Álvaro Belo Marques La nave arenata Traduzione di Maria Teresa Palazzolo
Guaraldi-Aiep MELTING POT narrativa dai paesi ...
75 downloads
705 Views
84KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
Álvaro Belo Marques La nave arenata Traduzione di Maria Teresa Palazzolo
Guaraldi-Aiep MELTING POT narrativa dai paesi del sud Storie dell'altro mondo Collana a cura di Eleonora Forlani Maria Teresa Palazzolo
Prima pubblicazione: Titolo originale: O barquo encalhado Álvaro B. Marques (c) Copyright 0389/INLD/83 (c) Copyright 1993 by AIEP - GUARALDI Via Gino Giacomini, 86/A - 47031 Repubblica San Marino ISBN 88-86051-28-X Prima edizione: Novembre 1993 Seconda edizione: 1994 Tutti i diritti riservati
INTRODUZIONE Sul frontespizio dell'edizione mozambicana troviamo scritto: "Questo libro è stato pubblicato in appoggio al IV° Congresso del Partito Frelimo". Era il 1982 e in tutto il paese si stava svolgendo un radicale processo critico e autocritico. È certamente nata da qui, nell'autore, l'esigenza di scrivere sui mali di Ilha de Moçambique, gli stessi che, in quel periodo, stavano affliggendo il Mozambico intero. In Ilha c'è in più una palese dimensione storica, attestata dai suoi edifici, molti dei quali furono costruiti nel XVI e nel XVII secolo. In tale prospettiva, ogni problema dell'oggi acquista particolare, emblematica evidenza. È infatti preoccupazione dell'autore mettere spietatamente a fuoco i gravissimi problemi esistenti, senza veli né attenuanti di alcun genere. Tanto sfacelo potrà forse sembrare incomprensibile a chi non conosca il Mozambico. Una rapidissima sintesi sulla sua situazione al momento dell'indipendenza e negli anni immediatamente successivi, potrà facilitare l'approccio a questa realtà. L'indipendenza venne proclamata nel 1975, dopo nove anni di una guerra combattuta daiportoghesi con ogni mezzo, contro la guerriglia guidata dal Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico). Quando lasciarono il paese, gli ex coloni distrussero molte delle cose che non poterono portare con sé. Al momento dell'indipendenza, per il tipo di politica scolastica e culturale praticata dai coloni come parte integrante del sistema coloniale stesso, più del 90% della popolazione mozambicana era analfabeta: questo dato è da solo indicativo dell'immane difficoltà, per il nuovo stato, di formare una classe dirigente che coprisse tutte le strutture politiche e amministrative, sia centrali che locali.
Difficoltà aggravata dalla statalizzazione totale dell'economia, che moltiplicava a dismisura la necessità di funzionari statali. Appena proclamata l'indipendenza, il Sud Africa, l'allora Rodesia ed un gruppo di ex coloni iniziarono una guerriglia ferocemente distruttiva contro la popolazione e le sue istituzioni civili (villaggi, scuole, ospedali, ecc.) che si è conclusa soltanto pochi mesi fa (almeno al livello dei rappresentanti politici, perché gran parte del Paese vive ancora in estrema insicurezza). I rapporti economico-politici tra il governo colonialista portoghese e quello razzista sudafricano erano infatti strettissimi, quasi che il Portogallo, economicamente molto più debole, fosse colonizzatore per procura. Si può ben dire che il Mozambico era considerato dai sudafricani il loro "giardino di casa". La nave arenata si inscrive in questa realtà e vuol darne conto. La nave arenata è Ilha de Moçambique. Indiscussa protagonista del racconto, vi si configura attraverso incontri scontri tra alcune persone che lì vivono (residenti, ospiti, 'cooperanti '- neri, bianchi, indiani - musulmani e cattolici - intellettuali e analfabeti); le loro discussioni e riflessioni sulla storia, sul presente, sul futuro; le disavventure del vivere quotidiano, provocate dalla situazione precaria e disastrata dell'isola. L'autore narra con affetto, pena e ironia. Come precisa Bruno da Ponte nell'edizione mozambicana, "la costruzione del racconto, nei suoi molteplici aspetti, si basa su di un processo di accumulazione di elementi separati, a volte complementari, a volte conflittuali ma convergenti, senza che la loro rappresentazione obbedisca ad una sequenza cronologica o ad un rapporto di causalità immediata". Proprio questa frammentarietà del raccontare, omologa alla realtà raccontata, ne evidenzia efficacemente la disgregazione. I due personaggi principali sono bianchi. Non viene neppure precisato se siano mozambicani. Di fatto il loro profondo coinvolgimento intellettuale ed emotivo nelle vicende di Ilha (e per analogia del Mozambico) rispecchia una realtà che mi sembra abbastanza specifica, a quell'epoca, delle ex colonie portoghesi: come conseguenza della partecipazione, in forme e condizioni diverse, alla lotta di liberazione dal dominio coloniale, i portoghesi nati o vissuti a lungo in Mozambico si sentivano mozambicani come e quanto i neri; ed i cooperanti, mossi da forti motivazioni ideologiche, si identificavano con un popolo che, in quegli anni, sembrava aver irrevocabilmente conseguito la piena sovranità sul proprio paese, per costruirvi una società più giusta. È recente l'accordo siglato a Roma tra il governo mozambicano e la RENAMO, l'organizzazione militare addestrata armata e manovrata dal Sud Africa, che per circa 15 anni ha gravemente destabilizzato e disaggregato il Mozambico. La scelta di Roma come sede d incontro tra le due parti è certamente dovuta, oltre che al sostegno prestato da alcune forze politiche italiane alla lotta di liberazione dal colonialismo ed alla mediazione di alcune organizzazioni religiose cattoliche, agli intensi rapporti economici e commerciali per i quali negli anni '80 l'Italia è stata il più importante partner economico del Mozambico. È italiano il più consistente contingente militare delle Nazioni Unite che ha il compito di far rispettare gli accordi di Roma e, tra un anno, di controllare lo svolgimento delle prime elezioni multipartitiche. È desiderabile che i nostri rapporti con questo Paese, ricco di una civiltà che troppo poco conosciamo, abbraccino ambiti più vasti e diversi da quelli economico e militare. La pubblicazione de La nave arenata vuole essere anche un piccolo contributo in questo senso. Repubblica di San Marino, luglio 1993 Maria Teresa Palazzolo
CAPITOLO 1 Torrens, un ospite occasionale di Ilha, constatò: - Conigli. - No - disse Miguel, con quel garbo che lo spagnolo presta alle altre lingue - No, Torrens. Topi. Pantegane. Dal Museo di Arte Sacra, accosto alla chiesa cattolica, uscivano enormi topi di fogna che non andavano come Torrens e Miguel a passar la serata, ma si davano da fare per la vita. Con l'ansia di chi si conosce da poco tempo di mostrare, almeno in parte, il proprio intimo, Torrens farfugliò colto: - "La peste", di Camus. Miguel cadde nella trappola. Se avesse alzato le spalle, come in realtà aveva voglia di fare, avrebbe dato all'altro l'idea di non conoscere né l'opera né l'autore. Ci cadde in pieno: - Terribile, amico mio. Che peccato esser morto così giovane, quando ci si aspettava tanto da lui. Le pantegane, indifferenti alla presenza di quei due uomini fermi davanti alla chiesa, andavano in rapide corsettine verso la spazzatura che la vecchia Bianca e i vicini gettavano all'angolo della strada. Quotidianamente. Metodicamente. - Vuoi andare fino alla piazza? Là è più fresco - propose Miguel, sempre preoccupato per il caldo. Lontano, dal lato del continente, un lampo annunciò un temporale: di lì a poco e lì vicino. Camminando lentamente, costeggiarono l'angolo ed ntrarono nella piazza del padiglione e del 'palazzo', denominazione pomposa per una grande casa con torre e orologio. - Sai Torrens, questo non è un museo. Secondo me è un magazzino, ben ordinato pulito, con diversi pezzi di mobilio e nient'altro. Se io, nella mia casa di Madrid, mettessi un tappeto di Arraiolos, una cristalliera Queen Anne, una statuetta di Sèvres, un risciò, una scrivania luso-indiana, un letto Luigi XV, uno pseudo Goya di qualche abile discepolo, uno Stradivarius sotto vetro, più un piatto Ming e una lettera di un re non-soquanto a un vice-re non-so-chi, non potrei chiamarlo museo. C'è una ricchezza storica in quest'isola. Questo 'museo' non la trasmette. Torrens guardava indifferente il mare e la lontana 'isola del faro', faro in quella notte spento. Aveva già ascoltato più volte quel discorso da Miguel, che ogni volta aggiungeva al suo 'museo' un altro pezzo. Torrens, prosaico, in quel momento di caldo ozio avviava i suoi pensieri al problema di trovare birra per il pranzo del giorno dopo. Il museo che andasse a quel paese. - Ilha muore, Torrens. Agonizza. La sento affondare ogni notte un po', come una nave arenata. È rara la notte in cui non cade un terrazzo, una finestra, una porta. Gli uomini abbandonano la nave, i topi li rimpiazzano. - Miguel, credi che domani Abdul ci rimedierà due birre per il pranzo? - Caspita! Di sicuro Torrens! Non sedettero. Sapevano entrambi che se l'avessero fatto, se si fossero fermati, sarebbero stati divorati dalle zanzare. S'incamminarono verso il pontile della vecchia e morta dogana. - Attento Torrens. Puoi finire di sotto. Le tavole sono marce e ci sono molti buchi giù di lì. - Mi hai fregato con quella bottiglia di whisky che hai portato a Ilha. Ne avevo già dimenticato il sapore e tu sei venuto a risvegliare una sete antica... Miguel si fermò, si carezzò la barba rada dai riflessi castani. Rise. - Mi sembra che stai suggerendo di bere un bicchiere a casa mia. Lo stai proponendo in maniera sfacciata. Quei due uomini si erano conosciuti da quattro giorni appena. Sembrava tuttavia ad entrambi che li unissero anni di sofferenze di gioie. Itinerari assai differenti nell'apparenza dei cammini percorsi ma, in latitudini ed epoche diverse, le stesse sparatorie, le stesse barricate, gli stessi nemici, la stessa clandestinità. Torrens, di proposito, usava a volte la parolaccia, pesante ma utile a saltare la
