11I}:{'~Q114 .e.. JUQJIl,e."mal.stata,eome~,a,l,tre • i~~~ Diver~~mente da altre identità che non ridÌledono una devozione senza ris,erve e una fedeltà 21
esclusiva, 1~.id~ntil~~~110uticonoscf ~:~"~~";,~"",~,,,,
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r~~~~~QsiiiQQe.L'identi
~e accuratamente costruita dallo Stato e
agenzie (o da «governi ombra» o «governi in nel caso di aspiranti nazioni, «nazioni in spe» limitano a invocare a gran voce uno Stato mll'ava al di
Così come le leggi Stato prevalso sopra tutte le altreforme consuetuelinarie di giustizia e le hanno rese nulle in caso ,eli contrasto, 1'identità nazionale consente o tollera l'esistenza eli simili altre identità solo fintanto che quest,e non suscitino il sospetto di essere in contrasto (in linea di principio o in situazioni concrete) con l'incondizionata priorità della lealtà nazionale. L'unico attrihutoconfermato dall'autorità sulle carte d'identità e sui passaporti era quello di sudelito di uno Stato. Altre identità «minori» venivano incoraggiate eia obbligate a ricercare il rkonoscimento e la conseguente protezione da part,e di uffici statali autorizzati - e a confermare così indirettamente la superiorità dell'«identità nazionale»-attraverso statuti professionali reali o nazionali, diplomi di Stato eoertificati sanzionati dallo Stato. Chiunque tu fossi o aspirassi a diventare, erano le
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ricmeste era un riflesso dell'en!i.tl,culrablile precarietà dell'opera dicostrunazione. Mi si consenta di riba«naturalezza» del presupposto che «l'apparper effetto della nascita» significasse, autoLcmmelnte e inequivocabilmente, appartenenza a inazione, fu una convenzione laborioslUDente col'apparenza della «naturalezza» 'tUtto poteva fuorché «naturale». A differenza delle <<:m.inis'o,deità di familiarità reciproca», quei luoghi dove la !fi1ag~;'or parte degli uomini e delle donne delle epopremoderne e pre-mobilità passavano l'intera 10dalla culla alla tomba, la <
:> era un'enimmaginata, che poté entrare nella Lebenswelt attraverso la mediazione dell'artificio di un conceUo. L'apparenza di naturalezza, e pertanto anche la credibilità dell'asserita appartenenza, poté essere solo il.prodono finale di lunghe battaglie passate; e la sua perpetuazione non sarebbe stata possibile se non attraverso le battaglie future. In Italia dovreste saperlo fin troppo bene... A un secolo e mezzo dalla vittoria del Risorgimento, lia.. a 11lalalJe?alJ~()Ai!~!~!12~~§~..~fln.JJJ1~,diDgu~uwi cìié··llna~~·iJ1te~r:àìiQ~inl;e'l:essLlocali Di
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:~~~~.~~~;f;~~~~J~;;~;;~;~~f:~~~(~Sch~.wartz,
più che che la totalità è maggiore della somma delle sue parti (come insisteva Durkheim,. confidando nel potere dello Stato di realizzare le proprie aIn23
bizioni), bisognerebbe dire che «l'insieme immagina· to è in realtà più fittizio della somma delle sue com· ponenti»5.
n.
Nel saggio di Georg Simmel sulle forme di vita nelle metropoli e sul conflitto nella società moderna,. Fiden#tà è menzionata precisamente come un'espressione di istituzioni quali la Famiglia). lo Stato) la Chie· sa,. che costituiscono) secondo il sociologo tedemoj gli aprz;ori della vita sociale. In questo caso, gli elementi delFidentità sono disintegrati dalla moderna società di massa. Da qui, !'interesse di Simmel per le forme divi· ta emerse dalla dissoluzione degli ordini costituiti.. Ma anche questo caso) come è per Durkheim, l'identità è un elemento minore nell'analisi della realtà. Non è d)accodo? R. Ripeto quanto osservato prima: d sono r~gioni serie per non cercare risposte ai nostri «problemi di identità» nelle opere dei padri tondatori. Nemmeno nell'opera di Georg Simmel, che per via delle peculiarità della sua biografia ha potuto intravedere e assapor.are quel genere di condizione esistenziale che solo molto più tardi sarebbe diventato il destino croce o delizia- di tutti. La principale ragione per cui i fondatori della so· ciologia moderna non sono in grado di rispondere al· le questioni poste dalla nostra situazione attuale sta nel fatto che,. Se cento o più anni fa era il principio cuius regio, eius natio a dar forma al «problema dell'identità»., oggi al contrario i «problemi di identità» nascono dall'abbandono di quel principio o dall'esi24
tazione con cui è stato applicato e dall'inefficacia con cui lo si è sostenuto,. quando si è tentato di farlo. Dal momento che l'identità perde i suoi ancoraggi sociali che la fanno apparire «naturale», ptedeterminata e non negoziabile, .. .• .r.. ". iù ir ~ ~~~~
me SI esprnne Lars l'esperienza scandinava: no meno assIste a un forte desiderio e a di trovare o fondare nuovi gruppi che possano dare ai membri un senso di appartenenza e facilitare la fabbrkazione di un'identità. Ne deriva un crescente sentimento di inskurezzé.
SI
C'è un puntO che vorrei sottolineare già adesso (sperando di avere successivamente occasione per discuterlo più approfonditamente, come merita), e doè c!ltLS!J1JIPi5;~.• gli individui privati r1o ;"."",..1..' ,..1, ,.;. ferlmentotni'Oiz , In cui è facile entrare e che è facile abbandonare. Un surrogato assai mediocre di quelle forme di sociali· tà solide (,e che pretendevano di essere ancora più solide) che proprio grazie a questa loro solidità vera o presunta potevano promeuere quel rassicurante (benché ingannevole e fraudolento) «sentimento di 25
un noi» che la «navigazione su internet» non può offrire. Per citare CIifford Stoll, un internet-dipendente dichiarato, ora guarit07 : preoccupati come siamo di cogliere al volo le offerte «iscriviti subito!» che lampeggiano ammiccanti sul nostro schermo, stiamo perdendo la capacità di interagire spontaneamente con la gent,e reale. Charles Handy, un teorico del management, concorda8 : «potranno anche essere divertenti, queste comunità virtuali,. ma esse creano soltanto un'illusione di intimità e una finzione di comunità». Non sono validi sostituti deI «sedersi insi,eme intorno a un tavolo, guardarsi in faccia e avere una conversazione reale». Né sono in grado, queste «comunità virtuali», di dare sostanza all'identità personale, 131 ragione primaria per cui le si cerca. Rendono semmai più difficile di quanto già non sia accordarsi con se stessi. Per usare le parole del professore di pedagogia Andy Hargr,eaves, analista e osservatore straordinariamente percettivo della scena culturale contemporanea9 , negli aeroporti e in altri spazipuhblid gli individui col telefono cellulare e l'auricolare camminano qua e là, parlando ad alta voce da soli, come schizofrenici paranoici, incuranti di ciò che sta loro intorno. L'introspezione è un'attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro.
I/ldneurs citl:adini di Georg SimmeI erano famosi per il loro atteggiamento hlosé. Ma non portavano c~llularee auricolari. Erano magari,. proprio come noi ora, avidi spettatori dei drammi rappresentati sulle strade urbane, ma visitavano queI teatro senza mai unirsi alla sua compagnia. Prendevano le distanze da ciò che vedevano ,e osservavano. Non era però semplice mantenere la distanza dal palcosoenico: la prossimità fisica poteva facilmente venir ·confusa con una vicinanza spirituale. Erving Goffman cercò di compilare un inventario degli stratagemmi della «disattenzione civile», quella moltitudine di gesti e movimenti deI corpo impercettibili, insignificanti eppure complessi, cui ognuno di noi fa concretamente ricorso ogniqualvolta ci troviamo fra estranei, e che segnalano la nostra intenzione di rimanere distaccati, non esser coinvolti, starcene tranquilli e riservati. I flaneurJ urban.i di Simmel, e successivamente quelli di Baudelaire/Foucault, e i praticanti dell'arte della disattenzione civile di Goffman non percorrevano le strade delle città alla ricerca di una comunità con cui potersi identificave. Cercavano piuttosto una pubbIica incarnazione dell'identità, qualcuno che «avesse bisogno e desiderio di loro», e di cui essi avessero a loro volta bisogno e desiderio, che fosse lì ad attendedi, più o meno «pronto in tavola»,. più o meno «chiavi in mano», nascosto nella confortevole sicurezza delle case o dei luoghi di lavoro. È in questo che noi, abitanti del mondo della mo· dernità liquida, differiamo. I riferimenti comuni delle nostre identità noi li inseguiamo, li costruiamo 'e Ii teniamo insieme mentre siamo movimento, sforzandod ,di tenere il passo di quei gruppi, anch'essi
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mobili, anch'essi in rapido movimento, che ricerchiamo, che costruiamo e che cerchiamo di tenere in vita ancora per un momento., ma non molto di più.. Per fare dò, non abbiamo bisogno di studiare e padroneggiare il codice di Goffman.. Ci penseranno i telefoni cellulari. Possiamo comprarli in un negozio di una via commerciale, completi di tutte le funzioni che possono servire allo scopo. Con le cuffie auricolari saldamen1te agganciate, ostentiamo il nostro distacco dalla strada in cui stiamo camminando,. senza più bisogno di ricorrere a un'elaborata etichetta. Quando actendiamo iI cellulare, spengiamo la strada. La vicinanza fisica non è più in contrasto con la 10n1tananza spirituale.. Col mondo che corre ad alta velocità e in crescente accelerazione, non si può più fare affidamento su schemi di riferimento che si pretendono utili sulla base della loro presunta durata nel tempo (per non dire eternità!), Non sono più .affidabili, e per la verità non ce n'è più bisogno. Faticano ad assimilare contenuti nuovi.. Ben pr,esto si rivelerebbero troppo limitatie ingombranti per alloggiare tutte quelle nuove, inesplorate e non sperimentate identità, così allettanti e a portata di mano, ognuna delle quali offre benefici eccitanti perché inconsuetì, e promettenti perché ancora non screditati.. Gli schemi, rigidi e appiccicaticci come sono, hanno anche un altro difetto: è difficile ripulirli dei vecchi contenuti e sbarazzarsi di loro una volta scaduti. Nel mondo nuovo di opportunità fugaci e di fragili sicurezze, le identità vecchio srile, non negoziabili, sono semplicemente inadatte. La saggezza popolare si è accorta. in fretta di questa mutazione dei requisiti e non ha perso tempo a de-
rider,e la saggezza ricevuta, ormai manifestamente inadatta a soddisfarli. Nel 1994, un manifesto attaccato sui muri di Berlino sbeffeggiava la fedeltà a schemi che non erano più in grado di rispecchiarele realtà del mondo: «O tuo Cristo è un ebreo.. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. TI tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. TI tuo alfabeto latino. Sç!qjl tuç",,~~•.rw:.p...~!ran~ro»10. Nel periodo del nation-building in Polonia, si insegnava ai bambini a dare le seguenti risposte alle domande sull'identità: «Chi sei tu? Un piccolo polacco, Qual è il tuo segno? L'aquila bianca». Le risposte odierne, come suggerisce Monik:a Kostera, eminen1te sodologa della culmracontemporanea, sarebbero abhastanza diverse: «Chi sei tu? Un bell'uomo sui quarant'.anni, col senso dell'umorismo. Qual è il tuo segno? Gemelli»ll, TI manifesto di Berlino allude alla globalizzazione, men1tre il cambiamento della probabile risposta alla domanda «Chi sei tu?» segnala il tracollo della gerarchia (vera o presunta) delle identità. I due fenomeni sono strettam.ente collegati tra lClro. Globalizzazione significa che lo Stato non ha più il potere o la volontà per mantenere inespugnabile il suo matrimonio con la società. I flirt extraconiugali e perfino l'adulterio sono inevitabili e ammissibili, se non addirittura smaniosamente e appassionatamente procurati (per soddisfare le condizioni preliminari stabilite per essere ammessi nel «mondo libero» prima l'Ocse, poi l'Unione europea- i governi dell'Europa centro-orientale hanno aperto il patrimonio nazionale al capitale globale e hanno smantellato tul:te le barriere che ostacolavano il libero flusso della fì-
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nanza globale). Avendo ceduto ai mercati globali la maggioranza dei propri compiti ad alto impiego di lavoro e di capitale., gli Stati hanno molto minore necessità di far ricorso al fervore patriottico.. Perfino i sentimenti patriottici, il bene più gelosamente custodito dei moderni Stati-nazione, sono stati ceduti alle forze del mercato e da queste ridispiegati sul campo di battaglia pe.rrimpolpare i profitti degli organiz:zatori di manifestazioni sportive, spettacoli, celebrazioni di anniversari e altre commemorazioni pubbliche. Dal lato opposto,. i cercatori d'identità non possono attendersi né l'assicurazione né tantomeno garanzie a prova di bomba da poteri dello Stato provvisti ormai solo degli sparuti resti della loro un tempo indomita e indivisibile sovranità territoriale. Pensiamo alla famosa triade di dirìttidi Thomas Marshall: i diritti economici sono ormai fuori dal controllo dello Stato, i diritti politici che gli Stati possono offrire sono strettament'e limitati e compressi all'interno di quello che Pierre Bourdieu ha definito il pensiero unico del neoliberismo e del libero mercato senza alcuna r~gola, mentre i diritti sociali vengono rimpiazzati uno per uno dal dovere individuale di provvedere a se stessi ed essere sempre un passo avanti agli altri. E cosÌl entrambi i partner dello sposalizio Statonazione diventano sempre più tIepidi riguardo alla loro unione e con ritmo lento ma costante prendono la deriva verso il modello oggi di moda delle «coppie bifamiliari».. Non più controllate e protette, galvanizzate e invigorite da istituzioni che si vorrebbero monopolistiche, esposte anzi al libero gioco di forze competitive, tutte le gerarchie opecking orders di identità (e in par-
ticolare quelle gerarchie e pecking orders solide e durevoli) sono poco ricercate e difficili da costruire. Si sono dissolte, o hanno perso gran parte del loro passato potere di seduzione, le ragioni principali per cui le identità dovevano avere contorni chiari e privi di ambiguità (contorni chiari e inequivocabili come la sovranità di uno Stato sul proprio territorio) e mantenere nel tempo una stessa, riconoscibile forma. Le identità ormai svolazzano liberamente e sta ai singoli individui afferrarle al volo usando le propriecapadtà e i propri strumenti La voglia di identità nasce dal desiderio di skurezza, esso stesso un sentimento ambiguo. Per quanto esaltante possa essere sul breve periodo, per quanto colmo ,di promesse e vaghe premonizioni di esperienze ancora inedite, questo sentimento, lasciato libero di fluUuare all'interno di uno spazio dai contorni indefiniti, in un ambiente ostinatamente e fastidiosamente«né carne né pesce», diventa sul lungo periodo una condizione sfibrante e ansiogena. D'altra parte, una posizione fissa tra un'infinità di possibilità non è una prospettiva molto più allettante. Nella nostra epoca di modernità liquida in cui l'eroe popolare è l'individuo libero di fluttuar,e senza intralci, l'essere «fissati», «identificati» inflessibilmente e senza possibilità di ripensamento,diventa sempre più impopolare.. Nelle pagine della rubrica «Costume e società» di uno dei più prestigiosi quotidiani inglesi, qualche mese fa si potevano leggere le parole di un autorevole consulente «esperto di relazioni», che ci informava che «quando vi impegnate, anche se con riserva, ricordatevi che state probabilmente chiudendo la
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porta ad altre possibilità romantiche forse più soddisfacenti e appaganti». Un altro esperto è statoanco" ra più esplicito al riguardo: «Le promesse di impegno sono prive di senso sul lungo termine. [...] Al pari di altri inv,estimenti, toccano il culmine per poi declinare». E quindi, se volete «relazionarvi», se volete «appartenere» per sentirvi sicuri, mant'ene1te le distanze; se dallo stare insieme agli altri vi attendete e desiderate una realizzazione, hon prendete né chiedete impegni. Lasciat,e sempre aperte tutte le porte. L'abbondanza di impegni sul mercato, ma ancor più l'evidente fragilità di ognuno di essi,. non ispira" no fiducia e disponibilità per investimenti a lungo termine a livello di relazioni intime e personali. E non ispirano sicurezza e tranquillità neanche riguardo al posto di lavoro, il tradizionale luogo di definizione dello status sociale, quello tramite cui ancor oggi ci si guadagna da vivere e si conquista o si perde il diritto alla dignità personale e al rispetto sociale. In un recente articolo 12 , Richard Sennett mette in evidenza che «è improbabile che un posto di lavoro flessibile diventi un punto dove voler costruire un nido»; d'altronde, se si considera che la durata di un contratto di lavoro (un «progetto») nelle organizzazioni più avanzate e tecnologiche, come le aziende dell'ammiratissima Silicon Valley, è mediamente di otto mesi, quella solidarietà di gruppo che forniva terreno fertile per la democrazia non ha tempo per mettere radicie maturare. Non c'è ragione per attendersi che la lealtà verso il gruppo o l'organizzazione venga contraccambiata. E poco saggio (<
Riassumendo: «identificarsi con...» significa concedersi in ostaggio a un fato sconosciuto che non si può influenzare e ancor meno controllare. È forse più saggio, dunque, vestire un'identità come Richard Baxter, il predicatore puritano citato da Max: Weber, che raccomandava di vestire le ricchezze terrene, una mahtellina che si può togliere in qualsiasi momento?
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~lfl~~~a,.~~!~2~~~~,.~#lg~g,Jl,s~ ~Q.,~J;J.~It~f,Dil;l;k~l;l~{~m~~!,~~!o).p non sono disponibili o,quando lo sono, n0tl sonoat'-
qw nasce la crescente domanda per potrebbero essere chiamate se quelle cO~.~~~~S~e:J?~E~~~2-f!~.~ç~r~o, in apparèiiiài; quando si apne!lq()11.()~Ù!~~gfl!p12~j problemi indiViClilaii,Co~~clrèapportreTgi;c~~iii ,. .,.'" ,'"" '" ' ." quanao 51 va a teatro. L occaSIone puo essere formta da qualsiasi evento sdoccante o superpubblidzzato: un'eccitante partita di calcio, un crimine ingegnoso o efferato, o un matrimonio, un divorzio o altra sventura di una celehrità in quel momento alla ribalta. Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell'e meglio per la durata dello spettacolo e prontamente smantellate non appenagli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. TI loro vantaggio rispetto alla «roba autentica» sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici. Ma tra quest,e comunità e il calore sognato e la comunità solidale c'è la stessa differenza che corre tra le copie in serie in ~~~~~:~-i':;;t;~1t
vendita nei grandi magazzini e gli abiti originali dei grandi stilisti.. Quando la qualità è deludente o non èdìsponibile, si tende a cercare una comp,ensazione nella quantità. Se gli impegni, e quindi anche gli impegni nei confronti di qualunque identità spedfica, sono (come sosteneva autorevolmente l'esperto precedentemente citato) «privi di senso», batattare un'identità sola, scelta una volta per tutte, pet una «rete di connessioni» può apparire una soluzione invitante. Una volta effettuato questo baratto, però, assumersi un impegno e dargli stabilità appare persino più difficile (e dunque più sgradevole, addirittura spaventoso) di prima: ti mancano onnai le abilità necessatie per farlo funzionare, o chea1meno potrebbero farlo funzionare. Esser,e in movimento, un tempo un privilegio e una conquista, non è più una questione di scd" ta: ormai è diventato un must.. Mantenere la velodtà, un tempo un'esaltante avventura, si è trasformato in un'estenuantecorvée; e, più importante di tutto,. quella sgradevole incertezza e quella fastidiosa confusione, che speravi di esserti scrollato di dosso correndo veloce, rifiutano di andarsene. La facilità con cui ci si può liberare dell'impegno, mettervi fine a piacimento, non riduce i rischi: si limita a distribuirli in maniera div,ersa, insieme alle ansie che da essi nascono.
velli.~ consapevolezza differenti. In unarobiente di vita di modernità l1cmiri:.., lp j.ipntjt;;.~~~=T:T';:
D.. Nel corso dei primi vent'anni del XX secolo, {"analisi marxista delle classi sociali ha avuto un grande successo. Da Gyorgy Lukdcs aWalter Benjamin, molti intellettuali marxisti si sono .interrogati sul rapporto tra collocazione e cosdenza soàale. Anche in questo caso, l'identità è una catt~goria che certo non ha diritto didttadinan'l.a nel pensiero. C'è forse un'eccezione: Lukdcs, In Storia e coscienza di classe egli fa spesso riferimento alla proli/erazione dz' forme vita, di modi di essere,. come conseguenze della società di massa, una proltferazione che viene llquidata come espress.ione difals.a cosàenza. Ed è daatlora che nella sinistra marxùta l'identità comincia a essere un problema. Lei che ne pensa?
