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PIERS ANTHONY LA VENDETTA DI NIOBE (With A Tangled Skein, 1985) 1 Il bel ragazzino Niobe era la ragazza più bella della sua generazione; i suoi capelli erano del color miele del grano saraceno, i suoi occhi come il cielo velato di un mattino d'estate e il suo corpo era più facile da immaginare che da descrivere. Ciò nonostante, anche lei aveva i suoi piccoli difetti; la sua intelligenza non andava più in là della media, e aveva un'imperiosa tendenza, coadiuvata da un sapiente uso della sua bellezza, a cercare sempre di ottenere che le cose andassero a modo suo. A parte questo, sebbene non lo sapesse era destinata ad avere un futuro molto più complesso di quanto si potesse anche lontanamente immaginare. «Ma padre!» protestò Niobe con tono capriccioso. «Cedric Kaftan non ha che sedici anni, mentre io ne ho ventuno! Come puoi pretendere che lo prenda in sposo!» Il vecchio Sean sollevò una mano in gesto rappacificante. «Certi fiumi sono più difficili da attraversare di altri, e alcune barche sono molto piccole. Questo è un periodo duro, figlia mia, per l'Irlanda e per tutto il mondo. Quel ragazzo appartiene a un'ottima famiglia di latifondisti e di studiosi, gente che sa badare a se stessa. L'età è irrilevante.» «Irrilevante!» proruppe lei. «Ma non è che un ragazzino! Padre, mi fai un gran torto facendomi sposare uno così giovane!» L'uomo serrò le mascelle. Aveva il potere del patriarca, ma preferiva mantenere una certa armonia in famiglia. «Figlia, non ti sto facendo un torto. È vero che è giovane, ma è anche vero che sta crescendo. E vedrai che sarà un ottimo partito per te, una volta che io sarò morto.» «E allora lascia che sia un ottimo partito per qualche mocciosa della sua età! Mi rifiuto nella maniera più assoluta di sottostare a questo affronto!» I suoi occhi sembrarono accendersi per la rabbia, divenendo blu intenso come il cielo a mezzogiorno. Sean scosse il capo con rassegnazione. Nemmeno lui era immune allo splendore di sua figlia. «Niobe, sei la ragazza più bella della contea e hai un gran talento con il telaio, ma forse sei anche la testa più dura che ci sia! Già due volte hai rifiutato degli ottimi partiti, e io sono stato abbastanza
debole da permettertelo. Ma ora sei cresciuta, e alla tua età è imbarazzante non essere ancora sposati.» Quest'affermazione la scosse un poco, ma Niobe non desistette. «Pfui! Un vecchio grassone pieno di soldi e un brutto aristocratico! Li chiami buoni partiti?» «La ricchezza non è una cosa sulla quale ci si può permettere di sputare, e nemmeno l'aristocrazia. Avresti potuto condurre una vita molto agiata, o molto elegante. Possibilità simili non capitano tutti i giorni.» «Ma perché non posso avere un uomo bello e virile sui venticinque anni?» insistette Niobe. «Perché dovrei rovinarmi la vita con un ragazzino che probabilmente non sa neanche distinguere il suo naso dal...» Lo sguardo tagliente di suo padre la fermò prima che andasse oltre. Non poteva spingerlo più in là di tanto, per quanto le parole dell'uomo fossero espresse in tono pacato. «Perché la guerra ci ha strappato tutti gli uomini di quell'età, e quindi non ne rimane nessuno al tuo livello. E non ho alcuna intenzione di darti in sposa a un semplice contadino! Non ti permetterò di sposare un uomo di ceto inferiore. Cedric è perfettamente qualificato, ha una certa disponibilità economica grazie a un'eredità, e...» «E sta crescendo.» Niobe terminò la frase con tono disgustato. «E io sono letteralmente nauseata anche alla sola idea! Non sposerò mai un ragazzino simile, e questo è tutto.» No, non era tutto. Questa volta Sean non era disposto a cedere. Niobe gridò, pianse e supplicò, ma senza successo. Era molto brava a piangere, forse perché il suo nome era sinonimo di "lacrime", ma suo padre era ormai deciso. Lo sposo che le era destinato era quello. E così fu. In breve tempo vennero fatti gli annunci del matrimonio e all'inizio dell'estate, quando il fidanzato finì la scuola, vennero celebrate le nozze. La cerimonia si svolse secondo le più elevate tradizioni, ma Niobe praticamente non vi partecipò, troppo mortificata dal fatto di avere come sposo un simile ragazzino. Non aveva neanche voglia di guardarlo in faccia. Quando la cerimonia si concluse, il ragazzo non ebbe neanche il coraggio di baciarla. Così, si ritrovarono da soli in una casetta, che era l'eredità di lui. Sorgeva al centro di una radura, vicino a una palude, e se era un luogo piuttosto piacevole durante il giorno, per coloro che amavano quel genere di atmosfera, risultava piuttosto sinistro di notte. Probabilmente la cosa non era neanche del tutto casuale; una coppietta di sposini in fondo avrebbe dovuto godere di una situazione simile, chiusa in casa quando faceva buio, stretti
l'uno all'altra in cerca di calore e sicurezza. La casetta, insomma, offriva grandi possibilità romantiche. Ma Niobe non ebbe alcun problema a resistere a queste tentazioni. Avvolse il suo splendido corpicino in una voluminosa trapunta, un dono di nozze, e si mise a letto. Il giovane Cedric invece si sistemò a terra accanto al focolare, godendo del calore delle braci. Col passare delle ore il silenzioso gelo della notte aumentò d'intensità, ma nessuno dei due si mosse dal suo posto. Così passarono la loro prima notte di nozze, la donna e il bambino, in silenzioso isolamento. Al mattino Cedric si svegliò per primo, alimentò il fuoco nel caminetto e uscì per adempiere suoi bisogni e a prendere altra legna. Niobe si svegliò al suono dell'ascia che spaccava ceppi. Era un rumore piacevole, poiché l'aria del mattino era effettivamente piuttosto fredda. Presto avrebbe goduto di un bel teporino. O no? Ricordò che il caminetto non era un metodo molto efficiente per riscaldare una casa. Una buona stufa poteva generare fino a sei volte il calore di un caminetto con la stessa quantità di legna. Avrebbe provveduto; in casa c'era una stufa, e anche se sapeva di non essere un genio, poteva cavarsela abbastanza bene per quanto riguardava le questioni pratiche quando ne aveva bisogno. E una cosa era certa: aveva bisogno di scaldarsi bene le mani per poter adoperare il telaio in maniera adeguata. Indossò un mantello sopra la vestaglia da notte e uscì per andare ai servizi. Accanto al sedile di legno c'era un vecchio catalogo mezzo strappato e un secchio pieno di cenere. Era una buona cosa, efficace, pensò Niobe, poiché quello era il luogo classico per la riflessione. Si poteva leggere ogni pagina del catalogo prima di usarla, oppure semplicemente osservare le illustrazioni. Si edificava la mente mentre si purificava il corpo. La cenere serviva per ricoprire gli escrementi e soffocarne l'odore, e naturalmente ce n'era in abbondanza in casa. I rifiuti venivano poi usati periodicamente per concimare il giardino. Era un metodo antiquato, ma efficace; non si sprecava proprio nulla. Nonostante ciò, Niobe avrebbe preferito un gabinetto moderno da città. Quando uscì, rabbrividendo per il freddo, si fermò a osservare Cedric al lavoro. Il ragazzo non sembrava avere freddo per niente; l'attività fisica lo riscaldava. Niobe dovette ammettere che era piuttosto bravo a spaccar legna. Poneva i ceppi su un ciocco più grande che serviva da base, e a ogni colpo ne tranciava uno esattamente a metà. Era un ragazzo, ma piuttosto robusto; e ogni colpo d'ascia delineava i muscoli delle sue braccia. La
chioma bionda gli svolazzava intorno alla testa, e la mascella si serrava al momento di calare la lama. Niente da dire, era proprio un bel ragazzino! Cedric la vide e si fermò. «Avete freddo, signorina Niobe» disse con il forte accento dei boscaioli che, come il corpo di Niobe, era più facile da immaginare che da descrivere. «Prendete la mia giacca finché non porto dentro la legna. Tanto io ormai ho caldo.» «Non chiamarmi signorina» protestò lei. «In fondo, sono tua moglie.» Le bruciava dirlo, ma era una realtà che non poteva negare, e la sua onestà non gliel'avrebbe mai permesso. Un matrimonio, per quanto mal concepito, era pur sempre un matrimonio. Cedric si bloccò, leggermente stupito. «Uh, certo. Credo di sì. Ma sapete, signora, io non credevo di sposarmi così; non ho neanche finito la scuola.» Avrebbe dovuto immaginarlo! «Non lo credevo neanch'io» disse. «Perlomeno non...» «Non con un ragazzino ignorante!» concluse lui con un sorriso rassegnato. «Ma ora prendete la mia giacca prima che vi si congelino le dita dei piedi signori... uh, signora.» Le si avvicinò, porgendole la giacca. «Aspetta un attimo» disse lei, decisa a sottolineare la sua indipendenza anche in questo. «Tu sembri molto più a tuo agio di me. Dammi un po' quell'ascia.» «Oh, ma questo lavoro non è buono per donne, signora! Ci penso io.» «Vuoi dire "questo non è un lavoro da donne"» lo corresse, infastidita dall'errore. «È quello che ho detto!» sottolineò Cedric, poi si bloccò, imbarazzato. «Ah, volete dire il modo in cui l'ho detto. Mi dispiace. Sono solo un ragazzo dei boschi, signora, e mi dispiace che siate rimasta incastrata con...» «Ciò che è fatto è fatto, Cedric» disse lei con fermezza. Sottrasse l'ascia dalla sua presa, sapendo che il ragazzo non avrebbe opposto resistenza a un adulto, piazzò un ceppo sulla base e lo colpì con forza, scheggiandone però solo un angolo. La lama schizzò di lato e si conficcò nel terreno a pochissima distanza dal suo piede destro. «Uh, signora, per favore...» intervenne Cedric con tono preoccupato. «No, posso farcela!» insistette lei sollevando nuovamente l'ascia in una traiettoria incerta. Cedric balzò per intercettarla. «Lasciate che vi aiuti, signora. Senza offesa.» «Hai paura che ti rompa l'ascia!» lo accusò.
«No, signora! Ho paura che vi taglierete via un dito, e non vorrei certo che succedesse qualcosa di brutto a un piede così grazioso.» Niobe si rilassò. La sua diplomazia era efficace in quanto spontanea. «In effetti è vero! Ci sono andata vicino prima, no? Con tutti i miei studi sugli alberi, non ho mai spaccato in due un cepo in vita mia...» «Un ceppo, signora» la corresse prontamente lui. Niobe non poté fare a meno di ridere. «Ma certo! Non uso la lingua come dovrei!» «Oh, no, signora, voi parlate molto bene» disse lui. «Ora, prendete il manico in questo modo, e...» Appoggiò le mani su quelle di Niobe, sistemandole sul manico nella maniera appropriata. Le mani di Cedric erano molto più grandi delle sue, robuste e callose, e sembravano sproporzionate rispetto al resto del corpo. Niobe si domandò se i ragazzi, come i cuccioli di cane, avessero le zampe già grosse mentre erano ancora in crescita. Se era così, nel giro di poco tempo Cedric sarebbe diventato un giovane gigante. «Come mai hai le mani così ruvide, visto che la tua è una famiglia di studiosi?» domandò lei quasi soprappensiero. Cedric allontanò immediatamente le mani. «Oh, sapete, a volte combatto...» disse con imbarazzo. Combattimenti. Be', in fondo era un ragazzo. «Ah. Ma credo che qui non ce ne sarà bisogno» l'informò in tono gentile. «No, certo che no» borbottò lui stropicciando i piedi per terra. «Mi stavi mostrando come si usa l'ascia» disse allora lei, quasi impietosita. Cedric le impostò la presa e la posizione, e guidò il suo colpo sul ceppo. Niobe sentì la forza del corpo e delle braccia che si muovevano in concerto con le sue. Era incredibilmente forte per la sua età. Questa volta la lama piombò dritta al centro del ceppo, tagliandolo in due di netto. Le due metà non volarono via, poiché il colpo non era stato molto forte, ma non offrirono ulteriore resistenza. Niobe tentò di spaccare il successivo da sola, seguendo la procedura che le aveva mostrato. Il colpo non risultò abbastanza forte, ma era notevolmente vicino al centro. Fu una piccola vittoria per lei, anche se forse era dovuta alla sua grande coordinazione manuale appresa con l'uso del telaio; normalmente non aveva problemi in questo senso, tranne che con oggetti troppo pesanti. Ma ora l'ascia era incastrata nel ceppo. Tentò di smuoverla, ma senza
successo. «Basta che la sollevate, la girate e date un colpo dalla parte opposta, signora» consigliò Cedric. Niobe seguì il consiglio, sforzandosi un po' per sollevare il pesante ceppo, e colpì la base con la parte posteriore dell'ascia. Il ceppo si spezzò in due sulla lama e cadde a terra. «Oh, ha funzionato!» esclamò compiaciuta. «Sicuro, signora» assentì Cedric. «Ci siete portata.» «Sono portata...» Ma si rese conto che non era il caso di fare la maestrina; non era un atteggiamento da brava moglie. «No, non è vero. Sono solo una principiante. Però è divertente!» Si dedicò a tagliare legna per qualche minuto, e presto si sentì abbastanza a suo agio da togliersi il mantello. «Se avessi saputo che spaccare la legna dava tanta soddisfazione, avrei iniziato già da tempo» disse ansimando. «Be', di sicuro siete molto bella mentre lo fate» ribatté Cedric. «Non è vero!» protestò lei, compiaciuta. «Invece sì, signora. Siete una gran bella donna.» «E tu sei un gran bel ragazzino. Ma mi sono stancata; andiamo dentro a fare colazione.» «Ma dico sul serio, signora. Voi siete la donna più bella che abbia mai visto, soprattutto quando vi muovete a quel modo.» Niobe abbassò lo sguardo. Era tutta sudata per lo sforzo, respirava profondamente, e la camicia da notte le si era appiccicata al seno. Non era esattamente quella la sua idea della bellezza femminile, ma era ugualmente lusingata. «Anch'io dico sul serio, Cedric. Sei un giovane Adone. Quando sarai più grande, farai perdere la testa a un sacco di ragazze.» Si bloccò, turbata, rendendosi conto di ciò che aveva detto. Far perdere la testa alle ragazze? Ma lui era già sposato, e con lei! Sentì il viso che le diventava paonazzo. Cedric non disse nulla. Si chinò per raccogliere un carico di legna, che portò nella casetta. Ma dal rossore sul suo collo si capiva che si sentiva imbarazzato almeno quanto lei. Era molto giovane e non aveva alcuna esperienza in campo sociale, ma era un bravo giovanotto, di buone intenzioni. La loro posizione era disagevole per lui almeno quanto lo era per lei. «Cedric, io...» Ma che cosa poteva dire senza aggravare ulteriormente la situazione? Meglio lasciar perdere. Una volta in casa, gli spiegò della stufa. «Certo, signora» rispose lui con tono amabile. «D'inverno la usiamo.» Le mostrò la sua abilità nell'accenderla, assicurandosi che la cenere non intasasse le prese d'aria, regolando
la valvola di tiraggio, e costruendo con grande cura una struttura di carta, legna minuta e legna grossa. «Quando la stufa è fredda bisogna farla partire piano» spiegò. «Altrimenti si potrebbe crepare.» Ma in breve tempo il calore fu più che accettabile, e Niobe si mise a cucinare frittelle di grano sulla superficie della stufa. «Voi sì che sapete cucinare, signora!» disse Cedric mentre divorava la sua porzione. Aveva un appetito da lupi, come era giusto per un ragazzo che doveva crescere. «Sono una donna» rispose Niobe con una smorfia. «Lo siete eccome!» assentì lui con entusiasmo. Niobe cambiò argomento. «Così non avevi intenzione di... di sposarti?» «Cavolo, signora, io non ero pronto per una roba del genere!» confermò. «Io non so nulla sulle donne. E poi volevo finire la scuola ed entrare nella squadra di atletica, così potevo almeno combinare qualcosa con me stesso. Ma sapete com'è, quando la famiglia prende una decisione...» «Lo so» disse lei. «Immagino che non sia un segreto per te il fatto che anch'io fossi contraria... voglio dire, io non ti conoscevo neanche, Cedric. Sapevo solo il tuo nome, la tua età, e sapevo che venivi da una buona famiglia. Non c'è niente di personale...» «Sì, la mia è una buona famiglia. E anche la vostra, ed è per questo che... va be', lo sapete.» Scrollò le spalle. «È solo che... be', non ero esattamente pronto ancora.» Niobe scoprì di avere una certa simpatia per quel ragazzo onesto e per niente presuntuoso. Le venne un'idea. «Ascolta, Cedric, perché non puoi andare a scuola lo stesso? In fondo ce lo possiamo permettere, e se veramente ci tieni alla tua educazione...» Il viso di lui s'illuminò. «Ehi, dite sul serio, signora? Mi lascereste andare?» «Penso che ti incoraggerei, Cedric.» «Ma voi rimarreste qui da sola, signora, e...» «Sarei abbastanza al sicuro. Non ci sono draghi in questa foresta.» Sorrise. Il ragazzo non disse nulla, come intontito. Il sorriso di Niobe faceva spesso questo effetto sugli uomini. Poi fece una smorfia. «Ma la magia c'è però» disse con tono cupo. «Quegli alberi lanciano incantesimi...» «Non a coloro che li capiscono» replicò Niobe. «Io ho studiato la magia della foresta palustre. Quegli alberi e quelle piante non desiderano altro che vivere e lasciar vivere. È chiaro che se entri nella foresta marciando
con un'ascia in spalla...» Cedric rimase allibito. «Ehi, non ci avevo mai pensato! Se ero un albero, non mi piacerebbe neanche a me!» Fece una pausa. «Ehi... so di aver sbagliato qualcosa in questa frase, signora. Non potreste...» «Se "fossi" un albero, non piacerebbe neanche a me, senza il "mi"» disse lentamente Niobe. «Devi imparare a usare il congiuntivo.» «Dove, signora?» «Non puoi dire che "eri" un albero perché non lo sei mai stato, quindi devi usare il congiuntivo "fossi" per far capire che stai facendo un'ipotesi o un esempio.» «Ma sicuro!» rifletté Cedric. «Voi sì che sapete spiegare le cose, signora!» «Cedric, lo sai che non c'è bisogno che tu mi dia del voi e che mi chiami "signora"» gli disse con tono gentile. «Be', è una forma di rispetto per una persona più anziana...» Niobe sorrise nuovamente. «Ora siamo pari, Cedric. Io ho fatto una gaffe quando eravamo fuori, e forse tu ne hai fatta una adesso. Ci troviamo in una situazione un po' difficile, ma dobbiamo cercare di tirarne fuori il meglio. Col tempo non noteremo neanche più i cinque anni di differenza che ci separano; in realtà non sono molti. Se fosse stato il contrario...» «Già, gli uomini dicono che sedici anni è l'età perfetta per una donna» acconsentì lui. «Buffo, non è vero?» «Forse è proprio così, sempre ammesso che alla ragazza non importi nulla della sua educazione.» Cedric divenne nuovamente serio. «Sai, nella mia famiglia sono tutti molto intelligenti... ma sei sicura di quello che hai detto sulla scuola?» «Se lo sei tu, lo sono anch'io.» «Certo che lo sono! Voglio diventare intelligente.» «Tanti auguri» mormorò lei. Lui le fece l'occhiolino, e Niobe si rese conto che aveva captato l'ironia del suo commento. Divenne improvvisamente paonazza in viso; il ragazzo era abbastanza furbo da capire cosa pensava di lui. «L'ho fatto di nuovo» disse lei col viso che le bruciava. «Te ne devo una.» «No, mi avete già ripagato spiegandomi il condizionale, signora.... oops!» Niobe scoppiò a ridere in maniera quasi isterica, e Cedric la seguì a ruota. Sapevano entrambi che non c'era nulla da ridere, ma servì a sciogliere la tensione. Finirono la colazione in silenzio.
La giornata si scaldò rapidamente. Niobe si vestì, lavò i piatti e mise in ordine la casetta; era una persona che credeva nell'ordine. Cedric portò dentro altra legna, per non avere problemi il mattino seguente. Poi la situazione divenne nuovamente imbarazzante, poiché non avevano nulla da fare. Niobe sapeva che normalmente questo non era certo un problema per una coppia di sposi novelli. «Potrei preparare il mio telaio» disse. Ma non le sembrava una cosa molto appropriata da fare il primo giorno di matrimonio. «E io potrei andare a cercare un sentiero per correre» disse lui. Vero; aveva detto che gli piaceva l'atletica. Se tornava a scuola, avrebbe avuto l'opportunità di farlo attivamente, quindi l'allenamento non gli avrebbe certo fatto male. Ma anche lui era dubbioso, in quanto sapeva che non era esattamente questo ciò che facevano di solito gli sposi novelli. «Lascia che venga con te» gli disse Niobe. «Facciamo una passeggiata nella foresta, esploriamo un po'. Sono curiosa di verificare la magia locale.» Cedric sorrise. Una passeggiata insieme era decisamente un'occupazione più adatta alla situazione. «E non mi porterò l'ascia» disse. «Così non spaventerai gli alberi» assentì lei. S'incamminarono, ed era meraviglioso. Il fogliame non era ancora stato ingiallito dal calore dell'estate, e la forte luminosità della giornata teneva lontane le zanzare. Scoprirono un sentiero che portava allo stagno, dove la base del tronco degli alberi era più ampia e il muschio ricopriva le cortecce fino a una certa altezza. Allora Niobe tirò fuori la sua conoscenza in materia di magia naturistica. Gli mostrò come le enormi querce acquatiche estendessero i loro incantesimi protettivi ai pesciolini che vivevano fra le loro radici contribuendo alla loro fertilizzazione, e come si poteva vedere l'amadriade, la ninfa degli alberi, se si aveva la pazienza di rimanere immobili e di cercarla veramente. «Lei muore quando muore il suo albero» gli spiegò. «Ed è per questo che è tanto sensibile alla vista di un'...» si bloccò, poi scandì le lettere una per una: «a,s,c,i,a.» «È molto bella» confermò lui. «Quasi quanto te. D'ora in poi, non taglio... non taglierò più legna viva.» Niobe fu percorsa da una tiepida ondata di piacere. Era un atteggiamento sciocco, lo sapeva, ma le piaceva che le ricordassero la sua bellezza. Inoltre, le ninfe erano il tipico standard di bellezza con cui venivano misurati gli esseri mortali. Le ninfe rimanevano eternamente giovani e flessuose, sempre ammesso che il loro albero fosse in buona salute. Un esperto in pa-
ludi poteva diagnosticare i malanni di un albero semplicemente osservando la sua ninfa. Proseguirono, infangandosi i piedi nella parte più melmosa del sentiero. «Magari potremmo prosciugare questa palude e coltivare la terra, che dev'essere fertilissima» disse Cedric. «Prosciugare la palude!» ripeté Niobe, esterrefatta. «Ma è di vitale importanza per la foresta! È la sua provvista d'acqua. Qui si raccoglie l'acqua pluviale in eccesso, che poi serve da sostentamento per le piante quando non piove per un po'. Senza questa palude, la foresta perderebbe parecchi dei suoi migliori alberi, e non solo quelli che vi crescono accanto. L'acqua s'infiltra dappertutto sottoterra, e le radici degli alberi la trovano... ed è proprio la palude che mantiene il giusto livello.» Poi, presa dal suo grande entusiasmo per le paludi, Niobe si mise a cantare: Voglio ballare fra le paludi. Negli stagni e nei pantani. Sì, voglio ballare fra le paludi Con gli uccelli, i pesci e le rane. Cedric la fissò e ascoltò, a bocca aperta, fino alla conclusione del suo canto. Voglio ballare fra le paludi, nel luogo in cui la natura vive E piangerò le mie lacrime tutte... quando le paludi saranno asciutte. Sì, piangerò le mie lacrime tutte... quando le paludi saranno asciutte. Niobe si fece talmente prendere dalla canzone che alla fine il suo viso era coperto di lacrime. Cedric ne fu toccato. «Niobe, ti prego, non piangere! Non prosciugherò mai le paludi. Mai!» La ragazza gli sorrise, poi accettò il suo fazzoletto per asciugarsi le lacrime. «È solo una canzone, Cedric.» «Sì, è solo una canzone» assentì lui. «Ma tu... tu sei speciale.» «Grazie» rispose, commossa. Sapeva di non essere una grande cantante. L'impulso le era venuto all'improvviso, e si era aspettata che lui scoppiasse a ridere. Invece Cedric era rimasto evidentemente colpito, e la cosa la lusingava.
Completarono il loro giro della zona, quindi tornarono alla casetta. Ripensandoci, Niobe si rese conto che per la prima volta l'aveva chiamata per nome. Non sapeva esattamente che cosa pensare di questo, ma in effetti era stata lei a insistere che non la chiamasse più "signora" o "signorina", e certamente aveva tutti i diritti di darle del tu e di chiamarla per nome. Dopotutto era suo marito... almeno di nome. «Mi dedicherò allo studio delle paludi!» dichiarò improvvisamente Cedric. Ah, l'impeto della gioventù! «È uno studio che vale la pena di fare» disse lei con cautela. «Ma naturalmente non devi limitare troppo i tuoi interessi.» Cedric si limitò a guardarla. Il suo sguardo le ricordò quello del cane di casa sua quando veniva adulato e accarezzato. Le ci sarebbe voluto del tempo per adattarsi completamente a quella situazione. Nonostante ciò, ora si sentivano più a proprio agio l'uno con l'altra. Niobe faceva da mangiare usando le provviste della casa, e quando furono finite Cedric andò in paese a prendere altra roba, che trasportò con il suo zaino. Gli piaceva molto camminare; era un vero sportivo, e in più aveva la dirompente energia della gioventù. Si dedicarono anche a piccoli giochi di società, tra cui una gara d'indovinelli. Niobe scoprì presto che il suo marito novello aveva un'intelligenza molto elastica e agile, e che poteva batterla facilmente in questo genere di competizione. Gli pose l'indovinello che aveva fatto impazzire la sua famiglia per anni: come fare attraversare un fiume a sei uomini con una barca da due persone e ad alcune particolari condizioni, e lui lo risolse immediatamente, come se non si trattasse nemmeno di una cosa difficile. Inoltre Cedric apprese rapidamente a parlare in maniera corretta, tanto che in poco tempo iniziò a esprimersi in maniera pressoché perfetta. Niobe iniziò a capire perché nella sua famiglia fossero tutti studiosi. Nel frattempo, lui le insegnò a occuparsi delle questioni più pratiche, come il modo in cui andava messa via la legna per l'inverno affinché non marcisse e come svuotare la fossa biologica. Ciò nonostante, lei continuava a dormire a letto, e lui davanti al camino; non c'era contatto fisico fra loro. Nel giro di due settimane Niobe imparò a conoscere Cedric, meravigliandosi sempre più delle sue qualità superiori. Era un ragazzo forte e intelligente, molto ben disposto e con un buon potenziale... ma era pur sempre un ragazzo. Ed era anche suo marito. Niobe sapeva che non poteva
mandarlo al college senza aver consumato il matrimonio, ma come poteva fare? Non aveva alcuna esperienza in questo campo, e ben poca inclinazione. Eppure, era più che evidente che Cedric non avrebbe fatto nulla per favorire quel particolare avvenimento, e la trattava con un rispetto che sconfinava quasi nell'adulazione. Di conseguenza, la cosa dipendeva da lei. «Cedric» gli disse un pomeriggio. Gli occhi del ragazzo incontrarono il suo sguardo e si scostarono subito, intimiditi. «Ah, Niobe, siamo già arrivati a questo punto?» A volte era come se le leggesse i pensieri. «Quando la luna di miele sarà finita, mia madre mi chiederà se ci sono buone notizie, e anche tuo padre te lo chiederà.» Cedric sospirò. «E vero. Ma non sono tanto ingenuo da credere di poter forzare l'attenzione di una donna che non mi ama.» «Oh? Sei stato già amato prima d'ora?» Scosse il capo, imbarazzato. «Mai. Mi manca l'esperienza.» «Anche a me» ammise Niobe. «Ma per te è giusto che sia così!» Niobe non poté fare a meno di ridere. «Cedric, sono sicura che se ti avessero permesso di aspettare ancora un po' prima di sposarti, l'esperienza non ti sarebbe mancata. Ma non posso certo condannarti per questo. Significa che verrai da me... prestino.» «Ho solo sedici anni» le ricordò in tono difensivo. «Certo, fra i ragazzi della mia età se ne parla parecchio, ma sono sicuro che non sono l'unico che non ha mai...» scrollò le spalle. «Certamente» intervenne subito lei. «L'ipocrisia è un doppio standard. È molto meglio se un uomo e una donna...» ebbe un attimo di esitazione «imparano assieme.» «È difficile...» anche Cedric ebbe un attimo di esitazione. «Se tu mi amassi quanto io amo te sarebbe...» si bloccò notando la reazione di lei, e subito arrossì. «Che cos'hai detto, Cedric?» «Fu uno sbaglio della lingua» disse ritirandosi nuovamente nel suo dialetto approssimativo mentre diventava ancora più rosso. «Scusami.» «Ti scusi... perché ami tua moglie?» «Ma lo sai...» disse con tono patetico. «Non è vero!» «Che cosa, il matrimonio o il tuo amore?» Strisciò un piede per terra. «Oh, lo sai. Tu sei una donna eccezionale, così fantastica che mi gira la testa solo a guardarti, e poi sai un sacco di
cose, hai classe, ti meriti certamente di meglio e non hai chiesto tu di sposare me. Non voglio peggiorare la tua situazione. Io sono solo un ragazzino.» Niobe, con il cuore che le batteva forte, s'impuntò su una sola cosa. «Quando? Quando ti sei accorto che mi amavi?» Cedric scrollò le spalle, come se si trattasse di una questione poco importante. «Il primo giorno che siamo stati assieme, quando ti sei messa a cantare allo stagno. Quando hai pianto per le paludi. Non avevo mai sentito nulla di così...» allargò le braccia, non trovando le parole. «Ma se non so neanche cantare!» «Ma tu credi!» disse lui con tono serio. «Tu ami veramente le paludi, e ora le amo anch'io, grazie a te. Ciò che tu ami, l'amo anch'io.» «Cedric, non avevi mai detto...» «Per fare la figura dell'idiota davanti a te?» domandò leggermente amareggiato. «Per farti magari scappar via? Solo perché c'è uno sciocco ragazzino che è cotto di te? Non sono così stupido.» «Ma tu non sei affatto stupido! Sei un bravo ragazzo... un bravo giovanotto! Sono sicura che...» «Per favore, non possiamo fare a meno di parlarne?» «No, invece! Cedric, non posso dire di essere innamorata di te... quel genere di cosa avviene in maniera più graduale per una donna, e...» «E ci vuole un uomo.» «Cedric!» Cedric si limitò a fissarla, poi scostò lo sguardo. Niobe capì che non c'era modo di fargli dimenticare la realtà, cioè che lei non lo vedeva ancora come un uomo. Nella vita Niobe era quasi sempre riuscita a far andare le cose come voleva. Ma questa volta la sua bellezza agiva contro di lei. Si rese conto che era ora di crescere anche per lei. Avrebbe fatto ciò che andava fatto. «Cedric, abbiamo già discusso prima di questa faccenda dell'età. Non è che una convenzione. In realtà non ha importanza. L'amore stesso non ha importanza. Siamo sposati.» «L'amore non ha importanza?» «Non intendevo esattamente questo. Certo che ha importanza! Volevo solo dire che sono pronta a fare ciò che devo fare, senza aspettare qualcosa che potrebbe anche non... voglio dire che non è ancora...» «Capisco ciò che vuoi dire» disse lui con tono grave.
«Io ti rispetto, Cedric, e sono tua moglie. Esistono molte donne sposate con uomini in età matura che non... che fanno ciò che devono fare a prescindere dai loro sentimenti personali. È giunta l'ora di rendere il nostro matrimonio... vero.» «No! Non con una che non mi ama. Non è giusto!» Anche lei era d'accordo, ma doveva contraddirlo. «E perché no?» «Sarebbe come v...» si bloccò sulla parola. Niobe arrossì. «Violentarmi?» Cedric annuì. Niobe si sentì come in una fossa che diventava sempre più profonda ad ogni suo tentativo di uscirne. Dov'erano gli eufemismi, i comodi riferimenti indiretti che addolcivano la sfortunata realtà? Cedric non era disposto a mentire, e neanche lei, e il loro matrimonio stava colando a picco ancor prima d'iniziare sullo scoglio tagliente della lealtà. Qual era il modo migliore per raddrizzare la situazione? Stavano tentando entrambi di fare la cosa giusta, e per colmo d'ironia erano entrambi d'accordo su quale fosse la cosa giusta da fare, ciò nonostante erano contrari. Naturale che l'amore dovesse essere reciproco! E non lo era. Poteva dargli il suo corpo e i suoi migliori auguri, ma non il suo cuore. Non ancora. Sentì le lacrime salirle agli occhi. «Oh, per favore, non fare così!» la supplicò lui. «Non sopporto di vederti triste.» «Cedric, non è colpa tua. Tu hai ragione, sai. Hai bisogno di una donna che ti ami, e io spero di...» le lacrime ora sgorgavano a fiotti, stroncandole la voce. «Oh, signorina...» iniziò lui. «Signora» lo corresse, sforzandosi di sorridere. «Farei qualsiasi cosa per renderti felice! Ma non so come farlo!» «Allora fammi innamorare di te!» Nel silenzio che seguì si resero entrambi conto di ciò che aveva detto. Cedric scosse il capo, perplesso. «Niobe, come...?» «Come farebbe qualsiasi altro uomo. Fammi la corte!» La guardò di sbieco. «E tu l'accetteresti?» «Credi forse di essere un mostro, Cedric? Se mi ami veramente, provamelo!» «Lo farò!» esclamò. «Vieni alla quercia dove hai cantato per me, e io canterò per te.» «Sì!» esclamò lei, come se si trattasse di una soluzione eccezionale. E in
un certo senso, lo era. La consapevolezza di essere amata la eccitava e la lusingava; non era mai stata amata in quel modo prima di allora. Si recarono alla quercia nello stagno, e lei si sedette su una delle radici sporgenti dell'albero, appoggiando la schiena al tronco possente. L'amadriade li scrutò nervosamente dalle foglie più alte, domandandosi che cosa avessero in mente. Cedric si mise in piedi davanti a lei, poi si appoggiò su un ginocchio, come mettendosi in posa. Niobe rimase seria; non voleva rovinargli tutto. Il ragazzo inspirò e iniziò a cantare: Vieni a stare con me, diventa il mio amore, E proveremo tutti i piaceri nascosti Delle colline e dei campi E dei monti impervi. La sua voce era un po' ruvida ma forte e limpida. Aveva un buon controllo del tono, e ci metteva parecchio sentimento. Era una bella canzone, con una melodia suggestiva, e Niobe ne fu colpita. E ci siederemo sulle pietre Guardando i pastori che pascolano il gregge. Continuò a cantare, allungando una mano per prendere quella di Niobe. Su torrenti alle cui cascate. Uccelli melodiosi cantano madrigali. Quando la toccò, accadde qualcosa. Improvvisamente Niobe percepì una musica, come di una grande orchestra, che riempiva la foresta con la forza del suo suono. La voce di Cedric sembrava amplificata, magnifica, evocativa, irresistibile, fantastica. Rimase immobile, colpita, ipnotizzata dalla sua incredibile presenza e da quella musica fenomenale, e ne uscì solo quando la canzone terminò. ...Se questi splendori muovono il tuo ardore. Stai con me, diventa il mio amore. Quando smise di cantare, anche la musica grandiosa cessò. «Che cos'e-
ra?» domandò Niobe, sgomenta, stringendogli ancora la mano. Cedric assunse un'espressione preoccupata. «C'è qualcosa che non va?» «Quella... quella musica! Da dove veniva?» «Oh, quella. Credevo che lo sapessi. È la mia magia. È una cosa che gira nella mia famiglia. Mi dispiace di averti...» «Ti dispiace!» esclamò lei. «Ma è qualcosa di assolutamente fantastico! Come fai?» Scrollò le spalle, lasciando andare la mano. «Succede quando canto e tocco; guarda.» Appoggiò la mano sul tronco dell'albero, e cantò: Vieni a stare con me, diventa il mio amore. Niobe non sentì nulla di particolare, ma l'albero ebbe un fremito, come se stesse vibrando in risposta a un suono potentissimo, e la driade per poco non cadde dal suo ramo. Niobe appoggiò a sua volta la mano sull'albero, e l'orchestra ritornò. E proveremo tutti i piaceri nascosti. «Cedric... è fantastico! È... è un'esperienza!» Non era in grado di trovare altre definizioni. «È semplicemente... così.» Cedric sembrava imbarazzato dai suoi complimenti. «Canta ancora» lo incitò. «Ma la canzone è finita. Segue solo la risposta della dama.» Niobe gli prese la mano. «E allora cantami quella, Cedric!» Cedric cantò, e l'orchestra suonò in concerto, rafforzando la sua voce e portandola allo stesso livello trascendentale che aveva espresso prima. Non si trattava di un semplice suono o di una semplice musica; era come se ci fossero più di tre dimensioni, come se una pura sensazione emotiva fosse stata trasformata in melodia. L'amore può essere forse più di questo? si domandò Niobe. Se giovani fossero il mondo e l'amore E se sincera sempre fosse la lingua del pastore, Questi dolci piaceri muoverebbero il mio ardore Starei con te, e sarei il tuo amore.
La risposta della dama era chiaramente negativa, ma non aveva importanza; il potere evocativo rimaneva intatto. Niobe si rese conto che l'effetto sarebbe stato uguale a prescindere da che cosa cantasse Cedric. Rimase rapita fino all'ultimo versetto: Se gioventù e amore durassero per sempre, Se le gioie non avessero età o bisogni Questi dolci pensieri muoverebbero il mio ardore Starei con te, e sarei il tuo amore. La canzone finì, e con essa la magia. Ma ora Niobe osservò Cedric con rinnovata stima. Aveva veramente dei poteri magici, e l'amore era possibile. «Portami a casa, Cedric» gli disse. Ma quando ebbero raggiunto la casa, Niobe si era già ripresa. In fondo si trattava solo di magia; Cedric non era diverso da prima, e in realtà la loro situazione non era cambiata affatto. Non aveva senso fare qualcosa che in seguito avrebbe potuto dispiacerle. Di conseguenza non forzò la situazione, e tantomeno lo fece Cedric, e il loro matrimonio rimase inconsumato. Una settimana dopo, Niobe si rese conto che il tempo iniziava a scarseggiare. Li avevano lasciati da soli un mese e presto sarebbero venuti in visita i loro genitori. Niobe rifletté su questo prima di addormentarsi. «Se ne accorgeranno» disse, alzandosi improvvisamente a sedere sul letto. «Già» disse Cedric dal suo angolino. «Cedric, vieni qui» disse con tono perentorio. «Dobbiamo aggiustare questa faccenda. Altrimenti non avremo neanche il coraggio di guardarli in faccia.» Cedric si alzò, e si fermò ai piedi del letto. Era come se avesse paura di lei. «Cedric, in fondo non è poi così complicato» disse. «Ci hanno raccontato degli uccelli e delle api, e abbiamo visto gli animali.» «Ma tu non sei un animale!» proruppe lui, scandalizzato. Questa reazione la colse di sorpresa. La situazione rimaneva imbarazzante. Se fosse entrato nel letto come un toro entra nel recinto dell'accoppiamento lei si sarebbe spaventata un po', ma l'avrebbe tollerato; sua madre le aveva detto che gli uomini erano fatti così. Almeno, per usare una metafora, si sarebbe rotto il ghiaccio. Quella metafora la fece sentire un attimo a disagio, ma forse era appropriata. In ogni caso, erano nei guai. «Scordati degli animali»disse infine. «Vieni a letto con me. È ridicolo
dormire separati in questo modo.» Cedric si avvicinò, e si sdraiò con visibile imbarazzo accanto a lei. «Non tutto vestito!» esclamò lei. «Oh, signora, non potrei mai...» Niobe allungò una mano per prendere la sua. Era fredda e rigida. «Cedric, hai forse paura di me?» «Oh, no, signora!» protestò lui. Ma stava tremando. «Di... ciò che dobbiamo fare?» «Terrorizzato» acconsentì. «Cedric, è ridicolo. Lo sai che mi piaci, e se ti inetti a cantare...» «Quella è magia, non sono io.» E lui voleva che amasse la sua persona, non la sua magia. Non aveva tutti i torti. Ciò nonostante, Niobe sospettò che si trattasse soprattutto di una scusa per giustificare la sua paura. «Cedric, lo so che non sei un codardo. Cos'è che ti dà fastidio?» «Non posso... non potrei mai farti una cosa del genere, signora.» Ancora con questa "signora"! Invece di avvicinarli, riusciva solo ad aumentare l'abisso che li separava. «Perché no?» «Perché sei così... così splendida e bella e...» scrollò le spalle, non essendo in grado di esprimersi adeguatamente. «Ma Cedric, io sono tua moglie!» «Non per tua scelta!» Questo era un terreno fin troppo familiare; doveva cambiare rotta. «Ma la scelta non è stata neanche tua, Cedric. Siamo due persone unite dalle circostanze e dalla volontà delle nostre famiglie, che hanno realmente cercato di ottenere il meglio per noi, e ora...» «Una donna e un bambino» l'interruppe lui. Ci risiamo. Si sentiva inadatto, e dentro di sé, Niobe non poteva dargli torto. Eppure quella situazione andava cambiata. «Ma stai crescendo» disse. «Non credo che crescerò mai abbastanza per te.» «Oh, Cedric, non è assolutamente vero!» protestò. Ma sapeva che in quel momento era come una madre che incoraggia suo figlio. Quel dialogo non lì avrebbe portati da nessuna parte. Come tutti gli altri, del resto. Niobe rifletté, mentre Cedric rimaneva sdraiato in un imbarazzante silenzio. Dopo un po' disse: «Cedric, forse stiamo cercando di forzare i tempi. Andiamo per gradi. Spogliati, infilati sotto la trapunta accanto a me e dormi, per stanotte. Niente più.»
«Promesso?» Niobe rise. «Promesso. Che cosa credi che potrei farti?» Fu costretto a ridere anche lui, ma la sua risata era tesa. «E se fa freddo?» «Allora ci avvicineremo, per dividere il nostro calore sotto la coperta. L'idea è proprio questa, no?» «Ma tu... tu non hai molto addosso.» Niobe si alzò a sedere e si sbottonò la camicia da notte, compiaciuta dalla sua stessa audacia. «Non indosserò proprio nulla.» Cedric si girò su se stesso e cadde letteralmente dalle lenzuola con un tonfo terribile. Preoccupata, Niobe balzò fuori dal letto, vi corse attorno e si chinò per aiutarlo. «Oh, Cedric, mi dispiace moltissimo! Ti sei fatto male?» «Per favore signora... la camicia...» voltò lo sguardo dalla parte opposta. Niobe abbassò lo sguardo, e alla debole luce del fuoco morente vide che la camicia da notte già parzialmente sbottonata si era aperta quasi del tutto, scoprendo parte del suo seno. «Per l'amor di Dio, Cedric, puoi anche guardarmi! Sono tua moglie!» «Ma non è giusto» disse lui, continuando a guardare nella direzione opposta. «Cedric, guardami!» ordinò. Ma Cedric non si voltò. La rabbia divampò nel suo petto. Si alzò, marciò attorno al letto e tornò a sdraiarsi. Che cosa doveva fare con quel ragazzino? Poi, mentre l'ira scemava, si rese conto di qualcosa. Ascoltò attentamente. Cedric era appoggiato al Ietto e stava singhiozzando, cercando disperatamente di soffocare il pianto affinché lei non se ne accorgesse. Il sentimento di Niobe si invertì improvvisamente. «Oh, Cedric!» sospirò, spostandosi dalla parte opposta del letto per confortarlo. Ma poi si fermò, rendendosi conto che forse quella era la peggior cosa che potesse fare. Non era sua madre, lui non era suo figlio, e quei ruoli andavano evitati come una peste. All'inizio aveva pensato solo quanto fosse mortificante per lei essere sposata a un ragazzino, ma ora si rendeva conto che per lui il problema era molto più grave. Doveva trovare un modo per liberare entrambi da quei preconcetti, affinché lei potesse essere una donna e lui un uomo. Per quella notte non c'erano speranze. Doveva semplicemente lasciar perdere e tentare di far meglio il giorno dopo.
Il giorno dopo ci provò di nuovo. «Cedric, ubriachiamoci.» Cedric rimase stupito. «Non tocco mai quella roba, signora.» «Niobe» ribatté lei con fermezza. «Chiamami per nome.» «Niobe» acconsentì lui con riluttanza. «Io non bevo, Niobe.» «Neanch'io. Ma c'è una bottiglia di vino sullo scaffale.» «Non Io so. Certe persone diventano pazze quando bevono.» «Sì, è proprio vero!» Cedric sorrise. Sembrava essersi ripreso dal trauma della sera prima, e Niobe si convinse ulteriormente che aveva fatto bene a lasciarlo stare. Quella sera però l'avrebbe portato in quel letto! Aprirono la bottiglia dopo cena. Si sedettero sulla collina dietro la casetta, e guardarono il sole che tramontava. Presero un bicchierino a testa del fluido dorato e bevvero. «Oh, come brucia!» esclamò Niobe. «Brucia sì!» confermò Cedric. «Però, è roba buona!» Riempì nuovamente il suo bicchiere, e lei fece altrettanto, ma bevve il secondo con maggiore cautela. Trovò che in fondo non era poi tanto indifferente a quel bruciore, e in ogni caso non era lei che aveva bisogno di ubriacarsi, ma lui. In poco tempo, il vino raggiunse i loro cervelli. «Ehi, sento la testa leggera!» esclamò lui con tono felice. «Anch'io» disse lei. «Forse sarà meglio rallentare un attimo.» «Rallentare? E perché? È così divertente!» Cedric si riempì nuovamente il bicchiere senza notare che lei non aveva ancora finito il suo, e lo bevve in una sola sorsata. Niobe iniziò a preoccuparsi; era evidente che l'alcol lo stava portando via, e non era ben sicura su dove l'avrebbe portato. «Cedric, cantiamo!» suggerì, prendendogli la mano per impedirgli di versarsi altro vino, almeno per il momento. «Ma certo, Niobe» acconsentì lui allegramente. Senza preamboli, iniziò a cantare: Bevi per me solo con i tuoi occhi, e io brinderò coi miei. Arrivò anche l'orchestra, poiché Niobe lo stava toccando, dando pomposità al suo semplice canto. Ancora una volta la ragazza ne fu rapita. La prima volta che aveva verificato quella magia, aveva pensato che Cedric aveva in sé più di quanto non avesse immaginato. Questa volta si rese conto che aveva ormai sviluppato nei suoi confronti un certo affetto. Poteva anche innamorarsi di quel bel ragazzino, col tempo. Ed era molto più facile
crederci, ascoltando quella musica. Dopodiché cantò una canzone da bevitori, Tre Allegri Conducenti, che parlava di un terzetto di uomini molto allegri durante la serata, che però sapevano che il mattino dopo sarebbero stati sobri e quindi meno contenti. Prendevano in giro l'uomo che beveva birra leggera... Cade come le foglie, in ottobre, così presto! E quello che beveva birra scura... un tipo allegro! Man mano che la mente di Cedric veniva annebbiata dal vino, le note dell'orchestra divennero leggermente scoordinate, come se i suonatori fossero anch'essi alticci. Niobe trovò la cosa decisamente divertente. E per puro caso conosceva quella canzone, quindi poté contribuire per un paio di versetti: Un brindisi alla ragazza che ruba un bacio, e corre a dirlo a mamma. Ma fa una cosa molto sciocca, perché mai un altro avrà! Cedric, ormai ubriaco, sghignazzò divertito. Poi lei si protese verso di lui e lo baciò sulla bocca. Cedric assunse un'espressione perplessa, si chinò in avanti, e vomitò a terra. Oh, no! Aveva bevuto troppo, e ora non stava bene. Al momento non era particolarmente malmesso, ma Niobe sapeva che anche per quella sera era finita. Riuscì a riportarlo in casa, a dargli una ripulita e a metterlo a letto per smaltire la sbornia. Quella notte fu lei a dormire per terra, accanto al caminetto. Al mattino, sconvolto dagli effetti collaterali della sbronza, Cedric prese in mano la bottiglia e fissò il vino che rimaneva. «È uguale identico all'urina!» disse con tono disgustato. Si avvicinò alla porta, e scagliò fuori la bottiglia. Semplicemente, non era tagliato per essere un allegro conducente. Quella sera Niobe ci provò di nuovo. Lo fece sedere sul letto accanto a lei, prese la sua mano, e gli chiese di cantare. Cantò con lui, e la magia li circondò, ed era una sensazione molto simile all'amore. Ma quando venne il momento cruciale, Cedric non ce la fece. La grandezza del compito lo rendeva impotente. Rimase delusissimo, ma nell'intimo del suo cuore Niobe ne fu sollevata. Aveva fatto del suo meglio e aveva fallito. Evidente-
mente non era ancora il momento giusto. «Però, Cedric» gli disse «d'ora in poi dormirai con me in questo letto senza vestiti addosso, e io farò altrettanto.» Cedric la fissò sgomento. «Ma...» «Almeno potremo dire onestamente che abbiamo dormito assieme» spiegò. «Pensi che qualcuno potrebbe credere che abbiamo solo dormito nello stesso letto senza fare nulla?» Dopo qualche secondo Cedric sorrise, sollevato quanto lei, e le s'infilò vicino nel letto, nudo. Era un compromesso un po' pacchiano, ma per il momento doveva bastare. 2 Collegio In autunno Cedric si iscrisse alla scuola locale. Non era lontanissima ma neanche tanto vicina da poterci andare ogni mattino a piedi, e procurarsi un cavallo sarebbe stata una faccenda troppo complessa. Un tappeto magico sarebbe stato l'ideale, ma quelli affidabili erano ancora talmente costosi che non valeva la pena di comprarne uno solo per quest'uso. Alla fine decisero che la miglior cosa era che lui stesse a pensione presso la scuola, e non presero neanche in considerazione questioni d'incompatibilità amorosa. Niobe lo congedò con un bacio e una lacrima e lo guardò mentre si allontanava sulla strada con il suo zaino pieno di vestiti. Avrebbe comperato i libri una volta arrivato, e avrebbe pagato la tassa d'iscrizione e la retta per vitto e alloggio. Avevano risparmiato per questo, e avevano un abbondante margine. Quando fu partito, Niobe si sentì depressa, oltre che dispiaciuta per il fatto che non erano riusciti a far funzionare il loro matrimonio. Cedric era senza dubbio un bravo ragazzo, possedeva una magia meravigliosa, e ormai lei gli si era affezionata parecchio. Naturalmente nessuno sapeva del fallimento del loro matrimonio, o per lo meno i loro parenti erano troppo discreti per avallare sospetti di alcun genere. Con un po' di fortuna, le cose sarebbero andate meglio una volta che Cedric fosse maturato un paio d'anni a scuola, e nessuno l'avrebbe mai saputo. Come ultima risorsa poteva sempre comprarsi un filtro d'amore e berselo; solo che se Cedric se ne fosse accorto avrebbe senza dubbio reagito negativamente, e in ogni caso non aveva intenzione d'ingannarlo. Il problema non era esattamente l'amore.
Nel frattempo, comunque, si sentiva sola. Avrebbe potuto tornare a casa dai suoi genitori per quel periodo, ma sapeva che sua madre, col tempo, sarebbe riuscita a tirarle fuori la verità, e non avrebbe mai sopportato una simile umiliazione. Così, se la cavò da sola. Il tenere la casa era una cosa abbastanza semplice, che le lasciava molto tempo per leggere e lavorare al telaio. Approfondì anche la sua conoscenza con la driade della quercia presso lo stagno. Per il momento, era un'esistenza accettabile. Organizzò la casetta come piaceva a lei, e alla fine risultò piuttosto confortevole. Lavorò nell'orto, e anche questo risultò molto confortevole. Quando ebbe coltivato tutto il terreno attorno alla casa dalla parte dello stagno, decise che era ora di andare a trovare Cedric. Per l'occasione affittò una carrozza. Era decisamente più economica di un tappeto volante, ma anche più lenta, e le ruote la facevano sobbalzare in continuazione sul terreno sconnesso della strada. Ciò nonostante riuscì ad arrivare alla scuola in giornata in condizioni abbastanza accettabili, anche se il suo bel vestito da viaggio era tutto impolverato. Vide subito Cedric che camminava lungo un sentiero che portava dal dormitorio alle aule. Erano passati solo due mesi, ma sembrava essere cresciuto parecchio. Pur essendo una matricola, era il giovane più alto della scuola, e due ragazzine che gli passarono accanto diedero evidenti segni di apprezzamento. Poi Cedric la vide, e sorrise. Era diventato anche più carino! Si vedeva che lì si trovava nel suo elemento. Ma quando si avvicinò a lei, divenne nuovamente diffidente e imbarazzato. Il problema fra loro due permaneva. Visitò la sua camera e fece conoscenza con il suo compagno di stanza, un tipo paffutello dall'aria studiosa. Cedric le mostrò i lavori che aveva fatto fino a quel momento; progetti di bonifica di zone paludose e trattati di magia naturalistica. Le apparve subito evidente che aveva preso la cosa molto sul serio e che stava imparando parecchio. Certamente dava grande soddisfazione ai suoi professori. Ma c'era una cosa che Niobe doveva assolutamente fare. «Dammi il tuo cappello» gli disse. «Il mio cappello?» rispose lui perplesso. «Il tuo cappello della scuola. Quello che indossi per far vedere che sei uno studente. Credo che lo troverai sulla tua testa.» Ancor più perplesso, Cedric se lo tolse e glielo mise in mano. Niobe tirò fuori ago e filo e vi cucì sopra un nastro di seta dal colore brillante. «È per
far capire alle studentesse che sei già sposato» disse con fermezza, ridandogli il cappello. «Oh. Certo. Giusto.» Sembrava imbarazzato. Lo salutò con un bacio molto casto, quindi tornò alla sua carrozza. Mentre tornava a casa scoprì di essere molto rassicurata ma allo stesso tempo leggermente ansiosa, e le ci volle un po' di tempo per scovare quale fosse il motivo che faceva nascere queste sensazioni. Ma poi si rese conto che era felice di aver visto che Cedric si trovava a suo agio a scuola e che stava andando bene. Era rimasta piacevolmente sorpresa dall'averlo visto così alto e bello e sicuro di sé, ed era un po' gelosa per l'attenzione che gli dimostravano le ragazze della sua età. In fondo un uomo sposato non doveva aver alcun interesse nell'attrarre quel genere di attenzione. Quindi aveva fatto ciò che era necessario, ma era ugualmente infastidita. In fondo, che cosa aveva fatto con lui tutta l'estate, quando l'aveva avuto tutto per sé? Iniziò a profilarsi nella sua mente il sospetto di un terribile fallimento da parte sua, o se non proprio un fallimento, per lo meno un'imperfezione. Sarebbero forse riusciti a consumare il loro matrimonio se fosse stata più attenta e consapevole riguardo a quel problema? Se fosse stata più sensibile al suo punto di vista? Se si fosse trattenuta dal correggere i suoi errori, dall'essere la donna perfetta, e si fosse concentrata invece sull'essere una persona alla quale lui potesse far riferimento, come a una studentessa della sua età? La sua diffidenza era stata più che naturale! Quando ebbe risolto e messo in ordine la confusione di emozioni che aveva nel cervello, riprese la sua vita normale e cominciò a produrre degli arazzi veramente splendidi nei quali raffigurava scene della foresta e delle paludi. Una rappresentava la grande quercia dello stagno, con l'amadriade sul ramo più basso. Le ci erano voluti parecchio tempo e molta pazienza per arrivare a ottenere una cosa del genere dalla ninfa, e Niobe sapeva che ben pochi esseri umani potevano raggiungere quel risultato. Lei ne era piuttosto compiaciuta. Se solo fosse riuscita a fare la stessa cosa con Cedric! Verso la fine del semestre andò nuovamente a far visita a Cedric. Nel frattempo lui le aveva scritto periodicamente, in maniera molto diligente, raccontandogli della sua vita e dei suoi progressi a scuola, e nelle sue lettere si notava una continua crescita a livello percettivo e letterario. Oltre al suo fisico, stava anche maturando sul piano sociale e intellettivo; senza dubbio l'esperienza scolastica gli stava facendo bene. Scrisse che aveva scelto come materia la Magia delle Paludi, e stava già imparando cose che
non venivano insegnate ai tempi in cui era andata a scuola Niobe. Sapeva come verificare la qualità della magia degli alberi, e sapeva tutto del ciclo biologico. Nella sessione successiva si sarebbe iscritto a un corso sulla Fauna nelle Paludi e sul suo rapporto con la vegetazione. Era impressionato ed eccitato dall'incredibile quantità d'informazioni disponibili, e voleva immagazzinarle tutte. Ma Niobe voleva controllare di persona, giusto per essere sicura che non stesse esagerando. Dopotutto l'impetuosità giovanile spesso portava all'esagerazione. Cedric era diventato ancora più alto e meravigliosamente elegante sotto la luce del sole, e il suo sorriso pronto la incantò. Ma prima di dedicarsi completamente a lei doveva assistere a una lezione. «Mi dispiace» si scusò, ma la sua smorfia era più accomodante che dispiaciuta. «Devo andarci per forza perché devo consegnare un lavoro. Poi verrò subito da te. Comunque il mio professore di Magia Acquatica ti vuole parlare, quindi non ti annoierai aspettandomi.» Com'era cresciuta la sua fiducia in se stesso! Niobe era quasi delusa dal fatto che suo marito se la stesse passando bene senza di lei almeno quanto se la passava bene lei senza lui. Ma andò subito dal professore, che la stava aspettando. Era un tipico professore; anzianotto, stempiato, con una ciocca di capelli bianchi e un viso profondamente solcato sul quale si stagliavano due occhietti intelligenti. «Ah, signora Kaftan!» esclamò. «Vi ho riconosciuta immediatamente per la vostra straordinaria bellezza!» «Oh, non dite così!» obiettò lei, scioccamente imbarazzata. «Non sto scherzando!» insistette ad alta voce il professore. Tutti gli insegnanti avevano voci che penetravano fin nei recessi più profondi della mente. «Ho chiesto a Cedric come avrei fatto a riconoscervi, e lui mi ha detto che quando avrei visto la donna mortale più bella di questo mondo, quella sarebbe stata Niobe. Ed è proprio così! Lui è un po' in soggezione nei vostri confronti, e non è difficile comprenderne il motivo. Siete indubbiamente qualcosa di eccezionale!» «Basta, professore! Sono una vecchia donna sposata! Per quale motivo volevate parlarmi? C'è qualcosa che non va nel programma di Cedric?» «Al contrario, mia cara!» protestò lui con entusiasmo. «Cedric è lo studente più brillante e coscienzioso che ho avuto da un decennio a questa parte. Il suo lavoro è veramente notevole per essere quello di uno studente! Dovete sapere, signora Kaftan, che una mente come la sua raramente giunge in queste, se permettete la metafora, acque stagnanti dell'educazio-
ne del ramo dell'Ecologia Palustre. Volevo semplicemente complimentarmi con voi per l'ottimo servizio che avete reso alla disciplina motivando Cedric ad entrarvi. Sono certo che quando maturerà farà fare un balzo in avanti alle ricerche in questo campo.» Niobe rimase di sasso. Evidentemente al professore piaceva fare uso di superlativi. «Non ho fatto altro che mostrargli lo stagno locale... in effetti mi interesso un pochino di...» «Vi interessate eccome, signora Kaftan!» insistette l'uomo. «Lui mi ha detto che deve tutto a voi. Ha detto che avete preso un ragazzino ignorante e gli avete mostrato le paludi in un modo che non aveva mai visto, e che questo ha cambiato la sua vita. Signora Kaftan, siete una donna fantastica, e devo farvi tanto di cappello!» Niobe si ritrovò confusa da quell'entusiasmo. Anche lui non era affatto male, quanto a motivazione! «Allora Cedric sta... andando bene?» Questa uscita le parve insensata, ma al momento non riusciva a pensare a niente di meglio. «Tutti 30 e lode» confermò il professore. «E vi assicuro che non li diamo via con tanta leggerezza, quelli! Ma questo non basta neanche a dare un'idea del suo potenziale. Se mi permettete la sincerità, signora Kaftan, devo ammettere che all'inizio mi ero chiesto per quale motivo una donna dotata di tanta bellezza quale vi siete confermata si fosse presa in sposo un simile ragazzino, avendo ovviamente la possibilità di scegliere fra i migliori uomini che la guerra ci ha lasciato. Ma imparando a conoscerlo, ho capito che avevate effettivamente scelto il migliore fra tutti. Per ogni generazione ce n'è al massimo uno come lui. Sono certo che non rimpiangerete mai questa decisione!» «Uh, sì» assentì Niobe con un filo di voce. «Cedric venera il terreno sul quale camminate, e forse non solo in senso figurato. Se lo aveste mandato a una scuola di economia, nel giro di poco sarebbe diventato milionario. Che grande perdita sarebbe stata per la scienza e la magia! Voi invece lo avete spinto a occuparsi delle paludi...» Scosse il capo, poi d'impulso allungò una mano per prendere quella di Niobe, che sollevò e si portò alle labbra, baciandola. «Vi sarò eternamente grato, signora Kaftan. Se mai avrete bisogno di qualsiasi favore da parte mia, non abbiate esitazioni nel chiedermelo.» Niobe si ritrovò fuori, sotto il sole, stordita. Non c'era da stupirsi se Cedric stava andando bene; quel professore era un catalizzatore incredibile. Probabilmente trattava tutti così, cercando di spronare ogni studente al
massimo. Ciò nonostante, non avrebbe avuto bisogno di definire Cedric uno studente brillante se non fosse stato vero. Lei sapeva che Cedric era dotato di una certa intelligenza, ma evidentemente l'aveva sottovalutato. A quanto pareva l'ambiente scolastico gli aveva fatto tirare fuori il meglio di sé. Quando ebbe finito la sua lezione, Cedric la raggiunse. Era sempre un ragazzino dai capelli arruffati sotto quel cappello, ma ora le parve di poter percepire l'intelligenza che irradiava dalla sua testa. Ricordò la magia della sua musica. Sì, decisamente non era più solo un semplice ragazzino! Ma anche questa volta, quando furono soli, Cedric assunse un atteggiamento timido e imbarazzato. «È... è bellissimo vederti, Niobe» disse. «Che cosa vuoi fare?» «Be', innanzitutto vorrei controllare il tuo guardaroba» disse. «Sono sicura che i tuoi abiti si stanno consumando e che hanno bisogno di qualche rammendo.» Il che non era affatto ciò che aveva avuto intenzione di dire, e ricadeva perfettamente nella categoria delle Cose da Non Dire Mai, in quanto si trattava di un atteggiamento decisamente materno. Ma non essendo neanche in grado di concepirlo, non fu assolutamente capace di formulare ciò che realmente avrebbe voluto dirgli. I vivaci commenti del professore avevano colorato la sua prospettiva, e non si era ancora abituata all'idea. Amava mantenere le cose in ordine, come andavano tenuti in perfetto ordine i fili di un arazzo. Si arrabbiava moltissimo quando un filo si rompeva, anche perché riaggiustare un filo era un processo complicato, che richiedeva tempo e riflessione. «Uh, certo» assentì lui con tono incerto. «Sei sempre così buona con me.» Maledizione! pensò con rabbia. Decisamente era riuscita a mandare tutto di nuovo all'aria, rimettendolo nel ruolo del bambino. Come poteva mai diventare un vero marito a questo modo? Così, se ne tornò mestamente verso casa, portando con sé un bagaglio di sentimenti ingarbugliati ancor più pesante di quello precedente. Poteva essere una tessitrice esperta di tappezzerie ornamentali, ma era chiaramente inadatta per il matrimonio. Si era aspettata di sposarsi con un uomo di maggiore esperienza, e semplicemente non era abbastanza competente per educarne uno più giovane nella maniera giusta. Se solo ci fosse stato un corso scolastico in... Bloccò quel pensiero dov'era. No, certamente non avrebbe gradito che Cedric partecipasse a un corso simile! Non con quelle studentesse! Il ma-
trimonio era una faccenda privata. L'inverno passò in maniera abbastanza piatta, e quando il ghiaccio sulla superficie dello stagno si sciolse, Niobe si recò nuovamente alla scuola. Questa volta gli studenti erano tutti fuori a godersi la prima giornata veramente bella di quella primavera. Alcune fra le ragazze più carine indossavano abiti molto succinti per prendere meglio il sole, e i ragazzi erano tutti in pantaloncini corti. Niobe, ricordandosi delle adulazioni del professore e non volendo essere scambiata per una collegiale, si era vestita in maniera molto tradizionale. Indossava una gonna lunga in vecchio stile che le aveva passato sua madre, e una giacchetta che appiattiva completamente la sua figura. Aveva raccolto i capelli in un severo chignon nero, non aveva trucco, e portava stivali alti con i bottoni. Si sentiva piuttosto sciatta. Andò in camera di Cedric, ma lui non c'era, e Niobe non sapeva bene quale lezione potesse seguire in quel momento. Così, sedette su una panchina fuori del dormitorio e attese il suo ritorno, approfittando del momento vuoto per lavorare un po' a maglia. Era abbastanza brava anche in questo; in effetti era piuttosto portata per qualsiasi genere di lavoro con i filati. In fondo lì non si stava affatto male, e poi era arrivata presto. Cedric non si sarebbe aspettato il suo arrivo per almeno un'altra ora. Un gruppo di studenti si avvicinò lungo il sentiero. Evidentemente avevano bevuto; uno di loro reggeva ancora una bottiglia mezza vuota di vino rosso. Niobe arricciò il naso; detestava il vino di qualsiasi genere, memore dell'episodio disastroso avvenuto durante il preteso corteggiamento. Era sorpresa e per niente contenta che l'uso di alcol venisse permesso all'interno del campus. Che Cedric rischiasse di subire cattive influenze? Uno dei ragazzi si fermò passando davanti alla sua panchina. «Ehi, chi è questa vecchietta?» domandò in tono scherzoso, fissando Niobe. Sapeva di sembrare più vecchia delle studentesse del luogo, ed era proprio quello lo scopo che si era prefissa. Ma questo stava esagerando. Era il ragazzo con la bottiglia, e mostrava evidenti segni d'ubriachezza. Sollevò la bottiglia e buttò giù un lungo sorso. Un rivolo di liquido rosso gli colò lungo il mento; poi abbassò la bottiglia ed emise un rutto. «Sarà la madre di qualcuno» disse ridendo un altro. Questo commento non le piacque affatto, per un motivo personale che loro non avrebbero mai saputo. «Ehi, di chi sei madre?» le domandò il primo. «Di nessuno» replicò seccamente Niobe. «Sono la moglie di Cedric.» «Sua moglie!» esclamò il ragazzo. «Non ci aveva mai detto che era an-
dato a rubare all'ospizio! Ci ha sempre detto che la sua donna era bellissima!» Con questa, si misero tutti e quattro a ridere sguaiatamente. Niobe cercò d'ignorarli sperando che se ne andassero, ma l'alcol dava loro una persistente insolenza. Le si avvicinarono, impuzzolendo l'aria con il loro fiato pesante. «Per favore, andatevene» disse infine. «Ma se siamo appena arrivati!» ribatté il ragazzo della bottiglia. «E questo è il nostro dormitorio! Su, signora, perché non ci divertiamo un po'?» Allungò una mano per afferrarle il risvolto della giacca, e lo tirò a sé strappando via un bottone. «Scommetto che hai della buona roba nascosta lì sotto!» Niobe si scostò con uno scatto e gli schiaffeggiò la mano. «Ehi!» esclamò il ragazzo mentre gli altri sghignazzavano. Poi la sua espressione divenne cattiva. «Mi hai dato uno schiaffo, eh? Allora beccati questo!» E le versò il vino sulla testa. Niobe cacciò un grido di sorpresa e di disgusto e saltò in piedi, cercando di evitare il vino. Ma il ragazzo l'afferrò per un braccio. «Una donna meravigliosa, col cavolo!» disse con voce gracchiante. «Non sei altro che una maledetta puttana!» Niobe gli diede un calcio negli stinchi e si girò di scatto, sapendo che era impossibile ragionare con un ubriaco. Ma uno degli altri l'afferrò per le spalle da dietro e la sollevò da terra. Un terzo le prese le caviglie. «Avanti, vediamo com'è fatta!» gridò. «Togliamole la gonna!» Niobe cercò di divincolarsi, sollevando le gambe e tentando di scalciare, ma quelli erano troppo forti per lei. La tenevano per le spalle e le caviglie, e il ragazzo della bottiglia mollò il contenitore vuoto e le afferrò la gonna, tirandola giù fino a lasciare esposta la sua biancheria intima. «Ehi, non è poi così vecchia!» disse, fermandosi per pizzicarle la coscia sinistra. Niobe urlò, ma non servì a nulla. Il ragazzo le tirò giù la gonna fino alle caviglie, e quello che le teneva i piedi ne lasciò andare uno per permettere alla gonna di uscirne. Niobe cercò di dargli un calcio, ma lui le afferrò nuovamente la caviglia, costringendola ad allargare le gambe. «Guarda che gambe!» esclamò. «Mettetela a terra» ordinò il ragazzo della bottiglia. «Tenetela ferma, che facciamo a turni.» Si leccò le labbra, slacciandosi la cintura. «A turni per che cosa?» intervenne una nuova voce. Niobe la riconobbe immediatamente. «Cedric!» esclamò. Ed era proprio lui, alto e dinamico, che scagliava via la sua giacca. «Quella è mia moglie» disse, e fu come se una nube gli avesse attraversato
il viso, trasformando la sua espressione, di solito solare e gioiosa, in una maschera cupa e irosa. A quel punto, non c'era scusa che tenesse. «Prendetelo!» gridò il ragazzo della bottiglia. Mollarono Niobe e si voltarono tutti assieme per affrontare Cedric. Gli si avvicinarono da quattro lati, non essendo tanto ubriachi da dargli la possibilità di un combattimento equo. «No!» gridò lei, sapendo che Cedric non poteva assolutamente farcela contro tutti e quattro. Cercò di alzarsi in piedi, ma inciampò nella gonna e dovette fermarsi per reinfilarsela. Nel frattempo guardò con terrore i quattro che attaccavano suo marito. Due lo afferrarono per le braccia, mentre un terzo caricò il pugno e lo colpì nello stomaco. Niobe rabbrividì, ma Cedric si limitò a sorridere. «Mio Dio, è una maledettissima roccia!» esclamò esterrefatto il ragazzo che aveva tirato il pugno. «Vi ho lasciato il primo colpo» disse Cedric. «Ora tocca a me.» Improvvisamente Cedric unì le braccia davanti a sé, sollevando i due che lo tenevano come fossero stati due burattini e mandandoli a sbattere l'uno contro l'altro. Poi allargò nuovamente le braccia, e i due caddero ai suoi fianchi. Era nuovamente libero. Fece un passo avanti, facendo mulinare i pugni come martelli. Uno incontrò lo stomaco del ragazzo che l'aveva colpito, e il suo stomaco era decisamente più simile alla gelatina che a una roccia. Si piegò su se stesso, buttando fuori il fiato, e in quel momento l'altro pugno di Cedric lo colpì con forza sulla testa. Il ragazzo barcollò, quindi cadde a terra, in stato d'incoscienza. Cedric si girò su se stesso e colpì al petto il ragazzo della bottiglia. Anche lui buttò fuori il fiato e cadde in ginocchio. Ma gli altri due si erano rimessi in piedi e stavano tornando alla carica. Cedric si abbassò, afferrò uno dei due per una gamba e un braccio, lo sollevò sopra la sua testa, e lo lanciò addosso all'altro. Improvvisamente com'era iniziato, il combattimento cessò. Cedric rimase in piedi, con i bicipiti in rilievo, il petto che si gonfiava a ogni respiro. I quattro ragazzi erano disseminati per l'aiuola in atteggiamenti scomposti. Niobe era letteralmente impietrita, e lo fissava senza dire nulla. Improvvisamente gli parve grosso il doppio rispetto a come lo ricordava. Poi le si avvicinò per aiutarla ad alzarsi. «Tutto bene, Niobe? Ho sentito il tuo grido e sono uscito di classe...»
«Cedric... Non mi hai mai detto che sapevi combattere a quel modo!» Scrollò le spalle. «Mi hai detto che non ne avrei più avuto bisogno...» Ora ricordava. Aveva detto che gli piaceva combattere, e lei aveva pensato che si trattasse solo di stupidi giochi da ragazzi. Sì guardò attorno, osservando i quattro riversi al suolo. Altro che stupidi giochi! «Forse ero prevenuta quando l'ho detto. Ma che genere di combattimento fai?» «Be', ero campione juniores di boxe a mani nude del mio distretto. Ma tu avevi ragione. Una volta sposato, dovevo rinunciare per forza a queste cose infantili.» «Cose infantili!» ripeté lei, scuotendo il capo. Nella sua memoria lo vide mentre assorbiva tranquillamente il pugno allo stomaco, e poi faceva volare i primi due ragazzi come bambole di pezza. Ora che la stava stringendo sentiva veramente l'incredibile forza di quelle braccia. Avrebbe dovuto capirlo prima, quando le aveva mostrato come si taglia la legna, poiché la sua forza allora già c'era, «E io che ti ho definito un bel ragazzino!» Ma ora si stava radunando una piccola folla, e apparve anche il professore con il quale aveva parlato l'ultima volta. «Che cosa è successo qui?» Il ragazzo della bottiglia si alzò faticosamente in piedi. «Ci è saltato addosso!» disse, indicando Cedric. «Senza nessun motivo!» Niobe rimase a bocca spalancata per l'audacia di questa menzogna. Tuttavia, si rese conto che non c'era stato alcun testimone alla parte iniziale dell'incidente; solo lei e i quattro ragazzi. La parola di uno contro la parola di quattro. «Vediamo» disse il professore come se non avesse intenzione di ascoltare alcuna spiegazione. Adocchiò la bottiglia e la prese in mano, facendo una smorfia. «Bene, c'è ancora qualche goccia. Useremo la magia acquatica.» Tirò fuori un piattino sul quale c'era un sottile strato di terriccio, lo posò a terra con cura, quindi vi rovesciò sopra le poche gocce di liquido che rimanevano nella bottiglia. Per un attimo non accadde nulla, poi attorno al piattino iniziò a svilupparsi un bagliore rossastro. Il bagliore si espanse rapidamente, arricchendosi di sbuffi vaporosi man mano che il vino si vaporizzava nello schema magico stimolato dal potente terriccio. Era senza dubbio un incantesimo acquatico. Niobe era affascinata. Aveva sentito parlare di una magia simile, ma non l'aveva mai vista all'opera. «Indietro, fate spazio» ordinò il professore. «Non vogliamo interferire con la replica.»
Si allontanarono tutti, anche i quattro aggressori, apparentemente intimiditi dalla presenza del professore. Il vapore continuava a espandersi, quindi si stabilizzò tingendo l'aria di rosso. Poi s'increspò e si agglomerò, formando un'immagine spettrale; una donna seduta su una panchina. «Si tratta di un incantesimo di dieci minuti» spiegò l'uomo. «Dovrebbero essere sufficienti.» «Ma credo che il vino non fosse ancora presente» intervenne Cedric. «Deve essere arrivato con loro.» «È per questo che l'immagine è un po' sfocata» confermò il professore. «Credevi che la mia magia fosse così vaga, ragazzo? Il vino era distante, ma l'immagine c'è. Sta creando una scena statica finché non sarà possibile una migliore definizione.» Passarono diversi minuti. Nessuno si mosse. Erano tutti rapiti dalla promessa della magia acquatica. Poi, improvvisamente, l'immagine s'illuminò. La donna divenne Niobe, a colori, sebbene fosse tinta di rosso dall'occhio del vino. I quattro giovani entrarono in scena, spettrali ma ben evidenti. La prima fase delle loro molestie cominciò a mostrarsi. Niobe vide Cedric che sussultava mentre il vino veniva versato sulla testa della sua immagine; aveva le sue stesse associazioni negative. «E questo sarebbe "nessun motivo"?» mormorò il professore squadrando i quattro giovani. Nel momento culminante della lotta, entrò in scena Cedric. Vedendolo ora da un punto di vista più oggettivo, Niobe fu ancora più colpita dal suo comportamento. Indubbiamente era cresciuto; sembrava diversi centimetri più alto di quando si erano sposati, e ora era un giovane gigante. Era così avvenente nella sua espressione di rabbia che sembrava essere circondato da un'aureola. O si trattava forse della nebbia del vino? Ora Niobe notò che Cedric li aveva praticamente invitati ad afferrargli le braccia, e che aveva accettato di proposito il primo colpo. Vide il giovane che l'aveva colpito retrocedere tenendosi la mano, come se gli dolesse. Poi Cedric iniziò a combattere, e nel giro di un attimo fu tutto finito. Campione di boxe a mani nude? Senza dubbio! La scena terminò, e il vapore si dissipò. Ma ormai c'erano le prove. «Andate a liberare le vostre stanze» ordinò il professore ai quattro giovani. «Siete espulsi da questo istituto; il vostro stesso vino illecito vi ha condannati.» I ragazzi si allontanarono a testa bassa. Il professore si rivolse quindi a Cedric. «Sei stato molto intelligente a la-
sciare che fossero loro a iniziare il combattimento, così non ti si potrà accusare di abuso di forza. Lo sai che per le persone della tua abilità usare la propria forza in modo violento è un'aggravante?» Cedric annuì con aria seria. «Sapevo di avere un motivo valido, ma se uccidevo qualcuno...» «Avevi un buon motivo, e non hai ucciso nessuno» acconsentì l'uomo. «Mi complimento per la tua discrezione. Ma ora porta tua moglie al dormitorio degli ospiti, ha bisogno di rilassarsi e di rinfrescarsi.» In effetti, ora che il pericolo era passato, Niobe non si sentiva tanto bene. Era quasi stata violentata, e Cedric era stato attaccato da quattro uomini! Era la prima volta in vita sua che assisteva a una simile scena di violenza. Si coprì il viso con le mani, e scoprì che era in lacrime, lacrime arrossate dal vino. Cercò di asciugarle, ma la situazione peggiorò, e allora si mise nuovamente a singhiozzare. Cedric la prese in braccio e la portò al dormitorio degli ospiti. Niobe sentiva le sue braccia come fossero di acciaio flessibile, e il suo petto come un blocco di ferro. Ora aveva diciassette anni, e stava raggiungendo il massimo del suo potenziale fisico. Stava crescendo... Lei si era fissata sull'immagine del ragazzo, e non aveva mai osservato l'uomo che ne stava emergendo. Il giovane la posò con delicatezza sul letto. «Vado a chiamare l'infermiera» disse con tono preoccupato. «Non ti vedo molto bene.» Ma lei non mollò la presa. «Cedric, ho bisogno di te!» gridò. «Io ti amo!» «Sei sconvolta, Niobe, e ne hai ben donde. Un bel bagno e un po' di riposo...» Lo strinse a sé, disperatamente. «Sono stata così sciocca, e ora puzzo di vino! Perdonami, Cedric!» «Non c'è nulla da perdonare» disse lui con tono gentile. Ma lasciò che lo stringesse a sé finché non si trovarono sdraiati l'uno accanto all'altra sul letto. «Ti sei sempre comportata in maniera perfetta, Niobe» le sussurrò in un orecchio. Lei gli rotolò addosso, stringendolo forte a sé. Le sue labbra umide di pianto trovarono quelle di Cedric, e lo baciò con una passione che stupì persino lei. Sentì bruciarle in petto un fuoco nuovo e intenso; lo voleva disperatamente. E lui rispose all'ardore del suo desiderio, com'era giusto che facesse, baciandola a sua volta. Improvvisamente, Niobe scoppiò a ridere. Stupito, Cedric alzò la testa
per guardarla in faccia. Niobe si alzò a sedere, allungò una mano e gli sbottonò la camicia. «Ecco!» disse, sorridendo. «Il primo colpo l'ho dato io.» Lentamente, sorrise anche lui. «Ma questo non è un combattimento.» «Ah no? Abbiamo cercato di arrivare a questo per quasi un anno intero, e siamo sempre stati sconfitti dalla nostra stessa riservatezza. Cedric, tu hai combattuto per me nella maniera più efficace e valorosa, e ora mi hai vinta. Prendi il tuo bottino!» «Bottino!» ripeté lui con una smorfia. «Tu sei la donna che amo.» «E tu sei l'uomo che amo!» ripeté lei felice. «Voglio essere tua... completamente.» Lui la baciò. Poi la spogliò. La sua camicetta era appiccicosa di vino e i suoi capelli ne erano impregnati, ma Niobe sapeva bene che non era il caso di fermarsi neanche un istante per ripulirsi. Era venuto il momento di colpire! Cedric osservò il suo corpo. Lei sorrise e allungò le braccia verso di lui. Sapeva che la sua reazione non era più importante di quella di lui e che la loro attrazione fisica era solo una piccola parte di quella emotiva. Per la prima volta sentì di desiderarlo realmente, e per la prima volta Cedric sentì che la meritava. Ciò nonostante il ragazzo mancava di esperienza, come del resto anche lei. Tuttavia l'aiutò per quanto poteva senza apparire troppo aggressiva, e quando lui esitò, lo strinse e lo baciò con grande passione. Quando tentò di penetrarla e trovò la via impervia, Cedric si bloccò, perplesso. Ma lei lo strinse a sé con più forza, abbattendo ogni barriera. Provò dolore, ma con il dolore venne un piacere indescrivibile e una sensazione di unione che non aveva mai provato prima di allora. «Cedric... Cedric...» sussurrò, mordendogli dolcemente la spalla nuda. Ma allo stesso momento si ritrovò presso lo stagno, vicina alla grande quercia, che riusciva a scorgere da tre angolazioni diverse. Da un lato la vedeva con la freschezza della gioventù e dell'innocenza, come se la stesse notando per la prima volta. Da un altro lato la vedeva con l'occhio cinico dell'esperienza, comprendendone la natura e apprezzandola per ciò che era. E da un terzo la vedeva con la saggezza della vecchiaia. Aveva una memoria infinita di quella quercia in tutte le sue stagioni, distribuita su un eterno filo a sua volta arrotolato attorno alla sua conocchia, l'asticella sulla quale avvolgeva il filo per filare la lana. Era consapevole dell'intera storia di quell'albero. Ma le tre diverse visioni erano una realtà
sola, sfaccettata, né separate né unite; le tre visioni creavano la visione complessiva, come diversi colori o contrasti. Lei capiva quell'albero! Ma da qualche parte c'era anche un quarto punto di vista, offuscato, e intuì subito che era una visione che non avrebbe mai voluta avere, poiché era orribile in tutti i sensi. Tuttavia si rese conto che anch'essa faceva parte della visione complessiva, e che era solo un aspetto doloroso di una realtà che in linea di massima era piacevole. Poi il momento magico lentamente scemò, svanendo in una consapevolezza più blanda ma gradevole. Rimase stretta nell'abbraccio di Cedric mentre la grande marea si ritirava. D'impulso, lo baciò di nuovo. «Ora sono stata posseduta» sussurrò. Quella parola aveva almeno tre o quattro diversi significati, relativi al possesso, all'espressione sessuale e alla consapevolezza spirituale. La visione della grande quercia sembrava aver frammentato la sua coscienza, facendo apparire meravigliosamente complesso ciò che dapprincipio le era apparso fin troppo semplice. Nel giro di poco tempo Cedric, appagato, si addormentò. Solo allora Niobe divenne conscia del suo disagio. Si alzò, si lavò con grande cura il corpo e i capelli, e si applicò un po' di balsamo curativo. Non voleva che Cedric pensasse di averle fatto male, anche se si era trattato di un dolore che le aveva cambiato la vita. Poi controllò il letto e notò la macchia di sangue sul lenzuolo. Come poteva nasconderla? Sicuramente non voleva che andasse a finire nella lavanderia della scuola, rendendo evidente a tutti non solo ciò che avevano fatto ma anche che era stata la prima volta. Così si procurò una spugna, l'inumidì, e strofinò la macchia finché non divenne invisibile. Ora, finalmente, poteva rilassarsi. Si sdraiò nuovamente, e Cedric ebbe un sussulto. Gli prese la mano, la baciò, gli mormorò una parolina suadente, e Cedric sprofondò nuovamente nel mondo dei sogni. Ne fu sollevata; lo amava, ma ora voleva solo dormire. Al mattino tornò a casa, lasciando Cedric ai suoi studi e ai suoi nuovi ricordi. Ma non lasciò passare molto tempo prima di visitarlo ancora. Non che fosse improvvisamente diventata una maniaca sessuale, e sua madre le aveva spiegato che nessuna donna poteva soddisfare in questo campo l'appetito ben maggiore di un uomo, ma semplicemente lui le mancava, e desiderava stare con lui il più possibile. La sua bella casetta non bastava più a soddisfarla. Voleva essere gratificata dalla presenza di Cedric. Era decisamente innamorata. Fecero nuovamente l'amore nel dormitorio degli ospiti, e fu sta volta più
facile, in quanto ora avevano entrambi un minimo d'esperienza. Inoltre, pensò, lei non era più vergine. Anche questa volta ebbe una risposta rapida ed enfatica, e nonostante le informazioni di sua madre, lei si sentiva fortemente eccitata. E anche questa volta, nel momento culminante, ebbe una visione. Osservando la grande quercia vide un ragno che si arrampicava su un filo invisibile. Io posso farlo pensò. Alzò le mani, afferrò il filo invisibile e vi si arrampicò, poiché aveva quattro mani e quattro piedi. In effetti era diventata un ragno, il migliore filatore e tessitore. Che tela avrebbe creato! Ma poi l'estasi scemò, e tornò un essere umano, abbandonata fra le braccia del suo amato. Pensò di domandargli se anche lui avesse avuto delle visioni in quel momento, ma desistette, temendo di apparire stufa di fare l'amore. E non lo era affatto, anzi; le sembrò invece più probabile che le sue visioni rappresentassero una risposta trascendentale all'enorme piacere che provava. Quando un sistema veniva stimolato al di là delle sue capacità, andava in corto circuito e fondeva del tutto; ma perché allora quelle immagini erano tanto distanti e distaccate dall'esperienza che stava vivendo in quel momento? Non aveva alcuna risposta accettabile, ma le sarebbe piaciuto approfondire la questione. Le piaceva fare l'amore con Cedric, e le piacevano le visioni, anche se il collegamento fra le due cose era molto dubbio. «Oh, Cedric!» esclamò stringendolo ancora a sé. «Sono così felice che ci siamo finalmente ritrovati!» «Sei sempre la donna perfetta» disse lui. Quindi, si addormentò. «Uomo sciocco» mormorò lei dolcemente. E gli mordicchiò un orecchio. Cedric concluse il suo primo anno di college con voti notevolissimi, e tornò a casa per l'estate. Ora ne sapeva più di Niobe sulle paludi, e lei era affascinata dalla sua grande erudizione. Chinandosi su una pozza stagnante e prendendo una manciata di fanghiglia, era in grado di mostrarle come le alghe del fango producessero piccoli incantesimi nauseanti per scoraggiare le interferenze di quel genere. Ed era vero; quando si avvicinava alla fanghiglia le veniva da vomitare, e quando si allontanava si sentiva di nuovo bene. Certo, la cosa poteva anche dipendere dalla puzza, ma aveva la stessa reazione anche tappandosi il naso, quindi doveva effettivamente trattarsi di magia, come diceva Cedric. Fu in grado di stabilire la specie esatta della grande quercia dello stagno, e anche la varietà dell'amadriade. Sapeva do-
ve vivevano i timidi daini della foresta e dove andavano a nutrirsi. «Tutto questo lo devo a te, Niobe» le disse con trasporto. «Tu mi hai mostrato le paludi!» «E piangerò le mie lacrime tutte, quando le paludi saranno asciutte» acconsentì lei, sorridendo. Non avrebbe mai immaginato che la sua innocente canzoncina avrebbe dato il via a un simile processo! Naturalmente fecero di nuovo l'amore, per la prima volta in casa loro, cancellando tutti i precedenti negativi avvenuti in quel luogo. Ancora una volta Niobe venne posseduta dalle sue visioni, ma questa volta furono sinistre. Vide il viso imbronciato di un uomo in cui il broncio si trasformò in un ghigno malefico, facendole l'occhiolino. Cacciò un grido, sfuggendo alla visione e trovando Cedric bloccato a metà movimento, terrorizzato dall'idea di averle fatto del male in qualche modo. «No, no» lo rassicurò immediatamente. «Non è per colpa tua! Ho solo avuto una specie di incubo.» «Stavi dormendo?» domandò lui incredulo. Allora dovette dirgli delle sue visioni, poiché l'equivoco poteva essere peggiore della realtà. Cedric ammise che lui non aveva simili visioni, ma che aveva sentito parlare di gente che ne aveva. «Soprattutto donne» concluse. «Oh? E come fai tu a saperlo?» indagò con malizia. «Grazie ai miei studi di biologia umana» spiegò Cedric. «È un corso obbligatorio per gli studenti del primo anno.» Allora dopotutto non si trattava di una cosa tanto anormale. «Ma quel volto orribile... perché dovrei vedere una cosa simile, quando sto godendo tanto della gioia della tua presenza?» Scrollò le spalle. «Forse dovremmo porre fine a queste visioni.» «Oh, Cedric, non voglio rinunciare a...» «Ho detto alle visioni, non all'amore!» ribatté il giovane ridendo. Non era più timido per quanto riguardava il sesso; una volta scopertolo, gli piaceva moltissimo. «La prossima volta, canterò per te. L'idea l'affascinò. Il tocco della sua magia sovrapposto a quello del gioco amoroso... il massimo dell'esperienza!» Ci provarono, e funzionò. Non c'era neanche bisogno che Cedric cantasse ad alta voce; bastava che cantasse nella sua mente, e l'orchestra suonava per Niobe, stroncando completamente le visioni, a prescindere da quanto lei fosse coinvolta dall'esperienza. Così trascorse l'estate. In autunno venne il momento in cui Cedric dovet-
te tornare a scuola, e lei gli preparò i bagagli con genuino dispiacere. Ma una volta che avesse completata la sua educazione Cedric avrebbe avuto un vero futuro davanti a sé, e lei non se la sentiva proprio di negarglielo. Avrebbe sofferto ciò che doveva soffrire, e sarebbe andata spesso a fargli visita. Ma fu molto più dura di quanto non avesse previsto. Si sentiva sempre a disagio, e a volte anche in pessima salute. Poi cominciò ad avere la nausea tutte le mattine. Che cosa le stava succedendo? Improvvisamente, un giorno, se ne rese conto. Non era ammalata, era incinta. 3 Daini che sparano Naturalmente, doveva dirglielo. Lo fece la volta successiva che andò a visitarlo. Cedric era affascinato da ciò che aveva fatto, e molto compiaciuto. «Sarò padre!» esclamò, come se si trattasse di un'esperienza unica nel suo genere. «Be', non è che non ci hai provato» gli ricordò lei. «Immagino che ora dovremo smettere» disse con rammarico. «No, non ancora. Dovremo solo stare... più attenti. Furono attenti. L'inverno passò, e il bebè crebbe dentro di lei.» Quando Niobe giunse all'ottavo mese, sua madre andò a stare con lei per assisterla nel caso che il parto dovesse essere prematuro, poiché non c'era alcun ospedale nelle vicinanze. Cedric era pronto a mollare la scuola e a tornare a casa, ma lei lo convinse a restare per finire i suoi corsi; era troppo avanti per mollare tutto a quel punto. Così avvenne che, prima che compisse il diciottesimo anno e poco prima che terminasse l'anno scolastico, Cedric divenne padre di un maschietto in perfetta salute. Era molto felice, ma sapeva che c'era un prezzo da pagare. Niobe era stata in grado di cavarsela da sola fino a quel momento, ma ora le cose sarebbero cambiate. Cedric doveva lasciare la scuola e diventare un uomo di casa a tempo pieno. Si sentiva pronto per questo, ma Niobe sapeva bene che gli dispiaceva non poco. Era evidente che se avesse terminato i suoi studi sarebbe diventato un professionista, e col tempo forse addirittura un professore. Poteva sempre diventarlo, ma con un certo ritardo, e negli anni che ci avrebbe impiegato la situazione poteva anche cambiare radicalmente. Di conseguenza si trattava di un rischio calcolato per la carriera di Ce-
dric. Niobe si rammaricò quasi di aver concepito così in fretta. «Non ha importanza» disse Cedric. «Un uomo deve fare ciò che deve fare nel momento giusto, e io adesso voglio starti vicino.» «Sei molto dolce» disse lei ricompensandolo con un bacio. Ma si sentiva ugualmente in colpa. «Il professore mi ha detto che se avesse avuto una moglie come te, avrebbe generato prole altrettanto rapidamente» aggiunse. «Però hai sempre una carriera brillante davanti a te, e devi riprendere i tuoi studi il più presto possibile.» «Vedremo» rispose Cedric. Ma quando pensava al bambino, le sue sensazioni erano chiarissime. Junior era assolutamente fantastico! Seppe da subito che sarebbe diventato un genio come suo padre, e inoltre era certo che avrebbe avuto la possibilità di studiare in maniera adeguata fin dall'inizio. Oh, aveva dei progetti meravigliosi per il suo Junior! Cedric si occupò delle faccende domestiche, cavandosela piuttosto bene finché lei non fu di nuovo in piedi. Poi, con lo stabilizzarsi della situazione, iniziò a passare parecchio tempo presso lo stagno. Aveva deciso di studiare l'ecologia locale; gli alberi, la vegetazione minore, gli animali, gli insetti, le alghe, i flussi idrici, e le interazioni evidenti che correvano fra questi. La foresta era infestata dai cacciatori, che cacciavano indiscriminatamente sia nella stagione della caccia che fuori stagione. A Cedric capitò di incontrarne i rifiuti, e si arrabbiò. «Se i daini potessero rispondere al fuoco, i cacciatori sarebbero certo meno coraggiosi!» esclamò. Poi si bloccò, riflettendo. «Magari posso far sì che i daini rispondano veramente al fuoco!» Niobe scoppiò a ridere, ma lui diceva sul serio. Era specializzato in vita palustre, e non in magia, ma si procurò un tomo d'incantesimi e lo lesse attentamente, cercandone uno che si adattasse al suo scopo. Se la magia fosse stata in grado di far rimbalzare la freccia o la pallottola, facendo sì che il cacciatore si sparasse praticamente addosso... Ma la magia non era certo materia facile per un profano, come del resto la scienza. Occorrevano anni di studi e di rigida disciplina solo per avere la padronanza dei concetti di base, e anche in quel caso c'erano molti pericoli e imprevisti. Cedric era molto intelligente, ma in questo caso l'intelligenza non era sufficiente. «Non mi basta il tempo!» esclamò, frustrato. «Puoi avere tutto il tempo che vuoi, caro» gli disse Niobe. Stava allattando Junior, e non sopportava di vedere Cedric rattristato. Quando era in-
fastidita per qualche motivo, la sensazione si trasmetteva involontariamente al suo latte che procurava coliche a Junior, e se c'era una cosa peggiore di un marito triste, era un bambino con le coliche. Cedric fece una pausa, come se stesse soppesando qualcosa d'importante. «Certo» assentì, e uscì. Che l'avesse offeso in qualche modo? Suo marito in quel periodo sembrava più nervoso, irritabile e teso di quanto non fosse mai stato. Forse doveva assumere una balia o una cameriera, così Cedric avrebbe potuto veramente tornare ai suoi studi. Sapeva che stava compiendo un grande sacrificio, e voleva rimettere le cose a posto. Il loro amore era così meraviglioso che non voleva che venisse increspato da qualsivoglia genere di problema. Quando gliene parlò, nel tardo pomeriggio, Cedric non ne volle sapere. «Ho finito con gli studi!» dichiarò. «Il mio destino è qui.» «Ma il professore ha detto che hai un potenziale enorme! Vorrebbe che tu diventassi un...» Le strinse la mano con la sua manona. Niobe sentì un accenno della sua musica magica, ma questa volta era strana, quasi stonata. «Non ne varrebbe la pena» disse. «Il professore capisce.» Venne assalita da una sensazione di terrore, ma non riuscì a spiegarsene il motivo. Nella sua mente si profilò l'immagine di un volto demoniaco, e poi della grande quercia, che vedeva dai tre punti di vista positivi ma anche dal quarto orribile. Non ne varrebbe la pena? Che pena? La separazione da lei? Eppure Cedric aveva già provato quest'esperienza, e aveva resistito tranquillamente. Perché aveva cambiato idea? «Cedric... c'è qualcosa che non va?» «Certo che no» rispose lui in fretta. Non gli credette, ma si rese conto che non le avrebbe detto altro. La cosa la disturbò ulteriormente, e dovette smettere di allattare Junior. Tuttavia era certa che non si trattava di qualcosa legato al suo amore per lei, che era sempre fortissimo. Ora era un padre, un uomo fatto, e a volte, mentre lavorava a telaio, le capitava di alzare lo sguardo e di trovare lui che la fissava con una commovente espressione di ammirazione. No, non c'erano dubbi sul fatto che l'amasse e desiderasse stare con lei. Tuttavia... Mise Junior nella sua culla. «Cedric, potremmo traslocare in un luogo più vicino alla scuola, così potresti andare e tornare tutti i giorni...» La strinse fra le braccia e la baciò. «Questa è la nostra casa. Io ti amo, e amo le paludi. La mia vita è qui.» Così pareva. Non tentò di discutere ulteriormente, e in effetti la loro vita
lì era piuttosto gradevole. Niobe pian piano si stava riprendendo, ed entro breve tempo ripresero a far l'amore. Cedric lo faceva con enorme dolcezza e cantava sempre per lei, e in quei momenti era come se nient'altro al mondo avesse importanza. Quando Niobe fu nuovamente in piena forza, iniziò a portare Junior a fare lunghe passeggiate fuori, poiché l'aria fresca faceva molto bene al bambino. A quanto pareva le paludi piacevano anche a lui, e soprattutto la grande quercia. Niobe si sedeva ai piedi dell'albero e cantava, e Junior ascoltava. L'amadriade si abituò presto al nuovo arrivato, e iniziò addirittura a dare segni di apprezzamento nei suoi confronti. Non si fidava completamente di Niobe, poiché gli adulti avevano una cattiva reputazione per quanto riguardava il cinismo nei confronti della magia selvaggia, ma quando Niobe metteva suo figlio nella carrozzina accanto all'albero e si allontanava un poco, la driade scendeva dal suo ramo e giocava col bimbo. Niobe ne era estasiata; erano ben pochi i mortali in grado di avvicinarsi alle creature selvatiche, sia naturali che sovrannaturali, e quando questo avveniva era senza dubbio un segno di particolare buon auspicio. Magari Junior sarebbe diventato un naturalista famosissimo a livello mondiale! In ogni caso, la ninfa non rappresentava alcuna minaccia; Cedric gliel'aveva garantito, e lei ci credeva. In presenza della driade Junior era sempre sveglio e sorridente. Ma sotto altri aspetti, gli eventi non erano altrettanto promettenti. Un imprenditore comprò un grosso appezzamento di terreno che comprendeva anche il "loro" stagno. Era loro per la vicinanza e dal punto di vista spirituale, ma non agli occhi della legge. Le intenzioni della ditta erano di prosciugare lo stagno, tagliare gli alberi, e costruire una serie di abitazioni identiche. Questa notizia fece esplodere Cedric. Camminò per miglia e miglia andando a far visita a tutti i residenti della zona, convincendoli della necessità di preservare le paludi fino al punto che formarono un comitato di cittadini per opporsi allo sviluppo edilizio. Scrissero lettere ai giornali e alle autorità della contea, e quando capirono che queste non sarebbero bastate a bloccare il progetto, iniziarono a costruire barriere e trappole per i bulldozer. Portarono la causa in tribunale, e quando l'avvocato dell'impresa disse alla corte che lo stagno non era altro che una discarica melmosa che rappresentava una minaccia per la salute in quanto generatore di zanzare anofele, Cedric lo contrastò in maniera più che convincente dimostrando che le zanzare di quella zona non erano della specie in grado di trasmettere
malattie, che servivano come nutrimento per gli splendidi uccelli, e che non pungevano la gente abbastanza intelligente da premunirsi con un repellente chimico o magico. Poi parlò degli altri aspetti delle paludi, dai pesci agli anfibi, dalle volpi ai daini, dagli alberi che non crescevano in nessun altro luogo alle speciali magie interattive che si erano sviluppate per permettere a queste specie di sopravvivere. «Non c'è acqua infetta proveniente da questa regione» concluse, e aveva anche la documentazione che lo provava, presa in prestito dalla sua scuola. «Non ci sono segni di erosione, né sintomi che potrebbero far presagire inondazioni di alcun genere. Le paludi mantengono l'acqua pura e arginata, facendo sì che gli abitanti della zona vivano in pace con la natura. Ormai esistono pochissimi di questi paradisi naturali al mondo; come possiamo distruggerlo per costruirci su un'altra puzzolente città?» E la sua eloquenza fu tale che ricevette gli applausi di tutti gli spettatori presenti. Prima di allora a ben pochi importava qualcosa delle paludi; ora era un problema che interessava tutti. Ma la legge dell'uomo rimaneva sempre dalla parte dell'imprenditore, e il giudice, con evidente rammarico, dovette dare la vittoria alla ditta. Ora i bulldozer avevano il permesso d'imperversare sullo stagno. «Mi dispiace moltissimo» disse Niobe. Ma Cedric si limitò a scrollare le spalle. «Verranno fermati» disse con tono cupo. Ma non spiegò come. Un mattino nebbioso Cedric la baciò con particolare tenerezza e tirò fuori Junior dalla culla. «Porto Junior a fare una passeggiata fino alla quercia» le disse. Niobe ne fu felice, ma per qualche motivo anche allarmata. Le ultime parole di Cedric, "noi siamo lì", le erano suonate strane. Eppure erano parole normali e innocenti, e la grande quercia era il luogo più sicuro per il bambino, con l'amadriade che era ormai una specie di babysitter. Anzi, la ninfa aveva addirittura iniziato a insegnargli un po' di magia selvatica, e se esisteva una cosa più rara della compagnia di una driade, era la condivisione della sua magia. Junior, pur non essendo ancora in grado di parlare o camminare, sembrava comprendere piuttosto bene, e a loro sembrava che fosse quasi già in grado di produrre incantesimi. Quindi, di che cosa doveva preoccuparsi? Niobe sapeva che si stava preoccupando inutilmente. Non c'era assolutamente nulla, pensò con decisione, che potesse minacciare Junior. Lavorò al telaio, formando una bella immagine di quello stesso albero, e mentre le sue mani si muovevano, pressoché automaticamente, Niobe sognò ad occhi aperti. L'immagine del grande albero svanì lentamente e ven-
ne sostituita da quella del viso saturnino. «Oggi verrò a prenderti!» disse il volto ghignando con malvagità. «Il mio emissario è già per strada, e non può essere fermato. Sei condannata, signora della matassa!» Niobe cacciò un urlo. L'immagine svanì, e rimase solo la sua opera incompleta. Stava tremando. Era la visione che le veniva nel momento culminante dell'amore, ma questa volta non aveva avuto nulla a che vedere con l'amore. Cedric l'aveva allontanata con la sua musica, ma ora la stava terrorizzando in maniera diretta! Che cosa poteva significare? Poi sentì un colpo. Balzò in piedi. Era un colpo d'arma da fuoco, e proveniva dalla direzione dello stagno. Cedric era lì con Junior... e non aveva pistole! Allarmata e terrorizzata, scattò fuori e si fece di corsa tutto il sentiero tortuoso che portava allo stagno. Giunta sul luogo, udì un gridolino sottile proveniente dall'albero. Era la driade che, appesa a un ramo stava gridando con tutta la forza che aveva. Ai piedi dell'albero c'era la carrozzina, rovesciata. «Junior!» gridò Niobe, con rinnovato orrore. Corse all'albero e prese la carrozzina. Junior era lì, tutto coperto di terra, e si mise immediatamente a piangere. Ma non sembrava essersi fatto male. La carrozzina si era rovesciata, e lui si era spaventato. Alzò lo sguardo verso la driade. No, certamente non avrebbe mai tentato di far del male al bambino. Anzi, stava ancora gridando, indicando con la piccola mano un punto lontano dall'albero, verso la parte oscura dello stagno, dove la luce era poca. Niobe guardò in quella direzione, e vide il corpo di Cedric riverso fra i cespugli. Improvvisamente la terribile premonizione che aveva avuto si focalizzò. Non si trattava di suo figlio, ma di suo marito! Corse da Cedric. Era a faccia in giù, e il sangue colava da una ferita nell'addome. Gli avevano sparato addosso! Era in stato d'incoscienza, ma il cuore batteva ancora. Alzò lo sguardo, e la driade era davanti a lei. Si era allontanata dal suo albero. «Cosa... chi...?» domandò Niobe, dimenticandosi che le driadi non possono parlare. La ninfa prese un bastoncino e l'imbracciò come un fucile. Poi lo agitò per far capire che avevano sparato. Ma Niobe questo lo aveva già capito. «Hai qualche incantesimo... per curare la ferita?» le domandò. La driade corse al suo albero, si arrampicò come uno scoiattolo, e scom-
parve fra le foglie. Tornò un attimo dopo con un ramoscello in mano. Niobe prese il ramoscello e l'appoggiò alla ferita. Il flusso di sangue cessò. La magia della ninfa funzionava! «Grazie» le disse Niobe. Ma come faceva a riportare Cedric a casa, e che cosa ne avrebbe fatto una volta lì? Pesava molto più di lei, era quasi impossibile trascinarlo, e inoltre il movimento avrebbe potuto ucciderlo. E poi c'era il bambino! La driade indicò l'albero. «Mi aiuterai?» domandò Niobe. «Dici che lì sarà al sicuro, per un po'?» La ninfa annuì. Quindi Niobe si sforzò di trascinare il corpo di Cedric fino all'albero, dove l'appoggiò al tronco curativo. «Vado a chiedere aiuto!» disse alla driade mentre prendeva in braccio Junior e correva via. Nel giro di qualche ora, quella fase dell'incubo ebbe termine. Cedric si trovava in un ospedale lontano dove si stavano prendendo cura di lui, e le loro famiglie erano state informate. Entrambe avevano risposto immediatamente. Ma le buone notizie finivano lì. Cedric era sulla lista dei malati gravissimi, e non accennava a migliorare. La pallottola aveva danneggiato la spina dorsale, paralizzandolo, e inoltre aveva portato con sé un'infezione non meglio identificata che si stava lentamente insinuando nel suo corpo già indebolito. «Possiamo mantenerlo in vita forse per una settimana» disse il dottore con tono cupo. «Perché ha un fisico eccezionale, altrimenti sarebbe già morto. E anche se riuscissimo a salvarlo, rimarrebbe paralizzato dalla vita in giù e soffrirebbe molto. Per non parlare del rischio di un danno cerebrale. Mi rincresce molto dirlo, ma credo che sarebbe più giusto lasciarlo morire.» «No!» gridò Niobe. «Io lo amo!» «Tutti noi l'amiamo» disse il medico. «Stava facendo qualcosa di eccezionale per la nostra terra. Ma non siamo in grado di salvarlo.» «Ma forse possiamo vendicarlo» disse l'avvocato che li aveva assistiti nella causa. «È evidente che l'ha fatto uccidere l'imprenditore affinché la smettesse di aizzare la gente contro il suo progetto di costruzione.» «Ma hanno già vinto la causa!» protestò Niobe. «Perché dovrebbero fare una cosa simile proprio ora?» «Magari temevano che avesse in mente qualcosa di nuovo.» Niobe ricordò la sicurezza con la quale Cedric le aveva detto che il progetto sarebbe stato fermato. In effetti aveva certamente qualcosa in mente! Ma la cosa non la confortava affatto; lo voleva vivo e in buona salute. «Come posso salvarlo?» domandò, attaccandosi alla speranza. Il dottore e l'avvocato si scambiarono uno sguardo. «Dovrete rivolgervi
a una corte superiore» disse l'avvocato. «E che corte sarebbe?» «L'Incarnazione della Morte» disse il dottore. «Se Thanatos vorrà risparmiarlo, non morirà.» Niobe era pronta ad attaccarsi a qualsiasi cosa. «Allora mi rivolgerò alla Morte! Dove posso trovarla?» I due uomini allargarono le braccia. Non lo sapevano. «Nessuno va alla Morte» disse il dottore. «È la Morte che viene a noi, e nel momento che sceglie lei, non quando vogliamo noi.» Niobe prese Junior con sé e si recò di tutta fretta alla scuola di Cedric, dove cercò il vecchio professore. «Dove posso trovare la Morte?» gli domandò. Il professore la squadrò con aria infelice. «Mia splendida donna, non vorrete certo fare questo?» «Non parlate così!» proruppe. «Io lo amo!» L'uomo non interpretò male le sue parole. Sapeva che era Cedric che amava, non la Morte. «E amate anche vostro figlio» Niobe si raggelò. «Volete dire che... devo scegliere fra i due?» «In un certo senso. Voi, forse, potete riuscire a raggiungere Thanatos. Ma vostro figlio è al dì sotto dell'età del giudizio. Morirebbe. Se insistete sul voler intraprendere questo terribile viaggio, dovrete lasciarlo.» Niobe guardò Junior, terrorizzata. «Ma... potrò riprendermelo... dopo...?» «Se avrete successo» disse. «Ma signora Kaftan, non avete alcuna garanzia di successo. Quella che voi cercate non è una persona qualunque, ma un'entità sovrannaturale. Esiste la possibilità che non torniate mai più da un simile viaggio.» «E se... lasciassi mio figlio con una buona famiglia?» domandò con un certo sforzo. «Così se non... non dovessi... tornare, almeno verrebbe accudito?» «Questo potrebbe essere un espediente. Voi potreste ricorrere a un incantesimo anti-allattamento e il bambino può essere nutrito con un biberon mentre...» «Allora mi spiegherete come raggiungere la Morte?» «Sono d'accordo» assentì il professore con riluttanza. «Dopotutto vi avevo promesso che vi avrei aiutata se me lo aveste chiesto.» Niobe si recò il più in fretta possibile alla fattoria di Pacian, cugino di Cedric. Pacian aveva dodici anni, sei in meno di Cedric, ma i suoi genitori
erano persone molto gentili con un senso della famiglia molto radicato. Sì, avrebbero tenuto Junior; in fondo si trattava di un loro parente, di un Kaftan. Pacian, un ragazzo dai lineamenti piacevoli che le ricordava stranamente Cedric, accettò subito Junior come un fratellino. Poi, confusa ed emozionata e con più di una lacrima o due, tornò alla scuola, dove il professore le avrebbe mostrato dove trovare la Morte. Accanto alla scuola c'era un laghetto, e per l'occasione era stata riesumata una vecchia barca a vela scassata. Le numerose falle erano state tappate in qualche modo, e le vele legate alla meglio. La barca poteva procedere in una sola direzione; direttamente in fronte al vento. Ma la direzione fisica non aveva importanza; ciò che contava era l'impulso spirituale. Il piccolo ponte della barca venne riempito di legna secca cosparsa di kerosene. Una sola scintilla avrebbe trasformato la barchetta in un rogo nel giro di pochi secondi. La vela era nera e vi era dipinta sopra l'immagine di un teschio bianco con due ossa incrociate; in questo caso non si trattava del simbolo della pirateria, ma del simbolo della Morte. E quella era, in effetti, la barca della morte. Niobe fece la sua apparizione sul molo. Indossava un abito da sera nero elegantissimo, con guanti e scarpette neri, e i suoi splendidi capelli color del miele erano legati da un nastro nero. Fra gli studenti che si erano riuniti, sia maschi che femmine, si diffuse un mormorio di stupore. Niobe sapeva di non essere mai stata così bella. L'incantesimo anti-allattamento aveva bloccato il flusso del latte, ma i suoi seni rimanevano ben sviluppati. Il professore era in fondo al molo, accanto alla barca. Aveva un aspetto vecchio e compassato, e il suo viso era pallido come un osso. «Ah, splendida donna, è un orrore ciò a cui andate incontro!» mormorò. «Siete... siete veramente sicura?» «Se Cedric muore, che cosa può significare la vita per me?» domandò lei con accento retorico. Si aggrappò al suo braccio, e salì sulla barca. La fragile struttura dondolò nell'acqua, e lei si affrettò a sedersi. «Forse ci incontreremo ancora» disse l'uomo. «Certamente» confermò lei mandandogli un bacio. Sapeva che aveva fatto del suo meglio, e si fidava della sua magia. Ma la sua espressione fiduciosa in realtà mascherava il terribile terrore che provava dentro di sé, simile a quello provocatole dal quarto volto della grande quercia. Si sentiva come un daino che si trova nel raggio di tiro del fucile di un cacciatore. In quel senso erano in piena stagione di caccia, e il cacciatore in questo ca-
so era la Morte in persona. «Ricordate» le disse il professore. «Potete sempre saltare giù, e un nuotatore vi salverà.» Indicò tre giovanotti in costume da bagno in piedi sulla riva del lago con espressione attenta. «Per rinunciare al mio amore?» disse lei con tono sdegnato. «Non lo farò mai.» «Che il Signore sia con voi, allora» disse lui, e non si trattava di una frase fatta. Unì le mani in preghiera e le sollevò verso il cielo annuvolato. Dov'era Dio quando era stato colpito Cedric? si domandò Niobe. Ma sorrise. «Mollate l'ormeggio» disse. Il professore si chinò e tolse la cima dall'ormeggio. La brezza gonfiò la vela, e la barca si mosse verso il centro del lago. Se la si lasciava navigare alla deriva, prima o poi sarebbe andata a schiantarsi sulla riva opposta, ma Niobe aveva un piano differente. Si voltò e salutò la gente sulla riva alle sue spalle. Poi infilò una mano nella borsa, tirò fuori un grosso fiammifero di legno e lo sfregò contro la ruvida superficie del ponte. Il fiammifero si accese. Per un attimo tenne la fiammella accesa davanti a sé. Poi si morse con forza il labbro inferiore, chiuse gli occhi, e gettò il fiammifero sulla legna inzuppata. Se non s'incendiava subito, avrebbe mai trovato il coraggio di riaccenderlo? Ma invece la fiamma prese, e nel giro di un attimo udì lo scoppiettio del fuoco. Aprì gli occhi, e vide le fiamme e il fumo che si allargavano. Ma il fuoco non divampò immediatamente; ci vollero diversi secondi prima che tutta la catasta s'incendiasse. Poi s'intensificò di colpo, e Niobe sentì sul corpo l'improvviso calore. Prese fuoco anche la vela, che divenne una colonna incandescente. Il momento per saltare era quello, prima che le fiamme la circondassero. Era tentata. Ma poi pensò a Cedric, in stato d'incoscienza nel suo letto d'ospedale, e si sentì più determinata. Si alzò in piedi, trattenne il fiato, e decisamente fece un passo verso il rogo. Cedric! Cedric! pensò mentre il fuoco l'avvolgeva. Ti amo! Il suo vestito prese fuoco, i suoi capelli iniziarono a sfrigolare, ma fece ugualmente un altro passo, cercando di non cedere al dolore che sapeva sarebbe venuto presto. E infatti venne. Tutto il mondo attorno a lei era fuoco. Inspirò, e il fuoco era dentro di lei, che le bruciava i polmoni e il cuore. L'agonia era terribile, ma lei resistette, rifiutandosi di cadere a terra o di gridare. Morte, sto ve-
nendo da te! Ora la barca era un tizzone ardente. Le falle si riaprirono e l'acqua iniziò ad entrare, inzuppandole i piedi. Ma le fiamme danzavano sull'acqua, e il fumo si arricciava, come se stesse combattendo con l'acqua per vincere il loro premio vivente. Niobe rimase immobile, con la pelle che le bruciava, attendendo la Morte. Una figura si avvicinò. In sella a un grande destriero che cavalcava sul pelo dell'acqua c'era un uomo con un mantello e un cappuccio nero. Il cavallo si fermò davanti alla barca e la figura incappucciata scese di sella con una falce in mano. Falciò le fiamme come fossero erba alta in un campo, e queste caddero immediatamente, stroncate alla base. La figura si aprì un varco tra le lingue roventi fino ad arrivare a Niobe. La Morte era giunta. Thanatos si fermò accanto a lei e le porse la sua mano scheletrica. La ragazza la prese, sentendo il contatto delle ossa fredde sulle sue dita. Improvvisamente, il bruciore del fuoco scomparve. Thanatos condusse Niobe attraverso il varco che aveva aperto e la issò sulla sella del grande destriero. Poi salì alle sue spalle, e il cavallo balzò nella colonna di fumo, attraversandola per poi puntare dritto verso il cielo. In breve si trovarono a galoppare fra le nubi, con gli zoccoli del cavallo che lasciavano una leggera scia di fumo alle loro spalle. Emersero in un paesaggio d'erba verde e un sole caldo e piacevole. Davanti a loro c'era una casa. Vi si fermarono davanti, smontarono, e Thanatos la condusse dentro. Subito venne loro incontro una cameriera dall'aspetto materno. «Avete portato un mortale!» esclamò con tono sorpreso e forse anche un po' indignato. «Provvedi a lei» disse Thanatos freddamente. «Non è una cliente.» Come Thanatos si allontanò, Niobe sentì il dolore che tornava, ma la donna portò subito dell'unguento. La pelle di Niobe era nera e quasi carbonizzata, ma a contatto con l'unguento tornò giovane e fresca come prima. La cameriera glielo spalmò su tutto il corpo e gliene fece respirare i vapori, finché il dolore non fu completamente scomparso. Niobe si ritrovò in piedi, completamente nuda. «Mia cara, voi siete bellissima!» esclamò la cameriera spruzzandole qualcosa sui capelli bruciacchiati. Anche i capelli ricrebbero a velocità impressionante, finché non tornarono a essere splendidi e dorati come prima. «Perché mai una creatura come voi dovrebbe tentare il suicidio?» «Io lo amo» ripeté Niobe.