diplomazia dei primi incontri, a dare ai suoi rapporti una maggiore intimità. Credeva. Torrens, più vecchio di 15 anni, pensava di non aver più tempo, di essere al tramonto della vita. Incontrato un compagno bello come Miguel non voleva permettersi il lusso di aspettare mesi od anni per stringere amicizia. "Non aveva più tempo", come molte volte diceva. - Torrens, ti va o no un bicchiere? - No, ormai no. Il piacere non compensa l'andare a casa tua e tornare poi a casa mia. Oltretutto mi hai sistemato con quella storia della nave arenata. È una bella traccia per un libro... s'io fossi Hemingway. - Mi sono già accorto che sei un pigro, o se no che sei rimasto invischiato nello stato di Ilha. Se resterai qui non scriverai un libro né un romanzo, nemmeno un raccontino. Forse non scriverai nemmeno lettere. Non farai niente. Niente. - Forse - e cambiando argomento - Senti, perché il faro è spento? - Un altro pezzo della nave che si sfascia, un'altra vite. Ieri un pescatore che vive qui da ventidue anni mi ha detto che è la prima volta che il faro è spento. Pare manchi il cherosene. - Non è pericoloso per la navigazione? - Che navigazione? Non ci sono più barche se non a vela e queste vanno solo di giorno. - Oh, caspita! E con questa esclamazione Torrens, in bilico, si diede una forte pacca a una caviglia. - Son voraci queste bestiacce. Mi han morso tutto. Iniziarono il ritorno. Si sentivano già i tuoni della burrasca che si avvicinava. Il carillon della torre del 'palazzo' batté le 10. Un ragazzino scalzo li sorpassò silenzioso. In una mano brillavano tre piccoli pesci. Miguel diede voce al suo pensiero: - Questo qui domani non soffrirà la fame... Continuarono in silenzio, fendendo la notte, passando un'altra volta attraverso le pantegane cattoliche e la porcheria abbandonata dalla vecchia Bianca. - Tuono. - Adesso no, Torrens. Devi abituare l'orecchio. Adesso è stato un terrazzo che è caduto per di là, in un posto qualsiasi, o il tetto di qualche cisterna. Bene. A domani. Vengo con te alla spiaggia. Metti repellente, spruzza sheltox, attacca il ventilatore e... pensa a Hemingway. Torrens aprì la porta. Una porta di duecento anni. Era stanco. Gli faceva male la bocca. Aveva nei piedi e nelle braccia molti pizzichi che gli provocavano un frenetico prurito. Ma senza fretta andò a cercare il "merthiolate" passò il liquido sulle bolle scarlatte. Credeva di star pensando a Ilha. Con la stessa lentezza aprì la valigia, tirò fuori una piccola bottiglia di whisky ne versò due dita in un bicchiere. Premette il bottone del "sheltox" e andò a sedersi sul water col bicchiere in una mano e un libro nell'altra, aspettando che nella stanza l'odore svanisse. Gocce di sudore gli scivolavano lungo la schiena. Sembravano insetti che camminassero. "Un'altra notte d insonnia. Un'altra notte di guerra. Una notte in cui non succede niente se non i tuoni, la pioggia, le zanzare, il caldo. È vergognoso aver questa bottiglia di whisky e non dir niente a Miguel. È tipico dei vecchi nascondere le ghiottonerie. Mi viene in mente mia nonna che nascondeva i biscotti..." E in quel momento, con violenza di rabbia, cominciò la burrasca. Lampi, tuoni e pioggia torrenziale. Nel cortile dietro casa, le piante gemevano e strusciavano i tronchi contro la tettoia di zinco. Questa, ricevendo la pioggia intensa, vibrava rumorosamente. Attraverso lo sfiatatoio del cesso il vento sibilava a strappi, salendo scendendo in quella strana scala di suoni. Quante case cadranno stanotte?
CAPITOLO 2 - Signore. È permesso? Signore. È permesso? Torrens si svegliò. Guardò l'orologio. Erano le sei e mezzo di mattina. Si era addormentato solo intorno alle cinque, quando era passato il temporale e aveva creduto di aver ucciso l'ultima zanzara sonora. Ci voleva questa qui adesso. Accidenti! Si mise le mutandine da bagno e andò ad aprire la porta di dietro. La negra Caterina, incinta di sei mesi, di faccia carina e di corpo brutto, mostrava umile le mani unite colme di atas (1). Aveva 16 anni ed era più pigra della pigrizia. - Grazie Caterina. Le metta lì, sulla tavola. Lì fuori. Caterina si voltò e fece quanto richiesto. A Caterina Torrens non piaceva. Si sentiva nel suo sguardo, in lei tutta che non le piaceva Torrens. O perché era bianco, o perché aveva 50 anni, o perché non era bello, o perché aveva una fitta capigliatura brizzolata, o perché mangiava tutti i giorni, o perché aveva denaro, o perché possedeva un orologio di quarzo, o per tutto questo insieme. Di sera Caterina si sdraiava nel cortile dietro casa, sopra una stuoia e restava, distante, a osservare Torrens che in una secolare poltrona indiana cercava di concentrarsi su di un giallo. Quasi sempre Caterina sintonizzava la piccola radio portatile su una stazione del Madagascar e ascoltava, apparentemente deliziata, il notiziario in francese. Al massimo del volume. Torrens si alzava, entrava in casa e chiudeva la porta con violenza. Una volta spiò attraverso un buco lasciato lì da una vecchia serratura. Vide allora Caterina rigorosamente nella stessa posizione, come se niente fosse successo. Il mondo di Caterina non era il mondo di Torrens. Per questo entrambi si sorvegliavano con curiosità e puntiglio. Ormai non valeva la pena di coricarsi un'altra volta. Prese l'asciugamano, il berretto da spiaggia, la crema e un 'Caderno do tercero mundo' (2). Avrebbe preferito portarsi il giallo, che era quasi alla fine, nella parte più emozionante, ma ciondolavano per Ilha alcuni professori che lo conoscevano e Torrens credette preferibile farsi vedere con uno dei Quaderni. In fondo si criticava per l'ipocrisia. In fondo non si piaceva. Arrivò al bar 'Porto-Rifugio' per far colazione. Un cameriere lavava il pavimento. - Non entri signore. Sto facendo pulizia signore. Nella piazza i venditori di conchiglie, buccini e coralli avevano disposto i pezzi sul marciapiede, di fronte alla barbieria. Guardavano i passanti ore ed ore, senza che le migliaia di mosche li turbassero. Venivano dal continente in barca tutti i giorni e Torrens si chiedeva molte volte dove trovassero il denaro per i passaggi, se non li aveva mai visti vendere un qualsiasi pezzo. Dove mangiavano? Mangiavano? - Entri signore. Può entrare. La guerra, nel bar-ristorante, veniva ora strategicamente condotta contro le mosche. Migliaia. Milioni. Coprivano letteralmente le tavole, le sedie, il bancone, la vetrinetta dei sandwiches. Attaccavano i bordi dei barattoli di latte condensato, il collo delle bottiglie dell'acqua, i bicchieri dei clienti e la marmellata dei sandwiches. Sfacciatamente. Senza paura. Attaccavano con determinazione e alcune restavano incollate. Torrens ricevette un latte macchiato di caffè (perché se avesse chiesto soltanto un 'latte macchiato' gli avrebbero portato latte cioccolato) e un piattino con due sandwiches che, rapidamente, coprì col berretto da spiaggia. Con la mano sinistra copriva la parte superiore del bicchiere, mentre la destra ritirava, di sotto il berretto, il sandwich. L'addentava. Lo metteva di nuovo sotto il berretto. Beveva poi un sorso tornava a coprire il bicchiere, mentre masticava senza fretta quel pane, fino a scoprirne il sapore di segatura. I negri di Ilha, in piedi vicino al bancone sorseggiando tè, osservavano di sguincio le manovre di quel bianco, alcuni divertiti, altri sorpresi. Tanto lavoro per qualche mosca. È proprio roba da bianchi. Il padrone del bar, il signor Alì, un indiano simpatico, entrò e rispettosamente salutò Torrens. - Sta bene signor Alì? Allora, cosa c'è di pranzo?
- Non so. C'è uno che sta vedendo se riesce a comprare galline. C'è un altro, sul continente, per cercar di comprare un capretto e c'è Rachid sulla spiaggia per il pesce. - Ma il pesce non è un problema. Qualsiasi pescatore glielo vende. - Macché. Macché signore. I pescatori vogliono scambiare pesce con zucchero e quello che ho, già è poco per la colazione dei clienti. - Hem... e da bere? - Niente. Né bibite, né birra. C'è succo di frutta in polvere, da mischiare con acqua. Quello che c'è in quantità, qui in tutta Ilha, è acqua minerale. Con questa conversazione Torrens si distrasse dalla strategia che aveva pianificato cosicché, nel mezzo bicchiere di latte macchiato, già due mosche nuotavano disperatamente. Pagò e uscì. S'incamminò verso la spiaggia, quella piccola zona di fronte al cinema. Si allontanò dalla spazzatura della vecchia Bianca, il cui odore lo tormentava e scese fino all'arenile. Con gli occhi cercò la localizzazione delle nuove cacche e vedendo che il mare - era alta marea - non le aveva raggiunte, si mise tranquillo. Perché ho portato il Quaderno? Non leggerò di sicuro. Miguel apparve poco dopo. Sempre svelto, sempre a comunicare allegria. Salutare. - Amico! Non son riuscito a dormire se non per terra, di fronte al condizionatore. Il caldo mi distrugge. Rammentandosi del suo passato religioso, Torrens sorrise malizioso: - Col condizionatore non entrerai nel regno dei cieli. Miguel rise divertito. - Come non credo nel regno dei cieli, preferisco godere del condizionatore. Ascolta Torrens. È arrivato oggi il nostro Sequeira. Deve star lì lì per comparire. E mentre frugava in un'unghia incarnita, che asseriva fargli molto male e la cui tecnica d estrazione aveva già descritto varie volte a Torrens in tutti i particolari, senza che questi gli desse retta, informò: - Sequeira ci darà alcune spiegazioni su Ilha, questa nave arenata. È nato qua ed è storico.. Sa tutto... - Se la smettessi con questa mania di stuzzicarti l'unghia incarnita, ti direi che oggi ho passato lunghe ore pensando alla 'nave arenata'. Davvero una buona traccia per un romanzo... Non ho dormito pensandoci. - Non è vero! Se non hai dormito è per le zanzare. E poi mi sembra che tu sei uno di quegli 'scrittori' che hanno immaginato centinaia di libri e non ne hanno scritto nessuno... Torrens, seduto sulla sabbia, guardava verso l'isola del faro. Non m'interessa parlargli della mia casa in cedro rosso del Canadà. Come disse il poeta, il mondo non comprende un'anima grande. - Sai Miguel, ho avuto una casa uguale a quella di Hemingway. Ho passato anni a sognarla, finché un giorno, inaspettatamente, l'ho vista tra i pini, in un villaggio appartato. Dopo vent'anni trovavo la mia casa. Miguel, senza un qualsiasi interesse né per la casa, né, sul momento, per quel tal Hemingway, rimise la pinza da unghie in una piccola borsa di plastica, si sovvenne e raccontò: - Ieri, sul finire della sera una donna è venuta da me. L'avevo vista dall'altro lato della strada, con un cesto in mano e il figlio sulla schiena. Mi ha sorriso dalla parte di là, ha attraversato la strada e mi ha chiesto: "Allora? è già di ritorno signor Fonseca?" Io stavo seduto su una delle panchine di quel giardino accanto alla fabbrica grande. È chiaro che sapeva ch'io non ero il signor Fonseca. Torrens, per vendetta, disse appena, con indifferenza: - Ah si?! Miguel continuò imperturbabile: - Mi ha detto che da otto giorni stava aspettando un passaggio nella corriera per andare a Salim, a cercare il padre del bambino. Non aveva soldi, né latte. E rideva poveretta. Che disastro! Per 100 meticais (3) sarebbe diventata la mia donna... per trenta minuti. Terribile. Mi fa male. Abbiamo tanti problemi da risolvere... alcuni credo di sapere come, ma altri no. È certo che non ha il marito a Salim... né in qualsiasi altro posto.
