«PICCOLA COLLANA MODERNA» Serie biblica
n. 83
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E. SCHWEIZER, Gesù Cristo: l 'uomo di Nazareth e il Signore
glorificato MARXSEN, Il terzo giorno risuscitò ... La risurrezione di Gesù: unfatto storico? 71. H. CLARK KEE, Che cosa possiamo sapere di Gesù? 72. V. BENECCHI, I dieci comandamenti avventura di libertà 73. D. BONHOEFFER, La Parola predicata. Corso di omiletica a 70.
W.
Finkenwalde
74. 75.
K. STENDAHL, Paolo tra ebrei e pagani
CH. DEMUR- D. MDLLER, L'omosessualità. Un dialogo teolo gico
76. 77.
E. BETHGE, Dietrich Bonhoeffer, amicizia e resistenza JOHN POLKINGHORNE, Quark, caos e cristianesimo. Domande a scienza e fede
78. 79. 80. 81. 82.
•
P. RICCA G. TOURN, Le 95 Tesi di Lutero e la cristianità del nostro tempo E. STRETTI, Il Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia L_KAENNEL, Lutero era antisemita? S. AMS�R. Il segreto delle nostre origini. La singolare attua lità di Genesi 1-11 C. BIRCH L. VISCHER, Vivere con gli animali -
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Bruno Corsani
La seconda lettera ai Corinzi Guida alla lettura
Claudiana - Torino
Bruno Corsani, noto biblista evangelico, è stato docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Membro dell'Associazione biblica italiana, è autore di numerose pubblicazioni, fra cui ricordiamo: Introduzione a/Nuovo Testamento, l0vol.: Vangeli eAtti, 1972,19912,2°
vol.: Epistole e Apocalisse, 1975, 19982; Atti degli Apostoli e Lettere, 1978; Matteo, Marco, Luca, 1982; Esegesi. Come interpretare un testo biblico, 1985; L'Apocalisse. Guida al la lettura, 1987, tutti editi dalla Claudiana; I miracoli di Gesù nel quarto Vangelo, Paideia, Brescia, 1984; Guida al lo studio del greco del Nuovo Testamento, A.B.V., Roma, 19942; La lettera ai Galati, Marietti, Genova, 1990; L'Apocalisse e l'apocalittica del Nuovo Testamento,
Dehoniane, Bologna, 1997.
I S B N 88-70 1 6-328-8 ©
Claudiana Editrice, 2000 Via Principe Tommaso l- 10125 Torino Tel. 011.668.98.04- Fax 011.650.43.94 E-mail:
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Ristampe:
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Copertina di Umberto Stagnaro
Stampa: Stampatre, Torino
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LISTA DELLE ABBREVIAZIONI
A) COMMENTARI Barrett
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Bosio
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Bultmann
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Carrez
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Collange
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Crisostomo
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Fumish
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Héring
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Ktimmel
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C.K. BARRETT, A Commentary on the Second Epistle to the Corinthians, London, A. & C. Black, 1973. E. B O S IO , Commentario esegeticopratico del N. T. Le Epistole di San Paolo ai Corinti, Firenze, Claudiana, 1 900. R. BULTMANN, Der zweite Brief an die Korinther, GOttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1976. M. CARREZ, La deu.xième épftre de S. Paul aux Corinthiens, (CNT) , Genève, Labor et Fides, 1986. J.F. COLLANGE, Enigmes de la deu.xième épftre aux Corinthiens, SNTS 18, Cambridge, CUP, 1972. Trenta omelie sulla II epistola ai Corinzi, in MIGNE, Patrologia Graeca, vol. 61, colonne 381-618. V.P. FuRNISH, II Corinthians, 2 voll. , Anchor Bible, New York, Doubleday, 1 984. J. HÉRING , La seconde épitre de Saint Paul au.x Corinthiens, (CNT), Neuchatel, Delachaux et Niestlé, 1958. W.G. KDMMEL, aggiornamento del commento di Hans Lietzmann, An die Korinther l/II (HNT), Ttibingen, Mohr, 19795 . 5
Lang
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NTA
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Oliveira
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Plummer
=
Thrall
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F. LANG, Die Briefe an die Korinther (NTD), Gottingen, Vandenhoeck &
Ruprecht, 1986. G. ToURN, Secondaepistolaai Corinzi (Nuovo Testamento annotato), vol. III, Torino, Claudiana, 1 974, pp. 1331 72. A. DE OLIVEIRA, Die Diakonie der Gerechtigkeit und der Versohnung in derApologie des 2. Korintherbriefes, Miinster, Aschendorff Verlag, 1 990. A. PLUMMER , A CriticalandExegetical Commentary on the Second Epistle ofSt. Paul to the Corinthians (ICC), Edinburgh, T. & T. Clark, 1 9 1 5 . M. THRALL, A Criticai and Exegetical Commentary on the Second Epistle to the Corinthians (ICC), Vol I (chs. I - VII), Edinburgh, T. & T. Clark, 1 994.
B) ALTRE SIGLE A. T. CEI
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Devoto-Oli
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Di odati
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EU
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6
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Antico Testamento traduzione cattolica della Bibbia a cura della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), Roma, 1 97 1 . G. DEVOTOe G.C. OLI, Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1 979. traduzione evangelica della Bib bia, di Giov. Diodati, l a ed. 1 607, 28 ed. 1 64 1 . Numerose edizioni posteriori . Einheitsiibersetzung, traduzione tedesca interconfessionale cattolico luterana, Stuttgart, 1 979.
GLNT
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Jiingel
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Kasemann
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Kuss
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LXX Marguerat
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NEB
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Petit Robert
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Quesnell
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REB
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RIV, Nuova
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Grande Lessico de/Nuovo Testamento, tr. ital. del Theologisches Worterbuch zum N. T., diretto da G. Kittel e (poi) da G. Friedrich, 1 5 volumi, Brescia, Paideia, 1 965 ss. E. JDNGEL, Paolo e Gesù, Brescia, Paideia, 1 978. E. KASEMANN, Die Legitimitiit des Apostels, ZNW 4 1 ( 1 942), pp. 3371. O. Kuss,Paolo. lil.fùnzionedeU 'Apostolo nello sviluppo teologico della Chiesa primitiva, Roma, Ed. Paoline, 1 974, cap. V,5 . «Settanta»: traduzione greca dell'A. T. D. MARGUERAT, 2 Cor. 10-13. Pau[ et l ' expérience de Dieu, ETR 5 5 ( 1 988), pp. 497-5 19. New EnglishBible(N.T.), Oxford!Cambridge, 1 970 2• La Bibbia. Nuovissima Versione dai testi originali, edizioni Paoline, Roma, 1983. Dictionnaire alphabétique et analogique de la languefrançaise, Editions Le Robert, Parigi, 1 984. M . QUESNELL, Circomstances et composition de la seconde épftre aux Corinthiens, NTS 43 ( 1 997), pp. 256267 . R e v ised Eng l i s h Bible, ( N . T. ) Oxford/Cambridge, 1 990. La Sacra Bibbia, edizione riveduta sui testi originali, Roma, Società Biblica Britannica e Forestiera, 1 924. Revisione della Versione Riveduta, a cura della Casa della Bibbia, Genova/Ginevra, 1 982. 7
TILC
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TOB
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Vouga
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WA
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8
Parola del Signore. Traduzione inter confessionale in lingua corrente, Ro ma SBBF e Leumann LDC, 1 976. Traduction Oecuméniqu e de la Bible, Nouveau Testament, Paris, Cerf, 1 972. F. VOUGA, Dopo la morte .. ? l cristia ni e l'aldilà, Torino, Claudiana, 1 995 . WeimarAu sga be, Edizione diWeimar di tutti gli scritti di M. Lutero, Weimar, Bohlau, 1 883 ss. (più di 1 00volumi). .
PREFAZIONE
Questo non è tanto un commentario, quanto una guida alla lettura di un libro biblico difficile. Si propone di accompagnare i lettori e, meglio ancora, i gruppi di studio biblico nelle comunità, attraverso le difficoltà di linguag gio, gli artifizi retorici, le allusioni - e anche attraverso le complicazioni causate da una travagliata trasmissione del testo nei primi decenni della sua esistenza. Dopo lunghe riflessioni mie e di autorevoli colleghi, si è deciso di iniziare ciascuno dei 49 paragrafi con la riproduzione del testo biblico in italiano tratto della cosid detta «Nuova Riveduta» (vedi elenco abbreviazioni). Se chi farà uso di questo mio lavoro potrà avere sott' occhio anche altre traduzioni bibliche, in italiano o in altre lingue, ne trarrà un indubbio giovamento. Ogni tanto sono state riportate da quelle traduzioni parole o frasi che non coinci dono con quelle della «Nuova Riveduta». Dato il carattere della pubblicazione, d 'accordo con l ' Editore ho rinunziato a note e altri apparati scientifici, !imitandomi a indicare ogni tanto, tra parentesi, il nome di autori ai quali ero debitore per questa o quella ipotesi o soluzione di problemi esegetici. I loro scritti sono ripor tati nella lista delle abbreviazioni. Sono debitore in modo particolare agli autori dei commentari sulla II Corinzi elencati in quella lista. Mi sono stati per molti tempo eccellenti compagni di viaggio attraverso i 13 capitoli del testo. Se vi è del buono in questo lavoro, lo devo a loro. Ma ogni difetto dev ' essere assolutamente imputato a mio carico. Auguro a questo mio lavoro di aiutare fratelli e sorel le a leggere la II Corinzi e a trarre giovamento da quanto 9
essa ci permette di intravedere delle esperienze di Paolo l ' apostolo e di una comunità come quella di Corinto, ricca di pregi e difetti come tante comunità cristiane del nostro tempo. Pinerolo, estate 1 999
10
Bruno Corsani
INTRODUZIONE ALLA II CORINZI
TAPPE DELLA VITA DI UNA LETTERA APOSTOLICA
Nella vita di una lettera ci sono diversi momenti forti, ciascuno con la sua specificità e con le sue emozioni : c'è il momento in cui la lettera è scritta o dettata. Poi c'è il momento in cui la lettera è ricevuta e letta. Nel caso di una lettera apostolica indirizzata a una comunità di fedeli, si potrebbe aggiungere il momento della sua lettura pubbli ca, forse nel culto. Altri momenti sono più incerti, cioè non vissuti da tutte le lettere: Ìl momento in cui la lette ra è citata (o ne sono citate alcune frasi) e quello in cui può essere stata riletta da qualcuno - ma questo presup pone che sia stata conservata (oggi si dice: archiviata). E infine - ma questo è un passo che non tocca a qualsiasi lettera ! - c'è il momento in cui la lettera è pubblicata o riprodotta, quindi fatta circolare non solo nell' àmbito dei primi destinatari ma anche in una cerchia molto più vasta di lettori. Alcuni di questi momenti forti si possono ricostruire o immaginare per raccolte di lettere del passato (per es. le lettere di Cicerone) o del XX secolo (Le Lettere dal carcere di D. Bonhoeffer, o le Lettere di condannati a morte della Resistenza, o quelle di Willy Jervis a sua moglie Lucilla Rochat, prima che fosse ucciso dai nazisti a Villar Pellice). Qualche volta accanto ai momenti forti ci saranno anche stati dei momenti oscuri : lettere perdute, lettere nascoste, lettere distrutte . . . In I Tessalonicesi 5 ,27 Paolo scrive: «lo vi scongiuro per il Signore che si legga questa 11
lettera a tutti i fratelli»: forse temeva che chi l' avrebbe ricevuta la facesse conoscere solo ad alcuni, forse ai suoi amici, e non a tutta la comunità? Il sospetto non è infon dato, specialmente se pensiamo che alcune comunità paoline, come quella di Corinto, erano divise in partiti o correnti . Quando le lettere erano particolarmente dure, come qualche sezione della II Corinzi, potrebbe addirit tura esserci stato qualcuno che aveva interesse a farle sparire, o a distruggerne alcune parti. . . Alla fine della lettera ai Colossesi (4 , 1 6) troviamo una raccomandazione interessante: «Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che sia letta anche nella chiesa dei laodicesi» - dunque in un' altra comunità, che poteva trarre qualche beneficio spirituale da quella lettura, anche se gli argomenti trattati toccavano forse più da vicino i colossesi che i laodicesi. Le lettere di Paolo ci appaiono dunque come qualco sa di vivo, che ha una storia, che non si ferma ai primi destinatari ma che può avere avuto delle tappe successi ve di servizio o di utilità per un numero più grande di persone, al di là di quelle che l ' apostolo aveva in mente al momento della dettatura. Sì, perché Paolo general mente dettava le sue lettere, non le redigeva di sua mano. Lo sappiamo da due particolari apparentemente insigni ficanti. In Romani 1 6,22 leggiamo: «lo, Terzio, che ho scritto la lettera, vi saluto nel Signore». Tra le righe della lettera di Paolo si affaccia dunque il suo scrivano, che si associa ai saluti di Paolo e ci fa conoscere il suo nome. Nella I ai Corinzi (1 6,2 1 ) l'apostolo scrive: «Il saluto è di mia propria mano: di me, Paolo» . Questo vuoi dire che i capitoli precedenti erano stati dettati a uno scrivano. Se altre persone hanno collaborato con Paolo per scrive re materialmente le sue lettere, forse molte persone, a noi sconosciute, hanno collaborato per conservarle. Ma dove? Certamente le piccole comunità del periodo apostolico non avevano degli «uffici parrocchiali» dove custodire la corrispondenza dopo averla protocollata . . . specialmente 12
se erano delle comunità domestiche, che si riunivano in casa di qualcuno. Forse la padrona di casa le riponeva in un cassetto di cucina o nell' armadio della biancheria. . . I n queste circostanze, è u n miracolo che non siano andate perdute le lettere che ora fanno parte del Nuovo Testamento. Queste precarie circostanze in cui si è realizzata la sopravvivenza delle epistole del N.T. possono giustifi care le conclusioni (o i sospetti) di alcuni studiosi, che ritengono che ci siano delle lettere andate perdute, e che alcune lettere siano state ritrovate in condizioni frammen tarie (soprattutto prive del primo e dell' ultimo foglio), e possano perciò essere state attaccate ad altri frammenti che ora compaiono nel N. T. sotto forma di lettere di grandi dimensioni . Questo forse non è accaduto per epistolari di autori classici dell' antichità, ma i loro scritti non hanno avuto vicende precarie come quelli del N. T. : penso special mente che le persecuzioni possono aver contribuito allo smarrimento o al lo sfaldamento di scritti apostol ici malamente custoditi da qualche membro delle comunità cristiane primitive. Se non sappiamo dove e da chi le lettere di Paolo sono state custodite, possiamo però fare delle ipotesi su chi è andato a cercarle e le ha ricuperate, passando di città in città e visitando le persone che avevano ospitato «la chiesa» in casa loro (cfr. I Cor. 1 6, 1 9 ; Rom. 16, 5 .23), o che aveva no avuto una parte importante nella vita della comunità. In non pochi casi, la ricerca sarà stata resa più difficile perché quelle persone, che erano in vita ali' epoca di Paolo, potevano essere già morte, e si trattava di ritrovare le carte che avevano lasciato e delle quali i loro eredi forse non erano al corrente. Ma chi sarà stato questo ricercatore attento e paziente? Potrebbe essere stato uno dei perso naggi nominati nelle epistole - si è ipotizzato Onesimo. Oppure qualcuno del tutto ignoto, stimolato forse dalla lettura degli Atti degli apostoli. Si sa che gli Atti non parlano mai delle lettere di Paolo: non le citano, non dicono che le abbia scritte. Il nostro 13
ricercatore potrebbe dunque aver letto gli Atti degli aposto li e, mosso da ammirazione per le vicende di Paolo, aver iniziato un viaggio della memoria per visitare i luoghi della testimonianza, dei conflitti e delle sofferenze dell ' a postolo, nella speranza di trovare ancora qualcuno che lo avesse conosciuto. Così potrebbe essersi imbattuto nelle lettere o nei frammenti di lettere conservati di proposito o sopravvissuti per caso alle vicende della vita di quelli che se li erano trovati in casa. A proposito delle lettere di Paolo, c'è ancora un momen to forte da ricordare: è quando furono unite ai vangeli per formare (anche con le lettere di altri autori, i Vangeli, gli Atti degli apostoli e l ' Apocalisse) la raccolta delle Scritture cristiane che prese il nome di Nuovo Testamento. È il momento della formazione del cànone. Il gran numero di lettere paoline riflette il predominio della loro conce zione dell' evangelo e della chiesa. Con la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., e poi ancora dopo il fallimento della rivolta di Bar Kocheba ( 132-135 d.C.), la corren te giudeo-cristiana, alternativa alla corrente paolina, non potrà più affermarsi . Su tutti questi momenti ci sarebbero molte cose da dire e molte riflessioni da fare. Certamente Dio ha veglia to sulla parola del suo apostolo e ha fatto in modo che non andasse perduta, ma potesse essere utile anche a molte altre generazioni di credenti oltre alle persone per le quali Paolo scrisse le sue lettere. Ma una «guida alla lettura» non può occuparsi di tutto: dobbiamo solo considerare quello che può essere utile per leggere e capire il testo paolino. A questo scopo, i momenti più significativi sono quello della dettatura delle lettere e quello della loro ricer ca, pubblicazione e canonizzazione. Perché sono i soli momenti certi nella vita delle epistole. Degli altri momen ti, che riguardano l' uso fatto delle epistole dai loro desti natari, non sappiamo nulla e le nostre ipotesi sarebbero del tutto aleatorie.
14
RAPPORTI DI PAOLO CON I CREDENTI DI CORINTO
Gli Atti degli apostoli ci dicono pochissimo sulla presenza di Paolo a Corinto e soprattutto su quella comunità. L' autore degli Atti si propone soprattutto di dimostrare la continuità della «storia della salvezza» dall' antico Israele alla chiesa di Gesù Cristo, e di far vedere come l' evangelo giunse rapidamente a Roma. Perciò sorvola sui particolari, e soprattutto lascia da parte i momenti difficili del cammino del cristianesimo, come la crisi in Galazia e i conflitti a Corinto e a Filippi (cose che conoscia mo soltanto dalle lettere di Paolo a quelle comunità). Delle difficoltà di Paolo menziona quasi solo i processi o le comparizioni davanti alle autorità - forse perché Paolo ne esce quasi sempre indenne. Perciò le brevi notizie degli Atti degli apostoli vanno completate e corrette con la testimonianza più antica e personale di Paolo stesso nelle sue lettere. Al cap. 1 8 degli Atti leggiamo che Paolo arrivò a Corinto da Atene e andò ad abitare insieme ad Aquila e Priscilla, che erano come lui fabbricanti di tende. Dopo qualche tempo arrivarono anche Sila e Timoteo, che lo avevano accompagnato nella prima parte del suo viaggio da Antiochia ali' Asia minore e poi in Macedonia. Forse anche loro si misero a lavorare nel laboratorio di Aquila, e così Paolo poté dedicare tutto il suo tempo alla predi cazione e ali ' insegnamento, rivolgendosi prima agli ebrei e poi ai pagani. Fra i primi credette in Cristo Crispo, che era il capo della sinagoga. Paolo, incoraggiato da una visione del Signore, rimase a Corinto diciotto mesi. Alla fine però fu trascinato dagli ebrei davanti al proconsole Gallione con l ' accusa di aver insegnato ad adorare Dio in modo contrario alla legge. Non è chiaro se si trattava della legge di Mosè o della legge romana. Quasi certamente si trattava della legge ebraica, perché Gallione rifiutò di immischiarsi in questio15
ni relative a parole, a nomi, a abitudini «della vostra legge» , e rimandò tutti a casa. Ma Paolo, dopo qualche giorno, partì da Corinto in direzione dell' Asia minore (Efeso) e di Antiochia, da dove era partito quasi due anni prima. A Corinto allude probabilmente anche Atti 20,2 senza menzionare la città, ma parlando soltanto di Grecia. Né il cap. 1 8 né il cap. 20 danno informazioni sulla comunità, la sua vita o suoi problemi, e quasi tutto quello che si sa sui rapporti di Paolo con i corinzi viene ricavato dalle sue lettere: è lì, ad esse, che si rivolgono gli studiosi della vita di Paolo per ricostruire in qualche modo lo sfondo umano sul quale si inserisce ciò che Paolo scrive ai membri della comunità. Se leggiamo la I Corinzi - come dovreb be fare chi vuole capire bene la II Corinzi - l' impressio ne che si ricava è che i rapporti di Paolo con la comunità non fossero molto facili . I motivi sono accennati qua e là nella prima epistola: in 5,6 risulta che i corinzi hanno l ' abitudine di vantarsi. Gi à in 4,6 e 7 Paolo aveva menzionato l' orgoglio e l ' abi tudine di vantarsi: di che cosa? Lo dice ironicamente il v. 10: di essere sapienti, di essere forti ... C'è chi ha voluto vedere un' allusione e un velato rimprovero a queste carat teristiche dei corinzi n eli ' inno ali ' amore (cap. 1 3 ). Chissà se Paolo non scrive che l ' amore è paziente e benevolo, perché i corinzi non erano né pazienti né benevoli? Che l ' amore non si vanta, non si gonfia, perché i corinzi invece amavano vantarsi e gonfiarsi d' orgoglio? Che l' amore non si inasprisce e non sospetta il male, perché i corinzi si comportavano così con lui ? Oltre a queste allusioni indirette ci sono anche delle esortazioni esplicite. In 1 6, 1 4 Paolo scrive: «Tra voi si faccia ogni cosa con amore», e al v. 16 dello stesso capito lo esorta i credenti a sottomettersi alla famiglia di Stefana («che si è dedicata al servizio dei fratelli», v. 1 5 ) e a chiun que lavora e fatica nell 'opera comune. È chiaro che i corinzi avevano difficoltà a collaborare, forse perché 16
ciascuno avrebbe voluto fare a modo suo. Accettavano difficilmente la leadership di altri. Il rimprovero dell 'orgoglio ritorna in 4, 1 8- 1 9: O r alcuni di voi si sono gonfiati d'orgoglio, come s e io non dovessi più venire da voi; ma, se il Signore vorrà, mi recherò presto da voi, e conoscerò non il parlare ma la potenza di coloro che si sono gonfiati.
C ' è persino una velata minaccia: «Che volete? Che venga da voi con la verga o con amore e con spirito di mansuetudine?» (4,2 1 ). È interessante la statistica dei termini usati da Paolo per i difetti dei corinzi : il verbo «gonfiarsi» è usato 6 volte nella I Corinzi (su un totale di 7 nel N. T.); il verbo «vantar si» 6 volte; la parola «saggezza» o «sapienza» (greco sophia) 1 7 volte (seguono, a distanza, Luca e Colossesi con 6 volte ciascuno); l ' aggettivo «sapiente» 1 1 volte su un totale di 20 nel N.T. (4 in Romani, 2 in Matteo, l in Luca, Efesini, Giacomo). Possiamo domandarci se le irrequietezze della comunità e i contrasti con Paolo si erano già manifestati durante l ' anno e mezzo della sua permanenza a Corinto, o erano nati soltanto dopo la sua partenza. Che i problemi fosse ro nati dopo ce lo fanno pensare alcuni accenni della I epistola: in 1 , 1 1 Paolo scrive: Mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che tra voi ci sono contese.
Dunque le «contese» sono sorte dopo, e alcuni hanno cominciato a dire «lo sono di Paolo» o «lo sono di Apollo», o «lo sono di Cefa» (cioè di Pietro), cfr. il v. 12. Il cap. 5, che discute il problema dello «scandalo», presenta il problema come qualcosa che Paolo ha udito (v. 1), non ha constatato di persona. Possiamo domandarci se anche i rimproveri del cap. 6 sui processi fra fratelli si fondino su notizie giunte a Paolo. 17
Ho già ricordato, come informatori di Paolo, «quelli di casa Cloe» (1 ,11 ). Verso la fine della lettera appren diamo che anche altri erano andati da Corinto a Efeso a trovare l ' apostolo. Si tratta di Stefana, di Fortunato e di Acaico (16, 1 7 ) . Anche Aquila e Priscilla avevano lascia to Corinto e si erano stabiliti a Efeso, ospitando in casa loro una «chiesa» (1 6, 1 9) . Infine, i corinzi stessi aveva no scritto a Paolo: lo sappiamo da 7, 1 . Purtroppo non abbiamo il testo di quella lettera. Possiamo immagina re che ponesse a Paolo delle domande, alle quali egli risponde nel cap. 7, nel cap. 8 e forse anche nel cap. 1 2. Ma non sappiamo se quella lettera non conteneva anche delle proteste o delle accuse, e se Paolo si riferisce ad essa quando dice che alcuni lo sottopongono a inchiesta (9,3). In 4, 1 4- 1 5 Paolo si esprime così : Vi scrivo queste cose non per farvi vergognare, ma per ammonirvi come miei cari figli. Perché anche se aveste diecimila precettori in Cristo, non avete però molti padri; perché sono io che vi ho generati in Cristo Gesù, median te il vangelo.
Qui l' apostolo rivendica di essersi comportato come un padre verso i suoi figli - ma se deve farlo vuoi dire che almeno qualcuno a Corinto lo accusava di non essere stato molto paterno. La stessa impressione si ricava da 9, 1 -3 : Non sono libero? Non sono apostolo? Non ho veduto Gesù, il nostro Signore? Se per altri non sono aposto lo, lo sono almeno per voi, perché il sigillo del mio apostolato siete voi, nel Signore. Questa è la mia difesa di fronte a quelli che mi sottopongono a inchiesta.
È chiaro che Paolo deve difendersi da attacchi od obiezioni . Sono le prime avvisaglie di contrasti che emergeran no fortissimamente dietro le righe della II Corinzi. 18
GLI AMBASCIATORI DI PAOLO A CORINTO
Nell'impossibilità di lasciare su due piedi il lavoro apostolico impostato a Efeso (Atti 19,1-12 ce lo presen ta come un lavoro molto impegnativo), Paolo manda a Corinto dei collaboratori che si rendano conto di quello che succede, un po' per informarlo e un po' per cercare di ricondurre la comunità sul retto sentiero. Il primo di questi ambasciatori è Timoteo. Paolo parla del suo invio proprio a metà del brano che rimprovera i corinzi del loro orgoglio (4,14-21 ) , subito dopo averli esorta ti a diventare suoi «imitatori» (v. 1 6). E prosegue nel v. 1 7 : Appunto per questo v i h o mandato Timoteo, che è mio caro e fedele figlio nel Signore; egli vi ricorderà come io mi comporto in Cristo Gesù, e come insegno dapper tutto, in ogni chiesa.
Il verbo al passato (vi ho mandato Timoteo) non deve ingannarci : il passato vuoi dire che Timoteo sarà già stato mandato quando i corinzi leggeranno la lettera. Ma mentre Paolo scrive, è ancora con lui o è appena partito. Questo uso del passato in una lettera, pensando al momento in cui i destinatari la leggeranno, era comune in greco e in latino (passato epistolare), per menzionare qualcosa che era già accaduto al momento della lettura della lettera, ma non al momento della sua composizione. Infatti la lettera doveva arrivare a Corinto prima di Timoteo se Paolo scrive in 16, 10: Ora se viene Timoteo, guardate che stia fra voi senza timore, perché lavora neli'opera del Signore come faccio anch'io. Nessuno dunque lo disprezzi; ma fatelo prose guire in pace, perché venga da me; poiché io l'aspetto con i fratelli.
Timoteo doveva dunque trattenersi molto poco a Corinto, per poi tornare da Paolo: evidentemente si tratta19
va di una missione esplorativa, non di una missione a lungo termine. Inoltre la cosa aveva una certa solennità: non era solo Paolo a desiderare d' essere informato in via privata sulla situazione di Corinto, perché Timoteo era aspettato, oltre che da Paolo, anche dai fratelli della chiesa di Efeso. Né gli Atti né le epistole parlano del lavoro compiu to a Corinto da Timoteo per incarico di Paolo. Ma il suo nome è associato a quello di Paolo in II Corinzi l, l. Questo significa dunque che era persona nota alla comunità di Corinto, e che dopo qualche tempo in quella città era tornato a Efeso. Dopo Timoteo, il secondo ambasciatore di Paolo presso i corinzi è Tito. Se Timoteo era di origine ebraica, almeno per parte di madre, Tito era di origine pagana (cfr. Gal. 2, 1 .3). Forse questo lo rendeva più gradito agli occhi dei cristiani di Corinto. Con quale incarico Tito fu mandato per la prima volta a Corinto? Forse con una missione esplorativa? O anche con il compito di organizzare l' adesione della chiesa di Corinto alla colletta che Paolo s' era impegnato a fare nelle sue comunità a favore delle chiese della Giudea (cfr. Gal. 2, 10)? Non lo sappiamo. In I Corinzi 1 6, 1 -2 Paolo scrive: ... come ho ordinato alle chiese di Galazi a, così fate anche voi. Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà secondo la prosperità concessagli, affinché quando verrò, non ci siano più collette da fare.
Paolo continua dicendo che i corinzi dovranno elegge re delle persone di loro fiducia per portare a Gerusalemme il denaro collettato, e che se sarà necessario le accompa gnerà egli stesso ( 1 6,3-4). Tito deve avere avuto da Paolo l' incarico di ispirare e incoraggiare la generosità dei corinzi per quell' iniziativa di solidarietà fraterna verso le chiese della Giudea che erano 20
in stato di indigenza. La filosofia di quella colletta, neli' in tenzione di Paolo, era che chi più ha dia qualcosa per chi meno ha, affinché il poco che ha non sia troppo poco (cfr. II Cor. 8, 1 3 - 1 5). Ma sembra che i corinzi, ad ogni modo, avessero già cominciato, per conto loro, a collettare, e questo fin dali' anno precedente (cfr. II Cor. 8, l Ob ), forse dando attuazione ai consigli ricevuti da Paolo (cfr. I Cor. 1 6, 1 -4). Sembra dunque che ci fosse in loro molta buona volontà, addirittura entusiasmo per quell' iniziativa. Tito aveva riportato un ' ottima impressione della comunità di Corinto; ci risulta che riferì a Paolo «la conso lazione da lui ricevuta mezzo a voi» (Il Cor. 7, 7). E questo, ovviamente, riempì di gioia anche Paolo: Perciò siamo stati consolati; e oltre a questa consolazione, ci siamo più che mai rallegrati per la gioia di Tito, perché il suo spirito è stato rinfrancato da voi tutti. Anche se mi ero un po' vantato di voi con lui(...) anche il nostro vantar ci di voi con Tito è risultato verità (Il Cor. 7,13-14).
QUANTI FURONO I VIAGGI DI TITO DA EFES O A CORINTO?
In II Corinzi 7,6 Paolo racconta l ' arrivo di Tito in Macedonia. Tito arri va da Corinto, perché riferisce a Paolo la consolazione che egli ha ricevuto in mezzo ai fratelli di quella città. In II Corinzi 8,6 leggiamo che Paolo incarica Tito di portare a termine, fra i corinzi , la raccolta delle offerte, come l ' ha iniziata. E al v. 1 7 apprendiamo che non solo Tito ha accettato la richiesta di Paolo, ma si è anche messo in cammino spontaneamente per recarsi a Corinto. Questo potrebbe dunque essere un secondo viaggio, finalizzato al completamento della colletta. In 1 2, 1 8 Paolo parla ancora una volta di Tito: 21
Ho pregato Tito di venire da voi[ ... ]. Tito ha forse appro fittato di voi? Non abbiamo noi camminato col medesi mo spirito e seguito le medesime orme?
È difficile dire se qui si parla di un terzo viaggio di Tito a Corinto, oppure se si tratta di uno dei due viaggi di cui abbiamo già trovato traccia. A noi non sembra impossibile che Tito abbia fatto due o anche tre viaggi da Efeso a Corinto, abituati come siamo alla facilità con cui oggi si vola da un continente all ' altro. Ma nel I secolo dopo Cristo, le cose erano diverse : basta ricor dare il tempo impiegato da Paolo per passare dalla prigio ne di Cesarea agli arresti domiciliari di Roma (leggere il racconto in Atti cap. 27 e cap. 28, 1 - 1 6). Da Efeso a Corinto, dali' autunno fino alla primavera avanzata non ci si poteva avventurare per mare, e la strada per via di terra era lunga e pericolosa (comprendeva anche la breve traversata marina dell' Ellesponto). Ci volevano parec chie settimane. Fare tre viaggi significava affrontare sei volte il percorso. Non per nulla Paolo era tanto preoc cupato che Tito non arrivasse mai da Corinto (Il Cor. 7 ,5-6). I viaggi di Tito fra Efeso e Corinto ci interessano soprat tutto per il fatto che potrebbe essere stato lui a portare ai corinzi non solo delle comunicazioni orali, ma anche delle lettere di Paolo.
l RAPPORTI DI PAOLO CON CORINTO DOPO LA l CORINZI Abbiamo già ricordato le vicende del primo soggior no di Paolo a Corinto, quello narrato al cap. 1 8 degli Atti degli apostoli. Quali altri rapporti diretti ci furono in segui to, o- in altre parole - Paolo visitò di nuovo la comunità di Corinto? 22
Per comodità, possiamo fare uno specchietto dei viaggi: l. 2. 3. 4. 5.
Il viaggio raccontato (Atti 1 8) Il viaggio nascosto (Il Corinzi 2) Il viaggio promesso e non fatto (Il Corinzi l) Il viaggio minacciato (Il Corinzi 1 3) L'ultimo incontro? (Atti 20,2-3)
Sul primo viaggio non c'è bisogno di ritornare. Il secondo, che chiameremo «il viaggio nascosto», è una visita di Paolo a Corinto di cui non sappiamo quasi nulla. Tacciono su di essa gli Atti degli apostoli, e tace in parte anche la corrispondenza di Paolo coi corinzi. Solo in parte, perché è proprio dalla corrispondenza che sappiamo che questa visita c'è stata. E lo sappiamo se confrontiamo due passi della II Corinzi. Il primo è 2, l: «avevo infatti deciso in me stesso di non venire a rattristarvi una secon da volta». L' altro passo è 1 3 , 1 -2: «Questa è la terza volta che io vengo da voi . Ogni parola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni . Ho avvertito quando ero presente tra voi la seconda volta e avverto ora, che sono assente [ . . . ] , che se tornerò da voi, non userò indulgen za». Dunque, c'è stato un incontro a Corinto, nel quale Paolo ha rattristato i Corinzi, e Paolo non vuole ripetere quella penosa esperienza (2, 1 ). Tuttavia, in 1 3 ,2 minac cia di farlo. Quando, come, con chi andò a Corinto l' apo stolo a sgridare la comunità? Non lo sappiamo. Forse andò per mare, perché non risulta che sia passato attra verso la Macedonia (Tessalonica, Filippi ). Qualche rifles so dello scontro che ci fu in quell' occasione lo troviamo nel cap. 2. Ne riparleremo commentando quel capitolo. Il terzo è «il viaggio non fatto» di cui Paolo parla in II Corinzi 1 , 1 5 e 1 6. Nei versetti seguenti egli spiega perché ha modificato i suoi piani di viaggio, modifica che i corinzi sembrano aver preso come una grave offesa. In realtà, Paolo si limita a mettere in pratica il piano di viaggio che aveva delineato in I Corinzi 1 6,5-6. Non 23
potrebbe essere stato Timoteo a complicare la situazio ne, assicurando i corinzi che Paolo, viaggiando per mare, sarebbe passato due volte da Corinto, ali' andata e al ritor no? Senza dubbio, Paolo stesso dà per certa questa possi bilità in II Corinzi l, 1 6 mentre forse era soltanto un' ipo tesi alternativa rispetto al progetti di viaggio di I Corinzi 1 6,5-6. Al numero 4 abbiamo un viaggio minacciato da Paolo in 1 3 ,1-2, che dev ' essere considerato il terzo, come dice l' apostolo («Questa è la terza volta che vengo da voi»), proprio perché la visita segnata al numero 3 non è stata effettuata. Siccome questo viaggio è preannunziato in II Corinzi 1 3 , è chiaro che ha avuto luogo dopo. In Atti 20,23 si riferisce che dopo essere passato in Macedonia Paolo «giunse in Grecia. Qui si trattenne tre mesi». Generalmente si pensa che in quei tre mesi Paolo abbia scritto (o meglio, dettato) l ' epistola ai Romani. Ma perché gli Atti non fanno, in questi due versetti, il nome di Corinto? Mistero ! Del resto, non fanno neppure il nome di Filippi al v. l, ma parlano genericamente della Macedonia. Forse l' auto re degli Atti era ormai completamente preso dal pensie ro del passaggio di Paolo dall'Est all' Ovest, cioè del suo cammino verso Roma. Per questo avrebbe trascurato di menzionare città delle quali si era già occupato in capito li precedenti.
ELEMENTI POLEMICI NELLA Il AI CORINZI
I rapporti difficili che Paolo ebbe con la comunità di Corinto ci permettono di capire perché l 'elemento polemi co sia tanto presente in questa epistola. Ci sono passi nei quali Paolo si difende chiaramente da accuse che gli erano state rivolte, altri nei quali si dovrebbe piuttosto dire che si difende da semplici sospetti, altri ancora dove trovia mo soltanto delle allusioni a possibili accuse. 24
Sono anche polemici i passi in cui Paolo accusa altri (che chiameremo «gli avversari») di comportamenti sleali o interessati. Alcune volte lo fa in maniera diretta e con parole chiare. Altre volte si può intuire che Paolo sotto linei aspetti positivi del suo apostolato perché gli «avver sari» si comportano in modo opposto. Cerchiamo di addentrarci in quest'elemento polemi co vedendo le varie tematiche toccate da Paolo. a) Abbondano le dichiarazioni dell' investitura e dell' as sistenza divina concesse a Paolo per il ministero di aposto lo. Oltre a 1 , 1 (apostolo per volontà di Dio) ne trovia mo in 2, 1 7 (parliamo . . . da parte di Dio), in 4, 1 (avendo un tal servizio in virtù della misericordia che ci è stata è quel che fatta [ovviamente: da Dio] ), in 4,6 (Dio risplendé nei nostri cuori), in 4, 7 (la potenza nella debolez za dev ' essere attribuita a Dio e non a noi), 1 3 ,3 (Cristo parla in me) . b) Il rapporto con Cristo. Oltre a 1 3 ,3, appena citato, possiamo indicare 2, 1 7 (parliamo . . . in Cristo), 1 0,7 (di Cristo . . . lo siamo anche noi), 1 2, 1 9 (È davanti a Dio, in Cristo, che noi parliamo). c) Paolo respinge ripetutamente l ' ipotesi di aver usato intrighi e falsificazioni, di aver fatto mercato del messag gio evangelico: ciò avviene specialmente in 2, 1 7 , ma anche in 4,2 (abbiamo rinunziato agli intrighi vergognosi, ... né falsifichiamo la parola di Dio). Invece, in 1 1 , 1 3 - 1 5 accusa esplicitamente gli «avversari» di essere operai fraudolenti, di travestirsi da servi tori di giustizia, insom ma di essere servitori di Satana. d) Un tema polemico frequente è quelle delle «racco mandazioni» : Paolo dichiara di non averne bisogno, i suoi «avversari» invece fanno uso di lettere di quel genere: 3 , 1 (domanda retorica, che significa: Noi non abbiamo bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione). Non solo, ma Paolo evita anche di raccomandarsi da sé (5, 1 2) e critica quelli che si raccomandano da sé ( 1 0, 1 2). e) I comportamenti descritti alle lettere c) e d) posso. ..