«Ah, l'amore» sospirò la cameriera intenerita. E le portò un accappatoio e delle pantofole nuove. A quanto pareva l'unguento non poteva riaggiustare gli abiti mezzi inceneriti di Niobe. «Thanatos vi sta aspettando» le disse, e l'accompagnò in un salottino. La Morte, Thanatos, la stava effettivamente aspettando. Assomigliava un po' a un padre autoritario che aspettava sua figlia, se si escludevano il teschio e le mani scheletriche. «Avete compiuto un gesto molto coraggioso e sciocco, mia giovane donna» disse con tono di disapprovazione. «Non eravate sulla mia lista, e mi avete costretto a un'uscita d'emergenza.» «Era... era l'unico modo per ottenere la vostra attenzione» disse lei, sedendosi sulla poltrona che le era stata offerta. «Vi ringrazio per essere venuto» disse, e sorrise. Il teschio stesso sembrò colorarsi un poco, dimostrando che anche la Morte non era immune alla bellezza femminile. «Bisognava farlo» disse freddamente. «Quando avviene una morte non prevista, i fili del Fato s'ingarbugliano.» Era ciò che le aveva detto il professore. Vi era un certo ordine nell'universo, e le Incarnazioni provvedevano al mantenimento di quell'ordine. «Dove... dove mi trovo? In Paradiso?» Thanatos espirò dal naso, accennando una risata con il suo naso privo di carne. «Vi trovate in Purgatorio» disse. «Il luogo dell'indecisione, e della decisione. Tutte le Incarnazioni vivono qui.» «Oh. Non ero mai stata oltre la vita prima d'ora.»Tutta la faccenda l'intimidiva non poco. «E che cosa vi ha portato sin qui, mia incantevole fanciulla mortale?» «Oh, non sono una fanciulla! Io... mio marito Cedric... sono venuta a chiedere che venga risparmiata la sua vita. Io lo amo!» «Senza dubbio» assentì Thanatos. Schioccò le sue dita, fatte solo di ossa, e subito apparve un servo con una scatola piena di schede. Thanatos aprì la scatola e sfogliò le schede. «Cedric Kaftan, anni diciotto, destinato al Paradiso fra esattamente cinque giorni. Un buon uomo, che non richiede la mia personale attenzione» disse. Poi osservò la scheda con più attenzione, e Niobe ebbe l'impressione che stesse stringendo gli occhi che non aveva. «Un uomo di grandissimo valore, direi, che vi ama in maniera decisamente profonda.» «Sì. Devo salvarlo. Dovete...» Thanatos la fissò attraverso i buchi neri dei suoi occhi, e improvvisamente Niobe ebbe un brivido, ma non di morte. Non aveva pensato prima
che un'Incarnazione avrebbe potuto richiederle un pagamento per il favore che lei chiedeva... e che cosa aveva lei da offrire? Poi pensò nuovamente a Cedric nel suo letto d'ospedale, e seppe che avrebbe pagato qualsiasi prezzo per riaverlo vivo e sano. Ma quando Thanatos parlò di nuovo, la sorprese. «Mia buona e amabile mortale, purtroppo non posso fare ciò che mi chiedete. Io non causo la morte delle persone; mi limito al collocamento corretto delle anime di coloro che muoiono. È vero che godo di una certa libertà d'azione, e che in alcune occasioni posso ritardare una morte per un certo periodo, ma nel caso di vostro marito la cosa non si può fare; rimandare la sua morte significherebbe solo aumentare il suo dolore. Non potrà più né camminare né parlare.» «No!» gridò Niobe. Le lacrime iniziarono a sgorgare, innaffiandole l'accappatoio. «È così giovane, così carino! Io lo amo!» Persino la Morte s'intenerì davanti a quella supplica così dolce. «Vi aiuterei se potessi» disse Thanatos. «Essere un'Incarnazione non significa non avere cuore. Ma il rimedio che cercate non rientra nella mia sfera d'azione.» «E allora nella sfera di chi rientra?» domandò lei singhiozzando. «A questo punto, credo che l'unico che può aiutarlo sia Chronos.» «Chi?» «L'Incarnazione del Tempo. È in grado di viaggiare nel tempo a suo piacimento, e può mutare gli eventi mortali agendo prima che avvengano. Quindi, se...» «Può intervenire prima che venga sparato il colpo!» esclamò lei. «Così Cedric non sarebbe mai stato colpito!» Il teschio incappucciato annuì. «Questo è ciò che potrebbe fare Chronos.» Ormai si stava abituando a parlare con l'Incarnazione della Morte, e non le pareva neanche più una cosa tanto strana. La rinnovata speranza di salvare Cedric le aveva ridato la carica. «Dove... come posso trovare Chronos?» «Potreste frugare tutto il Purgatorio senza trovarlo» disse Thanatos. «Lui viaggia nel tempo. Ma se desidera vedervi, lo farà.» «Ma io devo incontrarlo! Ho così poco tempo...» Si udì un campanello, che assomigliava più a una campana funebre. «Sarà sicuramente Chronos» disse Thanatos. «Di già? Ma come...»
«Lui conosce il nostro futuro. Senza dubbio è venuto in risposta al messaggio che gli manderò fra breve.» Un servo fece entrare Chronos. Era un uomo alto e magro, con indosso un mantello bianco e in mano una clessidra. «Ah, Cloto» disse. «Chi?» domandò lei, confusa. Chronos la guardò di nuovo. «Oh, siamo ancora a questo punto? Mi scuso; è avvenuto prima di quanto non credessi. In questo caso, dovete presentarvi.» Evidentemente l'aveva confusa con qualcun altro. «Io... io sono Niobe Kaftan... una... una donna mortale.» «Niobe» ripeté Chronos, come se inseguisse qualche ricordo. «Sì, certo. E siete qui per...» «Per salvare mio marito, Cedric.» Annuì. «Giusto. Ma non è un'idea molto saggia.» «Non è saggia!» esclamò lei indignata. «Io lo amo!» Fu come se avesse colpito l'Incarnazione. Chronos impallidì, ma si riprese subito. «L'amore è mortale» disse tristemente. «Col tempo, passa.» «Non mi importa, se passa in maniera naturale! Cedric sta morendo, e non ha ancora diciannove anni!» Chronos scosse il capo. «Potrei viaggiare fino al momento in cui ha avuto inizio il suo problema e cambiare l'evento... ma sono molto esitante. Le interazioni possono estendersi parecchio, e se interferiamo rischiamo di rompere un equilibrio molto più vasto.» «Ma io lo amo!» pianse Niobe. «Io devo salvarlo!» Chronos diede un'occhiata a Thanatos, che scrollò le spalle. Potevano anche essere Incarnazioni, ma erano certamente molto simili agli uomini mortali, confusi e incapaci di agire davanti al dolore di una donna mortale. «Ma dovete capire» disse Chronos con tono ragionevole, «che cambiare un evento, soprattutto questo, potrebbe portare a delle conseguenze che nessuno di noi gradirebbe.» Niobe cominciò a piangere. Affondò il viso fra le mani, e le lacrime sgorgarono in rivoletti fra le sue dita. «Forse un'Incarnazione femmina se la caverebbe meglio in questa situazione» suggerì Thanatos, evidentemente imbarazzato. Gli uomini tendevano a sentirsi così, in situazioni simili; non riuscivano a capire il pianto. Neanche Niobe si sentiva a suo agio in quella situazione, ma non poteva fare a meno di reagire a quel modo. «La porterò dal Fato» acconsentì di tutta fretta Chronos.
Si avvicinò a Niobe e le toccò il gomito con una certa timidezza. «Per favore, signora, venite con me.» Nel sentire quel "signora", il termine che Cedric aveva tanto usato all'inizio della loro relazione, Niobe scoppiò nuovamente in lacrime. Non si rese quasi conto che Chronos le afferrava saldamente il gomito con una mano mentre sollevava la clessidra luminosa con l'altra. Ma all'improvviso si trovarono entrambi a sfrecciare nell'aria, attraversando le mura della casa come fossero fantasmi. La cosa la stupì talmente che le lacrime si arrestarono immediatamente. Attraversarono in volo un paesaggio variegato che non era il mondo conosciuto da Niobe. Poi atterrarono sulla ragnatela più mostruosa che la ragazza avesse mai anche immaginato, con uno schema intricato di fili setosi che si estendeva per centinaia di metri in una rete circolare. Al centro la tela si inspessiva, formando una specie di tappeto, sul quale atterrarono. «Come... cosa?» domandò Niobe, perplessa e stupita. «La Clessidra annulla selettivamente gli aspetti del controincantesimo cronologico» spiegò Chronos «permettendomi di viaggiare... oh, vi riferivate alla ragnatela? Non vi preoccupate, è la dimora del Fato.» «Il Fato!» esclamò lei, rendendosi conto di come quest'entità poteva influire sulla sua situazione. «È stato il Fato che ha determinato che Cedric...» «Certamente» assentì Chronos mentre camminavano verso l'enorme bozzolo al centro della fragile pianura. «Lei dovrebbe essere più competente di me in merito alla vostra richiesta.» «Ma... è un enorme nido di ragni!» disse Niobe. Chronos sorrise. «Vi assicuro, mia buona e bellissima donna, che il Fato non vi consumerà a quel modo. Lei è molto... simile a voi.» Si fermarono davanti all'entrata. Chronos alzò un braccio, prese un filo che pendeva, e lo tirò. All'interno si udì il suono di un campanello, e poco dopo dal buco apparve una donna di mezz'età, dall'aria piuttosto energica. «Oh, Chronos!» esclamò. «Ma che piacere vederti, mio collega a ritroso!» Il suo sguardo cadde poi su Niobe. «Con una donna mortale che brilla come la luna!» Lanciò uno sguardo sospettoso a Chronos. «Che cosa stai combinando, signore?» «Lachesi, questa è Niobe» disse. «Viene a chiedere che venga risparmiata la vita di suo marito, che ha avuto un brutto incidente poco tempo fa. Io... non posso assisterla.» Gli occhi di Lachesi si strinsero, come se Chronos avesse detto qualcosa
di molto significativo. Poi osservò Niobe con aria sospettosa. «Entra, figliola» disse infine. «Esamineremo il tuo filo.» Lanciò un'altra occhiata a Chronos. «Anche tu, onorato collega.» La seguirono attraverso il buco, che non era altro che un tunnel ben filato che sbucava in una stanza piuttosto piacevole. Era tutta di ragnatela, ma la trama era talmente fitta e ben filata che risultava solida. Era il massimo delle ragnatele, una ragnatela di seta. Le pareti erano tessute a mo' di tappezzeria, che raffiguravano scene del mondo, e il pavimento era un tappeto talmente morbido che vi si sarebbe potuto dormire tranquillamente come su un materasso. Niobe si sedette su un divanetto di tela, mentre Lachesi si piazzò in piedi davanti a lei, unì le mani, le allargò, e iniziò a osservare i fili che apparvero magicamente fra le sue palme. «Oh, perdiana!» esclamò. «Questo sì che è un filo particolare!» Niobe corrugò la fronte. «Intendete il... mio?» «Un attimo, cara» disse l'Incarnazione in tono preoccupato. Diede un'occhiata a Chronos. «Dimmi, amico mio, questa è forse...?» domandò. Poi l'aria s'increspò attorno a lei, e al suo posto apparve una donna di circa vent'anni piuttosto carina, con una chioma nera e una profonda scollatura. Indossava un vestitino giallo abbastanza corto. Poi cambiò di nuovo, e tornò la donna di mezz'età vestita di marrone. Chronos annuì lentamente. Lachesi sembrò a disagio. Si accasciò su un altro divanetto. «Caspita!» esclamò «Questa sì che è una storia ingarbugliata!» «Non capisco» disse Niobe. «Ma certo che no, mia cara» acconsentì Lachesi. «Neanch'io riuscivo a capire. Ma naturalmente Chronos sapeva.» Si asciugò la fronte con un fazzoletto di seta dal colore vivace. «Che cosa le devo dire, Chronos?» «A questo punto la verità, immagino» disse lui. Il loro atteggiamento stava iniziando a innervosire Niobe. «Certo che mi dovete dire la verità!» proruppe. Lachesi venne a sedersi accanto a lei, prendendole la mano. «Mia cara, la verità può essere una matassa molto intricata e spesso dolorosa. Ho controllato il tuo filo, e...» «Controllate il filo di mio marito!» esclamò Niobe. «Devo assolutamente salvarlo!» Lachesi le mollò la mano, unì le sue, le allargò, e vi apparve un altro filo sottilissimo. «Cedric Kaftan» disse, come se stesse leggendo da un libro.
«Il suo filo...» Chiuse le mani di scatto, facendo scomparire il filo. «Oh, perdiana, perdiana!» «Ma voi siete veramente il Fato? Potete salvarlo?» Lachesi scosse il capo. «Io sono il Fato, o meglio uno dei suoi aspetti. Io determino la lunghezza e il posizionamento dei fili delle vite umane. In linea generale, stabilisco il destino di ogni persona. Ma questo è un caso particolare... anzi, un caso molto particolare. Non posso fare ciò che mi chiedete.» La tristezza di Niobe ora si trasformò in rabbia. «E perché no?» insistette. «L'avete organizzata voi questa morte, non è forse vero?» «L'ho organizzata, sì, ma non l'ho decretata» assentì Lachesi con tono triste. «Ora ricordo il caso specifico. Non volevo farlo, ma ci sono stata costretta. Ora, grazie a Chronos, inizio a capire il perché.» «E allora spiegatelo anche a me!» esclamò Niobe. «Io lo amo!» «E lui ama voi» rispose la donna. «Molto più di quanto non immaginiate. Mia cara, sapere di più non servirebbe ad altro che a rattristarvi ulteriormente. Alcuni daini devono morire, affinché il branco prosperi.» Alcuni daini! Quest'affermazione la scosse, poiché Cedric si era adoperato per salvare i daini. «Vi rifiutate di dirmelo?» Lachesi sospirò. «Lo so che è difficile capire per voi, Niobe. Voi siete una donna brava e coraggiosa, e il vostro amore è grande, ma siete una mortale. Vi aiuterei se potessi, ma non posso.» Alzò una mano per bloccare l'obiezione di Niobe. «A un bambino, la vita appare come una serie di limitazioni arbitrarie; il bambino quindi anela alla libertà dell'esistenza adulta. Ma quando diventa adulto, scopre che quelle limitazioni rimangono; solo che cambiano la loro natura, divenendo più complesse e sottili. Allo stesso modo, potrebbe sembrare che noi Incarnazioni abbiamo una libertà d'azione molto superiore a quella degli esseri mortali, invece anche noi abbiamo le nostre limitazioni, e sono di una natura che ben pochi mortali sono in grado di comprendere. Posso solo assicurarvi che una situazione che va oltre il vostro e il mio controllo ha fatto sì che vostro marito debba effettivamente morire. Non posso far altro che dire che mi dispiace.» «Che vi dispiace!» proruppe Niobe. «Che vi dispiace! Che giustificazione potreste invocare per aver organizzato la morte di un uomo nobile quale Cedric!» «Due ottime giustificazioni» disse Lachesi. «Una potrei non dirvela, l'altra non ve la dirò di certo.» «Allora mandatemi da qualcuno che me lo spieghi!»
Lachesi scrollò le spalle. «Marte, magari. È un tipo aggressivo...» «La porterò da lui» dichiarò Chronos. Lachesi lo guardò di sbieco. «Hai forse qualche interesse particolare, Chronos?» «Sono in debito con... Cloto» disse. Lachesi annuì con aria saputa. «È una matassa ingarbugliata, quella per cui lavoriamo» disse. «Com'è ingarbugliata la tappezzeria che filiamo. Grazie per avermi informato, Chronos.» Chronos annuì e si alzò in piedi, e Lachesi fece altrettanto. Quindi si baciarono. Questo particolare stupì Niobe, ma era troppo distratta dalla frustrazione per la situazione in cui si trovava per prestare attenzione alla loro. Chronos la prese nuovamente per il polso, sollevò la sua clessidra, l'inclinò, e si trovarono di nuovo in viaggio in quello strano mondo immateriale. Giunsero davanti a una possente fortezza di pietra, con torrette armate, feritoie per cannoni e spesse mura. Sorgeva in cima a una collina del Purgatorio e aveva un aspetto inespugnabile, ma Chronos atterrò tranquillamente davanti al portone principale. «Oh Marte!» chiamò. Si aprì una finestrina, dalla quale spuntò una testa con tanto di elmetto. «È al lavoro» disse la testa. «In Francia. Lo sapete, no?» «Ah, sì, la guerra» disse Chronos. Inclinò nuovamente la sua clessidra e piombarono giù attraverso il suolo, le nubi e il cielo sottostante. Abbassando lo sguardo, Niobe vide le terre e le acque che sfrecciavano sotto di loro a velocità sovrannaturale; si sentì girare la testa, e dovette chiudere gli occhi. Chronos poteva anche non essere un uomo, ma aveva poteri incredibili! Come del resto anche Thanatos, rifletté. Il modo in cui aveva affettato le fiamme, e quel magnifico cavallo, e il suo corpo fatto di ossa ma dotato di voce e di forza... E anche Lachesi... il modo in cui trattava i fili, e la sua trasformazione in un'altra donna come se nulla fosse... non si trattava certo di talenti mortali! Erano tutti esseri fenomenali, e nonostante questo non potevano far niente per lei. Niobe percepiva che tutti e tre avrebbero veramente voluto aiutarla, ma che non erano effettivamente in grado di farlo. Per un motivo che non volevano dirle. Rallentarono. Erano giunti sulla Francia. Infine raggiunsero una lunga trincea, una piccola parte di una serie di fortificazioni piazzate alla rinfusa che sembrava estendersi all'infinito. Era il fronte della guerra, questo Nio-
be lo sapeva, e si trattava proprio di quella guerra che aveva strappato alla sua terra quasi tutti i giovani in età da matrimonio, costringendola a sposare un sedicenne. Allora aveva maledetto quella guerra, adesso al contrario la benediceva, poiché senza di essa, non avrebbe mai conosciuto Cedric. Un uomo con indosso un'armatura greca (o romana? Non aveva studiato abbastanza sulle guerre per poterla distinguere) era in piedi fra le trincee. Evidentemente si trattava di Marte. «Ah, Chronos» disse Marte, agitando la sua spada rossa in segno di saluto. «Qual buon vento ti porta qui, con una creatura tanto splendida?» «Questa è Niobe, una mortale. Era venuta per vedere Thanatos e chiedere che venisse risparmiata la vita di suo marito, ma la faccenda è piuttosto complessa, e non siamo in grado né di aiutarla né di spiegarle come stanno le cose.» «Certo che no» disse Marte mentre un grosso proiettile esplodeva poco distante. La zona venne mitragliata, ma nessuno di loro venne colpito. Niobe si rese conto che erano protetti da qualche genere d'incantesimo. Senza dubbio avevano un grande potere queste Incarnazioni! «I mortali non sono in grado di capire certe cose.» «Certo che non capisco!» proruppe Niobe. «Il Fato ha reciso il filo di mio marito decretando la sua morte, la Morte verrà a portarlo via, e il Tempo si rifiuta di cambiare la situazione! Ormai, anche da voi non mi aspetto certo nulla di meglio!» Se aveva pensato di metterlo in soggezione in qualche modo, si era sbagliata di grosso. Marte sorrise. «Una donna alla caccia del mio cuore!» disse con tono compiaciuto. «Una combattente. Va bene, Chronos, a questo punto sono curioso. Io ne elimino a migliaia in una sola battaglia, e siccome c'è poca giustizia e spesso molta ironia nella loro sorte, voi altre Incarnazioni tendete a vedere il mio lavoro con un certo disprezzo. Ma ora a quanto pare anche voi vi dedicate a questo genere di morte arbitraria. Non è un comportamento normale da parte vostra. Se questa donna ha avuto il coraggio di sfidare Thanatos, credo che meriti per lo meno un po' di considerazione. Dov'è finita la vostra cavalleria?» Improvvisamente a Niobe quell'omaccione grezzo riuscì molto più simpatico. Chronos sfiorò la sua clessidra, e il mondo ebbe un sussulto. Ora lui e Marte si erano leggermente spostati rispetto a prima, e anche la posizione del sole era cambiata. «Avete fatto qualcosa!» Niobe accusò Chronos. «Avete cambiato il tem-
po! Perché?» «Dovevo spiegare la faccenda a Marte» disse. «Vi ho semplicemente portata avanti di una mezz'oretta, mentre parlavamo.» «E perché non avete spiegato la faccenda a me, invece?» «Non accusatelo» intervenne Marte. «Ha i suoi buoni motivi, come del resto li aveva Lachesi. A quanto pare si tratta di un caso particolarmente insolito.» «Allora non me lo direte neanche voi, Marte?» insistette la ragazza. «Scommetto che voi Incarnazioni vi sentite tanto importanti, quando prendete in giro noi poveri mortali...» Venne stroncata da un flusso di lacrime incontrollabile, e prese a singhiozzare. «Così fa...» mormorò Chronos, imbarazzato. «Oh, suvvia, donna» disse Marte. «Ho provocato lacrime simili a decine di migliaia di donne, anche se nessuna era bella come voi. Di che cosa siete fatta?» Niobe allora venne invasa da una furia cieca. «Allora vi auguro decine di migliaia di lacrime come quelle, bruto insensibile!» gridò. «E spero che vi strozziate con la vostra stessa spada!» Marte sorrise. «Pregevole!» Poi sospirò. «Va bene, cercherò di chiarirvi la faccenda, molto in generale. Vedete, Dio e Satana sono in guerra, e in questa guerra vi sono innumerevoli scaramucce, occasionali grandi battaglie, e alcuni garbugli inestricabili. Noi Incarnazioni lavoriamo per Dio, che è l'Incarnazione del Bene. A volte però è necessario fare dei piccoli sacrifici in vista della vittoria finale, e a quanto pare vostro marito è uno di questi casi. Di conseguenza, vedendo la cosa da un punto di vista più ampio...» «Un piccolo sacrificio? Cedric!» domandò lei indignata. «Io lo amo!» L'aveva detto diverse volte e l'avrebbe detto molte altre, se questo poteva aiutarla a riaverlo. «E anche lui ama voi» assentì Marte. «E l'ha dimostrato. Può anche darsi che per merito del suo sacrificio la guerra venga vinta da noi. Dovreste esserne orgogliosa.» Improvvisamente ricordò come si era comportato Cedric poco prima che gli sparassero. Era quasi come se avesse previsto ciò che stava per accadere. «Lui... lo sapeva?» «Lo sapeva» confermò Marte. «Si è assoggettato volontariamente a questo sacrificio, e così facendo si è coperto di gloria. Lo saluto e lo lodo!» esclamò Marte, sollevando la sua spada rossa.
Cedric sapeva che doveva morire? Colpita da questa notizia, Niobe non sapeva più cosa dire. Poi si riprese. «Allora prenderò io il suo posto!» dichiarò. «Non potete» dissero all'unisono Marte e Chronos. «Non posso? E che cosa ve ne importa? In un modo o nell'altro riuscirò a salvare mio marito, nonostante tutti voi!» Marte scosse il capo. «Sarà meglio che la porti da Gaea» disse a Chronos. «Lei saprà cosa fare.» Chronos le prese il gomito. Niobe cercò di divincolarsi, ma al secondo tentativo Chronos riuscì ad afferrarla. Un attimo dopo erano di nuovo in volo, lasciandosi alle spalle le trincee della Francia. «Non siete altro che un ammasso di...» ma non riuscì a trovare una definizione accettabile. Quelle Incarnazioni sembravano aver organizzato una cospirazione del silenzio! Eppure era rimasta scossa da quanto aveva appreso su Cedric, notizia fra l'altro confermata dai suoi ricordi. Lui già sapeva, o quantomeno sospettava. Ma allora perché aveva scelto di morire? Era assurdo! Si avvicinarono a una macchia molto fitta di piccoli alberi. L'attraversarono come se niente fosse e si fermarono in una piacevole radura. Una donna piuttosto in carne era seduta davanti a loro su una sedia a forma di fungo. Anzi, su un vero e proprio fungo, enorme e massiccio. Nei capelli della donna c'erano dei fiori, vivi, con foglioline e radici ben in vista. Indossava un abito verde fatto di foglie sovrapposte e intrecciate, e ai piedi portava scarpe di terra, che in qualche modo aderivano ai suoi piedi senza sbriciolarsi. Non poteva essere che l'Incarnazione della Natura! «Oh, finalmente me l'hai portata, nefando viaggiatore del tempo» disse la Natura a Chronos. «E ora vattene, uomo insensibile; farò ciò che non sei stato in grado di fare tu.» «Come desideri, Gaea» disse Chronos visibilmente sollevato. Inclinò la sua clessidra, e scomparve. «Voi... sapevate che stavo per arrivare?» domandò Niobe. «Donna mortale, voi avete generato un certo subbuglio in Purgatorio» disse Gaea. «E sospettavo che quegli uomini avrebbero fallito.» «Ma il Fato... Lachesi...» «Lachesi sa, ma non può parlare. E neanch'io parlerò; potete star sicura che la Madre Verde è una persona discreta! Ma col tempo capirete. Io vi spiegherò ciò che avete bisogno di sapere al momento, e con questo dovrete essere soddisfatta.»
«Gaea, io voglio prendere il posto di mio marito!» proruppe Niobe. «Lasciate che lui sopravviva, in buona salute, e che possa portare a termine la sua carriera. Morirò io al posto suo!» La Madre Verde la osservò con uno sguardo di comprensione. «Capisco che vi sentiate così, Niobe. Voi siete una donna innamorata. Ma purtroppo questo non è possibile.» «Deve esserlo! Farei qualsiasi cosa per salvarlo!» Gaea scosse il capo. «Niobe, non potete farlo... perché lui per primo ha sacrificato la sua vita per voi.» «Ha... cosa?» «Eravate voi quella che Satana aveva condannato a una morte prematura. Vostro marito ha chiesto al professore cosa ne pensava delle vostre visioni, e lui, che è un mago piuttosto valido, ha investigato. Per Cedric aveva già previsto una cattedra presso la scuola, e voleva accertarsi che la sua situazione fosse stabile. Così ha scoperto la trama e ne ha informato vostro marito. Cedric non ha avuto un attimo di esitazione; si è offerto al posto vostro.» Ancora una volta, Niobe rimase di sasso. Ricordò le sue terrificanti visioni. «È morto... per me?» «A quanto pare il vostro destino è di essere una vera spina nel fianco per Satana. Naturalmente nessuno di noi conosce i dettagli, nemmeno Satana, eppure lui ha fatto di tutto per eliminarvi. Satana ha un potere terribile e agisce senza scrupoli, in maniera metodica; noi non ce ne siamo neanche resi conto, ha fatto tutto prima ancora che ce ne accorgessimo. Il servo dell'Inferno è stato liberato sulla Terra, ma Cedric si è preso il colpo destinato a voi.» «Ma come...?» «L'assassino era un cacciatore temporaneamente posseduto da uno spirito maligno. Gli ordini del demone erano di uccidere un mortale con un bambino in fasce che cantava davanti a una particolare quercia. Satana prevedeva che sareste stata voi.» «E infatti sarei stata io!» confermò Niobe con un filo di voce. «Se Cedric non avesse...» «Lui vi amava» disse Gaea. «E sapeva che Satana vi voleva morta. Così ha salvato voi e ha fregato Satana con un solo colpo. Raramente è stato compiuto un gesto così nobile.» «Ma se io...» «Non potete prendere alla leggera il sacrificio di vostro marito» continuò
Gaea. «Dovete accettare il suo dono, e fare ciò che egli vi ha messo in condizione di fare.» «Io... ma io non so cosa...» «Questo è ciò che non possiamo dirvi, e anche noi stessi ne sappiamo ben poco. Ma vi basti sapere che lo stesso Satana vi teme come un pericoloso nemico, e difficilmente si sbaglia. Quindi vivete, e col tempo scoprirete qual è il vostro destino.» Niobe si rese conto che la sua impresa non era servita a nulla. Cedric aveva già fatto per lei ciò che lei voleva fare per lui. Ormai non le restava scelta: doveva accettare. Attraversò la fitta macchia di alberi con passo malfermo, ed emerse... accanto alla grande quercia dello stagno, vicina a casa sua. L'amadriade la riconobbe e la salutò. «Oh, Cedric!» esclamò Niobe. «Ero io il daino che doveva essere ucciso... com'era grande il tuo amore per me! E ora sono costretta a lasciarti morire!» Sollevò al cielo il suo viso ormai mondo di lacrime. «Ma ti vendicherò, Cedric!» giurò. «In qualche modo. Satana pagherà!» Poi si accasciò ai piedi dell'albero e si mise a piangere sul tronco, mentre la driade si rigirava le mani, affranta. Oh, Cedric! 4 Cloto I giorni che seguirono furono molto spiacevoli, nonostante gli incantesimi anti-dolore che stava usando. Non facevano altro che soffocare il lato più tagliente del suo dispiacere, ma non potevano, e non dovevano!, portarle felicità. Le permettevano di vivere in maniera normale a livello superficiale, ma nel profondo, nelle profondità del suo animo, il dolore rimaneva. La magia non poteva fare più di tanto. Niobe andò a far visita al professore per chiedergli come mai non le avesse detto ciò che aveva fatto Cedric. «Perché me l'ha proibito» rispose tristemente l'uomo. «Speravo che... intercedendo con la Morte stessa avreste potuto... ma...» «L'omicidio è stato voluto da Satana» disse lei. «Ormai era troppo tardi. Uno di noi due era condannato.» «Lui ha insistito nel volervi salvare. Io, egoista come sono, lo volevo per il college. Aveva un potenziale talmente enorme! Ma lui, ed evidentemente
anche Satana, era convinto che foste più importante voi, e io non sono riuscito a dargli torto.» «Sì, era lui quello promettente» acconsentì lei. «Io non valgo la metà di quanto valeva lui. Non ho idea di che cosa potrò fare per giustificare la mia sopravvivenza. Ma per amor suo tirerò avanti, crescerò nostro figlio, e cercherò la mia vendetta nei confronti di Satana. Se prima il Principe del Male sospettava che gli potessi causare dei problemi, ora ne può essere sicuro!» Ma ancora una volta venne sopraffatta dalle lacrime. Si sentiva così disperata! Il suo matrimonio con Cedric era stato soprattutto una promessa: la promessa della maturità, la promessa della vita che avrebbero trascorso assieme come due adulti. Avevano appena iniziato ad assaporare quella gioia... e subito era stata stroncata. Niobe si recò all'ospedale della città, dove il dottore stava ancora lavorando per tenere in vita Cedric. «Lasciatelo andare» disse. «Io lo amo, e non ho intenzione di lasciarlo soffrire ancora.» Baciò le labbra esangui di suo marito, gli bagnò il volto di lacrime, e se ne andò. «Che tu possa essere felice in Paradiso, mio bel ragazzino» sussurrò. «E che io possa unirmi a te lassù, quando avrò terminato il mio compito.» Poi si recò alla fattoria dei genitori del cugino Pacian, dove aveva lasciato Junior ormai da diversi giorni. Junior la vide... e scoppiò in lacrime. Lei lo prese in braccio, piangendo a sua volta, e lo strinse a sé. «Ma stava andando così bene!» protestò Pacian. «Si stava divertendo un sacco qui, lo giuro!» «Ma certo» assentì Niobe. «Solo che quando mi ha vista si è reso conto di quanto gli mancavo. È una reazione naturale.» Ma quale sarebbe stata la sua reazione davanti alla perdita definitiva del padre? si domandò Niobe. Infatti, una volta rassicurato, Junior tornò a giocare con Pacian, ed era più che evidente che i due erano molto affezionati e stavano bene assieme, nonostante i dodici anni di differenza. Era più che una semplice parentela. «Siete realmente una famiglia meravigliosa» disse Niobe mentre se ne andava con Junior. «Non saprò mai come ringraziarvi.» «Riportalo presto a farci visita» disse Pacian, nascondendo una lacrima. Niobe annullò l'incantesimo e tornò ad allattare Junior, ma nel giro di poco tempo il piccolo fu ripreso dalle coliche e urlava dal dolore. Niobe si rese conto che il dolore per Cedric le scorreva ancora nel sangue e nel latte, e che stava avvelenando suo figlio. Fu costretta a reinstaurare l'incantesimo, a preparare una formula e a rimetterlo a biberon. Si sentiva un po' colpevole per questo, e meno madre, ma forse era la cosa migliore da fare.
Certamente non aveva alcun diritto d'infliggergli il suo dolore. E piangerò le mie lacrime tutte - cantò a se stessa - Quando le paludi saranno asciutte. Ora quella canzone aveva un nuovo significato per lei; era come l'eco della sofferenza delle paludi in conseguenza dell'interferenza umana. Partecipò ai funerali di Cedric, sorridendo come era suo dovere, ma non godè delle celebrazioni. Il fantasma del giovane aleggiò un poco sopra il cadavere, riluttante ad andarsene prima della sepoltura nonostante la candela che bruciava e il rituale del pane. Nessuno riuscì a farlo partire finché Niobe stessa non l'affrontò, chiedendo una spiegazione. Il fantasma le si avvicinò, le sfiorò le guance zuppe di lacrime, scosse il capo, la baciò con il tocco di una ragnatela ma anche di musica, e quindi svanì. Era come se le avesse dato un messaggio rassicurante, il che, data la circostanza, era piuttosto ironico. Ora era tutto finito, e la vita si profilava vuota davanti a lei. Vieni a stare con me, diventa il mio amore, cantò a se stessa, cercando di ricordare ma senza riuscirci la sensazione della vicinanza di Cedric. Sapeva fin troppo bene che ormai se n'era andato. Si dedicò alla realizzazione di tutto ciò che Cedric avrebbe voluto realizzare. Parlò nuovamente con il professore, per chiedergli se fosse effettivamente possibile sviluppare un incantesimo che permettesse ai daini di rispondere al fuoco dei cacciatori, ma lui disse che una simile magia andava oltre le sue capacità. «Un mago in grado di fare una cosa simile sarà un maestro fra i maghi» disse. Comunque, la morte di Cedric servì effettivamente a conseguire qualcosa di utile; il sospetto che fosse stato l'imprenditore a ucciderlo si rivelò infondato, ma nel frattempo l'opinione pubblica locale era diventata talmente avversa al progetto che non se ne fece nulla. Forse Cedric sapeva che questo sarebbe stato uno degli effetti collaterali del suo sacrificio. Grazie a un contratto stipulato dalla famiglia di Cedric, iniziò a ricevere un'indennità che le garantiva una certa stabilità economica, almeno per il momento, ma tornò ugualmente al suo telaio, producendo splendidi arazzi e tappezzerie che vendeva. Si manteneva sempre occupata, ma pur avendo vissuto nello stesso modo per quasi due anni mentre Cedric era a scuola, non si sentiva a suo agio. Quella era stata una situazione temporanea mentre questa era definitiva. Ora sapeva che suo marito non sarebbe mai più tornato a casa. Era come un tunnel senza luce in fondo. Iniziò a pensare sempre più spesso al suo viaggio in Purgatorio. Aveva
conosciuto cinque Incarnazioni; Entità nelle quali credeva a malapena prima di allora. Aveva visto una parte dei loro poteri e si rendeva conto che certamente ne avevano molti altri. Avevano dichiarato di non essere in grado di aiutarla, ma era evidente che avevano dei poteri immensi. Ma che cosa facevano quando non parlavano ai mortali in visita? Si rese conto che qui, sulla Terra, la sua vita non aveva più alcun significato. Sapeva anche che Junior sarebbe stato senza dubbio meglio con la famiglia di Pacian. Era suo figlio, e lei l'amava, ma non si faceva illusioni sulla vita che poteva dargli, da sola, una volta cresciuto. Andò alla grande quercia, lasciò Junior a giocare con l'amadriade, e prese ad esplorare la zona dalla quale era emersa uscendo dalle proprietà di Gaea. Come sospettava, non trovò altro che un normale sottobosco. La magia proveniva dall'altro lato, non si poteva accedere al Purgatorio da lì. E non poteva nemmeno servirsi della strada che aveva usato in precedenza. Avendo un amore da salvare era stata in grado di affrontare la prospettiva di una morte per incenerimento in una barca alla deriva, ma ora non aveva più amori da salvare. Doveva trovare un altro modo. Ma che cosa avrebbe fatto, poi, una volta in Purgatorio? Avrebbe cavalcato il pallido destriero della Morte? Avrebbe sfrecciato per il cosmo dietro alla clessidra di Chronos? Il fatto era che Cedric non era nemmeno in Purgatorio; sarebbe stata sola come lo era sulla Terra. Osservò suo figlio, che dormiva cullato dalla ninnananna silenziosa della driade. Naturalmente non era del tutto sola; aveva Junior. Junior aveva lo stesso sangue di Cedric, e questo era per lei un conforto enorme. Però... non era altro che un bebè. Col passare dei giorni, un'altra necessità si fece lentamente strada nel suo cervello: aveva giurato di vendicarsi del vero responsabile di quell'oscenità. Satana. Doveva trovare il modo per sciogliere questo suo voto. L'Incarnazione del Male aveva cercato di uccidere lei, e invece aveva ucciso la sua felicità. Sapeva che se lei fosse morta, i pugni di Cedric avrebbero cercato di punire il colpevole, sebbene vi fosse di mezzo l'Inferno stesso. Invece lui aveva scelto di salvarla. Poteva forse non fare per suo marito ciò che lui avrebbe fatto per lei? Ma come? Non era altro che una donna mortale, interessata alla salute del suo bambino, mentre Satana era l'ultimo bastione della malvagità in persona. Non sapeva come trovarlo, e anche se l'avesse trovato, non aveva modo per prevalere su di lui. Era assurdo pensare che potesse punire Satana, e ciò nonostante questo era il suo voto e la sua necessità. Marte l'a-
vrebbe capita. Continuò a pensarci su, poiché questo bisogno contribuiva a dare uno scopo alla sua esistenza. Era ovvio che Satana non era né onnisciente né onnipotente, poiché non era riuscito a ucciderla. Inoltre lei doveva per forza possedere un potere del quale lui aveva timore, altrimenti non avrebbe tentato di eliminarla. Ma che cosa poteva temere Satana da lei? Certamente non sì sarebbe preoccupato di uccidere una persona per nulla. Doveva trattarsi dì un'Entità molto occupata, visto che provvedeva a tutte le malefatte del mondo e che inoltre era costantemente occupato a fare la guerra a Dio e alle altre Incarnazioni. Non aveva mai pensato d'interferire negli affari di Satana, e certamente non poteva rappresentare una minaccia per lui. Non era intelligente come Cedric o magica come il professore, e non aveva grandi muscoli; le sue uniche doti erano la bellezza e l'abilità nell'uso del telaio. Eppure Satana aveva cercato di ucciderla, e a quanto pareva secondo le altre Incarnazioni aveva anche avuto i suoi buoni motivi. Ora sapeva che le sue visioni erano state il preavviso di quel tentativo. Quindi aveva veramente un potere contro di lui. Se solo fosse riuscita a scoprire di che cosa si trattava. Un potere sufficiente a metterlo in allarme: che cosa poteva essere? E perché le Incarnazioni si erano rifiutate di dirglielo? Loro non erano d'accordo con il Principe del Male, quindi... Tutto ciò non aveva senso. E Cedric. Perché non si era semplicemente limitato a salvarla dalla morte? Certamente non era necessario che andasse lui al posto suo! Avrebbe potuto dirle della trama architettata nei suoi confronti e avrebbero potuto trasferirsi in un luogo lontano finché la minaccia non fosse cessata. Cedric era dotato di libero arbitrio e amava la vita; era assurdo che avesse cercato la morte. Ma doveva esserci per forza una spiegazione logica. Cedric era stato un giovane straordinariamente intelligente, perfettamente consapevole del suo destino, eppure ne aveva parlato solo con il professore, e invece di dirlo anche a lei aveva fatto giurare all'uomo di stare zitto. Il professore. Lui doveva sapere il motivo di tutto, ma sapeva che non gliel'avrebbe detto. Perché? Per diversi giorni ci rifletté sopra, prendendo in considerazione tutte le possibilità. Sapeva di non essere intelligente quanto Cedric, ma sapeva anche di poter risolvere l'enigma, perseverando. Era come un messaggio in codice, nel quale le lettere erano state cambiate affinché non si capisse nul-
la. Ma lo schema originale rimaneva, e poco a poco le lettere potevano essere sostituite, fino a ristorare la frase originale. Aveva una serie di indizi, solo che non riusciva a metterli insieme. Comunque, poco a poco, riuscì a risolvere l'enigma. Satana la temeva, questo era stabilito, quindi era evidente che lei non era una mortale qualsiasi. Le Incarnazioni sapevano di lei e Chronos la conosceva personalmente; l'aveva chiamata Cloto. Se n'era quasi dimenticata, ma ora, riflettendoci, le era tornato in mente anche questo particolare. Le era parso che Chronos avesse avuto addirittura un interesse personale al suo benessere. Lachesi aveva fatto un commento in proposito, e in effetti lui si era adoperato non poco per aiutarla. Era balzato avanti di mezz'ora per spiegare la situazione a Marte, che si era poi trovato d'accordo con lui. Sì, Chronos la conosceva da prima, ma gli altri no. Ma com'era possibile? Le Incarnazioni non lavoravano forse assieme? Be', probabilmente ogni Incarnazione si concentrava soprattutto sulla sua specialità. Chronos poteva conoscere gente che gli altri non conoscevano. Eppure Lachesi si era comportata in un modo che suggeriva qualcosa di più. Si era trasformata in una ragazza giovane per un istante, e Chronos aveva annuito. Aveva confermato... che cosa? Inoltre, Lachesi aveva chiamato Chronos "mio collega a ritroso". E ovviamente non si era trattato di un insulto. Che cosa poteva significare? Chronos non era a rovescio, né fisicamente né magicamente; il suo potere era grande come quello degli altri. Gaea l'aveva addirittura chiamato "nefando viaggiatore del tempo". Ma essere a rovescio poteva anche voler dire viaggiare all'incontrano, come quando una persona cammina all'indietro. Eppure Chronos non era fissato nel passato, anzi, sembrava piuttosto che conoscesse qualcosa del futuro. E in quel momento capì: Chronos, Incarnazione del Tempo, era in grado di viaggiare a ritroso nel tempo. Conosceva il futuro, essendoci stato e tornato. Anzi, poteva anche darsi che lui stesso provenisse dal futuro. Avrebbe potuto aver visto Niobe nel futuro prima, riconoscendola poi nel presente. L'aveva riconosciuta come Cloto. Ma chi era Cloto? In effetti quel nome le era abbastanza familiare. Si concentrò, cercando di collocarlo, e vi riuscì. L'Incarnazione del Fato aveva tre Aspetti, conosciuti anche come Parche. Cloto, che filava i fili della vita, Lachesi, che li misurava, e Atropo, che li tagliava. Chronos si era ricordato di lei in quanto Aspetto del Fato!
Rimase perfettamente immobile, scossa da quella realizzazione. Lei stessa, Niobe, il Fato? Ma com'era possibile? Eppure questo spiegava molte cose; sia la diffidenza delle altre Incarnazioni che lo sforzo fatto da Satana per eliminarla. Ed essendo il Fato, poteva interferire eccome sulle trame di Satana! Non sapeva esattamente in che modo, ma era certa che fosse così. In fondo ogni Incarnazione aveva le sue speciali abilità! Ma se era così, se poteva essere così, perché non gliel'avevano detto? Con la domanda venne la risposta. Nessuno lo sapeva, eccetto Chronos; e non volevano che venisse a saperlo anche Satana. Magari se gliel'avessero detto il destino sarebbe cambiato, e la cosa non si sarebbe avverata. Un paradosso. Eppure Satana lo sapeva! O no? Era in grado di vedere il futuro? In fondo era l'Incarnazione del Male, non del Tempo, e quindi la sua preveggenza doveva avere dei limiti. Era molto più probabile che avesse avuto qualche sorta di grezza divinazione, qualche indicazione che l'aveva portato a pensare che lei gli avrebbe causato qualche guaio, o che per lo meno avrebbe potuto farlo. Così, aveva deciso di eliminarla. È il professore, leggendo la stessa divinazione, o interpretando le sue visioni, che improvvisamente si spiegavano in tutta la loro motivazione, l'aveva detto a Cedric che aveva agito di conseguenza. Però perché Cedric non gliel'aveva semplicemente detto, permettendole di evitare il danno? Perché era morto, per poi venire a lei sotto forma di fantasma per farle quel gesto di incoraggiamento? Ci pensò su parecchio, e infine concluse che probabilmente al servo di Satana era stato ordinato di andare là fuori e uccidere, cosa che avrebbe fatto in ogni caso, riprovando innumerevoli volte finché non avesse raggiunto il successo. Chi poteva evitare in eterno uno spirito demoniaco? Anche la distanza non l'avrebbe probabilmente bloccato; sarebbe volato ovunque fossero andati, impossessandosi poi del corpo di qualcuno per colpirla di sorpresa. Sarebbe stata un'odissea terribile, con un solo possibile finale. Invece, una volta portato a termine l'omicidio, il demone era stato soddisfatto della sua opera e non rappresentava più una minaccia. I servi di Satana non potevano sopravvivere, una volta espletate le loro missioni. Così Cedric l'aveva salvata mettendosi di mezzo, soddisfacendo l'imperativo del demone con la sua stessa vita. E non gliel'aveva detto, così né Satana né il demone avrebbero saputo dello scambio. Inoltre aveva evitato le sue urla e i suoi pianti, che avrebbero anche potuto farlo desistere dal suo sacrificio. Ora era fatta, e a quanto pareva Satana non era in grado di attac-
carla in altri modi. Evidentemente il Principe del Male non aveva molti demoni da usare sulla Terra. O magari semplicemente non aveva controllato e non sapeva che era morto qualcun altro al posto suo. Già così tutta la faccenda aveva più senso. Perlomeno giustificava il gesto di Cedric, e questa per lei era una cosa confortante. Cedric aveva agito per eliminare una volta per tutte la minaccia nei suoi confronti affinché lei potesse adempiere il suo destino, che era, evidentemente, di diventare un Aspetto del Fato. Ma come lo sarebbe diventata? Anche in questo caso, la risposta la sapeva già. Lo avrebbe fatto lei, il Fato stesso, al momento giusto. Forse quando avrebbe sentito l'esigenza di un'esperta del telaio. Il Fato, la più grande filatrice che ci fosse! La più grande tessitrice esistente. Quindi, non doveva fare altro che aspettare. Probabilmente, finché non faceva nulla per attirare l'attenzione di Satana, era al sicuro. Era naturale che le Incarnazioni non le avessero detto nulla; meno persone sapevano il segreto, meglio era. E ora in lei si era riaccesa la speranza. Non poteva far ritornare Cedric, ma poteva mettere i bastoni fra le ruote a Satana. Quando fosse diventata Fato. Ma che ne sarebbe stato di Junior? Certamente non avrebbe potuto portarlo in Purgatorio con sé. Avrebbe dovuto rinunciare a lui. Si rese anche conto che se Cedric fosse stato ancora in vita nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Che avesse saputo anche questo? Forse al funerale le aveva voluto dire proprio questo: che voleva che lei lo facesse, che assumesse l'ufficio, che questo era parte del suo movente. Oh, Cedric! Non poteva assolutamente rinunciarvi, ora. Continuò ad occuparsi delle faccende giornaliere, e lentamente il suo dispiacere si placò. Ogni giorno portava Junior a giocare con l'amadriade, poiché lui ci teneva moltissimo e a quanto pareva stava imparando qualcosa, anche se lei non sapeva esattamente che cosa. Si mise al lavoro di lena per completare la sua tappezzeria, per non lasciare un lavoro incompleto nel caso fosse stata chiamata improvvisamente. Portò Junior a far visita al cugino Pace, anche perché si rendeva conto che un giorno avrebbe dovuto lasciarlo a vivere lì. Non voleva separarsi da lui ma sapeva che sarebbe stato necessario, e che era meglio farlo prima che dopo per evitargli uno shock maggiore. Lentamente e silenziosamente riordinò la sua situazione economica, a-
prendo un conto a nome di Junior dal quale il suo tutore avrebbe potuto prelevare una cifra fissa, affinché il bambino non fosse di peso per gli altri almeno sotto il profilo economico. Trascorsero diverse settimane, e Niobe cominciava quasi ad avere dei dubbi. Poi un giorno le venne recapitata una lettera piuttosto voluminosa. Era indirizzata a lei, ma all'interno vi era un biglietto per una città che si trovava in un altro continente, e il biglietto era intestato a un'altra donna, una tale Daphne Morgan. Niobe osservò attentamente la busta. Era indubbiamente indirizzata a lei. Cercò il mittente, ma non lo trovò. Quanto al timbro postale, era letteralmente indecifrabile. Era evidente che le avevano mandato un biglietto sbagliato, ma non aveva modo di restituire la lettera. Un biglietto sbagliato? Ma perché mai qualcuno avrebbe dovuto spedirle un biglietto? E chi era Daphne Morgan? Che forse avesse ricevuto a sua volta una lettera destinata invece a Niobe? E da chi? Perché? La sua confusione era totale. Eppure qualcuno aveva preparato quella busta e l'aveva spedita. Non poteva trattarsi di un errore. Ci rifletté sopra, quindi annuì. «Ma certo!» Salutò l'amadriade, spiegandole che sarebbe stata via per un po' e che non avrebbe potuto più portare Junior all'albero. La ninfa non rispose, ma assunse un'espressione talmente triste che Niobe si sentì malissimo. Ma era una cosa che andava fatta. «Forse la famiglia che io terrà... forse loro lo porteranno qui qualche volta» disse. «Chiederò loro che mi facciano questo favore.» La driade sorrise, e Niobe si sentì subito meglio. Portò Junior dalla famiglia del cugino di Cedric. Aveva preso un incantesimo anti-tristezza, ma era ugualmente molto addolorata. «Già una volta ho lasciato mio figlio qui da voi» disse loro «e non sapevo se sarei tornata o meno. Anche questa volta non lo so. Ho fatto in modo che possiate accedere a un conto per coprire le sue spese...» Non riuscì a continuare. «È uno della famiglia» disse con tono grave il padre di Pacian mentre sua moglie prendeva Junior in braccio. Questo diceva tutto sulla bontà di quella gente. I Kaftan avrebbero fatto qualunque cosa per uno della famiglia, e l'avrebbero fatto con generosità, senza chiedere nulla in cambio. E dalla reazione di Junior, Niobe capì che lì sarebbe stato amato e ben accudito. Erano stati senza dubbio ben saggi i suoi genitori quando l'avevano
fatta sposare a un membro di una simile famiglia. Niobe sentì le lacrime salirle di nuovo agli occhi. Baciò suo figlio, baciò quel buon uomo e quella buona donna e baciò il cugino Pacian, che rimase impietrito. Aveva dodici anni, e non era mai stato baciato da una donna tanto bella prima di allora. «Vicino alla nostra casetta, sullo stagno, c'è un albero, una grande quercia» disse infine. «Se voi... be', Junior è diventato amico dell'amadriade di quell'albero e...» «Ce lo porteremo» disse con trasporto Pacian, e gli altri annuirono. Quindi Niobe si voltò di scatto e tornò alla sua carrozza. Si recò direttamente alla stazione ferroviaria, comprò un biglietto, attese l'arrivo del treno, salì e sedette al suo posto. Era in cammino. Pianse silenziosamente nel suo fazzoletto. Scese dal treno nella città di Dublino, dove si recò al porto e presentò il biglietto intestato a Daphne Morgan, che venne onorato senza problemi o domande. Le assegnarono una cabina di prima classe, con tanto di vitto pagato. Come Miss Morgan, viaggiava con un certo stile. Ma che cosa sarebbe accaduto quando avrebbe raggiunto la destinazione di Miss Morgan? La nave accese i motori e salpò. Quando furono in mare aperto, il capitano invocò gli incantesimi necessari e il vento gonfiò le vele. Alcuni passeggeri divennero verdi e persero l'appetito per il continuo rollio, ma Niobe si era saggiamente portata dietro un incantesimo contro il mal di mare, e non ebbe alcun problema. C'erano diversi uomini a bordo, di ogni età, che cercarono di corteggiarla. Ma lei declinò con cortesia ogni loro approccio. «Sono vedova da poco» spiegava. Ma poi doveva ritirarsi nella sua cabina, poiché non riusciva a tenere a freno le lacrime. Oh, Cedric! Così accadde che, dopo cinque giorni di viaggio, non aveva fatto nessuna vera e propria conoscenza. Passava la maggior parte del tempo da sola, a leggere. Le mancavano il suo telaio e suo figlio, e cercava di non pensare a Cedric, ma senza successo. Un giorno alzò lo sguardo dal suo libro e vide un ragno che scendeva lungo il suo filo. Il ragno giunse fino a terra, quindi l'aria s'increspò e il ragno divenne una donna. «Lachesi!» esclamò Niobe, riconoscendola. «Niobe, capisci cosa vogliamo da te?» domandò Lachesi. «Che io diventi... parte di voi» disse. «Un Aspetto del Fato. Sono pronta.» «Ma dobbiamo essere certe che tu comprenda completamente, poiché non si tratta di una cosa semplice. Noi siamo tre, ma possediamo un solo
corpo. Se ti unisci a noi, non sarai mai sola.» «Sono rimasta sola fin troppo tempo!» esclamò Niobe. «Essendo tre persone in una, non abbiamo alcuna intimità o identità privata» continuò Lachesi. «Nessun diritto individuale. Ognuna deve fare ciò che è utile per tutte, senza eccezioni. Se, per esempio, risulta utile avere a che fare con un uomo...» «Oh! Vuoi dire che... il mio corpo potrebbe essere usato per...» «Compiacere un uomo» concluse per lei Lachesi. «In genere è l'Aspetto più giovane che provvede a certe cose, in quanto questa è la natura degli uomini. Allo stesso modo l'Aspetto intermedio si occupa delle faccende di casa e quello più anziano dei compiti benevoli e indulgenti.» Questo lasciò Niobe un po' perplessa. Non aveva mai pensato di avere rapporti fisici con un uomo che non fosse Cedric, ed era esitante persino a iniziare a immaginare una cosa simile. «Ma allora filare i fili della vita...» «Anche questo farà parte dei tuoi compiti» disse Lachesi. «Ma per questo non avrai alcun problema. La donna non è una creatura con un solo fine, e tu sei già preparata per la maggior parte degli scopi che ti verranno prefissi. Il nostro uso del telaio è semplicemente un po' più sofisticato di quello che già conosci.» Nella sua mano apparve una conocchia luminosa, la conocchia corta sulla quale veniva avvolto il filo. «Noi non dobbiamo far altro che mantenere la matassa in ordine; l'unica cosa che può risultare difficile per te è l'aspetto sociale.» E in effetti era difficile. La sola idea di dover stare con un altro uomo, magari l'uomo di un'altra donna, la scandalizzava. Eppure capiva che era una conseguenza inevitabile se doveva unirsi alle altre due avendo un solo corpo a disposizione. «E se... mi rifiutassi?» «Mia cara, noi non costringiamo nessuno a unirsi a noi! Forse le cose non vanno proprio così con un paio delle Incarnazioni maschi, anche se naturalmente non si tratta di leggi ma di semplici costumi, ma noi donne siamo più accondiscendenti. Se decidi di rimanere mortale, tornerai alla tua vita precedente e noi sceglieremo un'altra per lo scambio. Ma devo confessare che tu ci piaci, e non solo per la tua bellezza; è molto raro che un essere mortale trovi il coraggio di affrontare Thanatos come l'hai affrontato tu.» «Non si è trattato di coraggio!» protestò Niobe. «Io dovevo farlo!» «Oh? E perché?» «Per salvare mio marito, l'uomo che amo!» «E per amore ti sei letteralmente gettata nel fuoco. Se questo non è co-
raggio, rimane sempre una qualità che rispettiamo profondamente.» «E non è servito a nulla!» «Sì, che ironia! Allora non potevamo darti ciò che desideravi, e ora ti offriamo una cosa che non desideri. Tuttavia, ci sono delle compensazioni.» Niobe sapeva che sarebbe scoppiata nuovamente in lacrime se continuavano a parlare di ciò che aveva desiderato allora; doveva concentrarsi su cose nuove. «Compensazioni?» «L'immortalità per esempio, per tutto il tempo che vuoi. Il potere, tutto quello che riesci a controllare. E lo scopo, poiché tu filerai il filo dell'esistenza umana. Noi siamo il Fato.» Niobe pensò alla sua vita normale... senza Cedric. Poi pensò all'immortalità, al potere, allo scopo... e alla possibilità di mettersi in pari con Satana. Avrebbe preferito avere Cedric, ma in realtà non aveva scelta, come Chronos già sapeva. Accettare quel ruolo era il suo destino. «Come faccio per unirmi a voi?» «Prendi la mia mano» disse Lachesi. Niobe le prese la mano. Percepì una strana sensazione, come di essere attraversata da un flusso. Provò un senso di perdita e di arricchimento allo stesso tempo. Poi vide che Lachesi aveva cambiato aspetto, trasformandosi nella donna giovane e carina che aveva visto per un attimo nella loro dimora in Purgatorio. Le loro mani si separarono. «Addio, Daphne» disse Lachesi. «Benvenuta, Niobe.» Cosa? Niobe abbassò lo sguardo, e scoprì che aveva l'aspetto di Lachesi. Sì, ora sei con noi, le disse Lachesi senza aprir bocca. Il tuo corpo è passato a Daphne, la vecchia Cloto. Non dire nulla; il tuo giorno è venuto, mentre il suo è finito. Niobe non disse nulla. Osservò, sentì e ascoltò, mentre Daphne si girava su se stessa, verificando il suo nuovo stato di separatezza. «Addio, vecchie amiche» disse Daphne, con gli occhi umidi di lacrime. «E grazie, Niobe. Tu mi hai restituito la mia vita.» Allargò le braccia, e l'altra l'abbracciò; questa volta non vi fu alcun trasferimento di personalità. Dille che non c'è di che, pensò Niobe, sentendo un'ondata di nostalgia pressoché soffocante. Il suo corpo... cambiato in un'altra forma... scomparso per sempre! Diglielo tu, replicò Lachesi. Qualcosa cambiò, e Niobe si ritrovò nella sua forma originale. Solo che aveva due menti in più con sé. Si guardò nello specchio della cabina, ed era lì, più bella che mai, accan-
to a Daphne. Il Fato aveva assunto il suo aspetto! «Non c'è di che, Daphne» disse Niobe. Poi, improvvisamente, scoppiò a piangere a dirotto. Daphne allargò le braccia, e le due donne si abbracciarono di nuovo, piangendo entrambe. Infine si lasciarono, si guardarono... due donne giovani e belle... si sorrisero e scoppiarono nuovamente in lacrime. Per carità! borbottò la terza mente nel suo corpo. Niobe si rese conto che si trattava di Atropo, l'Aspetto più anziano. Dopo un po' le lacrime di Niobe e Daphne si esaurirono. «Vedo che mi assomigli» disse Niobe con gli occhi ancora lucidi. «Spero che tu possa godere di una vita splendida.» «Lo spero anch'io» replicò Daphne. «Visto che il Fato ha tirato un filo per me.» Non poterono fare a meno di ridere per questa battuta. Poi Niobe si ritrasformò in Lachesi, che a sua volta tornò a trasformarsi in ragno. Il ragno si arrampicò con agilità fino al soffitto della cabina, l'attraversò, attraversò anche il resto della nave, e nel giro di un attimo si trovarono a sfrecciare per il cielo lungo un cavo che si estendeva per tutto il mondo. Poco dopo scivolarono nella loro casa di ragnatela in Purgatorio e riassunsero la forma umana. «Non sarà necessario che tu impari tutto da sola» disse Lachesi. «Ti aiuteremo quando ne avrai bisogno, e in ogni caso delle faccende domestiche mi occuperò io. Però dovrai filare i fili.» Prima Lachesi la presentò ad Atropo. Il corpo assunse la sua forma, e l'anziana donna si piazzò davanti allo specchio affinché Niobe potesse vederla chiaramente attraverso i suoi occhi. Fisicamente Atropo aveva circa sessant'anni, capelli grigi, un viso solcato da profonde rughe, e un naso piuttosto grosso. Assomigliava a una normalissima nonna. «Facevo una vita semplice in una fattoria dove allevavamo capre» disse. «Aiutavo mio marito a mungere, cucinavo, lavavo, e ho avuto quattro figli. Uno è morto di vaiolo quando aveva otto anni, ma l'altro e le due ragazze si sono sposati e se ne sono andati da casa. Mi sono sentita un po' estromessa quando ho visto che se la cavavano benissimo anche da soli; confesso che mi piaceva guidare le loro vite. Così mi sono concentrata su mio marito e gli ho fatto vendere la fattoria per investire il ricavato in una fabbrica di mobili; con il nascere dei grossi caseifici nella zona, il mercato per il latte di capra era decisamente in declino, anche se il nostro era di qualità indubbiamente superiore. Ma il mobilificio andò male, poiché ci avevano ingannato per
quanto riguardava i profitti, quindi andammo in fallimento e perdemmo tutti i nostri risparmi di una vita. Mio marito si ammalò, si prese prima la tubercolosi e poi la polmonite, e morì col cuore infranto. Sapevo che era colpa mia; avrei dovuto lasciar fare a lui. Ma intromettermi nella vita degli altri è sempre stata la mia passione, quindi quando è venuto il Fato e mi ha offerto la possibilità di intromettermi veramente... be', insomma, eccomi qui! Occupo questo ufficio da quindici anni, e ne sono soddisfatta. Comunque ora non pongo certo termine alla vita altrui tanto alla leggera.» Ma non è Thanatos, la Morte, che pone fine alla vita della gente? domandò Niobe col pensiero. Non poteva parlare ad alta voce quando non aveva il corpo. «Thanatos fa sì che le anime di coloro che muoiono vadano nei luoghi prescritti; in Paradiso, all'Inferno, o in Purgatorio. Lui giudica il livello di bene e di male di ogni anima, e cura personalmente i casi più difficili. Ma sono io che stabilisco quando una vita deve terminare; i fili li taglio io.» Hai tagliato il filo della vita di Cedric? «Ho dovuto farlo. Lui ha fatto in modo di sostituirsi al filo che dovevo comunque tagliare, e di conseguenza non ho avuto scelta. Non ho esattamente un'autonomia totale per certe cose, soprattutto quando avvengono dei cambiamenti nello schema già esistente della Tappezzeria. Non agisco per mio capriccio. Devo operare tenendo conto di precisi parametri, facendo sì che nessun filo si estenda oltre la sua giusta posizione o che finisca troppo presto. Altrimenti la Tappezzeria verrebbe distorta.» Ma perché tagliare i fili? domandò Niobe. Perché non lasciare vivere la brava gente? Atropo sorrise tristemente. «Bambina mia, questo è un errore tipico dei mortali. Credono che la Morte sia loro nemica e che tutto andrebbe bene se solo potessero vivere in eterno. Ma non è così; i vecchi devono morire per lasciar posto ai giovani. Nessuno di noi esisterebbe oggi se i nostri antenati non ci avessero lasciato spazio. Quindi ogni filo di vita ha il suo periodo, alcuni più lunghi e altri più corti, e ognuno deve terminare com'è iniziato, seguendo lo schema complessivo della Tappezzeria. Io non faccio altro che rifinire la lunghezza dei singoli fili per il bene generale, per facilitare il Bene. Un singolo filo non può decidere il suo posizionamento nella Tappezzeria! Una vita eterna sarebbe un disastro!» E le Incarnazioni? Niobe si sentiva ancora in colpa, perché aveva davanti a sé un futuro così roseo mentre il filo di Cedric, che era stato senza dubbio più meritevole, era stato tagliato.
«Le Incarnazioni sono immortali, ma non per sempre» spiegò pazientemente Atropo. «Finché manteniamo i nostri uffici non invecchiamo, ma non li manteniamo in eterno. I tempi sono variabili. Il tuo predecessore, Daphne, è stato in servizio per ventisei anni, raddoppiando la sua vita mortale, finché non ha individuato una situazione alla quale non poteva resistere. Ha trovato un buon uomo, e non si trova tutti i giorni un buon uomo, che aveva bisogno di una buona donna che non avrebbe potuto ottenere altrimenti. Lei era convinta che doveva averlo, quindi ha rinunciato all'ufficio. Ora condurrà una vita normale, e invecchierà finché io o la mia sostituta taglieremo il suo filo, e lei passerà come tutti nell'Aldilà. Anche le altre Incarnazioni hanno simili metodi di successione, ma ognuno è leggermente diverso. Thanatos muore quando diventa distratto e viene ucciso dal suo successore; Chronos assume la carica da adulto e vive a ritroso fino all'ora della sua nascita o della sua concezione... non ho mai capito esattamente quale...» A ritroso? Questo confermava quanto aveva sospettato. E come fa a mettersi in relazione con gli altri? «Quando vuoi parlare, qui nella nostra dimora, basta che tu prenda il controllo della bocca» le disse Atropo. «Quando siamo in compagnia di altre persone manteniamo le nostre identità separate, ma qui a casa ci possiamo rilassare. Ma tornando alla tua domanda, Chronos controlla il tempo. Può invertire il suo flusso temporale per conversare con gli altri, oppure invertire il flusso degli altri per allinearli con il suo tempo, anche se solo per brevi periodi. In ogni caso, l'immortalità non è la perfezione, e alla fin fine tutte le Incarnazioni si stancano o si stufano e decidono di tornare alla loro vita precedente. Solo nella dimensione dei mortali si provano vere e proprie esperienze di vita. In teoria chiunque di noi potrebbe continuare in eterno, ma non è mai accaduto, tranne nel caso di Dio e Satana. E per quanto riguarda Satana non sarei neanche disposta a giurarci.» A quanto pareva quella donna aveva tutte le risposte. Dette da lei, le cose sembravano avere un certo senso logico. Ma Niobe non riusciva ancora ad accettare la morte di suo marito. «Ma la Tappezzeria si sarebbe veramente danneggiata così tanto» disse, scoprendo che poteva effettivamente assumere il controllo della bocca anche senza il resto del corpo, quando Atropo lo permetteva «se Cedric fosse rimasto in vita?» Atropo si trasformò in Lachesi. «Questo è il mio reparto, Niobe» spiegò. «Io misuro i fili della vita, il che significa che determino la loro lunghezza approssimativa e il loro posizionamento. Non sono io che faccio gli intrec-
ci, il che sarebbe troppo complicato per qualsiasi mente individuale, ma inserisco i fili a seconda dello schema e controllo che si integrino nella maniera appropriata. Gli uomini tendono a dare la colpa al Fato per le loro disgrazie mentre non ci danno alcun credito per gli eventi fortunati, e questo è piuttosto scocciante, ma in effetti le mie opzioni sono piuttosto limitate. Lo schema generale viene determinato dal compromesso interattivo fra Dio e Satana, l'equilibrio macrocosmico fra Bene e Male, e noi Incarnazioni non facciamo altro che adempire al nostro meglio. Certamente non ci sarebbe stato alcun danno se il tuo innamorato fosse rimasto in vita; non dimenticare che era lui che doveva vivere. Solo che poi siamo state costrette a sostituire il suo filo con il tuo, e poi abbiamo dovuto eliminare anche quello, poiché tu non sei più fra i mortali, anche se non si sono accorti della tua dipartita. Ti faccio vedere.» Lachesi fece un gesto, e lo specchio si annebbiò per poi spalancarsi mostrando una scena terrificante. Era uno schema incredibile di colori luminosi, una Tappezzeria vasta come tutto il mondo, con miriadi di fili come stelle nella via lattea, che formavano un intrico di tale complessità che avrebbe confuso la mente di chiunque. Niobe non aveva mai visto una Tappezzeria simile; la fissò, completamente rapita. «Il tuo filo e quello di Cedric sono approssimativamente in questo punto» disse Lachesi, usando la conocchia per indicare una sezione, che s'ingrandì immediatamente, mostrando maggiori dettagli. Era come scendere sulla Terra dal Purgatorio, osservando i continenti che si espandevano fino a perdere coesione; solo che questa non era la Terra, ma l'enorme e splendida Tappezzeria dell'esistenza umana. La linea di colore che aveva indicato Lachesi divenne un enorme fiume di fili, che s'ingrandì ulteriormente finché si delinearono i fili individuali, come tanti cavi, ognuno nella sua sede separata. «Da questa parte sta il futuro, e da questa il passato» continuò Lachesi. «Il presente è al centro esatto dell'immagine; come puoi vedere, è in costante movimento.» In effetti, i cavi sembravano scorrere verso la parte del "passato", facendo sì che il centro si muovesse costantemente verso il futuro, ma senza muoversi. La Tappezzeria era come un fiume che scorreva lentamente davanti ai suoi occhi. Niobe dovette sbattere le palpebre un paio di volte per evitare di rimanere ipnotizzata da quell'immagine, ma fu del tutto inutile, poiché in quel momento era Lachesi che aveva il controllo del corpo e degli occhi. Lachesi indicò due fili nel passato recente. Convergevano da due punti
diversi della Tappezzeria unendosi e intrecciandosi. «Il tuo matrimonio con Cedric» disse Lachesi. I due fili continuavano in parallelo, separandosi momentaneamente nel periodo in cui lui era andato al college e toccandosi ogni volta che lei era andata a fargli visita. A un certo punto vi era una specie di scintilla luminosa, e Niobe arrossì mentalmente quando si rese conto che si trattava della prima volta che avevano fatto l'amore; un momento particolarmente significativo della loro relazione. Poi, dopo un po', iniziava un nuovo filo, attaccato ai loro; il concepimento o la nascita di Junior. Poi i due fili principali si scambiavano di posto, e quello di Cedric era troncato. Era la sua morte... al posto suo. Infine il suo filo si separava da quello di Junior, e svaniva. Non era troncato di netto come quello di Cedric; semplicemente si era oscurato. Si trattava della sua assunzione del ruolo di Cloto. Poi cambiava colore e materiale: Daphne. La carne mortale di Niobe non aveva lasciato il mondo; solo il suo spirito. «Vedi, dove c'erano due fili ora ne rimane uno solo» concluse Lachesi. «E ora quel filo è diverso, ma l'abbiamo legato in un modo che nessuno si accorga del cambiamento, a meno che non ispezioni attentamente questa regione della Tappezzeria. In ogni caso, la Tappezzeria non è cambiata nel suo complesso, e non ha perso coesione.» «Ma Cedric...» «Le Incarnazioni non hanno potere decisionale. Supponiamo che Satana abbia previsto la tua assunzione dell'Aspetto e abbia voluto impedirla. Non vi è riuscito, ma quando si inganna il Principe del Male c'è quasi sempre un prezzo da pagare.» «Allora Satana può costringere degli esseri mortali a uscire dalla Tappezzeria prima che giunga la loro ora?» Lachesi sospirò. «Niobe, il nostro firmamento non è perfetto. Dio e Satana hanno stipulato un Patto affinché nessuno dei due interferisse con l'umanità mortale. L'idea è che a ogni anima venga data la possibilità di condurre la sua vita come meglio crede, e che poi quelli che meritano il Paradiso vadano in Paradiso, e quelli che meritano l'Inferno vadano all'Inferno. L'esistenza mortale in pratica non è altro che un terreno di prova per la classificazione delle anime, e questo è un altro dei motivi per i quali non si può permettere una vita mortale eterna; intaserebbe la Tappezzeria e interferirebbe con il suo corretto funzionamento. Solo che non è esattamente così che vanno le cose.» Lachesi si allontanò dallo specchio e si avvicinò alla cucina della dimora
per preparare qualcosa da mangiare. Niobe temette che la dispensa di quella tana di ragni contenesse qualche mosca grassa e sugosa, ma invece il cibo risultò normale. Si rese conto che il Fato, al contrario di altre Incarnazioni, non aveva servitù. Essendo una donna, o meglio, tre donne, il Fato preferiva cavarsela da solo. Su questo Niobe era d'accordo. «Essendo l'Incarnazione del Bene, ovviamente Dio fa ciò che è giusto e rispetta il Patto» continuò Lachesi mentre lavorava. «E naturalmente Satana, essendo l'Incarnazione del Male, fa ciò che è sbagliato, e quindi non lo rispetta. Di conseguenza Satana interferisce in continuazione con le faccende mortali, tirando i fili da tutte le parti e causando guai di ogni genere. Di conseguenza noi Incarnazioni, che dovremmo essere neutrali, ci ritroviamo a combattere Satana per poter svolgere correttamente il nostro lavoro. Quindi la risposta alla tua domanda è che Satana non dovrebbe prendere i mortali prima della loro ora, ma lo fa. Noi cerchiamo di impedirglielo, ma il tuo caso è un tipico esempio delle complicazioni che si possono incontrare. Non è affatto facile trattare con una malvagità così determinata, come abbiamo imparato tutti sulla nostra pelle. Quindi mi dispiace molto, avremmo salvato te e tuo marito se avessimo potuto, ma Satana ha i suoi agenti anche nell'Ufficio Amministrativo del Purgatorio, ed è assolutamente senza scrupoli. La morte di tuo marito quindi è stata una specie di disguido, ma purtroppo è avvenuta.» E con questa spiegazione, Niobe dovette considerarsi, seppure a malincuore, soddisfatta. Comunque fosse, era sempre più decisa a farla pagare a Satana. In un modo o nell'altro. 5 Vuoto Niobe ci mise qualche giorno a entrare nel ritmo del suo nuovo lavoro. Imparò a viaggiare sui fili, che tirava fuori magicamente quando desiderava e che le permettevano di raggiungere qualsiasi punto del mondo. Si trattava di fili da viaggio, che non erano uguali ai fili della vita; apparivano quando servivano e svanivano quando si aveva finito di utilizzarli. Imparò anche a generare fra le dita i fili di "sola lettura" per fare controlli rapidi su vite individuali, sebbene riuscisse a ottenere solo una parte della definizione ottenuta normalmente da Lachesi. Quell'abilità dipendeva sia dall'Aspetto che dall'esperienza. Imparò anche a trasformarsi in ragno per le occasioni particolari. Essendo il Fato, aveva una certa affinità con il mondo
delle aracnidi, e nessun ragno avrebbe mai protestato per la presenza nella propria ragnatela o per un'eventuale intrusione nel suo territorio di caccia. Anzi, le ragnatele erano i migliori punti di atterraggio per i viaggi; Niobe poteva infilarcisi molto più rapidamente in veste di ragno e poi tornare in forma umana per qualsiasi compito richiedesse la sua attenzione. Piano piano prese confidenza; poteva apparire come una donna abbastanza debole, ma in realtà era circondata da una ragnatela invisibile, che la rendeva invulnerabile a qualsiasi genere di attacco mortale. Imparò dove si trovava il Palazzo dell'Amministrazione del Purgatorio e conobbe gli addetti che vi lavoravano. Questi non erano Incarnazioni, ma anime perse; gente il cui bilancio fra bene e male era talmente in equilibrio che non potevano essere assegnati a uno dei regni soprannaturali. Sembrava gente piuttosto normale, e infatti era così, e piuttosto solida, ma non era affatto così. Si trattava di fantasmi, in grado di agire solo finché si trovavano in Purgatorio. Poi imparò a filare le anime. Ma prima dovette recuperare la materia prima per comporre le anime, e questo non fu certo un compito facile. «Si trova nel Vuoto» le spiegò Lachesi. «Nel Vuoto?» «AI principio, la Terra non aveva né forma né nulla. Dio ha creato il mondo materiale dal Vuoto, e da allora ha iniziato a esistere la realtà come la conosciamo ora. Ma non ha usato tutto il Vuoto. Ciò che ne rimane si trova ai margini del Purgatorio, e non ci può andare nessuno tranne te.» «Io?» «Sì, come Cloto. Nemmeno gli altri due Aspetti del Fato possono farlo; ci annulleremmo. Questo è un viaggio che devi intraprendere da sola.» «Ma sono completamente spaesata qui! Non ne so niente di tutto questo! Non posso...» «Non c'è nessun altro che possa farlo» disse Lachesi. «Non devi preoccuparti; non si tratta di un viaggio pericoloso. È solo unico nel suo genere.» Doveva farlo; rientrava nei doveri del suo ufficio. Ma aveva paura. Le sue visioni da incubo su ciò che doveva accadere presso la grande quercia si erano rivelate fondate, e ora aveva paura ad affrontare da sola qualsiasi situazione potenzialmente pericolosa. Lachesi l'accompagnò fino ai margini del Purgatorio. Sembrava un luogo piuttosto normale, e in effetti lo era, solo che era un confine al di là del
quale nessuno poteva spingersi senza grossi rischi. «E tu e Atropo non sarete con me, nemmeno nella mia mente?» domandò Niobe con tono incerto. Aveva scoperto che gradiva molto la loro compagnia; l'aiutavano a non pensare ai suoi dispiaceri. Saremo con te, ma a livello inconscio, rispose Lachesi con il pensiero, poiché non si trovavano più nella loro dimora. Sarebbe stato strano se qualsiasi altra persona l'avesse sentita parlare con se stessa. Le nostre menti non possono affrontare il Vuoto, ma sappiamo che la tua lo può, e anche Daphne è venuta qui molte volte. Ci ha detto che diventava più facile ogni volta. «La prima è la peggiore» acconsentì tristemente Niobe. «E devo cercarne il cuore?» Sì. Solo lì si trova l'essenza pura. E non ti dimenticare di svolgere la matassa. Così avrebbe potuto ritrovare la via del ritorno. In questo caso un filo da viaggio temporaneo non serviva allo scopo; doveva usare come guida il Filo della Vita stesso. Certamente non avrebbe dimenticato quel dettaglio! S'incamminò. Se nessuno poteva inoltrarsi oltre quel punto, a cosa serviva quella strada? Alcuni ci si avventurano, replicò Lachesi, con voce più debole. Ognuno ha la sua tolleranza. Ma tu ti dovrai spingere dove non va nessun altro. «Oh? E chi altro usa questa strada?» Alcune altre Incarnazioni. Ora Niobe dovette sforzarsi per captare il pensiero sempre più debole del suo Aspetto intermedio. Marte, Gaea... il pensiero svanì. Niobe proseguì, e la strada si trasformò in un sentierino che si addentrava in una fitta foresta. Evidentemente il regno vegetale non si sentiva affatto limitato! «L'Incarnazione della Guerra» mormorò a se stessa. «E della Natura. Mi domando che cosa ci vengano a fare qui.» Ma naturalmente non venne alcuna risposta. Era sola. La foresta s'incupì e il viottolo si strinse finché non divenne un sottile nastro nell'oscurità. Gli alberi divennero opprimenti, più grossi e più vicini fra loro, come se volessero schiacciare chiunque si trovasse sul sentiero. Niobe non li riconobbe; per lei erano solo mura di corteccia ruvida che s'innalzavano fino al punto in cui le foglie e i rami si allargavano a coprire completamente il cielo, e non lasciavano filtrare la luce. Ma i suoi occhi si adattarono, e continuò a vederci abbastanza bene. Era preoccupata, ma non aveva nessun motivo particolare per esserlo.
