ALBERTO TINTO· ;~
LA TIPOGRAFIA MEDICEA ORIENTALE
Marìa Pàcini Fatzi Editore •
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ALBERTO TINTO· ;~
LA TIPOGRAFIA MEDICEA ORIENTALE
Marìa Pàcini Fatzi Editore •
Il presente volume ricostruisce in dettaglio, sulla scorta di documenti inediti, la storia della Tipografia Medicea Orientale fondata a Roma nel 1584 dal cardinale Ferdinando de Medici con la quale il libro italiano venne di nuoVo a trovarsi all'avanguardia della tipografia europea. La Medicea costituì !'importante strumento di cui si servì il papato, con slancio missionario, per l'opera di riunione al cattolicesimo dei cristiani non romani specialmente di quelli del Medio Oriente e dei paesi slavi, opera perseguita attraverso la stampa e la diffusione di numerosi te'sti in caratteri orientali.
ALBERTO TINTO, nato a Roma, dal 1973 è direttore della Biblioteca Statale di Lucca. Esperto, a livello europeo, di storia della tipografia quattrocinquecentesca è autore di numerosi ar" ticoli pubblicati nelle più prestigiose riviste italiane e straniere del settore e di volumi come: Annali tipograficì di Eu-
cario e Marcello Sì/ber (1501-1527). firenze, Olschki, 1968; Annali tipograficì dei Tramezzino. Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale,
1966; Origini del corsivo nella tipografia ìtaliana del Cìnquecento (in collab. con L. Balsamo). Milano, «il Polifilo», 1967; Il corsivo nella tipografia italiana del Cìnquecento. Milano, «Il Polifilo», 1972.
ALBERTO TINTO
LA TIPOGRAFIA MEDICEA ORIENTALE
Maria ]?acini Fani Editore - Lucca, 1987
© Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca, 1987
LE PREMESSE
I tentativi di pubblicare a Roma nel secolo XVI testi in lingue orientali, rari e sporadici, furono dovuti a Marcello Silber (Psalterium Aethiopicum, a spese di Johann Potken, 1513) I ed ai fra·· telli Dorico (Testamentum Novum, 1548-49 e Chaldeae seu Aethiopicae linguae institutiones di Mariano Vittori, a spese dell'etiope Tasfà Seyon, 1552)2. Per un'iniziativa ampia ed organica, con una lucida visione degli obiettivi da raggiungere, si dovette infatti, nella seconda metà del secolo, attendere il pontificato di Gregorio XIII. Egli, in esecuzione dei deliberati del Concilio di Trento sulla riforma dei libri liturgici, inserì anche la revisione di quelli di canto gregoriano (Antifonario, Graduale, Salterio). Tale revisione, affidata a Giovanni Pierluigi da Palestrina e ad Annibale Zoilo fl,l, a sua volta, immessa nel progetto, assai più vasto ed ambizioso, di istituire una nuova tipografia che avrebbe dovuto stampare testi emendati in tutte le lingue e per la quale la Camera Apostolica aveva stanziato la somma di 100.000 ducati 3 • La nuova tipografia poliglotta «pontificia» fu eretta nel 1578 ed affidata alle cure del friulano Domenico Basa. Taluni prodotti in lingue orientali della tipografia poliglotta, a noi noti, recano talvolta la sottoscrizione «ex typographia Dominici Basae», talvolta invece sono privi di note tipografiche. Il Basa, quindi, non va considerato come il «diretto-
1 A. TINTO. Annali tipografici di Eucano e Marcello Silber (1501-1527) (Firenze, L.S. 01schki. 1968), p. 92, n. 157 «Biblioteca di bibliografia italiana, LV,). 2 F. BAHBERI, I Dorico, tipografi a Roma nel Cinquecento, in «La Bibliofilìa», a LXVII, disp. II (1965), p. 237. 3 Nel Cod. Vat. Lat. 6792, cc. 331-3 si legge che il tipografo Francesco Zanetti aveva proposto al pontefice l'erezione di una stamperia poliglotta: «Franciscus Zanettus, typographus, Gregorio XIII proponit typographiam instituendam caracteribus diversarum nationum copiose instructam». Cfr.: ].A.F. ORBAAN, Documenti sul Barocco in Roma in «Miscellanea della R. Società Romana di storia patria» (Roma, Soc. Rom. di storia patria, 1920), p. 327, nota. Allo stato attuale è impossibile dire se l'attuazione del progetto fu dovuta, in tutto o in parte, al suggerimento dello Zanetti o ad una autonoma, personale convinzione del papa.
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re» di una stamperia istituzionalizzata, ufficiale, allora inesisten· te ma piuttosto come il tipografo di fiducia di Gregorio XIII e da questi stipendiat04 • Al Basa - che svolgeva parallelamente una propria attività tipografico-editoriale - venivano di volta in volta consegnate le serie di caratteri esotici previste dal programma di lavoro della stamperia incise a partire dal 1579, per ordine e col denaro del pontefice, dal celebre punzonista fonditore e tipografo parigino Robert Granjon giunto a Roma nel dicembre del 1578 5 •
LA FONDAZIONE DELLA STAMPERIA. SUA ATTREZZATURA E UBICAZIONE La Tipografia Medicea Orientale fu, com'è noto, fondata con «instrumento» del 6 marzo 1584 dal cardinale Ferdinando de Medici 6 , poi Ferdinando I granduca di Toscana, su proposta del 4 Su Domenico Basa si veda la voce redatta da A. Cioni per il Dizionario biografico de· gli italiani, VII (Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1965), pp. 45-9. Da una mo-
desta ma inedita fonte apprendiamo, inoltre, che egli, oltre a Bernardo, nipote «ex fratre», ne ebbe un altro di nome Andrea. La notizia è contenuta in una sorta di breve diario (1592·1596) del Raimondi nel quale questi annotava gli avvenimenti più disparati che accadevano a Roma: «A 9 d'agosto 1594 partirno di Roma per Franch fort messer Andrea nipote di messer Domenico Basa, et messer Paulo compagno di messer Roberto Maietto» (Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, voI. II, ins. XXV). Ad un non identificato «nipote del Basa», ma certamente il nostro An· drea, accenna Berta Maracchi Biagiarelli (Libri in arabo da Roma alla fiera di Francoforte (1594) in «La Bibliofilia», a. LXXXI (1979), pp. 127·31) parlando della missione affi· data dal Raimondi ad un Nicandro Filippini, di indagare alla fiera di Francoforte sul furto dei libri arabi di cui sospettava autore il proto della Medicea, Matteo Neroni. ~. A. TINTO, Per una storia della tipografia orientale a Roma nell'età della Controriforma. Contributi, in «Accademie e biblioteche d'Italia», XLI (1973), pp. 280-303. 6 Un aspetto poco noto della vita di Ferdinando de Medici, conosciuto come cardinale mecenate che tuttavia non aveva mai ricevuto l'ordinazione sacerdotale, e poi come gran· duca di Toscana consiste nel fatto che prima di intraprendere questa iniziativa culturale, nel 1575, egli, allora ventiquattrenne, era stato coinvolto in gravi scandali dovuti
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celebre orientalista Giovanni Battista Raimondi il quale ne aveva trattato prima col patriarca di Antiochia della chiesa sira giacobita Ignazio Na'matallah, giunto a Roma alla fine del 1577 o ai primi del 1578 per negoziare l'unione della propria chiesa con quella cattolica. Fu quindi istituita una congregazione della quale furono chiamati a far parte, oltre al Raimondi, Cipriano Saracinelli come segretario della protezione dei patriarcati di Alessandria e Antiochia, Donato dell' Antella in qualità di tesoriere e Giovanni Battista Britti da Cosenza affinché «intervenghino et trattino per quanto occorre con esso monsignor patriarca, et tenghino continua et diligente cura, et habbino l'intera sopr'intendenza di tutta questa impresa». Il cardinale, che rimaneva proprietario della stamperia di cui avrebbe sostenuto tutte le spese, riservava a sé il 70% «di quanto apparisse restar in avanzo fatti li difalchi» e concedeva il restante 30% ai membri della congregazione affinché potessero «distribuirseli fra di loro a loro intera soddisfatione comprendendovi il patriarca». Per la ripartizione poi della partecipazione agli utili del 30% concessale, la congregazione deliberò che il 7% spettasse al Raimondi e che il restante 23% fosse diviso in parti uguali fra gli altri quattro membri'. Si trattava quindi di una vera e propria società commerciale dai moventi, ovviamente, ben diversi da quelli che avevano spin-
alla vita dissipata che conduceva intrattenendo relazioni illecite con donne e sperperano do nella crapula e nel gioco il suo ingente patrimonio. Un «avviso» di Roma del 20 agosto 1575 (Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 1044, c. 517 v) riferisce infatti che il Medici avrebbe giocato 27.000 scudi; un altro del 27 agosto dello stesso anno (Bibl. Apost. Vat., Urb. lat. 1044, c. 522 v) c'informa invece che il futuro granduca ne aveva perso 30.000. Nonostante gli aspri rimproveri del papa egli si trovò, di nuovo, nel 1576, al centro di clamorosi episodi della vita notturna romana; come quando, nel settembre di quell'anno, «di notte tempora fu afrontato e fugli morto el signor Pompeo, uomo bravo, e fu ferito un suo staffiere e lui ancora e, se non si ritraeva, v'era ammazzato e da uomini di gran favore». Cfr. B. ARDITI., Diario di Firenze e di altre parti della cristianità (1574·1579), Firenze, 1st. Naz. di Studi sul Rinascimento, 1970, pp. 65, 128. , A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. L Gli utili per la congregazione furono portati poi, 1'8 agosto 1588 dal granduca, al 35% (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XVII). Inoltre da un «Memoriale della stampa arabica et altre lingue orientali... » (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXXI), senza anno ma databile dopo il 1596 si apprende che il cardinale aveva dotato il Raimondi di una provvigione annua di 500 scudi.
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to Gregorio XIII ad affidare nel 1578 a Domenico Basa la tipografia universale cioè la diffusione, tramite i gesuiti, di testi liturgici in lingue orientali presso i cristiani non romani. Delle cognizioni erudite del patriarca si valse largamente il cardinale al quale Na'matallah cedette, in corrispettivo di una pensione ma riservandosene l'uso vita natural durante, i propri manoscritti che aveva portato con sé dall'Oriente che avrebbero costituito la biblioteca, o il primo nucleo di essa, della tipografia 8 • Nel 1584 il Britti fu mandato, insieme con il noto viaggiatore Giovan Battista Vecchietti e familiare del Raimondi, in Oriente munito di lettere patenti comuni da parte del cardinale. Su segnalazione del Medici, il pontefice incaricò il Britti di recarsi in Etiopia per trattare con il Prete Gianni, il leggendario monarca etiopico, uno stabilimento di rapporti diplomatici con la Sede Apostolica in prospettiva di un'unione della Chiesa copta con quella cattolica. Il Vecchietti ebbe invece l'incarico di cercare di riportare i copti di Alessandria in seno alla Chiesa Romana, e, inoltre, di indurre lo Scià di Persia a continuare nella guerra contro la Turchia con la promessa di aiuti da parte del papa e di altri sovrani occidentali. Dovevano anche, il Britti sondare se vi fossero possibilità di vendita, in Etiopia, di edizioni arabe della Tipografia Medieea Orientale allora costituita ed il Vecchietti informarsi se esse potessero trovare smercio fra i turchi. Entrambi, in fine, avevano il compito di ricercare manoscritti orientali9 che avrebbero dovuto contribuire a formare la biblioteca della tipografia. Il cardinale, inoltre, non badò a spese per corredare la tipografia, oltre che delle necessarie attrezzature, di svariate serie di caratteri orientali: anzi, tale complesso di tipi risultò, alla fine, talmente imponen-
G. LEVI DELLA VIDA, Documenti intorno alle relazioni delle chiese orientali con la 5. Sede durante il pontificato di Gregorio XIII. Appendice. Aggiunte a «Studi e testi, 92» Città del ,Vaticano, BibI. Apost. Vaticana, 1948), p. 39. «Studi e testi, 143». 9 R. ALMAGIÀ, Giovan Battista Britti e Gerolamo Vecchietti viaggiatori in Oriente, in «Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Linceh>, serie VIII, Classe di scienze morali, sto· riche e filologiche, voI. XI (1956), pp. 313-50; id., Giovan Battista Britli cosentino viag· giatore in Oriente, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania, XXV (1957), pp. 75-101. 8
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te che la maggior parte di essi non venne mai utilizzata. Quindici giorni dopo l'atto di fondazione della Tipografia Me· dicea Orientale, il21 marzo 1584 troviamo nel libriccino dei con· ti del RaimondilOnella sezione intitolata «Denari dati per conto del pigione della casa per la stamperia» una prima voce riguardante 1'affitto di una casa dove installarla senza però che ne fosse specificata l'ubicazione: «A di 21 di marzzo [sic] del 84 a Giovan Correa scudi d'oro in oro 9 et scudi di moneta 2 et baiocchi 25»11, Si ignora del tutto il motivo per cui, ed è anche impossibile formulare ipotesi che abbiano una qualche plausibilità, appena due mesi dopo il pagamento della pigione al Correa, nel maggio fu presa in affitto un' altra casa. Questa era situata nel rione Campo Marzio «prope Stufam l2 Plateae MontisAuri»IJ. Ai locali, come risulta da varie registrazioni sul libretto dei conti furono effettuati diversi lavori
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. L Si trattava, evidentemente, dato che il Raimondi, come si vedrà, usava effettuare il pagamento della pigione il secondo mese di ogni trimestre, di quello di febbraio-aprile. 12 Dal tedesco Stube, venivano cosi chiamati piccoli e malfamati stabilimenti terapeutici il cui uso venne importato dalla Germania, cosi come tedeschi erano quasi tutti coloro che nel XV secolo erano detti, a Roma, «stufaroli», Cfr. U. GNaU, , Topografia e toponomastiea di Roma medioevale e moderna (Roma, A. Staderini, 1939), p. 309. Il Piazza Montedoro detta anche piazza Condopula. Il primo appellativo sembra (F. CERASOU, Ricerche storiche intorno agli alberghi di Roma dal secolo XVI al XIX, in «Studi e documenti di storia e diritto», XIV (1893), p. 394; U. GNOU, Alberghi ed osterie di Roma nella Rinascenza (Roma, P. Maglione, 1942, p. 106) sia derivato dall'esistenza, già ai tempi di Leone X, di un albergo all'insegna del Monte d'Oro; altri sostengono che la piazza assunse tale denominazione, quando papa Giulio III (1550-1555) vi trasferì il Monte da lui istituito, e detto dell'oro (P. ROMANO, Campomarzio (IV rione), Roma, Tip. Agostiniana, 1939, p. 54. «Roma nel Cinquecento»). La seconda denominazione pare, invece, che sia derivata da una casa, di proprietà del pittore Pietro o Gian Pietro Condopulo, non meglio identificato. Una conferma indiretta di tale ipotesi deriva dalla registrazione, nel libretto man6scritto di pugno del Raimondi fra le carte della Tipografia Orientale Medicea nell' Archivio di Stato di Firenze, di due pagamentì trimestrali (8 giugno e 11 settembre 1584 per i trimestri maggio-luglio ed agosto-ottobre) di «15 scudi d'oro in oro et giulij 37 1/2» a Numa Pompilio Condopulo, romano, forse discendente del pittore, per l'affitto della casa. In una ricevuta autografa del Condopulo del 15 settembre 1586 si attesta di aver ricevuto dall'orientalista 12 scudi per la pigione «della casa mia attaccata alla Stufa». lO
Il
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di adattamento 14 e di attrezzatura l5 • Gli ulteriori spostamenti dell'officina avvenuti nel corso degli anni creano talora difficoltà non solo per quanto concerne i motivi di questi ma anche per la loro localizzazione ed identificazione. Infatti, nella querela sporta il 26 novembre 1593 contro Matteo Neroni, proto della Medicea, il Raimondi afferma, con strana imprecisione di dati che «fu eretta la detta stamperia qua in Roma in un palazzo al Montedoro del quale era padrone all'hora messer Numma Pompilio [CondopuloJ romano, et doppo non so che tempo fu trasferita in un altro palazzo del vescovo di Anagni 16 0 suo fratello»li. Negli anni 1593-1595 il Raimondi pagò l'affitto «dello apartamento dabasso della casa del quondam signor Numa Pompilio ataccata alla stufa in Piazza Condopula» ad un certo Antonio «Confortio», esattore della Venerabile Compagnia dell' Annunziata di Roma 1B , evidentemente subentrata nella proprietà dei locali alla morte del Condopulo. Quasi tutte le ricevute registrano pagamenti di Giacomo Luna, compositore della stamperia, effettuati però «per mano» dell' orientalista, Nel 1595 questi prese inoltre in affitto una bottega, non più attaccata alla stufa ma posta sopra di essa. La pigione venne pagata al proprietario Donato Antonio Martinelli «stufarolo in Piazza Condopoli». Abbiamo infatti due ricevute, una del 5 giugno 1g ed una seconda del 15 settembre 1595 20 , entrambe di
14 2 settembre 1594: «Mastro Domenico da Imola» riceve 4 scudi «per conto delli ferramenti per li torculi»; 17 settembre [1584]: il Raimondi paga «per ordine» del Basa, chiave e serratura dell'uscio della tipografia; 2 gennaio 1585; si fa fare «uno ancino per lo sciacquatoro»; 4 gennaio 1585: «Mastro Battista» muratore è pagato per «La conciatura della volta della cantina che era rovinata et conciatura d'un camino». 15 9 e 22 settembre 1584: il falegname mastro Marsilio lavorò ai torchi; 10 settembre 1584: è pagato il «mastro ottonaro» per la «matre vite di ottone»; 18 settembre - 6 dicembre 1584: attrezzature diverse; 10 ottobre 1585: È pagato «Mastro Antonio de Ferrari archibusciero» «per un telaro di ferro di foglio mezano»; 23 dicembre 1585: il de Ferrari viene pagato «per uno telaro di foglio mezano». )6 Gaspare Viviani, fondatore del Collegio Greco in Roma. 17
A.
BERTOLOTTI,
Le tipografie orientali e gli orientalisti a Roma nei secoli XVI e XVII,
in «Rivista europea - Rivista 18 A.S.F., Mise. Med., Stampo 19 A.S.F., Mise. Med., Stampo 20 A.S.F., Mise. Med., Stampo
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internazionale», XI (1878), p. 219. Or., voI. I, ins. XVI. Or., VoI. I, ins. XXIII. Or., voI. L, ins. XXVIII.
mano di un Giovanni Antonio Buscasino «per non sapere il detto messer Donato scrivere»: esse attestano che il Martinelli ricevette dal Raimondi il pagamento per due trimestri della pigione «della casa che tiene sopra la mia stufa» iniziati, rispettivamente, il lO giugno ed ilIo settembre. Suscita perplessità, quindi, apprendere che il 17 giugno di quell'anno il già citato Antonio «Confortio» ricevette 11 scudi dall' orientalista «per la pigione de sei mesi dello apartamento disopra la casa dove sta al presente Giacomo Luna in Piazza Condopula»21, semestre iniziato il 13 febbraio. Di tali pagamenti abbiamo notizia almeno fino all' Il marzo 1596, data in cui il «Confortio» attesta di aver riscosso dal Raimondi 21 scudi «a bon conto delle pigioni decorse tanto della casa de messer Giacomo Luna quanto del suo apartamento de sopra»22. Appare, invece più comprensibile poiché si trattava probabilmente della casa d'abitazione del Raimondi, e non dell'officina, il fatto che il 17 agosto 1595 questi prese a pigione da un Pietro Antonio Minochi un «giardinetto con duo stantiette sito et locato dietro la chiesa delli Greci» per 18 mesi 2J •
IL PERSONALE Le prime notizie sul personale della neo eretta stamperia ci vengono fornite da una memoria intitolata «Breve raguaglio delle cose fatte dal'illustrissimo signor cardinale de Medici intorno la protettione datali del patriarca d'Antiochia del patriarca d'Alsandria [sic] del re d'Ethiopia dalla felice memoria di Gregorio XIIIo»24. Dopo aver esordito con l'informazione che il primo avvÌo dell' attrezzatura della Medicea fu dato da Domenico Basa «qual'
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24
A.S.F., A.S.F., A.S.F., A.S.F.,
Mise. Mise. Mise. Mise.
Med., Med., Med., Med.,
Stampo Stampo Stampo Stampo
Or., Or., Or., Or.,
voI. voI. voI. voI.
I, I, I, I,
ins. ins. ins. ins.
XXIV. XXXI. XXVII. XX.
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ha servito molt' anni la Camera Apostolica», il documento prosegue: «Si è fatto fermare con boni trattenimenti maestro Roberto Grannion francese di età di anni 72 eccellentissimo intagliatore di ponsoni, al quale oltra la provisione di 20 scudi al mese che li dava Sua Santità se li pagano [per ordine di depennato] da Sua Signoria illustrissima tutte le opere che lui fa in detta stamperia»25. E informa inoltre che è stato «ritrovato un altro intagliatore di ponsoni [qual è depennato] di natione fiamengo et di età di 40 anni chiamato Alberto Cesari, al quale per adesso seli da la parte per sé et un suo figliolo et lavora anco lui in detta stamperia. Si è appaltato un gittatore di lettere chiamato Antonio di Chiari, valente nella sua professione». Le indicazioni di questo documento, di mano del Raimondi e privo di data ma assegnabile al 1585 260 forse ad una data posteriore, sono note, almeno in parte, agli studiosi ma vanno integrate con gli appunti del già ricordato libretto dei conti della Medicea e con altri documenti. Tuttavia esse danno luogo ad interrogativi e perplessità e sono talvolta contraddittorie. Tralasciando, per il momento di parlare di Domenico Basa, è da notare che le forti somme pagate a Granjon, punzonista di fama europea, vengono giustificate27con il fatto che «ancora molti tramontani tentorno di levare il Roberto Granion di Roma et menarlo in Germania per farlo lavorare di detti caratteri delle lingue orientali et massime della arabica et chaldaica». Ciò non impedì al Raimondi, scrivendo il 13 agosto 1588 al segretario del cardinale divenuto granduca di Toscana l'anno precedente, di esprimersi, 25 Secondo A.M. BANDINI, Lettera... sopra i principi e progressi della Biblioteca Laurenziana... (Firenze, nella stampo Allegrini, Pisoni e C., 1773, p. 76, a Robert Granjon, per le «lettere» che incideva, «oltre a scudi dieci al mese, e la casa, il Cardinal Ferdinando de Medici gli passava uno scudo d'oro per lettera, ... Oltre di che il Pontefice Grego.rio XIII dava al medesimo scudi 300 per ogni alfabeto ... ». Cfr. anche: H.D.L. VERVLlET, Robert Granjon à Rome 1578-1589. Notes préliminaires à une histoire de la typographie romaine à la fin du XVI' siecle, in «Bulletin de l'Institut historique beIge de Rome,>, 38 (1967) p. 214, nota 4. 26 Certamente dopo il lO aprile 1585, anno di morte di Gregorio XIII. 27 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XV.
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nei riguardi dell'incisore francese, con frasi ciniche e sprezzanti: «et sappisi signor mio et senza dubio alcuno, che dove corre il danaro, lì nascono delli messeri Roberti». La sua esperienza «in questo negotio et in questo particulare di fareponsoni» gli suggeriva inoltre «che mancando messer Roberto che Dio non vogli, io ho qui in Roma huomini che ci servirebbono come messer Roberto et forse adesso che è mal sano et [le parole mal sano et sono aggiunte al disopra del rigo] nella sua vecchiaia che poco più può fare, meglio di lui et più presto, ma li tengo lontano da questo concetto per non darli ardire di proponersi ad altri». Interessante nella sua cruda semplicità la notizia che l'orientalista fornisce, in fine, lungo il margine sinistro dell'ultimo foglio: «Messer Roberto quindici giorni sono, essendo per venti anni sono crepato da una banda di sotto, è crepato dall' altra tal che poco può lavorare, onde non è da temere che lavori per altri»28. Dati anch'essi assai interessanti e, riteniamo, del tutto inediti si ricavano dal taccuino dei conti del Raimondi. Nella sezione di esso che reca la dicitura «Denari havuti da Sua Signoria illustrissima per conto di messer Roberto» vengono registrati alcuni pagamenti all'incisore parigino: 30 ottobre 1583, un mandato di 25 scudi; 25 gennaio 1584, uri mandato di lO scudi; 28 febbraio 1584, un mandato di 50 scudi. Qui non è tanto da sottolineare l'entità delle somme pagate quanto le date in cui tali versamenti furono effettuati, tutte anteriori alla fondazione della Medicea, il che indica senza dubbio alcuno che Granjon, il quale aveva lavorato a partire dal 1579 per la tipografia poliglotta «pontificia» finanziata dal pontefice, dal 1583 lavorava e veniva pagato con i capitali del Medici per mezzo di Giovanni Battista Raimondi. Nulla si conosce del «gittatore» Antonio di Chiari, modesto ed oscuro artigiano. Più ampie, anche se troppo scarne, le notizie sul fiammingo Alberto Cesari (de Keyser?). Nel 1565 era maestro orefice; l'anno seguente lo troviamo titolare di una bottega, con due lavoranti 29 . Il Raimondi annota diversi pagamenti a favore 28 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XVIII. 29 C. BUl.GARI, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, pt.I, l
(Roma, L. Del Turco, 1958),
p.280.
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del Cesari le cui giustificazioni sono spesso in disaccordo fra loro 3o • Un primo problema, infatti, è quello di stabilire se lui fosse punzo\lista come risulta dal «Breve raguaglio» e da alcune registrazioni nel libretto dei conti. Tale attività poteva benissimo essere stata svolta dal Cesari dato che molti incisori di punzoni per la stampa avevano esercitato, in precedenza, l'arte di orafo o di zecchiere. Altra cosa da appurare è se egli fosse forgiatore di punzoni, attività questa, strettamente connessa con la prima e spesso, nel XVI secolo esercitata dallo stesso incisore. Da un pagamento di 5 scudi a suo favore in data 15 febbraio 1585 egli risulta, poi, addirittura tipografo perché la giustificazione del versamento consiste nella «compositura di 50 mostre et stampatura». Noi, a tale proposito e pur con qualche dubbio, riteniamo che il Cesari sia stato punzonista e, all'occasione, anche forgiatore e compositore 3l • Una terza perplessità sorge, a nostro avviso, dal fatto che la prima registrazione di pagamento a favore dell'incisore fiammingo risale, come abbiamo detto 32 , al 24 novembre 1584 vale a dire a poco più di sette mesi e mezzo dopo l'atto di fondazione della Medicea mentre dalle ricerche effettuate presso l'Archivio di Stato di Roma dal Bulgari 33 risulta che solo il 27 marzo 1585 Alberto Cesari si obbligava a prendere servizio presso il cardinale Ferdinando de Medici col salario di 7 scudi al mese «per lavorare dei punzoni per stampa» con un minimo mensile di 25 punzoni. Dal «Breve raguaglio», infatti, scritto certamente dopo
30 24 novembre 1584: «per la forgiatura de ponsoni uno scudo a bon conto»; 3 feb· braio 1585: 2 scudi «per l'acciaro per li ponsoni dell'arab: [ica)>>. lO e 20 febbraio 1585: 1 scudo «per far forgiare delli ponsoni che lui fa dell'africana»; 4 marzo 1586: «per or· dine di messer Roberto scudo uno per ponzoni fattoli dell'arabica piccolina»: 17 marzo 1586: «scudi tre a buon conto di venti ponsoni fatti ad instantia di messer Roberto dell'arabica piccolina». 31 Anche H.D.L. Vervliet è incerto su tale problema. Nel suo fondamentale lavoro 5ixteenth-century printing types 01 the Low Countries... (Amsterdam, M. Hertzberger, 1968) egli così si esprime a p. 33: «... Alberto Cesare (de Keyser?), a punchcutter working 'with Robert Granjon in the 1580's, .. ». E alla nota 6: «After inspecting the documents ... I rather suspect that Cesare was Granjon's servant, who prepared the steeel for his pun'ghes». 32 Cfr. nota 30. 33 C. BULGARI, Op. cit., pt: I, 1, p. 280.