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no essere considerati tipici comportamenti «carnali», cioè conformi alla peggiore natura umana, impastata di egoismo, interesse personale, volontà di sopraffazione, uso dei mezzi più adatti, anche se fraudolenti, per arrivarci. Paolo prende le distanze in 1 0,2 da quelli che lo accusano di cammina re secondo la carne, e precisa che sebbene viviamo nella carne, non combattiamo secondo la carne. f) Un altro tema sul quale si contrappongono Paolo e i suoi «avversari» è quello dell' autoritarismo, spesso accompagnato dallo sfruttamento economico. Paolo dichia ra: Non vogliamo signoreggiare sulla vostrafede ( 1 ,24), intimidirvi con le mie lettere ( 1 0,9). Altrove si vanta di aver annunziato l' evangelo gratuitamente ( 1 1 ,7): non è stato e non sarà di peso a nessuno ( 1 1 ,9 e 1 2, 1 3). Non ha sfruttato i fratelli ( 1 2 , 1 7) perché cercava loro, e non i loro beni ( 1 2, 14). Invece i corinzi sono pronti a subire queste cose da altri : Se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno si innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate ( 1 1 ,20). g) Alla volontà di dominio sulla comunità, Paolo contrap pone il suo apostolato fatto con spirito di servizio (4,5 ; 1 1 ,23 ), con timore di Dio (5, 1 1 ) , esercitato non con dimostra zioni di forza esteriore, ma piuttosto di debolezza ( 1 1 ,30: Se bisogna vantarsi, mi vanterò piuttosto della mia debolez za, cfr. 1 2,5 e 9; 12. 1 0: mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie ... perché quando sono debole, allora sonoforte). È con questo spiri to che in due punti dell' epistola Paolo elenca ampiamen te i suoi tormenti ( 6,3- 1 0 e 1 1 ,23-33), non per amore asceti co di sofferenza, ma per un impegno di servizio spinto al di là di ogni immaginazione, fidando sempre nel soccor so di Dio che lo sosteneva. h) Menzionerò per ultimo un tema che affiora più volte nell'epistola, quello del vanto. Vantarsi, gloriarsi, essere fiero di. . . può essere legittimo quando l' oggetto del vanto è il Signore, o la sua croce, ma è da condannare quando ci si vanta di ciò che è apparenza (5, 12b ), o delle fatiche altrui 26
(10, 1 5-16), o quando il vanto è secondo la carne (1 1 , 1 8). In questa epistola Paolo batte più volte sul tasto del vanto delle sue debolezze (Il ,30; 1 2,9) perché sa che nella debolez za dell' uomo è esaltata la potenza del Signore (1 2,9). Quasi tutti questi temi di polemica possono essere visti come autodifesa di Paolo, che si difende da accuse o da sospetti , ma spesso ci sono anche allusioni critiche a colpe o difetti dell' attività dei suoi «avversari», che tenevano un comportamento diversi dal suo. Ne riparleremo nel paragrafo seguente.
LE CROCI DI PAOLO: INCOMPRENSIONI ALL' INTERNO E RIVALITÀ DALL' ESTERNO
Abbiamo visto in un paragrafo precedente che i rappor ti di Paolo con la comunità di Corinto erano piuttosto tesi, già ali ' epoca della I Corinzi. Tuttavia, nella I Corinzi gli avversari di Paolo sono soprattutto persone o gruppi ai quali Paolo si oppone per motivi teologici o di compor tamento (anche se c'erano già, come abbiamo visto, perso ne che lo criticavano). Nella I Corinzi si rispecchia un entusiasmo carismatico e spiritualistico che porta a dare dimensioni eccessive al concetto di libertà - al punto che Paolo deve combattere l ' idea che tutto è lecito (cfr. 6, 1 2; 1 0,23). La comunità è divisa in partiti o correnti, e questa disunione si manifesta anche nelle liti fra fratelli portate in tribunale, nel disprezzo dei più poveri in occasione di agapi fraterne e della Santa Cena, nel rifiuto dell' idea di risurrezione, nel lassismo morale. Manca dunque l'amo re, l'agape; invece si attribuisce un grandissimo valore alla sapienza (sophfa) . Paolo critica la pretesa «sapienza» dei corinzi in I Corinzi 1 , 1 7-3 1 e 2, 1 -1 3 , e ritorna poi anche altre volte sull' argomento (per esempio, nel cap. 1 3); nel cap. 14, 1 27
25 dà una valutazione molto riduttiva del dono delle lingue. Ma questi due problemi non bastano a spiegare la passione con cui nella II epistola Paolo difende la sua missione apostolica e la violenza con cui attacca i suoi avversari. È chiaro che con il passare del tempo i contra sti, invece di appianarsi, si sono accentuati, e la grande questione è ora quella dell' apostolato di Paolo: la sua autenticità (si pretendevano da lui segni e miracoli), la sua legittimità (gli si rimproverava di non essere un aposto lo autentico), la sua credibilità (i corinzi lo accusavano di incoerenze e contraddizioni nei suoi rapporti con loro), la sua efficienza (non era abile nel parlare [ 1 1 ,6] e la sua presenza fisica era debole [ 1 0, 1 0]). Da dove veniva questa crescente ostilità? Uno dei fattori che hanno determinato quella situa zione incresciosa dev' essere stato il rifiuto di Paolo di lasciare che la comunità di Corinto gli provvedesse il denaro necessario per la sua sopravvivenza. Nel cap. 9 della I Corinzi, ai vv. 4 e 5 , Paolo sostiene che gli aposto li hanno il diritto di mangiare, di bere, e anche di avere una famiglia (o per lo meno una moglie), e nei vv. 6-7 li paragona, in questo, al soldato, al contadino e al pecoraio, che vivono dei frutti del loro lavoro. Al v. 1 3 viene poi anche l ' esempio di quelli che fanno il servizio sacro nel tempio di Gerusalemme. Gli esempi sono accompagna ti al v. 9 dalla citazione di Deuteronomio 25 ,4: Non mette re la museruola al bue che trebbia, e al v. 14 dal rinvio a una disposizione del Signore: quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo (cfr. Le. 1 0,7). Ma al v. 1 2 dello stesso capitolo Paolo dichiara che noi non abbia mo fatto uso di questo diritto (cfr. anche i vv. 1 5 e 18). La condotta prudente di Paolo può essere stata deter minata dali' esistenza dei cosiddetti «partiti» nella chiesa di Corinto. Anche se si trattava non di «partiti» ma solo di correnti, oppure di· un legame di particolare attacca mento a un predicatore (forse quello che li aveva porta ti a conoscere Cristo, o li aveva battezzati), Paolo può 28
aver temuto che ricevere del denaro gli creasse un vinco lo di dipendenza da una parte della comunità. Perciò prefe risce para�onarsi a un ambasciatore (Il C or. 5,20): I' amba sciatore dipende solo da chi Io manda, non da quelli che Io ricevono. Ma il suo rifiuto deve aver suscitato dei risen timenti nella comunità, e più che questo, dei sospetti malevoli e ingiusti: per esempio, che Paolo li avesse tratta ti meno bene di altre chiese (Il Cor. 12,13), che Ii avesse presi con inganno (12,16) e sfruttati (12,17) attraverso la colletta raccolta dai suoi collaboratori (12,17-18). Come si vede, la situazione si era aggravata rispetto al cap. 9 della I Corinzi. Tutto sommato, nella I Corinzi si ha l' impressione che gli «avversari» di Paolo fossero fratel li che Paolo combatteva per certe loro idee teologiche o per i loro comportamenti pratici. Invece, nella II Corinzi sembra proprio che fossero gli «avversari» a combattere Paolo, e che egli si difenda da attacchi ritenuti ingiusti. È probabile che la situazione si sia aggravata per l'arri vo di predicatori rivali. Non è facile ricostruire chi fosse ro, perché Paolo non fa un' esposizione delle loro dottrine, ma parla di loro scrivendo ai lettori di Corinto che li conosce vano bene. I termini usati da Paolo («apostoli» - sia pure falsi; gente che «viene», cfr. 11,4) fanno pensare che si trattasse di persone venute da fuori (come lui), che si faceva no mantenere dalla comunità diversamente da lui, ma secon do la prassi del predicatori itineranti del giudaismo. È una situazione che ricorda quella descritta in Galati 2,12 (cfr. anche Gal. 2,4). Questi sono i veri e propri rivali di Paolo. È possibile che dietro a loro ci fossero degli strateghi che dirigevano le operazioni anti-paoline (Giacomo? Pietro? Altri capi della cristianità palestinese?). Quegli «apostoli» venuti da fuori erano di origine ebraica (cfr. 11,22: Sono Ebrei?... Sono /sraeliti?... Sono discendenti di Abramo ?), e probabilmente se ne vanta vano. Ma erano anche cristiani (11,23 : Sono servitori di Cristo ? lo [... ] lo sono più di loro). Ma su quali punti si scontravano con Paolo? 29
Nella II Corinzi, diversamente da Galati, non si parla di tentativi di imporre la circoncisione o le osservanze rituali relative ai cibi (puri o impuri) prescritte dalla legge di Mosè. Questo fa pensare che non fossero dello stesso tipo di quelli arrivati ad Antiochia (Gal. 2, 1 2- 14) e in Galazia (Gal. 1 ,7-9; 5 , 1 -4; 6, 1 3 . 1 5). Si ispiravano a un giudaismo più liberale, come quello praticato in certe colonie giudaiche della diaspora. Però sembrano consi derare la comunità di Gerusalemme come la chiesa-madre alla quale tutte le altre comunità d ' oltremare devono uniformarsi. Paolo critica la loro abitudine di presentar si portando delle lettere di raccomandazione (3, 1 ) che li accreditavano come legittimi apostoli. Questo può far pensare che venissero da Gerusalemme e fossero manda ti dai capi della comunità cristiana di Palestina. Ci sono esegeti, come Kasemann e Barrett, che identificano in Giacomo, Pietro e i loro collaboratori i «sommi aposto li» menzionati in 1 1 ,5 e 1 2, 1 1 . Paolo prende le distanze da loro, ma non li accusa di essere falsi apostoli o servi tori di Satana, come fa invece con i predicatori giunti a Corinto. Questi potevano anche essere cristiani di origi ne giudaica nati ed educati nella diaspora, e avere una cultura che li rendeva più affini ai convertiti di Corinto. Di Mosè preferivano ricordare la gloria (cap. 3) più che i comandamenti rituali. Tuttavia Paolo si dichiara ministro di un nuovo patto, non di lettera ma di Spirito (3,6). Esprimendosi in questo modo, sembra prendere le distan ze dall ' insegnamento dei suoi avversari. Oltre all' uso di lettere di presentazione, all' attacca mento alla tradizione giudaica e all ' autorità di Mosè, c' erano altri punti di dissenso rispetto a Paolo: i predi catori rivali accettavano di essere mantenuti dalla comunità, e su questo i corinzi non avevano nulla da ridire (cfr. 1 1 ,20). Poi c ' era il loro apparente rifiuto di osservare la suddivisione del campo di lavoro (cfr. la ripartizione decisa da Paolo e Barnaba con Giacomo, Pietro e Giovanni in Gal. 2, 7 e 9): forse Paolo in l O, 1 3- 1 6 insiste tanto nel 30
dichiarare che non entra nel campo altrui, perché quella era appunto la prassi messa in atto dai suoi rivali. Altri accenni di Paolo sui suoi avversari riguardano più il loro carattere che le loro dottrine. Per esempio, le ripetute menzioni del loro vantarsi (5, 1 2 : . . . quelli che si vantano di ciò che è apparenza; 1 1 , 1 8 : . . . molti si vanta no secondo la carne). Quando Paolo scrive: Non ci vantia mo oltre misura di fatiche altrui ( 1 0, 1 5) lo fa probabil mente perché i suoi rivali avevano l' abitudine di racco gliere i frutti della sua semina, cioè della sua opera di evangelizzazione. Altrove Paolo li descrive come persone che mercan teggiano la Parola di Dio (2, 17), come corruttori ( 1 1 ,3 : Come il serpente sedusse Eva, temo che le vostre menti vengano corrotte e sviate ), servitori di Satana (greco: diaconi di Satana, 1 1 , 1 5), profittatori ( 1 1 ,2 1 : Se uno si divora, se uno vi prende il vostro . . . voi lo sopportate), come persone che predicano ai fratelli di Corinto un altro Gesù, uno Spirito diverso, un vangelo diverso da quello che avete accettato ( 1 1 ,4 ) Quando Paolo si esprime in questi termini, è molto vicino al Paolo che dettò Galati l , 7-9 anche se i rivali non sono gli stessi. Se Paolo non risparmia accuse e sarcasmi all ' indiriz zo dei suoi rivali, anche quelli non erano da meno nel criticare Paolo ! Lo accusavano di essere rozzo nel parla re ( 1 1 ,6), di essere ardito quando era lontano e umile quando era presente ( l O, l ) , di seri vere delle lettere en ergi che, ma di avere una presenza fisica debole e una parola di poco conto ( l O, l 0). Forse anche le accuse di sfrutta mento delle chiese attraverso la persona dei suoi colla boratori con la scusa della colletta (ne abbiamo già parla to) venivano dai suoi rivali. Spesso, quando Paolo parla di sé e del suo modo di svolgere la sua missione apostolica a Corinto, replica a critiche e insinuazioni malevole dei suoi rivali. E descri vendo come lui intende e pratica l ' apostolato, colpisce una concezione diametralmente opposta: quella dei suoi . . .
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rivali. L' autenticità e la fedeltà del ministero apostolico di Paolo sta al centro delle polemiche della II ai Corinzi. Egli vuole che i credenti di Corinto non si lascino abbaglia re dalle vanterie o dalle credenziali dei «falsi apostoli» ( 1 1 , 1 3), perciò critica chi si raccomanda da sé ( 10, 1 2) o si vanta oltre misura ( 1 0, 1 3), perché non colui che si raccomanda da sé è approvato, ma colui che il Signore raccomanda ( 1 0, 1 8) . Dobbiamo tuttavia badare bene a non confondere le cose: Paolo difende il suo lavoro apostolico non perché le critiche dei rivali o il loro modo (diverso) di svolgere il ministero itinerante offendano la sua persona o il suo prestigio personale, ma perché configurano un modo diverso di rapportarsi alla persona di Gesù. Paolo vuole che la sua presenza e il suo lavoro apostolico siano in qualche misura modellati sull' esempio di Cristo. Lo mette bene in luce il Carrez, che accosta 1 1 ,7 (dove Paolo dice che ha abbassato se stesso perché i fratelli di Corinto fossero innalzati) a 8,9 (dove è Cristo che si è fatto povero per amor loro, affinché potessero diventare ricchi): come Cristo abbassò se stesso e si fece umile (Fil. 2, 7 -8), così Paolo non adotta una strategia della vanagloria e della prepotenza, ma si presenta in atteggiamento umile ( l O, l ) e fa appello alla mansuetudine e alla mitezza di Cristo (ivi). Cristo ha capovolto i valori umani: la potenza di Dio non si manifesta nella forza, ma nella debolezza ( 1 2,9a). Così l ' unica cosa di cui Paolo osa vantarsi è appunto la sua debolezza ( 1 2,9 s.). Il rapporto fra la debolezza di Paolo e quella di Cristo è presentato chiarissimamente in 1 3,4: « . . . noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui mediante la potenza di Cristo» . Nella condizione umile e sofferente del loro apostolo i corinzi non devono vedere una sconfitta (come forse insinuavano i predicatori rivali), ma il riflesso della mitez za di Cristo ( 1 0, 1 ). È in questo senso che Paolo può accusare i suoi rivali di predicare un altro Gesù ( 1 1 ,4), diverso da quello che 32
lui serve e testimonia in mezzo a loro. La posta iD giQco non è solo una diversa concezione dell' apostolato, � una diversa cristologia.
QUALE FU L' ESITO DEL CONFLITIO FRA PAOLO E I CRISTIANI DI CORINTO?
Questa è una domanda legittima, ma molto difficile rispondervi in base ai testi : infatti si tratta di cose accadu te dopo che i tredici capitoli della II Corinzi furono scrit ti. Dunque, possiamo fare solo delle deduzioni o delle ipotesi. Una delle ipotesi possibili è la più ottimistica: che alla fine tutto sia finito con una bella riconciliazione fraterna tra Paolo e la sua comunità. Ma questa ipotesi difficilmente può essere dedotta dal testo così come si presenta. Infatti, passando dalla I Corinzi ai primi sette capitoli della II Corinzi, e poi ai capp. l 0- 1 3 dobbiamo registrare un progres si vo inasprimento dei rapporti: non si vede bene come dopo la rottura profonda riflessa nei capp. 1 0- 1 3 ci possa ancora essere stato spazio per una riconciliazione. Specialmente se la riconciliazione precedente, quella riflessa nei capp. l a 2, 1 3 e 7,5- 1 6 aveva fatto naufragio. Una nuova pace potrebbe però essere implicita nella visita di Paolo in Grecia (a Corinto?) di cui parlano gli Atti degli apostoli in 20,2-3 . Forse la miglior maniera di recuperare una conclu sione ottimistica è quella di supporre che i capp. 1 0- 1 3 non siano la parte finale della corrispondenza (e dei rappor ti) fra Paolo e i corinzi, ma siano la lettera (o parte della lettera) scritta da Paolo «con molte lacrime» (cfr. 2,4). È un ' ipotesi che molti hanno sostenuto, a partire dal 1 870. I corinzi non avrebbero avuto interesse a conservare una lettera che li accusava così pesantemente di misconoscere 33
l' apostolato di Paolo e lasciarsi sedurre da altri predica tori. Chi ha messo insieme la raccolta delle lettere di Paolo ne avrebbe trovato, miracolosamente, solo una parte (che corrisponde agli attuali capp. 1 0- 1 3). Si fa osservare, da parte dei sostenitori di questa ipote si, che alcuni passi nei primi sette capitoli sembrano presupporre parole contenute nei capp. 10- 1 3 . Per esempio, in 1 0, 1 3 Paolo dice: «Vi scrivo queste cose . . . affinché . . . non abbia a procedere con rigore» . E i n 2,3 sembra far riferimento a quello scritto quando dice, al passato: «Vi ho scritto a quel modo, affinché, al mio arrivo, non abbia tristezza . . . ». Si ha l ' impressione che Paolo qui spieghi perché prima ha scritto con severità ciò che ora si legge nei capp. 1 0- 1 3 . La lettera scritta con severità e con molte lacrime avrebbe avuto successo e Tito avrebbe riferito a Paolo che la situazione a Corinto era veramente cambia ta (cfr. 7,6- 1 1 ) . L' altra ipotesi invece è pessimistica: come abbiamo visto, il solco si fa sempre più profondo, l ' insofferenza reciproca diventa sempre più grande: i rapporti tra Paolo e la chiesa di Corinto finiscono con l' esasperazione dei capp. 1 0- 1 3 . I capp. 1 0- 1 3 potrebbero essere stati scritti e spediti dopo la visita di tre mesi (quella di Atti 20,2-3), visita cominciata bene ma finita male per l' arrivo di predì catori rivali (Quesnell). Luca, come al solito, non fa parola, negli Atti degli apostoli, di queste difficoltà (come non aveva fatto parola, al cap. 1 8 , dei problemi a cui Paolo accenna nella I Corinzi : l' eccessivo amore dei corinzi per la «sapienza», i partiti, l'incestuoso, i disordini nelle agapi, gli eccessi carismatici ecc.). Senza dubbio, l ' ipotesi più probabile è quella che abbiamo chiamato «pessimistica». Quarant' anni dopo, la comunità cristiana di Roma, scrivendo ai corinzi per mano di Clemente Romano, fa loro questo rimprovero: « È turpe, carissimi, e indegno della vita in Cristo, sentire che la chiesa di Corinto, molto salda e antica, per una o due persone si è ribellata ai presbiteri» (l di Clemente ai cori n34
ti, 47,6). Si ripeteva, dopo quarant' anni, quel che era accaduto con Paolo?
QUAL È IL VOLTO DELLA COMUNITÀ DI CORINTO CHE SI RIFLETTE NELLA SECONDA EPISTOLA?
Anzitutto dobbiamo ricordare che quando un aposto lo scriveva un' epistola, non lo faceva a scopo descritti vo. Il suo scopo era piuttosto quello di esortare o confor tare o istruire su qualche punto preciso la comunità desti nataria, mostrando in che modo il rapporto con il Cristo risorto poteva incidere sulla sua esistenza cristiana. Inoltre, non va dimenticato che Paolo era parte in causa, quindi quel poco che scrive (o accenna) della vita della comunità di Corinto è influenzato dalla qualità dei suoi rapporti con quei credenti. E infatti, si rimane un po' perplessi vedendo come le espressioni positive sulla comunità di Corinto si alterni no a critiche e rimproveri spesso pesanti . Queste diver se valutazioni corrispondono probabilmente allo stato d' animo con cui Paolo ha scritto le varie parti di questa lettera: ciò che ha da dire alla comunità può variare a seconda che appartenga ai capitoli dove predomina un'at mosfera di riconciliazione, oppure a quelli di acerba polemica contro i predicatori rivali e contro l ' accoglien za che i corinzi fanno alle loro idee. Ma ascoltiamo anzitutto le note positive ! Paolo scrive che «dove è lo Spirito del Signore, i vi è libertà» (3, 1 7), e secondo l ' azione dello Spirito del Signore, siamo trasfor mati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria (3, 1 8). Penso che con questo «noi» Paolo non si riferisca a se stesso, ma a tutta la comunità dei credenti. Infatti, altro ve egli è altrettanto positivo a loro riguardo. Per esempio, quando scrive: «Nella fede voi state saldi» ( 1 ,24), «Voi 35
abbondate in ogni cosa» (8,7), oppure quando dice di considerare la loro comunità come la sua «lettera» di presentazione (3,2). Naturalmente il merito ultimo non è dei corinzi, ma del Signore, perché «Cristo è potente in voi» ( 1 3,3), quindi Paolo può dire di essere stato conso lato (7, 1 3) e di avere fiducia in loro (7, 1 6). Sono anche positivi molti dei passi in cui Paolo affer ma che ha molto da gloriarsi di loro (7 ,4 e 8,24) e vuoi dare loro l' occasione di gloriarsi di lui (5, 1 2) in modo che il vanto sia reciproco ( 1 , 1 4) - anche se il traguardo della perfezione cristiana è sempre al di là delle realiz zazioni quotidiane di questa vita ( 1 3, 1 1 : ricercate laperfe zione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace). Però la ricchezza della grazia portata di Cristo è già un' esperienza nel presente: «Cristo si è fatto povero per amor vostro, affinché mediante la sua povertà voi poteste diventare ricchi» (8,9). Ma accanto alle note positive, non mancano quelle critiche - forse appartengono ad altre circostanze? Così in 1 2,20 Paolo teme che ci siano fra loro contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordi ni. Altrove accusa i corinzi di guardare ali' apparenza delle cose ( l O, 17), e quindi forse per questo di non averlo racco mandato ( 1 2, 1 1 ) ; di sopportare i pazzi ( 1 1 , 1 9), i predica tori di un evangelo diverso ( 1 1 ,4), di sopportare di essere esposti alla seduzione dei falsi apostoli come Eva era esposta alle astuzie del serpente ( 1 1 ,3). E anche quando Paolo scrive: «Ricercate la perfezione . . . vivete in pace» ( 1 3, 1 1 ) si può supporre che a suo giudizio la pace e la perfezione non fossero presenti nella vita della comunità ! Più che questi accenni un po' statici al bene e al male nella chiesa di Corinto, sono importanti i passi che accen nano all ' interscambio apostolo-comunità. Il lavoro di Paolo è per la loro edificazione ( 1 2, 1 9 e 1 3 , 1 0), quello che pianifica è per procurare «beneficio» ai fratelli ( l , 1 5), e anche quando modifica i suoi piani è per «risparmiar li» ( 1 ,23). Egli ha compiuto in mezzo a loro «i segni 36
dell' apostolo» (pazienza, miracoli, opere potenti, 1 2, 1 2). Le sue prove e sofferenze avvengono per loro ( l ,6 e 4, 1 5), al punto che la morte opera in lui, ma la vita in loro (4, 1 2). Perciò considera se stesso non come il padrone della chiesa («non vogliamo signoreggiare sulla vostra fede», 1 .24) ma come «collaboratore della [loro] gioia» (ivi). Per questo, ha evitato di essere di peso alla comunità ( 1 1 ,9). La sua massima aspirazione è che i rapporti siano come quelli tra genitori e figli ( 1 2, 1 4) cioè i spirati a generosità verso i «figli» anche se questi non sempre sono riconoscenti. Però Paolo è pronto a rallegrarsi quando da parte dei corinzi c ' è premura, sdegno, giustificazione, timore, zelo . (7, 1 1 ), bramosia (7, 7): tutto questo dovreb be tradursi in un' apertura dei loro cuori per lui (6, 1 3), in modo che da loro egli abbia «allegrezza, non tristezza» (2,3). Vorrei ripetere quello che ho detto all ' inizio: questa non è una fotografia obiettiva della comunità di Corinto. È la visione che ne ha Paolo attraverso gli occhiali delle sue esperienze ora positive, ora negative. Può darsi che abbia peccato per eccesso sia nel parlar bene sia nel criti care. Perciò, più che gli elogi e le critiche dobbiamo far nostre le intenzioni che Paolo aveva rtell ' esprimersi a quel modo: edificare una comunità che fosse una testi mone gioiosa della potenza dell' evangelo, ripararla della insidie dei seduttori, per presentarla a Cristo come una casta sposa ( 1 1 ,2). E questo doveva avere come contro partita, da parte dei credenti di Corinto, la disponibilità a rimanere fedeli ali ' evangelo respingendo le seduzioni di chi predicava un altro Gesù, uno Spirito diverso, un Vangelo diverso ( 1 1 ,4). Non sappiamo se le appassiona te arringhe contenute nella II ai corinzi abbiano finito per avere questo risultato. . .
37
QUESTO LIBRO
In questa guida il testo biblico è suddiviso in 49 paragra fi, che sono altrettante unità di senso. Queste unità sono più brevi (e quindi più numerose) nei capitoli teologica mente più densi. Sono più lunghe (e quindi meno numero se) nei capitoli meno fitti di pensieri, nei quali gli argomen ti sono sviluppati più ampiamente. Dopo la formula di intestazione della lettera, i paragra fi dal 2 al 1 2 presentano il pensiero di Paolo sui suoi rapporti con la chiesa di Corinto, anche alla luce degli impegni e delle difficoltà che lo hanno trattenuto altro ve. Per mantenere i contatti con la comunità e appianare i contrasti si è servito di Tito, e i paragrafi 9- 1 2 si riferi scono appunto al ritorno di Tito da Corinto e alle buone notizie che ha potuto recare a Paolo. I paragrafi dal 1 3 al 1 8 descrivono il ministero aposto lico, i suoi compiti e i suoi problemi come li vede Paolo. Dal paragrafo 19 al 29 egli affronta l' apparente contrad dizione tra la gloria del ministero e la debolezza umana di chi lo esercita («tesoro in vasi di terra . . . » ) . Ma questo non impedisce a Paolo di far risuonare con insistenza l' appello alla riconciliazione. I paragrafi dal 30 al 36 si occupano della colletta organizzata da Paolo nelle sue comunità, a favore dei poveri delle chiese di Giudea. Dal paragrafo 37 al 48 abbiamo la parte più polemi ca della lettera, nella quale l' apostolo reagisce alle criti che e ai sospetti di una parte della comunità di Corinto (o di tutta la comunità ?). L' asprezza di questa autodife sa è così forte da far dire a Paolo stesso che è diventato pazzo, e che parla da pazzo. Egli teme evidentemente di esaltare se stesso e peccare d' orgoglio, invece di dipen dere totalmente dalla grazia di Dio. L'epistola termina con le tradizionali formule conclu sive di ogni lettera antica (paragrafo 49). 38
Questa traccia sommaria può consentire al lettore di ettersi allo studio della II Corinzi avendo un' idea del m percorso in cui questo libro lo guiderà. Nelle pagine che seguono, troverà - spero - le spiegazioni necessarie per capire le parole non sempre facili di Paolo. Ricordi però una cosa: che le parole dell' apostolo sono più importan ti e autorevoli delle parole di questa «guida».
SOMMARIO DELL' OPERA Intestazione della lettera paragrafo l Parte prima: i rapporti tra Paolo e la comunità corinzia paragrafi 2- 1 2 Parte seconda: esaltazione del ministero apostolico Prima sezione: l'apostolo fa conoscere Dio in Cristo paragrafi 1 3 - 1 8 Seconda sezione: il messaggio della riconciliazione in Cristo porta to attraverso le contraddizioni dell'esistenza aposto lica Primo ragionamento: la potenza vivificante dell ' e vangelo, antidoto al prevalere della debolezza paragrafi 1 9-23 Secondo ragionamento: il messaggio dell' evange lo e il suo apostolo paragrafi 24-29
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Parte terza: due capitoli di raccomandazione della colletta Primo appello: 8, 1 -24 paragrafi 30-33 Secondo appello: 9, 1 - 1 5 parr. 34-36 Parte quarta: difesa della legittimità apostolica di Paolo paragrafi 37-48 Esortazioni finali, saluti e benedizione paragrafo 49
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Commento
l.
INTESTAZIONE DELLA LETTERA ( 1 , 1 -2)
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timoteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto, con tutti i santi che sono in tutta l' Acaia, 2grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. L' intestazione (o soprascritta) della lettera conteneva, nell' antichità, il nome del mittente, quello del destinata rio e un saluto. Paolo segue il modello tradizionale appor tandogli alcune modifiche. a) Al suo nome non aggiunge titoli onorifici o accade mici, e neppure legami eventuali di parentela con i desti natari (che si usavano nelle lettere private scritte a familia ri). Il titolo che Paolo aggiunge più spesso è quello di apostolo: soltanto in tre lettere non lo usa (l Tessalonicesi, Filippesi e Filemone ), forse perché i loro lettori non conte stavano la sua autorità apostolica. È comprensibile che Paolo si presenti come «apostolo» specialmente nelle lettere dirette a lettori che mettevano in discussione la sua autorità, oppure che non lo conoscevano personal mente (come i romani). Però nella nostra lettera ha cura di precisare che la sua funzione non gli è stata attribuita dalla chiesa, ma dalla volontà di Dio. La traduzione preci sa, etimologica, del greco apostolos sarebbe «mandato», dal verbo mandare usato in Giovanni 20,2 1 e in molti altri passi che parlano della testimonianza dei discepoli . b) Spesso Paolo aggiunge al suo nome quello di altri co-mittenti. Nel nostro caso si tratta di Timoteo. «Co mittenti» e non «Co-autori»: il contenuto e lo stile dimostra no che la lettera è opera di Paolo. Ma Timoteo o altri collaboratori possono essere associati a lui nella volontà di inviare la lettera, o nel saluto che la soprascritta porge nel v. 2. Ma perché due titoli diversi (apostolo per Paolo, 43
e fratello per Timoteo)? Probabilmente perché Timoteo non aveva ricevuto una vocazione apostolica dal Signore (come Paolo, cfr. Rom. l ,5), o da una comunità (come nel caso di Atti 1 3 ,2-3), ma era un collaboratore scelto da Paolo stesso per aiutarlo. c) I destinatari sono indicati quasi sempre usando la parola chiesa (greco ekklesia) che si può tradurre anche - e forse meglio - con assemblea o comunità (come, per esempio, Galati è diretta alle chiese, cioè alle comunità cristiane della Galazia). È dalla realtà delle chiese locali che nasce il concetto di «chiesa» in senso universale. Le epistole che non hanno nell' intestazione la parola ekkle sia, come Romani e Filippesi, hanno al suo posto «i santi», cioè le persone che in quella località appartengono al Signore, e quindi costituiscono la chiesa o comunità locale. Qui al v. l c ' è chiesa per Corinto, e tutti i santi per altre località dell ' Acaia (Grecia centrale) che non ci sono note (salvo Cencrea, che Paolo menziona in Romani 1 6, 1 con il titolo di chiesa). d) il saluto è anche tipico: greci e latini riducevano in genere il saluto a una parola sola: Salve ! (greco: chairein ) Gli ebrei usavano la parola Shalom (pace, in senso positi vo: benessere, abbondanza, benedizioni divine). Paolo traduce in greco la parola shalom e alla pace aggiunge la grazia (greco: charis), cioè la benevolenza, il perdono, i doni spirituali del Signore. Il suono della parola charis è molto simile a quello del saluto greco chairein. Forse Paolo si ispira a questo, ma gli dà uno spessore biblico e teologico. Questo è reso chiaro dalle precisazione: da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Non è dal mondo, o dalle capacità e attività dell' uomo che possono venire veramente grazia e pace, ma unicamente da Dio e dal Salvatore. .
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PARTE PRIMA RAPPORTI TRA PAOLO E LA COMUNITÀ CORINZIA
2.
LE SOFfERENZE E LE CONSOLAZIONI VISSUTE DA PAOLO SI RIPERCUOTONO SULLA COMUNITÀ ( 1 ,3-7)
3Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4 il quale ci consola in ogni nostra affii zione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque affiizione; 5perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra conso lazione. 6Perciò se siamo amitti, è per la vostra conso lazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. 7La nostra speranza nei vostri riguar di è salda, sapendo che, come siete partecipi delle soffe renze, siete anche partecipi della consolazione. Di solito, dopo il saluto le lettere di Paolo hanno una preghiera di ringraziamento per la fede, la carità, i doni che si manifestano nei destinatari. Qui, invece del ringra ziamento, troviamo una benedizione. La Bibbia conosce due tipi di benedizione: una benedizione discendente, che scende da Dio sul suo popolo o su singoli fedeli (e che può anche essere invocata su di loro, come la invocano Abramo, !sacco, Giacobbe, Mosè ecc.), e una benedi zione ascendente, che sale dai credenti verso Dio per lodarlo. La benedizione di II Corinzi l ,3-7 è di questo secondo tipo (come quelle di Efesini 1 ,3 ss. e I Pietro 1 ,3 ss. ). La benedizione ascendente è frequentissima nell' Antico Testamento: cfr. Genesi 24,48 ; Deuteronomio 8, 1 0; Gio47
suè 22,33 ; Giudici 5,2.9; Salmi 66,8; 68,27; 1 03 , 1 -2 e 20-22; 1 04, 1 .35 ecc. È possibile che qui Paolo sostituisca il solito ringra ziamento con una benedizione perché non si sente di ringraziare Dio per il modo in cui i corinzi vivono la loro esistenza cristiana e il loro rapporto con lui. Paolo dichiara di vivere nella sua persona le soffe renze di Cristo: quando la comunione col Signore è così reale da poter dire «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2,20), anche le prove che vengo no dal servizio del Signore possono essere interpretate come partecipazione alle sue sofferenze (cfr. Fil. 3 , 1 0). Ma a queste afflizioni e sofferenze fanno riscontro incorag giamenti e benedizioni divine: Dio conforta (vv. 3 e 4) per mezzo di Cristo (v. 5). Dev' essere ben chiaro che per l' apostolo le consola zioni divine non sono solo un piccolo incoraggiamento a tirare avanti : no, sono qualcosa che ha un effetto anche sulla comunità (v. 6), perché i corinzi possano sopporta re le stesse sofferenze che anche Paolo sta sopportando. Un pastore non può incoraggiare gli altri se non ha fatto lui stesso, nelle sue tribolazioni, l' esperienza del confor to di Dio. E Paolo è sicuro («la nostra speranza nei vostri riguardi è salda») che così, grazie alle certezze di fede che ricevono da lui, essi saranno capaci di sopportare le stesse prove che egli deve sopportare. Ma per conoscere le consolazioni divine bisogna non cercarne altre altro ve. Gesù dice in Le. 6,24: «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione ! » .
3.
PROVE E LIBERAZIONI D I PAOLO I N ASIA (l ,8- 1 1 )
8Fratelli, non vogliamo che ignoriate riguardo all'af flizione che ci colse in Asia, che siamo stati molto prova ti, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfi48
no della vita. 9Anzi, avevamo già noi stessi pronun ciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettes simo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti. 1 0Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte [e abbiamo la speran za che ci libererà da un così gran pericolo di morte] e abbiamo la speranza che ci libererà ancora. 11 Cooperate anche voi con la preghiera, affinché .per il beneficio che noi otterremo per mezzo della preghiera di molte persone, siano rese grazie da molti per noi. Il discorso sulle difficoltà e sugli incoraggiamenti divini (vv. 3-7) porta Paolo a citare una concreta esperien za, la prova che lo ha colpito in Asia: «siamo stati molto provati, al di là delle nostre forze, tanto da farci dispera re perfino della vita» (v. 8). Non sappiamo a che cosa allude Paolo: forse al tentativo di linci aggio subito a Efeso (Atti 19,23-4 1 ) , dopo il quale dovette andarsene (Atti 20, 1 ) senza neppure poter ripassare da quella città per salutare i suoi collaboratori (Atti 20, 17)? Oppure all' o scuro episodio menzionato in I Corinzi 1 5 ,32 («Se soltan to per fini umani ho lottato con le belve a Efeso . . . » sempre che non sia un modo figurato per alludere al tumul to di Atti 19)? Oppure a un ' esperienza di arresto e deten zione in carcere, di cui c'è traccia nella lettera ai Filippesi se, come è probabile, questa fu scritta proprio da Efeso? Fatto sta che anche in Asia (cioè nella parte occidentale dell' Asia minore dove appunto c' era Efeso) Paolo ha conosciuto prove sovrumane (v. 8), tanto da dare per scontata la fine della sua vita (v. 9). A questa prospettiva accenna appunto in Filippesi 1 ,20-26. Ma l ' interpreta zione che egli dà di questi fatti è teologica: questo è accaduto perché imparasse sempre più a mettere la sua fiducia in Dio e non in se stesso. Come Dio risuscita i morti , così può anche trarre i suoi servi tori fuori dal perico lo estremo (vv. 9b e 1 0). E non solo questo, ma l'espe rienza delle liberazioni già accadute alimenta la speran za «che [Dio] ci libererà ancora» (v. 1 0).
49
La speranza di Paolo è così forte, che egli dà per sconta to il risultato delle molte preghiere menzionate al v. 1 1 ( « per il favore ottenuto »). Forse avrebbe fatto meglio a dire: Per il favore che con assoluta certezza spero di ottenere. A questo proposito ci sono due cose interessanti da osservare: a) nonostante i rapporti difficiH tra Paolo e i cristiani di Corinto, egli chiede a loro con naturalezza e a cuore aperto di pregare per lui, per la sua liberazione dalla prova: i contrasti non impediscono la fraternità e soprattutto la solidarietà nella preghiera. b) L'esaudimento delle tante preghiere, tra le quali anche quelle dei corinzi, avrà per risultato finale, dopo il loro esaudimento, un ringraziamento da parte di molti. E così, alla fine di questi undici versetti, ricompare il ringraziamento del quale avevamo notato l ' assenza. Ma il motivo del ringraziamento non sono, in questo caso, i valori religiosi della comunità di Corinto, bensì il favore fatto da Dio. La parola favore in greco è charisma, molto vicina a charis (grazia): le liberazioni di Dio non sono una gentilezza (favore), ma un dono di grazia frutto del suo amore e della sua potenza. . . .
4.
. . .
