IRA LEVIN LA FABBRICA DELLE MOGLI (The Stepford Wives, 1972) «Oggi lo scontro assume una fisionomia diversa: invece di v...
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IRA LEVIN LA FABBRICA DELLE MOGLI (The Stepford Wives, 1972) «Oggi lo scontro assume una fisionomia diversa: invece di voler rinchiudere l’uomo in una prigione, la donna si sforza di sfuggirne; non cerca più di tracinarlo nel regno dell’immanente, ma di emergere, lei, alla luce del trascendente. Adesso l’atteggiamento del maschio, che non vede di buon occhio queste iniziative, crea un nuovo conflitto.» Simone de Beauvoir Il Secondo Sesso 1 La signora incaricata del «Benvenuto a Te», sessant'anni almeno ma efficiente nel darsi un aspetto giovane e vivace (capelli arancione, labbra scarlatte, abito giallo sole), rivolse a Joanna uno scintillio di occhi e denti: «Vi piacerà stare qui, sicuro! Una cittadina simpatica con gente simpatica! Non avreste potuto fare scelta migliore!» La sua borsa di pelle marrone, a tracolla, era enorme, vecchia e consunta; ne trasse, consegnando il tutto a Joanna, bustine di latte in polvere, minestre liofilizzate, una mini-scatoletta di detersivo biodegradabile, un libretto di buoni sconto validi in ventidue negozi del luogo, due saponette, dei fazzoletti deodoranti... «Basta, basta,» implorò Joanna, ferma sulla soglia, le mani cariche. «Fin troppo. Basta. Grazie.» La signora del «Benvenuto a Te». mise un flaconcino di acqua di colonia in cima a tutto il resto e tornò a frugare nella borsa («No, veramente,» gemette Joanna) e ne trasse un paio di occhiali dalla montatura rosa e un piccolo taccuino ricamato. «Curo la rubrica "Chi c'è di nuovo in città",» spiegò con un sorriso inforcando gli occhiali. «Per il "Chronicle".» Andò a pescare in fondo alla borsa una biro che fece scattare con il pollice dall'unghia laccata di rosso. Joanna spiegò da dove venivano, lei e Walter; cosa faceva Walter e presso quale ditta; i nomi e l'età di Pete e Kim; cosa faceva lei prima della loro nascita; quali università lei e Walter avevano frequentato. Scalpicciava impaziente mentre parlava, là sulla soglia, con le mani ingombre e Pete e Kim fuori controllo audiovisivo.
«Ha hobbies o interessi particolari?» Stava per infilare la scorciatoia di un no, ma si trattenne: una risposta particolareggiata che comparisse sul quotidiano locale poteva essere un razzo segnalatore per altre donne come lei, potenziali amiche. Le signore che aveva incontrato nei giorni precedenti, quelle delle case vicine, erano abbastanza affabili e cortesi, ma parevano completamente assorbite dai lavori domestici. Forse, conoscendole meglio, avrebbe scoperto in loro riflessioni e impegni più profondi, comunque poteva essere opportuno lanciare quel razzo. Per cui : «Sì, parecchi,» rispose. «Gioco a tennis tutte le volte che mi si presenta l'occasione, e sono una fotografa semiprofessionista...» «Oh?» mormorò la signora del «Benvenuto a Te», scribacchiando. Joanna sorrise. «Il che significa che un'agenzia ha in mano tre mie foto. E poi mi interesso di politica, e del Movimento di Emancipazione Femminile. Soprattutto di quest'ultimo. E anche mio marito.» «Anche lui?» La signora del «Benvenuto a Te» le lanciò un'occhiata. «Sì,» confermò Joanna. «Parecchi uomini se ne interessano.» Non si addentrò nella spiegazione dei vantaggi-per-entrambi-i-sessi; volse la testa verso l'interno della casa e tese l'orecchio: un pubblico televisivo rideva nel tinello, e Pete e Kim litigavano, ma al di sotto del livello di intervento. Sorrise alla signora del «Benvenuto a Te». «Lui si interessa anche di barche e di rugby,» aggiunse, «e fa raccolta di documenti legali del periodo coloniale.» E così anche Walter aveva avuto il suo razzo segnalatore. La signora del «Benvenuto a Te» prese nota, richiuse il taccuino e fece scattare la penna. «Magnifico, signora Eberhart,» sorrise e si tolse gli occhiali. «Sono certa che le piacerà moltissimo stare qui,» affermò, «e desidero darle un sincero e cordiale "Benvenuto a Stepford". Se le occorressero informazioni circa i negozi e i servizi locali, non esiti a telefonarmi. Il numero è qui, sulla copertina del libretto di sconto.» «Grazie, approfitterò,» promise Joanna. «E grazie di tutte queste cose.» «Li provi, sono prodotti ottimi!» E la signora del «Benvenuto a Te» si volse. «Arrivederci, allora!» Joanna ricambiò il saluto e seguì con lo sguardo quella figura che ripercorreva il vialetto serpeggiante verso la sua malconcia Volkswagen rossa. Di colpo i finestrini si affollarono di cani, una concitazione bianca e nera di spaniels che saltellavano e abbaiavano, le zampe contro il cristallo. Joanna intravide qualcosa di bianco che si muoveva al di là della Volkswagen: sull'altro lato della via fiancheggiata da alberelli, a una finestra dei
Claybrook, al piano superiore, quella macchia bianca si mosse di nuovo lasciando un pannello per occupare quello accanto: pulizia dei vetri. Joanna sorrise, nel caso che Donna Claybrook stesse osservandola. Quel bianco si spostò al riquadro inferiore e poi a quello di fianco. Con un rombo sorprendente la Volkswagen si staccò dal marciapiede; Joanna tornò nel vestibolo e richiuse la porta con un colpo d'anca. Pete e Kim stavano litigando in toni più elevati. «Cacaruggine! Diarrea!» «Ma tu! Piantala!» «Smettetela!» intervenne Joanna, scaricando le due manciate di campioni sul tavolo di cucina. «È lei che mi piglia a calci!» strepitò Pete, e Kim: «Non è vero! Sei tu un cacaruggine!» «Adesso finitela,» ingiunse Joanna affacciandosi all'apertura nella tramezza. Pete era steso a terra, troppo vicino al televisore, e Kim, in piedi, gli stava accanto, rossa in faccia, trattenendosi a fatica dal mollargli un calcio. Erano ancora in pigiama. «Mi ha dato due calci,» affermò Pete, e Kim strillò: «Tu hai cambiato il canale! Lui ha cambiato il canale!» «Non è vero!» «Io stavo guardando Felix Mio Mao!» «Zitti!» ordinò Joanna. «Silenzio assoluto. Silenzio perfetto-completototale.» I bambini la fissarono, Kim con gli enormi occhi azzurri di Walter, Pete con i gravi occhi scuri di lei. «E in un battibaleno ecco fatto!» crepitò la televisione. «Senza corrente!» «A, sei troppo vicino alla TV,» cominciò Joanna. «B, spegnila, e, C, vestitevi tutt'e due. Quella roba verde là fuori è erba, e quella roba gialla che ci piove sopra sono raggi di sole.» Pete si tirò in piedi e mollò un pugno contro il pannello dei comandi dell'apparecchio cancellando le immagini sullo schermo dove guizzò ancora brevemente un puntino luminoso. Kim attaccò a frignare. Joanna ebbe un gemito e fece il giro per entrare nel soggiorno. Accucciandosi, strinse Kim contro la spalla e le strofinò il dorso coperto dal pigiama baciandole i ricci morbidi come seta. «Su, non fare così,» disse. «Non vuoi andare a giocare di nuovo con quella simpatica Allison? Magari troverete un altro scoiattolo.» Pete si avvicinò e le prese una ciocca di capelli. Joanna lo guardò ben
bene e disse: «Tu non cambiarle il canale.» «Oh, va bene,» borbottò lui, attorcigliandosi la ciocca bruna attorno al dito. «E tu non tirare calci,» continuò, rivolta a Kim, e le diede qualche pacca sulle spalle cercando di raggiungere con un bacio la gota sguisciante della piccola. Toccava a Walter lavare i piatti, mentre Pete e Kim giocavano buoni buoni nella stanza di Pete, così lei fece una rapida doccia, infilò dei pantaloncini corti, una camicia, scarpe di corda e si spazzolò i capelli. Mentre se li legava andò a dare un'occhiata a Pete e Kim: seduti a terra giocavano con la base spaziale di Pete. Si allontanò in silenzio e discese le scale coperte dalla stuoia nuova fiammante. Era una bella serata. Tutte le casse erano state vuotate, finalmente, e lei si sentiva fresca e riposata, con qualche minuto ancora a disposizione — dieci o quindici se le andava bene — magari per sedersi di fuori con Walter a contemplare i loro alberi e i loro due virgola due acri di terreno. Attraversò l'ingresso. La cucina era tirata a lucido e la lavastoviglie pulsava. Walter era davanti al lavello, proteso verso la finestra a guardare la casa dei Van Sant. Una macchia Rorschach di sudore gli chiazzava la camicia: un coniglio con le orecchie abbassate, tese un po' in fuori. Lui si girò con un sobbalzo e sorrise. «Da quanto sei qui?» domandò, asciugandosi le mani con lo strofinaccio. «Appena arrivata.» «Sembri un'altra.» «Mi sento un'altra. Stanno giocando come angioletti. Andiamo un po' fuori?» «Certo,» rispose lui, ripiegando lo strofinaccio. «Ma ho solo qualche minuto a disposizione. Devo andare a parlare con Ted.» Sistemò l'asciugapiatti sul suo sostegno. «Per questo stavo guardando. Hanno appena finito di cenare.» «Di che cosa dovete parlare?» Uscirono in giardino. «Volevo appunto dirtelo,» spiegò lui mentre camminavano. «Ho cambiato idea: ho deciso di iscrivermi a quell'Associazione Maschile.» Lei si fermò a guardarlo, sorpresa. «Troppe faccende importanti sono concentrate là, per starsene fuori,»
continuò Walter. «Politica locale, iniziative benefiche e così via...» «Come puoi entrare a far parte di un'organizzazione antidiluviana, sorpassata...» protestò lei. «Ho parlato con qualcuno dei soci, sul treno,» la interruppe. «Ted e Vic Stavros, e altri che mi hanno presentato. Sono tutti d'accordo che questa storia dell'ingresso-proibito-alle-donne è superata.» La prese sottobraccio. «Ma l'unico modo per cambiare la situazione è lottare dal di dentro,» proseguì. «Per cui voglio offrire la mia collaborazione. Sabato sera vado a iscrivermi. Ted deve ragguagliarmi sui vari comitati e sui componenti.» Le offrì il pacchetto di sigarette. «Sei pro o anti fumo, stasera?» «Oh, pro,» rispose lei, prendendone una. Si fermarono in fondo al patio, nel fresco crepuscolo azzurrino stridente di grilli, e Walter avvicinò la fiamma dell'accendino alla sigaretta di lei e alla propria. «Guarda che cielo,» commentò. «Vale quel che ci costa, fino all'ultima monetina.» Lei alzò lo sguardo: un cielo color malva, azzurro e blu: bellissimo; poi lo abbassò sulla sigaretta. «Le organizzazioni si possono trasformare anche dal di fuori. Si raccolgono firme, si organizzano picchetti...» «Ma dall'interno è più facile,» ribatté Walter. «Vedrai : se i tipi con cui ho parlato sono rappresentativi, diventerà l'Associazione di Tutti in men che non si dica. Poker misto. Ammucchiate sul tavolo da biliardo.» «Se quelli con cui hai parlato fossero rappresentativi, sarebbe già adesso l'Associazione di Tutti. Oh, va be', fai pure, iscriviti; io metterò insieme gli slogan per i cartelli. Ne avrò tutto il tempo, quando comincerà la scuola.» Walter le passò un braccio attorno alle spalle. «Rimanda, ancora per un po'. Se entro sei mesi non sarà aperta alle donne mi dimetto e marceremo insieme. Fianco a fianco. "Sesso, sì; sessismo, no."» «A Stepford si avanza andando indietro,» rincarò lei, allungando la mano verso il portacenere sul tavolo da giardino. «Niente male.» «Vedrai quando mi sarò lanciata.» Terminarono la sigaretta e, tenendosi sottobraccio, rimasero a guardare l'ampia fascia scura del loro prato e gli alti alberi, neri contro il cielo violetto, che la delimitavano. Luci che ammiccavano al di là di quei tronchi: finestre delle case nella strada vicina: Harvest Lane. «Robert Ardrey ha ragione,» commentò Joanna. «Mi sento molto proprietaria terriera.» Walter si volse a guardare la casa dei Van Sant, poi lanciò un'occhiata
all'orologio. «Vado a rinfrescarmi un po',» disse, e le diede un bacio sulla guancia. Lei gli prese il mento e lo baciò sulle labbra. «lo resto qui fuori ancora per qualche minuto. Dammi una voce se fanno cagnara.» «Bene,» e Walter rientrò in casa passando dal soggiorno. Lei tese le braccia e se le strofinò; la sera andava rinfrescandosi. Con gli occhi chiusi, piegò indietro la testa e aspirò il profumo dell'erba, degli alberi, dell'aria pulita: delizioso. Riaprì gli occhi per fissare un punto luminoso nel cielo blu intenso, un trilione di miglia sopra di lei. «Stella lucente, stella splendente,» mormorò. Non disse il resto ma lo pensò. Espresse il suo desiderio: che fossero felici a Stepford. Che Pete e Kim andassero bene a scuola e che lei e Walter trovassero buoni amici e soddisfazioni. Che per lui non fosse faticoso l'andare e tornare in treno, anche se l'idea di trasferirsi era stata proprio sua. Che la vita di loro quattro fosse più piena anziché immiserita, come lei aveva temuto, per il fatto di aver lasciato la città, la città sudicia, soffocante, tormentata dalla criminalità, ma così viva e vitale. Un breve rumore e un movimento la fecero voltare verso la casa dei Van Sant. Carol Van Sant, sagoma scura contro la luce che si riversava dalla porta di cucina, stava mettendo il coperchio su un bidone della spazzatura. Si chinò, facendo scintillare i capelli fulvi, e si rialzò tenendo in mano un oggetto massiccio e tondo, una pietra, che sistemò sopra il coperchio. «Ehilà!» gridò Joanna. Carol si raddrizzò volgendosi verso di lei, alta, gambe lunghe, come nuda ma contornata dal viola dell'abito illuminato da dietro. «Chi è?» gridò di rimando. «Joanna Eberhart. Ti ho spaventata? Scusami.» Si diresse alla stecconata che divideva la proprietà sua e di Walter da quella dei Van Sant. «Ciao, Joanna,» replicò Carol con quella sua voce nasale del New England. «No, non mi hai spaventata. Una bella sera, vero?» «Sì,» confermò Joanna. «E io ho finito di vuotare casse, il che la rende ancor più piacevole.» Era costretta a parlare a voce alta: Carol era rimasta vicino alla porta, troppo lontano per conversare comodamente, anche se lei adesso si trovava al margine dell'aiola che correva lungo il divisorio di legno. «Kim ha passato un magnifico pomeriggio con Allison,» riprese. «Si trovano bene insieme.» «Kim è una ragazzina simpatica,» replicò Carol. «Sono contenta che Al-
lison abbia trovato un'amica così carina, e qui vicino a casa. Buona notte, Joanna.» Si volse per rientrare. «Ehi, aspetta un momento!» la richiamò Joanna. Carol tornò a voltarsi. «Sì?» Joanna avrebbe preferito che aiola e stecconata non ci fossero, in modo da potersi avvicinare di più. Oppure, accidenti, che Carol si accostasse a sua volta. Che c'era di tanto urgente, precedenza assoluta, in quella cucina illuminata al neon con tutte le pentole di rame appese alle pareti? «Walter viene da voi tra poco per parlare con Ted,» spiegò a voce alta, rivolta alla sagoma apparentemente nuda di Carol. «Perché non vieni a prendere una tazza di caffè da me, dopo che hai messo i bambini a letto?» «Grazie, mi farebbe piacere,» rispose Carol, «ma devo dare la cera nel tinello.» «Stasera?» «La sera è l'unico momento in cui mi è possibile, finché non cominciano le scuole.» «Non puoi rimandare? Mancano solo tre giorni, ormai.» Carol scosse la testa. «No, ho già rimandato fin troppo. È tutto pieno di segni. E poi più tardi Ted andrà all'Associazione Maschile.» «Ci va ogni sera?» «Più o meno.» Buon Dio! «E tu resti a casa a sbrigare le faccende?» «C'è sempre qualcosa da fare,» si giustificò Carol. «Sai com'è. Adesso devo finire in cucina. Buonanotte.» «Buonanotte,» e Joanna seguì Carol con lo sguardo, un profilo di seno fin troppo abbondante, che rientrava in cucina e chiudeva la porta. Riapparve quasi subito alla finestra sopra il lavello, manovrò il rubinetto, prese qualcosa e cominciò a sfregare. I capelli fulvi erano ben pettinati e lucenti; il volto dal naso aristocratico appariva pensieroso (e, al diavolo, intelligente); i grandi seni fasciati di viola sobbalzavano a ogni movimento. Joanna tornò verso il patio. No, lei non sapeva com'era, grazie a Dio. Essere fatta a quel modo, una massaia maniaca. Chi poteva dar torto a Ted se approfittava di una simile grulla che chiedeva solo di essere sfruttata? Lei poteva dargli torto, ecco chi. Walter uscì di casa, aveva indosso una giacca leggera. «Non credo che starò via più di un'oretta,» annunciò. «Quella Carol Van Sant è una cosa da non credersi,» raccontò lei. «Non può venire a bersi un caffè perché deve dare la cera al pavimento del ti-
nello. Ted va all'Associazione Maschile tutte le sere e lei rimane a casa a sbrigare le faccende.» «Gesù,» commentò Walter scrollando la testa. «Confronto a lei,» continuò Joanna, «mia madre è una che batte la fiacca.» Lui rise. «Ci vediamo più tardi,» la baciò sulla guancia e si allontanò attraverso il patio. Lei lanciò un'altra occhiata alla sua stella più luminosa adesso. E tu, datti da fare, le disse mentalmente, e rientrò in casa. Il sabato mattina uscirono tutti e quattro, chiusi nelle cinture di sicurezza della loro giardinetta nuova fiammante; Joanna e Walter con occhiali da sole, occupati a parlare di negozi e di acquisti; Pete e Kim che facevano scorrere su e giù i finestrini automatici fino a che Walter ordinò di farla finita. La giornata era frizzante, imperlata di rugiada, indizio d'autunno. Prima a Stepford, in centro (facciate di negozi in stile coloniale, con legno verniciato di bianco: aggraziata bellezza da cartolina illustrata) con sosta dal ferramenta e in farmacia; poi in direzione sud, lungo la Strada Nove, loro meta il nuovo nucleo degli ipermercati: scarpe con sconto per Pete e Kim (che coda!) e un'attrezzatura per i giochi in giardino, senza sconto; poi verso est sulla East-Bridge Road, alla volta del McDonald's (specialità della casa, frappè al cioccolato); e quindi ancora più avanti, sempre verso est, a caccia di pezzi d'antiquariato (un tavolinetto ottagonale, senza autentica); e infine in un giro nord-sud-est-ovest per tutta Stepford: Anvil Road, Cold Creek Road, Hunnicutt, Beavertail, Burgess Ridge, per mostrare a Pete e a Kim (Joanna e Walter avevano già visto tutto nei loro giri alla ricerca di una casa) la nuova scuola e le scuole che avrebbero frequentato in seguito, e l'impianto inceneritore dotato di filtri anti-inquinamento, una faccenda da non-indovineresti-mai-di-che-si-tratta-a-guardarlo-dal-difuori; e i giardini pubblici dove si stava costruendo una piscina. A richiesta di Pete, Joanna cantò «Buon Giorno Stellina», poi tutti insieme «La Banda di MacNamara», e nel finale ciascuno imitò uno strumento diverso, e Kim diede di stomaco ma con preavviso sufficiente perché Walter riuscisse ad accostare e fermare l'auto, sganciare la cintura di sicurezza e togliere la piccola dalla giardinetta in tempo, grazie a Dio. Questo stabilì una certa calma. Riattraversarono il centro di Stepford, lentamente perché Pete aveva comunicato che anche lui forse avrebbe vomitato. Walter indicò loro la biblioteca pubblica, costruzione di legno ver-
niciato di bianco, e la sede della Società di Studi Storici, edificio bicentenario di legno verniciato di bianco. Kim, guardando in su attraverso il suo finestrino, si staccò dalla lingua una caramella succhiata a mezzo e domandò: «Cos'è quella casa grande?» «Quella è la sede dell'Associazione Maschile,» spiegò Walter. Pete si allungò quanto lo permetteva la cintura di sicurezza inclinando la testa per guardare. «È lì che andrai, stasera?» volle sapere. «Proprio lì.» «Come ci si arriva?» «C'è un sentiero più avanti, che porta lassù.» Erano arrivati dietro un autocarro; un uomo in camicia e pantaloni kaki era in piedi sul cassone scoperto, le braccia allargate per reggersi alle fiancate. Era bruno, con un lungo viso magro e portava gli occhiali. «Quello è Gary Claybrook, vero?» domandò Joanna. Walter diede un piccolo colpo di clacson e agitò il braccio fuori dal finestrino. Il loro vicino di casa si piegò per guardarli, poi sorrise, agitò una mano e tornò a riafferrarsi alla fiancata. Joanna sorrise e salutò con la mano. Kim strillò: «Salve, signor Claybrook!» e Pete: «Dov'è Jeremy?» «Non ti può sentire,» gli disse Joanna. «Mi piacerebbe viaggiare così su un camion!» esclamò Pete, e Kim gli fece eco: «Anche a me!» L'autocarro avanzava lento e a fatica, lottando contro il pendio ripido che curvava sulla sinistra. Gary Claybrook sorrise ancora, non molto disinvolto. Il camion era carico a metà di scatoloni da bottiglie. «Che cosa fa, il franco distillatore?» «No, se guadagna quel che sostiene Ted,» rispose Walter. «Ah sì?» «Che vuol dire, franco distillatore?» Gli stop del camion si accesero e il veicolo si fermò mentre l'indicatore di sinistra cominciava a lampeggiare. Joanna spiegò cos'era un franco distillatore. Un'auto saettò giù per il declivio e il camion cominciò a muoversi per imboccare il sentiero a sinistra. «È quella la strada?» chiese Pete, e Walter annuì. «Già, è quella.» Kim abbassò di più il suo finestrino gridando: «Salve, signor Claybrook!» E lui agitò il braccio mentre lo superavano. Pete fece scattare la fibbia della cintura e si girò con un guizzo mettendosi in ginocchio. «Potrò andarci, qualche volta?» domandò, guardando attraverso il lunotto posteriore.
«Mm-mmm, spiacente,» replicò Walter. «Vietato l'accesso ai bambini.» «Accidenti, che razza di palizzata,» commentò Pete. «Come quella di Hogan's Heroes!» «Per tener lontane le donne,» insinuò Joanna, guardando avanti, una mano sulla montatura degli occhiali. Walter sorrise. «Davvero?» chiese Pete. «Serve a quello?» «Pete si è slacciato la cintura di sicurezza,» comunicò Kim. «Pete...» cominciò Joanna. Risalirono la Norwood Road quindi piegarono a ovest, imboccando Winter Hill Drive. Per una questione di principio non avrebbe sbrigato alcuna faccenda di casa. Non che non ci fossero molte cose di cui occuparsi, Dio lo sapeva, anzi, ce n'erano alcune che addirittura avrebbe voluto sbrigare, come sistemare gli scaffali dei libri nel soggiorno, ma non stasera, nossignore. Potevano benissimo aspettare. Non era una Carol Van Sant né una Mary Ann Stavros, che stava pilotando un aspirapolvere dietro una finestra del piano terra quando lei era andata ad abbassare la tapparella di Pete. Nossignore. Walter era all'Associazione Maschile, benissimo; doveva pur andarci se voleva iscriversi, e avrebbe dovuto essere presente in quel covo un paio di volte alla settimana, se voleva trasformarla. Mentre lui era là (almeno non questa prima volta), lei non avrebbe mosso un dito in casa più di quanto avrebbe fatto lui quando lei fosse stata fuori, da qualche parte, cosa che sarebbe successa alla prima notte serena con la luna alta in cielo: giù in centro a scattare foto a lunga esposizione di quei negozi stile coloniale. (I pannelli di vetro, non ben allineati, del negozio di ferramenta, avrebbero scomposto i riflessi lunari con effetti forse interessanti.) Così, quando Pete e Kim furono profondamente addormentati, Joanna scese in cantina a prendere misure e fare progetti per il ripostiglio che sarebbe divenuto la sua camera oscura; quindi tornò di sopra, andò a controllare la situazione Pete e Kim, e si preparò una vodka con acqua tonica che si portò nello studio. Sintonizzò la radio su un programma musicale alla Richard Rodgersy, un po' trito ma piacevole, spostò con cura le varie carte di Walter dal centro della scrivania, e tirò fuori l'ingranditore, il pennarello rosso e i provini a contatto delle foto degli ultimi-minuti-in-città. Per lo più erano uno spreco di pellicola, come aveva sospettato mentre le scattava (non ci cavava mai nulla di buono quando andava di fretta) ma ne scopri una che addirittura l'elettrizzò: un giovane negro con abiti di gran taglio e
una valigetta da uomo d'affari che seguiva con sguardo inferocito un taxi libero che gli era appena passato davanti. Se l'espressione reggeva all'ingrandimento, e se lei avesse scurito lo sfondo per far risaltare l'immagine sfocata del taxi, poteva essere una foto eccezionale, che l'agenzia avrebbe sicuramente accettato. C'era un ampio mercato per le fotografie che documentavano le tensioni razziali. Tracciò un asterisco rosso accanto al provino e si mise a cercarne altre che fossero buone o almeno parzialmente buone ma comunque utilizzabili. Si rammentò la sua vodka e ne prese un sorso. Alle undici e un quarto era stanca, per cui sistemò tutto quanto sul suo lato della scrivania, rimise le carte di Walter al loro posto, spense la radio, portò in cucina il bicchiere e lo sciacquò. Controllò le porte, spense le luci, tranne quella dell'ingresso, e salì di sopra. L'elefante di Kim era finito a terra. Lo raccolse cacciandolo sotto le lenzuola, vicino al cuscino; poi coprì le spalle della piccola e le sfiorò i ricci. Pete era supino, con la bocca socchiusa, nell'identica posizione in cui l'aveva lasciato alla visita precedente. Aspettò finché gli vide il petto sollevarsi, quindi lasciò un po' più scostato il battente, spense la luce del pianerottolo e passò nella stanza sua e di Walter. Si svestì, legò i capelli a treccia, fece una doccia, passò la crema sul viso, pulì i denti e si infilò nel letto. Le dodici meno venti. Spense il lume. Distesa sul dorso, allungò al massimo la gamba e il braccio destro. Sentiva la mancanza di Walter al suo fianco, ma quella distesa di lenzuola, morbide e fresche, era piacevole. Quante volte si era trovata da sola a letto da quando erano sposati? Non molte: le notti che lui era stato fuori città per affari della Marburg-Donlevy; i brevi periodi che lei aveva trascorso in ospedale per Pete e Kim; la notte dello sciopero dell'elettricità; e poi quando lei era andata a casa per i funerali dello zio Bert... diciamo venti o venticinque volte in tutto, in quei dieci anni e rotti. Non era una sensazione sgradevole. Santo cielo, le pareva di essere ancora Joanna Ingalls. L'hai presente? Si chiese se Walter stesse sbronzandosi. C'erano dei liquori, no, su quell'autocarro di Gary Claybrook? O forse quelle scatole erano troppo piccole per contenere bottiglie? Ma Walter si era fatto dare un passaggio da Vic Stavros, quindi che si sbronzasse pure. Non che ci fossero molte probabilità in questo senso: non gli capitava quasi mai. Ma... e se Vic Stavros avesse preso la sbornia? Quelle brutte curve della Norwood Road...