Anche oggi mi è passata vicino, con il piccolo sulla schiena. Ha sorriso e mi ha salutato, guardandomi come s'io fossi scemo e ha continuato... terribile. Adesso che aveva rinunciato all'escavazione delle unghie dei piedi, Miguel era disponibile a parlare: - Sei già stato alla fortezza? - L'ho vista solo da fuori. È orribile come tutte le fortezze nel mondo intero. Niente ci fa sospettare, là dentro, l'esistenza di un fiore o di un semplice rampicante. Le persone guardano a bocca aperta i mucchi di pietre, contano sulle dita i secoli che ha, ed esclamano: "interessante". Mai mi son piaciute le cose di difesa e di attacco. Le une e le altre, completandosi, mi sembrano la firma ingombrante e sordida della stupidità umana. - Amico! Non venirmi qua con romanticherie! Le persone dovevano e devono difendersi! anche perché tu, questa sera stessa, sei capace di sostenere la tesi opposta... - Miguel non disarmava con facilità - La Fortezza è stata costruita nel 1558 ed ha ricevuto il nome di S. Sebastiano perché Sebastiano era, a quell'epoca, il re colonizzatore. Le fortezze fanno parte della vita degli uomini, della loro storia. Torrens aveva sonno e caldo. Voleva entrare in acqua. Gli venne in mente Caterina, con le atas nelle mani offerenti. - In quelle muraglie, Miguel, ci sono pietre ognuna murata con sangue. Sangue caldo di schiavi. Ogni schiavo portava una pietra sulla testa da un capo dell'isola all'altro. Dall'alba fino a quando il sole tramontava, soffrendo fame, sevizie, dolore e prigionia. La storia non sempre è soltanto una sequenza di fatti, ma anche un accumulo di merda e di bugie. - Ma questa è esattamente la storia che dobbiamo raccontare... questa è... - Senti, sai una cosa? Vado a fare il bagno. Miguel scrollò le spalle e poi sorrise. Corse allora verso l'acqua e vi si immerse rumorosamente. Dopo il bagno Torrens ebbe cura di non tornare sull'argomento. Miguel si guardava le dita dei piedi, cercando forse un pretesto per rimetterci le mani. Anche lui sembrava interessato a dimenticare il tema della fortezza. CAPITOLO 3 Ilha è lunga tre chilometri e la sua larghezza massima è di cinquecento metri. La unisce al continente un ponte sottile. Ilha fu un bordello della storia: dei visitatori e dei conquistatori. Fu un enorme cella di schiavi. Fu il porto fertile, il mercato libero dello sfruttamento umano. Fu la fermata obbligatoria delle rotte mercantili e l'annesso postribolo dei signori dominanti. Fu anche prigione per deportati, criminali di gesti o di idee. La gente del luogo fu schiava: mano d opera, fonte di ricchezza e, ancora, fonte di piacere tra le cosce gentili di bambine adulte. E delle loro madri. L Oceano Indiano aveva lì la sua oasi. Luogo-fermata. Obbligatoria. Quando Vasco de Gama arrivò a Ilha, nel 1498, trovò già, a derubare la popolazione locale, commercianti arabi. Ilha vide tutte le specie di barche, dalla piroga alla caravella: lance, golette, chiatte, galere, scialuppe, paranze, velieri, fregate, canoe, battelli a vela latina. Vide neri, indiani, bianchi, gialli, misti, rosati. Ladri. Pirati. Mercantilisti. Colonialisti. Usurpatori. Vide perizomi su corpi nudi e dorati, vide vistose uniformi dalla simbologia pomposa. A tutti diede cibo, letto, cosce aperte. In scambio diede schiavi, oro avorio. Ricevette stoffe, figli e, a volte, una strana malattia conosciuta più tardi come sifilide. Il Puga, miope e senza denti, rise: "Dicono che nel secolo passato", una volta, erano venuti qua trenta battelli pieni di certi tipi... Non so cos'erano venuti a fare. Tre mesi di feste e di mangiate. Tutte le notti lo schiamazzo sui battelli non lasciava dormire la gente. Cantavano, battevano i tamburi. Infernale il baccano. Dopo sono andati via. Come? Se è rimasto qui qualcuno? No signore. Se ne sono andati tutti. Chi è rimasto è stato un mucchio di donne gravide.
"A causa della sua situazione privilegiata di base per il commercio di schiavi, oro e avorio, l'isola era molto appetita da olandesi, arabi, turchi, francesi ecc. Gli olandesi la invasero con la forza nel l607. I portoghesi, con i loro schiavi, si rifugiarono nella fortezza. Appiccarono fuoco alle case, per la maggior parte coperte di paglia, ma una forte pioggia spense il fuoco. Gli olandesi, acquartierati nel convento di San Domenico e nella chiesetta di San Gabriele, per due mesi bombardarono duramente la fortezza dal lato del campo di San Gabriele. I portoghesi resistettero disperatamente e ciò che li aiutò fu l'aver ottenuto che le popolazioni del continente cessassero di fornire viveri agli olandesi. Questi, senza viveri, decisero di recarsi alle isole Comore a far rifornimento, ma prima tagliarono tutte le palme che a quell'epoca abbondavano sull'isola e incendiarono tutte le case, le chiese e i conventi". Torrens mise da parte la monografia. Che prosa arida. Gli esseri umani, le persone somigliate a cose, a pedine di scacchi. Avete già visto l'anello di João? Non l'avete visto? Forse ormai non è più lì. Ma è vero. Ho sentito la storia di João quando ero prigioniero nella fortezza. Chi era João? João era un bue che viveva nella fortezza, legato per il naso a un anello ficcato nel muro. Con il rumore, le sparatorie, gli strepiti del secondo assedio degli olandesi, João si spaventa, si scioglie ed esce tranquillamente dalla fortezza, cominciando a pascolare. Gli olandesi, vedendo quello sciupio di cibo di cui i portoghesi non si preoccupavano, levarono l'assedio e se ne andarono via. Se i portoghesi lasciavano uscire i buoi, come poterli prendere per fame? - Tu ci credi Torrens? - Anche se non è vero, la storia è una meraviglia. È possibile che João esistesse. È possibile che nella parete est ci fosse un anello per legarlo. Ma caspita, Miguel! Non credo che gli assediati avrebbero lasciato i portoni della fortezza aperti, perché sua eccellenza João potesse uscire. E tu Miguel, ci credi? - Che ne so! Qui a Ilha tutto è possibile,- rispose perplesso. CAPITOLO 4 Sequeira, lo storico, era nativo di Ilha. Ma il più importante era che l'amava. Per questo soffriva. Andava indicando le case, raccontando fatti cose e persone e si sentiva, in quel che diceva, sofferenza. Miguel camminava al suo fianco. Torrens li accompagnava faticosamente. - Parli di Ilha con dolore - disse Miguel Fatti coraggio amico! Le mosche, i topi, gli uomini, la corruzione, la fame, non l'affonderanno. Ponderatamente, come durante una lezione, Sequeira affermò: - Sono qui proprio per tentare che questo non avvenga. Non affonderà... spero. - Si fermò qualche istante. - Andiamo a vedere ancora soltanto questo edificio. - Per che fare? - contrappose immediatamente Torrens con fastidio - Non ha terrazzo né finestre. Di qui si vede già tutto, là dentro. E va a finire che cadiamo in qualche buco... oppure ci cade addosso una parete... Entrarono. Sequeira, con occhi vividi, spiega: - Queste stanze intorno al patio, erano per gli schiavi. Questa rampa li conduceva direttamente alle imbarcazioni, senza perdere tempo. Erano trattati a fame sussistenziale e a salute indispensabile, non piena. Gli schiavisti non gettavano il loro profitto dalla finestra... il profitto della loro materia prima. Con tutto ciò, a bordo ne moriva dal 30 al 40 per cento. Viaggiavano ammucchiati, come bestiame. I morti venivano buttati in mare. - Parlare di persone, di esseri umani, in termini percentuali è un'indecenza,mugugnò Torrens. Sequeira sorrise e, mentre si chinava, ironicamente chiarì: - Ma morivano da cristiani... - Che storia è questa, se avevano abbracciato
l'islamismo? Sequeira rigirava vecchie carte sparse per terra. - Dicono che di fronte al palazzo si trovasse un trono di marmo, in riva all'acqua. Era lì che venivano riuniti gli schiavi incatenati. Il vescovo arrivava, si sedeva sul trono e li convertiva tutti al cristianesimo. Come sapete è facilissimo. Basta un gesto della mano e una preghiera perché tutti si trasformino subito in cattolici. Miguel, che queste cose già le sapeva, aggiunse: - Non occorreva neppure che s'inginocchiassero, benché alcuni stessero in ginocchio... per la debolezza. - Risulta che siano partiti da qui due o tre milioni di schiavi, per il Brasile, per Cuba, per gli Stati Uniti. I grandi mercati erano a Lisbona, Pernambuco e Charleston. In mezzo a spazzatura, stracci, carta vecchia, escrementi umani, bottiglie di birra vuote - firme di recenti orge vagabonde - Sequeira raccolse, con particolare cura, un codice penale del secolo passato, inzuppato d acqua. Una tal reliquia merita un breve commento: - Curioso... Due risciò semidisfatti adornavano un canto del patio, vicino alla pompa arrugginita che, un tempo, prendeva acqua dalla cisterna. Torrens si era già seduto su di un gradino della scala che portava alle rovine di una veranda. Miguel, a lunghi passi, pieno di vitalità, percorreva tutta l'area come se la misurasse borbottava: - Stiva piena d acqua. La nave affonda... E Torrens con aria desolata: - Sequeira, salvi il codice penale. Nuoti con la mano sinistra e lo trasformi, con la destra, nelle Lusiadi. Per l'identificazione sociale e politica di un popolo, niente di meglio che il suo codice penale. - No Torrens - rettificò calmo Sequeira - questo codice penale non appartiene a questo popolo; gli fu imposto. Il suo codice è talmente diverso da quello che lei ha studiato in Europa, che mai potrà capirlo. La sua morale non ha niente a che vedere con la morale macua (4). Sono altri i parametri, altra è la genesi. Uscirono. Sequeira continuò professorale: - Guardate queste pietre corallifere. Guardate questi muri. Le pietre erano legate insieme con "murrapa", una radice che produce una specie di gomma. Credo che venisse bollita con cenere e sabbia; dava una malta che durava più del cemento. Questa casa, per esempio, risulta nelle prime mappe di Ilha. Ha più di trecento anni. Torrens, che si era già seduto sotto un portale, precisò: - Aveva. È già tutta caduta.. Miguel, curioso, metteva il dito tra le pietre. Ciò che raccoglieva sembrava calce mista a polvere. - Ilha, Torrens, è