COME PAOLO GIUDICA I SUOI RAPPORTI CON LA CHIESA DI CORINTO NEL RECENTE PASSATO ( l , 1 2- 1 4)
1 2 Questo, infatti, è il nostro vanto: la testimonian za della nostra coscienza di esserci comportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la semplicità e la sincerità di Dio, non con sapienza carnale ma con la grazia di Dio. 13Poiché non vi scriviamo altro se non quello che potete leggere e comprendere; e spero che sino alla fine capirete, 14 come in parte avete già capito, 50
che noi siamo il vostro vanto, come anche voi sarete il nostro nel giorno del nostro Signore Gesù. L'appello alle preghiere di intercessione fatto ai suoi lettori porta Paolo a dedicare alcune frasi ai suoi rapporti con i corinzi, perché l' appello alla preghiera sia giustifi cato: Paolo può chiedere loro di pregare per lui perché egli si è comportato con loro non secondo i criteri di questo mondo (cioè con arroganza, con orgoglio, con secondi fini - tutto questo può essere contenuto nelle parole «non con sapienza carnale» ), ma con santità e sincerità (alcuni manoscritti invece di santità hanno semplicità, cioè cando re, integrità). Glielo assicura la sua coscienza. Qualcuno potrebbe obiettare che Paolo si fida troppo della sua coscienza : saremmo di fronte a un circolo vizio so. La sua coscienza è sempre lui, Paolo, che giudica se stesso. Ma in I Corinzi 4,4 egli dichiara di attribuire solo un valore limitato alla sua coscienza. Infatti scrive: «lo non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato, ma colui che mi giudica è il Signore» . C ' è un giudizio superiore e più obiettivo, quello di Dio. E nel nostro v. 1 2, alla fine, Paolo finisce per attribuire alla grazia di Dio il tipo di rapporto che ha avuto con i corinzi. È per questo motivo che il suo comportamento con la chiesa di Corinto è per Paolo motivo di vanto. Vantarsi, gloriarsi, essere fieri di ... , sono tutte espressioni sinoni me che possono alternarsi nelle traduzioni del N. T. Certo, c ' è un tipo di vanto che non è buono (l Cor. 5,6) - quando ci si vanta di ciò che è apparenza (Il Cor. 5 , 1 2), o degli uomini (I Cor. 3,2 1 ), o della carne (Gal. 6, 1 3); ma della croce è lecito gloriarsi (Gal. 6, 14), come pure gloriarsi nel Signore (I Cor. l ,3 1 ), o gloriarsi di voi in Cristo Gesù (l Cor. 1 5,3 1 ) . Paolo afferma pi ù volte di gloriarsi del suo lavoro apostolico perché l ' efficacia della sua opera non dipende da lui, ma solo dalla grazia di Dio (l Cor. 1 5 , 1 0 ecc.). E anche quando s i gloria delle sue prove (Rom. 5,3; II Cor. 1 1 ,30), lo fa perché anche lì vede ali ' opera la grazia 51
e la potenza di Dio: cfr. II Cor. 1 2,9; 1 1 ,30 e gli elenchi di difficoltà che lo hanno afflitto nel suo lavoro (Il Cor. 6,4- 1 0 e 1 1 ,22-29). Ma il vero vanto sarà manifesto nel giorno del nostro Signore Gesù (v. 14): si tratta del giorno del giudizio finale, o del ritorno di Cristo. In quel giorno conoscere mo pienamente, come anche siamo stati pienamente conosciuti (cfr. I Cor. 1 3 , 1 2) . Anche i corinzi alla fine capiranno pienamente, e non più solo in parte, che posso no vantarsi di aver avuto Paolo come portatore del vange lo e come pastore.
5.
PAOLO SPIEGA PERCHÉ H A RINUNZIATO A FARE UNA SECONDA VISITA BURRASCOSA ( 1 , 1 5 - 2,2)
15 Con questa fiducia, per procurarvi un duplice beneficio, volevo venire prima da voi 1 6e, passando da voi, volevo andare in Macedonia; poi dalla Macedonia ritornare in mezzo a voi e voi mi avreste fatto prose guire per la Giudea. 17Prendendo dunque questa decisio ne ho forse agito con leggerezza? Oppure le mie decisio ni sono dettate dalla carne, in modo che in me ci sia allo stesso tempo il «sì, sì» e il «no, no»? 18 0r come è vero che Dio è fedele, la parola che vi abbiamo rivol ta non è «SÌ» e «DO». 1 9Perché il Figlio di Dio, Cristo Gesù, che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato «SÌ» e «Do»; ma è sempre stato «SÌ» in lui. 20Infatti tutte le promesse di Dio hanno il loro «SÌ» in lui; perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l'Amen alla gloria di Dio. 210r colui che con voi ci fortifica in Cristo e che ci ha unti, è Dio; 22egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori. 23 0ra io chiamo Dio come testimone sulla mia vita che è per risparmiarvi che non sono più venuto a Corinto. 52
24Noi non signoreggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia, perché nella fede già state saldi. 1 Avevo infatti deciso in me stesso di non venire a rattristarvi una seconda volta. 2Perché, se io vi rattri sto, chi mi rallegrerà, se non colui che sarà stato da me rattristato? Convinto della reciprocità dell' affetto fraterno esisten te in lui e nei corinzi , Paolo aveva deciso di andare in Macedonia e poi tornare a Efeso e da lì a Gerusalemme passando due volte da Corinto, all ' andata e al ritorno. Come dirà al v. 23, Paolo non portò ad effetto questo piano, e subito a Corinto lo accusarono di essere volubi le nelle sue decisioni : il v. 1 7 , nelle sue due parti, sembra rispecchiare appunto le accuse della comunità. Una è di leggerezza, l' altra è di contraddittorietà (dir� o far crede re, contemporaneamente il sì e il no). Questo sarebbe un tipico comportamento carnale, dettato dalla carne, centra to sull' «io» egoistico e non sulla ricerca della volontà di Dio e sull' amore per i fratelli . Paolo respinge queste accuse, ma non lo fa come potremmo fare anche noi, dicendo che spesso i piani di viaggio sono una cosa, e la possibilità di realizzarli sono un' altra (esempi nella vita di Paolo: Rom. 1 , 1 3 e Atti 1 6,6-8). Invece, tira in ballo la fedeltà di Dio. Se Dio è fedele, l ' apostolo che incarna il suo messaggio non può essere una banderuola che un momento dice bianco e un altro momento dice nero (sì e no). La coerenza dell' apo stolo è radicata nella coerenza stessa di Cristo, il Figlio di Dio: Cristo non oscillava tra il sì e il no, non ritratta va le sue promesse. C'è dunque una trafila di fedeltà e di coerenza: Dio è fedele (v. 1 8), Cristo è fedele (v. 1 9-20a) nel realizzare le promesse di Dio; la predicazione aposto lica è fedele in quanto pronunzia l' amen, il «così sia» alla gloria di Dio. Questi versetti mettono in luce l ' impor tanza della coerenza nella vita del predicatore, non solo 53
nella sua predicazione. Secondo Crisostomo (citato da Thrall), i corinzi devono aver pensato: Poveri noi, se non possiamo essere sicuri di quello che dice anche nella sua predicazione ! La coerenza e la fedeltà del predicatore vengono dal fatto che Dio stesso (v. 2 1 ) è colui che ci ha dato un solido fondamento [quando fummo battezzati] in Cristo (le parole tra parentesi quadre sono una possibile spiegazione dell' eis Christon che viene dopo: non il solito «in Cristo» come stato, ma «in, cioè verso Cristo», cfr. Rom. 6,3 ; Gal. 3,27). L' allusione al battesimo è confermata dal i ' immagine dell'unzione (tutti i credenti sono unti per essere profeti e sacerdoti dell' Altissimo) e da quella del suggello (v. 22). Doveva dunque esserci stata una seria ragione perché Paolo cambiasse i suoi piani e non passasse da Corinto all' andata. La ragione la rivela al v. 23 (è per rispar miarvi, che non sono più venuto a Corinto) e in 2, l (decisi in me stesso di non venire a rattristarvi una seconda volta). Da quest' ultimo versetto si deduce che Paolo, come abbiamo visto nell' Introduzione (p. 23), doveva essersi recato a Corinto per quella che potremmo chiama re «visita intermedia» o «visita burrascosa» che non è menzionata negli Atti degli apostoli (troveremo qualche accenno di Paolo stesso a questa visita in 2,5- 1 1 ). Per non rinnovare quella sgradevole esperienza, Paolo preferisce rinviare il previsto viaggio a Corinto. Ai vv. 24 e 2,2 sono indicati due moti vi ulteriori che rafforzano la decisione del rinvio della visita: l) Paolo, che li ha portati alla fede, non è diventato per questo il padrone e il guardiano della loro fede. Anche in greco il verbo che corrisponde a signoreggiare è deriva to da signore. Paolo non è signore ma è «aiutatore» (come diceva la vecchia RIV) della loro gioia o allegrezza cristia na. Come dice I Pietro 5,3, gli anziani devono vigilare sul gregge non come dominatori . . . ma come esempi. Tutto sommato, il fondamento è buono: essi stanno saldi quanto alla fede. 2) Se Paolo tornasse a fare una reprimenda alla comunità 54
di Corinto, si interromperebbe quella circolarità di esperien ze che uniscono un apostolo alle comunità da lui fonda te. È una circolarità simile a quella di prove e incorag giamenti che abbiamo già incontrato ai vv. 5-7. L' incontro non sarebbe un incontro gioioso (chi mi rallegrerà ?): venendo sotto le vesti di controllore, Paolo rischierebbe di trovare non un' atmosfera di cordialità, ma musi lunghi o addirittura contestazione della sua autorità apostolica . . .
6.
L A VISITA PROMESSA È SOSTITUITA DALL' INVIO DI UNA LETTERA SCRITTA FRA LE LACRIME {2,3-4)
3Vi ho scritto a quel modo affinché, al mio arrivo, io non abbia tristezza da coloro dai quali dovrei avere gioia; avendo fiducia, riguardo a voi tutti, che la mia gioia è la gioia di tutti voi. 4Poiché vi ho scritto in grande amizione e in angoscia di cuore con molte lacri me, non già per rattristarvi, ma per farvi conoscere l'amore grandissimo che ho per voi. Il v. 3 inizia con un riferimento che solo i corinzi potevano capire: Vi ho scritto appunto questo [così · il greco. Cioè a quel modo] . Paolo si riferisce a quello che sta per dire al v. 4: Vi ho scritto in grande afflizione e angoscia... con molte lacrime, cioè a una lettera che, nello scriverla, gli ha causato molto dolore (e secondo 7,8- 1 0 n e h a causato anche ai corinzi). Per lui, sarebbe stato penoso dire quelle cose a voce, faccia a faccia (v. 3). Adesso, guardando in retrospettiva, Paolo non può negare le reazioni negative che provava rispetto alla chiesa di Corinto, però le circonda di espressioni e di sentimenti di segno opposto: se ha mandato i suoi rimproveri per lettera, è stato perfar conoscere l 'amore grandissimo che aveva per i fratelli (v. 4, alla fine), e per la speranza che, riflettendo sulla sua lettera, quando sarebbe finalmente 55
arrivato (al mio arrivo, v. 3) lo accogliessero con gioia. In questo modo si sarebbe manifestata in mezzo a loro la premura o sollecitudine che essi avevano per il loro aposto lo (7, 1 2b). Anche qui nel cap. 2 c'è la solita circolarità: la gioia è sua, come apostolo, ma la sua gioia è anche loro, e da loro essa deve tornare a lui. L' opposto della gioia apostolica è la tristezza (v. 3), quella tristezza che apostoli e predicatori provano quando vedono che l' evan gelo non porta i frutti che dovrebbe portare. Più che di tristezza, si dovrebbe parlare di dolore. Possiamo fare qualche tentativo per identificare o ricostruire quella lettera? Qualcuno ha avanzato l ' ipote si che la lettera scritta con molte lacrime sia conservata, almeno in parte, nei capp. 10- 1 3 della ll Corinzi. L' argomento principale è che le riconciliazioni (come quelle di cui si tratta nei capp. 1 -7) sono sempre successive ai conflitti (descritti o menzionati sommariamente nei capp. 1 0- 1 3). Però, i capp. l 0- 1 3 non hanno la caratteristica di una lette ra scritta «fra le lacrime». È piuttosto una lettera scritta con molta rabbia. E i capp. 1 -7 , pur parlando di riconci liazione, non danno mai per risolti i contrasti citati nei capp. 1 0- 1 3 . Perciò i capp. 1 0- 1 3 vanno considerati come una lettera conflittuale (o parte di essa) diversa da quella «lacrimosa» o penosa ricordata in 2,3-4. Restiamo quindi con la curiosità di sapere che cosa poteva avere scritto Paolo in quella lettera, e dove sia andata a finire. Forse il suo contenuto non era tale da indurre i corinzi a conser varla con cura . . . Se non è costituita dai capp. 1 0- 1 3 allora essa fa il paio con un ' altra lettera di Paolo: quella da lui menzionata in I Corinzi 5 ,9- 1 1 . Neppure di quest' ultima è rimasto il testo.
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7.
QUALCHE ACCENNO ALLA VISITA BURRASCOSA O INTERMEDIA E Al SUOI RIFLESSI NELLA VITA DELLA COMUNITÀ (2,5- 1 1 )
5 0r se qualcuno è stato causa di tristezza, egli ba rattristato non tanto me quanto, in qualche misura, per non esagerare, tutti voi. 6Basta a quel tale la punizio ne inflittagli dalla maggioranza; 7 quindi ora, al contra rio, dovreste piuttosto perdonarlo e confortarlo, perché non abbia a rimanere oppresso da troppa tristezza. 8Perciò vi esorto a confermargli il vostro amore; 9poicbé anche per questo vi bo scritto: per vedere alla prova se siete ubbidienti in ogni cosa. 1 0A chi voi perdonate qualcosa, perdono anch'io; perché anch'io quello che bo perdonato, se bo perdonato qualcosa, l'bo fatto per amor vostro, davanti a Cristo, 1 1 affinché non siamo raggirati da Satana ; infatti non ignoriamo le sue maccbinazioni. L' apostolo passa ora a ricordare un caso specifico, in cui una vicenda dolorosa, che aveva turbato la comunità e ferito Paolo, si risolse in un approfondimento della stima reciproca e della gioia nella fede. Paolo accenna a queste cose molto brevemente, perché si tratta di cose note ai corinzi. Ma a noi, che non. siamo al corrente dei fatti, rimane un senso di insufficienza delle nostre informa zioni. In passato si pensava spesso che il caso dell' offenso re e dell'offeso (come è chiamato in 7, 1 2) fosse quello già trattato nel cap. 5 della I Corinzi (Bosio). Ma quel problema è lontano nel tempo, la sentenza è già stata pronunziata. Inoltre qui sembra che l' apostolo sia stato colpito personalmente. Infine la parola resa con «offen sore» (greco ho adikésas) è un participio con valore puntuale, istantaneo e difficilmente applicabile alla «situa zione» di uno che è accusato di vivere in stato di incesto. 57
Forse nel corso della visita intermedia di Paolo qualche facinoroso di idee contrarie alle sue aveva contestato la sua autorità apostolica, o lo aveva accusato di averla esercitata male o con fini interessati (imporre la sua autorità personale, o addirittura ricavame un profitto economico, cfr. 1 1 ,9 e 1 2, 1 6- 1 8) ? Recentemente si è anche pensato (Thrall) che qualcu no avesse rubato una parte del ricavato della colletta, accusando poi Paolo di averla intascata: questi sospetti avrebbero trovato, purtroppo, l ' appoggio di una parte della comunità. La situazione si sarebbe poi schiarita quando il colpevole finì per confessare, e l ' offeso, cioè l' ingiu stamente accusato, ritrovò la serenità e la credibilità. Tutte queste ipotesi hanno un ' importanza relativa: Paolo accenna a queste situazioni dolorose non con interes se di storico, ma di pastore: quello che gli interessa mette re in luce è il risvolto positivo che la riconciliazione ha portato alla comunità e a lui stesso dopo la tensione prece dente. Osserviamo come ne parla con distacco ! Qualcuno è stato causa di tristezza (non fa il suo nome, per delica tezza): ha rattristato, dice, invece di usare un verbo più forte, come: ha offeso, o ha rovinato la reputazione altrui ; ai vv. 7 e 8 esorta i lettori non solo a perdonare quel fratel lo, ma anche a confortarlo, e a mostrargli il loro amore perché non rimanga oppresso da troppa tristezza e possa essere tentato di allontanarsi dalla comunità o addirittu ra di suicidarsi (Crisostomo). La risposta dei fratelli di Corinto a queste esortazio ni dell' apostolo sarà la dimostrazione del rispetto (ubbidien za) che i corinzi hanno per lui e per i suoi consigli (v.9). Comunque, Paolo unisce il suo perdono (anzi , già lo ha fatto) a quello della comunità; e - sempre per delicatez za - non afferma neppure categoricamente di essere stato offeso (v. 5 : se qualcuno è stato causa di tristezza) e quindi di aver perdonato (v. 1 0, al c entro: se ho perdo nato qualcosa - un tocco d i gentilezza, equivalente a: se pure ho avuto qualcosa da perdonare). La TOB interpre ta da vanti a Cristo traducendo (in francese): sotto lo sguar58
do di Cristo. È lui il vero garante della sincerità del perdo no, di quello dell' apostolo ma anche di quello della comunità intera. Rifiutare il perdono, o concederlo non sinceramente, sarebbe stato un perpetuare la divisione, i contrasti e il malanimo nella chiesa e quindi dare spazio ai raggiri di Satana e ai suoi disegni (v. 1 1 ). Quando le comunità si dividono, o quando qualcuno si allontana (per contrasti e sospetti più che per questioni di fede) è un successo di Satana (che va sempre attorno come un leone ruggente, cercando chi possa divorare, I Pietro 5,8).
8.
UNA ULTERIORE PROVA DELLE PREOCCUPAZIONI DI PAOLO PER I FRATELLI DI CORINTO : IL SUO STATO D' ANIMO A TROAS (2, 1 2- 1 3)
1 2Giunto a 'Iroas per il vangelo di Cristo, una porta mi fu aperta dal Signore, 13ma non ero tranquillo nel mio spirito perché non vi trovai Tito, mio fratello; così, congedatomi da loro, partii per la Macedonia. Questi vv. aggiungono un altro tassello al mosaico dei sentimenti amichevoli di Paolo per i fratelli di Corinto. L' espressione «una porta mi fu aperta dal Signore» signi fica che gli fu data un' occasione opportuna per evange lizzare in quella città. Troviamo una formula simile in I Corinzi 1 6,9 e in Colossesi 4,3 . Un po' diverso è l ' uso dell ' immagine «porta» in Atti 14,27 (porta della fede) . Qui dobbiamo collegare «porta» a «per l ' evangelo», cioè (come traduce la CEI) «per annunziare il vangelo di Cristo». . Da Atti 20,6- 1 2 risulta che a Troas c' era una comunità cristiana: forse frutto de li' evangelizzazione svolta duran te il soggiorno menzionato dai nostri vv. 1 2- 1 3? Oppure già in Atti 1 6,8 c' era stato un inizio di attività evangeli· stica? La cosa ha solo un ' importanza relativa, perché 59
Paolo, anche qui, non seri ve per fare la storia o per ricostrui re la cronologia dei suoi spostamenti: scrive per mostra re la continua sollecitudine che aveva per la comunità di Corinto. L' apice di questi due vv. , infatti, si trova nel secondo: nella preoccupazione di Paolo per non aver trovato Tito a Troas, e nella sua decisione di andargli incontro in Macedonia (v. 1 3). Il v. 12 serve solo a dare la situazio ne in cui matura la decisione del v. 1 3 . Ma perché Paolo era inquieto a proposito di Tito? (Osserviamo, fra paren tesi, che Tito è chiamato «fratello» come già Timoteo in 1 , 1 ). Un' ipotesi possibile è che Paolo fosse inquieto per timore che Tito portasse con sé molto denaro: la parte già raccolta a Corinto della colletta per i poveri della Giudea. I briganti non erano rari a quei tempi . Ma è più probabi le, come vedremo, che la preoccupazione di Paolo si riferisse all ' esito della visita di Tito alla comunità: come era stato accolto (essendo amico e collaboratore di Paolo) e che atteggiamento avevano adesso i corinzi verso il loro apostolo. [Il racconto delle ansiose preoccupazioni di Paolo per Tito, e della sopravvenuta soluzione del problema, ripren de in 7,5 ss. Per amore di chiarezza noi seguiremo adesso quel racconto. Alla fine della nostra lettura del cap. 7 ritorneremo a 2, 1 4] .
9.
L' INCESSANTE PREOCCUPAZIONE D I PAOLO È ATTENUATA DALL' ARRNO DI TITo E DALLE NOTIZIE CHE PORTA DA CORINTO (7 ,5-7)
5Da quando siamo giunti in Macedonia, infatti, la nostra carne non ha avuto nessun sollievo, anzi, siamo stati tribolati in ogni maniera; combattimenti di fuori, timori di dentro. 6Ma Dio, che consola gli amitti, ci 60
consolò con l'arrivo di Tito; 7e non soltanto con il suo arrivo, ma anche con la consolazione da lui ricevuta in mezzo a voi. Egli ci ha raccontato il vostro vivo desiderio di vedermi, il vostro pianto, la vostra premu ra per me; così mi sono più che mai rallegrato. L' arrivo in Macedonia non recò sollievo a Paolo, perché non ci trovò il suo collaboratore. Continuava la preoc cupazione: come mai Tito tardava tanto a tornare? O per caso aveva preso una nave invece di viaggiare per via di terra, e così i due non si erano incontrati? A queste preoc cupazioni di dentro di aggiungevano conflitti (combatti menti) di fuori, probabilmente con avversari del cristia nesimo (cfr. il racconto del primo viaggio di Paolo in Macedonia, Atti 16 e 1 7). Ma perché Paolo dice: la nostra carne non ha avuto nessun sollievo, invece di dire «io»? È difficile che qui «carne» alluda, come in genere nelle lettere paoline, ali' aspetto mondano, egoistico, pecca minoso della personalità. Piuttosto, quel termine potreb be contenere un' allusione alla debolezza e alla vulnera bilità dell 'essere umano di fronte a conflitti e preoccu pazioni. Il sollievo (consolazione) poteva venire soltanto da Dio (v. 6). Paolo non dice: «l'arrivo di Tito ci consolò» , bensì : «Dio ci consolò con l' arrivo di Tito». Tutto è nelle mani di Dio e dipende da lui. Dio è chiamato «colui che conso la gli oppressi». Diodati diceva «gli umiliati», la CEI «gli afflitti», la TILC «gli sfiduciati» . La stessa parola è usata dalla Bibbiagreca (la Settanta) in lsaia 49, 1 3 : « . . . il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi afflitti». Più che dall' arrivo di Tito (e dunque dalla sicurezza che non gli era capitato nulla di male), Paolo è sollevato dalla notizia del risultato positivo-che la missione di Tito ha ottenuto (v. 7). Come in 1 ,6 la consolazione di Paolo giova a quella dei suoi lettori, così quella riportata da Tito si ripercuote sullo stato d' animo di Paolo, liberandolo dall' ansietà su quello che la comunità di Corinto pensa61
va riguardo a lui. Perché di questo si tratta: infatti Tito gli ha raccontato che ora desiderano veder(lo) - dunque prima desideravano che se ne stesse ben lontano, se pure non lo avevano scacciato -, che hanno pianto, probabil mente un pianto di pentimento, e che il rancore ha ceduto il passo all ' affetto (premura). È questo capovolgimento di sentimenti che ha sollevato prima Tito e poi Paolo: perciò può direi : così mi sono più che mai rallegrato.
1 0. EFFETII DELLA LETIERA PENOSA (7 ,8- 1 3) 8Anche se vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne rincresce; e se pure ne ho provato rincresci mento (poiché vedo che quella lettera, quantunque per breve tempo, vi ha rattristati), 9ora mi rallegro, non perché siete stati rattristati, ma perché questa tristezza vi ha portati al ravvedimento; poiché siete stati rattristati secondo Dio, in modo che non aveste a ricevere alcun danno da noi. 1 0Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte. 1 1 Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare. 1 2 Se dunque vi ho scritto, non fu a motivo dell'of fensore né d eli' offeso, ma perché la premura che avete er noi si manifestasse in mezzo a voi, davanti a Dio. E3 Perciò siamo stati consolati; e oltre a questa nostra consolazione ci siamo più che mai rallegrati per la gioia di Tito, perché il suo spirito è stato rinfrancato da voi tutti.
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Nel v. 8 si accenna esplicitamente a una lettera: Anche se vi ho rattristati con la [mia] lettera . . . quella lettera, quantunque per breve tempo, vi ha rattristati, e ancora al v. 1 2 se dunque vi ho scritto . . . Di preciso, Paofo sa che la sua lettera li ha rattristati (ripetuto due volte al v. 8, inizio e fine, e due volte al v. 9), ma subito aggiunge: per breve tempo. Infatti la loro tristezza ha prodotto un ravve dimento, dunque è stata una tristezza secondo Dio. In questi vv. la CEI traduce il greco metanoia con «penti mento» in vece di ravvedimento. È tutto questione di inten dersi : generalmente, «pentimento» vuoi dire riconosci mento di una propria colpa (Devoto-Oli) mentre «ravve dimento» è definito mutamento di vita conseguente al riconoscimento di errori o di colpe (ivi). Dunque è più vicino ali' etimologia della parola greca, che si potrebbe indicare in : «cambiamento della mente» (nous) . Non solo nel senso di cambiamento di idea, ma anche di mutamen to d eli ' atteggiamento d' insieme, della posizione dell' uo mo verso Dio (GLNT). Il risultato del loro cambiamento, a giudizio di Paolo, è che così essi non riceveranno alcun danno da lui (cioè, da parte sua). Vuoi dire che non avranno altri rimprove ri ? Forse più che questo: potrebbe significare che non ci sarà una rottura totale dei reciproci rapporti di fraternità. In tutto questo paragrafo Paolo non dice chiaramente di che lettera si tratta. Può darsi che Tito avesse avuto l ' i ncarico di portare quella lettera a Corinto, e questo spiegherebbe perché Paolo aspettava con tanta ansia il ritorno di Tito, per sapere com' era andata a finire, e soprat tutto perché, nel rallegrarsi delle notizie portate da Tito, torni a parlare della lettera che aveva scritta e dell' effet to positivo che ha riportato (si rilegga il commento a 2,4 ). Il v. 1 0 è una digressione teorica sui due tipi di tristez za: la tristezza secondo Dio, che produce ravvedimento e porta a salvezza, e la tristezza del mondo, che invece produce la morte : il mondo, qui, è usato nel sen so di àmbito in cui si vive senza e contro Dio. Una tristezza 63
che prescinde dal rapporto con Dio, e si limita all ' aspet to sociale e psicologico dell ' amarezza nei rapporti umani, può solo produrre un inasprimento di questi rapporti e condurre dal rifiuto del predicatore al rifiuto dell' evan gelo predicato, quindi alla perdita della salvezza (cfr. Rom. 6,23). Tornando ai rapporti dei corinzi con lui, Paolo elenca una serie di effetti della loro tristezza secondo Dio. Questi effetti riguardano in parte il colpevole (o i colpevoli), cioè chi è chiamato l 'offensore al v. 12, e in parte l 'offeso (v. 1 2), cioè lui. Verso l ' offensore si sono sviluppati fra i corinzi un grande sdegno (meglio: indignazione), e la volontà di punirlo (punizione, v. 1 1 ). Verso Paolo invece si sono accresciuti o moltiplicati le scuse, il timore (cioè il reverente rispetto), il desiderio (chiaramente, di riveder lo, di rinnovare la loro amicizia) e lo zelo forse l' affet tuosa premura già menzionata al v. 7 (la parola greca è la stessa: zélos). La TILC unisce zelo a punizione (che viene subito dopo) e riferisce l'insieme non all' apostolo ma all' offensore: «zelo nel punire il male». In questo modo, tre tennini si riferiscono a Paolo e tre all' offensore. Dal loro comportamento, Paolo deduce (v. 1 1 ) che i corinzi erano puri, cioè avevano scisso le loro responsa bilità da quelle dell' offensore, dimostrando di non essere corresponsabili delle sue posizioni. Ossia, come abbia mo visto commentando 2,5- 1 1 , della sua contestazione della fedeltà apostolica di Paolo (cfr. II Cor. l O, l 0. 1 1 . 1 8), o di un comportamento non fraterno nei riguardi del resto della comunità (cfr. 1 1 ,4. 20) o di un suo membro. Dunque, il ravvedimento dei corinzi forse non era per delle colpe commesse da loro, ma per non essersi opposti con più decisione ali' offensore (Barrett pensa che l'offensore non appartenesse alla chiesa di Corinto, bensì fosse un conte statore itinerante, uno di quei tali che si spostavano di chiesa in chiesa parlando male di Paolo. Cfr. , per esempio, Gal. 1 ,7). Scrivendo la lettera penosa (2,3-4) Paolo non lo ha fatto tanto per difendere l'offeso (se stesso) o per accusa-
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re l 'offensore, quanto per costringere i corinzi a uscire allo scoperto con schiettezza. Se andava male, la «lette ra penosa» avrebbe potuto portare a una rottura definiti va fra Paolo e la comunità. Se andava bene (come sembra sia andata), i corinzi avrebbero permesso ai loro buoni sentimenti per Paolo (la premura che avete per noi) di venire alla luce pubblicamente, di manifestarsi fra loro senza contraddizioni, davanti a Dio. È questa risoluzio ne del conflitto che ha sollevato, confortato Paolo (v. 1 3a) .
1 1 . l BUONI RAPPORTI DI TITO CON I CORINZI (7, 1 4- 1 5) 1 4Anche se mi ero un po' vantato da voi con lui, non ne sono stato deluso; ma come tutto ciò che a voi abbia mo detto era verità, così anche il nostro vanto con Tito è risultato verità. 15Ed egli vi ama più che mai inten samente, perché ricorda l'ubbidienza di voi tutti, e come l'avete accolto con timore e tremore.
L' accoglienza che i corinzi hanno riservato a Tito lo ha rinfrancato e gli ha dato gioia (v. 1 3). Constatando la loro ubbidienza, e la trepidazione con cui lo hanno accol to (con timore e tremore), Tito è stato indotto a voler bene sempre più intensamente a quei fratelli (v. 1 5). Da questi fatti, conosciuti incontrando Tito in Macedonia, Paolo deduce una conclusione che lo riguarda personal mente: non si era sbagliato parlando bene dei corinzi al suo collaboratore (mi ero un po ' vantato di voi con lui). Sull' uso della parola «vanto» da parte di Paolo cfr. sopra, il commento a 1 , 1 2 - 1 4 (pp. 5 1 s.). Questa valutazione fiduciosa della fede e della carità dei corinzi fatta da Paolo parlando con Tito è altrettanto vera, realistica, quanto le cose che Paolo aveva detto ai corinzi stessi. Cioè, erano veri e corrispondevano a verità i rimproveri mossi dali' a65
postolo alla chiesa, ma corrispondeva anche a verità la valutazione sostanzialmente positiva della comunità di Corinto, nonostante tutte le sue limitazioni.
1 2 . CONCLUSIONE: LA FIDUCIA DI PAOLO NEI CORIN ZI (7, 1 6) 1 6Mi raUegro perché in ogni cosa posso aver fiducia in voi.
La vicenda- piuttosto complicata - che abbiamo segui to passo passo nella parte dell' epistola commentata finora - i contrasti di Paolo coi corinzi, la visita penosa fatta alla comunità, la promessa di un' altra visita (in realtà poi cancellata), la sua sostituzione con la lettera scritta con molte lacrime, l ' invio di Tito, l' attesa del suo ritorno prima a Troas poi in Macedonia, la sua soddisfazione per la missione svolta e la relazione positiva fatta a Paolo sullo stato d' animo dei corinzi - tutto ciò tro�a qui il suo punto finale, almeno provvisoriamente : Paolo può di nuovo avere fiducia nei fratelli di Corinto. Non lo dice, ma la causa è il fatto che ora i corinzi hanno di nuovo fiducia in lui e sono tornati a prendere sul serio il suo apostolato, non dando più ascolto a chi tentava in qualche modo di screditarlo. Possiamo dunque chiudere questa sezione del nostro commento per passare ai capitoli che abbiamo saltato, cioè al lungo brano che va da 2, 1 4 a 7 ,4.
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PARTE SECONDA ESALTAZIONE DEL MINISTERO APOSTOLICO
Al v. 1 3 del cap. 2 avevamo lasciato il filo della numera zione dei · versetti per seguire invece il filo logico del racconto di Paolo che cercava in ogni modo di riprende re contatto con Tito. Questo filo logico l' avevamo ritro vato al cap. 7, dal v. 5 alla fine. E ora dobbiamo ritorna re ai capitoli lasciati in disparte: da 2, 14 a 7,4. In questi capitoli, come si vede dal titolo, abbiamo un' esaltazione del ministero apostolico. Naturalmente, non si tratta di un' esaltazione distaccata e impersonale: Paolo c'è dentro tutto intero. Tuttavia non fa riferimento a se stesso con quella carica polemica che ispira i capp. 1 0- 1 3 . In 2 , 1 4 7,4 egli è partecipe di quello che dice, ma il fine è positi vo. Non attacca i corinzi per la loro incomprensione e le loro critiche. Pri ma di procedere all ' esame particolareggiato di questa parte dell' epistola è normale che ci domandiamo: in che relazione sta con quello che abbiamo esaminato fino adesso ( 1 , 1 - 2, 1 3 più 7,5- 1 6)? Una risposta molto elementare potrebbe essere questa: che si tratti di pensieri che Paolo è andato formulando mentre era a Troas o in Macedonia in attesa di Tito. Una specie di ampia digressione, dopo la quale l ' apostolo in 7,5 torna al tema che aveva lasciato in 2, 1 3 . Però da 2, 1 4 a 7,4 non c'è nulla delle preoccupazioni che i n quelle settimane occupavano l' animo di Paolo. Un' altra risposta potrebbe essere: si tratta di pensieri che Paolo ha concepito (e dettato) dopo l ' arrivo di Tito con le buone notizie che abbiamo trovate in 7,6 e seguen ti . Ma ormai Paolo era tranquillo: dopo aver parlato con Tito, sapeva che tutto era sereno e che egli poteva avere piena fiducia nei fratelli di Corinto (7, 1 6). C ' è un' altra possibilità: che siano pensieri che Paolo ha fatto conoscere ai corinzi prima della «visita burra scosa» e della «lettera scritta fra le lacrime», visita e lette69
ra che sono diventate necessarie quando la descrizione del ministero apostolico che stiamo per esaminare è risul tata senza effetto sul piano dei rapporti dei corinzi con Paolo. Il raccoglitore degli scritti di Paolo, del quale abbia mo parlato nell' Introduzione (pp. 1 3 s.), potrebbe avere trovato queste riflessioni sul ministero apostolico insie me ai fogli di altre lettere di Paolo custodite da qualche fratello o sorella di Corinto. Forse esse erano già conser vate tra il principio e la fine del racconto delle preoccu pazioni di Paolo per la missione di Tito, o forse ce le ha intercalate lui. Non lo sapremo mai. Il fatto significativo è che quanto Paolo dice fra 2 , 1 4 e 7,4 acquista un rilie vo specialissimo proprio dal racconto nel quale lo si trova adesso. Non è indispensabile scegliere una di queste soluzio ni prima di passare alla lettura dell' apologia del ministe ro apostolico (2, 1 4 - 7,4) Divideremo questa apologia in due sezioni. .
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PRIMA SEZIONE (2, 1 4 - 4,6) L' APOSTOLO FA CONOSCERE DIO IN CRISTO
1 3 . CARATTERE ESCATOLOGICO DEL MINISTERO APOSTOLICO (2, 1 4- 1 7) 14Ma grazie siano rese a Dio che sempre ci fa trion fare in Cristo e che per mezzo nostro spande dapper tutto il profumo della sua conoscenza. 15Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione; 16per questi, un odore di morte, che conduce a morte; per quelli, un odore di vita, che conduce a vita. E chi è sufficiente a queste cose? 17Noi non siamo infatti come quei molti che falsi ficano la parola di Dio; ma parliamo mossi da since rità, da parte di Dio, in presenza di Dio, in Cristo.
In questi tre vv. Paolo mostra come il ministero aposto lico sia inserito nell' azione escatologica di Dio in Cristo. Ciò è particolarmente evidente nella prima immagine (v. 1 4) che menziona il trionfo di Dio in Cristo. Il trionfato re, simile a un condottiero romano di ritorno a Roma dopo una guerra vittoriosa, associa al suo trionfo i suoi colla boratori. Oppure: trascina, legati al suo cocchio, i re e i capitani che ha vinto e soggiogato con la sua impresa vitto riosa (cfr. l' uso di questa immagine in Col. 2, 1 5). È diffi cile dire con certezza quali di questi due significati Paolo intendeva proporre usando l'immaginedel trionfo. Certamente è da escludere la scelta della RIV («ci fa trionfare»): in greco c'è un participio attivo che concorda (al dativo) col nome di Dio dell' inizio del versetto: è Dio che trionfa. 71
L'apostolo può solo essere associato al suo trionfo (cfr. la CEI), ma forse è meglio «ci conduce come prigionieri nel suo trionfo» (con la NEB e il GLNT): corrisponde alla visione non-trionfalistica dell ' apostolato (Paolo si consi derava «schiavo» di Cristo, greco doulos, che la RIV tradu ce di solito con servo). Cfr. anche I Cor. 4,9. La seconda immagine del ministero è quella dell 'o dore o profumo di Cristo (vv. 1 5 e 1 6). Paolo è portato re di questo «profumo» che emana dalla conoscenza di Cristo (v. 1 4). Forse l' apostolo applica al suo ministero quello che la Sapienza di ce nel fare l ' elogio di se stessa in Ecclesiastico 24, 1 5 : «Come cinnamomo e balsamo ho diffuso profumo; come mirra scelta ho sparso buon odore». Nel caso di Paolo, quello che egli diffonde è l' evangelo (in Fil. 4, 1 8 invece, l ' immagine del profumo è usata per alludere alla solidarietà dei fratelli che hanno mandato dei soccorsi a Paolo). L' effetto della predicazione dell ' e vangelo è ambivalente: per quelli che sono sulla via della salvezza (cioè per quelli che fanno la scoperta del signi ficato e della potenza della morte di Cristo) è profumo di vita [che conduce] a vita, per quelli che sono sulla via dellaperdizione (cioè per quelli che non conoscono ancora o che rifiutano Cristo) è odore di morte [che conduce] a morte. Il testo non entra in un tentativo di spiegazione del perché. Rimane il fatto che la predicazione dell' e vangelo è profumo di Cristo per gli uni e per gli altri. Può darsi che operi a salvezza al di là di quel che possiamo constatare noi stessi nell' immediato. Due parole di spiegazione delle due lunghe perifrasi: «quelli che sono sulla via della salvezza» e «della perdi zione». Questo concetto si esprime in greco con due parti cipi che sarebbe errato tradurre «i salvati» e «i perduti», perché non sono participi passati ma presenti. La CEI cerca di rendere il tempo presente dicendo «quelli che si salva no» e «quelli che si perdono». La stessa coppia di partici pi si trova in I Cor. 1 , 1 8, il tempo presente implica che il processo è ancora in corso, che l ' ultima parola non è ancora stata detta: da ciò deriva la traduzione della RIV. 72
Il v. 1 6 finisce con una domanda retorica: Chi è suffi ciente a queste cose ? La TILC la interpreta così : «Chi è all' altezza di questo compito?» . La risposta a questa domanda non è data né al v. 1 6 né al v. 1 7 . Possiamo immaginare che Paolo sottintenda: lo no di certo ! - nel senso di dichiarare che il compito apostolico è molto più grande delle sue capacità. Ma potrebbe anche sottintendere una risposta più generale, per esempio: Nessuno ! È un compito al di sopra delle capacità di qualsiasi persona. Forse né l ' una né l' altra di queste due ipotesi è aderente al testo. Ne vedremo una terza dopo l' esame del v. 1 7 . Dobbiamo partire dal v . 1 7 e dalla distinzione che fa tra due categorie di predicatori o apostoli : la prima è costi tuita da traffichini o rivenduglioli della parola di Dio. Qui la RIV, dicendo che falsificano la Parola di Dio, segue la Vulgata (adulterantes Verbum Dei), in realtà, in greco il kapelos era l'oste di bassissimo livello, il picco lo rivenditore di vino, che spesso non esitava a aggiun gerci acqua o altri intrugli; ma il primo significato era quello di commerciante o rivenditore. La falsificazione del prodotto era solo una caratteristica secondaria, di una piccola impresa commerciale che doveva ricorrere a quei trucchi per sopra v vi vere. Paolo rifiuta di essere paragonato a quella categoria di persone, e definisce se stesso con quattro caratteristi che: l ) [parliamo] mossi da sincerità (stessa parola usata in 1 , 1 2) ; 2) d a parte d i Dio, cioè senza ingerenze che adulte rano la Parola; 3) in presenza di Dio, cioè sotto il suo costante controllo; 4) in Cristo, cioè nella comunione col Signore. Torniamo ora alla domanda del v. 16: Chi è sufficien te a queste cose ? Terza risposta possibile: Noi, nella misura in cui parliamo con le quattro caratteristiche del v. 1 7b - ma non quegli altri che fanno un discutibile commer73
cio della Parola di Dio. Tuttavia mi sembra più confor me alla mentalità di Paolo che la risposta: «Nessuno» includa anche lui . Paolo è sempre consapevole della sua indegnità rispetto all' incarico apostolico, e sa che tutto quanto riesce a fare non dipende da lui, ma dalla grazia di Dio che lo sostiene e fortifica (l Cor. 1 5 , 1 0). Se poi ogni tanto finisce anche lui per «vantarsi>> del suo lavoro, è il primo a riconoscere che, quando lo fa, parla come uno che è fuor di senno (capp. 1 0- 1 3). Prima di passare oltre, dobbiamo ancora renderei conto che i vv. 1 4- 1 7 non sono una descrizione storico-biogra fica del ministero di Paolo e dei suoi effetti, ma sono un rendimento di grazie (v. 14). Paolo rende grazie a Dio per tutto quanto sta per scrivere in questi quattro verset ti. Lo stato d' animo non è quello, distaccato, di uno stori co dell'apostolato primi ti vo, né quello del vanto, ma quello della riconoscenza. Paolo vive il suo ministero apostoli co con questo sentimento: che tutto viene da Dio ed è dono suo (cfr. 3 ,6) .