Oh, idiozie. Perché angosciarsi? Il letto vibrava. Lei rimase immobile nel buio osservando il riquadro più scuro della porta del bagno, aperta, e il fioco baluginio delle maniglie del cassettone, mentre il letto continuava a tremare con un ritmo lento e uguale, ogni fremito accompagnato da un debole cigolio di molle, e ancora e di nuovo. Era Walter che stava tremando! Aveva la febbre. O forse il delirium tremens? Si girò di scatto verso di lui, poggiandosi su un gomito, occhi spalancati, cercandogli la fronte con la mano. Gli occhi di lui, solo il bianco visibile, la fissarono e immediatamente si volsero dall'altra parte; tutto in lui si volse dall'altra parte, e quella prominenza della coperta, all'altezza del ventre, scomparve nell'attimo in cui se ne accorse, sostituita dalla curva del fianco. Il letto tornò immobile. Si stava... masturbando? Non sapeva che dire. Si drizzò a sedere. «Temevo che avessi il delirium tremens,» disse. «O un attacco di febbre.» Walter non si mosse. «Non volevo svegliarti,» mormorò. «Sono le due passate.» Lei rimase così, trattenendo il fiato. Lui disteso sul fianco, senza dir nulla. Joanna mosse lo sguardo per la camera, le finestre e i mobili appena delineati nel debole chiarore del lumino da notte nel bagno di Pete e Kim. Si lisciò la treccia e si sfregò lo stomaco con una mano. «Potevi benissimo,» osservò. «Svegliarmi, intendo. Non mi avrebbe dato fastidio.» Lui non parlò. «Ma accidenti, non hai bisogno di ricorrere a quello,» continuò lei. «È solo che non volevo svegliarti. Dormivi così bene.» «Be', la prossima volta, svegliami.» Lui si rigirò sulla schiena. Niente più prominenze. «Hai già...?» domandò lei. «No.» «Oh, bene,» lei gli sorrise, «adesso sono sveglia.» Gli si allungò accanto, girata dalla sua parte, e appoggiò un braccio su di lui. Walter si volse e si abbracciarono, baciandosi. Lui sapeva di Scotch. «Insomma, il riguardo è una bella cosa,» gli bisbigliò all'orecchio, «ma Gesù.»
E fu uno dei loro incontri più completi, per lei almeno. «Ehi,» ansimò Joanna rientrando dal bagno, «mi tremano ancora le gambe.» Lui, seduto nel letto, con la sigaretta accesa, le sorrise. Joanna si infilò sotto le coperte e si sistemò comodamente contro il suo braccio attirandogli una mano sopra il seno. «Che cosa avete combinato?» domandò. «Ti hanno mostrato filmetti pornografici?» Lui sorrise. «Magari». Le accostò la sigaretta alle labbra e lei ne aspirò una boccata. «Mi hanno fregato otto dollari e mezzo a poker,» aggiunse, «e mi hanno fatto una testa così circa le malefiche intenzioni del Consiglio di Zona circa East-Bridge Road.» «Temevo che ti prendessi una sbornia.» «Io? Due whisky. Non sono dei gran bevitori. E tu, che cos'hai fatto?» Gli fece una cronaca fedele, incluse le sue speranze a proposito della foto del negro. Lui le parlò di alcuni dei tipi che aveva conosciuto: il pediatra raccomandato dai Van Sant e dai Claybrook, l'illustratore di riviste che costituiva la maggior celebrità di Stepford, due avvocati, uno psichiatra, il capo della polizia, il direttore del supermercato. «Lo psichiatra dovrebbe essere favorevole ad aprire i cancelli alle donne,» osservò Joanna. «Infatti. Idem per il dottor Verry. Non ho sondato gli altri. Non volevo presentarmi come attivista a oltranza fin dalla prima volta.» «Quando ci torni?» domandò lei, e all'improvviso le venne il timore (ma perché?) che lui rispondesse domani. «Non so. Intendiamoci, non ho intenzione di farne la mia vita, al pari di Ted e Vic. Ci tornerò tra una settimana, più o meno; non so. È un po' provinciale, in realtà.» Lei sorrise e gli si rannicchiò più vicino. Era arrivata a un terzo circa delle scale, scendendo alla cieca, con quel maledetto cesto della biancheria quasi contro la faccia per via di quella maledetta ringhiera, quando, c'era ben da aspettarselo, il telefono attaccò a suonare. Non poteva mettere giù il cesto: sarebbe caduto; e non c'era abbastanza spazio per fare dietrofront e tornare di sopra; così continuò a discendere pian piano, a tentoni, borbottando tra sé va bene, arrivo rivolta allo squillo insistente dai-rispondimi dell'apparecchio. Arrivò in fondo alla scala, depose il cesto e si diresse a lunghi passi verso la scrivania dello studio.
«Pronto,» e il tono rifletteva il suo stato d'animo, senza la minima forzata buona grazia. «Salve, è Joanna Eberhart?» La voce era robusta, allegra, gutturale; un po' alla Peggy Clavenger. Ma Peggy Clavenger lavorava per «ParisMatch» l'ultima volta che aveva avuto sue notizie, e non poteva neppure sapere che era sposata, per non parlare di dove abitava. «Sì,» rispose. «Chi parla?» «Non siamo state presentate ufficialmente,» riprese la voce che no, non era di Peggy Clavenger, «ma è presto fatto. Bobbie, ti presento Joanna Eberhart. Joanna, questa è Bobbie Markowe, scritto K O W E. Bobbie ha preso residenza qui a Detersivopoli da cinque settimane ormai, e sarebbe molto lieta di fare la conoscenza di una "entusiasta fotomane con un vivo interesse per la politica e per il Movimento di Emancipazione Femminile". E questa dovresti essere tu, Joanna, stando a quanto dice lo "Stepford Chronicle". O "Cronicario", a seconda dei tuoi criteri di valutazione. Risponde, questa descrizione? Davvero non ti angoscia l'interrogativo se le pagliette con il sapone rosa sono meglio di quelle con il sapone azzurro o viceversa? Ammessa una completa libertà di scelta, preferiresti davvero non dover strizzare strofinacci? Pronto? Ci sei ancora, Joanna? Pronto?» «Pronto,» ansimò Joanna. «Sì, sono qui. Eccome! Salve! Accidenti, la pubblicità rende sul serio!» «Che piacere vedere una cucina in disordine!» esclamò Bobbie. «Non è all'altezza della mia, ci mancano tutte le impronte di dolci manine stampate a burro di noccioline sugli armadi, ma non c'è male, non c'è proprio male. Congratulazioni.» «Ti posso mostrare delle stanze da bagno a livello di disperazione, se ci tieni.» «Grazie. Mi basta un semplice caffè.» «Nulla in contrario a quello istantaneo?» «Vuoi dire che esiste qualcosa di diverso?» Era piccola, con un posteriore robusto, indossava una maglietta azzurra con su Snoopy, blue-jeans e sandali. Aveva una bocca larga, denti straordinariamente bianchi, occhi azzurri che coglievano ogni particolare e corti capelli bruni arruffati. Mani piccole, e piedi un po' sudici. E un marito che si chiamava Dave e faceva l'analista di mercato, e tre maschi di dieci, otto e sei anni. E un pastore inglese e un corgi. Doveva avere un paio d'anni meno di Joanna: sui trentadue, trentatrè. Ingollò due tazze di caffè e sgra-
nocchiò un Ring Ding e descrisse a Joanna le sue vicine di casa, in Fox Hollow Lane. «Comincio a pensare che abbiano indetto un... un concorso su scala nazionale, di cui io non so niente,» commentò, leccandosi le dita impiastricciate di cioccolato. «Un milione di dollari e... Paul Newman per la casa più linda di qui a Natale. Insomma, è tutto uno struscia struscia, lustra lustra. ..» «È la stessa cosa da queste parti,» gemette Joanna. «Perfino di notte! E tutti gli uomini...» «All'Associazione Maschile!» completò Bobbie. Discussero la faccenda: l'assurdo di quel settarismo-sessismo retrogrado, l'ignobile ingiustizia di una città priva di organizzazioni femminili, dove non c'era neppure una Lega delle Elettrici. «Credimi, sono andata in perlustrazione,» assicurò Bobbie. «C'è il Circolo di Giardinaggio, qualche gruppetto parocchiale costituito da vecchie galline... e per questi comunque io mancherei dei requisiti necessari: "Markowe" è una nobilitazione di "Markowitz". E infine c'è la Società di Studi Storici, molto liberale e aperta a entrambi i sessi. Facci una capatina tanto per dire salve. Mummie che fan finta di essere vive.» Dave si era iscritto all'Associazione Maschile e, come Walter, pensava che la si potesse modificare dall'interno. Ma Bobbie la pensava diversamente: «Vedrai, dovremo incatenarci ai cancelli per ottenere qualcosa. A proposito, che ne pensi di quella palizzata? Da credere che là dentro raffinino l'oppio!» Discussero la possibilità di organizzare un incontro con le vicine di casa, una seduta svegliarino per renderle consapevoli del ruolo più attivo che potevano ricoprire nella vita della cittadina; ma gli esemplari che avevano conosciuto, convennero, non sembravano tipi da reagire positivamente anche a un'iniziativa così modesta sulla via dell'emancipazione. Parlarono della Lega Nazionale Femminile, a cui entrambe appartenevano, e delle fotografie di Joanna. «Buon Dio, ma sono magnifiche!» Bobbie osservava i quattro ingrandimenti appesi nello studio. «Sono fantastiche!» Joanna ringraziò. «"Entusiasta fotomane"! Credevo stesse a significare qualche polaroid della figliolanza! Ma queste sono una cannonata!» «Adesso che Kim andrà alla scuola materna voglio darci dentro sul serio.» Accompagnò Bobbie all'auto.
«Accidenti, no,» si ribellò Bobbie. «Dovremmo almeno fare un tentativo. Parliamo a queste brave massaie; deve pur essercene qualcuna che non tollera bene la situazione. Che ne dici? Non sarebbe una bella cosa se riuscissimo a mettere insieme un gruppetto, e magari addirittura organizzare un incontro sull'emancipazione femminile, per dare una buona scrollata a quell'Associazione di maschi? Dave e Walter si fanno delle illusioni: non cambierà mai niente, a meno che non siano costretti. È sempre così con queste organizzazioni di prepotenza istituzionalizzata. Tu che ne dici, Joanna? Sentiamo un po' in giro.» Joanna assentì. «Sarà il caso. Non possono essere tutte soddisfatte come appaiono.» Sondò Carol Van Sant. «Oddio, no, Joanna,» replicò questa. «Non mi pare il genere di cosa che può interessarmi. Grazie per avermi invitata, ad ogni modo.» Stava lavando il divisorio in plastica, a fisarmonica, nella stanza di Stacy e Allison, e passava energicamente, dall'alto verso il basso, una grossa spugna gialla lungo una piega. «Si tratterebbe solo di un paio d'ore,» insisté Joanna. «La sera, o, se è più comodo per tutte, quando i bambini sono a scuola.» Carol, accucciandosi per strofinare la parte inferiore del divisorio, non si lasciò convincere. «Mi spiace, il fatto è che non ho molto tempo per faccende di questo tipo.» Joanna rimase a osservarla per qualche istante. «Non ti dà fastidio il fatto che l'organizzazione più importante, qui a Stepford, anzi l'unica organizzazione che faccia qualcosa di significativo per quanto riguarda le iniziative pubbliche, sia interdetta alle donne? Non ti sembra un po' arcaico?» «"Ar-cai-co"?» ripeté Carol, strizzando la spugna nel secchio d'acqua saponata. Joanna la fissò. «Superato, antiquato.» Carol tornò a strizzare la spugna al di sopra del secchio. «No, non lo trovo arcaico,» si raddrizzò per attaccare con la spugna la parte superiore della piega successiva. «Ted è più preparato di me per cose del genere,» ricominciò a strofinare la plastica con energici movimenti dall'alto in basso, metodica e precisa. «E poi gli uomini devono avere un posto dove distendere i nervi e bere qualcosa.» «E le donne, no?» «No, non nella stessa misura.» Carol scosse la graziosa testina fulva da pubblicità di shampoo, senza distogliersi dall'operazione in corso. «Scu-
sami, Joanna,» ripeté, «ma proprio non ho il tempo per una riunione.» «Va be',» concluse Joanna. «Se cambi idea fammelo sapere.» «Ti spiace se non ti accompagno alla porta?» «No, certo che no.» Parlò a Barbara Chamalian, dirimpetto ai Van Sant. «Grazie, ma non vedo proprio come potrei,» rispose Barbara. Era una bruna dal mento volitivo, con un grazioso abitino rosa che modellava una figura straordinariamente ben fatta. «Lloyd resta parecchio in città,» spiegò, «e le sere che è qui gli fa piacere andare all'Associazione Maschile. Non me la sento di pagare una baby sitter solo per...» «Potremmo organizzarla durante le ore di scuola,» l'interruppe Joanna. «No,» rifiutò Barbara, «è meglio che tu non faccia conto su di me,» e le sorrise, un sorriso aperto, attraente. «Ad ogni modo sono contenta che ci siamo conosciute,» continuò. «Vuoi entrare a farmi compagnia per un po'? Sto stirando.» «No, grazie,» rispose Joanna. «Vorrei andare a parlare con qualche altra signora.» Tastò il terreno con Marge McCormick («Sinceramente non credo che la cosa potrebbe interessarmi») e con Kit Sundersen («Temo di non averne il tempo; mi rincresce davvero, signora Eberhart») e con Donna Claybrook («È una buona idea, ma sono talmente presa in questo periodo. Grazie di avermi invitata, comunque»). Incontrò Mary Ann Stavros in un corridoio del supermercato. «No, non ho proprio tempo per faccende del genere. Ci sono sempre tante cose da fare in casa, sai com'è.» «Ma uscirai pure qualche volta, no?» insisté Joanna. «Ma certo,» replicò Mary Ann. «Sono fuori adesso, no?» «Intendo per conto tuo. Per svagarti.» Mary Ann sorrise e scosse la testa, facendo ondeggiare la massa di capelli biondi e lisci. «No, non spesso,» rispose. «Non sento particolare bisogno di svagarmi. Arrivederci.» E si allontanò, spingendo il carrello; si fermò, prese un barattolo dallo scaffale, lo guardò, lo sistemò nel carrello e proseguì. Joanna la seguì con lo sguardo, poi osservò il carrello di un'altra signora che stava sorpassandola lentamente. Mio Dio, pensò, perfino i carrelli riempiono in bell'ordine! Osservò il proprio: un guazzabuglio di scatole, vasetti e lattine. Un senso di colpa le suggerì di sistemare i suoi acquisti; ma, al diavolo, non lo faccio, decise. Agguantò una scatola dal ripiano,
Bianco Splendi, e la buttò insieme alle altre. E neanche le serviva quella roba! Parlò con la mamma di una delle compagne di scuola di Kim, nella sala d'attesa del dottor Verry; e con Yvonne Weisgalt, che abitava accanto agli Stavros; e con Jill Burke, della casa di fronte. Tutte rifiutarono: avevano troppo poco tempo o troppo poco interesse per incontrarsi con altre signore e discutere delle comuni esperienze. Bobbie ebbe ancor meno fortuna, considerando che si era rivolta a un numero almeno doppio di signore. «Solo una ci sta,» raccontò a Joanna. «Una vedova di ottantacinque anni che mi ha trascinata in casa prendendomi per la collottola e mi ci ha tenuta prigioniera per un'ora buona di spruzzi di saliva a distanza ravvicinata. In qualsiasi momento vogliamo dare l'assalto all'Associazione Maschile, Eda Mae Hamilton è pronta a unirsi alla partita.» «Sarà bene che ci teniamo in contatto,» commentò Joanna. «Oh no, non siamo ancora al fondo dell'abisso!» Per una mattinata fecero visite in coppia, in base all'assunto (di Bobbie) che insieme, con discorsi volutamente ambigui, potevano dare l'incoraggiante impressione di una falange di donne in cui c'era posto ancora per un elemento. Non funzionò. «Gesù!» esplose Bobbie, premendo esasperata l'acceleratore su per Short Ridge Hill. «Secondo me c'è qualcosa di sospetto da queste parti. Siamo nella Città Dimenticata dal Tempo.» Un pomeriggio Joanna lasciò Pete e Kim alle cure di Melinda Stavros, sedici anni, e prese il treno alla volta della città, dove si incontrò con Walter e con i loro amici Shep e Sylvia Tackover, in una trattoria italiana nella zona dei teatri. Era bello ritrovarsi di nuovo con Shep e Sylvia, una coppia simpatica, affettuosa, vitale, che aveva resistito a parecchi brutti colpi, tra cui la morte per annegamento di un bambino di quattro anni. Ed era bello anche essere di nuovo in città; Joanna si godeva il colore locale e il trambusto del ristorante affollato. Lei e Walter parlarono in termini entusiastici della bellezza e della quiete di Stepford, e dei vantaggi di una villetta rispetto all'appartamento. Lei non accennò all'esistenza tutta imperniata sulla casa delle signore di Stepford, né alla mancanza di una qualsiasi iniziativa extra-casalinga. Era una forma di vanità, pensò, non voleva essere oggetto di commiserazione, anche trattandosi di Shep e Sylvia. Raccontò di Bobbie, così divertente, e
delle belle scuole di Stepford, non sovraffollate. Walter non parlò dell'Associazione Maschile e neppure lei ne fece parola. A Sylvia, che lavorava nel Dipartimento Edilizia Popolare, sarebbe venuto un colpo. Ma mentre si dirigevano al teatro, Sylvia con un'occhiata penetrante e scrutatrice le domandò: «Situazione pesante?» «Per certi versi.» «Ce la farai,» le sorrise Sylvia incoraggiante. «Come vanno le foto? Deve essere magnifico per te, laggiù, accostarti a ogni cosa vedendola per la prima volta.» «Non ho combinato un accidente,» rispose lei. «Bobbie e io ci siamo scapicollate attorno per cercare di dar vita a qualche iniziativa che si riallacci al Movimento di Liberazione. È un po' un'acqua stagnante, a dire la verità.» «Correre attorno a fare l'attivista non è per te,» osservò Sylvia. «La fotografia sì, invece, o dovrebbe esserlo.» «Lo so,» annuì Joanna. «Da un giorno all'altro deve venire l'idraulico a impiantare il lavandino per la camera oscura.» «Walter sembra in gran forma.» «Lo è. In realtà ci troviamo bene.» Lo spettacolo, una commedia musicale della stagione precedente, fu una delusione. Durante il viaggio di ritorno, in treno, dopo averlo commentato per qualche minuto, Walter si mise gli occhiali e tirò fuori delle carte, e Joanna sfogliò il «Time» e poi rimase a guardare fuori dal finestrino, fumando e osservando l'oscurità e le luci che ogni tanto la striavano. Sylvia aveva ragione: lei doveva occuparsi di fotografia. Al diavolo le donne di Stepford. A parte Bobbie, naturalmente. Tutt'e due le auto erano alla stazione, per cui dovettero tornare a casa separatamente. Joanna per prima, con la giardinetta, seguita da Walter con la Toyota. Il centro era deserto e molto scenografico con i suoi tre semafori. Sì, ne avrebbe scattato delle foto, e senza aspettare che la camera oscura fosse completata, e c'erano fanali d'auto e finestre illuminate su alla sede dell'Associazione Maschile, e un'auto che aspettava di uscire dal viale. Melinda Stavros sbadigliava ma sorrideva, e Pete e Kim erano a letto, immersi nel sonno. Nel tinello c'erano bicchieri di latte e piattini vuoti, sul tavolo, e tovaglioli di carta appallottolati sul divano e a terra, e una bottiglietta vuota di ginger-ale sul pavimento insieme al resto. Per lo meno non lo trasmettono alle figlie, pensò Joanna.
La terza volta che Walter andò all'Associazione Maschile, telefonò verso le nove e annunciò a Joanna che avrebbe portato a casa il Comitato per le Nuove Iniziative, a cui era stato assegnato la volta precedente. Nella sede erano in corso dei lavori (si sentiva lo stridore di macchinari nello sfondo) e loro non trovavano un angolo tranquillo dove discutere in pace. «Benissimo,» acconsentì lei. «lo scendo a finire di sgomberare la camera oscura in modo che potrete avere tutto...» «No, senti,» la interruppe, «rimani di sopra con noi e partecipa alle discussioni. Un paio sono degli oltranzisti in fatto di alla-larga-le-donne, e non gli farà male sentirne una in grado di fare osservazioni intelligenti. Do per scontato che tu ne faccia.» «Grazie. Non avranno da ridire?» «È casa nostra.» «Sei certo di non volere in realtà una chellerina?» Lui scoppiò a ridere. «Santiddio, con te non la si scampa,» si lamentò. «E va bene, mi arrendo. Ma una chellerina intelligente, d'accordo? Vuoi? Potrebbe davvero servire a qualcosa.» «D'accordo,» concluse Joanna. «Dammi un quarto d'ora e avrai una chellerina intelligente e affascinante; apprezzi la collaborazione?» «Grande. Fantastico.» Erano in cinque, e uno, un ometto allegro dal volto rubizzo, sulla sessantina, con baffetti impomatati che terminavano a punta di spillo, era Ike Mazzard, il disegnatore di riviste. Joanna gli strinse la mano con calore dicendo: «Non sono sicura che lei mi sia simpatico: ha straziato la mia adolescenza con quelle sue ragazze di sogno!» E lui, con una risatina, ribatté: «Ma lei doveva reggere il confronto mica male!» «Sarebbe disposto a giurarci?» replicò lei. Gli altri quattro erano sui quaranta, anno più anno meno. Quello alto, con i capelli neri, dall'aria indolente e arrogante, era Dale Coba, presidente dell'Associazione. Le sorrise, con occhi verdi che la disprezzavano, e disse: «Salve, Joanna, è un piacere.» Uno degli oltranzisti, pensò lei, le donne servono per il letto. La mano di lui era liscia, priva di nerbo. Gli altri erano Anselm o Axhelm, Sundersen, Roddenberry. «Ho già conosciuto sua moglie,» disse a Sundersen, bianchiccio e corpulento, dall'aria nervosa. «Sempre che siate i Sundersen che abitano sull'altro lato della via.»
«Davvero? Sì, siamo noi. Siamo gli unici qui a Stepford.» «L'ho invitata a una riunione, ma non le era possibile.» «Non è molto socievole.» Gli occhi di Sundersen erano sfuggenti, la evitavano. «Scusi, non ho afferrato il nome di battesimo.» «Herb,» rispose lui, guardando altrove. Li fece accomodare nel soggiorno e andò in cucina a prendere ghiaccio e soda che portò a Walter, che stava vicino al mobile bar. «Intelligente? Affascinante?» gli chiese, e lui le rivolse un mezzo sogghigno. Lei tornò in cucina per riempire delle ciotole di mandorle e patatine. Dal gruppo degli uomini non venne alcuna obiezione quando lei, con il bicchiere in mano, domandò: «Posso?» e si accomodò all'estremità del divano che Walter aveva lasciato libera per lei. Ike Mazzard e Anselm-oAxhelm si alzarono, e gli altri accennarono un gesto in quel senso, salvo Dale Coba che rimase dov'era, a sgranocchiare una manciata di noccioline, fissandola al di sopra del tavolino con i suoi sprezzanti occhi verdastri. Parlarono dell'Iniziativa Giocattoli per Natale, e di quella per la Conservazione del Paesaggio. Roddenberry si chiamava Frank e aveva una faccia simpatica con il naso un po' rincagnato, il mento azzurrino e una leggera balbuzie; e Coba aveva un nomignolo, Dis, che proprio non gli si adattava. Discussero se quell'anno in centro non dovessero esserci anche dei lumi per Hanukkah, oltre al presepe, considerato che adesso in città c'era un certo numero di ebrei. Discussero nuove idee per nuovi progetti. «Posso dire qualcosa?» intervenne lei. «Certo,» dissero Frank Roddenberry e Herb Sundersen. Coba se ne stava abbandonato nella sua poltrona, a fissare il soffitto (con disprezzo, senza dubbio), le mani intrecciate dietro la nuca, le gambe allungate. «Pensate che ci sarebbe modo di organizzare delle conferenze serali per adulti?» domandò lei. «O degli incontri tra genitori e adolescenti? Magari in un'aula magna della scuola?» «Su quale argomento?» volle sapere Frank Roddenberry. «Su qualsiasi argomento di interesse generale,» rispose. «Il problema della droga, che sta a cuore a tutti noi ma che a quanto sembra il "Chronicle" caccia sotto il tappeto: cosa è in realtà la musica pop... non saprei, ma qualsiasi cosa che faccia uscire di casa la gente per avere uno scambio di idee.» «Interessante,» commentò Claude Anselm-o-Axhelm, piegandosi in avanti e accavallando le gambe, mentre si grattava una tempia. Era esile e
biondo, con occhi vivaci, irrequieto. «E così magari anche le donne uscirebbero di casa,» aggiunse lei. «Nel caso non lo sappiate, questa è una zona calamitosa per le baby sitter.» Tutti risero e lei si sentì in gamba e sicura di sé. Propose altri possibili argomenti di discussione, e Walter ne aggiunse di nuovi, e pure Herb Sundersen. Vennero fuori nuove idee per eventuali iniziative, e lei prese parte alla discussione e gli uomini (salvo Coba, accidenti a lui) le prodigarono tutta la loro attenzione: Ike Mazzard, Frank, Walter, Claude e persino Herb, avevano sempre lo sguardo rivolto a lei, e annuivano dichiarandosi d'accordo, oppure le ponevano interrogativi ben meditati, e lei si sentiva proprio in forma e rispondeva alle domande con spirito e buon senso. Avanti, Gloria Steinem! Si accorse, con sorpresa e imbarazzo, che Ike Mazzard stava facendole il ritratto. Seduto nella sua poltrona (accanto a Dale Coba che non toglieva gli occhi dal soffitto), tracciava qualche riga con la penna blu sul taccuino appoggiato all'altezza del ginocchio sui pantaloni a righine, la guardava e di nuovo abbassava gli occhi sullo schizzo. Ike Mazzard! Che faceva il ritratto a lei! Gli uomini erano diventati silenziosi. Osservavano i propri bicchieri facendo girare in tondo i cubetti di ghiaccio. «Ehi,» protestò Joanna, spostandosi un po' imbarazzata, con un sorriso. «Non sono una ragazza di Ike Mazzard.» «Non c'è ragazza che non sia di Ike Mazzard,» replicò l'interessato, e le sorrise, e sorrise allo schizzo. Joanna lanciò un'occhiata a Walter, che ricambiò impacciato e si strinse nelle spalle. Riportò lo sguardo su Mazzard e, senza spostare la testa, sugli altri, che ricambiarono l'occhiata e sorrisero, un po' nervosi. «Be', questo sì che ammazza la conversazione,» commentò. «Si rilassi, può muoversi come vuole,» l'esortò Mazzard. Voltò la pagina e riprese a tracciare linee. Frank osservò : «Non credo che un altro campo da baseball sia poi così indispensabile.» Lei sentì Kim chiamare «Mamma!» ma Walter le toccò il braccio e, deposto il bicchiere, si alzò e passò davanti a Claude domandando scusa. Gli uomini ripresero a parlare di progetti. Lei disse un paio di frasi, muovendo la testa, ma sempre consapevole di Mazzard che l'osservava e disegnava. Prova un po' a fare la Gloria Steinem mentre Ike Mazzard ti ri-
trae! Un po' esibizionista da parte di lui: lei non era tipo da occasioneunica-da-non-perdere, neppure con i pantaloni di Pucci. E perché gli uomini erano così tesi? I loro discorsi sembravano forzati e discontinui. Herb Sundersen era addirittura rosso in faccia. A un tratto le parve di essere nuda, come se Ike Mazzard la stesse ritraendo in posizioni oscene. Accavallò le gambe; avrebbe voluto incrociare anche le braccia ma si trattenne. Santiddio, Joanna, è un artista che vuole farsi bello, nient'altro. Sei vestitissima. Walter tornò e si piegò verso di lei. «Solo un brutto sogno,» spiegò e, raddrizzandosi, rivolto agli uomini : «Qualcuno vuole il bis? Dis? Frank?» «Uno ridotto per me,» rispose Mazzard, lanciando un'occhiata a lei e continuando a disegnare. «Il bagno è da questa parte?» domandò Herb, alzandosi. La conversazione riprese, più distesa e disinvolta, adesso. Nuovi progetti. Vecchi progetti. Mazzard si infilò la penna nel taschino, sorridendo. Lei tirò un sonoro respiro di sollievo, e agitò la mano come per farsi vento. Coba sollevò la testa sempre tenendo le mani intrecciate dietro la nuca e, il mento contro il petto, sbirciò il taccuino. Mazzard voltò le pagine, guardando Coba, che annuì e disse: «Non finisci mai di stupirmi.» «Posso vedere anch'io?» «Ma certo!» rispose Mazzard, e si alzò a mezzo, sorridente, per tenerle il taccuino aperto. Anche Walter volle guardare, e Frank si allungò per vedere. Ritratti di lei, pagine e pagine, piccoli e precisi, e adulatori, come tutti i disegni di Ike Mazzard. Di fronte, di tre quarti, di profilo, sorridente, seria, animata, accigliata. «Sono stupendi,» commentò Walter, e Frank aggiunse: «Fantastici, Ike!» Claude e Herb si accostarono passando dietro il divano. Lei sfogliò le pagine all'indietro. «Sono... meravigliosi,» mormorò. «Vorrei poter dire che sono assolutamente fedeli...» «Ma lo sono!» interruppe Mazzard. «Lei è incredibile.» Gli restituì il taccuino che lui posò sul ginocchio e ne girò le pagine tirando fuori la penna. Scrisse qualcosa su un foglio, lo staccò e l'offrì a lei. Era uno di quelli di tre quarti, seria, e sotto la ben nota firma senza
maiuscole ike mazzard. Lo mostrò a Walter che disse: «Grazie, Ike.» «È stato un piacere.» Joanna sorrise a Mazzard. «Grazie,» mormorò. «Le perdono di avere esacerbato la mia adolescenza.» Sorrise rivolta a tutti. «C'è qualcuno che vuole un caffè?» Tutti accettarono, salvo Claude che preferì un tè. Lei andò in cucina e posò il disegno sulle tovagliette all'americana sopra il frigorifero. Un suo ritratto disegnato da Ike Mazzard! Chi l'avrebbe immaginato, un tempo, quando lei aveva undici o dodici anni e leggeva il «Journals» e «Companions» di sua madre? Che sciocca a irrigidirsi in quel modo. Era stato un gesto simpatico da parte di Mazzard. Sorridendo riempì d'acqua la caffettiera, mise il filtro e il caffé. Avvitò la parte superiore, quindi richiuse con cura il barattolo del caffè con il suo coperchio di plastica e si volse. Coba era sulla porta e la osservava, a braccia conserte, la spalla poggiata contro lo stipite. Molto chic con il maglione a collo alto, color giada (intonato agli occhi, si intende) e l'abito di velluto a coste color ardesia. Le sorrise dicendo: «Mi piace stare a guardare le donne mentre sbrigano i piccoli lavori domestici.» «È capitato nella città giusta,» replicò Joanna. Buttò il cucchiaino nel lavello, prese il barattolo del caffè e lo mise nel frigorifero. Coba rimase là, a seguirla con lo sguardo. Lei si augurò che arrivasse Walter. «Non direi che ha l'aria del distratto,» osservò, tirando fuori un pentolino per il tè di Claude. «Perché la chiamano Dis?» «Un tempo lavoravo a Disneyland,» spiegò lui. Joanna si mise a ridere mentre si dirigeva al lavandino. «Ma no, sul serio.» «Davvero.» Si volse a guardarlo. «Non mi crede?» «No.» «Perché no?» Lei rifletté e seppe la risposta. «Perché no?» insisté lui. «Me lo dica.» Al diavolo, gliel'avrebbe detto. «Non mi sembra tipo che provi piacere a rendere felici gli altri.» Silurando così per sempre, senza dubbio, l’ammissione delle donne alla
veneranda e sacrosanta Associazione Maschile. Coba la fissò, sprezzante. «Quanto poco ne sa.» Sorrise scostandosi dallo stipite e si volse per allontanarsi. «Non provo una simpatia sviscerata per El Presidente,» commentò Joanna mentre si spogliava, e Walter convenne: «Neanch'io. È freddo come un blocco di ghiaccio. Ma non rimarrà in carica in eterno.» «Meglio così,» borbottò lei, «altrimenti le donne resteranno per sempre fuori dai cancelli. Quando si faranno le elezioni?» «Subito dopo il primo dell'anno.» «Che lavoro fa?» «È alla Burnham-Massey, sulla Strada Nove. Come Claude.» «A proposito, come si chiama di cognome?» «Claude? Axhelm.» Kim cominciò a piangere e scottava, così rimasero in piedi fino alle tre passate, a misurarle la temperatura (trentanove e mezzo all'inizio), a consultare il manuale del dottor Spock, e a telefonare al dottor Verry e a fare impacchi freddi e frizioni d'alcool. Bobbie scoprì un esemplare vivo. «Almeno a paragone di tutte queste pizze,» gracchiò la sua voce nel ricevitore. «Si chiama Charmaine Wimperis, e se socchiudi un po' gli occhi si trasforma in una specie di Raquel Welch. Stanno su a Burgess Ridge, in una baracca ultramoderna da duecentomila dollari. Ha cameriera, giardiniere e, senti e stupisci, un campo da tennis.» «Davvero?» «Ero sicura che questo ti avrebbe scossa. Sei invitata a una partita, e anche a pranzo. Passo a prenderti verso le undici e mezzo.» «Oggi? Impossibile. Ho Kim ancora a casa!» «Ancora?» «Non si potrebbe fissare per mercoledì? O meglio giovedì, tanto per andare sul sicuro.» «Giovedì,» ripeté Bobbie. «La richiamo e poi ti do conferma.» Suam! Tum! Suissc! Charmaine ci sapeva fare, fin troppo; la palla arrivava fischiando, precisa come una mazzata, prima in un angolo e poi nell'altro, costringendola a guizzare continuamente da una parte all'altra, e poi a fondo campo per un tiro rimasto dentro per un pelo e preso per un pelo.