R. La forma assunta dal «marxismo intellettuale» che è dilagato nei centri accademici europei e ame-
maggior parte due modalità dell'identità in tempi di modernità quida coesistono, anche quando sono collocat,e a li-
ricanialla fine degli anni Sessanta era interamente economicisticae nella maggior parte dei casi severamente riduzionista. Negli anni Settanta, che, come ha detto Peter Beilharz 13 , sono stati «forse l'apogeo del marxisrno intellettuale in Occidente», «la politica, l'i" deologiae la cittadinanza sono state tutte rimosse o viste come effetti del motore primario dello sviluppo
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e del crollo capitalistico».. Non doveva essere così. Marx, dopo tutto (per dtare di nuovo Beilharz),era stato <
del «mondo vissuto» edi abbracdare la totalità del1'esperienza umana. Questa regola generale si applica anche alla versione tronca e disseccata del marxì" smo. Ma non è stata questa l'unica ragione perclÙ il suo ascendente ha dimostrato di ,essere nient'altro che un episodio di breve durata., che già negli anni Ottanta ha avuto bruscamente termine. Più importante in tal senso è stato l'allargarsi del divario tra quella visione e i rapidi cambiamenti dell'era Reagan/Thatcher. «La silhouette virile del proletario» che avrebbe dovuto garantire r«inevitabilità storica», «economicament,e determinata», era un modello ideale ormai privo di corrispondenze reali. In tempi di deregolamentazione, «outmurcing», «sussidiarietà», disimpegno manageriale, graduale eliminazione delle «fabbriche tordiste»., nuova «flessibilità» dei modelli di assunzione e delle procedure lavorative, e gradual,e ma inesorabile smantellamento degli strumenti di protezione e autodifesa del lavoro, l'aspettativa di una riorganizzazionedell'ordine sociale sotto la glÙda del proletariato, destinata a depurare la società dai suoi mali, deve essere apparsa come qualcosa che superava i limiti dell'immaginazione.. I capannoni delle fabbriche e i corridoi degli uffici sono diventati il palcoscenicodi una competizione furiosa, all'ultimo sangue, tra individui in lotta per farsi notare dai capi e ottenere la loro approvazione, invece di essere il hrodo dì ,coltura della solidarietà proletaria in lotta un mondo nlll;l;hclte.
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nisti .d~zietlda~~,meriJ;a,~3,j)~~:t;g~t4Ql,c~~' il ~ R.o~?Qil~9J.Q~$lll~J~~~;,~~~~è~alliY~~1~A,l1.~,~~va ~!!§J.çq!!JJ!~~~ç» ÙeggasI: iilù=es~uEelif Cli illuminanti studi di Fitoussi e Rosenvalon, di Bohanskil e Chiapello hanno ampiamente ed efficacemente confermato quella conclusione. Pierre Bourdieu e Richard Sennett hanno spi,egato perché lo sfaldamento di assetti e consuetudini che prima erano stabili, e la fragilità recentemente emersa di aziende anche grandi e apparentemente solide, non abbia favorito un atteggiamento solidale e abbia impedito che i problemi e l,e ansietà individuali si condensassero in un conflitto didasse. Per usare le parole di Boltanski e Chiapello, i lavoratori dipendenti si sono ritrovati a vivere in una cité par projets, in cui le prospettive di impiego sono confinate a singoli progetti al momento in corso. E tra persone che vivono tra un progetto e l'altro, individui i cui progetti di vita si trovano sminuzzati in una successione di progetti di br,eve durata, ndn c'è tempo perché il malcontento diffuso si condensi nella richiesta di un mondo migliore Sono persone che desiderer,ebbero un presente diverso per ciascuno, piuttosto che pensare seriamente a un futuro mz'gliore per tuttt'. Nello sforzo quotidiano per restare a galla, non c'è spazio né tempo per la visione di una «buona società». In definitiva, i padiglioni industriali e i cortili delle fabbriche non apparivano più titoli sufficientemente sicuri su cui investire le speranze di un radicale cambiamento sociale. Le strutture delle impl'ese capitalisdchee delle routines deli lavoro salariato, sempre più friabili e volatili, non sembrano più costÌ-
tuire il quadro dentro il quale possa prodursi (e ancor meno debba prodursi) 1'amalgama delle diverse privazioni e ingiustizie sociali, il 10m congelamento e la loro solidificazione in un programma per il cambiamento; né sono più adatte come terreno d'addestramento dove si formino e si preparino le colonne in marcia per le imminenti ba.ttaglie. Non esiste nessuna casa comune per i malcont,enti sociali. Con lo spettro della rivoluzione guidata dal proletariato che arretra e si dissolve, le rimostranze sociali si ritrovano orfane. Hanno perso il terreno comune dove negoziare obiettivi comuni e progettare strategie comu-
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ni.A~&i~~~~~~la
~~, so!.!!~;~l?R[J,1g,llil~taJ!ll~J;1Ii~jj,~~,,~~~r!O
l:ggegtLQ..""*,,,
. Molte di. queste categorie svanta,ggiate hanno risposto alla sfida. Glì anni Ottanta sono stati un decennio di frenetica attività artigianale: nuovi strisdoni sono stati. cuciti e decorati, nuovi manifesti sono stati composti, nuovi poster sono stati disegnati e stampati. curo
genere, razza e comune passato si sono rivelati le più efficacie promettenti tra di esse.. Ognuna, però, cercava di emular,e i poteri di integrazione della classe, aspirando ad assumere lo status di «meta-identità», analogo a quello rivendicato dalla nazionalità al tempo della costruzione della nazione: lo status di sovra-identità, la più generale, la più V'Oluminosa e onnivora delle identità, l'identità che for-
privazi,om ,e:""mentlmazionie si guarda bene dall'or frire una soluzione universale e onnicomprensiva ai problemi umani. n discredito della visione di classe, con l'enfasi che poneva sulle radici economiche delle ingiustizie, ha generato una reazione apparentement1e esagerata da parte dei <weicolatori» delle nuove visioni Quasi nessuna tra esse ha preso posizione sugli aspetti economici e leradid della miseria umana, le flagranti e sempre maggiori discrepanze nelle condizioni, possibilità
e prospettive umane, la povertà crescente, lo sgretolamento della protezione delle condizioni di vita, le stridenti ineguaglianze nella distribuzione della ricchezza e del reddito. Le critiche di Richard Rorty ai militanti delle nuove «cause sociali» sono pungenti e perfettamente centrate l '!: preferiscono «non parlare di soldi». loro (presunto) «principale nemico è un atteggiamento mentale piuttosto che un insieme di disposizioni economiche». lì risultato è che la «sinistra culturale»,. cui tutti loro appartengono,. «è incapace di dare battaglia nella politica nazionale». Per riconquistare l'arena politica, «si dovrebbe parlare moho di più dei soldi, anche a costo di parlare di meno di sintomi». Sospetto che la ragione di questa bizzarra cecità verso l'economia sia la tendenza descritta da Robert Reich come la «secessione dei vincenth>; la rinuncia al compho che i critici sociali intellettuali ritenevano fosse il proprio dovere specifico nei confronti del re" sto dei loro contemporanei, in particoiare quelli meno privilegiati e felici di loro. Ora che quest? compi" to non è più riconosciuto come un dovere, ili loro discendenti possono concentrarsi sui propri punti deboli, i propri punti sensibili, di sofferenza, e lottare per accrescere il rispetto e l'adulazione di cui godono allivello delle ricchezze economiche che hanno già acquisito. Sono cocciutamente preoccupati di sé ,e auto-impegnati. La guerra per la giustizia sociale ha. dunque subìto una contraffazione, trasformata in una pletora di battaglie per il rìconoscimento. La mancanza di «ri· conoscimento» potrà anche essere percepita da questo o quell'altro settore dei vincenti come una grave
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nisce significato llJ tutte le altr'e identità e le riduce allo status secondario e dipendente di «casi speciali» o «esemplificazioni». Ogm.1.na si comportava come se fosse la sola identità in campo, trattando tutti le concorrenti come false pretendenti. Qgnuna si mostrava indifferent,e, se non sospettosa o apertamente ostile, verso analoghe rivendicazioni di esclusività afferma" te o udite da altre. ~j~~tt~tcç,;,U~~~J~E~:~:i~~~~di tutto ciò è stata un'ac-
guerre è stata l'idea di «buona sodetà», un'idea che riusciva a stimolare e catturare l'immaginazione solo con l'aggiunta della credibilità apportata dalla presenza di un ipotetico «vekolatore», ritenuto sufficientemente potente e determinato da rendere il verbo carne; niente del genere è ora visibile all'orizzonte.Jdi.deaJii_1.Jl;g"..-«wcndo migliore», se non del tutto scomoarsa. è evano-
rafà'à'nO r~i~:i:a~~~~§!!r-K1mafie-Tiiailierenté'vets~ . altre
n
lacuna, una cosa che sembra mancare nell'inventario quasi completo dei fattori di felidtà.. Ma per la gran parte del genere umano (una parte in rapida crescita), il «riconosdmento» è un'idea nebulosae tale resterà fili tanto che si continuerà a evitare in tutti i modi di parlare di soldi... Valutando le profezie mancate del passato e le gloriose, anche se mal indirizzate, speranze del presente, Rorty invita a rinsavire e ad aprire gli occhi sulle cause profonde della miseria umana. «Dovremmo fare in modo», scrive, che i nostri bambini «si preoc" cupino del fatto che i paesi che si sono industrializzati per primi siano cento volte più ricchi di quelli che non si sono ancora industrializzati. È necessario che i nostri bambini imparino, e presto, a non vedere le ineguag11anze tra la loro sorte e quella di altri bambinicome la Vblontàdi Dio né come il prezzo necessario per l'efficienza economica, ma com; HHLtra3ltdia, evital:lil~>15 . ~r notare che anche r identificazione è un potente fattore di stratificazione, uno di quelli che creano le maggiori divisioni e differenze. A un'estr,e" mità dell'emergente gerarchia globale stanno coloro che possono comporre e decomporre le loro identità più o meno a piacimento, attingendo dall'immenso pozzo di offerte planetario. AD'altra estremità stanno affollati coloro che si vedono sbarrare 1'accesso alle identità di loro scelta, che non hanno voce in capitolo per decidere le proprie preferenze, e che si vedono inflneaffibbiare il fardello di identità imposte da altri, identità che trovano offensive ma che non sono autorizzati a togliersi di dosso: identità stereotipanti, umilianti, disumanizzanti, stigmatizz.anti. ..
Quasi tutti noi siamo sospesi con disagio tra queste due estremità, mai sicuri di quanto durerà la no· stra libertà ,di scegliere ciò che desideriamo e di riflu" tare dò che non ci piace, mai sicuri se saremo in gra" do di mantenere la nostra gradita posizione attuale finché ci parrà comodo e desiderabile. Il più delle volte, la gioia di scegliere una stimolante identità è guastata dalla paura. Sappiamo,. d'aluonde, che se i nostri sforzi dovessero fallire per scarsità di risorse o mancanza ,di determinazione, un'altra identità, non richiesta e non voluta, verrà appiccicata sopra quella che ci siamo scelti e costruiti. Max Frisch,. che vive in Svizzera- un paese dove, secondo l'opinione generale, le scelte individuali (flessibili) sono considerate invalide (e trattate come tali) a meno che non godano del timbro di convalida dell'approvazione popolare (inf],essihiIe)- ha definito l'identità come il rigetto di quello che gli altri vogliono che tu sia... Le guerre di riconoscimento, condotte a livdlo individuale o coUettivo, vengono .combattute di regola su due fronti, benché la concenuazione di truppe e armi sull'uno e r altro fronte vari a seconda della posizione ottenuta o assegnata all'interno deUa gerarchia di pot'ere. Su un fronte., l'identità prescelta e pre" ferita muove contro gli ostinati rimasugli di identità vecchie, abbandonate e non amate, scelte o imposte in passato.. Sul secondo fronte, viene contrastato'~ e, se la battaglia è vinta, respinto -l'assalto deUealtre identità, artefatte e imposte (stereotipi,. stimmate, ,etichette), spalleggiate da «forze nemiche». La zona in cui finiscono le persone cui viene negato il diritto di assumere l'identità di propria scelta (un evento universalmente temuto e abortito) non è
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tuttavia ancora la zona più bassa della gerarchia del potere; c'è uno spazio ancora più in basso, uno spazio, potremmo dire,. più in fondo dei fondo. Una zona dove finiscono (o, più correttamente, dove vengo· no spinti) tutti coloro cui viene negato il diritto dì vendicare un'identità distinta dalla classificazione at· tribuita e llnposta; persone le cui richieste non vengono accolte e le cui proteste non vengono ascoltat,e anche se chiedono la cassazione o rannullamento del verdetto. Sono le persone recentemente qualutlc:at'e come«sottodass,e>~. lu1:Ule:r.dassJ: esiliate ~~~J!3!.!8~~i&n~~
le appendici riconoscibilmente umane sono state tagliate via o annullate). Un'altra categoria che subisce lo stesso fato è quella dei profughi, i senza Stato, i sans papiet:s, i non territoriali in un mondo di sovranità basata sul territorio. Condividono la situazione dei sottoclasse, ma al tempo stesso patiscono una privazione ancora maggiore, perché viene loro negato il diritto a una presenza fisica nel territodo sotto un go· verno sovrano, fatta eccezione per dei <
"'rttl'O'S'cb-
o sei una ragaz,za madre che dipende dall'assistenza dello Stato, o sei o sei stato tossicodipendente, o senzatetto, o mendicante, o fai p,arte di un'altra categoria che non figura nell'elenco - approvato dalle autorità - delle catego" rie lecite, ammissibili), ~~i~~e. rie ti sforzi diotrenere ti è ne,lralta"aJ:ltÌlJ:ri,;l «Identj~~."'i" ,"',"Ll'U'.Ili1,
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lazi0ne, o dell'individualità, di un <
. , ~.,. .. . e terre conqmstate vefllvano sottomesse all' amministrazione deiconquistatori, in maniera che i nativi potessero venire con· vertiti in forza lavoro vendibile.. Era (parafrasando il famoso adagio di Clausewitz) una continuazione,. una nuova rappresentazione sul palcoscenico globale dei processi praticati al proprio interno da ognuno dei paesi capitalistici dell'Occidente; e corroborava e di Marx del-
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Da allora, le identità sono uscite dalla nebbia della grande trasjorma.zione per popolare l'epoca moderna. Come ba luogo questo cambiamento, secondo Lei? a produzione di «scarti umani» è esistita fin dall'inizio, in ogni regione del mondo dove questa economia è stata messa in pratica. Fintanto, però, che queste regioni si limitavano a una parte del pianeta, un'efficace «industria di smaltimento dei rifiuti», nella forma dell'imperialismo politico e militare, era in grado di neutralizzare le potenzialità più incendiarie dell'accumulo di scarti umani. I problemi prodotti a livello locale cercavano e trovavano una soluzione a livello globale. Questo genere di soluzioni ha cessato di essere disponibile con 1'espansione dell'economia capitalistica fino a un'estensione equivalente a quella della dominazione politica e militare dell'Occidente, e la produzione di «umani sca.rtati» è cosi diventata un fenomeno planetario. «TI problema del capitalismo», la più lampante e potenzialment.e esplosiva disfunzione dell'economia capitalistica, è passata, al suo attuale stadio planetario, dallo sfruttamento all'esdusione.. ~~e non lo sfruttamento come era stato ipotlzzatoa .arx un secolo e mezzo fa,
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Questa storia è stata raccontata molte volte: e ogni generazione moderna ha sognato una repubblica che riconosca nei suoi membri l'umanità e offra lo. ro tutti i diritti dovuti agli esseri umani solo in quanto esseri umani, in cui l'umanità sia l'unico criterio di inclusione, e che al tempo stesso sia pienamente tollerante, magari perfino decae dimentica, nei confronti dei capricci personali e delle eccentricità dei suoi membri (a patto, naturalmente, che non si facciano del male tra loro); il «patriottismocostituzionale» di Jiirgen Habermas è la versione più recente di questo sogno.. E non c'è da meravig1iarsi. Una repubblica del genere sembra essere la migliore soluzione immaginabile al più straziante dileml;Ila di ogni forma di socialità umana: come fare per vivere insieme con un livello minimo di conflitto e lotta e allo stesso tempo conservare intatta la libertà di scelta e di autoaffermazione? In breve: come ottenere l'unità nella (no- .
nostante la?) differenza e come preservare la differenza nella (nonostante la?) unità? TI grande contributo di Thomas Marshall è stato
D. Dobbiamo a Thomas Marsball il primo discorso ùz cui i dz'rittt' sociali di cittadinanza vengono visti come una cornice al cui interno ci si sveste degli abiti delle identità collettlve indossando quellt~ del cittadino.
quello di generalìzzare la sequenza degli sviluppi politici in Gran Bretagna in una <
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conseguenza dell'essenza del credo lìberale, e cioè che per diventare cittadino a tutti gli effetti si debbano possedere le risorse che consentono di non dedicare tutto il tempo e l'energia alla mera lotta per la sopravvivenza.. Lo strato più basso della società,. i proletari, non possedeva queste risors,e ed era improhabile che potesse ottenerle lavorando ,e risparmiando: era perciò la stessa repubblica che doveva garantire la soddisfazione dei loro bisogni di hase in maniera da agevolare la loro integrazione nell'assemblea dei cittadini... In altre parole: c'era la speranza -la convinzioneche una voha raggiunta la sicurezza personale tispet· toall'oppressione, la gente si sarebbe unita per regolare i propri affari comuni attraverso l'azione politica, e che il risultato della sempre più vasta - alla fine universale - pa.rtedpazione politica sarebbe stato una sopravvivenza collettivamente garantita:. protezione dalla povertà,. dalla disgrazia della disoccupazione, dall'incapacità di sbarcare il lunario. In poche paro· le: una volta libere,. le persone sarebbero diventate polìticamente impegnate e attive, e queste persone a loro volta avrebbero promosso equità, giustizia, aiuto reciproco, fratellanza... Si dovrebbe fare attenzione prima di proclamare che una sequenza storica è espressione delle «ferree leggi della storia>:> e dell'inevitabilità storica. Si dovrebbe stare ancora più attenti a trarre conclusioni affrettate sulla «logica dello sviluppo» prima che questo sviluppo abbia avuto il suo corso. Nessuno può dire se, o in che punto, una sequenza di eventi si concluderà: la storia umana rimane ostinatamente incompiuta,. e la condizione umana sottodeterminata...