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il 10 aprile 1585 egli risulta avere 40 anni e lavorare alla Tipografia Medicea con il figlio Cesare 34 • Si può quindi avanzare, sia pure con molta cautela, l'ipotesi che anche Alberto Cesari abbia lavorato precedentemente, in collaborazione con il Granjon e con il Basa, nella stamperia universale «pontificia» e che sia stato in qualche modo finanziato dal Medici, tramite il Raimondi. Al Cesari, morto il 22 settembre 1586, successe il figlio Jj • Abbiamo parlato dei due incisori, Robert Granjon ed Alberto Cesari e del fonditore di caratteri Antonio di Chiari; prendiamo ora in esame, sulla scorta delle voci dei pagamenti effettuati dal Raimondi ma anche di altre carte della Medicea e di un inedito documento conservato nell'Archivio della Biblioteca Apostolica Vaticana, gli altri componenti lo staf! della tipografia, i compositori Giacomo Luna, i fratelli Cesare e Pietro Eliano ed il tiratore Gregorio. Quanto al primo sono da notare alcune discrepanze. Trattando della causa intentata da G.B. Raimondi contro il Neroni, cui abbiamo accennato, il Bertolotti pubblicò, fra gli altri documenti sul processo J6 , l'interrogatorio, appunto, del Luna: «Nella stessa giornata J7 il luogotenente del Governatore mandò il suo notaio ad esaminare Giacomo Luna romano che, prestato il relativo giuramento, così rispondeva alle diverse domande: "lo devo havere da 25 anni incirca et la mia professione et essere è di stampatore. lo non fo bottega da me ma in diverse stamparie qui in Roma ho servito quando ad uno et quando ad un altro et particolarmente da quattro anni in qua in circa ho servito nella stamparia del Gran Duca di Toscana della quale ha cura generale messer G.B. Rai-
J4 Per il nome del figlio vedasi: U. THIEME .. F. BECKER, Allgemeines Lexikon der Bilden· den Kiinstler, 6 Bd (Leipzig, A. Seemann, 1912), p. 308. Jj U. TIIIEME. F. BECKER., Op. cit., 6 Bd, p. 308, ripreso da C. BULGAHI, Op. cit., pt. l,l, p. 280, afferma che Cesare «iibernahm die Werkstatt des Vaters», ma è da ritener·
si che egli continuasse il lavoro paterno alla Medicea e non diventasse titolare della bot.. tega di orefice. 36 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1. J7 26 novembre 1593.
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16
Libri quinque Canonis medicinae....
1593
fol. [Testo in arabo]
-
mondo ... "»38. Innanzi tutto Giacomo Luna non era romano come afferma il Bertolotti bensì maronita libanese, di Baslu~it, ed il suo nome era Ya kub al-Hilali J9 ; in secondo luogo, nella sua deposizione stranamente imprecisa egli dichiara di aver lavorato saltuariamente in diverse stamperie romane 40 e per la Medicea solo «da quattro anni in qua in circa» cioè, approssimativamente, dal 1588-1589 il che contraddice le registrazioni del Raimondi dalle quali risulta che il primo pagamento al Luna risale al2 giugno 1584. La sua abilità come compositore delle lingue orientali, e in specie dell' arabo, ci fa presumere che anche lui sia stato precedentemente ai servigi del Basa. E ora pochi cenni sul tiratore Gregorio, non meglio identificato: il suo nome compare diverse volte nei conti della Medicea ma la data che a noi sembra più significativa è il 27 novembre 1584. Da questo anno, infatti, «ha cominciato Gregorio a tirare 6 scudi al mese da messer Domenico». La seconda registrazione, del 17 settembre 1585, segna invece la data in cui egli «ha incominciato a lavorare per messer Cesare [Eliano ]»41. A. BERTOLOTTI, Le tipografie cit., p. 222. VACCARI, Una Bibbia araba per il primo gesuita venuto al Libano, in «Mélanges de l'Université saint-]oseph», X (1925), p. 83, nota 4. Il P. KOROLEVSKIJ, però (e. Koro· levskij, La Typographie Médicéenne et les publications orientales à Rome, bozze di stam· pa, dci 1924, conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, di un volume che non videmailaluce)lochiamaYa.kiib Qamar. Nel citato diario del Raimondi leggiamo anche: «A 27 di novembre 1594 domenica la sera a hore [spazio bianco] nacque Thomaso figliolo di messer Iacomo Luna. Et a 6 di decembre 1594 martedì io lo tenni a batesimo io [sic]»; «A 16 d'ottobre 1596 nacque a messe l' Iacomo Luna la figliola chiamata Madalena a hore 16 di mercordì» (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. II, ins. XXV). Forse parente di Giacomo fu il diacono Diiwiid al·I-lilaii (Davide Luna) che era a Roma il 13 ottobre 1633 (G. GRAF, Geschichte der christlichen arabischen Literatur, 3 Bd (Città del Vaticano, Bibl. Apost. Vaticana, 1949, p. 338 e nota 1. «Studi e testi, 146») il quale può probabilmente essere identificato con Yiisuf al-I-Iiliili (Giuseppe Luna) (G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città dci Vaticano, Bibl. Apost. Vaticano, 1939, p. 366, nota 2) o con Yiisuf Diiwiid al-I-Iiliili (Giuseppe Davide Luna) tipografo a Roma ncl sec. XVII. 40 Cfr. G. E. SALTINI, Della Stamperia Orientale Medicea e di Giovan Battista Raimondi... , in «Giornale storico degli archivi toscani», IV (1860), p. 283, nota 2. Il Saltini, in questa sua memoria, fondamentale per lo studio della Medicea in quanto basata sull'esame diretto di tutti i documenti e quindi anche di quelli relativi al processo Neroni, invece scrive: «Giacomo Luna, ... ebbe da principio stamperia in proprio, e quindi si riunì al Raimondi, insieme col quale continuò nell'arte ... ». 41 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. I. lB
39 A.
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Dal 15 settembre 1584 al 13 marzo 1585 e dal 6 ottobre 1584 al 21 febbraio 1585 il Raimondi annotava nel suo taccuino, in una sezione intitolata «Denari dati per conto di messer Domenico»12 diversi pagamenti rispettivamente ai compositori Pietro e Cesare Eliano. Questi erano nipoti del gesuita Giovanni Battista Eliano (o Romano)43 e di loro rimane una supplica priva di data rivolta al cardinale Guglielmo Sirlet044 e pertanto scritta anteriormente al 6 ottobre 1585 45 • In questo memoriale, dopo aver premesso di essere ottimi compositori nelle lingue araba, caldea, ebraica e latina, affermano con evidente amplificazione retorica di aver avviato la tipografia del Medici e lamentano che, dopo circa un anno, si ritrovano con poco lavoro e con la minaccia, vera o presunta, «di volerli scacciare dalla casa, qual sin hora hanno posseduta». Pregano, pertanto, il Sirleto di intercedere in loro favore presso Ferdinando de Medici. Nonostante la già rilevata incertezza nelle deposizioni al processo contro il Neroni, annoveriamo fra i lavoranti della Medicea i bresciani Battista Pavone e Antonello Facchetti. Il primo, interrogato ilIo dicembre 1593, afferma: «L'arte mia è di stampatore che tiro il torcolo cioè son battitore son circa a sei anni o più che io lavoro nella stampa del Gran Duca di Toscana... »46 vale a dire dal 1586-1587. Il Facchetti, a sua volta, così depone il 9 dicembre 1593: «L'esercitio mio è di stampatore che particolare attendo al torcolo a tirar li fogli. Da circa sette anni sono nella stamperia del Gran Duca... »; egli avrebbe quindi iniziato a lavorare verso il 158647 • Nessun dubbio, invece, per il fonditore spoletino Clemente Stangaporta il quale fece parte del personale della tipografia almeno dal 12 luglio 1587 48 • Dalle al-
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. I. Su G. B. Eliano si veda: G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche ciL, pp. 193-4 e passim. 44 Archivio della Biblioteca Apostolica Vaticana, IX, c. 40. ·15 La supplica dovrebbe essere stata scritta fra il 10 aprile (morte di Gregorio XIII) ed il 6 ottobre 1585 (morte del Sirleto) in un periodo in cui, dopo l'ultima edizione Basa-Granjon (1584-1585), la produzione tipografica doveva ristagnare. 46 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. I; A. BERTOLOTTI, Le tipografie, cit., p. 228. 47 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. I; A. BERTOLOTTI, Le tipografie, cit., p. 232 48 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. III, ins. XIV.
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43
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tre risposte agli interrogatori ricaviamo inoltre i seguenti nominativi: il domenicano Tommaso da Terracina, correttore49 ; i giovani Giacomo de Riboldis 50 , Cesare Capell051 , i veneti Bastiano detto «mezza lingua»52 e Sebastiano di Pietr0 53 quasi tutti garzoni con incarichi di bagnatore, stenditore di fogli, contatore di quaderni e con altre eventuali, piccole, varie incombenze. A costoro vanno aggiunti, come vedremo in seguito i punzonisti Jean Cavaillon e Giovanni Battista Sottile nonché un Giorgio Casazza (o Casaccia) che iniziò il suo servizio ilIo gennaio 1589 «con salario di giulij quindici al mese»54 senza che venissero specificati i suoi compiti.
DOMENICO BASA E LA TIPOGRAFIA POLIGLOTTA Veniamo ora a Domenico Basa. Il suo nome non appare mai in primo piano nei documenti ed è presentato, quindi, come un personaggio del tutto secondario nelle vicende della Tipografia Medicea Orientale. Egli, come apprendiamo dal «Breve raguaglio», sarebbe stato solo il «libraro facoltoso» che si limitò a contribuire all'impresa con «huomini, lavoranti» e facendo «grande et conveniente apparechio di carta et altre materie necessarie per libri da stamparsi». È assai strano che ad un uomo come il friulano, dotato di notevoli cognizioni tecniche, i cui rapporti con la Curia erano stati e resteranno ottimi fino alla sua morte, persona di vasta esperienza abilità e intraprendenza negli affari sia stato affidato solo l'avvio e non la direzione tecnica della neo eretta tipografia
A.S.F., 223. 50 A.S.F., 51 A.S.F., 52 A.S.F., 53 A.S.F., 5'1 A.S.F.,
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Mise. Med., Stampo Or., val. II; ins. IX; A. Mise. Mise. Mise. Mise. Mise.
Med., Med., Med., Med., Med.,
Stampo Stampo Stampo Stampo Stampo
Or., Or., Or., Or., Or.,
BERTOLOTTl,
I; A. BERTOLOTTI I; A. BERTOLOTTI I; A. BERTOLOTTI I; A. BERTOLOTTI voI. II, ins. IX.
val. val. val. val.
Le Le Le Le
Le tipografie, cit., p.
tipografie tipografie tipografie tipografie
cit, cit, cit, cit,
pp. 223-4. pp. 226-7. p. 226. p. 227.
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almeno fino al 1587 , quando gli venne affidato da Sisto V il «negotium» della Tipografia Vaticana di cui fu il primo «soprastante»». Dai documenti della Medicea risulta invece che 1'attività del Raimondi, come familiare e uomo di fiducia del cardinale de Medici e specialista delle lingue orientali, sia stata sia quella relativa all' organizzazione del lavoro dal punto di vista scientifico in collaborazione con gli altri membri della congregazione sia quella concernente la cura generale degli interessi del cardinale nell'impresa. Ci sembra evidente tuttavia che dagli ultimi mesi del 1583 fino verso la fine del 1585 le due stamperie dovettero, in qualche modo, coesistere o almeno collaborare anche se alcuni lavoranti della «pontificia» erano confluiti nella Medicea e venivano pagati dal cardinale. Nel 1584, infatti, uscivano dalla tipografia del Basa un Calendario stampato col carattere armeno (97 mm.) inciso da Granjon nel 1579 56 ; un Officium Beatae Mariae Virginis 57 ed un «Libro delle sette orazioni quotidiane, notturne e diurne, secondo il rito dei siro-maroniti», tutti e due in karsimi tranne il colophon in latino ed entrambi pubblicati a spese di
55 Con la bolla Eam semper del 27 aprile 1587. Cfr. anche: A. TINTO, Di un inventario della Tipografia Vaticana (1595), in «Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore
di Francesco Barberi» (Roma, A.LB., 1976), pp. 545-6. Il Basa fu, senza dubbio, il «deus ex machina» di numerose imprese tipografico-editoriali romane: il 15 ottobre 1568 egli stabilì, con Paolo Manuzio, un accordo «super venditionem et smaltitionem» dei volumi pubblicati e da pubblicarsi dalla «Stamperia del Popolo Romano»; il21 luglio 1573 riunì i piccoli e medi imprenditori del settore in una «Compagnia dei librai,> che aveva l'esclusiva della stampa e della vendita di tutte le edizioni uscite dai torchi del «Popolo Romano,>; si deve ancora ad una sua iniziativa, nel 1593, l'impianto della «Typographia Congregationis Oratorii» desiderata da quei padri. A tale proposito si vedano: F. BARBERI, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo Romano (1561-1570). Con documenti inediti (Roma, tipo Cuggiani, 1942) «Ministero dell'Educazione Nazionale. Direzione Generale delle Biblioteche. Studi di bibliografia, 1», pp. 76, 78; A. M. GIORGETTI VICHI, Annali della Stamperia del Popolo Romano (1570-1598) (Roma, Istituto di Studi Romani, 1959), pp. 31, 34-36, 39; A. ClONI in Dizionario biografico cit., VII, pp. 47, 49; V. ROMANI, Per una storia dell'editoria romana tra Cinque e Seicento. Note e documenti, in «Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», a. XV-XVI (1975-1976), pp. 37-39. 56 H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon, cit., p. 195, fig. l. 57 EsempI. da noi non esaminato direttamente. La segnalazione, da un catalogo di antiquariato, è del prof. Francesco Barberi che qui ringraziamo.
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Gregorio XIII 58. Nel 1585 quando i lavori di adattamento e quelli per l'attrezzatura dell'officina non dovevano essere ancora del tutto completati, il Basa stampò in karsùni cioè sempre con il siriaco (130 mm.) terminato di incidere da Granjon nel 1580 e «S.D.N. Gregorij XIII.Pont. Max. impensa» l'Olficium de/unctorum ad usum Maronitarum5~. Un discorso leggermente più ampio esige invece l'edizione del Kifab al-bustém/i' aga' ib al-ard al-buldém (<
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pografia Mediceal>5 ricaviamo la registrazione, in data 7 dicembre 1585 del pagamento a Granjon di 15 scudi «de quali 10 sono a conto dell' arabica piccolina, et cinque per 5 ponsoni et 5 madre che bisognorno per stampare il libro arabico» e questa espressione non può che riferirsi al Kitab al-busfim. Il Saltini(,1> invece sostiene che quest' edizione non uscì dai torchi medicei «né d'altronde era possibile che nel 1584 la Medicea, nata d'allora, fosse in grado di porla in luce». A nostro avviso il Kifàb al-bustan è, appunto, la dimostrazione di quella collaborazione fra le due tipografie di cui abbiamo parlato: esso fu iniziato nel 1584 e completato negli ultimi mesi del 1585, certamente dopo la morte di Gregorio XIII e costituisce il m~mento in cui la «pontificia», sia pure conducendo una vita sempre più stentata convisse accanto alla Medicea. In altri termini, alla prima, impresa non ufficiale, affidata al Basa come tipografo di fiducia del papa e da questi voluta e finanziata si aggiunse nel 1584 una società tipografica con il sostegno dei capitali del Medici ed incoraggiata dal papa la quale, però, ebbe vita virtualmente autonoma solo nel corso del 1585.
I CARATTERI Le prime notizie relative all' attrezzatura della Medicea per quanto concerne i tipi ci sono fornite sempre dal «Breve raguaglio». Essi possono essere distinti in quattro gruppi: i caratteri acquistati presso il Basa; i caratteri che ci si riprometteva di acquisire; punzoni già incisi e punzoni in corso di lavorazione.
1>5 A.S.F., Mise. Mcd., Stamp, Or., (,I>
G. E.
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SALTlNI,
voI. L
Op. cit., pp. 267-8 e specialmente la nota 1.
CARATTERI ACQUISTATI
Abbiamo già parlato della «lettera arabica orientale» che, secondo noi, era l'arabo (200 mm.) inciso da Granjon nel 1580 con il quale fu stampato il Kifab arbusfan (1584-1585) e che venne acquistato dal Medici. La relazione così prosegue: «Si è messa ancora una [l'articolo una è stato aggiunto al disopra del rigo a correzione di altra parola illeggibile, depennata] lettera chaldaica similmente fatta fare a sue spese dal Basa dal detto Roberto, et adesso comprata da Sua Signoria illustrissima. Si è messa in detta stamparia [la frase in detta stamparia è aggiunta al disopra del rigo] una lettera grega [sic] sopramodo bella et copiosa comprata similmente da Sua Signoria illustrissima dal detto Domenico Basa ... ». Da quanto si è già detto non risulta essere stato acquistato il carattere arabo (200 mm.) di cui abbiamo una «mostra», datata 1583 e firmata Robert Granjon. Il Vervliet, che ebbe la ventura di trovarlo fra le carte della Medicea, sostiene che questo carattere, invece, venne impiegato nell'ultima pagina dell' Alphabetum Arabicum (Romae, in Typographia Medicea, 1592)67. A parte la considerazione generale, già espressa, che il cardinale non poteva acquistare da Domenico Basa i caratteri della «pontificia» di cui egli era solo il possessore essendo stati eseguiti dal punzonista parigino con il denaro di Gregorio XIII, li esamineremo ora partitamente.
Carattere siriaco (130 mm.) È il tipo, iniziato nel 1579 e terminato nel 1580, con il quale Domenico Basa stampò un Catechismo (1580) ed una Professione di fede (1580); il «Metodo per trovare il fondamento dell'anno, gl'inizi dei mesi e le feste secondo le norme dei siri caldei, emendato secondo il calendario...» (1583); il «Libro delle sette orazioni quotidiane, notturne e diurne, secondo il rito dei siro-maroniti» (1584) e l'Officium defunctorum ad usum Maronitarum ... » (1585)
67 'H. D. L.
VERVLIET,
Robert Granjon cit., pp. 218·20, fig. 8.
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già citati. Il carattere venne impiegato a Roma, nel 1586, dal Bonfadini, e in quattro linee a p. 390 della storia della Biblioteca Vaticana scritta dall' agostiniano Angelo Rocca ed uscita dai torchi della Tipografia Vaticana nel 1591 68 •
Carattere greco Allo stato attuale delle nostre conoscenze è impossibile individuare questo carattere e sapere se un carattere greco facesse parte dello stock dei tipi della stamperia poliglotta «pontificia» gestita dal Basa. Il solo carattere greco che noi sappiamo essere stato impiegato a Roma in quegli anni è quello utilizzato da Francesco Zanetti, finanziatore, dal 1580, di alcune edizioni uscite dalla tipografia personale del Basa, da Giacomo Ruffinelli e da Bartolomeo Bonfadini.
CARATTERI DA ACQUISTARE
Questi i tipi acquistati presso la tipografia «universale» affidata al Basa. Per le future acquisizioni citiamo di nuovo dal «Breve raguaglio»: «Disegna ancora Sua Signoria illustrissima comprare dal detto Basa le lettere dell' altre lingue orientali come armena, schiavona, dalmata, et altre qual ha fatto fare il detto Basa dal detto Roberto Grannion, et metterle insieme con molte latine in detta sua stamperia... ». Fra i caratteri programmati di futuro acquisto si possono dunque annoverare i seguenti:
Carattere armeno (97 mm.) Non può essere altro che l'armeno inciso da Granjon nel 1579, non appena giunto a Roma, usato da Domenico Basa nel Calendario armeno del 1584, da altre stamperie romane nel XVI e nel XVII secolo e dalla Tipografia Vaticana nella Professione di fede del 159669 • A. TINTO, Per Ulla storia ci t. , pp. 283-4: H. D. L. VERVLlET, Robert Granjon cit., pp. 197-201. 69 H. D. L. VERVl.IET, Robert Granjom cit., pp. 191·7, fig. 1.
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Carattere cirillico (115 mm.) Nonostante la terminologia ambigua, comune, del resto, agli scrittori e agli studiòsi del tempo, riteniamo che per «lettera schiavona» e «lettera dalmata» il «Breve raguaglio» intenda riferirsi al tipo cirillico (115 mm.) la cui incisione da parte di Granjon ebbe termine nel 1582. Verso la fine del 1583 uscì dai torchi di Domenico Basa, con v questo carattere, il Catechismo del Canisio tradotto da Sime Budinié. Esiste pure una ristampa dello stesso anno, di questa edizione, non firmata e con un nuovo frontespizio ma attribuibile senz' altro alla stamperia poliglotta. Il carattere fu usato anche, nei secoli XVI e XVII, da altre tipografie romane'°.
PUNZONI GIÀ INCISI O IN CORSO DI LAVORAZIONE
Per quel che concerne infine i caratteri già incisi o la cui lavorazione era ancora in corso il manoscritto aff~ma: «Si è fatta fare una lettera arabica orientale grande e bella appropriata per la stampa de libri sacri della Scrittura. Si fa adesso un' altra lettera arabica orientale piccolina appropriata per la stampa de libri arabi di scientie. Si fanno ancora due altre sorte lettere arabe, una per. siana et un' altra turca». La «lettera arabica orientale grande» non può essere identificata che con l' «arabica grande» del taccuino dove il Raimondi registrava via via, anche se non sempre in stretto ordine cronologico, i pagamenti effettuati a Robert Granjon. Ora, dall'esame di· retto delle diverse voci, ci risulta che il punzonista francese venne pagato per questi punzoni con le relative matrici dal 29 maggio 1585 al24 agosto 1585 e che i pagamenti per la fusione dei carato teri furono fatti dal 4 gennaio 1585 al 31 luglio di quell' anno" 70 A. TINTO, Per una storia cit., pp. 287-91; H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., pp. 202-9. 71 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1. Il Saltini non parla affatto di questo carattere.
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a favore del fonditore Antonio di Chiari. È evidente qui la discordanza fra le date delle due operazioni. Non solo, ma che almeno i preparativi per la gettatura di questo carattere risalgono agli ultimi mesi dell' anno precedente risultano evidenti da queste annotazioni poste sotto la dicitura «Denari dati per conto della gettatura delle lettere arabe grandi»: «A di 17 di settembre del 84 ha havuto messer Roberto scudi 7 per cento libre di stagno comprate scudi 7»; «A 23 di novembre del 84 a messer Antonio [di Chiari] gittatore per un migliaro fra lettere e spatij scudi 1.0.0.». L'incisione dei punzoni e la loro battitura sulle matrici, infatti, precedevano necessariamente la fusione entro le forme per ottenere i caratteri, quindi si può ipotizzare che quest'ultima fu fatta man mano che le prime due fasi venivano completate, sia pure in parte. In altri termini Granjon, non appena aveva terminato di incidere un certo numero di punzoni, li batteva sulle matrici che consegnava, partita dopo partita, al fonditore. Ma, anche se così fosse avvenuto, è evidente che una parte dei pagamenti non venne registrata e che quindi la data d'inizio dell'incisione dell' arabo grande va fatta risalire ad un periodo anteriore al4 gennaio 1585, prima data di annotazione di pagamento per la fusione. A complicare ulteriormente il problema abbiamo consultato fra le carte della Medicea un saldo datato 4 dicembre 1587 che Granjon fu costretto a dettare ad altra persona «per non poter [lui] scrivere a lungo» ma che abbiamo in copia di mano del Raimondi n nonché altro saldo, autografo, del fonditore Clemente Stangaporta subentrato al di Chiari che reca la data 14 dicembre 1587 73 • Granjon in esso dichiara di «haver fatto per ordine del detto Giovanni Battista Raimondo della lettera arabica grande ... fino al... giorno 16 di decembre 87 della grande n. o 8 et madre n. o 8... »74. Il secondo saldo, invece, afferma: «lo Clemente gittatore dico
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XII. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XIV. 74 Inequivocabile, ma inspiegabile, è la data 4 dicembre 1587 posta in testa al saldo che contiene la registrazione di consegna di punzoni e matrici fino al 16 dicembre. 72
7)
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che avendo fatto conto finale con signore Giovanni Battista Raimondo per conto della gittatura dalli... Il de luglio 87 fino alli... 26 di settembre 87 averli dato della [lettera araba] grossa littere n. o 8600 et ali incontro... recevoto dal detto signore Giovanni Battista per le dette littere della grossa araione de lO baiocchi il migliaro scudi 5 et baiocchi 92 ... ». Confrontando i dati contenuti nel libretto dei conti con quello di questi due saldi si può dedurre, con una certa verosimiglianza, che l'incisione dei punzoni dell' arabo grande da parte di Granjon ebbe inizio prima del 4 gennaio 1585 e termine il 16 dicembre 1587. Un lavoro, dunque, che dovette richiedere quasi tre anni, quando uno specialista come Vervliet sostiene che nel XVI secolo, per fare una nuova incisione e fusione di caratteri, occorrevano dai quattro ai sei mesi di temp075. A questo proposito però bisogna osservare che l'artista parigino nel 1585 aveva 72 anni, era di salute alquanto malferma e lavorava contemporaneamente ai punzoni di altri caratteri esotici. E inoltre che, per quanto concerne la fusione, tra la fine di questo lavoro ad opera del di Chiari (31 luglio 1585) e l'inizio per mano dello Stangaporta (lI luglio 1587) c'è un «buco» di quasi due anni. Essendo propensi ad escludere un'interruzione dell'attività incisoria di Granjon nei confronti dell'àrabo grande, riteniamo che l'interrogativo sia purtroppo destinato a rimanere irrisolto. Quanto alle altre date della fusione possiamo dire che Clemente Stangaporta, subentrato al di Chiari, presentò un conto per il lavoro da lui compiuto dall' 11 luglio al 26 settembre 1587 ma occorre sottolineare che l'autografo reca la data del 14 dicembre. Poiché l'incisione dei punzoni ebbe termine il 16, lo Stangaporta dovette fondere ancora altre lettere. La serie dei tipi dell'arabo grande di Granjon dovette quindi essere pronta per i primi del 1588. Il Vervliet ha trovat0 76 negli Evangeli (1590 - 1591); nella grammatica araba detta Kàfija (1592) e in quella detta Agurru-
75
H. D. L.
VERVLIET,
76
H. L. D.
VERVLIET,
Robert Gran;on cit., p. 191, nota 3. Robert Gran;on cit., pp. 223-27.
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miyya (1592)77; nell' Alphabetum Arabicum (1592); nel De geographia universali (1592: titoli); nell'Avicenna (1593); nell'Euclide (1594: titoli dei capitoli) e infine nella Professio fidei araba (1595), tutte edizioni medicee, un carattere arabo che misura 260 mm. per 20 linee di testo e che egli identifica con 1'arabo grande di Granjon 78 •
Carattere arabo medio Del tutto sconosciuto agli studiosi è il carattere arabo medio di cui alcuni punzoni e matrici risultano pagati a Granjon in un unico documento: «Et più dico haver fatto per ordine del detto Giovanni Battista Raimondo della lettera arabica... mezana... fino al. .. giorno 16 di decembre 87 ... della mezana ponsoni n. o 6 et madre n. o 12 79 • Per questo tipo di modulo medio non siamo riusciti a trovare nell' Archivio di Stato di Firenze, fra le carte della Miscellanea Medicea, altri documenti o registrazioni di pagamenti precedenti a tale data che possano determinare quando ebbe inizio l'incisione dei punzoni della «media», né v'è traccia di documentazione relativa alla fusione dei caratteri. È anche molto difficile stabilire se questo tipo restò alla Medicea o se passò, in seguito, a far parte della serie della Tipografia Vaticana che pure ebbe, come risulta da un inventario del 1595 conservato nell'Archivio di Stato fiorentino 8o e nell' Indice de caratteri... esistenti nella Stampa Vaticana & Camerale... (In Roma, 1628)81 dei caratteri esotici; o se comparve, nel XVII secolo, in edizioni uscite dai torchi della Tipografia de Propaganda Fide 82 che, si può dire, di-
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G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche cit., p. 356, n. 163. Da quanto sopra esposto, non è sostenibile ciò che afferma il Vervliet, cioè che l'arabo grande dovette essere terminato anteriormente al 10 giugno 1585. 79 A.S.F., Mise. Med., Stamp, Or., voI. III, ins. XII. 80 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. LIV. Cfr. A. TINTO, Di un inventario cit., pp. 545·53 . . 81 Per l'Indice, cfr. The Type Specimen oj the Vatican Press 1628. A Facsimile with an Introduction and Notes by H. D.L. Vervliet (Amsterdam, M. Hertzberger, 1967). 82 Per una bibliografia sulla «Stamparia della varietà delle lingue della Sacra Congregazione de Propaganda Fide» si veda quella cito nella nota 2, pp. 189-90, dello studio: A TINTO, Giovanni Giacomo Komarek tipografo a Roma nei secoli XVII-XVIII ed i suoi campionari di caratteri, in «La Bibliofilia», a LXXV (1973), pp. 189-225. 78
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scende in linea diretta dalla Medicea e, in genere, dall'intensa attività esplicata a Roma nel secolo precedente dalla tipografia orientale creata da Gregorio XIII; o da quelli della Tipografia del Seminario di Padova che ricevette in dono, tramite i buoni uffici del suo fondatore, il cardinale Gregorio Barbariga, «undici cassette di madri tutte orientali in numero di tremila circa»8J. 1 o carattere arabo piccolo È ben noto che Granjon incise Lpunzoni di un carattere ara·· bo «piccolo» negli anni 1585-1589. Da un esame più puntuale dei documenti apprendiamo che l'artista francese attese anche ad un altro tipo arabo, come al solito genericamente definito piccolo che, in realtà, risulta inciso prima dell'unico finora conosciuto di cui parleremo in seguito. In un'annotazione del Raimondi posta sotto la sezione intitolata «Danari dati per conto di messer Domenico» si legge: «A di primo di decembre [1584] a messer Antonio gittatore per 12000 lettere arabe della stampa piccolina scudi 12»84. Ora, se il di Chiari fuse 12.000 caratteri di questa serie se ne deve, ovviamente, dedurre che prima del dicembre 1584 Granjon avesse, se non proprio terminato, almeno già cominciato da qualche tempo l'incisione dei punzoni. La data di questa voce di pagamento lascerebbe intendere che egli lavorasse già per la Medicea a pochi mesi dalla sua fondazione, ma il fatto che il di Chiari risulti pagato sì con denari del cardinale ma «per conto» di Domenico Basa fa sospettare che il tipografo friulano, pur non essendo - come abbiamo visto - il direttore tecnico della Tipografia Medicea Orientale ebbe tuttavia una qualche parte, un ruolo indeterminabile e sfuggente all'indagine archivistica che esorbitò, entro quali limiti non sappiamo, dal puro e semplice impianto della tipografia. Si tratta, probabilmente dell' Arabe de Petit Canon (180 mm.)
