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MINETTE WALTERS LA MORTE HA FREDDO (The Ice House, 1992) Ad Alec «La vendetta è una specie di giustizia selvaggia: più la natura dell'uomo vi ricorre, più la legge dovrebbe estirparla.» FRANCIS BACON «Oh, se qualcuno si desse il potere Di vederci come gli altri ci vedono! Ci toglieremmo un bel peso E qualche grillo dalla testa.» ROBERT BURNS, Ode a un pidocchio Southern Evening Herald — 23 marzo UN CASO SEMPRE PIÙ COMPLESSO Le ricerche presso gli aeroporti, i porti e i terminal dei traghetti per ritrovare l'uomo d'affari David Maybury non hanno ancora dato alcun risultato. La polizia ritiene che il caso possa essere preoccupante. «Ormai è scomparso da dieci giorni», commenta l'ispettore Walsh, incaricato dell'indagine, «e non è da escludere la possibilità che sia accaduto qualcosa di grave.» L'opera di setacciamento continua nella tenuta di Streech Grange e nei territori circostanti. Durante la scorsa settimana sono stati segnalati numerosi avvistamenti dell'uomo scomparso, ma nessuno è stato confermato. La sera in cui sparì, David Maybury, quarantaquattro anni, indossava un abito color antracite a righine. E alto un metro e settantotto, di corporatura media, e ha gli occhi e i capelli scuri. Sun — 15 aprile SCAVI NELLA RESIDENZA DI CAMPAGNA
La signora Phoebe Maybury, ventisette anni, avvenente moglie dai capelli rossi dell'uomo d'affari scomparso, David Maybury, ha assistito infuriata agli scavi effettuati dalla polizia nel suo giardino in cerca del marito. La signora Maybury, che è appassionata di giardinaggio, ha dichiarato: «Questa casa appartiene alla mia famiglia da molti anni e il giardino è il risultato degli sforzi di numerose generazioni. La polizia non ha il diritto di distruggerlo». Secondo fonti attendibili, David Maybury, quarantaquattro anni, poco prima della scomparsa si trovava in difficoltà finanziarie. Il commercio di vini, avviato da sua moglie con sede nelle cantine della casa, era praticamente fallito. Gli amici parlano di liti continue tra i coniugi. La polizia sospetta un omicidio. Daily Telegraph — 9 agosto CASO ARCHIVIATO Ieri sera la polizia ha ammesso di brancolare nel buio per quanto riguarda la scomparsa del cittadino dell'Hampshire, David Maybury. Nonostante lunghe e approfondite indagini, non è stata rinvenuta alcuna traccia dell'uomo e la squadra incaricata del caso è stata sciolta. Secondo un portavoce della polizia, il caso resta aperto, ma non ci sono molte speranze di riuscire a risolvere il mistero. «Tutte le persone interrogate sono state di grande aiuto», afferma un portavoce della polizia. «Siamo stati in grado di ricostruire alla perfezione quanto è accaduto la sera della scomparsa, ma fino a quando non troviamo il signor Maybury non c'è praticamente nient'altro che possiamo fare.» 1 «Fred Phillips sta arrivando di corsa.» L'affermazione di Anne Cattrell riecheggiò nel silenzio di quel pomeriggio d'agosto come un peto a una cena del vicario. Le sue due amiche alzarono lo sguardo spaventate, Diana da un album da disegno e Phoebe da un libro di giardinaggio. Rimasero abbagliate per avere spostato improvvisamente lo sguardo dalla carta alla forte luce del
sole. Stavano in silenzio, sulla terrazza, da più di un'ora, sedute attorno a un tavolo in ferro battuto su cui si mescolavano i resti di un pigro tè e gli strumenti delle loro vite professionali: un paio di cesoie, una scatola di colori aperta e pagine di un manoscritto con una macchia circolare di tè prodotta da Anne. Phoebe sedeva su una sedia dallo schienale dritto e teneva le caviglie incrociate sotto di sé. Sulle spalle le ricadeva la folta chioma di riccioli rossi. Non si era quasi mossa per mezz'ora, da quando aveva finito di bere il tè e, con un certo senso di colpa, si era messa a leggere anziché tornare nella serra per finire di preparare le cinquecento talee di geranio edera che le erano state ordinate. Diana, con la pelle lucida di Ambra Solare, sedeva su una sdraio. La gonna a pieghe dell'abito di cotone stampato scendeva ai lati fino a sfiorare il selciato. Con una mano accarezzava sulla pancia il labrador che giaceva al suo fianco, con l'altra scarabocchiava l'album da disegno che avrebbe dovuto essere riempito di progetti per l'interno di una casa di campagna a Fowey. Anne, che tra un pisolino e l'altro stava sforzandosi di scrivere un saggio di mille parole sull'«Orgasmo vaginale: sogno o realtà» per una rivista sconosciuta, teneva i gomiti appoggiati sul tavolo e il mento sulle mani. Con i suoi occhi scuri scrutava l'ordinato giardino che aveva davanti a sé. Phoebe le lanciò un'occhiata, poi seguì il suo sguardo sbirciando da sopra gli occhiali. «Santo cielo!» esclamò. Il giardiniere, un uomo di corporatura massiccia, stava correndo sull'erba a torso nudo con l'enorme pancia che sbatteva sui pantaloni come una gigantesca onda di marea. Quella tenuta sconveniente era già piuttosto inconsueta per Fred, che riteneva di occupare una posizione importante a Streech Grange. Per esempio voleva che Phoebe facesse un fischio prima di raggiungerlo in giardino in modo da potersi vestire adeguatamente, per quelle che definiva riunioni, anche in piena estate. «Forse ha vinto alla lotteria», suggerì Diana, ma senza particolare convinzione. Le tre donne continuarono a osservare il giardiniere che si avvicinava sempre più lentamente. «Molto improbabile», obiettò Anne allontanando la sedia dal tavolo. «A giudicare dalla sua pigrizia, direi che ci vuole ben altro che dello sporco denaro per spingerlo a correre in questa maniera.» Rimasero a guardarlo in silenzio. Quando raggiunse la terrazza, camminava. Si fermò un momento appoggiando pesantemente una mano sul muretto che circondava il terrazzo per riprendere fiato. Sulle guance dell'an-
ziano giardiniere pendeva un'ombra grigia, nella voce una punta di raucedine. Preoccupata, Phoebe fece cenno a Diana di avvicinargli una sedia libera, poi si alzò, prese Fred per un braccio e lo fece sedere. «Che cos'è successo?» chiese in tono pieno di apprensione. «Oh, signora, una cosa orribile.» Era tutto sudato e non riusciva a parlare in fretta. Rivoli di sudore gli colavano sulle grosse mammelle scure, soffici e rotonde come quelle di una donna; l'odore era intenso e copriva il dolce profumo delle rose che crescevano al bordo della terrazza. Consapevole di questo problema e della propria nudità, l'uomo si torceva le mani, vergognandosi come un ladro. «Mi dispiace, signora.» Diana tolse con slancio i piedi dalla sdraio e si mise a sedere prelevando un plaid dallo schienale della sedia e mettendoglielo dolcemente sulle spalle. «Dopo una corsa simile, deve stare attento a non raffreddarsi, Fred.» L'uomo si strinse addosso la coperta, annuendo con gratitudine. «Che cos'è successo, Fred?» ripeté Phoebe. «Non so come dirlo.» Le parve di scorgere una certa compassione negli occhi del vecchio. «Ma devo dirglielo.» «E allora dimmelo», lo incitò dolcemente. «Sono certa che non sarà poi tanto grave.» Lanciò un'occhiata a Benson, il labrador dorato, che tuttora giaceva placidamente vicino alla sedia di Diana. «Fledges è stato investito?» L'uomo estrasse una mano ruvida, sporca di terra, da sotto il plaid e fece un gesto davvero insolito: la posò su quella di Phoebe e strinse dolcemente. Fu un gesto breve quanto inatteso. «C'è un cadavere nella vecchia ghiacciaia, signora.» Seguì un attimo di silenzio. «Un cadavere?» ripeté Phoebe. «Che genere di cadavere?» Parlava con voce ferma, priva di emozione. Anne le lanciò un'occhiata. A volte l'incredibile autocontrollo dell'amica la spaventava. «A dire il vero, signora, non gli sono andato vicino. Ero talmente sorpreso...» Si guardò i piedi con espressione infelice. «Me ne sono accorto quando l'ho calpestato... e poi ho sentito uno strano odore.» Tutti gli sguardi si rivolsero verso i suoi scarponi da giardinaggio, e lui, pentendosi di essere stato tanto impulsivo, li nascose sotto di sé. «Non si preoccupi, signora», aggiunse, «li ho puliti bene sull'erba del prato.» La tazza e il piattino che Phoebe teneva in mano tintinnarono, e lei li posò delicatamente sul tavolo accanto alle cesoie. «Ma certo, Fred. Ha fatto benissimo. Vuole una tazza di tè? Del dolce?» gli chiese.
«No, grazie, signora.» Diana si girò, reprimendo un orribile desiderio di ridere. Pensò che l'amica, tra tutte le donne che conosceva, era l'unica in grado di offrire del dolce in una circostanza simile. In un certo senso era ammirevole, soprattutto perché Phoebe, più di chiunque altro, avrebbe subito le conseguenze dell'inattesa rivelazione. Anne si mise a cercare le sigarette in mezzo alle pagine del suo manoscritto. Con un gesto improvviso aprì il pacchetto e lo offrì a Fred. L'uomo lanciò un'occhiata a Phoebe per chiedere un permesso di cui non aveva bisogno e lei annuì con solennità. «Grazie infinite, signorina Cattrell. Ho i nervi così scossi...» Anne gli accese la sigaretta tenendogli ferma la mano con le proprie. «Chiariamo un momento, Fred», disse, scrutandolo con i suoi occhi scuri. «Si tratta del cadavere di una persona. È così?» «Esatto, signorina Cattrell.» «E sa chi sia?» «No davvero, signorina.» Poi aggiunse con una certa reticenza: «E temo che nessuno lo saprà mai». Aspirò una lunga boccata di fumo. Il sudore per lo sforzo di non rigettare gli imperlò la fronte. «Gli ho dato appena un'occhiata, ma mi sa che non ci sia un granché. Credo che sia lì da qualche tempo.» Le tre donne rimasero sbigottite. «Ma sarà pure vestito, eh, Fred?» chiese Diana in tono preoccupato. «Ha capito se è un uomo o una donna?» «No, signora Goode.» «Sarà meglio che io vada a vedere.» Phoebe si alzò all'improvviso e Fred seguì l'esempio. «Preferirei di no, signora. Lei non dovrebbe vederlo. Non voglio portarla lì.» «Allora ci andrò da sola.» D'un tratto sorrise e gli mise una mano sul braccio. «Mi dispiace, ma devo andarci. Questo lo capisce, non è vero, Fred?» Il vecchio spense la sigaretta e si strinse la coperta attorno alle spalle. «Se è così decisa, signora, l'accompagno io. Non voglio che ci vada da sola.» «Grazie.» Si rivolse a Diana: «Ti dispiace chiamare la polizia, intanto?» «Subito.» Anne spostò la sedia. «Vengo con te», disse a Phoebe. Poi, rivolta a Diana e seguendo gli altri due sul prato, aggiunse: «Tu magari versami un
po' di cognac, credo che ne avrò bisogno anche se nessun altro dovesse volerne». Si fermarono a un paio di metri dall'entrata della vecchia ghiacciaia. Era una struttura particolare, progettata e costruita nel diciottesimo secolo in modo da somigliare a una collinetta. Non era più adibita a ghiacciaia da molti anni, da quando era stato acquistato il primo frigorifero; nel frattempo la natura l'aveva riconquistata e alla base erano cresciute centinaia di piante di ortiche che costituivano un passaggio naturale tra la collina artificiale e la superficie del suolo. L'unica entrata, una porta ampia e bassa, si apriva in fondo a un vialetto soffocato dalla vegetazione. Anche la porta era stata coperta da un intrico di rovi che crescevano dall'alto e dal basso formando una specie di tenda spinosa. L'apertura era visibile soltanto perché Fred aveva tagliato e calpestato le piante per raggiungerla. Una torcia accesa giaceva ai loro piedi. Phoebe la raccolse. «Ma perché è entrato lì dentro?» chiese a Fred. «Non ci andiamo da anni.» L'uomo fece una smorfia. «Magari non ci fossi andato, signora. Occhio non vede, cuore non duole, ne sono convinto. Stavo aggiustando il muro dell'orto in quel punto in cui è crollato la settimana scorsa. Metà dei mattoni sono sbriciolati e vedendoli ho capito perché erano crollati. Alcuni sono completamente ridotti in polvere. Così mi erano venuti in mente quei mattoni che avevamo messo qui alcuni anni fa, quelli del gabinetto esterno che abbiamo demolito. Lei mi aveva detto: 'Conserva i migliori, Fred, magari possono servire per qualche riparazione'.» «Me ne ricordo.» «Ecco, e allora volevo usarli per quel muro.» «Certo. E ha dovuto tagliare i rovi?» L'uomo annuì. «Ce n'erano talmente tanti, che la porta non si vedeva neppure.» Le indicò la falce che giaceva da un lato. «Ho usato quella e gli scarponi per calpestare i rovi.» «Su», intervenne d'un tratto Anne, «entriamo e facciamola finita. Continuando a parlarne, non è che poi diventi più facile.» «Sì», assentì Phoebe a bassa voce. «La porta si può aprire un po' di più, Fred?» «Sì, signora, l'avevo aperta del tutto prima di calpestare quello che c'è là dentro. L'ho richiusa come meglio ho potuto prima di venire via, nel caso passasse qualcuno.» Poi fece una smorfia. «A dire il vero, mi sembra più aperta di quanto l'avessi lasciata.»
Avanzò con passo restio, quindi, con un gesto improvviso, sferrò un calcio alla porta che si aprì cigolando. Phoebe si accucciò e illuminò l'interno con la torcia, inondando l'ambiente di calda luce gialla. Non fu tanto il cadavere annerito e privo di occhi a farla rigettare, quanto la vista di Hedges che si rotolava tranquillamente negli intestini di quel corpo decomposto. Uscì con la coda tra le zampe e si sdraiò nell'erba vicino a lei che rigettava il tè e il dolce. 2 La stazione di polizia di Silverborne, trionfo moderno di strutture in acciaio inossidabile e di finestre sigillate dai vetri scuri, arrostiva sotto il sole in mezzo ai suoi vicini più tradizionali. L'impianto di aria condizionata era nuovamente guasto e, con il passare delle ore, tanto l'atmosfera quanto i nervi dei funzionari cominciarono a surriscaldarsi. Diventarono appiccicosi e si misero a bisticciare tra loro come bambini. Quelli che potevano, uscivano; quelli che non potevano, sorvegliavano attentamente i rispettivi ventilatori elettrici e pregavano che il loro turno finisse presto. Per l'ispettore capo Walsh, che stava sudando sette camicie alla propria scrivania, l'ordine di accompagnare una squadra investigativa a Streech Grange giunse come una brezza provvidenziale attraverso le finestre sigillate. Si incamminò verso la sala operativa fischiettando allegramente. Per il sergente McLoughlin, invece, cui era stato ordinato di accompagnarlo, la consapevolezza di non poter essere libero nel momento di apertura del bar e quindi di non potersi concedere la Lager fredda che si era promesso, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Diana sentì prima delle altre le automobili che si avvicinavano. Finì il suo cognac e posò il bicchiere sul tavolino. «Ci siamo, ragazze, eccoli che arrivano.» Phoebe andò davanti al caminetto. Aveva il viso insolitamente pallido, in contrasto con i luminosi capelli rossi. Era una donna alta che di norma indossava camicette scozzesi e vecchi Levis. Ma di ritorno dalla ghiacciaia aveva deciso di mettersi un vestito di seta con il collo alto e le maniche lunghe. Non c'era dubbio che si sentisse a proprio agio nella stanza elegante in cui dominavano i colori pastello e le tende erano di velluto, ma in quel momento ad Anne parve un'estranea. Phoebe sorrise distrattamente alle amiche. «Mi dispiace per questa storia.»
Anne, come al solito, fumava come una ciminiera. Soffiò una boccata di fumo grigio appoggiando la testa sullo schienale del divano. «Non essere sciocca», la rimproverò senza mezzi termini. «Nessuno può darti la colpa del fatto che un idiota qualsiasi abbia deciso di morire sulla tua proprietà. Ci sarà una spiegazione semplicissima: tipo un vagabondo che si era rifugiato nella ghiacciaia ha avuto un infarto.» «È quello che credo anch'io», la incalzò Diana, raggiungendola sul divano. «Dammi una sigaretta, tesoro, ho i nervi tesi come le corde di un pianoforte in attesa che un concerto di Rachmaninov si abbatta su di loro.» Anne ridacchiò e le porse il pacchetto. «Ne vuoi una anche tu, Pheeb?» Phoebe scosse la testa e si mise a pulire gli occhiali con l'orlo della gonna, sollevandolo distrattamente fino alla vita e rivelando così di essere senza mutandine. Anne trovò rassicurante quel gesto distratto. «Consumerai le lenti, se continui a lungo», le fece notare. Phoebe sospirò, si mise a posto la gonna e inforcò gli occhiali. «I vagabondi di solito non si fanno venire un infarto quando sono nudi sul terreno altrui», precisò. Suonò il campanello. Sentirono i passi di Molly Phillips, la moglie di Fred, che andava ad aprire e, senza dire nulla, come per istinto, Anne e Diana andarono a mettersi ai lati del caminetto di fianco all'amica. Quando la porta si aprì, Diana pensò che forse non era stato un gesto saggio. Temeva che agli occhi dei poliziotti potesse sembrare non tanto che appoggiassero l'amica, come era loro intenzione, quanto che facessero la guardia. Molly fece entrare due uomini. «L'ispettore capo Walsh e il sergente McLoughlin, signora», annunciò. «Fuori ce ne sono molti altri. Devo dire a Fred di tenerli d'occhio?» «No, Molly, grazie. Sono sicura che sapranno comportarsi bene.» «Se lo dice lei, signora... io però non ne sarei così sicura... con quei loro piedoni hanno già rovinato tutta la ghiaia che Fred aveva rastrellato così bene questa mattina.» Fulminò i due con uno sguardo d'accusa. «Grazie, Molly. Sia così gentile da preparare il tè per tutti. Sono sicura che sarà gradito.» «Sì, signora.» La governante si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso la cucina con passi pesanti. George Walsh rimase in ascolto fino a quando il rumore dei passi cessò, poi salutò la padrona di casa. Era un uomo alto e un po' curvo che aveva la strana abitudine di girare la testa a destra e a sinistra come se avesse il morbo di Parkinson. Questo tic lo faceva sembrare vulnerabile.
«Buongiorno, signora Maybury. Ci conosciamo, come forse ricorderà.» Lui la ricordava benissimo, com'era stata la prima volta, esattamente nello stesso punto in cui si trovava in quel momento. Considerò che erano passati dieci anni e che la donna era rimasta praticamente uguale, tuttora la padrona di casa lontana e assente grazie alla sicurezza conferitale dalla sua posizione. I drammi di quegli anni era come se non ci fossero mai stati. O comunque il volto disteso e liscio che ora gli sorrideva, non ne conservava traccia. Era così tranquilla da sembrare innaturale. In paese dicevano che fosse una strega, e lui aveva sempre capito perché. Phoebe gli strinse la mano. «Certo che me ne ricordo. È stato il suo primo caso importante.» Aveva una voce bassa e sensuale. «Mi sembra che lei fosse appena stato promosso ispettore. Non so se conosce le mie amiche, la signorina Cattrell e la signora Goode.» Fece un cenno verso Anne e Diana, che strinse la mano all'ispettore capo con fare solenne. «Vivono qui con me.» Walsh studiò attentamente le due donne. «Sempre?» chiese. «Quasi sempre», rispose Diana, «quando non siamo in giro per lavoro. Siamo entrambe libere professioniste. Io sono architetto e mi occupo di interni, Anne fa la giornalista free lance.» Walsh annuì, ma Anne capì che le informazioni che Diana gli aveva dato per lui non erano novità. «Vi invidio.» Era sincero. Si era innamorato di Streech Grange la prima volta che l'aveva vista. Phoebe porse la mano all'altro funzionario: «Buongiorno, sergente McLoughlin. Le presento la signora Goode e la signorina Cattrell». McLoughlin era un uomo sui trentacinque anni, aveva più o meno la loro età, di carnagione scura e con uno sguardo glaciale. Si era portato dietro dalla centrale di polizia un senso di fastidio che sul suo viso si era tradotto in una smorfia. Rivolse uno sguardo di sufficienza a Phoebe e alle sue amiche e sfiorò le loro mani con la propria per un saluto il più breve possibile. Il suo odio ingiustificato le colpì in pieno volto come uno schiaffo. Sotto lo sguardo preoccupato delle amiche, che avvertivano le vibrazioni della sua collera, Anne passò al contrattacco: «Perbacco, sergente, che cosa le hanno mai raccontato di noi?» Sollevò le sopracciglia con fare sardonico e si pulì ostentatamente la mano sui jeans. «Lei è appena svezzato, sicuramente non c'era l'ultima volta che questo posto è stato al centro dell'attenzione. Mi faccia indovinare... la nostra reputazione», indicò se stessa e le due amiche, «ci ha precedute. Quale delle nostre tanto chiacchierate attività l'ha turbata in modo particolare? Violenza contro minori, stregoneria
o lesbismo?» Gli piantò addosso uno sguardo infuriato. «Il lesbismo», ripeté. «Eh, già, sicuramente lo considererà il più pericoloso, del resto è l'unico vero, no?» McLoughlin stava per esplodere. Respirò a fondo. Diana spense la sigaretta con molta più forza di quella che sarebbe stata necessaria. «Lascialo stare, Anne, non stuzzicarlo», intimò in tono deciso. «Dovrà avere i nervi saldi per risolvere quel problema nella ghiacciaia.» Phoebe si sedette vicino a lei e fece cenno agli altri di accomodarsi. Walsh sedette sulla poltrona di fronte a lei, Anne e Diana sul divano e a McLoughlin non rimase che appollaiarsi su un esile sgabello. Tutti capirono che era molto nervoso da come cercò di raccogliere sotto di sé le lunghe gambe. «Stia attento a non spaccarlo, sergente», sbottò Walsh. «In questo sono come la governante: non mi piacciono gli imbranati. E ora, signora Maybury, vorrei che lei ci spiegasse il motivo per cui ci ha chiamati.» «Pensavo che la signora Goode gliel'avesse detto per telefono...» L'ispettore si frugò nella tasca e ne estrasse un foglietto di carta: «'Cadavere nella ghiacciaia, Streech Grange. Scoperto alle 16.35'. Non si può proprio dire una spiegazione esauriente... Mi racconti tutto». «Veramente non so molto di più. Fred Phillips, il mio giardiniere, ha trovato il cadavere verso quell'ora ed è venuto a dircelo. Diana le ha telefonato mentre Fred accompagnava Anne e me a vederlo.» «Allora l'ha visto?» «Sì.» «Chi è? Lo conosce?» «Il cadavere è irriconoscibile.» Con un gesto improvviso Anne si accese un'altra sigaretta. «È putrefatto, ispettore, nero, schifoso. Nessuno lo riconoscerebbe.» Parlava in tono impaziente, scandendo le parole con la sua voce bassa. Walsh annuì. «Capisco. E il suo giardiniere le ha suggerito di andare a vedere il cadavere?» Phoebe scosse la testa. «No, mi ha suggerito di non andarci. Sono stata io a volerlo vedere.» «Perché?» La donna si strinse nelle spalle. «Curiosità, immagino. Lei non sarebbe andato?» L'ispettore tacque per un momento. «È suo marito, signora Maybury?» «Le ho già detto che il cadavere è irriconoscibile.»
«E lei ha insistito a volerlo vedere perché pensava che potesse essere suo marito?» «Naturalmente, ma mi sono resa conto che non è possibile.» «E perché?» «Perché Fred mi ha ricordato che avevamo messo dei mattoni nella ghiacciaia circa sei anni fa, dopo aver demolito un vecchio gabinetto esterno. Allora David era già scomparso da quattro anni.» «Il suo corpo non è mai stato trovato. Non l'abbiamo mai rintracciato», le ricordò Walsh. «Magari era tornato.» Diana rise nervosamente. «Non sarebbe potuto tornare, ispettore. È morto. Assassinato.» «E lei come lo sa, signora Goode?» «Perché, se così non fosse, sarebbe tornato molto tempo fa. David sapeva sempre cavarsela nel migliore dei modi.» Walsh incrociò le gambe e sorrise. «Il caso è ancora aperto. Noi non siamo mai riusciti a dimostrare che sia stato assassinato.» A un tratto Diana si fece scura in volto. «Perché avete sempre soltanto cercato di incriminare Phoebe. Avete tirato i remi in barca quando vi siete resi conto che non sareste riusciti a dimostrarlo. Non mi avete mai chiesto una lista di persone sospette. Le avrei potuto dare un centinaio di nomi. Anne gliene avrebbe dati altrettanti. David Maybury era il bastardo più schifoso del mondo. Se l'è meritata.» Si chiese se forse non avesse esagerato e lanciò un'occhiata a Phoebe. «Scusa, tesoro, ma se più gente l'avesse precisato dieci anni fa, per te non sarebbe stata così dura.» Anne annuì in segno di approvazione. «Sprecherete un sacco di tempo se pensate che quella cosa lì fuori sia David Maybury.» Si alzò e andò a sedersi sul bracciolo della poltrona di Phoebe. «Per la cronaca, ispettore, Diana e io avevamo dato una mano a sgomberare la ghiacciaia da un sacco di cianfrusaglie prima che Fred andasse a metterci i mattoni. Lì dentro non c'era nessun cadavere sei anni fa. È vero, Di?» Diana sembrava divertita e inclinò la testa. «Comunque non può essere lì. È sul fondo di qualche oceano, cibo per granchi e aragoste.» Lanciò un'occhiata a McLoughlin. «Le piacciono i granchi, sergente?» Walsh intervenne prima che McLoughlin potesse aprire bocca. «Abbiamo indagato su tutte le persone che avevano a che fare con il signor Maybury. Non c'era nessuna prova che ci permettesse di collegare la sua scomparsa con qualcuno.» Anne lanciò il mozzicone di sigaretta nel caminetto. «Balle!» esclamò
con voce flautata. «Tanto per cominciare, non avete mai interrogato me, e nella mia lista di cento persone sospette io mi trovavo certamente tra le prime dieci.» «Su questo punto si sbaglia di grosso, signorina Cattrell.» L'ispettore Walsh non era affatto turbato. «All'epoca analizzammo a fondo il suo passato. Il giorno che il signor Maybury sparì, e durante gran parte delle indagini, lei era accampata con le sue amiche a Greenham Common, non solo davanti al naso dei guardiani della base aeronautica americana, ma anche davanti alla polizia di Newbury e a diverse telecamere. Un alibi di ferro.» «Già, è vero. Me n'ero dimenticata. Un punto a suo favore, ispettore.» Rise tra sé. «Facevo un servizio per uno dei supplementi a colori.» Con la coda dell'occhio vide che sul viso di McLoughlin si dipingeva una smorfia. «Ma è stato davvero divertente», riprese con voce sognante. «Quel campeggio è stata l'esperienza più bella della mia vita.» Phoebe corrugò la fronte e le mise una mano sul braccio, poi si alzò. «Tutto questo è irrilevante. Fino a quando non avrete esaminato il cadavere, mi sembra completamente inutile chiedersi se sia o meno quello di David. Se volete venire con me, signori, vi accompagno.» «Mandaci Fred», protestò Diana. «No. Per oggi ne ha già viste abbastanza. Non preoccuparti. Potresti verificare che Molly stia preparando il tè, per favore?» Aprì la porta-finestra che dava sul terrazzo. Benson e Hedges si alzarono dalle pietre calde e andarono ad annusarle la mano. Il pelo di Hedges era ancora morbido per il bagno recente. Phoebe si soffermò ad accarezzarlo sulla testa e tirargli le orecchie. «Dovrei dirle ancora una cosa, ispettore», riprese. Anne, che guardava dalla finestra del salotto, scoppiò a ridere e commentò: «Phoebe sta confessando il peccatuccio di Hedges e il sergente è diventato verde.» Diana si alzò dal divano. «Non sottovalutarlo, Anne», suggerì. «Perché sei sempre così ostile?» «Non è vero. È solo che mi danno fastidio gli stupidi luoghi comuni. Se avvertono ostilità, sono affari loro. E una questione di principio, non possono esserci compromessi. Altrimenti, che principi sarebbero?» «C'è modo e modo. In questo momento mi sa che ci vorrebbe un po' di buonsenso. Qui c'è un cadavere. O te n'eri dimenticata?» Più che ironica, sembrava preoccupata. Anne distolse lo sguardo dalla finestra. «Forse hai ragione», convenne
mestamente. «Allora starai attenta?» «Starò attenta.» Diana aggrottò le sopracciglia. «Mi piacerebbe proprio poterti capire. Non ci sono mai riuscita, sai?» Anne si sentì commossa vedendo che l'amica era preoccupata. Povera vecchia Di, pensò, come odiava quella situazione. Non avrebbe mai dovuto trasferirsi a Streech. Il suo ambiente naturale era una torre d'avorio in cui erano ammessi solo ospiti selezionati e non esisteva nulla di spiacevole. «Non è che non mi capisci», precisò in tono carezzevole, «è che non approvi. Le mie piccole libertà offendono la tua sensibilità. Spesso mi chiedo perché le accetti.» Diana si avviò verso la porta. «A proposito, la prossima volta che vuoi farmi mentire, avvertimi prima... non sono abile come te a controllare i muscoli della faccia.» «Sciocchezze», sbottò Anne sprofondando in una poltrona. «Sei la più abile bugiarda che io conosca.» Diana si soffermò con la mano sulla maniglia. «Perché dici questo?» chiese duramente. «Perché ero con te quando hai detto a lady Weevil che la composizione di colori che aveva scelto per il suo salotto esprimeva un gusto sofisticato. Una persona che sia in grado di dirlo con la faccia seria sa controllare i muscoli facciali in qualsiasi circostanza.» «Lady Keevil», la corresse Diana, girandosi con un sorriso. «Non avrei mai dovuto permetterti di venire con me. Quel contratto valeva una fortuna.» Anne era irremovibile. «Avevo bisogno del passaggio e non credo che sia tanto grave che non mi ricordassi esattamente il nome. Tutte le parole che diceva sembravano essere passate attraverso uno straccio bagnato. E comunque ti ho fatto un favore. Tappeti color rosso ciliegia e tende verde pisello... per l'amor di Dio! Pensa alla tua reputazione!» «Vedi, suo padre era un commerciante all'ingrosso di frutta...» «Sei proprio incredibile», commentò Anne. 3 Una volta entrato nella ghiacciaia, l'ispettore capo Walsh dovette sforzarsi per non rigettare. Il sergente McLoughlin invece non dimostrò altret-
tanto autocontrollo e uscì di corsa a vomitare sulle ortiche. Era contento che Phoebe Maybury fosse tornata in casa e non l'avesse visto. Non sapeva che avrebbe capito. «Bella roba, eh?» commentò Walsh quando il sergente tornò a farsi vedere. «Attento a dove mette i piedi. Ci sono pezzetti di questo schifo da tutte le parti. Dev'essere stato il cane.» McLoughlin si teneva un fazzoletto davanti alla bocca ed ebbe un forte urto di vomito. Puzzava di birra e l'ispettore posò su di lui uno sguardo irritato. Benché fosse lunatico anche lui, Walsh non sopportava le incongruenze negli altri. Conosceva McLoughlin meglio di tutti i suoi collaboratori, e riteneva che fosse una persona coscienziosa, onesta, intelligente e affidabile. Il ragazzo gli piaceva, del resto era uno dei pochi che fossero in grado di affrontare i famigerati alti e bassi del suo temperamento, ma ora si irritò a vedere le sue debolezze. «Che cosa diavolo le succede?» sbottò. «Cinque minuti fa non riusciva nemmeno a comportarsi educatamente e adesso vomita come un bambinetto.» «Niente, signore.» «Niente, signore», gli fece eco Walsh infuriato. Avrebbe continuato, ma l'ira che scorse nello sguardo del giovane gli tappò la bocca. Con un sospiro prese McLoughlin per un braccio e lo spinse fuori. «Vada a prendere un fotografo e delle luci decenti, che non si vede niente. E dica al dottor Webster di venire qui al più presto. Gli ho lasciato un messaggio e dovrebbe già essere in centrale.» Somministrò una goffa manata sul braccio del sergente, considerando che forse McLoughlin era più spesso dalla sua parte che contro di lui. «Se le può servire da consolazione, Andy, nemmeno io ho mai visto niente di simile.» Mentre McLoughlin si allontanava, contento di non doversi trattenere più a lungo, l'ispettore Walsh prese la pipa, riempì il fornello e l'accese con fare pensoso. Poi cominciò a perlustrare la zona circostante e i rovi attorno alla porta e al sentiero. Il terreno non gli disse molto. L'estate era stata particolarmente calda e dopo quattro settimane di bel tempo il suolo era durissimo. Si vedeva soltanto il punto in cui qualcuno, probabilmente Fred, aveva calpestato le erbacce davanti ai rovi. Tracce precedenti, se mai ce n'erano state, erano scomparse da tempo. Forse qualche indizio poteva venirgli dai rovi. Era evidente che la porta costituiva l'unica entrata della ghiacciaia, quindi il cadavere a un certo punto doveva avere superato quella barriera spinosa, vivo, sulle proprie gambe, o morto, trasportato da qualcuno... Ma quando? Da quanto tempo si trovava lì dentro quell'incubo?
Fece lentamente il giro della collinetta. Ovviamente, per accertarsi che la porta fosse l'unica entrata, sarebbe stato più opportuno verificare dall'interno, ma Walsh si convinse che era meglio non confondere le prove. Per essere sincero, tuttavia, doveva ammettere che era una scusa. Quella triste tomba non presentava alcuna attrattiva per un uomo solo, nemmeno per un poliziotto intento a scoprire la verità. Passò qualche tempo a frugare alla base di un alloro selvatico che cresceva dietro la ghiacciaia servendosi di una vecchia canna di bambù per smuovere le foglie che si erano raccolte sul terreno. Scoprì soltanto un solido muro di mattoni che sembrava abbastanza robusto da poter resistere altri duecento anni. Pensò che a quei tempi gli edifici venivano costruiti in modo da durare a lungo. Stette a riflettere un momento aspirando grandi boccate di fumo, poi riprese a cercare infilando la canna tra le ortiche a intervalli regolari, ma non riuscì a scoprire altre aperture. Infine tornò a osservare i rovi vicino alla porta. Non era un esperto di giardinaggio, lasciava che fosse sua moglie a pensare al giardinetto di casa sua in cui tutto cresceva ordinatamente nei vasi, ma anche un occhio inesperto capiva che quei rovi si trovavano lì da molto tempo. Si soffermò a esaminare le zolle di terra ed erba sopra la porta, dove le radici erano state estirpate, poi, badando a evitare l'erba già calpestata, si chinò vicino ai rovi che erano stati falciati e calpestati. I rami tagliati erano tuttora verdi e i frutti quasi tutti immaturi, eccetto qualche mora che spiccava più scura e succosa delle altre. Con la canna di bambù sollevò delicatamente la massa di rami calpestati e guardò sotto. «Trovato niente, signore?» chiese McLoughlin. «Guardi qua sotto, Andy, e mi dica che cosa vede.» McLoughlin obbedì e si chinò vicino al proprio superiore. «Che cosa dovrei vedere?» «Rami con spaccature vecchie. Direi che non ci sono dubbi sul fatto che quel corpo non è passato qui sopra volando.» McLoughlin scosse la testa. «In tal caso dovremmo analizzare tutto questo intrico con estrema cura, e dubito che troveremmo qualcosa di utile. Chi li ha calpestati ha fatto un lavoro accurato.» Walsh estrasse la canna di bambù dalla vegetazione. «Il giardiniere, secondo la signora Maybury.» «Sembra che ci sia passato sopra con un rullo compressore.» «Strano eh?» Walsh si alzò in piedi. «Ha trovato Webster?»
«Dovrebbe essere qui tra dieci minuti. Ho detto agli altri di aspettarlo. Nick Robinson ha già trovato le luci e la macchina fotografica. Il giardiniere li porterà tutti qui appena arriva Webster. Eccetto il giovane Williams. L'ho lasciato in casa a fare qualche piccola indagine. È un ragazzo in gamba. Se c'è qualcosa da scoprire, lui la scoprirà.» «Bene. Il carro funebre?» «È pronto in centrale.» Walsh si spostò di qualche metro e si sedette sull'erba. «Aspettiamo. Prima di scattare le fotografie non c'è niente da fare.» Emise una nuvola di fumo dall'angolo della bocca e strinse gli occhi per vedere meglio McLoughlin. «Mi dica un po', sergente, che cosa ci fa un cadavere nudo nella ghiacciaia della signora Maybury? E che cosa, o forse chi, si è mangiato alcune parti?» McLoughlin si tappò precipitosamente la bocca con il fazzoletto. L'agente Williams aveva raccolto le deposizioni della signora Maybury, della signora Goode e della signorina Cattrell e ora si trovava in cucina con Molly Phillips. Per qualche motivo che non riusciva a capire, la donna non si dimostrava affatto disposta a collaborare. Con un certo risentimento osservò che i suoi colleghi riuscivano sempre a prendersi i lavori più facili. Con malcelata soddisfazione avevano seguito in giardino Fred Phillips e i nuovi arrivati con tutti i loro strumenti. Williams, che aveva visto la faccia di Andy McLoughlin quando era tornato dalla ghiacciaia, non stava nella pelle dalla curiosità di vedere anche lui. I nervi di McLoughlin erano forgiati in puro acciaio scozzese, eppure gli era sembrato sconvolto. Tornò al proprio lavoro con scarsa convinzione. «Dunque la prima volta che lei ha sentito parlare di questo cadavere è stata quando la signora Goode è entrata per telefonare?» «E anche se fosse?» Williams posò sulla donna uno sguardo esasperato. «Lei risponde sempre a una domanda con un'altra domanda?» «Forse sì, forse no. Sono affari miei.» Era appena un ragazzo, del tipo di cui viene spontaneo dire: Stanno arruolando poliziotti sempre più giovani. Provò un altro approccio che gli era stato utile in alcune occasioni: «Senti, mamma...» «E non mi chiami 'mamma'», scattò lei. «Non è mio figlio. Io non ho figli.» Poi gli voltò le spalle e si mise a tagliare carote. «Dovrebbe vergognarsi. Che cosa ne direbbe sua madre? Lei è l'unica che ha il diritto di es-
sere chiamata mamma.» Vecchia stronza frustrata, pensò. Osservò le spalle magre e curve e capì che il problema era che suo marito non le aveva mai fatto un servizio completo. «Non la conosco nemmeno.» La donna tacque per un momento, restando con il coltello sospeso per aria, poi riprese a tagliare. Non disse nulla. Williams provò una nuova tattica. «Signora Phillips, sto cercando soltanto di raccogliere informazioni relative alla scoperta del cadavere. La signora Goode mi ha detto di essere entrata in casa per telefonarci. Ha detto che lei era in corridoio e che poi è scesa in cantina a prendere del cognac visto che in salotto non ce n'era più. È vero?» «Se lo dice la signora Goode, è vero. Non vedo perché lei debba venire qui dietro le sue spalle per cercare di scoprire se ha mentito.» Il ragazzo la inchiodò con lo sguardo. «Ha mentito?» «No, figuriamoci...» «E allora, che cos'è tutto questo mistero?» chiese rivolto alle spalle della donna. «Perché fa tanto la misteriosa?» «Veda di non assumere quel tono con me. Li conosco, quelli come lei. Non riuscirà a intimidirmi.» Prese la tazza che era sul tavolo davanti a lui e la lasciò cadere senza complimenti nell'acqua saponata. Avrebbe potuto giurare che la donna aveva le lacrime agli occhi. Il fotografo della polizia uscì guardando bene dove posava i piedi e si sfilò dal collo la macchina fotografica. «Io ho finito, signore», disse a Walsh. L'ispettore capo gli mise una mano sulla spalla. «Bravo. Torni in centrale e faccia sviluppare la pellicola.» Poi si rivolse al patologo: «Entriamo, Webster?» Il dottor Webster sorrise tristemente. «Perché, posso rifiutarmi?» «Dopo di te», concesse Walsh. Ora che la scena era illuminata dalle torce, tutti i dettagli balzavano all'occhio con terribile nitidezza, le ombre non servivano più ad attenuare l'impatto. Walsh guardò tranquillamente il corpo. Pensò che era vero che l'abitudine alla violenza rendeva meno sensibili. Il senso di rigetto che aveva provato solo qualche minuto prima era ormai un lontano ricordo, o forse era una questione di luci. Da bambino aveva avuto paura del buio e aveva immaginato che negli angoli bui della sua stanza si nascondessero creature spaventose. Suo padre, che altrimenti era un uomo gentile, temen-
do che suo figlio diventasse effeminato, non aveva dato alcun peso ai piagnistei che provenivano dall'interno della sua camera da letto da cui erano state tolte tutte le lampadine. «Santo cielo!» esclamò Webster guardandosi intorno con fare schifato. Si portò lentamente al centro dell'ambiente cercando di evitare i pezzetti di interiora sparsi sul pavimento di pietra. Poi guardò la testa. «Santo cielo», ripeté ancora. La testa, che era tuttora attaccata al tronco da tendini anneriti, era appoggiata tra i mattoni dell'ultima fila di un'ordinata catasta. Una chioma di capelli grigi opachi, abbastanza lunghi da poter essere quelli di una donna, scendeva lungo i mattoni. Le ossa delle fosse orbitali vuote e delle mandibole e mascelle apparivano bianchissime rispetto ai muscoli anneriti della faccia. Il torace, sorretto dalla testa, sembrava essere stato scarnificato con cura. La metà inferiore del corpo formava un angolo innaturale con il torso e si trovava in una posizione che nessun essere vivente, per quanto elastico, avrebbe potuto assumere. La zona addominale era praticamente scomparsa, restava soltanto qualche brandello a testimonianza del fatto che un tempo fosse effettivamente esistita. Non c'erano organi genitali. La metà inferiore del braccio sinistro, appoggiata su una catasta più piccola di mattoni, era a più di un metro dal resto del corpo e gran parte della carne era scomparsa, ma alcuni tendini dimostravano che l'estremità era stata strappata all'altezza del gomito. Il braccio destro, compresso contro il torace, era annerito come la testa; qua e là si vedeva sbucare qualche osso bianco. Delle gambe, solo gli stinchi e i piedi erano immediatamente riconoscibili, ma si trovavano distanti uno dall'altro in una grottesca parodia di spaccata, per di più girati in modo che le piante dei piedi fossero rivolte verso il soffitto. Dei femori restava solo qualche pezzetto. «Allora?» chiese Walsh dopo un paio di minuti durante i quali il patologo aveva misurato la temperatura e fatto uno schizzo approssimativo della posizione del cadavere. «Che cosa vuoi sapere?» «Uomo o donna?» Webster gli indicò i piedi. «Dalle dimensioni direi che è un uomo, ma per essere sicuri bisognerà prendere qualche misura più precisa. Se non è un uomo, è una donna molto grande con caratteristiche maschili.» «I capelli sono un po' lunghi per un uomo. A meno che non siano cresciuti molto dopo la morte.» «Ma dove vivi, George? Anche se i capelli arrivassero alla vita, non ba-
sterebbe per capire di che sesso è. Dopo la morte la crescita comunque è minima. No», riprese Webster, «tutto sommato direi che si tratta di un uomo, a meno che le prove non dimostrino il contrario.» «Hai idea dell'età?» «No, comunque direi più di venturi anni, ma non posso esserne sicuro. C'è gente cui i capelli diventano grigi anche prima dei vent'anni. Dovrò fare le radiografie del cranio per verificare la saldatura.» «E a quando risale il decesso?» Webster sporse le labbra. «Non sarà facile capirlo. Il vecchio Fred là fuori dice di avere sentito una certa puzza calpestando questa roba; ciò starebbe a indicare che non è passato molto tempo.» Rifletté per qualche minuto, poi scosse la testa e si mise a esaminare il pavimento. Servendosi di una spatola, prelevò del materiale scuro nelle vicinanze della porta. Lo annusò. «Escrementi», annunciò, «piuttosto recenti, probabilmente di qualche animale. Sarà bene farli esaminare per verificare se le impronte sono quelle degli scarponi di Fred. A quando risale il decesso?» D'un tratto avvertì un brivido. «Questa è una ghiacciaia, e qui dentro la temperatura è più bassa di alcuni gradi rispetto all'esterno. Non ci sono state invasioni di vermi, il che sta a indicare che i mosconi non sono stati attratti. In caso contrario, sarebbe rimasto anche meno. Francamente, George, non mi sento proprio in grado di avanzare un'ipotesi. Bisogna tenere conto anche del fatto che il processo di decomposizione accelera gradualmente. Potrebbe trattarsi di settimane o di mesi. Non lo so proprio. Su questo aspetto dovrò fare qualche indagine.» «Potrebbe trattarsi di anni?» «No», rispose Webster con voce sicura. «Altrimenti avremmo trovato uno scheletro.» «E se fosse stato congelato, quando l'hanno portato qui? Che cosa sarebbe accaduto?» Il patologo emise un suono inarticolato. «Congelato come i bastoncini di pesce?» Walsh annuì. «Mi sembra un'idea troppo fantasiosa, George. Per congelare un uomo di queste dimensioni ci vorrebbe una cella frigorifera industriale, e poi, come l'avrebbero portato qui? E perché l'avrebbero congelato?» Webster aggrottò le sopracciglia. «Tanto, per la tua indagine non cambierebbe un gran che. La ghiacciaia può mantenere congelato qualcosa solo se è piena di ghiaccio. Un uomo congelato qui dentro si scongelerebbe come un tacchi-
no in una dispensa. No, direi che non ci siamo proprio.» Walsh osservava attentamente il braccio mozzato. «Davvero? Guarda che a volte succedono cose stranissime. Magari è stato tenuto nel ghiaccio per dieci anni, e portato qui di recente perché qualcuno lo trovasse.» Webster fischiò: «Credi che sia David Maybury?» «Non lo escluderei.» Si chinò e gli fece notare la mano distorta e malconcia. «Che cosa ne dici di questo? Sembra che gli manchino le ultime due dita.» Webster gli si avvicinò. «Non potrei giurarci», balbettò in tono pensoso. «Qualcuno l'ha aggredito in modo davvero selvaggio.» Si guardò intorno. «Dovrai far scopare bene il pavimento in modo da raccogliere tutti i pezzetti. È davvero strano. Forse una coincidenza...» Walsh si alzò. «Non credo alle coincidenze. Qualche ipotesi sulla causa di morte?» «Così, a prima vista, direi che potrebbe essere morto dissanguato da una o più ferite all'addome.» Walsh posò sul medico uno sguardo sorpreso: «Mi sembri molto convinto». «È solo un'ipotesi, come dicevo. Per essere sicuri bisognerà ritrovare i vestiti. Ma guardalo... dal ventre in giù è stato completamente divorato, eccetto le estremità delle gambe. Prova a immaginare di vederlo seduto con le gambe distese e il sangue che gli esce dalla pancia. Si inzupperebbero proprio le parti che sono state divorate.» Walsh si sentì venir meno. «Stai dicendo che è stato divorato mentre era ancora vivo?» «Oh, senti, non farti venire gli incubi, adesso. Se anche era vivo, era sicuramente in coma e non si è accorto di nulla, in caso contrario avrebbe scacciato i predatori. Però», riprese con fare pensoso, «se si fosse scongelato lentamente, il sangue e l'acqua, liquefacendosi, avrebbero prodotto il medesimo risultato.» Walsh intraprese nuovamente le complesse manovre per accendersi la pipa emettendo boccate di fumo azzurro dagli angoli della bocca. Quando Webster aveva parlato di odori, si era accorto di un olezzo cui prima non aveva fatto caso. Per alcuni minuti rimase a guardare il medico che esaminava accuratamente la testa e il torace prendendone le misure. «Di che tipo di predatori potrebbe trattarsi? Volpi? Topi?» «Difficile dirlo.» Esaminò da vicino una delle fosse orbitali, poi gli fece vedere il femore sbriciolato. «Qualche bestia con i denti robusti, direi. Un
fatto è certo, devono essere stati due animali a contenderselo. Guarda la posizione delle gambe, e poi quel braccio strappato all'altezza del gomito. Direi che tiravano uno da una parte e uno dall'altra.» Sporse nuovamente le labbra. «Potrebbero essere stati i tassi; più probabilmente cani.» Il pensiero di Walsh corse ai labrador dorati che giacevano sulle pietre calde. Uno degli animali gli aveva leccato la mano. Con moto improvviso se la pulì sui pantaloni. Continuava a emettere nuvole di fumo. «Ammettiamo pure che la tua spiegazione del motivo per cui i predatori hanno preferito il ventre e le cosce sia giusta, ma mi pare che non abbiano risparmiato neppure la metà superiore. C'è una spiegazione? È normale?» Webster si alzò e si asciugò la fronte con la manica della camicia. «Chi lo sa, George. L'unica cosa di cui sono sicuro è che tutta questa storia non è normale. Potrebbe darsi che questo povero diavolo si sia premuto la mano sinistra sulla pancia per cercare di fermare il flusso di sangue o per evitare che gli uscissero le budella, come preferisci, e poi abbia fatto proprio come me, si sia asciugato il sudore della faccia, sporcandosi di sangue. Così i topi, o gli altri animali, sarebbero stati attratti verso la mano sinistra, il braccio e il tronco.» «Ma dicevi che probabilmente era in coma...» precisò Walsh in tono accusatorio. «Forse sì, e forse no. Come diavolo vuoi che lo sappia? E comunque, quando si è in coma, ci si può muovere.» Walsh si tolse la pipa di bocca e la usò per indicare il torace del cadavere. «Vuoi che ti dica che cosa mi sembra?» «Dimmi.» «Mi sembrano costolette d'agnello dopo che mia moglie le ha scarnificate con un buon coltello.» Webster sembrava stanco. «Lo so. Spero che non sia così. Se fosse vero... be', non c'è bisogno che io ti dica che cosa significa.» «Al paese dicono che queste donne sono streghe.» Webster si sfilò i guanti. «Usciamo di qui, a meno che tu non voglia chiedermi ancora qualcosa. Probabilmente troverò altri indizi durante l'esame autoptico.» «Ancora una cosa. Pensi che la ferita al ventre gli sia stata inflitta qui o altrove?» Webster prese la valigetta e uscì. «Non fare queste domande, George. L'unica cosa di cui sono sicuro è che era vivo quando è arrivato qui. Non posso dirti se stesse già sanguinando.» Si fermò sulla soglia. «A meno che
non ci sia del vero nella tua teoria del freezer, naturalmente. In tal caso è arrivato qui già morto.» 4 Tre ore più tardi, dopo che i resti erano stati faticosamente raccolti sotto la direzione del dottor Webster, e dopo che un'accurata indagine all'interno della ghiacciaia aveva prodotto come unico risultato un mucchio di felci secche in un angolo, la porta fu sigillata e Walsh e McLoughlin tornarono a Streech Grange. Phoebe propose loro di trattenersi nella biblioteca e, dimostrando una strana mancanza di curiosità, li lasciò soli. Alcuni poliziotti rimasero a rastrellare la zona tutt'attorno alla ghiacciaia. In cuor suo, Walsh riteneva che fosse fatica sprecata se dal momento dell'arrivo del cadavere nella ghiacciaia a quello del suo rinvenimento era trascorso troppo tempo. Tuttavia il lavoro di routine spesso aveva portato a risultati stupefacenti, e diversi campioni prelevati dalla ghiacciaia erano in attesa di essere portati nei laboratori. Polvere di mattoni, ciuffetti di pelo, fango scolorito raccolto sul pavimento e quelli che secondo il dottor Webster erano i resti di un osso d'agnello che McLoughlin aveva trovato tra i rovi davanti alla porta. Il giovane agente Williams, che tuttora non sapeva esattamente che cosa fosse stato trovato nella ghiacciaia, fu convocato in biblioteca. Trovò Walsh e McLoughlin seduti uno accanto all'altro a una scrivania in mogano di proporzioni gigantesche, con le fotografie, che erano state sviluppate a tempo di record, sparse a ventaglio davanti a loro. Una vecchissima lampada Anglepoise con un paralume verde costituiva l'unica illuminazione della stanza su cui stava scendendo rapidamente l'oscurità. Quando Williams entrò, Walsh spostò il fascio di luce in modo da attenuarne l'intensità. Per il giovane agente vedere quelle immagini rovesciate e nella semioscurità fu una brutale introduzione agli orrori che aveva soltanto osato immaginare. Lesse gli appunti che aveva preso senza distogliere lo sguardo da McLoughlin che aveva tuttora la faccia sconvolta. Si chiese se le voci che aveva sentito sul suo conto corrispondessero a verità. «Le deposizioni sul ritrovamento del cadavere sono tutte coerenti, signore. In quel senso non ho trovato niente di strano.» Poi si accigliò. «Ma forse ho scoperto qualcos'altro.» «Davvero?» «Sì, signore. Ci scommetterei che i signori Phillips sono stati in prigione
prima di cominciare a lavorare qui.» Consultò i suoi appunti compilati con calligrafia piccola e ordinata. «La signora Phillips si è comportata in modo molto strano. Non ha risposto alle mie domande e ha continuato ad accusarmi di volerla incastrare, cosa peraltro falsa, e a dire: 'Io so quello che so, sta a lei scoprire'. Quando le ho detto che avrei dovuto parlarne con la signora Maybury, stava per saltarmi alla gola. 'Non turbi la signora; Fred e io, da quando siamo usciti, non ci siamo mai sporcati le mani. Si accontenti di questo.'» Alzò lo sguardo con fare soddisfatto. Walsh prese un appunto su un foglio di carta. «Bene, agente, faremo qualche verifica.» McLoughlin si accorse che il ragazzo ci era rimasto male. «Ottimo lavoro, Williams», mormorò. «Signore, penso che dovremmo procurarci dei panini. Nessuno di noi ha mangiato dopo il pranzo», fece osservare, pensando con rammarico a quello che aveva rigettato nei rovi. Si sarebbe tagliato la mano destra pur di bere una birra. «C'è un pub ai piedi della collina. Non sarebbe il caso di mandare Gavin a prendere qualcosa?» Con fare stizzoso, Walsh tirò fuori due banconote da dieci sterline dalla tasca della giacca. «Tramezzini», ordinò. «Niente di troppo caro. Un paio per noi, gli altri per i ragazzi. Lei poi si fermi vicino alla ghiacciaia per dare una mano nelle ricerche.» Portò lo sguardo fuori della finestra. «Hanno le torce. Dica loro di andare avanti il più a lungo possibile. Noi li raggiungiamo più tardi. E non si dimentichi di portarmi il resto.» «Sì, signore.» Williams uscì in tutta fretta in modo che l'ispettore non avesse il tempo di cambiare idea. «Non sarebbe così maledettamente obbediente se avesse visto che cosa c'è laggiù», notò Walsh in tono distaccato spostando le fotografie con un dito magro. «Chissà se ha ragione sui Phillips. Il nome le dice qualcosa?» «No.» «Nemmeno a me. Riassumiamo intanto la situazione.» Tirò fuori dalla tasca la pipa e la caricò distrattamente. Recitò ad alta voce tutto quello che sapeva fino nei minimi dettagli. McLoughlin ascoltava ma non sentiva. La testa gli doleva nel punto in cui una vena ingrossata minacciava di scoppiare. Il rumore lo assordava. Prese una matita dalla scrivania e la tenne in equilibrio tra due dita. Le estremità tremarono e la matita cadde rumorosamente. Si sforzò di concentrarsi. «E allora, da dove cominciamo, Andy?» «Dalla ghiacciaia e da quelli che sapevano della sua esistenza. Dev'esse-
re lì la chiave di tutto.» Isolò una ripresa esterna della ghiacciaia e la mise sotto la lampada con dita tremanti. «Sembra una collina», notò. «Come farebbe un estraneo a sapere che è cava?» Walsh strinse la pipa tra i denti e la accese. Non rispose, ma prese la foto e la esaminò attentamente continuando a fumare in silenzio. McLoughlin osservò con distacco le fotografie del cadavere. «È Maybury?» «Troppo presto per dirlo. Webster sta controllando i dati medici e dentistici. Il problema è che non possiamo confrontare le impronte digitali. All'epoca in cui scomparve, nella casa non ne trovammo neppure una. Non che sarebbero servite... le mani del cadavere sono praticamente a brandelli.» Pigiò il tabacco acceso con la punta del pollice. «David Maybury aveva un segno molto particolare», riprese dopo un momento, «gli mancavano l'anulare e il mignolo della sinistra. Li aveva persi in un incidente di caccia.» McLoughlin cominciò ad avvertire un po' di interesse. «Allora è proprio lui...» «Diciamo che potrebbe essere.» «Quel cadavere non è lì da dieci anni, signore. Il dottor Webster parlava al massimo di alcuni mesi.» «Forse, forse. Potremo dirlo con certezza solo dopo avere visto il referto dell'autopsia.» «Che tipo era? La signora Goode l'ha definito uno schifoso bastardo.» «Direi che è una definizione esatta. Può leggersi il materiale che avevamo raccolto su di lui. È tutto nel dossier. All'epoca feci esaminare a uno psicologo le testimonianze delle persone che lo conoscevano. Pur non avendolo mai visto, il medico stabilì che Maybury aveva spiccate tendenze psicopatiche, soprattutto quando si trovava in stato di ubriachezza. Aveva l'abitudine di menare le mani. Picchiava chiunque, uomini e donne.» Walsh esalò un filo di fumo dall'angolo della bocca osservando di sottecchi il suo subordinato. «Era un tipo che si dava parecchio da fare. A Londra abbiamo identificato almeno tre pollastrelle che lo aspettavano e con cui andava a letto.» «E lei lo sapeva?» chiese McLoughlin facendo un cenno verso il corridoio. Walsh si strinse nelle spalle. «Affermò di non saperne nulla.» «E lui la picchiava?» «Senza dubbio, direi, però lei ha negato. Quando denunciò la scomparsa
del marito, aveva sulla faccia un livido grande come un pallone da calcio e in seguito scoprimmo che era stata ricoverata all'ospedale due volte quando lui era vivo: la prima per una frattura al polso e la seconda per un paio di costole incrinate e una clavicola fratturata. Affermava di essere molto maldestra.» Walsh scoppiò in una risata roca. «E loro non le credettero più di me. Maybury usava la moglie come punching ball ogni volta che era ubriaco.» «E perché lei non se n'è andata? O magari le piaceva quel tipo di... attenzioni?» Walsh ci pensò per un momento. Fece per dire qualcosa, ma poi cambiò idea. «Streech Grange appartiene alla sua famiglia da molti anni. Lui veniva tollerato e usava il capitale della moglie per mandare avanti un commercio di vini. Probabilmente gran parte delle bottiglie si trova tuttora in cantina, se lei non le ha bevute o vendute. No, lei non poteva andarsene. Nemmeno un incendio l'avrebbe indotta ad abbandonare la sua amata tenuta. È una donna molto decisa.» «E, dato che viveva nell'abbondanza, neppure lui aveva interesse a lasciarla.» «Penso che sia andata così.» «Dunque lei l'ha eliminato.» Walsh annuì. «Però non siete riusciti a dimostrarlo.» «No.» L'ombra di un sorriso animò il volto aggrondato di McLoughlin. «Chissà che storia avrà inventato lei.» «Già. All'epoca ci raccontò che suo marito se n'era andato e non era più rientrato.» Walsh si asciugò sulla manica una goccia di saliva e catrame che era rimasta sul bocchino della pipa. «Lasciò passare tre giorni prima di denunciare la scomparsa, e anche allora lo fece soltanto perché la gente cominciava a porsi delle domande. Lei prese tutti i vestiti del marito e li mandò a un ente di beneficenza di cui poi non ricordava il nome, bruciò tutte le fotografie di lui e pulì la casa con un aspirapolvere e un panno imbevuto di candeggina per eliminare qualsiasi traccia del marito. Si comportò insomma come se avesse assassinato suo marito e cercasse di eliminare tutte le prove. Riuscimmo a trovare qualche capello che le era sfuggito, su una spazzola, un passaporto e una fotografia che non aveva visto sul fondo di un cassetto e un vecchio tesserino di donatore di sangue. Nient'altro. Cercammo dappertutto in questa casa e nel giardino, e mandammo qui i
periti per effettuare una ricerca microscopica, ma fu tutto tempo perso. Passammo al setaccio tutta la campagna, mostrammo la sua fotografia in tutti i porti e gli aeroporti casomai fosse riuscito a passare senza passaporto, avvertimmo l'Interpol di cercarlo sul continente, dragammo laghi e fiumi e pubblicammo la fotografia sui quotidiani a diffusione nazionale. Niente. Scomparso.» «E lei, come spiegò il livido che aveva sulla faccia?» L'ispettore ridacchiò. «Era andata a sbattere contro una porta. Io cercai di rinfrescarle la memoria suggerendo che magari aveva ucciso suo marito per autodifesa. E invece no, lui non l'aveva mai toccata.» Scosse la testa. «Che donna incredibile. Non si è mai resa la vita facile. Avrebbe potuto inventare chissà quante storie per convincerci che lui da tempo progettava una fuga: problemi finanziari, per esempio, dal momento che la lasciò praticamente senza un soldo. E invece no, lei fece il contrario, continuò a ripetere che una sera, per nessun motivo particolare, era uscito e non era più tornato. Solo un morto può sparire in modo così completo.» «Però», balbettò McLoughlin. «Non vi ha dato nessun appiglio. Ma perché non fu condannata? Non sarebbe stata la prima volta che si avvia un procedimento d'accusa anche senza trovare il cadavere.» I ricordi di dieci anni prima fecero perdere la pazienza a Walsh. «Non eravamo riusciti a trovare niente», sbottò. «Non un briciolo di prova per contestare le sue stupide affermazioni che lui se ne fosse semplicemente andato. Dovevamo trovare il cadavere. Scavammo mezzo Hampshire per cercarlo.» Tacque per un momento, poi riprese la fotografia della ghiacciaia che aveva davanti a sé. «Credo che lei abbia ragione.» «In che senso?» «Questa dev'essere la chiave. Dieci anni fa mettemmo sottosopra tutto il giardino e a nessuno venne in mente di cercare qui dentro. Non avevo mai visto una ghiacciaia in tutta la mia vita, non ne avevo mai sentito parlare. Ovviamente non avevo la più pallida idea che fosse cava. Come avrei potuto saperlo? Nessuno me lo disse. Ricordo di esserci salito sopra una volta per guardarmi intorno. Ricordo inoltre di avere ordinato a uno dei miei ragazzi di cercare accuratamente tra i rovi. Era come una giungla.» Pulì di nuovo il bocchino della pipa sulla manica prima di rimetterselo in bocca. Il catrame corse lungo le fibre del tweed come un filo nero. «Ci scommetterei la testa: il cadavere di Maybury è sempre stato là dentro.» Bussarono alla porta e Phoebe entrò con un piatto di tramezzini. «L'a-
gente Williams mi ha detto che avevate appetito, ispettore, così ho chiesto a Molly di prepararvi questi.» «Grazie infinite, signora Maybury. Prego, si accomodi.» Phoebe lasciò il piatto sulla scrivania e prese posto su una poltrona di pelle, leggermente di lato. La lampada della scrivania proiettava un cerchio di luce che riuniva le tre figure in una strana intimità. Il fumo della pipa formava una specie di nube sopra le loro teste. Per un lungo momento ci fu un silenzio assoluto, poi il meccanismo di una vecchia pendola si mise in moto e scoccò le nove. Come se non aspettasse altro, Walsh si sporse in avanti e si rivolse alla donna: «Perché non ci aveva parlato della ghiacciaia dieci anni fa, signora Maybury?» Per un istante ebbe l'impressione di averla sorpresa, e che lei sembrasse persino sollevata, ma quell'espressione sparì subito. In seguito non avrebbe potuto giurare di averla vista. «Non capisco», rispose lei. L'ispettore Walsh fece cenno a McLoughlin di accendere la luce sul soffitto. Voleva riuscire a vedere ogni piccola sfumatura su quel viso così straordinariamente impassibile. «È semplice», mormorò quando McLoughlin ebbe illuminato la stanza di luce bianca, «quando cercavamo suo marito non entrammo mai nella ghiacciaia. Non sapevamo che esistesse.» La guardava attentamente. «E lei non ce ne parlò.» «Non ricordo», rispose Phoebe con semplicità. «Se non ve ne parlai, è perché me n'ero dimenticata. Voi non l'avevate trovata?» «No.» La donna si strinse nelle spalle. «Ma che importanza ha, ispettore, dopo tutti questi anni?» Lui ignorò la domanda. «Si ricorda quando fu l'ultima volta che la ghiacciaia venne utilizzata prima della scomparsa di suo marito?» La donna abbandonò stancamente la testa contro lo schienale della poltrona e i capelli rossi si distribuirono attorno al suo volto pallido. Dietro gli occhiali i suoi occhi sembravano grandissimi. Walsh sapeva che aveva circa trentacinque anni, eppure sembrava più giovane di sua figlia. Sentì che McLoughlin si agitava sulla sedia come se l'apparente fragilità della donna l'avesse colpito in qualche modo. La maledisse pensando alle emozioni che aveva risvegliato in lui. Sotto quell'aspetto vulnerabile nascondeva un cervello fino. «Mi faccia pensare... in questo momento non riesco proprio a ricordare
se fosse mai stata utilizzata mentre David viveva qui. Ricordo però che mio padre la usava come camera oscura durante un inverno mentre ero a casa da scuola. Ma non lo fece a lungo.» Sorrise. «Non gli piaceva andare fin laggiù quando faceva freddo.» Rise come se il ricordo di suo padre la rendesse allegra. «In seguito portò a sviluppare le pellicole a Silverborne da un professionista. Mia madre diceva che lo faceva per poter dare la colpa a qualcun altro quando le fotografie riuscivano male, cosa che accadeva spesso. Non era un buon fotografo.» Continuava a guardare fisso negli occhi l'ispettore. «Non ricordo se poi fosse mai più stata usata, fino a quando non decidemmo di sistemarci i mattoni. Forse i bambini ne sanno qualcosa. Potrei chiederglielo.» A Walsh tornarono allora in mente i suoi figli: un ragazzino vivace di dieci anni che era rientrato dal collegio nel bel mezzo dell'indagine, con occhi del medesimo azzurro di quelli di sua madre, e una bambinetta di otto anni con una folta chioma di riccioli scuri. L'avevano protetta, ricordava, proprio come le sue due amiche avevano fatto poco prima nel salotto. «Jonathan e Jane», recitò. «Abitano ancora con lei, signora Maybury?» «Non proprio. Jonathan ha un appartamento a Londra. Studia medicina al Guy. Jane studia scienze politiche e filosofia a Oxford. Ogni tanto passano qui qualche fine settimana e qualche vacanza.» «Hanno fatto strada. Dev'essere contenta.» Pensò tristemente alla propria figlia che si era fatta mettere incinta a sedici anni e ora, a venticinque, era divorziata con quattro figli e non aveva altra prospettiva che passare la vita in uno squallido appartamento popolare. Lesse qualche appunto. «Dall'ultima volta che ci siamo visti, lei si è messa a lavorare, signora Maybury. L'agente Williams mi ha riferito che fa la vivaista.» Phoebe parve sorpresa da questo cambio di argomento. «Fred mi ha dato una mano ad allestire una piccola serra per i gerani», spiegò in tono circospetto. «Ci occupiamo soprattutto delle varietà a foglia d'edera.» «E chi compera le piante?» «Nel paese abbiamo due clienti: una catena di supermercati e un consorzio agrario con punti vendita nel Devon e in Cornovaglia. Abbiamo ricevuto anche un paio di grossi ordini dagli Stati Uniti che abbiamo spedito per via aerea.» Era estremamente sospettosa. «Perché?» «Nessun motivo particolare», le assicurò lui. Aspirò rumorosamente una boccata di fumo. «Immagino che lei abbia molti clienti nel paese qui vicino.» «Nessuno», tagliò corto lei. «Non vendiamo direttamente al pubblico, e
se anche lo facessimo, non verrebbe nessuno.» «Lei non gode di un'ottima fama a Streech, vero, signora Maybury?» «A quanto pare, ispettore.» «Dieci anni fa faceva l'assistente nell'ambulatorio di un medico. Non le piaceva più, quel lavoro?» Un sorriso le increspò le labbra. «Fui pregata di andarmene. I pazienti si sentivano a disagio alla presenza di un'assassina.» «Suo marito sapeva dell'esistenza della ghiacciaia?» la incalzò lui, cogliendola in contropiede. «Mi chiede se sapeva che fosse lì?» L'ispettore annuì. «Direi di sì, ma, come le dicevo, non ricordo se ci sia mai entrato.» Walsh prese un appunto. «Indagheremo. Forse i suoi figli ricordano qualcosa. Torneranno durante il fine settimana, signora Maybury?» La donna avvertì un brivido. «Immagino che se non verranno, lei manderà un poliziotto a chiamarli.» «È importante.» Nella voce della donna comparve una nota di incertezza. «Davvero, ispettore? Le abbiamo dato la nostra parola che sei anni fa in quella ghiacciaia non c'era niente. Che cosa può avere a che fare quel... quella cosa con la scomparsa di David?» Si sfilò gli occhiali e si premette le dita sugli occhi. «Non desidero che i miei figli vengano tormentati. Soffrirono già abbastanza dieci anni fa. Sarebbe insopportabile rispolverare quella storia tremenda.» Walsh sorrise bonariamente. «Domande di ordinaria amministrazione, signora Maybury. Niente di traumatico, direi.» La donna si rimise gli occhiali, turbata dalla risposta. «Dieci anni fa lei si comportò in modo estremamente stupido. Non riesco a capire come ho potuto immaginare che con il passare del tempo sarebbe rinsavito. Per noi è stato un inferno, e lei dice 'niente di traumatico'. Ma lei lo sa che cos'è l'inferno? L'inferno è quello che vive una bambina di otto anni quando la polizia va a scavare in tutte le aiuole del suo giardino e interroga sua madre per ore e ore in una stanza chiusa. L'inferno è quello che si vede negli occhi del proprio figlio quando suo padre lo abbandona senza una parola di spiegazione e sua madre viene accusata di omicidio. L'inferno è vedere soffrire i propri figli e non essere in grado di fare nulla. E lei mi chiede se sono soddisfatta dei loro risultati negli studi?» Si sporse in avanti facendo una smorfia. «Sicuramente anche lei avrebbe potuto fare un commento più
intelligente... sono sopravvissuti alla misteriosa scomparsa del padre, alle accuse di omicidio rivolte alla madre e al fatto che la loro casa è stata trasformata in un'attrazione turistica per curiosi, e nonostante tutto sono rimasti relativamente illesi. Forse sarebbe più appropriato dire che sono assolutamente entusiasta di come sono diventati.» «All'epoca le avevamo suggerito di mandare via i bambini, signora Maybury.» Walsh continuava volutamente a parlare in tono neutro. «Ma lei decise di tenerli qui ugualmente.» Phoebe scattò in piedi. Era appena la seconda volta che l'ispettore vedeva un'emozione forte su quel viso. «Dio, come la odio!» Mise le mani sul tavolo e l'ispettore si accorse che tremava. «Dove avrei potuto mandarli? I miei genitori erano morti e non ho fratelli né sorelle; Anne e Diana non erano in grado di occuparsi di loro. Dovevo affidarli a qualche estraneo mentre il loro mondo stava crollando?» Le venne in mente l'unica parente che aveva, una sorella zitella di suo padre che si era staccata dalla famiglia molti anni prima. La vecchia aveva letto avidamente tutto quello che era stato scritto sui giornali e non aveva mancato di metterci la sua pezzetta sull'argomento delle colpe dei genitori. Non aveva la più pallida idea del motivo che l'avesse spinta a scrivere quella lettera ma, in un certo senso, le sue oscure previsioni per il futuro di Jonathan e Jane erano state per Phoebe una specie di liberazione. Allora aveva capito, per la prima volta, che il passato era morto e sepolto e che rammaricarsi non sarebbe servito a niente. «Come osa parlare di decisioni! Se non potevo fare altro che sorridere mentre voi mi infangavate e fare in modo che i bambini non sapessero quanto ero sola e terrorizzata.» Si afferrò al bordo della scrivania. «Non posso tornare ad affrontare quell'incubo. Non vi permetterò di turbare la vita dei miei figli. Siete venuti a infangarci una volta, non vi permetterò di farlo di nuovo.» Si girò e si diresse verso la porta. «Avrei ancora un paio di domande da farle, signora Maybury. La prego, non se ne vada.» La donna si girò rapidamente aprendo la porta. «Andate affanculo!» esclamò e uscì sbattendo la porta. McLoughlin aveva ascoltato attentamente lo scambio di battute. «Però, che cambiamento rispetto a questo pomeriggio... è sempre così... volubile?» «No, anzi. Dieci anni fa non si scompose mai.» Continuò a succhiare il bocchino sporco. «Sono quelle due streghe che si è portata in casa. Le hanno fatto odiare
gli uomini.» Walsh era divertito. «Direi che a questo ci aveva già pensato David Maybury anni fa. Parliamo con la signora Goode. Vuole andare a chiamarla, per favore?» McLoughlin prese un tramezzino e se lo cacciò in bocca prima di alzarsi. «E l'altra? Devo chiamare anche lei?» L'ispettore capo ci pensò per un momento. «Meglio di no. Quella è un tipo difficile. Vorrei prima fare alcune verifiche.» Dal punto in cui si trovava, McLoughlin scorse la pelle rosata sotto i capelli sempre più radi di Walsh. Provò un improvviso senso di tenerezza per quell'uomo più anziano, come se l'ostilità di Phoebe avesse fugato la sua e gli avesse ricordato da che parte stava. «Direi che è il sospettato numero uno, signore. Credo che sarebbe stata ben felice di tagliare le palle a quel povero diavolo. Le altre due non l'avrebbero fatto.» «Probabilmente ha ragione, ma ci scommetterei che era morto quando l'ha fatto.» 5 Streech Grange era una bella magione antica nello stile di Giacomo I, costruita in pietra grigia, con le tipiche finestre all'inglese e un tetto appuntito in ardesia. Due ali laterali, aggiunte in seguito, si staccavano dal corpo principale della casa racchiudendo il terrazzo su cui le tre donne avevano bevuto il tè. Una separazione interna rendeva indipendente ognuna delle due ali che comunicavano con il resto della casa tramite porte aperte al pianterreno. Dopo essere stato nel salotto e in cucina, e averli trovati entrambi vuoti, il sergente McLoughlin giunse alla porta che comunicava con l'ala orientale. Bussò piano e, non avendo ottenuto risposta, entrò e percorse un corridoio. In fondo a questo c'era una porta aperta. Sentiva una voce bassa, inequivocabilmente quella di Anne Cattrell, che proveniva dalla stanza. Rimase in ascolto. «... non devi cedere, né lasciarti intimidire da quei bastardi. Conosco quella gente meglio di tanti altri. Qualunque cosa accada, Jane deve restarne fuori. Sei d'accordo?» Si sentì un mormorio di assenso. «E poi, tesoro, se riuscirai a cancellare la smorfia dalla faccia di quel sergente avrai tutta la mia ammirazione.» «Immagino che anche tu abbia considerato» ... commentò la voce più
lieve, che era quella di Diana... «che possa avere quella smorfia sin dalla nascita. Forse si tratta di un difetto che ha dovuto imparare ad accettare, come un braccio atrofizzato. In tal caso non saresti così intransigente.» Risuonò la risata di Anne. «Gli unici problemi che ha quell'idiota si trovano entrambi nei suoi calzoni.» «E cioè?» «Ha la testa di cazzo e la faccia da culo.» Diana si sbellicava dalle risate e McLoughlin avvertì una vampata di calore. Uscì, richiuse la porta comunicante e bussò di nuovo, questa volta in modo più deciso. Quando, dopo alcuni istanti, Anne andò ad aprirgli, lui sfoderò il più sardonico dei suoi sorrisi. «Dica, sergente?» «Cercavo la signora Goode. L'ispettore Walsh desidera parlarle.» «Questa è la mia ala. Non è qui.» La bugia era così plateale che lui rimase a guardarla sbigottito. «Ma...» «Ma che cosa, sergente?» «Dove posso trovarla?» «Non ne ho la più pallida idea. Forse l'ispettore si accontenterà di parlare con me?» McLoughlin le passò davanti e percorse il corridoio. Poi entrò nella stanza in fondo. Non c'era nessuno. Si aggrondò. Era una stanza grande con una scrivania a un'estremità e un divano e alcune poltrone attorno a un grande caminetto all'altra. Dappertutto c'erano vasi pieni di piante che scendevano come cascate verdi dalla mensola sul camino, si arrampicavano su una delle pareti e offuscavano la luce delle lampade sui bassi tavolini. Le due pareti esterne erano coperte da tende con un motivo a spina di pesce rosa, grigio e azzurro; sul pavimento c'era un tappeto blu e alle pareti pendevano allegri quadri astratti. Ovunque c'erano librerie piene di libri ordinati. Era una stanza bellissima, molto diversa da quella che McLoughlin avrebbe associato con la piccola donna muscolosa che l'aveva seguito e ora era affacciata alla porta, in attesa. «È una sua abitudine, sergente, entrare di forza in casa degli altri? Non ricordo di averla invitata a farlo.» «Abbiamo l'autorizzazione della signora Maybury ad andare e venire come più ci piace», tagliò corto lui. La donna si lasciò cadere su una delle poltrone e prese una sigaretta da un pacchetto che trovò sul bracciolo. «In casa sua, naturalmente», convenne accendendosi la sigaretta. «Ma quest'ala è mia. Lei non ha nessun diritto
di entrare senza il mio permesso o un mandato.» «Mi spiace», si scusò il sergente. D'un tratto si sentiva a disagio, così alto sopra di lei, eppure evidentemente in una posizione di inferiorità, mentre la donna si dimostrava particolarmente tranquilla. «Non sapevo che questa parte della casa appartenesse a lei.» «Non mi appartiene, sono in affitto, ma per quanto riguarda eventuali perquisizioni è la stessa cosa.» Sorrise appena. «Scusi, solo per curiosità, mi vuole dire che cosa le ha fatto pensare che la signora Goode potesse trovarsi qui?» McLoughlin vide che una delle tende veniva spostata da una lieve brezza e si rese conto che Diana doveva essere uscita da una porta-finestra. Si rammaricò di essersi lasciato prendere in giro da questa donna. «Non la trovavo da nessuna parte», rispose in tono brusco, «e l'ispettore Walsh desidera parlarle. Lei occupa l'altra ala?» «È in affitto nell'altra ala. Quanto a occuparla... be', come avrà immaginato, preferiamo stare insieme. È un cosiddetto ménage à trois, ma nel nostro caso è piuttosto libero. Di norma si tratta di persone dei due sessi, mentre noi siamo più esclusive e preferiamo... come dire... donne più frizzanti. In tre gli incontri sono più divertenti che in due, non crede? Forse non ha mai provato?» L'odio che provava per quella donna era forte e irrazionale. Girò di scatto la testa verso la parte principale della casa. «Ha corrotto anche i suoi figli, come ha corrotto lei?» La donna rise piano e si alzò. «Troverà la signora Goode nel suo salotto, immagino. Le faccio strada.» Percorse il corridoio e aprì la porta. «Prosegua dritto, e attraversi la parte principale della casa fino ad arrivare all'ala occidentale. È speculare rispetto a questa. Lì troverà una porta simile alla mia.» Gli indicò un campanello che lui non aveva notato. «E se fossi in lei, suonerei. È quantomeno un gesto gentile.» Rimase a guardarlo mentre si allontanava. Un sorriso sprezzante le increspava le labbra. Per raggiungere l'ala occidentale della casa, Andy McLoughlin doveva passare davanti alla biblioteca, così decise di riferire a Walsh che ci avrebbe messo ancora un paio di minuti prima di portargli Diana Goode. Con sua grande sorpresa vide che la donna era già lì, seduta sulla poltrona che aveva occupato Phoebe. Lei e l'ispettore girarono la testa quando la porta si aprì. Ridevano come se si fossero raccontati una barzelletta. «Ecco il sergente. La stavamo aspettando.»