Dopo la risposta Joanna corse avanti, ma Charmaine spedì la palla in schiacciata proprio sotto rete, all'estrema sinistra: imprendibile. E così si aggiudicò il gioco e la partita, sei-tre. La prima l'aveva vinta per sei-due. «Oddio, che strage!» gemette Joanna. «Che fiasco! Accidenti!» «Ancora una!» la invitò Charmaine, indietreggiando verso la linea di servizio. «Avanti, un'altra!» «Non posso! Già così, domani non riuscirò a muovere un passo!» Raccolse la palla. «Vieni Bobbie, gioca tu!» Bobbie, seduta a gambe incrociate sull'erba al di là della rete metallica, la testa sul vassoio del riflettore solare, dichiarò: «Non se ne parla, non prendo in mano una racchetta dai tempi dell'università!» «Allora un gioco soltanto!» implorò Charmaine. «Uno solo, Joanna!» «Va bene, un altro!» Lo vinse Charmaine. «Mi hai distrutta, ma è stato magnifico!» ansimò Joanna mentre uscivano insieme dal campo. «Grazie!» Charmaine, che si stava tamponando con delicatezza le guance dagli zigomi alti con un lembo dell'asciugamano, rispose: «Hai solo bisogno di allenarti, nient'altro. Hai un servizio di prim'ordine.» «Si è ben visto quel che ne ho cavato.» «Sei disposta a giocare spesso? Ora come ora ho solo un paio di ragazzotti, tutt'e due con erezioni permanenti.» Bobbie intervenne, alzandosi da terra: «Mandali da me.» Risalirono il vialetto lastricato che portava alla casa. «È un campo stupendo,» si complimentò Joanna asciugandosi un braccio. «E allora usalo,» replicò Charmaine. «Prima giocavo tutti i giorni con Ginnie Fisher... la conoscete?.. Ma poi è scomparsa dalla circolazione. Voi non lo farete, vero? Che ne dite di domani?» «Ah, io non posso proprio!» Si accomodarono su una terrazza, sotto un ombrellone con la scritta Cinzano, e la cameriera, una donnina minuta e grigia, Nettie, portò una caraffa di Bloody Mary, una salsa fredda al cetriolo e dei crackers. «È favolosa,» raccontò Charmaine. «Una Vergine tedesca; se le dicessi di leccarmi le scarpe lo farebbe. Tu che cosa sei, Joanna?» «Un Toro americano.» «Se le dici di leccarti le scarpe questa ti sputa in un occhio,» ammonì Bobbie. «Non prenderai sul serio quelle storie, no?»
«Ma sicuro,» affermò Charmaine versando il Bloody Mary. «E anche tu lo faresti, se ti ci accostassi con mente sgombra.» (Joanna la sbirciò socchiudendo gli occhi; no, non Raquel Welch, ma poco ci mancava.) «È per questo che Ginnie Fisher mi ha piantata in asso,» spiegò. «È una Gemelli, tipi che cambiano continuamente. I Tori sono solidi e costanti. Alle nostre future partite.» Joanna volle chiarire: «Il qui presente Toro ha una casa, due figli e neanche l'ombra di una Vergine tedesca.» Charmaine aveva un figlio, un ragazzino di nove anni che si chiamava Merrill. Il marito era direttore di produzione alla TV. Si erano trasferiti a Stepford in luglio. Sì, Ed faceva parte dell'Associazione Maschile; e, no, Charmaine non si angosciava particolarmente per quell'ingiustizia del sessismo. «Tutto quel che me lo tira fuori di casa la sera, per me è il benvenuto,» dichiarò. «Lui è un Ariete e io uno Scorpione.» «Oh, ma insomma,» protestò Bobbie cacciandosi in bocca un cracker ben rivestito di salsa. «Pessima combinazione,» proseguì Charmaine. «Se avessi saputo prima quel che so adesso.» «Pessima in che senso?» si informò Joanna. Grave errore. Charmaine descrisse dilungatamente le molteplici incompatibilità esistenti tra lei e Ed: sociali, emotive e, soprattutto; sessuali. Nettie servì aragosta alla Newburg e insalata di patate. «Ahimé, fianchi miei,» fu la reazione di Bobbie, mentre faceva passare parte dell'aragosta sul proprio piatto. E Charmaine si addentrò in particolari senza veli. Ed era un maniaco sessuale, con fantasie che non stavano né in cielo né in terra. «Aveva ordinato per me, in Inghilterra, sa il cielo a che prezzo, una specie di tuta di gomma. Ma dico io, gomma! "Fallo mettere a una delle tue segretarie," gli ho detto, "non riuscirai a chiudere me lì dentro." Cerniere e lucchetti dappertutto. Non si può imprigionare uno Scorpione. Le Vergini, quando vuoi: essere sottomesse è nel loro carattere. Ma lo Scorpione deve andare per la sua strada.» «Se Ed avesse saputo prima quel che sa adesso,» insinuò Joanna. «Non avrebbe fatto la minima differenza,» assicurò Charmaine. «È pazzo di me. Tipico Ariete.» Nettie portò dei dolcini al lampone e il caffè. Bobbie ebbe un gemito. Charmaine raccontò degli altri tipi strampalati che aveva conosciuto. Un tempo aveva fatto la modella e ne aveva incontrati parecchi. Le accompagnò all'auto di Bobbie. «Sentimi bene,» disse a Joanna, «so
che sei molto presa, ma in qualsiasi momento ti capiti di avere un'ora libera, in qualsiasi momento, piomba qui. Non è necessario che telefoni : sono quasi sempre in casa.» «Grazie, lo farò,» promise Joanna. «E grazie per oggi. È stato magnifico.» «In qualsiasi momento,» ripeté Charmaine. Si piegò verso il finestrino. «E sentite, tutt'e due,» aggiunse, «mi fate un piacere? Leggetevi i Segni Zodiacali di Linda Goodman. Così vi convincerete di quanto ha ragione. Lo trovate all'Emporio in centro, edizione in brossura. Lo farete? Vi prego.» Loro cedettero, sorridendo, e promisero. «Ciao!» gridò Charmaine agitando il braccio mentre si allontanavano. «Be',» osservò Bobbie superando la curva del vialetto, «forse non sarà l'elemento ideale per il Movimento d'Emancipazione, ma almeno non ha la cotta per l'aspirapolvere.» «Mio Dio, è uno splendore,» disse Joanna. «Sì, vero? E anche questa zona. Devi ammettere che hanno un fisico notevole qui, anche se non una mente notevole. Ma accidenti, che razza di unione! Che ne pensi di quella faccenda della tuta? E io che credevo che Dave avesse idee da pelle d'oca!» «Dave?» ripeté Joanna, fissandola. Bobbie le rivolse un rapido sorriso. «Non riuscirai a cavare confessioni a cuore aperto, da me,» affermò. «Io sono un Leone, e nostra caratteristica è cambiare argomento. Verreste, tu e Walter, al cinema sabato sera?» Avevano acquistato la casa da una coppia, i Pilgrim, che l'avevano abitata solo per due mesi e poi si erano trasferiti in Canada. I Pilgrim l'avevano rilevata da una certa signora McGrath che a sua volta l'aveva comperata dal costruttore, undici anni prima. Per cui la maggior parte del ciarpame che si trovava nel ripostiglio era stato lasciato dalla signora McGrath. In realtà non era giusto chiamarlo ciarpame: c'erano due discrete sedie coloniali che Walter intendeva tirar fuori e rimettere a nuovo, un giorno o l'altro; c'era la serie completa, venti volumi, del Libro del Conoscere, che adesso alloggiava sugli scaffali nella stanza di Pete; e poi scatole e involti di ferraglie e carabattole varie che, anche se non erano la cassa del tesoro, per lo meno sarebbero probabilmente tornate utili. La signora McGrath era stata una donna previdente. Joanna aveva trasferito buona parte delle carabattole-da-tenere-in-
considerazione in un angolo lontano della cantina prima che l'idraulico installasse il lavandino, e adesso stava trasportando le ultime cose — latte di vernice e pile di tegole di asbesto — mentre Walter smartellava al banco di compensato e Pete gli passava i chiodi. Kim era andata alla biblioteca con le piccole Van Sant e Carol. Joanna aprì un pacchetto avvolto in carta di giornale e scoprì una pennellessa: le setole ben pulite erano un po' dure ma ancora flessibili. Cominciò a riavvolgerla nella carta, una mezza pagina del «Chronicle», ma fu colpita dalle parole CIRCOLO FEMMINILE. E poi INCONTRO CULTURALE. Girò il foglio verso di sé e l'esaminò. «Santi numi,» esclamò. Pete le lanciò un'occhiata e Walter, continuando a dar colpi di martello, domandò: «Che c'è?» Joanna prese la pennellessa, la posò a terra e spiegò quella mezza pagina, leggendo. Walter smise di pestare martellate e si volse a guardarla. «Che cosa succede?» volle sapere. Lei continuò a leggere per qualche istante, poi lo fissò; riportò lo sguardo sul foglio, e di nuovo su Walter. «C'era... un circolo femminile, qui,» mormorò. «Betty Friedan ha tenuto una conferenza. E Kit Sundersen aveva la presidenza. La moglie di Dale Coba e di Frank Roddenberry erano segretarie.» «Scherzi?» domandò lui. Lei guardò il giornale e lesse: «"Betty Friedan, autrice di La Mistica della Femminilità, ha parlato alle socie del Circolo Femminile di Stepford martedì sera, nell'abitazione in Fairview Lane della signora Herbert Sundersen, presidentessa del Circolo. Più di cinquanta signore erano presenti ad applaudire Betty Friedan che ha denunciato le disuguaglianze e le frustrazioni di cui è vittima la donna di oggi..."» Tornò a fissare Walter. «Posso fare un po' io?» domandò Pete. Walter gli porse il martello. «Ma questo, quando?» chiese. Lei esaminò il giornale. «Non lo dice; questa è la metà inferiore,» spiegò. «C'è una fotografia del comitato direttivo. "La signora Margolies, la signora Coba, la scrittrice Betty Friedan, la signora Sundersen, la signora Roddenberry e la signora Anderson." «Spostò verso di lui la mezza pagina e lui si accostò e ne tenne un lembo. «Questo è proprio il colmo,» borbottò, guardando la foto e l'articolo. «Io ho parlato con Kit Sundersen,» rincarò lei. «Non me ne ha fatto pa-
rola. Non aveva tempo per partecipare a una riunione. Come tutte le altre.» «Deve essere stato sei o sette anni fa,» osservò lui, tastando l'orlo del foglio ingiallito. «O più,» disse lei. «La Mistica è uscita quando ancora io lavoravo. Andreas mi ha dato la sua copia omaggio, ricordi?» Walter annuì e si girò verso Pete che martellava con entusiasmo contro il piano del banco. «Ehi, vacci piano,» gli raccomandò, «lascerai i segni.» Tornò a occuparsi del giornale. «Incredibile, no?» riprese. «Deve essere finito in niente.» «Con cinquanta aderenti?» replicò Joanna. «Più di cinquanta? Che applaudivano la Friedan invece di fischiarla?» «Be', adesso non esiste più,» le fece notare lui lasciando il foglio. «A meno che non abbiano l'ufficio stampa più disastroso di questo universo. Chiederò a Herb che cosa è successo, quando lo vedo.» Tornò a Pete. «Ehi, ottimo lavoro!» Lei contemplò di nuovo quel pezzo di giornale e scosse la testa. «Non riesco a crederci,» rimuginò. «Chi erano queste socie? Non è possibile che abbiano tutte cambiato città.» «Non esagerare, adesso,» l'ammonì Walter. «In fondo non hai parlato con tutte le signore di Stepford.» «Ma Bobbie sì, o poco ci manca,» rimbeccò lei. Ripiegò il foglio più volte e lo mise nella scatola della sua attrezzatura fotografica. Lì accanto c'era la pennellessa: la raccolse. «Ti serve?» domandò. Walter si volse a guardarla. «Non ti aspetterai anche che vernici quest'affare, no?» protestò. «No, no. Era avvolta nel giornale.» «Oh,» e tornò a occuparsi del banco. Joanna depose il pennello, si accucciò a radunare alcuni pezzi di asbesto. «Come mai non me ne ha accennato?» borbottò. «Era la presidentessa.» Appena Bobbie e Dave salirono in auto, Joanna comunicò la novità. «Sei certa che non si tratti di uno di quei fogliacci che vendono nei parchi di divertimento?» domandò Bobbie. «Tipo "Fred Smith nel letto di Elizabeth Taylor"?» «È il nostro "Cronicario",» assicurò Joanna. «La metà inferiore della prima pagina. Ecco, guarda con i tuoi occhi.» Lo passò verso il sedile posteriore dove loro lo presero e lo dispiegarono. Walter accese la luce interna.
Dave commentò: «Avresti potuto intascarti una bella somma proponendomi una scommessa.» «Non ci ho pensato,» si rammaricò lei. «"Più di cinquanta socie"!» Esclamò Bobbie. «Chi diavolo erano? Che cosa è successo?» «È proprio quel che vorrei sapere,» sbuffò Joanna. «E anche perché mai Kit Sundersen non me ne ha fatto cenno. Domani andrò a parlarle.» Arrivarono in centro e si misero in fila per lo spettacolo delle nove, un film inglese con quattro stellette. Le coppie che facevano la coda erano allegre e ciarliere, e ridevano in gruppetti di quattro o sei, osservando chi arrivava, salutando altre coppie. Non scorsero volti noti tranne un'anziana coppia che Bobbie aveva incontrato alla Società di Studi Storici; e il giovane McCormick, diciassette anni, con un'amichetta, che si tenevano solennemente per mano cercando di mostrarne diciotto. Il film, convennero tutti, era "strepitoso", e alla fine si diressero tutti a casa di Bobbie e Dave, immersa nel caos, con i bambini ancora alzati e il pastore inglese che caracollava tutt'in giro. Quando Bobbie e Dave si furono liberati della baby sitter, dei bambini e del cane, mangiarono torta al formaggio accompagnata da caffè nel soggiorno in sfacelo. «Ah, lo sapevo di non essere unica e irresistibile!» esclamò Joanna, osservando il ritrattino di Bobbie, disegnato dalla mano di Ike Mazzard, infilato nella cornice del quadro sopra la mensola. «Non c'è ragazza che non sia di Ike Mazzard, non lo sapevi?» disse Bobbie, spingendo meglio il disegno nell'angolo della cornice e lasciandolo più sbilenco di quanto già fosse. «Accidenti, vorrei essere carina la metà.» «Vai benissimo così come sei,» intervenne Dave, in piedi dietro di loro. «Non è un tesoro?» commentò Bobbie rivolta a Joanna. Si volse a baciare Dave sulla guancia. «Ma ugualmente tocca a te alzarti presto, domani.» «Joanna,» salutò Kit Sundersen sorridendo. «Come va? Vuoi entrare?» «Sì, grazie,» accettò Joanna, «se hai qualche minuto a disposizione.» «Ma certo, vieni, accomodati,» l'incoraggiò Kit. Era una donna graziosa, con i capelli neri e le fossette, e solo un pochino più matura di come appariva nella foto impietosa del «Chronicle.» Sui trentatré, la valutò Joanna, mentre passava nell'ingresso. Il pavimento color avorio, di resina vinilica, risplendeva come fosse appena uscito da un carosello pubblicitario. Dal soggiorno giungevano i rumori di un incontro di baseball.
«Di là c'è Herb con Gary Claybrook,» l'informò Kit, richiudendo la porta d'ingresso. «Vuoi passare a salutarli?» Joanna si diresse all'archetto che dava nel soggiorno e guardò dentro: Herb e Gary erano seduti su un divano a guardare un grosso televisore a colori, contro la parete opposta. Gary teneva in mano un mezzo panino imbottito e stava masticando. Un piatto di tramezzini e due bicchieri di birra erano posati su un tavolinetto basso, innanzi a loro. Il locale era una sinfonia di nocciola, marrone e verde; stile coloniale, impeccabile. Joanna attese che un giocatore lanciato in corsa afferrasse la palla, poi disse: «Salve.» Herb e Gary si volsero e le sorrisero. «Salve, Joanna,» risposero, e Gary aggiunse: «Come va?» Herb domandò: «C'è anche Walter con te?» «Bene. No, non è qui,» spiegò. «Sono venuta solo per fare due chiacchiere con Kit. Bella partita?» Herb distolse lo sguardo e Gary annuì. «Molto.» Kit, accanto a lei, aveva lo stesso profumo della madre di Walter, quale che fosse. «Vieni, andiamo in cucina,» le propose. «Divertitevi,» augurò Joanna ai due. Gary le sorrise con gli occhi, dietro le lenti, mentre addentava il panino, e Herb la guardò e rispose: «Grazie, sarà fatto.» Seguì Kit lungo quel sentiero di splendore. «Vuoi una tazza di caffè?» le domandò Kit. «No, grazie.» Varcò la soglia della cucina dove aleggiava l'aroma del caffè. Era in ordine perfetto, naturalmente, salvo per l'essiccatore aperto, e gli indumenti e il cesto del bucato sul ripiano. Dietro lo sportello tondo, la lavatrice era in azione. Il pavimento usciva da un altro carosello. «È già pronto,» insisté Kit, «non è un disturbo.» «Be', in questo caso...» Sedette al tavolo verde, rotondo, mentre Kit prendeva tazzina e piattino da un armadietto sistemato con metodo, le tazze tutte appese ai ganci e i piatti allineati su una rastrelliera. «Adesso si sta tranquilli,» riprese Kit, chiudendo l'armadietto e dirigendosi al fornello. (La sua linea, in un corto abito celeste, era spettacolosa quasi quanto quella di Charmaine.) «I bambini sono da Donna. Io sto facendo il bucato di Marge McCormick. Ha qualche disturbo e oggi quasi non riesce a muoversi.» «Oh, mi spiace,» mormorò Joanna. Kit tenne fermo con dita leggere il coperchio della caffettiera e riempì la tazza. «Sono sicura che entro un paio di giorni sarà tornata come nuova,»
proseguì. «Come lo prendi, Joanna?» «Un po' di latte, niente zucchero, grazie.» Kit si diresse con tazza e piattino verso il frigorifero. «Se si tratta di nuovo di quella riunione,» avvertì, «temo di essere ancora troppo presa.» «Non è quello,» la rassicurò Joanna osservandola mentre apriva il frigorifero. «Volevo sapere che ne è stato del Circolo Femminile.» Kit, davanti al frigorifero illuminato, volgeva le spalle a Joanna. «Il Circolo Femminile? Oh, è roba di anni fa. Si è sciolto.» «Perché?» volle sapere Joanna. Kit richiuse il frigorifero e aprì un cassetto lì vicino. «Alcune socie andarono via,» chiuse il cassetto e si volse, posando un cucchiaino sul piatto, «e noi altre abbiamo perso ogni interesse. Io, per lo meno.» Andò verso il tavolo, tenendo d'occhio la tazza. «Non si combinava niente di utile. Dopo un po' le riunioni erano diventate una gran noia.» Depose tazza e piattino sul tavolo e li spinse verso Joanna. «Ti basta, il latte?» «Sì, va benissimo,» annuì Joanna. «Grazie. Come mai non me ne hai parlato quando sono venuta qui l'altra volta?» Kit sorrise e le fossette si accentuarono. «Non me l'hai chiesto. Altrimenti te l'avrei detto. Non è un segreto. Vuoi una fetta di torta o dei biscotti?» «No, grazie.» «Intanto io ripiego questa roba,» si scusò Kit, allontanandosi dal tavolo. Joanna l'osservò mentre richiudeva l'essiccatore e prendeva qualcosa di bianco dalla pila di indumenti sul ripiano. Lo scosse: una maglietta. «Cos'ha che non va, Bill McCormick?» domandò Joanna. «Non sa far funzionare una lavatrice, lui? Credevo che fosse una delle nostre menti aerospaziali.» «Lui si sta occupando di Marge,» spiegò Kit ripiegando la maglietta. «Come è bianco e pulito questo bucato, vero?» Sistemò nel canestro la maglietta ripiegata, sorridendo. Un'attricetta della pubblicità. Ecco che cos'è, sentì d'improvviso Joanna. Ecco che cosa sono tutte, tutte queste alacri comari di Stepford: attrici di caroselli pubblicitari, estasiate dai loro detersivi, cere per pavimenti, smacchiatori, shampoo e deodoranti. Attricette bellocce, di seno generoso ma di talento limitato, che recitano la parte di massaie suburbane in modo poco convincente, troppo caramellose per essere autentiche. «Kit,» disse.
Kit la guardò. «Dovevi essere molto giovane quando tenevi la presidenza del circolo,» proseguì Joanna. «Il che significa che sei intelligente e hai una certa dose di carica. Sei felice, adesso? Dimmi la verità. Senti di vivere una vita piena?» Kit la fissò e annuì. «Certo, sono felice,» dichiarò. «E sento di vivere un'esistenza molto piena. Il lavoro di Herb è importante, e lui non potrebbe svolgerlo così bene se non fosse per me. Siamo un tutto unico, e insieme alleviamo i bambini, facciamo ricerche di ottica, mandiamo avanti una casa pulita e accogliente, prendiamo parte alle attività sociali.» «Attraverso l'Associazione Maschile.» «Sì.» «Le riunioni al Circolo Femminile erano più noiose dei lavori di casa?» indagò Joanna. Kit aggrottò la fronte. «No, però non erano altrettanto utili. Ma tu non bevi il caffè. C'è qualcosa che non va?» «No,» la rassicurò Joanna. «Stavo aspettando che si raffreddasse un po'.» Prese la tazzina. «Oh,» Kit sorrise, si volse di nuovo al bucato e ripiegò un altro indumento. Joanna la fissò. Era il caso di domandare chi erano le altre signore? No, sarebbero state come Kit; e che differenza faceva? Prese un sorso. Il caffè era forte, profumatissimo, il migliore che avesse assaggiato da parecchio tempo. «Come stanno i bambini?» si interessò Kit. «Bene.» Stava per chiedere la marca del caffè, ma si trattenne e ne prese un altro sorso. Forse i riquadri di vetro del negozio di ferramenta avrebbero scomposto i riflessi lunari con effetti interessanti, ma non c'era modo di saperlo, dal momento che i vetri erano dove erano e la luna pure. C'est la vie. Gironzolò un poco per il centro, valutando l'effetto della strada deserta, la fila di facciate di negozi su un lato, la salita della collina dall'altro, la biblioteca, la palazzina della Società di Studi Storici. Sprecò un po' di pellicola su semafori e cestini per i rifiuti, con i soliti tempi, ma era solo bianco e nero quindi al diavolo. Un gatto trotterellò giù dal vialetto della biblioteca, un gatto grigio argento con l'ombra nera creata dalla luce incollata alle zampe:
attraversò la strada diretta allo spiazzo del posteggio. No, grazie, non ci interessano foto di gatti. Sistemò il treppiede sul prato della biblioteca e scattò qualche foto dei negozi, usando l'obiettivo da cinquanta millimetri e facendo pose di dieci, dodici e quattordici secondi. Uno strano odore di medicinale appesantì l'aria, portato dalla leggera brezza che proveniva da dietro di lei. Le ricordava qualcosa dell'infanzia, ma non riuscì a individuare cosa. Uno sciroppo che le facevano prendere? Un giocattolo che le era appartenuto? Ricaricò la macchina alla luce della luna, raccolse il cavalletto e riattraversò la strada scrutando la biblioteca per trovare una buona angolatura. La trovò e piazzò il treppiede. La parete di assi bianche era striata di nero in quel chiardiluna; al di là delle finestre si scorgevano pareti di scaffali carichi di libri fiocamente illuminati dall'interno. Mise a fuoco con particolare attenzione e, partendo dagli otto secondi, scattò varie pose, dando ogni volta un secondo di più, fino ai diciotto. Una, almeno, avrebbe preso le scaffalature interne senza sovresporre la facciata. Tornò all'auto per prendere il golf, e mentre tornava alla sua attrezzatura si guardò attorno. La palazzina della Società di Studi Storici? No, troppo ombreggiata dagli alberi e comunque insipida. Ma la sede dell'Associazione Maschile, in alto sulla collina, aveva un'aria stranamente comica: una vecchia costruzione quadrata del secolo scorso, solida e simmetrica, sormontata da una lucente antenna TV un po' sbilenca. Le quattro grandi finestre al piano superiore erano vivamente illuminate, le veneziane sollevate. Delle figure si muovevano all'interno. Tolse l'obiettivo da cinquanta millimetri e stava inserendo quello da uno tre cinque quando i fari di un'auto illuminarono la strada e aumentarono di intensità. Lei si volse e il riflettore l'accecò. Chiudendo gli occhi finì di avvitare l'obiettivo quindi, riparandosi con la mano, cercò di guardare. L'auto si fermò e il riflettore si spostò riducendosi a una luce bassa, arancione. Lei batté le palpebre vedendo ancora quel riverbero abbagliante. Un'auto della polizia. Rimase dov'era, a una decina di metri da lei, sull'altro lato della strada. Una voce maschile, all'interno, mormorò qualcosa; riprese a parlare e continuò. Lei attese. L'auto avanzò portandosi di fronte a lei e si fermò. Il giovane poliziotto con i baffetti bruni così poco polizieschi le sorrise dicendo: «Buona sera, signora.» L'aveva incontrato parecchie volte, una volta in cartoleria mentre comperava lunghi rotoli di carta crespata, uno per ogni colore disponibile.