All'epoca in cui scriveva Marshall, la variante britannica del welfa1"e state (che a mio parere sarebbe meglio chiamare «Stato sociale») appariva il punto d'arrivo della logica moderna, il giusto coronamento di una tortuosa ma inesorabile e inarrestabile tendenza storica, magari concepita localmente ma destinata a venire emulata, con modifiche ma conservando gli elementi essenziali, da tutte le «società sviluppate», Guardando in r,etrospettiva, quella conclusione appare quantomeno prematura. Appena trent' anni dopo che Lord Beveridge aveva apportato gli ultimi ritocchi al progetto di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, e che la rosea, ottimistica visione di Marshall era stata data alle stampe, Kenneth Galbraith registrava la nascita della «maggioranza soddisfatta» che usava i diritti personali e politici recentemente acquisiti per far votare leggi che toglievano ai loro concittadini meno intelligenti o astuti una parte crescente dei loto diritti sociali. Contrariamente alle previsioni di Marshall e di Beveridge, la capacità dello Stato sociale di rendere la maggioranza delle persone sicure di sé e soddisfatte ha finitocei minare alla base le sue premesse e le sue ambizioni invece di rafforzade. Paradossahnentei quel senso di sicurezza di sé che ha indotto la «maggioranza soddisfatta» a ritirare il proprio sostegno al principio fondamentale dello Stato sociale, quello di un'assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, è stato il frutto del clamoroso successo dello Stato sociale... Arrampicatasi fino allivello di un'autentica disponibilità ,di risorse, fino a una posizione da cui un vasto assortimento di opportunità appariva alla portata di chiunque avesse a disposizione mezzi suffi-
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cienti, questa maggioranza ha dato un calcio alla scala senza la quale salire fino a quel punto sarebhe stato a'll'Venturoso se non proprio impossibile. Il processo è stato autopropellente e autoaccderante. Il cambiamento nei sentim.enti popolari ha avuto come risultato il lento ma consistente ridursi della protezione che l'onnai non più onnicomprensiva Stato sociale era disposto a offrir,e e era in grado di offrire. Per prima cosa, il principio di assicurazione collettiva come diritto universale dei cittadino è stato sostituÌ1to,. tramite il metodo del means testing O' accertamento delle fonti di reddito), dalla promessa di assistenza diretta solamente a quelle persone che non superavano l'esame della disponibilità di risorse ed autosufficienza, e quindi, implidtamente, l'esame di cittadinanza e di «piena umanità». La dipendenza dalle sovvenzioni statali ha cosi smesso di essere un diritto del cittadino, diventando un marchio che le persone con rispenodi sé fuggono come la peste. In secondo luogo poi, in omaggio alla regola che le prestazioni per i poveri sono prestazioni povere, i servizi di assistenza sociale hanno anche perso gran parte della loro attrattiva di un tempo. Questi due fattori hanno dato maggiore impulso, velocità e dimensioni alla fuga della «maggioranza soddisfatta» dall'al1ean" za «trasversal,e» a sostegno dello Stato sodale. Ciò ha condotto a sua. volta a un'ulteriore limitazione e a una graduale interruzione delle successive presta.zioni dello Stato sodalee a una generale incapadtà ad agire delle istituzioni del welfare, a corto di fondi. Alla fine di questa ritirata dello Stato sociale, rimane la corazza esskcata, infranta ,e raggrinzita della «repubblica», spogliata degli attributi più attraenti.
Gli individui, impegnati a misurarsi con le sfide della vita e a cui è stato detto che devono cercare rimedi privati a problemi prodotti dalla società, non pos" sono attendersi grande aiuto dallo Stato. Gli emaciati poteri statali promettono poco e garantiscono an" cora meno.. Una persona razionale non ripone più fiducia nella capacità dello Stato di fornir,e tutto dò che è neces~ario in caso di disoccupazione, malattia o invecchiamento, di assicurare cure mediche decenti o un'adeguata istruzione. Soprattutto, una persona razionale non si aspetta che lo Stato protegga i suoi sudditi dai colpi sferrati apparentemente a casaccio dal" l'azione incontrollata e scarsamente compresa delle forze globali. E vi è perciò una nuova, ma già profondamente radicata., sensazione che, quand'anche si sapesse come debba essere una buona società, non si saprebbe dove trovare un'istituzione che abbia la volontà e la capacità di realizzare i desideri popolari. In definitiva, il signiHcato di cittadinanza è stato dunque svuotato di buona parte dei suoi passati contenuti (veri o presunti che fossero), di pari passo col progressivo smantellamento delle istituzioni gestite o autorizzate dallo Stato su cui esso fondava la sua credibilità. Lo Stato-nazione, come abbiamo già notato, non è più il depositario naturale della fiducia del popolo.. La fiducia è stata bandita dal luogo dove ha dimorato per la maggior part,e della storia moderna.. Ora vaga qua e là alla ricerca di nuovi approdi, ma nessuna dellealt,ernative a disposizione è riuscita fi·· no a questo momento a eguagliare solidità e l'ap" parente «naturalezza» dello Stato·nazione. C'è stato un tempo in cui l'identità umana veniva determinata in primo luogo dal ruolo produttivo
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svolto nella divisione sociale del lavoro, quando lo Stato faceva da garante (nelle intenzioni e nelle promesse, anche se non nella pratica) della solidità e durata nd tempo di qud ruolo, e quando i sudditi po" tevano chiamare le autorità a rendere conto se lo Stato veniva meno alle sue promess'e, e si sottraeva alle responsabilità che si era assunto per la soddisfazione dei cittadini. Questa ininterrotta catena di dipendenza e sostegno pot,eva plausibilmente fomire la base per qualcosa di simile al «patriottismo .costituzionale» di Habermas. Sembra però che un appello al «pauiottismo costituzionale» come rimedio per i problemi attUali segua le abitudini della nottola di Minerva, nota fin dai tempi di Hegel per spiegare le sue ali al tramonto,. quando il giorno è finito... Si indaga appieno sul valore di una cosa quando questa viene a mancare o va in rovina. Nello stato di cose presente non c'è molto che lasci nutrire speranze sulle chances del patriottismo costituzionale. Perché il moto centripeto dello Stato riesca a prevalere sulla spinta centrifuga degli interessi locali e di settore e altri interessi particolaristici, di . gruppo e autoreferenziali, lo Stato dev'essere in grado di offrire qualcosa che non può essere conseguito con efficacia a un livello più basso, e stringere insieme le magHe della rete di skurezzache altrimenti si sfilaccerebbero. I:epoca in cui lo Stato era capace di una simile impresa e si nutriva fiducia nella sua capacità di fare tutto il necessario per portare a termine il suo compito, è abbondantemente tramontata. Gli abitanti di una società sempre più privatizzata e deregolamentata non vedono più lo Stato come un destinatario affidabile per le loro lamentele e richie-
ste.. È stato loro detto, ripetutamente, di far conto solo sulla propria abilità, le proprie capacità e iI proprio impegno;. di non attendersi la salvezza dall'alto; di dare la colpa a se stessi, alla propria indolenza e accidia se inciampano o si rompono una gamba nel loro percorso individuale v,er:so la felicità. Non si può dar lo" ro tatto se pensano che le alte sfere si siano lavate le mani di ogni responsabilità per iI loro destino (con la possibile eccezione di azioni come metter dentro i pe" dofili, ripulire le strade da malintenzionati, fannulloni, mendicanti e altri indesiderabili e far retate di potenziali terroristi prima che diventino t,erroristi veri). Si sentono abbandonati alle proprie (dolorosamente inadeguate) risor:se e alla propria (assai confusa) iniziativa. Cosa sognano, e cosa farebbero se ne avessero la possibilità, questi individui solitari, abbandonati, desocialìzzati, atomizzati? Una volta che il grandi porti sono stati chiusi,. che qudle attrezzature che li rendevano invitanti sono andate perdute e i frangiflutti che li rendevano sicuri smantellati, gli sventurati marinai sarebbero inclini a costruirsi e deliniitarsi un piccolo approdo personale dove gettare l'ancora e depositare le loro orfane ,e fragili identità. Non fidando più nella rete di naviga.zione pubblica, mont,erebbero gelosamente la guardia all'ingresso del loro approdo privato, perditenderlo da qualsiasi intruso. Per una mente lucida, l'odierna, spettacolare ascesa dei fondamentalismi non ha. niente di misterioso. È tutto fuorché disorientante e inaspettata.. Feriti dall'esperienza di abbandono, uomini e donne dei nostri tempi sospettano di essere pedine nel gioco di qualcun altro, senza protezione contro le mosse fatte dai
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2. IDENTITÀ-PUZZLE
grandi giocatori, e ripudiati e spediti tra i rifiuti non appena i grandi giocatori non li considerano più redditizi. Consciam~nte o inconsciamente, gli uomini e le donne dei nostri tempi sono ossessionati dallo spettro dell'esclusione. Sono consapevoli, come ci ricorda acutamente Hauke Bnmkhorst16,che già milioni di persone sono state esc1use,e che per «coloro che cadono al di fuori del sistema funzionale, che sia in India,. in Brasile o in Africa, o adesso addirittura in molti quartieri di New York o di Parigi, tutti gli altri diventano presto inaccessibili. Nessuno ode più la loro voce, spesso vengono letteralmente ridotti al silenzio». E hanno dunque paura di rimanete soli, senza la prospettiva di qualcuno che li ami o li aiuti, patendo crudelmente la mancanza del calore, del comfort e della sicurezza dellla sodalità. Non c'è perciò da meravigliarsi che per molte persone la promessa di «rinascere» in una nuova casa calda e sicura come una famiglia rappresenti una tentazione cui riesce difficile resistere. Avrebbero forse preferito qualcosa di diverso dallla terapia fondamentalista, una sicurezza che non comportasse la cancellazione dell1a propria identità e la rinuncia alla propria lihertà di scelta, ma questo genere di sìcurezza non è disponibile. n «patriottismo costituzionale» non è un'opzione realistica per ques1ti individui,. menue una comunità fondamentalìsta appare fascinosamente semplice. E allora non ci pensano due vo1t,e a immergersi nel suo calore, anche prevedendo di dover pagare successivamente un prezzo per questo piacere. D'altronde, non sono stati allevati in una società di carte di credit,o, che insegnano a non posticipare il desiderio?
R. Temo che la Sua allegoria deI puzzle sia solo parzialmente illuminante. È vero, si compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di. un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso,. in cui mancano alcuni pezzi Ce non si può mai saper,eesattamente quanti). Un puzzle comprato in negozio è tutto cont,enuto in una scatola, ha l'immagine finale già chiaramente stampata sul coperchio e la garanzia, con promessa di rimborso in caso contrario, che tutti i pezzi necessari per riprodurre quell'immagine si trovano all'.interno della scatola e che con questi pezzi si può formate quel" l'immagin,e e quella soltanto; dò permette di consultare l'immagine riprodotta sul cop,erchio dopo
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D. Con la globalizzazione, t'identità è diventata una ques#one scottante. Tutti i punti di riferimento sono cancellatz~ le bzògrafie diventano puzzle dalle soluzzòni difficili e mutevoli. Il problema, tuttavia, non sono i singoli pezzi del mosaico,. ma la maniera in cui si incastrano t'uno con l~altro. Qual è la Sua opintòne?
ogni mossa per assicurarsi di essere effettivamente sulla strada giusta O' unica strada corretta) verso la destinazione già nota, e quanto lavoro rimane da fare per raggiungerla. Nessuna di queste agevolazioni è disponibile nel momen1to in cui componi la tua identità... È vero, sul tavolo sono a disposizione tanti piccoli pezzi che speri di poter incastrare l'uno con l'altro fino a otte" nere un insieme dotato di senso,. ma l'immagine che dovrebbe emergere ai termine del lavoro non è fornita in anticipo, e pertanto non puoi sapere per certo se possiedi tutti i pezzi necessari per comporla, se i pezzi scelti fra quelli sparsi sul tavolo siano quelli giusti, se li hai messi ai posto giusto e se servono a comporre il disegno finale. Potremmo dire che la so" luzione dei puzzie che si comprano .in negozio è orientata all}obbiettivo: parti per cosi dire dal punto d'arrivo, dall'immagine finale, nota già in precedenza, e poi tiri fuori dalla scatola un pezzo dopo l'altro, cercando di incastrarli insieme. Hai la sicurezza che alla fine, con l'impegno neoessario., troverai il posto giusto per ogni pezzo. La completezza dei pezzi e il loro reciproco incastro sono garantiti prima che tu cominci. Nel caso dell'identità non èaffatto cosi: l'intera impresa è orzéntata mezzi. Tu non parti dall'immagine finale, ma da una certa quantità di pezzi di cui sei già en1trato in possesso o che ti sembra. valga la pena di possedere, e quindi cerchi di scoprire come ordinarli e riordinarli per ottenere un certo numero (quante?) di immagini soddisfacenti. Fai esperimenti con dò che bai. li problema non è che cosa ti serve per «andare lì», per arrivareaI punto che vuoi raggiungere, ma quali sono i
punti che puoi raggiungere sulla base delle risorse già in tuo possesso o di quelle per ottenere le quaIi vale la pena che tu profonda il tuo impegno. Po" Uemmo dire che la risoluzione dei puzzle s.egue la logica della razionalità strumentale (soegliere i mezzi adatti per un determinato scopo), mentre al contrario la costruzione dell'identità è guidata dalla logica della razionalità finale (scoprire quanto sono ai:uaenti gli obbiettivi raggiungibili con i mezzi dati) . li lavoro di un costruttore di identità, come direbbe Claude Lévi"Strauss,. è un lavoro da bricoleur, che crea ogni sorta di cose col materiale a disposizione... Non è sempre stato cosÌ. Quando la modernità ha sostituito i ceti premoderni (che determinavano l'identità in base alla nascita, fornendo pertanto pochissime occasioni per porsi la domanda «chi sono io?») con le classi, le identità sono diventate compiti che i singoli individui dovevano realizzare, come ha correttamen1te suggerito Lei, attraverso la propria biografia. Per usate le memorabilì parole di JeanPaul Sartre per essere borghesi non è sufficiente na" scere horghesi, si deve vivere l'intera vita da borghesi! L'appartenenza alla classe a cui si sostiene di appartenere la si deve dimostrare coi fatti, con «l'intera vita», non semplicemente brandendo il eertiHcato di nascita. Se non si riesce a fornire tale convincente prova sipuò perdere la propria assegnazione di das" se, diventare un déclassé. Per la maggior parte dell'era moderna era chiarissimo in che cosa consistesse tale prova. Ogni classe aveva, pet così dire, i suoi percorsi di carriera, una traiettoria tracciata senza ambiguità,. corredata lungo tutto il tragitto di indicatori di direzione e co-
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stellata di pietre miliari che consentivano ai vlllggiatori di controllare il proprio progresso.. Non vi era in pratica nessun dubbio su quale genere di vita si dovesse vivere per essere, ad esempio, un borghese ed essere rkonosciuto come tale. Soprattutto, quella forma sembrava tracciata una volta per tutte. Si po" teva seguire la traiettoria passo dopo passo, acquisendo le onorificenze di classe in successione, se" condo il loro ordine appropriato,. «naturale», senza preoccuparsi che qualcuno potesse spostare o invertire gli indicatori di direzione prima deI completamento deI viaggio.. Definire l'identità come un compito e lo scopo dell'impegno di tutta una vita era, se paragonato all'attribuzione automatica a un ceto dell'era premoderna, un atto di liberazione: una liberazione dall'inerzia delle strade tradizionali, delle autorità immutabili, delle routines preordinate e delle verità incontestabili. Tuttavia, come ha scoperto Maln Peyrefitte neI corso dei suoi studi storici17 , quella libertà di autoidentificazione nuova e senza precedenti seguita alla decomposizione della società dei ceti, è giunta insieme a una fiducia nuova e senza precedenti negli altri, nonché nei meriti dell'associazione di diversi cui era stato dato il nome di «società»: nella sua saggezza collettiva, nell'affidabilità delle sue istruzioni, neI" la durata nel tempo delle sue istituzioni. Per osare e rischiare, per avere il coraggio necessario per fare deIle scelte, questa tripla fiducia (in se stessi, negli altri, nella società) è indispensabile.. È indispensabile credereche la fiducia nelle scelte fatte dalla società sia ben riposta e che il futuro appaia certo.. È indispensabile che la società sia un arbitro, non un giocatore
come gUaltri che tiene nascoste l,e ca.ne e cerca di prendervi di sorpresa... Gli osservatori più percettivi della vita moderna si sono accorti abbastanza presto, già neI XIX secolo, che la fiducia in questione non era così solidamente fondata come la «versione ufficiale», che si sforzava di diventare il credo dominante se non addirittura l'unico, voleva far credere. Uno di questi acuti osservatori fu Robert Musil, che nei primissimi anni dello scorso secolo segnalava che «la società non funziona più come si deve» in un'epoca in cui gli individui hanno «.raggiunto i vertici della sofisticatezza»18. TI pass.~ggio della responsabilità della scelta sulle spalle dell'individuo, e lo smantellamento degli indicatori di direzione e la rimozione delle pietre miliari,. e insieme la crescente indifferenza delle alte ster,e riguardo alla natura delle scehe fatte e alla loro fattibilità, erano due tendenze presenti nella «sfida dell'autoidentificazione» fin dall'inizio. NeI corso del tempo., le due tendenze, strettamente in" trecciate fra loro e capaci di rinvigorirsi vicendevolmente, hanno acquisito forza, benché disapprovate,. stigmatizzatee censurate come sviluppi preoccupanti, perfuio patologici. Ritengo che la principale forza motrice dietro a questo processo sia stata sin dal principio la sempre più rapida. <:> della modernità: e i «fluidi» sono chiamati così perché non sono in grado di mantenere a lungo una forma, ,e a meno di non venire versati in uno stretto contenitore continuano a cambiare forma sotto l'influenza di ogni minima for-
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za. In un ambiente fluido, dove non si s~ se attendersi un'inondazione o una siccità, sarebbe meglio esser pronti a entrambe le eventu~ità. Le strutture, quando (e se) disponibiIi, non c'è d~ aspettarsi che durino a lungo. Non sopporterebbero tutto quell'infiltrarsi, trasudare, gocciolare, versare: in breve tempo sono destinate a inzupparsi, ammollirsi, ammuffire e decomporsi. Le autorità di oggi verranno derise o disprezzate domani, le celebrità saranno dimenticat,e, gli idoli che fanno tendenza saranno ricordati solo nei quiz televisivi, le novità predilette saranno gettate nella spazzatura, le cause eterne saranno cacciate a spintoni da altre cause che si proclameranno eterne anch'esse (senonché, essendosi già scottata, la gente non cr,ederà più ai loro proclami), i poteri indistruttibili si appanneranno e scompariranno, potenti istituzioni politiche od economiche verranno fagocitate da altre ancora più potenti o semplicemente svaniranno, titoli azionari a prova di bomba diventeranno titoli bombardati, promettenti cartiere di una vita si riveleranno vicoli ciechi. Sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno, in nessun punto, è in grado di distinguere una strada che porta in cima da una china discendente.... La «società» non è più ritenuta un arbitro rigido e intransigente dei tentativi e degli errori umani, occasionalmente severo e spietato, ma che si spera giusto e fedele ai propri principi. Essa fa pensare piuttosto a un impassibile giocatore di poker nel gioco della vita, particolarmente sc~tro, astuto e ingannatore, che bara non appena ne ha la possibilità e non tiene conto delle regole ogni volta che gli sia possibile: in breve, un vecchio maestro dei sotterfugi, che immanca-
bilmente coglie impreparati tutti o quasi tutti gli altri giocatori. Il suo potere non risiede più in una coercizione diretta: la sodetà non impartisce ordini sucome vivere, ,e quando lo fa le importa poco se tali ordini vengano eseguiti o meno. Da te la «sodetà» VllOle soltanto che non lasci il tavolo da gioco e disponga ancora difiches sufficienti per continuare a giocare.. La potenza della società e il suo potere sugli individui risiede oggi, in effetti, nel suo non essere individuabile con esattezza, nella sua evasività,. versatilità e volatiIità, nella disorientante imprevedibilità delle sue mosse, nell'abilità alla Houdini conclli fugge dalla più difficile delle gabbie, e nella destrezza con cui sfida le aspettative e si sottrae alle sue promesse, apertamente pronunciate o abilmente lasciate int,endere. La strategia giusta per affrontare un giocatore cosi sfuggente ed evasivo è b~tter1o al suo stesso gioco.... Don Giovanni "cosi come viene raffigurato da Molière, Mozart o Kierkegaard) può essere definito un inventore e un pioniere di questa str~tegia. Per stessa ammissione del Don Giovanni di Molière, il piacere dell'amore consiste nel cambiamento incessante. TI segr'eto delle conquiste del Don Giovanni di Mozart, secondo Kierkegaard, era il suo dono di finire rapidamente e .ripartire da un (altro) inizio: Don Giovanni era in uno stato di perpetua autocreazione... Secondo la visione di Ortega y Gasset, Don Giovanni era un'autentica incarnazione della vitalità del vivere spontaneo e ciò faceva di lui la prima manifestazione del fondamentale disagio, delle umane in· quietudini e ansietà degli uomini moderni. Tutto ciò ha spinto Michel Serres (in The Apparition 01 Rer-
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mes) a nominare Don Giovanni il primo eroe della modernità.. Pr'endendo spunto da Camus (che osservavache un seduttore stile Don Giovanni non ama guardare il ritrattO, Beata Frydryczak, acuta filosofa della modernità, ha rilevato che questo «eroe delli modernità» non poteva essere un collezionista, perché quel che importava per lui era solo il «qui e ora», 1'attimo fuggente.. Se qualcosa colleziona, colleziona sensazioni, emozioni, Erlebnisse19 • E le sensazioni sono, per loro stessa natura, fragili e di breve durata e altrettanto volatili delle situazioni che le hanno innescate. La strategia del carpe diem è una risposta a un mondo svuotato di valori che pretende di essere duraturo. Quel che ne consegue (secondo me) è che ripotesi da Lei avanzata, che il problema ,consista nella «maniera in cui Ci vari pezzi da cui è composta l'identità presumibilmente coesiva] si incastrano l'uno con l'altro», non è corretta. Incastrare insieme pezzi e frammenti fino a ottenere una totalità coerente e coesiva chiamata identità non sembra essere la principale preoccupa.zlone dei nostri contemporanei, assegnati forzatamente e irrevocabilmente a una condizione alla Don Giovanni, e pertanto costretti ad adottare la sua strategia.. Forse non se ne preoccupano proprio. Un'identità coesiva, saldamente inchiodata e solidamente cos.truita, sarebbe un fardello, un vincolo, una limitazione alla libertà di scegliere.. Presagirebbe l'impossibilità di aprire la porta quando un'altra opportunità busserà. Per fada breve, sarebbe una ricetta per l'inflessibilità, per una condizione, cioè, che è continuamente biasimata, ridicolizzata o condannata da quasi tutte le ver'e o presunt,e autorità dei
nostri giorni (mezzi di comunicazione, esperti di problemi umani e l'eader politici), perché all'opposto di un atteggiamento corretto e prudente, foriero di successo, nei confronti della vita; una cOfidizionedi cui si deve diffidal1e e che quasi tutti all'unanimità raccomandano di evitare con cura. Per la grande maggioranza degli abitanti di un mondo di modernità liquida, atte;ggiamenti come la preoccupazione per la coesione, l'adesione alle regole, il giudicare sulla base dei precedenti e il restare fedeli a una logica di continuità invece di fluttuare sult'onda di opportunità mutevoli e di breve durata, non sono opzioni promettenti. Se vengono adottati da qualcun altro (di rado volontariamente, se ne può star certm, vengono prontamente bollati come sinto" mi di deprivazione sociale e stimmate di insuccesso nella vita, di sconfitta, di scarso valor,e, di inferiorità sociale. Nella coscienza pubblica, si tende ad assodarli a una vita passata in prigione o in un ghetto Ufbano, relegati nella detestata e aborrita «sottodasse» o confinati nei campi di profughi senza Stato... I prog,etti a cui giurare fedeltà per tutta la vita una volta scelti e sposati Gean-Paci Sartre, ancora mezzo secolo fa, raccomandava di adottare pr:ojets de vie) godono di cattiva stampa e hanno perso la loro capa" cÌtà di attrattiva. La maggior parte della gente, messa alle strette, li definirebbe controproducenti e sicuramente un genere di scelta che non farebbe di buon grado. Continuare ad incastrare insieme i pezzi, sl, non si può far altro. Ma incastrarli insieme una volta per tutte, trovare il miglior incastro possibtle, quello che mette fine al gioco di incastro? No, grazie, questo è qualcosa di cui si fa volentieri a meno.
