ANNE McCAFFREY LA CERCA DEL DRAGO (Dragonquest, 1971) Per ANNE DOROTHY McELROY McCAFFREY mia madre INTRODUZIONE È una re...
68 downloads
890 Views
2MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
ANNE McCAFFREY LA CERCA DEL DRAGO (Dragonquest, 1971) Per ANNE DOROTHY McELROY McCAFFREY mia madre INTRODUZIONE È una regola abbastanza comune, tanto al cinema quanto in letteratura, che le «continuazioni» di opere di successo non siano mai o quasi mai all'altezza del «capostipite». Il tentativo di sfruttare un successo genuino e spesso inaspettato conduce infatti il più delle volte a forzature dell'ispirazione: si perdono così la freschezza e l'originalità, e ci si trova di fronte a meccaniche ripetizioni. Diverso ci sembra il caso della McCaffrey. Nelle storie che comprendono Dragonflight, fuse in una sola narrazione nel 1967, la scrittrice offre infatti ai lettori soltanto le quinte del suo palcoscenico. Descrive Pern, i draghi e i loro cavalieri, la Stella Rossa, i Fili; espone l'antefatto della sua epopea; delinea lo scenario nel quale si dipanano le vicende. Il lettore viene avvinto dall'originalità della «mitologia aliena» inventata dalla scrittrice, e trasportato dall'incalzare degli eventi. Il risultato - anche per l'influsso di Campbell, come la McCaffrey riconosce nell'intervista pubblicata qui di seguito - è senza dubbio brillante: lo dimostrano i premi Hugo e Nebula assegnati dai fans e dai colleghi scrittori. Ma Dragonflight, in fondo, rappresentava soltanto la premessa ad una narrazione piena che doveva ancora venire. Era il «retroterra» necessario per dare concretezza, verosimiglianza, «spessore» a Pern ed ai suoi abitanti, uomini e draghi. Il passo successivo - come afferma ancora l'autrice nell'intervista - era inevitabile: Dragonquest (1971) è il vero romanzo, la narrazione effettiva che si svolge nel panorama delineato in Dragonflight. Il lettore se ne renderà conto da solo, osservando la struttura del libro, che è meno concitata del primo episodio del ciclo, concede maggiore spazio all'approfondimento psicologico dei personaggi, ai dialoghi, ai particolari di contorno. In esso viene descritta in tutti i suoi aspetti la struttura sociale di Pern, la vita quotidiana dei suoi abitanti, l'evoluzione prodotta dagli eventi riferiti in Dragonflight. Sono trattati a fondo i rapporti fra
dragonieri del passato e contemporanei; fra questi e i Signori delle Fortezze, gli Artigiani e la gente comune; la vita nei Weyr; la fanciullezza dei permani; l'amore fra esponenti di ceti diversi; i problemi di protocollo e parentela; le modifiche causate dal retaggio scientifico del passato; le astuzie diplomatiche della Corporazione degli Arpisti; lo sconvolgimento provocato dalla capacità dei draghi di viaggiare nel tempo oltre che nello spazio; il nuovo pericolo della Stella Rossa; la scoperta che anche un'altra leggenda, quella relativa alle «lucertole di fuoco», risulta vera; la nascita di un «drago bianco»; la tragedia di un adulterio; la morte di due draghi regina e le relative tremende conseguenze sui loro «doppi» umani; il viaggio sino alla Stella Rossa. Tutti problemi che la McCaffrey risolve brillantemente, con coerenza, padronanza di stile, fascino evocativo e fermezza nel manovrare una folla di personaggi {non manca uno schema ricapitolativo per ricordarli tutti). Il risultato equilibra e completa Dragonflight, e non gli è inferiore. Così è parso anche agli appassionati statunitensi, che hanno fatto entrare il libro nella finale allo Hugo 1972, vinto da To Your Scattered Bodies Go, di Philip José Farmer. Oltre che dal punto di vista letterario e fantascientifico, il ciclo dei «Dragonieri di Pern» è rimarchevole, secondo noi, anche per l'insieme di significati che trasmette indipendentemente dalle intenzioni della sua autrice. Ci sembra da sottolineare, a tale riguardo, l'insistere della McCaffrey sulla «casualità» della sua invenzione letteraria: «Pern mi è venuto in mente quando ho pensato: Beh, cosa scriverò quest'anno? È stata l'unica vicenda che ho veramente cercato d'intessere partendo da zero», afferma nell'intervista. Partendo da zero: cioè facendo tabula rasa e lasciando che alle immagini della sua fantasia si sovrapponesse tutta una serie di simbologie. Chi ci segue da tempo, sa che un concetto base nella nostra interpretazione della narrativa fantastica è proprio quello relativo alla sua capacità di far salire in superficie dei contenuti simbolici «superiori» alla stessa lettera del testo, e ciò anche senza la volontà diretta dell'autore, che segue il libero gioco della propria fantasia. Quanto il ciclo della McCaffrey possa essere analizzato da tale punto di vista, l'avevamo già accennato nella introduzione al primo volume, tre anni fa. Il raffronto può essere portato avanti col secondo romanzo, tenendo presente che la sua trama si sviluppa in una situazione che ha già registrato una frattura del reale (l'arrivo dei Fili ed il «rivelarsi» della leggenda, narrati nel primo libro), per cui i dati
di fatto hanno subito una modifica, e con essi i rapporti interpersonali e generali entro una civiltà che da centinaia d'anni era statica. Il significato effettivo dei valori che circolano in una società fondata su tradizioni radicate viene alla luce in Dragonquest proprio dalla fondamentale contrapposizione che vede gli uni di fronte agli altri i dragonieri del «passato» (e che ritengono quindi di essere più precisi interpreti dei valori in questione) e quelli del «presente», che invece pensano alla necessità di cambiare, di aggiornarsi, di aprire nuovi orizzonti. È la contrapposizione fra chi concepisce la cultura come un guscio dal quale si è protetti, ma che in cambio ci imprigiona, e chi la considera invece come qualcosa di vivo e operante, che cresce e si modifica arricchendosi di ogni nuovo apporto derivato dall'esperienza e della conoscenza. La lezione che - più o meno consapevolmente - insegna Anne McCaffrey è molto importante. Indica infatti il superamento di ciò che è momentaneo e contingente, e quindi finisce senza scampo per trasformarsi in superato e inutile, a favore di ciò che è sempre vivo e attuale in quanto radicato nell'uomo e crescente con lui. Il vero problema non è quello di «conciliare il vecchio con nuovo» (ovvero, le idee dei dragonieri «antichi» con quelle dei «moderni»): bensì l'individuare ciò che dal passato al presente resta valido, e quindi presumibilmente lo sarà anche nel futuro. Nel romanzo, sono ancora una volta i Fili a determinare le scelte. La loro ricomparsa dopo secoli dimostrò a suo tempo che certi insegnamenti del passato non dovevano essere ignorati o, peggio, disprezzati; il modificarsi improvviso del loro comportamento dimostra, in questo libro, che di fronte a situazioni mutate non bisogna aggrapparsi ostinatamente ai modi antichi, ma si deve avere il coraggio di cambiare ciò che va cambiato. In Dragonquest sono F'lar e Lessa (soprattutto il primo), cioè i rappresentanti dei dragonieri «moderni», a comprendere che restare attaccati alle convenzioni avrebbe significato estinguersi senza possibilità di scampo. E sono sempre loro ad indicare la strada giusta da seguire: individuare all'interno del retaggio «antico» ciò che ha valore perenne, e adattarlo alla nuova situazione, lasciando intatto il nucleo dei rapporti interpersonali e intersociali che forniscono l'ossatura della comunità di Pern. «È di questo che abbiamo bisogno soprattutto. Di uomini che pensano, che sanno andare avanti», dice F'lar. E Lessa: «La vera esperienza è la conoscenza». Oltre allo schema ricapitolativo dei personaggi già compreso nell'edizio-
ne originale, abbiamo aggiunto al volume un'intervista all'autrice opera di Paul Walker (apparsa su Luna n. 56 del novembre 1974); un disegno di Virgil Finlay, eseguito in origine per illustrare un'altra opera, ma che sembra fatto apposta per il ciclo della McCaffrey; e la mappa di Pern dovuta a Glauco Cartocci, utile per «visualizzare» il mondo in cui si svolgono le avventure dei dragonieri. G.D.T. - S.F. INTERVISTA CON ANNE McCAFFREY Draghi e astronavi D. - Immagini che le venga chiesto d'intervistare Anne McCaffrey. Arriva nella sua «tana» in Irlanda e viene invitata ad entrare... che aspetto ha, come parla? Che impressione le fa? E cosa ci fa in Irlanda? R. - Beh, se mi dessero l'incarico d'intervistare Anne McCaffrey, non vorrei andarci, perché detesto fare interviste, e detesto le scrittrici di successo. No, non è vero, mi hai però messo in condizione di essere obiettiva sul conto di me stessa, e questo è la MORTE. Voglio dire, mi guardo nello specchio, e poi lascio perdere. Specchio, specchio intraprendente, non capisci proprio niente? Nel sudario mi drappeggio, così va di male in peggio. Chi m'incontra per la prima volta vede una donna piuttosto alta, con i capelli argentei, di solito un po' scomposti, con il rossetto mezzo smangiato, abbigliata normalmente con i jeans scartati dal Figlio Numero Uno, pantofole logore, e la prima camicia pulita che capita a tiro. Una donna che probabilmente se n'esce fuori con osservazioni inaspettate per confonderti e poi ti offre il tè o il caffè o qualcosa per metterti a tuo agio, e poi continua a fare qualcosa di prevedibile. Hai l'impressione di venire travolto e impressionato di proposito, ma magari ti fa piacere, anche se vorresti che io la smettessi di fare la difficile e rispondessi alle domande e mi comportassi come dovrebbe una donna normale di quarantasei anni.
Cosa faccio in Irlanda? Ci vivo; mentre il costo della vita sale e il dollaro scende a causa della svalutazione, sono bloccata. Non ho i biglietti per il volo di ritorno e non ho il danaro per acquistarli, per me, per i miei figli e mia madre. Inoltre, è l'unico paese al mondo dove si vedono annunci sui giornali tipo «Ritrovata una somma di danaro», che viene restituita al proprietario, il quale identifica l'ammontare e il tipo dei biglietti di banca. Approfitto inoltre delle esenzioni fiscali, dei pub, dei cavalli, delle buone scuole e della scarsità di droghe. Perciò non debbo stare a chiedermi: «Capiterà anche ai miei ragazzi?» D. - Uno dei problemi che ogni giovane autore di fantascienza affronta è quello di visualizzare se stesso nel contesto professionale del genere: ci sono tradizioni, criteri, eccetera, da mantenere; attese editoriali e artistiche da soddisfare. Tuttavia, per un giovane scrittore maschio, si tratta di visualizzare se stesso in quello che è de facto un contesto «maschile» di superuomini che idealizzano il maschilismo in una professione praticamente maschile, cioè il volo spaziale. Le strutture delle sue trame seguono preconcetti mascolini, con ritmo rapido, molta azione, descrizioni ridotte al minimo; mentre il suo stile propende verso una sobrietà tipicamente maschile. Ha a disposizione una quantità di frasi e di trovate per sottolineare la mascolinità dei suoi uomini e la posizione subordinata, se non masochista, delle donne. Per una scrittrice deve essere difficile visualizzare se stessa in un simile contesto: soprattutto una che, come te, tiene a presentare come principali personaggi le donne. Cosa ne pensi? R. - Non ho mai avuto difficoltà a scrivere fantascienza, sia che abbia scelto come protagonista una donna sia un uomo. Tanto per cominciare, nessuno mi ha mai detto che una donna non doveva scrivere science fiction, cioè che per il fatto che sono donna, avrei incontrato altri problemi, oltre a quello di raccontare la vicenda che vuoi raccontare. Per questa mentalità, sono riconoscente a Lila Schaffer, ex direttrice di Amazing e Fantastic. (Era diventata la compagna di stanza della mia compagna di stanza, dopo che mi sono sposata, ed è stata molto incoraggiante, quando ha scoperto che mi piaceva la science fiction e che avrei voluto scriverne.) Immagino che, se fossi stata legata al fandom fantascientifico, avrei capito la mia posizione subordinata e non avrei «osato» muovermi in un campo riservato agli uomini immortali. (Ma gli scrittori non ritengono strano che
una donna scriva di questo genere. Tutti mi hanno incoraggiata.) Comunque, nel ruolo di narratore si superano facilmente simili considerazioni secondarie (per quanto riguarda il sesso dell'autore). Conosco abbastanza bene certi tipi di uomini per sapere che Zed reagirebbe in questo modo a un dato stimolo, mentre Xir reagirebbe nell'altro. È vero, di solito ho un'immagine visuale dei personaggi delle mie vicende, che possono essere o non essere legati a persone vere che ho conosciuto o visto. (Una delle mie occupazioni preferite, in viaggio, consiste nell'immaginare le vicende della vita dei passeggeri dalle facce interessanti. Una delle coincidenze più sorprendenti della mia vita è stata aver trovato F'nor e Lessa vivi e vegeti a Dun Laoghaire.) Riconosco che la mia reazione istintiva è femminile, e riconosco che gli uomini hanno reazioni iniziali diverse. Ne ho osservato alcune delle più ovvie, e sono in grado di esprimerle. (In generale, le scrittrici di fantascienza se la cavano meglio, con il sesso opposto, di quanto facciano gli scrittori.) Perciò, quando non sono certa di aver proiettato adeguatamente un'immagine maschile, mi consulto con Keith Laumer o Gordon Dickson o interpello il conoscente più a portata di mano, chiedendogli come reagirebbe, con il pensiero, la parola e l'azione in una data situazione. Ho azzeccato più spesso di quanto abbia sbagliato, perciò il mio senso della narrativa è abbastanza preciso. Ho anche sentito dire che ho una mentalità insolitamente obiettiva, per una donna... quasi maschile nei processi del pensiero... almeno per quanto riguarda il mio lavoro. Beh, amico mio, devi essere obiettivo, per essere un bravo scrittore. Non ho mai dovuto mascherare il mio nome e non mi è mai passato per la mente che fosse necessario farlo, per pubblicare fantascienza. Marion Zimmer Bradley, Andre Norton, Leigh Brackett o C.L. Moore, invece sì. Perché, quando ho cominciato a scrivere, i lettori desideravano identificarsi di più con i personaggi della vicenda. Bene, così ho premuto i tasti emotivi: le emozioni fanno parte del futuro dell'uomo e della donna, come del passato, e non sono cambiate in 4000 anni, quindi perché supporre che le reazioni psicologiche primarie dovranno cambiare nei prossimi 4000? Muteranno solo il tipo e la forza delle pressioni sulla psiche individuale. E c'era l'esigenza di scritti emotivi... pensa all'effetto di alcune delle mie vicende «femminili» sul pubblico maschile, oltre che su quello femminile. Sì mi hanno accusata di essere «emotiva»: ma per me l'emozione è soltanto uno dei vari ferri del mestiere. Un esempio è Restoree (1): fui criticata proprio per le cose che volevo
sfruttare. Era una satira: una vicenda d'azione raccontata dal punto di vista dell'eroina, con tutti gli ammennicoli della fantascienza maschile, un po' svitata. Era un «gotico spaziale»... e credilo o no, viene apprezzato da signore che normalmente non si sognerebbero mai di leggere fantascienza. (I lettori che s'identificano con il protagonista... il sogno di ogni scrittore.) D. - Tra le differenze che noto nelle scrittrici di science fiction, vi è il loro interesse per il «Luogo», la presenza predominante dei loro mondi inventati, il «guardaroba» della situazione immediata: ad esempio, l'aspetto e i suoni e gli odori di Pern; e i sentimenti intimi dei personaggi. Nelle tue opere, soprattutto in Dragonquest, sembra che tu abbia abbandonato il ritmo turbinoso (tipicamente maschile) per disegnare paesaggi interiori ed esteriori, di Pern e delle menti dei protagonisti. Lo trovo tipicamente femminile, ed è la virtù maggiore delle scrittrici (il che non significa che sia un interesse superficiale.) Cosa ne pensi delle virtù tipiche delle scrittrici? R. - In quanto all'importanza letteraria della trama e del ritmo... come fai a raccontare una vicenda, altrimenti? Debbono esistere entrambi gli elementi, altrimenti annoi il lettore. Quando mi accorgo che mi annoio a scrivere una vicenda, mi rendo conto di avere sbagliato e torno indietro, prima dell'inizio della «noia», e libero me stessa ed il futuro lettore di questa noia con una nuova svolta nella vicenda. In questo modo realizzo tanto la trama quanto il ritmo. È un dono che si ha o non si ha. Immagino che si possa imparare, anche se conosco certi ottimi stilisti che non saprebbero riconoscere una trama neanche se li mordesse. Personalmente, dedico molto tempo dall'atto fisico dello scrivere: cioè, starmene seduta alla macchina da scrivere a pestare sui tasti. Ho lavorato anche dodici ore al giorno, quando una vicenda mi veniva bene; ho imparato a non «scrivere» di notte, ma solo a fare revisioni o a pensare alle ramificazioni della trama. Non faccio abbozzi, non prendo appunti, tranne quando parlo con Jack Cohen o John Campbell, Dio lo abbia in gloria. Rivedo e riscrivo abbondantemente, qualche volta per la lunghezza di un altro romanzo. In generale lavoro di mattina, perché se trovo l'avvio, posso tirare avanti per tutto il giorno. L'ho fatto e lo faccio ancora. Poi ci sono giorni in cui alla Parola Uno non riesce a seguire la Parola Due, e allora è meglio lasciar perdere, andare a cavallo o a far spese o accompagnare mia madre in biblioteca. Comunque, questo è l'unico modo in cui compongo le mie opere.
In quanto alle virtù esclusive delle scrittrici, sono esclusive dello scrittore, non del suo sesso. Non si può generalizzare. Sono stata trattata bene sia da critici maschi che da critici femmine. Comunque, è facile che venga riprovata proprio per le cose che mi riescono meglio e che intendo fare... come l'emozione, l'amore, eccetera. (Sono stata, come noterai, il primo autore a mettere un'esplicita scena di sesso in un racconto di Analog, perché era un elemento valido della vicenda, non un elemento ad effetto. Ci sono dei vantaggi, nel mio punto di vista sul passatempo essenziale della vita.) In quanto a Pern ed ai «Luoghi»: scrissi volutamente Dragonflight lasciando fuori i dettagli del «luogo», seguendo l'ottimo esempio di Cecilia Holland. I suoi personaggi parlano dei dettagli che per loro erano insoliti, nonostante il tempo, il luogo, il periodo, e in questo modo il «luogo» diventa più vero per il lettore. Tuttavia, questa omissione mi ha attirato molte critiche e molte domande, perché la gente VOLEVA conoscere meglio Pern; e così ho fornito i dettagli in Dragonquest. Io li avevo sempre conosciuti. Anzi, non ho ancora esaurito tutto il mio bagaglio, per quanto riguarda Pern. Certe vicende richiedono più abbellimenti di altre. So scrivere concisamente come un uomo, se va bene per la storia che sto raccontando e per la personalità del mio personaggio principale. È sempre la storia che stai raccontando ad imporre la forma e la struttura. Secondo me, Pern è un personaggio vero e proprio... o almeno, secondo me ha abbastanza carattere perché io debba tener conto di tutti i calcoli e le ipotesi sul conto di un pianeta che non sappiano se esista. Deve possedere un suo sapore, per aver generato le lucertole di fuoco e i dragonieri...; avere baratri di calcare, con le caverne, niente foreste o quasi (tranne durante un Lungo Intervallo, quando si possono coltivare i boschi senza pericolo). In alcuni aspetti essenziali ma legittimi è simile alla Terra, perché ha un sole di classe G, ma la sua flora deve essere in grado di restare dormiente durante i Passaggi della Stella Rossa, perché altri generi sarebbero stati divorati. Perciò il pianeta e il suo sistema, per me, mentalmente, sono reali come la Terra e il Sole. D. - Hai detto: Come si può scrivere una vicenda, senza trama e ritmo? Beh, si può realizzare in molti modi una parvenza di trama, ma io credo in fantascienza la «Trama» sia uno strumento più formalizzato e convenzionale, che dipende meno dalla drammaticità inerente del contenuto e più
dalla successione meccanica delle sequenze d'azione. Io credo che tu abbia del romanzo una concezione più matura della maggioranza degli autori di fantascienza, e mi domando che cos'è, e come la realizzi. In che modo il romanzo differisce dal racconto? Quali sono i tuoi principi-guida, per pianificarlo e scriverlo? R. - Mi attribuisci troppi meriti. Il processo deve essere intuitivo perché io non do mai consciamente forma ad un romanzo. Si racconta da solo, in un certo modo, e s'impantana se io cerco di forzarlo in un modo diverso. Nel mio lessico, un racconto differisce da un romanzo per la ricchezza di particolari. In un racconto devi attenerti solo ai fatti, per raccontare gli episodi minori e gli eventi principali, ed eliminare tutto il resto. In un romanzo, hai più spazio per descrivere, per sviluppare i personaggi, l'atmosfera, per «rivestire» la sovrastruttura. Io non pianifico un romanzo. Prendo una situazione e le persone coinvolte logicamente in quella situazione. Se è valida, la trama si sviluppa da quelle interrelazioni e da quelle interreazioni, se i personaggi sono vivi. Quando la vicenda s'impantana, allora ho costretto qualcuno a fare qualcosa d'inesatto, e torno indietro al punto in cui io, l'autrice, mi annoio, e cerco di trovare un'altra soluzione o un altro aspetto del conflitto. Personalmente sono il tipo con cui la gente si confida ed ho imparato alcune delle complessità possibili nelle relazioni umane. Mi hanno raccontato molte cose belle, che non sempre finiscono nelle mie vicende, ma da cui prendo continuamente a prestito quell'angoscia, quella gioia, un frammento di storia o di sfondo; e creo una storia diversa, un finale diverso, un diverso problema. Tutto va bene per il mulino dello scrittore, amico mio. Dragonquest è stato scritto come romanzo; non avrei potuto dire quel che volevo, con diversi racconti. Ho tentato una versione che non mi piaceva e l'ho accantonata. Tuttavia ho usato certi episodi nella versione pubblicata. Adesso ho un problema con i miei editori inglesi che vogliono farmi ridurre Dragonquest di almeno settanta cartelle. Dicono che migliorerebbe le qualità letterarie del romanzo. Senza dubbio è così, ma tagliarne pezzi interi non servirebbe a niente... è troppo integrato, ogni episodio porta inesorabilmente a quello successivo. Ho ridotto il testo cancellando una trentina di cartelle, e questo mi ha costretto a lasciar fuori alcune scene che non mi andava di tagliare, ma che non modificavano sensibilmente il quadro generale. Non potevo eliminare di più senza riscriverne intere parti per includere le informazioni necessarie allo sviluppo della trama. Non ho il
tempo né l'inclinazione (per quel che mi pagano gli editori inglesi) per fare una ristesura così ampia, e ho messo loro sotto il naso le recensioni. È la prima volta che mi sono rifiutata di collaborare con gli editori, ma sono convinta di avere ragione. Non so bene se il terzo volume della serie sarà un romanzo o una raccolta di episodi più brevi. (Guadagno di più, quando posso vendere i singoli episodi alle riviste.) Ma non so ancora come andrà a finire White Dragon, se mi deciderò mai a completarlo (2). Saprò mantenere l'elemento cruciale in un terzo libro? Beh, vedremo. Io stessa voglio sapere cosa succederà poi. D. - Come ti è venuta l'idea di Pern? Come l'hai evoluta nelle prime fasi? R. - Pern mi è venuto in mente quando ho pensato: beh, cosa scriverò, quest'anno? È stata l'unica vicenda che ho veramente cercato d'intessere partendo da zero. I draghi godevano di cattiva stampa, ma avevano possibilità immense. Una volta John Campbell mi aveva detto che avrebbe accettato qualunque vicenda con una base razionale, perciò pensai ad una ragione che giustificasse draghi capaci di alitare fuoco... Una minaccia che venisse dall'aria, non fosse indigena del pianeta, e preferibilmente priva d'intelligenza, il che poteva renderla ancora più tremenda. Era maggio, ricordo, e avevo appena letto una storia deliziosa sulle libellule su Fantasy and Science Fiction. Perciò pensai a draghi che alitavano fuoco e combattevano la minaccia, e decisi che erano troppo grossi per andare in giro senza guida, perciò diedi loro cavalieri telepatici, con la necessità di fissare uno Schema di Apprendimento (Impriting) al momento in cui il drago esce dall'uovo: e ne ho fatto una cerimonia. E poi è stato più facile mostrare tutto attraverso gli occhi di qualcuno (Lessa) che non conosceva troppo bene la situazione. Così è nato Weyr Search (3)... e poi ormai avevo preso l'avvio, e tutti sappiamo come sono andate le cose. Fu John Campbell a dirmi che i draghi mangiavano pietre contenenti fosfina, in modo che alitassero fiamme quando il gas entrava in contatto con l'ossigeno, ed il resto è venuto più o meno logicamente, dal fatto che c'era un mondo che aveva bisogno dei draghi. Disegnai persino una carta geografica, per sapere bene dov'ero (4)... D. - Prima hai detto: «Una delle coincidenze più sorprendenti della mia vita è stato aver trovato F'nor e Lessa vivi e vegeti a Dun Laoghaire». Vuoi
spiegarti meglio? R. - Sì, ho incontrato due persone, a Dun Laoghaire, che sono F'nor e Lessa: come se prima li avessi conosciuti e poi li avessi inseriti nella serie di Pern. Ecco com'è andata: Avevo conosciuto un giovane pescatore inglese, di ventitré anni, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, con la figura di un giovane Apollo: è amico mio e dei miei figli. Due case più avanti della sua c'è la pensione dove alloggiava David Gerrold quand'era qui in Irlanda. È stato Dave a dirmi che la sua padrona di casa (ex acrobata e domatrice di cavalli) gli ricordava parecchio Lessa. Quando l'ho conosciuta, ho visto che sembrava davvero Lessa... minuta (circa 43 chili vestita), una personalità vibrante, talvolta violenta, con una «nuvola di capelli scuri». Quando ha letto Dragonflight, ha riconosciuto che sotto molti aspetti era «Lessa». «Molto più di quanto mi faccia piacere, Annie,» ha detto, quasi ferocemente... come se le avessi letto nel cervello. Comunque, il vero colpo, per me, è stato vedere la copertina che Betty Ballantine ha commissionato per Dragonquest. Lì sulla copertina, a New York, c'era il mio pescatore. Ho una sua fotografia nella stessa posa di F'nor, e la somiglianza è sorprendente. Bada bene, il disegnatore era americano, e non aveva mai sentito parlare del mio pescatore. La differenza è superficiale, perché F'nor ha i capelli scuri e gli occhi nocciola. E la somiglianza sarebbe stata più sbalorditiva se il pescatore fosse stato un impiegato e se la mia Lessa fosse stata una casalinga: ma come temperamento i due sono adattissimi ai ruoli che avevo già assegnato loro... i cavalieri dei draghi di Pern. PAUL G. WALKER (1) Il primo romanzo della McCaffrey apparso nel 1967 (N. d. C). (2) The White Dragon, terzo romanzo del ciclo dei «Dragonieri di Pern», nel frattempo è stato pubblicato in America dalla Doubleday e dalla Ballantine (N.d.C.) (3) Apparso su Analog dell'ottobre 1967 e compreso poi in Dragonquest (1968) (N.d.C). (4) Su di essa si basa la mappa di Pern elaborato da Glauco Cartocci per i nostri volumi (N.d.C).
VlRGIL FINLAY (1957) PRELUDIO Rukbat, nel Settore del Sagittario, era una stella dorata simile al Sole. Aveva cinque pianeti, due fasce di asteroidi, ed un mondo randagio che aveva attratto e trattenuto nei millenni recenti. Quando gli uomini avevano colonizzato il terzo pianeta di Rukbat e l'avevano chiamato Pern, non avevano badato molto al mondo estraneo, che ruotava intorno al suo primario adottivo in un'orbita ellittica pazzamente irregolare. Per due generazioni, i coloni prestarono scarsa attenzione al fulgido pianeta rosso... fino a che il percorso disperato del vagabondo lo portò vicino al mondo colonizzato, nel punto più vicino all'astro centrale. Quando tali aspetti astronomici erano favorevoli, e non alterati da congiunzioni con altri pianeti del sistema, gli esseri viventi autoctoni della terra vagabonda cercavano di varcare l'abisso dello spazio per raggiungere l'altro pianeta, più temperato ed ospitale. Le perdite subite inizialmente dai coloni furono terribili, e durante la lunga lotta successiva per sopravvivere e combattere tale minaccia che pioveva dai cieli di Pern sotto forma di fili d'argento, i tenui legami tra Pern ed il pianeta patrio si spezzarono. Per controllare le incursioni dei temutissimi Fili (poiché i coloni di Pern avevano smantellato le astronavi da trasporto già nei primi tempi, ed avevano dimenticato le raffinatezze della tecnologia, così poco adatte a quel pianeta pastorale), quegli uomini pieni d'iniziativa si erano impegnati in un piano a lungo termine. La prima fase consisteva nell'allevare una varietà estremamente specializzata di esseri viventi originari del loro nuovo pianeta. Uomini e donne capaci di elevata sensibilità e di una certa facoltà telepatica innata furono addestrati a servirsi di quegli straordinari animali. I «draghi» (così chiamati in ricordo del mitico essere terrestre cui somigliavano) possedevano due caratteristiche estremamente utili: potevano trasferirsi da un luogo all'altro istantaneamente e, dopo aver masticato certe pietre contenenti fosfina, erano in grado di emettere un gas fiammeggiante. Poiché i draghi sapevano «volare», sarebbero stati capaci di carbonizzare i Fili a mezz'aria, sfuggendo a loro volta il peggio. Occorsero parecchie generazioni per perfezionare questa prima fase. La seconda fase della progettata difesa contro le incursioni delle spore avrebbe richiesto un periodo
molto più lungo per maturare. Infatti i Fili, spore fungiformi capaci di attraversare lo spazio, divoravano la materia organica con cieca voracia e, quando toccavano il suolo, si seppellivano e proliferavano con rapidità terrificante. Gli ideatori del programma di difesa, articolato in due fasi, non avevano tenuto conto a sufficienza del caso, né degli effetti psicologici dello sterminio visibile di questo avido nemico. Infatti, era psicologicamente rassicurante e profondamente gratificante, per i coloni minacciati, osservare il pericolo carbonizzato e frustrato a mezz'aria. Inoltre, il continente meridionale, dove aveva avuto inizio la seconda fase, si era rivelato indifendibile, e l'intera colonia si era trasferita nel continente settentrionale, per cercare rifugio dai Fili nelle grotte naturali delle catene montuose del Nord. Il continente meridionale perse ogni significato, nella lotta immediata per creare nuovi abitati al Nord. I ricordi della Terra si allontanarono ancora di più dalla storia di Pern con il passare di ogni nuova generazione, fino a quando il ricordo dell'origine degenerò, perdendosi nella leggenda e nel mito e dileguandosi nell'oblio. La prima Fortezza costruita sul lato Est della grande catena delle Montagne Occidentali divenne ben presto troppo piccola per ospitare i coloni. Ne venne creata un'altra un po' più a Nord, presso un grande lago annidato nelle vicinanze di un'immensa parete di roccia crivellata di caverne. Ma anche la Fortezza di Ruatha finì per divenire sovraffollata nel volgere di poche generazioni. Poiché la Stella Rossa sorgeva a Est, si decise di creare un fortilizio tra le Montagne Orientali, purché fosse possibile trovare una sistemazione adatta. Ormai, una «sistemazione adatta» significava un complesso di grotte, perché soltanto la roccia compatta ed il metallo (che a Pern purtroppo scarseggiava) erano impenetrabili all'attacco bruciante dei Fili. I draghi alati, caudati ed. alitanti fiamme, grazie ad abili incroci avevano raggiunto proporzioni tali da richiedere assai più spazio di quello che potevano offrire le Fortezze poste sui fianchi dei precipizi. Gli antichi coni dei vulcani spenti denominati Weyr, pieni di caverne, uno dei quali si trovava sopra la prima Fortezza, l'altro tra i monti di Benden, risultarono adatti: necessitavano soltanto poche migliorie per essere resi abitabili. Tuttavia, questi progetti richiesero tutto il combustibile che restava per le grandi macchine tagliapietre (che erano state programmate solo per operazioni minerarie, non per scavi in grande stile nei fianchi dei precipizi), e in seguito le Fortezze ed i Weyr dovettero essere scavati a mano.
I draghi ed i loro cavalieri, nelle sedi elevate, e il popolo nelle sue caverne si dedicavano ai rispettivi compiti; e gli uni e gli altri assunsero abitudini che divennero consuetudini, e queste si solidificarono in una tradizione incontrovertibile come una legge. Poi venne un periodo di duecento Giri del pianeta Pern intorno al suo primario, durante il quale la Stella Rossa si trovava all'altra estremità della sua orbita irregolare, ridotta ad una prigioniera raggelata e solitaria. Nessun Filo cadde sul suolo di Pern. Gli abitanti incominciarono a godersi la vita, così come avevano sperato di fare quando erano sbarcati sull'incantevole pianeta. Cancellarono le tracce delle devastazioni dei Fili e coltivarono cereali e verdure, piantarono frutteti, pensarono di rimboschite i pendii spogliati dai Fili. Riuscirono persino a dimenticare di avere corso il rischio di venire annientati. Poi i Fili ritornarono per un'altra orbita intorno al pianeta verdeggiante - cinquant'anni di pericolo disceso dai cieli - ed i Pernesi ringraziarono ancora i loro antenati di tante generazioni prima, perché avevano fornito loro i draghi che bruciavano a mezz'aria i Fili cadenti con l'alito fiammeggiante. Anche la specie dei draghi aveva prosperato durante quel periodo: si era insediata in altri quattro Weyr, seguendo il piano generale di difesa. Gli uomini finirono per dimenticare completamente che vi era stata una misura difensiva secondaria contro i Fili. Prima del terzo Passaggio della Stella Rossa, si era instaurata una complicata struttura sociopolitico-economica per fronteggiare la calamità ricorrente. I sei Weyr, come venivano chiamate le vecchie sedi vulcaniche dei draghi e dei dragonieri, s'impegnarono a proteggere tutto Pern: ogni Weyr teneva letteralmente sotto le sue ali un settore geografico del continente settentrionale. Il resto della popolazione pagava le decime per mantenere i Weyr, perché i combattenti, i cavalieri dei draghi, non disponevano di terreni arabili nelle loro sedi vulcaniche, e non potevano sottrarre tempo all'allevamento dei draghi per apprendere altri mestieri durante i periodi di pace, né potevano trascurare di proteggere il pianeta durante i Passaggi. Gli abitati, chiamati Fortezze, si svilupparono dovunque si trovassero caverne naturali: alcuni, naturalmente, erano più grandi o piazzati in posizioni strategiche migliori. Occorreva un uomo molto forte per tenere sotto controllo la popolazione resa frenetica dal terrore durante gli attacchi dei Fili; occorreva una saggia amministrazione per conservare i viveri; era impossibile coltivare qualcosa senza pericolo, e ci volevano misure straordinarie per dominare la gente, e farla restare utile e sana fino al momento
in cui la minaccia era passata. Gli uomini esperti nella lavorazione dei metalli, nell'allevamento degli animali, nella coltivazione dei campi, nella pesca, nell'attività mineraria (per quel poco che c'era) e nella tessitura, avevano Sedi in tutte le grandi Fortezze, e in un certo senso dipendevano dalla Sede Centrale, dove venivano insegnati i precetti della loro arte, e le conoscenze erano conservate e tramandate da una generazione all'altra. Perché il Signore di una Fortezza non potesse negare i prodotti della Sede situata nel suo dominio alle altre Fortezze del pianeta, le Arti erano state dichiarate indipendenti ed ogni Maestro d'Arte di una Sede dipendeva solo dal Gran Maestro di quell'arte particolare: era una carica elettiva, basata sull'efficienza e sulle capacità amministrative. Il Maestro dell'Arte era responsabile della produzione dei suoi opifici, e della distribuzione imparziale di tutti i prodotti su di una base planetaria, anziché campanilistica e provinciale. Vi erano certi diritti e privilegi riconosciuti ai vari Signori delle Fortezze e Maestri delle Arti, e naturalmente ai dragonieri, cui tutta Pern chiedeva protezione durante le Cadute dei Fili. La Stella Rossa passava inesorabilmente vicina a Pern, ma poi se ne allontanava, e la vita poteva adagiarsi in un solco meno frenetico. Talvolta, la congiunzione dei cinque pianeti naturali di Rukbat impediva alla Stella Rossa di transitare abbastanza vicina a Pern per lanciare le terribili spore. Ma talvolta, come usano fare i parenti, i pianeti fratelli di Pern sembravano attirare la Stella Rossa ancora più vicina, ed i Fili piovevano implacabili sulla vittima sventurata. La paura crea i fanatici, ed i Pernesi non facevano eccezione a questa regola. Soltanto i cavalieri dei draghi potevano salvare Pern, e la loro posizione nella struttura sociale del pianeta divenne inattaccabile. Ma l'umanità tende a dimenticare ciò che è spiacevole e indesiderabile. Ignorandone l'esistenza, riesce a far scomparire la fonte del Terrore passato. Ci fu un lungo periodo in cui la Stella Rossa non transitò abbastanza vicino a Pern per far cadere i suoi Fili. La popolazione poté prosperare e moltiplicarsi, spargendosi sulle ricche terre, scavando nuove Fortezze nella roccia massiccia; ed era così presa dalle sue attività da non accorgersi che vi erano ormai soltanto pochi draghi nei cieli di Pern, e che restava uno solo Weyr di dragonieri. La Stella Rossa non sarebbe ritornata ancora per molto, molto tempo. Perché preoccuparsi di una possibilità tanto remota? Nel volgere di cinque generazioni, i discendenti degli eroici cavalieri dei draghi caddero in disgrazia. Le leggende delle antiche prodezze e la ragio-
ne stessa della loro esistenza vennero dimenticate o spregiate. Quando, nel corso degli eventi naturali, la Stella Rossa cominciò di nuovo ad avvicinarsi a Pern, ammiccando con l'occhio minaccioso all'antica vittima predestinata, un uomo solo. F'lar, cavaliere del drago bronzeo Mnementh, pensava che le antiche leggende contenessero la verità. Il suo fratellastro F'nor, cavaliere del drago marrone Canth, ascoltava i suoi argomenti, e li trovava più eccitanti delle usanze noiose dell'unico Weyr di Pern. Quando l'ultimo uovo dorato di una regina morente dei draghi giacque, indurendosi, sul Terreno della Schiusa, F'lar e F'nor approfittarono dell'occasione per acquisire il potere sul Weyr. Cercando nella Fortezza di Ruatha una donna dal carattere forte perché cavalcasse la futura regina, F'lar e F'nor scoprirono Lessa, unica superstite del fiero Sangue della Fortezza di Ruatha. Lessa riuscì ad imprimere lo Schema di Apprendimento alla giovane Ramoth, la nuova regina, divenendo così Dama del Weyr di Benden. Quando il bronzeo Mnementh, il drago di F'lar, accompagnò la regina nel suo primo volo nuziale, F'lar divenne Comandante del Weyr degli ultimi dragonieri di Perni F'lar, Lessa e F'nor costrinsero i Signori delle Fortezze e gli artigiani a riconoscere l'imminenza del pericolo ed a preparare contro i Fili il pianeta quasi indifeso. Ma era dolorosamente evidente che i duecento draghi del Weyr di Benden non erano in grado di proteggere tutte le comunità sparse qua e là. Nei tempi antichi erano stati necessari sei Weyr, quando il territorio abitato era assai più ridotto. Imparando a guidare la sua regina in mezzo, cioè tra un luogo e l'altro, Lessa scoprì che i draghi potevano teletrasportarsi in mezzo anche nel tempo. Rischiando la vita e l'unico drago regina di Pern, Lessa si fece condurre da Ramoth indietro nel tempo, di quattrocento Giri, prima della misteriosa scomparsa degli altri cinque Weyr, immediatamente dopo che si era compiuto l'ultimo Passaggio della Stella Rossa. I cinque Weyr, che avevano come unica prospettiva il declino del loro prestigio e la noia dell'inattività dopo tutta un'esistenza di emozionanti combattimenti, accettarono di aiutare il Weyr di Lessa e di spostarsi avanti nel tempo, fino al suo Giro. Sette Giri sono ormai passati dopo quel trionfale viaggio nel tempo, e la gratitudine iniziale delle Fortezze e delle Arti verso i Weyr degli Antichi che avevano salvato Pern è svanita ed inacidita. Ed anche gli Antichi non amano il mondo di Pern in cui ora si trovano a vivere. Quattrocento Giri hanno apportato troppi cambiamenti sottili, ed i dissensi si aggravano.
I Mattino nella Sede Centrale dell'Arte, alla Fortezza di Fort. Parecchi pomeriggi più tardi al Weyr di Benden. Metà mattina (tempo di Telgar) alla Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di Telgar. Come incominciare? si chiese Robinton, Maestro Arpista di Pern. Pensoso, aggrottando la fronte, guardò la sabbia umida e spianata nei vassoi disposti sulla sua scrivania. Sul lungo viso s'incisero rughe e grinze profonde, e gli occhi, di solito azzurri e brillanti di una gaiezza interiore, erano velati dall'ombra grigia di un'inconsueta gravità. Fantasticò che la sabbia implorasse di venire violata da parole e note, mentre lui, depositario e dispensatore di ballate, saghe e canzoni, non sapeva che dire. Eppure doveva costruire una ballata per le nozze imminenti del Nobile Asgenar della Fortezza di Lemos e della sorellastra del Nobile Larad, signore della Fortezza di Telgar. Date le recenti segnalazioni di malcontento nell'organizzazione dei Tamburini e degli Arpisti qualificati, Robinton aveva deciso di ricordare agli ospiti, in quella fausta occasione poiché sarebbero stati invitati tutti i Signori delle Fortezze ed i Maestri delle Arti - il debito di riconoscenza che essi avevano contratto con i dragonieri di Pern. Come soggetto della ballata, aveva scelto la fantastica cavalcata, in mezzo al tempo, di Lessa, Dama del Weyr di Benden, sulla sua grande, aurea regina Ramoth. I Signori e i Maestri delle Arti di Pern, allora, erano stati felici di veder giungere i cavalieri dei draghi dei cinque antichi Weyr, provenienti da quattrocento Giri nel passato. Eppure, come tradurre in rima quei giorni affascinanti e frenetici? Neppure gli accordi più esaltanti potevano rendere il pulsare del sangue, e gli ansiti, e il gelo della paura e l'ondata disperata di speranza di quel primo mattino, dopo che i Fili erano caduti sopra la Fortezza di Nerat: quando F'lar aveva radunato al Weyr di Benden tutti i Signori ed i Maestri delle Arti in preda al terrore, e si era assicurato il loro appoggio entusiastico. Non era stata solo un'improvvisa reviviscenza d'una devozione dimenticata a spingere i Signori, ma la sensazione anche troppo reale di un disastro imminente, quando avevano immaginato i loro prosperosi campi anneriti dai Fili per eccessivo tempo considerati un mito, avevano pensato alle tane dei parassiti che si propagavano con fulminea rapidità, a se stessi murati nelle Fortezze sotterranee, al riparo di pesanti porte ed imposte di me-
tallo. Sarebbero stati disposti a promettere a F'lar anche le loro anime, quel giorno, se egli avesse potuto proteggerli dai Fili. Ed era stata Lessa ad assicurare loro quella protezione, e per poco non l'aveva pagata con la vita. Robinton alzò lo sguardo dai vassoi di sabbia, con un'espressione divenuta improvvisamente vacua e mesta. «La sabbia della memoria s'asciuga presto,» disse sottovoce, guardando al di là della valle coltivata il precipizio che ospitava la Fortezza di Fort. C'era un solo guardiano, ai fossati del fuoco. Avrebbero dovuto essere sei, ma era il periodo della semina; il Nobile Groghe di Fort aveva spedito nei campi tutti coloro che erano in grado di camminare diritti, persino i gruppi dei bambini che avrebbero dovuto strappare l'erba primaverile dagli interstizi tra le pietre e staccare il muschio dalle mura. La primavera precedente, il Nobile Groghe non avrebbe trascurato quel dovere, senza pensare all'estensione di terreno che desiderava seminare. Il Nobile Groghe, senza dubbio, in quel momento era nei campi, e passava da un tratto di terra all'altro, in sella ad uno di quegli animali svelti e dalle lunghe zampe che il Maestro Allevatore Sograny andava perfezionando. Groghe di Fort era instancabile: i suoi occhi celesti, un po' sporgenti, non si lasciavano mai sfuggire un albero non potato o un solco tracciato irregolarmente. Era un uomo robusto, dai capelli brizzolati che portava legati in una banda ben ordinata. Aveva una carnagione rubizza, intonata al suo carattere. Ma, se pretendeva molto dai suoi sudditi, non pretendeva meno da se stesso, e non chiedeva alla sua gente, ai suoi figli naturali ed adottivi, nulla di più di quanto era capace di fare lui stesso. Se aveva una mentalità conservatrice, era perché conosceva i propri limiti e si sentiva più sicuro affidandosi alla tradizione. Robinton si tormentò con le dita il labbro inferiore, chiedendosi se il Nobile Groghe costituiva un'eccezione alla regola, in quella trascuratezza verso il dovere tradizionale delle Fortezze, che consisteva nel rimuovere tutta la vegetazione nei pressi dei luoghi abitati per non dare esca ai Fili. Oppure il Nobile Groghe rispondeva in quel modo alla crescente agitazione del Weyr di Fort per via delle immense foreste di proprietà della Fortezza, che i cavalieri dei draghi avrebbero dovuto proteggere? Il Comandante del Weyr di Fort, T'ron, e la sua Dama del Weyr, Mardra, erano divenuti meno scrupolosi nel controllare che nessuna tana dei Fili fosse sfuggita ai cavalieri delle squadriglie, nelle foreste lussureggianti. Eppure il Nobile Groghe era stato assai attento nell'inviare squadre armate di lanciafiamme quando i Fili erano caduti sulle foreste. Nelle sue terre teneva
scuderie di animali corridori, organizzati in una rete efficiente, in modo che, se i dragonieri sapevano il fatto loro in volo, al suolo c'era un'organizzazione adeguata, pronta a liquidare i Fili che fossero sfuggiti all'alito ardente delle grandi bestie alate. Ma Robinton aveva udito di recente voci spiacevoli, e non soltanto quelle provenienti dalle terre di Fort. Poiché, prima o poi, egli veniva a sapere ogni pettegolezzo ed ogni accusa che circolava a Pern, aveva imparato a distinguere la realtà dal dispetto, la calunnia dal crimine. Sebbene non fosse sostanzialmente un allarmista, poiché aveva scoperto che molto di quanto udiva finiva per smentirsi da solo con l'andare del tempo, Robinton cominciava a sentire in fondo all'anima un fremito di preoccupazione. Il Maestro Arpista si abbandonò sulla sedia, guardando la giornata luminosa, il verde fresco e nuovo dei campi, i fiori gialli degli alberi da frutto, le linde Fortezze di pietra che fiancheggiavano la strada diretta alla rocca principale, il gruppo delle abitazioni degli artigiani ai piedi dell'ampia rampa che conduceva alla Grande Corte Esterna della Fortezza di Fort. E se i suoi sospetti erano fondati, che cosa poteva fare? Comporre un canto di rampogna? Una satira? Robinton sbuffò. Il Nobile Groghe era un uomo dalla mentalità troppo cristallina per interpretare una satira, e troppo virtuoso per accettare un rimprovero. Inoltre, e Robinton si puntellò sui gomiti, se il Nobile Ghoghe era trascurato, era una protesta contro la trascuratezza ancora più grande del Weyr. Robinton rabbrividì, al pensiero dei Fili che si seppellivano tra le grandi distese boschive meridionali. Avrebbe dovuto cantare le sue rimostranze a Mardra ed a T'ron, quali Comandanti del Weyr... ma anche quella sarebbe stata una fatica inutile. Negli ultimi tempi, Mardra si era inacidita. Avrebbe dovuto avere il buon senso di tirarsi in disparte e di lasciare che gli uomini implorassero i suoi favori, se T'ron non le piaceva più. A dare ascolto alle chiacchiere delle ragazze della Fortezza, T'ron era abbastanza impetuoso. Anzi, avrebbe fatto meglio a frenarsi un po'. Il Nobile Groghe non era entusiasta all'idea che troppe donne delle sue terre portassero in loro semi di drago. Un'altra situazione senza vie d'uscita, pensò Robinton con un sorriso ironico. I costumi delle Fortezze erano tanto diversi dalla morale dei Weyr. Forse era il caso di parlarne a F'lar del Weyr di Benden? Anche quello sarebbe stato inutile. Innanzi tutto, il cavaliere bronzeo non poteva far nulla. I Weyr erano autonomi, e non solo T'ron poteva risentirsi dei consigli che F'lar avesse ritenuto opportuno impartigli, ma Robinton era certo che F'lar avrebbe finito per condividere il punto di vista dei Signori delle For-
tezze. Non era la prima volta, in quei mesi, che Robinton si rammaricava che F'lar del Weyr di Benden fosse stato così impaziente di abbandonare il comando supremo, dopo che Lessa era tornata indietro in mezzo, per portare avanti nel tempo i cinque Weyr perduti. Allora, per qualche mese, sette Giri prima, Pern si era unito agli ordini di F'lar e di Lessa contro l'antica minaccia dei Fili. I Signori, i Maestri delle Arti, i contadini, gli artigiani, erano stati tutti unanimi. Ma quell'unità si era disgregata quando i Comandanti dei Weyr del passato avevano ristabilito il loro dominio tradizionale sulle Fortezze legate per protezione ai loro Weyr, e Pern, riconoscente, aveva concesso loro tali diritti. Ma in quattrocento Giri l'interpretazione dell'antica egemonia si era modificata, e nessuno era del tutto sicuro della nuova versione. Forse era giunto il momento di ricordare ai Signori i giorni tremendi di sette Giri prima, quando tutte le loro speranze erano state riposte sulle fragili ali dei draghi e sull'abnegazione di duecento uomini. Bene, per l'Uovo, anche l'Arpista ha un dovere, pensò Robinton, spianando soprappensiero la sabbia umida. Ed aveva l'obbligo di farlo conoscere. Tra dodici giorni Larad, Signore di Telgar, avrebbe dato in sposa la sorellastra Famira ad Asgenar, Signore della Fortezza di Lemos. Il Maestro Arpista era stato invitato a presenziare con nuovi canti appropriati per allietare i festeggiamenti. Anche F'lar e Lessa avano stati invitati, poiché la Fortezza di Lemos era vincolata al Weyr di Benden. E vi sarebbero stati altri notabili dei Weyr, e della Nobiltà e delle Arti, per solennizzare la fausta occasione. «E tra i miei canti lieti, ci sarà anche qualcosa di più forte.» Ridacchiando fra sé a quella prospettiva, Robinton riprese lo stilo. «Mi occorre un tema dolce ma elaborato, per Lessa. Lei è già una leggenda.» Inconsciamente l'Arpista sorrise, visualizzando la graziosa, minuta Dama del Weyr, con quella pelle candida, quella nuvola di capelli scurì, il lampo degli occhi grigi, e gli parve di udire le parole pungenti della sua lingua pronta. Nessun uomo di Pern le mancava di rispetto, od osava affrontare il suo sdegno, ad eccezione di F'lar. Ora, un tema spiccatamente marziale sarebbe stato adatto per il Comandante del Weyr di Benden, con i suoi acuti occhi d'ambra, la sua inconscia superiorità, l'intensa energia della sua snella figura di combattente. Era possibile che lui. Robinton, riuscisse a scuotere F'lar dal suo distacco? O
forse si preoccupava eccessivamente di quei dissidi di poco conto tra il Signore della Fortezza ed il Comandante del Weyr? Ma senza i cavalieri dei draghi la terra sarebbe stata inaridita totalmente dai Fili, anche se ogni uomo, donna e bambino del pianeta si fosse armato di lanciafiamme. Una tana, ben piazzata, poteva estendersi per pianure e foreste con la stessa rapidità con cui un drago poteva sorvolarla, consumando tutto ciò che vi cresceva e viveva, tranne la roccia compatta, l'acqua o il metallo. Robinton scosse il capo, irritato dalle proprie fantasie... come se i dragonieri potessero mai tradire Pern ed i loro antichi doveri! Ora... un rullo possente del tamburo più grande per Fandarel, il Maestro Fabbro, con la sua inesauribile curiosità, le grandi mani abili e delicate, la mente impegnata nell'eterna ricerca dell'efficienza, mentre sarebbe stato logico attendersi che un uomo così colossale fosse tardo d'ingegno quanto era lento e ponderato nei movimenti. Una nota triste, ben sostenuta, per Lytol, che un tempo aveva cavalcato un drago di Benden ed aveva perduto il suo Larth in un incidente durante i Giochi di Primavera... era accaduto quattordici o quindici Giri prima? Lytol aveva abbandonato il Weyr, poiché rimanere fra i draghi esacerbava la terribile perdita, e si era dedicato all'arte della tessitura. Era diventato Maestro dell'Arte nelle Terre Alte, ed aveva ancora quell'incarico quando F'lar aveva scoperto Lessa durante la Cerca. F'lar aveva nominato Lytol Nobile Reggente della Fortezza di Ruatha, quando Lessa aveva rinunciato a rivendicare i suoi diritti in favore del piccolo Jaxom. E com'era possibile rappresentare con la melodia i draghi di Pern? Non esisteva un tema abbastanza grandioso per le enormi bestie alate, dolci e miti quant'erano colossali. Avevano ricevuto il loro Schema di Apprendimento al momento della schiusa dagli uomini che li cavalcavano guidandoli contro i Fili, che li curavano, li amavano, che erano uniti a loro, mente a mente, in un vincolo inscindibile trascendente la parola! (Che sensazione doveva dare, tutto questo? si chiese Robinton, rammentando che in gioventù la sua ambizione era stata diventare dragoniere). I draghi di Pern, che potevano misteriosamente trasferirsi in mezzo da un luogo all'altro in un batter d'occhio, in mezzo persino da un tempo all'altro! Il sospiro dell'Arpista gli saliva dall'anima, ma la sua mano si muoveva sulla sabbia, imprimeva la prima nota, scriveva la prima parola; e intanto si domandava se nel canto sarebbe riuscito a trovare una risposta. Aveva appena riempito d'argilla i vassoi per preservare il testo, quando udì il primo rullo di tamburo. Uscì a passo svelto nella piccola corte della
Sede dell'Arte, chinando il corpo per captare i suoni: era proprio la sua sequenza, con un tempo incalzante. Si concentrò così attentamente sul rullo del tamburo da non accorgersi che tutti gli altri suoni erano cessati nella Sala dell'Arpista. «I Fili?» La gola gli s'inaridì, immediatamente. Robinton non aveva bisogno di consultare la tabella dei tempi per rendersi conto che i Fili stavano cadendo prematuramente sulle rive della Fortezza di Tillek. Al di là della valle, sui bastioni di Fort, l'unico guardiano faceva la ronda, ignaro del disastro. Vi era un dolce tepore primaverile nell'aria pomeridiana, quando F'nor ed il suo grande drago marrone, Canth, uscirono dal loro Weyr individuale, nel Weyr di Benden. F'nor sbadigliò leggermente e si stirò, fino a quando sentì scricchiolare la spina dorsale. Il giorno precedente era stato sulla costa occidentale per la Cerca di ragazzi adatti... e di ragazze, perché c'era un uovo dorato che s'induriva nel Terreno della Schiusa, al Weyr di Benden. Senza dubbio, Benden produceva più draghi e più regine dei cinque Weyr degli Antichi, pensò F'nor. «Hai fame?» chiese educatamente al suo drago, guardando nella Conca del Weyr, in direzione del Campo del Pasto. Non c'erano draghi intenti a mangiare e le bestie del branco stavano nei pascoli cintati, con le zampe distese, le teste abbassate verso le ginocchia ossute, sonnecchiando nel sole. Ho sonno, disse Canth, sebbene avesse dormito a lungo e profondamente quanto il suo cavaliere. Il drago marrone si sistemò sul cornicione riscaldato dal sole e si accosciò con un sospiro. «Pigrone,» disse F'nor, rivolgendogli un sorriso affettuoso. Il sole era ormai dall'altra parte dell'enorme conca montuosa che formava l'abitato dei dragonieri, sulla costa orientale di Pern. La parete di roccia era costellata dalle nere imboccature dei Weyr individuali dei draghi, e brillava là dove i raggi del sole si riflettevano sulla mica incorporata nella pietra. Le acque del lago alimentato dalle fonti luccicavano intorno ai due draghi verdi che facevano il bagno, mentre i loro cavalieri oziavano sulla sponda erbosa. Più oltre, davanti alla caserma dei giovani, gli allievi cavalieri formavano un semicerchio intorno al Maestro dei Cadetti. Il sorriso di F'nor divenne ancora più ampio. Si stiracchiò con fare indolente, ricordando le ore di noia trascorse in un semicerchio come quello, venti e più Giri prima. Le lezioni che aveva ripetuto pappagallescamente
quand'era cadetto avevano un significato assai più valido per quel gruppo di giovani cavalieri. Nel suo Giro, i Fili d'Argento dei Canti dell'Insegnamento non scendevano dalla Stella Rossa da più di quattrocento Giri, per bruciare le carni di uomini e draghi e per divorare tutto ciò che vi era di vivente su Pern. Tra tutti i dragonieri dell'unico Weyr di Pern, solo il fratellastro di F'nor, F'lar, il cavaliere del bronzeo Mnementh, aveva creduto che quelle vecchie leggende contenessero la verità. Adesso i Fili erano una realtà irrecusabile, e cadevano dai cieli su Pern con regolarità quotidiana. Ancora una volta, annientarli era lo scopo della vita per i cavalieri dei draghi. Le lezioni che quei ragazzi stavano imparando avrebbero salvato la loro pelle, la loro vita e, cosa ancora più importante, i loro draghi. I cadetti promettono bene, osservò Cantili, ripiegando le ali sul dorso e la gola intorno alle zampe posteriori. Appoggiò la grossa testa sulle zampe anteriori, e l'occhio sfaccettato più vicino a F'nor scintillò dolcemente. Esaudendo quella tacita supplica, F'nor grattò l'arcata sopracciliare, fino a quando Canth cominciò a ronzare sommessamente per il piacere. «Scansafatiche!» Quando lavoro, lavoro, rispose Canth. Senza il mio aiuto, come faresti a capire quale ragazzo delle Fortezze può diventare un buon dragoniere? E non trovo forse ragazze che diventano buone compagne delle regine? F'nor rise indulgente: ma era vero che l'abilità con cui Canth individuava i probabili candidati per i draghi da combattimento e per le regine da riproduzione era molto lodata dai cavalieri del Weyr di Benden. Poi F'nor aggrottò la fronte, ricordando la strana ostilità dei signori e degli artigiani che aveva incontrato nelle Fortezze e nelle Arti del Boll Meridionale. Sì, la gente era stata ostile fino... fino a quando lui si era presentato come dragoniere del Weyr di Benden. Avrebbe immaginato che fosse vero il contrario. Il Boll Meridionale era legato al Weyr di Fort. Secondo la tradizione - e F'nor sogghignò ironicamente perché il Comandante del Weyr di Fort, T'ron, era così inflessibile nel sostenere tutto ciò che era tradizionale, abituale... e statico - secondo la tradizione, il Weyr che proteggeva un territorio aveva il primo diritto di opzione su tutti i possibili cavalieri. Ma i cinque Weyr dell'Antichità raramente andavano in cerca di candidati al di fuori delle loro Caverne Inferiori. Naturalmente, pensò F'nor, le regine antiche non producevano covate numerose come le regine moderne, né molte uova dorate. Anzi, pensandoci bene, solo tre regine erano nate nei Weyr Antichi durante i sette Giri trascorsi da quando Lessa li aveva portati nel tempo presente.
Bene, che gli Antichi si attenessero pure alle loro usanze, se questo li aiutava a sentirsi superiori. Ma F'nor era d'accordo con F'lar. Era semplice buon senso offrire ai draghi appena nati una scelta ampia il più possibile. Sebbene le donne delle Caverne Inferiori del Weyr di Benden fossero senza dubbio molto disponibili, non c'erano abbastanza ragazzi nati nel Weyr, per la quantità dei draghi che nascevano via via. Ora, se uno degli altri Weyr, magari G'narish del Weyr di Igen o R'mart del Weyr di Telgar, avessero dichiarato «aperti» i voli nuziali delle loro regine più giovani, gli Antichi avrebbero forse notato un miglioramento nel numero delle uova deposte e nella qualità dei draghi che ne sarebbero nati. Era una sciocchezza continuare gli accoppiamenti sempre all'interno dello stesso Sangue. La brezza pomeridiana si levò, portando i fumi dell'erba intorpidaria messa a bollire. F'nor emise un gemito. Aveva dimenticato che le donne stavano preparando l'intorpidaria per l'unguento che costituiva il rimedio universale per le ustioni causate dai Fili ed altre afflizioni dolorose. Quella era stata una delle ragioni principali che l'avevano portato in Cerca, il giorno innanzi. L'odore dell'intorpidaria era penetrante. La colazione del giorno innanzi aveva avuto sapore di medicinale, anziché di cereali. Poiché la preparazione dell'unguento d'intorpidaria era un processo tedioso, oltre che troppo odoroso, moltissimi cavalieri preferivano dileguarsi. F'nor guardò, al di là della Conca, il Weyr della regina. Ramoth, naturalmente, era al Terreno della Schiusa, a vegliare sull'ultima covata, ma il bronzeo Mnementh non era appollaiato al suo solito posto sul cornicione. Lui e F'lar erano andati da qualche parte, senza dubbio per sfuggire all'odore dell'intorpidaria ed all'umore incerto di Lessa. Lessa prendeva parte coscienziosamente a tutti i doveri d'una Dama del Weyr, anche i più onerosi: ma questo non significava che ne fosse entusiasta. Nonostante il puzzo dell'interpidaria, F'nor aveva fame. Non aveva mangiato dal tardo pomeriggio del giorno innanzi e poiché c'erano sei ore di differenza tra il Boll Meridionale, sulla costa Ovest, ed il Weyr di Benden, a Est, aveva saltato quella che a Benden si considerava l'ora di cena. Con un'ultima grattatina, F'nor disse a Canth di andare a mangiare, e prese a scendere la rampa di pietra che conduceva giù dal suo cornicione. Uno dei privilegi che spettavano al Vicecomandante era la scelta dell'alloggio. Poiché Ramoth, come regina anziana, ammetteva solo due regine secondarie nel Weyr di Benden, erano liberi due alloggi riservati alle Dame del Weyr. F'nor ne aveva occupato uno, e non aveva bisogno di distur-
bare Canth, se doveva scendere ad un piano più basso. Quando si avvicinò all'ingresso delle Caverne Inferiori, l'aroma dell'intorpidaria che bolliva gli fece lacrimare gli occhi. Avrebbe preso un po' di klah, di pane e di frutta, e sarebbe andato ad ascoltare il Maestro dei Cadetti. Là erano sopravvento. Nella sua qualità di Vicecomandante, F'nor amava approfittare di ogni occasione per valutare i nuovi cavalieri, in particolare quelli che non erano nati e cresciuti nel Weyr. La vita in un Weyr richiedeva certi adattamenti, per coloro che erano nati nelle Arti e nelle Fortezze. La libertà ed i privilegi, talvolta, davano alla testa ad un ragazzo, in particolare quando aveva imparato a portare il suo drago in mezzo, passando in qualunque località di Pern nel tempo necessario per contare fino a tre. F'nor approvava la decisione di F'lar di far partecipare alla Schiusa ragazzi più grandi, sebbene gli Antichi deplorassero quella consuetudine del Weyr di Benden. Ma, per il Guscio, un ragazzo dai quindici Giri in su si rendeva conto della responsabilità della sua posizione (anche se era nato e cresciuto in una Fortezza) come cavaliere. Era emotivamente più maturo e, benché questo non sminuisse la potenza dello Schema di Apprendimento sul suo drago, poteva assorbire e comprendere i significati di un legame destinato a durare tutta la vita, di un contatto mentale profondo, la comunicatività totale fra se stesso ed il suo drago. Un ragazzo già grande non si lasciava trascinare. Ne sapeva abbastanza per compensare gli squilibri fino a quando si dispiegava la sensibilità istintiva del suo drago neonato. Quest'ultimo aveva poco buon senso, e se qualche stupido cadetto permetteva alla sua bestia di mangiare troppo, tutto il Weyr risentiva di quel tormento. Anche le bestie adulte vivevano alla giornata, senza molti pensieri del futuro e con pochissimi ricordi del passato, se non sul piano istintivo. Ed era un bene, pensò F'nor, perché erano i draghi ad addossarsi la parte peggiore delle ustioni causate dai Fili. Forse, se avessero avuto una memoria più acuta o associativa, avrebbero rifiutato di combattere. F'nor trasse un profondo respiro e, sbattendo furiosamente le palpebre per difendersi gli occhi dal fumo, entrò nell'immensa Caverna della cucina, che ribolliva di attività. A quell'operazione doveva partecipare metà della popolazione femminile del Weyr, pensò F'nor, perché grandi calderoni occupavano tutti i focolari scavati nella parete esterna della Caverna. C'erano donne sedute intorno all'ampie tavole, intente a lavare e tagliare le radici da cui si estraeva l'unguento. Altre versavano con i mestoli il liquido bollente in grossi vasi di terracotta. Quelle che rimescolavano il decotto con palette dal lungo manico portavano maschere sul naso e sulla bocca e
spesso si chinavano per asciugarsi gli occhi, lacrimanti per i fumi acri. I bambini già grandicelli portavano rocce combustibili dalle grottemagazzino per alimentare i fuochi, ed i vasi pronti nelle caverne del raffreddamento. Erano tutti indaffarati. Per fortuna il camino notturno, il più vicino all'entrata, funzionava normalmente: l'enorme pentola del klah ed il paiolo dello stufato pendevano dai ganci, al caldo sulle braci. Mentre F'nor finiva di riempirsi la tazza, si sentì chiamare. Si voltò e vide sua madre, Manira, che gli faceva un cenno di richiamo. Il volto abitualmente sereno aveva un'espressione perplessa e preoccupata. Obbediente, F'nor si avvicinò al focolare dove Manora, Lessa e un'altra giovane donna che aveva l'aria familiare, sebbene non gli riuscisse di identificarla, stavano esaminando un piccolo bricco. «I miei omaggi a voi, Lessa, Manora e...» E si fermò, cercando di ricordare il terzo nome. «Dovresti ricordarti di Brekke, F'nor,» osservò Lessa, inarcando le sopracciglia per quella dimenticanza. «E come puoi pretendere che uno veda qualcosa, in mezzo a questo fumo?» domandò F'nor, asciugandosi con ostentazione gli occhi sulla manica. «Non ti ho vista spesso, Brekke, da quando Canth ed io ti abbiamo portata qui dalla sede della tua Arte per imprimere lo Schema alla giovane Wirenth.» «F'nor, sei quasi peggio di F'lar,» esclamò Lessa, in tono un po' stizzito. «Non dimentichi mai il nome di un drago, ma quello di chi lo cavalca, sì.» «Come sta Wirenth, Brekke?» chiese F'nor, senza far caso all'interruzione di Lessa. La ragazza trasalì, ma riuscì a sfoggiare un sorriso esitante, poi guardò con intenzione Manora, nel tentativo di distogliere l'attenzione da sé. Era un po' troppo esile per i gusti di F'nor, non molto più alta di Lessa, la cui statura minuta non sminuiva affatto l'autorità ed il rispetto che ispirava. Tuttavia, c'era un'espressione di dolcezza sul viso solenne di Brekke, incorniciato dai riccioli scuri, che F'nor giudicò affascinante. E gli piacque quella modestia. Si chiese come potesse andare d'accordo con Kylara, la tempestosa e irresponsabile Prima Dama del Weyr Meridionale: in quell'istante Lessa batté la mano sul vaso vuoto che le stava davanti. «Guarda un po', F'nor. Il rivestimento interno si è screpolato, e tutto l'unguento ha cambiato colore.» F'nor zufolò.
«Non sai, per caso, cosa adopera il Fabbro per rivestire il metallo?» chiese Manora. «Non avrei mai il coraggio di usare unguento contaminato, però non vorrei buttarne via tanto, se non ce ne fosse motivo.» F'nor inclinò il vaso verso la luce. Il rivestimento bruno e opaco era segnato da crepe finissime, da una parte. «Vedi come riduce l'unguento?» chiese Lessa, spingendo verso di lui una piccola ciotola. L'unguento anestetico, che di solito era di un giallo chiarissimo, era divenuto brunorossiccio. Un colore abbastanza minaccioso, pensò F'nor. Lo fiutò, v'intinse un dito, e subito si sentì anestetizzare la pelle. «È efficace,» disse, scrollando le spalle. «Sì, ma cosa succederebbe ad un'ustione aperta, con quella sostanza estranea incorporata nell'unguento?» chiese Manora «Giusto. F'lar cosa ne dice?» «Oh, lui.» I lineamenti fini e delicati di Lessa si contrassero in una smorfia. «È andato alla Fortezza di Lemos a vedere come se la cava quell'artigiano del Nobile Asgenar con i fogli di polpa di legno.» F'nor sogghignò. «Non c'è mai quando tu hai bisogno di lui, eh, Lessa?» Lei aprì la bocca per replicargli seccamente, facendo lampeggiare gli occhi grigi, e poi si accorse che F'nor la punzecchiava di proposito. «Sei proprio come lui,» rispose, alzando la testa con un sorriso verso il Vicecomandante che somigliava tanto al suo Compagno di Weyr. Eppure i due uomini, sebbene il marchio del comune genitore fosse evidente nei folti capelli neri, nei lineamenti forti, nei corpi snelli e alti (F'nor aveva un'ossatura più squadrata, ma non abbastanza carne addosso, così che sembrava quasi incompiuto), i due uomini erano diversi per temperamento e personalità. F'nor era meno introspettivo e più disinvolto del fratellastro F'lar, che aveva tre Giri più di lui. Qualche volta, la Dama del Weyr si accorgeva di trattare F'nor come se fosse un'estensione del fratellastro e, forse per quella ragione, riusciva a scherzare con lui. Lessa non era in rapporti tanto amichevoli con molta gente. F'nor ricambiò il sorriso e le rivolse un lieve inchino ironico per ringraziarla del complimento. «Bene, sono disposto a fare la tua commissione alla Sede del Mastro Fabbro. Dovrei essere in Cerca, e posso cercare alla Fortezza di Telgar come altrove. R'mart non è pignolo come gli altri Comandanti dei Weyr Antichi.» Staccò il paiolo dal gancio, sbirciando di nuovo nell'interno, poi si guardò intorno, scrollando il capo. «Porterò il paiolo a Fandarel, mi
sembra però che abbiate già abbastanza intorpidaria da ricoprire tutti i draghi dei sei... scusate, dei sette Weyr.» Sorrise a Brekke, perché la fanciulla sembrava bizzarramente a disagio. Lessa diventava suscettibile, quand'era preoccupata, e Ramoth si agitava per l'ultima covata come se fosse una novizia, e questo tendeva a rendere ancor più irritabile Lessa. Ma era strano che una Dama secondaria del Weyr Meridionale fosse lì, occupata a preparare unguenti a Benden. «L'intorpidaria non è mai troppa, in un Weyr,» disse in tono vivace Manora. «E questo non è neppure l'unico paiolo che presenta delle crepe,» intervenne piccata Lessa. «E se dobbiamo raccogliere altra intorpidaria per supplire a quella che è andata perduta...» «C'è il secondo raccolto al Weyr Meridionale,» suggerì Brekke, che sembrava un pò turbata del proprio intervento. Ma Lessa le lanciò uno sguardo di gratitudine. «Non ho intenzione di privarvene, Brekke, quando il Weyr Meridionale provvede a curare gli sciocchi che non sono capaci di schivare i Fili.» «Porterò il paiolo, porterò il paiolo,» promise allegramente F'nor. «Ma prima devo buttar giù ben altro di una tazza di klah.» Lessa deviò lo sguardo verso l'ingresso, verso il sole del tardo pomeriggio, i cui raggi scendevano obliqui sul pavimento. «Alla Fortezza di Telgar è passato da poco mezzogiorno,» disse lui, paziente. «Ieri sono stato tutto il giorno in Cerca al Boll Meridionale, perciò sono anch'io indietro di diverse ore.» E soffocò uno sbadiglio. «L'avevo dimenticato. Hai avuto fortuna?» «Canth non ha mosso orecchio. Adesso lasciami mangiare e poi fuggire da questo puzzo. Non so come fai a sopportarlo.» Lessa sbuffò. «Perché non posso sopportare i lamenti che lanciate voi cavalieri quando non avete l'intorpidaria.» F'nor sorrise ironicamente alla sua Dama del Weyr, notando che Brekke aveva spalancato gli occhi, sbalordita dei loro amichevoli battibecchi. Era affezionato sinceramente a Lessa come persona, non solo perché era la Dama della prima regina del Weyr di Benden. Approvava di tutto cuore l'attaccamento permanente di F'lar a Lessa... anche se del resto non era molto probabile che Ramoth fosse disposta a permettere ad altri che a Mnementh di accompagnarla nel volo nuziale. Come Lessa era una straordinaria Dama del Weyr per Benden, F'lar era il migliore dei possibili comandanti. Il Weyr di Benden, e tutto Pern, ne
traevano vantaggio: e così pure le tre Fortezze che dipendevano dalla protezione di Benden. Poi F'nor ricordò l'ostilità che gli aveva mostrato il giorno prima la gente del Boll Meridionale, prima di venire a sapere che era un cavaliere di Benden. Stava per parlarne a Lessa, quando Manora interruppe i suoi pensieri. «L'alterazione del colore mi preoccupa molto, F'nor,» disse. «Ecco. Mostra anche queste al Maestro Fabbro Fandarel.» E mise nel recipiente più grande due piccole pentole. «Così potrà vedere esattamente il cambiamento che si produce Brekke, vuoi avere la cortesia di servire F'nor?» «Non ce n'è bisogno,» rispose questi in fretta, e indietreggiò, facendo dondolare il paiolo. L'infastidiva il fatto che Manora, sua madre naturale, non riuscisse a liberarsi dalla convinzione che lui fosse incapace di arrangiarsi. Senza dubbio era bravissima ad insegnare ai figli adottivi a sbrigarsela da soli, così come aveva fatto con lui la sua madre adottiva. «Non lasciare cadere il paiolo quando vai in mezzo, F'nor «fu l'ammonimento con cui Manora si congedò da lui. F'nor ridacchio tra sé. Le madri erano tutte eguali, pensò, dato che Lessa si comportava allo stesso modo con Felessan, l'unico figlio che aveva messo al mondo. Era un bene che i Weyr praticassero l'usanza dell'adozione. Felessan, il ragazzino forse più adatto per un drago bronzeo che F'nor avesse mai visto in tutti i Giri dedicati alla Cerca, stava molto meglio con la sua placida madre adottiva di quanto sarebbe stato con Lessa, se fosse stata lei ad allevarlo. Mentre si versava un mestolo di stufato, F'nor pensò alle stranezze femminili. Le ragazze continuavano a chiedere di venire al Weyr di Benden. Lì non sarebbero state costrette a mettere al mondo un figlio dopo l'altro, fino a invecchiare precocemente. Le donne, nei Weyr, rimanevano attive e affascinanti. Manora aveva il doppio dei Giri dell'ultima moglie del nobile Sifer di Bitra, per esempio, eppure sembrava più giovane di lei. Beh, un cavaliere preferiva scegliersi i suoi amori da solo, senza che nessuno glieli imponesse. In quel momento, nelle Caverne Inferiori c'erano abbastanza donne a disposizione. Il klah esalava un odore fortissimo di medicinale. F'nor non riuscì a berlo. Mangiò in fretta lo stufato, sforzandosi di non sentirne il sapore. Forse avrebbe potuto buttar giù qualcosa alla Sede dell'Arte dei Fabbri, alla Fortezza di Telgar. «Canth! Manora ci ha incaricati di una commissione,» comunicò al drago marrone mentre usciva dalla Caverna Inferiore. Si chiedeva come le
donne riuscissero a sopportare quell'odore. Se lo chiedeva anche Canth, perché il fumo gli aveva impedito di sonnecchiare sul cornicione, al calduccio: ed era altrettanto lieto di avere un buon pretesto per allontanarsi dal Weyr di Benden. F'nor irruppe nel sole del mattino sopra la Fortezza di Telgar, poi guidò Canth verso la parte più alta della lunga valle, dove sorgeva il complesso di edifici, alla sinistra delle Cascate. Il sole lampeggiava sulle ruote dei mulini mosse incessantemente dalle acque possenti delle tre Cascate, che azionavano le forge dei Fabbri. A giudicare dal sottile filo nero che si levava dagli edifici di pietra, la fusione e la raffinazione procedevano a pieno ritmo. Mentre Canth scendeva a quota più bassa, F'nor scorse le lontane nubi di polvere che annunciavano un altro convoglio carico di minerali, in arrivo dall'ultimo sbarco sul fiume principale di Telgar. L'idea di Fandarel, munire di ruote le chiatte, aveva dimezzato il tempo occorrente per trasportare il minerale grezzo da monte e valle lungo il fiume, dalle miniere di Crom e di Telgar fino alle Sedi dell'Arte in tutto Pera. Canth lanciò uno squillante grido di saluto cui subito risposero i due draghi, uno verde e uno marrone, appollaiati su di un piccolo cornicione al di sopra dell'Opificio principale. Beth e Seventh del Weyr di Fort, disse al suo cavaliere; ma F'nor non conosceva quei nomi. Era passato il tempo in cui un uomo conosceva tutti i draghi e tutti i cavalieri di Pern. «Vai con loro?» chiese al suo marrone. Loro sono insieme, rispose Canth in tono così deciso che F'nor ridacchiò. La verde Beth, quindi, aveva accettato la corte del marrone Seventh. Guardandone il colore brillante, F'nor pensò che i loro cavalieri non avrebbero dovuto portare quei due lontani dal loro Weyr, nella fase attuale. Mentre F'nor li guardava, il drago marrone protese un'ala e coprì il drago verde con fare possessivo. F'nor accarezzò il collo lanuginoso di Canth, ma sembrava che il drago non avesse bisogno di conforto. Non gli mancavano certo le compagne, pensò F'nor, con una punta d'orgoglio. Le verdi prediligevano un marrone che era grande come la maggior parte dei bronzei di Pern. Canth atterrò e F'nor balzò rapido a terra. La polvere sollevata dalle ali
del suo drago formò due vortici, ed egli dovette passarvi nel mezzo. Dentro i capannoni aperti che F'nor superò dirigendosi verso la Sede dell'Arte, gli uomini erano intenti a molti lavori, che il cavaliere marrone conosceva piuttosto bene. Ma davanti ad un capannone si fermò, cercando di capire perché quegli uomini coperti di sudore stessero avvolgendo del metallo che facevano passare attraverso una piastra, fino a quando si accorse che ciò che ne usciva era un filo sottile. Stava per fare qualche domanda quando notò le espressioni chiuse e cupe degli artigiani. Salutò con un cortese cenno del capo e proseguì, un po' a disagio per l'indifferenza - anzi, per l'antipatia - che quelli dimostravano nei suoi confronti. Cominciava ad essere un po' pentito di avere accettato la commissione di Manora. Ma il Maestro Fabbro Fandarel era ovviamente la massima autorità in fatto di metalli, e poteva dire perché il grande paiolo aveva improvvisamente alterato il colore del prezioso unguento anestetico. F'nor scosse il paiolo per assicurarsi che dentro ci fossero le due pentole, e sogghignò del proprio gesto: per un istante rivisse l'apprensione di quando era bambino e temeva di perdere qualcosa che gli era stato affidato. L'ingresso della Sede dell'Arte dei Fabbri era imponente: quattro bestie da traino potevano passare affiancate attraverso quell'ampio portale, senza sfiorarsi. Pern produceva Maestri Fabbri in proporzione a quella porta? si chiese F'nor mentre le fauci immense l'inghiottivano, perché i battenti di metallo erano spalancati. Quella che un tempo era stata la Fucina adesso era stata riservata agli artefici. Ai torni ed ai banchi da lavoro, gli uomini lucidavano, incidevano, aggiungevano i tocchi finali ai lavori altrimenti già completi. Il sole entrava dalle alte finestre; le imposte a oriente erano brunite dalla luce del mattino che si rifletteva anche sui campioni di armi e di oggetti metallici sistemati sugli scaffali aperti al centro dal grande stanzone. In un primo momento, F'nor pensò che fosse stato il suo ingresso ad interrompere ogni attività, ma poi scorse due dragonieri che stavano minacciando Terry. Sebbene fosse stupito di percepire la tensione, F'nor era ancora più turbato nel vedere che Terry ne era la causa, perché quell'uomo era il Vice di Fandarel, ed il suo principale inventore. Senza fermarsi a riflettere, F'nor avanzò deciso, mentre i tacchi dei suoi stivali strappavano scintille dalle pietre. «Buongiorno a te, Terry, ed a voi, signori,» disse F'nor, salutando i due dragonieri con disinvolta amabilità. «Sono F'nor, cavaliere di Canth, del Weyr di Benden.»
«B'nay, cavaliere di Seventh, del Weyr di Fort,» disse il più alto e brizzolato dei due dragonieri. Evidentemente era risentito per l'interruzione e continuava a battersi nel palmo della mano un pugnale elegantemente ingemmato. «T'reb, cavaliere di Beth, pure di Fort. E se Canth è un bronzeo, digli di stare alla larga da Beth.» «Canth non è un cacciatore di frodo,» rispose F'nor, con un sorriso, mentre pensava che T'reb si lasciava condizionare un po' troppo dagli amori del suo drago verde. «Non si può mai sapere che cosa insegnano al Weyr di Benden,» osservò T'reb, con un tono di malcelato disprezzo. «L'educazione, tra le altre cose, quando ci si rivolge ad un Vicecomandante,» rispose F'nor, sempre in tono cortese. Ma T'reb gli lanciò un'occhiata acuta, accorgendosi del sottile mutamento che si era operato nei suoi modi. «Buon Maestro Terry, posso parlare con Fandarel?» «È nel suo studio...» «E a noi avevi detto che non c'era,» l'interruppe T'reb, afferrando Terry per il pesante grembiule di pelle di wher. F'nor reagì all'istante. La sua mano bruna si serrò intorno al polso di T'reb, le dita si piantarono così dolorosamente nei tendini da intorpidire la mano del dragoniere verde. Terry, liberato, indietreggiò, con gli occhi sfolgoranti ed i denti stretti. «L'educazione del Weyr di Fort lascia parecchio a desiderare,» disse F'nor, scoprendo i denti in un sorriso duro quanto la stretta con cui teneva fermo T'reb. Ma subito intervenne l'altro cavaliere del Meyr di Fort. «T'reb! F'nor!» B'naj separò i due. «Il suo verde è in calore, F'nor. Lui non ne ha colpa.» «Allora doveva restare nel Weyr.» «Non c'è bisogno che Benden faccia da mentore a Fort,» gridò T'reb, cercando di passare davanti al suo compagno e portandosi la mano all'impugnatura del pugnale che teneva alla cinta. F'nor indietreggiò, si fece forza per calmarsi. Quell'episodio era ridicolo. I cavalieri dei draghi non litigavano in pubblico. Nessuno però doveva trattare in quel modo il Vicemaestro di un'Arte. Fuori, i draghi urlavano. Senza badare a T'reb, F'nor disse a B'naj: «Fareste meglio ad andarvene di qui. La verde è troppo vicina all'accoppiamento.» Ma il truculento T'reb non voleva saperne di lasciarsi ridurre al silenzio. «Non spetta a te insegnarmi come devo comportarmi con il mio drago,
specie di...» L'insulto si perse in una seconda raffica di urla dei draghi, cui anche Canth unì il suo grido. «Non fare l'idiota, T'reb,» disse B'naj. «Vieni via subito!» «Non sarei qui se tu non avessi voluto quel pugnale. Prendilo e andiamo.» Il pugnale che poco prima B'naj maneggiava era finito sul pavimento, ai piedi di Terry. L'artigiano lo raccolse in modo tale che F'nor comprese all'improvviso la causa di tutta quella tensione. I dragonieri erano stati sul punto di confiscare l'arma, ed il suo ingresso li aveva interrotti. In quegli ultimi tempi aveva sentito parlare anche troppo spesso di estorsioni di quei genere. «Fareste meglio ad andarvene,» disse ai due, mettendosi davanti a Terry. «Siamo venuti per il pugnale. Ce ne andremo solo quando l'avremo avuto,» urlò T'reb e, fintando con inattesa sveltezza, passò oltre F'nor, e strappò l'arma dalla mano di Terry, ferendogli il pollice nel sottrargliela. F'nor afferrò di nuovo la mano di T'reb e gliela torse costringendolo a lasciar cadere il pugnale. T'reb emise un gorgogliante grido di rabbia e, prima che F'nor potesse schivare o B'naj intervenire piantò furiosamente il suo coltello nella spalla del dragoniere di Benden, affondandolo fino a quando la punta urtò la scapola. F'nor arretrò barcollando, dilaniato da un dolore accecante, udì l'urlo di protesta di Canth, l'abbaiare frenetico del drago verde e il barrito del marrone. «Portalo fuori di qui,» intimò F'nor a B'naj, ansimando, mentre Terry si precipitava a sorreggerlo. «Andatevene!» ripeté il Fabbro in tono aspro. Rivolse un cenno concitato agli altri artigiani che avanzarono con aria decisa verso i dragonieri. Ma B'naj trascinò T'reb fuori dall'Opificio, rabbiosamente. F'nor si oppose quando Terry cercò di condurlo verso la panca più vicina. Era già gravissimo che un dragoniere ne assalisse un altro: ma F'nor era ancora più scandalizzato dal fatto che un cavaliere potesse trascurare il suo animale per un gingillo. Nell'ululato stridulo del drago verde, adesso, c'era un'autentica urgenza. F'nor si augurò che T'reb e B'naj salissero sulle loro bestie e se ne andassero. Un'ombra cadde attraverso l'ampio portale della Sede dei Fabbri. Era Canth, che si lagnava ansiosamente. La voce del drago verde tacque di
colpo. «Se ne sono andati?» chiese F'nor al suo drago. Buon viaggio, rispose Canth , tendendo il collo per vedere il suo cavaliere. Sei ferito. «Non è niente. Non è niente,» mentì F'nor, rilassandosi nella stretta premurosa di Terry. In preda ad uno stordimento che gli faceva vedere tutto nero, s'accorse che lo sollevavano, poi si sentì deporre sulla superficie dura di una panca. Il suo ultimo pensiero conscio fu che Manora si sarebbe irritata perché lui non aveva parlato prima con Fandarel. II Sera (tempo del Weyr di Fort): Riunione dei Comandanti al Weyr di Fort. Quando Mnementh eruppe da in mezzo sopra Fort, era a quota così alta, sulla montagna del Weyr, che questa appariva come un punto nero appena distinguibile sulla terra sottostante ormai quasi buia. L'esclamazione sorpresa di F'lar fu troncata dall'aria fredda e rarefatta che gli bruciava i polmoni. Devi essere calmo e sereno, disse Mnementh, raddoppiando lo sbalordimento del suo cavaliere. Devi predominare tu, in questa riunione. E il drago bronzeo iniziò una lunga planata a spirale verso il Weyr. F'lar sapeva che nessuna ammonizione poteva far cambiare idea a Mnementh, quando usava quel tono fermo. Si stupì dell'iniziativa inaspettata del grande animale. Ma il drago bronzeo aveva tutte le ragioni. F'lar poteva ottenere ben poco se si fosse scagliato su T'ron e sugli altri Comandanti dei Weyr, per ottenere giustizia per il suo Vice ferito; o se si fosse mostrato irritato per l'insulto implicito nell'orario fissato per quella riunione. Nella sua qualità di Comandante del Weyr del cavaliere colpevole, T'ron aveva tardato a rispondere alla educata richiesta, avanzata da F'lar, di una riunione di tutti i Comandanti dei Weyr per discutere lo spiacevole incidente accaduto nella Sede del Maestro dell'Arte. Quando finalmente era giunta, la risposta di T'ron aveva fissato la riunione per il primo turno di guardia, tempo del Weyr di Fort: cioè a notte alta, per il Weyr di Benden, un'ora assurda per F'lar e certamente scomoda per gli altri Weyr orientali, Igen, Ista e persino Telgar. D'ram del Weyr di Ista e R'mart di Telgar, e probabilmente anche G'narish di Igen, avrebbero avuto di che
ridire per quella scelta, sebbene la differenza oraria non fosse sensibile per loro quanto per il Weyr di Benden. Quindi T'ron voleva che F'lar si presentasse alla riunione irritato e infastidito. Perciò, F'lar sarebbe stato tutto gentilezza e amabilità. Si sarebbe scusato con D'ram, R'mart e G'narish per il disturbo loro arrecato, assicurandosi nel contempo che fossero ben certi della responsabilità di T'ron. La questione principale, per la mente ormai calma di F'lar, non era l'aggressione a F'nor. Il vero problema era la violazione di due delle più importanti restrizioni dei Weyr, restrizioni che avrebbero dovuto essere profondamente radicate in ogni cavaliere, e praticamente inviolabili. Era norma assoluta che un cavaliere non conducesse un drago verde o una regina fuori dal suo Weyr quando stava per levarsi nel volo nuziale. Non faceva alcuna differenza che un drago verde fosse sterile perché masticava pietre focaie. La sua libido poteva ispirare appetiti sessuali anche agli individui più insensibili. Un drago femmina che si accoppiava trasmetteva le sue emozioni su di una banda amplissima. Certi accoppiamenti tra i verdi e i marroni erano chiassosi come quelli tra i bronzei e le auree regine. Il bestiame dei dintorni impazziva, i volatili, i wherry e i wher si abbandonavano ad isterismi insensati. Anche gli umani erano suscettibili, e spesso i giovanetti ignari delle Fortezze reagivano con conseguenze imbarazzanti. Quel particolare aspetto degli accoppiamenti dei draghi non preoccupava la gente dei Weyr, che da molto tempo aveva dimenticato le inibizioni sessuali. Però, non si poteva condurre un drago femmina fuori dal suo Weyr, in quello stato. Per F'lar, poco contava che la seconda violazione fosse una conseguenza della prima. Dal momento in cui i cavalieri potevano portare i loro draghi in mezzo, dovevano impegnarsi ad evitare le situazioni che rischiassero di portare ad un duello, soprattutto perché il duello era un'istituzione accettata nelle Arti e nelle Fortezze. I dissidi tra i cavalieri venivano regolati con scontri disarmati, sottoposti ad un rigoroso arbitraggio all'interno del Weyr. I draghi si suicidavano, quando i loro cavalieri morivano. E qualche volta, uno di essi poteva impazzire per il panico, se il suo cavaliere veniva gravemente ferito o restava a lungo privo di sensi. Un drago imbizzarrito era in pratica impossibile da tenere a bada, e la morte di uno dei quei grandi animali sconvolgeva tutto il suo Weyr. Perciò i duelli armati, che potevano portare al ferimento o alla morte di un dragoniere, erano assolutamente proscritti. Quel giorno, un cavaliere del Weyr di Fort aveva volutamente (a giudi-
care dalle testimonianze che F'lar aveva ricevuto da Terry e dagli altri fabbri presenti) violato quelle due restrizioni fondamentali. F'lar non si sentiva tranquillizzato dal fatto che il cavaliere colpevole fosse del Weyr di Fort, anche se T'ron, il critico più accanito della posizione lassista del Weyr di Benden verso certe tradizioni, veniva a trovarsi in una situazione imbarazzante. F'lar poteva sostenere che le sue innovazioni non infrangevano nessuno dei precetti fondamentali dei Weyr, ma i cinque Weyr Antichi ignoravano categoricamente tutte le proposte che provenivano da Benden. E T'ron strillava più di tutti gli altri contro le maniere deplorevoli della gente delle Fortezze e delle Arti, così diversa (così meno servile, pensava F'lar) da quella del loro lontano passato. Sarebbe stato interessante, pensò F'lar, vedere in che modo il tradizionalista T'ron avrebbe giustificato le azioni dei suoi cavalieri, resisi colpevoli di offese ben più gravi contro le tradizioni dei Weyr che non tutte le proposte di Benden. Era stato il buon senso ad ispirare a F'lar la decisione, otto Giri prima, di far partecipare alla Schiusa anche i ragazzi più adatti provenienti dalle Fortezze e dalle Arti: nel Weyr di Benden non c'era abbastanza ragazzi dell'età giusta per pareggiare il numero delle uova di drago. Se gli Antichi avessero ammesso ai voli nuziali delle loro regine secondarie anche i draghi bronzei degli altri Weyr, presto avrebbero avuto covate numerose come quelle di Benden, e probabilmente avrebbero avuto anche uova di regina. Tuttavia, F'lar poteva capirli. I draghi bronzei di Benden e del Weyr Meridionale erano più grossi della maggioranza dei bronzei degli Antichi. Di conseguenza, sarebbero stati loro ad accoppiarsi con le regine. Ma, per il Guscio, F'lar non aveva proposto che fossero accessibili tutti i voli delle regine principali. Non aveva nessuna intenzione di sfidare i Comandanti dei Weyr Antichi con i bronzei moderni: pensava semplicemente che un'immissione di sangue nuovo tra quegli animali sarebbe tornato loro utile. Il miglioramento della razza dei draghi non tornava forse a beneficio di tutti i Weyr? E poi, era questione di diplomazia pratica invitare i notabili delle Fortezze e delle Arti alla Cerimonia della Schiusa. A Pern non c'era un solo uomo che non avesse nutrito segretamente la convinzione di essere in grado di imprimere lo Schema d'Apprendimento a un drago, di potersi legare per la vita all'affetto ed alla gratificante ammirazione di quelle grandi, miti bestie, di poter attraversare Pern in un batter d'occhio, a cavalcioni di un drago, di non dover mai soffrire la solitudine che era sorte comune della
maggioranza degli uomini... poiché un dragoniere aveva sempre il suo drago. Perciò, avessero o meno sul Terreno della Schiusa un parente speranzoso di legarsi a un drago neonato, gli spettatori amavano l'emozione vicaria della partecipazione, ci tenevano ad assistere a quel «rito misterioso». F'lar aveva notato che li rassicurava constatare che tanta fortuna poteva toccare anche a fortunati nati e cresciuti al di fuori dei Weyr. E coloro che erano vincolati ad un Weyr, pensava, dovevano imparare a conoscere i cavalieri, poiché costoro erano responsabili delle loro vite e dei loro beni. Anche l'assegnazione di draghi messaggeri a tutte le Fortezze e le Arti principali era stata una misura pratica, quando Benden era l'unico Weyr di Pern. Il continente settentrionale era vastissimo. Occorrevano giorni per portare un messaggio da costa a costa. Il sistema dei tamburi, ideato dall'Arte degli Arpisti, era ben poca cosa, quando un drago poteva trasportare istantaneamente se stesso, il suo cavaliere ed un messaggio esplicito in qualunque località del pianeta. Inoltre, F'lar si rendeva perfettamente conto dei pericoli dell'isolamento. Nei tempi anteriori al giorno in cui i primi Fili avevano ripreso a cadere su Pern - possibile che fossero trascorsi solo sette Giri? - il Weyr di Benden era quasi rovinato dall'isolamento, e l'intero pianeta era stato sul punto di essere perduto. Mentre F'lar pensava sinceramente che i dragonieri dovessero mostrarsi accessibili e amichevoli, gli Antichi erano ossessionati dall'esigenza di mantenersi nel loro isolamento. E tutto ciò preparava il terreno agli incidenti come quello che si era appena verificato. T'reb, sul dorso di un drago verde in condizioni anomale, era piombato sulla Sede del Maestro dei Fabbri e aveva preteso - non chiesto - che un artigiano gli cedesse un manufatto, preparato su commissione per uno dei potenti Signori delle Fortezze. In uno stato d'animo fatto più di disillusione che di aspirazioni alla vendetta, F'lar si accorse che Mnementh planava rapido verso l'orlo irregolare del Weyr di Fort. La Pietra della Stella e il dragoniere di guardia spiccavano contro il tramonto. Più indietro c'erano le sagome di altri tre bronzei, uno dei quali era di mezza coda più grande degli altri. Doveva essere Orth, e quindi T'bor era già arrivato dal Weyr Meridionale. Ma perché c'erano tre soli draghi bronzei? Chi doveva ancora arrivare alla riunione? Sono assenti Salth delle Terre Alte e Branth con R'mart del Weyr di Telgar, l'informò Mnementh. I Weyr delle Terre Alte e di Telgar erano assenti? Beh, probabilmente T'kul delle Terre Alte era in ritardo di proposito. Ma era strano; quell'Anti-
co così caustico avrebbe avuto di che divertirsi, quella notte. Avrebbe avuto l'occasione di punzecchiare tanto F'lar quando T'bor, e si sarebbe goduto la sconfitta di T'ron. F'lar non aveva mai provato sentimenti di amicizia per l'acido Comandante del Weyr delle Terre Alte, ed era sempre stato ricambiato di egual moneta. Si chiese se era per quello che Mnementh non usava mai il nome di T'kul. I draghi ignoravano i nomi degli umani, quando non li avevano in simpatia. Ma era eccezionale che un drago non nominasse un Comandante di Weyr. F'lar si augurò che arrivasse R'mart di Telgar. Tra gli Antichi, R'mart e G'narish di Igeo erano i più giovani ed i meno fossilizzati. Benché tendessero a schierarsi con i loro contemporanei contro i due Comandanti moderni, F'lar e T'bor, F'lar aveva notato da qualche tempo che i due mostravano una certa comprensione per alcune sue proposte. Poteva approfittarne, quel giorno... quella notte? Gli spiacque che Lessa non avesse potuto venire con lui, perché era abilissima nell'usare sottili pressioni mentali nei riguardi dei dissenzienti, e spesso riusciva a farsi rispondere dagli altri draghi. Certo, doveva farlo con prudenza, perché i dragonieri avrebbero potuto sospettare di venire manovrati. Mnementh era ormai entro la Conca del Weyr di Fort, e stava virando verso il cornicione del weyr della regina principale. Fidranth, il bronzeo di T'ron, non era lì a vegliare la regina sua compagna, come avrebbe fatto Mnementh. O forse Mardra, la prima Dama dei Weyr, era assente. Era pronta a prendersela non meno di T'ron, sebbene un tempo non fosse tanto suscettibile. Nei primi tempi, dopo l'arrivo dei Weyr Antichi, Mardra e Lessa erano state molto vicine. Ma l'amicizia di Mardra s'era trasformata gradualmente in odio. Mardra era una donna molto bella, dalla figura piena e forte, e sebbene non fosse di costumi liberi come Kylara del Weyr Meridionale, era corteggiatissima dai cavalieri bronzei. Era intensamente possessiva e, pensava F'lar, non era troppo intelligente. Lessa, elegante, stranamente bella, già divenuta leggendaria per il suo volo spettacolare in mezzo al tempo, aveva inconsapevolmente distolto l'attenzione da Mardra. Quest'ultima era chiaro, non stava a pensare che Lessa non cercava affatto di sottrarle i favoriti; anzi, non civettava con nessuno... un particolare che faceva un gran piacere a F'lar. A questo si era aggiunta la ridicola questione della loro comune origine ruathana... e Mardra aveva preso a odiare Lessa. Sembrava convinta che Lessa, unica superstite di quel Sangue, non aveva avuto il diritto di rinunciare alle sue pretese sulla Fortezza di Ruatha in favore del piccolo Nobile Jaxom, anche se una Dama del Weyr non po-
teva governare su una Fortezza né teneva a farlo. Ma le basi dell'odio di Mardra per Lessa erano pretestuose. Lessa non poteva fare a meno di essere bella, e non aveva avuto una vera possibilità di scelta, quando aveva rinunciato a Ruatha. Quindi era un bene che le Dame del Weyr non fossero state invitate a quella riunione. Bastava mettere insieme Mardra e Lessa per causare qualche problema. Se poi si aggiungeva Kylara del Weyr Meridionale, capace di combinare guai per la soddisfazione di attirare l'attenzione su di sé, non si sarebbe concluso nulla. Nadira del Weyr di Igen era affezionata a Lessa, ma passivamente. Bedella del Weyr di Tedgar era stupida, e Fanna di Ista era taciturna; Merika delle Terre Alte era un tipo non meno acido del suo Comandante del Weyr, T'kul. E quella era una faccenda che dovevano risolvere gli uomini. F'lar ringraziò Mnementh, mentre si calava sul cornicione, incespicando con i tacchi degli stivali nelle scanalature lasciate sull'orlo dagli artigli dei draghi. T'ron avrebbe potuto appendere fuori un lume, pensò irritato: poi si calmò. Quello era un altro trucco per esasperare il più possibile gli animi di tutti. Loranth, la regina principale del Weyr di Fort, guardò solamente F'lar quando questi entrò nella grande sala del Weyr. Egli la salutò con cordialità, nascondendo il sollievo che provava nel vedere che di Mardra non c'era neppure l'ombra. Se Loranth era solenne, Mardra sarebbe stata decisamente sgradevole. Senza dubbio la Dama di Fort se ne stava nascosta dietro la cortina che divideva il Weyr dalla stanza da letto. Forse quell'orario impossibile era stato un'idea sua. Era passata l'ora di pranzo, a Occidente, ed era troppo tardi per offrire qualcosa di più del vino per i visitatori provenienti da altre zone orarie. In quel modo, Mardra si risparmiava la necessità di fungere da padrona di casa. Lessa non sarebbe mai ricorsa a strategie così meschine. F'lar sapeva che molto di frequente l'impulsiva Lessa aveva trattenuto risposte mordenti, quando Mardra aveva assunto verso di lei atteggiamenti condiscendenti. Anzi, la sopportazione che mostrava nei confronti dell'altezzosa Dama del Weyr di Fort era miracolosa, se si teneva conto del suo caratterino. F'lar riteneva che la sua compagna si sentisse un po' responsabile perché era stata lei a sradicare gli Antichi dal loro tempo. Ma erano stati loro a decidere di trasferirsi nel futuro. Bene, se Lessa riusciva a sopportare per gratitudine la condiscendenza di Mardra, F'lar poteva tentare di sopportare T'ron. Quell'uomo sapeva lottare
contro i Fili in modo efficiente e all'inizio F'lar aveva imparato molte cose da lui. Perciò, in uno stato d'animo volutamente gioviale, F'lar si avviò per il breve passaggio che portava alla Sala del Consiglio del Weyr di Fort. T'ron, seduto sul grande seggio di pietra a capotavola, l'accolse con un rigido cenno del capo. La luce irradiata dai lumi appesi alle pareti gettava ombre poco lusinghiere sulla faccia pesante e segnata dell'Antico. F'lar ebbe la netta sensazione che quell'uomo non avesse mai conosciuto altro che la lotta contro i Fili. Doveva essere nato quando la Stella Rossa aveva incominciato quell'ultimo Passaggio di cinquanta Giri intorno a Pern, ed aveva combattuto i Fili sino a quando la Stella aveva compiuto il circuito. Poi aveva seguito Lessa nel futuro. Un uomo poteva stancarsi di combattere i Fili anche in sette brevi Giri... F'lar scacciò quel pensiero. Anche D'ram del Weyr di Ista e G'narish di Ista si limitarono a rapidi cenni del capo. T'bor, invece l'accolse cordialmente, con gli occhi scintillanti d'emozione. «Buonasera, signori,» disse F'lar a tutti. «Vi chiedo scusa per avervi strappati agli impegni o al riposo con la mia richiesta di una riunione d'emergenza di tutti i Comandanti dei Weyr, ma non potevo attendere fino al regolare Raduno del Solstizio.» «Al Weyr di Fort sono io che presiedo le riunioni, Benden,» disse T'ron, con voce fredda e aspra. «Attenderò T'kul e R'mart prima di ammettere una discussione della tua... della tua lagnanza.» «D'accordo.» T'ron fissò F'lar come se quella non fosse la risposta che si aspettava e come se si fosse preparato ad una disputa che non era venuta. F'lar rivolse un cenno del capo a T'bor, mentre gli sedeva accanto. «Per il momento dirò solo questo, Benden,» continuò T'ron. «La prossima volta che deciderai di trascinarci tutti fuori dai Weyr all'improvviso, prima rivolgiti a me. Fort è il più antico dei Weyr di Pern. Non mandare così irresponsabilmente dei messaggeri a tutti.» «Non mi sembra che F'lar si sia comportato da irresponsabile,» disse G'narish, evidentemente sorpreso dall'atteggiamento di T'ron. Era un giovane robusto, più giovane di F'lar di qualche Giro, ed il più giovane di tutti i Comandanti dei Weyr che si erano trasferiti nel tempo. «Ogni Comandante può indire una riunione congiunta se le circostanze lo richiedono. Ed è appunto il caso!» G'narish sottolineò queste parole con un brusco cenno del capo,e quando vide che il Comandante di Fort gli rivolgeva una smorfia, aggiunse: «Sì, è così.»