«Salve,» rispose sorridendo. Era solo nell'auto; doveva avere parlato alla radio. Di lei? «Mi spiace averla investita con il riflettore,» continuò lui. «E sua quell'auto vicino alla posta?» «Sì. Non ho posteggiato qui perché ero...» «Niente di male, volevo solo controllare.» Lanciò un'occhiata alla macchina fotografica. «Magnifico apparecchio. Che tipo è?» «Una Pentax.» «Pentax,» ripeté lui. Guardò la macchina e di nuovo lei. «E può scattare delle foto di notte, con quella?» «Si fanno delle pose lunghe.» «Ah, sicuro,» annuì lui. «E quanto tempo occorre, in una serata come questa?» «Be', dipende.» Lui volle sapere da che cosa, e che tipo di pellicola usava. E se lo faceva di professione, e quanto costava una Pentax, così all'incirca. E che vantaggi offriva rispetto ad altre macchine fotografiche. Joanna cercò di non spazientirsi; doveva essere ben contenta di stare in una cittadina dove un poliziotto poteva fermarsi a scambiare qualche parola. Alla fine sorridendo lui concluse: «Be', sarà meglio che la lasci continuare. Buona notte.» «Buona notte.» L'auto si allontanò lentamente. Il gatto grigio attraversò il fascio luminoso dei fari. Per qualche istante Joanna la seguì con gli occhi, poi tornò all'apparecchio e controllò l'obiettivo. Abbassandosi sul mirino prese una buona inquadratura dell'Associazione Maschile e fissò la testa del cavalletto. Mise a fuoco fino ad avere un'immagine nitida di quell'edificio quadrato con l'antenna un po' sghemba, più in alto sulla collina. Due delle finestre al piano superiore erano buie, adesso; a un'altra venne abbassata la veneziana, e infine anche all'ultima. Si raddrizzò per guardare la casa, poi si volse verso le luci posteriori dell'auto della polizia, ormai lontana. Aveva trasmesso via radio una comunicazione che riguardava lei, poi l'aveva trattenuta con le sue domande mentre si prendevano i provvedimenti in base al suo messaggio e le veneziane venivano abbassate. Oh, avanti, ragazza, stai dando i numeri. Guardò di nuovo la casa. Im-
possibile che avessero un'apparecchiatura radio, lassù. E quello, cosa temeva che fotografasse? Qualche fase di un'orgia? Squillo di città? (O, meglio ancora, proprio di Stepford.) INGRANDIMENTO SVELA GIRO CLANDESTINO. Rispettabili signore apparentemente dedite alla casa e alla famiglia, rimaste opportunamente immobili per diversi secondi, sono state sorprese domenica notte mentre si sollazzavano all'Associazione Maschile, dalla fotografa Nancy Drew Eberhart di Fairview Lane... Con un sogghigno si piegò sul mirino, perfezionò l'inquadratura e il fuoco, scattò tre foto della casa immersa nell'oscurità: dieci secondi, dodici e quattordici. Poi riprese l'ufficio postale, con la sua asta senza bandiera che si stagliava contro le nubi illuminate dalla luna. Stava riponendo il cavalletto nell'auto quando la macchina della polizia ripassò, rallentando. «Spero che riescano tutte!» le gridò il giovane poliziotto. «Grazie,» gridò lei di rimando. «È stato un piacere fare quattro chiacchiere.» Tanto per rimediare alla sua diffidenza di animale cittadino. «Buonanotte!» le augurò il poliziotto. Uno dei soci anziani della ditta di Walter morì di uremia e i registri dei patrimoni da lui amministrati risultarono di una imprecisione inquietante. Walter dovette trattenersi due notti e un fine settimana in città, e nelle sere successive di rado tornava a casa prima delle undici. Pete fece un brutto capitombolo, sul pullman della scuola, facendosi saltare due incisivi. I genitori di Joanna giunsero con un preavviso minimo per una visita di tre giorni, diretti ai Caraibi per una vacanza. (Furono entusiasti della casa e di Stepford, e la madre di Joanna ammirò molto Carol Van Sant. «Così serena ed efficiente! Dovresti prendere esempio da lei, Joanna!») La lavastoviglie si guastò, e così pure la pompa; e arrivò il compleanno di Pete, l'ottavo, con conseguenti regali, festicciola, giochi a premio, torta. A Kim venne mal di gola e rimase a casa per tre giorni. Il ciclo mensile di Joanna tardò ma poi venne, grazie a Dio e alla pillola. Riuscì a inserire qualche partita a tennis: faceva progressi ma non era ancora all'altezza di Charmaine. Sistemò per tre quarti la camera oscura e stampò degli ingrandimenti a titolo di prova delle foto del negro e il taxi, e sviluppò e stampò quelle che aveva scattato in centro: due sembravano molto buone. Scattò delle istantanee di Pete, Kim e Scott Chamalian men-
tre giocavano in giardino. Vedeva Bobbie quasi tutti i giorni: facevano la spesa insieme e qualche volta Bobbie portava i figli più piccoli, Adam e Kenny, dopo la scuola. Un giorno Joanna, Bobbie e Charmaine si vestirono di tutto punto e si concessero una colazione preceduta da due cocktails in un ristorantino francese di East-Bridge. Alla fine di ottobre Walter riprese a tornare a casa per l'ora di cena: districate, risarcite e sistemate le appropriazioni indebite del socio defunto. In casa tutto funzionava e tutti stavano bene. Prepararono un'enorme zucca intagliata per la vigilia di Ognissanti, e Pete andò di casa in casa ad arraffare dolciumi travestito da Batman, un Batman un po' sdentato, e Kim da Heckel o Jeckel (da tutt'e due, insisteva lei). Joanna distribuì cinquanta sacchetti di caramelle e poi dovette ripiegare su frutta e biscotti; una lezione per l'anno prossimo. La prima domenica di novembre diedero un piccolo ricevimento: Bobbie e Dave, Charmaine e suo marito Ed; e, dalla grande città, Shep e Sylvia Tackover, e Don Ferrault, uno dei soci di Walter, con sua moglie Lucy. La donna che Joanna aveva ingaggiato perché le desse una mano a servire e a rimettere ordine era ben contenta di aver trovato un impegno lì a Stepford, tanto per cambiare. «Un tempo se ne facevano di inviti, qui!» raccontò. «C'era tutto un giro di signore che si contendevano la sottoscritta! Adesso sono obbligata ad andare a Norwood, a East-Bridge e a New Sharon! E pensare che detesto guidare l'auto!» Era una donna grassoccia, svelta, con i capelli grigi, e si chiamava Mary Migliardi. «È per via di quell'Associazione Maschile!» continuò, infilando stuzzicadenti nei gamberetti su un vassoio. «Le serate tra amici sono diventate solo un bel ricordo da quando ci si sono messi loro. I mariti vanno fuori e le mogli rimangono a casa! Se mio marito fosse vivo dovrebbe passare sul mio corpo per riuscire a entrare in quella combriccola.» «Ma è un'organizzazione molto vecchia, no?» Joanna stava mescolando l'insalata tenendosi il più lontano possibile per via dell'abito. «Scherza? È recentissima. Sei o sette anni, non di più. Prima c'era l'Associazione Civica e gli Alci e la Legione,» Mary intanto infilzava gamberi a una velocità da macchinetta. «Ma sono tutti confluiti là dentro non appena quelli hanno iniziato l'attività. Salvo la Legione; quelli stanno ancora per loro conto. Sei o sette anni, non di più. L'antipasto non è tutto qui, vero?» «C'è un pasticcio di formaggio nel frigorifero,» spiegò Joanna.
Walter entrò, molto affascinante nella sua giacca scozzese, con in mano il secchiello del ghiaccio. «Danno un film di fantascienza; Pete non vuole neppure scendere. Ho messo la Sony in camera sua.» Aprì il freezer e ne prese una vaschetta del ghiaccio. «Mary mi stava dicendo ora che l'Associazione Maschile è una cosa recente», raccontò Joanna. «Non è recente,» ribatté Walter, alzando la leva. Aveva un poco di cotone idrofilo sulla mascella, trattenuto da un puntino di sangue coagulato. «Sei o sette anni,» disse Mary. «Dalle nostre parti è parecchio.» «Io credevo che risalisse all'epoca dei Puritani.» «Come ti è venuta quest'idea?» domandò Walter rovesciando i cubetti nel secchiello. Lei continuò a mescolare l'insalata. «Non so. Il modo in cui è organizzata, e quella vecchia casa...» «Era la casa dei Terhune,» intervenne Mary, coprendo il vassoio irto di stuzzicadenti con un foglio di plastica. «L'hanno avuta per quattro soldi. Era all'asta per via delle tasse e nessuno ha fatto altre offerte.» Il ricevimento fu un disastro. Lucy Ferrault era allergica a qualcosa e non la finiva mai di starnutire; Sylvia era preoccupata; Bobbie, su cui Joanna aveva fatto grande affidamento come animatrice della conversazione, aveva la laringite. Charmaine faceva la maliarda, fascinosa e provocante in un abito di seta lungo fino a terra e scollato fino all'ombelico; Dave e Shep erano affascinati e provocati. Walter (accidenti a lui!) se ne stava in un angolo a discutere di questioni legali con Don Ferrault. Ed Wimperis, alto, massiccio, ben vestito, un po' brillo, parlava di televisione serrando in una morsa il braccio di Joanna e spiegandole con lente parole attente perché le videocassette avrebbero rivoluzionato tutto. A tavola Sylvia si scrollò di dosso le preoccupazioni e sferrò l'attacco contro i centri suburbani che si arricchivano con l'industria leggera e le sue agevolazioni fiscali e al contempo si trinceravano in lotti da due, quattro acri. Ed Wimperis rovesciò il bicchiere del vino. Joanna cercò di tener desta la conversazione frivola e Bobbie le si affiancò valorosamente per spiegare boccheggiando come le era venuta la laringite: aveva inciso della roba al registratore per un amico di Dave che «si crede una specie di Henry Higgins, il professore di My Fair Lady, pensa un po'». Ma Charmaine, che conosceva la persona e che aveva a sua volta fatto delle registrazioni, la interruppe con un: «Non prendere mai sottogamba quel che fa un Capricorno; sono tipi produttivi.»
E si addentrò in un'analisi astrologica dei vari commensali che richiese l'attenzione di tutti. L'arrosto era troppo cotto e Walter ebbe il suo daffare a tagliarlo. Il soufflé si gonfiò ma non quanto avrebbe dovuto, come fece notare Mary mentre lo serviva. Lucy Ferrault starnutiva. «È l'ultima volta,» dichiarò Joanna mentre spegneva le luci esterne; e Walter sbadigliando convenne: «Mai troppo presto, per me.» «Sentimi un po', tu,» sbottò Joanna, «come hai potuto startene lì a chiacchierare con Don quando c'erano tre signore sedute come statue sul divano?» Sylvia telefonò per scusarsi: le avevano fatto saltare una promozione a cui aveva sacrosanto diritto; e Charmaine telefonò per dire che era stata una serata magnifica e per rimandare la partita a tennis che avevano in programma quel martedì. «Ed si è fissato, si prende qualche giorno di vacanza, lasciamo Merrill dai DaCostas... tu non li conosci, beata te... e noi due dovremmo "riscoprirci". Il che significa che lui mi darà la caccia attorno al letto. E il mio ciclo non sarà prima della settimana prossima, maledizione.» «Perché non ti lasci acchiappare?» «Oddio,» sospirò Charmaine. «Insomma, è che a me proprio non va di sentirmi cacciar dentro quell'affare, ecco tutto. Non mi è mai piaciuto e non mi piacerà mai. E neanche sono lesbica, perché ci ho provato e non è certo una grande alternativa. È solo che il sesso non mi interessa. Credo che sia così per tutte le donne, anche per quelle dei Pesci. E tu?» «Be', non sono una ninfomane,» precisò Joanna, «ma la cosa mi interessa, sì, senz'altro.» «Sul serio, o è solo perché ti senti in dovere?» «Sul serio.» «Be', ciascuno a suo modo,» commentò Charmaine. «Fissiamo per mercoledì, d'accordo? Lui ha una riunione a cui non può mancare, grazie al cielo.» «Va bene, mercoledì, se non succede nulla.» «Fai che non succeda.» «Comincia a far freddo.» «Metteremo il golf.» Andò a un incontro dell'Associazione Genitori e Insegnanti. C'erano le maestre di Pete e Kim, la signorina Turner e la signorina Gair, cordiali, di
mezz'età, che rispondevano con entusiasmo alle sue domande circa i metodi didattici e il progetto di allargamento del servizio trasporto allievi. 1 partecipanti erano pochi: a parte il gruppo di insegnanti in fondo alla sala, c'erano solo nove signore e una dozzina di uomini. La presidentessa, una bionda attraente, era una certa signora Hollingsworth e dirigeva l'incontro con pacata e sorridente efficienza. Comperò degli abiti invernali per Pete e Kim, e due paia di pantaloni di lana per sé. Fece degli ingrandimenti strepitosi di «Fuori Servizio» e di «La Biblioteca di Stepford», poi accompagnò Pete e Kim dal dottor Coe, il dentista. «Davvero?» Charmaine la fece entrare in casa. «Sicuro. Avevamo detto che era inteso salvo imprevisti.» Charmaine richiuse la porta e le sorrise. Aveva un grembiule sopra i calzoni e la camicia. «Oh, Joanna, mi spiace,» si scusò. «Me ne sono completamente dimenticata.» «Non importa. Vai a cambiarti.» «Non possiamo giocare,» dichiarò Charmaine. «In primo luogo, ho troppo lavoro da sbrigare...» «Lavoro?» «Lavoro di casa.» Joanna la fissò. «Abbiamo preferito rinunciare a Nettie,» spiegò Charmaine. «È assolutamente incredibile come riusciva a essere trasandata. A una prima occhiata la casa sembra pulita, ma poi accidenti se guardi negli angoli... Ieri ho sistemato la cucina e la sala da pranzo, ma mi restano ancora tutte le altre stanze. Ed non deve vivere nella sporcizia.» Joanna, continuando a fissarla, disse: «Bene, lo scherzo è divertente.» «Non sto scherzando,» insisté Charmaine. «Ed è un uomo veramente meraviglioso e finora io sono stata pigra ed egoista. Ho chiuso con il tennis e con quei libri di astrologia. D'ora in poi voglio dedicarmi a Ed, e a Merrill. Sono fortunata ad avere un marito e un figlio così meravigliosi.» Joanna guardò la racchetta chiusa nel suo telaio e nella custodia, e poi Charmaine. «È una bellissima cosa,» riconobbe, e sorrise. «Ma sinceramente non posso credere che tu rinunci al tennis.» «Vai a vedere,» l'esortò Charmaine. Joanna le lanciò un'occhiata. «Vai, vai,» insisté Charmaine.
Joanna si volse e passò nel soggiorno dirigendosi alle porte a vetri. Ne aprì una, sentendo Charmaine alle proprie spalle, e uscì sulla terrazza. L'attraversò e spinse lo sguardo là dove finiva il viottolo lastricato, in pendenza. Sul prato segnato da pneumatici, vicino al campo da tennis, era fermo un camioncino carico di pezzi di rete metallica. Due lati del recinto del campo erano già scomparsi, e gli altri due erano stesi sull'erba: uno corto e uno lungo. Due uomini erano in ginocchio vicino al lato lungo intenti a manovrare delle robuste cesoie. Alzavano e abbassavano le impugnature e si udivano dei clic metallici. Un cumulo di terriccio bruno era al centro del campo: rete e paletti erano già stati eliminati. «Ed desidera un putting green,» annunciò Charmaine, al fianco di Joanna. «Ma è un campo in terra battuta!» protestò Joanna, voltandosi a guardarla. «È l'unico tratto di terreno pianeggiante,» le fece notare Charmaine. «Mio Dio,» Joanna osservò gli uomini che lavoravano di cesoie. «È pazzesco, Charmaine!» «Ed gioca a golf, non a tennis.» Joanna la guardò fisso. «Ma cosa ti ha fatto? Ti ha ipnotizzata?» «Non fare la sciocca,» replicò Charmaine con un sorriso. «È un uomo meraviglioso e io sono una donna fortunata che dovrebbe essergli grata. Vuoi trattenerti un poco? Ti faccio un caffè. Sto mettendo in ordine la stanza di Merrill, ma possiamo chiacchierare anche se lavoro.» «E va be',» mormorò Joanna, ma poi scosse la testa: «No, no, io...» Indietreggiò allontanandosi da Charmaine, sempre guardandola. «No, ho anch'io alcune faccende da sbrigare.» Si volse e attraversò a passo rapido la terrazza. «Mi spiace che ho dimenticato di avvertirti,» Charmaine la seguì nel soggiorno. «Niente di male,» la rassicurò Joanna proseguendo in fretta; poi si fermò e si volse tenendo la racchetta davanti a sé con tutt'e due le mani. «Ci vediamo tra qualche giorno, d'accordo?» «Certo,» confermò Charmaine sorridendo. «Telefonami, ti prego. E porta i miei saluti a Walter.» Bobbie andò a vedere con i suoi occhi e telefonò per discutere la cosa. «Stava spostando i mobili della stanza da letto. E sono entrati in quella ca-
sa solo in luglio; come fa a essersi accumulata poi tanta sporcizia?» «Non durerà. Non è possibile. La gente non cambia in questo modo.» «No?» ribatté Bobbie. «Da queste parti?» «Che cosa vuoi dire?» «Zitto, Kenny! Dagli quella roba! Joanna, senti, voglio parlare con te. Possiamo fare colazione insieme domani?» «Sì...» «Passo a prenderti verso mezzogiorno. Ti ho detto di darglielo! Ti va bene? A mezzogiorno; non stare a metterti in ghingheri.» «D'accordo. Kim! Stai allagando tutto il...» Walter non fu particolarmente sorpreso nell'apprendere della trasformazione di Charmaine. «Ed deve essersi fatto sentire,» stava arrotolando una forchettata di spaghetti. «Non credo che guadagni abbastanza da permettersi certe cose. Una cameriera ti prende come minimo cento dollari alla settimana, oggigiorno.» «Ma è cambiato tutto il suo atteggiamento,» insisté Joanna. «lo mi sarei aspettata che si lamentasse.» «Sai quanto danno a Jeremy, la settimana?": intervenne Pete. «Lui ha due anni più di te,» lo rimbeccò Walter. «Ti sembrerà pazzesco, ma voglio che mi ascolti senza metterti a ridere; perché, o io ho visto giusto, oppure mi ha dato di volta il cervello e in tal caso ho bisogno di comprensione.» Bobbie infilò la forchetta nel suo hamburger al formaggio. Joanna la guardò, inghiottì il boccone e disse: «Avanti, racconta.» Si trovavano di fronte al McDonald, in East-Bridge Road, e stavano mangiando in auto. Bobbie si cacciò in bocca un pezzettino di hamburger, masticò e inghiottì. «C'era un articolo sul "Time" di qualche settimana fa. L'ho cercato ma devo averlo buttato via.» Fissò Joanna. «A El Paso, Texas, il tasso di criminalità è molto ridotto,» riprese. «Almeno mi pare che fosse El Paso. Ad ogni modo in un qualche posto del Texas c'è un tasso di criminalità molto basso; e il motivo è che nel terreno c'è una sostanza chimica che passa nell'acqua e mette tutti tranquilli, allentando la tensione. Verità sacrosanta.» «Mi pare di ricordare qualcosa,» annuì Joanna, reggendo il suo hamburger. «Joanna. Io credo che ci sia qualcosa anche qui. A Stepford. Sarebbe possibile, no? Tutti quegli stabilimenti ultrascientifici, faccende elettroni-
che, calcolatori, cose aerospaziali, e il fiumicello di Stepford che ci passa proprio dietro... chi lo sa che razza di porcherie scaricano nella zona.» «Cosa vorresti dire?» «Ma rifletti un momento,» Bobbie chiuse a pugno la mano libera e sollevò il mignolo. «Charmaine è cambiata trasformandosi in una brava massaia,» scandì. Alzò l'anulare. «La signora con cui hai parlato tu, quella che era presidentessa del circolo, anche lei è cambiata da come doveva essere prima, no?» Joanna assentì. Il medio di Bobbie scattò su. «Quella tale con cui Charmaine giocava a tennis, prima che arrivassi tu: è cambiata anche lei, ce l'ha raccontato Charmaine.» Joanna aggrottò la fronte e pescò una patatina dal sacchetto tra loro due. «E tu pensi che sia... dovuto a una qualche sostanza chimica?» Bobbie annuì. «O proviene da una di quelle fabbriche, o semplicemente è tutt'in giro, come a El Paso o dove che sia.» Prese il suo caffè dal cruscotto. «Deve essere così. Non può essere una coincidenza che tutte le donne di Stepford sono come sono. Alcune di quelle con cui abbiamo parlato dovevano far parte del circolo. Qualche anno fa applaudivano Betty Friedan, e guardale oggi. Cambiate anche loro.» Joanna sgranocchiò la patatina e prese un boccone di hamburger. Bobbie prese un boccone di hamburger e un sorso di caffè. «Deve esserci qualcosa,» riprese Bobbie. «Nel terreno, nell'acqua, nell'aria... non so. Qualcosa che riduce le donne a interessarsi solo di faccende domestiche. Chi conosce gli effetti di certi prodotti chimici? Neanche i premi Nobel lo sanno con precisione. Magari è qualcosa di ormonico; così si spiegherebbero quelle tette strepitose. Le avrai pur notate.» «Certo che sì,» proruppe Joanna. «Quando metto piede nel supermercato mi pare di essere in fase pre-adolescente.» «Anche a me, perdiana.» Bobbie tornò ad appoggiare il caffè sul cruscotto e prese delle patatine dal sacchetto. «Ebbene?» sollecitò. «Immagino che sia... possibile,» ammise cauta Joanna. «Ma sembra talmente... inverosimile.» Prese a sua volta il caffè posato sul cruscotto : aveva lasciato un alone di vapore sul parabrezza. «Non più che a El Paso,» sottolineò Bobbie. «Di più, invece,» ribadì Joanna. «Perché agisce solo sulle donne. Che cosa ne pensa Dave?» «Non gliene ho ancora accennato. Preferivo sentire prima come reagivi
tu.» Joanna sorseggiò il caffè. «Be', è nell'ambito del possibile. Non credo che ti abbia dato di volta il cervello. Quel che dobbiamo fare, credo, è scrivere una lettera molto equilibrata al... a chi? al Dipartimento Igiene e Sanità? alla Commissione anti-inquinamento? Ad ogni modo all'ente a cui spetti esaminare la cosa. Possiamo informarci alla biblioteca.» Bobbie scosse la testa. «Mm-mm. lo ho lavorato in un ufficio statale: facci una croce su. Secondo me la cosa da fare è cambiare aria. E dopo mettersi a scribacchiare lettere.» Joanna la guardò. «Dico sul serio,» insisté Bobbie. «Una faccenda che riesce a trasformare Charmaine in una brava donnina di casa, non incontrerà grosse difficoltà con me. O con te.» «Oh, non esagerare,» protestò Joanna. «C'è sotto qualcosa, ti dico! Non sto scherzando! Questa è una città di mummie parlanti. E Charmaine è arrivata in luglio, io in agosto, e tu in settembre!» «D'accordo, sta' calma, ti sento.» Bobbie addentò una buona porzione di hamburger, mentre Joanna sorseggiava il caffè, accigliata. «E anche se mi sbaglio,» riprese Bobbie a bocca piena, «anche se non c'è un qualcosa di chimico che dà particolari effetti,» deglutì, «hai davvero voglia di stare in un posto come questo? Ora come ora le sole amiche che abbiamo siamo noi, tu dopo due mesi che sei qui, e io dopo tre. È questa la sistemazione ideale, secondo te? Sono andata a Norwood per la messa in piega, quando hai dato la tua festicciola. Ho visto una schiera di donne frettolose, trasandate, di malumore e vive: le avrei abbracciate una per una!» «Trovati delle amiche a Norwood,» consigliò Joanna sorridendo. «Hai la macchina.» «Tu sei così autosufficiente, maledizione!» Bobbie riagguantò il suo caffè dal cruscotto. «lo ho intenzione di chiedere a Dave di cambiare città,» dichiarò. «Venderemo la casa di qui e ne compreremo una a Norwood o a East-Bridge; saranno grane e fastidi e spese di trasloco... per le quali, se lui insiste, sono disposta a impegnare il brillante.» «Credi che accetterà?» «Sarà meglio per lui, altrimenti avrà una vita molto difficile. Fin dal principio io ero dell'idea di puntare su Norwood; troppe ausiliarie, soste-
neva lui. Be', preferisco annegare tra le ausiliarie piuttosto che essere avvelenata da quell'accidenti che è in azione da queste parti. Per cui tra poco ti ritroverai senza l'ombra di un'amica... a meno che anche tu ne parli con Walter.» «Di trasferirci?» Bobbie annuì e prese un sorso di caffè tenendo lo sguardo su Joanna. Questa scosse la testa. «Non posso chiedergli di fare un altro trasloco,» obiettò. «E perché? Lui vuole che tu sia contenta, no?» «Non sono certa di non esserlo. E ho appena finito di sistemare la camera oscura.» «E va bene,» Bobbie si arrese. «Resta pure qui. E diventa come la tua vicina di casa.» «Bobbie, non può essere una sostanza chimica. O meglio, potrebbe, ma sinceramente non riesco a convincermene. Davvero.» Ne discussero ancora mentre finivano lo spuntino, poi risalirono la EastBridge Road e imboccarono la Strada Nove. Superarono il nucleo degli ipermercati e i negozi d'antiquario per giungere agli impianti industriali. «Il Rione Venefico,» commentò Bobbie. Joanna guardò quelle basse costruzioni moderne ed eleganti, arretrate rispetto alla strada e separate l'una dall'altra da ampi tratti di erba verde: Ulitz Optics (dove lavorava Herb Sundersen), e la CompuTech (Vic Stavros, o era con la Instatron?) e la Stevenson Biochemical, e la Haig-Darling Computers, e la Burnham-Massey-Microtech (Dale Coba, quel serpente, e Claude Axhelm), e la Instatron, la Reed & Saunders (Bill McCormick... come stava ora Marge?), e la Vesey Electronics, e la AmeriChem Willis. «Ricerche sui gas paralizzanti, ci scommetto cinque dollari.» «In una zona abitata?» «Perché no? Con la cricca che abbiamo a Washington?» «Oh, dai, Bobbie!» Walter si accorse che qualcosa la turbava e l'interrogò in proposito. «Tu devi occuparti del contratto Koblenz,» osservò lei, ma lui insisté: «Ho tutto il weekend a disposizione. Avanti, che cosa c'è?» Così, mentre dava una passata ai piatti prima di metterli nella lavastoviglie, gli raccontò dell'intenzione di Bobbie di andar via, e della sua teoria «El Paso». «Mi sembra un po' eccessiva,» fu il commento di Walter.