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Verso la fine di una vita passata in interminabili sforzi per comporre la perfetta armonia di puri colori e forme geometricamente pulite (essendo la perfezione lo stato che non può essere migliorato e che chiude quindi la porta a qualsiasi ulteriore cambiamento), Piet Mondrian, il grande poeta visivo della modernità solida,. dipinse Victory boogie-woogie, una furiosa, tumultuosa cacofonia di forme senza forma e tonalità ,discordanti di rosso, arancio, rosa, verde e blu...
Anche in questo caso non sono sicuro che la Sua diagnosi sia correuaal cento per cento... È vero, i vari movimenti che cercano una c01nunità/riconosci" mento, che spuntano come funghi in paesi dove la «questiòne nazionale» sembrava essere stata risolta un centinaio di anni fa o giù di lì (e per lungo tempo, forse in modo definitivo, per sempre), vengono di solito interpretati come il «riemergere del nazionalismo». Quando, dopo il coUassodell'unìone statal'e jugoslava, nei Balcani si è scatenato il finimondo, Tom Naim ha riassunto la visione dominante degli eventi come il riaffiorare di una forza oscura, arcaica, atavica, irrazionale,che fino a poco tempo prima era dormient,e e si pensava ormai passata a miglior vita ma evidentemente in effetti mai irrevocabilmente
morta - e che invece adesso, ancora una volta, «costringeva i popoli ad anteporre il sangue a un ragionevole progresso e ai diritti inelividuali»20. La domanda che una tale diagnosi suggeriva e spingeva a porsi era: «Perché il morto si è risvegliato?».... Una domanda che è posta di continuo nei film sui vampiri e sugli zombi: una domanda tanto fuorviante e ingannevole quanto fantasiose sono le idee di «risorgere dalla morte» o di una miracolosa conservazione di odi primitivi nel congelatore dell'inconscio collettivo. E peraltro facile ,comprendere perché si sia usato un vecchio nome per designare fenomeni nuovi e ancora non pienamente compresi: il ricorso a reti da pe~ sca concettuali sperimentate è affidabili ogniqualvolta fanno la loro comparsa creature marine bizzarre ,e mai viste prima, è, dopo tutto, un'usanza comune e di vecchia data. Ma dovremmo tener conto dell'avvertimento di Dell'rida ed esser consapevoli che possiamo usare vecchi concetti, inevitabilmente pieni di significati ormai superati, soltanto sous rature... Ci sono due ragioni evidenti. per questa recent,e messe di dvendicazioni di autonomia o di indipendenza erroneamente descritte come il «risveglio del nazionalismm> o la resurrezione/revivai delle nazioni. Una è il tentativo smanioso e disperato, anche se mal~ destro,di cercare protezione dagli ora gelidi ora brudanti venti della globalizzazione, una protezione che le mura sgretolate degli Stati-nazione non sono più in grado eli dar'e. Un'altra è il rip,ensamento del tradizionale accordo tra nazione e Stato, più che prevedibile in un'epoca in mi gli Stati indeboliti hanno sempre meno benefid da offrire in cambio della lealtà richiesta nel nome della solidarietà nazionale. Come si
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D. Una delle conseguenze di queste trasformazioni è il riemergere del nazional1smo. Cos~ se le biografie diventano dei pu.zzle infrant~ abbiamo z:l pa.radosso cbe la parola «comunità» (Gemeinschaft) rientra forzatamente nella disc.ussione. È un paradosso? O questifenomeni sono invece complementari? R.
può vedere, entrambe le ragioni puntano il dito sull'erlJSione della sovranità dello Stato quale fattore principale. I movimenti in questione manifestano il desiderio di ritoccare la strategia ricevuta della ricerca collettiva degli interessi, trovando o creando nllove poste in palio e nuovi attori del gioco del potere. Possiamo anche (,e dobbiamo) disapprovare lo zelo separatista di questi movimenti, possiamo anche condannare l'odio tribale che disseminano e lamentare i frutti avvdenati di questa semina, ma non possiamo accusarli di irrazionalità o liquidarli semplicemente come un rigurgito atavico. Se così facessimo, correremmo il rischio di scambiare dò che deve essere spiegato per la spi,egazione... Gli sco.zzesi hanno «riscoperto» la loro identità nazionale, con tanto di fervore patriottJÌco, quando il governo di Londra ha cominciato a intascarsi i profitti dellaV'endita di licenze per l'estrazione di pettolio allargo delle coste scozzesi (tra l'altro, questo nazionalismo rinato ha cominciato a perdere molti dei patrioti reclutati ,di fresco quando ci si è resi conto che igiadmenti di petrolio del Mare del Nord non erano lontani dall',esaurimento). Quando la presa del governo di Roma ha cominciato ad allentarsi ed è sembrato che non ci fosse più moho da guadagnare a restar tedeli allo Stato comune, la gente del ricco Nord ha chiesto perché doV'essero essere loro a pagare per alleviare la miseria delle povere e inefficienti popolazioni del Sud,. e da qui a mettere in discussione la comune identità nazionale italiana il. passo è stato breve. Ai primi segnali di dipartita dello Stato jugoslavo, gli efficienti e benestanti sIoveni si sono domandati
perché la loro ricchezza dovesse venir dirottata a favore delle parti meno fortunate dell'alleanza slava, finendo in primo luogo nelle mani dei burocrati di Belgrado. Ricordiamo che fu il cancelliere tedesco Helmut Kohl che per primo espresse apertamente l'opinione che la Slovenia meritava l'indipendenza perché era etnicamente omogenea., È stata la sua scintilla ad accendere la mJÌccia che ha fatto esplodere il. melting pot balcanJÌco di etnie, lingue, religioni e alfabeti in un delirio di pulizia etnJÌca. La tragedia che ne è seguita è ben nota. Ma i presunti «impulsi atavici» non sono sgorgati dalle oscure profondità dell'inconsdo, dove giacevano ibernati da tempo immemorabile in attesa che arrivasse il momento del risveglio. Sono stati laboriosamente costruiti meuendo il vJÌcino contro il vicino, il congiunto contro il congiunto, ,e trastormando tutti coloro marchiati come membri di una futura, progettata comunità in complid attivi del crimine o favoreggiatori a posteriori. Uccidere il. vicino di casa, stuprare, compiere atti bestiali, assassinare gli indifesi, infrangere uno ad uno i più sacri dei tabù e farlo pubblicamente" sotto la luce dei riflettori, erano in realtà atti di creazione di una comunità: per creare dal nulla una comunità tenuta insieme dalla memoria del misfatto orz'ginario;una comunità che poteva essere ragionevolmente sicura della propria sopravvivenza per il fatto didiventar,e l'unico scudo capace di impedir,e che gli alltori dei delitti fossero chiamati criminali invece di eroi, processati e puniti. Ma in primo luogo, perché la gente ha ubbidito a questa chiamata alle armi? Perché il. vicino si è rivoltato contro il vicino?
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n repentino e spettacolare collasso dello Stato che provvedeva alla struttura che gestiva e r,egolava i rapporti tra vicini, ha rappresentato indubbiamente un'esperienza traumatica, una buona ragione per temere per la propria sicurezza. T'rale rovine della struttura controllata dallo Stato, è spuntata e si è estesa a macchia d'olio l'erba cattiva dell'angoscia. Ne è seguita un'autentica «crisi sociale» e, come spiega René Girard, in uno stato di crisi socitale,.«gli individui, invece di incolpare se stessi, tendono necessariamente a incolpare sia la società nel suo insieme,. il che li porta al disimpegno, sia altri individui che sembrano loro particolarmente nocivi per ragioni facili da scoprire». In uno stato di crisi sociale, le persone spaventate si radunano insieme e diventano una folla, e «la folla per definizione cerca razione, ma non può agire sulle cause naturali [della crisi]. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza». Il resto è piuttosto disorientante, ma facile da realizzare e da comprendere: «Allo scopo di riferire alle vittime'l'indifferenziazione' della crisi [cioè la perdita di distinzioni,. ndtJ le si accusa di crimini 'indifferenziati' . Ma in realtà sono i loro segni vittimari che designano queste vittime per la persecuzione»21.. Quando il tuo mondo cade in pezzi, uno degli effetti più sgradevoli e inquietanti è la pila di detriti che impedisce di vedere i confini e il ciarpame e i rottami che cadendo distruggono gli indicatori di direzione. Le aspiranti vittime non sono temut,e e odiate perché sono diverse, ma per non essere abbastanza diverse, per il fatto di potersi agevolmente mescolare tra la folla. È necessaria la violenza per renderle spettacolarmente, indubitabilmente, vistosamente differenti.
Distruggendole, .aIlora, si può sperare di eliminare l'agente inquinante che ha offuscato le distinzioni e ricreare quindi un mondo ordinato in cui ciascuno sa chi è e le identità non sono più fragili, in.oerte e precarie. Pertanto, secondo lo schema della modernità, ogni distruzione in questo caso è una distruzione creativa: una guerra santa dell'ordine contro il caos., un'azione con uno scopo, un'impresa mirante a dare ordine... Intendiamoci bene: la crisi sociale causata dai mezzi convenzionali di protezione collettiva non è una specialità dei Balcani. È, a diversi livelli di condensazionee acutezza, un'esperienza comune a tutto il nostro pianeta in rapida globalizzazione. Le sue conseguenze nei Balcani sono stat'e forse insolitamente estreme, ma meccanismi simili sono all' opera ovunque, anche se le cose magari non si spingono tanto avanti come nei Balcani, e il dramma è in sordina,. talvolta addirittura non udibile. Ma desideri molto simili e impulsi lne1udibili spingono la gente alrazione ogniqualvolta si avvertono gli spaventosi e sconvolgenti effetti della crisi sociale. Ciò che più ampiamente e avidam.ente si desidera è scavare trincee profonde e possibilmente invali~a· bili tra il «dentro» di un territorio o di una località categoriale e il «fuori». Fuori: tempeste,. uragani, venti gelidi, imboscat,e lungo la strada e pericoli tutt'intorno. Dentro: comodità, calore, cbel. soi, sicurezza, incolumità. Dal momento che per rendere sicuro l'in· tero pianeta (e non aver perciò più bisogno di separarci da un «fuori»· inospitale), ci mancano (o quan· tomeno cr'ediamo ci manchino) gli strumenti adeguati e le materie prime, meglio ritagliare., delimitare e
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fortificar,e un'area distintamente nostm e di nessun
alno, un'al'ea dentro cui possiamo sentirei i soli e incontestati padroni. Lo Stato non è più in gtadodi ci. vendkare poteri del genere per proteggere il suo territorio. Perciò il compito, cui lo Stato ha rinunciato, rimane lì per terra, in attesa che qualcuno lo raccolga. TI passo successivo non è, contrariamente all'opinione più diffusa, una rinascita o addirittura una vendetta postuma. del nazionalliismo, ma una disperata quanto vana ricerca di soluzioni alternative locali a problemi glob.ali, in una situazione in cui nessuno può più contare, a questo riguardo, sulle convenzionali istituzioni statali.. La distinzione tra 1'artificio repubblkano del consenso della dttadinanza e l'internhàlappartenenza «naturale» risale fino ai tempi della querdle del e inizio XIX secolo tra i filosofi illuministi francesi e i romantiei tedeschi (Herder, Fkhte), i teorici del Volk e del Volksgeist, che precede e sovrasta tuUe le identhàartificiali e ·le distinzioni che la legge può opemre riguardo al vivere sodale dell'uomo. A dare forma canonica a questi dueconoetti di appartenenza nazionale è stato Friedrìch Mdnecke, con la sua contrapposizione tra Staatsnattòn e Kulturna#on (1907). Geneviève Zubrzyckp2 ha sintetizzato il suo studio sulle defiinizioni correnti nei dibattiti comemporanei di politica e sdenze sodali contrapponendo i due modelli/interpretazioni del fenomeno dell'appartenenza nazionale, quello «civico» e quello «etnico».
la scelta di un inditviduo di appartenere a una comunìtà basata sull'associazione di individui che la pensano allo stesso modo. La versione etnica,. al contrado, afierma che l'i· dentità nazionale è puramente culturale. L'identità è assegnata alla nasdta: si impone da sola all'individuo.