«Il tuo cavaliere è stato l'aggressore, T'ron,» disse D'ram con voce severa. Era un uomo alto, reso scarno dall'età; ma i suoi capelli rossi erano appena brizzolati alle tempie. «F'lar era nel suo pieno diritto.» «Tu hai potuto scegliere il tempo e la località, T'ron,» osservò F'lar, tutto deferenza. La smorfia di T'ron si accentuò. «Vorrei che arrivasse Telgar,» disse a voce bassa e irritata. «Bevi un po' di vino, F'lar?» propose T'bor, con un sorriso quasi malizioso, perché sarebbe toccato a T'ron offrirlo immediatamente. «Certo, non è vino della Fortezza di Benden, ma non è male. Non è male.» F'lar lanciò a T'bor un'occhiata d'avvertimento, mentre accettava la coppa offertagli. Ma il Comandante del Weyr Meridionale era intento a scrutare come reagiva T'ron. La Fortezza di Benden non inviava i suoi vini famosi agli altri Weyr con la stessa generosità con cui li dispensava a quello che proteggeva le sue terre. «Quando potremo assaggiare qualcuno dei vini del Weyr Meridionale che tu vanti tanto, T'bor?» chiese G'narish, cercando istintivamente di allentare la crescente tensione. «Certo, adesso da noi incomincia l'autunno,» disse T'bor, in un tono che sembrava dare a Fort la colpa del freddo all'esterno - e all'interno - del Weyr. «Comunque, tra poco comincerà la pigiatura. Distribuiremo a voi settentrionali tutto il vino di cui potremo privarci.» «Come sarebbe a dire? Di cosa potete privarvi?» chiese T'ron, fissando duramente T'bor. «Ecco, il Weyr Meridionale provvede a curare tutti i dragonieri feriti. Abbiamo bisogno di una quantità di vino sufficiente per annegare adeguatamente le loro sofferenze. Il Weyr Meridionale si mantiene da solo, devi ricordarlo.» F'lar pestò il piede a T'bor, mentre si volgeva verso D'ram e chiedeva al Comandante di Ista com'era andata l'ultima Deposizione delle Uova. «Molto bene, grazie,» rispose gentilmente D'ram, ma F'lar sapeva che l'uomo non era entusiasta dell'atmosfera che si andava creando. «Mirath di Fatma ne ha deposte venticinque, e sono sicuro che avremo almeno mezza dozzina di bronzei nella covata.» «I bronzei di Ista sono i più veloci di Pern,» disse in tono solenne F'lar. Quando sentì che T'bor si agitava inquieto, si mise rapidamente in contatto mentale con Mnementh. Chiedi a Orth che avverta T'bor di tenere presenti le possibili conseguenze, quando parla. Non bisogna irritare D'rab e
G'narish. A voce alta, disse: «In un Weyr, i buoni bronzei non sono mai troppi: se non altro, per rendere felici le regine.» Si appoggiò alla spalliera del saggio, sorvegliando T'bor con la coda dell'occhio per cogliere la sua reazione quando i draghi avessero finito di comunicargli il messaggio. All'improvviso, T'bor sussultò leggermente, poi scrollò le spalle, deviando lo sguardo da D'ram a T'ron e poi di nuovo a F'lar. Sembrava più ribelle che pronto a collaborare. F'lar si rivolse di nuovo a D'ram. «Se hai bisogno di qualche candidato adatto ai draghi verdi, c'è un ragazzo...» «D'ram segue la tradizione, Benden,» l'interruppe T'ron. «Per i draghi vanno meglio i candidati nati e cresciuti nel Weyr. Soprattutto per i verdi.» «Oh?» T'bor fissò T'ron con aria maliziosa. D'ran si schiarì in fretta la gola e disse, a voce troppo alta: «Si dà il caso che abbiamo un ottimo gruppo di candidati, nelle nostre Caverne Inferiori. L'ultima Schiusa nel Weyr di G'narish gliene ha lasciati alcuni che si è offerto di cedere al Weyr di Ista. Quindi ti ringrazio moltissimo, F'lar. È un gesto molto generoso da parte tua, dato che anche a Benden vi sono uova che stanno per schiudersi. C'è anche una regina, ho sentito dire.» D'ram non si mostrava invidioso del fatto che al Weyr di Benden vi fosse un altro uovo di regina. E Mirath la regina di Fanna, non aveva deposto un solo uovo dorato da quando era giunta attraverso il tempo. «Conosciamo tutti la generosità di Benden,» disse T'ron in tono sarcastico, mentre il suo sguardo si aggirava fulmineo per la sala, evitando il solo F'lar. «Offre aiuto dovunque. E s'intromette quando non è necessario.» «Non direi che quanto è accaduto nella Sede dei Fabbri sia stata un'intromissione,» obiettò D'ram, assumendo un'espressione grave. «Mi pareva che dovessimo attendere l'arrivo di T'kul e di R'mart,» disse G'narish, lanciando occhiate ansiose verso il corridoio. Dunque, pensò F'lar, D'ram e G'narish sono sconvolti per quanto è accaduto oggi. «Tutti sanno che sono più le riunioni cui T'kul manca che quelle cui presenzia,» osservò T'bor. «R'mart viene sempre,» disse G'narish. «Bene, però non ci sono. E non ho intenzione di aspettare ancora i loro comodi,» annunciò T'ron, alzandosi. «Allora farai bene a chiamare B'naj e T'reb,» suggerì D'ram, con un profondo sospiro. «Non sono in condizione di partecipare ad una riunione.» T'ron sembrava sorpreso della richiesta di D'ram. «I loro draghi sono tornati in volo solo
al tramonto.» D'ram lo fissò. «E allora perché hai indetto la riunione per questa sera?» «Perché F'lar ha insistito.» T'bor si alzò per protestare prima che F'lar riuscisse a trattenerlo, ma D'aratri gli accennò di sedersi e rammentò severamente a T'ron che era stato lui a fissare quell'orario, non F'lar di Benden. «Sentite, ormai siamo qui,» disse T'bor, battendo il pugno sul tavolo con fare irritato. «Andiamo avanti. Nel Weyr Meridionale è notte fonda. Vorrei...» «Sono io che presiedo le riunioni al Weyr di Fort,» disse T'ron con voce alta e ferma, sebbene lo sforzo di controllarsi apparisse evidente dal rossore del suo volto e dal lampeggiare degli occhi. «E allora presiedila,» ribatté T'bor. «Spiegaci perché un cavaliere verde ha condotto il suo drago femmina fuori dal tuo Weyr quando stava per andare in calore.» «T'reb non si era accorto che mancasse così poco...» «Assurdo,» l'interruppe T'bor, con un'occhiataccia a T'ron. «Non fai altro che vantarti di essere tradizionalista, e del perfetto addestramento dei tuoi uomini. E allora non venirmi a raccontare che un cavaliere vecchio ed esperto come T'reb non è in grado di valutare le condizioni del suo drago.» F'lar cominciò a pensare che un alleato come T'bor poteva essere più dannoso che utile. «Un verde cambia colore piuttosto vistosamente,» disse G'narish; con una certa riluttanza, notò F'lar. «Di solito un giorno intero prima del volo nuziale.» «Ma non in primavera,» osservò pronto T'ron. «E non quando cambia alimentazione a causa dei Fili. Allora può accadere molto rapidamente. Come in questo caso.» T'ron parlava a voce altissima, come se il volume della spiegazione potesse avere più peso della sua logica. «È possibile,» ammise lentamente D'ram, chinando più volte il capo prima di voltarsi a vedere che ne pensava F'lar. «Ammetto questa possibilità,» rispose F'lar, in tono calmo. Vide che T'bor aveva spalancato la bocca per protestare, e gli sferrò un calcio sotto il tavolo. «Tuttavia, secondo la testimonianza del Maestro Artigiano Terry, il mio cavaliere ha esortato più volte T'reb a portar via il suo drago. E T'reb ha insistito nel suo tentativo di... di procurarsi il pugnale.» «E tu credi alla parola di un artigiano contro quella di un dragoniere?» T'ron si buttò sull'affermazione di F'lar con un grande sfoggio d'indigna-
zione stupita e d'incredulità. «E che ci guadagnerebbe un Maestro Artigiano,» ribatté F'lar, sottolineando il titolo, «a rendere un falsa testimonianza?» «I fabbri sono gli avari più famigerati di Pern,» rispose T'ron, come se fosse stato insultato personalmente. «I peggiori di tutte le Arti, quando si tratta di cedere un'onesta decima.» «Un pugnale ingemmato non può venire incluso nelle decime.» «E che differenza fa, Benden?» chiese T'ron. F'lar sostenne lo sguardo del Comandante di Fort. Dunque T'ron cercava di far ricadere la colpa su Terry! Quindi sapeva benissimo che il suo dragoniere aveva torto. Perché non poteva ammetterlo e prendersela con il cavaliere? F'lar voleva solo assicurarsi che non si ripetessero più incidenti del genere. «La differenza sta nel fatto che quel pugnale era stato fabbricato per conto del Nobile Larad di Telgar, come dono di nozze al Nobile Asgenar della Fortezza Lemos, che si sposa tra sei giri. Terry non aveva diritto di dare né di tenere quell'arma. Apparteneva già al Signore di una Fortezza. Perciò il cavaliere era...» «È naturale che tu prenda le parti del tuo dragoniere, Benden,» interruppe T'ron con un lieve sorriso sgradevole. «Ma che un cavaliere, Comandante di un Weyr, prenda le parti di un Nobile contro un dragoniere...» E si volse a D'ram e a G'narish con una scrollata di spalle. «Se R'mart fosse qui...» cominciò T'bor. D'ram gli accennò di tacere. «Non stiamo discutendo diritti di proprietà, bensì quella che sembra essere una grave infrazione alla disciplina dei Weyr,» disse, in un tono che stroncò le proteste di T'bor. «Comunque, F'lar, tu ammetti che un drago verde, privato dell'alimentazione abituale a causa dei Fili, possa andare in calore senza preavviso?» F'lar intuiva che T'bor ci teneva a sentirlo negare quella possibilità. Si rendeva conto di aver commesso un errore facendo osservare che il coltello era stato commissionato per il Signore di una Fortezza, e prendendo le parti di un Nobile non vincolato al Weyr di Benden. Se almeno R'mart fosse stato lì a parlare in favore del Nobile Larad! Così come stavano le cose, aveva rovinato tutto. L'incidente aveva tanto turbato D'ram che questi chiudeva deliberatamente gli occhi alla verità e cercava tutte le possibili circostanze attenuanti. Se F'lar l'avesse costretto ad inquadrare con chiarezza quell'evento, cosa avrebbe potuto provare ad un uomo riluttante a credere che i dragonieri potessero commettere errori? Avrebbe mai indotto
D'ram ad ammettere che anche le Arti e le Fortezze avevano dei privilegi? Trasse un respiro lento e profondo per dominare la collera e la frustrazione. «Devo ammettere la possibilità che un drago verde vada in calore senza preavviso, in simili circostanze.» Al suo fianco, T'bor imprecò sottovoce. «Ma proprio per questa ragione, T'reb avrebbe dovuto avere il buon senso di tenere il suo verde nel Weyr.» «Ma T'reb è un cavaliere del Weyr di Fort,» cominciò T'bor, accalorandosi e balzando in piedi. «E mi sono sentito ripetere fino alla nausea che...» «Non hai la parola, Meridionale,» disse T'rom a voce altissima, lanciando un'occhiataccia a F'dar, non a T'bor. «E tu non sei capace di tenere a freno i tuoi dragonieri, F'lar?» «Adesso basta, T'ron,» gridò D'ram, balzando in piedi. Mentre i due Antichi si fissavano, F'lar mormorò segretamente a T'bor: «Non ti accorgi che sta cercando di farci infuriare? Non perdere la calma!» «Siamo qui per cercare di comporre l'incidente, T'ron,» continuò energicamente D'ram. «Non complicarlo con questioni personali che non c'entrano affatto. Poiché sei interessato direttamente al caso, forse sarà meglio che la riunione la presieda io. Con il tuo permesso, naturalmente, Fort.» Secondo F'lar, quella era una tacita ammissione che, per quanto cercasse di sfuggire alla realtà, D'ram si rendeva conto della gravità dell'incidente. Il Comandante del Weyr di Ista si rivolse a F'lar, fissandolo con gli occhi bruni incupiti dalla preoccupazione. F'lar aveva una mezza speranza che D'ram si fosse reso conto dell'ostruzionismo di T'ron, ma le parole dell'Antico lo disillusero subito. «Non sono d'accordo con te, F'lar, nel ritenere che l'Artigiano fosse dalla parte della ragione. Lasciami finire. Noi siamo venuti ad aiutarvi nel momento del pericolo, aspettandoci di venire mantenuti e ricompensati in modo adeguato, ma la qualità e la quantità delle decime pagate ai Weyr dalle Fortezze e dalle Arti hanno lasciato molto a desiderare. Penti produce molto di più che quattrocento Giri fa, ma questa ricchezza non si rispecchia nelle decime. C'è una popolazione quadrupla rispetto a quella del nostro tempo, e molta, molta più terra coltivata. Una pesante responsabilità per i Weyr. E...» S'interruppe con una risata malinconica. «Anch'io sto divagando. Basti dire questo: è evidente che, non appena un cavaliere aveva trovato di suo gradimento il pugnale, Terry aveva il dovere di donarglielo. Come facevano un tempo gli artigiani, senza discussioni né esitazioni. «Allora.» e il volto di D'ram s'illuminò lievemente, «T'reb e B'naj a-
vrebbero potuto andarsene prima che il drago verde andasse nel pieno del calore, e il tuo F'nor non sarebbe stato coinvolto in una disonorevole rissa pubblica. Sì, è tutto fin troppo chiaro.» E D'ram raddrizzò le spalle, come se si scrollasse di dosso il peso della decisione. «Il primo errore di giudizio è stato commesso dall'artigiano.» Guardò uno ad uno gli altri, come se nessuno di loro fosse in grado di controllare quello che poteva fare un artigiano. T'bor rifiutò di sostenere il suo sguardo e strusciò rumorosamente il tacco sul pavimento. D'ram trasse un altro profondo respiro. Forse faticava a trangugiare quel verdetto? si chiese amaramente F'lar. «Naturalmente, non possiamo permettere che si ripeta il caso di un verde in calore fuori dal suo Weyr. O di dragonieri impegnati in un duello armato...» «Non c'è stato nessun duello!» Quelle parale parvero esplodere dalle labbra di T'bor. «T'reb ha aggredito F'nor senza preavviso e l'ha ferito. F'nor non ha mai neppure sguainato il pugnale. Non è stato un duello. È stata un'aggressione ingiustificata...» «Un uomo il cui drago verde è in calore non è responsabile delle proprie azioni,» disse T'ron, abbastanza forte da sommergere la voce di T'bor. «Un drago verde che non avrebbe dovuto lasciare il suo Weyr, tanto per cominciare, qualunque cosa tu dica, T'ron,» insorse T'bor, reso furioso dalla frustrazione. «Il primo errore di giudizio è stato commesso da T'reb. Non da Terry.» «Silenzio!» l'urlo di D'ram l'ammutolì, e Loranth rispose, irritata, dal suo Weyr. «Questo chiude la faccenda,» esclamò T'ron, alzandosi. «Non posso permettere che la mia regina principale venga sconvolta. Hai avuto la riunione che volevi, Benden e la tua... la tua lagnanza è stata esposta. La seduta è aggiornata.» «Aggiornata?» gli fece eco G'narish, sorpreso. «Ma... ma non si è deciso niente.» Il Comandante di Igen guardò prima D'ram poi T'ron, perplesso e preoccupato. «E il cavaliere di F'lar è stato ferito. Se l'aggressione...» «È ferito gravemente, il tuo uomo?» chiese D'ram, volgendosi in fretta a F'lar. «E lo chiedi adesso!» gridò T'bor. «Per fortuna,» fece F'lar, lanciando a T'bor una severa occhiata d'avvertimento, prima di girarsi a rispondere a D'ram, «la ferita non è grave. Non perderà l'uso del braccio.»
G'narish aspirò, sibilando. «Pensavo che si trattasse solo di un graffio. Credo che noi...» «Quando un drago è in calore...» cominciò D'ram, ma s'interruppe quando lesse il furore negli occhi di T'bor, l'espressione decisa di F'lar. «Un cavaliere non deve mai dimenticare la sua missione, la sua responsabilità verso il suo drago o il suo Weyr. Questo non si deve più ripetere. Tu parlerai a T'reb, naturalmente, T'ron?» T'ron socchiuse leggermente gli occhi, alla domanda di D'ram. «Se gli parlerò? Puoi star certo che mi sentirà. E anche B'naj.» «Bene,» fece D'ram con l'aria di chi ha risolto con equità un problema difficile. Rivolse agli altri un cenno del capo. «Sarebbe opportuno che noi Comandanti ammonissimo i nostri cavalieri, perché la cosa non si ripeta. Dobbiamo metterci in guardia. D'accordo?» Poi continuò, annuendo, come per risparmiare agli altri quello sforzo: «È già abbastanza difficile lavorare con quei prepotenti delle Fortezze e delle Arti senza dar loro l'occasione di procurarci fastidi.» D'ram sospirò profondamente e si grattò la testa. «Non ho mai capito come la gente comune possa dimenticare tutto ciò che deve ai dragonieri!» «In quattrocento Giri, un uomo può imparare molte cose nuove,» rispose F'lar. «Vieni con me, T'bor?» Il suo tono era quasi un ordine. «I miei omaggi alle vostre Dame dei Weyr, cavalieri. Buonanotte.» «Uscì a grandi passi dalla Sala del Consiglio, seguito da T'bor che continuò a imprecare rabbiosamente fino a quando arrivarono nel passaggio esterno che portava al cornicione. «Quel vecchio idiota aveva torto, F'lar, e tu lo sai benissimo!» «È evidente.» «E allora perché non...» «Perché non ho insistito?» terminò F'lar, soffermandosi e girandosi verso T'bor, nell'oscurità del corridoio. «I dragonieri non si azzuffano. In particolare i Comandanti dei Weyr.» T'bor si lasciò sfuggire una violenta esclamazione di disgusto. «Come hai potuto lasciarti sfuggire un'occasione simile? Quando penso a tutte le volte che ha criticato te... noi...» T'bor s'interruppe. «Non ho mai capito come la gente comune possa dimenticare tutto ciò che deve ai dragonieri!» E imitò l'intonazione pomposa di D'ram. «Se volessero sapere veramente...» F'lar gli strinse una spalla con la mano: capiva anche troppo bene i sentimenti di T'bor.
«Come puoi dire ad un uomo quello che lui non vuole sentire? Non riusciremo mai neppure a indurli ad ammettere che T'reb aveva torto. T'reb, e non Terry, non F'nor. Ma non credo che ci saranno altri incidenti come quello di oggi, ed era proprio di questo che mi preoccupavo.» «Cosa?» T'bor fissò F'lar, confuso e perplesso. «Il fatto che un simile incidente sia potuto accadere mi preoccupa molto di più che stabilire chi aveva torto e per quale ragione.» «Non riesco a seguire la tua logica più di quanto ci riuscissi con quella di T'ron.» «È semplice. I dragonieri non si azzuffano. I Comandanti dei Weyr non possono. T'ron sperava che io m'infuriassi al punto di perdere l'autocontrollo. Temo che si augurasse che io l'aggredissi.» «Non puoi dire sul serio!» T'bor era chiaramente molto scosso. «Ricordati: T'ron si considera il Comandante principale di Pern, e quindi infallibile.» T'bor sbuffò, sprezzante. F'lar, nonostante tutto, sogghignò. «È vero,» continuò. «Ma non ho mai avuto motivo di sfidarlo. E non dimenticare, gli Antichi ci hanno insegnato molte cose sulla lotta contro i Fili che prima non sapevamo.» «Ma i nostri draghi sono migliori di quelli degli Antichi.» «Questo non c'entra, T'bor. Tu ed io, i Weyr modem abbiamo vantaggi ovvii sugli Antichi... la grandezza dei draghi, il numero delle regine... e preferisco non parlarne perché servirebbe solo a suscitare rancori. Tuttavia, non possiamo combattere i Fili senza gli Antichi. Abbiamo bisogno di loro più di quanto loro abbiano bisogno di noi.» Rivolse a T'bor un sogghigno amaro, sarcastico. «D'ram aveva in parte ragione. Un cavaliere non può mai dimenticare la sua missione, la sua responsabilità. Sbaglia quando dice "verso il suo drago e il suo Weyr". La nostra responsabilità iniziale e suprema è nei confronti di Pern, della gente che dobbiamo proteggere.» Avevano raggiunto il cornicione: videro i loro draghi scendere dall'altro. Ormai sul Weyr di Fort era scesa l'oscurità completa, che sembrava fare eco all'immensa stanchezza di F'lar. «Se gli Antichi sono divenuti introversi, noi di Benden e del Weyr Meridionale non possiamo permettercelo. Noi comprendiamo il nostro tempo, la nostra gente. E in un modo o nell'altro dobbiamo far sì che anche gli Antichi li capiscano.» «È vero, ma T'ron aveva torto!» «E noi avremmo avuto più ragione, se l'avessimo costretto ad ammetter-
lo?» T'bor trattenne a stento una risposta indignata e F'lar si augurò che il suo slancio ribelle si stesse dissipando. Il Comandante del Weyr Meridionale aveva il cuore buono ed una notevole intelligenza. Era un eccellente dragoniere, un combattente superbo, e i suoi Squadroni lo seguivano senza esitate. Quando lasciava i cieli non era altrettanto forte, ma abilmente guidato aveva fatto del Weyr Meridionale un insediamento produttivo e autosufficiente. Istintivamente si rivolgeva a F'lar e al Weyr di Benden per cercare direttive e cameratismo. Un po', F'lar ne era sicuro, questo avveniva a causa del temperamento difficile e inquietante della Dama di Weyr Meridionale Kylara. Talvolta F'lar si rammaricava che T'bor fosse l'unico cavaliere di un drago bronzeo rivelatosi in grado di tener testa a quella donna. Si chiese quale legame profondo e sottile esistesse fra i due, perché Orth, il drago di T'bor, batteva agevolmente gli altri bronzei quando si trattava di accompagnare nel volo nuziale Prideth, la regina di Kylara, sebbene tutti sapessero che Kylara si portava in letto molti uomini. T'bor aveva un carattere impulsivo e non era molto diplomatico, ma era leale, e F'lar gliene era grado. Se avesse tenuto a freno il suo carattere, quella sera... «Bene, di solito tu sai quello che fai, F'lar,» ammise riluttante il Comandante del Weyr Meridionale. «Ma io non capisco gli Antichi, e da un po' di tempo non me ne importa neppure.» Mnementh si fermò accanto al ciglio del cornicione: stava librato in volo, con una zampa protesa. Dietro di lui, i due uomini udirono che Orth batteva le ali nell'aria notturna, per restare in posizione. «Di' a F'nor di prendersela con calma e di guarire. So che è in buone mani, nel Weyr Meridionale,» disse F'lar, arrampicandosi sulla spalla di Mnementh e avvertendolo di lasciare il posto a Orth. «Lo rimetteremo in sesto molto in fretta. Tu hai bisogno di lui,» rispose T'bor. Sì, pensò F'lar, mentre Mnementh s'involava dalla Conca del Weyr di Fort, ho bisogno di lui. Questa sera sarebbe stato utile, per me, averlo accanto. Avrei potuto servirmi dei suoi giudizi sui tentativi invidiosi con cui T'ron ha cercato d'intorbidare le acque. Bene, se si fosse trattato di un altro cavaliere, ferito nelle stesse circostanze, non avrebbe potuto condurre comunque F'nor con sé. E T'bor, con il suo carattere impulsivo, sarebbe stato egualmente presente, e avrebbe
fatto senza volerlo il gioco di T'ron. In tutta sincerità, non poteva biasimare T'bor. Lui stesso aveva provato il desiderio bruciante di costringere gli Antichi a vedere i fatti in una prospettiva realistica. Ma... non si può portare un drago in un luogo che non si è mai visto. E le esplosioni di T'bor non erano servite a nulla. Strano, T'bor non era stato tanto suscettibile, da cadetto, e neppure quando era Vicecomandante del Weyr di Benden. Essere il compagno di Kylara l'aveva cambiato, ma quella donna era davvero sconvolgente: abbastanza, comunque, per sconvolgere D'ram. F'lar raffigurò mentalmente l'immagine della bionda, sensuale Kylara che seduceva lo stolido Antico. Non che avesse mai degnato di uno sguardo il Comandante del Weyr di Ista. E certamente non sarebbe rimasta con lui. F'lar era lieto che fossero riusciti ad allontanarla dal Weyr di Benden. Non era stata trovata nella stessa Cerca in cui avevano scoperto Lessa? Da dove proveniva? Oh, sì, la Fortezza di Telgar. Anzi ripensandoci, era sorella dell'attuale Signore. Era un bene che Kylara fosse passata ai Weyr. Con le tendenze che aveva, in una Fortezza o in una Sede dell'Arte, avrebbe fatto già da un pezzo una brutta fine. Mnementh si trasferì in mezzo, ed il freddo di quel nulla spaventoso fece dolere le ossa di F'lar. Poi emersero al di sopra della Pietra della Stella del Weyr di Benden e risposero alla parola d'ordine della sentinella. A Lessa non sarebbe piaciuto ciò che aveva da raccontarle sull'andamento della riunione, pensò F'lar. Se almeno D'ram, che di solito era un ragionatore onesto, avesse saputo vedere oltre l'ovvio. Aveva l'impressione che forse G'narish ci fosse riuscito. Sì, G'narish era rimasto turbato. Forse la prossima volta che i Comandanti dei Weyr si fossero riuniti, G'narish si sarebbe schierato con i cavalieri moderni. Comunque, F'lar si augurava che non si trattasse di un'altra occasione come quella. III Mattino sopra la Fortezza di Lemos. Ramoth, l'aurea regina di Benden, era nel terreno della Schiusa quando ricevette le frenetiche chiamate del drago verde, dalla Fortezza di Lemos. Fili a Lemos. I Fili cadono a Lemos! annunciò Ramoth a tutti i draghi e a tutti i cavalieri, mentre il suo grido bronzeo, a piena gola, riverberava per
l'intera Conca. Gli uomini balzarono freneticamente dai letti e dalle vasche da bagno, rovesciarono i tavoli e lasciarono cadere gli attrezzi prima ancora che la prima eco si fosse dispersa. F'lar, che osservava pigramente le esercitazioni dei cadetti, era vestito per il combattimento perché il Weyr doveva recarsi alla Fortezza di Lemos quello stesso giorno, sul tardi. Mnementh, il suo magnifico bronzeo, che stava prendendo il sole su un cornicione, si lanciò in picchiata con tanta precipitazione da scavare uno stretto solco nella sabbia del fondo con la punta dell'ala sinistra. F'lar gli balzò sul collo, e i due stavano già sorvolando in cerchio la Roccia dell'Occhio prima ancora che Ramoth avesse avuto il tempo di precipitarsi fuori dalla Grotta della Schiusa. Fili a Lemos da Nord-Est, riferì Mnementh, raccogliendo le informazioni della sua compagna Ramoth, mentre questa si proiettava verso il cornicione del suo Weyr per prelevare Lessa. I draghi stavano ormai uscendo a torrenti da tutte le aperture, mentre i cavalieri indossavano gli abiti da combattimento o prendevano i gonfi sacchi di pietre incendiarie. F'lar non perse tempo a chiedersi perché i Fili stessero cadendo con ore d'anticipo sul previsto ed a Nord-Est anziché a Sud-Ovest. Si trattenne per vedere se c'era un numero sufficiente di cavalieri in volo per formare una squadriglia completa a bassa quota. Esitò il tempo necessario per far ordinare da Mnementh a tutti i cadetti di dirigersi immediatamente a Lemos per aiutare a trasportare i gruppi di terra sull'area attaccata, e poi disse al drago di portare lo squadrone in mezzo. I Fili stavano cadendo davvero, una grandinata fitta che piombava sulle nuove delicate piante di durallegno che costituivano il primo progetto di rimboschimento del Nobile Asgenar. Urlando e fiammeggiando, i draghi irruppero, sorvolarono la foresta primaverile per orientarsi prima di risalire a fronteggiare l'attacco. Incredibilmente, F'lar pensò che erano davvero riusciti ad arrivare alla foresta prima dei Fili. Il cavaliere di quel drago verde avrebbe potuto chiedere tutto ciò che F'lar era in grado di dargli. Il pensiero dei Fili su quei filari di durallegni agghiacciava il Comandante del Weyr più della possibilità di trascorrere un'ora in mezzo. Un drago urlò, direttamente al di sopra di F'lar. Mentre egli alzava lo sguardo per identificare l'animale ferito, drago e cavaliere passarono in mezzo, dove il tremendo freddo avrebbe spezzato il groviglio dei Fili prima che avessero il tempo di scavare membrane e carni.
Già una perdita dopo pochi minuti dall'attacco? E fosse pure un attacco imprevedibilmente in anticipo? F'lar rabbrividì. Virianth, il marrone di R'nor, l'informò Mnementh, salendo alla ricerca di un bersaglio. Girò il collo sinuoso in un'ampia curva, scrutando la foresta per timore che i Fili avessero già incominciato a scavarsi le tane. Poi, lanciando un avvertimento al suo cavaliere, ripiegò le ali e si tuffò verso un ammasso particolarmente fitto, frenando la discesa con rapidità squassante. Mentre Mnementh eruttava fuoco, F'lar osservava, sorridendo con intensa soddisfazione nel vedere i Fili raggrinzirsi, trasformarsi in polvere nera prima di cadere, ormai innocui, sulla sottostante foresta. Virianth è stato colpito alla punta di un'ala, fece Mnementh mentre risalivano. Ritornerà. Abbiamo bisogno di lui. Questi Fili cadono in modo sbagliato. «E troppo presto,» disse F'lar, digrignando i denti contro il vento furioso dell'ascesa. Se lui non avesse preso l'abitudine di inviare un messaggero alla Fortezza dove ci si aspettava la caduta dei Fili... Mnementh l'avvertì appena in tempo perché si afferrasse più saldamente, e poi virò all'improvviso verso un ammasso densissimo. Il fetore dell'alito fiammeggiante quasi soffocò F'lar. Levò un braccio per proteggersi il viso dal pulviscolo carbonizzato e ardente dei Fili. Poi Mnementh girò la testa per chiedere un altro blocco di pietra incendiaria, prima di lanciarsi di nuovo, a velocità vertiginosa, in caccia di altri Fili. Non ci fu più tempo di pensare: soltanto per agire e reagire. Scendere in picchiata. Lanciare fiamme. Pietre incendiarie che Mnementh masticava. Chiamare un cadetto perché portasse un altro sacco. Afferrarlo destramente a mezz'aria. Volare al di sopra delle squadriglie che lottavano per controllare lo spiegamento dei draghi. Lingue di fiamma che fiorivano nel cielo. Il sole che scintillava sui dorsi verdi, azzurri, marroni, bronzei, mentre i draghi viravano, cabravano, picchiavano, fiammeggiando all'inseguimento dei Fili. Scorgeva un animale che andava in mezzo, ogni tanto, e restava teso fino a quando lo vedeva riapparire o Mnementh segnalava che si era ritirato. Un settore della sua mente teneva il conto delle perdite, un'altro seguiva la linea dello squadrone, correggendola quando i cavalieri cominciavano ad infittirsi troppo in un punto o a diradarsi in uno spiegamento troppo ampio. Vedeva anche il triangolo aureo della squadriglia delle regine, molto più in basso, impegnato a liquidare i Fili che erano sfuggiti dalle quote più alte. Quando i Fili cessarono di cadere e i draghi iniziarono a scendere a spi-
rale per aiutare le squadre di terra di Lemos, F'lar quasi s'indignò per il rapporto riassuntivo di Mnementh. Nove bruciature di poco conto e solo quattro alle punte delle ali; due brutte ustioni, Sorenth e Relth, e due cavalieri con bruciature alla faccia. Le ferite alle punte delle ali erano causate da errori di calcolo. I cavalieri esageravano in finezze. Non era una gara, quella, ma un combattimento! F'lar digrignò i denti... Sorenth dice che sono usciti fuori da in mezzo e sono finiti in un ammasso che non avrebbe dovuto esserci. I Fili cadono in modo sbagliato, disse il bronzeo. A Relth e T'gor è accaduta la stessa cosa. Questo non alleviò la frustrazione di F'lar, perché egli sapeva che T'gor e R'mel erano esperti cavalieri. Ma come potevano, i Fili, cadere a Nord-Est di mattina, quando non sarebbero dovuti piovere fino a sera, e a Sud-Ovest? si chiese, furioso dalla preoccupazione. Automaticamente, F'lar stava per chiedere a Mnementh di chiamare Canth. Poi ricordò che F'nor era ferito, dall'altra parte del pianeta, nel Weyr Meridionale. F'lar imprecò a lungo, pittorescamente, augurandosi che T'reb del Weyr di Fort finisse prigioniero in mezzo, in compagnia del suo Comandante T'ron. Perché mai F'nor doveva essere assente in un simile momento? A F'lar bruciava ancora che il Comandante del Weyr di Fort avesse tentato di scaricare la responsabilità della zuffa, dal suo cavaliere colpevole a Terry... con le argomentazioni più speciose, forzate, ridicole! Lamanth sta volando bene, osservò il drago bronzeo, interrompendo i pensieri del suo cavaliere. F'lar fu così sorpreso di quella diversione inaspettata che abbassò lo sguardo per vedere la giovane regina. «È una fortuna che ne abbiamo tante, oggi,» disse F'lar, divertito, nonostante le molte preoccupazioni, dal tono fatuo di Mnementh. Lamanth era la regina nata dal secondo accoppiamento di Mnementh e Ramoth. Anche Ramoth vola bene, per una che proviene dal Terreno della Schiusa. Trentotto uova e un'altra regina, aggiunse Mnementh, senz'ombra di modestia. «Dovremo fare qualcosa, con quella regina.» Mnementh borbottò. A Ramoth non piaceva l'idea di dover dividere i draghi bronzei del suo Weyr con troppe regine, sebbene non volesse accoppiarsi con altri che con Mnementh. Molte regine erano il segno della virilità di un bronzeo, ed era naturale che Mnementh ci tenesse a ostentare
le sue prodezze. Il Weyr di Benden doveva tenere più di una regina per placare gli altri bronzei e per migliorare la razza... ma tre? Dopo la riunione della notte precedente al Weyr di Fort, F'lar esitava a far capire agli altri Comandanti che sarebbe stato lieto di accasare la nuova regina: probabilmente l'avrebbero attribuito all'insofferenza di Ramoth o ai capricci di Lessa. Inoltre, le regine di Benden erano più grandi di quelle Antiche, così come i bronzei moderni erano più grandi di quelli venuti dal passato. Forse R'mart del Weyr di Telgar non si sarebbe offeso. Oppure G'narish? F'lar non ricordava quante regine avesse G'narish al Weyr di Igen. Sogghignò tra sé, pensando alla faccia che avrebbe fatto T'ron quando avesse saputo che Benden regalava un drago regina. «Benden è famoso per la sua generosità, ma che cosa sta sotto una simile manovra?» avrebbe detto T'ron. «Non è tradizionale.» E invece lo era. C'erano precedenti. E F'lar avrebbe preferito affrontare i commenti di T'ron piuttosto che le sfuriate di Ramoth. Abbassò lo sguardo, vide il lucente triangolo della squadriglia delle regine, con Ramoth che sfrecciava agile, mentre le bestie più giovani s'impegnavano per reggere al suo ritmo. I Fili che cadevano in modo anomalo! F'lar digrignò i denti. E peggio ancora, cadevano al di fuori dello schema che aveva ricostruito con tanta meticolosità da centinaia di pelli semidisintegrate delle Cronache quando, sette Giri prima, si era sforzato di preparare il suo pianeta malprotetto. Gli schemi, pensò amaramente F'lar, che gli Antichi avevano salutato entusiasticamente ed usato... benché questo non fosse tradizionale. Soltanto utile. Adesso com'era possibile che i Fili, privi di mente e d'intelligenza, deviassero dagli schemi che avevano seguito al secondo per oltre sette Giri? Come potevano cambiare tempo e luogo da un giorno all'altro? L'ultima Caduta nella giurisdizione della Fortezza di Benden era avvenuta al tempo giusto e sulla parte alta del territorio, come era stato previsto. Possibile che egli avesse letto male le tabelle? F'lar rifletté, ma le carte scrupolosamente disegnate erano nitide nella sua mente e, se per caso avesse commesso un errore, Lessa sarebbe riuscita a individuarlo. Avrebbe controllato e ricontrollato, non appena fosse ritornato al Weyr. Nel frattempo, avrebbe fatto meglio ad assicurarsi che tutti i Fili di quella Caduta, da un Orlo all'altro, fossero stati spazzati via. Chiese a Mnementh di trovare il Nobile Asgenar, Signore di Lemos. Mnementh, obbediente, interruppe la tranquilla planata e scese rapido. F'lar poteva ringraziare la buona sorte che fosse il Nobile Asgenar di Le-
mos, l'uomo con cui doveva spiegarsi, e non il Nobile Sifer di Bitra o il Nobile Raid di Benden. Il primo avrebbe imprecato contro l'ingiustizia, e il secondo sarebbe riuscito a far apparire l'arrivo prematuro dei Fili come un insulso personale contro di lui perpetrato dai dragonieri. Qualche volta i Nobili Raid e Sifer riuscivano a mettere a dura prova la pazienza di F'lar. Certo, quelle tre Fortezze, Benden, Bitra e Lemos, avevano sempre coscienziosamente versato le decime per mantenere il Weyr di Benden quando era l'unico di Pern. Ma il Nobile Raid ed il Nobile Sifer avevano la piacevole abitudine di ricordare ad ogni occasione la loro devozione ai cavalieri del Weyr di Benden. La gratitudine è una tunica troppo stretta che può prudere e puzzare, se viene portata per un tempo eccessivamente lungo. Il nobile Asgenar di Lemos, d'altra parte, era giovane, ed era stato confermato nella sua carica dal Conclave dei Signori soltanto cinque Giri prima. Il suo atteggiamento verso il Weyr che proteggeva le sue terre era gradevolmente incontaminato da invidiosi richiami ai passati servigi. Mnementh planò verso la distesa del Grande Lago che separava le terre di Lemos da quelle di Telgar. L'Orlo più avanzato della Caduta dei Fili aveva mancato di poco i boschi verdeggianti che circondavano le rive settentrionali. Mnementh scese in cerchio, costringendo F'lar a chinarsi sul suo gran collo, tenendosi saldamente alle cinghie. Nonostante la stanchezza e la preoccupazione, egli provò l'ardente slancio di emozione che sempre l'afferrava quando faceva volare l'enorme drago bronzeo: quella strana fusione con l'animale, contro l'aria e il vento, così che lui non era soltanto F'lar, Comandante del Weyr di Benden, ma in un certo senso anche Mnementh, immensamente possente, magnificamente libero. Su di un'altura affacciata sopra l'ampio pascolo che scendeva verso il Grande Lago, F'lar scorse il drago verde. Il Signore di Lemos, Asgenar, doveva essere lì vicino. F'lar sorrise sardonicamente a quella vista. Che gli Antichi disapprovassero pure, e borbottassero irritati, quando F'lar poneva sul dorso dei draghi persone non appartenenti al Weyr: ma se non l'avesse fatto, i Fili quel giorno sarebbero caduti su quei boschi di durallegno senza che nessuno se ne accorgesse. Gli alberi! Un altro pomo della discordia tra i Weyr e le Fortezze, con F'lar che sosteneva inflessibile la posizione dei Signori quattrocento Giri prima, quei boschi non esistevano: non si era permesso loro di esistere. Troppa vegetazione da proteggere. Bene, gli Antichi tenevano parecchio a possedere prodotti di legno, e assediavano con le loro richieste Bendarek, il capo carpentiere di Fandarel. D'altra parte, non volevano permettere la
formazione di una nuova Arte diretta da Bendarek. Probabilmente, pensò amaramente F'lar, perché Bendarek voleva restare nei pressi dei boschi di durallegni di Lemos, e in questo modo il Weyr di Benden avrebbe avuto una Sede dell'Arte nella sua giurisdizione. Per l'Uovo, gli antichi causavano quasi più fastidi che altro! Mnementh atterrò con ampi controcolpi d'ala che fecero appiattire la fitta erba del pascolo. F'lar sdrucciolò dal collo del bronzeo per raggiungere il Nobile Asgenar, mentre Mnementh barriva i suoi elogi al drago verde e a F'rad, il cavaliere. F'rad vuole avvertirti che Asgenar... «Non sono molti i Fili che sfuggono agli Squadroni di Benden,» stava dicendo Asgenar, a guisa di saluto, e Mnementh non concluse il suo pensiero. Il giovane si stava ripulendo il volto dalla fuliggine e dal sudore, poiché era uno di quei Signori che dirigevano personalmente le loro squadre di terra, invece di starsene comodamente al sicuro nella Fortezza. «Anche se i Fili hanno incominciato a deviare. Come spieghi tutte le recenti variazioni?» «Variazioni?» F'lar ripeté quella parola, stordito, perché si rendeva conto che Asgenar non si riferiva soltanto all'avvertimento insolito di quel giorno. «Sì! E noi, qui, pensavano che le tue tabelle dei tempi fossero infallibili. Attendibili in eterno, soprattutto perché sono state controllate e approvate dagli Antichi.» Asgenar lanciò un'occhiata di traverso a F'lar. «Oh, non do la colpa a te, F'lar. Sei sempre stato molto aperto, nei nostri rapporti. Mi ritengo fortunato, ad essere vincolato al tuo Weyr. Con il Weyr di Benden, un uomo sa sempre a che punto si ritrova. Il mio futuro cognato, il Nobile Larad, ha avuto dei problemi con T'kul del Weyr delle Terre Alte, lo sai. E dopo le cadute premature su Tillek e sull'Alto Crom, ha organizzato un efficiente sistema di sorveglianza.» Asgenar fece una pausa, accorgendosi all'improvviso dei silenzio teso di F'lar. «Non presumo di criticare i Weyr, F'lar,» disse in tono più formale. «Ma le chiacchiere volano più veloci dei draghi, e naturalmente ho saputo il resto. Capisco che i Weyr non vogliano allarmare la gente comune, ma... ecco, un certo preavviso sarebbe molto gradito.» «Non era possibile predire la caduta di oggi,» rispose lentamente F'lar, ma la sua mente turbinava così rapida da dargli la nausea. Perché non gli avevano detto nulla? R'mart del Weyr di Telgar non si era presentato alla riunione indetta per discutere le trasgressioni di T'reb. Possibile che fosse
stato occupato a combattere i Fili, in quel momento? In quanto a T'kul del Weyr delle Terre Alte che impartiva informazioni, soprattutto notizie che potessero metterlo in cattiva luce... ah, no, quello non avrebbe dato le coordinate neppure per salvare la vita di un cavaliere. No, avevano avuto delle buone ragioni per non parlare a F'lar, quella notte, delle cadute premature dei Fili. Se pure T'kul si era confidato con qualcuno... Ma perché R'mart non li aveva avvertiti? «Ma il Weyr di Benden non si è fatto cogliere nel sonno. Basterebbe una volta sola per distruggere queste foreste, eh, F'lar?» stava dicendo Asgenar, mentre scrutava con aria possessiva le distese spugnose degli alberi. «Sì. Basterebbe. C'è qualche notizia sull'Orlo avanzato di questa Caduta? I tuoi corrieri non sono ancora rientrati?» «La squadriglia delle regine ha riferito che è tutto a posto, due ore fa.» Asgenar sogghignò, dondolandosi sui talloni, con una sicurezza per nulla scossa dagli eventi imprevisti di quel giorno. F'lar l'invidiò. Il cavaliere bronzeo ringraziò ancora la sorte di avere a che fare con il Nobile Asgenar, quel mattino, anziché con il puntiglioso Raid o con il sospettoso Sifer. Si augurò che il giovane Signore non dovesse scoprire di avere mal riposto la sua fiducia. Ma c'era quel problema che l'assillava: come potevano, i Fili, cambiare in modo simile? Il comandante ed il Signore rimasero immobili nel vedere un drago azzurro che volteggiava intento sopra un gruppo d'alberi, a Nord-Est. Quando l'animale proseguì il suo volo, Asgenar si rivolse a F'lar con occhi turbati. «Credi che queste cadute imprevedibili rendano necessario l'abbattimento delle foreste?» «Tu sai cosa ne penso io delle foreste Asgenar. Sono un bene troppo prezioso, troppo utile per sacrificarlo senza ragione.» «Ma occorrono tutti i draghi per proteggerle...» «Tu sei favorevole o contrario?» chiese F'lar, vagamente divertito. Posò una mano sulla spalla di Asgenar. «Dai ordine ai tuoi guardaboschi di stare incessantemente in guardia. La loro vigilanza è essenziale.» «Allora tu non conosci l'andamento dello spostamento dei Fili?» «F'lar scosse lentamente il capo: non voleva mentire a quell'uomo. «Ti lascerò F'rad: ha gli occhi molto acuti.» Un ampio sorriso illuminò il volto scarno e turbato del Signore di Lemos. «Non osavo chiedertelo, ma è un sollievo. Non abuserò di questo privi-
legio.» F'lar gli lanciò un'occhiata acuta. «E perché dovresti abusarne?» Asgenar sorrise sarcastico. «È su questo che trovano da ridire gli Antichi, non è vero? E il trasporto istantaneo in qualunque località di Pern costituisce una grossa tentazione.» F'lar rise, ricordando che Asgenar, Signore di Lemos, stava per prendere in moglie Famira, la sorella minore di Larad, Signore di Telgar. Sebbene le proprietà di Telgar confinassero con quelle di Lemos, le Fortezze erano separate da fitti boschi e da parecchie catene di ripide montagne rocciose. Apparvero tre draghi, che presero a volare in cerchio sopra di loro: i comandanti degli squadroni erano venuti a riferire sulle attività al suolo. Nove infiltrazioni erano state avvistate ed eliminate con perdite minime per la vegetazione. Gli esploratori avevano comunicato che l'area centrale della Caduta era sgombra. F'lar li congedò. Un corriere salì velocemente dal pascolo verso il suo Signore, tenendosi prudentemente a parecchie lunghezze di drago dai due animali. Infatti, sebbene tutti su Pern sapessero che i draghi non avrebbero mai fatto del male ad un essere umano, molti non riuscivano a liberarsi dalla paura. I draghi rimasero confusi da quella diffidenza, e F'lar si avvicinò con noncuranza al suo bronzeo e gli grattò affettuosamente l'arcata sopraccigliare, fino a quando Mnementh, per il piacere, abbassò la palpebra sul fulgido occhio opalescente. Il corriere arrivava da lontano: riuscì a riferire ansimando il suo messaggio rassicurante prima di lasciarsi cadere al suolo mentre il suo petto si sollevava per lo sforzo di riempire i polmoni assetati d'aria. Asgenar si sfilò la tunica e coprì l'uomo, perché non prendesse freddo, e lo fece bere alla sua borraccia. «Le due infestazioni sul pendio meridionale sono state carbonizzate,» riferì poi al Comandante del Weyr, raggiugendolo. «E questo significa che i filari di durallegni sono salvi.» Il sollievo di Asgenar era così grande che bevve anch'egli un sorso. Poi si affrettò a offrirne al dragoniere. Quando F'lar rifiutò cortesemente, proseguì: «Può darsi che ci sia un altro inverno duro, e la mia gente avrà bisogno di quella legna. Il carbone di Crom costa caro!» F'lar annuì. Una disponibilità gratuita di legna da ardere significava un risparmio enorme per gli abitanti di una normale Fortezza, sebbene non tutti i Signor vedessero la cosa sotto questo aspetto. Il Nobile Meron della Fortezza di Nabol, per esempio, rifiutava di permettere alla sua gente di tagliare legna da ardere, e la costringeva a pagare alti prezzi per il carbone
di Crom, aumentando così i suoi profitti. «Il corriere è salito dal pendio meridionale? È molto veloce.» «I miei forestali sono i migliori di tutto Pern. Meron di Nabol ha già cercato due volte di convincere quell'uomo a passare al suo servizio.» «E allora?» Il Nobile Asgenar ridacchiò. «Chi si fida di Meron?» il mio uomo aveva sentito parlare del modo con cui quel Signore tratta la sua gente.» Parve sul punto di aggiungere qualcosa d'altro, ma si limitò a schiarirsi la gola, distogliendo nervosamente lo sguardo come se intravedesse qualcosa, nei boschi. «Ciò che occorre a tutto Pern è un mezzo di comunicazione efficiente,» osservò il dragoniere, guardando il corriere che continuava ad ansimare. «Efficiente?» Asgenar rise forte. «Tutto Pern è stato contagiato dalla febbre di Fandarel?» «È una febbre da cui trae beneficio l'intero pianeta.» F'lar doveva prendere contatto con il Maestro Fabbro non appena fosse rientrato al Weyr. Pern aveva bisogno più che mai, adesso, del genio del gigantesco Fandarel. «Sì, ma poi guariremo dalla smania della perfezione?» Il sorriso di Asgenar svanì mentre egli aggiungeva, in tono fintamente distratto: «Hai saputo se è stata presa una decisione per la Corporazione di Bendarek?» «Ancora nulla.» «Io non insisto che debba per forza venire situata a Lemos la Sede di un Maestro delle Arti...» cominciò Asgenar, in tono concitato e serio. F'lar levò una mano. «Neppure io, sebbene faccia fatica a convincere gli altri della mia sincerità. La Fortezza di Lemos ha le maggiori estensioni boschive, Bendarek ha bisogno di essere vicino alla sua migliore fonte di approvvigionamento, e viene da Lemos!» «Tutte le obiezioni che sono state sollevate sono ridicole,» replicò il giovane Nobile, con gli occhi grigi che scintillavano per la collera. «Lo sai benissimo anche tu, che un Maestro d'Arte non deve obbedienza ad un Signore. Bendarek non ha più pregiudizi di Fandarel per quanto riguarda la devozione alla sua Arte. Lui pensa soltanto al legno e alla polpa e a quelle nuove foglie o fogli di comesichiama che sta lavorando adesso.» «Lo so. Lo so, Asgenar. Larad di Telgar e Corman di Keroon sono dalla tua parte, o almeno così mi hanno assicurato entrambi.» «Quando i Signori si riuniranno in Conclave alla Fortezza di Telgar, ne parlerò apertamente. Il Nobile Raid e Sifer mi sosterranno, se non altro perché siamo legati allo stesso Weyr.»
«Non spetta ai Nobili né ai Comandanti dei Weyr prendere questa decisione,» gli ricordò F'lar. «Ma agli altri Maestri delle Arti. È stato questo il mio pensiero, fin da quando Fandarel ha proposto per primo la costituzione d'una nuova Arte.» «Qual è la causa di questi indugi? Tutti i Maestri saranno presenti alle nozze, a Telgar. Sistema la faccenda una volta per sempre e lasciamo lavorare in pace Bendarek.» Asgenar spalancò le braccia, esasperato. «Abbiamo bisogno che possa mettersi tranquillo, abbiamo bisogno di ciò che sta producendo, e lui non può dedicarsi in piena serenità al suo lavoro, con tutte queste discussioni.» «Ogni proposta che puzzi di novità, in questo momento,» (soprattutto in questo momento, aggiunse mentalmente F'lar, pensando a quella Caduta dei Fili), «allarma inevitabilmente certi Comandanti dei Weyr e certi Signori. Qualche volta penso che solo le Arti cerchino di continuo cambiamenti, e siano abbastanza interessate e flessibili per giudicare cosa costituisce una miglioria o un progresso. I Signori ed i...» F'lar s'interruppe. Fortunatamente un altro corriere si stava avvicinando da Nord, a grande velocità. Passò tranquillamente davanti al drago verde e si fermò davanti al suo Signore. «Nobile Asgenar, il settore settentrionale è sgombro. Sono state bruciate tre tane. È tutto a posto.» «Bene. Hai fatto il tuo dovere in modo ammirevole.» L'uomo, con il volto arrossato dalla fatica e dall'orgoglio per l'elogio, salutò il suo signore ed il Comandante del Weyr. Poi, respirando profondamente ma senza affanno, si avvicinò all'altro messaggero e cominciò a massaggiargli le gambe. Asgenar sorrise a F'lar. «È inutile che continuiamo a ripeterci tra noi questi argomenti. In sostanza siamo d'accordo. Se riuscissimo ad aprire gli occhi anche agli altri!» Mnementh tuonò che gli squadroni stavano segnalando che tutto era a posto. E protese una zampa anteriore con fare tanto deciso che Asgenar scoppiò a ridere. «Questo chiude il discorso,» disse. «Hai idea di quando avremo un'altra Caduta?» F'lar scosse il capo. «F'rad rimane qui. Dovreste avere sette giorni di tranquillità. Ti farò sapere qualcosa non appena avremo notizie precise.» «Tra sei giorni verrai a Telgar, non è vero?» «Sicuro, o Lessa mi taglierebbe le orecchie!»
«I miei omaggi alla tua Dama.» Mnementh lo portò verso l'alto in un volo ellittico che consentiva loro di effettuare un'ultima ispezione sulle foreste. A Nord e più lontano, a Est, si levavano spirali di fumo, ma Mnementh non sembrava preoccupato. F'lar gli disse di andare in mezzo. Il freddo assoluto di quella dimensione irritò dolorosamente le ustioni dei Fili sul suo volto. Poi si trovarono al di sopra del Weyr di Benden. Mnementh annunciò barrendo il suo ritorno e rimase librato, quasi immobile, fino a quando udì la risposta tonante di Ramoth. In quell'istante, Lessa comparve sul cornicione del Weyr: sembrava ancora più minuta, a quella distanza. Mentre Mnementh iniziava la planata, ella scese la lunga rampa di scale con la stessa precipitazione che entrambi rimproveravano al loro figlio, Felessan. E i rimproveri non sarebbero serviti a far perdere quell'abitudine neppure a Lessa, pensò F'lar. Poi notò ciò che Lessa teneva in mano, e protestò indignato con Mnementh. «Sono stato appena toccato, e tu sei andato a raccontare chissà cosa, come se fossi un bambino!» Mnementh, per nulla contrito, frenò con le ali possenti per atterrare leggermente accanto al Campo del Pasto. I Fili fanno male. «Non voglio che Lessa si preoccupi per niente!» Ed io non voglio che Ramoth si arrabbi! F'lar si lasciò scivolare giù dal collo del bronzeo, dissimulando le fitte che provava a causa del vento sabbioso, proveniente dal Campo del Pasto, che aggravava le lacerazioni rese più dolorose dal freddo. Era uno di quei momenti in cui il duplice legame tra cavalieri e draghi diventava un serio svantaggio. In particolare quando Mnementh prendeva l'iniziativa, il che non era, in generale, una caratteristica dei draghi. Mnementh spiccò goffamente un mezzo balzo verso l'alto, lasciando libero il passaggio a Lessa. Lei indossava ancora l'abito da volo, di cuoio di wher, e sembrava più giovane di quanto potesse esserlo una Dama del Weyr. Correva verso di loro, e la lunga treccia le sventolava alle spalle. Sebbene né la maternità né sette Giri avessero aggiunto peso a quel corpo dall'ossatura minuta, il seno e i fianchi erano un po' più torniti, e negli occhi grigi vi era un'espressione che F'lar sapeva riservata a lui solo. «E tu ti lamenti della puntualità degli altri dragonieri!» esclamò lei, ansimando e fermandosi bruscamente al suo fianco. Prima che F'lar potesse protestare che le sue lezioni erano insignificanti, lei prese a spalmargli l'intorpidaria sulle ustioni. «Dovrò lavarle appena saranno diventate insensibili. Non hai ancora imparato a schivare le ceneri? Virianth si rimetterà
presto ma Sorenth e Relth hanno subito ustioni gravissime. Vorrei che quell'artigiano vetraio di Fandarel... si chiama Wansor, vero?... completasse quei paraocchi di cui va tanto parlando. Manora conta di poter salvare la bella faccia di P'ratan, ma dovremo aspettare e vedere cosa possiamo fare per il suo occhio.» S'interruppe per riprendere fiato. «E forse è un bene, perché se non la smette di andare a caccia di nuove amanti nelle Fortezze, non saremo più in grado di mantenere tutti i suoi figli. Le ragazze nate e cresciute nelle Fortezze sono convinte che abortire sia un male.» S'interruppe di colpo e strinse le labbra in una smorfia che F'lar riconobbe: Lessa faceva così quando voleva allontanarsi da un argomento doloroso. «Lessa! No, guardami.» Le alzò la testa a forza, perché lo guardasse negli occhi. Una donna che non poteva concepire doveva trovare molto doloroso aiutare le altre a porre fine a gravidanze indesiderate. Non avrebbe mai smesso di desiderare un altro figlio? Come poteva dimenticare che mettere al mondo Felessan per poco non le era costata la vita? Per lui era stato un sollievo che Lessa non fosse più rimasta incinta. Non poteva neppure pensare all'idea di perderla. «Volgare tanto spesso in mezzo rende impossibile a una Dama del Weyr portare a termine una gravidanza.» «Sembra che a Kylara non faccia questo effetto.» disse Lessa, con amaro risentimento. Aveva girato la testa, e guardava Mnementh impegnato a sbranare una grossa bestia, con un'espressione così intensa che F'lar non ebbe difficoltà a intuire che avrebbe preferito vedere Kylara dilaniata in quel modo. «Quella!» fece F'lar, con una brusca risata. «Tesoro mio, se devi prendere Kylara come esempio, per mettere al mondo dei figli, ti preferisco sterile!» «Abbiamo cose più importanti di lei da discutere,» disse Lessa, volgendosi verso di lui con improvviso cambiamento d'umore. «Cosa ti ha detto il Nobile Asgenar circa la Caduta dei Fili? Vi avrei raggiunti sul pascolo, ma Ramoth si è messa in testa che non può lasciare la sua covata senza che qualcuno vada a spiare le uova. Oh, ho mandato messaggeri agli altri Weyr per informarli di quanto è accaduto qui. È giusto che lo sappiano e che stiano in guardia.» «Sarebbe stato molto gentile da parte loro se avessero provveduto a informarci per primi,» disse F'lar, in tono tanto iroso che Lessa alzò lo sguardo verso di lui, trasalendo. Egli le riferì ciò che il Signore di Lemos gli aveva raccontato. «E Asgenar pensava che tutti lo sapessimo? Che si trattasse semplice-
mente di cambiare le tabelle dei tempi?» Il turbamento svanì dal volto di lei, gli occhi si socchiusero, lampeggianti d'indignazione. «Adesso sono pentita di essere tornata indietro nel Tempo a prendere gli Antichi. Tu avresti trovato comunque un modo che ci permettesse di cavarcela.» «Mi attribuisci troppo merito, amore.» F'lar l'abbracciò, riconoscente. «Comunque, gli Antichi ormai sono qui e dobbiamo fare i conti con loro.» «E li faremo. Li aggiorneremo noi se...» «Lessa.» F'lar la scrollò, leggermente: il suo pessimismo si disperse per la veemenza della reazione di lei, la trasparenza dei rapidi calcoli per l'attuazione di quei cambiamenti. «Non puoi trasformare un wher da guardia in un drago, amor mio...» Chi vuol fare una cosa simile? chiese Mnementh, ormai sazio, dal Campo del Pasto. L'osservazione stizzita del drago bronzeo strappò un risolino a Lessa. F'lar tornò a stringerla a sé. «Bene, possiamo farcela,» disse lei, con fermezza, lasciando che F'lar le cingesse le spalle con un braccio mentre si avviava verso il Weyr. «E mi aspetto di tutto da quel T'kul delle Terre Aite. Ma R'mart del Weyr di Telgar?» «Da quanto tempo sono partiti i messaggeri?» Lessa alzò gli occhi verso il cielo fulgido di metà mattina, aggrottando la fronte. «Da pochissimo. Prima ho atteso gli ultimi particolari riferiti dagli esploratori.» «Sono affamato quanto Mnementh. Fammi portare da mangiare, donna.» Il drago bronzeo era volato sul cornicione per sistemarsi al suo solito posto quando nella galleria incominciò un tramestio. Mnementh spiegò le ali per lanciarsi in volo, tendendo il collo verso l'unico ingresso per via di terra. «È il convoglio del vino che arriva da Benden, sciocco,» gli disse Lessa, ridacchiando quando Mnementh fece udire un sonoro borbottio bronzeo e tornò a riassestarsi, completamente disinteressato ai convogli del vino. «Non dire a Robinton che è arrivato il vino nuovo, F'lar. Prima deve riposare per depositarsi, lo sai.» «E perché dovrei dire qualcosa a Robinton?» domandò F'lar, chiedendosi come faceva Lessa a sapere che lui aveva appena cominciato a pensare al Maestro Arpista. «Non ci siamo mai trovati di fronte ad una crisi senza che tu mandassi a chiamare il Maestro Arpista e il Maestro Fabbro.» Lessa sospirò profon-
damente. «Se almeno potessimo avere la stessa collaborazione dai nostri.» S'irrigidì, sotto il braccio di lui. «Sta arrivando Fidranth: dice che T'ron è molto agitato.» «T'ron è agitato?» La collera di F'lar si infiammò istantaneamente. «Proprio come ho detto,» rispose Lessa, liberandosi dall'abbraccio e salendo i gradini a due per volta. «Ti ordinerò da mangiare.» Poi si fermò di colpo, voltandosi per dire: «Controllati. Sospetto che T'kul non abbia informato nessuno. Non ha mai perdonato a T'ron di averlo convinto a venire qui, lo sai.» F'lar attese accanto a Mnementh, mentre Fidranth entrava nel Weyr, volando in cerchio. Dalla Caverna della Schiusa giunse la sfida stizzita e ossessiva di Ramoth. Mnementh le rispose, tranquillizzandola che l'intruso era solo Fidranth, non una minaccia. Almeno non per la sua covata Poi il bronzeo girò verso il suo cavaliere un occhio scintillante. Quel breve scambio di battute, così simile a quelli tra lui e Lessa, smorzò la collera di F'lar. E fu un bene, perché le prime parole di T'ron non furono molto diplomatiche. «L'ho trovato! Ho trovato che cos'avevi dimenticato d'incorporare nelle tue cosiddette infallibili tabelle!» «Che cos'hai trovato, T'ron?» chiese F'lar, controllandosi a fatica. Se T'ron aveva trovato qualcosa che poteva tornare utile, non era il caso di provocarlo. Mnementh si era cortesemente scostato per lasciare a Fidranth lo spazio per atterrare: ma con quei due enormi draghi bronzei sul cornicione c'era così poco posto che T'ron scivolò davanti al Comandante di Benden, agitandogli sotto il naso il frammento di una pelle delle Cronache. «Ecco la prova che le tue tabelle dei tempi non includevano tutte le informazioni reperibili nelle nostre vecchie Cronache!» «Prima non le avevi mai contestate, T'ron,» gli ricordò F'lar, con calma. «Non contraddirmi, F'lar. Hai appena mandato un messaggero per informarmi che i Fili cadevano in modo imprevisto.» «E sono venuto a sapere che i Fili erano già caduti in modo imprevisto anche su Tillek e l'Alto Crom, negli ultimi giorni!» L'espressione traumatizzata e inorridita di T'ron era troppo profonda per essere simulata. «Faresti meglio ad ascoltare ciò che dice la gente comune, T'ron, invece di isolarti nel Weyr,» gli disse F'lar. «Asgenar lo sapeva già, ma T'kul e R'mart non hanno pensato ad informare gli altri Weyr, in modo che potes-
simo prepararci e stare in guardia. Per fortuna avevo mandato F'rad...» «Non avrai installato altri dragonieri nelle Fortezze, per caso?» «Io mando sempre un messaggero il giorno prima di una Caduta. Se non avessi seguito questa abitudine, ormai le foreste di Asgenar non esisterebbero più.» F'lar si pentì subito di quella frase avventata: avrebbe offerto a T'ron il destro per un'altra delle sue tirate contro il rimboschimento eccessivo. Per distrarlo, F'lar tese la mano verso il frammento delle Cronache, ma T'ron glielo sottrasse. «Devi credermi sulla parola...» «Ho mai messo in discussione la tua parola, T'ron?» Anche quella frase gli sfuggì prima che egli avesse il tempo di censurarla. Mantenne un'aria impassibile, sperando che T'ron non vi leggesse un'altra allusione a quella famosa riunione. «Vedo che la Cronaca è molto erosa, ma se tu l'hai decifrata e se ha qualche riferimento al cambiamento imprevisto di questa mattina, te ne saremo tutti debitori.» «F'lar?» la voce di Lessa echeggiò nel corridoio. «Hai dimenticato le buone maniere? Il klah si sta raffreddando, a per T'ron non è ancora l'alba.» «Ne gradirei una tazza,» ammise T'ron, evidentemente sollevato non meno di F'lar da quell'interruzione. «Ti chiedo scusa per averti fatto svegliare...» «Non devi scusarti, quando c'è di mezzo una notizia di questo genere.» Inspiegabilmente, F'lar provò un senso di sollievo nel rendersi conto che T'ron, a quanto pareva, non aveva saputo nulla, delle altre Cadute dei Fili. Si era precipitato lì alla carica, felice dell'occasione di far fare una brutta figura a F'lar ed a Benden. Non sarebbe stato così sollecito (come testimoniavano la sua esclusività e le sue contraddizioni a proposito della zuffa per il pugnale) se l'avesse saputo. Quando i due uomini entrarono nel Weyr della regina,. Lessa portava un abito lungo, con i capelli racchiusi in una lenta reticella lavorata, e stava graziosamente seduta al tavolo: come se non avesse volato per tutta la mattina e non si fosse appena tolta l'armatura protettiva. Quindi Lessa si accingeva di nuovo a incantare T'ron, eh? Nonostante gli eventi terribili, F'lar si sentiva divertito. Comunque, non era certo che quel sistema avrebbe sminuito l'antagonismo di T'ron. Non sapeva quanto ci fosse di vero nelle dicerie secondo le quali T'ron e Mardra non erano in rapporti troppo buoni, per un Comandante e una Dama del Weyr.
«Dov'è Ramoth?» chiese T'ron, mentre passava davanti al weyr vuoto della regina. «Al Terreno della Schiusa, naturalmente, a sorvegliare la sua ultima covata,» rispose Lessa, con il giusto tono di indifferenza. Ma T'ron aggrottò la fronte: senza dubbio ricordava che c'era un altro uovo di regina, sulle calde sabbie di Benden, e che le regine degli Antichi deponevano poche uova dorate. «Ti chiedo perdono per aver fatto incominciare così presto la tua giornata,» proseguì Lessa, servendogli con garbo un frutto già affettato e preparandogli il klah come piaceva a lui. «Ma abbiamo bisogno del tuo consiglio e del tuo aiuto.» T'ron borbottò un ringraziamento, posando con cura la Cronaca a faccia in giù sul tavolo. «I Fili potrebbero cadere quando vogliono, se non avessimo tutte quelle maledette foreste cui badare,» disse T'ron, fissando severamente F'lar attraverso il vapore del klah, mentre si portava il boccale alle labbra. «Cosa? E fare a meno del legno?» lamentò Lessa, passando le mani sulla sedia scolpita che Bendarek aveva fabbricato con consumata maestria. «I seggi di pietra possono andare bene per te e per Mardra,» aggiunse in tono dolce e insinuante. «Ma io avevo sempre il posteriore gelato.» T'ron sbuffò divertito, scrutando la graziosa Dama del Weyr in modo tale che Lessa si tese bruscamente e batté le dita sulla Cronaca. «Non dovrei farti perdere del tempo prezioso con le mie chiacchiere. Hai scoperto qualcosa, qui, che a noi era sfuggito?» F'lar strinse i denti. Non aveva trascurato una sola parola leggibile di quelle Cronache muffite: perché lei accettava con tanta leggerezza l'idea d'una negligenza? Ma la perdonò quando T'ron rispose girando la pelle. «La Cronaca è molto mal conservata, naturalmente.» Lo disse come se la colpa fosse di Benden, che l'aveva custodita male, non dei quattrocento Giri di abbandono. «Ma quando hai mandato quel cadetto a portare il messaggio, ho ricordato di aver visto un'allusione ad un Passaggio in cui tutte le Cronache preesistenti non servirono a nulla. È una delle ragioni per cui noi non ci eravamo mai preoccupati di preparare le tabelle dei tempi.» F'lar stava per chiedere come mai nessuno degli Antichi aveva ritenuto di accennare a quel particolare, in passato; ma notò l'occhiata severa di Lessa e stette zitto.
«Vedi, questa frase, qui, è in parte mancante, ma se aggiungi 'cambiamenti imprevedibili'; in questo punto, diviene chiarissima.» Lessa, con gli occhi grigi spalancati in un'espressione di sincera reverenza (e F'lar si sentì quasi soffocare alla vista di tanta dissimulazione), alzò lo sguardo dalla Cronaca a T'ron. «Hai ragione, T'ron. È verissimo. Questa è una delle pelli più antiche, che avevo dovuto rinunciare a decifrare.» «Naturalmente, era molto più leggibile quando la studiai per la prima volta quattrocento Giri fa, prima che sbiadisse così.» I modi tronfi di T'ron erano difficili da sopportare: ma era più facile trattare con lui quando era così, che non quando era insospettito o sulla difensiva. «Ma la Cronaca non ci dice come avvenne il cambiamento, né per quanto durò,» disse F'lar. «Debbono esserci altri indizi, T'ron,» suggerì Lessa, curvandosi con fare seducente verso il Comandante del Weyr di Fort, quando questi mostrò di risentirsi per le parole di F'lar. «Perché mai i Fili dovrebbero cadere al di fuori di uno schema che hanno seguito al secondo per sette terribili Giri, durante questo Passaggio? Tu stesso mi avevi detto che nel tuo Tempo osservavano un certo ritmo. Variava di molto, allora?» T'ron guardò le righe sbiadite, aggrottando la fronte. «No,» ammise lentamente, e poi abbatté il pugno sul frammento. «Perché abbiamo perduto tante tecniche? Perché queste Cronache ci hanno traditi proprio quando ne avevamo più bisogno?» Mnementh cominciò a gridare dal cornicione, e Fidranth gli fece eco. Lessa «ascoltò», inclinando il capo. «D'ram e G'narish,» disse. «Non credo che dobbiamo aspettarci T'kul, ma R'mart non è un uomo arrogante.» D'ram di Ista e G'narish di Igen entrarono insieme. Erano entrambi agitati e non persero tempo in convenevoli. «Cos'è questa storia della Caduta prematura?» domandò D'ram. «Dove sono T'kul e R'mart? Hai mandato ad avvertire anche loro, vero? I tuoi squadroni hanno subito gravi perdite? Quanti Fili sono riusciti a farsi la tana?» «Nessuno. Siamo arrivati all'inizio della Caduta. E i miei squadroni hanno subito poche perdite, ma ti ringrazio dell'interessamento, D'ram. Abbiamo mandato a chiamare anche gli altri.» Sebbene Mnementh non avesse dato nessun preavviso, qualcuno stava arrivando di corsa dal passaggio che portava al Weyr. Tutti si voltarono,
aspettandosi che fosse uno dei Comandanti ancora assenti, ma quello che entrò precipitosamente era uno dei cadetti messaggeri. «I miei omaggi, signori,» ansimò il ragazzo. «Ma R'mart è gravemente ferito e nel Weyr di Telgar vi sono moltissimi uomini e draghi malconci: è uno spettacolo terribile. E si dice che metà delle Fortezze dell'Alto Crom siano carbonizzate.» I Comandanti del Weyr balzarono in piedi. «Devo mandare qualche aiuto...» cominciò Lessa, e subito s'interruppe, scorgendo la strana espressione di D'ram ed il corruccio di T'ron. Poi sbuffò, spazientito. «Avete sentito cos'ha detto il ragazzo: uomini e draghi feriti, un Weyr demoralizzato. Un aiuto in un momento critico non è un'interferenza. Quell'antica lagna sull'autonomia dei Weyr qualche volta è un'esagerazione. Come in questo caso. È assurdo, pensare di non dare aiuto al Weyr di Telgar!» «Ha ragione,» disse G'narish, e F'lar comprese che quell'uomo si era avvicinato di un altro passo alla mentalità moderna. Lessa uscì dalla sala, mormorando la sua intenzione di recarsi personalmente al Weyr di Telgar. Il cadetto la seguì, dopo che F'lar l'ebbe congedato con un cenno. «T'ron ha trovato un accenno a cambiamenti imprevedibili nelle Cadute, in questa antica Cronaca,» disse F'lar, prendendo l'iniziativa. «D'ram, ricordi qualcosa dei tuoi studi delle Cronache di Ista, quattrocento Giri fa?» «Vorrei riuscire a ricordarlo,» rispose lentamente il Comandante di Ista, poi guardò G'narish, che stava scuotendo il capo. «Prima di venire qui, ho ordinato subito di organizzare turni di ispezione in volo, e propongo che si faccia tutti altrettanto.» «Avremmo bisogno di un servizio di guardia esteso a tutto Pern,» cominciò F'lar, soppesando con cura le parole. Ma T'ron non si lasciò ingannare e batté il pugno sul tavolo con tanta forza da far sobbalzare il vasellame. «Aspettavi solo l'occasione per installare altri draghi nelle Fortezze e nelle Sedi delle Arti, eh, F'lar? I cavalieri devono essere uniti...» «Come hanno fatto T'kul e R'mart che non ci hanno avvertiti?» chiese D'ram in tono così acido che T'ron si azzittì. «Veramente, perché i dragonieri dovrebbero stancarsi tanto quando ci sono molti uomini disponibili nelle Fortezze, adesso?» chiese G'narish, in tono sorpreso. Sorrise leggermente, innervosito, quando vide che gli altri lo fissavano. «Voglio dire, le varie Fortezze potrebbero fornire i sorve-
glianti che ci occorrono.» «E ne hanno anche i mezzi,» ammise F'lar, senza badare all'esclamazione sbalordita di T'ron. «Non molto tempo fa c'erano fuochi di segnalazione su tutte le catene montuose, attraverso le pianure, sulle colline, nell'eventualità che Fax intraprendesse un'altra delle sue marce di conquista. Non mi sorprenderei se molti di quei fari esistessero ancora.» L'espressione degli altri tre lo divertì. Gli Antichi non avevano mai mandato giù il supremo sacrilegio di un Signore che aveva tentato di dominare più di un territorio. F'lar non |dubitava che questo spingeva i conservatori come T'kul e T'ron a ricordare alla gente comune, appena se ne presentava l'occasione, che dipendeva completamente dai dragonieri, e per questo essi cercavano di limitare la libertà ed il lassismo contemporanei. «Dite agli abitanti delle Fortezze di accendere i fuochi quando i Fili si ammassano all'orizzonte... pochi cavalieri piazzati in posizioni strategiche potrebbero sorvegliare aree molto vaste. Servitevi dei cadetti: in questo modo non combineranno guai, e per loro sarà un'esercitazione utile. Quando sapremo come cadono i Fili, adesso, saremo in grado di giudicare i cambiamenti.» F'lar s'impose di rilassarsi, sorridendo. «Non credo che sia una faccenda grave come sembra a prima vista. Soprattutto se già in passato vi sono stati cambiamenti. Naturalmente, se potessimo trovare qualche indicazione sulla durata del cambiamento e sull'eventuale ritorno allo schema precedente, ci sarebbe d'aiuto.» «Ci sarebbe stato d'aiuto se T'kul avesse inviato messaggi come hai fatto tu,» borbottò D'ram. «Beh, lo sappiamo tutti com'è fatto T'kul,» disse F'lar, in tono tollerante. «Non aveva il diritto di nasconderci un'informazione d'importanza vitale,» disse T'ron, battendo di nuovo i pugni sul tavolo. «I Weyr dovrebbero fare causa comune.» «Ai Signori delle Fortezze questo non piacerà,» osservò G'narish, pensando senza dubbio al Nobile Corman di Keroon, il più difficile di tutti i Signori vincolati al suo Weyr. «Oh,» replicò F'lar, ostentando più diffidenza di quanta ne provasse, «se diciamo loro che ci eravamo aspettati un cambiamento del genere in questa fase del Passaggio...» «Ma... ma le tabelle dei tempi che loro hanno? Non sono poi degli sciocchi,» balbettò T'ron. «I dragonieri siamo noi, T'ron. Non è necessario che quelli sappiano ciò che non possono capire... o che se ne preoccupino,» rispose con fermezza
F'lar. «Non è affar loro pretendere spiegazioni da noi, dopotutto. E non ne otterranno.» «Stai cambiando musica, eh, F'lar?» chiese D'ram. «Se ci pensi bene, D'ram, non mi sono mai spiegato con loro. Dicevo quel che dovevano fare, e loro lo facevano.» «Avevano perso la testa per la paura, sette Giri fa,» osservò G'narish. «Erano abbastanza spaventati da accoglierci a braccia aperte.» «Se vogliono proteggere tutte queste foreste e queste colture, faranno quello che suggeriremo loro, o dovranno cominciare a bruciare i loro profitti.» «Se il Nobile Oterel di Tillek o quell'idiota del Nobile Sangel di Boll cominciano a discutere i miei ordini, andrò personalmente a incendiare le loro foreste,» fece T'ron, alzandosi. «Allora siamo d'accordo,» disse prontamente F'lar, prima di lasciarsi sopraffare dal disgusto per la propria ipocrisia. «Organizziamo turni di guardia, con l'aiuto dei Signori, e seguiamo il nuovo cambiamento. Presto saremo in grado di giudicarlo.» «E T'kul?» chiese G'narish. D'ram lo guardò in faccia, «Gli spiegheremo la situazione.» «Ha molto rispetto per voi due,» riconobbe F'lar. «Comunque, sarebbe più prudente non fargli capire che sapevamo...» «Possiamo sbrigarcela con T'kul senza bisogno dei tuoi consigli, F'lar,» l'interruppe bruscamente D'ram, e F'lar si rese conto che la temporanea armonia stabilitasi tra loro era già finita. Gli Antichi serravano le file per difendere il loro contemporaneo colpevole, come avevano fatto durante la fallita riunione di qualche sera prima. Poteva consolarsi pensando che non erano riusciti a chiudere gli occhi davanti al significato di questo incidente. In quel momento Lessa rientrò nel Weyr, rossa in viso, con gli occhi accesi. Pensino D'ram s'inchinò profondamente davanti a lei nel congedarsi. «Non andatevene, D'ram, T'ron. Ho buone notizie dal Weyr di Telgar,» gridò lei, ma poi, notando l'occhiata di F'lar, non cercò di trattenerli quando insistettero per andarsene. «R'mart sta bene?» chiese G'narish, cercando di superare l'imbarazzo. Lessa si riprese e rivolse un sorriso al Comandante di Igen. «Oh, quel messaggero ha esagerato... è soltanto un ragazzo. Ramoth ha parlato con Solth, la regina principale del Weyr di Telgar. R'mart è ustionato in modo grave, sì. Bedella, evidentemente, gli ha dato una dose troppo forte di polvere d'intorpidaria. È stata lei che non ha avuto il buon senso
di avvertire gli altri. E il Vicecomandante ha creduto che fossimo stati tutti informati, perché aveva udito R'mart dire a Bedella di inviare dei messaggeri, e non pensava che lei avesse trascurato di farlo. Quando R'mart ha perso i sensi, lei non ha capito più niente.» Alzando le spalle, Lessa fece capire cosa ne pensava di Bedella. «Il Vicecomandante dice che ti sarebbe molto grato se potessi consigliarlo.» «Il Vicecomandante del Weyr di Telgar è H'ages,» disse G'narish. «Un buon cavaliere, ma non ha spirito d'iniziativa. Ehi, ma anche tu sei stato ustionato dai Fili, F'lar.» «Non è nulla.» «Sanguina,» lo contraddisse Lessa. «E tu non hai mangiato niente.» «Mi fermerò al Weyr di Telgar, F'lar, e parlerò con H'ages,» promise G'narish. «Vorrei venire con te, G'narish, se non hai obiezioni...» «Le obiezioni da fare le ho io,» s'intromise Lessa. «G'narish è capace di accertarsi dell'estensione della Caduta, laggiù, e può comunicarci le informazioni. L'accompagnerò io al cornicione, mentre tu cominci a mangiare.» Il suo tono era così autoritario che G'narish ridacchiò. Lessa lo prese sotto braccio e si avviò verso il corridoio. «Non ho salutato Gyarmath,» disse sorridendo dolcemente a G'narish. «Ed è uno dei miei preferiti, lo sai.» Stava civettando così scopertamente che F'lar si stupì che Ramoth non ruggisse per protestare. Come se Gyarmath fosse stato capace di raggiungere Ramoth in volo! Poi udì il rombo divertito di Mnementh, e si sentì rassicurato. Mangia, gli consigliò il drago bronzeo. Lascia che Lessa aduli G'narish. A Gyarmath non importa. Né a Ramoth. Né a me. «Cosa mi tocca fare per il mio Weyr,» disse Lessa con un sospiro esagerato, quando rientrò dopo pochi istanti. F'lar le lanciò un'occhiata cinica. «G'narish ha una mentalità più moderna di quanto sappia lui stesso.» «Allora noi dovremo fare in modo che se ne renda conto,» disse con fermezza Lessa. «Purché siamo 'noi' a farlo,» rispose F'lar, con finta severità, prendendola per mano e attirandola a sé. Lessa atteggiò una resistenza, come faceva sempre, rivolgendogli smorfie feroci, e poi gli si abbandonò di colpo contro la spalla. «Le segnalazioni con i fuochi ed i servizi di vigilanza non sono sufficienti,» disse pensierosa. «Anche se penso che ci siamo preoccupati troppo del cambiamento
nella Caduta dei Fili.» «Queste sciocchezze le ho dette per imbrogliare G'narish e gli altri, ma pensavo che tu avresti...» «Ma non ti accorgi che avevi ragione?» F'lar le lanciò un lungo sguardo incredulo. «Per l'Uovo, Comandante del Weyr, tu mi sorprendi. Perché non possono esservi deviazioni? Perché tu hai compilato le tabelle basandoti sulle Cronache e, a dispetto degli Antichi, debbono rimanere infallibili? Per le grandi Uova d'Oro, uomo, c'erano gli Intervalli durante i quali i Fili non cadevano... adesso lo sappiamo. Perché non potrebbe esserci un cambiamento nel ritmo della Caduta, durante un Passaggio?» «Ma perché? Spiegami perché deve essere così!» «Spiegami tu perché non dovrebbe essere così! La stessa cosa che influisce sulla Stella Rossa, in modo che non sempre ci passa abbastanza vicino da lanciarci addosso i Fili, potrebbe deviarla dalla sua rotta quanto basta per modificare la Caduta! La Stella Rossa non è l'unico astro che sorge e tramonta con le stagioni. Potrebbe esserci un altro corpo celeste che influisce non solo su di noi, ma anche sulla Stella Rossa.» «Dove?» Lessa scrollò le spalle, spazientita. «Come posso saperlo? Non ho l'occhio acuto come F'rad. Ma possiamo tentare di scoprirlo. Oppure sette Giri completi di certezze hanno smussato la tua intelligenza?» «Stammi a sentire, Lessa...» All'improvviso, lei gli si strinse contro, tutta contrizione per quel commento tagliente. F'lar la tenne abbracciata: si rendeva conto che aveva ragione. Eppure... c'era stata quell'attesa lunga e solitaria, prima che lui e Mnementh potessero prendere il loro posto. La terribile dicotomia tra la fiducia nella sua profezia che i Fili sarebbero caduti e la paura che nulla potesse scuotere i dragonieri dal loro letargo. Poi la schiacciante certezza che quei pochi cavalieri non potevano salvare un intero mondo dalla distruzione; i tre giorni di tortura fra la Caduta iniziale alle Fortezze di Nerat e di Telgar, mentre Lessa era chissà dove. Non aveva il diritto di allentare la sua vigilanza? Di liberarsi per un po' del peso della responsabilità? «Non ho il diritto di dirti queste cose,» bisbigliava Lessa, sommessamente, in tono di rimorso. «Perché no? È vero.» «Non dovrei mai sminuire te, e tutto quello che hai fatto, per placare un terzetto d'individui dalla mentalità ristretta, conservatrice, provinciale...»