«Anche a me. Ma effettivamente pare proprio che le donne cambino, in questo paese, e diventino delle creature opache. Se Bobbie se ne va, e Charmaine non torna a essere quella di prima, che per lo meno era...» «E tu, desideri andartene?» la interruppe lui. Lo guardò, incerta. I suoi occhi azzurri, in attesa della risposta, non le davano modo di intuire i suoi pensieri. «Per un verso, no,» rispose, «proprio ora che ci siamo sistemati. E una casa gradevole... E per un altro sì, sono certa che mi troverei meglio a East-Bridge o a Norwood. Vorrei che avessimo cercato casa là.» «Ecco una risposta precisa,» la canzonò lui sorridendo. «"Sì e no."» «Diciamo un sessanta-quaranta,» precisò lei. Lui si staccò dallo scaffale a cui era rimasto appoggiato. «D'accordo,» concluse, «se dovessi arrivare allo zero-cento, sarà fatto.» «Saresti disposto?» domandò Joanna. «Certo,» confermò Walter, «se davvero non ti trovassi bene. Preferirei non farlo durante l'anno scolastico...» «No, no, certo che no.» «Ma potremmo farlo l'estate prossima. Non credo che ci perderemmo, a parte il tempo e le spese di trasloco.» «È quel che dice anche Bobbie.» «Per cui si tratta solo di quel che deciderai tu.» Guardò l'orologio e uscì dalla cucina. «Walter,» lo richiamò, asciugandosi le mani con uno strofinaccio. «Sì?» Riapparve nel suo raggio visivo, nell'ingresso. «Grazie,» gli disse sorridendo. «Ora sto meglio.» «Sei tu quella che deve stare qui tutto il giorno, non io,» rispose, ricambiò il sorriso e passò nello studio. Lo seguì con Io sguardo, poi si volse a gettare un'occhiata nel tinello, attraverso l'apertura nella tramezza. Pete e Kim erano seduti a terra a guardare la TV: il Presidente Kennedy e il Presidente Johnson, strano; no, erano solo dei pupazzi animati. Rimase a guardare per qualche momento, poi tornò al lavandino e sistemò gli ultimi piatti. Anche Dave era disposto a trasferirsi alla fine dell'anno scolastico. «È stato subito così arrendevole che credevo mi venisse un colpo,» le raccontò Bobbie al telefono la mattina dopo. «Mi auguro solo che resistiamo fino a giugno.»
«Bevi acqua minerale,» le suggerì Joanna. «Credi che non sia già nelle mie intenzioni? Ho appena mandato Dave a comperarne.» Joanna scoppiò in una risata. «Ridi, ridi pure,» disse Bobbie. «Una piccola spesa vale bene la mia salute mentale. E intendo scrivere al Dipartimento Igiene e Sanità. Il problema è: come faccio a non farmi prendere per una vecchia signora un po' suonata? Vuoi darmi una mano e firmare anche tu?» «Ma certo,» acconsentì Joanna. «Walter sta stendendo la bozza di un contratto; magari si affiancherà a noi con qualche laddove.» Fece dei collages di foglie autunnali con Pete e Kim, aiutò Walter a montare i doppi vetri, e lo raggiunse in città per una di quelle cene tra soci con consorti, la solita noia di falsa amicizia e complimenti per i vestiti. Dall'agenzia arrivò un assegno: duecento dollari per quattro utilizzazioni della sua foto migliore. Incontrò Marge McCormick al supermercato — sì aveva avuto delle noie ma adesso era a posto, grazie — e Frank Roddenberry dal ferramenta — «Salve, Joanna, come te la passi?» — e la signora del «Benvenuto a Te», proprio lì fuori — «Una famiglia di colore viene ad abitare in Gwendolyn Lane. Mi sembra un'ottima cosa, non crede?» «Sì, senz'altro.» «Fatti i preparativi per l'inverno?» «Adesso sì.» Sorridendo mostrò il sacchetto di miglio appena comperato. «Qui è una meraviglia!» esclamò la signora del «Benvenuto a Te». «Lei è la fotografa, vero? Va incontro a giornate campali!» Telefonò a Charmaine per invitarla a colazione. «Non posso, Joanna, mi rincresce,» si scusò Charmaine. «Ho un mare di cose da fare in casa. Sai com'è.» Claude Axhelm arrivò un sabato pomeriggio, per parlare proprio con lei, non con Walter. Aveva con sé una valigetta. «Ho un'idea a cui lavoro nel mio tempo libero,» le raccontò, passeggiando per la cucina mentre lei gli preparava una tazza di tè. «Forse ne ha già sentito parlare. Ho chiesto a varie persone di registrare degli elenchi di parole e sillabe. Gli uomini lo fanno su all'Associazione, e le signore a casa loro.»
«Oh, capisco,» mormorò lei. «Ognuno mi racconta dove è nato e i vari luoghi in cui ha abitato e per quanto tempo.» Continuava a passeggiare, toccando le maniglie degli armadietti. «Ho intenzione, più avanti, di immettere tutto quanto in un calcolatore, ciascuna registrazione con i suoi dati geografici. Con un numero sufficiente di campioni dovrei essere in grado di inserire un nastro senza dati,» passò un dito lungo lo spigolo di un ripiano, fissandola con i suoi occhi lucenti, «magari addirittura una registrazione molto breve, poche parole o una frase... e il calcolatore sarà in grado di fornirmi un curriculum geografico della persona in questione, dove è nata e dove ha vissuto. Una specie di Henry Higgins elettronico. Ma non è solo un'idea fine a se stessa: potrebbe avere un'applicazione pratica nel lavoro di polizia.» «Bobbie Marlowe...» accennò lei. «La moglie di Dave, certo.» «... si è presa una laringite grazie a queste registrazioni.» «Perché ha voluto fare tutto d'un fiato,» replicò Claude, «e liquidare la cosa in due serate. Non è necessario che lei vada così in fretta. Le lascio il registratore; impieghi pure tutto il tempo che vuole. Accetta? Per me sarebbe un grosso aiuto.» Walter entrò dal patio; era andato a bruciare foglie secche con Pete e Kim. Lui e Claude si salutarono stringendosi la mano. «Scusami,» disse rivolto a Joanna, «dovevo avvertirti che Claude sarebbe venuto a parlarti. Pensi di potergli dare una mano?» «Ho così poco tempo libero...» «Lo faccia nei momenti di pausa,» la pregò Claude. «Non importa se ci vorranno delle settimane.» «Be', se non le secca di lasciarmi il registratore per tanto...» «E in cambio lei avrà un omaggio,» aggiunse Claude. «Le lascio un nastro in più. Così potrà registrare le ninne nanne o le filastrocche che canta di solito ai bambini e io poi gliele stampo su disco. Una sera che siete fuori la baby sitter potrà suonarlo.» «Oh, sarebbe simpatico,» mormorò lei, e Walter aggiunse: «Potresti incidere "Dormi fai la nanna" e "Buongiorno Stellina".» «Tutto quel che vuole,» la sollecitò Claude. «Più sono, e più i bambini saranno contenti.» «Sarà meglio che io torni di fuori,» si scusò Walter. «Il falò sta ancora bruciando. Ci vediamo, Claude.» «Sicuro,» rispose lui.
Joanna offrì a Claude il suo tè, e lui le spiegò il funzionamento del registratore, un magnifico apparecchio in una custodia di pelle nera. Le consegnò otto nastri chiusi in cassettine gialle e un mazzo di fogli in un raccoglitore nero. «Mio Dio, quanta roba,» si preoccupò lei, sfogliando le pagine logore e rabberciate, battute a macchina su tre colonne. «Ma è una cosa rapida,» assicurò Claude. «Basta che lei pronunci chiaramente ciascuna parola con la sua voce normale e faccia una piccola pausa prima di passare a quella successiva. E controlli che l'indicatore resti sul rosso... Vuol provare?» In occasione del Giorno del Ringraziamento andarono a cena con il fratello di Walter, Dan, e la sua famiglia. La cosa era stata predisposta dalla madre di loro due, e avrebbe dovuto essere una riconciliazione: da un anno i rapporti tra i due fratelli erano tesi per via di una controversia circa l'eredità paterna. Ma scoppiò una nuova discussione, ancor più violenta perché nel frattempo il valore della proprietà era aumentato. Walter e Dan si misero a urlare, la madre urlava ancora di più, e Joanna ebbe le sue difficoltà a spiegare la cosa a Pete e Kim mentre tornavano a casa in auto. Scattò delle foto al maggiore di Bobbie, Jonathan, intento al microscopio, e ad alcuni operai in cima a un carrello mobile che potavano gli alberi di Norwood Road. Stava cercando di mettere insieme almeno una dozzina di foto di prim'ordine, per sbalordire quelli dell'agenzia e indurli a farle un contratto. La prima neve cadde una sera che Walter era all'Associazione Maschile. La contemplò dalla finestra dello studio: un modesto spolverio bianco lucente che ondeggiava nella luce del lampione. Nulla di consistente. Ma ne sarebbe caduta dell'altra. Giochi, belle foto... e il fastidio degli stivali e delle tute da neve. Sull'altro lato della via, dietro la finestra del soggiorno dei Claybrook, Donna sedeva occupata a lustrare quella che pareva una coppa sportiva. Joanna l'osservò e scosse la testa. Queste alacri comari non la fan mai finita, pensò. Pareva un verso di poesia. Queste alacri comari non la fan mai finita. Taratan taratatan tutta la vita. Lavoran come robot. Certo, il verso tornava. Lavoran come robot tutta la loro vita.
Sorrise. Prova un po' a mandarlo al «Chronicle». Si diresse alla scrivania, sedette e spostò la penna che aveva lasciata come segno sulla pagina dattiloscritta. Ascoltò per un momento : al piano di sopra, silenzio; e accese il registratore. Con un dito sul foglio, si piegò verso il microfono appoggiato contro il ritrattino incorniciato che le aveva fatto Ike Mazzard. «Prendere. Prende. Prendendo. Preso,» pronunciò. «Prenotare. Prenotazione. Preoccupare. Preoccupato. Preparando. Preparare. Preparativo. Preparato. Preparo.» 2 Avrebbero traslocato, decise, solo se avesse trovato una casa assolutamente perfetta, che oltre ad avere quel determinato numero di locali di quelle determinate dimensioni, non avesse bisogno di imbiancatura e disponesse di una camera oscura o qualcosa di molto simile. E non doveva costare più dei cinquantaduemila e cinquecento dollari che avevano pagato per quella di Stepford e che, Walter ne era sicuro, potevano ancora ricavarne. Era un bel pretendere, e lei non avrebbe sprecato molto tempo nelle ricerche. Ma in una fredda e limpida mattina dei primi di dicembre uscì in caccia con Bobbie. Bobbie era andata tutte le mattine in esplorazione: Norwood, EastBridge e New Sharon. Non appena avesse trovato qualcosa di accettabile, ed era molto più elastica di Joanna nelle sue esigenze, avrebbe fatto pressione su Dave perché si trasferissero subito, anche se così i ragazzi avrebbero dovuto cambiare scuola a metà anno. «Meglio un piccolo scompiglio nella loro vita che una madre trasformata in una mummia parlante,» diceva. Beveva sul serio acqua minerale e non mangiava alcun prodotto locale. «Puoi procurarti anche delle bombole di ossigeno, sai,» commentò Joanna. «Vai a quel paese. Già ti ci vedo, a far paragoni tra l'Ajax e il detersivo che usi adesso.» Quelle ricerche indussero Joanna a intensificare le proprie; le signore che incontravano: le proprietarie di casa di East-Bridge e una certa signorina Kirgassa, agente immobiliare, erano dinamiche, attive e vivaci, e facevano risaltare per contrasto l'opacità delle signore di Stepford. E EastBridge offriva un'ampia gamma di attività sociali, per le donne e per donne e uomini insieme. Si stava addirittura organizzando un'assemblea della Lega Nazionale Femminile. «Perché non avete cercato subito da queste par-
ti?» domandò la signorina Kirgassa, lanciando la sua auto giù per una strada tutta a zig zag a velocità orripilante. «Mio marito aveva sentito dire...» spiegò debolmente Joanna afferrandosi al bracciolo, gli occhi fissi sulla strada, schiacciando il piede su freni immaginari. «Qui è un mortorio. Da noi c'è molta più vita.» «Però ci piacerebbe essere in grado di tornare indietro a fare le valigie,» intervenne Bobbie dal sedile posteriore. La signorina Kirgassa scoppiò in una risata gorgogliante. «Posso fare queste strade anche bendata,» le rassicurò. «Voglio mostrarvi altre due case.» Mentre tornavano a Stepford, Bobbie dichiarò: «Ecco quel che fa per me. Mi metto a fare l'agente immobiliare, ho deciso. Vai in giro, incontri gente e hai la possibilità di ficcare il naso negli affari di tutti. E stabilisci tu i tuoi orari. Dico sul serio, voglio informarmi su quello che bisogna fare.» Ricevettero una lettera dal Dipartimento Igiene e Sanità : due pagine in cui le assicuravano che il loro interesse per la salvaguardia dell'ambiente era condiviso dall'amministrazione dello stato e della contea. Tutti gli impianti industriali dello stato erano soggetti a rigorose regolamentazioni anti-inquinamento. E queste venivano fatte osservare non solo grazie a frequenti ispezioni agli impianti stessi, ma anche con periodiche analisi del terreno, dell'acqua e dell'atmosfera. Non c'era alcun indizio di inquinamenti pericolosi nella zona di Stepford, né della presenza dovuta a cause naturali di sostanze chimiche che producessero effetti sedativi o depressivi. Potevano essere certe che le loro preoccupazioni erano infondate, ma grazie comunque della loro segnalazione. «Balle,» commentò Bobbie, e rimase fedele all'acqua minerale. E ogni volta che andava a trovare Joanna portava con sé un thermos di caffè. Walter era disteso sul fianco, volgendole le spalle, quando lei uscì dal bagno. Joanna sedette sul letto, spense la luce e si infilò sotto le coperte. Si allungò sul dorso guardando il soffitto che a poco a poco diventava visibile sopra di lei. «Walter?» «Mmm?» «È andata bene?» domandò. «Per te?» «Certo,» le rispose. «Per te, no?» «Sì,» annuì.
Lui non disse niente. «Ho avuto la sensazione che non fosse così,» riprese Joanna. «Le ultime volte.» «No,» disse lui. «È stato bello. Come sempre.» Lei continuò a guardare il soffitto. Ripensava a Charmaine, che non voleva farsi acchiappare da Ed (o era cambiata anche in quello?) e rammentava l'osservazione di Bobbie a proposito delle strane idee di Dave. «Buonanotte,» disse Walter. «C'è qualcosa,» insisté lei, «qualcosa che io... non faccio e che vorresti che facessi? O viceversa?» Lui non rispose subito, poi disse : «Tutto ciò che a te fa piacere, nient'altro.» Si girò a guardarla, appoggiandosi sul gomito. «Davvero,» aggiunse, e sorrise, «va tutto bene. Forse da qualche tempo sono un po' stanco per via del viaggio in treno, mattina e sera.» La baciò sulla guancia. «Dormi, ora.» «Hai... hai una relazione con Esther?» «Oh, per l'amor di Dio,» sbottò lui. «Quella va con una Pantera Nera. Non ho relazioni con anima viva.» «Una Pantera Nera?» «È quel che Don ha saputo dalla sua segretaria. Noi non parliamo mai di certe cose, io mi limito a correggerle l'ortografia. Su, dormiamo, adesso.» Le baciò la guancia e si girò dall'altra parte. Lei si stese a pancia in giù e chiuse gli occhi. Si girò e rigirò nel letto cercando la posizione giusta. Andarono al cinema a Norwood con Bobbie e Dave, e trascorsero una serata con loro, davanti al caminetto, a giocare a Monopoli. Un sabato notte ci fu un'intensa nevicata e Walter rinunciò, un po' malvolentieri, alla partita di rugby alla televisione per accompagnare Pete e Kim che volevano andare in slitta a Winter Hill, mentre lei andava a New Sharon dove impressionò una pellicola e mezzo, a colori, in una riserva di uccelli. Pete ebbe la parte principale nella recita natalizia della sua classe ; e Walter, tornando a casa una sera, perse il portafoglio, o se lo fece rubare. Lei consegnò sedici foto all'agenzia. Bob Silverberg, il tipo con cui trattava, le ammirò complimentandosi ma le comunicò che l'agenzia non faceva contratti a nessuno in quel periodo. Trattenne le foto dicendo che entro un paio di giorni le avrebbe saputo dire se ce n'erano di piazzabili. Fece
colazione, d'umore scontento, con una vecchia amica, Doris Lombardo, e fece qualche acquisto di Natale per Walter e i propri genitori. Dieci foto le vennero restituite, compresa «Fuori Servizio» che, decise immediatamente, avrebbe mandato al prossimo concorso fotografico del «Saturday Review». Tra le sei che l'agenzia aveva trattenuto c'era «Lo Scienziato», quella di Jonny Markowe al suo microscopio. Telefonò a Bobbie per dirglielo. «Gli darò il dieci per cento di quel che mi frutterà.» «Ciò significa che potremo sospendergli l'assegno settimanale?» «Meglio di no. La mia foto migliore mi ha reso poco più di mille dollari, ma dalle altre due ho ricavato solo un paio di centinaia di dollari ciascuna.» «Be', non è male per un tipo che sembra Peter Lorre,» rifletté Bobbie. «Lui, intendo, non tu. Senti, stavo proprio per chiamarti. Potresti tenere Adam per il weekend? Mi faresti questo favore?» «Ma certo, Pete e Kim saranno entusiasti. Come mai?» «Dave ha avuto un'idea folgorante ; passiamo il weekend soli soletti, noi due e basta. Una seconda luna di miele.» La sfiorò una sensazione di già avvenuto, di déja vu. La cancellò. «Magnifico,» disse. «Jonny e Kenny sono già piazzati qui nei dintorni,» continuò Bobbie, «ma ho pensato che Adam si sarebbe trovato meglio da voi.» «Molto bene,» assentì Joanna, «con lui qui, Pete e Kim si accapiglieranno un po' meno. Che intenzioni avete, andate in città?» «No, ce ne restiamo qui. Bloccati dalla neve, ci auguriamo. Lo porto da te domani dopo la scuola, va bene? E passo a prenderlo domenica sera.» «Ottimo. Come vanno le ricerche della casa?» «Così così. Ne ho vista una che è una bellezza, questa mattina, a Norwood, ma non sarà libera fino al primo di aprile.» «Pazienta fino ad allora.» «No, grazie. Ci vediamo?» «Non posso ; devo proprio fare un po' di pulizie, sul serio.» «Vedi? Cominci a cambiare. Il tossico di Stepford sta facendo effetto.» Una donna di colore con un foulard arancio e un soprabito di finta pelliccia striata, era in attesa davanti al banco della biblioteca, le dita posate su una pila di libri. Guardò Joanna e le rivolse un cenno della testa e un lieve sorriso; Joanna ricambiò nello stesso modo e la donna spostò lo
sguardo verso la sedia deserta dietro il banco e gli scaffali dietro la sedia. Era alta, con la pelle bruno-dorato, capelli neri, cortissimi, enormi occhi scuri : una bella donna con un che di esotico. Sulla trentina. Joanna si accostò alla scrivania sfilandosi i guanti e traendo di tasca la cartolina. Guardò la targhetta con il nome della signorina Austrian, sul tavolo, e i libri sotto le dita lunghe e sottili della donna, a un metro da lei. A Severed Read, di Iris Murdoch, oltre a I Know why the Caged Bird Sings e, sotto, The Magus. Joanna guardò il suo cartoncino: Beyond Freedom & Dignity, di Skinner, sarebbe stato tenuto a sua disposizione fino all'11-12. Avrebbe voluto dire qualche parola cordiale, di benvenuto: quella giovane donna era certamente moglie o figlia nella famiglia negra a cui aveva accennato la signora del «Benvenuto a Te», ma non voleva avere l'aria condiscendente della bianca-di-ampie-vedute. Avrebbe detto qualcosa se non si fosse trattato di una negra? Sì, in un'analoga situazione... «Potremmo portarci via l'intera biblioteca, se volessimo,» osservò la donna di colore, e Joanna sorrise e convenne : «E dovremmo farlo, per insegnarle a restare al suo posto.» Accennò alla scrivania. L'altra sorrise. «È sempre così deserta?» «Non l'ho mai vista come oggi,» replicò Joanna. «Ma son venuta qui una volta sola, di pomeriggio.» «È da poco qui a Stepford?» «Tre mesi.» «Io ci sono da tre giorni.» «Spero che le piacerà.» «Credo di sì.» Joanna le tese la mano. «Mi chiamo Joanna Eberhart,» si presentò con un sorriso. «Ruthanne Hendry,» rispose l'altra, sorridendo a sua volta e stringendole la mano. Joanna inclinò la testa di lato e la guardò meglio. «Il nome non mi è nuovo. L'ho visto da qualche parte.» La donna sorrise ancora. «Ha bambini piccoli?» domandò. Joanna annuì, perplessa. «Ho scritto un libro per bambini, Penny ha un Progetto,» spiegò la nuova venuta. «Qui in biblioteca ce l'hanno ; è stata la prima cosa che ho controllato sul catalogo.» «Ma certo!» esclamò Joanna. «Kim lo ha preso in prestito un paio di settimane fa! E le è piaciuto moltissimo! E anche a me; è un tal sollievo tro-
vare una storia in cui una bambina fa veramente qualcosa oltre a preparare il tè per le bambole!» «Propaganda insinuante,» osservò l'altra. «E anche le illustrazioni sono sue,» riprese Joanna. «Erano straordinarie!» «Grazie.» «Ne ha un altro in preparazione?» Ruthanne Hendry annuì. «Ho già pronta la traccia,» spiegò. «Comincerò a lavorarci sul serio non appena saremo sistemati.» «Scusate,» la signorina Austrian avanzava zoppicando dal fondo della sala, «la mattina non viene quasi mai nessuno e io,» si fermò, batté le palpebre e riprese a camminare, «mi fermo nell'ufficio, a lavorare. Devo far mettere uno di quei campanelli da tavolo. Buon giorno, signora Eberhart.» Sorrise a Joanna e a Ruthanne Hendry. «Buon giorno,» rispose Joanna. «Ecco una delle sue autrici. Penny ha un Progetto. Ruthanne Hendry.» «Oh?» la signorina Austrian si accomodò pesantemente sulla sedia afferrandosi ai braccioli con le mani grassocce e rosee. «È un libro molto richiesto,» osservò. «Ne abbiamo due copie in circolazione, e sono già sostituzioni.» «Mi piace questa biblioteca,» dichiarò Ruthanne Hendry. «Posso iscrivermi?» «Abita a Stepford?» «Sì, sono arrivata da poco.» «Allora è la benvenuta,» concluse la signorina Austrian. Aprì un cassetto e ne trasse una scheda bianca che posò vicino alla pila dei libri. Al banco del bar-tavola calda del centro, deserto salvo due operai dei telefoni, Ruthanne rigirava il caffè e, guardando Joanna, domandò : «Dimmi una cosa, sinceramente, ci sono state molte chiacchiere per il fatto che abbiamo preso casa qui?» «A me non ne sono arrivate,» rispose Joanna. «Non è una città dove le chiacchiere possano fare molta strada. Non c'è un posto dove la gente venga veramente a contatto, salvo l'Associazione Maschile.» «Nessun timore da quella parte,» osservò Ruthanne. «Royal ci va domani sera. Ma le signore del vicinato...» «Oh, credi,» la interruppe Joanna, «non ha nulla a che vedere con dei pregiudizi di colore. Sono così con tutti. Non hanno tempo per una tazza di
caffè, è vero? Incollate alle faccende domestiche?» Ruthanne assentì. «Non mi preoccupo per me. Io sono autosufficiente, altrimenti non avrei accettato di trasferirmi. Ma...» Joanna le raccontò delle alacri comari di Stepford, e di Bobbie che aveva addirittura in mente di andarsene per evitare di diventare come loro. Ruthanne sorrise. «Niente al mondo potrà mai trasformarmi in una brava massaia. Se loro sono così, benissimo. Mi preoccupavo che fosse un atteggiamento razzista solo per via delle bambine.» Ne aveva due, di quattro e sei anni; e suo marito Royal era direttore della sezione di sociologia in un'università della città. Joanna le parlò di Pete e Kim, e del suo hobby della fotografia. Si scambiarono i numeri di telefono. «Mi ero trasformata in un eremita, quando lavoravo a Penny,» spiegò Ruthanne, «ma prima o poi ti telefonerò.» «Ti chiamerò io,» promise Joanna. «Se sei occupata, basta che tu me lo dica. Vorrei farti conoscere Bobbie; sono sicura che simpatizzerete.» Mentre tornavano verso le loro auto che avevano lasciato di fronte alla biblioteca, Joanna scorse Dale Coba che la osservava da lontano. Era fermo, con un agnello tra le braccia, vicino a un gruppetto di uomini occupati ad allestire un presepe vicino alla sede della Società di Studi Storici. Lei gli rivolse un cenno della testa e lui, reggendo quell'agnello che pareva vivo, ricambiò e sorrise. Spiegò a Ruthanne di chi si trattava e le domandò se sapeva che Ike Mazzard abitava a Stepford. «Chi?» «Ike Mazzard. Il disegnatore.» Ruthanne non aveva mai sentito quel nome, cosa che fece sentire Joanna molto vecchia. O molto bianca. Avere Adam ospite per il weekend fu una croce e una delizia. Il sabato lui e Kim giocarono magnificamente insieme, in casa e fuori; ma la domenica, una giornata nuvolosa e freddissima in cui Walter pretese per sé il tinello per godersi la partita di rugby (abbastanza giusto dopo la precedente domenica di slitta), Adam e Pete si trasformarono, successivamente, in militari asserragliati nel fortino del tavolo chiuso da una coperta, esploratori in cantina («State alla larga dalla camera oscura!»), e astronauti nella camera di Pete, e, fatto curioso, tutti avevano un medesimo nemico comune chiamato Kim Tontin. Facevano la guardia, sprezzanti e vocianti, prepa-
rando le difese; e la povera Kim era in fondo un po' Tontin, e voleva solo unirsi a loro, e non disegnare o aiutare a mettere in ordine le negative, e neppure (Joanna era disperata) fare dei biscotti. Adam e Pete ignoravano le minacce, Kim ignorava le blandizie, Walter ignorava ogni cosa. Joanna fu ben contenta quando Bobbie e Dave vennero a riprendere Adam. Ma fu ben contenta di averlo ospitato quando notò il loro magnifico aspetto. Bobbie si era fatta la messa in piega ed era assolutamente splendida, grazie al trucco o all'amore, probabilmente a entrambe le cose. E Dave aveva un'aria disinvolta, briosa, soddisfatta. Portarono una folata di gelo nel vestibolo. «Salve Joanna, come è andata?» esordì Dave, sfregandosi le mani chiuse nei guanti di pelle ; e Bobbie, avvolta nella sua pelliccia di procione, disse : «Spero che Adam non ti abbia dato fastidi.» «Neanche un po',» assicurò Joanna. «Sembrate proprio in gran forma, tutt'e due.» «E ci sentiamo in gran forma!» puntualizzò Dave, e Bobbie sorrise e disse : «È stato un bellissimo weekend. Grazie per avere collaborato anche tu.» «Ma figurati,» rispose Joanna. «Uno dei prossimi weekend scaricherò io Pete da voi.» «Saremo felici di averlo,» replicò Bobbie, e Dave aggiunse: «Quando vuoi, basta dirlo. Adam! È ora di andare!» «E su in stanza di Pete.» Dave si portò alla bocca le mani guantate e gridò : «Adam! Siamo arrivati! Prendi la tua roba!» «Toglietevi il cappotto,» suggerì Joanna. «Dobbiamo andare a prendere Jon e Kenny,» spiegò Dave, e Bobbie aggiunse : «Sono sicura che vorrai un po' di pace e tranquillità. Deve essere stato un gran trambusto.» «Be', non è stata molto riposante, come domenica,» ammise Joanna. «Ma ieri è andato tutto a gonfie vele.» «Ehi!» esclamò Walter sbucando dalla cucina con un bicchiere in mano. Bobbie lo salutò : «Ciao, Walter,» e Dave : «Salve, amico!» «Come è andata la seconda luna di miele?» volle sapere Walter. «Meglio della prima,» rispose Dave. «Solo più corta.» Rivolse un mezzo sogghigno a Walter. Joanna lanciò un'occhiata a Bobbie aspettandosi che dicesse qualcosa di spiritoso. Bobbie le sorrise e alzò gli occhi verso le scale. «Ciao, giuggio-
la,» disse. «Hai passato un bel weekend?» «Non ho voglia di andar via,» dichiarò Adam, dall'alto, un po' sbilenco per lo sforzo di tenere sollevata da terra la sua sacca. Pete e Kim erano alle sue spalle. «Non può fermarsi un'altra notte?» domandò Kim. «No, cara, domani bisogna andare a scuola,» spiegò Bobbie, e Dave : «Coraggio, giovanotto, dobbiamo ancora recuperare il resto della ghenga.» Adam discese i gradini, imbronciato, e Joanna si diresse all'armadio per prendere il suo cappotto e le soprascarpe. «Ehi,» riprese Dave, «ho delle informazioni a proposito di quei titoli di cui mi avevi chiesto.» «Oh, magnifico,» rispose Walter, e insieme passarono nel soggiorno. Joanna consegnò a Bobbie il cappotto di Adam, e Bobbie la ringraziò e lo tenne aperto per il ragazzino. Lui mise giù la sua sacca e allungò le braccia all'indietro verso le maniche. Joanna, reggendo gli stivali di Adam, domandò: «Vuoi che li metta in un sacchetto?» «No, non preoccuparti,» rispose Bobbie. Si rivolse ad Adam per aiutarlo ad abbottonarsi. «Hai un buon profumo,» osservò il ragazzo. «Grazie, giuggiola.» Lui guardò il soffitto, poi lei. «Non mi piace che mi chiami così,» disse. «Prima sì, ma adesso non più.» «Scusami. Non lo farò più.» Bobbie gli sorrise e lo baciò sulla fronte. Dave e Walter riemersero dal soggiorno e Adam raccolse la sua sacca e disse ciao a Pete e a Kim. Joanna consegnò gli stivali a Bobbie e si sfiorarono la guancia. Bobbie era ancora fresca dell'aria di fuori, e aveva davvero un buon profumo. «Ci sentiamo domani,» disse Joanna. «Certo,» confermò Bobbie, e si sorrisero. Bobbie si accostò a Walter, vicino alla porta, e gli offrì la guancia. Lui esitò — Joanna si chiese perché — quindi la sfiorò con un bacio. Dave baciò Joanna e diede una pacca sul braccio di Walter. «Ci vediamo, vecchio,» e pilotò fuori Adam, al seguito di Bobbie. «Possiamo andare nel tinello, adesso?» domandò Pete. «È tutto vostro,» rispose Walter. Pete corse via con Kim alle calcagna. Joanna e Walter rimasero vicino al vetro gelato della doppia porta, a guardare Bobbie, Dave e Adam che salivano in auto. «Fantastico,» commentò Walter. «Stanno magnificamente, vero?» osservò Joanna. «Bobbie non era tanto
in forma neanche quella sera della cena. Perché non volevi baciarla?» Walter non rispose subito, dopo un momento borbottò: «Oh, non so, il bacetto sulla guancia... è talmente fasullo.» «Non mi ero mai accorta che avessi qualcosa in contrario prima.» «Allora forse sono cambiato.» Lei rimase a guardare le portiere che venivano richiuse e i fari che si accendevano. «Che ne diresti di passare noi un weekend per conto nostro?» propose. «Loro potrebbero tenere Pete, hanno detto che sono disposti, e sono sicura che i Van Sant ospiterebbero Kim.» «Splendida idea,» dichiarò Walter. «Subito dopo le vacanze di Natale.» «O magari gli Hendry,» rifletté lei. «Hanno una bambina di sei anni, e a me farebbe piacere che Kim frequentasse una famiglia di colore.» L'auto si allontanò, con i due puntolini rossi delle luci posteriori, e Walter chiuse la porta, girò la chiave e abbassò l'interruttore delle luci esterne. «Vuoi bere qualcosa?» domandò. «È proprio quel che ci vuole dopo una giornata come questa.» Uff, che razza di lunedì: la stanza di Pete da rimettere in piedi e tutte le altre da sistemare, le lenzuola da cambiare, il bucato (aveva lasciato che si accumulasse, naturalmente), la lista della spesa di domani da preparare, e tre paia di calzoni di Pete da allungare. Era quello che stava facendo, per non parlare di tutte le altre faccende da sbrigare: le compere di Natale, e gli indirizzi sui biglietti di auguri, e il costume di Pete da preparare per la recita (tante grazie, signorina Turner). Bobbie non telefonò, grazie al cielo; non era giornata da quattro chiacchiere e una tazza di caffè. Ha ragione lei? si domandò Joanna. Sto cambiando? Maledizione, no : bisognava pur mettersi in pari con le varie faccende, ogni tanto, altrimenti la casa sarebbe diventata... be', come quella di Bobbie. E poi un'autentica comare di Stepford avrebbe affrontato quei marosi domestici veleggiando solida e imperturbabile, senza mai passare la lucidatrice sopra il suo filo per poi quasi triturarsi le dita nel tentativo di liberare il cavo da quei dannati affari roteanti. Ne disse di tutti i colori a Pete che non metteva mai via i suoi giocattoli quando aveva finito di usarli, e lui le tenne il muso per un'ora senza rivolgerle la parola. E Kim aveva la tosse. E Walter chiese di essere esentato, anche se toccava a lui, dal lavaggio dei piatti e si precipitò fuori per infilarsi nell'auto sovraccarica di Herb Sundersen. Parecchio daffare all'Associazione Maschile: l'iniziativa Gio-
cattoli di Natale. (E per chi? C'erano bambini bisognosi a Stepford? Non ne aveva mai visto traccia.) Preparò il modello di carta per il costume di Pete, un fantoccio di neve, e fece una partita a «Chi si ricorda» con Pete e Kim (che tossì solo una volta ma teniamo le dita incrociate), e poi scrisse indirizzi sui biglietti di auguri arrivando fino alla L, e andò a letto alle dieci. Si addormentò con il libro di Skinner. Il martedì andò meglio. Dopo aver ricreato l'ordine dal caos della prima colazione, e avere rifatto i letti, telefonò a Bobbie: non ebbe risposta; doveva essere andata in caccia di casa. Andò in centro e fece la spesa settimanale. Ci tornò dopo pranzo per scattare delle foto del presepio e rientrò poco prima che arrivasse il pullman della scuola. Walter lavò i piatti e poi andò all'Associazione Maschile. I giocattoli erano destinati ai bambini della città, quelli del ghetto e degli ospedali. Qualcosa da ridire, dottoressa Eberhart? O più esatto dottoressa Ingalls? Dottoressa Ingalls-Eberhart? Dopo avere strigliato e messo a letto Pete e Kim, ritelefonò a Bobbie. Strano che lei non l'avesse chiamata per due giorni interi. «Pronto?» rispose Bobbie. «Secoli che non ci sentiamo.» «Chi parla?» «Ma sono io, Joanna.» «Oh, salve. Come va?» «Bene. E tu? Sembri un po' seccata.» «No, tutto bene,» affermò Bobbie. «Come è andata stamani?» «Che cosa intendi dire?» «Le ricerche della casa.» «Questa mattina sono andata a far compere,» replicò Bobbie. «Perché non mi hai chiamata?» «Sono uscita molto presto.» «Io mi sono messa in marcia verso le dieci ; è stato un caso se non ci siamo incontrate.» Bobbie non disse nulla. «Bobbie?» «Sì?» «Davvero va tutto bene?» «Ma sicuro. È solo che stavo stirando.»