Nervosamente, si guardò alle spalle. Il suo filo luccicava, indicando la via dalla quale era venuta. Fu sorpresa nel constatare che il filo si curvava e scompariva alla vista poco più in là; credeva di aver camminato in linea retta. Ma era confortante sapere che non poteva perdersi, e teneva sempre in mano la conocchia, svolgendo il filo in continuazione. Era un filo molto sottile e temette che si potesse rompere, ma poi ricordò che solo Atropo poteva tagliare il Filo della Vita, e che in ogni caso in quel luogo non c'era nessun altro che potesse interferire. Poco più avanti il sentiero terminò. Niobe si fermò, perplessa, ma poi si rese conto che, sebbene un grosso albero le sbarrasse la via, poteva facilmente aggirarlo. Si fece strada, e si trovò proprio davanti un altro albero. E ancora, quegli alberi le si paravano davanti come uomini aggressivi. Certamente si trattava di un'impressione errata! Aggirò anche questo. Gli alberi erano più larghi alla sommità, quindi a livello del suolo non potevano stare appiccicati uno all'altro. Ciò nonostante, ci provavano. Le radici uscivano dal terreno e s'intrecciavano fra loro, e i rami più bassi scendevano quasi a terra. Ma c'era sempre un modo per passarci in mezzo, sebbene la via a volte fosse veramente tortuosa. Gli alberi potevano tentare di bloccare il Fato, ma non potevano riuscirci. Probabilmente questo sentiero era tanto serpeggiante perché seguiva la via più misteriosa, che evidentemente non poteva essere più larga o più dritta. Poi gli alberi sembrarono perdere coesione. Divennero deformi, con tronchi gonfi o rinsecchiti, e le foglie... Si fermò sbattendo le palpebre, allibita. Le foglie erano sbagliate! Non erano più verdi, ma viola, e ognuna aveva la forma di una stella, di un quadrato o di un triangolo. Com'era possibile? Ovviamente era possibile, dal momento che era così. Proseguì. Il sentiero si allontanò dalla foresta, e gli alberi divennero ancora più strani. Ora erano degli ammassi multicolori di legno e foglie, e alcuni galleggiavano a mezz'aria. Evidentemente le leggi della realtà qui si stavano indebolendo. Il sentiero la portò fino a una montagna che piano piano divenne ripidissima. Niobe continuò a camminare, e alla sua sinistra la sommità della montagna si perdeva nella luminosità del sole. Alla sua destra la discesa continuava fino a sprofondare in una vallata talmente profonda che le dava le vertigini solo a guardarla. Procedette, e la discesa divenne un vero e proprio strapiombo verticale. Ma i suoi piedi tennero il sentiero, che ora era come una nicchia scavata lungo il lato del dirupo. Più proseguiva, e più
la parte superiore s'inclinava verso di lei, creando quasi un tetto, mentre la parte inferiore quasi non si vedeva più. Ora il sentiero non era altro che un sottilissimo cornicione. Un solo passo falso e sarebbe piombata nel dirupo! Niobe non aveva mai avuto paure particolari per quanto riguardava le altezze o le profondità, ma questa particolare situazione la metteva un po' a disagio. Ciò nonostante, non vedeva altre alternative ragionevoli se non quella di proseguire. Dopotutto doveva trattarsi di un viaggio sicuro, e inoltre Lachesi e Atropo, che erano in fondo i suoi due terzi, non l'avrebbero mai mandata alla morte, quanto meno perché anche le loro identità sarebbero state in pericolo. Ma in realtà, che ne sapevano? A quanto pareva Daphne non aveva mai detto loro che cosa bisognava affrontare in quel luogo. Magari non le era riuscito possibile spiegare le sensazioni e l'effetto complessivo, o magari non aveva voluto allarmarle inutilmente. Dopotutto la materia prima per le anime andava raccolta, e questo era l'unico posto in cui si trovava, quindi non aveva scelta. Continuò a camminare. Il dirupo divenne ancora più scosceso, finché la parete superiore s'incurvò fino a coprire il sentiero completamente e la parete inferiore sembrò incurvarsi verso l'alto; in pratica stava camminando su un'incisione, un solco, intagliato sul soffitto di una caverna. Né vedeva dove posava i piedi, solo una vaga nebbiolina. Poi la parete superiore si incurvò verso il basso fino a giungere sotto il sentiero, e quella inferiore sembrò incurvarsi verso l'alto. Stava camminando al centro di una girandola! Chi avrebbe mai creduto a una simile geografia? Dopo un po' emerse da quella strana configurazione. Davanti a lei vide un fiume... no, era il sentiero, ma... Si fermò, e si guardò alle spalle. Dietro di lei vi era la girandola verticale, con le pareti che partivano dal centro, che era il suo sentiero, proiettandosi verso l'esterno a spirale, formando curve sempre più ampie fino al punto in cui non riuscì più a seguirle con gli occhi. Ai lati c'era uno spazio aperto, nel cui cielo brillavano fiocamente alcune stelle. E davanti c'era... be', iniziava come un sentiero, ma proseguiva come un fiume. Tentò diverse volte di focalizzarlo bene, ma non ci riuscì. C'era un solo modo per scoprirlo. Riprese a camminare... e il sentiero divenne sempre più morbido. Poco dopo si trovò ad arrancare nel fango. Si tolse la mantella gialla... non c'era alcun colore obbligatorio, ma a quanto pareva tradizionalmente Cloto si vestiva di giallo, Lachesi di marrone e
Atropo di grigio... e la distese sul sentiero. Poi vi camminò sopra, cercando di sporcarla il meno possibile, ma non ebbe questo problema; la fanghiglia in questione non si attaccava affatto alle sue scarpe. Era come plastica molle, densa e flessibile ma compatta, e di conseguenza non appiccicosa. Si sedette a gambe incrociate, sentendosi un po' troppo esposta nei suoi indumenti intimi, sebbene non ci fosse nessuno in giro. Si mise in grembo la conocchia, allungò le mani da entrambe i lati, e infilò le dita nella melma. Spinse indietro, e la mantella si mosse in avanti di un poco. Spinse ancora, e ancora la mantella si mosse. Dopo due o tre altri spintoni, la mantella iniziò a procedere piuttosto bene lungo il fiume sentiero. Poi arrivò la corrente, e Niobe iniziò a correre lungo il fiume senza sforzo. La mantella aveva assunto una forma circolare e ora era una barchetta abbastanza decente, anche se un po' goffa. Non capiva bene per quale motivo non sprofondasse, ma c'erano un sacco di cose che non capiva da quelle parti. Afferrò la conocchia prima che schizzasse via, e continuò a svolgere il Filo della Vita. Passò davanti a un albero galleggiante, che poi le sembrò più simile a un'isola, quindi proseguì attraverso un cielo stellato. Forse era solo un riflesso nell'acqua, solo che l'unica acqua era quella del fiume nel quale stava navigando. Poi le isole divennero grandi globuli di materia non meglio definita, che si divisero per diventare tanti globuli più piccoli, che a loro volta si scissero finché Niobe non si ritrovò in una grande nube di sassolini, che a un certo punto si trasformarono prima in pulviscolo e poi in fumo. Dopo un po' anche il fumo si dissolse, e lei si ritrovò a galleggiare nel nulla. Diede un'occhiata alla conocchia e scoprì che aveva quasi finito il filo. Ma il fiume non era ancora finito; la stava portando da qualche parte, il che significava che non era ancora arrivata nel luogo in cui doveva giungere. Non poteva fermarsi ora, ma se non si fermava, avrebbe dovuto lasciare giù il filo, ed era abbastanza sicura che non si trattava di una buona idea. Doveva trovare altro filo! Rifletté un attimo, quindi tuffò una mano nel fiume e tirò fuori una manciata di quella strana sostanza. Era come una gelatina molto fluida o un fluido densissimo. La prese con due mani e la tirò, e la sostanza si allungò come caramello. Poteva forse tirare fuori un filo da quella roba? Perché no? In fondo faceva parte della sostanza del Vuoto. Magari non era proprio quella pura che serviva per fare le anime, ma per il suo scopo poteva andar
bene. Era piuttosto complicato farlo a mani nude; in realtà le sarebbe occorso un filatoio. La maggior parte del filo o del filato veniva ridotto in fibre; se cotone, lunghe al massimo un paio di centimetri, se seta, infinitamente lunghe; ogni genere di filo richiedeva una particolare tecnica. Lo scopo era di trasformare le fibre in un filo continuo che poi potesse essere lavorato. E il processo essenziale di questa trasformazione era la filatura, vale a dire l'attorcigliare assieme le fibre fino a farle diventare un filo unico. Era un procedimento che poteva anche essere fatto manualmente, e lei conosceva la tecnica. Dopotutto, era pur sempre una donna. Aveva la sua conocchia e il suo fuso, ma non aveva nulla per cardare o pettinare. Ma quella sostanza in effetti aveva poco a che vedere con la fibra; assomigliava più a caramello. Probabilmente poteva tirarla fino al diametro e alla lunghezza voluta, e poi fissarla in quella forma con la filatura. Ci provò. Allungò un po' di sostanza fra le mani, poi l'avvolse grezzamente intorno a un'estremità della conocchia. Quando ottenne ciò che desiderava, usò il fuso per attorcigliare il filo, tenendolo piuttosto stretto. Il trucco consisteva nell'allungare, attorcigliare e avvolgere nel modo giusto e al momento giusto per produrre un filo uniforme e robusto. Non aveva mai lavorato una sostanza simile, ma la sua coordinazione e l'esperienza le vennero in aiuto. Se qualcuno era in grado di farlo, anche lei lo era. E in effetti fu così. Il suo corpo soprannaturale aveva lo stesso aspetto e le stesse sensazioni del suo corpo mortale, solo che ora era Cloto, e aveva anche la magia dalla sua parte. Sotto il controllo della sua volontà, la sostanza del Vuoto si trasformò in un filo grezzo, che infine allacciò al capo di quello che si era portata dietro, allungandolo notevolmente. Ora poteva proseguire tranquilla. Infine la mantella si fermò. O almeno così le parve; non aveva punti di riferimento esterni, ma il filo smise di svolgersi. Evidentemente doveva trovarsi nel cuore del Vuoto, dove doveva raccogliere la provvista mensile di materia prima per le anime. Non aveva alcun contenitore, quindi dovette usare nuovamente la sua abilità. Prese una manciata di sostanza, e la trattò nello stesso modo in cui aveva lavorato quella del fiume. Questa però era molto più eterea, e per un po' le parve di fare i movimenti necessari senza realmente avere niente in mano. Ma sentiva una leggerissima resistenza, e aveva fiducia nella riuscita dell'impresa. Dopo un po' riuscì a fissare un capo di sostanza grezza sul-
la sua conocchia: la sua matassa di anime. Non sapeva quanta gliene sarebbe servita, ma poteva sempre tornare a prenderne dell'altra quando l'avesse finita. Non era stato poi tanto male. Ora doveva tornare indietro. Per arrivare lì non aveva dovuto far altro che lasciarsi portare dalla corrente, seguendo così la direzione naturale; tutte le cose scorrevano verso l'entropia. Ma ora doveva risalire la corrente; come poteva fare? Tentò per prima la soluzione più ovvia, e funzionò. Tirò il Filo della Vita che si era lasciata alle spalle, e immediatamente la sua barchetta improvvisata si mosse; era come se non vi fosse alcuna inerzia, nessuna resistenza. In quel momento si rese conto che nel Vuoto l'inerzia, come del resto la materia, non esisteva; qui le leggi fisiche non esistevano. Ora il suo unico collegamento con il mondo materiale, sempre ammesso che il Purgatorio si potesse considerare tale, era quel filo, quindi lei si stava letteralmente tirando su verso la sua ancora. Il filo non le era servito quindi per non smarrire la via, ma per fare la via. I globuli galleggianti riapparvero, e il fiume divenne più evidente. Era una perdita della materia organizzata, in pratica era materia organizzata che scorreva verso la disorganizzazione. Lei aveva dovuto attraversare quella zona proprio per questo motivo. Il fiume in cui si trovava al momento era ancora inquinato da alcuni aspetti dell'organizzazione della materia, e Lachesi aveva detto che per le anime nuove la sostanza doveva essere al massimo della purezza possibile. Giunse alla parte fangosa del fiume, e infine si poté alzare e iniziò a camminare sul sentiero melmoso. Stava rientrando nella realtà. «Ciao, bella.» Niobe trasalì. C'era qualcuno lì sul sentiero, davanti a lei, dove non poteva trovarsi alcuna persona! «Vedo che sei sorpresa, dolcezza» disse la figura. Il suo contorno non era ben definito, ma le sembrava familiare. «Nessuno può venire qui» balbettò. «Tranne Marte, Gaea, o...» «O Satana» concluse per lei la figura. «Dove può andare Dio, può andare la sua Nemesi.» Il corpo intero di Niobe s'irrigidì. Era davanti al Principe del Male... colui che aveva predisposto la sua morte! Colui che intendeva punire... in qualche modo. «Ti odio!» esclamò. Il figuro scoppiò a ridere. «Ma certo, creatura fenomenale! Io sono l'Incarnazione del Male, e l'odio non è certo il più piccolo dei mali! Ti sei resa
conto che hanno emesso un francobollo in Mio onore? C'è scritto ODIOODIO-ODIO-ODIO-ODIO! Stai già entrando nella mia giurisdizione!» Questo la fece riflettere. Era vero; quando si lasciava andare all'odio si avvicinava a Satana, anche se era proprio Satana che odiava. Senza dubbio era una situazione paradossale: non poteva realmente permettersi di odiarlo. Si rese conto con dispiacere che Satana aveva già guadagnato un punto, e la partita era appena iniziata. Uno a zero. «Che cosa ci fai qui?» «Volevo solo chiarire alcune piccole faccende, zucchero, visto che indubbiamente d'ora in poi avremo modo di interagire, io e te.» Niobe non riuscì a trattenersi. «Allora perché non chiarisci perché hai ucciso mio marito!» «È esattamente per questo che sono venuto fin qui, mia susina succulenta» disse Satana. «Ho saputo che vi sono stati dei malintesi al riguardo, e credo che fra Incarnazioni certe incomprensioni non dovrebbero esistere.» «Non c'è nessuna incomprensione! Tu hai interferito con la mia vita!» «Ma non è vero, mia dolce rosa selvatica! Io sono specializzato nel Male, e ne comprendo il funzionamento meglio di qualunque altra Entità. Il Male è ovunque, in quantità maggiore o minore, tranne che, forse, in Dio, che francamente è piuttosto ignorante in materia. Lascia che ti mostri il Male presente nelle altre Incarnazioni.» Niobe riprese a camminare lungo il sentiero brandendo la sua conocchia per far spostare Satana, ma lui si limitò ad indietreggiare senza neanche muovere le gambe. Era in posizione fissa rispetto a lei, come un miraggio. Non poteva sfuggire alla sua attenzione. «Non sono disposta ad ascoltarti!» esclamò. «Le altre Incarnazioni non sono malvagie!» «Il Male c'è, e il Male fa, amore mio» insistette Satana. «Dal tuo filo contaminato in avanti, il Male risiede in ogni creatura mortale, e non viene necessariamente espugnato dall'Incarnazione.» «Filo contaminato!» esclamò Niobe. «L'ho appena preso dall'essenza più pura del Vuoto!» «La purezza non esiste nemmeno nel Vuoto, mia deliziosa creatura» disse Satana. «Nel Vuoto vi è solo il caos. Ciò che porti con te non è altro che entropia pura, ovvero disordine completo. Quando lo fili, imponi l'ordine, il tuo genere di ordine, sul caos più puro. Questo avviene perché vuoi definire in maniera completa il suo ordine, senza contaminazioni provenienti da altre fonti. Ma dato che il caos è effettivamente totale non esclude nulla, e quindi neanche una briciola di ordine. Di conseguenza, desiderio del mio
cuore, devi lavorare necessariamente con una sostanza imperfetta; anzi, è proprio la contaminazione dell'ordine che ti permette di filarla. Senza quella contaminazione, non riusciresti neanche a tenerla in mano. Ma questa è solo una piccola parte di quella sostanza. È una mistura di bene, male e neutralità, ed è impossibile stabilire quale prevarrà alla fine. Di conseguenza, la sottoponiamo alla prova più sicura che esista per scoprire la sua natura: il libero arbitrio animato.» Niobe tentava di non ascoltare, ma non ci riusciva. La voce del Male era insidiosamente irresistibile. «Sto facendo questo filo per la Vita!» «Esattamente, mia cara. Libero arbitrio animato, meglio conosciuto come Vita. Quando ogni molecola di questa sostanza per anime avrà completato il suo ciclo, sarà conosciuta la natura del suo equilibrio naturale fra Bene e Male, e si potrà finalmente stabilire l'ordine finale. Prima o poi verrà lavorata anche l'ultima molecola di sostanza presente nel Vuoto, e in quel momento l'entropia dell'universo sarà ridotta a zero. Tutto il Bene sarà in Paradiso, e tutto il Male all'Inferno. Il lavoro sarà finito, e il sistema intero verrà chiuso.» Niobe era esterrefatta. «Tutta... la vita... non è altro che... un laboratorio per classificare la sostanza del Vuoto?» «Esattamente. Splendido, non è vero? Proprio come te, carina. Nel giorno del calcolo finale sapremo infine chi è l'entità dominante, Dio o Satana. Il punteggio lo dirà chiaramente.» «Allora cosa ci faccio io qui?» domandò. Le girava la testa. «Stai iniziando la sequenza, dolcezza» disse Satana. «Stai tirando fuori dal Vuoto un altro mestolo di caos. Si tratta di un compito buono e necessario. Ma nel tuo Filo della Vita vi è anche il Male; se non fosse così, non vi sarebbe neanche vita.» «Be', ma le Incarnazioni non sono malvagie!» disse Niobe con decisione. «Tu stesso hai appena detto che il compito che sto svolgendo è una cosa buona.» «Ma certo, bambola; il compito è più che buono. Tuttavia le Incarnazioni sono esseri umani, e di conseguenza, imperfetti. Hanno ambizioni, debolezze e libidini.» «Libidini!» esclamò indignata. «Di cosa stai parlando?» «Sono felice che tu me l'abbia domandato, preziosa gemma.» Ora stavano attraversando la girandola, e l'Incarnazione del Male era sempre ferma davanti a lei, come uno spettro, inevitabile. E stava diventando via via più definito, e più macabramente familiare. «Certo che le Incarnazioni hanno
le loro libidini! A volte le sfogano con esseri mortali, ma la cosa risulta un po' problematica. Devi capire, creatura incantevole, che le Incarnazioni non invecchiano, mentre i mortali sì. Di conseguenza risulta difficile per un'Incarnazione mantenere una relazione con una persona che invecchia costantemente, soprattutto se si tratta di una relazione romantica. Quindi, è molto meglio ricorrere a un proprio simile.» Niobe non aveva mai pensato che in Purgatorio potessero esistere simili problemi. Tuttavia, Lachesi aveva accennato alla possibilità dell'uso del suo corpo, e forse non intendeva solo per emergenze estreme. Sapeva già per sua personale esperienza che molto di ciò che le stava dicendo Satana era vero. Le Incarnazioni avevano effettivamente passioni umane, visto che anche lei continuava a nutrire amore e dolore per Cedric da un lato e un odio irriducibile nei confronti di Satana dall'altro. «Ma sfortunatamente, delizia dei miei occhi» continuò imperterrito l'essere che le si parava davanti, vi sono ben poche Incarnazioni, e per la maggior parte si tratta di maschi. «Chronos, Thanatos e Marte» disse Niobe. «E tu.» «Queste sono solo le principali. Alcuni considerano maschio anche Dio, benché questo in realtà non abbia importanza. Dio è indifferente a tutte le passioni mortali, tranne che al potere.» «Le Incarnazioni principali? Vuoi dire che ce ne sono altre?» Stava sempre cercando d'ignorarlo, ma Satana riusciva sempre a stimolare la sua curiosità. «Ma come, non lo sai, dolce fiore? C'è Hypnos, che s'incarica del sonno, c'è Eros, che si occupa del...» «Ho capito. Ma qual è il punto?» «Il mio punto, fantastica creatura, è che qui da noi vi è una grande scarsità di carne giovane. Naturalmente Gaea può assumere qualsiasi forma desideri e diventare così un bocconcino veramente prelibato, ma le manca una qualità che molti uomini ricercano in una donna.» Satana fece una pausa, come se aspettasse la sua domanda, e Niobe ormai era soggiogata. Non poté fare a meno di chiedere. «E che qualità sarebbe?» «L'innocenza» rispose Satana. Niobe ci pensò su. In Purgatorio esisteva una sola donna relativamente innocente, e cioè l'ultima. Lei stessa. «Certamente non vorrai dire che...» «Considera Chronos, per esempio, bellissima» continuò Satana. «Lui vive all'indietro. Ricorda il futuro e non sa nulla del passato. Per lui un rap-
porto con una donna mortale è, se mi perdoni l'espressione, una cosa infernale. Non possono capirlo.» «Ma può cambiare il suo flusso temporale per portarsi in linea con...» «Solo per brevi periodi, carina. Non a lungo termine. Il che significa che se desidera avere un rapporto alla settimana senza problemi, deve trovarsi una donna che comprende la sua situazione ed è disposta ad assecondarlo. Il che significa che si deve trovare un'altra Incarnazione. O Gaea, o...» nuovamente si bloccò, con arte. «Stai forse insinuando che io...?» domandò indignata. Ricordò quanto Chronos era stato scrupoloso con lei e come erano state gentili anche tutte le altre Incarnazioni nel corso della sua prima visita. E come tutti avevano tenuto la bocca chiusa. Questo pensiero fece affiorare in lei un terribile sospetto. «Certamente Chronos ricorda» disse Satana. «Ciò che deve avvenire, per lui è già avvenuto.» Niobe stava iniziando ad arrabbiarsi. «E tu sostieni che lui... io... noi... che io mi trovo qui solo perché Chronos vuole...» «Chronos, e anche le altre Incarnazioni di sesso maschile» assentì Satana. «Il Fato è conosciuto come una donna molto disponibile. E naturalmente gli uomini preferiscono il suo Aspetto più giovane e sodo, come forse i tuoi due terzi ti hanno già spiegato.» Niobe non sapeva cosa dire. In effetti gliel'avevano detto... e ora quella nozione stava diventando molto meno teorica. «Vedi, vasettino di miele» continuò inesorabile Satana «noi Incarnazioni dobbiamo tirare avanti insieme. Siamo un gruppo molto ristretto, e spesso i nostri obiettivi coincidono; se non collaborassimo fra noi, il mondo cadrebbe nel caos e sarebbe perso. Non siamo antagonisti; siamo semplicemente rappresentanti dei diversi aspetti del lavoro. Il Fato non può operare senza il Tempo, e di conseguenza gli conviene mantenerlo soddisfatto, e per fare questo dispone di un metodo assai potente e convincente.» «Non posso crederci!» gridò Niobe, iniziando a pensare esattamente il contrario. «Puoi verificarlo molto semplicemente, bocconcino. Chiedilo a Chronos. Lui ricorda.» «No!» proruppe. «Io amo Cedric! Non farò mai...» ma aveva già acconsentito quando era subentrata nel ruolo di Cloto. In che guaio si era cacciata? «Ah sì, Cedric. Il tuo marito sacrificale, il ragazzo prodigio. Lascia che
t'illustri anche questa faccenda.» «No!» esclamò lei voltandosi dalla parte opposta. Ma continuò ad ascoltare. «Le Incarnazioni, e non solo Chronos, volevano un nuovo volto, un nuovo corpo e una nuova innocenza in Purgatorio» disse. «Voglio dire, anche la donna più sexy e disponibile, e certamente Daphne era così, viene a noia dopo un certo numero di anni o decenni, soprattutto quando il suo corpo rimane sempre lo stesso. E in particolare quando la sua mente inizia a saperne troppo. È la persona ideale a cui far visita, io lo so bene, ma non certo per starci assieme. La novità dopo un po' finisce, e qui in Purgatorio le novità sono assai scarse. Così, quando Cloto ha trovato una situazione compatibile nel mondo mortale, l'ha colta al volo. La sua zucca non ne reggeva più, come si dirà un giorno, e...» «Come fai a conoscere un detto del futuro?» «Chronos a volte usa espressioni che ricorda dal futuro, e alcune sono molto adatte. In ogni caso, piccola rosa, le Incarnazioni hanno compiuto un sondaggio informale tra i mortali, e tu sei risultata la ragazza più innocente e carina che siano riusciti a trovare. In più la tua abilità con il telaio ti rendeva perfetta. L'oggetto sessuale docile e candido veramente ideale! Così hanno fatto in modo che tu venissi a far parte del clan, e questo significava eliminare tuo marito.» La sola idea era terrificante per Niobe. Doveva assolutamente negarlo... ma non poteva. Satana poteva anche essere l'impersonificazione del Male, ma quello che diceva aveva senso. Ciò nonostante provò a contraddirlo, seppur poco convinta. «Ma ero io quella che volevano... che volevi uccidere, non Cedric.» «Questo è ciò che ti hanno raccontato, dolce torta di mele. Ma era solo una menzogna, per dare la colpa a me. Dopotutto, non potevano trovare miglior capro espiatorio. È così che ti hanno convinta ad assumere l'ufficio. Entro certi limiti, la scelta dev'essere volontaria. Devi convincerti che lo vuoi fare. Per cui hanno dovuto togliere di mezzo la persona che amavi, lasciandoti in tal modo senza prospettive per quanto riguardava il mondo mortale. Hanno convinto il tuo innocente amore che il bersaglio fossi tu, ingannandolo con grande astuzia e portandolo a fare esattamente ciò che volevano...» «No!» gridò Niobe con la disperazione di chi sta per affogare. «E come ben sai, trofeo fra i trofei, il trucchetto è riuscito perfettamente. Ora la più desiderabile e giovane pulzella innocente della Terra si trova in
Purgatorio, ed è pronta a svolgere i suoi compiti. Le Incarnazioni si stanno già leccando i baffi. Difficilmente sarei riuscito io stesso ad architettare un piano simile, anche se, per definizione, tutto il Male è mio. Quindi ti suggerisco di rilassarti e godertela, bellezza.» «All'Inferno il rilassamento!» gridò. Satana sorrise. «Esattamente.» Niobe l'osservò più attentamente. Man mano che proseguivano la sua immagine si stava delineando sempre più, e ora, ai limiti della foresta, era chiaramente riconoscibile. Aveva assunto l'aspetto di Cedric. «Maledetto cialtrone!» gridò, cercando di spingerlo contro un albero. «Non hai nessun diritto di... di...» Lui le afferrò una mano. «Posso baciarti, dolci labbra?» domandò con la voce di Cedric. «Anch'io ti trovo molto desiderabile, e posso aiutarti a dimenticare...» Niobe lo colpì violentemente con la conocchia sulla quale stava riavvolgendo il filo. Satana schivò il colpo e il filo l'impigliò, ingarbugliandosi. «Vattene! Vattene!» gridò lei. Satana riassunse la sua forma originale e sospirò. «Un'altra volta, magari, quando ti avranno domata.» E con questo scomparve, lasciandola con il suo filo ingarbugliato. Niobe rimase lì ferma, e pianse di rabbia e di dolore per un certo tempo. Maledetto Satana! Aveva trasformato la sua promettente nuova esistenza in un selvaggio tormento emotivo. Ma dopo un po' recuperò in sé tutto il cinismo di cui era capace. Staccò la porzione di filo ingarbugliata, visto che era quello fatto con la sostanza del fiume, unì i due capi e riprese il suo cammino. Lei non era un giocattolo del Fato; aveva il suo libero arbitrio, e se voleva poteva anche rinunciare alla sua posizione. Era per questo che ogni Incarnazione, tranne forse Chronos, aveva un periodo di prova. Solo dopo le veniva garantito il posto di lavoro a tempo indeterminato, sempre che si dimostrasse all'altezza del compito. Bastava che lei si dichiarasse inadatta e sarebbe tornata alla vita mortale. E comunque andassero le cose, certamente non si sarebbe concessa per i... compiti che avevano in mente per lei! Si fece strada fra gli alberi, mentre le lacrime si asciugavano sul suo viso. In che terribile tranello era caduta! Il solo pensiero che Cedric fosse morto per renderla disponibile a... Quando ebbe attraversato la foresta e il sentiero si trasformò in strada, Niobe era ancora furiosa. Ora era di nuovo nella realtà strutturata, e non
era per niente contenta. Cosa c'è che non va, doto? Erano di nuovo con lei! «Lo sapete bene, ipocrite che non siete altro!» proruppe. Nella sua mente insorse un pensiero incredulo. Perché dici questo? Niobe scaricò loro addosso un torrente di perché. Aspetta, aspetta! Non possiamo assimilare tutto questo in una volta sola! Percepiamo la tua rabbia, ma dovrai vocalizzare per chiarire la faccenda. «Cedric!» gridò Niobe. «Avete messo in piedi una cospirazione per uccidere Cedric, così io potevo... potevo...» Iniziò nuovamente a piangere, e le sue sensazioni erano un misto d'amore, tristezza e rabbia rimasta dal caos del Vuoto che aveva appena lasciato. Magari, pensò con un lampo d'isolato buonumore, aveva portato il Vuoto con sé, nella sua testa. Cedric? Ma ti abbiamo spiegato com'è andata con lui! «Be', Satana me l'ha spiegato un po' meglio! Non rimarrò qui a svolgere questo lavoro! Non avevate alcun diritto di...» Satana! Venne il pensiero di Lachesi. Questo spiega tutto! si aggiunse Atropo. «Sì, Satana!» insistette Niobe. «Lui conosce a fondo il Male! Era lì nel Vuoto, e...» E ti ha raccontato una menzogna molto intricata, finì per lei Lachesi. E tu gli hai creduto, concluse Atropo. «Sì, gli ho creduto!» esclamò Niobe. «E voglio tornare alla mortalità! Almeno lì il mio corpo è mio!» Hai creduto nel Padre della Menzogna, pensò Atropo. Tornare indietro è un tuo diritto, assentì Lachesi. Ma prima dobbiamo chiarire la situazione. Prima di decidere devi conoscere la verità, affinché Satana non ti conduca a una fine tragica. «E perché dovrebbe fare una cosa simile?» Lui non ti vuole nell'ufficio. Sa bene che, in qualche modo, gli creerai dei grossi problemi. È per questo che ha tentato di ucciderti prima che tu divenissi Cloto. Niobe era tormentata dal dubbio. Satana era stato molto convincente, ma in effetti era l'Incarnazione del Male e certamente avrebbe mentito per raggiungere i suoi scopi. Non doveva fidarsi ciecamente di lui, senza esaminare a fondo la situazione. «Come posso verificare questa faccenda?» Forse Chronos lo sa.
«Chronos!» sbottò Niobe con tono indignato. «Lui non vuole altro che...» Questa è una mezza verità. «Ammetti che sia vero a metà?» domandò Niobe. Lachesi sospirò mentalmente. Satana ha avvelenato la tua mente. Dovrai disintossicarla da sola. Vai da Chronos, e sfidalo. Noi rimarremo in silenzio finché non ti rivolgerai a noi. Naturalmente l'idea era ottima. Chronos era il perno attorno al quale ruotava tutta la situazione. Gli avrebbe detto in faccia ciò che pensava di lui! Tornò alla Dimora, depositò la matassa che avrebbe trasformata in filo più sottile in seguito, quando avrebbe filato le vite dei nuovi mortali e sempre ammesso che rimanesse in carica abbastanza a lungo, quindi seguì il filo che portava alla casa di Chronos. Non era ancora molto brava nell'uso del filo da viaggio; senza dubbio sarebbe arrivata molto prima e con meno problemi se avesse lasciato fare agli altri due suoi Aspetti, ma doveva imparare la tecnica, così... Così cosa? Così sarebbe diventata una brava Cloto? Proprio adesso che non aveva nessuna intenzione di mantenere quel ruolo? Assai improbabile! Infine riuscì a raggiungere la Villa. Sapeva che il tempo s'invertiva per chi entrava in quella casa, e che di conseguenza sarebbe uscita di lì prima ancora di entrarvi. Trovava molto intrigante questo aspetto della faccenda, ma capiva che era necessario, altrimenti sarebbe stata costretta a parlare con Chronos all'incontrario. Bussò, e venne immediatamente fatta entrare. Chronos le venne incontro con indosso una tunica candida. Le sorrise, la prese fra le braccia e la baciò. Niobe ci rimase talmente male che per un attimo non riuscì ad avere alcuna reazione. Poi si riprese, si allontanò con uno scatto e gli rifilò uno schiaffo sulla guancia. «Come ti permetti di fare una cosa simile?» esclamò in tono scandalizzato. Chronos la fissò, esterrefatto. «Ma... Cloto... che cos'è successo?» «Che cos'è successo?» domandò indignata. «Mi hai appena afferrata, e mi hai baciata!» «E allora? L'abbiamo sempre fatto, qui in casa!» «Lo abbiamo sempre fatto!» gridò. «Ma allora è vero!» In quel momento Chronos capì, e la sua espressione cambiò. «Il tempo... sei forse all'inizio del tuo ciclo?» «Del mio cosa?»
«Hai appena assunto la carica? Come Cloto?» «Ma certo che l'ho appena assunta, come ben sai! E se credi che io...» «Ma io non potevo saperlo!» protestò lui. «È avvenuto nel mio futuro, e tu non mi hai mai detto esattamente quando...» Perché viveva a ritroso. Ora Niobe capiva. «Tu... tu non avresti mai potuto cospirare per... perché per te non è ancora avvenuto!» «Non cospirerei mai contro di te» disse. «Io ti amo.» Niobe si sentì come se una mano demoniaca le avesse afferrato il cuore. La testa che le girava, e si accasciò su un divano. Era vero allora, avrebbero avuto una relazione! Con quest'uomo che non conosceva, e che certamente non amava! «Oh, Cloto» disse lui. «Non me n'ero reso conto. Tu non l'hai mai fatto prima d'ora. Tu non... ricordi. Se ne fossi stato consapevole... mi dispiace. Avrei dovuto saperlo. Molti anni fa mi hai detto la tua data di entrata. Me l'ero dimenticata. Voglio scusarmi per...» «Che cosa ricordi?» domandò cupamente Niobe. Chronos si sedette davanti a lei. «Quando ho assunto la carica, fra trentacinque anni dal tuo punto di vista, ero un pivello completo. Non sapevo che cosa dovevo fare né come dovevo farlo, e persino la Clessidra era un mistero per me. Ma poi sei venuta tu, nei tuoi tre Aspetti, e mi hai messo in riga, prendendomi per mano. Era come se mi conoscessi da un sacco di tempo, anche se io non ti avevo mai vista. Hai fatto molto per me, e io te ne sono stato molto grato, e poi hai...» S'interruppe, affondando il viso fra le mani. «Oh, Cloto! È finita, e così all'improvviso! Ti devo moltissimo, e mi mancherai moltissimo!» Improvvisamente Niobe si ricordò di Cedric all'inizio del loro matrimonio. Era così sconsolato e perso, e non era in grado di affrontare una situazione che sapeva essere inevitabile. E lei, con la sua ingenuità e la sua insensibilità, non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Come se ne pentiva, ora! E la grandezza della menzogna di Satana si era manifestata; Chronos non aveva cospirato contro di lei, perché non poteva farlo! Era stata invece lei ad iniziare il loro rapporto, di lì a trentacinque anni. E stava dando la colpa a lui! Se quando si era sposata con Cedric avesse saputo come sarebbe andata a finire, sarebbe stata molto più attenta e comprensiva nei suoi confronti. E ora si trovava in una situazione più o meno simile. Non amava quell'uomo, ma non aveva neanche amato Cedric, all'inizio. Era una lezione da impara-
re. Voleva veramente tornare alla mortalità? Cedric non sarebbe stato con lei in ogni caso. E se doveva vivere senza di lui, non era forse meglio farlo con il potere dell'Incarnazione del Fato piuttosto che da semplice mortale? Probabilmente quel ruolo le avrebbe offerto parecchie distrazioni. Poteva mantenersi occupata e se ne poteva andare quando voleva. Non doveva prendere la decisione subito. Eppure... Satana aveva cercato di convincerla a mollare. E non se ne sarebbe certo preoccupato se lei non fosse stata destinata a creargli dei problemi. Chronos ricordava tre decenni e mezzo di associazione con lei, e questo bastava a dimostrare la decisione che avrebbe preso per il futuro. Che senso aveva mettersi contro il destino? Era meglio prendere il coraggio a due mani e fare ciò che andava fatto. Cedric era morto, e non sarebbe mai più vissuto. Doveva affrontare la realtà, e prima lo faceva meglio era. Questo era il momento della decisione; l'idea non l'entusiasmava, ma doveva mettere finalmente una pietra sul passato. Si asciugò le lacrime, si mise in ordine i capelli, e si alzò in piedi. Chronos rimase seduto, con il volto coperto dalle mani. Non stava recitando; era un essere onesto e vulnerabile, e stava piangendo per una relazione che sapeva finita. Ed effettivamente per lui lo era. Si trattava di una sensazione più che comprensibile per Niobe. Gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla. «Chronos, ti capisco. Ma questa è... l'ultima volta.» Alzò lo sguardo. «La prima... per te.» «Per me. Io non... non ti amo, ma...» scrollò le spalle. «Ti ho giudicato male, Chronos, e mi dispiace. Non... non so che altro dirti. Per noi ora c'è solo questo momento. Così com'è.» «Così com'è» ripeté lui, alzando una mano verso di lei. Niobe la prese. «Quando ci incontreremo la prossima volta, sarà diverso. Io non mi ricorderò... questo. E non ne saprò nulla.» «E io non ne parlerò» disse Niobe. Chronos l'attirò a sé. Niobe cercò di nascondere la sua avversione nel farsi toccare da un uomo che non era Cedric. Si sentiva sporca e in colpa, ma, assurdamente, sapeva che stava facendo la cosa giusta. Non era più sposata, non era più un essere mortale, e aveva un lavoro da fare e un compito da adempiere. E poi scoprì presto che la lunga esperienza di Chronos con lei gli dava un tocco particolare, e cooperare divenne più facile. Più tardi si rivestì e se ne andò, usando una porta diversa da quella da
cui era entrata. Così non avrebbe rischiato di incontrare se stessa che entrava. Non voleva certo cercare di spiegare o giustificare ciò che aveva fatto alla se stessa di mezz'ora prima! Poi, visto che non voleva neanche tornare alla sua Dimora prima di averla lasciata, decise si passare un'oretta da qualche altra parte. Così sarebbe passata la mezz'ora trascorsa nella casa di Chronos, e una mezz'ora in più. L'effetto complessivo avrebbe fatto risultare la sua mezz'ora in casa di Chronos di tempo normale, quello che procedeva in avanti. Ma dove poteva andare per quel periodo? In un solo luogo! Si recò sulla Terra. Scivolò giù lungo un filo, per fare anche un po' d'esercizio, fino alla fattoria dove si trovava Junior. Bussò alla porta. Furono sorpresi e felici di vederla, anche se Niobe percepì una malcelata preoccupazione nei loro volti. «Sono solo in visita» disse. «Non ho ancora concluso i miei affari. Dovrò lasciare Junior ancora con voi.» A queste parole i loro visi si rilassarono, e lei ne fu molto compiaciuta. Volevano veramente tenere Junior con loro, e lei sapeva che non era per il denaro di cui l'aveva dotato. Senza dubbio quello era il posto adatto per suo figlio. Lo prese in braccio, lo strinse e lo baciò, poi lo rimise giù e un attimo dopo Junior tornò a giocare con il cugino Pacian. «Quella quercia è veramente splendida» disse la donna. «E come ci siamo allontanati, la driade è venuta subito giù a trovarlo.» Lo stavano anche portando alla quercia! Almeno la ninfa era contenta. «Gli sta insegnando la magia» le disse la donna, facendole l'occhiolino. «Se riesce a imparare, sarà un grande mago!» aggiunse l'uomo. Sì, in questo non aveva sbagliato. Perdere suo figlio l'addolorava parecchio, ma si poteva adattare anche a questa situazione, come aveva fatto con Chronos. Ora era una persona diversa, con doveri nuovi e differenti. Persino il suo corpo non era esattamente suo quanto una costruzione ottenuta con la carne del Fato, come se fosse formata dalla sostanza del Vuoto. Ma lei non era una creatura del Vuoto! Ora aveva una nuova vita da vivere. E sperava con tutte le sue forze che risultasse migliore di quella precedente. 6 Genealogia Avendo ormai preso le decisioni importanti del caso, la sua vita come
Cloto iniziò a procedere con una certa armonia. Ogni Aspetto dormiva per sei od otto ore, e in genere facevano in modo di alternarsi lasciando così il corpo a un solo Aspetto dominante per volta, mentre l'altro gli teneva compagnia a livello cosciente e il terzo dormiva. Per questioni di convenienza, in genere la successione andava dal sonno alla compagnia al controllo del corpo, affinché ogni Aspetto fosse perfettamente sveglio e pronto in quest'ultima fase. Come Cloto quindi Niobe dormiva, poi teneva compagnia ad Atropo per il suo turno, e successivamente assumeva l'ufficio mentre Atropo dormiva e Lachesi le teneva compagnia. Ma a volte i turni variavano, e in certi casi particolari dovevano stare tutte e tre sveglie o dormire tutte e tre. Normalmente, però, lo schema di base reggeva. Niobe si trovava bene con le altre due. Parlavano spesso, confrontando esperienze e sensazioni. Gli altri due Aspetti avevano anche assistito al suo primo appuntamento con Chronos, poiché la cosa era stata nuova per loro come per lei. E non avevano affatto cospirato per metterla in quella posizione; non avevano mai avuto rapporti così intimi con lui prima di allora. Evidentemente Chronos, con il progredire della sua vita verso il passato, non si era interessato alla vecchia Cloto, che per lui era la nuova. «Ma il corpo è solo il corpo» disse Lachesi con filosofia mentre Niobe trasformava in Filo della Vita il filo grezzo che aveva recuperato nel Vuoto. «Tu sei giovane, e ti piace pensare che ci sia un solo uomo per ogni donna e una sola donna per ogni uomo. Invece le combinazioni possono essere molteplici, e ognuna può risultare in amore. In questo ufficio siamo costrette a essere meno romantiche e più pragmatiche.» «Sì» assentì tristemente Niobe. «E Chronos è una brava persona. Ma io amerò sempre Cedric.» «Il primo amore è sempre il migliore» disse Lachesi, riprendendo il controllo delle labbra. «Mi ricordo il mio...» e raccontò la sua storia. Non era stata un'esperienza immediata come quella di Niobe, ma aveva la stessa intensità, e dimostrava che la donna più anziana capiva perfettamente le sue sensazioni. Gli uomini tendevano a pensare in termini fisici, mentre la donna faceva maggiormente riferimento all'aspetto sociale; gli uomini focalizzavano sui corpi e sull'azione, mentre le donne sul carattere e sul sentimento. Si trovarono d'accordo nel dire che il punto di vista femminile era più saggio per certe cose, ma non poterono fare a meno di riconoscere i meriti dell'uomo e ammettere la possibilità di una relazione armoniosa fra i due sessi. Impararono ognuna il mestiere delle altre, anche se solo fino a un certo
punto. Normalmente Niobe dormiva quando Lachesi misurava i fili, ma non sempre, e naturalmente era sveglia quando Atropo li tagliava. I tagli non servivano solo per porre termine a una vita; i fili dovevano anche iniziare da qualche parte. Così, quando Lachesi aveva analizzato, misurato e segnato ogni vita potenziale sul filo infinito filato da Cloto, Atropo si occupava di tagliarlo e posizionarlo. L'inizio di ciascun filo tagliato corrispondeva al concepimento di un bambino, e doveva essere attaccato ai fili dei suoi genitori senza che potesse districarsi e trovare liberamente una posizione nella Tappezzeria. Le qualità fisiche, mentali ed emotive di una vita venivano determinate a livello ereditario dal legame con i genitori, e il successivo sviluppo veniva influenzato in maniera determinante dall'ambiente. Ma le circostanze, quelle strane coincidenze che dominano ogni esistenza, venivano stabilite dal Fato. Alcune vite iniziate sotto i migliori auspici erano destinate a concludersi nella miseria e nel fallimento, mentre altri fili apparentemente deboli erano votati a futuri grandiosi. Lachesi programmava questi singoli fili in rapporto alla configurazione generale della Tappezzeria, e in alcuni casi lo faceva con grande rammarico, come ad esempio quando era costretta a misurare un filo molto corto, il che significava che un bambino doveva morire. Ma erano cose che andavano fatte, in quanto una piccola tensione in un punto della Tappezzeria poteva alterare tutta la struttura portando al danneggiamento di molti altri fili innocenti, a meno che la correzione non venisse fatta immediatamente nella regione in questione. Non sarebbe stato facile spiegare a un comune mortale i motivi per i quali doveva soffrire, in quanto le tensioni della Tappezzeria erano accumulative e a volte risultavano molto sottili e difficili da individuare, ma in generale c'erano diversi modi per alleviare una tensione. Il lavoro di Lachesi consisteva nel trovare un corretto posizionamento per ogni filo e far sì che lo mantenesse nel corso della vita. La morte prematura di Cedric non era stata opera di Lachesi. Satana era riuscito a tendere la struttura in un modo tale che non c'era altra scelta che tagliare un dato filo, che doveva essere quello di Niobe finché il filo di Cedric non era improvvisamente subentrato al suo posto. Lachesi era stata costretta a segnarlo per l'eliminazione e Atropo a tagliarlo, ma si trattava di un intervento equiparabile a un'operazione chirurgica d'emergenza. Infatti la struttura non si era ancora adattata a quella distorsione causata dal taglio prematuro e tendeva a deformarsi, così furono costrette a tagliare diversi fili in altri punti distanti della Tappezzeria e ad aggiungerne di nuovi in altri punti. Seguendo lo schema generale e individuando le varie tensioni,
Niobe iniziò a capire quanto fosse complicato il lavoro del Fato. Il Fato non era un'entità onnipotente o che agiva per suo capriccio; doveva semplicemente ottenere uno scopo che il mortale non era normalmente in grado di comprendere. Era come se un soldato in battaglia fosse andato dal suo generale a chiedergli perché doveva essere soggetto a quel pericolo. Ma Niobe non era più un soldato. Ora era l'Aspetto di un'Incarnazione. Era in una posizione che le permetteva di comprendere il quadro generale... e di comprendere esattamente ciò che le aveva combinato Satana. Aveva ancora un conto in sospeso con lui! Ma il problema era che non sapeva come fare per pareggiarlo. Satana non aveva Tappezzeria, e quindi lei non poteva ingarbugliare i suoi fili. Infine concluse che ciò che doveva fare come doto per nuocere a Satana non si era ancora manifestato, e che avrebbe ottenuto la sua vendetta semplicemente rimanendo in carica. Prima o poi sarebbe venuto il momento, e allora non avrebbe esitato un attimo a sfruttarlo. Nel frattempo, doveva solo essere paziente. Dopo un po', il tran tran quotidiano divenne noioso. E fu allora che le interazioni con le altre Incarnazioni, Satana compreso, divennero più interessanti. Niobe non era innamorata di Chronos, ma lui le era talmente grato per i suoi particolari favori che alla fine divenne un piacere anche per lei. Inoltre doveva lavorare molto con lui, anche se queste interazioni professionali venivano gestite soprattutto da Lachesi, in quanto solo Chronos poteva localizzare con precisione il momento esatto degli eventi determinanti di ogni vita, i piccoli nodi presenti in ogni filo. La Tappezzeria poteva distorcersi se i fili erano troppo tesi o troppo lenti, o se si incrociavano nei punti sbagliati. Inoltre era particolarmente importante che Atropo informasse Chronos sulla fine esatta di ogni filo, poiché era Chronos che programmava l'orologio di Thanatos. E se Thanatos non era presente nel momento di alcune particolari morti, quelle in cui l'anima era in perfetto equilibrio fra Bene e Male, le anime in questione sarebbero sfuggite, tornando nel Vuoto e sprecando tutto lo sforzo di una vita. Nessuno approvava lo spreco di una vita. Ma anche queste cose nel giro di poco tempo diventavano noiose. Di conseguenza gli Aspetti del Fato erano portati a far visita ai mortali ogni qual volta avevano un po' di tempo libero. Spuntavano anonimamente in mezzo alla gente, facendo finta di tornare a casa dal lavoro, o di essere in vacanza, o di svolgere qualche affare. I mortali tendevano a non percepire le Incarnazioni in quanto tali e le dimenticavano molto facilmente, quindi
era piuttosto semplice. Ogni Aspetto aveva la sua regione preferita del mondo terreno a cui far visita, e per loro si trattava di una specie di vacanza. A Lachesi ad esempio piaceva recarsi in ristoranti speciali e godersi pasti luculliani. Le Incarnazioni conservavano tutte le loro funzioni biologiche naturali, compreso il bisogno di nutrirsi. Essendo immortali potevano anche non mangiare e non sarebbero mai morte di fame, ma avrebbero provato una sensazione di crescente sconforto. In Purgatorio avevano tutto ciò di cui avevano bisogno, ma c'era sempre qualcosa di speciale nel farlo fra i mortali. Le Incarnazioni di sesso maschile, le confidò con malizia Lachesi, a volte appagavano i loro appetiti di altro genere con donne mortali, sebbene dovessero stare sempre molto attenti a non cambiare la posizione di qualunque singolo filo. Un'Incarnazione non poteva generare un figlio per via del blocco dell'invecchiamento, per cui il bambino non avrebbe mai superato la fase monocellulare, ma questo non era l'unico modo per influenzare una vita terrena. Una volta Marte aveva stabilito una relazione con un'Amazzone mortale (aveva una certa debolezza per le donne violente) e il filo della donna aveva mutato rotta. In pratica la sua relazione con Marte aveva sostituito quella prevista con un uomo con il quale avrebbe generato figli. Alla fine Lachesi era stata costretta ad agire di forza. Aveva già misurato il filo, senza riuscire a trovare un modo per attaccarlo a quello nuovo del bambino, poiché l'interazione necessaria non era avvenuta. Allora era andata da Marte e gli aveva praticamente ordinato in maniera perentoria di interrompere la relazione affinché si ristabilisse l'ordine naturale delle cose, dopodiché aveva legato il filo nuovo in un punto un po' più basso del filo della donna. Cloto aveva poi dovuto addolcire le serate di Marte finché questi non era riuscito a trovare un'altra mortale. Era stato un piccolo scandalo. Atropo invece preferiva i concerti, le opere e le rappresentazioni. Non a caso, aveva un palco personale prenotato in un famoso teatro. Niobe ebbe l'occasione di vedere anche lei alcune di queste rappresentazioni, e imparò ad apprezzare l'opera e la musica classica. In questo modo elevava anche il suo livello culturale. Una volta era capitato che un uomo chiedesse ad Atropo le sue credenziali; a quanto pareva non erano riusciti a verificare la sua identità, e sospettavano che si trattasse di un cittadino di basso ceto infiltratosi in qualche modo in quel circolo di eletti. Allora Niobe aveva preso il controllo del corpo, e sorridendo aveva chiesto all'uomo che cosa intendesse. Lui aveva sbattuto le palpebre, trovandosi davanti a una donna
giovane e bellissima al posto di una anziana e bruttina. Si era quindi scusato per il malinteso ed era scomparso. Poi Atropo aveva ripreso la sua forma, e si era goduta l'opera in santa pace. Niobe aveva quindi tutte le occasioni di far visita a suo figlio. Le prime volte ci andò così com'era, ma dopo un po' si rese conto che non poteva continuare in quel modo. Innanzitutto non invecchiava, poiché era bloccata all'età fisica di ventitré anni, e nel giro di poco tempo se ne sarebbero accorti tutti. Poi non voleva che Junior si abituasse troppo alla sua presenza; era meglio che la dimenticasse e che facesse riferimento in maniera completa alla sua nuova famiglia. Alla lunga sarebbe stato molto meglio per lui. Inoltre, era evidente che il giovane cugino Pacian si era preso una cotta per lei. Era un genere di cose che accadeva spesso con gli adolescenti; la bellezza faceva il suo effetto. Quindi, decise che era più opportuno non si facesse più vedere. Tuttavia, voleva continuare ad avere dei contatti personali con suo figlio. Chiese ad Atropo se fosse disposta a recitare il ruolo della nonnetta amica di famiglia che andava a far visita a dei parenti nella zona e che amava molto i bambini. Grazie ai silenziosi consigli di Niobe, nel giro di poco Atropo riuscì a conquistarsi la fiducia del piccolo, e col tempo riuscì anche a farsi accettare da Pacian, sempre in guardia e attento al benessere del suo cuginetto. Col passare degli anni, quando Junior si trasformò in un bambino vivacissimo e Pacian in un adolescente alto e sorprendentemente ben fatto, Atropo iniziò a portarli a vedere opere leggere e rappresentazioni adatte a un pubblico di qualsiasi età. Atropo aveva un'ampia conoscenza in quel campo e sapeva quali erano gli spettacoli adatti, quindi la cosa risultò molto piacevole. I ragazzi si divertivano e i genitori di Pacian vedevano la cosa di buon occhio. Anche la stessa Atropo la trovò un'esperienza gratificante, quindi fu una trovata positiva sotto tutti gli aspetti. Ma quando Junior ebbe sei anni e Pacian diciotto, avvenne qualcosa che scosse tutti profondamente. Era il giorno della fiera annuale, alla quale si recò tutta la famiglia. Solo che nella mischia i ragazzi si erano subito divisi dagli adulti, e Atropo faceva parte della categoria dei ragazzi. Pacian non aveva certo bisogno di accompagnatori, ma Junior sì, e in ogni modo erano un terzetto ormai collaudato per quanto riguardava simili imprese. Girarono per la fiera provando i giochi di pseudo-abilità, mangiando caramelle, e cavalcando la piccola sfinge addomesticata. Assistettero a uno spettacolo magico più o meno truccato in modo che le magie apparissero molto più notevoli di quanto non fossero in realtà, e videro due volte la rappresenta-
zione della danza della Ninfa contro il Satiro. Era una rappresentazione suggestiva ma non molto intensa; i partecipanti erano autentici, ma dopo una dozzina di repliche perdevano tutto il pathos. Ciò nonostante, gli occhi del piccolo Junior quasi uscivano dalle orbite. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma aveva promesso di non dirlo ai suoi zii e il controllo era poco severo. La stessa Niobe aveva espresso delle riserve, ma Atropo l'aveva messa a tacere: «Al bambino interessa la magia, e questo è un aspetto della magia. E poi non è che non abbia mai visto una ninfa in vita sua.» Naturalmente era vero, ormai Junior era grande amico dell'amadriade della quercia. Poi passarono davanti a una cabina di una maga indovina. «Ehi, voglio farmi predire il futuro!» gridò il ragazzino. Anche questa era magia, e quindi ne era attratto. «Bah, probabilmente è una maga falsa» protestò Pacian. «Posso verificarlo, se volete» disse Atropo. Che cosa stai facendo? le disse Niobe con il pensiero. La veggente ti riconoscerà! «Benissimo, allora verifichiamo» assentì Pacian, al quale piaceva molto l'idea di smascherare gli imbroglioni. Junior batté le mani. Si fermarono alla cabina e Atropo pagò la maga. La donna la guardò e le restituì immediatamente il denaro. «Volete forse ingannarmi, essere immortale?» disse. «Sapete che non posso leggere quelli della vostra fatta!» «E autentica» dichiarò Atropo porgendo nuovamente il denaro alla veggente. «Fatelo per i due ragazzi; loro sono mortali.» «Tu sei immortale?» domandò Pacian guardando Atropo. «Sono anziana, ma non vivrò per sempre.» Pacian non fu del tutto soddisfatto da quella spiegazione, ma lasciò correre. «Benissimo, allora leggeteci assieme, io e il mio fratellino qui.» Sollevò Junior e lo appoggiò a sedere sul bancone. «Chi sposeremo, e i nostri figli saranno famosi?» Junior rise per l'audacia della domanda, dato che era convinto che la sua situazione attuale non sarebbe mai mutata, ma l'indovina la prese sul serio. «Datemi le vostre mani» disse. Prese la destra di Junior e la sinistra di Pacian e chiuse gli occhi. Poco dopo li riaprì. «Oooh!» esclamò, come se stesse scaricando vapore. «Una coppia a dir poco fuori del comune!» Niobe cominciò a incuriosirsi. Che cosa aveva visto l'indovina? «Ognuno dei due avrà la più bella donna della sua generazione, che gli darà la figlia più abile nella sua arte» iniziò l'indovina. «Entrambe le figlie
avranno a che fare con la matassa ingarbugliata; una potrà sposare la Morte e l'altra il Male.» Lasciò di scatto le loro mani, con aria scossa. «Di più non oso dire.» Pacian tirò giù Junior dal bancone, e si allontanarono dalla cabina. «Era una predizione vera?» domandò, un po' intimorito. «Così parrebbe» disse Atropo. «Certo, l'interpretazione cambia un po' le cose, quindi può anche avere un significato diverso da quello apparente.» «Per me quella profezia è fasulla!» esclamò Pacian. «La donna più bella?» La matassa ingarbugliata? pensò Niobe. Ma questo è il nostro campo! «E una sposerà la Morte e l'altra il Male» disse Atropo con aria pensierosa. «Non sono sicura che mi piaccia molto l'idea.» Anche Niobe aveva dubbi simili. La Morte è Thanatos, e il Male è Satana. Le loro figlie si sposeranno con due Incarnazioni? «Cosa vuol dire una matassa ingarbugliata?» domandò Junior. «Guai!» rispose Atropo. Guai, ripeté Niobe. Si sedettero sotto un albero, e ne parlarono. «Questa non è una brutta profezia» disse Atropo ai ragazzi. «Non è certo un disastro per un uomo avere, cioè sposare, la più bella donna della sua generazione e avere figli dotati di grande talento. Se avranno a che fare con la matassa ingarbugliata, be', probabilmente significa che diverranno delle persone molto importanti. In quanto al fatto di sposare la Morte e il Male... be', ricordatevi che la profezia dice che "potrebbero". Be', chiunque può mettersi nei guai se non sta attento! Voi siete stati avvertiti, quindi dovrete educare i vostri figli a stare attenti a cose come il Male e la Morte, così non ci saranno problemi.» «Ehi, è vero!» disse Pacian, illuminandosi in viso. «Siamo stati avvertiti, e quindi possiamo fare in modo che vada tutto bene.» Ma, stranamente. Junior era rimasto pensieroso. «Ma le profezie non sono in... in...» «Inevitabili» finì per lui Atropo. «Sì, una vera profezia si avvera sempre, e a quanto pare questa era proprio vera. Comunque c'è sempre un certo margine di libertà.» «Ne voglio un'altra» decise Junior. «Voglio una co... co...» «Una conferma» finì per lui Pacian. Atropo scrollò le spalle. «Male non fa.» Vuole una conferma? pensò Niobe. Mica stupido mio figlio!
Così si recarono da un'altra indovina. Anche questa volta Atropo pagò in anticipo, e puntualmente l'indovina non accettò. «Cosa ci fate qui, funesto terzetto?» domandò. «È per i ragazzi» disse Atropo sapendo bene che non si riferiva al terzetto fisico. Anche questa era senza dubbio autentica! «Fateli assieme. Che cosa sarà di loro e dei loro figli?» L'indovina prese le mani dei ragazzi come aveva fatto l'altra, e spalancò gli occhi. «Uno sarà il salvatore dei daini, e sua figlia la salvatrice degli uomini. L'altro amerà un'Incarnazione, e sua figlia sarà un'Incarnazione. Ma la matassa è ingarbugliata... oh!» L'indovina si staccò con uno scatto. «Non posso concludere, è troppo per me.» Effettivamente, stava tremando. Si allontanarono e discussero quest'ultima divinazione. «Daini?» domandò Junior. Suo padre voleva trovare un modo per permettere ai daini di rispondere al fuoco dei cacciatori, spiegò Niobe. Atropo lo disse al bambino, che fu soddisfatto della risposta. «Lo farò!» esclamò. «Ama mi mostrerà come fare! Farò sparare ai daini!» Ma Pacian squadrò Atropo con aria sospettosa. «Come fai a saperlo? Mio cugino Cedric è morto prima che tu ci conoscessi.» «Ma conosco sua moglie, la madre di Junior. Ti avevo detto che ero un'amica della famiglia.» «Oh? E ora dov'è? E da parecchio tempo che non ci viene a visitare.» «È occupata con un progetto molto importante» disse Atropo. «È un progetto segreto, ed è per questo che non ha potuto portare Junior con sé.» «È la donna più bella che abbia mai visto» disse Pacian con aria sognante. «Cos'è un'Incarnazione?» domandò Junior. «Le Incarnazioni sono personificazioni umane degli aspetti più importanti dell'esistenza» disse con cautela Atropo. «L'Amore, la Guerra, il Tempo...» «La Morte e il Male» aggiunse Pacian. «Ma quell'altra profezia...» «Io credo» disse Atropo «che le vostre figlie avranno rapporti con personaggi notevoli, e che forse diventeranno...» «Incarnazioni» disse Pacian. «È possibile?» «A volte i mortali diventano Incarnazioni» spiegò Atropo. «Ma è una cosa molto rara.»
«Quale?» domandò Junior. Atropo allargò le braccia. «Come hanno detto entrambe le indovine, è una matassa ingarbugliata. Dubito che riusciremmo a disfare il garbuglio prima dell'evento... e in ogni caso forse è meglio non provarci nemmeno.» «Sì, credo che d'ora in poi faremo meglio a tenerci lontani dalle profezie» disse Pacian. Ma Junior non appariva del tutto convinto. Passarono alle altre distrazioni della fiera, ma i ragazzi rimasero pensierosi, e anche Niobe. Essendo Aspetti del Fato, lei e Atropo potevano seguire i fili delle vite, ma non troppo avanti nel futuro, poiché oltre un certo punto la Tappezzeria diventava sfocata. Non a causa di qualche magia ostile, ma semplicemente perché la Tappezzeria della Vita era talmente complessa che ne poteva comprendere solo la porzione del momento, e anche quella attraverso un'attenta ispezione. Ma Niobe sapeva che sia il filo di Junior che quello di Pacian erano di lunghezza normale; nessuno dei due sarebbe morto troppo giovane. Dopo l'esperienza di Cedric, si era assicurata che fosse così. Ma non riusciva a vedere con precisione le loro azioni nella Tappezzeria futura. A quanto pareva entrambe le profezie indicavano che i ragazzi, che già erano in compagnia di un'Incarnazione, avrebbero continuato ad averci a che fare. Da quel punto di vista non c'era nulla di tanto eccezionale, ma era evidente che sarebbero accadute molte cose! Il tempo passò e nessuno parlò più della profezia, ma Niobe sapeva che i ragazzi non avevano dimenticato. Da quel giorno in avanti, Junior si concentrò maggiormente sulla magia. Comprò una scatola di attrezzature magiche e iniziò a far pratica con semplici incantesimi e trasformazioni. Non che fosse molto bravo, ma nessun altro bambino della sua età aveva mai neanche tentato di addentrarsi nel mondo della vera e propria magia. Era più facile assumere un mago professionista, o comprare incantesimi già pronti. Junior però sembrava avere un talento particolare nell'incantare le pietre; evidentemente doveva averglielo insegnato l'amadriade. Poteva prendere un sassolino dalla riva di un lago e farlo brillare o far sì che emettesse un suono. La magia delle pietre era una specialità della quale ben pochi maghi avevano una completa padronanza, e la sua abilità era realmente notevole per un bambino. Niobe comprò una pietra semipreziosa, un'acquamarina verde, e la diede ad Atropo affinché gliela regalasse per il suo ottavo compleanno. Junior ne fu estasiato, e in effetti la pietra di qualità rispondeva molto meglio ai suoi incantesimi di quanto potesse fare un comune sassolino. Junior la trasformò in una pietra di ricerca, che mostrava illuminandosi la direzione verso casa, così non si sarebbe mai perso. «Quel
ragazzino diventerà un grande mago, parola mia» disse Atropo. Pacian si dedicò ad altri interessi, oltre a prendere in mano la maggior parte della gestione della fattoria della famiglia, e a ventidue anni si sposò con Blanche, una sua ex compagna di scuola dai capelli talmente chiari che sembravano quasi bianchi. Blanche era una bravissima ragazza, calorosa, generosa e sveglia per quanto riguardava il lavoro nella fattoria, ma certamente non poteva essere considerata la donna più bella della sua generazione. Il giorno del matrimonio Pacian rivolse ad Atropo uno sguardo molto significativo, dimostrando che ricordava la profezia, e che l'aveva evitata di proposito. Ma Niobe non era a suo agio. La profezia diceva "avrà", e non "sposerà"; ma se non sposava la donna più bella, come avrebbe potuto associarsi con lei? Ma tenne per sé i suoi pensieri. L'anno seguente, quando Junior aveva undici anni, Blanche partorì una bambina. Fin dall'inizio apparve chiaro che Blenda era ' splendida, senza dubbio la bambina più bella del vicinato. Crescendo, divenne ancora più bella. Se Pacian non aveva sposato la donna più bella della sua generazione, a quanto pareva le aveva dato vita, e quindi in un certo senso l'aveva. Tutta la contea non sembrava parlare d'altro che di Blenda. Ora Junior era diventato figlio unico, poiché Pacian e Blanche erano andati a vivere per conto loro. Dapprima fece una certa fatica ad adattarsi alla nuova situazione, poiché il suo cugino/fratello aveva rappresentato per lui gran parte della sua famiglia. Sapeva che il suo padre naturale era morto e che la sua madre naturale non c'era, ma la famiglia a cui aveva sempre fatto riferimento era quella di suo cugino. Così divenne più introspettivo, concentrandosi sempre più sulla magia. Niobe non sopportava di vederlo sempre da solo, ma non poteva farci nulla; aveva rinunciato a lui, e in ogni caso si trattava di quel genere di adattamento che tutti devono affrontare prima o poi nella vita. Ma a quanto pareva per Atropo era peggio ancora che per Niobe. La donna si era ritrovata a volere veramente un gran bene al ragazzo, e le mancavano le loro avventure a tre. Forse fu una coincidenza, ma decise proprio allora di abbandonare il suo Aspetto. «Ne ho abbastanza dell'Immortalità» disse. Lachesi esaminò la Tappezzeria e trovò una nonnetta, una vedova, che sembrava essere adatta al ruolo. Andarono a farle visita, nella forma di Atropo. La donna ascoltò attentamente mentre Atropo le spiegava la sua natura e ciò che desiderava. «Ma se ciò che dite è vero, io diverrò immortale e voi morrete di vecchiaia!» osservò la donna. «Perché mai vorreste fare
un simile scambio?» «È vero che non vivrò a lungo come mortale» confermò Atropo. «Ma ho già vissuto quindici anni più di quanto avrei dovuto, e non ho timore dell'Aldilà. So che mi sono comportata abbastanza bene e che vedrò il Paradiso, e sono pronta per questo.» Mostrarono alla donna gli altri due Aspetti, e lei ne fu decisamente colpita. «Volete dire che posso tornare di nuovo giovane ed essere così? Non ho mai visto una donna tanto bella!» In quel momento era Niobe che aveva il controllo del corpo. «Potete dividere questo corpo con me» le spiegò. «Ma sarò io a comandarlo. Voi sarete solo un'osservatrice, come sarò io quando il controllo del corpo l'avrete voi. Ma dopo un po' di tempo l'impressione è che ci si unisca del tutto; si diventa un'entità unica con tre forme distinte. In quel senso potrete anche diventare me, se lo desiderate.» La donna scosse il capo. «Sono esterrefatta. Lasciate che ci pensi sopra.» Ci pensò su per una settimana, quindi fece ciò che doveva e si unì al Fato. Non fu necessario architettare alcun piano per la sostituzione, in quanto Satana non aveva nulla in contrario a quella persona; Niobe era stata un caso particolare. Questa volta Niobe guardò dall'interno mentre Lachesi prendeva la mano della donna e la sua essenza entrava nel loro corpo triforme, mentre la vecchia Atropo ne usciva. Un attimo dopo l'Atropo che conoscevano tanto bene era di fronte a loro come una persona separata, foggiata dalla carne della donna mortale. E anche stavolta si sparsero lacrime; sebbene la transizione fosse stata volontaria, quell'avvenimento comportava sempre una certa dose di tristezza. Poi si separarono. Ci volle un certo tempo per insegnare il mestiere alla nuova Atropo, e anche per imparare a conoscerla bene. Ora Niobe sapeva ciò che avevano provato le altre due quando era subentrata lei. Non che fosse una cosa negativa o positiva, solo che richiedeva un sacco di lavoro di adattamento, in quanto la personalità complessiva del Fato mutava in maniera piuttosto significativa. Il fascino dell'opera non c'era più, e nuovi interessi subentrarono al suo posto. Ci vollero diversi mesi prima che si trovassero realmente a proprio agio come gruppo. Tuttavia il processo servì a distrarre l'attenzione di Niobe da Junior per un certo periodo, in quanto era troppo occupata per recarsi nel mondo mortale se non per motivi strettamente professionali. Quando Niobe tornò a visitare Junior dovette farlo nella propria forma, poiché la nuova Atropo non aveva alcun interesse in quella faccenda. Lachesi si offrì di aiutarla, ma decisero che era meglio tenerla di riserva, nel
caso fosse stato necessario cambiare repentinamente identità. Così Niobe indossò una parrucca e si truccò in modo da apparire più anziana. Così scoprì che la precedente Atropo, quella che aveva conosciuto per prima, si era stabilita in Irlanda e faceva spesso visita a Junior da mortale. Insieme andavano spesso a vedere qualche spettacolo, e lei gli procurava dei materiali magici che il ragazzo non era in grado di ottenere altrimenti. In più andavano regolarmente a visitare l'amadriade della grande quercia. Niobe rifletté su quella situazione, e concluse che non era il caso d'interferire. Atropo voleva veramente bene a Junior, e avrebbe avuto un occhio di riguardo per la sua salute. «Che tu sia benedetta» mormorò Niobe a se stessa. Poi ci ripensò, e andò di persona a visitare la donna per ringraziarla. «Be', sai com'è, i miei nipotini non mi hanno riconosciuta; mi credevano tutti morta da quindici anni» le disse Atropo. «E in fondo sono una nonna, e ho bisogno di allenare la mia arte.» Evidentemente era proprio così. Ma Niobe la baciò ugualmente. Il tempo passò. Junior divenne adulto. Si iscrisse allo stesso college che aveva frequentato Cedric specializzandosi in magia e dimostrando altrettanta predisposizione agli studi, tanto che arrivò a superare di gran lunga tutti i suoi professori. Per la tesi di laurea sviluppò l'incantesimo che permetteva ai daini di rispondere al fuoco dei cacciatori indipendentemente dal proiettile che veniva scagliato loro contro. Che si trattasse di una freccia, di una pallottola o anche di una mano, tornava indietro e colpiva il suo punto d'origine. Improvvisamente la caccia divenne uno sport poco praticato, non solo nelle paludi locali, ma in tutte le paludi e i luoghi selvaggi del mondo intero. Allo stesso modo venivano bloccati anche i progetti edilizi o di disboscamento; i bulldozer tendevano a rompersi e tornavano al punto dal quale erano partiti, senza riuscire a penetrare nelle zone selvagge. Junior si laureò con 110 e lode per quel progetto, e le industrie costruttrici si unirono e fecero causa all'università. Alla fine si arrivò a un compromesso: la magia dei daini sarebbe stata applicata solo nei luoghi ufficialmente designati come parchi naturali, e alla palude più vicina all'università venne immediatamente assegnata questa qualifica. Junior aveva realizzato l'ambizione di suo padre. L'amadriade ne fu talmente felice che lo baciò, ma poi rimase nascosta fra le foglie più fitte per tre giorni con il viso rosso per la vergogna. In capo a breve tempo Junior fu conosciuto come il Mago Kaftan, incantatore di pietre professionista. I suoi affari presero a prosperare e ben presto cominciò a ricevere ordinazioni da tutto il mondo. Non divenne parti-
colarmente famoso perché decise di non esporsi troppo; la causa contro la sua università gli aveva insegnato tanto. Le pietre per lui non erano altro che una fonte di reddito che gli permetteva di proseguire le sue ricerche. Stava rapidamente diventando il più grande mago della Terra. La magia era l'unica cosa che gli interessava, soprattutto da quando la Nonna Atropo era passata a miglior vita. Si barricava nel suo laboratorio e non lo si vedeva in giro per giorni interi. Preoccupata, Niobe andò a fargli visita. Indossò la parrucca e si truccò, ma lui la riconobbe immediatamente. «Ciao, mamma! Come ti sta trattando il Fato?» Sospirò. Ora suo figlio il Mago aveva trentaquattro anni, undici più di lei dal punto di vista fisico, ed era un genio nel suo campo. Forse Niobe non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto; suo padre era stato uno studente particolarmente brillante e lui aveva avuto un'educazione unica, a partire dai suoi rapporti con l'amadriade. Era naturale che avesse fatto delle ricerche sulla sua genealogia, e che avesse scoperto tutto su sua madre. «Io sto bene» disse. «Ma tu. Junior... mi dispiace che tu ti isoli dal mondo in questo modo. Non è salutare.» Junior sorrise, pronto come sempre ad assecondarla sulle piccole questioni. «E che cosa vorresti che facessi, mamma?» «Socializza un po', almeno con i tuoi amici e i tuoi parenti! Da quanto tempo non fai visita alla grande quercia?» «Cinque anni» confessò. «E da quanto tempo non vedi Pacian?» Contò sulle dita. «Saranno una decina d'anni. Le cose sono cambiate parecchio fra noi, da quando si è sposato.» «Be', allora valli a trovare» gli disse. «Devi molto all'amadriade, e Pacian è un buon uomo, con una bella famiglia.» L'osservò con sollecitudine materna. «E a proposito, quando hai intenzione di trovarti una moglie?» «Quando incontrerò la donna più bella della sua generazione» rispose lui sorridendo. «Così dice la profezia.» Era evidente che non dava più tanto peso a quella profezia. Magari aveva controllato la cosa lui stesso, con l'uso della sua magia superiore, ma Niobe ne dubitava. Le profezie appartenevano a un diverso ramo della magia, e in ogni caso era molto difficile per una persona predire il proprio futuro; il paradosso subentrava quasi immediatamente. «Be', ogni cosa a suo tempo. Però voglio che tu vada a trovare almeno tuo cugino» disse con fermezza. «È stato molto buono con te.»
Junior annuì, ricordando. «Questo è vero. Benissimo, mamma. Andrò a far visita a Pacian e alla grande quercia.» «Promesso?» «Promesso.» «A presto» disse lei, trasformandosi in ragno e risalendo il suo filo fino al Purgatorio. Ormai non c'era più motivo di nascondergli la sua magia. Il mago mantenne la sua parola. Il giorno seguente telefonò a Pacian, e la stessa settimana s'incontrarono. Ma prima andò a far visita alla quercia. L'amadriade fu felice di vederlo, sebbene il passare degli anni l'avesse resa un po' diffidente. «Mamma dice che mi dovrei sposare» disse, e l'amadriade annuì. «Ma dove potrò mai trovare una donna mortale bella come te?» L'amadriade scrollò le spalle e divenne tutta rossa, perdonandolo per quei cinque anni di trascuratezza. Anche gli esseri immortali sono sensibili ai complimenti. Quando andò a trovare Pacian, incontrò Blenda. L'aveva vista da bambina, ma ora aveva ventitré anni, la stessa età del corpo fisico di Niobe, ed era talmente bella che ogni stanza in cui entrava sembrava illuminarsi. Ci sarebbe voluto un esperto per giudicare fra lei e l'amadriade... ma lei era mortale. La ragazza sorrise timidamente al mago venuto a far visita alla sua famiglia... e gli lanciò un incantesimo composto di una magia molto più essenziale di tutte quelle che lui aveva studiato in vita sua. L'anno seguente si sposarono. Niobe assistette al matrimonio in quanto glielo aveva chiesto Junior, e lo fece nella sua forma originale, visto che ormai nessuno poteva riconoscerla. Dopotutto, a livello cronologico aveva cinquantotto anni; chi avrebbe mai potuto credere che era la madre dello sposo? Solo Pacian, il padre della sposa, le gettò un'occhiata penetrante. Poi scrollò le spalle, incapace di credere al pensiero assurdo che per un attimo gli era passato per la mente. Fu un matrimonio splendido. Niobe si sedette da sola tra la folla, in una sezione riservata ai parenti dello sposo, e pianse. Quando i due si scambiarono gli anelli, riuscì a trattenersi a stento. «Sto perdendo un figlio!» esclamò in lacrime. Più di una faccia si voltò a fissarla, con espressione perplessa. Prima del ricevimento scattarono alcune foto, e lo sposo non aveva parenti stretti da presentare per l'occasione; la famiglia che l'aveva allevato era quella di suo cugino, che era il padre della sposa. «Scusami, cara» mormorò a Blenda; quindi chiamò Niobe, che si avvicinò titubante, soffocando le lacrime.
«Lei è parente di sangue, può posare per la mia parte.» Così Niobe si piazzò accanto a Blenda e sorrise, e anche Blenda sorrise, e fra tutti i presenti si udì un mormorio di stupore. «Guardatele!» esclamò una donna. «Sembrano quasi gemelle per la loro bellezza!» Niobe si rese conto che era vero. Era stato detto di lei che era stata la più bella della sua generazione, e certamente Blenda era la più bella della sua. I capelli di Niobe erano color ambra scura, come il miele di grano saraceno, e quelli di Blenda color ambra chiara, come il miele di trifoglio, e le chiome di entrambe fluivano sciolte fino alla vita sottile delle due ragazze. Entrambe avevano splendidi occhi azzurri. Erano similissime per caratteristiche e di aspetto, come due gemme scintillanti. Una coincidenza realmente notevole. Poi i fotografi passarono a fotografare gli altri parenti, e Niobe e Blenda si ritrovarono sole per un attimo. «Per favore» la supplicò la ragazza «ditemi chi siete! Kaf mi aveva detto che aveva una parente bellissima, ma non avrei mai immaginato...» Naturalmente Niobe aveva controllato il filo della vita di Blenda, e sapeva che era una brava ragazza in tutto e per tutto, come del resto sua madre. Ci si poteva fidare di lei, e meritava di sapere. «Forse farai un po' fatica a crederci...» «Dopo aver visto la magia di Kaf, posso credere in molte cose!» «Sono sua madre.» La splendida bocca di Blenda si spalancò. Volse lo sguardo al suo sposo novello, che si trovava dall'altra parte della sala, e lui annuì con aria seria, anche se era impossibile che avesse sentito ciò che si erano dette. Poi la ragazza si riprese. «Oh, ma certo! Un incantesimo di giovinezza! Mi aveva detto che sua madre era la più... ma lo sapete già, naturalmente.» «E suo padre era bello e intelligente come nessuno» disse Niobe, sentendo salire le lacrime. «Come il tuo. Comunque non si tratta esattamente di un incantesimo di giovinezza. Io non sono mai invecchiata. Sono diventata un'Incarnazione. È per questo che ho dovuto rinunciare a mio figlio quando era piccolo.» «Una...?» «Il Fato.» «Il Fato!» Gli occhi di Blenda si spalancarono. «Allora siete stata voi a fare in modo che...» «Che mio figlio ti sposasse? Be', non è proprio come credi! Gli ho semplicemente detto di riprendere i contatti con il suo amico più intimo, il cu-
gino Pacian, e il resto è venuto da solo. Devo confessare che non avevo mai pensato a te, ma sono felice che sia accaduto. Sei più che degna di lui, mia cara, e inoltre così si avvera una parte della profezia.» «Profezia?» «Che mio figlio avrebbe avuto la donna più bella della sua generazione, e che con lei avrebbe dato alla luce una figlia dotata di un enorme talento che si sarebbe innamorata di un'Incarnazione.» «Mio padre mi ha parlato di una profezia» disse Blenda. «Ma mi ha detto che non si è compiuta.» «È difficile che le profezie non si avverino» disse Niobe. «Certamente sembra che si sia avverata per quanto riguarda mio figlio, e se segue anche il resto, tua figlia si sposerà con l'Incarnazione della Morte o del Male. Questo non è necessariamente una cosa negativa o orrenda quanto potrebbe apparire. Comunque lei sarà anche la salvatrice dell'uomo, e avrà a che fare con la matassa ingarbugliata. E dato che c'è un'entità che contrasta la salvezza dell'uomo, potrebbe trovarsi in pericolo.» Blenda emise un sospiro di stupore. «Farò del mio meglio per proteggerla! Anzi, ci penserò su parecchio prima di metterla al mondo. Grazie per avermi detto di questa profezia. Non la conoscevo per intero.» «Nessuno può conoscere a fondo una profezia. Finché non è troppo tardi.» Si baciarono, quindi si spostarono nel salone dei ricevimenti dove Blenda si unì al marito per tagliare la mostruosa torta matrimoniale. Lei sollevò il coltello, Junior appoggiò la mano sulla sua, e insieme lo avvicinarono al primo strato della torta. «Alt!» esclamò improvvisamente il mago. «Sento del Male qui!» Allontanò sua moglie, e tirò fuori una pietra. Nella sala piombò il silenzio. Il mago sollevò la pietra e la mosse in senso circolare. Quando la pietra si avvicinò alla torta, si mise a brillare con decisione. Junior annuì; il Male si trovava lì. «Vai dai tuoi genitori» disse a sua moglie. «Potrebbe venir fuori un po' di confusione qui.» «Lo sapevo che la torta ingrassa, ma...» mormorò Blenda. Andò da Pacian e Blanche, e i tre guardarono con espressione ansiosa da un lato, mentre Niobe e gli altri ospiti si erano piazzati davanti alla torta. Che cos'aveva quella torta? Il mago tirò fuori un'altra pietra e la protese con cautela davanti a sé. Improvvisamente la pietra emise un raggio di luce, puntato esattamente al
centro della torta. Si udì un crepitio di glassa bruciata, poi la torta esplose. Tutte le pareti, il soffitto e gli ospiti vennero inondati di panna. Qualcuno urlò, e un demone balzò fuori dalla torta. Aveva la pelle rossa, la coda a punta e una terribile testa cornuta. Con un ruggito balzò addosso al mago... ma rimbalzò su uno scudo invisibile. Naturalmente l'esperto aveva provveduto alla propria protezione. «Quindi ti rifiuti di morire, Kaftan!» gridò il demone con una voce talmente gutturale che risultò quasi incomprensibile. «Ma bisogna essere in due per dare vita a un figlio!» Con un balzo prodigioso, il demone andò a piazzarsi esattamente di fronte a Blenda. Il mago lanciò una pietra a sua moglie. «Prendi al volo!» gridò. Congelata dalla paura, Blenda si mosse automaticamente e afferrò la pietra un attimo prima che il demone le balzasse addosso. Quando saltò, il demone rimbalzò anche stavolta, poiché ora aveva lei la pietra protettiva. Il mostro rotolò su un lato della sfera invisibile e atterrò esattamente su Blanche. Aprì la sua enorme bocca, e le terribili zanne si serrarono sulla gola della donna. Il sangue spruzzò. «Mamma!» gridò Blenda, completamente terrorizzata. In quel momento il mago estrasse un'altra pietra, dalla quale scaturì una luce blu. La luce avvolse completamente il demone, che si mise a urlare e si sciolse lentamente in una pozza ribollente. Ma ormai era troppo tardi. La madre della sposa era morta. Il demone non era riuscito a colpire né il bersaglio primario né quello secondario, ma nel suo fallimento aveva causato ugualmente una terribile sciagura. 7 Mutamenti Niobe era un'Incarnazione, ma non poteva fare nulla per quella tragedia. Non le era venuto in mente di controllare il filo della vita di Blanche. Satana era nuovamente riuscito a far guadagnare un punto alle forze del Male. Come quando aveva tentato di colpire Niobe, aveva fallito, ma anche in questo caso ci aveva rimesso una persona innocente che non c'entrava nulla. «Avrei dovuto prevederlo» disse Lachesi con grande rammarico. «Magari avrei potuto riorganizzare i fili in quella zona della Tappezzeria...» «Ma sono io quella che taglia i fili» intervenne Atropo. «E sono stata con voi abbastanza per sapere...»
«Quel filo era stato tagliato già dall'Atropo precedente» disse Niobe. «Sono sicura di averlo controllato quando Pacian si è sposato, ed era di lunghezza normale. Quando ci si mette di mezzo Satana, ci porta a fare degli errori. A questo matrimonio non doveva morire nessuno. Satana ha interferito mandando il suo demone per...» Scrollò le spalle, deglutì, quindi continuò: «E ora dobbiamo riaggiustare la Tappezzeria in maniera approssimativa, come abbiamo già fatto in precedenza.» «Ma sono sicura che non sarebbe accaduto se non fossi diventata così distratta» disse Lachesi. «Quando Thanatos si distrae, viene ucciso dal suo successore; quando mi distraggo io, ne soffrono mortali innocenti. Forse è ora che mi ritiri.» Naturalmente Niobe protestò. Ma sapevano tutte che era vero; Lachesi, in quanto misuratrice dei fili, avrebbe dovuto stare più attenta alle intromissioni di Satana. Nessuna Incarnazione poteva interferire con successo nell'operato di un'altra, se questa era attenta al suo lavoro. Satana viveva sull'inganno, e Lachesi si era lasciata ingannare. Aveva sbagliato. Individuarono un possibile successore, una donna di mezza età senza famiglia con una particolare abilità manuale, e la contattarono. La donna acconsentì, e venne fatto il cambiamento. Questa volta se ne occupò Niobe, che era ormai l'Aspetto più anziano in carica. Prese la mano della donna, e l'essenza di lei entrò nel Fato mentre quella di Lachesi ne usciva. Ancora una volta lo scambio venne effettuato, e ora avevano un nuovo Aspetto da educare. Sfortunatamente, la sostituzione di Lachesi non facilitò affatto il lavoro del Fato. Satana ne approfittò subito per tirare e mollare i fili a suo piacimento. Ancora una volta dovettero lottare per evitare il disastro, e ancora una volta vi riuscirono solo parzialmente. La scena politica mondiale era sempre in continuo mutamento, a prescindere dal genere di governo nominale dei vari Paesi, e Satana era uno specialista nella corruzione dei politici. In qualsiasi momento, a livello mondiale i rappresentanti del Bene e del Male in politica erano più o meno pari. Ogni volta che veniva estromesso un politicante fautore del Male, ne spuntava un altro da qualche altra parte. Era più che evidente che Satana stava realmente tentando di conquistare un dominio politico al fine di ottenere poi un dominio sociale. La politica era il campo nel quale la lotta fra Bene e Male era più evidente. Diversi compaesani di Niobe erano emigrati in America, e ora stavano anche affacciandosi al mondo politico di quel Paese. Ciò poteva essere un
fattore positivo o negativo a seconda degli uomini, ma lei tendeva a favorire quelli del suo Paese. Così quando, mentre spiegava la natura del suo lavoro alla nuova Lachesi, scoprì un garbuglio di fili nella Tappezzeria nel quale era coinvolto un suo conterraneo emigrato in America, Niobe investigò più a fondo. Certamente Satana stava combinando qualcosa di malvagio; i nodi non si formavano mai da soli. Ma non riusciva a capire esattamente di che cosa si trattasse, e Lachesi non aveva ancora l'esperienza necessaria. «Il filo di qualcuno dovrà essere reciso prematuramente» disse Atropo. Indagarono su questo particolare, e scoprirono che doveva essere tagliato prematuramente il filo di un potenziale candidato alla poltrona di Presidente degli Stati Uniti. La cosa avrebbe portato una notevole distorsione nella Tappezzeria, ma non si poteva sapere bene di che entità sarebbe stato il danno. Niobe si consultò con Chronos, che ricordava il futuro. La sua relazione con l'Incarnazione era durata ben trentacinque anni, e lei gli si era piuttosto affezionata; era una brava persona. E dato che i due si muovevano nel tempo in direzioni opposte, c'era sempre un certo non so che di novità nei loro rapporti. Inoltre vi trovavano entrambi una certa convenienza. Era vero; solo un'Incarnazione poteva comprendere a fondo un'Incarnazione. Ma Chronos in questo caso non era in grado di aiutarla. «Come ben sai, sono in carica da solo un anno, e so ben poco del futuro oltre la data della mia assunzione dell'ufficio.» «Ma io non lo sapevo!» esclamò lei, stupita. «Io... io credevo che tu fossi eterno, anche se sono sicura che me l'hai detto, all'inizio.» E infatti, ora ricordava la situazione paradossalmente opposta dell'inizio della loro relazione, quando lui si era dimenticato dell'avvicinarsi della sua fine/inizio. E non era poi così strano che se ne fosse dimenticato, in tutto quel tempo! «Ma allora fra poco dovremmo insegnarti il mestiere!» Chronos sorrise. «L'hai fatto in maniera molto competente, doto; sarò sempre in debito con te per questo. Spero che un giorno o l'altro potrò sdebitarmi con te.» «L'hai già fatto, Chronos» lo rassicurò. In mancanza della conoscenza del futuro, l'unico modo per ottenere informazioni più specifiche era quello di scendere sulla Terra e controllare le vite stesse delle persone in questione. Scoprirono che era stato mandato un demone dall'Inferno, incaricato d'investire il Senatore con un'automobile una data notte. O meglio, lo spirito demone avrebbe preso possesso del
corpo di un seguace di Satana per la missione; naturalmente al mortale non era stato detto che probabilmente vi avrebbe perso la vita. Sapeva solo che, in cambio del favore che faceva a Satana, sarebbe stato lautamente ricompensato. La vecchia Lachesi, con la sua esperienza, avrebbe forse potuto sbrogliare i fili impedendo a Satana d'interferire. Ma ciò che poteva essere semplice per lei era decisamente troppo complesso per la sua sostituta. Ci voleva un certo tempo per ottenere la padronanza dei fili. Quindi dovettero agire direttamente; e andarono a far visita al Senatore di persona. La notte prevista per "l'incidente", Niobe prese possesso del corpo e scivolò lungo un filo fino alla ragnatela più vicina alla casa di campagna dove il Senatore stava dando una festa per i suoi colleghi e i suoi amici. C'era un sacco di liquore in giro, e tra gli invitati c'erano molte donne giovani e belle. Niobe non approvò ciò che vide; se questi erano i politici bravi, come dovevano essere quelli cattivi? Ma naturalmente un uomo pubblico non si poteva giudicare in base alla sua vita privata; era quello che faceva sul lavoro che contava. E non poteva certo colpevolizzare le donne, attratte dai punti focali del potere come le api dal miele; in fondo era la loro natura. Anche lei non si era innamorata di Cedric finché lui non le aveva dimostrato il suo potere. In ogni caso, questo le facilitò il compito d'infiltrarsi; la scambiarono infatti per una professionista d'altro genere. Riempì un bicchiere d'acqua e se lo portò dietro, così nessuno si sarebbe accorto che non beveva. Non aveva mai più toccato alcool da quella notte in cui Cedric si era sentito male. Rifiutò le avances di diversi giovanotti e si fece strada fino al Senatore. «Senatore, la vostra vita è in pericolo» gli sussurrò mentre ballavano assieme. Lui sorrise con il suo sorriso acchiappavoti. «Siete un'agente russa?» «Sono solo un'amica dello status quo. Stanotte un'auto tenterà di buttare fuori strada la vostra. Non uscite in macchina.» L'uomo sorrise nuovamente, ma questa volta nel suo sorriso aleggiò una certa malizia mascherata; non gli piaceva che la gente gli dicesse che cosa doveva fare o non fare. Dal punto di vista politico era dalla parte giusta, e spesso faceva le cose giuste, ma non per questo era un uomo perfetto. Niobe aveva imparato da tempo che ogni filo di vita conteneva Bene e Male, e se Satana aveva ragione, era proprio questo il significato stesso della vita. Non aveva mai creduto che fosse tutto lì, ma certamente quello era almeno una mezza verità. Quindi il Senatore era un po' scocciato per quell'avvertimento, ma Niobe non era il tipo di donna che il Senatore non avrebbe af-
frontato apertamente. Era per questo che si era presentata in quella forma, con indosso un abito piuttosto succinto. Certamente le avrebbe fatto qualche proposta. «Avete qualcosa di meglio da offrire?» le domandò. «La vostra vita» rispose lei con tono serio. «Questa casa è sicura e l'assassino non ci entrerà, poiché vi aspetta sulla strada. Rimanete qui, e domani mattina non ci sarà più pericolo.» Avevano verificato che quel particolare spirito demoniaco non poteva sopravvivere lontano dall'Inferno per più di qualche ora. «Rimango qui... con voi?» «No, Senatore. Sono qui solo per avvertirvi, non per intrattenervi. Fidatevi delle mie parole, e tutto andrà per il meglio.» Con questo si voltò e sì allontanò. Si appartò in un angolo, assunse la forma di Lachesi per non essere riconosciuta, e uscì dalla casa. Una volta fuori si trasformò in ragno, e rimase in attesa sul ramo di un albero. Naturalmente, il suo avvertimento non era stato sufficiente. Una volta che un filo era stato collocato, era difficile cambiarne la posizione, e inoltre questo era legato in un garbuglio. Il Senatore uscì dalla casa con una giovane donna per andare a fare un giretto. Era sposato, ma certi uomini non prendono queste cose molto seriamente. Niobe, incerta sul da farsi, scivolò lungo un filo e atterrò sulla spalla del Senatore. Non poteva far altro che seguirlo e cercare di evitare l'omicidio. Magari, se vedeva la macchina assassina che si avvicinava, il Senatore ne avrebbe preso coscienza e si sarebbe allontanato in tempo dalla strada. Naturalmente il demone avrebbe potuto seguirlo a piedi, ma forse in quel caso lei sarebbe riuscita a bloccarlo. Certamente ci avrebbe provato. Che rabbia che quel garbuglio si fosse rivelato solo adesso, subito dopo l'entrata in carica della nuova Lachesi! Ma naturalmente non si trattava di un caso. Satana non si faceva mai sfuggire un'occasione! Il Senatore salì su una piccola vettura, e la ragazza si sedette sul sedile del passeggero. Prese l'uscita posteriore, evitando la guardia che si trovava presso quella principale. Evidentemente non voleva essere riconosciuto, temendo che sua moglie venisse informata della scappatella. Lo sciocco! Niobe sapeva che l'assassino era là fuori in attesa. Una volta individuata l'auto del Senatore, questi avrebbe avuto ben poche possibilità di salvarsi. Era difficile parlare in forma di aracnide, ma era comunque possibile. «Senatore!» disse Niobe nel suo orecchio sinistro.
Il Senatore si volse verso la ragazza alla sua destra. «Sì?» «Cosa?» domandò la ragazza. «Non ha parlato lei» disse Niobe. «Ho parlato io. Sono il ragno sulla tua spalla.» Il Senatore rivolse lo sguardo a sinistra, esterrefatto. «Che stregoneria è mai questa?» «Solo un cambiamento di forma. Sono la donna che vi ha avvertito prima.» «Quella bellissima!» esclamò. «Non sapevo che foste magica.» «Che cosa sta succedendo?» volle sapere la ragazza. «C'è un ragno che mi sta parlando» spiegò il Senatore. «Un ragno bellissimo? Non ci credo!» «Ascoltate il mio consiglio!» insistette Niobe. «Lasciate la strada prima che l'assassino vi individui!» Ora il Senatore iniziava a insospettirsi. «Credevo che fosse solo un modo per attirare la mia attenzione. Ma poi siete scomparsa. E ora scopro che siete una che cambia forma. Ma perché avete tanto interesse alla mia salute?» «Non mi interessate affatto come persona» disse Niobe. «Se così fosse, probabilmente direi a vostra moglie che cosa cercavate di combinare stasera. Ma voi siete uno degli uomini migliori nel brutto mondo politico di oggigiorno, e probabilmente avete un grande futuro davanti a voi, quindi non voglio che le forze del Male vi estromettano dal gioco. Per favore, Senatore, fate inversione e tornate alla festa. Questo capriccio ve lo potrete togliere un'altra sera.» «Ora lo sento anch'io!» esclamò la ragazza. «Com'è possibile che un ragno parli?» «Sono in dubbio» disse il Senatore. Niobe sapeva che si riferiva alla situazione, e non ai ragni parlanti. Questo era uno dei suoi punti deboli; l'incapacità di prendere decisioni rapide. Normalmente aveva diversi consiglieri che gli mettevano le parole in bocca, e forse dipendeva un po' troppo da loro. Quando veniva colto impreparato, appariva sempre incerto. «Se siete indeciso, andate sul sicuro!» insistette ancora Niobe. «Al massimo perderete un'avventura! L'alternativa è la vostra stessa vita!» Ma il Senatore rimaneva titubante. «Potete anche essere magica, ma non conosco il vostro scopo. Potrei essere in pericolo alla festa.» «Allora andate da qualche altra parte!» esclamò Niobe con la sua vocina da ragno. «Fatevi una passeggiata nel bosco! Qualsiasi cosa, ma non gui-
date su questa strada stanotte!» Infine il Senatore prese una decisione. «Okay, vediamo un po' com'è questa storia. Emjay, prendi tu il volante. Io uscirò fuori e guarderò. Se c'è un assassino che mi cerca, a te non darà fastidio, e io lo saprò riconoscere se lo vedo.» Fermò la macchina, e tirò fuori un paio di occhiali scuri. «Ma non so la strada!» protestò la ragazza. «Vai sempre dritta; la strada finisce sulla spiaggia. Non è molto lontano, e ti raggiungerò non appena avrò verificato la storia della signora ragno. Voglio vedere chi altro c'è su questa strada.» «Be', se lo dici tu...» disse la ragazza con voce dubbiosa. Si spostò sul sedile accanto e prese il volante. Partì lentamente mentre il Senatore si nascondeva fra i cespugli sul bordo della strada. I fari della macchina si allontanarono, e il Senatore si rivolse a Niobe. «Okay, donna ragno, ora torna alla tua forma umana! Hai ottenuto la mia attenzione, se era questo che volevi!» «Non sono venuta qui per...» protestò Niobe. «Cambia forma, o ti schiaccerò lì dove sei!» Sollevò la mano, come per colpire la propria spalla. Niobe si trasformò immediatamente. Non che fosse vulnerabile nella sua forma di aracnide; era tutelata dallo stesso scudo ragnatela che la proteggeva in forma umana, a prescindere da quanto potesse apparire esposta. Thanatos e Chronos avevano i loro mantelli; lei aveva la sua ragnatela. Ma non voleva rivelare al Senatore la sua vera natura, quindi ubbidì alla sua richiesta. Balzò giù dalla sua spalla e atterrò in forma umana. «Così va meglio» disse l'uomo, allungando subito le mani verso di lei. Niobe si allontanò con uno scatto. «Senatore, se credete che sia stato solo uno stratagemma per stare da sola con voi qui... non dovreste temere che si tratti di una trappola?» «No» rispose lui toccandosi gli occhiali. «Questi occhiali rivelano il Male, e in voi non c'è praticamente alcuna traccia di male; siete splendida attraverso queste lenti quanto lo siete senza.» «Be', non sono un essere malvagio, ma non sono neanche...» s'interruppe, poiché aveva udito qualcosa. Anche il Senatore aveva sentito. Si accovacciò dietro i cespugli, scrutando la strada. L'auto proveniva dalla direzione in cui si era allontanata la ragazza, a bassa velocità. Il Senatore la fissò, poi ebbe un sussulto ed emise un gridolino soffocato. Niobe gli appoggiò una mano sulla spalla, facendolo zittire.