1 4. l CORINZI, «LEITERA DI CRISTO» (3 , 1 -3) 1Cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione presso di voi o da voi? 2La nostra lettera, scritta nei nostri cuori, siete voi, lettera conosciu ta e letta da tutti gli uomini; 3è noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne.
I primi tre vv. del cap. 3 fanno riferimento a una prassi molto diffusa nell' antichità: fornire a parenti o amici delle lettere dalle quali risultasse che erano persone oneste, che 74
erano care allo scrivente. Insieme a queste attestazioni c' era spesso anche la richiesta che il destinatario desse una mano al raccomandato per ri solvere i suoi problemi (ricerca di lavoro, difficoltà legali o altro) . Anche propa gandisti religiosi o filosofici sembra facessero uso di questo tipo di presentazione. Ne accenna il v. lb senza nominarli: (alcuni) arrivando a Corinto esibivano lette re di raccomandazione, e partendo per un ' altra città ne chiedevano una (o più di una) ai loro adepti o ascoltato ri di Corinto. Da Atti 1 8,27 risulta che i cristiani di Efeso scrissero a quelli dell' Acaia una lettera di questo genere per raccomandare Apollo che si trasferì va da quelle parti (probabilmente a Corinto). Anche Paolo, nelle sue lette re, raccomanda occasionalmente alcuni dei suoi colla boratori (Rom. 1 6, 1 -2; I Cor. 1 6,9- 10; II Cor. 8,22-23 ; Col. 4, 7 ss. ), non chiedendo per loro dei favori, ma presen tandoli come persone degne che godono della sua fiducia. Quanto a se stesso, Paolo sapeva che non c ' è racco mandazione o presentazione più valida che quella forni ta dal Signore ( 1 0, 1 8). Perciò non ha bisogno di raccomandarsi da sé (3, l a scritto forse per paura che il v. precedente fosse inter pretato come auto-raccomandazione) e neppure di lette re scritte da altri. Tra parentesi, chi avrebbe potuto scriver le? La chiesa di Gerusalemme non lo aveva mandato in missione apostolica, né Paolo riconosceva una sua autorità (cfr. Gal. 1 ). Forse avrebbe potuto dargliela la chiesa di Antiochia (cfr. Atti 1 3 , 1 -3), ma il passo ora citato non ne parla. Oppure, potevano occuparsi di questo le chiese che Paolo andava man mano fondando. Ma qui nei vv. 2 e 3 Paolo dichiara che la migliore presentazione sono i risul tati del suo lavoro: La nostra lettera siete voi. «Nostra» non nel senso: scritta da noi (come in I Cor. 5,9 o II Cor. 7 ,8), bensì nel senso «che parla di noi», o «che ci presen ta» . Nella I Corinzi Paolo aveva già definito la comunità di Corinto come «il sigillo del mio apostolato» (9, 1 -3). Di questa sua lettera di presentazione, costituita dalla comunità di Corinto, Paolo elenca sei caratteristiche: 75
a) scritta nei nostri [o vostri] cuori; b) conosciuta e letta da tutti gli uomini; c) lettera di Cristo; d) scritta mediante il nostro servizio; e) non con inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente; f) non su tavole di pietra, ma su cuori di carne. Di queste caratteristiche, le meno problematiche sono quelle indicate con le lettere c) ed e). Cristo è indicato come il vero autore della lettera, perché è lui che chiama alla fede e dà alla comunità il fondamento (se stesso) su cui edificarsi (l Cor. 3, 1 1 ) . Lo Spirito del Dio vivente ricorda che lo strumento della nascita della chiesa è lo Spirito Santo. Ma allora, qual è il contributo di Paolo in tutto questo? Lo troviamo alla lettera d) : Paolo è stato il «servitore» , il «diacono» di quest'operazione partita da Cristo e compiu ta grazie allo Spirito santo. Poiché la RIV traduce spesso il greco dùikonos con «ministro», potremmo azzardarci a tradurre il participio usato da Paolo con un orribile «ministrata» : la lettera di Cristo, che è la comunità di Corinto, è stata «ministrata» dali' apostolo, che ne è stato, se vogliamo, lo scrivano. O il corriere. Ha esercitato una funzione umile, che non si metteva in contrasto con quella di Cristo e dello Spirito. Ma il ri sultato può servirgli da lettera di raccomandazione. Rimangono ancora tre caratteristiche della comunità di Corinto come lettera, quelle segnate a), b), f). La più facile da esaminare è la b): non si tratta di un' esagerazio ne retorica, come se volesse dire che tutti gli abitanti della terra ne hanno preso visione. Il tutti indica semplicemen te tutti quelli che hanno avuto la possibilità di conoscere la chiesa di Corinto, la sua fede, la sua testimonianza. Da tutti gli uomini andrebbe tradotto, più esattamente: «Da tutti gli umani» (o anche solo «da tutti»). La parola greca tinthropos significa «essere umano», non «maschio» . Un po' più difficile è la prima caratteristica: scritta nei 76
nostri/vostri cuori: e la difficoltà viene proprio dall' in certezza dei manoscritti greci per l' aggettivo possessivo. Dove è scritta questa lettera? Nel cuore dei corinzi o nel cuore di Paolo (ed eventualmente dei suoi collaboratori)? Se scegliamo il <<nostri», bisogna pensare che la lette ra sia l ' evangelo, inciso nel cuore di Paolo e visibile a tutti. Questo evangelo predicato da Paolo è poi stato scrit to da Cristo e dallo Spirito nel cuore dei corinzi. L' evangelo, scritto nel cuore dell' apostolo, quando è stato accolto dai corinzi e messo in pratica nella loro vita di comunità, è di ventato la miglior lettera di raccomandazione per Paolo. Il «nostri» ha l 'appoggio del maggior numero di manoscrit ti greci; il «vostri» ne ha pochi, ma antichi. A suo favore sta la dichiarazione del v. 3 : VOI siete una lettera di Cristo, e il sospetto che l' uso di «nostri cuori» sia stato influen zato da 7,3 (voi siete nei nostri cuori) e che gli scrivani, avendo quel «nostri» nella mente, lo abbiano anche scrit to in 3,2. La pronunzia dei due possessivi, in greco, ali ' e poca dei manoscritti , era molto simile, quasi uguale. La preferenza per «nei vostri cuori» riceve un certo appoggio dali' ultima caratteristica: (scritta) non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne (v. 3, alla fine). I cuori di carne sono più probabilmente i cuori dei fedeli di Corinto. Ma perché a Paolo viene in mente di dire che la lettera di Cristo non è scritta su tavole di pietra ? Dopo che ha parlato di inchiostro sarebbe stato più naturale se avesse detto: scritta sui vostri cuori e non su fogli di papiro. La risposta più ovvia è che questi vv. sono pieni di reminiscenze dell' A.T. ; una è da Geremia 3 1 ,3 3 : «
.
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anche essere accaduto il contrario: che il pensiero delle tavole di pietra del Decalogo sia stato suggerito a Paolo dai suoi avversari, che contestavano la sua predicazione della salvezza per grazia e non per le opere della legge. Forse Paolo allude a queste persone con il molti di 2, 1 7 e l' alcuni di 3, l . Se è così, Paolo farebbe riferimento alle tavole di pietra per mettere bene in luce quanto sia diver sa la loro predicazione dalla sua. Questo contrasto prepa ra la via a ciò che segue. Ma prima di entrare in argomen to, Paolo torna per un momento alla domanda del v. 1 6 (Chi è all ' altezza d i questo compito?)
1 5 . LA FIDUCIA E LA CAPACITÀ DI PAOLO COME APOSTOLO (3 ,4-6a) 4Una simile fiducia noi l'abbiamo per mezzo di Cristo presso Dio. 5Non già che siamo da noi stessi capaci di pensare qualcosa come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio. 6Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto .••
La fiduciosa convinzione che la comunità possa costi tuire una lettera di presentazione proveniente da Cristo e scritta per mezzo dello Spirito santo è data a Paolo dal Cristo stesso, davanti a Dio (v. 4 ) Dio è precisamente colui che ha dato a Paolo la capacità apostolica, cioè l' idoneità ad essere servi tori (o ministri : greco diakonoi) di un nuovo patto (v. 6). Paolo sa benissimo che né la sua predicazio ne né l'impostazione del suo servizio apostolico proven gono da lui stesso, dalle sue personali qualità e successi (v. 5). Paolo fa riferimento al momento della sua vocazio ne da parte del Signore: ci ha resi idonei è detto con un verbo al tempo dell' azione puntuale (aoristo), non dell' a zione durativa o continuata. Tutto è cominciato da lì. Il v. 5 adopera il famoso verbo (loghfzesthai) usato da .
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Paolo in Romani 4 per parlare della fede che fu calcolata, o imputata, o accreditata (messa in conto) ad Abramo come giustizia (cfr. Rom. 4,3 .5.9.22). Nella nostra epistola, lo usa in 5, 19 per i peccati («non imputando agli uomini le loro colpe»). Sicché qui si potrebbe anche tradurre: «Non già che siamo capaci, da noi stessi, di accreditare qualcosa sul nostro conto, ma la nostra capacità viene da Dio» (Carrez, TOB , NTA).
1 6. PAOLO MINISTRO DEL NUOVO PATTO. (3,6b- 1 6) ... non di lettera ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica. 70r se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, 8quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? 9Se, infat ti, il ministero della condanna fu glorioso, molto più abbonda in gloria il ministero della giustizia. 10Anzi, quello che nel primo fu reso . glorioso, non fu reso vanamente glorioso, quando lo si confronti con la gloria tanto superiore del secondo; 11infatti, se ciò che era transitorio fu circondato di gloria, molto più grande è la gloria di ciò che è duraturo. 1 2Avendo dunque una tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza, 1 3e non facciamo come Mosè, che si metteva un velo sul volto, perché i figli d'Israele non fissassero lo sguar do sulla fine di ciò che era transitorio. 1 4Ma le loro menti furono rese ottuse; infatti, sino al giorno d'oggi, quando leggono l'antico patto, lo stesso velo rimane, senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è abolito. 15Ma fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo rimane steso sul loro cuore ; 1 6però quando si saranno convertiti al Signore, il velo sarà rimosso.
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Nei vv. da 6b a 1 1 ci troviamo davanti a una serie di contrapposizioni fra l' antico e il nuovo patto. Prima di esaminarle, le riassumiamo nelle tabella seguente: 6b patto di lettera - patto di Spirito 6c la lettera uccide - lo Spirito vivifica 7 ministero della morte 8 ministero dello Spirito 9a ministero della condanna 9b ministero della giustizia lOa non fu reso veramente glorioso lOb gloria tanto superiore lla transitorio llb duraturo lla fu circondato di gloria llb molto più grande è la gloria La lettura superficiale dei vv. 6b- 1 6 può dare l' impres sione che Paolo giudichi l' antico patto come patto di lette ra, di condanna, di morte ecc. Questo vorrebbe dire mette re Paolo in contraddizione con se stesso. In Romani 7, 1 2 dichiara infatti che la legge è santa; i n Romani 4 presen ta Abramo come nostro padre, in quasi tutte le sue lette re cita le Scritture d' Israele come testi probanti. L' antico patto non può essere squalificato come se esprimesse una religione rituale, esteriore, di fronte al nuovo che sareb be una religione spirituale, interiore. Non si tratta di contrapporre la legge alla grazia, le opere alla fede. Il primo patto è un dono di grazia esattamente come il secon do. Il Decalogo è preceduto da un ' introduzione che dice: «Io sono il Signore Iddio tuo, che ti ho tratto dal paese d' Egitto, dalla casa di schiavitù» (Es. 20,2 ; Deut. 5 ,6). Il resto del Decalogo mostra come l ' appartenenza al Dio liberatore e la riconoscenza per lui si manifestino nell ' ub bidienza del popolo di Dio. Essa può solo comparire come conseguenza gioiosa dell' animnzio di elezione e di libera zione da parte di Dio. Troppo spesso l' incapacità umana di capire questo 80
carattere «evangelico» della legge divina porta a rovescia re i due momenti del Decalogo, e a fare dell' ubbidienza alle prescrizioni e ai divieti la condizione preliminare dell' appartenenza al Signore e della salvezza che egli offre per sola grazia. A questo ha contribuito anche la traduzione della Bibbia in lingua greca. La parola ebrai ca Torlìh, che vuoi dire insegnamento, direttiva, è diven tata, in greco, n6mos, cioè appunto «legge», imposizio ne di doveri e di opere. E così, «il comandamento che avrebbe dovuto darmi vita, risultò che mi dava morte» (Rom. 7, l 0). Perdendo la prospettiva biblica della salvez za per sola grazia, si finisce per mettere al centro l' esse re umano che costruisce (o crede, o tenta di costruire) la sua salvezza con le sue opere, con la sua giustizia, con la sua pietà religiosa. La Torlìh del Dio liberatore diventa «lettera», codice, prescrizione e cessa di essere Spirito, cioè potenza vivificante che fa nascere un popolo nuovo e una creazione nuova. Paolo si considera ministro o servitore (diacono) del nuovo patto perché con la forza dello Spirito chiama tutti (anche i pagani) a credere nel Dio liberatore e a vivere della sua sola grazia, portando frutti di giustizia e di carità e aspettando i nuovi cieli e la nuova terra che hanno avuto la loro primizia in Cristo. Fatto questo chiarimento, possiamo passare alla lettura di 3,6b- 1 6 in cui distinguiamo due tappe: 6b - 1 1 : Superiorità del nuovo patto 1 2 - 1 6 : Dalla diaconia la franchezza La reminiscenza della profezia di Geremia 3 1 ,3 1 -33 porta Paolo a definirsi (v. 6) come servitore (diacono, ministro) di un nuovo patto fondato non su precetti (lette ra) ma sulla potenza escatologica dello Spirito liberato re e rinnovatore (cfr. i v v. 1 7 - 1 8). Non sono formule inven tate da Paolo: «nuovo patto» viene da Geremia 3 1 ,3 1 e dalla tradizioni primitiva (istituzione della S. cena citata da I Cor. 1 1 ,25 ; cfr. anche Le. 22,20). Proprio questo precedente ci ricorda che al centro del nuovo patto non 81
c ' è un impegno di opere umane, ma l ' intervento unilate rale di Dio nel dono del suo figlio Gesù. Il nuovo patto è dunque, praticamente, sinonimo di evangelo (cfr. Rom. 8,3 dove la legge è detta «impotente a salvare»). La lette ra, cioè i precetti della legge separati dal contesto del patto di grazia stabilito da Dio col suo popolo, è qualco sa che uccide - perché l ' umanità, con le sue sole forze, è schiacciata dal peso dei comandamenti, e perché, cercan do di salvarsi per opere, non rende a Dio la gloria che gli è dovuta come salvatore e liberatore dei suoi (Lang). Lo Spirito, invece, vivifica: negativamente, liberando il credente dal dominio della lettera (Rom. 8,2) e positiva mente operando in lui come operò nella risurrezione di Gesù (Rom. 8 , 1 1 ). La fiducia nello Spirito che vivifica è radicata nel cap. 37 del profeta Ezechiele (vv. 9 e 1 0), e Paolo ne parla anche in Romani 8, 1 1 («Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti, vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito . . . » ). Perciò in Romani 8,2 lo chiama senz' altro «Spirito della vita». La superiorità del nuovo patto, del quale Paolo è servi tore, viene proposta nei vv. 7- 1 1 con quattro successive bordate, La prima è contenuta nei vv. 7a e 8 : Se il ministero della mortefu glorioso, quanto più sarà glorioso il ministe ro dello Spirito ? La domanda del v. 8 è solo apparente mente tale: si tratta di una domanda retorica, che vuol dire: «Il ministero dello Spirito sarà molto più glorioso». Il futuro si riferisce non a un tempo dopo Paolo, ma a un tempo dopo Mosè, dopo il primo patto, cioè appunto ali ' è ra cristiana e al ministero degli apostoli . «Ministero della morte» riprende il pensiero del v. 6c (vedi il commento). Sul ministero dello Spirito cfr. il commento all' inizio del brano 3,6b- 1 6 (p. 8 1 ). La seconda bordata si trova nel v. 9 : se giàfu glorio so il ministero della condanna, cioè il ministero di Mosè, la Legge, che aveva anche la funzione di far conoscere agli israeliti i loro peccati (cfr. Rom. 3, 1 9), molto più 82
abbonda in gloria il ministero della giustizia. Queste ultime due parole sono tradotte dalla REB «che porta ali ' assoluzione» e dalla EO «che conduce alla giustizia» . La parola «giustizia» qui è usata nel senso di «giustifi cazione», come è ovvio visto che il servizio apostolico è contrapposto al ministero della condanna (v. 9a). La terza bordata, al v. 1 0, ripete e rafforza la secon da. Mentre il v. 9 diceva che il ministero della condanna fu glorioso, il v. 10 limita la valutazione dicendo che non fu reso veramente glorioso, rispetto alla gloria del ministe ro apostolico che annunzia la giustificazione in Cristo per tutti gli umani (cfr. Rom. 1 , 1 6). La quarta bordata è al v. 1 1 : Se dunque ciò che era transitorio (o effimero) [fu circondatol di gloria, molto più [ha da essere] in gloria ciò che è duraturo (letteral mente: «ciò che permane»). «Ciò che era transitorio» potrebbe anche essere tradotto: ciò che è stato abolito, «l' invalidato». Oppure: ciò che è in corso di abolizione (il verbo è lo stesso usato in I Cor. 1 3,8 per le profezie e per la conoscenza) . Da questo quadruplice confronto dei due ministeri, della legge e dell' evangelo, risulta chiara la certezza di Paolo che il secondo è superiore al primo, non tanto per i suoi contenuti quanto per i suoi effetti , per il modo in cui è recepito dalle persone. Paolo non nega la gloria del primo patto o ministero: abbiamo già visto sopra quel che Paolo dice in Romani 7, 1 2 e 7, 1 0a. Quel ministero era in gloria, anche se era transitorio. Queste due caratteristi che Paolo le vede riflesse (v. 7) parabolicamente nella gloria, che pur svaniva, del volto di Mosè. Il volto di Mosè risplendeva, alpunto che i.figli d'Israele non poteva no fissare lo sguardo sul suo volto, ma quella luce era passeggera. Il passo biblico che parla della gloria splen dente dal volto di Mosè è Esodo 34,29-30.35 (i raggi di luce che emanavano dal volto di Mosè sono stati raffi gurati , tentativamente, da Michelangelo nella famosa statua della chiesa di S. Pietro in vincoli a Roma con due corni che gli escono dalla fronte) . Che la gloria (e la luce) 83
svanisse non risulta da Esodo 34 né da alcun passo dell'A. T.; si può solo desumere dal fatto che dopo Esodo 34 non se ne parla più. In base ad altri passi paolini che usano il verbo katarghéo (RIV: «svanire, esser transitorio») lo si può anche tradurre «annullare, neutralizzare» . Lo splen dore del volto di Mosè era neutralizzato o annullato dal velo con cui si copriva (Cfr. Rom. 3,3.3 1 ; 7,6; I Cor. 1 ,28; 2,6; 6, 1 3 ; 1 3, 1 1 ; 1 5 ,24.26; Gal. 3 , 1 7). I riferimenti al passo di Esodo 34 saranno ripresi ai vv. 1 3 ss. (il velo sul volto di Mosè). Passiamo ora ad esaminare i vv. 1 2- 1 6 (dalla diaconia la franchezza). La sintesi che abbiamo messo qui tra paren tesi corrisponde al contenuto del v. 1 2 . Il ministero aposto lico è stato definito nei vv. 6b- 1 1 dello Spirito, della giusti zia, e duraturo. Paolo, che è stato chiamato a esercitarlo, si aspetta legittimamente che queste caratteristiche si manifestino nella sua opera. Perciò parla in 1 2a di speran za. L' aggettivo «tale» indica che si tratta appunto della speranza di quanto è stato detto nei vv. precedenti, special mente alla fine del v. 1 1 : che l' annunzio dell' evangelo duri, letteralmente «rimanga», non svanisca. Il risultato di questa speranza è che Paolo fa uso di (o si comporta con) grandefranchezza. La parola «franchez za» è difficile da interpretare, perché può avere diversi significati: il parlare in maniera diretta, senza parabole o i mmagini (Giov. 1 6,25 .29), il parlare pubblicamente, senza precauzioni (Giov. 7,26), il parlare senza imbaraz zo o paura degli uomini (Filem. 8) o di Dio (Ef. 3, 1 2). Quest'ultimo è il significato che si adatta meglio a 3 , 1 2. Questa libertà o franchezza è il contrario del nasconder si la faccia con un velo come faceva Mosè (ma Mosè non lo faceva per paura, bensì perché gli israeliti non rimanes sero abbagliati dallo splendore glorioso del suo volto. Così almeno sembra da Esodo 34,30-35 . Paolo segue un' altra tradizione rabbini ca: che Mosè si coprisse la faccia perché il popolo non vedesse la fine della gloria che era sul suo volto. Però al v. 1 1 usa il neutro, non il 84
femminile che sarebbe necessa rio se la fine si riferisse alla gloria. Forse intende riferirsi a tutto l 'insieme del ministero di Mosè, superato da quello di Gesù Cristo, cfr. Rom. 1 0,4). Il v. 14a (ma le loro mentifurono rese ottuse) si contrap pone a qualcosa che è stato detto prima. Qual è il senso del «ma» ? Possiamo pensare: Ma [nonostante la gloria che rifulgeva sul volto di Mosè] le loro menti furono rese ottuse, ed essi non riuscirono a capire il senso dell ' anti co patto. Oppure: Ma [nonostante la luce sul volto di Mosè fosse transitoria e se ne vedesse quasi la fine] essi non capirono che il ministero della Legge era transitorio. Perciò le loro menti furono rese ottuse. Il verbo è quello usato da Isaia in 6,9 s. Paolo lo usa anche in Romani 1 1 ,7, mentre in II Corinzi 4,4 rende un' idea simile dicendo: le loro menti furono accecate. Ma quel che interessa a Paolo non è tanto la durezza o la cecità delle menti degli israeliti del tempo di Mosè: gli preme molto di più quella dei suoi avversari che lo combattono facendosi passare per paladini del patto di Mosè. Anche su loro, alla lettura dell 'antico patto, rimane lo stesso velo (sarebbe più esatto dire: un velo analogo), senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è aboli to. Queste ultime due frasi del v. 1 4 potrebbero anche essere tradotte così : «e non si rende manifesto che Cristo lo ha abolito» (PAOL.), oppure: «E non è loro svelato che (questa alleanza) è stata abolita in Cristo» (TOB). L' idea che Cristo abolisca il velo (RIV e PAOL.) impli ca che Cristo è il criterio per una giusta comprensione dell' antico patto. L' idea che Cristo abolisca l ' antico patto (TOB) è molto più radicale, e forse, nonostante Romani 1 0,4 non corrisponde esattamente al pensiero di Paolo. Meglio tradurre: «Fino al giorno d' oggi lo stesso velo è rimasto, non rimosso, perché [soltanto] in Cristo esso è eliminato» (GLNT). In Cristo e per mezzo di Cristo si può capire pienamente il valore dell' antico patto come patto di grazia, cioè come evangelo. 85
Il v. 1 5 precisa che al tempo di Paolo, quando Mosè viene letto (da chi? Da tutti i giudei o più precisamente dagli avversari di Paolo che si credevano autentici conti nuatori di Mosè e depositari di un ministero glorioso?) un velo rimane steso sul loro cuore. Se si tratta degli avversarti di Paolo, il loro ministero si accreditava coi loro successi e col trionfalismo dell' apparenza - ma quello che conta è il cuore. E loro, sul cuore, hanno il velo. Ma Paolo ha la speranza che il velo sarà rimosso «quando si saranno convertiti al Signore» (v. 1 6) Le parole tra virgolette sono prese dalla RIV, ma non sono del tutto esatte, perché in greco il verbo è al singolare. Dovrebbe riferirsi al cuore menzionato alla fine del v. 1 5 , oppure essere impersonale: «Ma quando ci sarà la conver sione al Signore» (CEI, PAOL. , TOB). Cioè, solo con la conversione al Signore il velo sarà tolto.
1 7 . LA GLORIA DEL SIGNORE E LA GLORIA DEI REDEN TI (3, 1 7- 1 8) 170ra, il Signore è lo Spirito; e dove c'è lo Spirito del Signore, n c'è libertà. 18E noi tutti, a viso scoper to, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagi ne, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito.
L' ultimo versetto del cap. 3 parla della gloria dei reden ti, e chiude così il discorso di questo capitolo che era cominciato parlando della comunità di Corinto come lette ra di presentazione dell ' apostolo e della sua attività. Il verbo siamo trasformati è quello usato per Gesù nel racconto della trasfiguraziorie (M t. 17,2 e parall. ); Paolo lo usa anche in Romani 1 2,2 per la vita cristiana dell' uo mo giustificato. Sia in Romani 1 2 sia nel nostro v. 1 8 la 86
forma passiva indica che la trasformazione non è opera umana, ma dono di Dio. Questo è dichiarato esplicita mente nelle ultime parole del versetto: secondo l 'azione dello Spirito del Signore, che si potrebbe anche tradurre: «Secondo l ' azione del Signore [che opera come] Spirito» . La trasformazione avviene contemplando la gloria del Signore. È da preferire il «contemplando» del Diodati , piuttosto che il «rispecchiando» della RIV. Poi, siccome nel verbo greco è compreso un riferimento allo specchio, si può arri vare a dire «contemplando come in uno specchio» la gloria del Signore Iddio che, come preciserà 4,6, riful ge nel volto di Gesù Cristo. È lui che rispecchia la gloria di Dio, non è il nostro volto. È in lui che i credenti incon trano il Signore e la sua gloria. Infatti, l ' essere umano non può vedere direttamente Iddio e vivere (Es. 33 ,20). Ma in Cristo questo è diventato possibile a volto scoper to, senza velo (cfr. v. 14). E proprio grazie all ' incontro con Cristo e alla contemplazione della gloria di Dio che rifulge nella sua persona, anche i credenti che sono in comunione con lui crescono di gloria in gloria, cioè passa no a una gloria sempre più grande nella misura in cui aumenta la loro comunione con lui, il suo vivere in loro (cfr. Gal. 2,20) . Perciò Paolo può anche parlare di un sempre più grande avvicinamento alla [sua] stessa immagi ne. Perché l ' immagine di Dio che ci è donata è la perso na di Gesù Cristo. Il giudaismo diceva che la Sapienza è «specchio tersissimo della luce eterna» (Sap. 7,24) . Per noi, lo specchio della luce di Dio è Gesù Cristo. Torniamo ora indietro al v. 1 7 : Ora il Signore è lo Spirito. Paolo aveva definito il suo ministero apostolico come «ministero dello Spirito» (vv. 6 e 8). Ora sente il bisogno di precisare ancora una volta (ma l ' aveva già detto al v. 6) che questo può venire solo dal Signore, perché lo Spirito non è lo spirito dell'essere umano o della religiosità naturale: lo Spirito che trasforma un uomo in apostolo è un intervento del Signore stesso, è Dio che agisce sotto forma di Spirito santo. A sua volta, lo Spirito santo permette di avvicinarsi a Dio, di accedere a lui, di 87
diventare suo «ministro» (cioè diacono, servitore) in piena libertà: lo Spirito ci ha liberati dalla legge del peccato e della morte (Rom. 8 ,2).
1 8 . RIEPILOGO DELL' INSEGNAMENTO SULL' APOSTO LATO (4, 1 -6) 1 Perciò, avendo noi tale ministero in virtù della misericordia che ci è stata fatta, non ci perdiamo d'ani mo; 2al contrario, abbiamo rifiutato gli intrighi vergo gnosi e non ci comportiamo con astuzia né falsifi chiamo la parola di Dio, ma rendendo pubblica la verità, raccomandiamo noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio. 3Se il nostro vangelo è ancora velato, è velato per quelli che sono sulla via della perdi zione, 4per gli increduli, ai quali il dio di questo mondo ha accecato le menti, affinché non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'imma gine di Dio. 5Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale Signore, e quanto a noi ci dichia riamo vostri servi per amore di Gesù ; 6perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo.
In questi sei v v. che concludono la sezione, Paolo parla prima di se stesso («noi», vv. 1 -2), poi dell'evangelo e degli increduli (vv. 3-4), infine torna a parlare di sé e del suo servizio di testimonianza (vv. 5-6). Il brano è dunque una breve apologia del ministero apostolico. È molto importante il perciò con cui inizia il v. l . Vuoi dire : poiché abbiamo, per la misericordia di Dio, un ministero (diaconia, servizio) ricco di gloria sovrabbon88
dante {3,7- 1 1 ) e poiché condividiamo con tutti i fratelli e le sorelle la speranza di un progresso di gloria in gloria fino ad essere trasformati nella stessa immagine del Signore - per queste ragioni, a) non ci perdiamo d 'animo (cioè procediamo con franchezza [cfr. 3 , 1 2] ; b ) rifiutiamo gli intrighi sottobanco, che sono vergo gnosi (qui forse Paolo polemizza coi falsi apostoli . . . ). Paolo commenta e spiega queste due affermazioni nelle frasi che seguono, e ci fa sapere come realizza questo programma: a) non comportandoci con astuzia (questa parola è tradot ta in 1 2, 1 6 con «inganno» e in Le. 20,23 con «tranello»); b) non falsificando la parola di Dio (questa è forse una replica a accuse calunniose dei suoi nemici): la «parola di Dio» può essere l' Antico Testamento, o forse è l' evan gelo, il kérygma cristiano primitivo; c) raccomandando noi stessi davanti alla coscienza di ogni uomo, alla presenza di Dio, rendendo pubblica la verità. Comportarci con astuzia, falsificare la parola di Dio, raccomandare noi stessi, sono in greco altrettanti parti cipi, che per essere precisi vanno tradotti col gerundio come qui sopra. Lo faccio notare, perché in questo modo risulta evidente che queste frasi sono il modo in cui Paolo pensa di realizzare il suo programma. È curiosa la terza: «raccomandando noi stessi». A tutta prima, sembra contraddire 3 , 1 e 1 0, 1 8 . Ma l' auto-racco mandazione di Paolo è non ha nulla a che fare con quelle dei rivenduglioli di proposte religiose che magnificano se stessi e la loro mercanzia per trame profitto. Paolo invece si fonda soprattutto sul giudizio di Dio (davanti a Dio), cfr. I Corinzi 4,4c. E sulla diffusione pubblica della verità: il ministero di Paolo è autenticato dall' evangelo che predica, e non il contrario (Barrett). L' evangelo che predica è la prova della sua sincerità e onestà intellettuale (cfr. 1 , 1 2 e 2, 1 7). Certo, anche la predicazione di Paolo registra degli 89
insuccessi : ci sono casi nei quali l' annunzio dell' evan gelo «non passa», come si dice in gergo televisivo, rimane oscuro. La responsabilità può essere del predicatore, non del contenuto del messaggio. Paolo lo sa, e per questo parla del nostro vangelo (come altrove scrive «il mio vangelo» : Rom. 2, 1 6; 1 6,25). Questo equivale a «la nostra predicazione» . Quando vuole indicare chiaramente il contenuto, scrive «il vangelo di Cristo», per esempio, II Corinzi 2, 1 2. Forse erano gli avversari di Paolo a sparge re la voce che il suo annunzio dell' evangelo fosse velato: cfr. il giudizio negativo che la II Pietro 2, 1 6 dà di Paolo (nelle sue lettere «ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdi zione»). Paolo si difende dalle critiche sostenendo che il suo evangelo è velato per quelli che sono sulla via della perdi zione (v. 3 : stessa espressione usata in 2, 1 5), cioè per gli increduli. A loro le menti sono state accecate. Da chi? Dal dio di questo mondo (v. 4). Espressione stranissima, anzi unica. Nel quarto Vangelo si menziona più volte «il principe di questo mondo» ; Paolo in I Corinzi 2,6.8 parla dei «dominatori di questo mondo». Sembra certo che qui egli si riferisca a Satana, ma è l' unico passo in cui si usa per il diavolo il termine «Dio» (usato però anche in Fil. 3 , 1 9 per qualcosa che non è «Dio» in senso biblico). L' intervento di Satana ha l' effetto di impedire di scorge re in Gesù Cristo la gloria di Dio, cioè di riconoscere che egli è l 'immagine di Dio (v. 4, alla fine). Dopo il v. 4 Paolo abbandona il tema degli increduli e del vangelo oscuro (velato) per tornare al tema dei vv. 1 -2 cioè al suo ministero apostolico. Di questo ministe ro dà una doppia definizione: a) noi predichiamo Cristo Gesù [quale] Signore; b) [ci dichiariamo] vostri servitori. L' unico contenuto della predicazione cristiana è Gesù Cristo, e lui come Signore. Chi predicasse se stesso, una sua dottrina o filosofia personale, sarebbe fuori strada. Forse qui c ' è una stoccata ai predicatori rivali : anche se 90
non predicavano se stessi, forse cercavano il loro interes se, o davano quell ' impressione (cfr. Fil. 2,2 1 che proba bilmente si riferisce alle persone menzionate in Fil. l , 1 7). Paolo era molto attento a evitare qualsiasi sospetto di questo genere (cfr. 1 1 ,7 - l O e I Cor. 9, 1 2), anche se in linea di principio sosteneva la tesi che chi lavora è meritevo le della sua ricompensa (cfr. I Cor. 9,4- 14). La seconda caratteristica di un apostolo è di essere al servizio delle chiese. Il greco è molto stringato: manca addirittura il verbo. Bisogna sottintendere: «ci dichiaria mo» oppure «ci presentiamo come» vostri servitori. Oppure (con Diodati) farlo dipendere da noi predichiamo e conti nuare: «e [che noi siamo] vostri servitori». È chiaro che questo non vuoi dire prendere gli ordini dalla comunità invece che da Dio o dal Cristo ! Gli ordini, Paolo li prende solo dal Signore (cfr. 1 , 1 e Gal . 2, 1 5 - 1 6). La fine del v. 5 è invece la prova che Paolo non vuole dominare nella chiesa, ma edificarla con il suo insegnamento: cfr. I Corinzi 9, 1 9 : «pur essendo libero, mi sono fatto servo di tutti». Il servizio reciproco è la regola nella comunità (Gal. 5 , 1 3c), seguendo la traccia posta da Gesù che non venne per essere servito ma per servire (Mc. 1 0,45a). Il versetto conclusivo (6) spiega perché Paolo predi ca Gesù qual Signore (v. 5): perché nella persona di Gesù Dio ha rivelato la sua gloria, e ha chiamato lui, Paolo, a farla brillare intorno a sé. Qui c'è un riferimento al raccon to della creazione (Gen. 1 ,3-4) : Splenda la luce fra le tenebre, e un altro alla vocazione di Saulo in cammino verso Damasco (Gal. l , 1 5 s. «Dio si compiacque di rivela re in me il suo figliuolo»). Qui nel nostro passo c'è nei nostri cuori, e si può discutere se Paolo usa il noi per parlare di se stesso, oppure si riferisce alla rivelazione data a tutti i credenti mediante l ' evangelo. In questo secon do caso, lo scopo (diffondere la conoscenza della gloria di Dio, cioè della sua potente attività redentrice in Cristo) non riguarderebbe solo l ' apostolo, ma tutti i componen ti della comunità cri stiana. 91
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA PRIMA SEZIONE (2, 1 4 - 4,6)
Avevamo visto all ' inizio che qui Paolo tratta del ministe ro apostolico come un servizio che consiste nel far conosce re Dio in Cristo a quelli che ancora non lo conoscono. Questa parte dell' epistola ha una struttura simile a quella di un sermone: inizia con un esordio o introduzione (2, 14 o 2, 14- 1 6), è seguita da un esposto dei fatti, da una dimostra zione della tesi e da una conclusione che riprende e ribadi sce la funzione del ministero di testimonianza. Paolo adopera spesso degli schemi di questo tipo, forse perché era abituato a servirsene nella predicazione (uno degli esempi migliori è la lettera ai Galati). Questo dovreb be incoraggiarci a cercare sempre di capire il senso e l ' intenzione dell' apostolo leggendo e studiando ampi brani delle sue lettere, come questo che va da 2, 14 a 4,6. Troppo spesso isoliamo uno o due versetti dal loro conte sto. Facendo così si perde il filo del ragionamento che l ' apostolo svolge in sezioni di una certa ampiezza. Certo, in ogni versetto ci sono insegnamenti importanti. Ma è anche importante conoscere il suo pensiero sull ' aposto lato come strumento della predicazione dell' evangelo, e il concetto elevato che Paolo ne aveva. Se guardiamo al brano che va da 2, 1 4 fino a 4,6 possia mo considerare come introduzione i primi tre versetti (aggiogati al carro trionfale di Gesù Cristo, gli apostoli portano dappertutto il profumo dell' evangelo, cioè della salvezza in Cristo). All' introduzione segue l'esposizione dell' antefatto o della situazione: Nel suo ministero apostolico a Corinto, Paolo non ha fatto sfoggio di grandi qualità mondane (3,5-6a) e non ha portato né chiesto attestati («lettere», 3 , 1 ) delle sue capacità oratorie o organizzative. Il suo attestato sono i risultati del suo lavoro (3,2), cioè la nasci ta della chiesa di Corinto («lettera di Cristo»). Attraverso il suo ministero era lo Spirito che agiva (3,3.6.8), e contra92
riamente a quello di Mosè, era ed è un ministero della salvezza, che conduce alla gloria (3, 1 8). Segue una parte dimostrativa, in chiave polemica: il ministero della salvezza in Cristo è messo in contrasto col ministero di Mosè, definito ministero di condanna e di morte. È a Mosè che fanno riferimento, sembra, i molti [2, 17 ] e gli alcuni [3, 1 ] che svolgono un' attività aposto lica in concorrenza con quella di Paolo. Ma leggono la Scrittura con un velo che può essere rimosso solo in Cristo. Paolo invece svolge il suo ministero con riconoscenza (2, 14), fiducia (3 ,4), speranza (3, 1 2), franchezza (3, 1 2), libertà (3, 17). Nella conclusione o perorazione, Paolo ribadisce che il suo scopo è di predicare Cristo e non se stesso ( 4,5), e che il suo ministero è un dono della grazia di Dio (4, 1 ), svolto senza falsità né intrighi (4,2), sostenuto dalla poten za del Dio creatore ( 4,6) e avente come traguardo la gloria escatologica della salvezza finale anticipata nella perso na di Gesù Cristo (4,6). Questa è la sintesi dalla lettura che abbiamo fatto di II Corinzi 2, 14 - 4,6. Passeremo ora alla seconda sezio ne (4,7 - 7,4).