«A quest'ora?» «Dave ha bisogno di una camicia per domani.» «Oh. Telefonami domani mattina, allora; magari possiamo fare colazione insieme. A meno che tu vada in cerca di casa.» «No, certo,» rispose Bobbie. «Allora mi chiami tu, d'accordo?» «D'accordo,» confermò Bobbie. «Arrivederci, Joanna.» «Arrivederci.» Riagganciò e rimase a fissare il telefono e la propria mano sul ricevitore. La colpì il pensiero, ridicolo, che Bobbie era cambiata nello stesso modo di Charmaine. No, Bobbie no, impossibile. Doveva avere avuto uno screzio con Dave, qualcosa di sostanziale di cui non era ancora disposta a parlare. O forse lei aveva offeso in qualche modo Bobbie senza rendersene conto? Aveva detto qualcosa a proposito di Adam, domenica, che Bobbie poteva avere male interpretato? Ma no, si erano salutate affettuosamente come al solito, con un mezzo abbraccio e la promessa di sentirsi presto. (Eppure, già allora, adesso che ci ripensava, Bobbie le era parsa diversa : non aveva avuto le sue solite battute, si muoveva con gesti più lenti.) Forse lei e Dave avevano fumato qualche paglia durante quel week-end. Ci si erano provati un paio di volte ma senza grandi risultati, le aveva raccontato Bobbie. Forse questa volta... Scrisse indirizzi su qualche biglietto natalizio. Telefonò a Ruthanne Hendry, che si dimostrò cordiale e lieta di sentirla. Discussero The Magus, che Ruthanne stava leggendo con lo stesso piacere che ne aveva tratto Joanna, e Ruthanne le parlò del suo nuovo libro, un'altra storia imperniata su Penny. Si accordarono per fare colazione insieme la settimana successiva. Joanna avrebbe passato parola anche a Bobbie e tutt'e tre sarebbero andate in quel localino francese di East-Bridge. Ruthanne l'avrebbe richiamata lunedì mattina. Scrisse altri indirizzi e lesse il libro di Skinner, a letto, fino al ritorno di Walter. «Ho parlato con Bobbie, stasera,» gli raccontò. «Mi è parsa... diversa, infiacchita.» «Probabilmente è stanca per tutto quel suo correre attorno,» fu il commento di Walter, mentre depositava il contenuto delle tasche della giacca sul cassettone. «Anche domenica sembrava diversa,» insisté Joanna. «Non parlava...» «Aveva la faccia truccata, tutto qui,» tagliò corto Walter. «Non vorrai ricominciare con quella storia delle sostanze chimiche, spero.»
Lei aggrottò la fronte, poggiando il libro chiuso contro le ginocchia coperte dalle coltri. «Dave ha per caso accennato a un loro nuovo tentativo con la marijuana?» «No. Ma potrebbe essere la spiegazione.» Fecero all'amore ma lei era tesa, non riusciva ad abbandonarsi completamente e non andò molto bene. Bobbie non si fece viva. Verso la una Joanna si recò da lei. I cani abbaiarono mentre scendeva dalla giardinetta. Erano legati a un lungo filo volante, sul retro della casa: il corgi ritto sulle zampe posteriori, annaspava e uggiolava, mentre il pastore inglese, immobile e ispido, emetteva dei «Raff, raff, raff, raff, raff.» La Chevrolet azzurra di Bobbie era sul vialetto. Bobbie, nel suo impeccabile soggiorno — cuscini sprimacciati, mobili lustri, riviste a ventaglio sul tavolino senz'ombra di macchia, dietro il divano — sorrise a Joanna : «Scusami, mi è proprio uscito di mente. Hai fatto colazione? Vieni in cucina, ti preparo un sandwich. Cosa preferisci?» Aveva il medesimo aspetto di domenica: splendida, i capelli in perfetto ordine, il viso truccato. E doveva portare un reggiseno imbottito, molto sostenuto, sotto il golf verde; e un bustino che le snelliva i fianchi sotto la gonna marrone a pieghe. Nella cucina immacolata, ammise: «Sì, sono cambiata. Mi sono resa conto di essere terribilmente sciatta e trascurata. Non c'è da vergognarsi di essere una brava donna di casa. Ho deciso di svolgere coscienziosamente il mio lavoro, così come Dave fa con il suo, e di curare di più il mio aspetto. Sei certa di non volere un panino?» Joanna scosse la testa. «Bobbie,» proruppe, «io... non ti accorgi di quel che è successo? Di qualunque cosa si tratti, ti ha contagiata, come è successo a Charmaine!» Bobbie le sorrise. «Niente mi ha contagiata,» rispose. «Non c'è niente nell'aria. Erano tutte sciocchezze. Stepford è una cittadina salubre, ideale per abitarci.» «Non... non vuoi più andartene?» «Oh no,» rispose Bobbie. «Anche quella era una stupidaggine. Sono perfettamente soddisfatta di stare qui. Non posso prepararti almeno una tazza di caffè?» Telefonò a Walter, in ufficio. «Oh, buona sera!» la salutò Esther. «Che piacere sentirla! Situazione d'emergenza in quel di Stepford, o lei è qui in città?»
«No, sono a casa,» spiegò. «Posso parlare con Walter per piacere?» «Temo che sia in riunione in questo momento.» «È importante. Glielo dica per favore.» «Attenda un attimo.» Lei attese, seduta alla scrivania dello studio, gli occhi fissi sulle carte e le buste che aveva preso dal tavolino centrale, e sul calendario: Mar. 14 dic, ieri, e sul disegno di Ike Mazzard. «Ecco, glielo passo, signora Eberhart,» annunciò Esther. «Non è successo nulla a Pete o a Kim, spero.» «No, stanno bene.» «Meno male. Devono essere...» «Pronto?» intervenne Walter. «Walter?» «Pronto. Che c'è?» «Walter, desidero che mi ascolti e non ti metta a discutere,» cominciò lei. «Bobbie è cambiata. Sono stata da lei. La casa è una specie... è tirata a specchio, Walter; non un granello di polvere! E lei è tutta... Senti, hai tu il libretto di assegni? L'ho cercato senza riuscire a trovarlo. Walter?» «Sì, l'ho io,» rispose, «ho comperato dei titoli dietro indicazione di Dave. Perché ti serve?» «Per vedere quanto abbiamo in banca,» spiegò. «Ho visto a East-Bridge una casa che...» «Joanna.» «... costava un po' più di questa, ma...» «Joanna, stai a sentire.» «Non ho intenzione di restare qui un altro...» «Stammi a sentire, maledizione!» Lei serrò il ricevitore. «Dimmi.» «Cercherò di tornare a casa presto. Non fare nulla finché non arrivo io. Mi senti? Non prendere iniziative di nessun tipo. Credo di poter venire via entro mezz'ora.» «Non intendo restare qui un giorno di più,» affermò Joanna. «Aspetta finché arrivo io, va bene?» disse Walter. «Non possiamo discuterne per telefono.» «Porta il libretto degli assegni,» insisté lei. «Non fare niente prima del mio arrivo,» ripeté lui. E la comunicazione venne interrotta. Lei riagganciò.
Rimise le carte e le buste nel cassetto centrale e lo chiuse. Quindi prese dallo scaffale l'elenco telefonico e cercò il numero della signorina Kirgassa, a East-Bridge. La casa che aveva in mente ; quella dei St. Martin, era ancora disponibile. «Credo anzi che abbiano ribassato un po' il prezzo da quando l'ha vista lei.» «Mi può fare un piacere?» pregò. «Ci potrebbe interessare; lo saprò con sicurezza domani. Può cercare di sapere qual è la cifra minima che sarebbero disposti ad accettare per una vendita immediata, e comunicarmelo al più presto?» «La richiamo subito,» promise la signorina Kirgassa. «Sa per caso se la signora Markowe ha trovato qualcosa? Avevamo un appuntamento, stamani, ma non si è fatta viva.» «Ha cambiato idea, non vuole più andarsene,» le spiegò. «Ma io sì.» Telefonò a Buck Raymond, l'agente immobiliare di Stepford a cui si erano rivolti in precedenza. «Solo per ipotesi,» cominciò, «se volessimo mettere in vendita questa casa domani, crede che potremmo trovare in fretta un acquirente?» «Senza dubbio,» le garantì Buck. «Ci sono richieste continue. Sono sicuro che potreste ricavarne quel che l'avete pagata, e forse un po' di più. Non vi ci trovate bene?» «No,» rispose lei. «Mi spiace. Vuole che mandi subito qualcuno a vederla? C'è qui per l'appunto una coppia che...» «No, no, non ancora,» lo interruppe. «Glielo farò sapere domani.» «Adesso per piacere stai calma un minuto,» disse Walter, sollevando le mani per arginare quella piena. «No,» Joanna scrollava la testa, «no. Di qualsiasi cosa si tratti, impiega quattro mesi per fare effetto, il che significa che mi manca un mese soltanto. Forse meno: ci siamo trasferiti qui il quattro di settembre.» «Per l'amor di Dio, Joanna...» «Charmaine era arrivata qui in luglio,» continuò, «ed è cambiata in novembre. Bobbie si è stabilita qui in agosto, e siamo in dicembre.» Si volse allontanandosi da lui. Il rubinetto del lavandino gocciolava; girò la manopola con forza e lo sgocciolio si interruppe. «Hai pur ricevuto quella lettera dal dipartimento Igiene e Sanità,» le fece notare Walter.
«Balle, per dirla con parole di Bobbie.» Si volse a guardarlo. «C'è qualcosa, per forza,» sbottò. «Vai a darle un'occhiata, fammi il favore. Il petto le sporge in fuori di tanto così, e si è infilata in un busto per cui non ha quasi più sedere! La casa sembra un carosello televisivo. Come quella di Carol, di Donna e di Kit Sundersen!» «Doveva pur metterla un po' in grazia di Dio, prima o poi; sembrava un porcile.» «È cambiata, Walter! Non parla più nello stesso modo, non ragiona più come prima... e io non ho intenzione di starmene qui ad aspettare che succeda anche a me!» «Non possiamo...» Kim entrò dal giardino, il viso arrossato incorniciato nel cappuccio con il bordo di pelliccia. «Rimani di fuori, Kim,» ordinò Walter. «Abbiamo bisogno di provviste,» spiegò Kim. «Andiamo a fare la lunga marcia.» Joanna si avvicinò alla scatola dei biscotti, l'aprì e ne tirò fuori una manciata. «Ecco,» disse deponendoli nelle mani guantate di Kim. «Restate nei paraggi, comincia a far buio.» «Ci puoi dare dei croccanti?» «Non ce ne sono in casa. Vai.» Kim uscì. Walter chiuse la porta. Joanna si scrollò le briciole dalla mano. «È una casa più bella di questa,» spiegò, «e possiamo averla per cinquantatremila e cinquecento. La cifra che potremo ricavare da questa, l'ha detto Buck Raymond.» «Noi non ci muoveremo.» «Avevi detto di sì!» «L'estate prossima, non...» «Io non sarò più io, l'estate prossima!» «Joanna...» «Ma non capisci? Succederà anche a me, in gennaio!» «Non ti succederà assolutamente nulla!» «È quel che dicevo io a Bobbie! La prendevo in giro per la storia dell'acqua minerale!» Walter le si accostò. «Non c'è nulla nell'acqua, non c'è nulla nell'aria,» affermò. «Le tue amiche sono cambiate esattamente per le ragioni che ti hanno detto : perché si sono accorte di essere pigre e negligenti. Se Bobbie comincia a preoccuparsi del suo aspetto, direi che era ora. Neanche a te fa-
rebbe male guardarti nello specchio, ogni tanto.» Lo fissò e lui distolse gli occhi, arrossendo, poi tornò a guardarla. «Dico sul serio,» riprese. «Sei una donna molto carina e non ti curi affatto, a meno che ci sia una festicciola o qualcosa del genere.» Le volse le spalle per accostarsi al fornello; girò una manopola a destra e a sinistra. Lei continuava a fissarlo. «Ti dico io cosa faremo...» «Tu vuoi che io cambi?» l'interruppe Joanna. «Certo che no, non fare la sciocca.» Si volse. «È questo che vuoi?» insisté. «Una brava donnina di casa sempre graziosa e in ordine?» «Ho detto solo...» «È questo il motivo per cui Stepford era il posto ideale dove trasferirsi? Qualcuno ti ha passato l'informazione? "Portala a Stepford, Wally vecchio mio ; c'è qualcosa nell'aria di laggiù. In quattro mesi sarà un'altra."» «Non c'è niente nell'aria,» protestò Walter. «E le informazioni che mi hanno passato si riferivano a buone scuole e tasse ragionevoli. Ascoltami, sto cercando di guardare la cosa dal tuo punto di vista e di trarre una conclusione obiettiva. Tu vuoi andartene perché temi di "cambiare" ; e a me sembra una posizione irrazionale e... un po' isterica. A questo punto traslocare significherebbe imporre disagi ingiustificati a tutti noi, soprattutto a Pete e a Kim.» Si interruppe per tirare il fiato. «E va bene, facciamo così,» riprese. «Chiedi un colloquio ad Alari Hollingsworth, e se lui dice che...» «A chi?» «Alan Hollingsworth,» ripeté lui, e distolse lo sguardo. «Lo psichiatra. Lo conosci.» Tornò a fissarla. «E se lui dice che non si tratta di un momento di...» «Non ho bisogno di uno psichiatra,» esplose lei. «E se anche ne avessi, non andrei certo da Hollingsworth. Ho incontrato sua moglie all'Associazione Genitori e Insegnanti, è uguale alle altre. Puoi scommetterci che lui mi giudicherebbe irrazionale.» «Allora scegli qualcun altro. Chi vuoi tu. E se non sei vittima di una specie di... idea fissa, allora traslocheremo, non appena possibile. Domani andrò a vedere quella casa, e magari verserò anche un deposito.» «Non ho bisogno di uno psichiatra,» si ribellò lei. «Ho bisogno di andarmene da Stepford.» «Adesso non esagerare, Joanna. Mi sembra di dimostrarmi molto ragio-
nevole. Tu vorresti buttare all'aria tutto il nostro ménage, e mi pare che tu abbia il dovere verso tutti noi, compresa te stessa, soprattutto verso te stessa, di assicurarti di vedere chiaramente la situazione.» Lei lo fissò. «Ebbene?» domandò Walter. Lei continuò a guardarlo, senza rispondere. «Ebbene?» ripeté lui. «Non ti sembra ragionevole?» «Bobbie è cambiata quando è rimasta sola con Dave, e Charmaine è cambiata quando è rimasta sola con Ed.» Lui distolse lo sguardo, scrollando la testa. «Sarà allora, che accadrà a me?» volle sapere lei. «Durante il nostro weekend a due?» «L'idea è stata tua.» «L'avresti proposto tu, se non l'avessi fatto io?» «Ma lo vedi?» replicò Walter. «Ti rendi conto di quel che dici? Vorrei che tu ripensassi al mio consiglio. Non puoi mettere a soqquadro le nostre esistenze per un impulso avventato. È irragionevole pretenderlo.» Si volse e uscì dalla cucina. Lei rimase immobile, poi si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Rimase così qualche istante, e abbassò la mano, rialzò le palpebre e scosse la testa. Si avvicinò al frigorifero e ne prese una ciotola coperta e un pacchetto di carne avvolto nella plastica. Era seduto alla scrivania, intento a scrivere qualcosa su un taccuino giallo. Nel portacenere una sigaretta liberava nastri di fumo nella luce della lampada. La guardò e si tolse gli occhiali. «Va bene,» disse Joanna. «Io... parlerò con qualcuno. Ma deve essere una donna.» «Bene,» rispose. «È una buona idea.» «E tu verserai un deposito per quella casa, domani?» «Sì,» promise. «A meno che non abbia qualcosa che proprio non funziona.» «Non ha difetti,» affermò Joanna. «È una bella casa, costruita appena sei anni fa. Con un buon mutuo.» «Magnifico,» disse lui. Joanna continuò a guardarlo. «Tu desideri che io cambi?» «No,» rispose. «Vorrei solo che ti mettessi un'ombra di rossetto, ogni tanto. Non è un grosso cambiamento. Anch'io vorrei cambiare un po', per-
dere qualche chilo, per esempio.» Lei scostò i capelli dal viso. «Scendo a lavorare un po' nella camera oscura. Pete è ancora sveglio. Ti spiace tenere un orecchio teso?» «No, certo,» rispose, e le sorrise. Joanna gli lanciò ancora un'occhiata, poi si volse e si allontanò. Si rivolse al beneamato Dipartimento Igiene e Sanità che la rimandò all'albo dei medici della contea, e là le fornirono i nominativi e i numeri telefonici di cinque dottoresse psichiatre. Le due più vicine, a East-Bridge, avevano un'agenda completa fino alla metà di gennaio, ma la terza, a Sheffield, a nord di Norwood, poteva riceverla sabato alle due. La dottoressa Margaret Fancher: aveva una voce simpatica al telefono. Terminò i biglietti natalizi, finì il costume di Pete, acquistò giocattoli e libri per Pete e Kim, e una bottiglia di Champagne per Bobbie e Dave. In città aveva trovato una fibbia da cintura, d'oro, per Walter, e si era riproposta di perlustrare gli antiquari sulla Strada Nove in caccia di documenti legali ; gli comperò invece un cardigan marrone. Arrivarono i primi biglietti d'auguri : i genitori di lei, i soci giovani di Walter, i McCormick, i Chamalian e i Van Sant. Li allineò sugli scaffali nel soggiorno. Arrivò un assegno dell'agenzia: centoventicinque dollari. Il venerdì pomeriggio, nonostante cinque centimetri di neve a terra e altra ancora che cadeva, caricò Pete e Kim sulla giardinetta e si diresse alla casa di Bobbie. Bobbie li accolse affabilmente ; Adam e Kenny e i cani chiassosamente. Bobbie preparò della cioccolata calda, e Joanna portò il vassoio nel tinello. «Stai attenta,» l'avvertì Bobbie. «Ho dato la cera stamattina.» «Me n'ero accorta,» replicò Joanna. Sedette in cucina osservando Bobbie — bellissima, tutta curve — occupata a pulire il forno con tovaglioli di carta e l'apposito detersivo spray. «Ma che diavolo hai fatto per ottenere questa linea?» domandò. «Non mi ingozzo più come facevo prima,» spiegò Bobbie. «E mi muovo di più.» «Ma devi avere perso almeno cinque chili!» «No, solo un paio. Ho messo un bustino.» «Bobbie, per piacere, mi vuoi dire che cosa è successo nell'ultimo weekend?» «Non è successo nulla. Ce ne siamo rimasti qui.» «Hai fumato, hai preso qualcosa? Droga, intendo.»