8J G. BELLINI, Storia della Tipografia del Seminario di Padova 1684-1938 (Padova, Gregoriana editr., 1938), pp. 35-6. 84 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1.
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che figura in uno specimen non firmato né datato ma che può essere fatto risalire al 1583 circa se non all' anno successivo 85 . Il Vervliet, cui si deve tale rinvenimento, ha individuato questo tipo come carattere di testo nel sommario della Geografia di al-Idrisi (1592), nell'Euclide (1594), nei titoli dei capitoli dell'Avicenna (1593) ed in una sola linea, a p. 62, dell'Alphabetum Arabicum (1592), tutte edizioni medicee86 .
2 o carattere arabo piccolo L'incisione dei punzoni del secondo carattere arabo, quello «piccolo»8ì, da parte di Granjon dovette occupare quasi quattro anni, un periodo di tempo, quindi, più ampio di quello occorso per la lavorazione del «grande». Dal libretto dei conti del Raimondi risultano pagamenti a favore di Granjon per quanto riguarda punzoni e matrici del carattere arabo «piccolo» di cui tratta il «Breve raguaglio», che vanno dal 25 maggio 1585 al 28 dicembre 158688 . È interessante però osservare, a tale proposito, che in data 17 marzo 1586 è elencato anche un pagamento per punzoni di questo tipo a favore del Cesari: «A 17 di marzzo [sic] del 86 a messer Alberto scudi tre a buon conto di venti ponsoni fatti ad instantia di messer Roberto dell'arabica piccolina»B9. Nel già citato saldo di Granjon del 4 dicembre 1587 egli afferma di avervi lavorato fino al 16 dicembre di quell'anno. Fra i documenti della Medicea sono, inoltre, annotate 150 voci di pagamenti vari effettuati a favore dell)incisore francese per «ponsoni et madre dell' aarabica [sic] piccolina incominciata a 6 di settembre et recevuti in più partite» dal 15 (?) ottobre 1586 al 28 marzo 1590 90 . Alla fine di que-
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Roma, Biblioteca Vallicelliana, Ms. Val. K. 17, c. 174. H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., p. 220, 221, fig. 9. Bì Sbaglia certamente il Saltini, Op. cit., p. 268, nell'affermare: «Il primo alfabeto che intagliò per la Tipografia Medicea è il piccolo arabo, e lo condusse a termine il 6 di settembre 1586. Con esso venne stampato l'Avicenna in folio del 1593». 88 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. L 89 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. L 90 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. II, ins. II.
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st'inserto vi è la data 12 luglio 1589 e la firma autografa di Granjon il cui ductus incerto e tremulo rivela evidentemente quanto egli fosse vecchio e malato. Egli morirà, infatti, il 14 marzo 1590 91 , Quanto alle date della fusione dei caratteri possiamo dire che il saldo presentato dallo Stangaporta e datato 14 dicembre 1587 si riferisce solo al lavoro da lui svolto fra l' Il luglio 1587 ed il 26 settembre 1587: «lo Clemente gittatore dico che avendo fatto conto finale ... per conto della gittatura dell' arabica piccolina la che lassò messer Roberto Granion che fu alli Il di luglio 1587 per sino alli 26 di settembre 87 ... li ho dato della littera piccolina littere n. o 24600... et ali incontro per le dette littere della piccolina ho recevoto daL., signore Giovanni Battista aragione di baiocchi 60 il migliaro scudi 15 baiocchi 6... ». Per concludere, se la data del primo pagamento a Granjon, 25 maggio 1585, non può coincidere con quello dell'effettivo inizio dell'incisione dei punzoni che deve essere fatto, invece, risalire ad una data imprecisabile anteriore, quella dell'ultimo, 28 marzo 1589, può forse segnare la fine del lavoro. Quanto alla fusione, il suo inizio deve essere necessariamente avvenuto molto prima dell' 11 luglio 1587, poiché abbiamo un mandato di pagamento di 56 scudi per lo stagno «per la gittatura dell' arabica piccolina» risalente al 30 giugno 158692 • Il suo termine va spostato ad una data leggermente posteriore al 28 marzo' 1589. Il Vervliet93 identifica l'arabo piccolo con il tipo (100 mm.) usato negli Evangeli (1590 e 1591: richiami e paginazione) e per il testo corrente dell'Avicenna (1593).
Per quanto concerne gli ultimi tipi elencati nel «Breve raguaglio» risultano ancora in lavorazione le «lettere arabe africane»94 in due serie, grande e piccola, e le «lettere arabe una persiana et un' altra turca». La prima è forse una specie di carattere arabo che 91 92
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A. TINTO, Per una storia cit., p. 295, nota 19. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. L H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., pp. 227-29.
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aveva tale denominazione; i caratteri persiani e turchi vengono invece considerati arabi forse perché quei popoli adoperavano l'arabo sia pure con modificazioni ortografiche e morfologiche alaro peculiari. Non siamo peraltro in grado di affermare, sia pure in via d'ipotesi, se l'incisione dei punzoni relativi venne interrotta per motivi a noi ignoti ovvero se, condotta a termine, i caratteri furono impiegati in altre edizioni romane del XVI e XVII secolo; o se facessero parte, poi, del corredo dei tipi della Tipografia Vaticana; o se apparvero, nel XVII secolo, in edizioni della tipografia de Propaganda Fide o della Tipografia del Seminario di Padova.
Carattere siriaco grande Il Saltini95 asserisce che «il 2 agosto 1587 [Granion] incominciò i punzoni e le madri delle lettere caldee grandi e piccole». Ora, se la data d'inizio dell'incisione del siriaco piccolo è esatta, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda il carattere di corpo grande. Dai conti del Raimondi96 infatti risultano pagamenti in favore di Granjon, variamente datati, a partire dal 29 maggio 1585 fino al 9 luglio di quell'anno. L'inizio del lavoro, quindi, deve essere fatto risalire a qualche giorno prima del 29 maggio. L'esame del già citato saldo dettato dal punzonista francese (4 dicembre 1587)97 inoltre, consente di estendere il termine finale della lavorazione dei punzoni e delle matrici per il «grande» al 16 dicembre 1587: «Dico... che della chaldea grande fino al... giorno 16 di decembre 87 ho fatto ponsoni n. o 11 et madre n. o 13 et dateli al detto Giovanni Battista Raimondo dal quale a bon conto di detti ponsoni et madre, a ragione d'un scudo il ponsone et madre, ho recevuto scudi 9.90 ... ». Dall'esame diretto delle carte della Medicea non esiste documentazione alcuna concernente la fusione del siriaco di questo corpo ma si può presumere che essa iniziasse nel maggio del 1585 e finisse poco dopo il 16 dicembre 1587. È opportuno ricordare che fra i conti della Medicea (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1) vi è, a tale proposito, questa sola annotazione: «A di 10 di febbraio del 85 a messer Alberto Cesari per far forgiare delli ponsoni che lui fa dell'africana scudo 1». Sul Cesari si vedano le pagine precedenti. 95 G. E. SALTlNl, Op. cit., p. 268. % A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. I. 97 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XII.
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1 o carattere siriaco medio Secondo il Bandini98 Granjon, nel settembre 1586, iniziò l'incisione di «lettere caldee del carattere mezzano» cioè, molto probabilmente, di un carattere siriaco orientale che venne fuso dallo Stangaporta a partire dal 15 settembre 1589. Non siamo riusciti a trovare alcuna documentazione di questo tipo nella Miscellanea Medicea.
2 o carattere siriaco medio Robert Granjon incise anche i punzoni di un carattere «mezano siro chaldeo incominciato a 20 di febraro 1589»99, cioè un corpo del tipo siriaco occidentale o giacobita, con pagamenti a suo favore, in 34 registrazioni, che recano le date dal21 febbraio 1589 al 23 giugno 1589. Con un' annotazione poi, priva di data, ma certamente posteriore al 14 marzo 1590, anno di morte di Granjon, vengono registrati, in 27 voci, ulteriori pagamenti per questo siriaco medio dal 12 luglio 1589 al 16 novembre di quell'anno: «Fin qui è stato pagato messer Roberto di tutti li sopradetti ponsoni et madre a ragione di scudo uno il ponsone con la sua madre et per la sua infirmità della quale morse non fece altro»loo. Fu questo, dunque, l'ultimo carattere inciso dall' artista francese. Secondo la documentazione della Medicea Clemente Stangaporta cominciò la fusione del siriaco medio il 25 settembre 1589, vale a dire circa sette mesi dopo l'inizio dell'incisione dei punzoni e la «battitura» delle matrici e ciò costituisce, senza dubbio, un comportamento anomalo di cui non riusciamo a trovare una spiegazione plausibile. I pagamenti relativi furono effettuati in più riprese fino al 2 novembre 1589 101 ma, poiché l'ultimo pagamento per punzoni e matrici avvenne il 16 novembre 1589, il termine della fusione dovette avvenire qualche tempo dopo tale data.
A. M. BANDINI, Op. cit., p. 78. G. S. SAl.TlNI, Op. cit., p. 268. 100 A.S.F., Misc. Med" Stampo Or" voI. II, ins. V. Cfr. anche: G. E. SAl.TINI, Op. cit" pp. 268-69.
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A.S.F., Misc. Med., Stampo Or., voI. II, ins. VIII e VI.
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Carattere siriaco piccolo L'incisione di questo tipo di modulo minore ebbe inizio il 2 agosto 1587 ed i pagamenti registrati, in 34 voci, coprono un periodo di tempo che va dal 4 agosto al 16 dicembre 1587 102 . Dal conto finale di Granjon del 4 dicembre 1587 risulta confermata tale ultima data: «Et più dico che della chaldea piccola fino al. .. giorno 16 di decembre 87 ho fatto ponsoni n. o 106 et madre n. o 106 et dateli... al detto Giovanni Battista Raimondo, dal quale ho recevuto a bon conto del prezzo di detti ponsoni et madre a ragione d'un scudo il ponsone et madre scudi 95.40... »103. Come per il siriaco grande, anche per questo carattere non è documentata la posteriore operazione di fusione. È quindi presumibile che Clemente Stangaporta la iniziasse qualche giorno dopo i12 agosto 1587 e la terminasse posteriormente al 16 dicembre di quell'anno. Non siamo in grado di identificare questi quattro corpi del carattere chaldeo. Anche il Vervliet il quale, d'altro canto, conosce solo l'esistenza del siriaco grande e di quello piccolo, confessa la sua impotenza, per il momento, ad individuarli ma avanza l'ipotesi che essi possano essere stati impiegati nel Rudimentum Syriacum uscito dai torchi del Collegio dei Maroniti di Roma nel 1618 o nelle edizioni della Medicea a partire dal 1592 104 •
Carattere ebraico quadrato Il Vervliet ha constatato nelle pagine delle Institutiones linguae hebraicae del Bellarmino uscite nel 1585 dall' officina di Domenico Basa l'impiego dell'ebraico quadrato di corpo minore che figura, insieme ad un altro carattere quadrato di modulo maggiore e ad un rabbinico, in uno specimen datato «Romae anno 1589. Foelicissimi Pontificatus XISTI .V. anno .V.» ma non firmato 105 • Lo studioso belga ritiene assai probabile che questo tipo sia opera di Granjon e noi, considerato lo stile incisorio e la circostanza che 102 103 104 105
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. II, ins. III. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XII. H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., pp. 201-2. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. IV, ins. VI. Cfr. H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., p. 231, nota 3, riprod. fig. 16, p. 230; The Type Speeimen 01 the Vatican Press cit., p. 30, n. 11 a.
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[Evangeli in arabo con traduzione latina interlineare} [in fine:] 1591. faI.
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[Alfabeto siriaco, 159] 4° [In siriaco]
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la «mostra» è conservata fra le carte della Medicea, concordiamo pienamente con tale supposizione.
Carattere «hebreo testuale» Pagamenti per un carattere «hebreo testuale» sono annotati, in 4 voci, dal 18 al 26 maggio 1589 nella Miscellanea Medicea. Da queste registrazioni apprendiamo che esso fu «incominciato a 15 di magio [sicl 1589»106. L'incisore non è nominato ma ci sembra evidente che si sia trattato di Robert Granjon il quale vi lavorò mentre attendeva al suo siriaco medio. La lavorazione di questo ebraico, forse il carattere quadrato di corpo più grande che figura nella già ricordata «mostra» del 1589, è documentata per un solo mese mentre le registrazioni concernenti la sua fusione mancano completamente. Si può quindi ipotizzare, con molta cautela, che la lavorazione possa essere stata interrotta, forse per le peggiorate condizioni di salute dell'incisore. D'altronde non esistono annotazioni di pagamenti relativi a punzoni e matrici di tale carattere posteriori al 26 maggio 1589.
La «lettera gregoriana» Nel suo taccuino dei conti il Raimondi annotò: «[La] lettera gregoriana pesa libre 297 l'ho havuta a 2 d'aprile del 85 et le maiuscole sono libre 47» e, subito dopo, in caratteri assai più minuti, evidentemente per risparmiare spazio, aggiunse: «A 6 di giugno del 86 si ha repigliato messer Giovanni Iacomo per conto di messer Domenico della gregoriana Iibre 177»107. Da un recentissimo libro del Masetti Zannini 10B apprendiamo che Bernardo Basa, nipote di Domenico e dal novembre 1596 direttore della Tipografia Vaticana, alla fine di febbraio del 1597 stipulò un contratto con Gerhard Voss per la stampa del III volume dell'opera omnia di sant'Efrem Siro: il Basa, fra le altre dau-
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A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. II, ins. VII. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. I. 10B G. L. MASETTI ZANNINI, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Documenti inediti (Roma, F.lli Palombi, 1980), pp. 206-7.
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sole, s'impegnava ad impiegarvi un «characterem gregorianum novum». Il volume, «interprete & scholiaste R.D. Doct. Gerardo Vossio Borchlonio Germ.» uscì, infatti, ne11598 «ex Typographia Vaticana»: 1'antiqua usata per il testo, di circa 12 punti, la nostra gregoriana quindi, misura 98/99 mm. per 20 linee ed è un carattere denominato «Silvio» (o «s. Agostino»). Nell'inventario della Vaticana del 1595 essa fa parte del suo corredo di tipi: «118 ponzoni della gregoriana con 131 matrice." 17 ponzoni maiusculi della medesima con 24 matrice»109, Nell' Indice de caratteri della Vaticana del 1628 il tipo è denominato Giubilate llO , La storia della gregoriana risale, però, più indietro nel tempo. Questo carattere latino, preso in esame dal Vervliet 111 , viene da lui definito un Augustin Romain Raccourci (98 mm.) ed attribuito a Robert Granjon. Esso sarebbe apparso per la prima volta nella «mostra» dell'Arabe de 2 lignes de Gros Romain (200 mm,) datata 1583 112 , e quindi nella Bibliotheca Apostolica Vaticana (1591) e nei Vangeli medicei arabo-latini (1591) impiegato come tipo di testo corrente 1l3 , A noi, invece, pare che questo carattere sia apparso prima del 1583, vale a dire nello specimen di un carattere arabo di Granjon (200 mm.) datato 1580 114 il che significa che dovrebbe essere stato inciso in quell'anno, se non prima. In secondo luogo c'è da osservare che esso figura sì nell'opera del Rocca e nei Vangeli, ma qui non come tipo di testo bensì impiegato nell' epistola allettare prima del colophon; non esatta ci sembra, infine, l'identificazione compiuta dal Vervliet di questo «s. Agostino» con il carattere di filosofia maggiore 115 di cui parleremo in seguito. Le singolarità rispetto a questo carattere sono due: la prima è che il Raimondi lo abbia avuto soltanto in consegna senza acquistarlo come gli altri provenienti dalla tipografia universale di A. TINTO, Di un inventario cit., p. 548. The Type Specimen 01 the Vatican Press cit., p. 33, n. 39; id., Robert Granjon cit., ,p. 231. 111 H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., pp. 229·31. 112 The Type Specimen 01 the Vatican Press cit., p. 33; id., Robert Granjon cit., fig. 8. Il> H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., pp. 230·31. 114 A. TINTO, Per una storia cit. • pp. 284·7. 115 H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., p. 231, nota 1. 109
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Gregorio XIII. Non sono, infatti, registrati né il nome dell'incisore né il prezzo pagato né si parla di punzoni e matrici, ma solo di «lettera» cioè di caratteri, valutati a peso. La seconda consiste nella circostanza che nel 1586, poco più di un anno dopo il deposito, il Basa abbia dato ordine ad un certo Giovanni Giacomo, forse un suo fattore o garzone, di «repigliare» cioè riprendere una parte di essi del peso di 117 libbre. Il tipografo friulano era ancora, come dicemmo, in qualche modo in rapporti con la Medicea, rapporti, lo sottolineiamo di nuovo di cui è molto difficile fissare i limiti ed accertare la natura. Non si comprende, in sostanza, perché il Basa che era probabilmente il detentore del tipo, lo abbia prima consegnato alla Medicea per poi riprendersene una parte.
Fregi e fioroni tipografici Il Vervliet nel suo studio più volte citato aveva intuito che Granjon, vero maestro in illustrazioni tipografiche, incise anche «fioroni» tipografici l16 . Questa supposizione oltre che dall'esame diretto di diverse edizioni della Tipografia Orientale, trova una conferma nella seguente annotazione sul taccuino di conti della Medicea: «A 28 di giugno [1585] per 16 ponsoni di fregi et fiori ha havuto messer Roberto scudi 16»117.. Non è improbabile che questi, o altri fregi, siano stati impiegati anche nelle edizioni orientali della «poliglotta» di Gregorio XIII. Nella ricevuta finale di Granjon del 4 dicembre 1587, inoltre, questi così dettava a «Pietro Caillaut fiamengo»: «E più dico haver fatto per l'ornamento delle formette da stampare ponsoni n. o 2 et haver recevuto per loro prezzo scudi 2 ... »118. Un appunto, anch'esso autografo, che troviamo aggiunto al saldo del fonditore Clemente Stangaporta ci sembra gettare una qualche luce sulla citata annotazione, piuttosto sibillina, del conto finale di Granjon: «E più dico aver recivoto dal detto signore
116 H. 117
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D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., p. 231. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. L A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XII.
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Giovanni Battista Graimondo [sic per: Raimondo] scudi 5 per n. o 16 de riche dopie de ottone le quale andò servito per lo hornamento delle formette per stampare leoclide [sic per: l'Euclide) in arabico...»1l9. L'Euclide mediceo, infatti ha il frontespizio e le pagine incorniciate da un doppio filetto adorno, ai quattro angoli, di minuscoli, deliziosi fiori a quattro petali. Le cornici furono dunque opera dello Stangaporta ed i fregi e i fiorellini ornamentali di Granjon ma non riusciamo, purtroppo, ad interpretare il significato del termine «formette». Dopo aver passato in rassegna il lavoro compiuto da Robert Granjon per arricchire sempre più il corredo dei tipi della Medicea, è lecito chiedersi come egli abbia potuto aver atteso a tante e diverse serie di caratteri in cinque anni (1585-1589). Vi è da considerare, infatti, che nel 1587 - a 74 anni - Granjon aveva la mano malferma a un punto tale da esser costretto a dettare al Caillaut il proprio conto finale, in verità non eccessivamente lungo, e che, se aveva difficoltà nello scrivere si può ben immaginare quelle che incontrava nel duro e delicatissimo lavoro di incisione di punzoni. Inoltre nel 1588 - a 75 anni - aveva, secondo la testimonianza di G. B. Raimondi, in alcune parti del corpo delle piaghe che possiamo supporre dolorose e comunque certamente tali da non facilitargli il lavoro. Si può anche sospettare, a tale proposito, che l'attività svolta dal Cesari, complementare a quella di Granjon almeno fino al settembre 1586, anno in cui il punzonista fiammingo venne a morte, sia stata in realtà ben maggiore di quella documentata dall'unica annotazione di pagamento, per 20 punzoni, a suo favore. A meno di non supporre l'esistenza, peraltro niente affatto provata, dell' esistenza di un altro incisore alla Medicea che fosse stato in grado di coadiuvarlo. Allo stato attuale della documentazione in nostro possesso, quindi, non possiamo non restare ammirati di fronte alla vitalità, alla tenacia e alla forza di volontà ,di cui egli diede prova. Sarebbe comunque auspicabile, da parte degli specialisti, un
119
42
A,S,F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XIV.
più approfondito esame stilistico di questi caratteri, uno studio più scientifico dèlla forma esteriore dei punzoni conservati nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, nella Tipografia Vaticana di Roma e nell'Imprimerie Nationale di Parigi per accertare, se possibile, il contributo individuale di entrambi. Sarebbe assai utile anche vedere se la Tipografia del Seminario di Padova e quella de Propaganda Fide di Roma conservano ancora punzoni e caratteri della Medicea e, in caso affermativo, determinare quali siano opera di Granjon e quali del Cesari ovvero degli incisori successivi.
Carattere «.filosofia maggiore» Domenico Basa collaborò, anche se solo marginalmente, all'edizione dei Vangeli medicei arabo latini (1591) con la vendita al Raimondi di un carattere di filosofia maggiore. In un appunto dell' orientalista 120 che reca la dicitura «Conto delle spese per li Evangelij arabichi latini» si legge: «A 8 d'ottobre 1588 a messer Domenico Basa per lettere latine della filosofia magiore n. o 23060 di peso libre n. o 105 a ragione di giulij 2 la libra scudi 21». Da quest' annotazione risulta soltanto la nomenclatura del tipo, filosofia, con l'appellativo maggiore che non siamo in grado di interpretare, senza che sia specificato se si tratti di un tondo o di un corsivo. Mediante l'esame diretto della traduzione latina interlineata al testo arabo dell' edizione abbiamo accertato che esso è un carattere romano di circa 10 punti. È impossibile, invece, stabilire chi fu l'incisore di questo tondo sia se esso facesse parte del corredo dei tipi della stamperia personale del Basa o della «poliglotta», ovvero se il tipografo friulano se lo sia procurato altrove su esplicita richiesta del Raimondi. Probabilmente questo carattere può essere identificato con quello registrato nell'inventario del 1595 della Tipografia Vaticana: «19 ponzoni della filosofia grossa con le matrice»121.
120
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1.
121
A.
TINTO,
Di un'inventario cit., p. 548.
43
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Alphabetum arabicum, 1592. 4°
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In prIncipio erat uerbum, & uerbum erat apu4 Deum & Deus erat uerbum, erat hoc tU prinCIpio a d .r:p ihil . omnia per ipfum fatta (unt &: une ipCo lux trat una Ulta, erat ipfo In {unt. eorum qu:.e faébl ptenOlicO e tenebrr &: s, tenebri lO lucef Iux homlOUl11 &: henderunt eam; PUlt homo mtffus à Deo, cuiuscnomen· erat Iohannes.• mc uenit lO tefiunonium ut reiunontii perhiberct de lunUne, ut credere t omnes per ma. Et no fuit ille lux, fed uf teBimOOlum perhiberet de lumine, quod cfr lux ua'a, quz illuminat omnem hominem ue niente, 8c czt:
Alphabetum arabicum, 1592. 4°
45
PUNZONI INCISI DA JEAN CAVAILLON
Nulla si sa dell'incisore francese Jean Cavaillon eccetto che prese il posto di Granjon, come punzonista della Medicea, pochi mesi dopo la morte di questi. Fra i documenti conservati nell' Archivio di Stato e nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze vi sono registrazioni di pagamenti in suo favore per diverse serie di caratteri ma non abbiamo trovato che assai scarsa documentazione relativa alla loro fusione. È assai difficile, per l'indeterminatezza della terminologia impiegata, identificare tali tipi come, analogamente, è impossibile individuare, almeno per ora, se e in quali edizioni essi vennero utilizzati. 1o carattere arabo grande Che il Cavaillon abbia inciso un carattere arabo grande, o almeno ne abbia iniziato la lavorazione, è dimostrato dalla dicitura «Danari dati a mastro Giovanni Caviglioni per comprare 1'acciaro per li ponsoni del carattere arabico grande ... », cui seguono (in 13 voci) le indicazioni dei pagamenti a suo favore, dalla giugno 1591 al 6 marzo 1592 122 • 2 o carattere arabo grande Un altro «carattere arabico grande» fu da lui cominciato il 20 marzo 1591. I relativi pagamenti, in 142 registrazioni, vanno dal 22 marzo 1591 al 22 agosto 1592 123 • Il Vervliet ha trovato fra le carte della Medicea uno specimen, non firmato e non datato, recante un carattere arabo della stessa forza di corpo di quello grande di Granjon ma ovviamente di disegno diverso e, a suo avviso, inciso meno bene. Lo stesso carattere è stato dallo studioso belga riscontrato, fra gli altri, nell'Alphabetum Arabicum (1592) ed egli,
122 123
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or" voI. II, ins. XI. A.S,F., Mise. Med., Stampo Or., voI. II, ins. XIII; cfr. anche: G. E. SALTINI, Op.
cit., p. 269.
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a questo punto, suppone 124 che possa trattarsi di un arabo grande inciso dal Cavaillon. Per quanto riguarda il tipo di cui ora parliamo è da segnalare inoltre che nella Miscellanea Medicea 125 vi sono numerose registrazioni di pagamento in favore di Cavaillon per acquistare il rame occorrente per le matrici: tali pagamenti, in numerose voci, vanno dal 21 marzo 1591 al 5 dicembre dello stesso anno. Malgrado le date dei pagamenti per questo e per il primo tipo arabo grande siano, stranamente, abbastanza ravvicinate, noi riteniamo trattarsi di due caratteri diversi anche perché i pagamenti per il carattere precedente si riferiscono, come si è detto, all' acquisto dell' acciaio per i punzoni, operazione che necessariamente doveva precedere sia la lavorazione dei punzoni che la loro incisione. 1 o carattere arabo medio Fra il 1591 ed il 1592 egli attese ad incidere anche i punzoni di un «carattere arabico mezano», iniziato il 16 settembre 1591 che risulta pagato (in 150 voci) dal 18 settembre 1591 al 22 dicembre del 1592 126 •
2 o carattere arabo medio In un conto che reca il titolo «Conto de danari havuti et spesi per la stamparia del anno 1593 di sei mesi incominciati al primo di luglio 1593» troviamo, fra le altre, quest'annotazione: «A mastra Giovanni Caviglione francese. Per 254 ponsoni et 254 madre del carattere arabico compagno del persiano mezano, a ragione di giulij 4 il ponsone con la madre sua non giustata scudi 101.60 ... »127. 1 o carattere arabo piccolo Il 14 aprile 1592 Cavaillon iniziò la lavorazione di un «carat-
l24 125 126
127
H. D. L. VERVLIET, A.S.F., Mise. Med., A.S.F., Mise. Med., A.S.F., Mise. Med.,
Robert Granjon ci t. , p. 227, nota 4, fig. 13. Stampo Or" voI. II, ins. XI. Stampo Or., voI. II, ins. XIV; G. E. SALTINI, Op. cit., p. 269. Stampo Or., voI. I.
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tere arabico piccolo» pagato, in 5 voci, dal 14 al28 aprile di quell'anno 128. Il Saltini, parlando di questo tipo lo definisce, non sappiamo con quale fondamento, «un arabico simile agli alfabeti persiani piccoli che già esistevano in stamperia»!29. 2 o carattere arabo piccolo Questo tipo è certamente diverso dal precedente poiché, fra i documenti della Stamperia Medicea, vengono elencati pagamenti a favore del Cavaillon per il rame che doveva occorrere per le matrici: tali pagamenti inoltre risultano effettuati, in 9 voci, dal 15 luglio 1591 al 5 dicembre dello stesso annoDO.
La «lettera africana» Il 2 febbraio 1591 il Cavaillon, come risulta da una annotazione unica, acquistò 7 libbre di rame per «la madre dell' africana»13!. Si tratta probabilmente, come si è già detto, di una sorta di carattere arabo che aveva questa denominazione.
Carattere arabo comune Cavaillon il 3 ottobre 1592 iniziò ad incidere un «carattere arabico commune» che purtroppo non siamo riusciti a identificare e venne pagato (in 152 registrazioni) dana stessa data d'inizio della lavorazione fino al 28 maggio 1596 132 •
Carattere siriaco antico maiuscolo grande Nel già citato conto del 1593 vi sono annotati, sempre in riferimento all'incisore francese: «Per 56 ponsoni et 56 madre del carattere caldeo antico maiuscolo [la parola maiuscolo è aggiunta al disopra del rigo] grande a ragione di giulij 6 il ponsone con la sua madre scudi 33.60 13 3, La difficoltà derivante, per noi, dalla , 128 A,S,F" Mise, Md, Stamp, Or" vaL II, 129 G, E, SALTINI, Op, eit., p. 269. DO A.S.F. Mise. MEd., Stampo Or., vaL II, 131 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., vaL II, 132
ins. XI. ins. XI. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., vaL II, ins. XVII.