L'auto passò. Il Senatore si voltò verso di lei, togliendosi gli occhiali, mostrando due occhi sgranati alla luce della luna. «Quell'essere nella macchina... era un demone!» «Era un uomo posseduto da uno spirito del Male» assentì Niobe. «Ora lo sapete.» «Se fossi rimasto là fuori...» «Vi avrebbe individuato, avrebbe accelerato, e vi sarebbe venuto addosso. A lui non importa di morire, poiché è già morto, anche se l'uomo che ha posseduto non lo è.» Scrutò nuovamente la strada. «Andrà dietro a Emjay?» domandò preoccupato. «Non dovrebbe; il suo bersaglio siete voi.» «La seguirò comunque» decise. «Non mi fido con quell'essere sulla strada!» Iniziò a correre lungo la carreggiata. Niobe lo seguì. «Non è al sicuro neanche a piedi, Senatore! Il demone tornerà e...» «Mi nasconderò quando arriva!» sbuffò lui, rallentando il passo. Non era in condizioni di correre fino alla spiaggia. L'auto assassina infatti tornò, e il Senatore si nascose fra i cespugli. Le persone possedute dai demoni non erano mai molto attente o sveglie, in quanto il demone doveva impiegare quasi tutta la sua energia per far muovere il corpo che l'ospitava, quindi l'essere non guardò mai i lati della strada. La cosa sarebbe riuscita meglio se il demone si fosse limitato a insediarsi nel corpo accontentandosi di impartire istruzioni al suo ospite, ma visto che in questo caso le istruzioni potevano comprendere una collisione suicida, non era una cosa realizzabile. Il demone doveva mantenere il controllo del corpo per evitare indecisioni dell'ultimo momento. Probabilmente era questo il motivo per il quale non sarebbe sopravvissuto a lungo; ci voleva parecchia energia spirituale per la trasformazione in energia fisica. Ma perché Satana non aveva mandato un demone fisico, come aveva fatto per il matrimonio di Junior? Probabilmente si trattava di una cosa piuttosto difficile da realizzare. I veri demoni erano tutti confinati all'Inferno, e potevano essere liberati solo in occasioni molto rare e particolari. Il mondo mortale era un ambiente ostile per i demoni, come del resto per gli angeli. Era più facile usare spiriti demoniaci, come in questo caso, anche se erano meno affidabili. Probabilmente Satana non aveva previsto che il Fato intervenisse di persona in quella situazione; si era dimenticato che Niobe aveva un conto in sospeso con lui.
Raggiunsero un ponticello che attraversava un canale e si fermarono, stupiti. La paratia di legno era stata divelta. Evidentemente l'auto era uscita di strada sul ponte ed era caduta in acqua. «Non sapeva la strada!» esclamò il Senatore. «Vedete, la strada curva, e lei è andata dritta...» Si strappò di dosso la giacca, si sfilò le scarpe, e un attimo dopo si tuffò, alla ricerca dell'auto. «È là sotto!» esclamò annaspando quando riaffiorò. S'inabissò di nuovo, e riemerse poco dopo. «Non riesco ad aprirla!» Niobe mandò giù un filo magico e vi scivolò dietro, creandosi attorno una specie di bolla impermeabile all'acqua. Ma in questa condizione poteva solo osservare, e non agire in maniera fisica. Vide l'auto, e la ragazza all'interno. Tornò a riva. «È morta» disse. «Non potete farci nulla. Tornatevene a casa.» Poi, col cuore che le doleva, tornò in Purgatorio. Lì trovò Satana che l'attendeva. «Così hai cercato d'interferire, dolce susina» disse il Principe del Male. «Ebbene, t'informo che non ci sei riuscita.» «Gli ho salvato la vita!» ribatté con furia Niobe. «Scambiandola con quella di una ragazza innocente. E in ogni caso, il mio scopo è stato raggiunto. Non mi importa che quell'uomo viva o muoia; voglio solo che venga estromesso dal mondo politico. Ebbene, ci sono riuscito.» Niobe proseguì per la sua strada, non volendo neanche dargli ascolto. Ma gli eventi che seguirono provarono che Satana aveva ragione. Il Senatore infatti raccontò alla stampa che stava accompagnando la ragazza a casa e che sul ponte era andato dritto invece di curvare, piombando nella baia. Poi lui era riuscito a liberarsi, ma la sua compagna no. Alcuni avevano creduto a questa versione, ma non tutti; in fondo il Senatore era grosso il doppio della ragazza, quindi era poco credibile che se la fosse cavata grazie a una maggiore agilità. Insomma, sorsero troppe domande, e se prima il Senatore era il principale candidato alla presidenza del suo partito, dopo quello scandalo non arrivò neanche vicino alla nomination. Continuò a essere senatore, ma non sarebbe mai diventato presidente. La sua carriera era stata stroncata. E tutto perché aveva lasciato che la ragazza guidasse da sola su una strada che non conosceva. «Se non fossi stata così inesperta con i fili...» disse Lachesi. «Ci vogliono molti anni d'esperienza per ingannare Satana» disse tristemente Niobe. «È un nemico infinitamente scaltro e cocciuto. Credevamo
che volesse la vita del Senatore, non semplicemente la sua carriera. Probabilmente quando ci siamo accorte del groviglio era già troppo tardi.» Ma la sua rabbia nei confronti di Satana si era rinnovata. Troppe volte ormai aveva tentato di fregarlo e ci aveva rimesso; con Cedric, con Blanche, e ora anche con il Senatore. Desiderò ardentemente di poterlo battere una volta per tutte. Ma a quanto pareva, una persona di sani principi si trovava sempre in svantaggio di fronte al potere completamente privo di scrupoli rappresentato dall'Incarnazione del Male. Il tempo di Chronos stava volgendo al termine. Man mano che si avvicinava al momento della sua sostituzione, diventava sempre meno sicuro di sé. Dal suo punto di vista aveva appena assunto la carica, ma per gli altri la stava terminando. Ogni nuovo Chronos prendeva in mano la Clessidra, lo strumento magico più potente che esistesse in assoluto, al termine di un'esistenza mortale. Sotto questo profilo l'ufficio era simile agli altri. Solo che da quel giorno in poi Chronos viveva a ritroso fino al momento della sua nascita, quando doveva lasciare la Clessidra al suo "predecessore". Si trattava di un adattamento decisamente particolare e difficile. Niobe era sempre stata, e sarebbe sempre stata, la persona più vicina a Chronos, e ora la sua presenza era di particolare importanza. Fisicamente lui era vecchio il doppio di lei, ma per altri aspetti era molto più giovane. Ora c'era una specie di senso di disperazione nel loro rapporto, come se lui avesse bisogno di ritrovarvi le cose che conosceva dalla sua vita mortale. Era in grado di alterare il tempo stesso, ma mancava d'esperienza, e questo lo rendeva molto insicuro. Infine venne la prima volta. Niobe lo sapeva, poiché aveva avuto la buona idea di domandargli in precedenza, quasi per gioco, quante volte l'avessero fatto, e da allora aveva tenuto il conto. Ora lui era in evidente soggezione nei suoi confronti, anche se aveva paura ad ammetterlo, e non riusciva ad afferrare molti risvolti del suo lavoro anche per questo motivo. Lei lo sedusse con dolcezza, facendogli capire che andava tutto bene, che lei lo capiva. E in effetti era proprio così. Nella sua vita mortale di tanto tempo prima sarebbe rimasta profondamente colpita se si fosse vista com'era adesso, ma ormai aveva trentasei anni d'esperienza in più, e conosceva Chronos molto meglio di quanto lui potesse anche lontanamente immaginare. Era un vecchio amico, e sebbene non l'avesse mai amato, non sentiva alcun rimpianto. Naturalmente Satana le aveva dato della sgualdrina, ma lei sapeva che l'aveva fatto sempre con consapevolezza e rispetto. Ciò che
aveva dato a Chronos era molto importante, anche se le mancava tanto l'amore che aveva provato, seppure per un tempo così breve, quand'era ancora una donna mortale. Comunque, ora il loro rapporto era finito, o secondo un altro punto di vista non era ancora iniziato. Infine venne l'ultimo/primo giorno di Chronos nel suo ufficio. Era talmente confuso che Niobe dovette letteralmente prenderlo per mano e portarlo alla sua villa, dove poté spiegargli la situazione con maggiore agio. Fuori della Villa del Tempo infatti viaggiavano in diverse direzioni temporali, e quindi la comunicazione risultava piuttosto difficile, anche perché lui non aveva ancora imparato a usare la Clessidra per invertire il tempo. Dovette ricorrere a dei cartelli scritti a mano per spiegargli come invertire il tempo quanto bastava perché lo potesse prendere per mano, visto che le lettere scritte erano comprensibili tanto per chi si spostava in avanti quanto per chi scivolava all'indietro nel tempo. Erano vicino a un luna park, e lui stava lì in piedi, completamente sconcertato. Niobe sapeva che aveva assunto l'ufficio da un'ora; era uscito dal parco da solo, e decisamente avrebbe preferito che lei fosse andata a prenderlo prima. Ma ora Niobe sapeva perché non l'aveva fatto (o non l'avrebbe fatto); aveva bisogno di quell'ora per orientarlo. Gli mostrò il cartello sul quale aveva scritto le istruzioni per l'uso della Clessidra, con la quale Chronos poteva invertire il suo flusso temporale. Lui lo fece, e improvvisamente si ritrovò a muoversi nuovamente in avanti nel tempo, cosa che gli permetteva di parlare tranquillamente. Una volta nella villa rimasero sempre assieme, ma lì era lei che viaggiava a tempo invertito, e non più Chronos. La mezz'ora d'inversione di lui cancellava la mezz'ora di lei, e quindi l'uomo emerse esattamente nel momento in cui avevano iniziato il loro dialogo: un particolare che Niobe aveva calcolato con estrema cura. Da quel momento in poi Chronos sarebbe stato in grado di capirne quanto bastava per cavarsela da solo, e in più poteva contare sulla leale servitù della Villa del Tempo. Niobe sapeva che sarebbe andato tutto bene, anche se un po' a rilento, poiché ricordava che era andata così. Ora doveva dedicarsi alla seconda parte, dare il benvenuto al nuovo Chronos. Chronos era troppo importante per il suo lavoro perché potesse lasciare la faccenda al caso; doveva sapere esattamente con che cosa aveva a che fare. Tornò al luna park ed esaminò la situazione. Apparve poco dopo il momento in cui l'aveva intercettato con i suoi cartelli poco prima. Questa volta però si nascose. Stava usando il suo corpo, poiché Lachesi ancora mancava d'esperienza e Atropo stava dormendo. Si
nascose il volto con un fazzoletto, così Chronos non l'avrebbe riconosciuta se l'avesse vista, anche se a quel punto non l'aveva ancora mai conosciuta e non aveva idea della sua identità. Lo seguì mentre vagava all'indietro nel parco. Nessuno lo notò; raramente i mortali notavano le Incarnazioni, e inoltre Chronos, che viveva all'indietro, era molto difficile da captare. Quindi, sebbene si trovassero in mezzo alla folla, era come se fossero esistiti solo loro due, che giocavano una specie di nascondino. Vedendolo così confuso e sconcertato, Niobe si sentì un po' in pena. Sapeva ciò che lui stava provando poiché gliel'aveva raccontato. Ormai lo conosceva meglio di chiunque altro. Trentasei anni d'associazione professionale e amorosa aiutavano parecchio a capire una persona. Forse sarebbe stato meglio se lei l'avesse amato, poiché certamente lui aveva amato lei. Ma forse era stato giusto e necessario che almeno uno di loro si fosse mantenuto in una posizione oggettiva; così lei era stata in grado di far fronte alle incongruenze di quell'associazione e a non prendere troppo sul serio le loro incomprensioni. Si ricordò la volta che avevano voluto fare l'amore ognuno nel proprio stato naturale, cioè muovendosi ognuno nella sua direzione temporale. Avevano dovuto coordinarsi con la massima attenzione, sia prima che dopo, e alla fine era risultato non solo possibile ma anche abbastanza interessante e stimolante, come novità. Ma per lei non era stato poi così diverso dal normale, in quanto non si era eccitata più di tanto. L'aveva fatto per lui, e anche per curiosità. Tutto sommato era stata un po' una delusione, ma ora era un'esperienza che ricordava con grande chiarezza, anche se non sapeva bene il perché, mentre l'osservava camminare all'indietro tra la folla. Forse, pensò, si trattava di un'analogia della condizione umana; ogni persona procedeva per la sua strada, cercando di interagire con gli altri ma riuscendoci solo in parte. Poiché ogni persona, mortale o meno, viaggiava lungo la sua personale linea temporale, e non era mai in grado di legare perfettamente con gli altri, a prescindere da quanto ci provasse. Infine Chronos entrò di spalle nella Casa degli Spettri, e Niobe lo seguì. Non comprarono i biglietti, in quanto i gestori, essendo mortali, non si accorsero del loro passaggio. Non si trattava di una questione di invisibilità, ma semplicemente di non essere notati. Anche qui, pensò, c'era un'analogia con l'esistenza mortale; le energie chiave che governavano le vite della gente in genere non venivano notate dalle persone alle quali avrebbero dovuto interessare maggiormente. La Casa degli Spettri era piena di fantasmi che venivano fuori a interval-
li regolari facendo delle brutte smorfie e urlando "Buuuuu!", per spaventare i clienti. Ma in realtà si spaventavano solo i bambini più piccoli; gli altri sapevano che i fantasmi erano immateriali e quindi inoffensivi. Ciò nonostante era abbastanza divertente, più o meno quanto i giochi d'azzardo truccati. Tutto quel parco si basava proprio sull'illusione di potenziali ricchezze. Niobe si fermò accanto a un fantasma. «Ma che cosa ci guadagni tu?» gli domandò. «Non ti senti un po' stupido a recitare in questo modo?» «Be', in effetti alla lunga diventa un po' noioso. È un lavoro abbastanza stupido e in più aumenta i pregiudizi della gente sui fantasmi, però la paga è buona. Per un fantasma non è mica tanto facile trovare lavoro, sapete?» «Ma che cosa te ne fai dei soldi?» «Be', è una faccenda un po' complicata» disse il fantasma assumendo le sembianze di una donna. «Stavo andando a lavorare, quand'ero ancora viva, ed ero in ritardo, così ho deciso di prendere una scorciatoia e di passare per un vicolo. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma ero già arrivata in ritardo due volte quel mese, e rischiavo grosso. Dovevo assolutamente arrivare in orario. All'improvviso è saltato fuori un uomo mascherato. Io ho urlato e ho tentato di scappare, ma lui mi è balzato addosso, mi ha puntato un coltello alla gola e mi ha violentata. Io ho continuato a urlare, ma non è servito a niente. C'era anche altra gente nel vicolo, ma nessuno ci ha fatto caso. Alla fine, troppo tardi, mi sono arrabbiata e gli ho morso una mano. L'ultima cosa che ricordo è il suo coltello che affonda nella mia gola.» «Ah, sì» disse Niobe. Non si era aspettata una spiegazione tanto esauriente. «E quando ho ripreso conoscenza, ero morta» continuò il fantasma. «Credo di averci messo pochi minuti a morire, comunque ero svenuta. Ho visto il mio corpo nudo dalla vita in giù. La mia gola era un ammasso di sangue e il violentatore era scomparso. Be', la cosa non mi è piaciuta affatto. Per questo sono rimasta in zona, e sono più che determinata a scoprire chi è stato e a fargliela pagare. Solo che costa caro, perché i detective privati non lavorano gratis. Così eccomi qui a tirare su un po' di soldi. Fra un po' ne avrò abbastanza per assumerne uno per un giorno, e se non basterà, continuerò a lavorare finché non lo scoverò.» Scrollò le spalle. «Una volta presa l'abitudine, fare il mostro non è poi tanto male.» Fece una pausa per saltar fuori davanti a un bambino che passava. «Buuuu!» Il bambino fece un gridolino, poi rise compiaciuto, e proseguì. «Ti auguro buona fortuna» disse Niobe.
«Ehi... ma come mai mi vedi come una persona?» domandò il fantasma. «Voglio dire, la maggior parte della gente vivente non...» «Ma lei è una persona» disse Niobe. «Ho filato io stessa il tuo filo. Mi dispiace che sia stato tagliato tanto corto.» «Oh... Tu sei il Fato! Non ti avevo riconosciuta!» «Pochi ci riescono» disse Niobe. Quindi proseguì dietro a Chronos, che aveva percorso il passaggio a ritroso. Perché, si domandò, Chronos aveva deciso di effettuare il cambiamento in quel luogo? Era stato il Chronos successivo a organizzare tutto, il Chronos che proveniva dal futuro. Non c'era alcun legame con il suo luogo di nascita, contava solo il momento dell'assunzione della carica. Chronos sceglieva il luogo che desiderava, e il suo successore doveva recarsi lì per prendere la Clessidra. Come facesse il successore a sapere esattamente dove andare, questo Niobe lo ignorava. Evidentemente per certe cose ci doveva essere un principio guida, che non era quello normale del Fato. Naturalmente Lachesi aveva misurato il suo filo mortale, ma quando una persona diveniva Chronos il suo filo veniva cancellato dalla Tappezzeria come se si trattasse di una morte sopraggiunta prematuramente. Chronos, quello che aveva conosciuto per così tanto tempo, le aveva detto una volta che la sua esistenza mortale era stata inutile e noiosa (il termine esatto che aveva usato era stato "grama") e che quindi aveva afferrato al volo la possibilità di diventare un'Incarnazione. Ma non si era reso conto che significava vivere a ritroso, e combattere con Satana. Be', comunque ora avrebbe conosciuto il futuro Chronos. Guardò attraverso una crepa e vide il Chronos che conosceva uscire all'indietro da una sala buia illuminata solo dal bagliore della Clessidra. Dalla parte opposta stava arrivando un'altra figura, che camminava in avanti. Il nuovo Chronos. No... era quello che già conosceva! Lo riconobbe dalla maniera in cui si muoveva. Camminava in avanti, mentre l'altro camminava all'indietro. S'incontrarono al centro della sala. La Clessidra emise un bagliore più forte. Improvvisamente, alla luce della Clessidra, divennero tre: due giovani donne e un bambino! Chissà cosa sarebbe successo se passava di lì un cliente della Casa degli Spettri! Ma le due donne le sembravano stranamente familiari. Niobe vide di sfuggita la sagoma di una delle due mentre si girava. Vita sottile, capelli fluenti...
Soffocò un'esclamazione. Era un suo doppione! Il doppione le venne direttamente incontro. «Vieni con me, Niobe» disse. «Ti spiegherò.» La prese per mano. Esterrefatta, Niobe si fece portare fuori dalla sala, lasciandosi alle spalle l'altra donna e il bambino. Che cosa stava succedendo? Fuori, alla luce del giorno, il suo doppione sorrise. «Io sono te fra due ore» le spiegò. «Ti ricordi come ti sdoppiavi quando passavi un'ora nella villa di Chronos?» «Sì, ma...» «In quel momento invece ti striplichi» continuò l'altra se stessa. «Te stessa Uno è quella che si avvicina alla Villa; Te Stessa Due è quella dentro la Villa, che vive temporaneamente a ritroso, e Te Stessa Tre è quella che vive di nuovo in avanti, dopo essere uscita dalla Villa. Finora sei sempre riuscita ad evitare le altre due.» «Uhm. Sì, ma...» «In questo momento tu sei Te Stessa Uno. Io sono Te Stessa Tre. Te Stessa Due è con Chronos, e sta vivendo a ritroso.» «Ma questa non è la Villa!» «Ci ha invertite per un'ora. Voleva che gli facessimo compagnia mentre se ne va. In fondo è solo un bambino.» «Il... bambino che ho appena visto?» «Chronos può avere qualsiasi età o sesso, come tutte le Incarnazioni» le ricordò Se Stessa Tre. «Te lo dirà lui stesso, come l'ha detto a me. Sto solo assicurandomi che tu capisca la situazione.» Niobe inspirò profondamente. «Credo... credo di sì. Ma... chi ti ha spiegato la faccenda quando eri Me Stessa Uno? Voglio dire, se siamo tutte parte della stessa persona...» «Me l'ha spiegato Me Stessa Tre, naturalmente.» «Ma se sei tu!» «Lo sono adesso. Ma allora non Io ero. Ero te.» «Ma...» L'altra scoppiò a ridere. «Non cercare di spiegarlo, sorella Me Stessa! Potresti perderci la ragione. Non siamo veramente tre; siamo solo una persona in tre ruoli consecutivi. Ricorda, Chronos è immune dal paradosso, e di conseguenza lo siamo anche noi quando interagiamo con lui.» Niobe annuì, anche se le girava la testa. «Ora so come si sentiva lui quando ha preso in mano l'ufficio, pochi minuti fa. È veramente troppo da afferrare così in fretta!»
«Lo so. Ma è dura anche per l'altro Chronos. Ha paura, quindi sii gentile con lui; non ti farà del male. Stai tranquilla, che io lo so bene.» Scoppiarono entrambe a ridere. E non era un caso se erano molto simili. Chiacchierarono assieme per il resto dell'ora, trovando la cosa molto piacevole. «Dovremo rifare quest'esperienza qualche volta!» disse Se Stessa Tre, e Niobe si trovò d'accordo. «La prossima volta che andiamo alla villa di Chronos, e non credo proprio che sarà per fare l'amore, tu verrai in anticipo, e io ti aspetterò.» «D'accordo.» Si strinsero la mano. Poi, con l'avvicinarsi del momento cruciale, tornarono alla sala. «Dobbiamo dividerci» disse Se Stessa Tre abbracciandola. «È stato veramente un piacere parlare con te.» «Sì» assentì Niobe, e vedendo una lacrima colare lungo la guancia dell'altra, pensò che in tutti gli anni che era stata Cloto non aveva mai fatto una cosa del genere. Solo ora si rendeva conto di ciò che aveva perso. Niobe entrò nella sala, esitò un attimo, si voltò, e Se Stessa Tre l'incitò a proseguire. Camminò fino al centro della sala, dove si trovavano il bambino e l'altra donna. «Salve» disse. «evlaS» rispose Se Stessa Due. Poi improvvisamente Se Stessa Due fece un passo indietro ed entrò in Niobe. Con un leggero sussulto, Niobe fece mezzo passo avanti. «Salve» disse Niobe. «evlaS» rispose l'altra. Ma l'altra si stava allontanando all'indietro. «Credo che tu sappia che ti ho invertita, Obe» disse il bambino. Esterrefatta, Niobe lo guardò. Aveva circa otto anni, una testa spettinata di capelli biondicci di sole, e occhi azzurri come i suoi. Senza dubbio si trattava di Chronos, poiché aveva con sé la Clessidra luminosa. «Sì» disse lei. «Tu... vuoi un po' di compagnia. Per il cambio.» «Non sono mai morto prima d'ora» confessò. «Era che non volevo farlo da solo.» Niobe si guardò attorno, e vide Se Stessa Tre che accompagnava Se Stessa Uno fuori, meglio, dentro, poiché stavano camminando all'indietro. Ora lei era Se Stessa Due. Si era scambiata con l'altra Se Stessa, andando e venendo. A ognuna di loro era parso che l'altra avesse parlato per seconda, a causa della prospettiva invertita. Ora aveva un altro compito da svolgere. «Non è la morte» gli disse con tono rassicurante. «Per me è la stessa cosa» disse il bimbo. «Andrò a finire in Paradiso, o all'Inferno.»
Niobe si trasformò un attimo in Lachesi, che controllò il suo filo. Era stranamente ritorto su se stesso, ma per il resto sembrava senza macchia. «In Paradiso, ne sono certa» disse, quindi cambiò nuovamente Aspetto. C'erano due sedie accanto alla parete. «Lo spero» disse il bambino mentre si sedevano. «Lo so che non dovrei preoccuparmi, ma sono solo un ragazzino. Ho paura!» Poi improvvisamente scoppiò in lacrime. Niobe allungò le mani e gli strinse la testa sul petto. In vita sua non era mai riuscita a negare un po' d'affetto a una persona che ne avesse bisogno, e comprendeva le lacrime come pochi altri. «Ma certo, caro, ma certo!» gli disse con tono dolce. «Tutti hanno un po' paura... di quello.» Poco dopo le lacrime cessarono, ma lei continuò a stringerlo, più o meno come aveva stretto il suo successore. C'erano momenti in cui gli uomini, qualunque età avessero, avevano particolarmente bisogno dell'abbraccio di una donna. Peccato che la gente tendesse sempre a confondere questo con il sesso. «Sai, Obe» disse il bambino. «Quando sei arrivata tu, più o meno tre anni fa, io ero arrabbiato perché mi piaceva Lisa. Ma quando ti ho conosciuta meglio, ho scoperto che tu mi piaci ancora di più. Sei più carina.» Evidentemente Lisa era colei che le sarebbe succeduta... nel giro di due o tre anni. Niobe assorbì il colpo in silenzio. Non sapeva che avrebbe terminato così presto. «La bellezza non ha nulla a che vedere con il merito» disse. «Sono sicura che Lisa era un'ottima ragazza.» «Oh, certo. E quando si arrabbiava con me, mi prendeva in giro con il suo linguaggio assurdo. Ma tu...» Niobe cambiò argomento. «Come hai fatto a diventare Chronos?» gli domandò, osservando la Clessidra luminosa che galleggiava a mezz'aria davanti a lui. «Oh, lo sai» disse scrollando le spalle. «No, io non so niente» gli ricordò. «Io non c'ero, ricordi? C'era Lisa.» «Ah, già. Be', la Clessidra doveva passare di mano, ma il tipo che doveva prenderla si è preso uno spaghetto!» Fece un sorriso tutto denti. «L'ha vista, ed è scappato di corsa! Io stavo giocando nel parco, e sapevo che qualcuno doveva prenderla per forza, così sono andato lì e l'ho presa. Ero troppo giovane per capirne qualcosa. Così eccomi qui, otto anni dopo. Prima, voglio dire.» «Mi sorprende che tu sia riuscito a cavartela tanto bene» mormorò. «Aw, mi ha insegnato tutto Lacciesi, e mi sono abituato in fretta.» «Lacciesi?»
«Dai che lo sai, Obe. Il tuo terzo di mezzo.» Oh. Lachesi. Evidentemente il ragazzo non prendeva i nomi troppo sul serio. Lacciesi! esclamò mentalmente Lachesi. Questo sfacciatello... «Ma da quando se n'è andata Lisa sei sempre stata tu la mia preferita, Obe, anche se Atta non è male neanche lei. Se avessi potuto crescere, ti avrei sposata.» «L'immortalità ha i suoi svantaggi» disse Niobe, sorridendo. Parlarono per tutta l'ora e Chronos si rilassò, tanto che alla fine era pronto per l'Aldilà. Quando giunse l'ultimo minuto il piccolo sollevò la Clessidra, Niobe si chinò per baciarlo, quindi si allontanò di qualche passo. Quando il nuovo ombroso Chronos prese in mano la Clessidra l'incantesimo del tempo invertito si spezzò, e Niobe tornò a muoversi in avanti nel tempo. Rapidamente intercettò la confusa Se Stessa Uno. «Vieni con me, Niobe, ti spiegherò» e la condusse fuori prima che la sua presenza potesse interferire con il dialogo a ritroso fra Se Stessa Due e il giovane Chronos. «Sono te stessa fra due ore» le spiegò, quindi proseguì spiegandole la situazione. La Se Stessa precedente era notevolmente colpita. Era divertente, poiché ora sapeva ciò che stava facendo. Quando venne il momento guidò la Se Stessa precedente fino alla sala, e l'incitò a proseguire quando esitò. Guardò mentre Se Stessa Uno e Se Stessa Due si univano e improvvisamente scomparivano entrambe. Era rimasto solo il Chronos bambino, che attendeva nervosamente le sue accompagnatrici. Come aveva fatto a sapere che lei sarebbe venuta da lui e avrebbe acconsentito a farsi invertire il tempo per un'ora? Ovviamente doveva avergli promesso che l'avrebbe fatto quando sarebbe venuto il momento. Ciò nonostante, era senza dubbio un bene che Chronos fosse immune dal paradosso. Se ne andò silenziosamente. Ne aveva avuto abbastanza di quella storia; era ora di tornare ai suoi compiti quotidiani. Ma una cosa le era rimasta in mente: mancavano tre anni, o forse due, al giorno in cui avrebbe lasciato quell'ufficio. Per essere sostituita da Lisa. 8 Secondo amore Ogni tanto Niobe andava a visitare la sua famiglia mortale. Lo shock
della tragedia del matrimonio si era assorbito, e suo figlio il Mago sembrava essere piuttosto felice con sua moglie Blenda, che faceva l'insegnante e si rifiutava di sfruttare la sua bellezza per entrare nel mondo dello spettacolo. Blenda andava spesso a trovare suo padre, Pacian, per assicurarsi che non si deprimesse troppo per il lutto. Era in lutto anche lei, ma aveva usato una pietra magica datale da Junior per soffocare il dispiacere. Niobe sapeva che non l'aveva fatto per egoismo ma semplicemente perché doveva stare dietro a un marito, a un padre e a una classe intera, e non poteva permettersi di essere troppo triste o dispiaciuta. Questo era uno dei grandi benefici della magia moderna; la gente riusciva a superare con maggiore facilità simili crisi. E forse per motivi analoghi Blenda aveva deciso di aspettare un po' prima di dar vita a una famiglia sua. Ma Pacian non stava altrettanto bene. Si rifiutava di usare la magia per placare la sua tristezza, e con il tempo la sua sofferenza non sembrava affatto diminuire. Conservava una solenne dignità, adempieva a tutti i suoi doveri e si manteneva in salute, ma era come se stesse invecchiando troppo rapidamente. Niobe era preoccupata. Essendo la madre del mago che Satana aveva tentato di eliminare, si sentiva un po' in colpa per la tragedia del matrimonio. Inoltre, essendo un Aspetto del Fato, sapeva che avrebbe potuto bloccare Satana meglio di quanto non avesse fatto. Quindi, almeno in parte, era colpa sua. Pacian era stato il migliore amico di suo figlio in gioventù, virtualmente un fratello per lui, e non era giusto che soffrisse tanto. Andò a fargli visita e si scusò con lui. Dapprima Pacian non l'ascoltò quasi, ma poi ricordò. «Voi... voi siete la parente del Mago! Quella che ha posato nella foto con mia figlia.» Niobe lottò internamente con se stessa per un attimo, poi decise che non aveva importanza. «Sono una parente del Mago» disse. «Molto stretta.» «Non ha sorelline» disse Pacian. «Io sono il suo unico cugino, e quindi non potete essere sua parente in quel senso. Eppure mi risultate stranamente familiare. Che rapporto di parentela avete con lui, esattamente?» Niobe esitò ancora un attimo prima del tuffo. «Mi avete già conosciuta.» «Ne sono certo... o voi, o qualcuno che vi assomiglia. È una cosa che mi tormenta ogni volta che vi vedo! Ma non riesco a trovare il legame.» «Certo che potete. Io sono la madre del Mago.» Pacian scoppiò a ridere. «Certo! E avete sessant'anni!» «Quasi sessantadue.» «Ho conosciuto sua madre quand'ero bambino. Era la più bella donna
che ci fosse! Ma da quando lasciò Junior con noi, venne a far visita qualche volta, poi scomparve. Aveva qualche lavoro importante che le occupava tutto il tempo. E credo che non ce la facesse a stare nei luoghi in cui era morto il cugino Cedric.» Improvvisamente la sua eccitazione scemò. «Conosco quella sensazione.» «Io sono Niobe Kaftan» disse lei in tono deciso. «Ciò che hai detto è vero; non potevo restare. Volevo molto bene a mio figlio, ma sapevo di non essere in grado di farlo crescere come ha fatto la tua famiglia, quindi ho rinunciato a lui. Non ho mai realmente avuto rimpianti per questo; i tuoi genitori hanno fatto un ottimo lavoro con lui, come del resto anche con te.» «È sempre stato un bravo ragazzo» assentì. «Ero felicissimo quando ho capito che era innamorato di mia figlia. Certo, loro erano cugini di secondo grado, ma hanno riunito una famiglia che si stava separando.» Poi la fissò attentamente. «E la cosa ironica è che in effetti le assomigliate parecchio. Solo che voi non siete più vecchia di mia figlia.» «Non sono mai invecchiata fisicamente» spiegò Niobe. «Ho la stessa età fisica che avevo quando tu avevi dodici anni. Quando ti ho baciato e me ne sono andata.» «Quel bacio...» mormorò lui, ricordando. Ma ancora non era in grado di accettare quella realtà. Blenda, essendo più giovane, aveva accettato la verità per quello che era, e aveva tenuto la bocca chiusa. Ma Pacian, a cinquant'anni, era troppo anziano per assorbire l'impossibile con tanta leggerezza. «Forse il Mago possiede un incantesimo che dà la giovinezza eterna, ma non l'ha mai usato: e certamente non l'aveva ancora quando sua madre è partita.» «Sono divenuta un Aspetto del Fato» spiegò Niobe. «Un'Incarnazione. E le Incarnazioni dell'Immortalità sono immortali, per un certo periodo. Non invecchiano fisicamente, e così io, come doto, non sono mai invecchiata.» Lui la fissò nuovamente. «In effetti siete bellissima» disse, come se stesse cedendo almeno su quel punto. «Probabilmente siete bella quanto lo era lei. Io mi ero preso una cotta...» «Lo so.» Sospirò. «Benissimo. Farò finta che siate lei, rimasta giovane. Ma sono sicuro che la cosa possa essere verificata facilmente: basta chiedere al Mago.» «Lui lo sa.» «Ma io ho bisogno delle mie prove. Se non ricordo male, il Fato ha tre Aspetti...»
«Sì. E io assumevo l'Aspetto di Atropo per continuare a visitare Junior... e te.» «Atropo?» «L'Aspetto più anziano del Fato. Lei...» «E puoi cambiare così, come se nulla fosse?» «Sì.» «Fallo.» Niobe passò il corpo ad Atropo. Pacian scosse il capo. «No, non siete lei.» «Certo che no» disse Atropo. «L'Atropo che avete conosciuto voi ha rinunciato all'ufficio per stare con voi e con il bambino finché non è morta; io le sono succeduta.» Restituì il corpo a Niobe. «E tu eri nel corpo con lei... tutto il tempo?» «Sì» rispose Niobe. «È accaduto qualcosa...» «La profezia.» «Che io ho smentito, sposandomi con Blanche. Lei era la donna più brava...» «Ma non la più bella della sua generazione» concluse per lui Niobe. «Esatto. Tu invece lo eri.» Niobe rise. «Così mi hanno detto. Blenda però è la più bella della sua generazione. E ha onorato la profezia sposandosi...» S'interruppe di colpo, bloccata da quell'improvviso collegamento mentale. Fissò Pacian. Lui la fissò a sua volta, similmente stupito. Poi si voltò. Niobe si alzò di scatto e se ne andò. Una volta tornata nella sua dimora in Purgatorio, Niobe tentò di concentrarsi sulla filatura, ma le altre non glielo permisero. «Io non c'ero» disse Atropo. «Ma cosa c'è che non va in Pacian?» «È il cugino di mio marito!» proruppe Niobe. «Ma tuo marito non è morto quasi quarant'anni fa?» domandò Lachesi. «E la moglie di Pacian è morta da quattro anni, ormai. Siete entrambi liberi.» «Ma non abbiamo mai pensato a noi due in quel modo!» «Però lui aveva una cotta...» disse Lachesi. «E tu sei la più bella della tua...» intervenne Atropo. «All'inferno la profezia!» esclamò Niobe. «Questo è ciò che vorrebbe Satana» disse Lachesi con malizia. «All'inferno anche Satana!»
«Come diceva esattamente la profezia?» «Che entrambi i ragazzi avrebbero avuto la donna più bella della sua generazione» disse Niobe, concentrandosi per ricordare con esattezza. «E che ognuno avrebbe dato vita a una figlia dotata del più grande talento nel suo campo. Una delle due avrebbe amato un'Incarnazione, e l'altra lo sarebbe diventata. No, un attimo; c'erano due profezie, e credo di averle mischiate.» «Non fa niente» disse Lachesi. «Di' tutto quello che ricordi.» «Entrambe avrebbero avuto a che fare con la matassa ingarbugliata» disse Niobe. «Siamo noi!» esclamò Atropo. «Una potrebbe sposare la Morte, e l'altra il Male» continuò Niobe pescando un altro ricordo nella sua memoria. «Una sarà la salvatrice degli uomini... la figlia del salvatore dei daini. Credo che sia tutto qui.» «Allora è la figlia del Mago che salverà l'Uomo» disse Lachesi. «Ma lui non ha figlie» osservò Atropo. «E certamente la figlia di Pacian non ha sposato né Satana né Thanatos!» disse Niobe. «Quindi rimane una gran confusione; non...» «A meno che tu non sposi Pacian» disse Lachesi. «E gli dai un'altra figlia.» «Ma è ridicolo!» «Ci lascerai entro un anno» osservò Atropo. «Sarebbe una buona occasione per farlo.» «Maledetta combinatrice! Io non amo Pacian!» «Eppure...» dissero all'unisono i due Aspetti con la sua bocca. Ci volle un mese prima che Niobe trovasse il coraggio di affrontare nuovamente Pacian. Lui la guardò con un'espressione rassegnata. «È difficile annullare una profezia» disse. «E spesso la si capisce solo troppo tardi» rispose Niobe. Era un dialogo familiare. «Voglio che tu capisca che non ho mai...» «Ma certo. Io ho più di sessant'anni.» «E sembri più giovane di mia figlia. In più, tu amavi Cedric, e io Blanche. E sono sicuro che non desideri tradire il tuo amore più di quanto non lo desideri io. Quindi penso che sarà il caso di lasciar perdere queste sciocchezze...» Tradire il suo amore. Niobe sospirò. L'aveva tradito fisicamente almeno
mille volte! Ma forse proprio grazie a questo ora aveva una prospettiva più ampia. Dopo la morte di Cedric aveva iniziato una nuova vita, era entrata in un nuovo ruolo, e adempiere quella vita e quel ruolo nella maniera corretta le era sembrato solo giusto. Il suo amore privato era rimasto sacro, ed era quello che contava. «Pacian, non sono sicura che si tratti solo di sciocchezze. In fondo finora la profezia non è stata affatto smentita. Quando hai sposato Blanche...» «Ho dato vita alla donna più bella della sua generazione, che mio cugino era destinato a sposare» concluse lui. «La matassa era più ingarbugliata di quanto non avessi immaginato. Ma questo non significa necessariamente che...» «Si sono manifestati altri segni. A quanto pare entro breve abbandonerò l'ufficio. Credo di dover quantomeno esaminare la possibilità di un matrimonio con te.» Ecco, l'aveva detto. «Niobe, tu non mi devi nulla! Quella profezia risale ai tempi in cui ero solo un ragazzo!» «Ma vedi, Satana ha dei piani terribili per il mondo. E io sospetto che se la profezia può essere annullata, la figlia di mio figlio e di tua figlia non diventerà mai la salvatrice dell'umanità. Magari non nascerà neanche... se la profezia non viene onorata appieno!» «Ma è ridicolo! Le profezie non tengono una loro parte in ostaggio prima che si svolga il resto!» «Io sono il Fato» disse Niobe lentamente. «E una profezia è un segnale del Fato. I fili delle nostre vite scorrono lungo il loro corso, e se noi tentiamo d'interferire con il loro andamento lo facciamo a nostro rischio e pericolo, e forse a rischio e pericolo dell'umanità stessa. Quindi non so se abbiamo diritto di giocare con un simile destino. Pacian... io devo sapere!» L'uomo scrollò le spalle. «Non che abbia dell'avversione per te, Niobe, anzi! Ti ho sempre amata nel profondo del cuore prima che conoscessi Blanche, e credo che quel sentimento un po' mi sia rimasto. Ma ho sempre saputo che non saresti mai stata mia. Non ho mai neanche pensato lontanamente di calpestare la bara di mio cugino!» «E neanch'io quella di tua moglie! Ma se la profezia viene annullata, e non nasce la salvatrice degli uomini...» allargò le mani. «Pacian, io mi sono sposata perché quello era il mio destino, e non perché ero innamorata. L'amore è venuto dopo con Cedric. Ebbene, lo farei ancora... se fossi sicura.» «Come può una persona essere sicura di una cosa del genere?»
«Mi piacerebbe consultarmi con... un'amica. Forse lei lo sa.» «E chi sarebbe quest'amica?» «Gaea. Tu la chiameresti l'Incarnazione della Natura.» «La Natura.» Annuì. «Sì, credo che una simile Entità potrebbe saperlo.» «E voglio che tu venga con me, così potrà vederci entrambi. Pacian rise, un po' nervosamente.» Ma Niobe, io non posso entrare nel tuo regno! «Sì che puoi, se ti ci porto io. Lo faresti?» Ci rifletté un attimo, quindi scrollò le spalle. «Credo che in effetti la faccenda vada verificata, in un modo o nell'altro. Se mi puoi portare, verrò.» Niobe allungò una mano. «Allora andiamo.» Pacian rimase a bocca aperta. «Ora?» «Ora ho del tempo disponibile. Tu no?» «Siamo in pieno week-end.» Gli prese la mano. «Sarà un viaggio che ricorderai.» «E proprio quello che temo.» Ma stava sorridendo. Niobe lanciò un filo in Purgatorio e vi si attaccò, portando Pacian con sé. Attraversarono il soffitto e il fogliame di un albero, quindi il cielo. Pacian guardò con lo stupore che solo un mortale poteva provare, e grazie a questo anche lei ne godette quasi come se fosse un'esperienza nuova. In trentotto anni si era ormai abituata a certe cose, com'era normale che fosse, ma era un bene che ogni tanto si ricordasse della natura fenomenale dei suoi poteri. E per il momento non si sentiva affatto disposta a rinunciarvi! Attraversarono il banco di nubi sotto il Purgatorio e si fermarono davanti alla Dimora del Fato. «Questa è la mia casa attuale.» «Una ragnatela gigante?» Niobe si trasformò per un attimo in ragno, poi tornò donna. «Non sono più una donna normale.» «Non lo sei mai stata» disse lui. «Ora ti porterò alla casa verde di Gaea.» Proiettò un altro filo, prese di nuovo la sua mano, e scivolò con lui attraverso il piacevole paesaggio del Purgatorio. Ricordò come Chronos l'aveva portata da un'Incarnazione all'altra, tanto tempo prima, concedendole il suo favore per la loro separazione e dandole le basi per la sua successiva comprensione della situazione globale. Da allora era passato un bel pezzo di Tappezzeria! Giunsero ai margini delle proprietà della Madre Verde. Davanti a loro una collinetta scendeva in una vallata coperta di grano che si agitava al vento. Dalla parte opposta della vallata sorgeva il palazzo vegetale di Gaea. Non dovevano far altro che attraversare.
Iniziarono a scendere. «Non puoi semplicemente lanciare un filo dall'altra parte?» domandò Pacian. «Non qui. Gaea protegge il suo ambiente, quindi potrebbe prenderla come una sfida.» «Non sei mai stata qui?» «Oh, sì, molte volte. Ci consultiamo spesso. Solo che questa volta ho portato anche te, e in qualche modo devo avere attivato il suo sistema difensivo. Lei è fatta così.» «La Natura è fatta a modo suo» assentì lui. «Come tutte le Incarnazioni.» Pacian scosse il capo con stupore. «Tutto questo... nelle nuvole!» «Non siamo esattamente nelle nuvole. Solo sembra così. Il Purgatorio si trova fra il Paradiso e l'Inferno, ma è impossibile stabilire esattamente dove si trovino questi. Quindi per pura convenzione consideriamo il Paradiso come un luogo alto, l'Inferno come un luogo basso, e il Purgatorio in mezzo fra i due.» «E immagino che neanche questo sia realmente fisico, allora.» «È indeterminato. Io e te siamo vivi e solidi, ma molti altri che sembrano come noi non lo sono affatto.» Pacian si fermò e la guardò. «Niobe, sono felice di scoprire dove ti trovavi in tutti questi anni. Ora capisco perché avevi così poco tempo per le faccende mortali.» «Avevo tempo eccome per le faccende mortali!» ribatté lei con tono difensivo. «Stavo filando i fili della vita!» «Certo» assentì lui, e Niobe si sentì in colpa per il suo commento tanto brusco. Pacian era un uomo bravo e buono, e di sicuro non andava in cerca di discussioni. Non era certo colpa sua se lei lo considerava ancora, sotto un certo punto di vista, un ragazzino di dodici anni. Lei non era cambiata, fisicamente, ma lui sì. Scesero fino alla vallata e s'incamminarono in mezzo al grano. Ma al primo passo le cime delle spighe arrivavano alle loro ginocchia, al secondo passo alla vita, e al terzo al petto. Si fermarono. «Oh, oh» disse Niobe. «Mi ero dimenticata della sfida. Non possiamo semplicemente attraversare a piedi. Non possiamo sapere quanto sia profonda questa vallata.» «Vuoi dire che potrebbe anche essere una valle a forma di "V", nascosta dall'erba alta?» «Niente di più facile. Ge può fare ciò che vuole con le piante.»
«Allora dobbiamo camminare sotto il grano» disse Pacian. «Non è poi tanto lontano.» «Per forza» convenne lei con tono incerto. Proseguirono. Il pendio continuava, e l'altezza dell'erba aumentava in maniera proporzionale, diventando presto più alta di loro. I fusti alti ed elastici cedevano al loro passaggio oscillando, lasciando indisturbate le foglie più grandi che stavano in alto. Più scendevano e più la luce si affievoliva. Era come scendere nelle profondità di un oceano, verso l'oscurità totale del fondo. A un certo punto Niobe fece un passo... e non trovò nulla. «Oh!» esclamò, perdendo l'equilibrio. La mano forte di Pacian afferrò il suo braccio e la tirò indietro. Poi l'uomo si chinò a terra per esaminare il terreno. «C'è una specie di scalino» disse. «Alto circa un metro... ma sospetto che si tratti solo dell'inizio. Abbiamo bisogno di luce.» Niobe tirò fuori un frammento di filo luminoso. Non illuminava molto, ma era sufficiente a mostrare che la discesa che fino ad allora era stata uniforme ora diventava scoscesa, rocciosa e piena di crepacci e insidie varie. Proseguirono giù per il dirupo, tenendosi per mano per sicurezza. Quando giunsero davanti a un salto di oltre due metri, Niobe creò un filo robusto e lo legò alla vita di Pacian. Lui si aggrappò per sostenere il peso di Niobe mentre scendeva, dopodiché legò il filo alla solida base di una delle alte piante e si calò a sua volta. Niobe, lì, non era in grado di smaterializzarsi. Ora l'oscurità era veramente stigia! Niobe dovette formare diversi fili luminosi per illuminare il terreno, poiché anche una piccola buca poteva farli inciampare e rischiavano di distorcersi una caviglia. Nonostante ciò, non era affatto divertente. Poi il terreno tremò. Si fermarono. «Cos'era?» sussurrò nervosamente Niobe. «I passi di un mostro» sussurrò lui in risposta. «Ora credo nel detto "vivi e lascia vivere"! Per me la natura ha un valore, come l'aveva per mio cugino e come l'ha adesso per il Mago. Ma non è detto che i residenti dell'habitat naturale la pensino allo stesso modo.» «Infatti!» assentì lei. «E adesso siamo al buio, in qualche specie di canalone, senza alcuna difesa. Pace, andiamocene di qui!» «D'accordo!» Si affrettarono a tornare sui loro passi, risalendo il pendio. Pacian la spinse su per il filo che avevano lasciato, anche se Niobe non ne aveva realmente bisogno in quanto si arrampicava magicamente sui suoi fili. Ma a
livello inconscio si stava comportando in maniera cavalleresca, e lei apprezzava il gesto. Un attimo dopo l'uomo la seguì, arrampicandosi carponi. Il filo, talmente sottile da essere quasi invisibile, era dotato di un incantesimo grazie al quale non poteva tagliare la carne, e Pacian era in ottime condizioni fisiche per la sua età. Non ebbe problemi. Il terreno tremò nuovamente; il mostro si stava avvicinando. Si presero nuovamente per mano e si affrettarono su per la salita, seguendo il filo che avevano lasciato. Non c'era modo di capire quanto fosse vicino il mostro; il terreno tremava tutt'intorno. Annaspando, corsero fuori dall'erba alta fino alla luce del sole. «Oh!» disse Niobe con il fiatone. «Come mi sono spaventata!» «Ma non sei forse invulnerabile, essendo un'Incarnazione?» Scoppiò a ridere. «Ma certo che lo sono! Che sciocca a non pensarci!» Ma poi fece una smorfia. «Tu però non lo sei.» Pacian sorrise, ricordandole per un attimo il sorriso di Cedric. Naturalmente, erano parenti di sangue. Se Cedric fosse vissuto fino a quell'età... «Be', allora abbiamo fatto bene a sbrigarci» disse lui. Per qualche motivo, alla luce del sole sapevano di essere al sicuro. Il mostro non avrebbe abbandonato il suo rifugio nell'erba alta. Niobe rivolse lo sguardo alla casa-albero di Gaea, così vicina eppure così lontana. «Ma non siamo riusciti ad attraversare.» Pacian rifletté. «Sai, assomiglia un po' a un oceano in tempesta. La superficie s'increspa con il vento, come le onde del mare.» «Peccato che non possiamo attraversarlo in barca» disse lei ridendo. «Ne sei sicura? Se si tratta di una sfida magica...» Niobe spalancò la bocca. «Potrebbe essere!» Pace si guardò attorno. «Magari si potrebbe usare una zattera. Vedo un po' di legna, lì...» Si avvicinò a un albero morto e iniziò a raccogliere dei rami simili a ossa. «Questa legna è leggera e robusta. Se riusciamo a legarne assieme un po'...» «I fili li ho io» disse lei. «Andranno benissimo. Ma sei sicuro che galleggeremo sull'erba?» «Con la magia, tutto è possibile» disse lui con tono allegro. Era evidente che la sfida l'affascinava. Non l'aveva mai visto tanto eccitato negli ultimi due anni. Mentre lavorava, Pacian fece un commento su un indovinello che gli venne in mente a proposito dell'attraversamento di un fiume. Niobe lo ricordava dai suoi giorni con Cedric. «Va bene» disse Pacian. «Allora prova
con questo: un venditore di monete ha dodici monete, una delle quali è falsa...» Le pose il problema, e lei l'affrontò senza successo finché lui non le presentò la soluzione. Aveva la stessa passione per i rompicapo che aveva avuto Cedric. Mentre parlavano, Pacian organizzò i rami più grandi per fare un telaio di base, che Niobe legò assieme con i suoi fili. Poi iniziarono a legare i rami più piccoli, e infine ottennero una zattera di circa due metri per due. Tennero due rami lunghi e sottili da usare come pali, e diversi altri da usare come remi. «Ma con una vela sarebbe molto meglio» disse lui. Niobe ricordò il suo viaggio attraverso il laghetto del college, con la barca rattoppata. Il ricordo non la rassicurò affatto. Non avevano alcun materiale adatto per foggiare una vela. Con un po' di tempo e un telaio avrebbe potuto tesserne una con i suoi fili, ma naturalmente non aveva alcun telaio con sé. Spinsero la zattera sulla superficie densa dell'erba... e la zattera galleggiò. «Ecco!» esclamò Pacian. «Non funzionerebbe mai senza la magia; questa non è vera acqua. Ma la tua amica Natura l'ha incantata per sfidarci, e noi abbiamo trovato la chiave.» Che fosse veramente così? Niobe lo sperava. Pacian l'aiutò a salire a bordo, e lasciarono la riva. La zattera galleggiava in maniera un po' incerta, e la sensazione non era affatto quella dell'acqua, ma stavano ugualmente procedendo. Con i pali lunghi riuscirono a spingersi abbastanza al largo, ma poi la profondità aumentò. Pacian si sedette, infilò i piedi in una fessura fra due rami, e prese i due pali più lunghi da usare come remi. «Uhm, però dobbiamo fissarli» disse. Niobe capì il problema. S'inginocchiò e legò i remi ai lati della zattera con altri fili, dotandoli di un fulcro. Pacian iniziò a remare, e la zattera si mosse. I remi tendevano a scivolare sopra l'erba, ma l'attrito era sufficiente per farli muovere. Erano nuovamente in marcia. Davanti a loro, al centro della vallata, videro un potente e improvviso getto di vapore. «Balena a prua!» esclamò Niobe. Ma poi ci pensò sopra: che razza di balena poteva nuotare nell'erba? Pacian ebbe lo stesso pensiero. Accelerò la sua vogata, ma la zattera si muoveva lentamente, e un attimo dopo lo sbuffo di vapore si ripeté, più vicino. La balena si stava avvicinando! «Che sia una coincidenza?» domandò Niobe preoccupato. «Qui? Ne dubito» rispose lui sbuffando. «Non credo che la possiamo battere in velocità.» Niobe era ormai allar-
mata. Pacian smise di remare. Il suo viso era paonazzo per lo sforzo. «Un'altra sfida?» disse con il fiato corto. «Temo di sì. E questa volta non possiamo neanche battere in ritirata. Ci raggiungerebbe subito.» Pacian prese in mano un remo, riflettendo. «Forse potrei tentare di allontanarla» disse. «Se è abbastanza grande per inghiottirci con un boccone, allora è anche abbastanza grande per ricevere un palo di questi per traverso nella bocca. Ma non mi piace molestare la vita animale. In fondo, siamo noi che abbiamo invaso il suo habitat.» «Sei un idiota dal cuore tenero» gli disse lei. «È una cosa di famiglia» acconsentì lui senza rancore. Niobe era colpita. Aveva ragione. Dopo che Cedric si era dedicato alla natura, si era sempre rifiutato di danneggiarla in alcun modo. E il lungo rapporto fra Junior e l'amadriade della grande quercia gli aveva dato un profondo rispetto per la magia delle paludi. Anche lei la pensava a quel modo, e Pacian era fatto della stessa pasta. Il leviathan si avvicinò ulteriormente. L'enorme muso ruppe la superficie d'erba. Era abbastanza grande per inghiottirli entrambi, zattera compresa! «Dicono che la musica incanta e rilassa il petto selvaggio» disse Pacian. «Ma spesso questo detto viene interpretato in maniera diversa, e il "petto selvaggio" diventa la "bestia selvaggia". Io credo che valga la pena di provare, piuttosto che usare inutilmente la forza.» Niobe apprezzava molto la maniera in cui ragionava Pacian, ma il leviathan la terrorizzava. Già le poderose mascelle si stavano aprendo. «Vuoi dire... cantargli una canzone?» «Lo so, sembra un'idea idiota, ma almeno è innocua. Ho provato a cantare per animali della fattoria e ho riscosso un certo successo. E poi possiamo sempre combattere, come ultima alternativa. Hai idea di che cosa potrebbe piacergli?» Una canzone per un mostro? Niobe scoprì di avere la mente completamente vuota. «Uh... magari un canto corale...» Pacian annuì. Si rivolse verso il leviathan come se stesse per iniziare un discorso. Quindi iniziò a cantare, un po' grezzamente, ma in maniera intonata: Avete visto lo spettro di Tom?
Ossa bianche senza carne! O-O-O-O-O-O! Che paura farebbe se non avesse pelle! Niobe iniziò a ridere in maniera isterica. Cantare una canzone di mostri a un mostro! Il leviathan si fermò dov'era. Le mascelle si fermarono. Stava ascoltando, e come molti animali non riusciva a focalizzare la sua attenzione su due cose allo stesso tempo. "Avete visto lo spettro di Tom?" continuò a cantare Pacian, ora con più volume e maggiore sicurezza. Questa volta si unì anche Niobe, ripetendo il primo versetto mentre Pacian passava al secondo. Il canto a due voci riuscì abbastanza bene, nonostante le parole un po' macabre e sciocche. Cantarono tre volte, e il mostro non si mosse. Non erano sicuri che gli piacesse effettivamente la canzone; forse stava fermo solo per curiosità. In ogni caso, era sempre meglio che ricevere un attacco. Quando smisero di cantare, le mascelle iniziarono nuovamente a spalancarsi. Pacian attaccò subito con un'altra canzone, un pezzo molto amato del folklore del suo paese: Oh, Danny-Boy, le cornamuse chiamano, da una valle all'altra, e giù per la montagna... Niobe si unì anche questa volta, facendo l'accompagnamento. Non cantava in quel modo da quando era mortale, e si era quasi dimenticata quanto fosse bello. L'estate se n'è andata, e le foglie cadon tutte... Mentre cantava Pacian si voltò verso di lei e le prese la mano. Sei tu, sei tu che devi andare, e a me tocca aspettare... Niobe ci rimase di sasso, poiché improvvisamente la canzone si trasformò in una magnifica sinfonia. Pacian aveva la magia! La stessa orchestra fantasma che riusciva a evocare Cedric con il suo canto! La stessa feno-
menale amplificazione della sua musica! Ma certo! Anche questa era una dote di famiglia. Non era in tutti, ad esempio suo figlio non l'aveva, ma evidentemente ogni tanto spuntava. Non l'avrebbe mai immaginato! Non c'era da stupirsi se Pacian riusciva a tranquillizzare gli animali. Infatti anche il leviathan se n'era reso conto. Ora le sue mascelle si serrarono lentamente, non più minacciose. Avevano trovato un modo per calmare la bestia. Ma l'attenzione di Niobe ora era focalizzata su qualcos'altro. Aveva pensato che, dopo Cedric, non sarebbe mai più stata in grado di amare nessun altro. Ma ora, tanto improvvisamente quanto incredibilmente, seppe che era possibile. La profezia non si basava su ciò che sapeva, ma su ciò che avrebbe scoperto. La canzone finì, e la musica interna scemò. Il leviathan non accennò un nuovo attacco, ma ora Niobe sentiva il bisogno di altra musica. Strinse la mano di Pacian, e iniziò nuovamente a cantare: Nel crepuscolo, oh mio caro, quando le luci sono basse e fioche... Pacian si unì al canto, e la musica li avviluppò. Mi penserai, e mi amerai, come hai fatto tanto tempo fa? E mentre cantava, Niobe sentì l'amore che si espandeva dal suo cuore, rimasto tanto tempo in isolamento, colmando tutto il suo essere. Il suo amore per Cedric era iniziato proprio con quella musica magica. Solo che allora non se n'era resa ben conto, e quindi aveva sprecato parecchio del poco tempo che avevano da trascorrere insieme. Ora era molto più anziana, e forse anche più saggia, e si ritrovò ad entrare in quell'amore come in un mare primordiale, abbandonandosi con piacere alla marea. Oh, mio caro... Quando la canzone terminò e la musica scemò di nuovo, il leviathan apparve più che soddisfatto. Indietreggiò lentamente, quindi si girò e si inabissò. «A quanto pare abbiamo superato la crisi» disse Pacian. «Ora possiamo andare da Madre Natura.» Allungò le mani per prendere i remi. Ma Niobe gli appoggiò una mano sul braccio. «Credi che sia ancora necessario?»
Lui ci pensò su un attimo, poi scoppiò a ridere. La tirò a sé, e si baciarono. La grande musica li avvolse di nuovo. Invertirono la rotta e tornarono alla Dimora, quindi nel regno dei mortali. Quando infine atterrarono a casa sua, Pacian disse: «Non credo che soffrirò più di solitudine adesso. Ma non siamo precipitosi.» «È stata una cosa improvvisa» assentì lei. «Possiamo permetterci di aspettare un po' per essere sicuri che sia vero.» Ma sapeva già che lo era. Pacian annuì. «E se lo è...» «Mi ritirerò al momento giusto, per tornare a essere mortale... e per diventare tua moglie.» «Rispettando così la profezia.» Lo lasciò senza ulteriori commenti. Come rimase sola, i suoi Aspetti iniziarono a spettegolare. Hai sentito quella musica? È un tipo raro! Se il tuo primo amore era così, non mi stupisco che tu abbia scelto un suo parente! Ora dobbiamo individuare il tuo successore, come si chiama. Lisa. A quando il matrimonio? «Basta, galline!» proruppe Niobe. «È solo un tentativo!» Lachesi rise. Come può essere un tentativo rimanere incinta! E in effetti, col passare dei mesi il tentativo divenne una certezza. Niobe andò a far visita a Pacian diverse volte, e ogni volta era come se venisse aggiunto un altro strato di amore. «Io ti amo veramente, Pacian» disse un giorno. «Devo sposarti.» «Credevo che sarei sempre rimasto un mezzo uomo, da quando ho perso Blanche» disse lui. «Ma credo di non farle alcun torto se ora dico che ti amo almeno quanto ho amato lei. Quand'ero bambino ti adoravo; ora sono un uomo e ho un nuovo motivo per vivere. È come se tu fossi stata risparmiata per il momento della mia vita nel quale avevo più bisogno di te.» Fece una pausa. «Si tratta di una coincidenza?» Niobe scosse il capo. «Io sono un Aspetto del Fato, ma i miei poteri sono limitati. Lachesi si occupa della disposizione dei Fili della Vita che io filo, ma anche il suo potere è limitato. L'interferenza di Satana ha fatto sì che io perdessi il mio amore, e tu il tuo. Ma il Fato non ha mai programmato simili orrori, e ora la Tappezzeria si sta riaggiustando.» «Eppure la profezia...» Sospirò. «Sì, credo che esista una corrente più profonda del Fato, che va oltre la nostra consapevolezza, dalla quale gli indovini traggono le loro profezie. Forse la nostra manipolazione dei Fili della Vita serve solo a ristabilire l'equilibrio interrotto da Satana. Ha ingarbugliato parecchio la ma-
tassa!» «E nostra figlia, e nostra nipote, si batteranno contro quel garbuglio» disse Pacian. «Ma in questo momento, non c'è altro che il nostro amore.» Si baciarono, e iniziò la musica. Pacian aveva ragione; forse la loro prole era destinata a vivere avventure incredibili, ma al momento il loro amore era al di sopra di ogni altra cosa. Con l'avvicinarsi del momento del suo abbandono dell'ufficio, Niobe decise che era necessario che salutasse i suoi amici, le altre Incarnazioni. Decise di andare a trovare la Madre Verde per prima. Questa volta non ebbe alcun problema a raggiungere la Casa della Natura. «Tu sapevi tutto, non è vero?» attaccò subito Niobe. «Hai organizzato tu quella sfida!» «L'amore è uno dei miei Aspetti» ammise Gaea. «Conoscevo il suo cuore e conoscevo il tuo. Ho solo facilitato un processo inevitabile.» «Così non ti abbiamo mai neanche consultata!» «Non direttamente.» «Tu vai per vie traverse, Gaea.» «Detto dal Fato in persona, devo senz'altro considerarlo un complimento.» Si abbracciarono, e Niobe pianse un pochino, quindi si lasciarono. Il viso di Gaea era sereno, ma quando Niobe uscì dalla sua magione, scoprì che stava cadendo una sottile pioggerellina. Anche Gaea stava piangendo. Qualche giorno dopo, nel corso delle sue faccende quotidiane, fece visita a Thanatos. Il Fato lavorava soprattutto con Chronos, ma aveva spesso a che fare anche con Thanatos, poiché i fili andavano terminati oltre che iniziati. «Presto tornerò alla mortalità» gli disse. «Spero che non verrai troppo presto per me e per l'uomo che amo.» Il teschio della Morte sorrise. «Le rimanderò per tutto il tempo che mi permetterà il tuo successore. Chi sarà, a proposito?» «Non lo so. Stiamo facendo una ricerca, ma finora non abbiamo trovato nessuna candidata accettabile di nome Lisa.» «Lisa sarà bella come te?» «Non proprio. Ma certamente ti piacerà.» «Ti invidio, Cloto. Tu puoi tornare alla vita quando vuoi, in maniera volontaria. Io invece verrò assassinato dal mio successore, come io ho assassinato il mio predecessore.» «Ma l'hai mandato in Paradiso, e anche tu finirai lì.» «In effetti ciò mi conforta» ammise Thanatos. Niobe l'abbracciò, per niente schifata dalle sue mani scheletriche, e ba-
ciò il teschio sorridente. Il suo lavoro era un po' macabro, ma era una brava persona. Non era lo stesso che aveva conosciuto all'inizio, ma l'ufficio lo rendeva molto simile. La sua scorta di filo grezzo era quasi finita, quindi decise di andare nel Vuoto per l'ultima volta. Anche questa volta si domandò, come spesso faceva, se quel viaggio mensile potesse essere considerato sostitutivo del ciclo mestruale che era cessato da quando era diventata immortale. Senza dubbio c'erano delle cose che non capiva perfettamente. «Allora hai intenzione di mollare, dolcezza?» disse Satana, apparendole davanti. «Vai all'inferno» rispose Niobe seccamente. «Sei stata una spina nel mio fianco per troppo tempo ormai» continuò lui come se nulla fosse. «Sarà un'ottima perdita, la tua.» «Vai a maledirti da solo.» «Sono sicuro che mi divertirò con il tuo successore, bellezza.» Niobe si fermò. «Come mai ne sei tanto sicuro, Signore delle Mosche? Non è che invece preferiresti che io non me ne andassi?» Satana emise uno sbuffo di fumo. «Ma certo che voglio che te ne vada!» disse. Niobe annuì. «Perché sono destinata a dare vita a una bimba mortale che sarà una vera spina nel fianco per te!» Satana non rispose, come lei si aspettava, con un'esclamazione cinica o blasfema. Assunse invece un atteggiamento stranamente riflessivo. «Vi sono aspetti del destino che forse sono comprensibili solo per Dio» disse. «Le nostre visioni del futuro sono sfuggenti e imperfette. Ho effettuato una lettura su vostra figlia e ho scoperto solo una terribile tempesta di qui a circa quarant'anni di distanza, nella quale lei è coinvolta... e lo sono anch'io. Ma non so che cosa ne risulterà.» Niobe rabbrividì. «E una sposerà la Morte, e l'altra il Male» disse, ricordando nuovamente la profezia. «Ma l'Incarnazione del Male sono Io!» esclamò Satana. «Perché mai dovrei legarmi a una donna mortale?» «Lei diverrà un'Incarnazione.» Satana si girò e prese a camminare su e giù a mezz'aria, con lo sguardo rivolto in basso. In quel momento sembrava quasi un bell'uomo. «E quale donna, sia mortale che Incarnata, si legherebbe a me?» Era una domanda seria. «Solo una donna malvagia.»
«Vuoi dire che darai alla luce una donna malvagia?» «Certo che no!» «Certo che no» assentì Satana. «Poiché tu sei senza dubbio una donna buona, oltre che bellissima. Tua figlia non potrà che opporsi a me. Eppure la profezia...» Era veramente preoccupato! «Satana, a che cosa vuoi arrivare?» Le rivolse uno sguardo senza alcuna traccia di crudeltà o sarcasmo. «Semplicemente questo: nella tua matassa sta per avvenire un ingarbugliamento che nessuno di noi comprende. Io non mi legherei mai a una donna buona, e lei non si legherebbe mai a me. Qualcosa di realmente strano sta bollendo in pentola. Quindi propongo di evitare tutta la faccenda e di continuare ad affrontarci su un terreno convenzionale. Mantieni il tuo ufficio attuale, bellissima donna! Non dare vita a questa figlia.» Niobe era esterrefatta. «Mi stai chiedendo di farti un favore... annullando il compimento del mio amore?» «Credo proprio di sì, Cloto. Posso darti anche un incentivo, se vuoi. Potrei assumere io stesso l'aspetto e il comportamento del tuo...» «Sei pazzo!» Satana sospirò. «No, non sono pazzo, sono solo malvagio. Non ho fatto altro che confermare che nessuna donna perbene mi accetterebbe conoscendo la mia natura, a prescindere da come mi maschero. Tu mi conosci, quindi non faresti mai per me ciò che hai fatto per Chronos.» Niobe lo fissò. «Tu... desideri il mio favore?» «Sì, lo desidero.» Niobe si sentì quasi dispiaciuta per lui. Ma poi ricordò Cedric, e il sentimento si trasformò in rabbia. «Ebbene, non l'avrai mai!» «Lo so bene. Ma gradirei ugualmente che tu mantenessi il tuo ufficio.» «Sai bene anche questo!» «Non lo farai?» «Non lo farò!» Improvvisamente Satana s'illuminò della sua potente rabbia. «Ho tentato di essere ragionevole! Di comportarmi in maniera onesta, anche se mi costa molto! Non sono bravo in questo, lo so, ma ci ho provato. Ora sentirai il peso della mia collera!» «Vai all'Inferno, Satana» ripeté lei con tono tranquillo. «E anche tua figlia soffrirà!» gridò mentre svaniva nel nulla. «Tu e la tua famiglia rimpiangerete questo momento!» Satana scomparve, e Niobe si ritrovò a tremare per la reazione. Che a-
vesse fatto un errore rifiutandosi di trattare con Satana? Le era sembrato stranamente pensieroso, e la sua espressione di desiderio nei suoi confronti le era parsa sincera. Naturalmente Satana poteva avere tutte le donne che voleva e in tutte le forme che gli aggradavano, all'Inferno. Ma per definizione, nessuna di queste era una donna buona. Che gli fosse venuto un debole per il genere opposto? Che ci fosse un po' di bene anche nel Principe del Male? Certo che no! I progetti di Satana erano sempre malvagi, anch'essi per definizione. Se si era opposta a lui, probabilmente aveva fatto bene. Se l'aveva fatto arrabbiare, doveva esserne felice. Stava completando la vendetta che da tanto tempo aveva desiderato di compiere. Però bisognava considerare che Satana era anche molto astuto e tortuoso nelle sue trame. Il Padre della Menzogna sapeva ingannare la gente in maniera molto indiretta. Perché era venuto da lei a chiederle tanto e si era arrabbiato in maniera così evidente davanti al suo rifiuto? Questo poteva suggerire che si trattasse di una recita per portarla a fare esattamente ciò che voleva lui. Scosse il capo. La cosa più sicura era seguire la strada che si era prefissa inizialmente, senza permettere che Satana la influenzasse in alcun modo. Ciò nonostante, la cosa la infastidiva. Ci pensò su mentre concludeva le sue faccende nel Vuoto. Sarebbe forse stata vulnerabile alla rabbia di Satana una volta tornata mortale? E sua figlia? Poi andò a visitare Chronos. Consapevole dell'inversione temporale in cui viveva, formulò con cautela la sua frase di addio: «Salve, Chronos. Sono venuta a presentarmi, poiché nei prossimi due o tre anni lavoreremo assieme. Sono Cloto, Aspetto del Fato.» «Oh, non dirlo!» sbottò il ragazzino. «Tu non sei Lisa!» «Certo che no. Lisa è diventata mortale. Io sono Niobe.» Sorrise. Chronos aveva otto anni, sotto il profilo fisico e anche emotivo, quindi si sciolse come gelato al caldo davanti a quel sorriso. «Cavolo! Certo che sei carina, Obe! Credo che andrai benissimo!» «Credo di sì» assentì lei. «Ti conosco, e so che andremo d'accordo.» Gli accarezzò i capelli. «Ehi, aspetta un attimo!» protestò lui. «Tu vivi in avanti, non all'indietro come me! Tu ci sei già passata!» Niobe sorrise di nuovo, mettendolo in soggezione. «Ragazzino furbetto! Sì, ti conosco molto meglio di quanto tu non conosca me, anche se la cosa cambierà man mano che ti avvicini al mio passato. Ma quando si avvicine-
rà il momento di lasciare e tu avrai paura, io ti aiuterò e ti terrò la mano. Quindi fai il bravo con me, okay?» «Cavolo, è strano vederti arrivare così, che sai già così tanto di me! Lisa era tanto timida e dolce, soprattutto alla fine quando si è dimenticata la mia lingua. Mi mancherà un sacco.» Dimenticata la sua lingua? Com'era possibile? Ma Niobe decise di non discuterne con lui. «Ricorda, amico; l'ho scelta io.» «Già, lo so. Ieri. È stato buffo quando me l'hai portata.» «Cosa c'è di tanto buffo, se ho portato dentro una donna che sapeva fare il suo lavoro?» Chronos la fissò perplesso per un attimo, poi scoppiò a ridere. «È vero! Tu non la conosci ancora! Be', lo scoprirai, Obe!» «Lo scoprirò» disse lei. Lo baciò sulla fronte, si trasformò in ragno, e scomparve. Al giovane Chronos era sempre piaciuto quel trucchetto. La faccenda stava cominciando a diventare strana. Prima l'assurda offerta/minaccia di Satana, poi questa strana reazione di Chronos. Naturalmente Chronos sapeva qualcosa che lei ancora non sapeva. Avevano diligentemente cercato Lisa ma non l'avevano ancora trovata. A un giorno dall'evento. Che cosa sarebbe successo se non riuscivano a trovarla? Si sarebbe forse creato un altro nodo nei fili, causando una nuova distorsione della Tappezzeria? O si sarebbe forse trovata incastrata nel suo ufficio, senza essere in grado di tornare mortale e di sposare Pacian? Che fosse quello il tranello architettato da Satana? No, non poteva essere, poiché lo scambio con Lisa era effettivamente avvenuto, domani. Chronos ricordava, e Chronos non era certo uno strumento di Satana. In realtà non era il caso di preoccuparsi; ciò che doveva essere sarebbe stato, e l'indomani sarebbe tornata mortale. Ma l'indomani venne, e non vi furono Illuminazioni di alcuna sorta. Anche con l'avvicinarsi dell'ora predestinata, non c'era traccia di Lisa. Gli altri due terzi di Niobe erano perplessi almeno quanto lei. «Il filo dev'essere per forza qui nella Tappezzeria» disse Lachesi. «Ma non ci sono segni che lo distinguono dagli altri. È completamente irriconoscibile, finché non lo troviamo fisicamente. Non c'è alcun segnale che lasci pensare che Lisa debba abbandonare la vita ed entrare a far parte del Fato.» «Andrò a salutare Marte» decise Niobe. «Poi verrà l'ora, e vedremo il da farsi.» Scese lungo un filo fino al punto della Terra in cui stava lavorando Mar-
te. Si trovava nella grande città doppia di Budapest, che al momento era lacerata da un conflitto. Enormi carri armati sovietici si muovevano per le strade, e molti edifici stavano bruciando. Niobe atterrò in una strada accanto all'Incarnazione. Anche Marte era cambiato da quando lei era arrivata in Purgatorio. Non sapeva bene quale fosse il meccanismo di successione di quella particolare Incarnazione, ma a quanto pareva il cambiamento avveniva sempre senza preavviso e a intervalli del tutto irregolari. Ma questo era rimasto in carica per diversi anni e le risultava abbastanza simpatico, pur considerando le loro diverse visioni filosofiche. «Marte, sono venuta a salutarti.» Marte si voltò. «Così presto, ragazza? Non ci sarà mai una Cloto più carina di te! Fatti abbracciare!» Niobe si abbandonò al forte abbraccio e lo strinse a sua volta. Aveva avuto alcuni rapporti sporadici con lui, come si addiceva al suo ruolo, e anche Lachesi aveva fatto altrettanto. «Come ti va, guerriero?» Marte mollò la stretta. «Sempre novità! Vedi quella fila di sfollati?» Guardò il punto che aveva indicato. Una colonna apparentemente interminabile di civili piuttosto malandati marciavano in silenzio lungo una strada, diretti a nord. Evidentemente le loro case erano state bombardate o distrutte, e ora cercavano di fuggire verso qualunque salvezza riuscissero a trovare. Poi Marte la prese per le spalle e la girò nella direzione opposta. «E vedi quelli?» Obbediente, Niobe guardò. Un'altra lunga fila di sfollati si stava dirigendo verso sud. «Ma tutt'e due le file stanno andando nella direzione da cui proviene l'altra!» esclamò. «Esatto. E che cosa ne deduci?» «È una tragedia! Significa che non c'è speranza per nessuna delle due!» «Esattamente, ragazza» assentì Marte con tono aspro. «La guerra è un inferno.» Sapeva bene che non era il caso, ma non poté trattenersi. Sfidò la sua logica: «Come puoi incoraggiare una situazione tanto terribile? Quella è gente che vive, che pensa, che prova delle sensazioni, e certamente non ha colpe per quanto riguarda le cause di questa guerra!» Marte, che era sempre pronto alla polemica, rispose senza esitazione: «Ragazza, questa gente è certamente innocente, dal tuo punto di vista. Ma non dal mio! Ha cercato la libertà, e si è rovesciata addosso queste conseguenze!»
«La libertà?» Marte annuì. «La libertà di parlare, di riunirsi, di leggere e di scegliere il proprio lavoro. Si è dimenticata che era una nazione satellite. Quei carri armati sono qui per ricordarglielo.» «E tu approvi tutto ciò?» domandò con tono incredulo. «Ma certo! La libertà è la cosa più preziosa che l'uomo possa ottenere, e il prezzo è conseguentemente alto. Questa gente soffre per provare che è degna di ciò che vuole, e io sono fiero di loro!» «E che mi dici dei carri armati, allora?» «Sono fiero anche di quelli.» «Oh, Marte, sei terribile! Vorrei poter salvare almeno una di quelle povere anime! Marte fece un gesto che comprendeva entrambe le file di sfollati.» «Scegli pure, Cloto.» «Cosa?» «Se devi abbandonare il tuo ufficio nel giro di pochi minuti, puoi farlo scambiandoti con una di questi. Lei, almeno, verrà risparmiata.» Che zoticone! pensò Lachesi. Ma potrebbe essere vero, ribatté Atropo. «Va bene, lo farò!» Niobe s'incamminò lungo la fila diretta a nord e si fermò davanti alla prima donna giovane e sola che vide. Era una ragazza piuttosto carina di circa vent'anni, con capelli lunghi e scuri, e si trascinava dietro una grossa valigia. Fissò Niobe. «Vuoi diventare il Fato?» le domandò Niobe. Gli occhi della donna la fissarono con espressione perplessa. «Vuoi scambiare il posto con me ed essere per sempre libera da tutto questo?» La donna emise alcune parole incomprensibili. Ma certo! pensò Atropo. È ungherese! Marte non parla forse tutte le lingue del mondo? pensò Lachesi. «Vieni!» esclamò Niobe. Prese la donna per mano e la tirò con sé fin dall'altra parte della strada, verso l'Incarnazione della Guerra. La donna sembrava sotto shock per l'orrore della violenza che vedeva tutt'intorno a lei. Forse pensava che Niobe le stesse offrendo un luogo sicuro per la notte. «Marte, diglielo tu» ordinò Niobe. «Dille se vuole fare lo scambio.» Marte parlò alla donna nella sua lingua, facendo gesti in direzione di Niobe. La donna scosse il capo, rifiutandosi di credergli. Poi poco distante
ci fu una detonazione, e un edificio andò a pezzi. La donna cambiò immediatamente idea. Annuì con decisione. «Quando c'è tempesta, qualsiasi porto è buono» tradusse Marte. Toccava ad Atropo occuparsi del cambiamento. Prese possesso del corpo. «Addio, Niobe» disse. «È stato un piacere lavorare con te.» Addio, sorella Aspetto, pensò Niobe, dandole un bacio mentale. Atropo prese la mano della donna e Niobe si ritrovò davanti ad Atropo, separata, nel suo corpo. «Addio, sorelle Aspetti!» esclamò, e come sempre, le lacrime non si risparmiarono. Marte toccò una delle sue tasche e ne tirò fuori un frammento di pietra rossastra. «Prendi questa, Niobe» disse con il suo solito tono aspro. «Viene dal mio pianeta. Ti proteggerà finché non avrai raggiunto la tua destinazione.» Niobe prese la pietra, e aprì la bocca per ringraziarlo. In quel momento vi fu un'altra esplosione, più vicina, che l'accecò momentaneamente e la fece cadere a terra. Quando si rialzò in piedi, sia Marte che il Fato erano scomparsi. Era sola. Privata così improvvisamente dei suoi due Aspetti alternativi, si sentiva nuda e vulnerabile. Loro, e l'Immortalità, non facevano più parte di lei. Le sue lacrime continuarono a sgorgare. Ma non poteva rimanere lì a piangere in quella città dilaniata dalla guerra. Sapeva dov'era diretta. Prese la valigia, e iniziò a camminare. 9 Lune gemelle Grazie al frammento di Marte, riuscì senza problemi ad uscire da Budapest, ad attraversare la Cortina di Ferro e a raggiungere l'Irlanda, dove Pacian la stava aspettando. Si sentiva stanca, sporca ed eccessivamente mortale, ma era pronta a sposarlo. Prima però si consultò con suo figlio il Mago. «Satana ha giurato che avrebbe tormentato me e la mia famiglia» gli disse. «È possibile premunirsi contro questo pericolo?» «Satana è costretto a lavorare in maniera indiretta, attraverso determinati canali» disse lui. «Il mio potere non si avvicina neanche lontanamente al suo, ma posso proteggere tutti noi dalle sue malefatte.» Le diede una pietra di un verde intenso, montata su una catena d'argento. «Indossala sempre, madre, e sarai al sicuro. Provvederò anche per le figlie, quando verranno.»
«Grazie, figlio» gli disse con un sorriso. Lui ora aveva quarant'anni, e lei, fisicamente, ventiquattro. «E uno per Pace» disse Junior, porgendole un'altra pietra. Il matrimonio si celebrò in primavera, e già in estate Niobe si ritrovò incinta. Blenda, moglie del Mago e figlia di Pacian, rimase incinta quella stessa estate dopo cinque anni di matrimonio, per quale coincidenza o trama, questo lo poteva sapere solo Lachesi. Forse Niobe e Blenda andavano spesso a fare lunghe passeggiate assieme, confrontando le loro impressioni, e tuttora sembravano due sorelle, sebbene Blenda, fisicamente, avesse ora cinque anni in più. Quando tornò la primavera, entrambe diedero alla luce una bambina a una settimana di distanza una dall'altra. Niobe chiamò la sua Orb mentre Blenda la chiamò Luna, poiché erano come lune gemelle. Il Mago offrì a entrambe le bimbe una pietra di luna ben lucidata per proteggerle dalle disgrazie. Le due piccine crebbero assieme, ed erano incredibilmente simili, anche considerando il fatto che erano strettamente imparentate. Niobe e Pacian erano gli antenati di entrambe, e la gente che non le conosceva pensava che fossero gemelle. Junior tendeva tuttora a seppellirsi nei suoi studi e Blenda si era ritirata dall'insegnamento per assisterlo, quindi Luna passava parecchio tempo a casa di Niobe. Pacian, che faceva sempre il contadino, si era dato alla riforestazione ricostruendo gradualmente la zona palustre, ma senza rovinarla; era un lavoro complesso che richiedeva lunghe ore. Di conseguenza, chi si occupava delle bambine era soprattutto Niobe. Era un compito che la rendeva felice. Aveva rinunciato al suo primo figlio e ora era ben contenta di colmare quella lacuna allevandone due. Stava ottenendo le sue soddisfazioni di madre con quarant'anni di ritardo. Si procurò una carrozzina doppia per portare le piccole a fare lunghe passeggiate in campagna, e quando furono in grado di camminare per conto loro, iniziò a portarle nelle paludi a vedere gli alberi magici piantati da Pacian. A volte andavano con il tappeto volante di famiglia a visitare il luogo in cui avevano vissuto lei e Cedric. La vecchia casetta di legno era stata sostituita da un moderno bungalow, con tanto di luce elettrica e riscaldamento centrale, ma la vecchia quercia dello stagno era sempre lì. L'amadriade era ormai una ninfa di mezza età, anche se si notava più dal suo modo di fare che dal suo aspetto, ma si ricordò di Niobe quando si presentò, e dopo un po' scese timidamente a giocare con le bambine. Nonostante la nostalgia, Niobe era felice come non era mai stata. Tuttavia si ac-
certava sempre che le bimbe portassero con sé le loro pietre di luna, poiché Satana poteva essere in agguato in attesa di una possibilità per combinare qualche malefatta. Presto le bambine raggiunsero l'età scolastica, e Niobe le portò assieme a iscriversi a scuola. Dovette discutere animatamente con i funzionari della direzione, in quanto questi non volevano accettare il fatto che due bambine così simili che si chiamavano entrambe Kaftan di cognome non fossero sorelle. «Orb è la mia, mentre Luna è figlia di mio figlio» cercò di spiegare. Quelli la fissarono allibiti, poiché fisicamente dimostrava trent'anni. Le bambine erano entrambe brillanti quanto belle. Il sangue della famiglia di Niobe aveva dato loro la bellezza, e quello dei Kaftan l'intelligenza. Era più una questione genetica che una questione di merito, ma Niobe era ugualmente molto fiera e orgogliosa di loro. Con il passare degli anni, le bambine iniziarono a differenziarsi. Si vestivano e si acconciavano i capelli in maniera diversa; una si vestiva di rosa e l'altra di verde, e poi si scambiavano i colori. Una si faceva crescere i capelli, mentre l'altra li teneva corti, e poi si scambiavano anche in questo. I capelli di Luna avevano il colore del miele di trifoglio, come quelli di sua madre, e i suoi occhi erano grigio perla. I capelli di Orb invece erano del color miele del grano saraceno, come quelli di Niobe, e i suoi occhi erano azzurro chiaro. Ma se volevano, potevano risultare molto simili. Luna mostrò un certo interesse per le arti figurative, mentre Orb si appassionò alla musica. Luna mostrò subito un grande talento nella pittura, iniziando con i pastelli per passare poi al carboncino e quindi alla pittura ad olio; i suoi lavori venivano puntualmente esposti a ogni mostra scolastica. Orb iniziò con la chitarra per poi passare al pianoforte, e infine si fermò sull'arpa. Aveva un notevole talento, e a dieci anni diede un concerto nel quale eseguì La Canzone del Pastore. Niobe rimase allibita nel sentirla, poiché la sua musica era incredibilmente simile alla musica magica che le avevano cantato suo padre e suo nonno. Aveva la magia, e anche più sviluppata, poiché andava anche oltre il contatto fisico per coloro che le stavano vicini e ascoltavano attentamente. Il pubblico, pur non recependo la parte magica della sua musica, rimase ugualmente rapito dalla sua abilità e applaudì con grande entusiasmo. All'età di dodici anni, entrambe le ragazze erano belle quasi come le loro madri, e i loro talenti erano ormai una realtà di fatto. «È ora che si procurino degli strumenti più adeguati» disse un giorno Pacian. E assieme a Niobe, andò a trovare il Mago.
«Gli strumenti esistono» disse il Mago. «Ma devono essere vinti. Si trovano in una stanza adiacente alla Sala del Re della Montagna. Il Re dorme, ma un tentativo di furto lo sveglierebbe, e se si sveglia sono dolori.» «Non voglio mandarle a rubare!» protestò Niobe. «Sono ragazze oneste!» Il Mago fece un sorriso tollerante. «Certamente, madre. Ma devi capire la natura intima del Re della Montagna. Darà liberamente qualsiasi strumento a qualsiasi persona che egli ritenga degna del suddetto strumento; solo che ciò che lui considera una persona degna, per noi può essere un ladro.» «Ma è assurdo!» «Non proprio, madre» spiegò lui con pazienza. «La persona che riesce a conquistare il suo strumento se lo merita; quella che non ci riesce, ma ci prova ugualmente, è un ladro.» «Allora ci sono delle prove... è una specie di esame?» «Una serie di tre sfide solo per entrare» disse. «Poi una dimostrazione di abilità con lo strumento specifico.» «Sfide?» Non le piaceva molto il suono di quella parola, soprattutto per delle ragazzine di dodici anni. «La Sala si trova nel profondo della montagna, naturalmente. Ci sono baratri, trappole, mostri... la solita roba, insomma. Ordinaria amministrazione.» «Ordinaria amministrazione! Non ho nessuna intenzione di mandare mia figlia o tua figlia a un simile massacro! Hanno solamente...» «Dodici anni» finì Junior per lei. «Madre, le sfide sono solo illusioni. Non c'è alcun pericolo, finché una persona non degna o meritevole non tenta di rubare ugualmente lo strumento.» Ora iniziava a capire. «In pratica fanno il percorso, e se riescono a passarlo senza fare errori, possono tentare di guadagnarsi il premio?» «Esattamente. E se invece fanno un errore, non devono far altro che andarsene immediatamente, senza svegliare il Re. Si arrabbia molto quando lo svegliano.» «Quindi se si procede dopo aver fatto un errore, lui si sveglia?» «Appunto. Non è una cosa molto saggia da fare.» Niobe rifletté. «E che cosa accadrebbe esattamente se si dovesse svegliare?» «Farebbe diventare le sfide reali.» «Trappole vere, invece che illusorie?»
«Esattamente, madre» disse il Mago con quella calma che di solito assume una persona di normale intelligenza quando ha a che fare con una d'intelletto limitato. «E se quella persona tenta di rubare...» «Allora... non che le nostre ragazze farebbero mai una cosa del genere, ma...» «In quel caso il Re della Montagna interverrebbe di persona. E io non sono in grado di proteggerle nella Sala del Re, poiché in quel posto lui è onnipotente. Le pietre di luna le proteggono dal Male, ma il Re della Montagna non è malvagio, è solo duro. Comunque, non dovrebbero mai arrivare a tanto.» «Non permetterei mai che vengano sottoposte a un simile rischio!» Il Mago scrollò le spalle. «Perché non vai con loro? Così almeno sarai sicura che non commettano sciocchezze. Il Re della Montagna è una brava persona; non infastidisce chi segue le sue regole.» «Posso farlo? Partecipare alle sfide assieme a loro?» «Ma certo che puoi, madre!» esclamò, come se l'intelligenza di Niobe fosse risultata addirittura al di sotto delle sue aspettative già modeste. «Il Re non è pignolo per quanto riguarda i dettagli. Le porterei io stesso, ma il Re non tollererebbe la mia presenza. Sai, fra magie rivali...» «E gli strumenti sono buoni?» «I migliori che ci siano, madre» la rassicurò con tono paziente. «Frutto della tecnologia più avanzata.» Niobe sospirò. «Allora lo farò.» Così, le portò alla montagna. Niobe parcheggiò la macchina accanto all'enorme cartello: RE DELLA MONTAGNA, SALA ANNESSA. Entrarono nell'apertura indicata, che assomigliava a una grotta incastonata di gioielli. Le ragazze erano emozionate e nervose. Avevano sentito raccontare molte storie sulle nefande sale del Re della Montagna, ma non avevano mai pensato di visitarle personalmente. Avevano anche espresso il desiderio di vestirsi in modo elegante, ma Niobe aveva insistito affinché indossassero jeans e scarpe da ginnastica. «Non è una sfilata di moda!» aveva detto loro. All'interno c'erano due cartelli con tanto di freccia: TURISTI-SFIDE. Presero la direzione indicata dalla seconda freccia. Il passaggio sbucava in un'ampia grotta con il pavimento cosparso di pietre. Una linea gialla dipinta serpeggiava tra le pietre disseminate sul terreno e si perdeva dall'altra parte dell'ampia sala. Accanto a loro era par-
cheggiata una serie di motociclette sotto un grosso cartello con la scritta ISTRUZIONI. Niobe si avvicinò al cartello, sul quale erano stampate le regole e le condizioni della sfida. Niobe le lesse, quindi emise un fischio modulato. «Ehi, è una vera e propria sfida!» Le ragazze lessero il cartello a loro volta. «Mamma, non possiamo fare una cosa del genere!» protestò Orb. «Devo ammettere che non piace neanche a me» disse Niobe. «Ma ricordate: i pericoli non sono reali. Sono solo illusioni.» La sfida consisteva nel guidare la motocicletta lungo la linea gialla, che era l'unica rotta sicura per attraversare quello che in realtà era un campo minato. Dato che si trattava della prima sfida, era ammesso un errore. Essendo solo illusioni, le mine si sarebbero limitate ad emettere un lampo di luce nel caso che qualcuno vi fosse passato sopra, invece di dilaniarlo. «Molto gentile da parte del Re della Montagna» mormorò Niobe con una certa ironia. «Ma se ne facciamo saltare due» disse Luna «non potremo più ottenere i nostri strumenti?» «Esatto, cara. Se dovessimo tentare di prendere qualcosa dopo aver fallito la sfida, le mine diventerebbero vere.» Doveva ammettere che si trattava di un ottimo sistema di selezione. Coloro che erano in grado di superare le sfide non avevano problemi, e quelli che invece non lo erano sarebbero stati dei pazzi completi a far scattare le trappole ora non più illusorie. Il re della Montagna giocava un gioco duro ma onesto. «Oooooh» mormorò Orb a bassa voce. Era la più sensibile fra le due, quella che si eccitava o si deprimeva più in fretta, e che si arrabbiava o perdonava con maggiore facilità. «Ma se giochiamo seguendo le regole, non abbiamo nulla da temere.» «Esatto. E questa è anche una buona regola per la vita.» Niobe osservò le motociclette, e il campo minato, e la linea gialla serpeggiante. Quanto poteva essere il margine di tolleranza ai lati della linea? E poi le ragazze... avevano appena imparato ad andare in bicicletta... Certamente quella sfida era troppo per loro! «Sarà meglio che vi porti io, una per volta» decise infine. «Sulla moto più grande ci staremo tranquillamente in due.» Tirò fuori la moto più grande, l'accese sperando che la caverna fosse abbastanza grande da non farle intossicare con i fumi di scarico, e fece un paio di giretti lungo un lato della grotta, per abituarsi. Era evidente che il Re
della Montagna aveva programmato le sue sfide per gli uomini, e non per una donna con due bambine. Quando fu soddisfatta, Niobe fece salire Orb sul sellino dietro di lei, quindi fece un altro giro lungo il fianco della parete. «Ora devi spostare il peso come faccio io quando giriamo» le disse. «L'equilibrio deve essere sempre uguale, come con la bicicletta.» «Sì, mamma.» «Luna, tu hai un buon occhio per la profondità. Guardaci attentamente, e avvertimi se ti sembra che stia sbagliando una curva.» «Sì, nonna.» In privato, le ragazze amavano scherzare con i loro veri rapporti di parentela; in pubblico invece preferivano considerarsi cugine. Niobe si fece coraggio e partì lungo la linea. La prima curva andò bene, ma quando affrontò la seconda in senso opposto Orb si confuse e spostò il peso dalla parte sbagliata. Si corresse subito, ma ormai erano uscite dalla linea. Toccarono una mina, e un lampo intensissimo le accecò entrambe. «Non vedo niente!» esclamò Niobe. «Neanch'io!» gridò Orb. La moto oscillò mentre Niobe tentava di proseguire a memoria. Sapeva di non avere speranza; quando avesse ricominciato a vederci, si sarebbe trovata in mezzo alle mine, e definitivamente squalificata. A meno che... «Luna!» gridò. «Ci vedi?» «Sì» rispose pronta Luna. «Stai andando troppo a destra.» «Dirigimi!» Luna era una ragazzina furba e con la testa sulle spalle. Capì al volo ciò che doveva fare. «Svolta a sinistra.» Niobe ubbidì, mantenendo una certa velocità per non far oscillare la moto. «Ora a destra, lentamente» disse Luna. «Ancora un po'... giusto. Ora dritta. Fra poco curva a gomito a sinistra... gira quando te lo dico, di colpo. Pronta... gira!» Niobe e Orb spostarono il peso a sinistra, e fecero una curva secca. «Ora dritta, un pochino a destra... sì, ora una curva a esse, destra e sinistra, non troppo... più a destra... ora a sinistra... di più... così, e ora ancora a destra. Adesso dritta; ci sei quasi.» Riuscirono ad attraversare il campo senza far scattare altre mine. Niobe parcheggiò la moto, attese alcuni minuti che le si chiarisse bene la vista, quindi rifece il percorso a ritroso da sola per prendere Luna. «Hai fatto un gran bel lavoro» le disse. «Grazie alle tue indicazioni abbiamo ancora la possibilità di vincere questa sfida.» La bambina divenne
tutta rossa di piacere. La seconda traversata fu più tranquilla; la vista di nuovo chiara e l'esperienza del viaggio precedente resero le cose molto più facili. Parcheggiarono la moto e s'incamminarono nel passaggio che portava alla seconda sfida. Si trovarono davanti un fiume sotterraneo, ampio e profondo, con un cancello che passava per il lungo al centro esatto del fiume, impedendone l'attraversamento. Anche qui c'era un cartello di spiegazioni. «Questa è una sezione del fiume Lete» lesse Niobe ad alta voce. «Una goccia della sua acqua ingerita fa perdere la memoria per un momento; una boccata la fa perdere per un'ora. L'acqua negli occhi fa invece dimenticare l'uso della vista. Attenzione al mostro letale che pattuglia il fiume a intervalli irregolari.» «Che buffo!» esclamò Orb. «Il mostro letale che nuota nel Lete!» «Non è per niente buffo, se ti prende» le ricordò Luna. «Dovremo attraversare a nuoto» disse Niobe. «Il problema è la barriera centrale; dovremo passarci sotto. Questo significa che dovrete chiudere gli occhi molto forte. Sarà meglio che lo facciamo una alla volta, così le altre guarderanno cosa c'è in acqua.» «Ma... i nostri vestiti!» protestò Orb. «Hai ragione. Dovremo lasciarli qui. Non vogliamo certo portarci in giro l'acqua del Lete! E poi i vestiti bagnati non sono affatto comodi.» «Ma non abbiamo i costumi da bagno!» si lamentò Luna. Niobe la fissò. «Mia cara, tra breve sarai ben fiera di posare nuda. In alcune occasioni la pudicizia si può anche mettere da parte, e questa è una di quelle occasioni. Siamo tutte della famiglia, siamo tutte donne, e il Re della Montagna sta dormendo. Nessuno ci vedrà. Oserei dire che probabilmente anche questo fa parte della sua sfida; abbiamo il coraggio di entrare nude nella sua dimora? E ricordate; il pericolo è solo un'illusione; se beviamo l'acqua non dimenticheremo nulla, saremo solo squalificate e dovremo abbandonare la sfida. La vera prova è la pudicizia.» Con questo Niobe iniziò a svestirsi, piegando accuratamente i suoi abiti e appoggiandoli in un punto lontano dall'acqua. Luna scrollò le spalle e segui il suo esempio, senza fare troppo la schizzinosa. Dopo un po' anche Orb l'imitò, anche se era evidente che non si sentiva molto a suo agio. Erano entrambe nella fase dello sviluppo, non più bambine ma non ancora donne, e di conseguenza erano comprensibilmente timide per quanto riguardava l'esposizione delle loro parti intime. Il Re
della Montagna stava sottoponendo gli sfidanti a una prova più varia di quanto non avessero previsto. «Ora possiamo nuotare a cagnolino fino alla barriera» disse Niobe. «Subito dopo il passaggio del mostro. Chi va per prima?» Orb scrollò le spalle. «Ci provo io. Se il mostro torna indietro, voi gridate.» Attesero il passaggio del mostro letale, che apparve poco dopo: era una massa globulare gelatinosa che sembrava essersi dimenticata la sua forma originale. «Ooh, ugh!» esclamò Orb. «È solo un'illusione» le ricordò con voce sicura Niobe. «Ma non farti prendere. E ora vai!» E diede una sculacciata al sedere nudo di sua figlia. Un po' in apprensione, Orb entrò nell'acqua e iniziò a nuotare a cagnolino, indirizzando occhiate cariche di nervosismo in direzione del mostro. «E ricorda, non guardare!» le gridò Niobe. «Quando vieni fuori oltre il cancello, tieni gli occhi chiusi finché non sei sicura di essere arrivata dall'altra parte.» Orb annuì, prese fiato, strinse forte gli occhi e si tuffò sotto. Entrambe le ragazze erano ottime nuotatrici; era solo la natura della sfida che rendeva goffa la loro nuotata. Poco dopo Orb riapparve dall'altra parte della rete, con gli occhi e la bocca sempre serrati, e riprese a nuotare, nella direzione sbagliata. Stava seguendo la corrente invece di attraversare. «Hai sbagliato direzione!» gridò Niobe. «Girati!» La ragazza, sempre con gli occhi chiusi, non capì bene. Si girò e iniziò a nuotare controcorrente, facendo ben pochi progressi. «Sta tornando il mostro!» sussurrò allora Luna. «Non riuscirà mai a evitarlo!» esclamò Niobe in tono preoccupato. «Vado a prenderla!» Scivolò nell'acqua e nuotò alla velocità massima che poteva raggiungere senza fare spruzzi. Fortunatamente il mostro era lento, e lo batté sul tempo. Lei chiuse la bocca e gli occhi e si tuffò, trovando a tastoni la parte inferiore della barriera e poi spingendosi in su. Poi si diresse verso la superficie nella direzione in cui immaginava si trovasse Orb. Uscì in superficie, con i capelli che gocciolavano... e non osò aprire gli occhi. «A sinistra!» le gridò Luna. Niobe si buttò a sinistra, e incontrò un braccio di Orb. «Il mostro vi blocca il passaggio verso riva!» gridò Luna. «Non potete attraversare! Vi sta venendo addosso!» «Di qui!» ordinò Niobe a Orb. «Verso la barriera!» Nuotò su un fianco, trascinandosi dietro la bambina con l'altra mano. Incontrò la rete. «Arrampicati, non c'è bisogno di guardare!»