McLoughlin tornò a sedersi, osservando Diana con fare sospettoso. «Come sapeva che l'ispettore desiderava parlarle?» Immaginò che doveva essere stata fuori dalla porta-finestra mentre Anne Cattrell gli faceva fare la figura del cretino. «Non lo sapevo, sergente. Ero venuta soltanto per offrirvi un caffè.» Sorrise bonariamente accavallando le gambe bellissime. «Di che cosa desiderava parlare, ispettore?» George Walsh sembrava compiaciuto. «Da quanto tempo conosce la signora Maybury?» volle sapere. «Venticinque anni. Da quando ne avevamo dodici. Eravamo in collegio insieme. C'era anche Anne.» «Però.» «La conosciamo da più tempo di chiunque altro, immagino persino più di quanto non l'avessero conosciuta i suoi genitori. Morirono quando aveva da poco passato i vent'anni.» Qui si fermò. «Ma questo lei lo sa già dalla volta precedente», concluse in modo impacciato. «Ce lo ricordi», la incalzò Walsh. Diana abbassò lo sguardo per nascondere i propri sentimenti. Aveva un bel dire, Anne, che non si lasciasse intimidire. Il solo fatto di sapere, la intimidiva. Con un commento incauto, che avrebbe potuto fare con chiunque, aveva finito per riattizzare un fuoco spento da anni. Non c'è fumo senza fuoco, avevano detto tutti alla scomparsa di David. «Morirono in un incidente automobilistico, se non ricordo male...» suggerì Walsh. Lei annuì. «Non funzionavano i freni. Quando li estrassero dai rottami, non c'era più niente da fare.» Seguì un lungo silenzio. «Se ben ricordo», riprese Walsh rivolto a McLoughlin, vedendo che Diana non continuava, «si era parlato di sabotaggio. È vero, signora Goode? Al paese si diceva che la signora Maybury avesse causato l'incidente per impadronirsi subito della sua eredità. La gente non dimentica in fretta. La storia venne riesumata all'epoca in cui scomparve il signor Maybury.» McLoughlin lanciò un'occhiata a Diana che se ne stava con la testa china. «Perché nacquero questi sospetti?» «Perché la gente è stupida», rispose lei, punta sul vivo. «Non c'era un'ombra di verità. Il giudizio del coroner non avrebbe potuto essere più esplicito: i freni non funzionarono perché il liquido era fuoriuscito da un manicotto forato. Ufficialmente il funzionamento dell'automobile era stato verificato tre settimane prima da un uomo di nome Casey, proprietario del-
l'officina del paese. In realtà era un imbroglione che si intascò il denaro senza effettuare il controllo.» Si aggrondò. «Si parlò di perseguirlo, ma non se ne fece mai nulla. A quanto pare, non c'erano prove a sufficienza. A ogni modo fu proprio Casey a mettere in giro la voce che Phoebe avesse sabotato l'automobile per impossessarsi di Streech Grange. Lo fece per non perdere i clienti.» McLoughlin la guardò dall'alto in basso. Lui non la apprezzava affatto. Gli era completamente indifferente e, per una donna come Diana che era solita avvalersi del proprio fascino per ottenere quello che voleva, era un duro colpo. Il fascino non può nulla contro una parete di pietra. «Doveva esserci qualche altra prova», suggerì seccamente. «La gente di solito non è così credulona.» Diana giocherellava con l'orlo della giacca. «Era colpa di David. I genitori di Phoebe avevano regalato loro una casetta a Pimlico come regalo di nozze, e David la usò come garanzia per un prestito. Perse una grossa somma giocando in borsa e non ebbe più denaro con cui pagare il prestito. All'epoca dell'incidente stavano per precludergli il diritto ipotecario, aveva due bambini piccoli, non un soldo in tasca, non un tetto sotto cui abitare.» Scosse la testa. «Dio solo sa come, ma la gente venne a saperlo. Nel paese credettero a Casey, fecero due più due, e ottennero cinque. Dal momento in cui cominciò a occuparsi di questa casa, Phoebe si porta dietro una maledizione. La sparizione di David, qualche anno dopo, non fece che buttare olio sul fuoco.» Sospirò. «Il fatto disgustoso è che non credevano nemmeno a Casey. Fallì dieci mesi dopo perché tutti i clienti lo abbandonarono. Dovette vendere l'attività e trasferirsi lontano, così, in un certo senso, fu fatta giustizia», concluse malignamente. «Non che la situazione migliorasse, per Phoebe. Erano tutti troppo idioti per capire che se lui aveva mentito, lei era innocente.» McLoughlin si abbandonò contro lo schienale della sedia tenendosi al bordo del tavolo con le sue dita robuste. Le regalò uno strano sorriso infantile. «Dev'essere stato orribile per lei.» La risposta di Diana fu cauta. «È vero. Era così giovane e dovette affrontare tutto da sola. David o se ne andava per settimane intere, o peggiorava la situazione litigando con la gente.» McLoughlin parve intenerito, come se capisse la solitudine e i problemi a essa connessi. «E immagino che gli amici qui l'abbiano abbandonata per colpa del marito...» Diana parve apprezzare il commento. «In realtà non ne aveva mai avuti,
era quello il punto. Se ne avesse avuti, sarebbe stato del tutto diverso. Andò in collegio a dodici anni, si sposò a diciassette e tornò qui soltanto quando morirono i genitori. Non ebbe mai amicizie a Streech.» McLoughlin tamburellava delicatamente con le dita sulla superficie di mogano. «'La solitudine più terribile è quando si perdono i veri amici' diceva Francis Bacon quattrocento anni fa.» Diana rimase sbigottita. Anne soleva citare Francis Bacon, ma in genere si trattava di affermazioni leggere, che provocavano ilarità. La voce grave di McLoughlin rendeva pesanti quelle parole. Era sorpresa sia dalla loro pertinenza alla situazione, sia dal fatto stesso che le conoscesse. Lo scrutò con fare pensoso. «Ma disse anche: 'Ognuno può modellare la propria fortuna'.» Contorse le labbra in una smorfia crudele. «Non le sembra strano che la signora Maybury sia sempre in grado di far emergere il lato peggiore della gente? Mi chiedo quale sia il suo segreto.» Girò lentamente con la punta della matita alcune fotografie in modo che Diana le vedesse. «Perché non se ne andò di qui, dopo essersi liberata di suo marito?» Benché in superficie sembrasse sofisticata, Diana era ingenua. La violenza la spaventava, perché non aveva mai occasione di sperimentarla. «Non poté farlo», sbottò in tono infuriato. «Non voleva vendere la proprietà. Dopo il primo anno di matrimonio con quel bastardo, convinse suo padre a modificare il testamento e lasciare la casa ai suoi figli. Noi tre paghiamo loro un affitto.» «E allora perché non la vendettero i figli? Non provano alcuna compassione per la loro madre?» Riuscì a guardarla negli occhi. «Oppure forse non le vogliono bene? Sembra un problema ricorrente per la signora Maybury.» Diana si sforzò di restare calma. «L'idea, sergente, era di impedire a David di trasformare la casa in denaro contante lasciando Phoebe e i bambini senza un tetto nel momento in cui i Gallagher fossero morti. E l'avrebbe fatto, se ne avesse avuto la possibilità. Dilapidò in tempo di record il denaro che sua moglie aveva ereditato. Il colonnello Gallagher, padre di Phoebe, lasciò istruzioni tali per cui la casa, eccetto per motivi particolarmente gravi, non avrebbe dovuto essere venduta né ipotecata prima del ventunesimo compleanno di Jane. La responsabilità di decidere se tali gravi circostanze, soprattutto problemi finanziari da parte di Phoebe e i figli, si verificavano, fu affidata a due amministratori. Secondo gli amministratori, la situazione non è mai stata sufficientemente grave da giustificare la vendita
della tenuta.» «E non venne presa in considerazione nessun'altra circostanza?» «Ovviamente no», rispose lei con fare sarcastico. «Come avrebbe potuto? Il colonnello Gallagher non era un veggente. Lasciò una certa discrezione agli amministratori, ma loro hanno preferito attenersi alle sue volontà così come sono espresse nel testamento. Dati i dubbi tuttora esistenti sul caso di David, se sia vivo o morto, sembra la soluzione più saggia, anche se Phoebe ha dovuto soffrirne.» Lanciò un'occhiata a Walsh per tornare a coinvolgerlo nella conversazione. McLoughlin la spaventava. «Gli amministratori hanno sempre privilegiato i figli, come da istruzioni contenute nel testamento.» Ora McLoughlin era realmente divertito. «Mi dispiace proprio per la povera signora Maybury. Lei odia questi amministratori quanto loro sembrano odiare lei?» «Non saprei, sergente. Non gliel'ho mai chiesto.» «Chi sono?» L'ispettore capo Walsh ridacchiò. Il ragazzo era caduto in trappola. «La signorina Anne Cattrell e la signora Diana Goode. Era strano, tuttavia, che vi fosse affidata una simile responsabilità quando avevate poco più di vent'anni. Abbiamo una copia del testamento», spiegò al sergente. «Il colonnello Gallagher deve aver avuto un'opinione molto alta di entrambe per affidarvi il futuro dei suoi nipoti.» Diana sorrise. Doveva ricordarsi di raccontare ad Anne com'era riuscita a cancellare la smorfia dal volto di McLoughlin. «È vero», confermò. «Perché questo dovrebbe sorprenderla?» Walsh sporse le labbra. «Ricordo che mi sorprese dieci anni fa, ma all'epoca non conoscevo lei né la signorina Cattrell. Lei era all'estero, credo, signora Goode.» Sorrise e chiuse un occhio con fare scherzoso. «Ora non mi sorprende affatto.» Diana inclinò la testa. «Grazie. Il mio ex marito è americano. Ero con lui negli Stati Uniti quando David scomparve. Tornai un anno dopo, quando divorziammo.» Continuava a guardare Walsh, ma lo sguardo di McLoughlin le metteva i brividi. Non desiderava incontrarlo di nuovo. «Il colonnello Gallagher era al corrente del rapporto che lei e la signorina Cattrell avevate con sua figlia?» chiese in tono mieloso. «Che eravamo amiche, intende?» sottolineò, continuando a guardare l'ispettore.
«Mi riferivo piuttosto alle questioni da camera da letto, signora Goode, e all'effetto che i vostri divertimenti potevano avere sui suoi nipoti. Oppure non ne sapeva nulla?» Diana si guardò le mani. Faceva fatica a sopportare l'odio della gente. Che cosa non avrebbe dato pur di avere almeno metà della faccia tosta di Anne. «Non che questo la riguardi, sergente», rispose infine, «comunque Gerald Gallagher sapeva di noi tutto quello che c'era da sapere. Non era un uomo al quale si dovessero nascondere le cose.» Quando ebbe finito di riempire di tabacco la pipa, Walsh se la mise in bocca e la accese soffiando altro fumo nella stanza in cui l'atmosfera era già pesante. «Dopo essere rientrate in casa, la signora Maybury o la signorina Cattrell fecero per caso l'ipotesi che il cadavere nella ghiacciaia fosse quello di David Maybury?» «No.» «Qualcuno ipotizzò chi potesse essere?» «Anne suggerì che doveva essere un barbone che aveva avuto un infarto.» «E la signora Maybury?» Diana ci pensò un momento. «Lei commentò soltanto che i vagabondi in genere non si fanno venire un infarto quando sono nudi.» «E lei, che cosa ne pensa, signora Goode?» «Non ne penso niente, ispettore, a parte il fatto che non è David. Il motivo gliel'ho già spiegato.» «Perché lei e la signorina Cattrell volete che Jane Maybury sia tenuta fuori da questa indagine?» chiese d'un tratto McLoughlin. Diana rispose senza esitare, ma gli lanciò un'occhiata incuriosita. «Jane è stata anoressica fino a diciotto mesi fa. Ha cominciato a studiare a Oxford in settembre con l'autorizzazione del medico, che tuttavia le ha raccomandato di evitare situazioni di stress eccessivo. Nella nostra posizione di amministratori, siamo concordi con Phoebe nell'affermare che a Jane tutto questo dovrebbe essere risparmiato. È tremendamente magra. Se si dovesse agitare, consumerebbe le sue riserve di energia. Non le sembra un motivo valido questo, sergente?» «Certamente», rispose lui in tono bonario. «Mi chiedo perché la signora Maybury non ci abbia messi al corrente di questa situazione», commentò Walsh. «Ha qualche motivo particolare per tenerci all'oscuro?» «Non che io sappia, forse l'esperienza le ha insegnato a essere circospet-
ta con la polizia.» «E perché?» chiese l'ispettore in tono affabile. «Perché voi, per vostra natura, tendete a cercare i punti deboli. Tutte sappiamo che Jane non è in grado di dirvi nulla di quel cadavere, ma probabilmente Phoebe teme che la interroghiate fino a farla crollare. E solo allora vi convincereste che non ne sa niente.» «Lei ha un'immagine molto contorta della polizia, signora Goode.» Diana fece una risatina forzata. «No di certo, ispettore. Di noi tre sono l'unica ad avere ancora qualche fiducia in voi. Del resto, non sono io a darvi informazioni?» Fletté le gambe e le portò sulla poltrona, coprendole completamente con la giacca di maglia. Il suo sguardo si soffermò brevemente sulle fotografie. «È un uomo? Anne e Phoebe non sono riuscite a capirlo.» «Per il momento pensiamo di sì.» «Assassinato?» «Probabilmente.» «Allora segua il mio consiglio e svolga le sue indagini in questo paese e nei paesi vicini. Troverà il nome della vittima e quello dell'assassino. Phoebe è un capro espiatorio così facile da sfruttare. Le lasciano il cadavere sul suo terreno in modo che poi debba sbrigarsela lei. Dev'essere una situazione di questo tipo.» Walsh annuì compiaciuto e scarabocchiò un appunto sul notes. «È una possibilità, signora Goode, non è da escludersi. Lei si interessa di psicologia?» Tutto sommato è un tenero, pensò Diana sfoderando uno dei suoi sorrisi più affabili, di quelli che teneva in serbo per i clienti difficili. «Mi serve sempre nel lavoro», gli confidò, «anche se dubito che uno psicologo la definirebbe così.» L'ispettore la guardava incantato. «E come la chiamerebbe?» «Tecnica di persuasione, credo.» Le tornò in mente lady Keevil con le sue tende color verde pisello. Anne le definirebbe bugie. «I suoi clienti vengono qui per consultarla?» Lei scosse la testa. «No. Sono i loro interni, che devo progettare, non i miei. Vado io da loro.» «Ma lei è una donna molto attraente, signora Wood.» L'ammirazione che provava per lei era evidente. «Certamente ha un sacco di conoscenti che vengono a trovarla, gente del paese, gente che ha conosciuto nel corso degli anni.»
Si chiese se l'ispettore avesse indovinato che quello era un punto su cui era particolarmente sensibile. Soffriva di dover condurre una vita tanto isolata. Dapprima, sconfitta dal fallimento del suo matrimonio, non se n'era quasi accorta. Si era ritirata all'interno di Streech Grange per leccarsi le ferite in pace, contenta che non ci fossero gli amici con tutte le loro buone intenzioni. Era rimasta scioccata quando, guarite le ferite e ripreso il lavoro, si era resa conto che l'isolamento di Phoebe non era volontario. Era inevitabile. Phoebe viveva nell'odio, mentre la tolleranza di Anne si era trasformata in indifferenza cinica. Lei stessa aveva persino cambiato voce. «No», lo corresse. «Abbiamo pochissimi ospiti, e mai dal paese.» L'espressione di lui era incoraggiante. «E allora mi dica: ammettiamo che lei abbia ragione sul fatto che la vittima e l'assassino siano del luogo. Ma come hanno fatto a sapere dell'esistenza della ghiacciaia e come sono riusciti a trovarla? Immagino che anche lei ritenga che è ben nascosta.» «Chiunque poteva saperlo», tagliò corto lei. «Fred potrebbe averne parlato al pub dopo averci messo i mattoni. O magari ne avevano parlato i genitori di Phoebe. Non mi sembra che sia un mistero.» «E va bene, allora mi spieghi come si fa a individuarla se non si sa esattamente dove si trova. Presumo che nessuno di voi abbia notato un intruso da queste parti, altrimenti me l'avreste detto. E poi, ancora una cosa: perché mettere proprio lì un cadavere?» La donna si strinse nelle spalle. «È un buon nascondiglio.» «E l'assassino, questo, come lo sapeva? Come poteva immaginare che la ghiacciaia non veniva utilizzata? E poi, perché nascondere il cadavere se volevano usare Phoebe Maybury come capro espiatorio? Come vede, signora Goode, il quadro è piuttosto confuso.» Diana ci pensò un momento. «Non si può escludere il semplice caso. Qualcuno commette un omicidio, decide di liberarsi del cadavere lasciandolo in questa proprietà nella speranza che, qualora venisse scoperto, la polizia indaghi su Phoebe, e per caso scopre la ghiacciaia mentre sta cercando un posto in cui nascondere il corpo.» «Ma la ghiacciaia è a ottocento metri dal cancello», obiettò Walsh. «Lei crede davvero che un omicida sia passato davanti a Lodge House, poi abbia percorso tutto il viale d'accesso e attraversato il prato al buio con un cadavere in spalla? Visto che ritengo sia da escludere l'eventualità che abbia potuto farlo di giorno. Per quale motivo non avrebbe semplicemente sepolto il cadavere nel bosco vicino al cancello?» Diana sembrava a disagio. «Forse ha scavalcato il muro in fondo al giar-
dino ed è arrivato da quella parte.» «In tal caso avrebbe attraversato la fattoria di Grange, che, se ben ricordo, confina con quel lato della proprietà.» Diana annuì suo malgrado. «Perché correre un simile pericolo? E comunque, perché non seppellire rapidamente il cadavere nel bosco? Per quale motivo è stato necessario portarlo nella ghiacciaia?» Diana avvertì un brivido improvviso. Capì che stava tentando di incastrarla, di indurla ad assumere una posizione e ad ammettere che sapere dell'esistenza e dell'ubicazione della ghiacciaia era un punto chiave. «Mi sembra, ispettore», riprese in tono distaccato, «che lei stia facendo una serie di ipotesi che, mi corregga se sbaglio, devono ancora essere dimostrate. Tanto per cominciare, lei ipotizza che il cadavere sia stato portato lì. Magari la vittima è arrivata nella ghiacciaia con le proprie gambe e lì ha incontrato l'assassino.» «Ovviamente abbiamo preso in considerazione questa possibilità, signora Goode. Ma non ci fa cambiare idea. Dobbiamo chiederci: perché proprio la ghiacciaia, e come hanno potuto arrivarvi se non ci erano stati precedentemente?» «Be', allora lei può partire dall'ipotesi che fossero già stati lì e scoprire chi sono. Così, di primo acchito, potrei avanzare diverse ipotesi: amici del colonnello Gallagher e di sua moglie, per esempio.» «Che ora avrebbero quasi ottant'anni. Ovviamente è possibile che l'assassino sia una persona anziana, ma statisticamente è molto improbabile.» «Magari qualcuno a cui Phoebe o David ne avevano parlato.» McLoughlin si spostò sulla sedia. «La signora Maybury ci ha già assicurato che non ci pensava mai, tanto che si dimenticò di parlarne alla polizia durante le ricerche che seguirono alla scomparsa del marito. Se se n'era dimenticata a quel punto, mi sembra improbabile che possa avere pensato di parlarne con eventuali ospiti che, come lei stessa ha affermato, sono alquanto rari.» «Magari è stato David.» «Questo non si può proprio sapere, signora Goode», intervenne l'ispettore. «Può anche darsi che David Maybury abbia mostrato la ghiacciaia a qualcuno, a diverse persone, magari, ma la signora Maybury non se ne ricorda. Anzi, non ricorda di avergliela mai vista usare, pur ritenendo che probabilmente sapeva che fosse lì. Francamente, signora Goode, in questo momento non vedo come potremmo procedere in quella direzione a meno che la signora Maybury o i suoi figli non ricordino occasioni o nomi da cui
potremmo ricavare un indizio.» «I figli», ripeté Diana sporgendosi in avanti. «Avrei dovuto pensarci prima. Ne avranno parlato con i loro amici quando erano bambini. Lei sa bene quanto sono curiosi i bambini, e sicuramente non c'è un centimetro di questa proprietà che non avranno esplorato con gli amichetti.» Si abbandonò contro lo schienale con un sospiro di sollievo. «Dev'essere così, naturalmente. Sarà stato qualche giovane del paese, che ora avrà superato i vent'anni.» Notò che la smorfia era tornata sul viso di McLoughlin. Walsh parlò dolcemente. «Sono d'accordo con lei, è possibile. Per questo è così importante che interroghiamo non solo Jonathan, ma anche Jane. Non possiamo farne a meno, per quanto voi possiate disapprovare. Jane potrebbe essere l'unica a metterci sulla strada giusta.» Prese un altro sandwich. «I poliziotti non sono barbari, signora Goode. Le assicuro che prenderemo tutte le precauzioni e useremo il nostro tatto nell'affrontare il problema con lei. Mi auguro che lei possa convincere di questo la signora Maybury.» Diana si alzò in piedi. Senza saperlo, si appoggiò alla scrivania esattamente allo stesso modo in cui l'aveva fatto Phoebe, come se quella vita comune le avesse spinte ad adottare gli stessi atteggiamenti. «Non posso prometterle niente, ispettore. Phoebe pensa con la sua testa.» «In questo caso non ha scelta», tagliò corto l'ispettore, «a parte sul fatto di decidere se interrogheremo sua figlia qui o a Oxford. Date le circostanze, immagino che la signora Maybury preferirà che tutto avvenga qui.» Diana si drizzò. «Desidera farmi ancora qualche domanda?» «Ancora due sole, per stasera. Domani il sergente McLoughlin gliene farà di più specifiche.» Alzò lo sguardo su di lei. «Come fu che la signora Maybury assunse i coniugi Phillips? Mise un annuncio su un giornale o si rivolse a un'agenzia?» A Diana tremavano le mani. Le ficcò nelle tasche del cardigan. «Penso che l'avesse organizzato Anne», rispose. «Però sarà meglio che lo chiediate a lei.» «Grazie. E poi ancora una cosa: quando lei aiutò a pulire la ghiacciaia, può dirmi che cosa c'era dentro e che cosa ne faceste?» «È passato tanto tempo», rispose Diana, sentendosi a disagio. «Non me ne ricordo proprio. Non era nulla di speciale, comunque, solo vecchio ciarpame.» Walsh le lanciò un'occhiata sospettosa. «Mi descriva l'interno della ghiacciaia, signora Goode.» Notò che gli occhi di lei frugavano rapida-
mente tra le fotografie sulla scrivania, ma lui aveva provveduto a girare tutte le inquadrature generali quando lei era entrata. «Che dimensioni ha? Di che forma è la porta? Di che materiale è fatto il pavimento?» «Non me ne ricordo.» L'ispettore si esibì in un pigro sorriso soddisfatto, e Diana pensò che somigliava molto a un lupo impagliato con i denti fuori e gli occhi di vetro che aveva visto da qualche parte. «Grazie», concluse Walsh congedandola. 6 Diana trovò Phoebe nella stanza del televisore. Guardava il telegiornale delle dieci. Le immagini dello schermo costituivano l'unica illuminazione della stanza e le si riflettevano sulle lenti degli occhiali nascondendole gli occhi e facendola sembrare cieca. Diana accese l'abat-jour. «Ti farai venire mal di testa», la rimproverò lasciandosi cadere accanto a lei e accarezzandole l'avambraccio lievemente abbronzato. Phoebe tolse l'audio del televisore con il telecomando che aveva sulle ginocchia, ma mantenne l'immagine. «Ce l'ho già», ammise stancamente. Si sfilò gli occhiali e si strofinò gli occhi arrossati con il fazzoletto. «Mi dispiace», balbettò. «Di che cosa?» «Di avere pianto. Speravo di essere riuscita a superare quella fase.» Diana si avvicinò uno sgabello e vi stese sopra i piedi. «Un bel pianto è uno dei pochi piaceri che ti restano nella vita.» «Ma non serve a molto.» S'infilò il fazzoletto nel polsino e tornò a inforcare gli occhiali. «Hai mangiato qualcosa?» «Non ho appetito. Molly ha preparato uno sformato, se vuoi.» «Sì, me l'ha detto prima di andarsene. Neppure io ho appetito.» Rimasero in silenzio. «È un casino tremendo, vero?» balbettò Phoebe dopo qualche tempo. «Già.» Diana si sfilò i sandali e li lasciò cadere sul pavimento. «Quell'ispettore non è un cretino.» Parlava apposta a voce bassa. Phoebe si infiammò. «Oh, quanto lo odio! Secondo te, quanti anni può avere?» «Direi poco meno di sessanta.» «Non è invecchiato molto. Dieci anni fa sembrava un professore geniale.» Stette a pensare un momento a quanto aveva detto. «Invece non è così.
Non è affatto geniale. È pericoloso, Di. Ti prego, non dimenticartene mai.» L'amica annuì. «E che cosa ne pensi di quell'incubo del suo assistente?» Phoebe la guardò con aria stranita, come se avesse sollevato un problema di scarsa importanza. «Chi, il sergente? Non ha detto molto. Perché me lo chiedi?» Con movimenti ritmici, come se accarezzasse un gatto, Diana si passava la mano sul cardigan di lana. «Anne non vede l'ora di litigare con lui, e non capisco perché.» Phoebe si strinse nelle spalle. «Credo che stia sbagliando. Appena l'ha visto in salotto, ha deciso che era un bastardo e un ignorante, e si è messa in testa di dargli una lezione. Accidenti!» esclamò con enfasi. «Perché non può scendere a compromessi, una volta ogni tanto? Se non starà attenta, tra poco saremo nella merda fino al collo.» «Hanno già parlato con lei?» «No, le hanno detto che le avrebbero parlato domani. Sembrano molto tranquilli sulla questione. Ah, a proposito, abbiamo il loro permesso ufficiale di andarcene a letto.» Phoebe chiuse gli occhi e si pigiò le tempie con le dita affusolate. «Che cosa ti hanno chiesto?» Diana si girò in modo da trovarsi di fronte all'amica. «Dalle allusioni che facevano, esattamente lo stesso che avevano chiesto a te.» «Solo che io me ne sono andata rifiutandomi di rispondere alle domande.» Aprì gli occhi e rimase a guardare l'amica con espressione addolorata. «Lo so che sono stata molto stupida, ma mi avevano fatta infuriare. È strano, non ti pare? Ho sopportato ore di interrogatori quando David se ne andò. Questa volta ho ceduto dopo cinque minuti. Oh, come odio quell'uomo! Avrei potuto cavargli gli occhi. Ti assicuro che sarei stata capacissima di farlo.» Diana le sfiorò di nuovo il braccio. «Non mi sembra strano, qualsiasi psichiatra ti direbbe che la collera è una reazione normale allo stress, ma probabilmente è un modo di agire poco saggio.» Fece una smorfia. «Anne dirà che sono impazzita, ovviamente, ma ritengo che dovremmo dare loro tutta la nostra collaborazione. Prima risolvono il problema, e prima ci lasciano in pace.» «Vogliono interrogare i ragazzi.» «Lo so, e non penso che potremo evitarlo.» «E se facessimo intervenire lo psichiatra di Jane? Pensi che lui riuscirebbe a evitarlo?» «Forse per uno o due giorni, poi si procurerebbero un mandato per otte-
nere un secondo consulto in base al quale Jane sarebbe costretta a rispondere alle domande. Lo sai bene che il suo psichiatra ha dichiarato che era guarita già un anno e mezzo fa.» «Guarita sì, ma non pronta per un interrogatorio», protestò Phoebe, massaggiandosi vigorosamente le tempie. «Ho paura, Di. Credo davvero che sia riuscita a dimenticare tutto. Se adesso la costringessero a ricordare, Dio solo sa che cosa potrebbe accadere.» «Parlane con Anne», suggerì Diana. «Lei potrebbe essere più obiettiva di te. Forse tu sottovaluti le forze di Jane. È tua figlia, dopotutto.» «E quindi sarei meno obiettiva?» Calma, pensò tra sé Diana. «E quindi ha ereditato tutta la forza dei Gallagher, sciocchina.» «Non dimenticarti di suo padre. Nonostante tenti di convincermi del contrario, tutti e due i miei figli hanno ereditato qualcosa anche da David.» «Non era poi una persona così cattiva, Phoebe.» Phoebe non riuscì più a trattenere le lacrime. Sbatté le palpebre in preda alla collera. «E invece sì, e lo sai quanto me. Questo pomeriggio l'hai detto all'ispettore, e avevi ragione. Era marcio fino al midollo delle ossa. Se non ci fossimo liberati di lui, avrebbe corrotto anche me e i bambini. Ci aveva già provato.» Tacque brevemente. «È l'unica colpa che rimprovero ai miei genitori. Se non fossero stati così bigotti, non sarei stata costretta a sposarlo. Avrei potuto avere Johnny e crescerlo da sola.» «Fu difficile per loro.» Ma sono d'accordo con te, pensò Diana tra sé. Per il comportamento dei genitori non c'era giustificazione. Ma allora, perché li difendo? «Hanno agito nel modo che ritenevano corretto.» «Ma avevo diciassette anni, Cristo!» Phoebe si piantò le unghie nelle mani stringendo i pugni. «Più giovane di quanto ora non sia Jane. E ho permesso a un bastardo che aveva il doppio dei miei anni di sposarmi solo perché mi aveva messa incinta, e poi sono rimasta a guardare mentre lui veniva premiato per quello che aveva fatto. Oh, Cristo! E pensare a tutti i soldi che ha spillato a mio padre!» Non pensarci, avrebbe voluto dire Diana. Hai cercato di dimenticarli, però ci sono stati anche bei tempi, all'inizio, quando Anne e io ti invidiavamo perché tu eri una donna e noi ancora ragazzine. Soprattutto quel fine settimana, se lo ricordava ancora, in cui David, colto da uno strano raptus di pazzia, le aveva portate a Parigi tutte e tre per un viaggio d'affari. Non ricordava più per quale società lavorasse al tempo, ne aveva cambiate tante, ma quel fine settimana, non l'avrebbe mai dimenticato. David, così sicuro
di sé, così veloce a scegliere dove andare e che cosa fare, così spontaneo; Phoebe, incinta di quattro mesi, con quel suo viso da bambola incorniciato da un meraviglioso cappellino, così felice di sé e con David; e Anne e Diana, a casa da scuola per una vacanza, in un sogno di gente meravigliosa in luoghi meravigliosi. Ed era un sogno, naturalmente, perché in realtà David Maybury era malvagio, orribile... anche Diana aveva avuto modo di scoprirlo... ma quell'unica volta, a Parigi, erano state in un mondo di sogno. Phoebe si alzò di scatto, andò a spegnere il televisore e parlò con Diana volgendole le spalle. «Lo sai che cosa mi dava la forza di continuare durante quegli interminabili interrogatori, la volta scorsa? Lo sai come sono riuscita a stare tranquilla nonostante ciò di cui venivo accusata?» Si girò e Diana vide che le lacrime si erano fermate con la stessa rapidità con cui avevano cominciato a scorrere. «Mi sentivo sollevata, maledettamente sollevata per essere riuscita a liberarmi così facilmente di quel bastardo.» Diana lanciò un'occhiata alle tende. Per essere una sera di agosto, faceva fresco, e Phoebe doveva avere lasciato aperta la finestra. «Non dire sciocchezze», la rimbrottò. «Questi dieci anni ti hanno fatto perdere la testa. Non è stato affatto facile liberarsi di David. Per te è stato una palla al piede dal giorno in cui vi siete sposati, e lo è tuttora.» Si strinse addosso il cardigan. «Se solo avessero trovato da qualche parte un cadavere in cui identificarlo.» «Se gli asini sapessero volare...» ribatté Phoebe sprimacciando i cuscini con violenza inaudita. Diana prese una tazza di caffè vuota e andò in cucina. «Stanno concentrandosi sulla ghiacciaia», annunciò uscendo. Aprì l'acqua e sciacquò la tazza. «Si basano sul presupposto che nessuno sappia dove si trova.» Sentì che la finestra nella sala del televisore veniva chiusa. «Se fossi in te, preparerei una lista di persone cui tu, David o i bambini l'avete fatta vedere. Sono certa che ci saranno molti nomi.» Phoebe rise amaramente e si tolse dalla tasca un foglio di carta. «Sto già spaccandomi la testa da quando sono uscita dalla biblioteca. Risultato: Peter ed Emma Barnes, e non ne sono nemmeno sicura.» «Sono quei terribili figli di Dilys?» «Proprio loro. Durante una vacanza non hanno fatto che cercare Jonathan e Jane per tutto il giardino. Sono certa che Dilys avesse architettato tutto per avvicinarsi a noi.» «Ma devono esserci stati altri bambini, Phoebe, nei primi tempi.»
«No, nemmeno i compagni di scuola. Jon era in collegio, se ben ricordi, e non ha mai voluto invitare qualche amico a fermarsi qui. Jane non desiderava amici punto e basta. Fu colpa mia. Avrei dovuto incoraggiarli, ma era tutto così difficile che all'epoca ero contenta che non frequentassero nessuno.» «E come andò, con Peter ed Emma?» «Fu una storia piuttosto spiacevole. Emma continuava a togliersi le mutandine davanti a Jonathan.» Scosse la testa. «Decisi di farla finita quando anche lui cominciò a togliersele. Aveva nove anni.» Tirò un sospiro. «E poi, come una sciocca, ne parlai con David. Lui telefonò subito a Dilys e le fece una testa così. Le disse che era una puttana e: 'Tale madre, tale figlia'. In seguito non vennero mai più, ma immagino che Jon avesse fatto vedere loro la ghiacciaia.» Diana rise sotto i baffi. «Una volta tanto, David aveva visto giusto. Emma non è migliorata molto, con il passare degli anni.» «Non aveva il diritto di parlare in quel modo con nessuno», tagliò corto Phoebe. «Dio solo sa come odio quella donna, ma Jon si comportava male proprio quanto Emma. David non lo sgridò mai. Anzi, disse che suo figlio stava diventando un uomo. Avrei potuto ucciderlo. Se c'era qualcuno che era volgare, era proprio David.» Diana era turbata dall'umore di Phoebe. L'aveva vista amareggiata altre volte, ma mai a tal punto per un motivo così futile. Sembrava che gli eventi succedutisi durante il pomeriggio avessero messo a dura prova le sue difese, scatenando emozioni represse da anni. Vedeva fin troppo chiaramente i pericoli insiti nella situazione. Lei e Anne avevano ritenuto che la più debole fosse Jane, si erano sbagliate? Non era forse Phoebe, dopotutto, a essere la più vulnerabile? «Sei stanca, vecchia mia», disse Diane prendendo sottobraccio l'amica. «Andiamo a letto e dormiamoci sopra.» Phoebe teneva la testa china. «Ho un'emicrania tremenda.» «Date le circostanze, non mi sembra affatto strano. Prendi un'aspirina. Domattina sarai un'altra.» Percorsero il corridoio tenendosi a braccetto. «Ti hanno chiesto di Fred e Molly?» chiese d'un tratto Phoebe. «Qualcosa.» «Mio Dio.» «Non preoccuparti.» Erano arrivate alle scale. Diana le diede un bacio e la lasciò. «Walsh mi ha chiesto anche di descrivergli la ghiacciaia», riferì.
«Te l'avevo detto, che era pericoloso», commentò Phoebe incamminandosi su per le scale. I passi di Diana riecheggiavano nel silenzio. Le venne in mente l'espressione «silenzio di tomba». Si tolse le scarpe e percorse il corridoio scalza. Aprì delicatamente la porta della stanza di Anne. L'amica sedeva alla scrivania e lavorava al computer. Diana fischiò piano per chiamarla, poi indicò verso l'alto. Senza far rumore, salirono nella camera da letto di Anne. Negli occhi di Anne c'era un'espressione birichina. «Mi meravigli, non è da te, Di. Proprio tu, che badi tanto alle apparenze. Ti rendi conto che qui è tutto un brulicare di piedipiatti?» «Non fare la sciocca. Questa volta non è uno scherzo, stai zitta e ascolta.» Fece sedere Anne sul letto e vi si accoccolò a sua volta incrociando le gambe. Mentre parlava, non riusciva a tenere ferme le mani e continuava a maneggiare la trapunta di piuma. 7 La tenda venne scostata e davanti alla finestra comparve Phoebe Maybury. Guardò fuori un momento. I capelli erano come una fiammata nei punti in cui la luce vi si rifletteva. Sul suo viso stanco gli occhi sembravano enormi. George Walsh si chiese quali sentimenti provasse. Paura? Colpa? Forse follia? In quello sguardo c'era qualcosa che non andava. Era talmente vicina che avrebbe potuto toccarla. Trattenne il respiro. La donna allungò la mano, afferrò la maniglia e richiuse la finestra. La tenda tornò al suo posto e, dopo qualche istante, venne spenta la luce. Le voci sommesse di Phoebe e Diana ora venivano dalla cucina, ma le parole non erano più intelligibili. Walsh fece un cenno a McLoughlin, che vedeva appena, e attraversò la terrazza con passo felpato per raggiungere il prato. Aveva tenuto d'occhio le finestre illuminate dell'ala di Anne e il profilo di lei, seduta alla scrivania, proiettato sulle tende. Nell'ultima mezz'ora la donna si era mossa più volte, ma non si era mai alzata dalla scrivania. Walsh era sicuro che nessuno si fosse accorto che lui e McLoughlin erano stati a origliare dall'esterno. Si incamminarono in silenzio verso la ghiacciaia. McLoughlin faceva strada con una torcia che teneva parzialmente coperta con una mano. Quando ritenne di essere abbastanza lontano dalla casa da non essere udi-
to, Walsh si fermò e si rivolse al collega. «Che cosa ne pensa, Andy?» «Direi che abbiamo appena ascoltato la più evidente ammissione di colpevolezza che ci sia mai dato di sentire», rispose McLoughlin. «Ehm.» Walsh si mordicchiava il labbro inferiore con fare pensoso. «Chissà. Che cos'è che ha detto?» «Ha ammesso che fu un sollievo liberarsi del marito con tanta facilità.» Si strinse nelle spalle. «Mi sembra abbastanza chiaro.» Walsh tornò a incamminarsi. «In un tribunale non reggerebbe per un minuto», notò. «Ma è interessante, decisamente interessante.» Poi si fermò di scatto. «Penso che stia finalmente cedendo. Ho avuto l'impressione che la signora Goode ne fosse convinta. Qual è la sua parte in questa faccenda? Certamente non ha avuto nulla a che fare con la scomparsa di Maybury. Avevamo verificato e non esiste alcun dubbio sul fatto che all'epoca si trovasse in America.» «Complice in seguito? Lei e la Cattrell sanno che l'assassina è la signora Maybury, ma tacciono per il bene dei figli.» Fece di nuovo spallucce. «A parte questo, sembra abbastanza estranea alla cosa. Della ghiacciaia non ne sa molto, questo è sicuro.» «A meno che non stia bluffando.» Ci pensò per alcuni minuti. «Non le sembra strano che viva qui da otto anni e non sia mai entrata in quella ghiacciaia?» La luna uscì da dietro una nube e illuminò loro la strada di una luce grigia e fredda. McLoughlin spense la torcia. «Forse non ha mai provato il desiderio di andarci», osservò con macabro senso dell'umorismo. «Forse sapeva che cosa c'era dentro.» «Be', chissà...» mormorò Walsh. «Chissà se è vero. Come ragionamento fila. Nessuno andrebbe a cacciare il naso in un luogo in cui sa che si trova un cadavere. Sono un terzetto agguerrito, e non credo che nessuna delle tre farebbe uno sforzo particolare per compiere un gesto moralmente corretto. Si adatterebbero persino a custodire un cadavere, purché fosse fuori dalla vista. Che cosa ne pensa?» «Le donne per me sono come libri chiusi, signore. Non mi illudo nemmeno di capirle», sbottò il sergente. Walsh ridacchiò. «Kelly le ha di nuovo fatto qualche scenata?» Quelle parole lo ferirono come una pugnalata. McLoughlin si infilò con forza le mani e la torcia nelle tasche. Non mi tenti, pensò tra sé. «Abbiamo litigato. Niente di grave.»
Walsh, che sapeva fin troppo bene che McLoughlin e la moglie avevano problemi da anni, commentò: «Pensi che l'ho vista proprio un paio di giorni fa con Jack Booth. Sembrava davvero allegra. Non l'avevo mai vista tanto in forma. È forse incinta? Sembrava davvero rifiorita». Quel bastardo, avrebbe dovuto picchiarlo, gli avrebbe fatto meno male. «Probabilmente è perché se n'è andata a stare con Jack», rispose con indifferenza. «Se n'è andata la settimana scorsa.» E adesso ridi, figlio di puttana, ridi, ridi, ridi, e dammi almeno un motivo valido per spaccarti la faccia. Preso in contropiede, Walsh diede a McLoughlin una maldestra pacca sulla spalla. Ora capiva perché da un paio di giorni era così nervoso. Perdere la moglie è già abbastanza grave, ma perderla perché te l'ha soffiata il tuo migliore amico, è una vera tragedia. Possibile! Proprio Jack Booth! Era stato testimone al matrimonio. Questo spiegava molte cose. Perché McLoughlin in quel periodo era solitario. Perché Jack aveva improvvisamente deciso di licenziarsi per andare a lavorare come guardia giurata a Southampton. «Non lo sapevo. Mi dispiace.» «Niente di speciale, signore. È stato tutto molto tranquillo. Ci siamo lasciati bene.» L'aveva presa con filosofia. «Forse è una sbandata momentanea», suggerì Walsh. «Forse le passerà e tornerete insieme.» I denti di McLoughlin luccicavano nella notte, ma l'oscurità celò la collera profonda che era nei suoi occhi. «Mi faccia un favore, signore, è l'ultima cosa che voglio sentirmi dire. Davvero, non abbiamo mai avuto molto da dirci. Che cosa diavolo ci diremmo se dovesse tornare?» Cristo, ardeva dal desiderio di colpire qualcuno. Lo sapevano tutti? Stavano tutti ridendo alle sue spalle? Avrebbe ucciso il primo che avesse visto ridere di lui. Accelerò il passo. «Grazie a Dio non avevamo figli. Così non ci sono perdenti.» Walsh lo seguiva a un paio di passi di distanza, pensando alla volubilità della natura umana. Ricordava una conversazione che aveva avuto con McLoughlin soltanto qualche mese prima, durante la quale il giovane aveva affermato che i suoi problemi coniugali derivavano dal fatto che lui e Kelly non avessero figli. Secondo il marito, la moglie si annoiava, non era soddisfatta del suo impiego come segretaria e aveva bisogno di un bimbo che la tenesse impegnata. All'epoca Walsh, saggiamente, aveva evitato di commentare. Sapeva per propria esperienza che i consigli sulle dispute familiari non sono mai ben accetti, ma aveva sperato ardentemente che il Fato intervenisse in modo da non far nascere alcun figlio a quella coppia così
male assortita. La prima gravidanza di sua figlia, a sedici anni, quando era ancora a scuola ed era nubile, l'aveva scioccato, ma il colpo più grosso era stato quando aveva scoperto che sua moglie e sua figlia in realtà non si erano mai volute bene. Sua figlia affermava che due matrimoni falliti e quattro figli erano il frutto del suo bisogno di affetto, mentre sua moglie sosteneva di avere perso molte opportunità e la fiducia in se stessa a causa della figlia. George tentava di compensare le manchevolezze del passato occupandosi dei nipotini, ma non era facile. Tendeva a essere critico. Li trovava troppo vivaci e maleducati e dava la colpa di questo alla figlia e all'assenza di una figura paterna. L'incubo ricorrente di Walsh era che, concependo quella figlia senza pensare alle conseguenze del gesto, aveva posto i presupposti di un'infelicità che sarebbe cresciuta e maturata di generazione in generazione. Raggiunse McLoughlin. «La vita è un mistero, Andy. Alla fine vedrà che tutto quadra, anche se ora non è in grado di capirlo. Le cose si sistemeranno. Accade sempre così.» «Certo, signore. 'Tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili.' Lei crede ancora a queste stronzate, vero?» Walsh ci rimase di stucco. «Be', a dire il vero, sì.» Il profilo della ghiacciaia si stagliava contro le lampade ad arco della polizia. McLoughlin girò di scatto la testa verso la porta aperta e l'oscurità interna. «Indovini un po' dove lui le avrebbe detto di mettersi la sua bella massima... sicuramente non sarebbe stato d'accordo.» «Ma il suo assassino sì.» E probabilmente anche tua moglie, pensò Walsh tra sé, al calduccio sotto le coperte con quel bel pezzetto di umanità che è Jack Booth. Alzò una mano per salutare il commissario distrettuale Jones. «Trovato niente?» Jones gli indicò un canovaccio che era stato steso per terra. «È tutto lì, signore. Abbiamo preso in esame una zona dal raggio di cinquanta metri tutt'attorno alla ghiacciaia. Ho detto ai ragazzi di lasciare per domani il boschetto lungo il muro. In questo momento ci sono troppe ombre per vederci chiaro.» Walsh si accosciò e, servendosi di una matita, si mise a spostare diversi pacchetti vuoti di patatine fritte, cartine di caramelle, due palle da tennis consunte e altre cianfrusaglie. Separò tre preservativi usati, un paio di mutandine scolorite e alcune cartucce. «Su questi faremo indagini. Temo che il resto non servirà a nulla.» Si rialzò in piedi. «Bene, direi che per oggi abbiamo finito. Jones, lei continui le ricerche domani. Si concentri sul bo-
sco lungo il muro di fondo e sulla zona attorno al cancello. Si faccia aiutare da un paio di uomini. Andy, lei continui gli interrogatori fino a quando non la raggiungerò. Chieda a Fred Phillips se ha usato un fucile di recente. In centrale verificheremo se lui o qualcun altro qui ha il porto d'armi. Il sergente Robinson e gli agenti possono informarsi nel paese.» Accennando ai preservativi e alle mutandine, aggiunse: «Questi non sembrano oggetti che qualche abitante di questa proprietà possa avere abbandonato in giardino, ma...» guardò McLoughlin, «può informarsi con un po' di tatto.» Si rivolse a Jones. «Si trovavano nello stesso punto?» «No, qua e là, signore. Abbiamo segnato i punti.» «Bravo. Sembra che qualche dongiovanni della zona abbia l'abitudine di portare qui le sue amichette. Forse lui sarebbe in grado di darci qualche informazione. Dirò a Nick Robinson di concentrare l'indagine su questo punto.» Sul volto di McLoughlin si era dipinta un'espressione amareggiata. Non gli andava l'idea di parlare di preservativi usati con le donne di Streech Grange. «E lei, signore?» si informò. «Io? Vorrei verificare un paio di incartamenti, soprattutto quelli riguardanti la signora Cattrell. È un osso duro. Non mi piace affatto.» Sporse le labbra e se le pizzicò tra l'indice e il pollice. «La Sezione Speciale ha un dossier su di lei che risale ai tempi in cui era studentessa. Ne ebbi per le mani alcune parti quando scomparve Maybury. È per questo che sapevo che era a Greenham Common. Ha messo i bastoni tra le ruote a parecchia gente. Si ricorda di quello scandalo, un paio d'anni fa, nella contabilità del ministero della Difesa? Qualcuno aveva aggiunto uno zero alla cifra di tre milioni di sterline per un appalto e il ministero pagò il decuplo di quello che avrebbe dovuto. Anne Cattrell fece lo scoop. Caddero diverse teste. Lei è particolarmente abile a far cadere le teste.» Si massaggiò la mandibola con fare pensoso. «Sarà meglio che lo tenga presente, questo, Andy.» «Ma non sta esagerando, signore? Se è così in gamba, che cosa diavolo ci fa qui, sepolta in questo paesino sperduto? Dovrebbe essere a Londra e scrivere per una delle grandi testate.» Si era sentito stuzzicato dal tono divertito e al contempo di ammirazione di Walsh. «Oh, è brava, sì», ribadì Walsh, «e lavorava per una testata nazionale a Londra prima di rovinare tutto, venire qui e mettersi a fare la free lance. Non faccia l'errore di sottovalutarla. Ho letto alcuni dei commenti nel suo
dossier. È una donna coraggiosa. Una di quelle che è meglio avere dalla propria parte che contro. Ha militato nella sinistra e sa tutto quello che c'è da sapere sui diritti dei cittadini e sui poteri della polizia. È stata addetta all'ufficio stampa del CND, è femminista dichiarata, sindacalista, ha avuto a che fare con il Gruppo Militante ed è stata anche membro del Partito Comunista Britannico...» «Oh, Gesù!» sbottò McLoughlin. «E che cosa diavolo ci fa in una casa aristocratica? Hanno due persone di servizio, quelle tre donne!» «Affascinante, no? Che cosa le ha fatto abbandonare il lavoro e i suoi principi? Le suggerisco di chiederglielo domani. È la prima occasione che ci capita di scoprirlo.» Il vecchio puzzava di whisky. Sembrava uno spaventapasseri, seduto sulla soglia del tabaccaio di Southampton. Indossava un paio di pantaloni assurdamente rosa, il vecchio cappello sulle ventitré sulla testa pelata, e cantava una canzone allegra. Era quasi mezzanotte. Come fanno gli ubriachi, ogni tanto smetteva di cantare e gridava qualcosa ai passanti che lo guardavano con la coda dell'occhio e attraversavano la strada o gli passavano davanti accelerando l'andatura. Si avvicinò un poliziotto che si fermò davanti a lui chiedendosi che cosa fare di quel povero vecchio. «Certo che sei un bel rompipalle», notò in tono amichevole. L'ubriacone gli lanciò un'occhiataccia. «Piedipiatti di merda», commentò prima di riconoscerlo. «Oh, Dio, sergente Jordan», gracchiò. Da sotto il cappotto estrasse una bottiglia racchiusa in un sacchetto di carta, la stappò estraendo il tappo con i denti scuri e la offrì al poliziotto. «Bevi alla mia salute, amico.» Il sergente Jordan scosse la testa. «Non stasera, Josephine.» Il vecchio si portò la bottiglia alla bocca e se la scolò tutta. Il cappello gli cadde dalla testa e rotolò sul gradino. Il sergente si chinò a raccoglierlo e glielo calcò bene in testa. «Vieni, vecchio pazzo.» Gli infilò la mano sotto il braccio e sollevò in piedi quel lercio rudere. «Mi sbatti dentro?» «È quello che vuoi?» «Non mi dispiacerebbe», gemette il vecchio. «Sono stanco. Una branda non sarebbe niente male.» «Non ho voglia di far disinfettare la cella dopo che ci sei stato tu», bofonchiò il poliziotto, togliendosi di tasca un biglietto da visita e leggendo
un indirizzo. «Voglio farti un favore, probabilmente il primo che ti sia stato fatto da anni, a parte qualche bicchiere gratis. Vieni, stanotte dormi all'Hilton. George Walsh lasciò i sergenti Robinson e McLoughlin al Lamb and Flag in Winchester Road per una pinta della staffa prima dell'orario di chiusura, poi si recò alla centrale di polizia di Silverborne. Percorse High Street, passò davanti al monumento ai caduti e all'ex mercato, che ora era stato trasformato in una banca, e tra due file di negozi bui. L'unico motivo, a parte la rapida espansione, per cui Silverborne era stata menzionata negli ultimi dieci anni, era la vicinanza fisica a Streech Grange e il mistero relativo alla scomparsa di David Maybury. Secondo Walsh, non era una coincidenza che Streech si trovasse di nuovo al centro dell'attenzione della polizia. Relativamente pochi casi di omicidio erano rimasti privi di soluzione. Di casi così eclatanti, poi, se ne verificavano molto di rado. Fischiettava una melodia improvvisata quando arrivò alla centrale. Era in servizio Bob Rogers. Quando Walsh entrò, alzò lo sguardo. «'Sera, signore.» «Salve, Bob.» «Ho saputo che avete trovato Maybury.» Walsh si appoggiò alla scrivania con una mano. «Non voglio ancora darlo per scontato. Quel bastardo è riuscito a farla franca per dieci anni. Posso aspettare ancora ventiquattr'ore prima di aprire lo spumante. Si sa qualcosa di Webster?» Rogers gli fece segno di no. «Ha da fare?» «Non molto.» «Allora mi faccia un favore. Si procuri un lista di tutte le persone, uomini e donne, di cui è stata denunciata la scomparsa in questa zona, diciamo negli ultimi sei mesi. Sarò nel mio ufficio.» Walsh salì le scale. I suoi passi riecheggiavano nel corridoio deserto. Gli piaceva la centrale di notte, vuota, silenziosa, senza lo squillare dei telefoni e le voci fuori dalla sua porta che non gli permettevano di concentrarsi. Entrò nell'ufficio e accese la luce. Due anni prima sua moglie per Natale gli aveva regalato un quadro per dare un tocco personale alle squallide pareti bianche. Era appeso alla parete di fronte alla porta e lo accoglieva ogni volta che entrava. Lo odiava. Era un tipico esempio del gusto di lei, non del suo: un branco di lucidi cavalli neri con le criniere al vento che galoppa
in un bosco autunnale. Lui avrebbe preferito alcune riproduzioni di Van Gogh per lo stesso prezzo, ma sua moglie aveva riso della proposta. Tesoro, aveva detto, chiunque può avere una riproduzione. Tu certamente preferirai un originale. Lanciò un'occhiata al bel quadro e si chiese, non per la prima volta, perché gli riuscisse tanto difficile dire di no a sua moglie. Aprì un cassetto dello schedario e scorse le C. «Cairns», «Callaghan», «Calvert», «Cambridge», «Cattrell». Tirò un sospiro di sollievo ed estrasse la cartella dallo schedario. Tornò alla scrivania. Si mise comodo sulla sedia, allentò la cravatta e si tolse le scarpe. Le informazioni venivano presentate sotto forma di un curriculum che conteneva i punti chiave della vita di Anne Cattrell, com'era nota alla polizia di Silverborne all'epoca della scomparsa di Maybury. Altre informazioni più recenti erano state aggiunte a mano a mano sull'ultima pagina. Walsh si mise a sfogliarlo bagnandosi l'indice con il dito. Terminata la lettura, rimase deluso. Aveva sperato di scoprire il suo tallone d'Achille, qualche particolare da poter usare a proprio vantaggio, ma non c'era niente. A meno che il fatto stesso che gli ultimi nove anni della sua vita fossero contenuti in una pagina, mentre i dieci precedenti ne occupavano diverse, non fosse in sé degno di nota. Per quale motivo aveva rinunciato a una carriera promettente? Se fosse rimasta a Londra, si sarebbe certamente fatta un nome. Ma in nove anni il suo successo più grande era stato lo scoop sul ministero della Difesa, e anche quello era stato pubblicato su una rivista mensile e poi le era stato rubato dai giornalisti delle testate nazionali. Non le era stato riconosciuto quasi nessun merito. Anche Walsh aveva saputo che l'articolo era suo solo perché si era ricordato il nome in rapporto a Maybury. Se si fosse sposata, avrebbe capito l'abbandono della carriera, ma... il suo volto si contrasse in una smorfia. Era così semplice? Aveva contratto una specie di matrimonio perverso con le due amiche nel momento in cui tutte e tre si erano trovate libere? Trovò l'idea stranamente rassicurante. Se la signora Maybury era lesbica da sempre, ecco la spiegazione. Stava ricomponendo il file quando entrò Bob Rogers. «Le ho portato i nomi, signore, e una tazza di tè.» «Bravissimo.» Accettò volentieri il tè. «Quanti sono?» Il sergente Rogers consultò la lista: «Cinque. Due donne e tre uomini. Per le donne si tratta quasi sicuramente di fughe: entrambe adolescenti o poco più, scappate di casa dopo avere litigato con i genitori, mai più riviste. La più giovane aveva quattordici anni, Mary Lucinda Phelps, chiamata Lucy. Sicuramente ricorderà che la cercammo a lungo, ma non è mai stato
trovato nulla.» «Sì che me ne ricordo. Sulla fotografia dimostrava venticinque anni.» «Proprio lei. I genitori avevano giurato che era vergine, ma poi scoprimmo che aveva abortito a tredici anni. Probabilmente quella povera ragazza è sui marciapiedi di Londra. L'altra, una certa Suzie Miller, diciotto anni, avvistata per l'ultima volta all'inizio di maggio mentre faceva l'autostop sulla A31 con un uomo più vecchio di lei. Secondo un testimone, erano abbracciati. I genitori volevano che lo considerassimo un omicidio, ma non abbiamo trovato alcuna conferma in quel senso, né mai fu rinvenuto il cadavere. Dei tre uomini, uno è probabilmente un suicida, tuttavia non è stato ritrovato; uno è arteriosclerotico e se n'è semplicemente andato, e il terzo è sparito. Si tratta di un giovane asiatico di ventun anni con un passato di depressioni, Mohammed Mirahmadi, cinque tentati suicidi, tutti tentativi di annegamento. È sparito tre mesi fa. Abbiamo dragato alcuni laghi artificiali, ma senza successo. Il secondo della lista è un vecchio, certo Keith Chapel, che se ne andò dall'ospizio a metà marzo, quasi cinque mesi fa, e non è mai tornato. Le faccio notare che è strano che nessuno l'abbia visto. C'è scritto qui che indossava un paio di pantaloni color rosa shocking. E infine un certo Daniel Clive Thompson, cinquantadue anni, di cui la moglie ha denunciato la scomparsa nove o dieci settimane fa. Del caso si è occupato l'ispettore Staley. L'attività di quell'uomo era fallita e a molti, tra cui gran parte degli impiegati, aveva dato di volta il cervello. Secondo l'ispettore, ha tagliato la corda e se n'è andato a Londra. L'ultima volta che fu avvistato, scendeva da un treno alla stazione di Waterloo.» Alzò lo sguardo. «Qualcuno di questi abitava vicino a Streech?» «Sì, uno, Daniel Thompson. Indirizzo: Larkfield, East Deller. Se non sbaglio, è il paese vicino.» «Com'è la descrizione?» «Un metro e ottanta, capelli grigi, occhi color nocciola, fisico robusto, indossava un abito marrone, circonferenza toracica di centimetri centododici, scarpe marrone numero quarantadue. Altre informazioni: gruppo sanguigno O, cicatrice di appendicectomia, dentiera completa, tatuaggi sugli avambracci. Ultimo avvistamento: venticinque maggio a Waterloo. La moglie lo vide per l'ultima volta lo stesso giorno, quando lo lasciò alla stazione di Winchester. È tutto quello che ho trovato, ma l'ispettore Staley possiede informazioni molto più dettagliate. Vuole che vada a cercarle?» «No», ruggì Walsh. «È Maybury.» Seguì con lo sguardo Bob Rogers che
usciva dalla stanza. «Cacchio! È come quando si lascia a casa l'ombrello perché il tempo è bello. Piove sempre. Mi lasci la lista. Deve essere Maybury.» Aspettò che il suo subordinato richiudesse la porta, poi si mise a leggere tristemente la descrizione di Daniel Thompson. D'un tratto dimostrava dieci anni di più. 8 Il mattino seguente, quando entrò nella biblioteca, Anne trovò McLoughlin in piedi davanti alla finestra che guardava il vialetto di ghiaia con fare pensoso. Notò subito che aveva le occhiaie di una notte insonne e che si era sbarbato solo per modo di dire. Odorava di collera e di frustrazione, oltre che della birra del giorno prima. Il sergente le fece cenno di sedersi e si mise a sua volta alla scrivania. I raggi di sole illuminavano particelle di polvere sospese nell'aria. I due si guardarono senza nascondere l'odio reciproco. «Non le farò perdere molto tempo, signorina Cattrell. L'ispettore capo Walsh viene più tardi e so che ha alcune domande da farle. Per adesso vorrei concentrare l'indagine sul momento in cui il cadavere venne rinvenuto. Le dispiacerebbe ripetermi come accadde, cominciando dall'arrivo del giardiniere?» Anne obbedì, consapevole del fatto che sarebbe stata una perdita di tempo ricordargli che aveva già detto tutto il giorno prima all'agente Williams. Di quando in quando, lanciava un'occhiata a McLoughlin, ma poi distoglieva lo sguardo, dato che lui continuava a fissarla. Capì che nel frattempo doveva avere svolto indagini sul suo conto, una vera seccatura. Ieri la odiava, oggi la considerava una sfida. Anne si preparò a difendersi. «Lei non sa chi sia, né come sia arrivato lì o quando. Era mai entrata nella ghiacciaia prima di ieri?» «No.» «E allora perché ci raccontò che lei e la signora Goode l'avevate rassettata sei anni fa?» Anne era stata preparata a questo colpo da Diana. «Perché mi era sembrata una buona idea.» Tirò fuori dalla tasca una sigaretta e se l'accese. «Volevo risparmiarvi tempo e fatica. Sulla vittima e sui sospetti dovreste indagare fuori da Streech Grange. Questa storia non ha niente a che vedere con le persone che vivono qui.» McLoughlin non sembrava affatto impressionato. «Non è mai una cosa
saggia dire bugie alla polizia. Con la sua esperienza, lei dovrebbe saperlo.» «La mia esperienza?» ripeté lei in tono carezzevole. «Se non le dispiace, facciamo a meno dei qui pro quo, signorina Cattrell. Ci risparmieremo un sacco di tempo.» «Ma certamente», convenne lei senza più opporre resistenza. Ma che razza di presuntuoso, pensò tra sé. L'uomo strinse gli occhi. «Ha mentito perché conosceva l'importanza della ghiacciaia e del fatto di sapere dove si trovasse?» Anne tacque un momento. «Avevo capito benissimo che voi l'avreste considerata importante. Ma dovete ancora convincermi che lo sia effettivamente. Condivido l'opinione della signora Goode sul fatto che probabilmente un certo numero di persone è al corrente della sua ubicazione, e che può essere un caso che il cadavere sia andato a finire lì.» «Attorno alla ghiacciaia sono stati rinvenuti alcuni preservativi usati», asserì McLoughlin cambiando argomento. «Ha idea di chi possa averli lasciati lì?» Anne sorrise. «Non sono stata io di certo, sergente. Non li uso.» McLoughlin perse la pazienza. «Lei ha avuto rapporti in quella zona con qualcuno che li usa, signorina Cattrell?» «Io? Con un uomo?» ridacchiò divertita. «Le sembra una domanda da porre a una lesbica?» McLoughlin si afferrò le ginocchia con dita tremanti. Era infuriato, si sentiva da cani, gli bruciavano gli occhi perché non aveva dormito, e in bocca aveva un sapore orribile. Maledetta puttana, pensò tra sé. Respirò a fondo un paio di volte, poi appoggiò le mani sulla scrivania. Tremavano come se fossero dotate di vita propria. «Sì o no?» ripeté. La donna lo fulminò con un'occhiata. «No», rispose con voce tranquilla. «Né, a quanto ne sappia, ne ha avuti nessun altro abitante di questa casa.» Si sporse in avanti per scuotere la cenere della sigaretta in un portacenere. McLoughlin si posò le mani in grembo. «Forse lei è in grado di dissipare un dubbio che tormenta tanto l'ispettore capo Walsh, quanto me», riprese. «Poiché lei e la signora Goode vivete qui da alcuni anni, perché entrambe non avete mai messo piede nella ghiacciaia?» «Per lo stesso motivo per cui gran parte dei londinesi non ha mai visitato la Torre di Londra. Non si visitano i luoghi vicino ai quali si vive.» «Ma sapeva della sua esistenza?» «Credo di sì.» Ci pensò un momento. «Sì, devo averlo saputo perché
non ricordo di essermi sorpresa quando Fred ne parlò.» «E sapeva dove si trovasse?» «No.» «E che cosa credeva che fosse, quella collinetta?» «Ricordo di avere fatto il giro del giardino un'unica volta, quando ero appena arrivata qui. Devo aver pensato che quella collinetta fosse semplicemente quello che sembrava: una collinetta.» McLoughlin non le credeva. «Lei non fa mai passeggiate? Con i cani o con le sue amiche?» Anne giocherellava con la sigaretta. «Le sembro un tipo sportivo, sergente?» La osservò un momento. «A dire il vero, sì. Lei è molto snella.» «Mangio pochissimo, bevo solo ottimi vini e fumo come una ciminiera. Per la linea è fantastico, ma a metà delle scale mi manca già il fiato.» «Dà un mano in giardino?» Anne inarcò le sopracciglia. «Sarei soltanto un fastidio. Non so distinguere un rododendro da un astro. E poi, dove troverei il tempo? Sono una donna in carriera. Lavoro dalla mattina alla sera. Il giardinaggio lo lascio a Phoebe, quello è il suo campo.» Il sergente pensò alle piante che aveva visto nella stanza di lei. Stava di nuovo mentendo? Ma perché mentire su una questione così stupida? Portò distrattamente la mano alla mandibola. D'un tratto si sentì prendere dal panico e perse completamente la memoria. Si era fatto la barba? Dove aveva dormito? Aveva fatto colazione? Il suo sguardo si perse nell'oscurità alle spalle di Anne, come se lei si trovasse in una dimensione esterna rispetto al suo campo visivo. La voce di lei gli arrivò da lontano: «Sta bene?» La porticina si riaprì e gli lasciò un senso di nausea e sollievo. «Perché abita qui, signorina Cattrell?» «Probabilmente per lo stesso motivo per cui lei abita a casa sua. È il posto più bello che sono stata in grado di trovare.» «Non mi sembra una risposta soddisfacente. Come può accettare Streech Grange e il personale di servizio senza avere rimorsi di coscienza? Non è una situazione... troppo privilegiata, per i suoi gusti?» La sua voce aveva assunto un tono beffardo. Anne spense la sigaretta. «È una domanda cui proprio non posso rispondere. Si basa su talmente tante false premesse, da risultare del tutto ipotetica. Del resto non ritengo che abbia alcuna importanza.»