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SECONDA SEZIONE (4,7 - 7 ,4) IL MESSAGGIO DELLA RICONCILIAZIONE IN CRISTO PORTATO ATTRAVERSO LE CONTRADDIZIONI DELL'ESISTENZA APOSTOLICA Primo ragionamento La potenza vivificante dell 'evangelo, antidoto al prevalere della debolezza (4,7 � 5,10)
1 9. L A FORZA NELLA DEBOLEZZA (4,7- 1 2) 7Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi. 8Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; 9perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; 10portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo; 11infatti, noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amor di Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne morta le. 1 2Di modo che la morte opera in noi, ma la vita in voi.
Questi versetti contrappongono i fattori di debolezza (che potrebbero portare allo scoraggiamento e alla rinun zia) e la certezza della potenza dell' evangelo che li control la e li supera. 94
Nel v. 7 la potenza smisurata dell' evangelo è parago nata a un tesoro. L' apostolo che l ' ha ricevuto in affida mento invece è definito un vaso di terra, di coccio: non solo fatto di materiale povero, ma anche fragile. Il contra sto fra la povertà e debolezza dell ' essere umano e la preziosità dell'evangelo ha uno scopo preciso: in questo modo l ' efficacia dell' evangelo non potrà essere attribui ta al predicatore, dovrà essere attribuita a Dio che ne è l ' origine e il garante. I vv. 8 e 9 continuano sulla stessa linea, accentuando ancora di più la debolezza e le traversìe che rendono in sicura l ' esistenza dell' apostolo - ma nessuna delle prove elencate arriva fino al punto del suo annientamento fisico, perché questo significherebbe la fine della sua missione. Non è a questo che mirano le difficoltà dell' esistenza apostolica, e il seguito le spiega così : da un lato esse accomunano l' apostolo al suo Signore, sono un riper correre con lui la via della sofferenza (che nel caso di Gesù arrivò fino alla morte sulla croce), perché nonostan te le sofferenze e sotto il segno della morte sempre incom bente, la potenza di vita che è in Gesù e che si manifestò soprattutto nella sua risurrezione possa manifestarsi anche nella sua persona (corpo, v. 1 0, carne mortale, v. 1 1 ); dall' altro, questa potenza d i vita che emerge dalla sua predicazione dell' evangelo e che si manifesta nonostan te la sua debolezza diventa operante a vantaggio dei fratel li di Corinto : l ' apostolato uccide (per così dire) Paolo, ma fa vi vere quelli che conduce alla fede (v. 1 2) ! Il parados so ricorda l ' immagine giovannea del granello di frumen to che deve morire, per portare molto frutto (Giov. 1 2,24 ) Ma qui il pensiero è diverso: non si tratta della morte del salvatore, ma della debolezza del testimone perché la gloria vada a Dio e non agli strumenti umani della predi cazione. .
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20. LA SPERANZA CHE SOSTIENE L' APOSTOLO NELLE SUE PROVE (4, 1 3- 1 5) 13Siccome abbiamo lo stesso spirito di fede, che è espresso in questa parola della Scrittura: «
Il pensiero che attraverso la parola apostolica la vita di Gesù diventa operante nella comunità dei credenti (v. 1 2) diventa ora la forza che sostiene l' apostolo nel suo sofferto apostolato. Il suo coraggio gli viene da uno sguardo al passato e uno sguardo al futuro: dal passato (v. 1 3 ) Paolo ricava una citazione del Salmo 1 1 6, l O (LXX: 1 1 5, l ) «ho credu to, perciò ho parlato». Il senso di questo riferimento alla Bibbia è che la fede deve risultare nella testimonianza, nella predicazione («parlare» è usato spesso nel N. T. per la predicazione: Mc. 2,2; 8,22; Mt. 1 3 ,3; At. 2, 1 1 ). La sua fede lo porta a questo, perché è la stessa fede che animava il salmista antico. L' altro sguardo, rivolto al futuro (v. 1 4) è uno sguar do di speranza, anzi di certezza («sapendo») : Paolo sa che né le debolezze sue, né le tribolazioni create dagli altri possono distruggere la speranza di risurrezione per lui e per i suoi fratelli in fede: questa certa speranza, infat ti, è radicata nell' opera di Dio che risuscitò dai morti il Signore Gesù. Il frutto di questa predicazione, radicata nella fede e sostenuta dalla speranza, è che la grazia abbonda sempre più, cioè si estende a un sempre maggior numero di perso ne. E questo ha una conseguenza logica: che anche l ' inno 96
di lode e ringraziamento si innalzi a Dio e alla sua gloria in misura sempre più grande.
2 1 . COSE CHE PASSANO E COSE CHE DURANO (4, 1 6 - 5 , 1 ) 1 6Perciò non ci scoraggiamo; ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interio re si rinnova di giorno in giorno. 17Perché la nostra momentanea, leggera amizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, 18mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne. 1Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edifi cio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli.
A questo punto, Paolo riprende da 4, l il tema della sua fiducia incrollabile nonostante i pericoli e le preoc cupazioni quotidiane che arrivano fino alla prospettiva di morte (vv. 10 e 1 1 ). Egli non si scoraggia perché il suo uomo interiore si rinnova giorno per giorno. Il contrasto fra I' uomo esteriore e I' uomo interiore non si riferisce a corpo e anima, o ali' aspetto fisico contrap posto alla spiritualità capace di dialogare con Dio. Tutta questa sezione si muove in una prospettiva escatologica, che ha in vista il traguardo della risurrezione degli ultimi giorni. Paolo identifica l ' uomo esterno con la persona che appartiene ancora a questo modo passeggero (perciò si va disfacendo, come in I Cor. 7,3 1 «la scena di questo mondo passa»). Invece l ' uomo interno è l ' uomo nuovo, l ' uomo del mondo nuovo di Dio. Paolo è ancora parte97
cipe di questo mondo e sottoposto alle sue limitazioni, ma appartiene già al futuro di Dio che porterà «Un cuor nuovo e uno spirito nuovo» (cfr. Ez. 36,26). Alla luce di questo rinnovamento escatologico, del quale abbiamo già le primizie in Cristo, Paolo ridimen siona la gravità delle sue tribolazioni : come dirà poi anche in Romani 8, 1 8, le sofferenze del tempo presente non sono punto da paragonare alla gloria futura (v. 17). Paolo deve aver riflettuto spesso su questo tema delle prove e afflizioni, cfr. Filippesi 1 ,29 s., e specialmente Romani 5,3 s. dove afferma che la tribolazione produce pazienza, e la pazienza speranza; forse anche in Romani 8,28 dove scrive che «tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio» (affermazione modificata in alcuni manoscritti che dicono: «Dio fa cooperare tutte le cose al bene ecc.»). Sarebbe lontanissimo dal pensiero di Paolo ricercare prove e mortificazioni della carne pensando che se ne possa ricavare speranza o gloria. Ciò che gli interes se, nel v. 1 7 , è il contrasto fra la sofferenza presente e la gloria futura, sempre nella prospettiva escatologica che abbiamo notato anche nel v. 1 6. L' accettazione della soffe renza non deve trasformarsi né in una ricerca ascetica in vista di un premio, né in un atteggiamento di consenso passivo alle storture di questo mondo. La sofferenza può essere accettata solo come segno di comunione spiritua le col Cristo sofferente, e segno della condanna gravan te su questo mondo a causa del peccato. Il credente però è chiamato alla lotta contro ogni forma di male e di soffe renza nella fiducia che il Cristo risuscitato ha già vinto il peccato, la sofferenza e la morte e che perciò nel mondo nuovo di Dio non vi sarà più né grido, né morte né dolore (Apoc. 2 1 ,4). Da che cosa vengono questa valutazione sobria delle sofferenze e questa certezza fiduciosa nella gloria futura? Ce lo dicono i vv. 1 8 e 5, l : Dalla concentrazione del nostro sguardo sulle cose che non si vedono, cioè sulle realtà escatologiche: la risurrezione, il mondo nuovo di Dio, la sua sovranità universale, senza che siamo distrat98
ti e assorbiti dalle cose che si vedono. Queste non sono solo le realtà negative (tribolazioni ecc.): sono anche le apparenti sicurezze nelle quali si cerca un sostegno per la vita (cfr. la polemica di Paolo in Fil. 3 , 1 9 contro la «gente che ha l ' animo alle cose della terra», e in Rom. 8,5 contro «quelli che pensano alle cose della carne»). Il mentre all ' inizio del v. 1 8 è una interpretazione in senso temporale del participio greco (letteralmente : fissando lo sguardo non su . . . ma . . . ). Lo si può intende re anche in senso causale: Perché noi fissiamo lo sguar do non su . . . ma . . . La seconda motivazione (5, 1 ) della fiducia d i Paolo è la certezza che Dio provvede un' alternativa incorruttibi le alla presente esistenza vissuta fra sofferenze, pericoli e polemiche: un' esistenza celeste, destinata a prendere il posto dell ' esistenza terrena. Si tratta di una realtà futura, facente parte delle «cose che non si vedono» (v. 1 8). Sorprende che Paolo dica abbiamo e non «avremo». Forse la scelta del verbo al presente vuole esprimere l ' assoluta certezza di fede nella risurrezione eterna. Può darsi che ci fossero a Corinto dei cristiani che pensava no di possedere già su questa terra un corpo di risurre zione e perciò davano la massima importanza a «le cose che si vedono», dimenticando che sono effimere (v. 1 8b), perché la nostra dimora (cioè la nostra esistenza) terre na viene disfatta (v. 5 , 1 ) . Cfr. il cap. 1 5 della I ai Corinzi dove Paolo polemizza contro alcuni che dicono che non c ' è risurrezione . . .
22. I L GEMITO TERRENO E L A DEFINITIVA COMUNIO NE COL SIGNORE (5 ,2-8) 2Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando inten samente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, 3se pure saremo trovati vestiti e non nudi.
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4Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppres si; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assor bito dalla vita. 50r colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito. 6Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore 7 (poiché camminiamo per fede e non per visione) ; Sma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abita re con il Signore.
Da 4, 1 6 a 5 , 1 Paolo ha sostenuto che le prove e la debolezza fisica non distruggono la fiducia in Dio e il coraggio con cui egli esercita il suo ministero. Ora aggiun ge un pensiero ulteriore (vv. 2-5): mentre siamo in questa tenda (la parola tenda nel testo greco non c ' è, ma è proba bile che il pronome questa si riferisca appunto alla tenda del v. l , cioè al corpo o all' esistenza terrena) gemiamo (all' unisono con tutta la creazione che «geme ed è in travaglio», Rom. 8,23) per l ' ansia di indossare la «casa celeste» descritta al v. l . Come mai Paolo, che finora ha parlato di «casa» terre na e celeste, usa ora il verbo indossare? Anzi, «indossa re sopra» (cfr. Diodati : sopravvestiti), come un cappotto che si mette sopra un vestito, o come (cosa più rara) quattro mura e un tetto che vanno a ricoprire un prefab bricato senza distruggerlo né sostituirlo? Forse questo verbo viene dal ricordo di Galati 3,27 («Vi siete rivestiti di Cristo»)? Se è così , bisogna essere chiari : il ricordo è solo del verbo. Infatti tutto il bisticcio dei vv. 3 e 4 (vesti ti/nudi; spogliati/rivestiti ; mortale/assorbito dalla vita) riprende l' insegnamento di I Corinzi 1 5,53-54 dove intor no al verbo «rivestire» ruotano le parole mortale/immor talità; corruttibile/incorruttibile. Nei due passi si tratta dell' escatologia individuale e non del rapporto con Cristo. Paolo geme aspettando il momento in cui la sua esisten za terrena e il suo corpo terreno saranno sostituiti da
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un' esistenza e forse un corpo (abitazione) celesti (v. 2 e v. 4) perché al presente la sua esistenza terrena è tormen tata da mille difficoltà. Ma si augura che il passaggio alla vita eterna avvenga, se possibile, mentre è ancora in possesso del corpo terreno. Questo impedirà che il corpo gli sia tolto dalla morte, e gli eviterà anche di farsi trova re svestito (v. 3). Se il ritorno (parusia) del Signore e la risurrezione escatologica non tardano, egli non sarà spoglia to, ma sopravvestito (v. 4b) e il passaggio dalla mortalità alla vita (eterna) avverrà senza discontinuità (v. 4c). È possibile che in questo passo (specialmente nei vv. 2-5), Paolo parli col «noi» per alludere non solo a se stesso (come nei capp. 3 e 4) ma a tutti i credenti : la speranza della vita futura vale anche per loro. Che Paolo polemiz zi contro concezioni dell' escatologia individuale soste nute da alcuni a Corinto è l ' opinione di F. Vouga in Dopo la morte . ? (Torino, Claudiana, 1 995, pp. 1 60- 1 62). In realtà, Paolo vuole soltanto mettere ordine nei suoi pensie ri, scossi dalle continue tribolazioni. V. 5 : chi ci ha formati (o plasmati, o preparati) per questo trionfo delle vita di risurrezione è Dio; e come garanzia o anticipo (caparra) della gloria futura ci ha dato lo Spirito, che è uno dei segni del nuovo patto (cfr. 3,3- 1 8). Perciò Paolo, nonostante i gemiti e l ' oppressio ne (v. 4) può dichiararsi (v. 6) pieno di fiducia (cfr. sopra, commento ai vv. 4, 1 6 ; 4, 1b; 3 , 1 2; 3,4-6). Questa insisten za sulla sua fiducia (o «confidanza», Diodati) fa risalta re la gravità delle prove che lo tormentano. Dal v. 6 al v. 8 Paolo abbandona l ' immagine dello spogliarsi e del sopravvestirsi, per passare al cammina re dell' esule. Paolo usa nel v. 6 due verbi (ekdemefn e endemefn) coniugati al presente, tempo che suggerisce l' idea di permanenza, di durata: abitiamo nel corpo; siamo assenti (o: esuli) dal Signore. Può sorprendere che Paolo dica che quaggiù siamo assenti dal Signore (v. 6) : tanti passi delle sue lettere dicono che i credenti sono «in Cristo» (cfr. 5 , 1 7 ; 1 ,2 1 ; Gal . 3,27 s . ; I Tess. 4, 1 6). Perciò spiega (v. 7) che la vita cristiana non è uno stato, ma un . .
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«camminare», guidati da ciò che è creduto (o: credendo nel Cristo invisibile) e non dalle cose che si vedono (cfr. 4, 1 8). Questo «camminare» non è un andare qua e là solo per non star fermi ! Il v. 8 indica una precisa direzione di marcia: quella degli esuli che «si rimpatriano» verso il Signore risorto, in cerca di una piena comunione con lui, maggiore di quella vissuta nella loro esistenza terrena (cfr. Fil. l ,23). Bene Diodati «andare ad abitare» (meglio del semplice abitare della RIV).
23. IMPEGNO E RETRIBUZIONE (5,9- 1 0) 9Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. 10Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male.
Questi due versetti introducono un tema nuovo: il giudizio, e dunque la necessità di essere graditi al Signore durante il cammino terreno. La nostalgia della «casa» celeste e della definitiva comunione con il Cristo risorto non deve far dimenticare l' impegno di compiacergli in vita e in morte, tenendo presente che il giudizio valuterà la condotta di ciascuno durante il cammino terreno per decidere se nell' azione ha fatto buona prova la libertà del cristiano (JUngel, p. 87).
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Secondo ragionamento Il messaggio dell 'evangelo e il suo apostolo (5,11 - 7,4)
Da 4,7 a 5 , 1 0 Paolo ha descritto soprattutto la fragi lità in cui si svolge il suo ministero - sia pure con accen ti di speranza che gli danno la forza di tener duro nelle sofferenze e di fronte alle contestazioni. Da 5 , 1 1 invece propone l ' aspetto positivo dell' evangelo - pur dedican do ancora spazio alle situazioni paradossali del suo ministe ro apostolico ( 6,4- 1 O e altrove). Alla fine della sezione, rivolgerà appelli commossi ai fratelli di Corinto perché tornino ad aprirgli il loro cuore.
24. «L' AMORE DI CRISTO CI COSTRINGE» (5, 1 1 - 1 5) (LA MOTIVAZIONE DELL' APOSTOLO) 11Consapevoli dunque del timore che si deve avere del Signore, cerchiamo di convincere gli uomini ; e Dio ci conosce a fondo, e spero che nelle vostre coscienze anche voi ci conosciate. 1 2Non ci raccomandiamo di nuovo a voi, ma vi diamo l'occasione di essere fieri di noi, affinché abbiate di che rispondere a quelli che si vantano di ciò che è apparenza e non di ciò che è nel cuore. 13Perché se siamo fuor di senno, è per Dio, e se siamo di buon senno, è per voi ; 14infatti l'amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclu sione: che uno solo mori per tutti, quindi tutti moriro no; 15e eh' egli mori per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.
In questi versetti Paolo spiega qual è la fonte del suo 1 03
zelo apostolico. Il punto di partenza è l 'amore di Cristo (v. 1 4a): si tratta dell' amore che Cristo ha avuto e ha per noi, non del nostro amore per Cristo. Quest' ultima frase non esiste proprio nelle lettere di Paolo, che invece parla no spesso del nostro amore per Dio: Romani 8,28; I Corinzi 2,9; 8,3. È l' amore di Cristo per noi, che si è manifesta to nella sua morte per tutti (v. 1 4c). Paolo insegna spesso che Cristo è morto per (cioè a favore, a vantaggio di) qualcuno: per noi (Rom. 5 ,8), per gli empi (Rom. 5 ,6). È possibile che la frase Cristo morì per tutti sia una confessione di fede della comunità primi tiva (come lo è quella di I Cor. 1 5,3-4). Dalla morte di Cristo Paolo ricava due conseguenze. La prima è che tutti morirono ( 14d): come, secondo Paolo, in Adamo tutti peccarono (Rom. 5 , 1 2), così egli dichia ra che tutti in Cristo hanno avuto parte alla sua morte, che è l' evento fondamentale per la vittoria sul peccato. La seconda conseguenza che Paolo ricava dalla morte di Cristo e dali ' associazione di tutti alla sua morte, è che non si vive più per se stessi ( 1 5b), cioè che è finito il tempo dell' egoismo e dell' egocentrismo (Lutero diceva: «Non siamo più incurvati su noi stessi»), ma si vive per colui che è morto e risuscitato per tutti ( 1 5c ) Da questa ferma convinzione ( 14b) Paolo deduce il suo impegno di testimonianza (v. 1 1 ) Cerchiamo di convin cere le persone, e lo facciamo con sincerità e trasparen za. Forse vuoi dire che non fa uso di pressioni indebite né di argomenti sensazionalistici. Ben lo sa Dio, e dovreb bero saperlo anche i corinzi nella loro coscienza - almeno, Paolo lo spera (e questa volta, il verbo spero è al singo lare: si tratta proprio di lui !). Perciò non ha bisogno di raccomandarsi da sé (v. 1 2a), ma offre ai corinzi l ' occasione di vantarsi di lui (v. 1 2b), in polemica con quelli che si vantano di ciò che è apparen za (Bella presenza? Capacità oratorie? Lettere di presen tazione? Esperienze estatiche? Dipendenza da Mosè, cfr. il cap. 3 ? Visioni? Miracoli?) e non di ciò che è nel cuore. È chiaro che Paolo non ha l ' abitudine di vantarsi (cfr. .
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3 , 1 e I Cor. 1 ,29). Quando lo fa, lo fa ironicamente (satira del «vantarsi» dei suoi avversari). Comunque lo fa contro voglia perché vi è costretto ( 1 1 , 1 6; 1 2, 1 . 1 1 ). Ma riven dica il diritto che i suoi fratelli (i lettori) siano fieri di lui, si vantino della sua lealtà e perseveranza nel convincer li alla fede. Vantandosi di lui, i corinzi sconfesserebbero automaticamente i predicatori che fanno affidamento sulle loro grandi capacità (cfr. la polemica di I Cor. 1 , 1 7-3 1 ) e si schiererebbero dalla sua parte, accettando la sua predi cazione dell' evangelo centrata sulla croce di Cristo. Paolo ha l ' impressione di pretendere troppo, e quasi si scusa (v. 1 3) : «Se ho esagerato (siamo stati fuor di senno) è per fedeltà a Dio e al solo scopo della sua gloria; maper voi, parlo sobriamente e mi comporto con modestia (siamo di buon senno)». Ma si potrebbe anche interpre tare così : «Se ho delle esperienze estatiche, esse appar tengono al mio rapporto privato con Dio [cfr. I Cor. 14, 1 8] . Con voi invece ho un rapporto sobrio, razionale [cfr. I Cor. 14, 1 9]».
25. LA MORTE DI CRISTO FA OGNI COSA NUOVA E OPERA LA RICONCILIAZIONE (5, 1 6 - 6,2) 1 6Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbia mo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. 17Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. 18E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della ricon ciliazione. 19Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro col �e, e ha messo in noi la parola della riconciliazio ne. 0Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo,
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come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi suppli chiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. 2 1Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui. 1Come collaboratori di Dio, vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano; 2poiché egli dice: «Ti ho esaudito nel tempo favorevole, e ti ho soccorso nel giorno della salvezza». Eccolo ora il tempo favorevo
le; eccolo ora il giorno della salvezza!
Ora Paolo ricava altre conseguenze da quello che ha scritto nel v. 14: come la morte di Cristo ha portato un nuovo modo di vivere (v. 1 5), così (v. 1 6) ha portato anche (da ora in poi, cioè da quando ciascuno è morto e ha cominciato a vivere «non più per se stesso, ma per colui che è morto e risuscitato» per lui, v. 1 5 ) un nuovo modo di conoscere: non conosciamo più secondo i criteri e le prospettive della carne, cioè valutando le persone e i fatti da un punto di vista esclusivamente terreno, che prescin de da Dio, dalla sua volontà e dalla dimensione eterna, escatologica. La frase da un punto di vista umano (greco «secondo la carne») deve essere collegata a non conosciamo (cioè, secondo la carne equivale a «carnalmente»): dunque non va con il complemento del verbo conoscere (nessuno). La stessa cosa vale per il v. 1 6b: da un punto di vista umano (greco secondo la carne) non va collegato a Cristo, ma a abbiamo conosciuto. C ' erano, fra i convertiti dal paganesimo, tanti modi di conoscere secondo la carne il Cristo, cioè di conoscerlo secondo pensieri e schemi umani, secondo categorie filoso fiche, gnosticizzanti e altre, e non secondo il pensiero biblico. Comunque, una tale conoscenza «carnale» puramen te «umana») di Cristo non è più concepibile dal momen to che uno è morto al peccato (vv. 14- 1 5 ) ed è diventato una nuova creatura (v. 1 7) . A questo punto Paolo avrebbe potuto aggiungere: sicco1 06
me in Cristo voi ed io siamo stati ri-creati da Dio, siamo diventati nuova creatura, anche io ho il diritto di essere conosciuto da voi non secondo la carne o secondo le apparenze, ma secondo ciò che è nel cuore (vv. 1 1 - 1 2 e cfr. I Sam. 1 6,7). Ma non lo fa. Forse è implicito? Nuova creatura: il significato esatto di queste parole del v. 1 7 è difficile da stabilire. La parola greca ktisis, come anche l' equivalente italiano «creazione» può signi ficare tanto l' atto del creare quanto l ' oggetto creato (o la totalità delle cose create). Dunque l' «essere in Cristo» , cioè l ' appartenenza a Cristo, la comunione con lui, potreb be essere stato definito da Paolo «un atto o intervento creativo di Dio» - come dire: «essere in Cristo» non dipen de tanto dalla scelta o decisione dell' essere umano, quanto da Dio che crea questo rapporto dal nulla (come dal nulla creò i cieli e la terra). Inoltre, va detto che nel testo greco manca tutte e due le volte il verbo «è» . Esso è sottinteso due volte, oppure una volta sola: in questo caso, sarebbe anche possibile tradurre: «Se uno è una nuova creatura in Cristo, le cose vecchie sono passate». Risuona in queste parole la promes sa di Isaia 43, 1 8 s.: «Non pensate più alle cose antiche ! Ecco, faccio una cosa nuova» . Cfr. anche Apocalisse 2 1 ,5 . Nella lettera ai Galati ( 1 ,4) Paolo dice l a stessa cosa in forma negativa: « [Cristo] ha dato se stesso per i nostri peccati per strapparci al presente secolo malvagio» . Come nel nostro passo, la morte di Cristo ci introduce nella nuova creazione, ci fa passare al mondo nuovo di Dio, del quale abbiamo un anticipo in Cristo e nello Spirito. Dunque, l ' amore e la morte di Cristo (v. 14) hanno completamente rovesciato l ' orientamento di coloro che ne vengono a conoscenza con fede: non vivono più per se stessi, ma per lui che li ha amati fino alla morte (v. 15), tanto che si può parlare di «nuova creazione» (v. 1 7). Ora con il v. 1 8 ne viene indicata l 'origine ultima: Tutto questo viene da Dio. Tutto questo si riferisce anzitutto al contenuto dei vv. 14- 1 7. Però guarda già in avanti, ai vv. 1 8b-2 1 nei quali 1 07
il tema della riconciliazione torna ben cinque volte: 1 8b, 1 8c, 1 9a, 1 9c, 20d. Chi legge il greco può osservare che in tutte queste proposizioni subordinate il verbo è al parti cipio (che in alcune frasi possiamo rendere in italiano anche con il gerundio): 18b 18c 19a 19b 19c
Tutto questo viene da Dio, il riconciliante . . . . il dante a noi la diakonfa . . . Dio era riconciliante a s é i l mondo, non imputando loro le loro colpe, e mettendo in noi la parola della riconciliazione. .
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Questa strana sintassi dei vv. 1 8-20 mette nel massimo rilievo che tutto questo viene da Dio ( 1 8a) e ne fa un insieme compatto, inscindibile. Spesso l ' umanità, special mente nei riti di alcune religioni primitive, tende a ricon ciliare la divinità con sé. Qui invece è Dio che ha ricon ciliati con sè gli umani ( 1 8b). Questo è ribadito al v. 19 con l ' aggiunta che Dio ha operato la riconciliazione non imputando agli uomini le loro colpe. Poiché è il peccato che ha spezzato la comunio ne con Dio, egli realizza la riconciliazione abbattendo quella barriera. Inoltre ha affidato a noi (cioè a Paolo. Oppure a Paolo e agli altri predicatori) il servizio (diakonfa) della ricon ciliazione ( 1 8c ). Il v. 1 9b metterà in chiaro che lo strumen to di questo servizio è la parola, cioè la testimonianza, l ' annunzio (predicazione). Altrove (l Cor. 1 , 1 8) Paolo aveva definito il suo messaggio «parola della croce» (così Diodati e RIV. Nella Nuova RIV tradotto con «la predi cazione della croce» ; TILC: «predicare la morte di Cristo»). La somiglianza delle due formule non è casuale: la croce è lo strumento della riconciliazione, e proclamarla signi fica esercitare il servizio della riconciliazione ( 1 8c). Poiché l ' iniziativa della riconciliazione viene da Dio, e lo strumento per realizzarla è l' opera di Gesù Cristo, Paolo è portavoce e testimo ne sia dell' uno (come se Dio esortasse per mezzo nostro) sia dell' altro (facciamo da ambasciatori per Cristo). Le distanze sono mantenute: 1 08
Paolo non si identifica né con Dio né con Cristo, è solo un loro strumento (v. 20) . Il fatto che Paolo supplichi significa che la libertà di chi ascolta è rispettata: può accogliere con gratitudine l ' annunzio, ma può anche respingerlo o ignorarlo. Questa alternativa spiega il pathos con cui Paolo si rivolge ai corinzi. Il v. 2 1 starebbe meglio tra 1 7 e 1 8, perché il v. 20 ha già il tono dell' appello conclusivo, e dovrebbe essere seguito da 6, 1 -2. Naturalmente, non propongo di spostar lo, ma c'è chi lo ha definito «conclusione ritardata» di 5, 1 7- 1 9 dopo che Paolo è già passato all ' appello. Il v. 21 ricorda Galati 3 , 1 3b ( . . . divenne maledizione per noi) e 14a (affinché la benedizione di Abramo venis se sui pagani). Che Cristo sia diventato peccato non vuoi dire che sia diventato peccatore: vuoi dire che assume al nostro posto quel tipo di rapporto con Dio che normal mente è il risultato del peccato. È bello il commento che Lutero ne dà nel suo corso sui Salmi tenuto negli anni 1 5 1 3- 1 5 1 5 : «Questo è il grandioso mistero della grazia divina verso i peccatori : che con un mirabile scambio i nostri peccati non sono più nostri ma di Cristo, e la giusti zia di Cristo non è più di Cristo ma nostra» (WA 5, p. 602, righi 6-8). Come quasi sempre in Paolo, non si tratta della giustizia morale, ma del giusto rapporto con Dio, che egli dona quando rimette le colpe ai peccatori, cioè li giustifica. È come si legge in Romani 5, 1 : «giustifica ti per fede abbiamo pace con Dio» , cioè siamo riconci liati a lui. Le parole sono diverse, ma la sostanza è la stessa. I vv. 1 -2 del cap. 6 sono un caloroso appello perché i corinzi non abbiano a ricevere la grazia di Dio in vano. Queste ultime parole si riferiscono a tutto quello che è stato detto sulla riconciliazione (5, 1 8-20) e sulla giustifi cazione (5,2 1 ). È un appello meno severo, ma simile a quello di Galati 3, 1 -4. Paolo fa leva sulla sua autorità di collaboratore (anzi, per essere precisi, di «collaborante»). Nel testo greco c'è un participio e, benché Paolo parli di sé, è al plurale come il verbo esortiamo. Le parole di Dio 1 09
mancano nel testo greco, perciò CEI e PAOL. traducono «come collaboratori suoi», che vuol dire la stessa cosa. Il senso infatti è quello, perché Dio è stato menzionato per ultimo al v. 20d (e in 20b è soggetto del verbo esortare usato anche qui nel v. l ). Il verbo «collaborare» è usato spesso quando Paolo parla di ministeri, cfr. l ,24 e I Corinzi 3 ,9 e 1 6, 1 6. In I Tessalonicesi 3,2 Timoteo è chiamato «collaboratore di Dio». Nel nostro passo Diodati evitava questo termine e traduceva: «Or essendo operai nell' ope ra sua» [il corsivo è del Diodati] . E in nota proponeva come alternativa: «Or operando per parte nostra in ciò ». Possiamo domandarci se è soltanto a questo punto che Paolo torna a prendere di petto la situazione di Corinto. Questo vorrebbe dire che i vv. 1 4-2 1 sono un insegna mento generale, valido per tutti i credenti. Certo è valido per tutti i credenti - ma è difficile che Paolo abbia dato tanto rilievo al tema della riconciliazione senza tener presente che la chiesa di Corinto era divisa in partiti (cfr. I Cor. cap. 3) e che era in guerra con il suo fondatore. Sembra difficile pensare che l ' opera riconciliatrice di Dio in Cristo e gli appelli alla riconciliazione non si riferi scano a queste situazioni concrete. In questo caso, la lette ra sarebbe (come quasi sempre accade) pertinente alla situazione dei destinatari . L' appello di Paolo ai corinzi è rafforzato nel v. 2ab con la citazione di Isaia 49,8 ripresa esattamente dal greco della LXX. La conclusione del v. 2 applica, con gioiosa insisten za, la promessa del profeta al presente dei lettori : ora è il giorno della salvezza perché Cristo è venuto e perché il suo evangelo è stato predicato.
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26. UN MINISTERO IRREPRENSIBILE SVOLTO IN CONDI ZIONI PROIBITIVE (6,3- 1 0) 3Noi non diamo nessun motivo di scandalo affin ché il nostro servizio non sia biasimato; 4ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, 5nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; 6con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con Io Spirito Santo, con amore sincero; 7con un parlare veritiero, con la potenza di Dio; con le armi della giusti zia a destra e a sinistra; 8nella gloria e nell'umilia zione, nella buona e nella cattiva fama; considerati come impostori, eppure veritieri; 9come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non mess.i a morte; 10come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!
Potremmo anche titolare questo brano: «Quale il mes saggio, tale il messaggero» . La condizione in cui opera l' apostolo e il suo modo di lavorare corrispondono al tipo di evangelo che egli porta nel mondo. La via della croce, che Gesù Cristo ha percorso, segna anche il cammino dell' apostolo (cfr. 1 3 ,4c: «anche noi siamo deboli in lui»). È vero che il traguardo di questo cammino è la speranza della risurrezione ( 1 3,4d: «vivremo con lui mediante la potenza di Dio»), ma questo non vuoi dire evitare le prove. Apparentemente era proprio questo, che alcuni corinzi rimproveravano a Paolo. Ed egli reagisce vivacemente, non solo insistendo sull' evangelo del Cristo crocifisso (cfr. I Cor. 1 ,22-23), ma mettendo anche la sua persona e la sua atti vità di apostolo nella dimensione e nella prospettiva della croce (cfr. I Cor. 2,2-5). 111
È la stessa cosa che succede nel nostro passo: dopo aver presentato in 5 , 1 1 - 2 1 il messaggio della riconcilia zione attraverso la morte di Cristo, in 6,3 - 1 O Paolo presen ta se stesso e il suo servizio (v. 4) come riflesso di quel tipo di messaggio che gli è stato affidato. L' introduzione del brano (vv. 3-4a) è centrata sulla nozione di servizio. Cfr. v. 3a: servizio (greco: diaconia) e 4a: come servitori (greco: diaconi) di Dio. Il greco del v. 3 non ha il possessivo «nostro» davanti a servizio: Paolo si riferisce ancora al v. 5, 1 8 che parlava del servizio della riconciliazione. Quel servizio, nel quale Paolo è impegna to, non presta il fianco a scandalo (v. 3a) o a biasimo (v. 3b ). Questo non vuoi dire che Paolo si sottragga alle criti che: no, ma devono venire da Dio (cfr. I Cor 4,3-4: «colui che mi giudica è il Signore»). Nelle sue lettere, «biasimo» e «biasimare» non sono termini usati per le critiche di Dio, ma sempre soltanto per rimproveri umani (cfr. 8,20) . L' inizio del v. 4 dovrebbe essere tradotto più esatta mente: Ma come servitori di Dio, raccomandiamo noi stessi in ogni cosa con grande costanza (greco: hypomone'): i servitori di Dio non si raccomandano con ciò che è apparenza (5, 1 2) ma con una condotta corrispondente ali ' evangelo annunziato, e la costanza nel lavoro aposto lico ne fa parte. Cfr. anche quello che Paolo dice sulla «pazienza» (in greco è la stessa parola qui tradotta con «costanza») in 1 2, 1 2 . Segue u n quadro delle «credenziali» del vero aposto lo di Gesù Cristo, in forma di piccolo poema di quattro strofe. La prima è di tre versi, che elencano nove prove o difficoltà apostoliche, sempre precedute dalla stessa preposizione greca en tradotta «nel/nella» . La seconda strofa, di quattro versi, elenca otto punti di forza dell' attività apostolica (sempre con la stessa preposizione greca en, qui tradotta «con»). La terza strofa indica tre situazioni o circostanze in cui si svolge l ' atti vità apostolica (qui la preposizione greca è dia, in italia no una volta «con» e due volte «nella»). 1 12
La quarta strofa, di sette versi, non ha preposizioni, ma è formata solo da aggettivi e participi (o in italiano gerundi) con una sola eccezione, alla fine del terzo verso: viventi, in greco è, letteralmente, «viviamo». Questi sette versi tratteggiano la dialettica, o il paradosso, dell'esi stenza apostolica: gli apostoli sono disprezzati dal mondo, considerati impostori, sconosciuti (cioè gente senza lette re di presentazione), persone dall ' esi stenza precaria, condannati dai tribunali , afflitti, poveri, senza mezzi eppure, agli occhi di Dio e dei pochi che credono alla loro predicazione, sono veritieri, riconosciuti come uomini di Dio, viventi malgrado le sofferenze e le condanne, sereni, ricchi spiritualmente e capaci di arricchire gli altri. Ecco qui di seguito la struttura di questo piccolo poema in forma strofica: Nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie,
5 nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti,
nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni,
6 con purezza, con conoscenza,
con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero,
7 con la parola di verità, con la potenza di Dio;
con le armi della giustizia a destra e a sinistra,
8 nella gloria e nell' umiliazione,
nella buona e nella cattiva fama. Considerati come impostori, eppure sinceri,
9 come sconosciuti, eppure ben conosciuti,
come moribondi, eppure eccoci viventi, lO
come puniti, eppure non messi a morte, come afflitti, eppur sempre allegri, come poveri, eppure arricchenti molti, come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa.
Alcune note esplicative: al v. 6c «con lo Spirito Santo» in greco è senza l' articolo, quindi si dovrebbe piuttosto dire «con spirito santo», o «con spirito consacrato» . Anche al rigo seguente (7a), manca l' articolo: con parola (cioè con una predicazione) veritiera.
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In 7b le «armi di giustizia» sono le armi fomite dalla giustizia di Dio, non da quella degli uomini, quindi non sono armi materiali . Sono le due cose menzionate nel verso precedente: la parola e la potenza di Dio. La povertà degli ultimi due versi si riferisce alla situazione materia le, invece la ricchezza e la capacità di arricchire il prossi mo si riferiscono alla vita spirituale.
27 . APPELLO PATERNO DI PAOLO AI CRISTIANI DI CORINTO (6, 1 1 - 1 3) 11 La nostra bocca vi ha parlato apertamente, Corinzi; il nostro cuore si è allargato. 1 2Voi non siete allo stret to in noi, ma è il vostro cuore che si è ristretto. 1 30ra, per renderei il contracéambio (parlo come a figli), allargate il cuore anche voi!