«No. Non dire sciocchezze.» «Ma Bobbie, non sei più tu! Non te ne accorgi? Sei diventata come le altre!» «Joanna, non dire assurdità,» replicò l'altra. «Sono sempre io, solo mi sono resa conto di essere vergognosamente trascurata e sciatta, e adesso voglio fare il mio dovere con coscienza come Dave fa il suo.» «Ho capito, ho capito,» si rassegnò Joanna. «E lui che cosa ne pensa?» «Lui è molto soddisfatto.» «Naturale.» «Questo prodotto è davvero notevole. Lo usi anche tu?» Non sono pazza, si disse. Non sono pazza. Jonny e altri due ragazzi stavano costruendo un pupazzo di neve davanti alla casa accanto. Joanna lasciò Pete e Kim nella giardinetta e si avvicinò a Jonny per salutarlo. «Ehilà,» l'accolse lui. «Mi porti dei fondi?» «A suo tempo,» replicò, riparandosi il viso dalla neve che cadeva fitta. «Jonny, io... non riesco a capacitarmi di come tua madre è cambiata.» «Vero?» assentì lui, ansimando. «Non lo capisco.» «Neanch'io,» dichiarò il ragazzo. «Non ci sgrida più, ci prepara delle colazioni al bacio...» Lanciò un'occhiata verso casa sua. Dei fiocchi di neve gli si posarono sul viso. «Spero che duri,» concluse, «ma giurerei che no.» La dottoressa Fancher era una donna minuta, sulla cinquantina, che somigliava a un folletto, con ricci corti e brizzolati, un naso a punta, da marionetta, e sorridenti occhi grigio-azzurri. Portava un abito blu scuro, una spilla d'oro su cui era inciso il simbolo cinese Yang-Yin, e una fede matrimoniale. Il suo studio era gaio, con mobili Chippendale e riproduzioni di Paul Klee, tende a righe, semitrasparenti, ad attenuare la luminosità del sole sulla neve di fuori. C'era un divano di pelle marrone con un poggiatesta coperto da una velina, ma Joanna prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania di mogano su cui decine di foglietti ornavano i lati di un portacarte verde. «Sono venuta per consiglio di mio marito,» prese a dire. «Ci siamo trasferiti a Stepford all'inizio di settembre, e io desidero andarmene al più presto. Abbiamo versato un deposito per una casa a East-Bridge, ma solo perché ho insistito io. Lui è convinto che io sia... irrazionale.» Spiegò alla dottoressa Fancher perché voleva andarsene : parlò delle donne di Stepford, e di come Charmaine prima e Bobbie poi si erano tra-
sformate diventando come le altre. «È mai stata a Stepford?» «Solo una volta,» rispose la dottoressa. «Mi avevano detto che valeva la pena di una visita, ed è vero. Ho anche sentito dire che è una comunità molto chiusa e asociale.» «E lo è, mi creda.» La dottoressa Fancher sapeva di quella città del Texas con un tasso minimo di criminalità. «A quanto pare era dovuto al litio,» disse. «C'era un articolo in proposito su una rivista.» «Bobbie e io abbiamo scritto al Dipartimento Igiene e Sanità,» raccontò Joanna. «Ci hanno risposto che a Stepford non c'era nulla che potesse dare effetti di qualsiasi genere. Probabilmente ci hanno preso per due suonate. Anzi, allora io pensavo che Bobbie... fosse un po' eccessiva nelle sue preoccupazioni. L'ho aiutata a compilare la lettera solo perché lei me l'aveva chiesto...» Abbassò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate e le sfregò l'una contro l'altra. La dottoressa Fancher rimase in silenzio. «Ho cominciato a sospettare...» riprese Joanna. «Oddio, "sospettare"... sembra talmente...» Si tormentò ancora le mani, fissandole. La dottoressa l'incoraggiò : «Cosa ha cominciato a sospettare?» Joanna sciolse le mani e se le passò sulla gonna. «Ho cominciato a sospettare che ci siano gli uomini dietro questa storia.» Alzò gli occhi verso la dottoressa Fancher. Questa non sorrise, non parve sorpresa. «Quali uomini?» Joanna si guardò di nuovo le mani. «Mio marito, il marito di Bobbie, di Charmaine.» Guardò la dottoressa. «Tutti,» concluse. Raccontò dell'Associazione Maschile. «Una sera, un paio di mesi fa, stavo facendo delle fotografie in centro ; la sede dell'Associazione è sulla collina, più in alto. Le finestre erano aperte e c'era... un odore particolare nell'aria. Di medicinali, o prodotti chimici. E poi le veneziane sono state abbassate, forse perché hanno saputo che io ero là; il poliziotto mi aveva vista e si era fermato a parlare.» Si protese in avanti. «Lungo la Strada Nove ci sono parecchi impianti industriali molto moderni,» spiegò, «e parecchi degli alti dirigenti abitano a Stepford e appartengono all'Associazione Maschile. Si ritrovano tutte le sere per qualcosa, e non credo si tratti semplicemente di mettere insieme giocattoli per i bambini poveri, o di giocare a biliardo o a poker. C'è la AmeriChemWillis, e la Stevenson Biochemical. Magari stanno... studiando qualcosa, lassù, nella sede dell'Associazione Maschile, di cui il Dipartimento Igiene
e Sanità non sa nulla...» Si riappoggiò allo schienale, strofinando di nuovo le mani contro la gonna, senza guardare la dottoressa Fancher. Questa le fece delle domande circa la sua famiglia e l'interesse per la fotografia, gli impieghi che aveva avuto, e su Walter, Pete e Kim. «Tutti i trasferimenti sono traumatici, in una certa misura,» osservò l'analista. «E soprattutto il passaggio dalla città alla provincia, per una donna che non si sente completamente realizzata nel ruolo di donna di casa. Può diventare qualcosa di molto simile all'essere spediti in Siberia.» Sorrise a Joanna. «E il periodo natalizio non è certo un aiuto, tende anzi ad aggravare le tensioni, per tutti. Ho spesso pensato che almeno un anno dovremmo concederci un'autentica vacanza e lasciar perdere tutta la faccenda.» Joanna ebbe un sorriso. La dottoressa Fancher si piegò in avanti e congiunse le mani con i gomiti appoggiati allo scrittoio. «Posso capire che non si senta soddisfatta in una comunità di donne concentrate prevalentemente sulle attività casalinghe,» proseguì. «Non lo sarei neanch'io, come nessuna donna che abbia anche altri interessi. Ma mi domando, e immagino se lo domandi anche suo marito, se si sentirebbe soddisfatta a East-Bridge, o in qualsiasi altro centro, in questo particolare momento.» «Credo di sì,» affermò Joanna. La dottoressa Fancher si guardò le mani, intrecciando le dita. Poi alzò gli occhi verso Joanna. «Il carattere di un centro si forma gradualmente,» riprese, «man mano che si chiariscono le scelte operate di chi va ad abitarci. Parecchi anni fa qui a Sheffield sono arrivati alcuni artisti e scrittori; altri li hanno seguiti, e quelli che trovavano Sheffield troppo bohémienne se ne sono andati. Adesso è una cittadina di artisti e scrittori; non esclusivamente, si intende, ma abbastanza da differenziarla da Norwood e Kimball. Sono certa che Stepford si è formato il proprio carattere nello stesso modo. E questo mi sembra molto più verosimile dell'idea che gli uomini si siano messi in combutta per fare un lavaggio chimico del cervello alle donne. E crede che ci riuscirebbero davvero? Potrebbero neutralizzarle con tranquillanti, sì, ma non direi che queste donne sono poi tanto tranquille: sono molto attive e industriose nell'ambito ristretto dei loro interessi. Sarebbe davvero un'impresa, anche per i ricercatori chimici più avanzati.» «Mi rendo conto che sembra...» mormorò Joanna sfregandosi una tempia. «Sembra,» disse la dottoressa Fancher, «l'idea di una donna che come molte donne di oggi nutre, e con buone ragioni, profondi risentimenti e so-
spetti nei confronti degli uomini. Una donna che si sente divisa tra due esigenze in conflitto, e magari più violentemente di quanto sia consapevole: da una parte le vecchie convenzioni, e dall'altra le nuove convenzioni della donna emancipata.» Joanna scosse la testa. «Se lei solo potesse vedere come sono le donne di Stepford. Sembrano attricette di caroselli televisivi, dalla prima all'ultima. No, non è esatto. Sono... sono come...» Si protese in avanti. «Hanno trasmesso un programma; quattro o cinque settimane fa,» raccontò. «I miei bambini stavano guardandolo. C'erano le figure di tutti i presidenti, che si muovevano e mutavano espressione. Abraham Lincoln si è alzato e ha pronunciato il discorso di Gettysburg; sembrava talmente reale che...» Si irrigidì. La dottoressa Fancher attese un istante, poi annuì. «Piuttosto che costringere la sua famiglia a un' immediato trasferimento,» consigliò, «penso che dovrebbe prendere in con...» «Disneyland,» mormorò Joanna. «Il programma era trasmesso da Disneyland...» La dottoressa sorrise. «So di che si tratta. I miei nipotini ci sono andati l'estate scorsa. Mi hanno raccontato di avere "conosciuto" Lincoln.» Joanna volse la testa, fissando nel vuoto. «Credo che dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di qualche seduta,» riprese la dottoressa Fancher, «per chiarire e valutare le sue reazioni. E dopo potrà prendere la decisione più opportuna: se trasferirsi a East-Bridge, o tornare in città; o magari Stepford potrebbe addirittura risultarle meno opprimente.» Joanna si volse a guardarla. «Vuole rifletterci per un paio di giorni, e poi telefonarmi?» propose la dottoressa Fancher. «Sono sicura di poterla aiutare. Vale certo la pena di qualche ora di analisi, non le pare?» Joanna, sempre immobile, annuì. La dottoressa Fancher prese una penna e scribacchiò qualcosa sul ricettario. «Nel frattempo questo l'aiuterà,» spiegò, mentre scriveva. «È un blando tranquillante. Può prenderne tre al giorno.» Staccò il foglietto e lo porse a Joanna con un sorriso. «Non le farà nascere la passione per i lavori di casa,» la rassicurò. Joanna prese la ricetta. La dottoressa Fancher si alzò. «Nella settimana di Natale sarò via,» dis-
se, «ma potremmo iniziare verso il tre di gennaio. Mi telefoni lunedì o martedì, e mi faccia sapere quel che ha deciso, d'accordo?» Joanna assentì. La dottoressa Fancher sorrise. «Non è una situazione catastrofica,» disse. «Davvero, credo proprio di poterla aiutare.» Le tese la mano. Joanna gliela strinse e uscì. La Biblioteca era affollata. La signorina Austrian le spiegò che si trovavano giù nello scantinato. Porta a sinistra, ultimo scaffale in basso. Li rimetta a posto nell'ordine. Non fumi. Spenga le luci. Lei scese i gradini stretti e ripidi, passando la mano contro la parete. Non c'era ringhiera. La porta a sinistra. All'interno trovò l'interruttore. Il palpito della luce al neon le ferì gli occhi; odore di carta vecchia; il ronzio di un motore, che saliva di tono. La stanza era angusta, con il soffitto basso. Pareti di riviste allineate su scaffali racchiudevano un tavolo da lettura e quattro sedie da cucina, metallo cromato e plastica rossa. Grossi volumi rilegati di marrone, distesi, in pile di sei, dall'ultimo scaffale in basso, sporgevano tutt'attorno. Posò la borsetta sul tavolo, si tolse il cappotto e lo ripiegò su una sedia. Iniziò da cinque anni prima, sfogliando all'indietro una raccolta di sei mesi. DUE ASSOCIAZIONI SI FONDONO. La proposta fusione dell'Associazione Civica e dell'Associazione Maschile di Stepford è stata approvata dai membri delle due organizzazioni e si farà entro qualche settimana. Thomas C. Miller e Dale Coba, i rispettivi presidenti... Riprese a sfogliare all'indietro, attraverso partite di serie B e nevicate eccezionali, furti, incidenti d'auto, controversie scolastiche. CIRCOLO FEMMINILE SOSPENDE LE RIUNIONI. Il Circolo Femminile di Stepford interromperà le sue riunioni bisettimanali per la scarsa presenza delle socie, come ha spiegato la signora Richard Ockrey, che solo due mesi fa ha assunto la presidenza del Circolo, in seguito alle dimissioni della signora Alan Hollingsworth, che l'aveva preceduta in questa carica. «È solo una pausa temporanea,» ha aggiunto la signora Ockrey, nella sua abitazione di Fox Hollow Lane. «Stiamo progettando un'intensa campagna per le iscrizioni e una ripresa delle riunioni per l'inizio della primavera...»
Ma cosa mi dice, signora Ockrey. Sfogliò ancora all'indietro: pubblicità di vecchi film e di generi alimentari a basso prezzo, un incendio alla chiesa metodista e l'inaugurazione dell'impianto inceneritore. ASSOCIAZIONE MASCHILE ACQUISTA VILLA TERHUNE. Dale Coba, presidente della... Una modifica al piano regolatore, un furto alla CompuTech. Rimise a posto anche il volume dei sei mesi precedenti. Sedette e passò a quello dell'anno prima ancora. LA LEGA DELLE ELETTRICI RISCHIA DI ESTINGUERSI. Be', che c'è di strano? A meno che alla decimazione delle iscrizioni, verificatasi negli ultimi tempi, non faccia seguito un processo inverso, la Lega delle Elettrici di Stepford potrebbe essere costretta a interrompere la sua attività. È quanto afferma la nuova presidentessa della Lega, la signora Theodore Van Sant di Fairview Lane...» Carol? Indietro, indietro. Una siccità scongiurata; una siccità si aggrava. L'ASSOCIAZIONE MASCHILE RIELEGGE DALE COBA. Dale Coba di Anvil Road è stato per la seconda volta e all'unanimità eletto alla presidenza, carica biennale, della sempre più estesa... Indietro di tre anni, dunque. Saltò tre volumi. Una rapina, un incendio, una vendita di beneficenza, una nevicata. Sfogliava le pagine con una mano, le voltava con l'altra : in fretta, in fretta. SI È COSTITUITA L'ASSOCIAZIONE MASCHILE. Un gruppetto di abitanti di Stepford che, dopo avere eseguito dei lavori di restauro nel magazzino abbandonato di Switzer Lane, da più di un anno se ne servono come luogo di riunione, hanno fondato l'Associazione Maschile di Stepford e saranno lieti di accogliere nuovi soci. Presidente dell'organizzazione è stato eletto Dale Coba, di Anvil Road, mentre Duane T. Andersen di Switzer Lane è vice presidente, e Robert Sumner Jr. di Gwendolyn Lane ha la carica di segretario-tesoriere. L'associazione, ha spiegato il signor Coba, vuole semplicemente «essere un punto di incontro per qualche partita a poker, per scambiare quattro chiacchiere e mettere in comune informazioni su attività e hobby». La famiglia Coba sembra particolarmente
dotata di spirito di iniziativa: la signora Coba è stata tra le fondatrici del Circolo Femminile di Stepford, anche se ultimamente ne è uscita, come la signora Anderson e la signora Sumner. Altri membri dell'Associazione Maschile di Stepford sono Claude Axhelm, Peter J. Duwicki, Frank Ferretti, Steven Margolies, Ike Mazzard, Frank Roddenberry, James J. Scofield, Herbert Sundersen, e Martin I. Weiner. Chi desidera ulteriori informazioni può... Saltò altri due volumi e cominciò a voltare all'indietro un numero per volta, esaminando la rubrica «Chi c'è di nuovo in città» nella sua finestrella a pagina due. ... Il signor Ferretti, ingegnere, lavora nel reparto elaborazione di sistemi della CompuTech Corporation. ...Il signor Sumner, che ha ottenuto diversi brevetti nel campo delle materie coloranti e plastiche, è di recente entrato nella AmeriChem-Willis Corporation, dove fa ricerche sui polivinilici. Passava in rassegna una rubrica dopo l'altra, fermandosi solo quando si imbatteva in un nome noto, passando subito alla fine dell'articoletto, convincendosi che aveva visto giusto, aveva proprio visto giusto. ...Il signor Duwicki, Wick per gli amici, opera nel reparto microcircuiti della Instatron Corporation. ...Il signor Weiner è nella divisione Registrazioni Sonore della Instatron Corporation. ...Il signor Margolies lavora presso la Reed & Saunders, che produce stabilizzatori, e il cui nuovo impianto sulla Strada Nove entrerà in funzione la settimana prossima. Rimise a posto quei volumi e ne prese altri lasciandoli cadere pesantemente sul tavolo. ...Il signor Roddenberry è condirettore del reparto elaborazione di sistemi della CompuTech Corporation. ...Il signor Sundersen studia apparecchi a cellula fotoelettrica per la Ulitz Inc. E finalmente lo trovò. Lo lesse da cima a fondo. Sono venuti ad abitare in Anvil Road il signore e la signora Dale Coba, con i figli Dale Jr., di quattro anni, e Darren, di due. I Coba si sono trasferiti qui da Anaheim, California, dove avevano abitato per sei anni. «Finora questa zona ci piace,» ha detto la signora Coba. «Non so come andranno le cose in inverno. Non siamo abituati al clima freddo.»
Il signore e la signora Coba hanno frequentato la UCLA e dopo la laurea il signor Coba ha seguito un corso di specializzazione al California Institute of Technology. Negli ultimi sei anni ha lavorato nella sezione «audioanimatronica» a Disneyland, partecipando alla costruzione delle figure animate e parlanti dei vari presidenti, già presentate nel numero di agosto del «National Geographic». I suoi hobby sono la caccia e il pianoforte. La signora Coba, laureata in lingue, dedica il tempo libero alla traduzione del classico norvegese, Le Figlie del Comandante. L'attuale attività del signor Coba sarà probabilmente meno impegnativa del suo lavoro a Disneyland: è entrato nel reparto ricerche e sviluppo della Burnham-Massey-Microtech. Joanna ebbe una risatina. Ricerche e sviluppo! E probabilmente meno impegnativa! Rise e continuò a ridere. Non riusciva a smettere. Non voleva smettere! Sempre ridendo si alzò; continuava a fissare quelle righe ben incolonnate nella finestrella del «Chi c'è di nuovo in città». PROBABILMENTE meno impegnativa! Gran Dio del Cielo! Richiuse il massiccio volume marrone, ridendo, lo sollevò insieme a quello che stava sotto e li ricacciò al loro posto sullo scaffale. «Signora Eberhart?» Era la signorina Austrian, da sopra. «Sono le sei meno cinque. Chiudiamo.» Piantala di ridere, per l'amor del cielo. «Ho finito!» gridò di rimando. «Sto mettendoli via!» «Attenta a rimetterli nell'ordine giusto.» «Stia tranquilla!» la rassicurò. «E spenga le luci!» «Jawohl!» Rimise a posto tutti i volumi, nell'ordine giusto, più o meno. «Oh Dio del Cielo!» mormorò con un risolino. «Probabilmente!» Afferrò cappotto e borsetta, spense le luci e salì la scaletta, sempre ridacchiando, verso la signorina Austrian che l'osservava incuriosita. Comprensibile. «Ha trovato quel che cercava?» le domandò la bibliotecaria. «Oh, sì,» rispose, inghiottendo le risa. «Grazie infinite. Siete una fonte di sapere, lei e la biblioteca! Grazie. Buona sera.» «Buona sera,» ricambiò la signorina Austrian.
Attraversò la strada diretta alla farmacia : Dio, se aveva bisogno di quel tranquillante! Anche la farmacia stava chiudendo: metà delle luci erano spente, e dentro c'erano solo i Cornell. Consegnò la ricetta al signor Cornell che la lesse e annuì : «Posso darglielo subito.» Passò nel retro. Lei rimase a guardare i pettini allineati su un sostegno. Ci fu un tintinnio di vetro alle sue spalle e si volse. La signora Cornell era vicino alla parete, dietro il banco laterale, fuori della zona illuminata del locale. Ripassava qualcosa con uno straccio, puliva anche il ripiano e vi posava di nuovo l'oggetto, facendo tintinnare il vetro. Era alta, bionda, gambe lunghe e seno colmo, graziosa come... oh, diciamo una ragazza di Ike Mazzard. Prese qualcos'altro dallo scaffale, lo strofinò, strofinò il ripiano, e vi rimise l'oggetto, con un tintinnio di vetro; e prese qualcos'altro dallo scaffale... «Salve,» disse Joanna. La signora Cornell volse la testa. «Signora Eberhart,» là salutò con un sorriso. «Salve. Come sta?» «Ottimamente,» replicò Joanna. «In grandissima forma. E lei?» «Molto bene, grazie,» rispose. Ripassò quel che aveva in mano, sfregò lo scaffale e tornò a deporvi l'oggetto, con un tintinnio di vetro; e prese qualcos'altro dallo scaffale, lo strofinò... «È molto meticolosa,» osservò Joanna. «Solo una spolveratina,» disse la signora Cornell, strofinando il ripiano. Una macchina per scrivere ticchettò nel retro. Joanna riprese : «Conosce il Discorso di Gettysburg?» «Temo di no,» mormorò la signora Cornell, strofinando qualcosa. «Oh, non mi dica,» insisté Joanna. «Tutti lo conoscono. "Ottantasette anni addietro..."» «Quello sì ma, non il resto,» spiegò la signora Cornell. Depose l'oggetto sul ripiano, con un tintinnio di vetro, prese qualcos'altro dallo scaffale e lo strofinò. «Oh, be', non è indispensabile. E conosce: "Tre pulcini andando a spasso incontrarono la volpe"?» «Sicuro,» disse la signora Cornell strofinando il ripiano. «Lo metto in conto?» domandò il signor Cornell. Joanna si volse. Lui le tese un flaconcino dal tappo bianco. «Sì,» e lo prese. «Posso avere un po' d'acqua? Vorrei prenderne una adesso.»
Lui annuì e tornò nel retro. Là in piedi, con il flaconcino in mano, cominciò a tremare. Un tintinnio di vetro alle sue spalle. Svitò il tappo del flaconcino e tolse il batuffolo di cotone. Compresse bianche all'interno: ne fece cadere una sul palmo della mano, tremando ; rimise il cotone e riavvitò il tappo. Tintinnio di vetro alle sue spalle. Il signor Cornell tornò con un bicchiere d'acqua. «Grazie», e Joanna lo prese. Si posò la compressa sulla lingua, bevve un sorso e inghiottì. Il signor Cornell stava scribacchiando su un blocchetto di carta. La sommità della sua testa era pelle bianchiccia, come un qualcosa scoperto sotto un masso, una lumaca, con rade ciocche di capelli appiccicate a riporto. Joanna bevve l'acqua che restava, depose il bicchiere e infilò il flaconcino nella borsetta. Tintinnio di vetro alle sue spalle. Il signor Cornell girò verso di lei il blocchetto offrendole la penna, con un sorriso. Era brutto; occhietti porcini, senza mento. Prese la penna. «Ha una bella moglie,» osservò, firmando il foglio. «Graziosa, servizievole, sottomessa al suo signore e padrone; lei è un uomo fortunato.» Gli restituì la penna. Lui la prese, roseo in volto. «Lo so,» annuì, gli occhi bassi. «Questa è una città piena di uomini fortunati,» riprese lei. «Buona sera.» «Buona sera,» rispose lui. «Buona sera,» disse la signora Cornell. «Torni presto.» Lei uscì sulla strada con tutte le sue luci natalizie. Alcune auto passavano sollevando brevi spruzzi di fanghiglia. Le finestre dell'Associazione Maschile erano illuminate, come quelle di altre case, più in alto. In alcune si scorgevano luccichii rossi, verdi e arancio. Aspirò a fondo l'aria notturna, superò un cumulo di neve affondandovi con gli stivali e attraversò la strada. Si diresse verso il presepe illuminato dai riflettori e si fermò a guardarlo: Maria, Giuseppe e il Bambino, e agnelli e vitellini intorno. Tutto molto realistico, anche se con una sfumatura disneyana. «Anche voi parlate?» chiese a Maria e a Giuseppe. Nessuna risposta; si limitarono a mantenere il loro sorriso. Rimase là, ferma, per qualche istante: non tremava più ; poi tornò verso la biblioteca. Salì in auto, avviò il motore e accese le luci; eseguì una conversione, su-
però il presepe e imboccò la salita verso la collina. La porta venne aperta mentre lei risaliva il sentiero, e Walter domandò: «Dove sei stata?» Batté gli stivali contro lo stipite. «Alla biblioteca.» «Perché non hai telefonato? Temevo che avessi avuto un incidente, con questa neve...» «Le strade sono sgombre,» replicò lei, sfregando gli stivali contro lo stuoino. «Avresti potuto avvertire, in fondo. Sono le sei passate.» Lei entrò. Lui chiuse la porta. Posò la borsetta sulla sedia e cominciò a sfilarsi i guanti. «Com'era la dottoressa?» chiese Walter. «Molto simpatica. Comprensiva.» «Cos'ha detto?» Infilò i guanti nelle tasche e cominciò a sbottonarsi il cappotto. «Pensa che abbia bisogno di qualche seduta. Per chiarirmi le idee prima di decidere per il trasferimento. Sono "divisa tra due esigenze in conflitto".» Si tolse il soprabito. «Be', sembra un consiglio molto ragionevole. A me, almeno. Che cosa te ne pare?» Lei guardò il cappotto, che reggeva per l'asola dietro il bavero, poi lo lasciò cadere sulla sedia, sopra la borsetta. Aveva le mani gelate ; se le strofinò, fissandole. Alzò lo sguardo su Walter, che la scrutava, la testa leggermente inclinata. La barba un po' lunga dava un aspetto ruvido alle sue guance, rendendo più scura la fossetta al mento. Il viso era più carnoso di quanto ricordasse: stava aumentando di peso e sotto i suoi meravigliosi occhi azzurri cominciavano a formarsi delle borse pesanti. Quanti anni aveva, adesso? Sarebbero stati quaranta, al tre di marzo. «A me,» dichiarò, «sembra un errore, un grosso errore.» Abbassò le mani lisciandosi la gonna sui fianchi. «Porto Pete e Kim con me, in città,» annunciò. «A casa di Shep e...» «Per quale motivo?» «... Sylvia, o in un albergo. Ti chiamerò tra un paio di giorni. O ti farò telefonare da qualcuno. Da un avvocato.» La guardò, sbalordito : «Ma che cosa diavolo stai dicendo?» «Adesso so,» replicò lei. «Ho letto i vecchi numeri del "Chronicle". So
cosa faceva un tempo Dale Coba, e so cosa fa adesso, lui e tutti quegli altri... geni della CompuTech Instatron.» Walter la fissò battendo le palpebre. «Non capisco di che cosa parli.» «Oh, finiscila.» Gli volse le spalle e attraversò il vestibolo diretta in cucina, dove accese le luci. Il tinello, al di là dell'apertura nel divisorio, era buio. Si volse. Walter era immobile sulla soglia. «Non ho la più pallida idea di quel che stai dicendo.» Lo oltrepassò, decisa. «Piantala con le bugie. Mi hai sempre mentito, fin da quando ho scattato la mia prima foto.» Si volse avviandosi su per le scale. «Pete!» chiamò. «Kim!» «Non ci sono.» Lo fissò, al di sopra della ringhiera, mentre lui si accostava. «Quando ho visto che non arrivavi,» spiegò Walter, «ho pensato che fosse meglio mandarli altrove. Nel caso fosse successo qualcosa.» Joanna si girò, guardandolo fisso. «Dove sono?» volle sapere. «Da amici. Stanno bene.» «Quali amici?» Lui si portò ai piedi delle scale. «Sono ben sistemati,» assicurò. Lei gli si mise di fronte, cercando la ringhiera e afferrandovisi. «Il nostro weekend a due?» «Secondo me dovresti stenderti sul letto per un po'.» Walter poggiò una mano contro la parete e l'altra sulla ringhiera. «Stai dicendo delle assurdità, Joanna,» riprese. «Ma guarda a chi vai a pensare, a Dis; e poi, cosa c'entra lui? E perché dici che ti ho sempre mentito?» «Che cos'hai fatto?» domandò lei. «Hai sollecitato l'ordinazione? Per questo eravate tanto indaffarati i giorni scorsi? Giocattoli di Natale, che razza di balla! E tu cosa facevi, controllavi le misure?» «Non so proprio...» «Il fantoccio!» esplose lei. Si piegò verso Walter, sostenendosi alla ringhiera. «Il robot! Oh, sei molto bravo: avvocato colto di sorpresa da elementi imprevisti. Sei proprio sprecato con i lavoretti amministrativi: sei nato per i grandi processi. Quanto costa, me lo vuoi dire? Muoio dalla voglia di saperlo. Qual è il prezzo di mercato per una moglie tutta casa e figli, con delle gran tette e nessuna pretesa? Un patrimonio, ci giurerei. O la forniscono a un prezzo stracciato, nell'ideale della santa e amata Associazione Maschile? E dove finiscono gli originali? Nell'inceneritore? Nello stagno di Stepford?» La fissò, le braccia allargate tra muro e ringhiera. «Vai di sopra e sdraiati