«Chi le ha consigliato di venire qui? La signora Maybury?» «Nessuno. Sono venuta di mia iniziativa.» «Perché?» «Perché», ripeté pazientemente, «ritenevo che fosse un posto in cui si potesse vivere bene.» «Tutte balle», sbottò il sergente. Anne sorrise. «Lei non sta tenendo conto di che tipo di donna sono. Devo prendere i piaceri dove li trovo, io. Phoebe non voleva... non poteva... andarsene di qui per venire a Londra, così mi sono trasferita io. È davvero molto semplice.» Seguì un lungo silenzio. «I piaceri non durano a lungo», balbettò McLoughlin. La porticina gli vacillò pericolosamente davanti agli occhi. «'I piaceri sono come papaveri aperti, Cogli il fiore e i petali cadono; O come la neve che cade sul fiume, Per un istante è bianca - poi si scioglie per sempre.'» Parlava tra sé. Seguì un altro silenzio. «Nel suo caso, signorina Cattrell, il prezzo del piacere mi sembra l'ipocrisia. È un po' caro. La signora Maybury se l'è meritato?» Se le avesse girato un pugnale nello stomaco, non avrebbe potuto farle più male. La donna si rifugiò nella collera. «Mi permetta di riassumerle brevemente i motivi per cui lei mi sta facendo queste domande. Qualcuno, probabilmente Walsh, le ha detto: è una femminista, di sinistra, membro del CND, ex comunista, e sa Dio quante altre scemenze. E lei, esultante nella sua superiorità perché è maschio ed eterosessuale, ha colto la palla al balzo e ha deciso di attaccarmi sulle questioni di principio. A lei non interessa la verità, McLoughlin. Qui si tratta soltanto di verificare se lei, con la sua boria, riuscirà a piegarmi. Deve ammettere di non avere avuto un'idea molto originale», concluse con disprezzo. Anche lui si sporse sulla scrivania. «Chi sono Fred e Molly Phillips?» Non se l'aspettava, e lui lo sapeva, così non riuscì a celare un guizzo di costernazione. Anne si abbandonò contro lo schienale e prese un'altra sigaretta. «Sono alle dipendenze di Phoebe e hanno mansioni di cameriera e giardiniere.» «La signora Goode ci ha riferito che fu lei a farli venire qui. Dove li aveva trovati?» «Mi erano stati presentati.» «Nel suo ambiente di lavoro o in quello politico? Si occupa forse di reinserimento di detenuti?»
Questo figlio di puttana non è proprio del tutto idiota. «Faccio parte del comitato direttivo di un centro londinese che si occupa del reinserimento dei detenuti. È stato lì che li ho conosciuti.» Si aspettava che McLoughlin assumesse un'aria vittoriosa, ma fu costretta a dimostrargli un certo apprezzamento quando vide che era riuscito a nasconderla. «Si chiamano da sempre Phillips?» «No.» «E come si chiamavano prima?» «Questo dovrebbe chiederlo a loro.» McLoughlin si passò lentamente una mano sul viso. «Be', sicuro che posso farlo, signorina Cattrell, così allungherò semplicemente l'agonia per tutti. In un modo o nell'altro, lo scopriremo.» Anne lasciò vagare lo sguardo fuori della finestra, dietro le spalle di lui, e vide Phoebe che tagliava le rose appassite lungo il vialetto. Non era più tesa come la sera precedente e se ne stava tranquillamente accoccolata al sole, avvolta da una cascata di capelli rossi e luminosi, afferrando con destrezza i fiori da tagliare. Benson sedeva accanto a lei, si vedeva che aveva caldo, mentre Hedges giaceva all'ombra di un rododendro nano. Il calore del sole, ancora ben lontano dall'apice, era sospeso sopra la ghiaia calda. «Jefferson», recitò Anne. Il sergente collegò subito: «Cinque anni a testa per l'omicidio del loro inquilino, Ian Donaghue». Anne annuì. «Conosce il motivo per cui la pena fu così leggera?» «Certo. Donaghue aveva violentato e ucciso il loro figlio dodicenne. I Jefferson lo trovarono prima della polizia e lo impiccarono.» Anne annuì. «Lei approva la vendetta personale, signorina Cattrell?» «La capisco.» McLoughlin sorrise e per un istante Anne pensò che aveva persino un aspetto umano. «Allora abbiamo finalmente trovato un punto su cui siamo d'accordo.» Toccò il piano della scrivania con la punta della matita. «I Phillips vanno d'accordo con la signora Maybury?» «Sì.» Anne ridacchiò. «Fred la tratta come se fosse una regina e Molly come se fosse merda. È molto strano.» «Immagino che le siano grati.» «Al contrario. Direi piuttosto che Phoebe è grata a loro.» «Perché? Lei ha dato loro una nuova casa e un lavoro.»
«Lei vede Streech Grange così com'è ora, ma quando venni a vivere qui, nove anni fa, Phoebe aveva tirato avanti da sola per un anno. Tutti la evitavano. Nessuno del paese, né di Silverborne, avrebbe mai lavorato per lei. Doveva occuparsi del giardino, della casa e di tutto il resto. La casa pareva un immondezzaio.» Le tornò in mente un ricordo assillante: il fetore di urina. Dappertutto. Sulle pareti, nei tappeti e nelle tende. Non avrebbe mai dimenticato quell'odore orribile. «L'arrivo di Fred e Molly, un paio di mesi dopo di noi, cambiò la sua vita.» McLoughlin si guardava intorno nella biblioteca. C'erano molte parti originali: le librerie in rovere, le cornici di gesso e il caminetto a pannelli, ma c'erano altre parti nuove come le pitture alle pareti, un radiatore sotto la finestra e i doppi vetri. Tutto aveva certamente meno di dieci anni. «Ora la gente ha assunto un atteggiamento diverso nei confronti della signora Maybury?» La donna seguì il suo sguardo. «Per niente. Nessuno muoverebbe un dito per lei.» Scosse la sigaretta sopra il portacenere. «Ogni tanto ci prova, ma è inutile. A Silverborne non c'è niente da fare. E arrivata fino a Winchester e Southampton, niente. Streech Grange ha una brutta fama, sergente, ma questo lei lo sa già, o sbaglio?» Sorrise con fare cinico. «Tutti temono di essere ammazzati nel momento in cui mettono piede qui. E non hanno tutti i torti, a quanto pare, a giudicare dalla scoperta di ieri.» «Chi ha messo il riscaldamento centrale e i doppi vetri? Fred?» «Phoebe.» McLoughlin scoppiò a ridere. Sembrava realmente divertito. «Santo cielo! Lo so che lei sta cercando di dimostrarmi che le donne possono fare e disfare tutto come vogliono, ma non può illudersi che io mi beva questa.» Si alzò e raggiunse la finestra. «Lei ha idea di quanto pesi una vetrata come questa?» Picchiò con il dito contro il vetro e richiamò erroneamente l'attenzione di Phoebe. Lei gli lanciò un'occhiata incuriosita, poi, vedendo che il sergente distoglieva lo sguardo, tornò a dedicarsi al suo lavoro. McLoughlin andò a sedersi alla scrivania. «Non sarebbe in grado di sollevare quel vetro, e tantomeno di sistemarlo adeguatamente nella cornice. Ci vorrebbero almeno due uomini, se non tre.» «O tre donne», lo corresse Anne implacabile. «Tutti le abbiamo dato una mano. In fondo siamo in cinque, otto durante i fine settimana quando vengono i ragazzi.» «Otto?» ripeté McLoughlin incredulo. «Credevo che i figli fossero due.» «Tre. C'è anche Elizabeth, la figlia di Diana.»
McLoughlin si grattò la testa e, senza accorgersene, lasciò un ciuffo che puntava dritto verso il soffitto. «Non mi ha mai detto di avere una figlia», commentò, chiedendosi quali altre sorprese gli fossero riservate. «Probabilmente lei non gliel'ha chiesto.» Fece finta di non avere sentito. «E la signora Maybury avrebbe installato anche il riscaldamento centrale? Come?» «Immagino allo stesso modo in cui l'avrebbe fatto un idraulico. Aveva una passione per i giunti capillari, così c'era in giro un sacco di lana di vetro e fondente, oltre agli strumenti per saldare. C'erano anche diversi pezzi di tubo di rame da quindici e ventidue millimetri. Prese a noleggio per alcune settimane una macchina per piegare i tubi provvista di stampi per curve a S e a novanta gradi. Io raccolsi il materiale per scrivere un ottimo articolo sulle donne e sul fai da te.» McLoughlin scosse la testa. «Ma chi gliel'aveva insegnato? E chi collegò l'impianto con la caldaia?» «Lei stessa.» Era divertita dalla perplessità di McLoughlin. «Prese in prestito un libro dalla biblioteca, un manuale in cui c'erano tutte le istruzioni precise.» Andy McLoughlin era estremamente perplesso. Non poteva esistere una donna che fosse in grado di collegare una caldaia a un impianto di riscaldamento. Sua madre, che aveva idee antiquate sul posto delle donne in casa, era sempre stata in cucina a pulire, lavare e cucinare, e si era sempre rifiutata di imparare persino a cambiare una spina, sostenendo che quello era un lavoro maschile. Sua moglie, che invece aveva idee più moderne, si era fatta assumere come segretaria part-time e affermava di essere un donna in carriera. In realtà aveva soltanto perso tempo verniciandosi le unghie, giocando con i capelli e lamentandosi sempre della noia pur non muovendo un dito per cambiare la situazione. Aveva sempre risparmiato le energie per il momento in cui suo marito rincasava, per poi poterlo investire con una sfilza interminabile di rimproveri: lavorava troppo, la trascurava, non la guardava neppure e non la ammirava come avrebbe dovuto per compensare la sua insicurezza. Ironia della sorte, si era sentito attratto da lei perché impersonava la mentalità opposta a quella di sua madre, eppure la più intelligente delle due era proprio sua madre. Si era allontanato da entrambe non per un problema suo, ma perché riteneva che fossero inadeguate. Aveva cercato una condizione di eguaglianza e trovato soltanto una dipendenza noiosa. «E che cos'altro ha fatto?» chiese, ammirando suo malgrado il tocco di
professionalità con cui erano state rifinite le finestre. «L'arredamento?» «No. A quello ci ha pensato perlopiù Diana, anche se tutti le abbiamo dato una mano. Di si è occupata anche dei rivestimenti in stoffa e delle tende. Che cos'altro ha fatto Phoebe...» Ci pensò un momento. «Ha rinnovato l'impianto elettrico, aggiunto due bagni e costruito le pareti divisorie che separano le due ali dal corpo principale dell'edificio. Lei e Fred stanno studiando il sistema migliore per cambiare il tetto.» Avvertì il peso della perplessità di McLoughlin e alzò le spalle. «Non sta cercando di dimostrare nulla, sergente, né io desidero dimostrare alcunché parlandogliene. Phoebe si è comportata come chiunque altro, adattandosi alla situazione in cui era venuta a trovarsi. È combattiva. Non è il tipo da cedere le armi alla prima avversità.» McLoughlin analizzò il proprio caso: la solitudine lo terrorizzava. «Lei e la signora Goode vi siete preoccupate per le condizioni mentali della signora Maybury dopo dodici mesi di solitudine in questa casa? Quale fu il vero motivo che vi spinse a trasferirvi qui?» Anne si chiese se era il caso di dire la verità. Rispondere di sì a quella domanda posta da un uomo come lui sarebbe stato un tradimento. Le sue capacità di comprensione risultavano limitate per colpa dei pregiudizi. «No», mentì. «Diana e io non ci siamo mai preoccupate per le condizioni mentali di Phoebe. È molto più stabile di lei, sergente, per esempio.» «Che cos'è, una psichiatra, signorina Cattrell?» chiese McLoughlin, stringendo gli occhi in preda alla collera. «Diciamo che sono sempre in grado di riconoscere un caso di alcolismo cronico», rispose lei sporgendosi in avanti e scrutandolo con uno sguardo glaciale. Con un gesto fulmineo lui l'afferrò per il collo e la tirò a sé sopra la scrivania penetrandole con le dita nella carne, in preda a un vortice di sensazioni confuse. Il bacio, se la violenta penetrazione della bocca di un altro può essere definita bacio, giunse inatteso come l'assalto. Improvvisamente la lasciò libera e rimase a guardare le chiazze rosse che le aveva prodotto sul collo. La schiena gli si coprì di sudore freddo quando si rese conto di essersi messo dalla parte del torto. «Non so perché l'ho fatto», balbettò. «Mi dispiace.» Ma sapeva benissimo che in circostanze analoghe l'avrebbe rifatto. Almeno sentiva di essersi vendicato. Anne si tolse la saliva di lui dalla bocca e si strinse il colletto della camicia attorno al collo. «Aveva qualcos'altro da chiedermi?» chiese come se nulla fosse accaduto.
Lui scosse la testa. «In questo momento no.» La seguì con lo sguardo mentre si alzava. «Può denunciarmi per quello che ho fatto, signorina Cattrell.» «Sicuro.» «Non so perché l'ho fatto», ripeté ancora. «Io sì», ribatté lei. «Perché è un lurido verme.» 9 Il sergente Nick Robinson alzò lo sguardo e vide con sollievo che gli restavano ancora soltanto due case prima di arrivare al pub. Sulla destra aveva la collina con il cancello di Streech Grange; alle sue spalle, a qualche chilometro di distanza, c'era Winchester; davanti, il muro in mattoni che delimitava la tenuta di Streech dal lato sud costeggiava la strada per East Deller. Verificò l'ora. Mancavano dieci minuti all'apertura e non vedeva l'ora di farsi una pinta. Se c'era un lavoro che odiava, erano gli interrogatori da porta a porta. Percorse il breve vialetto che portava al Clementine Cottage e controllò il nome sulla lista: la signora Amy Ledbetter. Suonò il campanello. Dopo un paio di minuti, la porta gli fu aperta di qualche centimetro, trattenuta dal catenaccio. Due occhi vivaci lo scrutarono. «Sì?» Mostrò il tesserino. «Polizia, signora Ledbetter.» Il tesserino gli fu sottratto da una mano deformata dall'artrite e scomparve all'interno. «Aspetti un momento, per favore», disse la voce. «Voglio chiamare in centrale per assicurarmi che lei sia proprio quello che dice di essere.» «D'accordo.» Robinson si appoggiò alla veranda e accese una sigaretta. Era la terza volta in due ore che la sua identità veniva controllata telefonicamente. Si chiese se anche gli agenti in divisa incontrassero le stesse difficoltà. Dopo tre minuti la porta fu spalancata e la signora Ledbetter gli fece cenno di accomodarsi in salotto. Aveva settant'anni suonati, la pelle raggrinzita e un'aria sveglia. Gli restituì il tesserino e lo fece sedere. «C'è un portacenere sul tavolo. Ebbene, sergente, che cosa posso fare per lei?» Non è il caso di menare il can per l'aia, qui, pensò lui. Non come le sue due vicine che hanno le palpitazioni quando in televisione parlano di qualche omicidio. «Ieri pomeriggio sono stati rinvenuti i resti di un cadavere nel giardino di Streech Grange», recitò senza complimenti. «Stiamo svol-
gendo indagini per scoprire se qui in paese c'è qualcuno che ne sa qualcosa.» «Oh, no!» esclamò Amy Ledbetter. «Povera Phoebe.» Il sergente Robinson parve incuriosito. Ecco una reazione che non gli era ancora capitata. La gente del paese si era dimostrata perlopiù soddisfatta. «Sarebbe sorpresa», chiese all'anziana signora, «se le dicessi che lei finora è l'unica a dichiararsi dispiaciuta per la signora Maybury?» La vecchietta contorse le labbra in una smorfia di disgusto. «Ovviamente no. In questo paese c'è gente particolarmente ottusa. Me ne sarei andata di qui anni fa se non fossi tanto affezionata al mio giardino. Immagino che sia il cadavere di David...» «Non lo sappiamo ancora.» «Capisco.» Lo guardò con fare pensoso. «Be', spari pure. Che cosa voleva chiedermi?» «Lei conosce bene la signora Maybury?» «La conosco da quando è nata. Gerald Gallagher, il padre di Phoebe, era un caro amico di mio marito. Quando era più giovane e c'era ancora mio marito, ci vedevamo spesso.» «E adesso?» La donna corrugò la fronte. «No. Adesso non ci vediamo quasi mai, ma è colpa mia.» Sollevò una mano deformata. «Per colpa dell'artrite. È più comodo starsene a casa che andare in giro. Però si diventa intrattabili. L'ultima volta che venne a trovarmi, ero di poche parole, da allora non l'ho più vista. È passato circa un anno. Ma è colpa mia», ripeté. Che simpatica vecchietta, pensò il sergente; probabilmente è più affidabile di tutti quelli che parlano per allusioni e non fanno che pettegolezzi. «Lei sa qualcosa delle due amiche della signora Maybury: la signora Goode e la signorina Cattrell?» «Le conobbi molto tempo fa. Phoebe se le portava a casa da scuola. Care ragazze, intelligenti e piene di spirito.» Robinson consultò il notes. «Uno dei paesani mi ha riferito...» alzò lo sguardo, «... cito: 'Quelle donne sono pericolose. Hanno fatto diversi tentativi di sedurre le ragazze del paese, hanno persino tentato di far partecipare mia figlia a una delle loro orge di lesbiche'.» Alzò di nuovo lo sguardo. «Sa qualcosa su questo argomento?» La donna si tolse un capello dalla fronte con il dorso della mano. «Dilys Barnes, immagino. Non le piacerebbe sapere di essere stata definita 'pae-
sana'. È spaventosamente snob, ama pensare di essere una di noi.» Robinson era incuriosito: «Come ha fatto a indovinarlo?» «Che gliel'ha detto Dilys? Perché è una donna molto stupida che racconta bugie. Cattiva educazione, naturalmente. È il tipo di persona che farebbe qualsiasi cosa per evitare di essere derisa. Hanno rovinato i loro figli con tutto quello snobismo. Il ragazzo è stato mandato in una scuola privata ed è tornato con una voglia di attaccare briga che metà basta. E la figlia, Emma», fece una smorfia, «temo che la povera Emma sia di costumi un po' facili. Così si vendica di sua madre.» «Capisco», balbettò il poliziotto stupefatto. Vedendo la sua reazione, la donna ridacchiò. «Si accoppia nel bosco di Streech Grange», spiegò. «È un luogo che spesso viene usato per queste attività.» Rise di nuovo perché il sergente era rimasto a bocca aperta. «Emma è stata vista uscire dal bosco una sera tardi, e sua madre il giorno seguente ha cominciato a mettere in giro quella storiella assurda che deve avere raccontato anche a lei.» Scosse la testa. «È tutto falso, ovviamente, e nessuno ci crede, ma tutti fingono perché ce l'hanno con Phoebe. Del resto anche lei sbaglia. Dà loro a vedere quanto li disprezza. È un grave sbaglio. Comunque, lo chieda a Emma. In fondo è una brava ragazza e se lei le promette di mantenere il segreto, immagino che le dirà la verità.» Prese un appunto. «Grazie, lo farò senz'altro. Diceva che il bosco è un luogo per... hem... accoppiamenti?» «Sì, certo», insisté lei. «Reggie e io ci andavamo spesso prima di sposarci. È particolarmente bello in primavera. Ci sono le campanule... sa com'è. Molto carino.» Robinson la guardò incredulo. «Oh, oh», riprese la vecchina con voce pacata, «vedo che lei è sorpreso. Ma la cosa non mi stupisce affatto: i giovani d'oggi non sanno niente di sesso. La gente non era in grado di trattenersi ai miei tempi proprio come non lo è ora e, grazie a Marie Stopes, avevamo anche una certa protezione.» Sorrise. «Quando si ha la mia età, ragazzo, si sa che nella natura umana cambia poco. Per quasi tutti la vita non è che una ricerca del piacere.» Be', in fondo è vero, pensò lui ricordandosi della sua pinta. Mise da parte ogni inibizione. «Nella tenuta di Streech Grange sono stati rinvenuti alcuni preservativi usati che si ricollegano con quello che lei mi dice, signora Ledbetter. A parte Emma Barnes, lei sa chi altro frequenti quei paraggi?» «Con precisione, no, ma ho qualche sospetto. Se mi promette di usare discrezione nell'avvicinare le persone in questione, le dirò altri due nomi.»
Robinson annuì. «Lo prometto.» «Paddy Clarke, il gestore del pub. È sposato con una strega che non conosce affatto i suoi istinti sessuali. E convinta che porti a passeggio il cane, dopo l'orario di chiusura, mentre lei rigoverna il locale, ma ho visto il cane da solo troppo spesso per crederci. Vede, io soffro di insonnia», aggiunse come per giustificarsi. «E il secondo?» «Eddie Staines, uno dei braccianti agricoli di Bywater Farm. Un giovane di bell'aspetto, che cambia ragazza una volta al mese. L'ho visto salire per quella collina più di una volta.» Con la testa accennò a Streech Grange. «Grazie!» esclamò il poliziotto. «C'è dell'altro?» «Sì.» Sembrava imbarazzato. «Ha notato qualche estraneo negli ultimi sei mesi?» Questa domanda in genere era stata accolta con stupore da tutti. La signora Ledbetter scoppiò a ridere. «Forse venticinque anni fa sarei stata in grado di darle una risposta a una domanda del genere, ora non più.» Alzò le spalle. «Ci sono sempre estranei da queste parti, soprattutto d'estate. Turisti, gente di passaggio che si ferma per pranzo al pub, campeggiatori da East Deller. Un paio di caravan si sono bloccati nel fossato sull'angolo, in genere sono francesi, guidano malissimo. Lo chieda a Paddy. È lui che li tira fuori con la jeep. No, temo proprio di non esserle utile in questo senso.» «Davvero?» insisté lui. «Qualcuno a piedi, magari, qualcuno che ricorda dal passato...» La vecchietta rise divertita. «Vuole dire David Maybury? Lui di certo non l'ho visto negli ultimi mesi. L'avrei segnalato. L'ultima volta che lo vidi, era una settimana prima che sparisse. Ero a Winchester, all'epoca in cui guidavo ancora l'automobile, e lo incontrai da Woolworths che acquistava un orsacchiotto per Jane. Era un uomo strano. Vigliacco un giorno, affascinante quello dopo... uno di quei tipi che mio marito definiva zoticoni, di quegli uomini da cui le donne si sentono irresistibilmente attratte.» Stette a pensare in silenzio per un momento. «C'era il vagabondo, naturalmente», aggiunse poi. «Quale vagabondo?» «Passò dal paese qualche settimana fa. Uno strano vecchietto con un cappello floscio di feltro sul cocuzzolo. Cantava Molly Malone, me ne ricordo bene. Aveva una bella voce. Lo chieda a Paddy. Sono sicura che dev'essere stato al pub.» Abbandonò la testa contro lo schienale della sedia.
«E ora sono stanca. Non posso più aiutarla. La porta la trova da solo, sergente, e non dimentichi di chiudere il cancello.» Abbassò le palpebre. Robinson scattò in piedi. «Grazie per avermi dedicato tanto del suo tempo, signora Ledbetter.» Uscì in punta di piedi e la sentì russare sommessamente. L'ispettore Walsh depose il ricevitore e rimase con lo sguardo fisso nel vuoto. Il dottor Webster non l'aveva affatto aiutato come avrebbe voluto. «Non posso dimostrare che si tratta di Maybury, né sono in grado di dimostrare che non sia lui», gli aveva riferito allegramente per telefono, «ma se posso avanzare un'ipotesi, direi che non è lui.» «Ma perché, per l'amor del cielo?» «Troppe incongruenze. In base alle prime analisi i capelli non corrispondono, anche se non è detta l'ultima parola. Ho inviato alcuni campioni a un mio amico che afferma di essere un esperto in questo campo, ma non farti illusioni. Mi ha avvertito che il campione che avevi fatto prelevare dalla spazzola di Maybury ormai potrebbe essere troppo vecchio. Io a ogni modo non sono stato in grado di farci niente.» «Che cos'altro?» «I denti. Hai fatto caso che il cadavere era privo di denti? Né un incisivo, né un molare, niente. Evidentemente portava la dentiera, ma non è stata rinvenuta. Sembra che qualcuno gliel'abbia tolta. Maybury invece, dieci anni fa, aveva tutti i denti e in base ai dati che abbiamo, erano in ottima forma: solo quattro otturazioni. I due casi non coincidono affatto, George. Per doversi far estrarre tutti i denti in soli dieci anni, avrebbe dovuto avere qualche terribile patologia gengivale.» Walsh stette a pensarci per un momento. «Diciamo che per un motivo qualsiasi volesse nascondere la propria identità. Potrebbe esserseli fatti togliere apposta.» Webster ridacchiò allegramente. «Un'ipotesi tirata per i capelli, ma non impossibile. Ma perché la signora Maybury gli avrebbe tolto la dentiera, in tal caso, se riteniamo che sia lei l'assassina? Lei, meglio di chiunque altro, avrebbe saputo che la dentiera non sarebbe servita a identificarlo. Per essere sincero, George, direi che è accaduto il contrario. L'assassino del tizio che abbiamo trovato nella ghiacciaia ha voluto togliere tutte le parti che dimostravano che non si trattava di Maybury. Per esempio ha tolto tutte le dita dei piedi e delle mani, come se volesse impedirci di prendere le impronte. Eppure tutte le persone che abitano in quella casa sanno che dieci
anni fa non eravate riusciti a recuperare nemmeno un'impronta.» «Maledizione!» sbottò Walsh. «E io che speravo di avere finalmente beccato quel bastardo. Sei sicuro, Jim? E che cosa ne dici delle due dita mancanti?» «Be', sul fatto che mancano non c'è alcun dubbio, ma sembra che siano state troncate con un coltello da macellaio. Ho paragonato i dati con quelli relativi alle amputazioni subite da Maybury, e non si somigliano affatto. Maybury aveva perso la falangina e la falangetta dell'anulare e del mignolo. Al cadavere le due dita sono state troncate alla base.» «Questo non dimostra che non sia Maybury...» «Sono d'accordo, ma sembra che qualcuno, sapendo soltanto che gli mancavano le ultime due dita, abbia cercato di farci credere che fosse Maybury. A dire il vero, George, in questa fase non potrei nemmeno assicurarti che quelle due dita siano state tagliate da un essere umano. È possibile, anche se un po' strano, che un animale provvisto di denti aguzzi si sia reso responsabile della mutilazione. E poi, prendiamo le costole. Visti al microscopio, alcuni solchi che ho trovato sulle ossa sono di difficile identificazione. Non posso neppure escludere che si tratti di morsicature.» «Gruppo sanguigno?» «Sì, quello corrisponde. Entrambi, O positivo, proprio come il cinquanta per cento della popolazione. E poi, visto che parliamo di sangue, devi cercare i vestiti. Nel fango che abbiamo raccolto sul pavimento non c'è quasi niente.» «Fantastico», tuonò Walsh, «e hai qualche buona notizia da darmi?» «Sto facendo battere a macchina il referto, ma ti anticipo i risultati. Maschio, bianco, un metro e settantasette... centimetro più, centimetro meno, ma visto che entrambi i femori erano sbriciolati non sono stato in grado di misurarlo esattamente... corporatura robusta, forse troppo, peli sul petto e sulle scapole, resti di un tatuaggio sull'avambraccio destro, quarantadue di scarpa. Non ho idea del colore dei capelli, ma probabilmente prima di diventare grigi erano marrone scuro. Età: cinquanta passati.» «Oh, santo cielo, Jim, non puoi essere più preciso?» «Non è una scienza esatta, stabilire l'invecchiamento della gente, George, e qualche dente mi sarebbe stato utile. È tutta questione di fusione tra le ossa del cranio, attualmente non posso darti una risposta precisa, ma era tra i cinquanta e i sessanta. Ti chiamo appena ho il risultato di altre indagini.» «E va bene», concordò Walsh suo malgrado. «A quando risale il deces-
so?» «Mi sono consultato, su questo punto. Tenendo presente il calore dell'estate rispetto alla temperatura più bassa nella ghiacciaia, e senza dimenticare che la temperatura ambiente nella ghiacciaia può essere stata relativamente alta se la porta era aperta, e rapportando il tutto all'accelerazione della decomposizione dopo che qualche animale lo dilaniò e divorò, aggiungendo poi la possibilità di una mutilazione da parte di un'entità umana, ma constatata l'assenza dei vermi giacché i mosconi non avevano deposto che poche uova, benché io abbia mandato in laboratorio alcune larve per farle analizzare...» «D'accordo, d'accordo, non ti ho chiesto di farmi una lezione di biologia. Da quanto tempo è morto?» «Otto o dodici settimane, o due-tre mesi, come preferisci.» «Non preferisco né l'uno né l'altro. Troppo vago. C'è un mese di differenza. Secondo te qual è più probabile? Otto o dodici settimane?» «Probabilmente a metà strada, ma non citare me.» «Sarai accontentato», concluse Walsh, poi sbatté giù il telefono e chiamò la sua segretaria con l'interfono. «Mary, tesoro, mi può portare tutto quello che abbiamo su un uomo scomparso circa due mesi fa? Nome: Daniel Thompson, indirizzo: da qualche parte a East Deller. Credo che se ne fosse occupato l'ispettore Staley. Se fosse libero, gli chieda di dedicarmi cinque minuti.» «Subito», fu la risposta della segretaria. Riportò lo sguardo sull'enorme file di David Maybury che aveva riesumato dall'archivio quel mattino e che, nel suo nuovo raccoglitore, giaceva ora sulla sua scrivania come una promessa di primavera. «Maledetto bastardo!» esclamò. 10 Convocati da telefonate urgenti, Jonathan Maybury ed Elizabeth Goode arrivarono nel primo pomeriggio a bordo della vecchia Mini rossa di Jonathan. Mentre superavano il cancello e la portineria, Elizabeth gli lanciò un'occhiata preoccupata. «Non lo dirai a nessuno, vero?» «Che cosa?» «Lo sai benissimo. Promettimelo, Jon.» Il ragazzo fece spallucce. «Okay, ma credo che tu sia matta. È meglio venire allo scoperto ora.»
«No!» esclamò lei con voce decisa. «So quello che faccio.» Jonathan guardò le azalee e i rododendri che crescevano lungo il viale d'accesso. Avevano visto tempi migliori. «Chi lo sa. Dal mio punto di vista c'è poca differenza tra la tua paranoia su questo argomento, e quella di tua madre. Prima o poi dovrai trovare il coraggio di parlare, Lizzie.» «Non essere così idiota», tagliò corto la ragazza. Arrivando all'ampio piazzale davanti alla casa, Jonathan rallentò. C'erano due automobili parcheggiate: «Le macchine dei poliziotti in borghese», annunciò in tono cupo, affiancando la Mini. «Spero che tu sia pronta alle torture.» «Oh, santo cielo, perché fai sempre il bambino!» sbottò lei infuriata. Si sentiva preoccupata e insicura. «A volte ti ammazzerei, Jon.» «È stato trovato un paio di scarpe, signore», disse l'agente Jones, deponendo un sacchetto di plastica trasparente ai piedi di Walsh. Walsh, che sedeva sul ceppo di un albero al margine del bosco che circondava la ghiacciaia, si sporse per esaminare il contenuto del sacchetto. Erano scarpe marroni di pelle di buona qualità con macchie opache sulla superficie nei punti in cui era penetrata l'umidità. Una scarpa aveva un laccio marrone, l'altra un laccio nero. Walsh girò il sacchetto ed esaminò le suole. «Interessante», commentò. «Tacchi nuovi con bullette metalliche. Quasi prive di graffi. Che numero sono?» «Quarantadue, signore.» Jones gli indicò la scarpa con il laccio marrone. «Si vede da questa.» Walsh annuì. «Dica a uno dei suoi uomini di andare a informarsi che numero di scarpa portano Fred Phillips e Jonathan Maybury, e poi di scendere al paese per vedere come se la cavano Robinson e i suoi. Se hanno finito, li voglio qui.» «Okay», disse Jones con fare insolente. Walsh si alzò. «Io sarò nella ghiacciaia con il sergente McLoughlin.» Il sergente Robinson tornò al pub mentre uscivano gli ultimi avventori. «Mi spiace, amico!» esclamò il gestore con fare gioviale, riconoscendolo per avergli dato una pinta poco prima. «È tardi. Non posso più servire niente.» Robinson gli presentò il tesserino. «Sono il sergente Robinson, signor Clarke. Sto svolgendo un'indagine in paese. Lei è l'ultima persona con cui
devo parlare.» Paddy Clarke appoggiò i gomiti sul bancone e scoppiò a ridere. «Il cadavere, immagino. Durante il pranzo non si è parlato d'altro. Non saprei proprio dirle niente.» Nick Robinson si appollaiò su uno sgabello al bar e offrì una sigaretta a Paddy prima di prenderne una per sé. «È strano, ma la gente spesso sa più di quello che pensa di sapere.» Studiò rapidamente il gestore del bar e decise che era uno di quelli con cui conveniva andare subito al sodo. Paddy era un uomo grande e schietto, aveva il sorriso facile e lo sguardo penetrante. Ma era un tipo che era meglio non avere contro, pensò. Aveva mani enormi. «Stiamo indagando su eventuali estranei che siano passati per Streech negli ultimi mesi, signor Clarke.» Paddy scoppiò nuovamente a ridere. «Ma sia serio! Qui passano estranei ogni giorno, gente che prende le strade secondarie e si ferma per pranzare in fretta. Non posso proprio esserle utile in questo senso.» «D'accordo, ma qualcuno mi ha detto di avere visto un vecchio vagabondo qualche tempo fa e pensavo che forse era passato di qui. Non le ricorda nulla?» Paddy strinse gli occhi per proteggerli dal fumo della sigaretta. «Già. Da solo non me ne sarei ricordato, ma in effetti ne ho avuto qui uno, diceva di essere venuto a piedi da Winchester. Sembrava un fagotto di stracci, si era seduto in quell'angolo.» Con la testa gli indicò un angolo davanti al camino. «Mia moglie voleva che lo mandassi via, ma non ce n'era motivo. Aveva soldi e si comportava bene, si è fatto durare un paio di pinte fino all'ora di chiusura e poi se n'è andato lungo il muro di Streech Grange. Credete che sia coinvolto?» «Non necessariamente. Per ora stiamo soltanto raccogliendo indizi. Si ricorda quand'era?» L'omone ci pensò un momento. «Fuori pioveva da matti. Direi che era venuto per ripararsi. Forse mia moglie si ricorda meglio. Glielo chiederò e se mai le do un colpo di telefono.» «Non è qui ora, sua moglie?» «È andata al Cash and Carry. Dovrebbe tornare a momenti.» Nick Robinson diede un'occhiata al notes. «Ho saputo che lei fa anche il buon samaritano quando qualche caravan finisce fuori strada.» «Circa due volte l'anno, quando qualche cretino taglia la curva. È un ottimo affare, perché di solito poi vengono qui a mangiare qualcosa.» Fece
un cenno verso la finestra. «È colpa del comune. Hanno messo un cartello enorme che indica il campeggio di East Deller in cima alla collina. Ho protestato, ma nessuno mi ascolta.» «Ha notato qualcosa di particolare nelle persone cui ha dato una mano?» «Una volta c'era un nano tedesco con una gamba sola e una moglie che somigliava a Raquel Welch. L'ho trovato strano.» Nick Robinson sorrise e prese un appunto. «Niente di strano.» «Non avete indizi particolari, vero?» «Dipende da lei.» Senza accorgersene, il poliziotto abbassò il tono di voce. «Siamo soli qui?» Paddy strinse leggermente gli occhi. «Sì. Che cosa cerca?» «Solo quattro chiacchiere in confidenza, preferibilmente senza spie», rispose Robinson, osservando le grosse mani del suo interlocutore. Paddy schiacciò la punta infuocata della sigaretta in un portacenere con dita grosse come salsicce. «Prego», lo esortò in tono tutt'altro che invitante. «Il cadavere è stato rinvenuto nella ghiacciaia. Lei conosce la ghiacciaia?» «So che c'è. Non sarei in grado di accompagnarla lì.» «Chi gliene ha parlato?» «Probabilmente la stessa persona che mi ha raccontato che nel bosco c'è una quercia di duecento anni», rispose Paddy con un'alzata di spalle. «Forse l'ho letto sul libriccino di David Maybury. Non ricordo.» «Quale libriccino?» «Devo averne ancora qualche copia. David voleva attrarre i turisti, voleva trasformare la sua tenuta in un'altra Stourhead. Fece stampare un centinaio di copie della cartina della sua proprietà con una breve storia della casa. Un'idea balzana. Non voleva spendere in pubblicità, e chi diavolo aveva mai sentito parlare di Streech Grange?» Paddy ridacchiò in modo beffardo. «Che idiota. Era un taccagno, si aspettava sempre qualcosa in cambio di niente.» Gli occhi di Robinson si erano illuminati. «Sa chi altro abbia questo libriccino?» «Stiamo parlando di dodici, tredici anni fa, sergente. A quanto ricordo, David ne aveva dati a chiunque li consegnasse a qualche turista. Aveva detto che era una prova. Non saprei proprio dirle se qualcuno ne ha conservato una copia.» «E può cercare le sue?»
«Dio solo sa dove sono, ma cercherò. Forse lo sa mia moglie.» «Grazie. Deduco che lei conoscesse bene Maybury.» «Più di quanto non avrei voluto.» «Che tipo di uomo era? Da che famiglia veniva?» Paddy fissò attentamente un punto del soffitto cercando di ricordare. «Alta borghesia, direi. Era figlio di un maggiore dell'esercito che cadde durante la guerra. Non penso che David avesse mai conosciuto suo padre, mentre lo conosceva il vecchio colonnello Gallagher. Immagino sia stato per questo che ha permesso a Phoebe di sposarlo: pensava che il figlio avrebbe seguito le orme del padre.» Contorse la bocca in un sorriso cinico. «Niente da fare. David era un bastardo fino al midollo. Si racconta che quando sua madre morì, dovette decidere se andare al funerale o al derby. Scelse il derby perché aveva scommesso una fortuna sul favorito.» «David Maybury non le piaceva, insomma...» Paddy accettò un'altra sigaretta. «Era uno stronzo, di quelli a cui piace denigrare gli altri, ma mi forniva un vinello niente male, e poi era uno dei miei migliori clienti. Comprava da me tutta la sua birra e veniva qui a bere quasi ogni sera.» Aspirò una boccata di fumo. «Quando sparì, non dispiacque a nessuno, solo a me. Se ne andò che mi doveva più di cento sterline. Non mi sarebbe dispiaciuto più che tanto se non gli avessi appena saldato il debito per la fornitura di vino.» «Lei dice 'se ne andò'. Non crede che sia stato assassinato?» «Non ne so niente. Se ne andò, o fu assassinato, per me fa lo stesso. Da un giorno all'altro raddoppiammo il fatturato. Con tutti gli articoli che comparvero sui giornali, Streech divenne alquanto famosa. La gente si fermava qui a fare due chiacchiere prima di salire sulla collina per sbirciare attraverso il cancello.» Vide un'espressione di disgusto sul volto del sergente e si strinse nelle spalle. «Sono un uomo d'affari, io. Questa volta sarà lo stesso. Per questo mia moglie è andata al Cash and Carry. Mi creda, entro stasera i giornalisti arriveranno come le mosche. Mi dispiace per quelle povere donne. Non potranno mettere piede fuori casa.» «Lei le conosce bene?» Sul faccione dell'uomo si dipinse un'espressione guardinga. «Abbastanza bene.» «Ed è al corrente del loro lesbismo?» Paddy Clarke rise tra sé. «Ma chi le ha detto queste cose?» volle sapere. «Me ne hanno parlato diverse persone», rispose Robinson senza compromettersi. «Perché, non sono vere?»
«La gente non sa far altro che pensare male», protestò Paddy con fare disgustato. «Tre donne che vivono insieme, stanno per conto proprio, non danno fastidio a nessuno... e subito la gente comincia a parlare.» Sogghignò di nuovo. «Due di loro sono madri. Direi che non è tipico delle lesbiche.» «Anne Cattrell non lo è, e ha ammesso di essere lesbica davanti a un mio collega.» Paddy scoppiò a ridere così forte che gli andò di traverso il fumo della sigaretta. «Per sua informazione», balbettò con gli occhi pieni di lacrime, «Anne potrebbe dare lezioni di sesso a Fiona Richmond. Ha avuto più amanti di quanto lei non abbia consumato pasti caldi. Che tipo è il suo collega? Un idiota pieno di sé, ci scommetto. Anne si diverte un sacco a prendere in giro gente di quel tipo.» Il sergente Robinson si rifiutò di esprimere un commento su Andy McLoughlin. «Come mai non ne ha parlato nessuno? Certamente la gente qui troverà da spettegolare sulla promiscuità proprio come sul lesbismo...» «Perché è una donna troppo discreta per dirlo ad alta voce. Si caga davanti alla porta di casa? Comunque qui non c'è nessuno che lei si porterebbe a casa.» Sembrava amareggiato. «Preferisce gli uomini che, oltre ai muscoli, abbiano anche un cervello.» «Lei come fa a sapere tutto questo, signor Clarke?» Paddy lo fulminò con lo sguardo. «Non ha importanza. Lei stesso diceva che si tratta di informazioni confidenziali. Voglio solo chiarire le cose. Vengono dette troppe stronzate sul conto di quelle donne. Presto mi dirà che tengono un raduno di streghe. È un'altra delle storielle che hanno messo in giro. E il povero vecchio Fred diventa lo stallone satanico solo perché è stato in prigione.» «In confidenza, signor Clarke», riprese Robinson dopo un breve momento di esitazione durante il quale pensò a Fred Phillips nel ruolo di stallone satanico, «diverse persone mi hanno suggerito che lei potrebbe saperne qualcosa di alcuni preservativi usati che abbiamo trovato nei pressi della ghiacciaia.» Clarke assunse un aspetto minaccioso. «Chi?» «Diverse persone», ripeté Robinson, «ma non intendo fare nomi, proprio come non ripeterei niente di quello che lei mi dice senza il suo permesso. Brancoliamo nel buio. Abbiamo bisogno di informazioni.» «Al diavolo le informazioni!» sbottò Paddy, avvicinandosi pericolosamente a Robinson. «Io sono un privato cittadino, non un maledetto piedi-
piatti. Lei è pagato per questo. Faccia il suo lavoro.» Dopo dieci anni in polizia, a Nick Robinson era cresciuto un certo pelo sullo stomaco. Si infilò la penna nel taschino e si alzò dallo sgabello. «Parlare è un suo privilegio. Attualmente, però, il dito accusatore è puntato sulla signora Maybury e sulle sue amiche. A quanto pare sono le uniche a conoscere la tenuta al punto da poter avere nascosto un cadavere nella ghiacciaia. Se non riusciamo a raccogliere altre informazioni, sono certo che tutte e tre saranno accusate di associazione a delinquere.» Seguì un lungo silenzio durante il quale Clarke sostenne lo sguardo del poliziotto. Robinson aveva pensato che quel tizio non gli sarebbe piaciuto, se Amy Ledbetter aveva ragione ed era un uomo con forti istinti sessuali, invece si sorprese accorgendosi di trovarlo simpatico. Quale che fosse la sua moralità sessuale, era una di quelle persone che ti guardano negli occhi quando ti parlano. «Al diavolo tutti quanti!» sbottò d'un tratto Paddy sbattendo il grosso pugno sul bancone. «Si sieda. Le porto un birra, ma se lei dovesse dire anche una sola parola a mia moglie, la appendo per le palle.» Quando Walsh arrivò con la busta di plastica contenente le scarpe, McLoughlin lo aspettava davanti alla porta della ghiacciaia. «Mi hanno riferito che voleva vedermi, signore.» Walsh si sfilò la giacca e la ripiegò, dopo essersi seduto sul prato riscaldato dal sole. «Si sieda, Andy. Vorrei scambiare due parole lontano da quella casa. Tutta questa storia si sta facendo sempre più complicata e non voglio spie.» Lanciò un'occhiata al volto teso del sergente e chiese in tono improvvisamente brusco: «Che cosa diavolo le succede? Ha un aspetto tremendo». McLoughlin si tolse il portafoglio e qualche spicciolo dalla tasca dei pantaloni e si sedette vicino al suo capo. «Niente», rispose, cercando invano di mettersi comodo. Sbirciò il capo con gli occhi socchiusi. Non era mai riuscito a capire se Walsh gli piaceva o meno. Per quanto fosse irascibile, l'ispettore talvolta sapeva anche essere gentile. Non quel giorno. Ora in Walsh vedeva soltanto un uomo magro e insignificante che faceva il duro perché il sistema glielo permetteva. Ebbe la tentazione di regalare all'ispettore il racconto di come aveva assalito Anne Cattrell solo per vedere quale reazione avrebbe avuto. Avrebbe abbaiato? O avrebbe morso? Avrebbe abbaiato, concluse McLoughlin con disprezzo, ma al contempo divertito. Walsh non era in grado di affrontare le situazioni spiacevoli
meglio di chiunque altro. Sarebbe stato diverso, naturalmente, quando lei avrebbe sporto denuncia per iscritto. Allora si sarebbe messa in moto la macchina della giustizia e le conseguenze sarebbero state inevitabili. La certezza che sarebbe accaduto lo sollevava anziché deprimerlo. Il colpo sarebbe stato netto e definitivo, tanto più netto e definitivo di quanto non avrebbe potuto essere se se lo fosse somministrato da solo. Avvertì persino un moto di collera contro la donna perché il colpo non era ancora arrivato. Walsh finì di riassumere il rapporto del patologo. «Be'?» McLoughlin trasalì. Stette a guardare il suo capo con occhi vuoti per un momento, poi scosse la testa. «Dice che sta analizzando l'ipotesi che ci sia stata un'amputazione, ma che non è ancora sicuro?» La risposta di Walsh fu sarcastica. «Non vuole compromettersi. Dice di non avere esperienza di corpi smangiucchiati. Ma sarebbe un topo molto strano, quello che avrebbe scelto di mangiucchiare proprio le due dita che mancavano a Maybury.» «Dovrà mettere alle strette Webster», gli suggerì McLoughlin con fare pensoso. «Se non c'era mutilazione, cambia tutto.» Gli passarono davanti agli occhi immagini in bianco e nero del cadavere di Mussolini appeso per i piedi a un lampione dopo che la folla inferocita l'aveva evirato. Facce piene di odio, collera e violenza che gridavano vendetta. «C'è una differenza enorme», ripeté in tono tranquillo. «Perché?» «Perché in tal caso sarebbe meno probabile che fosse Maybury.» «Lei è fatto della stessa pasta di Webster», tuonò Walsh. «Sempre lì a trarre conclusioni. Mi permetta di ricordarle, caro Andy, che è più probabile che quel cadavere sia di Maybury che di chiunque altro. Da un punto di vista statistico è improbabile che questa casa venga a trovarsi al centro di due indagini prive di collegamento tra loro nel corso di dieci anni, mentre è statisticamente probabile, come dico da un pezzo, che sua moglie l'abbia assassinato.» «Nemmeno lei sarebbe in grado di ucciderlo due volte, signore. Se l'ha fatto dieci anni fa, allora quello nella ghiacciaia non era lui. Se era lui nella ghiacciaia, allora Phoebe Maybury ha subito un trattamento durissimo.» «Se l'è voluto lei», tagliò corto Walsh. «Forse, ma mi sembra che Maybury per lei stia diventando un'ossessione, ma non può costringerci a seguire piste false solo per dimostrare che ha ragione.» Walsh cercò la pipa tra le pieghe della giacca. La riempì con fare assor-
to. «È che ho questa sensazione profonda, Andy», spiegò infine, avvicinando l'accendino al tabacco e aspirando. «Nel momento in cui ho visto quella roba, ieri, ne sono stato sicuro. Ti ho trovato, brutto bastardo, ho pensato.» Alzò lo sguardo e incrociò quello di McLoughlin. «E va bene, ragazzo, non sono impazzito. Non voglio costringervi a seguire questa pista solo a causa della mia sensazione, ma la questione non cambia: quel cadavere non è identificabile. E perché? Perché qualcuno, da qualche parte, non vuole che venga identificato. Ecco perché. Chi si è portato via i vestiti? Dov'è la dentiera? Perché niente impronte digitali? È stato proprio mutilato per bene, ed è altrettanto probabile che sia stato mutilato perché è Maybury, quanto perché non lo è.» «Dove continuiamo le ricerche? Persone scomparse?» «Già controllato. In questa zona, almeno. Se necessario, allargheremo il raggio, ma dagli indizi raccolti finora pare che emerga un candidato. Un certo Daniel Thompson di East Deller. La descrizione corrisponde e quest'uomo è sparito più o meno all'epoca a cui, secondo Webster, risale la morte di quell'individuo.» Accennò alle scarpe nel sacco di plastica. «Quando è scomparso, indossava scarpe marroni con i lacci. Jones ha trovato queste nel bosco vicino alla fattoria.» McLoughlin fischiò per la sorpresa. «C'è qualcuno che sarebbe in grado di identificarle?» «La moglie.» Walsh vide che McLoughlin si alzava goffamente. «Un momento», sbottò. «Mi racconti lei, adesso. Ha parlato con la signorina Cattrell? Qualche novità?» McLoughlin strappò distrattamente qualche filo d'erba. «Il vero nome dei Phillips è Jefferson. Tutti e due si sono fatti cinque anni di galera per avere assassinato il loro inquilino, Ian Donaghue, che aveva violentato e ucciso il loro bambino. Era figlio unico, aveva dodici anni ed era nato quando la signora Jefferson ne aveva quaranta. È stata la signorina Cattrell a farli venire a lavorare qui.» Alzò lo sguardo. «Non è escluso che possano essere stati loro, signore. Quello che hanno fatto una volta, potrebbero averlo fatto di nuovo.» «A quanto ricordo, non avevano agito in gran segreto, ma anzi, avevano persino inscenato un finto processo davanti alla ragazza di Donaghue, quando aveva confessato, l'avevano impiccato. Lei testimoniò a loro favore, non è così? Non mi sembra che ci siano similitudini con questo omicidio.» «Può darsi», ammise McLoughlin, «ma hanno dimostrato di essere in
grado di uccidere per vendetta e sono affezionati alla signora Maybury. Questo non possiamo ignorarlo.» «Li ha già interrogati?» McLoughlin corrugò la fronte. «Solo parzialmente. Ho fatto venire lei dopo la signorina Cattrell. È stato come strappare informazioni a un'ostrica. È una vecchia bisbetica.» Tirò fuori il notes dal taschino della camicia e lo sfogliò. «Si è lasciata sfuggire una frase che mi sembra interessante. Le avevo chiesto se era contenta qui. Ecco la risposta: 'L'unica differenza tra una fortezza e una prigione è che nella fortezza le porte sono chiuse dall'interno'.» «E perché sarebbe interessante?» «Lei descriverebbe casa sua come una fortezza?» «Ma è vecchia...» Walsh gli fece cenno di continuare. «C'è dell'altro?» «Diana Goode ha una figlia, Elizabeth, che ogni tanto viene qui a passare il fine settimana. Ha diciannove anni, possiede un appartamento a Londra datole dal padre, fa il croupier in uno dei grandi casinò del West End. È un po' ribelle, o almeno così mi è parso di capire dalla madre.» Walsh emise un suono inarticolato. «Phoebe Maybury ha il porto d'armi e un fucile regolarmente registrato», riprese McLoughlin scorrendo gli appunti. «I bossoli che sono stati trovati, li ha sparati lei. Secondo i racconti di Fred, nel bosco e attorno alla proprietà si aggira una colonia di gatti selvatici che hanno fatto del suo orto il loro cesso privato. La signora Maybury li caccia con un colpo di fucile, ma Fred dice che ultimamente sembra avere buttato la spugna, perché quegli animali sono troppo numerosi.» «Qualcuno sa qualcosa dei preservativi?» McLoughlin inarcò le sopracciglia con fare malizioso. «No», rispose con enfasi. «Ma tutti si sono divertiti molto, alle mie spalle. Fred afferma di averne raccolti diversi in passato. Gli ho chiesto di nuovo di descrivermi il ritrovamento del cadavere. Il racconto è sempre uguale, senza discrepanze.» Lo ripeté per l'ennesima volta. Quando Fred arrivò davanti alla ghiacciaia, la porta era totalmente coperta di rovi. Per questo tornò nella capanna degli attrezzi a prendere una torcia e una falce e calpestò i rovi con tanta cura perché voleva passare con la carriola su cui avrebbe caricato i mattoni. Quando riuscì a raggiungere la porta, vide che era mezza aperta. Non sembrava che qualcuno fosse passato di lì in tempi recenti. Appena vide il cadavere, si fermò per il tempo necessario a richiudere la porta quanto meglio poté, poi scappò a gambe leva-
te. «L'ha messo sotto pressione?» volle sapere Walsh. «Mi sono fatto ripetere il racconto tre o quattro volte, ma è come sua moglie. Un tipo deciso che non dice niente più di quello che gli viene chiesto. I fatti sono quelli che sono, e lui non aggiunge una virgola. Se ha calpestato i rovi dopo avere trovato il cadavere, non lo ammetterà.» «Qual è la sua ipotesi, Andy?» «Io la penso come lei, signore. Secondo me è probabile che abbia visto più di qualche traccia e che abbia fatto del suo meglio per confonderle dopo avere trovato il cadavere.» McLoughlin osservò l'intrico di rovi ai lati della porta. «E si è dato proprio da fare. Ora sarebbe impossibile ricostruire quanta gente è passata di lì e quando.» Elizabeth e Jonathan trovarono le rispettive madri e Anne che prendevano il caffè in salotto. Benson e Hedges si alzarono dal tappeto per salutare i nuovi arrivati annusando loro le mani, strusciandosi allegramente contro le gambe e rotolandosi sul pavimento. Le tre amiche invece sembravano diffidenti. Phoebe tese una mano al figlio. Diana fece cenno a sua figlia di andare a sedersi accanto a lei. Anne salutò con un gesto della testa. Fu Phoebe a rompere il silenzio. «Ciao, tesoro. Avete fatto buon viaggio?» Jonathan sedette sul bracciolo della sua poltrona e si chinò a baciarle la guancia. «Tutto a posto. Lizzie ha chiesto di avere la serata libera e mi ha raggiunto all'ospedale. Io ho saltato le lezioni del pomeriggio. A mezzogiorno eravamo già sulla M3. Non abbiamo ancora mangiato», aggiunse poi. Diana si alzò. «Vado a prepararvi qualcosa.» «Un momento», disse Elizabeth prendendola per mano e costringendola a tornare a sedersi sul divano. «Qualche minuto in più non farà alcuna differenza. Raccontateci che cos'è successo. Abbiamo scambiato due parole con Molly in cucina, ma il suo racconto non è stato molto particolareggiato. La polizia sa di chi è il cadavere? Hanno scoperto com'è stato ammazzato?» Fece quelle domande con lo sguardo acceso, insensibile ai sentimenti. La prima risposta fu un silenzio perplesso. In ventiquattr'ore le tre donne si erano inconsciamente abituate a un clima di sospetti. Domande e risposte andavano attentamente vagliate. Rispose Anne. «È davvero spaventoso, non trovate? Si è totalmente
sconvolti.» Lasciò cadere un po' di cenere nel camino. «Provate a pensare com'è in uno stato di polizia. Non ci si fida di nessuno.» Diana le lanciò un'occhiata di gratitudine. «Diglielo tu. Io non sono allenata in queste cose. Il mio forte sono gli aneddoti divertenti. Quando avrai finito, io darò il tocco finale esagerando gli aspetti più comici e facendo in modo che tutti abbiano qualcosa di cui sorridere durante la cena.» Scosse la testa. «Ma ora no. In questo momento non è affatto divertente.» «Mah, non saprei», intervenne Phoebe, «io mi sono fatta una bella risata questa mattina quando Molly ha scoperto il sergente McLoughlin che apriva la dispensa in cantina. L'ha cacciato con la scopa. Quel poveretto sembrava terrorizzato. A quanto pare stava cercando il bagno.» Elizabeth ridacchiò nervosamente. «Che tipo è?» «Un tipo confuso», tagliò corto Anne sistemandosi il colletto della camicetta. «Sentiamo, Lizzie, che cos'è che volevi sapere? Se sanno di chi è il cadavere? No. Se hanno scoperto com'è stato ucciso? No. A questo punto la situazione è la seguente.» Elencò con precisione i dettagli relativi al ritrovamento del cadavere, al prelievo dello stesso, alle ricerche della polizia nella ghiacciaia e nel giardino e ai conseguenti interrogatori. «Credo che il prossimo passo sarà un mandato di perquisizione.» Si rivolse a Phoebe. «È la cosa più logica. Vorranno perlustrare la casa a palmo a palmo.» «Non capisco perché non l'abbiano fatto ieri sera.» Anne si accigliò. «Me lo chiedevo anch'io, ma penso che aspettassero il responso dell'autopsia. Vogliono sapere che cosa devono cercare. In un certo senso questo peggiora la situazione.» Jonathan si rivolse a sua madre. «Per telefono dicevi che volevano parlare con noi. Di che cosa?» Phoebe si tolse gli occhiali e li pulì con l'orlo della camicetta. «Vogliono i nomi delle persone a cui avete fatto vedere la ghiacciaia.» Alzò lo sguardo su di lui e Jonathan si chiese, non per la prima volta, perché portasse gli occhiali. Senza era bellissima, mentre con gli occhiali aveva un aspetto soltanto normale. Una volta, da bambino, se li era infilati. Si era sentito tradito scoprendo che le lenti erano di vetro normalissimo. «E Jane?» insisté. «Interrogheranno anche lei?» «Sì.» «Non dovete permetterglielo», disse il ragazzo. La madre gli prese la mano e la strinse tra le proprie. «Non credo che potremo impedirglielo, tesoro, e se ci provassimo, non faremmo che peggiorare la situazione. Arriverà domani. Anne dice che dovremmo fidarci di
lei.» Jonathan scattò in piedi infuriato. «Ma sei pazza, Anne? Distruggerà se stessa e la mamma.» Anne alzò le spalle. «Mi sa che non abbiamo scelta, Johnny.» Si servì apposta del diminutivo di quando era ragazzino. «Sarà meglio che tu abbia più fiducia in tua sorella e che tocchi ferro. Francamente non possiamo fare altro.» 11 A mano a mano che si sparse la voce, gli uomini di Walsh si riunirono sul prato davanti alla ghiacciaia per fare rapporto. Era il momento più caldo della giornata e tutti furono contenti di potersi sfilare le giacche e sedersi o sdraiarsi sull'erba come se fossero in spiaggia. McLoughlin, che ora si trovava in posizione prona, scrutava in lontananza come se fosse un padre in ansia per quello che stanno facendo i figli. Il sergente Robinson, incurante delle esigenze degli altri e concentrato esclusivamente sulle proprie, divorava allegramente alcuni sandwich, dando a quel raduno l'aria di un picnic improvvisato. Sullo sfondo i rovi, che un tempo erano stati come una splendida tenda verde, si seccavano al sole. Walsh estrasse il fazzoletto e si asciugò il sudore dalla fronte. «Sentiamo, come vanno le cose?» berciò nel silenzio, come se l'avesse già detto una volta ma fosse stato ignorato. Sedeva con le gambe larghe e aveva un notes appoggiato tra le ginocchia. Preparò una pagina vuota. «Le scarpe», annunciò prendendo un appunto e indicando il sacchetto che conteneva le scarpe marroni. «Chi è andato a indagare?» «Io, signore», rispose uno degli uomini di Jones. «Fred Phillips porta il quarantaquattro, e ha piedi larghi quasi quanto lunghi. Si è tolto uno scarpone per farmelo vedere.» Il ricordo lo fece sorridere. «Non ha soltanto la corporatura di un elefante, ma anche i piedi.» Si sentì fulminare da un'occhiataccia di Walsh e si affrettò a spostare lo sguardo sulle scarpe racchiuse nel sacchetto. Scosse la testa. «Non è possibile. Non riuscirebbe nemmeno a infilarci gli alluci. Jonathan Maybury porta il quarantatré.» Alzò gli occhi. «A proposito, lui e la figlia della signora Goode sono appena arrivati. Sono con le rispettive madri.» Walsh bofonchiò qualcosa segnandosi il numero di piede. «Okay, Robinson, lei che cos'ha scoperto?»
Il sergente si ficcò in bocca l'ultimo pezzo di sandwich e prese il notes. «Promozione», sussurrò a bassa voce al collega che gli era più vicino. «Come?» volle sapere Walsh. «Chiedo scusa, dev'essere stata un po' d'aria», si giustificò Robinson sfogliando le pagine. «Ho trovato un sacco di informazioni, signore. Metterò tutto nel rapporto, ma questi sono i punti più importanti. Uno, il bosco viene frequentato regolarmente da coppiette locali, a quanto pare da molti anni; due, David Maybury aveva fatto tirare un centinaio di copie di un libriccino che conteneva la cartina della sua proprietà e la storia del luogo.» Lanciò un'occhiata in tralice a Walsh. «Voleva attirare i turisti», spiegò, «e distribuì i libretti tra quanti gli promisero di passarli a qualche turista.» «Oh, Cristo! Ne ha una copia?» chiese l'ispettore capo con enfasi. «Non ancora. Me ne ha parlato il gestore del pub e mi ha detto che avrebbe cercato. Se la trova, mi dà un colpo di telefono.» «Altro?» «Abbia pazienza, signore, ho appena cominciato», protestò Nick Robinson. «Mi sono informato su eventuali estranei. Diverse persone ricordano di avere visto in paese un vecchio vagabondo due o tre mesi fa, ma non sono riuscito a stabilire una data. Aveva denaro, perché pagò un paio di birre al pub.» «Io ho trovato una data, signore», li interruppe l'agente Williams. «Bussò in due case chiedendo la carità. La prima volta gli aprì una vecchietta, la signora Hogarth, che gli diede un panino. La seconda era una certa signora Fowler che lo mandò via perché era arrivato nel bel mezzo della festa di compleanno di suo figlio. Era il ventisette di maggio», concluse in tono trionfale. «Mi hanno fatto una descrizione precisa. Non dovrebbe essere difficile trovarlo. Vecchio cappello floscio marrone, giacca verde e, sentite questa, pantaloni color rosa shocking.» Walsh sembrava perplesso. «Probabilmente non c'è alcun rapporto. Di vagabondi qui ne passano un sacco, soprattutto d'estate. Seguono il sole e cercano i posti più belli, proprio come i turisti. C'è dell'altro?» Il sergente Robinson scorse un guizzo sardonico nello sguardo di McLoughlin che gli confermò quanto aveva sospettato: il vecchio era di nuovo di pessimo umore. Che Dio ti maledica, pensò. Sembrava di lavorare con uno yo-yo, un su e giù continuo. In qualsiasi altra circostanza, gli sforzi della mattinata gli avrebbero fruttato una pacca sulla spalla. Come stavano le cose ora, sarebbe stato fortunato di prendersi soltanto un calcio nel sedere.
Fece di nuovo riferimento al notes. «Seguendo una pista, sono andato a parlare con uno dei fruitori di preservativi», riprese. «Porta quassù la ragazza quando fa abbastanza caldo, in genere verso le undici di sera.» «Nome», berciò Walsh. «Mi spiace, signore. Ho promesso che non avrei fatto il suo nome, a meno che non fosse stato assolutamente indispensabile, e anche in tal caso, comunque dopo avere chiesto la sua autorizzazione.» Secondo Robinson, la minaccia di Paddy Clarke non andava presa alla leggera. Quell'omone non gli aveva detto il motivo per cui andava con altre donne, ma Robinson l'aveva indovinato quando la signora Clarke era rientrata proprio mentre lui se ne stava andando. Era una donna grande e grassa con un sorriso sottile e occhi durissimi. Una Gorgone che portava i pantaloni. Robinson non se l'era sentita di condannare Paddy per il desiderio di abbracciare ogni tanto qualcosa di tenero e dolce. «Continui», lo incalzò Walsh. «Gli ho chiesto se ha notato qualcosa di insolito da queste parti negli ultimi sei mesi. Non ha visto niente, però ha sentito. Dice che normalmente qui è abbastanza tranquillo, si sente soltanto qualche civetta, un caprimulgo o qualche cane che abbaia in lontananza.» Verificò gli appunti. «In due casi diversi in giugno, durante le prime due settimane, lui e la sua ragazza sono... e qui cito le sue parole: 'stati spaventati dal casino più tremendo che avessimo mai sentito. Sembravano le grida delle anime all'inferno'. La prima volta che è accaduto, la ragazza si è spaventata talmente che ha alzato i tacchi ed è fuggita. Lui l'ha seguita e, quando sono arrivati sulla strada, lei gli ha confessato che si era dimenticata le mutandine.» Un sogghigno silenzioso increspò le labbra degli astanti come ciuffi d'erba mossi dal vento. Perfino Walsh sorrise. «E che cos'era, l'hanno capito?» «La seconda volta. Sono tornati nel bosco dopo una settimana e hanno sentito gli stessi rumori, ma questa volta meno intensi. L'uomo ha bloccato la ragazza e l'ha costretta a restare in ascolto. Erano i gatti selvatici che ululavano tra di loro o contro qualcos'altro... gli parve di sentire anche ringhiare. Non capiva da dove provenisse il rumore, ma era abbastanza vicino.» Portò lo sguardo su Walsh. «Da allora ci sono tornati diverse altre volte, ma non hanno mai più sentito nulla.» Intervenne McLoughlin. «La colonia di gatti selvatici che si contendeva il cadavere. Se fosse vero, e se la data è giusta, ecco da dove possiamo cominciare il conto alla rovescia. La vittima dunque è stata uccisa durante
o nei giorni precedenti la prima settimana di giugno.» «Il suo uomo è sicuro delle date?» chiese Walsh a Robinson. «Abbastanza. Verificherà con la ragazza, ma ricorda che era durante quei giorni caldi all'inizio di giugno. Dice che il terreno era asciuttissimo entrambe le volte, tanto che non aveva dovuto usare una coperta per stendersi per terra.» Walsh prese qualche appunto. «Basta così?» «Ho raccolto alcune notizie contrastanti sulle tre donne che vivono qui. Quasi tutti sono concordi nell'affermare che sono lesbiche e che cercano di sedurre le ragazze del paese. Ma due persone, secondo me le più attendibili, signore, giurano che si tratta di malelingue. Una è una vecchietta di settanta-ottant'anni che le conosce abbastanza bene, l'altra è il mio informatore. Dice che Anne Cattrell ha avuto tanti uomini che potrebbe dare lezioni di sesso a Fiona Richmond.» Prese una sigaretta, se l'accese e si mise a guardare McLoughlin oltre il fumo. «Se è vero, signore, potrebbe spiegare le cose sotto un altro aspetto. Crime passionnel, o come diavolo lo chiamano i francesi. Quello che mi sorprende, è che ha fatto di tutto per farci credere che le interessano solo le donne. Perché? Forse perché ha eliminato un uomo geloso e non vuole farsi scoprire.» «Il suo informatore dice stronzate», tagliò corto McLoughlin. «Tutti sanno che sono lesbiche. Ho sentito più battute su di loro, di quante non riesco a ricordare.» Jack Booth era una miniera inesauribile. «È improbabile che si tratti di un'invenzione della signorina Cattrell. E se non fosse vero, perché dovrebbe fingere? Che cosa diavolo ci guadagnano?» Walsh stava riempiendo di tabacco la pipa. «Il suo difetto, Andy, è che lei generalizza troppo», berciò. «Il fatto che tutti sappiano una cosa, non basta a dimostrare che sia vera. Tutti sapevano che mio fratello era un tirchio tremendo, fino a quando non morì e scoprimmo che aveva versato duecento sterline l'anno per quindici anni per far studiare un paio di negretti africani.» Rivolse un cenno di approvazione a Robinson. «Forse c'è qualcosa di utile in quello che ha raccolto, Nick. Personalmente, non me ne importa un accidente delle loro abitudini sessuali e, a quanto mi è parso di capire, direi che a loro non gliene importa niente di quello che la gente pensa o dice di loro. È proprio per questo», asserì, fulminando McLoughlin con un'occhiataccia, «che non si danno la briga di negare né confermare nulla. Ma», riprese accendendosi la pipa con fare pensoso, «sono curioso di sapere perché Anne Cattrell, da quando siamo qui, ha fatto di tutto per convincerci del loro lesbismo. Perché lo fa?»
Il sergente Robinson attese un momento. «Mi lasci provare a interrogarla, signore. Magari se vede una faccia nuova, si apre. Tentar non nuoce.» «Ci penserò. Qualcun altro ha scoperto qualcosa?» Un agente alzò la mano. «Due persone con cui ho parlato, affermano di avere sentito singhiozzare una donna una sera, signore, ma non ricordano quanto tempo fa.» «Due persone della stessa casa?» «No. È per questo che ho ritenuto opportuno parlarne. Di case diverse. Lungo la strada che porta a East Deller ci sono due piccole case di campagna. Gli abitanti di entrambe ricordano di avere sentito gridare una donna, ma affermano di non essere intervenuti perché pensavano che fosse un litigio tra amanti. Nessuno ricorda il periodo.» «Torni a trovarli», ordinò d'un tratto Walsh. «Ci vada anche lei, Williams. Cercate di scoprire se guardavano la televisione quando accadde, quale programma veniva trasmesso, o se stavano cenando... o se magari erano a letto, che ora era, se erano svegli perché faceva caldo o perché pioveva... qualsiasi elemento utile per darci un'idea dell'ora e della data. Se non singhiozzava perché aveva appena ucciso un uomo, forse singhiozzava perché l'aveva visto uccidere.» Si alzò in piedi goffamente, raccogliendo il notes e la giacca. «McLoughlin, lei venga con me. Andiamo a fare due chiacchiere con la signora Thompson. Jones, lei e i suoi uomini sgomberate tutto qui e portatelo in centrale. Poi potete riposarvi per un'ora, e dopo tornate qui perché voglio tutti per la perquisizione della casa. Troverete i mandati sulla mia scrivania», spiegò a Jones. «Li porti con sé.» Poi si rivolse a Nick Robinson: «Okay, ragazzo, lei vada a parlare di sesso con la signorina Cattrell, ma cerchi di non spaventarla. Se è stata lei a fare a pezzi questo cadavere, voglio essere in grado di dimostrarlo». «Lasci fare a me, signore.» Walsh si produsse nel suo sorriso da serpente. «Ricordi solo una cosa, Nick. In passato si è mangiata per colazione uomini della Squadra Speciale. Lei, quindi, è come un sacchetto di noccioline.» Dopo qualche istante la porta fu aperta e comparve una donnina che portava un abito nero accollato con le maniche lunghe. Aveva gli occhi tristi e la bocca raggrinzita. Una croce d'oro le pendeva tra i seni piatti, appesa a una lunga catena. Le sarebbe bastato uno scialle e un libro di preghiere aperto per dare l'impressione di una devota sofferente. Walsh le mostrò la carta d'identità. «Signora Thompson?» chiese.