133 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., vaL I. 48
ins, XV,
terminologia impiegata non ci consente di individuare con e,sattezza il tipo ma solo di affermare che doveva trattarsi di un siriaco, forse un estrànghelo, di modulo grande.
Carattere siriaco secondo i Maroniti Il 10 luglio 1590 «Mastro Gianni [Cavaillon] iniziò «un carattere caldaico secondo li Marroniti»lJ4. Carattere persiano maggiore Nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 1J5 è conservato un manoscritto in cui, in 105 voci, sono registrati pagamenti dal 15 febbraio 1593 all'8 febbraio 1594 per un «Carattere persiano maggiore fatto da mastro Giovanni Caviglione francese, et incominciato a 15 di febbraro 1593»lJ6 che è forse da considerare di corpo grande. Carattere persiano medio Come si è già detto, nel 1593 il CavaiIlon incise un tipo «persiano mezano» il quale doveva armonizzarsi, come «compagno», con il secondo carattere arabo medio. Carattere persiano piccolo Registrazioni varie indicano che il punzonista francese incise un carattere persiano di piccolo modulo. La sua lavorazione dovette essere precedente a quella del primo arabo piccolo: l'indicazione, infatti 13 7, parla di denari per «l'arabico piccolo compagno alla persiana piccola». Inoltre l'intestazione del primo carattere arabo grande, già citato, reca: «Danari dati a mastro Giovanni Caviglioni per comprare l'acciaro per li ponsoni del carattere... persiano piccolino». Le date dei pagamenti sono ovviamente le stesse (10 giugno 1591 - 6 marzo 1592).
134 135
lJ6 137
A.S.F., Mise. Med., Firenze, Bibl. Naz. Cfr. E. E. SALTINI, A.S.F., Mise. Med.,
Stampo Or., val. II, ins. X. Centr., [Cod.] II, III, 14, cc. 182-4. Op. cit., p. 269. Stampo Or., val. II, ins. XV.
49
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I//J!'v.:k, . ~Y;r~~RO·M.·AE. In Typographia Medicea.
M·D.XCII. ;!rl····
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AL-IDRisT, ".De geographia universali". 1592. 4° [Testo in arabo].
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·:18
Carattere egiziano grande 1110 luglio del 1598 Jean Cavaillon ricevette del denaro per acquistare l'acciaio occorrente per ricavarvi i punzoni di un tipo indicato genericamente come «carattere egittiaco» e tali pagamenti vennero effettuati da tale data fino al27 settembre 1599. Nel 1600, e precisamente il 27 luglio e il 19 settembre, il punzonista era già in possesso delle matrici del «carattere maiusculo egittiaco», cioè di un copto di corpo grande, almeno se interpretiamo rettamente la parola «maiusculo», per «aggiustarle» cioè «giustificarle» affinché risultassero ben calibrate e poi iniziare la fusione 138 •
Carattere egiziano medio Il 18 aprile 1600 il Cavaillon ebbe nelle mani «110 madre del carattere mezano egittiaco per giustare et incominciare la gittatura». Tali operazioni dovettero durare almeno fino al 19 settembreI>9.
Carattere egiziano piccolo Sempre se il termine «minusculo» va inteso come un carattere di corpo piccolo, il punzonista francese eseguì, fra il 6 giugno ed il 19 settembre 1600, le operazioni di «giustificazione» delle matrici e di fusione di un «carattere egittiaco minusculo»140. PUNZONI INCISI DA GIOVANNI BATTISTA SOTTILE
Nel 1593 prese servizio alla Stamperia Medicea anche Giovanni Battista (o Battista) Sottile, «intagliatore di ponzoni» e «gettatore di caratteri», il quale aveva lavorato precedentemente per la Vaticana 141 . Dopo la fine della Medicea lo troviamo, con man-
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. II, ins. XXIII. A.S.F., Mise. Med" Stampo Or., voI. II, ins. XXIII. 140 A.S.F., Mise, Med., Stampo Or., voI. II, ins. XXIII. Il Vervliet (The Type Specimen oltheVatiean Press cit., p. 21, nota 4) invece, non sappiamo in base a quale ulteriore documentazione, afferma che Cavaillon incise two sizes 01 Coptie. 141 A. TINTO, G. G. Komarek cit., pp. 192-3 e nota 20. 138
139
51
sioni di incisore, nella Tipografia de Propaganda Fide eretta nel 1626 e diretta da Stefano Paolini, ex allievo del Raimondi. Inesatta, quindi, o fondata su un equivoco ci sembra la notizia contenuta in una lettera scritta da Siena il 20 settembre 1628 da Girolamo Lunadori ad Andrea Cioli 142 secondo cui, poco dopo la morte del Raimondi, il Sottile avrebbe fatto il sensale di vini a Ripa.
Carattere siriaco antico Dalla Miscellanea Medicea risulta un solo carattere da lui inciso, un «caldaico antico», forse un estrànghelo, iniziato il 13 settembre 1593 e per il quale egli venne pagato, in tre registrazioni, dal 6 ottobre al 6 novembre di quell'anno I43 • Anche per Giovanni Battista Sottile è da rilevare la difficoltà nell'esatta individuazione del tipo e la mancanza di documentazione relativa ai pagamenti per la sua fusione.
Nel fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Medicea Laurenziana si conserva, fra 1'altro, un conto per matrici «giustate» e «non giustate» cioè, come si è avuto già occasione di dire, di matrici «giustificate» cioè limate e squadrate e matrici «non giustificate», vale a dire matrici che ancora non avevano subìto quel trattamento. Questo manoscritto1 44 è senza dubbio di mano del Raimondi e la data è certo posteriore al 1594. Esso ci fornisce qualche altra notizia sui caratteri medicei: «840 madre delllarabica mezana compagna della persiana e dell'egittiaca 596 madre dell'arabica grande 250 madre giustate della caldea di Marroniti 49 madre non giustate della caldea antica maggiore 34 madre non giustate della persiana maggiore
142 Un brano di questa lettera che travasi nella Miscellanea Medicea è riportato, in parte, dal Saltini (Op. cit., p. 269, nota 17. 143 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. II, ins. XVI. 144 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss Oriento 457, c. 457.
52
220 madre giustate dell' arabica piccolina 289 madre giustate [la parola giustate è aggiunta al disopra del rigo] dell' arabica mezana antica 232 madre giustate dell'egittiaca». Esse possono così es~ere sintetizzate:
Carattere egiziano Ignoriamo a quale dei tre corpi del carattere copto, dovuti al Cavaillon, qui ci si riferisca. Carattere siriaco antico maggiore Forse da identificare con il «siriaco antico maiuscolo grande», già da noi registrato fra i tipi dovuti al Cavaillon. Carattere arabo medio antico Jean Cavaillon incise, come si è detto, due caratteri arabi di corpo medio nel 1591-1592 e nel 1593. Resta da accertare se la nuova lettera «arabica mezana» cui è aggiunta la specificazione di «antica» vada identificata con una delle due precedenti ovvero si tratti di un tipo di disegno diverso.
Nella Miscellanea Medicea, inoltre, vi è un inventario, anonimo e privo di data ma scritto con ogni probabilità dopo il 1600, delle serie di caratteri posseduti dalla Stamperia Medicea Orientale seguito da un elenco dei manoscritti che ne costituivano la biblioteca l45 • Il documento, probabilmente copia e forse opera di uno scriba non italiano, è irto di errori e presenta notevoli discrepanze con il numero dei caratteri da noi via via elencati e presi in esame, dati che sono stati tratti, come si sa, sia dal libretto dei conti del Raimondi, sia da altra documentazione contenuta nella Miscellanea stessa. Lo presentiamo in sintesi, tuttavia, per completezza e perché riteniamo che esso sia l'unico, più recente elenco della dotazione dei tipi della Medicea anche anche se, purtrop-
145 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XLVIII cito L'inventario, con l'elenco dei manoscritti, è stato riprodotto, purtroppo con refusi tipografici, da B. Maracchi Bia· giarelIi (La Biblioteca Medicea Laurenziana. Una nuo'va sala per l'attrezzatura della Stamperia Orientale (sec. XVI), in «Accademie e biblioteche d'Italia», a XXXIX (1971) pp. 93·4.
53
po, esso non reca il nome, o i nomi, dei punzonisti l46 • L'inventario è importante anche perché avrebbe dovuto costituire insieme all' elenco dei manoscritti, la base dell'ultima, in ordine di tempo, delle trattative di vendita della Stamperia al re di Spagna. Intitolato «Nella stamparia delle lingua stranere che fu fatta fare del Gran Duca di Toscana mentre che era cardinale per compiacere et servire a la felice memoria di Gregorio decimotertio che hogie et di Giovanni Baptista Raimondo a la tiene al servitio di Nostro Signore Papa Paulo V vi sono in essere le infra scritte [segue la parola chose corretta in cose e quindi depennata] cose» esso elenca: 1) Un numero imprecisato di caratteri «latini» senza però che sia specificato se si tratti di romani o corsivi, fatti incidere dal Raimondi dopo che divenne proprietario della stamperia (1596); 2) Due caratteri greci, entrambi fatti incidere dal Raimondi, «uno con i quali fu stampato la Biblia greca qui in Roma dalla beata memoria del cardinal Carapha», cioè la versione greca dei Settanta uscita dalla bottega di Francesco Zanetti (1586, 1587)147; t'altro «simile et quosi [sicl bello come quello che fu fatto fare dal re di Francia chiamato Grego [sicl Regio», vale a dire un tipo imitante il Grec du Roi inciso da Claude Garamont. È da notare a questo proposito che se è possibile che il Raimondi abbia ordinato, dopo il 1596, un'imitazione del Grec du Roi, stridente è la contraddizione fra l'affermazione che egli fece fare altrettanto per il primo tipo greco che sarebbe stato, a quanto si dice sempre nell'inventario, non una copia, ma lo stesso carattere impiegato dieci anni prima. Ed è da dimostrare che il greco dello Zanetti sia stato inciso per iniziativa dell'orientalista cremonese; 3) Tre caratteri ebraici, uno di modulo grande da impiegare per i titoli e per le «rubriche di trattati o capitoli», un secondo come tipo di testo ed un terzo, chiamato «dalli hebrei Provinciale», da impiegare per i commenti;
Per gli incisori che lavorarono posteriormente al 1596 possiamo fare, sia pure con cautela, i nomi, oltre che del già citato G. B. Sottile, di Giacomo Antonio Mori e di Stefano Paolini. 147 Fra il 1582 ed il 1584 allo Zanetti verrà pagata, per ordine diretto del papa, la pio gione della «casa dove lui stampa vicino a san Giacomo de Spagnoli» (Cfr: V. ROMANI, Per una storia cit., p. 39, n. 36.
. 146
54
4) Sei caratteri siriaci, uno per i Maroniti, l'altro per i Giacobiti ed il terzo per i Nestoriani,;- inoltre «tre charattere quadrate antiche uno grande uno mesano et un autro piccolo», comuni alle tre chiese; 5) Sette arabi di corpo diverso l'uno dall'altro, «tutti orientali», uno dei quali fatto incidere a proprie spese dal Raimondi; 6) Una lettera araba «africana et ponentina», anch' essa fatta incidere dal nostro orientalista; 7) Quattro tipi persiani di vari corpi, uno dei quali fu fatto eseguire a spese del Raimondi il quale si proponeva di stampare con essi due grammatiche ed un dizionario persiani con la versione latina; 8) Un carattere turco i cui punzoni furono fatti incidere a spese del Raimondi; 9) Due tipi «della lingua egiptiaca uno antiquo et un altro moderno»; lO) Quattro caratteri «latini grandi per stampare tutti li libri di canti [sic] fermo in forma di note et parole», di corpi diversi, «tutti fatti fare dal detto Raimondo molti anni sono chosa maij [sic] stata ritrovata nel mondo da trecente anni in qua che fu trovata la stampa»118; Il) «Ornamenti di desinni et historie intalliate et lettere grandi chiamate miniature per i stampare le detti libri di canto fermo»; 12) Due caratteri corsivi anch' essi fatti incidere dall' orientalista a proprie spese. A tergo dell'inventario la seguente scritta, di mano del Lunadori, posteriore al 13 febbraio 1614: «Nota della stamperia et libri del signor Giovanni Battista Raimondo, di mano di Sua Santità consegniata a me cavalier Girolamo Lunadoro per trattare la vendita di tutte le cose descritte in questo inventario con 1'eccellentissimo signore conte di Castro ambasciatore per Sua Maestà Cattolica appresso Sua Santità con ordine di dimandare quaranta mila scudi di tutta la descritta robba. Non si effettuò la ven· dita, perché morse il detto signor Giovanni Battista Raimondo et lassò suo herede universale il Serenissimo Gran Duca di Toscana; et l'eccellentissimo signor Piero Guicciardini, ambasciatore del-
148 È qui interessante sottolineare la totale mancanza di senso storico da parte dell'ignoto estensore dell'inventario, il quale fa risalire l'invenzione della stampa a trecento anni prima. Siamo peraltro del parere che tale errata concezione doveva costituire un'opinione abbastanza comune agli uomini dell'epoca, così come abbiamo notato asuo luogo le frequenti imprecisioni ed incertezze di carattere temporale nelle deposizioni di vari testimoni al processo intentato dal Raimondi contro il suo proto Matteo Neroni. 55
l'Altezza Serenissima, acettò l'heredità et tutta questa descritta robba et altra; si mandò da Sua eccellenza nel Palazzo del Giardino in Roma di Sua Altezza Serenissima».
LE VICENDE DELLA STAMPERIA L'anno 1587 costituisce un anno cruciale per la storia della Medicea, di quella stamperia che segna, verso la fine del secolo XVI, dal punto di vista internazionale, il secondo momento culminante della storia della tipografia italiana del Cinquecento. L'anno in cui il cardinale de Medici succede al fratello, in circostanze drammatiche, come granduca di Toscana affidando al cardinale Gabriele Paleotti la «cura et protettione» della tipografia e quindi viene gradualmente a mancare all'impresa il suo determinante appoggio finanziario: le edizioni medic~e venute in luce dal 1590 in poi, infatti, pur costituendo un vanto per l'editoria romana per il nitore della carta, per l'ampiezza dei margini, per la sontuosità dei caratteri, per la magnificenza delle illustrazioni e dei fregi saranno tuttavia di difficile smercio e non arrecheranno i grossi utili che la società si riprometteva. Il Raimondi, una volta venutigli meno i capitali del Medici e sebbene finanziato dalla Camera Apostolica la quale pagava anche la pigione della tipografia 149 non era tuttavia in grado di proseguire una coerente attività editoriale. Non furono pertanto più sufficienti, come vedremo, il suo attivismo, le sue iniziative, i suoi progetti. 111587 è anche l'anno che segna l'inizio della fine, per la stamperia, del significativo contributo di un punzonista della statura artistica di Robert Granjon il quale lavorerà sì, fino al 1589, ma che dal 1587 comincerà a mostrare, con i segni dell'età, i sintomi della malattia che lo condurrà a morte nel 1590. In un quadro più ampio e più generale non bisogna dimenti-
149
56
A.
BERTOLOTTI,
Op. cit., p. 245.
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In TJpogr4phiA Medict4- . M.D.XCIV· Cum licentia Supcriorul1I.
-=================iM EUCLIDE, ... Elementorum geometricorum libri tredicim... , 1594. fol. [Testo in arabo],
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care che, fin dal 1585, l'elezione di Sisto V durante il cui regno vi fu una stasi generale degli affari orientaJi150 costituisce una battuta d'arresto in quell' ampia politica di apertura missionaria per mezzo della stampa propugnata e portata avanti con fervore da Gregorio XIII verso i cristiani non romani, in particolare quelli del Medio Oriente e dei paesi slavi. Il nuovo pontefice sarà intenzionato, come il suo predecessore, a seguire rigidamente le direttive della Controriforma applicando i deliberati tridentini ma s'impegnerà a dare al mondo una nuova edizione della Volgata. Con 1'erezione della Tipografia Vaticana, realizzata appunto da Sisto V nel 1587, inoltre, il baricentro dell' editoria «ufficiale» romana si sposterà oltre Tevere facendo in modo che 1'area socio-culturale cittadina, lasciata libera, venisse sempre più occupata dall'attività dei numerosi librai affluiti a Roma negli anni precedenti da varie città italiane. I successivi papi saranno anch'essi tutti impegnati nello sforzo poderoso della Controriforma e vi sarà quindi poco o nessuno spazio per la tipografia orientale come era stata attuata dal Medici. Bisognerà attendere il pontificato di Gregorio XV il quale, nel 1622, fonderà la Congregazione «de Propaganda Fide» perché la Chiesa avesse, con 1'annessa stamperia poliglotta, eretta nel 1626 da Urbano VIII, uno strumento ufficiale per l'evangelizzazione. Della nuova situazione che si era venuta a creare e che abbiamo descritto nelle sue linee generalissime non sembra che il Raimondi abbia avuto sempre piena coscienza. Le sue iniziative ed il suo comportamento, pur talvolta comprensibili, ne delineano abbastanza bene la personalità ed i limiti. Diresse la Stamperia Medicea ma certamente fu solo uno studioso e non un tecnico della tipografia né un oculato amministratore: di conseguenza elaborò fumosi piani destinati, nelle sue intenzioni, a migliorare il rendimento dell'officina ed escogitò pseudo invenzioni del tutto fantasiose. Ebbe molto a cuore lo sviluppo e gli interessi della Stamperia Orientale che, in sostanza, coincidevano con i propri e quindi lottò con vari espedienti e iniziative affinché non soccombesse alle
150 58
G.
LEVI DELLA VIDA,
Documenti cit., p. 38 e nota 2; p. 39.
difficoltà che via via si presentavano. Il Raimondi non fu, soprattutto, in grado di commisurare i mezzi finanziari e gli uomini di cui poteva disporre all'eccessiva grandiosità del suo principale programma, la stampa della Bibbia poliglotta.
Il 28 aprile 1587 l' orientalista presentò alla congregazione una sua «Proposta di altri modi da stampare libri»151, da lui «pensati et considerati... nel studiare continuamente di dar tutta quella perfettione a questa stampa». Questi sistemi, che il Saltini 152 non esita a definire addirittura «ingegnosissimi, e forse non molto dissimili da alcune invenzioni di che oggi si vantaggia la tipografia», sono esposti, in verità, in uno stile che noi riteniamo, a dir poco, oscuro. I sistemi proposti dal Raimondi erano tre: «Il primo, qual è il più bello, facendo imprimere più politamente la scrittura arabica, et questo giudico che sarà più al proposito volendoci servire d'un solo recercando minor spesa che gli altri; fatto il primo apparecchio per ciascuno libro non farà stampar altro che 5000 o vero 6000 libri al più, ma bisognandovi più, et prevedendolo, se può reiterare l'apparecchio tante volte, quante vorremo. Il 2° qual è men bello del primo, ma più bello però della stampa ordinaria, dando l'uno et l'altro quella perfettione a i libri stampati che non può dare la stampa ordinaria, come è la strettezza della scrittura, et colligatione delle lettere insieme, et intricamento di tratti et di lettere, qual è frequentissimo nella scrittura arabica arrivarà fino al numero di 20000 et più, ma ricerca magior spesa et con questo modo si potrà stampare un libro in un giorno solo, ... il 3°, qual non è altro che l' secondo ridotto quasi a perpetuità et a magior perfettione, vole anco lui magior spesa et forse più del 2° , ma può fare stampare di ciascuno libro numero quasi infinito, et questo 151 152
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. IX. G. E. SALTINI, Op. cit., p. 271.
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non è molto diverso dalle stampe ordinarie. Et oltra che con questo, ancora si può stampare un libro in un giorno solo, come è detto del 2° ha di più che in uno istesso tempo si può stampare un libro in diversi lochi multiplicando la stamparia con la sola gittatura ... ». I vantaggi che il Raimondi si proponeva di ottenere erano i seguenti: «Primo che... in uno istesso tempo potremo stampare molti libri insieme, et dette stampature potranno essere governate da un solo mediocremente intelligente della lingua arabica non havendo bisogno questi modi né di compositori né di correttori, ma solamente della scrittura ben corretta dell'originale da stamparsi. Secondo, alli libri che si stamparanno in questi modi seli potrà dare nome di libri stampati, sì come realmente sono, mandandoli in quelle parti dove già è arrivata la notitia della stampa arabica et questi agiuntandoli con li stampati nella stampa ordinaria li daranno favore et dispaccio grande: et mandandoli in altre parti, dove ancora non è notitia di stampa delli libri arabici seli potrà dire libri scritti a penna, non potendosi giudicare da nullo, et massime di quelli quali non hanno ancor visto nullo delli stampati, che siano stampati... Terzo, che fatto l'apparecchio necessario per ciascuno libro, che si vorà stampare, starà a noi di stamparne quanti vorremo secondo l'occorrenze, ... Il detto apparecchio, per uno o vero più libri, si può allongare et abreviare secondo noi vorremo, scemando, et agiongendo operarij, et se con l'esperientia si troverà che l'negotio vada bene et bisognando stampar molti libri, ciò si potrà fare avvalendoci di più d'uno di questi modi insieme, non bisognando in uno quelli operarij che bisognano nell'altro, ma huomini di diversa professione...». Dopo aver esposto ai colleghi questi nuovi sistemi da lui escogitati per stampare rapidamente, sistemi che, secondo lui, non pregiudicavano il lavoro fin'allora compiuto, il Raimondi sottoponeva loro, in un stile che ancora una volta giudichiamo poco chiaro, due proposte di soluzione: la prima consistente nel fatto che «non spendendo io, o altro per me, nel stampare de libri», a vendita dei volumi avvenuta, per prima cosa doveva essere rimborsata la spesa compiuta ed 1/3 dell'utile residuo doveva spettare a lui; la seconda prevedeva che «spendendo io, o vero altri per me», una volta detratta la spesa da rimborsare a chi aveva fornito il capitale, 1/3
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degli utili doveva andare alla compagnia. Questa sarebbe stata, inoltre, libera di scegliere ora l'una ora l'altra soluzione «come più li tornerà commodo». In ogni modo, l'orientalista ritenendo di aver diritto ad una «mancia» per lo «studio et industria» da lui posti per mettere a punto questi «modi» nuovi, chiedeva «di stamparmi in questi modi un libro solo, qual non sarà né di questi comprati da monsignor patriarca né di quelli fin hora venuti da Levante per servitio di questa impresa, ma buscato et comprato da me». Il Raimondi si riservava, inoltre, di stampare «in qualsivoglia modo» i libri per i quali erano stati ottenuti i privilegi, con le versioni sia latina che volgare. La congregazione, nel ragguagliare il5 giugno 1587 il Medici sui nuovi sistemi rapidi di stampa proposti dal Raimondi, pur riconoscendo che essi erano «riuscibili», assunse un atteggiamento più cauto riguardo ai guadagni che si sarebbero potuti ottenere rimettendo, per quanto concerneva la spesa relativa, gli utili e la mancia per l'orientalista, ogni decisione nelle mani del cardinale. Questi, a sua volta, con un rescritto del 23 agosto, si dichiarò favorevole alla seconda impresa e alle due proposte di soluzione riservandosi tuttavia di scegliere l'una o l'altra. Quanto al compenso richiesto, si mostrò ben lieto di permettere che il Raimondi stampasse i libri che desiderava purché ciò avvenisse a spese dell' orientalista il quale avrebbe potuto disporre anche, a suo piacimento, degli utili che ne avesse ricavato. Il nuovo sistema, naturalmente, non trovò mai pratica appli. caZIOne.
Si è già accennato, all'inizio, dell'incarico affidato da Gregorio XIII al Palestrina e allo Zoilo di emendare i vari libri di canto fermo in osservanza delle disposizioni del Concilio tridentino. TaIe revisione cui essi si dedicarono per molti anni fu, in seguito, abbandonata. Gli storici della musica hanno spiegato questo fatto in diversi modi: l'opposizione del re di Spagna, preoccupato per il grave pregiudizio che sarebbe derivato ai suoi Stati se fossero state introdotte innovazioni nella stampa dei libri della nuova li61
turgia; l'età e la scarsa perseveranza del Palestrina; motivi strettamente tecnici; il venir meno, infine, nel pontefice, dell'entusiasmo causato dalla consapevolezza delle enormi spese cui la Camera sarebbe andata incontro con la fondazione di una tipografia musicale. Qualunque ne sia stata la causa, il progetto, ben lontano, come si vede, da quelli iniziali della Medicea,fu ripreso quindici anni più tardi dal Raimondi. Ce ne dà notizia la minuta di una relazione del cremonese assegnabile, con ogni evidenza, ad un anno posteriore al 1607. Scritta in terza persona, essa è finalizzata ad ottenere il privilegio per una sua «invenzione». Come di consueto, in alcuni punti, anche importanti, egli si esprime in termini estremamente generici e tali da renderne incomprensibile la reale portata; i veri motivi, inoltre, di taluni avvenimenti ci sembrano di assai difficile comprensione 153 . Il Raimondi ed il silografo Leonardo Parasole di Sant' Angelo di Visso (Spoleto)154, il quale aveva già collaborato alla Medicea incidendo in legno, su disegni di Antonio Tempesta, le illustrazioni per l'edizione degli Evangeli, erano convinti che fosse impossibile per i tipografi, fin «da trecento anni in qua, che fu ritrovata la stampa»155 stampare i libri di canto fermo con il «modo ordinario», vale a dire tipograficamente. E ciò vuoi per il formato in folio grande di quei testi per cui ogni forma, cioè ogni composizione tipografica chiusa nel telaio con la relativa marginatura, avrebbe pesato «ducento libre et forse più» ed era quindi «inettissima» ad essere posta sotto il torchio, vuoi anche per la grandezza delle lettere e delle note musicali, Ritenevano, quindi, impossibile ot153 154
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, voI. VI, fase. 21, ins. 1. Il suo vero cognome, secondo alcuni autori, sembra fosse stato Norsini o Norcini, ed avrebbe assunto quello della moglie Isabella sostituendolo al proprio all' atto del matrimonio. Nel 1592 il Parasole risulta abitare nella casa di Virgilio Crescenzi, vicino alla Rotonda, e possedere una casa presso la Fontana di Trevi (A. BERTOLOTTI, Artisti
bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato Pontificio in Roma nei secoli XV, XVI e _XVII... New York, B. Franklin, 1972, p. 113. Facs. dell'ediz. del 1885). Il 24 marzo 1599 è invece ricordato come «intagliator in Urbe ad Plateam Doganae». G. L. MAOp. cit., pp. 214-15, afferma che un «Leonardo norsino», marito di Isabella Parasole, apparteneva ad una famiglia di scarpinelli interessata alla stampa dell'Herbario nuovo di Castore Durante di cui egli probabilmente aveva inciso le illustrazioni. 155 Cfr. nota 148.
SETTIZANNINl,
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tenere punzoni di misura tale da poter essere impressi in cavo sulle matrici, «ancor che li battessero da sopra con martelli di caldarari; et ancorché le mettesso [sic] fra suppresse di vite gagliardissime, ma per la forzza [sic] et gagliardezza delle dette botte di martelli o strettura di suppresse si aprivano et si spezzavano in molti pezzi et aperture le dette madre di rame o altro metallo». Nel 1592 quindi, negli stessi anni in cui il Raimondi tentava di stampare la Bibbia poliglotta, essi idearono, dapprima singolarmente e poi consultatisi assieme, dopo molte prove, un nuovo sistema per stampare i libri liturgici, dal Raimondi stesso chiamato la prima invenzione, che fosse in grado di eliminare i gravi inconvenienti da loro riscontrati. TaIe nuovo sistema consisteva nell'«intagliare in legno di busso tutte le lettere et tutte le note» in tre corpi, grande, medio e piccolo, in modo che potessero essere soddisfatte le esigenze, rispettivamente delle chiese grandi e ricche, medie e meno ricche e povere. Persuasi di aver inventato, alla fine del secolo XVI, i libri silografici, il Parasole iniziò il lavoro incidendoli tutti e tre in «gran quantità, dove si spese molto». Poiché le prove effettuate riuscirono bene, furono intagliate anche «tutte le miniature et altri ornamenti... dove si spese molto piu». Abbiamo già accennato al modo ambiguo con cui il Raimondi si esprimeva; pertanto gli eventi successivi risultano secondo noi, per taluni aspetti, addirittura enigmatici. L' orientalista, pur essendo stato, insieme con il Parasole, il cosiddetto inventore del nuovo metodo di stampare i libri di canto fermo, non desiderando «per degni rispetti» essere nominato nel privilegio, si «contentò sub bona fide» che, invece del suo, comparisse il nome del cisterciense Fulgenzio Valesio l56 • Nella bolla di Clemente VIII del 16 settembre 1593 157 sono ricordati come ideatori del nuovo si156 Il Valesio fu certamente un singolare personaggio. A detta del Raimondi «Don Fui. genzio da molti anni in qua», ma si rammenti che lo scritto deII'orientaIista è posteriore al 1607, «non è mai comparso nel mondo fra seculari, né anco fra Ii monaci neIIi mona. sterij dell'Ordine suo, et si tiene per certo che sene sia andato in Genevra, perché fu visto andar via a cavallo nel Piamonte vestito da seculare et da soldato con arehibuseio et altre arme, et non sen'è poi havuta nova alcuna mai et essendo vero questo viene fatto incapace lui et il detto Silvio suo nipote d'ogni gratia di principe». 157 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. VI, fase. 2~, ins. I (copia ms.).