Ilha, che le case cadano o no, che le persone restino o no, vogliano o no. Ilha non ha vari monumenti, varie finestre gotiche e arabe... tutta è un monumento, un voluminoso libro della storia di un popolo... del mio popolo. Questa affermazione, così semplice e sincera, li toccò. Torrens, dissimulatamente, scrisse su un quadernetto dalla copertina nera: MURRAPA. _ Venite a casa mia - propose Sequeira - voglio parlarvi degli aspetti religiosi di Ilha. Là è fresco e non ci sono zanzare. Ma poiché si fermava a quasi tutte le case, guardandole criticamente, e conversava con le persone che incrociava, il corto viaggio si fece lungo e faticoso. Sequeira sembrava un addetto ministeriale agli inventari, un ufficiale giudiziario, un magazziniere. Ogni casa meritava una sosta, una delucidazione storica, un commento. Quelle costruite negli ultimi cinquant'anni ricevevano una nota di disprezzo: "questa è recente". Un poco dietro, nella lenta e torrida processione storica, venivano Miguel e Torrens, in calzoncini e sandali, alunni attenti e rispettosi del maestro. Torrens, a volte, si diceva stanco e rafforzava l'affermazione furbescamente, accennando all'unghia incarnita di Miguel. Gentilmente Sequeira giurava che sarebbero andati subito ma, non è proprio il Cangi quello là, sulla porta del negozio? Saluti, domande, ricordi, familiari vivi e morti, salute di Ilha, ancora saluti, date, localizzazioni di parenti, loro incarichi occupazioni. Sequeira, col tempo che Ilha imprime, permette e stimola, spaziava le parole intervallava i
discorsi. Quando ormai si sentiva in possesso d informazioni complete, veniva la scena della presentazione dei "discepoli". Grande estimatore delle gerarchie e delle specializzazioni, al nome del presentato aggiungeva sempre la professione e la mansione. Non informava dell'età, perché Torrens e Miguel non erano 'storici'. Se uno di loro avesse avuto più di settant'anni, allora sì che vi avrebbe fatto immediato riferimento. I pasti, per le lezioni di Sequeira, si prendevano in ritardo. Di fronte all'impazienza di Torrens, Miguel osservava: - Ti dimentichi che Sequeira è isolano e per di più storico. Le ore per lui sono cose vaghe, soggettive. Lui pensa, parla e ha a che fare coi secoli. Come potrà preoccuparsi se il pranzo ritarda trenta minuti o sessanta? - La fame e lo stomaco si fanno sentire. - Da te, forse. 0 meglio, è così. Ma Sequeira, quando trova documenti storici, uomini o cose, figurati se sa che cos'è la fame. Lo sa soltanto quando si siede a tavola. Allora sì. Allora si ricorda che "è pieno di fame". Finalmente arrivarono. Non a casa. Il tempo disponibile era già sfumato, ma a un ristorante, l' "Internazionale". Miguel guarda Torrens. Questi, alle spalle di Sequeira, accenna con le mani a una calma fiduciosa. I codici erano già stabiliti. Torrens va fino al bancone e si appoggia al registratore di cassa, come chi non vuole nulla. Il gerente, il signor Sousa, finge di non accorgersi di niente e si attarda con camerieri avventori. Uno di loro paga. Sousa fa i conti a mente, va al registratore, preme con forza i tasti, il dito proteso, e mentre dà una rumorosa manovellata, mormora da un canto della bocca, stile Humphry Bogart: "Ne rimedio una, ma lei dice che è sua, che l'aveva portata lei". Torrens non risponde. Si dirige, pesante, alla tavola e si siede. Miguel interroga silenziosamente. Torrens accenna con la testa. Sorridono entrambi. Questo pranzo fu accompagnato da mezzo litro di birra. Gelata. Il "circuito mafioso" dei liquidi era già in funzione. Tra poco avrebbero messo in funzione il "circuito mafioso dei solidi", come li chiamava Miguel. Sapevano che, senza questi circuiti, non sarebbero morti di fame, ma se la sarebbero passata male. Nel ristorante, alla tavola dei dipendenti, la signora Bianca, vecchia beghina reazionaria, mangiava. Dopo le prime forchettate, Torrens si espandeva in critiche abitualmente acide e pungenti. Quando ciò accadeva, dava l'idea di essere arrabbiassimo, ma si trattava soltanto di una maniera molto personale di esprimersi. - Quando sono arrivato a Ilha, otto giorni fa, erano le 10 di mattina. Alle 11 quella vecchia ha cominciato a chiacchierare con me ed ha subito messo avanti che se non fosse stato per il 'Cerelac', un barattolo che le avevano regalato, sarebbe già morta di fame. Che una volta aveva tutto, che adesso non ha niente. Vengo poi a sapere che mangia gratis, pranzo e cena qui all'Internazionale, per lascito del vecchio padrone... Son dannate queste vecchie reazionarie. Sequeira chiarì a bassa voce: - Una inutile. Non ha mai fatto niente in vita sua. Non ha mai lavorato, né ha mai prodotto una cosa qualsiasi. Il marito è morto e lei continua a restare qui, leggendo i suoi libri sulle vite dei santi. Il libro più progressista che ha letto finora, credo proprio, perché l'ho visto là in casa, è 'La capanna dello zio Tom' Va a messa e parla del passato. Ancora non ha capito niente di niente, neppure che il 'suo' parroco non è lo stesso parroco, in termini socio-politici, del 'suo' parroco di prima.. E bevendo un sorso di birra che, diceva, gli faceva male al duodeno, Sequeira continuò: - Ci sono, in tutta Ilha, nove cattolici praticanti. E Torrens, velenoso: - Tutti vecchi, marci e reazionari. - E il parroco? domandò Miguel, cercando la verità obiettiva, esplicita. - Il parroco è un lavoratore, un progressista. Insegna, studia storia ed è una persona molto stimata a Ilha. Stimata e rispettata. Gli vogliono bene. Anche i capi religiosi musulmani lo rispettano. Tra poco ve lo presenterò. È il Padre Soares. Antifascista e... sordo. - Per sentire la parola di Dio - maligna Torrens - non ha bisogno di aver buon
udito... Il gerente, il signor Sousa, passato il momento di maggior sollecitazione, chiede permesso e si siede a tavola. La signora Bianca, a quell'ora già con due messe e due pasti nel gargarozzo, si alza, saluta ed esce con aria sicura. Sousa è bianco, porta capelli lunghi e lisci, ha sempre sonno e un' aria evasiva. Non sembra gerente di un ristorante, ma elemento di un complesso 'pop'. - Mi hanno mandato un avviso - attacca subito - l'Amministrazione dice che ha bisogno di parlare con me. Dev'essere una qualche seccatura. Io non sono padrone qui, soltanto gerente per procura... ma con pieni poteri. Il padrone mi ha passato tutto, ma devo ancora fare la scrittura della società. - Non si preoccupi - tranquillizza Sequeira - lei ha la procura e tutto è legale, non si faccia problemi. Deve trattarsi di qualche piccola questione burocratica. Sousa si rasserena e, forse per questo, informa: - Domani c'è finalmente il pane. Vado a prenderlo a Salim alle cinque del mattino. - Ma insomma, cosa sta succedendo con le panetterie di Ilha e con la farina? Sousa finge di non sentire e aggiunge: - Questa è stata l'ultima birra. Domani neppure succo di frutta in polvere. Soltanto acqua minerale. - Di notte vedo dei giovani... e alcuni vecchi, con l'aria di essere molto ben ubriachi - dice Torrens - Se non c'è birra, come mai? - 'Tontonto' signor Torrens. Cominciano la sera e a volte finiscono il giorno dopo. Si verificano casi di cecità. Quello è alcool puro. Ci son diverse distillerie per di là. E con questa notizia si ritirarono. Ilha stava già quasi tutta dormendo. Ilha ora apparteneva un'altra volta alle pantegane. CAPITOLO 5 E il Puga racconta. Racconta senza denti, ma ridendo. "Son venuto qui deportato nel 1926. Non avevo ucciso nessuno; chi aveva ucciso era mio fratello. Aveva tirato un colpo al parroco là, del posto, un mascalzone che si occupava anche di scritture notarili e imbrogliava tutti. Possibilmente anche Dio. Sono stato preso e deportato per aver prestato a mio fratello i soldi per comprare l'arma. A lui? Non gli hanno fatto niente. È rimasto in Guinea. Io ero laboratorista chimico. Qui sono diventato infermiere. Mai avevo visto dare mazzate ai bianchi. Credevo che solo i neri prendessero mazzate. Nella fortezza prendevamo mazzate. Anche i prigionieri politici, ma loro avevano un regolamento diverso. Giocavano persino a carte e tutto. Ah, ah... ho dato le sue al medico della fortezza. Stavo male e mi sono messo nella fila dei malati. Ce n'erano sempre in quantità. Ero molto debole, coi denti che dondolavano e le gengive infiammate. Allora il tizio mi manda all'ospedale con una ricetta. Arrivo là, viene l'infermiere con una siringa pronta per essere iniettata. Cos'è questo? domando. 914, dice lui. Va dal medico e digli che non la faccio. Falla. Non la faccio. Falla. Non la faccio e a quel punto va a chiamare il medico. È venuto, ma è venuto inferocito. Allora questo bel tipo non vuole essere curato? Voglio. Allora fa l'iniezione. Non la faccio. Su, falla. Allora gli ho detto: guardi bene la mia bocca. Lui ha guardato. Lo sa che cos'ho mangiato da sei mesi? No. Dunque, tenga questo per qualcun altro; a me dia un bicchiere di latte e un'arancia. Ha detto di sì, che avrebbe fatto l'esperimento. Esperimento, diceva quel tizio. Ho cominciato la terapia, ogni sei ore e il giorno dopo stavo già quasi bene. Scorbuto signori, scorbuto. Dopo sono diventato infermiere. Dopo era il tizio che diceva: fate come dice lui. Lui sa quello che dice". Nella farmacia della piazza il signor Puga leggeva con molta difficoltà il foglio illustrativo. Torrens fingeva di non vedere la scena. Lesse tutte le istruzioni. Lesse la composizione. Dopo sì. Con gesti lenti pagò e prese il farmaco. Uscì fuori, sulla strada, il vecchio laboratorista chimico. Quante vite avrà salvato nella fortezza e nell'ospedale? La sua, almeno, era una di queste. - Se avessi un attacco di cuore - domanda Torrens - o un'appendicite, potrei essere
curato qua? - No - risponde gentilmente il farmacista se qualcuno le darà un passaggio... se ci - Muoio, non è vero? - È la cosa più probabile. E anche per le guardi gli scaffali. Torrens ringrazia ed esce, col funghicida
- dovrà andare a 40 chilometri da qui... sarà la benzina... medicine stiamo molto male. Basta che lei di cui aveva bisogno.