F'lar interruppe quelle parole con un bacio, che divenne all'improvviso appassionato. Poi rabbrividì quando le mani di Lessa, incurvandoglisi sinuosamente intorno al collo, toccarono la pelle ustionata dai Fili. «Oh, scusami, scusami. Ecco, lascia che...» e le parole di Lessa si spensero, mentre lei si girava per prendere il contenitore dell'intorpidaria. «Ti perdono, tesoro, per tutte le tue macchinazioni quotidiane,» le assicurò F'lar in tono sentenzioso. «È più facile adulare un uomo che combatterlo. Vorrei che F'nor fosse qui adesso!» «Non ho ancora perdonato quel vecchio sciocco di T'ron,» disse Lessa, socchiudendo gli occhi e sporgendo le labbra. «Ah, perché F'nor non ha lasciato che T'reb si tenesse il pugnale?» «F'nor ha agito benissimo,» ribatté F'lar, in tono di ferma approvazione. «E allora avrebbe dovuto schivare più prontamente il colpo. E tu non sei meglio di lui.» Il tocco delle sue dita era delicato, ma le ustioni bruciavano. «Uhm... Io ho schivato la mia responsabilità nei confronti del nostro Pern portando in questo tempo gli Antichi. Ci siamo lasciati impantanare in mille inezie, come stabilire di chi è stata la colpa di quella zuffa asinina nella Sede del Maestro Fabbro. Il vero problema è riconciliare il vecchio con il nuovo. E forse potremo riuscire a far sì che questa crisi torni a nostro vantaggio, Lessa.» Lei sentì il tono squillante nella voce di F'lar e gli sorrise con approvazione. «Quando mandavamo all'aria le tradizioni, prima che arrivassero gli Antichi, scoprivamo anche quanto erano vuote e restrittive alcune di esse: per esempio, la faccenda dei contatti minimi tra Fortezze, Arti e Weyr. Oh, è vero, se noi vogliamo parlare con un altro Weyr, possiamo andare là in pochi secondi, a dorso di drago, ma per un abitante delle Fortezze o per un artigiano ci vogliono giorni per recarsi da un luogo all'albo. Sette Giri fa, avevano cominciato ad abituarsi alle comodità. Non avrei mai dovuto arrendermi, permettere che gli Antichi mi convincessero a rinunciare all'idea di lasciare dei draghi a disposizione delle Fortezze e delle Arti. I fuochi di segnalazione non serviranno a niente, e neppure i servizi di pattugliamento. In questo hai perfettamente ragione, Lessa. Ora, se Fandarel riesce ad escogitare qualche metodo alternativo per... Cosa c'è? Perché sorridi in quel modo?» «Lo sapevo. Sapevo che volevi vedere il Fabbro e l'Arpista e perciò li ho mandati a prendere; ma non saranno qui se non dopo che tu avrai mangiato
e riposato.» Toccò l'intorpidaria fresca, per vedere se si era indurita. «E naturalmente, anche tu hai mangiato e riposato?» Lessa si alzò dalle ginocchia di lui con un movimento fluido; i suoi occhi erano diventati quasi neri. «Io avrò il buon senso di andare a dormire quando sarò stanca. Tu continuerai a parlare con Robinton e Fandarel anche dopo aver discusso e ridiscusso lo stesso argomento fino alla nausea. E berrai... come se non avessi ancora imparato che solo un drago potrebbe bere di più di quell'Arpista e di quel Fabbro...» S'interruppe di nuovo, e la sua smorfia si mutò in un cipiglio pensieroso. «Ora che ci penso, faremmo bene ad invitare Lytol, se verrà. Mi piacerebbe sapere esattamente quali sono le reazioni dei Signori delle Fortezze. Ma prima... mangia!» F'lar obbedì ridendo, chiedendosi come mai poteva sentirsi all'improvviso tanto ottimista, quando era così evidente che i problemi di Pern tornavano ad appollaiarsi di nuovo sul cornicione del suo Weyr. IV Mezzogiorno al Weyr Meridionale. Kylara girò su se stessa davanti allo specchio, voltando la testa per scrutare la sua immagine snella e osservando come cadeva la pesante stoffa dell'abito rossocarico. «Lo sapevo. Gli avevo detto che l'orlo era irregolare,» disse, fermandosi di colpo di fronte alla propria immagine, scorgendo la sua affascinante smorfietta. Si esercitò a ripetere quell'espressione, trovò un atteggiamento che non le piaceva e, con scrupolo, si disse di non usarlo più inavvertitamente. «Un aggrottar della fronte è un'arma potente, cara,» le aveva detto e ripetuto la sua madre adottiva. «Ma coltivane uno grazioso. Pensa che cosa accadrebbe se il tuo viso si bloccasse in quell'espressione.» Si contemplò, affascinata, fino a quando si girò, cercando di valutare il proprio profilo, e scorse di nuovo l'ondeggiare dell'orlo colpevole. «Rannelly!» chiamò, spazientendosi quando la vecchia non rispose immediatamente. «Rannelly!» «Vengo, bamboletta. Le ossa vecchie non si muovono in fretta. Avevo messo i tuoi abiti a prendere aria. Quell'albero in fiore esala un profumo così dolce. Sì, è un prodigio, un albero di fellis così cresciuto.» Rannelly continuava sempre un monologo incessante, ogni volta che veniva chiama-
ta, come se il suono del suo nome le mettesse in movimento la mente Kylara era certa che fosse così, perché la sua vecchia nutrice esprimeva, come un'eco smorzata, solo ciò che udiva e vedeva. «Questi sarti non sono troppo abili, e così trascurati nelle finiture,» continuò a borbottare Rannelly, quando Kylara interruppe brusca le sue chiacchiere per esporle il problema. Espirò con una nota di basso, mentre s'inginocchiava e rivoltava la gonna imperfetta. «Sì, e guarda questi punti. Sono stati cuciti in fretta, e con il filo troppo lungo...» «Quell'uomo mi aveva promesso il vestito in tre giorni, e lo stava terminando quando sono arrivata. Ma ne ho assolutamente bisogno.» Le mani di Rannelly si fermarono, i suoi occhi si levarono verso la giovane donna. «Non ti eri mai allontanata dal Weyr senza lasciar detto niente...» «Io vado dove mi pare,» ribatté Kylara, pestando il piede. «Non sono una bambina, per doverti riferire i miei movimenti. Sono la Dama del Weyr Meridionale. Cavalco la regina. Nessuno può farmi niente. Non dimenticarlo.» «Non c'è nessuno che dimentichi come la mia bambola...» «Non che questo sia un Weyr come si deve, anzi...» «...e questo è un insulto alla mia figlia di latte, certo, essere...» «Non che a loro gliene importi, ma capiranno che non possono trattare una del Sangue di Telgar con tanta scortesia...» «... E chi è stato scortese con la mia piccola...» «Aggiustami l'orlo, Rannelly, e non metterci tutta la settimana. Devo fare bella figura, quando tornerò a casa,» disse Kylara, girando il busto e studiandosi i folti capelli biondi e ondulati. «L'unica cosa buona di questo posto orribile. Il sole mantiene lucidi i miei capelli.» «Come una cascata di raggi di sole, dolcezza mia, e io te li spazzolo in modo da farne risaltare tutto lo splendore. Te li spazzolo mattina e sera. Lo faccio sempre. Tranne quando tu sei via. Lui ti ha cercata, poco fa...» «Lascialo perdere. Aggiustami l'orlo.» «Oh, sì, questo posso farlo. Togliti l'abito. Ecco. Ooooh, mio tesoro, bamboletta mia. Chi è che ti ha trattata così! È stato lui a farti quei segni sul...» «Stai zitta!» Kylara scavalcò prontamente il vestito che le era caduto ai piedi, fin troppo conscia dei lividi che spiccavano sulla sua pelle chiara. Una ragione di più per indossare l'abito nuovo. Sebbene fosse senza maniche, copriva con le pieghe quasi completamente il grosso livido sul braccio
destro Poteva sempre attribuirlo ad una caduta. Non che le importasse un accidente di quel che pensava T'bor, ma si sarebbe risparmiata le recriminazioni. E poi, lui non sapeva mai quel che faceva, quando aveva bevuto troppo vino. «Non ne verrà niente di buono,» stava gemendo Rannelly, mentre raccoglieva l'abito rosso e cominciava ad avviarsi a passo strascicato verso il suo cantuccio. «Adesso appartieni al Weyr. Non può venirne niente di buono, quando quelli dei Weyr se l'intendono con quelli delle Fortezze. Resta fra i tuoi. Qui tu sei qualcuno...» «Stai zitta, vecchia sciocca. Il vero vantaggio di essere Dama del Weyr è che posso fare quello che voglio. Non sono mia madre. Non ho bisogno dei tuoi consigli.» «Sì, lo so,» rispose la vecchia nutrice con tanta amarezza che Kylara la fissò stupita. Ecco, aveva aggrottato la fronte in modo sgraziato. Doveva ricordarsi di non contrarre le sopracciglia in quel modo: le venivano le rughe. Kylara ripassò le mani lungo i fianchi, controllando le curve armoniose e passandosi una mano sul ventre piatto. Piatto anche dopo cinque marmocchi. Bene; non ce ne sarebbero stati altri. Adesso conosceva il sistema. Bastava restare in mezzo qualche attimo di più al momento giusto e... Piroettò, ridendo, levando le braccia verso il soffitto, di scatto, e sibilò quando il muscolo dolente le diede una fitta. Meron non doveva... Kylara sorrise, languidamente. Meron doveva, perché lei ne aveva bisogno. Lui non è un dragoniere, disse Prideth, svegliandosi. Il tono del drago dorato non era di critica: la sua era una constatazione. Soprattutto del fatto che Prideth si annoiava delle escursioni che la conducevano nelle Fortezze anziché nei Weyr. Quando il capriccio di Kylara la portava a far visita ad altri draghi, Prideth era d'accordo. Ma una Fortezza, con l'unica compagnia di un wher da guardia, atterrito e sconvolto, era tutta un'altra faccenda. «No, lui non è un dragoniere,» riconobbe Kylara, di slancio, mentre un sorriso di piacere le sfiorava, al ricordo, le labbra rosse e carnose. Le conferivano un aspetto misterioso e affascinante, pensò, chinandosi verso lo specchio. Ma la superficie era chiazzata, e quell'esame attento faceva apparire malsana la sua carnagione. Ho prurito, disse Prideth, e Kylara sentì che il drago regina si muoveva. Il terreno, sotto i suoi piedi, riverberò di quel movimento. Kylara rise indulgente e, con un'ultima piroetta ed una smorfia allo spec-
chio difettoso, uscì per grattare Prideth. Se almeno avesse trovato un vero uomo che sapesse capirla e adorarla come faceva il drago. Se, per esempio, F'lar... Mnementh è di Ramoth, notò Prideth, quando lei fece il suo ingresso nella radura che serviva da Weyr all'aurea regina nel Continente Meridionale. Il drago femmina aveva grattato via la coltre di terra dallo stato di roccia, poco al di sotto della superficie. Il sole del Sud riscaldava il lastrone di pietra, che anche nelle notte più fresche irradiava un piacevole tepore. Tutto intorno s'incurvavano i grandi alberi di fellis, profumando l'aria con i fittissimi fiori di un rosa acceso. «Mnementh potrebbe essere tuo, sciocca,» replicò Kylara alla sua bestia, grattandola con la spazzola dal lungo manico. No, io non contendo con Ramoth. «Ti affretteresti a farlo, se fossi in calore,» rispose Kylara, augurandosi di poter avere il coraggio per un simile colpo di mano. «Non è che ci sia mente d'immorale ad accoppiarti con tuo padre o a metterti in concorrenza con tua madre...» Kylara pensò alla propria madre, una donna troppo presto usata e gettata in disparte dal Nobile Telgar, che le preferiva compagne di letto più giovani e vitali. Oh, se non l'avessero trovata durante la Cerca, forse sarebbe stata costretta a sposare quell'idiota... come si chiamava? Non sarebbe mai diventata Dama di Weyr, non avrebbe mai avuto l'affetto di Prideth Grattò energicamente la pelle del drago femmina che, con un sospiro di sollievo, fece volare via dai ramoscelli tre grappoli di fiori. Mia madre sei tu, disse Prideth, volgendo i grandi occhi opalescenti sulla sua Dama, con un tono soffuso d'amore, ammirazione, affetto, reverenza e felicità. Nonostante le riflessioni che la turbavano, Kylara sorrise teneramente al suo drago. Non riusciva a restare in collera con Prideth, quando la guardava in quel modo. Prideth amava proprio lei, Kylara, escludendo tutte le altre considerazioni. Riconoscente, la Dama del Weyr grattò la sensibile arcata sopracciliare dell'occhio destro di Prideth, fino a quando le palpebre protettive si chiusero una ad una per la soddisfazione. La giovane donna si appoggiò alla grande testa a forma di cuneo, temporaneamente in pace con se stessa, con il mondo: il balsamo dell'amore di Prideth leniva il suo malcontento. Poi udì in lontananza la voce di T'bor che impartiva ordini ai cadetti, e si allontanò da Prideth. Ma perché doveva essere proprio T'bor? Era così
inefficiente. Non riusciva mai a farle provare ciò che le faceva provare Meron, tranne naturalmente quando Orth accompagnava Prideth nel volo nuziale e allora... allora era sopportabile. Ma Meron, anche senza drago, quasi le bastava. Meron era spietato ed ambizioso a sufficienza, e forse, insieme, avrebbero potuto dominare tutto Pern... «Buongiorno, Kylara.» Kylara non rispose al saluto. Il tono forzatamente gaio di T'bor le fece capire che era deciso a non litigare con lei, qualunque cosa avesse in mente al momento. Si chiese quale attrazione aveva mai esercitato su di lei, sebbene fosse alto e non brutto: i dragonieri brutti erano ben pochi. I segni sottili delle cicatrici lasciate dai Fili davano loro spesso un'aria canagliesca, ma non ripugnante. T'bor non aveva cicatrici, ma l'aria apprensiva ed il movimento inquieto degli occhi guastava l'effetto della sua figura. «Buongiorno, Prideth,» aggiunse T'bor. A me è simpatico, disse Prideth alla sua Dama. E ti è veramente devoto. Tu non sei buona con lui. «La bontà non serve a niente,» ribatté brusca Kylara, rivolta al suo drago. Con indolente riluttanza, si girò verso il Comandante del Weyr. «Che cosa c'è?» T'bor arrossì, come faceva sempre quando sentiva quella nota nella voce di Kylara. Lei faceva apposta per sconcertarlo. «Ho bisogno di sapere quanti Weyr abbiamo liberi. Lo chiede il Weyr di Telgar.» «Domandalo a Brekke. Come posso saperlo io?» Il rossore di T'bor si fece più profondo. L'uomo strinse i denti. «È consuetudine che la Dama del Weyr diriga personalmente...» «Che i Fili divorino la consuetudine! Lo sa Brekke. Non io. E non capisco perché il Weyr Meridionale debba continuamente ospitare tutti quegli idioti di cavalieri che non sono neppure capaci di schivare i Fili.» «Tu lo sai benissimo, Kylara, perché il Weyr Meridionale...» «Non abbiamo subito una sola perdita di alcun genere in sette Giri di Fili.» «Noi non abbiamo le Cadute continue e pesanti del continente Settentrionale, e adesso capisco...» «Beh, io non capisco perché i loro feriti debbano prosciugare di continuo tutte le nostre risorse...» «Kylara, non contestare ogni parola che io dico.» Sorridendo, Kylara gli voltò le spalle, soddisfatta di averlo quasi spinto
al punto di infrangere la sua puerile decisione. «Chiedilo a Brekke. A lei fa piacere svolgere le mie mansioni.» Girò la testa per vedere se T'bor aveva compreso esattamente oiò che lei intendeva. Era sicura che Brekke divideva il letto di T'bor, quando lei aveva altro da fare. Ancora più sciocca, quella Brekke, dato che spasimava per F'nor, come Kylara sapeva benissimo. La ragazza e T'bor dovevano avete delle fantasie molto interessanti: ognuno di loro immaginava di vedere nell'altro il vero oggetto del proprio amore infelice. «Brekke è meglio di te, e più degna di essere la Dama del Weyr!» disse T'bor con voce tesa e controllata. «Questa me la pagherai, mascalzone, pederasta,» gli urlò Kylara, infuriata da quell'inattesa rappresaglia. Poi scoppiò a ridere, al pensiero di Brekke nel ruolo di Dama del Weyr, o di amante esperta e appassionata come sapeva d'essere lei stessa. Brekke l'Ossuta, con il seno piallato come il petto d'un ragazzo. Caspita, persino Lessa sembrava più femminea! Il pensiero di Lessa gelò di colpo Kylara. Tentò nuovamente di convincersi che Lessa non avrebbe costituito un ostacolo al suo piano. Lessa, ormai, era troppo soggetta a F'lar, e smaniava dalla voglia di avere un'altra gravidanza, recitava la parte della diligente Dama del Weyr, troppo contenta per vedere ciò che accadeva sotto al suo naso. Lessa era una sciocca. Avrebbe potuto dominare su tutto Pern, se avesse voluto. Aveva avuto la grande occasione e se l'era lasciata sfuggire. Che stupidaggine, tornare indietro nel Tempo per andare a prelevare gli Antichi, quando avrebbe potuto avere la supremazia su tutto il pianeta, come Dama del Weyr dell'unica regina di Pern! Bene, Kylara non aveva nessuna intenzione di rimanere nel Weyr Meridionale, a curare docilmente i cavalieri feriti di tutto il mondo ed a coltivare acri ed acri di terra per tutti, tranne che per se stessa. Ogni uovo si schiudeva in un modo diverso, ma una spaccatura al momento opportuno accelerava le cose. E Kylara era prontissima a spaccare parecchie uova, a modo suo. Il Nobile Larad, Signore della Fortezza di Telgar, poteva aver dimenticato d'invitare lei, la sua unica vera sorella, alla cerimonia nuziale; ma non c'era motivo perché lei se ne rimanesse lontano quando la sua sorellastra sposava il Signore di Lemos. Brekke stava cambiando la fasciatura al braccio di F'nor quando questi sentì che T'bor la stava chiamando. La ragazza si tese al suono di quella voce, ed un'espressione di pietà e di preoccupazione le rannuvolò fugge-
volmente il viso. «Sono nel Weyr di F'nor,» rispose, girando la testa verso la porta aperta e alzando la voce leggera. «Non so perché ci ostiniamo a chiamare Weyr un fortilizio fatto di legno,» disse F'nor, stupito della reazione di Brekke. Era una fanciulla così seria, più vecchia della sua età. Forse essere Dama secondaria del Weyr, sotto Kylara, l'aveva invecchiata precocemente. F'nor era riuscito, finalmente, a indurla ad accettare le sue punzecchiature. O forse lei si sforzava semplicemente di assecondarlo, per tenerlo buono, pensò F'nor, durante la dolorosa medicazione della ferita. Brekke gli rivolse un lieve sorriso. «Un Weyr è là dov'è un drago, comunque sia costruito.» T'bor entrò in quel momento, chinando la testa, sebbene la porta fosse abbastanza alta per lui. «Come va il braccio, F'nor?» «Migliora, grazie alle cure esperte di Brekke. Ho sentito dire,» aggiunse F'nor, rivolgendo alla ragazza un sorriso malizioso, «che gli uomini mandati al Weyr Meridionale guariscono più in fretta.» «È per questo che ne tornano sempre tanti. Le assegnerò altri compiti.» T'bor parlò con un tono così rabbioso che F'nor lo fissò. «Brekke, quanti altri feriti possiamo ospitare?» «Soltanto quattro; ma Varena, all'Ovest, può sistemarne almeno venti.» Guardandola in viso, F'nor capì che sperava che i feriti non fossero tanto numerosi. «R'mart ha chiesto di poterne mandare dieci: uno solo è grave,» disse T'bor, ma era ancora risentito. «Sarebbe meglio se restasse qui, allora.» F'nor fece per osservare che secondo lui Brekke si stava prodigando troppo. Sebbene avesse pochi privilegi, si era assunta tutte le responsabilità che sarebbero dovute spettare a Kylara, mentre questa faceva ciò che più le garbava... si lagnava persino che Brekke schivava questo o quel compito. La regina di Brekke, Wirenth, era ancora abbastanza giovane per richiedere molte cure; Brekke allevava come figlia adottiva la giovanissima Mirrim, sebbene non avesse avuto figli e nessuno dei cavalieri meridionali, a quanto pareva, dividesse il suo letto. Eppure Brekke si addossava anche il compito di curare i dragonieri più gravi. Non che F'nor non le fosse riconoscente. Lei pareva dotata di un sesto senso, che le diceva quando c'era bisogno di rinnovare l'intorpidaria, o quando la febbre era alta e dava il
delirio ai suoi pazienti. Le sue mani erano miracoli di serena delicatezza: ma lei sapeva anche essere implacabile, quando si trattava d'imporre le cure ai feriti «Ti sarò grato del tuo aiuto, Brekke,» disse T'bor. «Sinceramente.» «Mi domando se non si dovrebbero prendere altri accordi,» propose F'nor. «Cosa vorresti dire?» Oh-oh, pensò F'nor, l'uomo è suscettibile. «Per centinaia di Giri, i dragonieri sono riusciti a cavarsela bene, nei loro Weyr. Perché quelli del Weyr Meridionale debbono addossarsi il peso inutile di tutti i feriti che vengono loro scaricati continuamente addosso?» «Benden ne manda pochissimi,» disse sottovoce Brekke. «Non mi riferivo soltanto a Benden. Metà degli uomini che sono qui ora provengono dal Weyr di Fort. Potrebbe starsene a crogiolarsi al sole sulle spiagge di Boll Meridionale...» «T'ron non è un comandante...» cominciò T'bor, in tono di disprezzo. «Quindi Mardra vorrebbe farcelo credere,» interruppe Brekke, con un'asprezza così inconsueta che T'bor la fissò, sorpreso. «Non sono molte le cose che ti sfuggono piccola signora,» fece F'nor, scoppiando a ridere. «È quello che dice anche Lessa, ed io sono d'accordo.» Brekke arrossì. «Cosa intendevi dire, Brekke?» chiese T'bor. «Soltanto che cinque degli uomini feriti più gravemente volavano nella squadriglia di Mardra!» «La squadriglia di Mardra?» F'nor lanciò un'occhiata acuta a T'bor, domandandosi se anche per lui quella era una novità. «Non l'avevi saputo?» chiese Brekke, quasi rabbiosamente. «Da quando D'nek è stato colpito dai Fili, lei fa volare..» «Una regina che mangia pietre incendiarie? È per questo che Loranth non si è levata per il volo nuziale?» «Non ho detto che Loranth abbia mangiato pietre incendiarie,» contestò Brekke. «Mardra ha ancora un pò di buon senso. Una regine sterile è meglio di una verde. E Mardra non sarebbe Dama principale del Weyr. No, adopera un lanciafiamme.» «Ad alta quota?» F'nor era stordito. E T'ron aveva il coraggio di sostenere che il Weyr di Fort era il baluardo della tradizione? «È per questo che tanti uomini vengono feriti, nella sua squadriglia: i
draghi volano vicini per proteggere la loro regina. Un lanciafiamme getta le fiamme verso il basso, ma non verso l'esterno e con un'ampiezza sufficiente per colpire
«Non è da Meron che dobbiamo guardarci. È da Kylara Tutto ciò che lei tocca si... si corrompe.» F'nor sapeva cosa intendeva dire T'bor. «Se Kylara andasse, poniamo, alla Fortezza del Nobile Groghe, non sarei preoccupato. Lui è convinto che bisognerebbe strozzarla. Ma non dimenticate che è sorella di Larad di Telgar. Inoltre, Larad è capace di tenerla a bada. E ci saranno anche Lessa e F'lar. Non è possibile che si azzuffi con Lessa. Quindi, che altro può fare? Cambiare l'ordine di caduta dei Fili?» F'nor sentì l'esclamazione soffocata di Brekke, e vide l'improvviso scatto di sorpresa di F'bor. «Non è stata lei a cambiare la Caduta dei Fili. Nessuno sa perché questo è accaduto,» disse torvo T'bor. «Perché è accaduto che cosa?» F'nor si alzò, scostando le mani di Brekke. «Hai sentito che i Fili sono caduti fuori dallo schema abituale?» «No, non l'ho sentito.» E F'nor deviò lo sguardo da T'bor a Brekke, che fingeva di essere indaffaratissima con i suoi medicamenti. «Non avresti potuto far nulla, F'nor,» disse lei, con calma. «E poiché eri ancora febbricitante quand'è arrivata la notizia...» T'bor sbuffò, e gli occhi gli brillarono, come sei si godesse lo sbalordimento di F'nor. «Non che le preziose tabelle dei tempi di F'lar abbiano mai incluso il continente meridionale. A chi interessa quel che succede in questa parte del mondo?» E T'bor uscì a grandi passi dal Weyr. F'nor avrebbe voluto seguirlo, ma Brekke lo prese per il braccio. «No, F'nor, lascialo in pace. Ti prego.» Egli abbassò lo sguardo sul viso preoccupato di Brekke, vide la profonda angoscia di quegli occhi espressivi. Era così? Brekke era affezionata a T'bor? Era una vergogna che dovesse sprecare il suo affetto su un individuo così completamente asservito ad una femmina come Kylara. «E adesso abbi la cortesia di dirmi cos'è questa storia del cambiamento nella Caduta dei Fili. Sono ferito al braccio, non alla testa.» Senza dar segno di avere udito il suo rimprovero, Brekke gli riferì ciò che era avvenuto al Weyr di Benden quando i Fili erano discesi con parecchie ore d'anticipo sulle ampie foreste della Fortezza di Lemos. F'nor rimase turbato nell'apprendere che R'mart del Weyr di Telgar era stato gravemente ustionato. Non si meravigliò che T'kul del Weyr delle Terre Alte non si fosse preso il disturbo di informare i suoi contemporanei delle Cadute impreviste sul suo territorio. Ma dovette ammettere che si sarebbe
preoccupato, se l'avesse saputo. Era preoccupato anche adesso, ma sembrava che F'lar stesse risolvendo la situazione con la sua solita ingegnosità. Se non altro, gli Antichi si erano svegliati. C'erano voluti i Fili, per riuscire a tanto. «Non ho capito perché T'bor ha detto che a noi non importa quello che succede in questa parte del mondo...» Brekke gli posò la mano sul braccio, con fare supplichevole. «Non è facile vivere con Kylara, soprattutto quando ciò equivale ad un esilio.» «Questo non lo so!» F'nor aveva avuto le sue schermaglie con Kylara quando lei era ancora al Weyr di Benden, e come molti altri dragonieri, aveva provato un senso di sollievo quando lei era diventata Dama del Weyr Meridionale. Tuttavia, l'unico problema della convalescenza lì, in quel Weyr, era la sua vicinanza. Per la tranquillità di F'nor, l'interesse di Kylara per Meron di Nabol era una coincidenza fortunata. «Puoi vedere anche tu quante cose ha fatto T'bor al Weyr Meridionale, in questi pochi Giri, da quando è Comandante,» proseguì Brekke. F'nor annuì, sinceramente. «Ha completato l'esplorazione del continente meridionale?» Non ricordava che al Weyr di Benden fossero mai pervenuti rapporti in proposito. «Non credo. I deserti, a Occidente, sono terribili. Uno o due cavalieri si sono spinti da quella parte, per curiosità, ma i venti li hanno costretti a ritornare indietro. E ad Oriente c'è soltanto l'oceano. È probabile che si estenda fino dall'altra parte del deserto. Siamo in capo al mondo, lo sai» F'nor flette il braccio fasciato. «Ed ora ascoltami, Vicecomandante F'nor di Benden,» disse Brekke in tono brusco, interpretando nel senso giusto quel gesto. «Non sei in condizioni di precipitarti a prendere di nuovo servizio o di andare a esplorare. Non hai energie sufficienti e certamente non puoi andare in mezzo Il freddo intenso è la cosa peggiore, per una ferita guarita solo in parte. Perché credi che ti abbiano portato qui in volo continuo?» «Oh, Brekke, non sapevo che te ne importasse,» rispose F'nor, compiaciuto di quella reazione veemente. Lei gli lanciò un'occhiata così candida e penetrante che il sorriso di F'nor svanì. Come se si pentisse di quello sguardo troppo intimo, Brekke lo sospinse scherzosamente verso la porta. «Vai un po' fuori. Prendi il tuo povero drago solitario e vai a sdraiarti al sole, sulla spiaggia. Riposati. Non senti che Canth ti chiama?» Gli sgusciò accanto e uscì, e attraversò la radura, prima che F'nor si ren-
desse conto che lui non aveva udito Canth. «Brekke?» La ragazza si voltò, esitante, sul limitare del bosco «Puoi sentire gli altri draghi?» «Sì.» Brekke girò su se stessa e sparì. «Questa poi...» F'nor era sbalordito. «Perché non me l'avevi detto?» chiese a Canth mentre avviava a grandi passi verso la conca poco profonda dietro a Weyr e si fermava a guardare sdegnato il suo drago marrone. Non me l'hai mai chiesto, rispose Canth. Brekke mi è simpatica. «Sei impossibile,» esclamò F'nor, esasperato, e si voltò a guardare nella direzione in cui si era allontanata la ragazza. «Brekke?» Poi tornò a fissare Canth, disgustato della sua ottusità. I draghi, di regola, non chiamavano mai per nome una persona. Tendevano a proiettare una visione dell'individuo indicato con il pronome, raramente per nome. Il fatto che Canth, appartenente ad un altro Weyr, parlasse di Brekke con tanta familiarità, era una doppia sorpresa. Doveva proprio riferirlo a F'lar. Voglio fare il bagno. Canth sembrava così malinconico che F'nor rise sonoramente. «Vai pure a nuotare. Io starò a guardarti.» Dolcemente, Canth toccò la spalla illesa di F'nor. Sei quasi guarito. Bene. Presto potremo tornare al nostro Weyr. «Non dirmi che sapevi del cambiamento nella Caduta dei Fili.» Certamente, rispose Canth. «Ma... ma... mostro dal muso di wher, dal collo di wherry...» Qualche volta un drago sa cos'è meglio per il suo cavaliere. Tu devi stare bene per combattere i Fili. Io voglio nuotare. Ed era inutile continuare a discutere con Canth: F'nor lo sapeva. Si rendeva conto di venire manovrato, ma non aveva possibilità di ritorsione sul drago; perciò accantonò la faccenda. Ma quando fosse stato bene, e il suo braccio fosse completamente guarito... Sebbene dovessero volare in linea retta verso la spiaggia, un sistema lungo e noioso per chi era abituato a venire trasportato istantaneamente da un luogo all'altro, F'nor decise di spingersi piuttosto lontano, verso Occidente, lungo la costa, fino a quando trovò una caletta dalle acque profonde, adatta per il bagno del drago. Un'alta duna di sabbia, spinta probabilmente dalle mareggiate invernali, proteggeva la spiaggia da Sud. A grande distanza, violaceo sull'orizzonte, egli riusciva a malapena a distinguere il promontorio che contrassegnava il
Weyr Meridionale. Canth lo fece scendere un po' al di sopra della linea della battigia, sulla sabbia fine e pulita e poi, spiccando un balzo, si tuffò nell'acqua azzurrosplendente. F'nor rimase a guardare, divertito, mentre Canth diguazzava, come un pesce inverosimile, irrompendo dal mare, rovesciandosi appena al di sopra della superficie e poi immergendosi a grande profondità. Quando il drago ritenne di essersi bagnato abbastanza, uscì, sbattendo poderosamente le ali finché la brezza portò gli spruzzi sulla spiaggia, fino ad innaffiare F'nor, che ne protestò. Poi Canth si cosparse di sabbia così completamente che F'nor aveva una mezza idea di rimandarlo a sciacquarsi, ma il drago non volle saperne: la sabbia era calda e piacevole contro la sua pelle. F'nor non insistette e, quando il drago si decise finalmente ad accovacciarsi, si sdraiò in una comoda curva della coda. Ben presto il sole lo cullò in un'inerzia sonnolenta. F'nor. Il delicato richiamo di Canth penetrò attraverso il dormiveglia del cavaliere marrone. Non ti muovere. Questo bastò a disperdere ogni soddisfazione: ma il tono del drago era divertito, non allarmato. Apri un occhio, adagio, gli suggerì Canth. Risentito ma obbediente, F'nor aprì un occhio. E faticò a rimanere immobile. Lì, a ricambiare il suo sguardo, c'era un drago dorato, abbastanza piccolo da appollaiarsi sul suo avambraccio nudo. Gli occhi minuscoli, simili ad ammiccanti gemme di fuoco verde, lo scrutavano con guardinga curiosità. All'improvviso le ali in miniatura, non più grandi della mano aperta di F'nor, si dispiegarono in trasparenze auree, scintillando nella luce del sole. «Non andartene,» disse F'nor, usando istintivamente un bisbiglio mentale. Stava sognando? Non riusciva a credere ai suoi occhi. Le ali esitarono, il piccolissimo drago inclinò la testa. Non andartene, piccolina, aggiunse Canth, con eguale delicatezza. Noi siamo dello stesso sangue. La bestiola trasalì, con un'incredulità e un'indecisione che si comunicarono all'uomo e al drago. Le ali rimasero sollevate, ma la tensione che precedeva il volo si allentò. La curiosità si sostituì all'indecisione. L'incredulità si fece più forte. Il minuscolo drago camminò per tutta la lunghezza del braccio di F'nor per guardarlo fermamente negli occhi, sino a quando egli sentì i muscoli oculari dolergli per lo sforzo. Il dubbio e lo stupore giunsero a F'nor: e poi comprese il problema della
piccola creatura. «Io non sono del tuo sangue. Lo è il mostro sopra di noi,» comunicò dolcemente. «Tu sei del suo sangue.» La testolina si inclinò di nuovo. Gli occhi scintillarono attivamente, turbinando per la sorpresa e il dubbio. A Canth, F'nor comunicò che una prospettiva era impossibile per il piccolo drago, cento volte più piccolo di lui. Allora torna indietro, suggerì Canth. Piccola sorella, vai con l'uomo. Il minutissimo drago s'involò sulle ali frenetiche, librandosi mentre F'nor si alzava lentamente. L'uomo si allontanò parecchio dalla mole giacente di Canth, seguito dalla creatura. Quando F'nor si voltò e lentamente indicò il marrone, la creatura volò in cerchio diede un'occhiata e scomparve bruscamente. «Torna,» gridò F'nor. Forse stava davvero sognando. Canth rombò divertito. Ti piacerebbe vedere un uomo che fosse grande per te come io lo sono per lei? «Canth, ti rendi conto che quella era una lucertola di fuoco?» Certamente. «Avevo veramente una lucertola di fuoco sul braccio! Sai quante volte gli umani hanno cercato di catturare una di quelle creature?» F'nor s'interruppe, assaporando l'esperienza. Probabilmente era il primo uomo che si fosse mai avvicinato tanto ad una lucertola di fuoco. E la minuscola, elegante creatura aveva dimostrato emozione, aveva capito semplici istruzioni e poi... era andata in mezzo. Sì, è andata in mezzo, confermò Canth, impassibile. «Ma... grosso mucchio di sabbia, capisci cosa significa? Le leggende sono vere! Voi siete discesi da esseri piccoli come lei!» Io non me lo ricordo, rispose Canth: ma qualcosa, nel suo tono, disse a F'nor che il compiacimento draghesco dell'enorme bestia era un po' scosso. F'nor sogghignò e accarezzò affettuosamente il muso di Canth. «Come potresti ricordarlo, colosso? Persino noi uomini abbiamo perduto tanti ricordi, eppure possiamo registrare ciò che conosciamo.» Vi sono altri modi per ricordare le cose importanti, ribatté Canth. «Immagina, riuscire a trasformare le minuscole lucertole di fuoco in un essere grande come te!» F'nor era sgomento, poiché sapeva quanto tempo era occorso per riuscire a produrre cavalcature terrestri un po' più veloci. Canth rombò, irrequieto. Io sono utile. Lei no. «Scommettiamo che migliorerebbe rapidamente, con un po' d'aiuto.» La
prospettiva affascinava F'nor. «Ti piacerebbe?» Perché? L'uomo si appoggiò alla grande testa a cuneo, girando il braccio sotto la mandibola, fin dove riusciva ad arrivare: era estremamente fiero del suo drago. «No, sono stato stupido a rivolgerti quella domanda, non è vero, Canth?» Sì. «Chissà quanto tempo mi occorrerebbe per addestrarla.» A far cosa? «Niente che tu non sappia far meglio, naturalmente. No, aspetta un momento. Se, per esempio, potessi insegnarle a portare messaggi... Hai detto che è andata in mezzo? Chissà se è possibile insegnarle ad andare in mezzo da sola, e a tornare in dietro. Oh, ma ritornerà qui da noi, adesso?» A questo punto, l'entusiasmo di F'nor per i suoi progetti si scontrò con la dura realtà. Sta arrivando, disse Canth, sommessamente. «Dove?» Sopra la tua testa. Lentamente, molto lentamente, F'nor alzò un braccio e protese la mano, a palmo in giù. «Piccola bellezza, vieni dove possiamo ammirarti. Non vogliamo farti del male.» F'nor saturò il suo tono mentale con tutta la suasività rassicurante di cui era capace. Un barlume dorato guizzò al limitare della sua visuale. Poi la piccola lucertola si librò al livello dell'occhio dell'uomo, appena al di fuori della sua portata. Lui ignorò il commento di Canth, divertito all'idea che la piccolissima creatura fosse sensibile all'adulazione. Ha fame, disse il grande drago. Lentamente, F'nor frugò nella borsa e tirò fuori un involtino di carne. Ne staccò un pezzo, si chinò adagio per deporlo sulla roccia ai suoi piedi, poi arretrò. «Eccoti un po' di cibo, piccolina.» La lucertola rimase librata ancora qualche istante, poi scese sfrecciando e, afferrando la carne tra le minuscole zampette, sparì di nuovo. F'nor si accovacciò e attese. Dopo un secondo, il draghino ritornò: nei suoi pensieri delicati c'era, in primo piano, una fame terribile, insieme ad una supplica speranzosa. Men-
tre F'nor staccava un altro pezzetto di carne, si sforzò di dominare l'euforia. Se la fame poteva diventare un guinzaglio... Con pazienza, le diede altri pezzetti di carne, posandoli ogni volta più vicino a lui, fino a quando l'indusse a prendere l'ultimo boccone dalle sue dita. Quando la lucertola lo guardò inclinando la testa, non ancora sazia sebbene avesse mangiato abbastanza da soddisfare un uomo adulto, egli si azzardò ad accarezzarle un'arcata sopraccigliare, dolcemente, con la punta di un dito. Le palpebre interne dei minuscoli occhi opalescenti si chiusero una ad una, mentre la creatura si abbandonava a quella carezza. È appena uscita dall'uovo. Tu le hai impresso lo Schema, disse Canth, sommessamente. «Appena uscita dall'uovo?» È una piccola sorella del mio sangue, quindi deve essere nata da un uovo, rispose ragionevolmente. «Ce ne sono altre?» Certo. Sulla spiaggia. Adagio, per non disturbare la piccola lucertola, F'nor girò la testa. Era stato così assorto ad osservare quella che aveva a portata di mano, che non aveva neppure udito, tra il rumore della risacca, gli strilli pietosi che uscivano dalla distesa di corpi e di ali lucenti. Sembrava che ve ne fossero centinaia, sulla spiaggia, al disopra della linea della battigia, ad una ventina di lunghezze di drago di distanza. Non muoverti, l'ammonì Canth. La perderai. «Ma se stanno uscendo dalle uova... ed è possibile imprimere su di loro lo Schema... Canth, chiama il Weyr! Parla a Prideth. Parla a Wirenth. Di' loro che vengano. E che portino cibo. Di' che si affrettino. Presto, o sarà troppo tardi.» Fissò la chiazza violacea all'orizzonte che era il Weyr, come se fosse possibile anche a lui, in qualche modo, superare la distanza con i suoi pensieri. Ma l'agitazione frenetica sulla spiaggia stava attirando ben altre attenzioni. I wherry selvatici, i mangiatori di carogne di Pern, accorrevano istintivamente verso la spiaggia: le loro ali tracciavano una minacciosa linea di V nel cielo meridionale. L'avanguardia stava già salendo ad alta quota, preparando a scendere in picchiata su quegli esseri deboli e senza protezione. F'nor sentiva in ogni nervo l'impulso di accorrere a salvarli, ma Canth ripeté l'avvertimento: avrebbe messo a repentaglio il suo fragile rapporto con la piccola regina, se si fosse mosso: o se, pensò F'nor, le avesse comunicato la sua agitazione. Chiuse gli occhi. Non se la sentiva di guar-
dare. Il primo strido di dolore vibrò attraverso il suo corpo ed attraverso il corpo della piccola lucertola. Lei sfrecciò nelle pieghe della fascia che gli reggeva il braccio, gli si rannicchiò tremando contro le costole. Nonostante tutto, F'nor aprì gli occhi. Ma i wherry non erano ancora discesi, sebbene volassero in cerchio, sempre più in basso, con rapace velocità. I minuscoli draghi appena usciti dalle uova si attaccavano voracemente a vicenda. F'nor rabbrividì e la piccola regina squassò le ali, lanciando un grido delicato e flautato d'angoscia. «Con me sei al sicuro. Con me sei molto più al sicuro. Niente può farti male, se sei con me,» le ripeté F'nor, e Canth cantilenò altre assicurazioni. L'urlo stridulo dei wherry che stavano scendendo in picchiata si cambiò in un ululato penetrante di terrore. F'nor alzò lo sguardo, lontano dalla carneficina sulla spiaggia, e vide in cielo un drago verde che eruttava fiamme, disperdendo i predoni alati. Il verde restò librato nell'aria, ad una certa altezza, tendendo la testa verso il basso. Non aveva cavaliere. In quel momento, F'nor vide tre figure che scendevano a precipizio, sdrucciolando e slittando, dall'alta duna di sabbia, dirigendosi verso la massa multi-alata dei piccoli cannibali. Sebbene dessero l'impressione di precipitare là in mezzo, riuscirono a fermarsi in tempo. Brekke ha detto che ha avvertito tutti quelli che ha potuto, disse Canth. «Brekke? Perché hai chiamato lei? Ha già abbastanza da fare.» Lei è la migliore, ribatté il drago, ignorando la reprimenda dell'uomo. «Sono arrivati troppo tardi?» F'nor guardò ansiosamente il cielo e la duna, augurandosi che arrivassero altri umani. Brekke, adesso, stava avanzando verso i neonati che lottavano, e teneva le mani protese. Gli altri due seguirono il suo esempio. Chi aveva portato? Perché non aveva chiamato altri cavalieri? Loro avrebbero saputo come avvicinare le bestiole. Altri due draghi apparvero nel cielo, volarono in cerchio e atterrarono a velocità vertiginosa sulla spiaggia; i loro cavalieri si precipitarono a portare aiuto. Il verde, rimasto in volo, allontanava con le fiamme i wherry decisi a non demordere, e chiamava i suoi compagni, con grandi grida, perché l'aiutassero. Brekke ne ha uno. Anche la ragazza. Anche il ragazzo, ma la bestiola è ferita. Brekke dice che molti sono morti. Perché, si chiese all'improvviso F'nor, se aveva appena visto avverarsi la
leggenda delle lucertole di fuoco, soffriva per la loro morte? Senza dubbio quelle creature erano uscite dall'uovo su spiagge solitarie per molti secoli, erano state divorate dai wherry o dai loro simili, non viste e non piante. I forti sopravvivono, disse Canth, impassibile. Ne avevano salvate sette: due erano gravemente ferite. La ragazzina, Mirrim, figlia adottiva di Brekke, ne aveva tre: due verdi e una marrone, che aveva squarci profondi nel ventre morbido. Brekke aveva un bronzeo illeso, e il cavaliere del drago verde ne aveva anche lui uno bronzeo, gli altri due cavalieri ne avevano due azzurri, uno con un'ala lacerata che Brekke temeva non potesse guarire in modo da permettergli di volare. «Sette su cinquanta,» disse mestamente Brekke, dopo che si furono sbarazzati dei corpicini straziati con l'agenothree (1). Era una precauzione proposta da Brekke per frustrare i divoratori di carogne e per impedire che le altre lucertole di fuoco evitassero la spiaggia, considerandola pericolosa per la loro specie. «Mi chiedo quante ne sarebbero sopravvissute, se non ci avessi chiamato.» «La regina era già lontana dagli altri quando ci ha scoperti,» osservò F'nor. «Probabilmente è stata la prima ad uscire dall'uovo, oppure era sopra le altre.» Brekke aveva avuto la presenza di spirito di portare un cosciotto intero, a costo di far mangiare poco il Weyr, quella sera. Rimpinzarono le lucertole neonate fino a intontirle, in modo che fosse possibile trasportarle, senza che facessero resistenza, al Weyr o all'Infermeria di Brekke. «Tu torni a volo regolare,» disse la ragazza a F'nor, con il tono di una donna che si rivolge ad un bambino ribelle. «Sì, signora,» rispose F'nor, con burlesca umiltà, e poi sorrise perché Brekke lo prendeva tanto sul serio. La piccala regina stava annidata nella fasciatura del suo braccio, soddisfatta come se avesse trovato un Weyr tutto per lei. «Un Weyr è dove c'è un drago, comunque sia costruito,» mormorò tra sé F'nor, mentre Canth volava deciso verso Est. Quando arrivarono, capirono subito che la notizia aveva fatto fulmineamente il giro del Weyr. C'era un'atmosfera d'eccitazione tale da far temere a F'nor che le creaturine si spaventassero e volassero in mezzo. Nessun drago può volare a pancia piena, disse Canth. Neppure una lucertola di fuoco. E se ne andò nella sua conca riscaldata nel sole con sovrano disinteresse. «Non pensi che sia geloso, vero?» chiese F'nor a Brekke, quando la tro-
vò nell'Infermeria, intenta a steccare l'ala ferita del piccolissimo drago azzurro. «Anche Wirenth se n'è interessata, fino a che le lucertole si sono addormentate,» gli disse Brekke, con un lampo negli occhi verdi. «E sai quant'è suscettibile in questo periodo. Misericordia, F'nor, che motivo ha un drago di essere geloso? Questi sono ninnoli, bambole, dal punto di vista di quei colossi. Nella migliore delle ipotesi, bambini da proteggere e da educare come un qualunque figlio adottivo.» F'nor lanciò un'occhiata a Mirrim, la figlia adottiva di Brekke. Le due lucertole verdi dormivano appollaiate sulle sue spalle. Il marrone ferito, avvolto nelle bende dal collo alla coda, le stava sulle ginocchia. Mirrim era seduta con la rigidità di chi non osa muovere un muscolo. E sorrideva d'una gioia incredula. «Mirrim è molto giovane, per questo,» disse F'nor, scuotendo il capo. «Al contrario, ha l'età di quasi tutti i cadetti al momento della Schiusa. E in un certo senso, è più matura di una dozzina di donne di mia conoscenza, che hanno parecchi figli propri.» «Oh-oh. La femmina della specie che si leva in coraggiosa difesa di...» «Non c'è da scherzare, F'nor,» rispose Brekke, in un tono tagliente che gli ricordò Lessa. «Mirrim andrà benissimo. Si prende a cuore le sue responsabilità.» L'occhiata che Brekke lanciò alla figlia adottiva era insieme ansiosa e tenera. «Comunque, insisto a dire che è giovane...» «L'età è un requisito necessario per un animo affettuoso? La maturità porta sempre con sé la compassione? Perché certi ragazzi nati e cresciuti nel Weyr vengono lasciati soli sulla sabbia ed altri, che si riteneva non avessero alcuna possibilità, se ne vanno con i bronzei? Mirrim ne ha tre, e ognuno di noi, per quanto ci siamo sforzati, con quelle creature che morivano ai nostri piedi, siamo riusciti ad attaccarcene solo una per ciascuno.» «E perché non vengo mai informata di quello che succede nel mio Weyr?» domandò Kylara a voce alta. Era ferma sulla soglia dell'Infermeria, il volto soffuso d'un rossore di collera, gli occhi duri e lucenti. «Sarei venuta a dirtelo appena finito di steccare quest'ala,» rispose calma Brekke, ma F'nor la vide irrigidire le spalle. Kylara avanzò verso la ragazza con un'aria così minacciosa che F'nor girò intorno a Brekke, chiedendosi nel contempo se la donna era armata soltanto di furore. «È accaduto tutto molto in fretta, Kylara,» disse, sorridendole gentil-
mente. «Siamo stati fortunati a salvare tante lucertole. Peccato che tu non abbia udito Canth, quando ha trasmesso la notizia. Avresti potuto anche tu imprimere lo Schema ad una di esse.» Kylara si fermò, e l'ampia gonna le ondeggiò intorno ai piedi. Lo guardò sdegnata, tirandosi la manica, ma non prima che egli avesse scorto il livido nero sul braccio. Poiché non poteva aggredire Brekke, si girò e scorse Mirrim. Si avviò verso di lei, guardandola in modo tale che la ragazzina lanciò uno sguardo di supplica a Brekke. A questo punto, la tensione che regnava nella stanza svegliò le lucertole. Le due verdi soffiarono contro Kylara, ma fu lo squillo cristallino del bronzeo appollaiato sulla spalla di G'sel ad attirare l'attenzione della Dama del Weyr. «Prenderò il bronzeo! Certo. Il bronzeo andrà benissimo,» esclamò. C'era qualcosa di così ripugnante nel luccichio dei suoi occhi e nella risata maligna che F'nor si sentì rizzare i capelli sulla nuca. «Un drago bronzeo sulla mia spalla farà un grande effetto, credo,» proseguì Kylara, cercando di prendere la lucertola di G'sel. G'sel tese la mano in atto d'avvertimento. «Ti ho detto che hanno ricevuto lo Schema, Kylara,» le ricordò F'nor facendo segno al cavaliere di rifiutare. G'sel era solo un dragoniere verde, ed era arrivato da poco a quel Weyr. Non era in grado di tener testa a Kylara, soprattutto quando lei era di quell'umore. «Toccalo a tuo rischio e pericolo.» «Lo Schema, hai detto?» Kylara esitò, volgendosi per lanciare una smorfia sarcastica a F'nor. «Ma se non sono altro che lucertole di fuoco.» «E da quale animale di Pern credi che siano discesi i draghi?» «È una vecchia favola per bambini. Come si può trasformare una lucertola di fuoco in un drago da combattimento?» Cercò nuovamente di prendere il piccolo bronzeo, e quello spiegò le ali, battendole agitato. «Se ti morde, non dare la colpa a G'sel,» le disse F'nor, con gentilezza, sebbene stentasse a tenere i nervi a posto. Era un peccato non poter picchiare impunemente una Dama del Weyr. Il suo drago non l'avrebbe permesso, ma Kylara aveva un bisogno terribile d'una buona lezione. «Non puoi essere sicuro che siano tanto simili ai draghi,» protestò Kylara, lanciando occhiate sospettose agli altri. «Nessuno ne aveva mai catturate, e voi le avete appena trovate.» «Non siamo certi di niente, sul loro conto,» rispose F'nor, che cominciava a divertirsi. Era un piacere, vedere Kylara frustrata da una lucertola. «Comunque, nota le somiglianze. La mia piccola regina...»
«Tu? Hai impresso lo Schema a una regina?» Il volto di Kylara divenne livido, mentre F'nor scostava distrattamente una piega della benda per scoprire la lucertola d'oro addormentata. «È andata in mezzo quando si è spaventata. Ha comunicato la sua paura, più la curiosità, ed evidentemente ha ricevuto le nostre assicurazioni. Almeno, è ritornata. Canth ha detto che era appena uscita dall'uovo. Le ho dato da mangiare, ed è ancora con me. Siamo riusciti a salvare solo queste sette perché hanno ricevuto lo Schema. Le altre sono diventate cannibali. Ora, non sappiamo per quanto tempo continueranno a dipendere da noi per il cibo e la compagnia. Ma i draghi ammettono l'esistenza d'una parentela, e quelli hanno i loro modi per saperlo.» «E come avete fatto?» domandò Kylara: le sue intenzioni erano trasparenti. «Nessuno ne aveva mai catturata una, prima.» Se in quel modo l'avesse indotta a uscire dal Weyr ed a lasciare in pace Brekke per mettersi in agguato sulle spiagge sabbiose, F'nor era dispostissimo a dirglielo. «Bisogna essere presenti quando escono dall'uovo, esattamente come con i draghi. Poi, immagino che quelle che sopravvivono rimangano selvatiche. E se nessuno era mai riuscito a catturarle, la ragione è semplice: le lucertole di fuoco sentivano arrivare gli umani, e sparivano in mezzo.» E, mia cara, possa esistere una notte calda in mezzo, prima che tu ne prenda una. Kyala fissò duramente Mirrim, e poi G'sel con tanto risentimento che il giovane cavaliere cominciò ad agitarsi, ed il piccolo bronzeo fece frusciare le ali, nervosamente. «Bene, sia chiaro che in questo Weyr si lavora. Non abbiamo tempo da perdere con animaletti che non servono a niente. Tratterò con molta severità coloro che si sottrarranno ai loro doveri o...» S'interruppe. «Niente passeggiate sulle spiagge fino a che tu non avrai avuto la possibilità di procurartene una, eh, Kylara?» chiese F'nor, con lo stesso sorriso ironicamente cortese. «Ho di meglio da fare,» sibilò lei e poi, scostandosi la gonna sul davanti con un calcio, uscì a precipizio dalla stanza. «Forse dovremmo mettere in guardia le lucertole,» disse F'nor in tono faceto, cercando di allentare l'atmosfera di tensione dell'Infermeria. «È impossibile proteggersi da una come Kylara,» disse Brekke, accennando al cavaliere di riprendersi la lucertola azzurra orma fasciata. «Bisogna imparare a sopportarla.»
G'sel lanciò uno strano borbottio soffocato e si alzò: per poco non fece cadere la lucertola. «Come puoi dire una cosa simile, Brekke, quando lei è così meschina e carogna con te?» gridò Mirrim, e si acquietò solo all'occhiata severa della madre adottiva. «Non trinciare giudizi, se non sei capace di pietà,» rispose Brekke. «E anch'io non ammetterò che qualcuno si sottragga ai suo doveri per curare questi graziosi esseri. Non so perché li abbiamo salvati!» «Non tranciare giudizi, se non sei capace di pietà,» rintuzzo F'nor. «Loro avevano bisogno di noi,» disse Mirrim, in tono così enfatico di stupirsi lei stessa della sua temerarietà: e subito la lucertola marrone assorbì la sua attenzione. «Sì, avevano bisogno di noi,» riconobbe F'nor: sentiva il corpicino dorato della piccola regina annidato fiduciosamente contro le sue costole: lei aveva allungato al massimo la coda per attorcigliargliela intorno alla vita. «E tutti noi, da veri uomini del Weyr, siamo accorsi alla loro invocazione d'aiuto.» «Mirrim ne ha tre, e non è un uomo del Weyr,» lo corresse Brekke, in tono asciutto, didascalico. «E se possono ricevere lo Schema anche da coloro che non sono dragonieri, potrebbe valere la pena di fare di tutto per salvarle.» «Perché?» Brekke aggrottò leggermente la fronte, guardando F'nor, come se si stupisse di quell'ottusità. «Bada ai fatti, F'nor. Non credo esista al mondo un solo individuo comune che non abbia sognato di catturare una lucertola di fuoco, solo perché sembrano piccoli draghi... no, non m'interrompere. Sai benissimo che solo in questi ultimi otto Giri la gente comune è stata ammessa sul Terreno della Schiusa. Ricordo i miei fratelli che passavano le notti a fare progetti per catturare una lucertola di fuoco, un loro drago personale. Non credo che nessuno abbia mai veramente pensato che vi fosse un fondo di verità nel vecchio mito, secondo il quale i draghi, i draghi dei Weyr, discendono dalle lucertole. Il fatto era che le lucertole di fuoco non erano vietate alla gente comune, e i draghi sì. Al di fuori della nostra portata.» I suoi occhi si addolcirono d'affetto, mentre accarezzava il minuscolo bronzeo, addormentato sul suo braccio. «È strano pensare che intere generazioni di gente comune erano sulla pista buona e non lo sapevano. Questi esseri hanno, come i draghi, la capacità di captare i nostri sentimenti. Non avrei dovuto
assumermi un'altra responsabilità, ma niente al mondo potrebbe indurmi ad abbandonare il mio bronzeo, adesso che è diventato mio.» Schiuse le labbra in un sorriso tenerissimo. Poi, quasi rendendosi conto di rivelare un po' troppo i suoi sentimenti, disse in tono vivace: «Sarebbe una gran bella cosa per la gente comune... provare il gusto dei draghi.» «Brekke, non penserai che l'affettuosa compagnia di una lucertola di fuoco riuscirebbe ad addolcire tipi come Vincent di Nerat o Meron di Nabol verso noi dragonieri?» F'nor non rise soltanto perché la rispettava troppo. Brekke aveva spesso reazioni imprevedibili. Lei gli lanciò un'occhiata così severa che F'nor cominciò a pentirsi delle proprie parole. «Ti chiedo perdono, F'nor,» intervenne G'sel. «Ma penso che Brekke abbia avuto un'ottima idea. Anch'io sono nato e cresciuto in una Fortezza. Tu, invece, sei cresciuto in un Weyr. Non puoi immaginare quel che pensavo e provavo nei confronti dei cavalieri. Non lo sapevo neppure io, sinceramente... fino a quando ho impresso lo Schema a Roth.» Il suo volto s'illuminò d'una gioia sorprendente, a quel ricordo. Fece una pausa, per riassaporare quel momento. «Varrebbe la pena di tentare. Anche se le lucertole di fuoco sono stupide, sarebbe egualmente importante. Loro, gli individui comuni, non potrebbero capire che con un drago è molto diverso. Senti, F'nor, guarda questo esserino incantevole, appollaiato sulla mia spalla e intento ad adorarmi. Era pronto a mordere la Dama del Weyr, per restare con me. Tu hai sentito come si era infuriato. Tu non sai quale sensazione... spettacolare farebbe provare a un individuo comune.» F'nor si guardò intorno, scrutò Brekke, Mirrim, che questa volta non eluse i suoi occhi, gli altri cavalieri. «Siete tutti nati e cresciuti nelle Fortezze? Non me n'ero accorto. In un certo senso, quando uno diventa dragoniere, dimentica che ha avuto un'altra affiliazione.» «Io sono nata e cresciuta in un'Arte,» disse Brekke. «Ma ciò che ha detto G'sel vale tanto per le Arti quanto per le Fortezze.» «Forse dovremmo indurre T'bor a sentenziare che badare alle lucertole di fuoco è diventato un dovere del Weyr,» propose F'nor, rivolgendo a Brekke un sorriso d'intesa. «Così Kylara imparerebbe,» mormorò Mirrim con un filo di voce. (1) Cioè HNO2: la formula dell'acido nitrico. Cfr. ANNE MCCAFFREY, Volo di Drago, Fanucci, Roma 1975, pag. 231 (Orizzonti VIII/1
(N.d.C). V Metà mattina alla Fortezza di Ruatha. Prima sera al Weyr di Benden. La gioia che Jaxom provava nel cavalcare un drago, dato che era stato convocato al Weyr di Benden, era seriamente sminuita dalla disapprovazione del suo tutore. Jaxom doveva ancora scoprire che in genere l'irritazione del Nobile Reggente Lytol non era dovuta semplicemente all'abitudine del suo pupillo di sperdersi nei corridoi abbandonati e pericolosi della Fortezza di Ruatha. Al momento, Jaxom era molto depresso. Non voleva irritare Lytol, ma sembrava che non riuscisse mai ad accontentarlo, per quanto si sforzasse. C'erano tante cose che lui, Jaxom, Signore di Ruatha, doveva sapere, doveva fare, doveva capire... e allora la testa gli girava, e provava l'impulso irresistibile di fuggire via, di restare solo con se stesso, per pensare. E gli unici posti solitari per pensare, a Ruatha, dove non andava mai nessuno e dove nessuno l'avrebbe disturbato, erano i settori più interni del grande precipizio traforato che era la Fortezza. E anche se esisteva la vaga possibilità che lui si perdesse o restasse intrappolato da una frana (ma non c'erano state frane a Ruatha, a memoria d'uomo, e le Cronache della Fortezza, fin dove erano leggibili, non accennavano a episodi del genere), Jaxom non tra mai incorso in pericoli. Lui sapeva benissimo come muoversi. Chi poteva sapere? Forse le sue esplorazioni avrebbero un giorno salvato Ruatha da un altro invasore come già avvenne con Fax, suo padre. A questo punto, i pensieri di Jaxom vacillarono. Un padre che non aveva mai visto, una madre morta nel darlo alla luce, l'avevano fatto Signore di Ruatha, anche se sua madre era stata di Crom e Fax, suo padre, era stato Signore delle Terre Alte. Era Lessa, attualmente Dama del Weyr di Benden, l'ultima del Sangue di Ruatha. Quelle erano contraddizioni che non riusciva comprendere, e che doveva comprendere. Jaxom si era cambiato d'abito: si era tolto gli indumenti sporchi di tutti i giorni per indossare la tunica ed i calzoni più belli, una sopravveste di pelle di wher e stivali che arrivavano al ginocchio. Non che bastassero ad arrestare il freddo orribile che regnava in mezzo. Jaxom fu scosso da un brivido di terrore delizioso. Era come stare sospesi nel nulla, fino a quando la gola si serrava e le viscere si aggrovigliavano, e ti prendeva la paura
folle di non rivedere mai più la luce del giorno, o l'oscurità della notte... a seconda dell'ora locale in cui dovevi riemergere. Era molto geloso di Felessan, sebbene non fosse affatto sicuro che il suo amico sarebbe diventato dragoniere. Ma Felessan viveva nel Weyr di Benden, e aveva una madre e un padre, e aveva intorno i cavalieri dei draghi e... «Nobile Jaxom!» la voce di Lytol, che veniva dalla Grande Corte, spezzò le fantasticherie del ragazzetto: si mise a correre, temendo che partissero senza di lui. Era solo un drago verde, pensò un po' deluso Jaxom. Sarebbe stato più logico inviare almeno un marrone per Lytol, Reggente della Fortezza di Ruatha, ed un tempo dragoniere. Poi Jaxom si pentì di quel pensiero. Il drago di Lytol era stato un marrone: e si sapeva benissimo che un uomo perdeva metà della sua anima, quando il suo drago moriva mentre lui restava tra i vivi. Il cavaliere del drago verde salutò sorridendo, quando Jaxom si arrampicò sulla zampa protesa. «Buongiorno, Jeralte,» disse il ragazzo, un po' stupito, perché solo due Giri prima aveva giocato nelle Caverne Inferiori insieme con quel giovane, che adesso era un cavaliere a pieno diritto. «J'ralt, ti prego, Nobile Jaxom,» fece Lytol, correggendo il suo pupillo. «Non importa, Jaxom,» disse J'ralt, allacciando destramente la cinghia intorno alla vita del ragazzo. Jaxom avrebbe voluto sprofondare: venire corretto da Lytol al cospetto di Jer... J'ralt, e non ricordare di usare la contrazione onorifica! Non riuscì a godersi l'emozione di ascendere, a dorso di drago, sopra le grandi torri della Fortezza di Ruatha, di osservare la valle, spiegata come un arazzo sotto il collo sinuoso del verde. Ma, mentre volavano in cerchio, Jaxom dovette tenersi in equilibrio sull'epidermide morbida del drago, ed il calore di quel contatto parve attenuare la sua tristezza. Poi vide la schiera di sarchiatori al lavoro nei campi e comprese che stavano alzando la testa per guardare il drago. Quei ragazzi così svegli sapevano che lui, Jaxom, Signore di Ruatha, era lassù, sul dorso della grande bestia? Jaxom si sentì di nuovo se stesso. Essere dragoniere, senza dubbio, era la cosa più straordinaria del mondo. Jaxom provò una profonda pietà per Lytol, che aveva avuto quella felicità... e l'aveva perduta, ed ora doveva soffrire atrocemente, nel volare sul drago di un altro. Jaxom guardò la schiena irrigidita del suo tutore, poiché lui si trovava in mezzo ai due uomini, e provò il desiderio di consolare
Lytol. Era un uomo giusto, e se pretendeva che Jaxom fosse perfetto, era perché doveva diventare perfetto, per essere il Signore di Ruatha. E quello non era un onore da poco, anche se non quanto essere un dragoniere. Le riflessioni di Jaxom si interruppero bruscamente, quando il drago li portò in mezzo. Conta lentamente fino a tre, disse Jaxom alla propria mente frenetica, mentre perdeva il senso della vista e dell'udito, persino del contatto della morbida pelle del drago sotto le mani. Tentò di contare, e non vi riuscì. La sua mente parve agghiacciarsi, ma proprio quando egli stava per urlare, irruppero nel tardo pomeriggio, sopra il Weyr di Benden. La Conca non gli era mai apparsa tanto bella, con le alte pareti addolcite e colorate dal sole lambente. Le fauci nere dei singoli Weyr, che si aprivano sulla facciata della muraglia interna, erano come bocche mute che lo salutavano, stupite. Mentre planavano in cerchio, Jaxom scorse il bronzeo Mnementh, sicuramente il più grande dei draghi mai esistiti, che oziava sul cornicione del Weyr della sua regina. Lei doveva essere al Terreno della Schiusa, pensò Jaxom, perché le uova si stavano ancora indurendo sulle sabbie calde. Presto vi sarebbe stata una nuova Schiusa. E in quella covata c'era un aureo uovo di regina. Jaxom aveva saputo che un'altra fanciulla ruathana era stata prescelta nel corso della Cerca. Un'altra Dama del Weyr d'origine ruathana, lui ne era certo. La sua Fortezza aveva dato il numero più alto di Dame dei Weyr... Mardra, naturalmente, non era importante come Lessa o Moreta, ma anche lei proveniva da Ruatha. Aveva certe idee strane sulla Fortezza, e irritava sempre Lytol. Jaxom lo capisca dal tic nervoso che compariva sulla guancia del suo tutore. Quel tic non c'era, quando veniva in visita Lessa: ma da un po' di tempo Lessa aveva smesso di recarsi alla Fortezza di Ruatha. Il giovane Signore scorse Lessa, mentre il drago descriveva un altro cerchio per dirigersi verso il Weyr della regina. Era sul cornicione, insieme a F'lar. Il drago verde chiamò, e gli rispose il profondo ruggito di Mnementh. Nel Weyr riverberò un grido smorzato. Ramoth, la regina, si era accorta del loro arrivo. Jaxom si sentì molto meglio, soprattutto quando scorse una figuretta che attraversava correndo la Conca, dirigendosi verso la scala che portava al Weyr della regina. Felessan, il suo amico. Non lo vedeva da mesi. Jaxom non avrebbe voluto che il volo avesse termine, ma non vedeva l'ora d'incontrarsi di nuovo con Felessan. Jaxom si sentì addosso gli sguardi critici di Lytol, mentre rendeva o-
maggio alla Dama e al Comandante del Weyr. Aveva provato e riprovato le parole e gli inchini. Avrebbe dovuto conoscerli perfettamente a memoria, ma sentì che stava balbettando le parole tradizionali, ed ebbe l'impressione di fare la figura dello sciocco. «Sei arrivato, sei arrivato. L'avevo detto a Gandidan che saresti venuto,» gridò Felessan, precipitandosi su per i gradini, due alla volta. Investì Jaxom, e per poco non lo fece cadere. Felessan aveva tre Giri meno di lui, e anche se Lessa e F'lar avevano affidato il figlio ad una madre adottiva, quel bambino avrebbe dovuto essere un po' più educato. Forse Mardra non aveva tutti i torti, quando criticava. I nuovi Weyr non conoscevano le buone maniere. In quell'istante, come se intuisse la disapprovazione dell'amico, Felessan si ricompose e, tra grandi sorrisi, s'inchinò con encomiabile buona grazia a Lytol. «Buon pomeriggio a te, Nobile Reggente Lytol. E grazie per aver portato il Nobile Jaxom. Possiamo andare?» Prima che uno degli adulti avesse tempo di rispondere, Felessan aveva preso Jaxom per mano e lo stava conducendo giù per la scala. «Non combinare guai, Nobile Jaxom,» gridò Lytol. «Qui non possono combinarne molti,» fece Lessa, ridendo. «Ho dovuto far frugare tutta la Fortezza da cima a fondo, questa mattina, per scovarlo nelle viscere della montagna, dove una frana avrebbe potuto...» Ma che bisogno aveva, Lytol, di raccontarlo a Lessa? Jaxom gemette tra sé, in un fuggevole rigurgito di malcontento. «Hai trovato niente?» gli domandò Felessan, non appena furono fuori portata dall'udito degli adulti. «Se ho trovato niente?» «Sì, nelle viscere della Fortezza.» Felessan spalancò gli occhi e la sua voce assunse le stesse inflessioni di Lytol. Jaxom sferrò un calcio a un sasso, soddisfatto della traiettoria e della distanza che percorse in volo. «Oh, solo stanze vuote, piene di polvere e di ciarpame. Una vecchia galleria che portava a un antico sotterraneo franato. Niente di straordinario.» «Andiamo, Jax.» Il tono d'intesa di Felessan indusse Jaxom a scrutarlo attentamente. «Dove?» «Vedrai.»
Il ragazzo del Weyr condusse Jaxom nella Caverna Inferiore, la sala principale dal tetto a volta, dove gli abitanti del Weyr si ritrovavano per i pasti serali e per trascorrere qualche ora insieme. Nell'aria c'era l'aroma del pane caldo e della carne quasi cotta. I preparativi per la cena erano a buon punto: le tavole erano apparecchiate e le donne e le ragazze erano indaffarate e chiacchieravano amabilmente. Passando davanti a un tavolo di servizio, Felessan arraffò una manciata di radici crude. «Così ti guasterai l'appetito per la cena, cucciolo di wher che non sei altro,» gridò una delle donne, agitando il mestolo in direzione dei due. «E buongiorno a te, Nobile Jaxom,» aggiunse. Il comportamento della gente del Weyr nei suoi confronti e nei confronti di Felessan non finiva mai di stupire Jaxom. Felessan era importante quanto un Signore, ma non veniva sorvegliato continuamente, come se corresse il rischio di rompersi. «Tu sì che sei fortunato,» sospirò Jaxom, mentre accettava la sua parte del bottino di Felessan. «Perché?» chiese il ragazzino, stupito. «Perché... perché sei fortunato, ecco.» Felessan scrollò le spalle, masticando compiaciuto la radice dolce. Condusse Jaxom fuori dalla Caverna Principale, in quella interna, che in realtà non era molto più piccola, sebbene avesse la volta più bassa. Un ampio cornicione munito di parapetto girava intorno alla Grotta ad una mezza altezza di drago, e portava alle stanze da letto. Il pavimento era riservato ad altre attività domestiche. Non c'era nessuno ai telai in quel momento, naturalmente, poiché si stava preparando la cena, e nessuno stava facendo il bagno nella grande piscina in un angolo della Caverna: ma un gruppo di ragazzetti dell'età di Felessan era raccolto in cerchio a giocare da una parte. Uno di loro fece un'osservazione a voce alta, per farsi sentire: ma fortunatamente venne sommersa nelle doverose sghignazzate dei suoi compagni. «Andiamo, Jaxom, prima che uno di questi bambini piccoli si metta in testa di seguirci,» disse Felessan. «Dove andiamo?» Felessan lo zittì con fare perentorio, volgendo rapidamente il capo per vedere se gli altri li spiavano. Camminavano molto in fretta, costringendo Jaxom ad allungare il passo. «Ehi, non voglio mettermi nei guai anche qui, disse, quando si accorse che si stavano addentrando in altre grotte. Secondo i principi di Jaxom, una
cosa era darsi alle avventure nella propria Fortezza, un'altra era violare la sacralità di quella di un altro, e soprattutto di un Weyr! Era quasi una bestemmia, o almeno così gli aveva insegnato il suo tutore ex dragoniere. E anche se era capace di affrontare l'indignazione di Lytol, mai e poi mai avrebbe voluto fare arrabbiare Lessa o - la sua mente bisbigliò appena quel nome - F'lar! «Guai? Non ci scopriranno. Sono tutti troppo occupati per via del pranzo. Avrei dovuto dare una mano anch'io, se non fossi arrivato tu.» Felessan sorrise soddisfatto. «Vieni!» Erano arrivati ad una biforcazione della galleria: un corridoio portava a sinistra, nelle viscere del Weyr, l'altro piegava a destra. Quest'ultimo era scarsamente illuminato, e Jaxom esitò. Non sì sprecava l'illuminazione per i corridoi abbandonati. «Cosa c'è?» chiese Felessan, guardando con un lieve cipiglio l'ospite riluttante. «Non avrai mica paura, vero?» «Paura?» Jaxom si affrettò a porsi a fianco dell'amico. «Non è questione di paura.» «Allora vieni. E non far rumore.» «Perché?» Jaxom aveva già abbassato la voce. «Vedrai. Ma adesso stai zitto, eh? E prendi questo.» Da un nascondiglio, Felessan prese un canestro con un lume fioco e lo consegnò a Jaxom, poi ne prese uno per sé. Se anche Jaxom provava l'impulso di fare obiezioni, si sentì bloccato dall'espressione di sfida dell'altro. Si girò, alteramente, e si avviò per il corridoio semibuio. Si sentì un po' rassicurato dalle impronte che si scorgevano sulla polvere del pavimento: andavano tutte nella stessa direzione. Ma quella galleria non era frequentata dagli adulti. Tutte le impronte erano piuttosto piccole, e non c'erano orme lasciate da stivali. Dove portava? Passarono davanti a porte chiuse e sbarrate, non più usate da molto tempo, spaventose nella luce incerta delle lampade. Perché Felessan non ne aveva rubata qualche altra, dacché c'era? Quelle non sarebbero durate per molto. Jaxom avrebbe desiderato sapere fin dove si sarebbero spinti. Non l'entusiasmava una camminata per gallerie e corridoi pericolosi, senza un'illuminazione adeguata che aiutasse la vista e lasciasse meno spazio all'immaginazione. Ma non poteva fare domande. Cosa poteva esserci lì, nelle viscere del Weyr? Un enorme rettangolo d'un nero assoluto si spalancò alla sua sinistra: Jaxom inghiottì il proprio terrore, mentre Felessan passava oltre, deciso, rivelando con la luce fioca della sua lampada che si trat-
tava semplicemente di un altro corridoio deserto. «Allunga il passo,» ordinò brusco Felessan. «Perché?» Jaxom fu soddisfatto del proprio tono fermo e disinvolto. «Perché lei va sempre al lago, più o meno a quest'ora, ed è l'unico momento di cui puoi approfittare.» «Approfittare per far cosa? E chi è lei?» «Ramoth, stupido.» Felessan si fermò così bruscamente che Jaxom l'urtò; la lampada che aveva in mano minacciò di spegnersi. «Ramoth?» «Sicuro. O hai paura di dare un'occhiata di nascosto alle sue uova?» «Alle sue uova? Davvero?» Il terrore di Jaxom lottava con un'insaziabile curiosità e con la certezza che questo l'avrebbe posto molto al di sopra degli altri ragazzi della Fortezza. «Davvero! Vieni, su!» Gli altri corridoi che superarono non nascondevano più minacce sconosciute, per Jaxom, dato che quella spedizione nelle tenebre aveva un simile scopo. E sembrava che Felessan sapesse bene dove andava. Il loro passaggio sollevava polvere che offuscava ancora più la luce: ma avanti c'era un barlume luminoso. «È là che stiamo andando.» «Tu ha mai assistito ad una Schiusa, Felessan?» «Sicuro. Siamo stati in parecchi, a vedere l'ultima e... oooh! è stato un momento terrificante. Meraviglioso. Prima le uova oscillavano avanti e indietro, capisci, e poi sono comparse le crepe. A zigzag, dall'alto in basso.» Felessan mimò, emozionato, agitando il canestro con il lume. «Poi, all'improvviso,» e abbassò la voce in un bisbiglio drammatico «si è aperta una spaccatura enorme... ed è uscita la testa. Sai di che colore era il primo?» «Non lo si capisce dal colore del guscio?» «No, soltanto per l'uovo di regina. Quello è più grande e sembra che scintilli. Vedrai.» Jaxom deglutì turbato: ma niente avrebbe potuto trattenerlo, ormai. Nessuno dei ragazzi della Fortezza, e neppure gli altri giovani figli dei Signori avevano mai visto le uova o una Schiusa. Forse lui avrebbe potuto mentire un po'... «Ehi, non pestarmi i piedi,» ordinò Felessan. Il barlume di luce, più avanti, si allargò, trasformandosi in un rassicurante rettangolo. Quando si avvicinarono e le loro lampade aggiunsero il loro
chiarore a quello della luce esterna, Jaxom riuscì a distinguere l'estremità del corridoio, al di là della spaccatura. L'ammasso disordinato di rocce attestava un'antica frana. Ma di lì potevano spiare le uova screziate che stavano maturando sulle sabbie riscaldate dai vapori. Di tanto in tanto un uovo oscillava lievemente. Jaxom guardava affascinato. «Dov'è l'uovo di regina?» chiese sottovoce, con reverenza. «Non c'è bisogno di bisbigliare. Vedi? Il Terreno è deserto. Ramoth è andata ai lago.» «Dov'è l'uovo di regina?» ripeté Jaxom, e s'irritò nel sentire la propria voce spezzarsi. «È da quella parte, un po' nascosto.» Jaxom allungò il collo, cercando di scorgere l'uovo dorato. «Davvero vuoi vederlo?» «Sicuro. Talina è stata condotta qui dalla mia Fortezza, durante l'ultima Cerca, e diventerà Dama di un Weyr. Le ragazze di Ruatha diventano sempre Dame dei Weyr.» Felessan gli lanciò una lunga occhiata, poi scrollò le spalle. Si girò e s'infilò di traverso nella spaccatura, passando oltre le pietre cadute. «Vieni,» disse all'amico, con un rauco sussurro. Jaxom socchiuse gli occhi, dubbioso. Era più alto e più pesante di Felessan. Si girò di fianco verso la spaccatura della roccia, e trasse un respiro profondo. La gamba e il braccio sinistro passarono agevolmente, ma le grosse pietre gli bloccavano il petto. Felessan l'afferrò per il braccio e tirò. Jaxom represse virilmente un gemito, quando la roccia gli graffiò a fondo il ginocchio e il torace. «Per le Uova, scusami, Jaxom.» «Non ti avevo detto di tirare!» Poi, vedendo l'espressione contrita dell'amico, aggiunse: «Non è niente, mi pare.» Felessan si alzò l'orlo della tunica, per asciugare il petto insanguinato del giovanissimo Signore. Le rocce avevano strappato il tessuto. Jaxom respinse la mano dell'amico. La ferita bruciava già abbastanza. Poi vide il grande uovo dorato, un po' isolato dal gruppo delle uova screziate. «È... è... così lucente,» mormorò, deglutendo per il timore e la reverenza. Aveva l'impressione di commettere un sacrilegio. Solo coloro che erano nati e cresciuti nel Weyr avevano il diritto di vedere le Uova. Felessan stava scrutando l'uovo dorato con aria critica. «Ed è molto grosso, anche. Più dell'ultimo uovo di regina deposto al Weyr di Fort. La loro razza sta declinando sensibilmente,» osservò, con
distacco. «No, a sentire quello che dice Mardra. Secondo lei, è la razza di Benden che peggiora: i draghi sono troppo grossi per manovrare nel modo più confacente.» «N'ton dice che Mardra è insopportabile, per il modo in cui tratta T'ron.» A Jaxom non piaceva la piega assunta dalla conversazione. Dopotutto, la Fortezza di Ruatha era vincolata al Weyr di Fort, e anche se lui non aveva molta simpatia per Mardra, non avrebbe dovuto dare ascolto a quelle chiacchiere. «Beh, quello là, per esempio, non è poi tanto grosso. Sembra un uovo di wherry. È la metà del più piccolo degli altri.» Toccò il guscio liscio di un uovo che stava quasi appoggiato alla parete di roccia, isolato dagli altri. «Ehi, non toccarlo!» protestò Felessan: era visibilmente sconvolto. «Perché no? Non posso fargli del male, vero? È duro come il cuoio.» Jaxom vi batté sopra delicatamente, con le nocche, e poi passò la mano sulla curva. «È caldo.» Falessan l'allontanò. «Non bisogna toccare le uova. Mai. Solo quando è il tuo turno. E tu non sei nato e cresciuto in un Weyr.» Jaxom lo fissò sdegnosamente. «Hai paura di toccarle,» E accarezzò ancora l'uovo, per dimostrare che lui non ne aveva. «Io non ho paura. Ma le uova non si toccano.» Felessan scostò con una pacca la mano sacrilega di Jaxom. «A meno di essere candidati. E tu non lo sei. E non lo sono neanch'io, per ora.» «No, io sono un Signore.» E Jaxom si raddrizzò fieramente. Non seppe resistere alla tentazione di accarezzare, ancora una volta il piccolo uovo perché, sebbene fosse orgoglioso di essere un Signore, era un po' geloso di Felessan, e avrebbe voluto avere la speranza di diventare un giorno cavaliere d'un drago bronzeo. E quell'uovo sembrava così solitario, solo e indesiderato, tanto lontano dagli altri. «Il fatto che tu sia un Signore non servirebbe a niente, se Ramoth tornasse e ci sorprendesse qui,» gli ricordò Felessan, trascinandolo con fermezza verso il varco nella roccia. Un rombo improvviso in fondo al Terreno della Schiusa di fece sussultare. Un'occhiata all'ombra che era comparsa sulla sabbia, all'ingresso principale, fu più che sufficiente. Felessan, che era più agile e svelto, arrivò, per primo al crepaccio e passò. Questa volta Jaxom non protestò, quando l'amico lo tirò freneticamente, per far passare anche lui. Non si fermarono
neppure per controllare se era davvero Ramoth. Afferrarono i canestri con i lumi e corsero via. Quando la luce che filtrava dal crepaccio si perse oltre la curva del corridoio, Jaxom si fermò. Il petto gli doleva per lo sforzo e per le scalfitture causate dal passaggio in mezzo alle pietre. «Vieni,» l'esortò Felessan, soffermandosi alcuni passi più avanti. «Non posso. Il petto...» «Cos'è successo?» Felessan alzò la lampada: il sangue lasciava lunghe tracce sulla pelle chiara di Jaxom. «Sembri conciato maluccio. È meglio che vieni a farti dare un'occhiata da Manora.» «Devo... solo... riprendere... fiato.» Allo stesso ritmo dei suoi respiri faticosi, la lampada guizzò e poi si spense completamente. «Allora dovremo camminare adagio,» disse Felessan, con voce scossa più dall'ansia che dallo sforzo.» Jaxom si rialzò, deciso a non tradire il panico che ora cominciava a provare: una mano gelida gli serrava le viscere, sentiva il petto bruciargli dolorosamente, e il sudore cominciava a imperlargli la fronte. Le gocce salate gli caddero sul torace, ed egli lanciò una delle imprecazioni preferite delle sue guardie. «Andiamo, svelti,» disse, e fece seguire l'azione alle parole, stringendo ancora il lume ormai inutile. Per tacito accordo, procedettero lungo il lato esterno del corridoio, dove le impronte che si scorgevano vagamente nella polvere davano loro più coraggio. «Non manca ancora molto, vero?» chiese Jaxom, quando la seconda lampada vacillò minacciosamente. «Ah, no. Meglio di no.» «Cos'è successo?» «Ah... abbiamo solo perduto le tracce.» Erano tornati sui loro passi solo per un breve tratto quando si spense anche la seconda lampada. «E adesso cosa facciamo, Jaxom?» «Beh,» disse questi, traendo un profondo respiro, perché la voce non gli si spezzasse. «A Ruatha, quando si accorgono che sono sparito vengono a cercarmi.» «In questo caso, si accorgeranno della tua assenza appena Lytol vorrà ripartire, no? Non resta mai qui molto a lungo.»
«Però possono invitarlo a pranzo, e lui magari accetterà.» Jaxom non riuscì a nascondere la sua amarezza per quell'esplorazione organizzata con così scarsa previdenza. «Non hai idea di dove siamo?» «No,» dovette ammettere Felessan: la sua voce era cupa. «Io ho sempre seguito le impronte, come ho fatto anche stavolta. Le impronte c'erano. Le hai viste anche tu.» Jaxom non volle confermarlo: sarebbe stato come ammettere che era anche colpa sua, se si erano messi in quella situazione. «Gli altri corridoi che abbiamo incrociato per arrivare al crepaccio... dove portano?» chiese finalmente. «Non lo so. Vi sono molti settori abbandonati, nel Weyr. Io... io non sono mai andato oltre il crepaccio.» «E gli altri? Fin dove si sono spinti?» «Gandidan si vanta sempre di arrivare molto lontano, ma... ma non ricordo quello che ha detto.» «Per l'amor dell'Uovo, non piagnucolare.» «Non sto piagnucolando. È che ho fame!» «Hai fame? Benissimo. Riesci a sentire l'odore del cibo? A me è sembrato che abbiamo continuato a sentirlo per un pezzo, giù per il corridoio.» Fiutarono l'aria in tutte le direzioni. C'era odore di muffa, non di stufato. Qualche volta, ricordò Jaxom, si poteva sentire l'odore dell'aria più pura e, seguendolo, si ritrovava la strada del ritorno. Tese la mano per toccare la parete. La pietra fredda e liscia gli diede un senso di conforto. In mezzo non si sentiva niente, anche se quel corridoio era altrettanto buio. Il petto gli doleva e bruciava, pulsante al ritmo del suo sangue. Con un sospiro, arretrò contro la parete liscia, si lasciò scivolare e sedette a terra con un tonfo. «Jaxom?» «Non è niente. Sono solo stanco.» «Anch'io.» Con un sospiro di sollievo, Felessan sedette a sua volta, sfiorando con la spalla la spalla dell'amico. Quel contatto li rassicurò entrambi. «Chissà com'era,» fece Jaxom, dopo un po', in tono meditabondo. «Chissà com'era che cosa?» chiese Felessar, un po' stupito. «Quando i Weyr e le Fortezze erano pieni. Quando questi corridoi erano usati e illuminati.» «Non sono mai stati usati.» «Assurdo. Nessuno perde tempo a scavare corridoi che non portano in nessun posto. E Luton dice che ci sono più di cinquecento Weyr, a Ben-
den, e solo metà vengono usati...» «Abbiamo quattrocentododici draghi da combattimento qui a Benden, adesso.» «Sì, ma dieci Giri fa non ce n'erano duecento, quindi perché i Weyr erano tanti, a meno che un tempo venissero usati tutti? E perché ci sono chilometri e chilometri di corridoi, e tante stanze abbandonate, alla Fortezza di Ruatha, se in passato non li adoperavano...» «E allora?» «Voglio dire, dov'è finita tutta quella gente? E in che modo aveva scavato intere montagne, tanto per cominciare?» Era chiaro che Felessan non si era mai preoccupato di quel problema. «E poi, hai mai notato? Certe pareti sono lisce, come se...» Jaxom s'interruppe, stordito da un'improvvisa rivelazione. Quasi intimorito, si girò e fece scorrere la mano sulla parete, dietro di sé. Era veramente liscia. Deglutì, ed il petto gli dolse più forte che per le abrasioni. «Felessan...?» «Cosa... cosa c'è?» «Questa parete è liscia.» «E allora?» «Ma è liscia! Non è irregolare.» «Spiegati.» Felessan sembrava quasi in collera. «È liscia. È una parete antichissima.» «E allora?» «Siamo nella parte più vecchia di Benden.» Jaxom si alzò, passò la mano sulla parete, percorrendo qualche passo. «Ehi!» Jaxom sentì che Felessan si stava alzando in piedi. «Non lasciarmi solo. Jaxom! Non ti vedo.» Jaxom tese la mano dietro di sé, toccò della stoffa, e tirò l'amico al suo fianco. «Stammi vicino. Se questo è un vecchio corridoio, prima o poi finirà. Contro la roccia, oppure nella sezione principale. È inevitabile.» «Ma come fai a sapere se stai andando nella direzione giusta?» «Non lo so. Ma è sempre meglio che starmene lì seduto come uno stupido, a farmi venire ancora più fame.» Con una mano sulla parete, e con l'altra stretta intorno alla cintura di Felessan, Jaxom si mosse. Non potevano aver percorso più di venti passi, quando le dita di Jaxom incontrarono una fenditura. Era una fenditura regolare, che scendeva perpendicolare verso il suolo.
«Ehi, perché non mi hai avvertito!» gridò Felessan, che era andato a sbattergli contro. «Ho trovato qualcosa.» «Cosa?» «Una fenditura verticale, regolare.» Eccitato, Jaxom protese entrambe le braccia, cercando di trovare l'altra parte di quello che poteva essere il vano d'una porta. All'altezza della spalla, trovò una lastra quadrata e, nei tastarla, la premette. Con un rombo cigolante, la parete sotto l'altra sua mano cominciò a rientrare, e lasciò filtrare una luce. I ragazzi ebbero solo pochi istanti per fissare le meraviglie vivacemente illuminate al di là della soglia, prima che il gas inerte di cui la stanza era inondata si precipitasse fuori, sopraffacendoli. Ma la luce rimase, come un faro per guidare i cercatori. «Questa mattina ho dovuto far frugare tutta la Fortezza, per trovarlo nelle viscere della roccia, dove una frana gli aveva bloccato la strada,» disse Lylot a Lessa, mentre guardava i ragazzi che correvano verso la Caverna Inferiore. «Allora hai dimenticato la tua infanzia,» fece ridendo F'lar, indicando cortesemente a Lytol di precederlo nel Weyr. «Oppure non andavi a esplorare i corridoi abbandonati, da bambino?» Lytol sbuffò, con una smorfia, ma non sorrise. «Per me era diverso. Io non ero l'erede d'una Fortezza.» «Ma, Lytol, erede di una Fortezza o no,» disse Lessa, prendendolo a braccio, «Jaxom è un ragazzino come gli altri No, ti prego: non intendo criticarlo. È un ragazzo in gamba, allevato bene. Puoi essere fiero di lui.» «E si comporta davvero da Nobile,» si azzardò a dire F'lar. «Io faccio del mio meglio.» «Ed il tuo meglio è davvero encomiabile,» dichiarò Lessa, con entusiasmo. «Oh, Jaxom è cresciuto tanto, dall'ultima volta che l'ho visto!» Ma il tic comparve sulla guancia di Lytol e Lessa s'infuriò, chiedendosi che cosa avesse trovato da ridire Mardra, ultimamente, sul conto del ragazzino. Quella donna avrebbe fatto meglio a smetterla d'intromettersi... Lessa si trattenne, ricordandosi rabbiosamente che anche lei poteva venire accusata d'interferenza, dato che aveva invitato Jaxom a fare quella visita. Quando Mardra sarebbe venuta a sapere che Lytol era stato al Weyr di Benden...
«Sono lieto che tu la pensi così,» rispose Lytol, confermando i sospetti di lei. L'Arpista Robinton si alzò per accogliere Lytol, e la faccia del Maestro Fabbro Fandarel si aprì nell'espressione quasi ferina del suo sorriso. Lessa versò il vino, mentre F'lar li faceva accomodare. «Il vino nuovo è arrivato, Robinton, ma non è ancora abbastanza riposato per servirlo,» disse Lessa, rivolgendogli un sorriso d'intesa. Si diceva, scherzosamente, che Robinton visitasse Benden più per il vino che per la compagnia o per gli affari. «Dovrai accontentarti delle decime dell'anno scorso.» «Il vino di Benden mi va sempre bene,» rispose soavemente Robinton, approfittando del complimento per cominciare a sorseggiarlo. «Vi ringrazio di essere venuti, signori,» cominciò F'lar, assumendo la direzione della seduta. «E vi chiedo scusa, se vi ho strappati alle vostre attività quasi senza preavviso, ma...» «Io sono sempre felice di venire a Benden,» mormorò Robinton, con gli occhi che gli brillavano, mentre si accostava di nuovo la coppa alle labbra. «Io ho notizie per voi, quindi quest'occasione è giunta in buon punto,» tuonò Fandarel. «Anch'io ne sono lieto,» disse Lytol con voce cupa, mentre il tic gli faceva fremere la guancia. «Le mie notizie sono molto importanti, e ho bisogno di conoscere le vostre reazioni. C'è stata la Caduta prematura dei Fili...» cominciò F'lar. «Le Cadute,» lo corresse Robinton, senza più la minima traccia di leggerezza nella voce. «I tamburi mi hanno portato le comunicazioni dalle Fortezze di Tillek e di Crom.» «Vorrei averli avuto anch'io, dei messaggeri altrettanto attendibili,» fece amaramente F'lar, stringendo i denti. «Non ti sei stupito del silenzio dei Weyr, Robinton?» Aveva sempre considerato l'Arpista come un amico. «La mia Arte è vincolata al Weyr di Fort, mio caro F'lar,» rispose il Maestro, con uno strano sorriso. «Anche se il Comandante T'ron non segue l'usanza di tenere informato il Maestro Arpista degli eventi importanti. Non aveva nessun mezzo immediato o personale per avvertire il Weyr di Benden.» F'lar trasse un profondo respiro: Robinton confermava il fatto che T'ron non ne aveva saputo nulla. «T'kul ha ritenuto di non informare i Comandanti degli altri Weyr della Caduta imprevista dei Fili sulla Fortezza di Tillek.»
«La cosa non mi sorprende,» mormorò cinicamente l'Arpista. «Abbiamo saputo soltanto oggi che R'mart era rimasto ustionato così gravemente durante la Caduta a Crom che non ha potuto inviare messaggeri.» «Vuol dire che quella scema di Bedella, la Dama del Weyr, ha dimenticato di mandarli,» intervenne Lessa. F'lar annuì e continuò: «Benden è venuto a saperlo solo quando i Fili sono caduti su Lemos, a Nord-Est, a metà mattina, mentre le tavole preannunciavano una Caduta a Sud-Ovest e alla sera. Poiché io mando sempre avanti un dragoniere, a fungere come messaggero nel caso che insorgano problemi all'ultimo momento, siamo stati in grado di arrivare a Lamos prima dell'Orlo esterno.» Robinton zufolò sommessamente. «Vuoi dire che le tavole dei tempi sono errate?» esclamò Lytol. Il suo voltò olivastro sbiancò, a quella notizia. «Pensavo che le dicerie fossero false.» F'lar scosse il capo, cupo: aveva atteso con ansia la reazione di Lytol a quell'annuncio. «Le tavole non sono più esatte: non valgono, questa volta,» disse. «Lessa mi ha ricordato, come fai tu ora. che vi sono state deviazioni nel Passaggio della Stella Rossa, tali da causare lunghi intervalli. Dobbiamo presumere che qualcosa possa causare anche un cambiamento nel ritmo delle cadute. Non appena riusciremo a calcolare di nuovo uno schema, correggeremo le tavole, o ne prepareremo di nuove.» Lytol lo fissò, senza capire. «Ma quanto tempo occorrerà? Dopo tre Cadute, ormai dovresti averne un'idea. Io ho enormi distese di nuove foreste. Come posso proteggerle, se non so con certezza quando cadranno i Fili?» Si dominò con uno sforzo. «Chiedo scusa ma questa è... è una notizia terribile. Non so come la prenderanno gli altri Signori delle Fortezze, dopo tutto il resto.» E bevve in fretta un sorso di vino. «Cosa vorresti dire con quel 'dopo tutto il resto'?» domandò F'lar, sbigottito. «Beh, il modo in cui si comportano i Weyr. Il disastro nella Valle dell'Esvay, a Nabol, le piantagioni nelle terre del Nobile Sagel.» «Dimmi subito cos'è accaduto nella valle dell'Esvay e nelle terre di Sagel.» «Non avete saputo neppure questo?» chiese Robinton, con sincero stupore. «Ma i Weyr non si tengono in comunicazione?» Il suo sguardo vagò
inquieto da F'lar a Lessa. «I Weyr son autonomi,» rispose F'lar. «Noi non possiamo interferire...» «Vuoi dire che gli Antichi riducono al minimo i contratti con i sovversivi contemporanei,» concluse per lui Lessa, lanciando lampi d'indignazione dagli occhi. «Non guardarmi così, F'lar. Sai benissimo che è vero. Anche se sono sicura che D'ram e T'ron si sono scandalizzati non meno di noi, quando hanno scoperto che T'ron aveva tenuto segreta la Caduta prematura dei Fili. Ora, cos'è successo nella Valle dell'Esvay e nel Boll Meridionale?» Fu Robinton a rispondere, con voce inespressiva. «Diverse settimane fa, T'kul ha rifiutato di aiutare Meron di Nabol a eliminare delle tane sulle pendici più alte, sopra la Valle dell'Esvay. Ha detto che era un lavoro per le squadre di terra e che gli uomini di Meron erano pigri e inefficienti. È stato necessario dar fuoco a tutta la valle, per arrestare la diffusione delle tane. Lytol ha mandato dagli aiuti: lui lo sa. Io sono andato a vedere alcune delle famiglie. Adesso non hanno più colture, e sono molto risentiti nei confronti dei dragonieri. «Qualche settimana dopo, il Comandante T'ron ha lasciato la Fortezza di Boll Meridionale senza mettersi d'accordo con il capo delle squadre di terra del Nobile Sangel. Sono stati costretti a bruciare tre piantagioni d'alberi già cresciuti. Quando il Nobile Sangel ha protestato con T'ron, si è sentito rispondere che le squadriglie avevano riferito che la Caduta era stata tenuta sotto controllo. «Su di un piano diverso, ma non meno inquietante nel quadro generale, ho sentito dire che molte ragazze sono state praticamente sequestrate con il pretesto della Cerca...» «Le ragazze implorano di venire portate nei Weyr,» intervenne acida Lessa. «Nel Weyr di Benden, probabilmente,» ammise Robinton. «Ma i miei arpisti mi hanno parlato di giovani donne, costrette contro la loro volontà ad abbandonare gli sposi ed i bambini piccini, ed a sfacchinare agli ordini delle Dame dei Weyr. Si vanno creando odii molto profondi, Dama Lessa. Ci sono sempre stati risentimenti ed invidie, perché la vita nei Weyr è diversa, perché i dragonieri possono muoversi con tanta facilità su tutto il continente, mentre gli altri lo fanno con grande fatica, e ancora perché i cavalieri godono di molti privilegi...» L'arpista agitò le mani. «Gli Antichi tengono molto ai privilegi speciali, e questo intensifica i pericoli insiti nella loro mentalità superata. In quanto alle Sedi delle Arti, ebbene, l'inciden-
te del pugnale nella Sede di Fandarel è stato solo un piccolo esempio, in una lunga serie di abusi e di sopraffazioni. Le Arti sono generose nel versare le decime dei loro prodotti, ma il Tessitore Zurg e il Conciatore Belesden sono molto amareggiati per il ritmo con cui crescono i prelievi illeciti.» «È per questo che sono stati tanto freddi con me, quando ho chiesto la stoffa per un abito?» chiese Lessa. «Ma è stato lo stesso Zurg ad aiutarmi nella scelta.» «Ritengo che nessuno, al Weyr di Benden, abusi dei suoi privilegi,» rispose Robinton. «Al Weyr di Benden. Dopotutto,» aggiunse, con un sorriso a tutti denti che lo fece quasi somigliare a T'ron, «Benden è il Weyr deviazionista che ha dimenticato le vere tradizioni ed è divenuto molto corrivo. Oh, permette alle Fortezze che gli sono vincolate di conservare la dignità, gli averi e le foreste; incoraggia le Arti a proliferare, a produrre una quantità di novità bastarde. Ma il Weyr di Benden,» e Robinton ridiventò se stesso, e furioso, «è rispettato in tutto Pern.» «Come dragoniere, dovrei offendermi,» disse F'lar: era così turbato da non rendersi quasi conto d'aver parlato con leggerezza. «Come Comandante del Weyr di Benden, tu dovresti assumere il comando supremo,» ribatté Robinton, con voce squillante. «Quando Benden era solo, sette Giri fa, tu dicesti che i Signori delle Fortezze e gli Artigiani avevano una mentalità troppo ristretta e provinciale per risolvere con efficienza il vero problema. Ma loro, almeno, hanno imparato qualcosa dai propri errori. Gli Antichi, invece, non sono soltanto inguaribilmente provinciali... peggio, sono assolutamente inflessibili. Non sanno non possono adattarsi ai nostri tempi. Tutto ciò che abbiamo fatto nei quattrocento Giri che ci dividono è sbagliato, e deve venire dimenticato in favore delle loro usanze, dei loro criteri. Pern è cresciuto... sta crescendo e cambia. Loro no. E stanno alienando i Signori delle Fortezze e gli Artigiani, in modo tale che io mi sento sinceramente preoccupato... no, spaventato, per le reazioni a questa nuova crisi.» «Cambieranno idea quando i Fili cadranno inaspettatamente,» disse. Lessa. «Chi cambierà idea? I Comandanti dei Weyr? I Signori? Non contarci troppo, Dama Lessa.» «Debbo dichiararmi d'accordo con Robinton,» disse Lytol con voce stanca. «C'è stata ben poca collaborazione, da parte dei Weyr. Sono prepotenti, ostinati ed esigenti. Siamo arrivati al punto che io, un ex dragoniere,
mi risento per le richieste che mi vengono avanzate nella mia qualità di Nobile Reggente. E adesso sembra che siano addirittura incapaci di fare il loro mestiere. Per esempio, cosa si può fare nella crisi attuale? E loro, sono disposti a fare qualcosa?» «I Weyr daranno la loro collaborazione, questo posso garantirlo,» disse F'lar: doveva scuotere Lytol da quello stato di depressione. «Questa mattina gli Antichi erano molto sconvolti. La Fortezza di Ruatha è vincolato al Weyr di Fort, e T'ron sta organizzando pattuglie di vigilanza. Tu dovrai provvedere a tenere degli uomini ai fuochi di guardia, sulle alture, perché li accendano quando vengono scorte le masse dei Fili. Appena il fuoco verrà avvistato, i cavalieri entreranno in azione.» «E io dovrei affidarmi ad uomini sconvolti ed ai fuochi sulle alture?» domandò Lytol, sbarrando incredulo gli occhi. «Il fuoco non è abbastanza efficiente,» intonò Fandarel. «La pioggia lo spegne. La nebbia lo nasconde.» «Sarei ben lieto di assegnarti i miei tamburini, se pensi che possano esserti utili,» intervenne Robinton. «F'lar,» disse Lytol, in tono incalzante. «So che il Weyr di Benden invia messaggeri alle Fortezze con un certo anticipo rispetto alla prevista Caduta dei Fili. I Comandanti degli altri Weyr non accetteranno, adesso, di assegnare anche essi dei dragonieri alle Fortezze? Almeno fino a quando ne sapremo di più sui cambiamenti delle Cadute e avremo imparato ad anticiparle? Non ho una grande simpatia per i cavalieri del Weyr di Fort, ma almeno mi sentirei più sicuro, sapendo che esiste una comunicazione immediata con il Weyr.» «Come stavo dicendo,» tuonò Fandarel con voce così alta che tutti si volsero verso di lui, un po' sbigottiti, «su questo pianeta c'è stata una deplorevole mancanza di comunicazioni efficienti, ma credo che la mia Arte possa porvi rimedio. È questa la notizia che vi ho portato.» «Cosa?» Lytol balzò in piedi. «Perché non hai parlato subito, grosso stupido?» domandò l'Arpista. «Quanto tempo occorrerà per equipaggiare tutte le Fortezze principali ed i Weyr?» La domanda di F'lar sommerse tutte le altre. Fandarel guardò in faccia il Comandante, prima di rispondere a quella che era quasi una supplica. «Purtroppo più tempo di quanto possiamo disporre... a quanto sembra, in questa situazione d'emergenza. Le mie fucine hanno avuto molto da fare per sfornare i lanciafiamme. Non ho avuto molto tempo per dedicarmi ai
miei giocattoli.» «Quanto tempo?» «Gli strumenti che trasmettono e ricevono gli scritti da lontano sono facili da costruire, ma è necessario collegarli tutti per mezzo di cavi. Ed è questo che richiede parecchio tempo.» «E richiede anche parecchi uomini, immagino,» aggiunse Lytol; tornò a sedersi, avvilito. «Non più di quanti ne occorrerebbero per badare ai fuochi,» rispose placido Fandarel. «Se fosse possibile indurre tutti i Signori ed i Weyr a collaborare. Già una volta l'abbiamo fatto,» ed il Fabbro s'interruppe per lanciare un'occhiata acuta a F'lar. «Quando ce l'ha chiesto Benden.» Illuminandosi in volto, Lytol afferrò F'lar per un braccio, precipitosamente. «I Signori delle Fortezze ti darebbero ascolto, F'lar di Benden: di te si fidano!» «F'lar non può avvicinare gli altri Signori, senza offendere i Comandanti dei Weyr,» obiettò Lessa: ma anche lei sembrava animata da una nuova speranza. «Non è necessario che gli altri Comandanti lo sappiano,» suggerì con aria subdola Robinton, accalorandosi al pensiero di quella strategia. «Suvvia, F'lar. Non è questo il momento di badare troppo ai principi... almeno a quelli che si sono dimostrati insostenibili. Non pensare solo alle affiliazioni. Già una volta hai agito così, e abbiamo vinto. Pensa a Pern, a tutto Pern, non a un solo Weyr.» E puntò verso F'lar. «O ad una sola Arte.» E lo tese verso Fandarel. «Quando noi cinque ci mettemmo insieme, sette Giri fa, riuscimmo a tirarci fuori da una situazione molto difficile.» «E io spianai la strada a questa,» disse Lessa, con una risata d'amarezza. Prima che F'lar potesse parlare. Robinton agitò il dito con aria ammonitrice. «Solo gli sciocchi perdono tempo ad assegnare o ad assumersi le colpe, Lessa. Tu tornasti indietro nel tempo e portasti qui gli Antichi. Per salvare Pern. Ora il problema è diverso. Tu non sei una sciocca. Tu, e F'lar, e tutti noi, dobbiamo trovare altre soluzioni. Ora, abbiamo quelle nozze alla Fortezza di Telgar: giungono molto a proposito. Ci saranno schiere e schiere di Signori e di Artigiani, convenuti per onorare Lemos e Telgar. Siamo tutti invitati. Approfittiamo dell'occasione, Dama Lessa, Nobile F'lar, e convinciamoli tutti ad accettare la linea di Benden. Facciamo in modo che il Weyr di Benden dia l'esempio... e le altre Fortezze e le altre Arti seguiranno quelli che gli sono vincolati...»
Robinton si appoggiò alla spalliera, all'improvviso, sorridendo in attesa. F'lar disse, senza alzare la voce: «La disaffezione è evidentemente universale. Ci vorrà ben altro che le parole e l'esempio per far cambiare idea a tanta gente.» «Le Arti ti appoggeranno, Comandante del Weyr, fino all'ultima Sede», assicurò Fandarel. «Tu sostieni Bendarek. F'nor ha difeso Terry, e per giunta contro dei dragonieri, perché loro erano dalla parte del torto. F'nor adesso sta bene, vero?» Il Fabbro si rivolse a Lessa con aria interrogativa. «Ritornerà tra una settimana circa.» «Abbiamo bisogno di lui subito,» disse Robinton. «Ci sarebbe utilissimo a Telgar: la gente comune lo considera un eroe. Cosa ne dici, F'lar? Siamo di nuovo a tua disposizione.» Si girarono tutti verso di lui; Lessa gli posò una mano sul ginocchio, fissandolo ansiosa. Era ciò che lei voleva: che F'lar si assumesse la responsabilità. Lui sapeva che doveva portare a termine il compito lasciato, speranzosamente, a coloro che aveva ritenuto più qualificati a proteggere Pern. «In quanto alla tua telescrivente, Fandarel... potresti installarne una a Telgar in tempo per le nozze? chiese F'lar. Robinton lanciò un grido che riecheggiò nella sala, e suscitò un rombo di risposta da parte di Ramoth, dal Terreno della Schiusa. Il Fabbro scoprì i denti e serrò i pugni enormi sul piano del tavolo, come si riproponesse di strozzare sul nascere ogni eventuale opposizione. Il tic sulla guancia di Lytol diede un guizzo spasmodico e poi scomparve. «È un'idea meravigliosa,» gridò Robinton. «La speranza è una grande esortatrice. Dai ai Signori un mezzo sicuro per tenersi in contatto, e annienterai in gran parte la politica d'isolamento condotta dai Weyr.» «Puoi farlo, Fandarel?» chiese F'lar al Fabbro. «Potrei fare posare i cavi fino a Telgar. Sì. Si può fare.» «Com'è fatta, questa telescrivente? Non riesco a immaginarla.» Fandarel inclinò la testa verso il Maestro Arpista. «Grazie a Robinton, disponiamo di un cifrario che ci consente di inviare messaggi lunghi e complessi. Bisogna addestrare un uomo a comprenderlo, perché possa trasmettere e ricevere. Se potessi concedermi un'ora del tuo tempo...» «Posso dedicarti tutto il tempo che ti occorre, Fandarel,» gli assicurò F'lar. «Andiamo domani. Qui non può accadere niente, domani,» insistette Lessa, emozionata. «Benissimo. Organizzerò una dimostrazione. Metterò altri uomini al ta-
volo sui cavi.» «Io parlerò con il Nobile Sangel di Boll Meridionale e con il Nobile Groghe di Fort,» disse Lytol. «Con molta discrezione, naturalmente, ma loro sanno che Ruatha non è molto amata dal Weyr.» E si alzò in piedi. «Sono stato dragoniere, e poi artigiano, e adesso sono Nobile Reggente. Ma i Fili non fanno distinzioni. Bruciano tutto ciò che toccano.» «Sì, e questo dobbiamo ricordarlo a tutti,» disse Robinton, con un sogghigno torvo. «Naturalmente, acconsentirò a tutto ciò che T'ron mi ordinerà di fare, ora che ho una nuova speranza.» Lytol s'inchinò a Lessa. «I miei omaggi, mia Dama. Farò cercare il Nobile Jaxom e vi chiederò il favore di venir ricondotto a Ruatha in volo...» «Hai saltato il pranzo, rimani almeno a cena con noi.» Lytol scosse il capo con aria di rammarico. «Ci sono troppe cose da fare.» «Per non fare allontanare troppi draghi dal Weyr, io andrò con Lytol e Jaxom,» disse Robinton, trangugiando il resto del vino, con un malinconico brindisi a quella fretta. «Così rimarrete voi due, a sopportare Fandarel.» Fandarel si alzò con un gran sorriso tollerante: la sua mole enorme faceva apparire minuto e fragile l'Arpista, che pure era tutt'altro che piccolo. «Compatisco i draghi, costretti a sopportare l'invidia di simili essermi delicati.» Ma non se ne andò nessuno, perché non si riusciva a trovare Jaxom e Felessan. Una delle donne di Manora ricordava di averli visti prelevare una manciata di radici, e pensava che fossero andati a raggiungere gli altri ragazzini intenti a giocare. Interrogato, Gandidan, uno dei bambini, ammise di averli visti avviarsi verso i corridoi più interni. «Gandidan,» fece severamente Manora, «hai punzecchiato ancora Felessan per via di quel crepaccio?» Il ragazzetto abbassò la testa e tutti gli altri deviarono lo sguardo. «Uhm.» Manora si rivolse ai genitori in ansia. «Mi sono spariti degli altri lumi usati, F'lar, quindi immagino che saranno andati di nascosto a vedere le uova.» «Cosa?» esclamò Lessa, sbalordita quando i bambini che sembravano trasformati in altrettante statue. Prima che lei potesse rimbrottarli, F'lar rise sonoramente. «Ecco dove sono, allora.» «Dove?» I bambini si strinsero l'un l'altro terrorizzati dal tono gelido della voce di
Lessa, anche se era rivolto al Comandante del Weyr. «Nel corridoio dietro il Terreno della Schiusa. Oh, non prendertela così, Lessa. È inevitabile, quando si cresce in un Weyr, non è vero, Lytol? Lo facevo anch'io, quando avevo l'età di Felessan.» «Tu eri al corrente di queste escursioni, Manora?» chiese imperiosa Lessa, senza ascoltare F'lar. «Certo, Dama del Weyr,» rispose Manora, per nulla intimidita. «E li ho sempre tenuti d'occhio, per assicurarmi che tornassero indietro tutti. Da quanto tempo se ne sono andati, Gandidan? Hanno giocato con voi per un po'?» «Non mi sorprende che Ramoth sia così agitata: ed io continuavo a pensare che fosse una sua mania! Come hai potuto permettere che queste prodezze continuassero?» «Suvvia, Lessa,» fece F'lar, in tono suasivo. «È un punto d'onore, per un adolescente,» e abbassò la voce, spalancando drammaticamente gli occhi, «non tirarsi indietro davanti alla sfida dei corridoi bui e polverosi, delle lampade che stanno per spegnersi. I lumi resteranno accesi abbastanza a lungo per portarci a spiare e per tornare indietro? Oppure ci perderemo per sempre nelle tenebre del Weyr?» L'Arpista sogghignava: i bambini erano storditi, a bocca aperta. Ma Lytol non appariva affatto divertito. «Da quanto tempo se ne sono andati, Gandidan?» ripeté Manora, alzando con una mano il volto del ragazzino. Poiché quello sembrava incapace di parlare, la donna scrutò le facce impaurite degli altri. «Credo che faremmo bene a cercarli. È facile svoltare dalla parte sbagliata, se si hanno lumi troppo fiochi, come loro.» I volontari per la ricerca non mancavano, e F'lar li divise prontamente in squadre, incaricandoli di esplorare ogni segmento di corridoi. Le gallerie che erano rimaste silenziose per centinaia di Giri risuonarono di passi e di voci. Ma non passò molto tempo prima che F'lar e Lytol conducessero il loro gruppo verso il richiamo della strana luce. Quando videro le due figure giacenti nella chiazza luminosa, F'lar mandò ad avvertire gli altri. «Che cos'hanno?» domandò ansioso Lytol, sorreggendo il suo pupillo, e tastandogli il polso. «Sangue?» Levò le mani macchiate, pallidissimo, la guancia contratta dal tic. Dunque, pensò F'lar, il cuore di Lytol. si era sgelato un po'. Lessa sbagliava a credere che Lytol non fosse affezionato al ragazzo. Jaxom era sensibile ed i bambini hanno bisogno d'affetto, ma vi sono tanti modi di voler
bene. F'lar fece segno che si portassero altri lumi. Rigirò la camicia impolverata del ragazzino, scoprendo le graffiature orizzontali. «Mi sembrano scalfitture poco profonde. Probabilmente ha inciampato contro la parete, nel buio. Chi ha un po' d'in torpidaria da dargli? Non fare quella faccia, Lytol. Il polso è forte.» «Ma non è semplicemente addormentato. Non si sveglia.» Lytol scrollò la figura inerte, dapprima con delicatezza, poi con forza. «Felessan non ha un graffio,» disse il Comandante del Weyr, girando suo figlio tra le braccia. Manora e Lessa arrivarono correndo e sollevando polvere, nonostante gli ammonimenti di F'lar. Manora, tuttavia, assicurò che i ragazzetti non avevano nulla di grave e incaricò sbrigativamente due uomini di riportarli nel Weyr. Poi si rivolse alla folla incuriosita che s'era raccolta nel corridoio. «Non c'è più pericolo. Tutti possono tornare indietro. Il pranzo è pronto, mia signora, miei signori. Alza i piedi, Silon. Non c'è bisogno di sollevare altra polvere.» Lanciò un'occhiata al Comandante e al Maestro Fabbro. I due si avvicinarono alla soglia misteriosa, seguiti da Lessa e Lytol. Le energiche istruzioni di Manora valsero a far sgombrare in fretta il corridoio, fino a che rimasero soltanto loro cinque. «La luce non è irradiata da lumi,» annunciò il Maestro Fabbro, affacciandosi con cautela nella sala vivamente rischiarata. «E a giudicare dalle pareti così lisce, fa parte del Weyr originario.» Guardò F'lar con una smorfia. «Tu sapevi dell'esistenza di queste stanze?» Sembrava quasi un'accusa. «C'erano molte dicerie, naturalmente,» disse F'lar, entrando a sua volta. «Ma non credo di essermi mai spinto molto avanti nei corridoi abbandonati, quand'ero ragazzino. E tu, Lytol?» Il Nobile Reggente di Ruatha sbuffò irritato: ma adesso che sapeva che Jaxom non correva pericoli, non resistette alla tentazione di dare un'occhiata. «Forse dovresti dargli il permesso di esplorare Ruatha, se è capace di ritrovare stanze del tesoro come questa,» suggerì ironico Robinton. «E cosa può rappresentare, quello? Lessa, tu sei esperta di arazzi: cosa te ne pare?» Indicò un disegno composto di strane bacchette e sfere multicolori interconnesse, che salivano in numerose colonne dal pavimento al soffitto. «Non direi che abbia una funzione artistica, ma i colori sono belli,» rispose Lessa, scrutando attentamente la parete. Ne toccò una parte con un dito. «Il colore è stato cotto. E guardate qui. A qualcuno non doveva piace-
re, anche se ho l'impressione che la correzione non l'abbia migliorato. È più uno scarabocchio che un disegno. E non è neppure lo stesso tipo di colorazione.» Fandarel scrutò il disegno, avvicinandosi alla parete. «Strano. Molto strano.» Poi si spostò per esaminare le altre meraviglie, accarezzando reverente, con le grosse mani, i banchi metallici, gli scaffali pensili. La sua espressione era così estatica che Lessa represse a fatica un risolino. «Sbalorditivo. Credo che l'intero ripiano di quel banco sia stato laminato in un'unica lastra.» E ridacchiò tra sé. «Se è stato fatto in passato, può essere fatto anche ora. Dovrò pensarci bene.» F'lar era interessato soprattutto agli strani scarabocchi: avevano un'aria bizzarramente familiare. «Lessa, sarei pronto a giurare di avere già visto qualcosa del genere.» «Ma qui non siamo mai entrati. Non c'è mai venuto nessuno.» «Ora mi ricordo. È come la scritta su quella lamina metallica che F'nor aveva trovato al Weyr di Fort. Quella che accennava alle lucertole di fuoco. Vedi, questa parola.» Il suo dito seguì le tracce di linee che agli occhi di uno dei primi coloni, avrebbero significato 'eureka'. «È la stessa. Lo giurerei. Ed evidentemente è stata aggiunta dopo il resto del disegno.» «Se vuoi chiamarlo disegno,» fece dubbiosa Lessa. «Ma penso che tu abbia ragione. Ma perché hanno scarabocchiato qualcosa intorno a questo motivo ornamentale... e a quello laggiù?» «Ci sono tanti enigmi, in questa stanza,» intonò Fandarel. Aveva aperto uno sportello, lottando per qualche istante con la serratura magnetica: poi lo chiuse e l'aprì parecchie volte, sorridendo distratto, estasiato da quell'efficienza. Solo in quel momento egli notò lo strano oggetto sul ripiano interno. Il Fabbro lo prelevò e lanciò un'esclamazione di meraviglia. «Stai attento. Potrebbe scapparti via,» disse Robinton, sorridendo ironicamente. Sebbene l'oggetto fosse lungo quanto il braccio di un uomo, le grosse mani del Fabbro sembravano avvilupparlo, mentre le dita ne esploravano l'interno. «E sapevano arrotolare il metallo senza saldature. Uhm. È rivestito,» disse, alzando gli occhi verso F'lar, «della stessa sostanza usata per le grandi caldaie. Rivestito per protezione? Con cosa?» Lo guardò, ne scrutò la parte superiore. «Ah. Vetro. Vetro finissimo. Serve per vedere?» Maneggiò il vetro incorniciato avvitato sotto ad un piccolo ripiano alla base dello strumento. Accostò l'occhio all'apertura superiore del tubo. «Non c'è
altro da fare che guardarci dentro.» Poi si raddrizzò, aggrottando la fronte. Borbottò rombando, come se i suoi pensieri cambiassero marcia. «C'è un diagramma molto eroso che Wansor mi ha mostrato non molto tempo fa. Uno strumento,» aggiunse, posando leggermente le dita sulle rotelle ai lati del tubo, «che ingrandisce gli oggetti centinaia di volte. Ma occorre tanto tempo per fabbricare le lenti e levigare gli specchi. Uhm.» Tornò a piegarsi e, con estrema delicatezza, mosse le manopole laterali. Diede un'occhiata rapida allo specchio, vi passò sopra un dito macchiato e subito lo guardò a occhio nudo, poi di nuovo attraverso il tubo. «Straordinario: posso vedere ogni imperfezione del vetro.» Aveva dimenticato che tutti gli altri lo guardavano, affascinati dal suo comportamento. Si strappò dalla testa un capello e lo tenne sotto l'estremità del tubo, sopra lo specchio, attraverso una minuscola apertura. Un'altra regolazione meticolosa, e poi un urlo di gioia. «Guardate. Guardate. È solo un mio capello. Ma guardate quanto sembra grande, adesso. Guardate i granelli di polvere: sembrano pietre! Guardate le intaccature, l'estremità spezzata!» Travolto dall'entusiasmo, tirò Lessa al suo posto: poco mancò che le abbassasse la testa a forza, perché guardasse nell'oculare. «Se non vedi chiaramente, muovi questa manopola fino a che ci riuscirai.» Lessa obbedì ma poi balzò indietro, con un'esclamazione di sbalordimento. Robinton si avvicinò, prima che avesse il tempo di farlo F'lar. «Ma è fantastico,» borbottò l'Arpista, manovrando le rotelle e lanciando in fretta un'occhiata comparativa al capello. «Posso?» chiese F'lar, in tono così tagliente che Robinton sorrise con aria di scusa. Prendendo il posto dell'Arpista, F'lar dovette controllare anch'egli il capello, per poter credere a ciò che vedeva attraverso lo strumento. Sembrava una fune grossolana, cosparsa di particelle di polvere che scintillavano nella luce: linee finissime segnavano la segmentazione. Quando rialzò la testa si rivolse a Fandarel, e parlò sottovoce, perché quasi non osava esprimere quella sua fragile speranza. «Se esiste un modo per fare apparire così grandi le cose minuscole, ne esistono anche per avvicinare gli oggetti lontani, per poterli osservare attentamente?» Sentì l'esclamazione soffocata di Lessa, si accorse che Robinton tratteneva il respiro: ma implorò con gli occhi il Fabbro di dargli la risposta che desiderava. «Credo che sia possibile,» disse Fandarel, dopo una riflessione che era
sembrata interminabile. «F'lar?» Egli abbassò lo sguardo sul volto sbiancato di Lessa: gli occhi erano oscurati dallo sgomento e dal timore, le mani levate a mezzo in una protesta impaurita. «Non puoi andare alla Stella Rossa!» La voce della giovane donna era un bisbiglio che si udiva appena. F'lar le prese le mani fredde e tese: e sebbene l'attirasse a sé per rassicurarla, parlò soprattutto agli altri. «Il nostro problema, signori, è sempre stato liberarci dei Fili. Perché non eliminarli all'origine? Un drago può andare dovunque, purché abbia un'immagine della sua meta!» Quando Jaxom si svegliò, si rese subito conto di non essere nella Fortezza. Aprì coraggiosamente gli occhi, sebbene fosse impaurito e si aspettasse l'oscurità. Sopra di lui, invece, c'era un soffitto curvilineo di pietra, illuminato da un canestro centrale di lumi. Si lasciò sfuggire un gemito inarticolato di sollievo. «Ti senti bene, ragazzo? Ti fa male il petto?» Manora si stava chinando su di lui. «Ci avete trovati? Come sta Felessan?» «Sta benone: ora è occupatissimo a divorare il pranzo. Dimmi, ti duole il petto?» «Il petto?» Jaxom ebbe l'impressione che gli si arrestasse il cuore, ricordando come si era ferito. Manora però lo scrutava attenta. Si tastò, cautamente. «No, grazie.» Lo stomaco gli causò un imbarazzo ancora più forte, con le sue continue proteste. «Credo che anche tu abbia bisogno di un buon pasto.» «Allora Lytol non è arrabbiato con me? E neppure il Comandante del Weyr?» si azzardò a chiedere il ragazzo. Manora gli rivolse un sorriso affettuoso, riassettandogli i capelli scompigliati. «Non preoccuparti, Nobile Jaxom,» disse gentilmente. «Magari qualche rimprovero te lo rivolgeranno. Il Nobile Lytol era fuori di sé per l'angoscia.» Jaxom ebbe l'incredibile visione di due Lytol fianco a fianco, con le guance scosse all'unisono dal tic.
«Tuttavia, non consiglierei altre spedizioni non autorizzate.» Manora rise, brevemente. «Adesso, è diventato il passatempo speciale degli adulti.» Jaxom era troppo intento a chiedersi se lei sapeva del crepaccio, se sapeva che i ragazzini del Weyr andavano là a curiosare. Se sapeva che l'aveva fatto anche lui. Passò un momento terribile, in attesa di sentirle dire che Felessan aveva confessato il loro delitto, poi ricordò che gli aveva detto che potevano attendersi al massimo un rimprovero. Ci si poteva fidare sempre di Manora. E se lei sapeva e non era arrabbiata... Ma se non sapeva niente e lui l'avesse chiesto, forse si sarebbe sdegnata... «Siete stati voi due a trovare quelle stanze, Nobile Jaxom. Se fossi in te, riposerei sugli allori.» «Quali stanze?» Manora sorrise e tese la mano. «Credevo che avessi fame.» Quella mano era fresca e morbida: strinse la sua, e lo guidò sul ballatoio su cui si aprivano le stanze da letto. Doveva essere tardi, pensò Jaxom, mentre passavano davanti alle tende chiuse delle camere. Il fuoco centrale era al minimo. Alcune donne erano sedute intorno a uno dei tavoli da lavoro, intente a cucinare. Alzarono gli occhi e sorrisero al passaggio di Manora e di Jaxom. «Hai detto 'stanze'?» chiese il ragazzo, con educata insistenza. «Dietro quella che hai aperto tu ce ne sono altre due, e i resti di una scala che porta verso l'alto.» Jaxom zufolò. «Cosa c'era, in quelle stanze?» Manora rise sommessamente. «Non ho mai visto il Maestro Fabbro così emozionato. Hanno trovato alcuni strumenti di forma strana e pezzi di vetro che non so a che servissero.» «Una sala degli Antichi?» Jaxom era sgomento, all'idea dell'enormità della sua scoperta. E lui aveva potuto dare solo un'occhiata! «Degli Antichi?» Manora aggrottò la fronte così leggermente che Jaxom non ne fu ben certo: Manora non lo faceva mai. «Degli Antichissimi, direi.» Quando entrarono nella Caverna Principale, Jaxom si accorse che il loro passaggio interrompeva le conversazioni animate fra i dragonieri e le donne sedute intorno ai grandi tavoli. Poiché era abituato ad essere osservato, Jaxom raddrizzò le spalle e camminò con passo misurato. Girò lentamente la testa, rivolgendo cenni del capo e sorrisi solenni ai cavalieri e alle donne che riconosceva. Ignorò qualche lieve risatella soffocata, poiché era abituato anche a questo: ma il Signore d'una Fortezza doveva sempre comportar-
si con la dignità adeguata al suo rango, anche se non aveva ancora dodici Giri e se si trovava alla presenza di superiori. Era già buio, ma intorno alla grande parete interna della Conca poteva vedere il lampeggiare degli occhi dei draghi accovacciati sui cornicioni. Udì il rombo smorzato dell'aria, quando alcuni di loro si mossero, stiracchiando le enormi ali. Alzò lo sguardo verso le Rocce della Stella, e vide la sagoma colossale del drago di guardia. Laggiù, in fondo alla Conca, si sentiva l'inquieto trepestio delle bestie chiuse nei recinti. Le stelle si specchiavano nel lago centrale. Affrettando il passo, Jaxom costrinse Manora ad accelerare a sua volta. Si poteva dimenticare la dignità, nelle tenebre, e lui aveva una fame atroce. Mnementh gli lanciò un rombo di benvenuto, dal cornicione del Weyr della regina, e Jaxom, facendosi coraggio, alzò lo sguardo verso l'occhio più vicino, che chiuse leggermente una palpebra, nella sorprendente imitazione di un ammiccare umano. I draghi hanno il senso dell'umorismo? si chiese Jaxom. Il wher da guardia non l'aveva di certo, eppure apparteneva alla stessa specie. La parentela è molto lontana. «Come hai detto, prego?» chiese Jaxom, sbalordito, levando gli occhi verso Manora. «Cosa, piccolo Signore?» «Avevi detto qualcosa?» «No.» Jaxom si volse a lanciare un'occhiata all'ombra immane del drago, ma Mnementh aveva la testa girata dall'altra parte. Poi fiutò l'odore di arrosto e affrettò il passo. Quando svoltarono, Jaxom vide il corpo aureo della regina giacente e all'improvviso provò un senso di colpa e di paura. Ma lei dormiva profondamente, e sorrideva con innocente serenità, come il bimbo appena nato della sua madre adottiva. Jaxom distolse lo sguardo per non destarla, e si accorse delle facce di tutti gli adulti seduti a tavola. Fu quasi troppo, per lui. Si era aspettato di vedere F'lar, Lessa, Lytol e Felessan, ma c'erano anche il Maestro Fabbro e il Maestro Arpista. Soltanto l'educazione gli diede la forza a rispondere cortesemente ai saluti di quelle celebrità. Non si accorse neppure quando Manora e Lessa vennero in suo aiuto. «Neppure una parola prima che questo ragazzo abbia potuto mangiare qualcosa, Lytol,» disse con fermezza la Dama del Weyr, facendolo sedere
nel posto libero accanto a Felessan. Questi s'interruppe tra una cucchiaiata e l'altra per guardarlo con una serie di smorfie, senza dubbio per comunicargli un messaggio che a lui sfuggi. «Jaxom non ha fatto in tempo a pranzare alla Fortezza e deve avere una fame terribile. Sta bene, Manora?» «Non se l'è cavata peggio di Felessan.» «Aveva gli occhi un po' vitrei, quando avete attraversato il Weyr,» Lessa si chinò a scrutare Jaxom, che la guardò con aria educata, masticando con una certa timidezza. «Come ti senti?» Jaxom tentò precipitosamente di trangugiare un po' di verdura semimasticata. Felessan gli porse una coppa d'acqua, e Lessa gli batté una mano tra le scapole, energicamente, perché non si soffocasse. «Mi sento benissimo,» riuscì a dire il ragazzo. «Benissimo, grazie.» Attese, incapace di distogliere gli occhi dal piatto, e provò un senso di sollievo quando il Comandante del Weyr ricordò ridendo a Lessa che proprio lei aveva sentenziato che per prima cosa il ragazzo doveva mangiare. Il Maestro Fabbro batté un grosso dito macchiato sulla sbiadita pelle delle Cronache che copriva quasi tutto il tavolo, tranne nel punto dove sedevano i ragazzi. Fandarel teneva l'altro braccio stretto in un gesto possessivo intorno a qualcosa che gli stava sulle ginocchia, ma Jaxom non riuscì a vedere cosa fosse. «Se il mio giudizio è esatto, dovrebbero esservi diversi piani di stanze, in questa sezione, al di là di quella scoperta dai ragazzi, e anche sopra.» Jaxom guardò la mappa spalancando gli occhi, e captò lo sguardo di Felessan. Anche lui era eccitato, ma continuava a mangiare. Jaxom raccolse con il cucchiaio un altro boccone enorme (il sapore era squisito), ma si augurò che la pelle fosse girata in modo che lui potesse vederla meglio. «Avrei giurato che non ci fossero entrate ad una certa altezza, da quella parte della Conca,» mormorò F'lar, scuotendo il capo. «C'era un accesso alla Conca, al livello del suolo,» disse Fandarel, coprendo con il grosso dito quello che intendeva mostrare. «L'abbiamo trovato, ma era sbarrato. Forse a causa di quella frana.» Jaxom guardò ansioso Felessan, che chinò la testa sul piatto. Quando faceva quella faccia, significava che non aveva detto niente? O che aveva detto tutto? Jaxom avrebbe tenuto moltissimo a saperlo. «La fessura si scorgeva appena,» disse il Maestro Arpista. «La sostanza usata per chiuderlo era più efficace di tutte le verità di calce che io abbia mai visto: trasparente, liscia e fortissima.» «Impossibile intaccarla con uno scalpello,» rombò Fandarel, squassando
il capo. «Ma perché mai hanno bloccato una delle uscite nella Conca?» chiese Lessa. «Perché non usavano più quella sezione del Weyr,» fece F'lar. «Certo, nessuno si è più servito di quei corridoi, chissà per quanti Giri. Non c'erano neppure orme di passi nella polvere, nella maggior parte di quelli che abbiamo esplorato.» In attesa della collera degli adulti che quasi sicuramente stava per abbattersi su di lui, Jaxom tenne gli occhi fissi sul piatto. Non se la sentiva di sopportare le recriminazioni di Lessa. Temeva l'inevitabile espressione negli occhi di Lytol, quando questi avesse appreso l'azione blasfema del suo pupillo. Come aveva potuto essere così sordo ai pazienti insegnamenti del Reggente? «Abbiamo trovato cose abbastanza interessanti nelle vecchie Cronache muffite e polverose che erano state considerate inutili,» continuò la voce di F'lar. Jaxom si azzardò a guardare e vide che il Comandante del Weyr stava scarruffando allegramente i capelli di Felessan: e lo vide lanciare un ampio sorriso proprio a lai, Jaxom. Quasi si sentì male per il sollievo. Nessuno degli adulti sapeva ciò che lui e Felessan avevano fatto sul Terreno della Schiusa. «Questi ragazzi ci hanno già fatto scoprire tesori meravigliosi, eh, Fandarel?» «Speriamo che non siano le sole cose lasciate in quelle stanze dimenticate,» fece il Maestro Fabbro con quella sua voce profonda, rombante. E accarezzò distrattamente il metallo liscio dello strumento che teneva nell'incavo del braccio. VI Metà mattina al Weyr Meridionale. Mattina presto alla Fortezza di Nabol, il giorno seguente. Sebbene fosse accaldata, impiastricciata di sabbia, di sale e di sudore, Kylara sentì che il trionfo annegava tutti i piccoli fastidi, mentre guardava la covata che aveva dissotterrato. «Possono tenersi le loro sette, quelli,» mormorò, guardando verso NordEst, in direzione del Weyr. «Io ne ho un nido intero. E un'altra dorata.»