Secondo il modello civico di appartenenz.a nazionale, l'identità nazionale è puramente politica: non è altro che
La contrapposizione, in ultima analisi, è tra l'appaJrtenere in virtù di un'assegnazione primordiale o l'appartenere per scelta. In termini pratici, tra un fatto bruto, che pvecede i pensieri e le scelte dei singoli esseri umani e che, al pari dei tratti del corpo umano geneticamente ereditati e determinati, può essere mascherato, coperto o nascosto in alno modo, ma non può realisticamente essere cancellato o «disfatto»; e un'assemblea di individui incuì si può entrare e usd· re a piacimento come in un club o in un'associazione, la cui forma, le cui caratteristiche e le cui procedure possono essere costantemente deliberate e rinegoziate dai membri.. Vorrd far notare che il termine «culturale» con cui vi,ene comunemente definito oggi iLI primo dei due modelli è un termine improprio, dettato dai parametri imperanti del «politicamente corretto». La parola «cultura», d'altronde, è entrata nel nostro vocabolario due secoli fa, con un significato esattamente opposto: quello di antonimo di «natura», che sta a indicare quelle caratteristicl1e umane che, in netta opposizione con gli ostinati fatti della Natura, sono prodotti, sedimenti o effetti collaterali di scelte umane. Ciò che è fatto dall'uomo può,. in linea di principio, dall'uomo ess'er,e disfatto.. Mi sia consentito aggiungere anche che la concezione romantica ,ebbe origine in una «nazione senza
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uno Stato», vale a dire nell'Europa centrale di lingua tedesca, divisa in innumerevoli e per lo più minuscole unità politiche, mentre la concezione illuministicorepubblicana fu elaborata in uno «Stato senza una nazione», in un territorio sottoposto a un'amminìstrazione dinastica sempre più centralizzata, che si sforzava di introdurre un certo livello di coerenza in un conglomerato di etnie, dialetti e «culture locali» (usanze,. credenze, abitudini, mitologie, calendari). Le due concezioni non rappresentano due modelli alternativi di appartenenza nazionale, ma due successive interpretazioni della natura della socialità umana nelle varie fasi di coabitazione, fidanzamento, matrimonio e ,divorzio tra nazione e Stato. Ognuna delle due fa da cassa di risonanza a un compito e a una prassi politica alquanto differenti tra loro.. Una risponde meglio alle esigenze della lotta per la statualità, mentre l'altra è d'ausilio agli sforzi di m#ion-building dello Stato politico. Non c'è da stupirsi che, fronte allo spettacolo attuale della separazione e dell'im:minentedivorzio tra Stato e na.zione, dello Stato politico che abbandona le sue ambizioni assimilatrici, dichiara la propria neutralità nei confronti delle scelte culturali e si lava le mani del carattere sempre più «multiculturale» della società da esso amministrata, le cosiddette visioni «culturali» dell'identità stiano tornando in auge tra quei gruppi alla ricerca di approdi sicuri, stabili e affidabili in mezzo, alle maree delI'incerto cambiamento. Per le persone confuse, perplesse e spaventate dall'instabilità e dalla contingenza del mondo in cui vivono, la «comunità» appare un'alternativa invi72
tante. È un dolce sogno, una visione paradisiaca:. di tranquillità, sicurezza fisica e pace spirituale.. Per le persone insofferenti alla stretta rete di vincoli, prescrizioni e proscrizioni, per le persone che si battono per la libertà di scelta e l'autoaffermazione, quelc la stessa co:munità che esige dai suoi membri una fedeltà irremovibile e sorveglia strettamente le vie d'entrata e d'uscita è, al contrario., un incubo: la visione di un inferno o di una prigione. TI fatto è che, alternativamente o simultaneamente, ci sentiamo tutti sopraffatti da «eccessiva responsabilità» o desiderosi di «più libertà», che non può che far aumentare le nostre responsabilità. Per la maggior parte di noi, quindi, la «.,comunità» è un fenomeno a due facce come il Giano bifronte, assolutamente ambiguo, amato od odiato,. amato e odiato,. attraente o respingente, attraente e respingente. Una delle più ossessionanti, sbalorditive e sfibranti tra le tante scelte ambivalenti che quotidianamente noi, abitanri del mondo della modernità liquida, ci troviamo di fronte.
D. Il/tlos% di origine slovena SlavofZz'iek ba scritto pagine .appassionate contro la cosiddetta identt~tà occidentale. Dobbiamo però amaramente osservare che le attuali tensioni internazionali vengono spiegate con la tesi dello scontro tra civiltà. Sembra cbe tutti i differenti sigmficati annessi alfuso del termine «identità» contribuiscano a minare alla base il pensz:ero universalistico, attento com'èa mantenere quel fragile equilibrio tra diritti individuali e diritti collettivi. Un autentico paradosso, non le sembra? 73
R.
Sì, l'identità è un concetto inguaribilmente ambiguoe una lama a doppio taglio.. Può essere un grido di battaglia dei singoli individui, o delle «comunità» che vogliono essere immaginate da essi. n taglio della lama è rivolto ora contro le «pressioni collettive», da parte di individui che hanno in odio l'ortodossia e tengono molto alle proprie convinzioni (che «il gruppo» definirebbe piuttosto pregiudizi) eal proprio modo di vivere (che «il gruppo» condannerebbe come casi di «deviazione» o «stupidaggini», ma comunque sia di anormalità, casi che necessitano di cure o punizioni); ora è rivolto dal grup~ po contro un gruppo più grande accusato di volerIo divorare o distruggere, della malvagia e ignobile intenzione di soffocare la differenza di un gruppo più piccolo, di costringerlo con le buone o con le cattive a rinunciare al suo «:io collettivo», a perdete la faccia, a dissolversi... In entrambi i casi, tuttavia, l'«identità» appare come un grido di guerra usato in una guerra difensiva: un individuo contro 1'assalto di un gruppo, un gruppo più piccolo e debole (e per questo motivo minacciato) contro un insieme più grande e con maggiori risorse (e per questo motivo minaccioso)... La spada dell'identità può però venire j.mpugnata anche dall'altra fazione, quella più grande e forte, quella che vuole sminuire le differenze, che vuole che le differenze siano accettate come inevitabili e durature, ma che afferma che non sonoabhastanza importanti da impedire la lealtà verso una totalità più grande, che abbraccia e fornisce asilo a tutte quelle differenze e a chi le incarna. Nei periodi di nation-building, la spada dell'identità viene brandita da tutte e due le parti in lotta: da
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un lato in difesa delle lingue, le memorie, le tradizionie le usanze locali e minori contro «quelli della capitale» che incoraggiano l'omogeneità e chiedono uniformità; e dall'altro lato nella «crodata culturale» condotta dai sostenitori dell'unità nazionale e mirahte a estirpare il «provindalismo», il parrocchialismo, il campanilismo delle comunità o etnie locali. .. n patriottismo nazionale dispiegava le sue truppe su due fronti: contro il «particolarismo locale»., in nome del comune destino e dei comuni interessi nazionali, e contro il «cosmopolitismo senza radici»" che vedeva e trattava i nazionalisti proprio come i nazionalisti vedevaho e trattavano i «gretti bifolchi provinciali» per la loro fedeltà e la loro difesa di eccentricità etniche, linguistiche e religiose.. L'identità- sarà bene esser chiariSti questo punto _ è un «concetto fortemente contrastato», Ogni volta che senti questa parola, puoi star certo che c'è una battaglia in corso. n campo di battaglia è l'habitat naturale per l'identità. L'identità nasce solo nel tumulto della battaglia,. e cade addormentata e tace non appena il rumore della battaglia si estingue. È dunque inevitabile che abbia una natura a doppio taglio.. La si può forse (come fanno comunemente i filosofi che perseguono un'eleganza logica) estromettere dal desiderio, ma non la si può estromettere dal pensiero, e men che mai estromettere dalla pratica umana. L' «identità» è una lotta al tempo stesso contro la dis~ soluzione e contro la frammentazione; intenzione di divorare e allo stesso tempo risolut.o rifiuto di essere divorati... n liberalismo e il comunitarismo, quantomeno nella loro essenza pura ed esplicitamente dichiarata, 75
sono due tentativi opposti di riforgiare la spada dell'identità facendone una sdabola a un solo taglio. Demarcano i poli immaginari di un continuum lungo cui tutte le battaglie d'identità reali vengono combattute e tutte le pratiche identitarie vengono elaborate. Ogni identità sfrutta fino in fondo uno, e uno soltan" to, dei due valori, entrambi amati e ugualmente indispensabili per un'esistenza umana deoente e compiu" ta: la libertà di scelta e la sicurezza offerta dall'appartenenza. E ogni identità lo fa, esplicitamente o implicitamente, esaltando uno dei due valori e svilendo l'altro. Le
gono arruolati e dispiegati sul campo di battaglia fianco a fianco. Distillati dall'infuocato disordine del campo di battaglia e passati sotto il freddo getto d'acqua del giudizio razionale, la loro contrapposizione torna immediatamente a riaffermarsi. La vita è più ricca, e meno elegante, di qualsiasi principio che dovrebbe farle da guida... Questo non signifka, tuttavia., che i filosofi smet" teranno mai di cercare di raddrizzare ciò che è contorto e conciliare l'incompatibile (un esempio recente è il tentativo operato da Will Kymlicka di sottrarre la contesa dalla confusione del campo di battaglia, con l'ambizione non solo di raggiungere un temporaneo armistizio, ma di affermare l'essenziale affinità e una permanente alleanza tra i principi liberali e le aspre richieste comunitaristiche. Si è tentati di portare il ragionamento di Kymlicka ad absurdum e suggerire che ciò che egli propone, in ultima analisi, è che il compito di acoettare la pressione del gruppo e cedere alle sue richieste sia un elemento indispensabile della carta liberale dei «diritti dell'individuo»). Per quanto ingegnosi ed eleganti da un punto di vista logico, gli sforzi filosofici pereliminar,e quest'autentica contraddizione, difficilmente potranno avere un qualche apprezzabile impatto sulle attuali guerre d'identità (se non nel senso di fornire un'assoluzione ,e una bénedizione). Possono tuttavia esercitare un'influenza negativa sulla nostra visione e comprensione del problema.. La direzione in cui procedono è peri" colosamente vicina alla «neolingua» di OrwelL.. Penso che tutte queste considerazioni confermino il sospetto da Lei espresso che «i differenti significati annessi alI 'uso del termine 'identità' contribuisca-
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no a minare alla base iI pensiero universalistico».. Le battaglie d'identità non possono svolgere il loro lavoro di identi6cazione senza essere fonte di divisione almeno quanto lo sono, o forse più, di unione. Le loro intenzioni inclusive si mescolano (o per meglio dire si complementano) con le intenzioni di segregare, esonerare ed escludere. C'è soltanto un'eccezione a questa regola, l'allgemez'ne Veret'nt'gung del" Menschheit di Kant, l'universale unificazione dell'umanità, quell'identità veramente, completamente inclusiva, che nella sua visione era esattamente ciò che la Natura, avendoci messo su un pianeta sferico, doveva avere in serbo per il nostro futuro comune. Nella nostra pratica corrente, tuttavia, l'«umanità» è soltanto una delle innumerevoli identità attualmente impegnate nella guerra di logoramento redpmco. A prescinder,e dalla giustezza o meno della supposizione di Kant che l'unità del genere umano sia l'esito predestinato di questa guerra,. l'<
raggio ai pavidi e determinazione agli incerti, e consolidare le conquiste delle missioni di proselitismo. Come abbiamo già visto, lo «spazio di flussi» planetario è un'«ar,ea a-politica e a-etica».. Tutti glianco· raggi a disposizione per i principi politici, legali, etici, si trovano fino a questo momento sulla sponda delle identità meno inclusive, più parziali e foriere di divisione. Per quanto in là spinga la mia imm~ginazione, la battaglia dell'umanità per 1'autoaffermtlìzione non sembra facile, men che mai dall'esito scontato. Il compito che ha davanti non è semplicemente ripetere una volta di più un'impresa che è stata realizzata molte volte nella lunga storia del genere umano: so" stituire un'identità con un'altra, più inclusiva, e spingere più in là i confini dell'esclusione. Nessuno si è mai misurato col genere di sfida che l'ideale di «umanità» ha di fronte a sé, perché una «comunità onnicomprensiva» non è mai stata all'ordine del giorno nell'agenda del genere umano.. Ed è un'umanità frtlìmmentata e profondament,e divis;aa doversi oggi misurare con questa sfida, armata di nient'altro che l'entusiasmo e la dedizione dei suoi militanti. ..
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D. C'è tuttavia una nazione che .ba cercato di istituzionalizzare la .cotnpresenza di identità collettive, ma specifiche, e nel fare cIò .ba quasi finito per relegare il carattere u.niversalistico del diritto moderno a poche norme soltanto. Sto naturalmente parlando degli Stati Uniti. Perfino questo caso, però,. dobbiamo osservare c.be l'introduzione di un quadro istituzionale mutevole basato sul riconoscimento di identità parziali è sta-
to portato avanti in nome di t'dentit/i ancestrali. Cosa non ha funzionato nel melting pot? Ancora una volta le Sue osservazioni sono azzeccate... Le due cose vanno insieme: l'esiguità dell'insieme dicr,edenze, simboli., regole che legano insieme tutti i membri della palis, e la ricchezza, densità. e diversità dei segni alternativi di identità (etnici, storici, religiosi, sessuali, linguistici, ecc.). Esistono altri esempi simili a quello degli Stati Uniti (anche se il melting pot è un'invenzione e un sogno specificamenteamerÌCano). La situazione è abbastanza simile in altre «terre di colonizzazione» (Australia, Canada), dove gli immigrati non hanno trovato una cultura storicamente formata, dominante e incontestata che potesse servire da schema di adattamento e assimilazio-· ne per qualsiasi altro nuovo arriva1n, richiedere e ottenere un'ubbidienza universale.. Una quantità non trascurabile di immigrati sceglievano al contrario il nuovo pa,ese nella speranza di poter conservare, sviluppare ,e praticare indisturbati l,e proprie differenze religiose o etniche minacciate nel paese d'origine. Negli Stati Uniti, in Australia o in Canada l'unica cosa richì,esta ai nuovi venuti era di giurare fedeltà alle leggi del paese (una cosa simile al «patriottismo costituzionale» di Habermas); per il r,esto, era promessa (e garantita) libertà assoluta in tutte le questioni di cui la costituzione non parlava esplidtamente. I requisiti obbligatori per ottenere la condizione di cittadinanza avevano troppo poca sostanza per hastare a costruire un'identità forte ,e vigorosa, così il compito di fabbricare un'identità completa assunse li, molto più che altrove, le caratteristiche di un lavo-
ro «fai da te». E in questo modo fu intrapreso e praticato. VAmerica non è solo una terra dalle molte etnie e denominazioni religiose, ma è anche una vasta, continua, ossessiva sperimentazione con le «materie prime» che possono eSsere utilizzate per dar forma a un'identità.. Praticamente ogni materia prima è stata collaudata, e tutto ciò che ancora non è stato collaudato lo sarà in futuro; e il mercato dei beni di consumo se ne rallegra. e riempie magazzini e scaffali di segni identitari sempre nuovi, originali, allettanti per· chéancora non assaggiati e non collaudati. C'è anche un altro fenomeno da segnalare: il rapido ridursi dell'aspettativa di vita della maggior parte delle presunte identità unito alla crescente velocità del loro ritmo di ricambio.. Le biografie individuali sono spesso storie di identità scartate... Se giudichiamo iL risultati di tutto dò dal caso americano, dobbiamo concludere che questa risposta ai problemi dell'identità. non è stata un completo successo. Con lo Stato politico programmaticamente indifferente e neutrale nei confronti del «lavoro a domicilio» delle identità e che si astiene dall'emetterie un giudizio sul valore relativo delle scelte culturali e dal promuovere un modello di socialità condiviso, i valori comuni che tengono insieme la. società sono pochi per non dire nessuno. L'American way oflz/e di cui i politici americani parlano in continuazione si riduce in ultima istanza all'assenza di un qualsiasi way 01li/e condiviso e universalmente praticato che non sia il consenso,. convinto o riluttante, a lasciare all'iniziativa privata e alle risorse a disposizione dei singoli cÌttadini il compito di scegliere il proprio way ofh/e. Quando si scende sul piano delle preferenze e scdte cultu-
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rali, c'è forse più disgregazione e antagonismo che unità, i conflitti sono numerosi ,e tendenzialmente aspri e violenti. Ciò costituisce una minaccia costante all'integrazione sociale, nonché al sentimento individuale di sicurezza e fiducia. Questo a sua volta crea e mantiene un elevato stato di ansia. Mettere insieme la propria identità,. renderla coerente e presentarla alla un pubblica approvazione richiede, trattandosi compito individuale, condotto con pochi punti di orientamento (e incostante cambiamento),. un'attenzione costante,. una vigilanza continua, una gigantesca e crescente quantità di risorse e uno sforzo incessante senza speranza. di un attimo di respiro. li risultato è un'ansia acuta che cerca vi,e di sbocco: un sovraccarico che da qualche parte deve scaricarsi.... Di qui la tendenza a ricercare nemici comuni su cui la rabbia accumulata possa trovare sfogo, un'inclinazione al panico morale e ad attacchi di paranoia collettiva. C'è una costante richiesta di nemici pubblici (come «il pericolo rosso», la «sottodasse» o semplicemente «quelli che ci odiano» o «che odiano il nostro stile di vita americano») contro cui individui gelosi della propria privacy e reciprocamente diffidenti possano unirsi nel quotidiano spettacolo dei «cinque minuti d'odio» di orwelliana memoria. li patriottismo nella sua fonna «costituzionale» può diventare, a quanto sembra, una faccenda violenta. La lealtà alle leggi del paese chiede a gran voce di essere integrata da odi condivisi o paure condivise...
valenti. Mi rijeriscoalie critiche che alcune studiose e filosofe femmz:niste banno rivolto al concetto di identz'tà.. Anche questo caso potremmo dire, parafrasando Jean-Paul Sa.rtre, che nascere donne non è sufficiente per essere donne.. Mi sembra che ciò sia presente in alcuni recenti contributz' della teoria femminista.: il fatto, cioè, che l'identità non sz:avista come un dato immodificabile, ma piuttosto come un q.ualcosa divenire, come un pro,cesso. Un buon modo per usare dalla gabbia dell'identità, non è d'accodo?
D. Per continuare la discussione sul melting pot, vorrei suggerire un a.~gomento che implzica risposte ambi-
R La natura provvisoria di qualsivoglia identità e di qualsivoglia scelta tra l'infinita moltitudine dimo~ delli culturali a disposizione non l'hanno scoperta, né tantomeno inventata, le femministe. L'idea che nulla,. nella condizione umana, venga dato una volta per tutte e senza il diritto di appellarsi ed emendar,e, che tutto ciò che è debba prima essere «fatto»· e una volta fatto possa essere modificato all'infinito, ha accompagnato l'età moderna fin dal suo inizio: in effetti, il cambiamento ossessivo e compulsivo (chiamato ora <<modernizzazione», ora «progresso», ora «miglioramento», ora «sviluppo», ora «aggiornamento») è r essenza del moderno modo di essere. Cessi di essere <<moderno» non appena smet· ti di «modernizzare», non appena metti giù le mani e smetti di armeggiare con ciò che sei tu e ciò che è il mondo che ti sta intorno. La storia moderna è stata (ed è ancora) uno sforzo continuo per spingere sempre più in là i limiti di ciò che può essere modificato dagli esseri umani a loro piacimento ,e «migliorato» per adattarsi meglio alle esigenze e ai desideri umani; la storia moderna è
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stata anche un'instancabile ricerca degli strumenti e dell'abilità tecnica in grado di consentire di annulla· re e abolire i limiti estremi. Siamo arrivati al punto di sperare di manipolare la: composizione genetica degli esseri umani, che fino a poco tempo fa era il modello stesso di immutabilità, della «natura» a cui gli esseri umani dovevano sottomettersi. Sarebbe stato davve· ro strano se ['identità (perfìno quegli aspetti che si supponevano più tenaci come le dimensioni o la forma del corpo e il sesso) fosse rimasta a lungo un',eccezione capa.ce di resistere a questa onnicomprensiva tendenza moderna. C'è voluto qualche secolo perché i sogni di Pico della Mirandola (dell'esser,e umano che diventa come il leggendario Proteo, cambiando forma da un momento all'altro e attingendo liberamente qualsiasi cosa gli piaccia in quell'istante dal contenitore senza fondo delle possibilità) si innalzassero al livello di credo universale. La libertà di cambiare ogni aspetto e ornamento dell'identità individuale è vista oggi da molti individui come qualcosa di. realizzabileall'istante o quantomeno come una prospettiva realistica per il futuro prossimo. Sdezionare i mezzi necessari per ottenere un'identità alternativa di propria scelta non è più un problema (se si ha, cioè,. abbastanza denaro per acquistare tutti i necessari accessori): nei negozi c'è un qualche aggeggio che non aspetta altri che voi, pronto a trasformarvi sul momento nel personaggio che volete essere, in come volete essere visti ed essere riconosciuti. Faedo un solo, recentissimo esempio: dopo l'introduzione della congesttòn charge, la tassa per gli automobilisti che vogliono circolare in auto
nd centro di Londra, essere uno «s,cooterista» è subito diventato un obbligo per i londinesi alla moda. Non è semplicemente lo scooter a essere diventato un must, ma anche un abbigliamento appositamente disegnato, indispensabile per chiunque voglia sfoggiare in pubblico la sua nuova «identità di scooterista»: giacca di pelle Dolce&Gabhana, scarpe da ginnasticaalte e rosse dell'Adidas, casco argentato Gucci o sciarpa gialla Jill Sander intorno agli occhiali da sole... Dall'altro versante, il problema reale e la maggiore preoccupazione odierna è il dilemma opposto: quale delle diverse identità sdezionare e per quanto tempo mantenerla una volta operata la scelta? Se in passato «l'arte della vita» consisteva previllentemente nd trovare i giusti mezzi per un determinato fine, oggi si tratta di sperimentare, uno dopo l'altro, tutti gli (infinitamente numerosi) fini che si possono ottenere con l'aiuto dei mezzI già ottenuti o alla propria portata. La costruzione dell'identità ha assunto la forma ,di un'inarrestabile sperimentazione. Gli esperimenti non finiscono mai. Siprova un'identità alla volta, ma molte altre,. ancora non collaudate, aspettano dietro l'angolo di venire raccolte. Molte altre ancora,. neanche sognate, verranno inventate e desiderate nd corso della vita. Non si saprà mai per certo se l'identità che si sfoggia al momento sia la migliore che si possa avere e quella che potrebbe dare maggior soddisfazione.. L'equipaggiamento sessuale corporeo è solo una di quelle risorse a disposizione ,che, come tutte le altre risorse, può essere usata per gli scopi più diversi e messa al servizio di un intero assortimento di obbiet-
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rivi. La sfida, sembra, è estendere al massimo il potenziale di creazione di piacere di questo «equipag" giamento naturale>:>: sperimentando uno dopo r altro tutti i diversi generi di «identità sessuale», e magari inventandone qualcun altro lungo la strada.