Lei annuì, ma non si curò di guardare il documento. «Siamo l'ispettore capo Walsh e il sergente McLoughlin. Le dispiace se entriamo? Vorremmo farle qualche domanda sulla scomparsa di suo marito.» La donna contorse la bocca in una smorfia di dolore. «Ma ho già detto alla polizia, tutto quello che sapevo», gemette e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Non ci voglio più pensare.» Walsh rifletté che se gli fosse successo qualcosa, sua moglie sarebbe stata così: assurda, lacrimevole e noiosa. Le sorrise dolcemente. «Ci fermiamo solo un minuto», le assicurò. La donna aprì la porta con titubanza e li fece entrare in salotto. Era un ambiente pulito fino all'esagerazione e privo di qualsiasi segno da cui potesse trasparire un tocco personale: non un libro, un soprammobile, un quadro e neppure il televisore. McLoughlin pensò al contrasto che c'era con l'allegra e colorata stanza in cui abitava Anne Cattrell. Se le stanze riflettevano il carattere delle due donne, non aveva alcun dubbio su quale fosse la più interessante. Stare con la signora Thompson doveva essere come vivere con una conchiglia vuota. Si sedettero sulle sedie asettiche. La signora Thompson si mise sull'orlo del divano e continuò a tormentare un fazzoletto di pizzo con cui di quando in quando si asciugava gli occhi. L'ispettore Walsh si tolse di tasca la pipa e si guardò intorno. Poi ripose la pipa. «Che numero di scarpe porta suo marito?» chiese alla donna. Lei spalancò gli occhi e rimase a guardarlo come se avesse detto qualcosa di sconcio. «Non capisco», bisbigliò. Walsh era sempre più seccato. Se Thompson se n'era andato, chi poteva rimproverarlo? Quella donna era ridicola. «Che misura di scarpe porta suo marito?» ripeté pazientemente. «Porta?» ripeté lei. «Porta? Allora l'avete trovato? Ero così sicura che fosse morto.» Si animò tutta. «Ha perso la memoria, è così? È l'unica spiegazione possibile. Non mi avrebbe mai lasciata.» «No, non l'abbiamo trovato, signora Thompson», rispose duramente l'ispettore, «ma lei ha denunciato la scomparsa e noi stiamo facendo del nostro meglio per ritrovarlo. Ci servirebbe sapere che numero di scarpe porta. Sulla denuncia di morte presunta c'è scritto numero quarantadue. È esatto?» «Non lo so», rispose lei in tono vago. «Le scarpe se le comprava sempre da solo.» Lo sbirciò da sotto le ciglia e, stranamente, gli sorrise con fare
civettuolo. McLoughlin si sporse verso di lei. «Mi porterebbe al piano di sopra, signora Thompson, così controlleremo le scarpe che ha lasciato?» La donna si ritirò in un angolo del divano. «No, assolutamente no», rispose. «Io non la conosco. L'altra volta era venuta una giovane donna poliziotto. Dov'è? Perché non è venuta anche adesso?» L'ispettore Walsh contò fino a dieci e pensò che Daniel Thompson doveva essere stato un santo. «Da quanto tempo è sposata?» chiese per curiosità. «Trentadue anni», rispose lei con un soffio di voce. L'uomo doveva effettivamente essere un santo, pensò. «Le dispiace salire e andare a prendere un paio di scarpe di suo marito?» insisté. «Il sergente McLoughlin e io la aspettiamo qui.» Obbedì senza protestare e uscì dalla stanza in punta di piedi, chiudendosi dietro la porta come se servisse per impedire loro di violentarla nella sua camera da letto, qualora ne avessero avuto l'intenzione. Walsh alzò gli occhi al cielo. «Ha bisogno di uno strizzacervelli.» McLoughlin rispose in tono serio. «E malata. Direi che la scomparsa del marito l'ha fatta sbarellare. Non crede che dovremmo darle una mano?» Walsh ci pensò su. «Non c'era una canonica, qui vicino? Magari ci fermiamo strada facendo.» Alzarono gli occhi quando la porta si riaprì e comparve la signora Thompson che si stringeva al petto un paio di scarpe di pelle nera lucidissime. «Numero quarantadue», annunciò la donna. «Giusto giusto. Non mi ero mai resa conto che mio marito avesse piedi così piccoli. Era alto di statura.» Con una certa esitazione, Walsh aprì la valigetta e tirò fuori il sacco trasparente contenente le scarpe marroni. Posò il tutto, così come stava, su una mano e lo porse alla donna. «Queste sono scarpe di suo marito, signora Thompson? Si ricorda se ne aveva un paio di questo tipo?» «Sono sicura di no», rispose lei senza un attimo di esitazione. «Mio marito non si sarebbe mai sognato di portare scarpe bicolori.» «Le macchie bianche sono causate dall'umidità, signora Thompson, non è pelle bianca. Un tempo queste scarpe erano tutte marroni.» «Ah.» Si avvicinò e, dopo averle esaminate per qualche istante, scosse la testa. «No, non le ho mai viste. Sicuramente non sono di Daniel. Possedeva solo un paio di scarpe marroni e le aveva addosso il giorno che...» fu scossa da un piccolo singhiozzo «... il giorno che scomparve.» Usò di nuo-
vo il lercio fazzolettino per asciugarsi gli occhi. «Erano costose scarpe a punta italiane. Del tutto diverse da queste. Ci teneva molto a come andava vestito», concluse. Walsh ripose le scarpe. «Quando denunciò la scomparsa di suo marito, signora Thompson, lei dichiarò che aveva avuto problemi finanziari. Che cosa intendeva più precisamente?» La donna si ritrasse come se lui avesse cercato di toccarla. «Non mi avrebbe mai lasciata», ripeté. «Ma certo, signora Thompson, ma talvolta lo stress provoca reazioni impreviste. Forse non riusciva a risolvere i suoi problemi e aveva bisogno di essere solo per pensarci. È questo che lei intendeva?» Dagli occhi pieni di dolore uscì un fiume di lacrime. Quella donna portava la sua disperazione come un vecchio cardigan, come un capo cui si era abituata e che portava pur sapendo quanto era brutto. Si abbandonò sul divano. «La sua attività è fallita», spiegò. «Deve denaro a un sacco di gente. Il suo assistente sta pensando a tutto, ma la gente, soprattutto i creditori, continua a telefonarmi. Non c'è niente che io possa fare. Ho detto che è morto.» «E come lo sa?» chiese Walsh con delicatezza. «Non mi avrebbe lasciata», disse la donna, «non da vivo.» Walsh lanciò un'occhiata a McLoughlin e fece un cenno verso la porta. Si alzarono. «Grazie, signora Thompson. Ancora un'ultima cosa. Suo marito era mai stato a Streech Grange o aveva avuto a che fare con le persone che ci abitano?» La donna strinse le labbra infuriata. «È dove abitano quelle donne orribili?» berciò. Walsh annuì. «Daniel sarebbe entrato in una tana di leoni», disse, toccando la croce, «piuttosto che lasciarsi contaminare da quelle.» Baciò la croce e cominciò a sbottonarsi il vestito. «Bene», balbettò Walsh imbarazzato. «La porta la troviamo da soli.» Andy McLoughlin si soffermò a guardarla dalla porta del salotto. «Pensavamo di chiedere al vicario se può passare a trovarla, signora Thompson. Forse le farà piacere fare due chiacchiere con lui.» Il vicario stette ad ascoltare il racconto della polizia con un'espressione di terrore. «Francamente, ispettore, non c'è nulla che io possa fare. Mi creda, la nostra piccola comunità ha fatto di tutto per dare una mano alla povera signora Thompson. Ci siamo rivolti al suo medico di fiducia e a un assistente sociale, ma non si può fare niente se lei stessa non richiede l'aiu-
to di uno psichiatra. Non è pazza e, in senso stretto, non è nemmeno depressa. Anzi, apparentemente direi che sta affrontando il problema nel migliore dei modi.» Aveva un pomo d'Adamo estremamente pronunciato che si muoveva su e giù quando parlava. «È solo che quando qualcuno va a trovarla, soprattutto gli uomini, lei assume un atteggiamento... strano. Il medico è certo che sia soltanto questione di tempo prima che torni normale.» Si contorse le mani. «In realtà né io né lui desideriamo più recarci da lei. Sembra essere diventata maniaca del sesso e della religione. Manderò mia moglie anche se, per essere sincero, l'ultimo contatto che ha avuto con la signora Thompson è stato alquanto spiacevole perché la donna affermava di avermi visto in chiesa con addosso soltanto le calze e le scarpe.» Il pomo d'Adamo gli salì nervosamente verso il mento. «Povera donna. È stata una vera tragedia per lei. Mi creda, ispettore, sono certo che sia soltanto questione di tempo perché riesca ad accettare la scomparsa di Daniel. Dev'esserci un modo per affrontare il problema. Lasci fare a me.» Il sergente Robinson suonò il campanello di Anne e rimase in attesa. La porta era socchiusa e sentì una voce: «Avanti», che veniva da lontano. Percorse il corridoio e raggiunse la stanza in fondo. Anne sedeva alla sua scrivania con una matita dietro l'orecchio e un piede che calzava uno stivale su un cassetto aperto. Batteva il ritmo di Jumping Jack Flash riprodotto a basso volume dallo stereo. Alzò lo sguardo e gli indicò una sedia libera. «Sono Anne Cattrell», annunciò togliendosi la matita da dietro l'orecchio e facendo una correzione su un foglio dattiloscritto. «Orgasmo vaginale: realtà o finzione», aveva lentamente preso forma su cinque fogli di formato A4. L'uomo sedette. «Sergente investigativo Robinson», si presentò. Lei sorrise. «Come posso esserle utile?» Cacchio, pensò, è proprio a posto, più che a posto. Con il suo caschetto di capelli scuri e gli occhi ben distanziati gli ricordava Audrey Hepburn. Dal modo in cui McLoughlin gliel'aveva descritta la sera prima, si aspettava una specie di megera. «Solo una piccolezza, un particolare che non quadra.» «Dica. Le dà fastidio la musica?» «No. È uno dei miei brani preferiti», rispose, ed era la verità. «Le cose stanno così, signorina Cattrell. Tanto lei quanto la maggioranza degli abitanti di Streech, sostenete che lei e le sue amiche siete lesbiche.» Tacque un momento.
«Continui.» «Eppure, quando ne ho parlato con il signor Clarke al pub questa mattina, lui è scoppiato a ridere e mi ha assicurato, con parole un po' diverse, che lei è sicuramente eterosessuale.» «E quali parole ha usato?» chiese lei, incuriosita. Robinson notò il portacenere pieno. «Le dispiace se fumo, signorina Cattrell?» Lei gli offrì una delle sue sigarette. «Prego.» Rimase a guardarlo mentre si accendeva la sigaretta. «Dice che lei ha avuto più uomini di quanto io non abbia consumato pasti caldi in vita mia», riferì tutto d'un fiato. Lei rise tra sé. «Tipico di Paddy. Lei dunque vuole sapere se sono lesbica, e se non lo sono, perché ho dato l'impressione di esserlo.» Gli sembrava quasi di vedere il lavorio del cervello di lei. «Perché mai una donna darebbe alla gente motivo di odiarla se non per confonderla o altro?» Gli puntò contro la matita. «Lei pensa che io abbia assassinato uno dei miei uomini e l'abbia lasciato marcire nella ghiacciaia.» Aveva mani piccole e delicate come quelle di un bimbo. «No», mentì lui. «A dire il vero, non ha molta importanza in un senso o nell'altro, eravamo semplicemente incuriositi. E poi», aggiunse facendo un passo nel vuoto, «credo al signor Clarke più che a tutti gli altri con cui ho parlato e non sono affatto convinto che sia lui a sbagliarsi.» «Molto arguto», approvò Anne. «Nelle questioni che non hanno a che vedere con il sesso, Paddy ha più buonsenso nel mignolo di quanto non ne abbia tutta Streech.» «E dunque?» la incalzò lui. «Sua moglie era presente quando vi siete parlati?» Il sergente scosse la testa. «Ci siamo parlati in confidenza, ma ho l'autorizzazione a divulgare quello che mi ha riferito di lei. Ha detto di essere stufo marcio delle str... ehm... stupidaggini che la gente dice sul vostro conto.» «Stronzate?» lo corresse lei. «Esatto.» Robinson sorrise timidamente. «La moglie l'ho vista mentre uscivo e mi ha spaventato a morte.» Anne si accese una sigaretta. «Un tempo era suora e incredibilmente carina. Lei e Paddy si incontrarono in chiesa e lui se la portò via e la convinse a rinunciare ai voti. Lei non gliel'ha mai perdonato. Più invecchia, e peggio diventa. Pensa che Dio l'abbia punita non permettendole di avere
figli.» Lo stupore del sergente la divertiva. «Ma sta prendendomi in giro?» Non poteva credere che la signora Clarke fosse mai stata carina. Gli occhi di Anne scintillavano. «È la pura verità.» Produsse un cerchio di fumo. «Quindici anni fa incendiò il cuore di Paddy. La favilla non si è ancora spenta. Brilla ancora qualche volta, quando lei si dimentica, ma Paddy non la vede. Ha accettato l'immagine in superficie e dimenticato che nove decimi della sua persona sono nascosti.» «Questo si potrebbe dire di chiunque», notò Robinson. «È vero.» Jumping Jack Flash era stato sostituito da Mother's Little Helper. Anne scandiva il nuovo ritmo con il piede. Robinson aspettò un momento, ma lei non continuò. «Le informazioni che Clarke mi ha dato su di lei sono esatte, signorina Cattrell?» «Assolutamente sbagliate per quanto riguarda le cifre, a meno che sua madre le abbia spesso negato un pasto caldo, ma l'idea generale è giusta.» «E allora perché ha detto al sergente McLoughlin di essere lesbica?» Anne fece un'altra correzione sul dattiloscritto. «Non gliel'ho detto», rettificò senza alzare lo sguardo. «Ha sentito quello che voleva sentire.» «È un bravo ragazzo», balbettò Robinson, chiedendosi perché si sentiva spinto a difendere McLoughlin. «Ha avuto la vita difficile in questo periodo.» Lei alzò lo sguardo. «Siete amici?» Robinson alzò le spalle. «Credo di sì. Mi ha fatto qualche favore e mi ha appoggiato un paio di volte. Ogni tanto ci facciamo un bicchiere insieme.» Anne si sentì depressa da quella risposta. Si chiese chi ascoltasse un uomo quando aveva bisogno di parlare. Le donne hanno amici; gli uomini, a quanto pare, vanno a bere qualcosa con qualcuno. «Avrei potuto dire qualsiasi cosa, e sarebbe stato lo stesso», spiegò al sergente. «In questa indagine non ha alcuna importanza se ce la facciamo con le donne o con gli uomini. O se», puntò la matita in direzione della biblioteca, «ce ne andiamo a letto per il semplice piacere di addormentarci leggendo un libro. Quando avrete risolto il caso, capirà che avevo ragione.» Detto ciò, riprese a correggere. 12 L'ispettore capo Walsh raccolse attorno a sé i suoi uomini sul viale da-
vanti a Streech Grange e li divise in quattro gruppi. Tre avrebbero perlustrato la casa e il quarto il giardino dietro la cucina, il garage, le serre e le cantine. Robinson era uscito dalla casa e li aveva raggiunti. «Che cosa dobbiamo cercare, signore?» chiese un uomo. Walsh distribuì alcuni fogli dattiloscritti. «Leggete queste istruzioni, per il resto usate il buonsenso. Se qualcuno qui avesse a che fare con questo omicidio, non verrebbe di certo a dirvelo. Quindi state ben attenti e tenete gli occhi aperti. I punti importanti da ricordare sono i seguenti: uno, la vittima è morta circa dieci settimane fa; due, è stata pugnalata; tre, qualcuno gli ha portato via i vestiti e la dentiera; quattro, che è il più importante, sarebbe utile riuscire a capire chi diavolo è. David Maybury e Daniel Thompson sembrano i candidati più probabili e troverete una breve descrizione di entrambi su questi fogli.» Si fermò mentre gli uomini leggevano le descrizioni. «Come avrete notato, per quanto riguarda l'altezza, i colori e il numero di scarpe, sembrano abbastanza simili, ma vi prego di non dimenticare che Maybury sarebbe invecchiato di dieci anni rispetto alla descrizione. Io guiderò il gruppo che perlustrerà la casa della signora Maybury; McLoughlin si occuperà dell'ala della signorina Cattrell, Jones di quella della signora Goode e Robinson degli esterni. Chiunque trovasse qualcosa, venga a riferirmelo immediatamente.» Con un senso di disgusto, McLoughlin portò i suoi due uomini davanti alla porta di Anne e suonò il campanello. Il racconto di Nick Robinson aveva avuto sul suo cervello l'effetto di un martello pneumatico. «Devi esserti un po' confuso, amico», gli aveva sussurrato all'orecchio Nick. «Se ne avessi la possibilità, io ci proverei. Dicono sempre che quelle intelligenti sono le meno inibite.» McLoughlin, che avrebbe dato qualunque cosa in cambio di un bicchiere, affondò le dita nella pancia da bevitore di birra del collega che rimase senza fiato. «Vuoi dire che ti piantano un coltello tra le costole quando fai una prestazione scadente», gli bisbigliò sulla faccia. Robinson si difese ridacchiando. «Non saprei... è un problema che non ho mai avuto.» McLoughlin cercò di ricordare un momento in cui non aveva avuto mal di testa, in cui aveva avuto la mente libera e non non aveva avvertito nausea. I suoi sentimenti oscillavano pericolosamente tra un odio intenso nei confronti di Anne e la sicurezza che lei fosse responsabile del corpo mutilato nella ghiacciaia. Un senso di vergogna gli faceva colare il sudore dalle ascelle ogni volta che pensava a come si era comportato quella mattina.
Strinse i pugni fino a quando le nocche non furono esangui. «Ma allora perché ha detto di essere lesbica?» Osservando cautamente il pugno, Nick Robinson fece qualche passo indietro. «Afferma di non averlo detto. Secondo lei, sei un tipo troppo presuntuoso e si è presa gioco di te.» E ti farà bene, pensò tra sé. Era affezionato a McLoughlin, non aveva motivo per non esserlo, ma quell'uomo si considerava un po' meglio di tutti gli altri, per questo l'abbandono da parte della moglie era stato un duro colpo. In centrale lo sapevano da diversi giorni, da quando Jack Booth l'aveva spiattellato a Bob Rogers, ma avevano aspettato di sentirlo da McLoughlin. Lui non gliel'aveva mai detto. Per due settimane ogni mattina era arrivato in ufficio con i postumi di sbronze solenni, raccontando quello che Kelly aveva detto o fatto la sera precedente. Solo il suo orgoglio era ferito, e tutti lo sapevano, ma non sarebbe durato a lungo, a giudicare dalla fila di donne poliziotto che non aspettavano altro che di essere portate a letto da lui. Tutte le scommesse davano per favorita l'agente Brownlow. E per Nick, grasso, prematuramente calvo e con una predilezione per la Brownlow, l'indifferenza dimostrata da Anne nei confronti di McLoughlin era stata un sollievo. Anne aprì la porta e con un cenno li fece entrare. McLoughlin prelevò dalla valigetta il mandato di perquisizione e glielo consegnò. Lei lo lesse attentamente prima di restituirglielo con un'alzata di spalle. Non aveva cambiato atteggiamento verso di lui. Nulla dava a vedere, a lui o ai colleghi, che aveva superato quel limite invisibile oltre il quale il comportamento viene censurato. «Prego», propose lei, accennando alla scaletta che portava al piano superiore. «Se avete bisogno di me, sono nel mio studio.» Tornò alla sua scrivania nella grande stanza luminosa. I Can't Get No Satisfaction tuonava dagli amplificatori. Nella stanza degli ospiti non c'era niente. McLoughlin era convinto che non fosse usata da mesi o persino anni. Una fossa su uno dei due letti dimostrava che Benson o Hedges amavano ritirarsi lì, ma nulla stava a indicare una presenza umana. Passarono alla camera da letto. «Niente male», commentò uno degli uomini. «Mia moglie ha appena speso una fortuna in tende rosa, melammina bianca e specchi. Non mi fa più entrare in camera da letto. Avremmo potuto farci una stanza così spendendo la metà.» Passò la mano su un basso cassettone in rovere. La stanza aveva un aspetto spazioso perché conteneva pochi pezzi. Solo
il cassettone, una delicata sedia di vimini e un letto matrimoniale basso con una montagna di cuscini e una trapunta di piuma verde bottiglia. In un angolo c'era una cabina-armadio. Il pavimento era coperto da moquette bianca che proseguiva nei battiscopa dello stesso colore. Sulle pareti bianche si susseguiva una sfilza di enormi foto a colori di fiori su sfondo nero. La stanza era una sfida per lo sguardo, ma risultava anche rilassante. «Voi guardate nella cassettiera e nell'armadio», ordinò McLoughlin, «io controllo il bagno.» Fu grato di potersi ritirare in un normalissimo bagno color rosa pallido in cui non trovò nulla di particolare, a meno che due bombolette di schiuma da barba, una confezione grande di rasoi usa e getta e tre spazzolini da denti usati non siano considerati oggetti insoliti da trovare nel bagno di una zitella. Quando si girò per uscire, con la coda dell'occhio vide qualcosa che si muoveva dietro di lui. Si girò di scatto con il cuore in gola e faticò a riconoscersi nell'uomo teso e irato che lo guardava dallo specchio. Si lavò la faccia con l'acqua fredda e si asciugò con una salvietta che profumava di rose. Aveva un tremendo mal di testa. Era in guerra contro se stesso e lo sforzo di tenere unite le parti lo stava distruggendo. Kelly non c'entrava affatto. Quel pensiero improvviso lo sorprese. Era dentro di lui, e se l'era portato dietro per molto tempo: una collera latente che non era in grado di controllare, ma che era stata causata dalla partenza di Kelly. Tornò nella camera da letto. «Ecco qui qualcosa, sergente», annunciò l'agente Friar. Era stravaccato sul letto tra i cuscini in una posa che ricordava assurdamente l'Olympia di Manet. Teneva in mano un libriccino rilegato in pelle e ridacchiava. «È proprio osceno.» «Giù!» ordinò McLoughlin con uno scatto della testa. Stette a guardare il suo subordinato che si alzava malvolentieri. «Che cos'è?» «È il suo diario. Senta qui. 'Non riesco a guardare un pene nel preservativo dopo l'eiaculazione senza ridere. L'immagine mi riporta automaticamente alla mia infanzia e al periodo in cui a mio padre si era infettato un dito. Si era costruito una fasciatura di nylon trasparente ("per tenere d'occhio questo bastardo") e aveva convocato me e mia madre per assistere al momento cruciale in cui la ferita, dopo molto schiacciare, si aprì. Fu un momento di festa.' Che schifo!» Si allontanò per evitare che McLoughlin gli sottraesse il diario. «E poi, sentite questa», voltò una pagina, «'Phoebe e Diana oggi hanno preso il sole in terrazza nude, avrei potuto stare a guardarle per ore, tanto erano belle'.» Friar ridacchiava. «È proprio una spor-
cacciona, eh? Chissà se le altre due sanno che è una guardona.» Alzò lo sguardo e rimase sorpreso dall'espressione di disgusto che si era dipinta sul viso di McLoughlin. Pensò che fosse questione di pudore. «Leggevo quello che ha scritto a fine maggio, inizio di giugno», aggiunse. «Dia un'occhiata al due e al tre di giugno.» McLoughlin girò le pagine. La calligrafia era nera e forte, non sempre leggibile. Trovò sabato due giugno. Aveva scritto: «Ho guardato nella tomba. L'eternità mi terrorizza. Ho sognato una vita dopo la morte. Ero sospesa nell'oscurità da sola, senza poter parlare né muovermi, ma cosciente» (la parola era sottolineata tre volte) «del fatto di essere stata abbandonata, costretta a vivere in eterno senza amore e senza speranza. Potevo soltanto desiderare, e il dolore del desiderio era terribile. Stanotte dormirò con la luce accesa. Solo ora il buio mi spaventa.» Continuò a leggere. Tre giugno: «Povera Di. 'La coscienza ci rende tutti vigliacchi.' Avrei dovuto dirglielo?» Quattro giugno: «P. è un mistero. Mi dice di farsi cinquanta donne l'anno, e io gli credo, eppure è il più premuroso degli amanti. Perché, se può permettersi di dare le donne per scontate?» McLoughlin richiuse il diario sul palmo della mano. «Avete trovato qualcos'altro? Tra i vestiti?» I due uomini fecero di no con la testa. «Allora passiamo in salotto.» Anne alzò lo sguardo quando entrarono. Vide il diario nella mano di McLoughlin e impallidì lievemente. Accidenti, pensò tra sé. Come aveva potuto dimenticare proprio quello? «Vi è indispensabile quello?» chiese. «Temo di sì, signorina Cattrell.» I Rolling Stones suonarono un ultimo accordo che continuò a vibrare a lungo nell'aria prima di cedere il posto al silenzio. «Non c'è dentro niente», protestò. «O almeno niente che vi possa servire.» L'agente Friar bisbigliò all'orecchio del collega, ma abbastanza forte perché anche McLoughlin sentisse: «Eccome se non c'è niente! È tutto pieno di succose informazioni!» Non era preparato per l'improvvisa stretta della mano di McLoughlin al proprio avambraccio. Le dita del sergente affondarono nella carne morbida, stringendolo in una morsa d'acciaio. Inconsciamente aveva ricordato a McLoughlin Jack Booth. McLoughlin, che era più alto di lui di una testa, gli sorrise bonariamente. Adattando la voce alla parlata scozzese, mormorò in tono gentile: «'Oh brutto schifoso d'un insetto, Odiato e detestato da santi e peccatori, Come
osi mettere piede su di lei, Una signora così raffinata! Vattene altrove a cercarti la cena, addosso a qualche poveraccio'». Sul suo volto scuro non si leggeva alcuna espressione, ma le nocche erano diventate bianche. «Lo conosce, Friar?» L'agente si liberò a fatica e prese a massaggiarsi il braccio. Sembrava realmente sorpreso. «Mi arrendo, sergente», balbettò, sentendosi a disagio. «Non ci ho capito un accidente.» Sperava che l'altro collega lo appoggiasse, ma Jansen si guardava le punte dei piedi. Era nuovo a Silverborne, e Andy McLoughlin lo terrorizzava. McLoughlin appoggiò la valigetta sull'angolo della scrivania di Anne e la aprì. «E un brano di una poesia di Robert Burns», spiegò a Friar in tono affabile. «Si intitola Ode a un pidocchio. E ora, signorina Cattrell», riprese rivolgendosi a lei, «stiamo indagando su un omicidio. Il diario ci servirà per stabilire i suoi movimenti durante gli ultimi mesi.» Prese un blocco di ricevute e compilò la prima. «Le sarà restituito non appena avremo finito.» Strappò la ricevuta e gliela porse. Per un breve istante i loro sguardi si incontrarono. In quello di lei, McLoughlin scorse il riso. Una vampata di calore avvolse il cuore di ghiaccio della sua solitudine. La donna chinò la testa per esaminare la ricevuta, e lo sguardo di McLoughlin cadde sui riccioli che aveva sulla nuca. Minuscoli punti interrogativi rovesciati, enigmatici quanto lei stessa. Avrebbe voluto toccarli. «In quel diario non annoto i movimenti», gli spiegò dopo un momento. «Soltanto i miei pensieri.» Alzò lo sguardo e aveva gli occhi ancora ridenti. «È roba da poco, sergente. Temo che non ci troverà niente di utile», recitò con accento scozzese. Il sergente sorrise. «Mi spiace, signorina Cattrell, ma con quell'accento non ci siamo proprio.» Lei scoppiò a ridere e McLoughlin agganciò una sedia con il piede e se l'avvicinò per sedersi. Pensò che quella donna aveva un viso così piccolo eppure così espressivo. Troppo espressivo? La tristezza vi arrivava in fretta come l'allegria? «Il due di giugno lei annotò sul suo diario pensieri molto interessanti...» cercò di ricordare la pagina. «'Ho guardato nella tomba e l'eternità mi terrorizza.'» La guardò attentamente. «Perché l'ha scritto, signorina Cattrell, e perché quel giorno?» «Per nessun motivo. Penso spesso alla morte.» «Aveva guardato dentro una tomba?» «No.» «La morte la spaventa?» «Per niente. Mi scoccia.»
«In che modo?» Lo sguardo di lei era divertito. McLoughlin considerò che gli occhi l'avrebbero sempre tradita. «Perché non saprò che cosa viene dopo. Voglio leggere tutto il libro, non soltanto il primo capitolo, lei no?» Sì, pensò tra sé, anch'io. «Tuttavia lei avvertì questo timore all'inizio di giugno. Perché proprio allora?» «Non ricordo.» «'Ho sognato una vita dopo la morte'», la incalzò lui. «Poi scrisse che quella notte avrebbe dormito con la luce accesa perché aveva paura del buio.» Anne cercò di ricordare. «Avevo sognato qualcosa e i miei sogni sono sempre molto reali. Quello era particolarmente vivido. Ricordo che mi svegliai presto, quando era ancora buio, e non riuscivo a capire dove fossi. Pensavo che il sogno fosse vero.» Rabbrividì. «Fu quello a terrorizzarmi.» «Il tre di giugno lei disse qualcosa alla signora Goode che le fece provare rimorsi di coscienza. Che cos'era?» «Davvero?» McLoughlin aprì il diario e le rilesse il brano. «Probabilmente si trattava di qualcosa di stupido. Di è molto sensibile.» «Forse», suggerì McLoughlin, «le aveva parlato del cadavere che aveva trovato nella ghiacciaia?» «No, sono sicura di no.» Aveva negli occhi uno sguardo birichino. «Altrimenti me ne ricorderei.» McLoughlin tacque un momento. «Mi tolga una curiosità: perché non prova compassione per quel povero diavolo là fuori?» Anne cercò una sigaretta: «Sì che provo compassione per lui». «Davvero?» Prese l'accendino di lei e le accese la sigaretta. «Non me l'ha mai detto. Né l'hanno detto la signora Maybury o la signora Goode. Trovo che non sia proprio normale. Una persona qualsiasi avrebbe espresso un po' di compassione dicendo almeno 'poveretto'. Fino a questo momento lei si è soltanto dimostrata seccata.» Era vero, pensò Anne. Quanto erano state ingenue. «La compassione ce la teniamo per noi», gli spiegò in tono glaciale. «La compassione è un sentimento delicato, muore alla prima gelata. Dovrebbe vivere a Streech Grange, per capirlo.» «E io che credevo che la compassione fosse una delle sue muse.» Posò le mani aperte sulla scrivania e si alzò. «Avrebbe provato compassione per un estraneo, invece quest'uomo lei lo conosceva, e non le piaceva.» Spostò la sedia. «Bene, Friar, Jansen, diamoci da fare. Faremo più in fretta possi-
bile, signorina Cattrell. Poi le chiederò di salire con una donna poliziotto che la perquisirà. Se lo desidera, può restare qui mentre lavoriamo o, se lo preferisce, può aspettare fuori con uno degli agenti.» Anne produsse un anello di fumo e ci infilò dentro la sigaretta. «Resto, sergente», gli rispose. «Per me le perquisizioni sono pane quotidiano. Dovrebbero essere due-tremila parole su qualche rivista femminile. Mi piacerebbe intitolarlo UN LAVORO DA SPIONI o FICCANASO AUTORIZZATI. Che cosa gliene pare?» Che figlia di puttana, pensò. La stanza era impregnata di fumo. «Faccia pure, signorina Cattrell.» Le voltò le spalle. Il sangue gli pulsava sempre più denso nella testa ed ebbe l'impressione che soltanto un urlo l'avrebbe liberato dalla tensione. Perlustrarono tutto con grande attenzione e infinita pazienza. Sfogliarono i libri, spostarono i quadri, le sedie, vuotarono i cassetti, infilzarono lunghi aghi nella terra delle piante, tastarono tutta la moquette, capovolsero il divano e palparono attentamente tutte le imbottiture; e quando ebbero finito, la stanza era perfettamente identica a com'era stata prima che cominciassero. Anne, cui era stato chiesto gentilmente di spostarsi, era davvero colpita. «Molto professionale», commentò. «Mi congratulo. Avete finito?» «Non proprio», rispose McLoughlin. «Le dispiace aprirmi la cassaforte?» Anne lo guardò sorpresa. «Che cosa diavolo le fa pensare che io abbia una cassaforte?» McLoughlin andò davanti al camino rivestito in legno di rovere che era una copia esatta di quello nella biblioteca. Pigiò il bordo del pannello centrale e lo spostò. Sotto, si vedeva il metallo verde opaco di una cassaforte a muro con maniglia e serratura cromate. Lanciò un'occhiata ai due colleghi: «Ne ho trovata una uguale in biblioteca proprio stamattina», spiegò. «Ingegnoso, vero?» Non riusciva a guardare Anne. L'espressione di panico che aveva visto nei suoi occhi, per quanto breve, l'aveva sconvolto. Anne Cattrell tornò alla scrivania cercando di chiarirsi le idee. Aveva sempre pensato che Phoebe fosse la più abile delle tre nel giudicare il carattere delle persone, invece era Diana a temere McLoughlin. «Le dispiace aprirla?» ripeté. Anne prese un pacchetto nuovo di sigarette da una stecca da duecento pezzi che teneva nel primo cassetto della scrivania e tolse il sigillo. Lui rimase a osservarla pazientemente senza dire nulla. «Ma chi si crede di essere?» sbottò l'agente Friar infuriato. «Non ha sen-
tito il sergente? Apra quella cassaforte.» Anne lo ignorò, aprì il pacchetto e lo capovolse facendosi cadere sulla mano una chiave. «Come se la cava con Spenser?» chiese a McLoughlin con un sorriso malizioso. «'Più che da ogni altra cosa, l'uomo viene tradito dal proprio comportamento.' Sembra scritto per il suo amico.» Sta per cedere, pensò McLoughlin, ha paura e la odio. Dio come la odio. «La cassaforte, prego, signorina Cattrell.» Anne alzò appena le spalle e andò ad aprirgli la cassaforte che era vuota eccetto un pugnale con uno straccio insanguinato avvolto attorno al manico. La lama era nera e incrostata. McLoughlin si sentì male. È vero che era in collera, ma questo era troppo. Una parte lontana del suo cervello si chiese se era normale. Gli bruciava la testa come se avesse la febbre. Per non perdere l'equilibrio, si appoggiò con una spalla al camino. «Può spiegarmi questo, per favore?» sentiva la propria voce da lontano, roca e innaturale. «Che cosa c'è da spiegare?» chiese la donna accendendosi una sigaretta. Già, che cosa? La solita finestrella gli si apriva e chiudeva davanti agli occhi. Concentrò l'attenzione sul pacchetto di sigarette che era rimasto sulla scrivania. «Tanto per cominciare, perché faceva la fatica di nascondere la chiave?» «Per abitudine.» «Non è vero, signorina Cattrell.» Il nervosismo gli aveva teso la pelle attorno al naso e alla bocca facendogli assumere un'espressione strana. Anne ripensò al gherlino d'acciaio che aveva visto a Shangai e che veniva avvolto su un argano gigantesco trainando nel porto una petroliera in panne. Tendendosi, il cavo si era sollevato dal cemento scuotendosi di dosso la polvere, si era assottigliato e teso ulteriormente. Poi era venuto un attimo di puro orrore quando si era strappato e, con velocità incredibile, era balzato addosso a un uomo ignaro. Lui l'aveva visto arrivare, se ne ricordava bene, e aveva alzato le mani per proteggersi. Lanciò un'occhiata a McLoughlin e provò il desiderio di fargli fare la stessa fine. «Voglio chiamare il mio legale», annunciò. «Non risponderò a nessuna domanda fino a quando non sarà arrivato.» «Friar, vada a chiamare l'ispettore Walsh e gli chieda di venire qui, per favore. Gli dica che è urgente. Gli comunichi che la signorina Cattrell desidera fare una telefonata. Jansen», girò la testa verso la porta-finestra, «lei vada a cercarmi una donna poliziotto per una perquisizione. Brownlow dovrebbe essere fuori da qualche parte.» Aspettò che i due uomini se ne fossero andati, poi si girò verso il camino e si mise a guardare la cassaforte
aperta. Dopo qualche istante chiuse la porta e si appoggiò con le mani alla cornice del camino abbassando la testa per guardare il fuoco spento. Era un caminetto finto alimentato a gas e il carbone artificiale era coperto di cenere e mozziconi di sigaretta. «Dovrebbe buttarli nella spazzatura», mormorò. «Quando bruciano, lasciano un segno.» Anne si girò per capire di che cosa stesse parlando. «Ah, già. È un pezzo che voglio passare l'aspirapolvere.» «Credevo che delle pulizie si occupasse la signora Phillips...» «Sì, ma certe cose non le tollera o, più precisamente, non tollera i responsabili e non ci si avvicina nemmeno.» McLoughlin si girò a guardarla sorreggendosi con il gomito alla mensola del camino. Tremava come una foglia. «Capisco.» Ovviamente non capiva affatto. Di che tipo di intolleranza si trattava? Razziale? Religiosa? Di classe? «È un'intolleranza di tipo morale», gli spiegò Anne. McLoughlin si chiese se non avesse pensato ad alta voce. Ma non riuscì a ricordarsene. Gli scoppiava la testa. «E una brava puritana vecchio stile. Si sente veramente felice solo quando è infelice. Non riesce a capire perché gli altri non condividano la sua opinione.» «Come mia madre», notò McLoughlin. Anne rise con la sua voce profonda. «Probabilmente. La mia, grazie al cielo, se ne frega. Non potrei combatterne due alla volta.» «Vive da queste parti?» Anne scosse la testa. «L'ultima sua notizia che ho avuto veniva da Bangkok. Dopo la morte di mio padre si risposò e se ne andò per il mondo con il secondo marito. A dire il vero, li ho un po' persi di vista.» Gli parve addolorata. «Quand'è l'ultima volta che vi siete viste?» Anne non rispose subito. «È passato molto tempo.» Si mise a tamburellare con le dita sulla scrivania. «Mi dia un solo motivo valido per cui dovrei aspettare l'autorizzazione dell'ispettore a fare questa telefonata.» Dal tono di voce si sentiva che era irritata. McLoughlin scoppiò a ridere, e quella risata lo avvolse come una specie di follia, selvaggia, incontrollabile e gaia. Si portò una mano agli occhi. «Mi dispiace», balbettò. «Mi dispiace davvero. Non c'è nessun motivo valido. La prego, faccia con comodo.» Quelle parole, spaventosamente impastate, parvero rimbombargli nella testa. Si sentiva come ubriaco. Strinse forte la mensola del camino e avvertì che il terreno gli mancava sotto i piedi. «Forse non l'ha ancora scoperto», disse Anne avvicinandogli una sedia e
facendovelo sedere con una semplice pressione della sua piccola mano sul collo, «ma ogni tanto vale la pena mangiare qualcosa.» Poi lo lasciò e andò a frugare nell'ultimo cassetto. «Tenga», offrì dopo un momento, mettendogli in mano una tavoletta di Mars già scartata. «Vado a prenderle qualcosa da bere.» Aprì un piccolo mobile bar e gli versò un bicchiere d'acqua minerale. La mano con cui teneva la tavoletta di Mars gli penzolava tra le ginocchia. Non fece alcuno sforzo di mettersi a mangiare. Non avrebbe potuto muoversi, anche se avesse voluto. «Oh, cacchio!» esclamò Anne infuriata, deponendo il bicchiere su un tavolo e abbassandosi davanti a lui. «Senta, McLoughlin, lei è proprio un gran rompipalle. Se vuole essere licenziato per alcolismo, sono affari suoi, ma non capisco perché diavolo sia entrato nella polizia. Lei avrebbe dovuto scrivere una biografia di Francis Bacon o di Burns o gente simile, ma se non ha intenzioni di questo tipo, stia bene attento. Quello stronzetto che ha mandato in cerca dell'ispettore, dovrebbe tornare da un momento all'altro, e se la farebbe addosso se la vedesse conciato così. Mi creda, li conosco quelli come lui. E se quando Walsh avrà finito restasse ancora qualcosa di lei, il suo amico, l'agente, le piscerà addosso. E continuerà a farlo più e più volte, e ogni volta avrà un orgasmo. E le assicuro che per lei non sarà un'esperienza piacevole.» A modo suo era bellissima. Avrebbe potuto annegare in quei dolci occhi castani. Staccò un pezzo della tavoletta di Mars e si mise a masticare lentamente. «Lei è una maledetta bugiarda, Cattrell.» Scuoteva piano la testa. «Mi ha detto che la compassione è un sentimento debole, eppure mi sembra che lei mi abbia spezzato il collo.» 13 Sulla stanza gravava un'atmosfera pesante. Walsh se ne rese conto nel preciso istante in cui vi mise piede. McLoughlin si trovava davanti alla finestra, con le mani sul davanzale, e guardava il terrazzo e l'ampio prato; la signorina Cattrell sedeva alla sua scrivania, facendo scarabocchi, i piedi appoggiati sull'ultimo cassetto aperto e il labbro inferiore sporto in fuori con fare aggressivo. Sentendolo arrivare, alzò lo sguardo. «Alla buon'ora!» esordì la donna. «Desidero chiamare il mio legale, ispettore, e voglio farlo subito. Mi rifiuto di rispondere a qualsiasi domanda prima del suo arrivo.» Sembrava molto agitata.
In collera, pensò Walsh sorpreso. Per qualche strano motivo gli era parso che dovesse trattarsi di un sentimento diverso. «Ho sentito», rispose con voce tranquilla, «ma non capisco perché lo voglia chiamare.» McLoughlin aprì la porta-finestra per far entrare Jansen e la Brownlow. Si sentiva le gambe molli; lo stomaco, risvegliato dalla tavoletta di Mars, si contorceva alla ricerca di altro cibo; il cuore gli batteva all'impazzata. Si sentiva piuttosto compiaciuto. «Signorina Cattrell», chiese con voce ferma, «le dispiacerebbe se l'agente Brownlow procedesse alla perquisizione ora, mentre illustro all'ispettore Walsh come stanno le cose?» «Sì che mi dispiacerebbe», sbottò lei. «Mi rifiuto di collaborare fino a quando non arriverà il mio legale.» Picchiò furiosamente con la matita sulla scrivania. «E non dirò più neppure una parola davanti a lei o a quei vermi che si è portato dietro.» Rivolse un'occhiataccia a Walsh. «Mi oppongo a questo abuso. È già abbastanza grave vedersi mettere sottosopra le proprie cose personali da estranei, se poi sono uomini, è davvero disgustoso. Sicuramente tra voi ci saranno anche donne. Mi rifiuto di parlare con chiunque non sia una donna.» Walsh riusciva a nascondere bene la propria emozione, ma McLoughlin, con rinnovata chiarezza, vedeva che l'ispettore era euforico. «Desidera sporgere denuncia contro il sergente McLoughlin e i suoi uomini?» chiese Walsh. Anne lanciò un'occhiata a Friar. «Non lo so. Aspetterò che arrivi il mio avvocato.» Prese il telefono e cominciò a comporre il numero. «Ciò non toglie quanto ho precedentemente affermato. Quindi, se desiderate che collabori, vi consiglio di trovare qualche donna che mi interroghi.» L'ispettore capo girò la testa verso la porta. «Friar, Jansen, aspettate in corridoio. Sergente McLoughlin, prenda quello che avete trovato e lo porti fuori. Brownlow, lei resti qui.» Indietreggiò e strinse gli occhi osservando McLoughlin che si staccava dalla parete con fare deciso e usciva dalla porta. C'era qualcosa che non andava, qualcosa che non riusciva ad afferrare. Si guardò intorno. Anne parlava piano al telefono. «Aspetta un momento, Bill», coprì il ricevitore con la mano. «Desidero ricordarle, sergente», disse con voce stizzita, «che non mi ha rilasciato una ricevuta per quello che c'è nella cassaforte. Mi ha dato soltanto la ricevuta per il diario.» Cristo, dammi un momento di tregua, pensò McLoughlin. Non sono come Charles Atlas, io sono il poveretto a cui buttano la sabbia negli occhi. Si inchinò per scherzo. «Gliela preparo subito, cara signorina Cattrell.»
La donna non si curò di lui e tornò a parlare al telefono. Rimase in ascolto un momento. «Cacchio, Bill», sbottò infuriata, «certo che per quello che ti fai pagare potresti anche venire un po' prima! Non sarò uno dei tuoi clienti ricchi di Londra, ma ti pago sempre pronta cassa. Puoi farcela in meno di due ore, se vuoi.» Bill Stanley, vecchio amico e legale, sorrise all'altro capo del filo. Le aveva appena detto che avrebbe lasciato tutto e sarebbe stato da lei nel giro di un'ora. «Se vuoi vengo anche fra tre ore», le suggerì. «Così va meglio», sbottò lei. «Aspetta che glielo chiedo.» E si rivolse all'ispettore: «Pensava di portarmi alla centrale di polizia? Il mio avvocato desidera sapere dove deve venire.» «Dipende unicamente da lei, signorina Cattrell. Francamente devo confessarle che in questo momento non capisco proprio per quale motivo lei desideri che sia presente il suo avvocato.» McLoughlin si girò. Aveva in mano una busta di plastica trasparente che conteneva il pugnale e lo straccio intriso di sangue. «Ah!» esclamò Walsh con malcelata soddisfazione. «Be', in questo caso direi che forse lei ci può dare una mano nelle indagini. Posto che lei capisca che non desideriamo forzare nessuno, ritengo che sarebbe più facile per tutti se continuassimo l'interrogatorio alla centrale.» «La centrale di polizia di Silverborne», recitò Anne nel ricevitore. «No, non preoccuparti, non dirò nulla fino a quando non sarai qui.» Riagganciò e strappò di mano la ricevuta a McLoughlin che gliela porgeva. «E spero che in quella valigetta non ci sia nascosto niente di mio», aggiunse con fare dispettoso. «Devo ancora trovare un poliziotto che non sia cleptomane.» «Adesso basta, signorina Cattrell», intervenne duramente Walsh chiedendosi come aveva fatto McLoughlin a non perdere la pazienza. Forse, invece, l'aveva proprio persa e questo spiegava la tensione latente. «Non desidero che i miei uomini vengano accusati ingiustamente. L'agente Brownlow starà con lei mentre scambio due parole con il sergente McLoughlin qui fuori.» Uscì dalla stanza con passo deciso. «Bene!» esclamò quando la porta fu chiusa, «vediamo che cos'ha trovato.» Tese la mano verso la busta di plastica. «E come le dicevo io, signore», si intromise Friar. «Lo teneva nascosto nella cassaforte. E poi c'è il diario in cui parla della morte, di tombe, e Dio solo sa di che cos'altro.» «Andy?» McLoughlin si sorreggeva al muro. «Mah...» «Mah che cosa?» volle sapere Walsh.
«Temo che qualcuno si stia prendendo gioco di noi, signore.» «E perché?» «È un'impressione. Non è una scema ed è stato molto facile.» «Friar?» «Tutte balle, signore. Il diario è stato facile da trovare, questo glielo posso assicurare, ma il pugnale era ben nascosto. Jansen aveva controllato tutta quella parete e non si era affatto accorto della cassaforte.» Suo malgrado, lanciò un'occhiata di ammirazione a McLoughlin. «È stato il sergente a trovarla.» Walsh ci pensò per qualche istante. «Be', comunque ormai ci siamo dentro. Se ci stanno prendendo in giro, cerchiamo di capire perché. Jansen, lei porti questo in centrale e faccia prelevare le impronte prima che io arrivi con la Cattrell. Friar, lei vada a dare una mano in giardino. Lei, Andy, può prendere il mio posto nell'ala della signora Maybury.» «Scusi, signore», mormorò McLoughlin, «non sarebbe più opportuno se cominciassi a leggere il diario? Friar ha ragione, ci sono alcuni riferimenti davvero strani.» Walsh lo scrutò attentamente, poi annuì. «Forse ha ragione. Prenda appunti su tutto quello che le sembra interessante e me li faccia trovare sulla scrivania prima che io la interroghi.» Tornò nella stanza chiudendosi dietro la porta. Friar raggiunse McLoughlin in corridoio. «Il solito raccomandato!» McLoughlin sorrise maliziosamente. «C'è chi può e chi non può, Friar...» «Secondo lei, sporgerà denuncia?» «Ne dubito.» «Sì.» Friar si fermò per accendersi una sigaretta. «Io e Jansen siamo a posto in ogni caso, ma mi piacerebbe da matti sapere chi le ha fatto quei segni sul collo.» McLoughlin andò dritto in un bar per camionisti nella periferia di Silverborne e mangiò, e mangiò fino a quando non ne poté più. Si sforzò di pensare esclusivamente al cibo e, quando un pensiero vagante si affacciava alla sua mente, lo cacciava via. Era in pace con se stesso per la prima volta dopo alcuni mesi. Quando ebbe finito, tornò in automobile, reclinò il sedile e si addormentò. Jonathan stava davanti alla porta principale quando Anne uscì accompagnata da Walsh e dall'agente Brownlow. Sbarrò loro il passo con fare ag-
gressivo e Walsh riconobbe subito in lui il ragazzino che aveva protetto così strenuamente sua madre tanti anni prima. «Che cosa succede?» chiese. Anne gli mise una mano sul braccio. «Tornerò tra due o tre ore al massimo, Jon. Non devi preoccuparti, te l'assicuro. Di' a tua mamma che ho telefonato a Bill Stanley e che verrà subito.» Si fermò un momento. «E dille di staccare il telefono e di mandare Fred a chiudere il cancello. Nel frattempo si dev'essere sparsa la voce, e i giornalisti non tarderanno ad arrivare.» Lo guardò dritto negli occhi a lungo. «Sono sicura che lei si preoccuperà, Jon, cerca di distrarla. Falle ascoltare della musica.» Parlava con la testa girata mentre Walsh la portava verso la macchina. «Pat Boone e Love Letters in the Sand. Sono sicura che riusciranno a distrarre Phoebe. Sai bene quanto adora Pat Boone. E non startene qui, eh?» Il ragazzo annuì. «Va bene. Mi raccomando, Anne.» Rimase a salutarla tristemente con la mano mentre veniva portata via, poi rientrò in casa sconsolato. A quanto ne sapeva, sua madre non aveva mai ascoltato un disco di Pat Boone in vita sua. «E non startene qui, eh?» Raggiunse la porta che dava sull'ala di Anne, si guardò intorno rapidamente, poi entrò e percorse il corridoio in punta di piedi. Aprì piano la porta del salotto. La stanza era vuota. «Sicura», l'aveva detto due volte. «Love Letters». Fu questione di pochi secondi azionare le leve nascoste, afferrare la maniglia cromata e sfilare tutta la cassaforte. Non pesava niente, essendo fatta di alluminio. La tenne contro un fianco e infilò la mano nel vano scuro da cui estrasse una grande busta marrone. La lanciò sulla poltrona più vicina, poi risistemò la cassaforte con cura. Mentre si nascondeva la busta sotto la giacca pensò che qualcuno o qualcosa doveva avere spaventato a morte Anne per farle temere per quel nascondiglio. E poi, per quale motivo avrebbe dovuto preoccuparsi per delle semplici lettere d'amore? Strano. Uscendo dalla porta-finestra sentì che la porta dell'ala di Anne veniva aperta e richiusa e nel corridoio riecheggiarono dei passi. Attraversò la terrazza in punta di piedi e sparì. Trovò Phoebe e Diana nel salotto principale. Stavano parlando sottovoce con le teste ravvicinate. I capelli biondi dell'una e rossi dell'altra sembravano formare un'unica tappezzeria. D'un tratto si sentì geloso della loro intimità. Perché sua madre si confidava con Diana prima che con lui? Non si fidava di lui? L'aveva appoggiata per dieci anni. Non le bastava? Talvolta si sentiva trattato da adulto solo da Anne.
«Hanno preso Anne», annunciò in tono laconico. Annuirono entrambe. Non erano sorprese. «Stavamo guardando», spiegò Phoebe sorridendo al figlio. «Non preoccuparti, tesoro. Mi dispiace più per i poliziotti che per lei. Scopriranno che due ore sul ring con Mike Tyson sono meglio di mezz'ora in compagnia di Anne quando è sulle difensive. Spero che abbia chiamato Bill.» «Sì.» Andò davanti alla finestra e guardò fuori. «Dov'è Lizzie?» chiese. «È andata con Molly», rispose Diana. «Stanno perlustrando la loro casa.» «Anche Fred è lì?» «Fred fa la guardia davanti al cancello», rispose Phoebe. «A quanto pare i giornalisti sono arrivati in massa. Lui li tiene a bada.» «A proposito, Anne mi ha raccomandato di staccare il telefono.» Diana si alzò e andò a prendere un mozzicone di sigaretta dietro l'orologio sulla mensola del camino. Se lo accese. «Già fatto.» Sbirciò con occhi socchiusi il patetico mozzicone aspirando il fumo con fare inesperto. Phoebe e Jonathan si scambiarono un'occhiata e scoppiarono a ridere. «Vado a prendertene una intera nella stanza di Anne», propose Phoebe alzandosi dal divano. «Sono sicura che ne avrà lasciate in giro e non sopporto di vederti soffrire.» Uscì dalla stanza. Diana buttò il mozzicone nel caminetto. «Me ne porterà una, e io la fumerò, e sarà la seconda di oggi. Domani saranno tre e così via, fino a quando resterò di nuovo schiava. Devo essere pazza. Tu sei un medico, Jon. Dimmi che non devo.» Intenerito, il ragazzo andò a metterle un braccio attorno alle spalle. «Non sono ancora medico, e comunque non mi ascolteresti. Come va?» I profeti vengono ascoltati, eccetto nel proprio paese e nella propria casa. «Fuma, se ti serve. Direi che lo stress è dannoso quanto la nicotina.» Era come coccolare un'Elizabeth un po' più adulta, pensò. Si somigliavano talmente: di aspetto, nella continua ricerca di sicurezza, nel tocco ironico che davano a tutte le cose. Ecco spiegato il motivo per cui non andavano d'accordo. Le strinse il braccio e poi la lasciò libera tornando davanti alla finestra. «I poliziotti se ne sono andati tutti?» «A parte quelli che stanno perquisendo la casa del custode, credo. Povera Molly. Ci vorranno mesi prima che si riprenda dallo choc di aver dovuto far vedere i mutandoni ai piedipiatti. Probabilmente li laverà tutti più volte prima di metterseli.»
«Lizzie la calmerà», suggerì lui. Diana gli guardò le spalle perplessa. «Vedi spesso Elizabeth a Londra?» chiese. Jonathan non si girò. «Ogni tanto. Talvolta pranziamo insieme. Lei, come sai, ha un orario di lavoro impossibile. È quasi sempre al casinò fino all'alba.» È tragico che ci siano tante cose di una figlia che non si possono mai raccontare alla madre, pensò. Non avrebbe mai potuto descriverle la sensazione stupenda di svegliarsi alle quattro del mattino e sentirsi eccitato al contatto del suo corpo caldo e nudo. Non poteva spiegarle che impazziva al solo pensiero di lei, né che uno dei motivi per cui le voleva bene era che, ogni volta che le infilava una mano tra le gambe, la trovava umida di desiderio per lui. Invece era costretto a dire che la vedeva di rado, fingersi indifferente, e la madre non avrebbe mai saputo delle faville che sua figlia era in grado di far scoccare. «Direi che la vedo più qui», aggiunse girandosi. «Non mi racconta niente della sua vita a Londra», si lamentò Diana. «Immagino che qualcuno la inviti a uscire, ma non lo so e non chiedo.» «Perché non vuoi saperlo, o perché credi che non te lo direbbe?» «Ovviamente perché credo che non me lo direbbe», rispose lei. «Sa che voglio evitare che faccia lo sbaglio che ho fatto io di sposarsi troppo giovane. Se avesse intenzioni serie, sarei l'ultima a saperlo, e allora sarebbe troppo tardi per farle cambiare idea. È tutta colpa mia», si rammaricò. «Me ne rendo conto benissimo.» Phoebe tornò e lanciò un pacchetto aperto di sigarette a Diana. «Ma ti rendi conto che hanno lasciato di guardia nella stanza di Anne quel ragazzino? L'agente Williams, quello su cui ha messo gli occhi Molly. Ha ricevuto l'ordine di stare lì. Ha voluto tirare fuori tutte le sigarette e guardarle una per una.» Andò a riagganciare il ricevitore del telefono. «Devo essere impazzita», riprese. «Jane dovrebbe arrivare a Winchester questo pomeriggio o questa sera. Le ho detto di telefonare da lì. Dovremo sopportare le chiamate inutili fino a quando non telefona.» Con una smorfia, Jonathan aprì la porta-finestra e uscì in terrazza. «Vado a fare quattro passi con i cani. Andrò anche in cerca di Lizzie. Ci vediamo dopo.» Si mise le dita in bocca e fischiò forte. Poi si incamminò sul prato. Benson e Hedges gli giravano attorno scodinzolando allegramente e abbaiando come se andare a fare una passeggiata per loro fosse una rarità.
Jonathan s'incamminò in direzione del boschetto tra la proprietà e la fattoria adiacente lanciando ogni tanto qualche legnetto per far divertire i cani scatenati. Passò davanti alla ghiacciaia e rimase disgustato vedendo che i cani puntavano dritti verso quel luogo triste solo per restare a grattare e mugolare delusi davanti alla porta chiusa. Proseguì soffermandosi di continuo a guardarsi alle spalle e richiamare i cani. Quando arrivò davanti alla quercia di due secoli, che si ergeva maestosamente nella radura in mezzo al bosco, si sfilò la giacca e si sedette appoggiando le spalle in una cavità naturale del vecchio tronco grinzoso. Rimase lì per mezz'ora ad ascoltare e osservare, fino a quando non fu convinto che gli unici testimoni di quanto stava per fare fossero i cani ed eventuali animali del bosco. Si alzò, prese la busta dall'interno della giacca piegata e la infilò in uno stretto pertugio del grosso tronco d'albero, nel punto in cui un ramo si era seccato ed era stato eliminato. Solo Jane, che aveva giocato nel bosco con lui quando erano bambini, conosceva quel nascondiglio segreto. Richiamò con un fischio i cani che erano andati in giro per conto proprio e tornò verso casa. «Potrei parlarti, tesoro?» Elizabeth, che era a metà della scala per salire in camera, lanciò un'occhiata stanca alla madre. «Be', sì.» Era appena rientrata dalla casa dei custodi e si sentiva stanca e nervosa. La tensione di Molly durante la perquisizione della polizia si era riversata su di lei. «Se non è il momento adatto, possiamo aspettare...» Elizabeth scese lentamente la scala. «Che cosa c'è?» «Tutto. Sarebbe più facile dire che cosa non c'è.» Elizabeth seguì la madre nel suo salotto. Era di dimensioni uguali a quello di Anne, ma in stile molto diverso, più convenzionale, meno tipico, con moquette color senape e stoffe classiche a fiori nei toni del ruggine e del giallo nelle tende e sulle tappezzerie. Un raggio di sole avvolgeva tutto in una luce dorata. «Dimmi», la incitò Elizabeth osservando Jonathan che attraversava il terrazzo con Benson e Hedges ed entrava attraverso la porta-finestra di Phoebe. Diana le parlò, le ombre si allungarono e l'angoscia di Elizabeth crebbe. L'ispettore Walsh guardò l'orologio e, sospirando, aprì la porta della sala
interviste numero due con una spallata. Erano le nove e quindici. Guardò Anne e poi il suo avvocato. Bill Stanley era una specie di armadio dall'aspetto trasandato, coperto di peli persino sulle nocche. A giudicare dal biglietto da visita, lavorava per uno degli studi più importanti di Londra, e certamente guadagnava un sacco di soldi, quindi l'abito scuro a righine logoro e stazzonato doveva avere un suo significato specifico (metterlo al livello del popolino, forse...) anche se non riusciva a capire perché avesse deciso di portarlo con una maglietta a rete ingiallita. Si fece un appunto mentale di verificare le sue credenziali. In trent'anni di lavoro a contatto con gli avvocati, non aveva mai incontrato un tipo come quel «B. R. Stanley, avvocato». Probabilmente il biglietto da visita era falso. «Lei può tornare a casa, signorina Cattrell. Fuori c'è una macchina che la aspetta.» Anne raccolse tutto quello che le apparteneva e lo ficcò a casaccio nella borsetta. «E le altre cose?» volle sapere. «Le saranno restituite domani.» Bill si alzò a fatica, si stiracchiò e sbadigliò. «Posso portarti a casa io, se preferisci.» «No. È troppo tardi. Torna da Polly e dai bambini.» Bill drizzò le spalle e in tutta la stanza si sentì lo scricchiolio delle ossa. «Questo scherzo ti costerà un occhio della testa, tesoro... sono cinquanta sterline ogni volta che apro bocca per fiatare, ricordatelo. Allora che cosa dici? Facciamo ricorso? Io sono disponibile.» Era raggiante. «Non c'è che l'imbarazzo della scelta, in realtà. Molestie, abuso di potere in atti d'ufficio, danneggiamento della reputazione professionale, mancato guadagno... mi piacciono da matti i processi quando ho avuto la possibilità di vedere entrambe le parti in azione.» Lo sguardo di Anne s'illuminò. «Ma vincerei?» «Santo cielo, sicuro! Ho vinto cause ben più complesse.» Walsh, che si era irritato sempre di più per le battute di spirito di Bill, ora era infuriato. «La legge non è uno scherzo, signor Stanley. Mi dispiace per il disturbo che è stato causato alla signorina Cattrell ma, date le circostanze, non vedo in quale altro modo avremmo potuto agire. È stata una decisione della signorina di far presenziare lei a questo interrogatorio e, francamente, se non ci avesse messo tre ore per arrivare qui, avremmo potuto cavarcela molto più rapidamente.» «Non ho potuto fare più in fretta, vecchio mio», rispose Bill infilandosi
un dito sotto la maglietta per grattarsi il petto villoso. «Oggi è il giorno in cui tocca a me badare ai bambini. Non potevo proprio lasciarli soli. Si sarebbero ammazzati appena avessi girato l'angolo. Ma forse ha ragione. Niente accuse di negligenza davanti alla corte.» Strinse amichevolmente la spalla di Anne con la sua grossa zampona. «Ti farò uno sconto. E meno divertente, ma probabilmente più sensato.» Walsh perse le staffe. «Potrei accusarvi entrambi per avere abusato del tempo prezioso dei funzionari di polizia.» L'avvocato scoppiò a ridere, aprì la porta e accompagnò fuori Anne. «No, no, ispettore, sarò io a fare la denuncia. Spiacevole, eh? Da qualsiasi parte la guardi, vinco comunque io.» Portò Anne fino davanti all'entrata principale dove trovò in attesa un'automobile della polizia. Poi le prese il viso tra le mani e si chinò per parlarle nell'orecchio. «Questo scherzetto ti costerà cinquanta sterline a una delle associazioni per la cura dell'AIDS, oltre a una spiegazione.» Lei gli diede un buffetto sulla guancia. «Avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse la mano», rispose. L'omone scoppiò a ridere. «Stronzate! Mi sarei arrabbiato se non avessi voluto scoprire che cosa diavolo stava succedendo e non fossi stato in attesa di un'occasione per conoscere quel bastardo di Walsh.» Il sorriso si cancellò dal suo volto. «Dammi un colpo di telefono domani e verrò a scambiare due parole con tutte e tre. L'omicidio è un gioco pericoloso, Anne, anche per gli spettatori. È troppo facile venire coinvolti. Phoebe lo sa meglio di chiunque altro.» Le mise una mano sul sedere e la spinse verso l'auto. «Salutamela, e anche Diana.» Si accomiatò da lei, poi prese la macchina e partì per Londra dove lo aspettava il settimanale turno di notte nel rifugio per i senzatetto. Andy McLoughlin stava in macchina sull'altro lato della strada. Aveva posteggiato in una zona scura a metà tra due lampioni in modo da vedere senza essere visto. Gli tremavano le mani sul volante. Aveva bisogno di un bicchiere. L'aveva baciato? Non ne era sicuro. Ma comunque, che importanza aveva? Era rimasto turbato dal modo in cui i due se la intendevano, da come erano stati vicini da veri amici. Non voleva che fosse amata. Scese dall'auto e andò in cerca di Walsh. «Com'è andata?» L'ispettore era nel suo ufficio, in piedi davanti alla finestra, e scrutava l'oscurità. «Li ha visti? Se ne sono appena andati.» «No.»
«Quello stronzo ci ha messo tre ore per arrivare qui. Aveva addosso una maglietta a rete lercia ed era peloso come una scimmia. Ho più di qualche dubbio sulle sue credenziali.» Tirò fuori la pipa. «Lei aveva ragione, Andy. Ci stanno prendendo in giro. Ma perché?» McLoughlin si lasciò cadere su una poltrona. «Per distrarci, per distogliere l'attenzione dal resto della casa.» Walsh tornò a sedersi dietro la scrivania. «Può darsi. In tal caso non ha funzionato. Quando ce ne siamo andati, avevamo guardato dappertutto.» Ci fu un lungo silenzio prima che l'ispettore gli indicasse un mazzetto di lettere che aveva davanti a sé. «Jones ha trovato queste nello studio della signora Goode.» Spinse i fogli verso McLoughlin e aspettò che il sergente ci desse un'occhiata. «Interessanti, non le pare?» «E Jones l'ha interrogata a proposito?» «Ha tentato. Lei gli ha detto che non erano affari suoi, che si era scottata una volta e preferiva non pensarci più. Non aveva alcuna intenzione di rispondere a domande su quell'argomento.» Pigiò il tabacco nel fornello della pipa. «Quando lui le ha detto che avrebbe dovuto prendersi le lettere, lei ha perso le staffe e ha cercato di sottrargliele.» L'ispettore sembrava divertito mentre si accendeva la pipa aspirando il fumo caldo. «Due agenti hanno dovuto tenerla per permettergli di portargliele via.» «E io che pensavo che fosse la più concreta delle tre. E la signora Maybury?» «Un pezzo di pane. Si è ritirata nella serra e ha passato gran parte del pomeriggio a piantare talee di gerani mentre noi frugavamo dappertutto e non trovavamo niente.» Continuò a fumare rumorosamente. «Ho mandato un paio di ragazzi a parlare con i ciabattini della zona. Non è facile, ma forse qualcuno si ricorderà di avere risuolato quelle scarpe. Non m'importa di quello che dice la signora Thompson, è talmente suonata che non riconoscerebbe la propria immagine in uno specchio. Quelle devono essere le scarpe di Daniel. Numero quarantadue, marroni. Sarebbe una coincidenza troppo strana.» McLoughlin si sforzò di tenere aperti gli occhi che gli bruciavano e rilesse la prima lettera. Non era datata, ed era molto breve. «Lunedì. Mia cara Diana, naturalmente mi dispiace per quello che è accaduto, ma ho le mani legate. Se vuoi posso venire da te giovedì per parlarne. Tuo, Daniel.» L'indirizzo del mittente era Larkfield, East Deller, e sotto era stato aggiunto con calligrafia affrettata: «Incontro confermato». La lettera precedente, una copia carbone di una missiva con cui Diana richiedeva il bilan-
cio aggiornato dell'attività di Daniel Thompson, era datata venerdì venti maggio. «Quando è sparito Thompson?» «Giovedì venticinque maggio», annunciò trionfalmente Walsh. «Proprio il giorno in cui aveva fissato l'appuntamento con la signora Goode.» «E perché non l'avete portata qui assieme alla Cattrell?» «Posso affrontarne solo una alla volta, ragazzo. Aspetterà per altre dodici ore. In questo momento vorrei capire per quale motivo la signorina Cattrell abbia fatto di tutto per farsi portare qui per un interrogatorio. Qualche idea in proposito?» McLoughlin scosse la testa guardando il pavimento. 14 Anne era stanca morta. Il suo corpo aveva continuato a produrre adrenalina per diverse ore stimolandole il cervello e il cuore fino a un livello insopportabile. Quando sprofondò sul sedile posteriore, nel caldo abitacolo dell'auto della polizia, ebbe una reazione immediata. Si addormentò, dapprima seduta, poi distesa in posizione poco signorile quando l'agente prese una curva con troppo slancio. Così i fotografi che aspettavano davanti al cancello di Streech Grange si persero l'immagine che stavano aspettando: la giornalista interrogata nell'indagine per un omicidio. Avevano visto andare e venire troppe macchine della polizia perché una con il solo guidatore destasse un qualche interesse. Fred, che non si era mosso dalla vecchia sedia a sdraio dietro il cancello sprangato, aveva gli occhi bene aperti. Lasciò passare l'automobile, si assicurò che contenesse Anne servendosi della torcia e poi tornò al suo posto. Tutti i suoi pulcini erano tornati nel nido. Quando la gazzella ripartì, poté andarsene a letto. Anne entrò dalla porta principale mezza addormentata. Fuori intanto, con a bordo un nuovo passeggero, l'agente Williams smontato dal turno di guardia, l'auto si allontanava facendo scricchiolare la ghiaia. Anne si appoggiò un momento alla parete per riordinare le idee. Dietro la porta di Phoebe sentì abbaiare i cani. Dopo un istante Jane Maybury si precipitò all'entrata e corse ad abbracciare la sua madrina. Insieme crollarono per terra dove Anne rimase tremante e con gli occhi chiusi. «Oh, Dio!» esclamò Jane rivolta a sua madre che l'aveva seguita. «Sta male. Jon!» strillò allarmata. «Vieni, presto, Anne sta male.» «Non sto male», la rassicurò Anne scuotendosi tutta. «Non vedi che ri-
do?» Si alzò a sedere. «Sono a pezzi. Alzati, su», la esortò dandole un bacio, «e vammi a prendere un brandy. Ho una grave crisi da dopo interrogatorio.» Phoebe l'aiutò ad alzarsi e la portò nel salotto mentre Jane andava a prendere il brandy. Anne si abbandonò sul divano e si guardò intorno. «Ma che cosa c'è? Avete mangiato limoni?» Diana fece una smorfia. «Eravamo in pena per te, sciocca.» «Dovreste avere più fiducia», la rimproverò Anne prendendo il brandy che Jane le aveva portato. «Come sta la mia figlioccia?» La osservò attentamente scaldando il bicchiere. Jane sorrise. «Sto bene.» Era ancora troppo magra, ma Anne fu lieta di constatare che aveva il viso un po' più pieno e sembrava più tranquilla. «Si vede», convenne. Phoebe si rivolse a Jonathan: «Forse è il momento di fare quella festicciola che ci eravamo ripromessi...» «Giusto. Vado a saccheggiare la cantina. Che cosa desiderano le signore? Château Lafite '78 oppure quelle ultime bottiglie di champagne del '75? Anne, a te la scelta.» «Direi il Lafite. Lo champagne dopo il brandy mi farebbe vomitare.» Il ragazzo rivolse uno sguardo interrogativo alla madre. «Vuoi che vada a prendere Fred e Molly? Anche loro oggi hanno avuto una giornata difficile.» Phoebe annuì. «Ottima idea.» Prese una mano di Elizabeth che sedeva un po' in disparte su uno sgabello. «Vai anche tu, Lizzie, tesoro. Molly sa dire di no a tutti noi, e lo fa regolarmente, ma con te non saprà rifiutarsi.» Lanciò un'occhiata a Jonathan. «Vieni anche tu con noi, Jane», propose il ragazzo. Phoebe andò davanti al camino. «Vorrei che David non avesse mai usato la cantina per tenerci i suoi maledetti vini di importazione.» Anne inalava il profumo del brandy. «Perché? Io continuo a essergliene grata.» «Proprio per questo», osservò seccamente Phoebe. «Anch'io. Lo trovo inquietante.» Lanciò un'occhiata a Diana. «Lizzie mi sembra preoccupata. Per Molly e Fred?» «No, per me, temo.» «Perché?» Diana cercò di assumere un atteggiamento indifferente, ma non ci riuscì. «Perché le ho detto che forse la prossima a essere messa sotto torchio dalla
polizia sarò io.» Si girò verso Anne. «Perché ti hanno portata dentro?» «Avevano trovato la cassaforte con dentro una prova pericolosa.» Rise sotto i baffi. «Un pugnale insanguinato avvolto in uno straccio tutto macchiato di sangue.» Strofinò le mani contro il bicchiere per scaldarlo. «L'avevo preso tale e quale da Enid Blyton, ma si sono tutti agitati molto e io mi sono rifiutata di rispondere alle loro domande fino a quando non fosse arrivato Bill.» «Ma tu sei pazza!» esclamò Phoebe. «Che cosa diavolo vuoi fare?» Anne sorrise con fare malizioso. «A dire il vero non pensavo che avrebbero trovato la cassaforte, e se non fosse stato per il sergente, non l'avrebbero vista.» Alzò le spalle. «Lo sapete come sono io. Penso sempre a tutto, perché tanto non si sa mai.» Diana era preoccupata. «Sei proprio pazza. Vorrei tanto che tu prendessi un po' più seriamente questa storia. Dio solo sa che cosa penseranno adesso. Che cos'è che non volevi che trovassero?» «Oh, niente di particolare», si giustificò Anne. «Qualche documento che forse non dovrebbe essere in mano mia.» «Be'», disse Phoebe, «non capisco perché tu non sia ancora sotto torchio alla centrale di polizia. Io non ho mai fatto trovare prove simili a Walsh, eppure non mi lasciava in pace un momento.» Anne sorseggiava il brandy guardando le amiche. Era euforica. «Non avevi il mio jolly. Bill è stato fantastico. Avreste dovuto vederlo. Walsh stava per avere un infarto quando finalmente l'ha visto arrivare. Pensate... aveva addosso la maglietta a rete...» Si asciugò gli occhi e scrutò il viso di Diana attraverso le ciglia umide. Era ancora molto tesa. «Per te è un gioco, vero?» la accusò Diana. «Non mi dispiacerebbe tanto se non sapessi che poi se la prenderanno con me. Sei davvero matta da legare.» Anne scosse la testa. «E perché diavolo dovrebbero prendersela con te, scusa?» Diana sospirò. «Sono stata molto stupida.» Si sentiva estremamente a disagio. «Speravo che non l'avreste mai scoperto. Ci faccio una figura così meschina.» «Ma allora è grave», notò allegramente Anne. Phoebe si accucciò con la schiena verso il camino. «Non può essere più grave di quello che Anne fece con quel ragazzino.» Guardò l'amica ridacchiando. «Ti ricordi? Aveva ancora i brufoli sulla faccia. Per una settimana sei stata pazza di lui.»