Senza essersi messi d accordo, dividevano la giornata: mattino spiaggia, pomeriggio lavoro. Quando Torrens arrivò alla spiaggia, già Miguel, in acqua, si rinfrescava confortato. Sequeira, con due pietre, procedeva molto attentamente all'operazione di rimuovere un'enorme cacca umana, che segnalava il cammino tra le rocce. Torrens girò la faccia di lato, con ripugnanza, mentre si svestiva, salutava e sistemava i sandali, la borsa e un 'Quaderno', lo stesso. Quel giorno Caterina aveva acceso la radio alle sei di mattina, mentre raccoglieva in secchi, rumorosamente, l'acqua che veniva distribuita solo per trenta minuti esatti. Il marito il fratello chiacchieravano e ridevano di storie divertenti e interminabili. L'umore di Torrens non era dei migliori. Senza la quantità di sonno necessaria, diventava irascibile. E quella notte la lotta non era stata contro le zanzare, né contro il caldo, ma contro un grillo che, sotto il linoleum del pavimento della sua stanza, aveva cantato forte fino al nascere del giorno. Torrens era stato incapace di ucciderlo. Il grillo era legato alla sua infanzia, alla gabbietta-regalo, all'insalatapranzo, alla sorella-tenerezza, al balcone-rifugio, al tedioosservazione. Torrens l'aveva visto. Era caduto dallo sfiatatoio e si era infiltrato sotto il linoleum. All'inizio aveva pensato: blatta. Poi aveva sentito: grillo. CAPITOLO 6 Il pranzo e la siesta furono in casa di Sequeira. Un pranzo luculliano, annaffiato da due birre e sei limonate, dispensate discretamente dalla Dilikumar. I tre mangiavano avidi e assetati. - Questa sera ceniamo da Ramanaiah - informò Sequeira - lui e la moglie ci hanno invitati. - Un ortodosso - borbottò Torrens. - No, stia tranquillo. Berremo birra - e aggiunse senza interesse - ho visto whisky là in casa. Nel pomeriggio potremo visitare il quartiere e il cimitero. Potremo anche, di strada, vedere i magazzini di Valente da Fonseca, quello che è stato padrone di quest'isola per vari anni. Ha consegnato tutto al governo, serbando appena lo sfruttamento agricolo e qualche altra cosa. - Ha detto appena tra virgolette - bofonchiò Miguel con la bocca piena. - Sì infatti. Lo sfruttamento agricolo gli dà più di un milione... credo. Si udì il campanello. Era padre Soares. Piccolo, attivo, curioso, vivo. In una mano, varie carte e una vecchia rivista. A Miguel e Torrens: - Allora, già conoscono Ilha? E senza aspettare né desiderare risposta, avanzò subito, con grande entusiasmo, l'utilizzazione di certe case come scuole, scuole materne, nidi. Sequeira e lui si coinvolsero entusiasti nelle ipotesi, che erano molte. Torrens e Miguel, finito il pranzo, si appartarono per la siesta, senza che il prete e Sequeira se ne preoccupassero. Parlavano quasi allo stesso tempo, ciascuno sostenendo il suo progetto, con lo svantaggio, per il prete, che sentiva male le proposte di Sequeira. Torrens e Miguel erano spettatori, ospiti occasionali. Ilha non era loro. Erano 'stranieri'. Miguel, ancora disteso sul letto, accendeva avido un sigaro e si grattava, con
evidente delizia, le parti basse. Torrens, seduto sull'altro letto, perorava: - Questi americani sono incredibili! Superficialità e ovvio sono la loro specialità... i presidenti americani sono in linea coi modelli Ford: sempre peggiori. - Non generalizziamo...- intervenne Miguel coscienzioso. - In questo libro - e Torrens lo mostrava - l' autore, un americano celebre per aver scritto una scemenza qualsiasi sul Giappone (5), passata più tardi al cinema con grande successo, mette in bocca a un personaggio un passo su Ilha. - Che? - Il personaggio e l'autore, chiaro, sono sgomenti per un modesto esempio di come si trattavano gli schiavi. Caspita! Caspita Miguel! Il fondo della questione dimenticato. Sempre la superficie. - Dai, leggi Torrens. - Il personaggio, molto soddisfatto, scopre uno scritto sul modo in cui venivano trattati gli schiavi. Dice che lo scritto fu trovato qui, a Ilha. Devo chiarire questo con Sequeira e con padre Soares. Ma la schiavitù è molto di più, è un fossato tenebroso... Ora ascolta: "In quegli anni, in una delle grandi case di Ilha de Moçambique, viveva una portoghese sposata con un agiato funzionario. Disgraziatamente si era così ingrassata e aveva il viso così gonfio brutto, da essere universalmente conosciuta come "la leonessa". Risulta sapesse che la chiamavano così e di anno in anno diventava sempre più irascibile. Siccome non aveva figli e il marito andava con altre donne, poteva scaricare il suo malumore giusto sugli schiavi. Era sua abitudine legare qualsiasi schiava che promettesse di diventare sufficientemente bella da attrarre il marito, e strapparle i denti davanti. Portava sempre con sé una 'palmatoria', bacchetta con un'estremità circolare, a forma dimensione di un piattino con molti buchi, montato su un manico di flessibilissimo bambù. Se una delle sue sarte avesse fatto male un unico punto nei vestiti che confezionava per lei, ordinava alla ragazza di stendere la mano destra e, con tutta la sua forza, la batteva settantotto volte con la 'palmatoria', di modo che i buchi provocavano nella mano della sarta delle bolle. Dopo, la ragazza doveva ricominciare immediatamente a dar punti senza un qualsiasi errore, sotto pena di ricevere ancora la 'palmatoria' settanta o ottanta volte". Questa sembra una storia per bambini, il mago di Oz o Cenerentola... Miguel rise succhiando il sigaro. Ma non è tutto. Sul "mussire"(6) l'autore scopre qualcosa di fantastico. È più avanti, aspetta un momento - e sfogliò il grosso volume - E quest'autore è stato tradotto in varie lingue! Probabilmente è considerato un esperto e fa conferenze sull'Africa nelle università americane di fronte a centinaia di ragazzi a bocca aperta... Ecco, è qui. Ascolta questo: "Nell'ansia eterna della donna per la bellezza, quelle belle negre si coprivano il viso con una pasta ricavata dalla radice masticata di una pianta che, una volta secca, si trasforma in una maschera bianca. In tutta Ilha ho visto negre di portamento e fascino fisico fuori del comune, vestite di tessuti sontuosi, ma quando si voltavano la loro faccia era di un bianco spettrale - Chiamale stupide - scherzava Monica - sanno bene che per essere realmente belle bisogna essere bianche. E tutto portava a credere che fosse così. Cato volle verificare. Un giorno lasciò la macchina e andò da Hajj, per chiedere all'alto arabo di fargli da interprete, mentre interrogava un gruppo di donne negre. Perché mettevano la pasta sul viso?... Per essere belle. Perché sceglievano il bianco?... Perché è bello. Una negra poteva essere bella senza la maschera?... Poteva essere carina, ma per essere bella era necessaria la maschera. Ritenevano che quella negra lì, che stava passando per strada, fosse bella?... Era carina, ma che peccato non avesse imbianchito la faccia!" Aspetta un momento, ascolta il resto: "Cercò ripetutamente di scoprire perché avevano scelto il bianco, per quella orribile maschera di bellezza, e l'unica cosa che riuscì ad accertare fu che la loro tribù aveva sempre saputo che il bianco abbelliva una donna. Dopo aver sentito questo, Cato indicò una portoghese grassa, tozza e scialba. La giudicavano bella?... Non come noi, ma è bianca". Miguel si era già alzato. Aveva ascoltato con tutta l'attenzione al fresco, di fronte alla finestra.