sul letto,» ordinò. «Io me ne vado.» Lui scosse la testa. «No. Non te lo permetto, visto come farnetichi. Vai in camera e riposati.» Joanna scese di un gradino. «Non ho intenzione di restare qui per farmi...» «Tu non esci. Adesso vai su e ti riposi. Quando sarai più calma... cercheremo di parlare in modo ragionevole.» Guardò Walter, là in piedi, una mano contro la parete e l'altra sulla ringhiera, guardò il proprio cappotto sulla sedia; si volse e salì in fretta la scala. Entrò in camera da letto, chiuse la porta a chiave e accese le luci. Si diresse al cassettone, aprì un tiretto e ne prese un pesante maglione bianco, lo sollevò scuotendolo per dispiegarlo, infilò le braccia nelle maniche, poi fece sbucare la testa dal colletto alto e liberò i capelli. La maniglia della porta venne abbassata, poi qualche colpetto. «Joanna?» «Vattene,» si tirò giù il maglione. «Sto riposando. Come mi hai detto tu.» «Lasciami entrare un momento.» Guardò la porta, senza dire nulla. «Joanna, apri.» «Più tardi. Desidero restare sola, per un po'.» Restò dov'era, immobile, fissando la porta. «Va bene. Più tardi allora.» Rimase in ascolto : silenzio. Si rivolse di nuovo al cassettone, aprì il primo tiretto, frugò tra la roba e trovò un paio di guanti bianchi. Ne infilò uno, poi l'altro, e poi tirò fuori una lunga sciarpa a righe e se l'avvolse attorno al collo. Si accostò alla porta e tese l'orecchio, spegnendo le luci. Andò alla finestra e alzò la veneziana. La luce del viottolo era accesa. Il soggiorno dei Claybrook era illuminato ma deserto ; le finestre al piano superiore buie. Sollevò pian piano il telaio della finestra a ghigliottina. Al di là c'erano i doppi vetri. Si era dimenticata di quella maledetta controfinestra. Provò a spingerne la parte inferiore. Era bloccata, non si mosse. Diede una botta con il pugno, di lato, e provò di nuovo a spingere con tutt'e due le mani. Cedette scivolando in fuori di una spanna : impossibile di più. Le sbarrette laterali, pieghevoli, erano tese al massimo. Avrebbe dovuto
schiodarle dal telaio. Una luce si irradiò sulla neve, sotto di lei. Walter era nello studio. Si raddrizzò, in ascolto; un ronzio sommesso veniva dal telefono sul comodino, dietro di sé; e ancora, di nuovo, lungo, breve, lungo. Walter stava formando un numero sull'apparecchio dello studio. Chiamava Coba per dirgli che lei era in casa. Avanti secondo i piani. Tutti i sistemi sono buoni. Lentamente, in punta di piedi, si accostò alla porta, tese l'orecchio, girò la chiave e socchiuse il battente, poggiandovi contro una mano. Il fucile spaziale di Pete era a terra vicino alla soglia della sua stanza. La voce di Walter giungeva in un mormorio smorzato. Sempre in punta di piedi raggiunse la scala e lentamente, silenziosamente, addossata alla parete, tenendo d'occhio, attraverso i sostegni della ringhiera, l'angolo della porta dello studio, giù in basso. «... non sono sicuro di farcela da solo...» Puoi scommetterci l'anima, signor avvocato. Ma la sedia accanto alla porta d'ingresso era vuota: cappotto e borsetta (chiavi dell'auto, portafoglio) scomparsi. Comunque era sempre meglio che uscire dalla finestra. Giunse nel vestibolo. Lui parlava in tono tranquillo. Cercare la borsetta? Nello studio Walter si mosse e lei si infilò nel soggiorno, la schiena contro la parete. I passi di lui arrivarono nell'ingresso, si avvicinarono, si fermarono. Lei trattenne il respiro. Una serie di brevi fischi tra i denti: il suo solito vediamo-un-po' prima di affrontare compiti impegnativi: montare i doppi vetri, aggiustare un triciclo. (Uccidere una moglie? O era Coba, il cacciatore, ad assumersi questa incombenza?) Chiuse gli occhi e cercò di svuotare la mente, nel timore che i suoi pensieri potessero in qualche modo giungergli. I passi di lui si avviarono su per la scala, lenti. Riaprì gli occhi e buttò fuori il fiato, poco alla volta, aspettando che lui arrivasse più in alto. Attraversò il soggiorno, rapida e silenziosa, aggirando le poltrone, il tavolino ; aprì la porta che dava sul patio, quindi la doppia porta e la spinse lottando contro uno zoccolo di neve trasportato dal vento. Sgusciò fuori e corse nella neve, corse a precipizio, con il cuore che le martellava dentro ; si lanciò verso gli oscuri tronchi d'albero lungo la diste-
sa di neve segnata dalla slitta e dagli scarponi di Pete e Kim ; corse e corse, e si afferrò a un tronco e se ne spinse via, e arrancò, incespicò, brancolò tra alberi e alberi. Arrancava, incespicava, brancolava tenendosi al centro della lunga fascia di piante che separava le case di Fairview da quelle di Harvest. Doveva arrivare alla casa di Ruthanne. Ruthanne le avrebbe prestato del denaro e un cappotto, le avrebbe permesso di chiamare un taxi da EastBridge, o qualcuno in città: Shep, Doris, Andreas, qualcuno con un'auto, che venisse a prenderla. Per Pete e Kim non c'era da preoccuparsi : di questo doveva essere convinta. Sarebbero stati benissimo, e poi lei, raggiunta la città, a contatto con gente, si sarebbe rivolta a un avvocato e avrebbe ottenuto che Walter glieli restituisse. Probabilmente erano curati meravigliosamente da Bobbie o Carol o Mary Ann Stavros... cioè, dalle cose che rispondevano a questi nomi. E bisognava avvertire Ruthanne. Magari avrebbero potuto andarsene insieme, anche se Ruthanne aveva ancora tempo. Arrivò al termine della fascia di alberi, si accertò che non stessero arrivando auto e attraversò di corsa Winter Hill Drive; abeti carichi di neve fiancheggiavano il lato opposto della strada; riprese la corsa tenendosi dietro quel riparo, le braccia strette al petto, le mani, nei guanti leggeri, cacciate sotto le ascelle. Gwendolyn Lane, dove abitava Ruthanne, era nei paraggi di Short Ridge Hill, oltre la casa di Bobbie ; ci sarebbe voluta quasi un'ora per arrivarci. Anzi, di più, con il terreno coperto di neve e l'oscurità. E non osava chiedere un passaggio perché qualsiasi auto poteva essere Walter, e lei se ne sarebbe accorta solo troppo tardi. E non solo Walter, si rese conto d'un tratto. Dovevano essere tutti fuori a cercarla, a perlustrare le strade con fari e riflettori. Come potevano permetterle di svignarsela e parlare? Ogni uomo era una minaccia, ogni auto un pericolo. Avrebbe dovuto accertarsi che il marito di Ruthanne non fosse in casa, prima di suonare il campanello; sbirciare attraverso i vetri. Oh Dio, avrebbe trovato modo di sfuggire? Nessuna delle altre c'era riuscita. Ma forse nessuna delle altre aveva tentato. Bobbie no, e neppure Charmaine. Forse lei era stata la prima a capire la situazione in tempo. Sempre che fosse in tempo... Lasciò Winter Hill per imboccare rapida Talcott Lane. Un lampo di fa-
nali e un'auto uscì sulla strada da un vialetto più avanti, sull'altro lato. Si accucciò vicino a un'auto posteggiata e si irrigidì, e il fascio luminoso passò ai suoi piedi e l'oltrepassò. Si alzò a guardare: la macchina avanzava lenta e, come previsto, il raggio di un riflettore tagliava l'oscurità scivolando in sussulti lungo le facciate delle ville e sui prati di neve. Percorse velocemente la Talcott, superando case silenziose, con finestre e porte d'ingresso adorne di luminosi festoni natalizi. In fondo alla Talcott c'era Old Norwood Road, e da là avrebbe dovuto prendere Chimney Road o Hunnicutt. Un cane abbaiò nelle vicinanze, rabbioso; ma i latrati cessarono alle sue spalle quando lei passò oltre di corsa. Il braccio nero di un ramo era abbandonato sulla neve pesta. Vi posò sopra uno stivale, lo ruppe a mezzo e riprese ad andare, serrando nella mano mal riparata la forza di quel legno freddo e umido. Dei fari d'auto illuminarono Pine Tree Lane. Superò a perdifiato il tratto che separava due case, corse sulla neve verso la cupola nevosa di un cespuglio, vi si rannicchiò dietro ansimando, serrando convulsamente il ramo nella mano intirizzita e dolente. Spostò la testa per sbirciare : retro di case, finestre illuminate; da un tetto si alzò una scia di scintille rosse che ondeggiarono per poi morire tra le stelle. I fanali avanzarono oscillando dal sentiero tra due villette, e lei si ritrasse dietro il cespuglio. Si sfregò un ginocchio velato dal nailon, scaldando l'altro nella piega del gomito. Una debole luce avanzò sulla neve verso di lei e dei puntini luminosi scivolarono sopra la gonna e la mano guantata. Attese, attese ancora, e si avventurò a guardare. Una nera sagoma maschile si dirigeva verso le case, seguendo un cerchio di neve illuminata. Aspettò che l'uomo fosse scomparso, poi schizzò rapida verso la strada successiva. Hickory Lane? Switzer? Non sapeva bene, ma tutt'e due portavano in direzione di Short Ridge Road. Aveva i piedi intorpiditi, nonostante gli stivali foderati. Una luce riverberò accecante e lei spiccò la corsa tornando indietro. Più avanti un'altra luce mosse verso di lei che si gettò di lato per risalire un vialetto sgombro dalla neve, superare il fianco di una rimessa e precipitarsi poi giù per un lungo declivio innevato. Scivolò, cadde, si rimise in piedi
brancolando, sempre aggrappata a quel pezzo di ramo. Le luci venivano verso di lei, a sobbalzi: si lanciò lungo la neve intatta. Una luce le fu puntata contro. Si volse a guardare la neve che non offriva riparo, tornò a voltarsi e rimase dov'era, ansimando. «Andatevene!» gridò alle luci che avanzavano tentennando verso di lei, due da una parte, una dall'altra. Sollevò il ramo. «Andatevene!» I fanali continuarono ad avanzare, rallentarono e si fermarono: chiarore abbagliante. «Andatevene!» urlò, riparandosi gli occhi. Le luci diminuirono. «Spegni. Non vogliamo farle del male, signora Eberhart.» «Non abbia paura. Siamo amici di Walter.» Le luci si spensero; lei abbassò la mano. «E anche amici suoi. Io sono Frank Roddenberry. Ci conosciamo.» «Stia tranquilla, nessuno intende farle del male.» Delle sagome più scure dell'oscurità si profilarono davanti a lei. «State lontani,» avvertì, sollevando più alto il ramo. «Ma non è il caso.» «Non vogliamo farle alcun male.» «Allora andatevene,» ribatté. «Sono tutti fuori a cercarla,» disse la voce di Frank Roddenberry. «Walter è preoccupatissimo.» «Lo immagino bene,» replicò lei. Rimasero fermi, quattro o cinque metri più in là : tre uomini. «Non avrebbe dovuto andarsene in giro così, senza cappotto,» osservò uno di loro. «Andatevene,» ripeté. «L-lo m-metta giù,» riprese Frank. Nessuno le farà del male.» «Signora Eberhart, ho parlato al telefono con Walter neanche cinque minuti fa.» Era l'uomo al centro. «Abbiamo saputo dell'idea che si è fatta. Ma sbaglia, signora Eberhart. Mi creda, non è così.» «Nessuno fabbrica robot,» aggiunse Frank. «Deve essere convinta che siamo parecchio più in gamba di quanto siamo in realtà,» continuò quello al centro. «Robot in grado di guidare l'auto? E di cucinare? E di spuntare i capelli ai bambini?» «E con un aspetto così vero che i bambini non se ne accorgono?» rincarò il terzo. Era basso e massiccio. «Deve pensare che siamo una cittadina di geni,» aggiunse quello al centro. «Mi creda, non lo siamo.» «Siete quelli che ci hanno fatto arrivare sulla luna,» replicò lei.
«E chi sarebbe?» ribatté l'altro. «Io no. Frank, tu hai mandato qualcuno sulla luna? Bernie?» «Io no.» Quello piccolo si mise a ridere. «Neanch'io, Wynn,» assicurò. «Che io sappia.» «Secondo me lei ci ha confusi con qualcun altro,» riprese l'uomo al centro. «Leonardo da Vinci o Albert Einstein, magari.» «Ma accidenti,» esclamò il piccoletto, «non noi vogliamo avere dei robot per mogli. Vogliamo donne vere.» «Andatevene e lasciatemi proseguire.» Rimasero fermi, più scuri dell'oscurità. «Joanna,» era la voce di Frank, «se lei avesse ragione e noi fossimo in grado di costruire robot talmente fantastici e simili a noi, non crede che cercheremmo di guadagnarci sopra?» «Giusto,» disse quello al centro. «Saremmo tutti ricchi sfondati con una trovata del genere.» «Forse lo farete,» ribatté lei. «Forse questo è solo l'inizio.» «Oh, mio Dio,» sospirò l'altro, «ha una risposta a tutto. Avrebbe dovuto fare lei l'avvocato, non Walter.» Frank e il piccoletto sbottarono a ridere. «Su, Joanna,» la blandì Frank, «m-metta giù quella m-mazza o quel che è...» «Andatevene e lasciatemi andare!» gridò lei. «Ma non possiamo,» obiettò l'uomo al centro. «Si prenderà una polmonite. O finirà sotto una macchina.» «Sono diretta a casa di un'amica,» rispose lei. «Ci arriverò in pochi minuti. Ci sarei già adesso se voi non... oh Gesù...» Abbassò il ramo e si sfregò il braccio, poi gli occhi e la fronte, percorsa da brividi. «Ci permette di dimostrarle che sbaglia?» riprese quello al centro. «Dopo la riaccompagneremo a casa e potrà rimettersi in sesto.» Guardò quella sagoma buia. «Dimostrare?» ripeté. «La porteremo con noi, alla sede dell'Associazione Maschile...» «Oh no.» «Un attimo solo, mi stia a sentire per piacere. L'accompagneremo alla nostra sede e potrà controllarla da cima a fondo. Sono certo che nessuno avrà da ridire, date le circostanze. E vedrà che non c'è...» «Non intendo mettere piede in...»
«Vedrà che non c'è l'ombra di una fabbrica di robot,» continuò l'altro. «C'è un bar, e una sala da gioco e qualche altro locale, nient'altro. Abbiamo un proiettore e alcuni film di infimo livello: tutto qui il grande mistero.» «E le macchinette automatiche,» aggiunse il piccoletto. «Già, abbiamo anche delle macchinette automatiche.» «Non metterei mai piede là dentro senza una scorta armata,» dichiarò lei. «Di soldatesse.» «Manderemo via tutti,» insisté Frank. «Avrà tutto lo stabile a sua disposizione.» «Non ci vengo.» «Signora Eberhart,» riprese il tipo al centro, «stiamo cercando di essere il più comprensivi possibile in tutta questa faccenda, ma non possiamo restarcene qui a parlamentare in eterno.» «Un momento,» intervenne il piccoletto. «Ho un'idea. Se una di queste signore che lei ritiene robot, se una si facesse un taglietto a un dito, e dal taglietto uscisse del sangue, questo la convincerebbe che si tratta di un essere umano autentico? O sosterrebbe che fabbrichiamo robot con sangue nelle vene?» «Per amor del cielo, Bernie,» intervenne quello al centro, e Frank disse: «Non puoi... domandare a qualcuno di tagliarsi solo per...» «Volete lasciarla rispondere alla domanda, per piacere? Allora, signora Eberhart? Così, si convincerebbe? Se si tagliasse e il dito sanguinasse?» «Bernie...» «Ma lasciate che risponda, maledizione!» Joanna li fissava, immobile. Poi annuì. «Se sanguinasse,» mormorò, «io mi convincerei che è... vera...» «Non chiederemo a nessuno di tagliarsi. Adesso noi andiamo...» «Bobbie sarebbe disposta,» disse lei. «Se è davvero Bobbie. È mia amica. Bobbie Markowe.» «Di Fox Hollow Lane?» domandò il piccoletto. «Sì,» confermò Joanna. «Visto?» esclamò lui. «È a due minuti da qui. Riflettete un momento, per favore. Non dovremo rifare tutta la strada fino in centro; non dovremo costringere la signora Eberhart a recarsi in un posto dove non vuole mettere piede...» Nessuno aprì bocca. «Direi che... n-non è una cattiva idea,» balbettò poi Frank. «Potremmo
spiegare alla signora Markowe...» «Non uscirà sangue,» affermò Joanna. «Sì, invece,» insisté l'uomo al centro. «E allora capirà di avere preso un abbaglio e si lascerà riaccompagnare a casa da Walter senza altre discussioni.» «Se andrà così,» cedette lei, «sì.» «Benissimo,» concluse lui. «Frank, tu corri avanti, guarda se lei c'è e spiegale la cosa. Io adesso lascio la mia torcia elettrica qui a terra, signora Eberhart. Bernie e io ci allontaniamo, lei la raccoglie e ci segue, alla distanza che preferisce. Ma ci tenga la luce addosso in modo che sappiamo che c'è. Le lascio anche il mio cappotto; sento che batte i denti.» Si era sbagliata, adesso lo sapeva. Era in torto, e gelata, e bagnata, e stanca, e affamata e dilaniata da diciotto esigenze in conflitto. Compresa quella di fare pipì. Se fossero stati degli assassini l'avrebbero uccisa subito. Quel ramo non li avrebbe tenuti a bada, tre uomini contro una donna. Sollevò quel pezzo di legno e lo guardò, camminando lentamente, i piedi indolenziti. Lo lasciò cadere. Il guanto era bagnato e sudicio; le dita intirizzite. Le piegò più volte e infilò la mano sotto l'ascella. Reggeva la pesante torcia elettrica il più saldamente possibile. Gli uomini, davanti a lei, procedevano a piccoli passi. Quello piccolo indossava un cappotto marrone e un berretto di pelo ; quello più alto, una camicia verde e pantaloni nocciola infilati in stivali marrone. Aveva i capelli di un biondo rossiccio. Il suo cappotto di pelle di pecora era caldo intorno alle sue spalle. Aveva un odore forte, un buon odore: di animale, di vita. Il dito di Bobbie avrebbe sanguinato. Era una pura coincidenza che Dale Coba avesse lavorato ai robot, a Disneyland ; e che Claude Axhelm giocasse al professor Higgins ; e che Ike Mazzard facesse quei suoi ritrattini così lusinghieri. Pure coincidenze, che lei aveva trasformato in... in follia. Già, in follia. («Non è una situazione catastrofica,» aveva detto con un sorriso la dottoressa Fancher. «Sono sicura di poterla aiutare.») Bobbie avrebbe versato qualche goccia di sangue, e lei sarebbe tornata a casa sua, al calduccio. A casa, da Walter? Quando era cominciata quella sfiducia nei confronti di lui, quella sensazione di vuoto tra loro? Di chi era la colpa?
Il viso di Walter si era appesantito ; come mai non se n'era accorta prima di quel giorno? Era stata troppo occupata a scattare fotografie e a trafficare nella camera oscura? Lunedì avrebbe telefonato alla dottoressa Fancher, sarebbe andata là, a distendersi su quel divano di pelle marrone ; magari avrebbe pianto un poco, e cercato di tornare a essere felice. Gli uomini l'aspettavano all'angolo di Fox Hollow Lane. Si costrinse a camminare più in fretta. Frank aspettava sulla soglia illuminata della casa di Bobbie. Gli uomini parlottarono con lui e si volsero a mezzo mentre lei risaliva lentamente il vialetto. Frank sorrise. «Bobbie ha detto sì senz'altro. Se la cosa può esserle d'aiuto, ne sarà ben lieta.» Lei consegnò la torcia all'uomo con la camicia verde. La faccia larga, legnosa, di lui, dava un'impressione di forza. «Noi aspettiamo qui,» disse, togliendole il cappotto dalle spalle. «Non è il caso che Bobbie...» mormorò lei. «No, vada,» l'incoraggiò. «Altrimenti poi ricominceranno i dubbi.» Frank scese il primo gradino. «È in cucina.» Entrò in casa. Si sentì avvolgere dal tepore. Dal piano di sopra giungeva un frastuono di musica rock. Attraversò il vestibolo, flettendo le dita doloranti. Bobbie l'attendeva in cucina, in pantaloni rossi, e, sopra, un grembiule con una grande margherita. «Ciao, Joanna,» la salutò sorridendo. Bobbie : bellissima e pettoruta. Ma non un robot. «Salve.» Si afferrò allo stipite della porta per sostenersi, e vi appoggiò la tempia. «Mi spiace saperti così sconvolta.» «Mi spiace esserlo,» rispose lei. «Non mi dà fastidio farmi un taglietto a un dito,» disse Bobbie, «se questo ti può tranquillizzare.» Si accostò all'armadio. Si muoveva armoniosa, sicura, aggraziata. Aprì un cassetto. «Bobbie...» cominciò Joanna. Chiuse gli occhi e li riaprì. «Sei davvero Bobbie?» «Ma certo,» disse Bobbie, un coltello in mano. Si diresse al lavandino. «Vieni qui,» disse. «Non puoi vedere, da lì.» La musica rock aumentò il suo strepito. «Che succede di sopra?» do-
mandò Joanna. «Non so,» disse Bobbie. «Dave è su con i ragazzi. Vieni qui. Non puoi vedere.» Il coltello era massiccio, con la lama appuntita. «Ma rischi di tagliarti via tutta la mano con quell'affare,» osservò Joanna. «Farò attenzione,» Bobbie le sorrise. «Vieni.» E le rivolse un cenno, stringendo il coltello. Joanna sollevò la testa dallo stipite e ne staccò la mano. Entrò nella cucina, così tersa e immacolata, così poco somigliante a Bobbie. Si fermò. La musica nel caso che io urli, pensò. Non vuole tagliarsi il dito; vuole... «Vieni,» disse Bobbie, in piedi vicino al lavello, facendole cenno e tenendo il coltello dalla lama aguzza. Non è una situazione catastrofica, dottoressa Fancher? Pensare che siano robot e non donne? Pensare che Bobbie voglia uccidermi? E proprio sicura di potermi aiutare? «In fondo non è necessario,» disse a Bobbie. «Ti sentirai più tranquilla.» «Dopo Capodanno comincerò ad andare da un analista. Quello sì che mi farà sentire più tranquilla. Almeno lo spero.» «Vieni. Gli uomini stanno aspettando.» Joanna fece qualche passo, verso Bobbie in piedi accanto al lavandino con il coltello in mano, così vera a guardarla — pelle, occhi, capelli, mani, il petto che si alzava e si abbassava sotto il grembiule — che non poteva essere un robot, non era possibile, assolutamente, e basta. Gli uomini erano fermi sulla soglia, le mani affondate nelle tasche, il fiato che usciva in nuvolette di vapore. Frank seguiva con i fianchi il ritmo della musica a tutto volume. «Come mai ci mette tanto?» domandò Bernie. Wynn e Frank alzarono le spalle. Uno scroscio di musica rock. Wynn disse : «Vado a telefonare a Walter per dirgli che l'abbiamo trovata.» Ed entrò in casa. «Prendi le chiavi dell'auto di Dave,» gli gridò Frank. 3
Il posteggio del supermercato era zeppo, ma riuscì a trovare una buona sistemazione vicino all'uscita, e quello, oltre al calore del sole e al profumo dolce e umido dell'aria, quando scese dall'auto, diminuì la sua irritazione per dover fare la spesa. Un pochino, almeno. La signorina Austrian veniva verso di lei, zoppicando e aiutandosi con il bastone, dalle porte del supermercato, con un sacchetto di carta in mano e, da non credersi, un sorriso cordiale sul suo volto bianco da Regina di Cuori. Rivolto a lei. «Buon giorno, signora Hendry,» la salutò. Ma guarda un po', il nero è tollerato. «Buon giorno,» rispose. «Questo marzo si sta dimostrando dolce come un agnello, vero?» «Sì,» convenne. «Prometteva di essere un leone a due teste.» La signorina Austrian si fermò guardandola ben bene. «Sono mesi che non viene alla biblioteca. Spero che non ci sia stata sottratta dalla TV.» «Oh no, non sono il tipo,» rispose lei sorridendo. «Ho lavorato.» «Un altro libro?» «Sì.» «Bene. Mi faccia sapere quando verrà pubblicato ; ne ordineremo una copia.» «Senz'altro. E verrò presto. È quasi finito.» «Buona giornata,» le augurò la signorina Austrian con un sorriso, e si allontanò appoggiandosi al bastone. «Grazie, altrettanto.» Be', una copia almeno era venduta. Forse la sua era ipersensibilità. Forse la signorina Austrian era un po' sostenuta anche con i bianchi, finché non abitavano là da qualche mese. Varcò le porte automatiche del supermercato e trovò un carrello vuoto. I corridoi erano la solita processione del sabato mattina. Avanzava in fretta, prendendo quel che le serviva, manovrando il carrello per aggirare gli ostacoli. «Mi scusi. Permesso.» Non si capacitava ancora di quel loro modo languido di fare la spesa, muovendosi placide come se non sudassero mai. Come si fa a essere così bianchi? Ed era lo stesso per il modo in cui riempivano il carrello. Lei poteva fare il giro di tutto il negozio e la spesa completa nel tempo che quelle impiegavano a percorrere un corridoio. Joanna Eberhart stava venendo verso di lei, stupenda in un soprabito azzurro, stretto in vita da una cintura. Aveva una linea magnifica, ed era più graziosa di quanto Ruthanne ricordasse: i capelli neri ricadevano in aggraziate onde lucenti, gettate un po' indietro. Avanzava lentamente, osservan-
do gli scaffali. «Salve, Joanna.» Joanna si fermò e la guardò con occhi castani dalle ciglia folte. «Ruthanne,» le sorrise. «Salve, come va?» Le labbra sinuose erano di un rosso vivo, l'incarnato rosa chiaro, perfetto. «Bene,» rispose Ruthanne, sorridendo. «Non è il caso di chiedere a te come stai: hai un aspetto meraviglioso.» «Grazie. Mi sono curata un po' di più, ultimamente.» «E si vede.» «Scusa se non ti ho telefonato,» disse Joanna. «Oh, non ti preoccupare.» Ruthanne spostò il suo carrello mettendolo di fronte a quello di Joanna in modo che la gente potesse passare. «L'avevo in mente,» disse Joanna, «ma ho avuto tante cose da fare, in casa. Sai com'è.» «Ma certo,» annuì Ruthanne. «Anch'io ho avuto da fare. Ho quasi terminato il mio libro. Mi resta da fare una sola illustrazione a piena pagina e qualcuna piccola.» «Congratulazioni.» «Grazie. E tu che hai fatto? Foto interessanti?» «Oh no, non mi occupo più di fotografia.» «No?» «No. Non ero molto dotata, e sprecavo un sacco di tempo che posso impiegare molto meglio.» Ruthanne la fissò. «Ti telefono, uno di questi giorni, quando avrò sistemato un po' le cose,» Joanna sorrise. «Cosa fai allora, oltre i lavori di casa?» volle sapere Ruthanne. «Niente, davvero,» disse Joanna. «I lavori di casa sono più che sufficienti. Un tempo mi pareva di dover avere altri interessi, ma ora sono più distesa. E molto più soddisfatta, e anche la mia famiglia. È questo che conta, no?» «Già, immagino di sì,» mormorò Ruthanne. Abbassò lo sguardo sui due carrelli : il suo, riempito alla rinfusa, e quello in bell'ordine di Joanna. Scostò il proprio lasciando libero il passaggio all'amica. «Magari potremmo andare a colazione insieme,» propose, osservando Joanna. «Ora che sto per finire il libro.» «Magari, sì. Mi ha fatto piacere rivederti.» «Anche a me.»
Joanna, sorridente, si allontanò... e si fermò, prese un barattolo dallo scaffale, lo guardò, lo sistemò nel carrello, e proseguì. Ruthanne la seguì con lo sguardo, poi si volse prendendo la direzione opposta. Non riusciva a combinare niente. Camminava avanti e indietro nella stanza soffocante; dalla finestra guardò Chickie e Sara che giocavano con le piccole Cohane; sfogliò la pila di illustrazioni finite e non le parvero divertenti e ben disegnate come aveva creduto. Quando finalmente riuscì a mettersi in marcia, con Penny al volante della Bertha P. Moran, erano quasi le cinque. Scese nello studio. Royal era in poltrona, immerso nella lettura di Men in Groups, i piedi, con i soli calzini blu, poggiati sul panchetto. Alzò gli occhi verso di lei. «Finito?» domandò. Si era aggiustato la montatura degli occhiali con del nastro adesivo. «No, maledizione. Ho appena cominciato.» «Come mai?» «No so, c'è qualcosa che mi rende tesa. Senti, mi faresti un favore? Adesso che l'ho avviato vorrei continuare.» «Cena?» chiese lui. Annuì. «Le porteresti alla pizzeria? O al McDonald?» Lui prese la pipa dal tavolino. «Va bene,» acconsentì. «Vorrei finire e non pensarci più,» spiegò lei. «Altrimenti non potrò godermi il prossimo week-end.» Lui depose sulle ginocchia il libro aperto e prese dal tavolo l'accessorio per pulire la pipa. Lei fece per andarsene, poi tornò a guardarlo. «Davvero non ti secca?» Lui rigirò il nettapipa nel fornello. «No certo,» la rassicurò. «Continua pure a lavorare.» Alzò gli occhi verso di lei e le sorrise. «Non mi secca affatto.» FINE