Anne, che già da tempo era stata pericolosamente vicina al punto di scoppiare a ridere, non riuscì più a trattenersi. Le uscì il brandy dal naso e si contorse per le risate e per il dolore. «Wayne Gibbons? Un'aberrazione temporanea, ve l'assicuro. Mi aveva affascinata per quella sua totale dedizione alla causa.» «Sì, ma quale causa? Quando finalmente si decise ad andarsene, tu eri distrutta.» Anne si asciugò le lacrime. «Lo sapete che sta frequentando un corso in Russia? Ho ricevuto una sua lettera qualche tempo fa. Mi descriveva nei minimi dettagli un suo problema di stitichezza. Probabilmente non mangia verdura fresca da Natale.» Continuò a ridere. «Dio solo sa che effetto ha avuto sull'acne...» Ridendo tra sé, riprese: «Non può essere più grave dell'incontro di lotta vicino al laghetto tra Phoebe e quella ridicola Dilys Barnes, quella la cui figlia viene a scopare nel nostro bosco. Su questo non c'è ombra di dubbio. Phoebe ci fece proprio la figura della pazza». Diana rise suo malgrado. «È vero, era divertente.» Anche Phoebe sorrideva. «Non avresti mai dovuto attaccarla con addosso un pareo.» «Ma come avrei potuto immaginare che volesse litigare?» protestò Phoebe: «E poi non fu proprio lei a togliermelo. Fu colpa di Hedges. Si era talmente eccitato da addentarlo e correre via come un pazzo portandosi dietro il mio pareo.» Con tutte quelle risate, Anne cominciava a rilassarsi. «E poi come sei arrivata su per il vialetto con gli stivali di gomma, viola in faccia, le tette al vento e addosso solo le mutande. C'era da morire dal ridere. Avrei voluto vedere l'incontro. Ma che cosa ti era saltato in mente di metterti gli stivali con il pareo?» Phoebe aveva gli occhi luccicanti. «Faceva caldo, per questo mi ero messa il pareo, e mi servivano delle canne che crescono vicino al laghetto del paese, per questo portavo gli stivali. Quella cretina. Corse via strillando. Forse credeva che mi fossi svestita io per violentarla.» Dette una manata amichevole sul ginocchio di Diana. «Se ti sei resa ridicola, direi che non è proprio la fine del mondo, come vedi.» «Sì, ridicola...» ripeté Diana. «Santo cielo! Non lo dimenticherò mai! È troppo imbarazzante. Non sarebbe così grave se non me ne intendessi di queste cose.» Anne e Phoebe si scambiarono sguardi interrogativi. «Racconta», la esortò Phoebe. Diana si strinse la testa tra le mani. «Mi sono fatta spillare diecimila
sterline», bisbigliò. «Metà dei miei risparmi spariti nel nulla, a parte tutto il resto.» «Capperi! E non c'è modo di farteli restituire?» «No. Lui è sparito.» Si mordicchiò il labbro inferiore. «Dal modo in cui si sono buttati a leggere la mia corrispondenza, sospetto che la polizia pensi di averlo trovato nella nostra ghiacciaia.» «Accidenti!» esclamò Phoebe. «Non mi meraviglio che Lizzie sia preoccupata. Chi è quest'uomo?» «Daniel Thompson. Gli aveva fatto il mio nome quel consulente di Winchester, quello che mi aveva dato una mano agli uffici del comune. È un ingegnere e abita a East Deller. Lo conoscete?» Phoebe scosse la testa. «Avresti dovuto dirlo subito alla polizia», suggerì. «Direi che sei stata truffata.» «No», rispose stancamente Anne guardandosi le mani, «non ci fu truffa. Avevo investito nella sua attività, tutto legale, tutto a posto, ma poi è fallito. Con il senno di poi, dovevo essere pazza, ma all'epoca mi era sembrata una buona idea. Se fosse decollata, avrebbe rivoluzionato l'arredamento in generale.» «Ma perché diavolo non ci hai detto niente?» «Ve ne avrei parlato, ma è accaduto in quella settimana di gennaio in cui eravate via entrambe e io ero rimasta qui. Un altro investitore si era tirato indietro all'ultimo momento e io avevo ventiquattr'ore per decidermi. Quando siete tornate non ci pensavo già più, poi le cose hanno cominciato a precipitare e ho deciso di non parlarvene. E non ve lo direi nemmeno adesso, se la polizia non l'avesse scoperto.» «Di che genere di attività si trattava?» Diana gemette. «Scoppierete a ridere.» «No, te lo promettiamo.» Diana le fulminò con uno sguardo di fuoco. «Badate che se ridete, vi strozzo.» «Stai tranquilla.» «Erano radiatori trasparenti», spiegò. Il guardone in giardino si masturbava estasiato. Quante volte aveva spiato quelle puttane, si era riempito gli occhi di loro e le aveva viste nude. Una volta era perfino entrato in casa loro di soppiatto. Fece scorrere la mano sempre più velocemente, e poi venne nel fazzoletto in una frenesia di contorsioni. Si pigiò sulla bocca il fazzoletto lercio per soffocare le risa.
«Io me ne vado a letto», annunciò Anne posando il bicchiere su un vassoio con l'attenzione esagerata tipica di chi è un po' brillo. «A parte tutto il resto, sono sbronza. Sarò felice di rigovernare domattina, ma stasera sono fuori combattimento. Li romperei tutti», spiegò con voce strascicata. «Ha mangiato qualcosa, questa sera, signorina Cattrell?» la redarguì Molly. «Niente.» Molly bofonchiò tra sé. «Domattina voglio dire io due paroline a quell'ispettore... che modo di trattare la gente.» Anne si fermò sulla porta. «Mi avevano portato un panino farcito di manzo sotto sale», precisò per non fare torto a nessuno. «Ma non ne avevo voglia. Il manzo salato mi fa proprio schifo.» Ci pensò un momento. «Dev'essere la consistenza, non so. Così umido e sbricioloso. Sembra merda di cane.» Salutò tutti con un cenno della mano e se ne andò. Diana, che stava osservando la reazione di Molly, si mise il bicchiere davanti alla bocca per nascondere un sorriso. Dopo otto anni di quel trattamento d'urto da parte di Anne, Molly non riusciva ancora a non essere scioccata. In cucina Anne tracannò due bicchieri d'acqua, prese una banana dal cesto della frutta e si avviò per il corridoio addentandola. Accese la luce nel suo salotto e crollò su una poltrona buttando la buccia di banana nel cestino della carta straccia. Rimase così per qualche tempo con il cervello in folle, mentre l'acqua diluiva lentamente gli effetti dell'alcol. Dopo mezz'ora si sentiva già meglio. Che giornata! Mentre veniva interrogata dalla polizia, aveva continuato a chiedersi angosciosamente se Jon avesse capito l'allusione. Ora cercava di convincersi che probabilmente si era preoccupata per niente. McLoughlin aveva capito? Certamente no. La stanza era stata ispezionata da esperti, due, tre anni prima, quando la Squadra Speciale aveva avuto il sospetto che lei avesse in suo possesso un documento che era stato trafugato dal ministero della Difesa. Avevano trovato la cassaforte, ma non il nascondiglio segreto retrostante. Si strofinò gli occhi. Jon le aveva detto in un orecchio di avere nascosto la busta in giardino, in un posto in cui non l'avrebbe trovata nessuno. Se era vero, aveva la tentazione di lasciarla lì, dovunque fosse. Non aveva chiesto particolari. Gli venivano i sudori caldi e poi freddi ogni volta che pensava al contenuto di quella busta. Doveva proprio essere pazza, ma all'epoca le era sembrato utile avere un documen-
to fotografico di quella terribile tomba di mattoni. Si colpì la fronte con il pugno. E se Jon l'avesse aperta? No. Non poteva essere. Dallo sguardo che aveva visto nei suoi occhi, l'aveva capito. E se si fosse sbagliata? Cercò di scacciare quel pensiero. McLoughlin la affascinava pericolosamente. Nel pensiero continuava a tornare a lui come la lingua che batte sul dente che duole. Quella scena davanti al caminetto... era stata una finta per celare il suo interesse nei confronti della cassaforte? L'aveva guardato in faccia e le era sembrato solo addolorato, profondamente ferito, ma un'espressione è soltanto un'espressione, dopotutto. Si strofinò di nuovo gli occhi. Se soltanto... se soltanto avesse potuto gridare, un grido grande e silenzioso quanto è grande e silenzioso lo spazio. La sua vita sarebbe stata una serie di se soltanto? Poi sentì bussare alla porta-finestra. Si spaventò talmente che fece un gesto inconsulto e andò a sbattere con il polso contro un tavolino. Si girò massaggiandosi il braccio e sforzandosi di vedere nell'oscurità. C'era una faccia premuta contro il vetro, gli occhi si proteggevano con una mano dalla luce delle lampade. Avvertì in bocca il sapore amaro della paura e nelle narici quell'orribile fetore di urina. «L'ho spaventata?» chiese McLoughlin, aprendo la porta socchiusa poiché lei non si alzava. «A morte.» «Mi spiace.» Altroché se ti ho spaventata, carina. «Perché non è entrato dalla porta?» Persino le labbra le erano impallidite. «Non volevo disturbare la signora Maybury.» Richiuse la porta dietro di sé. «Nella sua stanza c'è la luce accesa. Avrebbe dovuto scendere per farmi entrare.» «Ognuna di noi ha un campanello fuori della porta. Se lei pigia quello con il mio nome, io sono l'unica a sentirlo.» Ma questo lo sapeva già, no? «Posso sedermi?» «No», rispose duramente lei. Alzò le spalle e andò davanti al caminetto. «E va bene, si sieda. Che cosa fa qui?» McLoughlin non si sedette. «Volevo parlarle.» «Di che cosa?» «Di qualsiasi cosa. Dell'eternità. Di Burns, di casseforti.» Tacque un momento. «Perché ha tanta paura di me?» Non avrebbe mai creduto che potesse sbiancare ulteriormente. Anne non rispose. Fece un cenno verso la mensola sopra il camino. «Posso?» Chi ta-
ce acconsente, pensò, e sfilò il pannello di rovere. «Qualcuno è stato qui prima di me», le fece notare con noncuranza. «Lei?» La guardò. «No, lei no. Qualcun altro.» Afferrò la maniglia cromata e tirò forte. Troppo forte. Jonathan si era dimenticato di far scattare tutti i ganci e la cassaforte si sfilò facendogli perdere l'equilibrio. McLoughlin ridacchiò, la posò per terra e sbirciò nel vano vuoto. «Mi dice che cosa c'era qui dentro?» «No.» «O chi ha tolto quello che c'era?» «No.» Passò le dita lungo il bordo della cassaforte e trovò i gancetti a molla. «Carino.» Rimise a posto la cassaforte. «Ma lei l'ha usata più di quanto avrebbe dovuto. Si è consumato il bordo.» Le indicò la parte inferiore dello sportello. «Non è più parallelo alla mensola del camino. Dovrebbe poggiare su un ripiano di cemento. I mattoni non vanno bene. Sono troppo teneri, e si sbriciolano facilmente.» Risistemò il pannello di legno e si accomodò su una poltrona di fronte a lei. «È uno dei lavoretti della signora Maybury?» domandò. Lei ignorò la domanda. «Come ha fatto a sapere che non era fuori posto la cappa?» Le sue labbra erano tornate a colorirsi. «Non lo sapevo, fino a quando non ho spostato il pannello. Ma la persona che l'ha aperto nel frattempo è stata ancora meno cauta di lei a rimetterlo a posto. A giudicare dalla circostanza che non ha fatto scattare i ganci, direi che aveva fretta. Che cosa c'era lì dentro?» «Niente. Lei lavora troppo di fantasia.» Stettero a guardarsi in silenzio. «Be'?» chiese infine Anne. «Be' che cosa?» «Che cosa pensa di fare?» «Oh, non saprei, scoprire chi è stato a vuotarlo, immagino, e fargli qualche domanda. Non dovrebbe essere troppo difficile. Direi che non c'è molta scelta...» «Ci resterà scornato», ribatté lei. «L'ispettore aveva dato ordine a un agente di restare qui di guardia per tutto il tempo in cui non c'ero.» Gli piaceva di più quando si difendeva. «Come avrebbe fatto qualcuno a mettere le mani nella mia cassaforte? Dev'essersi spostata da sola.» «Ecco perché aveva fretta», fu il commento di McLoughlin. Si mise più comodo sulla poltrona e appoggiò il mento sulle mani incrociate. «Non ho niente da dirle. Lei sta perdendo il suo tempo.» McLoughlin chiuse gli occhi. «E invece ha molto da raccontarmi»,
mormorò. «Perché è venuta a Streech? Perché i signori Phillips dicono che questa casa è una fortezza? Perché lei ha incubi di morte?» La sbirciò da dietro gli occhi socchiusi. «Perché si fa prendere dal panico ogni volta che viene menzionata la sua cassaforte e perché cerca di divagare ogni volta che qualcuno ne parla?» «L'ha fatta entrare Fred?» «No. Ho scavalcato il muro in fondo al giardino.» Sul volto della donna si dipinse un'espressione preoccupata. «Ma perché?» McLoughlin si strinse nelle spalle. «Davanti al cancello c'è un nugolo di fotografi. Non ci tenevo a farmi vedere da loro.» «L'ha mandata Walsh?» Era tesa come una corda di violino. Lui le prese una mano e giocherellò brevemente con le sue dita prima di lasciarla andare. «Non sono suo nemico, Cattrell.» Un rapido sorriso le passò sul volto. «Probabilmente è quello che ha detto Bruto mentre pugnalava Cesare. 'Non sono tuo nemico, Cesare, ma non prendertela, è solo che preferisco Roma.'» Si alzò e andò davanti alla finestra. «Se lei non è mio nemico, McLoughlin, mi lasci perdere, ci lasci perdere tutte quante e vada a cercare l'assassino altrove.» Il giardino luccicava sotto i raggi della luna. Anne premette la fronte contro la vetrata fredda e rimase a osservare lo splendido spettacolo. Rose nere con i bordi argentati; il prato luccicava come se fosse stato un lago; un salice piangente aveva la chioma che sembrava di pizzo. «Però non può farlo, eh? Lei è un poliziotto e preferisce la giustizia.» «Come posso risponderle?» chiese lui in tono canzonatorio. «È una domanda cui proprio non posso rispondere. Si basa su talmente tante false premesse da risultare del tutto ipotetica. Capisco la vendetta personale. Questo gliel'ho detto stamattina.» Anne sorrise alla propria immagine riflessa nel vetro. «Mi sta dicendo che non avrebbe arrestato Fred e Molly per avere ucciso Donaghue?» «No. Li avrei arrestati.» Lo guardò sorpresa. «La sua risposta è più onesta di quanto mi sarei aspettata.» «Non avrei avuto altra scelta», rispose lui francamente. «Volevano essere arrestati. Erano rimasti vicino al cadavere in attesa della polizia.» «Capisco.» Sorrise debolmente. «Lei arresta ugualmente, ma versa lacrime di coccodrillo. Così poi ha la coscienza a posto.»
McLoughlin si alzò, la raggiunse e la guardò in faccia. «Lei mi ha aiutato», disse semplicemente, mettendole le mani sulle spalle. «Ora vorrei aiutarla io. Ma non posso farlo se non ha fiducia in me.» Com'era prevedibile! Anne rise tra sé. Era un bel gioco. «Si fidi lei di me, McLoughlin. Non mi serve il suo aiuto. Non ho sulle spalle più vendette personali e assassinii di un bimbo neonato.» D'un tratto, come se fosse una bambola di cenci, McLoughlin la sollevò e la girò verso la luce osservandola attentamente. Come faccia, non era poi niente di speciale. Ai lati degli occhi e della bocca aveva le rughe profonde dei sorrisi, sulla fronte quelle della preoccupazione, ma nei suoi occhi scuri non c'era niente di minaccioso, niente che nascondesse segreti nefandi. La sua pelle aveva un vago profumo di rose. La tenne con una mano sola e le passò i polpastrelli lungo le curve della mandibola e del collo, poi, altrettanto bruscamente, la lasciò andare. «Gli ha tagliato le palle?» La colse di sorpresa. Si sistemò le maniche. «No.» «Magari sta mentendo ma non lo vedo», mormorò McLoughlin. «Probabilmente perché dico la verità. Perché fatica tanto a crederlo?» «Perché in questo momento ho le parti basse che comandano al cervello e il desiderio non è mai prova di innocenza», rispose in tono adirato. Anne abbassò lo sguardo e sogghignò. «Ah, capisco bene il suo problema. Che cosa pensa di fare?» «Me lo dica lei. Doccia fredda?» «No. Quella gliela consiglierebbe Molly. Io dico sempre che quando si ha un prurito, bisogna grattarsi.» «Preferirei che lo grattasse lei...» Nei suoi occhi neri c'era un'espressione di trionfo. «Ha avuto il buonsenso di mangiare qualcosa?» «Salsicce e patatine circa cinque ore fa.» «Be', io sto morendo di fame. È dall'ora di pranzo che non mangio. C'è un ristorantino indiano a un paio di chilometri da qui. Che cosa ne direbbe se analizzassimo le varie opzioni mangiando un Vindaloo?» McLoughlin le accarezzò i riccioli sulla nuca. Il desiderio di toccarla era irresistibile. Era pazzo, non credeva a una sola parola di quello che stava dicendo, ma non poteva farci niente. Lei gli lesse nello sguardo. «Non sono il suo tipo, McLoughlin», lo avvertì. «Sono egoista, presuntuosa e totalmente egocentrica. Sono indipendente, incapace di mantenere un rapporto e spesso infedele. Odio i bambini e i lavori di casa e non so cucinare. Sono un'intellettuale snob e seguo fi-
losofie non convenzionali e idee politiche di sinistra. Non obbedisco e sono imbarazzante. Fumo come un camino, sono spesso antipatica, odio essere posseduta e a letto scorreggio forte.» McLoughlin le sorrise dall'alto. «C'è anche qualche lato positivo?» «No», rispose lei diventando seria d'un tratto, «non per lei. Mi annoierei come sempre e, appena mi capitasse qualcosa di meglio, e certamente capiterebbe, la lascerei proprio come ho lasciato tutti gli altri. Ci faremmo una scopata decente di quando in quando, ma dal punto di vista emotivo lei pagherebbe un alto prezzo in cambio di qualcosa che a Southampton può avere senza legami. È quello che vuole?» McLoughlin la scrutò con fare pensoso. «È un rifiuto normale, o devo invece sentirmi onorato?» Anne sorrise. «È normale. Mi piace essere onesta.» «E com'è la percentuale di abbandono, in questa fase?» «Bassa», rispose tristemente. «Solo pochi furbi se la danno a gambe. Gli altri si buttano a capofitto illudendosi di cambiarmi. Ma non ci riescono. Neanche lei ci riuscirebbe.» Studiò l'espressione del suo volto. «Abbandona?» «Be', non mi sembra molto allettante», ammise lui. «Somiglia terribilmente al rapporto che avevo con mia moglie: noioso, soffocante e senza prospettive. Non avevo idea che lei fosse così limitata. Se dopo 'egoista, presuntuosa ed egocentrica' aggiungesse che ha paura di scoprire cose nuove, le garantisco che la percentuale di abbandono la sorprenderebbe.» La prese per un braccio e la accompagnò verso la finestra. «Andiamo a mangiare», propose. «Ragiono meglio con lo stomaco pieno. Deciderò poi se voglio seminare su un terreno sterile.» Anne si liberò dalla stretta. «Vaffanculo, McLoughlin.» «Abbandona, Cattrell?» Anne rise. «Spengo le luci.» Andò fino alla porta e precipitò la stanza nell'oscurità. McLoughlin prese la torcia e attese vicino alla porta-finestra. Anne schivò con destrezza un tavolino su cui c'era una statuetta di bronzo raffigurante una donna nuda. «Sono io», gli spiegò. «Quando ero nubile e avevo diciassette anni. Ho avuto una storia con uno scultore durante una vacanza.» La illuminò con la torcia esaminandola attentamente. «Carina», commentò. Lei ridacchiò e uscì con lui. «Che cosa, la figura o la scultura?» «Entrambe. Non chiude?» chiese, accostando la porta-finestra.
«Dall'esterno non si può. Non si preoccupi.» Le mise una mano sul collo e la guidò attraverso la terrazza e sul prato. In lontananza si sentì il verso di una civetta. McLoughlin si girò verso la casa per orientarsi, poi prese un po' a sinistra. «Di qua», annunciò, illuminando davanti a sé. «Ho parcheggiato in una stradina che finisce sull'angolo.» Sotto le dita avvertiva la pelle soda di lei. Procedettero in silenzio fino a quando non arrivarono al bosco in fondo al prato. Sulla loro sinistra qualcosa si mosse rumorosamente tra i cespugli. Anne sobbalzò. «Per l'amor del cielo!» esclamò McLoughlin cercando di illuminare la zona con la torcia. «Che cosa le succede?» «Niente.» «Niente?» Le puntò la torcia addosso. Si sentiva improvvisamente in collera. «Si è sepolta viva, ha nascosto la sua tomba sotto una montagna di filo spinato, e poi dice che non è successo niente. Non se lo merita, non riesce a capirlo? Che cosa diavolo può mai avere fatto per lei da spingerla a sacrificare la sua vita? Ma le piace proprio morire a goccia a goccia? Che cos'è accaduto alla Anne Cattrell che d'estate seduceva gli scultori? Dov'è la spina nel fianco della società che da sola si scagliava contro tutti?» Anne spostò la torcia e per un istante i suoi denti brillarono scoperti da un sorriso. «È stato divertente, McLoughlin, ma l'avevo avvertita di non tentare di cambiarmi.» Fuggì talmente in fretta che lui non riuscì nemmeno a seguirla. 15 La lasciò andare e tornò in macchina. Sapeva che se l'avesse rincorsa avrebbe trovato le finestre chiuse. Avvertì un misto di rammarico e sollievo, come il suicida che gioca alla roulette russa quando sente il rumore del cane contro la camera di caricamento vuota. In centrale era pieno di donne che aspettavano di consolarlo. Era pura follia cercare di farsi consolare da lei, proprio come puntarsi una pistola carica alla tempia. Strappò con rabbia qualche rametto di un albero ferendosi alla mano. Succhiò il sangue imprecando. Era nella merda, e lo sapeva. Doveva bere qualcosa. Una civetta gridò. Ebbe l'impressione di sentire voci in lontananza. Girò la testa, ma intorno a lui il silenzio si fece ancora più profondo. Alzò le spalle e proseguì. Sentì di nuovo quel rumore vago. L'aveva forse immaginato? Avvertì un fastidioso prurito alla testa. Cacchio. Se fosse tornato, lei gli avrebbe riso in faccia.
Quando arrivò sulla terrazza, era convinto di essere pazzo. Non aveva visto nessuno, la casa era buia, e Anne se n'era certamente già andata a letto. Illuminò il selciato con la torcia e vide che la porta-finestra era socchiusa. Corrugò la fronte perplesso e si avvicinò per guardare all'interno. La trovò quasi subito. Dapprima la credette addormentata, poi scorse la macchia di sangue tra i capelli. Dopo un attimo di smarrimento si diede da fare con tanta foga che il tempo parve addirittura allungarsi. In dieci secondi era accaldato come se si fosse affaticato per un'ora di seguito. Con la torcia trovò un'abat-jour che accese cadendo in ginocchio accanto al mucchietto di vestiti. Le toccò il collo in cerca del battito cardiaco: niente. Appoggiò l'orecchio sul suo petto, ma il cuore non batteva. Con un solo gesto abile le rovesciò il piccolo corpo, le mise una mano dietro il collo, le tappò il naso e cominciò a farle la respirazione artificiale. Aveva bisogno di aiuto. La parte del suo cervello che non era direttamente coinvolta nella respirazione lo fece indietreggiare portando con sé il corpo inerte. Cercò con i piedi il tavolino su cui c'era la statuetta di bronzo. Continuando con regolarità a immettere aria nei polmoni della donna, scalciò forte all'indietro e mandò il pesante oggetto di bronzo contro la vetrata della finestra. Il vetro andò in frantumi rompendo il silenzio della notte e Benson e Hedges si misero subito ad abbaiare in qualche stanza lontana. Constatò con rammarico che Anne non aveva alcuna reazione. Aveva la faccia grigia e le labbra viola. Le appoggiò la destra sullo sterno e pigiò, sovrapponendo la sinistra con il peso del proprio corpo, le braccia tese. Approfittando di avere la bocca libera, chiamò aiuto. Dopo cinque compressioni, riprese la respirazione, e quindi di nuovo il massaggio cardiaco. Mentre eseguiva il terzo ciclo, vide Jonathan che le metteva due dita sul collo esangue in cerca del battito. «Le faccia un'altra respirazione», ordinò. «C'è appena un filo di battito. La mia borsa, mamma. È in corridoio.» McLoughlin le soffiò di nuovo nei polmoni e questa volta, quando girò la testa, vide che il petto si sollevava appena. «Continui così», lo incalzò Jonathan, «un respiro ogni cinque secondi fino a quando riprende normalmente. Lei è bravissimo!» Prese la borsa dalle mani di Phoebe che era pallida come un lenzuolo. «Vai a prendere delle coperte», le ordinò, «e bottiglie per l'acqua calda. Qualsiasi cosa per tenerla calda. E chiama un'ambulanza.» Estrasse lo stetoscopio, sbottonò la camicetta di Anne e si mise in ascolto. «Ottimo!» esclamò pieno di entusiasmo. «È poco, ma c'è.» Le pizzicò una guancia e vide con sollievo che prendeva un po' di colore. Il re-
spiro cominciò a regolarizzarsi. Jonathan allontanò con delicatezza McLoughlin. «Perfetto. Adesso dovrebbe farcela da sola. Mettiamola in posizione di recupero.» Con l'aiuto del sergente incrociò il braccio di lei sullo stomaco e la girò in posizione prona ruotandole delicatamente il corpo di lato e flettendole il braccio e la gamba dalla stessa parte. Il respiro era lento ma regolare. Anne bofonchiò qualcosa e aprì gli occhi. «Ehi, McLoughlin», pronunciò con voce chiara, poi fece uno sbadiglio enorme e si addormentò come un sasso. McLoughlin era grondante di sudore. Si sedette e si passò la manica sul viso. «Non può darle qualcosa?» «No, non sono ancora autorizzato a somministrare farmaci. Ma non si preoccupi. Si sta riprendendo.» McLoughlin gli indicò il sangue. «Forse c'è un trauma cranico.» Phoebe era entrata in punta di piedi con un paio di coperte che stese sopra l'amica. Sui piedi le mise la propria bottiglia dell'acqua calda. «Diana sta chiamando l'ambulanza. Jane è corsa a svegliare Fred per fargli aprire il cancello.» Era china vicino alla testa di Anne. «Andrà tutto bene?» «Non...» rispose Jonathan. «Sua figlia è uscita?» chiese McLoughlin alzandosi in piedi a fatica. Phoebe lo fulminò con un'occhiata. «È andata a svegliare i custodi. Non hanno il telefono.» «C'è qualcuno con lei?» Phoebe impallidì. «No.» «Oh, Cristo!» sbottò il sergente facendosi largo. «Per l'amor del cielo, chiami la polizia! Dica che ci vogliono almeno un paio di gazzelle. Non vorrei dover affrontare da solo un maniaco assetato di sangue. Dica che qualcuno ha tentato di assassinare la sua amica e che adesso potrebbe toccare a sua figlia. Dica che alzino il culo in fretta!» Uscì di corsa, passò accanto a Diana e si precipitò fuori. La fredda aria notturna gli fece gelare il sudore addosso. Dalla casa al cancello c'erano circa quattrocento metri e si rese conto che Jane era partita qualche minuto prima di lui. Continuò a correre. Due minuti sono un'eternità per uccidere una donna, pensò, quando per fracassare un cranio basta un solo secondo. La notte era nera come la pece sul viale ombreggiato da alberi e cespugli che impedivano ai raggi tenui di una luna coperta di filtrare. Imprecò per non essersi portato dietro la torcia quando finì contro un cespuglio spinoso al lato della strada. Ripartì di corsa cercando di tenersi al centro e di abituare gli occhi all'oscurità. Ci mise alcuni secondi per rendersi conto che la
chiazza gialla che avanzava ballonzolando davanti a lui era il fascio di luce di una torcia. In quel tratto il viale era rettilineo. «Jane!» gridò. «Si fermi! Aspetti!» E continuò a correre. Il fascio di luce cambiò direzione, vacillando come se la mano che reggeva la torcia fosse malferma. «Sono un poliziotto», le gridò con il fiato pesante. «Si fermi.» Rallentò il passo fino a quando non la raggiunse, tenendo le mani davanti a sé per rassicurarla. Aveva il cuore in gola. Ora la luce della torcia ondeggiava follemente e gli passava sul viso accecandolo. Si tolse di tasca il tesserino e lo tenne davanti a sé come un talismano. Gemendo, si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. «Che cosa c'è?» balbettò la ragazza con voce resa acuta dalla paura. «Niente», la rassicurò lui drizzandosi. «Soltanto non volevo che lei fosse qui da sola. Le dispiace togliermi quella luce dagli occhi? Mi acceca.» «Scusi.» Lasciò cadere il braccio. McLoughlin vide che era in camicia da notte e ciabatte. «Andiamo», la esortò. «Non manca molto, ormai. Vuole che regga io la torcia?» La ragazza gliela porse e lui la vide brevemente. Sembrava uno spettro, tanto era pallida, esangue, con una folta chioma di capelli neri. Era terrorizzata. «La prego, non abbia paura. Sua madre mi conosce», balbettò come per giustificarsi. «Era d'accordo che la raggiungessi.» In lontananza si vedeva la sagoma scura della portineria. Jane aprì la bocca per parlare, ma dovette passare qualche secondo prima che riuscisse a emettere un suono. «Sentivo respirare», balbettò con un filo di voce. «Probabilmente ero io che annaspavo», la rassicurò lui in tono scherzoso. «No», insisté Jane, «non era lei.» Vacillò, sentendosi osservata, e tentò di coprirsi con un gesto patetico. «È... che sono in camicia da notte.» Tremava come una foglia. «Credevo che fosse mio padre.» McLoughlin la afferrò per evitare che cadesse a terra svenuta. Da lontano, trasportato dal vento, gli giunse il suono di una sirena. «Che cosa intendeva, sua figlia, signora Maybury?» McLoughlin si sorreggeva stancamente sul fornello mentre Phoebe preparava il tè. Anne era stata portata all'ospedale d'urgenza, accompagnata da Jonathan
e Diana. Jane dormiva sotto l'occhio vigile di Elizabeth. Il giardino era invaso di poliziotti in cerca di un sospetto. Phoebe veniva messa in croce da McLoughlin. Gli voltava le spalle. «Aveva paura, non penso che intendesse qualcosa di particolare.» «Non aveva paura, signora Maybury, era terrorizzata, ma non da me. Ha detto: 'È che sono in camicia da notte. Credevo che fosse mio padre'.» Si spostò in modo da vederla in faccia. «Lasciamo perdere per il momento che non vede suo padre da dieci anni, ma perché le è venuto in mente in concomitanza con il fatto che era in camicia? E perché il pensiero di lui la terrorizza? Ha detto di avere sentito respirare.» Phoebe evitava di incontrare il suo sguardo. «Era agitata», spiegò. «Mi costringe a chiederlo a Jane, quando si sveglia?» le domandò bruscamente. La donna sollevò il bel viso. «Immagino che ne sarebbe capacissimo.» Fece il gesto di sistemarsi gli occhiali sul naso, poi si rese conto di non averli addosso e lasciò cadere la mano sul tavolo. «Sì», confermò McLoughlin in tono convinto. Sospirando, la donna versò due tazze di tè. «Si sieda, sergente. Forse lei non lo sa, ma ha una faccia che fa spavento. È tutto graffiato e ha la camicia strappata.» «Non vedevo dove mettevo i piedi», le spiegò lui, sedendosi a cavalcioni di una sedia. «L'avevo immaginato.» Tacque un momento. «Non voglio che lei interroghi Jane», disse Phoebe con voce pacata. «Soprattutto non dopo quello che è successo questa notte. Non ce la farebbe. Lo capirà perché credo che lei abbia già indovinato tutto.» Gli rivolse un'occhiata interrogativa. «Suo marito le fece violenza?» La donna annuì. «Mi faccio un rimorso perché non me ne accorsi subito. Venne fuori una sera che rincasai dal lavoro in anticipo. Facevo l'assistente di un medico che riceveva la sera. Ci serviva il denaro. David aveva mandato Johnny in collegio. Quel giorno stavo poco bene e il dottor Penny mi mandò a casa a riposare. Arrivai giusto in tempo per vedere che la mia povera bambina veniva violentata.» Aveva un volto impassibile, come se da tempo avesse capito che era inutile serbare rancore. «Aveva sempre sfogato la sua violenza su di me», riprese, «e in un certo senso me la meritavo. Finché se la prendeva con me, almeno ero sicura che non toccasse i bambini. O così mi illudevo.» Rise amaramente. «Invece lui si approfittava
della mia ingenuità e del terrore che Jane nutriva nei suoi confronti. Aveva cominciato a violentarla quando aveva sette anni e la costringeva a tacere dicendo che se avesse fiatato mi avrebbe ammazzata. Lei gli credeva.» A questo punto tacque. «Così lei lo uccise.» «No.» Lo guardò dritto negli occhi. «Avrei potuto farlo, e l'avrei fatto, se avessi avuto qualcosa a portata di mano. Ma nella stanza di una bambina è difficile trovare oggetti contundenti.» «Come andò, dunque?» «Lui sparì dalla circolazione», rispose la donna con voce priva di emozione. «Non l'abbiamo più visto. Denunciai la scomparsa dopo tre giorni, dopo che diverse persone avevano telefonato lamentandosi che non si era presentato a vari appuntamenti. Mi sembrava che sarebbe apparso sospetto se non l'avessi fatto.» «E perché non disse la verità alla polizia sul conto di suo marito?» «Lei l'avrebbe detta, sergente? Quando la mia unica testimone era una bambina sconvolta? Non volevo che venisse interrogata, né volevo offrire alla polizia il movente per un omicidio che non avevo commesso. È stata in cura da uno psichiatra per anni a causa delle violenze subite. Quando divenne anoressica, temevo che stesse per morire. Anche oggi glielo sto dicendo solo per evitarle ulteriori stress.» «Lei ha idea di che cosa sia successo a suo marito?» «No. Ho sempre sperato che si fosse ucciso ma, francamente, dubito che ne avrebbe avuto il coraggio. Amava infliggere dolore agli altri, ma non sapeva sopportarlo su di sé.» «Perché se ne andò?» Phoebe non rispose subito. «Non lo so proprio», disse infine. «Ci ho pensato spesso. Forse per la prima volta in vita sua ha avuto paura.» «Di che cosa? Della polizia? Del processo?» Phoebe sorrise tristemente, ma non rispose. McLoughlin giocava con la tazza. «Qualcuno ha cercato di assassinare la signorina Cattrell», le ricordò, «e sua figlia crede di avere sentito suo padre. Può darsi che sia tornato?» La donna scosse la testa. «No, sergente. David non tornerebbe mai.» Lo guardò dritto negli occhi scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli rossi. «Sa che se tornasse lo ucciderei. Ha paura di me.» Walsh era nervosissimo. Sedeva sulla poltrona di Anne mentre un poli-
ziotto prelevava le impronte all'esterno della porta-finestra. Era un lavoro che andava fatto subito, perché un'eventuale pioggia le avrebbe cancellate. I cocci di vetro erano stati coperti da uno strato di polietilene. «Ci saranno decine di impronte», fece notare a McLoughlin. «Tanto per cominciare, ci avranno messo le mani metà dei poliziotti dell'Hampshire.» McLoughlin stava esaminando la moquette davanti alla porta-finestra in cerca di macchie di sangue. Si avvicinò alla scrivania. «Trovato niente?» chiese Walsh. «Niente.» Aveva gli occhi rossi per la fatica. «Che cos'è accaduto qui, Andy?» Walsh lo guardò con sospetto prima di controllare l'ora. «Lei dice di averla trovata verso le undici e quaranta. Ora è l'una e trenta e abbiamo soltanto sentito qualche voce lontana e visto una donna con il cranio spaccato. Che cos'è successo?» McLoughlin scosse la testa. «Non ne ho la più pallida idea, signore. Non saprei da dove cominciare. Non ci resta che sperare che rinvenga presto in modo da potercelo dire lei.» Walsh si alzò a fatica dalla poltrona. «Ma non avete ancora finito?» chiese al poliziotto che lavorava fuori. «Ci siamo quasi, signore.» Scattò un'ultima fotografia. «Lascerò qui qualcuno stanotte, e potrete esaminare gli interni domattina.» Walsh stette a guardare l'uomo mentre riponeva il materiale fotografico e se ne andava facendo attenzione a non calpestare i vetri. Poi tornò a sedersi. Ora si vedeva esattamente quanti anni aveva. Prese la pipa e cominciò a caricarla senza perdere d'occhio McLoughlin. «Okay, sergente», sbottò infine, «adesso mi dica che cosa diavolo stava facendo. Questa storia non mi piace affatto. Se vengo a sapere che lei ha confuso l'ordine delle priorità...» La spossatezza e la tensione si resero responsabili di un lungo sbadiglio. «Volevo soltanto portarmi un po' avanti, signore. In realtà speravo in una promozione.» Solo qualche frottola, pensò, niente di troppo concreto, neppure una mezza verità che Walsh avrebbe potuto verificare. Se riusciva a farla franca Phoebe, ci sarebbe riuscito anche lui. Walsh si accigliò ulteriormente. «Vada avanti.» «Avevo scavalcato il muro in fondo al giardino per vedere che cosa sarebbe accaduto quando fosse tornata dalla centrale. Sarò arrivato per le dieci e quarantacinque. Tutti gli altri erano andati a dormire, ma la signorina Cattrell sedeva sulla poltrona su cui ora è lei. Verso le undici e quindici spense la luce e io mi trattenni ancora per una decina di minuti, poi mi incamminai verso la macchina. Non ero andato lontano quando mi parve di
sentire delle voci, così tornai a vedere chi era. La porta-finestra era accostata. Illuminai l'interno della stanza con la torcia e la trovai qui.» Fece un cenno con la testa verso il centro della stanza. Walsh masticava pensosamente il bocchino della pipa. «E per fortuna che è arrivato. La signora Maybury dice che, quando l'ha raggiunta, lei stava facendole il massaggio cardiaco. Probabilmente le ha salvato la vita.» Si accese la pipa e osservò il sergente dietro il fumo. «È la verità?» McLoughlin sbadigliò di nuovo a lungo. Non riusciva a trattenersi. «È la verità, signore», rispose stancamente. Perché stava cercando di proteggersi? Quel mattino stesso non avrebbe voluto altro che una scusa per essere licenziato. Forse era soltanto curioso di sapere come andava a finire quella storia, o forse voleva vendetta. Walsh era terribilmente sospettoso. «Se dovessi scoprire che c'è stato qualcosa tra voi, lei si troverebbe denunciato alla disciplinare così in fretta da non rendersi nemmeno conto di che cosa sia accaduto. Non dimentichi che la donna è una persona sospettata di omicidio.» Il volto scuro di McLoughlin si contorse in una smorfia. «Mi faccia il favore, signore! Da quando le ho dato della lesbica, mi sta trattando malissimo.» Sbadigliò di nuovo. «Grazie comunque per il complimento. Dopo tutti i guai che ho passato nelle ultime settimane, mi lusinga pensare che riesco a conquistare una donna in ventiquattr'ore. Kelly non sarebbe d'accordo con lei», concluse amaramente. «È stato lei a colpirla?» chiese Walsh. McLoughlin era realmente sorpreso. «Io? E perché avrei dovuto?» «Per vendicarsi. È dell'umore giusto.» Stette a guardare Walsh per un momento, poi scosse la testa. «Non sarebbe da me», rispose. «Ma se Jack Booth dovesse trovarsi un proiettile nella testa, ci sarebbero buone probabilità che gliel'avessi ficcato io.» L'ispettore annuì. «E che cosa faceva la signorina Cattrell durante la mezz'ora in cui lei rimase a osservarla?» «Sedeva su quella poltrona, signore.» «E che cosa faceva?» «Niente. Probabilmente pensava.» «Lei dice che la Maybury ha ammesso che avrebbe ucciso suo marito. Avrebbe ucciso anche l'amica?» «Forse. Se fosse stata abbastanza in collera. Ma quale movente c'era?» «Vendetta? Forse pensava che la signorina Cattrell avesse parlato.» McLoughlin scosse la testa lentamente. «Immagino che conosca bene la
signorina Cattrell.» «La signora Goode? I Phillips? I figli?» «Stesso problema, signore. Manca un movente.» Walsh si alzò. «Dobbiamo guardarci in giro», sbottò aspramente, «se non vogliamo trovarci tutti nei guai. Magari trovare un'arma. Voglio che si guardi dappertutto, sergente. Lei dirigerà i lavori fino all'arrivo di Nick Robinson. In questa indagine lui sarà il mio braccio destro.» Guardò l'ora. «Lei invece si dedicherà al dossier di Maybury. L'aspetto nel mio ufficio alle dieci di domattina. Dev'esserci un filo conduttore in tutto questo, e voglio trovarlo.» «Scusi, signore, ma ritengo che potrei essere più utile qui.» «D'ora innanzi, lei farà quello che le viene detto, sergente», replicò irosamente il superiore. «Non so a che gioco stia giocando, ma quelli che cercano di avvantaggiarsi su di me non mi piacciono.» McLoughlin si strinse nelle spalle. «Allora le suggerisco di non fissarsi tanto sull'idea di scoprire le connessioni. La signora Maybury le ha detto quello che crede sia accaduto e, come le dicevo questa mattina, la signora Phillips dice che questa casa è una fortezza. Perché?» Walsh gli lanciò un'occhiata pensosa, poi prese la porta. «Ragazzo, lei si sta facendo mettere nel sacco da un paio di bugiarde di alto livello. Apra bene gli occhi, altrimenti ci farà una figura davvero meschina.» 16 La polizia sembrava agire con maggiore impegno. Tutti si davano da fare al massimo perché ora il problema sembrava più schiacciante: il tentato omicidio di una donna conosciuta ricopriva un'importanza diversa rispetto all'omicidio di un uomo senza nome trovato morto nel giardino. Anne l'avrebbe trovato inquietante, ma era in coma nel reparto di terapia intensiva e non ne sapeva nulla. Walsh avrebbe negato tutto, ma sfogava il suo carattere irascibile quando, dopo accurate ricerche nella casa e nel giardino, veniva a sapere che non avevano trovato nulla. In modo alquanto poco appropriato, Streech Grange fu paragonato dalla stampa al numero dieci di Rillington Piace, scenario di un omicidio di massa in cui erano stati trovati resti in decomposizione. Per le amiche di Anne, il fardello era pesante. Con il senno di poi, gli interrogatori precedenti erano stati come feste con gli amici. Dopo l'assalto subito da Anne, gli agenti non le trattarono più con i guanti. Walsh cercava un disegno nascosto. Per logica doveva essercene uno. Le probabilità che tre misteri se-
parati tra loro potessero annidarsi sotto uno stesso tetto erano così basse che non valeva nemmeno la pena di prenderle in considerazione. Per i figli fu tutta un'esperienza nuova. Precedentemente nessuno aveva subito interrogatori, quindi fu un battesimo del fuoco. Jonathan odiava la sensazione di impotenza, di essere coinvolto in qualcosa su cui non aveva alcun controllo. Era acido e non collaborava, e trattava i poliziotti con una sorta di cauta circospezione. Walsh ebbe la tentazione di prenderlo a calci nel sedere, ma dopo due ore di interrogatorio si convinse che non avrebbe potuto ottenere altre informazioni da lui. Jonathan gli aveva fornito un alibi per tutti e tre i giovani, da cui risultava che non potevano essere stati loro gli assalitori di Anne. Secondo lui si erano messi in pigiama dopo il brindisi improvvisato e, avvolti nelle trapunte di piuma e riuniti nella stanza di Jane, avevano guardato un film alla televisione. La finestra che si rompeva e le grida di McLoughlin li avevano spaventati. No, prima non avevano sentito nulla, ma il volume del televisore era piuttosto alto. Walsh interrogò Elizabeth. Era tesa ma disposta a collaborare. Quando le fu chiesto che cosa avesse fatto la sera precedente, il racconto coincideva esattamente con quello di Jonathan, fin nei minimi dettagli. Jane, dopo un giorno di riposo, raccontò più o meno la stessa storia. A meno che non avessero organizzato un accurato complotto, non avevano niente a che vedere con l'attentato alla vita di Anne. Per Phoebe fu una specie di déjà vu. Ma questa volta chi la interrogava possedeva informazioni che, dieci anni prima, lei aveva nascosto. Rispose con la stessa pazienza stolida che aveva dimostrato precedentemente, sconcertò tutti con la sua grande sicurezza e riuscì a tenere duro anche quando la tormentarono sull'argomento delle perversioni di suo marito. «Lei dice di avere provato rimorso per non essersi accorta prima di quello che lui faceva a sua figlia», ripeté Walsh. «È vero», rispose lei. «Se l'avessi saputo prima, forse avrei potuto contenere i danni.» L'ispettore prese l'abitudine di sporgersi in avanti prima di farle una domanda per riuscire a osservarla meglio. «Non era forse gelosa, signora Maybury? Non la faceva impazzire l'idea che suo marito preferisse farlo con sua figlia? Non si sentiva degradata?» Phoebe aspettava sempre un momento prima di rispondere, come se fosse sul punto di dargli ragione. «No, ispettore», rispondeva invece. «Non ho mai provato sentimenti di questo tipo.» «Però ammette che avrebbe potuto ammazzarlo.»
«Sì.» «E perché voleva ammazzarlo?» La donna sorrise appena. «Be', questo poi credevo che fosse ovvio, ispettore. Se fossi costretta, ucciderei qualsiasi animale che facesse del male ai miei figli.» «Tuttavia lei afferma di non avere ucciso suo marito.» «Non ho dovuto farlo. Fu lui ad andarsene.» «Non è mai tornato?» Phoebe scoppiò a ridere. «No, non è mai tornato.» «Lei lo uccise e lo lasciò marcire nella ghiacciaia?» «No.» «Sarebbe stata una specie di vendetta, no?» «Certamente.» «I Phillips, o forse dovrei chiamarli i Jefferson, credono in questo tipo di vendetta, o sbaglio? La eseguirono loro per conto suo, signora Maybury? Furono loro il suo braccio?» A questo punto la collera di Phoebe rischiava sempre di trapelare. La prima volta che le aveva fatto quella domanda, le era parso di sentirsi colpire in pieno stomaco. In seguito si sentì più preparata, tuttavia ci voleva un grande autocontrollo per trattenersi e non graffiare quel viso tanto odiato. «Questo dovrebbe chiederlo ai signori Phillips», rispondeva invariabilmente. «Non potrei mai essere tanto presuntuosa da rispondere al loro posto.» «Le chiedo soltanto un'opinione, signora Maybury. Sarebbero in grado di vendicare lei e sua figlia?» Un sorriso pietoso le increspò le labbra. «No, ispettore.» «È stata lei a colpire la signorina Cattrell? Lei afferma che in quel momento si trovava a letto, ma a riprova di questo abbiamo solo la sua parola. La sua amica avrebbe rivelato qualcosa che lei desiderava tenere segreto?» «E a chi l'avrebbe rivelato? Alla polizia?» «Forse.» «Quant'è ingenuo, lei, ispettore.» Sorrise, per nulla divertita. «Le ho già detto che cosa credo sia accaduto ad Anne.» «Supposizioni, signora Maybury.» «Forse, ma dopo quanto è accaduto a me nove anni fa, non è improbabile.» «Lei non lo denunciò mai.» «Non mi avreste creduto, se l'avessi fatto. Mi avreste accusata di averlo
fatto io. E comunque, niente mi avrebbe invogliata a farvi tornare qui dopo che ero riuscita a liberarmi di voi. In un certo senso sono stata più fortunata di Anne. Ho ricevuto soltanto ferite interne.» «Troppo facile. Lei deve pensare che siamo dei gran creduloni.» «No», rispose lei onestamente, «solo troppo squadrati e vendicativi.» «Perché non condivido la sua passione per il melodramma? Sua figlia non ha saputo essere precisa su quello che l'ha spaventata. Persino il sergente McLoughlin pensa di avere sentito qualcuno. Io sono realista. Preferisco avere a che fare con fatti concreti, non con nevrosi femminili.» «Non mi ero mai resa conto che lei odiasse tanto le donne. Oppure sono soltanto io l'oggetto del suo disprezzo, ispettore? L'idea che io stia ricevendo il trattamento che meritavo le piace un sacco, vero? Mi sarei risparmiata queste torture se avessi detto di sì dieci anni fa?» Ogni volta era Walsh a infuriarsi. Ogni volta, dopo essere stata interrogata, Phoebe prendeva l'automobile e andava all'ospedale dove si sedeva al capezzale di Anne, le massaggiava le mani e le parlava cercando di farla tornare in sé. Gli interrogatori di Diana tendevano a mettere in luce tutti i possibili aspetti del suo rapporto con Daniel Thompson. La donna non riusciva a controllare i nervi come Phoebe, e spesso perdeva la pazienza. Ciò nonostante, dopo due giorni Walsh non era ancora in grado di trovare una grinza nelle sue deposizioni. L'ispettore mise una mano sul mazzetto di lettere. «Risulta evidente dalla sua corrispondenza che lei era estremamente in collera con lui.» «Ma sicuro, che ero in collera», replicò lei. «Aveva sperperato diecimila sterline mie...» «Sperperato?» ripeté Walsh. «Aveva fatto del suo meglio, no?» «Dal mio punto di vista, no.» «Ma lei non fece fare un controllo dell'azienza prima di investire il suo denaro?» «Oh, santo cielo, come se non gliel'avessi già detto. Non mi ascolta?» «Risponda alle domande, prego, signora Goode.» La donna sospirò. «Non ebbi molto tempo. Passai una giornata intera ad analizzare libri contabili della società. Sembravano in ordine, così decisi di fargli un assegno da diecimila sterline, va bene?» «E allora perché dice che Thompson ha sperperato il suo denaro?» «Perché quando lo conobbi meglio, mi resi conto che era del tutto in-
competente, forse addirittura un farabutto. Le cifre che mi aveva fatto vedere erano state manomesse. Per esempio ora mi viene il sospetto che avesse gonfiato artificialmente il valore delle proprietà sopravvalutando lo stock del magazzino, e ho scoperto inoltre che teneva a galla l'azienda grazie ai contributi dei dipendenti che non versava allo stato. I registri che mi fece vedere erano colmi di ordini, tuttavia, dopo tre mesi, non aveva venduto praticamente nulla e il piccolo stock era ancora lì. Il suo responsabile delle pubbliche relazioni era un tipo assurdo. Continuava ad affermare che appena si fosse sparsa la voce, la cosa sarebbe decollata.» «E questo la fece andare in collera?» «Oddio, dammi la forza», balbettò Diana, alzando le mani al cielo. «Ma devo proprio dirglielo? Ero furibonda. Ero stata fregata.» «Lei sa dove possa essere andato a finire il signor Thompson?» «Glielo dico per l'ultima volta: no. N-O, no.» «Però sapeva che era scomparso prima che glielo dicessimo noi.» «Sì, ispettore, lo sapevo. Avrebbe dovuto venire qui per spiegarmi quello che stava succedendo.» Si chinò in avanti e picchiò il pugno sulle lettere. «Lei ha davanti al naso la data e l'ora. Non venne mai. Telefonai in ufficio e mi dissero che era uscito. Telefonai a casa e sua moglie me le cantò. Richiamai in ufficio dopo un paio di giorni e mi dissero che la signora Thompson aveva denunciato la scomparsa del marito. Quando mi recai nel suo ufficio, il giorno seguente, trovai gli impiegati che non erano stati pagati da tre settimane e avevano scoperto che i loro contributi non erano stati versati per quasi un anno. Daniel Thompson non si è più fatto vedere. L'azienda è fallita e ci sono numerosi creditori, non solo io.» «Francamente, signora Goode, una persona che investe denaro in un'attività che produce radiatori trasparenti non poteva sperare di guadagnarci...» Quel commento gli diede la possibilità di constatare che gli occhi azzurro ghiaccio possedevano la capacità di trasmettere un odio assassino che mancava agli occhi verdi e a quelli castani. Dalla bocca della donna uscirono epiteti irripetibili. «È il suo orgoglio, che è ferito?» chiese l'ispettore con interesse. «Il suo amor proprio? Non mi riesce difficile immaginare che lei sarebbe in grado di uccidere qualcuno che le avesse fatto fare brutta figura.» «Ah, davvero?» esclamò lei. «Allora lei è munito di una dose eccessiva di fantasia. Non mi meraviglio che la polizia riesca a portare felicemente a termine così pochi casi.»
«Penso che il signor Thompson venne effettivamente qui, signora Goode, e che lei era in collera con lui quanto lo è ora con me, per questo lo colpì.» Diana scoppiò a ridere. «Ma lei l'ha mai visto? No? Be', mi creda, è grosso come un carro armato. Lo chieda a quella sua stupida moglie, se non crede a me. Se l'avessi colpito, lui mi avrebbe conciata per le feste e avrei ancora i lividi.» «Andavate a letto insieme?» «Le confesserò una cosa», precisò la donna. «Trovavo Daniel ancora meno attraente di lei. Aveva le labbra umide, proprio come lei. Non mi piacciono le labbra umide. Ho risposto alla sua domanda?» «Sua moglie nega che lui avesse a che fare con questa casa.» «Non mi stupisce affatto. L'ho vista una volta sola. Non le ero simpatica.» «Fred e Molly sapevano del suo investimento?» «No. Nessuno qui lo sapeva.» «E perché no?» «Ma lo sa benissimo!» «Lei non voleva far sapere di essere caduta in una trappola.» Diana non rispose nemmeno. «Forse Fred e Molly agirono per conto suo, signora Goode?» Diana si massaggiò le tempie che cominciavano a dolerle. «Che mente perversa...» «Lo fecero loro, signora Goode?» La donna lo guardò con fare pensoso. «No», rispose infine. «E se osa farmi di nuovo quella domanda, le do un pugno.» «Per poi farsi arrestare?» «Ne varrebbe la pena.» «Lei è una donna molto aggressiva, vero? Si è sfogata anche sulla signorina Cattrell?» Diana gli sferrò un pugno sul naso. Jonathan batté sulla spalla a sua madre, poi si chinò a guardare Anne. «Come sta?» Era uscita dalla fase critica e non si trovava più in terapia intensiva ma era stata spostata in una stanza dell'ala chirurgica. Nel braccio aveva una flebo. «Non lo so. È molto inquieta. Ha aperto gli occhi una o due volte, ma non vede niente.»
Il ragazzo si abbassò accanto alla madre. «Dovrai lasciarla sola un momento, temo. Diana ha bisogno di te.» «Ma figurati!» sbottò Phoebe. «Temo proprio di sì. È stata arrestata.» Phoebe era visibilmente sorpresa. «Diana? E per che cosa?» «Aggressione a pubblico ufficiale. Ha dato un pugno sul naso all'ispettore Walsh. L'hanno portata dentro.» Phoebe rimase a bocca aperta. «Mio Dio, che divertente!» esclamò, mettendosi a ridere. «E lui, come sta?» «È insanguinato, ma non si è piegato.» «Vengo subito. Sarà meglio avvertire di nuovo il povero Bill.» Lanciò un'occhiata ad Anne. «Devo andare, tesoro. Tieni duro. Siamo tutti dalla tua.» «Porterò qui Jane più tardi», annunciò Jonathan. «Desidera venire.» Uscirono nel corridoio. «Ma ti sembra il caso?» «Direi di sì. Ha reagito in modo fantastico. Abbiamo parlato a lungo questo pomeriggio. Mi sembra più obiettiva di quanto non sia mai stata. Sembra quasi che questa storia le stia facendo bene e si è accorta di essere più forte di quanto pensasse. Tra l'altro le piace quel sergente. Se vogliono interrogarla di nuovo, dobbiamo insistere che sia lui a farlo.» «Sì», confermò Phoebe. «Se non altro ha salvato la vita ad Anne. Per questo è simpatico a Jane. Stravede per la sua madrina.» Jonathan infilò un braccio in quello della madre. «E stravede anche per te, come noi tutti.» Phoebe scoppiò a ridere di gusto. «Solo perché non avete ancora avuto modo di scoprire i miei difetti.» «Non è vero», rispose il ragazzo con fare serio. «Perché tu non hai mai cercato di nasconderli.» Sparirono dietro l'angolo del corridoio. Alle loro spalle Andy McLoughlin uscì dal cantuccio in cui si era nascosto per spiarli. Maledetto Walsh e i suoi disegni, pensò. Neppure la logica è infallibile. Mostrò il tesserino di riconoscimento alla suora. «La signorina Cattrell? C'è stato qualche cambiamento?» chiese. «Non proprio. È inquieta e ogni tanto apre gli occhi, che è un buon segno ma, come dicevo all'ispettore, lei perde tempo se è venuto qui per interrogarla. Potrebbe uscire dal coma in qualsiasi momento, oppure continuare così per ancora uno o due giorni. Quando sarà in grado di parlare, glielo faremo sapere.»
«Mi fermo solo qualche minuto, se non le dispiace. Non si sa mai.» «È nella stanza numero due. Le parli», gli suggerì la religiosa. «Visto che è qui, tanto vale che si renda utile.» Non l'aveva più vista da quando era stata portata via con l'ambulanza e rimase sconvolto. Era addirittura più piccola di quanto ricordasse, un affarino minuscolo, raggrinzito, con la testa fasciata e la pelle di un brutto colore giallastro. Ma, benché fosse priva di conoscenza, sembrava sorridere per qualche motivo segreto. Non provò desiderio... come avrebbe potuto? Ma ebbe la piacevole impressione di conoscerla da molto tempo. Avvicinò la sedia al cuscino e cominciò a parlare. Non ebbe un attimo di esitazione, perché sapeva, senza neppure pensarci, che cosa le avrebbe fatto piacere. Dopo mezz'ora esaurì gli argomenti e guardò l'orologio. Anne si era mossa una o due volte come un bimbo nel sonno, ma gli occhi erano rimasti chiusi. Si allontanò con la sedia. «Tutto qui, Cattrell. Il tempo è esaurito. Magari riesco a trovarla sola anche domani.» Le sfiorò la guancia con le dita. «Sei un maledetto bastardo», mormorò lei. «Recitami Tam o' Shanter.» Aprì un occhio e lo scrutò. «Sto morendo.» «Era sveglia tutto il tempo...» la accusò lui. Anne aprì l'altro occhio. Sembrava confusa. «Ma non c'era Phoebe?» L'uomo annuì. «Mi ricordo che c'era Phoebe. Sono a casa?» «È in ospedale», le spiegò lui. «Oh, merda, odio gli ospedali! Che giorno è?» «Venerdì. Ha fatto un pisolino lungo due giorni.» La notizia non parve rinfrancarla. «Che cos'è successo?» «Vado a cercare un'infermiera.» Fece per alzarsi. «No che non ci va», gli ordinò lei. «Odio anche le infermiere. Che cos'è successo?» «Qualcuno l'ha colpita. Mi racconti quello che ricorda.» Anne corrugò la fronte, perplessa. «Curry», disse come per saggiare il terreno. McLoughlin le strinse forte una mano. «Le dispiace se lasciamo perdere il curry, Cattrell?» chiese. «Sarebbe opportuno che lei quella sera non mi avesse visto.» Anne corrugò di nuovo la fronte. «Ma che cos'è successo? Chi mi ha trovata?» McLoughlin le accarezzò la mano. «L'ho trovata io, ma non è stato affatto facile spiegare a Walsh perché mi trovassi lì. È una posizione difficile
da sostenere.» La guardò dritto in faccia. «Capisce quello che sto dicendo? Voglio continuare a occuparmi di questo caso, Anne. Voglio che sia fatta giustizia.» «Sicuro che capisco!» Nei suoi occhi scuri ballava un'ombra di ironia. Avrebbe voluto abbracciarla. «So masticare una gomma e camminare al tempo stesso, lo sa?» Poi parve pensierosa. «Ora ricordo. Lei stava cercando di spiegarmi come devo vivere la mia vita.» Il tono era di accusa. «Non ne aveva il diritto, McLoughlin. Finché sono in grado di tirare avanti, non mi servono consigli.» Lui si portò le sue dita alla bocca e le sfiorò con un bacio. «Sto imparando. Mi dia tempo. Mi dica che cos'altro ricorda.» «Tornai indietro di corsa», rispose Anne, sforzandosi di concentrarsi. «Aprii la porta-finestra, questo lo ricordo, e poi...» si accigliò e corrugò la fronte «... sentii qualcosa, mi pare.» «Dove?» «Non ricordo.» Pareva preoccupata. «Che cosa accadde poi?» «Qualcuno la colpì alla testa.» Anne sembrava assorta. «Non ricordo.» «La trovai nella sua stanza.» Una mano pesante scese sulla sua spalla e lo fece sobbalzare. «Lei non ha il diritto di farle domande, sergente», lo rimproverò l'infermiera. «Mi chiami il dottor Renfrew», gridò a un'infermiera in corridoio. «Fuori», ordinò a McLoughlin. Anne gli strinse la mano, terrorizzata. «Non osi obbedire», bisbigliò. «Ho visto la sua fotografia su Mondo in guerra, e non combatteva dalla parte degli Alleati.» McLoughlin si girò con un gesto di impotenza. «C'è qualcosa che devo ricordarmi?» gli chiese Anne. «Non vorrei confondere l'ispettore.» Lo sguardo di lui si fece più dolce. «No, signorina Cattrell. Lei cerchi soltanto di guarire, che a ricordare ci penso io.» Anne gli sorrise stancamente. «Farò del mio meglio.» L'agente Robinson era in lista per la promozione. Era tornato di porta in porta in cerca di indizi per scoprire chi potesse avere assalito Anne, ma aveva fatto il famoso buco nell'acqua. Quella sera nessuno aveva visto o sentito qualcosa, a parte l'ambulanza, quella tutti l'avevano sentita. Si era bevuto un'altra pinta con Paddy Clarke, questa volta sotto lo sguardo atten-
to della moglie. Davanti a lei si sentiva terribilmente in imbarazzo, soprattutto dopo che Anne gli aveva comunicato che un tempo era stata suora. Paddy gli assicurò che avevano cercato la piantina della zona, ma non l'avevano trovata e, con la moglie che gli alitava sul collo, affermò di non sapere nulla di Streech Grange né dei suoi abitanti. In particolare non sapeva proprio niente di Anne Cattrell. Nick Robinson non insisté. Non voleva trovarsi in mezzo a un litigio tra i coniugi Clarke, e teneva molto ai suoi testicoli. Aveva terminato il servizio. Avrebbe potuto tornarsene a casa, invece girò la macchina in direzione della fattoria di Bywater, dove lavorava un certo Eddie Staines. Fino a quel punto le informazioni della signora Ledbetter avevano portato a buoni risultati. Tanto valeva provare anche questa. Il fattore gli indicò le stalle dove Eddie stava facendo pulizia dopo la mungitura serale. Il ragazzo si appoggiava al rastrello e chiacchierava tranquillamente con una ragazza dalle guance rosse che ridacchiava di continuo. Quando comparve Nick Robinson, tacquero e lo guardarono incuriositi. «Il signor Staines?» chiese l'agente, esibendo il tesserino di riconoscimento. «Può dirmi una cosa?» Eddie strizzò l'occhio alla ragazza. «Sicuro», rispose. «Che cosa ne dice di 'merda'?» La ragazza si piegò in due dalle risate. «Oh, Eddie, come sei divertente!» «Preferibilmente a quattr'occhi», precisò Robinson, facendosi un appunto mentale della battuta per poterla usare in seguito lui stesso. «Vai, Suzie. Ci vediamo più tardi al pub.» La ragazza si allontanò malvolentieri trascinando gli stivali nel fango. Si lanciò un'occhiata sopra la spalla sperando di essere richiamata. Appena scomparve, Eddie parve dimenticarla. «Che cosa vuole?» chiese, rastrellando paglia sporca. Indossava una maglietta senza maniche che lasciava vedere i muscoli robusti delle spalle. «Ha saputo dell'omicidio a Streech Grange?» «E chi non l'ha saputo?» ribatté Staines in tono privo di interesse. «Volevo farle qualche domanda in proposito.» Staines si appoggiò al rastrello e guardò in faccia l'agente di polizia. «Senta, amico, ho già detto ai suoi colleghi tutto quello che sapevo: niente. Sono un bracciante, un bracciante agricolo. Quelli come me, non hanno niente a che fare con la gente del Grange.» «Non ho mai detto il contrario.»