L'esultanza la fece prorompere in una risata rauca. Chissà quando Meron di Nabol avrebbe visto quelle bellezze! Era certa che il Nobile odiasse i dragonieri perché invidiava le loro bestie. Spesso aveva sostenuto che le Schiuse non dovevano venire monopolizzate da una comunità esclusivista. Bene, chissà se il potente Meron sarebbe riuscito a imprimere Io Schema ad una lucertola di fuoco. Kylara non sapeva bene che cosa le avrebbe dato più piacere: che lui riuscisse o che non riuscisse. In ogni caso, sarebbe tornato a sua vantaggio. Ma se Meron fosse riuscito a imprimere lo Schema ad una lucertola di fuoco, una bronzea, magari, e lei avesse avuto sul polso una regina, e quelle si fossero accoppiate... Forse non sarebbe stato spettacolare come con i draghi, ma del resto, date le doti naturali di Meron... Kylara sorrise, in un'anticipazione sensuale. Mise le trentaquattro uova già indurite in mezzo a molti strati delle sacche per pietre focaie che aveva portato con sé. Poi avvolse il fardello in pelli di wher, e infine nel suo pesante manto di lana. Era Dama del Weyr da molto tempo e sapeva che un uovo, raffreddato di colpo, poteva anche non schiudersi. E quelle erano ormai vicinissime ad aprirsi. Tanto meglio. Prideth si era mostrata tollerante verso l'interesse che la sua Dama mostrava per le uova delle lucertole di fuoco. Era atterrata, obbediente, in cento calette lungo la costa occidentale, e aveva atteso nel sole caldo, non troppo tristemente, mentre Kylara frugava tra le sabbie ardenti, cercando tracce delle buche. Ma Pridenth brontolò ansiosa, quando Kylara le diede le coordinate della Fortezza Nabol, non del Weyr Meridionale. A Nabol stavano spuntando le prime luci quando l'arrivo di Kylara fece fuggire urlando il wher da guardia nel suo covile. Le sentinelle conoscevano troppo bene la Dama del Weyr Meridionale per protestare quando lei entrò e un poveraccio venne mandato a svegliare il suo Signore. Kylara ignorò sovranamente il cipiglio irritato di Meron, quando questi comparve sulla scala della Fortezza Interna. «Ho uova di lucertola di fuoco per te, Nobile Meron di Nabol,» gridò, indicando l'ingombrante fardello che aveva affidato ad uno degli uomini. «Ho bisogno di recipienti pieni di sabbia calda, o le perderemo.» «Recipienti di sabbia calda?» ripeté Meron, con aperta irritazione. Dunque, aveva qualcun'altra nel suo letto, eh? pensò Kylara, con una mezza idea di riprendersi il suo tesoro e di andarsene. «Sì, sciocco. Ho una covata di uova di lucertola di fuoco che stanno per schiudersi. La grande occasione della tua vita. Ehi, tu,» fece Kylara, ten-
dendo imperiosamente un braccio verso la governante di Meron, che era entrata semivestita, a passo strascicato. «Versa dell'acqua bollente su tutta la sabbia che hai e portala qui immediatamente.» Kylara, che era nata da una famiglia di Signori, sapeva quale tono assumere con gli inferiori: anzi, si comportava in modo così simile all'irascibile Meron, che la donna corse via per obbedirla, senza attendere il consenso del Nobile. «Uova di lucertola di fuoco? Ma cosa stai blaterando, donna?» «Si può imprimere loro lo Schema. Impadronisciti delle loro menti, alla Schiusa, come con i draghi, rimpinzale fino a istupidirle, e sono tue, per tutta la vita.» Kylara stava deponendo con cura le uova sulle pietre tiepide del grande camino. «Raduna i tuoi uomini, presto. Dobbiamo catturarne il maggior numero possibile.» «Mi sto sforzando,» disse Meron digrignando i denti, mentre osservava quella scena con un certo scetticismo e molta malizia, «di capire esattamente che cosa ci possiamo guadagnare.» «Fai funzionare il cervello, uomo,» rispose Kylara, senza badare al modo acido con cui il signore della Fortezza reagiva alla sua imperiosità. «Le lucertole di fuoco sono le antenate dei draghi, e hanno le stesse capacità.» Meron impiegò un solo attimo per afferrare il significato di quelle parole. Mentre dava ordine, urlando, di svegliare i suoi uomini, si precipitò a fianco di Kylara, aiutandola a disporre le uova davanti al fuoco. «Vanno in mezzo? Comunicano con i loro proprietari?» «Sì. Sì.» «Quello è un uovo dorato!» gridò Meron, tendendo la mano per prenderlo, con gli occhietti che brillavano di cupidigia. Kylara gli scostò seccamente la mano, lanciandogli sguardi lampeggianti. «Quella d'oro è per me. Tu ne avrai una bronzea. Sono sicuro che quell'uovo... no, quello... è di una lucertola bronzea.» La sabbia calda venne portata e versata a palate sulle pietre del focolare. Gli uomini di Meron scesero a precipizio la scala della Fortezza Interna, vestiti per affrontare la Caduta dei Fili. Perentoriamente, Kylara ordinò loro di sbarazzarsi delle pesanti sopravvesti e cominciò a insegnare loro come imprimere lo Schema ad una lucertola di fuoco. «Nessuno può prendere le lucertole di fuoco,» borbottò qualcuno dalle ultime file. «Non credo che tu la prenderai, chiunque tu sia,» insorse Kylara. C'era qualcosa di vero, pensò, in quello che dicevano gli Antichi. Gli a-
bitanti delle Fortezze stavano diventando troppo arroganti e aggressivi. Nessuno avrebbe osato parlare così nella Fortezza di suo padre, quando lei impartiva istruzioni. Nessuno, nei Weyr, interrompeva la Dama. «Dovrete essere molto svelti,» disse. «Quando escono dall'uovo sono affamate, e mangiano tutto quello che trovano nelle vicinanze. Se non glielo si impedisce, diventano cannibali e si divorano a vicenda.» «Io voglio tenere il mio uovo finché si schiuderà,» disse Meron, sottovoce. Era intento ad accarezzare le tre uova dal guscio screziato che immaginava contenessero lucertole bronzee. «Le mani non sono abbastanza calde,» rispose Kylara in tono secco. «Ci occorre carne rossa, in abbondanza. Meglio se è macellata di fresco.» Il piatto che le venne portato poco dopo fu sprezzantemente respinto perché inadeguato. Furono preparati altri tre vassoi, ancora fumanti del sangue degli animali macellati. L'odore della carne cruda e sanguinolenta si mescolò al sudore degli uomini, all'afrore della sala surriscaldata ed affollata. «Ho sete, Meron. Voglio pane, frutta, e un po' di vino gelato,» fece Kylara. Quando fu portato il cibo mangiò elegantemente, osservando con velato divertimento i modi poco raffinati di Meron. Qualcuno passò pane e vino fresco agli uomini, che dovettero mangiare in piedi. Il tempo passava lentamente. «Mi pareva avessi detto che stavano per schiudersi,» disse Meron, irritato. Era irrequieto quanto i suoi uomini, e cominciava a cambiare idea su quel ridicolo piano di Kylara. Lei gli rivolse un sorrisetto sprezzante. «È così, ti assicuro. Voi delle Fortezze dovreste imparare ad avere pazienza. È indispensabile, quando si ha a che fare con la specie dei draghi Non puoi picchiare i draghi, sai, o le lucertole di fuoco, come se fossero bestie da soma. Ma ne vale la pena.» «Ne sei certa?» Gli occhi di Meron scintillavano di fastidio «Pensa all'effetto che farà ai dragonieri, quando arriverai alla Fortezza di Telgar fra qualche giorno, con una lucertola di fuoco aggrappata al braccio.» Il lieve sorriso apparso sul volto di Meron disse a Kylara che quella prospettiva l'affascinava. Sì, Meron sapeva essere paziente, se questo poteva dargli qualche vantaggio sui dragonieri. «Accorrerà al mio richiamo?» chiese Meron, puntando avidamente lo sguardo sulle sue tre uova.
Kylara non esitò a rassicurarlo, sebbene non fosse del tutto sicura che le lucertole di fuoco fossero intelligenti e fedeli. Comunque, a Meron non interessava l'intelligenza, soltanto l'obbedienza. O la docilità. E se le lucertole di fuoco non si fossero rivelate all'altezza delle sue aspettative, lei poteva sempre dire che la colpa era proprio di Meron. «Con simili messaggeri, avrei un grosso vantaggio,» disse Meron, a voce così bassa che lei afferrò a malapena le parole. «Più di un vantaggio, Nobile Meron,» fece Kylara, insinuante. «La supremazia». «Sì: disporre di un sistema di comunicazione sicuro e fidato significherebbe avere la supremazia. Potrei dire a quel figlio d'un wherry del Comandante delle Terre Alte, T'kul, di...» Un uovo oscillò sull'asse più lungo e Meron si alzò di scatto dalla sedia. Con voce rauca ordinò ai suoi uomini di avvicinarsi, e imprecò quando quelli si fermarono all'abituale distanza da lui. «Ripetiglielo ancora, Dama del Weyr, diglielo esattamente cosa devono fare per catturare le lucertole di fuoco.» Kylara non si era mai preoccupata del fatto che, dopo nove Giri vissuti in un Weyr, di cui ben sette come Dama, non fosse ancora in grado di spiegare in base a quale criterio un candidato veniva accettato da un drago e un altro, in apparenza altrettanto degno, veniva rifiutato da un'intera Schiusa. Né per quale ragione le regine sceglievano invariabilmente donne cresciute fuori dal Weyr. (Per esempio, quando quella specie di ragazzetta, Brekke, aveva impresso lo Schema a Wirenth, c'erano state altre tre ragazze, che lei avrebbe giudicato molto più interessanti per una regina neonata. Ma Wirenth era partita diretta verso la ragazza nata e cresciuta in un'Arte. Le tre candidate respinte erano rimaste nel Weyr Meridionale, come avrebbe fatto qualunque ragazza sana di mente, ed una di loro, Varena, era stata presentata alla successiva Schiusa d'una regina, ed era stata accettata. Era impossibile giudicare.) In generale, i ragazzi nati e cresciuti nel Weyr erano sempre accettabili, ad una Schiusa o all'altra, perché potevano presentarsi a quelle successive fino al ventesimo Giro. Nessuno era mai sollecitato a lasciare il suo Weyr: ma coloro che non riuscivano a diventare dragonieri di solito se ne andavano e trovavano posto in qualcuna delle Arti. Adesso, naturalmente, con il Weyr Meridionale e quello di Benden che producevano uova di drago in numero maggiore dei figli delle donne degli stessi Weyr, era necessario rastrellare Pern per trovare un numero suffi-
ciente di candidati per i Terreni della Schiusa. Evidentemente la gente comune non si rendeva conto che erano i draghi, soprattutto i marroni ed i bronzei, a fare la scelta, e non i loro cavalieri. Sembrava che i gusti dei draghi non avessero una spiegazione. Un individuo di bell'aspetto poteva ritrovarsi escluso in favore di un altro, magro e bruttino. Kylara si guardò intorno, scrutando le espressioni ansiose di quegli uomini rudi. C'era da sperare che le lucertole di fuoco non fossero schizzinose come i draghi, perché quel gruppo aveva poco da offrire loro. Poi Kylara ricordò che quella marmocchia, la figlia adottiva di Brekke, aveva impresso lo schema a tre. In quel caso, qualunque bipede presente nella sala poteva avere una possibilità. Era la loro grande occasione di dimostrare che i draghi non avevano bisogno di qualità speciali per la Schiusa, che i comuni Pernesi delle Fortezze e delle Arti dovevano solo venire presentati ai draghi, per avere le stesse possibilità dell'aristocrazia dei Weyr. «Non si catturano.» Kylara corresse Meron con un sorriso malizioso. Quegli individui dovevano rendersi conto che essere prescelti da un drago richiedeva ben più che trovarsi presenti al momento della Schiusa. «Bisogna attirarle con pensieri d'affetto. Un drago non si può possedere.» «Queste sono lucertole di fuoco, non draghi.» «Per i nostri fini sono la stessa cosa,» ribatté brusca Kylara. «E adesso ascoltatemi, o le perderemo tutte.» Si chiese perché si era data tanto disturbo per portare a Meron quel dono, un'occasione che evidentemente lui non era in grado di accettare e di apprezzare. Eppure, se lei ne aveva una dorata e lui una bronzea, quando si fossero accoppiate, avrebbe dovuto trovare la ricompensa del suo disturbo. «Escludete ogni pensiero di paura o di profitto,» disse agli ascoltatori. «I primi fanno allontanare il drago: i secondi, non riesce a capirli. Non appena uno si avvicina a voi, offritegli il cibo. Continuate a dargliene. Fatevelo salire sulla mano, se è possibile, poi portatevelo in un angolo tranquillo e continuate a dargli da mangiare. Pensate che l'amate molto, che volete farlo restare con voi, che la sua presenza vi rende felici. Non pensate a nient'altro, oppure la lucertola di fuoco andrà in mezzo. Per imprimere lo Schema c'è solo il breve tempo tra la Schiusa ed il primo grosso pasto. O ci riuscite, o non ci riuscite. Questo sta a voi.» «Avete sentito che cosa ha detto la Dama. Ora eseguite. Alla perfezione. L'uomo che sbaglia...» La voce di Meron si smorzò in un mormorio di minaccia. Kylara rise, spezzando il cupo silenzio che seguì. Rise dell'espressione
torva del volto di Meron, fino a quando questi, così infuriato da dimenticare ogni prudenza, le scosse rudemente il braccio, indicando le uova che si abbandonavano a folli ondeggiamenti, mentre i loro occupanti cercavano di uscire. «Smettila di starnazzare, Dama del Weyr. Darà fastidio alle bestiole.» «Le risa sono migliori delle minacce, Nobile Meron. Neppure tu puoi disporre delle preferenze dei draghi. E dimmi, Nobile Meron, anche tu subirai la stessa tremenda, indicibile punizione, se non ci riuscirai?» Meron le serrò il braccio in una stretta dolorosa, tenendo gli occhi inchiodati sulle crepe che erano comparse su un uovo dei tre prescelti. Schioccò le dita perché gli portassero la carne. Il sangue colò dalla manciata che prese, quando s'inginocchiò accanto alle uova, il corpo chino e teso nello sforzo d'imprimere lo Schema. Ostentando indifferenza, Kylara si alzò con fare languido dalla sua sedia. Si accostò al tavolo, caricò un tagliere di un mucchio di bocconi sanguinolenti. Fece segno alle guardie di rifornirsi, mentre ritornava con calma verso il focolare. Non riuscì a reprimere l'eccitazione, e sentì Prideth che gorgheggiava dalle alture sopra la Fortezza. Dal momento in cui Kylara aveva visto le minuscole creature che avevano ricevuto lo Schema da F'nor e da Brekke, aveva desiderato di averne una per sé. Non avrebbe mai compreso che la sua indole imperiosa aveva incosciamente lottato contro la simbiosi emotiva con il suo drago regina. Istintivamente Kylara aveva compreso che solo come Dama del Weyr avrebbe potuto acquisire il potere, i privilegi e la libertà incontrastata, inaccessibili alle altre donne di Pern. Abilissima nell'ignorare ciò che non voleva ammettere, Kylara non aveva mai compreso che Prideth era l'unica creatura vivente che era in grado di dominarla, e di cui doveva assicurarsi la stima. Nella lucertola di fuoco, Kylara vedeva un drago in miniatura che lei poteva controllare facilmente e dominare fisicamente, come non poteva invece dominare Prideth. E nel donare le uova di lucertola di fuoco ad un Signore, in particolare al più disprezzato di tutti, Meron di Nabol, Kylara si vendicava di tutte le ignominie e gli affronti immaginari che aveva subito per colpa dei dragonieri e di tutti i Pernesi. L'insulto più recente, il fatto che quell'insulsa figlia adottiva di Brekke ne avesse ottenute tre, sarebbe stato completamente vendicato. Bene, lì Kylara non sarebbe stata respinta. Sapeva come fare e, qualunque cosa avvenisse, avrebbe vinto.
L'uovo dorato ondeggiò, con violenza, ed una larga crepa lo spaccò verticalmente. Apparve un minuscolo becco dorato. «Dalle da mangiare. Non perdere tempo,» le bisbigliò Meron all'orecchio. «Non dirmi come debbo far dischiudere le uova, sciocco Tu pensa alle tue.» La testolina era uscita: il piccolo corpo si sforzò di raddrizzarsi, mentre gli artigli raspavano il guscio umido. Kylara si concentrò su pensieri d'affetto, di gioia e d'ammirazione, ignorando le grida e le esortazioni che si levavano intorno a lei. La minuscola regina, non più grande della sua mano, uscì vacillando dal guscio e immediatamente si guardò intorno, cercando qualcosa da mangiare. Kylara le posò davanti un pezzetto di carne, e la bestiola vi si buttò sopra. Mise poi un altro pezzetto a poca distanza dal primo, per condurre la lucertola verso di lei. Strillando ferocemente, il piccolo drago balzò, con passi meno goffi, spiegando le ali che si asciugavano rapidamente. Fame, fame, fame, pulsavano i pensieri dell'esserino e Kylara, rassicurata dal fatto di riuscire a riceverli, intensificò i suoi pensieri d'amore e di benvenuto. Al quinto boccone, ebbe la lucertola di fuoco sulla mano. Si alzò cautamente in piedi, gettandole pezzetti di carne nelle fauci ogni volta che si schiudevano, e si allontanò dal focolare e dal caos. Perché era veramente il caos: gli uomini, troppo ansiosi, commettevano tutti gli errori possibili, nonostante i suoi consigli. Le tre uova di Meron si aprirono quasi contemporaneamente. Due delle lucertole appena nate si buttarono subito l'una addosso all'altra, mentre Meron cercava goffamente di imitare i gesti di Kylara. Per colpa della sua avidità, probabilmente le avrebbe perse tutte e tre, pensò lei, con maliziosa soddisfazione. Poi vide che c'erano altre lucertole bronzee che uscivano dai gusci. Bene, non tutto sarebbe stato perduto, quando la sua regina si fosse accoppiata. Due uomini erano riusciti ad attirare sulle loro mani le lucertole di fuoco, e seguendo l'esempio di Kylara si erano allontanati dalla confusione e dal cannibalismo del focolare. «Per quanto dobbiamo dar loro da mangiare, Dama dei Weyr?» chiese uno dei due, con gli occhi accesi di stupore e di gioia incredula. «Lasciate che mangino fino a perdere i sensi. Si addormenteranno e resteranno con voi. Appena si svegliano, nutritele ancora. E se si lamentano di aver prurito alla pelle, bagnatele e massaggiatele con olio. La pelle scrostata si lacera, in mezzo, e quel freddo terribile può uccidere anche una
lucertola di fuoco o un drago.» Quante volte l'aveva ripetuto ai cadetti, quando doveva dare loro lezioni, nella sua qualità di Dama del Weyr! Bene, adesso a questo provvedeva Brekke, grazie al Primo Uovo! «Ma cosa succede se vanno in mezzo? Come possiamo trattenerle?» «Non si può trattenere un drago. È lui che resta con voi. Non si incatena un drago come un wher da guardia, sapete.» Kylara si stancò del suo ruolo d'istruttrice e tornò a rifornirsi di carne. Poi, osservando con disgusto i numerosi essermi che stavano morendo sul focolare, salì la scala che portava alla Fortezza Interna. Avrebbe atteso nell'appartamento di Meron (sarebbe stato meglio che non ci fosse stata nessuna, adesso!) per vedere se lui era riuscito, dopotutto, a imprimere lo Schema ad una lucertola di fuoco. Prideth le disse che non era affatto contenta che lei avesse trasportato quella covata a morire su di un freddo focolare straniero. «Al Weyr Meridionale ne hanno perdute molte di più,» rispose Kylara alla sua regina. «Questa volta abbiamo un tesoruccio tutto per noi.» Prideth brontolò, dall'altura, ma non per via della lucertola; e perciò Kylara non le diede ascolto. VII Metà mattina al Weyr di Benden. Primo mattino alla Sede del Maestro Fabbro alla Fortezza di Telgar. F'lar ricevette il messaggio di F'nor, cinque fogli di appunti, mentre si accingeva a partire per la Sede del Fabbro, per andare a vedere il meccanismo telescrivente di Fandarel. Lessa era già in volo e lo stava aspettando. «F'nor ha detto che è urgente. E per via delle...» disse G'nag. «Lo leggerò appena posso,» l'interruppe F'lar. Quell'uomo non avrebbe mai smesso di chiacchierare. «Grazie e scusami.» «Ma, F'lar...» Il resto della frase andò perduto, mentre gli artigli di Mnementh stridevano contro la pietra del cornicione, ed il drago bronzeo cominciò a salire, battendo l'aria con le ali. L'umore di F'lar non migliorò quando si accorse che Mnementh saliva molto lentamente. Lessa aveva avuto ragione, prevedendo che lui sarebbe rimasto alzato a bere ed a conversare con Robinton. L'Arpista era una vera spugna. Verso mezzanotte Fandarel se n'era andato, portandosi via il suo
adorato strumento. Lessa aveva scommesso che non sarebbe andato a letto, e che non avrebbe lasciato dormire nessuno, nella sua Sede. Dopo essersi fatta promettere da F'lar che sarebbe andato a riposare presto, anche lei si era ritirata. Lui aveva avuto intenzione di mantenere la promessa, ma Robinton sapeva tante cose sulle varie Fortezze, sapeva quali persone erano in grado di influenzare le decisioni dei loro Signori... e quelle erano informazioni essenziali, se F'lar voleva realizzare la sua rivoluzione. La reverenza per i dragonieri più anziani, ed il rispetto per gli abili combattenti contro i Fili facevano parte della vita dei Weyr. Sette Giri prima, quando F'lar s'era reso umilmente conto che un solo Weyr non bastava a proteggere Pern, e che non era ben preparato per combattere i Fili, aveva attribuito molte virtù agli stessi Antichi che adesso, per lui, era difficile togliersi di torno. Lui stesso, e tutti i cavalieri dei draghi di Benden, avevano imparato dagli Antichi tutti gli elementi essenziali della lotta contro i Fili. Avevano appreso tutti i trucchi per schivarli, i modi di valutare la consistenza di una Caduta, di risparmiare le forze dei draghi e dei cavalieri, di distogliere il pensiero dagli orrori delle ustioni o delle emissioni di fosfina a distanza troppo ravvicinata. Ciò di cui F'lar non si rendeva conto era il fatto che il suo Weyr ed il Weyr Meridionale avevano migliorato quegli insegnamenti e li avevano superati, poiché potevano contare sui draghi contemporanei, più grandi, più forti e più intelligenti. In nome della gratitudine e della devozione ai suoi pari, F'lar aveva potuto ignorare, dimenticare, razionalizzare le deficienze degli Antichi. Ma non poteva continuare a farlo ora, quando il peso della loro insicurezza e della loro tendenza all'isolamento l'obbligava a mettere in discussione i risultati delle loro azioni. Nonostante tale disillusione, l'animo di F'lar, quella parte di un essere umano che ha bisogno di un eroe, di un modello cui ispirarsi, desiderava unire tutti i dragonieri, vincere l'ostinata resistenza degli Antichi ai cambiamenti, la loro tenace devozione ai principi superati. E quell'impresa rivaleggiava con l'altra sua meta... eppure, la distanza tra Pern e la Stella Rossa era soltanto un diverso tipo di in mezzo. Ed era necessario che qualcuno compisse quel passo, se voleva liberarsi del giogo dei Fili. L'aria fresca (il sole non si era ancora alzato completamente sulla Conca) gli fece ricordare le ustioni al volto, ma era piacevole per la sua fronte dolorante. Mentre si chinava in avanti per stringersi al collo di Mnementh, i fogli del messaggio gli premevano contro le costole. Bene, più tardi a-
vrebbe scoperto ciò che stava combinando Kylara. Guardò in basso, chiudendo per un attimo le palpebre, quando la velocità vertiginosa influì sulla sua scarsa capacità di mettere a fuoco gli occhi. Sì, N'ton stava già dirigendo un gruppo di uomini e di draghi impegnati a sbloccare l'ingresso sigillato. Con la luce e l'aria fresca che avrebbero invaso i corridoi abbandonati, l'esplorazione sarebbe proseguita con maggiore efficienza. E loro avrebbero tenuta lontana Ramoth, così non si sarebbe lagnata perché gli uomini si avvicinavano troppo alla sua covata. Lei sa, disse Mnementh al suo cavaliere. «Eh?» È curiosa. In quel momento erano librati al di sopra delle Rocce della Stella, sopra e al di là del dragoniere di guardia, che li salutò. F'lar fissò la Pietra del Dito, aggrottando la fronte. Se un uomo avesse avuto una lente adatta, sistemata nella Pietra dell'Occhio, avrebbe potuto vedere la Stella Rossa? No, perché in quel periodo dell'anno non si vedeva la Stella Rossa a quell'angolazione. Eppure... F'lar abbassò gli occhi sul panorama dell'immensa conca di roccia in vetta alla montagna, la strada che incominciava ad un punto misterioso sul precipizio di destra, e conduceva al lago, sul pianoro sottostante il Weyr. L'acqua scintillava come l'occhio di un drago gigantesco. F'lar si preoccupò per qualche istante, al pensiero di dedicarsi a quel progetto, mentre i Fili cadevano in modo tanto imprevedibile. Aveva organizzato pattuglie esplorative e aveva mandato N'ton, dotato di buona abilità diplomatica (e rimpianse ancora l'assenza di F'nor) a spiegare le nuove misure necessarie a quelle Fortezze di cui era responsabile il Weyr di Benden. Raid aveva risposto stizzito, Sifer protestando, anche se quel vecchio sciocco avrebbe cambiato sicuramente idea all'indomani. All'improvviso, Ramoth abbassò le ali e scomparve. Mnementh la seguì. Dopo un attimo di gelo, volavano già in cerchio al di sopra della catena dei lucenti laghi di Telgar, d'un azzurro abbagliante nel chiaro sole del mattino. Ramoth planava scendendo, incorniciata per un attimo contro lo sfondo dell'acqua, mentre il sole indorava ancora di più il suo corpo splendente. È grande quasi il doppio di tutte le altre regine, pensò F'lar, in uno slancio d'ammirazione per quel magnifico drago. Un buon cavaliere fa una buona bestia, osservò spontaneamente Mnementh. Ramoth risalì in cabrata, prima di abbinare la velocità con quella del suo
compagno. I due draghi, tenendosi vicinissimi, risalirono le valli dei laghi, in direzione della Sede dell'Arte dei Fabbri. Dietro di loro il terreno digradava lentamente verso il mare: il fiume alimentato dai laghi scorreva tra campi coltivati e pascoli, convergendo verso il gran fiume Dunto che più oltre si gettava nell'oceano. Quando atterrarono davanti alla Sede dell'Arte, Terry uscì correndo da un degli edifici più piccoli situati in un boschetto di stenti alberi di fellis. A gesti, l'invitò a seguirlo in fretta. L'Arte aveva cominciato presto l'attività, quel giorno: da ogni edificio uscivano rumori incessanti. Dopo aver fatto scendere i loro cavalieri, i draghi annunciarono che sarebbero andati a nuotare, e ripartirono. Quando F'lar raggiunse Lessa, lei sorrideva soddisfatta, con i grigi occhi lucenti. «E quelli vanno a nuotare!» fu il suo commento, mentre gli passava un braccio intorno alla vita. «Dunque dovrò soffrire senza conforto?,» Ma le passò un braccio intorno alle spalle, adattò il passo a quello di Lessa, mentre si avviavano verso Terry. «Siete veramente i benvenuti,» disse questi, inchinandosi di continuo, con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro. «Fandarel ha già ideato una lente per vedere lontano?» domandò F'lar. «Non ancora.» Sebbene avesse il volto stanco, il Vicemaestro Fabbro aveva gli occhi gai. «Ma non perché abbia rinunciato a provare e a riprovare per tutta la notte.» Lessa rise, comprensiva, ma Terry si affrettò a schermirsi. «Non è che mi dispiaccia. Anzi: è affascinante quello che può rendere visibile l'ingranditore. Wansor è giubilante e avvilito, di volta in volta. Per tutta la notte non ha fatto che disperarsi per la propria incapacità.» Erano arrivati quasi alla soglia del piccolo edificio quando Terry si voltò con aria solenne. «Desideravo dirvi che mi dispiace moltissimo per F'nor. Se avessi dato a quei due quel maledetto pugnale... ma il Nobile Larad me l'aveva commissionato come dono di nozze per il Nobile Asgenar, ed io non potevo...» «Avevi tutto il diritto di opporti a quell'appropriazione,» rispose F'lar, stringendo la mano sulla spalla di Terry «Comunque, se glielo avessi lasciato...» «Se cadesse il cielo, non dovremmo preoccuparci dei Fili,» disse Lessa, in tono così stizzito, che Terry fu costretto a desistere dalle sue scuse. Sebbene l'edificio fosse a due piani, a giudicare dalle finestre, in realtà
era un'unica, grandissima stanza. C'era una piccola forgia in uno dei due camini situati alle estremità opposte. I muri di pietra nera, lisci e apparentemente privi di giunture, erano coperti da diagrammi e numeri. Un lungo tavolo dominava la parte centrale dello stanzone: alle estremità era carico di vassoi di sabbia, mentre il resto era invaso da pelli delle Cronache, fogli di carta e bizzarri strumenti. Il Fabbro era ritto a lato della porta, piantato a gambe larghe, con i pugni stretti contro l'alta cintura, il mento proteso, una ruga profonda incisa sulla fronte. Il suo umore bellicoso era diretto verso uno schizzo tracciato sulla pietra nera. «Deve essere questione di angolazione della visuale, Wansor,» borbottò in tono irritato, come se lo schizzo stesse sfidando la sua volontà. «Wansor?» «Wansor è come se fosse in mezzo, Maestro,» disse gentilmente Terry, indicando l'uomo addormentato, quasi invisibile sulle pelli sul grande giaciglio d'angolo. F'lar si era sempre chiesto dove dormisse Fandarel, dato che la Sede principale era stata lasciata interamente, da tempo, alle attività lavorative. Non esistevano brande abbastanza spaziose da ospitare il Maestro dell'Arte. Ma adesso, F'lar ricordava di aver visto giacigli simili a quello in quasi tutti gli edifici principali. Senza dubbio Fandarel dormiva un po' qua e un pò là, quando non ce la faceva più a rimanere sveglio. Il Fabbro viveva di una attività che avrebbe esaurito e bruciato qualunque altro uomo. Fandarel lanciò un'occhiata indispettita all'uomo addormentato, fece udire un grugnito di rassegnazione e solo in quel momento si accorse di Lessa e F'lar. Sorrise con sincera gioia alla Dama del Weyr. «Siete arrivati in anticipo, ed io speravo di potervi dare notizia di qualche progresso circa lo strumento per vedere da lontano,» disse, indicando lo schizzo. Lessa e F'lar esaminarono, obbedienti, la serie di linee e di ovali, tracciati in bianco sulla parete nera. «Purtroppo la costruzione di un apparecchio perfetto dipende dalla fragilità delle menti e dei corpi degli uomini. Chiedo perdono...» «Perché? È appena mattina,» rispose F'lar, con aria allegra «Ti do tempo fino all'imbrunire, prima di accusarti d'inefficienza.» Terry si sforzò di reprimere una risata, e proruppe in un risolino leggermente isterico. Rimasero tutti sbalorditi nell'udire il gorgogliare tonante della risata di Fandarel. Il Fabbro per poco non sbatté a terra F'lar con una gioviale pacca sulla schiena, senza smettere di ridere.
«Mi hai dato... tempo... fino a stasera... prima inefficienza...» ansimò Fandarel, tra una sghignazzata e l'altra. «È ammattito. Abbiamo preteso troppo da lui,» disse F'lar, volgendosi agli altri. «Sciocchezze,» rispose Lessa, guardando con scarsa comprensione il Fabbro che si contorceva per le risa. «Non ha dormito e, se non sbaglio a giudicarlo, non ha neppure mangiato. È vero, Terry?» Terry dovette frugare nella propria memoria, per trovare una risposta. «Allora sveglia i cuochi. Persino lui,» e Lessa indicò il Fabbro con il pollice, «dovrebbe rifornire di cibo quella sua mole una volta la settimana.» Il fatto che Lessa avesse implicitamente paragonato il Fabbro a un drago non sfuggì a Terry, che questa volta cominciò a ridere irrefrenabilmente. «Andrò a svegliarli io. Voi uomini non siete buoni a nulla,» si lamentò Lessa, avviandosi alla porta. Terry l'intercettò, reprimendo magistralmente le risa, e premette un bottone alla base d'una cassettina squadrata fissata alla parete. A voce alta, ordinò un pasto per il Fabbro e per altri quattro. «E quello cos'è?» chiese F'lar, affascinato. La cassetta non sembrava in grado di trasmettere un messaggio fino a Telgar «Oh, un altoparlante. Molto efficiente,» disse Terry con un sogghigno ironico, «E molto utile, per chi non è capace di urlare come il Maestro dell'Arte. Ne abbiamo in tutti gli edifici. Ci risparmiano una quantità di corse.» «Un giorno li modificherò in modo che possiamo trasmettere il messaggio solo all'area con cui vogliamo parlare,» disse il Fabbro e poi, asciugandosi gli occhi, aggiunse: «Oh, ma un uomo può dormire in qualunque momento. E una risata ristora l'anima.» «È quella, l'apparecchiatura che intendevi mostrarci?» chiese il Comandante del Weyr, con aperto scetticismo «No, no, no,» gli assicurò Fandarel, interrompendosi quasi con irritazione e avanzando verso un complesso apparecchio di cavi e di recipienti di ceramica. «La mia telescrivente è questa!» Per Lessa e F'lar era molto difficile capire cosa vi fosse, in quel groviglio enigmatico, da andarne tanto fiero. «La cassetta a muro sembra più efficiente,» disse alla fine F'lar chinandosi per intingere un dito nel miscuglio contenuto in uno dei vasi. Il Fabbro gli scostò bruscamente la mano.
«Ti brucerebbe la pelle come l'agenothree puro,» esclamò. «È basato appunto su quella soluzione. Ora osserva. Questi recipienti contengono blocchi metallici; ciascuno ne contiene uno di zinco ed uno di rame, in una soluzione acquosa di acido solforico, che fa sciogliere i metalli, causando una reazione chimica. Questo ci dà una forma di attività che io ho chiamato energia da reazione chimica. La reazione prodotta può essere controllata a questo punto,» e Fandarel passò un dito lungo il braccio metallico librato sopra una lastra sottile di sostanza grigiastra, fissata su rulli a entrambe le estremità. Il Fabbro girò una manopola, ed i recipienti cominciarono a bollire adagio. Poi batté il braccio metallico e una serie di segni rossi di differenti lunghezze cominciò ad apparire sulla striscia che si snodava al di sotto, lentamente. «Vedi, questo è un messaggio. L'Arpista ha adattato e ampliato il cifrario dei suoi tamburi: una sequenza ed una lunghezza diversa di linee per ogni suono. Con un po' di esercizio, si possono leggere facilmente, come se fossero parole scritte.» «Non capisco che vantaggio ci sia a scrivere un messaggio qui,» osservò F'lar, indicando il rullo, «quando hai detto...» Il Fabbro sorrise, raggiante. «Ah, ma quando io scrivo con questo ago, un altro ago, nella Sede del Maestro Minatore a Crom o nella Sede dell'Arte a Igen, ripete simultaneamente lo stesso segno.» «Questo sistema sarebbe ancora più rapido del volo di drago,» mormorò Lessa, sbalordita. «Cosa dicono queste linee? Dove vanno?» Inavvertitamente toccò la striscia con un dito, e lo ritrasse di scatto per guardarselo. Sul polpastrello non c'erano segni, ma sulla carta era comparsa una chiazza rossa. Il Fabbro ridacchiò, rauco. «Non è roba pericolosa. Si limita a reagire all'acidità della tua pelle.» F'lar rise. «Ecco la prova dell'acidità del tuo carattere, mia cara!» «Prova a metterci il tuo dito e poi vedrai cosa succede,» ordinò Lessa, con un lampo negli occhi. «Sarebbe la stessa cosa,» osservò il Fabbro in tono didascalico. «Quel rullo è formato di una sostanza naturale, il tornasole, che si trova a Igen, Keroon e Tillek. L'abbiamo sempre usata per controllare l'acidità del terreno o delle soluzioni. Poiché l'energia della reazione chimica è acida, naturalmente il tornasole cambia colore quando l'ago tocca la superficie, e in questo modo ci rende leggibile il messaggio.» «Non avevi parlato della necessità di stabilire un collegamento per mezzo di cavi? Spiegati meglio.»
Il Fabbro sollevò un rotolo di sottile filo metallico che era fissato all'apparecchio. Il cavo usciva dalla finestra e raggiungeva un pilastro di pietra. F'lar e Lessa notarono che innumerevoli altri pali procedevano in fila verso le montagne lontane: senza dubbio arrivavano fino al Maestro Minatore, alla Fortezza di Crom. «Questo collega la mia telescrivente ad energia da reazione chimica con quella di Crom. L'altro arriva a Igen. Si possono trasmettere messaggi a Crom o a Igen, o a entrambi i luoghi, regolando questo quadrante.» «Ed a chi hai mandato il messaggio precedente? chiese Lessa, indicando le linee. «A nessuno, mia Dama, perché l'apparecchio non stava trasmettendo. Avevo regolato il quadrante per ricevere i messaggi, non per inviarli. È molto efficiente, vedi.» In quel momento entrarono nella stanza due donne, vestite dei pesanti indumenti di cuoio di wher tipici dei fabbri: portavano vassoi carichi di piatti fumanti. Uno era chiaramente destinato in esclusiva al Fabbro, perché la donna girò la testa verso di lui, mentre posava il pesante vassoio su di un sostegno con tutta evidenza adattato a riceverlo senza disturbare il lavoro nel sottostante recipiente di sabbia. La donna s'inchinò a Lessa, nel passarle davanti, e accennò perentoriamente alla compagna di attendere, mentre sgombrava un tratto del tavolo: lo fece spazzando via gli oggetti con la mano, senza preoccuparsi di rompere o di mettere in disordine qualcosa. Poi passò uno strofinaccio sulla superficie messa a nudo, fece cenno all'altra di posare il vassoio. Quindi le due donne se ne andarono in fretta prima che Lessa, sbalordita da quel servizio così sbrigativo, potesse proferire una parola. «Vedo che qui addestrate a dovere le vostre donne, Fandarel,» disse F'lar, in tono blando, captando lo sguardo indignato di Lessa. «Niente chiacchiere, niente confusione, niente pretese importune di attirare l'attenzione.» Terry ridacchiò, mentre liberava una sedia coperta da un mucchio d'indumenti, e indicò a Lessa di accomodarsi. F'lar raddrizzò uno sgabello caduto, Terry estrasse con un piede un secondo sgabello che era finito sotto il lungo tavolo, e sedette con un movimento fluido, prova evidente che quei pasti raffazzonati erano una lunga abitudine. Adesso che aveva il cibo davanti a sé, il Fabbro mangiava con impegno e concentrazione. «Allora è il lavoro della posa dei cavi che richiede tempo,» disse F'lar,
accettando il klah che Lessa aveva versato per lui e per Terry. «Quanto tempo hai impiegato, per esempio, per posarli da qui a Crom?» «Non abbiamo lavorato in modo continuativo,» rispose Terry, per conto del suo Maestro, che aveva la bocca troppo piena. «I pali sono stati sistemati dagli apprendisti delle due Sedi, e dagli abitanti della Fortezza che erano disposti a rubare qualche ora alle loro normali attività. È stato difficile trovare il cavo adatto, e ci vuole tempo a produrne lunghezze che vadano bene.» «Avete parlato con il Nobile Larad? Possibile che non sia stato disposto a fornirvi degli uomini?» Terry fece una smorfia. «Al Nobile Larad interessa molto più quanti lanciafiamme possiamo fornirgli, o quanti campi può seminare a piante alimentari.» Lessa aveva bevuto un sorso di klah e aveva faticato a ingoiarlo tanto era acido. Il pane era pesante e malcotto, la salsiccia composta di grossi pezzi immangiabili, eppure Terry e Fandarel si ingozzavano con grande appetito. Un servizio trascurato era una cosa: ma un pasto impossibile era un'altra faccenda. «Se questi sono i viveri che Larad vi dà in cambio dei lanciafiamme, al vostro posto rifiuterei,» esclamò. «Guardate! Persino la frutta è marcia.» «Lessa!» «Mi meraviglio che riusciate a fare tanto, se siete costretti a campare di questa roba,» proseguì lei, senza badare al richiamo di F'lar. «Come si chiama tua moglie?» «Lessa!» ripeté F'lar, in tono ancora più incalzante. «Non ho moglie,» borbottò il Fabbro: il resto della frase gli uscì dalle labbra frammentariamente e, per spiegarsi meglio, egli si limitò a scuotere la testa. «Beh, anche una sovrintendente dovrebbe essere in grado di fare qualcosa di meglio.» Terry trangugiò in fretta il boccone per poter spiegare. «La nostra sovrintendente è una cuoca discreta, ma è molto più abile a far riapparire le scritte in inchiostro sbiadito sulle pelli che stiamo studiando: ed è appunto quel che sta facendo.» «Ma almeno una delle altre mogli...» Terry fece una smorfia. «Abbiamo un disperato bisogno di aiuto, con tutti questi progetti in corso.» Indicò con un gesto la telescrivente. «E così, chiunque può farlo si è trasformato in artigiano...» S'interruppe, vedendo la
costernazione di Lessa. «Bene, io ho delle donne disponibili, nella Caverna Inferiore. Manderò qui Kenalas e le sue due vecchie ad aiutarvi, non appena un drago verde potrà portarvele. E poi,» aggiunse Lessa, in tono enfatico, puntando un dito contro il Fabbro, «quelle tre avranno l'ordine di non fare niente per l'Arte, qualunque cosa succeda!» Terry sospirò di sollievo e spinse da parte la salsiccia che stava divorando, come se si fosse accorto in quel momento del sapore disgustoso. «Nel frattempo,» proseguì Lessa con un'indignazione che a F'lar sembrava ridicola, poiché sapeva bene chi era che dirigeva le faccende domestiche al Weyr di Benden, «penserò io a preparare un po' di klah decente. Non riesco a capire come abbiate fatto, sinora, a trangugiare questa feccia schifosa!» Corse fuori, con il bricco in mano: il suo monologo infuriato continuò a giungere ancora per un po' agli ascoltatori divertiti. «Beh, ha ragione lei,» fece F'lar, ridendo. «Questa roba è peggiore del peggio che sia mai toccato al Weyr.» «Per dire la verità, prima non me ne ero mai accorto,» rispose Terry, fissando stupito il suo piatto. «È evidente.» «A me basta per tirare avanti,» commentò placido il Fabbro, trangugiando una mezza coppa di klah per pulirsi la bocca. «Parliamo sul serio: davvero siete così a corto di uomini che avete dovuto arruolare anche le vostre donne?» «Non è che siamo a corto di uomini; ma ci manca la gente dotata dell'abilità e dell'interesse necessari per alcuni dei nostri progetti,» dichiarò Terry, precipitandosi in difesa del suo Maestro. «Non volevo criticare, Maestro Terry,» replicò pronto F'lar. «Abbiamo anche riesaminato le vecchie Cronache,» proseguì Terry, in tono ancora vagamente difensivo. Sfogliò il mucchio di pelli che stava al centro del tavolo. «Abbiamo trovato soluzioni a problemi di cui non conoscevamo l'esistenza e che non abbiamo ancora incontrato.» «E non abbiamo trovato le soluzioni dei problemi che ci assillano,» aggiunse Fandarel, indicando il cielo con un movimento del pollice. «Abbiamo dovuto dedicare un certo tempo alla copiatura delle Cronache,» continuò Terry in tono solenne, «perché ormai sono quasi completamente illeggibili...» «Sono convinto che abbiamo perduto assai di più di quanto è stato salvato e di quanto può esserci utile. Certe pelli erano consunte per l'uso, ed il
loro messaggio si era cancellato.» Sembrava che i due fabbri si stessero scambiando lamentele ripetute mille volte. «Non avete mai pensato di chiedere aiuto al Maestro Arpista, per la trascrizione delle Cronache?» chiese F'lar. Fandarel e Terry si scambiarono occhiate sbigottite. «Capisco: non vi è passato per la testa. Ma non sono autonomi soltanto i Weyr. Voi Maestri delle Arti vi tenete in comunicazione?» Il gran sorriso ironico di F'lar venne rispecchiato da quello del grosso Fabbro al ricordo delle parole pronunciate la sera prima da Robinton. «Comunque, la Sede degli Arpisti di solito brulica di apprendisti, incaricati di ricopiare tutto ciò che Robinton riesce a scovare. Potrebbero svolgere questo compito per conto vostro.» «Sì, sarebbe davvero un grande aiuto,» ammise Terry, vedendo che il Fabbro non protestava. «Mi sembri dubbioso... o esitante? C'è forse di mezzo qualche segreto dell'Arte?» «Oh, no. Né il Maestro né io ci aggrappiamo ai segreti cabalistici e inviolabili, da trasmettere di padre in figlio sul letto di morte...» Il Fabbro sbuffò con tale poderoso disprezzo che una pelle, posata in cima al mucchio, scivolò sul pavimento. «Niente figli!» «Va benissimo quando uno può avere la certezza di morire nel suo letto e ad un dato momento; ma io... e il Maestro dell'Arte preferiremmo fare in modo che tutta la nostra scienza fosse accessibile a chiunque ne abbia bisogno,» disse Terry. F'lar guardò con crescente rispetto il Vicemaestro. Sapeva che Fandarel contava molto sull'abilità e sulla diplomazia di Terry. Era l'uomo più adatto per colmare le lacune nelle spiegazioni e nelle istruzioni laconiche di Fandarel: ma adesso appariva evidente che Terry aveva una mentalità sua, indipendentemente dal fatto che concordasse o meno con quella del Maestro dell'Arte. «In questo modo, una scienza corre minor pericolo di andare perduta,» proseguì Terry, in tono meno appassionato ma con eguale fervore. «Un tempo sapevamo molto di più. E tutto ciò che ci resta è un mucchietto di frammenti che quasi fanno più male che bene, perché finiscono per ostacolare ogni sviluppo indipendente.» «Ce la faremo,» disse Fandarel, con quel suo ottimismo ineffabile che compensava la volubilità di Terry.
«Avete uomini e cavi sufficienti per installare uno di quegli apparecchi alla Fortezza di Telgar in due giorni?» chiese F'lar, ritenendo opportuno cambiare argomento. «Potremmo sottrarre degli uomini alla produzione dei lanciafiamme e del resto. E posso convocare gli apprendisti delle Sedi di Igen, Telgar e Lemons,» disse il Fabbro. Poi lanciò un'occhiata eloquente a F'lar. «Certo, arriverebbero prima a dorso di drago.» «Avrai i draghi,» promise il Comandante del Weyr. Il volto di Terry s'illuminò per il sollievo. «Tu non puoi neppure immaginare quanto sia diverso lavorare con il Weyr di Benden. Tu capisci chiaramente ciò che è necessario fare, senza bisogno di tante discussioni. «Avete avuto qualche problema con R'mart?» chiese F'lar, preoccupato. «Non si tratta di questo, Comandante del Weyr,» rispose Terry, curvandosi verso di lui. «A te interessa ancora quello che succede, quello che sta succedendo.» «Mi sembra di non capire.» Il Fabbro borbottò qualcosa, ma Terry non s'interruppe. «Io la penso così, e ormai ho avuto a che fare con cavalieri di tutti i Weyr. Gli Antichi non hanno fatto altro che combattere i Fili, da quando sono nati. Non sanno fare altro. Sono stanchi, e non semplicemente perché si sono portati avanti nel tempo di quattrocento Giri. Sono stanchi nel cuore, nelle ossa. Troppe volte sono stati destati dagli allarmi, hanno visto morire troppi amici e troppi draghi, bruciati dai Fili. Si affidano alla consuetudine, perché è il mezzo più sicuro e richiede meno energia. E ritengono di avere il diritto di ottenere tutto ciò che vogliono. Forse la loro mente si è intorpidita per il lunghissimo tempo trascorso in mezzo, anche se sanno pensare molto in fretta, quando si tratta di contraddirci. Per quel che li riguarda, ci sono sempre stati i Fili. Non hanno niente altro da immaginare, nel futuro. Loro non ricordano, non riescono a immaginare un periodo di quattrocento Giri senza Cadute di Fili. Ma noi ci riusciamo: ci riuscivano i nostri padri, ed anche i loro. Noi viviamo secondo un ritmo diverso perché le Fortezze e le Arti avevano dimenticato quell'antica paura ed erano cresciute in modi diversi, avevano seguito altre vie, cui adesso non possono rinunciare. Noi esistiamo soltanto perché gli Antichi sono vissuti nel loro tempo e nel nostro. E hanno combattuto allora e adesso. Noi possiamo vedere una via d'uscita, una vita senza Fili. Loro sapevano una cosa soltanto, e ce l'hanno insegnata: come si combattono i Fili. Ma non possono capire che noi potremmo spingerci ancora un po' più avanti e distruggere i
Fili per sempre.» F'lar ricambiò lo sguardo acceso di Terry. «Non avevo mai visto gli Antichi in questa luce,» fece poi, lentamente. «Terry ha ragione, F'lar,» disse Lessa. Evidentemente si era soffermata sulla soglia, ma entrò a passo svelto, e riempì il boccale vuoto del Fabbro con il klah che aveva preparato personalmente. «Ed è una considerazione che dovremo tenere presente, nel trattare con gli Antichi.» Sorrise con simpatia a Terry, nel riempirgli la coppa. «Sei eloquente quanto l'Arpista, tu. Sei proprio sicuro di essere un Fabbro?» «Questo sì che è klah!» dichiarò Fandarel, che aveva bevuto tutta la sua razione. «E tu sei sicura di essere una Dama del Weyr?» ritorse F'lar, tendendo la coppa con un sorriso sarcastico. Poi, rivolto a Terry, «Mi sorprende che nessuno di noi se ne sia reso conto prima, soprattutto se si tengono presenti gli ultimi avvenimenti. Un uomo non può combattere un giorno dopo l'altro, un Giro dopo l'altro... anche se i Weyr ci tenevano a venire nel nostro tempo...» Lanciò a Lessa un'occhiata interrogativa. «Ah, ma era una cosa nuova, eccitante,» rispose lei. «E questo era un mondo nuovo, per gli Antichi. Quello che non è nuovo è il fatto che hanno altri quaranta e più Giri da combattere, nel nostro tempo. Alcuni di loro avevano già alle spalle quindici o venti Giri di lotta contro i Fili. Noi ne abbiamo soltanto sette.» Il Fabbro puntò entrambe le mani sul tavolo e si alzò, energicamamente. «Le parole non fanno i miracoli. Per eliminare per sempre i Fili dobbiamo condurre i draghi al luogo dove hanno origine. Terry, versa una tazza di questo delizioso klah per Wansor, e poi affrontiamo di buon animo il problema.» Mentre F'lar si alzò insieme a Lessa, il messaggio di F'nor gli frusciò nella cintura. «Lasciami dare un'occhiata a quello che mi manda a dire F'nor, Lessa, prima che ce andiamo.» Aprì le pagine scritte fittamente, ed il suo occhio afferrò il ripetersi delle parole «lucertola di fuoco» prima che la sua mente comprendesse il senso di quanto stava leggendo. «Imprimere lo Schema? A una lucertola di fuoco?» esclamò, tenendo in modo che anche Lessa potesse vedere bene. «Nessuno è mai riuscito a prendere una lucertola di fuoco,» disse Fandarel.»
«F'nor c'è riuscito,» rispose F'lar. «E anche Brekke; e Mirrim. Chi è Mirrim?» «La figlia adottiva di Brekke,» rispose in tono distratto la Dama del Weyr, scrutando il messaggio con la massima rapidità possibile. «Figlia di L'trel e di qualcuna delle sue donne. No, a Kylara la cosa non sarà andata giù!» F'lar la zittì, passando i fogli a Fandarel, che adesso era incuriosito. «Le lucertole di fuoco sono imparentate con i draghi?» chiese il Vicemaestro Fabbro. «Più di quanto immaginassimo, a giudicare da quel che riferisce F'nor.» F'lar porse a Terry l'ultima pagina e levò lo sguardo verso Fandarel. «Cosa ne pensi?» Il Fabbro cominciò a corrugare la fronte, ma poi s'interruppe, e sfoggiò un gran sorriso. «Domandalo al Maestro Allevatore. Lui alleva animali. Io allevo macchine.» Salutò Lessa alzando il boccale e si avviò verso la parete che stava contemplando quando erano entrati: subito si perse nei suoi pensieri. «Ben detto,» fece F'lar, con una risata, rivolgendosi ai due ascoltatori che gli erano rimasti. «F'lar? Ricordi la lamina di metallo lacunosa, con quelle parole strane? Quella coperta da una scrittura identica a ciò che abbiamo ritrovato ieri sera? Anche lì si parlava delle lucertole di fuoco. Era una delle poche frasi che avevano un senso.» «E allora?» «Vorrei che non avessimo restituito quella lamina al Weyr di Fort. Era molto più importante di quanto immaginassimo.» «Al Weyr di Fort può esserci molta roba importante,» ribatté F'lar, amaramente. «Era il primo Weyr. Chissà cosa potremmo trovare, se avessimo la possibilità di frugarlo.» Lessa s'incupì, pensando a Mardra e a T'ron. «T'ron non è difficile da manovrare,» fece, pensosa. «Lessa, non dire sciocchezze.» «Se le lucertole di fuoco sono davvero affini ai draghi, possono venire addestrate ad andare in mezzo, come i draghi, ed a fare da messaggere?» chiese a Terry. «Ma quanto tempo occorrerebbe?» domandò il Fabbro, meno assorto di quanto sembrasse. «Quanto tempo abbiamo, in questo Giro?»
VIII Metà mattina al Weyr Meridionale. «No, Rannelly, non ho visto Kylara in tutta mattina,» disse pazientemente Brekke alla vecchia, per la quarta volta in quelle poche ore. «E scommetto che non hai neanche dato un'occhiata alla tua povera regina, perché sei troppo occupata a perdere tempo con quegli... con quegli essermi così fastidiosi,» ribatté Rannelly, e uscì dalla Sala dei Weyr borbottando e zoppicando. Brekke aveva finalmente trovato il tempo di occuparsi della lucertola marrone ferita che apparteneva a Mirrim. Era così rimpinzata dai bocconcini prelibati con cui l'aveva imboccata la troppo zelante infermiera che aprì a malapena un occhio quando Brekke l'esaminò. L'intorpidaria era efficace per le lucertole, non meno che per i draghi e gli umani. «Sta andando molto bene, cara,» disse Brekke alla ragazzetta ansiosa, e le due lucertole verdi sbatterono le ali, sulle spalle di Mirrim, reagendo al suo immane sospiro di sollievo. «Ma non devi rimpinzarle troppo, o gli si screpolerà la pelle.» «Credi che resteranno?» «Con tutte le cure che hai per loro, cara, è molto improbabile che se ne vadano. Ma tu hai dei compiti da cui, in tutta coscienza, non posso esentarti...» «Tutto per colpa di Kylara...» «Mirrim!» La ragazzina chinò il capo, vergognandosi: ma l'indignava il pensiero che Kylara desse gli ordini e non lavorasse mai, lasciando che tutto il peso ricadesse sulle spalle di Brekke. Non era giusto. Mirrim era molto, molto felice che le piccole lucertole avessero preferito lei a quella donna. «Cosa intendeva Rannelly, a proposito della tua regina? Tu hai molta cura di Wirenth. Non le manca mai niente,» disse Mirrim. «Ssst! Andrò a vederla. Dormiva, quando l'ho lasciata.» «Rannelly non è migliore di Kylara. Lei crede di essere tanto saggia e di sapere tutto.» Brekke stava per rimproverare la figlia adottiva, quando sentì che F'nor la chiamava. «I cavalieri verdi stanno trasportando una parte della carne appesa nelle
grotte di. sale,» disse allora, rinunciando al rimprovero per impartire rapide istruzioni. «Non bisogna assolutamente darne alle lucertole, Mirrim. Ora, ascoltami bene. I ragazzi possono prendere dei wherry selvatici, con le trappole. La carne, va egualmente benissimo, se non meglio. Non sappiamo ancora che effetto faccia alle lucertole un eccesso di carne rossa.» E con quell'ammonimento destinato a frenare la generosità impulsiva di Mirrim, Brekke uscì per incontrarsi con F'nor. «Non è ancora arrivato un cavaliere da Benden?» le chiese questi assestandosi sulla spalla la benda che gli reggeva il braccio. «Lo avresti saputo subito,» gli assicurò Brekke, mentre gli sistemava abilmente la stoffa intorno al collo. «Per la verità,» aggiunse in tono di blando rimprovero, «oggi nel Weyr non ci sono dragonieri.» F'nor ridacchiò. «Ed è facile capire il motivo della loro assenza. Non c'è una sola spiaggia, lungo la costa, dove non ci sia un drago sdraiato, con un cavaliere accanto che finge di dormire.» Brekke si nascose la bocca con la mano. Era meglio che Mirrim non la sentisse ridere come una ragazzina. «Oh, tu ridi?» «Sì, e hanno anche preso nota delle due occasioni in cui l'ho fatto,» rispose lei, con la dovuta solennità: ma le brillavano gli occhi. Poi notò che nella benda non c'era l'inquilina abituale. «E dov'è...» «Grall è acciambellata fra gli occhi di Canth, così satolla che probabilmente non si muoverebbe neppure se andassimo in mezzo. Il che è appunto quanto ho una mezza intenzione di fare. Se non mi avessi assicurato tu che potevo fidarmi di G'nag, giurerei che non ha consegnato a F'lar la mia lettera, o che l'ha persa.» «Non devi andare in mezzo con quella ferita, F'nor. E se G'nag ha promesso di recapitare la lettera, l'ha fatto. Forse è successo qualcosa.» «Più importante della cattura delle lucertole di fuoco?» «Potrebbe darsi. I Fili stanno cadendo in modo imprevedibile...» Brekke s'interruppe; non avrebbe dovuto rammentarlo a F'nor, a giudicare dalla sua espressione tetra. «E potrebbe darsi di no: ma debbono indurre i Signori delle Fortezze a fornire i guardiani e i fuochi, ed è possibile che sia questo, a tenere occupato F'lar. Certo non è colpa tua se non sei là per aiutarlo. Quegli odiosi cavalieri di Fort sono incapaci di autocontrollo. Pensa, portare un drago verde fuori dal suo Weyr quando stava per accoppiarsi...» Brekke s'interruppe di nuovo, serrando le labbra. «Ma Rannelly ha alluso alla 'mia' regina, non alla 'sua' regina.»
La fanciulla era impallidita tanto che F'nor le afferrò il gomito con la mano illesa, per sorreggerla. «Cosa succede? Kylara non avrà per caso portato fuori di qui Prideth quando sta per accoppiarsi? E a proposito, dov'è Kylara?» «Non lo so. Devo andare a vedere Wirenth. Oh, no, no, non è possibile!» F'nor seguì con lo sguardo la ragazza che procedeva svelta fra i grandi alberi incurvati sul vasto complesso del Weyr Meridionale. «Wirenth è uscita da poco dall'uovo,» le gridò dietro; poi ricordò che in realtà era nata da parecchio. Ma lui tendeva a considerare Brekke la più recente delle Dame del Weyr Meridionale. Sembrava così giovane, troppo giovane... Ha la stessa età che aveva Lessa quando Mnementh accompagnò per la prima volta Ramoth nel volo nuziale, l'informò Canth. «E Wirenth è pronta per il volo?» chiese F'nor al suo drago marrone, fermandosi di colpo. Presto. Presto. I bronzei lo sapranno. F'nor passò mentalmente in rassegna i bronzei del Weyr Meridionale. Il risultato non lo soddisfece. Non che i bronzei fossero poco numerosi, il che sarebbe stato uno sgarbo nei confronti di una nuova regina; ma i loro cavalieri si erano sempre contesi i favori di Kylara, sia che Prideth si accoppiasse o no. Qualunque bronzeo avesse accompagnato Wirenth nel volo nuziale, il dragoniere avrebbe avuto Brekke: e il pensiero che facesse all'amore con Brekke qualcuno che aveva aspirato ai favori di Kylara lo esasperava. Canth è grande quanto tutti i bronzei che ci sono qui, o ancora di più, pensò F'nor, risentito. Non aveva mai fatto quei confronto invidioso, prima di quel momento, e lo allontanò implacabile dalla propria mente. Ora, se si fosse trovato al Weyr Meridionale N'ton, che era un ottimo ragazzo ed un eccellente cavaliere? Oppure B'dor del Weyr di Ista? F'nor aveva combattuto a fianco del dragoniere di Ista, quando il suo Weyr e Benden avevano unito le forze per proteggere Nerat e Keroon. Tutti e due avevano splendidi bronzei. F'nor avrebbe prescelto N'ton, ma se fosse stato il drago di B'dor ad accompagnare Wirenth nel volo nuziale,, la regina e Brekke avrebbero avuto la possibilità di trasferirsi al Weyr di Ista. Là c'erano soltanto tre regine, e Nadira era una Dama del Weyr assai migliore di Kylara, sebbene provenisse dal Tempo Antico. Soddisfatto di quella soluzione, sebbene non sapesse come poteva realizzarla, F'nor proseguì in direzione della radura assolata di Wirenth.
Si soffermò sul limitare, colpito dalla vista di Brekke completamente assorta nella sua regina. La fanciulla stava accanto alla testa di Wirenth, graziosamente appoggiata al drago, e le grattava con delicatezza l'arcata sopracciliare. Wirenth era insonnolita: sollevava una palpebra giusto quanto bastava per far capire che si rendeva conto di quel gesto premuroso. La testa a forma di cuneo era appoggiata su una delle zampe anteriori, la coda cingeva elegantemente i quarti posteriori. Splendeva nel sole del giallo arancione dell'ottima salute... un colore che presto si sarebbe mutato in oro brunito. Troppo presto, pensò F'nor, perché Wirenth aveva perduto ogni traccia della mollezza dell'adolescenza; la pelle era liscia e lucida, senza una macchia che facesse pensare a cure imperfette. Era un drago splendidamente proporzionato: non aveva le zampe troppo lunghe, la coda troppo corta, il collo da wherry. Nonostante la sua mole, dato era lunga quanto Prideth, aveva un aspetto più agile e snello. Era una delle regine più belle nate da Ramoth e Mnementh. F'nor aggrottò la fronte, mentre guardava Brekke, sottilmente trasformata dalla presenza del suo drago. Sembrava più femminile... e desiderabile. Accorgendosi del suo arrivo, Brekke si voltò, e la languida espressione adorante rese la vista del suo • volto radioso quasi imbarazzante, per F'nor. Egli si affrettò a schiarirsi la gola. «Si leverà presto per il volo nuziale, te ne rendi conto?» disse, in tono più burbero di quanto intendesse. «Sì, credo che lo farà presto, la mia bellissima. Mi chiedo che effetto farà a lui,» disse Brekke, cambiando espressione. Si scostò di un passo, additando il piccolissimo drago bronzeo acquattato fra la mandibola e la zampa di Wirenth. «Non possiamo saperlo, vero?» ribatté F'nor, e tornò a schiarirsi la gola, per nascondere la rabbia che gli suscitava il pensiero di Brekke che si accoppiava ad uno dei cavalieri bronzei del Weyr Meridionale. «Cosa c'è? Non ti senti bene?» domandò lei, preoccupata, ridiventando di colpo la Brekke che F'nor conosceva bene. «No. Chi sarà il fortunato cavaliere?» chiese lui. Era una domanda abbastanza civile. Dopotutto, era il vice di F'lar, e aveva il diritto di essere curioso, in quelle faccende. «Tu puoi chiedere un volo aperto, lo sai,» aggiunse, in tono difensivo. Brekke impallidì e si appoggiò a Wirenth, come per cercare conforto. Per cercare conforto, si ripeté F'nor, e rammentò, senza molto sollievo, il modo in cui Brekke aveva guardato T'bor, il giorno innanzi. «Non importa se il cavaliere ha già un legame, sai: non al primo accoppiamento.» Lo
disse precipitosamente, poi si rese conto di avere commesso una stupidaggine. Brekke doveva sapere benissimo quale sarebbe stata la reazione di Kylara se Orth, il drago di T'bor, avesse accompagnato Wirenth nel volo nuziale. Sapeva che non avrebbe avuto più pace. Gemette, vergognandosi della propria inettitudine. «Ti fa male il braccio?» chiese lei, sollecita. «No. Non il braccio.» F'nor si avvicinò, le strinse la spalla con la mano indenne. «Senti, sarebbe meglio se richiedessi un volo aperto. Non mancano ottimi cavalieri bronzei. N'ton del Weyr di Benden, B'dor del Weyr di Ista: sono entrambi uomini eccellenti, e hanno magnifici animali. Allora potresti abbandonare il Weyr Meridionale...» Brekke aveva chiuso gli occhi, e sembrava sul punto di svenire. «No! No!» Il rifiuto fu così sommesso che egli l'udì appena. «Il mio posto è qui. Non... a Benden.» «Poterebbe trasferirsi N'ton, allora.» Un brivido squassò il corpo di Brekke: gli occhi si spalancarono. Poi lei si sottrasse alla sua stretta. «No. N'ton... non deve venire al Weyr Meridionale,» disse con voce incolore. «Non sa che farsene di Kylara, stai certa,» continuò F'nor, deciso a rassicurarla. «Quella donna non riesce ad incantare tutti gli uomini, sai. E tu sei tanto cara...» Con un salto d'umore improvviso, che gli ricordò Lessa, Brekke levò verso di lui il volto sorridente. «Fa piacere saperlo.» E inspiegabilmente F'nor dovette ridere insieme con lei, della propria intromissione così goffa, del fatto che lui, un dragoniere marrone, desse consigli ad una come Brekke, che aveva molto più buon senso. Bene, comunque avrebbe inviato un messaggio a N'ton ed a B'dor. Ramoth l'avrebbe aiutato. «Che nome hai dato alla tua lucertola?» chiese. «Berd. L'abbiamo deciso io e Wirenth. Lei trova molto simpatico il piccolo bronzeo,» rispose Brekke, sorridendo con tenerezza ai due animali addormentati. «Comunque, mi sento molto confusa. Perché io ho un bronzeo, tu una regina, e Mirrim ne ha tre?» F'nor alzò le spalle, con un sorriso ironico. «E perché no? Certo, quando li avvertiremo che non è così che si fa, forse si adegueranno agli antichi insegnamenti.»
«Volevo dire un'altra cosa... Se le lucertole di fuoco, che sembrano draghi in miniatura, possono riceve lo Schema da chiunque le avvicina al momento cruciale, allora i draghi da combattimento, e non solo le regine, che del resto non masticano le pietre incendiarie... potrebbero riceverlo anch'essi dalle donne, come dagli uomini.» «Combattere i Fili è una missione molto dura. Lasciala ai maschi.» «E tu credi che dirigere un Weyr non sia un lavoro duro?» Brekke conservò un tono tranquillo, ma gli occhi le si oscurarono per la collera. «Oppure arare i campi o scavare nella roccia per le Fortezze? E...» F'nor zufolò. «Oh, Brekke, che pensieri rivoluzionari, per una ragazza nata e cresciuta nelle Arti! Là le donne sanno che per loro c'è un solo posto... Oh, tu stai pensando a Mirrim come dragoniere?» «Sì. È forse migliore di alcuni dei ragazzi nati e cresciuti nei Weyr che io conosco.» E c'era una tale asprezza, nella voce di Brekke, che F'nor si domandò a quali ragazzi si riferiva. «La sua capacità di imprimere lo Schema alle lucertole di fuoco indica...» «Ehi, un po' di calma, ragazza mia. Abbiamo già abbastanza guai con gli Antichi, senza bisogno di doverli indurre ad accettare una ragazza sul dorso di un drago da combattimento! Suvvia, Brekke. So quanto sei affezionata a quella ragazzina, e lei mi sembra molto intelligente: ma cerca di essere realista.» «Lo sono,» rispose Brekke, con tanta enfasi che F'nor la fissò sbalordito. «Certi dragonieri avrebbero dovuto diventare artigiani o contadini o... o niente: ma sono accettabili ai draghi, alla Schiusa. Altri sono veri dragonieri, nel cuore e nella mente e nell'anima. I draghi rappresentano il principio e la fine delle loro ambizioni. Mirrim...» Un drago irruppe nell'aria sopra il Weyr, barrendo. «F'lar!» Con una simile ampiezza d'ali, non poteva essere altri che lui. F'nor si lanciò a corsa, facendo cenno a Brekke di seguirlo al campo d'atterraggio del Weyr. «No. Vai da solo. Wirenth si sta svegliando. Aspetterò.» F'nor provò un senso di sollievo, nell'apprendere che Brekke preferiva rimanere. Non voleva che esponesse una teoria tanto drastica di fronte a F'lar, soprattutto ora che lui voleva indurre il fratellastro a trasferire lì N'ton e B'dor. Era disposto a fare qualunque cosa per risparmiare a Brekke le scenate che Kylara avrebbe fatto inevitabilmente se Orth, il drago di T'bor, avesse accompagnato Wirenth nel volo nuziale. «Dove sono finiti tutti quanti?» fu il brusco saluto di F'lar, quando il fra-
tello lo raggiunse. «Dov'è Kylara? Mnementh non riesce a trovare Prideth. Non dovrebbe andarsene in giro così da sola.» «Sono tutti fuori, a cercare di prendere le lucertole di fuoco.» «Mentre i Fili cadono in modo imprevedibile? Questa è la più grossa stupidaggine che... Questo continente non è affatto immune. E dov'è T'bor, per tutte le Uova? Ci mancherebbe solo questo... i Fili che devastano il Continente Meridionale!» Quella sfuriata era così poco caratteristica che F'nor fissò sbalordito il Comandante del Weyr. F'lar si passò la mano sugli occhi, si massaggiò le tempie. Il freddo del passaggio in mezzo gli aveva dato di nuovo il mal di testa. La conversazione alla Sede dell'Arte era stata sconvolgente. Afferrò il braccio del fratellastro, con aria di rammarico. «Sono stato imperdonabile, F'nor. Ti chiedo di scusarmi.» «Sei scusato, naturalmente. Ecco là Orth che sta scendendo.» F'nor decise di aspettare, prima di chiedere a F'lar che cosa lo turbava tanto. Immaginava quello che avevano indubbiamente detto Raid di Benden e Sifer di Bitra, nel sentirsi richiedere altra mano d'opera. Probabilmente quelli pensavano che il cambiamento nella caduta dei Fili fosse un insulto personale nei loro confronti, perpetrato dal Weyr di Benden per esasperare le fedeli Fortezze di Pern. T'bor atterrò, e si diresse a passo svelto verso i due che lo attendevano. Forse Brekke non sbagliava poi troppo, con quella sua dottrina eretica, pensò F'nor. T'bor aveva reso autosufficiente e produttivo il Weyr Meridionale, e non era un'impresa da poco. Evidentemente, avrebbe potuto essere un ottimo Signore. «Orth mi ha detto che eri arrivato, F'lar. Cosa ti conduce al Weyr Meridionale? Hai saputo delle lucertole di fuoco?» gridò T'bor scrollandosi la sabbia dagli abiti mentre camminava. «Sì, l'ho saputo,» rispose F'lar, in tono così formale che il sorriso cordiale di T'bor svanì. «E pensavo che voi aveste ricevuto le nostre notizie: i Fili cadono in modo imprevedibile.» «C'è un cavaliere piazzato in ogni caletta della costa, F'lar, quindi non puoi accusarmi di negligenza,» disse T'bor, riprendendo a sorridere. «Non è necessario che i draghi siano in volo, perché scoprano i Fili. Per il Guscio, uomo, si sente benissimo quando sfrigolano, cadendo nell'acqua.» «Immagino che tu stessi cercando uova di lucertola di fuoco?» F'lar sembrava stizzito, non del tutto rassicurato dalle parole di T'bor «Ne avete trovate?»
T'bor scosse il capo. «A Ovest, molto lontano, ci sono le tracce di un'altra covata, ma non c'è segno di gusci o di corpi morti. I wherry fanno sparire rapidamente tutto ciò che trovano di commestibile.» «Se fossi in te, T'bor, non sguinzaglierei un intero Weyr a caccia di uova di lucertola. Niente ci garantisce che i Fili comincino a piovere su questo continente arrivando dall'oceano. «Ma è sempre stato così. Per quei pochi che sono caduti qui.» «I Fili sono caduti con dieci ore d'anticipo sul previsto e sul territorio settentrionale di Lemos, quando li aspettavamo nella parte Sud di Lemos e in quella Sud-Est di Telgar,» gli disse F'lar, con voce dura. «E poi, sono venuto a sapere che sono caduti, incontrollati,» e fece una pausa perché quelle parole s'imprimessero nella mente di T'bor, «sulle terre delle Fortezze di Telgar e di Crom, entrambe le volte fuori fase rispetto alle tavole, anche se non conosciamo ancora lo scarto orario. Non possiamo contare sui fenomeni precedenti.» «Organizzerò immediatamente un servizio di guardia, e manderò le squadriglie in ricognizione a Sud, fin dove ci siamo spinti,» disse pronto T'bor: s'infilò la giubba da volo e tornò correndo verso Orth. Il drago ripartì con un grande balzo. «Orth mi sembra in ottima forma,» disse F'lar, poi scrutò attento il fratellastro, prima di sorridere e di percuotergli scherzosamente con un pugno la spalla illesa. «E anche tu. Come va il braccio?» «Sono qui al Weyr Meridionale,» rispose F'nor, per tutta spiegazione. «E le Cadute dei Fili sono diventate davvero tanto imprevedibili?» «Non lo so,» disse F'lar scrollando le spalle irritato. «Parlami di queste lucertole di fuoco, per favore. Valgono davvero l'interesse di tutti i cavalieri abili di questo Weyr? La tua dov'è? Vorrei vederla con i miei occhi, prima di tornare a Benden.» Lanciò un'occhiata verso Nord-Est, aggrottando la fronte. «Per il Guscio, non posso lasciare il Weyr di Benden per una settimana senza che tutto vada a rotoli?» chiese F'nor con tanta veemenza che F'lar lo scrutò sorpreso per un attimo: poi ridacchiò e parve rilassarsi. «Così va meglio,» disse F'nor, ricambiando il sorriso. «Vieni. C'è un paio di lucertole nella Sala del Weyr, e ho bisogno di bere un po' di klah. Sono stato in giro anch'io tutta la mattina in caccia di covate, sai. Oppure preferisci assaggiare un po' di vino del sud?» «Ah!» L'esclamazione di F'lar risuonò come una sfida Quando entrarono nella Sala del Weyr, Mirrim era sola, e rimescolava lo
stufato nei grandi tegami. Le due lucertole verdi la stavano osservando dall'ampia mensola del camino. Sembrava che la ragazzina avesse il petto stranamente deformato, ma poi F'nor si accorse che si era appesa una benda alle spalle, e lì stava aggrappata la lucertola marrone ferita, dagli occhietti che sembravano puntolini di luce. Al suono dei loro passi, Mirrim si voltò di scatto, spalancando gli occhi con un'apprensione che divenne stupore quando il suo sguardo deviò da F'nor a F'lar. Aprì la bocca per la sorpresa quando riconobbe il Comandante del Weyr di Benden, grazie alla sua somiglianza con F'nor. «E tu sei la... la damigella che ha impresso lo Schema a tre lucertole?» chiese F'lar, avviandosi verso di lei. Mirrim incominciò una serie di riverenze nervose, e la lucertola marrone strillò per protestare contro quegli scossoni. «Posso vederlo?» chiese F'lar. Cominciò a grattare delicatamente l'arcata sopracciliare del minuscolo drago. «È una vera bellezza! Canth in miniatura,» e lanciò un'occhiata di sottecchi al fratellastro, per vedere se aveva afferrato la frecciata. «Guarirà completamente dalle ferite... ah...» «Si chiama Mirrim,» suggerì F'nor, in tono blando, come per far capire che suo fratello aveva una pessima memoria. «Oh, sì, comandante del Weyr... si sta rimettendo benissimo,» disse la ragazzina, con un'altra riverenza. «È rimpinzato a dovere, vedo,» commentò F'lar in tono d'approvazione. Guardò i due raggomitolati vicini vicini sulla mensola e cantilenò in tono incoraggiante. Le lucertole cominciarono a pavoneggiarsi, spiegando le fragili ali traslucide, inarcando i dorsi ed emettendo un ronzio di piacere. «Avrai parecchio da fare, con questo terzetto.» «Riuscirò a curarle bene, signore. Lo prometto. E senza dimenticare i miei doveri,» disse Mirrim, ansimando, sempre ad occhi spalancati. Poi, con gemito di disappunto, si girò a rimestare precipitosamente il contenuto della pentola più vicina, tornò a voltarsi prima che gli uomini avessero il tempo di muoversi. «Brekke non c'è. Volete un po' di klah? Oppure lo stufato? O magari...» «Ci serviamo da soli,» le assicurò F'nor, prendendo due boccali. «Oh, dovrei farlo io, signore...» «Tu dovresti badare alle tue pentole, Mirrim. Ci arrangeremo,» le disse F'lar in tono gentile, paragonando mentalmente l'andamento delle faccende domestiche alla Sede dei Fabbri con l'ordine e il buon profumo di cibo di quel Weyr.
Fece segno al cavaliere marrone di accomodarsi al tavolo più lontano dal camino. «Riesci a sentire qualcosa dalle lucertole?» chiese a bassa voce. «Da quelle di Mirrim, vuoi dire? No, ma riesco facilmente a capire cosa pensano, grazie alle loro reazioni. Perché?» «Una domanda oziosa. Ma quella ragazzina non proviene da una Cerca, vero?» «No, naturalmente. È la figlia adottiva di Brekke.» «Uhm. Quindi non costituisce una prova, vero?» «Una prova di cosa, F'lar? Non è certo alla testa che sono stato ferito, ma non riesco a seguire il tuo ragionamento.» F'lar rivolse al fratello un sorriso assente, poi espirò, con fare stanco. «Avremo dei fastidi con i Signori delle Fortezze: sono disillusi e insoddisfatti dei Weyr Antichi, e protesteranno contro tutte le nuove misure che dovremo prendere contro i Fili.» «Raid e Sifer ti hanno causato difficoltà?» «Magari si trattasse solo di questo, F'nor. Avrebbero finito per capire.» F'lar riferì laconicamente al fratellastro ciò che aveva saputo da Lytol, Robinton e Fandarel il giorno precedente. «Brekke aveva ragione, quando diceva che stava per accadere qualcosa d'importante,» osservò F'nor. «Ma...» «Sì, sono notizie dure da mandar giù d'accordo: ma il nostro efficientissimo Maestro Fabbro ha trovata quella che potrebbe essere la soluzione, non solo per segnalare i Fili, ma anche per istituire comunicazioni decenti con tutte le Fortezze e le Sedi delle Arti di Pern. Dato soprattutto che non possiamo indurre gli Anitlchi ad assegnare i loro dragonieri fuori dei Weyr. Oggi ho assistito a una dimostrazione di quell'apparecchio, e ne monteremo uno per i Signori delle Fortezze, alle nozze di Telgar...» «E i Fili aspetteranno sino ad allora?» F'lar sbuffò. «Francamente, può darsi che i Fili siano il male minore. Sembrano più flessibili degli Antichi e meno fastidiosi dei Signori delle Fortezze.» «Uno dei principali motivi di dissidio tra i Signori delle Fortezze ed i cavalieri dei Weyr è rappresentato da draghi, F'lar, e le lucertole di fuoco potrebbero servire ad appianare le cose.» «È appunto quello cui pensavo prima, considerando le tre lucertole della piccola Mirrim. È davvero sorprendente, anche se è nata e cresciuta in un Weyr.»
«Brekke vorrebbe vederla imprimere lo Schema ad un drago da combattimento,» disse F'nor con aria distratta, scrutando con attenzione il volto del fratellastro. F'lar lo guardò sbalordito, poi rovesciò la testa all'indietro e rise. «Riesci... a immaginare... la reazione di T'ron?» riuscì finalmente a dire. «Abbastanza bene per risparmiarmi la tua versione: ma le lucertole di fuoco possono diventare la chiave. E potrebbe servire a tenere le Fortezze in contatto con i Weyr, se questi essermi risultassero addestrabili.» «Se... se! Fino a che punto le lucertole di fuoco sono affini ai draghi?» F'nor alzò le spalle. «Come ti ho detto si può imprimere loro lo Schema... anche se non discriminano.» Indicò Mirrim, indaffarata davanti al camino, poi sogghignò maliziosamente. «Comunque, hanno mostrato di detestare Kylara a prima vista. Sono asservite al loro stomaco, sebbene dopo la Schiusa presentino molti dei caratteri dei draghi. Reagiscono all'effetto e all'adulazione. Gli stessi draghi ammettono la parentela, e non mostrano la minima gelosia per questi esserini. Io riesco a captare le emozioni fondamentali nei pensieri della mia 'reginetta', ed in generale ispirano affetto in coloro che li maneggiano.» «E sono capaci di andare in mezzo?» «Grall, la mia piccola regina, l'ha fatto. Non saprei dirti se masticano pietre incendiarie: dovremo aspettare e vedere.» «E non ne abbiamo il tempo,» disse F'lar, serrando i pugni e seguendo con un'espressione irrequieta la corrente dei suoi pensieri. «Se potessimo trovare una covata dai gusci già induriti, vicini alla Schiusa, in tempo per le nozze... ebbene, questo, più l'apparecchio di Fandarel...» F'nor non terminò la frase. F'lar si alzò con un movimento deciso. «Vorrei vedere la tua regina. L'hai chiamata Grall?» «Sei un vero dragoniere, F'lar» ridacchiò F'nor, ricordando ciò che aveva detto Brekke. «Non hai faticato a rammentarti il nome della lucertola, ma quello della ragazzina... Lascia perdere, F'lar. Grall è con Canth.» «C'è qualche possibilità che tu possa chiamarla... qui?» F'nor considerò quell'affascinante possibilità, ma poi scrollò il capo. «Sta dormendo, rimpinzata da scoppiare.» Grall stava elegantemente raggomitolata accanto all'orecchio sinistro di Canth. Aveva il ventre gonfio del pasto mattutino, e F'nor lo spalmò d'olio dolce. La piccola regina accondiscese a sollevare due palpebre, ma aveva gli occhi così opachi che non si accorse del nuovo visitatore, né di Mne-
menth che la stava scrutando: il grande bronzeo la giudicò una creaturina molto interessante. «Incantevole. Lessa ne vorrà una, ne sono certo,» mormorò F'lar, con un sorriso estasiato, mentre scendeva con un balzo dalla zampa anteriore di Canth, su cui era salito per osservarla. «Spero che cresca un po'. Canth potrebbe sbadigliare e inghiottirla senza rendersene conto.» Mai: e non fu necessario che la risposta del drago marrone venisse riferita al cavaliere bronzeo. «Se almeno potessimo prevedere quanto tempo può occorrere per addestrarle, se pure sono addestrabili. Ma il tempo è inflessibile quanto un Antico.» F'lar fissò il fratellastro negli occhi, con molta franchezza. «Non proprio, F'lar,» rispose il cavaliere marrone, ricambiando con fermezza lo sguardo. «Come hai detto tu, il male peggiore è il malessere nelle nostre...» L'urlo di un drago bronzeo, l'annuncio di un attacco dei Fili, interruppe F'nor a metà della frase. Il cavaliere marrone si era girato verso il suo drago, reagendo istintivamente all'allarme, quando F'lar l'afferrò per il braccio. «Non puoi combattere i Fili con una ferita non ancora rimarginata, uomo. Dove tengono le pietre incendiarie, qui?» Anche se F'lar poteva trovare di che ridire della permissività di T'bor, non trovò nulla da eccepire nell'immediata reazione dei combattenti del Weyr Meridionale. I draghi apparvero a frotte nei cieli, prima ancora che l'eco dell'allarme fosse svanito. Le grandi bestie alate piombarono verso i Weyr, mentre i cavalieri prendevano le attrezzature e le pietre incendiarie. Le donne ed i bambini del Weyr erano nella baracca dei rifornimenti, intenti a riempire i sacchi. Era stato già inviato un messaggio alla località costiera dove i pescatori provenienti da Tillek e da Ista avevano fondato una colonia: quelli fungevano da squadra di terra. Prima ancora che F'lar fosse pronto e in volo, T'bor stava già diramando le coordinate. I Fili cadevano a Occidente, al limitare del deserto, dove il suolo era paludoso, e le erbe pungenti si mescolavano ai legni-spugna ed ai bassi arbusti carichi di bacche. Per i Fili, quella palude fangosa era un ottimo terreno per seppellirsi: lì c'era un numero sufficiente di organismi che avrebbero permesso loro di nutrirsi, mentre le tane proliferavano e si estendevano. Le squadriglie, al gran completo e in perfetto ordine, andarono in mezzo al comando di T'bor. Dopo un attimo, i draghi ricomparvero nell'aria afosa e cominciarono a vomitare fiamme contro gli ammassi compatti dei Fili.
T'bor aveva ordinato un attacco a bassa quota, e F'lar l'approvava. Ma le squadriglie salivano verso l'alto, cercando i Fili a quote sempre più elevate, via via che eliminavano il pericolo più immediato. L'altra gente del Weyr ed i convalescenti si erano uniti ai pescatori per rafforzare le squadre di terra, ma F'lar pensò che sarebbe stato necessario un appoggio a bassa quota. C'erano solo tre regine che combattevano, e dov'era Kylara? F'lar comunicò a Mnementh di volare a bassa quota, mentre arrivavano le squadre di terra, scaricate dai draghi da trasporto, e cominciavano a incendiare tutti i ciuffi d'erba che si muovevano. Continuarono a gridare per chiedere dov'era l'Orlo anteriore della Caduta, e F'lar disse a Mnementh di portarsi a Nord-Est. Mnementh obbedì, ma poi deviò bruscamente verso Nord, sfiorando con la testa la vegetazione. Poi frenò con le ali, così di colpo che per poco non disarcionò il suo cavaliere. Si tenne librato, scrutando intento il suolo, e F'lar si sporse sopra il grande collo, per vedere che cosa attirava la sua attenzione. I draghi erano in grado di regolare la vista sulle grandi distanze e per un'ispezione ravvicinata. Qualcosa si è mosso è fuggito, spiegò il drago. L'aria smossa dai suo colpi d'ala appiattiva l'erba. Poi F'lar scorse i piccolissimi fori orlati di nero lasciati dai Fili sulle foglie dei cespugli. Aguzzò lo sguardo, cercando di scorgere le tracce rivelatrici delle tane, la terra smossa e sollevata, la consunzione della lussureggiante vegetazione della palude.. Ma gli arbusti, l'erba e il suolo rimanevano immoti. «Che cosa si è mosso?» Mnementh atterrò, affondando le zampe nel suolo viscido. F'lar scese e scrutò da vicino il cespuglio. Quei fori erano stati lasciati da gocciole di Fili bruciati durante una Caduta precedente? No. Le foglie si sarebbero staccate già da un pezzo. Esaminò tutti i vicini ciuffi d'erba. Non c'era traccia di tane. Eppure i Fili erano caduti, avevano trapassato foglie, erba ed alberi per un ampio tratto.... ed erano svaniti senza lasciar traccia. No, era impossibile! Con cautela, perché i Fili vivi erano in grado di trapassare i guanti di cuoio di wher, F'lar scavò intorno all'arbusto carico di bacche. Mnementh si affrettò a raspare il suolo, nei pressi, formando una profonda trincea. Il terreno smosso brulicava di lombrichi che si contorcevano in mezzo alle robuste radici dell'erba. I fittoni grigi e nodosi dell'arbusto erano coperti di terriccio nero, ma dei Fili non c'era la minima traccia. Sbalordito, F'lar alzò gli occhi, in risposta al richiamo di alcuni cadetti, librati in volo sopra di lui. Vogliono sapere se questo è l'Orlo della Caduta, riferì Mnementh al suo
cavaliere. «Dovrebbe essere più a Sud,» rispose F'lar, agitando le braccia per indicare ai cadetti di dirigersi da quella parte. Si fermò a guardare la terra smossa, i bruchi che scavavano freneticamente per sfuggire alla luce del sole. Raccolse un robusto ramo scortecciato e rivoltò il terriccio nella trincea scavata da Mnementh, cercando le cavità che indicavano le infestazioni dei Fili. «Dev'essere più a Sud. Questo non lo capisco proprio.» Strappò una manciata di foglie da un arbusto e le fece scorrere tra le dita guantate. «Se è successo qualche tempo fa, la pioggia avrebbe staccato la sostanza carbonizzata dai fori. E le foglie lesionate sarebbero cadute.» Cominciò a procedere verso meridione leggermente verso Est, cercando di stabilire con esattezza dove avevano incominciato a cadere i Fili. Da ogni parte, il fogliame attestava il loro passaggio, ma non c'era neppure una tana. Quando scoprì i Fili annegati nell'acqua salmastra di uno stagno palustre, F'lar dovette convincersi che quello era l'Orlo anteriore. Ma non era soddisfatto e si spinse nelle acque fangose, per indagare, fino a quando Mnementh dovette aiutarlo ad uscire. Era così intento a studiare le anomalie di quella Caduta che non si accorse del tempo che passava. Trasalì quando T'bor apparve sopra di lui, annunciando la fine della Caduta. E i due uomini furono egualmente allarmati quando il capo delle squadre di terra, un giovane pescatore di Ista che si chiamava Toric, confermò che la Caduta era durata poco meno di due ore, dopo essere stata segnalata «Una Caduta breve, lo so, ma sopra non c'è niente, e Toric, qui, dice che le squadre di terra stanno eliminando gli ultimi ammassi che ce l'hanno fatta a passare,» disse T'bor, piuttosto soddisfatto dell'efficiente prestazione del suo Weyr. L'istinto suggeriva a F'lar che qualcosa non andava. Possibile che i Fili avessero cambiato abitudini in modo tanto drastico? Non ricordava nessun precedente. I Fili cadevano sempre per intervalli di quattro ore... eppure si vedeva benissimo che il cielo era sgombro. «Ho bisogno dei tuo consiglio, T'bor,» disse, e nella sua voce c'era un tono preoccupato che fece accorrere immediatamente l'altro al suo fianco. F'lar raccolse un po' d'acqua salmastra nel cavo della mano, mostrandogli i filamenti dei Fili affogati «Avevi mai notato questo?» «Sì, certo,» rispose T'bor, di slancio, evidentemente sollevato. «Succede sempre, qui. Non ci sono molti pesci che mangino i Fili, in questi stagni
piccolissimi» «E allora c'è qualcosa, nelle acque della palude, che provvede a farlo?» «Cosa vorresti dire?» Senza una parola, F'lar inclinò le fronde bruciate degli arbusti più vicini. Abbassò cautamente le larghe erbe palustri dai bordi taglienti e seghettati. Attirando lo sguardo sbalordito di T'bor, tese il braccio per indicare la direzione da cui era arrivato, dove le squadre di terra si muovevano senza che un solo getto di fuoco uscisse dai loro lanciafiamme. «Vuoi dire che è così? Fin dove?» «Fino all'Orlo della Caduta, un'ora di marcia veloce,» rispose cupamente F'lar «O meglio, fin dove credo che sia l'Orlo della caduta.» «Ho visto cespugli ed erbe segnati in questo modo anche nei delta paludosi più vicini al Weyr,» ammise lentamente T'bor, sbiancando in volto nonostante l'abbronzatura. «Ma pensavo fossero carbonizzati Scopriamo pochissime infestazioni, e non ci sono mai tane.» T'bor era molto scosso. Orth dice che non ci sono siate infestazioni, riferì tranquillamente Mnementh, ed Orth girò per un istante gli occhi ardenti verso il Comandante di Benden. «E i Fili cadono sempre per un tempo così breve?» chiese ancora F'lar. Orth dice che questa è la prima volta, ma che però l'allarme è stato dato in ritardo. T'bor girò verso F'lar un paio d'occhi stralunati. «Allora non è stata una Caduta più breve,» disse, come se sperasse quasi di venire smentito. In quel momento Canth virò per atterrare. F'lar trattenne a stento un rimprovero quando vide il lanciafiamme sulle spalle del fratellastro. «È stata la Caduta più anomala cui abbia mai assistito,» gridò F'nor, mentre salutava i due cavalieri bronzei. «Non è possibile che abbiamo eliminati tutti i Fili in volo, ma non ci sono tracce di tane. E ci sono Fili morti in tutti gli stagni e le pozzanghere. Penso che dovremmo essere contenti. Ma non capisco». «Non mi piace per niente, F'lar,» disse T'bor, scuotendo il capo. «Non mi piace. I Fili non sarebbero dovuti cadere se non tra qualche settimana, e non in quest'area.» «A quanto pare, i Fili cadono quando e dove vogliono.» «E come possono scegliere?» domandò T'bor, con la furia tipica dell'uomo spaventato. «Non hanno intelletto!»