Ci sono solo altri due passi in cui l' apostolo si rivol ge ai suoi lettori chiamandoli con ·il loro nome etnico o cittadino: quando si rivolge ai galati (Gal. 3 , 1 ) e ai filip pesi (Fil. 4, 1 5) . Tutti e tre questi passi dimostrano grande calore e sentimenti molto intensi. Paolo dichiara che finora ha scritto (o parlato) senza riserve mentali, a cuore aperto (v. 1 1 ). E aggiunge (v. 1 2): non siete allo stretto in noi (che vuol dire: nel mio cuore c'è e ci sarà spazio per voi) - è nei vostri cuori che c'è poco spazio ! Il greco invece di «cuori» dice «visceri», ma questo termine aveva lo stesso senso figurato che ha il «cuore» nella nostra lingua, quello di sede dei sentimenti e degli affetti. Se i corinzi prendono atto di questo generoso affetto di Paolo, c'è un solo modo di contraccambiare (e Paolo lo propone parlando come parlerebbe a dei figli): che anche loro spalanchino il loro cuore, che tornino ad accoglierlo con affetto. Questo appello, Paolo tornerà a ripeterlo in 7 ,2-4. 1 14
28. L' IMPEGNO RICHIESTO AI FEDELI {6, 1 4 - 7 , 1 ) 1 4Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi ; infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? 15E quale accordo tra Cristo e Beliar? O quale relazio ne c'è tra il fedele e l'infedele? 1 6E che armonia c'è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio: «Abiterò e
camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saran no il mio popolo. 1 7Perciò, uscite di mezzo a loro e separa tevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'impuro; e io vi accoglierò. 18E sarò per voi come un padre e voi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente».
1 Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, puriti chiamoci da ogni contaminazione di carne e di spiri to, compiendo la nostra santiticazione nel timore di Dio.
Abbiamo visto che dopo aver esposto l' evangelo della riconciliazione in Cristo, Paolo ha descritto l' esistenza apostolica corrispondente a quel tipo di predicazione. Nei versetti che ora andiamo a esaminare, è esposto anche l ' impegno che si esige dai fedeli: accettare l ' evangelo significa rompere con gli increduli, col paganesimo. È impossibile mescolare la fede con l ' incredulità. Invece di mescolare, il v. 14 usa l ' immagine del mettere sotto lo stesso giogo cose diverse (cfr. Lev. 1 9 , 1 9 e Deut. 22, 1 0). Quest' esortazione è appoggiata anzitutto da cinque domande retoriche, che mettono in evidenza le incom patibilità fondamentali della vita di fede. Esse sono conte nute nei versetti 1 4b, 14c, 1 5a, 1 5b, 1 6a. Segue la citazio ne di alcuni passi biblici ( vv. 1 6c - 18): anzitutto da Levitico 26, 1 2 ed Ezechiele 37,27; poi da lsaia 52, 1 1 ed Ezechiele 20,34; infine c'è una reminiscenza di II Samuele 7, 14. Le citazioni nei vv. 1 6cd sono promesse, e così pure quelle di 1 7d e 1 8; invece quelle di 1 7 abc sono esortazioni che 1 15
riprendono la tematica delle domande retoriche dei vv. 1 4- 1 6. I fedeli devono «uscire» dall'ambiente degli incre duli (come gli esuli israeliti da Babilonia), «separarsi» dal male e «non toccare» nulla di impuro, perché essi sono il tempio del Dio vivente (v. 1 6b ). L' immagine dei credenti come tempio di Dio è usata altrove in senso individuale (l Cor. 3 , 1 6; 6, 1 9) mentre qui sembra riferi ta alla comunità nel suo insieme. Il messaggio delle domande retoriche e delle esorta zioni bibliche è riassunto in 7, l : si tratta di purificarsi di ogni contaminazione di carne e spirito e di compiere la propria santificazione nel timore di Dio. Questi sei versetti sembrano fuori posto: infatti 7,2 (fateci posto nei vostri cuori!) riprende perfettamente il filo del discorso interrotto alla fine di 6, 1 3 . Inoltre il tono esortativo contrasta con quello apologetico dei capitoli precedenti. Potrebbe trattarsi di una pagina che si è sposta ta dal giusto ordine dei fogli ? Ma è anche possibile che si tratti di un foglio di un altro scritto, non di Paolo, finito in mezzo ai fogli della II Corinzi : infatti molte parole ed espressioni di questi sei versetti non sono mai usate altro ve da Paolo (per esempio, Belial, o come disse Iddio).
29 . RIPRESA E FINE DELL' APPELLO PATERNO DI 6, 1 1 1 3 (7,2-4) 2Fateci posto nei vostri cuori! Noi non abbiamo fatto torto a nessuno, non abbiamo rovinato nessuno, non abbiamo sfruttato nessuno. 3 Non lo dico per condannarvi, perché ho già detto prima che voi siete nei nostri cuori per la morte e per la vita. 4 Grande è la franchezza che uso con voi e molto ho da vantarmi di voi; sono pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione.
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L' invito a spalancare il loro cuore riprende l' appello di 6, 1 3 . Ma c'è anche chi traduce «cercate di capirmi» (è lo stesso verbo greco di Mt. 1 9, 1 1 ). Nel resto del v. 2 Paolo respinge calunnie che circolavano su di lui (lo fa molto più energicamente in 1 2, 1 7- 1 8), ma non ne dà la colpa ai corinzi (v. 3): essi sono nel suo cuore, né morte né vita potranno estinguere il suo affetto per loro. E insie me all ' affetto, Paolo ha verso di loro anche un' assoluta libertà di dire quello che pensa (franchezza, v. 4), anzi, è orgoglioso di loro (molto ho da vantarmi di voi), e questo lo riempie di gioia e di consolazione. [l vv. 5 - 1 6 di questo capitolo 7 li abbiamo già esami nati dopo 2, 1 3 perché raccontano l ' incontro di Paolo con Tito e la gioia che Paolo ne ha ricevuto. Vedi pp. 60 ss.] .
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PARTE TERZA DUE CAPITOLI DI RACCOMANDAZIONE DELLA COLLETTA
I capp. 8 e 9 sono capitoli molto belli : si sente vibra re uno spirito di solidarietà per quelli che dovranno riceve re il denaro della colletta, e uno spirito pastorale per quelli che sono chiamati a contribuire. Sono capitoli di una vera lettera, apostolica e fraterna, senza le polemiche che riempiono buona parte della II Corinzi .
Primo appello 8,1-24
30. L' ESEMPIO DELLA MACEDONIA (8, 1 -5) 10ra, fratelli, vogliamo farvi conoscere la grazia che Dio ha concessa alle chiese di Macedonia, 2perché nelle molte tribolazioni con cui sono state provate, la loro gioia incontenibile e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nelle ricchezze della loro generosità. 3Infatti, io ne rendo testimonianza, hanno dato volen tieri, secondo i loro mezzi, anzi, oltre i loro mezzi, 4chiedendoci con molta insistenza il favore di parte cipare alla sovvenzione destinata ai santi. 5E non soltan to hanno contribuito come noi speravamo, ma prima hanno dato sé stessi al Signore e poi a noi, per la volontà di Dio.
Nei primi cinque versetti Paolo mette in evidenza due esperienze fatte nelle chiese della Macedonia (ricordiamo che in Macedonia c'erano Filippi, Tessalonica e Berea, cfr. Atti 1 6,6 - 17, 1 5 . È specialmente la comunità di Filippi a essere ricordata anche altrove per la sua grande generosità: 121
Fil. 4, 10- 1 9). La prima esperienza è che i più poveri sono anche spesso i più generosi (v. 2). La seconda è che non si può dare denaro, solidarietà, affetto se non ci si è dati prima di tutto al Signore (v. 5): la generosità verso il prossimo è un aspetto e un frutto della consacrazione a Dio. È per questo che Paolo rovescia in un certo senso la prospetti va: invece di parlare della generosità dei creden ti di Macedonia, o del loro impegno finanziario, parla dellagrazia che Dio ha concesso a quelle comunità. Essere generosi non è una virtù esemplare, ma un dono di Dio ! E questo è accaduto nonostante le severe prove che hanno colpito quei fratelli (si veda il passo citato degli Atti e l ' epistola ai Filippesi). Non solo le chiese di Macedonia hanno contribuito generosamente alla colletta (v. 3 ) , ma hanno chiesto insistentemente di poter prendere parte a questo sforzo di solidarietà. Erano stati Giacomo, Pietro e Giovanni a chiedere a Paolo di «ricordarsi dei poveri» (Gal . 2, 1 0) In quest' ul timo passo, Paolo scrive anche che dopo aver ricevuto quella richiesta si era dato da fare per soddisfarla. Ne abbiamo un esempio in I Corinzi 1 6, 1 -4: lì ci sono delle istruzioni molto pratiche per organizzare quella grande colletta. Paolo vedeva nella colletta non solo un soccor so materiale per i poveri delle comunità palestinesi, ma anche un significato simbolico di comunione, fraternità e riconoscimento reciproco come parti di un solo e medesi mo popolo di Dio. È interessante leggere che i credenti della Macedonia hanno dato se stessi al Signore e poi a noi (v. 5). Con queste ultime tre parole Paolo vuoi dire che i fratelli hanno accettato entusiasticamente le sue proposte, anzi le hanno fatte proprie, per l ' amore che gli portavano e per il molto che avevano ricevuto da lui, dal suo insegnamento; questa riconoscenza non è un merito di quelle chiese, ma un segno della volontà di Dio. .
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3 1 . LA COLLEITAA CORINTO: ESORTAZIONEACOMPLE TARLA (8,6- 1 2) 6 Così, noi abbiamo esortato Tito a completare, anche tra voi, quest'opera di grazia, come l'ha inizia ta. 7Ma siccome abbondate in ogni cosa, in fede, in parola, in conoscenza, in ogni zelo e neli' amore che avete per noi, vedete di abbondare anche in quest'o pera di grazia. 8Non lo dico per darvi un ordine, ma per mettere alla prova, con l'esempio dell'altrui premu ra, anche la sincerità del vostro amore. 9Infatti voi conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affin ché, mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi. 10Io do, a questo proposito, un consiglio utile a voi che, dali 'anno scorso, avete cominciato per primi non solo ad agire ma anche ad avere il desiderio di fare: 11fate ora in modo di portare a termine il vostro agire; come foste pronti nel volere, siate tali anche nel realizzarlo secondo le vostre possibilità. 12La buona volontà, quando c'è, è gradita in ragione di quello che uno possiede e non di quello che non ha.
Dopo l' elogio dei macedoni , Paolo passa a parlare della colletta in corso a Corinto, e così veniamo a sapere che era stato Tito a iniziare la raccolta, forse nella sua prima visita (o in una visita apposita?) e sarà ancora lui a doverla completare (v. 6) facendo leva sui buoni senti menti di cui sono ricchi i corinzi (v. 7). In questi due versetti Paol o interpreta il sentimento che la colletta dovrebbe esprimere, chiamandola (nel testo greco) «questa grazia». La Nuova RIV la chiama «quest'opera di grazia», la CEI «quest' opera generosa» . Paolo è più sintetico e radicale dei suoi traduttori ! Anche se ha citato l ' esempio dei macedoni, però, insiste che la colletta sia la prova della sincerità del loro amore (greco agape), non solo ubbidienza a un ordine ricevuto da lui. 1 23
Il v. 9 dà un fondamento cristologico all' esortazione per la colletta: dare via una parte del proprio denaro signi fica fare, in piccolo, qualcosa di analogo a ciò che fece il Cristo. Da ricco che era, essendo presso Dio prima dell ' incarnazione, si èfatto povero per amore degli umani, affinché grazie al suo abbassamento, alla sua accettazio ne del destino di servo (Isaia 53) e alla sua morte essi potessero diventare ricchi certo non in senso econo mico, ma in senso spirituale: la ricchezza dei discepoli consiste nell' amore e nella grazia di Dio, nella riconci liazione, nella comunione con Cristo, nei doni dello Spirito santo. È una ricchezza che non dev' essere goduta egoisti camente, ma condi vi sa con il prossimo, facendosi carico, nell' amore (agape), anche dei suoi problemi economici. Paolo insiste perché dopo aver ben cominciato, i corin zi concludano l' impresa, contribuendo ciascuno secon do le sue possibilità (v. 1 1 ). Nessuno è richiesto di dare quello che non ha. Ma in base a ciò di cui dispone, deve fare un gesto di buona volontà che sarà gradita (v. 12. Non è detto gradita da chi: da Dio? O da Paolo? O dai poveri della Giudea? Le tre ipotesi sono possibili). -
32. UNA MANO LAVA L' ALTRA (8, 1 3- 1 5) 1 3Infatti non si tratta di mettere voi nel bisogno per dare sollievo agli altri, ma di seguire un principio di uguaglianza; 14nelle attuali circostanze, la vostra abbon danza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro bisogno, affin ché ci sia uguaglianza, secondo quel che è scritto: 15«Chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi aveva raccolto poco, non ne ebbe troppo poco».
Il proverbio usato per titolo esprime il senso del commento che l' apostolo fa nei vv. 1 3 - 1 5 : i corinzi, trovan1 24
dosi in situazione relativamente migliore dei poveri della Giudea (che sono fra i credenti o santi, come si legge in Rom. 1 5 ,26), li aiutano con il loro denaro. Non è esclu so che un giorno, se i corinzi si trovassero in difficoltà, i cristiani della Giudea (o di qualche altra regione) non facciano la stessa cosa (v. 14 ). Lo scopo delle collette non è di impoverire i contribuenti per arricchire quelli che ricevono gli aiuti, ma di tendere all' equilibrio fra chi ha bisogno e chi può dare del suo (vv. 1 3 e 1 5). In Romani 1 5 ,27 c'è un pensiero molto diverso: che i cristiani di origine pagana sono comunque debitori a quelli della Giudea, perché è sempre da loro che è partito l ' annunzio dell' evangelo. Quindi devono sdebitarsi per quello che hanno ricevuto, aiutando materialmente i loro poveri .
3 3 . IL COMPITO ASSEGNATO A TITO (8, 1 6-24) 1 6Ringraziato sia Dio che ha messo in cuore a Tito lo stesso zelo per voi; 1 7infatti Tito non solo ha accet tato la nostra esortazione, ma mosso da zelo anche maggiore si è spontaneamente messo in cammino per venire da voi. 1 8Insieme a lui abbiamo mandato il fratello il cui servizio nel vangelo è apprezzato in tutte le chiese; 1 9non solo, ma egli è anche stato scelto dalle chiese come nostro compagno di viaggio in quest'o pera di grazia, da noi amministrata per la gloria del Signore stesso e per dimostrare la prontezza dell'ani mo nostro. 20Evitiamo così che qualcuno possa biasi marci per 1, uest'abbondante colletta che noi ammini striamo; 2 perché ci preoccupiamo di agire onesta mente non solo davanti al Signore, ma anche di fronte agli uomini. 22E con loro abbiamo mandato quel nostro fratello del quale spesso e in molte circostanze abbia mo sperimentato lo zelo; egli è ora più zelante che mai per la grande fiducia che ha in voi. 23 Quanto a Tito,
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egli è mio compagno e collaboratore in mezzo a voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono gli inviate dalle chiese, e gloria di Cristo. 24Date loro dunque, in presen za delle chiese, la prova del vostro amore e mostrate loro che abbiamo ragione di essere fieri di voi.
Abbiamo visto che Tito dovrà completare la raccolta delle contribuzioni: Paolo sottolinea (v. 17) lo zelo e la spontaneità con cui il suo collaboratore, ispirato da Dio (v. 1 6) si è accinto al compito (non è mai facile collettare !). Insieme a Tito andranno a Corinto altri due fratelli, menzionati uno ai vv. 1 8- 1 9 e l' altro al v. 22. Purtroppo non se ne fa il nome. Il primo è conosciuto e lodato in tutte le chiese come buon predicatore, il secondo è noto per il suo grande zelo, e in più ha molta fiducia nella generosità dei corinzi. Il primo è stato anche scelto dalle chiese per questo compito (v. 19) - anzi, tutti e due sono inviati dalle chiese e sono persone che fanno onore al Cristo (v. 23). Questo modo di lavorare in gruppo, nelle questioni di denaro, specialmente quando si tratta di una abbondante colletta (v. 20), è dovuto alla preoccupazio ne apostolica di agire onestamente (v. 2 1 ) non solo agli occhi di Dio, ma anche a quelli degli uomini, e di evitare qualsiasi sospetto o biasimo (v. 20). Che fra i corinzi i sospetti non mancassero lo vedremo leggendo 1 2, 1 6- 1 8 . Il capitolo termina (v. 24) con un ultimo invito ai corin zi: mostrino con la loro generosità la grandezza del loro amore, e confermino la fiducia che Paolo ripone in loro !
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Secondo appello (9,1-15)
Per la terza volta ci troviamo davanti a un enigma di questa lettera. Il primo l ' avevamo trovato in 2, 1 3 quando la lettera cambiava improvvisamente argomento: per trovare il seguito della ricerca di Tito in Macedonia erava mo saltati a 7,5. Il secondo enigma era in 6, 1 3 con l ' esor tazione a allargare il cuore. Questa aveva la sua conti nuazione in 7,2: Fateci posto nei vostri cuori! Il terzo enigma che ora ci troviamo di fronte è un po' diverso: come mai Paolo, dopo aver parlato per tutto il cap. 8 della colletta per i poveri della Giudea, ora ricomincia da capo in 9, 1 come se non avesse mai parlato dell' argomento? E non solo questo: nel cap. 8 si portava la generosità dei cristiani di Macedonia come esempio per quelli di Corinto (vv. 1 -5). Qui succede il contrario, come vedre mo: al v. 2 Paolo dice di vantarsi presso i macedoni dello zelo dei corinzi. Per risolvere il problema si può pensare che in origine il cap. 9 si trovasse al posto del cap. 8 e viceversa. Oppure che il cap. 8 fosse destinato ai fratelli di Corinto e il cap. 9 a quelli delle piccole comunità dell' Acaia (regione della Grecia che aveva Corinto per capitale): L' Acaia è menzionata al v. 2, ma anche alla fine di 1 , 1 . Oppure ancora, che i due appelli facessero parte di due lettere diverse (cfr. «Conclusioni», Il, pp. 1 7 1 ss.): il primo (cap. 8) sarebbe stato scritto quando la colletta a Corinto era ancora agli inizi, l' altro (cap. 9) quando era già bene avviata e poteva costituire un esempio per altre chiese. Sia l ' enigma, sia le sue soluzioni, hanno un' impor tanza relativa: quello che conta è che lo stile e i pensieri del cap. 8 e del cap. 9 sono chiaramente paolini. Prendere atto di qualche problema non vuol dire negare l' autenti cità e la verità di questi due capitoli. 1 27
34. GARA DI GENEROSITÀ TRA MACEDONIA E ACAIA (9, 1 -5) 1Quanto alla sovvenzione destinata ai santi, è super fluo che io ve ne scriva, 2perché conosco la prontezza dell'animo vostro, per la quale mi vanto di voi presso i Macedoni, dicendo che l' Acaia è pronta fin dall'an no scorso; e il vostro zelo ne ha stimolati moltissimi. 3Ma ho mandato i fratelli affinché il nostro vantarci di voi non abbia a essere smentito a questo riguardo; e affinché, come dicevo, siate pronti; 4non vorrei che, venendo con me dei Macedoni e non vedendovi pronti, noi (per non dire voi) abbiamo a vergognarci di questa nostra fiducia. 5Perciò ho ritenuto necessario esorta re i fratelli a venire da voi prima di me e preparare la vostra già promessa offerta, affinché essa sia pronta come offerta di generosità e non d'avarizia.
In questi versetti Paolo spiega quale sia la funzione dei fratelli mandati a Corinto (o in Acaia, cfr. v. 2) per la colletta: avendo parlato in Macedonia della prontezza e dello zelo dei cr�denti, egli ha mandato quei fratelli per battere il ferro mentre è caldo, e perché il bene che Paolo ha detto di loro ai cristiani di Macedonia non sia smenti to (v. 3) e lui non debba vergognarsi di aver avuto fiducia in loro (v. 4). I fratelli mandati da Paolo dovranno agire perché la promessa di contribuzioni diventi realtà e le offerte siano pronte e generose, senza tirchieria (v. 5).
35 . GENEROSITÀ E BENEDIZIONI (9,6- 1 1 ) 60ra dico questo: chi-semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente. 7Dia ciascuno come 1 28
ha deliberato in cuor suo; non di mala voglia, né per forza, perché Dio ama un donatore gioioso. 8Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia, affin ché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondiate per ogni opera buona; 9come sta scritto: «Egli ha profuso, ef/i ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». ° Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia. 11Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi.
La generosità nel dare è illustrata con l' immagine della sèmina. Proverbi 1 1 ,24 dice che chi dona con generosità diventa più ricco, mentre chi è tirchio diventa sempre più povero. Forse Paolo aveva questo passo biblico in mente quando formulò il v. 6? L' offerta del credente dev'essere come la suggerisce il cuore, senza lasciare spazio a ulterio ri preoccupazioni ; e deve anche essere spontanea, perché Dio gradisce chi dona con gioia (v. 7). Non solo: Dio farà anche abbondare la sua grazia su quelli che sono genero si, perché possano non solo avere il necessario, ma anche essere sempre più generosi verso chi è nel bisogno (v. 8). Nell'A. T. la bontà di Dio si identificava anche con la sua giustizia. La giustizia di Dio non consiste nel punire i catti vi e premiare i buoni, ma nell'essere fedele alla sua promes sa di salvare gli uni e gli altri perché possano sempre più diventare figli suoi . Il v. 9 illustra il v. 8 parlando appun to di questa giustizia/bontà di Dio (la citazione dal Salmo 1 1 2,9 non corrisponde esattamente alle parole del Salmo nelle nostre Bibbie, perché è presa dalla traduzione greca dell'A. T. , la Settanta). Questa generosità di Dio permet te ai credenti di essere anche loro generosi (cfr. la parabo la del servitore spietato per un esempio opposto, adegua tamente punito, Matteo 1 8,23-35). Al v. l O, anche la genero sità dei credenti nella colletta è chiamata la vostra giusti zia: essa sarà benedetta e moltiplicata da Dio nei suoi effet1 29
ti, e alla fine da tutto questo nascerà un coro di ricono scenza a Dio, grazie anche al lavoro promozionale e organiz zativo dell ' apostolo (per mezzo di noi).
36. EFFETII DELLA GENEROSITÀ (9, 1 2- 1 5) 1 2Perché l'adempimento di questo servizio sacro non solo supplisce ai bisogni dei santi ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio; 13perché la prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Dio per l'ubbidienza con cui professate il vangelo di Cristo e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. 14Essi pregano per voi, perché vi amano a causa della grazia sovrabbondan te che Dio vi ha concessa. 15Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile!
Grazie alle benedizioni divine, i lettori potranno essere veramente generosi, e il ringraziamento a Dio da parte di chi è soccorso sarà ancora più grande (v. 1 2) : essi infat ti vedranno concretamente l ' ubbidienza e la generosità dei loro fratelli. L' ubbidienza si manifesta nel vivere l ' evangelo non solo con le parole, ma anche con i gesti di amore e solidarietà, e la generosità si manifesta nella comunione fraterna con tutti, specialmente con quelli che sono nel bisogno (v. 1 3) . Ma oltre a ringraziare, i fratelli della Giudea preghe ranno anche per quelli delle comunità greche, verso le quali provano amore perché Dio li ha colmati della sua grazia. Alla comunione dell' aiuto fraterno si aggiunge qui la comunione dell' amore e della preghiera (v. 14). Paolo è consapevole che la generosità dei fratelli d' oltre mare è una conseguenza della grazia di Dio che è stata loro elargita: perciò vi sarà, anzi già vi è adesso, nel suo cuore e nelle sue parole, un commosso ringraziamento a Dio per il dono della sua grazia fatto ai credenti (v. 1 5).
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PARTE QUARTA DIFESA DELLA LEGITTIMITÀ APOSTOLICA DI PAOLO
Questa quarta e ultima parte della II Corinzi (capp. 1 0- 1 3) si distingue da tutte le altre per il suo tono aspra mente polemico. Paolo si esprime come potrebbe farlo uno che è attaccato a torto, la cui legittimità e autorità apostolica sono contestate. Usa un tono e uno stile che contrastano sia con quello pastorale e esortati v o dei c app. 8 e 9, sia con quello del capitolo 7 dove predominavano i sentimenti di gioia e riconciliazione. Dobbiamo dunque pensare che dopo la riconciliazio ne ci sia stata un' altra rottura, e che la comunità abbia ripreso a contestare ancora più vivacemente il suo aposto lo? Molti commentatori lo pensano: ormai sono cadute le speranze di pace. La comunità di Corinto è vittima dei predicatori itineranti (falsi apostoli) che predicano un altro Vangelo e che montano gli animi contro Paolo. A lui non rimane altro che controbattere le loro accuse, servendosi anche (in parte, e contro voglia) di argomen ti simili a quelli che loro usano contro di lui. Questo però non gli impedisce di pensare a un' altra visita a Corinto: ne e arla nel capitolo 1 3 . E quasi inevitabile pensare che sia passato qualche tempo fra la composizione (e l ' invio) dei primi nove capitoli, e la data di composizione dei capp. 1 0- 1 3 . Non basta supporre che Paolo abbia dormito male una notte, per giustificare un cambiamento così marcato di tono e di sentimenti. I capp. 1 0- 1 3 sarebbero dunque la parte centrale e finale di una nuova lettera di cui si sarebbe perduto il primo foglio, che doveva contenere il saluto e le formule abituali di apertura del discorso. Non possiamo fare a meno di menzionare un' altra ipotesi che spiega anch' essa il brusco cambiamento di tono fra i ca pp. 1 -9 e l 0- 1 3 . Cioè che questi quattro capito li siano la lettera (o un' ampia parte della lettera) che l' apo stolo scrisse «in grande afflizione e in angoscia di cuore con molte lacrime» (cfr. 2,4) . Quella lettera scritta con 1 33
molte lacrime ci sarebbe del tutto sconosciuta, a meno che i capp. 1 0- 1 3 ne facessero parte. Che differenza fa accogliere la prima o la seconda ipotesi? Direi anzitutto quale differenza non fa: in entram bi i casi bisogna pensare che si siano saldate insieme lette re scritte in momenti diversi, proprio per la grande diver sità di stile, di tono, di sentimenti. Nel primo caso, i capp. 1 0- 1 3 segnerebbero l ' ultima fase dei rapporti di Paolo con la comunità di Corinto. Tito si sarebbe sbagliato valutando positivamente gli sviluppi del rapporto fra la comunità e l ' apostolo, e dopo la sua partenza (e dopo le espressioni di gioia e riconoscenza di Paolo per la pace e la fiducia ritrovate) ci sarebbe stata una seconda crisi che portò alla composizione dei capitoli l 0- 1 3 . La storia di Paolo e dei corinzi sarebbe dunque finita nel peggio re dei modi. Nel secondo caso, cioè nel caso che i ca pp. l 0- 1 3 siano stati parte della «lettera scritta con molte lacrime», l ' osti lità, i rancori, le polemiche sarebbero una cosa passata. L' ultima parola sui rapporti fra chiesa e apostolo sareb bero i sentimenti di riconciliazione formulati nel cap. 7,51 6. Se così fosse, potremmo facilmente credere che Paolo si sia trattenuto tre mesi a Corinto (At. 20,2-3) per scrive re la lettera ai Romani, prima di intraprendere il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme - viaggio che lo portò ali' ar resto e poi alla prigionia romana. Ma passiamo senz' altro alla lettura dei capitoli 1 0- 1 3 . Nel cap. 1 0 Paolo respinge accuse rivolte al suo aposto lato. Da 1 1 , 1 a 1 2, 1 3 fa un «discorso da pazzo» in tre punti. Nel resto prepara una sua futura visita a Corinto.
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37. PAOLO RESPINGE CRITICHE E MINACCIA PROVVE DIMENTI ADEGUATI ( 1 0, 1 - 1 1 ) 1 Io, Paolo, vi esorto per la mansuetudine e la mitez za di Cristo, io, che quando sono presente tra di voi sono umile, ma ,uando sono assente sono ardito nei vostri confronti, vi prego di non obbligarmi, quando sarò presente, a procedere arditamente con quella fermezza con la quale intendo agire contro taluni che pensano che noi camminiamo secondo la carne. 3In realtà, sebbene viviamo nella carne, non combattia mo secondo la carne; "infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distrug gere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti 5e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscen za di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo; 6e siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa. 7Voi guardate all'apparenza delle cose. Se uno è convinto dentro di sé di appartenere a Cristo, consideri anche questo dentro di sé: che com'egli è di Cristo, così lo siamo anche noi. 8Infatti se anche voles si vantarmi un po' più dell'autorità, che il Signore ci ha data per la vostra edificazione e non per la vostra rovina, non avrei motivo di vergognarmi. 9Dico questo perché non sembri che io cerchi d'intimidirvi con le mie lettere. 1 0Qualcuno dice infatti: «Le sue lettere sono severe e forti; ma la sua presenza fiSica è debole e la sua parola è cosa da nulla». 11Quel tale si convin ca che come siamo a parole, per mezzo delle lettere, quando siamo assenti, così saremo anche a fatti quando saremo presenti. ·
Il primo brano della parte polemica della lettera mette le carte in tavola: Paolo è stato accusato di debolezza e incapacità. Tutta la polemica dei capp. l 0- 1 3 ha come punto 1 35
di partenza queste accuse, alle quali si aggiunge, come conseguenza, quella di non legittimità del suo apostolato. È importante osservare che il passo l O, 1 - 1 1 è aperto e chiuso con il riferimento a queste critiche. In l be leggia mo: quando sono tra voi sono umile, ma quando sono assente sono ardito nei vostri confronti. Questa è chiara mente una citazione delle critiche della comunità, che saranno riprese alla fine del brano (con una precisa formu la di citazione: Qualcuno dice. . , v. 1 0). Il greco non dice «Umile», ma tapein6s (cfr. il nostro «tapino» ; PAOL. traduce «meschino»). Paolo si ispira alla mansuetudine e alla mitezza di Cristo - quel Cristo che pur essendo in forma di Dio, spogliò se stesso prendendo forma di servo, Filippesi 2,6-7. Ma il farsi conformi alla mitezza di Cristo può facil mente essere preso per debolezza e l' assenza di discorsi magniloquenti può essere scambiata per rozzezza nel parla re (cfr. anche 1 1 ,6). Questo accade specialmente quando i critici di una persona giudicano quello che fa in base ali' apparenza (7 a) . Questi critici pensano che noi cammi niamo secondo la carne (2e ), cioè secondo criteri puramen te umani. In realtà, dice Paolo, viviamo come creature umane (nella carne, v. 3), ma il nostro comportamento e la nostra battaglia in favore dell' evangelo non sono secon do la carne, cioè conformi a criteri e regole umane ed egoistiche, come potrebbero esserlo l' ambizione (accre scere il proprio prestigio personale) o la presunzione (fidar si troppo delle proprie capacità naturali). La battaglia per l' evangelo non si combatte con armi di questo mondo, ma con la potenza di Dio (v. 4). Il suo obiettivo non è distruggere le installazioni militari o i centri nevralgici d' una nazione, ma i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio (v. 5): può trattarsi dell' ambizione dei cristiani di Corinto che cercavano sapienza ed erano restii ad accettare l' evan gelo del Cristo crocifisso (cfr. I Cor. 1 , 1 7-25). Ma potreb be anche essere un' allusione ai falsi apostoli ( 1 1 , 1 3), predi catori di un altro Gesù e di un evangelo diverso ( 1 1 ,4 ). A 1 36
costoro si oppone Paolo, e si propone di farlo sempre più radicalmente quando la comunità sarà ritornata compatta alla sottomissione a Cristo e all ' evangelo (v. 6). Il brano termina com' era cominciato: riportando criti che rivolte all ' apostolo (v. 1 0) giudicato severo quando scrive, ma privo di autorità e incapace di fare discorsi efficaci quando è presente nella comunità. Sia in questo caso sia all' inizio del capitolo, la menzione delle critiche dei corinzi è seguita dalla minaccia di procedere ardita mente e con fermezza (v. 2) o di essere nei fa tti come lo è nelle parole scritte (v. 1 1 ), cioè capace di imporsi con energia. Ma prima di concludere in questo modo, Paolo manda alla comunità quattro messaggi positivi su se stesso e sul suo apostolato: a) anche lui è di Cristo come sono convinti di esser lo i suoi critici (v. 7); b) la sua autorità non viene da qualità naturali che forse non possiede, ma gli è stata data dal Signore (v. 8b) ; c) il Signore gliel ' ha data per l 'edificazione e non per la rovina dei fratelli e della comunità (v. 8b). Distruggere il tempio di Dio, cioè la comunità, sarebbe andare contro la volontà di Dio (cfr. I Cor. 3 , 1 6;. 17); d) tutte queste connotazioni positive del suo ministe ro apostolico (e anche della sua persona) dovrebbero convincere i corinzi (e specialmente la persona a cui alludono i vv. 10 e 1 1 con i pronomi qualcuno e quel tale) che Paolo non ha scritto le sue lettere energiche (v. 1 0) per intimidirli (v. 9). Non bisogna dare ai termini edificazione e edificare un significato formale (il Petit Robert dà per l'equiva lente francese i significati di pieux, vertueux, exemplai re, moral). Nel N.T. questi termini hanno sempre il signi ficato molto concreto di «costruire», cioè mettere in piedi la chiesa, la comunità del Signore.
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3 8 . IL CRITERIO PER VALUTARE L' OPERATO DELL' A POSTOLO ( 1 0, 1 2- 1 8) 1 2Poiché noi non abbiamo il coraggio di classifi carci o confrontarci con certuni che si raccomanda no da sé; i quali però, misurandosi secondo la loro propria misura e paragonandosi tra di loro stessi, mancano d'intelligenza. 1 3Noi, invece, non ci ·vante remo oltre misura, ma entro la misura del campo di attività di cui Dio ci ha segnato i limiti, dandoci di giungere anche fino a voi. 14Noi infatti non oltrepas siamo i nostri limiti, come se non fossimo giunti fino a voi; perché siamo realmente giunti fino a voi con il vangelo di Cristo. 15Non ci vantiamo oltre misura di fatiche altrui, ma nutriamo speranza che, crescendo la vostra fede, saremo tenuti in maggior considera zione tra di voi nei limiti del campo di attività assegna toci, 1 6per poter evangelizzare anche i paesi che sono di là dal vostro senza vantarci, nel campo altrui, di cose già preparate. 17Ma chi si vanta, si vanti nel Signore. 18Perché non colui che si raccomanda da sé è appro vato, ma colui che il Signore raccomanda.
Nel brano precedente si erano udite le critiche rivol te all ' apostolo. Ora in questi versetti egli scende diretta mente in polemica con i suoi avversari. Nel v. 1 2 sembra che il punto in discussione sia quello dei raccomandarsi : ci sono alcuni che si raccomandano da sé. Paolo si era già espresso su questa abitudine di alcuni predicatori, di imporre la loro autorità con lettere di presentazione, e aveva dichiarato di non averne bisogno e neppure di racco mandarsi da sé (cfr. 3, 1 e 5 , 1 2). Ora in 1 2a egli dichiara ironicamente di non voler scendere in lizza con quella gente e paragonarsi con loro (loro lo facevano, parago nando la «debolezza» di lui con la loro facilità di parola e la loro presunta autorevolezza). Il confronto però non procede su questo argomento del raccomandarsi , che 1 38
riaffiorerà soltanto nell ' ultimo versetto ( 1 8), ma si sposta su un altro terreno: quello della misura (greco: Kanon). Questo termine può avere un significato materiale: canna per misurare, come il metro di legno dei geometri o dei negozi di tessuti - oppure un significato figurato: è la «norma» che governa lo svolgimento di una attività, e quindi anche il «criterio» di valutazione o di giudizio per vedere se un pensiero o un ' azione corrispondono alla necessità o allo scopo. Paolo rimprovera ai suoi avversari, i falsi apostoli, di misurare (cioè valutare) la propria attività in base alla loro propria misura o norma, cioè di fissare da sé il crite rio di giudizio del loro apostolato. Come si dice oggi, volevano essere al tempo stesso giocatori e arbitro. In questo modo, finivano per raccomandarsi da sé e dimostra vano di essere stupidi (privi di intelligenza). Paolo invece (v. 1 3) non fa di se stesso il criterio di valutazione del suo lavoro, ma prende come metro la misura di cui Dio ha segnato i limiti (o, più semplice mente: la norma che Dio gli ha assegnato) facendolo giungere fino a Corinto. Alcuni manoscritti non contengono le ultime parole del v. 1 2 e le prime due del v. 1 3 . Così cade la contrap posizione fra Paolo e i falsi apostoli : Paolo parlerebbe solo di se stesso, e per 1 2b la traduzione potrebbe essere: «Ma noi, misurandoci col nostro proprio criterio e parago nandoci unicamente a noi stes s i» non ci vanteremo (v. 1 3) oltre misura ecc. In altri termini, Paolo esclude (come al v. 1 2) di volersi paragonare ai falsi apostoli entrando in gara con loro, e dichiara di usare come criterio la misura che Dj o gli ha assegnato. Ma i manoscritti più importanti corrispondono alla traduzione offerta dalla Riveduta. Il criterio che Dio ha assegnato a Paolo è la missio ne. Predicare l' evangelo dove non è ancora stato portato da altri (Rom. 1 5 ,20), e spostarsi sempre verso nuovi orizzonti. Perciò dopo aver predicato in varie città della Macedonia e della Grecia sentirà di non avere più campo d' azione in quelle regioni (Rom. 15 ,23) e penserà di andare 1 39
in Spagna (Rom. 1 5 ,24) salutando durante il viaggio i cristiani di Roma, ma solo di passaggio, «per non costruì re sul fondamento altrui» (Rom. 1 5 ,20b). Come si vede, è un criterio di apostolato molto diverso da quello dei suoi avversari , che arrivavano nei posti dove lui aveva evangelizzato (Galazia, Corinto), e si paragonavano con lui, esaltando il loro prestigio di fronte alla rozzezza di Paolo, per conquistare il favore della sua comunità. Il discorso sulla norma o il criterio che governa il lavoro apostolico di Paolo (e anche quello dei falsi apostoli suoi rivali) è interpretato da alcuni commentatori in termini geografici : per loro non si tratta di norma o criterio, ma di territori o zone di attività. Anche la Riveduta segue quest' interpretazione, perciò parla di campo di attività ( 1 3b), di campo altrui ( 1 6), di limiti del campo di attività ( 1 5c). Ma è improbabile che la parola greca Kanon abbia un significato territoriale. Nell' aiuto provvidenziale che gli ha permesso di arrivare a Corinto (v. l 3 . Anzi, di arrivar ci per primo: qui Paolo usa il verbo phthtinein che in I Tess. 4, 1 5 ha proprio questo significato) egli vede l' indi cazione della norma che Dio gli ha assegnato per grazia: quella di essere l' apostolo dei pagani (cfr. Gal. 2,9: « . . . rico noscendo la grazia che m' era stata accordata»). L' inizio del v. 1 4 sarebbe meglio tradotto così : Noi non ci protendiamo verso di voi come se non vi avessi mo ancora raggiunti . Anzi, vi abbiamo raggiunti per primi. . . Qui Paolo si confronta negativamente con i falsi apostoli che loro sì, si protendono verso traguardi che sono al di fuori della norma del loro apostolato (cfr. Gal. 2,8: «Noi . . . , loro . . . ») senza curarsi del fatto che ci sia già Paolo a predicare l ' evangelo. Se essere apostolo dei pagani è una grazia, l ' uomo non può vantarsene, farsene un merito. Per questo Paolo insiste che non si vanterà ( vv. 1 3 . 1 5 . 1 6) e conclude citando libera mente Geremia 9,22-23 (che aveva già citato in I Cor. 1 ,3 1 ) : è a Dio che deve andare la gloria per tutto quello che è fatto grazie ai suoi doni. Comunque, Paolo spera che la fede dei corinzi diventi sempre più grande e forte, 1 40
e che essi, riconoscendo appunto la grazia di Dio operan te in Paolo «conformemente al criterio» che gli è stato assegnato, lo apprezzino sempre di più, e si augura, sempre in base a quel criterio, di poter evangelizzare altri paesi senza interferire con il criterio che la grazia di Dio ha assegnato ad altri (v. 1 6).