- Questo non ha l'importanza che tu gli dai. Scusa la franchezza, ma anche tu stai diventando superficiale. Errori, anche se consueti, sulla schiavitù e sui costumi macua non pregiudicano il nostro processo rivoluzionario. Un americano, forse con buone intenzioni, che commette errori storici, ma tali da non nuocere alla nostra rivoluzione, non conta, non ha nessuna importanza. Non può nuocerci. Tu va al fondo della questione. - Ma migliaia di persone leggeranno questo, in molti paesi - si difese Torrens. - E allora? Una cosa è la superficialità di analisi, un'altra un errore culturale e razzista. Mi chiedo: l'uno o l'altro o i due insieme pregiudicano la nostra rivoluzione? La frenano? No. Allora, amico, non preoccuparti. Risparmiamo le nostre forze per le cose veramente importanti, per quelle fondamentali. E ora, sulle cose fondamentali, potrei citarti Marx o Lenin, ma non voglio insultarli con le mie citazioni. Torrens restò pensieroso. Miguel si trovava su un cammino sicuro. Chiuse il libro. Tentò di sfuggire nel campo del non-sense. Debole riabilitazione. - Lo sai che mia moglie è Vasco de Gama? Lì Miguel smise di grattarsi. Guardò attentamente Torrens, incerto tra risata e fuga. L'effetto divertì Torrens, che continuò: - Un giorno di questi mia moglie entrò in casa eccitatissima per aver 'scoperto', nell'Alto Maè (7), un negozio che vendeva specchi di tutte le fogge e dimensioni. Aveva scoperto il negozio. Fu quello che accadde a Vasco de Gama: scoprì Ilha. Ilha che aveva duemila anni di esistenza, di vita, di commercio, di tutto! Come si potrà fare la vera storia? - Rettificandola - disse Miguel incisivo. - Come? Scrivendo? Tu hai scritto quello che ti ha fatto la PIDE? (8) No. Nessuno scrive. Per paura. Paura che si pensi che ti stai atteggiando ad eroe o ad altro. Anch'io. Non è molto importante, ma potrei rettificare alcune cose che le persone pensano e che resteranno assenti, in quanto Storia, da un certo colpo di stato. Si dà anche il caso di un quotidiano che fu occupato dai lavoratori. Ho letto che questo fatto ora sta per essere raccontato da un opportunista; una specie di edulcorante letterario... farà 'storia'. Dove sono, Miguel, le storie della Storia della lotta armata? Chi le sta scrivendo? - Calma Torrens, calma. Ti sei svegliato di cattivo umore. Non scrivo perché non so... poi non sono cronista del regno. Chi ha questo ruolo lo faccia. Dopo ci saremo qua noi per rettificare, se non racconterà la verità. Con un "hum" dubitativo, Torrens chiuse la discussione e andò in bagno. CAPITOLO 7 Ramanaiah offrì loro un'ottima cena, durante la quale vennero parlando di Ilha. Ramanaiah ne parlava con grande conoscenza profonda tenerezza, impregnate tuttavia di tristezza. - C'è molta fame. Mio padre ha un palmeto e un grande terreno con acajù. Calcolava di ricavare più di 100 tonnellate di cocco quest'anno. È la verità. Ha cominciato a veder sparire i cocchi e ha parlato alla gente dicendo che avrebbero potuto, senza farlo di notte, andare a prendere i cocchi che volevano alla luce del giorno. Il palmeto è rimasto pulito. È la verità. Non poteva lasciare che la gente morisse di fame. Quanto all'acajù, secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto produrre da ottantacinque a novanta tonnellate. Ne ha raccolte quindici. È la verità. Quando tutto era in fiore, non è venuta la pioggia. L'acajù è seccato. - Cosa mangia la gente là, nei villaggi? - In questo distretto? Manghi e farina di mandioca. Un pesce secco costa venti meticais. Non mangiano. Soffrono molta fame. È la verità. Il giorno precedente, alle sei del mattino, Ramanaiah Sequeira e Miguel erano andati con reti alla chiusa della salina. Avevano aperto la saracinesca e col fango fino alla vita avevano pescato una tonnellata di pesce piccolo. Ramanaiah aveva distribuito il pesce ai lavoratori della salina e agli alunni di una scuola. - Sembrava giorno di festa - diceva Miguel mentre raccontava la scena a Torrens. - Per questo non ci sono cani a Ilha. Sentivo la mancanza di qualcosa, durante il
giorno durante la notte - disse Torrens - Mi mancava qualcosa nello scenario. Ho scoperto solo ieri cos'era, quando ho visto il primo cane in casa del farmacista. È proprio bello e simpatico. "Non gli dia confidenza. Vuole che le persone si avvicinino per morderle. Per questo lo teniamo sempre legato". Dice la moglie del farmacista.. - Ce n'è anche qualcun altro - precisò incerto Ramanaiah - Ma... sono realmente molto pochi. È la verità.. - E le spiagge, Ramanaiah, veri e propri cessi. La gente le utilizza come gabinetti con una disinvoltura impressionante. Non soltanto i bambini, tutti. - Eh sì - intervenne Sequeira, che era stato occupatissimo con le spine del pesce grigliato - il sistema fognario non funziona. Sono stati montati i tubi, ci sono tre fosse asettiche, si sono studiate le correnti ed è stata sistemata l'uscita nel posto ritenuto più idoneo. - È la verità.. - Ma credo che il troncone di uscita sia troppo basso, perciò è rimasto ostruito dalla sabbia. Mancano anche le maniglie in alcuni punti... credo che si chiamino maniglie quegli aggeggi che uniscono i tubi, certi anelli... Oltretutto non si trovano i disegni e le piante del sistema. Spero che le troveremo nel capoluogo. Il giovane Ramanaiah, dalle forti lenti scure, completa l'informazione di Sequeira: - I responsabili religiosi hanno delimitato le zone che la popolazione può utilizzare. Possono usare le spiagge da quella curva del club, sapete dov'è?, fino alla punta. È la verità. Dal lato dell'albergo e della Fortezza è proibito. - Cosa?! - esclama Torrens - Ho visto persone accoccolate dappertutto e se non fossimo a tavola racconterei un po' di cose. Sentite, la spiaggia è una pattumiera. L'ho visto coi miei occhi. Il giorno del mio arrivo mi son seduto sul muretto di fronte alla pensione. Vedo un tizio con un secchio; ha rovesciato tutto accanto a me. E ieri, in quella strada vicino alla spiaggia, di fronte al cinema, passavano due uomini del Comune. Uno portava la carriola, l'altro spazzava. Io stavo sdraiato sulla sabbia. Allora, non è che quel tipo prende la spazzatura e la getta da sopra il muro sulla spiaggia? Non so perché portasse la carriola... per bellezza... o perché è prevista dal regolamento... - È vero, buttano tutto sulla spiaggia. Le bucce, le bottiglie, tutto. Torrens stava seduto al tavolo del cortile, leggendo. Si era strofinato tutto col repellente e aspettava l'arrivo di Miguel. Un'amica era venuta a trovare Caterina. Portava con sé una bimba di circa due anni, che guardava verso di lui con molta curiosità. Torrens, osservandola di sottecchi, fingeva di non vedere. La radio portatile dava il massimo che poteva. Gridava. Caterina e la sua amica chiacchieravano e ridevano nella casa del cortile. A questo punto la bambina, guardando Torrens attentamente, si pianta al centro del cortile, di fronte a lui e comincia a cagare. Torrens chiude il libro, entra e si tira dietro la porta. Di notte andò a vedere se la cacca era là. Non c'era. - Ramanaiah sa perfettamente dov'è la casa del "Longarinas". - Sì, lo so. - Passavo di lì. A cento metri, di fronte a me, veniva il camioncino del Comune che ogni tanto raccoglie la spazzatura. In quel momento una ragazzetta attraversa la strada con un bidone pieno e, contro le mie aspettative, va verso il muretto e lo vuota lì. Se avesse fatto soltanto una ventina di metri avrebbe consegnato la spazzatura al camioncino. Miguel, ironico: - Tu pretendi abitudini civiche... - Senti Miguel, non lo so cosa pretendo... se i responsabili religiosi dicono alcune cose, potrebbero aggiungerne altre, o no? Poi ci sono dei regolamenti... Vi ricordate, avant'ieri, il vigile che ha multato il camioncino parcheggiato in sosta vietata di fronte all'"Ancora"? - Già, e se per caso, dopo la multa, gli fosse venuto un mal di pancia, si sarebbe messo a correre verso la spiaggia, per liberarsi... Risero. - Ilha è morta, signor Torrens - disse Ramanaiah - È venuta morendo. Tutto
sta andando a quel paese. È la verità. Abbiamo solo un'industria: una piccola fabbrica di sapone. Nient'altro. Tutto è già andato a quel paese. Anche l'Esattoria se n'è andata. Adesso, per pagare le tasse, bisogna arrivare al capoluogo di provincia. Andata e ritorno centoquaranta meticais... quando c'è posto nella corriera. La capitaneria è ferma. Le macchine sono ferme. I rimorchiatori sono nella sabbia. Già fradici. È la verità. - Abbiamo visto. - Erano sette quelli che Valente da Fonseca aveva consegnato. Ne avevano lasciati qui cinque. Non ce n'è rimasto nessuno. Tutto guasto. I motori guasti. Tutto arrugginito, abbandonato. L'architetto Jacobson sembra sorridere ma non è sorriso, è smorfia. Vi siete accorti che qui, a Ilha, non esiste tempo presente né tempo futuro? Avete parlato con le persone? Tutte parlano al passato. Io che parlo poco il portoghese, adesso so dire molto bene tutti i verbi al passato. Le difficoltà del presente sono... come si dice?... un'incognita. Incognita. Incognita il futuro. Mi occupo del restauro di Ilha, come sapete. Ho un magazzino e degli operai. Fermi. Non ho fondi, né automobile, né... Li guarda con tristezza. Molta. Si percepisce la sua capacità di realizzazione, la sua volontà alleata alla giovinezza. Entusiasmo e frustrazione. Un volere a braccia incrociate. Jacobson sorride senza voglia e domanda: "Cosa faremo"? Miguel guarda Torrens turbato. Questi finge di studiare una mappa del 1852. Questo volersi sfogare..."Il capoluogo di provincia aveva promesso la macchina. Era in officina. Guasta. Fu pronta e la mandarono. Ha fuso il motore a quaranta chilometri da qui". "Non ci avevano messo l'olio?" "Non lo so. Non lo so" e abbassò la testa su di una lunga relazione che stava scrivendo