F'lar alzò lo sguardo verso i cieli tropicali, così fulgidi che lo splendore minaccioso della Stella Rossa, bassa sull'orizzonte, non era visibile. «Se la Stella Rossa devia arrivando a Intervalli di quattrocento Giri, perché non possono esserci variazioni anche nel modo in cui cadono i Fili?» «E che facciamo, allora?» chiese T'bor, con una nota di disperazione nella voce. «Fili che trapassano la vegetazione e non scavano tane! Fili che cadono al di fuori di ogni previsione, e soltanto per due ore!» «Manda in volo gli esploratori, tanto per cominciare, e fammi sapere dove e quando cadono i Fili, qui. Come hai detto tu, non hanno mente. Può darsi che troviamo uno schema prevedibile, anche con tutti questi cambiamenti. «F'lar alzò la testa verso il sole rovente, accigliandosi: stava sudando negli abiti da combattimento di cuoio di wher, più adatti alle alte quote e al freddo spaventoso che regnava in mezzo. «Vieni in ricognizione con me, F'lar,» propose ansioso T'bor. «F'nor. te la senti di accompagnarci? Se qui ci è sfuggita anche una soia tana...» T'bor disse a Orth di richiamare i cavalieri, compresi i cadetti, e spiegò loro ciò che dovevano cercare. Tutti i draghi del Weyr Meridionale si mossero, volando a bassa quota, e scrutarono la zona paludosa fino all'Orlo della Caduta. Non un solo uomo, non un solo animale fu in grado di segnalare i movimenti insoliti tra la vegetazione o nel terreno. La terra su cui i Fili erano caduti da poco era innegabilmente sgombra. La notizia rese T'bor ancora più apprensivo: ma un altro giro d'ispezione sembrava inutile. Poi le squadriglie dei combattenti passarono in mezzo per tornare al Weyr, lasciando che i convalescenti vi facessero ritorno in volo diretto. Quando T'bor e F'lar planarono sopra il complesso del Weyr, i tetti degli edifici ed il suolo nudo e la roccia delle radure dei draghi passarono lampeggiando sotto di loro, come un'immensa scacchiera tra le fronde dei fellis giganti e degli alberi di legnospugna. Nella radura più grande, accanto alla Sala del Weyr, Prideth stese il collo e le ali, lanciando richiami ai compagni. «Vola in cerchio ancora una volta, Mnementh» disse F'lar al suo bronzeo. Prima avrebbe dovuto superare l'impulso di percuotere Kylara, e lasciare a T'bor il tempo di farle una scenata in privato. Una volta di più si pentiva di aver proposto a Lessa d'insistere per fare di quella donna una Dama del Weyr A quel tempo gli era sembrata una soluzione logica. E gli dispiaceva sinceramente per T'bor, sebbene questi riuscisse a impedirle di fare di peg-
gio. Ma l'assenza di una regina dal Weyr... Beh, Kylara non poteva aver saputo che i Fili sarebbero caduti tanto in anticipo sul previsto. Eppure, dov'era, per non aver sentito l'allarme? Nessun drago poteva dormire tanto profondamente. F'lar continuò a volare in cerchio, mentre gli altri draghi scendevano nei rispettivi Weyr; e si accorse che nessuno aveva dovuto atterrare accanto all'Infermeria. «Hanno combattuto i Fili senza neppure un ferito?» Mi fa piacere, osservò Mnementh. Inspiegabilmente, fu proprio quell'aspetto dello scontro a turbare in particolar modo F'lar. Per non doverci pensare, decise che era il momento di scendere. Non gli andava molto l'idea di affrontare Kylara, ma non aveva avuto la possibilità di riferire a T'bor quello che era accaduto al Nord. «Ti ho detto,» stava dichiarando Kylara, in tono collerico, «che ho trovato una covata e ho impresso lo Schema alla regina. Quando sono tornata, qui non c'era nessuno che sapesse dov'eravate andati. Prideth deve avere le coordinate, lo sai.» Poi si girò verso F'lar, con occhi scintillanti. «I miei omaggi a te, F'lar di Benden.» La sua voce assunse un tono carezzevole che spinse T'bor a irrigidirsi ed a serrare i pugni. «Sei stato molto gentile a venire a combattere insieme a noi, quando il Weyr di Benden ha già tanti guai.» F'lar finse di non avere udito la frecciata e le rivolse un secco cenno di saluto. «Guarda la mia lucertola di fuoco. Non è magnifica?» Alzò il braccio destro, esibendo la sonnolenta lucertola dorata, dalla pelle del ventre ben tesa per l'abbondanza dell'ultimo pasto. «Qui c'erano Wirenth e Brekke. Loro sapevano,» le disse T'bor. «Quella!» Kylara scrollò le spalle, con fare di negligente disprezzo. «Mi ha dato delle coordinate impossibili, che corrispondevano al centro della palude occidentale. I Fili non cadono...» «Oggi sono caduti là,» gridò T'bor, con il volto alterato dalla collera. «Davvero?» Prideth cominciò a rombare, irrequieta, e Kylara si voltò per rassicurarla, addolcendo l'espressione di sfida. «Vedi, l'hai sconvolta, ed è ormai così vicina ad un nuovo accoppiamento.» T'bor sembrava pericolosamente vicino ad una sfuriata che, nella sua qualità di Comandante del Weyr, non poteva permettersi. La tattica di
Kylara era così scoperta che F'lar si domandò come mai quell'uomo cadeva nella trappola. La situazione sarebbe migliorata, se T'bor fosse stato soppiantato da uno degli altri cavalieri bronzei? F'lar pensò, come già aveva fatto altre volte, di trasformare il prossimo volo nuziale di Prideth in una competizione aperta. Eppure, doveva troppo a T'bor, per poter sopportare tutto questo... quella femmina che l'insultava spudoratamente. D'altra parte, forse uno dei bronzei più vigorosi degli Antichi, con un cavaliere abbastanza impervio ai raggiri di Kylara, e abbastanza interessato all'idea di comandare un Weyr... forse sarebbe servito a tenerla a freno. «T'bor, la pianta di questo continente è nella Sala del Weyr, vero?» chiese F'lar, per distrarlo. «Vorrei mettermi bene in mente le coordinate di questa Caduta...» «Non ti piace la mia regina?» chiese Kylara, facendosi avanti e mettendo la lucertola sotto il naso di F'lar. L'esserino, sbilanciato dal movimento brusco, piantò gli artigli affilatissimi nel braccio di Kylara, trapassando il cuoio di wher con la stessa facilità con cui i Fili trafiggevano le foglie. Con un grido, Kylara agitò furiosamente il braccio, staccandone la lucertola di fuoco. A metà della caduta, la piccola regina scomparve. Il grido di dolore di Kylara si cambiò in un urlo di rabbia. «Guarda cos'hai fatto, sciocco. Me l'hai fatta perdere.» «Non sono stato io, Kylara,» rispose F'lar, in tono freddo e duro. «Stai attenta a non spingere gli altri ai limiti della sopportazione!». «Anche la mia sopportazione ha dei limiti, F'lar di Benden,» strillò lei, mentre i due uomini si avviavano a passo svelto verso la Sala del Weyr. «Non provocarmi. Hai capito? Non provocarmi!» Continuò a imprecare fino a quando Prideth, che ormai era terribilmente agitata, sommerse la sua voce con strida pietose. All'inizio i due uomini finsero di studiare la carta e di cercare di calcolare dove potevano essere caduti altri Fili sul Continente Meridionale. Poi i lamenti di Prideth si spensero; la radura era vuota. «È ancora questione di disponibilità di personale, T'bor,» disse F'lar. «Sarebbe necessario esplorare questo continente. Oh, lo so,» continuò, alzando una mano per prevenire una protesta difensiva, «che non hai a disposizione il personale sufficiente, neppure con l'afflusso degli emigrati Ma i Fili possono attraversare le montagne.» Batté la mano sulla catena meridionale. «E non sappiamo che cosa succeda nelle zone inesplorate. Abbiamo ritenuto che i Fili cadessero solo in questo tratto della costa. Ma,
una volta formatasi, una tana potrebbe aprirsi la strada attraverso qualunque massa di terra e...» Tranciò l'aria con entrambe le mani, bruscamente. «Non so cosa darei per sapere come mai i Fili abbiano potuto cadere per due ore in quelle paludi, all'insaputa di tutti, senza lasciare neppure la traccia di una tana!» T'bor borbottò qualche parola per dichiararsi d'accordo, ma F'lar si rendeva conto che non riusciva a pensare a quel problema. «Tu hai già passato anche troppi guai con quella donna, T'bor. Perché non proclami aperto il prossimo volo nuziale?» «No!» Ed Orth fece eco con un ruggito a quel rifiuto veemente. F'lar guardò T'bor, sbalordito. «No, F'lar. La terrò a freno. E terrò a freno anche me. Ma finché Orth è in grado di accompagnare Prideth nel volo nuziale, Kylara è mia!» F'lar si affrettò a distogliere lo sguardo dal volto tormentato dell'altro. «E sarà bene che tu sappia anche questo,» continuò T'bor, con voce bassa e pesante. «Lei ha trovato una covata intera. Ha portato le uova ad una Fortezza. Prideth lo ha riferito a Orth.» «Quale Fortezza?» T'bor scosse stancamente il capo. «A Prideth non piace, perciò non la nomina. E non le piace neppure che le lucertole di fuoco vengano portate via dai Weyr.» F'lar si scostò, con un movimento irritato, la ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte. Era una situazione che non prometteva nulla di buono. Un drago insoddisfatto del suo compagno umano? L'unico freno su cui potevano contare era il legame tra Kylara e Prideth. Quella donna non poteva essere così sciocca e crudele da rovinare anche quello, nel suo sconfinato egoismo. Prideth non vuole darmi ascolto, disse all'improvviso Mnementh. Non vuol dare ascolto neppure a Orth. È infelice E questo non è bene. I Fili che cadevano imprevedibilmente, lucertole di fuoco nelle mani di un Nobile, un drago regina scontento della sua Dama, un drago bronzeo che preveniva le domande del suo cavaliere! E F'lar aveva pensato di avere dei problemi, sette Giri prima! «Non sono in grado di risolvere tutto sul momento, T'bor. Ti prego, organizza un servizio di guardia! e informami non appena hai notizie, di qualunque genere. Se scopri un'altra covata, ti sarei molto grato se potessi avere qualche uovo. E fammi sapere se la piccola regina torna da Kylara. Riconosco che quella creaturina aveva ragione, ma se si spaventano così fa-
cilmente e fuggono in mezzo, può darsi che non abbiano altro valore che come animali da compagnia.» F'lar montò sul dorso di Mnementh e salutò il Comandante del Weyr Meridionale. Non si sentiva per nulla tranquillizzato da quella visita. E aveva perduto il vantaggio che gli avrebbe dato sorprendere i Nobili delle Fortezze con le lucertole di fuoco. Anzi, la precipitosa donazione di Kylara avrebbe causato indubbiamente altri guai. Una Dama del Weyr che s'impicciava di una Fortezza non vincolata al suo Weyr? Quasi si augurava che quegli essermi non fossero altro che graziosi animaletti domestici e che l'azione di Kylara potesse venire insabbiata in qualche modo. Comunque, c'era sempre l'effetto psicologico di quel drago in miniatura, al quale chiunque poteva imprimere lo Schema. Sarebbe stato un fattore prezioso, per migliorare i rapporti tra i Weyr e le Fortezze. Mentre Mnementh saliva verso i livelli più freddi, F'lar pensò di nuovo a quella Caduta. I Fili erano discesi. Avevano trapassato fronde ed erba, erano annegati nell'acqua, eppure non avevano lasciato tracce sulla terra grassa. I vermi delle sabbie di Igen potevano divorare i Fili, quasi con la stessa efficienza dell'agenothree. Ma i bruchi che brulicavano nella ricca terra nera e fangosa della palude somigliavano ben poco ai vermi di Igen, segmentati e corazzati. Poiché non se la sentiva di lasciare il Weyr Meridionale senza un ultimo controllo, F'lar ordinò a Mnementh di trasferirsi nella palude occidentale. Il bronzeo, obbediente, lo condusse proprio alla trincea scavata dalle sue zampe. F'lar gli scivolò dalla spalla, slacciandosi la tunica di cuoio di wher perché l'aria umida e fumigante della palude gli aderiva addosso come una pelle bagnata. Intorno a lui c'era un coro trillante di suoni minuscoli, di gorgoglii e di sciabordii, che prima non aveva notato. Anzi, allora la palude gli era apparsa straordinariamente silenziosa, quasi ammutolita di fronte alla minaccia dei Fili. Quando rigirò il ciuffo d'erba presso le radici dell'arbusto carico di bacche, il terreno era sgombro, le radici grigie erano umide e lisce. Sferrò un calcio, e mise allo scoperto un piccolo gruppo di larve, molto meno numerose di prima. Tenne in mano la palla di terra fangosa e osservò i bruchi che fuggivano, contorcendosi, dalla luce e dall'aria. Fu allora che vide che il fogliame dell'arbusto non era più segnato dalle bruciature dei Fili. Le parti carbonizzate erano scomparse, e sui fori si stava formando una pellicola sottile, come se il cespuglio stesse guarendo. Qualcosa gli guizzò contro il palmo; lasciò cadere in fretta la palla di ter-
ra, strofinandosi la mano contro la gamba. Strappò una foglia: il segno dei Fili si andava rimarginando sulla superficie verde. Era possibile che i bruchi fossero, nel Continente Meridionale, l'equivalente dei vermi delle sabbie? Di slancio, balzò sulla spalla di Mnementh, afferrandosi alle cinghie. «Mnementh, riportami all'inizio di questa Caduta. Dovrebbe essere sei ore fa. Il Sole dovrebbe essere allo zenith.» Mnementh non protestò, ma i suoi pensieri erano chiarissimi: F'lar era stanco, doveva ritornare a Benden a riposare, a parlare con Lessa. Balzare in mezzo nel tempo era molto faticoso per un dragoniere. Il freddo in mezzo li avvolse, e F'lar si affrettò a chiudere la tunica, ma il gelo gli azzannò lo sterno. Rabbrividì, scosso non soltanto dal freddo fisico: subito, comunque, irruppero al di sopra della palude fumigante. Occorsero alcuni minuti sotto quel Sole fulgido per vincere il freddo spietato. Mnementh planò per un breve tratto verso Nord, e poi rimase librato in volo, rivolto esattamente verso il Sud. Non dovettero attendere a lungo. Lassù in alto, il grigiore minaccioso che preannunciava la Caduta dei Fili oscurò il cielo. Sebbene l'avesse veduto tanto spesso, F'lar non riusciva a liberarsi della paura. Ed era ancora più terribile osservare quel grigiore lontano che cominciava a scindersi in ammassi di Fili argentei. Vederli, e permettere che cadessero incontrollati sulla palude sottostante. Guardarli trapassare fronde ed erba, e sibilare mentre penetravano nel fango. Persino Mnementh si agitava irrequieto, con le ali frementi, mentre lottava contro l'impulso di tuffarsi fiammeggiando contro l'antica minaccia. Eppure anche il grande drago rimase a osservare mentre l'Orlo anteriore avanzava verso sud, attraverso la palude, in una grigia pioggia di devastazione. Senza bisogno di ordini, Mnementh atterrò a breve distanza dall'Orlo. E F'lar, lottando contro una ripugnanza interiore così forte da dargli l'impulso di vomitare, rigirò il ciuffo d'erba più vicino, fumante per la penetrazione dei Fili. I bruchi, febbrilmente attivi, popolavano il labirinto delle radici. Mentre egli teneva sollevata la zolla, i grassi bruchi si lasciarono piombare sul terreno e scavarono freneticamente. Lasciò cadere la zolla, sradicò l'arbusto più vicino, mettendo a nudo la massa grigia e contorta delle radici. Anche quella brulicava di vermi che si affrettarono a sfuggire all'aria e alla luce. Le foglie del cespuglio fumavano ancora per le trafitture dei Fili. Senza sapere perché, F'lar s'inginocchiò, strappò un'altra zolla erbosa e
raccolse una manciata di bruchi frementi, versandoli dentro ad un guanto. Poi lo rigirò con cura per chiuderlo e se l'infilò nella cintura. Montò sul dorso di Mnementh e gli diede le coordinate della Sede del Maestro Allevatore, a Keroon, dove le colline che più avanti salivano fino ai picchi massicci della catena di Benden si perdevano nell'ampie pianure della Fortezza. Il Maestro Allevatore Sograny, un uomo alto, calvo, coriaceo, così magro che le sue ossa sembravano tenute a posto dal panciotto ricamato, dagli aderenti calzoni di cuoio e dagli stivali pesanti, non si mostrò molto soddisfatto di quell'inattesa visita del Comandante del Weyr di Benden. F'lar era stato accolto con puntigliosa cortesia, ma anche con una certa confusione, dagli allevatori. Sograny, a quando pareva, stava sovrintendendo alla nascita di una nuova razza di animali da soma, prodotti dall'incrocio tra la veloce varietà delle pianure e quella delle montagne, dal torace pesante. Un messaggero accompagnò il visitatore nella grande stalla. Data l'importanza dell'avvenimento, a F'lar parve strano che nessuno avesse abbandonato le proprie incombenze. Fu condotto in mezzo a linde baracche di pietra, orti ben curati, serre per la coltivazione forzata e capanni per gli attrezzi. F'lar ripensò al caos assoluto che dominava nella Sede del Fabbro, ma poi ricordò i prodigi che quell'uomo aveva saputo realizzare. «Hai un problema per il Maestro Allevatore, vero, Comandante del Weyr?» chiese Sograny, rivolgendogli un secco cenno del capo, senza distogliere lo sguardo dalla bestia in travaglio, distesa nello scomparto della stalla. «Com'è possibile?» L'atteggiamento di quell'uomo era così difensivo che F'lar si chiese cosa poteva avere combinato D'ram del Weyr di Ista per irritarlo tanto. «Il Maestro Fabbro Fandarel ha detto che tu saresti stato in grado di consigliarmi, Maestro Allevatore,» rispose F'lar, in tono serio, badando a dare a Sograny il titolo che gli spettava. «Il Fabbro?» Sograny scrutò F'lar socchiudendo gli occhi, insospettito. «Perché?» Che cosa poteva aver fatto Fandarel, per giustificare l'ostilità del Maestro Allevatore? «Sono giunte alla mia attenzione due anomalie, buon Maestro. La prima è che una covata di uova di lucertole di fuoco si è schiusa nelle vicinanze di uno dei miei cavalieri, e lui ha potuto imprimere lo Schema alla regina...»
Gli occhi di Sograny si spalancarono per l'incredulità. «Nessuno può catturare una lucertola di fuoco!» «D'accordo: ma le si può imprimere lo Schema. E certamente il mio cavaliere l'ha fatto. Noi pensiamo che le lucertole siano direttamente imparentate con i draghi.» «Questo non può essere provato!» Sograny si raddrizzò, lanciando occhiatacce ai suoi assistenti che all'improvviso ricordarono di aver qualcosa da fare ben lontano da F'lar e dal Maestro Allevatore. «Per deduzione, sì. Le caratteristiche simili sono evidenti. Sette lucertole di fuoco hanno ricevuto lo Schema d'Apprendimento sulle sabbie d'una spiaggia, presso il Weyr Meridionale. Una dal mio Vicecomandante, F'nor, il cavaliere di Canth...» «F'nor? L'uomo che ha combattuto quei due ladri di dragonieri nella Sede del Fabbro?» F'lar trangugiò la bile e annuì. Quello spiacevole incidente aveva arrecato una sorprendente serie di benefici. «Le lucertole di fuoco presentano caratteristiche innegabilmente affini a quelle dei draghi. Purtroppo, debbono restare accanto a chi ha impresso loro lo Schema, altrimenti ne avrei la prova sicura.» Sograny si limitò a grugnire, ma era diventato di colpo più ricettivo. «Speravo che tu, come Maestro Allevatore, potessi sapere qualcosa sulle lucertole di fuoco. A Igen abbondano...» Sograny l'interruppe con un cenno impaziente della mano. «Non ho tempo da perdere con quelle. Sono creature inutili. Nessuno dei miei allevatori penserebbe...» «Tutto sembra indicare che possano diventare utilissime. Dopotutto, i draghi sono discesi dalle lucertole di fuoco.» «Impossibile!» Sograny lo fissò, serrando le labbra per negare fermamente quella che rimaneva una teoria. «Beh, non sono discesi certo dai wher da guardia.» «L'uomo può cambiare le dimensioni solo fino ad un certo punto. Naturalmente, può accoppiare gli esemplari più grandi tra di loro, migliorando il ceppo originario.» Sograny indicò con un gesto la mucca dalle lunghe zampe. «Ma ricavare un drago da una lucertola di fuoco? Assolutamente impossibile.» F'lar non perse altro tempo con quell'argomento, ma si sfilò il guanto dalla cintura e rovesciò i bruchi sul palmo guantato dell'altra mano. «Questi, signore. Li hai mai visti?»
La reazione di Sograny fu immediata. Con un grido di spavento, afferrò la mano di F'lar, facendo cadere i vermi sul pavimento di pietra della stalla. Urlando agli aiutanti che gli portassero dell'agenothree, calpestò i bruchi che si contorcevano, come se fossero l'incarnazione del male. «Come hai potuto, tu, un dragoniere, portare questa sozzura nella mia Sede?» «Maestro Allevatore, calmati!» scattò F'lar, afferrandolo per le spalle e scuotendolo. «Divorano i Fili. Come i vermi delle Sabbie! Come i vermi delle Sabbie!» Sograny tremava sotto le mani di F'lar, e lo fissava. Scrollò la testa simile ad un teschio, e la furia ossessiva svanì dalle sue pupille. «Soltanto il fuoco può divorare i Fili, dragoniere!» «Ti ho detto,» ribatté freddamente F'lar, «che quei bruchi hanno divorato i Fili!» Sograny gli lanciò un'occhiata animosa. «Sono un'abominazione. E tu mi fai perdere tempo con queste assurdità.» «Ti chiedo scusa,» disse F'lar, con un brusco inchino. Ma la sua ironia non fece alcun effetto. Sograny tornò a volgersi verso la mucca in travaglio, come se il Comandante del Weyr non l'avesse mai interrotto. F'lar si allontanò infilandosi i guanti: il suo indice toccò il corpo umido e viscido di un bruco. «Consultare il Maestro Allevatore, eh?» borbottò sottovoce, rifiutando con un cenno i servigi della guida, mentre lasciava la stalla. Il muggito di un animale lo seguì all'esterno. «Sì, lui alleva animali, ma non idee. Le idee sarebbero uno spreco di tempo.» Mentre saliva verso il cielo, a dorso di Mnementh, F'lar si chiese quante difficoltà poteva causare a D'ram quel vecchio sciocco. IX Pomeriggio al Weyr Meridionale: stesso giorno. Era un lungo volo, in linea diretta, dalle paludi occidentali al promontorio del Weyr Meridionale. All'inizio, F'nor provò l'impulso di ribellarsi. Un breve balzo in mezzo non gli avrebbe danneggiato il braccio ormai quasi guarito: ma Canth diventò inaspettatamente ostinato. Il grande drago marrone salì, colse il vento prevalente e, con grandi colpi d'ala, si lanciò attra-
verso l'aria più fresca, al di sopra del terreno montuoso. Quando il ritmo del lungo Volo di Canth divenne più regolare, F'nor cominciò a calmarsi. Quello che avrebbe dovuto essere un viaggio tedioso gli offriva invece l'occasione di riflettere senza venire interrotto. E F'nor aveva molte cose cui pensare. Il cavaliere marrone aveva notato le bruciature lasciate dai Fili su di un'area molto estesa. Aveva rivoltato un arbusto dopo l'altro, li aveva visti crivellati dai segni dei Fili, ma non aveva trovato traccia di tane, intorno ad essi. Non aveva usato il lanciafiamme neppure una volta. E le squadre di terra gli avevano detto di avere avuto così poco da fare che si stupivano addirittura di essere state chiamate dal Weyr. Molti degli uomini delle squadre provenivano dalla colonia di pescatori e cominciavano a risentirsi di essere stati distolti dal lavoro, perché cercavano di completare dei fortilizi di pietra per proteggersi dalle tempeste invernali. Tutti preferivano il Continente Meridionale ai loro luoghi d'origine, sebbene non si lamentassero del Nobile Oterel di Tillek, o del Nobile Warbret di Ista. F'nor aveva provato stupore e divertimento nello scoprire che quegli individui appena conosciuti erano pronti a confidarsi con lui: ma aveva scoperto che quello era spesso un vantaggio, nonostante le ore che aveva dovuto trascorrere ad ascoltare chiacchiere assurde. Uno degli uomini più giovani, Toric, il capo delle squadre di terra, gli aveva detto che aveva scovato una caletta sabbiosa vicino alla sua abitazione. Era quasi inaccessibile, per via di terra, ma aveva visto i segni della presenza delle lucertole di fuoco. Era deciso a imprimere lo Schema ad una di esse, ed era sicuro di riuscirci, perché aveva sempre avuto fortuna con i wher da guardia. Aveva cercato di convincere quelli del Weyr di Fort a offrirgli l'occasione di Imprimere lo Schema a un drago, ma non era stato ammesso alla presenza di T'ron. Toric era piuttosto risentito nei confronti dei dragonieri e poiché era a conoscenza della zuffa per il coltello (F'nor aveva scoperto che lo sapevano tutti), Toric si aspettava che anche lui la pensasse allo stesso modo. Era rimasto sorpreso quando F'nor aveva interrotto bruscamente le sue lagnanze. Era quella curiosa ambivalenza dei sentimenti della gente delle Fortezze nei confronti dei dragonieri ad occupare i pensieri di F'nor. Questa sosteneva che quelli dei Weyr erano altezzosi, si comportavano con fare protettivo e condiscendente, o con dichiarata arroganza. Eppure non c'era un uomo o una donna, nato nelle fortezze o nelle Arti, che prima o poi non avesse sognato di entrare in simbiosi con un drago. In molti, quel desiderio
frustrato si trasformava in invidia amara. Gli uomini del Weyr sostenevano di essere superiori agli individui comuni, sebbene condividessero con gli altri l'appetito per i beni materiali e per le donne graziose. Eppure essi rifiutavano l'insinuazione delle Arti, secondo le quali cavalcare un drago non era più difficile di tutti gli altri mestieri di Pern: infatti, in nessuna delle altre attività un uomo rischiava abitualmente la vita. E, peggio ancora, rischiava di perdere metà della sua vita. Istintivamente, il pensiero di F'nor si allontanò in fretta da ogni possibile accenno di minaccia al grande drago marrone che lo trasportava. La minuscola regina si agitò all'interno della pesante fascia dentro cui l'aveva portata. Il giovane Toric, sicuramente, avrebbe perduto parte della sua amarezza se avesse impresso lo Schema ad una lucertola di fuoco. Avrebbe avuto la sensazione di aver rivendicato i suoi diritti. E se le lucertole si attaccavano a chiunque, e potevano portare messaggi avanti e indietro, sarebbe stata una grande fortuna. Una lucertola per ciascuno? Quello sarebbe diventato un vero grido di battaglia. F'nor rise, pensando a quelle che sarebbero state le reazioni degli Antichi. Sarebbe stata una lezione meritata, per loro: sogghignò alla visione di T'ron che cercava di attirare una lucertola di fuoco, la quale lo ignorava e si lasciava invece imprimere lo Schema da un umile figlio d'artigiano. Sarebbe stato un bene, se qualcosa avesse mandato in frantumi il cieco provincialismo degli Antichi. Eppure anche loro, in un momento cruciale per la loro sensibilità di adolescenti, avevano saputo attrarre un drago; affrontavano il gelo e la morte per combattere un nemico che non desisteva mai. Ma la vita era qualcosa di più di quell'iniziale conquista e di quell'eterno allarme. L'adolescenza era solo una fase della vita, non una carriera in se stessa. Quando un uomo maturava, capiva che c'erano altre ragioni per vivere. Poi F'nor ricordò che non aveva avuto la possibilità di parlare a F'lar del problema di Brekke. E ormai F'lar doveva avere fatto ritorno al Weyr di Benden. F'nor si rimproverò per quella sfacciata intromissione: è quanto succede quando si è Vicecomandante da tanto tempo. Non ci si può permettere d'immischiarsi negli affari di un altro Weyr. T'bor aveva già abbastanza guai. Ma, per il Primo Uovo, F'nor non voleva pensare alle scenate che Kylara avrebbe fatto subire a Brekke, se Orth avesse accompagnato Wirenth nel volo nuziale. Cominciò a stancarsi del viaggio, e non si divertì neppure allorché Canth cominciò a cantilenare per calmarlo. Ma quando il volo finì, e scesero vol-
teggiando nel sole del tardo pomeriggio sul Weyr Meridionale, F'nor non si sentiva più stanco. Alcuni cavalieri stavano facendo mangiare le loro bestie nei pascoli, e F'nor chiese a Canth se aveva fame. Brekke vuole vederti, riferì il drago, mentre atterrava elegantemente nel suo Weyr. «Probabilmente per rimproverarmi,» disse F'nor, dando una pacca affettuosa al muso di Canth. Si fece in disparte, e attese che il grande drago marrone si fosse sistemato nella sua depressione piena di polvere. Grall si affacciò dalle pieghe della benda e F'nor se la trasferì sulla spalla. La minuscola regina squittì una protesta, mentre l'uomo si avviava a passi lunghi e rapidi verso l'edificio che ospitava Brekke; e piantò gli artigli nell'imbottitura della spalla, per tenersi in equilibrio. Stava pensando pensieri di fame. Quando F'nor entrò, Brekke era intenta a dar da mangiare a Berd, la sua lucertola. Sorrise nell'udire le stridule richieste di Grall e spinse verso F'nor la ciotola della carne. «Temevo che potessi volare in mezzo.» «Canth non me l'avrebbe permesso.» «Canth ha buon senso. Come va il braccio?» «Non gli è successo niente. Non c'era molto da fare.» «L'ho saputo.» Brekke aggrottò la fronte. «È tutto anomalo. Ho una sensazione stranissima...» «Continua,» l'esortò F'nor, quando lei s'interruppe. «Che sensazione?» Wirenth stava per levarsi nel volo nuziale? Brekke sembrava rimanere impassibile in mezzo a tutte quelle perturbazioni: una personalità serena ed esperta, che mandava avanti tranquillamente il Weyr, e guariva i feriti. Per lei, ammettere l'incertezza doveva essere inquietante. Brekke scosse il capo, come se avesse captato i suoi pensieri, e strinse le labbra con piglio deciso. «No, non è una questione personale. È che tutto procede in modo anomalo... cambia, disorienta...» «Tutto qui? Eppure ti ho sentita suggerire anche tu qualche piccolo cambiamento: permettere ad una ragazza d'imprimere lo Schema a un drago da combattimento, distribuire le lucertole di fuoco per placare la massa della gente comune.» «Questi sono soltanto cambiamenti. Io sto parlando di un disorientamento, d'una sovversione violenta...» «E le tue proposte non possono figurare sotto questo titolo? Oh, mia cara
ragazza!» F'nor le rivolse all'improvviso una lunga occhiata intenta. Qualcosa, nello sguardo franco di Brekke, lo turbava profondamente. «Kylara t'infastidisce?» Brekke deviò lo sguardo e scosse il capo. «Te l'ho detto, Brekke: puoi chiedere altri bronzei. Qualcuno degli altri Weyr, N'ton di Benden e B'dor di Ista... Così Kylara starebbe zitta.» Brekke scosse violentemente il capo, ma continuò a guardare da un'altra parte. «Smettila di cercare d'impormi i tuoi amici!» Lo disse con voce tagliente. «Mi piace il Weyr Meridionale. Qui c'è bisogno di me.» «C'è bisogno di te? Qui vieni sfruttata nel modo più vergognoso, e non solo dai Meridionali!» Lei lo fissò, sorpresa non meno di lui da quell'esplosione impulsiva. Per un momento F'nor credette di avere capito il perché, ma poi gli occhi di lei divennero guardinghi, e F'nor si domandò cosa poteva avere da nascondere. «La necessità è più evidente dello sfruttamento. Non mi dispiace lavorare parecchio,» rispose Brekke a bassa voce, e buttò un pezzetto di carne nelle fauci spalancate della lucertola marrone. «Non privarmi delle poche soddisfazioni che riesco a trovare.» «Soddisfazioni?» «Ssst! Fai agitare le lucertole.» «Sopravviveranno. Loro sanno lottare. Il guaio è, Brekke, che tu non vuoi fare altrettanto. Meriti ben più di ciò che hai. Non sai neppure quanto sei buona, generosa, utile... oh, per il Guscio!» E F'nor s'interruppe, confuso. «Utile, degna, scrupolosa, capace, fidata, l'elenco è categorico, F'nor. Conosco la litania a memoria,» fece Brekke, con una strano groppo in gola. «Stai tranquillo, amico mio: so benissimo che cosa sono.» C'era tanta amarezza in quelle parole disinvolte, ed un'ombra tanto cupa negli occhi verdi di solito sereni, che F'nor non resistette più. Per farla tacere e per fare ammenda della propria goffaggine, si tese attraverso la tavola per baciarla sulle labbra. Aveva inteso che fosse un gesto semplicemente amichevole, ed era completamente impreparato alla reazione che si produsse in lui e in Brekke. Ed al lontano grido squillante di Canth. Senza lasciare con gli occhi gli occhi di Brekke, F'nor si alzò lentamente e girò intorno al tavolo. S'infilò sulla panca accanto a lei, attirandola a sé con il braccio illeso. Brekke gli abbandonò la testa sulla spalla, ed egli si
chinò sull'incredibile freschezza delle labbra di lei. Il suo corpo era tenero e arrendevole, le braccia lo cinsero, lo stinsero, in una resa totale alla sua virilità, come F'nor non aveva mai incontrato. Per quanto le altre fossero apparse disponibili o lusingate, nessuna s'era mai abbandonata in modo così completo a lui. Un'innocenza così... Bruscamente, F'nor alzò la testa e la guardò profondamente negli occhi. «Tu non hai mai dormito con T'bor.» Non era una domanda, ma una constatazione. «Tu non hai mai dormito con un uomo.» Brekke gli nascose il volto contro la spalla, irrigidendosi. F'nor le sollevò la testa, con delicata violenza. «Perché hai voluto lasciar credere che tu e T'bor...» Lei scosse piano il capo: i suoi occhi non nascondevano nulla, ed il suo viso era una maschera di angoscia. «Per tenere lontani gli altri da te?» domandò F'nor, scrollandola leggermente. «Perché? A chi ti riserbi?» Conobbe la risposta prima ancora che Brekke parlasse, la seppe quando lei gli posò le dita sulle labbra per farlo tacere. Ma non riuscì a comprendere quell'angoscia. Lui era stato uno sciocco ma... «Ti ho amato fin dal primo giorno che ti ho visto. Eri così buono con noi, strappate alle Arti e alle Fortezze, stordite perché eravamo state condotte fin qui, nella Cerca per Wirenth. Una di noi sarebbe diventata Dama del Weyr. E tu... tu eri tutto ciò che dovrebbe essere il cavaliere di un drago... alto e bello, e così gentile. Allora non sapevo...» Brekke s'interruppe. F'nor si sentì invadere dallo sgomento, quando vide gli occhi di lei velarsi di lacrime. «Come potevo sapere che soltanto i draghi bronzei accompagnano le regine nel volo nuziale?» F'nor si strinse al petto la fanciulla piangente, premendo le labbra su quei capelli soffici, tenendole le mani tremanti. Sì, c'erano tante cose che riusciva a comprendere soltanto ora. «Mia cara,» chiese, quando le lacrime di Brekke divennero meno copiose. «è per questo che hai respinto N'ton?» Lei annuì, tenendogli la testa contro la spalla, rifiutandosi di guardarlo. «Allora sei una sciocchina e ti meriti tutti i dispiacerà che sei andata a cercarti,» disse F'nor, in un tono carezzevole che attenuava quelle parole pungenti. Le batté una mano sulla spalla e sospirò esageratamente. «Sei proprio nata e cresciuta in un'Arte. Non hai capito niente di tutto quel che ti hanno detto dei dragonieri? Le Dame del Weyr non sono vincolate alla morale comune. Una Dama del Weyr deve essere al servizio delle esigenze
della sua regina, il che include l'accoppiamento con molti cavalieri, se la regina viene accompagnata nei voli nuziali da draghi diversi. Molte ragazze cresciute nelle Arti e nelle Fortezze invidiano questa libertà...» «Oh, lo so anche troppo bene,» rispose Brekke: e parve risentirsi del contatto con F'nor. «Wirenth non mi approva?» «Oh, no.» Brekke lo guardò stupita. «Voglio dire... oh, non so che cosa volevo dire. Io amo Wirenth, ma non capisci? Io non sono cresciuta in un Weyr. Non sono capace di una simile... disponibilità. Sono... sono inibita. Ecco! L'ho detto. Sono inibita e ho il terrore di inibire anche Wirenth. Non posso cambiare tutta me stessa per adeguarmi alle consuetudini del Weyr. Io sono fatta così. F'nor cercò di calmarla. Non sapeva come comportarsi, perché quella fanciulla sconvolta era completamente diversa dalla Brekke serena, posata che conosceva lui. «Nessuno pretende che tu cambi completamente. Altrimenti non saresti più la nostra Brekke. Ma i draghi non criticano. E neppure i loro cavalieri. Quasi tutte le regine tendono a preferire sempre lo stesso bronzeo...» «Continui a non capire.» L'accusa fu un gemito disperato. «Non ho mai visto un uomo che volessi... che volessi avere...» Quella parola fu un bisbiglio aspirato. «Non così. Fino a quando ho visto te. Non voglio che nessun altro uomo mi possieda. Mi paralizzerei. Sarei incapace di riportare indietro Wirenth. Ed io le voglio bene. Io l'amo, presto lei si leverà per il volo nuziale e io non posso... pensavo che ne sarei stata capace, ma so che...» Cercò di svincolarsi, ma anche con un braccio solo il cavaliere marrone era più forte. Imprigionata, Brekke gli si aggrappò con la forza della disperazione. F'nor la strinse dolcemente, sfilando il braccio dalla fascia per accarezzarle i capelli. «Non perderai Wirenth. È diverso quando i draghi si accoppiano, amore. Tu sei anche il drago, presa da emozioni che hanno un unico sbocco possibile.» La tenne stretta, perché Brekke sembrava ritirarsi da lui come dall'evento imminente. F'nor pensò ai cavalieri del Weyr Meridionale, a T'bor, e provò un disgusto diverso. Quegli uomini, condizionati a esaudire i gusti esotici di Kylara, avrebbero brutalizzato quella giovinetta inesperta. F'nor girò la testa verso il giaciglio e si alzò, reggendo Brekke tra le braccia. Si avviò verso il letto e poi si fermò, udendo delle voci al di là
della radura. Forse stava per arrivare qualcuno. Tenendola fra le braccia, la portò fuori, soffocando contro il suo petto la protesta di lei, quando Brekke capì le sue intenzioni. C'era un cantuccio dietro la sua casetta, oltre la depressione che era il Weyr di Canth, dove le felci crescevano fitte, e dove nessuno li avrebbe disturbati. Avrebbe voluto essere delicato ma, inspiegabilmente, Brekke si oppose. Lo supplicò, gridando disperata che avrebbero svegliato Wirenth. F'nor non fu delicato, ma fu meticoloso e, alla fine, Brekke lo sbalordì con una resa appassionata, come se fosse influenzata dalla sua regina. F'nor si puntellò sul gomito, scostando i capelli sudati e impigliati nelle felci dagli occhi chiusi di Brekke, rallegrandosi della dolce serenità della sua espressione; ed era molto compiaciuto con se stesso. Un uomo non sapeva mai, veramente, come avrebbe reagito una donna, nell'amore. Tante cose promesse nelle schermaglie non si materializzavano mai. Ma nell'amore Brekke era spontanea e generosa come in tutto: e nel suo slancio innocente era più sensuale delle compagne più esperte che avesse mai trovato. Gli occhi di Brekke si aprirono, incontrarono i suoi in uno sguardo interrogativo, per un lungo momento. Con un gemito, lei girò la testa per sfuggire a quello scrutinio. «Qualche rimpianto, Brekke?» «Oh, F'nor, cosa farò quando Wirenth si leverà per il volo nuziale?» F'nor cominciò a imprecare, rabbiosamente, disperatamente, stringendo a sé il corpo abbandonato di lei. Maledisse i dissensi tra le Fortezze ed i Weyr, la ferita dolorante al braccio che confermava l'esistenza di dissensi anche tra i dragonieri. Fremette davanti all'ineluttabile certezza che quanto amava di più non era sufficiente alle sue esigenze. Odiò se stesso, rendendosi conto che ne tentativo di aiutare Brekke aveva compromesso i suoi valori più sacri, e probabilmente la stava distruggendo. Istintivamente, i suoi pensieri confusi si protesero verso Canth; e si accorse che cercava d'interrompere quel contatto. Canth non doveva mai sapere che il suo cavaliere gli rimproverava di non essere un bronzeo. Io sono grande come moltissimi bronzei, disse Canth, imperturbabile: quasi fosse stupito di dovere ricordare quella verità al suo cavaliere. Sono forte. Abbastanza forte da battere in volo tutti i bronzei di qui. L'esclamazione di F'nor fece trasalire Brekke. «Non c'è ragione perché Canth non possa accompagnare Wirenth nel volo nuziale. Per il Guscio! È in grado di battere in volo tutti i bronzei di qui.
E probabilmente anche Orth, se ci si méttesse d'impegno.» «Canth? Accompagnare Wirenth nel volo nuziale?» «E perché no?» «Ma i draghi marrone non accompagnano le regine: lo fanno solo i bronzei.» F'nor l'abbracciò con furia, cercando di comunicarle la sua esultanza, quella gioia e quel sollievo quasi inesprimibili. «La sola ragione per cui i draghi marrone non hanno mai accompagnato le regine nel volo nuziale è che sono più piccoli. Non hanno l'energia sufficiente per resistere sino alla fine nell'ascesa del volo nuziale. Ma Canth è molto grande. Canth è il drago marrone più grande, più forte, più veloce di Pern. Capisci, Brekke?» Lei si scosse. La speranza riportava il colore al suo viso, la luce negli occhi verdi. «È già accaduto altre volte?» F'nor scosse il capo, spazientito. «È tempo di abbandonare le consuetudini che sono d'intralcio. Perché non questa?» Brekke lasciò che lui l'accarezzasse, ma c'era ancora un'ombra nei suoi occhi, una riluttanza nel suo corpo. «Io vorrei, oh, come lo vorrei, F'nor: ma ho tanta paura. Una paura terribile.» F'nor la baciò, profondamente, ricorrendo spietatamente a trucchi sottili per eccitarla. «Ti prego, Brekke...» «Non c'è nulla di male ad essere felici, vero, F'nor?» mormorò lei, scossa da un fremito. F'nor la baciò ancora, ricorrendo a tutte le carezze imparate in cento incontri casuali per legarla a sé, corpo, anima e mente: ed era conscio dell'entusiastica approvazione di Canth. Ribollente di furore, Kylara seguì con lo sguardo i due uomini che si allontanavano, lasciandola sola nella radura. Le emozioni contrastanti le rendevano impossibile un'adeguata rappresaglia: ma li avrebbe fatti pentire entrambi delle loro parole. Avrebbe punito F'lar che le aveva fatto perdere la lucertola regina. Avrebbe punito T'bor per avere osato rimproverare lei, la Dama del Weyr Meridionale, del Sangue di Telgar, alla presenza di F'lar. Oh, avrebbe dovuto pentirsi di quell'insulto. Entrambi se ne sarebbero pentiti. Ci avrebbe pensato lei. Il braccio le doleva per le unghiate; se lo strinse, e quel dolore esacerbò
la sua furia. Dov'era un po' d'intorpidiaria? Dov'era quella Brekke? Dov'erano tutti gli altri, quando il complesso del Weyr avrebbe dovuto essere pieno di gente? L'evitavano tutti? Dov'era Brekke? A dar da mangiare alla lucertola. E anch'io ho fame, disse Prideth, con tanta fermezza che Kylara girò la testa di scatto, sorpresa, verso la sua regina. «Non hai un gran bel colore,» le disse. Il torrente di vituperi mentali fu deviato dall'abitudine all'interesse per il benessere di Prideth e dall'istintiva certezza che non doveva alienarsi il suo drago. Bene, non aveva voglia di vedere la faccia larga, banale di Brekke. Non aveva certamente voglia di vedere una lucertola. Non adesso. Quelle creature orribili, così ingrate. Non avevano un filo di sensibilità, altrimenti quella avrebbe saputo che lei voleva solo metterla in mostra. Prideth trasferì con un balzo se stessa e Kylara sul Campo del Pasto, e atterrò così bruscamente che la giovane donna lanciò un gemito per il dolore al braccio. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Anche Prideth, adesso? Ma Prideth balzò sul dorso di un grasso, stupido animale e cominciò a mangiare con uno slancio selvaggio che affascinò Kylara, strappandola all'autocommiserazione. La regina finì di divorare la bestia con famelica rapidità. Si buttò su un secondo animale e lo sventrò così voracemente che Kylara dovette ammettere di avere veramente trascurato la regina. Si sentì presa lei stessa da quella fame e dissipò vicariamente la propria collera immaginando T'bor al posto del secondo animale, F'lar al posto del terzo, e Lessa al posto del grosso wherry. Quando Prideth fu sazia, la mente di Kylara era già limpida. Riportò la regina al Weyr e impiegò molto tempo a strofinarle la pelle con la sabbia e a spazzolarla, fino a quando ogni traccia d'opacità scomparve. Finalmente Prideth si acciambellò, assonnata e soddisfatta, sulla roccia calda di sole, e Kylara si sentì liberata dal senso di colpa. «Perdonami, Prideth. Non volevo trascurarti. Ma mi hanno offesa così spesso. E un colpo a me è un colpo anche per il tuo prestigio. Ma presto non oseranno più ignorarci. E non resteremo sempre prigioniere in questo piccolo, spaventoso Weyr. Avremo uomini forti ed i bronzei più poderosi che invocheranno i nostri favori. Tu verrai oliata e nutrita e spazzolata e grattata e viziata come sarebbe giusto. Vedrai. Si pentiranno di quello che hanno fatto.» Tutte le palpebre si erano abbassate sugli occhi di Prideth, ed il suo respiro era un lieve sibilo. Kylara le guardò il ventre pieno. Avrebbe dormito
parecchio, sazia com'era. «Non avrei dovuto lasciarla rimpinzare così,» mormorò Kylara: ma c'era qualcosa di esaltante nel modo in cui Prideth lacerava le prede; come se tutte le umiliazioni e gli affronti e le scortesie si fossero dissipati, mentre il sangue degli animali uccisi colava sull'erba del pascolo. Il braccio ricominciò a farle male. Si era tolta la tunica di cuoio di wher per pulire Prideth, e la sabbia e la polvere avevano incrostato i graffi. All'improvviso Kylara si sentì sudicia, disgustosamente sporca di sabbia, di polvere e di sudore. E si sentiva esausta. Avrebbe fatto il bagno, avrebbe mangiato, si sarebbe fatta massaggiare da Rannelly con olio dolce e sabbia finissima. Ma prima, doveva andare a farsi dare un po' d'intorpidaria da quella piccola, insopportabile Brekke. Passò davanti alla finestra laterale della baracca di Brekke e udì il mormorio d'una voce maschile e la risposta sommessa, ridente di Brekke. Kylara si fermò, sbalordita dal tono della voce della ragazza. Sbirciò all'interno, inosservata, perché Brekke aveva occhi solo per la testa bruna china verso di lei. F'nor! E Brekke? Il cavaliere marrone alzò lentamente la mano, scostò una ciocca di capelli dalla guancia di Brekke con una tenerezza così affettuosa che Kylara non ebbe dubbi: quei due erano diventati amanti da poco. La rabbia semidimenticata di Kylara esplose in un gelido ardore. Brekke e F'nor! Quando F'nor aveva rifiutato più volte i suoi favori? Brekke e F'nor... proprio! Poiché Kylara passò oltre, Canth non avvertì il suo cavaliere. X Prima mattina alla Sede dell'Arpista alla Fortezza di Fort. Pomeriggio alla Fortezza di Telgar. Robinton, Maestro Arpista di Pern, si assestò la tunica: la ricca, vellutata stoffa verde era piacevole al tocco non meno che alla vista. Si girò, per controllare che gli calzasse bene sulle spalle. Il Maestro Tessitore Zurg aveva fatto in modo da nascondere la sua tendenza a tenere le spalle curve, e l'orlo, dietro, non si rialzava. La cintura dorata e il pugnale costituivano un ornamento armonioso. Robinton guardò con una smorfia la sua immagine riflessa. «Pugnali!»
Si allisciò i capelli dietro le orecchie, poi fece un passo indietro per controllare i calzoni. Il Maestro Conciatore Belesdan aveva superato se stesso. La tintura di fellis aveva colorato la morbida pelle di wher di un verde carico, della stessa sfumatura della tunica. Gli stivali erano poco più scuri, e aderivano alla perfezione ai piedi e ai polpacci. Verde! Robinton sogghignò tra sé. Né Zurg né Belesdan avevano mostrato molto entusiasmo per quella tinta, sebbene fosse facile da ottenere. È ora che abbandoniamo un'altra ridicola superstizione, pensò l'Arpista. Guardò dalla finestra, osservando la posizione del Sole. Ormai era sopra la catena di Fort. Quindi alla Fortezza di Telgar era metà pomeriggio, e gli ospiti cominciavano ad arrivare Gli era stato promesso un mezzo di trasporto. T'ron del Weyr di Fort aveva acconsentito malvolentieri alla sua richiesta, sebbene un'antica tradizione stabilisse che l'Arpista poteva chiedere aiuto ad ogni Weyr. Un drago apparve in cielo, a Nord-Ovest. Robinton afferrò il mantello (la tunica non sarebbe bastata a difenderlo dal freddo, in mezzo), i guanti e la custodia rivestita di feltro che conteneva la sua gitar migliore. Aveva esitato a lungo, prima di decidersi a portarla. Chad aveva un ottimo strumento, a Telgar, ma il legno finissimo e le corde di minugia non si sarebbero agghiacciati in quei pochi secondi in mezzo, a differenza delle carni umane. Quando passò davanti alla finestra, notò che un secondo drago stava scendendo, e provò una certa sorpresa. Non ci sono mai quando ne hai bisogno, però, si disse. Quando arrivò nella piccola corte della Sede, sbuffò divertito. Un terzo drago era apparso in cielo, esattamente ad Est. Sospirò, perché a quanto pareva i problemi della giornata erano già cominciati, invece di aspettare diligentemente che lui arrivasse a Telgar, dove li aveva previsti... Ma quando mai un guaio sta ad aspettare? Ali di drago, verdi, azzurre e - ah-ah! - bronzee, nel sole del primo mattino. «Sebell, Talmor, Brudegan, Tagetarl, indossate le vesti migliori. Sbrigatevi o vi spellerò vivi e userò come corde le vostre pigre budella,» gridò Robinton, con una voce che penetrò in tutte le stanze affacciate sulla Corte. Due teste spuntarono da una finestra in alto, nell'alloggio degli apprendisti, altre due dalla dimora dei musici qualificati. «Sì, signore.» «Arriviamo, signore.» «Tra un attimo!»
Sì, con i suoi quattro arpisti, più i tre della Fortezza di Telgar (Sebell suonava splendidamente in tono di basso, per non parlare di Chad, l'Arpista di Telgar, che improvvisava benissimo in tono di soprano) avrebbero avuto un'orchestra grandiosa. Robinton si gettò il mantello sulle spalle, dimenticando che il velluto della tunica verde poteva ammaccarsi, e guardò con un sogghigno sardonico i draghi volteggianti. Quasi si aspettava che sparissero tutti di nuovo, accorgendosi di essere in troppi. Avrebbe dovuto scegliere l'azzurro del Weyr di Telgar, perché era comparso per primo. Comunque, il drago verde proveniva dal Weyr di Fort, cui era vincolata la sua Arte. Eppure il Weyr di Benden gli faceva l'onore di mandargli un bronzeo. Forse dovrei prendere il primo che atterra, anche se se la prendono tutti molto comoda, pensò. Uscì dalla Corte quadrangolare, sui campi, poiché era evidente che i draghi sarebbero atterrati lì. Il bronzeo atterrò in fretta, ed eliminò quel suo metodo di scelta imparziale. I tre cavalieri s'incontrarono al centro del campo, a poche lunghezze di drago dal passeggero disputato. Ognuno cominciò ad accampare i propri diritti, contemporaneamente agli altri. Quando il dragoniere bronzeo divenne il bersaglio delle proteste degli altri due, Robinton si sentì in dovere d'intervenire. «Lui è vincolato al Weyr di Fort. Il diritto spetta a noi,» disse indignato il cavaliere verde. «È ospite della Fortezza di Telgar. Il Nobile Larad ha chiesto personalmente...» Il cavaliere bronzeo (Robinton lo riconobbe: era N'ton, uno dei primi giovani non nati e cresciuti in un Weyr che avessero impresso lo Schema ad un drago al Weyr di Benden, diversi Giri prima), non sembrava né incollerito né sconcertato. «Il buon Maestro Arpista saprà chi ha il diritto,» disse, inchinandosi garbatamente a Robinton. Gli altri lo degnarono appena d'un'occhiata, e ripresero a litigare. «Oh, non ci sono problemi,» disse Robinton nel tono fermo e deciso che usava solo di rado, ma che nessuno osava contraddire. I due litiganti si azzittirono e lo guardarono, uno imbronciato, l'altro indignato. «Comunque, è un onore per l'Arte che facciate a gara nel servirla.» E Robinton accordò ai due dissidenti un inchino ironico. «Per fortuna, ho appunto bisogno di tre draghi. Ho altri quattro arpisti da trasportare alla
Fortezza di Telgar per allietare il felice evento.» Sottolineò l'aggettivo, notando le occhiatacce scambiate tra il cavaliere azzurro e quello verde. Il giovane N'ton, sebbene non fosse nato e cresciuto in un Weyr, aveva maniere eccellenti. «A me era stato detto di portare te,» disse in tono acido l'uomo del Weyr di Fort. «Ed hai tratto tanta gioia dall'incarico che hai rallegrato il mio mattino,» rispose in tono pungente Robinton. Notò l'espressione soddisfatta del cavaliere azzurro. «E sebbene io apprezzi molto la premura del Comandante R'mart nonostante i suoi recenti... ehm, problemi alla Fortezza di Telgar, viaggerò sul drago del Weyr di Benden. Perché a Benden non contestano la prerogativa del Maestro Arpista.» I suoi musici uscirono correndo dalla Sede, avvolti nelle cappe da volo: mentre avanzavano, riponevano i loro strumenti in custodie di feltro. Robinton li esaminò brevemente quando arrivarono davanti a lui, in una fila disordinata, ansimante, arrossati in viso e, grazie all'Uovo, felici. Approvò con un cenno del capo i calzoni di Sebell, indicò a Talmor di riassestarsi la cintura che si era rigirata, elogiò l'aspetto irreprensibile di Brudegan e mormorò a Tagetarl di darsi una lisciata ai capelli scomposti. «Siamo pronti, signori,» annunciò poi e, rivolgendo un secco inchino agli altri cavalieri, girò sui tacchi per seguire N'ton. «Ho una mezza idea...» cominciò il cavaliere verde. «È ovvio,» l'interruppe Robinton, con una voce gelida quanto il vuoto in mezzo, e minacciosa quanto i Fili. «Brudegan, Tagetarl, andate con lui. Sebell, Talmor, sul verde.» Robinton seguì con gli occhi Brudegan che, impassibile, accennò al cavaliere verde di precederli. Erano ben pochi gli uomini di Pern che potevano intimidire gli arpisti. Se qualcuno li faceva irritare senza motivo, scopriva di essere diventato lo zimbello di una canzoncina ironica che faceva il giro del mondo. Non vi furono altre proteste. E Robinton fu piuttosto soddisfatto di constatare che N'ton aveva l'aria di giudicare che non fosse accaduto niente di serio. Con il bronzeo di N'ton, Robinton arrivò di fronte alla cinta di pareti rocciose che costituiva la Fortezza di Telgar. Il fiume tumultuoso che scaturiva dalle sorgenti nella grande catena orientale di montagne aveva eroso la pietra più tenera, scavandola sempre più profondamente, fino a quando una serie di alti costoni aveva fiancheggiato la verde, ampia valle. La For-
tezza di Telgar era situata in uno di quei costoni, all'apice di una sezione leggermente triangolare. Era rivolta verso Sud, con i fianchi a Est ed Ovest: e le sue cento e più finestre, su cinque piani diversi, dovevano illuminarne piacevolmente le stanze. Tutte avevano pesanti imposte di bronzo: e questo indicava che Telgar era una Fortezza ricca. Quel giorno le tre pareti di Telgar sfolgoravano degli stendardi tutte le Fortezze minori che avevano con quella parentele di Sangue. La Grande Corte era festonata di centinaia di rami fioriti e di giganteschi boccioli di fellis, e l'aria era carica delle loro fragranze, frammiste agli aromi appetitosi della cucina. Gli ospiti dovevano essere già arrivati molto numerosi, a giudicare dalla massa dei corridori dalle lunghe zampe che pascolavano in mezzo al bestiame. Quella notte, tutte le stanze di Telgar sarebbero state occupate, e Robinton si rallegrò al pensiero che il suo rango gli assicurasse un posto. Forse sarebbe stato un po' stretto, dato che aveva portato altri quattro arpisti. Forse la loro presenza sarebbe stata superflua: tutti gli arpisti che ne avessero avuto la possibilità dovevano essere accorsi lì, quel giorno. Forse sarebbe stata davvero una felice occasione, dopotutto. Mi concentrerò su pensieri lieti, positivi, si disse Robinton, parafrasando le parole di Fandarel. «Tu rimani, N'ton?» Il giovane sorrise all'Arpista, ma nei suoi occhi c'era un'ombra. «Io e Lioth dobbiamo compiere un volo d'ispezione, Maestro Robinton,» disse, tendendosi per dare una pacca affettuosa sul collo del suo bronzeo. «Ma volevo vedere la Fortezza di Telgar, così, quando il Nobile Asgenar mi ha chiesto il favore di accompagnarti qui, sono stato lieto dell'occasione.» «Anch'io,» disse Robinton, mentre scivolava dalla spalla del drago. «Grazie a te, Lioth, per l'ottimo viaggio» L'Arpista non ha che da chiedere. Sbalordito, Robinton alzò gli occhi verso N'ton, ma il giovane aveva girato la testa verso un gruppo di giovani donne vestite a colori vivaci che stavano salendo dal pascolo. Robinton guardò Lioth, e l'occhio opalescente ricambiò lo sguardo per un attimo, scintillando. Poi il drago spiegò le grandi ali. Robinton si affrettò ad arretrare: non era ancora ben certo di avere captato il pensiero di Lioth. Eppure, non c'erano altre spiegazioni. Bene, quel giorno senza dubbio ricco di sorprese! «Signore?» chiese rispettosamente Brudegan. «Ah, sì, ragazzi.» Robinton li guardò sorridendo. Talmor non aveva mai volato, e adesso aveva lo sguardo un po' vitreo. «Brudegan, tu conosci la
Fortezza. Conducili nella sala dell'Arpista, in modo che si orientino. E prendi anche il mio strumento: mi servirà solo al banchetto. Poi, ragazzi, mescolatevi alla folla, suonate, conversate, ascoltate. Conoscete le canzoni che io ho provato. Servitevene. Avete udito i messaggi dei tamburi. Utilizzateli. Brudegan, prendi con te Sebell, è la sua prima esibizione in pubblico. No, Sebell, non saresti con noi oggi se io non avessi fiducia nelle tue capacità. Talmor, tieni la lingua a freno. Tagetarl, aspetta che sia finito il banchetto, prima di incominciare a incantare le ragazze. Ricorda, dovrai diventare presto Arpista, e non devi disgustarti una buona Fortezza. E tutti voi, fate attenzione ai vini distillati.» Dopo avere impartito questi consigli, li lasciò e salì la rampa affollata, giunse nella Grande Corte, sorridendo e inchinandosi ai vari Signori che conosceva, agli Artigiani e alle dame che andavano e venivano. Larad, Signore di Telgar, risplendente nell'abito giallo scuro, e lo sposo, Asgenar, Signore di Lemos, in un elegante abito blu notte, stavano ritti accanto alle grandi porte metalliche della Sala Principale della Fortezza. Le donne di Telgar erano vestite di bianco, ad eccezione della sorellastra di Larad, Famira, che era la sposa. I suoi capelli biondi erano sciolti e arrivavano fino all'orlo del tradizionale abito da sposa, a gradazioni sfumate di rosso. Robinton si soffermò per un momento a lato dell'ingresso nella Corte, nell'ombra della torre di destra, per esaminare gli ospiti che già formavano piccoli gruppi sparsi qua e là. Scorse il Maestro Allevatore Sograny vicino alla scuderia. Chissà perché, quell'uomo aveva sempre l'aria di chi fiuta un cattivo odore. Probabilmente ce l'aveva con gli altri invitati: a Sograny non piaceva perdere tempo. Il Maestro Tessitore Zurg e la sua snella moglie passavano continuamente da un gruppo all'altro. Robinton si chiese se erano intenti a esaminare le stoffe e il taglio degli abiti. Era difficile capirlo, perché Zurg e la consorte rivolgevano a tutti cenni del capo e sorrisi radiosi con bonaria imparzialità. Il Maestro Minatore Nigot era immerso in una discussione con il Maestro Conciatore Belesdan e il Maestro Agricoltore Andemon, mentre le loro donne si erano fatte un po' in disparte e chiacchieravano tra loro. Il Nobile Corman di Keroon stava evidentemente tenendo lezione ai nove giovani che l'attorniavano: dovevano essere i figli, adottivi o naturali, poiché quasi tutti avevano lo stesso naso pronunciato del vecchio. Dovevano essere arrivati da poco perché, ad un segnale di Corman, i giovani girarono sui tacchi e seguirono il genitore su per la scalinata. Il Nobile Raid di Ben-
den stava parlando con il suo ospite; vedendo avvicinarsi Corman, s'inchinò e si fece da parte. Il Nobile Sifer di Bitta fece segno al Nobile Raid di unirsi a lui e a un gruppo di Signori che conversavano accanto alla scala della torre di guardia. Robinton non vide gli altri Signori delle Fortezze, Groghe di Fort, Sangel di Boll, Meron di Nabol, Nessel di Crom. In alto squillarono le voci dei draghi, ed una mezza squadriglia cominciò a planare verso l'ampio campo dove era atterrato Robinton. Draghi bronzei, azzurri... ah, e cinque auree regine, vennero a posarsi per qualche istante. Scaricarono i passeggeri, e poi si rialzarono quasi tutti in volo, per andare ad appolaiarsi sulle alture sovrastanti la Fortezza. Robinton si affrettò allora a raggiungere il suo ospite, prima che i nuovi arrivati invadessero la rampa della Grande Corte. La gaiezza cordiale dei modi del Nobile Larad non riusciva a nascondere completamente un'ansia profonda. I suoi occhi, azzurri e franchi, scrutavano irrequieti la Corte. Il Signore di Telgar era un bell'uomo, sebbene vi fosse ben poca rassomiglianza di carattere tra lui e la sua unica sorella, Kylara. Evidentemente era Kylara che aveva ereditato gli appetiti del comune genitore. Tanto meglio. «Benvenuto, Maestro Arpista: siamo tutti desiderosi di ascoltare le tue splendide canzoni,» disse il Nobile Larad, rivolgendo a Robinton un profondo inchino. «Suoneremo in armonia con i tempi e l'occasione, Nobile Larad,» rispose quello, sogghignando della propria franchezza. Entrambi udirono l'ondeggiare della melodia, mentre i giovani Arpisti incominciavano ad aggirarsi tra gli invitati. Il rombo di grandi ali attirò verso l'alto il loro sguardo. I draghi volarono controsole, gettando ombre fuggevoli sulla Corte. Per un momento tutte le conversazioni s'interruppero, poi ripresero più rumorosamente di prima. Robinton passò oltre, rendendo omaggio alla prima sposa del Nobile Larad: era il suo vero amore, poiché Larad non aveva altre mogli oltre lei. Il giovane Signore di Telgar, almeno, era costante e fedele. «Nobile Asgenar, i miei rallegramenti. Dama Famira, permettimi di augurarti ogni felicità.» La fanciulla arrossì con grazia, lanciando un'occhiata timida al Nobile Asgenar. Aveva gli stessi occhi azzurri del fratellastro. Teneva la mano posata sul braccio dello sposo, che conosceva da molto tempo. Larad e Asgenar erano stati entrambi figli adottivi del Nobile Corman di Keroon, sebbene Larad fosse stato eletto Signore prima di Asgenar. Quel matrimo-
nio non aveva creato problemi, sebbene il Conclave dei Signori delle Fortezze dovesse ancora ratificarlo, poiché i figli di quelle nozze avrebbero potuto, un giorno, diventare Signori di Telgar e di Lemos. Un Signore delle Fortezze spandeva lontano il suo seme. Aveva molti figli, nella speranza che un maschio del suo Sangue si rivelasse abbastanza energico da risultare accettabile per il Conclave, quando si fosse presentato il problema della Successione. Tuttavia, quell'antica consuetudine non veniva osservata scrupolosamente come in passato. Il saggio Signore adottava i figli di altri Nobili, sia per assicurarsi appoggi in Conclave, sia per avere la certezza che anche la sua progenie trovasse ottimi genitori adottivi. Robinton si aggirò tra gli ospiti, per ascoltare più che poteva, per partecipare ad una conversazione con una storiella divertente, per allietarne un'altra con una frase spiritosa. Si servì qualche salsicciotto a una delle lunghe tavole disposte accanto all'entrata della cucina e prese un boccale di sidro. Il banchetto sarebbe iniziato soltanto al tramonto. Prima i Signori delle Fortezze ed altri Nobili minori avrebbero tenuto il Conclave. (Robinton si augurò che Chad avesse trovato il modo di farlo assistere alla discussione, perché aveva l'impressione che non si sarebbe parlato soltanto del Sangue delle Fortezze di Telgar e Lemos.) Robinton continuò ad aggirarsi, attentissimo, soppesando e misurando ogni sfumatura, ogni scrollata di spalle, le risate, i gesti, le smorfie. Osservò i gruppi, che cambiavano secondo le linee della regione, dall'arte e del rango. Quando si accorse che non aveva ancora visto il Maestro Fabbro Fandarel e il suo vice, Terry, e neppure un fabbro qualunque, cominciò a meravigliarsi. Chissà se la telescrivente di Fandarel era stata installata? Diede un'occhiata lungo il fianco della Fortezza, e non vide nessuno dei pilastri di cui gli avevano parlato. Si morse pensosamente il labbro inferiore. Le voci e le risate sembravano avere una sfumatura stridula. Dal punto sopraelevato in cui si trovava, Robinton osservava la Grande Corte, ormai così piena che pareva coperta da un tappeto mobile di corpi solidi, qua e là c'era un gruppetto fitto di teste chine. Come se... come se tutti fossero decisi a divertirsi, aggrappandosi freneticamente al piacere... I draghi fecero sentire le loro voci dalle alture. Robinton sorrise. Parlavano in terzine. Se un uomo fosse riuscito a dirigerli... che accompagnamento, per la sua Ballata! «Buon Maestro Arpista, hai visto F'lar o Dadarel?» Lytol gli si era avvicinato, seguito dal giovanissimo Jaxom di Ruatha.
«Non ancora.» Lytol aggrottò la fronte, suggerì a Jaxom di andare in cerca dei nobili ragazzetti della Fortezza di Telgar e trasse in disparte Robinton. «Come credi che reagiranno i Signori, al Nobile Meron di Nabol?» «Reagire a Meron?» Robinton sbuffò, sprezzante. «Ignorandolo, naturalmente. Non che la sua opinione possa esercitare qualche influenza sul Conclave...» «Non è a questo che mi riferivo. Voglio dire, al fatto che possiede una lucertola di fuoco...» Lytol s'interruppe, notando lo sguardo di Robinton. «Non lo sapevi? Il messaggero è passato dalla Fortezza di Ruatha ieri, ed ha proseguito per la Fortezza di Fort e la sua Sede.» «Non mi ha trovato, oppure... poteva parlare liberamente?» «Con me l'ha fatto. Sembra che io attragga le confidenze...» «Le lucertole di fuoco? Cos'è questa storia? Un tempo, impiegavo ore ed ore, nel tentativo di catturarne una. Non ci sono mai riuscito. Anzi, non ho mai saputo che qualcuno ce l'abbia fatta. Come ha potuto prenderla Meron?» Lyton fece una smorfia, ed il tic cominciò a tormentargli la guancia. «È possibile imprimere loro lo Schema. C'è sempre stata la vecchia favola, secondo la quale le lucertole di fuoco sarebbero le antenate dei draghi.» «E Meron di Nabol è riuscito a farlo?» Lytol rise amaramente. «È inverosimile, l'ammetto. Le lucertole di fuoco dimostrano una deplorevole mancanza di buon gusto. Ma puoi star certo che Meron di Nabol non perderebbe tempo con quelle creature se non gli fossero utili.» Robinton rifletté, poi scrollò le spalle. «Credo che tu non abbia motivo di preoccuparti. Ma come ha fatto Nabol a procurarsene una? E com'è possibile imprimere loro lo Schema? Credevo fosse una caratteristica esclusiva dei draghi.» «Ciò che più mi preoccupa è il modo in cui il Nobile Meron di Nabol è entrato in possesso della lucertola di fuoco,» disse Lytol, cupamente. «La Dama del Weyr Meridionale, Kylara, gli ha portato un'intera covata di uova. Naturalmente, ne hanno perse molte alla Schiusa, ma quelle poche che sono sopravvissute hanno fatto scalpore a Nabol. Il messaggero ne aveva vista una, e gli brillavano gli occhi, mentre ne parlava. 'Un vero drago in miniatura,' ha detto: a giudicare della sua aria estatica, era prontissimo a tentare la sorte sulle spiagge sabbiose di Fort e di Boll Meridionale.» «'Un vero drago in miniatura,' eh?» Robinton cominciò a pensare al si-
gnificato di quella novità: presentava alcuni aspetti che non gli piacevano. Non c'era un solo ragazzo, in tutto Pern, che non avesse sognato almeno una volta di diventare accettabile ai draghi, di avere ai suoi ordini (senza sapere che era vero il contrario) una creatura immensa, capace di recarsi in qualunque località del pianeta in un batter d'occhio, di sconfiggere ogni nemico con l'alito fiammeggiante (anche questo era errato perché i draghi vomitavano fiamme solo contro i Fili e non avrebbero mai fatto volontariamente del male ad un essere umano). La vita dei Weyr montani assumeva un fascino sproporzionato alla realtà, eppure i dragonieri non dovevano piegarsi alle dure fatiche dei campi, dei frutteti e dei banchi delle Arti: erano alti e diritti, abbigliati di cuoio di wher splendidamente conciato, ed in un certo senso apparivano superiori. Pochissimi ragazzi potevano diventare Signori delle Fortezze, a meno che fossero del Sangue. Ma c'era sempre la possibilità che un dragoniere scegliesse proprio te, ti portasse al Weyr per la Schiusa. Perciò, generazioni intere di ragazzi avevano tentato invano di catturare le lucertole di fuoco, simboli dell'altra aspirazione. E un «vero drago in miniatura» nelle mani di un astuto scontento come Meron di Nabol, già ostile ai cavalieri (con qualche giustificazione, per via di quanto era accaduto nella valle dell'Esvay a causa di T'kul del Weyr delle Terre Alte), poteva costituire almeno un fastidio per F'lar, e rovinare, nella peggiore delle ipotesi, i loro piani per quel giorno. «Bene, se Kylara ha portato le uova di lucertola di fuoco alla Fortezza di Nabol, F'lar lo saprà,» disse Robinton al Nobile Reggente. «Tengono continuamente d'occhio quella donna.» La preoccupazione di Lytol sembrò crescere ancora. «Lo spero. Meron di Nabol non si lascerà certamente sfuggire l'occasione di irritare o di imbarazzare il Comandante del Weyr di Benden. Hai visto F'lar?» I due si guardarono intorno, speranzosi. Poi Robinton scorse una testa brizzolata che conosceva, e che s'inchinava verso di lui ed il Reggente. «A proposito di Benden, ecco là il vecchio Nobile Raid che sta per piombarci addosso. Ho un'idea di quello che vuole, ed io non ho nessuna intenzione di cantare un'altra volta quell'antica ballata sui Signori. Scusami, Lytol.» Robinton si perdette fra gli invitati, allontanandosi il più rapidamente possibile dal Signore della Fortezza di Benden. Detestava la ballata preferita del Nobile Raid, e se quello l'avesse bloccato, sarebbe stato costretto a cantarla. Non provava rimorso per aver lasciato Lytol alle prese con quell'individuo pomposo. Lytol godeva di una posizione eccezionale, nei con-
fronti dei Signori delle Fortezze: costoro non sapevano bene come trattare un uomo che era stato dragoniere, Maestro Tessitore e adesso era Nobile Reggente di una Ruatha che prosperava sotto la sua guida. Lytol era perfettamente in grado di tenere a bada Raid. Il Maestro Arpista si fermò in un punto da cui poteva guardare l'orlo del precipizio, e cercò di vedere se riusciva a individuare Ramoth o Mnementh fra i draghi appollaiati lassù. Lucertole di fuoco? Ed in che modo Meron avrebbe potuto servirsene? A meno che fosse perché Kylara, una Dama del Weyr, ne aveva donata una proprio a lui. Questo avrebbe suscitato sicuramente dissapori. Senza dubbio, ogni Signore d'una Fortezza ne avrebbe voluta una, per essere eguale a Meron. Non potevano esserci abbastanza uova per accontentarli tutti. Meron avrebbe potuto sfruttare le aspirazioni dimenticate, e suscitare una nuova irritazione contro i cavalieri dei draghi. Robinton si accorse che le salsicce gli erano rimaste sullo stomaco. All'improvviso Bradegan si staccò dalla folla, inchinandosi con un sorriso di rammarico al gruppo per cui aveva suonato una serenata, come se fosse riluttante a rispondere alla chiamata del suo Maestro. «C'è una tensione molto forte,» disse l'arpista, mentre fingeva di accordare il suo strumento. «Sono tutti decisi a divertirsi. Strano, però. Non è ciò che dicono, ma come lo dicono, a mettere sull'avviso.» Il ragazzo arrossì, quando Robinton gli rivolse un cenno d'approvazione. «Per esempio, dicono 'quel Comandante del Weyr', quando si riferiscono al loro. 'Il Comandante del Weyr', invece, è sempre F'lar di Benden. 'Il Comandante del Weyr' aveva capito. 'Il Comandante del Weyr' aveva tentato. 'Lei' indica Lessa. 'Quella' indica la loro Dama del Weyr. Interessante?» «Affascinante. Cosa ne pensano della Caduta dei Fili?» Brudegan chinò la testa sullo strumento e ne trasse un accordo in dissonanza. Passò la mano su tutte le otto corde, in un suono che fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale del Maestro Arpista. Poi Brudegan si allontanò, attaccando una canzone gaia. Robinton si augurò che F'lar e Lessa arrivassero. Vide D'ram del Weyr di Ista parlare concitato con il Comandante del Weyr di Igen, G'narish. Quei due erano i più simpatici degli Antichi: G'narish era ancora abbastanza giovane per poter cambiare, e D'ram era sostanzialmente troppo onesto per negare una verità quando l'aveva sotto il naso. Il guaio era che se ne stava troppo chiuso nel suo Weyr. I due sembravano a disagio, forse perché intorno a loro c'era un cerchio
di spazio vuoto: un evidente ostracismo, dato che la Corte era così piena. Accolsero Robinton con aria di sollievo. «Che lieta occasione,» disse lui e, quando quelli reagirono mostrando sorpresa, si affrettò a proseguire: «Avete avuto notizie di F'lar?» «Dovremmo averne ricevute? Ci sono state altre Cadute di Fili?» chiese G'narish, allarmato. «No, che io sappia.» «Hai visto T'ron o T'kul? Noi siamo appena arrivati.» «No, per la verità, nessuno degli occidentali sembra presente, a parte il Nobile Reggente Lytol di Ruatha.» D'ram strinse i denti, rumorosamente. «R'mart del Weyr di Telgar non può venire,» disse. «Ha avuto una brutta ustione.» «Ho saputo che è stato terribile, alla Fortezza di Crom,» mormorò Robinton, in tono di rammarico. «Ma non c'era possibilità di prevedere che i Fili sarebbero caduti lì e in quel momento.» «Però vedo che il Nobile Nessel di Crom ed i suoi sono presenti in forze,» osservò D'ram, in tono amareggiato. «Non poteva assentarsi senza insultare il Nobile Larad. Sono state gravi, le perdite del Weyr di Telgar? E se R'mart è fuori causa, chi ha preso il comando?» D'ram guardò d'Arpista come per fargli capire che aveva formulato una domanda impertinente, ma G'narish rispose senza difficoltà. «Ha preso il comando il suo vice, M'rek, ma il Weyr scarseggia tanto di personale che D'ram ed io ne abbiamo parlato e abbiamo mandato rinforzi. Per fortuna, abbiamo un numero sufficiente di giovani draghi che hanno appena incominciato a masticare pietre focaie, e quindi siamo al completo.» G'narish diede un'occhiata al dragoniere più anziano, come si rendesse conto improvvisamente che stava discutendo gli affari dei Weyr alla presenza di un estraneo. Poi scrollò le spalle. «È più ragionevole, ora che i Fili cadono fuori fase e la Fortezza di Crom è demoralizzata. Lo facevamo nel Tempo Antico, quando un Weyr era scarso di effettivi. Per la verità, io ho volato con Benden per una stagione, quand'ero cadetto.» «Sono certo che le Fortezze di Crom e di Telgar apprezzeranno moltissimo la vostra collaborazione, Comandanti,» disse Robinton. «Ma ditemi, siete riusciti ad imprimere lo Schema a qualche lucertola di fuoco? Igen ed Ista dovrebbero essere ottimi terreni da caccia.» «Lo Schema alle lucertole di fuoco?» D'ram sbuffò con la stessa incre-
dulità messa in mostra poco prima da Robinton. «Sarebbe un'impresa straordinaria,» fece G'narish, ridendo. «Guardate, stanno arrivando Ramoth e Mnementh.» Era impossibile sbagliare, mentre le due bestie planavano verso le alture. E si vedeva benissimo che gli altri draghi già appollaiati sulle vette si scostavano per far loro posto. «Beh, è la prima volta...» mormorò G'narish, sottovoce, e s'interruppe, perché un silenzio improvviso era sceso su tutti gli invitati, interrotto da zittii e da fruscii, mentre i presenti si voltavano verso la Porta. Robinton, con affettuoso orgoglio, guardò Lessa e F'lar salire la scalinata per raggiungere i loro ospiti. Entrambi indossavano abiti che avevano il colore verde tenero delle fronde nuove, e l'Arpista provò l'impulso di applaudirli. Ma si trattenne e, rivolgendo un cenno ai cavalieri, si avviò verso i nuovi arrivati. Un altro drago, subito seguito da uno bronzeo, scese ad una quota pericolosamente bassa. Le punte delle ali dorate spiccarono sopra le mura esterne della Corte ed il vento dei controcolpi sollevarono polvere, terriccio e le gonne delle signore più vicine alla Porta. Vi furono strilli e proteste infastidite che poi si smorzarono in un mormorio minaccioso. Robinton, avvantaggiato dalla statura, notò che il Nobile Larad esitava nell'atto di inchinarsi a Lessa. Vide il Nobile Asgenar e le dame intenti a fissare qualcosa. Irritato, temendo di perdere parte dello spettacolo, Robinton si spinse avanti. Arrivò all'angolo della scala, fece i primi due gradini in due balzi, e si fermò. Risplendente nell'abito rosso, con i capelli dorati sciolti come quelli d'una fanciulla, Kylara si avvicinò all'ingresso della Sala, con un sorriso che era di pura malizia, non di piacere. Teneva la mano destra posata sul braccio del Nobile Meron di Nabol, la cui tunica rossa era un po' troppo arancione per armonizzarsi con la propria veste. Ma tutti questi dettagli, Robinton li ricordò solo in seguito. In quel momento vide soltanto le due lucertole di fuoco, con le ali leggermente protese per mantenere l'equilibrio: una d'oro sul braccio di Kylara, una bronzea su quello di Meron. «Veri draghi in miniatura»: erano bellissimi, e suscitarono un sentimento d'invidia e di desiderio nell'animo dell'Arpista. Deglutì in fretta, reprimendo con fermezza quelle emozioni sconvenienti. Il mormorio crebbe, via via che altri si accorgevano dei nuovi arrivati. «Per il Primo Guscio, hanno due lucertole di fuoco!» urlò il Nobile
Corman di Keroon. Uscì dalla folla, nel passaggio che si era aperto fino all'ingresso della Sala, e si fece avanti per vedere meglio. La lucertola dorata strillò al suo appressarsi, e quella bronzea sibilò un avvertimento. Sul volto di Meron c'era un irritante sogghigno di soddisfazione. «Sapevi che Meron ne aveva una?» domandò D'ram, in un aspro bisbiglio, all'orecchio dell'Arpista. Robinton alzò una mano per prevenire altre domande. «Ecco Kylara del Weyr Meridionale ed il Nobile Meron della Fortezza Nabol, con gli esempi viventi del nostro piccolo dono augurale per la coppia felice,» squillò la voce di F'lar. Scese un silenzio assoluto, mentre egli e Lessa offrivano piccoli involti tondeggianti al Nobile Asgenar ed alla sua sposa, Dama Famira. «Si sono appena indurite,» spiegò F'lar, con voce alta che dominò tutti i brusii. «E, naturalmente, vanno tenute nella sabbia riscaldata, perché si schiudano. Le dobbiamo alla generosità di Toric, un pescatore del Weyr Meridionale: fanno parte di una covata da lui scoperta solo poche ore fa. Me le ha portate il Comandante T'bor.» Robinton tornò a guardare Kylara. Il suo volto avvampato aveva assunto lo stesso colore della tunica di Meron: e lui sembrava in preda ad una rabbia omicida. Con un sorriso benevolo, Lessa si rivolse a Kylara. «F'lar mi ha detto di aver visto il tuo grazioso animaletto domestico...» «Non è un animaletto domestico!» Kylara sfolgorava di collera. «Ieri, nelle Terre Alte, ha divorato i Fili...» Ciò che aveva ancora da dire andò perduto, mentre le sue parole «ha divorato i Fili», «ha divorato i Fili», echeggiavano tra gli invitati. Le strida rauche delle due lucertole acrebbero la cacofonia, e Kylara e Meron dovettero cercare di acquietarle. Robinton si rese conto che l'effetto previsto da Meron di Nabol era stato rovinato. Lui non era l'unico Signore delle Fortezze che possedeva «un vero drago in miniatura.» Due Nobili minori, che a giudicare dai loro stemmi dovevano essere di Nerat, si avvicinarono a D'ram ed a G'narish. «Se amate i vostri draghi, fingete di essere informati sulle lucertole» disse Robinton ai due, sottovoce. Poi, passando rasente al muro di pietra, l'Arpista salì lentamente le scale, e girò intorno alle donne radunate vicino al Nobile Asgenar, a Dama Famira ed a F'lar. «I SIGNORI DELLE FORTEZZE ED I NOBILI DI RANGO MAGGIORE E MINORE, SI PRESENTINO AL CONCLAVE,» tuonò il capi-
tano della guardia della Fortezza di Telgar. Un bronzeo coro di draghi echeggiò dalle alture, riducendo al silenzio per qualche istante tutti gli invitati. Il capitano ripeté l'annuncio ed invitò la folla a fare largo. Il Nobile Asgenar affidò a Famira il suo uovo, mormorandole qualcosa all'orecchio e indicando la Sala. Poi si scostò, sollecitando con un gesto Lessa e Famira ad entrare. E fu un bene, perché i Signori si stavano ormai ammassando sulla scalinata. Robinton cercò di richiamare l'attenzione di F'lar, ma il dragoniere stava tentando di avanzare controcorrente in direzione di Kylara. Questa era intenta a discutere accanitamente con Meron, il quale alzò rabbioso le spalle, la lasciò e cominciò a spingere per avviarsi verso la Sala scostando gli altri Nobili. Vi fu un altro esodo, notò Robinton: i Maestri delle Arti si stavano radunando nei pressi della cucina. F'lar ha bisogno dell'Arpista. Robinton si guardò intorno, chiedendosi chi avesse parlato, stupito che una voce tanto sommessa l'avesse raggiunto in quel frastuono. Fu scosso da un accordo dissonante e, girando la testa in direzione del suono, scorse Brudegan che era lassù, sul camminamento delle sentinelle, insieme a Chad, sembrava. L'Arpista residente della Fortezza di Telgar aveva trovato un sistema per ascoltare di nascosto le discussioni del Conclave? Mentre Robinton cambiava direzione, avviandosi verso la scala della torre, un dragoniere lo raggiunse. «F'lar ti vuole, Maestro Arpista.» Robinton esitò, voltandosi a guardare i due che gli facevano segno di affrettarsi. Lessa ascolta. «Hai detto qualcosa?» chiese Robinton al cavaliere. «Sì, signore. F'lar vuole che tu lo raggiunga. È importante.» L'Arpista alzò lo sguardo verso i draghi, e Mnementh inclinò la testa, in su e in giù. Robinton scrollò il capo, cercando di superare l'ennesimo, sorprendente trauma di quella giornata. Dall'alto lo raggiunse un sibilo penetrante. Sporse le labbra e fischiettò la sequenza che significava «vai tu», aggiungendo la melodia che indicava «mi riferirai più tardi». Brudegan strimpellò un accordo per indicare che aveva capito, anche se Chad evidentemente non era dello stesso parere. Era sveglio, il suo allievo, pensò Robinton, e fischiettò il trillo stridulo che significava «esegui». Si
augurò che gli Arpisti potessero disporre di un cifrario flessibile come quello che lui aveva ideato per il Fabbro... e dov'era Fandarel? Era un uomo che spiccava facilmente in mezzo ad una folla ma, mentre Robinton seguiva il dragoniere, non riuscì a scorgere un solo fabbro. Naturalmente, l'effetto della telescrivente sarebbe stato inferiore, dopo la presentazione delle lucertole. A Robinton dispiacque per il Fabbro, che aveva perfezionato un ingegnoso mezzo di comunicazione, e che lo vedeva posto in ombra dai draghi in miniatura, divoratori di Fili. Il Pernese medio sarebbe stato molto più colpito da un surrogato dei draghi che da qualunque miracolo tecnico. Il dragoniere aveva condotto Robinton alla torre di guardia, alla destra della Porta. Quando l'Arpista si voltò a guardare Brudegan e Chad non si vedevano più, sul camminamento delle sentinelle. Al piano inferiore della torre c'era un'unica, grande stanza: la scala di pietra che raggiungeva il lato destro del camminamento era fissata alla parete di fronte. In un angolo erano stati preparati giacigli di pelli, per gli ospiti che forse sarebbe stato necessario alloggiare là quella notte. Due finestre a feritoia, poste una di fronte all'altra sui lati più lunghi della stanza, emanavano poca luce. G'narish, il Comandante del Weyr di Igen, stava togliendo lo schermo dal canestro dei lumi appeso al soffitto, quando l'Arpista entrò. Kylara era ritta proprio sotto la lampada, e fissava furibonda T'bor. «Sì, sono dovuta andare a Nabol. La mia lucertola era là. E ho fatto benissimo, perché Prideth ha avvistato tracce dei Fili sulla Catena delle Terre Alte!» L'attenzione di tutti era rivolta verso di lei. Gli occhi le splendevano: teneva la testa alta e, notò Robinton, la sua voce aveva un tono meno bisbetico. Kylara era una donna bellissima, ma aveva un'aria dura e spietata che ispirava un senso di ripugnanza. «Sono volata immediatamente da T'kul.» Ed il volto le si contorse per la collera. «Quello non è un dragoniere! Si è rifiutato di credermi. D'i credere a me! Come se una Dama del Weyr non fosse in grado di riconoscere i segni, quando li vede. Dubito che si sia preso il disturbo di organizzare un servizio di ricognizione. Ha continuato a insistere sul fatto che i Fili erano caduti sei giorni prima alla Fortezza di Tillek e che non potevano cadere così presto sulle Terre Alte. Allora gli ho parlato delle Cadute sulla palude occidentale e sulle parti settentrionali della Fortezza di Lemos, ma non ha voluto credermi egualmente.» «Il Weyr è arrivato in tempo?» l'interruppe gelido F'lar.
«È naturale.» Kylara si raddrizzò, e quella posa fece aderire ancor più l'abito al suo corpo. «Io ho ordinato a Prideth di dare l'allarme.» Il suo sorriso era malizioso. «T'kul ha dovuto agire. Una regina non può mentire. E non esiste un drago maschio che osi disobbedirle!» F'lar aspirò bruscamente, digrignando i denti. T'kul delle Terre Alte era un uomo taciturno, cinico, stanco. Per quanto l'azione di Kylara fosse stata giustificata, i suoi metodi erano privi di diplomazia. E lei apparteneva ai Weyr contemporanei. Oh, ma T'kul era comunque una causa persa. F'lar lanciò occhiate oblique a D'ram e a G'narish, per vedere che effetto faceva loro il comportamento di T'kul. Senza dubbio ora... Avevano l'aria tesa. «Sei una buona Dama del Weyr, Kylara, ed hai agito bene. Molto bene,» disse F'lar con tanta convinzione che lei cominciò a pavoneggiarsi, con un sorriso soddisfatto. Poi lo fissò ad occhi sbarrati. «Beh, che cos'hai intenzione di dire, per quanto riguarda T'kul? Non possiamo permettergli di far correre simili rischi al mondo, con quella sua antiquata mentalità.» F'lar attese, quasi augurandosi che D'ram intervenisse. Se uno degli Antichi... «Sembra che i dragonieri dovranno convocare anch'essi un conclave,» disse alla fine, poiché Kylara batteva un piede a terra e tutti gli occhi erano fissi su di lui. «T'ron del Weyr di Fort deve esserne informato. O forse faremmo bene a recarci tutti al Weyr di Telgar per chiedere l'opinione di R'mart.» «L'opinione?» domandò Kylara, infuriata da quell'apparente elusività. «Dovresti partire immediatamente, contestare a T'kul la sua flagrante negligenza e...» «E che altro, Kylara?» chiese F'lar, quando lei s'interruppe. «E... beh... ci sarà pure qualcosa che tu puoi fare?» Per una situazione che prima non si era mai presentata? F'lar guardò D'ram e G'narish. «Dovete fare qualcosa,» insistette la donna, volgendosi verso gli altri. «I Weyr sono tradizionalmente autonomi...» «Un ottimo pretesto per nascondersi, D'ram...» «Non ci si può nascondere,» continuò D'ram, con voce brusca, scuro in volto. «Qualcosa si dovrà fare. Tutti insieme. Non appena arriverà T'ron.» Voleva temporeggiare ancora? si chiese F'lar. «Kylara,» disse a voce alta, «tu hai accennato che la tua lucertola ha divorato i Fili.» C'era ben altro da discutere che l'incredibile comportamento di T'kul. «E posso domandar-
ti come hai fatto a sapere che la tua lucertola era tornata a Nabol?» «Me l'ha detto Prideth. La lucertola era uscita dall'Uovo là, perciò è tornata alla Fortezza di Nabol, quando tu l'hai spaventata, al Weyr Meridionale.» «Però l'avevi con te al Weyr delle Terre Alte?» «No. Te l'ho detto. Ho visto i Fili sopra la Catena delle Terre Alte e sono andata da T'kul. Prima! Poi, quando ho dato l'allarme al Weyr, ho pensato che potevano esserci altri Fili su Nabol, perciò sono andata a controllare.» «E hai detto a Meron della Caduta anticipata?» «Certamente.» «E poi?» «Ho portato con me la lucertola. Non volevo perderla di nuovo.» Quando F'lar non raccolse la frecciata, Kylara proseguì. «Ho chiesto un lanciafiamme, e naturalmente sono andata con la squadriglia di Merika. Ma ho ottenuto pochi ringraziamenti per il mio aiuto da quella Dama del Weyr.» Stava dicendo la verità, pensò F'lar: lo si capiva dalle sue emozioni. «Quando la mia lucertola ha visto cadere i Fili, sembrava impazzita. Non sono riuscita a tenerla a freno. È volata diritta verso un ammasso... e l'ha divorato.» «Le avevi dato della pietra focaia?» chiese D'ram, con gli occhi accesi da un sincero interesse. «Non ne avevo. Inoltre, voglio che si accoppi.» Il sorriso di Kylara assunse una piega bizzarra, mentre lei accarezzava il dorso della lucertola. «E scava, anche,» aggiunse, esaltando le qualità della sua creaturina. «Uno delle squadre di terra ha detto di averla vista entrare in una tana di Fili. Questo però l'ho saputo solo più tardi.» «La Fortezza delle Terre Alte è libera dai Fili, adesso?» Kylara scrollò le spalle con indifferenza. «Se non lo è, lo sapremo presto.» «Per quanto tempo è continuata la Caduta, dopo che tu l'hai vista? Sei riuscita a individuare l'Orlo anteriore, mentre volavi verso Nabol?» «È durata circa tre ore. Forse meno, direi. Cioè, a partire dal momento in cui sono finalmente arrivate le squadriglie.» Kylara sorrise, con condiscenza. «Per quanto riguarda l'Orlo anteriore, secondo me doveva essere sulla Catena, ad alta quota.» Li sfidò con gli occhi a contraddirla, e quando nessuno lo fece, proseguì: «Là i Fili saranno caduti sulla roccia nuda e sulla neve. Ho esplorato il versante di Nabol, ma Prideth non ha visto nulla.» «Hai fatto benissimo, Kylara, e ti siamo infinitamente grati,» disse F'lar,
e gli altri Comandanti si unirono all'elogio con tanta convinzione che la giovane donna sorrise, espansiva, volgendosi dall'uno all'altro con gli occhi che le brillavano di soddisfazione. «Ormai abbiamo avuto cinque Cadute,» proseguì con aria grave F'lar, guardando gli altri Comandanti e cercando di capire fin dove poteva spingersi nel tentativo d'indurii ad accettarlo come loro portavoce. La defezione di T'kul aveva scosso profondamente D'ram. F'lar non cercò d'intuire quale sarebbe stata la reazione di T'ron, ma se il Comandante del Weyr di Fort fosse venuto a trovarsi in minoranza, isolato contro gli altri quattro, avrebbe deciso di agire nei confronti di T'kul, anche se questo significava schierarsi dalla parte di F'lar? «A Tillek otto giorni fa; a Crom, cinque giorni fa; nella parte settentrionale di Lemos, tre giorni fa; nella zona Est del Continente Meridionale, due giorni fa; e adesso nelle Terre Alte. Senza dubbio ne sono finiti anche nel Mare Occidentale, e senza dubbio le Cadute sono più frequenti e più ampie. Non c'è un solo punto di Pern che sia al sicuro. Nessun Weyr può permettersi di allentare la vigilanza, contando sul tradizionale margine di sei giorni.» E sorrise, torvo. «La tradizione!» D'ram sembrò sul punto di ribattere, ma F'lar lo fissò negli occhi, sino a che l'altro annuì lentamente. «Dirlo è facile, ma cosa avete intenzione di fare per quanto riguarda T'kul? O T'ron?» Kylara si era accorta in quel momento che nessuno le badava. «Quello non è migliore di T'kul. Rifiuta di ammettere che i tempi sono cambiati. Anche quando Mardra...» Si sentì bussare energicamente, e l'uscio si aprì subito per lasciar passare la gigantesca figura di Fandarel. «Mi hanno detto che eri qui, F'lar. Noi siamo pronti.» F'lar si passò una mano sul viso, rammaricandosi di quel diversivo. «I Nobili sono in Conclave,» incominciò a dire, ed il Fabbro grugnì. «E c'è stato un altro sviluppo inatteso...» Fandarel accennò con il capo alla lucertola di fuoco sul braccio di Kylara. «Me ne hanno parlato. Vi sono molti modi per combattere i Fili, naturalmente, ma non tutti sono efficaci. I meriti di queste creature sono ancora da vedere.» «I meriti...» cominciò Kylara, pronta ad esplodere in una sfuriata sdegnosa. Robinton l'Arpista le si accostò, bisbigliandole qualcosa all'orecchio. Con un pensiero di gratitudine per Robinton, F'lar si voltò verso il Fabbro che si era accostato alla porta: evidentemente voleva che lui lo seguis-
se. F'lar non se la sentiva di andare a vedere la telescrivente. Non avrebbe ricevuto l'attenzione che meritava, da parte dei Nobili, della gente comune e dei dragonieri. In quella situazione d'emergenza, la telescrivente era molto più importante delle imprevedibili lucertole. Eppure, se sul serio divoravano i Fili... Si soffermò sulla soglia, volgendosi a guardare Kylara e l'Arpista. Robinton ricambiò la sua occhiata. Come se l'Arpista gli avesse letto nella mente, F'lar lo vide sorridere con fare accattivante a Kylara, sebbene sapesse che la detestava. «F'lar, pensi sia opportuno che Kylara si mescoli a quella folla? La lucertola si spaventerebbe,» disse l'Arpista. «Ma io ho fame...» protesto Kylara. «E poi c'è la musica...» aggiunse, nell'udire un accordo di gitar. «Mi sembra Tagetarl,» disse Robinton, con un gran sorriso. «Lo chiamerò e ti farò portare dalla cucina il cibo più squisito. Molto meglio che trovarti in mezzo a quell'orda rumorosa là fuori, ti assicuro.» Le porse una sedia con fare cerimonioso, e accennò di nascosto a F'lar di andarsene. Quando uscì nella luce del sole, tra la folla chiassosa, F'lar scorse il giovane dall'aria gaia, con la gitar in mano, che aveva risposto al fischio dell'Arpista. Senza dubbio, Robinton sarebbe stato libero di raggiungerli di lì a poco, se non sbagliava. Il giovane arpista sarebbe decisamente piaciuto a Kylara. Fandarel aveva installato il suo apparecchio nell'angolo più lontano della Corte, dove il muro esterno sporgeva dalla parete rocciosa della Fortezza, ad una lunghezza di drago dalla scala. Tre uomini erano appollaiati sul muro, e passavano con gran cura qualcosa al gruppo al lavoro sullo strumento. Mentre i Comandanti seguivano Fandarel attraverso la calca (la fragranza dei fiori di fellis aveva ormai ceduto il posto ad altri odori), F'lar fu oggetto di molte occhiate e di molte conversazioni interrotte. «Vedrai, vedrai,» stava dicendo un giovane che portava i colori di una Fortezza minore. «I dragonieri non lasceranno che noi ci avviciniamo ad una covata...» «I Signori delle Fortezze, vorrai dire,» ribatté un altro. «Pensa, fidarsi di quel Nabolese. Cosa? Oh. Grande Guscio!» Ora, se a Pern tutti avessero potuto avere una lucertola di fuoco, si chiese F'lar, sarebbe stata veramente la soluzione del problema? C'erano altri draghi nel cielo. Alzò gli occhi e riconobbe Fidranth, il bronzeo di T'ron, e la regina di Mardra, Loranth. Sospirò. Voleva vedere
cosa intendeva fare Fandarel con la sua telescrivente, prima di affrontare T'ron. «Mnementh, cosa succede al Conclave?» Variano. Stanno aspettando gli altri due Signori. F'lar cercò di vedere se il Comandante e la Dama del Weyr di Fort avevano portato i due Signori che ancora mancavano, il Nobile Groghe di Fort e il Nobile Sangel di Boll Meridionale. Quei due si sarebbero offesi, se il Conclave avesse deciso in loro assenza. Ma se il Nobile Groghe aveva saputo quanto era accaduto alla Fortezza delle Terre Alte... F'lar represse un brivido e si sforzò di sorridere, scusandosi, mentre passava accanto ad un gruppetto di Nobili minori che, a quanto sembrava, non lo potevano vedere. Come se riconoscessero la neutralità dei fabbri, le Dame dei Weyr si erano radunate in un gruppo attento a destra dell'apparecchio che gli uomini di Fandarel stavano montando. Fingevano un grande interesse, ma anche la graziosa compagna di G'narish, Nadira, aveva l'aria turbata, sebbene avesse un'indole dolce. Bedella, che rappresentava il Weyr di Telgar, aveva un'espressione completamente confusa: ma non era troppo intelligente, del resto. Proprio in quel momento Mardra si fece largo tra la folla, chiedendo cosa succedeva. T'kul e Merika erano arrivati? Dov'erano i loro ospiti? Le Fortezze moderne lasciavano certamente molto a desiderare, in fatto di cortesia. Lei non si aspettava più le cerimonie tradizionali, ma... In quell'istante, F'lar udì il clangore dell'acciaio contro l'acciaio e vide il Nobile Groghe di Fort che bussava alla porta della Sala con il manico del pugnale: il volto massiccio era soffuso di collera. Più magro e più gelido, Sangel, Signore di Boll Meridionale, stava dietro di lui e faceva smorfie cupe. La porta si socchiuse, quanto bastava per lasciare entrare i due Signori. A giudicare dalle loro espressioni, ci sarebbe voluto altro tempo e altre discussioni, prima che quei due si placassero. «Occorre ancora molto?» chiese F'lar, raggiungendo il Fabbro. Cercò di ricordare la telescrivente che aveva visto nella Sede dell'Arte. Quell'accozzaglia di tubi e di fili gli sembrava un po' troppo grande. «Dobbiamo soltanto fissare questo filo, così,» rispose Fandarel, mentre faceva seguire l'azione alle parole. «E questo, qui. Ora, io metto il braccio in posizione sul rotolo; manderemo un messaggio alla Sede, per assicurarci che sia tutto a posto.» Fandarel guardò raggiante il suo apparecchio, come una regina che contemplasse un uovo dorato. F'lar sentì che qualcuno si era fermato alle sue spalle; si voltò irritato e
scorse il viso intento di Robinton. L'Arpista gli rivolse un sorriso distratto e gli fece segno di fare attenzione. Il Fabbro stava battendo delicatamente in codice: le rosse linee irregolari apparivano sulla carta via via che il filo si muoveva. «'Collegamento completo',» mormorò Robinton all'orecchio di F'lar. «'Con efficienza e in orario'.» L'Arpista ridacchiava, mentre traduceva. «'Rimaniamo in attesa'. È il senso, più o meno.» Il Fabbro girò l'interruttore sulla posizione di ricevuto e guardò F'lar con aria interrogativa. In quel momento, Mnementh lanciò un grido dalle alture. Imitato da tutti i draghi, cominciò a spiegare le ali. Il movimento nascose il Sole che stava calando sui Precipizi di Telgar, e coprì di ombre gli invitati, che si azzittirono di colpo. Groghe ha detto ai Signori che T'ron ha trovato un telescopio a Fort. Se n'è servito per guardare la Stella Rossa. Sono estremamente sconvolti. Stai attento. Le porte della Grande Sala si spalancarono ed i Signori delle Fortezze uscirono a passo deciso. Un'occhiata alla faccia del Nobile Groghe bastò a confermare il rapporto di Mnementh. I Signori si disposero sulla scalinata in un fronte compatto, contrapposto ai dragonieri raccolti nell'angolo. Il Nobile Groghe tese il braccio con aria accusatrice verso F'lar, quando un sibilo sconcertante spezzò il drammatico silenzio. «Guardate!» urlò il Fabbro. Tutti gli occhi seguirono la sua mano, mentre la telescrivente cominciava a ricevere un messaggio. «'La Fortezza Igen segnala Caduta di Fili. Trasmissione interrotta a metà frase.'» Robinton traduceva i segni via via che venivano tracciati, e la sua voce diventava più rauca e meno ferma ad ogni parola. «Che assurdità è questa?» domandò il Nobile Groghe, la faccia rubizza ancora più arrossata perché l'attenzione era stata distolta dal suo imminente annuncio. «I Fili sono caduti sulle Terre Alte a mezzogiorno di ieri. Come possono cadere su Igen questa sera? Per il Guscio, cos'è quel marchingegno?» «Non capisco,» protestò G'narish a voce alta, guardando il Nobile Laudey della Fortezza Igen, stordito dal terrore e immobile sui gradini. «Ho mandato gli esploratori in servizio continuato di pattuglia...» I draghi urlarono, dalle alture, quando un verde irruppe nell'aria sopra la Corte, e lo folla gridò e si disperse, correndo a ripararsi a ridosso dei muri. I Fili cadono nella parte Sud-Ovest di Igen, giunse nitido il messaggio,
che venne ripetuto dai dragonieri presenti. «Dove vai, F'lar?» urlò il Nobile Groghe, mentre il Comandante del Weyr di Benden seguiva G'narish, lanciatosi a corsa verso la Porta. L'aria era ormai piena di ali, e gli strilli delle donne spaventate facevano da contrappunto alle imprecazioni degli uomini. «A combattere i Fili a Igen, naturalmente,» si voltò a gridare F'lar. «Igen è affar mio,» esclamò G'narish, fermandosi per un istante e girandosi verso F'lar: ma sul suo volto stupito c'era un'espressione di gratitudine, non di rimprovero. «G'narish! Aspetta! In quale parte di Igen?» stava chiedendo il Nobile Laudey. Spinse da parte l'infuriato Groghe, per raggiungere il Comandante del Weyr. «E Ista? L'isola è in pericolo?» volle sapere il Nobile Warbret. «Andremo a vedere,» lo rassicurò D'ram, prendendolo per un braccio e spingendolo verso la Porta. «Da quando il Weyr di Benden s'interessa di Igen e di Ista?» T'ron si piantò risoluto davanti a F'lar. La voce minacciosa arrivò fino alla scalinata della Sala. La sua posa bellicosa, che ostruiva il passaggio verso la Porta, li bloccò tutti. «E si precipita in aiuto di Nabol?» F'lar ricambiò la smorfia. «I Fili cadono, dragoniere. Igen e Ista sono a ranghi ridotti, perché hanno mandato parte dei loro cavalieri in aiuto del Weyr di Telgar. Dovremmo darci alle feste mentre gli altri combattono?» «Lascia che Ista e Igen si arrangino da soli!» Ramoth urlò, dalle alture. Le altre regine le risposero. Nessuno comprese a che cosa avesse lanciato quel grido di sfida; ma all'improvviso scomparve. F'lar non ebbe tempo di stupirsi perché era andata in mezzo senza Lessa: aveva visto la mano di T'ron posarsi sul pugnale. «Potremo risolvere le nostre divergenze più tardi, T'ron. In privato! I Fili cadono...» I bronzei avevano incominciato a posarsi davanti alla Porta, molto vicini per permettere l'atterraggio al maggior numero di compagni. Il cavaliere verde giunto da Igen aveva fatto appollaiare la sua bestia sopra la Porta. Continuava a gridare il suo messaggio al gruppo statico e teso. T'ron non smise. «I Fili cadono, eh, F'lar? Il generoso Benden accorre al salvataggio! E non è una cosa che riguarda Benden.» Lanciò un grido rauco di sprezzante derisione. «Basta, uomo!» D'ram si fece avanti per scostare T'ron, indicando bru-
scamente gli spettatori ammutoliti. T'ron ignorò l'avvertimento e si svincolò con tanta violenza da far vacillare il massiccio D'ram. «Ne ho avuto abbastanza di Benden! Delle idee di Benden! Della superiorità di Benden! Dell'altruismo di Benden! E del Comandante del Weyr di Benden...» Ringhiando quell'ultimo insulto, T'ron si avventò verso F'lar, levando il pugnale sguainato per sferrare un colpo. Mentre un grido soffocato di paura si levava dalle file dei presenti, F'lar rimase dov'era, fino a quando non vi fu più possibilità che T'ron potesse cambiare direzione. Poi si chinò per schivare la lama, estraendo il suo pugnale dal fodero intarsiato. Era una lama nuova, un dono di Lessa. Non aveva ancora tagliato né carne né pane, ed ora doveva essere battezzata con il sangue di un uomo. Perché quello era un duello a morte, e il suo esito poteva decidere la sorte di Pern. F'lar si era chinato, flettendo le dita intorno all'impugnatura, controllando il peso dell'arma. Troppe cose dipendevano da quel pugnale, più corto di mezza spanna dell'arma del suo avversario. T'ron aveva un maggiore allungo, quindi, ed il vantaggio d'indossare gli abiti da volo di robusto cuoio di wher, mentre lui portava una tunica di stoffa leggera. I suoi occhi non lasciarono T'ron neppure per un attimo. F'lar sentiva il Sole caldo sulla nuca, le pietre dure sotto i piedi, il silenzio mortale della grande Corte, gli odori dei fiori ammaccati di' fellis, dei vini rovesciati e del cibo cotto, del sudore... e della paura. T'ron avanzò, sorprendentemente agile per un uomo della sua taglia e della sua età. F'lar lo lasciò venire avanti, girò su se stesso quando l'altro puntò sulla sua sinistra, in un movimento accerchiante che aveva lo scopo di sbilanciarlo... una manovra trasparente. F'lar provò un senso improvviso di sollievo: se quella era la misura della strategia di T'ron... Con un balzo l'Antico gli fu addosso, il pugnale prodigiosamente trasferito nella mano sinistra con un movimento troppo rapido perché fosse possibile seguirlo, il braccio destro che si tendeva e si abbassava, in un colpo che centrò il polso di F'lar, mentre questi si buttava all'indietro evitando per un capello la lama sibilante. Arretrò, con il braccio quasi intorpidito, consapevole che quell'urto l'aveva sconvolto quanto un getto d'acqua gelida. Per essere un uomo accecato dal furore, T'ron aveva troppo autocontrol-
lo per i gusti di F'lar. Cosa l'aveva spinto a cercare lo scontro... lì, in quel momento? Perché era stato T'ron a volere la rissa, provocandolo deliberatamente. D'ram e G'narish si erano mostrati sollevati, alla sua offerta d'aiuto. Quindi T'ron aveva voluto il confronto violento. Perché? Poi, all'improvviso, F'lar capì. T'ron era venuto a conoscenza delle negligenza colpevole di T'kul e aveva compreso che gli altri Antichi non potevano ignorarla o perdonarla, con F'lar di Benden che probabilmente avrebbe insistito perché T'kul rinunciasse alla carica di Comandante del Weyr delle Terre Alte. Se T'ron fosse riuscito a uccidere F'lar, avrebbe potuto dominare gli altri. E la morte di F'lar avrebbe lasciato i moderni Signori delle Fortezze senza l'appoggio di un Comandante. La dominazione dei Weyr sulle Fortezze e sulle Arti sarebbe continuata, incontrastata e immutata. T'ron avanzò, insistendo nell'attacco. F'lar indietreggiò, fissando il centro del petto dell'Antico, difeso dal cuoio di wher. Non gli occhi, non la mano che stringeva il pugnale. Il petto! Quello era il punto che preannunciava più esattamente la prossima mossa. Le parole del vecchio C'gan, l'istruttore dei cadetti, morto ormai da sette Giri, echeggiavano ancora nella mente di F'lar. Ma C'gan non aveva mai pensato che il suo insegnamento avrebbe impedito ad un Comandante di uccidere un altro, per salvare Pern in un duello al cospetto di mezzo mondo. F'lar scosse bruscamente il capo, respingendo la piega rabbiosa assunta dai suoi pensieri. Non era quello il modo di sopravvivere, quando tutte le probabilità gli erano sfavorevoli. Vide il braccio di T'ron muoversi all'improvviso, arretrò automaticamente, scorse un varco, si avventò... Gli spettatori gridarono, quando si udì, nitido, il suono della stoffa lacerata. Il dolore alla vita era stato una fitta così rapida che F'lar aveva quasi deciso che si trattasse solo d'un graffio, quando un'ondata di nausea l'invase. «Un buon tentativo. Ma non sei abbastanza svelto, Antico!» F'lar udì la propria voce pronunciare quelle parole; sentì le proprie labbra stirarsi in un sorriso forzato. Rimase chino, con la cintura premuta contro la vita; ma la stoffa lacera penzolava, sussultando ad ogni suo respiro. T'ron gli lanciò un'occhiata perplessa, che si posò sulla stoffa lacera, poi guizzò sulla lama del suo pugnale. Era lucida, senza macchie di sangue. Un lampo passò sulla faccia di T'ron, mentre si avventava di nuovo: F'lar comprese che era sconvolto per l'apparente insuccesso di un attacco su cui aveva contato.
F'lar si scostò, evitando quasi sprezzantemente la lama balenante, poi caricò con una serie di finte fulminee, per mettere alla prova i riflessi e l'agilità dell'Antico. Senza dubbio, T'ron doveva finirlo in fretta... e lui stesso non aveva molto tempo, e lo sapeva, sebbene si sforzasse di non badare alla bruciante sofferenza allo stomaco. «Sì, Antico,» disse, imponendosi di respirare con disinvoltura, di dare alle proprie parole un tono leggero e beffardo. «Il Weyr di Benden s'interessa di Ista e di Igen. E delle Fortezze di Nabol, e di Crom, e di Telgar, perché i dragonieri di Benden non hanno dimenticato che i Fili bruciano tutto e tutti, dove toccano, bruciano allo stesso modo i cavalieri e la gente comune. E anche se il Weyr di Benden dovrà affrontare da solo la Caduta dei Fili, lo farà.» Si scagliò su T'ron, sferrando un affondo contro la tunica di cuoio lucido, augurandosi che la lama fosse abbastanza affilata da trapassarla. Schivò, roteando, appena in tempo, e lo sforzo gli strappò un gemito di dolore. Tuttavia s'impose di portarsi fuori della portata di T'ron, di sogghignare fissando la faccia sudata e arrossata dell'avversario. «Non sei abbastanza svelto, vero, T'ron? Per uccidere Benden. O per radunare i tuoi uomini e combattere i Fili.» Il respiro di T'ron era rauco, irregolare. Avanzò, tenendo più basso il braccio armato. F'lar indietreggiò, continuando a rimanere cautamente piegato, chiedendosi se era sudore, quello che gli scorreva sul ventre, oppure sangue. Se T'ron se ne fosse accorto... «Che succede, T'ron? Cominci a risentire dei cibi troppo grassi e della vita troppo comoda? Oppure è l'età, T'ron? La vecchiaia che ti pesa? Hai quattrocentoquarantacinque Giri, lo sai. Non sei più capace di muoverti abbastanza in fretta, né con i tempi, né contro di me.» T'ron si avventò, lanciando un ruggito gutturale. Balzò, con una parvenza della vitalità di un tempo, mirando alla gola. La destra armata di F'lar si levò di scatto, scostò con violenza il polso dell'assalitore, piombò dall'alto in basso verso il collo, dove la tunica di cuoio di wher si era aperta. Un drago urlò. Il pugno destro di T'ron lo centrò sotto la cintura. Una sofferenza torturante l'invase. Si piegò in due, sopra il braccio dell'avversario. Qualcuno urlò un avvertimento. Con una riserva inaspettata d'energia, F'lar riuscì a raddrizzarsi, togliendosi da quella posizione vulnerabile. Girò il capo per evitare l'urto contro il pugnale di T'ron, ma la lama deviò, miracolosamente. Serrando con entrambe le mani l'impugnatura della sua arma da parata, F'lar l'affondò attraverso il cuoio di wher, fino a quando la sentì
stridere contro le costole dell'avversario. Si svincolò, barcollando, vide T'ron vacillare, con gli occhi sbarrati per il trauma, lo vide arretrare: l'impugnatura ingemmata gli spuntava sotto le costole. T'ron agitò le labbra, ma non un suono ne uscì. Cadde pesantemente in ginocchio, poi crollò lento sul fianco, sopra le pietre. A F'lar parve che tutto rimanesse immobile per ore, mentre disperato inspirava l'aria, e si faceva forza per restare in piedi, perché non poteva, non poteva crollare. «Benden è giovane, Fort. È il nostro Giro. Ecco!» riuscì a dire. «E i Fili cadono su Igen.» Si voltò di scatto, fronteggiando la massa di occhi e di bocche spalancate. «I Fili stanno cadendo su Igen!» Si voltò di nuovo, conscio del fatto che non poteva combattere i Fili vestito d'un abito da cerimonia lacerato. T'ron portava l'equipaggiamento di cuoio di wher. Si lasciò cadere pesantemente su un ginocchio e incominciò a slacciare la cintura di T'ron, senza badare al sangue che colava intorno alla lama. Qualcuno urlò, cercò di scostargli le mani. Era Mardra. «L'hai ucciso. Non ti basta? Lascialo stare!» F'lar alzò la testa verso di lei, aggrottando la fronte. «Non è morto. Fidranth non è andato in mezzo.» Inspiegabilmente, lo faceva sentire più forte sapere che non l'aveva ucciso. «Qualcuno porti del vino. Chiamate il medico!» Slacciò la cintura; stava tirando la manica destra, quando altre mani cominciarono ad aiutarlo. «Mi serve per combattere,» mormorò. Qualcuno gli porse un panno pulito. L'afferrò e, trattenendo il respiro, svelse il pugnale. Lo guardò per un secondo e poi lo gettò lontano. L'arma rimbalzò sulla pietra, mentre tutti si scostavano. Qualcuno gli consegnò la tunica. F'lar si alzò, l'infilò a fatica. T'ron era più massiccio di lui, e l'indumento gli andava largo. Se la stava stringendo addosso con la cintura quando notò di nuovo il silenzio reverente. Guardò la massa dei visi in attesa. «Ebbene? Sostenete Benden?» gridò. Vi fu un altro momento di silenzio sbigottito. Poi le teste della folla si volsero in direzione della scalinata dove stavano i Signori delle Fortezze. «Coloro che non lo sosterranno, faranno bene a rintanarsi nelle loro Fortezze,» esclamò il Nobile Larad di Telgar, scendendo accanto al Nobile Groghe e al Nobile Sangel, e posando la mano sul pugnale in atteggiamento di sfida.