39. LA «FOLLIA» DI PAOLO VIENE DALLA «GELOSIA» ( 1 1 , 1 -4) 1 Vorrei che sopportaste da parte mia un po' di follia! Ma, sì, già mi state sopportando! 2Infatti sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo. 3Ma temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti vengano corrot te e sviate dalla semplicità e dalla purezza nei riguar di di Cristo. 4Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un vangelo diverso da quello che avete accettato, voi lo sopportate volentieri.
Da 1 1 , 1 fino a 1 2, 1 1 (o 12, 1 3) Paolo si esprime in modo figurato, come se fosse «pazzo». Adopera otto volte le parole «pazzo» (aphron) e «follia» (aphrosyne) - che però potreb bero anche venir tradotte con «stolto» e «Stoltezza». In tutti e due i modi, si tratta del contrario di «serio, giudizioso, assennato». La sua follia «consiste nel fatto che egli, almeno in apparenza o temporaneamente, nei gravi contrasti con la comunità si pone su un piano che non è quello spirituale, bensì quello carnale del vanto» (GLNT). I fedeli di Corinto, pur essendo «saggi» ( 1 1 , 19), sopportano volentieri quei «pazzi» che hanno imposto il loro insegnamento nella comunità (i falsi apostoli), e così Paolo si vede costretto a 141
scendere sul loro stesso terreno e usare le loro stesse anni ( 1 1 , 1 8). Ma lo fa con la consapevolezza di comportarsi da pazzo, di parlare «come se fossi pazzo>> ( 1 1 , 17). Abbiamo così, nella parte centrale dei capp. 10- 1 3 , tre «discorsi da pazzo>>: nella prima metà del cap. 1 1 Paolo si contrappone ai falsi apostoli; nella seconda metà del capitolo si «vanta>> - non dei suoi successi, ma della sua fragilità e delle sue prove; nel cap. 1 2 menziona, come caratteristiche del suo ministero, rivelazioni eccelse e prove umilianti. Nei vv. 1 -4 del cap. 1 1 comincia l ' introduzione ai tre «discorsi da pazzo>> con l ' appello a sopportare i discor si «da pazzo>> che Paolo sta per fare. Il verbo della secon da metà del versetto l può essere, in greco, un indicati vo (mi sopportate, cfr. Nuova RIV. ) o un imperativo (sopportatemi ! , Vecchia RIV.). Al v. 2 compare un' altra immagine simbolica: la comunità è paragonata a una promessa sposa, a una fidan zata che l' apostolo vorrebbe consegnare a Cristo in assolu ta purezza al momento del suo glorioso ritorno. Il signi ficato simbolico della verginità è frequente nelle Scritture d' Israele, dove si parla dell 'amore di Dio per il suo popolo: questo deve identificarsi con una «vergine>> che non si contamina con l' idolatria (per esempio, Ger. 1 8, 1 3- 1 5). L' apostolo si preoccupa di questo, vigilando con gelosa cura sulla sua comunità perché non si lasci convincere a seguire un altro falso sposo. Gelosia di Dio può signifi care «che viene da Dio>>, o «come la sente Dio>> o sempli cemente «divina>> (CEI: «santa gelosia>>). Ma i falsi apostoli cercano di sedurre la comunità dei credenti come il serpente sedusse Eva, e di corrompere le loro menti (v. 3), con un altro Gesù, uno Spirito diver so e un vangelo diverso (v. 4 ). La situazione ricorda quella di Galati l ,8-9. L' ordine delle parole è importante: prima di tutto c ' è Gesù. Se un altro Gesù viene predicato, l' evan gelo non è più lo stesso. e anche l ' esperienza del dono dello Spirito finisce per essere di versa. Ma questo verset to non mira ai falsi apostoli, bensì alla comunità che 1 42
sopporta volentieri l ' attività e le parole dei falsi aposto li ed è disposta a ricevere un evangelo diverso e uno Spirito diverso. In questo si vede che i seduttori hanno successo e che la gelosia di Paolo è giustificata.
40. PAOLO E I «SOMMI APOSTOLI» ( 1 1 ,5-6) 5Stimo infatti di non essere stato in nulla inferiore a quei sommi apostoli. 6Anche se sono rozzo nel parla re, non lo sono però nella conoscenza; e l'abbiamo dimostrato tra di voi, in tutti i modi e in ogni cosa.
Col v. 5 comincia una contrapposizione diretta fra Paolo e i suoi avversari. Questi sembrano dividersi in due gruppi : in 1 1 ,5 e in 1 2, 1 1 Paolo parla di «Sommi aposto li», affermando di non essere o di non essere stato da meno di loro. Altrove invece ( 1 1 , 1 3) parla di «falsi aposto li, operai fraudolenti , che si travestono da apostoli di Cristo» come Satana si traveste da angelo di luce ( 1 1 , 14 ). Con i primi Paolo accetta d i paragonarsi, mentre con i secondi non vuole avere nulla a che fare. È possibile che i « s ommi apostoli» s i ano i capi della comunità di Gerusalemme: anche in Galati 2, 1 - 1 0 Paolo si distingue da loro, ma senza mancar loro di rispetto (quelli «che sono reputati colonne . . . », Gal. 2,9) . Oppure l' apparente rispetto del nostro passo per i «sommi apostoli» è ironi co? Gli altri invece, quelli di II Corinzi 1 1 , 1 3 sembrano essere degli avventurieri . Paolo rifiuta loro il diritto di farsi chiamare apostoli cosa che non avrebbe fatto (e non fa) nei riguardi di Pietro, Giacomo e Giovanni. Paolo ammette (v. 6) di essere rozzo nel parlare rispetto ai sommi apostoli, ma di non esserlo nella conoscenza: insomma, è un miglior teologo ma un peggior oratore. -
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4 1 . MOTIVO E SIGNIFICATO DELLA PREDICAZIONE GRATUITA ( 1 1 ,7- 1 2) 7Ho forse commesso peccato quando, abbassando me stesso perché voi foste innalzati, vi ho annunziato il vangelo di Dio gratuitamente? 8Ho spogliato altre chiese, prendendo da loro un sussidio, per poter servi re voi. 9J>urante il mio soggiorno tra di voi, quando mi trovai nel bisogno, non fui di peso a nessuno, perché i fratelli venuti dalla Macedonia provvidero al mio bisogno; e in ogni cosa mi sono astenuto e mi asterrò ancora dali 'esservi di peso. 10Com' è vero che la verità di Cristo è in me, questo vanto non mi sarà tolto nelle regioni dell' Acaia. 11Perché? Forse perché non vi amo? Dio lo sa. 12Ma quello che faccio lo farò ancora per togliere ogni pretesto a coloro che desiderano un'occasione per mostrarsi uguali a noi in ciò di cui si vantano.
In questi versetti Paolo difende la sua scelta di non garantirsi la sopravvivenza a Corinto grazie alle offerte dei credenti , ma di lavorare con le sue mani. È una scelta che menziona anche in I Cor. 4, 1 2 e sulla quale tornerà indirettamente anche nel capitolo 12. Perché non voleva essere a carico dei fedeli? E perché accettava invece le offerte dei fratelli di altre comunità? Al v. 9 dice chiara mente che i fratelli venuti dalla Macedonia provvidero alle sue necessità, perché non voleva essere di peso a nessuno (cfr. Fil. 4, 1 0-20 dove risulta che i credenti di Filippi lo hanno sovvenzionato mentre predicava a Tessalonica, v. 1 6, e di nuovo gli hanno mandato del denaro a Efeso da dove scrive quel brano per ringrazia re). La spiegazione più probabile è che quando le offer te venivano da chiese unite nella fede e nell' amicizia per Paolo, esse erano gradite; ma se venivano da chiese disuni te (cfr. la discussione sui «partiti» a Corinto nei primi quattro capitoli della I Corinzi) o nelle quali alcuni si 1 44
dichiaravano contrari alla sua persona, le contribuzioni rischiavano di avere un colore di parte e di vincolarlo a buoni rapporti con la parte che lo aveva finanziato. Probabilmente Paolo non voleva sentirsi legato a un parti to nella comunità (e neppure voleva dare l ' impressione di esserlo). In I Corinzi 9, 1 2 dice chiaramente di non aver fatto uso di quel diritto «per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo» . Ma perché Paolo deve difendersi dali' accusa di avere commesso peccato (v. 7) per il fatto di avere annunziato il vangelo di Dio gratuitamente? In che cosa consisteva il peccato? Abbiamo visto che non solo egli accettava offerte dai fratelli di altre comunità, ma lavorava anche con le sue mani (l Cor. 4, 1 2) per assicurare il proprio mantenimento. Il fatto deve aver fatto impressione, tanto che vi accenna anche il libro degli Atti (cfr. 1 8,3. Ma solo per un tempo, cfr. v. 5). Forse era questo lavorare che gli veniva rinfacciato, come se fosse una mancanza di fede, o un sottrarre tempo al lavoro apostolico, o peggio ancora un disubbidire agli ordini del Signore, riportati in Marco 6,8 e Matteo 1 0,8b- 1 0. Paolo conosceva queste disposi zioni del Signore, perché le cita in I Cor. 9, 14 come un «ordine». La difesa di Paolo consiste anzitutto (v. 7) in una domanda retorica: hoforse commesso peccato . ; il linguag gio che usa (abbassando me stesso) dev ' essere quello dei suoi critici : lavorare materialmente era considerato indeco roso per un intellettuale. Ma che l' abbassamento del predi catore serva ali ' innalzamento dei credenti corrisponde alla struttura stessa dell' evangelo come lo ha vissuto il Cristo e come lo vive Paolo (cfr. anche4, 1 2). «Gratuitamente» è un' altra parola che descrive bene la natura dell' evan gelo e dell' apostolato, cfr. Matteo 1 0,8b: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date ! » . Dopo l a domanda retorica, ecco il metodo seguito da Paolo: la descrizione è esagerata, ma forse ho spogliato (letteralmente: «ho saccheggiato») altre chiese è di nuovo . .
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un'espressione usata dai corinzi per criticare l' apostolo. Quello che importa a Paolo è affermare che a Corinto non fu di peso a nessuno (v. 9a) e così continuerà a fare (v. 9c) . Nessuno potrà privarlo di quella soddisfazione (v. 1 0b. Il v. 1 0a è quasi un giuramento - e questo dimostra quanto Paolo fosse eccitato). Al v. 1 1 troviamo di nuovo una domanda retorica, e anche in questa sembra rispecchiarsi la critica dei corin zi : perché non vi amo. Detto o pensato dai corinzi, potreb be significare: Paolo rifiuta il nostro appoggio finanzia rio perché non ci ama e vuol farci apparire poco genero si verso di lui. Per ristabilire la verità, Paolo si rimette a Dio: Dio lo sa. Comunque (v. 1 2), Paolo non cambierà sistema, anche perché così i suoi avversari non potranno dire di essere uguali a lui nel farsi mantenere dalla comunità, cosa di cui si vantano. Altri aspetti del problema del mantenimento di Paolo e dei suoi collaboratori li troveremo in 1 2, 1 3- 1 8 .
42. PAOLO E I «FALSI APOSTOLI» ( 1 1 , 1 3 - 1 5) 13Quei tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. 14Non c'è da meravigliarsene,� erché anche Satana si traveste da angelo di luce. 1 Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori si travestono da servitori di giusti zia; la loro fine sarà secondo le loro opere.
Paolo, dunque, non vuol mettersi sullo stesso piano di quei predicatori che si fanno mantenere dalla comunità. E si comporta così perché questi tali sono falsi apostoli, operaifraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo (v. 1 3). Il linguaggio è violento, tanto che alcuni commen tatori pensano si tratti di persone diverse dai sommi aposto li menzionati al v. 5 . Se i «sommi apostoli» fossero i capi 1 46
della cristianità palestinese, questi «falsi apostoli» del v. 1 3 potrebbero essere persone che si facevano passare per loro inviati (come in Gal. 2, 1 2). Altrimenti, se si tratta delle stesse persone bisogna pensare che l ' animo di Paolo si è fatto più esacerbato, tanto da usare un linguaggio molto più forte che al v. 5. L' uso del termine «operai» per i predicatori si trova anche nei passi evangelici che parlano della missione dei Dodici (cfr. Mt. 1 0, 1 0). Il termi ne «apostoli», usato due volte in questo v. 1 3 , ha un senso generale, come in I Corinzi 9,5 ; 1 5 ,7 e altrove. Nei vv. 14 e 15 troviamo un paragone tra i falsi aposto li e il tentatore: come quest'ultimo, secondo l ' apocalitti ca giudaica (Apocalisse di Mosè; Vita di Adamo ed Eva) si sarebbe trasformato in angelo luminoso, così i falsi apostoli si fanno passare per servitori (greco: diaconi) della giustizia. Ma la loro vera identità, secondo Paolo, è quella di servitori di Satana (v. 1 5 a) e la loro sorte sarà quella che meritano le loro opere. Quest' ultima espres sione può riferirsi al travestimento accennato al v. 1 3 , oppure più i n generale ai guasti arrecati d a quelle perso ne alla vita della comunità, cfr. I Cor. 3 , 1 7a. Qui termina il primo «discorso da pazzo» comincia to al v. 5. Paolo non è per nulla inferiore alla concorren za. Ma questo paragonarsi agli altri per evidenziare la sua maggiore fedeltà ali ' evangelo del Cristo crocifisso è così contraria al suo solito, che egli ha l ' impressione di parla re in un impeto di follia.
43 . SECONDO «DISCORSO DA PAZZO» : PROVE E SOFFE RENZE DI PAOLO ( 1 1 , 1 6-33) 16Nessuno, ripeto, mi prenda per pazzo; o se no, accettatemi anche come pazzo, affinché anch'io possa vantarmi un po'. 1 7Quel che dico quando mi vanto con tanta sicurezza, non lo dico secondo il Signore,
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ma come se fossi pazzo. 18Poiché molti si vantano secon do la carne, anch'io mi vanterò. 190r voi, .r.ur essen do savi, li sopportate volentieri i pazzi! 2 Infatti, se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno s'innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate. 21 Lo dico a nostra vergogna, come se noi fossimo stati deboli; eppure, qualunque cosa uno osi f retendere (parlo da pazzo), oso pretenderla anch'io. 2 Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discen denza d' Abraamo? Lo sono anch'io. 23Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé), lo sono più di loro; più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le percosse subite. Spesso sono stato in pericolo di morte. 2 4Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; 25tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. 26Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo per i brigan ti, in pericolo da parte dei miei connazionali, in perico lo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti, in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli; 27in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiu ni, nel freddo e nella nudità. 2 80ltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese. 29Chi è debole senza che io mi senta debole con lui? Chi è scandalizzato senza che io frema per lui? 30Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. 3 1 Il Dio e Padre del nostro Signore Gesti, che è benedetto in eterno, sa che io non mento. 32A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per arrestar mi; 33e da una finestra fui calato, in una cesta, lungo il muro, e scampai alle sue mani.
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Dopo il primo «discorso da pazzo», ecco il secondo. Qui la «follia» si manifesta nell' adottare la tecnica degli avversari, cioè il vanto. La terminologia del «vantarsi» appare cinque volte in questi versetti e domina tutto il brano. Ma è un «vanto» tutto speciale: non è l' orgoglio per la potenza, l 'efficienza, i successi. Invece, è il compiacimento delle sofferenze affrontate per amore di Cristo e dell' evangelo. Queste sono elencate, in forma di piccolo poema, dal v. 22 al v. 29. Il poema è seguito da una «coda» in prosa sullo stesso tema (vv. 30-33) e preceduto da un preambolo (vv. 1 62 1 ) che introduce il discorso. Paolo chiede ai lettori ( 1 6) di non considerarlo «pazzo» per quanto sta per dire - ma è anche disposto a lasciarsi prendere (accettare) per «pazzo» pur di poter dire quello che gli sta sul cuore, parlando non secondo il Signore, ma secondo la carne ( 1 8), cioè alla maniera umana, per vantarsi (vv. 1 6- 1 8) come se fosse pazzo ( 1 7) ; ma quel che per lui è pazzia, è il modo di fare abituale dei suoi rivali. Il v. 19 è ironico nel fare appello alla pretesa saggez za dei corinzi : sopportino il suo «discorso da pazzo» come sopportano quei pazzi che si impongono nella comunità contro di lui ! La prova dello spirito di sopportazione dei corinzi è al v. 20: li sopportano anche se li schiavizzano, li sfruttano, li plagiano, li dominano, li prendono a schiaf fi . Queste espressioni molto energiche vanno prese in senso figurato, non in senso materiale - salvo l ' accusa di sfruttamento (se uno vi divora) che si riferisce al mante nimento e forse anche ali' alloggio. Al v. 2 1 Paolo ammette che questa situazione si è creata, almeno in parte, perché lui si è lasciato mettere il piede sul collo (come sefossimo stati deboli), e di questo si vergogna (oppure: dovrebbero vergognarsi i corinzi. Nel greco non c'è il possessivo nostra). Ma ora, parlan do da pazzo, qualunque cosa uno osi pretendere, osa pretenderlo anche lui - cioè si adegua (parlando appun to come se fosse pazzo) al modo di fare dei suoi rivali. 1 49
Ecco dunque le straordinarie motivazioni del «Vanto». Seguo la struttura strofica proposta da M auri ce Carrez (con qualche piccola modifica). L' elenco di prove, ostacoli e sofferenze ricorda quello che abbiamo trovato in 6,8- 1 0. La prima strofa contesta ogni superiorità dei rivali su quattro punti : se si presentano come ebrei, come israeli ti, come discendenti di Abramo, Paolo può dire: Lo sono anch 'io (v. 22). Anche lui è ebreo di razza, israelita nel senso di appartenenza al popolo di Dio, e progenie di Abramo con riferimento ali' elezione. Quando poi si presentano come servitori di Cristo (v. 23), la replica di Paolo è: lo sono più di loro. Ma renden dosi conto di peccare d' orgoglio aggiunge: parlo come uno fuori di sé appunto, in prospettiva paolina è un discorso da pazzo. La seconda strofa elenca quattro situazioni di crisi attraversate da Paolo, che costituiscono il suo titolo di superiorità sui rivali: si tratta difatiche, prigionie, percos se, pericoli di morte (v. 23). La terza strofa (vv. 24-25) spiega la menzione delle percosse e quella dei pericoli di morte: le pene corpora li (fustigazioni) gli sono state inflitte cinque volte dalla giustizia giudaica (Paolo vi era ancora sottoposto, benché fosse diventato discepolo di Cristo. La fustigazione giudai ca non doveva in nessun caso superare i quaranta colpi: perciò, per evitare errori, veniva interrotta a trentanove), tre volte invece dalla giustizia romana. Quello che sappia mo delle vita di Paolo non ci permette di dire dove e quando siano accadute queste cose: solo una volta sappia mo che fu fustigato dai romani a Filippi (At. 1 6,22) Quanto ai naufragi, siamo anche ali' oscuro, perché quello che conosciamo da Atti 27 è posteriore alla composizio ne di questa lista di prove e patimenti. Ma Paolo ha fatto molti viaggi brevi o lunghi per mare, e il rischio di naufra gio era molto più frequente che ai nostri tempi. La quarta strofa (v . 26) elenca pericoli corsi durante i viaggi: traversando fiumi, assalito, fermato o contesta to da briganti, da connazionali (cioè giudei), da stranie-
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ri: pericoli affrontati nelle città, nei deserti, sul mare, tra falsi fratelli. Sono allusioni troppo generiche per poter ne precisare le circostanze: !falsifratelli potrebbero essere quelli di Galati 2,4 o quelli che in alcuni casi lo denun ziarono alle autorità romane come sovvertitore. La quinta strofa (v. 27) continua la tematica della quarta, elencando imprecisate situazioni di pericolo, che ricordano ciò che si legge in Filippesi 4, 1 2b («Ho impara to ad essere saziato e ad avere fame»), e conduce alla sesta (v. 28) che aggiunge ai precedenti moti vi di angoscia la preoccupazione per le comunità fondate dall' aposto lo. Essere apostolo significa condividere e prendere su di sé (v. 29) la debolezza dei deboli e lo scandalo (o l' inciam po) di quei credenti che sono urtati nella loro fede dall' at teggiamento di altri che non hanno riguardi (come Paolo esemplificherà ampiamente in Romani da 14, 1 a 1 5 ,6). Concludendo, possiamo considerare con Carrez questo brano un inno in sei strofe, seguendo le divisioni indica te finora. Ma potremmo anche considerare poetiche soltan to la seconda e la quarta/quinta, cioè i vv. 23 e 26-27 prendendo gli altri versetti come sviluppi in prosa di queste strofette. Questo vale sicuramente per gli ultimi quattro verset ti del capitolo ( 1 1 ,30-33). Lì Paolo dichiara espressa mente che il suo motivo di orgoglio è la sua debolezza precisamente la caratteristica sulla quale i rivali trova vano da ridire considerandola una prova della illegitti mità del suo apostolato. E cita come ultima prova l' epi sodio della sua fuga da Damasco in una cesta, per sfuggi re alle guardie del re Areta. Se il «falsi apostoli» ignora vano quest' episodio, il suo racconto fatto da Paolo stesso avrà certamente aumentato il disprezzo che provavano per lui ! Concludendo l' esame di questo inno dobbiamo sotto lineare ancora una volta che se Paolo scende controvo glia sul terreno del «vanto» non è per inorgoglirsi dei suoi successi, ma per far capire di aver lavorato in ubbidien za al Signore in situazioni di grande pericolo e sofferen-
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za. Alla fine di questo passo avrebbe potuto benissimo concludere ripetendo le parole di I Corinzi 1 5, 1 0: «Per la grazia di Dio sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro. Non io però, ma la grazia di Dio che è in me».
44. IL «RAPIMENTO» AL TERZO CIELO ( 1 2, 1 -6) 1 Bisogna vantasi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. 2Conosco un uomo in Cristo, che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 3So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 4fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito ali 'uomo di pronunziare. 5Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolez ze. 6Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me.
Per capire il senso di questo brano è necessario tener presente il contesto in cui è collocato. Paolo ha elencato dei motivi di vanto, per non essere da meno dei suoi rivali che erano orgogliosi della loro capacità ed efficienza e disprezzavano la modestia della figura di Paolo e del suo lavoro apostolico. Però, nell ' adeguarsi ai metodi dei suoi rivali Paolo ha sempre detto che comportarsi così (cioè vantarsi) era una follia, e ha minimizzato o messo in ridicolo fatti e qualità a cui faceva riferimento. Dunque anche il racconto della sua elevazione al cielo va visto in questa prospetti va: Paolo è trascinato contro voglia, come se fosse fuori di sé, a dire che anche lui ha avuto delle esperienze spirituali straordinarie, come l' ele vazione al cielo. Ma la racconta minimizzandola e parlan1 52
done come se fosse una cosa trascurabile, riferita tra il racconto inglorioso della sua fuga da Damasco ( 1 1 ,3233) e quello del mancato esaudimento della sua richiesta di liberazione dalla scheggia nella carne ( 1 2,7-9). E non solo questo: nel primo versetto valuta il ricordo e la menzione di quest' esperienza, nel quadro del confronto con i suoi rivali, come cosa non buona. Letteralmente dice: «non utile» (CEI : non conviene, PAOL. : non giova a nulla), usando la stessa valutazione usata in I Corinzi 6, 1 2; 1 0,23 ; 1 2,7. L' utilità o convenienza è sempre in prospettiva comunitaria, mai individuale o egoistica. Il verbo bisogna non indica un dovere richiesto da Dio o da Cristo (come, per esempio, in Mt. 23,23c; Giov. 3,7; At. 20,35), ma una condizione necessaria per far fronte ai rivali davanti alla comunità (cfr. v. 1 1 : mi avete costret to). Il plurale (visioni e rivelazioni) sembra riferirsi non a esperienze di Paolo, ma allo sfoggio che ne facevano i suoi avversari. Paolo nelle sue lettere parla solo in Galati 2,2 di una visione oltre alla sua vocazione sulla strada per Damasco, il libro degli Atti però gliene attribuisce alcune altre (9, 1 2; 1 6,9 s . ; 1 8 ,9- 1 1 ; 22, 1 7-2 1 ; 23 , 1 1 ; 27 ,23). Qui in II Corinzi 12 l' esperienza descritta è definita «rapimento» (v. 2 e v. 4) con il verbo usato in Atti 8,39; I Tessalonicesi 4, 1 7 e Apocalisse 1 2,8. Per Enoc e Elia (Gen. 5,24 e II Re 2, 1 e 1 1 ) la Bibbia greca usa altri verbi. Il verbo è al passivo, e così sottolinea che tutto è avvenuto ad opera di qualcun altro: di quel Signore citato alla fine del v. l come fonte di visioni e rivelazioni. Resta indeter minato se fu col corpo o senza il corpo (v. 2, incertezza ripetuta al v. 3). Il «non sapere» di Paolo su questo punto potrebbe essere una forma di critica a quelli che davano troppa importanza alle manifestazioni carismatiche, come se potessero bastare da sole a legittimare un ministero di predicazione. Lui, Paolo, non solo non se ne vanta, ma non si preoccupa neppure di ricordare quali siano state le modalità tecniche di quel «rapimento» . Addirittura Paolo evita di parlare in prima persona («io fui rapito . . . »): ne 1 53
parla come se si trattasse di un altro credente (uomo in Cristo). A gloria di quel tale sarebbe disposto a vantarsi, ma a gloria di se stesso proprio no: di se stesso lo inorgo gliscono solo le sue debolezze (v. 5). Anche ciò che udì durante il rapimento resta indeter minato: parole ineffabili, che non possono e non devono essere comunicate ad altri (v. 4. L'aggettivo ineffabile si trova nella RIV anche in Rom. 8,26; II Cor. 9, 1 5 ; I Pietro 1 ,8, ma in greco c ' è ogni volta una parola diversa, di significato analogo). Il solo dato concreto è che si tratta di un fatto accadu to (v. 2) quattordici anni prima di questa polemica di Paolo con i suoi rivali e con i corinzi. È un' informazio ne insufficiente per stabilire in che anno Paolo ebbe quell' esperienza carismatica, e del resto non è stata seri t ta per quello, ma solo per far capire che l' apostolo deve andare di un bel po' indietro nella sua vita per trovare qualcosa di cui vantarsi : non erano cose che gli capita vano tutti i giorni ! Il terzo cielo (v. 2) e il paradiso (v. 4) sembrano indicare lo stesso luogo. Nel giudaismo si crede va all ' esistenza di numerosi cieli : tre (quello atmosferi co, poi quello stellare, e infine il terzo, dimora di Dio), oppure sette, talvolta anche dieci - tutte speculazioni ricavate dal fatto che la parola ebraica per indicare il cielo (shammaim) esisteva solo al plurale. Se vogliamo consi derare il «rapimento» di Paolo al terzo cielo come un' an ticipazione del paradiso escatologico promesso dal Signore a tutti i suoi fedeli, dobbiamo però osservare che il raccon to di Paolo non menziona un incontro con Dio o col Cristo glorificato. I vv. 5 e 6 riprendono dal v. l il rifiuto del vanto: Paolo è orgoglioso solo delle sue debolezze e vuole essere giudi cato dalla comunità solo in base a quello che lo vede essere o a quello che sente da lui (letteralmente: affinché nessuno accrediti a mio favore più di quello che vede o ode da me, v. 6). La sola cosa che Paolo vuoi vedersi accre ditare, è il suo servizio a Cristo e all' evangelo (cfr. 1 0, 1 7 : Chi si vanta, si vanti nel Signore). È u n servizio che Paolo 1 54
svolge malgrado le debolezze (v. 5), perché almeno così la fama delle sue capacità (che c' erano ! Cfr. v. 6a: se voles si glorianni . . . direi la verità) non si interpone fra lui e i suoi ascoltatori. I soli carismi utili all' edificazione sono quelli che contribuiscono all'agape (l Cor. 1 2,3 1 e poi tutto il cap. 1 3).
45 . LA SPINA NELLA CARNE E LA PREGHIERA INESAU DITA ( 1 2,7- 1 0)
7E perché io non avessi a insuperbire per l'eccel lenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affin ché io non insuperbisca. 8Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; 9ed egli mi ba detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza)). Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la poten za di Cristo riposi su di me. 1 0Per questo mi compiac cio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecu zioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. Un' altra demolizione di ogni pretesa di orgoglio aposto lico, come abbiamo già visto, è l ' inciso sulla spina che gli è stata messa (letteralmente: «data» - questo passivo è un' allusione all'origine divina di quel tormento) nella carne ( vv. 7 -9). Il discorso è tutto metaforico: «spina nella carne» e «angelo di Satana che mi schiaffeggia» sono chiaramente espressioni figurate. La sola cosa esplicita è lo scopo cui devono servire: prevenire il pericolo di superbia, di orgoglio. «Spina» (o «scheggia»): il greco sk6lops può significare «palo», ma non si trova mai nella Bibbia con quel significato. Nella Bibbia greca il signi ficato di «spina» è documentato da Osea 2,8; Ezechiele 1 55
28,24 e Numeri 33,55. Ma che cosa si nasconde sotto la metafora della spina? Una malattia o imperfezione fisica (balbuzie, epilessia, congiuntivite . . . )? Lo farebbe pensa re la localizzazione nella carne - ma anche questa potreb be far parte dell ' immagine. O un rivale che lo contesta va (angelo di Satana si può anche tradurre «messaggero di Satana»)? Oppure ancora, una preoccupazione, per es. di non aver potuto predicare efficacemente l ' evangelo ai suoi connazionali (cfr. Rom. 1 0, 1 e 9, 1 -3)? Qualunque cosa fosse, era certamente qualcosa che limitava l ' effi cacia apostolica di Paolo e gli dava motivo di non inorgo glirsi. All' inizio del v. 8 bisogna sottintendere (ma non è indispensabile): «A causa di ciò», o: «A causa di lui» (cioè dell' angelo di Satana): è una transizione al tema della preghiera. Questa è fatta per tre volte: il numero tre indica che fu una preghiera ripetuta e insistente. Può anche darsi che nel raccontare l 'episodio Paolo si limiti a tre in ricordo della triplice preghiera di Gesù nel Getsemani (Mc. 1 4,35-4 1 ). La richiesta al Signore è di esserne libera to, ma la risposta che Paolo riceve è negativa, almeno nell' immediato. In realtà, considerata su un orizzonte più vasto, essa è favorevole al compimento della missione apostolica di Paolo. Se la risposta del Signore gli sia venuta attraverso una visione, o in un momento di preghie ra, oppure attraverso una riflessione su testi biblici (dopo tutto, Dio parla ai suoi mediante la Scrittura), Paolo non lo dice. La sua attenzione è concentrata sul messaggio ricevuto, non sul modo o la tecnica della sua appropria zione. Per l ' esercizio del suo apostolato, e quindi per l 'edificazione delle comunità ( l 0,8), è sufficiente la grazia. L' efficacia della grazia fa sì che la potenza («mia» è un' aggiunta, del tutto logica, di varie traduzioni) si riveli completa, perfetta, proprio nella debolezza. È lo stesso paradosso che si è constatato nella vicenda di Gesù, croci fisso per la sua debolezza, ina vivente per la potenza di Dio ( 1 3,4). Naturalmente l ' assicurazione della sufficienza della 1 56
_grazia, in questo contesto, vale per il dono dell' aposto lato fatto a Paolo (cfr. Rom. l ,5 e Gal. 2,9), ma acquista una portata più ampia per i lettori della II Corinzi, se pensano ai di versi ambiti a cui si riferisce in questa episto la la parola grazia (cfr. 1 ,2; 9,8. 14; 4, 1 5 ; 8,9; 8,6.7. 1 9 ; 1 3, 1 3). I vv. 9b- 1 0 sono la conclusione di tutto questo. Le debolezze possono diventare per Paolo motivo parados sale di vanto: la rinuncia o l ' impossibilità di contare su forze proprie lasciano posto ali ' azione della potenza di Cristo che prende stabile dimora nell' apostolo o, lette ralmente, su di lui come per coprirlo con la sua ombra e fortificare la sua azione (il verbo greco episkenoun è un composto di quello usato in Giovanni 1 , 14: «ha abitato per un tempo fra noi»). Le traversie (v. 1 0) subite a causa di Cristo (cfr. 4, I l ) non sono motivo di lamento o di ribel lione. Sono invece accettate con gioia, perché l' aposto lo sa che quando è debole dal punto di vi stra umano, allora èforte, efficace, nel suo apostolato, perché (v. 9) la poten za di Cristo riposa su di lui.
46. PAOLO HA DATO TUTTO SE STESSO SENZA CERCA RE PROFITTI ( 1 2, 1 1 - 1 8) 1 1 Sono diventato pazzo; siete voi che mi ci avete costretto; infatti io avrei dovuto essere da voi racco mandato; perché in nulla sono stato da meno di quei sommi apostoli, benché io non sia nulla. 1 2Certo, i segni dell'apostolo sono stati compiuti tra di voi, in una pazienza a tutta � rova, nei miracoli, nei prodigi e nelle opere potenti. 1 In che cosa siete stati trattati meno bene delle altre chiese, se non nel fatto che io stesso non vi sono stato di peso? Perdonatemi questo torto. 14Ecco, questa è la terza volta che sono pronto a recar mi da voi; e non vi sarò di peso, poiché io non cerco i
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vostri beni, ma voi; perché non sono i tigli che debbo no accumulare ricchezze per i genitori, ma i genitori per i tigli. 15E io molto volentieri spenderò e sacrifi cherò me stesso per voi. Se io vi amo tanto, devo essere da voi amato di meno? 16Ma sia por così, che io non vi sia stato di p,eso; però, da uomo astuto, vi avrei presi con inganno ! 7Vi ho forse sfruttati per mezzo di qualcu no dei fratelli che vi ho mandati? 18Ho pregato Tito di venire da voi e ho mandato quell'altro fratello con lui. Tito ha forse approfittato di voi? Non abbiamo noi camminato con il medesimo spirito e seguito le medesime orme?
Termina con questo brano lo sfogo di Paolo, che non volendosi vantare ha però, parlando da «pazzo» , mostra to in che cosa faceva consistere la sua fedeltà a Cristo e la sua superiorità sui falsi apostoli . Lo ha fatto per salva re la sua predicazione, perché il ricordo dell' evangelo predicato a Corinto non fosse presto dimenticato, travol to dalle critiche di cui era stata ricoperta la sua persona (mentre i credenti, che avrebbero dovuto «raccomandar lo», cioè prendere le sue difese o sostenere la sua auten ticità apostolica, stavano zitti. Sul vanto della comunità cfr. 1 , 14 e 5 , 1 2). «Benché io non sia nulla» ci lascia intra vedere la valutazione che davano di lui i suoi avversari : Non è niente, non vale niente (cfr. 1 0, 1 0 . . .la sua parola è cosa da nulla). Ora, nel brano conclusivo dei suoi «discorsi da pazzo», accenna ancora a due temi del suo operato a Corinto: i segni dell 'apostolo e il disinteresse economico. La fine del v. 1 1 va con il v. 1 2 : si tratta ancora di rivendicazio ni dell' autenticità del suo servizio apostolico, Egli non è stato in nulla da meno dei sommi apostoli ( 1 1 d), e ha compiuto nella comunità i segni dell 'apostolo. Questa è l ' interpretazione più probabi Ì e: Anch 'io ho compiuto miracoli tra di voi, che potete considerare segni dell 'a postolo autentico. Il libro degli Atti attribuisce a Paolo diversi miracoli : cfr. Atti 1 3 , 1 1 ; 14, 1 0; 1 5 , 1 2 ; 1 6, 1 8; 1 9, 1 1 1 58
s.; 20, 1 0 ss. ; 28,5-6.8. Questi doni carismatici lo accomu navano a diversi altri tipi di predicatori itineranti; quello che lo distingueva da loro era la sua volontà di non menar ne vanto, di non volerli neppure menzionare. Infatti, prima di menzionare i miracoli ricorda la pazienza a tutta prova, che è un evidente rimando a 1 1 ,22-29. Vuoi dire che il miracolo apostolico più grande è stata la sua pazienza, o sopportazione, o accettazione di ogni specie di ostacolo e di patimento. Sulla sopportazione come valore positi vo cfr. 1 ,6. Un' altra interpretazione possibile è: certo, miracoli sono stati compiuti tra voi dai miei rivali, ma io ho preferito predicare l'evangelo con infinita pazienza, piuttosto che attirare ammiratori con segni e opere poten ti (esattamente come ho preferito predicare l ' evangelo piuttosto che amministrare battesimi , I Cor. 1 , 1 3 - 1 7 e parlare in lingue, I Cor. 14, 1 8- 1 9). Ma l ' inizio del v. 1 3 suggerisce che la prima delle due interpretazioni è prefe ribile. Paolo non ha dato ai corinzi un apostolato di serie B, anche se non ritiene di doversi vantare del segni dell 'a postolo dati alla comunità. C ' è stata però una diversità di trattamento, rispetto ad altre chiese: sui corinzi Paolo non ha mai voluto pesare economicamente. Lo ricorda al v. 1 3 in forma ironica, come se fosse un torto fatto ai corinzi. Farà lo stesso anche nel futuro, nella terza visita promessa al v. 14. A lui non interessa avere denaro da loro: vuole conquistare il loro affetto e la loro adesione all 'evangelo (cfr. Fil. 4, 1 7). A questo fine non esita a compiere qualsiasi sacrificio (v. 1 5 ) . Che Paolo amasse la comunità risulta anche da 2,4; 6, 1 1 - 1 3 e 1 1 , 1 1 . Nel nostro passo quest' amore non sembra essere ricambiato dai fratelli (contrariamente a 8,7). Al v. 1 1 abbiamo trovato una delle accuse rivolte a Paolo dai corinzi (essere una nullità). Nei vv. 1 6- 1 8 sono menzionate altre accuse o insinuazioni più pesanti: Paolo li avrebbe presi con inganno (v. 1 6), sfruttati (v. 1 7), e Tito e il fratello (quello di 8, 1 8? O quello di 8,22?) che lo accompagnava avrebbero approfittato di loro (v. 1 8). Evidentemente i corinzi, oltre a non gradire che Paolo 1 59
non si facesse mantenere dalla comunità, sospettavano che una parte del ricavato dalla colletta raccomandata nei capp. 8 e 9 fosse finita nelle sue tasche e in quelle di Tito. Il v. 1 6 è ironico (Paolo riferisce opinioni altrui, ma non le condivide), il v. 17 e il 1 8abc sono domande retoriche alle quali l ' unica risposta possibile è: No di certo ! Anche la fine del v. 1 8 è una domanda retorica, ma questa volta la risposta implicita è: Sì, certamente ! Paolo e i suoi colla boratori si sono comportati con un medesimo spirito e hanno seguito le medesime orme, cioè hanno cammina to per la stessa strada. E ora ne sono ripagati con sospet tose e offensive insinuazioni. Riprendendo l ' argomento già trattato in 1 1 ,7 ss. Paolo ci fa capire quanto lo avesse offeso il rimprovero e i sospetti circa la sua correttezza. Le sue intenzioni nel rifiutare denaro dai corinzi erano pure, ma i sospetti che suscitavano gli erano intollerabili. Né erano bastate le precauzioni di far accompagnare Tito da uno o due creden ti che godevano della stima dei loro confratelli. Nelle questioni di denaro, nessuna precauzione è superflua o eccessiva per assicurare la massima pubblicità sui risul tati della raccolta e sulla gestione dei fondi ricevuti.