Senza dire una parola, la bambina ubbidì. Niobe attese che avesse una presa ben salda, quindi la lasciò andare e si arrampicò a sua volta. Una volta fuori dall'acqua si asciugò bene gli occhi con il dorso della mano, e ne aprì uno. Orb era al suo fianco, e si stava arrampicando su per la barriera con gli occhi ancora ben chiusi. Il mostro era sotto di loro, e le stava cercando. I piccoli tentacoli sondavano tutto intorno. «Siamo quassù, mostro idiota!» urlò Niobe. Il mostro la sentì e cercò di allungarsi, ma era di una sostanza troppo molle per sostenerlo. Non poteva uscire dall'acqua con nessuna parte del suo corpo. Dopo un po' si arrese e si lasciò andare alla corrente. «Benissimo» disse Niobe. «Orb, asciugati gli occhi e scendi, che ci facciamo a nuoto la seconda metà.» Così fecero. Poi attraversò Luna, che con l'aiuto delle istruzioni gridate da Niobe riuscì ad attraversare senza problemi. Avevano superato la seconda sfida. Nude, procedettero per la terza. Questa incuteva un certo timore: si trattava di un baratro profondissimo e buio, attraversato da uno stretto ponte di corde. Avrebbero dovuto attraversarlo camminando in piedi o carponi. Anche qui c'era un cartello, che diceva semplicemente: ATTENTI AL PIPISTRELLO VAMPIRO. Non c'era bisogno di ulteriori delucidazioni. Era evidente che un morso del pipistrello le avrebbe squalificate immediatamente, e che il pipistrello avrebbe attaccato chiunque si trovasse sul ponte. Ma un altro cartello le informò che si potevano usare delle bacchette magiche per allontanare il pipistrello. E infatti, su una piccola rastrelliera c'erano tre bacchette magiche. Una per ciascuna. Ottimo! Che si trattasse di una coincidenza? Niobe non si fidava completamente, ma non vide altre alternative; bisognava procedere. Avevano già percorso due terzi della strada, e sarebbe stato un peccato abbandonare proprio ora. Orb si avvicinò al baratro, guardò giù e rabbrividì. «Io non credo di poter...» «Sciocchezze» disse Niobe, sebbene lei stessa trovasse quantomeno inquietante quella profondità. «Ricordate, è un'illusione. Se perdete l'equilibrio non vi farete male, verrete solo squalificate.» «Oh, sì!» disse Orb, illuminandosi. «È solo un pavimento piatto, come quello del campo minato, e il ponte è come la linea gialla.» «Ma faremo ugualmente attenzione» disse Niobe. «Vado io per prima» si offrì volontaria Luna. Prese una bacchetta, la
strinse forte con la mano destra, e si avventurò sul ponte. Il ponte si abbassò oscillando sotto il suo peso, cosa che lei non si era aspettata, ma mantenne l'equilibrio e proseguì. «Oh, come balla!» esclamò mentre si avvicinava al centro del baratro. E infatti il ponte oscillava parecchio, a destra e a sinistra, come un pendolo. «Compensa con il peso!» le urlò Niobe. «Va tutto bene! Luna ubbidì, e continuò la traversata. Ma a metà ponte apparve il pipistrello.» Era un essere enorme e orrendo, e fissò la sua preda con occhietti rossi e brillanti. Le sue ali nere erano larghe almeno un metro. Si avvicinò, e l'aria mossa dalle possenti ali scompigliò i capelli di Luna, mettendola a disagio. «Allontanalo con la bacchetta!» gridò Niobe. «Rimani lì, mantieni l'equilibrio, e puntagli addosso la bacchetta.» Luna ci provò, ma ormai si era innervosita parecchio. Il pipistrello le andò addosso, lei gli puntò la bacchetta facendogli deviare la rotta, ma perse anche l'equilibrio e iniziò a cadere. «Aggrappati al ponte!» gridò Niobe. Luna mollò la bacchetta e si aggrappò al ponte con entrambe le mani, stringendolo a sé. La bacchetta cadde giù nel baratro, girando su se stessa nel vuoto, e atterrò dopo parecchio tempo. Alla faccia dell'illusione! Il pipistrello, vedendo che la bambina non poteva difendersi in quelle condizioni, virò e tornò alla carica. Niobe si mise a correre sul ponte. Grazie alla sua lunga esperienza con i fili del Fato era piuttosto competente, e non si preoccupò affatto di perdere l'equilibrio o di cadere. Arrivò giusto in tempo per tuffarsi addosso al pipistrello, infilando la punta della bacchetta nel suo corpo peloso. Il corpo del pipistrello non oppose resistenza; la bacchetta gli passò attraverso. L'animale emise un grido quasi udibile e si allontanò, apparentemente ferito. «Alzati e attraversa» ordinò Niobe in tono perentorio. «Non posso!» esclamò Luna. Era in lacrime. Era una bambina molto ragionevole e intelligente, ma aveva solo dodici anni. «Allora striscia! Ti proteggerò io.» Luna si mise carponi e iniziò a procedere sulle mani e sulle ginocchia, mentre Niobe rimaneva a tener d'occhio il pipistrello. La creatura tentò un altro passaggio, vide la posizione agguerrita di Niobe con la bacchetta in mano, e decise di stare alla larga. Nel frattempo Luna aveva raggiunto l'altro lato ed era di nuovo in piedi. «Ora tocca a te, Orb» chiamò Niobe. «Ce la fai da sola, o è meglio se vengo a prenderti?»
Orb guardò il ponte che oscillava, poi il pipistrello che solcava l'aria, in attesa. «Forse... forse è meglio se vieni tu.» Niobe tornò sui suoi passi, tenendo lontano il pipistrello solo con lo sguardo. Ormai l'animale aveva imparato la differenza fra una bambina spaventata e una donna agguerrita. «Va bene, cammina davanti a me. Io ti proteggerò le spalle. Guarda sempre Luna dall'altra parte e mantieni l'equilibrio. Non è difficile.» «Come fai a essere così coraggiosa?» domandò la bambina, messa in soggezione. «Sono una mamma. Viene automatico quando assumi quest'ufficio.» Era una battuta buttata lì, ma Orb la prese sul serio. «Avere dei figli rende coraggiosi?» «Quando muori per proteggere qualcosa, non si tratta più di coraggio» spiegò Niobe. «Sai quello che devi fare, e non ti puoi permettere di aver paura.» Continuarono la traversata. Il pipistrello le attaccò, e Orb raggelò di terrore. «Via!» urlò Niobe al pipistrello. «O ti infilo questa bacchetta in gola, maledetto cervello da topo!» Il pipistrello si impennò nell'aria e fuggì. Anche le Illusioni avevano paura! «Come mai ha paura di te?» domandò Orb, stupita. «Perché dicevo sul serio» rispose Niobe. «Gliel'avrei davvero cacciata in gola se ti attaccava, e lui lo sa.» «Oh, mamma!» «Avrebbe fatto lo stesso qualsiasi genitore. Anche tu sarai così quando diventerai madre.» Quando ebbero attraversato, Luna scosse il capo. «Hai dovuto salvarci tu ogni volta, nonna. Non ce l'avremmo mai fatta da sole.» «È stato uno sforzo congiunto. Ma credo che gli strumenti dovrete guadagnarveli da sole.» Camminarono fino alla sala successiva, dove non videro altro che due bacheche. In una c'era un pennello con il manico d'argento, e nell'altra un'arpa d'oro in miniatura. «Eccoci» disse Niobe. «Quelli sono i vostri strumenti.» «Ma...» disse Luna. «Come...» Niobe si guardò attorno. Non c'era alcun cartello di istruzioni. «Credo che dovrete scoprirlo da sole.» Luna scrollò le spalle. Si avvicinò alla bacheca, l'aprì e prese il pennello
in mano. L'impugnò, lo passò nell'aria... e il pennello lasciò una macchia gialla a mezz'aria, priva di sostegno. Sorpresa, mosse nuovamente il pennello, tracciando una X sopra la macchia gialla. Una grande X nera apparve nell'aria. «Crea i colori dal pensiero!» esclamò Luna felice e meravigliata. Si mise al lavoro seriamente, cancellando la macchia e la X con rapide pennellate, quindi si dedicò a un ritratto di Niobe. Pur essendo giovane, Luna era piuttosto brava, e il risultato finale fu veramente molto somigliante all'originale. Niobe non aveva mai visto la ragazza dipingere con tanta abilità e velocità. Naturalmente non era entusiasta dell'idea di essere ritratta nuda a trentasei anni; aveva messo su un po' di chili e non era più la donna più bella che ci fosse. E le smagliature del parto di Orb non aiutavano di certo. Ma non era il caso di protestare; voleva che Luna dipingesse abbastanza bene da vincere il pennello. Era evidente che si trattava dello strumento ideale. Alla fine Luna aggiunse al ritratto un alone soffuso quasi incolore. «Cos'è quello?» le domandò Niobe. «La tua aurea» rispose Luna. «La mia...?» «La vedo, quindi la dipingo.» Niobe tacque. Se la ragazza aveva detto la verità, aveva molto più talento di quanto non avesse immaginato. Poi Luna si fermò e fece un passo indietro. «Ecco» disse. Aveva aggiunto un'enorme conchiglia che racchiudeva in parte la figura. «Nonna nuda nella conchiglia.» «Per l'amor di Dio!» esclamò Niobe un po' seccata. Orb emise una risatina. Poi l'immagine nell'aria si mosse. S'inclinò, vi apparve attorno una cornice, e il quadro entrò nella bacheca. Lo sportello di vetro si chiuse. «Credo che sia stato accettato» disse Niobe. «Hai vinto il tuo pennello.» «Oh, che bello!» esclamò Luna. «Grazie, Re della Montagna! Lo userò sempre! È il pennello più bello che abbia mai sognato di avere!» Ora toccava a Orb. Aprì lo sportello e tirò fuori l'arpa d'oro. Era piccola, ma foggiata in maniera squisita; certamente si trattava dello strumento migliore nel suo genere. La ragazza si sedette sul pavimento a gambe incrociate, appoggiò l'arpa tra le ginocchia per tenerla ferma e sfiorò le corde con le dita. «Oh, è proprio magica!» esclamò. «Con questa sì che posso suonare!»
Fece una pausa, pensando a una canzone. Poi iniziò improvvisamente a cantare, accompagnando la sua voce con l'arpa. Voglio danzare nelle paludi... Niobe rimase allibita. Non sapeva che Orb conoscesse quella canzone; doveva averla imparata a scuola. La stava eseguendo molto bene, e l'arpa amplificava sia il suono che la sua magia naturale, creando un'orchestra di sottofondo forte, limpida e stereofonica. Dodici anni! Come avrebbe suonato e cantato e proiettato la sua magia una volta raggiunta la completa padronanza dello strumento? Sicuramente quanto bastava per diventare una professionista, se voleva. «Sì, piangerò, le mie lacrime tutte, quando le paludi saranno asciutte» concluse Orb con un inchino. Le sue guance erano bagnate di lacrime, né più né meno che quelle di Niobe e di Luna. Era stata un'esecuzione realmente splendida! Poi la canzone risuonò nuovamente, ma Orb non stava né cantando né suonando. Lo stava facendo la bacheca. La canzone era stata registrata, con tanto di orchestra magica e tutto il resto! La canzone terminò, e lo sportello della bacheca si chiuse. Orb aveva vinto la sua arpa. «È fatta» disse Niobe, felice. «Ora possiamo tornare a casa.» Tornarono sui loro passi. La grotta del pipistrello era sparita e al suo posto c'era un semplice pavimento appena concavo sul quale era sospeso il ponte di corde a una quarantina di centimetri d'altezza; il pipistrello non era altro che un'immagine proiettata. La bacchetta di Luna era per terra; la lunga caduta era stata solo un'illusione. Non avevano corso alcun pericolo. «E pensare che l'ho attraversato a quattro zampe!» mormorò Luna in tono dimesso. «Come sfida era valida» disse Niobe raccattando la bacchetta e rimettendola al suo posto nella rastrelliera. «Vedi però che le illusioni possono far male, come quando siamo rimaste accecate. Anche la vita è così; l'irreale può diventare importante quanto il reale, e a volte lo diventa effettivamente.» Stava coscientemente cercando d'insegnare qualcosa alle ragazze, dato che tra breve sarebbero entrate nell'arena della consapevolezza sociale e sessuale, dove indubbiamente le trappole erano di natura percettiva. Attraversarono la sala senza usare il ponte, e s'infilarono nel tunnel che
portava alla sala successiva. Qui non era cambiato nulla; c'era veramente il fiume con la sua barriera. «Che sollievo» disse Luna. «Mi scoccerebbe pensare che mi sono spogliata per nuotare in un'acqua che non esisteva.» «Ma ora è solo acqua» disse Orb prendendone una manciata e sorseggiando. «E non c'è il mostro bubbone.» Entrarono in acqua, e le ragazze tennero i loro strumenti ben alti fino alla barriera. Vi fu un momentaneo sprazzo di luce, poi Orb si tuffò e riemerse dalla parte opposta. Inspirò profondamente, e cacciò un grido. Niobe si fermò davanti alla barriera. «Cosa c'è, cara?» domandò, allarmata. «Non ci vedo!» gridò Orb. «Sono cieca! Sono cieca!» si dimenò, lasciando cadere l'arpa, che andò a fondo. «Aspetta cara!» gridò Niobe. «Tranquillizzati! Non è possibile che...» «Dove sono?» pianse Orb, continuando a dimenarsi. «Come sono arrivata qui? Perché non ci vedo?» Niobe scambiò uno sguardo con Luna, la cui bocca si spalancò di stupore. «Il Lete!» sussurrò la bambina. «L'hanno riacceso!» «E questa volta è vero!» esclamò Niobe. «C'è qualcosa che non va!» In quel momento apparve il mostro letale, che si mosse lentamente verso Orb. «Esci subito!» gridò Niobe a Luna. «La salvo io!» Prese fiato, chiuse gli occhi, e si tuffò sotto la barriera. Riuscì a individuare Orb grazie al rumore del suo agitarsi. La prese, e usò la tecnica del bagnino per tirarsela dietro. Niobe sperò che il suo senso d'orientamento non la stesse tradendo, e di dirigersi effettivamente verso la sponda opposta. Non osava aprire gli occhi o tentare di dire qualcosa a sua figlia, per non rischiare ulteriori contatti con l'acqua. Non aveva idea di dove potesse essere il mostro; non poteva far altro che continuare a nuotare. Infine ce la fece. Trovò la sponda e vi scaricò Orb. Si asciugò gli occhi, quindi scosse la ragazza, tenendola per le spalle. «Stai ferma, Orb! Hai bevuto un po' d'acqua del Lete, quindi non puoi vedere o ricordare, ma è solo un effetto temporaneo. Fra poco vedrai e ricorderai tutto. Ora rilassati. Rilassati!» Lentamente, la ragazza si calmò. «Oh, mamma!» esclamò, stringendo Niobe. «Ho tanta paura!» Quindi ricordava i rapporti basilari. Probabilmente aveva dimenticato solo gli eventi più recenti. «Passerà» la rassicurò Niobe. «Non sei ferita,
sei solo indisposta per qualche minuto. Stai qui seduta e non ti muovere.» Poi volse lo sguardo dall'altra parte del fiume, dove Luna era ancora in piedi. «Tutto bene, Luna?» «Tutto bene» rispose la ragazza. «Che faccio, attraverso?» Niobe rifletté un attimo. «No. Vai all'altra caverna e vedi se anche quella è stata riattivata. Ma non attraversarla!» «Non oserei mai» ribatté Luna con tono serio. Scomparve nel tunnel. Le lacrime di Orb sembrarono contribuire a far sparire l'incantesimo dai suoi occhi. «Mamma, inizio a vederci qualcosa!» «Certo, cara» disse Niobe esprimendo una fiducia maggiore di quella che provava. «Abbi un po' di pazienza, e fra poco tornerai alla normalità.» Dopo un periodo che sembrò molto più lungo di quanto non fosse effettivamente,Luna tornò. «È di nuovo in funzione» riferì. «Mi sono inginocchiata sul bordo e ho abbassato una mano, ma non ho sentito il pavimento. Poi ho visto il pipistrello, e sono scappata.» Come poteva diventare reale l'illusione di un baratro? si domandò Niobe. Un dislivello di quaranta centimetri non poteva trasformarsi in uno strapiombo di cento metri. Eppure era sicura che ora il baratro c'era. La magia del Re della Montagna non era un'illusione! «Allora sarà meglio che attraversi» decise Niobe. «Per te che lo sai sarà più facile che per Orb, e credo che il campo minato non sarà una gran complicazione.» «Cos'è successo?» domandò Orb mentre Luna attraversava. Evidentemente la sua memoria non ricordava gli ultimi minuti. «Stavamo attraversando il fiume quando si è riattivata la magia» disse Niobe. «Non so perché. È come se fossimo improvvisamente diventate ladre invece che degni vincitori.» «Ma noi non siamo ladre!» protestò Orb. «Certo che no!» Ma poi le venne in mente qualcosa. «Ma magari c'è un ladro da qualche parte, che ha fatto scattare le trappole, e noi ci siamo rimaste incastrate dentro.» «Ma non abbiamo visto nessun altro!» «Vero.» Niobe sospirò; le era sembrata un'ottima spiegazione. Poi le venne in mente un'altra possibilità. «Forse qualcuno ha tentato di attraversare la prima sala, ha fatto saltare una mina e ha voluto ugualmente proseguire. Questo spiegherebbe tutto.» Luna emerse dall'acqua. «L'ho presa!» esclamò, brandendo l'arpa. «L'ho cercata sul fondo, e l'ho trovata subito!»
«Oh, grazie Falena!» esclamò Orb. «Di niente, Pupilla» rispose Luna con un sorriso mentre le porgeva l'arpa. Niobe rimase un po' stupita; non aveva mai sentito quei nomignoli prima. Si domandò quanta dell'attività dei bambini potesse sfuggire all'adulto poco attento. Si rivestirono e procedettero con cautela fino alla sala delle mine, aspettandosi di incontrare qualche ladro. Non c'era nessuno. La caverna era vuota. Provarono a lanciare un sasso al centro, e chiusero gli occhi. L'esplosione fu terribile. Fece tremare tutta la caverna, e diversi sassi caddero dal soffitto. Senza dubbio anche questa grotta era stata attivata, e ora le mine erano reali. Niobe osservò l'unica motocicletta che si trovava dalla loro parte; quella con cui erano venute, e le si seccò la bocca. Aveva attraversato quella caverna tre volte, e una senza vederci, ma era decisamente riluttante a riprovarci. Questa volta il pericolo era reale. Lei e le bambine rischiavano di saltare realmente in aria. Già solo questa consapevolezza poteva farla sbandare con la moto. Infatti le tremavano le mani. «Dov'è il ladro?» domandò Luna. Era una buona domanda! Se il ladro aveva fatto scattare il meccanismo proseguendo nonostante le esplosioni, doveva essere lì da qualche parte, vivo o morto. E la moto da lui usata avrebbe dovuto essere in vista, intera o danneggiata. Ma non c'era nessuno, e le altre moto erano tutte parcheggiate al loro posto. A quanto pareva non c'era alcun ladro. Magari il Re della Montagna stava giocando sporco. Forse non aveva alcuna intenzione di cedere i suoi preziosi strumenti, e quindi aveva bloccato la ritirata delle ragazze facendolo apparire un incidente. Questo pensiero la fece arrabbiare. «Allora posso giocare sporco anch'io!» mormorò. Prese in mano un altro sasso. «State indietro!» avvertì, quindi lanciò. Seguì un'altra detonazione. Nuovamente la caverna tremò, e caddero altri sassi. Come l'eco dello scoppio si spense, Niobe prese in mano un altro sasso e lanciò anche quello. «Cosa stai facendo, mamma?» domandò Orb dopo la terza esplosione. «Sto liberando la strada per uscire da questa trappola!» disse Niobe con tono cupo. «Una mina non esplode più, una volta brillata.» Lanciò un altro sasso. «Oh!» esclamò Orb con un sorriso. «Come sei furba, mamma! Posso
farlo anch'io?» Perché no? «Sì, fallo, ma ricordati di coprirti gli occhi.» La bambina prese un sasso e lo lanciò, voltandosi subito dopo il lancio. Batté le mani deliziata quando la mina saltò. I bambini di entrambi i sessi sembravano avere una certa passione per la violenza, pensò Niobe. Entro breve ebbero aperto un ampio canale al centro della caverna. Gettarono altri sassi, giusto per sicurezza, poi Niobe portò le bambine in moto una alla volta, come aveva fatto all'andata. Non sapeva che cosa sarebbe accaduto se si fossero limitate ad attraversare a piedi, ma tanto ormai aveva preso la mano con la motocicletta. Attraversato il campo minato parcheggiò la moto, e si diressero tutte e tre verso l'uscita. Ma mentre uscivano, nel tunnel davanti a loro apparve un uomo. Era una figura enorme, pelosa e dall'aspetto feroce, reggeva in mano un grosso martello e i suoi occhi emettevano scintille, al punto che rischiava di prendergli fuoco la barba. «Ladri!» ruggì. «Avete osato derubare il Museo del Vanir? Morirete per questo!» Sollevò il martello. «Il Re della Montagna!» squittì Luna, arrestandosi improvvisamente. In quel momento Niobe venne presa da qualcosa di simile alla rabbia di un grande guerriero. Fece un passo in avanti, evitò il colpo del martello spostandosi di lato, e diede un sonoro schiaffone sulla guancia pelosa del bruto. «Lascia stare quella bambina!» esclamò. «Lei non è una ladra! Tu lo sei!» L'uomo non poteva certo aver provato dolore per quello schiaffo, ma si bloccò ugualmente, esterrefatto, fissandola. «Cloto!» «Non più!» disse lei seccamente. Poi anche lei si bloccò. «Come fai a conoscermi?» L'uomo appoggiò a terra il martello e si appoggiò sul manico. «Come può un uomo dimenticare il volto della creatura più splendida che abbia mai dato grazia al regno pagano? Cosa ci fai qui, o divina?» Niobe cercò di non diventare rossa per l'adulazione. «Uhm, da quanto tempo stavi dormendo questa volta?» Il Re della Montagna contò sulle dita. «Venticinque anni. Perché?» Questo spiegava tutto. Era stato addormentato per tutto il tempo da quando lei era diventata mortale, «Sono tornata alla vita mortale tredici anni fa» spiegò Niobe. «Ora sono qui con mia figlia e mia nipote. Non siamo venute per rubare.» L'uomo diede un'occhiata agli strumenti delle bambine. «Se parli per loro, Cloto, non le sfiderò. In effetti, durante il sonno ho sentito la musica
dell'arpa suonata nella maniera per la quale è stata costruita.» Poi ebbe un sussulto. «Una nipotina? In tredici anni? So che il tuo corpo farebbe impazzire la mente di qualunque uomo, ma...» «È per via della mia precedente mortalità.» disse subito Niobe. Fece un cenno verso Luna. «La tua bacheca ha accettato il suo quadro, quindi...» «Vero. Allora perché è scattato l'allarme?» «È quello che mi piacerebbe sapere! Eravamo a metà strada quando...» «Questa non è opera mia» interruppe il gigante. «Scoprirò la verità. Seguimi, Cloto.» S'incamminò nella grotta, lasciandosi alle spalle impronte luminescenti. Era decisamente arrabbiato. Lo seguirono, senza preoccuparsi della motocicletta. I passi luminosi erano una garanzia di sicurezza. Quando il Re della Montagna entrò nella seconda sala e fece un passo nel fiume, l'acqua evaporò istantaneamente, lasciando il terreno asciutto. Al suo passaggio si aprì un cancello nella barriera. Non c'erano dubbi che lì lui fosse il padrone. Lo seguirono, leggermente intimorite. Nella terza grotta c'era ancora il baratro, e il pipistrello vampiro era ben sveglio. Il Re vi marciò dentro, e illusione o realtà che fosse, tutto scomparve, lasciando la caverna vuota. Anche la proiezione tremula del pipistrello vampiro svanì. Poi giunsero all'ultima sala. C'era un demone con un dito infilato nella bacheca dell'arpa. Era evidente che la sua influenza malvagia aveva fatto scattare l'allarme; finché quel demone rimaneva lì, nessuno poteva passare. «Oh! È opera di Loki!» esclamò il Re della Montagna, scagliando il suo enorme martello come fosse un giocattolo. Il martello colpì il demone, che scomparve in una nuvola di fumo. La bacheca esplose. Il Re della Montagna riprese il suo martello, e i frammenti della bacheca si ricomposero nella loro forma originale con un accenno della musica di Orb. «Vai in pace, Cloto» ruggì il gigante. «Tu, e i tuoi. Le mie scuse per questo inconveniente.» «Non c'è di che, signore» ringraziò Niobe leggermente scossa. Uscì con le bambine, e questa volta non ebbero alcun problema. Gli strumenti erano magnifici, e le ragazze continuarono a migliorare i loro talenti. Quando ebbero finito la scuola, erano abili come nessun altro che Niobe conoscesse. Era certa che avrebbero prosperato in vita, se il Fa-
to glielo permetteva. Solo che c'era ancora la faccenda della matassa ingarbugliata, che per il momento non si era manifestata. Blenda morì, e il Mago Kaftan si trasferì in America con Luna. A quanto pareva non riusciva a sopportare il suo Paese senza di lei. Niobe ne fu molto rattristata, ma più per la partenza di Luna che non per quella di suo figlio, in quanto erano effettivamente state molto vicine negli ultimi anni. Ma non era in condizioni di protestare. Luna era una ragazza seria e saggia, e avrebbe avuto cura di suo padre. Poi, dopo ventidue anni di matrimonio, morì anche Pacian. Aveva settantaquattro anni, quindi non era affatto giovane, ma la sua morte fu improvvisa, e per lei fu uno shock; in un modo o nell'altro l'aveva sempre considerato più giovane di lei, e lei fisicamente aveva solo quarantasei anni. Aveva vissuto ventitré anni nella sua prima mortalità, e altri ventitré nella seconda. Era come se avesse finalmente completato il periodo stabilito per il suo primo amore con Cedric. Era sempre innamorata di Pacian, ma l'intensità del suo sentimento era molto diminuita con il passar del tempo. Ormai aveva una sua famiglia ed era disposta ad accettare i tagli inevitabili dei fili. Aveva assistito Pacian nella sua malattia fin dall'inizio, ma non aveva mai effettivamente pensato che potesse morire. A quanto pareva Satana non ci aveva messo nessuno zampino, la sua morte era avvenuta per cause naturali. Dopo il funerale, Niobe assunse uno stile di vita più riservato, evitando di partecipare alla vita mondana. Orb partì in tournée come cantante, cosa che del resto faceva ormai da quando aveva diciott'anni. Nel regno mortale ormai non rimaneva molto da fare per Niobe. Poi ricevette la notizia della morte di suo figlio, che le giunse del tutto inaspettata poiché Junior aveva solo sessantatré anni. Luna le riferì nella sua lettera che ora viveva da sola nella loro casa, che stava portando avanti i suoi affari, e che inoltre stava iniziando a uscire con il nuovo Thanatos, proprio come era stato previsto dalla profezia. Niobe non se la sentiva di affrontare quella faccenda. Mantenne sempre una certa cortesia nelle sue lettere e lasciò la ragazza alla sua vita. In fondo, che cosa si era aspettata dalla mortalità: gioventù perpetua, felicità e innocenza? Come qualunque altra donna, anche lei sapeva che non era affatto così. Cronologicamente aveva ottantasei anni; aveva ormai vissuto oltre il suo tempo. Il mondo placido e tranquillo al quale era abituata era stato sostituito da un mondo moderno basato sull'alta tecnologia e sull'alta magia. Era pronta a lasciarlo senza rimpianto alcuno.
Ma l'anno seguente, le cose cambiarono. 10 Lachesi Il ragno scese davanti a lei lungo un filo di seta, quindi si trasformò in una ragazza giovane e attraente dai capelli talmente chiari che sembravano bianchi. «Dobbiamo parlarti» disse. «Non pronunciare il nome di Colui che non deve sapere.» Aveva un certo accento, ma era comprensibile. «Cloto!» esclamò Niobe, ricordando improvvisamente quel giorno, un quarto di secolo prima, in cui aveva tirato fuori una ragazza da una fila di sfollati a Budapest. «Lisa!» La donna sorrise. «Tu sei cambiata, io no.» Poi si accarezzò i capelli. «Solo a livello cosmetico. Ti sarò eternamente grata per ciò che hai fatto, salvandomi da quella città. Mi hai dato una nuova vita, e sono stata in grado di aiutare i miei amici nei guai. Non hanno mai saputo che ero... cambiata.» «Capisco» disse Niobe. «Sono felice che tu sia venuta a dirmelo.» «Ma questa non è una semplice visita di cortesia» aggiunse di tutta fretta Lisa. «Noi... abbiamo una cosa molto importante da chiederti.» Niobe sorrise. Dentro di sé era sconcertata per il contrasto che vedeva tra loro. Niobe era di una bellezza incontrastabile quando aveva scelto Lisa per la sostituzione, mentre la ragazza era stata sì attraente, ma nulla di più. Ora, dopo un quarto di secolo, Niobe sapeva di essere diventata rugosa e grassottella; non aveva avuto motivo di mantenersi in particolare forma, soprattutto negli ultimi due anni. Lisa era invece rimasta esattamente com'era. Che terribile flagello era l'invecchiamento mortale! «Se la tua domanda riguarda l'interferenza di... Innominabile nella mia vita mortale, non ne sono del tutto certa. Mi viene in mente una sola occasione; quando ho portato le ragazze a...» «No, no» l'interruppe Lisa. «Non si tratta di una domanda. Hanno scelto me per chiederti questo, poiché sono l'unica fra noi che ti ha conosciuta. Lachesi e Atropo sono cambiate...» «La gente rimane in carica poco tempo, ormai!» commentò Niobe. «Io sono rimasta un Aspetto per trentotto anni!» «Sì, tu sei stata una delle più grandi, e hai combattuto con valore contro... l'Innominabile. Io, cioè noi, ce la siamo vista piuttosto brutta. Ha contorto i fili senza autorizzazione, e ci ha confuse...»
«È una sua caratteristica» confermò Niobe. «Alla fine ero praticamente immune alle sue malefatte, ma solo perché avevo imparato la mia lezione in precedenza! Sono sicura che non sono stata migliore di...» «Sì, tu hai avuto molta esperienza. Più di qualunque altro mortale. Ed è perciò che sono venuta a chiederti questo favore.» La cosa sembrava seria! «Esattamente di che favore si tratta?» «Devi tornare indietro.» «Cosa?» «Devi tornare a diventare un Aspetto. Abbiamo bisogno di te.» Niobe rimase talmente sorpresa che iniziò a balbettare. «Diventare... di nuovo... io.. io... Lisa, ho quarantotto anni mortali! Solo una donna giovane può...» Lisa scosse il capo. «Non per essere Cloto, ma Lachesi. È l'Aspetto chiave, quello che governa la Tappezzeria.» Lachesi, ma certo. Ora Niobe era una donna di mezza età, e ne aveva tutto l'aspetto. Lachesi era l'Aspetto di mezza età. Eppure... «Lisa, io non ho mai sognato... è una cosa che non è mai stata fatta prima! Una volta che un Aspetto diventa mortale... anzi, qualsiasi Incarnazione che lasci il suo ufficio...» «Vero. E questo è uno dei motivi per i quali crediamo che questa volta si debba fare. L'Innominabile non sospetterà mai.» Ingannare Satana. Certamente quello era un buon modo! «Lisa, sono lusingata da questa tua proposta, ma ho già avuto il mio turno da Immortale, e non credo di meritare...» «Lo so, ti sto chiedendo parecchio» aggiunse in fretta Lisa. «Ma sei l'unica in grado di farlo. Altrimenti...» «Un attimo, Lisa. Gli Aspetti vengono sempre sostituiti da donne nuove! Tutte possono imparare il mestiere, e il Fato è anche più fortunato delle altre Incarnazioni poiché ci sono sempre due Aspetti veterani in grado di aiutare quello nuovo. Quindi sono sicura che non avete bisogno di...» «Per favore» insistette la ragazza. «Forse non ci siamo capite bene. Potrei esprimermi meglio nella mia lingua...» «Ti stai esprimendo in maniera perfetta! Sto solo cercando di dire che...» «Per favore, lasciami spiegare. Noi... dobbiamo abbandonare i nostri Aspetti... tutte assieme.» «Tutte assieme? Ma è impossibile! Non ci sarebbe...» «Sì, crediamo che la cosa sia stata organizzata dall'Innominabile. Ci sono stati parecchi problemi, e la figlia di tuo figlio, Luna, ne è il fulcro. Ab-
biamo dovuto intervenire tutte quante per aiutarla. Lui ha cercato di ucciderla, ma Thanatos non l'ha permesso...» Qualcosa scattò nella mente di Niobe. «Vuoi dire quel periodo dell'anno scorso in cui la gente ha improvvisamente e misteriosamente smesso di morire?» «Sì. Thanatos si è rifiutato di prendere anime per non prendere quella di Luna, di cui è innamorato. Alla fine ha affrontato l'Innominabile a singolar tenzone. Luna è stata risparmiata, e Thanatos è tornato al suo lavoro. Noi... Lachesi ha fatto in modo che venisse scelto l'uomo giusto per l'ufficio, affinché accadesse proprio questo.» «Avete interferito con la selezione del sostituto di un'altra Incarnazione?» domandò Niobe, esterrefatta. «Noi... è stato necessario. Questa è... noi crediamo che si tratti della battaglia più importante di questa guerra. A me non piace la guerra.» Lisa fece una pausa, e Niobe seppe che stava ricordando Budapest. «Ma quando avanza la tirannia del Male, bisogna combatterla con ogni mezzo. Le battaglie sono terribili, ma...» Ora Niobe comprendeva il garbuglio nella matassa. Senza dubbio c'era di mezzo sua nipote, e il motivo della sua incredibile relazione con Thanatos ora appariva evidente. Solo Thanatos poteva impedire a una persona di morire, una volta che era stato tagliato il filo della sua vita. Tuttavia... «Come avete fatto a sapere della trama contro Luna?» «Il Mago, suo padre, lo sapeva. Aveva studiato la magia per tutta la vita e sapeva di una profezia che l'Innominabile voleva annullare. Il Mago ha programmato tutto e ha rinunciato alla sua vita per far conoscere Luna a Thanatos in un modo che ha ingannato il...» «Allora è per questo che è morto giovane! Non me l'hanno mai detto!» «Non potevano, mia cara. Nessuno poteva saperlo finché la cosa non si è realizzata. Il Mago sapeva che doveva proteggere sua figlia anche dopo la sua morte, poiché il destino dell'umanità intera dipende da lei.» «E io non ne sapevo nulla!» si lamentò Niobe. «Credevo che si seppellisse nello studio della magia solo per... per hobby. O per affari. Invece doveva aver capito la profezia molto meglio di...» «Sì. Poi è avvenuto qualcosa di strano. Crediamo che in questa faccenda sia coinvolto anche Chronos, che ha impedito all'Innominabile di fare qualcos'altro, ma lui non vuole dircelo. Conosce il futuro, ma se ce lo dicesse cambierebbe, quindi...» «Quindi tutte le Incarnazioni sono coinvolte in... in una grande batta-
glia» concluse. «Una battaglia di vent'anni» confermò Lisa. «L'Innominabile vuole ottenere il potere politico sulla Terra. I suoi agenti sono al lavoro in tutte le nazioni, ma l'America è il punto più delicato perché il mondo politico lì è un caos comunque già di per sé. E data l'importanza economica, lui è convinto che se vince lì, vincerà in tutto il mondo. Quindi deve essere fermato in America, e sarà Luna che avrà il potere decisivo nei suoi confronti... sempre ammesso che sopravviva.» «E pensare che voleva diventare un'artista!» esclamò Niobe. «Bene» continuò Lisa. «Noi, i tre Aspetti del Fato, siamo convinte di essere al centro della faccenda. L'Innominabile vuole liberarsi assolutamente di Luna, e noi sappiamo che...» «Che darei la mia vita, la mia felicità e il mio onore pur di proteggerla!» concluse per lei Niobe. «E certamente lo farò... diventerò Lachesi, se è questo che serve! Ma non ho mai occupato quel ruolo prima d'ora, e... ma cos'è questa storia che dovete cambiare tutte e tre assieme? Se l'Innominabile vi sta tartassando come mi hai detto, sarebbe una follia assoluta! Tre novizie assieme...» «Sì. Follia pura. Per questo siamo venute da te. Tu hai una certa esperienza...» «Questo l'ho capito. Ma le altre due dovrebbero rimanere, almeno per un anno o due...» «Non possiamo» disse Lisa. «Dobbiamo per forza cambiare ora. Questa settimana stessa.» «Ma è assurdo, ragazza! Sai bene ciò che si rischia!» «Lo sappiamo. Ma si sono presentate delle opportunità che capitano una sola volta nella vita, se mai capitano. Non possiamo rinunciarvi, come tu non avresti rinunciato al tuo secondo amore. La possibilità di dar vita a tua figlia...» Niobe sollevò una mano. «Ho capito. Siamo tutti esseri umani, in fondo. Eppure, se sai o sospetti che queste opportunità siano state organizzate da...» «In effetti ha, come si suol dire, addolcito la pillola fino al punto in cui non possiamo desistere. Ma non è tutto qui. Vedi, noi non sappiamo che cos'abbia in mente, e se manteniamo i nostri Aspetti lui saprà che non può ingannarci, e proverà qualcos'altro. Magari qualcosa che non saremo in grado di contrastare. Quindi abbiamo pensato che forse era meglio cadere nella sua trappola...»
«Con l'asso nella manica di un Aspetto di grande esperienza, del quale lui non conosce l'esistenza!» concluse Niobe. «In pratica far scattare la sua trappola, per poi distruggerla!» Lisa sorrise. «Sapevo che avresti capito.» Niobe ci pensò su. Aveva giurato di vendicarsi di Satana per la morte di Cedric, ma non aveva mai avuto una vera e propria vendetta soddisfacente. Si era convinta che il solo fatto di aver svolto il suo lavoro come Fato era stato sufficiente, oltre all'aver fatto crescere sane Luna e Orb, in quanto i loro ruoli erano importantissimi nella lotta contro il Principe del Male. Ma come le sarebbe piaciuto fregare Satana in maniera più diretta, personalmente! Tanto ormai la sua vita mortale era pressoché finita. Non aveva più nulla per cui vivere. «Lo farò.» Lisa sorrise. «Ne siamo felici. Sappiamo che farai ciò che va fatto. E sappiamo che le nostre vite mortali saranno protette dal Male, con te in carica.» Allungò una mano. Niobe ci rimase di sasso. «Aspetta un attimo! Non intendevo proprio adesso! Devo mettere in ordine le mie faccende terrene...» «Ci penserà Lachesi» la rassicurò Lisa. «Prima di entrare nella sua nuova situazione mortale.» Certamente si poteva fidare di un Aspetto del Fato per quanto riguardava la disposizione dei suoi affari terreni! Soprattutto quando era vitale che Satana non si rendesse conto del cambiamento. Niobe prese la mano di Lisa, e provò la strana scossa che aveva già provato due volte in precedenza. Si ritrovò dentro Lisa, guardando attraverso i suoi occhi. Una donna comune di mezza età le stava davanti; la vecchia Lachesi. Addio, situazione mortale! pensò Niobe con improvvisa nostalgia. Nessuna vita era così facile da abbandonare, neanche una completata. «Prendi il corpo» le disse Lisa, passandoglielo. Niobe si ritrovò nuovamente in piedi, nella sua forma, con una carne diversa. Aveva perso la sua carne originale quando era diventata Cloto, tanto tempo prima, e quando era tornata alla mortalità aveva assunto la carne di Lisa. Ma aveva sempre mantenuto il suo schema genetico, e quindi anche i geni della riproduzione. Ora quella stessa carne era soggetta alle volontà e all'immagine della vecchia Lachesi. Certamente anche Lisa provava un po' di nostalgia, sapendo che la sua carne originale era ora passata a una terza identità. Era una faccenda familiare, ma pur sempre un po' strana.
Niobe strinse la mano alla donna che era stata Lachesi fino a quel momento. «Credo che tu sappia già qualsiasi cosa che potrei dirti. Vai a goderti la tua nuova situazione mortale.» «Non so proprio come ringraziarti... Lachesi» disse la donna. «Sai che cosa mi offre ora la vita mortale?» «Veramente non sarebbero fatti miei...» «Un titolo» esclamò la donna. «Sono in posizione tale da ereditare un titolo e una grande casa con proprietà in Europa, dove sarò una nobildonna di alto rango con molta servitù, molte funzioni e molte responsabilità. Ho sempre desiderato questa vita, e ho sempre temuto che non potesse realizzarsi. Come Lachesi ho assecondato la mia propensione a maneggiare cose...» «È una qualità che si adatta perfettamente all'Aspetto» concordò Niobe. «Ma ora può diventare una realtà. Voglio dire, una realtà mortale. E inoltre la proprietà ha bisogno di me; senza una persona di sangue nobile cadrà in preda ai creditori o agli agenti delle tasse; verrà distrutta. Ma ora la nuova proprietaria sono io, se riesco a rivendicarla in tempo, e io so bene come mantenerla. Anche se morirò per qualche malattia sfigurante nel giro di vent'anni, sarò ugualmente soddisfatta!» Evidentemente era proprio così. Ogni persona aveva i suoi sogni, e il sogno giusto valeva tutta una vita. «Tanti auguri, allora» le disse Niobe con calore. «Auguri a te, coraggiosa donna!» rispose l'altra. Niobe poi restituì il corpo a Lisa, affinché lei e Atropo potessero salutare la loro compagna. Era un po' strano condividere il Fato con la donna che le era succeduta nel ruolo di Cloto, ma evidentemente aveva scelto bene, quel giorno di un quarto di secolo prima. Lisa aveva fatto il suo dovere. Quando le altre due ebbero finito, si trasformarono in aracnidi e salirono lungo il loro filo fino al Purgatorio. Era tornato tutto così in fretta! Niobe non si pentiva affatto della sua seconda esistenza da mortale, e anzi, provava ancora una certa nostalgia per quella vita persa così all'improvviso. Ma allo stesso tempo era anche incredibilmente felice di tornare ad essere un'Incarnazione. Essere immortale... nessuna esperienza era comparabile! La Dimora non era cambiata; era un bozzolo, una casa di seta, ovvero il ritiro più confortevole per la filatrice e l'organizzatrice dei fili. Tuttora non c'era servitù, poiché le donne del Fato erano troppo indipendenti per farsi servire. C'era però una provvista notevole di sostanza del Vuoto per Cloto. Tutto era in ordine.
«Ora tocca a me» disse Lisa, e fece per uscire nuovamente. «Di già?» domandò Niobe. «Ma siamo appena arrivate!» «Sì, ma era giusto per farti riacquistare familiarità con il posto. Come puoi vedere, ho già organizzato tutto per la mia sostituzione; passerà un bel po' di tempo prima che la nuova Cloto debba andare nel Vuoto a prendere altra sostanza.» Fece una pausa. «Che esperienza incredibile, la prima volta!» Niobe scrollò mentalmente le spalle. Ogni Aspetto aveva il diritto di scegliersi il proprio successore, e anche il momento del proprio ritorno alla mortalità. Niobe era diventata Cloto soprattutto perché era piaciuta alla Cloto precedente, e adesso era Lachesi perché i tre Aspetti avevano deciso che avevano bisogno di lei. Tanto valeva che si adeguasse a quanto era stato deciso. Cloto scese lungo un filo fino alla costa occidentale degli Stati Uniti. «Che cosa ti aspetta?» le domandò Niobe. «Vero amore» rispose Lisa in tono estasiato. «Il mese scorso stavo passeggiando in montagna quando è sceso dal cielo un giovanotto con un tappeto volante per chiedermi un'indicazione. Ho riconosciuto subito il suo accento. "Sei ungherese!" gli ho detto. Lui ci è rimasto di sasso. "I miei genitori lo erano" mi ha detto. "Mia madre era incinta di me quando è fuggita dalla...", poi ha scrollato le spalle, perché pochi in America capiscono com'era a Budapest. "Anch'io vengo da lì" gli ho detto allora, e gli ho parlato nella nostra lingua. "Aspetta!" mi ha bloccata lui. "Io non lo parlo molto bene, l'ungherese. Ho passato tutta la mia vita qui." Ma capiva quanto bastava. Ora mi vuole sposare. Ha capito come sono, che ho quasi il doppio dei suoi anni. Questo non l'abbiamo raccontato a sua madre, perché non l'avrebbe capito, così le ho detto che mia madre mi aveva raccontato tutto sulla sua fuga e le ho propinato la mia esperienza nella mia lingua come se si fosse trattato di quella di mia madre; e in effetti avrebbe potuto benissimo essere proprio la sua, se non fosse morta durante l'invasione. Sua madre si è messa a piangere per la commozione, e mi ha fatto ricordare tutto fino al punto che mi sono messa anch'io a piangere! Credo che ora ci tenga più lei al matrimonio che suo figlio stesso! Andrò a vivere da loro, e sono sicura che non avrò mai alcun problema con i miei suoceri!» Niobe non voleva porre quella domanda, ma sentiva che doveva farlo. «E credi che tutto ciò sia opera di... dell'Innominabile, per toglierti di mezzo?» «Sì. Lachesi, quella prima di te, ha verificato che il filo dell'uomo di cui
mi sono innamorata era stato spostato di quel poco che bastava per fargli sorvolare esattamente la zona in cui stavo passeggiando, facendo sì che ci incontrassimo. È una cosina da poco, e anche se c'è effettivamente stata una manipolazione, la persona è genuina. Non c'è molto Male in lui. L'Innominabile sa che non mi metterei mai con un uomo malvagio. Un Aspetto del Fato non può essere ingannato con l'oro degli sciocchi! Quindi sicuramente l'intento è malvagio, ma l'offerta è buona. Il Male non è inteso nei miei confronti, ma nei tuoi.» Sì, era proprio così. Le vie di Satana erano indirette ma efficaci. Solo che forse questa volta il Padre della Menzogna sarebbe stato preso in contropiede, poiché l'Incarnazione del Fato non era un'innocente mortale che si poteva ingannare manipolando le possibilità. Soprattutto con il ritorno di un ex-Aspetto, con la sua esperienza diretta per quanto riguardava i modi di fare di Satana. C'è una sorpresa in serbo per te, Maligno! pensò. Atterrarono in una zona disabitata. Era buio, e una giovane donna stava camminando verso un'alta scogliera sul mare. Era una ragazza orientale, piuttosto carina. Lisa l'intercettò. «Dove stai andando, ragazza solitaria?» «Che cosa importa? La mia vita è finita.» «Ma tu sei giovane, carina e intelligente» protestò Lisa. «Hai parecchio per cui vivere!» Era evidente che il Fato aveva controllato il filo della donna. «No, non ho più nulla per cui vivere» insistette la ragazza. «La mia famiglia mi ha cacciata perché non seguivo le vecchie regole e perché ero troppo aggressiva e piena d'iniziative, e ora non ho più famiglia.» Niobe sapeva che nella cultura orientale erano spesso molto severi per quanto riguardava le tradizioni, e che a volte c'erano molti contrasti fra questa cultura e quella occidentale. Probabilmente la ragazza si era rifiutata di sposare l'uomo che la sua famiglia aveva scelto per lei, e Niobe la capiva, anche se il suo matrimonio combinato era risultato poi ottimo. Le dispiaceva ammetterlo, ma il giudizio dei genitori sembrava essere buono almeno quanto quello dei diretti interessati. Ma l'America ora passava per la terra della libertà, e di conseguenza era inaccettabile per le ragazze dover sottostare alle imposizioni dei loro genitori. Le tragedie non consistevano solo in amori perduti. Amen! acconsentì Atropo. «Quindi ora sei pronta a lasciare questo mondo?» le domandò Lisa. La ragazza guardò lo strapiombo sul mare. Una ventata le scompigliò i
capelli neri. «Se trovo il coraggio.» «Ti posso proporre un'alternativa» disse Lisa, quindi le spiegò del Fato e del ruolo di Cloto. Comprensibilmente, la ragazza ci mise un po' ad afferrare il concetto, ma poi guardò nuovamente l'oceano scuro e selvaggio e decise che era una buona alternativa. Atropo prese il controllo del corpo, allungò una mano, e lo scambio venne effettuato. Cloto era cambiata. Ora Lisa era nuovamente nella sua forma fisica, esattamente uguale a prima; qualsiasi traccia di eredità orientale era svanita. Niobe non aveva mai ben capito la magia di questo processo di scambio, ma naturalmente non era necessario che la capisse. Benvenuta, Cloto, pensò, e iniziò il processo di educazione. Ritornarono alla Dimora dove si rilassarono per alcune ore. Niobe, in forma di Lachesi, prese il controllo del corpo e contemplò la Tappezzeria, mentre internamente Atropo continuava a spiegare a Cloto la natura del suo nuovo compito. Vista la difficoltà del momento, la precedente Lachesi aveva lasciato la Tappezzeria bene in ordine, e quindi non c'era nulla di urgente da fare. Niobe aveva visto come si faceva durante la sua Incarnazione precedente, ma ora la responsabilità era sua, e questo cambiava un po' le cose. Sperò che Satana le lasciasse in pace per un paio di settimane intanto che si abituava, ma sapeva che era una speranza vana. Il giorno successivo venne il turno di Atropo. C'era stato un incidente, e i suoi nipotini mortali erano diventati orfani. Sarebbero stati mandati in un orfanotrofio statale a meno che lei, che era l'unica loro parente di sangue rimasta, avesse preso il controllo della situazione. I ragazzi avevano otto e undici anni, e Atropo era convinta di avere abbastanza anni mortali a disposizione per crescere fino alla maggiore età almeno il più grande. Doveva farlo; erano suoi parenti di sangue. A quanto pareva la cosa non era stata organizzata da Satana; forse però il Maligno aveva visto l'opportunità e aveva fatto sì che gli altri due Aspetti lasciassero l'ufficio nello stesso momento di Atropo. Se Lachesi non avesse scoperto quei piccoli mutamenti nella Tappezzeria, la macchinazione di Satana avrebbe funzionato alla perfezione. Comunque fosse, non le aspettavano certo tempi tranquilli. Niobe era sicura di questo, ma sapeva che almeno così avevano una possibilità di vittoria. Atropo discese lungo il filo fino al luogo in cui si trovava la sostituta che aveva scelto. Atterrarono in una zona derelitta dove un'anziana donna di colore stava seduta su una vecchia sedia a dondolo sotto una veranda
sgangherata, osservando dei bambini che giocavano a palla in strada. Quando Atropo le apparve davanti, alzò lo sguardo. «Era ora che arrivassi» disse. Persino Atropo rimase allibita da questo commento. «Mi conosci?» «Ti conosco. Però stavo aspettando la Morte, non il Fato.» «Sono venuta a chiederti di prendere il mio posto. Se lo farai, incontrerai la Morte solo in veste di collega di lavoro.» «Credevo che lo fosse già. Ho seppellito tanti di quei parenti che non li so neanche contare sulle dita.» Mostrò le mani nodose. «Se accetti questa carica, taglierai i fili delle vite di milioni di persone.» «Qualcuno lo deve pur fare.» Atropo passò il corpo a Niobe. «Prendi la mia mano» disse Niobe. «Ma non credere che si tratti di un lavoro semplice.» La donna non fece una piega. «Nessun lavoro che valga la pena di fare lo è.» Prese la mano. Improvvisamente la vecchia Atropo si ritrovò sulla sedia a dondolo, e quella nuova con il Fato. In quel momento saltò fuori un ragazzino. «Nonna! Ho sognato!» Poi, vedendo una sconosciuta sulla sedia a dondolo, si bloccò. Niobe diede velocemente il corpo alla nuova Atropo. «Non preoccuparti, Jimmy» disse. «È una signora in visita.» «Oh.» Improvvisamente intimidito, il ragazzino si allontanò. «Jimmy, è venuto il momento in cui me ne devo andare» disse la nuova Atropo. «Fammi un favore, accompagna questa signora alla fermata dell'autobus. E di' ai tuoi che me ne sono andata.» «Andata dove?» «Di' solo che me ne sono andata, Jimmy. Loro capiranno.» «Okay.» Il ragazzo, con un compito importante da svolgere, accompagnò diligentemente la vecchia Atropo lungo la strada. Niobe riprese possesso del corpo, si trasformò in ragno, e risalì lungo il filo. Caspita, che bel trucchetto! pensò la nuova Atropo. Io gli insetti li schiaccio sempre! «Ora non più» disse Niobe con la sua voce da ragno. «Anche tu presto imparerai a fare questo trucchetto.» Le portò alla Dimora e riassunse la sua forma umana. «Sarà meglio che studiamo subito assieme almeno le nozioni di base» disse. «Perché entro brevissimo le cose potrebbero diventare abbastanza agitate.» Agitate? domandarono le altre due all'unisono.
Rapidamente, Niobe spiegò come Satana aveva architettato un piano per far abbandonare la carica a tutti e tre gli Aspetti del Fato contemporaneamente. «Così ora sono una specie di veterana» concluse. «Ho avuto diversi decenni di esperienza in veste di Cloto, terminata venticinque anni fa. Speriamo che Satana non sia a conoscenza di questo fatto.» Poteva pronunciare il nome del Principe del Male finché si trovava nella Dimora, poiché era protetta dalle intrusioni indesiderate. Ogni Incarnazione era regina all'interno della propria abitazione. «Quindi all'inizio possiamo anche permetterci qualche piccolo errore; la cosa lo rassicurerà, e magari diventerà meno attento. Ma dobbiamo badare a non fare troppi danni. Ricordatevi che abbiamo a che fare con vite umane.» Si allenarono a usare la bocca per parlare, a trasformarsi in ragno, ad arrampicarsi sulla tela e a usare i fili da viaggio per spostarsi rapidamente, finché tutte e tre non furono soddisfatte e in grado di muoversi indipendentemente. Quindi Niobe spiegò i tre diversi compiti: come Cloto filava i fili della vita, come Lachesi li misurava, e come Atropo li tagliava. «So ben poco del mio compito di Aspetto» ammise. «Quindi devo imparare anch'io. Sarà facile che all'inizio misuri male alcuni fili da inserire in particolari punti della Tappezzeria, il che si tradurrà in ciò che i mortali chiamano strane coincidenze. Non avremo bisogno di fingere per risultare goffe e prive di esperienza.» «Ma potremmo iniziare con un bell'erroraccio» propose Atropo. A quanto pareva aveva già capito parecchio; la precedente Atropo aveva scelto bene. Cloto provò a filare un po'. Non aveva alcuna esperienza mortale in questo campo, quindi risultò un po' maldestra. Era stata scelta più che altro per la sua disponibilità e per il suo spirito battagliero, in quanto il tempo di preavviso non era stato sufficientemente lungo. Niobe dovette seguirla con attenzione, e nonostante ciò il filo risultò un po' molle e sfilacciato. Ma era in grado di farcela, seppur lentamente. Poi toccò ad Atropo provare un po' di tagli. Niobe misurò un filo, poi lo passò alla vecchia. Atropo prese le forbicine e ne tagliò prima un capo, poi l'altro. «Oops!» disse. «L'ho tagliato troppo lungo!» Recise un altro pezzetto da un capo. «Ecco, così dovrebbe andar bene.» Prepararono circa venti fili, tagliando liberamente per far sì che raggiungessero la lunghezza giusta. «Quando avremo più esperienza» disse Niobe «li faremo all'ingrosso. Ci sono troppe vite sulla Terra per affrontarle ognuna individualmente.» Infilò i fili nella Tappezzeria... e caddero giù.
Che strano. «Alla Lachesi che conoscevo io si inserivano sempre perfettamente» disse. Riprese un filo e lo mise al suo posto, ma quello cadde nuovamente a terra. «Non ricordo di averla mai vista legare un filo alla Tappezzeria. Non ce ne dovrebbe essere bisogno.» «Forse li ho filati male» disse Cloto in tono nervoso. «Non credo. Però possiamo provare con dei fili nuovi.» Cloto ne filò degli altri. Niobe li misurò. Atropo li tagliò, continuando ad avere problemi con le lunghezze così che altri pezzettini di filo caddero sul terreno. Ma quando Lachesi tentò di inserirli, anche questi caddero a terra. Non volevano stare in posizione. Non riuscivano a capire che cosa non andasse. Il pavimento della Dimora era ora cosparso di frammenti di filo, ma non erano riuscite a inserirne neanche uno nella Tappezzeria. A un certo punto udirono un bussare perentorio alla porta. Niobe prese il corpo e andò ad aprire. Si trovò davanti Thanatos, più minaccioso di quanto non ricordasse, con il suo mantello e il suo teschio incappucciato. Le ossa bianche delle sue dita si serrarono spasmodicamente. Era veramente la Morte Incarnata. «Cosa state combinando?» chiese in tono serio. Niobe rimase un po' stupita per questa affermazione. «Sto solo cercando di fare il mio lavoro» disse. Le orbite buie e quadrate di Thanatos la fissarono. «Sei cambiata.» «Siamo cambiate tutte» disse Niobe, facendo mostrare rapidamente le loro forme a Atropo e Cloto. «Ma abbiamo avuto qualche problema...» «Qualche problema!» esclamò Thanatos, infilandosi nella Dimora. Alle sue spalle, fuori, Niobe vide il suo splendido cavallo bianco, quello su cui aveva cavalcato all'inizio della sua avventura in Purgatorio. «Ventisei bambini morti inutilmente!» «Bambini... morti?» domandò Niobe. «Ma se non ho collocato alcun filo, e neanche ne ho tagliati corti!» «No? E allora questi cosa sono?» domandò Thanatos chinandosi a raccattare una manciata di frammenti di filo tagliato. Era arrabbiato, e la spaventava anche se sapeva che non poteva rappresentare una minaccia per lei. «Sono solo i ritagli...» «I ritagli!» ruggì Thanatos. «Le vite non si tagliano dall'inizio!» Niobe si accasciò contro la parete di seta, esterrefatta. «Da... dall'inizio?»
Thanatos prese in mano un filo intero. «Questo è un Filo della Vita» disse con tono feroce. «Questo è l'inizio, questa è la fine. Quando se ne taglia un segmento dalla parte finale» fece un gesto a forbice con le sue dita ossee «si accorcia la vita di quel tot. Se invece la si taglia dalla parte iniziale, si accorcia la vita di questo tot» e fece cadere l'intero filo a terra. «Lasciando solo questo.» Mostrò due dita praticamente attaccate. «Oh, no!» esclamò Niobe con orrore. «Li abbiamo tagliati dopo pochi giorni... o poche ore!» «È ventisei bambini sono morti avvelenati all'ospedale» continuò cupo Thanatos. «Perché un dietologo ha sbagliato contenitore e ha messo il sale al posto dello zucchero! I mortali sono convinti che si tratti di un tragico incidente, ma io ho capito subito che era opera vostra. Sono stato costretto a prendere quei bambini!»La sua furia scosse notevolmente la Dimora del Fato. Niobe scoppiò in lacrime. Era ormai una donna di mezza età, ma questo non cambiava nulla. Era troppo scossa per reagire in altro modo. Allora fu Atropo che prese il controllo del corpo e della situazione. «Non infierire troppo, Morte» disse. «Sono stata io a tagliarli, e ne sono mortificata. Non lo sapevo, e sicuro come l'Inferno che non lo rifarò mai più!» Thanatos la osservò, iniziando a comprendere la natura della loro situazione. «Tutte e tre... nuove?» domandò. «Niente esperienza?» «Non esattamente» iniziò Atropo. Non dirglielo! intervenne Niobe nella sua testa. Se lo sa lui, lo saprà anche Satana! «Ma siamo cambiate tutte e tre negli ultimi giorni» disse Atropo. «Come puoi ben vedere, nessuna di noi ha esperienza del proprio ruolo.» «Ma com'è possibile che siate cambiate tutte e tre contemporaneamente?» domandò. «Così avete perso la vostra continuità!» «E adesso ce lo dice!» commentò Atropo. «Stamattina ero seduta sulla mia sedia a dondolo aspettando che tu venissi a tirare su la mia anima, e ora sono qui che mi scuso con te per l'errore che ho fatto!» Thanatos si rilassò. «Anch'io ero nuovo l'anno scorso, e il precedente Fato mi ha aiutato parecchio. So com'è; anch'io ho fatto degli errori. Mi dispiace di avervi aggredite così. Vediamo se riusciamo a mettere le cose in chiaro.» Si sedette sul divano di seta e si tolse il cappuccio. Apparve il viso di un uomo abbastanza giovane, dall'aspetto piuttosto ordinario. Atropo rimase di sasso. «Sei un uomo vivente!»
Thanatos sorrise. «Non te l'hanno detto? Immagino che non ci abbiano pensato, vista la rapidità del cambiamento. Sì, tutte le Incarnazioni sono esseri umani viventi, congelati nell'età in cui hanno assunto il loro ufficio. Siamo gli Immortali temporanei.» «Vuoi dire che non invecchierò?» «Non finché non tornerai alla mortalità... cosa che farai solo quando lo sceglierai, a differenza di me.» «Tu sei diverso?» C'erano parecchie cose che Niobe non aveva ancora detto alle due novizie, in quanto il tempo era stato tiranno con loro. Stette zitta; in effetti era meglio così, in quanto altrimenti forse avrebbe dovuto rispondere a domande su se stessa. «Io vado avanti finché non vengo ucciso dal mio successore. Dopodiché lui assume il mio ufficio.» «Ma allora non sei immortale!» «Oh, sì, lo sono, finché non divento sbadato. Nessuna persona o entità mi può fare del male, nemmeno lo stesso Satana, finché sto attento. L'unico che mi può uccidere è il mio successore, e neanche lui può farlo a meno che io non glielo permetta. Il mio mantello è invulnerabile contro qualsiasi attacco naturale, e la mia persona è invulnerabile alle minacce soprannaturali. Ma io, a differenza di voi, non posso tornare alla mortalità da vivo.» «Dev'essere orribile!» esclamò Atropo. «No, non è poi tanto male. Comunque è sempre meglio del suicidio che avevo contemplato da mortale.» Cloto drizzò le orecchie mentalmente; conosceva quel genere di cosa. «Ma non è un po' noiosa la tua vita?» domandò Atropo. «Niente scorribande, niente gioco d'azzardo, niente donne?» Thanatos rise. «Non hai una grande opinione degli uomini giovani, vero?» «Oh, sì, ne ho una grande opinione sì! Ne ho conosciuto qualcuno anch'io, quando ero giovane e sexy. Ma conosco la loro natura. Un uomo senza una donna è destinato a finire nei guai, in un modo o nell'altro.» Thanatos sorrise. «Be', io la donna ce l'ho. È una donna mortale, ma conosce la mia natura. Si chiama Luna Kaftan. L'amo, e ti garantisco che non morirà prima della sua ora. Non posso sposarla, poiché non ho un'identità legale; sulla Terra sono considerato un uomo morto. Ma rimarrò sempre con lei.» Niobe era felice di non essere in possesso del corpo in quel momento; si sarebbe certamente tradita. In quelle ultime frenetiche ore si era dimentica-
ta che Luna stava con Thanatos! Da mortale aveva deplorato quella relazione; ora, improvvisamente, l'approvava. Thanatos sembrava proprio un bravo ragazzo, impegnato seriamente nel suo ruolo. Senza dubbio era in grado di proteggere Luna dalla Morte stessa. Almeno quella parte della profezia era risultata molto più positiva del previsto. Ma Atropo stava imparando in fretta. «E se io... non lo farei mai, bada bene, ma se io dovessi tagliare corto il filo della tua donna?» Thanatos non indossava il cappuccio, ma un'ombra del teschio sembrò offuscargli il viso per un istante e la sua pelle prese il colore biancastro dell'osso. Era veramente la Morte! L'hai già fatto; o meglio, l'ha fatto colei che ti ha preceduta. Mi sono rifiutato di prenderla. Tu non fai terminare le vite, ti limiti a stabilirne il termine. Solo quando io prendo l'anima avviene la vera e propria morte. Come quando ho preso le anime di quei ventisei bambini: ho dovuto farlo, i loro corpi erano devastati e avrebbero sofferto se li lasciavo vivere. Così mi sono messo da parte e ho lasciato che salissero in Paradiso. Ma colui che si occupa di queste cose sono io, e se decido che una persona morente deve vivere, questa vivrà, a prescindere dalla sua sofferenza. Noi Incarnazioni dobbiamo cooperare, altrimenti la situazione diventa insostenibile. Atropo annuì. «Immaginavo che si trattasse di una cosa del genere. Non uccideremo più bambini, questo è sicuro! Ora ripassiamo tutto il procedimento, così saremo sicure di non sbagliare più.» Cloto prese il corpo e filò altro filo. Poi Niobe lo misurò, e Atropo lo tagliò con grande cautela, da un solo lato. Infine Niobe portò il Filo alla Tappezzeria e lo mise in posizione nel punto che sapeva. Questa volta prese. Il filo si ancorò, e si estese nella parte sfocata della Tappezzeria. «Così si fa» confermò Thanatos. Si reinfilò il cappuccio sulla testa. «Ora devo andare; ho degli affari in sospeso in altri luoghi. Se avete qualsiasi dubbio, chiamate pure me o qualsiasi altra Incarnazione; cercheremo di aiutarvi. Soprattutto Chronos lavora molto spesso con voi; vive all'indietro, quindi conosce il futuro, e non il passato.» Thanatos le lasciò, sfrecciando nel cielo con il suo candido destriero. I tre Aspetti del Fato si accasciarono sul divano. Che lezione era stata quella! Ma Cloto aveva una domanda: se Chronos conosceva il futuro, non avrebbe forse saputo dell'esperienza precedente dell'attuale Lachesi nell'ufficio di Fato?
«No, a meno che non glielo diciamo in qualche momento futuro» disse Niobe. «Credo che faremo meglio a dimenticarci del mio passato e a pensare al presente. Ma a proposito di Chronos, forse c'è un'altra cosa che dovresti sapere, Cloto.» «Cosa?» «Lui... nel passato, è stato molto vicino a noi. Soprattutto a Cloto.» «L'amicizia è una buona cosa, no?» disse la ragazza, perplessa. «Amanti.» Cloto non rispose. Niobe non sapeva che cosa le stesse passando per la mente, poiché le tre non condividevano il loro pensiero a meno che non lo volessero. «Per come la vedo io» intervenne Atropo «noi non abbiamo più i nostri corpi mortali. Questo corpo deve aver fatto un sacco di cose delle quali noi non sappiamo proprio nulla.» «Sì» confermò Niobe. «Quindi forse non ha molta importanza ciò che ne facciamo, finché svolgiamo correttamente il nostro lavoro.» Cloto non fece alcun commento. Niobe ricordò quanto fosse stato difficile per lei, all'inizio, accettare quel particolare aspetto dell'essere un Aspetto. Be', avrebbe trovato la sua soluzione col tempo. Tempo? Chronos! Si prepararono un pasto con ciò che era disponibile in dispensa, quindi si coricarono. Quando si svegliarono programmarono gli orari, quale Aspetto avrebbe fatto quale turno, quale sarebbe rimasto cosciente, e quale avrebbe dormito. Il corpo di per sé era infaticabile; non aveva bisogno né di riposo né di sonno, ma le mentì al suo interno invece sì. Il Fato, seppure in tono minore, si era rimesso al lavoro. 11 Garbuglio Ma il giorno dopo l'ascia cadde. Niobe si trovava da Chronos, dal quale era andata per chiedere un consiglio sul piazzamento di alcuni fili specifici. La Tappezzeria tendeva a seguire il suo schema naturale, ma se veniva lasciata a se stessa nel giro di poco tempo avrebbe accumulato strappi e nodi man mano che i fili s'incrociavano tra loro. Niobe quindi doveva inserirti nella maniera adatta, ed era necessario non solo un corretto posizionamento, ma anche un tempismo perfetto. Quando avveniva un matrimonio, per esempio, i fili di un uomo e di una donna s'intersecavano; solo che
se questo avveniva prima della cerimonia poteva dare inizio a un filo nuovo prima del matrimonio, e la cosa sarebbe risultata imbarazzante. Chronos poteva controllare certe cose direttamente; conosceva il momento esatto di ogni interazione umana significativa, anche se lasciava la maggior parte delle piccole faccende quotidiane al suo personale. Anche il Fato aveva il suo personale per le faccende di routine, ma non poteva permettersi di lasciare le cose importanti a dei subalterni. Ma innanzitutto si presentarono. «Mi rendo conto che ci conosci da un po' di tempo» disse Niobe. «Ma dal nostro punto di vista, questo è il nostro primo incontro. Siamo tutte nuove nei nostri Aspetti, e manchiamo tutte di esperienza nel nostro lavoro. Quindi permetti che ci presentiamo, e per te questo sarà il nostro addio. Sono certa che troverai competenti i nostri predecessori.» «Ah, è già venuto il momento?» domandò Chronos. «Ho già visto cambiare due di voi...» «Per favore, preferiamo non sapere» intervenne in fretta Niobe. «Ma certo. Lasciatemi solo dire che tutte e tre siete state molto gentili con me nel passato, che ho un profondo rispetto per voi, e che mi dispiace molto vedervi andar via. Spero di passarmela altrettanto bene con i vostri sostituti.» «Ne sono certa» disse Niobe, passando attraverso gli Aspetti di Cloto e Atropo prima di riprendere il controllo completo del corpo. «Ma dato che nessuna di noi è Aspetto da più di un giorno, ci mancano informazioni di prima mano. Siamo nuove, e stiamo facendo errori imbarazzanti.» «Sì, lo so» disse Chronos con simpatia. «Quei fili tagliati all'inizio; ventisei bambini morti per nulla... Thanatos era letteralmente furioso!» «Oh, pardon. Credevo vi riferiste all'incidente delle Nazioni Unite.» «L'incidente delle Nazioni Unite?» ripeté Niobe allibita. «Ma naturalmente questo non è ancora avvenuto, per voi, allo stesso modo in cui quella dei bambini morti non è ancora avvenuta per me. Mi dispiace di averne parlato.» Se stiamo per fame un'altra di grossa... pensò Atropo. Chiedi informazioni, concluse Cloto. Non avevano ancora ben stabilito i turni, quindi erano tutte e tre sveglie. Erano tre individui decisamente diversi, ma il disastro dei bambini le aveva unite nell'orrore. «Per favore, non ti scusare» disse Niobe. «Siamo più che decise ad evi-
tare errori futuri. Se la cosa non viola la tua etica, vorremmo saperne di più. Chronos sorrise.» «Noi Incarnazioni non abbiamo un'etica in quel senso; facciamo tutti ciò che dobbiamo fare, oppure lasciamo il nostro ufficio. Ci si aiuta ogniqualvolta un'altra Incarnazione lo chiede. Dopotutto, come credo che mi abbia spiegato proprio tu, Lachesi, quando ho assunto la carica vent'anni fa, il nostro scopo comune è quello di arrestare le macchinazioni di Satana e favorire quelle di Dio. L'incidente delle Nazioni Unite è stata di per sé una stupidaggine, ma ha avuto enormi conseguenze. A quanto pare qualcuno ha piazzato una bomba psichica puzzolente nella sala conferenze del palazzo delle Nazioni Unite a New York. Quando è scoppiata, la...» «Una bomba puzzolente psichica?» domandò Niobe. Ricordò la volta che Luna e Orb, ancora bambine, si erano procurate una fialetta puzzolente e l'avevano aperta nella sua cucina. C'erano voluti giorni interi prima che la puzza svanisse. Le bambine erano bambine, ma le aveva costrette ugualmente a lavare il pavimento, le pareti e il soffitto. Da quel giorno in poi non avevano più fatto scherzi simili, ma per un certo periodo il loro rendimento a scuola aveva subito un drammatico ribasso. «Ha generato un'atmosfera mentale che nessuno era in grado di sostenere» continuò Chronos, sopprimendo un sorriso illecito. «Ma non è stata affatto una cosa da ridere. Gli Stati Uniti sono stati espulsi dalle Nazioni Unite in seguito all'incidente, e la sede è stata spostata a Mosca.» «A Mosca!» esclamò Niobe con tono indignato. «Be', vedi, i diplomatici internazionali hanno faticato un po' a comprendere il lato umoristico della situazione» spiegò Chronos. «Anche se, per quel che ne so, sia i leaders sovietici che americani si sono fatti quattro risate in privato. Naturalmente era impossibile continuare a condurre normali sedute e discussioni...» «Opera di Satana!» esclamò Niobe disperata. Ma sia Atropo che Cloto stavano trattenendo le risa. «Naturale» confermò Chronos. «Ed è incredibile quanto sia riuscito a tirare fuori da quel piccolo incidente. Si è creato un attrito continuo nell'equilibrio politico internazionale, con un ritorno alla grande della malvagità nel mondo. Marte è stato piuttosto occupato a gestire le guerre che sono scoppiate in seguito...» «Dobbiamo impedirlo!» disse Niobe con fermezza. Atropo e Cloto si erano calmate quanto bastava per assentire; era evidente che si trattava di una trama di Satana per generare disarmonia.
«Sono certo che l'inizio del garbuglio è visibile nella vostra Tappezzeria» disse Chronos. «Diamoci un'occhiata.» Niobe aveva imparato come generare l'immagine della Tappezzeria, per sistemare i fili in maniera adeguata. La fece apparire subito, ma lo schema generale sembrava in ordine. «Permettetemi» disse Chronos. Sollevò la Clessidra; la sabbia al suo interno cambiò colore, e la Tappezzeria scivolò improvvisamente in avanti. Niobe si mantenne imperturbabile nonostante lo stupore degli altri due Aspetti, lei sapeva che Chronos aveva il potere d'interferire con le immagini da lei generate. Senza dubbio la Clessidra era il più fantastico di tutti gli strumenti esistenti. «Fra cinque giorni, nel vostro tempo» spiegò. Niobe osservò la Tappezzeria. Vide un garbuglio mostruoso che causava la distorsione di tutto lo schema. Atropo e Cloto erano preoccupate quanto lei; non sarebbero mai riuscite a rimettere in ordine un groviglio simile, una volta avvenuto! «Dobbiamo impedirlo!» ripeté Niobe. «Una volta accaduto, sarà troppo tardi. Dobbiamo far sì che non avvenga affatto!» Poi rivolse un'occhiata a Chronos. «Ma se noi riusciamo a impedire che avvenga, e tu hai già assistito al fatto...» «Non vi preoccupate. Sono immune dal paradosso. Io cambio gli eventi tutto il tempo, letteralmente, per riaggiustare ciò che va storto. E ho avuto un grande scontro con Satana, ve lo assicuro, quando ho iniziato! Ho dovuto attraversare l'eternità stessa per riprendermi. Se voi lo cambiate, lo cambiate. Tutto qui. Io ricorderò il fatto come avvenuto in una delle linee temporali alternative.» «Allora lo faremo» disse Niobe, sollevata. «Se quella bomba deve esplodere tra cinque giorni, significa che ne abbiamo quattro per individuare chi lo farà e tagliare il suo filo fuori dalla Tappezzeria prima che lo faccia, o magari reinserirlo in un punto diverso. In questo caso, il famoso Incidente delle Nazioni Unite non avverrà mai!» «Non avverrà mai» confermò Chronos. «E noi non saremo costrette a vedercela con un ingarbugliamento maggiore» concluse Niobe. «È evidente che si tratta di una trappola di Satana. Degli Aspetti dotati di esperienza se la caverebbero senz'altro, ma lui è convinto che noi non siamo in grado di farlo.» «Probabile» assentì Chronos. «Le vie di Satana sono estremamente contorte e ingannevoli, e bisogna sempre stare attenti alle sue trame sottili.» «Andiamo a casa a vedere che cosa si può fare.»
«Ricordate» disse Chronos «se avete bisogno dell'assistenza di altre Incarnazioni, basta che lo chiediate. Saremo tutti felici di fare il possibile per voi, soprattutto considerando che mancate ancora tutte di esperienza.» «Lo faremo» disse Niobe, e si allontanò sul suo filo. Una volta nella Dimora, tennero consiglio di guerra. «Questo gruppo è inestricabile» disse Niobe. «Un vero e proprio nodo gordiano. Ma la causa la conosciamo: qualcuno deve piazzare quella bomba e andarsene di corsa per non essere contaminato quando esplode. Il Filo della Vita di quel mortale dev'essere per forza nella Tappezzeria, quindi non dobbiamo far altro che individuarlo ed eliminarlo.» Le altre osservarono la Tappezzeria attraverso i suoi occhi. «Ma ci sono talmente tanti fili, e lo schema è così intricato!» osservò Cloto. «Potremmo cercarlo per mesi senza trovare quello giusto!» «È un ago in un pagliaio» disse Atropo. «Donna, mi hai cacciato in un bel guaio quando mi hai proposto di far parte del Fato! Ma ne sono felice!» «Peccato che non abbiamo un computer» disse Cloto. «Ce n'è uno in Purgatorio» ricordò Niobe. «Dovrebbe contenere tutte le informazioni necessarie.» «Be', allora datti una mossa, ragazza» disse Atropo. «E spero che tu sappia come farlo funzionare, perché io non lo so di sicuro!» Niobe si diede una mossa. Si recò all'Ufficio Amministrativo Centrale del Purgatorio e chiese di poter usare il computer. Quando era stata Cloto i computer non erano ancora molto diffusi in Purgatorio, ma evidentemente ora si stavano mettendo al passo con i tempi. Quanto a lei non aveva una grande esperienza nel campo, ma ne capiva i principi di funzionamento generali. Fortunatamente, si trattava di un computer amichevole di facile uso. BUONGIORNO, FATO, disse una scritta sullo schermo appena l'accese, CHE COSA POSSO FARE PER TE? Niobe iniziò a premere goffamente i tasti della tastiera. BASTA CHE MI PARLI, l'informò lo schermo. «Ho bisogno di sgrovigliare un garbuglio» disse Niobe. «Io sono nuova, e...» ESISTE UN FILO CONDUTTORE? «Sì, ma devo individuarlo, e ce ne sono milioni.» CONDURREMO UNA RICERCA GLOBALE. QUALI SONO I CRITERI DI DEFINIZIONE? «Ecco, si tratta di una persona che visiterà il complesso delle Nazioni
Unite a New York in una data particolare o poco prima.» FORNIRE DATA. Niobe la fornì. Sullo schermo apparve una serie di linee sfocate, poi una scritta: RIMANGONO ANCORA TREMILADUECENTOCINQUANTASEI FILI. Be', se non altro avevano fatto un passo avanti. «Possiamo scendere a una cifra più ragionevole... diciamo una mezza dozzina?» FORNIRE ULTERIORI CRITERI DI DEFINIZIONE. Niobe rifletté. Gli altri Aspetti l'aiutarono. Quanto potrà essere grande questa bomba psichica puzzolente? domandò Atropo. «La persona in questione dovrà trasportare una bomba puzzolente psichica abbastanza potente da avere effetto sull'intero complesso» disse Niobe. «Se per caso sai quanto potrebbe essere grande una simile bomba...» Lo schermo lampeggiò. Se Niobe non avesse saputo che aveva a che fare con un computer, avrebbe giurato che la macchina stesse ridendo. UNA BOMBA PUZZOLENTE PSICHICA? Il lampeggiare dello schermo si accentuò. «Sì. Qualcuno ha intenzione di farla esplodere nel complesso delle Nazioni Unite, facendo così espellere gli Stati Uniti dalla stessa organizzazione e facendo spostare la sede a Mosca.» A MOSCA? Il lampeggiamento aumentò ancora, e questa volta apparvero delle lineette gialle ai bordi dello schermo, accompagnate da una musichetta allegra. «Va bene, va bene, non cadere dal tuo supporto» disse Niobe con tono leggermente scocciato. «Voglio solo sapere se...» Con un apparente sforzo, il computer riprese il controllo di se stesso. RIMANGONO MILLEOTTOCENTOQUATTORDICI FILI. Ancora troppi. Magari potremmo provare con il motivo, suggerì Cloto. Magari sa già chi potrebbe aver interesse nell'umiliare le Nazioni Unite. «Puoi eliminare i fili di tutti coloro che non hanno nulla contro le Nazioni Unite?» Lo schermo lampeggiò di nuovo, e ogni tanto apparvero per un attimo le parole BOMBA PUZZOLENTE, come se un pensiero illecito stesse passando attraverso la memoria della macchina. Poi lo schermo tornò di nuovo alla normalità. RIMANGONO SETTECENTOTTANTATRE FILI. Sempre troppi! Usa il cervello, donna, pensò Atropo. Chiedi quanti possono accedere a una bomba simile. Non potranno essere molti. «Elimina tutti coloro che non hanno la possibilità di accedere a una simi-
le bomba» disse Niobe. RIMANGONO QUATTRO FILI. Tombola! pensò Atropo. Un giorno per ogni filo! Non ho mai pensato che dare la caccia ai delinquenti potesse essere cosi gratificante! Evidentemente, vivendo nel ghetto una nonna poteva imparare un sacco di cose utili. Solo Atropo era stata in grado di riconoscere la giusta caratteristica di rilievo. «Per favore, identificami quei quattro fili» disse Niobe, sollevata. Quattro nomi apparvero sullo schermo, e Niobe li ricopiò. «Grazie, computer» disse infine. DI NIENTE, FATO, rispose il computer. Poi, un attimo prima che si spegnesse, apparvero di nuovo per un istante le parole BOMBA PUZZOLENTE. A quanto pareva l'apparecchio non era in grado di cancellare quel concetto dalla sua banca dati. Gli apparecchi del Purgatorio sembravano avere più personalità di quelli del regno mortale. Però bisogna ammettere che il vecchio Satana ha un certo senso dell'umorismo, pensò Atropo. «Sì, sono sicura che se la ride alla grande ogni volta che riesce a umiliarci» convenne Niobe. Era indubbio che la spiritosaggine era una caratteristica del Padre della Menzogna. Una volta nella loro Dimora, controllarono i quattro fili in questione. «Forse sarà meglio se li affrontiamo uno per uno di persona» suggerì Cloto. «Per vedere se sono effettivamente colpevoli o innocenti.» «Giusto» assentì Atropo. «Non vogliamo tagliare dei fili innocenti.» Niobe sospirò. «Vero. Non vogliamo fare altri errori. Quindi verificherò uno di quelli bianchi oggi stesso.» Al controllo risultò che uno corrispondeva a un uomo anziano, e l'altro a una donna di mezza età che... «Grandi palle di fuoco!» esclamò Atropo. «È una satanista!» Indubbiamente il sospetto principale era lei. «Non vorrei certo trovarmi a dover indagare in un tempio satanico!» esclamò Niobe. «Lasciamola per ultima» suggerì Cloto. Niobe fu felice di acconsentire. Conosceva i satanisti per la loro reputazione, e anche essendo un'Incarnazione, non voleva avere nulla a che farci. L'altro filo bianco era normale. Il vecchio era un venditore di tappeti magici in pensione di nome Henry Clogg. Questo fu il massimo del dettaglio che riuscì a ottenere, ed era logico, perché altrimenti avrebbe potuto risolvere il problema del bombarolo senza neanche uscire di casa. Naturalmente Satana contava anche su questo; il Fato non era ancora in grado
di leggere i fili in maniera soddisfacente. Almeno quella parte della sua strategia stava funzionando. Niobe scese lungo un filo fino alla casa del vecchio. Era mattino inoltrato, e l'uomo era al lavoro nel suo orto. Niobe si avvicinò. «Salve. Sto cercando il signor Clogg.» «L'avete trovato, carina» disse l'uomo con tono allegro. Lei si scoprì imbarazzata. Era un bel pezzo che nessuno la chiamava così. Desiderò non essersi lasciata andare così tanto in quegli ultimi anni; era sovrappeso di una decina di chili abbondanti, e aveva degli accumuli di ciccia in punti in cui in gioventù era sodissima. Ora, essendo un'Incarnazione, era bloccata in quella forma; nemmeno una dieta avrebbe migliorato il suo aspetto. Naturalmente poteva cambiare il suo aspetto ricorrendo alla magia o alla cosmesi, come aveva fatto Lisa, ma lei preferiva vivere con se stessa senza incantesimi o sofisticazioni di sorta. Ma per quanto la potesse nascondere, la ciccia sarebbe sempre rimasta lì. Per Cloto era più facile; le bastava una magia minima per cambiare colore o lunghezza di capelli, la tinta della pelle o il taglio degli occhi; sarebbe rimasta una donna giovane e attraente in ogni caso. Ma si concentrò sulla sua missione; doveva scoprire se quest'uomo fosse il potenziale bombarolo o meno. «Signor Clogg, io...» «Chiamami pure Henry, carina. Semplicemente Henry, e dammi pure del tu. Non sono nessuno di speciale, sai?» Lo credeva lui! Niobe si rese conto che probabilmente quell'uomo chiamava "carina" qualsiasi donna, e che il termine non aveva quindi alcun significato. Il fatto di essere arrossita per nulla la imbarazzava quasi di più che arrossire per un motivo valido. «Uhm... Henry, io so che... so che hai intenzione di andare a fare una visita al complesso delle Nazioni Unite fra qualche giorno.» L'uomo infilò la sua paletta da giardiniere nella terra, lasciando il manico di fuori per non perderla, e si alzò in piedi spazzolandosi il terriccio di dosso. «Oh, ne hai sentito parlare! Sì, mio figlio mi vuol portare a fare una gita turistica di due giorni, e credo che in lista ci sia anche quello. Per quel che mi riguarda, io non ne so molto, e non me ne importa neanche tanto. Ma lui crede che il suo vecchio debba vedere un po' di cose prima di andarsene e ha deciso così. Immagino che all'Inferno non ne vogliano di gente ignorante come me.» «Oh, ma Henry, tu non morirai tanto presto!» L'uomo sorrise. «Io lo so, e tu lo sai, ma mio figlio non lo sa. Vorrei tan-
to che risparmiasse i suoi soldi; ne avrà bisogno quando mi faccio operare.» «Operare?» «Ho un tumore al sedere» confessò. Come molte persone anziane, non era affatto restio a raccontare dettagli intimi della sua fisiologia a degli sconosciuti. E a quanto pareva non si era nemmeno chiesto che cosa ci facesse lei lì. «È una scocciatura, ma è benigno. È solo una rottura.» Rise. «Per tutti questi anni ho scherzato su quel genere di cosa, e ora me la sono beccata io! Con un bel cuscino morbido sto abbastanza bene, ma mio figlio si preoccupa e dice che lo devo togliere, il che significa ospedale, chirurghi e tutto il resto, e quella sì che è una rottura! Mio figlio però ha bisogno di quei soldi per la sua famiglia, e io non voglio che li butti via dandoli a quei dottori per una cosa della quale comunque non ho bisogno.» Solo allora la fissò con vera attenzione. «Ma io ti conosco?» «No» disse Niobe. «Io...» «Ehi, ti ritrovi un bell'accento, eh? Sei irlandese! Sei mai andata a baciare la Pietra di Blarney? Ma siediti; non avrai mica anche tu qualcosa al sedere, vero?» «Uh, no» disse Niobe prendendo la sedia di legno che le veniva offerta. Henry, fedele alla sua parola, mise sulla propria un morbido cuscino. Vi si sedette lentamente, contraendo il viso. Evidentemente il tumore era più doloroso di quanto non volesse ammettere. «Be', cosa posso fare per te, carina?» domandò. «Si tratta delle Nazioni Unite» disse lei con cautela. «Secondo alcune voci ci saranno dei guai, e allora...» «Te l'ho già detto, a me non importa nulla delle Nazioni Unite. Se vuoi la mia opinione, sono solo un mucchio di sinistroidi che si succhiano i nostri soldi. Staremmo molto meglio se non ne facessimo neanche parte, e se spostassero quella maledetta sede in Russia, o in qualche altro posto.» Questo è un candidato eccome! pensò Atropo. «Ma le Nazioni Unite sono forse la forza di pace più importante del mondo!» protestò Niobe. «Rappresentano una possibilità di dialogo fra quasi tutte le nazioni, permettendo loro di discutere i problemi invece che farsi subito la guerra. Se non ci fosse questa possibilità, sarebbe un disastro.» Henry scrollò le spalle. «Per quel che ne so io, parlano quasi sempre di quant'è brutta l'America. E intanto si fregano i nostri soldi.» Non ha tutti i torti, pensò Atropo.
«Ma si tratta di semplice esercizio della libertà di parola» disse Niobe. «Le parole non possono far del male a questo Paese, ma le bombe sì. È molto meglio...» L'uomo annuì. «È vero! Laggiù ne sapete qualcosa sulle bombe, non è vero? Io non vivrei in Irlanda oggi neanche se mi pagassero!» «Be', non è proprio così» disse Niobe sulle difensive. «Noi non vediamo la violenza, ne leggiamo solo sui giornali. Allo stesso modo in cui voi leggete della criminalità nelle grosse città. La campagna irlandese è bella e tranquilla come quella di qualunque altra parte del mondo.» L'uomo annuì ancora. «Tu ami la tua terra. Questa è una buona cosa. Però se laggiù scoppiano bombe, perché non vanno a parlare alle Nazioni Unite? Voglio dire, l'IRS e...» «L'IRA» lo corresse Niobe. «Che differenza fa? Qui da noi la chiamano IRS (ufficio delle imposte USA, N.d.T.) e fa al tuo portafoglio quello che le bombe laggiù fanno ai vostri palazzi. Come vorrei che scomparissero tutti!» Niobe colse al volo l'occasione. «Non ti piacciono i bombaroli?» «No, non mi piacciono» assentì lui con enfasi. «Però magari una bombetta alle Nazioni Unite ci starebbe proprio bene!» Aha! pensò Atropo. «Non puoi dire sul serio, Henry!» protestò Niobe. «Se venissero bombardate le Nazioni Unite, potrebbe scatenarsi un'altra guerra mondiale!» Henry ci rifletté sopra. «In effetti. E di sicuro non possiamo permetterci un'altra guerra. Non potevamo nemmeno permetterci l'ultima, se è per quello. Sai perché l'inflazione è così alta? Perché stiamo ancora pagando i debiti dell'ultima guerra! Però la cosa mi tenta ugualmente. Se si potesse creare un falso allarme, giusto per far spostare la sede delle Nazioni Unite....» «Come una bomba puzzolente?» domandò Niobe. Henry rise talmente forte che si mosse sulla sedia ed ebbe una smorfia di dolore. «Ma certo! Sarebbe eccezionale! Far diventare la puzza letterale!» Niobe fu percorsa da sensazioni contrastanti. Da una parte era felice di aver avuto la conferma della sua colpevolezza, poiché significava che non doveva andare a scovare gli altri. Ma dall'altra non le piaceva l'idea di fare ciò che sapeva di dover fare, e cioè far sì che Atropo tagliasse il filo di quell'uomo. Ora che l'aveva conosciuto, Henry Clogg le piaceva; per lo meno era un uomo onesto. Sarebbe stato un peccato stroncare la sua vita così prematuramente.
Ma non è sicuro, l'avvertì Cloto. Molte persone parlano, ma poche fanno ciò che dicono. Niobe si attaccò a quella possibilità. «Henry, se qualcuno venisse da te e ti desse una bomba puzzolente da nascondere nel complesso delle Nazioni Unite quando vai a visitarla, permettendoti di farlo saltare in aria e far effettivamente espellere gli Stati Uniti dalle Nazioni Unite...» «Ehi, aspetta un attimo!» l'interruppe lui. «Perché mai qualcuno vorrebbe fare una cosa del genere? Una bomba tanto potente costerebbe un sacco di soldi, e...» «Sì, ma supponiamo che Satana voglia promuovere la discordia nel mondo, e che quindi...» Henry fece una smorfia. «Satana? Ascolta, carina, io sono un uomo timorato di Dio, a prescindere da ciò che dico sull'andare all'Inferno. Non mi avvicinerei al diavolo neanche con un incantesimo a dieci metri di distanza!» «Be', naturalmente lui non ti fornirebbe la sua identità. Potrebbe avvicinarti sotto forma di un uomo d'affari e offrirti una somma di denaro sufficiente a pagare la tua operazione senza incidere sulle finanze di tuo figlio. Solo per portare un pacchettino nella sede delle Nazioni Unite senza farti notare dalle guardie e lasciarlo lì nascosto da qualche parte.» L'uomo fissò il vuoto con aria pensierosa. «Satana, eh? Be', se lui vuole liberarsi delle Nazioni Unite, allora non sono tanto sicuro di volerlo anch'io!» «Be', come ho già detto, non ti direbbe chi è...» «E io dovrei accettare del denaro da uno sconosciuto?» domandò con tono pomposo. «Per portarmi dietro un valigione per tutta la vacanza? No grazie, non ne ho bisogno!» «Vuoi dire che non lasceresti una bomba puzzolente nelle Nazioni Unite, neanche se te ne venisse offerta la possibilità?» «Non ora che ci ho pensato! In effetti le bombe puzzolenti sono roba da bambini, e non sono poi neanche tanto divertenti. E di sicuro non lo farei per soldi sporchi! Se è il diavolo che lo vuole, che sia qualcun altro a fare i suoi sporchi lavori! Per quel che mi riguarda, voglio andare in Paradiso quando lascio questo mondo, anche se lassù non troverò la gran parte dei miei amici.» Niobe sentì nuovamente una sensazione mista di sollievo e di rimpianto, ma questa volta nel senso opposto. Henry Clogg non era il colpevole, ed era felice di non dover tagliare il suo filo. Però questo significava anche
che ora dovevano interrogare gli altri, e che quindi il lavoro non era affatto finito. «Ehi... vuoi un po' di sherry?» domandò Henry. «Be', no, io...» «Non mi viene a trovare molta gente ultimamente» disse. «E non mi dispiacerebbe farmi un bicchierino con te. Mia moglie, che sia benedetta la sua anima, ne andava pazza. Ormai sono passati tre anni...» assunse un'espressione triste. «Berrò un po' di sherry» disse Niobe. L'uomo si alzò lentamente in piedi ed entrò in casa per prendere la bottiglia e due bicchieri. È un bravo nonnetto, pensò Atropo con approvazione. Mi ricorda un po' il mio vecchio prima che morisse, solo che al mio piaceva il brandy. «Normalmente io non bevo...» mormorò Niobe. Lo sherry non è bere, donna! pensò Atropo con fermezza. È socializzare! Credo che gli altri non saranno altrettanto facili, pensò Cloto. Niobe si limitò ad annuire. Henry tornò con lo sherry. Niobe sorseggiò il liquido dorato, soddisfatta di quell'attimo di rilassamento. Bere in compagnia era in effetti una cosa piacevole, sebbene a livello estemporaneo. Avrebbe dovuto essere così anche con Cedric, invece quella volta avevano bevuto esageratamente. L'alcool era un male solo quando se ne abusava, e questo valeva anche per quasi tutti gli altri piaceri della vita. «Mio figlio mi ha già comperato un biglietto in tappeto per New York» disse Henry. «Questo mi dà leggermente fastidio, perché quando lavoravo ancora vendevo proprio tappeti volanti. Avevamo anche dei gran bei modelli. Hai presente quelle pubblicità di automobili che dicono che i tappeti non vanno bene con la pioggia? Be', non crederci! Abbiamo modelli con la capote, e con quelli non c'è proprio modo di bagnarsi! Si possono anche pressurizzare per i voli ad alta quota. E inoltre la magia non inquina l'aria come la benzina!» Niobe ascoltò, e annuì. Quando lo sherry fu finito le dispiacque, ma doveva andarsene. «Torna a trovarmi, qualche volta!» le disse Henry tutto allegro. «Lo farò» promise. E intendeva veramente farlo, quando avrebbe avuto un po' di tempo libero. Tornarono alla Dimora e rifletterono. «Uno andato, ne mancano tre» dis-
se Atropo. «Chi è il prossimo?» «Be', abbiamo una giovane donna di colore, un maestro di arti marziali, e la satanista.» «Facciamoci per prima la più facile» disse Atropo. «La ragazza nera. Naturalmente è mia.» «Ma prima riposiamoci un po'» disse Cloto. «Se siamo fresche sarà più difficile che commettiamo errori.» Le altre furono d'accordo. Inoltre, dovevano ancora filare, posizionare e tagliare alcuni fili; non aveva senso rimanere indietro con il lavoro di routine. Lavorarono un po', quindi si addormentarono tutte e tre. Il mattino seguente, ora di New York, Atropo prese possesso del corpo e fece la sua prima discesa solitaria lungo il filo giù fino al regno dei mortali. La ragazza era a casa, in compagnia di due amici. Lei aveva quindici anni, mentre i ragazzi erano più maturi. Atropo piombò come un flagello dal Purgatorio. «Cosa ci fanno qui questi due?» domandò guardandosi attorno. La ragazza apparve colpita, e i ragazzi confusi. «Non dovresti portare nessuno a casa quando sei sola, e lo sai! Se lo sapesse tua nonna...» «Mia nonna è morta» disse la ragazza in tono difensivo. «Si rigirerebbe due volte nella bara!» continuò Atropo senza pietà. «E se lo sapesse tua madre...» La ragazza emise uno squittio di terrore. «Dovresti mettere il tuo culettino nero fuori dalla finestra per farlo raffreddare!» le disse Atropo fissandola con occhi di ghiaccio. «Non è forse vero, bimba?» La ragazza annuì, seppur controvoglia. Poi Atropo si rivolse ai ragazzi. «E voi due, fuori!» disse facendo un passetto minaccioso verso di loro. I due si scontrarono l'un l'altro nella fretta di uscire. «E se vi vedo di nuovo da queste parti, ci penserò io stessa con il bastone a farvi andare via!» gridò dietro alle figure in fuga. Come facevi a sapere che non dovevano trovarsi qui? pensò Niobe. Non l'abbiamo mica letto nel suo filo, questo! «Conosco i ragazzi» mormorò Atropo. «E conosco le ragazze. Come li ho visti in faccia, ho capito che non stavano combinando nulla di buono.» Sorrise internamente. «Le stesse cose che combinavo io, quando avevo la loro età. Tant'è vero che sono diventata nonna prima del dovuto.»