«I Fabbri sostengono il Weyr di Benden!» tuonò Fandarel. «E gli Arpisti!» alla voce baritonale di Robinton fece eco quella tenorile di Chad, dall'alto del camminamento delle sentinelle. «I Minatori!» «I Conciatori!» «I Tessitori!» I Signori delle Fortezze cominciarono a gridare i loro nomi, come se cercassero di riscattarsi. Dagli invitati si levò un applauso che subito si smorzò nel silenzio, quando F'lar si girò lentamente verso gli altri Comandanti. «Ista!» Il grido di D'ram fu un sibilo rabbioso, quasi di sfida, soverchiato dall'esultante «Igen!» di G'narish e dall'entusiastico «Meridionale!» di T'bor. «Cosa possiamo fare?» esclamò il Nobile Asgenar, accorrendo verso F'lar. «I corrieri e le squadre di terra di Lemos possono aiutare la Fortezza di Igen?» F'lar uscì dalla sua immobilità, strinse ancora un poco di più la cintura, sperando di attenuare il dolore. «È il giorno delle tue nozze, uomo. Goditelo, per quanto puoi. D'ram, ti seguiremo. Ramoth ha già chiamato le squadriglie di Benden. T'bor, porta qui i cavalieri del Weyr Meridionale. Tutti quanti, uomini e donne, che possono stare sul dorso dei draghi!» F'lar stava chiedendo qualcosa di più della mobilitazione completa dei cavalieri, e T'bor esitò. «Lessa.» Lei gli era accanto e lo cingeva con le braccia. F'lar si svincolò, dolcemente. «Assisti Mardra. Robinton, ho bisogno del tuo aiuto. Sia chiaro,» e alzò la voce, aspramente, in modo che nella Corte tutti l'udissero. «Sia chiaro,» e abbassò lo sguardo su Mardra, «che quelli del Weyr di Fort che non vogliono seguire la guida di Benden debbono andare al Weyr Meridionale.» Distolse lo sguardo, prima che la donna potesse protestare. «E questo vale per tutti gli artigiani, i Nobili e la gente comune, anche per i dragonieri. Non vi sono abbastanza Fili, nel Continente Meridionale, per causarvi preoccupazioni. E la vostra indifferenza alla minaccia generale non metterà in pericolo gli altri.» Lessa stava cercando di slacciargli la cintura. F'lar le afferrò le mani, le strinse, ignorando il gemito doloroso di lei. «Dove sono stati avvistati i Fili?» gridò rivolto al cavaliere di Igen, ancora fermo sulla cima del muro della Porta.
«A Sud!» La risposta dell'uomo era un appello angoscioso. «Oltre la baia, di fronte alla Fortezza di Keroon. Oltre l'acqua.» «Quanto tempo fa?» «Ti condurrò subito là, ed allora!» Le acclamazioni crebbero, si diffusero, mentre tutti rammentavano che i Weyr potevano andare in mezzo nel tempo per sorprendere i Fili, cancellando l'intervallo andato perduto nel duello. I dragonieri si avviarono verso le bestie che mugolavano impazienti oltre le mura. Le tuniche di cuoio di wher venivano consegnate ai cavalieri in abiti da cerimonia. Vennero distribuiti i sacchi di pietra focaia ed i lanciafiamme. I draghi si chinarono per ricevere i cavalieri, balzarono goffamente per lanciarsi verso il cielo. Il drago verde di Igen rimase librato in alto, dove l'avevano raggiunto D'ram e la sua Dama del Weyr Fauna, in attesa dell'arrivo di Mnementh. «Tu non puoi venire, amore,» disse F'lar a Lessa, confuso perché lei lo stava seguendo verso Mnementh. Lessa doveva badare a Mardra. Era indispensabile: lui non aveva il dono dell'ubiquità. «No, fino a quando non avrai preso questa intorpidaria.» Lessa lo guardò dal basso in alto, con la stessa furia di Mardra, e tornò a tentare di slacciargli la cintura. «Non resisterai, altrimenti. E Mnementh non ti porterà in volo fino a quando non glielo permetterò.» F'lar la fissò, poi vide il grande occhio lucente di Mnementh, e capì che Lessa faceva sul serio. «Ma... lui non farebbe mai una cosa simile...» balbettò. «Ah, no?» scattò Lessa: ma aveva slacciato la cintura, e F'lar gemette quando sentì il freddo dell'unguento sulla ferita bruciante. «Non posso impedirti di andare. È necessario, lo so. Ma posso impedirti di ucciderti con questi eroismi.» F'lar udì il suono di stoffa lacerata, vide che Lessa strappava la manica dell'abito nuovo, ricavandone strisce lunghe come bende. «Beh, credo abbiano ragione, quando dicono che il verde porta sfortuna. Tu, di sicuro, non l'hai portato molto a lungo.» Lessa si affrettò a premere il tampone di stoffa contro la ferita che già si andava anestetizzando; poi assestò la tunica troppo larga, e strinse la cintura, per tenere a posto la medicazione. «Ora vai pure. La ferita è poco profonda, ma lunga. Appena la Caduta dei Fili sarà sotto controllo, torna indietro. Io farò la mia parte qui.» Gli strinse un'ultima volta la mano e poi, raccogliendo l'ampiezza della gonna, salì quasi correndo la rampa, come se fosse troppo indaffarata per assistere
alla sua partenza. È preoccupata. È fiera di te. Andiamo. Mentre Mnementh saliva volteggiando nell'aria, F'lar udì la musica, il suono delle gitar che accompagnavano un coro disordinato. Era tipico dell'Arpista, avere un canto appropriato per quella circostanza, pensò F'lar. Tu batti, tamburino; tu soffia, pifferaio, tu suona, arpista; e tu, soldato, va'. Si scateni la fiamma, ardan tutte le erbe finché la Stella Rossa passerà. Strano, pensò F'lar quattro ore più tardi, mentre Mnementh lo riportava a Telgar con le squadriglie provenienti da Igen: era stato proprio su Telgar che, sette Giri prima, i Weyr uniti avevano preso il volo per combattere la seconda Caduta dei Fili. Soffocò un acuto rimpianto al ricordo di quella giornata trionfale, quando i sei Weyr erano solidali e in armonia. Eppure, il duello alla Fortezza di Telgar era stato inevitabile quanto il volo di Lessa nel tempo per condurre lì gli Antichi. Vi era una simmetria sottile, un equilibrio fra il bene e il male, una sorta di compensazione fatidica. (Il fianco gli doleva. F'lar cercò di scacciare la sofferenza e la stanchezza. Mnementh se ne sarebbe accorto, e poi lui avrebbe sentito le proteste di Lessa. Bella faccenda, quando un drago si metteva in mente di fare l'infermiere. Ma gli effetti dell'intorpidaria che Lessa gli aveva messo sulla ferita cominciavano ad esaurirsi.) Guardò le squadriglie che volavano in cerchio per atterrare. Tutti i cavalieri erano stati richiamati a Telgar. Tante cose ritornavano al punto di partenza, adesso: dalle lucertole di fuoco ai draghi, in un ciclo che abbracciava chissà quante migliaia di Giri, fino al tempo dei Weyr Antichi e della rinascita di Benden. F'lar si augurò che T'ron sopravvivesse: aveva già sulla coscienza un peso abbastanza grande. Tuttavia, forse sarebbe stato meglio se T'ron... Rifiutò di prendere in considerazione il pensiero, sebbene sapesse che quella soluzione avrebbe evitato un altro problema. Eppure, se i Fili che cadevano sul Continente Meridionale venivano divorati da quei vermi grigi... Teneva moltissimo a vedere il telescopio che T'ron aveva scoperto. Poi gemette, angosciato. Fandarel! Come poteva guardarlo in faccia? La sua telescrivente aveva funzionato davvero. Aveva comunicato il messaggio importantissimo... ad una velocità superiore a quella dei draghi! Non era
colpa del Fabbro, se quel cavo finissimo poteva venire reciso dai Fili cadenti. Senza dubbio, Fandarel avrebbe eliminato quel difetto con la sua abituale efficienza... a meno che avesse rinunciato, avvilito, dopo la scoperta di quello che veniva presentato come un telescopio potente e perfettamente funzionale, a coronamento di tutti gli altri insulti di quella giornata. Tra tutti i problemi che sicuramente lo attendevano, F'lar temeva specialmente i rimproveri del Fabbro. Sotto di lui, i dragonieri affluivano nella Corte illuminata da centinaia di canestri splendenti, e venivano accolti e assorbiti dalla folla degli ospiti. L'aroma delle carni arrostite e delle verdure saporite giunse fino a F'lar nell'aria notturna, ricordandogli che la fame deprimeva lo spirito. Udì le risa, le grida allegre, la musica. Il giorno del matrimonio del Nobile Asgenar non sarebbe stato mai dimenticato! Quell'Asgenar! Alleato di Larad, figlio adottivo di Corman, sarebbe stato un aiuto prezioso per realizzare ciò che F'lar riteneva indispensabile tra i Signori delle Fortezze. Poi scorse una figuretta minuta sulla soglia della Porta. Lessa! F'lar disse a Mnementh di atterrare. Era ora, brontolò il bronzeo. F'lar gli batté affettuosamente la mano sul collo. L'animale sapeva benissimo perché avevano indugiato. Aveva avuto bisogno di qualche minuto per superare il caos e ristabilire l'ordine nei suoi pensieri, prima di avventurarsi in mezzo ad un'altra confusione. Mnementh si dichiarò d'accordo, mentre atterrava piano. Girò la testa, volgendo verso il suo cavaliere i grandi occhi che brillavano affettuosamente. «Non preoccuparti per me, Mnementh!» gli mormorò F'lar, con gratitudine e tenerezza, accarezzandogli il muso morbido. C'era un lieve odore di pietra incendiaria e di fumo, sebbene il drago avesse fiammeggiato poco. «Hai fame?» Non ancora. Telgar deve sfamarne già abbastanza, stanotte. Mnementh si lanciò verso le alture al di sopra delle Fortezze, dove i draghi appollaiati disegnavano neri rilievi regolari sullo sfondo del cielo che imbruniva, mentre gli occhi gemmei scrutavano scintillando l'animazione della festa. F'lar rise forte del commento di Mnementh. Era vero che il Nobile Larad non lesinava, sebbene la lista dei suoi invitati si fosse quadruplicata. Erano state inviate in volo altre provviste, ma Telgar doveva addossarsi il peso maggiore.
Lessa si avvicinò a passo così lento che F'lar si chiese se era accaduto qualcosa d'altro. Non riusciva a scorgere il volto di lei, nell'ombra, ma quando gli si mise al fianco, si rese conto che aveva inteso rispettare il suo umore pensieroso. Lessa alzò la mano per accarezzargli la guancia, indugiando sull'ustione quasi guarita lasciata dai Fili. Non gli permise di chinarsi per baciarla. «Vieni, amore. Ho pronti abiti puliti e bende.» «Mnementh ha fatto la spia, eh?» Lessa annuì: era insolitamente controllata, per il suo carattere. «Cosa c'è che non va?» «Niente,» si affrettò a tranquillizzarlo lei, sorridendo. «Ramoth ha detto che eri molto impegnato a pensare.» F'lar la strinse a sé e quel gesto gli contrasse i muscoli, facendolo rabbrividire. «Sei tremendo,» protestò Lessa, con finta esasperazione, e lo condusse nella stanza della torre. «Kylara è ritornata, vero?» «Oh, sì.» Poi Lessa aggiunse, con un tono tagliente: «Lei e Meron sono inseparabili quanto le loro lucertole.» Lessa gli aveva fatto preparare una tinozza d'acqua, che fumigava invitante. Insistette per fargli fare un bagno mentre gli riferiva quanto era accaduto mentre lui combatteva i Fili. F'lar non discusse: era troppo piacevole rilassarsi mentre Lessa si prendeva cura di lui, anche se le sue mani delicate gli ricordavano talvolta altre occasioni e... T'ron era stato trasportato direttamente al Weyr Meridionale, avvolto in pesanti panni di feltro. Mardra aveva contestato l'autorità di F'lar ad esiliarli, ma le sue proteste erano cadute invano sul fronte sordo e deciso formato da Robinton, Larad, Groghe e Sangel. Avevano tutti accompagnato Lessa e Kylara, quando Mardra era stata scortata al Weyr di Fort. Mardra era convinta che le sarebbe bastato appellarsi ai suoi per assicurarsi la posizione di Dama del Weyr. Quando aveva scoperto che la sua arroganza e il suo carattere stizzoso le avevano alienato quasi tutti i seguaci, si era ritirata docilmente nel Weyr Meridionale con i pochi che le erano rimasti fedeli. «Per poco non c'è stata una zuffa tra Kylara e Mardra, ma Robinton è intervenuto. Kylara si stava proclamando Dama del Weyr di Fort.» F'lar gemette. «Non preoccuparti,» gli assicurò Lessa, massaggiandogli «energicamente i muscoli delle spalle. «Ha cambiato subito idea quando ha saputo che
T'kul e i suoi cavalieri stavano lasciando il Weyr delle Terre Alte. È più logico che T'bor ed i dragonieri del Continente Meridionale occupino quel Weyr, anziché Fort, dato che quasi tutti i cavalieri di Fort sono rimasti.» «Ma così Kylara è troppo vicina a Nabol, perché io possa stare tranquillo.» «Sì, ma questo lascia via libera a P'zar, il cavaliere di Roth, come Comandante del Weyr di Fort. Non ha un carattere molto energico, ma è benvoluto, e non causerà fastidi con gli abitanti di Fort. Sono molto soddisfatti di essersi liberati di T'ron e di Mardra, ma non possiamo pretendere troppo dalla fortuna.» «N'ton sarebbe un ottimo Vicecomandante, lassù.» «Anch'io ho pensato a lui, perciò ho chiesto a P'zar se aveva qualcosa da obiettare, e lui ha accettato.» F'lar scosse il capo, a tacito commento di quella tattica, poi sibilò perché Lessa stava staccando lo strato secco di intorpidaria. «Non sono sicura, comunque preferirei che il medico...» cominciò lei. «No!» «Non ne parlerebbe con nessuno: ma ti avverto, tutti i draghi lo sanno.» F'lar la fissò, sorpreso. «Mi pareva strano che ci fossero tanti draghi a proteggere me e Mnementh. Mi sembra che non siamo andati in mezzo più di due volte.» «I draghi ti apprezzano molto, cavaliere bronzeo,» disse Lessa in tono acido, mentre lo fasciava con bende morbide e pulite. «E anche gli Antichi?» «Quasi tutti. Ed anche un buon numero dei loro cavalieri, più di quanti avrei immaginato. Solo venti, tra cavalieri e donne, hanno seguito Mardra da Fort, sai? Naturalmente,» aggiunse con una smorfia, «se ne sono andati quasi tutti quelli di T'kul. I quattordici che sono rimasti sono cavalieri giovani, che hanno impresso lo Schema dopo che il Weyr si è trasferito nel nostro tempo. Quindi ce ne saranno abbastanza, al Weyr Meridionale...» «Il Weyr Meridionale non ci riguarda più.» Lessa stava per porgergli la tunica nuova: esitò, raccogliendo la stoffa tra le mani. F'lar la prese, infilò le maniche, chinò la testa per farla passare dallo scollo, lasciandole il tempo di riflettere sulla sua affermazione. Lei sedette lentamente sulla panca una lieve ruga verticale le si incise sulla fronte. F'lar le prese le mani e le baciò. Quando lei continuò a tacere, le accarezzò i capelli che erano sfuggiti alle trecce.
«Dobbiamo dare un taglio netto, Lessa. Laggiù non potranno fare del male ad altri che a se stessi. E alcuni, forse, decideranno di ritornare.» «Ma possono perpetuare la loro ostilità...» «Lessa, quante regine sono partite?» «Loranth, la regina principale del Weyr delle Terre Alte, e le altre due. Oh!» «Sì. Tutte vecchie regine, che hanno ormai superato il fiore dell'età. Credo che Loranth non si leverà per il volo nuziale più di una volta ancora. Le covate al Weyr delle Terre Alte hanno prodotto una sola regina, da quando sono venuti nel nostro tempo. E la giovane regina Segrith è rimasta, vero, insieme a Pilgra?» Lessa annuì, ed il suo viso si schiarì di colpo. Lo fissò con esasperazione crescente. «Tutti penseranno che stessi preparando questo colpo di mano da chissà quanti Giri.» «E allora tutti potranno darmi dello stupido per avere sottovalutato T'ron, per avere chiuso gli occhi davanti alla realtà ed avere sfidato la sorte. Di che umore sono i Signori delle Fortezze e gli artigiani?» «Sono molto sollevati,» rispose Lessa, roteando gli occhi. «Ammetto che le loro risate hanno una sfumatura un po' isterica, ma Lytol e Robinton avevano ragione. Pern seguirà Benden...» «Sì, fino al mio primo errore!» Lessa gli rivolse un sorriso malizioso, agitandogli un dito sotto il naso. «Ah-ah, ma tu non sei autorizzato a commettere errori, Benden. Finché...» F'lar le afferrò la mano, l'attirò fra le sue braccia, senza badare alla fitta dolorosa al fianco nell'orgoglio per la reazione immediata di Lessa, intenerito dalla cedevolezza del suo corpo snello. «Finché ho te.» Le parole gli uscirono dalle labbra in un bisbiglio, e poiché non sapeva esprimerle la sua gratitudine, la sua gioia e il suo orgoglio in altro modo, cercò le sue labbra in un lungo bacio appassionato. Lessa sospirò languidamente, quando alla fine F'lar la lasciò. Egli rise, le baciò le palpebre abbassate. Lessa si risollevò a sedere e, con un altro sospiro riluttante, si alzò in piedi con fare deciso. «Sì, Pern ti seguirà, e i tuoi fedeli consiglieri t'impediranno di commettere errori, ma spero che tu abbia una risposta pronta per il vecchio Nobile droghe!» «Una risposta per Groghe?» «Sì.» E Lessa gli lanciò un'occhiata severa. «Anche se non mi sorprende che te ne sia dimenticato. Stava per chiedere che i dragonieri di Pern an-
dassero direttamente sulla Stella Rossa e ponessero fine per sempre alla minaccia dei Fili.» F'lar si alzò in piedi, lentamente. «Ho sempre detto che appena hai risolto un problema, ne saltano fuori altri cinque.» «Bene, credo che siamo riusciti a tenerti lontano Groghe per questa sera, ma abbiamo promesso una riunione congiunta delle Fortezze e delle Arti al Weyr di Benden, domani mattina.» «È una fortuna.» Mentre stava per aprire la porta, F'lar esitò e gemette di nuovo. «L'intorpidaria non fa effetto?» «Non si tratta di me. Sto pensando a Fandarel. Tra le lucertole di fuoco, i Fili e T'ron, non me la sento di affrontarlo.» «Oh, lui!» Lessa spalancò la porta, rivolgendo un gran sorriso al suo compagno. «È già immerso nei suoi progetti per rivestire, o rendere più robusti o far scorrere sottoterra quegli ingrati dei suoi cavi. Sta pianificando installazioni con tutte le Arti e tutti i Signori delle Fortezze. Wansor saltella come un wherry ubriaco di sole per la smania di mettere le mani sul telescopio, e continua a ululare che non è necessario smantellarlo.» Lo prese a braccio, allungando il passo per restargli accanto. «Chi c'è rimasto veramente male è Robinton.» «Robinton?» «Sì. Aveva composto una ballata meravigliosa e Canti d'Insegnamento, e adesso non ha più ragione di suonarli.» F'lar non sapeva se Lessa avesse volutamente tenuto per ultima quella notizia: ma attraversarono il cortile ridendo, sebbene le risa gli facessero dolere il fianco. Il loro passaggio sarebbe stato notato comunque, ma i loro visi ilari rassicurarono i commensali seduti intorno ai tavoli improvvisati nella Corte. E all'improvviso F'lar pensò che c'era veramente qualcosa da festeggiare. XI Prima mattina al Weyr di Benden. «Ti sarei grato se mi preavvertissi, la prossima volta che i cambierai la struttura sociale e politica di questo pianeta,» disse F'nor al fratellastro, entrando nel Weyr della regina, a Benden, la mattina seguente. Natural-
mente, non c'era ombra di risentimento sul suo volto gaio e abbronzato. «Com'è la sistemazione, adesso?» «T'bor è Comandante del Weyr delle Terre Alte, con Kylara come Dama del Weyr...» «Kylara alle Terre Alte?» F'nor lo guardò dubbioso, ma F'lar respinse con un cenno quella velata protesta. «Sì, naturalmente ci sono degli svantaggi. Tutti quelli delle Terre Alte, tranne quattordici, se ne sono andati con T'kul e Merika. Quasi tutti quelli del Weyr di Fort hanno voluto restare...» F'nor ridacchiò malignamente. «Scommetto che Mardra avrà faticato parecchio a mandarla giù.» Guardò con aria d'attesa Lessa, sapendo quante volte la sua Dama del Weyr aveva dominato a stento il risentimento e l'indignazione nei confronti di Mardra. Lessa ricambiò il suo sguardo con educato disinteresse. «Quindi P'zar funge da Comandante del Weyr fino a quando una regina non si leverà per il volo nuziale...» «C'è speranza di proclamarlo aperto a tutti i bronzei?» «È la mia intenzione,» rispose F'lar. «Comunque, credo che i più grandi dei bronzei moderni farebbero meglio a brillare per la loro assenza.» «E allora perché hai assegnato là N'ton come Vicecomandante?» chiese stupita Lessa. F'lar le rivolse un gran sorriso. «Perché quando una regina di Fort si leverà per il volo nuziale, N'ton sarà ormai conosciuto e stimato dalla gente di quel Weyr e non ci saranno difficoltà. Verrà considerato un cavaliere di Fort, non un rinforzo inviato da Benden.» Lessa arricciò il naso. «Lui non avrà molte possibilità di scelta al Weyr di Fort.» «Lui è perfettamente in grado di badare a se stesso,» rispose F'lar con un sorriso maligno. «Bene, sembra che tu abbia sistemato tutto a modo tuo,» osservò F'nor. «Comunque, a me dispiace di aver dovuto abbandonare il Weyr Meridionale. Avevo individuato una covata molto promettente di lucertole di fuoco in una certa caletta. Non erano abbastanza indurite, le uova, da poterle spostare impunemente. Se avessi aspettato qualche giorno, io...» S'interruppe, accomodandosi sulla sedia indicatagli da Lessa. «Senti, F'lar, cosa ti ha preso? Sei andato in mezzo nel tempo o qualcosa del genere?» «No, si è presa una coltellata nello stomaco,» rispose Lessa, lanciando un'occhiata acida al suo compagno «Ed è con eccezionale difficoltà che
riesco a tenerlo su una sedia Dovrebbe starsene a letto.» F'lar liquidò le recriminazioni con un gesto, allegramente. «Se sei...» F'nor si alzò, preoccupato. «Se sei...» ripeté sarcasticamente F'lar, con un'espressione che tradiva una crescente irritazione per la sua invalidità e per il loro atteggiamento protettivo. F'nor rise e tornò a sedersi. «E Brekke diceva che io ero un paziente fastidioso. Ah! È grave? Ho sentito diverse versioni del duello, già debitamente abbellite: ma non sapevo che tu fossi stato ferito. Deve esserci sempre un pugnale... per il nostro Sangue? Quando l'avversario è armato di uno spiedo da wherry?» «E vestito di cuoio di wher,» aggiunse Lessa «Senti, F'lar, Brekke ha dichiarato che sono in grado di volare in mezzo.» F'nor fletté il braccio, completamente, ma con prudenza. «Capisco perché non vuoi far sapere in giro della tua ferita, quindi penserò io ad andare qua e là al tuo posto.» F'lar rise. «Di nuovo in volo e pronto a muoverti, eh? Bene, allora torna ad assumerti le tue responsabilità. Adesso sono cambiate.» «In modo notevole, illustrissimo.» F'lar aggrottò la fronte e si ributtò indietro una ciocca di capelli, con un gesto irritato. «Non fino a questo punto. Hai visto T'kul quando è arrivato al Weyr Meridionale dalle Terre Alte?» «No, e non ci tenevo neppure. L'ho sentito.» F'nor serrò a pugno la mano destra. «Le squadriglie dei combattenti erano già partite per raggiungerti a Igen. T'kul ha ordinato a tutti, compresi i feriti, di lasciare il Weyr Meridionale entro un'ora. Ha confiscato tutto quello che non hanno potuto caricare e portar via. Ha dichiarato a chiare lettere che il Continente Meridionale è suo; che i suoi esploratori avrebbero sfidato tutti i draghi e li avrebbero abbattuti con le fiamme come se fossero Fili, se non avessero ricevuto la risposta alla parola d'ordine. Il guaio è che alcuni di quei draghi antichi sono abbastanza stupidi per farlo davvero.» F'nor fece una pausa. «Sai, ultimamente ho notato...» «Quelli del Weyr di Fort sono arrivati?» «Sì. E Brekke ha visitato T'ron per assicurarsi che fosse sopravvissuto al viaggio.» F'nor fece una smorfia. «Vivrà?» «Sì, ma...»
«Bene. Ora, sospettavo che T'kul avrebbe reagito in questo modo. Certo, abbiamo tutto Igen, Ista e il Boll Meridionale per allevare le lucertole di fuoco, ma voglio che ti faccia preparare da Manora qualcosa per sistemare quelle altre uova che hai trovato e per portarle qui. Ci servono tutte quelle che riusciremo a trovare. Dov'è la tua piccola regina? Hanno l'abitudine di ritornare nel luogo dove hanno mangiato la prima volta, sai...» «Grall? È con Canth, naturalmente. Ha sentito Ramoth che brontolava sul Terreno della Schiusa.» «Uhm, sì. Per fortuna, quelle uova si schiuderanno presto.» «Hai intenzione di invitare tutti i notabili di Pern, come facevi prima che gli Antichi ci trovassero da ridire?» «Sì,» rispose F'lar con tanta enfasi che F'nor si finse allarmato. «Quella cortesia faceva più bene che male. D'ora innanzi, sarà la procedura abituale per tutti i Weyr.» «E hai convinto i Comandanti ad assegnare dei cavalieri alle Fortezze e alle Arti? A F'nor brillarono gli occhi, quando F'lar annuì. «Ce la farai a passare, nonostante il servizio di pattugliamento che T'kul avrà organizzato al Weyr Meridionale?» chiese F'lar. «Non è un problema. Non c'è un solo bronzeo, là, che Canth non possa battere in velocità. E questo mi ricorda...» «Bene. Ho due missioni da affidarti. Preleva quelle uova di lucertole di fuoco e... Ricordi le coordinate della Caduta dei Fili nella palude occidentale?» «Certo, ma volevo chiederti...» «Hai visto quei bruchi che sono nel terreno?» «Sì...» «Chiedi a Manora di consegnarti un recipiènte con un coperchio che chiuda bene. Voglio che tu me ne porti il maggior numero possibile. Non è una missione piacevole, lo so, ma non posso andare di persona e non voglio ancora discutere di questo... uhm, progetto.» «I bruchi? Un progetto?» Mnementh lanciò un grido di benvenuto. «Ti spiegherò dopo,» disse F'lar, indicando l'ingresso del Weyr. F'nor scrollò le spalle e si alzò. «Correrò il rischio, o imperscrutabile!» Poi rise, quando F'lar gli lanciò un'occhiataccia di rimprovero. «Scusami. Come il resto di Pern... l'emisfero settentrionale, voglio dire, mi fido di te.» Salutò entrambi e se ne andò. «Il giorno in cui F'nor non ti prenderà più in giro comincerò a preoccu-
parmi,» disse Lessa, cingendo con le braccia il collo di F'lar. Per un istante, gli posò la guancia contro la guancia. «È T'bor,» aggiunse, scostandosi proprio mentre entrava il nuovo Comandante del Weyr delle Terre Alte. T'bor aveva l'aria di non avere dormito abbastanza, ma teneva la testa alta e le spalle all'indietro: F'lar notò la sua espressione guardinga e preoccupata. «Kylara...» cominciò il Comandante del Weyr di Benden, ricordando che quella donna e Meron non avevano fatto altro che parlottare fra loro, tutta la sera precedente. «Non è per via di Kylara. È quel T'kul, che si credeva un grande Comandante,» disse T'bor, con profondo disgusto. «Appena abbiamo portato i nostri dal Weyr Meridionale, ho dato ordine alle squadriglie di effettuare un rapido controllo, più che altro perché si familiarizzassero con le coordinate. Per il primo Uovo, non mi piace vedere la gente che scappa davanti ai dragonieri. Scappano. E si nascondono!» T'bor sedette, prendendo automaticamente la coppa di klah che Lessa gli porgeva. «Non c'era un solo fuoco da segnalazione, un solo guardiano. Ma c'erano segni di bruciature, in abbondanza. Non capisco come abbiano fatto a passare tanti Fili. Neanche se il compito della difesa fosse stato affidato a cadetti inesperti. Perciò sono andato alla Fortezza di Tillek ed ho chiesto di vedere il Nobile Oterel.» T'bor zufolò sommessamente. «Ho avuto una bella accoglienza, devo proprio raccontartela. Per poco non mi sono preso una freccia nel ventre, prima che riuscissi a convincere il capitano della guardia che non ero T'kul, che ero T'bor e che c'era stato un cambio di Comandanti al Weyr.» T'bor trasse un profondo respiro. «Ho impiegato parecchio tempo a calmare il Nobile Oterel quel tanto necessario perché mi lasciasse spiegare ciò che era accaduto. E ho avuto l'impressione,» aggiunse, guardando nervosamente prima Lessa e poi F'lar, «che l'unico modo per riconquistare la sua fiducia fosse lasciargli un drago. Perciò... gli ho lasciato un bronzeo e ho piazzato due verdi nelle due Fortezze minori lungo la Baia. Ho anche disposto alcuni cadetti sui punti più elevati della catena di Tillek. Poi ho chiesto al Nobile Oterel di accompagnarmi alla Fortezza del Nobile Bargen, nelle Terre Alte. Avevo idea che non sarei mai riuscito a superare le sue guardie. Adesso, ci erano rimaste sei uova della covata che ci ha mandato Toric... così ne ho donate due a ciascuno dei Signori e due al Maestro Pescatore. Mi è parso che fosse l'unica cosa da fare. Avevano saputo che il Nobile Meron aveva una lucertola di fuoco... a Nabol.» T'bor raddrizzò le spalle, come se si preparasse ad affrontare le rampogne di F'lar.
«Hai fatto benissimo, T'bor,» gli disse cordialmente F'lar. «Non avresti potuto fare di meglio!» «Assegnare cavalieri ad una Fortezza e a un'Arte?» «Ci saranno cavalieri in tutte le Fortezze e le Arti, prima che sia finita la mattinata,» replicò F'lar con un gran sorriso. «E D'ram e G'narish non hanno obiettato?» T'bor guardò incredulo Lessa. «Beh,» cominciò Lessa: ma le fu risparmiato di dover dare una risposta perché in quel momento sopraggiunsero gli altri Comandanti. Entrarono per primi D'ram, G'narish ed il Vicecomandante del Weyr di Telgar, seguiti da P'zar, comandante ad interim del Weyr di Fort. Il Vicecomandante di Telgar si presentò come M'rek cavaliere di Zigeth. Era un uomo allampanato dall'aria triste e dai capelli chiarissimi, che aveva all'incirca l'età di F'lar. Mentre sedevano intorno al grande tavolo, F'lar si sforzò d'intuire l'umore di D'ram. Era ancora lui la chiave di volta, il più vecchio degli Antichi rimasti e, se si era raffreddato dopo lo slancio degli eventi tumultuosi del giorno precedente ed aveva cambiato idea durante il sonno, la proposta che F'lar si accingeva a presentare rischiava di morire sul nascere. F'lar allungò le gambe sotto il tavolo, cercando di mettersi più comodo. «Vi ho invitati qui così presto, perché abbiamo avuto poche possibilità di parlare la scorsa notte. M'rek, come sta R'mart?» «Riposa tranquillo alla Fortezza di Telgar, grazie ai cavalieri di Ista e di Igen.» M'rek accennò gravemente a D'ram ed a G'narish. «Quanti al Weyr di Telgar hanno espresso l'intenzione di andare a Sud?» «Una decina, ma sono tutti vecchi. Farebbero più male che bene, riempirebbero di sciocchezze la testa ai cadetti. E a proposito di sciocchezze, Bedella è tornata dalla Fortezza di Telgar raccontando una quantità di storie strane: di noi che dovremmo andare sulla Stella Rossa, e di lucertole di fuoco e di cavi parlanti. Le ho detto di starsene zitta. Il Weyr di Telgar non è nelle condizioni più adatte per ascoltare simili dicerie.» D'ram sbuffò, e F'lar gli lanciò una rapida occhiata; ma il Comandante di Ista era rivolto verso M'rek. F'lar incontrò lo sguardo di Lessa e annuì impercettibilmente. «Si è parlato, in effetti, di una spedizione alla Stella Rossa,» rispose F'lar, in tono casuale. L'apprensione rese ancora più funereo il volto del cavaliere del Weyr di Telgar. «Perciò i Signori delle Fortezze e gli artigiani arriveranno qui presto per discuterne. D'ram, dimmi sinceramente sei
contrario all'idea di tenere dei cavalieri nelle Fortezze e nelle Sedi delle Arti, fino a quando non saremo in grado di accertare il nuovo ritmo della Caduta dei Fili... cioè, se nel frattempo non riusciamo a trovare un altro sistema rapido di comunicazione?» «No, F'lar, non ho obiezioni,» dichiarò il Comandante del Weyr di Ista lentamente, senza guardare nessuno. «Dopo ieri...» S'interruppe e, girando il capo, fissò su F'lar gli occhi turbati. «Ieri mi sono reso finalmente conto di quanto è grande Pern e di quanto possa diventare piccolo un uomo, se si preoccupa troppo di ciò che dovrebbe avere e si dimentica di ciò che ha. E di ciò che deve fare. I tempi sono cambiati. Non posso dire di esserne soddisfatto. Pern è diventato così grande... e noi Antichi cercavamo di farlo ritornare piccolo perché, credo, avevamo un po' paura di tutto ciò che era accaduto. Ricorda che ci occorsero solo quattro giorni per avanzare nel tempo di quattrocento Giri. Un'epoca troppo lunga... troppo lunga per assimilarla nel nostro pensiero.» D'ram stava chinando la testa, con enfasi inconscia. «Penso che ci fossimo aggrappati alle vecchie consuetudini perché tutto ciò che vedevamo, dalle immense distese di foreste alle centinaia di Fortezze e di Sedi delle Arti, era nuovo per noi: ci era familiare, eppure... così differente. T'ron era un brav'uomo, F'lar. Non posso dire che lo conoscevo bene. Nessuno di noi, in realtà, arrivava a conoscere bene gli altri, perché di solito ce ne stavamo chiusi a riposare nei nostri Weyr, tra una Caduta di Fili e l'altra. Ma tutti i dragonieri sono... sono dragonieri. Che un dragoniere parta deciso a ucciderne un altro...» D'ram scosse lentamente il capo. «Tu avresti potuto uccidere lui.» E guardò F'lar negli occhi. «Non l'hai fatto. Hai lottato contro i Fili sopra la Fortezza di Igen. E non credere che io non lo sapessi, che eri stato colpito dal pugnale di T'ron.» F'lar cominciò a rilassarsi. «Poco è mancato che mi tagliasse in due, per la verità.» D'ram sbuffò di nuovo, ma il lieve sorriso con cui si appoggiò alla spalliera della sedia dimostrava che egli approvava F'lar. Mnementh comunicò al suo cavaliere che stavano arrivando tutti quanti, e tutti insieme. Sarebbe stato necessario un cornicione più ampio. F'lar imprecò tra sé. Aveva sperato di avere più tempo a disposizione. Non poteva mettere a repentaglio quel fragile, nuovo accordo con D'ram ponendo quell'uomo di fronte a spiacevoli innovazioni. «Non credo che i Weyr possano rimanere autonomi, di questi tempi,» disse, scartando tutte le belle frasi altisonanti che aveva provato e riprovato
mentalmente. «Abbiamo rischiato di perdere Pern, sette Giri fa, perché i dragonieri avevano allentato i contatti con il resto del mondo: e abbiamo visto cosa accade quando perdono i contatti tra loro. Sono necessari voli nuziali aperti, scambi di bronzei e di regine tra i Weyr per rafforzare il Sangue e migliorare la razza. Dobbiamo istituire rotazioni fra le squadriglie, in modo che i cavalieri imparino a conoscere gli altri Weyr ed i loro territori. Un uomo finisce per diventare noncurante, quando sorvola sempre una zona che conosce troppo bene. Sono necessarie Schiuse pubbliche...» Poterono udire, tutti, l'eco dei saluti e lo scalpiccio dei pesanti stivali nel corridoio. «Il Weyr di Ista ha seguito il Weyr di Benden, ieri,» interruppe D'ram, e il lento sorriso illuminò gli occhi scuri. «Ma stai attento a scegliere le tradizioni che sovverti. Alcune non possono venire abbandonate impunemente...» Si alzarono quando i Nobili delle Fortezze ed i Maestri delle Arti entrarono nel Weyr. I primi furono il Nobile Asgenar, il Maestro Fabbro Fandarel ed il suo Maestro del Legno, Bendarek; il Nobile Oterel della Fortezza di Tillek e Meron, Signore della Fortezza di Nabol, con la lucertola di fuoco che gli squittiva sul braccio, arrivarono insieme; ma il Nobile Oterel avvicinò subito Fandarel. Cominciò a crearsi un'atmosfera irrequieta e ansiosa, carica delle domande che la sera prima non avevano trovato risposta. Appena la maggioranza fu presente, F'lar propose di recarsi nella Sala del Consiglio. Quando i Comandanti dei Weyr si furono schierati dietro di lui, di fronte alle file dei Signori e degli Artigiani, si alzò per primo il Nobile Larad della Fortezza di Telgar. «Comandante del Weyr, hai accertato dove cadranno probabilmente i Fili la prossima volta?» «Dove evidentemente immagini tu, Nobile Larad: sulle pianure occidentali della Fortezza di Telgar e di Ruatha.» F'lar indicò con un cenno Lytol, Reggente di Ruatha. «Probabilmente oggi stesso, sul tardi. In questo momento è molto presto, in quella parte del pianeta, e non intendiamo trattenervi molto a lungo...» «E per quanto tempo ci saranno assegnati i cavalieri?» chiese il Nobile Corman di Keroon, fissando con aria significativa D'ram, alla sinistra di F'lar. «Fino a quando tutte le Fortezze e le Arti non avranno un sistema di comunicazione efficiente.»
«Avrò bisogno di uomini,» tuonò il Maestro Fabbro Fandarel, che stava rincantucciato in un angolo. «Volete davvero quei lanciafiamme per cui non mi avete più lasciato vivere?» «No, se i dragonieri arrivano quando noi li chiamiamo.» Fu il Nobile Sangel della Fortezza di Boll a rispondere, scuro in viso, in tono amareggiato. «Il Weyr di Telgar è pronto a combattere, oggi?» continuò il Nobile Larad, riprendendo la parola. M'rek, il Vicecomandante di Telgar, si alzò, guardò esitante F'lar, si schiarì la gola e annuì. «Il Weyr delle Terre Alte volerà insieme ai cavalieri di Telgar!» assicurò T'bor. «E anche Ista!» aggiunse D'ram. Quell'inattesa unanimità scatenò un brusio tra i presenti, mentre il Nobile Larad tornava a sedersi. «Dovremo bruciare le foreste?» Si alzò in piedi il Nobile Asgenar di Lemos. La sua domanda sommessa era l'implorazione di un uomo fiero. «I dragonieri bruciano i Fili, non i boschi,» rispose con calma F'lar, ma c'era una nota squillante nella sua voce. «Abbiamo un numero sufficiente di cavalieri,» continuò indicando gli altri Comandanti che gli sedevano accanto, «per proteggere le foreste di Pern...» «Non è questo ciò che è più necessario, Benden, e tu lo sai,» gridò il Nobile Groghe di Fort, alzandosi in piedi, con gli occhi che gli schizzavano dalle orbite. «Andate a distruggere i Fili sulla Stella Rossa. Si è già sprecato anche troppo tempo. Voi continuate sempre a ripetere che i vostri draghi vanno in tutti i luoghi e in tutti i tempi, se glielo dite voi.» «Ma prima un drago deve sapere dove sta andando, uomo!» protestò agitato G'narish di Igen, balzando in piedi. «Non raccontarmi storie, giovanotto! Puoi vedere benissimo la Stella Rossa, come vedi il mio pugno.» Il Nobile Groghe alzò la mano serrata, come fosse un'arma. «Con quel telescopio! Andate alla sorgente dei Fili! Alla sorgente!» D'ram balzò in piedi a fianco di G'narish, aumentando la confusione con le sue argomentazioni rabbiose. Un drago ruggì così forte da assordare tutti per un momento. «Se è questo il desiderio dei Signori e degli Artigiani,» disse F'lar, «allora organizzeremo una spedizione entro domani.» Sapeva che D'ram e G'narish lo stavano fissando attoniti. Vide il Nobile Groghe assumere un'aria
stizzita e sospettosa: ma l'attenzione di tutti i presenti era inchiodata su di lui. Parlò in fretta, chiaramente. «Hai visto la Stella Rossa, Nobile Groghe? Puoi descrivermi le sue masse terrestri? Ritieni che dovremo sgombrare un'area vasta quanto, diciamo, il continente settentrionale? D'ram, sei d'accordo che occorrono circa trentasei ore per sorvolarlo da costa a costa? Di più? Uhm. Sarebbero più efficaci incursioni in formazioni serrate, poiché non potremmo contare sull'appoggio delle squadre di terra. Quindi sarebbe necessario l'apporto di molti draghi carichi di pietre incendiarie. Maestro Minatore, devo sapere esattamente il quantitativo di materiale che hai pronto. Il Weyr di Benden tiene sempre a disposizione un quantitativo equivalente al peso di cinque draghi; gli altri Weyr più o meno lo stesso, quindi probabilmente avremo bisogno di tutto quel che abbiamo. E di tutti i lanciafiamme del continente. Ora, dragonieri, ammetto che non sappiamo se possiamo superare una simile distanza senza danni per noi e per i draghi. Presumo che, se i Fili sopravvivono sul nostro pianeta, noi possiamo sopravvivere sulla Stella Rossa. Tuttavia...» «Basta!» urlò il Nobile Groghe di Fort, rosso in viso, con gli occhi che gli schizzavano dalle orbite. F'lar sostenne con fermezza il suo sguardo, ed il collerico Signore si rese conto che parlava sul serio. «Per essere efficace, Nobile Groghe, questa iniziativa lascerebbe Pern completamente privo di protezione. In tutta coscienza, non me la sentirei di ordinare una spedizione del genere, ora che mi rendo conto dei fattori necessari. Spero converrai anche tu che, per adesso, è molto più importante salvare quello che è nostro.» Era meglio rischiare l'orgoglio di Groghe, pur di sventare quelle ambizioni premature. Non poteva permettersi di eludere una questione che poteva diventare un'ascoltata parola d'ordine per tutti gli scontenti. «Voglio vedere bene la Stella Rossa, prima di compiere un simile balzo, Nobile Groghe. E gli altri Comandanti, credo, la penseranno come me. Posso prometterti che, appena saremo in grado di distinguere le coordinate accettabili ai draghi, invieremo un gruppo di volontari in esplorazione. Spesso mi sono chiesto perché nessuno l'abbia mai fatto, prima d'ora. Oppure, se lo hanno fatto, che cosa è accaduto?» aveva abbassato la voce, nel pronunciare quelle ultime parole; e per un lungo attimo, nella Sala del Consiglio regnò un profondo silenzio. La lucertola di fuoco sul braccio del Nobile Meron strillò nervosamente, suscitando la reazione violenta e immediata di tutti. «Probabilmente anche quella Cronaca si è deteriorata,» disse F'lar, al-
zando la voce per farsi udire tra i colpi di tosse e gli scalpiccii irrequieti. «Nobile Groghe, Fort è la più antica di tutte le rocche. È possibile che anche nei suoi corridoi più interni siano nascosti tesori che ci sarebbero utilissimi?» La risposta di Groghe fu un brusco cenno di capo: poi sedette, fissando nel vuoto. F'lar si chiese se si era alienato definitivamente quell'uomo. «Probabilmente non mi ero reso ben conto dell'enormità di una impresa del genere,» osservò Corman della Fortezza di Keroon, in tono pensieroso. «Sei Sempre un passo più avanti di noi, eh, Benden?» chiese Larad della Fortezza di Telgar, con un sogghigno malinconico. «Non direi, Nobile Larad,» rispose F'lar. «La distruzione di tutti i Fili all'origine è sempre stata una delle aspirazioni più grandi dei dragonieri, da innumerevoli Giri. Io so, per esempio, quale estensione territoriale può coprire un Weyr; e quanta pietra incendiaria viene usata da un Weyr nel corso di una Caduta. Naturalmente noi,» e indicò con un gesto gli altri Comandanti, «disponiamo di informazioni che voi non avete: proprio come voi potreste dire a noi quanti ospiti potete accogliere a un banchetto.» La sua risposta strappò a Larad una breve risata. «Sette Giri fa, vi convocai tutti per prepararci a difendere Pern dal suo antichissimo flagello. Erano necessarie misure disperate, se volevamo sopravvivere. Ora non siamo in una situazione altrettanto difficile, ma ci siamo resi tutti colpevoli d'incomprensioni, che ci hanno distolti dal problema principale. Non abbiamo tempo da perdere rimproverando le colpe o elogiando i meriti. Siamo ancora tutti in balia dei Fili, anche se siamo meglio equipaggiati per combatterli. «Già una volta abbiamo trovato soluzioni preziose nelle antiche Cronache, nei ricordi del Maestro Tessitore Zurg, del Maestro Agricoltore Andemon, del Maestro Arpista Robinton, e nell'efficienza del Maestro Fabbro Fandarel. Sapete tutti cosa abbiamo trovato nelle Stanze abbandonate dei Weyr di Benden e di Fort... oggetti fabbricati innumerevoli Giri fa, quando non avevamo ancora perduto certe tecniche. «In tutta sincerità,» e F'lar sorrise, all'improvviso, «io preferirei affidarmi alle tecniche che possiamo realizzare noi stessi, ora, nel nostro Giro.» Quelle parole suscitarono un imprevisto mormorio d'assenso. «Mi riferisco alla capacità di lavorare insieme, al superamento delle distinzioni arbitrarie dei confini, dei mestieri e delle posizioni sociali, poiché dobbiamo imparare gli uni dagli altri assai più del semplice fatto che nessuno da noi può sopravvivere, se si ritrova solo!»
Non poté continuare perché metà dei presenti balzarono in piedi applaudendo. D'ram lo tirava per la manica, G'narish discuteva con il Vicecomandante del Weyr di Telgar, che aveva un'espressione dolorosamente indecisa. F'lar intravide la faccia del Nobile Groghe, prima che qualcuno si mettesse in mezzo. Anche il Signore di Fort era ansioso: ma questo era meglio di un aperto antagonismo. Robinton attirò il suo sguardo e gli rivolse un gran sorriso d'incoraggiamento. F'lar non poté far altro che lasciarli sfogare. Forse potevano contagiare gli altri con il loro entusiasmo... e forse sarebbe stato più efficace dei suoi argomenti migliori. Si guardò intorno per cercare Lessa e la vide avviarsi verso il corridoio: là si fermò. Evidentemente era stata avvertita dell'arrivo di qualche ritardatario. All'ingresso comparve F'nor. «Ho uova di lucertola di fuoco!» gridò. «Uova di lucertola di fuoco!» E avanzò nella sala, mentre i presenti si scostavano per fargli largo sino al tavolo del Consiglio. Nel silenzio più profondo, F'nor depose l'ingombrante involto e si guardò intorno con aria trionfale. «Rubate sotto il naso di T'kul. Sono trentadue!» «Allora, Benden,» chiese Sangel di Boll Meridionale, in quel silenzio teso, «a chi spetta la preferenza, qui?» F'lar ostentò la massima sorpresa. «Come, Nobile Sangel? Questo tocca a voi deciderlo,» e fece un gesto per indicare imparzialmente tutti i presenti. Nessuno si aspettava quella risposta. «Naturalmente, vi insegneremo ciò che ne sappiamo, vi guideremo nell'addestramento. Sono qualcosa di più che animaletti da compagnia od ornamenti.» Indicò con un cenno del capo Meron che s'irritò, al punto che il suo bronzeo sibilò e sventolò irrequieto le ali. «Nobile Asgenar, tu hai già due uova di lucertola. Sono certo che sarai imparziale. Cioè, se i Signori sono d'accordo con me.» Non appena quelli cominciarono a discutere, F'lar lasciò la Sala del Consiglio. C'erano molte altre cose da fare, quel mattino, ma una breve interruzione gli faceva comodo. E le uova avrebbero tenuto occupati i Signori e gli Artigiani. Non si sarebbero neppure accorti della sua assenza. XII Mattino al Weyr di Benden.
Prima dell'alba al Weyr delle Terre Alte. Appena ne ebbe la possibilità F'nor lasciò la Sala del Consiglio per andare in cerca di F'lar. Recuperò il recipiente pieno di quei vermi schifosi che aveva lasciato in un angolo in ombra del corridoio del Weyr. È nel suo alloggio, disse Canth al suo cavaliere. «Mnementh cosa dice di F'lar?» Vi fu una pausa, e F'nor si chiese, per l'ennesima volta, se i draghi parlavano tra di loro nello stesso modo con cui parlavano gli uomini. Mnementh non è preoccupato per lui. F'nor captò una lievissima enfasi in quel pronome: stava per chiedere spiegazioni a Canth quando Grall, con un frullo d'ali, gli volò sulla spalla. Gli avvolse la coda intorno al collo e gli si strofinò contro la guancia, con fare adorante. «Stai diventando più coraggiosa, piccolina?» F'nor aggiunse pensieri d'approvazione a quelle parole soddisfatte. Grall parve irradiare orgoglio, quando ripiegò le ali contro il dorso e piantò gli artigli nella pesante imbottitura che Brekke aveva cucito sulla spalla sinistra della tunica. Le lucertole preferivano stare posate sulle spalle che non sul polso. F'lar uscì dalla stanza da letto: il suo volto si accese d'animazione, quando si accorse che F'nor era solo e stava aspettando lui. «Hai i bruchi? Benissimo. Vieni.» «Eh, aspetta un momento,» protestò F'nor, afferrandolo per la spalla mentre accennava ad avviarsi verso il cornicione esterno. «Vieni! Prima che ci vedano.» Scesero le scale senza che nessuno li fermasse, e F'lar indicò a F'nor il nuovo ingresso aperto accanto al Terreno della Schiusa. «Le lucertole sono state distribuite equamente?» chiese, sogghignando nel vedere Grall che si addossava il più possibile all'orecchio di F'nor, quando passarono davanti all'entrata del Terreno della Schiusa. F'nor ridacchiò. «Groghe ha assunto il comando delle operazioni, come probabilmente avevi previsto tu. I Signori di Ista e di Igen, Warbret e Laudey, si sono magnanimamente autoesclusi, dichiarando che molto probabilmente potranno trovare altre uova sulle loro terre, ma il Nobile Sangel di Boll ne ha preso un paio. Lytol non ne ha prese!» F'lar sospirò, scuotendo il capo in atto di rammarico. «Pensavo che non le avrebbe prese, ma speravo che volesse tentare. Non
avrebbero potuto sostituire Larth, il suo marrone morto, ma... beh...» Erano arrivati nel corridoio vivamente illuminato e ripulito da poco, che F'nor non aveva ancora visto. Lanciò un'occhiata involontaria sulla destra, e sogghignò notando che era stato bloccato l'accesso all'antico varco che permetteva di spiare il Terreno della Schiusa. «È una cattiveria.» «Eh?» F'lar lo guardò stupito. «Oh, quello. Sì. Lessa ha detto che Ramoth era troppo turbata. E Mnementh si è dichiarato d'accordo.» Rivolse al fratellastro un sorriso pensieroso, un po' per il puntiglio di Lessa, un po' per il comune ricordo nostalgico delle esplorazioni clandestine in quella galleria, per andare a sbirciare di nascosto le uova di Nemorth. «C'è una stanza, qui dietro, che va benissimo per il mio scopo...» «E sarebbe?» F'lar esitò, e gli diede una lunga occhiata meditabonda. «Da quando in qua mi giudichi un cospiratore riluttante?» domandò F'nor. «Si tratta di qualcosa di più...» «E allora chiedilo!» Erano arrivati nella prima stanza del complesso scoperto da Jaxom e Felessan. Ma il cavaliere bronzeo non lasciò a F'nor il tempo di esaminare l'affascinante disegno sulla parete o gli armadi ed i tavoli finalmente lavorati. Lo condusse in fretta oltre la seconda stanza, nella camera più grande, dove erano stati sistemati sul pavimento grandi recipienti di pietra, rettangolari e scoperti. Le altre apparecchiature erano state rimosse evidentemente nell'antichità, e avevano lasciato fori e solchi nelle pareti: ma F'nor rimase sbalordito nel vedere che nelle vasche erano piantati arbusti, erbe, piante selvatiche e coltivate. Nei recipienti più grandi c'erano alcuni alberelli di durallegno. F'lar chiese con un cenno la pentola con i bruchi, che F'nor si affrettò a consegnargli. «Adesso metterò alcuni bruchi nei recipienti, tranne questo,» disse F'lar, indicandone uno di media grandezza. Poi cominciò a distribuire le larve che si contorcevano. «Cosa vuoi dimostrare?» F'lar gli lanciò una lunga occhiata: ricordava tanto i tempi in cui, ragazzini, si scambiavano sfide, che F'nor non seppe nascondere un sogghigno. «Cosa vuoi dimostrare?» insistette. «Innanzi tutto, che questi bruchi meridionali possono prosperare anche
al Nord, tra le piante del Nord...» «E poi?» «E poi che elimineranno i Fili, qui, come facevano nella palude occidentale.» Rimasero a guardare, affascinati e disgustati, mentre la massa grigia dei lombrichi si divideva e si rintanava nella terra scura e soffice della vasca più grande. «Cosa?» F'nor si sentiva completamente disorientato. Rivide F'lar ragazzino, che lo sfidava a esplorare e a trovare il leggendario varco che permetteva di spiare il Terreno della Schiusa. Rivide F'lar, già adulto, nella Sala delle Cronache, circondato da pelli ammuffite, quando avevano proposto di balzare in mezzo nel tempo per arrestare la Caduta dei Fili a Nerat. E immaginò se stesso che chiedeva a F'lar di aiutarlo, quando avrebbe lasciato che Canth partecipasse al volo nuziale di Wirenth, la regina di Brekke... «Ma non abbiamo visto che i bruchi facessero qualcosa...» disse scuotendosi. «Che altro può essere accaduto ai Fili in quelle paludi? Sappiamo benissimo che è stata una Caduta di quattro ore, ed abbiamo combattuto due ore soltanto. Tu hai visto le bruciature nella vegetazione. Hai visto l'attività dei bruchi. E scommetto che hai faticato a trovarne di che riempire il tuo recipiente perché risalgono alla superficie solo quando cadono i Fili. Anzi, puoi tornare indietro nel tempo, e vedere come avviene.» F'nor fece una smorfia, ricordando che aveva impiegato molto tempo a scovare una quantità sufficiente di quei vermi. Era costato anche molta tensione, con i nervi dell'uomo, del drago e della lucertola all'erta per captare l'eventuale appressarsi delle pattuglie di T'kul. «Avrei dovuto arrivarci da solo. Ma... i Fili non cadranno tanto presto su Benden...» «Tu sarai alle Fortezze di Telgar e di Ruatha, questo pomeriggio, quando i Fili cadranno. E questa volta, catturerai qualche Filo.» Se non avesse scorto un luccichio ironico e gaio negli occhi di fratellastro, F'nor avrebbe creduto che delirasse. «Senza dubbio,» ribatté acido, «hai anche pensato il sistema esatto che dovrò usare.» F'lar si ricacciò indietro i capelli dalla fronte. «Ecco, sono pronto ad ascoltare suggerimenti...» «Molto gentile da parte tua, dato che dovrò essere io a ustionarmi le mani...»
«Hai Canth e Grall per aiutarti...» «Se saranno abbastanza pazzi...» «Mnementh ha spiegato tutto a Canth...» «Bell'aiuto...» «Non lo chiederei a te, se potessi farlo io stesso!» scattò F'lar, spazientito. «Lo so!» rispose F'nor con eguale energia; e poi sogghignò, perché sapeva che l'avrebbe fatto. «Benissimo.» F'lar ricambiò il sorriso. «Vola a bassa quota, vicino alle regine. Aspetta un ammasso molto fitto. Seguilo mentre scende. Canth è abbastanza abile da permetterti di avvicinarti con uno di quei recipienti di terracotta dal manico lungo. E Grall può eliminare tutti i Fili che scaveranno una tana. Non riesco a pensare ad altri sistemi per procurarceli. A meno che, naturalmente, volassimo su uno dei pianori di roccia, ma anche in tal caso...» «D'accordo, presumiamo che io riesca a prendere un po' di Fili vivi e vitali.» Il cavaliere marrone non riuscì a reprimere un brivido. «E presumiamo che i bruchi... le eliminino. E allora?» Con l'ombra d'un sorriso sulle labbra, F'lar spalancò le braccia. «Allora, figlio di mio padre, alleveremo una quantità di bruchi famelici e li spargeremo su tutto Pern.» F'nor strinse i pugni. Suo fratello doveva avere la febbre. «No, non ho la febbre,» rispose il cavaliere bronzeo, sedendo sul bordo della vasca più vicina. «Ma se potessimo contare su questa protezione,» continuò, sollevando il recipiente ormai vuoto e rigirandolo tra le mani come se contenesse gli elementi della sua teoria, «i Fili potrebbero cadere quando e dove vogliono senza creare lo scompiglio e l'agitazione che stiamo vivendo adesso. «D'accordo, non c'è niente che accenni sia pure lontanamente ad un evento del genere nelle Cronache dell'Arpista. Eppure mi sono chiesto perché abbiamo impiegato tanto tempo a diffonderci su questo continente. In tutte queste migliaia di Giri, dato il tasso d'incremento della popolazione durante gli ultimi quattrocento, perché non siamo diventati più numerosi. E perché F'nor, nessuno ha mai tentato prima di raggiungere quella Stella Rossa, se per un drago si tratta solo di un balzo d'un tipo diverso?» «Lessa mi ha parlato della richiesta del Nobile Groghe,» disse F'nor, per avere il tempo di riflettere sulle domande del fratello. «Non è solo perché non potevamo vedere la Stella per trovare le coordi-
nate,» continuò F'lar, in tono concitato. «I nostri antenati disponevano dello strumento necessario. L'hanno conservato meticolosamente, sebbene neppure Fandarel riesca a capire come vi siano riusciti. Forse l'avevano conservato per noi? Per il tempo in cui avremmo saputo come superare l'ultimo ostacolo?» «Qual è l'ultimo ostacolo?» domandò F'nor, sarcastico, perché già ne aveva in mente nove o dieci. «Sono parecchi, lo so.» E F'lar li enumerò sulla punta delle dita. «Proteggere Pern mentre tutti i Weyr sono lontani... e questo richiederebbe i bruchi sparsi sulle terre e squadre bene organizzate per badare alle abitazioni e alla gente. Draghi abbastanza grandi e abbastanza intelligenti per aiutarci. Hai notato anche tu che i nostri sono più grossi e più svegli di quelli vecchi di quattrocento Giri. Se i draghi sono allevati per questo scopo, partendo da creaturine come Grall, non hanno acquisito le dimensioni attuali nel corso di poche Schiuse. Come il Maestro Allevatore non avrebbe potuto ottenere quei corridori dalle lunghe zampe che ha finalmente creato: si tratta di un progetto che, a quanto mi risulta, ebbe inizio circa quattrocento Giri or sono. G'narish dice che ai suoi tempi non esistevano.» F'nor si accorse all'improvviso che nel tono di F'lar vi era una strana sfumatura. Evidentemente, era molto meno sicuro di quanto volesse apparire, per quanto riguardava quella assurda nozione. Eppure, non era lo scopo riconosciuto dei dragonieri, operare lo sterminio completo di tutti i Fili, eliminarli dai cieli di Pern? Ma lo era davvero? In tutte le Ballate e le Saghe dell'Insegnamento non c'era una sola riga che suggerisse qualcosa più di questo: i dragonieri dovevano prepararsi e difendere Pern, quando passava la Stella Rossa. Niente alludeva ad un tempo in cui non vi sarebbero più stati Fili contro cui combattere. «Non è possibile che noi, ora, rappresentiamo il culmine di migliaia di Giri di evoluzione e di pianificazione meticolosa?» stava dicendo F'lar, in tono concitato. «Non ti sembra che tutti i fatti lo confermino? La popolazione numerosa per appoggiarci, l'ingegnosità di Fandarel, la scoperta di queste stanze e degli strumenti, i bruchi... tutto...» «Ma...» disse F'nor lentamente, con estrema riluttanza. «Cosa?» Tutto il calore e il fervore erano defluiti da F'lar: pronunciò quell'unica parola con voce fredda e aspra. «Figlio di mio padre,» cominciò F'nor, traendo un profondo respiro, «se i dragonieri distruggono tutti i Fili sulla Stella, quale altra funzione rimarrà, per loro?»
F'lar, con il volto pallido e chiuso nel disappunto, si rialzò. «Bene, immagino che tu abbia una risposta anche per questa domanda,» proseguì F'nor, incapace di sopportare l'espressione amareggiata del fratellastro. «Dunque, dov'è quel recipiente dal manico lungo che dovrebbe servirmi per prendere i Fili?» Quando ebbero meticolosamente discusso e scartato tutti gli altri possibili metodi per procurarsi i Fili, stabilendo di tenere segreto quel loro progetto - ne erano informate solo Lessa e Ramoth - si separarono, con la reciproca promessa di mangiare e di riposarsi un po'. Ma ognuno dei due era sicuro che l'altro non l'avrebbe fatto. Sebbene F'nor apprezzasse l'audacia del progetto di F'lar, si rendeva anche conto delle lacune e delle possibili conseguenze catastrofiche. Poi ricordò che non aveva ancora avuto l'occasione di esporre l'innovazione che lui teneva tanto a introdurre. Comunque, l'idea che un drago marrone accompagnasse una regina nel volo nuziale era molto meno rivoluzionaria del piano di F'lar, che avrebbe posto fine ai doveri dei Weyr. E proprio secondo la teoria di F'lar, se i draghi ormai erano abbastanza grandi per i fini per cui erano stati allevati, la specie non avrebbe sofferto se un marrone, più piccolo di un bronzeo, si fosse accoppiato con una regina... per quell'unica volta. Senza dubbio, F'nor meritava quella ricompensa. Sicuro che si sarebbe trattato semplicemente di uno scambio di favori, e non di un crimine tremendo, come poteva venire considerato un tempo, F'nor andò a farsi prestare un recipiente di terracotta da una delle aiutanti di Manora. Qualcuno - la stessa Manora, probabilmente - aveva pulito e rimesso ordine nel suo Weyr durante il periodo del soggiorno nel Continente Meridionale. F'nor guardò con un senso di gratitudine le morbide pelli nuove del letto, gli abiti puliti e rammendati nella cassapanca, l'inceratura recente del tavolo e delle sedie. Canth brontolò che qualcuno aveva spazzato via la sabbia accumulatasi sul pavimento del suo Weyr, e che lui non poteva più grattarsi a dovere la pelle del ventre. F'nor simpatizzò doverosamente con lui, mentre si sdraiava sulle pelli seriche del letto. La cicatrice prudeva un poco: se la massaggiò. L'olio fa bene, disse Canth. La pelle imperfetta si lacera, in mezzo, lo sai. «Stai zitto, tu.» Grall comparve nella stanza: gli si librò sopra il petto, agitandogli sul volto l'aria fresca, con le piccole ali. Era curiosa: una curiosità lievemente
sfumata di allarme. F'nor sorrise, irradiando incoraggiamento ed affetto. Il turbinio degli incantevoli occhi sfaccettati come pietre preziose rallentò, e la lucertola andò graziosamente ad esplorare l'alloggio, ronzando in tono melodioso quando scoprì la stanza da bagno. F'nor la udì diguazzare nell'acqua. Chiuse gli occhi. Aveva bisogno di riposare. Preferiva non pensare alla missione di quel pomeriggio. Se i bruchi sopravvivevano e divoravano i Fili, e se F'lar riusciva a convincere i Signori e gli Artigiani ad accettare quella soluzione, cosa sarebbe accaduto? Quegli uomini non erano stupidi. Avrebbero compreso che Pern non doveva più dipendere dai dragonieri. E naturalmente, era ciò che sognavano. E cosa avrebbero potuto fare i dragonieri, quando fossero rimasti senza lavoro? I Nobili Groghe, Sangel, Nessel, Meron e Vincet avrebbero smesso immediatamente di pagare le dècime. F'nor sarebbe stato anche disposto a imparare un altro mestiere; ma F'lar aveva lasciato agli Antichi il Continente Meridionale, e quindi cosa avrebbero potuto offrire in cambio dei prodotti delle Arti? F'lar non era per caso convinto di poter rimediare alla rottura con T'kul? O forse... beh, non si sapeva quanto fosse grande il Continente Meridionale. Oltre i deserti, a Occidente, o al di là del mare inesplorato, ad Est, forse c'erano altre terre ospitali. Chissà se F'lar sapeva più di quanto aveva detto? Grall gli trillò pietosamente all'orecchio. Stava aggrappata al tappeto di pelliccia, accanto alla sua spalla: la pelle morbida brillava aurea, dopo il bagno. F'nor l'accarezzò, chiedendosi se aveva bisogno di un massaggio con l'olio. La piccola stava crescendo, ma non con il ritmo tremendo dei draghi durante le prime settimane dopo la Schiusa. Bene, i suoi pensieri turbavano Grall, non soltanto lui stesso. «Canth?» Il drago dormiva. Quel fatto era in qualche modo consolante. F'nor trovò una posizione comoda e chiuse gli occhi, deciso a riposare. Grall smise di agitarsi e gli si raggomitolò contro il collo, nella curva della spalla. F'nor si chiese come se la passava Brekke, al Weyr delle Terre Alte: e chissà se il suo piccolo bronzeo era sconvolto quanto Grall, nel trovarsi costretto a vivere nelle viscere di una montagna. Il ricordo del viso di Brekke gli attraversò la mente. Non come l'aveva veduta l'ultima volta, ansiosa, preoccupata, impegnata ad organizzare il trasferimento dopo che T'kul era piombato inaspettatamente sul Weyr Meridionale. La ricordò come l'aveva resa l'amore, tenera, addolcita. Presto l'avrebbe avuta soltanto
per sé, avrebbe fatto in modo che non si prodigasse troppo a combattere per chiunque, tranne che per se stessa. Probabilmente in quel momento dormiva, perché era ancora notte, nelle Terre Alte... Brekke non dormiva. Si era svegliata all'improvviso, come era abituata a fare alla mattina: ma il silenzio e il buio che la circondavano non erano semplicemente quelli di una stanza interna, nelle viscere della montagna: erano saturi della tenue solitudine della notte. Anche la lucertola di fuoco, Berd, si svegliò: i suoi occhi brillanti erano l'unica luce nella stanza. Cantilenò lamentosamente. Brekke l'accarezzò, rimase in ascolto, quasi in attesa di sentire Wirenth muoversi, ma la regina dormiva profondamente sul suo giaciglio di pietra. Brekke cercò di riaddormentarsi: ma si rese conto che era un tentativo vano. Lì nelle Terre Alte era notte fonda, ma al Weyr Meridionale era l'alba, e il suo corpo si era abituato a quel ritmo. Si alzò con un sospiro, rassicurando Berd che le ronzò intorno ansioso. Ma il piccolo bronzeo la raggiunse nella grande vasca, sguazzando con veemenza nell'acqua tiepida e approfittando della sabbia detergente avanzata per ripulirsi. Poi andò a scrollarsi sulla panca, lanciando quei teneri suoni voluttuosi che la divertivano tanto. Da un certo punto di vista, era piacevole essere alzata senza che nessuno la disturbasse, perché c'era tanto da fare per sistemare tutti nella nuova sede. Avrebbe dovuto risolvere alcuni dei problemi più impellenti. I viveri freschi scarseggiavano. T'kul aveva lasciato il bestiame più vecchio e magro, i mobili peggiori, e si era portato via quasi tutte le scorte di stoffe, di legna stagionata, di cuoio, e tutto il vino, ed era riuscito a impedire a quelli del Weyr Meridionale di portar via provviste sufficienti per supplire a quelle carenze. Oh, se avesse avuto a disposizione due ore, se fosse stata preavvertita... Brekke sospirò. Evidentemente Merika era stata una Dama del Weyr anche peggiore di Kylara, perché lì era tutto in uno stato di disordine e di abbandono. E le Fortezze che versavano le dècime al Weyr delle Terre Alte non dovevano essere molto disposte a rimediare, in quel momento. Forse una parola a F'nor sarebbe valsa a sanare le lacune più gravi... No, sarebbe stato come dichiararsi incapace. Per prima cosa, avrebbe fatto l'inventario di ciò che avevano, avrebbe accertato le esigenze più pressanti, avrebbe visto quanto potevano produrre da soli... Brekke s'interruppe. Doveva adattare i suoi pensieri a un modo di vita completamente nuovo, di-
pendente dalla generosità delle Fortezze. Nel Continente Meridionale c'erano tante possibilità. Nella Sede dell'Arte di suo padre, si faceva tutto il possibile con il materiale a disposizione, e ce n'era sempre... oppure se ne faceva a meno. «Una cosa è certa: Kylara non sarà disposta a farne a meno!» mormorò Brekke. Aveva indossato l'abito da volo, che era più caldo e meno ingombrante per andare a rovistare nelle grotte-magazzini. Non le piaceva quel Meron della Fortezza di Nabol, con la sua faccia stizzita. Sarebbe stato terribile dovergli qualcosa. Doveva pure esistere qualche alternativa. Wirenth si mosse quando la ragazza le passò accanto: la pelle dorata luccicava nell'oscurità. Dormiva così profondamente che Brekke non si soffermò neppure per accarezzarle il muso La regina aveva lavorato parecchio, ieri. Possibile che fosse stato soltanto ieri? Berd trillò con tanta soddisfazione, mentre passava planando accanto alla regina, che Brekke sorrise. Era un caro impiccione, trasparente come acqua di fonte... e lei doveva controllare se Rannelly aveva ragione, a proposito del lago del Weyr. La vecchia si era lagnata rabbiosamente, la sera prima, che l'acqua era stata inquinata... di proposito, da T'kul. Uscire nell'aria fredda e frizzante le mozzò il respiro. Brekke alzò gli occhi verso il cavaliere di guardia presso la Pietra della Stella e poi si affrettò a scendere la breve rampa di scale che portava alle Caverne Inferiori. I fuochi erano stati coperti con la cenere, ma il paiolo dell'acqua era caldissimo. Preparò un po' di klah, trovò pane e frutta per sé, e un po' di carne per Berd. La lucertola cominciava a mangiare con voracità meno barbara, e non s'ingozzava più fino a intontirsi. Prendendo un canestro di lumi, Brekke andò nei magazzini per cominciare l'ispezione. Berd l'accompagnò, allegrissimo, appollaiandosi dove poteva guardarla lavorare. Quando il Weyr cominciò a ridestarsi, quattro ore più tardi, Brekke, sebbene fosse piena di disprezzo per il modo con cui era stato amministrato il Weyr, era un po' meno preoccupata per quanto riguardava le risorse a disposizione. Si era convinta che le stoffe e le pelli migliori, per non parlare dei vini, non erano finiti al Sud con i dissenzienti. Ma le acque del lago erano innegabilmente inquinate dai rifiuti: sarebbe stato necessario dragarle. Impossibile servirsene almeno per parecchi giorni. E non c'erano recipienti adatti per trasportare rilevanti quantitativi d'acqua dai torrenti vicini. Riferì a T'bor e a Kylara che le sembrava sciocco
mandare un drago apposta per prelevare un paio di secchi. «Mi farò prestare dei barili da Nabol,» annunciò Kylara, non appena ebbe finito d'imprecare furiosamente contro la dispettosa cattiveria di T'kul. Anche se Brekke si rendeva conto che T'bor non era soddisfatto della proposta, era troppo occupato per protestare. Almeno, pensò Brekke, Kylara dimostrava un certo interesse per il Weyr e si assumeva qualche responsabilità. Perciò Kylara si alzò in volo dalla Conca: Prideth rifulgeva aurea nel primo sole del mattino. T'bor partì con alcune squadriglie per compiere ricognizioni a bassa quota, familiarizzarsi con il territorio e disporre i fuochi per le segnalazioni ed i punti di riferimento per le pattuglie. Brekke e Vanira, con l'aiuto di Pilgra, l'unica Dama del Weyr delle Terre Alte che fosse rimasta, si accordarono per dividersi i compiti. Mandarono alcuni cadetti a dragare il lago, altri a fare provviste d'acqua fresca. Profondamente occupata a contare i sacchi di farina, Brekke non udì il primo grido di Wirenth. Fu Berd a rispondere con uno squittio sbigottito, e volò intorno alla testa della giovane donna per attirare la sua attenzione. Quando Brekke protese la sua mente verso quella di Wirenth, si sbalordì di quell'incoerenza, di quelle emozioni furiose e scatenate. Chiedendosi cosa poteva essere accaduto alla regina, che fino a poco prima dormiva pacificamente. Brekke si precipitò correndo per i corridoi: nella Caverna Inferiore incontrò Pilgra, che aveva gli occhi spalancati per l'eccitazione «Wirenth è pronta per ascendere nel volo nuziale, Brekke. Ho richiamato i cavalieri. Ora sta andando al Campo del Pasto. Sai quello che devi fare, vero?» Brekke la fissò, sconvolta. Stordita, si lasciò trascinare da Pilgra verso la Conca. Wirenth stava urlando, e planava verso il Campo del Pasto. Il bestiame, terrorizzato, s'imbizzarrì e fuggì muggendo, accrescendo la spaventosa tensione che regnava nell'aria. «Vai, Brekke,» gridò Pilgra, sospingendola. «Non lasciare che si ingozzi, o non volerà bene!» «Aiutami!» supplicò Brekke. Pilgra l'abbracciò per tranquillizzarla, con uno strano sorriso. «Non aver paura. È meraviglioso.» «Io... io non posso...» Pilgra la scrollò. «Certo che puoi. Devi. Io me ne vado con Segrith. Vanira ha già portato via la sua regina.» «L'ha portata via?»
«Naturalmente. Non fare la sciocca. Non puoi avere intorno altre regine, in questo momento. È una fortuna che Kylara sia alla Fortezza di Nabol con Prideth... quella è troppo vicina al volo nuziale.» E Pilgra, con un ultimo abbraccio a Brekke, corse verso la sua regina. All'improvviso, Rannelly comparve a fianco di Brekke, cercando di scacciare la lucertola di fuoco che sfrecciava, eccitata, intorno alle loro teste. «Va' via! Va' via! Tu, ragazza, tieni in pugno la tua regina, o non sei una vera Dama del Weyr! Non lasciarla ingozzare!» Improvvisamente, l'aria si popolò di ali di drago... i bronzei erano tornati. E l'assillo di quel volo nuziale, la necessità di proteggere Wirenth, scossero Brekke. Cominciò a correre verso il Campo del Pasto, conscia del ronzio crescente dei bronzei, dell'attesa sensuale dei marroni e degli azzurri e dei verdi che si erano appollaiati sui cornicioni per assistere all'avvenimento. Gli abitanti del Weyr si affollavano nella Conca. «F'nor! F'nor! Cosa debbo fare?» gemette Brekke. Poi si accorse che Wirenth era piombata su di un toro, urlando la sua sfida: una Wirenth cambiata, irriconoscibile, spinta da qualcosa di più della sete di sangue. «Non si deve ingozzare!» gridò qualcuno a Brekke. Qualche altro l'afferrò per le braccia, con forza. «Non lasciarla ingozzare, Brekke!» Ma Brekke era con Wirenth, ormai, sentiva il desiderio insaziabile della carne calda e cruda, del sapore del sangue nella bocca, del suo calore nelle viscere. Brekke non si accorgeva più di ciò che la circondava. Sapeva soltanto che Wirenth stava per levarsi nel volo nuziale e che lei, Brekke, sarebbe stata prigioniera di quelle emozioni, vittima della libidine del suo drago: e questo era contrario a tutto quanto aveva imparato a credere ed a rispettare. Wirenth aveva sventrato il primo toro, ormai, e Brekke lottò per impedirle di divorarne le interiora fumanti. Lottò e vinse, dominando se stessa e la sua regina per il vincolo d'amore che la legava a lei. Quando Wirenth si alzò dalla carcassa dissanguata, Brekke si accorse per un attimo dei corpi pesanti, caldi, che le si affollavano intorno. Freneticamente, alzò lo sguardo verso il cerchio dei cavalieri bronzei, intenti a fissare la scena che si svolgeva sul Campo del Pasto: i loro volti sembravano trasformarsi in parodie sensuali, irriconoscibili. «Brekke! Controllala!» le gridò all'orecchio una voce rauca. Si sentì stringere il gomito in una morsa dolorosa.
Non era giusto! Non era giusto! Era orribile, gemette lei, invocando disperatamente F'nor con tutto il suo spirito. Aveva promesso che sarebbe venuto. Aveva promesso che solo Canth avrebbe accompagnato Wirenth nel volo nuziale... Canth! Canth! Wirenth s'era buttata alla gola del toro, non per dissanguarlo, ma per lacerare e divorare la carne. Due discipline lottavano una contro l'altra. Confusa, angosciata, dilaniata come la carne dell'animale ucciso, Brekke costrinse comunque Wirenth ad obbedirle. Eppure, quale forza avrebbe ottenuto la vittoria finale? Il Weyr o l'Arte? Brekke si aggrappava alla terza alternativa... alla speranza che F'nor arrivasse. Dopo la quarta vittima, Wirenth parve illuminarsi. Con un balzo sorprendente, si avventò in volo. Lanciò ruggiti che riverberavano dolorosamente tra le pareti del Weyr, mentre i bronzei si lanciavano per inseguirla, ed il vento delle loro ali gettava polvere e sabbia in faccia agli spettatori. E Brekke non si accorgeva di nulla: solo di Wirenth. Perché all'improvviso fu Wirenth, animata dal disprezzo per i bronzei che cercavano di raggiungerla mentre saliva, saliva, verso Oriente, sopra le montagne, fino a quando la terra sottostante apparve come un incavo di nero e di sabbia, ed il lago azzurro lampeggiò accecante nel sole. Sopra le nuvole, lassù dove l'aria era più rarefatta ma rendeva il volo più veloce. E poi, dalle nubi sotto di lei, irruppe un altro drago. Una regina, aurea e splendente come lei. Una regina? Veniva a portarle via i suoi draghi? Con un strido terribile di protesta, Wirenth si tuffò verso l'intrusa, protendendo gli artigli, il corpo che non esultava più nel volo, si tendeva per il combattimento. Si gettò in picchiata e l'intrusa virò agilmente, girandosi con tanta rapidità per straziare con gli artigli il fianco esposto di Wirenth che la giovane regina non riuscì ad evitare l'urto. Ferita, Wirenth precipitò, si riprese coraggiosamente, si tuffò al riparo nelle nuvole. I bronzei l'avevano raggiunta e urlavano d'angoscia. Volevano accoppiarsi. Volevano intromettersi. L'altra regina - era Prideth - credendo di aver sconfitto la rivale, lanciò ai bronzei un richiamo allettante. Al dolore dell'umiliazione si aggiunse la furia. Wirenth si avventò fuori dalle nuvole, gridando la sua sfida, il suo richiamo ai bronzei. E la sua avversaria era là! Sotto Wirenth. La giovane regina ripiegò le ali e si tuffò: il gran corpo dorato precipitò a velocità paurosa. E la sua picchiata era troppo inattesa, troppo rapida. Prideth non riuscì a evitare la
collisione a mezz'aria. Gli artigli di Wirenth le si piantarono sul dorso, e Prideth si contorse, con le ali bloccate dalle unghie da cui non riusciva a svincolarsi. Le due regine caddero come ammassi di Fili verso le montagne, seguite dai bronzei che urlavano desolati. Con la disperazione nata dalla frenesia, Prideth si liberò con uno strattone violento. Ma mentre si contorceva, battendo le ali per riprendere quota, artigliò la testa indifesa di Wirenth, attraverso uno degli occhi scintillanti. L'urlo torturato di Wirenth trapassò i cieli, mentre altre regine irrompevano nell'aria intorno a loro: le regine si divisero immediatamente. Un gruppo volò verso Prideth, l'altro verso Wirenth. Volteggiarono implacabili intorno a Wirenth, costringendola ad arretrare, allontanandola da Prideth, volando in cerchi sempre più stretti, come una rete vivente intorno alla regina infuriata, straziata dalla sofferenza. Consapevole soltanto del fatto che veniva privata della possibilità di vendicarsi della nemica. Wirenth scorse l'unica via di fuga, e ripiegando le ali, si lasciò cadere, sfrecciò verso l'altro gruppo di regine. Vide sporgere la coda di Prideth, e vi affondò le zanne, trascinando l'altra fuori dal cerchio protettivo. Subito Wirenth balzò sul dorso della regina più anziana, piantando profondamente gli artigli nei muscoli delle ali, affondando le zanne nel collo indifeso. Precipitarono, e Wirenth non fece nulla per arrestare quella pericolosa discesa. Non vedeva più nulla con l'occhio ferito. Non badò alle grida delle altre regine, ai bronzei che volteggiavano intorno. Poi qualcosa afferrò brutalmente il suo corpo dall'alto, con un tremendo strattone. Incapace di vedere sulla sua destra, Wirenth fu costretta a lasciare la presa per affrontare la nuova minaccia. Ma mentre si voltava, intravide un grande corpo aureo, direttamente al di sotto di Prideth. Sopra di lei... Canth! Canth? Sibilando per quel tradimento, non riuscì a capire che il drago cercava di salvarla da una morte sicura, d'impedirle di andare a sfracellarsi sui picchi montani. Anche Ramoth stava tentando di arrestare la loro caduta, sorreggendo Prideth con il suo corpo, tendendo le grandi ali nello sforzo. All'improvviso, zanne affilate si chiusero sul collo di Wirenth, vicino alla grande arteria, all'attacco della spalla. L'urlo mortale di Wirenth si mozzò, mentre lei cercava affannosamente di respirare. Ferita dalla nemica, ostacolata dagli amici, Wirenth si trasferì in mezzo, trascinando Prideth con sé, le fauci serrate nel suo sangue.
La bronzea lucertola di fuoco, Berd, trovò F'nor che si preparava a raggiungere le squadriglie in volo sui pascoli occidentali della Fortezza di Telgar. Il cavaliere marrone fu così sbalordito di vedere il piccolo bronzeo a Benden, tanto lontano dalla sua padrona, che sul momento non afferrò i pensieri di quella creaturina sconvolta. Ma Canth capì. Wirenth si è levata per il volo nuziale. Dimentico di tutto il resto, F'nor corse con Canth sul cornicione. Grall si afferrò alla spallina imbottita, avvolgendo la coda intorno al collo di F'nor con tanta disperazione che egli dovette staccarla a forza. Poi Berd rifiutò a lungo di appollaiarsi accanto a Grall, e si persero momenti preziosi, mentre Canth riusciva a calmare il piccolo bronzeo quanto bastava per fargli accettare le istruzioni. Quando Berd finalmente si posò, Canth lanciò un urlo così squillante che Mnementh rispose dal suo cornicione, e Ramoth ruggì dal Terreno della Schiusa. Senza pensare all'effetto della loro partenza precipitosa né al comportamento eccezionale di Canth, F'nor ordinò al suo drago d'innalzarsi. Quel piccolo nucleo di ragione che era rimasto inaccessibile alle emozioni cercava di calcolare quanto tempo aveva impiegato a raggiungerlo il piccolo bronzeo, per quanto Wirenth si sarebbe nutrita di sangue prima di prendere il volo, quali bronzei c'erano alle Terre Alte. Era una fortuna che F'lar non avesse avuto il tempo di dichiarare aperti i voli nuziali. C'erano alcuni draghi contro cui Canth non avrebbe avuto la minima possibilità. Quando irruppero nell'aria al di sopra del Weyr delle Terre Alte, F'nor vide realizzarsi le sue peggiori paure. Il Campo del Pasto era uno spettacolo sanguinoso, e non c'era più nessuna regina. E non c'era un solo bronzeo tra i draghi appollaiati sulle alture del Weyr. Senza bisogno di ricevere ordini, Canth scese volteggiando vertiginosamente. Beri sa dov'è Wirenth. Mi guida lui. Il minuscolo bronzeo balzò sul collo di Canth; aggrappandosi alla cresta con gli artigli. F'nor si calò fulmineo a terra, si scostò vacillando, perché il drago marrone potesse spiccare un balzo per risalire. Anche Prideth si è levata! Quel pensiero e l'urlo di paura del drago marrone furono simultanei. Dalle alture risposero gli altri draghi tendendo allarmati le ali. «Chiama Ramoth!» gridò F'nor, con la mente e con la voce, paralizzato dall'orrore. «Chiama Ramoth. Cavalieri bronzei! Anche Prideth si è leva-
ta!» Molta gente accorse dalla Caverna Inferiore, i cavalieri si affacciano sui cornicioni, tutto intorno al Weyr. «Kylara! T'bor! Dov'è Pilgra? Kylara! Vanira!» gridando in preda al panico che minacciava di soffocarlo, F'nor corse verso il Weyr di Brekke, facendosi largo a spintoni tra la gente che l'assediava per chiedere spiegazioni. Prideth si era levata per il volo nuziale? Com'era possibile? Anche la più stupida tra le Dame dei Weyr sapeva che non si riusciva a tenere una regina vicino al suo Weyr durante un volo nuziale... a meno che avesse una covata. Come aveva potuto, Kylara... «T'bor!» F'nor salì correndo la breve scalinata, si avventò per i corridoi, a lunghi passi che si ripercuotevano dolorosamente nel braccio non ancora del tutto guarito. Ma la sofferenza lo liberò dal panico: quando fece irruzione nella caverna, il grido furibondo di Brekke l'arrestò. I cavalieri bronzei raggruppati intorno a lei cominciavano a risentire degli effetti del volo nuziale interrotto. «Cosa fa lei, qui? Come osa?» stava urlando Brekke, con una voce resa stridula dalla bramosia, non meno che dal furore. «Questi sono i miei draghi! Come osa? La ucciderò!» La litania si spezzò in un urlo penetrante di sofferenza, e Brekke si piegò su se stessa, inarcando la spalla destra come per proteggersi la testa. «Il mio occhio! Il mio occhio! Il mio occhio!» Brekke si coprì l'occhio destro, contorcendosi nell'incontrollabile, inconscia mimesi del combattimento aereo su cui era sintonizzata. «L'ucciderò! L'ucciderò! No! No! Non può sfuggirmi. Andate via!» All'improvviso, il volto di Brekke assunse un'espressione astuta, tutto il suo corpo si attorse, sinuosamente. I cavalieri bronzei stavano cambiando: non erano più completamente avvinti dallo strano rapporto mentale con le loro bestie. Paura, dubbio, indecisione, disperazione s'incidevano sui loro volti. La coscienza umana stava ritornando, in parte, e lottava contro la reazione dei draghi all'interruzione del volo nuziale. Quando T'bor tese le mani per afferrare Brekke, nei suoi occhi si rifletteva una paura umana. Ma lei era completamente immedesimata con Wirenth, e l'incredibile espressione di trionfo sul suo volto traduceva l'esaltazione di Wirenth per essere sfuggita alla cattura, per aver trascinato Prideth lontana dal cerchio
delle regine. «Prideth si è levata, T'bor! Le regine stanno combattendo,» gridò F'nor. Un cavaliere cominciò a urlare, e quel suono spezzò l'ipnosi di altri due, che fissarono storditi le contorsioni di Brekke. «Non toccatela!» gridò F'nor, avanzando per allontanare T'bor e un altro. Le si avvicinò il più possibile: ma gli occhi frenetici di lei non lo vedevano, non vedevano nulla, nel Weyr. Poi Brekke parve scattare, spalancando l'occhio sinistro con una gioia sacrilega, contraendo le labbra mentre i suoi denti si piantavano in una preda immaginaria, ed il corpo s'inarcava nel violento sforzo empatico. All'improvviso sibilò, girando la testa a lato, sopra la spalla destra, mentre il suo volto rispecchiava incredulità, orrore, odio. Altrettanto improvvisamente, il suo corpo fu scosso da una convulsione massiccia. Urlò di nuovo: questa volta era un urlo mortale di terrore e di angoscia. Si portò una mano alla gola, e con l'altra cercò di scacciare un assalitore invisibile. Ritta sulle punte dei piedi, si tese, in uno slancio tormentoso. Con un grido che era più un gemito ansimante che un urlo, girò su se stessa. Nei suoi occhi c'era di nuovo l'anima di Brekke, torturata, atterrita. Poi le palpebre si chiusero, e il suo corpo crollò di colpo, e F'nor riuscì a sorreggerla appena in tempo. Le pietre del Weyr parvero riverberare della trenodia lugubre dei draghi. T'bor, manda qualcuno a prendere Manora,» gridò F'nor, rauco, mentre portava Brekke al suo giaciglio. Quel corpo era così leggero, tra le sue braccia... come se tutta la sostanza ne fosse defluita. La tenne stretta al petto con un braccio, sforzandosi di cercare il polso, sul collo, con la mano libera. La vena pulsava... appena appena. Cos'era accaduto? Com'era possibile che Kylara avesse permesso a Prideth di avvicinarsi a Wirenth? «Sono sparite entrambe,» disse T'bor, mentre entrava barcollando nella stanza e si lasciava cadere sulla cassapanca, scosso da un tremito violento. «Dov'è Kylara? Dov'è?» «Non lo so. Sono partito questa mattina, con gli esploratori.» T'bor si passò una mano sul volto. Il trauma cancellava dalla sua carnagione il colorito rubizzo. «Il lago era inquinato...» F'nor ammucchiò le coperte di pelliccia intorno al corpo immoto di Brekke. Le posò una mano sul petto, e lo sentì sollevarsi e abbassarsi, impercettibilmente. F'nor?
Era Canth, ed il suo richiamo era così fievole, così penoso che l'uomo chiuse gli occhi per la sofferenza del drago. Sentì qualcuno afferrargli la spalla. Aprì le palpebre e vide la pietà, la comprensione negli occhi di T'bor. «Non puoi più fare nulla per lei, ora, F'nor.» «Vorrà morire! Non permetteteglielo!» disse. «Non lasciate morire Brekke!» Canth era sul cornicione: i suoi occhi brillavano cupi. Barcollava per lo sfinimento. F'nor cinse con le braccia la grande testa china: la loro angoscia era così intensa che entrambi sembravano ardere per il dolore. Troppo tardi. Prideth si era levata. Troppo vicina a Wirenth. Neppure le regine hanno potuto far nulla. Ho tentato, F'nor. Ho tentato. Lei... è precipitata così in fretta. E mi si è rivoltata. Poi è andata in mezzo. Non sono riuscito a trovarla, in mezzo. Rimasero insieme, immoti. Lessa e Manora li videro quando Ramoth irruppe, volando in cerchio, sul Weyr delle Terre Alte. All'urlo di Canth, Ramoth era accorsa dal Terreno della Schiusa, chiamando a gran voce la sua compagna e chiedendo una spiegazione di quel comportamento. Ma F'lar, convinto di conoscere la ragione dell'arrivo di Canth, l'aveva rassicurata, fino a quando Ramoth li aveva informati che Wirenth s'era levata per il volo nuziale. E Ramoth aveva saputo istantantaneamente anche quando s'era levata Prideth, ed era andata in mezzo a Nabol per interrompere la lotta mortale, se ne avesse avuto la possibilità. Quando Wirenth aveva trascinato Prideth in mezzo, Ramoth era tornata al Weyr di Benden a prendere Lessa. I draghi di Benden lanciarono ululati dolorosi, e subito tutto il Weyr fu informato del disastro. Ma Lessa attese solo il tempo necessario perché Manora raccogliesse i medicinali. Quando Lessa e la sovrintendente raggiunsero il cornicione del Weyr di Brekke e l'uomo ed il drago uniti nel dolore, la Dama del Weyr guardò ansiosamente Manora. C'era qualcosa di pericoloso, in quell'immobilità. «Lo supereranno insieme. Sono insieme, adesso più che mai,» disse Manora, con una voce che era un rauco bisbiglio. Passò loro davanti in silenzio, a testa china, percorrendo in fretta il corridoio per raggiungere Brekke. «Ramoth?» chiese Lessa, abbassando lo sguardo verso la sua regina che si era posata sulla sabbia. Non dubitava della saggezza di Manora, ma vedere F'nor così ridotto la sconvolgeva. Era così simile a F'lar...
Ramoth lanciò un grido sommesso e ripiegò le ali. Sui cornicioni intorno alla Conca, gli altri draghi si acquattavano, preparandosi a una veglia inquieta. Quando Lessa entrò nella Grotta del Weyr, distolse lo sguardo dal giaciglio vuoto del drago, e si arrestò di colpo La tragedia si era conclusa da pochi minuti soltanto, ed i nove cavalieri bronzei erano ancora in preda a un trauma violento. Era comprensibile, pensò Lessa, profondamente addolorata. Venire eccitati al massimo dell'intensità e poi ritrovarsi non soltanto delusi, ma anche disastrosamente privati di due regine in una sola volta! Sia che un bronzeo conquistasse o no la regina, tutti erano profondamente legati a lei... Tuttavia, concluse energicamente Lessa, in quel Weyr desolato doveva pur esserci qualcuno dotato di buon senso. Poi interruppe quel pensiero. Era stata Brekke, la più responsabile, la più assennata di tutti. Si voltò per andare a cercare uno stimolante per i cavalieri storditi, poi udì i passi irregolari e il respiro ansimante di qualcuno che sopraggiungeva correndo. Due lucertole verdi sfrecciarono nel Weyr, si librarono trillando agitate mentre una ragazzina si precipitava verso di lei. Riusciva a sorreggere a malapena il grosso vassoio che teneva tra le mani e piangeva, scossa dai singhiozzi «Oh!» gridò, vedendo Lessa. Represse i singulti, tentò di eseguire una riverenza e contemporaneamente di asciugarsi il naso sulla spalla. «Bene, tu sei una ragazzina di buon senso,» fece Lessa in tono energico ma affettuoso. Afferrò un'estremità del vassoio e aiutò la ragazzina a posarlo sul tavolo. «Hai portato qualcosa di forte?» le chiese, indicando le bottiglie di terracotta prive di indicazione «Tutto quello che ho potuto trovare» La risposta finì in un singhiozzo. «Su.» Lessa le porse una tazza semipiena, indicando con il capo il più vicino dei cavalieri. Ma la piccola era immobile: fissava la tenda con il viso alterato dall'angoscia, inondato dalle lacrime. Si torceva le mani con movimenti così violenti che le nocche spiccavano bianche sotto la pelle «Tu sei Mirrim?» La ragazzina annuì, senza distogliere gli occhi dalla tenda chiusa. Sopra di lei, le lucertole verdi ronzavano, echeggiando il suo dolore. «C'è Manora con Brekke, Mirrim.» «Ma... ma lei morirà. Morirà. Dicono che anche il cavaliere muore, quando viene ucciso il drago. Dicono...» «Ne dicono troppe,» cominciò Lessa. In quel momento Manora compa-
riva sulla soglia. «È viva. Il sonno è la cosa migliore per lei, adesso.» Chiuse la tenda e guardò gli uomini. «Questi farebbero bene ad andare a dormire. Sono tornati i loro draghi? E questa chi è?» Manora sfiorò dolcemente la guancia della ragazzina. «Mirrim? Ho sentito dire che avevi delle lucertole verdi.» «Mirrim ha avuto il buon senso di portare il vassoio,» fece Lessa, attirando lo sguardo di Manora. «Brekke... Brekke vorrebbe...» Mirrim non riuscì ad andare avanti. «Brekke è una persona ragionevole,» disse Manora energicamente, e strinse le dita di Mirrim intorno a una tazza, la spinse verso uno dei cavalieri. «Aiutaci. Questi uomini hanno bisogno del nostro aiuto.» Stordita, Mirrim si mosse, scuotendosi per intervenire quando il cavaliere bronzeo si mostrò incapace di prendere in mano la tazza. «Mia signora,» mormorò Manora, «abbiamo bisogno del Comandante del Weyr. I Weyr di Ista e di Telgar ormai debbono essere impegnati a combattere i Fili e...» «Eccomi,» disse F'lar, dalla soglia del Weyr. «E berrò anch'io un sorso di quella roba. Il freddo in mezzo mi ha agghiacciato le ossa.» «Qui abbiamo già più stupidi di quanti ce ne occorrano,» esclamò Lessa: ma s'illuminò in volto nel vederlo. «Dov'è T'bor?» Manora indicò la stanza di Brekke. «Bene. Allora, dov'è Kylara?» Il freddo in mezzo era nella sua voce. Prima di sera nel Weyr delle Terre Alte, nonostante la profonda demoralizzazione, s'era ristabilita una parvenza d'ordine. I draghi bronzei erano ritornati tutti, e avevano mangiato, e i cavalieri si rintanarono insieme alle loro bestie, sotto l'effetto dei sonniferi. Kylara era stata trovata. O meglio, era stata riconsegnata dal cavaliere verde assegnato alla Fortezza di Nabol. «Qualcuno meriterebbe di finire squartato, là,» disse l'uomo, torvo in viso. «Riferiscimi cos'è accaduto, S'goral» F'lar annuì, come per dichiararsi d'accordo con lui. «Lei è arrivata alla Fortezza questa mattina: ha detto che qui il lago era inquinato e non c'erano barili per le scorte d'acqua. Ricordo di avere avuto l'impressione che Prideth sembrava dorata per dover essere in giro. Era
fuori ciclo, vedi. Ma si è posata sulle alture insieme al mio verde, tranquillamente, e così ho continuato a insegnare a quelli della Fortezza come comportarsi con le loro lucertole di fuoco.» S'goral, evidentemente, non aveva molta simpatia per i suoi allievi. «Lei è entrata insieme al Signore di Nabol. Più tardi, ho visto le loro lucertole prendere il sole sul davanzale della stanza da letto del Signore.» S'interruppe, guardando i suoi ascoltatori, con un'espressione ancora più torva. «Noi ci eravamo concessi una pausa, quando il mio verde ha gridato. Sicuro, c'erano dei draghi in cielo, molto in alto. Io ho capito che era un volo nuziale. Impossibile sbagliare. Poi Prideth ha cominciato ad urlare. È piombata sul bestiame migliore di Nabol. Ho atteso un po', sicuro che lei era al corrente di quello che stava succedendo, ma non si è fatta vedere. Sono andato a cercarla. Sulla porta c'erano le guardie del corpo di Nabol. Il Signore non voleva essere disturbato. Beh, l'ho disturbato io. Gli ho fatto smettere di fare quel che stava facendo. E cosa stava facendo! Erano loro che scatenavano Prideth. Questo, e il fatto che anche lei era ormai così vicina a levarsi, e vedere un volo nuziale lassù, per così dire. Non si può trattare un drago in questo modo.» Poi l'uomo scosse il capo. «Io e il mio verde non potevamo far niente, lì. Così siamo andati al Weyr di Fort, a chiamare quelle regine. Ma...» E allargò le braccia in un gesto d'impotenza. «Hai fatto ciò che dovevi, S'goral,» gli disse F'lar. «Non potevo fare nient'altro,» insistette l'uomo, come se provasse ancora un senso di colpa. «È già stata una fortuna che tu fossi là,» dichiarò Lessa. «Altrimenti non avremmo mai saputo dov'era Kylara.» «Quel che voglio sapere è cosa le succederà... adesso?» Una dura espressione vendicativa si sostituì alla confusione e alla vergogna sul volto del cavaliere verde. «Non basta la perdita di un drago?» chiese T'bor, scuotendosi. «Anche Brekke ha perduto il suo drago,» ribatté esasperato S'goral. «E lei stava facendo il suo dovere!» «Non si possono prendere decisioni sotto la spinta dell'odio, S'goral,» disse F'lar, alzandosi. «Non esistono precedenti...» S'interruppe, volgendosi verso D'ram e G'narish. «Non nel nostro tempo, almeno.» «Non si dovrebbero prendere decisioni sotto la spinta dell'odio,» gli fece eco D'ram. << Ma vi furono incidenti simili, nel nostro tempo.» Arrossì, inspiegabilmente. «Faremo meglio a mandare qui qualche bronzeo, F'lar. Gli uomini e le bestie delle Terre Alte non saranno in buone condizioni,
domani. E con i Fili che cadono tutti i giorni, nessun Weyr può permettersi di allentare la vigilanza. Per nessuna ragione.» XIII Notte al Weyr di Fort: sei giorni dopo. Robinton era stanco, una stanchezza del cuore e della mente non cedette al fremito di emozione abituale quando il Maestro Arpista saliva sul dorso di un drago. Anzi, quasi si rammaricava di doversi recare al Weyr di Fort, quella notte. Gli ultimi sei giorni, durante i quali tutti avevano reagito in modi diversi alla tragedia delle Terre Alte, erano stati molto difficili. (Ma perché le Terre Alte dovevano causare sempre i problemi peggiori?) In un certo senso, Robinton avrebbe preferito che si rinviasse quella ricognizione visiva della Stella Rossa fino a quando gli animi si fossero rasserenati e fossero pronti ad una simile sfida. Eppure, forse la soluzione migliore consisteva nell'accelerare la spedizione alla Stella Rossa, per quanto era possibile... come antidoto alla depressione che era seguita alla morte delle due regine. Robinton sapeva che F'lar teneva a dimostrare ai Signori delle Fortezze l'intenzione dei dragonieri di sgombrare l'aria dai Fili: ma una volta tanto il Maestro Arpista non aveva un'opinione precisa. Non sapeva se F'lar faceva bene ad insistere, soprattutto in un momento simile, soprattutto perché non si era ancora ripreso dalla ferita infertagli da T'ron. E poi, non si sapeva come se la cavasse T'kul nel Weyr Meridionale, e neppure se avesse intenzione di restare laggiù. E tutto Pern era sconvolto dalla battaglia e dalla morte delle due regine. La gente aveva troppe cose da razionalizzare, aveva troppo da fare, con i capricci della Caduta dei Fili che complicavano l'andamento stagionale dell'aratura e della semina. Forse era meglio rinviare ad un'altra occasione l'attacco alla Stella Rossa. Altri draghi stavano arrivando al Weyr di Fort e il marrone che trasportava Robinton s'inserì nella fiumana. Sarebbero atterrati alla Pietra della Stella dove Wansor, il vetraio di Fandarel, aveva impiantato il telescopio. «Tu hai avuto occasione di guardare con quello strumento?» chiese Robinton al cavaliere marrone. «Io? No, Maestro Arpista. Tutti gli altri ci tengono moltissimo. Immagino che resterà là fino a quando sarà venuto il mio turno.» «Wansor l'ha installato permanentemente al Weyr di Fort?» «È stato scoperto al Weyr di Fort,» rispose il cavaliere, in tono vaga-
mente difensivo. «Fort è il Weyr più antico, lo sai. P'zar pensa che debba restare qui. E il Maestro Fabbro è d'accordo. Wansor continua a ripetere che se l'avevano sistemato a Fort doveva esserci una buona ragione. Per via dell'elevazione e degli angoli e dell'altezza delle montagne del Weyr. Non ho capito bene.» Non capisco neppure io, pensò Robinton. Ma voleva capire. Era d'accordo con Fandarel e Terry: era necessario che vi fosse un interscambio d'informazioni tra le Arti. Senza dubbio, Pern aveva perso molte delle sue tecniche tanto rimpiante per colpa delle gelosie tra le Arti. Bastava che un Maestro morisse prematuramente, prima di avere trasmesso tutti i segreti della sua Arte, perché andassero perdute per sempre informazioni preziose. Non che Robinton o il suo predecessore avessero mai abbracciato quelle ridicole convinzioni. C'erano cinque arpisti anziani che sapevano tutto ciò che sapeva lui, e tre promettenti arpisti qualificati che studiavano con impegno per migliorare il fattore di sicurezza. Una cosa era custodire i segreti pericolosi, un'altra lasciare estinguere il patrimonio di conoscenza delle Arti. Il Drago marrone si posò sulle alture del Weyr di Fort e Robinton si lasciò scivolare dalla morbida spalla. Ringraziò la bestia. Il marrone s'innalzò d'una mezza lunghezza dal punto in cui s'era posato, e poi si tuffò giù nel precipizio, verso la Conca, per lasciare a qualche altro drago il posto per atterrare. Sulla stretta sommità dell'altura erano stati sistemati dei lumi che portavano verso la massiccia Pietra della Stella, profilata in nero contro il cielo notturno un poco più chiaro. Fra i presenti, Robinton distinse la figura enorme del Maestro Fabbro, quella un po' obesa di Wansor e quella snella di Lessa. Sulla Pietra più ampia e piatta, Robinton scorse il supporto a tripode su cui era stata montata la lunga canna del telescopio. A prima vista, fu deluso da quella semplicità: un cilindro grande, con un tubo sottile fissato all'estremità. Poi sorrise. Il Fabbro doveva smaniare per il desiderio di smontare quello strumento e di scoprire i principi della sua semplice efficienza. «Robinton, come stai?» chiese Lessa, andandogli incontro con la mano tesa. L'Arpista strinse quella manina morbida tra le dita callose. «Stavo riflettendo sui fattori dell'efficienza,» ribatté lui, ostentando un tono disinvolto. Ma non seppe trattenersi dal chiedere notizie di Brekke, e sentì le dita di Lessa tremare nelle sue.