quando erano entrati. - Per il pane è così - rispose Ramanaiah alla domanda di Miguel - esistono due panetterie. Sono a nome delle mogli di due amministrativi. Due funzionari. Arriva la farina e una parte è stornata perché gli amici possano fare dolcetti. È la verità. Dei dolci piccolini così. Poi manca il pane. Per forza manca. E ogni panino dieci meticais. Così vanno le cose. - Io ora sto ricevendo pane - affermò Sequeira positivo. - Certo, lei è un funzionario - e subito dopo Ramanaiah, pentendosi - Beh, volevo dire che lei qui è molto conosciuto, è nato qua e tutto. È la verità.. CAPITOLO 8 Quella mattina l'Internazionale fu requisito. Il vecchio padrone era andato in ferie all'estero e, contati novanta giorni, le 'forze sane' di Ilha avanzano e requisiscono. Col giudice davanti. Dopo due ore di attesa i requisitori escono con i documenti e la cassaforte. Col giudice davanti. Miguel e Torrens guardano di lontano. Per primo esce Sousa, rosso come il fuoco. Poi la signora Concetta con le lacrime agli occhi. Poi i restanti dipendenti che si guardano l'un l'altro, senza sapere cosa fare o dire. Il gatto giallo esce anche lui, diritto verso il 'Porto-Rifugio '. Varie domande caddero sopra Sousa, che mostrava in viso la vergogna di essere nudo. - Ecco... non posso stare dietro il bancone, né toccare i soldi. Domani mandano una persona che prenderà la responsabilità di tutto. Oggi dò ancora da mangiare, domani non so. Avevo, sì avevo una procura con pieni poteri, ma non ho fatto la scrittura. C'erano i timbri tutto. Il giudice ha detto che quello non vale niente. La macchina? Ho una dichiarazione di vendita, ma portano via anche quella. Vado ad aiutare a spingere. Non ha il motore d avviamento. Hanno portato via tutta la documentazione. Ho ancora del pesce nel congelatore. È questo che darò per pranzo. - Non siamo noi a passeggiare per Ilha, Miguel. È lei che passeggia in noi. Ha tanta forza, è così viva nella sua agonia, che ci impregna di sé, ci sovrasta. Se rimarremo a lungo ci mangerà. Il personaggio principale di Ilha è lei stessa, un museo cinto di sabbia. Che ci sovrasta. Ha mangiato i vecchi... per lo meno quelli
... i cosiddetti personaggi tipici. Lei forgia le persone e queste gli aneddoti. Mi raccontano solo aneddoti di persone vecchie... Amad è maomettano. È alcoolista. Prega cinque volte al giorno come comanda la prassi. Cerca qualsiasi bevanda e la ingurgita con determinazione e rapidità. Reputa di spiacere ad Allah e beve per dimenticare. I momenti di pentimento sono brevi. Li stordisce in fretta nell'alcool disponibile, poi prega. Amad sa dove trovare da bere. Anche una bottiglia che sia ben nascosta tra i vestiti o su uno scaffale di libri, Amad la scopre. Nessuno nasconde niente quando arriva Amad, tanto non serve. In quella notte di festa cattolica, Amad sapeva dove c'era da bere. Così andò là, si sedette e cominciò a bere avidamente. Si sentiva bene, sempre meglio, certo che Allah, essendo grande, gli avrebbe perdonato tanta sete, tanta aridità. A notte avanzata, nell'indefinitezza caliginosa, Amad s'accorge di persone che si alzano ed escono. "Vogliono andare a bere senza di me" pensa "ma io non li mollo. Se vanno a bere da qualche altra parte, vado anch'io". Un nutrito gruppo va fino al tempio cattolico per la pratica della prima messa. In retroguardia, entra anche Amad, traballante, ma col naso alzato, fiutando l'alcool immaginato. Poiché tutti si inginocchiano, così fa anche lui. Del resto avrebbe praticato tutto il rituale che fosse necessario, perché gli toccasse la dose di liquido a cui riteneva di avere diritto. Col diritto che dà la sete. Avrebbe raccontato poi che tutto quello gli sembrava molto strano, ma che c'era nell'aria un delizioso profumo di vino, oh, questo c'era! Nella piazza della chiesa andavano radunandosi persone. Mormoravano. Non sarà che Amad si è convertito al cristianesimo? Stava seduto là, facendo incomprensibili gesti con le mani. Poi in ginocchio. La notizia indegna passava da persona a persona. Amad?! Consta che mai il sagrato della chiesa ebbe spettatori tanti maomettani come quella notte. Con lo svolgersi del rituale e perché era lungo e perché niente, mentre durava, si era bevuto, Amad comincia a vederci meglio e a vedere meglio proprio il Cristo in croce. Comincia anche a sentire meglio quello che, lontano, sta dicendo il prete. Amad sbircia per una ritirata possibile e, aggiustando la vista, vede quel sagrato pieno zeppo che lo guarda sorpreso. Amad non crede più che Allah lo protegga e lo perdoni. Molto meno quello là che, dalla croce, sembra fissarlo con ironia. La messa finisce. Amad resta in coda, tremante e assetato. Avrebbe proprio bisogno di bere. È l'ultimo ad uscire. Sbilanciato, s'immobilizza di fronte ai fratelli maomettani. Uno dei più vecchi avanza, a voce, il pensiero di tutti e domanda:"Amad, in conclusione, sei cattolico o maomettano?" Amad è rapido nella risposta: "Sono ubriaco". E con questo se ne andò veloce, per paura di perdere la cena che, ora lo sapeva, sarebbe stata di lì a poco. - Dobbiamo occuparci dei bambini, Miguel. Educarli in fretta. Non a lavarsi i piedi come pratica religiosa, ma come pratica igienica. Ilha e Allah se li stanno già divorando a colazione. - Abbiamo bisogno di tempo. Tempo. Ci sono dei tempi... c'è un processo scientifico. La rivoluzione non si ferma... ma a volte rallenta un po'... e questo per colpa nostra. - Attento Miguel. Siviglia fu invasa dalle forze fasciste perché erano le due del pomeriggio. Era l'ora della siesta. Il capitano non credeva esistesse qualcuno che potesse fare la guerra nella sacra ora della siesta. Bisogna tagliar corto con certe abitudini. Le religioni, fin dall'inizio, plasmano nei bambini abitudini prepotenti. Quando l'abitudine si radica, rimane l'ipocrisia esistenziale. Costringere i bambini ad ascoltar parlare del Corano, o della Bibbia o anche della Costituzione Politica della Repubblica è una tremenda violenza. - Questo lo sappiamo. - Non sono un genio Miguel. Per questo parlo... - Hai detto una serie di luoghi comuni. La cosa buona è che li dici con sincerità... ciò che non sempre li fa esser veri. Se la rivoluzione arrivasse qui e chiudesse le moschee e le chiese, procederebbe in maniera sbagliata. - Adesso sì, ma al momento giusto no. - Qual è il momento giusto?
- Non lo so. Binomio, orologiaio vecchio e miope, sbarra l'entrata con una tavola e nessuno entra. Parla dall'altro lato della tavola. Gli amici o gli eventuali clienti parlano dal lato di qua, dalla strada. "Tra poco andrò là, al cimitero. Anche lei, caro il mio fornaio. Anche lei sarà cimiterese. Ascolti me. È tra i cimiteresi che si sta bene: non ci sono intrighi né persecuzioni. Cosa? Si ferma?" E guarda diffidente l'orologio di Miguel. "No, questo non l'accomodo. Dà troppo lavoro. Non ho pazienza". "Quando eravamo piccoli - racconta Ramanaiah - ripulivamo la strada della panetteria di tutti i sassi. Davanti non ne restava uno solo. Tutto pulito. Poi andavamo vicino alla porta a dirgli i nomi. Lui correva alla ricerca di sassi e come non se ne trovava per le mani nessuno, ci tirava il pane, che era poi quello che noi volevamo. È la verità. Poveretto, è così vecchio adesso!" CAPITOLO 9 Il pranzo fu a casa di Sequeira. Cominciò col rigore e l'atmosfera di una lezione: - La setta principale è la suni. Poi ci sono le fraterie... una specie di confraternita. Qui ne abbiamo due gruppi: le 'kaadrias' e le 'chaatrias'. La più importante è la kaadria di Bagdad. Da Ilha parte l'orientamento religioso per il resto del Paese. Riteniamo che i maomettani siano più di un milione... Qui è il centro decisionale. Nella gerarchia, il capo è capo amministrativo, politico e religioso. L'iman, o imano, celebra i riti. - E quell'individuo che grida là, in cima al minareto? - È il muezzin. Richiama i fedeli. È contrattato solo per questo. - Un sacrestano con buoni polmoni... - borbotta Torrens. - Bene - dice Sequeira - torniamo al punto caldo. Ho parlato oggi con varie persone dell'Internazionale. Un errore. Un grave errore politico. Legalmente sembra regolare. Il gerente non ha legalizzato la situazione e ha perso i diritti conferitigli dalla procura. E Torrens: - Oggi, alle otto e mezza, Sousa e i lavoratori erano tutti seduti sul marciapiede, aspettando quel tal responsabile. Dalle sette. Già l'automobile non c'era più. I venditori di conchiglie, dall'altro lato della strada, sembravano divertiti a quel cambiamento di scenario. - Son diciotto lavoratori che restano senza posto... anche se continueranno a lavorare, questo mese non riceveranno lo stipendio - dice Miguel preoccupato. - Noi, nella capitale, che ha più possibilità umane e più risorse, affidiamo i ristoranti alle persone che li vogliono, ai privati. A Ilha non danno a quest'uomo neppure il tempo di mettersi in regola. E Sequeira moderatore: - Sì, dovevano chiamarlo e dargli un termine per regolarizzare la situazione, le questioni legali. Ho fatto una piccola indagine e la cosa non è partita dai "monhes"(9). Avevo anche pensato che, siccome hanno tutto il commercio nelle loro mani e Sousa è bianco e straniero, avessero fatto denunce o cose del genere. Ma no. I proprietari dei ristoranti sono veramente indignati. Sono pronti ad aiutare Sousa in tutto ciò che può essere necessario. CAPITOLO 10 La luce si spense. La Centrale se ne partì. Per due giorni non ci fu corrente elettrica. La ditta Malmequer vendette tutte le candele che aveva in magazzino. Il signor Alì scoprì alla fine un petromax (10), ma non servì i pasti per via del congelatore che si era scongelato. La pioggia torrenziale, dopo una siccità prolungata e drammatica, aveva invaso la centrale elettrica. La Centrale elettrica, nuova, era stata costruita in un basso.