«E allora per quale motivo mi farebbe delle domande?» «vStiamo interrogando tutti quelli che hanno frequentato la zona durante gli ultimi mesi.» Staines riprese a rastrellare. «Innocente.» «Non è quello che mi è stato riferito.» Il giovane strinse gli occhi. «Davvero? Da dove le è venuta la soffiata?» «Tutti sanno che lei ci porta le ragazze.» «Sta cercando di dare la colpa a me?» «No, ma pensavo che magari lei potesse avere visto o sentito qualcosa che ci potrebbe tornare utile.» Gli offrì una sigaretta. Eddie la accettò. Per qualche minuto parve alquanto pensieroso. «In realtà, sì», rispose infine. «Continui.» «A quanto pare, lei ha fatto domande a mia sorella a proposito di una donna che gridava. Ho saputo che è stato da lei diverse volte.» «In una delle casette sulla strada per East Deller?» «Esatto. Maggie Trewin è mia sorella. Abita al numero due. Suo marito lavora alla fattoria di Grange. Mi ha detto che lei voleva sapere quando questa 'donna' (pronunciò la parola in tono beffardo) avesse gridato.» Robinson annuì. «Bene», riprese Staines producendo perfetti anelli di fumo sopra la testa, «probabilmente io glielo posso dire, ma voglio che lei mi garantisca che mio cognato non verrà mai a sapere che gliel'ho detto io. Non voglio dover comparire davanti a una corte o cose simili. Mi spellerebbe vivo se sapesse che sono stato lì e non mi darebbe pace fino a quando non scoprisse con chi ero.» Scosse tristemente la testa. «Vale più della mia vita.» La sorellina di suo cognato era la sua pupilla. «Non posso garantire per quanto riguarda eventuali interrogatori», gli spiegò Robinson. «Se le viene notificato un mandato, lei dovrà comparire. Ma questo potrebbe non accadere. La donna potrebbe essere irrilevante per questo caso.» «Davvero?» sbottò Staines. «Potrei portarla in centrale e interrogarla», propose Robinson. «Non le servirebbe a niente. Non dirò nulla fino a quando non sarò sicuro che Bob Trewin non verrà a saperlo. Mi ammazzerebbe, ne sono sicuro.» Riprese il lavoro che aveva interrotto. Nick Robinson scrisse il proprio nome e l'indirizzo della centrale di polizia su un foglio del notes. Poi lo staccò e lo porse a Staines. «Scriva qui
che cos'è accaduto, e quando, e me lo mandi anonimo», suggerì. «La tratterò come una segnalazione anonima. Così nessuno saprà da dov'è venuta.» «Lei lo saprà.» «Se non fa quello che le dico», lo avvertì Robinson, «torno qui e la prossima volta porto l'ispettore. A lui non potrà rispondere di no.» «Ci penserò.» «Mi raccomando.» Fece per andarsene. «Suppongo che lei non fosse lì, tre sere fa.» Staines lanciò un grumo di letame sul mucchio di paglia. «Esatto.» «Una delle donne è stata aggredita.» «Davvero?» «Non l'aveva sentito?» Staines si strinse nelle spalle. «Forse.» Guardò l'agente in tralice. «Sarà stata una delle sue amichette. Le puttane litigano come vipere quando sono agitate.» «Così non sentì né vide nulla, quella notte?» Eddie si girò per dedicarsi all'angolo più lontano della stalla. «Proprio come dicevo, io non c'ero.» E perché non ti credo? si chiese Robinson mentre si allontanava, cercando di evitare lo sterco di vacca. La ragazza dalle guance rosse ridacchiò vedendolo passare, poi tornò di corsa nella stalla tra le braccia del suo spasimante. 17 Quando McLoughlin tornò alla centrale, Walsh si teneva ancora il fazzoletto macchiato di sangue sul naso, pur avendo smesso di sanguinare da tempo. McLoughlin, che non aveva sentito quella parte della conversazione tra Phoebe e Jonathan, lo guardò sorpreso. «Che cos'è successo?» volle sapere. «La signora Goode mi ha dato un pugno, e io l'ho arrestata per aggressione», rispose Walsh con un tocco di malizia. «Così le ho cancellato il sorriso dalla faccia.» McLoughlin si sedette. «È ancora qui?» «No, accidenti. La signora Maybury l'ha convinta a chiedere scusa e l'ho lasciata andare dietro versamento di una cauzione. Maledette donne», aggiunse. Si ficcò il fazzoletto in tasca. «Abbiamo risolto la questione delle scarpe. Il giovane Gavin Williams ha trovato un vecchio di East Deller che
risuola scarpe per guadagnarsi qualche soldo.» McLoughlin fischiò. «Sì?» «Sono certamente di Daniel Thompson. Il vecchio si annota tutto, che Dio lo benedica. Si scrive qualcosa su ogni paio di scarpe, e in questo caso si fece un appunto per via dei lacci di colore diverso, si scrive quello che dev'essere fatto, il nome del proprietario e le date in cui vengono consegnate e restituite. Thompson le andò a prendere una settimana prima di sparire.» Walsh si toccò delicatamente il naso. «I tempi sono perfetti. Per la signora Goode la storia sta prendendo una brutta piega.» Ridacchiò tra sé. «Se riuscissimo a trovare anche una sola persona che l'abbia visto andare al Grange...» Lasciò la frase in sospeso, prese la pipa e cominciò a pulirla con grande precisione. «E se l'avesse fatto la signorina Cattrell? Se avesse inscenato quella piccola pantomima con il suo avvocato per distoglierci dall'amica, e poi avesse spaventato l'amica facendoci capire quello che sapeva...» Si batté la pipa sulla testa. «Arrivederci, signorina Cattrell.» «No, escluso», tagliò corto McLoughlin osservando lo scopino che si anneriva. «Venendo qui sono passato all'ospedale. È uscita dal coma. Ho mandato la Brownlow a farle compagnia.» «Davvero? E le ha parlato?» «Brevemente, fino a quando la suora non mi ha mandato via. A quanto pare, deve farsi una bella dormita prima di poter rispondere a qualche domanda.» «Ebbene?» proruppe duramente Walsh. «Che cos'ha detto?» «Poco e niente. Non ricorda.» Si guardò le unghie. «Ha detto però che le era parso di avere sentito un rumore all'esterno.» Walsh emise un suono inarticolato. «Avvalora abbastanza bene le sue ipotesi, dire...» McLoughlin alzò le spalle. «Lei sta sbagliando strada, signore, e se non mi avesse legato le mani gliel'avrei dimostrato.» Nella voce del capo c'era un fondo di amarezza. «Jones e i suoi uomini hanno perlustrato tutto due volte, e non hanno trovato niente.» «Allora faccia guardare me. Sto sprecando il mio tempo sul caso Maybury. Finora nessuno con cui ho parlato sapeva della sua passione per le bambine piccole. Jane dev'essere stata l'unica. È proprio un vicolo cieco, signore.» Walsh lasciò cadere lo scopino sporco nel cestino della carta straccia e guardò il sergente con evidente disprezzo. Gli dava fastidio che McLoughlin avesse cercato di portarsi avanti nell'indagine in proprio, soprattutto
perché lui stesso sentiva di non avere in pugno la situazione. Nutriva forti sospetti nei confronti dell'uomo che aveva davanti a sé. Che cosa sapeva McLoughlin che lui non sapeva? Aveva scoperto il disegno? «Lei continui le sue ricerche fino a quando non avrà parlato con tutte le persone che conoscevano Maybury», gli ordinò duramente. «È un aspetto dell'inchiesta del tutto nuovo, e voglio andare a fondo.» «Perché?» Walsh si accigliò. «Come, perché?» «Che cosa ci permetterà di capire?» «L'identità dell'assassino di Maybury.» McLoughlin lo guardò divertito. «È riuscita a fargliela, signore, ora bisognerà cercare di risolvere il problema. Di questo passo non arriveremo certo a un procedimento giudiziario. Quell'uomo terrorizzava una bambina, sua figlia, e ora è morto. Secondo me dev'essere sepolto da qualche parte in giardino, forse nelle aiuole davanti alla casa. Di quelle si occupa solo la signora Phoebe. Fred non può neppure avvicinarsi. Credo che lei, ispettore, avesse ragione nell'affermare che la signora Maybury nascose il cadavere nella ghiacciaia in attesa che si calmassero le acque. Dopo dieci anni temo che non sia rimasto molto. Quei due cani sembrano piuttosto attratti dai resti umani.» Walsh si pizzicava il labbro inferiore. «Secondo me non è detta l'ultima parola. Webster non è ancora stato in grado di dimostrarmi che il cadavere nella ghiacciaia non è quello di Maybury.» McLoughlin rideva sotto i baffi. «Ma come, un minuto fa era convinto che si trattasse di Daniel Thompson. Lei non deve fossilizzarsi su un'idea. Altrimenti è come indagare con una mano legata dietro la schiena.» Si sporse in avanti. «Qui non c'è nessun disegno, o almeno non del tipo che intende lei. Lei sta cercando di collegare fatti tra loro slegati e alla fine viene fuori una gran confusione.» Walsh avvertì allo stomaco la morsa dell'indecisione. Il sergente aveva ragione. C'erano troppe pressioni. Dal canto suo, non desiderava altro che chiudere il caso Maybury una volta per tutte. Poi c'erano le pressioni da parte dei giornalisti in cerca di notizie da prima pagina e pressioni dall'alto per risolvere il caso al più presto. E poi, come sempre, c'erano anche le pressioni dal basso da parte dei subordinati che volevano soffiargli il posto. Osservò cautamente McLoughlin, spingendo il tabacco nel fornello della pipa. Quel diavolo un tempo gli era piaciuto, pensò, ma finché era legato a una moglie noiosa e si sentiva ancora inesperto. «Lei, che cosa mi
consiglia?» McLoughlin, che non dormiva da tre notti, si strofinò forte gli occhi. «Di tenere d'occhio costantemente Streech Grange. Direi almeno due persone per ogni turno. Un'altra perquisizione a tappeto, soprattutto nei pressi della casa del custode, e infine mettiamo una pietra sopra a Maybury e pensiamo piuttosto che sia Thompson.» «Nel qual caso la signora Goode sarebbe la persona più sospetta.» McLoughlin ci pensò un momento. «Certamente dovremo indagare sul suo conto, ma c'è qualcosa che non quadra.» Walsh si toccò il naso offeso con cautela. «Secondo me quadra benissimo, ragazzo.» La signora Thompson li accolse con il suo sguardo da martire e li fece accomodare nel salotto immacolato e privo di personalità. McLoughlin ebbe la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, come se i giorni non fossero passati e stessero per affrontare la stessa conversazione nello stesso modo e con i medesimi risultati. Walsh tirò fuori le scarpe, che non erano più in una busta di plastica, ma erano invece coperte qua e là di polvere per diversi tentativi di prelievo delle impronte. Le mise su un tavolino basso in modo che la donna le vedesse. «Lei ci aveva detto che queste non erano di suo marito, signora Thompson», annunciò in tono vagamente accusatore. La donna mise le mani sulla croce che portava sul petto. «Davvero? Ma no, sono di Daniel.» Walsh tirò un sospiro. «E allora perché ci aveva detto che non erano sue?» Le lacrime le inondarono gli occhi colandole lungo le guance. «Me l'avrà suggerito il diavolo...» rispose, giocando con i bottoni della camicetta. «Oh, Cristo!» bofonchiò Walsh. McLoughlin si alzò di scatto e raggiunse il telefono nell'angolo. «Si faccia coraggio, signora Thompson», le ordinò duramente. «Altrimenti chiamo un'ambulanza e la faccio portare all'ospedale.» La donna si rincantucciò nella poltrona come se l'avesse schiaffeggiata. Walsh lanciò un'occhiata severa al sergente. «Queste sono le scarpe che il signor Thompson indossava il giorno che scomparve?» chiese alla donna con voce suadente. Lei le guardò da vicino. «No», rispose. «Ma ne è sicura? L'altro giorno lei ci ha detto che possedeva un solo
paio di scarpe marrone e che le aveva addosso il giorno che sparì.» La donna sbatté le palpebre all'impazzata: «Davvero?» balbettò. «Che strano. Quando siete venuti la volta scorsa non mi sentivo bene. Daniel amava le scarpe marrone. Potete venire a vedere la scarpiera, se volete. Ne aveva molte paia.» Indicò quelle sul tavolino. «No, queste Daniel le aveva regalate al vagabondo.» Walsh chiuse gli occhi. Dunque non era stata Diana. «Quale vagabondo?» volle sapere. «Non gli avevamo chiesto come si chiamava», rispose lei. «Suonò alla porta per chiedere la carità. Le scarpe si trovavano sulla scala e Daniel mi disse di dargliele.» «Quando accadde?» La donna tirò fuori il fazzoletto di pizzo e si asciugò gli occhi. «Il giorno prima che se ne andasse. Me lo ricordo benissimo. Daniel era un santo, davvero. Nonostante tutti i problemi che aveva, si prendeva anche il tempo per fare un gesto caritatevole.» Walsh prese alcuni fogli dalla valigetta e si mise ad analizzarli. «Lei denunciò la scomparsa di suo marito la sera del venticinque maggio», lesse. «Dunque questo vagabondo sarebbe venuto il ventiquattro.» «Dev'essere così», confermò la donna piangente. «Che ora era?» Sul viso della signora Thompson si dipinse un'espressione sconsolata. «Oh, questo proprio non me lo ricordo. Durante la giornata.» «E perché suo marito era a casa durante il giorno, signora Thompson?» chiese McLoughlin sfogliando l'agenda. «Il ventiquattro cadeva di mercoledì. Non avrebbe dovuto trovarsi in ufficio?» La donna sporse le labbra. «Quel maledetto ufficio», disse tra i denti. «Quanti problemi, quante preoccupazioni. Non era colpa sua, sa? La gente si aspettava troppo da lui. Verso la fine smise di andarci», ammise mestamente. «Saprebbe descrivermi questo vagabondo?» chiese Walsh. «Sicuro», confermò la donna. «Sono certa che potrà esservi utile. Indossava un paio di pantaloni rosa e un vecchio cappello marrone.» Pensò brevemente. «Avrà avuto circa sessant'anni, pochi capelli, e puzzava terribilmente. Era completamente ubriaco.» Si fermò perché le era venuto in mente qualcosa. «Ma allora dovete averlo trovato, altrimenti come fate ad avere queste scarpe?» Walsh le prese e le voltò. «Lei diceva che suo marito non aveva rapporti
con le donne di Streech Grange, tuttavia una di loro, la signora Goode, aveva investito del denaro nella sua attività.» Un'ombra le oscurò il volto. «Non lo sapevo.» «La signora Goode afferma di averla incontrata», la incalzò Walsh. Seguì un lungo silenzio. «Può darsi. Ricordo di avere parlato con qualcuno per strada tre o quattro mesi fa. Daniel me la presentò come una cliente.» Poi aggiunse con aria maliziosa: «Bionda ossigenata, elegantona, con la puzza sotto il naso». «Sì», confermò Walsh che trovava la descrizione imprecisa ma divertente. «Mi telefonò», spiegò la signora Thompson sporgendo le labbra in segno di disapprovazione, «per sapere dove fosse Daniel. Io le risposi di farsi gli affari suoi.» Fulminò l'ispettore con uno sguardo da basilisco. «Perché, ha qualcosa a che fare con la sparizione di Daniel?» «Stavamo esaminando i libri contabili di suo marito», le spiegò McLoughlin parlando dal suo angolo con fare saccente. «E ci era balzata agli occhi la discrepanza. Eravamo curiosi di sapere.» «Non sapevo che fosse una di quelle.» Tornò ad asciugarsi gli occhi. «E ora mi dite che aveva investito denaro nella sua attività?» Si riaprirono le cateratte e questa volta le lacrime erano sincere. «Ma come ha potuto fidarsi di lei?» balbettò tra i singhiozzi. «Come ha potuto? Quelle donnacce...» Walsh lanciò un'occhiata a McLoughlin e si alzò. «Bene, noi ce ne andiamo, signora Thompson. Grazie per l'aiuto.» La donna cercò invano di frenare le lacrime. «Non ha pensato di andarsene un po' via da qualche parte?» chiese McLoughlin. Lei fece un lungo sospiro. «Il vicario mi ha organizzato qualcosa», rispose. «Alla fine di questa settimana andrò in un albergo in riva al mare per riposarmi per un paio di giorni. Non servirà a niente, però, non senza Daniel.» McLoughlin corrugò la fronte e chiuse la porta con fare pensoso. L'ispettore capo Walsh strinse i denti infuriato quando mise in marcia con tale foga la sua Rover nuova di zecca da fare spegnere il motore. «Ma, che cos'ha da essere così maledettamente allegro? Abbiamo appena perso la pista più promettente.» McLoughlin aspettò che rimettesse in moto. «Chi era il responsabile del
caso fin dall'inizio?» «Se intende la scomparsa di Thompson, allora era Staley.» «E fece un buon lavoro? Parlò con la signora Thompson?» «Verificò tutto. Ho riletto il file.» «E ha saputo del nuovo cadavere?» «Sì.» «Non gli è sorto nessun sospetto?» «No. La signora Thompson ha un alibi di ferro. Accompagnò il marito alla stazione di Winchester dove lui prese un treno per Londra. Ci sono diversi testimoni che ricordano di averlo visto in viaggio e uno lo notò nella stazione di Waterloo. Dopo avere lasciato il marito, la signora Thompson si recò direttamente nella chiesa di East Deller dove partecipò a un digiuno di ventiquattr'ore con altri membri della parrocchia. Quel sant'uomo di Daniel avrebbe dovuto raggiungerla lì alle sei, di ritorno da Londra dove, tra parentesi, avrebbe dovuto ottenere un prestito per tenere a galla l'azienda. Non tornò più. Alle dieci la moglie del vicario accompagnò la signora Thompson a Larkfield e rimase ad aspettare con lei mentre telefonava in ufficio, ad amici e conoscenti. Verso mezzanotte la moglie del vicario chiamò la polizia e rimase con la signora Thompson che nel frattempo era diventata isterica. Le fece compagnia durante la notte e durante gran parte del giorno seguente. Daniel non fu più visto dal momento in cui mise piede a Londra.» «Ma l'alibi regge soltanto per il venticinque e il ventisei. Supponiamo che fosse tornato in seguito...» Walsh girò intorno a una rotonda. «E perché sarebbe tornato, dopo avere fatto la fatica di scappare? Secondo Staley, aveva intenzione di prendere due piccioni con una fava: liberarsi di quell'orribile moglie e scongiurare il fallimento. Scomparve a Winchester, capovolse l'impermeabile, si appiccicò un paio di baffi finti e sparì con quel poco che era riuscito a mettere in salvo. Il numero due dell'azienda afferma di non essersi affatto sorpreso per la fuga di Thompson. Secondo lui, Thompson non aveva coglioni e da tempo si vedeva che progettava di andarsene.» McLoughlin si mordicchiò un'unghia. «Secondo lei doveva avere qualche valido motivo per tornare, signore. Altrimenti come avrebbe potuto ucciderlo la signora Goode?» «Sì, be', la signora Goode è una donna molto più attraente di quella stupida di sua moglie. Pensavo che magari avesse organizzato la fuga per mettersi con la bionda.»
«E quando si presentò alla sua porta, la signora Goode, che era in credito di diecimila sterline, scoprì che non le piaceva poi tanto e gli piantò un pugnale nella schiena?» «Qualcosa di simile.» McLoughlin scoppiò a ridere. «Scusi, signore.» Ci pensò un momento. «I Thompson non hanno figli, vero?» «No.» «Bene, supponga di essere sposato con un uomo da trent'anni e più. Lui è il suo unico scopo nella vita e d'un tratto la abbandona.» Si soffermò di nuovo a pensare. «Prosegua.» «Devo pensarci bene, ma credo che sia più o meno così: Daniel taglia i tubi perché l'azienda sta per fallire e non se la sente più di andare avanti. Si trattiene a Londra per qualche tempo, ma scopre che la vita del nullafacente è più brutta di quella a casa, così torna indietro. Nel frattempo la signora Thompson ha scoperto, perché la signora Goode l'ha chiamata e le ha detto che Daniel avrebbe dovuto recarsi a Streech Grange, che suo marito vedeva un'altra donna, o peggio, una donna peccaminosa. La moglie è già arrivata al limite, questa notizia è la goccia che fa traboccare il vaso. Non dimentichi che è fanatica della religione, che il suo matrimonio è fallito e che ha avuto diversi giorni per meditare. Che cosa fa quando Daniel d'un tratto si ripresenta a casa?» «Sì», convenne Walsh con fare pensoso. «Fino a qui funziona. Ma come fece a trasportare il cadavere nella ghiacciaia?» «Non lo so. Forse lo convinse a recarvisi quando era vivo. Del resto mi sembra logico che lei possa avere pensato di lasciare il cadavere proprio a Streech Grange, il luogo in cui il marito aveva peccato, e che lo abbia mutilato in modo da farci pensare che fosse David Maybury. Una specie di vendetta contro quelle donne malvagie (probabilmente pensava che c'entrassero tutte e tre) che le avevano rovinato la vita. C'è qualche novità riguardo quel pianto di donna nei pressi della fattoria di Grange?» «Sì, ma niente di molto utile. Gli abitanti di entrambe le case affermano che doveva essere dopo la mezzanotte perché erano tutti a letto e che fu durante quel periodo di caldo tra l'ultima settimana di maggio e la metà di giugno. Gli uni dicono che era in maggio, gli altri durante la seconda settimana di giugno. A lei la scelta.» «È tutto troppo nebuloso. Dobbiamo stabilire la data. Staley perquisì la casa dei Thompson?»
«Due volte: la prima appena lui scomparve e la seconda circa due settimane dopo.» McLoughlin parve perplesso. «Perché lo fece una seconda volta?» «È una storia interessante. Avevamo ricevuto una soffiata anonima che la signora Thompson era impazzita, aveva assassinato Daniel e l'aveva nascosto sotto le assi del pavimento. Staley tornò un giorno senza preavviso, verso la metà di giugno, e perlustrò tutta la casa con la lente d'ingrandimento. Non trovò nient'altro che una donnetta avida di sesso che continuava a seguirlo da una stanza all'altra e a fargli delle avances. È convinto che sia stata lei stessa l'autrice della soffiata.» «Perché?» Walsh ridacchiò. «Perché aveva perso la testa per lui.» «Forse le rimordeva la coscienza.» Walsh si fermò davanti alla centrale di polizia. «Potrebbe quadrare tutto, Andy, ma che cosa c'entrano quelle maledette scarpe? Se Daniel le aveva addosso, perché lei le avrebbe lasciate in giro? E se invece non le portava, come diavolo sono arrivate lì?» «Sì», balbettò McLoughlin. «Me lo chiedevo anch'io. Eppure mi sembra che sul conto delle scarpe quella donna dica la verità. Dev'esserci stato questo vagabondo. L'ha descritto in modo troppo preciso, e poi corrisponde con quello che ha saputo Nick Robinson. Ricordo i pantaloni rosa.» Inarcò le sopracciglia. «Potrei cercare di trovarlo.» «Sarebbe tempo perso», bofonchiò Walsh. «Se anche lo trovasse, che cosa potrebbe dirle?» «Se la signora Thompson dice la verità.» «Uhm.» Curvò le spalle appoggiandosi al volante. «Ho un orribile presentimento.» Sembrava sconvolto. McLoughlin gli lanciò un'occhiata. «E se quelle donne avessero avuto ragione sin dall'inizio? Se quel povero vagabondo fosse entrato nella ghiacciaia e avesse avuto un infarto?» «Dove sarebbero finiti i pantaloni rosa?» Il volto di Walsh si schiarì. «Già, ovviamente. E va bene, allora cerchi di trovarlo.» «Dovrò abbandonare le ricerche sul caso Maybury.» «Per il momento», concesse Walsh. «E desidero riprendere le ricerche a Streech Grange.» L'ispettore si rannuvolò di nuovo. «Per tentare di vedere se la signora Thompson ha qualcosa a che fare con la ghiacciaia» concluse con calma serafica.
Elizabeth stava nel suo posto preferito, davanti alla grande finestra nella stanza di sua madre e osservava le ombre che si allungavano sulla terrazza. Si chiese quante volte era stata a guardare proprio da quel punto. «Dovrò tornare a Londra», disse infine. «Altrimenti finisce che mi licenziano.» «Non puoi prenderti ancora qualche giorno?» chiese Diana, contenta che la figlia avesse finalmente rotto il silenzio. «Non ho più giorni di ferie. Andrò negli Stati Uniti per due settimane alla fine di settembre. Così non mi resta più niente.» Si girò. «Mi dispiace, mamma.» Diana scosse la testa. «Non c'è nessun problema. Starai con tuo padre?» Elizabeth annuì. «Sono tre anni che non lo vedo», spiegò, come per scusarsi. «E il volo è già prenotato.» Che mare di incomprensione c'era tra loro, pensò Diana, e tutto perché facevano tanta fatica a parlarsi. Ripensando agli anni passati, si rese conto che si erano sempre parlate educatamente, ma senza toccare gli argomenti che avrebbero potuto creare imbarazzi. In un certo senso, Phoebe era più fortunata. I suoi figli non avevano conservato alcun affetto per il padre né lei doveva giustificare il motivo per cui lui li aveva abbandonati. «Bevi qualcosa?» Raggiunse un armadietto in mogano. «Tu bevi?» «Sì.» «Bene, allora prenderei un gin tonic.» Diana versò i drink e portò i bicchieri davanti alla finestra. «Salute.» Si sedette sullo schienale di una poltrona e posò lo sguardo fuori come sua figlia. Tutto sommato era più facile non doverla guardare. «Per anni non riuscivo a pensare a tuo padre senza infuriarmi. Quando arrivavano le sue lettere per te e vedevo la calligrafia, avvertivo una tensione che mi faceva dolere la mascella per ore. Continuavo a chiedermi che cos'ha Miranda che io non ho.» Fece una breve risata. «Poi imparai che cosa significa stringere i denti.» Tacque. «Ci misi un po', ma riuscii a superarlo. Ora cerco di ricordare solo i bei tempi. È carina lei? Non l'ho mai vista, sai?» Elizabeth teneva lo sguardo incollato a un passerotto che si esibiva sul selciato. Sembrava che quella piccola creatura volesse fornirle una risposta sui misteri dell'universo. «Non fu soltanto colpa sua», protestò la figlia. «È vero. Anzi, sotto molti aspetti la colpa fu più che altro mia. Mi ero illusa che fosse il tipo di uomo che sa accettare una moglie con un lavoro proprio, e invece mi sbagliavo. Odiava soprattutto competere con me nel
campo del lavoro. Non gliene faccio una colpa. Proprio come non me ne faccio una colpa di avere desiderato una carriera dopo che nascesti tu. È che non avremmo mai dovuto sposarci. Eravamo troppo giovani e non ce ne rendevamo conto. A Phoebe accadde la stessa cosa. Sposò David perché era incinta di Jonathan, e vent'anni fa nella borghesia usava così. Io sposai tuo padre più o meno per lo stesso motivo. Volevo andare negli Stati Uniti con lui e i miei genitori non mi avrebbero dato il permesso se non ci fossimo sposati.» Sospirò. «E ce ne siamo pentiti entrambi, Lizzie. Ci siamo rovinati la vita a vicenda perché non avevamo il coraggio di essere sinceri.» La ragazza continuava a guardare il passero. «Se ti penti di esserti sposata, ti penti anche delle conseguenze del tuo matrimonio?» «Vuoi dire se mi pento di averti messa al mondo?» «Sicuro», sbottò la ragazza infuriata. «I due concetti sono piuttosto legati, non trovi?» Era profondamente ferita. Diana pensò lungamente alle parole che doveva usare. «Ricordo che quando nascesti impazzivo perché tutti mi chiedevano: a chi somiglia? Somiglia più a te o a Steven? La risposta era sempre la stessa: a nessuno dei due. Non riesco a capire perché volessero legarti a uno dei due. Per me, fin dal primo istante, fosti un individuo con un tuo carattere, un tuo aspetto e un tuo modo di fare le cose. Ti voglio bene perché sei mia figlia e perché siamo cresciute insieme, e comunque mi piaci. Mi piace Elizabeth Goode.» Tolse un peluzzo dalla manica della camicetta di Elizabeth. «Tu esisti in forma indipendente, non sei la conseguenza di un matrimonio.» «E invece sì!» esclamò la ragazza. «Non capisci? Sono come mi avete fatta.» Diana la guardò. «No, eri ribelle fin da piccina. Dovetti cominciare a darti cibi solidi quando avevi solo otto settimane perché non la smettevi di strillare per la fame. Steven ti chiamava sempre 'Pannolino Dispotico' perché ci avevi educati così bene. Che cosa ti fa pensare di essere nata priva di una tua personalità e che due persone inesperte abbiano dovuto modellarti? Temo che ti aspetti uno choc terribile, se pensi che i bambini non abbiano una loro personalità.» Elizabeth sorrise. «Sai bene quello che voglio dire.» «Sì», confermò sua madre. «So che cosa vuoi dire.» Rimase in silenzio per un momento. «Però avrei dovuto pensarci prima. Da un lato ero orgogliosa di avere una figlia così decisa e indipendente, anche se un po' testarda; dall'altro volevo fare in modo che tu non ripetessi i miei sbagli.» Sorri-
se tristemente. «Scusa, tesoro. Non si può certo dire che io sia coerente.» «Phoebe è proprio come te», commentò Elizabeth. «Dev'essere una debolezza comune alle madri.» Diana scoppiò a ridere. «Perché, che cosa fa Phoebe?» «Non l'hai notato? Ogni volta che Jonathan si versa da bere, segna il livello del liquore con un pennarello. Crede che lui non se ne sia accorto.» «Io non l'ho notato», rispose Diana sorpresa. «Che buffo. Ma perché lo fa?» «Perché suo padre beveva troppo. Vuole evitare che Jonathan faccia lo stesso sbaglio.» E io la capisco, pensò Diana, anche se quel comportamento sembrava assurdo. «Jonathan capisce?» chiese incuriosita. «Penso di sì.» «E tu?» «Sì, ma questo non vuol dire che tu e Phoebe siate nel giusto. Secondo me entrambe vi date da fare per evitare qualcosa che comunque potrebbe non accadere mai.» «Un buon motivo per brindare», commentò Diana sfiorando il bicchiere della figlia con il suo, ma se sperava che questo nuovo fragile accordo avrebbe favorito lo scambio di confidenze, rimase delusa. Elizabeth era rimasta sulle sue troppo a lungo per aprirsi in una simile circostanza. «È effettivamente carina», affermò in modo del tutto inatteso. «Molto diversa da te. Bassa e grassoccia, sempre in grembiule. Un'ottima cuoca. Papà è aumentato di circa dieci chili da quando si è sposato con lei.» Sorrise. «Non riesce più ad abbottonare le camicie, o almeno non ci riusciva tre anni fa.» Mio Dio, pensò Diana, era quello che voleva? Ricordò il giovane slanciato che aveva sposato, con la sua bellezza cadaverica e i vestiti firmati e scoppiò a ridere. «Povero vecchio Steven.» «E molto felice», protestò sua figlia, difendendo il padre. Diana alzò le mani in segno di resa. «Ne sono sicura, e mi fa piacere. Molto piacere», aggiunse. Ed era vero. «Immagino che dovrò chiedere alla polizia se posso tornare a Londra», azzardò Elizabeth dopo un momento. «Quando vuoi partire?» «Domani subito dopo il pranzo. Jon ha promesso di portarmi alla stazione.» «Lo chiederemo a Walsh domattina», propose Diana. «Sono sicura che
sarà qui di buon'ora per punirmi per la mia piccola bravata.» «Oh, mamma», gemette Elizabeth come se parlasse con una bimba, «starai attenta, lo prometti? Sei così intrattabile quando ti arrabbi. Francamente penso che tu sia stata fortunata a cavartela con così poco.» «Sì», convenne mestamente Diana, rendendosi conto che bastava un attimo perché i ruoli si invertissero. Elizabeth sporse le labbra. «Jon oggi ha fatto a pugni», annunciò poi. «Ma non dirlo a Phoebe. Si arrabbierebbe moltissimo.» «Dove?» «A Silverborne. Alcuni ragazzi l'hanno riconosciuto da quella foto sul quotidiano locale, quella scattata davanti all'ospedale la sera che Anne fu aggredita. Gli hanno detto che era un protettore di lesbiche, e lui ha dato un pugno in un occhio a uno e poi se l'è data a gambe.» Sorrideva. «Devo dire che ero alquanto impressionata quando me l'ha raccontato. Non credevo che ne sarebbe stato capace.» A Diana tornò in mente David Maybury. Altroché, se Jonathan ne era capace. 18 Nel giro di ventiquattr'ore Anne aveva fatto passi da gigante e cominciava ad avere crisi di astinenza da nicotina. Annunciò che si sarebbe dimessa. Jonathan le ordinò di portare pazienza. «Stavi per lasciarci la pelle. Se non fosse stato per il sergente, probabilmente non saresti qui. Il tuo corpo ha bisogno di tempo per rimettersi e recuperare.» «Accidenti!» esclamò lei senza mezzi termini, «e non mi ricordo proprio niente. Non ho avuto esperienze in punto di morte né mi sono librata nell'aria o ho visto gallerie con luci luminose in fondo. Che sfortuna. Avrei potuto scrivere tutto. Ecco che cosa succede agli atei.» Jonathan, che per diversi motivi vedeva un eroe in McLoughlin, e non solo per avere salvato Anne, la rimproverò. «L'hai ringraziato?» Anne corrugò la fronte e guardò la donna poliziotto che era accanto al suo letto. «Di che cosa? Ha fatto soltanto il suo dovere.» «Salvandoti la vita.» Anne gli lanciò un'occhiataccia. «Da come mi sento ora, direi che non ne è valsa la pena. Bisognerebbe poter vivere senza sforzi, senza dolore e divertirsi. Io qui non posso fare nessuna delle tre cose. Questo è un gulag pieno di sadici.» Fece un cenno in direzione della sala infermiere. «Quella
suora dovrebbe essere messa dentro. Ride ogni volta che mi punge con un ago e dice di farlo per il mio bene. Voglio una sigaretta. Portamene qualcuna di nascosto, Jonny. Me la fumo sotto le coperte. Non se ne accorgerà nessuno.» Il ragazzo ridacchiò. «Fino a quando il letto non prende fuoco.» «Ecco, ridi anche tu», lo accusò lei. «Ma che cosa vi è successo? Perché vi divertite tanto?» Anche Brownlow, di servizio dall'altro lato del letto, rideva. Anne le lanciò un'occhiata velenosa. «Non so nemmeno perché lei stia qui», sbottò. «Le ho detto tutto quello che ricordo, e cioè assolutamente niente.» Non era stata in grado di parlare liberamente con nessuno, con tutta probabilità era quello il motivo per cui la donna era stata piazzata lì, e la faceva impazzire. «Ordini superiori», recitò la donna. «L'ispettore vuole che ci sia qualcuno quando le tornerà la memoria.» Anne chiuse gli occhi e pensò a tutti i modi in cui avrebbe potuto assassinare McLoughlin non appena le fosse capitato sotto tiro. Dal canto suo, il sergente aveva raccolto le informazioni sul vagabondo e le aveva divulgate in tutto il paese. Chiamò un collega a Southampton e gli chiese, come favore personale, di verificare negli ospizi della zona. «E che cosa ti fa pensare che sia venuto qui?» «La logica», spiegò McLoughlin. «Era diretto da quella parte e il vostro comune è molto più accogliente della nostra zona.» «Ma sono passati due mesi, Andy. Se ne sarà già andato da diverse settimane.» «Lo so. Ma la descrizione è accurata. Qualcuno potrebbe ricordarsi di lui. Se avessimo un nome, tutto sarebbe più facile. Vedi quello che puoi fare.» «Sono molto impegnato, in questo momento.» «Lo siamo tutti. Ciao.» Pose fine alle proteste del collega riagganciando il ricevitore, poi abbandonò un bicchierino di plastica di caffè quasi freddo e se ne andò in fretta, senza dare il tempo al suo amico di richiamarlo con una serie di scuse. Aveva la coscienza a posto e si recò a Streech Grange per fare due chiacchiere con Jane Maybury che aveva annunciato di essere disponibile a rispondere alle sue domande. Le chiese se voleva che assistesse sua madre, ma lei scosse la testa e disse di no, che non era necessario. Phoebe, con un sorriso un po' preoccupato, li fece accomodare nel suo salotto e chiuse la porta. Si sedettero davanti
alla porta-finestra. La ragazza era molto pallida, aveva la pelle color alabastro, ma McLoughlin capì che doveva essere il suo colore naturale. Indossava un paio di jeans sbiaditi e una maglietta enorme con la scritta BRISTOL CITY. Gli pareva assurda su quel corpicino minuscolo. Lei gli lesse nel pensiero. «È il trionfo della speranza sull'esperienza», spiegò. «È una cosa a cui credo moltissimo.» McLoughlin sorrise. «Immagino che prima o poi tutti finiscano per crederci. Dapprima non si ha successo, e poi tutto il resto.» La ragazza si sedette. Sembrava un po' nervosa. «Che cosa voleva chiedermi?» «Solo un paio di cose, ma innanzitutto volevo farle sapere che non ho alcun desiderio di inquietarla. Se lei dovesse trovare inquietanti le mie domande, la prego di dirmelo e ci fermeremo. Se in qualsiasi momento lei preferisse parlare con una donna poliziotto, me lo dica e ne farò venire una.» La ragazza annuì. «Va bene.» Ricordò con lei la notte dell'aggressione e come avevano sentito la finestra che veniva infranta mentre guardavano un film. «Suo fratello fu il primo a scendere, mi sembra.» «Sì. Pensava che fosse un ladro e aveva detto a Lizzie e a me di restare dov'eravamo fino a quando non ci avesse chiamate.» «E voi obbediste?» «No. Lizzie volle scendere a tutti i costi e andare da sua madre. In quel momento non sapevamo quale finestra fosse stata infranta. Io controllai le stanze della mamma e Jon venne dove si trovava lei.» «Che cosa accadde allora?» «Mamma e Diana arrivarono in corridoio nello stesso momento in cui scendevamo noi. Mamma seguì Jonathan. Io controllai questa stanza, Diana la biblioteca e Lizzie la cucina. Quando tornai in corridoio, mamma stava scendendo le scale con alcune coperte e una bottiglia dell'acqua calda e gridava a Diana di chiamare un'ambulanza. Io dissi che qualcuno doveva avvertire Fred di aprire il cancello e la mamma ribadì che era vero, che non ci aveva pensato.» Aprì le mani che aveva in grembo. «Così presi la torcia dal tavolo in corridoio e uscii.» «Perché proprio lei? Perché non ci andò la figlia della signora Goode?» La ragazza si strinse nelle spalle. «Fu una mia idea. E comunque Lizzie non era ancora tornata dalla cucina.» «E non aveva paura? Perché non l'aspettò, in modo da andare con lei?»
«No», rispose, «non mi passò nemmeno per la testa.» Nemmeno lei capiva il perché. Ci pensò un momento. «A dire il vero, non c'era motivo di avere paura. Mamma aveva detto semplicemente che Anne stava poco bene. Immaginai che avesse un attacco di appendicite o cose simili. Ricordo che pensai che era una seccatura dover tenere chiuso il cancello per evitare che entrassero i giornalisti.» Alzò la voce. «E poi quel viale l'ho percorso da sola molto spesso. Centinaia di volte, anche al buio. Talvolta vado a parlare con Molly quando Fred va al pub.» «Bene», confermò McLoughlin con voce priva di emozione. «Mi sembra tutto molto logico.» Sfoderò un sorriso incoraggiante. «Lei corre molto veloce. Feci fatica a raggiungerla, per quanto anch'io corressi.» La ragazza liberò le dita dal bordo annodato della maglietta. «Ero preoccupata per Anne», ammise. «Continuo a dirle che morirà di cancro da un momento all'altro. Ebbi la terribile sensazione che sarebbe accaduto proprio questo. Così partii di corsa.» «Lei le vuole bene, no?» «Anne è un'ottima persona», affermò la ragazza. «Vivi e lascia vivere, ecco il suo motto. Non interferisce né critica, ma immagino che per lei sia più facile. Non ha figli per cui preoccuparsi.» «Mia madre si preoccupa», mentì McLoughlin pensando che l'unica preoccupazione che la signora McLoughlin senior avesse mai avuto era di perdere una puntata di qualche spettacolo televisivo. Jane appoggiò il mento sulle mani. «Mamma è un tesoro», gli confidò ingenuamente, «ma continua a pensare che io abbia bisogno di protezione. Anne le consiglia di lasciarmi combattere le mie battaglie.» Si girò un ricciolo di lunghi capelli scuri attorno al dito. McLoughlin incrociò le gambe e assunse volutamente una posizione rilassata. «Battaglie?» ripeté in tono canzonatorio. «Quali battaglie?» «Stupidaggini», gli assicurò lei. «Per lei saranno delle piccolezze, ma a me sembrano enormità. La farebbero ridere.» «Mah, non direi. Lei potrebbe trovare altrettanto ridicoli alcuni dei miei problemi.» «Racconti», lo esortò lei. «D'accordo.» Osservò il suo viso fiducioso e sorridente sperando che lei non avesse niente da dirgli, altrimenti quel sorriso sarebbe sparito per sempre. «La battaglia più dura della mia vita fu quella che dovetti combattere contro mia madre quando avevo più o meno l'età che ha lei ora», esordì. «Mi ero portato la mia ragazza in camera per una notte di passione.
Mamma entrò proprio sul più bello.» «Cacchio!» esclamò Jane. «Ma perché non avevate chiuso la porta a chiave?» «La chiave non c'era.» «Imbarazzante», commentò Jane con partecipazione. «Davvero», confermò lui, ricordando il momento. «La ragazza tagliò la corda e io dovetti affrontare mia madre nudo com'ero. Mi propose due soluzioni: o giuravo di non farlo mai più e lei mi permetteva di restare, o mi rifiutavo di giurare e mi avrebbe cacciato così com'ero.» «E lei, che cosa scelse?» «Indovini un po'.» «Se ne andò nudo com'era.» «Esatto.» Sgranò gli occhi come una bambina. «E dove trovò qualcosa da mettersi addosso?» McLoughlin rideva sotto i baffi. «Rimasi nascosto tra i cespugli fino a quando non spense tutte le luci, poi presi la scala nella casetta degli attrezzi e salii in camera. La finestra era aperta. Fu semplicissimo. Tornai a letto, mi feci una bella dormita e scappai con una valigia prima che lei si alzasse.» «Vi vedete ancora?» «Certo», rispose lui. «Il pranzo della domenica è d'obbligo. A dire il vero, penso che in seguito si pentì di avermi cacciato. La casa divenne terribilmente vuota.» Tacque un momento. «E adesso tocca a lei.» Jane rideva. «Non è giusto. La sua battaglia era divertente, le mie sono tutte patetiche. Tipo: mangio o no il purè? Sto studiando troppo? Non dovrei pensare un po' a divertirmi?» «E lo fa?» «Che cosa, se mi diverto?» McLoughlin annuì. «Non molto.» Fece una smorfia che la faceva sembrare più vecchia. «Secondo la mamma, per divertirmi dovrei uscire con i ragazzi. Io invece non lo trovo divertente.» Strinse gli occhi. «Non mi piace essere toccata dagli uomini. La mamma questo non lo capisce.» «Non mi stupisce», commentò lui. «Probabilmente penserà che sia colpa sua.» «Invece non è vero», tagliò corto Jane, «e vorrei che se ne rendesse conto. Accettare le colpe degli altri è la cosa più difficile del mondo.» «Che cosa crede che sia successo a suo padre, Jane?»
La domanda rimase sospesa tra loro come un odore sgradevole. La ragazza si mise a guardare fuori dalla finestra e McLoughlin si chiese se non avesse esagerato, perdendo la sua fiducia. Sperava di no, tanto per lei quanto per l'indagine. «Le racconto quello che accadde la sera che se ne andò», annunciò infine senza distogliere lo sguardo dalla finestra. «Ricordo tutto molto bene, ma neppure al mio psichiatra ho raccontato tutto. Ci sono alcuni particolari che ho tralasciato perché allora avevo l'impressione che non fossero rilevanti.» Seguì un lungo silenzio. «Non ci avevo più pensato da un sacco di tempo, fino all'altra sera. Da quel momento non penso ad altro e ora credo che quei particolari possano essere importanti.» Parlava lentamente e in modo chiaro come se, dopo avere deciso di raccontare la storia, non vedesse alcun motivo per complicarla. Gli raccontò che quando la madre era uscita per andare a lavorare, suo padre si era fatto il bagno. Era il segnale che voleva fare l'amore con lei. Una routine che aveva imparato a conoscere e ad accettare. Descrisse tutta la scena senza un briciolo di emozione, e McLoughlin pensò che doveva avere fatto le prove più volte sul lettino dello psichiatra. Parlò delle avances del padre e di come era stata portata nella sua stanza come se commentasse una partita di scacchi. «Quella sera però fece qualcosa che non aveva mai fatto», aggiunse, riportando gli occhi scuri sul sergente. «E cioè?» riuscì a balbettare lui. «Mi disse che mi voleva bene. Non l'aveva mai detto.» McLoughlin era scioccato. Tanto dolore senza una parola affettuosa. Eppure, in fondo, a che cos'altro sarebbe servita se non a farlo sembrare un ipocrita? «Perché crede che questo sia importante?» chiese in tono distaccato. «Mi faccia finire», propose lei, «e forse lo capirà anche lei.» Prima di violentarla, le aveva dato un regalo ben impacchettato. «Non aveva mai fatto neppure quello.» «Che cos'era?» «Un piccolo orsacchiotto. Facevo la raccolta. Quando ebbe finito», riprese riassumendo l'evento in poche parole, «mi accarezzò i capelli e mi disse che gli dispiaceva. Io gli chiesi perché non si fosse mai scusato prima, ma entrò mia madre e lui non rispose mai.» Rimase a guardarsi le mani in silenzio. McLoughlin aspettò, ma lei non riprese. «E poi?» chiese dopo alcuni
minuti. La ragazza rise tristemente. «Veramente niente. Rimasero a guardarsi a lungo. Alla fine lui si alzò dal letto e si infilò i pantaloni», continuò con un filo di voce. «Era come una di quelle orribili farse di Whitehall. Ricordo l'espressione di mia madre. Immobile, come una statua. Era pallidissima, a parte il livido che aveva sulla faccia dove lui l'aveva colpita il giorno prima. Si mosse solo quando lui uscì dalla stanza. Venne a sdraiarsi accanto a me e mi abbracciò. Restammo così per tutta la notte e di mattina lui non c'era più.» Alzò le spalle. «Non l'abbiamo mai più visto.» «E sua madre gli disse qualcosa?» «No. Non ce n'era bisogno.» «Perché no?» «Con uno sguardo gli aveva detto tutto.» Si morse il labbro. «Che cosa pensa?» Lo prese in contropiede. McLoughlin dovette trattenersi per non rispondere che pensava che l'avesse ucciso sua madre. «A che proposito?» chiese invece. La ragazza era evidentemente delusa. «A me sembra tanto ovvio. Speravo che anche lei l'avrebbe capito.» In quel volto magro c'era un'avidità, un desiderio di qualcosa che non capiva. «Aspetti un momento!» esclamò. «Mi faccia pensare. Lei la storia la conosce bene. Io l'ho sentita ora per la prima volta.» Rilesse gli appunti che aveva preso e cercò di capire che cosa lei desiderava che capisse. Aveva cerchiato le tre cose che suo padre non aveva mai fatto prima: le voleva bene, le aveva fatto un regalo, le aveva chiesto scusa. A che cosa potevano condurre? Perché pensava che le avesse fatte? Perché le aveva fatte? Perché un padre direbbe a sua figlia che le vuole bene, le darebbe un regalo e le chiederebbe scusa per il proprio comportamento scorretto? Alzò lo sguardo e sorrise. Dopotutto era proprio evidente. «Aveva già deciso di andarsene. Era una specie di addio. Per questo scomparve senza lasciare traccia. Aveva organizzato tutto prima.» La ragazza emise un lungo sospiro. «Sì, lo penso anch'io.» McLoughlin si sporse in avanti tutto eccitato. «E perché aveva deciso di andarsene?» «Non lo so proprio.» Drizzò la schiena e si tolse i capelli dalla faccia. «Quello che so invece, sergente, è che non fu colpa mia.» Un lento sorriso le increspò le labbra. «Non può immaginare quanto questo mi faccia sentire sollevata.»
«Ma sicuramente nessuno le avrà detto che era colpa sua...» La sola idea lo spaventava. «Quando avevo otto anni, mia madre mi trovò a letto con mio padre. Mio padre scappò per questo e mia madre venne chiamata assassina. A dieci anni mio fratello cambiò personalità. Smise di essere bambino e prese il posto di suo padre. Giurò che non avrebbe mai parlato dell'accaduto e non menzionò mai più suo padre.» Jane giocava con le dita. «La colpa di mia madre è un'inezia, rispetto alla mia.» Alzò lo sguardo. «Quello che accadde la sera scorsa fu una specie di benedizione. Per anni sono stata in cura da uno psichiatra che ha fatto del suo meglio per eliminare questi sensi di colpa. In parte ci è anche riuscito, infatti non ci pensavo più. Ero diventata la vittima, non il colpevole. Ero stata una marionetta nelle mani di qualcuno che avevo dovuto imparare a rispettare. Svolgevo la parte che mi veniva richiesta perché ero troppo giovane per capire che potevo rifiutarmi.» Fece una breve pausa. «Ma qualche sera fa, forse perché avevo tanta paura, tutto mi tornò in mente in modo incredibilmente chiaro. Per la prima volta, mi resi conto di come tutto era cambiato con la sua fuga. Per la prima volta, non mi sentii costretta a giustificare la mia innocenza perché capivo che le sofferenze e le incertezze degli ultimi dieci anni ci sarebbero state comunque, che mia madre ci avesse scoperti o meno.» «Le ha mai detto tutto questo?» «Non ancora. Glielo dirò quando lei sarà andato via. Volevo che qualcun altro giungesse alla mia stessa conclusione.» «Mi dica che cosa accadde mentre andava nella casa dei custodi», la incalzò. «Diceva di avere sentito respirare.» La ragazza strinse le labbra per concentrarsi meglio. «Adesso il ricordo è un po' confuso», ammise. «Era tutto a posto fino a quando non arrivai a quel tratto rettilineo prima del cancello. Dopo la curva rallentai perché mi doleva la milza e sentii come una specie di lungo sospiro, quel rumore che si fa dopo avere trattenuto il fiato a lungo. Sembrava molto vicino. Ero talmente terrorizzata che ripresi a correre. Poi sentii i passi di qualcuno che correva e sentii gridare.» Gli lanciò un'occhiata in tralice. «Era lei. Mi fece prendere un grande spavento. Ora non sono più nemmeno sicura di avere sentito quel respiro.» «Be'», la consolò lui, «non è importante. E quando mi disse che pensava che fosse suo padre, lo disse soltanto perché aveva paura? Non c'era niente in quel respiro che le ricordava suo padre?» «No», rispose lei. «Non riesco neppure a ricordare che faccia avesse. È
passato tanto tempo e mamma ha bruciato tutte le sue fotografie. Non potrei davvero riconoscere il suo respiro.» Stette a guardarlo mentre raccoglieva le sue cose. «Le sono stata utile?» «Utile?» D'istinto le prese le mani e gliele strinse. «La sua madrina sarà molto orgogliosa di lei, signorina. E smetta di combattere battaglie, lei ha appena scalato il suo Everest. D'ora in poi è tutta discesa.» Phoebe sedeva su una panchina in giardino davanti alla porta, con il mento appoggiato sulle mani, lo sguardo incollato alle aiuole che correvano lungo il viale di ghiaia. «Posso?» chiese McLoughlin. Lei annuì. Rimasero in silenzio per alcuni minuti. «La linea divisoria tra una fortezza e una prigione è molto sottile», le fece notare a bassa voce. «E dieci anni sono molti. Non crede di avere scontato la pena, signora Maybury?» Lei si drizzò e gli indicò il paese di Streech. «Lo chieda a loro», disse. «Sono stati loro a tendere il filo spinato.» «Davvero?» Istintivamente, come per difendersi, si aggiustò gli occhiali sul naso. «Sicuro. Non sono stata io a scegliere di vivere così. Ma che cosa fai quando gli altri ti sono avversi? Chiedi loro di essere gentili?» Rise amaramente. «Non sarebbe il caso.» McLoughlin si guardava le mani. «Non fu colpa sua», le assicurò. «Jane questo lo capisce. Lui era fatto così. Lei non avrebbe potuto fare nulla per cambiarlo.» La donna si chiuse in sé e il silenzio si allungò. Sopra le loro teste le rondini facevano i loro tuffi acrobatici e un usignolo gonfiò il piccolo petto e si mise a cantare. Finalmente Phoebe si sfilò un fazzoletto dalla manica e si strofinò gli occhi. «Lei non mi piace molto», commentò. McLoughlin la guardava. «Ognuno si porta dietro il suo fardello di colpe, è la natura umana. Basta parlare con chiunque abbia avuto un dolore o sia divorziato da poco e si sente la stessa storia: se solo avessi fatto questo... se solo non avessi fatto quello... se solo fossi stato più gentile... se solo mi fossi reso conto... Possediamo un'incredibile capacità di autopunirci. Però bisogna sapere quando fermarsi.» Le posò dolcemente una mano sulla spalla. «Lei si sta punendo da troppo tempo. Non riesce a capirlo?» Phoebe distolse il volto da lui. «Avrei dovuto saperlo», balbettò nel fazzoletto, «lui le faceva del male e io avrei dovuto saperlo.» «Ma come avrebbe potuto saperlo? Lei non è diversa dagli altri», le fece
notare. «Jane le voleva bene, voleva proteggerla. Se lei si prende la colpa, annulla tutto quello che sua figlia ha cercato di fare per lei.» Seguì un altro lungo silenzio durante il quale Phoebe cercò di trattenere le lacrime. «Sono sua madre. Solo io potevo salvarla, ma quando aveva bisogno di me, non c'ero mai. Non sopporto di pensarci.» Un tremito convulso scosse la spalla sotto la sua mano. Non si soffermò a pensare se fosse una buona idea, ma reagì d'istinto e la strinse in un abbraccio per permetterle di piangere. Non erano le prime lacrime che aveva versato, secondo lui, ma erano le prime che versava per la perdita di sé, di quella che era entrata in un mondo incantato certa di poter fare qualsiasi cosa. Il trionfo della condizione umana era di affrontare una piccola sconfitta dopo l'altra e di riuscire a superarle restando relativamente illesi. La tragedia, come nel caso di Phoebe, era di subire la sconfitta più pesante troppo presto e di non riprendersi più. Il suo cuore ancora ferito e malconcio sanguinava per lei. Fermò l'auto nella curva prima del rettilineo che arrivava fino al cancello. Jane aveva detto «vicino», che probabilmente significava nascosto tra i cespugli di azalee lungo il bordo. Finora le ricerche erano state deludenti. Aveva messo al lavoro nella ghiacciaia diversi uomini nella speranza di trovare qualche legame con la signora Thompson mentre lui stesso aveva percorso la terrazza sulle mani e sulle ginocchia in cerca di qualche traccia dell'aggressore di Anne. Se era successo quello che credeva, avrebbe dovuto trovare tracce evidenti. Ma Walsh aveva ragione. A parte alcuni mattoni spostati e un mozzicone di sigaretta di una marca che né Fred né Anne fumavano, non c'era niente. Niente armi, aveva esaminato con cura le pietre del selciato in cerca di tracce di sangue, niente impronte... il prato era troppo secco a causa dell'aridità e le pietre troppo pulite perché Molly passava ogni giorno con la scopa. Niente sangue, neppure una macchiolina minuscola, per dimostrare che Anne era stata colpita all'esterno e non in casa. Forse aveva creduto troppo ciecamente a Phoebe, e dieci anni sono lunghi e le persone cambiano, e lei stessa aveva ammesso che era accaduto una volta sola. Ma se avesse sbagliato, o mentito? Non desiderava prendere in considerazione nessuna delle due ipotesi. Non ancora. Si mise di nuovo carponi e riprese a percorrere lentamente il viale. Se effettivamente c'era qualcosa, non sarebbe stato facile trovarlo. La zona era già stata perlustrata una volta senza risultato, ma poi aveva dato ordine ai suoi uomini di concentrarsi più avanti, dove lui aveva raggiunto Jane, nel
punto in cui aveva avuto l'impressione di essere spiato. Percorse a quattro zampe tutto il lato sinistro con le ginocchia doloranti e lo sguardo attento, ma dopo mezz'ora non aveva trovato nulla. Si riposò un momento, rammaricandosi per l'ingiustizia. Sperava di essere fortunato almeno una volta. Una volta sola fai che mi capiti qualcosa per cui io non abbia dovuto spaccarmi la schiena, pregò. Passò sul lato destro del vialetto e si mise a perlustrarlo a palmo a palmo. Ovviamente era già quasi vicino all'auto quando finalmente trovò quello che cercava. Tirò un profondo sospiro di sollievo e colpì la strada con un pugno, sbuffando e scuotendo la testa come un cane impazzito. Se solo avesse cominciato dal lato destro, avrebbe rinvenuto quell'oggetto più di un'ora prima e si sarebbe risparmiato un sacco di lavoro. «C'è qualcosa che non va?» chiese una voce. McLoughlin si guardò alle spalle e trovò Fred che lo osservava. Si alzò in piedi con un sorrisetto di circostanza. «No», gli assicurò. «Ho trovato il bastardo che ha colpito la signorina Cattrell.» «Io non vedo nessuno», bofonchiò Fred, osservandolo sospettosamente. McLoughlin si chinò e separò i cespugli per fargli vedere qualcosa che giaceva per terra. «Guardi un po' qua. Quelli della squadra investigativa ci andranno a nozze.» Sbuffando e sospirando, Fred si abbassò allora accanto a lui. «Misericordia!» esclamò. «È una Paddy Clarke Special.» Nascosta tra i cespugli di azalea, c'era una bottiglia di birra vecchio stile con una crosta marrone scura sul fondo. McLoughlin, che pensava soltanto alle impronte digitali e a una forma rimasta impressa nel terriccio soffice sotto i folti cespugli, gli lanciò un'occhiata incuriosita. «Che cosa diavolo sarebbe una Paddy Clarke Special?» Fred si sentì a disagio. «In verità, non c'è niente di male. E più un hobby che una forma di commercio, ma temo che quelli delle tasse non la pensino come me. Ha una stanza dietro il garage dove la prepara. Usa soltanto materiali tradizionali e la lascia maturare fino a quando diventa forte come un cavallo e prende un sapore di nettare. Non ho mai bevuto una birra all'altezza della Special di Paddy.» Guardò tristemente l'azalea. «Bisogna berla sul posto. Ci tiene moltissimo a quelle bottiglie di porcellana, perché secondo lui danno alla birra un sapore particolare.» Sembrava molto preoccupato. «Che io sappia, non le ha mai fatte uscire dal pub.» «Che tipo è? Lei crede che sarebbe in grado di menare una donna?» Il vecchio mosse i piedi. «No, assolutamente. È un brav'uomo. Sua mo-
glie gli dedica poco tempo, ma lui del resto non le è particolarmente fedele, ma colpire la signorina Cattrell?» Scosse la testa. «No, non lo farebbe mai. Sono...» distolse lo sguardo.... «sono amici, diciamo.» Gli passò davanti agli occhi quello che Anne aveva scritto sul suo diario: «P. è un mistero. Mi dice di farsi cinquanta donne l'anno, e io gli credo, eppure è il più premuroso degli amanti.» «Fuma?» Fred, che aveva offerto molte sigarette a Paddy nel corso degli anni, ritenne che fosse una strana domanda. «Quelle degli altri», rispose stancamente. «Sua moglie è un po' severa e non vuole che fumi.» A McLoughlin tornò in mente il caminetto di Anne pieno di mozziconi di sigarette. «Non mi dica niente, mi faccia indovinare», propose. «Somiglia a Rodolfo Valentino, a Paul Newman e a Laurence Olivier, è un misto di tutti e tre.» Aprì la portiera dell'auto e prese la radio. «Per niente», precisò Fred. «È un uomo grande, scuro, pieno di vita, in un certo senso furbo. Mi fa venire in mente quell'attore di Magnum P.I.» Tom Selleck! Non lo sopporto, pensò McLoughlin. Il sergente Jones stava uscendo dalla centrale quando arrivò McLoughlin. «Si ricorda di quel vagabondo, Andy?» «Sì.» «Abbiamo una testimonianza del suo amico, il vicario di East Deller. La moglie afferma di avergli offerto una tazza di tè.» «In quale data?» «Non se lo ricorda, ma il vicario stava scrivendo un sermone e si era sentito disturbato. Aveva pregato il signore di essere liberato dai vagabondi, e poi era stato costretto a fare penitenza per non essere stato abbastanza caritatevole.» McLoughlin ridacchiava. «Allora doveva essere proprio il vicario.» «A quanto pare, scrive sempre il sermone di sabato mentre guarda le notizie sportive alla televisione. Le serve questa informazione?» «Può darsi, Nick, può darsi.» 19 Il mattino seguente sulla scrivania di McLoughlin squillò il telefono. «Sei un maledetto bastardo, Andy. Ho trovato un'informazione su quel tuo vagabondo», gli comunicò l'amico di Southampton. «Uno dei sergenti in divisa ha riconosciuto la descrizione. A quanto pare l'ha raccolto circa una
settimana fa e l'ha accompagnato in un nuovo ospizio verso Shirley. Non c'è nessuna garanzia che si trovi ancora lì, ma ti do l'indirizzo. Potrai verificare da te. Si chiama Wally Ferris e qui da queste parti è un habitué durante l'estate. Il sergente Jordan lo conosce da anni.» McLoughlin si annotò l'indirizzo della Porta del Paradiso e lo ringraziò. «Uno a zero», rispose allegramente l'altro e riagganciò. La Porta del Paradiso era una grande villa in stile vittoriano, che probabilmente era molto ambita prima della grande diffusione delle automobili, ma aveva perso fascino da quando una strada piena di traffico le passava proprio davanti alla porta. Wally Ferris non somigliava affatto alla descrizione che era stata messa in giro, a parte l'età e la statura. Era bello pulito. Aveva le guance rosee e sulla pelata lucida spiccava qualche ciuffo di capelli soffici. Indossava una camicia bianca, pantaloni neri e scarpe lucide. Aveva l'aspetto di un vecchio studente al primo giorno di scuola. Si incontrarono nel salotto e Wally lo invitò a sedersi. «Prenda posto, prego.» McLoughlin si mostrò un po' deluso. «Non ce n'è bisogno», annunciò. «A dire il vero, non credo che lei sia la persona che cercavo.» Wally si girò sui tacchi e puntò dritto verso la porta. «Tanto meglio così. I piedipiatti non mi sono mai piaciuti.» «Un momento», gli intimò McLoughlin. «Vediamo almeno se è vero.» Wally si girò e lo fulminò con un'occhiataccia. «Si decida, insomma. Sono qui solo perché la padrona mi ha invitato. Diciamo che mi ha grattato la schiena, e adesso io gratto la sua. Che cosa vuole?» McLoughlin si sedette. «Prego, si accomodi», propose. «Mi sa che lei sia proprio una testa di rapa. Non sa decidersi.» Andò a sedersi lontano. «Che cosa indossava quando arrivò qui?» chiese McLoughlin. «Non sono affari suoi.» «Posso chiederlo alla padrona», precisò McLoughlin. «Ma tanto, a lei, che cosa gliene importa?» «Lei si limiti a rispondere. Prima lo farà, e prima la lascio in pace.» Wally fece un rumoraccio con la bocca. «Giacca verde, cappello marrone, scarpe nere, maglia blu e braghe rosa», recitò. «Li ha indossati per tanto tempo?» «Abbastanza.» «Quanto?»
«Tempi diversi. Il cappello e la giacca per cinque anni, direi.» «I pantaloni?» «Circa un anno. Erano un po' colorati, ma mi stavano bene. Ehi, non crederà per caso che li avessi rubati? Me li avevano regalati.» Era realmente indignato. «Ma no», lo rassicurò McLoughlin. «Niente di simile. Vede, Wally, il problema è che stiamo cercando un uomo che è scomparso e pensiamo che lei possa essere in grado di darci una mano.» Wally piantò bene i piedi per terra, uno davanti all'altro sotto la sedia, pronto per scappare. «Io non so niente di nessuno», dichiarò, assolutamente convinto. McLoughlin alzò le mani in segno di resa. «Tranquillo, Wally. A quanto pare non c'è stato alcun delitto. La moglie ci ha chiesto di cercarlo. Dice che lei passò a casa loro il giorno prima che sparisse. Così volevamo semplicemente sapere se lei si ricorda di essere stato lì e se ha visto o sentito qualcosa che potrebbe farci capire dove sia andato.» Wally lo guardò con i suoi occhi cisposi. «Io giro parecchio.» «Questa gente le regalò un paio di scarpe marrone.» Un'ombra di sollievo passò sul volto grinzoso. «Se la moglie era lì, perché non glielo può dire lei, dov'è andato suo marito?» chiese, seguendo un ragionamento che non faceva una piega. «Da quando il marito se n'è andato, si è ammalata gravemente», rispose McLoughlin tendendo la verità come un elastico. «Non è stata in grado di dirci un gran che.» «E che cos'ha fatto quest'uomo?» «Niente, ha solo perso tutti i suoi soldi e se n'è andato.» Ora Wally capiva meglio. «Povero bastardo. E lui, vorrà essere ritrovato?» «Non lo so. Lei, che cosa dice? So per certo che la moglie vuole che torni.» Wally ci pensò per un paio di minuti. «A me, nessuno è venuto a cercarmi», concluse infine. «A volte avrei voluto che lo facessero. Erano contenti, quando me ne andai. Ne sono sicuro. Continui, allora, mi faccia queste domande.» Ci volle più di un'ora, ma alla fine McLoughlin si fece un'idea abbastanza precisa di quelli che erano stati i movimenti di Wally durante l'ultima settimana di maggio, tenendo presente che era stato sbronzo quasi tutto il tempo. «Mi avevano regalato cinque sterline», spiegò. «Me le aveva ficca-
te in mano un vecchio nel centro di Winchester. Io le puntai su un ronzino che si chiamava Vagrant. Vinse undici a uno. Non avevo avuto tanti soldi da anni. Tirai avanti per tre settimane, prima di restare di nuovo a secco.» Per quasi tutte le tre settimane era rimasto nei pressi di Winchester poi, con le ultime sterline, si era incamminato per le strade secondarie in direzione di Southampton in cerca di altro denaro. «Mi piacciono i paesi», spiegò. «Mi ricordano le vacanze in bicicletta quando ero giovane.» Si ricordava di essersi fermato al pub di Streech. «Pioveva da matti», raccontò. «Il gestore era un brav'uomo che non mi fece storie.» La moglie, invece, era una vecchia vacca che, per motivi non meglio specificati, gli era subito stata antipatica. Alle tre lo cacciarono fuori e pioveva ancora. «Non è divertente, quando piove», spiegò con voce triste, «così me ne andai in un posticino che conoscevo per passarci il pomeriggio e la notte.» «Dove?» chiese McLoughlin. «Non ho fatto niente di male», si difese Wally. «Nessuno si è mai lamentato.» «Infatti non ho ricevuto lamentele», confermò McLoughlin. «Non si preoccupi, Wally. Io non la denuncio. Per quanto mi riguarda, se si comporta bene, può usarlo quando vuole.» Wally sporse le labbra rosee. «Da quelle parti c'è una casa grande. Il muro è facile da scavalcare. Ero stato nel giardino un paio di volte, e non avevo mai visto nessuno.» Osservò pensosamente McLoughlin per vedere se era interessato. In effetti lo era. «C'è una specie di grotta vicino al bosco», riprese. «Non riesco a capire a che cosa serva, dentro ci sono solo dei vecchi mattoni. La porta è nascosta da un intrico di rovi, ma è facilissimo entrare. Quando ci vado, mi porto sempre dietro delle felci per dormire meglio. Ehi, ma perché fa quella faccia?» McLoughlin scosse la testa. «Per nessun motivo. La sua storia mi interessa. Ha idea di che giorno fosse, Wally?» «Dio solo lo sa, ragazzo.» «E non vide nessuno, quando era in giardino?» «Nessuno.» «E in questa specie di grotta era buio?» «Be', non c'è elettricità, se è questo che intende, ma durante il giorno ci si vede bene. Sempre che la porta sia aperta, naturalmente», aggiunse. McLoughlin stette a pensare un momento come formulare la domanda successiva. «E quel luogo era vuoto, a parte i mattoni di cui parlava?» «Ma dove vuole arrivare?»
«Niente, da nessuna parte. Sto soltanto cercando di farmi un'idea chiara.» «Allora sì. Era vuoto.» «E che cosa accadde il mattino seguente?» «Restai da quelle parti fino all'ora di pranzo.» «Dove, nella grotta?» «No. Nel bosco. Era bello tranquillo. Poi mi venne un languorino allo stomaco e scavalcai il muro per andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.» Aveva bussato a diverse porte, ma senza trovare un gran che. «E perché non comprò qualcosa con i soldi che aveva?» chiese McLoughlin perplesso. Wally rispose in tono sprezzante. «Ma mi faccia il piacere! Perché dovrei comprare qualcosa che posso farmi regalare? I liquori no che non me li regalano. E comunque in quel momento non avevo più molti soldi.» Aveva trovato un gruppo di case nei dintorni di Streech dove «una vecchiaccia» gli aveva dato un panino. «E provò in qualche altra casa?» chiese. «Una ragazza mi cacciò via. Mi faceva pena, poveretta. Nel salotto aveva una decina di ragazzini che strillavano come ossessi.» Allora decise di lasciarsi alle spalle Streech e di incamminarsi. Dopo circa un'ora arrivò in un altro paese. «Non ricordo il nome, ragazzo, ma so che c'era un vicario. È sempre buona gente.» Si era fatto aprire dalla moglie del vicario e le aveva scroccato una tazza di tè e qualche pezzo di dolce. «Una brava donnetta, ma un po' troppo bigotta. Succede spesso, dai vicari. Ti danno da mangiare, ma in cambio devi ascoltare la predica. Me ne andai subito.» Poi aveva ripreso a piovere. «Un tempo stranissimo, mi creda. Di solito c'era un caldo da matti, ma ogni tanto si metteva a diluviare. Le conosce, queste piogge: grosse e pesanti. Fulmini e tuoni tremendi.» Si era guardato intorno in cerca di un rifugio. «Non riuscivo a trovare niente. Erano tutte casette con i loro bei garage. Non mi servivano a niente. Poi vedo una casa più grande, un po' arretrata rispetto alle altre. E mi viene in mente di andare in giardino per vedere se c'è un capanno degli attrezzi. Quatto quatto, seguo il muro della casa, ed eccola lì, proprio quella che cercavo, una bella capannetta e nessuno che mi vede. Apro la porta ed entro dentro.» Qui si fermò. «E poi?» lo incalzò McLoughlin. Negli occhi del vecchio ci fu un guizzo furbesco. «Mi sa che qui le sto dando un sacco di informazioni gratis, ragazzo. Io, che cosa ci guadagno?» «Cinque sterline», rispose McLoughlin, «se quello che mi dice le vale.»