«Sta bene, per quanto ci si può aspettare. F'nor ha insistito perché la portassimo nel suo Weyr. È legato emotivamente a lei... non solo per gratitudine, dato che lei l'aveva curato. Brekke non è mai sola: ci sono F'nor, Manora e Mirrim a farle compagnia.» «E... Kylara?» Lessa ritirò la mano. «È viva!» Robinton non disse nulla e, dopo qualche istante, Lessa riprese a parlare. «È stato doloroso perdere Brekke come Dama del Weyr...» S'interruppe e aggiunse, in tono leggermente più aspro. «E poiché è chiaro che una persona può imprimere lo Schema di Apprendimento più di una volta a più di una specie di draghi, Brekke verrà presentata come candidata, quando si schiuderanno le uova di Benden. Dovrebbe essere presto.» «Mi risulta,» disse Robinton, scegliendo scrupolosamente le parole, «che non tutti sono favorevoli a questa deviazione dalle tradizioni.» Sebbene non riuscisse a scorgere il volto di Lessa nell'oscurità, sentì che lei lo fissava. «Questa volta non sono gli Antichi. Immagino siano sicuri che Brekke non può imprimere lo Schema una seconda volta: e sono indifferenti.» «E chi, allora?» «F'nor e Manora si oppongono con tutte le loro forze.» «E Brekke?» Lessa sbuffò, spazientita. «Brekke non dice nulla. Non apre neppure gli occhi. Non è possibile che dorma sempre. Le lucertole e i draghi ci dicono che è sveglia, vedi,» e l'esasperazione traspariva dal suo rigido autocontrollo, perché era più preoccupata per Brekke di quanto volesse ammettere. «Lei può udire tutti i draghi. Come me. È l'unica Dama del Weyr che possa farlo, oltre me. E tutti i draghi l'ascoltano.» Lessa si mosse, inquieta: Robinton vide che si passava le sottili mani bianche lungo i fianchi, in un gesto d'inconscia agitazione. «E questo senza dubbio è utile, se avesse intenzione di suicidarsi.» «Brekke non... non si suiciderebbe. È nata e cresciuta tra gli artigiani, lo sai,» rispose Lessa in un tono di brusca disapprovazione. «No, non lo sapevo,» mormorò Robinton, dopo una pausa. Pensava che Lessa non si sarebbe suicidata in una circostanza simile, e si chiedeva cosa c'entrasse l'origine di Brekke. «È questo il suo guaio. Non può cercare attivamente la morte, perciò resta lì distesa, passiva. Io,» fece Lessa, stringendo i pugni, «provo l'impulso irresistibile di pizzicarla o di schiaffeggiarla o di percuoterla... qualunque
cosa, pur di ottenere una reazione. Non è la fine del mondo, dopotutto. Lei può udire gli altri draghi. Non è isolata da ogni contatto con la loro specie, come è accaduto a Lytol.» «Deve avere il tempo di riprendersi dal trauma...» «Lo so, lo so,» fece irritata Lessa. «Ma non abbiamo tempo. Non riusciamo a farle capire che per lei è meglio fare qualcosa...» «Lessa...» «Non mettertici anche tu, Robinton.» Nel chiarore dei lumi, gli occhi della Dama del Weyr brillarono irosamente «F'nor non capisce più nulla. Manora è fuori di sé per la preoccupazione per tutti e due, e Mirrim non fa altro che piangere, e le sue tre lucertole si agitano, e questo sconvolge tutti i draghi più giovani. E per completare il guaio, F'lar...» «F'lar?» Robinton si era chinato verso di lei, in modo che nessun altro protesse ascoltare la risposta. «Ha la febbre. Non avrebbe mai dovuto venire alle Terre Altre con quella ferita aperta. Sai bene che effetto ha il freddo in mezzo sulle ferite non rimarginate!» «Speravo di trovarlo qui, stanotte.» La risata di Lessa aveva un suono acido. «Gli ho drogato il klah mentre lui non guardava.» Robinton ridacchiò. «E l'hai rimpinzato di tè di muschio, ci scommetto.» «Sì, e l'ho usato anche per fare impacchi alla ferita.» «È un uomo molto forte, Lessa. Guarirà.» «C'è da sperarlo. Se almeno F'nor...» E Lessa s'interruppe. «Parlo come un wherry, eh?» Sospirò e alzò la testa verso Robinton, con un sorriso. «Neppure per idea, mia cara Lessa, te lo assicuro. Comunque, il Weyr di Benden è degnamente rappresentato.» Eseguì un piccolo inchino che almeno la fece ridere, sebbene lei scrollasse le spalle. «Anzi,» continuò l'Arpista, «sono quasi contento che F'lar non sia qui, a inveire contro quanto gli impedisce di eliminare tutti i Fili che vedrà in quello strumento.» «Questo è vero.» Robinton captò una sfumatura tagliente nella voce di lei. «Non so...» Lessa non terminò la frase, e si girò così in fretta per osservare l'atterraggio di un altro drago da dare a Robinton la certezza che non approvava in F'lar l'intenzione di attaccare la Stella Rossa. All'improvviso, la Dama di Benden s'irrigidì, trattenendo bruscamente il respiro. «Meron! Cosa crede di fare, qui?» «Calma, Lessa. Non mi piace trovarmelo intorno più di quanto piaccia a
te, ma preferisco tenerlo sott'occhio, se capisci cosa intendo.» «Ma non ha nessuna influenza sugli altri Signori...» Robinton proruppe in una risata aspra. «Mia cara Dama del Weyr, considerando l'influenza che ha esercitato in altri campi, non ha bisogno dell'appoggio dei Signori.» Robinton era sbalordito della sfrontatezza di quell'uomo, che compariva in pubblico sei giorni dopo avere contribuito a causare la morte di due regine. Il Signore di Nabol si avviò con fare insolente verso il punto focale della riunione, con la lucertola bronzea appollaiata sull'avambraccio: la creaturina teneva le ali protese per mantenere l'equilibrio e cominciò a sibilare quando percepì l'ostilità generale nei confronti di Meron. «E questo... questo tubo innocuo è lo strumento incredibile che ci mostrerà la Stella Rossa?» chiese Meron di Nabol in tono irridente. «Non toccarlo, ti supplico.» Wansor si fece avanti per bloccare la mano tesa di Meron. «Cos'hai detto?» Il sibilo della lucertola non era meno minaccioso del tono del suo padrone. Il volto magro del Signore, alterato dall'indignazione, appariva ancora più malevolo nel chiarore fioco dei lumi. Fandarel uscì dall'oscurità e si mise al fianco del suo artigiano. «Lo strumento è stato sistemato perché si possa vedere la Stella. Muovendolo si annullerebbe il lavoro meticoloso di parecchie ore.» «Se è in posizione perché si possa vedere la Stella, allora lasciaci guardare!» disse Meron e, dopo aver girato intorno a sé un'occhiata bellicosa, passò oltre Wansor. «Allora? Cosa ci fai con questo coso?» Wansor lanciò un'occhiata interrogativa al colossale Fabbro che scosse leggermente la testa per accennargli di scostarsi. Con un sospiro di sollievo, Wansor si tirò in disparte e lasciò il posto a Fandarel. Con due dita nodose, il Fabbro strinse la piccola protuberanza rotonda alla sommità del cilindro più piccolo. «Questo è l'oculare. Accosta l'occhio con cui vedi meglio,» disse a Meron. Al Signore di Nabol non sfuggì che il Fabbro aveva omesso di dargli il titolo che gli spettava. Si capiva benissimo che avrebbe voluto rimbrottare il Fabbro. Se fosse stato Wansor a parlargli così, non avrebbe esitato un secondo, pensò Robinton. Meron contrasse le labbra in un sogghigno e, barcollando leggermente, compì l'ultimo passo per avvicinarsi al telescopio. Si chinò un poco e avvi-
cinò l'occhio. Poi si ritrasse con un sussulto, con un'espressione fuggevole di terrore e di turbamento. Rise, inquieto, e poi tornò a guardare, questa volta più a lungo, si disse Robinton. «Se l'immagine non è abbastanza nitida, Nobile Meron...» cominciò incerto Wansor. «Silenzio!» Allontanandolo con un gesto impaziente, Meron continuò a monopolizzare lo strumento. «Basta così, Meron,» disse Groghe, il Signore di Fort, mentre gli altri cominciavano ad agitarsi irrequieti. «Hai già potuto guardare abbastanza, per ora. Scostati. Lascia vedere agli altri.» Meron fissò insolentemente Groghe per un attimo, poi tornò a guardare nell'oculare. «Molto interessante, molto interessante,» disse, in tono reso mellifluo dal divertimento. «Basta così, Meron,» fece Lessa, accostandosi decisa allo strumento. Non era possibile accordare privilegi a quell'uomo. Meron la guardò come se fosse un insetto, freddamente e beffardamente. «Basta che cosa... Dama del Weyr?» Il suo tono trasformò il titolo in un insulto volgare. Il suo atteggiamento irradiava una familiarità così sfrontata che Robinton strinse involontariamente i pugni. Provava l'impulso folle di cancellare quell'espressione dalla faccia di Meron, cambiandogli i connotati. Il Maestro Fabbro, tuttavia, reagì più in fretta. Con le mani enormi bloccò le braccia di Meron e, con un movimento fluido, lo sollevò di peso e lo trasportò lontano dalla Pietra della Stella per quanto lo permetteva il poco spazio. Poi Fandarel lo depose così bruscamente che Meron lanciò un'esclamazione di dolore e barcollò, prima di recuperare l'equilibrio. La piccola lucertola bronzea gli volava in cerchio, stridendo, intorno alla testa. «Mia signora.» Il Maestro Fabbro s'inchinò a Lessa e, con grande cortesia, le indicò di prendere posto. Lessa dovette alzarsi in punta di piedi per arrivare all'oculare, e si rammaricò che nessuno aveva tenuto conto del fatto che non tutti gli spettatori di quella sera erano abbastanza alti. Nell'istante in cui l'immagine della Stella Rossa le arrivò al cervello, però, dimenticò quel piccolo fastidi. La Stella Rossa era là, e le sembrava quasi di poterla toccare allungando il braccio. Era un globo multicolore, come una palla per bambini, che galleggiava sullo sfondo nero. Le strane masse rosee e biancastre dovevano essere nubi. Era sconvolgente pensare che la Stella Rossa possedesse le
nuvole... come Pern. Là dove la coltre era squarciata, si scorgevano masse grigiastre, un grigio vivace ricco di scintillii. Le estremità del pianeta leggermente ovoidale erano completamente bianche, ma non coperte dalla coltre nuvolosa. Come le grandi calotte polari dell'estremo Nord di Pern. Il grigiore era punteggiato da masse più scure. Erano terre? o mari? Involontariamente Lessa mosse il capo, per guardare il punto rosso nel cielo che la magia del telescopio trasformava in quella palla-giocattolo. Poi, prima che qualcuno pensasse che lei avesse finito, tornò a guardare attraverso l'oculare. Incredibile. Sconvolgente. Se il grigio era terraferma... come potevano sbarazzarsi dei Fili? Se la terraferma era rappresentata invece dalle masse più scure... Turbata, presa all'improvviso dal desiderio che fosse qualcun altro a vedere così da vicino l'antica nemica, Lessa indietreggiò. Il Nobile Groghe si fece avanti, con aria impaziente. «Sangel, se non ti dispiace...?» Era tipico del Signore di Fort, pensò Lessa, fare la parte dell'ospite quando P'zar, che dopotutto era Comandante ad interim dei Weyr di Fort, non si era affrettato a far valere i suoi diritti. Lessa si rammaricò che F'lar non avesse potuto presenziare a quella riunione. Bene, forse P'zar si limitava a comportarsi in modo diplomatico nei confronti del Signore di Fort. Comunque, sarebbe stato il caso di tener d'occhio il Nobile Groghe... Si rifugiò accanto a Robinton: e si rendeva conto di cercare un rifugio. La presenza dell'Arpista era sempre rassicurante: egli attendeva con ansia il suo turno, ma era rassegnato da attendere. Groghe, ovviamente, avrebbe dato ai Nobili la precedenza su un arpista, anche se era il Maestro di Pern. «Vorrei che se ne andasse, quello,» mormorò Lessa, lanciando un'occhiata di sbieco a Meron. Il Signore di Nabol non aveva cercato di reinserirsi nel gruppo da cui era stato precipitosamente espulso. L'ostinazione con cui egli restava dove con tutta evidenza non era il benvenuto la distraeva un po' dalla preoccupazione, dalla rinnovata paura della Stella Rossa. Perché doveva apparire così... così innocua? Perché aveva le nubi? Avrebbe dovuto essere diversa. Lessa non sapeva immaginare in che modo avrebbe dovuto essere differente, ma avrebbe dovuto avere... un aspetto sinistro. Ma non era così. E questo la rendeva ancora più spaventosa. «Non vedo niente,» si lamentò Sangel di Boll. «Un momento, signore.» Wansor si fece avanti e cominciò a regolare una manopola. «Dimmi quando vedi chiaramente.» «Cosa dovrei vedere?» domandò irritato Sangel. «Non c'è niente, solo
un... ah! Oh!» Sangel si scostò dall'oculare come se fosse stato scottato dai Fili. Ma riprese la posizione prima che Groghe potesse chiamare al suo posto un altro Nobile. Lessa provò un certo senso di sollievo e di soddisfazione nell'osservare la reazione di Sangel. Se quei Nobili senza paura si fossero presi un adeguato spavento, forse... «Perché risplende? Da dove prende la luce? Qui è buio,» protestò il Signore di Boll. «È la luce del sole, Nobile Sangel,» rispose Fandarel, con un tono profondo e tranquillo che riduceva quel miracolo ad una normale realtà. «Com'è possibile? disse Sangel. «Il sole è dall'altra parte, adesso. Questo lo sanno anche i bambini.» «Naturalmente, ma noi non ci frapponiamo tra la Stella e quella luce. Siamo più in basso, nel cielo, per così dire: e quindi i raggi del sole la raggiungono direttamente.» Anche il Signore di Boll aveva l'aria di voler monopolizzare il telescopio. «Ora basta, Sangel,» intervenne un po' seccato Groghe. «Lascia guardare anche Oterel.» «Ma ho dato appena un'occhiata, e si è perso tempo a regolare il meccanismo,» si lagnò l'altro. Poi si scostò riluttante, perché Oterel lo guardò male e Groghe si avvicinò per scostarlo. «Permettimi di regolarti l'apparecchio, Nobile Oterel,» mormorò educatamente Wansor. «Sì, grazie. Io non sono mezzo cieco come Sangel,» disse il Signore di Tillek. «Ehi, stai a sentire, Oterel...» «È affascinante, non è vero, Nobile Sangel?» chiese Lessa, mentre si domandava quale reazione nascondeva il vociferare indispettito di quell'uomo. Sangel si raschiò la gola, stizzito, ma aggrottò la fronte con aria inquieta. «Non direi che è affascinante, ma ho potuto guardare solo per un momento.» «Abbiamo a disposizione tutta la notte, Nobile Sangel.» L'uomo rabbrividì, stringendosi nel mantello, sebbene l'aria fosse appena fresca. «Non sembra altro che una palla per bambini,» esclamò il Signore di Tillek. «Tutta confusa. Ma deve essere così?» Distolse lo sguardo dall'ocu-
lare per fissare Lessa. «No, Nobile Oterel,» intervenne Wansor. «Dovrebbe essere nitida e chiara, in modo che tu possa vedere le formazioni nuvolose.» «E come fai a saperlo?» chiese seccato Sangel. «Wansor ha regolato apposta lo strumento,» gli ricordò Fandarel. «Nubi?» chiese il Signore di Tillek. «Sì, le vedo. Ma la terra qual è? Quella chiara o quella scura?» «Ancora non sappiamo,» rispose Fandarel. «Le masse terrestri non appaiono così, neppure all'altezza massima cui un drago può portare un uomo,» disse P'zar, il Comandante del Weyr di Fort, intervenendo per la prima volta. «E gli oggetti visti ad una distanza assai maggiore cambiano ancora di più,» fece Wansor, con il tono brusco di chi sa bene quello che dice. «Per esempio, anche le montagne di Fort che ci stanno intorno cambiano radicalmente, a seconda che le si osservi dalle Alture di Ruatha o dalle pianure di Crom.» «Allora tutta quella massa scura è terraferma?» Il Nobile Oterel cercava invano di non mostrarsi impressionato. E scoraggiato, pensò Lessa. Il Signore di Tillek doveva aver nutrito la speranza di vedere compiuto lo sterminio dei Fili sulla Stella Rossa. «Non ne siamo sicuri,» rispose Wansor, con lo stesso tono autorevole. Lessa provò per lui una crescente approvazione. Un uomo (o una donna) non doveva mai avere paura di ammetterlo, quando non sapeva qualcosa. Il Signore di Tillek non voleva mollare lo strumento. Sembra quasi sperare, pensò Lessa, che se avesse continuato a guardare, avrebbe trovato un buon argomento per organizzare una spedizione. Alla fine, il Signore di Tillek si decise a dar retta agli acidi commenti di Nessel di Crom e si fece da parte. «Quale credi sia la terra, Sangel? Ma hai veramente visto qualcosa?» «Certo che ho visto. Ho visto le nubi, così come adesso vedo te.» Oterel di Tillek sbuffò sprezzante. «Il che non vuol dire molto, data l'oscurità.» «Ho visto quel che hai veduto tu, Oterel. Masse grigie, masse nere e le nubi. Una stella non le nuvole! Non ha senso. Le nubi le ha Pern!» Lessa scoppiò a ridere di fronte all'indignazione di quell'uomo, poi mimetizzò la risata con un colpo di tosse: ma notò l'aria divertita dell'Arpista e si chiese quale sarebbe stata la sua reazione alla Stella Rossa. Sarebbe stato favorevole o sfavorevole alla spedizione? E lei, esattamente, quale
atteggiamento avrebbe preferito vedergli assumere? «Sì, Pern ha le nubi,» stava dicendo Oterel, un po' sorpreso da quell'osservazione. «E se le ha, ed ha una superficie d'acque più vasta di quella continentale, allora anche per la Stella Rossa è la stessa cosa.» «Non puoi esserne sicuro,» protestò Sangel. «E deve esserci anche un sistema per distinguere l'acqua dalla terraferma,» continuò Oterel, senza dare ascolto al Signore di Boll. «Lasciami dare un'altra occhiata, Nessel,» disse, scostando il Signore di Crom. «Ehi, aspetta un momento, Tillek,» fece Nessel, posando una mano sullo strumento con aria da padrone. Quando il Signore di Tillek lo urtò, il tripode barcollò ed il telescopio, montato su un perno girevole improvvisato, assunse una direzione nuova. «Guarda cos'hai fatto!» gridò Oterel. «Io volevo solo vedere se era possibile distinguere le terra dall'acqua.» Wansor cercò di passare in mezzo ai due Signori per regolare il suo prezioso strumento. «Non mi hai lasciato il tempo che mi spettava,» lamentò Nessel, mentre cercava di conservare il possesso fisico del telescopio. «Non potrai vedere niente, Nobile Nessel, se non lascerai che Wansor punti di nuovo lo strumento sulla Stella,» disse Fandarel, accennandogli educatamente di spostarsi. «Sei stupido come un wherry, Nessel,» disse il Nobile Groghe, tirandolo via e accennando a Wansor di accomodarsi. «Lo stupido è Tillek.» «Io ho visto abbastanza per sapere che le parti scure sono meno ampie di quelle grigie,» disse Oterel, in tono difensivo. «Su Pern, c'è più acqua che terra. E la Stella Rossa è fatta nello stesso modo...» «Hai capito tutto questo con un'occhiata, Oterel?» La voce maliziosa e strascicata di Meron uscì dall'ombra, distraendo tutti. Lessa si scostò vistosamente quando Meron avanzò accarezzando con aria possessiva la lucertola bronzea. L'offendeva sentire che quella bestiola ronzava di piacere. «Saranno necessarie molte osservazioni, effettuate da occhi diversi,» dichiarò Fandarel, con la sua voce tonante di basso, «prima che siamo in grado di dire, con qualche sicurezza, com'è la Stella Rossa, Qualche rassomiglianza non è sufficiente. No, affatto.» «Sì, davvero, davvero,» Wansor assecondò il suo Maestro dell'Arte, con l'occhio inchiodato all'apparecchio, mentre lo faceva girare lentamente
verso il cielo notturno. «Perché impieghi tempo?» domandò irritato Nessel di Crom. «La Stella è là. La possiamo vedere tutti ad occhio nudo.» «Ed è tanto facile riconoscere il ciottolo verde che lasci cadere a mezzogiorno sulle sabbie di Igen?» chiese Robinton. «Ah, l'ho trovata,» gridò Wansor. Nessel si lanciò verso il telescopio, poi ritrasse la mano, ricordando ciò che poteva causare un movimento inconsulto. Tenendo entrambe le mani bene in vista dietro la schiena, tornò a guardare la Stella Rossa. Comunque Nessel non restò a lungo al telescopio. Quando Oterel si fece avanti, il Maestro Arpista fu più svelto. «Adesso è il mio turno, credo, poiché tutti i Signori delle Fortezze hanno già guardato.» «È giustissimo!» esclamò Sangel, lanciando un'occhiataccia ad Oterel. Lessa osservò attenta il Maestro Arpista, lo vide raddrizzare bruscamente le spalle sotto l'impatto della vista dell'antica nemica. Non restò troppo tempo, o almeno così parve a Lessa: si raddrizzò lentamente e guardò pensoso la Stella Rossa, librata sopra di loro nel cielo buio. «Ebbene, Arpista?» chiese altezzoso Meron. «Tu hai sempre una bella parola per ogni occasione.» Robinton lo guardò un poco più a lungo di quanto avesse scrutato la Stella. «Credo sia più saggio mantenere le distanze, tra noi e lei.» «Ah! È come pensavo.» Meron sogghignava con un'aria odiosa di trionfo. «Non sapevo che tu pensassi,» osservò Robinton, senza alzare la voce. «Cosa intendi dire, Meron?» chiese Lessa col suo tono tagliente. «Che cosa pensavi?» «Oh, dovrebbe essere ovvio.» Il Signore di Nabol non si era addolcito nei suoi confronti, dopo il primo insulto. «L'Arpista fa ciò che gli ordina il Weyr di Benden. E poiché il Weyr di Benden non ha nessuna intenzione di andare a sterminare i Fili nel loro luogo d'origine...» «E tu come lo sai?» chiese freddamente Lessa. «E su cosa basi, Nobile Nabol, l'affermazione che l'Arpista di Pern fa ciò che gli ordina il Weyr di Benden? Insisto perché tu dimostri immediatamente l'esattezza dell'accusa o la ritiri.» Robinton aveva posato la mano sull'impugnatura del suo pugnale. La lucertola bronzea posata sul braccio di Meron cominciò a sibilare e a
tendere allarmata le ali fragili. Il Signore di Nabol si accontentò di un sogghigno saputo, mentre si dava ostentatamente da fare per calmare il minuscolo drago. «Parla, Meron,» impose Oterel. «Ma è così evidente! Senza dubbio ve ne siete accorti tutti,» rispose Meron con maligna affabilità, fingendosi stupito dell'ottusità degli altri. «Lui nutre una passione senza speranza per... per la Dama del Weyr di Benden.» Per un momento, Lessa non seppe far altro che fissare quell'uomo, stordita. Era vero che lei ammirava e rispettava Robinton. Gli era affezionata: era sempre lieta di vederlo e non si preoccupava di nasconderlo, ma... Meron era pazzo. Cercava di minare la fiducia verso i cavalieri spargendo dicerie assurde, maligne. Prima Kylara e adesso... Eppure la debolezza di Kylara, la sua dissolutezza, l'opinione generale che le Fortezze e le Arti nutrivano nei confronti dei costumi dei Weyr rendevano così plausibile quell'accusa... La gioviale sghignazzata di Robinton la sbalordì e cancellò il sorriso dalla faccia di Meron di Nabol. «La Dama del Weyr di Benden esercita su di me un fascino minore di quello del vino di Benden!» Sulle facce intorno a lei comparvero espressioni di sollievo così intenso che Lessa si rese conto, con una stretta al cuore, che i Signori delle Fortezze erano stati ad un passo dal credere alla calunnia invidiosa di Meron. Se Robinton non avesse reagito in quel modo, se lei avesse cominciato a protestare contro l'accusa... Sorrise sarcasticamente anche lei, perché l'amore per il vino del Maestro Arpista, in particolare per il vino di Benden, era così noto da apparire assai più plausibile della calunnia di Meron. Il ridicolo era una difesa migliore della verità. «Inoltre,» proseguì in tono più serio Robinton, «il Maestro Arpista di Pern non ha un'opinione precisa sulla Stella Rossa... neppure un versetto. Perché quella... quella palla da bambini gli incute una tremenda paura e gli ispira un gran desiderio di quel vino di Benden, in quantità illimitate.» Nella voce di Robinton non c'era più la minima traccia d'ilarità. «Conosco troppo bene la storia e la tradizione del nostro amato Pern. Ho cantato troppe ballate sui pericoli della Stella Rossa per aver voglia di avvicinarmi di più. Già quello strumento,» e indicò il telescopio, «me la porta troppo vicina. Ma gli uomini che debbono combattere i Fili giorno per giorno, Giro per Giro, possono guardarla con minor spavento del povero Arpista. E... Meron, Signore di Nabol, puoi scommettere ogni campo e ogni barac-
ca ed ogni sala del tuo dominio che i dragonieri di tutti i Weyr sarebbero felici di liberarsi dell'obbligo di proteggere la tua pelle dai Fili... anche se questo dovesse significare spazzarli via dalla Stella.» La veemenza di Robinton costrinse Meron ad arretrare di un passo e a posare una mano sull'agitatissima lucertola di fuoco. «Game potete tutti voi,» e il rimprovero dell'Arpista si estese agli altri quattro Nobili, «dubitare che i cavalieri dei draghi non sarebbero sollevati quanto voi di vedere finire tanti secoli di dedizione alla vostra sicurezza? Non sono tenuti a difendervi dai Fili. Tu Groghe, e tu, Sangel e Nessel e Oterel, ormai dovreste rendervene conto tutti quanti. Avete avuto a che fare con T'kul e con T'ron. «Lo sapete benissimo ciò che i Fili fanno ad un uomo. E sapete ciò che accade quando muore un drago. Oppure debbo rammentarvi anche questo? Credete sinceramente che i cavalieri desiderino prolungare questa situazione? Che cosa ne ricavano? Non molto! Non molto! Le ustioni che subiscono valgono qualche sacco di grano, o una lama donata dal Fabbro? La morte di un drago è davvero compensata da una pezza di stoffa o da un magro animale da macello? «E se esistevano strumenti che permettevano all'uomo di vedere, con i suoi miseri occhi, quel gingillo luminoso nel cielo, perché ci sono ancora i Fili? Se si tratta semplicemente di trovare le coordinate e di compiere il balzo, non è possibile che in passato i dragonieri l'abbiano già tentato? E che abbiano fallito perché quelle masse grigie visibili tanto chiaramente non sono acqua, o terra, ma innumerevoli Fili, che turbinano e brulicano, fino a quando gli strati più alti, mossi da una forza misteriosa, possono svincolarsi per venire a tormentare noi? Non è possibile che, sebbene vi siano le nubi, queste siano non di vapore acqueo come quelle di Pern, ma di qualcosa di mortale, più pericoloso per noi degli stessi Fili? Come possiamo sapere che non troveremo le ossa di draghi e cavalieri perduti da tempo immemorabile, sulle distese scure di quel pianeta? Vi sono tante cose che noi non sappiamo... e, sì, penso sia più saggio mantenere le distanze. Ma credo che il tempo della saggezza sia ormai passato e che dobbiamo affidarci alla follia dei coraggiosi, augurandoci che sia sufficiente, per loro e per noi. Perché,» concluse l'Arpista, volgendosi lentamente verso Lessa, «sebbene il cuore mi si stringa per la paura e per l'angoscia, io credo che i dragonieri di Pern andranno sulla Stella Rossa.» «Questa è l'intenzione di F'lar,» dichiarò Lessa con voce forte e sonante, a testa alta. A differenza dell'Arpista non poteva ammettere di avere paura, neppure di fronte a se stessa.
«Sì,» tuonò Fandarel, chinando la grande testa. «Infatti F'lar ha incaricato me e Wansor di effettuare molte osservazioni della Stella Rossa, in modo che sia possibile inviare al più presto una spedizione.» «E quanto tempo dovremo attendere che si compia questa spedizione?» chiese Meron, come se l'Arpista non avesse mai parlato. «Suvvia, come puoi pretendere che qualcuno fissi una data... un momento preciso?» chiese Groghe. «Ah, ma il Weyr di Benden è così abile nel fornire tempi e date e schemi, non è vero?» ribatté Meron in tono così untuoso che Lessa provò l'impulso di graffiarlo. «E ha salvato anche i tuoi profitti, Nabol,» osservò Oterel. «Hai qualche idea, Dama del Weyr?» chiese Sangel a Lessa, ansiosamente. «Io debbo completare le osservazioni,» s'intromise Wansor in tono nervoso. «Sarebbe una pazzia... un'assurdità, prima che abbiamo visto l'intera Stella Rossa, e possiamo documentare i caratteri distintivi delle varie masse colorate. Dobbiamo vedere con che frequenza le nubi la coprono. Oh, vi sono molte indagini preliminari da svolgere. E poi, una specie di...» «Capisco,» l'interruppe Meron. Non avrebbe mai smesso di sorridere, quell'uomo? Eppure, pensò Lessa, quell'ironia poteva giocare in loro favore. «Potrebbe essere un progetto tale da occupare tutta una vita,» continuò il Signore di Nabol. «No, se non conosco male F'lar,» ribatté asciutto l'Arpista. «Da un po' di tempo ho la sensazione che il Comandante del Weyr di Benden prenda come un'offesa personale i recenti capricci del nostro antico flagello, poiché eravamo convinti che fosse riuscito a inquadrarli con molta precisione.» Nel tono dell'Arpista c'era uno scherno bonario che fece sbuffare Oterel di Tillek. Il Nobile Groghe assunse un'aria pensierosa: probabilmente non aveva ancora dimenticato la risposta datagli da F'lar il giorno prima. «Un'offesa a Benden?» chiese Sangel, perplesso. «Ma le sue tabelle dei tempi sono risultate esatte per molti Giri. Le ho usate io stesso, e non ho mai trovato che sbagliassero, fino a queste ultime settimane.» Meron batté un piede, abbandonando la sua posa affettata. «Siete tutti sciocchi. Vi lasciate abbindolare dall'Arpista. Non vedremo mai finire i Fili: né durante la sua vita, né durante la vostra. E continueremo a pagare le decime, a comportarci con deferenza verso i dragonieri e le
loro donne, finché questo pianeta girerà intorno al Sole. E non c'è nessuno, tra voi Signori, nessuno che abbia il coraggio di forzare la situazione. Noi non abbiamo bisogno dei dragonieri. Non ne abbiamo bisogno. Abbiamo le lucertole di fuoco che divorano i Fili...» «Allora debbo informare T'bor del Weyr delle Terre Alte che le sue squadriglie non dovranno più proteggere Nabol? Sono certa che per lui sarebbe un sollievo,» osservò Lessa con il suo tono più lieve e più dolce. Il Signore di Nabol le lanciò un'occhiata di odio intenso. La lucertola di fuoco si raccolse, sibilando, come se stesse per lanciarsi. Un limpido grido di Ramoth quasi assordò i presenti. La lucertola di fuoco scomparve con uno strido. Balbettando imprecazioni, Meron si precipitò lungo il sentiero illuminato verso il punto dell'atterraggio, chiedendo a voce aspra il suo drago. Il verde apparve con tale alacrità da dare a Lessa la certezza che Ramoth l'aveva chiamato mentre comandava alla piccola lucertola di non aggredirla. «Non ordinerai davvero a T'bor di smettere di proteggere Nabol, non è vero, Dama del Weyr?» chiese Nessel di Crom. «Dopotutto, le mie terre confinano con le sue...» «Nobile Nessel,» cominciò Lessa: aveva intenzione di dirgli che lei innanzi tutto non ne aveva l'autorità e che... «Nobile Nessel,» ripeté invece, con un sorriso, «avrai notato che il Signore di Nabol non lo ha chiesto, dopotutto. Comunque,» e sospirò, drammaticamente, «siamo stati tentati di punirlo per la parte che ha avuto nella morte di due regine.» Poi tornò a sorridere a Nessel, con fierezza. «Ma nelle sue terre vi sono centinaia di innocenti, ed altri che gli stanno intorno e non debbono soffrire a causa del suo... del suo... come debbo dire? Del suo comportamento irrazionale.» «E questo mi spinge a chiedere,» intervenne Groghe, schiarendosi frettolosamente la gola, «che cosa avete intenzione di fare con quella... con quella Kylara?» «Niente,» disse Lessa, in tono secco e duro, sperando di chiudere l'argomento. «Niente?» Groghe s'indignò. «Ha causato la morte di due regine, e voi non fate niente?» «I Signori delle Fortezze fanno forse qualcosa, per ciò che riguarda Meron?» chiese Lessa, scrutando i quattro presenti con aria severa. Vi fu un lungo silenzio. «Devo tornare al Weyr di Benden. L'alba ed un altro giorno di guardia, là, giungono anche troppo presto. Stiamo impedendo a Wansor e a Fandarel di eseguire le osservazioni che ci permetteranno di raggiunge-
re la Stella.» «Prima che monopolizzino lo strumento, vorrei dare un'altra occhiata,» chiese Oterel di Tillek a voce alta. «Ho gli occhi molto acuti...» Lessa si sentiva stanchissima, quando chiamò a sé Ramoth. Voleva tornare al Weyr di Benden, non tanto per dormire quanto per vedere come stava F'lar. C'era Mnementh con lui, naturalmente, e avrebbe riferito ogni cambiamento delle condizioni del suo cavaliere... E io te l'avrei detto, fece Ramoth, un po' offesa. «Lessa,» le giunse la voce dell'Arpista. «Sei favorevole a questa spedizione?» Lessa alzò lo sguardo verso il volto di Robinton, rischiarato dai lumi del sentiero. Aveva un'espressione neutrale, e lei si chiese se pensava davvero ciò che aveva detto poco prima, alla Roccia della Stella. Sapeva dissimulare con tanta facilità, e così spesso contro le sue stesse inclinazioni, che lei talvolta si domandava quali fossero veramente, i propri pensieri. «Mi fa paura. Mi fa paura perché mi sembra così verosimile che qualcuno abbia già tentato. Chissà quando. Non sembra logico...» «Nelle Cronache si accenna che qualcuno, oltre te, sia mai balzato in mezzo tanto lontano nel tempo?» «No,» dovette ammettere Lessa. «Non tanto lontano Ma allora non ve n'era la necessità.» «Ed ora non c'è la necessità di compiere questo tipo diverso di balzo?» «Non sconvolgermi ancora di più.» Lessa non sapevo bene ciò che sentiva o pensava, ciò che pensavano o sentivano gli altri. Poi scorse l'espressione mite e preoccupata dell'Arpista e impulsivamente gli afferrò il braccio. «Come possiamo saperlo? Come possiamo esserne sicuri?» «Com'eri sicura che il Canto delle Domande potesse trovare una risposta... e che saresti stata tu a trovarla?» «E hai un nuovo Canto delle Domande per me?» «Domande, sì.» Robinton le rivolse un sorriso, stringendole la mano. «Risposte?» Scosse il capo e poi si trasse in disparte, mentre Ramoth atterrava. Ma le domande dell'Arpista erano difficili da dimenticare come il Canto delle Domande che l'aveva condotta in mezzo nel tempo. Quando tornò a Benden, si accorse che la fronte di F'lar bruciava: egli dormiva irrequieto. Tanto che, sebbene s'imponesse di dormire accanto a lui sull'ampio letto, Lessa non vi riuscì. Disperata, alla ricerca di qualcosa che placasse le sue paure, per F'lar, per l'ignoto intangibile che li attendeva, lasciò il giaciglio
e andò nel Weyr di Ramoth. La regina si destò, insonnolita e protese le zampe anteriori, come una culla. Placata dalla calda vicinanza del suo drago, Lessa finalmente si addormentò. La mattina dopo, F'lar non stava meglio: era reso querulo dalla febbre, e preoccupato da quanto lei gli aveva riferito di aver veduto. «Non so cosa pretendevi che vedessi,» fece Lessa, esasperata, dopo avergli descritto pazientemente per la quarta volta ciò che aveva scorto attraverso il telescopio. «Mi aspettavo,» rispose F'lar, con una pausa significativa, «che trovassi qualche... qualche caratteristica che consentisse ai draghi di volare in mezzo» Allontanò la coperta di pelliccia, poi scostò la ciocca ribelle dagli occhi. «Dobbiamo mantenere la promessa fatta ai Signori delle Fortezze.» «E perché? Per dimostrare che Meron ha torto?» «No. Per provare se è o non è possibile liberarci definitivamente dai Fili.» La guardò con una smorfia, come se lei fosse tenuta a conoscere la risposta. «Sono convinta che qualcun altro abbia già tentato di scoprirlo, prima di noi,» disse lei, stancamente. «E i Fili cadono ancora.» «Non significa niente,» ribatté F'lar, con tanta rabbia che cominciò a tossire, e i muscoli lesi della ferita si contrassero dolorosamente. Subito Lessa gli fu accanto, porgendogli vino distillato, addolcito e mescolato a succo dei frutti di fellis. «Voglio F'nor,» disse F'lar, stizzito. Lei lo guardò: gli spasmi della tosse l'avevano lasciato sfinito. «Se riuscimmo a staccarlo da Brekke.» F'lar strinse le labbra. «Vuoi dire che tu solo, F'lar, Comandante del Weyr di Benden, puoi ignorare la tradizione?» chiese Lessa. «Non è questo...» «Se è per il tuo progetto amatissimo che ti preoccupi, ho incaricato N'ton di procurarci dei Fili...» «N'ton?» F'lar spalancò gli occhi, sorpreso. «Sì; è un bravo ragazzo e, a giudicare da quel che ho sentito dire ieri sera al Weyr di Fort, è bravissimo a trovarsi sempre dove c'è bisogno di lui, e senza dar troppo nell'occhio.» «E allora...?» «E allora? Bene, la prima volta che al Weyr di Fort una regina si leverà
per il volo nuziale, indubbiamente diverrà lui Comandante. Ed è quel che volevi tu, no?» «Non mi riferisco a questo. Volevo sapere dei Fili.» Lessa si sentì rivoltare le viscere al ricordo. «Come pensavi tu, i bruchi sono saliti alla superficie del terreno nell'istante in cui vi abbiamo versato i Fili. E poco dopo i Fili non c'erano più.» Con gli occhi che gli brillavano, F'lar schiuse le labbra in un sorriso trionfale. «Perché non me l'hai detto prima?» A quelle parole, Lessa si piantò i pugni sui fianchi e gli lanciò una delle sue occhiate più severe. «Perché ho avuto alcune altre cosette che hanno occupato la mia mente e il mio tempo. Non si tratta di un argomento che possiamo discutere in una riunione aperta, dopotutto. Oh, persino se certi cavalieri fedelissimi come...» «Cosa ha detto N'ton? Ha capito bene ciò che sto cercando di fare?» Lessa lo scrutò pensosa. «Sì. Ed è per questo che l'ho scelto per sostituire F'nor.» F'lar parve sollevato, perché si abbandonò sui cuscini con un profondo sospiro e chiuse gli occhi. «Hai scelto bene. N'ton merita più del Comando del Weyr di Fort. Sarebbe in grado di andare avanti. È di questo che abbiamo bisogno soprattutto, Lessa. Di uomini che pensano, che sanno andare avanti. È accaduto altre volte.» Spalancò gli occhi, ombrati da un vago timore e dalla preoccupazione. «Che ore sono al Weyr di Fort, adesso?» Lessa fece un rapido calcolo. «Mancano quattro ore all'alba.» «Oh. Voglio N'ton qui, al più presto possibile.» «Aspetta un momento, F'lar. N'ton è un cavaliere di Fort...» F'lar le afferrò la mano, l'attirò accanto a sé. «Non capisci?» domandò con voce rauca, spaventosamente concitata. «Lui deve sapere. Deve sapere tutto quello che intendo fare. Poi, se succedesse qualcosa...» Lei lo fissò, senza capire. Poi s'infuriò perché s'era spaventata, s'irritò della sua autocommiserazione, si atterrì all'idea che F'lar potesse essere davvero in pericolo di vita. «F'lar, scuotiti, su,» disse, un po' sdegnata e un po' incoraggiante: la febbre sembrava così alta. Lui si lasciò ricadere sul letto, scuotendo la testa. «È già accaduto. Lo so. Non m'importa di quello che dirà, fai venire qui F'nor.»
Stanno arrivando Lioth ed un verde da Telgar, annunciò Mnementh. Lessa si consolò un poco, notante che Mnementh non pareva affatto sconvolto dal delirio di F'lar. F'lar lanciò un grido soffocato, guardando Lessa con aria d'accusa. «Non fissarmi in quel modo. Non ho mandato a chiamare N'ton. Là non è ancora l'alba. Il verde è un messaggero, e l'uomo che trasporta è molto agitato, riferì Mnementh, con una certa curiosità. Ramoth, che era andata nel Terreno della Schiusa quando Lessa s'era svegliata, lanciò una sfida rombante al bronzeo Lioth. N'ton arrivò a grandi passi dalla galleria, accompagnato da Wansor, certo l'ultima persona che Lessa si aspettava di vedere. La tonda faccia dell'ometto era accaldata, gli occhi scintillavano, sebbene fossero orlati di rosso e iniettati di sangue «Oh, Dama del Weyr, questa è la notizia più sensazionale che si possa immaginare. Sensazionale!» balbettò Wansor, agitandole sotto il naso un grande foglio. Lessa ebbe l'impressione di scorgere dei cerchi. Poi Wansor vide F'lar. Tutta l'eccitazione svanì dal suo volto, quando si rese conto che il Comandante del Weyr stava molto male. «Signore, non avevo idea... non mi sarei mai permesso...» «Sciocchezze, uomo,» ribatté irritato F'lar. «Che cosa ti conduce qui? Cos'è quel foglio? Fammi vedere. Hai trovato le coordinate per i draghi. Wansor sembrò incerto sul da farsi sino a quando Lessa lo guidò verso il letto. «Che significa questo foglio? Ah, questo è Pern, e questa è la Stella Rossa, ma cosa sono gli altri cerchi che hai tracciato?» «Non sono certo di saperlo, mia signora, ma li ho scoperti mentre scrutavo il cielo questa notte... o questa mattina. La Stella Rossa non è l'unico globo sopra di noi. C'è anche questo, che è divenuto visibile verso l'alba, non è vero, N'ton?» Il giovane cavaliere bronzeo annuì con fare solenne, ma nei suoi occhi azzurri c'era uno scintillio divertito. «È molto debole, ma ancora visibile come una sfera, c'è un terzo vicino celeste, a Nord-Est rispetto a noi, basso sull'orizzonte. Poi, direttamente a Sud... è stata un'idea di N'ton, quella di guardare tutto intorno... abbiamo scoperto questo globo più grande, con un insolito ammasso di oggetti che gli girono intorno a velocità percepibile. Oh, i cieli intorno a Pern sono affollati!» Lo sgomento di Wansor era così ridicolo che Lessa dovette reprimere un risolino. F'lar prese il foglio dalle mani del vetraio e cominciò a studiarlo, mentre
Lessa faceva sedere Wansor sullo sgabello accanto al letto. F'lar batté le dita sui cerchi, pensosamente, come se quel contatto conferisse loro una maggiore realtà. «E vi sono quattro stelle nei cieli?» «Per la verità ve ne sono assai di più, Comandante del» Weyr,» rispose Wansor. «Ma soltanto queste,» fece, indicando con l'indice macchiato i tre astri appena scoperti, «appaiono finora come sfere, attraverso il telescopio. Le altre sono soltanto puntolini luminosi, come sono sempre state le stelle. Perciò si deve presumere che queste tre siano anch'esse governate dal nostro Sole, e gli girino intorno, come fa Pern. Infatti, non so come potrebbero sottrarsi alla forza che lega noi e la Stella Rossa al Sole... una forza che sappiamo tremenda...» F'lar alzò gli occhi dai rozzi schizzi, con un'espressione terribile. «Se questi corpi celesti sono tanto vicini, allora i Fili provengono davvero dalla Stella Rossa?» «Oh cielo, oh cielo,» gemette sottovoce Wansor, e cominciò a strofinarsi i polpastrelli con i pollici, in piccoli gesti nervosi. «Sciocchezze,» affermò Lessa, con tanta sicurezza che i tre uomini la guardarono sorpresi. «Non creiamo altre complicazioni, oltre quelle che abbiamo già. I nostri antenati, che ne sapevano abbastanza per costruire il telescopio, affermavano con certezza che i Fili hanno origine dalla Stella Rossa. Se si fosse trattato di uno degli altri astri, l'avrebbero detto. Ed i Fili cadono quando la Stella Rossa si avvicina a Pern.» «In quel disegno nella Sala del Consiglio al Weyr di Fort c'è un diagramma di globi inseriti in percorsi circolari,» disse pensieroso N'ton. «Tuttavia i cerchi sono sei e...» Spalancò gli occhi all'improvviso e li abbassò sul foglio che Wansor teneva in mano. «Ed uno, il penultimo, ha una quantità di piccoli satelliti.» «Bene, e allora, a parte il fatto che l'abbiamo visto con i nostri occhi, che c'è da preoccuparsi?» domandò Lessa, prendendo la caraffa del klah ed i boccali, per servire i visitatori. «Abbiamo appena scoperto da soli ciò che i nostri antenati sapevano e avevano raffigurato su quella parete.» «Soltanto adesso,» fece sottovoce N'ton, «sappiamo cosa significa quel disegno.» Lessa gli lanciò una lunga occhiata, e per poco non fece traboccare la tazza di Wansor. «Sì. La vera esperienza è la conoscenza, N'ton.» «Immagino che abbiate trascorso entrambi tutta la notte attaccati a quel
telescopio,» disse F'lar. E quando i due annuirono, chiese. «E la Stella Rossa? Avete visto qualcosa che possa servirci da guida per raggiungerla?» «In quanto a questo, Signore,» rispose N'ton, dopo aver interrogato Wansor con lo sguardo, «c'è una strana protuberanza che mi ricorda la penisola di Nerat, soltanto che è rivolta ad Est anziché ad Ovest...» Non finì la frase e scrollò le spalle, con diffidenza. F'lar sospirò e tornò ad abbandonarsi sui cuscini, tutta l'animazione era sparita dal suo volto. «I dettagli sono insufficienti, eh?» «Per questa notte,» si affrettò a precisare N'ton. «Non credo che le prossime notti modificheranno la situazione.» «Al contrario, Comandante del Weyr,» rispose Wansor, spalancando gli occhi. «La Stella Rossa gira sul proprio asse, più o meno come fa Pern.» «Ma è comunque troppo lontana perché sia possibile distinguere qualche particolare,» dichiarò fermamente Lessa. F'lar le lanciò uno sguardo irritato. «Se almeno potessi vedere con i miei occhi...» Wansor alzò di scatto la testa. «Ecco, ormai, vedi, avevo quasi trovato il modo di utilizzare le lenti dell'ingranditore. Naturalmente, non c'è la manovrabilità che si può ottenere con lo strumento antico, ma c'è un vantaggio: potrei installare quelle lenti sulla vostra Pietra della Stella. È piuttosto interessante, anche, perché se mettessi una lente nella Pietra dell'Occhio e l'altra sulla Pietra del Dito, tu vedresti... o meglio, non lo vedresti, vero?» L'ometto parve sgonfiarsi. «Che cosa non vedrei?» «Ecco, quelle pietre sono collocate in modo da inquadrare la Stella Rossa soltanto al solstizio d'inverno, quindi naturalmente l'angolazione non va bene per tutti gli altri periodi dell'anno. Comunque, potrei... no.» Wansor si era accigliato. Solo gli occhi si muovevano irrequieti, riflettendo di volta in volta le miriadi di pensieri che egli andava analizzando rapidamente. «Ci penserò sopra. Ma sono sicuro di poter ideare un mezzo che ti consentirà di vedere la Stella Rossa, Comandante del Weyr, senza muoverti da Benden.» «Devi essere esausto, Wansor,» fece Lessa, prima che F'lar potesse rivolgergli altre domande. «Oh, non è il caso di parlarne,» rispose il vetraio, guardandola con occhi sfocati.
«È il caso di parlarne, invece,» ribatté con fermezza Lessa e gli prese il boccale tra le mani, costringendolo praticamente ad alzarsi. «Sono certa, Maestro Wansor, che ti farebbe bene dormire un po' qui a Benden.» «Oh, posso davvero? Avevo il terrore di cadere dal drago quand'ero in mezzo Ma non poteva accadere, eh? Oh... non posso restare. Ho il drago dell'Arte Veramente, forse farei meglio.» La sua voce si perdette mentre Lessa lo guidava lungo il corridoio. «Ed è stato in piedi anche tutta la scorsa notte,» disse N'ton, seguendo con lo sguardo l'artigiano. «Non c'è un modo per andare in mezzo fino alla Stella Rossa?» N'ton scosse lentamente il capo. «No, a quanto abbiamo potuto vedere stanotte... la notte scorsa. Per quasi rutta la durata dell'osservazione, sono state rivolte verso di noi le stesse masse scure, rossastre Poco prima che decidessimo di informarti dell'esistenza degli altri pianeti, ho dato un'ultima occhiata e quella penisola simile a Nerat era scomparsa, lasciando soltanto la colorazione opaca, grigiorossa.» «Deve esserci un modo per arrivare alla Stella Rossa.» «Sono sicuro che lo troverai tu, signore, quando ti sentirai un po' meglio.» Con una smorfia, F'lar pensò che quel giovanotto era davvero l'immagine vivente della discrezione. Nello stesso tempo aveva espresso fiducia nel superiore, fatto capire che solo la cattiva salute gli impediva di agire, e che quelle spiacevoli condizioni erano passeggere. «Poiché in questa direzione le cose stanno così, procediamo in un'altra. Lessa mi ha detto che ci hai procurato i Fili. Hai visto in che modo i bruchi della palude li liquidano?» N'ton annuì piano, con un lampo negli occhi. «Se non avessi dovuto cedere quel continente ai dissidenti, avrei organizzato una Cerca a volo diretto per scoprire i confini delle terre meridionali. Non ne conosciamo ancora l'estensione. L'esplorazione è stata arrestata a Ovest dai deserti, a Est dal mare. Ma non può essere soltanto l'area paludosa, infestata da questi bruchi» F'lar scosse il capo. Si rendeva conto che il suo tono era querulo. Trasse un profondo respiro, costringendosi a parlare più lentamente, con minore emotività. «Nel Weyr Meridionale i Fili sono caduti per sette Giri, e non c'è una sola tana. Le squadre di terra non hanno mai dovuto incendiare niente. Ora, anche se si dispone dei cavalieri più scrupolosi, esperti e occhiuti, qualche Filo arriva a terra. T'bor sostiene che non si trovava mai neppure una tana, dopo una Caduta.» F'lar
fece una smorfia. «Le sue squadriglie sono efficienti, e al Sud le Cadute sono leggere: ma vorrei averlo saputo prima.» «E che cosa avresti pensato?» chiese Lessa con la sua solita asprezza, rientrando. «Niente. Perché, fino a quando i Fili hanno cominciato a cadere fuori fase, e tu hai assistito alla Caduta sulla palude, non potevi correlare le informazioni.» Aveva ragione, come era naturale: ma N'ton avrebbe fatto bene a non mostrarsi diviso tra l'impulso di dichiararsi d'accordo con lei e la deferenza verso di lui. Silenziosamente, F'lar imprecò contro quella febbre che lo debilitava. Avrebbe dovuto essere in piedi, e non costretto ad affidarsi alle osservazioni altrui, in un momento tanto cruciale. «Signore, nei Giri trascorsi da quando sono diventato dragoniere,» disse N'ton, soppesando ogni parola, «ho imparato che non si fa nulla senza scopo. Giudicavo sciocco il mio genitore quando affermava che il cuoio va conciato in un dato modo, che la pelle va tesa soltanto un po' per volta, dopo averla bene intrisa: ma poi ho finito per capire che c'è un ordine, una ragione, un ritmo per tutto questo.» S'interruppe, ma F'lar gli fece segno di proseguire. «I metodi del Maestro Fabbro mi hanno interessato profondamente. Quell'uomo pensa di continuo.» Gli occhi del giovane brillavano di tale ammirazione che F'lar sogghignò. «Temo di essermi reso insopportabile, ma ho imparato tanto da lui. Abbastanza, almeno, per capire che vi sono lacune nel patrimonio di conoscenze che ci è stato trasmesso. Abbastanza per comprendere che forse il Continente Meridionale venne abbandonato per lasciare che i bruchi si moltiplicassero a dismisura...» «Vuoi dire che i nostri antenati sapevano di non poter arrivare alla Stella Rossa,» esclamò Lessa. «E che fecero sviluppare i bruchi per proteggere le colture?» «Ricavarono i draghi dalle lucertole di fuoco, non è vero? E allora perché non avrebbero dovuto usare i bruchi come squadre di terra?» E N'ton sorrise ironicamente della sua stessa tesi. «È logico,» notò Lessa, guardando speranzosa F'lar. «Certamente spiega perché i draghi non sono balzati in mezzo fino alla Stella Rossa. Non era necessario. Si stava già provvedendo ad assicurare la protezione.» «E allora perché non abbiamo i bruchi, qui al Nord?» chiese F'lar, non convinto. «Ah! Qualcuno non visse abbastanza a lungo per trasmettere l'informazione, o per disseminare i bruchi, o per allevarli, o chissà cosa. Chi può dirlo?» Lessa spalancò le braccia. F'lar si rendeva conto che lei preferiva
quella teoria, poiché era utile al suo tentativo d'impedirgli di raggiungere la Stella Rossa. Era disposto a credere che quei vermi grigi rappresentassero la soluzione del problema: ma era necessario recarsi sulla Stella Rossa. Se non altro, per dimostrare ai Signori delle Fortezze che i cavalieri mantenevano la parola data. «Non sappiamo ancora se i bruchi esistono al di là delle paludi,» osservò F'lar. «Potrei andare a controllare di nascosto,» disse N'ton. «Conosco molto bene il Continente Meridionale. Probabilmente meglio di chiunque altro, F'nor incluso. Vorrei il permesso di recarmi a Sud ad accertarmi.» Quando N'ton vide che F'lar esitava e Lessa aggrottava la fronte, si affrettò a proseguire. «Posso sfuggire senza difficoltà a T'kul. Quell'uomo è così trasparente: è quasi patetico.» «D'accordo, d'accordo, N'ton. Vai. Per la verità, non ho nessun altro da mandare.» F'lar cercò di non risentirsi all'idea che F'nor fosse così occupato con una donna. Era prima di tutto un cavaliere del drago, o no? Poi F'lar scacciò quel pensiero poco caritatevole. Brekke era stata Dama del Weyr: non aveva alcuna colpa della perdita della sua regina, e F'lar si rimproverava ancora di non aver tenuto d'occhio le attività di Kylara... era stato avvertito. Se Brekke aveva trovato un po' di conforto nella vicinanza di F'nor, sarebbe stato imperdonabile privarla della sua compagnia. «Vai, N'ton. Controlla. E porta esemplari di quei bruchi prelevati da varie località. Vorrei tanto che Wansor non avesse smontato quell'altro strumento: ci sarebbe servito per osservarli meglio. Il Maestro Allevatore ha detto una sciocchezza. I bruchi potrebbero essere diversi a seconda dei posti.» «I bruchi sono bruchi,» mormorò Lessa. «Le bestie da carne allevate sulle montagne sono diverse da quelle allevate nelle pianure,» rispose N'ton. «Gli alberi di fellis, a Sud, sono più grandi, e danno frutti più saporiti dei migliori esemplari che si trovano a Nerat.» «Tu sai troppe cose,» ribatté Lessa, sorridendo per togliere ogni veleno dalle sue parole. N'ton sogghignò. «Sono un cavaliere bronzeo, Dama del Weyr.» «Farai bene ad andare. No, aspetta. Sei sicuro che a Fort non avranno bisogno di te e di Lioth per combattere i Fili?» chiese F'lar: non vedeva l'ora di sbarazzarsi di quel giovane così sano che gli faceva sentire troppo il peso della sua infermità.
«Per qualche tempo non avranno bisogno di me. Là è ancora notte.» Quella risposta sembrava porre ancora più in risalto la sua giovinezza, e F'lar lo congedò con un cenno della mano, cercando di soffocare la gelosia con la riconoscenza. Non appena quello fu uscito, F'lar proruppe all'improvviso in un'imprecazione esasperata che fece accorrere Lessa al suo fianco, premurosa. «Sto bene, sto bene,» disse lui, furioso. Tenne la mano di lei premuta contro la guancia, lieto di sentire la frescura delle dita, dolcemente incurvate per aderire alle linee del suo viso. «Guarirai, sicuro. Tu non ti ammali mai,» mormorò la Dama del Weyr, accarezzandogli la fronte con la mano libera. Poi la sua voce assunse un tono pungente. «Sei soltanto stupido. Altrimenti non saresti andato in mezzo, lasciando che il freddo penetrasse nella ferita e ti causasse la febbre.» F'lar, rassicurato da quella frase caustica non meno che dalla carezza affettuosa, si abbandonò sui guanciali e s'impose di addormentarsi, di guarire presto. XIV Prima mattina alla Fortezza di Ruatha. Mezzogiorno al Weyr di Benden. Quando giunse la notizia che la Schiusa avrebbe avuto luogo probabilmente in quel luminoso giorno di primavera, Jaxom non capì se era contento oppure no. Dal momento in cui le due regine si erano uccise, dieci giorni prima, Lytol era sprofondato in una tale tetraggine che Jaxom si aggirava in punta di piedi nella Fortezza. Il suo tutore era sempre stato un uomo molto serio, che non amava ridere e scherzare, ma il suo nuovo silenzio innervosiva tutti. Persino il bambino appena nato non osava piangere. Era doloroso, molto doloroso, perdere una regina, Jaxom lo sapeva: ma perderne due, e in quel modo orribile! Sembrava quasi che ogni cosa preannunciasse eventi ancora più atroci. Jaxom era spaventato: la paura era una sensazione muta e profonda dentro le ossa. Quasi lo sgomentava l'idea di rivedere Felessan. Non s'era mai liberato della sensazione di sacrilegio per l'invasione del Terreno della Schiusa, e si chiedeva se quella era la sua punizione. Ma era un ragazzino logico, e la morte delle due regine non era avvenuta a Ruatha, e neppure nel Weyr di Fort, cui era vincolata la Fortez-
za di Ruatha. Non aveva mai incontrato Kylara e Brekke. Conosceva F'nor e si rammaricava per lui, se quanto aveva sentito dire era vero anche soltanto per metà... che F'nor aveva portato Brekke nel suo weyr e aveva abbandonato i suoi doveri di Vicecomandante per prendersi cura di lei. Brekke era molto malata. Strano, tutti erano addolorati per Brekke, ma nessuno parlava di Kylara, e anche lei aveva perduto la sua regina. Jaxom era sconcertato, ma sapeva che non poteva fare domande. Così come non poteva chiedere se lui e Lytol sarebbero andati davvero ad assistere alla Schiusa. Perché, altrimenti, il Comandante del Weyr li aveva fatti avvertire? E Talina non era la candidata di Ruatha per l'uovo di regina? Ruatha doveva essere rappresentata alla Schiusa. Il Weyr di Benden aveva sempre tenuto Schiuse aperte, anche quando gli altri Weyr non lo facevano. E lui non vedeva Felessan da molto tempo. Non che qualcuno avesse fatto qualcosa di più di stare in guardia contro l'eventuale Caduta dei Fili, dopo le nozze di Telgar. Jaxom sospirò. Che giornata era stata, quella. Rabbrividì ricordò la nausea, il freddo e - sì - la paura che aveva provato. (Lytol diceva che un vero uomo non doveva vergognarsi di ammettere di aver paura.) E lui era rimasto atterrito per tutta la durata del duello tra F'lar e T'ron. Rabbrividì ancora, si sentì gelare la spina dorsale per reazione a quel ricordo. A Pern ogni cosa andava male. Draghi regina che si uccidevano l'un l'altro, comandanti che duellavano in pubblico, Fili che cadevano qua e là, senza ritmo e senza ragione. La vita aveva perduto il suo ordine: le costanti che regolavano l'esistenza quotidiana si dissolvevano, e lui non era in grado di arrestare quella frana inesorabile. Non era giusto. Prima andava tutto così bene. E si diceva che la Fortezza di Ruatha era migliorata. Adesso, negli ultimi sei giorni, avevano perduto le terre coltivate a Nord-Est e, se continuava così, del duro lavoro di Lytol sarebbe rimasto ben poco. Forse era per quel motivo che si comportava in modo così... così strano. Ma non era giusto, Lytol aveva lavorato con tanto impegno. E adesso, sembrava che lui non avrebbe assistito alla Schiusa, non avrebbe visto chi avrebbe impresso lo Schema all'uovo più piccolo. Non era giusto. «Nobile Jaxom,» domandò una cameriera dalla soglia, tutta emozionata. «Il Nobile Lytol manda a dirti di indossare gli abiti migliori. Sta per cominciare la Schiusa. Oh, signore, credi che Talina abbia qualche possibilità?» «Altro che possibilità!» fece Jaxom, travolto dall'emozione. «È di Ruatha, lei! E adesso esci.»
Era così emozionato che stentava ad allacciarsi i calzoni e la tunica messi per la prima volta in occasione delle nozze di Telgar. Lui non aveva rovesciato il vino sulla bella stoffa, ma si vedevano ancora le impronte unte, sulla spalla destra, là dove l'aveva afferrato un ospite per scostarlo dal suo posto d'osservazione sulla scalinata della Fortezza, durante il duello. S'infilò il mantello, trovò sotto il letto il secondo guanto e scese correndo nella Grande Corte, dove era in attesa il drago azzurro. La vista del drago, però, rammentò inevitabilmente a Jaxom che il figlio maggiore di Groghe aveva ricevuto in dono un uovo di lucertola di fuoco. Lytol aveva rifiutato il paio cui Ruatha aveva diritto. Anche quella era un'ingiustizia clamorosa. Jaxom avrebbe dovuto avere un uovo di lucertola, anche se Lytol non sopportava l'idea di imprimere lo Schema ad una di esse. Jaxom era Signore di Ruatha e l'uovo gli sarebbe spettato. Lytol non aveva il diritto di rifiutargli quel privilegio. «Sarà un gran giorno per Ruatha, se la tua Talina Impressiona la nuova regina, no?» gli disse D'wer, il cavaliere del drago azzurro. «Sì,» rispose Jaxom: si rese conto del proprio tono imbronciato. «Allegro, ragazzo,» disse D'wer. «Le cose potrebbero andare peggio.» «Come?» D'wer ridacchiò: sebbene Jaxom si offendesse, non poteva richiamare all'ordine un dragoniere. «Buongiorno, Trebith,» disse Jaxom al drago azzurro, che girò la testa, ammiccando con il grande occhio multicolore. Udirono entrambi la voce di Lytol, spenta ma nitida, che impartiva le istruzioni della giornata. «Per ogni campo che viene bruciato, ne piantiamo altri due, finché possiamo mettere i semi nel terreno. A Nord-Est ci sono terreni incolti in abbondanza. Trasferite la gente.» «Ma, Nobile Lytol...» «Non ricominciare con la solita lagna sulle abitazioni temporanee. Ci mancherà il cibo se non siamo previdenti, e questo sarà peggio da sopportare che una siccità.» Lytol ispezionò in fretta Jaxom e gli rivolse un distratto «buongiorno». Il tic cominciò a scuotergli la guancia nel momento in cui salì sulla spalla di Trebith per sedersi contro le creste del collo. Indicò seccamente al suo pupillo di sedersi davanti a lui, poi fece un cenno a D'wer. Il dragoniere azzurro sorrise un poco, come se non si aspettasse di più da Lytol, e all'improvviso presero il volo. Lassù, mentre le alture di Ruatha
rimpicciolivano sotto di loro. E poi in mezzo, mentre Jaxom tratteneva il respiro per difendersi dal freddo spaventoso. Poi furono al di sopra della Pietra della Stella di Benden, così vicini agli altri draghi in procinto di entrare nel Weyr che Jaxom temette una collisione imminente. «Come... come fanno a sapere dove sono?» chiese a D'wer. Il cavaliere gli rivolse un gran sorriso. «Lo sanno. I draghi non si scontrano mai.» L'ombra di un ricordo spiacevole passò sul suo volto abitualmente gaio. Jaxom si morse le labbra. Era stato uno stupido ad accennare al combattimento tra le due regine. «Ragazzo mio, ogni cosa ce lo ricorda,» fece il cavaliere azzurro. «Persino i draghi hanno perduto colore. Ma,» continuò, in tono più vivace, «la Schiusa servirà a rimediare.» Jaxom se l'augurava, ma era sicuro che qualcosa sarebbe andato male anche quel giorno. Poi si afferrò con tutte le sue forze alla tunica di D'wer, perché sembrava che stessero per andare a sbattere contro le pareti verticali interne della Conca del Weyr. O peggio ancora, nonostante le assicurazioni di D'wer, contro un drago verde che stava virando nella stessa direzione. Ma all'improvviso furono entro l'ampia imboccatura dell'entrata superiore, una galleria scura che conduceva all'immenso Terreno della Schiusa. Il frullo delle ali, l'intenso odore muschiato dei draghi... e poi si trovarono librati al di sopra delle sabbie che fumigavano leggermente, nel grande anfiteatro con le sue file di gradinate per gli uomini e le bestie. Jaxom scorse le uova sul Terreno della Schiusa, le vesti colorate di coloro che erano già arrivati, le schiere dei draghi, con gli occhi scintillanti e le ali ripiegate, i grandi corpi eleganti, azzurri, verdi, marroni. Dov'erano i bronzei? «Porteranno i candidati, Nobile Jaxom. Ah, ecco lo scavezzacollo,» disse D'wer, e Jaxom sussultò, quando Trebith sbatte le ali all'indietro per atterrare alla perfezione su di un ripiano. «Puoi scendere.» «Jaxom! Sei venuto!» Felessan lo prese scherzosamente a pugni; i suoi abiti erano così nuovi che odoravano di tintura ed erano crocchiami, sotto le mani che Jaxom gli batteva sulle spalle. «Mille grazie per averlo portato, D'wer. Buongiorno a te, Nobile Reggente Lytol. Il Comandante e la Dama del Weyr mi hanno incaricato di trasmetterti i loro saluti e di pregarti di trattenerti per il banchetto, dopo la Schiusa, se puoi concedere loro un po' del tuo tempo.»
Felessan parlò così precipitosamente che il cavaliere azzurro sogghignò. Lytol s'inchinò con tanta solennità che Jaxom provò un fremito di fastidio. Felessan non badò a quelle sfumature e si affrettò a trascinare Jaxom lontano dagli adulti. Poi cominciò a chiacchierare, in un bisbiglio così sonoro che tutti potevano udirlo, due ripiani più in alto. «Ero sicuro che non avresti avuto il permesso di venire. È diventato tutto così orribile da quando è successo... tu sai cosa.» «Ma non capisci niente, Felessan?» fece Jaxom, in un sibilo di rimprovero che sbalordì l'amico, azzittendolo. «Uh? Cos'ho fatto di male?» domandò Felessan, questa volta in tono più circospetto, guardandosi intorno. Jaxom lo trascinò il più lontano possibile da Lytol, e poi lo fece sedere così bruscamente che Felessan lanciò uno strillo di protesta, subito soffocandolo con tutte e due le mani. Jaxom sbirciò di sottecchi Lytol, ma il suo tutore era occupato a rispondere ai saluti di altri invitati. Stava arrivando altra gente: alcuni portati dai draghi, altri salivano la scala. Felessan ridacchiò all'improvviso, indicando un uomo e una donna corpulenti che stavano attraversando il Terreno della Schiusa. Portavano evidentemente scarpe dalle suole sottili, perché alzavano i piedi e li posavano con uno strano movimento saltellante, in buffo contrasto con il loro aspetto. «Non pensavo che sarebbero venuti in tanti, dopo tutto quello che è successo,» mormorò eccitato Felessan, con gli occhi sfolgoranti. «Guardali!» E indicò tre ragazzi, tutti con lo stemma di Nerat sul petto. «Sembra che abbiano la puzza sotto il naso. Tu non pensi che i draghi puzzino, vero?» «No, naturalmente no. Hanno un odore piacevole. Quelli non sono candidati, vero?» chiese Jaxom, disgustato. «Nooo. I candidati sono vestiti di bianco.» Felessan fece una smorfia, scandalizzato dall'ignoranza dell'amico. «Entreranno più tardi. Oooh! Può darsi che li facciano entrare subito. Hai visto che quell'uovo dondola?» Il movimento era stato osservato, perché i draghi cominciarono a mormorare. Gli ultimi arrivati si precipitarono ai loro posti, tra gridolini eccitati. E Jaxom riusciva a malapena a scorgere le uova, tra lo svolazzare dei draghi. Poi, all'improvviso, nulla ostacolò più la sua visuale: tutte le uova sembravano ondeggiare. Come se trovassero improvvisamente insopportabile il calore delle sabbie. Soltanto un uovo era immobile. Quello piccolo, isolato, accanto alla parete di fondo. «Quello che cos'ha?» chiese Jaxom, indicandolo. «Il più piccolo?» Felessan deglutì, girando la testa dall'altra parte.
«Noi non gli abbiamo fatto niente.» «Io non gli ho fatto niente,» rispose con fermezza Felessan, con un'occhiataccia a Jaxom. «Sei stato tu a toccarlo.» «L'ho toccato, ma questo non significa che gli abbia fatto del male.» Il giovane Signore di Ruatha implorò di venire rassicurato. «No, toccarli non gli fa male. I candidati li hanno toccati per settimane, eppure ondeggiano.» «E perché quello no, allora?» Jaxom faticò a farsi capire da Felessan, perché il brusio era cresciuto, diventando un suono costante che riverberava in tutto il Terreno della Schiusa. «Non lo so.» Felessan scrollò le spalle, diffidente. «Forse non si schiuderà neppure. È quello che dicono, del resto.» «Ma io non gli ho fatto niente,» insistette Jaxom, soprattutto per tranquillizzare se stesso. «Te l'ho detto! Guarda, ecco i candidati.» Poi Felessan si tese, bisbigliandogli all'orecchio qualcosa di così incomprensibile che dovette ripeterlo tre volte, prima che Jaxom l'udisse. «Ci sarà di nuovo Brekke?» esclamò il giovanissimo Nobile, a voce più alta di quanto avesse voluto, lanciando un'occhiata a Lytol. «Sordo!» gli sibilò Felessan, costringendolo a sedersi di nuovo. «Tu non sai quello che succede qui. Lascia che te lo dica io, è straordinario!» Felessan smaniava dalla voglia di raccontare quello che sapeva. «Che cosa? Dimmelo!» Felessan sbirciò Lytol, ma l'uomo sembrava averli dimenticati: la sua attenzione era concentrata sui ragazzi che si dirigevano verso le uova oscillanti, pallidi in volto e decisi, i corpi tesi nelle tuniche bianche per l'ansia e l'eccitazione. «Cosa volevi dire? Brekke deve presentarsi di nuovo alla Schiusa? Perché? Come?» domandò Jaxom, con la mente dilaniata da conflitti simultanei: Lytol sul dorso di un drago tutto suo, Brekke che imprimeva lo Schema ad un'altra regina, Talina che veniva esclusa e piangeva perché era di Ruatha e doveva diventare Dama del Weyr. «Proprio così. Lei l'ha già fatto una volta, ed è giovane. Dicono che era una Dama del Weyr assai migliore di quella Kylara.» Il tono di Felessan rispecchiava la pessima opinione in cui era generalmente tenuta l'ex Dama del Weyr Meridionale. «In questo modo Brekke guarirà. Vedi,» e Felessan abbassò di nuovo la voce, «F'nor l'ama! E ho sentito dire...» Fece una pau-
sa drammatica e si guardò intorno, come se qualcuno potesse udirli. «Ho sentito dire che F'nor voleva che Canth compisse il volo nuziale con la sua regina.» Jaxom fissò l'amico, sconvolto. «Sei pazzo! I draghi marrone non accompagnano le regine nel volo nuziale.» «Bene, F'nor aveva intenzione di tentare.» «Ma... ma...» «Sì, è così!» Felessan annuì, con aria saggia. «Avresti dovuto sentire F'lar e F'nor.» Spalancò gli occhi. «È stata Lessa, mia madre, a dire che cosa dovevano fare. Convincere Brekke a ripresentarsi alla Schiusa. Era troppo buona ed efficiente, ha detto Lessa, per farla vivere mezza morta.» I due ragazzetti lanciarono un'occhiata a Lytol, con aria colpevole. «Davvero... davvero credono che lei possa riuscire ancora?» chiese Jaxom, fissando il profilo austero del suo tutore. Felessan alzò le spalle. «Presto lo sapremo. Eccoli.» E dalle fauci nere della galleria superiore, entrarono in volo i draghi bronzei, in rapida successione. «Ecco Talina!» esclamò Jaxom, balzando in piedi. «Ecco Talina, Lytol.» Corse a tirare per la manica il suo tutore. Lytol non avrebbe notato né il gesto del ragazzo né l'ingresso di Talina. Aveva occhi soltanto per la giovane che stava entrando sul fondo del Terreno della Schiusa. Un uomo e una donna si fermarono accanto all'ampio varco, come se potessero accompagnarla fin lì e non oltre. «È proprio Brekke,» disse Felessan, sottovoce, infilandosi a fianco di Jaxom. La giovane donna barcollò leggermente, si fermò: sembrava non far caso alla sabbia fastidiosamente calda. Raddrizzò le spalle e lentamente si avviò per raggiungere le cinque ragazze che attendevano accanto all'uovo dorato. Si fermò accanto a Talina, che si girò e la invitò con un gesto a prender posto nel semicerchio irregolare intorno all'uovo di regina. Il mormorio dei draghi cessò. Nell'improvviso silenzio inquieto, si udì chiaramente il lieve scricchiolio di un guscio che si spezzava, seguito dagli schianti degli altri. I draghetti, lucidi, goffi, sgraziati, cominciarono a uscire balzellando dalle uova, squittendo, gracidando, con le teste a cuneo troppo grandi per i sottili colli sinuosi. I ragazzi stavano immobili, tesi nello sforzo mentale di attirarli. Il primo si liberò del guscio, e passò barcollando oltre il ragazzo più vi-
cino che si scostò con un agile balzo. Cadde, con il muso ai piedi di un ragazzo alto, dai capelli neri. Questi s'inginocchiò, aiutò il drago neonato a tenersi in equilibrio sulle zampe tremanti, guardò negli occhi d'arcobaleno. Jaxom vide Lytol chiudere le palpebre, vide il dolore della tremenda perdita scolpito sul volto grigio dell'uomo, il rinnovarsi della tortura del giorno in cui il suo Larth era morto per le ustioni di fosfina. «Guarda,» gridò Jaxom. «L'uovo di regina! Oscilla. Oh, come vorrei...» Non poté continuare, senza giocarsi la stima dell'amico. Per quanto desiderasse che Talina riuscisse perché in tal modo vi sarebbero state tre Dame del Weyr d'origine ruathana, sapeva che Felessan aveva puntato su Brekke. Felessan era così profondamente assorto nella scena che non si accorse della frase incompiuta di Jaxom. Il guscio aureo si screpolò improvvisamente, al centro: e la piccola regina, con un rauco strido di protesta, cadde riversa sulla sabbia. Talina e altre due avanzarono svelte, cercando di aiutarla a raddrizzarsi. Appena la regina fu di nuovo sulle quattro zampe, le ragazze si ritrassero, come se non volessero insistere, per lasciare a Brekke la prima occasione. Ma lei era ignara di tutto. A Jaxom sembrò che non le importasse nulla. Era inerte, devastata, patetica, e si teneva in disparte. Un drago gracidò sommessamente, e lei scosse il capo, come se si accorgesse soltanto allora del luogo in cui si trovava. La testa della regina si girò verso Brekke, gli occhi scintillanti, enormi nella testa sproporzionata. La regina avanzò di un passo. In quel momento, una piccola folgore bronzea sfrecciò sul Terreno della Schiusa. Lanciando urla di sfida, la lucertola di fuoco si librò sopra la testa della regina. Era così vicina, anzi, che la neonata arretrò con uno strillo sbigottito e azzannò l'aria, spiegando istintivamente le ali per proteggersi gli occhi vulnerabili. I draghi protestarono dai loro cornicioni. Talina s'interpose fra la regina ed il minuscolo aggressore. «Berd! No!» Brekke avanzò, tendendo il braccio per catturare il bronzeo infuriato. La regina neonata strillò, protestando, nascose il muso nella gonna di Talina. Le due giovani donne si fronteggiarono, tese, guardinghe. Poi Talina porse la mano a Brekke, sorridendo. Rimase così appena un istante, perché la regina le urtò perentoriamente il muso contro le gambe. Talina s'inginocchiò, cingendo con le braccia il drago neonato. Brekke si girò: non era più una statua impietrita dal dolore. Tornò verso le figure che l'attendevano all'entrata. Il piccolo bronzeo le ronzava intorno alla testa,
emettendo suoni che andavano dal rimprovero alla supplica. Le sue grida erano così simili a quelle del cuoco della Fortezza di Ruatha all'ora del pranzo che Jaxom sogghignò. «Non ha voluto la regina!» esclamò Felessan, sbalordito. «Non ha neppure tentato!» «La lucertola di fuoco non glielo avrebbe permesso,» disse Jaxom chiedendosi perché mai difendeva Brekke. «Sarebbe stato un errore, un errore terribile se fosse riuscita,» disse Lytol con voce opaca. Parve chiudersi in se stesso, incurvando le spalle, abbandonando le mani inerti tra le ginocchia. Alcuni dei ragazzi stavano incominciando a portarsi via i loro draghi dal Terreno della Schiusa. Jaxom si voltò, temendo di perdere lo spettacolo. Tutto avveniva troppo rapidamente. Sarebbe finito in pochi minuti. «Hai visto, Jaxom?» stava dicendo Felessan, mentre lo tirava per la manica. «Hai visto? Birto ha preso un bronzeo, e Pellomar soltanto un verde. Ai draghi non piacciono i bulli, e Pellomar era il più bullo di tutto il Weyr. Congratulazioni, Birto!» Felessan applaudì l'amico. «L'uovo più piccolo non si è ancora schiuso,» disse Jaxom, urtando Felessan con il gomito. «Non dovrebbe spaccarsi?» Lytol aggrottò la fronte, scosso dal tono ansioso del suo pupillo. «Dicevano che probabilmente non si sarebbe schiuso,» ricordò Felessan, cui interessava soprattutto vedere quali avevano conquistato i suoi amici. «E se non si schiude? Perché qualcuno non può spezzarlo e aiutare quel povero drago a uscire? Come fa la levatrice quando il bambino non vuole nascere?» Lytol si girò di scatto verso Jaxom, con il volto soffuso di collera. «Cosa ne può sapere un bambino della tua età?» «So della mia nascita,» rispose con fermezza Jaxom, alzando la testa. «Poco è mancato che morissi. Me l'ha raccontato Lessa, e lei era presente. Un draghetto può morire?» «Sì,» ammise pesantemente Lytol, perché non mentiva mai al ragazzo. «Possono morire, ed è meglio così se l'embrione è malformato.» Jaxom diede una rapida occhiata al proprio corpo, sebbene sapesse benissimo che era come doveva essere: anzi, era più alto e robusto di tanti altri ragazzi della Fortezza. «Ho visto delle uova che non si sono aperte. Chi può volere vivere... deforme?» «Beh, quell'uovo è vivo,» fece Jaxom. «Guarda, ora sta oscillando.»
«Hai ragione. Si muove. Ma non si screpola,» disse Felessan. «Allora perché se ne vanno tutti?» domandò improvvisamente Jaxom, balzando in piedi. Non c'era nessuno accanto al piccolo uovo dondolante. Il Terreno della Schiusa era invaso dai cavalieri che chiamavano le loro bestie per aiutare i cadetti, o per scortare gli invitati del Weyr alle loro Fortezze. Quasi tutti i bronzei, naturalmente, se n'erano andati con la nuova regina. Per quanto il Terreno della Schiusa fosse immenso, sembrava rimpicciolito, adesso che brulicava di tanti draghi enormi. E tuttavia neppure i candidati delusi dedicavano il minimo interesse all'unico, piccolo uovo che era rimasto. «Ecco F'lar. Bisogna avvertirlo, Lytol. Ti prego!» «Lo sa,» disse Lytol, perché F'lar aveva chiamato a sé alcuni cavalieri marroni: stavano guardando il piccolo uovo. «Vai, Lytol! Convincili ad aiutarlo!» «Qualunque regina può deporre un uovo troppo piccolo,» rispose Lytol. «Non è una cosa che riguardi me. O te.» Si voltò e s'incamminò verso la scalinata, sicuro che i ragazzi l'avrebbero seguito. «Ma non fanno niente,» mormorò Jaxom, esasperato. Felessan scrollò le spalle. «Vieni. Fra poco si va a tavola. E questa sera ci sono tanti piatti speciali.» Si avviò trotterellando dietro Lytol. Jaxom si voltò a guardare l'uovo, che ora si dondolava pazzamente. «Non è giusto! A loro non importa cosa ne sarà di te. Si preoccupano di quella Brekke, non di te. Su, uovo. Spacca il guscio! Fagli vedere! Una bella crepa, e scommetto che si decideranno a fare qualcosa!» Jaxom aveva continuato ad avanzare lungo quel ripiano, fino a quando era venuto a trovarsi proprio al di sopra del piccolo uovo. Adesso oscillava allo stesso ritmo delle sue suppliche, ma non c'era nessuno, nel raggio d'una lunghezza di drago. Ondeggiava freneticamente, e Jaxom pensò che il draghetto aveva un disperato bisogno d'aiuto. Senza riflettere, Jaxom scavalcò il muretto e si lasciò cadere sulla sabbia. Ora poteva vedere le crepe minutissime del guscio, udiva il battito disperato che veniva dall'interno, osservava le screpolature che si allargavano. Quando toccò il guscio, gli sembrò di pietra: era così duro. Non era più coriaceo, come il giorno della loro spedizione clandestina. «Nessun altro ti aiuterà. Lo farò io!» gridò, e sferrò un calcio al guscio. Apparve una spaccatura. Altri due colpi decisi e la fessura si allargò. Il grido pietoso proveniente dall'interno fu seguito dalla lucida punta del naso
del draghetto, che batteva e batteva contro il guscio duro. «Tu vuoi nascere. Proprio come me. Hai solo bisogno di un po' d'aiuto. Come me,» stava gridando Jaxom, mentre percuoteva con i pugni la fenditura. Se ne staccavano grossi pezzi, molto più pesanti dei gusci vuoti degli altri draghi appena nati. «Jaxom, cosa stai facendo?» gli gridò qualcuno: ma ormai era troppo tardi. Adesso era divenuta visibile la spessa membrana interna: era quella che aveva impedito l'uscita al drago neonato. Jaxom lacerò quella sostanza viscida con il suo pugnaletto e da quella sacca uscì un piccolo corpo bianco, non molto più grande del torso del ragazzo. Istintivamente Jaxom tese le braccia, aiutando la creatura caduta a mettersi in piedi. Prima che F'lar o qualcun altro potesse intervenire, il drago bianco aveva levato gli occhi pieni d'adorazione verso il Signore della Fortezza di Ruatha e lo Schema era stato Impresso. Completamente dimentico del dilemma che aveva appena causato, Jaxom, con aria incredula, si girò verso gli osservatori sbalorditi. «Dice che il suo nome è Ruth» XV Sera al Weyr di Benden: Banchetto dopo la Schiusa. Era stato come risalire dalle viscere più profonde di una Fortezza, pensò Brekke. E Berd le aveva mostrato la via. Rabbrividì all'orrore del ricordo. Se lei si fosse lasciata andare di nuovo... Immediatamente sentì la mano di F'nor stringersi sul suo braccio, sentì il tocco dei pensieri di Canth e udì il cinguettio delle due lucertole di fuoco. Berd l'aveva guidata fuori dal Terreno della Schiusa, verso F'nor e Manora. L'aveva stupita vedere quanto erano entrambi stanchi e tristi. Lei aveva cercato di parlare, ma loro non glielo avevano permesso. F'nor l'aveva sollevata tra le braccia portandola nel suo Weyr. Brekke sorrise, aprendo gli occhi, e lo vide chino su di lei. Tese la mano per sfiorare il caro viso preoccupato del suo amante. Ora poteva dirlo, il suo amante, il suo compagno di Weyr, perché era anche questo. Due lunghe linee erano incise agli angoli della bocca di F'nor. Gli occhi erano cerchiati di scuro, iniettati di sangue, i capelli solitamente pettinati all'indietro in ondulazioni regolari erano scompigliati e untuosi.
«Hai bisogno di metterti un po' in ordine, amore,» disse lei, con una voce bassa e spezzata che non sembrava più neppure la sua. Con un gemito simile ad un singulto, F'nor l'abbracciò. All'inizio come se temesse di spezzarla. Poi, quando sentì le braccia di lei che lo cingevano - poiché era rassicurante sentire quelle spalle forti sotto le dita ansiose quasi la stritolò, fino a che lei gli gridò, gaiamente, di stare attento. F'nor le premette le labbra sui capelli, contro la gola, in uno slancio di sollievo. «Temevamo di avere perduto anche te, Brekke,» continuò a ripetere mentre Canth mormorava una melodia esuberante. «Ero nella mia mente,» ammise Brekke con voce tremula, nascondendogli il volto contro il petto, come se dovesse cercare di sentirsi ancora più vicina a lui. «Ero prigioniera nella mia mente, non era più padrona del mio corpo. Credo che fosse questo. Oh, F'nor» e tutta l'angoscia che prima non era stata capace di esprimere irruppe da lei. «Odiavo persino Canth!» Le lacrime le inondarono le guance, i singulti squassarono il corpo esile già indebolito dal digiuno. F'nor la tenne stretta, accarezzandole le spalle, fino a quando cominciò a temere che quelle convulsioni la schiantassero. Chiamò Manora con un cenno, allarmato. «Deve piangere, F'nor. Per lei sarà uno sfogo.» L'espressione ansiosa di Manora, il modo in cui stringeva e allargava le mani, erano stranamente rassicuranti per F'nor. Anche lei era in ansia per Brekke, al punto di permettere che la preoccupazione lacerasse quella sua serenità impenetrabile. Le era stato riconoscente perché si era opposta ad un nuovo tentativo, anche se pensava che sua madre non sapesse perché lui era contrario. O forse lo sapeva. Nel suo calmo distacco. Manora non si lasciava sfuggire mai nulla. Il corpo fragile di Brekke, adesso, tremava violentemente, squassato dal parossismo dell'angoscia. Le lucertole di fuoco presero a svolazzare ansiose e la Cantilena di Canth proseguì su di una nota accorata. Le mani della giovane donna si aprivano e si chiudevano pateticamente sulle spalle di F'nor, ma i singhiozzi laceranti non le permettevano di parlare. «Non riesce a smettere, Manora. Non riesce.» «Schiaffeggiala.» «Schiaffeggiarla?» «Sì, schiaffeggiarla.» Manora fece seguire l'azione alle parole. Sferrò a Brekke alcuni colpi decisi, prima che F'nor potesse ripararla. «E adesso, nella vasca da bagno. L'acqua è abbastanza calda per rilassarle i muscoli.»
«Non dovevi schiaffeggiarla,» disse F'nor, sdegnato. «Ha fatto bene,» disse Brekke, con un ansito, rabbrividendo mentre la calavano nell'acqua. Poi sentì il calore che penetrava nei muscoli contratti dai singulti strazianti e li distendeva. Non appena sentì che Brekke si rilassava, Manora l'asciugò con salviette calde e accennò a F'nor di distenderla di nuovo sotto le coperte di pelliccia. «Adesso deve mangiare, F'nor. E anche tu,» disse, guardandolo severamente. «E ti prego di ricordare che hai dei doveri verso gli altri stasera. È il Giorno della Schiusa.» F'nor sbuffò a quelle parole, e vide che Brekke gli rivolgeva un fievole sorriso. «Mi pare che non mi abbia più lasciata sola da quando...» «Canth ed io avevamo bisogno di stare con te, Brekke,» l'interruppe lui quando la sentì esitare. Le scostò i capelli dalla fronte come se quella fosse la cosa più importante del mondo. Brekke gli prese la mano: si guardarono negli occhi. «Vi sentivo vicini, tutti e due, anche quando desideravo morire.» Poi lei sentì un impulso di collera nelle viscere. «Ma come avete potuto spingermi sul Terreno della Schiusa, mettermi di fronte ad un'altra regina?» Canth fece udire un rombo di protesta. Brekke poteva scorgere il drago oltre l'arcata della stanza: teneva la testa rivolta verso di lei, e gli occhi lampeggiavano dolcemente. La sconvolse notare la malsana sfumatura verdastra del suo colore. «Non volevamo farlo. È stata un'idea di F'lar. E di Lessa. Pensavano che servisse a qualcosa, e temevano che ti avremmo perduta.» Il dolore, il vuoto che lei cercava di non ricordare minacciò di diventare un abisso in cui doveva sprofondare per fare cessare l'angoscia ardente e straziante. No, gridò Canth. Due caldi corpicini di lucertola premettero contro il suo collo e il suo viso: l'affetto e la preoccupazione erano così nitidi, nei loro pensieri, da essere quasi un contatto fisico. «Brekke!» Il terrore, l'ansia, la disperazione del grido di F'nor furono più forti del rombo nella sua mente, lo ricacciarono,, ne dispersero la minaccia. «Non lasciatemi! Non lasciatemi sola, mai più. Non sopporto di rimanere sola, neppure per un secondo,» gridò Brekke. Son qui, disse Canth, mentre le braccia di F'nor la cingevano con forza. Le lucertole fecero eco alle parole del drago, ed il suono dei loro pensieri
si fece più intenso, con il rafforzarsi della loro decisione. Stupita, Brekke si aggrappò a quella loro maturità, come se fosse un'arma per difendersi dal terribile dolore. «Oh, Grall e Berd si preoccupano per me,» disse. «Certo.» F'nor sembrava quasi irritato al pensiero che lei ne dubitasse. «No, intendevo... loro dicono che si preoccupano.» F'nor la guardò negli occhi: il suo abbraccio era meno possessivo. «Sì. Stanno imparando perché ti amano.» «Oh, F'nor, se non avessi impresso lo Schema a Berd, quel giorno, che ne sarebbe stato di me?» F'nor non rispose. La tenne stretta a sé, in un tenero silenzio, fino a che Mirrim entrò a passo svelto nel Weyr, portando un vassoio carico. Le sue lucertole le turbinavano intorno alla testa, in cerchio, gioiosamente. «Manora ha dovuto andare a sovrintendere alla preparazione dei condimenti, Brekke,» disse la ragazzina in tono didascalico. «Sai quant'è meticolosa. Ma tu devi mangiare tutta la zuppa, e poi devi bere questa pozione per dormire. Una notte di riposo, e ti sentirai meglio.» Brekke guardò la ragazzina, un po' stupita, mentre quella scostava energicamente F'nor, le sistemava i cuscini, le metteva un tovagliolo intorno al collo e cominciava ad accostarle alle labbra cucchiaiate di denso brodo di wherry. Brekke mangiò senza protestare. «Potresti anche smetterla di fissarmi, F'nor di Benden,» disse Mirrim, «e cominciare a mangiare quello che ti ho preparato, prima che si freddi. Ti ho tagliato una porzione di petto di wherry alle spezie, quindi non lasciarla lì.» F'nor si alzò, obbediente, con un sorriso: nei modi della ragazzina riconosceva quelli di Manora e di Brekke. Con sua sorpresa, Brekke trovò delizioso il brodo: le riscaldava lo stomaco dolorante e placava una fame che lei non aveva riconosciuto sino a quel momento. Bevve diligentemente la pozione, sebbene il succo di fellis non ne mascherasse completamente il sapore amaro. «E adesso, F'nor, vuoi lasciare che il povero Canth si riduca più magro di un wher da guardia?» chiese Mirrim, mentre sistemava per la notte i cuscini di Brekke. «Ha un gran brutto colore, per un marrone.» «Ha mangiato...» cominciò F'nor, contrito. «Ah!» Mirrim parlava proprio come Lessa, ora. Dovrò tenere a bada quella ragazzina, pensò oziosamente Brekke, ma una stanchezza snervante l'aveva invasa, e le era impossibile muoversi.
«Tira fuori quel pigro mucchio di ossa dal suo giaciglio e portalo al Campo del Pasto, F'nor. Sbrigati. Presto usciranno tutti per il banchetto, e tu sai che effetto fa sull'appetito della gente comune un drago che mangia. Su, andiamo. Tu Canth, esci subito dal tuo Weyr.» L'ultima cosa che Brekke vide, mentre F'nor seguiva Mirrim, fu l'espressione sorpresa di Canth quando la ragazzina gli andò accanto, gli afferrò un orecchio e cominciò a tirare. Se ne andavano, pensò Brekke con un terrore improvviso. La lasciavano sola... Io sono con te, la rassicurò immediatamente Canth. Le due lucertole, piazzate ai due lati della testa, si strinsero teneramente a lei. Anch'io, disse Ramoth. Anch'io, disse Mnementh. E frammiste a quelle voci forti ve n'erano altre, più sommesse. «Ecco,» disse Mirrim, soddisfatta, rientrando nella camera da letto. «Mangeranno e torneranno subito.» Si aggirò senza far rumore nella stanza, alzando gli schermi dei lumi perché Brekke potesse dormire. «F'nor ha detto che non vuoi restare sola, quindi aspetterò che torni lui.» Non sono sola, avrebbe voluto risponderle Brekke. Ma gli occhi le si chiusero, e cadde in un sonno profondo. Quando Lessa girò lo sguardo sulla Conca, sulle tavole dei convitati che indugiavano ancora dopo la fine del banchetto, rimpianse di non essere disinibita quanto loro. Le risa dei genitori dei nuovi cavalieri, dei cadetti che coccolavano i loro draghi, persino degli abitanti dei Weyr non recavano traccia d'amarezza o d'angoscia. Eppure lei provava un'accorata tristezza di cui non riusciva a liberarsi, e che non aveva motivo di provare. Brekke era di nuovo se stessa, debole, ma non più perduta alla ragione; F'nor l'aveva lasciata per venire a pranzare con gli invitati. F'lar stava recuperando le forze e si era reso conto di dover delegare ad altri parte delle sue nuove responsabilità. E Lytol, il problema più presente da quando Jaxom aveva impresso lo Schema a quel piccolo drago bianco (come poteva essere accaduto?) era riuscito a ubriacarsi chiassosamente, grazie all'impegno di Robinton che gli aveva tenuto testa, bicchiere per bicchiere. I due stavano cantando una canzone decisamente sconveniente, che solo un Arpista poteva conoscere. Il Nobile Reggente della Fortezza di Ruatha continuava a stonare, sebbene avesse una voce da tenore sorprendentemente gradevole. Chissà perché, lei aveva creduto che avesse una voce di bas-
so: aveva un'indole cupa, e le voci di basso sono tenebrose. Lessa si baloccò con gli avanzi della torta che stavano sul suo piatto. Le donne di Manora si erano superate: avevano farcito i wherry con frutta fermentata e mollica di pane, eliminando il sapore di selvatico che avevano tanto spesso. I cereali di fiume erano stati cotti a vapore, ed erano rimasti ben staccati e teneri. Le verdure fresche dovevano provenire dal Continente Meridionale. Lessa prese mentalmente appunto di dire a Manora che le spedizioni clandestine da quelle parti dovevano cessare. Era meglio non provocare incidenti con T'kul. Forse quelle verdure le aveva raccolte N'ton quando andava a caccia di bruchi. Il giovane cavaliere bronzeo le era sempre stato simpatico. Adesso l'avrebbe conosciuto meglio... Si chiese cosa stavano facendo, N'ton e F'lar. Avevano lasciato la tavola ed erano andati nelle Stanze più antiche. Erano sempre là, in quei giorni, pensò Lessa irritata. Dovevano occuparsi di quei vermi. Chissà se anche lei poteva filarsela? No, avrebbe fatto meglio a restare. Non era educato che il Comandante e la Dama del Weyr si assentassero entrambi in una così fausta occasione. E tra poco gli invitati avrebbero cominciato ad andarsene. Che cosa avrebbero fatto con il piccolo Jaxom? Si guardò intorno, e individuò subito Jaxom grazie alla pelle bianca del suo drago, nel gruppo dei cadetti che abbeveravano le loro bestie al lago. Il drago bianco era affascinante, certo... ma aveva un futuro? E perché proprio Jaxom? Era contenta che Lytol fosse riuscito a ubriacarsi, quella sera, ma ciò non sarebbe bastato a rendere il domani più facile per l'ex dragoniere. Forse avrebbero dovuto trattenere lì quei due, fino a quando la bestia fosse morta. Tutti erano dell'opinione che Ruth non sarebbe arrivato alla maturità. All'altra estremità della lunga tavola delle autorità c'erano Larad, Signore di Telgar, Sifer di Bitra, Raid di Benden, e Asgenar di Lemos con Dama Famira, che continuava ad arrossire. Gli sposi della Fortezza di Lamos avevano portato le loro lucertole di fuoco (che per fortuna erano una marrone e una verde): le due bestiole erano state oggetto di un grande interesse dichiarato da parte del Nobile Larad, che nel suo focolare aveva due uova quasi indurite, e di un interesse più dissimulato da parte del vecchio Raid e di Sifer di Bitra, i quali avevano anch'essi delle uova, appartenenti alla covata scoperta da F'nor. I due anziani Signori non erano del tutto convinti dell'esperimento con le lucertole di fuoco, ma non avevano fatto altro che guardare per tutta la serata le due di Lemos. Alla fine, Sifer si era sgelato e aveva chiesto come si faceva a curarle. Chissà se questo li avrebbe in-
fluenzati, per quanto riguardava il problema di Jaxom e del suo Ruth? Per l'Uovo, non potevano sovvertire l'equilibro territoriale soltanto perché Jaxom aveva impresso lo Schema ad un drago anomalo che non aveva nessuna probabilità di sopravvivere? Che nome onorifico si poteva ricavare da Jaxom? J'om? J'xom? Quasi tutte le donne del Weyr sceglievano per i loro figli nomi che si potevano contrarre decentemente. Poi Lessa rise; si stava preoccupando dell'abbreviazione di un nome, quando si trattava di un particolare di poco conto, in quel dilemma. No, Jaxom doveva restare alla Fortezza di Ruatha. Lei aveva rinunciato ai suoi diritti di Sangue su Ruatha in favore di lui, il figlio di Gemma, proprio perché era il figlio di Gemma e aveva nelle vene almeno un po' di Sangue ruathano. Si sarebbe certamente opposta a che la Fortezza passasse ad un altro Sangue. Peccato che Lytol non avesse figli. No, Jaxom doveva rimanere Signore di Ruatha. Era proprio tipico degli uomini complicare tanto una situazione così semplice. Il piccolo drago non sarebbe sopravvissuto. Era troppo fragile ed il suo colore (chi aveva mai sentito parlare d'un drago bianco?) indicava altre anomalie. Manora aveva ricordato quel bimbo della Fortezza di Nerat, dalla pelle bianchissima e dagli occhi rossi che non riusciva a sopportare la luce del giorno. Ruth era un drago notturno? Evidentemente non avrebbe mai raggiunto le dimensioni degli altri draghi: appena uscito dall'uovo, somigliava di più ad una grossa lucertola di fuoco. Ramoth ruggì dalle alture, turbata dai pensieri della sua Dama, e Lessa le chiese mentalmente scusa. «Non è colpa tua, mia cara,» le disse. «Oh, hai messo al mondo più regine tu di qualunque altra. E i figli più grandi delle altre non sono migliori dei tuoi più piccoli, amore.» Ruth prospererà, sentenziò Ramoth. Mnementh gridò dal cornicione e Lessa alzò la testa verso di loro: gli occhi dei due draghi splendevano nell'ombra, sopra la Conca illuminata. I draghi sapevano qualcosa che lei ignorava? In quei giorni sembrava molto spesso che fosse così: eppure, com'era possibile? Non si preoccupavano mai del domani o dell'ieri, vivevano alla giornata. E non era un brutto modo di vivere, pensò Lessa, con una punta d'invidia. I suoi occhi inquieti si posarono sulla figura bianca di Ruth. Perché quei due si erano scambiati lo Schema? Non aveva già abbastanza guai da risolvere, lei? «Perché dovrei preoccuparmi? Perché?» domandò all'improvviso Lytol a voce alta, bellicosamente.