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stema per stampare i libri di canto fermo Fulgenzio Valesio e Leonardo Parasole. Viene tuttavia concesso un privilegio quindicennaIe a favore del Parasole e di Silvio Valesio, nipote di Fulgenzio, «per fuggire}>, come dice il Raimondi nella sua relazione, «la pretensione che ne potesse havere la religione del detto don Fulgenzim>. Nello stesso anno gl'inventori diressero una supplica al pontefice affinché affidasse l'affare ad una congregazione cardinalizia e la pratica fu in seguito assegnata a quella dei Riti. 1113 aprile 1595 si formò, quindi, una compagnia fra gli inventori e certi Pietro Valentini e Vincenzo Zati, nome fittizio quest'ultimo sotto il quale si celava Giovanni Niccolini ambasciatore del granduca presso la Santa Sede, per stampare non solo i libri di canto fermo, ma anche il Pontificale ed il Cerimoniale riformati 158. L'esperimento di stampare i libri di canto fermo col metodo silografico, tuttavia, non riuscì. Il Raimondi lo riconobbe apertamente affermando che, poiché «il legno alla fine è legno, cioè materia molle et fragile et non uniforme per ogni verso, ma ha le vene, ... per questo facendo lavorare continuatamente per esperimentarlo si scopersero difettose et insufficienti, perché... le dette lettere et note cominciorno a sfilare et si guastavano, et per supplire bisognava far fare dell'altre}>. Sarebbero quindi occorsi tempi lunghi di lavorazione che avrebbero, naturalmente, comporta158 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. VI, fase. 20, ins. II. Da rilevare che nella lunga relazione del Raimondi da cui traiamo queste notizie, non è mai nominato il Niccoli· ni ma solo il suo pseudonimo di Zati e che all'inizio di essa, forse per un singolare lapsus ealami,l'orientalista scrive che gl'inventori furono «Gio. b. N. et Leonardo Parasole». Altrettanto inspiegabili ci sembrano, alla luce di quanto ora si è detto, alcuni dettagli della ricevuta del denaro prestato ai soci dal Niccolini come risultano dalla copia di pugno del Raimondi (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. 1): «Noi G. [iovanni] b. [attista] R. [aimondi] P. [ietro] V. [alentini] V. [incenzo] Z. lati] et L. [eonardo] P. [arasole] per la presente confessiamo haver ricevuto dall'illustrissimo signor G. [iovanni] N. [iccolini] scudi 500 di moneta di giulij 10 per scudo, quali ci ha accommodati per tenerciene [sie] o far tenere in su cambij per quelle piazze e fiere che li parrà più a proposito, et promettiamo tutti in solidum di restituirgline fra tre mesi prossimi insieme con l'interessi de cambij che saranno corsi, ... ». Il documento, dato 3 marzo 1596, reca le sottoscrizioni composte tutte dall'iniziale N, compresa quella del Raimondi: «lo G.B. N; [sie] mi obligo et prometto osservare quanto di sopra questo dì mese et anno come di sopra. lo N. etc., lo N. etc., lo N. etc.».
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to forti spese l59 • Tali inconvenienti portarono inevitabilmente, il 22 dicembre 1602, allo scioglimento della società fra GiovanniNiccolini «sotto nome di Vincenzo Zati» da una parte ed il Raimondi, il Valentini e il Parasole dall'altra 16o . Vista la pessima riuscita del nuovo procedimento non meraviglia il fatto che Leonardo Parasole, 1'8 giugno 1603, vendesse la propria quota dell'affare e del privilegio ad un certo Paolo Terrarossa per la somma di 150 scudi. Dopo vari e complicati passaggi di proprietà tale quota venne acquistata il 12 dicembre 1607 per 300 scudi, cioè il doppio della cifra pagata al Parasole, dall' orientalista che divenne così «padrone assoluto di tutto il negotio della stampa et privileggio del canto fermo» e poté così dedicarsi completamente alla sua cosiddetta seconda invenzione dovuta, questa volta, esclusivamente a lui. Sfortunatamente egli si esprime, in proposito, come abbiamo più vol· te sottolineato, in termini assai vaghi e quindi non è possibile valutare la reale portata del suo ritrovato ma non ci sembra dubbio che si trattò di un' altra elucubrazione del Raimondi. Essa consisteva nel ridurre il peso delle forme; nell'usare, invece del legno, una materia «durissima niente differente dall'ordinaria che si usa oggi... di durata grande come l'ordinaria» però più leggera di modo che «quelle forme così grandi di foglio papale pesaranno tanto poco che, com'è detto, un torculare solo le potrà manegiare»161. Con un breve del 28 agosto 1608 Paolo V dispose che un' apposita commissione composta dai cardinali Francesco Maria Bourbon del Monte, Bartolomeo Cesi, Pompeo Arrigoni e Séraphin Ollivier 162 sottoponesse a revisione il manoscritto del canto fermo per poi consegnarlo al Raimondi per la stampa. Essi, a loro volta, ne diedero l'incarico ai compositori Felice Anerio e Francesco Suriano i quali condussero a termini. Purtroppo il Raimondi era sprovvisto dei necessari mezzi finanziari: come si apprende da
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, val. VI, fase. 21, ins. 1. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, val. VI, fase. 20, ins. II. 161 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, val. VI, fase. 21, ins. 1. 162 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. VI, fase. 22, ins. III (copia ms.). Il Saltini (Op. cito p. 282) elenca, forse da altra fonte come componenti la commissione i cardinali Bel· larmino, Paleotti, Cesi e «Serafino» che era certamente l'Ollivier. 159 160
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un documento del 23 gennaio 1614 163 egli costituì, quindi, una compagnia con Ludovico Angelita maestro di camera del papa, che fornì il capitale e con Girolamo Lunadori che doveva anche sovrintendere alla stampa. La splendida editio Medicea del Graduale Romanum vide la luce nel 1614-1615, in 2 volumi '64 ma l'orientalista, morto il 13 febbraio 1614 165 dopo aver fatto testamento (2 febbraio) in cui lasciava, a parte alcuni legati, erede universale il granduca l66 , non poté vederla.
Nel 1587 il Medici, divenuto granduca, non vedendo ancora alcun frutto delle forti spese sostenute per la stamperia credette opportuno trasferirla a Firenze e chiese, a tale proposito, il parere del Raimondi. Questi, in una lunga lettera al segretario d~l granduca (13 agosto 1588), che evidenzia, tra l'altro, i forti contrasti esistenti, circa la tipografia, fra lui e papa Sisto V ed alcuni cardinali protettori delle chiese orientali ne sconsigliò, ovviamente il trasporto adducendo validi argomenti. In primo luogo, una volta trasportata a Firenze la tipografia, il papa ed i cardinali protettori delle chiese orientali «senza dubio alcuno metteranno subito in ordine la loro 167 et questo si chiarisce ancora dalla tanta diligentia che hanno fatta per sapere se questa stampa era per andare a Firenza, o no, et essendoli sempre stato risposto che no, se li conoA.S.F., Mise. Med., Stampo 01'., Documenti di corredo, val. VI, fase. 22. ins. IV. Sia il testo che le note musicali sono, naturalmente, a stampa: vi furono impiegati, oltre a magnifiche capitali romane, anche dei caratteri denominati canoncino e canone romani, di incisore ignoto. Essi sono riprodotti nello specimen dei tipi della Vaticana del 1628. Cfr. The Type Specimen oj the Vatican Press cit., pp. 34, 39-40, nn. 45, 73-74. L'edizione è, inoltre, adorna di iniziali silografiche. Ringraziamo il collega dotto Marco Paoli per diversi riscontri fatti per nostro conto, sul problema dei libri di canto fermo presso l'Archivio di Stato fiorentino. Per ulteriori riscontri generali, i nostri ringraziamenti vanno alla collega sig.na Carla Simonetti. 165 Cfr. G. E. SALTINI, Op. cit., pp. 289 e segg. La data della morte del Raimondi (la notte del 13 febbraio 1614, secondo il Saltini) sembra contrastare, però, con quanto documentato da J. A. F. ORBAAN, Documenti cit., p. 287 e nota 2. 166 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. III, ins. XLVII. 167 Secondo il Raimondi sarebbe stato quindi possibile, ancora nel 1588, riattivare se non la tipografia universale «pontificia», quella del Collegio Maronita. 163
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sceva nel viso a tutti et manifestamente che li dispiaceva sommamente»; essi, infatti, si erano affrettati ad andare a visitare la tipografia del Basa per informarsi, in particolare, «delli caratteri arabici et chaldaici et loro gittature se erano in ordine per potere stampare quando bisognasse» ben sapendo, fra l'altro che «mastro Domenico» avrebbe stampato «a bon mercato», cioè ad un baiocco a foglio 168 • In sostanza l'orientalista desiderava, e non si può dargli torto, che la Medicea conservasse, praticamente, il monopolio in Roma della stampa in lingue orientali poiché, «adesso che questa stamparia è qui in Roma, tutti bisogna che per forzza [sic] venghino nelle mani nostre». I gesuiti, infatti, che avevano già pubblicato un libro in arabo con il loro carattere e nella loro stamperia nonché due libri in siriaco, con propri tipi, ma presso la Medicea, in futuro non avrebbero inviato i loro testi a Firenze per farseli stampare. Informando poi il segretariodel granduca dell'intenzione del cardinale Antonio Carafa, protettore dei Maroniti, di far stampare per «servitio» di questi un messale in siriaco, esprime l'opinione che sarebbe opportuno lo stampasse la Medicea altrimenti il Carafa «l'havrebe fatto stampare nella stamperia loro dove sono questi caratteri chaldei»; comunica, inoltre, che, «molti giorni sono», Leonardo Abel (o Abela), vescovo di Sidone, gli aveva detto da parte del cardinale di Santa Severina, vale a dire di Giulio Antonio Santoro, che intendeva dare in luce una Professione di fede in siriaco nonché «certe altre cosette». Il granduca si era mostrato disposto a stamparle, ma se la Medicea si fosse trasferita a Firenze, i gesuiti non si sarebbero certo recati in quella città per farli pubblicare. A questo punto, per dare maggior forza persuasiva al discorso e ben sapendo quanto Ferdinando I fosse intenzionato a mantenere i già buoni rapporti di Firenze con la Curia insinuò che, trasferendo la Medicea a Firenze, agli «illustrissimi signori cardinali quali intervengono nel fare l'Indice delli libri prohibiti parerebbe .... che noi fugissemo questa revisione che vuole il papa che 168 L' orientalista, naturalmente, si riferisce alla tipografia che il Basa gestiva in proprio da diversi anni ed ai caratteri esotici in suo possesso ma di proprietà della Camera Apostolica.
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si faccia dalla detta Congregatione». Osservò, inoltre, che «sarebe un mandar al giorno del Giuditio la stampatura d'un libro solo, hor se qui in Roma dove semo tutti presenti si dura tanta fatica per havere un libro revisto dalla Congregatione dell'Indice, per le diHicultà che occorreno loro per non intendere queste lingue et bisogna che giorno per giorno sia uno di noi con messer Latino Latini 169 a chi è stato dato carrico [sic] dall'illustrissimo Colonna 17o di questa rivisione». Se tali, quindi, erano le difficoltà stando a Roma, cosa sarebbe accaduto una volta trasferita la tipografia nella capitale del granducato? Era infatti impossibile che tutti o alcuni membri della congregazione della Medicea, disposti ad andare a Firenze, emendassero in questa città i libri che dovevano essere stampati per poi inviarli a Roma al fine di sottoporli alla revisione dell'Indice. Il Raimondi, infine, confessò con disarmante candore il vero motivo della sua opposizione al ventilato progetto: tutto quanto aveva sostenuto era per il suo interesse «per che se questo negotio andasse male io sarei rovinato non havendo altro per la mia vecchiezza che la speranza di questo negotio, et quelli cento scudi di pensione che Sua Altezza Serenissima si è degnata di darmi, et quello che ancora ne posso sperare»l7l. Non esiste documentazione ulteriore a questo proposito ed è pertanto da ritenere che, convinto o meno dalle osservazioni dell' orientalista, il granduca desistette dal suo proposito. La sua decisa presa di posizione in merito, tuttavia, dovette procurargli, da parte del Medici un «castico», come il Raimondi si esprimerà inseguito, che forse si concretò in una temporanea sospensione dalla direzione della tipografia.
169 Il Latini, uno dei più accreditati umanisti dell'epoca e forse collaboratore scientifi· co esterno dell'Inquisizione era stato il curatore, in senso filologico, dei testi per la ma· nuziana Stamperia del Popolo Romano. È interessante anche notare che lo studioso ebbe «delle fiere parole di riprovazione per l'eccessivo rigore curiale circa la proibizione dei libri e la compilazione dell'Indice.». tfr. F. BARBERI, Paolo Manuzio cit., pp. 109-10. 170 È difficile stabilire se si tratti di Marcantonio o di Ascanio Colonna, entrambi caro dinali e membri della Congregazione dell'Indice. Anoi sembra più probabile trattarsi del primo, che era prefetto della Congregazione. 171 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. III, ins. XVIII.
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'UTMAN IBN 'UMAR, [Grammatica araba detta Ka/ija. 1592]. 4° [In arabo]
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Anche anteriormente a questa proposta del granduca, un memoriale 172 inviato dal Raimondi al cardinale Vincenzo Laureo vescovo di Mondovì il quale era assai ben visto dai gesuiti e godeva inoltre di grande influenza in Curia, privo di data ma assegnabile fra gli anni 1585 (dopo ilIO aprile) ed il 1587 aveva testimoniato ad un tempo la difesa da parte dell' orientalista dell' esclusiva della produzione di testi in lingue esotiche a Roma ed il contrasto con la Compagnia di Gesù, e per essa col Collegio Maronita, per le sue pretese concorrenziali nei confronti della Medicea. Dopo aver premesso che il cardinale Medici, per ordine del pontefice, aveva comandato «a ministri di detta stamperia m che né di detti ponsoni né madre né lettere gittate si desse copia a persona del mondo» il Raimondi informa il Laureo che i gesuiti, i quali dirigevano il Collegio Maronita fondato da Gregorio XIII nel 1584, dietro suggerimento di questi ultimi, volevano avere una «stampa chaldaica» più grande di quella della Medicea presso la quale, con il consenso e a spese del cardinale avevano già fatto stampare «dua libri di chiesa». L' orientalista sottolinea, inoltre, il fatto che i gesuiti, aumentando le proprie pretese, «adesso dicono che non si contentano che detta lettera chaldaica habi da stare in detta stamperia di detto signor cardinale ma che la vogliono loro in casa loro». Di fronte a tale richiesta egli prega il Laureo di informare di tutto il papa e di negar loro il possesso dei punzoni ma di dichiararsi, tuttavia, disposto a far stampare tutti i testi in siriaco che i gesuiti desiderassero «pur che sia per ordine di Sua Santità o particulari signori cardinali protettori didette nationi»·. Il Raimondi insinua, inoltre, abilmente, a proposito di tale posizione negativa che prega di assumere nei loro confronti che, dando i punzoni del carattere siriaco ai gesuiti, «si venerebbe a semare [sic per: scemare] la riputatione di Roma et della Sedia Apostolica intorno a dette stamee di dette lingue havendole lei sola hogi nel mondo». E, a questo punto, opportuno un breve cenno sulla cosiddetta attività editoriale in arabo e in siriaco da parte dei gesuiti quale
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A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., vol: III, in,s. XV. Minuta di pugno del Raimondi. La Tipografia Medicea Orientale.
si evince dalla risposta del Raimondi al segretario del granduca in merito alla proposta di trasferimento della stamperia a Firenze e, in parte, dal memoriale al Laureo. Per quel che concerne la prima, i padri della Compagnia avevano dei caratteri arabi propri che l'orientalista olandese Thomas Erpenius, nel 1620, troppo duramente definirà gli «inelegantes typi Romae»174 nonché una tipografia nel Collegio Romano dei Gesuiti 175 • Da quest'officina era uscita, nel 1566, una Fidei orthodoxae brevis et explicata confessio arabo-latina; lo stesso tipo fu impiegato a Roma, nel 1580, da Francesco Zanetti nella Brevis orthodoxae fidei professio arabo-Iatina 176 • All'incirca dello stesso anno, sempre stampata con i tipi arabi del Collegio Romano, è un'operetta di polemica antislamica e diapologetica cristiana attribuita, forse a torto, al gesuita Giovanni Battista Eliano l " , la Mushabat al- 'ctlimayn. Solo nel 1580 Granjon efeffettuò, per conto della tipografia universale di Gregorio XIII, l'incisione di un carattere arabo (200 mm.), la cui fusione, per 100.000 lettere, avvenne alla fine dell'anno seguente 178 • È assai problematica quindi l'identificazione dell'edizione araba uscita dalla Tipografia del Collegio Romano, indicata dal Raimondi, con quella del 1580 circa o addirittura con quella del 1566 da noi citate. Quanto alla tipografia siriaca, a parte un tentativo compiuto verso la metà del '500 per impulso del cardinale Marcello Cervini di installarne una a Roma, tentativo fallito per cause ignote, essa non ebbe attuazione concreta che all'inizio dell'ultimo ventennio del secolo con il carattere karstmi terminato di incidere, sempre per la stamperia «pontificia», da Robert Granjon nel 15801;~. In una sua relazione al papa, senza data ma posteriore al sinodo libanese del 1580 (15-17 agosto) cui aveva partecipato durante una missione iniziata nel maggio dello stesso anno con Giovanni Bat174 A. TINTO, Per una storia cit., pp. 287 e 299 nota 71. 175 Su questa stamperia si veda: G. CASTELLANI, La tipografia del Collegio Romano,
«Archivum Historicum Societatis lesu», II (1933), pp. 11-6. 176 G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche cit., p. 246, nota 1 b e p. 257, nota 3. 177 G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche cit., pp. 257-9, nota 3; p. 282, nota 6; pp. 348-9, nota 37; p. 388, nota 35; H. D. L. VERVLIET, Robert Granjon cit., p. 213. 178 A. TINTO, Per una storia cit., pp. 284-7. 179 A. TINTO, Per una storia cit., pp" ~82-3.
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tista Eliano, il gesuita Giovanni Bruno ricorda come i suoi confratelli 180 Tommaso Raggio ed ancora l'Eliano erano stati inviati precedentemente, verso il marzo 1578 in ambasceria presso il patriarca dei Maroniti del Libano. Alloro ritorno avevano proposto, fra i mezzi «per aiutare questa povera gente», la «stampa caldea». I gesuiti, infatti, «fecero un catechismo ... et trasferito in lingua arabica, si stampò con caratteri fatti già proprii di quelli paesi, insieme con la Professione della fede, et altri libretti spirituali»181. Ci sembra evidente che Gregorio XIII, accogliendo le proposte avanzate dai gesuiti suoi legati in Libano, ordinò che nella tipografia da lui finanziata si stampassero, con il carattere siriaco (130 mm.) inciso, come si è detto, da Granjon nel 1580 due opere prive di sottoscrizione ma attribuibili al Basa che lavorava per la tipografia universale ed al 1580, un Catechismo (verso l'aprilemaggio) che fu presentato, appunto, al sinodo libanese ed una Pro-
fessione di fede. Non abbiamo trovato altri documenti che confermino l'affermazione del Raimondi circa il possesso da parte dei gesuiti di un set di caratteri siriaci l82 , a meno che non si supponga che essi avessero ottenuto le matrici del tipo dal Basa ovviamente col consenso del pontefice né che si fossero avvalsi della Medicea per stamparvi due libri l83 • Non sappiamo, inoltre, dire quali fossero i «dua libri di chiesa» che i padri della Compagnia avrebbero fatto stampare dalla Tipografia Medicea 184 . Questi potrebbero forse essere identificati con il Catechismo e con la Professione di fede stampati, come si è detto, dal Basa ne11580 per la stamperia «pontificia»; ma in questo caso si tratterebbe di un errore grossolano, peraltro improbabile, dell'orientalista. Più probabile, forse, che egli volesse indicare alcuni testi in siriaco stampati dal Basa, sempre per 180 A. RABBATH, Documents pour servir à l'histoire du Chistianisme en Orient, voI. I (Paris, Luzac et C.ie, [1905]), p. 140. 181 Biblioteca Apostolica Vaticana, Areh. Boneompagni D 5, cc. 232 v - 233 r. 182 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XVIII. 183 Questi libri, così genericamente indicati, potrebbero forse essere identificati con i «dua libri di chiesa» in karsuni che sarebbero usciti dai torchi della Medicea. Cfr. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XV. 184 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XV. 72
la «pontificia», negli anni 1583-1585, anni che, come abbiamo ipotizzato prima, costituiscono il periodo di coesistenza fra le due stamperie.
Il 17 gennaio 1590 un «Avviso» di Roma informava che «... il Gran Duca ha dimandato licenza a Nostro Signore di possere [sic] fare stampare qua, nella stampa di Sua Altezza la Bibbia in lingua siriaca, caldea, arabica, persiana et ethiopica per mandarne in quelle regioni a quei popoli che la desiderano per catechizzation loro...»185. La richiesta a Sisto V fu presentata dal granduca Ferdinando tramite il cardinale Gabriele Paleotti come risulta, incidentalmente, da un appunto nella Miscellanea Medicea che annuncia una nuova udienza (12 dicembre 1592) di Clemente VIII concessa, questa volta, all' ambasciatore toscano presso la Sede Apostolica: «A 12 di decembre 1592 parlò al papa il signor imbasciatore di Toscana del negotio arabico et in particulare della Biblia da stamparsi in tutte le lingue già proposto prima a papa Sisto Quinto nel dì 186 dal illustrissimo signor cardinale Paleotto»187. Poco tempo dopo, il 28 1593, parlò al papa l'illustrissimo cardinale Paleotto per la Biblia da stamparsi in molte lingue»188. Nell'Archivio di Stato di Firenze si conserva, in copia, un rapporto del Raimondi lB9 la cui prima parte, consegnata al Paleotti per essere comunicata il 28 gennaio 1593 a papa Clemente, termina con la frase: «fin qui è stato dato all'illustrissimo signor cardinale Paleotto» e quindi deve essere stata compilata in data ante185 Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 1058, c. 19; pubbl. in J. A. F. ORBAAN, La Roma di Sisto V negli Avvisi, in «Archivio della R. Società Romana di storia patria», voI. XXXIII (1910), p. 311 e in: L. V. PASTOR, Storia dei papi... , voI. X (Roma, De· sclée & C., 1928), p. 153, nota 3. 186 La data è lasciata in bianco. 187 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. II, ins. XXV. 188 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. II, ins. XXV. 189 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXIV. Il documento è stato pubblica. to, purtroppo con errori di stampa, da Berta Maracchi Biagiarelli (La Biblioteca, cit., pp. 94-9).
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riore. In essa si espongono, talvolta oscuramente, le questioni riguardanti l'affare della Bibbia poligiotta 190 che, nelle intenzioni dell' orientalista, avrebbe dovuto riuscire superiore sia alla Bibbia Complutense (Alcala de Henares, 1514-1517), in 6 volumi e in quattro lingue che alla Bibbia Regia 191 o Poliglotta di Plantin (Anversa, 1569-1572), in 8 volumi ed in cinque lingue. il progetto del Raimondi prevedeva che le Sacre Scritture fossero stampate, in latino secondo il testo della Volgata e nelle lingue greca, ebraica, caldaica, siriaca ed araba con la relativa traduzione latina a fronte. A tali versioni attendeva da tempo un'apposita congregazione composta, oltre che dal Raimondo, da Leonardo Abel vescovo di Sidone, dal domenicano Tommaso da Terracina correttore della Medicea, dal minore osservante Diego de Guadaise di Granata, da Paolo Orsini di Costantinopoli e dal neofita tunisino Guglielmo Africano. L'opera doveva essere divisa in tanti volumi quante erano le lingue vale a dire, in un primo momento, in 6 volumi. Però «dapoi che fussero stati ritrovati tutti li libri, che mancano di detta Biblia nell' altre lingue ciò è persiana, armena, egittiaca, ethiopica et schiavona» si sarebbero via via aggiunti altri 5 volumi con le rispettive traduzioni latine. A questi avrebbero dovuto seguire altri volumi di corredo come dizionari e grammatiche delle varie lingue. Come si vede, si trattava di un progetto immenso che avrebbe richiesto, secondo le previsioni del Raimondi, da sei a sette anni di lavoro e comportato un onere finanziario, non considerando «la prima spesa necessaria» fatta precedentemente dal Medici, di più di 32.000 scudi. Nonostante quest'enorme previsione di spesa e le conseguenti difficoltà il Raimondi aveva fatto incidere in legno di bosso dal silografo Paul Maupin di Amiens, come attesta una ricevuta autografa di pagamento del lavoro effettuato per un totale di 21 scudi da parte dell' artista piccardo in data 20 dicembre 1594: un Mosè, un s. Giovanni Evangelista e un s. Paolo, tutti su disegni di Antonio Tempesta. Questi legni 190 G. E. SALTINI Op. eit., pp. 273·6; id., La Bibbia poliglotta medicea secondo il disegno e gli apparecchi di Gio. Battista Raimondi, in «Bollettino italiano di studi orientali», N. S., fase. XXII (1882), pp. 490-5. 191 Così detta perché eseguita sotto gli auspici di Filippo II di Spagna.
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avrebbero dovuto essere utilizzati come illustrazioni per la Bibbia poliglotta l92 • L' orientalista parla poi di una nuova proposta del «negotio» della Bibbia poliglotta, proposta avanzata «senza nullo fondamento del mondo» da persone non specificate. Questa, inoltre, proveniente da persone che, a dire del Raimondi, non avevano «nulla delli sopradetti testi et originali, fatti venire da Sua Altezza da tante lontane regioni et provintie con tanta spesa et in tanto tempo, et con tanto travaglio», né «carattere che vagli niente» in pa.ragone di quelli della Medicea, né «cognitione di nulla delle sopradette lingue», né «huomini intelligenti di dette lingue» e nemmeno il denaro necessario a tale impresa. Nonostante la sua consueta reticenza e 1'ambiguità della terminologia impiegata, crediamo di non andare troppo lontani dal vero se facciamo l'ipotesi che il Raimondi alluda ai cardinali protettori delle nazioni orientali, alcuni probabilmente istigati dai gesuiti. Nella seconda parte della sua relazione al Paleotti, l' orientalista, dopo aver premesso che il parere che era per esprimere sulla Bibbia l'avrebbe esposto al rischio di un ulteriore «castico», afferma che questa, una volta data alle stampe, avrebbe procurato «grandissima gloria» al granduca e suscitato «maraviglia et stupore a tutt'il mondo, facendo una cosa che mai è stata fatta la simile, né lasserebe loco a chi venisse appresso di poter far più in questo genere». La spesa occorrente, poi, non avrebbe dovuto sembrare eccessiva «sapendosi che Sua Altezza per gloria, magnificentia, et sblendore [sic] in occasione d'una festa per un gioco solo, d'un giorno solo, et fatto in un loco solo ha speso più di sessantamilia scudi, quali non sono rimborsati mai, né sono per rimborsarsi mai». Il Raimondi stima necessario che 1'affare della Bibbia poliglotta venga portato a termine dichiarandosi certo che se ne sarebbe ricavato un grande utile ma specialmente perché gli «avversarij» della Medieea, forse da identificare, ancora una volta, con i gesuiti ed i cardinali protettori «i quali seben pare che procurino di havere
192 A.S.F., Misc. Med., Stamp. Or., voI. III, ins. XXVI. Quest'attestazione di pagamento è stata pubblicata da B. MARACCIII BIGIARELLI, La Biblioteca cit., p. 99.