«Facciamo dieci», propose Wally. Si guardò alle spalle per verificare che la porta fosse chiusa, poi si sporse in avanti come per dirgli un segreto. «Per la verità, ragazzo, qui mi sento un po' in prigione. La padrona fa del suo meglio, ma non è divertente. Sa che cosa voglio dire? Dieci sterline mi permetterebbero di andarmene per un giorno. Sono già qui da una settimana, perbacco. In prigione mi divertivo di più.» McLoughlin era combattuto. Se lui gli avesse dato quei soldi, il vecchio se ne sarebbe andato dalla Porta del Paradiso... poi decise che Wally era comunque sul punto di andarsene. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Dieci sterline per lui sarebbero state qualcosa per cominciare. «Affare fatto!» esclamò. «Che cosa accadde quando lei entrò in questo capanno?» «Mi guardai intorno in cerca di qualcosa su cui sedermi per stare un po' più comodo. E trovai un tizio nascosto dietro a degli scatoloni. Quando si rese conto che l'avevo visto, venne da me tutto tronfio e disse che dovevo andarmene perché quella era casa sua. Io gli chiesi, ovviamente, perché dovevo credere che fosse il padrone se si nascondeva nel capanno proprio come me. Lui si arrabbiò da matti e cominciò a insultarmi. Nel bel mezzo, dalla porta della cucina esce una donna per vedere che cosa c'è. Io le spiego come stanno le cose e lei mi dice che il tizio è suo marito e che era andato nel capanno per cercare un pennello.» Wally fece una smorfia. «Devono avere pensato che fossi nato ieri. I pennelli erano tutti in fila ordinati e puliti su un bancone di lato. Il tizio era nascosto, ne sono sicuro. Comunque presi la palla al balzo. Volevano cacciarmi, e avrebbero pagato perché me ne andassi. Mi feci dare una bottiglia di whisky, un paio di scarpe decenti e venti sterline. Cercai di scroccargli anche di più, ma mi resi conto che era inutile perché loro cominciarono ad arrabbiarsi. È quello, l'uomo che cercava?» McLoughlin annuì. «Gli somiglia molto. Sarebbe in grado di descrivermelo?» Wally corrugò la fronte. «Sul metro e ottanta, grasso, capelli grigi. Per essere un uomo, aveva il piede piccolo. Le scarpe che mi regalarono mi andavano strettissime.» «E la donna, com'era?» «Una faccia da topo, occhi tristi, ma Dio che caratterino! Sgridò me e suo marito perché avevamo fatto confusione.» D'un tratto assunse un'aria pensosa. «E non era vero, badi bene. Per tutto il tempo avevamo parlato a bassa voce.» Scosse la testa. «Due vecchi talponi.» McLoughlin era al settimo cielo. Ti ho beccata, signora Thompson, pen-
sò. «E poi, dove andò lei?» Wally tornò serio. «Secondo un modo di dire: meglio un uovo oggi, che una gallina domani. Aveva smesso di piovere, ma avevo l'impressione che sarebbe piovuto ancora. Così pensai: ho una bottiglia di whisky e non so dove andarla a bere. Se vado avanti, chissà se trovo un posto asciutto dove passare la notte. Così tornai indietro nella grotta della casa grande e passai una notte abbastanza tranquilla.» Osservò McLoughlin con la coda dell'occhio. «Il giorno dopo pensai che avevo un paio di sterline in tasca e da giorni non avevo mangiato niente di decente, così mi diressi verso Silverborne. C'è un bel bar lungo la strada...» «E si lasciò dietro qualcosa?» chiese McLoughlin. «Che cosa?» ribatté duramente il vecchio. «Le scarpe, per esempio.» «Le buttai nel bosco», rispose Wally infuriato. «Mi facevano vedere le stelle. È in queste cose che si distingue uno che ha esperienza. Un giovane avrebbe buttato via le vecchie scarpe prima di avere provato bene le nuove. Poi avrebbe dovuto soffrire fino a riuscire a trovarne delle altre.» McLoughlin si infilò il notes nel taschino. «Grazie infinite, Wally.» «Tutto qui?» McLoughlin annuì. «Dov'è il mio deca?» McLoughlin estrasse dal portafoglio una banconota da dieci sterline e gliela porse. «Mi stia a sentire, Wally. Le do dieci sterline, ma vorrei che lei si fermasse qui ancora una notte perché forse avrò bisogno di parlarle di nuovo. Se si ferma, torno domattina con altre dieci sterline, venti in tutto.» Gli consegnò la banconota. «Siamo d'accordo?» Wally si alzò e afferrò il denaro nascondendoselo sotto la camicia. «Ma dice sul serio?» «Se vuole le lascio una promessa scritta.» Wally fece come per sputare sul tappeto, ma poi cambiò idea. «Tanto non mi servirebbe a niente. D'accordo, affare fatto, ma se non torna domattina presto, io me ne vado.» Strinse gli occhi. «E si ricordi di non dirlo alla padrona di casa. Questa settimana ho lavorato tanto da spaccarmi la schiena. Qui non ti lasciano in pace un momento.» McLoughlin rise sotto i baffi. «Io so mantenere i segreti, Wally.» «Ho capito il disegno», annunciò McLoughlin a Walsh con un tocco d'ironia che fece scintillare gli occhi del suo superiore, «quando ho segnato
sulla piantina le case in cui mi avevano detto di avere visto il vagabondo.» Gli indicò alcune crocette rosse sulla cartina. «Come ricorderà, Nick Robinson raccolse due testimonianze. Una di una donna del Clementine Cottage che diceva che il vagabondo era passato di lì e poi si era recato al pub, il che significa che veniva dalla direzione di Winchester. L'altra del gestore del pub, secondo il quale si era fermato fino all'orario di chiusura e poi si era incamminato lungo il muro di Streech Grange, ovvero verso East Deller.» Seguì il percorso con il dito. «Le altre notizie che abbiamo del vecchio le raccolse l'agente Williams. Una donna anziana aveva regalato un panino al vagabondo e una giovane l'aveva mandato via perché era il compleanno di suo figlio. Entrambe abitano a ovest di Streech, sulla strada per East Deller. La giovane disse che era il ventisette di maggio. Ma quando parlammo con la signora Thompson, lei ci assicurò che il vagabondo era stato da loro il ventiquattro. In tal caso sarebbe tornato indietro per qualche motivo tre giorni dopo.» Walsh raccolse quello che gli restava della sua autorità cercando di darsi un contegno dignitoso. «Anch'io ho notato tutto questo», mentì. «Il fatto stesso che le scarpe siano state trovate a Streech Grange significa che tornò proprio indietro.» «È vero, per questo avevamo bisogno che qualcun altro di East Deller affermasse di averlo visto in una data precisa, se possibile. Jones andò a vedere che cosa riusciva a trovare. Fece due chiacchiere con il nostro vecchio amico, il vicario, che gli disse che stava scrivendo il sermone quando il vagabondo andò a suonare a casa sua. Il vicario non era in grado di dire che giorno fosse, però scrive sempre i sermoni di sabato. Dunque solo due persone ci hanno parlato di date precise: la signora Thompson del ventiquattro maggio, un mercoledì, e quella della festa di compleanno, ventisette maggio, un sabato. Wally afferma di essere stato prima sulla strada per East Deller, e poi dal vicario e dai Thompson, quindi dovrebbe trattarsi di un sabato, del ventisette maggio. Ma allora, perché la signora Thompson mente sulla data?» «Continui», gli ordinò Walsh in tono impaziente. «Perché di fronte alla sua palese bugia avevamo dimostrato che le scarpe erano proprio di suo marito e lei era stata costretta a spiegare per quale motivo non si trovavano più in casa sua. Questa volta optò per la verità, o per una verità molto vicina alla vera, e ci spronò a completare la storia descrivendoci il vagabondo. Come lei ricorderà, non le avevamo detto dove erano state rinvenute le scarpe. A quanto ne sapeva, le avevamo avute dal-
lo stesso vagabondo.» Si fermò per riordinare le idee. «Era sicura che, se avessimo parlato con il vagabondo, lui ci avrebbe detto di avere visto suo marito. Quindi, se ci avesse detto il giorno esatto in cui era andato a casa loro, sarebbe stato come dirci che suo marito era vivo, stava bene e si trovava a East Deller dopo che lei aveva denunciato la sua scomparsa. Così avrebbe perso l'alibi. Per questo mentì, dicendo che il vagabondo era stato da lei tre giorni prima. Fu un rischio, ma la manovra le riuscì quasi. Wally non aveva la più pallida idea della data, e se non fosse stato per il compleanno del bambino, non l'avremmo nemmeno noi. Nessun altro riesce a ricordarsi che giorno fosse.» Si fermò un momento. «Si prenderà un bello spavento quando le diremo dove aveva lasciato le scarpe Wally. Mai più avrebbe potuto immaginare che erano proprio nel luogo in cui si era proposta di compiere il delitto.» Walsh si alzò. «Giustizia poetica, direi. Ma vorrei proprio sapere come riuscì a convincerlo a sdraiarsi e come fece a portarlo nella ghiacciaia.» «Usi il suo fascino, e probabilmente ce lo dirà», propose McLoughlin. 20 Quando aprì loro la porta, la signora Thompson era sorridente. Era pronta per uscire e indossava un bel tailleur blu e un paio di guanti bianchi, ma aveva un aspetto un po' triste e sorpassato, come se i suoi gusti in fatto di moda risalissero agli anni Cinquanta. Dietro di lei nell'entrata c'erano due valigie. Una spolveratina di cipria sulle guance e un po' di rossetto sulle labbra le davano un'aria allegra, ma quando vide i poliziotti in forza davanti alla sua porta, rimase a bocca aperta. «Oh...!» esclamò delusa. «Credevo che fosse il vicario.» «Possiamo entrare?» domandò Walsh. «Ma quanti siete!» bofonchiò con un filo di voce. «È il diavolo che vi manda?» Walsh la prese per un braccio e la spostò, facendo entrare i suoi uomini. «Andiamo in salotto, signora Thompson? Non c'è motivo per stare qui sulla porta.» La donna tentò di resistergli. «Ma che cos'è?» chiese con gli occhi che le si riempivano di lacrime, puntando i piccoli tacchi nella moquette dell'entrata. «La prego, non mi tocchi.» McLoughlin le infilò la mano sotto l'altro braccio e insieme la sospinsero nel salotto, costringendola a sedersi su una poltrona. Mentre McLou-
ghlin la teneva seduta con una mano sulla spalla, Walsh ordinò ai suoi uomini di perquisire a tappeto la casa e il giardino. Le schiaffò davanti al naso il mandato di perquisizione, e poi se lo rimise nella tasca della giacca andando a sedersi di fronte a lei. «Bene, signora Thompson», riprese in tono gentile. «È pronta per la sua piccola vacanza al mare?» Lei si scrollò dalla spalla la mano di McLoughlin ma rimase seduta. «Il vicario dovrebbe venire da un momento all'altro per portarmi alla stazione», annunciò con dignità. McLoughlin notò una zona della testa in cui la donna cominciava a perdere i capelli. Si sentì stranamente imbarazzato come se lei si fosse tolta un capo di vestiario mostrando una parte che era meglio tenere nascosta. «Allora sarà meglio non menare il can per l'aia», disse Walsh. «Non vorrei farlo aspettare.» «Perché siete venuti? Perché i suoi uomini mi stanno perquisendo la casa?» Walsh intrecciò le mani sul grembo. «Si ricorda di quel vagabondo di cui ci parlava, signora Thompson?» Lei annuì brevemente. «L'abbiamo trovato.» «Ottimo. Allora saprete che vi dicevo la verità sulla grande generosità del caro Daniel.» «Sì, certamente. Ci ha raccontato inoltre che il signor Thompson gli regalò una bottiglia di whisky e venti sterline.» Gli occhi tristi si illuminarono. «Come vi dicevo, Daniel era un santo. Si sarebbe tolto la camicia di dosso, se gliel'avesse chiesta.» McLoughlin si sedette vicino a Walsh e si sporse in avanti con fare aggressivo. «Il vagabondo si chiama Wally Ferris. Gli ho parlato a lungo. Dice che lei e il signor Thompson volevate liberarvi di lui, è per questo che poi siete stati così generosi.» «Che ingrato», bisbigliò la donna con labbra tremanti. «Che cos'ha detto, nostro Signore? 'Date ai poveri e vostro sarà il regno dei cieli.' Il mio povero Daniel si è guadagnato il suo posto con tante buone azioni. Lo stesso non si può dire del vagabondo.» «Dice inoltre», riprese McLoughlin imperterrito, «che aveva trovato suo marito nascosto nel capanno in giardino.» La donna si mise a tremare come una foglia. «Veramente», rispose guardandolo dritto negli occhi, «accadde il contrario. Fu Daniel a trovare il vagabondo nascosto nel capanno. Era uscito in cerca di un pennello ed era
inciampato su un mucchietto di stracci dietro alcuni scatoloni. Si immagini che sorpresa quando gli stracci si misero a parlare.» La donna sembrava convinta e McLoughlin d'un tratto si chiese se non aveva creduto troppo a un vecchio che, come lui stesso ammetteva, era quasi sempre ubriaco. «Wally afferma che pioveva quando entrò nella vostra capanna. Ho verificato presso la stazione meteorologica e non risulta che venerdì ventiquattro maggio piovesse. I temporali cominciarono due giorni dopo e si ripeterono a intermittenza per tre giorni.» «Poveraccio», mormorò la donna. «All'epoca avevo detto a Daniel che dovevamo trovargli un medico. Era ubriaco e molto confuso. Pensi che mi chiese se ero sua sorella. Credeva che fossi finalmente andata a cercarlo.» «Ma, signora Thompson», riprese Walsh fingendosi sorpreso, «se era ubriaco quanto lei dice, perché gli regalaste una bottiglia di whisky? Non avrebbe soltanto peggiorato la situazione?» La signora Thompson alzò lo sguardo al soffitto. «Ci aveva pregati in ginocchio, ispettore. Chi eravamo noi per rifiutarci? Non giudicare, e non sarai giudicato. Se quel poveretto decide di uccidersi con l'alcol, non ho il diritto di condannarlo.» «Però ha il diritto di accelerare il procedimento, immagino», aggiunse McLoughlin in tono sarcastico. «È un pover'uomo che si consola solo con una bottiglia di whisky», rispose a bassa voce. «Sarebbe stato crudele negargli questo conforto. Gli consegnammo il denaro perché si comprasse da mangiare, gli regalammo le scarpe e gli consigliammo di farsi dare una mano per risolvere quel problema dell'alcolismo. Non potevamo fare nient'altro. Ho la coscienza a posto, sergente.» «Wally afferma di essere venuto qui di sabato, il ventisette maggio», precisò Walsh in tono vago. Lei corrugò la fronte e ci pensò un momento. «Ma non è possibile!» esclamò, davvero sorpresa. «Allora c'era Daniel. Non eravamo d'accordo che fosse il ventiquattro?» McLoughlin era affascinato da quella sua messinscena. Pensò che forse la donna si era convinta che la storia che raccontava fosse vera e aveva cancellato l'assassinio dalla propria memoria. Se era vero, sarebbe stato difficilissimo riuscire a processarla. Con la sola testimonianza di Wally, corroborata da quella della madre del bambino che compiva gli anni, non avrebbero avuto alcuna chance. Ci voleva una confessione. «Per la data abbiamo un altro testimone», annunciò.
«Davvero?» balbettò lei con un filo di voce. «Molto strano. Non ricordo che con lui ci fosse nessuno, e siamo così isolati qui.» Giocherellava con la croce e lo scrutava come per rimproverarlo. «Chi può essere, mi chiedo?» Walsh si schiarì la gola rumorosamente. «Le interessa sapere dove sono state rinvenute le scarpe di suo marito, signora Thompson?» «Non proprio», rispose lei. «Da quanto dicevate, immagino che il vagabondo, Wally, le abbia buttate via. Lo trovo offensivo nei confronti del ricordo del mio caro Daniel.» «Lei è proprio sicura che sia morto, vero?» domandò McLoughlin. Come per magia, comparve il fazzoletto di pizzo con cui la donna si asciugò le lacrime inevitabili. «Non mi avrebbe mai lasciata», ripeté per l'ennesima volta. «Le scarpe sono state rinvenute nel bosco di Streech Grange, a poca distanza dalla ghiacciaia», le comunicò Walsh, osservandola attentamente. «Davvero?» commentò educatamente la donna. «Wally passò la notte del ventisette maggio nella ghiacciaia e abbandonò le scarpe nel bosco il mattino seguente prima di andarsene.» La signora Thompson si posò il fazzoletto in grembo e stette a guardarli con espressione incuriosita. «Davvero?» ripeté. Sembrava realmente sorpresa. «E vi sembra importante?» «Immagino lei sappia che nella ghiacciaia di Streech Grange è stato ritrovato un cadavere...» le fece notare McLoughlin. «Si tratta di un maschio tra i cinquanta e i sessant'anni, costituzione robusta, capelli grigi, un metro e ottanta. Assassinato due mesi fa, circa all'epoca in cui suo marito sparì.» Ora sembrava davvero sbigottita. Per alcuni secondi il suo volto venne trasformato da un caleidoscopio di emozioni. I due uomini la guardavano da vicino, ma se c'era un senso di colpa, era impossibile isolarlo. Pareva più che altro sorpresa. «No che non lo sapevo», protestò. «Non ne avevo la più pallida idea. Nessuno mi ha detto niente. Chi è?» McLoughlin si girò verso Walsh, inarcando le sopracciglia. «E stato su tutti i giornali, signora Thompson», le spiegò l'ispettore, «e anche nei notiziari televisivi locali. Non capisco come lei possa non averlo sentito. Il cadavere tuttavia è talmente decomposto che non siamo ancora stati in grado di identificarlo. Naturalmente nutriamo qualche sospetto.» La scrutò con attenzione. La donna respirava profondamente, come se fosse in difficoltà. La cipria le spiccava sulle guance. «Non ho il televisore», spiegò loro. «Daniel prendeva il giornale in ufficio e mi raccontava le notizie quando tornava a
casa.» Riprese fiato a fatica. «Mio Dio!» esclamò portandosi una mano al petto con fare melodrammatico, «non me l'ha detto nessuno. Evidentemente volevano risparmiarmi questo dolore. Non ne avevo la più pallida idea. Non ho saputo niente.» «Non ha saputo che era stato trovato un cadavere, o che c'era un cadavere da trovare?» domandò McLoughlin. La donna ci mise un momento per capire l'allusione. «Ovviamente non avevo idea che ci fosse», sbottò, lanciandogli un'occhiata piena di odio. Cercò di regolarizzare il respiro e tornò ad assumere la solita espressione inasprita. Quindi si rivolse a Walsh: «Ora capisco perché vi interessavano tanto le scarpe di Daniel», disse. Un tic improvviso le contorse il labbro superiore. «Lei ritiene che possano avere qualcosa a che fare con questo cadavere che avete trovato?» «Forse», rispose l'ispettore tenendosi sul vago. Negli occhi di lei passò un lampo di trionfo. «Però questo vagabondo che avete trovato ha dimostrato che non è possibile. Lei dice che passò la notte del ventisette nella... com'è che la chiamava?» «Ghiacciaia.» «Giusto, nella ghiacciaia. Immagino che non si sarebbe fermato se ci fosse stato il cadavere, quindi deve essersi liberato delle scarpe prima che il cadavere arrivasse lì.» Parve rilassarsi un po'. «Non vedo una connessione, solo pura coincidenza.» «Lei ha perfettamente ragione», confermò Walsh. «In quel senso non ci sono connessioni.» «E allora, perché continuate a farmi domande?» «Per pura coincidenza abbiamo trovato il vagabondo, signora Thompson, e scoperto alcune cosette interessanti relative a lei e a suo marito. Siamo in grado di dimostrare che era vivo e si trovava in questa casa due giorni dopo che lei ne denunciò la scomparsa e ben dopo lo scadere del suo alibi. Il signor Thompson da allora non è più stato visto e una settimana fa fu trovato un cadavere non identificabile che corrisponde alla descrizione che abbiamo di suo marito e si trova a circa cinque chilometri da qui. Francamente abbiamo le prove che lei l'ha ucciso il ventotto maggio o dopo.» Il tic si fece più forte. «Non può essere Daniel.» «E perché no?» volle sapere McLoughlin. La donna tacque cercando di riordinare freneticamente le idee. «Perché no?» insisté il sergente.
«Perché ho ricevuto una sua lettera circa due settimane fa.» Scoppiò di nuovo a piangere. «Era una lettera orribile, in cui diceva quanto mi odia e che sono stata una pessima moglie...» McLoughlin la interruppe: «Vuole farci vedere questa lettera, per favore?» «Non posso», gemette lei. «L'ho bruciata. Aveva scritto cose così orribili...» Un agente in divisa bussò ed entrò. «Abbiamo perlustrato tutta la casa e il giardino, signore.» Scosse la testa in risposta allo sguardo interrogativo di Walsh. «Ancora niente. Mancano soltanto questa stanza e le valigie della signora. Sono chiuse a chiave.» La donna afferrò la borsa e se la tenne stretta. «Non vi darò le chiavi. Non caccerete il naso nelle mie valigie, contengono biancheria intima.» «Vada a cercare una donna poliziotto», ordinò l'ispettore. Poi si chinò sulla signora Thompson. «Mi dispiace, ma devo insistere. Se preferisce, potrà assistere mentre l'agente verifica il contenuto dei suoi bagagli.» Le tese la mano. «Le chiavi, prego.» «Bene, benissimo», sbottò lei frugando nella borsa. Tirò fuori due piccole chiavi legate con un nastro bianco. «Io comunque trovo che sia una vera vergogna e intendo sporgere denuncia alle autorità competenti.» Walsh capì perché si fosse opposta tanto strenuamente a far controllare le valigie quando vide emergere indumenti intimi in pizzo nero che avrebbe creduto più adatti a una prostituta che a quella donnetta squallida e noiosa. Ma la sua carriera l'aveva portato a scoprire che spesso le donne più insignificanti possiedono biancheria intima di foggia seducente. Sua moglie, per esempio. Andava sempre a dormire avvolta di seta o soffice raso, quando ad ammirarla c'era solo lui. E per molto tempo l'aveva effettivamente ammirata, e aveva fatto del suo meglio per dimostrarglielo, ma anni di sdegnosi rifiuti gli avevano fatto capire che la signora Walsh non sceglieva la biancheria perché lui la guardasse, ma per un suo piacere segreto. Da tempo aveva rinunciato a capire il vero motivo. La donna poliziotto scosse la testa richiudendo le valigie. «Qui dentro non c'è niente, signore.» «E sì che ve l'avevo detto», mormorò la signora Thompson. «Non capisco proprio che cosa stiate cercando.» «La borsetta, prego.» La donna la consegnò con una smorfia di disgusto. Venne vuotata sul tavolo, palpata in cerca di oggetti nascosti nella fodera, poi furono analiz-
zati singolarmente i contenuti. «Sembra tutto a posto, signore», riferì la donna poliziotto con uno sguardo interrogativo. Walsh le fece cenno di rimettere tutto nella borsa. «Preferisce aspettare fuori, mentre perquisiamo questa stanza?» chiese alla signora Thompson. Lei si sistemò meglio sulla poltrona tenendosi stretta al cuscino come se l'avessero minacciata di farla alzare con la forza. «Niente affatto, ispettore.» Una volta dato il via alla perquisizione, Walsh riprese l'interrogatorio. «Lei dice di avere ricevuto una lettera di suo marito. Perché non ce ne aveva parlato prima?» La donna si ritrasse, rincantucciandosi in un angolo della poltrona. «Perché ormai non mi resta che l'orgoglio. Non volevo far sapere a nessuno come mi aveva trattata.» Si strofinò gli occhi asciutti. «Da dove era stata spedita?» chiese McLoughlin. «Da Londra, penso.» «Probabilmente era scritta a mano», aggiunse tra sé. «Immagino che suo marito non avrà avuto a disposizione una macchina per scrivere.» La donna annuì. «Infatti.» «Com'era la busta?» Lei ci pensò un momento. «Bianca», rispose infine. McLoughlin scoppiò a ridere. «Non funziona proprio. Lei non può continuare a tirare fuori menzogne da quel cilindro e sperare che ce le beviamo tutte. Verificheremo con il postino. In un paese come questo, sarà lo stesso da anni. Magari è l'uomo che gestisce il negozietto con ufficio postale annesso vicino alla chiesa. Negli ultimi mesi le lettere per lei avranno certamente stuzzicato la sua curiosità. Le avrà studiate attentamente una per una nella speranza di essere il primo ad avere qualche notizia di Daniel. Non ci convincerà che suo marito è ancora vivo inventandosi lettere, signora Thompson.» Lei lanciò un'occhiata alla donna poliziotto che frugava nella credenza. «Chieda pure al postino, sergente. Avrà una conferma del fatto che dico la verità.» Parlava in tono sincero, ma lo sguardo che aveva negli occhi era freddo e calcolatore. «Se solo avessi saputo che cosa avevate in mente, vi avrei detto della lettera la prima volta che siete venuti.» McLoughlin si alzò e si chinò su di lei appoggiandosi con le mani ai braccioli della poltrona. «Perché allora è rimasta così scioccata quando ha saputo del cadavere nella ghiacciaia? Se sa che suo marito è vivo...» «Ispettore, quest'uomo mi minaccia», strillò lei. «Non mi piace.» Si rin-
tanò ancora di più nella poltrona. «Indietro, Andy.» «Ma con piacere!» Senza alcun preavviso la prese per un braccio e si ritrasse. Lei uscì dalla poltrona come un turacciolo da una bottiglia di spumante, poi si dimenò e sputò con cattiveria. Lui non allentò la stretta, evitò un pugno e avvertì la saliva calda di lei sulla guancia. «La poltrona, signore!» esclamò. «Nasconde qualcosa.» «Ecco qua.» McLoughlin le afferrò entrambe le braccia curvandosi indietro per evitare i calci. «Forza, ragazzi», gridò infuriato a due poliziotti che se ne stavano lì impalati. «Mi sta distruggendo. Chi ha le manette, cacchio!» «Bastardo!» strillava lei. «Maledetto bastardo!» Preparò un altro sputo e glielo scagliò addosso. Con estremo disgusto McLoughlin fu colpito al labbro e si sentì colare la saliva in bocca. Gli agenti parvero risvegliarsi da una specie di torpore. La ammanettarono e la spinsero sul divano. Lei osservò i vani tentativi di McLoughlin di liberarsi del veleno che gli aveva iniettato e scoppiò a ridere. «Le sta proprio bene! Spero anzi che si becchi qualcosa.» «A quanto pare, ho beccato lei», commentò McLoughlin con amarezza. Poi, rivolto a Walsh, chiese: «Che cos'è?» Walsh gli consegnò una busta. «Deve averla sfilata dalla borsetta mentre stavamo tutti a bocca aperta davanti alle sue stupide mutande di pizzo.» Ridacchiò allegramente. «Tempo perso, cara signora, prima o poi l'avremmo trovata.» McLoughlin aprì la busta. Conteneva due biglietti aerei a nome del signore e della signora Thompson per un volo per Marbella per quella sera. «Dov'è stato nascosto per tutto questo tempo?» chiese. «Andatevene al diavolo!» «Signora Thompson, signora Thompson!» la ammonì una voce sorpresa dall'ingresso. «Si controlli, la prego.» La donna scoppiò a ridere. «Vada a fare in culo anche lei!» «Ma è pazza?» chiese il vicario inorridito. «In un certo senso sì», confermò allegramente l'ispettore Walsh. 21 Anne rise quando McLoughlin le raccontò l'accaduto. Il suo viso aveva ripreso colore e gli occhi erano divertiti. L'unico segno visibile dell'aggres-
sione era la vistosa sciarpa a pois rossi e bianchi che si era legata sopra la fasciatura a mo' di bandito. Contro l'opinione dei medici si era dimessa il giorno prima affermando che cinque giorni in ospedale erano proprio il massimo che una drogata come lei potesse tollerare. Sapendo che era inutile opporsi, Phoebe l'aveva portata a casa strappandole la promessa che le avrebbe obbedito. Anne non si fece pregare. «Dammi solo una sigaretta e farò tutto quello che vorrai.» Non sapeva, tuttavia, che Phoebe si era anche presa la responsabilità per lei. «Se esce dall'ospedale, signora Maybury, non saremo in grado di proteggerla», aveva sottolineato Walsh, «più di quanto siamo in grado di proteggere lei. Non abbiamo abbastanza uomini per sorvegliare Streech Grange. Le suggerirei di starsene tranquilla all'ospedale proprio come ho consigliato a lei di andarsene.» «Non sprechi il fiato, ispettore», replicò Phoebe. «Questa è la nostra casa. Se dovessimo dipendere da voi, per la protezione, non varrebbe la pena di viverci.» Walsh si strinse nelle spalle. «Lei è proprio una donna molto avventata, signora Maybury.» Diana, che si trovava nella stessa stanza, era furibonda. «Mio Dio, che squallore!» esclamò. «Due giorni fa non credeva a una parola di quello che diceva Phoebe. Adesso, perché il sergente McLoughlin si è preso la briga di trovare qualche prova, le dà della pazza per non essersene andata su suo suggerimento. Mi stia bene a sentire: l'unica cosa che è cambiata qui negli ultimi due giorni è la sua idea.» Batté il piede per terra in preda all'esasperazione. «Perché diavolo dovremmo scappare oggi se non ce ne siamo andate ieri o il giorno prima? Il pericolo resta lo stesso, no? E chi crede che ci abbia protette, per tutto questo tempo?» «Chi, signora Goode?» Per tutta risposta lei gli voltò le spalle. «Ci siamo protette da sole, ovviamente», rispose Phoebe con durezza, «e continueremo a farlo. I cani sono i migliori guardiani che abbiamo.» Anne sedeva sulla sua poltrona preferita, sollevata su diversi cuscini, e appoggiava i piedi sullo sgabello imbottito di Phoebe. Sulle spalle aveva una vecchia giacca che fungeva da vestaglia e si era infilata una matita dietro l'orecchio. McLoughlin pensò che non gliene importava niente di quello che potevano pensare gli altri. Il messaggio era semplicissimo: sono così come mi vedete, prendere o lasciare. Si chiese se fosse tanto sicura di sé o solamente menefreghista. Qualunque cosa fosse, avrebbe desiderato esser-
ne partecipe. Dal canto suo, sentiva di avere ancora bisogno dell'approvazione degli altri. «E allora, dove si nascondeva il signor Thompson?» volle sapere Anne. «La moglie non ce l'ha voluto dire, ma non è stato difficile trovarlo. Si presentò come un agnellino per il volo delle diciannove e trenta per Marbella.» «Scappava con la refurtiva?» McLoughlin annuì. Una volta catturato e identificato da Wally, Daniel Thompson si era offerto di collaborare. Aveva spiegato che l'idea era venuta loro leggendo un libro in cui era descritta la bella vita che i malversatori inglesi conducevano sulla riviera spagnola. Gli affari di Thompson erano in declino e si era lamentato con la moglie di dover lavorare come un matto per tenersi a galla mentre altri, che si erano trovati ad affrontare situazioni analoghe, avevano preso il denaro ed erano andati a goderselo. La soluzione gliel'aveva suggerita la moglie: avrebbero seguito il sole. Non avevano discendenti, a lei l'Inghilterra non era mai piaciuta, e aveva sempre odiato East Deller e la mentalità della gente, e non aveva la minima intenzione di economizzare per altri dieci anni per aiutare il marito a tenersi a galla. «La cosa più incredibile è la facilità con cui ero riuscito a convincere la gente a investire nella produzione di radiatori trasparenti», spiegò Thompson. «Questo dimostra quanti soldi e quanto poco cervello abbiano qui al Sud.» McLoughlin pensò che quell'uomo somigliava vagamente ad Arthur Daley. «Di che materiale sono i radiatori trasparenti?» gli chiese incuriosito. «Di vetro resistente al calore», rispose Thompson, «lo stesso che si usa per quei recipienti da cucina. L'idea era di colorare l'acqua del circuito per poterla osservare attraverso le pareti trasparenti.» «Secondo la signora Goode avrebbe rivoluzionato l'architettura per interni...» Quello stinco di santo di Daniel sospirò. «L'ironia della sorte è che forse aveva ragione. Avevo scelto quel genere di articolo perché era possibile produrlo e anche abbastanza assurdo da rendere verosimile la bancarotta. Si immagini la sorpresa quando, senza farmi alcuna pubblicità, l'azienda cominciò a decollare. Allora, ovviamente, era troppo tardi. In quel momento sarebbe stato difficilissimo riuscire a mettere in piedi qualcosa di duraturo. Per giunta Maisie, mia moglie», spiegò con solerzia, «aveva deciso di trasferirsi sulla Costa del Sol. Purtroppo», balbettò con sguardo assente. «Magari avrei fatto fortuna e saremmo andati lì comunque a goderci la
pensione.» «Ma perché avete inscenato tutta quella storia della sparizione? Perché non avete fatto i bagagli e ve ne siete semplicemente andati?» «Le fughe notturne incuriosiscono la gente», rispose lui con un certo orgoglio, «e destano sospetti. Non volevamo metterci contro gli spagnoli. Non sono più facili come un tempo. Finché Maisie restava, la gente la compativa per avere sposato un uomo così debole e inetto.» «E allora, dov'è stato per questi due mesi?» «A East Deller», rispose, come se la domanda l'avesse sorpreso, «fino a due sere fa, quando mi trasferii in una pensione in modo che Maisie potesse fare i bagagli. Le vostre visite cominciavano a farsi un po' troppo frequenti per i miei gusti...» «Era nascosto in casa sua?» L'uomo annuì. «Non c'era alcun pericolo. Maisie mi telefonò in albergo a Londra dopo la prima volta che la polizia aveva perquisito la casa e il giardino. Tornai a casa la sera del ventisei e mi sistemai in soffitta. Ci sembrava più sicuro, dato che era stata fatta circolare la mia fotografia.» «Wally la trovò nel capanno degli attrezzi», sottolineò McLoughlin. «Quello sì che fu uno sbaglio», ammise Thompson. «Pensavamo che fosse il posto più sicuro perché sarebbe stato facile scappare se la polizia si fosse ripresentata all'improvviso. Ovviamente però era anche il posto in cui era più facile entrare. Sarebbe potuto entrare chiunque, e non avrebbe avuto nessuna importanza», precisò. «Maisie mi aveva nascosto dietro un mucchio di scatoloni, e chiunque fosse entrato per caso non mi avrebbe visto.» Unì gli indici grassocci. «Ma quel vecchio cercava anche lui un nascondiglio. Non so chi si sia spaventato di più, quando spostò gli scatoloni, se lui o io.» «La polizia effettuò due perquisizioni», gli fece notare McLoughlin. «Com'è che riuscì a farla franca la seconda volta?» «Perché ce l'aspettavamo. Avevamo pensato che se fossero venuti a sorpresa e non avessero trovato niente, si sarebbero messi il cuore in pace che ero effettivamente scappato lasciando Maisie. Così mia moglie fece una telefonata anonima per provocare un'altra perquisizione. Passammo due giorni d'inferno ad aspettare, ma quando arrivarono eravamo pronti. Saltai semplicemente la siepe in fondo al giardino e mi nascosi tra i cespugli dei nostri vicini fino a quando Maisie mi diede un segnale di via libera.» Sorrise bonariamente. Era proprio come Diana l'aveva descritto: una specie di armadio. Il sorriso gli divise il volto grassoccio in due metà, quella infe-
riore era pendula e provvista di doppio mento. «In seguito non ci furono altre difficoltà fino a quando non trovaste quel paio di scarpe.» McLoughlin confermò. «Tuttavia correvate grossi rischi, certamente i vicini andavano a trovare sua moglie di continuo.» «Non dopo che Maisie si inventò quella splendida mania per il sesso», spiegò Thompson. «Le donne continuarono a venire per un paio di giorni per pura cortesia, ma è incredibile come l'imbarazzo metta le ali ai piedi alla gente. Maisie avrebbe dovuto fare l'attrice, gliel'avevo sempre detto. L'idea della soffitta la prendemmo dal Diario di Anna Frank», ammise. «E davvero non ne sapeva niente del cadavere trovato nella ghiacciaia? Questo mi sorprende molto.» «Fu una noia tremenda», ammise Thompson, mostrandosi seccato per la prima volta. «Ovviamente non poteva cambiare le sue abitudini. Se avesse preso in affitto un televisore o cominciato all'improvviso ad acquistare i giornali, la gente avrebbe pensato che riprendesse a interessarsi del mondo. Si sarebbe creata un'immagine sbagliata, capisce?» McLoughlin annuì. «E nessuno gliene parlò perché tutti temevano che quel cadavere fosse il suo.» Daniel sospirò. «Ci siamo dati la zappa sui piedi.» «Ma che cosa aspettavate per partire? Avreste potuto andarvene alcune settimane fa.» «Eravamo avidi», confessò Thompson. «Volevamo il denaro che ci sarebbe derivato dalla vendita della casa. Per una proprietà come questa si parla di duecentocinquantamila sterline. Era come la ciliegina sulla torta. Secondo i nostri piani, Maisie avrebbe dovuto essere sempre più depressa, sino a quando non fosse stato evidente che l'unica soluzione possibile fosse che si trasferisse in un luogo che per lei non conservava brutti ricordi e vendesse la casa. Nessuno avrebbe sospettato. A dire il vero, anzi, la gente sarebbe stata contenta che se ne andasse. Una volta incassato il denaro, avremmo preso un traghetto per la Francia e da lì saremmo partiti per la bella Spagna.» «E avevate intenzione di usare i passaporti?» L'uomo annuì. «Ma la sua scomparsa era stata denunciata, signor Thompson. Sareste stati fermati.» «Oh, non credo proprio, sergente», precisò Thompson. «Dopo sei mesi, passata la tempesta, con centinaia di persone che viaggiano avanti e indietro, una coppia di mezza età con un nome così comune non avrebbe desta-
to alcun sospetto. E poi mia moglie avrebbe potuto testimoniare che ero ricomparso. Del resto, non esiste un mandato di cattura, vero?» Inclinò la testa e stette a guardare McLoughlin divertito. «No», ammise il sergente. «Sono stato un inetto», riprese Thompson, «devo ammetterlo. Ma nessuno ha perso molto denaro nella mia impresa.» Si mise le mani sul grosso ventre. «I miei impiegati hanno trovato lavoro altrove, e il Servizio Sanitario Nazionale versò loro quei contributi che avevo, diciamo 'preso a prestito' per tenermi a galla.» Corrugò la fronte. «In questo senso, devo riconoscere il merito del mio braccio destro. Ha condotto tutte le negoziazioni per conto dei dipendenti, o almeno così mi ha riferito Maisie. Un ragazzo molto in gamba, grande organizzatore, onesto fino in fondo. Riuscì a sistemare le cose per tutti. Certo, fu poco carino con Maisie al telefono e disse che ero un pasticcione dilettante, ma non gli porto rancore.» Si tolse un pelucco dal maglione. «Gli investitori avevano scommesso sulla mia azienda, e purtroppo gli andò male, ora tuttavia hanno investito il loro denaro in modo più remunerativo. Ne sono contento. Mi dispiaceva di averli traditi.» «Un momento», precisò duramente McLoughlin. «Lei non li tradì, signor Thompson. Lei si appropriò indebitamente del loro denaro, che è ben diverso.» «E chi lo dice?» «L'ha ammesso lei stesso.» «Quando?» McLoughlin si rivolse all'agente Brownlow che prendeva appunti in stenografia. «Cerchi il punto in cui affermava che l'idea gliel'avevano suggerita i malversatori inglesi che si danno alla bella vita in Spagna.» La donna sfogliò il notes. «Non affermò proprio di essere un malversatore», ammise dopo qualche istante, «ma soltanto che gli affari erano in declino.» «Un po' più avanti», ordinò McLoughlin. «Affermava che fu incredibilmente facile riuscire a convincere la gente a investire nella produzione di radiatori trasparenti.» «Infatti», confermò Thompson. «Fu un'ottima idea.» «Maledizione!» sbottò McLoughlin. «Lei ha affermato che era un genere di articolo abbastanza assurdo da poter rendere verosimile la bancarotta!» «E i fatti dimostrarono che avevo ragione. Andò proprio così.» «Lei non fece bancarotta perché gli affari andavano male. Lei si appro-
priò indebitamente del denaro. Come diceva, l'impresa era sul punto di decollare.» Thompson sospirò. «Sono sicuro che sarebbe andata a gonfie vele se avessi avuto un po' più bernoccolo per gli affari. Il mio problema, come cercavo di spiegarle, è che mi manca l'esperienza. Ci vuole arrestare, sergente?» «Ma sicuro, signor Thompson!» «Sulla base di quale accusa?» «Tanto per cominciare, per avere fatto perdere un sacco di tempo alla polizia, poi sicuramente troverò qualcuno che sia disposto a formalizzare un'accusa più seria.» «Chi?» «Uno dei suoi creditori, la signora Goode.» «Dirò al mio avvocato che si metta d'accordo con lei privatamente», gli assicurò in tono tranquillo. «Sarà molto più facile che seguire me durante un processo.» «E poi denuncerò sua moglie per tentata aggressione.» «Povera Maisie. È demente, lo sa?» Un sorriso gli illuminò il volto. «Il più delle volte non sa quello che fa. Qualche seduta con un medico in gamba le sarà molto più utile di un processo. Sono certo che il vicario sarà d'accordo con me.» «Siete due imbroglioni.» «Che parola dura, sergente. In realtà sono un vigliacco perché non ho saputo far fronte alla delusione di quanti avevano riposto in me la loro fiducia. Sono scappato, e mi sono nascosto. Un comportamento spregevole, lo ammetto, ma non criminale.» Sembrava tranquillo e sincero, ma gli tremava il doppio mento. McLoughlin non sapeva se fosse divertito o contrito. Quando ebbe finito il racconto, Anne si sbellicava dalle risate. «E lei li ha lasciati liberi?» McLoughlin sorrise impacciato. «Era come cercare di tenere ferme due anguille. Ogni volta che mi sembrava di essere riuscito a incastrarli su qualche punto, mi sgusciavano via. Adesso sono a casa loro, ma tra un paio di settimane dovranno comparire in giudizio. Nel frattempo mi sono messo in contatto con il braccio destro di Thompson, che è tuttora infuriato, e gli ho detto di esaminare i libri contabili assieme a un ragioniere per scoprire le prove della malversazione.»
«Non troverà niente», dichiarò Anne asciugandosi gli occhi. «Il signor Thompson mi sembra un vero esperto. Avrà già investito tutto per benino in una villa in Spagna.» «Può darsi.» McLoughlin stiracchiò le braccia e si mise più comodo. Aveva passato un'altra notte in bianco ed era stanco. Jane aveva detto ad Anne che McLoughlin faceva un lavoro che non era adatto a lui. Perché? Anne gliel'aveva chiesto. Perché era troppo sensibile ai problemi degli altri. Lo osservò attraverso la cortina di fumo della sigaretta. Non possedeva l'ingenuità della figlioccia, quindi la sua valutazione non era inquinata dai sentimenti. Forse lo desiderava, ma non per questo era meno obiettiva. Non è che fosse troppo sensibile riguardo ai problemi degli altri, decise, ma troppo sensibile verso se stesso, una trappola, agli occhi di Anne, in cui troppi uomini cascavano. Chi si prende la briga di crearsi un'immagine socialmente accettabile, indossa una camicia di forza. Si chiese quando fosse l'ultima volta che McLoughlin era riuscito a ridere di sé... se mai l'aveva fatto. Per lui la vita doveva essere una serie di ostacoli da superare nel migliore dei modi. Ogni ostacolo che non viene superato al primo colpo, rappresenta un insuccesso. «A che cosa sta pensando?» chiese McLoughlin. «Mi chiedevo per quale motivo gli uomini si prendono sempre così sul serio.» «Non me n'ero mai accorto.» «Sto cercando di farmi venire in mente se ne conosco qualcuno che sia diverso da tutti gli altri su questo punto. Quel suo signor Thompson mi sembra un candidato possibile.» Dimenò le dita dei piedi sullo sgabello. «I problemi delle donne dipendono dalla programmazione biologica. Se non fossero disposte a riprodursi e a crescere una nuova generazione, la specie si estinguerebbe. La frustrazione della donna deriva proprio dal mancato riconoscimento da parte della specie in generale dei sacrifici che lei compie per il bene di tutti. Nessuno ti paga un soldo per avere fatto il tuo dovere ventiquattr'ore su ventiquattro badando a una famiglia; non si riceve un titolo per avere insegnato ai propri figli a essere cittadini onesti; nove volte su dieci nemmeno i figli ti ringraziano per quello che hai fatto, e talvolta ti dicono persino che non ti hanno chiesto loro di metterli al mondo.» Spense la sigaretta nel portacenere e rise sotto i baffi. «Fare la madre è un lavoro da cani. Non c'è organizzazione, niente arbitri imparziali, licenziamento per oltraggi ripetuti né prospettive di promozione. Il ricatto emotivo e le molestie sessuali sono estremamente diffusi, i ceffoni all'ordine del gior-
no.» Si sporse in avanti con occhi luccicanti. «Nessun uomo lo tollererebbe. Il suo ego ne soffrirebbe.» McLoughlin imprecò tra sé per essere caduto in una trappola. Avrebbe dovuto fidarsi delle sue prime impressioni e tenersi alla larga da quella donna. Avrebbe dovuto offrire prestazioni molto particolari a letto perché valesse la pena di sopportare tutte quelle stupidaggini femministe prima di arrivare al dunque. In fondo, c'era poi tanta differenza tra lei e sua moglie? Le lamentele erano le stesse, ma in questo caso gli erano state espresse con maggiore proprietà di linguaggio. Si ripromise di restare solo. Non aveva la voglia né la forza di litigare ogni volta che voleva fare l'amore. Se il prezzo del piacere era la resa, ne avrebbe fatto a meno. Aveva dovuto accettare i mali di testa di sua moglie e tenersi sveglio per guardare squallidi film del sabato notte prima di trovare la sua disponibilità. Non era certo così scemo da farlo per una donna a cui non era legato. Si alzò di scatto per dare sfogo all'ira e alla delusione che aveva accumulato. «Mi permetta di dirle una cosa, signorina Cattrell. Sono stufo marcio di stare a sentire donne che si lamentano del loro destino. Siete tutte così maledettamente convinte che gli uomini pensino solo a divertirsi e a maltrattarvi.» Andò ad appoggiarsi al camino e rimase a guardare il fuoco spento. «Credete che il vostro sia l'unico sesso a soffrire per questioni di programmazione biologica? La pressione che l'uomo avverte su di sé è infinitamente più grande. Se non fossimo stati programmati in modo da seminare il nostro seme, la poca disponibilità da parte delle donne avrebbe portato all'estinzione della specie umana già molti secoli fa. Non è certo semplice convincere una donna a fare l'amore. Costa denaro, fatica e impegno emotivo oltre al trauma dei continui rifiuti. Se un uomo vuole fare il proprio dovere nei confronti della società, deve passare la vita incatenato ammazzandosi di lavoro per accontentare la sua donna e per nutrirla in modo che lei prima sia disposta a portare i suoi figli, e poi li accudisca a dovere.» Si girò a guardarla. «È umiliante e degradante», sottolineò duramente. «Il mio impulso a procreare non è diverso da quello di un cane. Per natura entrambi desideriamo deporre il nostro sperma in una femmina feconda, l'unica differenza è che il cane non deve spiegare il motivo per cui desidera farlo, mentre io sì. Provi a pensarci la prossima volta che ha voglia di calpestare l'ego di un uomo. È estremamente fragile. Ha ragione che mi prendo sul serio, ovvio, devo farlo! Mi resta solo l'ufficio dove le regole comportamentali valgono ancora e non devo ammazzarmi per raggiungere i
miei obiettivi.» Anne prese una mela da una ciotola e gliela lanciò. «Ottimo, McLoughlin. Tra un momento mi dirà che preferirebbe essere una donna.» La guardò attentamente, vide che sorrideva e rise a sua volta. «In effetti ha ragione. Lei mi sta provocando.» «No», precisò Anne sorridendo, «sto cercando di calmarla. La vita è una semplice farsa dall'inizio alla fine, con qualche piccola parentesi di tragicommedia tanto per variare. Se non fosse così, gli uomini si sarebbero annientati anni fa. Nessuno sarebbe in grado di tollerare una tragedia lunga settant'anni. Quando morirò, probabilmente di cancro, Jane ha promesso di fare incidere sulla mia tomba: 'Qui giace Anne Cattrell che la buttava sempre sul ridere. Era buffa, ma almeno lo sapeva'.» Lanciò in aria un'altra mela e la riprese. «Tra un paio di settimane, se riesce a tenermi dietro, lei potrebbe diventare cinico come me, McLoughlin. E sarebbe un uomo felice.» McLoughlin si sedette con la mela in bocca e prese la valigetta. «Lei non è affatto cinica», precisò, stringendo la mela tra i denti. Anne sorrise. «Che cosa glielo fa pensare?» «Ho letto il suo diario.» Aprì la valigetta, la socchiuse e tirò fuori il quaderno. Lei gli lanciò un'occhiata incuriosita: «Le è piaciuto?» «Doveva piacermi?» «No», rispose duramente la donna. «Non l'ho scritto perché fosse pubblicato.» «Per fortuna», precisò McLoughlin. «Ha bisogno di qualche taglio prima di essere letto.» Anne lo fulminò con un'occhiataccia. «Parla l'esperto...» Si sentiva terribilmente offesa. Quello che scriveva, anche solo per sé, per lei contava moltissimo. «So leggere.» «E io so tenere in mano un pennello. Per questo non sono un'esperta di arte.» Guardò ostentatamente l'orologio. «Non dovrebbe cercare di risolvere un caso di omicidio? A quanto sembra, lei non ha ancora fatto alcun passo avanti per scoprire a chi appartiene quel cadavere o, del resto, chi mi ha colpita alla testa.» Non le importava affatto di quello che lui poteva pensare. Tanto era solo un poliziotto, perché si sentiva così sconvolta? McLoughlin continuava a sbocconcellare la mela. «P. va tolto», le fece notare. «P. rovina tutto.» Le buttò il diario sulle ginocchia. «Il pugnale è
ancora in centrale in attesa della sua firma. Questo l'ho recuperato per evitare che Friar fotocopiasse di nascosto le parti più piccanti.» Sedeva con le spalle alle finestre, tanto che Anne non riuscì a capire se stesse scherzando o meno. «Peccato. Forse Friar se lo sarebbe goduto.» «Mi parli di P., Anne.» La donna lo osservò cautamente. «Che cosa vuole sapere?» «L'avrebbe aggredita?» «No.» «È sicura? Magari è di quei tipi gelosi. Lei è stata colpita proprio con una delle sue bottiglie di Special che lui, a quanto pare, non lascia mai uscire dal puh.» Avrebbe potuto affermare che P. e Paddy non erano la stessa persona, la prospettiva che McLoughlin incontrasse il P. di cui aveva letto la spaventava alquanto, ma sarebbe stato un gesto civettuolo, e Anne non era mai civettuola. «Ne sono sicura», affermò. «Gli ha parlato?» «Non ancora. Abbiamo avuto conferma delle analisi questa mattina.» Le tracce di sangue rinvenute sulla bottiglia erano effettivamente di Anne, ma gli altri risultati erano deludenti. Alcune impronte confuse sul collo della bottiglia e l'impronta incompleta di un piede, ricostruita sulla base di tracce appena visibili, rimaste nel suolo. Non servivano a niente. Anne avrebbe dato qualsiasi cosa per potergli leggere nel pensiero. Era un giudice severo? Avrebbe mai capito che Paddy, solo perché tornava sempre, per quanto in modo irregolare, rendeva sopportabile la vita a Streech Grange? Per qualche motivo ne dubitava, perché, nonostante si sentisse stranamente attratto da lei, McLoughlin era un uomo come tutti gli altri. L'attrazione non sarebbe durata, di questo era più che sicura. Prima o poi si sarebbe riavuto e l'avrebbe ricordata soltanto come un capriccio momentaneo. Per lei invece ci sarebbe stato solo Paddy, ancora una volta, a ricordarle che le mura di Streech Grange non erano del tutto impenetrabili. Avvertì il desiderio di piangere. «È un uomo gentile», gli fece notare, «e capisce qualsiasi cosa.» Se McLoughlin capì, non lo diede a vedere. Se ne andò senza salutare. Paddy stava spostando botti di birra vuote nel retrobottega. Lanciò un'occhiata a McLoughlin mettendo senza fatica un'altra botticella sopra le altre. «Posso esserle utile?» «Sono il sergente McLoughlin, della polizia di Silverborne.» Aveva
immaginato di trovarsi davanti un enorme adone muscoloso con la forza di attrazione magnetica del Polo Nord e il cervello di Einstein. Trovò invece un omone peloso, alquanto sovrappeso, che indossava un vecchio maglione e un paio di pantaloni consunti. Il fuoco della gelosia si attenuò notevolmente. Fece vedere a Paddy una fotografia della bottiglia di birra in porcellana, scattata in laboratorio. «Conosce questa?» Paddy strinse gli occhi per vedere meglio la fotografia. «Può darsi.» «Ho saputo che lei ci imbottiglia la sua Special.» Per un momento stettero ad annusare l'aria sospettosamente come due grossi cani che vogliono difendere il proprio territorio. Poi Paddy decise di indietreggiare. Alzò le spalle allegramente. «E va bene, sì, sembra una delle mie», rispose. «Ma è soltanto un passatempo. Vede, sto scrivendo un libro sui metodi tradizionali con cui veniva prodotta la birra in modo che non passino nel dimenticatoio.» Aveva lo sguardo fermo e tranquillo. «Ogni tanto faccio un assaggio, la offro alla gente del posto per sentire la loro opinione.» Guardò il viso scuro del suo interlocutore in cerca di una reazione. «Be', magari a volte ho chiesto una piccola donazione per fare fronte ai costi di produzione. È un passatempo estremamente costoso, sa?» Il silenzio di McLoughlin gli fece perdere le staffe. «Cacchio, ma non ha proprio niente, di meglio da fare in questo momento? Chi gliel'ha detto? Se lo piglio, gli tiro il collo.» «È vero che queste bottiglie non escono mai dal pub, signor Clarke?» domandò freddamente McLoughlin. «Sì, è vero, e vorrei proprio riuscire a mettere le mani sul bastardo che me l'ha fregata. Chi è stato?» McLoughlin gli indicò la macchia scura alla base della bottiglia monocroma. «Questo è sangue, signor Clarke, sangue della signorina Cattrell.» L'omone rimase di stucco. «Ma che cosa diavolo è successo?» «La sua bottiglia è stata usata come arma per colpirla alla testa. Pensavo che magari lei potesse avere un'idea di come sia finita nel suo giardino.» Paddy fece per dire qualcosa, poi si lasciò cadere sulla botte più vicina. «Cristo! Sono bottiglie pesantissime! Ho sentito che si è ripresa, ma... Cristo!» «Ma come è arrivata fino a lì la sua bottiglia, signor Clarke?» Paddy fece come se non avesse sentito. «Robinson mi ha detto che aveva preso un colpo in testa. Quei maledetti bastardi continuano a parlare di commozione cerebrale.» «Quali bastardi?»
«I giornalisti.» «Qualcuno le ha fratturato il cranio.» Paddy fissò lo sguardo per terra. «E adesso sta bene?» «Qualcuno ha usato una delle sue bottiglie per colpirla.» «Cacchio, le ho fatto una domanda!» sbottò, scattando in piedi e fulminandolo con lo sguardo. «Sta bene?» «Sì, ma perché le interessa tanto? L'ha colpita più forte di quanto non desiderasse?» Paddy era imbufalito. Con uno sguardo si accertò che la porta della cucina fosse chiusa. Poi abbassò la voce. «Lei è sulla pista sbagliata. Anne è mia amica. Da molti anni. Le confermerà che non le farei male per tutto l'oro del mondo.» «Era buio. Magari lei pensava che fosse la signora Goode o la signora Maybury...» «Non sia sciocco. Anche loro sono amiche mie da molti anni. Al diavolo, sono amico di tutte e tre.» McLoughlin rimase a bocca aperta. «Di tutte e tre?» «Sì.» «Mi sta dicendo che se le porta a letto tutte e tre?» Paddy gli fece cenno di parlare piano. «Abbassi la voce, per carità! Chi ha mai parlato di portarsele a letto? Si sentono maledettamente sole, lassù. Ogni tanto io gli faccio compagnia. Tutto qua.» McLoughlin scoppiò a ridere estinguendo l'ultima traccia di gelosia. «Loro lo sanno?» Paddy capì che quel commento era privo di ostilità e sorrise. «Non lo so. Non è proprio una di quelle cose su cui ci si può informare.» Poi prese una decisione immediata: «Le rimorderebbe la coscienza, se ci bevessimo una bottiglia di Special? Tanto vale che ce la beviamo prima che la prendano quelli della Finanza. Nel frattempo le darò la lista di tutti i miei clienti bevitori di Special. Non la do mai agli estranei, quindi conosco personalmente tutti quelli che la bevono. Il bastardo che lei cerca dev'essere uno di loro, e anzi, ho l'impressione di sapere chi sia. In questo paese c'è un'unica persona abbastanza stupida e vendicativa da fare un gesto simile.» Attraversò il cortile con McLoughlin e lo portò nella stanza dietro il garage dove un forte profumo di malto fermentato stuzzicava le narici. «A dire il vero, spesso penso di trasformare questa in un'attività legale. Magari è l'occasione che aspettavo. Mia moglie può occuparsi del pub, tanto è molto più in gamba di me.» Prese due bottiglie chiuse, tolse i tappi di gomma e, con
grande attenzione, versò un liquido color ambra scuro con una schiuma bianchissima in due bicchieri cilindrici. Ne offrì uno a McLoughlin. «Mi raccomando, sergente.» Gli brillavano gli occhi. «Non c'è nessuno che le corre dietro, quindi si avvicini a lei come si avvicina alle donne. Lentamente, con affetto, pazienza e infinito rispetto. Altrimenti il terzo sorso la stenderà e a lei non resterà che chiedersi che cos'è successo.» «È questo il suo segreto?» «Sì.» McLoughlin alzò il bicchiere. «Alla sua.» Arrivando in centrale, il sergente Robinson trovò una lettera che lo aspettava sulla scrivania. La calligrafia sulla busta era infantile e disordinata, la lettera veniva da vicino. La aprì con impazienza e stese il foglio di carta rigata sulla scrivania. Con la stessa calligrafia informe e difficilmente decifrabile era stato steso il resoconto di uno strano fatto accaduto una notte verso la metà di maggio. Eddie Staines si era dimostrato superiore alle aspettative. Lei mi chiedeva di quella donna. Era una domenica. Lo so perché la mia ragazza è credente e ci ho messo un po' per convincerla perché aveva fatto la comunione. Dev'essere stato il quattordici maggio, perché il dodici maggio è il mio compleanno ed era una specie di regalo in ritardo. Siamo andati nel bosco di Streech Grange come al solito. Siamo partiti un po' dopo mezzanotte lungo il muro della fattoria. Poi abbiamo sentito gemiti e pianti dietro il muro. Lei voleva tagliare la corda, ma io ho voluto andare a vedere. Aveva sbagliato, sa? Era un uomo, non una donna, e sbatteva la testa nel muro. Matto da legare. Io lo illumino con la torcia e gli chiedo se sta bene. Lui mi dice vaffanculo, e me ne vado. Ho letto la descrizione di quel morto. Mi sembra che corrisponda. Però aveva i capelli grigi lunghi. Fino a qualche tempo fa non ci avevo pensato. È che lo conoscevo. Non sapevo chi era, ma mi ricordavo che l'avevo visto da qualche parte. Ma non era una persona qualsiasi. Credo che fosse Maybury. Tutto qua. Sognando già la promozione, il sergente Robinson chiamò Walsh. Ebbe un momentaneo cedimento nel rompere la promessa di anonimato, ma a quel punto non avrebbe più potuto mantenere segreta l'identità di Eddie. Del resto, Eddie non l'aveva minacciato di appenderlo per le palle.
22 McLoughlin spalancò la porta a vetri della centrale di polizia e fece entrare una folata di calore. La Special di Paddy, bevuta lentamente, con affetto e infinito rispetto, gli annebbiava piacevolmente il cervello. «Dov'è il generale?» chiese con voce impastata. Il sergente di turno rise sotto i baffi. Walsh sembrava effettivamente un generale. «È occupato con le esercitazioni.» «Maledizione!» «Qualcuno ha identificato il cadavere.» «Chi è?» «David Maybury. L'ispettore è fuori di sé.» Per la sorpresa gli si schiarì la mente. Maledizione, pensò, non poteva essere vero. Ormai voleva bene a quelle donne. Il dolore gli rodeva le budella come un ratto affamato. «Dov'è andato?» Il collega scosse la testa. «Non lo so. Probabilmente a interrogare il testimone. È partito con Nick circa due ore fa.» «Comunque è sulla pista sbagliata.» Parlava con voce roca. «Non è Maybury. Glielo dica, se dovesse tornare prima di me.» Non credo proprio, pensò il sergente di turno osservando il collega che apriva la porta con una spallata e usciva. Se McLoughlin aveva intenzione di autodistruggersi, non desiderava certo seguirlo. Guardò l'ora e vide con sollievo che il suo turno era quasi finito. McLoughlin sollevò Anne dalla sedia e la scosse fino a quando non sentì sbattere i denti. «È stato David Maybury?» le strillò in faccia. «È stato lui?» La donna non rispose e lui la allontanò da sé con un gemito. La vecchia giacca le scivolò giù dalle spalle e Anne rimase vestita soltanto di un pigiama da uomo che le era troppo grande. Aveva un aspetto stranamente patetico, come una bambina che giocasse a fare l'adulta. «Non lo so», rispose con fare serio. «Il cadavere era irriconoscibile, ma non credo che fosse David. Non sarebbe da lui, tornare qui dopo dieci anni, ammesso che sia ancora vivo.» «Non giochiamo, Anne», sbottò McLoughlin. «Lei ha visto il cadavere prima che si decomponesse. Chi era?» Anne scosse la testa.
«Qualcuno l'ha riconosciuto. Dicono che sia David Maybury.» La donna si inumidì le labbra ma non rispose. «Mi aiuti.» «Non posso.» «Non può, o non vuole?» «C'è differenza?» «Sì», rispose con amarezza, «per me sì. Io credevo in lei. Credevo in tutte voi.» Il volto di Anne si contorse in una smorfia. «Mi dispiace.» McLoughlin scoppiò in una risata selvaggia. «Le dispiace? Ma Cristo!» La prese di nuovo per le braccia stringendola forte. «Ma non capisce, io mi fidavo di lei! Sono salito sul patibolo per lei! È in debito con me, accidenti!» Seguì un lungo silenzio. Quando Anne parlò, lo fece con voce spezzata. «Senta, McLoughlin, non sia mai detto che la Cattrell non paga i debiti.» Tirò la cordicella che le teneva su i pantaloni del pigiama e li lasciò cadere al suolo. «Coraggio, scopiamo. Tanto è questo che le interessava fin dall'inizio. Una bella scopata. Proprio come il suo signor capo dieci anni fa.» McLoughlin si sentì mancare la terra sotto i piedi. Le portò le mani alla gola e carezzò la sua pelle bianchissima. «Non lo sapeva?» Gli mise le mani sui polsi per liberarsi. Le luccicavano gli occhi. «Quel maledetto bastardo fece una proposta a Phoebe: una pietra sopra all'indagine in cambio di una bella scopata settimanale. No, non lo disse in questi termini. Lo infiocchettò un po'.» Imitò la voce di Walsh. «Era sola e vulnerabile. Voleva proteggerla. Con la sua bellezza, lei l'aveva commosso. Si meritava qualcosa di meglio del trattamento violento che le aveva riservato il marito.» Proseguì in tono beffardo. «Lei rifiutò e gli disse dove doveva mettersi la sua proposta.» D'un tratto la sua voce divenne stridula e meno piacevole. «Mio Dio, com'era ingenua! Non pensò nemmeno per un istante che quell'uomo teneva la sua vita nelle proprie mani.» «Non ci posso credere.» Anne raggiunse la poltrona e prese una sigaretta dal pacchetto che aveva lasciato sul bracciolo. «Perché no?» chiese in tono distaccato accendendo la sigaretta. «Che cosa le fa pensare di avere il monopolio nel voler chiavare con le sospettate di omicidio?» domandò prendendolo in giro. «Chissà che cos'è, ma abbiamo qualcosa che ci rende estremamente attraenti. Forse l'insicurezza.»
McLoughlin scosse la testa. «Che cosa intendeva dicendo che Walsh aveva il futuro di lei nelle sue mani? Disse che lei era ingenua.» «Oh, Cristo», sbottò Anne. «Chi disse a tutto il mondo che Phoebe aveva ammazzato suo marito? Chi informò la stampa, McLoughlin?» Ora il sergente appariva pensoso. «Avrebbe potuto sporgere denuncia.» «Contro chi?» «Contro la stampa.» «Non ci fu mai una vera diffamazione. Nessuno la definì mai assassina. Tutt'al più 'un'avida giardiniera' in una frase, e poi nella successiva dicevano che la polizia stava scavando nelle sue aiuole. E tutto ben preparato dal suo capo.» «Perché non sporse denuncia?» Vide l'espressione sul volto di lei e alzò le mani in segno di resa. «Non lo dica. Sarebbe stata la sua parola contro quella di lui, un ispettore di polizia.» Tacque un momento. «E come andò, dunque?» Aspirò una boccata di fumo guardandolo con occhi pieni di collera. «Walsh non aveva le prove, perché ovviamente David non era mai stato assassinato, così dovette interrompere l'indagine. Fu allora che cominciò il divertimento. Phoebe rimase vittima di una terribile campagna denigratoria, e in questo buco non c'era nessuno che fosse disposto a darle una mano. Quando mi trasferii qui era sull'orlo di un esaurimento nervoso. Jonny, a undici anni, aveva ripreso a farsela addosso di notte e Jane...» lo spiò attentamente. «E si ripeterà di nuovo. Quel maledetto bastardo butterà di nuovo Phoebe in pasto alle belve.» Sembrava pallida, rispetto alla benda scarlatta. «Perché non mi raccontò tutto questo all'inizio?» «Lei mi avrebbe creduto?» «No.» «E adesso?» «Forse.» Rimase a guardarla a lungo, strofinandosi il mento. «Lei è una brava giornalista, Anne. Avrebbe potuto scrivere la storia dal lato di Phoebe per darle una mano.» «Se mi spiega come faccio senza usare Jane come alibi, scrivo subito. Phoebe si farebbe bruciare sul rogo piuttosto di dare in pasto sua figlia a quei maledetti sciacalli. E io, dal canto mio, farei altrettanto.» Aspirò una boccata di fumo. «E comunque non è un alibi. Magari Jane si era addormentata.» McLoughlin annuì. «In tal caso, perché è così sicura che abbia lasciato
questa casa da vivo?» Anne si girò per spegnere la sigaretta. «E lei perché è così sicuro?» ribatté. «Perché è sicuro, no?» «Sì.» «Perché qualcuno ora afferma che il cadavere nella ghiacciaia è quello di David?» «No.» «E allora perché?» McLoughlin stette a osservarla per un lungo momento. «Perché lei decise di venire a seppellirsi qui a Streech Grange. È per questo che so che Maybury dev'essersene andato vivo.» «Non capisco di che cosa sta parlando.» «Lei è una terribile bugiarda, Cattrell.» «Vorrei proprio che smettesse di dirlo», sbottò Anne battendo il piede sul pavimento. «E poi sto gelando.» «Allora la smetta di mostrarmi il culetto e si vesta», propose, chinandosi a raccogliere i pantaloni del pigiama e lanciandoglieli. Rimase a guardarla mentre si vestiva. «Lei ha un bel culetto, Cattrell», mormorò, «però io sono qui soltanto per scoprire la verità. E le cose non sono andate esattamente come mi aspettavo.» Si recò nel laboratorio di medicina legale e andò in cerca del dottor Webster. «Passavo di qui per caso», mentì. «Volevo sapere se ha qualche idea su quel cadavere che abbiamo trovato.» Se il dottor Webster trovò un po' poco ortodosso quel modo di fare, non glielo fece notare. «Ho preparato il referto completo», disse, appoggiando una mano su una cartellina che aveva sulla scrivania. «È stato ricopiato questa mattina. Se ne può portare via una copia, se vuole.» Rise sotto i baffi. «Badi però, che temo che George non sarà molto contento, ma è sempre la solita storia: lui preme per avere risposte immediate, che non sono certo sempre le più giuste. Avete fatto qualche passo avanti?» McLoughlin fece un gesto di incertezza con la mano. «Mah... Il sospettato numero uno è ancora vivo. Adesso purtroppo brancoliamo nuovamente nel buio.» «In tal caso dubito che le informazioni che sono riuscito a mettere insieme qui vi siano molto utili. Mi faccia una descrizione o, ancora meglio, mi dia una fotografia, e le posso dire se è lui o meno. Però non sono in grado di dirle chi sia, se non lo sa lei. George mi telefona ogni giorno per
avere i risultati, ma per fare i miracoli io ho bisogno di tempo. I cadaveri recenti sono una cosa, questi frammenti putrefatti sono invece molto più difficili da identificare.» «E Maybury?» Il patologo perse la pazienza. «Siete tutti ossessionati da quel povero diavolo. Ovviamente non è Maybury. Ho chiesto un consulto, e anche il mio collega è d'accordo. Le prove sono inconfutabili», bofonchiò, «e in questo caso non c'è spazio per libere interpretazioni.» McLoughlin tirò un sospiro. «E come lo sa?» «È troppo vecchio. Ho studiato attentamente le radiografie, e la saldatura del cranio è più avanzata di quanto avessi pensato. Ora sono certo che si tratti di un sessantacinquenne o di un settantenne. Sessant'anni al minimo. Maybury quanti ne avrebbe? Cinquantaquattro, cinquantacinque?» «Cinquantaquattro.» Walsh aprì la cartella ed estrasse alcune fotografie. «Nel referto sostengo la tesi che non ci sia stata mutilazione, ma è soltanto una mia opinione, e sarei pronto a ricredermi. Sulle ossa sono presenti alcuni solchi che avrebbero potuto essere prodotti con un coltello molto affilato, ma secondo me sarebbe una pista sbagliata.» Gli indicò una delle foto. «Qui si vedono chiaramente escrementi di topo.» McLoughlin annuì. «C'è dell'altro?» «Non sono sicuro della modalità del decesso. Tutto dipende se era vestito o meno nel momento in cui sopravvenne la morte. Voi siete riusciti a capirlo?» «No.» «Ho fatto raccogliere un sacco di terra dal pavimento tutt'attorno al cadavere. È stata analizzata, ma la quantità di sangue presente è davvero trascurabile.» McLoughlin inarcò le sopracciglia. «Continui.» «Per questo non posso dire con certezza com'è morto. Se fu accoltellato mentre era nudo, la terra avrebbe dovuto essere intrisa di sangue. Se invece era vestito, allora gli indumenti avrebbero assorbito gran parte del sangue. Dovrete trovare i vestiti.» «Un momento, dottore. In pratica lei mi sta dicendo che se era nudo non fu accoltellato mentre se era vestito forse sì?» «In pratica sì. Certo, esiste la possibilità che qualche animale abbia leccato via il sangue, ma sarà una tesi difficilmente sostenibile in tribunale.» «L'ispettore capo Walsh, questo lo sa?»
Webster lo guardò da sopra gli occhiali. «Perché me lo chiede?» McLoughlin si arruffò i capelli. «Perché non me ne ha parlato.» Oppure gliel'aveva detto? Non ricordava quasi nulla di quello che Walsh aveva detto la prima sera. «Be', diciamo che era nudo. Quale può essere stata la causa del decesso?» Webster sporse le labbra. «Vecchiaia. Assideramento. Dai miseri resti, è impossibile capirlo. Non sono riuscito a trovare tracce di barbiturici o di asfissia, ma...» Alzò le spalle indicandogli le foto. «Non si capisce. Cercate i vestiti. Vi diranno più di quello che posso dire io.» McLoughlin appoggiò le mani sulla scrivania e curvò le spalle. «Abbiamo portato avanti le indagini assumendo che fosse stato accoltellato. Ora lei mi dice che può essere morto per cause naturali. Ma ha idea del numero di ore che ci ho lavorato questa settimana?» Il patologo rideva sotto i baffi. «Circa metà di quelle che ho lavorato io, immagino. Per questo caso non mi sono posto alcun limite. Non crederà che me ne capitino spesso di questo tipo... di norma i cadaveri possiedono almeno il novanta per cento delle parti costituenti. Comunque, fino a quando non mi fornirà abiti intatti e privi di macchie per dimostrare che ho sbagliato, resto convinto che quell'uomo sia stato accoltellato. Non ho mai avuto a che fare con vecchi che se ne andavano in giro nudi in cerca di una ghiacciaia in cui morire di freddo.» McLoughlin si drizzò. «Sono molto sorpreso. Ci sono altre novità?» «Solo una piccola postilla che ho aggiunto alla fine del referto, e non venga poi qui ad accusarmi di averle messo in testa strane idee.» Ridacchiò. «Ieri ho fatto un'altra capatina nella ghiacciaia. Era rimasta sigillata per più di una settimana, e la temperatura si era notevolmente abbassata. La porta è vecchissima, ma chiude ancora perfettamente. Ero molto colpito. Ovviamente quello era proprio l'ambiente ideale in cui immagazzinare il ghiaccio. Molto freddo e sterile. Probabilmente si conservava per mesi interi.» «Quindi?» Il medico diede un'occhiata ad alcune lettere che aveva davanti a sé. «Mi sono divertito a immaginare in quali condizioni sarebbe stato quel cadavere se la porta fosse rimasta chiusa fino a quando il giardiniere non lo trovò.» Appose la propria firma con calligrafia allungata sulla prima. «Penso che sarebbe stato perfettamente conservato. Mi sarebbe piaciuto vederlo. Pura curiosità scientifica, ovviamente.» Alzò la testa. McLoughlin e il referto non c'erano più.