Si rivolse nuovamente alla ragazza, che stava cercando di riguadagnare un po' di dignità. «Chi sei tu?» domandò ad Atropo. «Tu non sei mia madre, e non puoi dirmi cosa devo fare!» «Sono amica di tua nonna, ragazza» disse Atropo. «Lei non può riposare in pace finché non sa che tu sei sulla retta via, quindi sono venuta a controllare. E ti posso garantire che non mi piace ciò che vedo! Qui mi sembra che si sta esagerando un po'... perché non sei a scuola?» «Faccio il secondo turno!» protestò la ragazza. «Inizio fra due ore.» Atropo rivolse gli occhi al cielo. «Oh, Dio, non so se ce la faccio in due ore.» Poi si concentrò nuovamente sulla ragazza. «Sei nei guai, ragazza mia!» «Ascolta, vecchia, tu non hai nessun diritto di venire qui e di comportarti come se fossi mia madre! Io faccio quello che mi pare, quindi lasciami in pace!» Atropo sospirò. «A quanto pare sono costretta a usare le cattive. Dovrò farti un incantesimo.» «Tu non hai nessuna magia!» disse la ragazza. «Tu non puoi...» Atropo l'afferrò per un braccio e lanciò un filo verso l'alto con l'altra mano. Stava imparando molto rapidamente a manovrare i Fili del Fato. «Io non scherzo, ragazza!» E scivolò su per il filo, portandola con sé. La giovane gridò mentre attraversavano la parete e si lanciavano nel cielo. «Lasciami andare! Lasciami andare!» Atropo abbassò lo sguardo. I tetti delle case stavano già quasi scomparendo. «Sei sicura? Se ti mollo adesso, cadrai giù come un sasso.» La ragazza guardò giù a sua volta e non disse più nulla. Atropo arrivò fino al banco di nubi che delimitava il Purgatorio e si fermò. «Ora voglio che tu mi dica la verità, ragazza. Se menti, ti butto giù dritta da questa nuvola.» La ragazza era atterrita. «Che cosa sei?» volle sapere. «Solo qualcuno che vuole che le cose vadano per il verso giusto. Ora parla, altrimenti mi trasformo in un ragno gigante e ti mangio.» La ragazza non era ancora convinta. «Non puoi!» Atropo assunse immediatamente la forma di aracnide, però di dimensioni umane. La ragazza cacciò un urlo e tentò di fuggire attraverso la sostanza della nuvola, e Atropo riassunse sembianze umane. «Hai cambiato forse idea, ragazza?» «Io non volevo fare nulla di male!» sbottò la ragazza. «Non sapevo ne-
anche cos'era! Il tipo mi ha detto, sniffa questa, che ti farà sentire bene, e io l'ho sniffata, e un attimo dopo mi sono sentita come se galleggiassi sopra il pavimento!» Abbassò lo sguardo con un certo nervosismo. «Non così però!» «Non sniffare mai più nulla di simile!» le disse Atropo in tono perentorio. «Quella roba sarà la tua morte!» «Non lo farò più!» promise la ragazza. La visione del ragno gigante l'aveva finalmente convinta che Atropo faceva sul serio. «Come vai a scuola?» «Be', sai com'è....» «Certo che lo so, ragazza! Hai di meglio da fare, giusto? Immagino che penserai di barcamenartici in qualche modo per poi cavartela nel mondo dei grandi grazie al tuo fascino femminile, vero? Ragazza, se farai così, ti rinchiuderai nel ghetto per tutta la vita, come tua madre e tua nonna! E anche come me! Vuoi dipendere da un uomo per tutto ciò di cui avrai bisogno nella vita? Ti costerà parecchio, ragazza! Un uomo non le fa mai gratis, certe cose. Se invece te la cavi da sola, poi avrai il tempo di guardarti attorno e di scegliere tu quello che vuoi da un uomo. Allora il prezzo lo fisserai tu, e non sarà in denaro. Che cosa stai facendo a scuola?» «Non abbastanza» ammise la ragazza. «Vi portano mai a fare gite scolastiche?» Il viso della ragazza s'illuminò. «Certo... proprio adesso dobbiamo andare a New York. Andiamo in autobus, e vedremo tutti i luoghi di interesse turistico...» «Ti devo dire una cosa in proposito, ragazza; potrebbe venire da te un uomo, offrendoti dei soldi o qualcosa da sniffare, se tu gli porti un pacchetto alla sede delle Nazioni Unite. Sai già che cosa devi dirgli?» Senza dire una parola, la ragazza scosse il capo. «Devi dirgli di andare all'inferno!» esclamò Atropo. «Non portare nulla a New York! Vai lì e impara tutto ciò che puoi, così poi scriverai un bel rapporto sulla gita quando sarai tornata.» «Tutto qui? Devo solo dirgli...» «Tutto qui. Digli questo, e fai i tuoi compiti. Li hai fatti?» «Non ancora» ammise la ragazza con un filo di voce. «Be', abbiamo ancora un'ora. Per questa volta ti aiuterò io, ma da ora in poi ci devi pensare tu. Devi alzare la tua media, capito? E niente più scene mute davanti ai professori. Così almeno tua nonna smetterà di rigirarsi nella tomba.»
La ragazza annuì, senza più opporre alcuna resistenza. Atropo ridiscese il filo fino alla casa della ragazza. Le fece tirare fuori i suoi compiti e ne parlarono. Atropo non era molto abile per quanto riguardava questioni tecniche, ma Niobe e Cloto le diedero le risposte mentalmente, permettendole di assistere la ragazza in maniera adeguata. Fu un ottimo sforzo congiunto. Quando infine la ragazza se ne andò a scuola, i tre Aspetti erano soddisfatti non solo di aver eliminato un potenziale portatore della bomba puzzolente, ma anche di aver dato a quella ragazza la possibilità di condurre una vita molto migliore di quella che si stava preparando. «Il mondo ha bisogno di nonne più aggressive» commentò Atropo quando tornarono alla Dimora. Le altre due non poterono fare a meno di assentire. 12 Sangue Studiando il caso successivo, vennero tormentate da seri dubbi. Il filo dell'interessato rilevava che si trattava di un orientale di circa trent'anni, e che era un personaggio piuttosto importante all'interno della sua cultura. Non potevano semplicemente tagliare il suo filo, poiché la cosa avrebbe portato a serie complicazioni nello schema generale della Tappezzeria, che pur non avendo conseguenze gravi come quella della bomba puzzolente, erano comunque da evitare. Avrebbero dovuto convincerlo a parole, ma Niobe, che ormai stava imparando a leggere i fili piuttosto bene, e sapeva già che il compito non sarebbe stato semplice. Inoltre c'era un nodino molto significativo nel suo filo, che indicava una recente interferenza. Molto probabilmente si trattava dell'offerta di Satana. E se l'uomo aveva accettato, come potevano fermarlo senza recidere il suo filo? Cloto assunse il controllo del corpo. «Ci proverò» disse semplicemente. Puntò la conocchia, lanciò il filo, e scivolò giù fino al punto in cui si trovava l'uomo. Anche questa volta era mattino e il luogo era quello in cui l'uomo lavorava, nello stato del New Jersey. Si trattava di un dojo, o palestra di arti marziali. Avremmo dovuto immaginarlo, pensò Niobe. Si chiama Samurai. «Che significa Guerriero» mormorò Cloto. «Un titolo a dir poco pretenzioso!» Cloto aprì la porta ed entrò. All'interno c'era una ragazza con indosso un gi, o uniforme per arti marziali, seduta davanti a una scrivania. «Volete i-
scrivervi a un corso?» domandò la ragazza con tono gentile. «No» disse Cloto. «Vorrei parlare con Samurai.» La ragazza sorrise. «Il maestro non dà lezioni private. Ma se vi iscrivete vi dedicherà la stessa attenzione che riserva a tutti gli allievi, e se avete talento potrete passare a un corso più avanzato e farvi seguire più da vicino.» La ragazza l'osservò attentamente, valutandola. «Naturalmente questo corso è più costoso e richiede una particolare dedizione.» «Non voglio diventare un'allieva» insistette Cloto. «Si tratta di una faccenda personale.» La ragazza l'osservò di nuovo. Improvvisamente Niobe ricordò come appariva il loro Aspetto più giovane. Era ben vestita, visto che gli abiti della Dimora, tessuti con le migliori sete, erano di primissima qualità e cadevano con perfezione magica, e lei era una donna attraente già in partenza. Non era certo il genere di persona che passava inosservata. «Attendete un attimo» disse la ragazza, e premette un bottone. Poco dopo ricevette una risposta. Alzò lo sguardo. «Prendete il corridoio a sinistra, dietro la tenda. Oh, e toglietevi le scarpe prima di entrare. È molto pignolo su questo.» «Grazie.» Cloto s'incamminò lungo il corridoio, quindi si fermò per togliersi le sue graziose scarpette prima di attraversare la tendina di bambù. L'ufficio era come un giardino giapponese, con piante verdi e statue orientali ovunque. Un materassino larghissimo ricopriva il pavimento. Dalla parte opposta della stanza, seduto a gambe incrociate su un palchetto leggermente rialzato, sedeva un bell'uomo con un gi splendente, quasi una vestaglia. Cloto si bloccò all'ingresso, a bocca aperta. «Oh, è bellissimo!» esclamò. «Non sono mai stata in Giappone, ma...» «Vieni avanti» le disse l'uomo. «Non avere paura del tatami.» Cloto salì sul materassino con i piedi scalzi, trovandolo morbido ma sodo. «Samurai, devo parlarvi di...» «Un attimo» disse lui con tono perentorio. Cloto si fermò dov'era.«Girati, donna.» Cloto esitò un attimo, quindi si girò. L'uomo si alzò in piedi senza sforzo apparente e con un passo felpato da pantera si avvicinò a un armadio a muro coperto da una tenda. Tirò fuori un kimono piegato. «Indossa questo.» «Cosa?» «Voglio che tu sia vestita in maniera adeguata» disse. «Vai pure nello
spogliatoio.» Fece un cenno verso una porta. «Indossa questo. Poi parleremo.» «Samurai, non so che cosa crediate che sia venuta a fare qui...» «Non sei venuta per iscriverti a un corso» disse. «E neanche per parlare d'affari. Quindi devi essere una geisha.» «Una geisha!» ripeté lei con tono indignato. Cos'è una geisha? domandò Atropo. Un'intrattenitrice giapponese di alto livello, rispose Niobe. Ah, le chiamano così da quelle partì? Noi le chiamiamo puttane! Non è esattamente la stessa cosa... iniziò Niobe, ma gli eventi esterni interruppero il loro dialogo. «Avevi altre intenzioni?» stava domandando Samurai. Cloto passò al giapponese, sputando fuori un piccolo torrente di parole. Né Niobe né Atropo riuscirono a capire nulla delle sue parole, ma ne percepirono il senso della sua mente. Gli stava dando del porco sessista maschilista. Oops! pensò Niobe. Quella ragazza ha un bel caratterino! pensò Atropo con malcelata ammirazione. L'espressione di Samurai divenne cupa. Fece un passo verso Cloto, che si girò su se stessa e corse verso la porta. Si lanciò attraverso la tenda, si chinò per prendere le scarpe, e rimase bloccata. Un uomo le stava correndo incontro dal corridoio. Si voltò e attraversò nuovamente la tenda. Samurai la stava aspettando. Gli lanciò le scarpe, e lui ne afferrò una al volo e schivò l'altra. Aveva riflessi prontissimi. Cloto si buttò da un lato e attraversò la stanza di corsa. Samurai la seguì. Cloto allungò una mano, prese un vaso con un cactus, si girò su se stessa e lo lanciò in testa al maestro. Questa volta lo colpì; il vaso di terracotta si spaccò fra gli occhi dell'uomo, sporcandogli tutto il viso di terriccio. Questa poteva risparmiarsela! pensò Niobe. Quella ragazza non scherza affatto! commentò Atropo. Forse faremmo meglio a filarcene via di qui. Non possiamo; il corpo ce l'ha lei. Vuoi dire che non possiamo prendere il controllo se ne abbiamo bisogno? No, finché non ce lo permette... e al momento non ci sta prestando molta attenzione.
Atropo scosse il capo mentalmente. Sono passati quarant'anni da quando mi hanno violentata. Ma ho paura che fra quaranta secondi succederà ancora! Un mortale non può violentare un'Incarnazione! protestò Niobe. Ne sei sicura? Niobe rifletté. No. So che un mortale non può farci del male, ma non so se la violenza carnale sia considerata una sofferenza inflitta. Può anche trattarsi solo di... di un'interazione, senza spargimento dì sangue. Niente spargimento di sangue per me, o per te... ma che mi dici di lei? Niobe ci pensò nuovamente su. È innocente come lo ero io quando mi sono sposata la prima volta. Tuttavia... Be', se succede, vediamo di riuscire a cambiare il suo corpo con il mio al momento giusto. Così si darà una calmata. Niobe pensò a quell'eventualità, e alla possibile reazione dell'uomo. Iniziò a ridere, anche se non voleva. In realtà non c'era proprio nulla da ridere. Nel frattempo Cloto stava correndo lungo un altro corridoio. Si tuffò attraverso la tenda di bambù dal lato opposto, e si ritrovò nella palestra principale. Circa venti allievi con indosso gì bianchi chiusi da cinture bianche e gialle stavano allenandosi su alcune proiezioni, assistiti da un uomo con una cintura marrone. Alla sua comparsa la lezione si bloccò, poiché l'abitino estivo di Cloto era decisamente in contrasto con la severità delle loro uniformi. Era di una stoffa azzurrina leggermente increspata, con una fascia rosa e un fiore anch'esso rosa alla cintura, mentre i suoi capelli erano legati in un codino all'occidentale con un nastrino a sua volta rosa. Era la personificazione dell'innocenza. In quel momento Samurai piombò nella sala, l'immagine stessa della rabbia maschile. Aveva il viso e l'elegante kimono imbrattati di terra, e dal suo naso colavano gocce di sangue. Gli allievi si fecero da parte mentre avanzava e afferrava Cloto per un braccio, «Donna, non hai nessun...» Cloto rimase impietrita per un attimo, poi tentò di divincolarsi, ma la presa dell'uomo era d'acciaio. Gli sputò in faccia altri insulti in giapponese. Aih! pensò Atropo, increspando le labbra mentalmente. Una ragazza di quell'età non dovrebbe neanche conoscere certi concetti! Niobe non poté darle torto. Evidentemente le donne emancipate di oggi imparavano certe cose prima di quanto non le imparassero le donne convenzionali delle generazioni precedenti, a prescindere dalla lingua che usavano.
La rabbia di Samurai si trasformò per un attimo in qualcosa di simile alla vergogna, quindi passò al ribrezzo. Le rispose per le rime in giapponese. A quanto pareva la traduzione equivaleva a qualcosa di simile all'opinione di Atropo sulle geishe. Cloto tentò di colpirlo con uno schiaffo, ma lui intercettò la mano e la bloccò, tirandola a sé. La baciò. Cloto si divincolò, ma non riuscì a staccarsi. Lentamente, si rilassò. Certo che quest'uomo sa baciare! commentò Atropo. La bisbetica domata, assentì Niobe. Poi Cloto si riprese, e morse Samurai sul labbro. Infine, si ricordò dei suoi poteri. Proiettò un filo e vi scivolò dietro. L'uomo si ritrovò improvvisamente le braccia vuote, poiché il Fato non aveva sostanza quando viaggiava lungo i suoi fili. Esterrefatto, Samurai si guardò attorno. La vide a circa tre metri di distanza. Le si lanciò addosso, e lei gli passò attraverso giungendo dalla parte opposta della palestra. Gli allievi rimasero a bocca aperta. Quando l'uomo si girò e fece per piombarle nuovamente addosso, lei gli si fece incontro, si accucciò a terra e si materializzò davanti alle sue gambe, facendolo inciampare. Poi scivolò in avanti di un altro metro, lo attraversò di nuovo, si materializzò ancora, e gli piazzò un calcione nel sedere. Samurai cadde in avanti con una capriola perfetta e si ritrovò in piedi con grande grazia di movimenti. «Magia!» esclamò. «Portatemi la mia spada!» La cintura marrone corse fuori e tornò un attimo dopo con una katana nel suo fodero. Samurai l'afferrò ed estrasse la lama luccicante. «So io come trattare una strega!» Scappa, ragazza! pensò Atropo. Questa volta Cloto la sentì. Proiettò un altro filo, e scomparve uscendo dal soffitto. Una volta in aria, si fermò. «Ma così non sto portando a compimento la mia missione!» esclamò. «Benvenuta nella realtà, ragazza» borbottò Atropo, usando la bocca ora che erano da sole. «Se quell'uomo era indeciso sull'aiutare Satana o meno, ora l'aiuterà di sicuro!» «Ma che cosa posso fare? Ho macchiato il suo onore!» «Cosa?» «Sì. L'ho messo in imbarazzo in pubblico, e quindi gli ho fatto perdere la
faccia davanti ai suoi allievi.» «Vuoi dire che ora non sarà più ragionevole?» domandò Atropo in tono asciutto. «Non è un uomo cattivo, è solo un po' arrogante! Non avrei dovuto umiliarlo!» «Non ti ha forse dato della puttana?» domandò Atropo. Niobe si rese conto che la vecchia donna saggia stava cercando di far ricredere quella giovane impulsiva. «Mi ha scambiata per una geisha. È... sono sicura che non intendeva insultarmi. È una professione onorata.» «Un'intrattenitrice» intervenne Niobe. «Una cortigiana.» «Be'. Allora, ragazza torna lì dentro e chiedi scusa!» disse Atropo, con un tono molto simile a quello che aveva usato con la ragazzina nera. «Non è così semplice» disse Cloto mestamente. «Sono una donna emancipata. Non posso sottopormi a... a...» «Preferisci mandarlo all'Inferno?» domandò Atropo con tono serio. «No! Ma quando si tratta di una questione d'onore... Non volevo farlo!» «Non volevi balzare subito a una conclusione e stroncarlo con il tuo giapponese da strada?» domandò Atropo. «Io... queste vecchie tradizioni... per tutta la mia vita mi sono opposta...» «Ragazza, credi forse che le tue nuove tradizioni siano migliori?» «No» sussurrò Cloto. «Ho... ho esagerato.» «Be', allora sarà meglio che torni lì dentro e ti spieghi» disse Niobe. «Altrimenti saremo costrette a tagliare il suo filo.» «No!» esclamò Cloto in tono disperato. «Be', non è poi tanto emancipata» commentò Atropo. «In effetti non si tratta di un uomo qualunque» aggiunse Niobe. «Lo puoi dire forte» ammise Cloto. «Senti, ragazza, ora tu torni lì dentro» ordinò Atropo. «Ma questa volta devi darci ascolto. Ti aiuteremo, allo stesso modo in cui tu hai aiutato me con i compiti di quella ragazzina. Nessuno può sapere tutto da solo, come si dice dalle mie parti. In un modo o nell'altro, salveremo la reputazione di quell'uomo.» Cloto scoppiò a ridere in maniera quasi isterica. «Non funzionerà! Non funziona a quel modo!» «Proviamoci comunque» disse Atropo. «È pur sempre un uomo, e tu sei una ragazza più che attraente. Ti ascolterà. E poi cos'abbiamo da perdere?» Cloto scrollò le spalle rassegnata, quindi scivolò nuovamente giù lungo
il filo. La lezione era già ripresa normalmente, ma la cintura marrone cacciò un grido nel momento in cui Cloto si materializzò. La ragazza gli passò vicino come se nulla fosse, imboccò il corridoio, ed entrò nell'ufficio. Samurai era davanti a uno specchio che si puliva il viso con una spugna. Vedendo Cloto, si immobilizzò Scusati, ordinò Atropo. «Sono... sono venuta per scusarmi» disse Cloto. Samurai si girò. «Solo il sangue può lavare quest'onta» disse. «Io... io posso dartelo.» «Chi sei?» Cloto ebbe un attimo d'esitazione. Non credo che sia il caso di rivelargli la nostra natura, pensò Niobe. Risulterebbe come una specie di minaccia. «Sono... sono una creatura soprannaturale» disse Cloto. «È per questo che non potevo...» «Una strega!» esclamò lui. «No. Una donna. Ma non... come tutte le altre.» Samurai accennò quasi un sorriso. «Non come le altre» riconobbe. «Samurai, come posso riaggiustare le cose?» domandò Cloto. «Io non volevo... ma tu mi hai fatto arrabbiare...» «Perché ti ho scambiato per una geisha?» «Siamo in America! Le donne qui sono indipendenti, non sono dei giocattoli per il divertimento degli uomini!» L'uomo annuì. «Ti ho scambiata per una giapponese.» Questo commento non le piacque. «Io sono giapponese, ma emancipata. Io... io ho lasciato la mia famiglia perché... perché non volevo seguire i modi medioevali.» «Sono le migliori tradizioni del nostro Paese!» disse lui. «Accetti quindi le mie scuse?» «No. Solo il sangue potrà lavare quest'onta.» Cloto allargò le braccia in gesto di supplica. «Samurai, io sono immortale. Non posso darti il mio sangue. Ma se non riusciamo a trovare un accordo, sarò costretta a prendere il tuo.» Samurai si toccò il naso. «L'hai già fatto.» «Tutto» precisò. «Allora prenditelo!» esclamò lui. «Porta qui il tuo campione, che incontri la mia katana! Solo allora il debito sarà pagato.» Accetta! pensò Niobe.
«Ma...» «Oggi stesso» disse lui. «Qui nel mio dojo. Davanti ai miei allievi, dove è avvenuta l'offesa.» Accetta! ripeté Niobe con urgenza. «Va bene» disse Cloto con un filo di voce. «Oggi... oggi pomeriggio.» Samurai apparve sorpreso. «Accetti?» Ora digli cosa vogliamo, pensò Niobe. «Sì. Porterò qui il mio campione. Per scontrarsi con te. Ma ora posso dirti perché sono venuta qui?» Samurai inclinò il capo. «Devo ammettere che mi incuriosisci, donna.» «Qualcuno ti farà un'offerta, chiedendoti di fare un servizio per lui...» «L'ha già fatto.» Cloto fece una pausa. Siamo sempre più vicini al momento cruciale, pensò Niobe. «Non devi farlo!» disse Cloto. «Perché no?» «L'offerta viene direttamente da Satana. Vuole piazzare una bomba alle Nazioni Unite...» «Che vuoi che m'importi delle Nazioni Unite?» «Se... se questo accade, vi saranno forti dissidi fra le varie nazioni, e forse la guerra...» «Cosa c'è che non va nella guerra?» Esterrefatta, Cloto lo fissò. È un maestro di arti marziali, pensò Niobe. Un guerriero. Lui ama combattere. Chiedigli se vuole che la sua anima vada all'Inferno, suggerì Atropo. «Se rendi questo servizio a Satana, la tua anima sarà sua.» «Come fai a saperlo?» domandò Samurai. «Io... lo so.» «E perché dovrei crederti?» Forse sarà meglio che tu glielo dica, dopotutto, pensò Atropo. Anche Niobe era d'accordo. «Io sono il Fato» disse Cloto. «Ora stai insultando la mia intelligenza!» «Che prove vuoi?» «Nessuna prova, donna! Non ti permetterò di prendermi in giro!» Chiedigli che cosa gli ha offerto Satana, pensò Niobe. «Che cosa ti ha offerto Satana, per consegnare quel pacchetto?»
«Non potresti mai immaginare il valore del...» si interruppe. «Non era Satana.» «Uno dei suoi agenti. Non importa chi è materialmente venuto da te. L'offerta viene da Satana.» Samurai rifletté. «Mi ha offerto il segreto del dito della morte.» «Il cosa?» «Ho cercato di ottenerlo per tutta la mia vita. È un colpo leggerissimo, dato con un solo dito, che porta alla morte nel giro di un'ora. Fa sì che il sistema nervoso centrale smetta di funzionare in maniera progressiva, finché il corpo non è più in grado di reagire.» «Vuoi uccidere qualcuno con un solo dito?» «No. Voglio solo sapere come si fa.» «E per questo hai acconsentito di piazzare una bomba alle Nazioni Unite?» «No. Devo solo portare un pacchetto. E non ho ancora acconsentito. Devo dare una risposta domani.» «Devi rifiutare!» «Questo non sta a te deciderlo. Chi è il tuo campione?» Marte, pensò Niobe. Se glielo chiediamo, ci aiuterà. «Marte.» «Chi?» «L'Incarnazione della Guerra.» «Ancora mi prendi proprio in giro!» esclamò lui. «Non esiste nessuna Incarnazione, né del Fato né della Guerra! Non posso tollerare questa presa in giro dopo l'onta che ho subito!» «Ma lui verrà!» disse Cloto. «Non farò entrare nessuno sconosciuto in questa palestra oggi!» Lo porteremo comunque, pensò Niobe. Samurai pensa che lo stai prendendo in giro, ma ci crederà quando vedrà Marte! «Noi ci saremo» disse Cloto. Quindi protese un filo e scivolò via, a piedi nudi. Tornate nella Dimora, discussero su quanto era successo. Si trovarono tutte d'accordo sul fatto che Samurai non avesse avuto intenzione di offenderla dandole della geisha; aveva semplicemente interpretato male le intenzioni di Cloto, ma in buona fede. Probabilmente erano molte le giovani donne che andavano da lui con la speranza di avere una relazione personale o sessuale con un grande maestro di arti marziali. Di conseguenza la reazione rabbiosa di Cloto non era stata legittima. Si trovarono d'accordo an-
che sul fatto che Samurai fosse un uomo fondamentalmente decente, il cui filo non andava tagliato prematuramente, e che l'onta da lui subita andasse effettivamente lavata. Ma non certo con il sangue! Cloto promise di consultarsi con gli altri due Aspetti la prossima volta che le fosse venuto da esplodere in quel modo. Se era intenzionata a suicidarsi quando era stata cacciata dalla sua famiglia, evidentemente la tendenza a reazioni esagerate faceva parte del suo carattere. «Dopotutto» concesse infine «alcuni porci sessisti maschilisti possono anche essere persone decenti.» E questo era l'aspetto più delicato della faccenda. «Se fossi in grado di convincere Samurai a rifiutare l'offerta di Satana comportandoti come lui credeva che tu volessi fare all'inizio» domandò Niobe a Cloto «lo faresti?» Cloto venne presa da un impeto di pura rabbia. Poi si calmò, rendendosi conto che stava per reagire esattamente nella maniera in cui aveva promesso di non reagire più. «Non lo so» sussurrò infine. Come con Chronos, pensò Niobe, quando Cloto era lei. Il Fato richiedeva i suoi sacrifici, non tanto di coscienza quanto d'immagine. L'attuale Cloto si considerava una donna emancipata, ma in realtà era saldamente legata alla sua precedente educazione. «Ora andiamo da Marte» disse Niobe. «Lo conosco da tanto tempo, e ci aiuterà. Ma non conosco quest'Incarnazione particolare, e forse è meglio che non sappia del mio passato; è un segreto che dobbiamo mantenere finché non affrontiamo Satana. Quindi propongo che lo contatti Cloto a modo suo, e che metta la faccenda nelle sue mani.» Cloto sospirò. «Quest'ufficio e questo Aspetto hanno i loro svantaggi!» Niobe rise. «Cosa c'è di nuovo? Lo cambieresti?» «No.» Atropo sorrise. «Credo che stiamo cominciando a capirci.» Cloto lanciò un filo fino a Marte. Si trovava nei pressi del confine fra Iran e Irak, e stava sovraintendendo a una sanguinosa scaramuccia locale. «Questa gente della Babilonia e della Persia è veramente dedita alla mia causa» commentò soddisfatto quando vide apparire Cloto. Poi la guardò di nuovo, con maggiore attenzione. «Cloto, sei cambiata! Quella dolce ragazza ungherese si è forse stancata?» «Si è innamorata» disse Cloto, come se Lisa fosse morta. Marte scoppiò a ridere. «Questo è il difetto di quelle come te! Va tutto bene finché non vi invaghite di un maschietto, poi vi lasciate andare a...»
Anche questa volta Cloto non riuscì a trattenersi. Gli sputò in faccia alcune parole secche in giapponese. Marte sorrise. «E tu sei madre di un cane malato» rispose nella stessa lingua. Niobe e Atropo raccolsero il significato dalla mente di Cloto. Cloto ci rimase di sasso. «Mi hai capita!» «Dolcezza mia, Marte conosce tutte le lingue dell'umanità! Se hai voglia di litigare, sei venuta dalla persona giusta. Ora la ragazza era imbarazzata.» Sono venuta a chiedere il tuo aiuto. «E l'hai fatto con grande cortesia, dolce fiore dell'Oriente! Cosa posso fare per te?» Cloto spiegò come tutti e tre gli Aspetti fossero nuovi del mestiere, e come si fossero trovate nei guai cercando di star dietro alle macchinazioni di Satana. «Ora ho offeso il maestro di arti marziali Samurai, e devo rendergli soddisfazione prima di tentare di convincerlo a...» «Samurai! Ne ho sentito parlare! È un ottimo guerriero, anche se forse non è all'altezza degli uomini dai quali prende in prestito la sua reputazione. Un uomo della vecchia scuola, con quel tipico senso dell'orgoglio all'antica. Così ti ha scambiata per una geisha!» «Sì» confermò Cloto con imbarazzo. «E tu gli hai dato un calcione nel sedere davanti ai suoi allievi.» «Sì» confermò ancora lei con un filo di voce. «Dovrai dargli sangue.» «No! Non voglio morti!» Marte fece un gesto con la sua spada, e i combattimenti nella regione si fermarono all'improvviso. I cannoni e i fucili tacquero, e persino i lamenti dei feriti cessarono. «Cloto, tu hai macchiato il suo onore. Sai che cosa significa questo?» «Sì» rispose lei con tono cupo. «Samurai è inflessibile per quanto riguarda le questioni d'onore. Ce ne sono pochi come lui al giorno d'oggi; è un uomo d'acciaio in un'epoca di plastica e ruggine; un uomo vero. Posso soddisfarlo dal punto di vista sociale, ma solo tu puoi sedare il suo dolore Interno, e finché non lo farai, non esaudirà mai la tua richiesta. Ed è giusto che faccia così. Prima del disonore, la morte. Come vuole la grande tradizione.» «Ma stiamo cercando di evitare la morte e d'impedire una guerra...» si bloccò, fissandolo. «E io sono la Guerra» concluse Marte. «Cloto, la tua boccuccia non è dolce quanto sembra. Ma ti capisco. Io sono un'Incarnazione, e tu pure. Fa-
rò ciò che posso per te, oggi, e un giorno tu farai ciò che puoi per me.» Cloto sospirò. «Voi uomini non volete che una sola cosa!» «Riordinerai i fili per semplificare la mia situazione se dovessi trovarmi nei guai» chiarì Marte. «Questa è la maniera in cui cooperano fra loro le Incarnazioni.» «Oh.» Cloto si fece tutta rossa per la vergogna. «Il motivo per il quale le donne pensano che gli uomini vogliano una sola cosa da loro» continuò Marte come se nulla fosse «è che le donne sono in grado di percepire solo questo negli uomini. Le donne non comprendono appieno molte questioni, quale, ad esempio, l'onore.» «Non è vero!» esclamò Cloto. «Ah, no? Bene, allora parliamo un po' dell'onore. Tu hai macchiato l'onore di Samurai, quindi se vuoi trattare con lui, devi concedergli il tuo. Naturalmente tu sei vergine...» «Come fai a saperlo?» «È una di quelle cose alle quali facciamo riferimento noi porci maschilisti» disse Marte. «Ora capisci quale sangue dovrai offrire a Samurai?» Cloto ebbe un attimo di esitazione. Era confusa. Ha ragione, pensò Niobe. Gli uomini sono fatti così, aggiunse Atropo. «Ti piace, non è vero?» infierì Marte con crudeltà. Cloto gli si lanciò addosso, tentando di graffiarlo in faccia. Ecco che risalta fuori il suo caratterino! pensò Niobe. Quella ragazza ha del coraggio! commentò Atropo. Marte l'afferrò senza evidente sforzo. «A quanto pare stiamo proprio bene assieme, noi due» disse. «Mi piace un sacco quando ragazze carine come te mi saltano fra le braccia. Be', comunque ci sarò, e vi organizzerò tutto quanto. Ma alla fine, sarete tu e Samurai. Devi solo decidere come ti vuoi regolare. Ad ogni buon conto, ricordati che lui è una brava persona.» Marte la mollò e si voltò dalla parte opposta, e in quel momento la battaglia attorno a loro riprese. Cloto rimase lì impalata, con il viso solcato da lacrime di rabbia, incapace di contrastare l'insolenza di Marte. Andiamocene da qui, ragazza, pensò Atropo. Con un gesto sconsolato, Cloto estese un filo e scivolò su in Purgatorio. Niobe la capiva perfettamente. La ragazza aveva combattuto tutta la sua vita per l'indipendenza e l'uguaglianza, e ora era stata proiettata nel vecchio ruolo sessista. Non era proprio come lei da giovane, ma l'affinità era
sufficiente per far capire a Niobe che non era il caso d'intervenire. Fecero colazione, quindi aggiustarono qualche filo che si era allentato, il tutto con una certa preoccupazione. Poi Cloto indossò un paio di pantaloni lunghi, scarpe senza tacco, una camicia molto professionale, e scese lungo un filo fino al dojo. Come vi atterrò davanti, apparve Marte. Indossava un gi bianco. Niobe non aveva mai capito bene il metodo di trasporto di Marte, ma le sembrava che avesse a che fare con la sua spada. Ogni Incarnazione aveva un simbolo del suo ufficio, nel quale risiedeva gran parte della magia dell'ufficio stesso. Evidentemente il simbolo di Marte era proprio quello. «Seguimi» disse Marte, porgendole la sua spada rossa. Cloto la guardò. Non aveva fodero, ed era enorme, con un manico quasi troppo grande per la sua mano e una lama luccicante a doppio taglio dalla quale scaturivano riflessi rossastri. La spada aveva un'aurea magica minacciosa, e la cosa la rendeva nervosa. La prese goffamente con entrambe le mani, tenendo la lama puntata verso il basso. Persino Niobe si stupì. Che cos'ha in mente? Non abbandona mai la sua spada rossa! Lo scopriremo tra breve, pensò Atropo. La ragazza alla scrivania riconobbe subito Cloto. «Andatevene, per favore» le disse. «Voi non siete gradita qui.» Marte si appoggiò alla scrivania. «Sono il suo campione. Avverti i tuoi mercenari.» Due uomini apparvero da dietro la tenda. Indossavano entrambi i loro gi, ed erano cinture nere. «La signorina vi ha chiesto di andarvene, amico» disse uno dei due, facendo un passo avanti. Credo che stiamo per assistere a un po' di stupidaggini di stampo maschile, pensò Atropo con un certo piacere. Quando non pensano al sesso, pensano a combattere. «Ho un appuntamento» disse Marte. Si avvicinò di scatto all'uomo, afferrò la sua mano già protesa, e lo spedì a rotolare sul terreno. L'altro si girò, e Marte allungò una gamba spazzando via il piede di appoggio dell'uomo, che cadde a terra con un tonfo. «Ora entrate e annunciate il mio arrivo» disse Marte. «Voglio i vostri ranghi al completo, e la cortesia del dojo.» Senza dire una parola, i due uomini scomparvero in tutta fretta. «Potevi far loro del male!» protestò Cloto. Marte si avvicinò a Cloto e le offrì il braccio. «Non con una semplice
proiezione e una spazzata; sanno come cadere. Ho solo dato loro una piccola dimostrazione della mia abilità.» Lei gli porse la spada, ma Marte la rifiutò. «Non la userò in questo luogo, ma non posso darla in mano a un mortale. Tienila finché non avrò finito.» Cloto riuscì a tenere la maledetta spada con una mano sola, e prese Marte a braccetto con l'altra. Attraversarono assieme la tenda di bambù e il corridoio, fino alla palestra principale del dojo. «Hai intenzione di combattere con tutti quanti?» «Certo» rispose Marte. «Ma...» «Me li farò tutti. Poi toccherà a te.» «Ma...» «Non preoccuparti, dolcezza. Andrà tutto bene.» Lo spero, pensò Cloto con una certa apprensione. Sa quello che fa, pensò Niobe in tono rassicurante. Magari noi tre non sappiamo ciò che sta facendo, ma lui sì. Giunsero alla seconda tenda. «Togliti le scarpe» disse Marte. Lui era già scalzo. Cloto obbedì, e attraversarono la tenda. Circa quaranta allievi erano seduti in fila lungo la parete opposta, davanti al bordo del grande materassino. A quanto pareva erano stati schierati in ordine di grado, con le cinture bianche da un lato e le nere dall'altro. Cloto notò che c'erano anche diverse donne. Samurai era al centro del tatami. Si voltò verso di loro. Marte allungò la mano destra, e vi apparve una striscia di stoffa rossa. Con un gesto volutamente lento, si legò la cintura alla vita fissandola con lo strano nodo usato dagli adepti di quell'arte. In quel momento un mormorio di stupore corse tra gli allievi. A quanto pareva non avevano mai visto una cintura rossa prima di allora. Sta succedendo qualcosa d'importante? domandò Niobe. Marte si avvicinò al materassino, si fermò e si piegò su se stesso fino alla vita. Si sta inchinando davanti al tappeto! pensò Atropo, trovando la cosa piuttosto ridicola. Ma Cloto ne aveva sentito parlare. «Fa parte del rituale»bisbigliò. «Bisogna sempre inchinarsi quando si entra o si esce dal tatami, il materassino, poiché attutisce le cadute e salva le ossa. Inoltre bisogna sempre salirci a piedi nudi.»
Marte vi salì. «Portate la cintura di un Grande Maestro» disse Samurai, in tono di sfida. «Siete molto perspicace» rispose freddamente Marte. Samurai si voltò e camminò fino alla fila degli allievi, e sedette a gambe incrociate accanto all'ultima cintura nera. Marte si volse verso la fila e s'inchinò. Tutta la fila s'inchinò a sua volta. Poi Marte fece un passo avanti e prese il primo allievo dalla parte delle cinture bianche. Si trattava di una ragazza piuttosto giovane, e quando Marte l'afferrò i suoi piedi lasciarono il tappeto per un attimo. Non può attaccarla! pensò Niobe con orrore. Ciò nonostante, nessuno protestò, e nessuno sembrò preoccupato. Si limitarono tutti a guardare. Marte la portò al centro del tatami e la prese per il risvolto destro e la manica sinistra del suo gi. «Prova a proiettarmi» le disse. La ragazza si girò su se stessa e tirò la giacca di Marte. Ma non lo mosse di un millimetro. Poi lui fece un passo indietro, trascinandola con sé e costringendola a fare un passo rapido per non perdere l'equilibrio. Ma come il piede destro della ragazza toccò il materassino, quello sinistro di Marte lo spazzò via. La ragazza volò all'indietro, colpendo il terreno rumorosamente con la mano sinistra, mentre la destra era ancora nella presa di Marte. «De-ashi harai» disse Marte. «La Spazzata al Piede Avanzante. Ricordala.» La lasciò andare, la ragazza si alzò in piedi frettolosamente, s'inchinò, e tornò al suo posto. Marte fece un cenno all'allievo successivo, un ragazzo anche lui cintura bianca. Il ragazzo si alzò, si mise in posizione, tentò una proiezione, ma non concluse nulla. Marte lo tirò a sé come aveva fatto prima con l'altra, solo che questa volta appoggiò il piede sinistro sul ginocchio del ragazzo e lo proiettò fino a farlo rotolare sul tappeto. «Hiza-guruma» disse. «La Ruota di Ginocchio. Allenati alle cadute, ragazzo, altrimenti ti farai male.» «Sissignore!» esclamò il ragazzo alzandosi in piedi, inchinandosi e tornando rapidamente al suo posto. Marte allora fece un cenno al terzo allievo, un'altra ragazza con la cintura bianca. Anche questa volta le diede la possibilità di proiettarlo, e anche questa volta l'allieva fallì. La proiettò a terra con un movimento di mano e di piede che sembrava una via di mezzo fra le due mosse precedenti. «Sasae-tsurikomi-ashi» disse. «La Proiezione Puntellata alla Caviglia.»
Dalla fila degli allievi si levò un mormorio. «Sta facendo una per una le mosse del Primo Corso d'Istruzione!» disse qualcuno alle spalle di Cloto, che si voltò per vedere chi fosse. Una cintura marrone era entrata da poco, e si teneva al di fuori del tatami. Era l'istruttore del corso principianti di quel mattino. Evidentemente era arrivato in ritardo per questa lezione, e quindi vi assisteva dall'esterno. «È una cosa importante?» domandò Cloto. In quel momento lui la riconobbe. «Voi siete...» «La stessa» confermò Cloto. «Ho portato il mio campione per incontrare Samurai.» «Una cintura rossa!» mormorò lui, colpito. «Significa nono o decimo Dan!» «È una cosa buona?» «Oh... non conoscete il judo?» «Per niente» confessò. «Ero venuta solo per parlare a Samurai, e le cose sono andate per il verso sbagliato.» L'uomo increspò le labbra con aria pensierosa. «Se è così...» disse dopo un attimo. «Va bene, sarò felice di spiegarvi come stanno le cose. Nel judo i gradi del maestro si chiamano Dan, mentre quelli da principiante si chiamano Kyu. I Dan vanno dalla cintura nera in su, ma solo a livelli molto alti si inizia a parlare di cinture rosse. Normalmente un simile riconoscimento viene conferito solo per eccezionali meriti sportivi o particolari servizi resi all'arte stessa da maestri che non competono più. In teoria una cintura rossa dovrebbe essere il judoka più forte del mondo.» «Oh, è per questo che gli allievi erano tanto sorpresi.» «Certamente. Per quel che ne so io, al giorno d'oggi non esiste nessuna cintura rossa vivente che pratichi agonismo. Quest'uomo quindi deve essere per forza un impostore.» «È Marte, Incarnazione della Guerra.» «Oh? Allora magari ha...» La cintura marrone scrollò le spalle. Tornò alla prima domanda di Cloto. «Non c'è nulla di male nel fare le mosse del primo corso una per una» spiegò. «Sono tutte ottime mosse. Solo che una volta che capiranno l'ordine, sapranno tutti quale sarà la sua proiezione successiva, il che gli renderà le cose molto più difficili. Con le cinture bianche non ci sono problemi, ma vi assicuro che se volesse fare a me una mossa che so già non ci riuscirebbe tanto facilmente, e con una cintura nera dovrebbe essere praticamente impossibile.» Marte fece volare l'allievo del momento sopra il suo fianco destro.
«Questa è la quarta: Uki-goshi, la Proiezione d'Anca.» disse la cintura marrone. «Non l'ho mai vista fare tanto bene. Ma mi domando dove abbia imparato.» Marte lanciò un altro allievo all'indietro. «O-soto-gari» mormorò la cintura marrone. «Non si può dire che non conosca le tecniche fondamentali! Passò al successivo.» «E O-goshi» disse la cintura marrone. «Ma non l'ha appena fatto?» «No, quella era Uki-goshi, un'altra proiezione. Sembra uguale, e i piedi si muovono in maniera simile, ma il risultato è abbastanza differente. L'Uke cade molto più duramente.» «Ma Uki non era il nome della proiezione?» La cintura marrone sorrise. «Non sapete veramente nulla di judo, vero? Colui che proietta si chiama sempre Tori, mentre chi subisce la proiezione si chiama Uke, ovvero il Ricevitore. Ad ogni buon conto, Uki-goshi viene fatta con le gambe tese, mentre per O-goshi bisogna flettere le ginocchia e... ma ecco O-uchi-gari, La Falciata Interna! Meravigliosa!» Cloto e Niobe avevano dei problemi a distinguere le mosse, ma erano più che disposte a prendere per buona la parola della cintura marrone che ne lodava l'ottima esecuzione. Cloto approfittò della sua presenza per fare un'altra domanda. «Ma che cosa significa questo... questo sfidare una fila intera?» «Be', diciamo che uno sfidante dimostra la sua superiorità sconfiggendo un certo numero di avversari uno dopo l'altro in rapida successione» disse. «Per esempio, una cintura nera dovrebbe essere in grado di combattere con cinque cinture marrone una dopo l'altra e batterle tutte, poiché la sua abilità è superiore. Quando la fila è mista, si inizia sempre dalle cinture inferiori, i Kyu, per finire con i Dan. Naturalmente dopo aver proiettato venti o trenta persone si è più stanchi, quindi la cosa diventa più difficile in tutti i sensi. La fila della nostra palestra a ranghi completi non è stata mai battuta da nessuno, quindi se il vostro amico ce la fa, avrà provato la legittimità del suo grado. Alcuni dei nostri sono Sandan, uno è uno Yodan, e naturalmente Samurai è un Rodukan, sesto livello, e campione degli Stati orientali. Un giorno potrà anche diventare campione del mondo, se decide di partecipare ai campionati.» «Potrebbe decidere di non parteciparvi?» «Be', sta diventando un po' vecchio per l'agonismo, e inoltre il judo è solo una piccola parte dei suoi interessi. È maestro anche di karatè e aikido,
e la sua specialità è la spada. Nessuno lo può battere con quella. Inoltre è sempre alla ricerca del Colpo del Dito della Morte... Ehi! Guarda un po' quel Tsurì-komi-goshi! Non ho mai visto una proiezione fatta meglio! Avete visto come si è allungato completamente? Non sono mai riuscito a fare una cosa simile con un Uke del mio stesso peso!» A Cloto e agli altri due Aspetti la proiezione era parsa uguale a tutte le altre, ma evidentemente una differenza c'era. «Ora è già alle cinture gialle, e quando arriva alle verdi dovrà faticare un po'. Oh, bell'Okuri-ashi-harai! Non è facile come sembra!» Cloto lo prese in parola. «Dio, come mi piacerebbe essere in quella fila!» disse la cintura marrone dopo la proiezione successiva. «Essere battuti da un maestro simile è un vero e proprio privilegio! È veramente l'Incarnazione della Guerra?» «Sì, lui...» «Oh, guarda Uchi-mata! Lo stesso Samurai non avrebbe potuto eseguirlo meglio!» Osservarono mentre Marte passava alle cinture verdi. Anche queste tentarono di proiettarlo ma fallirono né più né meno delle bianche, e nessuna riuscì a resistere alle sue proiezioni. «È incredibile!» commentò la cintura marrone. «Non ho mai visto nessuno che offrisse a tutti la possibilità di proiettarlo. Di solito si cerca di farli fuori il più in fretta possibile. Non si può dire che non sia sicuro di sé!» «È giusto che lo sia» disse Cloto, anche se lei stessa ne era stupita. Poi vide Marte cadere a terra. Qualcuno l'aveva proiettato! Ma un attimo dopo cadde a terra anche il suo avversario, che era una cintura marrone. Entrambe rimasero a terra sul materassino. «Yoto-otoshi! La Caduta Laterale!» esclamò la cintura marrone. «Splendido!» «Volete dire che l'ha fatto di proposito?» domandò Cloto. «Chiaro. È una Proiezione Sacrificio.» «Oh.» Assistettero a diverse proiezioni normali, poi Marte piombò nuovamente a terra. Il suo piede era puntato sull'addome dell'avversario, che poi sollevò e fece rotolare in avanti dietro le sue spalle. «Tomoe-nage, la Proiezione di Stomaco» disse la cintura marrone. Le proiezioni continuarono. Marte aveva ormai battuto tre quarti della fila, che però sembrava non finire mai. Gli allievi che assistevano erano sempre più ammirati.
«Soto-makìkomi» commentò la cintura marrone mentre entrambi gli uomini sul tatami piombavano nuovamente a terra. «Quella è una caduta che odio! È una proiezione di potenza pura, e non c'è modo di fermarsi facilmente una volta che sei stato proiettato. Se riesce a fare così anche la prossima, Uki-otoshi...» Niobe ebbe l'impressione che la cintura marrone che al momento era Uke si fosse semplicemente gettata a terra da sola, ma l'uomo accanto a lei emise un fischio d'ammirazione. «Perfetto!» Una cintura nera salì sul tatami. Marte lasciò che l'uomo tentasse una spazzata senza successo, quindi gli disse: «Provane un'altra.» Lungo la fila vi fu una risatina generale. «Cosa c'è da ridere?» domandò Cloto. «La situazione è a dir poco ridicola. È arrivato alla trentasettesima delle quaranta proiezioni fondamentali, Ushiro-goshi. Si tratta di una controleva che si fa in seguito a una tentata leva sull'anca. E Clyde non sta tentando una leva d'anca.» Clyde tentò una proiezione a terra, senza successo; era come se Marte fosse un muro inamovibile. Vi fu un'altra risatina. Poi, veloce come il lampo, Clyde tentò una proiezione d'anca, e Marte l'afferrò puntualmente e lo gettò a terra. Clyde aveva giocato d'azzardo, e aveva perso. Si alzò, s'inchinò, e sorrise; non gli dispiaceva affatto l'idea di aver perso con un artista di quella classe. «E l'ha fatto dalla parte sinistra» mormorò la cintura marrone con voce abbattuta. «Clyde ha tentato di coglierlo di sorpresa, dalla parte sinistra, ma lui era pronto.» «Dalla sinistra è più difficile?» «Eccome! Io ci riesco a malapena!» L'ultimo allievo della fila si alzò in piedi, si avvicinò a Marte, e Io afferrò, ma si rifiutò di tentare una proiezione. «Randori» disse. «Cosa significa?» domandò Cloto. «Quello è il nostro Yodan» spiegò la cintura marrone. «Non gli piace fare leve tradizionali. Preferisce fare contromosse, o cogliere al volo un'opportunità. Sa che il vostro uomo tenterà Yoko-gake, ovvero la Caduta Laterale di Corpo; lui vuole portarlo a farla in movimento.» «Interessante» disse Cloto. I due uomini si mossero insieme sul materassino, come se stessero quasi danzando. Improvvisamente la cintura nera cacciò un urlo lacerante, muovendo il piede a una velocità incredibile. Ma anche il piede di Marte si mosse, alla stessa velocità, ed entrambi caddero sul tappeto.
La cintura marrone scosse il capo. «Fantastico! Ce l'ha fatta!» «Ma come fate a sapere chi ha proiettato chi? E perché quell'urlo?» La cintura marrone sorrise. «L'urlo era un Kiai, e serve a facilitare la proiezione. Ma questa volta non ha funzionato. Per quanto riguarda chi dei due ha fatto la proiezione, a volte è difficile capirlo. Una volta ho visto un incontro nel quale la vittoria è stata data al judoka sbagliato, prima che i giudici correggessero l'errore. Ma questo era uno Yoko-gake perfetto, senz'ombra di dubbio.» E in effetti, gli allievi sembravano essersene resi conto. Marte tornò al centro del tappeto e s'inchinò davanti alla fila, che si inchinò tutta a sua volta. A quanto pareva li aveva battuti tutti. «E non è nemmeno stanco!» mormorò la cintura marrone. Poi Marte scese dal materassino, si voltò e s'inchinò di nuovo. «Va bene, Cloto» disse alla ragazza con tono un po' burbero. «Ora deve incontrare te.» «Deve cosa?» «Sono il tuo campione, e ho battuto tutti gli allievi. Ma non ho sfidato lo stesso Samurai. Sarai tu che dovrai incontrarlo.» La prese per il gomito, spingendola in avanti. «Onora il tatami.» Confusa, Cloto s'inchinò e salì sul materassino. «Ma ho ancora in mano la tua spada!» «Esattamente. È un oltraggio. Muoviti.» Come uno zombie, Cloto attraversò il tappeto. Gli allievi la osservarono, immobili. Ma è matto? pensò Atropo. Questa ragazza non sa nulla di spade, e non vuole spargimenti di sangue. E inoltre è probabilmente un insulto nei confronti del dojo portare un arma sul tatami così, pensò Niobe. Ma immagino che Marte avrà i suoi motivi. Samurai scattò in piedi. Un attimo dopo gli venne messa la spada in mano. «Per questo morirai!» esclamò, facendosi avanti. Sei sicura che siamo immortali? pensò Atropo con un certo nervosismo. Be'... pensò Niobe, improvvisamente incerta. Quando era stata Cloto lei, non aveva mai dovuto affrontare una simile prova. Ma improvvisamente la spada rossa si sollevò nella mano di Cloto. Era un mostro di spada, pesantissima, ma ora era leggera come una piuma. Assunse la posizione di guardia. «Vattene di qui!» esclamò Samurai con un gesto minaccioso.
La spada rossa si mosse per intercettare il colpo. Il metallo si scontrò col metallo. La spada incantata ci ha trasformate in esperte, pensò Niobe, stupita. Spronato da quel gesto di sfida, Samurai attaccò con tutte le sue energie. Ha lo stesso carattere violento di lei! pensò Atropo. Sono fatti l'uno per l'altra, assentì Niobe. La spada rossa si mosse rapida e parò il colpo. Samurai attaccò di nuovo, e di nuovo la spada rossa parò. Non poteva sfondare quella guardia. «Ma non è questo che voglio!» sussurrò Cloto. «Così non arriverò mai a farlo ragionare!» E in effetti più andavano avanti più appariva evidente che Samurai, nonostante la sua incredibile abilità, non era in grado di penetrare nella guardia della spada di Marte. Avrebbe fatto la figura dell'idiota completo. Hai due possibilità, ragazza, pensò Atropo. O lo attacchi, il che significa che probabilmente lo ucciderai al primo colpo, oppure... «No!» gridò Cloto. Buttò via la spada rossa, e cadde in ginocchio davanti a Samurai. «Prendi il mio sangue!» Se la colpisce, pensò Niobe, o noi moriremo o lui verrà umiliato definitivamente. Samurai si bloccò, sorpreso quanto tutti gli altri. «Cedi?» «Tutto!» esclamò Cloto, con le lacrime che le scendevano lungo le guance. Samurai rimase inchiodato davanti a lei, e la sua rabbia scemò in maniera quasi visibile. In effetti, in quel momento Cloto era a dir poco commovente. Samurai si appoggiò la spada su un fianco, e immediatamente venne un allievo a portarla via. «Allora sono soddisfatto» disse, tendendole una mano. Cloto la prese con due mani e la baciò. Più forte cadono... pensò Atropo con ironia. «Non è necessario» disse Samurai, imbarazzato. «Non ti umiliare più del necessario.» La fece alzare, quindi si voltò e fece un cenno con il capo alla fila di allievi. Questi si alzarono tutti di scatto e uscirono dalla palestra, voltandosi e inchinandosi mentre scendevano dal tatami. Cloto trovò un fazzolettino e si asciugò il viso. «Mi dispiace, io...» «Scuse accettate» disse Samurai in tono cortese. «Volevo essere una donna emancipata, ma...» «L'emancipazione ha il suo fascino, quando viene compresa» disse lui. «Dopotutto siamo in America, e tu mi piaci esattamente come sei. Posso
invitarti a cena questa sera?» Cloto sorrise. «Invito accettato.» Camminarono fino al margine del tatami, si voltarono, s'inchinarono, poi si guardarono e sorrisero. Samurai diede un'occhiata alla cintura marrone, che era rimasta nella sala assieme a Marte. «Ridate la sua spada all'Incarnazione della Guerra» disse Samurai. «È un'arma eccezionale.» La cintura marrone fece il suo inchino quindi corse sul tatami per raccattare la spada. Ma non ci riuscì; sembrava essere ancorata a terra. L'uomo insistette, ma la spada non si mosse di un millimetro. «Permettete» mormorò Marte. Alzò la mano destra e la spada si sollevò da sola, attraversò il tatami, si fermò un attimo sul bordo dove si inclinò di un poco come se si stesse inchinando, quindi andò a mettersi nella mano di Marte. Con aria solenne, l'Incarnazione la ripose nel suo fodero. «E voi siete un uomo eccezionale» disse Samurai, scambiando un inchino con Marte. Quindi Marte si voltò e uscì dal dojo Samurai si rivolse a Cloto. «Mi dispiace di non avere creduto alla tua identità» disse. «Ma mi chiedo se sia accettabile che il Fato...» Cloto gli appoggiò un dito sulle labbra. «Sono solo una donna... adesso.» Samurai annuì. «A stasera, allora.» «A stasera.» Cloto uscì a sua volta dal dojo. Appena fuori proiettò un filo e salì fra le nuvole. «Ma non abbiamo avuto la sua promessa per quanto riguarda la bomba» osservò Atropo. «L'avremo... stanotte» replicò Niobe. «E se conosco bene la psicologia di Marte, sarà lui a dare a Samurai il segreto del Dito della Morte. Come prova della sua stima, e non per corromperlo.» «Ho parecchio da imparare» disse Cloto. Ed era proprio così. Sotto tutti i punti di vista. 13 Controtrama Se abbiamo avuto bisogno di aiuto per l'ultimo «disse Niobe» sicuramente ne avremo ancor più bisogno anche per questo! «Chi ci può aiutare con una satanista?» domandò Atropo. «Io mi rivolgerei a Gaea. Generalmente viene considerata la più potente
fra le Incarnazioni.» «La Natura? Credevo fosse il Tempo.» «Chronos possiede lo strumento più potente, la Clessidra, ma Gaea...» Niobe scrollò le spalle. «Andiamo a chiederglielo.» Niobe prese possesso del corpo e scivolò lungo il filo fino alla dimora vegetale di Gaea. Atterrarono davanti alla porta. A volte poteva essere molto difficile raggiungere la Madre Verde, ma questo dipendeva dalle situazioni. Niobe ricordò il suo viaggio con Pacian; certamente allora Ge sapeva ciò che stava facendo! Quella sì che è una bella casetta sull'albero! pensò Atropo. La porta di foglie si aprì, e si trovarono davanti Gaea. Niobe rimase di sasso. Era la stessa Madre Verde che aveva conosciuto un quarto di secolo prima! «Oh, è il Fato.» esclamò Gaea. Poi strinse gli occhi. «Ma con una nuova Lachesi!» Gaea non l'aveva riconosciuta! Naturalmente Niobe sapeva di essere cambiata parecchio nel periodo della sua seconda mortalità, e non certo in meglio; perché mai qualcuno avrebbe dovuto riconoscere in quella donna sciatta che era diventata la bellezza che era stata un tempo? «E anche Cloto è nuova» disse. «E Atropo.» Passò rapidamente attraverso le tre forme. Gaea scosse il capo. «Tutte e tre assieme? Che cosa insolita!» Niobe le spiegò rapidamente la situazione. «Ora ci è rimasto un solo filo da modificare» concluse. «E vista la nostra inesperienza...» «Avete bisogno di aiuto» concluse Gaea. «Molto ragionevole da parte vostra. Venite dentro mentre mi vesto.» Una volta dentro, Niobe osservò Gaea che si cambiava. Notò che non si toglieva l'abito di foglie verdi che indossava, ma rimaneva immobile mentre il vestito diveniva giallo con qualche tonalità di rosso. Poi le foglie caddero, rivelando una corteccia marrone e spessa. I capelli di Gaea divennero bianchi. Era passata dall'estate all'inverno, completa di neve. Si mosse, e la corteccia marrone si trasformò in una lunga giacca con tanto di tasche. La neve divenne un cappello bianco; dopotutto i suoi capelli non erano cambiati di molto. Poi Gaea tirò fuori un paio di occhiali montati su un'astina laterale. «Usa questi, Lachesi.» «Un occhialino con il manico? Ma non si usano da generazioni ormai!» protestò Niobe. «E poi non ho bisogno di occhiali!» «Assecondami, Lachesi» disse Gaea con tono gentile.
Niobe scrollò le spalle e li accettò. «Allora mi aiuterai?» «Ma certo, cara. Noi matrone dobbiamo sempre aiutarci a vicenda. Non possiamo dipendere da busti e guaine.» Niobe sorrise doverosamente. Gaea non aveva bisogno di alcun sostegno artificiale poiché poteva assumere qualsiasi forma desiderasse; vecchia o giovane, bellissima o orribile, animale, vegetale o minerale. Raramente faceva sfoggio dei suoi poteri, che tuttavia erano grandi e versatili come quelli di qualunque altra Incarnazione. Molti mortali avevano pensato di averla battuta nel breve termine, ma alla lunga aveva sempre vinto lei. «Sono pronta» disse Gaea. «Portami sul luogo, Lachesi.» Niobe prese la mano di Gaea, protese un filo, e vi scivolarono giù entrambe. Giunsero in una zona industrializzata dello stato del Connecticut, presso un grande centro commerciale, e camminarono fino a una piccola vetrina posta in mezzo fra una gelateria e un cinema multisala. Sopra la vetrina c'era uno striscione con la scritta ANDATE ALL'INFERNO!, e all'interno c'era una donna dall'aria piuttosto annoiata più o meno dell'età fisica di Niobe. «È lei» sussurrò Niobe. «Elsa Mira, arruolatrice satanica.» «Be', allora le permetteremo di arruolarci» disse Gaea. «Tu chiamami Ge, io ti chiamerò Lac.» Fece un sorrisino appena accennato, come se il sole si fosse velato appena appena, e improvvisamente Niobe sospettò che Gaea l'avesse in realtà riconosciuta. Ma la Madre Verde era in grado di tenere un segreto meglio di qualsiasi altra creatura esistente. Entrarono, e si avvicinarono alla scrivania cui era seduta la donna. «Non che ci interessi andare proprio all'Inferno» esordì Niobe «ma ci piacerebbe dare un'occhiata alla vostra letteratura.» «Ma certo» disse la donna come risvegliandosi improvvisamente. «Dell'Inferno si è sempre parlato molto male, ma noi stiamo cercando di cambiare un po' le cose.» Tirò fuori un opuscolo coloratissimo. Niobe diede un'occhiata alla copertina. Rappresentava due diavoletti molto carini, i marchi di fabbrica dell'Inferno: Di e Di. Uno era maschio, l'altro femmina. Mentre lei guardava, il diavoletto maschio sollevò una manina rossa e la chiamò a sé con aria solenne. Niobe ci rimase di sasso, anche se sapeva che non avrebbe dovuto stupirsi; era naturale che i servi di Satana avessero un sacco di magia di cui far uso. «Forse riuscirai a leggere meglio con i tuoi occhiali, Lac» mormorò Gaea. «Oh, grazie, Ge» disse Niobe. «Me ne dimentico in continuazione.» Tirò
fuori l'occhialino e scrutò attraverso le lenti. S'irrigidì. Al posto della figurina vide una lente. Stavano registrando la sua immagine! Spostò l'occhialino di lato, e vide che il diavoletto la stava ancora chiamando a sé. Ora capiva perché Gaea aveva insistito affinché portasse con sé quegli occhiali assurdi; erano incantati, e penetravano le illusioni! Grazie agli occhiali ora sapeva che i satanisti non si limitavano a diffondere il loro materiale stampato, ma che addirittura s'informavano dettagliatamente su tutti coloro che si mostravano anche minimamente interessati all'argomento. Erano molto più professionali di quanto non volessero far apparire. Quella lente poteva registrare tutto ciò che gli altri dicevano e facevano, per poi immagazzinare il nastro in un computer, con tanto di impronte della retina. L'Inferno era organizzatissimo, a tutti i livelli! Ma fortunatamente, a lei non avevano mai preso le impronte della retina. Da mortale era sempre vissuta in campagna, dove certe cose non erano affatto comuni. L'Inferno non avrebbe scoperto la sua vera identità con quel sistema. Gaea aprì l'opuscolo. Niobe guardò nuovamente attraverso gli occhiali e vide che le pagine non erano altro che cornici; la sinistra lente era sempre lì. Ma senza gli occhiali, il libriccino mostrava scene di gente felice e sana che nuotava, giocava a tennis, sciava e stava seduta a guardare il tramonto. ANDATE ALL'INFERNO diceva una scritta, E VIVETE LA VOSTRA VITA NELL’ALDILÀ AI MASSIMI LIVELLI. «Si può sciare anche all'Inferno?» domandò Niobe in tono dubbioso. «Credevo che facesse caldo.» «Ma certamente che si può sciare!» disse la donna incoraggiante. «L'Inferno è molto ampio, e ha diversi climi, esattamente come il regno mortale. Vi sono alcune regioni in cui la neve è perpetua.» In effetti, questo Niobe lo sapeva già, grazie alla sua precedente esperienza da Incarnazione. Ma sapeva anche che lì, in quella neve perenne, le povere anime dannate venivano congelate, e che gli unici sciatori erano i demoni che occasionalmente si dilettavano a sciare sulle loro facce costantemente terrorizzate. Come molte supposte prerogative dell'Inferno, anche quella della neve era una mezza verità; esisteva, ma non veniva usata come si diceva. L'intera campagna di reclutamento dell'Inferno era fasulla almeno in parte, e potevano cascarci solo persone veramente tristi e depresse. Purtroppo, però, era evidente che ci cascavano in parecchi.
Ma non era andata fin lì per ripassare le sue informazioni sull'Inferno. Doveva convincere Mira a non portare la bomba alle Nazioni Unite, eliminando così l'ultimo dei potenziali corrieri. Doveva comportarsi come una scettica ignorante finché non trovava modo per ottenere il suo scopo. «Non so» disse. «Sci, nuoto... io credevo che l'Inferno fosse un luogo di punizione.» «Oh, ma non è così!» esclamò Mira. «L'Inferno è un luogo di riabilitazione! Le anime macchiate dal Male vengono riprocessate per tornare a essere buone. Vi sono moltissimi incentivi per tornare ad avere un atteggiamento positivo.» E molte torture per i dannati, pensò Atropo con amarezza. «Ma se la gente non è buona nella vita mortale, perché dovrebbe diventarlo nell'Aldilà?» domandò Niobe. Conosceva già la risposta, ma doveva recitare la sua parte. «Molte persone non ci pensano proprio» spiegò Mira. «Vanno avanti per la loro strada finché non è troppo tardi. E questa è la gente alla quale noi ci rivolgiamo; la gente normale che è troppo occupata per essere buona tutto il tempo. Voglio dire, è molto difficile essere sempre buoni, e francamente è anche piuttosto noioso e probabilmente anche inutile. Noi pensiamo che la gente se la caverebbe molto meglio se non si preoccupasse troppo della vita nell'Aldilà e pensasse semplicemente alla propria vita mortale. Poi, una volta all'Inferno, se la possono rivedere con tutto comodo.» Con tutto comodo? Per l'Eternità! sbottò mentalmente Atropo. Che bugiardi che sono! «Ma non si dovrebbe essere buoni nella vita mortale?» domandò Niobe. «Be', sì, certo. Ma a volte può essere molto difficile. Prendiamo ad esempio un uomo la cui moglie lo ignora e non gli permette di toccarla, e non è disposta a concedergli il divorzio. Ora, se quest'uomo trova una donna giovane e attraente a cui piace, è veramente sbagliato che lui abbia una relazione con quest'ultima? Forse la sua anima verrà appesantita per questo, ma è veramente sbagliato? Noi satanisti sosteniamo che si debba fare ciò che viene naturale fare, e poi ci si può riflettere sopra dopo.» Niobe questa non l'aveva mai sentita. «Voi siete sposata?» le domandò. Mira scoppiò a ridere. «Io? Ma certo che no! Non più! Non riuscivo proprio a sopportare... voglio dire, le cose ridicole che pretendono gli uomini. Ma il principio rimane...» «Prima il piacere, poi l'anima» disse Niobe. «In ogni caso» aggiunse rapidamente Mira «vogliamo farvi vedere di
persona che genere di luogo è l'Inferno. Perché non mi seguite nel nostro complesso dimostrativo?» «Il vostro cosa?» «Abbiamo messo su un modello in miniatura dell'Inferno, affinché le persone come voi possano visitarlo, provarlo e vedere con i loro occhi ciò che offre. Noi satanisti vogliamo far conoscere a tutti la verità sull'Inferno.» «Be'» disse Niobe rivolgendo un'occhiata a Gaea. «Immagino che potremmo darci uno sguardo... giusto per vedere.» Mira balzò in piedi. «Da questa parte! Vi farò da guida io stessa!» Era esattamente ciò che volevano; la possibilità di stare con quella donna abbastanza a lungo da convincerla a desistere dalle sue intenzioni. Scommetto che riceve una percentuale per ogni anima che riesce a reclutare, pensò cinicamente Atropo. Come ad esempio una visita al palazzo delle Nazioni Unite? pensò Cloto. Era stata piuttosto silenziosa fino a quel momento, forse stava riprendendosi dall'esperienza della sera precedente. In lei stavano sbocciando le prime avvisaglie dell'amore, e la cosa tendeva a riversarsi anche sugli altri due Aspetti. Ciò nonostante, non si era dimenticata della loro missione. «Tieni a portata di mano i tuoi occhiali, cara» mormorò Gaea come una vecchietta noiosa mentre seguivano Mira attraverso la porta nel retro del negozio. Si ritrovarono in un ascensore. Un sussulto, poi la porta si aprì su un vero e proprio luna park. Ovviamente erano state trasportate magicamente al modello dell'Inferno; non c'era modo di capire dove fosse stato costruito quel complesso, sulla Terra. Niobe fissò la scena, allibita. Direttamente davanti a loro un'enorme ruota girava lentamente. Da un lato c'era un autoscontro, con bambini che si scontravano allegramente sulle macchinine elettriche senza farsi alcun male. Videro trenini in miniatura, ottovolanti e aeroplani giocattolo che giravano attorno a un palo altissimo. «Questo è l'Inferno?» domandò Niobe, sollevando un sopracciglio. «Be', questo è il livello superiore» disse Mira. «Si tratta di divertimenti minori, per quelli che stanno solo aspettando i loro amici o per i figli dei visitatori. È per coloro che non hanno molti peccati da scontare.» «E com'è quello per coloro che hanno l'anima effettivamente macchiata da molti peccati?» domandò Gaea. «Ora ve lo mostro» disse Mira con tono entusiasta. Le condusse verso
una scalinata che scendeva sotto il pavimento. Sotto c'era un'ampia sala, ben illuminata, piena di tavoli. Attorno a ogni tavolo c'era un folto gruppo di persone, tutte attente a ciò che avveniva sui tavoli stessi. Si avvicinarono al tavolo più vicino, occupato da una gigantesca roulette. «Oh, gioco d'azzardo» disse Niobe in tono di disapprovazione. «» «No, non potete capire» disse Mira. «Osservate un attimo.» Osservarono. La ruota girò, e la pallina si fermò in una casella numerata. Un uomo cacciò un grido di gioia. «Ho vinto! Ho vinto!» Gli altri giocatori applaudirono tutti. L'uomo raccolse la vincita e la puntò tutta nel giro successivo. Vinse ancora. «Cosa?» disse Niobe. «Due volte di fila? Ma le possibilità sono...» «La gente può essere molto fortunata qui» disse Mira. «In effetti di solito vincono.» Gaea le diede un colpetto di gomito. Niobe sollevò l'occhialetto e scrutò la scena attraverso le lenti. Il tavolo della roulette era genuino, ma tutto il resto no. La maggior parte dei giocatori erano dipendenti del parco in uniforme dall'aria piuttosto annoiata, e non visitatori ben vestiti come apparivano. Il croupier aveva davanti un pannello di comandi, e ogni volta che la ruota girava, le sue dita toccavano alcuni tasti. Questa volta un uomo puntò sul 19, e il croupier digitò proprio quella cifra. Un attimo dopo, la pallina finì nel 19. Il gioco era truccato. Niobe passò lo sguardo sulle fiches che il giocatore aveva ammucchiato davanti a sé. Erano vere. Allora qual era il trucco? Certamente i satanisti non avrebbero permesso a uno qualunque di uscire di lì pieno di soldi! Be', avrebbe dovuto chiederlo, ma senza far notare che aveva capito il meccanismo. «Come fate a starci dentro, se fate guadagnare tutti quei soldi alla gente?» «Oh, ma le fiches non valgono denaro» disse Mira mentre si spostavano a un altro tavolo. «Sono punti. Quando un giocatore totalizza mille punti, può passare al livello successivo, dove c'è l'azione vera e propria.» «Ma a quanto sembra ce la farà di sicuro.» «No, non c'è alcuna garanzia. Solo coloro che consideriamo possibili candidati vengono ammessi.» «Allora ammettete che il gioco è truccato!» Mira la fissò con espressione sorpresa. «Mia cara, che cosa vi aspettavate dall'Inferno? È chiaro che è truccato!» «A domanda stupida...» mormorò Gaea.
«Ma voi ci state facendo fare una visita, e noi non stiamo giocando» insistette Niobe. «Esattamente. Se non giochi, non puoi vincere. Questo è il principio fondamentale. Ora state solo guardando, ma sono certa che quando avrete visto ciò che abbiamo da offrire non vedrete l'ora di partecipare anche voi.» «Ma non c'è un biglietto d'entrata da pagare?» «Sono felice che me l'abbiate chiesto» disse Mira. «Siamo molto espliciti su questo. Tutto è perfettamente chiaro. Per partecipare ai nostri divertimenti bisogna firmare un contratto standard...» «Col sangue?» «È solo una punturina. Non ve ne accorgerete quasi.» «Un contratto nel quale si dice cosa?» «Be', tutti sanno ciò che vuole l'Inferno. Noi non abbiamo nulla da nascondere.» «Volete l'anima!» «Solo una piccola parte, dato che questo è solo un modello in miniatura dell'Inferno. Tecnicamente, ciò che chiediamo è un'attribuzione nominale di malvagità. Solo l'uno per cento. Se siete buono al 70 per cento, poniamo, dopo aver firmato il nostro contratto lo sarete al 69. Capirete che questo non cambia nulla per quanto riguarda la vita nell'Aldilà o l'eventuale designazione finale. Considerando ciò che offriamo in cambio, si tratta di un vero affare.» Al tavolo successivo si giocava a black-jack. Anche stavolta c'era un uomo che vinceva in continuazione, e anche qui il gioco era truccato, come rivelarono le lenti magiche di Gaea. Satana voleva che vincessero. Tutti i tavoli erano uguali. Cambiavano tutti i giochi, ma il sistema era sempre lo stesso. «Be', a me non è mai piaciuto il gioco d'azzardo» disse Niobe. «Ma la vita stessa è un grande gioco d'azzardo» disse Mira con tono entusiasta. «Comunque ci sono altre strade per arrivare all'Inferno. Permettete che vi mostri il prossimo livello.» Le condusse fino a un'altra scalinata che andava ancora più giù. Niobe si fermò un attimo. «Vedo che gli altri usano gli ascensori.» «Sì, ma solo quelli che hanno firmato.» «Firmato?» «Un altro contratto, immagino» disse Gaea.
«No, solo un emendamento» corresse frettolosamente Mira. «Un altro uno per cento delle loro anime?» domandò Niobe. «Credevo che si trattasse solo del biglietto d'ingresso. A cosa serve giocare per guadagnare punti se poi bisogna pagare ancora per arrivare alla fase successiva?» «Be', il biglietto di ingresso serve per entrare nel parco, ma poi bisogna giocare per determinare la propria idoneità ad accedere agli altri livelli. Ma più che una questione di pagamento è una questione di qualificazione. Se non ci fosse qualificazione, gente inadatta giungerebbe a livelli inappropriati, e se non ci fosse alcun pagamento non rimarremmo in affari molto a lungo, come avete notato voi stessa poco fa. Si tratta di un sistema doppio, ma perfettamente lineare. È naturale che anche i livelli più profondi debbano essere finanziati.» «Ma quanti livelli ci sono?» «Be', non ne conosco il numero esatto. Ma nessuno arriva a farli tutti.» Niobe calcolò che pagando l'uno per cento a ogni livello, qualsiasi persona avrebbe perso più della metà della sua anima prima di completare l'esperienza, condannandosi così all'Inferno vero. Che razza di sistema! pensò Atropo. Era proprio un sistema infernale! Solo uno sciocco poteva cadere in quella trappola, ma c'erano moltissimi sciocchi attualmente lanciati nell'impresa. Il livello successivo sembrava essere un mostruoso magazzino di denaro. Videro tavoli con cataste di banconote di diverse nazioni, lingotti d'oro, d'argento e di platino, e casse di pietre preziose. La festa della ricchezza! Come attirata da una calamita, Niobe si avvicinò a una cassa di rubini scintillanti. «Posso?» domandò. «Per carità, toccate pure!» disse Mira con generosità. «Naturalmente come turista non potete tenerveli, ma se decidete di iscrivervi come partecipante...» Bastava che cedesse l'uno o il due per cento della bontà della sua anima. Niobe fece una smorfia. Tuttavia, le pietre erano splendide! Prese in mano un rubino. Era una pietra sfaccettata, di un rosso intenso e profondo; uno degli oggetti più belli che avesse visto in vita sua. Se lo rigirò fra le dita, rapita dalla sua bellezza. Niobe iniziò a capire la natura della tentazione. Una gemma simile, per una piccola frazione di anima! «Forse dovresti esaminarla più attentamente» le consigliò Gaea. Niobe sollevò l'occhialino e guardò di nuovo.
Il rubino non era altro che un nocciolo di ciliegia. Niobe mantenne un'espressione impassibile per non tradirsi. Tutti i rubini non erano altro che noccioli di ciliegia! E i diamanti del tavolo successivo erano solo quarzi grezzi. Colta da una curiosità morbosa, andò a verificare anche i mucchi di monete d'oro, che risultarono essere fette di carota. Cloto non poté fare a meno di ridere. Carote... al posto dei carati! Quel Satana ha un senso dell'umorismo diabolico! «Diabolico» assentì Niobe. «Cosa?» domandò Mira. «Diabolicamente allettante» disse Niobe. E passò a un tavolo di banconote verdi. Erano foglie di lattuga. Lattuga! pensò Atropo, ridendo mentalmente. Vera e propria lattuga! Quel Satana è proprio un burlone! «Sì, chiunque sarebbe tentato da una cosa simile» disse Mira, interpretando in maniera sbagliata la natura del sorriso di Niobe. «È stata proprio questa sala a convincermi a iscrivermi. Quando ho visto tutti quei gioielli...» fece un cenno verso un tavolo coperto di collane elaborate e preziosissime. «Ma voi non siete una giocatrice, vero?» domandò Niobe. «No. Io faccio parte del personale. Ma ho iniziato come giocatrice. Poi, quando ho cominciato a volere troppo...» Si morse il labbro. «Voglio dire...» Quindi era stata sedotta fino al punto in cui aveva dato via troppa della sua bontà! Ora il funzionamento del sistema iniziava ad apparire chiaro. Allo stesso modo in cui chi usava droga pesante diventava assuefatto ed era costretto a diventare uno spacciatore per mantenere il suo vizio, coloro che giocavano con i piaceri dell'Inferno venivano tirati dentro fino a non poterne fare a meno. Come aveva detto Mira, tutto avveniva alla luce del sole, solo che i supposti beni non erano altro che dei falsi. Chiunque credesse nel tranello del Padre della Menzogna meritava ciò che avrebbe ottenuto! Questa constatazione la fece riflettere. Se le persone in questione meritavano di andare all'Inferno per la loro cupidigia, che Satana stesse effettivamente rendendo un servizio al Cosmo liberando il mondo da questa gente? Ma conosceva già la risposta. Satana non liberava affatto il mondo da
questa gente. Usava coloro che aveva convertito per alimentare le sue losche trame. Tutti quegli sciocchi ai tavoli da gioco al piano di sopra... erano tutti ex-giocatori incalliti che ora erano costretti a lavorare per la casa. E quanta gioia avevano, oggi? E questo è solo un modellino in miniatura! pensò Atropo. Figuriamoci come dev'essere l'Inferno vero! Indubbiamente era un pensiero agghiacciante. «Ma... so che i gioielli non servirebbero per curare ciò che non va in me» disse Niobe, lasciando che la pancia le cadesse in avanti. «Io ho mangiato troppo, e per troppi anni.» «Allora andrete pazza per il livello dei bagordi!» esclamò Mira. «Da questa parte!» Il livello successivo era effettivamente una grande tentazione per chiunque amasse mangiare. Si trattava di un enorme ristorante self service. Sui tavoli erano accatastati pasticcini, torte e dessert raffinatissimi. Qui c'erano parecchie donne, e anche un certo numero di uomini e bambini. Erano tutti seduti ai tavoli ad abboffarsi dei loro cibi preferiti. Niobe si fermò davanti a un uomo piuttosto grasso che si stava riempiendo la faccia di torta. «Ma è terribilmente ingrassante!» protestò. «Invece no» disse Mira con tono compiaciuto. «Il nostro cibo non è né ingrassante né nutriente. Il sapore e la sensazione sono uguali, ma le calorie sono vuote... voglio dire, le calorie non ci sono proprio. Si può magiare tutto ciò che si vuole senza essere mai sazi.» Già questo è una specie di inferno in se stesso, se solo questi idioti se ne rendessero conto, osservò Atropo. Rimpinzarsi all'infinito senza conseguenze. Niobe comprendeva la tentazione, ma sapeva anche che non c'era bisogno di condannarsi all'Inferno per goderne; molte ditte alimentari normalissime pubblicizzavano bevande con UNA SOLA CALORIA A BOTTIGLIA, trasformando in apparente virtù sia la golosità che la leggerezza del cibo... mentre in altre regioni del mondo c'era gente che moriva di fame. Un po' di autodisciplina sarebbe stata decisamente meglio. Poi sollevò l'occhialino. E cacciò un gridolino soffocato di repulsione. L'uomo non stava mangiando torta. Stava trangugiando un ammasso di spazzatura pastosa. Per la maggior parte s'impastava sul suo viso e sul suo petto, il che spiegava perché non si riempisse, ma era ugualmente una scena disgustosa. Mira percepì la sua reazione. «Cosa c'è che non va?»
Niobe ci pensò su un attimo, quindi le passò gli occhiali. Mira guardò attraverso le lenti... e deglutì, allibita. «Non lo sapevate?» domandò Niobe. «Io... non è possibile... è terribile!» esclamò Mira. Si avvicinò a un altro tavolo, dove un bambino stava trangugiando un frullato dopo l'altro, e guardò attraverso le lenti. Il suo viso divenne verdastro. Gaea le prese l'occhialino di mano prima che lo lasciasse cadere e lo restituì a Niobe. Niobe guardò la bevanda del ragazzo. Si trattava di una mistura a base di acqua fognaria. Come per l'uomo, anche in questo caso la maggior parte della sostanza gli colava lungo il mento senza essere ingerita, anche se una piccola quantità entrava. Probabilmente era quanto bastava per dargli l'impressione di sorbire la sua bibita prediletta. «È una menzogna!» esclamò Mira. «Lenti magiche che distorcono...» «Nessuna menzogna» disse Gaea. «Io sono in grado di vedere questa roba anche senza occhiali. Il cibo è spazzatura. E i gioielli del piano di sopra erano solo paccottiglia.» «Ma io ho una tessera che mi permette di mangiare tutto ciò che voglio... è uno dei privilegi riservati al personale...» Mira si voltò e vomitò a terra accanto al ragazzo. La cosa non fece molta differenza per l'ambiente, poiché il pavimento era già ricoperto d'immondizia. Niobe si tolse l'occhialino e vide Mira accanto al tavolo che guardava il ragazzo con approvazione. Non vide alcun segno di vomito. Ciò nonostante, l'espressione di Mira non sembrava quella di una persona in salute. Dopo un po' la donna si riprese. «Dove avete preso quegli occhiali?» Nuovamente, Niobe dovette riflettere in fretta. «Dalla... Natura.» «Dall'... Incarnazione della Natura?» «Sì. Mi ha detto che ne avrei avuto bisogno, in questo posto.» «Posso... prenderli in prestito un attimo ancora?» Niobe le diede gli occhiali. «Quando sarete soddisfatta, vorrei dirvi due parole.» Mira corse verso un'altra scalinata. «C'è un livello nel quale non sono mai entrata, ma vorrei giusto vedere...» La seguirono giù per le scale, quasi di corsa. Niobe era sorpresa nel constatare che la donna non era stata realmente consapevole dell'inganno, pur rendendosi conto che in questo c'era una logica. Satana poteva compiere molti più atti maligni, e con efficacia decisamente maggiore, se ingannava anche i suoi stessi aiutanti. Quanti avrebbero considerato un incentivo una
tessera che permetteva loro di mangiare tutto ciò che volevano se avessero saputo che il cibo era solo spazzatura? Quel Satana è un bugiardo di prima categoria, commentò Atropo. Il livello al quale giunsero era un bordello di lusso. Da una parte c'era un palco dove donne straordinariamente voluttuose vestite praticamente di nulla ballavano in maniera lenta e sensuale, esibendo mollemente fianchi e seni. La cosa non colpì particolarmente Niobe se non per il fatto che provò un pizzico di gelosia e di rammarico per la bellezza che aveva perduto, ma vide l'effetto su due uomini che emersero in quel momento dall'ascensore. Si lanciarono entrambi di corsa verso le donne, letteralmente sbavando. Che maiali sono gli uomini! pensò Cloto. Poi si corresse: A parte Samurai... Mira stava guardando attraverso le lenti magiche. «No...» esclamò con tono incredulo. «Non è possibile!» Uno dei due uomini arrivò davanti al palco. «Ehi, dolcezza, sei in vendita?» domandò, allungando le mani verso una delle ballerine. La donna abbassò lo sguardo, e un sorriso languido le increspò le labbra lucide. Saltò giù dal palco facendo oscillare la sua anatomia in diversi punti, prese l'uomo per mano e lo condusse a un'alcova nascosta da tende. Evidentemente non era in vendita; era gratis. In quel momento Niobe si rese conto dei suoni gutturali che provenivano dalle altre alcove; a quanto pareva c'era una serie di clienti all'opera. Mira scosse il capo. «Sono... lo sono veramente!» esclamò. Poi scoppiò a ridere. «E pensare che quel maiale del mio ex marito ha venduto l'anima in cambio di una tessera permanente per accedere a questo livello!» La sua risata divenne talmente isterica che Gaea dovette nuovamente toglierle di mano l'occhialino. Perplessa, Niobe prese le lenti. Capiva che donne normalissime o anche brutte potevano essere reclutate da Satana, com'era successo con Mira, e poi abbellite attraverso l'illusione e asservite alle passioni di altre potenziali reclute maschili. Ma che cosa c'era di tanto buffo in questo? Al massimo poteva essere una cosa triste. Sollevò le lenti... e rimase a bocca aperta. Non c'erano donne sul palco. Solo maiali. Veri e propri maiali, nel loro porcile, che si rotolavano nel fango. E l'ex marito di Mira aveva accesso permanente a quel luogo. Chi ha detto che all'Inferno non c'è giustizia? pensò Atropo. Io conosco un po' di uomini che manderei qui molto volentieri!
Mira si riprese quanto bastava per riflettere sulla situazione. «Voi non siete clienti potenziali!» disse in tono accusatorio. «Voi sapevate già com'era qui... e lo sapevate meglio di me. Chi siete?» Era venuto il momento della verità. Si sedettero in uno dei pochi punti puliti accanto al cancello del porcile, e parlarono. «Sono il Fato» disse Niobe. «Sono venuta qui per parlarti, e per convincerti...» «Il Fato! Un'Incarnazione!» «E questa è Gaea, che mi ha prestato il suo occhialino magico.» «La Natura! Ora capisco perché non ha bisogno degli occhiali per vedere la verità!» «Vogliamo convincerti a non fare una certa commissione per Satana.» Mira scoppiò nuovamente a ridere, questa volta senza umorismo. «Se Satana vuole che faccia una commissione per lui, io la farò. La mia anima è già persa!» «Non è persa» disse Gaea. «Ma come, non capite? Sono entrata a far parte del personale perché non avevo più anima da vendere! Mi avrebbero tolto il cibo...» Poi si mise una mano davanti alla bocca, rendendosi conto di quello che aveva detto. «Oh!» Gaea la fissò con uno sguardo intenso. «La vostra anima è stata corrotta, Elsa Mira, ma non quanto credete. Avete ancora il 24 per cento di bene in voi.» «No! Non è vero! L'ho già consumato tutto, e... be', non potete sapere che assuefazione possa dare il piacere inimitato! Non riuscivo proprio a smettere! Io...» «Lo so bene» disse Gaea. «Fa parte delle mie prerogative.» Mira la fissò. «Siete veramente la Natura?» «Veramente. E la mia compagna è veramente il Fato. Possiamo ridirigere il tuo filo, se decidi di cooperare con noi per questa particolare istanza.» «Non vi credo! Ho tenuto il conto di ogni punto in percentuale che ho perso!» Gaea fece una smorfia. «Voi mettete in dubbio il potere della Natura a vostro rischio e pericolo, Mira.» Fece un cenno con una mano, e improvvisamente la sala divenne buia. Poi un vento gelido sferzò l'aria, e iniziò a cadere una pioggerellina che in un attimo si trasformò in un vero e proprio temporale. I maiali squittirono, compiaciuti. In un attimo si ritrovarono tutte e tre inzuppate d'acqua. Gaea fece un altro gesto, e la sala si mise a tremare. I maiali squittirono
di paura. «Un terremoto!» gridò Mira. «Fatemi uscire di qui!» Gaea sollevò la mano. Il terremoto cessò, e con quello anche la pioggia. Un tiepido sole inondò la sala. «Ma siamo sottoterra!» protestò Mira. «Qui non può esserci il sole!» «Le tue paure sono scomparse» disse Gaea. «Sei felice.» Mira sorrise. «Sono felice!» confermò. «Arrabbiata» disse Gaea. Il viso della donna si contrasse improvvisamente per la rabbia. «Quando penso a ciò che mi ha detto Satana...» «Tranquilla.» Mira si calmò. «Ora vi credo, Natura. Il vostro potere mi stupisce, e proprio qui nel facsimile dell'Inferno! Ma è vero che mi è rimasto ancora un quarto di bontà nell'anima?» «È vero. Hai visto come Satana inganna sia i clienti che il personale, qui. Perché non avrebbe dovuto ingannarti anche per quanto riguarda la percentuale della tua anima? E un sistema molto conveniente per lui; ti ha costretta a diventare sua serva quando in realtà non avevi bisogno di esserlo. Hai ancora una possibilità per andare in Paradiso, Elsa Mira.» «No» disse la donna tristemente. «La mia anima è ancora malvagia al 76 per cento, e non ho modo di riacquistare la mia bontà. Sono sempre assuefatta a questi assurdi piaceri.» Gaea fece un altro gesto. «Non più.» Mira si toccò lo stomaco. «Non ho più fame!» «Dovrai ugualmente guadagnarti il Paradiso con una vita pulita e una serie di buone azioni» disse Niobe. Lei stessa era rimasta colpita dalla dimostrazione dei poteri della Natura alla quale aveva appena assistito; senza dubbio Gaea era la più potente fra le Incarnazioni Terrene. «Ma questo è l'unico modo in cui qualsiasi persona può guadagnarsi l'accesso al Paradiso. Dio non concede tessere gratuite. E tu hai tutto il tempo, se cominci subito.» «Ma io sono una satanista! Ho firmato col sangue! Molte volte! Non appartengo a nessuna chiesa ammodo!» «Quel contratto è insignificante» disse Gaea. «È solo un modo per convincerti che sei condannata.» Alzò lo sguardo mentre arrivava un altro uomo in cerca di un maiale. Il maiale emise un grugnito e lo condusse a un'alcova. «Sono i tuoi atti quotidiani, i tuoi pensieri e le tue intenzioni che contano. Nient'altro.»
Per Mira fu come se il cielo si schiarisse. «Volete dire che...?» «Dai il tuo cuore a Dio» disse Niobe. «La tua anima lo seguirà.» «Oh, lo farò! Lo farò! Non voglio andare all'Inferno! Lì è molto peggio che qui! Solo che non ho mai voluto ammettere la verità, neanche con me stessa...» Si alzarono e si incamminarono verso le scale. «Satana ti chiederà di portare un pacchetto a...» «Ah, la bomba psichica puzzolente per le Nazioni Unite» confermò Mira. «Domani. Ho già la bomba nella mia celletta. Già da diversi giorni ho accettato l'incarico.» «Non devi farlo!» esclamò Niobe. «Ma certo, che non lo farò» disse Mira. «So che è un atto malvagio!» Giunsero alle scale. «Ti mostrerò come correggere la tua vita riducendo al minimo le complicazioni» disse Gaea. «Innanzitutto dobbiamo trovarti una sistemazione lontana da questo complesso...» salirono le scale. Niobe rimase ancora un attimo. Ora che la missione era compiuta, si ritrovò morbosamente affascinata dalla varietà delle illusioni che la circondavano. Non si trattava di semplice inganno, era vera e propria degradazione. Chiunque avesse scoperto in seguito ciò che aveva fatto realmente sarebbe stato troppo imbarazzato per lamentarsi. L'opera di corruzione di Satana quindi continuava inevitabilmente. Le vie del Male erano realmente intricate! Si voltò per salire le scale, e si ritrovò davanti Satana in persona. «Così abbiamo qui un'Incarnazione ficcanaso» disse sbuffando fumo dalle narici. «Dedita alla corruzione dei miei impiegati!» «Mi hai detto che non mi era rimasto più neanche un briciolo di bontà!» gli gridò Mira dall'alto con tono accusatorio. «Peggio per te se credi a tutto ciò che ti dice il Padre della Menzogna, sgualdrinella boccalona» rispose Satana. «Mi licenzio da questa istituzione! Non mi sottoporrò più ai tuoi inganni!» «Questione accademica. Sei licenziata. Tanto non sei mai stata molto utile.» «Oh!» esclamò Mira. Girò su se stessa e corse su per le scale accompagnata da Gaea. Satana osservò Niobe. I suoi occhi erano piccoli fuochi rossi, e le sue corna fumavano. «Così hai eliminato l'ultima delle quattro, maledetta sciattona» disse. «E magari credi di aver vinto.»
«Il Male non si può mai sconfiggere realmente» disse Niobe con una smorfia. «Ma questa volta non hai nemmeno cominciato!» esclamò, con il corpo che fumava. Niobe si appoggiò l'occhialino sul naso, ma Satana rimase uguale. Quella era la sua vera forma, «Non hai ancora salvato le tue preziose Nazioni Unite.» «Avanti, parla, vecchio delinquente» disse Niobe. «Hai organizzato tutto tu.» «Ho dato al Fato quattro fili su cui lavorare» disse Satana. «Ora che hai usato tutto il tuo tempo con questi, non potrai fermare la consegna della bomba, che avverrà domani.» «E chi la porterà?» domandò Niobe. «Ho centinaia di altri possibili portatori. Credevi che solo quattro persone potessero farlo?» «Ma il computer del Purgatorio...» «Te ne ha elencati centinaia.» «Solo quattro!» «Tu ne hai percepiti solo quattro, stupida cagna» disse Satana. Fece un gesto, e l'immagine di uno schermo di computer con quattro nomi apparve nell'aria al suo fianco. «E hai anche pensato che questa fosse la Usta vera.» Niobe si colpì la fronte con il palmo della mano. «Illusione! In Purgatorio!» Naturalmente Satana aveva il potere di distorcere il materiale stampato con il quale lavorava il computer; l'illusione era una forma di menzogna, e la menzogna era la sua specialità. Gaea se ne sarebbe accorta, pensò Atropo. Ma in quel momento lei non c'era. Le illusioni di Satana arrivano dappertutto, si dolse Cloto. «La penale delle novizie» mormorò Niobe. «Se ti fossi resa conto di quanti erano» continuò Satana «avresti capito che uno sforzo individuale non sarebbe servito a niente. Avresti trovato un metodo più generale, come per esempio avvertire le guardie di sicurezza delle Nazioni Unite stesse, che avrebbero adottato dei sensori psichici per impedire l'entrata della bomba.» «Mi sento molto stupida» disse Niobe in tono sconsolato. «Non sei stupida, solo manchi di esperienza» la consolò Satana. «La stupidità vera è stata quella del vostro trio di predecessori, che ha permesso il cambiamento di tutti e tre gli Aspetti in una sola settimana. Non mi aspettavo tanto da loro.»