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nelle mani questo negotio particulare di questa Biblia, tuttavia si vede che hanno la mira a tutto il negotio, et facendo loro questa Biblia, senza dubio di mano in mano tutto il negotio sarebbe loro». D'altro canto però egli non fa mistero dei problemi che sconsigliavano di dar inizio all'impresa. Difficoltà anzitutto economiche alle quali l'orientalista tentò di ovviare offrendo di nuovo, senza esito alcuno, l'acquisto in blocco della Medicea al re di Spagna il quale avrebbe così potuto far stampare per prima cosa la Bibbia poliglotta per poi pubblicare i Concili e altre opere di apologetica cattolica contro gli eretici e gli scismatici 193 • E difficoltà, inoltre, derivanti dai rapporti del Raimondi con il personale della tipografia a proposito del quale egli ci fornisce particolari inediti e interessanti: si trattava, infatti, di «gente mal satisfatta» la quale, per la maggior parte del tempo in cui furono date alle stampe le edizioni medicee, naturalmente fino ad allora, «è stata ammottinata et lontana da me». Ed il «poco lavoro che si vedeva fare» doveva essere attribuito a ciò e non alla sua negligenza. Egli sostiene che l'edizione della Bibbia non sarebbe mai stata condotta a termine non essendovi «uno qual guidi questo negotio bene et con fedeltà», e di conseguenza suggerisce un programma ridotto e temporaneo «quando si vorrà dare qualche satisfattione al papa et assicurarsi di non perdere il negotio, et si havrà chi per l'avenire pigli questo carrico». Questa frase e l'affermazione precedente ci sem· brano, in verità, enigmatiche, quasi che egli non si considerasse
193 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. val. III, ins. XXXIII. Abbiamo esaminato inoltre un altro documento, come il primo anonimo e privo di data ma anche senza destinatario e anch'esso non di mano del Raimondi (A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXXI). Esso reca, a tergo, la scritta, di altra mano «Memoriale della stampa arabica et altre lingue orientali, che si trova in Roma sotto il Gran Duca di Toscana, il quale volendosene disfare, si [che si depennato] propone alla Maestà Catholica». In questo memoriale, certamente interlocutorio e dèstinato ad un intermediario sconosciuto, veniva offerto per la terza volta al sovrano spagnolo l'acquisto della Medicea per la somma . di 50.000 scudi con i quali il Raimondi intendeva «rifare tutto il speso fin'hoggi a Sua Altezza». Altre condizioni erano che la stamperia fosse ancora diretta dal!' orientalista «perché senza esso non si può condurre a fine» l'affare; egli pertanto doveva essere «ben trattato» per poter lavorare con maggior impegno e che l'officina non fosse trasferita fuori Roma. Neanche questo tentativo ottenne alcun concreto risultato. Cfr. anche G. E. SALTlNI, Op. cit., p. 280, nota 3.
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più il direttore della stamperia. Esse potrebbero forse avere una qualche connessione con il «castico» che il Raimondi afferma essergli stato a suo tempo inflitto per aver osteggiato il trasferimento della tipografia a Firenze 194 e specialmente con la frase contenuta nella bozza di un documento inedito, di pugno dell' orientalista, che purtroppo è privo di destinatario e databile dopo il 1596: «lo son servitore di questa Casa Serenissima havendo magnato il suo pane venti anni et più, et tale di fora mi professo essendone già stato mandato vi.a [richiamo a margine:] come a cavallo invecchiato in casa, che a nulla più vale, molti anni sono, et per una causa, per la quale meritavo più che rimuneratione... apparendo da quello la maliliglità [sic], et il livore» che aveva nei suoi confronti il «mal ministro» cioè l'ambasciatore Giovanni Niccolini, «che fu per interesse suo solo». L'entità della crisi che travagliava la Tipografia Medicea Orientale viene inoltre sottolineata in un documento inedito l9 5, esaminato ma non valutato sufficientemente dal Saltini, importante per le implicazioni sulla storia della stamperia l96 • Di mano del Raimondi e recante l'intestazione: «A 24 di maggio 1600 il carnevale seguente [richiamo al disopra del rigo: 16 febbraio 1601] entrò Lepido nella stamparia», esso afferma: «Sono [da tre depennato] molti anni in circa che Giovanni Battista Raimondo [ad instantia et preghieri del q. Padre Thomaso da Terracina depennato] teneva una sua stamparia [qual stava depennato] nella piazza del Monte d'Oro et qual stava serrata né vi era stampatore alcuno che lavorasse, et le chiave le teneva il detto Giovanni Battista Raimondo, ...». Quel che accadde all'ingenuo orientalista per aver imprudentemente accolto nella sede della Medicea un povero stampatore itinerante abruzzese Lepido Fazi (Facio, Fascio) le cui edizioni romane, sconosciute ai bibliografi per quanto sappiamo, non siamo riusciti ad indentificare, ha importanza, ai fini del nostro studio 197 , solo come ulteriore testimonianza delle difficoltà in cui il Raimondi si dibatteva. 194 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. III, ins. XXIV. 195 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., val. III, ins. XXXVII. 196 G. E. SALT1NI, Op. eit., p. 280, nota 2. 197 È sufficiente, a tale proposito, leggere quanto ne dice il Saltini nella già cito nota 2 (p. 280) del suo lavoro.
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Ritornando, dopo questa lunga ma necessaria parentesi, all'affare della Bibbia poliglotta, il Raimondi propone di dare alle stampe, per il momento, la Bibbia in due soli volumi, in arabo e in siriaco, e di continuare «l'impresa dell' altri libri nelli quali appare magiore et più vicino utile, quando però sarà per sequitarsi questo negotio, et si potrà dire, et poi fare, se parerà espediente». La franchezza con la quale egli espone la grave situazione in cui versava la Medicea e la frase, assai pesante, nei confronti del granduca ci inducono a supporre che questa, per così dire, seconda parte della relazione sia da considerare come un appunto personale del Raimondi non destinato, almeno temporaneamente, ad essere divulgato e tanto meno essere riferito al pontefice ma vòlto a completare, per l'archivio della tipografia, la documentazione sulla Bibbia. Tale appunto, probabilmente, era destinato ad essere modificato, o almeno riveduto, specie nella parte più irriguardosa verso il Medici. In una sorta di appendice alle due parti della lunga relazione poi, scritta con ogni evidenza in epoca posteriore al 29 gennaio 1593, il Raimondi riporta sommariamente i risultati dell'udienza papale al Paleotti del 28 gennaio di quell'anno. Nella risposta, Clemente VIII fu prodigo di lodi verso il Medici, devoto figlio della Chiesa, e accettò con entusiasmo che l'impresa venisse effettuata. Sostanzialmente, però, l'esito dell'udienza fu del tutto deludente poiché il papa, forse su suggerimento dei gesuiti, concluse che vi era però un grave ostacolo, vale a dire «che li pareva difficile che in una varietà di tante lingue et idiomi, si potesse conservare una uniformità del senso et intelligentia della Santa Scrittura». All'osservazione del cardinale che il lavoro veniva passato al vaglio sia della commissione scientifica che doveva preparare l' edizione della Bibbia, sia della Congregazione dell'Indice, il pontefice espresse il desiderio, un desiderio che naturalmente era un ordine, che alla commissione editoriale venisse aggiunto, per «più sua sicurtà», come membro, un padre della Compagnia di Gesù. Rimasero quindi d'accordo che il Paleotti ne avrebbe parlato al Generale della Compagnia affinché questi nominasse il nuovo membro. La progettata Bibbia poliglotta medicea non vide però mai
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interamente la luce: furono, infatti, pubblicati solo i Vangeli in arabo (1590, ma in fine: 1591). Sempre nel 1591 uscirono i Vangeli in arabo con la versione latina interlineare di Antonio Sionita. Entrambe le edizioni sono arricchite da splendide silografie di Leonardo Parasole o, secondo altri studiosi, di Luca Penni, tutte su disegni di Antonio Tempesta. Quanto alle già citate grammatiche arab~, almeno una delle due, quella detta Kafiia (1592) o quella chiamata A"gunitmiyya dello stesso anno, poteva costituire il volume di apparato allibro sacro previsto dai progetti dell'orientalista.
Se, come si è visto, il granduca non pose in atto il suo proposito di trasferire la tipografia a Firenze, tuttavia il problema della gestione della Medicea persisteva in tutta la gravità dell' onere finanziario che questa comportava senza che egli ne ricavasse alcun utile. Si decise pertanto a venderla e 1'11 luglio 1595, mediante atto pubblico rogato dal notaio fiorentino Matteo Carlini, costituì suo procuratore «ad vendendum et alienandum typographiam» [sic] l'ambasciatore Niccolini di cui abbiamo parlato a proposito della parte da lui avuta nel negozio dell'edizione dei libri di canto fermo. Con atto stipulato da Agostino Camelli cancelliere del Consolato della nazione fiorentina a Roma essa fu venduta il 15 aprile 1596 al Raimondi. Non siamo riusciti a rintracciare l'atto esaminato dal Saltini e pertanto rimandiamo al suo saggio 198 per quanto concerne le modalità del contratto di cui egli parla diffusamente. I semplici ma ben noti dati da noi ora forniti sono stati tratti da un documento senza data ma sicuramente del 1609-1610, comunque dopo l'avvento al trono di Cosimo II199. Il Saltini peraltro ignorò, o forse ritenne più opportuno non dare rilievo alla circostanza che il contratto fu preceduto e seguito da trattative, minuziose precisazioni e controdeduzioni testimoniate da una lunga e. a quanto pare, incompleta bozza del Rai198 199
G. E. SALTINI, Op. cit., pp. 278-9. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XLI.
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MUHAMMAD IBN MUHAMMAD.
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[Grammatica araba detta Agurromyya, 1592] . 4° [In arabo]
mondi che non sappiamo se sia rimasta a tale stadio ovvero sia stata consegnata, integra e corretta, al destinatario rimasto ignot02oo • Due dati significativi e, a nostro avviso, importanti che emergono da questi appunti fortemente e ostilmente polemici nei confronti di Giovanni Niccolini sono l'affermazione dell'orientalista secondo il quale il contratto gli «fu fatto fare quasi per forza; il perché si può giudicare dall'oblighi fatti, alli quali non [era] punto tenuto», ed il rilievo che l'ambasciatore toscano ebbe «poco giuditio ... nel far fare questo instrumento contra ogni ragione in pre. giuditio dell'una et dell' altra parte». Dal documento prima citat0201 apprendiamo inoltre che «quia a dicto tempore citra nil postea fuit peractum, et contenta in dicto instrumento venditionis non fuerunt aliter adimpleta, nec executioni demandata» sia da parte del granduca sia da parte del Raimondi, questi fu informato che a Cosimo «gratum et valde acceptum esset si instrumentum venditionis predictae revocaret, cassaret, et penitus annullaret, perinde ac si factum non esset» e la proprietà della stamperia con tutto il materiale spettasse al granduca. Il Raimondi accettò che il contratto fosse rescisso e che la tipografia con tutte le sue pertinenze restasse di proprietà del granduca; si riserbò, tuttavia, «solummodo facultates illos retinendi penes se eiusque uti vita naturali durante tantum et praecario semper nomine, et non aliter, sicut promisit custodire illos ac penes se retinere uti... bona propria... ». La rescissione del contratto del 1596 fu effettuata nel 1610202 •
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXVII. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XLI. 202 A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXXIX: per ulteriori particolari si cfr. G. E. SALTINI, Op. eit., p. 285. 200
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L'ATTIVITÀ EDITORIALE
Pubblicate fra il 1590 ed il 1596 le più significative edizioni, sacre e profane, in lingue orientali che l' avevano post~, come si è detto, all' avanguardia della tipografia italiana dell'ultimo decennio del XVI secolo, la Medicea si trovava in piena decadenza. Se, infatti, il corredo dei caratteri era intatto, 1'officina già da molti anni prima del 1601 era, come abbiamo accennato prima, chiusa; il personale era disperso non vedendo né continuità né sicurezza del lavoro; fallite le iniziative del Raimondi per risollevarne in qualche modo le sorti e per reperire fondi; frustrati i tentativi adottati come extrema ratio di vendere la tipografia al sovrano spagnolo, il Raimondi non poteva contare che sulla pensione granducale e sulle sovvenzioni della Camera Apostolica203 , somme, queste ultime, sospese agli inizi del 1614 causando un altro dolore all'orientalista ormai morente2° 4 • Tali sovvenzioni tuttavia, non erano di tale entità da essere sufficienti a finanziare la stampa di nuovi testi e pertanto l' orientalista si vide costretto a ricorrere, di volta in volta, alla costituzione di compagnie come per 1'edizione del Graduale Romano, del Cerimoniale e del Pontificale sui quali due ultimi le carte dell'Archivio di Stato fiorentino ci porgono altra documentazione. Come stampatore, affinché continuasse sia pure su scala ridotta e con un indirizzo culturale diverso da quello iniziale, l'attività della Medicea il Raimondi scelse quel Giacomo Luna 205 , maronita libanese ed esperto compositore in lingua araba che aveva già lavorato per la Orientale e, forse, prima, per il Basa.
203 Documentate, per quanto è a nostra conoscenza, per il 1606 ed i\1614. Cfr. A. BERTOLOTTI, Le tipografie cit., pp. 244-7. 204 Le pretese della Curia Romana all'eredità della Stamperia Medicea f~ndate, appunto, su tali sovvenzioni al Raimondi vennero avanzate subito dopo la morte dell'orientalista e provocarono, naturalmente, una vertenza con CosimG II nominato dal defunto, nel suo testamento, suo erede universale. Cfr. a tale proposito: G. E. SALTINI, Op. cit., pp. 289·91. 205 Il Luna, d'altra parte, era attivo con una propria impresa tipografica.
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Il perché l' orientalista, il quale poteva disporre di un compositore in arabo di provata abilità come il Luna desse in luce, accanto ad edizioni in lingue orientali (il Liber ministri Missae iuxta ritum Ecclesiae Maronitarum, ex Typographia Linguarum externarum apud I. Lunam, 1596; la Grammatica Syriaca sive Chaldaica, in Typographia Linguarum Externarum apud I. Lunam, ed. G. B. Raimondi, 1596 del maronitaJirjis Mikhil' il ibn Amira (Georgius Michael Amira); il Liber Tasriphi, ex Typographia Medicaea Linguarum Externarum 1610, grammatica araba di Ibrahim ibn Abd al-Wahhilb al-Zangilni con duplice versione latina del Raimondi) anche testi in latino ed in italiano (il De vera Christi Ecclesia... , ex Typographia Medicea apud I. Lunam, 1594 del teologo agostiniano portoghese Gregorio Nunes Coronel; I tredici libri delle Confessioni di s. Agostino per la traduzione di Giulio Mazzini, G. Luna nella Tipografia Medicea, 1595; il De optimo reipublicae statu ... sempre del Coronel, ex Typographia Externarum Linguarum apud I. Lunam, 1597) potrebbe essere compreso solo se ipotizzassimo che le edizioni in lingue orientali, sia per la loro natura sia per la scarsa capacità imprenditoriale del Raimondi, non avevano avuto lo smercio desiderato e di conseguenza gl'ingenti guadagni previsti dovevano essere stati, in realtà, assai scarsi. L'origine della crisi, tuttavia, va ricercata nell'eccessiva grandiosità del progetto e nell'insufficiente disponibilità di caphale. Come per il Graduale, così anche per stampare il Cerimoniale e il Pontificale il Raimondi costituì, dunque, appositamente, delle società. Il 27 aprile 1595 infatti, per stampare il Pontificale riformato fu stilato, per atto privato, un accordo fra Giacomo Luna da una parte ed il Raimondi e compagni dall' altra, dizione dalla quale ci sembra possibile che fra questi ultimi vi fossero Leonardo Parasole e Giovanni Niccolini. Esso doveva essere stampato «in carta mezzana grande nella lettera detta il cannoncino in rosso et negro». A parte il lato strettamente finanziario del contratto, 1'0rientalista ed i suoi soci avrebbero fornito <
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li due che adopero adesso»206. Quasi un anno dopo, il 23 aprile 1596, fu sottoscritto sempre per atto privato un contratto per la stampa del Cerimoniale fra il Luna ed il Parasole e compagni fra i quali dovevano forse essere compresi, ancora una volta, sia il Raimondi che il Niccolini. Omettendo ancora l'aspetto finan.ziario dell'accordo diremo che il testo avrebbe dovuto essere stampato «in rosso et nero» nei formati «in foglio reale volumi settecento netti di rottami, et in quarto di carta mezana piccola volumi milli et cinquecento netti similmente di rottami, fra i quali siano venticinque in quarto reale». I soci avrebbero fornito «piggioni, torculi, lettere et altri instrumenti appartinenti alla stamparia et la carta et il cinaprio per l'uno et per l'altro, et le historie di rame et loro stampatura per il grande, et l'historie di legno per il piccolo in quarto»; il contributo del Luna sarebbe consistito nella «compositura, tiratura, inchiostro nero, mazzi, carte pecore per le fraschette, et altri servitij»207. Sia il Pontificale Romanun uscito nel 1595 «apud Iacobum Lunam, impensis Leonardi Parasoli & sociorum» che il Caeremoniale episcopurum reformatum dato in luce nel 1600 «ex Typographia Linguarum Externarum» devono essere considerate dunque edizioni medicee sebbene la prima rechi una sottoscrizione anomala rispetto alle altre. Entrambe poi furono pubblicate dietro suggerimento e su impulso del cardinale Alessandro de Medici detto il «cardinale di Firenze», poi papa Leone XI. Da un appunto di sua man0 208 apprendiamo che il Raimondi, nel 1610, progettava di stampare, naturalmente «quando vi sarà la commodità della [segue di nuovo la preposizione della depennata] spesa», «un libro necessario et appertinente alla grammatica arabica», il Liber centum actionum, in arabo con la versione latina; un Liber exemplorum, in arabo e con le versioni turca e latina, che «tratta la declinatione delli verbi arabici in disteso, libro necessario per imparare la lingua arabica»; un «Liber Eiamudag» sempre in lingua araba, un testo che «tratta della sintaxi o vero composi-
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A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, voI. VI, fase. 3. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., Documenti di corredo, voI. VI, fase. 4. A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XLIX.
tione della lingua arabica» per il quale erano previsti un commento in arabo e la traduzione latina; infine un «Dittionario delli verbi soli della lingua arabica, con tre expositioni persiane et con le latine». Perdurando, evidentemente, le difficoltà economiche, questi testi non furono mai stampati come pure non vide mai la luce la Vita di Santi Padri. La stampa di quest'opera era stata programmata «in foglio mezano piccolo» per la quale il silografo Paul Maupin, su commissione del Raimondi e su disegni del Tempesta, aveva inciso su legno di bosso 64 «historie grande» al prezzo di 9 scudi l'una ed «un'ornamento che va a torno alle sodette historie grande» al prezzo di 12 scudi nonché, sempre su disegni di Antonio Tempesta, lO «historie... delle picole» al prezzo di 4 scudi e 50 baiocchi ciascuna209 •
La morte del Raimondi segna dunque la fine della Tipografia Medicea Orientale. Per volere di Ferdinando II essa fu trasportata dalla Villa Medici di Roma nel palazzo granducale di Pisa finché nel 1684, sotto Cosimo III, venne trasferita a Firenze. Dopo le spoliazioni di Napoleone che la volle a Parigi, la stamperia tornò, nel 1816 definitivamente a Firenze. I suoi materiali residui, oggi degnamente sistemati in un vasto ambiente appositamente allestito, costituiscono un altro dei numerosi cimeli di cui la Bi· blioteca Medicea Laurenziana può vantarsi 210 •
A.S.F., Mise. Med., Stampo Or., voI. III, ins. XXVI. Per i particolari sulle vicissitudini della Medicea rinviamo a G. E. SALTINI, Op. cit., pp. 291·6 ed a B. MARACC!l1 BIAGIARELLl, La Biblioteca cit., pp. 83·7.
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CHIESA MARONITA,
sto in siriaco]
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Missale Chaldaicum iuxta ritum Ecclesiae nationis Maronital1lm,
1594. 4° [Te-
CHIESA MARONITA.
Missale Chaldaicum... , 1592.
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[Testo in siriaco] c. 3r
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arabo]
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BIIlBIA,
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in arabo] Evangelium sanctum Domini Nostri [esu Christi.., 1590 fol. [Tes!9
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APPEN.DICE DI DOCUMENTI
Le carte costituenti la Miscelh.nea Medicea (Stamperia Orientale) conservate nell'Archivio di Stato di Firenze sono, nella stragrande maggioranza, di mano di Giovanni Battista Raimondi: taccuino dei conti dell'azienda tipografica, copie di ricevute di pagamenti, di contratti, di documenti vari, di memoriali e relazioni conservati evidentemente sia per promemoria personale che per costituire l'archivio della stamperia. Tutto questo materiale, oltre a quello custodito in biblioteche fiorentine, fu esaminato ed utilizzato da Guglielmo Enrico Saltini il quale fu il primo studioso che, nel 1860, ebbe ad occuparsi del Raimondi e della Tipografia Orientale Medicea in una memoria apparsa nel voI. IV del «Giornale storico degli archivi toscani». Purtroppo egli non poté pubblicare a corredo di essa, come si proponeva, tale ricca documentazione. La dott.ssa Berta Maracchi Biagiarelli a sua volta, in appendice al suo articolo anch'esso più volte citato, apparso nel 1971 su «Accademie e biblioteche d'Italia», ne riprodusse, invece, cinque. Per parte nostra abbiamo esaminato direttamente tutto il contenuto dell'amplissima documentazione della Miscellanea che abbiamo utilizzato quasi totalmente, dopo aver vagliato i fatti quali risultano dalle carte ed averli interpretati ed esposti senza tesi preconcette e senza alcuna conclusio· ne acriticamente encomiastica sulla valutazione della figura e dell'opera del «personaggio» Raimondi. Per non appesantire il lavoro con la pubblicazione di tutti i documenti, del resto non tutti essenziali alh. ricostruzione delle vicende della Tipografia Orientale Medicea e citati nel testo in brevi stralci ci siamo limitati a trascriverne cinque, quattro dei quali non risultanti in calce all'articolo della Maracchi. Un breve cenno, ora, sui criteri seguiti nella trascrizione. La grafia del testo è stata quasi sempre rispettata: sono state conservate, infatti, la forma et della congiunzione; la lettera h nelle parole come «chaldaica», «havendo», «gentil'homo» ecc.; la t invece delh. z come in «negotio», «protettione» e così via; sono stati sciolti però i segni abbreviativi, senza alcuna particolare notazione; è stata sostituita con v la u avente valore consonantico; l'uso delle maiuscole è stato in parte disciplinato, così come la punteggiatura; i pentimenti, gli errori, le aggiunte, sono stati evidenziati con annotazioni fra parentesi quadre. 92
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Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, volume I, inserto Xx. Memoriale del Raimondi intitolato: «Breve raguaglio delle cose fatte dal'illustrissimo signor cardinale de Medici intorno la protettione datali del patriarca d'Antiochia, del patriarca d'Alsandria [sic] et del re d'Ethiopia dalla felice memoria di Gregorio XII/o». [s.d., ma: 1585 (dopo il 10 aprile)].
Essendo stato fatto protettore l'illustrissimo signor cardinale di Medici dalla felice memoria di Gregorio XIII o del patriarca d'Antiochia, del patriarca d'Alessandria, et del re d'Ethiopia, et consequentemente della lingua arabica, et essendoli stato ordinato che rparola depennata] espedisse se [ultima sillaba della parola depennata del rigo precedente] [molti depennato] alcuni negotii intorno a ciò per servitio della Sedia Apostolica, elesse quattro de suoi gentil'huomini familiari per menistri [suoi depennato] in detti negotii et [sono depennato] fumo questi. Cipriano Sarracinelli secretario particulare in detta protettione Giovanni Battista Britti gentil'homo cosentino, qual'è stato mandato al re d'Ethiopia Donato del' Antella suo mastro di casa, per il sborso di denari che bisognava Giovanni Battista Raimondo per la cura della stamperia et della persona del patriarca. Ordini dati a Sua Signoria illustrissi,ma da Sua Santità Comandò che si mandassero huomini al patriarca d'Antiochia, al patriarca d'Alesandria et al re d'Etiopia, et ciò fu esequito subito et fu mandato Al patriarca d'Antiochia [il depennato] lettere per lo vescovo di Sidonia qual era andato là prima
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Al patriarca d'Alesandria Giovanni Battista Vecchietto gentil'homa ferentino [sic per: cosentino] Al re d'Ethiopia Giovanni Battista Britti, nominato di sopra. Comandò che con [l' corretto in:] la bona occasione del [detto depennato] Patriarca d'Antiochia [qual'è depennato] qual'è qui peritissimo della lingua arabica, si scrivesse contro la setta mahumettana, et perciò si ordinasse una congregatione al che si diede ordine et si elessero Il patriarca sopradetto Il vescovo [parola depenata] di Sidonia
[Una linea completamente depennata] Maestro Ottaviano da Ravenna regente nel Ordine di Franciscani della Scar[pa] Giovanni Battista Raimondo. Comandò che con 1'occasione similmente del detto patriarca si traducessero fidelmente et perfettamente, l'opere d'Avicenna et si stampassero in arabico et in latino, al queste [sic] fu dato ordine et si [fece depennato] instituì una congregatione in casa del detto Patriarca et si comminciò [la detta depennato] questa fatica a 17 d'agosto del 84; nella congregatione intervengono: Il patriarca sopradetto Giovanni Battista Lucchese medico dell'illustrissimo signor cardinale Savello Paulo Orsino di natione turco ma fatto christiano Giovanni Battista Raimondo. Comandò che si facessero venire da Oriente alcuni libri [sacri depennato] della Scrittura in lingua chaldaica prepostoli dal detto patriarca, la lista de quali è nelle mani dell'illustrissimo signor cardinale Sirletto, et sì da qui appresso (?) a Vostra Signoria illustrissima, et che detti libri si stampassero. Comandò che in lingua arabica si stampasse principalmente la Bibbia sacra tutta insieme o vero in questi principii a parte a parte, et tutti libri cattolici della Scrittura che si potessero ritrovare in detta lingua et questo per servitio de christiani arabi quali sono in Oriente, et Granatini in Spagna et che si stampassero tutti li libri che si potessero havere in lingua arabica di scientie humane lecite, nei quali [libri depennato] . non si trattasse niente di religione et questo per introdure la stampa fra mahumettani, acciò con questo mezzo pian piano vi possi penetrare la notizia dell' errori di mahumettani, et la verità della fede christiana. [Frase depennata] Esecutioni fatte da Sua Signoria illustrissima et soi ministri. Comandò il detto signor cardinale a Giovanni Battista Raimondo et agli
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altri ministri ordinati a questi servitij che si facesse una stamperia magnifica dove fosse l'apparecchio necessario per stampare detti libri, al che fu dato ordine subito et fin qui si è fatto questo. Si è pigliata una casa a pegione dove sono stati messi torculi et altri instrumenti necessarii per la stamperia Si è appaltato [maestro depennato] Domenico Basa libraro facoltoso qual ha servito molt' anni la Camera Apostolica et questo vi ha messo huomini, lavoranti et ha fatto grande et conveniente apparechio di carta et altre materie necessarie per libri da stamparsi Si è fatto fermare con boni trattenimenti maestro Roberto Grannion francese di età di anni 72 eccellentissimo intagliatore di ponsoni, al quale altra la provisione di 20 scudi al mese che li dava Sua Santità, seli pagano [per ordine depennato] da Sua Signoria illustrissima tutte le opere che lui fa in detta stamparia et questo perché in detto lavare [sic] si spende molto. Si è ritrovato un altro intagliatore di ponsoni [qual è depennato] di natione fiamengo et di età di 40 anni chiamato Alberto Cesari, al quale per adesso seli dà la parte per sè et un suo figliolo et lavora anca lui in detta stamperia. Si è appaltato un gittatore di lettere chiamato Antonio di Chiari, valente nella sua professione. Si è messa in questa stamperia [la depennato] una lettera arabica orientale comprata da Sua Signoria illustrissima dal detto Domenico Basa qual l'haveva fatta fare a sue spese dal detto Roberto Grannion et in questa lettera si è stampato fin hol'a un libro di geographia con alcune annotationi de rebus admirabilibus provinciarum et civitatum [terr~ depennato] orbis. Si è messa ancora [una depennato]. .. lettera chaldaica similmente fatta fare a sue spese dal Basa dal detto Roberto, et adesso comprata da Sua Signoria illustrissima. Si è messa in detta stamperia una lettera grega [sic] sopramodo bella et copiosa comprata similmente da Sua Signoria illustrissima dal detto Domenico Basa. Si è fatta fare una lettera arabica orientale grande et bella appropriata per la stampa de libri sacri della Scrittura. Si fa adesso un' altra lettera arabica orientale piccolina appropriata per la stampa de libri arabi di scientie. Si fanno ancora due altre sorte lettere arabe africane, una grande et un'altra piccolina. Si fanno ancora due altre sorte lettere, una persiana et un'altra turca.