Il sergente Bob Rogers, che faceva il turno del pomeriggio dopo due giorni di libertà, alzò lo sguardo vedendo entrare McLoughlin. «Ah, Andy. Cercavo proprio te.» Gli porse la descrizione di Wally Ferris che aveva fatto il giro del paese. «È il vagabondo che stavi cercando.» «L'ho trovato. Anzi, dopo avere parlato con l'ispettore, torno da lui.» «Bene, allora puoi portarlo qui. È sulla lista delle persone scomparse.» McLoughlin attraversò la stanza a passi lenti. «Mi stai dicendo che Wally Ferris è una persona scomparsa? Ma se fa il vagabondo da anni?» Rogers si strinse nelle spalle e gli porse la lista. «Guarda. La descrizione corrisponde a quella che avevi contrassegnato con una T.» McLoughlin guardò il foglio. «Walsh l'ha visto?» «Gliel'ho consegnato la prima sera.» McLoughlin prese in mano il ricevitore del telefono. «Fammi un favore, Bob. La prossima volta che mi vedi troppo ubriaco per verificare quello che fa quel bastardo, dammi un pugno qui.» Gli indicò il mento. Si abbandonò su una poltrona nell'ufficio dell'ispettore capo e rimase a osservare le sottili labbra esangui da cui usciva il fumo. Quel viso era cambiato impercettibilmente. Un tempo il senso di rispetto gli aveva dato un tocco di genialità, mentre ora non c'era altro che falsità. Sentiva soltanto spezzoni di frasi... «è sicuramente Maybury»... «un ragazzo l'ha riconosciuto»... «nella ghiacciaia per due settimane»... «il vagabondo deve averlo visto lì»... «lei ha sbagliato completamente»... «scrivere un rapporto»... «i suoi problemi personali non bastano a scusare una simile negligenza»... Tutto il resto gli entrò da un orecchio e gli uscì dall'altro. Rimase a guardare il viso del suo capo senza battere ciglio pensando ai denti che si nascondevano dietro quel sorriso. Walsh gli puntò contro il bocchino della pipa. «Il sergente Robinson è andato a prendere Wally Ferris, e questa volta, perdio, non faremo sbagli.» McLoughlin parve risvegliarsi da una trance. «Che cosa farà? Gli mostrerà una fotografia di Maybury e gli chiederà se era quello il cadavere? Wally le dirà subito di sì solo per potersene andare di qui.» «Staines lo ha già identificato. Se Wally conferma, siamo sicuri.» «Quanti anni ha Staines?» «Più o meno venticinque.» «Dunque ne aveva quindici l'ultima volta che vide Maybury. E afferma di averlo riconosciuto al buio? Non riuscirà a mettere in piedi un processo
con simili premesse.» «È un caso perfetto», gli assicurò Walsh con voce pacata. «Abbiamo il movente, l'arma e le circostanze, oltre a una pletora di prove indiziarie. La mutilazione per rendere più difficile l'identificazione, le ossa di agnello per attirare animali verso la ghiacciaia, la rimozione dei vestiti per rendere più complicate le indagini, la cancellazione di orme e prove da parte di Fred. Con tutto questo, più le identificazioni, credo che questa volta la signora Maybury confesserà.» McLoughlin si strofinò il mento irsuto e sbadigliò. «Lei dimentica i risultati dell'esame necroscopico. Non sono così facili da inventare. Webster non mentirà per lei.» Walsh inarcò le sopracciglia, inferocito. «E questo, che cosa vorrebbe dire?» «Lo sa benissimo... signore. Quello è il cadavere di un uomo troppo vecchio per poter essere Maybury. E poi, che fine avrebbe fatto tutto il sangue?» Walsh gli lanciò un'occhiata piena d'odio. «Se ne vada!» strillò. Sul volto scuro di McLoughlin c'era un'ombra di ironia. «E intende dire al suo avvocato difensore di andare affanculo ogni volta che le fa una domanda logica?» «Il sangue era sui vestiti, e presumibilmente fu distrutto assieme a essi», tagliò corto Walsh. «Quanto all'interpretazione di Webster della radiografia del cranio, non è proprio nient'altro che un'interpretazione. Tra la sua interpretazione e la mia ci sono soltanto sei anni. Io dico cinquantaquattro, lui sessanta. Sbaglia lui. E adesso se ne vada.» McLoughlin si strinse nelle spalle, si alzò, si mise una mano in tasca e gli consegnò un pezzo di carta ripiegato. «La lista delle persone scomparse», annunciò, lasciandolo cadere sulla scrivania. «Mi sono fatto una fotocopia. È per lei. Lo conservi per ricordo.» «L'ho vista.» McLoughlin studiò la testa rosea sotto i capelli sempre più radi. Un tempo aveva apprezzato quell'uomo. Ma prima delle rivelazioni di Anne. «Già. Bob Rogers gliela fece vedere la sera che fu trovato il cadavere. Il caso, perché non è mai stato più di un caso, avrebbe dovuto essere chiuso la mattina seguente.» Walsh rimase a guardarlo un momento, poi spiegò il foglio di carta. C'erano gli stessi cinque nomi e le stesse descrizioni, ma accanto a quella di Daniel Thompson era stata scarabocchiata a mano la parola «ritrovato». Le
due ragazze andavano escluse in quanto donne. Quindi restava soltanto il giovane asiatico, Mohammed Mirahmadi, che era troppo giovane, e il vecchio Keith Chapel, di sessantotto anni, che era fuggito dall'ospizio cinque mesi prima con indosso una giacca verde, un maglione blu e un paio di pantaloni color rosa shocking. Walsh avvertì una stretta gelida e feroce allo stomaco. Posò il foglio sulla scrivania. «Il vagabondo entrò nella ghiacciaia appena il giorno dopo», balbettò. «E poi, come faceva questo vecchietto a sapere di Streech Grange e della ghiacciaia?» McLoughlin puntò l'indice sul nome. «Guardi le iniziali», gli fece notare. «Keith Chapel. K. C. Ho chiamato il custode dell'ospizio. Così ho saputo che questo vecchio parlava sempre di un'officina che aveva avuto, dicendo che aveva fatto grossi affari fino a quando una donna non aveva messo in giro bugie sul suo conto e lui era stato costretto a chiudere. Lei sapeva tutto questo. Cacchio, non si fece raccontare la storia dalla signora Goode?» «Solo per sentito dire», si difese Walsh. «Non ho mai visto quell'uomo. Se n'era andato quando Maybury scomparve. Credevo si chiamasse Casey. Tutti lo chiamavano Casey. Nel dossier c'è scritto Casey.» «Ma certo che c'è nel dossier! E così, per sentito dire, lei dà un sacco di peso a questa faccenda. Titoli a piena pagina. Andò così?» «Non è colpa mia se la gente del paese pensa che lei abbia ucciso i suoi genitori. Noi abbiamo registrato quello che sentivamo.» «Ma certo! Avete sentito quello che volevate sentire. Cristo, e l'altra sera lei raccontò la storia anche a me. E io le credetti.» Scosse la testa. «Ma che cos'ha fatto, quella donna, per l'amor del cielo? Le ha riso in faccia? L'ha chiamato vecchio porco? L'ha minacciato di dirlo a sua moglie?» Fece una breve pausa strategica. «Oppure non è riuscita a nascondere il disprezzo che provava?» «Lei è sospeso», sussurrò Walsh con un filo di voce. Le mani gli tremavano come se fossero animate da una vita propria. «Perché? Per avere scoperto la verità?» Batté il palmo sulla lista delle persone scomparse. «Schifoso bastardo! E ha avuto anche il coraggio di accusare me di negligenza. Il colore di quei pantaloni avrebbe dovuto metterla in guardia! Gliene parlarono ben due volte nel giro di dodici ore. Quanti uomini che lei conosce portano pantaloni di color rosa shocking, eh? Lei sapeva che era stata denunciata la scomparsa di un uomo che indossava dei pantaloni rosa. E non è stato difficile rintracciare Wally. Se fossi stato in possesso di questa informazione, quando gli parlai...» Scosse
la testa come un cane rabbioso. «Ecco qua il referto del dottor Webster.» Lo lanciò sulla scrivania. «A giudicare dal fatto che Wally decise di indossare i vestiti di Keith Chapel, direi che possiamo tranquillamente supporre che non fossero squarciati da un coltello né imbevuti di sangue. Quel povero diavolo dev'essere crepato di freddo.» «Ma sparì cinque mesi fa», protestò l'ispettore. «Dove avrebbe trascorso i primi due mesi?» «Su un cartone sopra le griglie della metropolitana, probabilmente, proprio come tutti gli altri poveracci che questa schifosa società rifiuta.» Walsh faceva gesti inconsulti. «E Maybury, allora? Visto che lei sa tutto, mi dica, dov'è?» «Mah, probabilmente sarà andato a vivere in Francia. Avrà avuto tutti i contatti che gli servivano attraverso il commercio dei vini.» «L'ha ucciso sua moglie.» McLoughlin strinse gli occhi. «Il bastardo tagliò la corda quando i soldi cominciarono a scarseggiare e la lasciò sola con due bambini piccoli. Aveva programmato tutto a priori, non capisce?» Tacque un momento. «Non mi viene in mente un solo motivo per cui avrebbe dovuto punirli, ma se voleva effettivamente farlo, sono sicuro che avrà sperato che capitasse loro tra i piedi uno stronzo come lei.» Il sergente aveva raggiunto la porta. «Che cosa pensa di fare?» biascicò Walsh con un filo di voce. McLoughlin non si degnò di rispondere. In corridoio incontrò Nick Robinson con Wally Ferris. Al vecchio diede una pacca amichevole sulla spalla. «Avresti almeno potuto lasciargli addosso le mutande, vecchio filibustiere che non sei altro!» Wally spostò il peso del corpo da un piede all'altro, guardando sospettosamente i due poliziotti. «Allora mi denuncerete?» «Per che cosa?» «Non ho fatto niente di male io, davvero! Ero bagnato fino alle ossa dopo quel diluvio e sono entrato lì dentro per ripararmi. A dire il vero, non mi ero neppure accorto che era morto stecchito, al primo momento. Credevo che fosse uno come me, ma con una rotella fuori posto. Ce ne sono tanti così. Gli manca un po' di senno. E mi ero fatto una bella chiacchierata con lui.» Fece una smorfia lugubre. «Era già senza mutande, quello lì, non aveva addosso niente, per terra vicino a lui c'era un mucchietto di vestiti.» Spiò furbescamente McLoughlin. «Mi sembrava che non ci fosse niente di male a prendermi quei vestiti. Tanto a lui non servivano più, e a me invece
sì. Faceva un freddo cane. Me li sono messi sopra i miei.» Nick Robinson, che non era riuscito a scucirgli una parola, produsse un suono inarticolato. «Ehm, sta dicendo che era morto, completamente nudo, e che vi siete fatti quattro chiacchiere?» «Be', è sempre meglio che niente», bofonchiò Wally a mo' di giustificazione, «e mi ci era voluto un po', prima di abituarmi al buio che c'era là dentro. Quando si fa una vita come la mia, si vedono un sacco di cose strane.» «Asini che volano, per esempio.» Robinson lanciò un'occhiata interrogativa a McLoughlin. «Che cos'è questa storia dei vestiti?» «Lo saprà, a tempo debito. Di che cosa credi che fosse morto, quell'uomo, Wally?» «E chi lo sa. Di freddo, forse. Con la porta chiusa, là dentro si gela. E lui ci aveva messo davanti un mattone, così ho dovuto spingere un po', perché si aprisse. Non dev'essere stata una morte violenta, credo. Aveva un sorriso stampato sulla faccia.» Robinson respirava rumorosamente. «Però c'era del sangue in giro, no?» I vecchi occhi di Wally registrarono uno spavento. «No, che non c'era! Non mi sarei certo fermato, se ci fosse stato. Quel tizio era in ottime condizioni. Forse un po' pallidino, ma niente di strano. Faceva freddo, con tutta quella pioggia.» Arricciò il naso. «Ecco, c'era un po' di odore, ma non me l'ero presa con lui per questo. Devo ammettere che forse anch'io puzzavo un po'.» McLoughlin ebbe l'impressione di assistere alla rappresentazione di un testo di Samuel Beckett. Due vecchi seduti a chiacchierare nella penombra. Uno nudo e morto stecchito, l'altro ubriaco e fradicio. Non aveva alcun dubbio che Wally potesse avere passato la notte in compagnia di Keith Chapel, a blaterare a vanvera. A Wally piaceva da matti fare conversazione. Si chiese se il mattino seguente, una volta sobrio, avesse avuto uno choc terribile scoprendo di essersi intrattenuto con un morto. Probabilmente no. Era sicuro che Wally doveva avere visto ben di peggio. «E quando te ne sei andato, hai richiuso la porta?» Il vecchio si pizzicò il labbro inferiore tentando di ricordare. «Be', più o meno.» Parve soppesare momentaneamente il problema. «Cioè, la prima volta sì, l'avevo chiusa. Perché mi pareva che quello lì volesse starsene in pace, se no non avrebbe messo quel mattone davanti alla porta. Poi quel tizio della capanna mi aveva dato la bottiglia di whisky, ne avevo bevuto qualche
sorso, e mi era venuto da pensare ai funerali eccetera. Non so perché, ma mi sembrava strano lasciare lì così quel poveretto, senza che qualcuno dicesse una buona parola per lui. Almeno, non avrei voluto che a me succedesse così. E allora me ne sono tornato là, bel bello, e ho aperto la porta. Mi pareva che ci fossero maggiori probabilità che qualcuno lo trovasse, con la porta aperta.» McLoughlin pensò che sarebbe stato crudele fargli notare che, aprendo la porta, aveva fatto entrare il calore, i cani, i topi e i germi della putrefazione. Sperava che non lo facesse Walsh. «Ecco», annunciò infine Wally. «Questo è proprio tutto quello che so. E adesso, posso andarmene?» «Direi di no», rispose Nick Robinson, «l'ispettore desidera parlarle.» Lo afferrò saldamente per un braccio e lanciò un'occhiata interrogativa al collega. «Che cosa ne diresti, di mettermi al corrente di questa storia?» McLoughlin fece un sorriso malizioso. «Be', diciamo che hai soltanto le idee un po' confuse.» 23 McLoughlin si abbandonò sul sedile dell'automobile e per qualche tempo stette a guardare nel vuoto. Continuava a passargli per la testa una massima di Francis Bacon. «La vendetta è una specie di giustizia selvaggia: più la natura dell'uomo vi ricorre, più la legge dovrebbe estirparla.» Si strofinò il viso affilato. Aveva detto ad Anne che capiva la vendetta personale, ma ora sapeva che non era vero. In un mondo in cui vige la legge dell'«occhio per occhio», alla fine tutti restano ciechi. Tirò un sospiro, mise in moto e partì. Abitava in una casa moderna in un grande complesso residenziale a nordovest di Silverborne, dove le case erano tutte maledettamente simili tra loro e l'unico modo per distinguere la propria dalle altre era dipingere la porta di un colore diverso. Un tempo ne era stato soddisfatto, prima di vedere Streech Grange. «Ciao, Andy!» esclamò Kelly. Stava davanti al lavello con fare esitante. Aveva in mano la spugnetta con cui lavava i piatti sporchi che lui non aveva toccato per dieci giorni. Si era dimenticato quanto fosse carina e quanto quel suo corpo perfetto in passato l'avesse attratto. «Ciao.» «Sei contento di vedermi?»
McLoughlin alzò le spalle. «Be', sì. Senti, ma non c'è bisogno che lavi questa roba. Pensavo di farlo io questo fine settimana. Non sono stato in casa molto, nei giorni scorsi.» «Lo so, ho cercato di telefonarti.» McLoughlin aprì il frigo e scelse un pezzo di formaggio tra i vasetti aperti di pomodoro ammuffito e di pesche sciroppate. Glielo porse. «Ne vuoi?» Kelly scosse la testa, e lui se lo mangiò tutto. Poi guardò l'orologio. «Devo fare una telefonata, poi mi faccio una doccia al volo ed esco di nuovo.» Fece un gesto semicircolare con la mano attorno a sé. «Tu fai pure con comodo e prenditi tutto quello che vuoi.» Sorrise senza rancore. «A parte i miei libri e le due marine. Tanto non ti interessano, eh? Dicevi sempre che servivano solo a raccogliere la polvere.» Tanto erano stati relegati nella stanza degli ospiti come lui. Stava per salire al piano di sopra, ma si sentì rimordere la coscienza e si fermò. «Senti, davvero, lascia stare i piatti. Non c'è bisogno che li lavi. L'avrei fatto io, se ne avessi avuto il tempo.» Sorrise di nuovo. «Ti rovini lo smalto delle unghie.» Il viso di Kelly tremava. «Sai, io e Jack ci siamo lasciati.» Corse a nascondere la testa profumata sul suo petto. «Oh, Andy, come mi sei mancato! Voglio tornare a casa, lo voglio proprio!» McLoughlin avvertì un terribile senso di spossatezza, la stessa sensazione che deve provare un naufrago prima di abbandonare l'ultima speranza. Tenne lo sguardo fisso nel vuoto in cerca di un appiglio, ma non ne trovò alcuno. La tenne ancora per uno o due secondi, poi si liberò delicatamente. «Torna pure a casa», disse infine. «È tua quanto mia.» «Non sei arrabbiato, allora?» «Per niente. Anzi, sono contento.» I suoi occhi meravigliosi si illuminarono come due stelle. «Tua madre me l'aveva detto, che saresti stato contento...» Gli appigli, pensò, ai naufraghi non servono a niente. È il desiderio di vivere, che tiene a galla. «Mi faccio la doccia, poi me ne vado», annunciò. «Passerò domani a prendere i libri e i quadri, e magari anche i dischi che ho comperato prima che ci sposassimo.» Lanciò un'occhiata al salotto, con il suo tavolo dalle gambe cromate, il tappeto color crema, le tende bucherellate, la libreria in formica bianca e i tre bei pezzi coordinati di tinta pastello e pensò che sembrava che in quella casa non ci avesse mai abitato nessuno. Poi scosse la testa. «Non voglio nient'altro.» Lei lo afferrò per un braccio. «Ma allora sei arrabbiato?»
Il viso di McLoughlin fu illuminato da un sorriso. «No. Sono contento. Avevo bisogno di una spinta. Odio questo posto. L'ho sempre odiato. È così...» cercò la parola adatta, «così sterile.» La guardò con compassione. «Proprio come il nostro matrimonio.» Kelly gli affondò le unghie nel braccio. «Lo sapevo, che saresti andato a parare lì, bastardo. Ma non è colpa mia. Tu non hai mai voluto avere figli proprio come me.» McLoughlin si liberò dalla stretta. «Non era quella, la sterilità cui mi riferivo.» «Ti sei trovato un'altra donna», sbottò lei, alquanto risentita. McLoughlin si tolse di tasca un foglietto e formò il numero che c'era scritto. «McLoughlin», recitò nel ricevitore. «Abbiamo identificato il cadavere. Tutto qua. Domani sarà su tutti i giornali, quindi se ha un po' di sale in zucca, non ne parlerà troppo in giro. Sì, dev'essere fatto questa sera. Certo che voglio proprio lui. Diciamo che prendo quello che ha fatto come una questione personale. Ce la farai?» Rimase in ascolto un momento. «Cerca soltanto di sottolineare che sono di nuovo riusciti a farla franca. Arrivo verso le dieci.» Alzò lo sguardo e incontrò quello di Kelly. Grandi lacrime si erano formate sulle ciglia allungate dal mascara. «Dove andrai?» «Non lo so ancora. Forse a Glasgow.» Le lacrime di lei lasciarono il posto alla collera e questa, come sempre, gli fu riversata addosso. «Hai lasciato quel maledetto lavoro, allora? Dopo che ti ho pregato e scongiurato, adesso l'hai lasciato perché te l'ha chiesto un'altra.» «Non me l'ha chiesto nessuno, Kelly, e non l'ho lasciato, non ancora.» «Però ci stai pensando?» «Forse.» «Chi è lei?» Capì che desiderava ferirla, quindi doveva esserci ancora un po' di sentimento. Forse ci sarebbe sempre stato. Sette anni, per quanto sterili, avevano lasciato un segno. «È la mia rosa», rispose, «la mia rosa rossa, rossa.» E Kelly, che aveva sentito recitare tutti i versi di quell'odiato Burns fin troppe volte, si sentì stringere il cuore in una morsa crudele. Phoebe scrollò Diana per una spalla fino a svegliarla. «Abbiamo visite», sussurrò. «Devi darmi una mano.» In un'altra stanza si sentivano abbaiare i cani.
Diana socchiuse un occhio per guardarla. «Accendi le luci», suggerì stancamente. «Non voglio che sappiano che siamo sveglie.» Le porse la vestaglia. «Vieni, presto.» «Ma hai avvertito la polizia?» Diana infilò la vestaglia. «Non serve. Tanto sarà tutto finito molto prima che arrivino qui.» Phoebe accese una piccola torcia e diresse il fascio luminoso verso il basso. «Vieni», la esortò. «Non abbiamo molto tempo.» Diana si infilò le pantofole e la seguì. «Perché sono in casa, i cani? Perché non sono fuori? E poi, dov'è McLoughlin?» «Non è venuto, questa sera», sospirò. «Proprio quando avremmo avuto bisogno di lui, non si è fatto vedere.» «Che cosa pensi di fare?» Phoebe prese il fucile da dove l'aveva lasciato, fuori dalla stanza dell'amica. «Userò questo», rispose scendendo al pianoterra, «ma non volevo rischiare di colpire i cani per sbaglio. Si daranno da fare loro, se quei bastardi dovessero entrarci in casa.» «Oh, Cristo, Phoebe...» balbettò Diana. «Non vorrai ammazzare qualcuno?» «Non essere sciocca.» Attraversò il corridoio in punta di piedi ed entrò nel suo salotto. «Voglio farli morire di paura, quegli schifosi bastardi. Non si sono liberati di me la volta scorsa, e non ce la faranno nemmeno oggi.» Indicò a Diana di mettersi da un lato della tenda e, spegnendo la torcia, si posizionò dall'altro. «Tieni gli occhi bene aperti. Se vedi qualcuno in fondo alla terrazza, avvertimi.» «Spero proprio di non dovermene pentire», bofonchiò Diana, scostando appena la tenda per guardare fuori. «Non vedo un accidente. Come fai a sapere che sono là fuori?» «Benson è venuto a svegliarmi. È entrato dalla finestra della cantina. Gli avevo insegnato come fare la prima volta che questi stronzi hanno tentato di farmi fuori.» Accarezzò sulla testa il vecchio animale. «Bravo, il mio Benson. Sono anni che non ti faccio più perlustrare il giardino, e ti sei ricordato come si fa.» Nel silenzio si sentiva il rumore della coda del cane che strisciava avanti e indietro sulla moquette. Hedges, che all'epoca in cui David Maybury era scomparso non era ancora nato, era accoccolato ai piedi della sua padrona con i muscoli tesi, in attesa che venisse il suo turno. Phoebe scrutava l'oscurità per scorgere eventuali movimenti. «Piano piano i nostri occhi si abitueranno al buio.»
«Ecco lì qualcuno!» esclamò d'un tratto Diana. «Vicino al muro di destra, lo vedi?» «Sì. E ce n'è un altro che viene dalla parte di Anne.» Impugnò saldamente il fucile. «Puoi aprire la porta-finestra senza fare rumore?» Diana ebbe un breve istante di esitazione, poi fece spallucce e si apprestò ad aprire. Phoebe conosceva bene l'inferno, pensò. C'era già stata. Non voleva tornarci un'altra volta. Comunque anche lei avvertiva l'adrenalina che il suo organismo aveva prodotto proprio come quello di Phoebe. Era il momento della resa dei conti, pensò, quando tutti, persino i conigli, mostrano i denti. «Ci siamo», bisbigliò aprendo la porta senza fare rumore. Sbirciò di nuovo oltre la tenda. «Mio Dio!» gemette. «Ma quanti sono?» Tutt'attorno alla terrazza si vedevano diverse figure nere come un gruppo di scimmioni, senza offesa per gli animali. Perché è solo l'uomo, con il suo cervello progredito, che prova piacere davanti al dolore dei suoi simili. A Diana si asciugò la bocca. Nell'isteria di gruppo c'è qualcosa di grottesco nel momento in cui la mentalità singola si annulla in quella collettiva. «Non molti, cinque o sei al massimo. Quando ti dico 'adesso', tu spalanca la porta.» Phoebe scoppiò in una risata sguaiata. «Entriamo in azione appena riusciamo a guardarli negli occhi. E un vecchio detto, e ho sempre desiderato provare.» Il gruppo parve radunarsi sotto il muro della terrazza, per poi separarsi di nuovo. «Che cosa stanno facendo?» volle sapere Diana. «Direi che si armano di mattoni. Tieni giù la testa quando cominciano a lanciarli.» Sembrava esserci un capogruppo che, gesticolando con le braccia, spedì metà dei suoi uomini da una parte, l'altra metà dall'altra. «Adesso!» bisbigliò Phoebe. «Non voglio che si separino.» Diana girò la maniglia e spalancò la porta. Phoebe uscì in un secondo e la sua figura slanciata scomparve nel buio. Aveva imbracciato il fucile e stava per sparare quando una grande mano le coprì la bocca e un'altra le sottrasse il fucile. «Se fossi in lei, non lo farei, signora», le bisbigliò all'orecchio Fred. Continuò a tenerle la bocca tappata e la fece chinare. Poi appoggiò il fucile sul selciato senza fare rumore, la esortò ad alzarsi, la prese attorno alla vita come se fosse un fuscello e la portò di peso in salotto. Avvertì la presenza di Diana. «Silenzio», le intimò, bisbigliando tra i denti, «e chiuda la finestra, per favore.» «Ma, Fred...» protestò lei.
«Obbedisca, signora Goode. Vuole che la signora Phoebe sia ferita?» Totalmente scossa, Diana obbedì. Ignorando il morso di Phoebe, Fred portò la sua padrona fino in corridoio. Diana lo seguì. «Ma che cosa fa?» gli chiese, colpendolo alle spalle con i pugni. «Metta subito giù Phoebe.» Benson e Hedges, allarmati dalla voce eccitata di Diana, si scagliarono addosso a Fred. «Anche questa porta, per favore, signora Goode.» Lei lo acciuffò per i capelli radi e tirò forte. «La lasci!» esclamò. Gemendo per il dolore, Fred si girò portandosi dietro entrambe le donne e chiuse la porta con un calcio. Dopo qualche secondo le porte-finestre andarono in mille pezzi. «Ecco fatto», dichiarò, depositando cautamente Phoebe e togliendole la mano dalla bocca. «Adesso siamo salvi, credo. Se non le dispiace, signora Goode, mi sta facendo male. Grazie.» Si tirò fuori dalla tasca un fazzoletto per fasciarsi le dita insanguinate. «Bravi», bofonchiò, accarezzando i cani. «Così va bene. Non voglio dire che sono contento che ci sia un altro vetro da cambiare, ma questa volta vedremo di trovare il colpevole.» Aprì la porta. «Vuole scusarmi, signora? Non vorrei perdermi il più bello.» Le due donne rimasero a guardarlo senza aprire bocca. Fred uscì attraverso la finestra rotta. Sulla terrazza illuminata dalla luna c'era una scena da Hieronymus Bosch. Un grottesco groviglio di figure ammucchiate sul prato. Quando Fred, gridando come un ossesso, attraversò di corsa la terrazza e si buttò nella mischia, Phoebe comprese subito la situazione, chiamò Hedges con un fischio e gli indicò un fuggiasco che era riuscito a liberarsi. «Vai, prendilo!» Hedges partì di corsa abbaiando, atterrò l'uomo e lo immobilizzò, poi si mise a ululare alla luna. Benson, per non essere da meno, arrivò sulla terrazza caracollando, poi si sedette sulle zampe posteriori, alzò il vecchio muso verso la luna e si unì in coro. Tra i cani e le grida, il frastuono era assordante. «Uomini!» commentò Diana all'orecchio di Phoebe che, con il sangue ancora pieno di adrenalina, scoppiò a ridere e piangere insieme. 24 La confusione non durò a lungo. Quando a Diana venne in mente di accendere le luci del salotto, i teppisti avevano gettato la spugna e stavano avvicinandosi accompagnati da McLoughlin, dall'agente Gavin Williams in civile, da Jonathan, Fred e Paddy Clarke.
«Dentro», ordinò McLoughlin in tono severo. «Siete tutti in arresto.» Sottratti alle tenebre, che li rendevano tanto minacciosi, erano un pugno di ragazzi sudati, con il volto amareggiato, che cercavano di evitare lo sguardo degli altri. Diana li conosceva tutti di vista, erano i ragazzi del paese, ma sapeva i nomi soltanto di due: Eddie Staines e il diciannovenne Peter Barnes, figlio di Dilys e fratello di Emma. Li osservò interdetta. «Ma che cosa vi abbiamo fatto? Non conosco quasi nessuno di voi.» Barnes era un bel ragazzo, alto, atletico, che aveva frequentato un'elegante scuola privata e ora lavorava nella tipografia del padre a Silverborne. Le lanciò un'occhiata carica d'odio, ma non rispose. Eddie Staines e gli altri non staccavano lo sguardo dal pavimento. «Mi sembra una domanda ragionevole», convenne McLoughlin in tono neutro. «Che cosa vi hanno mai fatto queste signore?» Barnes alzò lo sguardo. «Quali signore?» domandò in tono insolente. «Vuole dire le lesbiche?» La voce priva di accento di Barnes incuriosì McLoughlin. Nelle grida che aveva sentito sul prato, aveva riconosciuto la parlata del popolo. Scosse impercettibilmente la testa e Diana non intervenne. «Mi riferivo alla signora Maybury e alle sue amiche», precisò con lo stesso tono neutro. «Che cosa vi hanno mai fatto?» Osservò quelle facce slavate. «Bene, per il momento vi denuncio per aggressione aggravata nei confronti del proprietario di Streech Grange.» «Non l'abbiamo mai toccata», protestò Eddie Staines. «Chiudi il becco», ordinò Barnes. «Non avete mai toccato chi?» «Lei. La signora Maybury.» «Non ho mai affermato che l'abbiate toccata.» «E allora, che cosa sono tutte quelle stronzate sull'aggressione aggravata?» «La signora non è la proprietaria di Streech Grange», sottolineò McLoughlin. «Il signor Jonathan Maybury e sua sorella sono i proprietari di questa casa.» «Oh!» sbottò Eddie. «Credevamo che fosse delle lesbiche.» McLoughlin inarcò le sopracciglia. «Vuoi dire della signora Maybury?» «Ohe, è un po' duro di comprendonio, o che cosa?» «A quanto pare», mormorò McLoughlin in tono tranquillo, «questo è un privilegio riservato a te. Eddie Staines, vero?» «Sì.»
«Chiudi il becco, pezzo di merda», sibilò Barnes a denti stretti. Un lampo freddo illuminò gli occhi di McLoughlin. «Bene, bene, Paddy, avevi ragione. A quanto pare qui comanda questo stronzetto. Che problema ha?» «Sua madre», fu la risposta laconica di Paddy. Il ragazzo lo fulminò con un'occhiataccia. Paddy si strinse nelle spalle con fare indifferente. «Mi spiace per te, ragazzo. Se avessi metà del cervello di tua sorella, ce l'avresti fatta. Avresti mandato affanculo quella stupida puttana con tutte le sue arie e te la saresti cavata. Ti sei mai chiesto con chi chiava Emma quando viene quassù e apre le gambe?» Lanciò un'occhiata a McLoughlin. «La conosce quella storia del mendicante a cavallo? Un mendicante trova un po' di soldi e si compra un cavallo per mettersi in una posizione più elevata. Poi scopre di non essere capace di cavalcare. Lo stesso accadde a Dilys Barnes. Quando arrivò era una contadina, poi mise su un sacco d'arie e trasferì la famiglia a Streech. Non c'è niente di male in questo, ovviamente. È un paese libero. Ma, quando si ha un po' di cervello, non si tratta a pesci in faccia una metà del paese perché si ritiene che sia di livello inferiore, e non si lecca il culo all'altra metà nascondendosi dietro un albero genealogico terribilmente spoglio. Così ci si isola del tutto.» Peter contorse il viso in una smorfia sgradevole. «Bastardo!» sbottò tra i denti. Paddy lasciò correre. «La gente rideva di lei, ovviamente. In un posto come questo gli arrampicatori sociali vengono sempre considerati un divertimento e Dilys non è mai stata particolarmente in gamba nelle sue arrampicate.» Si accarezzò il mento. «È una donna molto poco intelligente. Non è mai riuscita a capire la prima regola: la classe è inversamente proporzionale all'importanza che ci si dà.» Riportò lo sguardo su Peter. «Avrai bisogno di una traduzione per capire, ragazzo. Più una persona ha classe, e meno ha bisogno di dimostrarlo.» Barnes strinse i pugni. «Vaffanculo, Paddy. Sei un irlandese bastardo.» McLoughlin ebbe la strana sensazione che il ragazzo si stesse divertendo. Dalla gola di Paddy uscì una risata sonora. «Lo prendo come un complimento, ragazzo. È passato molto tempo da quando qualcuno si è accorto che sono irlandese.» Schivò un pugno. «Cristo!» sbottò indispettito. «Sei persino più stupido di tua madre, nonostante ti abbia mandato in una scuola sciccosa e ti abbia messo in testa un sacco di stronzate.» Si rivolse a Phoebe come per ammonirla. «È colpa tua, donna. L'hai messa in ridicolo
e, credimi, quelle come Dilys Barnes non lo sopportano. Per ogni minimo sgarbo, vero o immaginario, si fa crescere un callo avvelenato, e il più grande e velenoso è quello che le hai fatto crescere tu. Il veleno, l'ha somministrato a secchiate a questo marmocchio.» Phoebe lo guardò perplessa. «Ma se la conosco appena», protestò. «Una volta mi fece una scenata vicino al laghetto, ma ero troppo infuriata per ridere.» «Prima di sparire, David rincarò la dose», le spiegò l'amico. «Raccontò l'accaduto al pub, e in men che non si dica in paese ne parlavano tutti.» Phoebe si limitò a scuotere la testa. Paddy allungò la mano per accarezzare il vecchio labrador che giaceva ai suoi piedi. «E quando Benson era poco più di un cucciolo? Dilys lo beccò mentre montava la sua cagnetta pechinese...» Gli occhi gli luccicavano divertiti. «Ti chiamò e ti fece una testa così per non essertene curata abbastanza.» «Mio Dio!» Phoebe si coprì la faccia con le mani. «Non è che mi fossi divertita, allora, anche se effettivamente la storia era ridicola», protestò. «Non mi dirai che se l'era presa in modo personale. La cagnetta era in calore e lei la lasciava uscire con tutti i suoi ferormoni.» La risata tuonante di Paddy fece tremare la stanza. Phoebe riprese con voce fremente: «E comunque fu tutta colpa sua. Continuava a chiamare Benson 'brutto sporcaccione'». Senza accorgersene, modulò la voce come quella di Dilys Barnes. «'Quel brutto sporcaccione del suo cane dovrebbe vergognarsi, signora Maybury.' Che buffo. Non riusciva a dire che Benson si era fatto la sua orribile cagnetta.» Si asciugò gli occhi con la manica. «All'epoca le dissi che mi dispiaceva molto, ma che, come sapeva anche meglio di me, non si può impedire ai brutti sporcaccioni di infilarsi nei bar puzzolenti.» Alzò lo sguardo, vide Diana e scoppiò a ridere. L'aria nella stanza vibrava. Eddie Staines, che non era particolarmente furbo ma possedeva un ottimo senso dell'umorismo, rise di gusto. «Bella, questa. Non l'avevo mai sentita. È per questo che chiamano il vecchio Barnes 'brutto sporcaccione'? Davvero forte!» Si piegò in due quando Peter Barnes, senza alcun preavviso, gli sferrò un calcio al basso ventre. «Cristo!» indietreggiò, stringendosi i testicoli. McLoughlin stava a osservare divertito. «E probabilmente Dilys si ritrovò con il nomignolo di 'puzzona'? 'Bar' sta per 'Barnes', no?» chiese a Paddy.
Paddy rideva sotto i baffi. «Per un mese o due. Ma a quanto ricordo, Tony fu chiamato sporcaccione molto più a lungo di quanto Dilys non fu chiamata puzzona, comunque la frittata era fatta. È che lei si dà troppe arie. Quando si è divorati dall'ambizione frustrata, non c'è spazio per l'umorismo.» Posò lo sguardo sul volto inasprito del ragazzo. «La rispettabilità», riprese con ironia pesante, «per lei è come una malattia. E anche per il figlio. Non vogliono che si rida di loro.» McLoughlin sapeva che Paddy gli aveva detto tutto. Certo, aveva sospettato di Peter Barnes, ma non poteva dimostrare che fosse stato lui ad aggredire Anne più di quanto non potesse dimostrare che era stata Dilys a mettere in giro falsità sul conto di Phoebe. «È troppo furba», aveva commentato quella mattina. «E un tipo particolare. Afflitta da una forma patologica di gelosia. Capita, a volte. In genere si tratta di donne, perlopiù incapaci, che sfogano il proprio odio contro altre donne, perché proprio di loro sono gelose. Sono totalmente depravate. E spesso sfogano la negatività sulle proprie figlie.» «Ma perché se l'è presa proprio con la signora Maybury?» aveva chiesto McLoughlin. «Perché era la prima donna di Streech, e la polizia non la proteggeva. Per dieci anni Dilys era stata in brodo di giuggiole per aver potuto guardare la signora Maybury dall'alto in basso. Comunque non ci sarebbe riuscita per nessun altro motivo.» «E che cosa ha fatto?» «È stata lì a mescolare merda, ovviamente. La gente era pronta a credere qualsiasi cosa, dopo che chiudeste il caso, e tanto per cominciare le appiccicò subito l'etichetta di assassina, che non fu certo l'unica.» «Certo che vivi proprio in un posto schifoso, Paddy», aveva commentato McLoughlin in tono neutro. L'oste l'aveva sorpreso. «Sì, ed è colpa di Phoebe», aveva commentato. «Che sia giusto o meno, qualsiasi altra donna avrebbe venduto la proprietà e se ne sarebbe andata. Streech Grange non vale il prezzo che lei ha dovuto pagare.» No, pensò McLoughlin, su questo punto Paddy si sbagliava. Streech Grange valeva qualsiasi prezzo, e Phoebe avrebbe continuato a pagarlo perché non era ancora alto. Il vero prezzo era essere sopportata dalle persone che le volevano bene. Le lanciò un'occhiata perplessa. Maledizione! La gente le voleva bene o la odiava. Nei suoi confronti nessuno provava indifferenza.
«Bene!» esclamò rompendo il silenzio e puntando il dito contro Eddie Staines. «Tu, adesso stammi un po' a sentire. Non sei particolarmente furbo, ma almeno un po' più di questo cretino.» Lanciò un'occhiataccia a Barnes, poi sollevò il pollice. «Numero uno, Eddie: la signora Maybury non assassinò i suoi genitori. Il colonnello e la signora Gallagher morirono perché i freni della loro automobile non funzionavano, e non funzionavano perché Keith Chapel non li aveva aggiustati. Se l'avesse fatto, avrebbe scoperto che erano consumati. Capito?» «Sì, ma chi li aveva consumati?» replicò Eddie in tono trionfante. «È questo il problema.» «Leggi il referto del medico legale», ribatté stancamente McLoughlin. «Il colonnello Gallagher portò l'auto a Keith Chapel proprio perché i freni non funzionavano. Gli lasciò un appunto per ricordarglielo, e questo appunto, scritto di suo pugno, si trova nel nostro dossier. Keith Chapel lo ignorò.» Tese anche l'indice. «Numero due: il signor David Maybury se ne andò da questa casa vivo dieci anni fa. Non fu affatto assassinato. Tagliò la corda perché aveva esaurito tutto il denaro della signora Maybury e non gli andava di dover lavorare per mantenersi.» «E chi dice niente? Tanto l'avevo visto io stesso tre mesi fa. Ma adesso è morto.» Eddie lanciò un'occhiata di fuoco a Phoebe. «Bel modo per eliminarlo.» McLoughlin sollevò un terzo dito. «Numero tre, Eddie. Quell'uomo non era David Maybury.» Il ragazzo sembrava scettico. «Ah no?» «Ah no. Era Keith Chapel, come è stato ampiamente dimostrato.» Seguì un lungo silenzio. Lentamente il ragazzo parve capire: «Già, è vero... sapevo di conoscerlo, ma quell'ispettore era maledettamente sicuro che fosse Maybury.» «Le uniche persone che sono maledettamente sicure di qualcosa, sono gli idioti e i politici», sbottò Paddy. «Alcuni dicono che tra gli uni e gli altri non c'è nessuna differenza». Sembrava quasi di poter seguire i ragionamenti di Eddie attraverso le smorfie del suo volto. «Non riesco proprio a capire. Siamo punto e a capo. Se questa volta lei ha fatto fuori Chapel, allora vuol dire che dieci anni fa ha ammazzato suo marito. L'unica prova del fatto che non l'avesse ammazzato era la mia testimonianza, perché avevo identificato quel cadavere. Mi segue?» «Ti seguo», confermò McLoughlin. «Ma questa storia mi puzza. Non ti
è mai passato per la testa che se il cadavere è quello di Maybury, voi avete tormentato per dieci anni una donna innocente?» «Be', c'era sempre la storia dei genitori...» Si interruppe, capendo che c'era comunque qualcosa che non andava. «Be', sì, come dicevo, siamo punto e da capo.» «Niente affatto. La signora Maybury non ha ucciso Keith Chapel, Eddie. L'hai ucciso tu.» «Balle!» «Non fu assassinato. Morì di freddo, fame e abbandono. Tu sei stato l'ultimo a vederlo vivo. Se gli avessi dato una mano, ora non sarebbe morto. Aveva bisogno di aiuto, e tu gliel'hai negato.» «Senta un po', lei... sta cercando di darmi la colpa, o che cosa? L'ispettore mi ha detto che era stato pugnalato.» Stretta nella morsa tra Barnes e Walsh, non era strano che Phoebe si fosse chiusa nella sua fortezza, pensò McLoughlin. Senza ombra di rammarico annientò trent'anni di lavoro di Walsh. «L'ispettore ha oliato un po' i cardini per ottenere la promozione», precisò senza mezzi termini. «Succede in polizia come da qualsiasi altra parte. Gli offriranno il prepensionamento per colpa di questa storia e se lo toglieranno dai piedi.» «Cristo!» sbottò Eddie, sorpreso di sentire un discorso tanto onesto dalla bocca di un poliziotto. «Idiota», bofonchiò Peter Barnes. «Sta cercando di incastrarti.» McLoughlin finse di non avere sentito. «Numero quattro, Eddie», riprese, «quando tu e questi bastardi che frequenti venite qui a fare le vostre spedizioni punitive contro gli omosessuali, fate un buco nell'acqua, perché a Streech Grange non ci sono omosessuali. Chi vi ha mai detto che c'erano?» «Ma lo sanno tutti...» Eddie sembrava a disagio. «Le tre lesbiche, le tre streghe. Le chiamano sempre così.» Lanciò un'occhiata furtiva a Peter Barnes. «E poi, a me non interessa guardare gli omosessuali.» «Ah, capisco.» McLoughlin si rivolse a Barnes. «Allora è a te, che non piacciono gli omosessuali.» Sbadigliò e si strofinò gli occhi. «Che cosa ti è successo? Qualcuno ha provato a farlo con te in quella scuola in cui andavi?» Vide che i muscoli attorno al naso del ragazzo si tendevano e sorrise. «Non dirmi che ti è piaciuto e che adesso stai cercando di negarlo...» «Che streghe schifose», sbottò il ragazzo. «Mi fanno vomitare.» Sputò addosso a Phoebe. «Maledette pervertite. Dovrebbero essere messe in prigione.» Le sue parole erano piene di disprezzo. «Le odio.»
McLoughlin ebbe l'impressione di essere punto da una tarantola. Con un balzo mise la mano sulla bocca di Barnes affondandogli le dita nelle guance e costringendolo ad alzarsi in punta di piedi. «Trovo il tuo comportamento estremamente offensivo», bisbigliò. «Sei uno stronzetto psicopatico e secondo me sono quelli come te che dovrebbero essere sbattuti dentro, non quelli come Oscar Wilde. L'unico contributo che sarai mai in grado di dare alla società sarà negativo, quando trasmetterai i tuoi pregiudizi e il tuo scarsissimo quoziente di intelligenza alla generazione successiva.» Lo sollevò ancora un po'. «Inoltre mi manda in bestia che qualcuno possa dare delle perverse a queste signore. Mi capisci?» Barnes cercò di rispondere, ma le parole gli rimasero conficcate in gola. McLoughlin strinse più forte e Barnes annuì con convinzione. «Bene.» Lasciò andare il ragazzo e lo spinse lontano da sé. Poi regalò a Staines un sorriso cordiale. «Mi auguro che tu capisca dove andiamo a parare, Eddie. Ti rendi conto che ti sto lasciando il beneficio del dubbio. Diciamo che eri profondamente convinto che queste persone avessero una qualche colpa.» Il volto gioviale di Eddie si contorse in una smorfia pensierosa. «Senta, io sono venuto qui soltanto per vedere che fosse fatta giustizia. Lo giuro davanti a Dio che questo è l'unico motivo per cui sono venuto.» Con un cenno indicò gli altri ragazzi. «Tutti siamo venuti per questo. Ci era arrivata la notizia che le avreste permesso di nuovo di farla franca. Quella storia di omosessuali riguarda soltanto Peter.» Lanciò una timida occhiata a Phoebe e Diana. «Comunque tutto questo non ha senso. Se non siete lesbiche, perché lo accettate?» Diana alzò gli occhi al cielo. «Sai, me lo sono chiesta anch'io più di una volta.» Si rivolse a Phoebe. «Non me ne ricordo più, tesoro, perché lo accettiamo?» Phoebe scoppiò a ridere di gusto. «Non essere sciocca.» Guardò Eddie e gli diede la sua spiegazione: «Non abbiamo mai avuto altre possibilità. Non ci parla quasi nessuno. E quelli che lo fanno, sanno tutto di noi. Quelli che non lo fanno, immaginano quello che vogliono immaginare. Voi avete immaginato che siamo 'diverse'.» Nei suoi occhi c'era un tenue sorriso. «Se non mettendoci a fare l'amore nude vicino al laghetto con diversi uomini, non vedo proprio come avremmo mai potuto dimostrare il contrario. E comunque, avresti avuto un'opinione diversa di noi se avessi saputo che preferiamo gli uomini?» «Certo», le assicurò Eddie con una strizzatina d'occhio. «Comunque
niente di tutto questo spiega la fine di suo marito. Se l'unico motivo per cui se n'è andato è che i soldi erano finiti, perché non è venuto in suo soccorso quando ha letto quello che le stava accadendo? Bastava che telefonasse alla polizia.» Seguì uno strano silenzio. «Parli come se quell'uomo avesse la coscienza a posto», gli fece notare infine McLoughlin. Con la coda dell'occhio vide sbiancare Jonathan. Maledizione. Si finisce sempre per trovarsi tra due fuochi. «Il caso è sotto inchiesta, Eddie. Per questo non abbiamo mai divulgato i particolari. Ma ti assicuro che appena torna, quell'uomo sarà processato.» Si strinse nelle spalle. «Per il momento devi credermi che lui è contento se tutti sono convinti che sia morto. Era un farabutto. Prima o poi lo troveremo.» Persino Paddy sembrava colpito. «Cacchio!» esclamò Eddie. «Cacchio!» Schiacciò una scheggia di vetro con la scarpa. «Senta, signora», aggiunse poi, «per queste finestre...» Accennò ai suoi amici. «Puliamo tutto noi, e gliele sostituiamo. È giusto che sia così.» «Puoi fare anche di meglio, Eddie», lo incalzò McLoughlin. «Vogliamo nomi. Tanto per cominciare: chi ha aggredito la signorina Cattrell?» Eddie scosse la testa. Sembrava realmente dispiaciuto. «Potrei fare un'ipotesi, proprio come lei, ma se ha bisogno di prove, non saprei proprio come aiutarla. Come dicevo, queste storie di lesbiche non mi interessano affatto.» Gli indicò uno dei suoi amici. «Io e Bob quella sera eravamo al cinema con due pollastrelle. Non so gli altri che cosa avessero fatto.» Rispose un coro di protesta. «Non sono stato io. Ero a guardare la tivù con i miei.» «E io, Eddie, ero da tua sorella. Lo sai benissimo.» «Vaffanculo. Io l'ho saputo il mattino dopo, proprio come te.» Sopra le loro teste, McLoughlin incontrò lo sguardo di Paddy e ci vide rispecchiata la propria delusione. La verità si riconosce subito. «E tu?» chiese a Peter Barnes, ben sapendo che altrimenti l'avrebbe fatta franca. «Dov'eri?» Barnes sorrise. «Sono rimasto con mia madre per tutta la sera, fino a mezzanotte e mezzo. Poi me ne sono andato a letto. Se glielo chiede in modo gentile, le firmerà una dichiarazione.» Alzò il dito medio e lo mostrò a Paddy. «Beccati questa, testa di merda, per tutte le tue stronzate.» Ridendo sguaiatamente, mise il pugno nell'incavo del gomito e gli fece un gestaccio. «E per la sua squallida sceneggiata. Che ridere. Era tutto talmente
evidente che l'avrebbe visto un cieco. Se crede che non fossi venuto a spiare e non avessi visto i piedipiatti che facevano loro la guardia, si sbaglia di grosso.» Rise ancora. Nel cervello di McLoughlin squillò un campanello d'allarme. Che razza di psicopatico era quello? Un fanatico di Charles Manson? Cacchio! Sapeva che Charles Manson aveva descritto una scena simile prima di entrare in casa di Sharon Tate per ammazzarla. «E perché eri venuto quassù?» chiese, sfilandosi dalla tasca un paio di manette. «Ti diverte essere arrestato?» «Mi diverte vedere che granchi prendete! Per questo vale anche la pena di essere arrestati. Giusto per divertimento. Papà anticiperà la somma per pagare i danni.» Seguì un attimo di silenzio prima che la voce fredda di Jonathan entrasse attraverso la finestra frantumata. «Mi sembra ragionevole», commentò. «In cambio io anticipo la cifra per coprire i danni che ti farò.» Tutti rimasero sorpresi. Come in un film al rallentatore lo videro attraversare la stanza, togliere la sicura del fucile di sua madre, spingere la canna tra le gambe di Barnes e premere il grilletto. Lo scoppio produsse un frastuono assordante. Attraverso una densa nube di polvere videro, anziché sentirle, le grida che uscivano dalla bocca contorta del ragazzo. Ai suoi piedi si formò un pozza di liquido. McLoughlin, sbigottito, fece per intervenire, ma si sentì trattenere da un paio di braccia robuste. «Jon!» gridò, assordato dalle grida. «Per l'amor del cielo! Non ne vale la pena.» «Lo lasci fare, signore.» La voce era quella di Fred. «Sono anni che aspetta questo momento.» McLoughlin rimase a guardare attonito mentre Jonathan Maybury spingeva Peter Barnes contro il muro e gli cacciava la punta del fucile nella bocca urlante. 25 La vecchia casa, silente teatro di vicende ben più orribili nei suoi quattrocento anni di vita, sonnecchiava sbadigliando con le finestre frantumate e gli ornamenti rovinati dai pallini da caccia. Nel giro di mezz'ora erano arrivate tre auto della polizia per portare i colpevoli alla centrale sotto la responsabilità del restio agente Gavin Williams. «Dovrebbe portarli dentro lei, sergente», protestò.
«No, no. Sono tutti tuoi. Ho un lavoro da concludere qui.» «E che cosa faccio con il giovane Maybury, sergente?» McLoughlin incrociò le braccia e non rispose. «Sicuramente Barnes lo accuserà.» «Che faccia pure.» «Non dovremmo accusare Maybury?» «Di che cosa? Dell'uso accidentale di un'arma regolarmente denunciata?» «Sarebbe impossibile. Eddie, per esempio, ha visto benissimo che non si è trattato di un incidente.» McLoughlin si divertiva. «Non mi stupirei se Eddie si facesse più furbo e lasciasse perdere quel Barnes. Tanto per cominciare, non sopporta di essere preso in giro da lui. Mi diceva che nel momento in cui accadde l'incidente, lui e i suoi amici erano girati dall'altra parte.» Williams sembrava perplesso. «Che cosa devo dire?» «Sono affari tuoi, Gavin. Temo di non poterti aiutare. Quando partì il colpo, ero girato e stavo annotando i nomi e gli indirizzi degli aggressori. E poi non sono riuscito a vedere niente a causa della polvere.» «Cacchio!» «Credevo che tu nel frattempo stessi annotando i nomi e gli indirizzi di tutti i testimoni... In questi casi è una procedura standard.» L'agente fece una smorfia. «E come si spiega la confessione di Barnes? Voglio dire, se è stato soltanto un incidente, perché avrebbe confessato? Era così terrorizzato da farsela addosso, sergente.» McLoughlin gli somministrò un'amichevole pacca sulla spalla. «Davvero, Gavin? Io non ci vedevo un accidente perché avevo gli occhi pieni di polvere. Non chiedermi che cos'è stato a sciogliergli la lingua, perché non saprei proprio che cosa dirti, a meno che non fosse lo spavento per lo sparo. Ognuno reagisce in modo diverso a un'esplosione. Io sono rimasto momentaneamente accecato, ma avevo le orecchie ben aperte. Immagino sia stato una specie di effetto di compensazione. Non ho visto niente, ma ho sentito ogni parola che questo piccolo bastardo ha pronunciato.» Williams scosse la testa. «Devo avere avuto un'allucinazione. Eppure mi sembrava che il dottore gli avesse sparato alle palle.» Anche a me, pensò McLoughlin tra sé. Anche a me. E, evidentemente, così era parso anche a Peter Barnes. Sospinto da Jonathan e intontito dal colpo di fucile tra le gambe che non l'aveva ferito e si era scaricato contro il muro, era scoppiato a piangere quando Jonathan gli aveva puntato il fu-
cile contro i denti, minacciando di sparare. «Non volevo farlo», aveva balbettato. «Stavo spiando nella casa. Non volevo farlo. Non volevo», strillava. «Lei era tornata, quella stupida puttana era tornata. Ho dovuto colpirla.» Il dito che Jonathan teneva sul grilletto era esangue. «E adesso raccontami come andò nove anni fa.» «Oddio! Qualcuno mi aiuti!» Aveva i pantaloni tutti bagnati di urina. «Dimmelo!» berciò Jonathan, pallido e infuriato. «Qualcuno mise a soqquadro questa casa. Chi?» «È stato mio papà», gemette il ragazzo, singhiozzando in modo convulso. «Si era ubriacato con i suoi amici.» Sgranò gli occhi rendendosi conto che Jonathan stava per premere il grilletto. «Non è colpa mia. La mamma ride ogni volta che ci pensa. Non è colpa mia. È stato papà.» Rovesciò gli occhi indietro e crollò sul pavimento. Jonathan abbassò il fucile e lanciò un'occhiata a McLoughlin. «Non avevamo mai saputo chi fosse stato. Mamma, Jane e io ci eravamo chiusi a chiave in cantina e avevamo aspettato che se ne andassero. È stato il momento più terribile della mia vita. Li sentivamo gridare e rompere tutti i mobili. Credevo che volessero ucciderci.» Scosse la testa e lanciò un'occhiata al ragazzo. «Avevo giurato che gliel'avrei fatta pagare se avessi mai scoperto chi era. Avevano usato la casa come gabinetto e scritto 'PUTTANA ASSASSINA' su tutte le pareti con il ketchup. Avevo appena undici anni. Credevo che fosse sangue.» La mascella gli si contrasse. McLoughlin si liberò di Fred e si spolverò i vestiti. «Ci è mancato un pelo, Jon. Che cosa diavolo è successo? Sei inciampato su un vetro?» «Esatto, sergente», intervenne Fred. «L'ho visto benissimo. Avrebbe potuto andare male se Jon non avesse avuto i riflessi pronti.» «Faccia qualcosa, prima che quel maledetto arnese spari di nuovo.» Stette a guardare mentre Fred apriva il fucile ed estraeva la seconda cartuccia. «Dai, Barnes, alzati e piantala di frignare. Sei stato fortunato che il dottor Maybury abbia avuto la prontezza di spirito di puntare il fucile in basso.» Lo fece alzare in piedi e lo ammanettò. «Sei in arresto. L'agente Williams ti spiegherà tutto.» Il ragazzo continuava a singhiozzare. «Ha cercato di ammazzarmi.» «Che ingrato», commentò Paddy scuotendosi la polvere dai capelli. «A momenti Jon si spara a un piede per proteggere questo stronzetto e lui non trova niente di meglio da fare che accusarlo.» Scorse il viso sconvolto di Jonathan e il pericolo in agguato e lanciò un'occhiata a Fred strizzandogli
un occhio alla Gary Lineker. Per tutta risposta Fred prese il ragazzo per un braccio e lo condusse in corridoio. «Sarà meglio controllare il resto della casa, signore. Non mi piace sapere che la signorina Cattrell è su da sola.» Richiuse la porta alle loro spalle. Era trascorsa mezz'ora, ma a McLoughlin era parso un anno. Si carezzò il mento ispido osservando pensosamente il giovane agente. «Non posso aiutarti, Gavin. Sei un bravo poliziotto, e non è affar mio dirti che cosa devi fare. Devi prendere le tue decisioni.» Il giovane lanciò un'occhiata in salotto dove Fred dava una mano a Phoebe a rimettere a posto. «Ho accettato di venire a fare sorveglianza con lei per il vecchio e sua moglie, veramente. Sono persone a posto. Non mi piaceva lasciarli soli con quei bastardi.» «Giusto», convenne McLoughlin. Il giovane si accigliò. «Se vuole sapere che cosa ne penso, direi che l'ispettore capo dovrà fornire qualche spiegazione convincente su questo caso. Dovrebbe sentire il racconto di Molly sul periodo in cui lei e Fred furono assunti. La casa era stata totalmente distrutta. La signora Maybury e i suoi due figli vivevano in una sola stanza che la signorina Cattrell e il ragazzo, Jonathan, erano riusciti a pulire. Secondo Molly, la signora Maybury e Jane erano talmente scioccate da non riuscire neppure a ragionare. Molly dice che qui puzzava di piscio anche dopo tre mesi e che il ketchup aveva cominciato a fare la muffa sulle pareti. Lavorarono per settimane intere prima di ripulire la casa. Che cos'ha il capo contro di loro, sergente? Perché non voleva credergli?» Perché non poteva permetterselo, pensò McLoughlin tra sé. Era stato proprio Walsh, in tutti quegli anni, ad alimentare il clima di odio in cui quella donna e i suoi due bambini vivevano. Ai suoi occhi, Phoebe era sempre stata colpevole, e la caccia prolungata e ostile che le aveva dato era stata motivata esclusivamente dal suo desiderio di affermarsi. «È un uomo meschino, Gavin», disse soltanto. «Be', a me non sta bene e vorrei precisare una cosa: non è per questo che sono entrato nella polizia. Ho chiesto a Molly perché non ci avevano avvertiti quando era successo, e lo sa che cosa mi ha risposto? 'Perché la signora sapeva bene che non era il caso di chiedere aiuto al nemico.'» Batté il piede contro il pavimento. «Vorrei portare un po' in giro Molly e Fred solo perché sappiano che non siamo tutti loro nemici.» McLoughlin sorrise commosso. Se Williams desiderava farlo, per lui
andava benissimo. «Dicono che Molly sia bravissima a fare le torte.» «È vero!» esclamò il giovane con occhi luccicanti. «Dovrebbe provarle.» «Lo farò.» Sospinse l'agente verso la porta e le gazzelle in attesa. «A Eddie e ai suoi amici non farà male passare una notte al fresco, registrali e tienili dentro. Se la signora Maybury vorrà, domattina potrà sporgere denuncia. Ma non credo che lo farà. Questa sera ha messo la prima pietra di un ponte.» «E Barnes?» «Tienimelo al fresco. Verrò domattina presto. Raccoglierò io stesso la sua confessione. E poi...» «Sì?» «Tanto avrebbe parlato lo stesso. Non avrebbe resistito. È troppo arrogante per tenere un segreto a lungo. Vedrai. Domani, senza bisogno di alcun incoraggiamento, ci metterà al corrente di tutta la vicenda.» Il giovane si sentì alleggerito. «Certo. Devo fare qualcos'altro?» «Telefona ai suoi genitori tra un paio d'ore, diciamo alle tre, di' loro che abbiamo pizzicato il figlio e falli venire in centrale. Ma non farli parlare con lui per nessun motivo. Facciamoli pure aspettare tutta la notte. Puoi dire loro che ha confessato.» Williams sembrava perplesso. «Ma dopo dieci anni sarà difficile portarli davanti al giudice...» «È vero.» McLoughlin sorrise maliziosamente. «Ma per un paio d'ore voglio fargli pensare che lo farò.» Anche Paddy esitava ad andarsene. «Dovrete uscire dal nascondiglio, adesso», disse a Phoebe e Diana. «In un modo o nell'altro, siete libere. Per fortuna. Ora dovrete fare un piccolo sforzo. Domani venite al pub. Mi sembra il posto adatto per cominciare.» Strinse la mano a McLoughlin. «Mettiamo su una birreria insieme, Andy. Avrei bisogno di uno come te.» «Non ne so niente di birrerie.» «Per quello me la caverei io. È il mio campo. Tu potresti gestire gli affari, trovare i clienti e avviare la cosa. Saresti in gamba. Ho bisogno di qualcuno di cui mi possa fidare.» McLoughlin sorrise. «O di qualcuno di cui si fida la finanza? Sei troppo anarchico, per me, Paddy. Nel giro di tre mesi diventerei nevrastenico perché non riuscirei a ricordarmi che cosa devo tacere.» Paddy scoppiò in una risata sonora e gli diede una pacca sulla spalla. «Pensaci, amico. Mi sei simpatico.» Poi se ne andò. Jonathan sedeva su una poltrona in silenzio, evitando attentamente lo
sguardo di chiunque. La collera era sbollita da tempo; ora cercava disperatamente di capire quello che aveva fatto a Peter Barnes. Quell'accesso di violenza era imperdonabile. Fred tossicchiò educatamente. «Se non c'è nient'altro, signora», disse rivolto a Phoebe, «io torno a casa. Mia moglie e la piccola Jane si staranno chiedendo com'è andata.» Jane dormiva nella casa dei custodi con Molly da alcune notti mentre Fred faceva sorveglianza nel giardino con McLoughlin e Williams. «Oh, Fred!» esclamò Phoebe. «Mi dispiace tanto. Davvero. Non ho mai pensato che lei fosse uno di loro. E stato lo choc. Mi crede, vero? Domani l'accompagno a farsi l'antitetanica.» Fred lanciò un'occhiata alla mano fasciata, lavata, disinfettata e medicata da Phoebe e Diana con un profluvio di scuse. «Signora», disse con voce dura, «se verrà detta un'altra parola su questa questione, sarò costretto a rassegnare le dimissioni. So essere molto paziente, ma non sopporto tutte queste moine. Sono stato chiaro? Bene. Se volete scusarmi...» «La porto in macchina», propose subito Phoebe. «Preferirei che mi portasse il dottore, se è possibile. Devo chiedergli un consiglio.» La porta si chiuse alle loro spalle. Phoebe si girò per non far vedere che piangeva. «Dio deve avere spezzato lo stampo dopo avere creato Fred e Molly», balbettò. «Non si sono mai meritati tutto questo, eppure ci hanno sempre sostenuti. Adesso ho deciso, Di», continuò, «domani voglio andare al pub. Qualcuno deve fare il primo passo, e tanto vale che sia io. Fred ci va da anni, e nessuno, a parte Paddy, gli rivolge la parola. Voglio fare qualcosa.» Diana studiò il volto infuriato dell'amica. «Che cosa, per esempio? Puntargli il fucile addosso per convincerli a parlargli?» Phoebe scoppiò a ridere. «No. Niente rancori per il passato.» «Be', se è così, ti accompagno.» Lanciò un'occhiata a McLoughlin. «Possiamo? È tutto finito adesso, no? L'ispettore è stato molto brusco al telefono, ma credo che ci abbia assolte.» McLoughlin annuì. «Sì, siete assolte.» «Fu un suicidio?» volle sapere Phoebe. «Ne dubito. Quel vecchio non aveva la testa a posto e i ricordi di Streech erano gli unici che gli restavano. Penso che fosse tornato qui per trovare un posto in cui morire.» «Ma come poteva sapere della ghiacciaia?» «Dai dépliant che suo marito aveva fatto stampare. Per attirare i turisti,
sicuramente ne aveva lasciati anche nell'officina. Sulla carta, probabilmente Chapel conosceva questo giardino meglio di lei.» «Sì, ma dopo tutto questo tempo...» «La memoria funziona così», spiegò Diana. «Le persone anziane ricordano tutti i particolari della propria infanzia, ma non saprebbero raccontarti che cos'hanno mangiato per colazione.» Scosse la testa. «Io non l'ho mai conosciuto, ma mi dispiaceva molto per l'incidente accaduto ai genitori di Phoebe e le bugie che erano seguite. Però... morire così, solo e nudo... è davvero triste. Sembrerà stupido, ma avrei preferito che non si fosse tolto i vestiti. In un certo senso mi sembra che abbia cercato di dimostrare che la vita è inutile. Nasciamo nudi e nudi moriamo. Ho il terribile sospetto che, per lui, tutto quello che è accaduto tra l'inizio e la fine sia stato privo di significato.» McLoughlin si stiracchiò. «Se fossi in lei, signora Goode, non mi commuoverei eccessivamente. Su questo fatto che fosse nudo abbiamo soltanto la testimonianza di Wally. Credo che forse si vergognasse un po'. È ben diverso prendere dei vestiti ripiegati e scartati dallo spogliare un cadavere.» Guardò l'orologio. «C'è dell'altro?» «Volevamo ringraziarla», disse Phoebe. «Di che cosa?» «Di tutto. Jane, Jonathan, Anne e noi.» Annuì e si avviò verso la porta del corridoio. Le due donne si scambiarono un'occhiata. «Tornerà, vero?» domandò Diana. McLoughlin rise tra sé. «Se devo... tornerò.» «Che cosa significa?» Phoebe rise sotto i baffi. «Credo che voglia dire che non aveva alcuna intenzione di andarsene. Non può tornare, se non se n'è andato, no?» Lo sparo e le grida avevano fatto passare Anne dal sonno profondo ottenuto con i sonniferi a uno più leggero in cui i sogni si susseguivano come un allegro technicolor. Non erano incubi, solo un'infinita sfilata di luoghi e volti, alcuni dei quali le erano solo parzialmente noti, proiettata nella sua mente annebbiata dal sonno. Ebbe la spiacevole sensazione che McLoughlin stesse bussando alle doppie finestre di un'enorme fortezza dicendole che bisognava essere in due per aprirle se non voleva che restassero sepolti vivi. Si alzò a sedere di scatto e lo guardò. L'abat-jour sul suo comodino era
accesa. «Sognavo che Jon e Lizzie si sposavano», annunciò, isolando quell'unico ricordo da tutti gli altri che svanirono per sempre. McLoughlin avvicinò al letto la sedia di vimini e vi si sedette. «Con il tempo e la calma, probabilmente si sposeranno.» Anne ci pensò un momento. «Certo che non le sfugge niente.» «Dipende. Abbiamo beccato il suo aggressore.» Tese le sue gambe lunghe e le raccontò tutto nei minimi particolari. «Paddy vuole che gli dia una mano ad aprire una birreria.» Anne sorrise. «Le piace Paddy?» «È un fetente.» «Però le piace?» McLoughlin annuì. «È padrone di se stesso. Mi piace un sacco.» «Accetterà l'offerta?» «Penso di no. Sarebbe troppo facile abituarsi alla sua Special.» Studiò i suoi occhi socchiusi. «Jon torna a Londra domani. Mi ha detto di chiederle se rivuole le sue lettere d'amore. Nel caso cercherà di ripescarle prima di partire.» Anne si guardò le mani. «Lei sa dove le ha messe?» «Penso che siano in una crepa della vecchia quercia che si trova dietro la ghiacciaia. È un po' preoccupato perché non sa se riuscirà a recuperarle. Mi ha chiesto di dargli una mano.» La osservò attentamente. «Devo farlo, Cattrell?» «No. Le lasci lì.» Alzò la testa per guardarlo. «Quando mi sarò rimessa in sesto andrò a tappare tutte le crepe di quell'albero con del cemento a presa rapida, così nessuno potrà più trovarle. Sono stata costretta a chiedere a Jon di nasconderle. Era l'unico presente quando Walsh mi portò via, ma non voglio assolutamente che le veda. Mio Dio, come vorrei che fossero effettivamente lettere d'amore.» «Che cosa sono?» «Fotografie» «Di David Maybury?» Anne annuì. «Dopo che Phoebe l'aveva ucciso?» Annuì di nuovo. «È uno dei suoi famosi salvagente, immagino...» Anne sospirò. «Non mi ero mai illusa che saremmo riuscite a farla franca. Conservavo quella testimonianza per l'eventualità in cui il corpo fosse stato trovato e Phoebe avesse avuto bisogno di essere difesa.» Si fece più scura in volto. «Le avevo sviluppate io stessa. Erano foto orribili di David due settimane dopo che Phoebe l'aveva ucciso, di Phoebe stessa, talmente sconvolta da sembrare un'altra, dei danni che i vandali avevano fatto in ca-
sa e della tomba che ho costruito in cantina. Non voglio vederle mai più.» «Mi racconti, Anne.» Anne respirò a fondo. «David tornò la notte dopo che la casa era stata devastata. Era evidente che prima o poi sarebbe tornato, ma proprio quella notte...» Scosse la testa. «Ovviamente lui non ne sapeva niente. Altrimenti non sarebbe tornato. Le porte erano chiuse da cataste di mobili, così entrò dalla finestra della cantina. Phoebe era in cucina e aveva sentito rumori al piano di sotto.» Cercò gli occhi di McLoughlin. «Lei deve capire che era terrorizzata. Pensò che fossero tornati gli ubriaconi a uccidere lei e i bambini.» «Certo che capisco.» «Così prese l'oggetto più pesante che trovò, l'ascia per spaccare la legna che era accanto alla cucina economica, e quando lui varcò la soglia, gli spaccò la testa a metà.» «L'aveva riconosciuto?» «Intende dire se sapeva che era David quando lo ammazzò? Credo di no. Accadde tutto così in fretta. Ovviamente lo riconobbe in seguito.» Seguì un lungo silenzio. «Avreste potuto chiamare la polizia», suggerì infine McLoughlin. «Con le prove di quanto era accaduto la notte precedente, la signora Maybury avrebbe potuto affermare di averlo fatto per legittima difesa. Se la sarebbe cavata senza alcun problema.» Anne tornò a guardarsi le mani. «L'avrei fatto, se l'avessi saputo. Ma Jon mi telefonò soltanto due settimane dopo.» Si coprì gli occhi con le mani per scacciare dalla memoria le immagini da incubo. «Phoebe non ricorda assolutamente nulla di quelle due settimane. L'unica cosa che riuscì a fare prima di entrare in uno stato di choc, fu di portare il cadavere di David in cantina e chiudere la porta a chiave. I ragazzi non l'hanno mai saputo. Jon mi aveva chiamato soltanto perché per due settimane lei si era chiusa a chiave con i bambini nella sua stanza e si erano nutriti di scatolame che aveva recuperato nella dispensa. Jon le sottrasse la chiave mentre dormiva, uscì dalla stanza e continuò a chiamarmi fino a quando non risposi.» Gli occhi le si riempirono di lacrime che le colarono giù per le guance. «Aveva appena undici anni, era poco più di un bambino. Mi disse che stava facendo del suo meglio, ma che secondo lui Jane e la mamma avevano bisogno di una persona che si curasse di loro.» Si asciugò gli occhi. «Oddio, scusi. Mi viene da piangere ogni volta che ci penso. Dev'essere stato così terrorizzato, poverino. Io venni subito qui.» D'un tratto parve infinitamente stanca. «Non avrei potuto andare dalla
polizia, McLoughlin. Phoebe era completamente impazzita e Jon e Jane non aprivano quasi bocca. Pensavo che Phoebe avesse distrutto la casa dopo avere ammazzato David. Però non avevo modo di sapere in quale ordine fossero accaduti i due fatti. E se già io la pensavo così, a che conclusione sarebbe giunto Walsh? Era un incubo. Decisi soltanto che i bambini dovevano passare in primo piano, perché l'avevo promesso al padre di Phoebe. Per il loro bene decisi che era meglio evitare che la loro madre fosse rinchiusa in un ospedale psichiatrico.» Tirò un sospiro. «Per giorni e giorni continuai a comperare piccole dosi di malta in tutti i negozi di bricolage del South Hampshire. Le trasportavo con l'auto di Phoebe. Non osavo farmela portare qui. Poi mi chiusi in cantina e costruii un muro per nascondere quella massa schifosa e puzzolente che un tempo era stato David.» Fece un smorfia di disgusto. «È ancora lì. Il muro non è mai stato toccato. Diana è stata giù a controllare dopo che Fred aveva trovato quel cadavere nella ghiacciaia. Avevamo il terrore che fosse in qualche modo uscito.» «Fred lo sa?» «No. Solo Diana, Phoebe e io.» «E Phoebe sa che cosa ha fatto?» «Certo. Ci ha messo un po', ma alla fine è riuscita a ricordare tutto. Avrebbe voluto confessare circa quattro anni fa, ma eravamo riuscite a dissuaderla. Jane a quattordici anni pesava appena ventotto chili e mezzo. Diana e io avevamo deciso che la tranquillità della ragazza era più importante di quella di Phoebe.» Respirò di nuovo a fondo. «Per questo non abbiamo mai venduto Streech Grange. Chiunque l'avesse comprata, per prima cosa avrebbe scavato in cantina per farsi mettere una vasca Jacuzzi.» Sorrise. «In certi momenti è stato proprio insopportabile. Mentre ora, vedendoli tutti e tre, so che ne è valsa la pena.» Nei suoi occhi umidi c'era un'espressione commovente. McLoughlin le prese una mano. «Che cosa posso dire? La prossima volta che cercherò di dirle come gestire la sua vita, mi ricordi che sa farlo da sola.» Giocava con le sue dita. «Le sue fotografie della casa mi servirebbero per distruggere Walsh e Barnes per quello che hanno fatto a Phoebe.» «No», si affrettò a rispondere lei. «Nessuno sa che esistono, eccetto lei e me. Phoebe e Diana non lo sanno. Lasciamole dove sono. Vedo già troppo spesso la morte nei miei incubi. E comunque Phoebe non lo vorrebbe. Walsh aveva ragione, in fondo. David l'ha ucciso lei.» McLoughlin annuì e distolse lo sguardo. Passò qualche tempo prima che parlasse. «Mia moglie è tornata stasera.»
Anne si sforzò di sorridere. «È contento?» «A dire il vero, sì.» Lei cercò di liberarsi la mano, ma McLoughlin non la lasciò andare. «Allora sono contenta per lei. Questa volta andrà bene?» «Sì. Pensavo di lasciare la polizia. Che ne pensa?» «Il rapporto con sua moglie ne sarebbe avvantaggiato. La percentuale di divorzi tra i poliziotti è altissima.» «Lasci perdere i suggerimenti pratici. Mi dia un consiglio sincero.» «Non posso», rispose Anne. «Deve decidere lei. Ma qualunque cosa decida, cerchi di capire se è proprio quello che vuole.» Lo osservò timidamente. «Mi ero sbagliata, lo sa? Credo che lei abbia fatto proprio bene ad arruolarsi in polizia e che abbia dato un grandissimo contributo con il suo lavoro.» McLoughlin annuì. «E lei? Che cosa farà ora?» Un sorriso le illuminò la faccia. «Oh, il solito. Prenderò d'assalto qualche fortezza, sedurrò qualche scultore...» «Be', ma prima vorrei che mi desse una mano in cantina, una sera. Credo che sia giunta l'ora di distruggere quel muro: David Maybury se ne deve andare da questa casa una volta per tutte. Ma non sarà sgradevole. Dopo nove anni non sarà rimasto più niente e ci libereremo di lui in modo adeguato.» «Non sarebbe meglio lasciar perdere?» «No.» «Perché no?» «Perché vede, Cattrell, se Phoebe non si libera di lui, lei e Diana sarete costrette a restare qui per sempre.» Anne scrutò un'oscurità segreta dietro di lui. Quanto poco capiva... Ormai sarebbero rimaste legate per sempre. Era passato troppo tempo. Avevano perso la fiducia di ricominciare. McLoughlin le strinse la mano ancora un volta e si alzò. «Be', sarà meglio che io vada a letto.» Lei annuì. Le brillavano gli occhi. «Arrivederci, McLoughlin. Le auguro buona fortuna, davvero.» McLoughlin si grattò la guancia. «Non è che per caso avrebbe un cuscino da prestarmi? E magari uno di quegli spazzolini da denti che ci sono in bagno?» «Perché?» «Perché non so dove andare a dormire, Anne. Come le dicevo, mia mo-
glie è tornata. E non ho la minima intenzione di passare altri sette anni con una persona il cui colore preferito è il beige. Me ne sono andato.» Studiò il sorriso di lei. «Pensavo di andare a vivere con un'amica, questa volta.» «Che genere di amica?» «Be', non saprei. Magari con un'intellettuale cinica, egoista e piena di sé che non sa coltivare i rapporti, non accetta le convenzioni e mette a disagio la gente...» Anne rise divertita. «È tutto vero.» «Lo so. Abbiamo molte cose in comune. È una descrizione che si adatta abbastanza bene anche a me.» «Detesterebbe dover vivere qui.» «Probabilmente quanto lei. Che cosa ne dice di Glasgow?» «Che cosa faremmo lì?» «Conosceremmo cose nuove, Cattrell. Esploreremmo.» I suoi occhi si erano illuminati di una luce intensa. «Accetterà che io le dica di no, McLoughlin?» «No.» «Be', e allora che cosa diavolo aspetta?» FINE