3.
LA COSTRUZIONE DELL7IDENTITÀ, I MEDIA E LA GLOBALIZZAZIONE
D. Uno dei mezzt~ uno degli strumenti per giocare con l'identità jj.jf~~ Nel World Wide Web) infat" tt~ possiamo comumciire creando false identità. Non pensa che la questione deltidentità, p.roprio nel ciber" spazio) finisca disintegrata diventando solo un passatempo?
R. Nel nostro mondo fluido impegnarsi per tutta la vita nei confronti di un'identità, oanehe non per tutta la vita ma per un periodo di tempo molto lungo, è un'impresa rischiosa. Le identità sono vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da patte e tenere al sicuro.... Tutto questo segue da quanto abbiamo detto finora. Ma se questa è la condizione cui tutti, volenti o nolenti, svolgiamo i nostri affari quotidìani, sarebbe sciocco dare la colpa di questo stato di cose agli strumenti elettronici, come le chat-Me su internet o le «reti» dì telefonia mobile.. E semmai vero il contrario: è perché siamo costretti a torcere e modeUare senza posa le nostre identità senza poter rimanere legati saldamente a una sola di esse anche se lo volessimo, che lo strumento elettronico che svolge proprio questa funzione è sembrato comodo e utile 87
ed è stato abbracciato con tanto entusiasmo da milionidi persone. Lei dice: «faJlse identità» ... Ma ciò è vero solo se si presuppone che esista una cosa come una sola e unica «vera identità».. Ma si tratta di un presupposto che appar,e poco credibile a persone che corrono dietro ai cambiamenti della moda: sempre e soltanto mode, ma sempre obbligatorie finché sono di moda... CosÌl l'eroe di Henrik Ibsen, Peer Gynt, ossessionato per tutta la vita dall'idea di trovare la sua «vera identità», riassumeva la sua strategia di vita:«Voler arrestare il tempo saJltellando e ballando! ».. Tutti coloro che oggi si sentono confusi e infastiditi dall'elusività dell'identità (il che vuoI dire praticamente tutti), dovrebbero leggere e riflettere sul Peer Gynt, l'opera teatrale pubblicata nel 186723 • Lì tutti i problemi dei nostri giorni sono,. profeticamente, previsti ed esplorati. Ciò che Peer Gynt temeva sopra ogni altra cosa era «la certez.za che non potrò mai tornar libero», rimanere inchiodato a un'identità «fino al termine dei miei giorni». A questa storia «che non potrò mai più tornare indi,etra, [...] io non acconsentirò mai». Perché una simile prospettiva era terrificante? Perché «chi può sapere cosa c'è dietro l'angolo?»; quello che ora ci sembra bello e confortevole e dignitoso può rivelarsi, una volta girato l'angolo., brutto, inadatto e spregevole.... Per sfuggire a una simile, non invidiabile eventualità, Peer Gynt aveva optato per quelli che si possono definire solo come «colpi preventivi»: «l'arte di osare, l'arte avere il coraggio di agire è: restar libero di scelta», «sapere di certo che col giorno di lotta non hanno termine i giorni», «sapere che
ci resta aperto un ponte che permette la ritirata». Perché questa strategia desse frutti, Peer Gynt decise (sbagliando, come viene fuori alla fine della storia) di «spezzare, da ogni parte, i vincoli che ci legano alla patria, agli amici,. buttare al vento tesori e ricchezze... dare l'addio alla felicità d'amore ». Perfinoesser,e un imperatore era affare troppo rischioso, con tutto quel carico di obblighi e legami. Gynt desiderava es" sere soltanto «l'imperatore della vita umana». Seguì questa strategia fino alla fine, solo per chiedersi, aJl termine della sua lunga vita, confuso, triste e disorientato: «Sai dove sia stato Peer Gynt in tutti questi anni? [...] Dov'era il mio io vero, intero?». Nessuno poteva rispondere a questa domanda tranne Solvejg, il grande amore della sua giovinezza, rimasta fedele al suo amore anche quando il suo innamorato aveva deciso di diventare l'imperatore della vita umana, e lei rispose. Dov'eri? «Nella mia fede, nella mia speranza e nel mio amore». Noi siamo oggi, un secolo e mezzo più tardi, consumatori in una società di consumatori.. La società del consumo è una società di mercato: noi siamo tutti nel mercato e Jul mercato, simultaneamente consumatori e beni di consumo. Non c'è da stupirsi che l'uso/logorio delle relazioni umane e quindi, pet procura, anche delle nostre identità (noi ci identifichiamo in d-' ferimento alle persone con cui siamo in relazione) assomigli sempre più all'usollogorio delle automobili, a imitazione di quel ciclo che comincia con l'acquisto e finisce con la discarica. Un crescente numero ,di osservatori ritiene che gli amici e le amicizie ricopriranno un ruolo vitaJle nella nostra società completamente individualizzata. Con
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le strutture dei supporti tradizionali della coesione sociale in rapido processo di sgretolamento, le relazioni di amicizia potrebbero diventare i nostri giubbotti salvagente o le nostre scialuppe di salvataggio. Ray Pahp4 - sottolineando che nella nostra epoca di scelta, l'amicizia, «l' archetipo della relazione sociale per scelta», è la nostra scelta naturale ~. chiama l'amicizia la «guardia del corpo sociale» della vita tardo" moderna. La realtà sembra tuttavia meno lineare. In uesta vita «tardo-moderna» o d
L'ambivalenza continua sfocia in una dissonanza cognitiva, uno stato mentale notoriamente degradante, invalidantee difficile da sopportare. Questa a sua volta sollecita il ricorso al consueto repertorio di stratagemmi Ienitivi, tra i quali il più comune è deprezzare, sminuire, svalutare uno dei due valori inconciHabili. Soggetta a pressioni contraddittorie, più ,di una relazione (in ogni caso concepita come un rapporto «fino a nuovo avviso») finisce con lo spezzarsi. La rottuta di una relazione è qualcosa che è ragionevole .aspettarsi,. acui è megHo pensare in anticipo 'e che è bene essere pronti ad affrontare. Con una cosi alta probabilità che il processo di allacciamento di legami relazionaH produca prodotti di scarto, la lungimiranza e la prudenza consigliano di predisporre con largo anticipo le strutture di smalti-
mento dei rifIuti. D'altronde, l'accorto costruttore edilizio non rischierebbe di cominciare i lavori di costruzione di un edificio senza aver ottenuto un permesso di demolizione; i generali rifiuterebbero di mandare le loro truppe in battaglia prima di disporre di un credibile scenario di uscita dal conflitto; i datori di lavoro di tutto il mondo si lamentano che assumere è praticamente impossibile se ci si deve accollare i diritti acquisiti dei dipendenti e se si deve sottostare ai vincoli che regolano il licenziamento. Questi rapporti ad avvio istantaneo, consumo rapido .e smaltimento su richiesta hanno tuttavia anch'essi i loro effetti collaterali. Lo spauracchio di finire nella discarica è sempre in agguato. D'altr,onde, la velocità di consumo e il sistema di smaltimento rifiuti sono opzioni a disposizione di entrambi i partner. Potremmo finire col ritrovarci in una condizione sim.i.le a quella descritta da OHverJames2 5., avvelena" ti «da un costante sentimento di mancanza degli altri nella vita, con sensazioni di vuoto e solitudine non dissimili dal lutto». Potremmo stare «sempre con la paura di venir lasciati da amanti e amici». Ciò che tutti apparentemente temiamo, affetti da «depressione da dipendenza» o no, in piena luce del giorno o tormentati da allucinazioni notturne, è l'abbandono, l'esclusione, l'essere respinti, banditi, ripudiati, abbandonati,. spogliati di ciò ,che siamo, il ve" derci rifiutare ciò che vogHamo essere. Temiamo che ci vengano negati compagnia, amore, aiuto. Temiamo di venir gettati tra i rifiuti... Ciò di cui sentiamo più ferocemente la mancanza è la certez.za che tutto questo non accadrà, non a noi. Sentiamo la mancanza di
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un'esenzione dall'universale e onnipresente minaccia di esenzione... Gli orrori dell'esclusione prendono corpo da due fonti, sebbene raramente si sia certi della loro natura, e ancor meno capaci di distinguere l'una dall'altra. Vi sono movimenti, cambiamenti e slittamenti apparentemente casuali, fortuiti e totalmente imprev,edibilidi quelle che in mancanza di un termine più preciso chiamiamo <~~gl~l~iillii9Q(if> . ~ se modificano in maniera irriconoscibile e senza
1 possono trastormare, oggi al domani, in vagabondi senza casa, senza un indirizzo o un'identità fissa. Possono ritirarci i certificati di identità o invalidare le identità certificate. E ogni giorno d ricordano che possono farlo im~ punemente, gettando davanti alle nostre porte quegli individui che sono già stati respinti, costretti a scappare via, a fuggire affannosamente da casa loro per cercare i mezzi per restare in vita, derubati dell'identità e dell'autostima. Se ai giorni nostri non c'è argomento di cui si parli con maggiore solennità o con più gusto che di «reti», «connessionD> o «relazioni», è so~ lo perché la «roba autentica» -le reti strettamente intrecciate, le connessioni salde e sicure, le relazioni a tutto tondo - in pratica si è sgretolata. Questa lunga digressione mi era necessaria per affrontare la Sua domanda: per spiegare che se parliamo costantemente di reti e cerchiamo ossessivamente di evocarle (loro o almeno i loro simulacrO con gli «appuntamenti·lampo» e i magici incantesimi dei
«messaggini» via cellulare, è perché avvertiamo acutamente la mancanza del sistema di protezione che le reti reali di par,entela, amicizia,. fratellanza fomivano concretamente, con o senza i nostri sforzi. Le rubriche dei cellulari sostituiscono la comunità mancante e fanno le ved (o almeno si spera) dell'intimità mancante: portano un carico di aspettative che non hanno neanche la forza di sostenere, figuriamod di mantenere. Andy Hargreaves26, mi si permetta di dtarloancora, scriv,e di «sequele episodiche di mini interazionD> che sostituiscono sempre di più «le prolungate conversazioni e relazioni familiari». Esposti ai «contatti resi facili» dalla tecnologia dettronica, perdiamo la capacità di entrare' spontaneamente in interazione con le persone reali. In effetti siamo diventati più timidi nei contatti faccia a facda. Afferriamo i nostri cellulari e pigiamo furiosamente bottoni e impastiamo messaggi per evitare di «darci in ostaggio al destino» e fuggire dalle complesse, disordinate, imprevedibili, difficili da interrompere e da condudere, interazioni con le «persone reali» presenti fisicamente intorno a noi. Più vaste (anche se più vuote) sono le nostre comunità fantasma, più scoraggiante appare il compito di cucire e tener'e insieme quelle vere. Come sempre, il mercato consumistico è fin troppo felice di aiutarci a uscire da. questa situazione. Prendendo spunto da Stjepan Mestrovié 27 , Hargreaves osserva che «le emozioni vengono estratte da questo mondo affamato di tempo, questo mondo di relazioni sempre più esigue, e reinvestite in oggetti di consumo.. La pubblicità associa le automobili alla passione 'e desiderio, e i telefoni cellulari al-
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l'ispirazione e alla lussuria». P.er quanti sfOlrzi i mercanti possano prodigare, la fame che promettono di saziare non si pla.cherà. Gli esseri umani sono stati forse riciclati in beni di consumo, ma i beni di consumo non possono essere trasformati in esseri uma· nL Non in quel genere di esseri umani che ispirano la nostra disperata ricerca di radici, parentela, ami· ciziae amore, non quegli esseri umani con cui po-
tersi identi/icare. Bisogna ammettere che i succedanei consumistici hanno un vantaggio sulla «roba autentica». Essi promettono la libertà dalle fatiche di interminabili tratta· tive e scomodi. compromessi: si impegnano a farla fi· nita una volta per tutte con quella seccante necessità di sacrifici, concessioni, accordi insoddi.sfacenti che.... tlitti i legami intimi e sentimentali prima o poi richiedono. Vi offrono la possibilità ,di. recuperare le perdi.· te se troverete tutte queste t,ensioni troppo dure da sopportare. E per giunta i venditori garantiscono una facile e frequente sostituzione della merce,. quando cesserai di trovarla utile o quando altre merci, nuove e migliorate, più seducenti, appariranno all'orizzonte. In breve, i beni di consumo incarnano il punto estremodi non definitività e revocabilità delle scelte e il punto estremo della facoltà di disporre a piadmento degli oggetti soelti. ... Cosa ancora più importante, fanno sembrare che il controllo sia nelle nostre mani. Siama noi, i consumatori, che tracciamo la linea divisoria tra cose utili e cose da buttare. Con i beni di consumo come partner, possiamo forse smettere di preoceupard di finire nel bidone dei rifiuti. O forse no?'
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n.
Eppure, e nonostante la crisi del multic.ulturali. smo) le <<pohtt:che delle identità» occupano un posto d)onore tanto nella riflessione teorica sulla crisi delle de· mocrazie occidentali che nel!'azione det' nuovi movimentt'sociali. E sono proprio i new media il medium attraverso il,qu,ale lepohtichedelle identt'tà trovano legittùnazione e rappresentaZt:one pubblt'ca. In fondo) non sono prop.rio i new media che contribuiscono allo svi. luppo del caleidoscopio delle mutevoll identità sociali?
R.
Abbiamo trattato già prima questa intricata questione, il «multiculturalismo». Ho osservato che ciò che è nutrimento per alcuni può essere veleno per altri.. La proc1amazione dell'«era multiculturale» rIDet-. te secondo me l'esperienza di vita della nuova élite globale che trova, ovunque viaggi (e viaggiano molto, in aereo o sulla rete), altri membri della stessa élite globale che parlano lo stesso linguaggio e si preoccupano delle stesse cose. Tenendo conferenze in Europa e in altre parti del mondo sono rimasto colpito dal fatto che le domande che mi venivano rivolte dal puhblico erano dovunque l,e stesse... La proc1amazione dell'era multiculturale è tutta" via al tempo stesso una dichiarazione di intenti: del rifiuto di emettere giudizi e pI\endere posizione, di indifferenza, un lavarsi le mani delle insignificanti quereiles su stili di vita o valori preferiti. Una dichiarazione della nuova <<:onnivora insaziabilità culturale» dell'élite globale: trattiamo il mondo come un gigan" tesco grande magazzino con scaffali colmi delle offerte più svariate, sentiamoc.i.liberi di girovagare da un piano all'altro, di provare e gustare ogni articolo in esposizione, di prenderli a nostro piadmento. 95
È un atl:eggiamenl:o l:ipico di persone in viaggio, in viaggio anche quando stanno fermi, nelle loro case o nei loro uffìd. Ma è un aueggiamento diffid1e da assumere per la gran maggioranza dei residenti del pianeta, che rimangono fissi nel luogo di nascil:a e che, se volessero andare da qualche altra parl:e in cerca di una vil:a migliore o semplicemente diversa,. verrebbero fermati al confine più vicino, risl:rel:l:i in campi per «immigrati dandeSl:ini» o «rispedil:i a casa». Questa maggioranza è esclusa dalla grande festa planetaria.. Niente «bazar multiculturale» per loro. Questi indi" vidui si l:rovano spesso, come ha osservato Maria Markus28 , in uno stal:o di «esiSl:,enza sospesa», fedeli a un'immagine di un passato che è stato perduto e si sogna di ristabilire, e che vedono il presente come un'aberrazione e un'opera delle forze del male. Costoro si tappano le orecchie per non sentire la frastornante cacofonia di messaggi culturali... Non c'è mai stato, negli ultimi due secoli, un divario quale c'è oggi tra il linguaggio parlato rispel:l:ivamenl:e dall'élite istruita e benestante e quello parlato dal resto della «gente», un così grande divario fra le esperienze che questi linguaggi descrivono. Fin dall'avvento dello Sl:ato moderno, l'élite istruita si è consideral:a (a torto o a ragione, nel bene o nel male) come l'avanguatdia, le unità più avanzate della nazione: noi siamo qui per guidare il resto del popolo fiooal punto dove noi siamo già arrival:i; gli altri ci seguiranno e il nostro compito è quello di farli muovere velocement'e. Questo sentimento di una missio" ne colletl:iva ci ha ormai del tutto abbandonato. <
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elogiano ed applaudono le divisioni multiculturali volessero dire: noi siamo liberi di diventare qualsiasi cosa vogliamo essere, ma la «gente» preferisce rimanere attaccal:a al posto e alle cose in cui è nata e dove è stata istruita a rimanere. Che lo facciano pure: è un problema loro, non nostro. Lei in precedenza ha chiesto del ruolo dei media nella produzione delle idenl:ità attuali. lo direi piuttosto che i media forniscono la materia prima che gli spettatori usano per fare i conl:i con l'ambivalenza della loro collocazione sociale. ettatori
ettetto dI «eX1traterritorialit:TVirt\iale»"sr~ottiene sincronizzando a livello planetario gli spostamenti dell'attenzione e gli oggetti di tali spostamenti. Milioni, centinaia di milioni di persone guardano ,e ammirano le stesse star del cinema o l,e stesse celebrità della musica pop, si spostano all'unisono dall'heavy metal al rap, dai pantaloni svasal:i alle scarpe da ginnastica all'ultimo grido, si scagliano contro lo stesso nemico pubblico (globale), temono lo stesso cattivo (globale) e applaudono lo stesso salvatore (globale). Ciò consente loro di innalzarsi
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La sincronizzazione dell'attenzione e degli argomenti di conversazione, naturalmente, non equivale a un'identità condivisa, ma attenzione ed argomenti mutano con tale rapidità che quasi non rimane tem" po per cogliere questa verità. Hanno tendenza a sparire dalla vista e venire dimenticati prima che si abbia il tempo di scoprirne il Muff. Ma prima di scomparire riescono ad .alleviare il dolore dell'esclusione. Creano quella st,essa illusione di .libertà di scelta che Peer Gynt coltivava e apprezzava, anche se vivere al" l'altezza di quell'illusione era un compito demoralizzante e una battaglia in salita, che produceva tanta frustrazione e lasciava dietro di sé un magro guadagno.. I momenti di felicità erano inframmezzati da lunghi periodi di preoccupazione e tristezza. Per cercare di riannodare insieme i fili dei molti temi che abbiamo cominciato a intrecdar,e,. ma senza quasi mai portarli a compimento, dird che l'ambivalenza che quasi tutti sperimentiamo quasi sempre quando cerchiamo di dare una risposta al problema della nostra identità è genuina.. Ed è genuina anche la confusione che essa provoca nella nostra mente. Non esiste nessuna ricetta infallibile per risolvere i problemi a cui questa confusione conduce, ,e non ci sono riparazioni rapide o soluzioni prive di rischi per tutto dò.. Dird anche che, a dispetto di tutto quanto detto, dovremo continuare a farci carico del compito dell'«autoidentificazione>:> e che ci sono poche possibilità che questo compito venga mai completato in maniera efficace e soddisfacente una volta per tutte. Siamo probabilmente destinati a dibatterci tra il desiderio di un'identità di nostro gusto edi nostra scelta e il timore che una volta acqui98
sita quest'identità si finisca con lo scoprire, come successe a Peer Gynt, che non c'è nessun «ponte che permetta la ritirata», E dobbiamo guardarci dall'idea di rinunciare ad accettare questa sfida. Ricordiamo le parole di Stuart Hall29 : Dal. momento che la diversità culturate è sempre di più il destino de] mondo moderno, e l'assoludsmo etnico una caratteristka regressiva della tarda. modernità, ~~~~ maggiore nasoe oggi da forme di identità nazi
Cerchiamo, per quanto possibile, di tenerd aUa larga da questo pericolo.