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Disegna ancora Sua Signoria illustrissima comprare dal detto Basa le lettere dell' altre lingue orientali come armena, schiavona, dalmata, et altre qual ha fatto fare il detto Basa dal detto [segue l'inizio della parola Alb lapsus per Alberto (Cesari) cominciato a correggere in Rob e infine depennato] Roberto Grannion, et metterle insieme con molte latine ancora in detta sua stamperia et tutto questo disegna fare per servi[zio] della Sede Apostolica et di Sua Santità et di qualsivoglia particulare de signori Cardinali, acciò havendo bisogno Sua Santità o alcuno de signori cardinali di stampare alcuno libro in tutte queste lingue o vero in alcune di quelle non habi a faticare in essere servita ma basti [Al illustrissimo signor cardinale de Medici depennato] a comandare ad'un homo solo et sia subito ben servita senza multiplicare spesa. Ha mandato Sua Signoria illustrissima in Oriente fin in Persia a ritrovare et comprare libri arabi di autori buoni di scientie, et ne sono già fin hora venuti molti. Ha mandato per tutte le parti di mahumettani dove prattica et ha commertio la natione ferentina [sic] ad esplorare la volontà di detti mahumettani intorno al recevere detti libri stampati, et si hanno bone risposte conforme alli... disegni di cqua [sic]. [Domenico Basa depennato]
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Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, inserto XV. Memoriale di Giovanni Battista Raimondi al cardinale Vincenzo Laureo vescovo di Mondovì [s.d., ma: 1585 (dopo il 10 aprile) - 1587]
Tiene l'illustrissimo signor cardinale di Medici a sua spesa et sue provisioni maestro [Cesare depennato] Alberto Cesari fiamengo intagliatore di ponsoni; tiene similmente Roberto Granion francese intagliatore di ponsoni, al quale oltra la provisione che li dava la felice memoria di Gregorio xnr o li pagava trecento scudi per ogni alphabeto che li faceva delle lingue arabica, chaldaica et altre, et adesso di più li dà ogni altra commodità necessaria al vivere et tutto ciò fa per arricchire di belli et varii caratteri la stamparia, qual fa fare per servitio della Sedia Apostolica, et di qual si voglia delli signori cardinali. [Hor volendo depennato] Et perché ancora molti tramontani tentorno di levare il Roberto Granion di Roma et menarlo in Germania per farlo lavorare di detti caratteri delle lingue orientali et massime della arabica et chaldaica, et non potendo ottener questo, tentorno havere di detti ponsoni et lettere; et perché si dubitava che ciò volessero fare per seminare per via di dette lingue dell'[sic] loro eresie in Oriente fu [ordinato depennato] comandato da Sua Signoria illustrissima per ordine di Sua Santità a ministri di detta stamperia che né di detti [caratteri depennato] ponsoni, né madre, né lettere gittate si desse copia a persona del mondo, ma che si havessero a tenere in detta stamparia per servitio solo et honore della Sedia Apostolica et de signori cardinali. Hor li padri del Giesu a contemplatione di alcuni Marroniti desideravano havere una stampa chaldaica magiore di quella che è in detta stamparia, nella quale detti Marroniti hanno fatto stampare dua libri di chiesa, et di ciò n' [hanno depennato] supplicarono il detto signor car-
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dinale di Medici [nota sul margine sinistro:] per mezo dell'illustrissimo signor cardinale Carrafa il quale comandò che si facesse fare et a sue spese sì come ogni altra cosa et essendo cominciata a fare adesso, dicono che non si contentano che detta lettera chaldaica habi da stare in detta stamparia di detto signor cardinale, ma che la vogliono loro in casa loro; et perché di detti ponsoni si possono fare infinite madre da gittare di dette lettere et si possono distribuire per tutto il mondo, et oltra li pericoli sopradetti si venerebe a semare [sic per: scemare] la riputatione di Roma et della Sedia Apostolica intorno a dette stampe di dette lingue havendole lei sola hogi nel mondo. Per questo li pare che Vostra Signoria illustrissima ne raguagli Nostro Signore [et depennato] acciò pigliando loro quella strada, sia Sua Santita informata del tutto et [che depennato] negando Sua Signoria illustrissima a detti padri il possesso di detti ponsoni non li nega però la commodità et fadltà di poter stampare a loro beneplacito [nella depennato] in detta sua stamparia tutto quello che vogliono in detta lingua, purché sia per ordine di Sua Santità o particulari signori cardinali protettori di dette nationi.
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III Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, inserto XVII. Copia, di mano del Raimondi, dell'atto con cui il granduca di Toscana porta gli utili della congregazione al 35%. 1588, 8 agosto.
Copia Havendo noi [spazio vuoto] fa deputato una congregazione per cagione d'una impresa di stampa in lingua arabica et chaldaica che ci fu proposta da messer Giovanni Battista Raimondo stata da esso trattata con il reverendissimo monsignor patriarca d'Antiochia, et concesso a detta congregazione una participatione dell'utile a ragione di trenta per cento da distribuirseli fra di loro a loro beneplacito, con dichiaratione che sì così mancassi, succedino li restanti et con altre dechiarationi contenute nella scrittura che per ciò fu fatta et da noi sottoscritta et firmata con il nostro solito sigillo sotto il di 6 di marzzo [sic] 1584 in Roma alla quale in tutto et per tutto ci [rimettiamo depennato] referiamo, et di nuovo in ogni meglior modo detta scrittura confermiamo. E t essendo da poi occorso altra occasione per ricerca stata fatta alla congregazione daAbdel Mesichi sacerdoti dell'Ordine di san Basilio Chaldeo di Tabista nella Mesopotamia procuratore, come disse et a nome del suo reverendissimo monsignor patriarca Elia nel Mansulo in Babilonia introdotto da monsignor vescovo di Sidonia. Et compiaciuto da essa congregatione della sua ricerca che fu d'una quantità di tre sorte di libri da stamparsi, cioè lexichi in chaldeo con l'espositione arabica, breviarij et Evangelij in chaldeo, come per la conventione fra di loro seguita in Roma sotto il di 22 di decembre 1587, quale affermiamo essere ad intera nostra satisfattione et come ben fatta la confermiamo.
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Ci siamo contenuti et vogliamo et in virtù di questa in ogni meglior modo dichiariamo che la participatione delli utili della nova impresa in favore della congregatione sopradetta, cossi di detti tre libri, come per quanti altri di più occorressi stamparne in detta lingua chaldea in ogni tempo deva essere et sia con effetto a ragione di trentacinque per cento de quali possino a loro beneplacito liberissimamente disporre, et distribuirseli fra loro ad intera loro satisfattione come per 1'altra scrittura fu detto ma in questa [condicon depennato] conditione et obrigo che di tal participatione di trenta cinque per cento deva la congregatione dare conveniente satisfattione al sopradetto monsignor vescovo di Sidonia introduttore del sacerdote chaldeo, per li utili che si sperano dallo stampare li tre sopranominati libri. Et perché cossì è nostra volontà la presente sarà da noi sottoscritta et firmata con il nostro solito sigillo questo dì 8 d'agosto 1588. In Firenze. Copia f. Cardinale Gran duca di Toscana. locus sigilli
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Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, inserto XVIII, Lettera del Raimondi a Belisario Vinta segretario del granduca Ferdinando l. 1588, 13 agosto.
Molto illustrissimo et reverendissimo signor mio osservandissimo Mi comanda Vostra Signoria per la sua delli 6 di questo, che desiderando Sua Altezza Serenissima transportare questa stamparia in Firenza, io scriva subito a Vostra Signoria il modo con il quale mi pare che si passi fare. Credo ben, signor mio, che Sua Altezza Serenissima intenda in che modo si passi trasportare da Roma in Firenza il negotio di stampare questi libri arabi et chaldei senza incorrere in periculo a fatto di perderlo tutto, o di ridurlo a tanta debolezza, con lassare campo in Roma ad altri di stampare ancora loro di detti libri, che fusse più presto pernitioso che lucroso. A questo, per obedire, rispondo et dico che altre volte già è stato trattato di questo qui in Roma, et si discorreva, da una parte, che sarebbe stato espediente di trasportare questo negotio in Firenza per alcune ragioni, delle quale quella che più dell' altre premeva era per levare di Roma mastro Roberto acciò non lavorasse per altri di questi ponsoni arabici, et ci riducesse, con haver compagni, il detto negotio a quella debolezza detta di sopra. Dall'altra parte si discorreva, che levando questo negotio di Roma sarebbe un volerlo perdere al sicuro, perché non è da dubitare, che il Papa et quelli cardinali quali hanno cura et protettione delle nationi orientali non voglino, insieme con l'altre stampe, questa arabica ancora; et l'esperientia già lo dimostra havendola loro già fatta fare tanto prima di noi et da mastro Roberto, et similmente 1'esperientia n'ha demostrato che non solo la voleno, ma che 1'affettano [sic] per tante persecutioni che per conto di questo solo n'hanno dato in questo negotio. Et si bene [ma depennato] adesso pare che ci stanno, per è che havendo pigliato a fare Sua Altezza Serenissima questa
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impresa da molti anni sono per servitio della Sedia Apostolica come a protettore che era di questa lingua arabica, et perseverando di là et in Roma, non possono sotto questo pretesto istesso fare il medesimo loro senza manifesta offesa di Sua Altezza Serenissima massime stando in possesso, con bona gratia di Sua Santità, del negotio tenendo la stampa qui in Roma per servitio della Sedia Apostolica sì come haveva dal principio incominciato. Onde se si levasse questa stamparia di Roma, senZ
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ritrovariamo con la stamparia in Firenza et senza huomini, parlo di quelli senza li quali non si può fare [cioè di quelli della congregatione depennato] non essendoci dell' altri. Et non si risponda che si ritrovarebe modo di condurli in Firenza con dar loro a bastanza perché si trattarebbe dell'impossibile sì come Vostra Signoria intenderà appresso. Seguitarebbe ancora questo che è detto, si occorrendo il caso, sì come hogi occorre, che lo dirò appresso, che Sua Santità o altri cardinali protettori di queste nationi orientali, per servitio della Sedia Apostolica et beneficio di dette nationi, volessero stampare qualche libro in lingua arabica o chaldaica, potendolo stampare in Roma sì come ne hanno da principio stampato uno in arabico nella stamparia loro et con caratteri loro, et dui in chaldeo nella stamparia di Sua Altezza Serenissima ma nelli caratteri loro, che vorrebbono mandarlo a stampa in Firenza? Non è da credere questo in nisciun modo, anzi si deve tenere per fermo che vorranno che si stampi in Roma, et che se ben non havessero questi caratteri in essere, sì come l'hanno, in tal caso li farebbono nascere. Et sappisi signor mio, et,senza dubio alcuno, che dove corre il danaro, lì nascono delli messeri Roberti et d'ogni sorte d'artefici che fanno di bisogno, et questo lo dico per esperientia fatta in questo negotio et in questo particulare di fare ponsoni; che mancando mastro Roberto, che Dio non vogli, io ho qui in Roma huomini che ci servirebbono come mastro Roberto et, forse adesso che è mal sano et nella sua vecchiaia che poco più può fare, meglio di lui et più presto, ma li tengo lontano da questo concetto per non darli ardire di proponersi ad altri. Hora il caso che occorre è questo, che il padre Battista giesuita il quale interviene nella congregatione mi ha detto da parte dell'illustrissimo cardinale Carrafa, qual è protettore della lingua chaldea et della natione di Marroniti, che val fare stampare un messale in lingua chaldea per servitio della natione sopradetta di Marroniti, et non ne voI fare stampare più che 500 sì perché detta natione è di poco numero in tanto che questi 500 basteranno, sì ancora perché la spesa, per essere detta natione povera, bisogna che la facci Sua Signoria illustrissima la quale ascenderà alla summa di 400 scudi in circa; et quando io lo conferio con il signor Cipriano ci parse che in ogni modo questo signore si havesse a servire, sì per esequire quello del che si ha dato intentione, cioè che questa stamparia Sua Altezza Serenissima la fa fare per servitio della Sedia Apostolica, sì ancora per mantenerci in possesso di detta stamparia di libri chaldei per conto del nostro negotio chaldeo principale, et massime che essendo il detto signor cardinale protettore di detta lin.gua et per questo in un certo modo padrone di queste lettere chaldee,
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sì ben sono di mastro Domenico et adesso di Sua Santità; pur con tutto ciò è [per essere depennato] venuto da noi per stampare questo libro, et se li fusse stato negato in ogni modo l'havrebe fatto stampare nella stamparia loro dove sono questi caratteri chaldei, et il negotio in questa parte sarebbe rotto (?) nella stamparia loro tanto più ci parse facile che il detto padre Battista disse che delli compositori et correttori n'havrebe havuto cura lui, tal che non sarrebe impedito il corso del stampare li nostri libri che havemo nelle mani et sotto il torculo. Di più il vescovo di Sidonia, molti giorni sono, mi disse da parte dell' illustrissimo cardinale Santa Severina che voleva far stampare in arabico et chaldeo la Professione della fede cattolica et certe altre cosette, et credo, se ben mi ricordo, che il detto signor cardinale ne parlasse con il signor Cipriano et per le medesime cause dette di sopra ci parse dirle, respandendo al detto vescovo et poi mandato messer Paulo al detto cardinale, che Sua Signoria illustrissima sarebbe stata servita perché questa era la intentione di Sua Altezza Serenissima et pochi giorni sono il cardinale domandò al detto vescovo se quelle cose erano stampate o vero si stampavano. Di più il detto vescovo di Sidonia dice che sono in Roma certi chaldei della natione di Malchiti, li quali vanno cercando di stampare da trecento libretti di Salmi in lingua chaldea, et il detto vescovo li ha dato parola di farce ... stampare nella nostra stamparia, dicendoli che in Roma non ... altra stamparia dove passino essere meglio serviti di questa, et non ostante che questi negotij siano minimi et di nulla utilità, puro al detto vescovo ha parso et pare che si debano accettare, et che vi si debba attendere, acciò ci manteniamo in possesso di queste stampe, et acciò non lassiamo aprire la strada di detti negotij ad altra stamparia, dove sono in essere detti caratteri et dove facilmente potrebbono essere serviti et a bonissimo mercato a... ilendoci il nostro negotio. Hora discorrasi adesso, et dicasi, si questa stamparia si levasse di Roma et si conducesse in Firenza per stampare questi sopradetti, et altri che bisognassero per servitio della Sedia Apostolica et commodità [della Sedia Apostolica depennato] di dette nationi, si ha da credere che li mandassero a Firenza? Certo no, anzi vorranno per l'altre ragioni dette di sopra che si stampino in Roma, et soccederebbe loro tutto quello che hanno desiderato et che desiderano, et cossì si aprirebbe il nostro negotio in Roma et in mano d'altri, et cossì necessariamente caderebbe dalle mani nostre, perché tutte queste nationi, per altri interessi loro necessariamente capitano in Roma, dove ritrovando commodità di stampare tutto quello che vogliono, come è avvenuto al nostro chaldeo, et a bon mercato, stampando loro ogni cosa mastro Domenico ad un baiocco il foglio, non vor104
l'anno venire altramente a Firenza, né in altro loco dove noi stessemo, quali pretendemo di farli gran mercato se li stampamo per un giulio il foglio quello che loro vogliono. [richiamo a margine:] Et li mer... turchi ancora subito che havessero notitia di sì buon mercato che si facesse in Roma li concorrebbono tutti et non a Firenza, et delli privilegij se ne riderebono. Dove per contrario adesso che questa stamparia è qui in Roma, tutti bisogna che per forzza [sic] venghino nelle mani nostre non havendo ardito nisciuno di aprire questo negotio nelle stampe loro rompendo li nostri privilegij sotto pretesto che le fa la Sedia Apostolica quale, come è detto, non ha mai pregiudicato a se, facendo li privilegij a noi, et ancora per la bona diligentia del vescovo di Sidonia il quale trattando lui tutti li negotij di queste nationi, occorrendo loro di stampare qualche cosa, tutti l'indrizza nella nostra stamparia, sì come ha fatto ancora di questo negotio chaldeo, dal quale si spera tanta utilità, quanta Vostra Signoria sa. Di più, stando in piede il mal concetto che si ha havuto di detta stampa per il male officio fatto per conto di quel libro già stampato, et la difficultà che hanno fatto ad alcuni altri libri che si hanno voluto stampare et non hanno voluto, non è da credere che se si trasportasse questa stamparia da Roma in altro loco che manchassi chi facesse intrar sospettione che levamo questa stamparia di Roma per l'impedimento che havemo in non potere stampare tutti quelli libri che volemo, et quasi che come in una macchia l'habiamo portata dove a noi è più commodo et sicuro di stampare ciò che volemo senza che habiamo l'occhi di superiori adosso che ci impediscano il stampar cose che non convengono. Et tanto più si darebbe sospitione, quanto che Sua Santità, per la revisione di detti libri da stamparsi in dette lingue, ha fatto breve che si habi da fare dalla Congregatione dell'illustrissimi cardinali quali intervengono nel fare !'Indice delli libri prohibiti; parerebbe dunque che noi fugissemo questa revisione che vuole il papa che si facci dalla detta Congregatione, et ciò sarrebbe senza gran sospetto di qualche male, et non mancare [bbe] instigatore o sollicitatore in questo, come si può concludere dalle cose passate per l'adietro, tal che senza nominare questi libri né altro con una sola clausula che mettesero [sic] nel'Indi[ce] de libri prohibiti che includesse questi stampati in questo modo o da stamparsi, venerebbono ad essere prohibiti et per consequentia il negotio ad essere perso a fatto, nè si potrebe dolere nisciuno, perché in tal caso non vi è rimedio alcuno né querela, essendo fatta sotto pretesto d'espediente et necessaria per la nostra religione. Di più, il papa, come si sa, h [a] tentato con bona gratia di Sua Altezza Serenissima di havere questa stampa in Vaticano [con depennato] unita con la sua, poi si è con-
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tentato che stia da per sé in casa di Sua Altezza Serenissima per servitio della Sedia Apostolica et di cio... lodata molto et comendata Sua Altezza Serenissima che per servitio della Sedia Apostolica Sua Altezza Serenissima facci fare questa impresa, ma si bene disse che desiderava che stesse nel Giardino, che li pareva che cossì convenisse et tutto ciò disse al cardinale Carrafa presente messer Paulo quando li mostrò li dui primi fogli delli Evangelij stampati; delli quali ebbe gran piacere et li lodò molto sì li Evangelj, come tutta l'impresa, dicendo che poi che Dio benedetto ha fatto tanta grazia a Sua Altezza Serenissima di darli tante ricchezze, giusta cosa era che lei dal canto suo facesse qualche cosa in servitio di Nostro Signore et della sua Santa Sede. Sa ancora et per detto del sopradetto cardinale Carrafa et del cardinale Paleotto che per la espurgatione et emendatione di questi libri da stamparsi in dette lingue tanto sacri quanto profani è una congregatione a posta, dove intervie~e il vescovo di Sidonia, il padre Battista giesuita, li padri Domenicani et li padri Franciscani et noi altri, del che è restato satisfatto, et non solo si è contentato che si facci et che si sequiti il negotio, ma ha promesso il suo favore dove bisognasse. Al cardinale Mattei, poi, ha detto che lui tiene per fermo che con questo negotio si può fare gran servitio alla Sedia Apostolica; per questo disse che voleva, non solo che si sequitasse, ma che s'ingrandisse quanto era possibile et che vedesse se nella religione di Zoccolanti erano d'altri frati intelligenti della lingua arabica, che li facesse venire in Roma per questo servitio, et che li facesse trattare bene che voleva che in ogni modo la Sedia Apostolica sequitasse questa impresa. Donde se si trasportasse questo negotio adesso da Roma si darebbe gran disgusto al papa, ma a questo rimediarebbe lui con farla sequitare in Roma in ogni modo, et nella sua stamparia, dove son ancora, come è detto, altra tutti li caratteri delle lingue orientali, li arabici, et chaldaici, et quello che ne sequitasse a noi già è stato concluso di sopra, massime vedendo che per la espurgatione di detti libri non solo parerebe che havessemo fugito la revisione della Congregatione dell'Indice, alla quale lui l'haveva rimessa, ma ancora l'intervento di quelli della nostra congregatione; et si non di tutti, della magior parte, perché il vescovo di Sidonia [non depennato] non ci sarebbe, come Vostra Signoria udirà, né il padre Battista, il quale per tenere quieti li giesuiti è mezo potentissimo et necessariissimo, et forse, et forse senza forse, la congregatione si ridurrebbe a uno o a dui al più, con li quali soli et senza l'altri, dato che da per loro dui bast [asse]ro per ogni cosa, non si potrebe fare niente, non potendosi da [re] a loro dui soli fede di cosa tanto importante, altra la suspi[tio]ne che si havrebbe data, come è detto di so-
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pra, d'haver fugito l'intervento dell'altri. Né si dica che la congregatione [non] si farà venire tutta o la magior parte, come è detto di sopra, perché è importante, et in questo metterò io la vita da perderla, et so quello che dico, né si dica ancora che a Firenza si p[uò] fare dalla congregatione l'espurgatione et emendatione di detti libri da stamparsi, et poi mandarla in Roma [che] sia vista dalla Congregatione dell'Indice. Perché ancor questo è importante et molto più, perché, altra che, come è detto, non si potrebbe havere la congregatione a Firenza sarebe u[n] mandar al giorno del Giuditio la stampatura d'un libro solo, hor se qui in Roma dove semo tutti presenti si dura tanta fatica per havere un libro revisto dalla Congregatione dell'Indice, per le difficultà che occorreno loro per non intendere queste lingue, et bisogna che giorno per giorno sia uno di noi con messer Latino Latini, a chi è stato dato carrico dall'illustrissimo Colonna di questa rivisione, come si potrà fare stando noi in Firenza; questa mi pare, adesso che la provo, una difficultà insuperabile et da non potervisi dare rimedio. In particulare poi, per conto del negotio delli libri chaldei da stamparsi, si disse che sarebbe un volerlo perdere al sicuro, sì come l'occasione adesso n'ha dimostrato, perché, per la venuta del signor Cipriano in Firenza, si perturbò tanto et se insuspettìo tanto il vescovo di Sidonia, che io durai fatica grandissima et angonia [sic] in ratenerlo che non facesse delle pazzie per un mese, assicurandolo che in questo termine il signor Cipriano sarebbe ritornato in Roma, credeva lui, sì come mi disse dopo il ritorno del signor Cipriano, che appresso fra poco dovesse venire ancor io con la stamparia in Firenza. Si discorreva dunque dicendo che sì come al vescovo sopra detto era in mano di dar detto negotio a noi o ad altri per dipendere da lui il detto negotio et il detto chaldeo et la sua natione, cossì li era in mano ancora et sempre di ritirarlo et levarlo da noi con darlo a chi più li piacesse; et questo con fare che si facci un poco di meglior mercato al chaldeo, et è cosa che si può fare commodamente come si sa, et dire a chi lo volesse proponere, che questo negotio di tanto guadagno si può condure a fine, con sborso di chi pigliarà l'impresa, di non più che milli studi, et questo è vero come anca si sa, perché quelli come è pattizato hanno da portare bona quantità di danari per incominciare a stampare et poi sequitare il pagamento da mano in mano; et di più il detto vescovo adesso che è un poco più scorto [sic] del valore del negotio si farebbe fare quella parte che li piacesse, et se lo proponesse al papa forse che n'havrebbe qualche cosa grande, et questo si considerò ancora et si concludeva che era fattibile, et si strense [sic] per questo solo il partito quanto prima alla conclusione, si come
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si può ricordare il signor Donato. Et non si facci difficultà nelli caratteri di questa natione perché in minor tempo si faranno li loro CIi quello che sono fatti li nostri, et la spesa è tanta poca, come sa il signor Donato, che l'istesso vescovo li farebbe fare prima che venesse il chaldeo con lo origin[ale ?], massime che ha nelle mani sue 1'esemplare da do [ve] sono cavati li nostri, et non mancarebbe chi li facesse et bene, et questo lo so io. E t quando mancasse mastro Ro[berto] per fare l'altro carattere chaldeo maiuscolo, disse io che non mi dava fastidio perché in Roma era [che depennato] chi lo po[tes] se fare et di questo ancora si può ricordare il signor Donato, et massime che non ci è quella difficultà che è nelli arabici et ne sono stati fatti da altri che mastro Ro[berto[. Se si trasportasse dunque questa stamparia da Roma a Firenza, non è da dubitare che ci intravenerrebbono tutte queste cose dette, et in particulare in questo negotio chaldeo, perché, diceva il vescovo in quella sua perturbazione, io vi ho dato questo negotio nelle mani [richiamo a margine:] in Roma et in Roma s'intendeva che si havessero a stampare non essendo mai stata nominata Firenza né altro loco [la frase con patto, si come è scritto et firmato da tutti noi, che si habino a fare in Roma, è depennata] et mancando questa conditione, sarò sciolto ancor io dalla promessa mia, et mi protesto che nella espurgatione et emendatione di questi libri voglio essere presente io, [richiamo a margine:] et per questo io havendo lassato ogn'altro negotio, ho fatto et faccio tanto studio nella lingua hebrea et chaldea acciò passi dormir sicuro che nell' avenire non n'habi a patire danno et dishonore; et facendosi altramente, farò in modo io che non siano accettati, perché, diceva il chaldeo, et lo so io che sono stato in quelle bande, che li libri quali non sono stampati in Roma lì non sono di nulla autorità, nè si comprano da nullor sì come è intravenuto al Testamento Nova stampato in Vienna in lingua chaldea, che non se n'è venduto pur uno in tutto Levante. Et questo per la causa detta di sopra, diceva appresso il venire io a Firenza è importante perché non voglio lassare li servitij di tanti anni fatti al mio padrone et alla Sedia Apostolica dalla quale dipendo et dalla quale spero assai [richiamo a margine:] et tirarmi adosso una inimicitia et persecutione da non terminarsi mai, con mio poco honore et con la mia ultima ruina, per andare a Firenza per la espurgatione di questi libri, li quali non vedo causa necessariaperché non si possino fare in Roma, et con sicurezza d'esserno [sic] accettati, et con magiore auttorità dell'impresa et con satifattione di Sua Santità et con honore di Sua Altezza et con sicurtà di chi interviene nell'espurgatione. Queste et infinite altre cose diceva il vescovo con protestarsi sempre, tal che si conclude che in tale mutatione il detto vesco108
va sarrebbe atto et pronto a dare il crollo a questo negotio, et io lo credo, perché havrà pensato meglio a quello che ne potrebbe cavare per sé, et forse ci è stato aiutato al pensarci. Da tutte queste cose dette, et da molte altre che non scrivo per non fastidir più Vostra Signoria, mi pare poter cavare sicuramente il parere mio intorno questa dimanda che Vostra Signoria mi ha fatta; il quale parere mutarà sempre che il tempo et l'occasione faranno mutare le cose sopradette, et il parere mio è quello istesso che disse più volte al signor Donato a bocca et poi gli lo diedi in scritto, et è che mi pare che da Roma non si levi mai in tutto et per tutto questo negotio, perché al sicuro si perdirrebbe tutto, anzi adesso mi pare che la congregatione destinata per l'espurgatione et emendatione delli libri da stamparsi in queste lingue debba stare in Roma, sì per sollecitare l'espeditione dalla Congregatione dell'Indice, sì ancora per satisfattione delli superiori, et per la difficultà anzi impossibilità di condurla tutta in Firenza, senza la quale congregatione non è possibile fare nie[nte]. Mi pare ancora, che ne anca in parte per adesso si levi di [Roma], ma si aspetti un poco finché si dia satisfattione alli superio[ri] con la stampatura delli Evangelij che sono libri sacri, acciò si scordino del mal concetto fatto contra questa stamparia, et [inhanto si avrà pigliato quasi possesso firmo di detto negotio et buon concetto delle cose che si stampano, d'essere tutte b [uone] et in tanto similmente noi attenderemo a fare dell'huo[mi]ni sì per la compositura come anca per la correttione delle stampe, et all'hora si potrà aprire [una depennato] una piazza in Firenza o dove Sua Altezza Serenissima la volesse per sua satisfattione ... stampare qualche libro et vedere che motivo si fa ... se in Roma, et ritrovando che lassassero fare in ogn[i] 1oco, non potendo far niente loro per la stamparia che a [n] cara starrebbe in Roma et per li nostri privilegij, all' ... si potrebbe ingrossare quella di Firenza et diminuire questa di Roma, o farle lavorare equalmente o come a Sua Altezza fusse di più satisfattione. Et facen [do] costoro alcuno motivo et mal officio a quella di F[iren]za, all'hora non accaderà che con scorno o poca ri[puJtatione ritorniamo in Roma, perché già vi è la nos[tra] stamparia, et ilIaco non è occupato da altri. Et in questo modo il negotio si assicura in tutto et per tutto et non si può perdere mai, et Sua Altezza Serenissima havrà le sue satisfattioni che vorrà, in Firenza, et mostrarà sua magnificentia con tenerne un' altra in Roma per servitio della Sedia Apostolica, et questo non sarà di danno alcuno, anzi di molto giovamento perché quanto più si stamparà, tanto più si guadagnarà; in questo modo ancora si tenerà saldo il vescovo per conto del negotio chaldeo, et il tempo forse facilitarà detto nego-
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tio con l'occasione che giornalmente vengono et si potrà condure'dove l'homo vole. Questo è, adunque, per adesso, il parere mio; desidero che Vostra Signoria insieme con le ragioni dette il referisca, quando ci sarà commodità, aSua Altezza Serenissima et poi lo tenghi appresso di sé, acciò che facendosi altra mente et soccedendo qualche sinistro evento, del che Dio ci guardi, io sia escusato et non incolpato di non haver detto quanto conosceva intorno a questo negotio per servitio di Sua Altezza Serenissima. Perdonimi Vostra Signoria se san stato troppo lungo et inetto nel scrivere et habimi per escusato, si perché non so più, si ancora perché ho trattato di cose che mi premeno principalmente per servitio del Padrone Serenissimo et poi per interesse mio, perché se questo negotio andasse male io sarei rovinato non havendo altro, per la mia vecchiezza, che la speranza di questo negotio et quelli cento scudi di pensione che Sua Altezza Serenissima si è degnata di darmi, et quello che ancora ne posso sperare con che facendo fine resterò basando le mani di Vostra Signoria et pregandoli da Nostro Signor Dio ogni contento et felicità. Da Roma alli 13 di agosto 1588. Di Vostra Signoria molto illustrissima et reverendissima suo affezionatissimo Giovanni Battista Raimondo
[Nota sul margine sinistro del foglio:] Mastro Roberto quindici giorni sono, essendo per venti anni sono crepato da una banda di sotto, è crepato dall' altra tal che poco può lavorare, onde non è da temere che lavori per altri.