Il porco! pensò Cloto con veemenza. Ha organizzato tutto lui! Niobe sospirò. «Be', non è troppo tardi. Possiamo ancora avvertire le Nazioni Unite.» «Forse» disse Satana. «È una possibilità. Ma perché perder tempo? Posso offrirti un accordo molto più conveniente.» «Di te non ci si può fidare!» disse Niobe. «Non devi dipendere dalla fiducia» disse Satana. «Dipendi dalla ragione. Se riesco a piazzare la bomba alle Nazioni Unite ci sarà un bel garbuglio nei fili del Fato, che porterà a diverse conseguenze negative in tutto il mondo. Ma nessuno può sapere esattamente quali saranno queste conseguenze. A volte ciò che all'inizio sembra buono risulta malvagio alla lunga, come ad esempio l'Inquisizione Cattolica o l'istituto delle SS naziste. E a volte ciò che pare negativo risulta poi positivo, come ad esempio l'epidemia della peste nera.» «La peste nera?!» esclamò Niobe. «E che bene avrebbe fatto?» «Ha alleviato la pressione demografica in Europa e ha decimato la forza lavoro, spianando così la strada alla fine del sistema feudale» spiegò Satana. «Non si possono mantenere i lavoratori in stato di sottomissione quando sono così pochi che il loro valore diventa enorme.» Niobe sospettò che i predecessori di Gaea avessero avuto i loro buoni motivi per lasciare diffondere la peste nera. Era una nozione interessante. «Dove vuoi arrivare?» «Ciò che voglio farti capire è che l'intera faccenda delle Nazioni Unite è un rischio per me» disse Satana. «Potrebbe costarmi più di quanto non mi faccia guadagnare. Solo uno sciocco rischia quando non ne ha bisogno.» «Ma molte persone rischiano ai tuoi tavoli da gioco!» «Ma non vedrai mai la mia persona a quei tavoli.» «Cosa vuoi, Satana?» chiese con tono burbero. «Voglio evitare la grande puzza. Mi basta un piccolo, insignificante cambiamento nei fili del Fato. Mi sembra che si possa trattare ragionevolmente su questo.» «Non sono disposta a trattare con il Maligno!» proruppe Niobe. «Come vuoi» disse Satana. «Ma ricordati di tapparti il naso quando passi davanti al palazzo delle Nazioni Unite... anche se non servirà a molto.» Aveva il coltello dalla parte del manico. «Qual è la tua offerta?» «Cancellerò la puzza in cambio di un semplice cambiamento a livello professionale per una persona. Nessun danno per la persona in questione, niente Male aggiunto alla sua anima, solo un piccolo cambiamento senza
conseguenze.» «Se non ha conseguenze, perché lo vuoi?» domandò Niobe. «Non ha conseguenze per voi. Ma è molto importante per me. La donna in questione entrerà presto nel mondo della politica. Io invece vorrei che al suo posto venisse messo uno dei miei. Tanto la maggior parte dei politici è corrotta in ogni caso, quindi per te non farà alcuna differenza. Ho promesso a questo mio servo... be', non importa. L'importante è che sono disposto a trattare. La cosa ti interessa?» «Non mi fido» disse Niobe. Vediamo di che si tratta, pensò Atropo. Se riusciamo a evitare il garbuglio delle Nazioni Unite, è pur sempre qualcosa di guadagnato. «Chi è la persona in questione?» «Una giovane donna, poco più di una ragazzina; un personaggio realmente insignificante.» «Così dici tu. Dimmi il suo nome.» «Oh, si chiama qualcosa come Selene, o un altro nome lunare» disse Satana con indifferenza. «Non che la cosa abbia importanza.» «Come puoi sperare che ti aggiusti il suo filo se non mi dici chi è esattamente?» domandò Niobe, consapevole dell'importanza di un eventuale accordo. Sta tramando qualcosa, pensò Atropo. Peccato che non sia rimasta Gaea; lei sì che è saggia! Satana fece una pausa, toccandosi la barba mentre si concentrava. «Si tratta della figlia di un'ex Incarnazione, quindi forse aveva delle illusioni di grandezza. Il nome... vediamo un po'... ah, Kaftan.» Niobe s'irrigidì. Voleva eliminare Luna, colei che secondo la profezia era destinata a essere la salvatrice dell'umanità! Ora le era chiaro che tutta la storia delle Nazioni Unite non era altro che un diversivo per fare apparire insignificante e accettabile il compromesso. E spiegava anche perché aveva fatto in modo che tutti e tre gli Aspetti del Fato cambiassero contemporaneamente. Gli Aspetti precedenti sapevano di Luna, quindi dovevano essere eliminati. Satana giocava una partita a lunghissimo termine! Decise di stare al gioco giusto per avere un'idea più chiara della sua trama prima di stroncarla definitivamente. I tre Aspetti precedenti avevano pensato al suo ritorno perché sapevano che Satana stava macchinando qualcosa di strano, e avevano scelto meglio di quanto non potessero immaginare! Ma voleva essere certa di conoscere le sue mire per intero. «Esisteranno certamente molte donne con quel cognome» disse Niobe,
fingendo perplessità. «Da che famiglia proviene?» «Oh, nulla di speciale. Uno dei miei servi l'ha individuata tempo addietro. Ci sono due ragazze che sembrano gemelle, ma che in realtà sono di due generazioni diverse. Io voglio quella che discende dall'ex Incarnazione. Quella con i capelli più scuri.» Nuovamente Niobe s'irrigidì. Che Satana si fosse sbagliato? Sua nipote Luna era destinata a salvare l'umanità, mentre sua figlia Orb era destinata a divenire un'Incarnazione, sempre che la profezia fosse esatta. Ma naturalmente Satana era un'Entità molto indaffarata, e probabilmente non aveva fatto molto caso alla sua vita mortale. Ed era evidente che non l'aveva riconosciuta. Per la prima volta in vita sua, benedisse la perdita della sua bellezza giovanile. Forse il demone che era riuscito a entrare nelle sale del Re della Montagna e ad attivare le difese aveva confuso le due ragazze, cosa peraltro abbastanza facile, e aveva riferito a Satana che Luna era quella con i capelli color miele di grano saraceno. Satana non doveva aver mai verificato quel particolare; in realtà Luna aveva i capelli color miele di trifoglio, e quindi leggermente più chiari di Orb. «Trovi la mia proposta irragionevole?» domandò Satana, notando il suo silenzio. Niobe sospirò. «Gaea mi ha detto di non fidarmi di te. Stai tramando qualcosa.» «Mia cara collega! Ma non c'è bisogno che tu ti fidi di me! Te la puoi benissimo cavare da sola! Basta che tu mi dia la tua parola che se non salta alcuna bomba alle Nazioni Unite, tu modificherai il filo di quella ragazza allontanandola dal mondo politico.» Niobe cercò di decidere se Satana si fosse effettivamente sbagliato o se avesse qualche trama a doppio taglio in mente. «Nessun danno verrà arrecato alla ragazza?» «Prometto che non farò mai alcun male alla ragazza di cui cambierai il filo per me» disse Satana con tono magnanimo. «Ma le tue promesse non hanno alcun valore!» «Questo è vero. Non per niente io sono il Padre della Menzogna» assentì con orgoglio. «Ma se è data nella maniera appropriata, la mia parola è sacra.» «E quale sarebbe questa maniera appropriata?» «Con il sangue, naturalmente.» «Tu hai sangue?» Satana scoppiò a ridere. «Ma certo che ho sangue! Sono un'Incarnazio-
ne, proprio come te!» Niobe ricordò. Nel corso della sua precedente esperienza aveva imparato parecchie cose sulle altre Incarnazioni; una di queste era che Satana era legato al suo sangue, e un'altra che la parola data da un'Incarnazione a un'altra Incarnazione era inviolabile. In questo caso particolare, poteva fidarsi persino del Padre della Menzogna. «In tal caso, giureremo con il sangue» decise. Sei forse impazzita, donna? domandò Atropo, come fosse la voce della sua coscienza. È il tuo stesso sangue che sacrifichi con quella ragazza! E la salvezza dell'Umanità! aggiunse Cloto. Entrambe avevano raccolto le informazioni dai pensieri di Niobe. «Benissimo» disse Satana. Sollevò la mano, Niobe prese un ago dalla sua riserva e gli punse il pollice, facendo uscire una goccia di sangue. Poi fece lo stesso con il suo dito. Nessun essere, né immortale né terreno, poteva far versare il sangue delle Incarnazioni senza il loro consenso, con l'eccezione forse della sostituzione dell'ufficio di Thanatos. Ma in questo caso lei aveva acconsentito a versare il suo sangue, e Satana aveva fatto altrettanto. «Un giuramento fra Incarnazioni» disse Niobe. «Sigillato con il sangue. Tu risparmierai le Nazioni Unite e rispetterai la vita di quella donna, e io farò sì che la discendente dai capelli più scuri di Niobe Kaftan non entri mai nel mondo della politica.» «Un giuramento, d'accordo» assentì Satana. Si strinsero le mani insanguinate. «Spero che ne valga la pena» mormorò Niobe, preoccupata dei guai che Satana avrebbe potuto procurare a Orb nonostante il suo giuramento. C'erano diversi modi per rovinare la vita di una persona senza farle del male in senso letterale. Tuttavia il significato del termine "rispettare" era piuttosto ampio, soprattutto se si considerava l'importanza della profezia. Quel giuramento non era altro che un passo in più nell'adempimento di quella profezia. Non che Niobe si sentisse completamente a suo agio, ma sentiva di essersi comportata nella maniera giusta in una situazione difficile. «Certamente per me ne è valsa la pena» disse Satana. «Soprattutto se consideriamo che in ogni caso la questione è puramente accademica.» «Accademica?» «Chronos, che sia maledetta la sua pellaccia a ritroso, ha agito per conto suo e ha avvertito della bomba le guardie delle Nazioni Unite. Stanno già installando degli schermi rilevatori.»
«E tu lo sapevi?» domandò Niobe sconvolta dalla rabbia. «Hai barato!» «Non direi. Ho giurato di risparmiare le Nazioni Unite, e i discendenti apolitici di Niobe. Ebbene, verranno risparmiati.» Poi Satana spalancò gli occhi. «Ma come facevi a conoscere il nome Niobe? Non l'ho mai pronunciato!» «Satana, questo fa parte delle mie prerogative. I fili...» Ma lui aveva già fatto i collegamenti del caso. «Tu... mi pareva che fossi un volto familiare! Tu sei Niobe, la ex Cloto!» Niobe scrollò le spalle. «Ora sono Lachesi. Ma farò sì che la mia figlia mortale Orb non entri mai nel mondo della politica. Un giuramento è un giuramento.» «Orb? Io intendevo Luna!» «Oh, ma la faccenda non era forse accademica?» domandò Niobe con una vocina dolce dolce. «Ho giurato di tenere fuori dal mondo politico la mia discendente dai capelli più scuri.» Satana fece una pausa per riflettere. «Tu... tu sei tornata... per ingannarmi!» «Più o meno.» Niobe scrollò le spalle. «Se tu avessi specificato che si trattava di Luna...» Niobe si aspettava un'esplosione d'ira, ma Satana si limitò ad annuire. «A volte il Padre dell'Inganno abbocca al suo stesso amo. Mi congratulo con te, Niobe, per la tua eccellente contromossa.» «Detto da te, è veramente un grande complimento.» «Ma ora so chi sei, e non mi farò più ingannare. Vi sono altri modi.» Con queste parole, Satana scomparve. Ma Niobe non era affatto rassicurata. Era stato troppo facile. Eppure come avrebbe potuto comportarsi altrimenti? Protese un filo e scivolò verso casa. 14 Corruzione Una volta rientrate alla Dimora si riposarono un poco, quindi tornarono alle loro faccende quotidiane. Avevano effettivamente aggirato il tranello di Satana, poiché nella sede delle Nazioni Unite non accadde nulla. Forse, come aveva sostenuto Satana, la questione era puramente accademica, ma questo era avvenuto solo perché Chronos era stato messo in allarme dalla loro reazione e aveva agito di sua iniziativa. Dato che viveva a ritroso, la
sua azione doveva essere avvenuta prima della loro conversazione, ma... be', quel problema era già stato discusso. In quanto alla figlia e alla nipote di Niobe, avrebbero continuato le loro vite indisturbate; il corso dei loro fili non aveva subito variazioni. Era stata veramente una fortuna che Niobe fosse tornata in forma di Lachesi per trattare quella particolare faccenda! Nessun altro avrebbe potuto conoscere le due lune gemelle fino al punto di incanalare lo sforzo di Satana su un binario morto. Ma era stata veramente una coincidenza, o esisteva una corrente più profonda del Fato che prescindeva persino dagli sforzi delle Incarnazioni stesse? E se era così, da dove originava quella corrente? «Da Dio» disse Atropo. In effetti... Dio onorava il Trattato non interferendo nelle questioni mortali, mentre Satana lo violava in continuazione. Evidentemente Satana non aveva firmato con il sangue quel particolare patto. Ma se era Dio che controllava lo schema generale delle cose, significava che tutte le macchinazioni di Satana erano in realtà... puramente accademiche. Il suo ritorno era da attribuirsi alla volontà di Dio, o era una coincidenza? «Non lo sapremo mai per certo» disse Cloto. E con questo, Niobe dovette accontentarsi. Niobe ora lavorava con Chronos più di quanto non avesse fatto quando era Cloto. Certo, aveva avuto una lunga relazione a ritroso con il precedente Chronos, ma era avvenuta a un livello diverso. Dal modo in cui questo Chronos guardava Cloto, Niobe sospettava che sarebbe accaduto qualcosa di simile anche stavolta, ma forse non era ancora giunto il momento e forse non sarebbe successo con questa particolare Cloto. L'Aspetto più giovane del Fato sembrava essere una specie di calamita per quanto riguardava le attenzioni maschili, ovunque e comunque. Ma da un punto di vista strettamente professionale, la cooperazione principale era quella fra Chronos e Lachesi. Solo Chronos era in grado di determinare i tempi esatti per le complesse interazioni fra i vari fili. Il suo personale e quello del Fato coordinavano la maggior parte degli eventi con sufficiente competenza, ma il costante sviluppo delle situazioni richiedeva l'attenzione diretta delle Incarnazioni stesse. E fu proprio durante una di queste sedute che Chronos accennò una cosa che la mise in allarme. «Periodicamente, Satana ha la possibilità di liberare una serie di demoni dall'Inferno» disse Chronos. «Non so da che cosa di-
penda, e so che accade piuttosto raramente, ma ogni volta che viene liberato un demone, per il regno mortale sono guai.» «Persino lo spirito di un demone è malvagio» commentò Niobe. «Ah, allora conosci la natura del problema! Mi ricordo che una volta ho dovuto far scorrere tutto il mondo all'indietro per eliminare... ma questo non è ancora avvenuto, per te. Comunque, a quanto pare sta per verificarsi nuovamente un episodio simile... ovvero è già avvenuto, nel tuo schema temporale. E sospetto che questa volta sarà il caso che verifichiamo esattamente quali malvagità sono in atto.» «Non puoi verificarlo tu basandosi sul tuo passato?» «Questo è il lato strano della faccenda. A quanto pare non c'è stata alcuna conseguenza. Eppure Satana non si lascia mai sfuggire occasioni simili.» «Niente guai?» domandò. «In effetti la cosa è quanto mai sospetta! Che guai potrebbe combinare Satana senza che tu te ne accorga?» «O qualcosa con conseguenze limitate, o qualcosa di molto indiretto e sottile.» «Se è troppo limitato o sottile per influire sull'equilibrio del Bene e del Male nel mondo, allora è troppo limitato perché ne valga la pena per lui» disse Niobe. «Sono sicura che non sprecherebbe mai un demone per uno scopo ininfluente.» Ricordò i vari attacchi demoniaci nei confronti della sua famiglia. «Ci deve essere per forza qualcosa.» «Magari può trattarsi di qualcosa che si manifesterà prima dell'inizio della mia entrata in carica» buttò là Chronos. «In tal caso non ne saprei nulla. Satana è molto portato per le trame a lungo termine.» «Sì! Luna dovrebbe salvare l'Umanità in un tempo futuro, forse fra una ventina d'anni. Satana ha una scaltrezza e una pazienza infinite, e quindi può permettersi di aspettare, di annullare la tua percezione. Probabilmente quel demone farà qualcosa le cui conseguenze appariranno evidenti solo allora.» «Ha già fatto qualcosa di simile» confermò Chronos. «Mai così a lungo termine, nella mia esperienza, ma sono stato costretto a bloccare diversi suoi sforzi a più corto raggio, anche se devo confessare che ci sono riuscito con una certa difficoltà. È stato realmente faticoso, e se non fosse stato per il tuo sostegno e quello di Cloto, non questa, ma il suo successore, forse mi sarei anche arreso.» Niobe decise d'ignorare il commento sul successore di Cloto e sperò che lei non l'avesse recepito; nessuna di loro voleva sapere quando avrebbe la-
sciato l'ufficio, pur sapendo che l'avrebbe fatto volontariamente. «Dev'essere così. Ma che cosa potrebbe fare un demone oggi per ottenere un risultato fra vent'anni? Una bomba a orologeria?» «I ritrovati di questo genere sono notoriamente inaffidabili. È molto più probabile che operi invece qualche cambiamento di ruolo in qualche posizione importante, per far sì che qualcuno non sia disponibile per fare qualcosa contro Satana fra vent'anni.» «Luna mi sembra abbastanza ben protetta» disse Niobe. «Non credo proprio che il demone possa toccarla. E lei è l'unica persona d'importanza realmente cruciale della quale io sappia.» «A un certo punto, Satana ha mandato sulla Terra un demone per annullare l'avvelenamento accidentale del senatore al quale è poi succeduta Luna, per far sì...» «Aspetta, Chronos, aspetta! Stai parlando del futuro! Preferirei che tu non lo facessi. Parla più in generale, per cortesia.» «Scusami. Ciò che voglio farti capire è che se Satana può influenzare persone con le quali Luna interagisce, significa che può influenzare anche lei, seppure in maniera indiretta. Se lei sarà un personaggio chiave dal punto di vista politico, un cambio di personale potrebbe mettere nella posizione chiave una persona diversa.» «Ora capisco. Dici che Luna diventerà senatore?» «Sì, se non ti dispiace avere quest'informazione. Un ottimo senatore.» «Quindi l'arena più probabile per lo scontro, di qualsiasi cosa si tratti, sarebbe il Senato?» «Direi di sì.» «Allora sarà meglio che controlli tutti i potenziali cambiamenti nella gerarchia del Senato. Sto imparando a leggere i fili sempre meglio, quindi dovrei riuscirci meglio di quando ho cercato i potenziali portatori della bomba puzzolente. A proposito, ti ho ringraziato per il tuo aiuto in quel caso?» «Bomba puzzolente? Ah, c'era qualcosa del genere in una realtà alternativa. Alle Nazioni Unite, vero?» «È vero... se ti avessi ringraziato il mese scorso, tu non ne sapresti ancora nulla!» «Sono certo che hai fatto ciò che andava fatto... e anch'io lo farò.» «Be', grazie comunque; per questo, e per quello.» Niobe lasciò la Villa e come sempre si ritrovò con del tempo da perdere prima di tornare alla Dimora, in quanto doveva evitare di incontrarsi con
se stessa nel passato immediato; era sempre un po' scombussolante. A volte l'aveva fatto di proposito durante il periodo in cui era in carica il Chronos bambino, ed era stata un'esperienza interessante, ma ora era troppo occupata per quel genere di svago. Proiettò il suo filo verso la Terra per andare a fare una breve visita a Luna, giusto per avvertirla dell'andamento della situazione. Tra l'altro non vedeva la nipote da quando aveva assunto la carica di Lachesi, quindi era ben ora che andasse a trovarla. Atterrò davanti alla porta di ciò che risultò essere una villa lussuosa circondata da un alto cancello e protetta da due feroci grifoni. Gli animali la minacciarono e lei li attraversò con un filo, giusto per far loro capire di che pasta era fatta. La porta si aprì, e apparve Luna. «Mia cara!» esclamò Niobe. «Ma che cosa hai fatto ai tuoi capelli?» «Nonna!» esclamò Luna. «Vieni dentro!» Ebbero una piacevole conversazione, nel corso della quale Niobe apprese che Luna aveva usato un incantesimo per far scurire i suoi capelli quando si erano trasferiti in America. «Mio padre ha insistito tanto» disse. «Ma non so perché.» Niobe ricordò l'errore di Satana, che aveva confuso le due ragazze supponendo che Luna fosse quella con i capelli più scuri. Evidentemente il Padre della Menzogna l'aveva vista più di recente! «Credo di sapere il perché» mormorò. Suo figlio il Mago si era veramente dato da fare! Dopo un po' baciò sua nipote e risalì lungo il suo filo. Aveva delle faccende importanti di cui occuparsi. Controllò la Tappezzeria, cercando i fili di tutti i senatori in carica. Naturalmente in vent'anni sarebbero avvenuti parecchi cambiamenti, quindi non c'era molto da vedere. Tuttavia... Rimase delusa. Iniziò dal più giovane, che probabilmente sarebbe rimasto al suo posto come minimo per altri vent'anni, diventando quindi il bersaglio più probabile della trama del Maligno. In fondo, a che cosa sarebbe servito corrompere un senatore che non fosse rimasto tale fino al momento cruciale? Ciò nonostante, dopo un approfondito controllo di ogni filo, non trovò nulla d'irregolare. Nessun filo era stato toccato dall'influenza di Satana. «Be', comunque abbiamo fatto bene a controllare» disse. «Anche se era solo una supposizione.» «Perché non controlliamo anche quelli vecchi?» propose Atropo. «Ma fra vent'anni non ne rimarrà in carica neanche uno.»
«Controllali lo stesso. Ho un presentimento.» Niobe scrollò le spalle e controllò il filo del senatore più vecchio. Sgranò gli occhi. Ecco dov'era il nodino di Satana! Controllò un altro senatore anziano: anche qui trovò Io stesso segno! Non c'erano dubbi; Satana aveva influenzato quegli uomini! «Ma non ha senso!» protestò Niobe. «Uno di loro ha settantasei anni ed è in pessima salute. Non ce la farà mai a sopravvivere per altri vent'anni!» «A meno che non gli venga data una pozione di giovinezza» disse Atropo. «Una pozione di giovinezza!» Improvvisamente divenne tutto chiaro. Giusto una donna anziana avrebbe volentieri potuto pensarci! Un uomo vecchio e corrotto avrebbe volentieri dato l'anima per una cosa simile, considerando che sarebbe comunque andato all'Inferno. In effetti era probabile che Satana avesse offerto a quegli uomini vent'anni di vita in più in cambio del loro sostegno nel momento critico. Dato che probabilmente sarebbero stati sostituiti da uomini più giovani e forse più timorosi di Dio, Satana aveva tutto l'interesse a fare una cosa simile. Luna sarebbe stata scavalcata. E questo non doveva avvenire. Controllò altri fili. I quattro senatori più anziani erano stati tutti influenzati. Il quinto e il sesto non ancora. «Il demone non ha finito con la sua opera di corruzione!» disse. «Siamo in tempo per interrompere la sua attività.» «Non so come si faccia a combattere un demone» disse Cloto. «Samurai mi sta insegnando un po' di autodifesa, ma mi ha detto che non funziona contro la magia, e so che un demone non può essere ucciso con metodi mortali.» «Invece sì!» intervenne Atropo. «Basta rovesciargli addosso un po' d'acqua santa.» Niobe confermò. «E naturalmente, essendo un'Incarnazione, siamo invulnerabili. Nessun mortale e nessun demone può far sgorgare il nostro sangue, a meno che non glielo permettiamo noi.» Si procurarono una fialetta d'acqua santa, quindi scivolarono giù fino alla residenza del senatore. Come d'abitudine, il Senatore aveva una residenza più che lussuosa, una splendida villa circondata da un ampio giardino con prati all'inglese e cespugli scolpiti, con diverse dépendances che circondavano l'edificio centrale. Non c'erano barriere fisiche, ma tutt'attorno alla proprietà era stata dipinta una linea gialla. Magia, pensò Atropo cupamente.
Niobe s'incamminò lungo il sentiero, sapendo che la magia non poteva in nessun modo danneggiare un'Incarnazione. Questo era uno dei più grandi vantaggi che traeva dalla sua precedente esperienza; poteva procedere con sicurezza poiché conosceva i suoi poteri. Se i tre Aspetti del Fato fossero stati veramente tutti novellini, Satana avrebbe potuto convincerle che erano fisicamente e magicamente vulnerabili, traendo cosi un notevole beneficio. Thanatos stesso aveva raccontato di essere stato ingannato a quel modo dal Padre della Menzogna, prima di rendersi conto della verità. E Niobe ricordò anche come Satana l'avesse quasi portata a dimettersi dal suo ufficio la prima volta che l'aveva incontrato nel Vuoto. Una menzogna poteva prendere moltissime forme, e Satana le conosceva tutte! Superò la linea gialla, e fece scattare l'allarme. Una nube di uccelli le piombò addosso dal tetto della casa. Evidentemente la riconobbero come intruso, poiché non ebbero esitazioni; piegarono le ali e scesero in picchiata come falchetti da caccia. Aih! pensò Cloto, riparandosi mentalmente. Ma Niobe si limitò a proiettare un filo a mo' di cappio e poi un altro che lo intersecava ad angoli retti, creando una sfera attorno al suo corpo. Gli uccelli si lanciarono contro la sfera, e subirono un improvviso rallentamento. Avevano perso forza, e non erano in grado di arrivare al suo corpo, sebbene ci provassero con tutte le loro energie. Come il tatami! pensò Cloto. Nel corso della sua associazione con Samurai aveva incamerato nel proprio linguaggio diversi termini legati alle arti marziali. Il tappeto è morbido, e ferma le cadute senza far male. «Esattamente» mormorò Niobe. «Non c'è nulla di tanto sottile e allo stesso tempo concreto come la tela del Fato. Nessuna creatura mortale può annullarla o evitarla.» Proseguì per la sua strada, e dopo un po' gli uccelli si arresero e ritornarono ai loro nidi sul tetto. Bella proprietà, commentò Atropo. Non mi dispiacerebbe lavorare in un posto come questo. Non sei una serva! pensò Cloto con rabbia. Sei una donna libera! Certo che lo sono, ragazza... nel mio cervello. Ma nel mondo vero ho sempre dovuto guadagnarmi da vivere, e non me ne sono mai vergognata. Niobe sorrise mestamente. Lei non era stata né libera né serva, ma aveva vissuto in parte entrambe le situazioni. Al contrario di Cloto, aveva sposato l'uomo che suo padre aveva scelto per lei, e al contrario di Atropo, non era mai stata costretta a lavorare per altri. Tuttavia, se all'inizio si fosse ribellata con maggior energia, avrebbe potuto seguire il corso che aveva se-
guito Cloto... per poi seguire forzatamente quello di Atropo. Il mondo era sempre fondamentalmente degli uomini. Ma siamo noi che filiamo i Fili della Vita! intervenne Cloto. E siamo sempre noi che li tagliamo! aggiunse Atropo. «Be', siamo donne» disse Niobe sorridendo. «Abbiamo quel genere di potere che nessun uomo può negare o evitare.» Si avvicinarono ulteriormente alla casa, e improvvisamente udirono un grido provenire da un albero. Sembrava una via di mezzo fra l'urlo di un grande uccello e quello di una donna petulante, e nel complesso era terribile. Poi dall'albero si levò una figura grande e scura, che agitava delle ali poderose. È una maledetta arpia! pensò Atropo. «Oops» mormorò Niobe. «La tela magica non può fermarla; è una creatura immortale.» Magari posso usare qualche tecnica di autodifesa, pensò Cloto. «Non servirebbe. Potresti colpirla o evitarla, ma la sua schifezza ti sporcherebbe ugualmente. Non può effettivamente farci del male, anche se non reagiamo affatto, ma può renderci disgustosamente sudice.» L'orribile creatura si stagliò nel cielo, pronta a piombare su di loro. Aveva il viso e i seni di una donna anziana, e il corpo di un avvoltoio. Gli occhi stretti e circondati di rughe scrutarono Niobe. L'arpia planò un attimo sopra le loro teste, sorpresa, impuzzolendo l'aria ad ogni battito d'ali. «Cosa ci fai qui, Lachesi?» domandò l'arpia. I suoi denti erano gialli e lunghi. «Qui non c'è nulla che ti riguardi, donna intrigante!» «E invece sì, putrida gallina!» ribatté Niobe. «E ora fammi passare, altrimenti ti prenderò al lazo con un filo.» Era un bluff, ma sperò che l'arpia non lo sapesse. «I tuoi fili mi fanno solo ridere, faccia di ragno!» gracchiò l'arpia. «Ti conviene smammare, altrimenti defecherò sulla tua testa!» Non si trattava certo di una minaccia a vuoto. Ma Niobe sapeva che doveva raggiungere il senatore prima del demone. Non poteva permettersi di ritardare. Dammi il corpo! pensò Atropo. So io come trattare quelle della sua razza! Niobe glielo passò. Atropo prese forma e si allontanò dal sentiero, attraversando il prato fino a una baracca per gli attrezzi da giardino. «Oh, è Atropo adesso!» gracchiò l'arpia, seguendola. «Cosa credi di fare, vecchia schiava nera?»
«Solo spazzar via un po' d'immondizia» disse Atropo. Raggiunse la baracca e prese una vecchia scopa. «Brava, vai a pulire, da quella stupida serva che sei!» gracchiò insolente l'arpia, con i capelli ispidi protesi all'esterno mentre svolazzava sopra la testa di Atropo. «Anzi, ti farò sentire a casa tua svuotandoti addosso la mia tazza!» «Quando andavamo a chiedere ai bianchi se avevano bisogno di qualcuno che pulisse loro la casa, ci mandavano sempre dietro i cani» disse Atropo, sollevando la scopa che nelle sue mani competenti si muoveva praticamente come un'arma. «E sai cosa facevamo in quei casi?» «Vi facevate mordere?» domandò l'arpia con una risata gracchiante, aggiungendo il genere di epiteto razzista che solo un'arpia poteva usare. «Gli facevamo il culetto, a quei bastardi!» esclamò Atropo. E con queste parole diede un colpo di scopa potente e preciso verso l'alto, colpendo l'arpia sul sedere proprio nel momento in cui stava lasciando andare la sua "bomba", e facendola girare su se stessa vorticosamente. La creatura cadde a terra di schiena, emettendo grida acutissime. Senza un attimo di esitazione, Atropo le si avvicinò, sempre brandendo la scopa. L'arpia si rigirò frettolosamente e spiegò furiosamente le potenti ali, lanciandosi nel cielo. Fuggì. Non voleva saperne più nulla. Atropo riportò la scopa alla baracca. «Una donna impara parecchie cose nel corso di una vita di lavoro» dichiarò con aria soddisfatta. Indubbiamente! Niobe riprese il controllo del corpo e proseguì verso la villa. Come arrivò davanti alla porta, questa si spalancò di scatto e correndo ne uscì il demone. Era alto più di due metri, e il corpo interamente ricoperto di peli aveva una lunga coda che finiva a punta, lunghe coma, e un'appendice maschile decisamente prominente. L'essere balzò direttamente addosso a Niobe, avvolgendola con le sue lunghe braccia e aprendo la bocca fino al punto che le altre caratteristiche del viso scomparvero del tutto. Gli enormi denti acuminati si serrarono sul suo viso. «Oh, piantala!» proruppe Niobe, disgustata. «Tanto non mi puoi mordere!» Infatti, i denti del demone arrivarono fino a toccare la sua fronte e poi si fermarono. Lei era invulnerabile. Il demone emise un grugnito e la strinse tra le braccia, cercando di spezzarle le costole, ma la compressione non ebbe alcun effetto. Era immune anche a questo.
Poi al demone venne un'altra idea. Sollevò le zampe posteriori, e con le unghie la graffiò dall'alto verso il basso. Riuscì a strapparle completamente il vestito, ma la carne rimase intatta. «Non puoi farmi nemmeno un graffio, demone idiota. Sono invulnerabile a qualsiasi danno fisico che potrebbe procurarmi qualsiasi creatura mandata dal tuo infernale padrone.» Il demone sollevò di nuovo il piede, lacerandole completamente quel poco del vestito che le rimaneva addosso solo grazie alle maniche, poiché tutta la parte frontale era strappata. Il demone non la mollò, ma allentò la presa quanto bastava per abbassare lo sguardo sul corpo di Niobe. Emise uno sbuffo di vapore. In quel momento Niobe si rese conto delle sue intenzioni. Voleva violentarla! Probabilmente era in grado di farlo. Era immune da qualsiasi danno fisico, ma non da un danno emotivo. Come le aveva provato la sua stessa esperienza tempo addietro, era perfettamente in grado di intraprendere rapporti sessuali; ciò non rappresentava alcun abuso fisico del suo corpo. Il demone era più forte di lei, e poteva anche farcela. Tentò di divincolarsi, ma le braccia del demone mantennero salda la presa. Cercò di sgusciargli da sotto, ma l'essere la sollevò da terra. Il suo membro stava crescendo, e nel giro di un attimo avrebbe fatto ciò che intendeva fare. Come minimo, sarebbe stata profondamente umiliata. Forse posso combatterlo! pensò Cloto. Come? ribatté Atropo. Anche lui è immune al nostro attacco; non possiamo neanche morderlo. Almeno lasciatemi provare! Niobe, che era disperata almeno quanto loro, le cedette il corpo. Il demone si fermò un attimo, stupito da quel cambiamento, ma non mollò la presa. Poi, percependo che la sua vittima era diventata più attraente, si diede da fare con maggior energia. Cloto si divincolò disperatamente e riuscì a girarsi un poco di lato. Poi sollevò improvvisamente il ginocchio, tentando un colpo disperato ai genitali del demone. Lo colpì, ma la creatura non ebbe nemmeno un sussulto. Come aveva avvertito Niobe, quell'essere era invulnerabile. Ora tocca a me! pensò Atropo. Cloto le passò il corpo. Anche stavolta il demone si fermò notando il cambiamento, ma anche in questo caso non desistette. Cambiò presa, si avvicinò di più, poi usò i piedi prensili per afferrare le gambe di Atropo e allargarle.
«Maledizione!» imprecò Atropo. «Credevo di poter scivolare via lungo un filo, ma non riesco a proiettarne con le mani bloccate!» Il demone sorrise. Lo sapeva bene. Improvvisamente Niobe ebbe un'illuminazione. Siamo delle sciocche! pensò. Ridammi il corpo! Atropo glielo passò, e Niobe ne assunse il controllo nel momento stesso in cui la carne del demone toccò la sua. Si trasformò in ragno, e di colpo si trovò con otto braccia e molto più piccola. Il Fato poteva diventare un aracnide di qualunque dimensione. Sfuggì facilmente alla presa e si lasciò cadere a terra. Il demone allora tentò di pestarla, ma Niobe rimase immobile, lasciando che il piede artigliato calasse sul suo corpo. Quando il piede risalì, Niobe era ancora in perfetta salute. Il Fato era invulnerabile anche in forma di ragno. Tornò alla sua forma naturale. Il demone l'afferrò nuovamente, ma questa volta Niobe aveva l'acqua santa a portata di mano. Mentre il demone la stringeva, aprì la fialetta e ne bevve un sorso. «Baciami, demone» mormorò sollevando il viso. La testa del demone scattò indietro appena annusò l'acqua, ma Niobe lo seguì. Ora era lei che lo teneva stretto per le braccia, impedendogli di fuggire esattamente come aveva fatto lui prima. Gli premette le labbra sulle sue e gli sputò in bocca l'acqua benedetta. Il bacio della morte! pensò Cloto. Ed era proprio così. Nel punto in cui era giunta a contatto con l'acqua, la carne del demone iniziò a sciogliersi. Le labbra si dissolsero e colarono lungo il mento, che venne rapidamente eroso. Scomparve anche la carne delle guance e della lingua, lasciando i denti nudi come quelli di Thanatos. Poi si dissolsero le gengive, la mascella si frantumò, e i denti caddero uno a uno. Il processo di distruzione continuò su tutto il viso, mangiando via prima il naso e poi gli occhi. Divenne visibile anche il cervello dell'essere, che iniziò a fumare a contatto con il liquido. Prima si annerì, poi si ridusse in fumo. È così che si trattano i violentatori! pensò con enfasi Atropo. Dopo, il resto del corpo si sciolse ancor più velocemente, dissolvendosi in una nube di vapore dall'alto verso il basso, come un grosso sigaro. Alla fine non rimase altro che un grumo di gas puzzolente. Ma mentre il fumo si dissipava, qualcosa si mosse. Era il piede destro del demone; non si era dissolto, ed era rimasto nascosto dal fumo. Il bacio
della morte aveva raggiunto il suo limite. Niobe prese nuovamente la fialetta. Che male può fare un piede? pensò Cloto. «Qualsiasi parte di un demone riesce a fare tutto il danno possibile» disse Niobe in tono serio. Si rovesciò un po' d'acqua santa sulle dita e fece per afferrare il piede. Ma il piede salì per lo scalino dell'ingresso, usando gli artigli per spostarsi in avanti. Stava cercando di fuggire! Niobe lo innaffiò facendo schioccare le dita nella sua direzione, e nei punti in cui caddero le gocce si formarono nuove nuvolette di fumo. Il piede cadde dagli scalini sul prato. Niobe lo seguì continuando a spruzzarlo d'acqua, ma il frammento scomparve. «Spero di averlo preso tutto» mormorò. Non può essere rimasto più di un alluce, pensò Atropo. «I demoni non sono come gli esseri mortali» disse Niobe con tono cupo. «Anche una piccola parte può sopravvivere.» Credi che un alluce ci possa danneggiare? domandò Atropo. Come? Niobe scrollò le spalle. «Non lo so. Ma spero che si sia dissolto tutto.» Bene, andiamo a vedere cosa succede dentro, pensò Cloto. Come Atropo, anche lei non prendeva molto sul serio la faccenda dell'alluce del demone, e Niobe fu costretta ad ammettere che forse era un po' troppo paranoica per quanto riguardava i demoni. Uno aveva ucciso Cedric, un altro aveva ucciso Blanche, un altro ancora aveva cercato di eliminare Luna e Orb fino a quest'ultimo che aveva tentato di violentarla. Non si poteva negare che avesse i suoi buoni motivi. Ma in effetti, che cosa poteva fare l'alluce di un demone? Niobe si riaggiustò il vestito lacerato come meglio poteva, aiutandosi con frammenti di filo posti in maniera strategica, ed entrò nella residenza del Senatore. Nel salotto c'era un giovanotto. Indossava abiti esageratamente larghi, aveva un'espressione stralunata, e si stava guardando allo specchio. Era arrivata in ritardo! Sospirò. «Senatore?» L'uomo rispose senza neanche guardarla. «Sì. Naturalmente dovrò dimettermi dal mio ufficio. Altrimenti verrebbero fuori chiacchiere, pettegolezzi, magari anche un'indagine. Non posso permettermi una cosa del genere! E potrei anche avere delle difficoltà a provare la mia identità. In fondo, ho appena perso quarant'anni!»
«Non... avete intenzione di rimanere in carica?» Questo fatto la stupì non poco. «Certo che no. Non è fattibile. Dovrò costruirmi una vita nuova. Ma ne vale la pena! Altri quarant'anni, partendo da tutto quello che so già!» «Ma non avete contratto un debito con Satana?» «Non mi ha chiesto nulla. È un regalo, niente trucchi.» «Ma il Male accumulato dalla vostra anima...» «Questo dono mi è stato offerto liberamente e io non ho promesso nessun favore politico in cambio. Quindi non ho compiuto alcun atto malvagio. E poi non potrei offrire nulla neanche volendo, perché sto per abbandonare definitivamente il mondo politico.» Niobe era perplessa. Se i senatori presi di mira non avevano intenzione di rimanere in carica, come avrebbero fatto a favorire Satana fra vent'anni? Che senso aveva? Però almeno aveva distrutto il demone. Non ci sarebbero state altre corruzioni. Protese un filo e scivolò su in Purgatorio. Una volta nella Dimora, discussero la situazione e ricontrollarono i fili. Studiando i cambiamenti dello schema, la situazione apparve finalmente chiara. I senatori erano stati corrotti in maniera indiretta con l'offerta gratuita di ciò che desideravano maggiormente, solo che per goderne erano stati costretti ad abbandonare le loro cariche, lasciando così vacanti le loro poltrone. Il che significava che bisognava trovare dei sostituti per le suddette poltrone, e certamente Satana aveva il controllo di quei sostituti. I nuovi senatori sarebbero stati tutti giovani e competenti, e non avrebbero in nessun modo lasciato trasparire la loro lealtà nei confronti del Maligno. Fino a quella data fatidica, a circa vent'anni di distanza, quando Satana avrebbe chiesto loro di ostacolare l'ascesa di Luna dandogli così la vittoria finale. Era un piano a lunghissimo termine, una vera e propria bomba a orologeria, ma a quanto pareva era già tutto stabilito. Visto che l'accesso di Luna al Senato era destinato a essere molto discusso, il voto contrario di quattro senatori sarebbe stato più che sufficiente. Anzi, di cinque senatori, poiché bisognava contare anche quest'ultimo che era appena stato eliminato. Tuttavia i nuovi fili non erano ancora in posizione, e i nuovi candidati non erano ancora stati eletti. Era un processo che richiedeva qualche giorno. Ma pur frugando meticolosamente nella Tappezzeria, Niobe non riuscì a trovare alcun modo per annullare l'effetto. Satana aveva preparato accuratamente la sua trama, e si era messo in grado di difenderla senza difficol-
tà da qualunque suo sforzo in senso contrario. I cinque senatori anziani erano già stati corrotti, e lei non poteva farci nulla; in più i giovani erano già dalla sua parte. «Ci deve pur essere un modo!» esclamò Niobe. «Non possiamo lasciare il mondo a Satana così semplicemente, anche se questo avverrà tra vent'anni!» Si consultò con le altre Incarnazioni, ma nessuna aveva una soluzione soddisfacente. Infine decise di andare a trovare la persona più coinvolta a livello personale: sua nipote Luna. Luna non rimase affatto stupita. Ormai era una donna realmente splendida, nonostante il diverso colore dei capelli. «Mio padre mi aveva detto che sarebbe avvenuto qualcosa di simile» disse. «E mi ha lasciato un messaggio per l'occasione.» «Mio figlio ha anticipato questa crisi?» domandò Niobe esterrefatta. «Era un grande Mago» le ricordò Luna. «Forse il più grande della sua generazione, e ha passato gli ultimi trent'anni della sua vita a studiare questo problema. Si scusava sempre per la sua trascuratezza nei miei confronti, ma in realtà non mi trascurava affatto. Al contrario, eravamo molto vicini.» Niobe invece non era mai stata molto vicina a suo figlio, ma questa era storia antica. «Qual è il messaggio?» Luna prese un piccolo topazio azzurro. Una bella pietra, ma non realmente preziosa. L'appoggiò su uno scaffale davanti a uno schermo bianco e accese una luce speciale. La pietra s'illuminò, e sullo schermo si formò uno schema di ombre azzurre. «Sfrutta un'influenza magica sulle molecole del topazio» spiegò Luna. «Devo solo metterlo a fuoco e trovare l'angolazione giusta. La maggior parte delle sfaccettature non ha senso, ma quella giusta contiene il messaggio. Il Mago ha organizzato le cose in questo modo affinché nessuno potesse leggere il messaggio per caso prima del momento giusto. Una sua diffusione prematura avrebbe certamente messo in allarme Satana.» Girò la pietra, e lo schema sullo schermo cambiò. La girò di nuovo, e sullo schermo apparvero, sfocate, diverse righe dattiloscritte. «Ah, eccolo! Adesso devo mettere a fuoco...» Mosse la luce, e gradualmente le lettere si schiarirono. Contemporaneamente qualcosa rotolò giù da uno scaffale e si scontrò con il topazio. La pietra cambiò posizione, e l'immagine si disperse.
«L'alluce del demone!» esclamò Niobe. Tirò fuori la fialetta e vi rovesciò sopra l'acqua santa che le rimaneva. L'alluce scomparve in una nube di fumo. Luna riprese la pietra. «Meno male che non l'ha danneggiata» disse. La collocò di nuovo in posizione e rimise a fuoco il fascio di luce. Sullo schermo non apparve altro che un'ombra azzurra. Sorpresa, Luna gli cambiò faccia, ma ancora non apparve nulla. «Si è cancellato!» esclamò, delusa. «La magia se n'è andata!» «È stato il demone!» esclamò a sua volta Niobe. «È bastato il suo contatto maligno per cancellare la magia buona!» E noi che ci siamo chieste che cosa avrebbe potuto fare un semplice alluce! pensò Atropo, mortificata. Niobe e sua nipote si scambiarono uno sguardo disperato. Avevano perso il loro importantissimo messaggio! «Non c'è una pietra di riserva?» domandò Niobe dopo un po'. «No. Non per questa occasione. Il Mago non voleva correre rischi...» «Lo immaginavo» disse Niobe in tono grave. «Satana doveva sapere o almeno sospettare di questa pietra, quindi deve aver dato al demone l'ordine di distruggerla se gliene capitava l'occasione. E così è stato.» «Così è stato» ripeté Luna. «Quindi ora solo il Mago conosce il messaggio.» «E il Mago è morto.» Niobe abbracciò la nipote e piansero entrambe le loro lacrime di disperazione. Poi Niobe si riprese, e sollevò il mento. «Ma io sono un'Incarnazione! Posso tornare in Purgatorio e chiederlo a mio figlio di persona!» «Sì!» esclamò Luna, illuminandosi in viso. «Mio padre non sapeva che saresti diventata nuovamente il Fato, e si è concentrato solo su di me! Si abbracciarono ancora e piansero di nuovo, questa volta con rinnovata speranza. Poi Niobe proiettò un filo fino al Purgatorio per cercare suo figlio.» Ma quando controllò il computer per avere l'ubicazione specifica dell'anima, ebbe un altro shock. L'ANIMA DEL MAGO KAFTAN NON SI TROVA PIÙ IN PURGATORIO, disse lo schermo. «Vuoi dire che la sua penitenza è finita? Che è già andato in Paradiso?» NO. C'È STATO UN ERRORE DI CLASSIFICAZIONE. SUA FIGLIA AVEVA PRESO IN PRESTITO UNA PARTE DEL SUO FARDELLO DI MALE, LEI È DESTINATA AL PARADISO, MA IL BILANCIO
DEL MAGO RISULTA INVECE NEGATIVO. Perché mai Luna avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Niobe era perplessa. Ma aveva un problema più impellente da risolvere. «Negativo? Ma allora...» VOSTRO FIGLIO ORA SI TROVA ALL’INFERNO. Niobe fissò lo schermo con orrore. Era sicura che si trattava di un'informazione attendibile, in quanto aveva fatto in modo da evitare interferenze da parte di Satana. L'unica persona che sapeva come impedire la vittoria di Satana... era nelle mani di Satana. 15 Labirinto Tornate alla Dimora, ci rifletterono sopra. «Sappiamo che una soluzione esiste» disse Niobe. «Ma non sappiamo qual è.» «E abbiamo ben poche possibilità di scoprirla da sole» aggiunse Atropo. «Forse se avessimo maggiore esperienza ci riusciremmo, ma allo stato attuale, quando avremo l'esperienza sufficiente sarà già troppo tardi.» «Siamo cadute in pieno nella trappola di Satana» confermò Cloto. «Non del tutto» intervenne Niobe. «Se fossimo veramente tutte e tre novizie potrebbe anche essere così; ma io mi sono già fatta trentotto anni in quest'ufficio, e so che il potere di Satana non è assoluto. Ci deve essere per forza un punto debole nella sua trama, anche se lui sta facendo di tutto per nascondercelo.» «La Grande Soluzione!» esclamò Cloto con un filo di ironia. «Peccato che non possiamo andare all'Inferno e chiedere al Mago qual era» rincarò Atropo. Niobe prese la palla al balzo. «E perché no? Le Incarnazioni hanno poteri speciali!» Andarono a interpellare Thanatos, che confermò la cosa. «Io ci sono stato» disse. «Ma solo con lo spirito. Bisogna lasciarsi alle spalle il proprio corpo fisico. Lì tutto è in forma spirituale, anche se sembra solido come qui in Purgatorio. Ma Satana non ti permetterebbe mai di far visita a qualcuno.» «Allora tu come hai fatto ad andarci?» «Sono stato invitato per un giro turistico.» Oh. Conosceva quel genere di cose. Tuttavia...
«Può impedire a una madre di visitare suo figlio?» domandò. Su questa affermazione rimasero tutte e tre perplesse. Chi potrebbe saperlo? domandò Cloto. «Gaea» disse Niobe. «La Madre Verde sa tutto della natura umana, e anche di più.» Andarono a interpellare Gaea. «Satana non può impedirti di fargli visita, in questo caso» disse l'Incarnazione della Natura. «Ma non ti aiuterà di certo. Questo è un tipico conflitto fra Incarnazioni, e le tue possibilità di successo sono del 50 per cento.» «Ma lo posso fare?» domandò Niobe. «Puoi anche tagliarti via un piede se vuoi, ma magari non ti va di farlo» rispose Gaea con un sorriso gelido. «Se lo faccio... se vado all'Inferno... potrei ottenere la salvezza dell'Umanità, o perlomeno permettere a mia nipote di riprovarci. Che cosa rischio, in fondo?» «La tua anima» disse Gaea con tono macabro. «Ma sono un'Incarnazione! Satana non può toccare la mia anima!» Gaea scosse il capo. «Per entrare all'Inferno devi mettere in gioco la tua anima. Se riesci a ottenere il tuo scopo, te la tieni, ma se perdi, hai perso anche quella. L'Inferno non è un giochino da ragazzi, Lachesi!» Niobe sospirò. «Direi proprio di no.» Be', anche questa è saltata, pensò Atropo. Un'anima buona rinchiusa all'Inferno... «Come faccio a organizzarmi?» domandò Niobe. Non farlo, Lachesi! pensò Cloto. A che cosa ti può servire vincere la salvezza del mondo se perdi la tua stessa anima? domandò Atropo. «Questa sembrerebbe una metafora, invece è letteralmente così» ribatté Niobe. «Questa volta si tratta realmente della salvezza del mondo.» «Devi procurarti un arbitro» disse Gaea. «Per assicurarti che le cose procedano in maniera corretta. Altrimenti Satana giocherà sporco.» Niobe rifletté. «Che ne dici di Marte? Lui sa bene come sovrintendere a una guerra, e questa è una vera e propria battaglia nella guerra fra il Bene e il Male.» Gaea annuì. «Ottima scelta. Vai e chiediglielo.» «Grazie, Ge.» «Ogni Incarnazione deve scontrarsi con Satana prima o poi» disse Gaea.
«Tu l'hai già fatto molto tempo fa, nel Vuoto. Ora stai per farlo di nuovo, ma non sei più in campo neutro e la posta in gioco è molto più alta. Noi tutti guarderemo con ansia, ma nessuno sarà in grado di aiutarti quando sarai entrata all'Inferno.» «Lo so.» Fra l'altro, questo confermava che Gaea l'aveva riconosciuta fin dall'inizio, e che aveva mantenuto il segreto. «Ti lascerai alle spalle il tuo corpo e i tuoi altri due Aspetti. Se fallirai, loro dovranno scegliere una sostituta per il tuo ruolo senza scambio di anime. Quel corpo morirà.» Una penale piuttosto alta! Tuttavia, in confronto alla perdita del mondo intero, che cosa importava? Doveva tentare! «I miei migliori auguri» disse Gaea. «Sei una brava persona, Lachesi.» Niobe proiettò il suo filo fino al castello di Marte. Questa volta lo trovò in casa. Niobe gli spiegò rapidamente la situazione. «Hai un bel coraggio» disse Marte con il solito tono burbero. «Spero che saprai che l'Inferno non è certo un picnic.» «Lo so, ma devo andarci. Mi aiuterai?» «Certamente. Ma non potrò far altro che garantire che i termini dell'accordo vengano onorati. Non potrò né soccorrerti né consigliarti in alcun modo. Una volta all'Inferno, sarai sola.» «Ma... non ho nessuna idea di che cosa mi aspetta laggiù!» «Come arbitro, è mio compito organizzare ciò che ti aspetta» disse Marte. Sollevò la sua spada rossa, che emise un lampo. «Satana! Satana apparve immediatamente.» Che diavolo vuoi, Marte? Una guerra? «Tutt'e due» disse Marte con tono imperturbabile. «Lachesi desidera far visita a suo figlio, il mago Kaftan. Non puoi negarglielo.» Satana si rivolse a Niobe. «Allora lo hai saputo, femmina intrigante! Ma ti costerà l'anima.» «Un'offerta che non puoi rifiutare» disse Niobe. «Niente affatto» intervenne Marte. «Non sta comprando la visita con la sua anima. Sta mettendo in palio la sua anima per il gioco. La questione è molto differente.» «Molto differente» ripeté Satana con riluttanza. «Una piccola variazione tecnica.» Alla faccia della variazione tecnica! L'importanza dell'arbitro apparve subito chiara. «Dobbiamo fissare le modalità» disse Marte.
«Combattimento aereo su draghi sputafuoco» propose Satana. «Gara di filatura al telaio» controbatté Niobe. Atropo nella sua mente sghignazzò. «Forse possiamo trovare un compromesso» disse Marte con un sorriso ironico. «Un evento che combini fili ed elementi mostruosi; illusione e realtà. Un labirinto infestato da demoni.» Satana assunse un'aria riflessiva. «Si può anche fare. I labirinti sono divertenti.» Anche Niobe rifletté. Un labirinto in fondo era un po' come una tappezzeria, solo che al posto dei fili c'erano i passaggi. I demoni erano dei mostri, ma non avrebbero dovuto essere in grado di danneggiarla. Se, a quanto pareva, doveva sottoporsi a qualche genere di sfida infernale per raggiungere suo figlio, questa poteva essere il genere di sfida che le si adattava maggiormente. Solo che... «Fili? Illusioni?» «Un labirinto d'illusioni è più facile dal punto di vista fisico» spiegò Marte. «Ma è più difficile sotto l'aspetto intellettuale.» Niobe sapeva di non essere un genio, ma era abbastanza abile a sciogliere trame di fili intricate. «Non sembrerebbe male» disse ancora leggermente indecisa. «Non se ne parla neanche» sbuffò Satana. «Sovrapposto a un labirinto fisico» propose Marte. «Diciamo con cento illusioni di tua scelta e cento fili di realtà per lei? Fili che conservino alcune delle proprietà dei suoi fili normali, affinché possa spostarsi in maniera adeguatamente rapida...» «Ma limitata» intervenne Satana. «Non voglio che se ne vada in giro per tutto l'Inferno.» «Limitata» acconsentì Marte. «Il labirinto dev'essere concepito in modo che il percorso possa essere completato con un minimo di cinquanta fili e un massimo di centocinquanta. Con cento fili di tolleranza le possibilità saranno pari. Cosa ne dici?» «Il cinquanta per cento di possibilità» acconsentì Satana. «Ma il labirinto lo faccio io, e scelgo io tutte le configurazioni.» «Io però verificherò i falli e terrò il conto» disse Marte. «Ispezionerò il labirinto prima della sua entrata, e s'intende che non verrà effettuato alcun cambiamento da quel momento in poi.» «D'accordo» disse Satana. Entrambi guardarono Niobe. Lei non sapeva bene se fidarsi dell'accordo fra quei due, ma era sicura che Marte non l'avrebbe mai tradita, e a quanto
pareva era il miglior compromesso che potesse ottenere. «Benissimo.» Chiarirono i dettagli, quindi Niobe si sedette in una poltrona, attese un attimo, si lasciò alle spalle il suo corpo, e quando si alzò in piedi era in forma spirituale. Si voltò per toccare la sua mano fisica. In quel modo, entrò in contatto con gli altri due Aspetti. Dagli l'Inferno, sorella! pensò Atropo. Trova tuo figlio! pensò invece Cloto. Entrambe le mandarono il loro sostegno emotivo e i migliori auguri. Lo farò! promise lei. Si voltò di nuovo. Satana le stava davanti, mentre Marte li osservava da un lato. «Vieni a me, stupida!» disse Satana sghignazzando come un pazzo. Niobe fece un passo avanti, e scoprì che Satana era una specie di porta. L'attraversò, ed era già all'Inferno. L'Inferno era un luogo cristallino. Si trovò circondata da sfaccettature esagonali di colori brillanti: rosso, verde, blu, tutti i colori, e ogni sfaccettatura era alta quanto lei. Anche sotto i suoi piedi ce n'era una, delle stesse dimensioni. Si voltò, e nel punto dal quale era uscita non vide altro che un altro esagono, lucidissimo, in cui si rifletteva la sua immagine. Aveva lo stesso identico aspetto che aveva in vita, nel suo corpo fisico; una donna qualunque di mezza età i cui capelli una volta fluenti del colore del miele di grano saraceno erano stati tagliati a una lunghezza meno vistosa e sembravano aver perso il loro colore splendente. Indossava un abito grigiastro, che fra l'altro non le stava neanche tanto bene. Ma questo non dipendeva dalla sua trascuratezza, ma piuttosto dal fatto che un abito che le fosse andato meglio avrebbe rivelato di più le imperfezioni del suo fisico. Ah, la bellezza della gioventù! Capiva come i senatori avessero trovato impossibile resistere alla proposta di Satana. Ma il lato ironico era che aveva mantenuto il suo aspetto giovanile per trentotto anni più del dovuto, e poi vi aveva rinunciato. Ma l'avrebbe rifatto volentieri, per Pacian. E avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa per Cedric. Aveva capito perfettamente Cloto quando aveva ceduto "tutto" a Samurai. Quando una donna ama un uomo... Ma doveva trovare suo figlio. Scoprì che nella mano sinistra aveva una manciata di fili. Ora non era più Lachesi; non poteva viaggiare da una parte all'altra del mondo. Era semplicemente Niobe, e ogni filo che usava sarebbe stato un filo perso. Doveva utilizzarli bene, perché il peggior percor-
so per uscire dal labirinto richiedeva centocinquanta fili mentre lei ne aveva solo cento. E la sua missione e la sua anima sarebbero andate perdute se avesse usato tutti i fili senza trovare suo figlio. Be', non c'era dubbio sul fatto che si trovava in un labirinto. Allungò una mano e bussò su un esagono blu. Il colpo risuonò, facendo riecheggiare un simpatico tintinnio. Era un suono gradevole, ma non l'aiutò ad attraversare il labirinto. A quel punto notò che uno degli esagoni non era una sfaccettatura ma uno spazio aperto. L'attraversò, appoggiando il piede sulla piastrella dorata... E il suo piede sprofondò. Non c'era nulla lì. Con un grido precipitò attraverso molti livelli esagonali, fino ad arrestarsi contro un'altra piastrella dorata. Non si era fatta male, ma era finita in un buco. Nella sua mano esplose un piccolo sbuffo di vapore, e quando guardò vide i rimasugli di un filo che si vaporizzava. La caduta non l'aveva danneggiata fisicamente, poiché uno spirito non poteva essere danneggiato a quel modo, ma le era costata un filo. Ora gliene restavano novantanove, e aveva scoperto la prima illusione. Tastò le superfici che la circondavano. Erano tutte solide. Era intrappolata in una stanza senza uscita, e le pareti lisce non offrivano alcun appiglio. Non poteva nemmeno arrampicarsi. Sospirò. Si mise i fili in tasca con una certa cautela, tenendone fuori uno solo. Lo lanciò verso l'alto. Seguì il filo, galleggiando nell'aria, più o meno come faceva nella sua forma di Aspetto del Fato. Un attimo dopo si ritrovò al livello originale, davanti alla piastrella dorata dalla quale era caduta. Un'illusione, ma aveva sprecato due dei suoi preziosi fili per scoprirla e uscirne fuori. Due fili per un'illusione. Satana aveva guadagnato un punto. Guardò di nuovo la piastrella dorata: sembrava sempre vera. Non ci sarebbe cascata certamente un'altra volta, e in un certo senso i fili non erano stati del tutto sprecati, ma come sarebbe stato meglio scoprirla senza caderci dentro! Allora sarebbe stata in vantaggio di un filo, non ne avrebbe sacrificato uno per identificare una delle cento illusioni. Tastò il bordo dell'illusione e scoprì una piccola sporgenza: parte della piastrella dorata era reale. Così poteva almeno proseguire. Doveva per forza esserci un modo di attraversare il labirinto, poiché questo faceva parte del patto. Doveva solo muoversi con molta cautela, per evitare di cadere in altri tranelli.
Ma non poteva riuscirci senza usare almeno cinquanta dei suoi fili, il che significava che non poteva semplicemente limitarsi a chiudere gli occhi e a procedere a tastoni. C'erano illusioni che doveva verificare prima di affidarvi il suo corpo, e arrampicate che doveva sobbarcarsi a prescindere dall'illusione. Non poteva sprecare i fili, altrimenti non sarebbe mai riuscita ad uscirne. Superò l'illusione dorata camminando precariamente sui bordi ed entrò in una nuova sala. Questa aveva il pavimento solido, ma non mostrava uscite visibili. Alzò lo sguardo, e vide una specie di cornicione verde, al di fuori della sua portata. Evidentemente la strada era quella. Non era un'illusione, ma semplicemente una parte del labirinto da percorrere con l'uso dei fili. Tirò fuori un filo e lo lanciò verso il cornicione. Un attimo dopo atterrò con precisione sul piano verde. Non male. Solo che risultò essere una strada senza uscita. Sospirò di nuovo. Si era lasciata ingannare, e aveva sprecato un altro filo inutilmente. Si chinò e toccò il bordo esterno del cornicione. Era liscio come il vetro. Si alzò in piedi e vi sfregò sopra la suola della scarpa. Poi si chinò di nuovo per tastarlo con il dito. Sì, l'aveva graffiato leggermente. Il materiale non era durissimo e poteva anche essere scalfito. Lo grattò ancora un po', quindi si sdraiò. Calò le gambe oltre il bordo, di lato, quindi allargò le dita sulla superficie consunta. La caduta non sarebbe stata perfettamente verticale; lì non c'erano angoli retti, solo quelli ottusi degli esagoni. Niobe fece scivolare le gambe lungo un angolo di circa quarantacinque gradi. Non era sicura che si trattasse di un esagono, ma certamente lo sembrava. Forse cinquanta. Le sue dita riuscirono a tenerla ferma sulla superficie inclinata. Quando ebbe portato tutto il corpo oltre il bordo, però, la sua presa iniziò a cedere. Le dita non potevano sostenere tutto il suo peso e lei scivolò giù e piombò sul pavimento sottostante. Ma la caduta non fu lunga come quella precedente, ed essendovi preparata, atterrò in piedi. Diede una rapida occhiata ai fili che aveva messo in tasca, ma non vi fu alcuna nuvoletta di vapore. Era riuscita a scendere senza sacrificare un altro filo. Ma si trattava di una vittoria irrilevante, poiché ora aveva già usato tre fili e aveva scoperto una sola illusione. Doveva migliorare la sua media.
Controllò di nuovo il pannello dorato da cui era entrata. Il bordo proseguiva dalla parte opposta, e lì c'era un altro pannello aperto. Se fosse passata dall'altra parte l'avrebbe notato, e si sarebbe risparmiata quella sala senza uscita. Be', se non altro gli errori le avevano insegnato un paio di lezioncine; mai dare per scontato che la via fosse una sola e non sprecare un filo per un percorso solo perché si trovava lì. Entrò nella nuova sala. Questa aveva due uscite: quale seguire? Entrambe si perdevano in lontananza senza rivelare nulla. Scrollò le spalle e prese a sinistra. Era una specie di tunnel che piegò subito a destra passando sopra e sotto formazioni cristalline di diverse dimensioni, e che la riportò nella stessa sala dalla quale era partita. Fece di nuovo tutto il giro controllando ogni superficie, ma non c'erano vie di uscita. Era entrata in un'altra sala cieca. Tornò alla piastrella dorata, e vi girò nuovamente attorno. Era di nuovo al punto di partenza, aveva sprecato tre fili e non aveva fatto alcun progresso! Poi le venne un'idea brillante. Tornò alla piastrella dorata, si sdraiò a pancia in giù e infilò il braccio destro nell'apertura, tastando alla ricerca delle superfici sottostanti. Tutte solide. Si alzò in piedi, andò dal lato opposto della piastrella, e si sdraiò di nuovo. Allungò la mano, e scoprì un pannello aperto sotto di lei. Puntò i piedi come meglio poteva sul bordo della piastrella e si spinse in avanti finché non riuscì a infilare la testa sotto il pannello per scrutare sotto. Indubbiamente quella era un'apertura. Quella era la vera uscita. L'illusione copriva la trappola ma anche la via giusta. Vi era caduta accanto e vi era passata di nuovo a fianco risalendo. Non si poteva negare che Satana fosse terribilmente astuto! Infilò i piedi nel buco, ma al momento di lasciarsi andare non si fidò. Non era un giovane atletico, era una fragile donna d'una certa età. Sospirò, quindi tirò fuori un filo e lo lanciò verso l'apertura. Il suo corpo seguì il filo. Si ritrovò all'imbocco di un tunnel esagonale che scendeva verso il basso con una certa inclinazione, tanto che non riuscì a tenersi in equilibrio e iniziò a scivolare. Cercò di allargare braccia e gambe aggrappandosi alle pareti per frenare la caduta, ma non servì a nulla. Era destinata ad arrivare alla fine di quel tunnel ovunque portasse, a meno di non usare un altro filo per fermarsi. Decise di rischiare la scivola-
ta. Così arrivò a un nuovo aspetto del labirinto. Si trattava di una sala con pareti trasparenti, e dietro alle pareti erano schierati dei demoni d'aspetto orrendo. La sala aveva cinque uscite, ma davanti a ognuna c'era un mostro di guardia. Come poteva fare? Ovviamente almeno uno dei mostri doveva essere un'illusione, perché lei doveva passare senza essere "uccisa". Doveva per forza esserci una via d'uscita, e non poteva attraversare un mostro vero. Si avvicinò a quello con la testa di tigre che faceva la guardia all'uscita più vicina e gli lanciò addosso un filo. Il mostro scomparve. Vittoria! Aveva scoperto l'illusione al primo tentativo! Entrò nel tunnel. Svoltava a destra e a sinistra ad angoli retti in continuazione, come quei labirinti che si disegnano sulla carta. Niobe camminò con cautela per non finire in qualche pannello illusorio del pavimento, ma era tutto solido e opaco. Giunse a un bivio. Destra o sinistra? A quanto pareva la cosa non aveva molta importanza, poiché nessuno dei due percorsi le sarebbe costato un filo. Scelse la sinistra. Il sentiero la condusse a una piccola sala dove trovò una tigre con la testa da uomo, il complemento del mostro precedente. Gli tirò addosso un filo. Il filo si accartocciò e scomparve in una nuvoletta di vapore, ma il mostro non scomparve. Era uno di quelli veri! «Vieni qui, bocconcino!» esclamò l'uomo tigre. «Mi sembri abbastanza buona da ingoiare!» Niobe si allontanò e tornò fino al bivio, dove prese l'altra strada. In breve si trovò davanti un lupo con la testa d'uomo che passeggiava su e giù instancabilmente, osservandola. Gli lanciò un filo, e questo scomparve insieme al mostro. Un'altra illusione. Ora la via era sgombra. Ma Niobe si fermò a riflettere. Aveva appena usato due fili per scoprire una sola illusione. Se continuava in quel modo avrebbe usato tutti i suoi fili prima di scoprirle tutte. Satana stava vincendo! Ma sapeva anche che se camminava tranquillamente addosso a un mostro vero, quello l'avrebbe mangiata. Non ne sarebbe stata danneggiata fisicamente visto che era in forma spirituale, ma secondo le regole del labirinto, le sarebbe costato doppio: due fili. Essere "uccisi" da un mostro equivaleva a cadere e a dover uscire dal buco in cui si era caduti. Quindi
conveniva verificare ogni mostro prima di entrare nel suo raggio d'azione. O no? Se le possibilità che un mostro fosse vero erano pari, allora poteva assumere che la metà l'avrebbe mangiata. Tanto valeva usare i fili. Ma neanche questo ragionamento la convinceva appieno. A quanto pareva l'unico modo per battere Satana era di affidarsi alla pura fortuna, e le probabilità erano in suo sfavore. Fece un rapido conto e scoprì che aveva usato quattro fili per scoprire un'illusione nella sezione cristallina del labirinto e tre per scoprirne altre due in questa sezione. In totale faceva sette fili per tre illusioni. Eppure le sue possibilità di attraversare il labirinto dovevano essere pari. Stava decisamente andando male. Be', in effetti fino a quel momento aveva controllato ogni mostro vero, ma il punto era che ce ne potevano essere dieci volte di più di quelli illusori. In quel modo poteva consumare tutti i suoi fili senza arrivare da nessuna parte! Doveva esserci per forza un modo migliore, ma quale? Contrasse la mascella. Evidentemente controllare ogni mostro era una strategia perdente. Decise che non avrebbe più controllato niente. Se avesse seguito quella strategia fin dall'inizio sarebbe stata divorata solo dall'uomo tigre e avrebbe perso due fili, il che era sempre meno dei tre che aveva usato per controllare tutti i mostri. Procedette lungo il passaggio, e dopo un po' s'imbatté in un'enorme testa umana dalla quale spuntavano sei gambe. Niente torso. Indubbiamente si trattava di un mostro, ma gli camminò dritto incontro. L'essere rotolò nella sua direzione, facendo toccare terra ogni piede a turno, quindi le diede un calcione. «Aih!» esclamò Niobe quando fu colpita al ginocchio. Il piede successivo la prese dritto in faccia. Sentì il naso che esplodeva dal dolore, e cadde a terra. Il mostro le calò addosso, schiacciandola a morte. Naturalmente non si trattava di una morte vera, ma la sensazione era quella. Dopo un po' la faccia coi piedi si allontanò soddisfatta, e Niobe si rialzò faticosamente. Il dolore scomparve quasi subito, e sia il naso che le costole erano in perfetto stato. L'assalto le aveva causato un dolore terribile, ma non l'aveva ferita. Ripensandoci, non era poi tanto piacevole essere schiacciati a morte! E aveva perso altri due fili. Punteggio: nove a tre in favore di Satana. E non poteva neanche passare oltre. Aveva evidentemente sbagliato passaggio, poiché anche questa era una sala senza uscita bloccata dai mostri. Al diavolo la sua nuova strategia. Se avesse controllato il mostro avrebbe risparmiato un filo e non sarebbe stata uccisa a scarpate.
Tornò alla sala da cui partiva il passaggio. C'erano altre quattro uscite, ognuna con il suo guardiano. Osservò i mostri. Uno era un uccello con la testa da volpe, un altro un serpente con la testa da donna, il terzo era una testa umana con due braccia muscolose che spuntavano al posto delle orecchie e l'ultimo un cane dalla testa di maiale. Indubbiamente si trovava all'Inferno. I demoni non si ispiravano certo alle normali categorie terrestri per le loro trasformazioni. Quattro possibilità. Poteva usare quattro dei suoi fili preziosi per verificarle tutte, oppure poteva tentare di superarne una con il rischio di perdere comunque quattro fili per scoprire il vero passaggio. Sempre ammesso che ci fosse, poiché il primo si era rivelato sbagliato. Così non andava niente bene. Aveva bisogno di una strategia d'approccio ben precisa, non solo per passare, ma per farlo in maniera sufficientemente economica da permetterle di rimettersi in pari con la media dei fili rispetto alle illusioni. In pratica doveva scoprire due illusioni con ogni filo, e non sprecare due fili per ogni illusione. E se andava alla cieca non avrebbe mai raggiunto il suo scopo. Be', almeno non aveva fretta. Il labirinto non aveva un limite temporale; lei doveva solo continuare finché vinceva l'incontro con suo figlio o perdeva la sua anima. Ma se esitava in eterno non sarebbe mai sfuggita all'Inferno, e non avrebbe mai salvato la posizione di Luna. Il tempo a disposizione era il suo tempo. Ma ci doveva per forza essere qualche chiave che non aveva preso in considerazione. Desiderò avere l'intelligenza pronta ed efficace di Cedric o di Junior. Era evidente che non ce l'avrebbe mai fatta affidandosi alla fortuna; ci voleva una strategia adatta. Ma quale strategia? Ci pensò con calma, partendo dall'assunto che un modo doveva esserci. Satana avrebbe anche potuto ingannarla sulle possibilità, ma Marte non l'avrebbe permesso. Doveva per forza avere il cinquanta per cento delle possibilità, se solo riusciva a scoprirle. Dopo un po' le venne in mente una cosa. Lei doveva far economia di fili, ma anche Satana doveva economizzare sulle illusioni. Per entrambi valeva il limite massimo di cento. Quindi, così come lei non voleva sprecare i fili, lui non voleva sprecare le sue illusioni. Ognuno di loro doveva mettere a punto una strategia che potenziasse maggiormente la sua arma rispetto a quella dell'avversario. Solo che lei poteva modificare una rotta perdente mentre Satana no. Lui aveva programmato il suo labirinto fin dall'inizio, e non poteva cambiarlo più. Ne conseguiva che nei punti in cui Satana non
aveva bisogno di illusioni, non ne avrebbe usate, anche se doveva farlo per forza in alcuni punti chiave, poiché altrimenti lei avrebbe attraversato il labirinto semplicemente evitando i mostri visibili. Un mostro illusorio poteva invece bloccarle una strada inducendola a deviare verso i mostri veri, e quindi verso i guai. Qui c'erano cinque uscite. Ora, era evidentemente insensato sprecare tutte quelle illusioni se il passaggio buono era sbarrato da un mostro vero. Non essendo in grado di passare attraverso il mostro, lei non avrebbe neanche potuto essere ingannata dalle illusioni successive. Le illusioni dovevano venire subito, oppure dovevano essere disseminate lungo il percorso giusto. Quindi tutti e cinque i mostri di quella sezione dovevano essere illusioni. Solo così la cosa aveva un senso. Non c'era da stupirsi se aveva scoperto la prima illusione che aveva sfidato lì! Avrebbe potuto risparmiarsi il filo. Inoltre, poiché le illusioni erano in numero limitato, Satana non poteva usarne più di tante per una sola parte del labirinto. Nella sezione cristallina ne aveva scoperta una sola, in posizione strategica, e forse era stata effettivamente l'unica di quella zona. Poteva anche darsi che nove mostri su dieci fossero veri, in quanto si trattava di un genere piuttosto diffuso all'Inferno. Nel mondo mortale le illusioni erano più a buon mercato dei demoni, ma qui era l'opposto. Per cui era probabile che, una volta superato l'inizio di ogni passaggio, i mostri sarebbero stati tutti veri. E se un passaggio si fosse diviso in dieci altri, nove sarebbero stati bloccati da mostri veri, mentre uno solo, quello giusto, avrebbe avuto la sua illusione di guardia. Così avrebbe avuto nove possibilità di perdere fili, sia che rischiasse sia che li controllasse tutti. Per questo la sua media era così bassa. Non aveva compreso la strategia di Satana. Se le cose stavano così, non doveva far altro che scoprire lo schema generale del labirinto, e quindi scegliere la via che aveva maggiori possibilità di contenere illusioni. Le strade sbagliate sarebbero state bloccate soprattutto da mostri veri. Ma come poteva analizzare il labirinto se non riusciva a vederlo nel suo complesso? Le pareti erano effettivamente di vetro, ma questo non l'aiutava certo a comprendere lo schema generale. Poteva vedere molti mostri, ma non discernere i canali serpeggianti del labirinto. Alzò lo sguardo, e notò una torre che s'innalzava sopra tutto il resto. La maggior parte del labirinto era a cielo aperto, solo che le pareti erano piuttosto alte e in più i loro bordi sembravano decisamente taglienti. Neanche
da pensare di arrampicarcisi. Sulla torre vide un corto trampolino. In che cosa si aspettava che si tuffasse? Nell'illusione di un lago? Sapeva che non poteva rischiare un cosa simile; le sarebbe costata almeno due fili. Ma la torre era piuttosto alta, e forse da lì poteva farsi un'idea dello schema generale del labirinto. In quel caso avrebbe potuto tornarle utile arrivarci anche se non si trattava della rotta giusta. Scelse il passaggio che secondo lei poteva portare alla torre attraversando il mostro che faceva la guardia all'ingresso, un serpente con la testa di donna. Il mostro sibilò ma non la toccò; come aveva previsto, si trattava di un'illusione. Aveva risparmiato un filo. Anzi, ne aveva risparmiati quattro, poiché probabilmente tutti quei mostri erano illusioni. Solo grazie a quella pausa di riflessione aveva portato il punteggio a nove contro sette, poiché una volta identificata un'illusione non doveva più sprecarci un filo. Per di più le illusioni erano fisse; non potevano seguirla in giro. Poteva oltrepassare tutte quelle di cui era sicura, e più ne scopriva attraverso la deduzione, meglio era. Si ritrovò a tremare per la caduta di tensione. Affrontando il mostro alla cieca non solo aveva risparmiato i suoi fili, ma aveva anche confermato la sua ipotesi. Se si fosse sbagliata, invece... Ora il passaggio era bloccato da una donna con la testa di serpente, l'opposto del mostro precedente. Visto che non c'erano percorsi alternativi doveva trattarsi per forza di un'illusione. Satana voleva che lei percorresse quella via, magari dopo aver sprecato un filo per entrarci, nella speranza che poi si tuffasse dalla torre. Niobe si fece nuovamente forza e marciò attraverso il mostro: illusione numero otto. Giunse ai piedi di una scala a chiocciola, che in un modo o nell'altro richiamava il tema del serpente. Doveva ammettere che Satana aveva un certo senso artistico. Ma naturalmente tutta l'arte poteva essere considerata una forma di mistificazione, visto che differiva dalla realtà; in quel senso indubbiamente faceva parte delle prerogative del Padre della Menzogna. Salì la scala, controllando che ogni gradino non si rivelasse un'illusione, compito che non richiedeva l'uso di alcun filo. Poco dopo giunse in cima alla torre, solo per scoprire una saletta a vetri che distorceva la visione dell'esterno. Per vederci chiaramente doveva uscire sul trampolino. Uscì, e venne improvvisamente colta da un attacco di acrofobia. La tavola era a circa cinque metri d'altezza dai bordi delle pareti del labirinto, e a più o meno otto metri da terra. Cedette leggermente sotto il suo peso, facendola rabbrividire. Non era mai stata una grande tuffatrice, e men che meno si sentiva tale adesso. Ricordò che era stata molto più coraggiosa
nell'attraversare il ponte di corde nel baratro illusorio del Re della Montagna, quindi forse il suo coraggio si era andato spegnendo con gli anni. Si chinò sulle ginocchia e sulle mani, e procedette carponi fino al bordo. Esattamente sotto di lei c'era uno spiazzo nel quale erano stati piazzati cinque cuscini giganteschi, ognuno talmente morbido e pieno che era evidente che avrebbe potuto buttarsi giù anche da quell'altezza senza farsi male. Ma alcuni di quei cuscini potevano essere illusioni, quindi non poteva correre il rischio senza sprecare almeno un filo. Inoltre si rese conto che poteva anche trattarsi di una trappola. Poteva individuare un cuscino sicuro, atterrarvi, e quindi proseguire per scoprire che si era infilata in un'altra sala senza uscita. E poi come avrebbe fatto a tornare indietro? Da quel lato non c'era alcun accesso alla torre. Era un salto a senso unico. Naturalmente avrebbe potuto usare un filo per tornare nuovamente sul trampolino, ma così avrebbe solo peggiorato la sua situazione. Ogni filo che usava senza scoprire illusioni era un filo sprecato. Ma in fondo non era venuta lì per saltare, ma solo per guardare. Non aveva sprecato alcun filo per giungere fino a lì, quindi era ancora in vantaggio. Decise di presumere che due dei cinque cuscini fossero illusioni, i due più vicini; se avesse usato i fili per garantirsi l'atterraggio, ne avrebbe spesi diversi altri per esplorare quel vicolo cieco. Stava imparando a calcolare le possibilità. Si concentrò sul resto del labirinto. Non era così ampio come le era apparso dal di dentro; era il serpeggiare dei cunicoli che lo faceva sembrare così. Seguì il percorso del primo passaggio che aveva sperimentato, giusto per essere certa di capire ciò che stava facendo, poi seguì il cammino che aveva percorso fino alla torre. Non male; era in grado d'individuarlo chiaramente da quel punto. Studiò con grande attenzione altri tre percorsi. Tutti e tre avevano diversi bivi, ma quasi tutti i passaggi terminavano immediatamente dopo uno o due mostri. Ovviamente erano costruiti in modo da sembrare lunghi, per indurla a sfidare i mostri e a perdere qualche filo in più. Uno tornava indietro fino al punto di partenza dopo un giro tortuoso, e certamente anche quello le sarebbe costato diversi fili. Ma ce n'era un altro che attraversava serpeggiando tutto il labirinto, con tre bivi e tre incroci separati, per poi terminare in un buco nella parte opaca del lato opposto. Evidentemente era quello il percorso giusto. In totale contò tredici mostri su quel tratto, e Niobe concluse che dovevano essere tutte illusioni tranne i tre che faceva-
no la guardia ai tre bivi. Non aveva modo di capire quale di ogni coppia di mostri fosse quella vera, ma in realtà non aveva molta importanza. Ora il bilancio era in suo favore. Bastava che controllasse i bivi, usando solo tre fili, e avrebbe individuato dieci illusioni. E assumendo che almeno due dei cuscini fossero effettivamente illusioni, avrebbe portato la sua media a dodici contro venti. Dodici fili per venti illusioni. E magari avrebbe superato altre illusioni in altri percorsi. Quella media sì che le piaceva! Memorizzò il tragitto, quindi indietreggiò sulla tavola. Una volta nella torre si alzò in piedi e scese, tutta compiaciuta. Se aveva calcolato correttamente, ora stava vincendo. Il passaggio che doveva percorrere era sbarrato da una testa con braccia muscolose. Che fosse un simbolo? Poteva significare la capacità di pensare bene. I simboli in fondo erano una forma d'arte, e Satana aveva un insidioso senso dell'umorismo. Era possibile. Attraversò l'illusione ed entrò nel passaggio. Il mostro successivo era un gatto con le gambe di un pollo; attraversò anche quello. Giunse al primo bivio, girò a sinistra e tirò un filo al cane con la testa di falco che faceva la guardia all'ingresso. La bestia emise un grido e la caricò; era un mostro vero. Si ritirò, prese l'altra via, e attraversò tranquillamente l'uomo senza testa con la faccia sulla pancia che faceva la guardia. Al bivio successivo scoprì l'illusione al primo tentativo. In realtà non aveva molta importanza, poiché ora che aveva capito la tecnica usava comunque un solo filo per ogni bivio. Concluse il percorso senza ulteriori difficoltà e giunse infine alla parete opaca. Ce l'aveva fatta! Grazie al suo cervello, era stata in grado di vincere. Attraversò l'apertura nella parete, e poco dopo giunse davanti a un muro bianco. Era un'illusione. Lo attraversò. Prima un piede poi l'altro, atterrò su qualcosa che le chiuse le caviglie in una morsa. Esterrefatta, Niobe abbassò lo sguardo e scoprì che aveva addosso un paio di sci. Gli sci iniziarono a muoversi. Aveva sciato qualche volta da bambina, quindi sapeva come mantenere l'equilibrio e scendere da un pendio. Solo che erano passati oltre settantacinque anni dall'ultima volta che l'aveva fatto! L'ultima cosa che si era aspettata di trovare all'Inferno era una pista da sci! Eppure, avrebbe dovuto sapere che era possibile. La sua velocità aumentò. Vide due racchette infilate nella neve, allungò una mano e le prese. Evidentemente Marte aveva garantito la correttezza del gioco; aveva tutto l'equipaggiamento necessario. Sfrecciò fuori dalla sala e si trovò in cima a una montagna piuttosto alta,
su un pendio ripido, in continua accelerazione. Davanti a lei si aprivano diverse piste divergenti, segnate da colonne di fuoco. Una conduceva a un salto altissimo, un'altra a un laghetto ghiacciato. Niobe deviò su una terza pista che sembrava studiata per lo slalom, un percorso tortuoso che serpeggiava attraverso paletti infuocati. Niobe non si considerava certo un'esperta di slalom, ma quell'alternativa le sembrava meno peggio delle altre. Passò il primo palo con un'ampia curva, perdendo quasi l'equilibrio. Era decisamente fuori forma e non aveva più l'elasticità della gioventù. Chi aveva mai sentito parlare di una donna di mezza età che faceva lo slalom? Corresse esageratamente la curva successiva e passò troppo vicina al secondo paletto, toccandolo con una spalla. Udì uno sfrigolio al gomito, i suoi abiti presero fuoco e lei provò un dolore acuto. Allungò l'altra mano per spegnere il fuoco, ma la racchetta le fece perdere l'equilibrio e il controllo degli sci. Prese in pieno il terzo paletto, e questa volta il fuoco le inondò il viso, bruciandole i capelli. Buttò via le racchette e si gettò nella neve, cercando di spegnere la sua testa in fiamme. Solo che gli sci si inclinarono di lato, e il suo tuffo divenne una terribile spanciata. La neve era dura, come ghiaccio coperto da uno strato di polvere sottile. Si ritrovò a scivolare verso il basso sulla pancia, completamente senza controllo. Le si torse una gamba, e sentì un dolore lancinante. Poi iniziò a rotolare, e gli sci si staccarono assieme a una scarpa lasciandola con un piede nudo. Il pendio divenne più ripido, quindi si trasformò in uno strapiombo. Cadde... Nel laghetto. Il ghiaccio si ruppe, e lei si trovò sotto la superficie, in un'acqua incredibilmente gelida. Cercò di risalire, ma era finita sotto il ghiaccio, e prese una violenta capocciata sulla sua faccia inferiore. Aprì la bocca per gridare, ma le si riempì d'acqua. Stava perdendo conoscenza, ma riuscì a concentrarsi su una cosa: i fili. Ne tirò fuori uno e lo lanciò verso l'alto come meglio poteva. Improvvisamente si ritrovò a salire. Attraversò il ghiaccio senza romperlo e atterrò in piedi, fuori. Grazie alla magia, era riuscita a evitare l'annegamento. Si guardò attorno. In quel punto il ghiaccio era abbastanza spesso da sostenere il suo peso. Al suo fianco trovò uno degli sci, che l'aveva seguita fin giù. L'altro si era evidentemente perso nella neve della pista. Una racchetta galleggiava sull'acqua del buco aperto dalla sua caduta, e il piede
nudo le si stava congelando. Si trovava lì solo in forma spirituale, ma questo lo sapeva solo il suo intelletto; le sensazioni fisiche erano più che reali. Ora aveva la prova che coloro che soffrivano all'Inferno soffrivano veramente! Diede un'occhiata ai suoi fili. Erano diminuiti in maniera impressionante. Si era "uccisa" diverse volte in quella caduta! Ora era di nuovo sotto la media. Zoppicò sul lastrone di ghiaccio, tossendo fuori quel che rimaneva dell'acqua che aveva tentato di respirare. Prese lo sci rimasto e scoprì che era quello sbagliato, il sinistro, mentre il suo piede nudo era il destro. Ma naturalmente il destro era anche quello che le doleva, quindi sciarci sopra sarebbe stato ben difficile. E per soprammercato si stava alzando un venticello gelido che penetrava insidiosamente nei suoi abiti del tutto inadatti. Non ce l'avrebbe mai fatta a quel modo! Sospirò, e tirò fuori un altro filo. Lo lanciò verso la cima del dirupo, e lo seguì fin su. Si era appena risparmiata una mezz'ora di fatica, ma aveva anche sprecato un altro filo. Si trovò davanti una figura bianca. Un uomo di neve! «Maledizione!» imprecò, lanciandogli addosso lo sci. Ma lo sci gli passò attraverso senza trovare resistenza. Niobe girò su se stessa e cadde a terra, vittima della sua stessa inerzia. Un'illusione! Si rialzò in piedi e arrancò faticosamente su per la pista finché non trovò i segni della sua prima caduta. Seguì le tracce finché non individuò l'altro sci, con la sua scarpa attaccata. Si mise a correre in quella direzione, e cadde in un crepaccio mascherato da un'illusione. Era solo una piccola fossa, ma le costò ugualmente due fili. Ne uscì e procedette verso lo sci, dove staccò la scarpa, la svuotò dalla neve e se l'infilò. La calza era scomparsa, ma questo aveva ormai poca importanza, visto che ormai non sentiva più tutta la gamba. E adesso? Doveva trovare un modo per uscire da quel ghiaccio disastroso! Decise che lo slalom rimaneva la sua migliore possibilità. Però se la fece a piedi. Così non ebbe alcun problema a mantenersi in pista; curve che sembravano impossibilmente strette sugli sci erano invece facilmente navigabili a piedi. Se fosse stata furba, si sarebbe tolta gli sci e avrebbe fatto così fin dall'inizio. Non doveva certo dimostrare la sua abilità nello sci, doveva semplicemente riuscire a superare l'ostacolo. Naturalmente tutta la storia dello sci non era altro che una diversione; aveva permesso a Satana di decidere la modalità del gioco, e naturalmente lui ne aveva approfittato.
Si fermò per riscaldarsi davanti a un paletto infuocato, ma era solo un'illusione. Che astuzia diabolica. I primi paletti erano reali, tanto che vi si era scottata, mentre alcuni di quelli successivi erano illusori. Probabilmente, se avesse saputo quali paletti ignorare, sarebbe riuscita a scendere anche con gli sci. Quel paletto in particolare, ad esempio, bloccava il percorso proprio al centro, costringendo Io sciatore a evitarlo con una curva piuttosto ampia. Giunse al paletto successivo, che era vero, e si avvicinò per riscaldarsi. Ma non era molto efficace; il fuoco era troppo caldo se vi ci si avvicinava, ma a distanza non scaldava affatto. Aveva bisogno di un ambiente caldo, non di una fonte di calore circoscritta e verticale. Si trascinò giù per la pista. Ai piedi della montagna trovò una seggiovia, solo che non risaliva il pendio dal quale era appena scesa; evidentemente conduceva a un altro settore del labirinto. Era troppo stanca e infreddolita per esaminare la situazione, quindi si accasciò sul sedile della seggiovia. Era comodo, e per lei fu una vera benedizione poter sollevare i piedi da terra. Fissò la sbarra di sicurezza. Immaginate un po', una misura di sicurezza all'Inferno! La seggiovia iniziò a muoversi. Il seggiolino si innalzò, seguendo il cavo e procedendo lentamente al di sopra del terreno innevato. Niobe contò i fili che le rimanevano. Solo venti. Aveva perso ben sessantotto fili in quell'ultima prova! Le pareva un numero impossibile, ma Marte non avrebbe mai permesso che venisse ingannata. Probabilmente ne aveva persi alcuni cadendo dalla montagna o nell'acqua del laghetto. Come avrebbe fatto ora a riportarsi in pari? Ma si ricordò che non aveva alcun bisogno di rimettersi in pari. Doveva solamente attraversare il labirinto. Se usava il cervello, ce la poteva fare. Doveva tenere a mente questo fatto, e doveva crederci. Quanto labirinto le rimaneva ancora da percorrere? Non lo sapeva, ma comunque fosse doveva riuscirci. Si chinò per massaggiare la gamba intirizzita; stava riacquistando un po' di sensibilità. Questo era positivo in quanto indicava che si stava riprendendo, ma allo stesso tempo era negativo perché le faceva abbastanza male. Ma il dolore sarebbe passato; era stata pestata a morte dal mostro piedi e testa, e si era ripresa immediatamente. A quanto pareva ci voleva più tempo a riprendersi da un danno da sessantotto fili che da uno da due, ma si sarebbe comunque ripresa.
La seggiovia entrò in un tunnel. Si accese una luce, e Niobe capì che si trovava in una specie di fabbrica. Le sedie si muovevano fra una serie di robot che usavano attrezzi vari per aggiustare cose. Naturalmente se si fosse trovata nel punto giusto sarebbe stata aggiustata anche lei... e non sarebbe certo stata un'esperienza piacevole. Doveva trovare il modo di passarvi indenne. Il cavo sopra la sua testa si divise. Niobe spostò il peso verso destra, e il suo sedile si spostò da quella parte. Poteva controllare la sua direzione, entro certi limiti. Ciò che evidentemente non poteva fare era fermare la sua corsa. Il seggiolino si muoveva regolarmente in avanti sempre alla stessa velocità, senza lasciarle il tempo necessario per pensare. E non era possibile tornare indietro, il che significava che ogni decisione era vincolante. Non poteva cambiare idea e tornare indietro. Forse aveva già compiuto la scelta sbagliata! Vide un robot torreggiarle davanti. Aveva una testa quadrata quasi umanoide e un paio di braccia articolate. Una terminava in una pinza gigante, l'altra in un coltello ben affilato. Evidentemente era un robot programmato per trattenere e tagliare via il materiale eccedente dall'oggetto che gli capitava a tiro. Se l'oggetto era lei, avrebbe certamente perso un po' di carne. A meno che il robot non fosse un'illusione. Gli lanciò un filo. Il filo colpì il robot e si vaporizzò. Il robot rimase. Addio speranza. Niobe sollevò in fretta la sbarra di sicurezza e saltò giù, cadendo sullo zoccolo che serviva da piattaforma per il robot. Vi fu un piccolo sbuffo di vapore; la caduta le era costata un altro filo. Disastro completo! Probabilmente non poteva uscire dal labirinto se non con la seggiovia, e aveva preso la linea sbagliata. Ma non voleva dipendere dalla fortuna. Doveva scoprire lo schema generale, come aveva fatto per la sezione del labirinto vero e proprio, così avrebbe potuto passare con il minimo delle perdite. Si alzò in piedi e osservò il robot torreggiarne. Come poteva fare per analizzare questo schema? Non riusciva neanche a vedere nulla da quell'altezza, e non trovava alcun modo per raggiungere un punto più alto. Non per una fragile donna di mezza età. Doveva usare il cervello, visto che il suo corpo era inadeguato. Si sedette a pensare sulla base del robot, mentre i seggiolini passavano sopra la sua testa. Se doveva usare la seggiovia, una volta a bordo le sue decisioni sa-
rebbero state assai limitate. Non poteva vedere lo schema nella sua interezza, quindi doveva tirare ad indovinare. Poteva farcela così? Qui all'Inferno aveva perso quel poco di fiducia nella fortuna. E che dire dell'astuzia? Satana era un maestro d'astuzia; che potesse cadere vittima del suo stesso gioco? Era già successo con la faccenda LunaOrb, eppure... Poi venne l'illuminazione. Se falliva... be' probabilmente avrebbe perso comunque. Se invece riusciva, poteva farcela. Lanciò un filo verso la spalla del robot, e un attimo dopo si trovava lì attaccata come a un trespolo traballante. Poi afferrò la testa del robot e tirò. La carenatura della testa si staccò, e lei si trovò in mano una specie di casco a forma di scodella con due aperture per le lenti oculari. Sotto vide gli ingranaggi che facevano muovere la testa, ma lei non se ne preoccupò. Le serviva solo quella sorta di elmetto. E magari anche un braccio. Si appoggiò l'elmetto sulla testa. Puzzava d'olio e le stava piuttosto largo, ma era in grado di vedere attraverso le aperture oculari. Afferrò un braccio. Il robot si accorse del contatto, o forse della pressione alla sua estremità. Gli ingranaggi della testa girarono, e gli occhi si posarono sul braccio. Poi fletté il gomito metallico, e il braccio si ripiegò su se stesso. Niobe l'afferrò e tirò, ma il braccio rimase bloccato al suo posto. Non riusciva a smuoverlo neanche usando tutta la sua forza. Niente da fare. Avrebbe dovuto accontentarsi dell'elmetto, sperando che bastasse. Guardò i sedili della seggiovia che scorrevano davanti a lei. Quando ne individuò uno adatto vi lanciò un filo, che seguì finché non si trovò seduta. Rapidamente si abbassò davanti la sbarra di sicurezza. Il robot allungò le sue appendici verso di lei. «Uh-uh!» esclamò lei, squadrandolo dai fori oculari. La sua voce riecheggiò nell'elmetto. «Sono un robot controllore. Clank-clank!» Il robot ebbe un attimo di esitazione, e gli ingranaggi della testa girarono mentre gli occhi seguivano il movimento del sedile. Sembrava che gli ingranaggi fossero un cervello in movimento. Quando infine la macchina ebbe preso una decisione, Niobe l'aveva ormai superata. Il cavo si biforcò di nuovo. Niobe scelse la sua direzione e proseguì fino al robot successivo. «Clank! Clank!» gridò nuovamente da sotto il suo elmetto. Anche stavolta il robot esitò, non avendo in programma istruzioni su come reagire a una cosa simile, e anche stavolta Niobe riuscì a passare.