D. NegU ultimi anni siamo stati testimom' dellacrescita di un v.ariegatissimo movimento sociale che si oppone alla globalizzazione neoliberista. Un movimen.to che parla spesso i linguaggi delle' identità localt: minacciate dallo sviluppo economico. Ciononostante, ho la sensazione che in questo stesso movimento ci sia una forte ambt:valenza. E identità può essere una via per l'emancipazione, ma può anche essere una forma di oppressione.
R È naturalmente troppo presto per emettere un giudizio finale sull'importanza storica dei cosiddetti movimenti «anti-globali.zzazione». Ritengo, peraltro, che il termine sia fuorviante.. Essere «contro la glo99
balizzazione» è come essere contro leedissi di sole: il problema, e il tema più adatto per ilmovi1Ilento, non è come «disfare» l'unificazione del pianeta, ma come imbrigliare e controUare i processi di una globalizzazione fino a questo momento selvaggia, e come trasformarli da una minaccia in un'opportunità per l'umanità. Una cosa sembra tuttavia chiara: lo slogan «pensa globalmente, agisci localmem,e» è improprio, forse addirittura dannoso. Non esistono soluzioni locali a problemi globali.. I problemi globali possono essere risolti soltanto {s,empre che possano essere risolti) con azioni globali. Cercare salvezza dai perniciosi effetti di una globalizzazione sfrenata e incontrollata ritirandosi nell'.accogliente familiarità del proprio circondario, sbarrando i cancelli e serrando le finestr,e, non fa altro che perpetuare l,e condizioni di assenza di regole da «Far West», da «terra di frontiera», perpetuare le strategie alla «chi può s'arrangi», l'ineguaglianza rampante eIa vulnerabilità universale. Le incontrollate e distruttive forze globali prosperano sulla frammentazione dello scenario politico e sullo spezzettamento di una politica potenzialmente globale in un insieme di egoismi locali perennemente in lotta, impegnari a contrattare una porzione più larga delle briciole che cadono dalla tavola: imbandita dei baroru-pr,edoni globali. le «identità locali» come
. Credo che per l'interesse personale e i principi etici di rispetto e aiuto reciproco puntano nella stessa direzione e richiedono la stessa strategia. Da maledizione, la gIobalizz.a:zione può perfino trasformarsi in una benedizione: l'«umanità»· non ha mai avuto un'occasione migliore l Se dò accadrà effettivamente e si riuscirà a cogliere l'occasione prima che vada perduta è una questione ancora aperta.. La risposta dipende da noi. Non viviamo alla fme della storia, e nemmeno all'inizio della fine. Siamo alla soglia di un'altra grande trasformazione: le forze globali sguinzagliate e i loro ciechi e dolorosi effetti devono essere messi sotto controllo democratico popolare e obbligati a rispettare e osservare i principi etici della coabitazione umana e della giustìziasociale. È di gran lunga troppo presto per fare congetture su quali forme istituzionali produrrà questa trasformazione: nessuno ha un diritto di prdazione sulla storia. Ciò di cui, però, si può essere ragionevolmente skuri è che tali forme, per svolgere il ruolo che si propongono,. dovranno dimostrare di ess,ere capaci di innalzare la nostra iden" tità a livello planetario, al livello dell'umanità. dovremo trarre conclusioni ;;;';;;iii~ii'_A~'~;;~ no
"_ . ,&C?~o
osteggiando e ostacolando per questo motivo qualsiasi tentativo di introdurre istituzioni planetarie di controllo de100
101
4.
IDE:N'TITÀ•. SENTIMENTI E RELIGIONE
D. In questo rimescolamento, perfino le forme basi~ lari di relazione sociale subiscono una mutazione. Dal~ le relazioni senlimentalialla religione, ogni cosa diviene instabile, liquida. Ma come cambiano le relazioni sentimentali?
R. Qui Lei ha messo il dito su un'altra formidabile ambivalenza della nostra epoca di modernità liquida. Le relazioni interpersonali con tutti i loro corollari (amore, associazione,. impegni, diritti e doveri reciprocamente riconosciuti) sono oggetti al tempo stes· so di attrazione e apprensione, desiderio e paura; luoghi di inoertezza ed esitazione, di ricerca interiore, di angoscia.. Come ho osservato in altra occasione (in Liquid Lave, Polity, Cambridge 20m), dopo il Mann obne Eigenscba/ten di Musil, oggi in tempo di modernità liquida abbiamo il nostro Mann obne Verwandtscba/ten. La maggior parte di noi, per la maggior parte del. tempo, è incerta su questa novità di una «vita senzalegamÌ», di rel.azioni «senza impegno». Le desideriamoardentemente e allo stesso tempo ne abbiamo paura.. Non torneremmo indietro, ma ci sen103
damo a disagio dove siamo ora. Non siamo sicuri di come fare per costruire le relazioni che desideriamo: peggio ancora, non siamo sicuri di che genere di relazioni desideriamo.... Credo che Erich Fromm abbia colto il dilemma nella sua essenza quando ha osservato3 0:«La soddisfazione nell'amore individuale non può essere raggiunta senza la capacità di amare il ptossimo con umiltà, fede e coraggio», aggiungendo però subito con tristezza, che in «una cultum in cui queste qualìt:à scarseggino., il raggiungimento della capacità amare è destinato a rimanere una conquista rara».
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mIO d.eSldeno di amare ed essere amato può essere soddisfatto solo se sostenuto dalla genuina disponibilità a concepirlo «nella buona e cattiva sorte», a rinunciare, se necessario, alla mia libertà perché non sia violata la Iibertà dell'amato. Nel Simposio di Platone3 1 , Diotima di Mantinea (ossia la profetessa Temi-iI-Signore della Città-dei-Proféti) faceva notare· a Socrate, con convinta approvazione di quest'ultimo, che <
credi tm>.. È amme della nel bello».
e del partorire di. «conceDire e !lene-
non è ndla ricerca smafInite, già pronte, che l'amore trova il suo significato, ma nell'impulso a parted. Pil re .,.
e sara r eSIto. ~amo con un paradosso.. Siamo partiti guidati dalla speranza di una soluzione, per finire solo col trovare nuovi problemi.... Cercavamo l'amore per trovare soccorso, sicurezza, incolumità, ma le indefinitamente lunghe, forse interminabili fatiche dell'amore generano i loro conflitti, le loro incertezz,e, le loro insicurezze... In amore non ci sono riparazioni veloci, soluzioni valide una volta per tutte, assicurazioni di piena e perpetua soddisfazione, garanzie di risarcimento in caso la piena soddisfazione non sia istantanea e priva di problemi.. Tutti quegli strumenti antirischio a pagamento che la nostra società dei consumi ci ha insegnato a dare per scontati, nell'amore sono assenti. Ma noi, viziati dalle promesse di cui sono prodighi i negozianti, abbiamo perso le capacità necessarie per fronteggiare i rischi per conto nostro. E siamo quindi inclini ad appiattire le relazioni amorose allivello della modalità «consumistica», la sola con cui ci sentiamo sicuri e a nostro zio 105
loro capadtà.didare.soddisfazione. Quando la sod-
JiÌiitiJi,&~~~~ill perc~ é g' oggetti si usurano o "i"i rompono, perché diventano eccessivamente, sempre più noiosamente, familiari, oppure perché li si può sostituire con altri oggetti meno familiari,. ancora non sperimentati e pertanto eccitanti), g,Qn.~&'l:.~,e
E~~~!PJt~~2~~~Ù:"iWiW~
-- 1Jà sempre uno dei regali di Natale preferiti per i bambini inglesi è un cane (di solito un cucdolo), Riferendosi all'attuale stato di salute di questa consue" tudine, Andrew Morton ha recentemente commentatO>2 che i cani «dovrebbero comindare a ridurre la loro aspetta.tiva di vita da 15 anni circa a una ·cifra più in sintonia con i tempi di attenzione moderni: diciamo u~~» (questo è in media il tempo che pas-
i~:~~-E~~~:~~!~1~~6~~t;ti~~~~fl:I~
delle persone che cacciano via di casa i loro animali domestici «si sbarazzano di loro per far posto a un altro cane, più alla moda»...
ps"~~Hm&l~,,y~~~~~ ",.1. . ~ • !"'~~;~~"" ",.1;
.a,uiw~lj",~ Barbara Elien,. editorialista
dell'«Observer Magazìne», parla nd suoi articoli di «scaricare il partner» come di un evento normale. «Ci hanno sempre detto che la morte è una parte importante delIa vita. Perché allora la rottura non dovrebbe essefe una parte importante della relazione?»». Sembra che la rottura sia ormai vista come un evento «naturale» quanto la morte nella vita, poiché le relazioni, un tempo ambite da noi umani mortali come passerella per 1'eternità, si sono trasformate in eventi «fissipari» e mortali; affliue,anzi, da un'aspettativa di vita assai più breve di quella degli individui, che si 106
-C~.'~-~>::C':_:
O';_;,;,:;yù"'-~·k
mettono insieme solo per lasciarsi di nuovo... Un altro arguto editorialista inglese osserva che il matrimonio è come «imbarcarsi per un viaggio in mare su una zattera fatta di carta assorbente». Animali o esseri umani, cani o partner, ha importanza? .~221~~,!1:!1~La\d,J?"~t,,,L9zc!t~i,~~s;;"J;1"9;g,§J.)J!dj (o g'lllmlQ!!1~!:laQ,iI>~~,'t,,91!~~~fl;,,~b~filt/t~~~)· Se non soddisfano, diventano privi di qualsiasi scopo e quindi anche di qualsiasi ragìone per tenerli con noi. Possiamo dtare la famosa osservazione di ~QQj GiGi: ~~~~e(:ondo cui la vecchia idea romantica delI'a~
~_;;K;";'~~"4r'''''~~;;'''~~
!12!~~~ql~.~~fl:§i§Qçi~,~~~~ O~o1""lflllC'1"'Tq ,...;;-.ç~nF"'J,;~,tnAt't,P
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>, qn~/x~l~jg e non un istante di più, cb~ essa ai due n<.."'tn,'~r per" messo per entrare e insieme il permesso per usdre quando non si vede più ragione per restare. Giddens vede questo cambiamento della natura delle relazioni come liberatorio: Ofa i partner sono liberi di proseguire a cercare soddisfazione da qualche altra parte se non riescono a.dattingerla, o non riescono più ad attingerla, dalla relazione precedente. Trascura perÒi1Jatto;.~.Mm~~· ziare una relazione è necessario il conseQso di due.u ~~$
aìvrati;r;ctìt~~''''<è''fTermrnartaraaèC'r;l';;';edi-~;dei
~~:~~:~~"~;~n~±q~~~r::=:r~~=,:~ ;r'j"-:",~,,,,,,,",...-y~.:..~~~~~~
s~~~J;!~~2~m~P111"t%~!1~§L~t4Ji,@1L:i~~ii:che succede
se 1'altra persona si stufa. prima che mi sia stufato io? Un'altra conseguenza di. cui Giddens non si rende conto è che è la stessa disponibilità di una facile via d'uscita a rappresentare un formidabile ostacolo alla 107
realizzazione dell'amore. Ciò rend~ ass,ai meno pro·
per via del prezzo elevato che appare poco giustifica" to di fronte ai sostituti apparentemente più economi· ddisponibili sul mercato. Tre mesi è davvero quasi il t,empo massimo per cui i piccoli figli della sodetà dei consumi riescono ad apprezzare dapprima e a tollera.re poi la compagnia dei loro animaletti domestici È probabile che portino con sé questa abitudine acquisita neì primi anni per tutta la loro vita successiva, quando gli esseri umani sostituiranno i cani come oggetti d'amore. Morton dà la colpa all'accorciarsi del «tempo d'attenzione», ma si potrebbe cercare la causa anche altrove. Se i nostri antenati venivano plasmati ,ed addestrati dalla loro società prima. e innanzitutto come produttori, noi ve· niamo plasmati e addestrati in primo luogo come consumatori, e tutto il resto viene dopo.. Attributi considerati. dei pregi in un produttore (acquisire abitudini, seguir,e le usanze, tollerare la routinee schemi comportamentali ripetitivi,rimandare la gratificazione,. avere esigenze stabilite), nel caso di un consuma" tore si trasformarÌlo nei difetti più spaventosi., Qualoradiventassero comuni" o restassero comuni, suonerebbero come una campana a morto per un'econo" mia incentrata sui consumi. L'educazione di un consumatore non si fa in un colpo solo. Comincia presto, ma riempie il resto del-
la vita; la coltivazione delle abilità del consumatore è forse l'unko caso riusdto di quella «educazione permanente» che i teorici e quelli che lavorano nel campo dell'educazione generalmente consigliano.. Le istituzioni dell'«educazione continua del· consumatore» sono innumerevoli e onnipresenti, partendo dalla quotidiana inondazione di pubblicità alla TV, sui giomalì, sui poster e sui cartelloni, passando per la marea di riviste patinate «tematiche» che fanno a gara a pubblidzzare gli stili di vita delle celebrità che fanno tendenza - i grandi maestri delle arti del consumismo -, e arrivando fino agli ossessionanti esperti-consulenti che offrono le ricette più all' avanguardia, frutto di atcurate ricerche e sperimentazionì di laboratorio, per individuare e risolvere i «problemi della vita». Soffermiamoci un istante su questi esperti specializzati in rkette perle relazioni umane, e in particolare per i rapporti di coppia. «Le coppie bifamiliari» sono da lodar,e come elementi «rivoluzionaridei rapporti di coppia che hanno fatto scoppiare la coppiabolla»,. scrive uno di questi esperti in una rivista molto autorevole e molto letta. Un altro esperto-consulente informa i lettori che «quando vi impegnate, anche se con riserva, ricordat,evi che state probabilmente chiudendo la porta ad altre possibilità romantiche forse più soddisfacenti e appaganti». Un altro esperto suggerisce che le relazioni,. come le automobili, vadano periodicamente sottoposte a un test di tenuta su strada, e ritirate dalla circolazione in caso di risultati negativi. Un altro esperto ancora èaddirittura più brusco: «Le promesse di impegno sono prive di senso sul lungo termine. LJ Al pari di altri inve·
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~ba~2!~l!"l?!~l~n~~!!"gj. gB~~JiiR~;:ì_}~&Wlne
~",§!~~li~,~~,~.$S:tt,~~ii:LJ2~~W~~<>~,,!&~t,e~zazio","" p <1O;:O;:"!~. niù n1r....,1-~)L.;lp ~J..,6. ';" ,611 :;",., "'6~,,, "';jQ_
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~~ftfr~=t7~~~~i~~~~'~~ merce «poco conveniente»., o guardato con fastidio
stimenti, toccano ilcuhnine per poi declinare». E dunque, se volete «relazionarvi», mantenete la distanza; se cercate appagamento dallo stare insi,eme, non prendete né richiedete impegni. Lasdate sempre tutte le porte aperte.. A conti fatti, ~uello chei1l2 relazioni è che l']moe~o .