Acqua e terra avevano invaso i generatori. Ilha agonizzante era anche al buio. Torrens aveva con sé una pratica torcia. Girò l'angolo dell'antico Largo del Pelourinho lei era là. Con la stessa aria di abbandono, con lo stesso cesto, col piccolo sulla schiena. Fece allora un invito più diretto, più penoso, più disperato. Senza segreti da svelare, né mezze parole da interpretare. Torrens s'inchiodò ascoltò. Torrens aveva un lungo discorso da offrirle. Lungo e accorato. Lungo e, può darsi, incoerente. Come tutti i timidi fu rude. Non fece il discorso. Si lasciò comodamente andare al "non mi secchi", senza sapere se doveva o no darle denaro. Non gliene diede. Al "Porto-Rifugio" il 'balalaica' (11) giovane porta alla bella macua un bicchiere di cioccolata, un panino con la marmellata e un bicchier d acqua. Lui è piccolo e brutto. Lei è alta e snella. Il piccolo 'balalaica' restituisce il bicchier d acqua che la bella macua dice essere sporco, additandolo. Torrens la osserva stupito, a quel tavolo di mosche. La bella Macua sta facendo colazione e guarda sorniona verso Torrens. Il piccolo 'balalaica' se ne va per la sua vita, una vita forse di sbadiglio, o di insetto soddisfatto. Si appressa allora al tavolo un giovane alto e sorridente. Lei si copre tutta di fiori: negli occhi, nei capelli crespi, nella 'capulana' (12), nelle mani, nei piedi, nel gesto lezioso. Indica sprezzante, col labbro, il marito 'balalaica' che seguita, veloce, la sua strada. Lei chiede con voglia. Lui promette senza impegno, ridendo. Si guardano intendendosi. Esce anche lui, denti limati, gazzellato e agile. Lei lo accompagna con sguardo goloso. Il vecchio Torrens allontana le mosche, paga ed esce, portando con sé quegli occhi di donna espressivi e belli. Ha mille anni. Il giorno seguente, alla stessa ora, lei passa e attraverso il vetro ride sfrontata fissando Torrens. Lei sapeva ciò che Torrens sapeva. Lui no. A Torrens faceva male dentro. Era come aver sete solo nella bocca. La donna col piccolo gli faceva male dentro, molto in fondo. Accese due candele e si servì generosamente da una bottiglia di acqua calda. Le cicale e i grilli, contenti della pioggia permanente, non tacevano se non quando tuonava. Subito dopo il tuono, immediatamente, ritornavano alla monotona, persistente, aspra melodia. Torrens, disciplinato, prese il libro. Malconcio, cominciò a leggere. "E le navi approdarono infine alla fiera Ilha de Moçambique, le cui imbarcazioni veloci, strette e lunghe furono oggetto di ammirazione generale. Osservavano il materiale di cui erano fatte le vele, il colore della gente, l'abbigliamento, le armi, gli strumenti musicali". Di cotone tessuto son vestiti di variati color, bianchi e rigati dalla cintura in su sono spogliati hanno per armi coltellacci e daghe portan turbanti e vanno navigando strumenti musicali van suonando. Alle domande in lingua araba, rispondevano con sicurezza e coscienza di sé: I portoghesi siamo di Occidente stiamo cercando le terre di Oriente" Torrens si addormentò. CAPITOLO 11 Alì non ha pane. È mancata l'elettricità. Serve biscotti secchi, che Torrens inzuppa nel caffelatte. Miguel, sempre affamato, ne mangia due alla volta. - L'Internazionale è ancora chiuso - informa Alì - Sousa dice che aprono domani; gerenti degli acquisti e della cucina saranno la signora Margherita e il responsabile della "Pousada". - Della "Pousada"?! grida Torrens senza controllarsi. Torrens e la moglie sono seduti ad un tavolo. Un cameriere si avvicina con la
zuppiera della minestra. La sua giacca una volta è stata bianca. Dalla cintura in giù è una mappa di macchie di varie tonalità. Una delle tasche è mezzo strappata e sudicia anch'essa. "Non vogliamo la minestra. Cosa c'è di secondo? "Pesce" "Pesce con cosa?" "Non lo so. Vado a chiedere". Ritorna portando già il vassoio del pesce fritto col riso. Si servono. La moglie di Torrens attacca discorso: "Dunque, si fa sentire molto la mancanza di cibo, qui a Ilha?" "Molto. Manca tutto!" "Ma il sapone c'è. Non è vero?" "Di sapone ce n'è molto, ne abbiamo qui una fabbrica". "Allora, se il sapone c'è, perché la sua giacca è così sporca? Perché non la lava?" Il cameriere se ne va rapido, senza rispondere. - Il vecchio proprietario aveva disposto che i tre vecchi mangiassero gratis. Bianca, Purezza e l'ex fornaio. Moriranno di fame? - si preoccupa Miguel. Alì alza le spalle. Torrens borbotta di cattivo umore. La bella Macua entra ed esce. Non era la colazione quello che andava cercando. - Me ne vado domani, Miguel. - Io partirò a fine settimana. - Ramanaiah mi ha detto che tra i documenti c'era un buono per cento cassette di birra chi aveva la responsabilità di prelevarle era il giudice. Un buono già vecchio... E Miguel ridendo: - Il signor dottor giudice... - È come dice Sequeira. Ancora l'invadenza dell'epoca coloniale. C'era qui un comandante del porto, era una capitano di marina. Chi occupa adesso il suo posto è un dattilografo, che chiamano "signor comandante". C'era un giudice laureato in legge. Come c'era prima, dev'esserci anche adesso. Questo è un giudice popolare, che ha la sesta elementare, ma gli piace che lo chiamino "signor dottor giudice". - La mia preoccupazione è se dovremo moltiplicare questi casi per enne. Questo mi spaventa. L'architetto Jacobson afferma che non è colpa sua. Un allevamento di polli nel centro residenziale di Ilha, in un edificio del XVIII secolo, dalla bella porta scolpita. "Nessuno mi ha consultato. Nessuno mi domanda niente. Ho saputo per caso che stanno per chiudere il ponte, che c'è un pilone che sta cedendo. Una barca affondata sta distruggendo il pilone. So le cose per caso". CAPITOLO 12 Di notte la signora Bianca fece pochi passi e gettò la spazzatura sul mucchio del giorno avanti. Le pantegane già vi si stavano dirigendo veloci. Il responsabile delle cooperative di consumo vuote si spogliò, guardando con compiacenza la sua balalaica e la sua moglie incinta. Nella casa di padre Soares, una candela attestava che la mancanza di elettricità non gli faceva perdere lo studio. Ramanaiah aveva due lumi a petrolio. Leggeva distratto un libro vecchio e sfogliato. Al "Porto-Rifugio" Alì chiudeva le porte. Non aveva servito i pasti quel giorno. Miguel e Torrens udirono perfettamente il rumore di un terrazzo che cadeva, ma proseguirono senza commenti. Ilha era buia. Il cielo coperto. Ma il faro era acceso di nuovo. Nel 'quartiere' le donne, ormai senza mussire, aspettavano l'uomo. - Bene Miguel, arrivederci uno di questi giorni. Parto domani. Maputo, gennaio 1992
NOTE
(1) Frutto tropicale. (2) Rivista politico-economica di orientamento progressista, diffusa nei Paesi del Terzo Mondo che utilizzano come lingua ufficiale una delle lingue neo-latine. Ne esistono tre edizioni: portoghese, francese, spagnola. (3) Plurale di metical, la moneta mozambicana che ha corso dal 1979. (4) Etnia cui appartengono gli abitanti di Ilha e di gran parte del Nord del Mozambico. (5) Nota dell'editore mozambicano: il personaggio sembra far riferimento a James A. Michener, autore, tra altre cose, di "Sayonara". (6) Pratica tradizionale delle donne makua, nel periodo di vita tra iniziazione e matrimonio: ha il significato simbolico di dichiarare la ragazza pronta per il rapporto con l'uomo, e quello pratico di abbellirla, rendendone la pelle più morbida e liscia. (7) Quartiere di Maputo. (8) Polizia politica portoghese, attiva anche nelle colonie, durante gli anni della dittatura. (9) Termine gergale di uso comune per indicare i commercianti indiani che, in tutto il Mozambico, gestiscono la maggior parte degli esercizi commerciali. (10) Frigorifero a petrolio. (11) Completo maschile di tessuto leggero, con la giacca modello sahariana, prescritto per i funzionari. (12) Tessuto in cotone a vivaci colori e disegni che le donne si foggiano abitualmente a gonna, ma anche a scialle, a copricapo, ecc. INDICAZIONI PER LA PRONUNCIA DELLE PAROLE PORTOGHESI PRESENTI NEL TESTO LH si legge GLI CH SCI QU CH GU GH OU O chiuso È in molti casi I (per es. Sequeira si legge Sicheira) La tilde rende nasali le vocali A e 0
DELLA STESSA COLLANA: Camara Laye "Un bambino nero" Guinea Lya Luft "L'ala sinistra dell'angelo" Brasile Javier Gurriaràn "Con l'aiuto del vento" Guatemala Tierno Monénembo "Le radici della pietra" Guinea Edilberto Coutinho "Maracanã addio" Brasile L. Dadina, M. N'Diaye "Griot Fulêr" - Senegal Stampa: La Stamperia - Rimini