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Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, Stamperia Orientale, vol. III, inserto XXIV. Relazione di Giovanni Battista Raimondi al cardinale Paleoui circa la stampa della Bibbia poliglotta [s.d. ma: 1593, 28 gennaio (dopo il)].
Il gran duca di Toscana essendo ancora cardinale fu fatto protettore dalla felice memoria di Gregorio XIIIO de i patriarchi d'Antiochia et d'Alesandria et del re d'Ethiopia per trattare con loro di cose di Stato et di religione, et li fu dato ancora consequentemente la protettione et cura del negotio delle lingue di quei paesi,cioè arabica, chaldaica et simile; il che non solo abracciò et esequì volentieri, ma per far cosa più grata a quel santo pontefice volse ciò fare a sue spese, come tuttavia fa, però che per servitio di detto negotio fece erigere una stamparia in Roma delle lingue straniere delle sopranominate non solo, ma della greca et hebraica ancora, et in ciò sono spesi fin'hoggi da quaranta milia scudi in circa, comprendendo però in questa spesa i libri ultimamente stampati in lingua arabica, l'Avicenna, l'Euclide et li Santi Evangelij con altri più piccoli libretti. Anzi, per far magior servitio al detto pontefice et sai successori et alla christianità tutta li venne in pensiero di fare stampare la Biblia in tutte le sopradette lingue et in quant' altre più si potesse, et cossì fece venire d'Egitto, di Soria; di Persia et d'altre provintie d'Oriente, con molta spesa tempo et travaglio, i sacri testi della Biblia in molte delle sopradette lingue et ritrovandosi il testo latino, greco, hebraico et chaldaico in perfettione, tradotti et stampati appresso di noi giudicammo che accompagnando con questi il testo arabico et siriaco intieeri, [sic] et molti libri di detta Biblia in altre lingue, si poteva incominciare a dar principio alla stampa di detta Biblia in dette lingue et si fece proponere alla felice memoria di Sisto VO dal illustrissimo signor cardinale Paleotto, dignissimo protettore di questo negotio da parte di Sua Altezza, si propose di stampare questa Biblia in nome di Sua Altezza et indrizzarla al detto pontefice et questo per molti degni rispetti.
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La Biblia si doveva stampare intieramente: lingua latina secondo la edittione Vulgata. lingua greca con la sua traduttione latina e regione. lingua hebraica con la sua traduttione latina e regione. lingua chaldaica con la sua traduttione latina e regione. Et queste altre volte sono state stampate separatamente ogn'una da per sé, et poi tutte insieme nella Biblia Regia. In lingua siriaca con la sua traduttione latina e regione. In lingua arabica con la sua traduttione e regione. E t in queste ha faticato et fatica tuttavia la congregatione ordinata da Sua Altezza con l'auttorità delli sopradetti pontefici per non essere mai state né tradotte né stampate. Et dopoi che fussero stati ritrovati li libri che mancano di detta Biblia nell'altre lingue cioè persiana, armena, egittiaca, ethiopica, schiavona, da mano in mano, secondo che si ritrovano, si sarrebono stampate et agionte a quelle dette di sopra potendosi ciò fare commodamente, havendosi a stampare ogni Biblia di ciascheduna di queste lingue in un volume da per sé sola. A questi volumi si dovevano agiongnere altri volumi quali havevano da contenere l'apparato di detta Biblia, cioè le grammatiche et li dittionarij di tutte le sopradette lingue, nelle quale fusse stampata detta Biblia, et massime le grammatiche et dittionarij delle lingue arabica, siriaca, persiana, et egittiaca, le quali sommamente da tutti sono desiderate. Nella congregatione ordinata per questo servitio intervengono le infrascritte persone: Leonardo Abel vescovo di Sidonia. Fra Thomaso da Terracina dell'Ordine di Predicatori. Fra Diego di Guadaisc del'Ordine di Zoccolanti. Paulo Orsino costantinopolitano. Guiglielmo africano di Tunesi del Collegio di Neofiti. Giovanni Battista Raimondo servitore et ministro di Sua Altezza in questo negotio, qual ha cura di detta congregatione et di tutto questo negotio qui in Roma. In detta congregatione si fanno fedelissimamente le traduttioni delli "sopra detti testi sacri dalle sopra dette lingue nella lingua latina, et si portano poi sottoscritte dalli sopranominati di questa congregatione a conferire coI'illustrissimi signori cardinali della Congregatione dell'Indice per vigore d'un breve fatto particularmente in favore di questo negotio. Et cossì viste et considerate et sottoscritte dalla sopradetta illuIn In In In
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strissima et sacra Congregatione da mano in mano secondo che si fanno et revedono, si vanno stampando et mettendo insieme, come Vostra Signoria illustrissima sa, che fin'hora sono fatti et stampati li Santi Evangelij oltra alcun' altri libri di scientie seculari in lingua arabica, quali Evangelij [usciranno depennato] si faranno uscire in nome di Nostro Signore papa Clemente Ottavo, et sono già tradotti 1'Atti dell' Apostoli, et si vanno sequitando 1'altri libri di detta Biblia tanto in lingua arabica quanto in lingua siriaca da mano in mano, come ancora si farà con la gratia di Nostro Signore Dio, dell' altri libri nell' altre lingue. Hora, come Vostra Signoria illustrissima sà, il sopradetto pontefice Sisto va, non solo non contradisse niente a questa proposta, ma l'approbò, la lodò, la stimò molto, et la giudicò dignissima di abracciarla, di aiutarla, et favorirl~, et cossl promisse di fare, ma disse che sen'havesse ancora il parere della Congregatione dell'Indice, al giuditio della quale era l'emesso tutto questo negotio di queste lingue, et poi seli referisse. Si hebbe il parere della detta Congregatione, et fu conforme a quella del detto pontefice in tutto et per tutto, eccetto che disse che sarebe stato bene non incominciare a stampare detta Biblia finché non fosse publicata la Biblia latina, che all'hora si corregeva per ordine di detto pontefice, non sapendosi in che modo dovesse uscire il breve che si doveva fare intorno a detta Biblia. Et questo parere essendo stato riferito al detto pontefice, 1'approbò et disse che intanto s'attendesse alle traduttioni, acciò poi ogni cosa fusse a ordine. Et per non essere stata pubblicata questa sopradetta Biblia latina se non hoggi, per questo è restato che non si sia dato ordine ancora alla nostra Biblia arabica, siriaca et cetera. Hora, come si è detto, tutti li testi deIIi sopradetti libri sacri nelle sopradette lingue, et tutti li caratteri et altro apparecchio fatto per la stampa-tura di detta Biblia, si ritrova in essere qui in Roma nelle mani di Giovanni Battista Raimondo detto di sopra, servitore et ministro di Sua Altezza in questo negotio, et detti libri, et detti caratteri sono havuti, et fatti et messi insieme in questo essere che si ritrovano con grossissima spesa di Sua Altezza et in molti anni, et con molti studij et fatiche del detto Giovanni Battista Raimondo. Si hebe privilegio amplissirriò et favoritissimo dalla felice memoria di Gregorio xnIa, et confirmatione dalla felice memoria di Sisto va intorno a tutto questo negotio. Non si può stare di non maravegliarsi di costoro che novamente propongono l'istesso negotio, senza nullo fondamento del mondo. Non
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havendo loro nullo delli sopradetti testi et originali fatti venire da StIa Altezza da tante lontane regioni et provintie con tanta spesa et in tanto tempo, et con tanto travaglio, come è stato detto. Non havendo loro carattere che vagli niente, eccetto che l'armeno et il schiavone, essendo un solo carattere che hanno arabico, et un solo chaldeo imperfettissimi di numero et di forma di caratteri, essendo l'arabico, et un solo chaldeo imperfettissimi di numero et di forma di caratteri, essendo l'arabico loro non più che di 200 ponsoni, et dovendo essere, sì come è ognuno delli nostri arabici, di 800 et anco milli ponsoni et il chaldeo di 150 ponsoni in circa, et dovendo essere, sì come è ogn'uno delli nostri chaldei et siri di 500 ponsoni. Non havendo loro cognitione di nulla delle sopradette lingue che si hanno a giongnere alla latina, greca, hebraica, et chaldaica del Targum, che sono l'arabica, la siriaca et altre dette di sopra, né havendo huomini intelligenti di dette lingue, se non li volessero levare, et con ogni torto dalla congregatione instituita et provisionata fin'hoggi da Sua Altezza in servitio di questa impresa. Non havendo loro il danaro che bisognerà sborsare in questa impresa particulare che saranno a Sua Altezza che ha già fatta la prima spesa necessaria, più di trenta dui milia scudi, et a loro, che hanno da cominciare dal principio, più di quaranta milia, eccetto si desegnano far sborsare tutto questo danaro a Nostro Signore sopra quello che bisognarà dare a quelli che bisogna che aiutino nella congregatione. Sappia ultimamente Vostra Signoria illustrissima che cominciando hoggi a stampare questa Biblia, non si potrà finire, con tutte le diligentie che vi si useranno, prima di sei o Sett' anni, per dire il meno, a Sua Altezza che già ha li originali, et li caratteri in essere. Consideri adesso lei quanti anni passerebono prima che costoro la cominciassero, nonché finissero, non havendo né originali ancora, parlo di quelli che si hanno a giongnere, come è detto di sopra, né caratteri come similmente è stato detto. Et questo quanto all'informatione più particulare che desiderava di più di quello che ne sapeva, et ne haveva trattato Vostra Signoria illustrissima, la quale Nostro Signore Dio conservi felicissimamente lungo tempo. Fin qui è stato dato all'illustrissimo signor cardinale Paleotto. Dirò adesso il mio parere intorno a questa impresa particulare di questa Biblia in tante lingue in quanto tocca al servitio di Sua Altezza, nonostante che mi metta a periculo di novo castico sopra quello che ho 114
havuto, per un'ultra [sic] volta haver detto il mio parere essendone stato rechiesto, intorno al volere trasportare tutta questa stamparia et tutto questo apparecchio da Roma in Firenza, il quale castico quanto mi sia stato dato a torto la presente esperientia lo dimostra, et l'havrebe dimostrato meglio si hoggi questa stamparia, et questo apparecchio non si ritrovava in Roma, et molto più si papa Innocentio viveva qualch' altro mese. Lo dirò dunque liberamente perché ultimamente non me si potrà fare pegio di quello che mi è stato fatto, in cambio di remuneratione di tante fatiche, travagli, inimicitie, et pericoli passati per governare et defendere questo negotio da tanti avversaij. Et forse che ancora quello che me si facesse appresso di più, potreb'essere per mia bona fortuna. Dico dunque che. Non è dubio che facendosi questa Biblia in tante lingue, come è detto di sopra, sarebbe per apportare grandissima gloria a Sua Altezza et per dare maraviglia et stupore a tutt'il mondo facendo una cosa che mai è stata fatta la simile, né lassarebe loco a chi venisse appresso di poter far più in questo genere, et ci può esser esempio la Biblia Regia, qual'è stata di magior gloria a re di Spagna di quant'altre cose habia fatte mai, et all'ultimo quando si considera bene, se ben vi ha speso larghissimamente costandoli più di sessanta milia scudi, altra le grosse et larghe remunerationifatte in persona di chi vi ha faticato, non è, se non in lingua latina, greca, hebraica, chaldaica cioè il Targum, et Testamento Nova solo, né anca intiero in lingua siriaca, nella quale mai era stato stampato [richiamo a margine:] se non in Vienna dall'imperatore dell'altre lingue poi sopradette n'era pieno il mondo et stampate mille volte. Et non è stat' altro questa impresa solo che ristampare la Biblia Complutense, la quale fa stampare a spese sue un vescovo di Spagna, et agiongnervi quel siriaco di più che è nel Testamento Nova, et l'apparato delle grammatiche et dittionarij. Et tutta è fatta in caratteri infelicissimi. Né questa, che vi va, deve parere gran spesa, sapendosi che Sua Altezza per gloria, magnificentia, et sblendore [sic], in occasione d'una festa per un gioco solo, d'un giorno solo, et fatto in un loco solo, ha speso più di sessantamilia scudi, quali non sono rimborsati mai, né sono per rimborsarsi mai; et sapendosi che questa impresa della quale si parla, non è un gioco ma una delle più grave et più serie cose del mondo, essendo cosa appertinente alla nostra santa religione, anzi fondamento principalissimo di quella, utile et necessaria a ogni christiano. Né è cosa da durare per un giorno solo, ma per secoli di secoli. Né comparirà in un loco solo, ma si spargirà per tutto il mondo, et andrà per le mani di tutti principi et signori christiani. Né vi anderanno sessanta milia scudi,
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come appare per quello che è detto di sopra. Et quello che vi si spende-' rà compartitamente, per tutto quel tempo che vi andarà in stamparla, seben'un poco tardetto, in ogni modo si rimborserà et con utile grande. Et questo sia detto in quanto alla elettione di farla o non farla. In quanto poi alla necessità di farla, dico che si Sua Altezza stima niente questo negotio, et ne spera gloria et utile, si come si vede adesso, che lo può sperare incominciando già l'esito et smaltitione di questi libri fatti, è necessario che si facci, per li motivi che si son veduti et che si vedeno di questi nostri avversarij, i quali seben pare che procurino di havere nelle mani questo negotio particulare di questa Biblia, tuttavia si vede che hanno la mira a tutto il negotio; et facendo loro questa Biblia, senza dubio da mano in mano tutto il negotio sarebbe loro, per lo favore che hanno, et più havrebbono per l'avenire, quando havrebono notitia del l'utile grande che è per apportare per la smaltitione di questi libri qual comincia già aviarsi. Dall'altro canto poi, per le difficultà che si concorreno, pare che questa impresa non si deba pigliare, et prima per la quantità del danaro che bisognerà sborsare, et tenerlo un pezzo otioso, et se ben' all'ultimo, si rimborserà et con utile, questo non sarà tanto quanto sarebe se questo danaro s'impiegasse in stampare altri libri, nelli quali volesse minor spesa et minor tempo. Poi nisciuno piglierà questo carrico, qual sarà d'intolerabile fatiche, su le spalle sue, non havendo altri carezzi [sic] di quelli che fin quì ho avut'io, et non sperando altra remuneratione di quella che ho havuto io per le fatiche et servitij di tant' anni. Né vorrà nullo contrastare con questa gente mal satisfatta la quale, la magior parte di questo tempo nel quale sono fatti questi libri, è stata ammottinata et lontana da me, restando tutte le fatiche sopra di me. Et a questo si doveva attribuire il poco lavoro che si vedeva fare, et non alla negligentia mia. Et non havendo uno qual guidi questo negotio bene et con fedeltà, non sarà possibile mai condurlo a fine. Il parere mio è che, fra queste due estremità, si potrebe pigliare la strada di mezo, quando si vorrà dare qualche satisfattione al papa et assicurarsi di non perdere il negotio, et si havrà chi per l'avenire pigli 'questo carrico. Et questo sarrebe di far stampare per adesso le due Biblie solamente delle quale al principio si dette speranza, cioè in lingua arabica, et in lingua siriaca et sequitare l'impresa dell' altri libri nelli quali appare magiore et più vicino utile; quando però sarà per sequitarsi questo negotio, et si potrà dire, et poi fare, se parerà espediente, che si co-
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mincia da queste due come dalle più difficili, et da quelle che mai per l'adietro sono state stampate, et che da mano in mano, prima che si finiscano queste, si darà principio all' altre le quali ritrovandosi a ordine per essere state altre volte stampate, ricercano minor tempo, per il che veniranno poi a essere finite tutte ad un'istesso tempo; et cossì mi pare che si darebe rimedio a tutti questi rumori, et si tenerebono lontano l'avversarij, et havrebono a pensar altro che a tribularne et far contra questa impresa. Et poi, come è detto, se l'occasione et il tempo mostrasse che fusse espediente di stampare l'altre, si potrebe sequitare l'impresa, et se non, si farrebe altramente. Et altro per adesso non mi occorre intorno a questa risolutione solo che rimettere quanto ho detto, et quanto mi toccherà a dire per l'avenire, al prudentissimo giuditio di Sua Altezza Serenissima et degl'altri che manegiano questo n.egotio. L'illustrissimo signor cardinale Paleotto giovedì, che furono li 28 di gennaro 93, parlò di questo negotio con Nostro Signore conforme a la relatione di sopra, et venerdì venne alla stamparia et la visitò, et mi disse tutto quello che era parlato con Nostro Signore, che è questo per dirlo sommariamente: Disse che Nostro Signore ascoltò attentissimamente quanto Vostra Signoria illustrissima li disse conforme a questa relatione, et poi dice, che rispose non satiandosi mai di lodare Sua Altezza d'infinite cose, et poi venendo al particulare di questo negotio disse che li piaceva ancora sentire che Sua Altezza fusse cossì inclinata al servitio della nostra santa religione et che volesse fare questo servitio di tanta importanza a questa Santa Sede, et per amor suo, et soi soccessori, et che neli sarrebe restato in obligo per sempre, et che nelo benediceva, et che tutto stava bene, ma vi conosceva una difficultà di non poco momento; et questa era che li pareva difficile che, in una varietà di tante lingue et idiomi, si potesse conservare una uniformità del senso et intelligentia della Santa Scrittura. Et essendoli replicato l'ordine che si teneva in questo negotio, et' che ogni cosa passava per due congregationi, per la nostra cioè, et poi per quella dell'Indice, dice che l'approbò, ma per magiore sua satisfattione et più sua sicurtà desiderava che nella nostra congregatione si agiongnesse un padre della Compagnia di Giesù. Et che ordinò al detto illustrissimo Paleotto che di ciò ne parlasse col Generale di detta Compagnia acciò che elegesse uno, il quale fusse a proposito. Disse di più il sopradetto illustrissimo cardinale che in tutto questo ragionamento che haveva havuto con Nostro Signore, haveva conosciuta in esso inclinatione grandissima alla nostra parte, et nulla a quella dell' avversarij, et questo basti per summario; quello che seguirà del giesuita si dirà quando si saprà. 117
INDICI
INDICE DEI NOMI
Abdel Mesichi 100 Abel, Leonardo 67, 74, 94-95, 100, 105-107, 113 Amira, Georgius Michael 83 Anerio, Felice 65 Angelita, Ludovico 66 Arrigoni, Pompeo 65 Bandini, Angelo Maria 33 Barbarigo, Gregorio 29 Barberi, Francesco 20 nota 57 Basa, Andrea 6 nota 4, 39 Basa, Bernardo 6 nota 4, 39 Basa, Domenico 5 e passim Bastiano, detto «mezza lingua» 19 Battista, gesuita 104-105, 107 Battista, maestro lO nota 14 Bellarmino, Roberto 65 nota 162 Bertolotti, Antonino 15, 17 Bonfadini, Bartolomeo 24 Bourbon del Monte, Francesco Maria 65 Britti, Giovanni Battista 7-8, 94-95 Bruno, Giovanni 71 v Budinié, Sime 25 Bulgari, Costantino 14 Buscasino, Giovanni Antonio Il Caillaut, Pietro 41-42 Camelli, Agostino 79 Capello, Cesare 19 Carafa, Antonio 54, 67, 99, 104, 107 Carlini, Matteo 79 Casazza, Giorgio 19 Castro, Francisco de 55 CavaiIlon, Jean 19, 46-49, 51 e nota 140, 53 Cervini, Marcello 71
Cesari, Alberto 12-13, 14 e nota 31, 15, 30, 32 nota 94, 42-43, 96·98 Cesari, Cesare 15 e note 34-35, 96 Cesi, Bartolomeo 65 e nota 162 Chiari, Antonio di 13, 15, 26-27, 29,96 Cioli, Andrea 52 Clemente VIII 63, 73, 78, 114 Colonna, Ascanio 68 nota 170 Colonna, Marcantonio 68 nota 170, 108 Condopulo, Numa Pompilio 9 nota 13, lO Condopulo, Pietro 9 nota 13 «Confortio», Antonio 10-11 Coronel, Gregorio Nuries 83 Correa, Giovanni 9 Cosimo II de Medici 79, 81-82 nota 204 Cosimo II de Medici 85 Crescenzi, Virgilio 62 nota 154 Dell'Antella, Donato 7, 94, 109-110 Diego de Guadaise 74, 113 Domenico da Imola lO nota 14 Dorico, Luigi 5 Dorico, Valeria 5 Durante, Castore 62 nota 154 Elia nel Mansulo 100 Eliano, Cesare 15, 17-18 Eliano, Giovanni Battista 18 e nota 43, 71-72 Eliano, Pietro 15-18 Erpenius, Thomas 71 Facchetti, Antonello 18 Fazi, Lepido 77
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Ferdinando I de Medici 6 e passim Ferdinando I de Medici vedi anche: Medici, Ferdinando de Ferdinando II de Medici 85 Ferrari, Antonio de lO nota 15 Filippini, Nicando 6 nota 4 Filippo II 74 nota 191 Garamont, Claude 54 Giovanni Giacomo 39, 41 Giulio III 9 nota 13 Granjon, Robert 6 e passim Gregorio, tiratore 15, 17 Gregorio XIII 5-6, 8, 11-12 note 25-26, 18 nota 45, 21-23, 29, 41, 54, 58, 61, 70-72, 94, 98, 112, 114 Greforio XV 58 Guglielmo Africano 74, 113 Guicciardini, Piero 55 al· l-IiIali, Dawud 17 nota 39 al· Hilàli, Va' kub 17 al-Hilàli, Yusuf 17 nota 39 al-Hilali, Yusuf Dawud 17 nota 39 IgnazioNa' matallah 7-8, 11, 94-95, 100 Korolevsky, C. 17 nota 39 Latini, Latino 68 nota 169, 108 Laureo, Vincenzo 70-71, 98 Leone X 9 nota 13 Leone XI 84 Lucchese, Giovanni Battista 95 Luna, Davide 17 nota 39 Luna, Giacomo 10-11, 15, 17 e note 39-40, 82 e nota 205, 83-84 Luna, Giuseppe 17 nota 39 Luna, Giuseppe Davide 17 nota 39 Luna, Maddalena 17 nota 39 Luna, Tommaso 17 nota 39 Lunadori, Girolamo 52, 55, 66
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Manuzio, Paolo 20 nota 55 Maracchi Biagiarelli, Berta 6 nota 4, 53 nota 145, 73 nota 189, 75, 92
Marsilio, falegname lO nota 15 Martinelli, Donato Antonio 10-11 Masetti Zannini, Gian Ludovico 39 Mattei, Girolamo 107 Maupin, Paul 74, 85 Mazzini, Giulio 83 Medici, Alessandro de 84 Medici, Ferdinando de 6 e passim Meietti, Paolo 6 nota 4 Meietti, Roberto 6 e nota 4 Minochi, Pietro Antonio Il Mori, Giacomo Antonio 54 nota 146 Napoleone I 85 Neroni, Matteo 6 nota 4, lO, 17 nota 40, 18, 55 nota 148 Niccolini, Giovanni 64 e nota 158, 65, 77, 81, 83-84 Norcini, Leonardo 62 nota 154 Norsini, Leonardo 62 nota 154 Ollivier Séraphin 65 e nota 162 Orsini, Paolo 74, 95, 105, 107, 113 Ottaviano da Ravenna 95 Paleotti, Gabriele 56, 73, 75, 78, 107, 112, 118 Palestrina, Giovanni Pierluigi da 5, 61-62 Paoli, Marco 66 nota 164 Paolini, Stefano 52, 54 nota 146 Paolo V 54, 65 Parasole, Isabella 62 nota 154 Parasole, Leonardo 62 e nota 154 63-64 e nota 158, 65, 79, 83-84 Pavone, Battista 18
Penni, Luca 79 Pierluigi, Giovanni vedi: Palestrina, Giovanni Pierluigi da Pietro Canisio 25 Pinto, Olga 21 Potken, Johann 5 Prete Gianni 8 Qamar, Va' kub 17 nota 39 Raggio, Tommaso 71 Raimondi,' Giovanni Battista 6 nota 4, 7 e passim Riboldis, Giacomo de 19 Rocca, Angelo 24, 40 Ruffinelli, Giacomo 24 Saltini, Gugliemo Enrico 17 nota 40, 22, 25 nota 71, 30 nota 87, 32, 48, 52 nota 142, 59, 77 e nota 197, 79, 92 Santoro, Giulio Antonio 67, 105 Saracinelli, Cipriano 7, 94, 104-105, 108 Sebastiano di Pietro 19 Silber, Marcello 5 Simonetti, Carla 66 nota 164 Sionita, Antonio 79 Sirleto, Gugliemo 18, 95 Sisto V 20, 34, 58, 66, 73, 112, 114 Sottile, Giovanni Battista 19, 51-52, 54 nota 146 Stangaporta, Clemente 18, 26-27, 31, 33-34, 41·42 Suriano, Francesco 65 T asfà Seyon 5 Tempesta, Antonio 62, 74, 79, 85 Terrarossa, Paolo 65 Tommaso da Terracina 19, 74, 77, 113
Urbano VIII 58 Valentini, Pietro 64 e nota 158, 65 Valesio, Fulgenzio 63 e nota 156, 64 Valesio, Silvio 63 e nota 156, 64 Vecchietti, Giovanni Battista 8, 95 Vervliet, Hendrik Desiré L. 14 nota 31, 23, 27-28 nota 78, 30-31, 34, 40-41, 51 nota 140 Vinta, Belisario 102 Vittori, Mariano 5 Viviani, Gaspare lO nota 16 Voss, Gerhard 39·40 Zanetti, Francesco 5 nota 3, 24, 54 e nota 147, 71 al-Zangani, Ibrahim ibn Abd al· Wahhab 83 Zati, Vincenzo 64 e nota 158, 65 Zoilo, Annibale 5, 61
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INDICE GENERALE
Le premesse
Pago 5
La fondazione della stamperia - Sua attrezzatura e ublcazlone Il personale
»
6
................................. » 11
Domenico Basa e la tipografia poliglotta
» 19
I caratteri
» 22
Le vicende della stamperia
» 56
Appendice di documenti
» 91
Indice dei nomi
»121
Finito di stampare nel mese di Ottobre 1987 dalla Litografia VA·RO . Pisa per conto di Maria Pacini Fa?:zi editore - Lucca
Studi e Ricerche di Storia del Libro e delle Bibliotech:-l Collana diretta da Alberto Tinto Lo studio del libro antico non costituisce una sterile esercitazione di eruditi: è facile, infatti, comprendere quale fonte importante per una ricerca interdisciplinare sulla ricostruzione di un dato ambiente culturale in un dato periodo storico rappresentino le vicende di antiche stamperie, la compilazione di annali di edizioni ovvero di sia pur nudi elenchi di opere da queste uscite. Lo studio della nostra stessa civiltà se ne può avvantaggiare: dagli annali possiamo, per esempio, desumere quali fossero, in un determinato periodo, i testi più letti, gli autori più amati; da una semplice indicizzazione sistematica di frontespizi e di caratteri tipografici potremmo avere la rivelazione del gusto di un'epoca ed insieme un sussidio per gli studiosi di grafica; dall'esame di marche tipografiche ed editoriali, di fregi, cornici, «imprese», incisioni, si potrebbe desumere una classificazione ed un'interpretazione delle figure in rapporto ai tempi iconografici dell' arte figurativa coeva, utile quindi agli studiosi di storia dell' arte e, con il suo simbolismo, a quelli di araldica e delle «imprese»; così come privilegi, dedicatorie, contratti di edizioni costituiscono inoltre documenti significativi per la storia del diritto, della letteratura, della scienza, della filologia. Strettamente connessa con quella del libro, manoscritto e a stampa, è la storia delle biblioteche. Il rapporto generico fra sviluppo di queste e storia della cultura ha una zona concreta d'incontro nella storia del libro che nasce sì isolato ma vive in comunità dove viene custodito e valorizzato. Gli stretti legami cui si è accennato non cessarono dopo l'invenzione della stampa ma divennero solo più indiretti e complessi. Studiare il progressivo differenziarsi dei libri nella destinazione e quindi anche nella forma editoriale che impose alle biblioteche, specie quelle pubbliche, schemi sempre più articolati influenzando tutte le branche della biblioteconomia; ricostruire la storia delle varie biblioteche e la loro successiva evoluzione; indagare accuratamente le vicende, il tempo, la misura e i modi in cui esse si vennero formando ed ampliando; studiarne l'evoluzione e, al pari di un arèheologo, ricostruire le varie stratificazioni, avvenute nei secoli, dei vari fondi a stampa e le modalità con le quali vi perVennero; effettuare una ricostruzione ideale di quelli manoscritti; esaminare e porre in risalto le conseguenze che censura, guerre, rivoluzioni e in genere eventi politico-religiosi e dominazioni straniere ebbero sulla loro vita e fortuna, sono tutti elementi fondamentali per far rivivere una determinata temperie culturale.