*iìèoIiinvisibili. Non si è mai sentito con tanta forza cfl'~tùmr~~come osservò Lévinas,«l'altro assoluto», inscrutabile, impermeabile, ÌJtlconoscihile, e in definitiva al di là del controllo umano. In un mondo in cui il dis-impegno è praticato come strategia comune della lotta per il potere e l'alltoaffermazione, sono pochi, per non dire nessuno, i punti nella vita sulla cui durata si possa scommettere con sicurezza.. TI «presente», perciò, non vincola il «futuro», ,e non c'è nulla nel presente che consenta di indovinare, ancor meno di visualizzare, la forma delle cose a venire. TI pensiero a lungo termine, ed ancor più gli impegni e gli ohblighi a lungo termine, appaiono davvero privi di significato. Ancora peggio: semhrano controproducenti, d,edsamente pericolosi, un passo sconsiderato, una zavorra da gettare fuori
bordo e che sarebbe ancora megIionon prendere proprio a hordo fin dal prindpin.. Sono tutte notizie preoccupanti, anzi spaventose. Sono colpi che vanno dritti al cuore del modo urnano di stare al mondo. Dopo tutto, il nocciolo duro dell'identità ~ la risposta alla domanda «Chi sono io?» e soprattutto la credibilità nel tempo di qUlalsia" si risposta si possa dare a questa domanda - può for" marsi solo in riferimento ai legami che connettono l'io ad altre per80ne e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali l,egamI. Abbiamo bisogno di relazioni, e abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, una relazione cui far riferimento per. definire noi stessi. Nell'ambient,e della modernità liquida, però" a causa degli impegni a lungo tennineche notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli. E dononostante ne abhiamo hisogno, ne ahbiamo ferocemente bisogno, non soltanto per la preoccupazione morale per il benessere di altre persone,. ma anche per il nostro stesso hene, per la coesione e la logica del nostro stesso essere. Quando ci si trova ad avviare e mantenere una relazione, la p,aura e il desiderio combattono per la supremazia. Ci hattiamo ardentement'e per la sicur,ezza che solo una relazione impegnata (sì, proprio un impegno a lungo termine!) può offrirei, eppure temiamo una vittoria non meno deUa sconfitta. Il nostro atteggiamento nei confronti dei l,egami tende a essere dolorosameme .ambivalente, e le chan" cesdi risolv,ere questa ambivalenza sono oggigiorno eSIgue. Non ci sono facili vie d'uscita da questa situazio" ne, e certamente nessuna cura radicale praticabile
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le epoche il tuturo è stato incerto, ma la sua capricdosità e volatilità non è mai stata avvertita con tanta intensità come oggi, nel..~~s:u;liJp~W""q~ dellavoro«flessihile» .:1-: L __ . __ ~ __ "_. --., r. .. ~1' 1. l '
per i tormenti dell'ambi~alenza. E assistiamo dunque a un'accanita e furiosa ricerca di soluzioni secondarie,. mezze soluzioni, soluzioni temporanee, palliativi, placebo. Si farà tutto il possibile per spinger via dubbi divoranti e domande cui è impossibile dare risposta, rimandare il momento della resa dei conti,. e permetterei quindi di continuare a muoverci, anche se la destinazione è, a voler esser buoni,avvolta nella nebbia. Se della qualità non ci si può fidare, forse la salvezza può venire dalla quantità? Se ogni relazione è fragile, fol'se .l'espediente di moltiplicade e accumularle ci farà sentire meno insidioso il terreno? Grazie a Dio accumularle è possibile, proprio perché ogni relazione è friabile e «usa e getta.»! E così cerchiamo riparo nelle «red», che hanno il vanta.ggio, rispetto ai legami ferrei, di potercisi connettere e disconnettere con la stessa facilità (come illustrato recentemente da un raga.zzo di 2'6 anni di Bath, in Inghilterra, che ha spiegato di preferire gli «appuntamenti su internet» ai «bar per single», perché se qualcosa va storto «basta premere il tasto 'cane'»; in un incontro faccia a faccia non sarebbe possibile scaricare con tanta facilità il partner non gradito). E usiamo i nostri telefoni cellulari per chiacchierare e spedirei messaggi, così da poter sentite costantemente il comfort dell'«essere in contatto» senza i disagi che il «contatto» effetti" vo può riservare. Sostituiamo le poche relazioni profonde con una massa di esili e vuoti contatti. Credo che gli inventori e i venditori di «videocellulari», fatti per trasmettere immagini oltre alla voce e ai messaggi scritti, abbiano fatto maJ!e i loro calcoli: non troveranno un mercato di massa per i loro arti-
coli. Credo che la necessità di guardare negli occhi il partner del «contatto virtuale», di entrare in uno stato di prosshnità visiva (benché virtuale), priverebbe la comunicazione via cellulare del suo principale vantaggio, quello che le ha permesso di conquistare quei milioni di persone che desiderano ardentemente «stare in contatto», mantenendo allo stesso tempo la distanza... Ciò che questi milioni di persone desiderano ardentemente trova più facilmente appagamento nei «messaggini Sms», che eliminano dallo scambio la simultaneità e la continuità, stoppando così sul nascere la possibilità che questo si trasformi in dialogo autentico, e perciò rischioso. TI contatto uditivo viene per secondo. TI contatto uditivo è un dialogo, ma felicemente privo di contatto visivo, quell'illusione di vicinanza che comporta il pericolo di tradire inavvertitamente (coi gesti, la mimica, l'espressione degli occhi) tutto ciò che i chiacchieranti. preferirebbero tener fuori dalla «relazione».. Questi rapporti così ridotti, «sterilizzati», si incastrano a dovere con tutto il resto, il mondo liquido di identità fluide, il mondo dove le regole del gioco sono finire in fretta, proseguire e ripartire di nuovo, il mondo di oggetti che generano e bra.ndiscono s,empre nuovi e allettanti desideri per soffocare edUnentkare i desideri di un tempo. Il premio è la libertà di movimento, ma un'opzione che non siamo liberi di scegliere è quella di smettere di muoverei. Come già ei av,eva avvertito Ralph Waldo Ernerson molto tempo fa, quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità.
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D. E come cambia l'atteggiamento nei confronti del sacro? R.
È una domanda a cui è diffidlerispondere. Tan-
to per cominciare, il «sacro» è un concetto notoriamente vago e accesamente dibattuto,. ed è terribilmente difficile mettersi d'accordo e sapere con certezza di cosa stiamo parlando. Alcuni autori si spingono fino ad affermare che il sacro sia confinato a quello che succede all'interno di una chiesa o di un suo equivalente; altri invece sostengono che lavare la macchina la domenica o andare con la famiglia al centro commerciale sia l'odierna incarnazione del sacro... Ma anche se lasdamo da parte e non ci curiamo di osservazioni tantù estreme e abbastanza stupide (esse stesse, secondo me, manifestazioni de1la«crisi del sacro») e diamo per scontato che quello cm qm fac· dama riferimento sono fenomeni del genere che Rudolph Otto ha cercato di esprimere con il concetto di «tremendo» o Immanuel Kant con il concetto di «sublime», il compito non si fa molto più facile. Forse il lavoro si semplificherebbe se chiarissimo in. che cosa consistono questi fenomeni? Nel tentativo di svelare il mist,ero del potere uma- . no, terreno,. Mkhail Bachtin, uno dei più grandi filo-· sofi russi del secolo scorso, partì dalla descrizione della «paura cosmica», un'emozione umana, fin troppo umana, generata dall'u1traterrena, inumana magnificenza dell'universo; nella sua ottica, qud tipo di paura che serve al potere creato dall'uomo per trovare la propria fondazione, il prototipo e l'ispiraziùne.34. La paura cosmica è, nelle parole di Bachtin,.la trepidazione che si avverte «di fronteall'jnc-atnmensurabilmen114
te grande e immensamente potente: di fronte ai deli stellati, alla massa di materia delle montagne, al mare, e la paura di sconvolgimenti cùsmid e disastri degli elementi». v'essenza centrale della «paura cosmica», vorrd far notare,. è la non entità del terrorizzato, esangue ed effimero essere umano confrontato all'enormità eterna dell'universo, la pura e semplice debol,ezza, incapacità di resistere, vulnerabdità del fragile e molle corpo umano che lavista dei «cieli stellati» o della <<massa di materia delle montagne» rivela; ma anche la presa di cùscienzache non è nel potere dell'uomo di afferrare, comprendere, assimilare mentalmente quel· la maestosa pùt,enza che si manifesta nella pura e semplice grandiosità dell'universo.. Pascal ha descritto.35 in maniera impeccabile questa sensazione, e la sua fonte: Quando considero la breve durata della mia vita, as· sorbita dall'etetnità che la precede e da quella che la segue L.,] il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell'infinita immensità di! spazi che ilgnoroe che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là L.,] ora piuttosto che un tempo.
È un universo che sfugge a ogni comprensione.. !--e sue int,enzioni sono sconosciute,. i suoi «prossimi passi» sono imprevedibili.. Se c'è un piano o una logica premeditata nella sua azione, essa sfugge di certùalla capacità di comprensione umana (per il potere della mente umana di riuscire a immaginare una C'aDdizione «prima dell1universo», il big bang non sembra molto più comprensibile della creazione in sei, giorni). E la «paura cosmica» è dunque anche l'orrore dell'ignoto, il terrore dell' incertezz,a. 115
È anche un terrore più profondo, il terrore dell'impotenza, di cui l'incertezza non è altro che uno dei fattori costitutivi. L'itnpossibilità di difendersi diventa evidente· quando la ridicohente breve vita mortale è comparata all' eternità,. e il minuscolo appezzamento di terreno che il genere umano occupa è comparatoall'lnfi'nito deII'universo. Possiamo dire che il s.acro è un riflesso di questa esperienza di impotenza. TI sacro è ciò che trascende i nostri poteri di compvensione,comurncazione,. azione. Bachtin sostiene che la paura cosmica viene utilizzata (riprocessata, ricidata) da tutti i sistemi religiosi. L'immagine di Dio, il supremo reggitore dell'universo e dei suoi .abitanti, è plasmata sul modello d,ella fa· tniliare emozione di paura, di vulnerabilità e tremore che si prova di fronte a un'incertezza itnpenetrabile e irreparabile3 6 • Leszek Kolakowslci spiega la religione con la convinzione dell'insufficienza delle risorse del genere umano.. La mentalità moderna non è stata necessariamente atea. La guerra contro Dio, la frenetica ricerca di prove che «Dio non esiste» o che «Dio è morto», è stata lasciata alle frange radicali.. Ciò che la mentalità moderna ha fatto, però,' è stato rendere Dio irrilevante per gli affari umani sulla terra. La scienza moderna è emersa quando è stato costruito un linguaggio che consentiva di narraJ:le tutto ciò che si era appreso sul mondo in termini non t,eologici, ossia senza riferimenti a uno «scopo» o un'intenzione divina. Se la mente di Dio è imperscrutabile, smettiamola di perder tempo a cercare di leggere l'm~ggibile e concentriamoci su quello che noi, esseri umani, possiamo comprender,e e fare. Questa strategia ha condot-
to a trionfi spettacolari della scienza e del suo braccio tecnologico. Ma ha anche avuto consç:guenze di grande portata, e non necessariamente benigne e benefiche, sul modo di stare al mondo degli esseri lliJ1ani. L'autorità del sacro, e più in generale l'interesse per l'eternità e i valori eterni, sono stati le sue prime e più eminenti vittime. La strategia moderna consiste nello sminuzzare le gr.andi questioni che trascendono il potere umano in compiti più pkcolialla portata dell'uomo (per esempio, la sostitnzionedella batt~g1ia senza speranza contro l'inevitabile morte con l' efficace cura di molte malattie evitabili e curabili). Le «grandi questioni» non vengono risolte, ma lasciate in sospeso, messe da parte, tolte dall'agenda: non tanto dimenticate, quanto raramente evocate. La preoccupazione per il momento presente non lascia spazio nél:iempo per riflettere sull'eterno.. In un ambient,efluidoe in costante cambiament(), l'idea di eternità, durata perpetua o valore duraturo itnmune dallo scorrere deI tempo, non trova fondamento nell'esperienza umana. La velocità del cambiamento assesta un colpo mortale al valore della durevolezza: «vecchio» o «durevole» diventano sinonimi di «superato», «fuori moda», qualcosa che «resiste pur av,endo perso la sua utilità» e perciò destinato entm breve a finire nel bidone della spazzatura. Se comparata all'arco di vita degli oggetti utili alla vita umana, delle istituzioni entro cui questa si svolge e dello stesso stile di vita, l'esistenza (corporale) del singolo uomo sembra avere un'aspettativa di vita maggiove: sembra anzi l'unica entità li veder crescere, invece di ridursi, la propria .aspettativa di vita. Sono
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sempre meno, fatta eccezione per gli oggetti sottratti al flusso della vita quotidiana e mummificati per il piacere del turista, le cose che hanno visto epoche precedenti alla nascita dell'individuo; ,e ancora di meno quelle che, nate più tardi, abbiano ragionevoli speranze di sopravvivere ai loro spettatori. La regola del «rinvio della gratificazione» non sembra più un consiglio assennato come ancora appariva ai tempi di MaxWeber. Le inquietudini registrate da Pascal hanno preso una piega diversa e ina· spettata: chiunque abbia interesse per cose di lunga durata, farà meglio a investire nel prolungamento della propria vita corporale che in «cause eterne». Noi, soldati delle unità più avanzate dell'esercito della modernità liquida, non riusciamo più a compr,en· dere gli attentatori suicidi che sacrificano la propria vita, con tutti i piaceri che essa potrebbe avere in serbo,. in nome di una causa immortale o della beatitudine eterna. Palesemente fragili e transitorie, tutte le cose diverse dalla sopravvivenza individuale appaio,· no investimenti di scarso valore. L'unico loro uso sensato è al servizio della sopravvivenza individuale. È meglio assaporare e consumare suhIto, qui sul posto,. il loro potenziale di gratificazione e piacere, prima che esso comincia svanire come di sicuro farà ben presto. Si potrebbe dire che questa sia la sfida più grande che il «sacro»abbia mai affrontato nella sua lunga storia. Non è che oggi noi d giudichiamo autosuffi~ denti ,e onnipotenti e abbiamo srrresso di sentirei inadeguati, indifesi, senza risorse sufficienti (non ci siamo, in altre parole, liberati di quelle che Kolakowski identificava come la fonte dei sentimenti religiosi). È
piuttosto che siamo stati addestrati a smettere di preoccuparci di cose che apparentementecontlluano a rimanere ostinatamente al di là del nostro pOf{~ re Ce dunque anche di quelle cose che si estendono oltre l'arco della nostra vita}, e a concentrare invece la nostra attenzione ed energia sui compiti alla nostra (individuald portata, competenza e capacità di consumo. Siamo reclute diligenti ,e intelligenti; e perciò chiediamo che le cose e le tematiche,. prima di cercare di ottenere, 'e avere garantito, il nostro interesse, ei spieghino perché meritano la nostra attenzione. E possono farlo offrendoci una prova convincent,e della loro utilità e della loro capacità di consegnaI1e ra~ pidamente dò che promettono. Non essendo più considerata sensata la scelta del rinvio della gratificazione, la consegna e l'utilizzo delle merci, così come la gratificazione che esse promettono, devono essere istantanei. Le cose devono essere pronte per essere consumate sul posto, i compiti devono produrre ri" sultati prima che l'attenzione si rivo~ga da un'altra parte ,e si concentri su altre imprese, le tematiche devono portare frutti prima che l'entusiasmo si esaurisca. Immortalità? Eternità? Bene: dov' è il parco a tema dove posso sperimentarle, subito? Siamo atterrati in un paese completamente e vera· mente straniero... Una terra sconosciuta, inesplorata, di cui non esiste mappa: non s.iamo mai stati qui prima cl' ora, non ne abbiamo mai sentito parlare.. Tutte le culture di cui s.appiamo,. in tutte le epoche, hanno cercato, con alterno successo, di colmare il divario fra la brevità della vita mortale e l'eternità dell'universo. Ogni cultura ha offerto una formula per l'alchimisti ~ ca impresa: riforgiare sostanze umili, fragili ed effi-
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mere in metalli preziosi I\esistenti all'erosione ed eterni. Noi siamo forse la prima generazione che ,entra nella vita e la vive senza una simile formul!a. TI cristianesimo ha caricato di un tremendo significato il nostro ridico1mente breve soggiorno sulla terra come unica chance per decidere la qualità dell'esistenza spirituate eterna. Baudelaite vedeva la missione dell'artista nell'estrarre il nocciolo immortale dal guscio dell'attimo fuggente. Da Seneca a Durkheim, i saggi non hanno fatto altro che ricordare, a tt;l.tti coloro avveduti abbastanza da ascoltare, che la "era fe" Heità (a differenza degli inafferrabili e momentanei piaceri) si può ottenere soltanto legandosi a cose che durano più a lungo della vita corporale di un essere umano. Per il lettore medio contemporaneo, queste affermazioni sono incomprensibili e suonano ridondanti. I ponti che collegano la vita monate all'eternità, laboriosamente costruiti nd corso di millenni, sono stati banditi dall'uso. Gli uomini non sono ancora mai stati in un mondo privo di questi ponti. È troppo presto per dire cosa potrebbero scoprire, o in quatecondizione potrebbero trovarsi vivendo in una terra siffatta.
bire le coste dello Stato di Israele. Cosa ne penJia del fondamentalùmo rdigioso?
D. Uno deifenomenipiù inquietanti acui assistiamo in questo periodo è il fondamentalismo religioso. Al di là delle dispute teologiche cbe banno accompagnato la diffusz:one di questi movimentz: il loro carattere essenzialmente politico mi sembra lampdnte, si tr:atti dell'lndia, del mondo arabo o della moral majority negli S'tati Uniti. Questofenomeno è ar:rivato perfino a lam-
R Tutte e tre le grandi religioni- cristianesimo, islam ed ebraismo- hanno i loro fondamentalismi. E possiamo avanzare 1'ipotesi ,che il fondamentalismo religioso contemporaneo sia l'effetto combinato di due sviluppi in parte collegati e in parte separati tra loro. Uno ,di questi. sviluppi è l'erosione, e la minaccia di un'erosione ancora maggiore, del «nocciolo duro», il solido canone che tiene insieme la congregazione dei fedeli: i suoi margini si fanno sempre più sfilacciati e confusi, le commessure si allentano o saltano via.. Le sette, che le Chiese v,edono con apprensione, e a ragione, come la maggior,e minaccia alla loro unità, si moltiplicano, e le Chiese ripiegano su posizioni di fortezza assediata o permanente controriforma. TI canone della fede deve ,ess'ere difeso con le unghiee coi denti e riaffermato quotidianamente, la di· sauenzione è un suicidio, l'ordine del giorno è vigi1anza, la «quinta colonna» (gli indifferenti e gli incerti all'interno della congregazione) deve essere individuata per tempo e stroncata sul nascere. Un altro sviluppo può forse essere ricondotto alle stesse radid (vale a dire alla nuova forma liquida che la nostra vita moderna ha assunto), ma concerne in primo luogo gli sceglitori involontari.!compul!sivi che noi tutti. siamo diventati nel nostro ambiente sociate deregolamentato, frammentato, sottodefinito, sottodet,erminato,. imprevedibile, disarticolato,. sgangherato e largamen't!e incontrollahile. Ho già sottolineato diverse volte che, pur con tutti i suoi ambitissimi van-
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taggi, la condizione di vita di uno sceglitore-per-necessità è anche un'esperienza assolutamente sfibrante. La vita di uno sceglitore è una vita insicura. TI valore di cui si sente grande mancanza è la sicurezza di sé e la fiduda, e perciò anche la fiducia in sé. TI tondamentalismo (anche il fondamentalismo religioso) offre quel valore.. Invalidando preventivamente tutte le proposte concorrenti e rifiutando un dialogo e un dibattito con i dissenzienti e gli «eretici», instilla la sensazione di certezza e offre un codke di comportamento semplice e facile da assorbire, da èui tutti i dubbi sono stati spazzati via.. Elargisce quel contor-· tevole senso di skurezzache si prova all'interno delle alte e impenetrabili mura che tagliano fuori il caos che regna all'esterno. Certe varietà eli Chiese fondamentaliste sono particolarmente attraenti per quella parte della popola" zione svantaggiatae impoverita, spogliata di dignità umana e umiliata, persone che non possono fare molto di più che guardare con un misto di invidia e risentimento lo stile di vita spensierato e la baldoria consumistica dei più abbienti (i Musuhnani N eri negli Stati Uniti, o la sinagoga oriental.e in Israele che raccoglie gli immigrati sefarditi in un paese governato dagli askenaziti sono esempi spettacolari, anche se certo non gli unici). Per queste persone, le congregazioni fondamentaliste forniscono un invitante egra" dito riparo che non trovano altrove. Queste congre" gazioni raccolgono i compiti e i doveri abbandonati dallo Stato sociale in ritirata. Forniscono inoltre quell'ingrediente di una vita umana decem,e di cui più dolorosamente è sentita la mancanza e che la società nel suo insieme ha rifiutato di offrire: il senso di uno sco122
po, di una vita che abbia significato (o di una morte che abbia significato...), di un posto legittimo e dignitoso nello schema generale delle cose. Promettono inoltre di difendere i fedeli dalle «identità» conferite, stereotipanri e stigmatizzanti imposte dalle forze che governano 1'ostile e inospitale <<1llondo di fuori», o addirittura rivoltano le accuse contro gli accusatori, proclamando che «nero è bello» e rovesdando cosÌ presunti deficit in punti a favore. TI fondamentalismo (anche il fondamentalismo religioso) non è solo un fenomeno religioso. Attinge la sua forza da diverse fonti. Per comprenderlo appieno, lo si deve inquadrare nel contesto della nuova ineguaglianza globale e della sfrenata ingiustizia che regna nello spazio global,e.
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Premessa dg' Benedetto Vecchi
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P:mlogo
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1.I1ìdentitàJcome problema
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2. 1dentità-puzzle
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3. La costruzione dell'identità,,] mema e la globaliz,z,azi.one
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4. Identità, sentimenti e religione
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Note
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