47 . TIMORI DI CONDOTIA IMPROPRIA DELLA COMU NITÀ ( 1 2, 1 9-2 1 ) 19J>a tempo voi v'immaginate che noi ci difendia mo davanti a voi. È davanti a Dio, in Cristo, che parlia mo; e tutto questo, carissimi, per la vostra edificazio ne. 20Infatti temo, quando verrò, di non trovarvi quali vorrei, e di essere io stesso da voi trovato quale non mi vorreste; temo che vi siano tra di voi contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disor dini; 2 1e che al mio arrivo il mio Dio abbia di nuovo a umiliarmi davanti a voi, e io debba piangere per 1 60
molti di quelli che hanno peccato precedentemente, e non si sono ravveduti dell'impurità, della fornicazio ne e della dissolutezza a cui si erano dati.
Questi ultimi versetti del cap. 1 2 potrebbero anche essere considerati l' inizio del brano successivo che si occupa della prossima venuta di Paolo a Corinto. Preferiamo prenderli come conclusione dei «discorsi d,a pazzo», perché il v. 19 fa una precisazione importante sulla natura e lo scopo di ciò che Paolo ha scritto fino a questo punto. I corinzi si immaginano che egli si stia difendendo davan ti a loro. Errore ! I capitoli 9- 1 2 non sono né volevano essere un discorso di autodifesa. Paolo non ha fatto l ' avvocato di se stesso anche se, «da pazzo», qualche volta ha usato il linguaggio dei suoi rivali e ha menzio nato alcuni motivi di vanto. È davanti a Dio, in Cristo che ha parlato fino a questo punto : cioè in comunione col Signore e sottoponendosi al giudizio di Dio, non a quello degli uomini (cfr. I Cor. 4,4). E il suo scopo non è di rabbonire i suoi contestatori , ma di edificare la comunità (cfr. 1 0,8). E di edificazione ne ha gran bisogno la chiesa di Corinto. Paolo sa benissimo (anche se gentilmente dice che è soltanto un suo timore), sa benissimo che tra loro ci sono contese, gelosie, ire, rivalità, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini: una comunità molto umana, che somiglia a tante comunità del nostro tempo. Paolo teme di trovare tutte queste cose a Corinto, quando ritornerà. Questo significa non trovare i fratelli come lui li vorreb be (20a), e per conseguenza doversi mostrare a loro come non lo vorrebbero vedere: mostrarsi come un apostolo che li rimprovera e minaccia (cfr. 1 3 , 1 0). La prospettiva che attende Paolo quando arriverà di nuovo a Corinto (v. 2 1 ) non è delle più rosee. Anche se verrà con severità, l ' arroganza di una parte almeno dei fratelli sarà per lui motivo di umiliazione e di pianto. Anzi, l 'origine di questa umiliazione Paolo la vede in Dio stesso, che con l'esempio di Cristo gli ha mostrato la via 161
di un servizio apostolico fatto non di trionfi ma di soffe renza e di abbassamento (cfr. le liste di patimenti aposto lici dei capp. 6 e 1 1 e il racconto della spina nella carne in 1 2,7) . Chi farà piangere maggiormente l' apostolo saranno quelli che hanno peccato precedentemente e non si sono ravveduti. Costoro saranno la dimostrazione del falli mento dei suoi tentativi di riportarli sulla buona strada. L' allusione sembra essere a problemi che esistevano già all ' epoca della I Corinzi e che avevano dato motivo a Paolo di scrivere lì alcune energiche pagine.
48. MINACCE, ESORTAZIONI, SPERANZE E PROMES SE RELATIVE ALLA PROSSIMA VISITA DI PAOLO A CORINTO ( 1 3 , 1 - 1 0) 1Questa è la terza volta che vengo da voi. Ogniparola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni. 2Ho
avvertito quand'ero presente tra di voi la seconda volta e avverto ora, che sono assente, tanto quelli che hanno peccato precedentemente, quanto tutti �li altri, che, se tornerò da voi, non userò indulgenza, dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui che non è debole verso di voi, ma è potente in mezzo a voi. 4Infatti egli fu crocifisso per la sua debolezza; ma vive per la potenza di Dio; anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui mediante la potenza di Dio, per procedere nei vostri confronti. 5Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non ricono scete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l'esito della prova sia negativo. 6Ma io spero che riconoscerete che la prova non è negativa nei nostri confronti. 7Preghiamo Dio che non facciate alcun. male; non già perché risul ti che noi abbiamo ragione, ma perché voi facciate quello che è bene, anche se noi dovessimo apparire 1 62
riprovati. 8Infatti non abbiamo alcun potere contro la verità; quello che possiamo è per la verità. 9Ci ralle griamo quando noi siamo deboli e voi siete forti; per �uesto preghiamo: per il vostro perfezionamento. Perciò vi scrivo queste cose mentre sono assente, affinché, quando sarò presente, io non abbia a proce dere rigorosamente secondo l'autorità che il Signore mi ha data per edificare e non per distruggere.
Il preannunzio della prossima, terza visita di Paolo a Corinto fornisce all' apostolo l' occasione per esortare ancora una volta i suoi lettori a esaminare se stessi (v. 5) per vedere se possono ancora riconoscersi cristiani: in questo caso i due test («essere nella fede» e «Cristo in voi») sono da prendere più in senso collettivo, comuni tario, che in senso individuale. È la comunità di Corinto che deve esaminarsi. Perché se l 'esito della prova fosse negativo (v. 5, ultime parole. Questa traduzione rende il senso del greco meglio di «a meno che siate riprovati» della vecchia RIV; il contesto parla di esami) al suo arri vo Paolo intende procedere con la massima serietà. La secon da metà del v. l ricorda Deuteronomio 19, 1 5 , senza però dargli il valore di una vera e propria citazione (manca una formula introduttiva) : Paolo potrebbe aver considerato le sue due (e presto tre) visite a Corinto come testimonian ze a carico dei corinzi, o avvertimenti (oggi diremmo: diffide). Oppure è il preannunzio di un vero e proprio processo che Paolo intende fare alla comunità, con tutte le regole processuali (due o tre testimoni). Questo sembra confermato dal v. 2, con la minaccia di non usare indul genza né coi colpevoli del passato né con gli altri . Anche alla fine del v. 4 minaccia di procedere con autorità nei loro confronti con la potenza che gli viene dalla comunio ne col Risorto, e al v. lO aggiunge l' avverbio rigorosa mente. Però indica il senso di questo suo agire: il Signore gli ha dato quell' autorità per edificare e non per distrug gere (cfr. 1 0,8). L' esercizio della disciplina nella comunità deve sempre avere lo scopo dell' edificazione: deve essere 1 63
«costruttivo». Altrimenti rischia di essere vendicativo, oppure eccessivamente selettivo, buttando fuori dalla chiesa tutti quelli che non sono d' accordo o non sono abbastanza pii, invece di tendere all' unità nel pluralismo delle opinioni , e al ricupero di eventuali colpevoli . Anche se fa riferimento a quelli che hanno peccato precedentemente (che potrebbero essere i colpevoli menzio nati nella I Corinzi), il nocciolo della questione rimane però sempre quello che sta dietro ai capp. 1 0- 1 3, per non dire a tutta la II Corinzi: l ' autenticità e legittimità dell'a postolato di Paolo, messe in questione dai fedeli (cfr. v. 3 : cercate una prova che Cristo parla in me). E il pomo della discordia (o, se si preferisce, il motivo della diffi denza) è sempre la debolezza di Paolo, perciò egli insiste: certo, noi siamo deboli (v. 4), ma lui, Cristo, non è debole verso di voi, ma è potente in mezzo a voi (v. 3b). Ecco quello che conta: che attraverso la debolezza del predi catore si manifesti nella comunità (in mezzo a voi) la potenza di Cristo (cfr. 1 2,9). E Paolo, applicando a se stesso la terminologia scola stica usata al v. 5 per i corinzi, esprime la speranza (v. 6) che la prova non sia negativa neanche per lui: se i membri della comunità sono nella fede, se Cristo è in loro, vuoi dire che il ministero di predicazione e di edificazione svolto da Paolo è stato positivo e che i corinzi ricono sceranno che anche lui non è stato bocciato all' esame. Insomma, quella prova tanto cercata dai corinzi, che l' apo stolato di Paolo è autentico e legittimo, non può essere data da altro che dagli effetti che la predicazione dell 'e vangelo produce sulla vita della comunità. Ma il v. 7 mette i punti sulle i: Paolo desidera forte mente, anzi prega Dio per i corinzi, che facciano il bene e non il male - ma lo vuole per amor loro, non perché ciò costituisca una prova che lui «ha passato l ' esame» (RIV: che noi abbiamo ragione) . A lui non importa affatto di salvare la sua reputazione. Quello che gli importa, è che i corinzi facciano quello che è bene - anche se lui doves se essere bocciato ali ' esame. 1 64
Il v. 8 è una digressione, e ha l ' aspetto di una massi ma sapienziale in due parti, una negativa e una positiva. Ma non si tratta di sapienza generica: la verità dev' esse re (come in 4,2 e 6,7) l' evangelo. All' evangelo non si può contrastare. Anzi, i risultati positivi sono merito dell'e vangelo. Ma di chi si parla in questo versetto? Il «noi» si riferisce a Paolo, o alla comunità di Corinto? Quest' ultima ipotesi è più probabile: se i corinzi fanno il bene (v. 7), se sono forti e si può guardare con fiducia al loro perfe zionamento (v. 9), è una vittoria della verità dell' evan gelo, al quale non possono opporsi e che non possono sostituire con altri evangeli diversi (cfr. 1 1 ,4 ). Ma è chiaro che tutto quello che il v. 8 dice, vale anche per Paolo. Per questo parla col «noi» e non col «voi». Paolo è consapevole degli equi voci e dei pericoli che potrebbero sorgere se si presentasse con atteggiamenti energici, da superapostolo: un ascolto genuino e una conversione autentica sono più probabili quando si presen ta con aspetto e tono di voce dimessi : la potenza dell' e vangelo si dimostra attraverso la sua debolezza. Per questo si rallegra di essere debole, specialmente se il risultato è che i suoi ascoltatori siano forti nella fede e nell' impe gno. E questo egli chiede a Dio in preghiera. Il perfezio namento non implica un ideale di «perfezionismo», bensì una condizione di efficienza, di normalità, di conformità allo scopo: i discepoli di Gesù rammendavano le reti sulla spiaggia (Mc. l , 19 lo dice col verbo che corrisponde a questo termine) perché fossero adatte allo scopo. Il GLNT suggerisce che qui Paolo preghi per la fermezza interio re e l ' impegno della comunità. Nel v. l O, che chiude il brano, Paolo riprende il contra sto fra presente e assente già usato in 1 0, 1 -2: se ascolta no quello che scrive da lontano (mentre è assente), egli non avrà bisogno di fare processi o di imporre la sua autorità quando sarà presente. Il Signore gli ha dato autorità per edificare e non per distruggere (su edifica re cfr. la nota a 1 0,8). 1 65
49. ESORTAZIONI FINALI, SALUTI E B ENEDIZIONE ( 1 3 , 1 1 - 1 3) 1 1Del resto, fratelli, rallegratevi, ricercate la perfe zione, siate consolati, abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace; e il Dio d'amore e di pace sarà con voi. 1 2 Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Thtti i santi vi salutano. 13La grazia del Signore Gesu Cristo e l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
Stupisce non poco, ali' inizio del v. 1 1 , la prima esorta zione: fra telli rallegratevi! Dopo tutto quello che abbia mo letto nei capp. 1 0- 1 3 ci aspetteremmo un: Piangete ! , pentitevi ! E per questo s i può dubitare che i vv. l l - 1 3 siano l a conclusione della lettera polemica contenuta (in tutto o in parte) in quei capitoli. I vv. 1 1 - 1 3 potrebbero essere la conclusione della lettera di riconciliazione, e starebbero benissimo alla fine del cap. 7 o del cap. 9. I capp. l 0- 1 3 potrebbero essere stati inseriti tra la fine del cap. 9 e questa chiusa epistolare. D' altro canto, colpisce che la seconda esortazione: ricercate la peifezione, sia fatta con il verbo da cui deriva il vostro peifezionamento alla fine del v. 9. Pensando alle reti " dei pescatori, citate a proposito di 1 3 ,9 si potrebbe tradurre: rimettetevi in ordine, oppure: lasciatevi rimet tere in ordine. L' uso dello stesso concetto nei vv. 9 e 1 1 è un buon argomento per pensare che i vv. 1 1 - 1 3 siano stati dettati dopo i vv. 9- 1 0. Le esortazioni a metà del v. 1 1 (abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace) si adattano benissimo a quello che abbiamo letto finora negli ultimi quattro capitoli. In fondo, quanto più Paolo si avvici na alla fine del capitolo, tanto più notevoli sono le affer mazioni positive e di sper�nza: cfr. i vv. 6, 7a, 7c, 9, 10 (le ultime parole). L'esortazione successiva (siate consolati) può anche ,
1 66
essere tradotta (forse meglio) con «incoraggiatevi» (TILC e PAOL.), o: «fatevi coraggio a vicenda» (CEI). La conclusione del v. 1 1 è più liturgica del resto del versetto. Ma la formula completa non è mai usata altro ve da Paolo. Dio di pace si trova invece in Romani 1 5 ,33 ; 1 6,20; Filippesi 4,9 e in alcuni altri passi. Sarà con voi è diverso da «sia con voi»: è una promessa più che un augurio. Ma non bisogna trasformare i cinque imperati vi precedenti in condizioni per sperimentare la comunio ne con Dio. È vero invece il contrario: nella misura in cui il Dio della pace e dell' amore sarà con loro, essi potran no portare frutti di gioia, pace, unità di pensiero, confor to reciproco. Questa concordia sarà suggellata con il santo bacio che nelle comunità primitive era un vero e proprio momento del culto (come il «saluto di pace» in certe chiese di oggi ). Il v. 1 2b, che comunica ai lettori il saluto di tutti i santi (cioè di tutti i fratelli - presumibilmente del posto dal quale Paolo sta scrivendo, cfr. I Cor. 1 6,20 dove c ' è «fratelli» invece di santi) - interrompe il filo del discorso che va da 1 1 a 1 3 passando per 1 2a. La benedizione del v. 13 ha forma trinitaria nel senso che menziona Dio, Cristo e lo Spirito. Ma non sviluppa la problematica trinitaria dei secoli seguenti, che si interes savano teoricamente dei r:apporti fra le tre persone della Trinità. Qui invece si menziona l' amore di Dio, non la sua paternità; la grazia del Signore Gesù Cristo, non il fatto che fosse Figlio. È anche difficile capire bene il senso delle tre parti del versetto. In 1 3a e in 1 3b il Signore Gesù Cristo e Dio sono la fonte rispettivamente della grazia e dell' amore: l' apostolo augura ai suoi lettori di avere costantemente nella loro vita l' amore che è dato da Dio e la grazia (cioè la misericordia perdonatrice e salva trice) che è profusa sui credenti senza merito alcuno da colui che è venuto «non per essere servito, ma per servi re e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mc. 1 0,45). La grazia del Signore Gesù Cristo è menzionata al primo posto: è attraverso la grazia redentrice che si può 1 67
diventare partecipi dell' amore di Dio e della potenza dello Spirito Santo. Nella terza parte del v. 1 3 è difficile che lo Spirito Santo sia la fonte della comunione (in questo caso, si dovrebbe intendere: la comunione fraterna che è data dallo Spirito santo). È più probabile che si tratti invece della «partecipazione» allo Spirito santo. Infatti la parola comunione (greco koinonfa) ha questo significato in molti passi delle epistole (Fil. 1 ,5 : partecipazione al vangelo; Filem. 6: la tua partecipazione alla fede; I Cor. 1 0, 1 6 : comunione con il sangue, comunione con il corpo di Cristo; 1 0, 1 8 : comunione con l' altare; Filipp. 2, 1 : comunio ne di Spirito; cfr. anche I Pietro 4, 1 3 e 5, 1 ). Con quest' ultimo versetto, che è diventato nelle litur gie cristiane una formula abituale di benedizione, Paolo affida la comunità di Corinto alla grazia del Signore e ali' amore del Padre, e le augura di sperimentare la ricchez za dei doni dello Spirito santo. Quale migliore conclu sione per una lettera così piena di tensioni e di conflitti?
1 68
DUE CONCLUSIONI Giunti alla fine del nostro cammino attraverso la II Corinzi , vogliamo ancora soffermarci su due punti già toccati in precedenza: il modo in cui si è formato questo scritto biblico, e il significato che ha ancora per noi .
l . La II Corinzi
e
noi
Nella I Corinzi l' apostolo parla più della comunità e dei suoi problemi, che di se stesso. Nella II Corinzi si ha l ' impressione che parli più di se stesso e dei suoi proble mi (le sue delusioni, le sue sofferenze, i suoi contrasti . . . ) che della comunità. Quest'impressione è sbagliata. Quando Paolo parla di sé, lo fa come araldo dell' evangelo: a lui è stata affidata la proclamazione del messaggio della riconciliazione per tutti gli umani, siano essi giudei, siano essi gentili (pagani). Non è la sua persona che lo preoccupa, ma la missione che Cristo gli ha affidato. Il cuore dell' epistola sono i capitoli 3-6: lì Paolo si presen ta come servitore di un nuovo patto, che ha le sue radici nello Spirito (3 ,6) e ha come frutto la libertà cristiana (3, 17). Proclamare il nuovo patto è predicare Cristo Gesù qual Signore (4,5): questa predicazione, che illumina i cuori di chi la riceve con fede, è paragonabile all' irruzione della luce che squarciò le tenebre prirnitive all' inizio della creazio ne (4,6). Dunque la predicazione dell' evangelo ha un'effi cacia vivificante e rinnovatrice (3, 1 8 ; 4, 1 6; 5 , 1 7 ; 5,2 1 c). La consapevolezza di questa missione dà ai predica1 69
tori dell'evangelo una grande franchezza (3, 1 2) e li aiuta a non perdersi d' animo (4, 1 ), anche se sanno che il tesoro dell' evangelo è contenuto in poveri vasi di terra: le loro persone, con il peso delle limitazioni della natura umana (4,7). Ma i pericoli, le limitazioni, le sofferenze degli strumenti umani non tarpano le ali alla potenza dell' e vangelo, che è fonte di vita per chi lo riceve (4, 1 2). Questa ferma convinzione spinge i predicatori dell' e vangelo a esortare nel nome di Cristo: «Siate riconciliati con Dio ! » (5 ,20) e a dire: «Eccolo ora il giorno della salvez za !» (6,2). Tutta la II Corinzi ruota intorno a questi capitoli centra li, fin dall' inizio dove Paolo descrive le sue speranze, le sue preoccupazioni e la sua gioia (capp. l , 2 e 7). Anche i capp. l 0- 1 3 vanno visti in questa prospettiva: Paolo non si preoccupa del suo prestigio, o del trionfo del suo aposto lato su quello dei suoi avversari : ciò che lo preoccupa è la proclamazione dell' evangelo - che come abbiamo visto è creatore di vita, di rinnovamento, di riconciliazione. L' evangelo deve essere annunziato ad ogni costo, con fedeltà, con impegno e con disinteresse. I membri della comunità di Corinto - e anche i letto ri di oggi - sono chiamati a prendere coscienza che l' ascol to dell' evangelo è in certo qual modo una anticipazione dei giorni ultimi (6,2), grazie alla quale i credenti sono già delle nuove creature (5 , 1 7). Per questo Paolo non risparmia le critiche a tutto ciò che sa di vecchio, di pecca minoso, nella vita dei credenti e della comunità. La II Corinzi ci invita a far risplendere nel nostro «oggi» e nelle nostre situazioni la luce dell' evangelo, perché abbia anche in noi e nelle nostre comunità l ' effet to dirompente che secondo Paolo aveva (o doveva avere) nella comunità di Corinto.
1 70
2.
La II Corinzi come unità letteraria
Una parola finale, ora, sulla nascita della II Corinzi 1 1 3 con i molteplici stati d' animo di Paolo che si riflettono nelle sue pagine. Leggendo e commentando i tredici capito li abbiamo osservato la varietà di tematiche e di «umore» che si riflette nel testo (cfr. pp. 6 1 s., 65 s., 69 s., 1 33 s.): bruschi cambiamenti di stato d'animo, interruzioni del discorso su un argomento per riprenderlo, talvolta, più avanti, rapporti con la comunità ispirati ora ali' affetto, ora alla deplorazione. Talvolta la fraternità più affettuosa lascia improvvisamente il campo al1a freddezza e ai rimproveri. C'è chi ha cercato una soluzione a questi enigmi «nel tempe ramento, nella ricchezza caratteriale, neli' eccitabilità, nella ruvidezza dell'apostolo, oltre che nella confusione della situazione che in molti dettagli ci rimane ancora in defini tiva sconosciuta» (0. Kuss). Ma è anche possibile che gli stati d' animo così diver si che troviamo in questi tredici capitoli appartengano a momenti diversi e riflettano fasi diverse del rapporto di Paolo con la comunità. L' apologia del ministero apostolico sviluppata da 2, 1 4 a 6, 1 3 e poi ancora d a 7 , 2 a 7,4 riflette l a necessità di spiegare bene la natura e la funzione del ministero aposto lico e di ribadire l' appello a lasciarsi rinnovare dall' e vangelo e riconciliare con Dio. Forse faceva parte di questa lettera il primo appello a favore della colletta (cap. 8). Il brano biografico che va da 1 , 1 2 a 2, 1 3 e si conclu de in 7,5- 1 6 documenta l' ottimo lavoro svolto da Tito e l' avvenuta riconciliazione fra apostolo e credenti di Corinto. Il secondo appello per la colletta (cap. 9) potrebbe aver fatto parte di questa lettera. 171
L'atmosfera cambia completamente nei capitoli polemi ci (da 1 0 a 1 3 ). Qui la difesa dell' apostolato svolto da Paolo e la critica rivolta ai suoi avversari sono durissime e ai limiti della ragionevolezza (Paolo stesso dichiara di parla re come se fosse fuor di senno). Molti vedono in questi quattro capitoli la parte principale della «lettera scritta con molte lacrime» menzionata in 2,4. Ma il loro contenuto rivela un Paolo furibondo, più che un Paolo piangente. Il nostro problema non è tanto di decidere se la lettera di 2,4 possa identificarsi con questi ultimi capitoli, quanto piuttosto di stabilire in che ordine siano state scritte le varie parti della II Corinzi. Ne abbiamo parlato nell'Introduzione (pp. 33-35). Se i capp. 1 0- 1 3 sono l' ultima cosa scritta da Paolo ai corinzi, la storia dei rapporti fra Paolo e i corinzi si sarebbe conclusa con una rottura irrimediabile. Se invece i capp. l 0- 1 3 riflettono uno stadio interme dio di questi rapporti, e la lettera di riconciliazione ( 1 , 1 2 - 2, 1 3 + 7,5- 1 5) è posteriore a quella polemica, alla fine sarebbe tornato il sereno . . . È difficile essere certi d i come s i siano svolte effetti vamente le cose. Usare l ' epistola allo scopo di ricostrui re l ' esatto svolgimento dei fatti nella loro successione cronologica è legittimo, ma non rende giustizia allo scopo per cui è stata scritta (o sono state scritte le sue varie parti). Ciascuna di queste parti ha un messaggio valido anche oggi, e distinguere le situazioni e le cause che hanno portato a seri verie è utile per interpretare i vari passi tenen do conto delle circostanze e dello stato d' animo dell'a postolo, e della tematica del contesto. Certo, rimane sempre la possibilità che Paolo abbia scritto la II Corinzi a singhiozzo, con settimane o mesi di intervallo tra una sezione e l' altra. Questo potrebbe spiega re fino a un certo punto il cambiamento di umore e la di ver sità degli appelli rivolti ai lettori. Ma a me sembra logico che nei tre anni trascorsi a Efeso (dopo aver passato un anno e mezzo a Corinto) Paolo abbia scritto ripetutamen te a quella comunità dai molti problemi, e sia ritornato più di una volta nella città. Dobbiamo essere molto ricono1 72
scenti che di questi scambi di visite e di lettere siano rimaste tante tracce, nella I e II Corinzi : tracce in parte frammen tarie, ma abbastanza significative per ricostruire lo sfondo umano e la posizione di fede su cui si stagliano i rapporti di Paolo con la comunità e con i predicatori rivali. Se le nostre comunità hanno dei punti in comune con quella di Corinto, la predicazione di Paolo potrà essere ascoltata da noi con profitto e con riconoscenza.
1 73
INDICE DEI PASSI BIBLICI
Giosuè
ANTICO TESTAMENTO
22,33
47
Genesi 1 ,2-4
91
5,24
1 53
24,48
47
Giu dici 5,2-9
48
l Samu e/ e
Esodo 20,2
80
31,18
77
3 3 ,20
87
34 34,29-30. 35
83
34,30-35
84
84
1 6,7
1 07
Il Samu ele 7, 1 4
1 15
Il Re
L evitico 1 9, 1 9
1 15
26, 1 2
1 15
2, 1 . 1 1
1 53
Salmi Numeri 3 3 ,55
1 56
66,8
48
68,27
48
1 03 , 1 -2.20-22
48
1 04, 1 . 35
Deutero nomio
1 1 2,9 1 1 6, 1 0
5,6 8,10
96
80 47
19,15
1 63
22, 1 0
1 15
25,4
48 1 29
28
Prov erbi 1 1 ,24
1 29
1 75
3,3 1
84
75
4
80
44
4,3.5.9.22
1 53
9, 1 2 1 3 , 1 -3 1 3,2-3 1 3, 1 1
158
5,1
1 4, 1 0
158
5,3
1 4,27
59
5,3
15,12
79 1 09 51
s.
98
158
5,6
1 04
16
61
5,8
1 04
1 6,6-8
53
5,12
1 04 54
1 6,6 - 1 7 , 1 5
121
6,3
1 6,8
. 59
6,23
64
1 53
7,6
84
1 6,9
s.
1 6, 1 8
158
17
61
18
7 , 1 0a
83
7, 1 2
80, 83 82, 88
1 5 , 1 6, 23, 34
8,2
1 8,3
145
8,3
82
1 8,5
145
8,5
99
1 8,9- l l
1 53
8, 1 1
82
1 8,27
75
8, 1 8
98
19
49
8,23
1 00
1 9, 1 - 1 2
19
8,26
1 54
158
8,28
9 8 , 1 04
1 9, 1 1
s.
1 9 ,23-4 1
49
9, 1 -3
1 56
20
16
l O, l
1 56
20, 1
49
1 0,4
85
20,2
16
1 1 ,7
85
12
86
23, 24, 33, 34, 1 34
20,2-3 20,6- 1 2 20, 1 0
ss.
59 1 59
1 2,2
86
14, 1 - 1 5,6
151
20, 1 7
49
1 5,20
1 39
20,35
1 53
1 5 ,20b
1 40
22, 1 7-2 1
153
1 5,23
1 39
23, 1 1
1 53
1 5 ,24
140
22
1 5,26
1 25
27
1 53
1 5,27
1 25
28, 1 - 1 6
22
1 5,33
1 67
28,5-6.8
1 59
27,23
16, 1
44
1 6, 1 -2
75
1 6,5.23
Romani 1 ,5 1,13
1 6,20 44, 1 57
13 1 67
1 6,22
12
1 6;25
90
53
1,16
83
2, 1 6
90
3,3
84
3,19
82
l Corinzi l -4
1 44
1 77
1,11
17, 1 8
1 , 12
17
1 , 1 3- 1 7
1 59
9, 1 -3
18
9,4.5
28
1 , 1 7-3 1
27, 1 05
9,4- 1 4
1,18
72, 1 08
9,5
1 ,22-23 1 ,28
111 84
1 8, 7 5
9,3
91 1 47
9,6.7
28
9,9
28 28, 9 1 , 1 45
1 ,29
1 05
9, 1 2
1 ,3 1
5 1 , 1 40
9, 1 3
28
27
9, 1 4
28, 1 45
2, 1 - 1 3 2,2-5 2,6 2,6.8
111
9, 1 5
28
84
9, 1 8
28
90
9, 1 9
91 1 68
2,9
1 04
1 0, 1 6
3
1 10
1 0, 1 8
1 68
3 ,9
1 10
1 0,23
27, 1 5 3
1 1 ,25
81
3, 1 1
76
3, 1 6
1 16
12
3, 1 6- 1 7
137
1 2,7
3, 1 7a
1 47
3,2 1
51 51, 161
1 2, 3 1 13
18 153 1 55 1 6 , 27, 1 55
1 3 ,8
83
4,4c
89
1 3, 1 1
84
4,6.7
16
13,12
4,9
72
1 4, 1 -25
4,4
4, 1 0
16
4, 1 2
144, 1 45
52 27, 28
1 4, 1 8
1 05
1 4, 1 8- 1 9
159 1 05
4 , 1 4- 1 5
18
1 4, 1 9
4, 1 4-2 1
19
1 5 , 3-4
1 04
4, 1 6
19
1 5 ,7
1 47
4, 1 7
19
15, 10
4, 1 8- 1 9
17
1 5 ,24.26
4,2 1
17
1 5, 3 1
51
5,1
17
1 5 ,32
49
5 1 , 74, 1 52 84
5,6
1 6, 5 1
5 ,9
75
1 6, 1 -2
20
5,9- 1 1
56
1 6, 1 -4
2 1 , 1 22
17
1 6,3-4
20
2 7 , 1 53
1 6,5-6
23, 24
6 6, 1 2 6, 1 3
84
6, 1 9
1 16
1 5 ,5 3 -54
1 00
1 6,9
59
1 6,9- 1 0
75 19
7
18
1 6, 1 0
7, 1
18
1 6, 1 4
16
7,3 1
97
1 6, 1 5
16 1 6, 1 1 0
8 8,3 9
178
18
16, 1 6
1 04
16, 17
18
29
16, 1 9
1 3, 1 8
1 6,20
1 67
1 6,2 1
12
1 , 17
91
1 ,20-26
49 1 02
1 ,23 1 ,29
Galati l 1 ,4
s.
98
2, 1
1 68
2,6-7
1 36
75
2,7-8
32
1 07
2,2 1
91
64
3, 1 0
48
1 ,7-9
30, 3 1
3,19
90, 99
1 ,8-9
1 42
1,15
s.
91
4, 1 0-20
1 44
2, 1 - 1 0
1 43
4, 1 2b
151
2,2
153
4, 1 5
1 14
2,4
29, 1 5 1
4, 1 7
1 59
30
4, 1 8
72
1 ,7
20
2, 1 .3
2,7.9 2,8
1 40
2,9
1 40, 1 43 , 1 57
2, 1 0
20, 1 2 2
2, 1 2
29, 1 47
4,9
1 67
4, 1 0- 1 9
1 22
Coloss esi
2, 1 2- 1 4
30
2, 1 5
71
2, 1 5 - 1 6
91
4,3
59
4, 1 6
12
48, 87
2,20
1 14
3,1 3 , 1 -4
1 09
3, 1 3b
1 09
3 , 1 4a
1 09
l Tessalon icesi
3,17
84
3,2
1 10
3,27
54, 1 00
4, 1 5
1 40
101
4, 1 6
101
5 , 1 -4
30
4, 1 7
153
5, 13c
91
5 ,27
Il
6, 1 3
51
3 ,27
s.
6, 1 4
51
6, 1 3 . 1 5
30
Efesini 1 ,3
ss.
3,12
Filemon e 6
1 68
8
84
47 84
l Pietro 1 ,3
Filippesi 1 ,5
1 68
ss.
47
1 ,8
1 54
4, 1 3
1 68
5, 1
1 68
1 79
5,3
54
5,8
59
Apocalisse
Il Pi etro 2, 1 6
1 80
1 2,8 90
1 53
2 1 ,4
98
2 1 ,5
1 07
INDICE
Lista delle abbreviazioni
Introduzione alla Il Corinzi
5 11
Tappe della vita di una lettera apostolica
11
Rapporti di Paolo con i credenti di Corinto
15
Gli ambasciatori d i Paolo a Corinto
19
Quanti furono i viaggi d i Tito d a Efeso a Corinto?
21
I rapporti di Paolo con Corinto dopo la I Corinzi
22
Elementi polemici nella II ai corinzi
24
Le croci di Paolo: incomprensioni all ' interno e rivalità dall' esterno
27
Quale fu l' esito del conflitto fra Paolo e i cristiani di Corinto?
33
Qual è il volto della comunità di Corinto che si riflette nella seconda epistola?
35
Questo libro
38
Sommario dell ' opera
39
181
COMMENTO l.
Intestazione della lettera ( 1 , 1 -2)
PARTE PRIMA RAPPORTI TRA PAOLO E LA COMUNITÀ CORINZIA
1 82
41 43
45
2. Le sofferenze e le consolazioni vissute da Paolo si ripercuotono sulla comunità ( 1 ,3-7)
47
3 . Prove e liberazioni d i Paolo i n Asia ( 1 ,8- 1 1 )
48
4. Come Paolo giudica i suoi rapporti con la chiesa di Corinto nel recente passato ( 1 , 1 2- 1 4)
50
5 . Paolo spiega perché h a rinunziato a fare una seconda visita burrascosa ( 1 , 1 5 - 2,2)
52
6. La visita promessa è sostituita dall' invio di una lettera scritta fra le lacrime (2,3 -4)
55
7. Qualche accenno alla visita burrascosa o intermedia e ai suoi riflessi nella vita della comunità (2,5- 1 1 )
57
8. Una ulteriore prova delle preoccupazioni di Paolo per i fratelli di Corinto: il suo stato d' animo a Troas (2, 1 2- 1 3)
59
9. L' incessante preoccupazione di Paolo è attenuata dall' arrivo di Tito e dalle notizie che porta da Corinto (7 ,5-7)
60
1 0. Effetti della lettera penosa (7,8- 1 3 )
62
1 1 . I buoni rapporti di Tito con i corinzi (7, 14- 1 5)
65
1 2. Conclusione: la fiducia di Paolo nei corinzi (7, 1 6)
66
PARTE SECONDA ESALTAZIONE DEL MINISTERO APOSTOLICO
Prima sezione (2, 1 4 - 4,6) L' apostolo fa conoscere Dio in Cristo
67
71
1 3 . Carattere escatologico del ministero apostolico (2, 1 4- 1 7 )
71
14. I corinzi, «lettera di Cristo» (3, 1 -3)
74
1 5 . La fiducia e la capacità di Paolo come apostolo (3 ,4-6a)
78
1 6. Paolo ministro del nuovo patto (3,6b- 1 6)
79
1 7 . La gloria del Signore e la gloria dei redenti (3, 1 7- 1 8)
86
1 8. Riepilogo dell' insegnamento sull' apostolato (4, 1 -6)
88
Osservazioni conclusive sulla prima sezione (2, 14 - 4,6)
92
Seconda sezione (4,7 - 7,4) Il messaggio della riconciliazione in Cristo portato attraverso le contraddizioni dell'esistenza apostolica
94
94
1 83
PRIMO RAGIONAMENTO
La potenza vivificante dell ' evangelo, antidoto al prevalere della debolezza (4,7 - 5 , 1 0)
94
1 9. La forza nella debolezza (4,7- 1 2)
94
20. La speranza che sostiene l' apostolo nelle sue prove (4, 1 3- 1 5)
96
2 1 . Cose che passano e cose che durano (4, 1 6 - 5 , 1 }
97
22. Il gemito terreno e la definitiva comunione col Signore (5 ,2-8)
99
23. Impegno e retribuzione (5,9- 10)
1 02
SECONDO RAGIONAMENTO
Il messaggio dell' evangelo e il suo apostolo (5, 1 1 - 7,4)
1 84
1 03
24. «L' amore di Cristo ci costringe» (5, 1 1 - 1 5) (La motivazione dell' apostolo)
l 03
25. La morte di Cristo fa ogni cosa nuova e opera la riconciliazione (5, 1 6 - 6,2)
1 05
26. Un ministero irreprensibile svolto in condizioni proibiti ve ( 6,3- 1 0)
111
27. Appello paterno di Paolo ai cristiani di O_>rinto (6, 1 1 - 1 3)
1 14
28. L' impegno richiesto ai fedeli (6, 14 - 7 , 1 )
1 15
29. Ripresa e fine dell' appello paterno di 6, 1 1 - 1 3 (7,2-4)
1 16
PARTE TERZA DUE CAPITOLI DI RACCOMANDAZIONE DELLA COLLETTA PRIMO APPELLO:
8 , 1 -24
1 19 121
30. L' esempio della Macedonia (8, 1 -5)
121
3 1 . La colletta a Corinto: esortazione a completarla (8,6- 1 2)
1 23
32. Una mano lava l ' altra (8, 1 3 - 1 5 )
1 24
3 3 . Il compito assegnato a Tito (8 , 1 6-24)
1 25
SECONDO APPELLO:
9, 1 - 1 5
1 27
34. Gara di generosità tra Macedonia e Acaia (9, 1 -5)
128
35. Generosità e benedizioni (9,6- 1 1 )
1 28
36. Effetti della generosità (9, 1 2- 1 5)
1 30
PARTE QUARTA DIFESA DELLA LEGITTIMITÀ APOSTOLICA DI PAOLO
131
37. Paolo respinge critiche e minaccia provvedimenti adeguati (l O, 1 - 1 1 )
1 35
38. Il criterio per valutare l' operato dell' apostolo ( 1 0, 1 2- 1 8)
1 38
39. La «follia» di Paolo viene dalla «gelosia» ( 1 1 , 1 -4)
141
40. Paolo e i «sommi apostoli» ( 1 1 ,5-6)
1 43
4 1 . Motivo e significato della predicazione gratuita ( 1 1 ,7- 1 2)
144
42. Paolo e i «falsi apostoli» ( 1 1 , 1 3- 1 5 )
1 46 1 85
43 . Secondo «discorso da pazzo» : prove e sofferenze di Paolo ( 1 1 , 1 6-33)
1 47
44. Il «rapimento» al terzo cielo ( 12, 1 -6)
1 52
45 . La spina nella carne e la preghiera inesaudita ( 1 2,7- 1 0)
1 55
46. Paolo ha dato tutto se stesso senza cercare profitti ( 1 2, 1 1 - 1 8)
1 57
47. Timori di condotta impropria della comunità ( 1 2, 1 9-2 1 )
1 60
48. Minacce, esortazioni, speranze e promesse relative alla prossima visita di Paolo a Corinto ( 1 3 , 1 - 1 0)
1 62
49. Esortazioni finali, saluti e benedizione ( 1 3, 1 1 - 1 3)
1 66 1 69
Due conclusioni l . La II Corinzi e noi
1 69
2. La II Corinzi come unità letteraria
171
175
Indice dei passi biblici
Finito d i stampare il 2 9 gennaio 2000
1 86
-
Stampatre, Torino