L'Arpista lo guardò raggiante e inebetito. «È quel che dico anch'io. Perché dovresti?» «Voglio bene a quel ragazzo. Gli voglio bene più che se fosse della mia carne e del mio sangue. Ho dimostrato di amarlo. Ho dimostrato di avere cura di lui. Ruatha è ricca. Ricca, come quando la governava il Sangue ruathano. Ho cancellato tutto il male che aveva fatto Fax. E non l'ho fatto per me. La mia vita è finita. Sono stato tutto. Sono stato dragoniere. Oh, Larth, il mio bellissimo Larth. Sono stato tessitore, e conosco le Arti. E adesso conosco anche le Fortezze. Conosco tutto. So anche come prendermi cura di un piccolo drago bianco. Perché quel ragazzino non dovrebbe tenersi il suo drago? Per il Primo Uovo, non lo voleva nessuno. Nessun altro voleva imprimergli lo Schema. È speciale, ti dico. Speciale!» «Un momento, Nobile Lytol,» disse Raid di Benden, alzandosi da tavola e avvicinandosi al Reggente di Ruath. «Il ragazzo ha impresso lo Schema a un drago. Questo significa che deve rimanere nel Weyr.» «Ruth non è un vero drago,» disse Lytol: di colpo, non sembrava più ubriaco. «Non è un vero drago?» Raid pareva scandalizzato da quell'eresia. «Non era mai esistito un drago bianco, prima d'ora,» dichiarò solennemente Lytol, raddrizzandosi in tutta la sua statura. Non era molto più alto del Signore di Benden, ma in quel momento appariva molto più imponente. «Mai!» Decise che quell'affermazione richiedesse un brindisi, ma scoprì che la sua coppa era vuota. Riuscì a versarsi il vino con onorevole destrezza, per un uomo che faticava a reggersi il piedi. L'Arpista agitò la sua coppa per farsela riempire, ma poi faticò a tenerla ferma mentre Lytol versava. «Mai esistito un drago bianco,» intonò l'Arpista, toccando con la coppa quella di Lytol. «Non vivrà,» aggiunse il Nobile Reggente, ingollando una lunga sorsata. «Non vivrà!» «Quindi,» fece Lytol, con un profondo respiro, «il ragazzo deve testare nella sua Fortezza di Ruatha.» «Assolutamente!» Robinton alzò la coppa, come sfidasse Raid a contraddirlo. Raid gli lanciò una lunga occhiata imperscrutabile. «Deve rimanere nel Weyr,» disse finalmente, sebbene non sembrasse molto sicuro. «No, deve ritornare a Ruatha,» replicò Lytol, aggrappandosi energica-
mente al bordo del tavolo. «Quando il drago morirà, il ragazzo dovrà essere là dove le responsabilità e i doveri lo aiuteranno ad afferrarsi alla vita. Io lo so bene!» Raid non seppe che rispondere, ma lanciò occhiate di disapprovazione. Lessa trattenne il respiro e cominciò a «premere» un po' sul vecchio Signore di Benden. «Io so come aiutare il ragazzo,» continuò Lytol, mentre si lasciava ricadere lentamente sulla sedia. «So cos'è meglio per lui. So cosa significa perdere un drago. La differenza, in questo caso, è che noi sappiamo che Ruth ha i giorni contati.» «Ha i giorni contati,» gli fece eco l'Arpista, e all'improvviso appoggiò la testa sul tavolo. Lytol si chinò su di lui, con aria quasi paterna, poi si ritrasse trasalendo, quando l'Arpista cominciò a russare sommessamente. «Ehi, non ti addormentare. Non abbiamo finito la bottiglia.» Poiché Robinton non reagì, Lytol scrollò le spalle e vuotò la coppa. Poi si afflosciò pian piano, appoggiò la testa sul tavolo e cominciò a russare in controtempo con Robinton. Raid scrutò i due con acido disgusto. Poi girò sui tacchi e ritornò al suo posto. «Non so, ma non credo che ci sia la verità nel vino,» commentò Larad di Telgar, quando Raid sedette di nuovo. Lessa si affrettò a «premere» su Larad. Lui non era insensibile come Raid. Quando lo vide scuotere il capo, desistette e rivolse la sua attenzione a Sifer. Se fosse riuscita a indurli entrambi a dichiararsi d'accordo... «Il drago e il suo cavaliere appartengono al Weyr,» disse Raid. «Non si può cambiare ciò che è naturale per l'uomo e per la bestia.» «Beh, vediamo, prendi un po' le lucertole di fuoco,» cominciò Sifer, indicando le due che stavano tra le braccia del Nobile e della Dama della Fortezza di Lamos. «Anche quelle sono draghi, in un certo senso.» Raid sbuffò. «L'abbiamo visto oggi quel che succede quando ci si oppone alla natura. Quella ragazza, come si chiama? Ha perduto la sua regina. Bene, persino le lucertole di fuoco le hanno impedito di imprimere un nuovo Schema. Quegli essermi ne sanno più di quel che noi immaginiamo. Pensate un po' per quanti anni la gente ha cercato di catturarle...» «E adesso se ne prendono covate intere,» l'interruppe Sifer. «Sono cosini tanto graziosi. Devo dire che non vedo l'ora che i miei escano dall'uovo.» Quel litigio ricordò a Lessa il vecchio R'gul e S'lel, i suoi primi «insegnanti» del Weyr, che continuavano a contraddirsi a vicenda, mentre cer-
cavano di insegnarle «tutto ciò che doveva sapere per diventare una Dama del Weyr». Ma era stato F'lar a insegnarglielo veramente. «Il ragazzo deve restare qui con il drago.» «Il ragazzo in questione è il Signore d'una Fortezza, Raid,» gli ricordò Larad di Telgar. «E non abbiamo proprio bisogno di una Fortezza contestata. Forse sarebbe diverso se Lytol avesse figli maschi, o se ne avesse adottati abbastanza per avere un candidato promettente. No, Jaxom deve restare Signore di Ruatha.» Il Signore di Telgar scrutò la Conca, per cercare il ragazzo. I suoi occhi incontrarono quelli di Lessa, ed egli le sorrise con distratta cortesia. «Non sono d'accordo, non sono d'accordo,» dichiarò Raid, scuotendo enfaticamente la testa. «È contrario alle consuetudini.» «Certe consuetudini vanno cambiate,» affermò Larad, accigliandosi. «Io vorrei sapere che cosa desidera fare il ragazzo,» intervenne Asgenar, in tono blando, attirando lo sguardo di Larad. Il Signore di Telgar rovesciò la testa in una risata gioviale. «Non complicare le cose, fratello. Abbiamo appena deciso il suo destino, lo voglia o non lo voglia.» «Bisogna interpellare il ragazzo,» disse Asgenar, con maggiore fermezza. Deviò lo sguardo da Larad ai due Signori più anziani. «Ho visto la sua faccia, quando è uscito dal Terreno della Schiusa. Aveva compreso ciò che aveva fatto. Era bianco come il piccolo drago.» Poi Asgenar accennò con il capo a Lytol. «Sì, Jaxom sa anche troppo bene cosa ha fatto.» Raid si schiarì la gola, irritato. «Non si domanda ai giovani che cosa intendono fare. Glielo si ordina, e basta.» Asgenar si rivolse alla sua Dama, sfiorandole leggermente le spalle: ma era impossibile equivocare sulla tenerezza della sua espressione quando la pregò di richiedere la presenza del giovane Jaxom. Attenta a non disturbare la sua lucertola verde addormentata, Famira si alzò per andarlo a cercare. «Ho scoperto da poco che si apprendono molte cose chiedendo,» disse Asgenar, seguendo la moglie con lo sguardo ed uno strano sorriso sulle labbra. «Chiedendo agli adulti, sì, ma non ai bambini!» Raid caricò di rabbia quella frase. Lessa «premette» su di lui. Doveva essere più sensibile, in quello stato d'animo. «Ma perché non prende in braccio la sua bestia?» domandò irritato il Si-
gnore di Benden mentre osservava il lento, maestoso avanzare della Dama di Lemos, del giovane Signore di Ruatha e del piccolo drago bianco, Ruth. «Direi che Jaxom ha stabilito il giusto rapporto,» ribatté Asgenar. «Sarebbe più facile e più svelto portare in braccio quella bestiola, ma non più saggio. Anche un drago così piccolo ha la sua dignità.» Raid di Benden borbottò: Lessa non avrebbe saputo dire se fosse d'accordo o no. Lo vide agitarsi e massaggiarsi la nuca con una mano, perciò smise di «premere». Il frullo delle ali di un drago che atterrava attirò la sua attenzione. Si voltò e vide il luccichio della pelle bronzea contro lo sfondo buio, accanto alla nuova entrata delle antiche Stanze. Lioth ha portato il Maestro Agricoltore, le riferì Ramoth. Lessa non riuscì a capire perché fosse stata richiesta la presenza di Andemon, né perché fosse stato N'ton ad andarlo a prendere. La Sede dei Maestro Agricoltore, adesso, aveva a disposizione un suo drago. Fece per alzarsi. «Ti rendi conto del guaio che hai combinato, giovanotto?» stava chiedendo Raid con voce sdegnata. Lessa si voltò di scatto, divisa tra due diverse curiosità. Jaxom aveva due difensori in Asgenar e Larad. Ma si chiedeva cosa avrebbe risposto a Raid. Jaxom stava eretto, a testa alta, gli occhi accesi. Ruth gli teneva la testa appoggiata alla coscia, come se il draghetto si rendesse conto che li stavano giudicando. «Sì, mio buon Nobile Raid, mi rendo perfettamente conto delle conseguenze delle mie azioni, e che gli altri Signori delle Fortezze possono venirsi a trovare alle prese con un grave problema.» Senza il minimo pentimento, Jaxom stava ricordando indirettamente a Raid che, sebbene giovanissimo, anche lui era Signore d'una Fortezza. Il vecchio Raid raddrizzò le spalle, come se... Lessa lasciò la sua sedia. «No...» Il mormorio era così sommesso che in un primo momento pensò di essersi sbagliata. Poi vide che l'Arpista la guardava con occhi acuti, come se fosse perfettamente sobrio. E probabilmente lo era davvero, quel dissimulatore, nonostante la scena che aveva recitato prima. «Te ne rendi perfettamente conto, eh?» ripeté Raid, e all'improvviso balzò in piedi. Il vecchio Signore si era incurvato, con il passare dei Giri. Le spalle si erano piegate, il ventre non era più piatto, le gambe erano scarne
nei calzoni di pelle. Sembrava una caricatura, di fronte a quel ragazzetto snello e fiero. «Sai che dovrai restare al Weyr di Benden, ora che hai impresso lo Schema a un drago? Ti rendi conto che Ruatha non ha più il suo Signore?» «Con tutto il rispetto, tu e tutti gli altri Nobili presenti non costituite un Conclave, poiché non siete i due terzi dei Signori di Pern,» rispose Jaxom. «Se sarà necessario, sarò lieto di presentarmi davanti a un regolare Conclave e di difendere la mia posizione. È evidente, mi pare, che Ruth non è un drago normale. Mi è stato detto che ha scarse probabilità di raggiungere la maturità. Perciò non serve al Weyr, che non ha posto per gli inutili. Anche i vecchi draghi che non sono più in grado di masticare le pietre incendiarie si sono ritirati al Weyr Meridionale... o almeno vi erano.» Quella svista sconcertò Jaxom fino a quando scorse il sorriso incoraggiante di Asgenar. «È opportuno considerare Ruth una lucertola di fuoco eccezionalmente grande, più che un drago sottosviluppato.» Jaxom sorrise con affettuosa aria di scusa a Ruth e accarezzò la testa bianca levata verso di lui. Era un gesto così adulto, così bello, che Lessa si sentì stringere la gola. «Il mio primo dovere è nei confronti del mio Sangue, della Fortezza dove sono cresciuto. Ruth ed io saremmo di troppo, qui al Weyr di Benden. Noi possiamo aiutare la Fortezza di Ruatha esattamente come fanno le altre lucertole di fuoco.» «Ben detto, giovane Signore di Ruatha, ben detto,» esclamò Asgenar di Lemos, e la sua acclamazione fece strillare la sua lucertola. Larad di Forte Talgar annuì solennemente, approvando. «Umf. Una risposta un po' troppo insolente, per i miei gusti,» borbottò Raid. «Di questi tempi, tutti quanti voi giovincelli agite prima di riflettere.» «Questa è certamente la mia colpa, Nobile Raid,» disse sinceramente Jaxom. «Ma oggi ho dovuto agire con rapidità... per salvare la vita a un drago. Ci è stato insegnato a onorare la razza dei draghi: e a me più che agli altri.» Jaxom indicò Lytol. Rimase con la mano protesa, e una espressione di profonda pena gli oscurò il viso. Forse perché l'aveva destato la voce di Jaxom, o forse perché aveva posato la testa in una posizione troppo scomoda, il Nobile Reggente di Ruatha s'era svegliato. Si alzò, aggrappandosi alla tavola, e poi la lasciò. A passi lenti, come se fosse costretto a concentrarsi su ogni movimento, Lytol percorse tutta la lunghezza della mensa e raggiunse il suo pupillo. Gli passò un braccio intorno alla spalla e, come se traesse forza da quel
contatto, si raddrizzò e si girò verso Raid di Benden. La sua espressione era orgogliosa, ancora più altera di quella che usava assumere talvolta il Nobile Groghe. «Il Nobile Jaxom di Ruatha non deve essere biasimato per quanto è accaduto oggi. Come suo tutore, io sono responsabile... se è una colpa salvare una vita. Se mi sono premurato di insegnargli la reverenza per la razza dei draghi, avevo buone ragioni!» Il Nobile Raid distolse gli occhi, a disagio, dallo sguardo fermo di Lytol. «Se,» e Lytol sottolineò quella parola, quasi ritenendo che si trattasse d'una possibilità molto remota, «i Signori decideranno di riunirsi in Conclave, sosterrò che nessuno può criticare il comportamento tenuto oggi dal Nobile Jaxom. Ha agito secondo l'onore e secondo l'insegnamento impartitogli. Tuttavia, servirà meglio Pern ritornando alla sua Fortezza. A Ruatha, il piccolo Ruth sarà curato e onorato... per tutto il tempo che sarà con noi.» Non c'era dubbio che Larad e Asgenar erano d'accordo con Lytol. Il vecchio Sifer stava seduto, tormentandosi il labbro, riluttante a guardare Raid. «Io ritengo comunque che i draghi debbano stare nei Weyr!» borbottò Raid, torvo e risentito. Poiché il problema era stato apparentemente risolto, Lessa si girò per andarsene, e per poco non urtò F'nor. F'nor la sorresse. «Un Weyr è là dov'è un drago,» disse a voce bassa e divertita. La tensione di quell'ultima settimana si scorgeva ancora sul suo volto, ma gli occhi erano sereni, le labbra non più contratte dall'angoscia. La guarigione di Brekke gli aveva evidentemente fatto bene. «Si è addormentata,» mormorò. «Ti avevo detto che non avrebbe voluto imprimere lo Schema ad una nuova regina.» Lessa fece un gesto impaziente, «Se non altro, l'esperienza l'ha liberata del trauma.» «Sì.» C'era un sollievo immenso, in quella parola sommessa. «Quindi farai bene ad accompagnarmi nelle Stanze. Voglio scoprire perché è appena arrivato il Maestro Agricoltore Andemon. Ed è ora che tu ti rimetta al lavoro!» F'nor ridacchiò. «Sì, se qualcun altro ha fatto la mia parte. Qualcuno ha portato a F'lar i Fili che voleva?» C'era una nota di preoccupazione nella sua voce. «Glieli ha portati N'ton.» «Credevo che fosse il vice di P'zar al Weyr di Fort!» «Come dicevi l'altra mattina, quando non sei tu a tenerlo a freno, F'lar
cambia sempre tutti.» Lessa scorse l'espressione ferita di F'nor e gli prese il braccio, sorridendo con fare rassicurante: non era ancora disposto a lasciarsi punzecchiare come al solito. «Nessuno può prendere il tuo posto, con F'lar... o con me. Canth e Brekke avevano più bisogno di te, in questo periodo.» E gli strinse la mano. «Ma ciò non significa che non sia successo nulla: sarà meglio che ti dia da fare. N'ton è stato ammesso ai nostri segreti perché F'lar s'è improvvisamente accorto di essere mortale, quando aveva la febbre, e ha deciso di rinunciare a fare il misterioso. Altrimenti, potrebbero passare altri quattrocento Giri o più, prima che scoprissimo come liquidare i Fili.» Lessa raccolse l'ampiezza della gonna per poter procedere più svelta sul fondo sabbioso. «Posso venire anch'io?» chiese l'Arpista. «Tu? Sei abbastanza sobrio per arrivare fin là?» Robinton ridacchiò, alliscinandosi i capelli scompigliati. «Lytol non poteva farmi bere abbastanza da ubriacarmi, mia cara Dama Lessa. Soltanto il Fabbro è capace di tanto.» Non c'era dubbio: era ben saldo sulle gambe, mentre si dirigevano verso l'entrata delle Stanze. Le stelle brillavano nel dolce cielo nero primaverile, ed i lumi più bassi gettavano cerchi di chiarore sulla sabbia. Lassù, sui cornicioni dei weyr, i draghi osservavano con i fulgidi occhi opalescenti, lanciando di tanto in tanto mormorii di piacere. Lessa scorse tre draghi profilati contro il cielo accanto alla Pietra della Stella: Ramoth e Mnementh erano appollaiati alla destra del drago di guardia, e si tenevano avvinti con le ali. Ramoth e Mnementh erano molto soddisfatti, quella sera; lei aveva udito spesso la voce poderosa della sua regina. Era un grande sollievo constatare che era di buon umore, dopo tanto tempo. Lessa si augurò che passasse un lungo periodo, prima che Ramoth provasse di nuovo l'impulso di accoppiarsi. Quando entrarono nelle Stanze, videro la figura scarna del Maestro Agricoltore china sulla vasca più grande: era intento a rigirare le foglie delle pianticelle di fellis. F'lar l'osservava con aria guardinga, mentre N'ton sogghignava, incapace di rispettare la solennità del momento. Appena F'lar scorse F'nor, gli rivolse un gran sorriso e gli si avvicinò, gli afferrò il braccio. «Manora ha detto che Brekke si è liberata del trauma. È un grande sollievo, credimi. Comunque, sarei stato più soddisfatto se fosse riuscita a imprimere lo Schema alla nuova regina...»
«Sarebbe stato inutile,» disse F'nor, così bruscamente che il sorriso di suo fratello si affievolì. Poi F'lar si scosse e lo portò verso le vasche. «N'ton ha portato i Fili e abbiamo infettato tre recipienti grandi,» spiegò, sottovoce, per non disturbare il Maestro Allevatore. «I bruchi hanno divorato tutti i filamenti. E nei punti in cui i Fili avevano trapassato le foglie di quell'albero di fellis, i segni della carbonizzazione stanno già guarendo. Spero che il Maestro Andemon sappia dirci come e perché.» Andemon si rialzò, ma tenne il lungo mento affondato sul petto, mentre guardava preoccupato la vasca. Sbatté le palpebre e sporse le labbra sottili, agitando le mani pesanti nelle pieghe della tunica macchiata di terra. Quando il messaggero del Weyr era andato a chiamarlo nei campi, era partito senza neppure cambiarsi. «Non so come e perché, buon Comandante del Weyr. E se quanto mi hai detto è vero,» aggiunse, levando finalmente gli occhi verso F'lar, «mi fa paura.» «Perché, uomo?» F'lar rise sorpreso. «Non capisci cosa significa? Se i bruchi possono adattarsi al suolo e al clima del Nord, e se si comportano come noi, tutti noi, qui,» indicò l'Arpista e il suo Vicecomandante, oltre a Lessa, «li abbiamo visti fare, Pern non dovrà temere i Fili, mai più.» Andemon trasse un profondo respiro, raddrizzò le spalle: ma non si capiva se si accingeva a opporsi a quella concezione rivoluzionaria o ad accettarla. Guardò l'Arpista, come se potesse fidarsi dell'opinione di quell'uomo più che di tutti gli altri. «Hai visto i Fili divorati da questi vermi?» L'Arpista annuì. «Ed è stato cinque giorni fa?» L'Arpista confermò. Un brivido scosse il Maestro Agricoltore. Abbassò lo sguardo sulle vasche con la riluttanza della paura. Si fece avanti risoluto e tornò a scrutare l'alberello di fellis. Aspirò, trattenne il respiro, tese per un momento la mano nodosa prima di affondarla nella terra. Aveva gli occhi chiusi. Sollevò una manciata umida di terriccio e, riaprendo le palpebre, la rigirò, mettendo allo scoperto un ammasso di bruchi frementi. Spalancò gli occhi e, con un'esclamazione di schifo, gettò via la terra come se si fosse scottato. I vermi si contorsero impotenti sul pavimento di pietra. «Che succede? Non possono esserci Fili!» «Quelli sono parassiti!» rispose Andemon, fissando F'lar, deluso e indi-
gnato. «Abbiamo cercato per secoli di liberare da queste larve le zone meridionali della nostra penisola.» Con una smorfia di disgusto, guardò il Comandante del Weyr che raccoglieva uno ad uno i bruchi e li deponeva nella vasca più vicina. «Sono perniciosi e indistruttibili come i vermi delle sabbie di Igen, e non altrettanto utili. Lascia che invadano un campo e tutte le piante cominciano ad appassire e a morire.» «Qui non ci sono piante appassite,» protestò F'lar, indicando la vegetazione rigogliosa delle vasche. Andemon lo guardò. F'lar si mosse, afferrando una manciata di terriccio da ognuno dei recipienti, mostrando come prova i bruchi. «È impossibile,» insistette Andemon, colto nuovamente dalla paura. «Non ti ricordi, F'lar,» fece Lessa, «che quando abbiamo portato qui i bruchi, tutte le piante sono appassite?» «Ma poi si sono riprese! Avevano solo bisogno d'acqua!» «Non è possibile» Andemon dimenticò la propria ripugnanza e scavò in un'altra vasca per dimostrare a se stesso che F'lar aveva torto. «In questa non ci sono bruchi!» disse trionfante. «Non ci sono mai stati! L'ho usata come controllo. E devo dire che le piante sembrano meno verdi e sane di quelle delle altre vasche.» Andemon si guardò intorno. «I bruchi sono nocivi. Sono centinaia di Giri che cerchiamo di sbarazzarcene.» «E allora, buon Maestro Andemon,» disse F'lar con un sorriso mite e malinconico, «Temo che gli agricoltori abbiano agito contro l'interesse di Pern.» Il Maestro Agricoltore proruppe in smentite indignate. Ci volle tutta la diplomazia di Robinton per calmarlo, in modo che F'lar potesse spiegarsi. «E vuoi farmi credere che queste larve, questi bruchi, erano stati allevati e diffusi di proposito?» domandò Andemon all'Arpista: sembrava fosse disposto a fidarsi soltanto di lui. «Erano stati allevati dagli stessi nostri antenati che allevarono i draghi?» «È ciò che pensiamo,» rispose Robinton. «Oh, capisco la tua incredulità. Io stesso ho dovuto dormirci sopra parecchie notti. Tuttavia, se esaminiamo le Cronache, vediamo che, mentre non si dice mai che i dragonieri attaccheranno la Stella Rossa e la libereranno dai Fili, vi è la convinzione ricorrente che un giorno i Fili non costituiranno più una minaccia tanto terribile. F'lar ha ragionevolmente immaginato...» «Non ho immaginato, Robinton: ne sono assolutamente sicuro,» l'interruppe F'lar. «N'ton è tornato nel Continente Meridionale... balzando in
mezzo al tempo, fino a sette Giri fa, per controllare le Cadute dei Fili. Dovunque ha cercato, ci sono bruchi nel suolo, e quando i Fili cadono risalgono alla superficie e li divorano. Ecco perché nel Continente Meridionale non ci sono mai state tane. Lo stesso suolo è ostile ai Fili.» Nel silenzio che seguì, Andemon si guardò le punte degli stivali infangati. «Nelle Cronache della Sede dell'Agricoltura, si dice specificatamente che bisogna stare attenti a quei bruchi.» Alzò sugli altri uno sguardo turbato. «Siamo sempre stati attenti. Era il nostro dovere. Le piante avvizziscono, dovunque compaiono i bruchi.» Scrollò le spalle, disperatamente confuso. «Li abbiamo sempre sterminati, abbiamo distrutto le sacche...» e sospirò, «con la fiamma e l'agenothree. È l'unico modo per bloccare l'infestazione.» «Stare attenti ai bruchi, dicono le Cronache,» ripeté Andemon. Poi cominciò a tremare. Lessa cercò lo sguardo di F'lar preoccupata. Ma Andemon stava ridendo, adesso, amaramente. «Stare attenti ai bruchi, dicono le Cronache. Non dicono di distruggerli. Ripetono continuamente di 'stare attenti ai bruchi'. E noi siamo stati attenti. Oh, come siamo stati attenti!» L'Arpista porse ad Andemon la bottiglia di vino. «Ci vuole proprio, Arpista. Grazie,» fece Andemon, asciugandosi le labbra con il dorso della mano, dopo una lunga sorsata. «Quindi qualcuno aveva dimenticato di dire perché dovevate stare attenti ai bruchi, Andemon,» disse F'lar, preso da pietà per l'angoscia di quell'uomo. «Se Sograny fosse stato più ragionevole! Una volta, tanta gente doveva sapere perché bisognava stare attenti ai bruchi, e non c'era bisogno di istruzioni più esplicite. Poi le Fortezze hanno incominciato a crescere, la gente si è dispersa. Le Cronache sono andate perdute o distrutte, gli uomini morivano prima di poter trasmettere le cognizioni d'importanza vitale.» Si voltò a guardare le vasche. «Forse avevano perfezionato questi bruchi proprio qui, nel Weyr di Benden. Forse è questo, il significato del diagramma sulla parete. Vi sono tante cose che sono andate perdute...» «Ma che non andranno perdute mai più, se l'Arte degli Arpisti ha qualche influenza,» affermò Robinton. «Se tutti, delle Fortezze, delle Arti, dei Weyr, avranno libero accesso a tutti i documenti...» Alzò la mano quando Andemon fece per protestare. «Ebbene, ora disponiamo di qualcosa di meglio delle pelli, per conservare le Cronache. Bendarek ha creato robusti fogli di polpa di legno, che trattengono l'inchiostro, si possono ammucchiare in bell'ordine e sono impervi a tutto, eccettuato il fuoco. Possiamo
mettere in comune il patrimonio di conoscenze e diffonderlo.» Andemon guardò l'Arpista, perplesso. «Maestro Robinton, vi sono certe cose che un'Arte deve mantenere segrete, altrimenti...» «Altrimenti perdiamo un mondo a causa dei Fili? È così, Andemon? Uomo, se la verità relativa a quei bruchi non fosse stata trattata come un segreto dell'Arte, saremmo liberi dai Fili ormai da centinaia di Giri.» Andemon lanciò all'improvviso un'esclamazione soffocata, fissando F'lar. «E i dragonieri... non avremmo più bisogno dei dragonieri?» «Bene, se gli uomini rimanessero chiusi nelle Fortezze durante le Cadute dei Fili, e se i bruchi divorassero tutti quelli che toccano il suolo, no, non avreste bisogno dei dragonieri,» rispose F'lar, assolutamente imperturbabile. «Ma i dragonieri de... debbono combattere i Fili...» L'Agricoltore balbettava per lo sbigottimento. «Oh, combatteremo i Fili ancora per parecchio tempo, te l'assicuro. Non corriamo pericolo immediato di restare senza lavoro. Ci sono moltissime cose da fare. Per esempio, quanto tempo dovrà trascorrere prima che un continente intero possa venire disseminato di bruchi?» Andemon aprì la bocca e la richiuse. Robinton gli additò la bottiglia, mimò il gesto di una lunga sorsata. Stordito, l'Agricoltore obbedì. «Non lo so. Proprio non lo so. Oh, per Giri e Giri, siamo stati attenti a quei bruchi... sterminandoli, radendo campi interi quando venivano infestati. Le sacche delle larve si aprono in primavera e noi dovremmo...» Si lasciò cadere seduto, scuotendo la testa. «Devi riprenderti, uomo,» disse F'lar: ma era il suo atteggiamento a sconvolgere Andemon. «Cosa... cosa faranno i dragonieri?» «Elimineranno i Fili, naturalmente. Elimineranno i Fili.» Se F'lar fosse stato un po' meno sicuro di sé, F'nor avrebbe stentato a conservare la compostezza. Ma il suo fratellastro doveva avere già un piano in mente. E Lessa sembrava serena... come sapeva esserlo Manora. Per fortuna, Andemon non era soltanto un uomo intelligente: era anche tenace. Si era trovato di fronte ad una serie di rivelazioni che sovvertivano concezioni fondamentali. Ora doveva rovesciare una consuetudine radicata nella sua Arte da tempo immemorabile. Doveva sbarazzarsi di un pregiudizio innato, instillato con insistenza, e doveva accettare l'abdicazione di un'autorità che aveva motivo di rispettare e di perpetuare. Andemon era deciso a risolvere quelle questioni prima di lasciare il
Weyr. Interrogò F'lar, F'nor, l'Arpista, N'ton e Manora, quando seppe che anche lei aveva preso parte a quel progetto. Esaminò tutte le vasche, in particolare quella che era stata lasciata intatta. Superò la ripugnanza ed esaminò i bruchi meticolosamente, rivoltando con pazienza un grosso esemplare come se appartenesse ad una specie del tutto nuova. E in un certo senso era così. L'Agricoltore guardò pensieroso la larva illesa che si affrettava a seppellirsi di nuovo nel terriccio da cui l'aveva prelevata. «Il mio desiderio più vivo,» disse. «è vedere la fine della lunga dominazione dei Fili. Solo che il mezzo che può liberarcene è... è...» «Ripugnante?» suggerì l'Arpista. Andemon guardò per un attimo Robinton. «Sì. Tu sei l'uomo che ha sempre le parole adatte, Maestro Robinton. È abbastanza avvilente pensare di dovere della riconoscenza ad un... ad un essere tanto umile. Preferirei essere grato ai draghi.» Rivolse a F'lar un sorriso depresso. «Ma tu non sei un Signore delle Fortezze!» esclamò ironica Lessa, suscitando le risate di tutti. «Eppure,» proseguì Andemon, mentre si faceva scorrere tra le dita una manciata di terra, «abbiamo dato troppo per scontata la ricchezza di questo suolo. Ne facciamo parte, ne siamo anche protetti. Ammesso che tutto vada bene.» Si ripulì la mano sui calzoni di pelle di wher e si rivolse a F'lar con aria decisa. «Vorrei eseguire anch'io qualche esperimento, Comandante del Weyr. Abbiamo vasche e tutto il necessario alla Sede dell'Arte dell'Agricoltura...» «Ma certamente.» F'lar sorrise di sollievo. «Collaboreremo in tutti i modi. Bruchi, Fili, quanti ve ne occorreranno. Ma tu hai risolto l'unico grosso problema che avevo previsto.» Andemon inarcò le sopracciglia con fare interrogativo. «Stabilire se i bruchi sono o no adattabili al Continente Settentrionale.» «Lo sono, Comandante del Weyr, lo sono.» Il tono dell'Agricoltore era cupamente sardonico. «Io non direi che sia quello, il problema principale, F'lar,» disse F'nor. «Oh?» La sillaba sommessa sembrava quasi una sfida al cavaliere marrone. F'nor esitò per un attimo, chiedendosi se F'lar aveva perduto la fiducia in lui, nonostante ciò che Lessa gli aveva detto poco prima. «Ho osservato il Maestro Andemon, e ricordo la mia reazione ai bruchi. Una cosa è affermare che rappresentano la soluzione per il pericolo dei
Fili, ma è tutta un'altra faccenda convincere l'uomo comune ad accettarlo. E convincerne i dragonieri.» Andemon approvò con un cenno del capo; ed a giudicare dall'espressione dell'Arpista, F'nor capì di non essere stato l'unico a prevedere una notevole resistenza. Ma F'lar cominciò a sorridere ironicamente, mentre sedeva sul bordo d'una vasca. «È per questo motivo che ho fatto venire qui Andemon e gli ho spiegato il progetto. Ci serve un aiuto che lui soltanto ci può dare, non appena sarà sicuro. Quanto tempo impiegano i bruchi ad infestare un campo, Maestro Agricoltore?» Andemon abbassò la testa sul petto, riflettendo. Poi scosse il capo e ammise di non essere in grado di effettuare una stima. In passato, non appena un capo risultava infestato, la zona veniva bruciata per evitare che i bruchi si diffondessero. «Quindi, per prima cosa dobbiamo scoprire quanto tempo occorrerà!» «Dovrai attendere la primavera ventura,» gli ricordò il Maestro Agricoltore. «Perché? Possiamo importare i bruchi dal Continente Meridionale.» «E dove li mettiamo?» chiese l'Arpista, sardonico. «Alla Fortezza di Lemos.» «Lemos!» «E dove, altrimenti?» F'lar aveva un'aria soddisfatta. «Le foreste sono le aree più difficili da proteggere. Asgenar e Bendarek sono ben decisi a salvarle. E tutti e due hanno una mentalità abbastanza elastica per accettare una innovazione del genere e per portarla a buon fine. Tu, Maestro Agricoltore, avrai il compito più difficile. Convincere i tuoi artigiani a non uccidere più i bruchi...» Andemon alzò una mano. «Per prima cosa, dovrò completare le mie osservazioni.» «Ma certamente, Maestro Andemon.» E il sogghigno di F'lar si allargò. «Sono sicuro del risultato. Permettimi di ricordarti il tuo primo viaggio al Weyr Meridionale. Dichiarasti che la vegetazione era lussureggiante, che gli alberi e gli arbusti comuni ai due continenti là erano più grandi, che i raccolti erano spettacolosi, i frutti dolcissimi. E tutto questo non è dovuto semplicemente al clima temperato. Abbiamo zone simili anche qui al Nord. È dovuto,» e F'lar puntò l'indice prima verso Andemon e poi verso le vasche, «allo stimolo e alla protezione dei bruchi.»
Andemon non sembrava completamente convinto, ma F'lar non insistette. «Ora, Maestro Andemon, l'Arpista ti aiuterà per quanto gli è possibile. Tu conosci la tua gente molto meglio di noi... tu sai con chi potrai parlare apertamente. Ti prego di discuterne con i tuoi Maestri più fidati. E più sono, meglio è. Non possiamo lasciarci sfuggire quest'occasione per mancanza di discepoli. Potremmo essere costretti ad aspettare che i vostri Antichi si estinguano.» F'lar rise ironicamente. «Immagino che i Weyr non siano i soli a dover lottare contro gli Antichi: tutti abbiamo un compito di rieducazione da realizzare.» «Sì, ci saranno problemi.» Il Maestro Agricoltore sembrò rendersi conto soltanto in quel momento dell'enormità dell'impresa. «Molti,» gli assicurò tranquillo F'lar. «Ma il risultato finale sarà la liberazione dai Fili.» «Potrebbero occorrere Giri e Giri,» disse Andemon, guardandolo negli occhi; e poi, come se questo lo consolasse un po', raddrizzò le spalle. Ormai era impegnato. «Potrebbero occorrere davvero. Per prima cosa,» e F'lar sorrise con un balenio malizioso negli occhi, «dobbiamo fare in modo che voi agricoltori smettiate di sterminare i nostri salvatori.» Un'espressione scandalizzata e indignata passò sul volto grinzoso di Andemon, poi fu subito sostituita da un sorriso incerto, quando egli si rese conto che F'lar lo stava prendendo in giro. Evidentemente era un'esperienza insolita per il Maestro Agricoltore. «Pensa a quante cose dovrò riscrivere io,» lamentò l'Arpista. «Mi sento la gola secca solo a pensarci.» E guardò mestamente la bottiglia ormai vuota. «Certo, bisogna berci sopra,» osservò Lessa, lanciando un'occhiata di sott'occhi a Robinton. Poi prese Andemon per il braccio, per condurlo fuori. «Sono onorato, mia signora, ma debbo sovrintendere a certi lavori, e ho le indagini da organizzare.» Andemon si scostò. «Ma almeno un sorso?» supplicò Lessa, sorridendo con il suo fare più accattivante. Il Maestro Agricoltore si passò la mano tra i capelli: era chiaro che non osava rifiutare. «Vada per un sorso, allora.» «Allo scopo di suggellare l'accordo per il destino di Pern,» disse l'Arpi-
sta, abbassando la voce in tono sepolcrale: in quel momento, aveva un'aria solenne, straordinariamente simile al Nobile Groghe di Fort. Mentre uscivano insieme dalle Stanze, Andemon abbassò lo sguardo su Lessa. «Se non è troppo indiscreto da parte mia chiederlo... la giovane donna, Brekke, che ha perduto la sua regina... come sta?» Lessa esitò un attimo soltanto. «F'nor può risponderti meglio di me. Sono Compagni di Weyr.» F'nor fu costretto ad avvicinarsi. «È stata molto male. La perdita del proprio drago è un tremendo trauma. Ma si è adattata. Non si ucciderà.» Il Maestro Agricoltore si fermò a guardare F'nor. «Questo sarebbe impensabile.» Lessa cercò lo sguardo di F'nor, e l'uomo ricordò che stava parlando ad un artigiano. «Sì, certo: ma la perdita è stata sconvolgente.» «Lo capisco. Ah, e ora Brekke in che posizione si trova?» Le parole uscirono lentamente dalle labbra dell'Agricoltore: ma poi egli aggiunse, a precipizio: «Lei proviene dalla Sede della mia Arte, vedi, e noi...» «Brekke è benvoluta e rispettata da tutti i Weyr,» intervenne Lessa, quando Andemon si confuse. «È una delle rare persone che possono udire tutti i draghi. Godrà sempre di una posizione elevata ed eccezionale fra i dragonieri. Se vorrà, potrà ritornare a casa sua...» «No!» Il tono del Maestro Agricoltore era definitivo. «Brekke fa parte del Weyr, ormai, e per sempre,» si affrettò a dichiarare F'nor. Lessa fu un po' sorpresa dalla veemenza dei due uomini. Il modo di fare di Andemon le aveva dato la sensazione che la sua Arte rivolesse Brekke. «Ti chiedo scusa per essere stato così brusco, mia signora. Sarebbe difficile per Brekke ritornare alla nostra vita così semplice.» Poi la sua voce s'indurì, perse ogni esitazione. «E quell'adultera colpevole?» «È... viva.» Nella freddezza della voce di Lessa c'era un'eco di quella dell'Agricoltore. «È viva?» Andemon si fermò di nuovo, lasciando cadere il braccio di Lessa e guardandola incollerito. «È viva? Bisognerebbe tagliarle la gola, farla a pezzi...» «È viva, Maestro Agricoltore, ma non ha più intelligenza o consapevolezza di un neonato. Esiste nella prigione della sua colpa! I dragonieri non uccidono!»
L'Agricoltore fissò intensamente Lessa ancora per un istante, poi annuì, adagio. Con grande cortesia, le offrì di nuovo il braccio, quando lei fece cenno di proseguire. F'nor non li seguì, perché gli eventi di quel giorno cominciavano a far sentire il loro peso. Guardò Andemon e Lessa che raggiungevano gli altri alla tavola principale, vide i Signori di Lemos e di Telgar che si avvicinavano. Lytol ed il giovane Jaxom con il suo candido Ruth non si vedevano. F'nor si augurò che Lytol avesse riportato Jaxom a Ruatha. Era più felice di aver scoperto le lucertole di fuoco da quando si fosse mai sentito dal momento in cui Grall l'aveva guardato per la prima volta. Si avviò verso la ripida scala che portava al proprio weyr: voleva restare solo. Canth era nella sua grotta, e teneva tutte le palpebre abbassate sugli occhi, tranne una. Quando F'nor entrò, anche l'ultima si chiuse. F'nor si appoggiò al collo del drago, cercando con le mani le vene pulsanti della gola morbida e calda. Poteva «udire» i sommessi pensieri affettuosi delle due lucertole raggomitolate accanto al la testa di Brekke. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase così, ripensando alla Schiusa, alla liberazione di Brekke, all'impresa di Jaxom, al pranzo, a tutto ciò che era accaduto in quell'unico, intenso pomeriggio. C'erano tante cose da fare, certamente: ma si sentiva incapace di allontanarsi da Canth. Ricordò soprattutto il turbamento di Andemon, quando s'era reso conto che F'lar aveva proposto la fine dei dragonieri. Eppure... F'lar non l'aveva fatto, in realtà. Aveva senza dubbio in mente qualche diversa alternativa. I bruchi... sì, divoravano i Fili prima che avessero il tempo di scavare le tane e di proliferare. Ma erano di aspetto ripugnante, e non suscitavano né rispetto né gratitudine. Non erano vistosi e imponenti come i draghi. La gente non avrebbe visto quei vermi divorare i Fili. Non avrebbe avuto la soddisfazione di osservare i draghi fiammeggiare, ardere, bruciare, carbonizzare i Fili nell'aria, prima che quella sostanza esiziale raggiungesse il suolo. Sicuramente F'lar se ne rendeva conto, sapeva che gli umani dovevano avere la prova visibile della sconfitta dei Fili. I dragonieri sarebbero diventati dei simboli e nient'altro? No altrimenti sarebbero stati parassiti, non meno dei Fili. Era un espediente ripugnante, insopportabile per un uomo onesto come F'lar. Ma che cosa aveva in mente? I bruchi potevano costituire la soluzione decisiva ma - soprattutto dopo migliaia di Giri di condizionamento - non sarebbe stata una soluzione ac-
cettabile per tutti i Pernesi, per i Signori e gli Artigiani, la gente comune e i cavalieri dei draghi. XVI Sera al Weyr di Benden. Tarda sera al Weyr di Fort. Nei giorni che seguirono, F'nor fu troppo indaffarato per aver tempo di preoccuparsi. Brekke stava recuperando le forze e insisteva perché lui ritornasse ai suoi doveri. Poi aveva convinto Manora a lasciarla scendere nelle Caverne Interiori, per rendersi utile; e Manora l'aveva incaricata di occuparsi della rifinitura degli arazzi, in modo da farla partecipare alla vita operosa della Caverna. Le lucertole di fuoco non la lasciavano quasi mai. Grall trillava, divisa tra due impulsi contrastanti, quando F'nor si allontanava per qualche missione, e allora egli le ordinava di rimanere con Brekke. F'lar aveva previsto esattamente che Asgenar e Bendarek avrebbero accettato qualunque sostituzione, pur di salvar le foreste. Ma l'incredulità e la resistenza iniziale che incontrò gli confermarono l'enormità del compito addossatosi. Il Signore della Fortezza ed il Maestro Artigiano avevano apertamente diffidato delle sue affermazioni fino a quando era arrivato N'ton con un secchio pieno di Fili vivi, che sibilavano e fumavano, e li aveva versati su di una vasca di piante verdeggianti. In pochi momenti, il groviglio dei Fili che avevano osservato gettare sulle pianticelle di fellis era stato consumato completamente dai bruchi. Storditi e abbagliati, i due avevano preso per valida anche l'assicurazione di F'lar, che le foglie trafitte e fumiganti sarebbero guarite in pochi giorni. C'erano tante cose che i dragonieri non sapevano sul conto dei bruchi, come si preoccupava di spiegare F'lar. Quanto tempo avrebbero impiegato a proliferare in modo che una data area potesse venire considerata «a prova di Fili»; la durata del ciclo vitale dei bruchi, la densità che sarebbe stata necessaria per assicurare una completa protezione. Ma decisero dove avrebbero incominciato: nelle terre della Fortezza di Lemos, tra i preziosi boschi dal legname tenero, così richiesto per i mobili, così vulnerabile ai Fili. Poiché gli ex residenti del Weyr Meridionale non avevano mai studiato l'arte dell'agricoltura, non avevano compreso il significato delle sacche
larvali nei boschi del Sud. Adesso era autunno, nell'emisfero australe, ma F'nor, N'ton e un altro cavaliere avevano accettato di balzare in mezzo per tornare alla precedente primavera. Anche Brekke fu d'aiuto, poiché conosceva così bene l'organizzazione dell'attività del Weyr Meridionale che fu in grado di dire loro come dovevano spostarsi per non imbattersi negli altri, nel passato. Tuttavia, sebbene fosse nata e cresciuta nell'Arte dell'Agricoltura, Brekke si era occupata di curare i feriti, durante il suo soggiorno al Weyr Meridionale, e si era volutamente tenuta lontana dall'attività agricola per tagliare ogni legame con la sua esistenza di un tempo. Sebbene F'lar non assillasse il Maestro Agricoltore Andemon, proseguì con i suoi piani come se avesse la collaborazione dell'Arte. Parecchie volte, Andemon richiese Fili e bruchi, che gli vennero portati premurosamente: ma non fece sapere nulla dell'andamento dei suo esperimenti. Il Maestro Fabbro Fandarel e Terry erano stati informati del progetto: anzi era stata organizzata per loro una dimostrazione speciale. Appena ebbe superato la ripugnanza iniziale per i vermi e l'orrore per la vicinanza dei Fili vivi, Terry si dimostrò pieno d'entusiasmo. Le prodezze dei bruchi strapparono soltanto un profondo borbottio al Maestro Fabbro. Limitò i suoi commenti ad una critica sprezzante dei recipienti di terracotta dal lungo manico che servivano per catturare i Fili. «Inefficienti, inefficienti. Si possono aprire una volta sola, per catturare quelle cose.» Aveva prelevato il recipiente ed era tornato a raggiungere il drago che lo aveva portato fin lì. Terry aveva giurato e spergiurato che il Maestro Fabbro era rimasto senza dubbio molto colpito, e avrebbe collaborato in tutti i modi. Quel giorno era stato davvero memorabile. Le parole di Terry erano state interrotte dal grido spazientito di Fandarel: allora si era inchinato e se n'era andato, continuando a rassicurare gli sconcertati cavalieri dei draghi. «Avrei giurato che Fandarel avrebbe almeno giudicato efficienti i bruchi,» aveva osservato F'lar. «È rimasto senza parole per lo sbalordimento?» aveva ipotizzato F'nor. «No.» E Lessa aveva fatto una smorfia. «Era infuriato per l'inefficienza!» Avevano riso e avevano proseguito il loro lavoro. Quella sera arrivò dalla Sede del Fabbro un messaggero, con il recipiente di terracotta preso a prestito e con un congegno veramente straordinario. Aveva forma tondeggiante, ed era fissato ad un lungo manico, con la cui impugnatura si poteva comandare l'apertura del coperchio, azionato da una molla interna. Quel
coperchio era il particolare più ingegnoso perché si apriva a ventaglio verso l'alto e verso l'esterno, in modo che i Fili venivano convogliati nel recipiente e non potevano fuggire anche se veniva riaperto. Il messaggero confidò inoltre a F'lar che il Maestro Fabbro si trovava in difficoltà con la sua telescrivente. Tutti i cavi dovevano venire rivestiti di materiale protettivo, altrimenti i Fili avrebbero tagliato il sottilissimo metallo. Il Fabbro aveva tentato con rivestimenti di ceramica, ma non riusciva a produrli in quantità adeguate con la necessaria rapidità. Ora che i Fili cadevano con tanta frequenza, le sue officine erano sommerse dalle richieste di riparazione dei lanciafiamme che s'intasavano. Le squadre di terra si lasciavano prendere dal panico, quando l'equipaggiamento si guastava durante una Caduta ed era impossibile respingere tutte le richieste di riparazione urgenti. I Signori, cui le telescriventi erano state promesse come mezzi di collegamento tra le Fortezze isolate e i soccorritori, cominciavano ad insistere, chiedendo soluzioni. Soprattutto quella che per loro era la soluzione decisiva... la progettata spedizione alla Stella Rossa. F'lar aveva preso l'abitudine di riunire ogni giorno i suoi consiglieri ed i Vicecomandanti, per non perdere di vista i vari aspetti del piano complessivo. Decisero anche quali Signori e Maestri delle Arti sarebbero stati capaci di accettare la rivoluzionaria rivelazione, ma procedettero con molta cautela. Asgenar riferì loro che Larad della Fortezza di Telgar era molto più conservatore di quanto avessero immaginato, e che la dimostrazione limitata nelle Stanze non avrebbe avuto la forza di persuasione di un campo protetto attaccato dai Fili. Purtroppo la giovane sposa di Asgenar, Famira, che si era recata in visita a casa sua, aveva inavvertitamente accennato al progetto. Non gli era però mancato il buon senso d'inviare la sua lucertola a chiamare il marito, e questi aveva trascinato di peso il cognato al Weyr di Benden, perché assistesse ad una dimostrazione e ascoltasse le spiegazioni. Larad non si era convinto, indignandosi per quello che definiva «un inganno crudele, una mancanza di parola» da parte dei dragonieri. Quando Asgenar aveva insistito per portare Larad nel tratto di bosco protetto e aveva fatto versare Fili vivi su di una pianticella, sradicandola per dimostrare che era stata adeguatamente difesa, la rabbia del Signore di Telgar aveva cominciato a sbollire. Le ampie valli di Telgar erano state colpite duramente dalle Cadute quasi incessanti dei Fili. Le squadre di terra della Fortezza erano scoraggiate dalla prospettiva di dover condurre una vigilanza incessante.
«È il tempo che ci manca!» aveva gridato Larad di Telgar, quando aveva appreso che la protezione per mezzo dei bruchi sarebbe stata un progetto a lungo termine. «Quasi ogni giorno noi perdiamo campi di cereali e di tuberi commestibili. Gli uomini sono già stanchi di lottare continuamente contro i Fili, non hanno più. energia. Nella migliore delle ipotesi, ci aspetta un inverno molto magro, e temo il peggio, se i mesi trascorsi costituiscono un indizio di ciò che può ancora accadere.» «Sì, è duro vedere la salvezza tanto vicina... e lontana quanto il ciclo vitale di un insetto non più grande della punta d'un dito,» disse Robinton, che si trovava immancabilmente presente a quel genere di scontri. Era intento ad accarezzare la piccola lucertola bronzea cui aveva impresso lo Schema solo pochi giorni prima. «O la lunghezza di quel telescopio,» fece Larad, serrando le labbra, preoccupato. «Non si è più fatto nulla, per quella spedizione alla Stella Rossa?» «Sì,» rispose F'lar, mantenendo con fermezza un atteggiamento ragionevole e paziente. «La si è osservata in tutte le notti serene. Manso ha addestrato una squadra di osservatori e si è fatto prestare i disegnatori più esperti dal Maestro Zurg e dall'Arpista. Hanno eseguito innumerevoli schizzi delle masse del pianeta. Adesso ne conosciamo gli emisferi...» «E allora?» Larad era inflessibile. «Non riusciamo a scorgere nessuna caratteristica abbastanza nitida per guidare i draghi.» Il signore di Telgar sospirò rassegnato. «Siamo convinti,» e F'lar fissò N'ton, perché il giovane cavaliere bronzeo prendeva parte alle osservazioni non meno di Wansor, «che la frequenza delle Cadute si diraderà, tra qualche mese.» «Si diraderà? Come puoi esserne sicuro?» Sul volto del Signore di Telgar la speranza lottava con il sospetto. «Wansor è dell'opinione che gli altri pianeti nel nostro cielo abbiano influenzato il moto della Stella Rossa: rallentandola, tirandola da parecchie direzioni. Abbiamo dei vicini molto prossimi, vedi: uno, ora, si trova un po' al di sotto dell'equatore del nostro pianeta, due al di sopra e al di là della Stella Rossa: una congiunzione molto rara. Non appena quei pianeti si allontaneranno, secondo Wansor tornerà a ristabilirsi il precedente ritmo di Caduta dei Fili.» «Tra qualche mese? Ma non ci servirà. E come puoi esserne sicuro?» «No, non possiamo esserne sicuri... ed è per questo che non abbiamo di-
vulgato la teoria di Wansor. Ma tra qualche settimana ne saremo certi.» F'lar alzò la mano per interrompere le proteste di Larad. «Avrai senza dubbio notato che gli astri più luminosi, che sono i pianeti nostri fratelli, si spostano da Occidente a Oriente nel corso dell'anno. Guarda questa notte: vedrai che quello azzurro è un poco al di sopra di quello verde, ed è molto fulgido. E la Stella Rossa è più bassa di entrambi. Ora, ricordi il diagramma nella Sala del Consiglio del Weyr di Fort? Siamo sicuri che rappresenti i cieli intorno al nostro sole. E tu avrai visto i tuoi figli adottivi giocare con una palla fissata ad una funicella. Avrai giocato anche tu, anzi. Sostituisci i pianeti alle palle, il sole a colui che le fa roteare, e ne avrai un'idea. Certe palle ruotano più rapidamente delle altre, a seconda della velocità dello slancio, la lunghezza e la tensione della funicella. In sostanza, il principio che fa muovere gli astri intorno al sole è identico.» Robinton aveva tracciato uno schizzo su di un foglio, e lo porse a Larad. «Devo vedere tutto questo nei cieli con i miei occhi,» ribatté il Signore di Telgar, irremovibile. «È uno spettacolo, ti assicuro,» disse Asgenar. «Questo studio mi ha affascinato e se,» aggiunse con un gran sorriso, mettendo in mostra tutti i denti, «se mai Wansor troverà il tempo di fabbricare una copia di quello strumento, la voglio sulle alture di Lemos. Siamo ad un'altezza adatta per vedere il cielo settentrionale. Mi piacerebbe vedere con un telescopio la pioggia di stelle cadenti che si ripete ogni estate!» Larad sbuffò a quel pensiero. «No, è affascinante,» protestò Asgenar, con gli occhi accesi d'entusiasmo. Poi aggiunse, cambiando tono: «E non sono neppure l'unico ad essere incantato da questi studi. Ogni volta che mi reco a Fort devo litigare con Meron di Nabol per avere la possibilità di usare il telescopio.» «Nabol?» Asgenar era un po' sorpreso dall'effetto di quella sua frase casuale. «Sì, Nabol è eternamente incollato al telescopio. A quanto sembra, lui è deciso a scoprire le coordinate, più dei dragonieri.» Nessuno parve condividere la sua allegria divertita. F'lar lanciò un'occhiata indagatrice a N'ton. «Sì, è vero, è sempre là. Se non fosse il Signore di una Fortezza...» E il giovane cavaliere bronzeo scrollò le spalle. «Perché? Dice il perché?» N'ton ripeté la spallucciata. «Dice che sta cercando le coordinate. Ma le cerchiamo anche noi. Non esistono particolari abbastanza nitidi. Soltanto
masse informi di grigio e di verdigrigi molto scuri. Non cambiano mai: è evidente che sono stabili, ma sono terraferma? Oppure mari?» N'ton cominciò a percepire la tensione accusatrice che regnava nella stanza e cambiò posa. «Molto spesso, la faccia della Stella Rossa è oscurata da quelle nubi. È scoraggiante.» «Meron è scoraggiato?» chiese deciso F'lar. «Non riesco a capire il tuo atteggiamento, Benden,» disse Larad, con un'espressione dura. «Non mi sembri troppo ansioso di scoprire le coordinate.» F'lar lo guardò negli occhi. «Credevo che avessimo già chiarito il problema. Prima di poter mandare i draghi, dobbiamo sapere dove stiamo andando.» Indicò la lucertola verde appollaiata sulla spalla del Signore di Telgar. «Tu stai cercando di addestrare la tua lucertola di fuoco. Puoi renderti conto delle difficoltà.» Larad s'irrigidì, sulla difensiva, e la sua lucertola sibilò, roteando gli occhi. F'lar non si lasciò intimidire. «Il fatto che non esistano Cronache di tentativi precedenti di raggiungere la Stella Rossa indica che i nostri antenati, i costruttori del telescopio, conoscitori esperti delle posizioni degli astri vicini a noi, non ci andarono mai. Dovevano avere una ragione, una ragione validissima. Cosa vorresti che facessi, Larad?» chiese F'lar, cominciando a camminare avanti e indietro, agitato. «Che cercassi dei volontari? Tu, tu e tu.» Girò su se stesso, puntando il dito verso una schiera immaginaria di cavalieri. «Andate, balzate in mezzo e raggiungete la Stella Rossa. Le coordinate? Mi dispiace, uomini, non le ho. Chiedete ai vostri draghi di dare un'occhiata a metà strada. Se non tornate indietro, imputeremo la vostra morte alla Stella Rossa. Ma, miei prodi, morirete sapendo di avere risolto il nostro problema: gli uomini non possono andare sulla Stella Rossa.» Larad arrossì, punto sul vivo dal sarcasmo di F'lar. «Se i nostri antenati non hanno registrato nelle loro Cronache una conoscenza precisa della Stella Rossa,» disse sottovoce Robinton, nel silenzio carico di tensione, «hanno almeno fornito le soluzioni locali. I draghi e i bruchi.» «Né gli uni né gli altri assicurano una protezione efficace, in quel momento, quando più ne abbiamo bisogno,» rispose Larad in tono amaro, scoraggiato. «Pern ha bisogno di qualcosa di più concreto delle promesse... e degli insetti!» E uscì precipitosamente dalle Stanze. Asgenar cominciò a protestare e si mosse per seguirlo, ma F'lar lo trattenne.
«Non è dell'umore più adatto per essere ragionevole, Asgenar,» disse F'lar, che aveva il volto contratto dall'ansia. «Se non è rassicurato dalle dimostrazioni di oggi, non so che altro possiamo dire o fare.» «È sconvolto per la perdita dei raccolti estivi,» rispose Asgenar. «La Fortezza di Telgar era in piena espansione, lo sai. Larad ha attirato a sé molti piccoli Nobili insoddisfatti di Nerat, Crom e Nabol, che sono passati a lui. Se il raccolto sarà scarso, l'inverno prossimo avrà per le mani più gente affamata e più guai di quanti ne possa affrontare.» «Ma che altro possiamo fare?» chiese F'lar, con una nota di disperazione nella voce. Si stancava così facilmente. La febbre gli aveva lasciato scarse riserve d'energia, e quello stato era più esasperante di tutti gli altri problemi. L'ostinazione di Larad era stata per lui una delusione inaspettata. Avevano avuto fortuna con tutti coloro che avevano avvicinato sino allora. «Io so che non puoi mandare gli uomini verso la Stella Rossa in un balzo alla cieca,» disse Asgenar, turbato dall'inquietudine di F'lar. «Ho cercato d'insegnare al mio Rial dove voglio che vada nella Fortezza; lui qualche volta sembra impazzire, perché non riesce a vedere abbastanza chiaramente la destinazione. Aspetta che Larad cominci a mandare in giro la sua lucertola. Allora capirà. Vedi, ciò che più lo sconvolge è la certezza che tu non possa pianificare un attacco contro la Stella Rossa.» «Il tuo errore iniziale, mio caro F'lar,» fece l'Arpista, con il suo tono ironico, «è stato di assicurare la salvezza dal disastro imminente nel giro di tre soli giorni, portando in questo tempo i Cinque Weyr Perduti. I Signori delle Fortezze adesso si aspettano che tu realizzi un secondo miracolo del genere in un tempo altrettanto breve.» Era un'osservazione assurda, e F'lar scoppiò a ridere, prima di riuscire a trattenersi. Ma la tensione e l'ansia si dileguarono e nonostante la preoccupazione, i cinque uomini riacquistarono il senso della prospettiva. «Abbiamo bisogno di tempo,» insistette F'lar. «E non lo abbiamo,» fece stancamente Asgenar. «E allora cerchiamo di sfruttare al meglio quel po' di cui disponiamo,» replicò deciso F'lar, che aveva superato il dubbio e la disillusione. «Lavoriamo a Telgar. F'nor, quanti cavalieri può prestarci T'bor per andare a cercare le sacche larvali nel Continente Meridionale in mezzo al tempo? Tu e N'ton potete calcolare le coordinate insieme a loro.» «Ma in questo modo non s'indebolirà la protezione del Continente Meridionale?» chiese Robinton. «No, perché N'ton tiene gli occhi aperti. Ha notato che molte delle sac-
che formatesi in autunno cadono o vengono divorate durante i mesi invernali. Perciò abbiamo cambiato metodo. Controlliamo l'area in primavera per individuare le sacche sopravvissute, poi torniamo nell'autunno precedente e preleviamo una parte di quelle che non sono destinate a durare. Qualche wherry salterà un pasto o due, ma non credo che abbiamo alterato l'equilibrio naturale.» F'lar prese a camminare avanti e indietro, massaggiandosi distrattamente le costole, dove la cicatrice prudeva. «E ho bisogno di qualcuno che tenga d'occhio Nabol.» Robinton fece udire uno sbuffo divertito. «A quanto pare, siamo alle prese con le creature più strane. I bruchi. Meron di Nabol. Oh, sì,» e ridacchiò dell'irritazione degli altri. «Può ancora rivelarsi utile. Lasciamo che aguzzi gli occhi e si faccia venire il torcicollo a studiare tutte le notti la Stella Rossa. Finché è occupato in quel modo, sappiamo di avere tempo. Gli occhi di un individuo vendicativo si lasciano sfuggire ben pochi dettagli che possano tornare a suo vantaggio.» «Ben detto, Robinton. N'ton,» e F'lar si girò verso il giovane cavaliere bronzeo. «Voglio sapere tutto ciò che dice quell'uomo, quali aspetti della Stella Rossa osserva, cosa può vedere, quali sono le sue reazioni. Abbiamo dovuto pentirci troppo spesso di aver ignorato quell'uomo. Può darsi che; alla fine, dobbiamo addirittura essergli grati.» «Io preferirei essere grato ai bruchi,» rispose N'ton con un certo fervore. «Francamente, signore,» aggiunse, esitando per la prima volta nell'accettare un incarico da quando era stato ammesso a fare parte del consiglio, «preferisco andare a caccia di bruchi o catturare Fili.» F'lar lo scrutò pensieroso per un momento. «E allora, N'ton, considera questa missione come la cattura decisiva dei Fili.» Brekke aveva insistito per occuparsi delle piante coltivate nelle Stanze, non appena aveva ripreso le forze. Ricordò che era nata e cresciuta tra gli agricoltori, ed era in grado di svolgere quelle mansioni. Preferiva non essere presente, durante le dimostrazioni. Si allontanava, per non vedere nessuno, a parte gli abitanti del Weyr. Sopportava la comprensione di questi, ma la pietà degli estranei la esasperava. Tuttavia, la sua curiosità non era minore del solito, e si faceva riferire da F'nor tutti i particolari di quello che lei chiamava il segreto d'Arte meglio conosciuto di Pern. Quando F'nor raccontò che il Signore di Telgar. aveva rabbiosamente contestato ciò che i Weyr stavano cercando di realizzare,
rimase visibilmente turbata. «Larad ha torto,» disse con quei tono lento che aveva adottato da qualche tempo. «I bruchi rappresentano la soluzione giusta. Ma è vero che non è sempre facile accettare la soluzione migliore. E una spedizione alla Stella Rossa non è una soluzione, anche se i Pernesi aspirano istintivamente a vederla realizzata. È ovvio. Come era ovvia, sette Giri fa, la presenza di duemila draghi sulla Fortezza di Telgar.» Stupì F'nor con un lieve sorriso, il primo dalla morte di Wirenth. «Anch'io, come Robinton, preferirei affidarmi ai bruchi. Presentano minori problemi. Ma io sono cresciuta tra gli agricoltori.» «Da un po' di tempo continui a ripetere questa frase,» osservò F'nor, girandole il viso verso di lui e scrutandole gli occhi verdi. Erano seri, come sempre, ed in quello sguardo sincero c'era l'ombra d'una sofferenza che non si sarebbe mai dissolta. Brekke intrecciò le dita fra le dita di F'nor e sorrise dolcemente, un sorriso che non disperse l'angoscia. «Ero cresciuta tra gli agricoltori,» si corresse. «Ma adesso appartengo al Weyr.» Berd cantilenò in tono d'approvazione, e Grall aggiunse un trillo. «Potremmo perdere alcune Fortezze, in questo Giro,» disse amaramente F'nor. «Non risolverebbe niente,» fece Brekke. «È un sollievo, per me, che F'lar abbia deciso di tener d'occhio quel Nabol. Ha una mente tortuosa.» All'improvviso lanciò un gemito, serrando così forte le dita di F'nor da lacerargli la pelle con le unghie. «Cosa c'è?» L'uomo la cinse con le braccia, come per proteggerla. «Ha una mente tortuosa,» disse Brekke, fissandolo con la paura negli occhi. «E ha anche una lucertola di fuoco, un bronzeo, che ha la stessa età di Berd e Grall. Qualcuno sa se la sta addestrando? Se l'addestra ad andare in mezzo?» «Abbiamo insegnato a tutti i Signori come...» F'nor s'interruppe, quando comprese l'andamento del pensiero di lei. Berd e Grall reagirono alla paura di Brekke con squittii nervosi, sventolando le ali. «No, no, Brekke. Non può,» la rassicurò F'nor. «Asgenar ne ha una più giovane di circa una settimana e ci diceva quante difficoltà incontra quando cerca di mandare il suo Rial in giro per la Fortezza.» «Ma Meron ha la sua da più tempo. Potrebbe essere già meglio addestrata.» «Nabol?» F'nor era scettico. «Quell'uomo non sa come trattare una lu-
certola di fuoco.» «E allora perché la Stella Rossa l'affascina tanto? Che altro può avere in mente, se non mandare lassù la sua lucertola bronzea?» «Ma sa benissimo che i dragonieri non si azzardano a mandarci i loro draghi. Come può immaginare che sia in grado di andarci una lucertola di fuoco?» «Quell'uomo non si fida dei dragonieri,» osservò Brekke, evidentemente ossessionata dall'idea. «Perché dovrebbe credere alle loro parole? Devi dirlo a F'lar!» F'nor promise, perché era l'unico modo per tranquillizzarla. Era ancora così esile, così patetica. Le palpebre sembravano trasparenti, sebbene le labbra e le guance fossero lievemente arrossate. «Prometti che lo dirai a F'lar.» «Glielo dirò. Glielo dirò. Ma non nel cuore della notte.» Poiché il giorno seguente dovette orientare in mezzo al tempo una squadra di cavalieri impegnati nella ricerca delle sacche larvali, F'nor dimenticò la promessa, fino a tarda sera. Per non addolorare Brekke con la sua dimenticanza, chiese a Canth di parlare a Lioth, il drago bronzeo, perché riferisse quell'ipotesi a N'ton. Se il cavaliere del Weyr di Fort avesse notato qualcosa che sostanziava i timori di Brekke, avrebbe informato F'lar. Ebbe l'occasione di parlare con N'ton il giorno seguente, quando s'incontrarono nella valle isolata che Larad di Telgar aveva scelto per farla disseminare di bruchi. In quel campo, notò F'nor con una certa ironia, era stata piantata una nuova verdura ibrida, molto richiesta come cibo raffinato, che cresceva bene soltanto in certe aree montane di Telgar e delle Terre Alte. «Può darsi che Brekke abbia ragione, F'nor,» ammise N'ton. «I cavalieri di guardia dicono che Nabol guarda a lungo nel telescopio, e poi si volta a fissare negli occhi la sua lucertola di fuoco, fino a quando quella sembra impazzire per l'agitazione e cerca di levarsi in volo. Anzi, ieri notte quella povera creaturina è andata in mezzo urlando. E Nabol se n'è andato di pessimo umore, maledicendo tutta la razza dei draghi.» «Hai controllato cosa stava guardando?» N'ton scrollò le spalle. «Non si vedeva bene ieri notte. C'erano molte nubi. Una delle poche cose visibili era quella coda grigia... quel posto che somiglia a Nerat ma è rivolto verso Est anziché verso Ovest. È rimasto visibile solo per poco tempo.» F'nor ricordava bene quel particolare. Una massa grigia che formava
come una coda di drago, e puntava nella direzione opposta alla rotazione dei pianeta. «Qualche volta,» ridacchiò N'ton, «le nuvole che circondano la stella sono più nitide di tutto quello che riusciamo a vedere al di sotto. L'altra notte, per esempio, c'era un ammasso di nubi che sembrava una donna,» N'ton mosse le mani per descrivere una testa, «che si intrecciava i capelli. Ho visto bene il capo, inclinato verso sinistra, la treccia quasi terminata e poi la cascata di capelli sciolti. Affascinante.» F'nor non dimenticò completamente quella conversazione, perché aveva notato le molte forme riconoscibili nelle nubi che avvolgevano la Stella Rossa, e spesso si era lasciato assorbire da quello spettacolo anche più del dovuto. Le informazioni di N'ton sul comportamento della lucertola di fuoco erano molto interessanti. Quelle creaturine non dipendevano come i draghi dai loro padroni. Erano capacissime di sparire in mezzo quando si annoiavano, o quando veniva chiesto loro di fare qualcosa che non volevano. Dopo un po' ricomparivano, di solito all'ora del pasto, poiché evidentemente presumevano che gli umani avessero la memoria corta. Grall e Berd sembravano maturati abbastanza e avevano superato quel comportamento. Avevano sicuramente un encomiabile senso di responsabilità nei confronti di Brekke. Uno dei due le stava sempre vicino. F'nor era pronto a scommettere che Grall e Berd erano le due lucertole di fuoco più fidate di tutto Pern. Comunque, bisognava sorvegliare strettamente Meron. Era possibile che riuscisse a dominare la sua lucertola. E come diceva Brekke, aveva una mente tortuosa. Quando F'nor entrò nel corridoio del suo weyr, quella sera, sentì che era in corso una conversazione animata, sebbene non riuscisse a distinguere le parole. Lessa è preoccupata, gli riferì Canth, ripiegando le ali contro il dorso mentre lo seguiva. «Quando hai vissuto per sette Giri con un uomo, sai che cos'ha in mente,» stava dicendo Lessa in tono concitato, quando F'nor entrò. Si voltò, con un'espressione quasi colpevole, che fu sostituita dal sollievo quando lo riconobbe. F'nor guardò Brekke, la cui espressione era stranamente imperscrutabile. Lei non gli rivolse un sorriso di benvenuto. «Che cosa ha in mente chi, Lessa?» chiese F'nor, slacciando la cintura
della tunica da volo. Gettò i guanti sul tavolo e accettò il vino che Brekke gli versò. Lessa si lasciò cadere impacciata sulla sedia accanto, evitando di guardarlo. «Lessa ha paura che F'lar tenti di andare personalmente sulla Stella Rossa,» disse Brekke, fissandolo. F'nor rifletté, mentre beveva il vino. «F'lar non è uno stupido, mie care ragazze. Un drago deve sapere dove sta andando. E noi non sappiamo cosa dirgli. E neppure Mnementh è uno sciocco.» Ma quando F'nor rese la sua coppa a Brekke perché gliela riempisse di nuovo, vide mentalmente, all'improvviso, la donna fatta di nuvole di cui gli aveva parlato N'ton. «Non può andare,» fece Lessa, in tono aspro. «È lui che tiene unito Pern. È l'unico che possa tenere legati i Signori delle Fortezze, i Maestri delle Arti e i dragonieri. Anche gli Antichi si fidano di lui, adesso. Di lui. E di nessun altro.» Lessa era eccezionalmente sconvolta, notò F'nor. Grall e Berd planarono per appollaiarsi sulla spalliera della sedia di Brekke, trillando sommessamente e ripulendosi le ali. Lessa li ignorò e si sporse verso il tavolo, prendendo la mano di F'nor per attirare la sua attenzione. «Ho sentito quello che ha detto l'Arpista a proposito dei miracoli. La salvezza in tre giorni!» I suoi occhi erano amareggiati. «Andare sulla Stella Rossa non salverebbe nessuno, Lessa!» «Sì, ma non lo sappiamo con certezza. Presumiamo soltanto che noi non possiamo andare lassù perché non c'erano mai andati i nostri antenati. E fino a quando non avremo provato ai Signori quali sono le condizioni effettive, non accetteranno l'alternativa.» «Ci sono altre difficoltà con Larad?» domandò premuroso F'nor, massaggiandosi il collo. Si sentiva i muscoli inspiegabilmente contratti. «Larad è già abbastanza difficile,» rispose risentita Lessa. «Ma lo preferisco a Raid e a Sifer. Quei due hanno captato le voci che circolano, e pretendono un'azione immediata.» «E voi mostrate loro i bruchi!» Lessa lasciò di colpo la mano di F'nor, sporgendo le labbra in atteggiamento esasperato. «Se i bruchi non tranquillizzano Larad di Telgar, faranno ancora meno effetto su quei vecchi cocciuti! No, loro,» e accentuando quel pronome espresse tutto il suo disprezzo per i due vecchi Nobili, «Sono convinti che Meron di Nabol abbia effettivamente trovato le coordinate,
dopo tante notti di veglia, e le tenga nascoste per dispetto al resto di Pern.» F'nor sorrise sarcastico e scosse il capo. «N'ton sta sorvegliando Meron di Nabol. Quell'uomo non ha scoperto nulla. Non potrebbe far niente senza che noi venissimo a saperlo. Ed è certo che non ha fortuna con la sua lucertola di fuoco.» Lessa sbatté le palpebre e lo fissò senza capire. «Con la sua lucertola di fuoco?» «Brekke pensa che Meron potrebbe tentare di mandare la sua lucertola di fuoco alla Stella Rossa.» Come se dentro di lei fosse scattata una molla, Lessa si raddrizzò sulla sedia, e con gli occhi immensi, quasi neri, fissò prima F'nor, poi Brekke. «Sì, ne sarebbe capacissimo. Non gli importerebbe di sacrificare la sua lucertola di fuoco per questo, no? E quell'esserino ha la stessa età dei vostri.» Si portò una mano alla bocca. «Se Meron...» F'nor rise, ostentando una sicurezza che non provava affatto. Lessa aveva reagito troppo positivamente ad una nozione che lui, in fondo, considerava inverosimile. Certo, Lessa non aveva una lucertola di fuoco, e forse non si rendeva conto dei limiti di quelle creature. «Può darsi che ci stia provando,» si sentì in dovere di dire. «N'ton lo tiene d'occhio. Ma non approda a nulla, Meron, e non credo che possa riuscirci. Non ha il temperamento adatto per trattenere le lucertole di fuoco. Non si possono impartire loro ordini come se fossero sguattere.» Lessa strinse i pugni, in uno scatto di frustrazione. «Deve pure esserci qualcosa che possiamo fare. Ti assicuro, F'nor, io so cos'ha in mente F'lar. So che sta tentando di scoprire un modo per arrivare alla Stella Rossa, se non altro per dimostrare ai Signori delle Fortezze che non esiste alcuna alternativa ai bruchi!» «Può darsi che F'lar sia disposto a rischiare il collo, mia cara Lessa... ma Mnementh sarà d'accordo?» Lessa gli lanciò uno sguardo apertamente ostile. «E mettere in testa a quella povera bestia che è questo che F'lar vuole? Strozzerei volentieri Robinton. Lui e la sua salvezza in tre giorni! F'lar non la smette mai di pensarci. Ma non è F'lar, quello che deve andare,» e s'interruppe, mordendosi le labbra, deviando lo sguardo verso Brekke. «Capisco, Lessa,» disse Brekke, lentamente, fissandola negli occhi senza abbassare le palpebre. «Sì, ti capisco.» F'nor cominciò a massaggiarsi la spalla destra. Doveva essere rimasto in mezzo troppo, in quegli ultimi tempi.
«Lascia stare,» fece all'improvviso Lessa, con energia insolita. «Sono soltanto snervata da questa incertezza. Dimentica ciò che ho detto. Sto fantasticando troppo. Sono stanca come... come siamo stanchi tutti.» «In questo hai ragione,» ammise F'nor. «Tutti noi vediamo problemi che non esistono. Dopotutto, nessuno dei Signori si è presentato al Weyr di Benden a lanciare il suo ultimatum. Cosa potrebbe fare? F'lar è stato certamente chiaro, ha spiegato così spesso il suo progetto di servirsi dei bruchi per proteggere le terre che se dovessi ascoltarlo ancora una volta mi verrebbe la nausea. È stato molto franco con i Comandanti, con i Maestri delle Arti, ha fatto in modo che tutti sapessero esattamente in cosa consiste il piano complessivo. Questa volta nulla andrà storto. È un segreto dell'Arte che non andrà perduto solo perché qualcuno non sa leggere una pelle delle Cronache!» Lessa si alzò, tesa. Si umettò le labbra. «Credo,» fece a voce bassa, «che sia questo a farmi più paura. F'lar prende tutte le precauzioni, in modo che tutti sappiano. Come se...» S'interruppe e si precipitò fuori dal weyr. F'nor la seguì con lo sguardo. Quell'interpretazione del comportamento di F'lar cominciava ad assumere significati spaventosi. Turbato, si rivolse a Brekke, sorpreso di scorgere le lagrime negli occhi della ragazza. La prese tra le braccia. «Senti, mi riposerò un po', mangeremo, e poi andrò al Weyr di Fort. Andrò a vedere personalmente Meron. Meglio ancora,» e la strinse per tranquillizzarla, «porterò con me Grall. È la più vecchia di tutte le lucertole che abbiamo. Vedrò se lei accetterebbe il viaggio. Se c'è una lucertola disposta ad andare, sarebbe lei. Ecco non ti sembra una buona idea?» Brekke si aggrappò a lui, baciandolo con tanto slancio che F'nor dimenticò l'idea inquietante di Lessa, dimenticò di essere affamato e stanco e reagì con sorpresa alle ardenti richieste di lei. Grall non avrebbe voluto lasciare Berd, acciambellato sul cucino accanto alla testa di Brekke. Ma F'nor non poteva lasciarla con Brekke. Gli aveva ricordato, dopo che si erano amati profondamente, che avevano dei doveri. Se Lessa era così preoccupata per F'lar da confidarsi con loro, doveva essere più allarmata di quanto aveva ammesso. Brekke e F'nor dovevano assumersi tutte le responsabilità che potevano. Brekke era speciale, per assumersi responsabilità, pensò con affettuosa sopportazione F'nor, mentre svegliava Canth. Bene, non ci sarebbe voluto
molto a controllare Meron. O a scoprire se Grall era disposta a prendere in considerazione l'idea di un volo alla Stella Rossa. Era certamente un'alternativa preferibile alla possibilità che fosse F'lar a compiere quel viaggio. Se la piccola regina era disposta ad andare. Canth era d'ottimo umore, mentre volteggiavano sopra il Weyr di Benden e quando irruppero dal freddo in mezzo sopra la Pietra della Stella del Weyr di Fort. C'erano dei lumi sulla sommità del bordo del Weyr e, oltre la Pietra della Stella, si scorgevano le sagome di numerosi draghi. Canth e F'nor del Weyr di Benden, annunciò il drago marrone, rispondendo al cavaliere di guardia. Lioth è qui, e anche il drago verde assegnato a Nabol, aggiunse Canth mentre atterrava con leggerezza. Grall sfrecciò sopra la testa di F'nor: attese che Canth si fosse allontanato per raggiungere le altre bestie, prima di appollaiarsi sulla sua spalla. N'ton uscì dall'ombra: il suo sorriso di benvenuto appariva distorto nel chiarore dei lumi. Girò di scatto la testa per indicare il telescopio. «Lui è qui, e la sua lucertola è in un gran bello stato. Sono contento che tu sia venuto. Stavo per chiedere a Lioth di parlare con Canth.» La lucertola bronzea di Meron cominciò a stridere con un'angoscia cui Grall fece eco, nervosamente, tendendo le ali. F'nor gliele accarezzò, ripiegandogliele sul dorso, emettendo la versione umana del gracidare delle lucertole, che di solito la calmava. Grall contrasse le ali ma smise di saltellare, roteando irrequieta gli occhi. «Chi è?» chiese perentoriamente Meron di Nabol. La sua ombra si staccò da quella più grande della pietra su cui era montato il telescopio. «F'nor, Vicecomandante del Weyr di Benden,» rispose freddamente il cavaliere marrone. «Tu non hai niente da fare, al Weyr di Fort,» gracchiò Meron. «Vattene.» «Nobile Meron,» disse N'ton, mettendosi davanti a F'nor, «il Vicecomandante di Benden, qui al Weyr di Fort, ha gli stessi diritti che hai tu.» «Come osi parlare in questo modo al Signore d'una Fortezza?» «Possibile che abbia scoperto qualcosa?» chiese F'nor a N'ton, sottovoce. N'ton scrollò le spalle e si avviò verso il Signore di Nabol. La piccola lucertola cominciò a trillare. Grall protese di nuovo le ali. I suoi pensieri erano un insieme di antipatia e di irritazione, sfumati di paura. «Nobile Meron, tu hai usato il telescopio fin da quando si è fatto buio.» «E lo userò fino a quando ne avrò voglia, dragoniere. Vattene. Lasciami
in pace!» Troppo abituato a vedere eseguiti immediatamente i suoi ordini, Meron di Nabol si voltò di nuovo verso il telescopio. Ormai, la vista di F'nor si era abituata all'oscurità, ed egli poté scorgere il Signore di Nabol che si chinava per accostare l'occhio all'oculare. E vide che teneva stretta la lucertola di fuoco, sebbene quella si contorcesse e si divincolasse per sfuggirgli. Lo stridio agitato divenne acutissimo, straziante. La creaturina è terrorizzata, disse Canth al suo cavaliere. «Grall terrorizzata?» chiese F'nor al drago marrone, sbalordito. Si era accorto che Grall era sconvolta, ma non leggeva il terrore nei suoi pensieri. Non Grall. Il piccolo fratello. È terrorizzato. Quell'uomo è crudele. F'nor non aveva mai sentito il suo drago esprimere una condanna così decisa. All'improvviso Canth lanciò un urlo incredibile che fece sussultare i cavalieri e gli altri due draghi, e mise in fuga Grall. Prima che metà dei draghi del Weyr di Fort si svegliassero, la tattica di Canth aveva sortito l'effetto voluto. Meron aveva lasciato andare la lucertola di fuoco e quella era schizzata via, libera, ed era andata in mezzo. Con un grido di rabbia per quell'intromissione, Meron si avventò verso i dragonieri, e si trovò la strada bloccata minacciosamente dalla testa di Canth. «Il cavaliere che ti è stato assegnato ti ricondurrà alla tua Fortezza, Nobile Meron,» comunicò N'ton. «Non ritornare mai più al Weyr di Fort.» «Non ne avete il diritto! Non potete negarmi l'accesso a quel telescopio! Tu non sei il Comandante del Weyr! Convocherò un Conclave. Dirò a tutti quello che state facendo. Sarete costretti ad agire. Non m'imbrogliate! Non riuscirete a imbrogliare Nabol con i vostri trucchi e i vostri temporeggiamenti. Vigliacchi! Siete vigliacchi, tutti quanti! L'ho sempre saputo. Chiunque può arrivare alla Stella Rossa. Chiunque! Vi smaschererò, castrati pervertiti!» Il drago verde, con gli occhi che rosseggiavano malevoli, abbassò la spalla per far salire Meron. Senza smettere le sue deliranti imprecazioni, il Signore di Nabol si arrampicò sulle cinghie e si piazzò sul collo della bestia. Questa aveva appena superato la Pietra della Stella quando F'nor si portò al telescopio, per osservare la Stella Rossa. Cosa poteva avere visto, Meron? Oppure aveva gridato accuse infondate, solo per esasperarli? Per quanto avesse guardato spesso la Stella Rossa avvolta nella coltre ri-
bollente di nubi grigiorossastre, F'nor provò ancora una fitta primitiva di paura. E quella notte la paura era come una colonna di ghiaccio, dentro di lui. Il telescopio rivelava la punta, rivolta verso Ovest, della massa grigia che sembrava un'indistinta penisola di Nerat alla rovescia. Era oscurata in parte dalle nuvole turbinanti: nubi che vorticavano e formavano una figura... non una donna che si intrecciava i capelli, quella notte. Era un pugno massiccio, con un pollice d'un grigio più scuro che si piegava lentamente, minacciosamente sopra le dita serrate, come se le nubi stessero afferrando l'estremità della massa grigia. Il pugno si chiuse e perse i suoi contorni, divenne simile ad una sfaccettatura dell'occhio di un drago, semivelata dal sonno. «Cosa poteva aver visto?» domandò N'ton, concitato, battendo una mano sulla spalla di F'nor per attirare la sua attenzione. «Nubi,» disse F'nor, scostandosi per lasciar guardare N'ton. «Sembravano un pugno. Che si è trasformato in un occhio di drago. Nubi, è tutto ciò che Meron può aver visto, al di sopra di quella specie di Nerat a rovescio!» N'ton alzò la testa dall'oculare, con un sospiro di sollievo. «Le formazioni nuvolose non possono servirci da guida!» F'nor alzò la mano per chiamare Grall. La piccola regina scese, obbediente, e quando fece per balzargli sulla spalla, glielo impedì, accarezzandole dolcemente la testolina e lisciandole le ali. La tenne all'altezza dei propri occhi e, senza smettere di accarezzarla, cominciò a proiettare l'immagine di quel pugno che si formava pigramente sulla penisola. Trasmise il colore, rossogrigiastro, bianchiccio là dove la parte superiore di quelle dita immaginarie era investita dalla luce del sole. Visualizzò le dita che si chiudevano sopra la massa peninsulare Poi proiettò l'immagine di Grall che compiva il lungo balzo in mezzo verso la Stella Rossa, verso il pugno di nuvole. Terrore, orrore, una turbinante impressione di calore, di venti violenti, di ardente incapacità di respirare, fecero indietreggiare F'nor che urtò contro N'ton, mentre Grall, con uno strido spaventoso, s'involava dalla sua mano e scompariva. «Cosa le è successo?» domandò N'ton, bloccando il cavaliere marrone. «Le ho chiesto...» E F'nor dovette trarre un profondo respiro, perché la reazione della piccola regina era stata sconvolgente, «di andare alla Stella Rossa.» «Bene, questo liquida l'idea di Brekke!» «Ma perché ha reagito in quel modo? Canth?»
Ha avuto paura, rispose cattedratico Canth, sebbene sembrasse sorpreso quando F'nor. Hai dato coordinate molto vivide. «Ho dato coordinate molto vivide?» Sì. Che cosa ha terrorizzato Grall? Tu non hai reagito come lei, eppure le hai sentite anche tu.» Lei è giovane e sciocca. Canth fece una pausa, riflettendo. Ha ricordato qualcosa che l'ha spaventata. Il drago marrone sembrava stupito da quel ricordo. «Cosa sta dicendo Canth?» chiese N'ton, che non aveva potuto afferrare quel rapido scambio di pensieri. «Non sa cosa ha spaventato Grall. Qualcosa che lei ricorda, ha detto.» «Ricorda? Ma è uscita dall'uovo solo da poche settimane.» «Un momento, N'ton.» F'nor posò la mano sulla spalla del cavaliere bronzeo, per farlo tacere. L'aveva colpito un pensiero improvviso. «Canth,» disse, traendo un profondo respiro. «Hai detto che ho dato coordinate molto vivide. Abbastanza... perché tu possa portarmi al pugno che ho visto nelle nuvole?» Sì, posso vedere dove vuoi che io vada, rispose Canth con tanta sicurezza che F'nor sbalordì. Ma non era quello, il momento per pensarci. Si affibbiò strettamente la tunica e infilò i guanti sotto i polsini. «Torni indietro?» chiese N'ton. «Il divertimento qui è finito, per stanotte,» rispose F'nor, con una disinvoltura che lo sorprese. «Voglio essere sicuro che Grall sia tornata da Brekke. Altrimenti dovrò filare di nascosto nel Continente Meridionale, fino alla caletta dov'è uscita dall'uovo.» «Allora sii prudente,» consigliò N'ton. «Almeno stanotte abbiamo risolto il nostro problema. Meron non può costringere la sua lucertola di fuoco a recarsi alla Stella Rossa prima di noi.» F'nor era montato sul dorso di Canth. Strinse le cinghie che lo trattenevano fino a quando minacciarono di arrestargli la circolazione. Agitò un braccio per salutare N'ton e il cavaliere di guardia, reprimendo l'eccitazione fino a quando Canth lo portò in alto, sopra il Weyr. Poi si distese lungo il collo di Canth, e si avvolse due volte le redini intorno ai polsi. Non voleva precipitare durante quel balzo in mezzo. Canth continuò a salire, direttamente verso la minacciosa Stella Rossa, alta nel cielo buio, come se intendesse raggiungerla in volo diretto. Le nubi erano formate di vapore acqueo, F'nor lo sapeva. Almeno, così
era su Pern. Ma per sostenere le nubi occorreva l'aria. Una specie di atmosfera. L'aria poteva contenere vari gas. Sopra le pianure di Igen, dove i vapori nocivi si alzavano dalle montagne gialle, ci si sentiva soffocare dall'odore e dalle sostanze che entravano nei polmoni. Gas ancora diversi salivano dai giovani vulcani sorti dai mari poco profondi, a Occidente, che lanciavano nell'acqua fiamme e rocce bollenti. I minatori parlavano di altri gas, racchiusi nelle sacche delle gallerie sotterranee. Ma un drago era veloce. Un paio di secondi nel gas più mortale che poteva possedere la Stella Rossa non poteva essere pericoloso. Canth sarebbe balzato subito in mezzo, portandoli entrambi in salvo. Dovevano soltanto raggiungere quel pugno, abbastanza vicini perché gli occhi acuti di Canth vedessero la superficie, oltre la coltre nuvolosa. Un'occhiata per sistemare la faccenda. Un'occhiata che sarebbe stato F'nor, non F'lar, a dare. Cominciò a ricostruire quel pugno etereo, le dita aliene che si chiudevano sull'estremità occidentale di quel grigiore sulla superficie enigmatica della Stella Rossa. «Dillo a Ramoth. Lei trasmetterà ciò che vedremo a tutti, draghi, cavalieri, lucertole di fuoco. Dovremo spostarci un poco in mezzo al tempo, anche, tornare al momento sulla Stella Rossa in cui ho visto quel pugno. Dillo a Brekke.» E all'improvviso si rese conto che Brekke sapeva già, l'aveva saputo quando lo aveva sedotto così inaspettatamente. Era per questo che Lessa si era confidata con lei, con loro. F'nor non poteva sdegnarsi con Lessa. Lei aveva avuto il coraggio di correre un rischio pressoché identico sette Giri prima, quando aveva trovato la via per ritornare indietro nel tempo e per portare nel presente i Cinque Weyr Perduti. Riempiti i polmoni, gli consigliò Canth, e F'nor sentì il drago aspirare rumorosamente l'aria. Non ebbe il tempo di pensare alla tattica di Lessa, perché il freddo in mezzo li avviluppò. Non sentì più nulla, neppure la pelle morbida del drago contro la guancia, né le cinghie che gli mordevano le carni. Solo il freddo. Le tenebre in mezzo non erano mai durate tanto a lungo. Irruppero in un calore soffocante. Piombarono attraverso la galleria delle dita di nuvole che si stringevano verso la massa grigia, improvvisamente vicina a loro come la punta di Nerat, all'altezza della Caduta dei Fili. Canth cominciò a spiegare le ali e lanciò un urlo di dolore, richiudendole. Lo scatto rumoroso delle fortissime zampe anteriori si perse nel rombo incredibile degli scottanti venti ciclonici che li strapparono alla relativa
bonaccia della corrente discendente. La Stella Rossa era avvolta dall'aria... un'aria rovente, accesa da un calore di fiamma, da turbolenze violente. Il drago e il cavaliere erano come una piuma, precipitavano per centinaia di lunghezze e poi venivano scagliati verso l'alto, roteando, da una forza orrenda. Mentre turbinavano, con le menti paralizzate dal fuoco in cui erano entrati, F'nor ebbe la visione d'incubo delle superfici grigie verso cui venivano strascinati e da cui venivano strappati: l'estremità della penisola simile a Nerat era un grigiore viscido che fremeva e ribolliva e fluiva. Poi furono scagliati nelle nubi rossastre striate di grigi e bianchi nauseanti, lacerate qua e là dai massicci fiumi arancione dei lampi. Mille punte roventi bruciarono l'epidermide indifesa della faccia di F'nor, crivellarono la pelle di Canth, penetrarono nelle palpebre che coprivano gli occhi del drago. Il rombo multiforme, soverchiante dell'atmosfera ciclonica schiacciò spietatamente le loro menti nell'incoscienza. Poi vennero scaraventati nella spaventosa bonaccia di un imbuto di calore ardente, pieno di sabbia, e precipitarono verso la superficie... paralizzati e impotenti. Straziato dalla sofferenza, F'nor ebbe un solo pensiero, mentre la lucidità l'abbandonava. Il Weyr! Bisognava avvertire il Weyr! Grall tornò da Brekke, gridando pietosamente, e si rifugiò tra le sue braccia. Tremava di paura, ma i suoi pensieri erano così caotici e assurdi che Brekke non riuscì ad isolare la causa di quel terrore. Accarezzò la piccola regina, cercando di calmarla, offrendole invano bocconcini di carne. La lucertola non si acquietava. Poi Berd fu contagiato dall'ansia di Grall e, quando Brekke lo rimproverò, l'eccitazione e l'angoscia di Grall s'intensificarono. All'improvviso, le due lucertole verdi di Mirrim volarono precipitosamente nel Weyr, pigolando e sbattendo le ali, suggestionate anch'esse dal comportamento irrazionale della piccola regina. Poi arrivò correndo Mirrim, scortata dal suo bronzeo che strillava e agitava furiosamente le ali trasparenti. «Cos'è successo? Stai bene, Brekke?» «Sto benissimo,» le assicurò Brekke, respingendo la mano che Mirrim tendeva verso la sua fronte. «Sono soltanto agitate, ecco tutto. È notte fonda. Torna a letto.» «Soltanto agitate?» Mirrim sporse le labbra, come faceva Lessa quando si accorgeva che qualcuno cercava di eludere le sue domande. «Dov'è
Canth? Perché ti lasciano sempre sola?» «Mirrimi» Il tono di Brekke scosse la ragazzina. Arrossì, abbassò lo sguardo al suolo, curvando le spalle in quel suo modo ritroso che Brekke deplorava. La giovane donna chiuse gli occhi, sforzandosi di restare calma, sebbene l'angoscia delle cinque lucertole di fuoco fosse insidiosa. «Ti prego, portami un po' di klah molto forte.» Brekke si alzò, cominciò a indossare la tenuta di volo. Le cinque lucertole cominciarono a ululare, svolazzando per la stanza, lanciandosi in frenetiche picchiate, come se cercassero di sfuggire ad un pericolo invisibile. «Portami un po' di klah,» ripeté Brekke, perché Mirrim era rimasta immobile a guardarla, istupidita. Le tre lucertole di Mirrim la seguirono quando lei uscì, prima che Brekke si rendesse conto del proprio errore. Probabilmente avrebbero svegliato tutti, nelle Caverne Inferiori, con la loro angoscia. Richiamò Mirrim, ma la ragazzina non la sentì. Un brivido di freddo le intorpidì le dita. Canth non sarebbe andato, se sentiva che c'era pericolo per F'nor, Canth ha buon senso, si disse Brekke, cercando di convincersi. Lui sa quello che può e che non può fare. Canth è il più grande, il più veloce, il più forte di tutti i draghi marrone di Pern. È grande quasi quanto Mnementh, e quasi altrettanto intelligente. Brekke udì il bronzeo grido d'allarme di Ramoth, e nello stesso istante ricevette l'incredibile messaggio di Canth. Andare alla Stella Rossa? Con le coordinate di una nuvola? Brekke vacillò, appoggiandosi alla tavola. Le si piegarono le gambe. Riuscì a sedersi, ma le mani le tremavano tanto che non riuscì a versare il vino. Con tutte e due le mani si portò la bottiglia alle labbra e ingoiò qualche sorso, per calmarsi. Non aveva creduto che avrebbero trovato il modo di andare lassù. Era questo che aveva spaventato tanto Grall? Ramoth continuava a lanciare il suo grido d'allarme, e Brekke udì gli altri draghi urlare preoccupati. Finì di allacciarsi la tunica e s'impose di alzarsi, di raggiungere il cornicione. Le lucertole di fuoco continuavano a sfrecciare e a tuffarsi intorno a lei, ululando disperatamente, in un costante, doppio trillo straziante di terrore. Brekke si fermò in cima alla scala, stordita dalla confusione che regnava nella semioscurità crepuscolare della Conca del Weyr. C'erano draghi su tutti i cornicioni: sventolavano le ali, agitati. Altri volavano in cerchio, a
velocità pazzesca: alcuni avevano sul dorso i loro cavalieri, alcuni ne erano privi. Ramoth e Mnementh erano sulla Pietra, con le ali spiegate. Le loro lingue dardeggiavano furiosamente, i loro occhi rifulgevano arancioni mentre lanciavano grida ai compagni. Cavalieri e abitanti del Weyr correvano avanti e indietro, gridando, chiamando le bestie, interrogandosi a vicenda per scoprire la causa di quella manifestazione inspiegabile. Brekke si tappò le orecchie con le mani, cercando di scorgere Lessa o F'lar in quella confusione. All'improvviso entrambi apparvero sulla scala, salirono correndo verso di lei. F'lar la raggiunse per primo, perché Lessa si fermò, appoggiandosi con una mano alla roccia. «Sai cosa stiano facendo Canth e F'nor?», gridò il Comandante del Weyr. «Tutte le bestie urlano con tutta la forza delle loro voci e delle loro menti!» Si coprì le orecchie, fissandola furiosamente, in attesa d'una risposta. Brekke guardò Lessa, vide la paura e la colpa negli occhi della Dama del Weyr. «Canth e F'nor sono andati alla Stella Rossa.» F'lar s'irrigidì: i suoi occhi assunsero lo stesso fulgore arancione di quelli di Mnementh. La fissò con un miscuglio di paura e di orrore che fece arretrare Brekke. Come se quel movimento di lei l'avesse sbloccato, F'lar girò la testa verso il drago bronzeo che ruggiva stentoreo dalle alture. Poi rialzò le spalle di scatto, strinse a pugno le mani, così forte che le ossa spiccarono giallastre attraverso la pelle. In quell'istante, tutto il frastuono nel Weyr cessò, mentre ogni mente riceveva l'avvertimento che le lucertole di fuoco avevano tentato caoticamente di proiettare. Una turbolenza frenetica, implacabile, devastante: una pressione inesorabile e mortale. Masse vorticanti di superfici viscide e grigiastre che si alzavano e si abbassavano. Un calore massiccio come un'ondata. Paura! Terrore! Un desiderio inarticolato! Un urlo uscì da una bocca, un urlo straziante come una coltellata. «Non lasciatemi sola!» Il grido uscì dalle corde vocali lacerate da un'angoscia insostenibile: un comando, una supplica che sembrava riecheggiato dalle imboccature nere dei weyr, dalle menti dei draghi e dai cuori umani. Ramoth balzò in volo. Mnementh le fu subito accanto. Poi tutti i draghi del Weyr s'involarono, e con loro anche le lucertole di fuoco: e l'aria gemeva per lo sforzo di sostenere quella migrazione. Brekke non vedeva nulla. Aveva gli occhi pieni di sangue, sgorgato dai
vasi capillari spezzati dalla forza del suo urlo. Ma sapeva che c'era un puntolino nel cielo, e precipitava con una velocità in continuo crescendo: una caduta fatale come quella che Canth aveva cercato di arrestare sopra le vette di pietra della catena delle Terre Alte. E non c'era coscienza in quel puntolino che precipitava, non un'eco, per quanto fioco, della sua invocazione disperata. I draghi salivano, in formazione a freccia, sbattendo furiosamente le grandi ali. La freccia s'infittì, una, due tre volte, quando altri draghi arrivarono, tracciando una larga strada nel cielo che saliva verso quel bruscolo cadente. Era come se i draghi formassero una rampa che ricevette il corpo inconscio del loro compagno, e frenò la violenza della caduta con i loro corpi, fino a quando l'ultimo segmento d'ali sovrapposte depose la massa straziata e insanguinata del drago marrone sul fondo del Weyr. Sebbene semiaccecata, Brekke fu la prima a raggiungere il corpo sanguinante di Canth: F'nor era ancora legato al collo ustionato. Le sue mani cercarono la gola dell'uomo, le dita si posarono sul tendine dove doveva pulsare una vena. La pelle di F'nor era gelida, viscida, dura più del ghiaccio. «Non respira,» gridò qualcuno. «Ha le labbra bluastre!» «È vivo, è vivo!» esultò Brekke. Là, un palpito lieve sotto le sue dita ansiose. No, non l'aveva immaginato. Un altro. «Non c'era aria sulla Stella Rossa. È bluastro. È rimasto soffocato.» Un ricordo vago spinse Brekke ad aprire a forza le mascelle di F'nor. Coprì la bocca di lui con la sua e gli espirò profondamente nella gola. Gli soffiò l'aria nei polmoni, la risucchiò. «Bene, Brekke!» gridò qualcuno. «Forse servirà! Adagio, continuamente! Respira anche tu, o perderai i sensi.» Qualcuno l'afferrò, dolorosamente, intorno alla cintura. Lei si aggrappò al corpo inerte di F'nor, fino a quando comprese che li stavano sollevando entrambi dal corpo del drago. Sentì che qualcuno parlava a Canth, concitato e incoraggiante. «Canth! Rimani!» La sofferenza del drago era un groviglio crudele dentro la testa di Brekke. Inspirò, espirò. Inspirò, espirò. Per F'nor, per se stessa, per Canth. Era conscia come non mai del semplice meccanismo della respirazione, dei muscoli del suo addome che si espandevano e si contraevano intorno ad una colonna d'aria che lei spingeva a forza. «Brekke! Brekke!»
Le mani di chissà chi la tirarono. Brekke si afferrò alla tunica di F'nor. «Brekke! Respira da solo, ormai. Brekke!» La trascinarono lontano da lui. Cercò di opporsi, ma tutto era una confusione sanguigna. Vacillò, sfiorò con la mano la pelle del drago. Brekke. Il tono intriso di sofferenza era fioco, come se giungesse da una distanza incalcolabile, ma era Canth. Brekke? «Non sono sola!» E Brekke svenne, la mente ed il corpo esausti dallo sforzo che aveva salvato due vite. Scagliate dall'incessante violenza, le spore si staccarono dall'atmosfera turbinosa del pianeta, volarono in direzione di Pern, sospinte e trascinate dalle forze gravitazionali della triplice congiunzione degli altri pianeti del sistema. Le spore caddero attraverso l'involucro atmosferico di Pern. Frenate dall'attrito, caddero in una pioggia di filamenti arroventati sulla superficie del pianeta. I draghi si levarono in volo, distruggendole con l'alito fiammeggiante. I Fili che sfuggivano alle bestie alate venivano efficientemente distrutti, trasformati in scintille innocue dalle squadre di terra, o stanati dai vermi delle sabbie e dalle lucertole di fuoco. Dovunque, tranne sul pendio orientale di una montagna del Nord, dove c'era una piantagione di alberi di durallegno. Là gli uomini si erano ritirati dall'Orlo anteriore della Caduta. Rimasero ad osservare, uniti dall'intenso orrore, mentre la pioggia argentea bruciava le fronde e cadeva sibilando nel suolo. Quando l'Orlo anteriore ebbe superato la cresta della montagna, gli uomini si avvicinarono cautamente, le dita pronte a girare il comando dei lanciafiamme che impugnavano. Sondarono con una bacchetta metallica la buca ancora fumante in cui era penetrato un Filo. Una lucertola marrone schizzò dalla spalla d'uno degli uomini e, trillando, volò verso la buca. Infilò nel suolo la punta del muso, curiosamente. Poi si levò con un movimento turbinoso e tornò ad appollaiarsi sulla spallina imbottita del suo padrone, e cominciò ad allisciarsi, meticolosamente. Il suo padrone si rivolse agli altri con un gran sorriso. «Niente Fili, F'lar. Niente Fili, Corman!» Il Comandante del Weyr di Benden ricambiò il sorriso di Asgenar ed infilò i pollici nell'alta cintura. «E questa è la quarta Caduta senza tane e senza protezione, Nobile A-
sgenar?» Il Signore di Forte Lemos annuì, con gli occhi scintillanti. «Neppure una tana sull'intero pendio.» Si girò trionfante verso l'unico uomo che sembrava ancora dubbioso e chiese: «Puoi dubitare dei tuoi occhi, Nobile Groghe?» Il Signore di Fort scosse lentamente il capo. «Suvvia,» disse l'uomo dai capelli bianchi e dal gran naso aquilino. «Di quali altre prove hai bisogno? Hai visto lo stesso spettacolo sui bassopiani di Keroon, l'hai visto nella Valle di Telgar. Persino quell'idiota di Vincet della Fortezza di Nerat si è arreso all'evidenza.» Groghe di Fort scrollò le spalle, per far capire ciò che pensava di Vincet, Signore di Nerat. «Non riesco ad avere fiducia di un pugno di insetti. È più ragionevole affidarsi ai draghi.» «Ma hai visto tu stesso i bruchi divorare i Fili!» insistette F'lar. Stava quasi per perdere la pazienza. «Non è giusto,» fece Groghe, raddrizzandosi, «che un uomo debba essere grato ai bruchi! «Non mi ricordo che tu fossi troppo riconoscente neppure verso i draghi,» gli rammentò Asgenar, in tono malizioso. «Non mi fido dei bruchi!» ripeté Groghe, tendendo il mento con fare bellicoso. L'aurea lucertola di fuoco posata sulla sua spalla cantilenò dolcemente e strofinò la testolina morbida contro la sua guancia. L'espressione dell'uomo si addolcì. Poi si scosse e fissò severo F'lar. «Per tutta la mia vita mi sono fidato dei draghi. Sono troppo vecchio per cambiare idea. Ma adesso sei tu che comandi su questo pianeta. Fai quello che vuoi. Tanto, lo fai sempre!» Si allontanò a passo deciso, dirigendosi verso il drago marrone che era il messaggero fisso della Fortezza di Fort. La lucertola dorata di Groghe protese le ali, cantilenando sommessa mentre si teneva in equilibrio. Il Nobile Corman di Keroon si tastò il lungo naso e se lo soffiò rumorosamente. Aveva la strana abitudine di sbloccarsi in quel modo le orecchie. «Vecchio sciocco. Ma si servirà dei bruchi. Oh, sì. Non può abituarsi all'idea che è inutile cercare di andare alla Stella Rossa per sterminare i Fili nel loro luogo d'origine. Groghe è un combattente nato. Non gli va di barricarsi nella sua Fortezza e di attendere che l'assedio finisca. A lui piace partire alla carica, e sistemare le cose a modo suo.» «I Weyr ti sono grati del tuo aiuto, Nobile Corman,» cominciò F'lar.
Corman sbuffò per sturarsi di nuovo le orecchie, prima di interromperlo con un gesto. «Puro buon senso. Proteggere il suolo. I nostri antenati erano molto più svelti di noi.» «Questo non lo so,» osservò Asgenar con un gran sorriso. «Lo so io, giovanotto,» ribatté deciso Corman. Poi aggiunse, esitante: «Come sta F'nor? E... come si chiama? Canth.» Erano passati i giorni in cui F'lar eludeva le domande dirette. Sorrise, rassicurante. «F'nor è di nuovo in piedi. Non è conciato troppo male.» Ma dalla sua guancia non sarebbe mai scomparsa la cicatrice, là dove erano penetrate le particelle brucianti. «Anche le ali di Canth stanno guarendo, sebbene la nuova membrana cresca lentamente. Sembrava un ammasso di carne cruda quando sono tornati, vedi. Non c'era una spanna del suo corpo, tranne dove era disteso F'nor, che non fosse stata scorticata. Adesso fa accorrere tutto il Weyr, quando ha prurito e vuole farsi ungere con l'olio. E ce n'è, da oliare!» F'lar ridacchiò, un po' per tranquillizzare Corman che sembrava turbato nell'udire l'elenco delle ferite di Canth, un po' perché Io divertiva il ricordo di Canth che spadroneggiava, viziatissimo, nel Weyr. «Allora potrà riprendere a volare.» «Ne siamo convinti. E combatterà i Fili. Ne avrà più motivo di tutti noi.» Corman guardò francamente F'lar. «Mi rendo conto che occorreranno Giri e Giri per disseminare di bruchi tutto il continente. Questa foresta,» e indicò la piantagione di alberelli di durallegno, «il mio angolo delle piante di Keroon, quella valle di Telgar, hanno già impiegato tutti i bruchi che è stato possibile portare via dal Continente Meridionale per questo Giro. Io sarò morto da parecchio tempo, prima che il lavoro sia compiuto. Tuttavia, quando verrà il giorno in cui la terraferma al completo sarà protetta, cosa intendete fare voi dragonieri?» F'lar ricambiò con fermezza lo sguardo del Signore di Keroon, poi rivolse un ampio sorriso ad Asgenar. Il Comandante del Weyr cominciò a ridere, sommessamente. «Segreto dell'Arte,» disse, guardando il viso di Asgenar che si rannuvolava per il disappunto. «Coraggio, uomo,» disse, battendo affettuosamente la mano sulla spalla del Signore di Lemos. «Pensaci. Ormai dovresti sapere cos'è che i draghi sanno far meglio.» Mnementh si stava posando sulla piccola radura, obbediente al suo richiamo. F'lar si allacciò la tunica, per prepararsi a partire. «I draghi possono andare dovunque, meglio di qualunque altro essere di Pern, Signori delle Fortezze. Più in fretta e più lontano. Abbiamo tutto il
Continente Meridionale da esplorare, quando questo Passaggio sarà terminato e gli uomini avranno di nuovo tempo. E nei nostri cieli vi sono altri pianeti da visitare.» I volti dei due Signori rispecchiarono turbamento e orrore. Entrambi avevano già le loro lucertole quando F'nor e Canth avevano spiccato il balzo in mezzo tra i pianeti: e sapevano fin nel profondo del loro essere ciò che era accaduto. «Non possono essere tutti inospitali come la Stella Rossa,» disse F'lar. «I draghi appartengono a Pern!» esclamò Corman, soffiandosi energicamente il naso per sottolineare quelle parole. «Sì, appartengono a Pern, Nobile Corman. Stai certo, vi saranno sempre draghi nei Weyr di Pern. Dopotutto, è la loro patria.» F'lar alzò il braccio in atto di saluto e il bronzeo Mnementh lo sollevò in volo verso il cielo. MAPPA DI PERN
FINE