Il suo piano stava funzionando! Solo che sfortunatamente aveva scelto il percorso sbagliato. Infatti la seggiovia terminò poco dopo in una stazione. I sedili si piegarono e proseguirono lungo una linea che portava dall'altra parte della fabbrica; non c'era modo di proseguire. Ma a quanto pareva, non molto distante, partiva un'altra linea che andava da qualche parte. Usò un filo per raggiungerla, e l'attraversò, andando a schiantarsi sul pavimento. Era un'illusione. Dovette usare un altro filo per raggiungere un'altra linea ancora. Questa era vera, ma come l'altra, non conduceva da nessuna parte. Provò di nuovo. Infine riuscì a raggiungere una linea ulteriore. Doveva essere quella buona, poiché ben presto un robot protese le braccia verso di lei. Niobe lo scoraggiò alla sua maniera, ma quello non desistette. L'elmetto non l'aveva ingannato, e ora non aveva il tempo di liberarsi! Cacciò un grido mentre le pinze afferravano il suo corpo... e lo attraversavano senza alcun danno. Era un'altra illusione! Questo significava che era sulla strada giusta. Proseguì fino al vero capolinea, un sentiero che conduceva fuori dalla fabbrica. Si tolse il casco e valutò la situazione. La gamba congelata si era ripresa ed era perfettamente funzionante, ma le rimanevano solo cinque fili. Non sapeva quanta strada dovesse ancora percorrere, né quante illusioni rimanessero. Però era certa che, in un modo o nell'altro, era vicina alla fine. 16 Risposte Fuori della fabbrica c'era un altro corridoio. Niobe vi si incamminò con grande cautela, attenta a non cadere in qualche tranello. A quanto pareva non ce n'erano. Poco dopo giunse a un'intersezione con un altro corridoio. Al centro si ergeva un cartello piuttosto elaborato montato su un piedistallo. Diceva: BENVENUTI ALLE SFIDE FINALI. FILI RIMASTI: 5. ILLUSIONI RIMASTE: 10. Ci rifletté sopra. Il cartello diceva la verità o era un trucco di Satana? Indubbiamente non si sbagliava sui suoi fili, e se anche il numero delle illusioni era esatto, era molto più vicina alla fine di quanto non avesse pensato. Forse poteva ancora vincere! Ma poteva anche essere un trucco, inteso proprio a ingannarla in quel modo. Era forse il caso di usare un filo per verificarne l'accuratezza? No, era un'idea sciocca. Se era una menzogna avrebbe dovuto essere una men-
zogna completa, ed evidentemente non lo era. Meglio prendere l'informazione per buona e cercare di non sprecare altri fili. Avrebbe contato le illusioni rimaste, e al raggiungimento di quota dieci sarebbe stata sicura della vittoria. Ma non doveva fidarsi più di tanto, poiché se il cartello era una menzogna avrebbe potuto portarla a pensare di aver eliminato tutte le illusioni quando in realtà ne restava magari ancora una, e quell'una avrebbe potuto eliminarla definitivamente dal gioco. Ma probabilmente Marte non avrebbe permesso a Satana di fornirle informazioni false perché dopotutto, ci doveva pur essere una distinzione fra l'illusione e la menzogna bella e buona. Rifletté un attimo, quindi decise di andare a destra, dove scoprì un corridoio senza uscita. Tastò bene le pareti, il pavimento e il soffitto, ma non trovò uscite. Provò allora il corridoio di sinistra, ma anche questo era a fondo cieco. Infine andò dritta, ma anche stavolta si trovò davanti una parete. Nessuno dei tre corridoi conduceva da nessuna parte. Si fermò accanto al cartello e rifletté di nuovo. Che il messaggio fosse falso non tanto per il numero d'illusioni ma per l'implicazione che la strada fosse quella mentre invece non lo era? Che fosse teso a farle sprecare i pochi fili che le rimanevano inducendola a cercare un'uscita che non esisteva? Che trappola diabolica! Girò attorno al cartello, e vide che c'erano delle parole stampate anche sul retro: CHE FAI, CEDI? Era proprio l'umorismo di Satana! «No di certo!» esclamò. Quel cartello poteva anche essere lì per farle credere che si trattava di una grande menzogna e farle abbandonare definitivamente quel posto, quando magari era proprio quello giusto. Prima di rinunciare doveva accertarsi con sicurezza che non lo fosse. Esplorò nuovamente i corridoi. In quel momento le venne in mente che un'illusione poteva anche non essere solo visiva; poteva essere auditiva o tattile. Alcuni mostri illusori avevano emesso grugniti o ruggiti, quindi poteva anche esserci un'uscita che non riusciva a trovare perché le sue mani non vi arrivavano. In quel caso però avrebbe dovuto usare un filo, e allora sarebbe rimasta con quattro, contro altre nove illusioni. Non poteva permettersi uno scambio alla pari. Non ora. Poi scoprì un passaggio diagonale fra il corridoio dritto davanti a lei e quello a sinistra, che faceva apparire la configurazione complessiva dei corridoi come un grande 4. Ma perché avrebbe dovuto esserci un altro cor-
ridoio, quando era facilissimo andare dall'uno all'altro dall'incrocio centrale? In pratica il quarto corridoio diagonale serviva solo a passare da un corridoio all'altro senza dover tornare indietro ogni volta. Doveva esserci un motivo. Però alcuni enigmi andavano risolti tracciando una riga continua che non raddoppiava mai, e anche in alcune grandi città c'erano simili configurazioni stradali, nelle quali tre curve a sinistra sostituivano una curva a destra illegale. Che si trattasse di una cosa del genere? Tornò al punto di partenza alla base del 4, quindi mosse in avanti con risolutezza. Oltrepassò il cartello, giunse fino all'apice, quindi girò a sinistra. Seguì il corridoio diagonale, quindi girò nuovamente a sinistra, passò nuovamente davanti al cartello infilandosi nell'ultimo segmento del 4, e il corridoio sboccò in una grotta. Aveva penetrato l'illusione senza usare neanche un filo. Due svolte a sinistra avevano svelato ciò che una sola svolta a destra non poteva svelare. Vide un sentiero dritto che conduceva al centro di una specie di pozza nera, come fosse un molo. Poi il sentiero si allargava, formando una sorta di isoletta al centro della pozza, e sull'isola c'era un drago. Il sentiero proseguiva oltre il drago, e terminava contro una parete nuda. Era evidente che doveva superare il drago, ma per arrivare dove? Non si andava da nessuna parte, da lì! Un momento: un'uscita ci doveva essere per forza! Satana aveva ancora nove illusioni, quindi doveva averla coperta con una di queste, mettendo un drago vero di guardia. Per la maggior parte, prima aveva usato mostri illusori che facevano la guardia a passaggi veri, ma in questo caso doveva avere invertito le posizioni. Probabilmente, una volta superato il drago sarebbe stata in grado di penetrare l'illusione senza usare fili. Ma come oltrepassare il drago? In effetti anche quello poteva essere un'illusione. Solo che se cercava di attraversarlo e risultava vero, avrebbe perso due fili preziosi e si sarebbe trovata al punto di prima. Non valeva la pena di rischiare. Era meglio verificarlo con un solo filo... Ma le venne in mente un'idea migliore. Si avvicinò quanto osava e gli lanciò addosso l'elmetto. Il metallo rimbalzò sulla superficie scagliosa della pelle del drago e rotolò nell'acqua con uno spruzzo. Il drago emise uno sbuffo di fuoco. Non c'erano dubbi sulla sua veridicità. Osservò i bordi dello stagno nero. Al di là del drago vide una specie di cornicione sottile appena sopra il livello dell'acqua. Girava attorno a tutta
la sala, terminando da entrambi i lati a circa tre metri dal punto in cui si trovava lei. Sospirò. Un uomo avrebbe potuto tentare il balzo. Lei non ci pensava nemmeno. Doveva trovare un altro modo. Scorse delle liane che scendevano dal soffitto, ma le sembrarono abbastanza deboli. Ne afferrò una e tirò; si ruppe in un punto in alto e cadde giù fino a terra. Ce n'erano alcune che sembravano abbastanza solide da sostenere il suo peso, ma erano decisamente al di fuori della sua portata. Troppo alte. A quanto pareva non c'erano altre vie, a meno che non tornasse alla sezione della figura 4, cosa che avrebbe fatto solo come ultimo, anzi ultimissimo tentativo. Ci doveva per forza essere un modo: doveva solo trovarlo. E lo trovò. Tirò giù un'altra liana debole, l'ammassò e la legò in un nodo molto grezzo. Poi attaccò il tutto a un'altra liana appesa, che fece oscillare fino a quando toccò una delle liane più solide. Dopo diversi tentativi riuscì a farla ingarbugliare in una di quelle robuste, e a tirarla a sé. Ora aveva quello che voleva. Tirò con forza. La liana tenne. Era ben ancorata e poteva benissimo reggere il suo peso. Si aggrappò saldamente, fece qualche passo indietro, corse fino al bordo dello stagno e si lasciò trasportare fino al cornicione. Passando sopra l'acqua notò qualcosa che nuotava, come un enorme squalo. Atterrò pesantemente ma nel punto giusto, e solo allora mollò la liana che tornò al punto di partenza. Come esibizione sportiva era forse stata un po' penosa, ma era riuscita ad arrivare dove voleva. Ed era felice di non aver tentato la traversata a nuoto. S'incamminò lungo lo stretto cornicione, sfiorando la parete con la mano destra. Il drago la seguì con lo sguardo, ma non era in grado di raggiungerla. Trovò l'uscita nel punto in cui il cornicione incrociava il sentiero originale; era effettivamente protetta da un'illusione. Entrò con grande cautela, attenta a non cadere in qualche buca nascosta, ma non ce n'erano. Ce l'aveva fatta e se il cartello diceva il vero aveva ancora cinque fili e otto illusioni da superare. Era sempre indietro come media, ma intanto era arrivata fin lì. Giunse in un'ampia caverna attraversata da un largo fiume, simile a quello che aveva trovato nella caverna del Re della Montagna. Forse Satana gli aveva rubato l'idea. In tal caso, sapeva come passare.
Ma non era esattamente la stessa cosa. Non c'era alcuna barriera centrale in questo fiume, e nessun cartello che lo pubblicizzasse come Lete. Naturalmente poteva ugualmente trattarsi del Lete visto che si trattava di un fiume dell'Inferno, quindi doveva affrontarlo con estrema cautela. Vide subito che era pieno di pesci; quando immerse un dito, si avvicinarono subito tre mostriciattoli pennuti tutti denti. Allontanò di scatto la mano, ma uno dei tre balzò fuori dall'acqua e fece schioccare le mascelle a mezz'aria nel punto in cui era stato il suo dito. Non era certo il caso di nuotare in quel fiume! Lungo la riva correva un sentiero piuttosto ampio, che iniziava nel punto in cui lei era entrata. Vi si incamminò lentamente. Era evidente che doveva attraversare il fiume, ma era largo circa una ventina di metri e qui non c'erano liane. Insomma, era ancora tutto da vedere. Udì un rumore. Si fermò, e ascoltò attentamente con un certo nervosismo. Erano i passi regolari di una persona che si avvicinava. Niobe si nascose in una specie di nicchia, non volendo incontrare il genere di persona che si può incontrare all'Inferno. Poco dopo l'uomo apparve. Era alto, biondo, muscoloso e piuttosto bello, di una bellezza un po' infantile. Tutte le riserve di Niobe caddero in un solo istante. «Cedric» gridò. Cedric si voltò verso di lei. «Niobe!» esclamò, allargando le braccia. Poi le vennero in mente diverse cose. «Ma tu sei morto!» disse, fermandosi davanti a lui. «Certo che lo sono. Ma il mio amore per te rimane immutato.» «Ma che cosa ci fai qui all'Inferno? Sei stato un uomo buono nella tua vita, anzi, un uomo fantastico!» Scrollò le spalle. «Forse c'è stato un errore nel sistema di classificazione. Ma se tu sei qui, voglio esserci anch'io. Con la donna più bella della sua generazione.» «Ma non sono più così bella! Ormai sono vecchia e sciatta.» Lui scrollò nuovamente le spalle. «Non importa. Il mio amore per te è eterno.» «Tu sei un'illusione, non è vero?» disse allora Niobe indignata. «Un demone travestito! Posso tirarti addosso un filo e scoprirti per quello che sei realmente!» Il fatto che Satana avesse usato questo particolare trucco la faceva andare su tutte le furie. Era troppo: tormentarla con il suo amore perduto! Cedric rimase impalato, senza dir nulla. Aveva esattamente lo stesso a-
spetto che ricordava, e il suo amore combatteva per prendere il controllo. Nulla nella vita era dolce come il primo amore! La cosa la rese ancor più furente. «Vattene immediatamente!» gridò. «Non ho intenzione di sprecare fili per te! Sei solo... un maledetto scherzo!» Ora le lacrime le scorrevano lungo le guance. Era stata colta di sorpresa da quello spettro, e doveva scaricare in qualche modo la sua emozione. «Non hai nessun diritto di... di...» «Mi dispiace che tu ti senta così» disse Cedric. «Ma naturalmente il tuo amore per me non è mai stato profondo come il mio per te.» In quell'affermazione c'era quel poco di verità che bastava a ferirla. Gli si gettò addosso e con il pugno lo colpì con forza sul naso. Un rivolo di sangue gli colò lungo il viso, ma Cedric non fece nulla per colpirla a sua volta. «Ti amerò per sempre, Niobe» disse con tono tranquillo. La rabbia di Niobe era talmente grande che si sentiva pronta a uccidere. Allargò le dita come fossero artigli e puntò agli occhi di Cedric. E si bloccò. L'odio era l'arma di Satana: stava cadendo nella sua trappola! Se si lasciava dominare dall'odio e dalla rabbia, sarebbe rimasta per sempre all'Inferno. Si trattava senz'altro di un demone e non di un'illusione poiché era solido. E certamente sarebbe stato in grado di eliminarla con un solo colpo! Ma non l'aveva fatto, stava invece cercando di farle perdere il controllo stimolando in lei quell'amore che non si poteva permettere di esprimere. Avrebbe potuto smascherarlo con un filo, o il demone avrebbe potuto ucciderla facendole perdere due fili. Secondo le regole del labirinto i mostri non potevano inseguirla; potevano farle del male solo se entrava in contatto con loro di sua iniziativa. Il contatto c'era stato, ma evidentemente quell'essere stava cercando di distruggere la sua razionalità, non il suo corpo. Voleva farle perdere di vista la sua missione, portandola all'isterismo e allo spreco di altri fili. E quella era una trappola nella quale non si poteva permettere di cadere, poiché le sarebbe costato tutto. Si rilassò. «Mi dispiace, Cedric. Non avrei dovuto colpirti. Lo so che il tuo amore è vero.» Tirò fuori un fazzolettino e gli asciugò il viso striato di sangue. Questa volta fu lui a sentirsi a disagio. «Oh, no, per favore» disse. «Me la caverò da solo.» «Ma ti devo aiutare» insistette lei premurosa. «È molto importante che io ti ami almeno con la stessa energia con la quale mi ami tu.» Lui si allontanò con uno scatto. «Forse sarà meglio che vada.»
«Veramente, Cedric, te ne devi andare così presto?» domandò lei con tono triste. Il demone si allontanò senza dire altro. E lei sapeva perché. I demoni erano creature d'odio e di violenza, e facevano fatica a tollerare la gentilezza e l'amore, a prescindere da ciò che dicevano. Quel demone l'aveva messa alla prova, finché lei non aveva ribaltato le posizioni mettendolo in una situazione che non era in grado di affrontare. L'amore aveva sconfitto l'odio... grazie a qualche piccolo trucchetto. Proseguì nel suo cammino, e incontrò un altro uomo. «Pacian!» «Niobe!» Ma doveva trattarsi per forza di un altro demone, poiché Pacian, come Cedric, era stato un uomo realmente buono, destinato al Paradiso. Gli corse incontro. «Caro, è così bello rivederti!» esclamò. L'uomo esitò. «Uh, sì, certo. E so che non è veramente colpa tua se mi trovo qui.» Allora era questa la sua tattica! Costringerla a negare con rabbia quella pazzesca affermazione! «Oh, ma lo è invece» replicò. «So bene che non saresti qui, se non fosse stato per me.» Pacian esitò di nuovo. Non stava seguendo il copione! Poi ci riprovò, con un certo coraggio. «Be', in effetti lo sai che non sono veramente io...» «Lasciati baciare, amore mio» disse Niobe, avvicinandosi. Il demone perse la sua compostezza e scappò via. Niobe sorrise. Stava imparando a trattare con i demoni. Ma in quel momento si domandò se non si fosse sbagliata nel pensare che per Satana la sua rabbia valesse di più della sua vita. Aveva ormai pochi fili, e i due fili di un'"uccisione" le sarebbero costati il quaranta per cento del totale. Entrambi i demoni avrebbero potuto abbassarlo a soli tre fili, mettendola in una situazione a dir poco critica nella fase finale del labirinto. Che la sua rabbia valesse veramente di più? Si fermò, certa che stava per scoprire qualcosa d'importante. Satana era malvagio, ma non certo stupido. Qualsiasi cosa facesse aveva una sua logica. Quindi perché aveva ordinato ai suoi demoni di non attaccarla nel caso non fossero riusciti a farla arrabbiare? In qualche modo, Satana si aspettava di guadagnare qualcosa da quel tranello. E se il fatto di non essere stata fermata da quei demoni l'avesse portata a cacciarsi in un guaio che le sarebbe costato più di due fili? Nelle parti precedenti del labirinto aveva riconosciuto i percorsi sbagliati perché erano
impraticabili. Ora invece aveva incontrato dei demoni che avrebbero potuto bloccarla ma che non l'avevano fatto. Non poteva significare che si stava cacciando in un guaio che le sarebbe costato più di due fili? Che avesse effettivamente imboccato un percorso sbagliato? In quel caso, doveva voltarsi dalla parte opposta e andarsene al più presto. Ma così avrebbe incontrato i due demoni di prima, e certamente questa volta non l'avrebbero lasciata passare così facilmente. Rischiava di farsi uccidere due volte, perdendo quattro fili. I demoni erano più sofisticati dei mostri che aveva incontrato in precedenza; forse non avevano bisogno di ucciderla finché andava nella direzione in cui Satana voleva che andasse. E anche se riusciva a passarli indenne, come avrebbe trovato la strada giusta? Non ne aveva idea. Infine concluse che doveva giocare d'azzardo, ritenendo di trovarsi effettivamente sulla strada giusta. In fondo era anche possibile che i demoni fossero stati piazzati lì per farle pensare che stava sbagliando. Sarebbe stato piuttosto ironico se avesse abbandonato la via giusta semplicemente perché i demoni l'avevano lasciata passare! E nel frattempo aveva guadagnato un punto di vantaggio; ora sapeva che Satana non aveva intenzione di costringerla a perdere due fili; voleva fargliene perdere almeno tre. Doveva trattarsi del numero minimo di cui aveva bisogno per vincere. Era più che disposto a buttare via illusioni; non avevano più importanza per lui. Erano i fili, ora, che contavano. Però tutto questo era stato progettato prima che lei entrasse nel labirinto. Come faceva Satana a sapere quanti fili le sarebbero rimasti? Riprese a camminare, tormentata da mille pensieri. Si avvicinò un'altra persona. Era Blanche, la prima moglie di Pacian, che era stata uccisa dal demone al matrimonio di Junior. Anche in questo caso era impossibile che Blanche si trovasse all'Inferno; era sempre stata una donna buonissima. Doveva per forza essere un altro demone, o demonessa, mascherato dall'illusione. Poteva occuparsene allo stesso modo in cui aveva liquidato gli altri. «Blanche!» esclamò Niobe, avvicinandosi a braccia aperte. «Sono così contenta di vederti!» Blanche non sbiancò. Si avvicinò a sua volta e abbracciò Niobe. Sembrava completamente umana e reale. «Grazie tante per esserti occupata di mio marito!» Questo era un approccio nuovo! Evidentemente non tutte le creature dell'Inferno provavano repulsione per l'affetto. Magari le demonesse erano
più gentili, in quanto venivano normalmente usate per sedurre l'uomo al male... letteralmente. Se non avessero potuto sopportare l'amore, non sarebbero state in grado di svolgere il loro compito. Come poteva liberarsi di questa, allora? «Non sei risentita per il fatto che io l'abbia sposato dopo la tua morte?» «Oh, no, cara!» esclamò Blanche. «Era un uomo talmente buono... meritava il meglio. E tu eri il meglio. E naturalmente lui ti ha sempre amata, per la tua bellezza. Quindi era più che giusto che gli venisse concessa l'opportunità di goderne prima che sfiorisse.» La demonessa stava iniziando a prenderci la mano! Le frecciate delle donne erano più sottili di quelle degli uomini, ma non meno acuminate. «Sono contenta che tu capisca» disse Niobe con tutto il calore che riuscì a tirar fuori. «La profezia diceva che avrebbe avuto la donna più bella della sua generazione, e senza dubbio tu non lo eri.» «Verissimo!» assentì Blanche senza traccia di risentimento. «Mi sento molto privilegiata per aver potuto condividere una parte del suo amore finché ho potuto, e per aver dato vita a una splendida figlia con lui.» «Sì, tanto che mio figlio il Mago l'ha sposata» concordò Niobe. Non era più sicura di poter battere questa demonessa, e lo sforzo non le stava certo recando piacere. Quella donna era troppo simile alla vera Blanche, sempre buona e cortese. «Ora sto andando a trovarlo» disse. «Sì, lo so. E sarò felice di aiutarti a cercarlo.» Cosa? Per un attimo Niobe fu colta dal dubbio. Che fosse veramente la vera Blanche? Poteva verificarlo con un filo... No! Poteva essere parte della trappola. Usare un filo su di lei, verificare la sua vera natura, e quindi perderne altri due nella successiva uccisione. Tre fili persi, il che avrebbe significato la vittoria di Satana. Altrimenti poteva tornare indietro, ma allora avrebbe dovuto affrontare i due demoni maschi che si trovavano alle sue spalle. Anche questa era una strategia perdente. Blanche doveva per forza essere in Paradiso, quindi questa doveva per forza essere una demonessa che interpretava il suo ruolo come solo una donna avrebbe potuto fare. Gli uomini avevano fallito, ma le donne sono più abili in certe cose. Be', se non poteva liberarsene, tanto valeva che facesse finta di stare al gioco. «Grazie, Blanche! Solo che dopotutto ci troviamo all'Inferno. Credi che Satana sarà d'accordo?» «Anche qui all'Inferno non siamo del tutto malvagi» le ricordò Blanche.
«E solo che siamo più malvagi che buoni. Quel poco di Bene che rimane nella mia anima è strettamente legato a Pacian, a mia figlia e a tuo figlio. Ti aiuterò a raggiungerlo, ma non mi è permesso dire nulla. Spero che mi capirai.» «Capisco.» Ma in realtà non capiva. La vera Blanche si sarebbe comportata esattamente in quel modo, ma perché mai una demonessa avrebbe dovuto aiutare un intruso a sconfiggere il suo padrone? Doveva pur esserci un limite alla sua commedia... o no? Turbata, Niobe continuò a camminare, con Blanche che la seguiva come un'ombra. Se si trattava di un'altra trappola di Satana, era troppo sofisticata per lei, almeno per ora. A meno che, pensò tutt'a un tratto, Satana non volesse effettivamente farle raggiungere suo figlio. O perlomeno incoraggiarla a pensare d'avere la possibilità di raggiungerlo. In questo caso le avrebbe fornito tutta l'assistenza necessaria... per andare dalla parte sbagliata. Be', ormai c'era dentro fino al collo. Il gioco stava diventando più complesso, in quanto Satana era passato dalle sfide puramente logiche del labirinto a quelle psicologiche, ma non era finito finché non finiva. E ancora non era stato deciso nulla, poiché lei aveva ancora cinque fili. Apparve un'altra persona. Un altro demone, e non si era ancora liberata di quello precedente! Era Blenda, moglie del Mago e madre di Luna. La faccenda stava diventando sempre più lugubre! «Mamma!» gridò Blenda. «Figlia mia!» gridò Blanche. Le due si abbracciarono con calore, senza risparmio di lacrime. Niobe le osservò stupefatta. Dovevano per forza essere due demonesse, eppure si comportavano in maniera molto realistica in tutti i sensi. Blenda non era più la bellezza folgorante che era stata in gioventù, ma la donna un po' sciupata che era morta di leucemia all'età di quarantasette anni, lasciando il Mago vedovo. La magia di suo marito le aveva allungato la vita, ma non era riuscita a curarla del suo male. Anche lei non poteva essere all'Inferno. A un certo punto della sua vita era stata una specie di gemella virtuale di Niobe, che infatti la conosceva bene; era una donna molto buona, con ben poca malvagità nell'anima. Blenda si voltò verso di lei. «Niobe, come sono contenta di vederti così in forma!» In forma? Non proprio. Paragonata a Blenda, però, era decisamente in
salute. Niobe non cercò neanche di smascherarla; l'abbracciò e si scambiarono i normali convenevoli. «Allora sei venuta per parlare a mio marito?» disse Blenda. «Mio figlio» confermò Niobe. «Ho bisogno di una risposta da lui.» «Ti aiuterò a trovarlo» disse Blenda. «Non l'ho mai più visto da quando sono morta.» Ovvio che no! Blenda era andata in Paradiso, mentre il Mago si trovava all'Inferno. Ma Niobe doveva stare al gioco. «Come mai? Ormai sono due anni che è qui.» Le labbra di Blenda si contrassero. «Non abbiamo il privilegio delle visite. Fa parte della nostra punizione.» Niobe dovette ammettere che era una risposta logica. Così ora aveva due demonesse disposte ad aiutarla a trovare suo figlio. Sempre più curioso! Riprese a camminare, seguita dalle due donne, ognuna da un lato. Aveva cinque fili, e rimanevano solo quattro illusioni ancora da identificare. «Come stanno le ragazze?» domandò Blenda. «Orb è in tournée» rispose brevemente Niobe. «Luna sta entrando in politica.» «Ah, sì, per bloccare il piano di Satana!» assentì Blenda. «Ma hai bisogno del consiglio del Mago.» Apparve un'altra sagoma. Anzi, tre sagome; demoni veri e propri. Evidentemente Satana non aveva voluto sprecare tre delle sue ultime quattro illusioni con questi, e quindi li aveva mandati così com'erano, senza travestimento. I demoni videro il gruppetto di donne e corsero loro incontro. «Attente!» esclamò Blanche. «Conosco quegli esseri! Se riescono a prenderci una per volta, ci violenteranno o ci mangeranno!» «O tutt'e due le cose!» aggiunse Blenda. «O tutt'e due le cose» confermò Blanche. «Dobbiamo stare unite, così non ci proveranno. Sono dei codardi; se non hanno un vantaggio numerico, non attaccano.» Niobe non commentò. Per quel che ne sapeva, adesso era in compagnia di cinque demoni. Come avrebbe fatto a tirarsi fuori da quella situazione? E come mai Satana non aveva semplicemente mandato fuori dieci demoni? I demoni si avvicinarono. Avevano coma, code, zoccoli e falli piuttosto evidenti, com'era normale per il loro genere. Si diressero verso le donne. «Avere bisogno di compagnia?» domandò uno. «Vattene, brutto diavolaccio!» esclamò Blenda. Il demone rifletté. Evidentemente stava pensando a come farle separare,
rendendole così vulnerabili. «Magari noi aiutare» disse. «Volere attraversare fiume?» «Sì» disse Niobe. In fondo era vero; aveva infatti notato che il sentiero che stavano percorrendo terminava poco più in là. «Noi aiutare. Noi avere barca.» «Perché dovreste aiutarci ad attraversare?» domandò Niobe. Almeno con i demoni-demoni non doveva fingere. Il demone la guardò. Si leccò le labbra. Dimenò il sedere. Non rispose. E non ce n'era bisogno. Era evidente che avrebbero aiutato una sola donna ad attraversare, per separarla dalle altre e poterla poi assalire. Ma un demone avrebbe effettivamente violentato o mangiato una demonessa? Magari sì, secondo le regole che governavano quella strana sezione del labirinto. O forse avrebbero attaccato solo Niobe, una volta separata dalle sue "amiche". Comunque, la risposta era semplice. Avrebbero attraversato insieme. Se le altre due avessero voluto abbandonarla, l'avrebbero potuto già farlo prima. A quanto pareva erano più che decise a rimanerle accanto, almeno per il momento. «Mostrateci la vostra barca» disse Niobe. I demoni le mostrarono la barca. Era una piccola canoa, nella quale potevano stare al massimo due persone. Era evidente che sarebbe affondata anche con un solo passeggero in più. Niobe rivolse lo sguardo a Blanche e a Blenda, che allargarono le braccia. Era chiaro che non potevano attraversare tutte e tre contemporaneamente. Ma in quel caso una o due di loro sarebbe rimasta esposta agli appetiti dei demoni. Niobe avrebbe potuto anche attraversare da sola, ma si rese conto che non poteva abbandonare le due donne a quel destino, anche se erano due demonesse. Per il momento non l'avevano tradita, e lei non aveva intenzione di essere la prima ad avviare una simile catena di eventi. Poteva anche trovarsi all'Inferno, ma aveva portato con sé i suoi principi. Forse poteva essere proprio questa la vera natura della prova; vedere se avrebbe abbandonato i suoi principi nel momento in cui più le conveniva. Un'etica che s'inchinava alla convenienza non aveva certo un gran valore. Prese in considerazione l'idea di attraversare con un solo demone, così sarebbero rimasti pari di numero su entrambe le sponde. Solo che poi lei sarebbe rimasta dall'altra parte, ma il demone avrebbe riattraversato e sarebbero stati tre contro due. Oppure quello che l'aveva accompagnata po-
teva tornare a prendere un altro demone, e poi l'avrebbero attaccata in due. Dovevano assolutamente attraversare tutte e tre, senza mai trovarsi in inferiorità numerica su nessuna sponda del fiume. Non c'era alternativa. Rifletté, e ricordò qualcosa che poteva esserle d'aiuto: una serie d'indovinelli rompicapo con i quali lei e Cedric si erano dilettati durante la loro prima estate insieme. Lui si era rivelato incredibilmente brillante in questo, e ripensandoci Niobe si rese conto che il suo grande amore per lui era nato proprio quando Cedric aveva iniziato a dimostrare il suo livello mentale attraverso quei giochini. Allora lui non le sembrava altro che un ragazzino... ma che bel ragazzino! Sentì che stava per mettersi a piangere, ma si controllò. Dopotutto, si trovava all'Inferno. Uno di quegli indovinelli riguardava proprio l'attraversamento di un fiume; tre cacciatori civilizzati con tre indigeni inaffidabili. Dovevano attraversare con una barca da due persone senza mai trovarsi in inferiorità numerica rispetto agli indigeni. Era esattamente lo stesso problema al quale si trovava davanti in questo momento! Quindi sapeva la risposta... ma non la ricordava. Gli altri la fissavano impalati, i tre demoni e le due donne. Sì, si trattava decisamente di una prova, di una sfida del labirinto. Era riuscita a passare attraverso la confusione dei passaggi e delle illusioni, a sopravvivere ai rigori della montagna innevata e ad attraversare la fabbrica dei robot, ma ora il labirinto si stava focalizzando sempre più sulla sua maggiore debolezza: l'intelletto. Niobe non si era mai considerata una donna d'intelligenza superiore alla norma, anche se era sempre stata attratta da uomini particolarmente geniali. Se riusciva a risolvere quell'indovinello poteva proseguire; altrimenti, avrebbe cominciato la sua vita all'Inferno con un'esperienza realmente infernale. Che Satana avesse saputo della sua precedente conoscenza di quell'indovinello? Era forse un tocco d'umorismo l'impegnarla proprio con quell'indovinello, per vedere se avrebbe ricordato la soluzione? Che terribile tortura sarebbe stato il sapere che aveva avuto la vittoria a portata di mano e non era stato in grado di afferrarla! Satana aveva persino mandato un demone travestito da Cedric, per ricordarglielo! «Maledetto Satana!» imprecò sottovoce. Ebbe l'impressione di sentire una risatina in risposta, ma forse era solo un'onda del fiume. Si concentrò. Come funzionava quell'indovinello di tanto tempo prima?
Potevano attraversare prima due donne... no, così ne sarebbe rimasta una sola con tutti e tre i demoni. Be', allora potevano attraversare una donna e un demone, così sarebbero rimasti pari. Poi... oops! Chi avrebbe riportato la barca? Avrebbe dovuto farlo una donna. Così ci sarebbero state tre donne e due demoni su una sponda, e un demone solo sull'altra. Poi avrebbero potuto attraversare una donna e un demone... e una volta dall'altra parte sarebbero stati due demoni con una sola donna. Non andava. E se invece attraversavano prima due demoni soli? Uno avrebbe riportato la barca. Poi le due donne... no, così sarebbero rimasti due demoni con una sola donna. Per quanto ci provasse, a un certo punto si trovava sempre in una situazione di squilibrio. Sembrava impossibile... eppure sapeva che esisteva una risposta. Cedric c'era riuscito. C'era una chiave, un modo particolare per considerare la faccenda. Una cosa alla quale una persona normale come lei non pensava. Che cosa? Immaginò il viso infantile di Cedric, con i capelli arruffati che gli giocavano sulla fronte. Lui le aveva spiegato la chiave, una cosa talmente semplice e ovvia che lei era scoppiata a ridere. Cedric! pensò, mentre il suo antico amore per lui le riempiva il cuore. Ho bisogno di te! E poi ancora: ritorna! Forse avrebbe sentito la voce dello stesso Cedric, le sue dolci parole riportate indietro dal suo amore per lui. La chiave stava proprio nel viaggio di ritorno della barca. Era qualcosa di sorprendente, di assurdo in apparenza, finché non se ne comprendeva lo scopo. Il ritorno... Fu come un'illuminazione. Grazie a Cedric, nonno di Luna, ora sapeva come attraversare il fiume e salvare Luna. Satana aveva lasciato l'esca troppo lenta, e lei era riuscita a prenderla senza abboccare all'amo. «Due di voi attraversino con la barca» ordinò ai demoni. I demoni non ebbero nulla da obiettare. Salirono a bordo della canoa e iniziarono a remare con le loro mani artigliate, senza degnare di uno sguardo le pagaie sul fondo della barca. I pesci carnivori si lanciarono subito all'attacco, mordendo loro le dita. Ma quando un pesce si attaccava, il demone non faceva altro che tirare fuori la mano dall'acqua, infilarsela in bocca e divorare il pesce. Quindi il mangiatore veniva mangiato, e la barca proseguiva. In breve tempo giunsero dall'altra parte. «Ora uno di voi due scenda, e l'altro riporti la barca» gridò Niobe dall'altra sponda. I demoni scrollarono
le spalle; uno scese, e l'altro, mettendosi a prua, riportò indietro la canoa alla sua maniera. Non fu un viaggio molto spedito, ma dopo un po' il demone riuscì a giungere da loro. «Ora altri due demoni» disse Niobe. I due attraversarono e, quando arrivarono, la situazione era la seguente: tre demoni da una parte e tre donne dall'altra. «Ora uno di voi riporti la barca» gridò Niobe. «Ma se ora attraversa una di noi...» disse Blanche con aria preoccupata. «Non ti preoccupare» disse Niobe. Il demone arrivò, e i due dalla parte opposta si leccarono le spesse labbra, aspettandosi qualcosa di succulento con la traversata successiva. «Ora attraverseremo noi due» disse Niobe. «Vieni, Blanche.» «Ma io...» protestò Blenda. «Sarai in compagnia di un solo demone» disse Niobe. «Nessun problema.» Lei e Blanche presero in mano le pagaie e iniziarono a remare. I pesci tornarono all'attacco, ma non trovarono nulla di tenero da mordere. L'attraversamento fu alquanto difficoltoso poiché nessuna delle due aveva esperienza in materia, e in certi momenti Niobe temette che la piccola barca si sarebbe rovesciata, ma alla fine ci riuscirono. I pesci fecero scattare rabbiosamente le loro mascelle. Ora c'erano due donne e due demoni su una sponda, e una donna e un demone sull'altra. Chi sarebbe tornato indietro, una donna o un demone? «Uno e uno» disse Niobe. «Andrò io... assieme a te.» Scelse un demone. Il demone scrollò le spalle e si unì a Niobe nella stretta canoa. Non capiva bene tutte quelle manovre, ma era sicuro che prima o poi si sarebbero trovati in soprannumero. Tornare con il demone a bordo fu piuttosto strano. Niobe sapeva che poteva rovesciare la canoa in qualsiasi momento facendola cadere nell'acqua, ma sapeva anche che non l'avrebbe fatto. Avrebbe attaccato solo se si fosse trovata in inferiorità numerica. Stava provocando Satana, offrendogli la possibilità di portarle via due fili quando lui ne voleva prendere tre. Raggiunsero la sponda. Ora erano in quattro da una parte e in due dall'altra, sempre divisi equamente fra donne e demoni. «Ora due donne» disse Niobe. Blenda si unì a lei, quindi attraversarono, lasciandosi alle spalle i due demoni. Quando giunsero dall'altra parte, erano tre donne con un solo demone. «Ora puoi andare a prendere i tuoi amici» disse Niobe. «Noi prose-
guiamo. Grazie per l'aiuto.» Fece strada lungo il sentiero, lasciando il demone a grattarsi la testa cornuta con espressione perplessa. Come avevano fatto a sfuggirgli quei tre bocconcini? «Molto astuto da parte tua» disse Blanche. «Ci sono riuscita solo grazie a un caro ricordo» disse Niobe in maniera enigmatica. Ma sapeva che ci era mancato poco, e ora che rimanevano ancora quattro illusioni la sfida sarebbe diventata sempre più difficile. Il sentiero si allontanò dal fiume e infine le condusse a un'enorme sala, quasi una cattedrale. Al centro c'era un uomo seduto su un trono. Quando entrarono, l'uomo si alzò in piedi. «Oh, ma allora siete arrivate!» esclamò. Era il Mago! Blenda fu la prima a corrergli incontro. «Marito mio!» esclamò. «Moglie mia!» esclamò lui a sua volta. Si abbracciarono e si baciarono. Niobe sì avvicinò, ma si ricordò delle quattro illusioni rimaste. Era possibile che le avesse evitate quando aveva attraversato il fiume, o che il cartello della sala 4 non avesse detto la verità, ma ne dubitava. Era molto più probabile che dovesse ancora scoprire quelle quattro illusioni prima di terminare effettivamente il labirinto. Non poteva fidarsi. Ma se invece era veramente suo figlio, pronto a darle la risposta di cui aveva bisogno, e lei l'ignorava? Era un modo come un altro per perdere! E Satana avrebbe riso di gusto se le avesse offerto la soluzione su un piatto d'argento e lei l'avesse rifiutata per quel motivo. Un'ironia squisita. Be', un giorno o l'altro Satana si sarebbe infuriato talmente tanto per quell'ironia che avrebbe perso ben più di un semplice incontro. Tirò fuori un filo e lo lanciò addosso al Mago. Se non era illusione... Il filo giunse a segno, e il Mago si trasformò in un demone con tre facce e sei braccia. La testa sembrava montata su un perno rotante, poiché girava senza limite puntandole addosso prima una faccia, poi un'altra, e poi la terza. Una faccia era giovane, l'altra di mezza età e l'ultima vecchia, ma ognuna delle tre sembrava più brutta delle altre due. Il demone le venne incontro. «Come osi!» sibilò il viso di mezzo. «Hai dubitato di me, brutta sciattona!» gracchiò la più vecchia. «Ti perforerò!» esclamò la più giovane. Blanche e Blenda cacciarono un urlo. Niobe si aspettava che scappassero via, dato che la loro parte era terminata, invece si piazzarono fra lei e il mostro. «Non l'avrai!» gridò Blenda. «Questi sono affari miei, non vostri» disse Niobe. «Non...»
Il demone a tre facce afferrò Blenda con quattro braccia, usandone due per bloccarle le gambe e due per le braccia. La sollevò e le fece girare la testa per osservarla tre volte. «Non vale la pena di preoccuparsi per te, prugnetta!» disse, e con questo se la lanciò dietro le spalle. In quel momento Niobe vide un baratro dietro il trono. Questo non si trovava al centro della sala; era stata solo un'impressione. Blenda gridò mentre cadeva nel vuoto, e scomparve. Il demone si avvicinò nuovamente a Niobe. Blanche si mise in mezzo. «Puoi attraversare, Niobe!» gridò. «C'è un passaggio, ma è nascosto da un'illusione...» Il demone l'afferrò stringendola alla gola con due mani per farla stare zitta. Con altre tre braccia le strappò i vestiti, ed emise un grugnito disgustato. «La carne dannata non vale nulla; voglio quella vera! Tu vattene pure all'Inferno!» E lanciò anche Blanche nel baratro. Niobe era confusa e profondamente colpita. Quelle demonesse... si erano sacrificate per proteggerla! Le avevano dato un'informazione cruciale per sconfiggere il loro padrone! La cosa non aveva proprio senso, a meno che... A meno che non fossero state realmente quelle che dicevano di essere. E in tal caso... No! Non era assolutamente possibile che Blanche e Blenda si trovassero davvero all'Inferno. Ma non era neanche detto che si trattasse per forza di demoni. Potevano anche essere delle anime dannate alle quali era stato ordinato d'impersonare le donne che Niobe conosceva tanto bene, o che magari erano state addirittura portate a credere di essere effettivamente quelle persone. Quindi avrebbero anche potuto agire in buona fede, pur essendo false, e per questo avevano pagato un prezzo terribile. Un prezzo terribile? No! Tanto erano anime dannate in ogni caso, quindi la caduta nel baratro non le poteva danneggiare; le aveva semplicemente portate fuori da quel particolare contesto. Ora lei era nuovamente sola. Tuttavia le dispiaceva che se ne fossero andate così, e rimpiangeva di non aver potuto fare nulla per loro. Nel frattempo, il demone a tre facce le stava venendo nuovamente addosso, e questa volta non c'era nessuno che si potesse mettere in mezzo. Aveva già usato un filo per smascherarlo, e se si faceva uccidere adesso avrebbe perso i famosi tre fili che, secondo lei, l'avrebbero tenuta al di sotto del punto critico. Doveva cercare di fuggire, ma il baratro era troppo largo da permetterle di attraversarlo con un solo filo di lunghezza limitata.
Ma se si ritirava, sarebbe rimasta intrappolata fra questo demone e i tre del fiume. Doveva per forza andare avanti. Se Blanche aveva detto la verità, ci doveva essere un punto di passaggio, nascosto da un'illusione. E se quell'anima dannata era una copia esatta della vera anima di Blanche, le avrebbe detto la verità. Blanche era stata una delle persone più a posto che avesse mai incontrato, sebbene l'avesse conosciuta solo in maniera superficiale. Satana aveva compiuto un errore, usando anime dannate per simulare quelle benedette; era naturale che avessero voluto entrare completamente nei loro ruoli, come fa un bravo attore, e li avevano interpretati fin troppo bene. Per loro era stato come avvicinarsi per un attimo all'illusione del Paradiso, come sfuggire all'Inferno. Niobe corse verso il baratro, e lanciò un filo davanti a sé. A meno di un metro dal bordo c'era una piattaforma, nascosta dall'illusione del baratro. Senza pensarci due volte, Niobe saltò. Il demone a tre facce, che la stava inseguendo, cercò di fermarsi, ma scivolò sul pavimento lucido e cadde nel crepaccio fra il bordo del finto baratro e la piattaforma. Gridando con tutte e tre le bocche, piombò giù. Era riuscita ad attraversare e aveva ancora tre fili, contro le due illusioni rimaste a Satana. Stava per giungere il momento cruciale, e per la prima volta Niobe aveva una buona speranza di vincere. Si diede una riaggiustata quindi proseguì, dolendosi ancora per il destino delle due anime dannate che l'avevano aiutata. Giunse in un'altra ampia sala, dove trovò una dozzina di demoni dello stesso genere di quelli che aveva incontrato sul fiume, tutti uguali. Alle loro spalle c'era un'enorme bilancia a due piatti. Che cosa significava? I demoni non accennarono alcun gesto ostile, sembravano semplicemente in attesa. Doveva trattarsi della sfida finale. Ma come poteva vincerla, se non riusciva neanche a capirne la natura? Poi le venne in mente una cosa. Pacian, il suo secondo marito, aveva un modo di pensare molto simile a quello di Cedric. Aveva avuto la stessa magia e la stessa brillantezza intellettuale, e la cosa non era neanche tanto strana considerato che in fondo erano cugini. Anche con Pacian aveva giocato spesso agli indovinelli, e lui l'aveva sempre battuta di molte lunghezze. Ricordò il primo indovinello che le aveva posto, nel mare di grano, quando avevano cercato di raggiungere la residenza di Gaea. Dodici monete, e una bilancia a due piatti. Undici monete erano genuine e una falsa, che però era esattamente identica alle altre.
L'unica differenza era una minima variazione di peso. Il problema consisteva nello scoprire quale fosse quella falsa, e se fosse più pesante o più leggera delle altre. Niente di più facile: bastava pesare tutte le monete in coppie. Se due avevano lo stesso peso, significava che erano entrambe vere; se invece non l'avevano, una delle due doveva per forza essere quella falsa. Poi bastava pesarle entrambe con un'altra di quelle buone, e si sarebbe scoperta quella falsa. Solo che erano permesse solo tre pesate. Quindi bisognava pesarle a gruppi, e nessuna combinazione di pesate poteva isolare con sicurezza quella falsa, e tantomeno individuarne la differenza di peso. Ora aveva davanti a sé dodici demoni identici, e le rimanevano solo tre fili. Che si potesse usare Io stesso procedimento? A quanto pareva Satana aveva ancora due illusioni da usare. Avrebbe potuto mascherare due demoni per farli assomigliare a suo figlio, nascondendolo in quel modo, ma non l'aveva fatto. Nessuno di quei demoni era mascherato. Poi capì. «Uno di voi è mio figlio!» Annuirono tutti insieme. «Quale?» Scossero tutti il capo, rifiutandosi di rispondere. Perché il Mago non faceva semplicemente un passo avanti, così avrebbe potuto verificarlo con un filo? Ci rifletté sopra e si rese conto che, come i suoi fili non erano semplicemente scopritori di illusioni ma anche mezzi di trasporto e fonti di vita, anche le illusioni potevano non limitarsi ai sensi. Satana poteva aver usato un'illusione per far apparire il Mago come un demone, e un'altra per impedirgli di identificarsi. Anzi, si rese conto che poteva anche aver costretto il Mago a non dirle la verità una volta che l'avesse individuato. In quel caso avrebbe avuto una risposta menzognera, se ci avesse creduto avrebbe praticamente dato la vittoria a Satana. Be', allora sarebbe bastato fare l'opposto di ciò che il Mago le diceva, e così avrebbe ottenuto il suo scopo. Ma se invece non fosse stata una menzogna? In quel caso avrebbe perso la partita pur conoscendo la verità... un'altra deliziosa ironia. Doveva scoprire se il Mago era stato stregato per fargli dire la verità o una menzogna. Un filo sarebbe bastato... ma avrebbe avuto ancora fili, do-
po che l'avesse individuato? In questa versione infernale dell'indovinello suo figlio era la moneta falsa, e ciò che le avrebbe detto poteva essere tanto vero che falso. Poteva essere onesto, e quindi un po' più leggero dei demoni, oppure disonesto, e in quel caso sarebbe stato più pesante poiché la disonestà è un peccato e quindi pesa sull'anima. Doveva scoprire come stavano le cose. Aveva tre fili, e ognuno equivaleva a una pesata. Doveva individuare suo figlio fra i demoni identici, e determinarne il suo peso relativo. Sembrava un'impresa impossibile, eppure Pacian ci era riuscito, e le aveva pure spiegato come fare. Ma era stato un quarto di secolo prima, e anche stavolta si era dimenticata la soluzione. Questa era più difficile di quella dell'attraversamento del fiume, lo sapeva bene. Era riuscita a malapena a risolvere l'altra; come avrebbe fatto anche solo a capire questa? Il suo vantaggio circa il numero dei fili rischiava di finire annullato dal suo intelletto non acutissimo e dalla sua scarsa memoria. In quel momento Niobe desiderò di essere la donna più furba della sua generazione, non la più bella! A mezz'aria apparve una palla di fuoco. La palla si espanse, e assunse la forma di Satana stesso. «Allora, siamo giunti all'ultima prova, mia povera e sciatta amica!» esclamò. Le aveva dato decisamente meno fastidio durante il loro primo incontro nel Vuoto, nel corso del quale l'aveva chiamata "dolcezza" e con altri simili appellativi, ma non si sbilanciò. «Posso ancora vincere, Satana.» «Ah sì, vecchia gallina? Allora provaci!» Con un gesto fece apparire un trono di fuoco, e si sedette a guardare. «Perché non inviti allo spettacolo il mondo intero?» domandò Niobe irritata. Satana scrollò le spalle. «Il mondo? Non credo proprio. Ma magari qualche gruppo scelto...» Batté le mani, e una parete della sala si vaporizzò. Al di là della parete comparve un segmento di anfiteatro, e sugli scalini erano seduti demoni e anime perse di ogni genere, compresi i due che assomigliavano a Cedric e Pacian e le due che assomigliavano a Blanche e Blenda. C'erano anche le cinque Incarnazioni principali. Cinque? Ah, già. Al momento lei non era più il Fato; era solo l'anima di Niobe, in bilico sull'orlo della dannazione. O della salvezza. Cloto e Atropo avevano il corpo, e si agitavano in continuazione sul loro posto, evidentemente a disagio. «Ora esegui il tuo miracolo di fallimento, cagna sfortunata!» disse Sata-
na con tono sardonico. «I tuoi amici assisteranno alla tua umiliazione!» Anche stavolta si sforzò di resistere alla provocazione. Se gli permetteva d'innervosirla avrebbe sicuramente perso. Si concentrò sul problema immediato. Dodici monete, tre pesate... come poteva fare? E se ne pesava sei e sei? Certamente un gruppo sarebbe risultato più pesante dell'altro, ma questo avrebbe significato che c'era un falso pesante nel gruppo che andava giù, o un falso leggero nel gruppo che andava su? Se solo avesse saputo la differenza di peso! In quel caso avrebbe potuto prendere i sei più leggeri, se per esempio sapeva che il Mago era più leggero, poi dividerli in due gruppi di tre, e infine pesare due dei tre del gruppo più leggero. Se uno fosse risultato più leggero, era lui; se invece risultavano uguali, era quello rimasto fuori. E anche se il falso era più pesante sarebbe stata la stessa cosa. Sarebbe stato così semplice! Ma senza conoscere il peso relativo, la faccenda diventava invece assai complicata, in quanto la prima pesata non avrebbe determinato proprio nulla. Avrebbe avuto bisogno di un secondo filo per pesare le metà di uno dei due gruppi originali; se risultavano uguali avrebbe significato che il falso era nell'altro gruppo, e avrebbe anche saputo se era più pesante o più leggero. E da lì le sarebbero bastate altre due pesate... quattro in totale. Non andava bene. Ma mentre si sforzava di capire, iniziò a ricordare. Quel sistema di eliminazione poteva essere usato fin dall'inizio! Poteva pesarne quattro e quattro, lasciandone fuori altri quattro. Se gli otto erano in equilibrio, il falso doveva trovarsi nel gruppo rimasto fuori. Poi sarebbe bastato pesarne due e due... no, non andava bene neanche così. Poteva pesarli tutti e quattro con uno dei gruppi precedenti, che erano sicuramente monete (demoni) buone, e così avrebbe scoperto se il falso era più pesante o più leggero. E poi... no, una sola pesata non sarebbe bastata. Eppure era sicura di essere sulla pista giusta. Poteva pesarne solo tre del gruppo rimasto fuori contro tre dei due gruppi già pesati; se erano in equilibrio, quello falso era quello rimasto fuori dal terzo gruppo, e l'ultima pesata avrebbe determinato il suo peso relativo. Se invece i due gruppi non si equilibravano, allora avrebbe conosciuto il peso relativo del falso. Poi con l'ultima pesata avrebbe potuto identificarlo. Ma se invece la pesata dei primi otto non era in equilibrio? In quel caso avrebbe dovuto scoprire il falso fra otto monete, ed erano troppe per due sole pesate. Ripassò mentalmente diverse possibilità, mentre il pubblico attendeva in
silenzio. Poteva vincere per pura fortuna, se il falso andava a finire nel gruppo giusto. Ma era sicura che la fortuna non l'avrebbe favorita; non lì all'Inferno. Doveva per forza escludere l'elemento fortuna e trovare il modo per scoprirlo con tre pesate in ogni caso. Cominciò a percepire un inizio di mal di testa da concentrazione. Qualunque strategia tentasse, non sarebbe mai stata sicura al cento per cento con sole tre pesate. Che cosa doveva fare? Sul suo viso sgorgarono due lacrime. Satana se ne accorse e fece un sorrisino beffardo, cosa che non l'aiutò di certo. Il Principe del Male sapeva di avere la vittoria a portata di mano, e anche il pubblico se n'era reso conto. L'umiliazione finale stava per giungere. Oh, Pacian! pensò. Come facevi? Improvvisamente, come in risposta alla sua supplica, la risposta venne. Pace, o qualcosa, aveva risposto. La memoria le si schiarì, e scoprì la chiave del gioco. «Scambio!» esclamò. Si piazzò davanti alla bilancia. «Voi quattro, salite da questa parte» ordinò ai demoni più vicini. Gli esseri ubbidirono, salendo sul piatto grande. «E voi quattro, dall'altra parte.» Altri quattro eseguirono l'ordine. Quando tutti e otto furono sui due piatti della bilancia, Niobe mollò la sicura e lasciò che piatti trovassero la loro posizione. Non erano in equilibrio. Il piatto sinistro si abbassò lentamente; c'era più male da quella parte. Naturalmente questo era il caso più difficile che si poteva verificare. Ora veniva il punto cruciale. Fece un cenno al demone più interno del piatto di sinistra e a un altro sul piatto opposto. «Voi due, scambiatevi di posto.» I due demoni scrollarono le spalle davanti a quell'apparente follia e si scambiarono i posti. Un mormorio corse fra il pubblico, e Satana fece una smorfia. «Voi» disse a quelli rimasti dalla parte destra «scendete.» I demoni scesero. «E voi tre» disse, indicando tre demoni del gruppo non ancora pesato «salite.» I tre salirono sul piatto. Niobe vide le Incarnazioni che scuotevano il capo. Pensavano che avesse perso la ragione. Blanche e Blenda avevano ormai chinato gli occhi, rattristate. Nessuno credeva in lei, ma lei sapeva ciò che stava facendo. O almeno lo sperava. Procedette alla pesatura, e i due piatti rimasero squilibrati; il piatto sinistro era sempre più pesante. Questo le disse già parecchio. Se fossero stati
in equilibrio, avrebbe avuto la certezza che il falso si trovava fra i tre che aveva tolto e che era più leggero, in quanto l'aveva tolto dal piatto più leggero. Se invece fossero risultati squilibrati nel senso opposto, avrebbe saputo che il falso era uno dei due demoni che si erano scambiati di posto. Poi avrebbe potuto pesare quello leggero con quello pesante, definendolo in ogni caso, poiché se fosse rimasto leggero sarebbe stato lui il falso, e leggero, mentre se risultavano in equilibrio, il falso, quello pesante, sarebbe stato l'altro rimasto fuori. In questo caso, invece, sapeva che il falso era uno dei tre che non aveva né mosso né spostato, e che era più pesante. «Voi due» disse, indicando due dei tre «pesatevi l'uno con l'altro.» Questa era la sua terza e ultima pesata. I due si pesarono, e risultarono in equilibrio. Niobe si rivolse a quello rimasto fuori. «Ciao, Mago!» Sorprese, le Incarnazioni applaudirono. Blanche e Blenda rialzarono lo sguardo con grande sollievo. La smorfia di Satana divenne più marcata. Ma Niobe sapeva che non era ancora finita. Ora poteva porre la domanda a suo figlio, ma la risposta sarebbe stata una menzogna. Aveva sfruttato tutti i fili a sua disposizione per giungere fino a quel punto, quindi non poteva costringerlo a dire la verità. Però poteva arrivare alla verità per eliminazione. Solo la verità era perfettamente coerente; prima o poi, qualsiasi schema di menzogne era destinato a tradirsi in qualche modo. «Hai una sola domanda a disposizione» disse Satana. «Una sola!» proruppe lei. «Ma questo non fa parte dell'accordo!» «Una sola anima è stata messa in palio; una sola domanda può essere posta.» Lei non aveva capito esattamente questo, ma si rese conto che non aveva insistito troppo su quel punto. Anche Marte non ci aveva pensato. Il Padre della Menzogna aveva trovato una scappatoia. Doveva cavarsela con l'interpretazione di Satana. Una sola domanda! Se fosse stata sicura di ricevere una risposta veritiera, avrebbe potuto chiedere, "Come posso bloccare il piano di Satana nei confronti di Luna?", solo che la sua menzogna avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa, e quindi era una domanda del tutto inutile. Doveva trovare una domanda la cui risposta menzognera sarebbe risultata istruttiva. Questa sì che era una sfida! E se formulava una domanda alla quale si poteva rispondere solo con un sì o con un no, in modo che la menzogna le fornisse una risposta diretta?
Era una cosa che si poteva fare solo se si conosceva già più o meno in che ambito potesse trovarsi la risposta, ma questo non era il suo caso. Che Satana avesse già vinto, dopotutto? Non proprio, poiché era riuscita a raggiungere il Mago e a identificarlo. Era riuscita a superare il labirinto. Ma finché non otteneva la risposta per la quale era venuta e non se ne andava dall'Inferno, la sua anima rimaneva in pericolo. E anche la sorte dell'umanità. Il suo sguardo passò nuovamente sul pubblico. I demoni si stavano leccando le labbra, assaporando la vittoria. Le anime dannate avevano un aspetto triste, e Marte aveva assunto un'espressione cautamente neutrale. Aveva fatto sì che Satana non imbrogliasse, ma ora non poteva esserle di alcun aiuto. Le Incarnazioni; le personificazioni dei fattori principali che governano il destino dell'uomo. Thanatos, che aveva assunto la carica e si era rifiutato di prendere l'anima di Luna perché l'amava. Forse poteva considerarsi un motivo egoistico, ma l'aveva portato ad affrontare Satana direttamente, mantenendo così Luna per il suo futuro ruolo fondamentale per la salvezza dell'umanità stessa. Una sposerà la Morte... Chronos. Che aveva fronteggiato Satana in maniera similare nel loro futuro. Ora era felice di aver potuto confortare i successori di Chronos nel passato; avevano ottemperato tutti al meglio ai doveri del loro ufficio, persino il bambino, e avevano/avrebbero fatto la loro parte nell'assicurare la salvezza dell'umanità. Gaea, che aveva dato un aiuto non indifferente. Sua figlia, Orb, sembrava destinata ad assumere quel ruolo, sempre che la profezia si rivelasse corretta fino in fondo. Certamente anche lei avrebbe dovuto avere a che fare con le losche trame di Satana, in quanto il Principe del Male approfittava sempre delle Incarnazioni nuove con meno esperienza. È l'altra sposerà il Male... Certamente no! Era una cosa impensabile! Eppure... in un certo senso aveva dato Orb a Satana. Non aveva fatto altro che impegnarsi a tenere Orb al di fuori dal mondo politico, sfruttando l'errore d'identificazione di Satana, solo che qualunque impegno nei confronti del Maligno poteva sempre risultare infido. Che destino aveva dato a sua figlia? Ma Orb era una ragazza ragionevole e dotata di talento, anche se un pochino bisbetica, e conosceva bene gli inganni di colui che aveva tentato di colpirla nella Sala del Re della Montagna. Orb non si sarebbe mai fidata del Male! Eppure quella profezia si stava realizzando sempre più, passo per passo,
nella sua maniera contorta. Niobe sperò di interpretare male il senso di quella parte della profezia. Thanatos aveva bloccato il potere di Satana usando il suo potere sulla morte. Chronos l'avrebbe fatto attraverso la manipolazione del tempo. Ogni Incarnazione combatteva Satana alla sua maniera. E ora lei, il Fato, doveva impedire a Satana di distorcere i Fili della Vita. Senza dubbio doveva servirsi di qualche aspetto del suo potere. Ebbe un'illuminazione. Il suo potere era centrale in quella faccenda, poiché il Mago aveva lasciato il messaggio proprio per lei. Questo limitava decisamente il campo delle possibilità! La soluzione del suo problema quindi non aveva nulla a che vedere con i poteri di Thanatos, di Chronos o di qualunque altra Incarnazione. Doveva essere nel campo d'azione del Fato. Doveva trattarsi di qualche particolare potere che solo lei, il Fato, possedeva. Ma quale potere? Non poteva chiedere solo quello! Eppure, se si trattava di un potere del Fato, doveva essere il potere di un Aspetto particolare del Fato. Gli Aspetti erano tre; in trentotto anni aveva conosciuto piuttosto bene i poteri di Cloto, e sapeva che non servivano in questo particolare caso. Certo, colei che le era succeduta, Lisa, aveva scoperto un potere che lei non aveva capito, ovvero l'abilità di cambiare il suo aspetto da una forma femminile all'altra, e quindi ce ne potevano anche essere degli altri. Ma il compito di Cloto si limitava al filare i fili; non aveva il potere di manipolarli una volta che erano posizionati. Quindi era altamente improbabile che si trattasse di Cloto. Niobe non era stata Lachesi abbastanza a lungo per conoscerne tutti i poteri, ma aveva fatto dei buoni progressi. Poteva anche esserci qualche potere fondamentale che non aveva ancora scoperto, ma ne dubitava. Quindi rimaneva solo Atropo. Sapeva ben poco dei poteri di Atropo. Tuttavia, il suo compito le sembrava abbastanza semplice; si limitava al taglio dei fili già misurati. In effetti non era molto per giustificare l'esistenza di un Aspetto, ora che ci pensava. Che ci fosse qualcos'altro di cui non si era resa conto? Era diventato un indovinello con tre monete! Una la poteva eliminare in partenza, ovvero Cloto. Ne rimanevano da pesare due. Se avesse saputo quale delle due aveva il potere necessario, avrebbe potuto focalizzarsi esclusivamente su quella, e avrebbe avuto una possibilità decisamente maggiore di scoprire quale fosse questo particolare potere. Non era esattamente la risposta diretta che voleva, ma le avrebbe dato una buona possibilità di
combattere. «Mago» disse. «La mia domanda è questa: l'attuale trama di Satana nei confronti di Luna si può bloccare con i poteri di Atropo?» «No» rispose la figura demone. Fra le anime dannate serpeggiò un sospiro di delusione, e fra i demoni del pubblico un grido di gioia. Erano convinti che avesse fallito; non sì rendevano conto che la risposta era una menzogna, o che lei sapeva che si trattava di una menzogna. Il Mago aveva appena confermato la sua congettura, dandole la chiave della vittoria. Satana si alzò dal suo trono di fuoco. «Hai fallito, infine, donna sventurata, e ora sei mia!» «Stai lontano, maledetto demonio!» sbottò Niobe. «I miei fili sono finiti, ma anche le tue illusioni. Ho attraversato il tuo labirinto.» «Ma non hai ottenuto la tua risposta» disse Satana, venendole incontro. Apparve un cerchio di fiamme, che avviluppò loro due e i dodici demoni. «Invece l'ho ottenuta, eccome!» gridò lei. «Ho capito dalle pesate che mio figlio avrebbe mentito. Il potere in questione è quello di Atropo!» «Ridicolo!» disse Satana. Il cerchio di fuoco si strinse, bruciando i demoni, che scomparvero uno per uno con una piccola esplosione man mano che venivano a contatto con il fuoco. «Lo sanno tutti che hai perso.» Allungò le mani verso di lei, e ora anche queste erano lingue di fiamma. «Ho desiderato la tua anima per sessant'anni, e ora è mia!» «No!» esclamò Niobe. «Chiamo il fallo! Io ho la risposta!» Marte si alzò in piedi. «Satana, mi sembra che tu stia esagerando» disse, e la sua mano scese fino a toccare l'impugnatura della grande spada rossa. Satana fece una smorfia, ma si fermò. Anche l'anello di fuoco si fermò. Erano rimasti ancora quattro demoni, fra i quali il Mago. «Verrà anche il tuo turno, guerrafondaio!» mormorò. Poi si rivolse al pubblico. «Allora lasciate che questa vecchia e logora donna presenti la sua risposta, qui e ora, se ce l'ha.» «D'accordo» disse Marte. Rimase in piedi, con la mano sempre appoggiata sulla spada. Marte era intervenuto direttamente per far rispettare le regole del labirinto. Aveva fatto bene a scegliere lui come arbitro. Satana girò la testa e tornò a fissare Niobe. Ora le fiamme danzavano fra loro. «Presenta la tua risposta, vecchia rugosa. Lo so che stai bluffando!» Ma Niobe non ci era ancora arrivata. Sapeva solo che ne aveva la chiave. «Col tempo, corna puzzolenti.»
«Adesso, o mai più!» disse Satana. «Non c'è Umile di tempo, ricordi?» insistette lei. «Il labirinto è finito quando io ottengo la risposta, o quando si verifica che non ce l'ho. Posso metterci anche vent'anni, se voglio. Vero, Marte?» Marte fece un sorriso. «Vero, Lachesi. Il tempo non è specificato. Ho detto che ero d'accordo quando Satana ha detto "qui e ora", ma in effetti non ne avevo l'autorità. Ritiro la mia parola.» «Una scappatoia!» borbottò Satana. «In questo caso aspetterò finché l'Inferno non si congelerà!» Fece un gesto, e il cerchio di fiamme riprese il suo corso. «Cosa che non avverrà molto presto.» Niobe sapeva che quelle fiamme non potevano farle nulla, almeno non prima che il gioco fosse finito. Ma probabilmente la potevano mettere abbastanza a disagio. Satana stava cercando di distrarla. Si concentrò come meglio poteva. Quindi la soluzione risiedeva nei poteri dell'Aspetto di Atropo. Di conseguenza aveva a che fare con il taglio dei fili. Ma Atropo non poteva tagliare fili prima che questi venissero misurati, e la misurazione era compito di Lachesi. Se le pedine terrestri di Satana potevano essere eliminate grazie all'azione di Lachesi, perché la risposta del Mago l'aveva esclusa? Dato che doveva mentire, avrebbe potuto dire "sì". Quindi la faccenda non aveva nulla a che fare con la misurazione. Che cosa sarebbe accaduto se Atropo tagliava un filo non misurato? Be', se lo tagliava dall'inizio sarebbe stato un disastro, come avevano già avuto modo di constatare nel peggiore dei modi. Ma era troppo tardi per tagliare l'inizio dei fili degli uomini di Satana al Senato. Erano già tutti perfettamente inseriti nella Tappezzeria. E in quanto ai capi opposti, se erano già stati misurati, tagliati a misura e inseriti, tagliarli sarebbe dovuto risultare impossibile. Però era ovvio che potevano essere fisicamente tagliati. Atropo chiaramente non l'avrebbe mai fatto, in quanto una simile azione avrebbe recato un danno notevole alla Tappezzeria, ma... Stava arrivando a qualcosa. Quando Lachesi misurava un filo, ne determinava il potenziale. Ma non tutti i fili vivevano appieno il loro potenziale; alcuni si rompevano in anticipo e andavano persi. I mortali consideravano questi avvenimenti come suicidi, tagli decisi spontaneamente dalle persone in questione. Normalmente l'istinto di sopravvivenza impediva simili cose, ma quando questo veniva a mancare... Aveva la sua risposta. Niobe si rivolse a Satana. «Quando Atropo taglia un filo fuori turno, ovvero quando è già stato misurato e inserito nella Tappezzeria, quel filo muore a prescindere dalla lunghezza che Lachesi ha
misurato per quello specifico filo. Una fine non prescritta dal Fato è un suicidio. In pratica, quando Atropo compie un gesto simile, toglie a quella persona ogni stimolo vitale, eliminando così l'istinto di sopravvivenza. Privata di quell'istinto, la persona media si stanca ben presto delle frustrazioni quotidiane della vita, e infine decide di provare l'Aldilà. Soprattutto se è convinta di andare in Paradiso, o se gli è stato promesso un trattamento di riguardo all'Inferno.» «Non tratto i suicidi meglio degli altri!» esclamò Satana facendo brillare fiamme d'indignazione. «Ma hai promesso un trattamento preferenziale a coloro che fanno il tuo gioco sulla Terra» disse Niobe. «Come ad esempio quelli che sono destinati a sostituire i senatori che sono tornati a godere della loro ristorata gioventù. Be', credo che quei tipi ti verranno a trovare più presto di quanto tu non immaginassi.» «Se lo fanno li metterò sotto doppia tortura!» sbottò Satana. «Ho bisogno di loro sulla Terra!» «Per una ventina d'anni circa» assentì Niobe. «Ma quando Atropo taglierà i loro fili in anticipo, facendo sì che perdendo il loro indomabile istinto di vita, non avranno più interesse ad aspettare tutto quel tempo per la loro ricompensa.» «Non esiste alcuna ricompensa!» Satana ora era quasi completamente coperto di fiamme. «E allora perché questi uomini dovrebbero stare al tuo gioco?» domandò Niobe con voce dolce. «Non sarà facile per te ottenere i loro voti se quella gente si rende conto che le tue promesse sono vuote.» «Stai bluffando!» esclamò Satana. «Non taglieresti mai i tuoi stessi fili!» «Per salvare l'umanità?» domandò. «Forse io non lo farei, ma sospetto che la vecchia e pratica Atropo non ci penserebbe su due volte.» «Ci puoi giurare!» gridò Atropo dall'anfiteatro. «E senza quei voti corrotti, fra vent'anni la decisione spetterà a coloro che saranno al potere, e il voto decisivo sarà proprio quello di mia nipote Luna!» Satana non rispose. Rimase impalato, con lo sguardo torvo, mentre il cerchio di fuoco si chiudeva su entrambi. L'ultimo demone, il Mago, si accese, e quando l'apparenza demoniaca evaporò, rimase il figlio di Niobe nel suo aspetto naturale. Un sorriso sinistro si allargò lentamente sulle sue labbra. Poi le fiamme l'avvolsero, cancellando il resto dell'Inferno. Ma Niobe
non avvertì calore. Poco dopo l'aria si schiarì. L'Inferno era scomparso, e con esso il pubblico. Si trovava nel castello di Marte, dov'era iniziata quella strana sfida. Era tornata al suo corpo fisico, e la sua anima era al sicuro, nuovamente un Aspetto del Fato. Marte era in piedi davanti a lei, e sfoggiava un sorriso molto simile a quello del Mago. Ce l'hai fatta! esclamò Cloto nella sua testa, baciandola col pensiero. Buon lavoro, donna! aggiunse Atropo. Niobe rise di delizia e di sollievo. «Sulla mia anima!» esclamò. Sapeva che l'attendeva un lungo e soddisfacente periodo nel ruolo di Lachesi. Nota dell'Autore Nel primo romanzo sulle Incarnazioni, che aveva per protagonista Thanatos, ho esplorato il concetto di Morte in un modo non molto comune per quanto riguarda il campo della fiction. A quanto pare il libro sta andando piuttosto bene, sia dal punto di vista commerciale che per la critica, e i miei fans hanno reagito in maniera positiva. Ma nella "Nota dell'Autore" di quel libro ho scritto che mentre lavoravo al racconto ho avuto l'impressione che la Morte mi lanciasse granate addosso. La cosa mi portò una certa inquietudine. L'anno seguente ho scritto il seguito, con Chronos come protagonista, e ho esplorato degli aspetti del tempo che altri autori forse hanno trascurato. Sono stato sopraffatto dai problemi del tempo, e ho dovuto instaurare una vera e propria lotta per completare il romanzo nei termini utili. Non credo nel sovrannaturale, lo considero una fantasia; ma temevo già ciò che avrei dovuto affrontare nel romanzo successivo, quando mi sarei trovato a trattare il soggetto Fato. Bene, ora è fatta anche questa, e quanto segue è il resoconto del modo in cui il Fato mi ha influenzato. E qui voglio allargare il campo, poiché, come spero che questo romanzo abbia dimostrato, il Fato non è certo una faccenda di pochi mesi o di particolari episodi; si tratta di una tappezzeria in continuo movimento di vita e di interazioni fra vite, foggiata dalla matassa ingarbugliata della realtà. Quindi è venuto il momento di fare il mio solito avvertimento: la parte "intrattenimento" del libro è finita, e questa Nota è di natura più introspettiva. Se non siete interessati alle riflessioni di un autore pressoché anonimo, non proseguite nella lettura; il romanzo sta perfettamente in piedi anche senza questa coda.
Come sono arrivato a scrivere questo romanzo? Be', naturalmente ho seguito la solita prassi, presentando un sommario generale all'editore con il quale ho sottoscritto un contratto, e così nell'inverno '83-'84 mi sono messo a scrivere la prima stesura del terzo romanzo Bio per la Avon e del terzo romanzo delle Incarnazioni per Del Rey. Ricorderete il mio sistema; organizzo sempre l'anno in modo da non dover battere a macchina nel mio studio privo di riscaldamento durante l'inverno, preferendo sedermi accanto al tepore della stufa a legna a scrivere a matita per poi iniziare la battitura in primavera. Questa però non è una vera risposta, poiché la domanda è troppo limitata. Come è successo che io, scrittore prettamente fantascientifico fino al 1963, mi sono messo a scrivere fantasy? E com'è successo che sono diventato uno scrittore? Lasciate che inizi dal principio, poiché la strada che mi ha portato a Niobe è stata molto più difficile e indiretta di quanto potrebbe pensare la maggior parte della gente. E se alcune parti della mia narrazione vi sono parse imbarazzantemente personali... be', questa è la mia natura. C'è un elemento nei miei romanzi che piace molto a certi lettori che dicono di non riuscire a trovarlo nella maggior parte degli altri autori del campo, e sebbene sia fortemente tentato di chiamare questa caratteristica Competenza, Qualità o Genio, so benissimo di non poterlo fare. Ci sono molti altri autori che posseggono queste caratteristiche e che riscuotono un successo decisamente inferiore al mio. Io mi considero un buon autore ma non certo un grande, e il mio attuale successo è strettamente legato agli sforzi della casa editrice e del suo potenziale di vendita almeno quanto alla mia abilità di scrittore. Questa osservazione non nasce da una falsa modestia, ma si basa su un mio ardente desiderio di conoscenza della verità, qualunque essa sia. Molti sostengono che io sia ossessionato dalla realtà, e credo che quest'ossessione si manifesti in una viva curiosità per tutto ciò che esiste o cessa di esistere, in un forte desiderio di integrità e di dispiacere per la sua assenza, e in un'attitudine testarda nell'accertare i fatti e nel renderli noti. Questo atteggiamento mi ha procurato un sacco di guai nel passato, ma ora sta pagando, in quanto sto lentamente avvicinandomi alla comprensione della natura della verità finale, e questo è di grande aiuto. Naturalmente devo ancora percorrere parecchia strada prima di assimilare a fondo questo concetto, ma fra un millennio o due potrei trovarmi a buon punto. In ogni caso, sospetto che questo particolare elemento della mia narrazione consista nel tocco personale. Seguire le regole standard di trama, caratterizzazione e stile non mi ha mai soddisfatto, anche se si tratta di ottime
regole; io voglio che le mie storie siano vive. E quando ci riesco, la storia per me vive realmente, e spero che avvenga altrettanto anche per i miei lettori. Sento veramente ciò che i miei personaggi sentono, e posso letteralmente mettermi a piangere quando questi si fanno del male. Inoltre soffro i dolori del parto quando finisco un romanzo, poiché anche se le parole rimangono, io non ci sono più dentro. Non fa più parte di un aspetto costante della mia vita, ma viene invece a far parte del mio curriculum, di ciò che ho fatto. I suoi fili sono stati tagliati, e devo procedere alla filatura e alla misurazione del prossimo romanzo. Ma finché ci lavoro, ne sono coinvolto in maniera completa. A volte mi capita di sognare i miei personaggi. Amo Niobe, amo Cedric, amo Luna e Orb; vivono nella mia mente allo stesso modo in cui vivono le persone vere. Trovate che sia sciocco preoccuparsi per gente che non esiste? Allora lasciatemi con la mia sciocchezza! In questo mondo c'è troppa insensibilità e troppo isolamento; una persona non dovrebbe vergognarsi perché si preoccupa per un'altra, anche se si tratta solo di una costruzione immaginaria. Devo anzi aggiungere che in molti casi preferisco l'immaginazione alla realtà, e vi spiegherò il perché. Solo che ciò implica un certo disagio per parecchia gente, compreso qualche autore. Io sono una persona particolarmente introspettiva ed espressiva rispetto alla media, quindi divento molto personale in queste note. Soffrite con me. Sono nato a Oxford, in Inghilterra, dove si sono laureati entrambi i miei genitori. La nostra era una famiglia di Quakers, e mio padre lavorava per il British Friends Service Comittee in Spagna, dove supervisionava un programma di assistenza durante la Guerra Civile di Spagna. Per quello che ho capito, si trattava soprattutto di dare da mangiare a bambini affamati, i quali subivano il lato peggiore della guerra in corso. I generali amano parlare di conquiste territoriali e di riduzione della capacità di fuoco avversaria, ma per i bambini che vivono in quel territorio la vita è veramente dura; le loro case vengono distrutte, le loro famiglie massacrate, e il loro cibo scompare. Questo è il vero significato della guerra, una volta che i generali hanno giocato la loro partita e proseguono per nuove sfide. Avrò parecchio da dire a proposito della sofferenza di gente innocente nel mio prossimo romanzo di questa serie, Wielding a Red Sword; troppo spesso avviene che il colore rosso sia dato in gran parte dal sangue dei bambini. In Spagna la guerra durò dal 1936 al 1939 e preannunciò la Seconda Guerra Mondiale. Il regime nazista la usò come una specie di terreno di prova per nuove armi, poi sfruttò quell'esperienza in un modo che rese
consapevole il resto del mondo. Molte persone vennero influenzate dalla Guerra di Spagna, compresi personaggi letterari quali Ernest Hemingway e George Orwell, o lo scrittore di fantascienza Ted Cogswell... o io stesso. Mio padre venne arrestato dal governo del vittorioso dittatore Francisco Franco e scomparve, così come va di moda adesso nell'America Latina. Solo che fu abbastanza fortunato da riuscire a mandar fuori una lettera per mia madre, che, armata di quella prova, riuscì a fare ammettere alle autorità che mio padre era loro prigioniero. Naturalmente prima l'avevano negato. La verità è la prima a morire durante la guerra e nel periodo che la segue. Infine acconsentirono a rilasciarlo, ma solo a condizione che lasciasse il Paese. In quel modo la dittatura non fu costretta ad ammettere di aver commesso un errore (le dittature non fanno mai errori) e poté anche mettere le mani sulle provviste di cibo intese per i bambini. Dubito fortemente che quel cibo sia giunto a qualche bambino. Così avvenne che ci trasferimmo in America. È più che possibile che senza quell'episodio mi troverei oggi a vivere in Spagna, magari tentando di scrivere romanzi fantasy in spagnolo. Al momento non ero consapevole di tutti questi dettagli, ma ne sentii ugualmente l'impatto. Non mi trovavo in Spagna durante la guerra; ero rimasto in Inghilterra con mia sorella, seguito dalle cure amorevoli di "Nana", una ragazza inglese assunta per questo specifico scopo, com'è abitudine da quelle parti da prima che venisse colonizzata l'America. Di conseguenza non c'è nulla di sorprendente nel fatto che i miei ricordi più antichi e più cari appartengano proprio a quella Nana, il cui vero nome non seppi mai. E anche ciò che ricordo potrebbe essere travisato; magari si trattava di "Nanny". Poi venne il momento in cui mia sorella ed io dovemmo trasferirci in Spagna. Appresi con grande sconforto che Nana, che io consideravo come una madre o equivalente tale, non sarebbe venuta con noi. Saremmo stati sotto la tutela di altri due personaggi che di fatto erano i miei genitori. Mi avevano risparmiato lo sconforto di una separazione da loro scomparendo molto presto, ma non avevano preso in considerazione lo sconforto di quella separazione. Ora non voglio gonfiare troppo questo episodio, ma la consapevolezza di quella separazione mi ha seguito per tutta la vita. Ciò si riflette in maniera evidente nella separazione di Niobe da suo figlio; i fatti della mia vita riescono ad estrapolarsi anche nelle mie opere, anche se in un modo che un critico non potrà mai comprendere. Sospetto che la stessa cosa sia vera anche per altri scrittori.
In Spagna mi adattai gradualmente alla cultura e alla lingua, e all'età di cinque anni iniziavo già ad esprimermi in andaluso. Mia sorella aveva un vestitino andaluso molto carino, tutto adorno di pizzi. Mi svegliavo al mattino e vedevo sulla parete della mia stanza le ombre delle palme che stormivano; per me questa visione era una specie di avventura, e mi divertivo a indovinare quale fronda sarebbe arrivata più in là spinta dal vento. E in Spagna vidi il mio primo film, I Tre Porcellini. I miei ricordi della Spagna sono molto più numerosi e nitidi rispetto a quelli inglesi, anche se questi ultimi mi sono molto più cari. Ma poi, improvvisamente, partimmo. Oh, fu una vera e propria avventura: ci recammo in Portogallo, a Lisbona (ricordo esattamente la camera d'albergo) per imbarcarci sulla nave Excalibur. No, per quel che ne so, quel nome non ha avuto nulla a che fare con il mio successivo interesse alla fantasy, anche se forse è stato un segnale. Capitò che il Duca di Windsor, l'ex Re Edoardo VIII d'Inghilterra, si trovasse su quella stessa nave, con la quale avrebbe raggiunto il Nuovo Mondo per diventare Governatore delle Bahamas; ricordo di aver visto quando scaricavano la sua auto al porto di Bermuda. I nazisti avevano organizzato un piano per rapirlo o convertirlo alla loro causa, ma il complotto fu scoperto e il Duca riuscì ad attraversare l'Atlantico senza problemi. Anche in questo caso però i miei ricordi di quel tempo sono più personali che storici. Avevo il mal di mare, e vomitavo tutto il giorno dal parapetto. L'Atlantico è inquinato ancora adesso. Compii sei anni in mare, il 6 agosto 1940. Lo chef non aveva zucchero per via della guerra, così mi presentarono una torta di segatura, artisticamente ricoperta da glassa e candeline. Fu una bella sorpresa quando la tagliai! Ci rimasi piuttosto male. E per ironia della sorte, oggi che mi posso permettere di comprare una torta vera, non la posso mangiare perché ho il diabete. Credo che le mie figlie mi invidino per questo; loro hanno avuto moltissime torte nella loro vita, ma mai di segatura. In quell'occasione mi regalarono un'armonica, che non ho mai smesso di suonare; sono tuttora convinto che il Duca apprezzasse la mia musica. Da allora ho sempre amato l'armonica; anche questa appare in alcuni miei racconti, soprattutto nella serie Adept. Quello fu il mio secondo sradicamento, anche se non l'ultimo, poiché la mia famiglia lentamente si frammentò e in seguito i miei genitori divorziarono. Un giardiniere vi dirà che i trapianti non fanno male, ma io ho i miei forti dubbi. Al momento non compresi esattamente il problema, ma in retrospettiva lo capisco bene. Non ho mai vissuto una situazione che mi desse una sicurezza continuativa; sia le persone che i luoghi che mi erano più
vicini cambiavano in continuazione. Di giorno me la cavavo abbastanza bene, ma di notte soffrivo di incubi. Spesso non dormivo affatto, e passavo la notte a fissare la debole lampadina che rappresentava la mia unica sicurezza contro i mostri della notte. Se dovessi personificare la presenza più vicina di quegli anni, direi che era la Paura; l'ho conosciuta meglio e più a lungo di quanto non possa immaginare la persona media. A un certo punto iniziai a fare la pipì a letto, e il disturbo persistette nonostante gli sforzi di chi cercava di farmi vergognare, di curarmi o di punirmi, finché non raggiunsi i dieci anni d'età. Ai viventi mancava quella forza che avevano invece i miei incubi. Mi ricordo quando in collegio, in prima elementare, uno dei ragazzi più grandi mi strappò di dosso l'asciugamano mostrando a tutti le mie nudità. Ebbene, non me ne importò nulla. Che cosa conta l'umiliazione quando si è già all'Inferno? La mia famiglia si trasferì di nuovo e poi un'altra volta, e io venni iscritto a cinque scuole differenti nei soli tre anni delle elementare. Imparai a lottare, perché era una cosa necessaria, ma non riuscivo a imparare a leggere e in matematica ero un disastro. Forse è proprio per questo che in seguito sono diventato istruttore di matematica nell'Esercito degli Stati Uniti e insegnante d'inglese nonché scrittore professionista nella vita civile. Nell'agonia di questa gioventù sviluppai alcuni tic nervosi alla testa e alle mani, e mi ritrovavo a contare invariabilmente qualsiasi cosa. Sospetto che i miei primi test mi indicassero come persona d'intelletto inferiore alla norma. Anche il mio sviluppo fisico rallentò, finché si arrestò del tutto. Ero il più basso della mia classe, maschi o femmine che gli altri fossero. Soffrivo quotidianamente di mal di stomaco, e una volta ogni due o tre mesi mi capitava un vero spaccabudella che mi inabilitava per tutta la giornata. Non ho mai provato dolori addominali peggiori fino all'età di quarantasette anni, quando mi tolsero un calcolo ai reni. La cosa che odiavo di più, a parte lo stare con la gente, che mi tormentava in continuazione dal punto di vista psicologico e fisico, era Io stare da solo. Ricordo che mi piaceva immaginare che fosse tutto un brutto sogno, e che prima o poi mi sarei risvegliato in Inghilterra, paradiso di felicità. Ma ciò non accadde mai, e col tempo mi abituai all'idea che mi trovavo in America e che ci sarei rimasto. Nel mio romanzo in tre volumi Tarot ho ripreso questa situazione, un giorno della vita di un bambino di otto anni. E letterale. Come appare evidente in quest'ultimo romanzo sul Fato, ho anche un
certo interesse per quanto riguarda l'Inferno. Un giorno, nella nostra casa del New England, mi trovai nel mio letto tutto sudato e tremante, con i piedi talmente freddi che sembravano bollenti, e lì decisi che se l'Inferno era un posto caldo non avevo nessuna paura di andarci. Comunque, non è il caso di entrare troppo nei dettagli, anche se avrei parecchie altre cose da raccontare. Credo di aver fornito un'immagine sufficiente a far capire che la mia infanzia non fu esattamente quel che si dice perfetta, e che apparentemente il regno dell'immaginazione aveva da offrirmi molto più di quanto non mi offrisse la vita vera. Credo che questa sia stata la radice della mia successiva passione per la scrittura. Com'era bello organizzare quei mondi immaginari per far sì che venissero incontro ai miei bisogni in maniera più completa! Entrare in confidenza con i mostri che mi avevano tormentato fino ad allora e scoprire la gioia ad essi legata! Mentre lavoravo su questo romanzo, mi è capitato di sentire alla radio una canzone popolare nella quale c'è una frase che dice: "Il mio sogno è vero, è la realtà che è sbagliata." Oh, sì! Infine scoprii la lettura, e passai con un balzo dal completo disinteresse al coinvolgimento totale con il mondo della carta stampata. Mi ritrovai improvvisamente immerso in The Cloister and the Hearth, di Charles Reade, un romanzo sul Medio Evo di circa trecentomila parole riscritto nel 1869. Mi ci vollero dei mesi per finirlo, ma lessi fedelmente ogni singola parola, vivendola fino in fondo, e fui molto dispiaciuto quando terminò. In seguito iniziai a leggere fantasy e fantascienza, e lì trovai mondi interi d'abbondanza nei quali tuffarmi. Leggevo lentamente ma con grande attenzione (ancora oggi sono un lettore piuttosto lento) e cancellai dalla mia visuale tutto il mondo che mi circondava per dedicarmi completamente all'universo che percepivo attraverso la finestra delle pagine stampate, il che a volte scocciava parecchio le altre persone, che mi trovavano intrattabile. Ma io avevo bisogno di quell'universo; da un certo punto di vista gli devo la mia salute mentale, poiché mi ha aiutato a sopravvivere ai rigori del mondo vero. Non avevo nessun luogo emotivo sufficientemente solido per affrontare la realtà, e sotto questo profilo il genere fantastico mi diede un'ancora alla quale attaccarmi. Quindi forse è stato inevitabile che diventassi una creatura di quel genere, quale sono oggi. Piers Anthony rappresenta la mia forza; è solo uno pseudonimo, ma ora la mia realtà si associa più a quel nome che non alla mia identità anagrafica e sociale. Sono sempre stato una nonentità per quanto riguarda la vita mondana, e lo sono tuttora, ma nella fantasy sono una figura di una certa importanza.
Sarà per pura ironia, ma da quando ero un adolescente la mia sfera sociale è stata in continuo miglioramento, e oggi conduco una buona vita sotto tutti i punti di vista. Sono sposato da oltre un quarto di secolo, ho due figlie intelligenti e in ottima salute, e la mia esistenza è piuttosto piacevole. Naturalmente molto di tutto ciò dipende dal mio successo nella fantasy, e dal denaro mondano che ricevo in cambio dei miei sforzi fantastici. Ma anche il corso di una vita in costante miglioramento non è necessariamente senza intoppi. Ho spiegato dove si fonda la mia esigenza di scrivere, anche se naturalmente sono d'aiuto una certa intelligenza, creatività, perseveranza e fortuna, e questi ultimi fattori mi hanno senz'altro aiutato. Ma sento che un grande apporto alla mia carriera mi venne dato dalla zampa della scimmia. The Monkey's Paw è un racconto abbastanza famoso di W. W. Jacobs, nel quale a una coppia viene promessa la realizzazione di tre desideri sulla zampa di una scimmia. Solo che ogni desiderio viene esaudito in un modo che lo rende orribile. In pratica questa coppia esprime il desiderio di diventare ricca, e ciò si realizza attraverso l'uccisione del loro figlio. Allora desiderano di farlo tornare in vita, e lui resuscita. Infine desiderano che muoia di nuovo, e rimangono con nulla. Bene, il mondo mi ha dato una moglie, ma io volevo di più. Volevo diventare uno scrittore di successo. Era un'ambizione pretenziosa, in quanto solo una persona su cento che si adoperi in questo senso riesce a far pubblicare i propri sforzi. Ma ci provai in continuazione per otto anni. Il nostro primo figlio nacque morto dopo soli quattro mesi di gravidanza, e oltre a causarmi un grave lutto personale, questo fatto cancellò la mia esenzione dal servizio di leva. Così mi trovai, dopo meno di un anno di matrimonio, nell'Esercito degli Stati Uniti. Il nostro secondo figlio nacque morto dopo cinque mesi di gestazione proprio quando avevo appena rifiutato di iscrivermi al Programma degli U.S. Saving Bonds (ricordo che davano solo il 2,5 per cento d'interesse) e di conseguenza persi il mio ruolo di istruttore e fui assegnato a strappare erbacce e ad altri compiti simili. Inoltre persi ogni possibilità di promozione a un grado superiore a quello di soldato semplice. In quel periodo venni anche naturalizzato cittadino americano; nella cerimonia finale in tribunale c'eravamo io e quarantanove mogli dell'esercito. La notizia finì sui telegiornali locali dell'Oklahoma, poiché non era affatto comune vedere un soldato semplice in uniforme che viene naturalizzato cittadino americano. In quell'epoca accettarono anche il mio primo racconto di fantascienza, ma la rivista, che era diretta da Damon
Knight, fallì prima che venissi pagato e che il mio racconto venisse pubblicato, e quindi rimasi tagliato fuori. Tornai alla vita civile. Il nostro terzo figlio nacque prematuro dopo sei mesi di gravidanza, visse un'ora e morì lo stesso giorno in cui persi il mio ottimo lavoro in una ditta di elettronica e il dottore mi disse che il misterioso stato di affaticamento del quale soffrivo era una questione totalmente psicologica. Eravamo nel maggio del 1962, e ancora una volta la vita mondana non significava nulla per me. A quanto pareva non avremo mai avuto un figlio nostro, la mia capacità di guadagnare da vivere sembrava essersi annullata, e cominciavo ad avere serie preoccupazioni sul mio stato di salute, in quanto ero convinto che la mia debilitazione fisica non era immaginaria. Solo dieci anni dopo mi diagnosticarono il diabete; nel frattempo avevo aggiunto alla mia assicurazione sulla vita una clausola riguardante le malattie mentali. Non è uno scherzo, e al momento non era neanche divertente. Una compagnia di assicurazioni cercò di raddoppiarmi quasi il premio in seguito a questa clausola, e avendo lavorato in precedenza per una compagnia assicurativa sapevo che si trattava di una cosa quantomeno immorale, se non illegale. Così perdemmo tre figli, e ognuno comportò un cambiamento drammatico e generalmente negativo nella nostra vita di coppia. Ma da quel Giorno di Maggio iniziammo gradualmente a riorganizzarci. Mia moglie cominciò a lavorare, affinché potessimo sopravvivere mentre io facevo il mio primo vero sforzo per diventare uno scrittore. In pratica mi misi a scrivere a tempo pieno invece che farlo come secondo lavoro. E infatti, proprio quell'anno riuscii a far pubblicare i miei primi due racconti. Finalmente ero sulla strada giusta, ma credo che non ne avrei mai avuto la possibilità se anche uno solo di quei tre bambini fosse sopravvissuto. Era la famosa zampa della scimmia; mia moglie passava tutto il suo tempo al lavoro e avevamo ridotto le spese al minimo; con un figlio la situazione sarebbe stata ben diversa. Pur sapendo questo, se avessi avuto la seppur minima possibilità di salvarli tutti e tre l'avrei fatto senza pensarci due volte. Non avrei mai sacrificato i miei figli, anche se mi rendo conto che è stato grazie alla loro perdita che sono riuscito a realizzare la mia ambizione. Così, per le strane e a volte dolorose macchinazioni del Fato, divenni uno scrittore. Lo Scopo era stato finalmente coaudivato dall'opportunità. Anche questo genere di cose si riflette in questo romanzo. Ero diventato uno scrittore. Ma anche allora, la mia strada non fu priva di sorprese e di problemi. Mi resi subito conto che non potevo guadagnar-
mi da vivere solo grazie ai racconti; le tariffe erano troppo basse e gli editori troppo inaffidabili. Così passai al romanzo, e per me fu una vera lotta, poiché all'epoca la misura ideale delle mie storie era quella del racconto breve. Solo quando ebbi venduto il mio quinto romanzo, Macroscope (che in effetti era il nono che scrivevo e che era stato rifiutato da cinque case editrici, in quanto anche quegli editori erano abbastanza inaffidabili e capricciosi) iniziai a sentirmi a mio agio con il romanzo lungo. In seguito imparai ad apprezzarlo maggiormente, e abbandonai del tutto i racconti; fino ad oggi ho pubblicato più romanzi che racconti, il che è abbastanza insolito per uno scrittore di racconti brevi. Ma poi ebbi dei guai nel Parnaso. Un editore stava ricevendo i diritti sussidiari di un mio libro senza comunicarmelo nei suoi rapporti e senza pagarmi la mia parte. Inoltrai le mie lamentele in una lettera privata... e venni messo in fondo alla lista degli autori da pubblicare. Protestai, sempre privatamente, con un'associazione di scrittori, la quale passò la mia lettera alla casa editrice in questione e mi comunicò che mi ero comportato in maniera avventata e che potevo essere accusato di diffamazione. Seguirono altre complicazioni, ma alla fine mi rivolsi a un avvocato, ottenni la maggior parte del mio denaro, persi i contatti con diverse case editrici e abbandonai con disgusto quell'associazione che evidentemente lavorava basandosi sull'inganno. Avevo tutti i diritti di protestare in quel caso, e non tollero simili disonestà. In seguito la mia carriera di scrittore vide una netta curva discendente; il mio successo divenne decisamente inferiore a quello di altri scrittori che avevano iniziato assieme a me, ammassai un totale di otto romanzi non pubblicati, e il mio nome venne depennato da tutte le liste di concorsi o premi letterari. Parnaso non è più gentile dell'esercito degli Stati Uniti per coloro che vogliono far valere i loro diritti, e Satana se la ride. Ma non avevo perso tutti i miei contatti. Riuscii a sopravvivere, anche se le mie entrate come autore non erano certo granché. Mia moglie continuò a lavorare. Poi un altro scrittore mi mostrò come vendere romanzi presentandomi la scaletta, invece che scriverli completamente. Questo significava che invece di vendere parte di ciò che scrivevo, scrivevo solo ciò che vendevo. Questa piccola concessione a livello di marketing fece triplicare le mie entrate. Nel frattempo gli editori cambiavano in continuazione, le case editrici si compravano a vicenda, e coloro che mi avevano scavalcato nelle famose liste di priorità passarono ad altre case. Il mercato si riaprì. Non posso dire che questo avvenne perché il sistema aveva cambiato idea sul
mio conto; Parnaso, come i dittatori, non ammette errori. Credo sia dipeso soprattutto dal fatto che non mi ero mai arreso e che ormai avevo un agente che mi aiutava a combattere quella guerra. Per un editore è più difficile mettere in fondo alla lista un agente, in quanto quest'ultimo di solito rappresenta un certo numero di scrittori, alcuni dei quali possono essere abbastanza importanti da avere una certa influenza. Il mio potere era aumentato. Due editori con i quali avevo lavorato nel campo dei racconti, Lester e Judy-Lynn Del Rey, passarono ai romanzi. Erano sempre interessati alle mie opere, ma c'era un problema. In quel periodo stavo scrivendo fantascienza per la Avon, che mi aveva sempre trattato bene e aveva un'opzione su di me. Vale a dire che avevano i diritti sulla mia successiva opera di quel genere. Così mi dedicai a un altro genere, uno con il quale avevo avuto ben poco successo in precedenza: la fantasy. Era una mossa puramente tattica, con la quale speravo di approfittare di un nuovo mercato. La Avon fu abbastanza generosa da concedermi tanto, con la clausola che se la Del Rey (che a quei tempi non si chiamava ancora così, ma questo non ha importanza) non avesse gradito la mia fantasy, la Avon sarebbe stata la prima a visionare il materiale. Ma a Lester la mia fantasy piacque, quindi scrissi A Spell for Chamaleon. Non era un romanzo perfetto, né come scaletta né come manoscritto completo, ma ebbi la fortuna di incontrare in Lester un editore che sapeva quel che faceva. Sfortunatamente ciò avviene molto di rado, nel Parnaso. Corressi il romanzo seguendo i suoi consigli, e lui lo pubblicò. Inoltre ebbi la fortuna di incontrare in Judy-Lynn un'amministratrice che sapeva anche lei quel che faceva, cosa altrettanto rara nel campo, e la sua competenza si dimostrò nel genere di presentazione, promozione e distribuzione che riservò il romanzo. Grazie a questo il libro vendette in maniera magica, e vinse addirittura il premio August Derleth Fantasy Award in Inghilterra, dove evidentemente non si era ancora sparsa la voce della mia pessima reputazione. Una delle maggiori riviste americane del genere soffrì di un attacco di amnesia e si dimenticò di pubblicare la lista dei vincitori del premio August Delreth di quell'anno, e così naturalmente A Speli for Chamaleon non vinse alcun premio letterario americano. Ma alla fine risultò uno dei miei romanzi più venduti, e la serie Xanth che cominciò con quel libro ha moltissimi affezionati. Fu in questo modo che scoprii che mi piaceva la fantasy; intendiamoci, come lettore mi era sempre piaciuta, ma non avevo mai preso in conside-
razione l'idea di scriverla. Scoprii invece che era facile e divertente anche da scrivere, e che piaceva pure ai lettori. La fantasy si stava aprendo al grande mercato proprio in quel periodo, grazie soprattutto alla Del Rey, e io mi ci infilai al momento giusto per salire fino alla cresta dell'onda, anche se la cosa non dipese da alcuna particolare strategia o tempismo da parte mia. Fu il caso che mi portò a questo, o se preferite, il Fato. Naturalmente, una volta dentro, fui abbastanza accorto da riuscire a mettere a frutto la situazione. Così iniziò la mia carriera di scrittore serio di fantasy, imboccando una strada indiretta e apparentemente casuale. Le mie entrate triplicarono di nuovo, e poi ancora. Ora ho una carriera in questo campo che non mi sarei mai sognato di avere come scrittore; la realtà ha superato l'immaginazione. Dopo una serie ne seguì un'altra, ed è più o meno in questo modo che sono arrivato a scrivere il romanzo che avete appena letto. Probabilmente io avrei scelto un'altra strada per arrivarci, ma l'importante è che ci sia arrivato. E a coloro che mi dicono che vorrebbero essere come me e scrivere la fantasy come la scrivo io, dico: ma ne siete sicuri? Se lo siete, andatevi a prendere la vostra zampa di scimmia. La realtà s'ingarbuglia sempre nei miei racconti fantastici, che io lo voglia o no. Avevo preso parecchi appunti per illustrare alcuni esempi minori di questo fatto per questo romanzo specifico, ma temo che alla fine sarebbero troppo noiosi e quindi entrerò nei particolari di un solo caso. Nei miei romanzi ci sono diversi temi fondamentali che ricorrono in continuazione e che i critici non sembrano in grado di percepire, quali il valore dell'integrità o il mio sforzo di unire la città (fantascienza) con la campagna (fantasy). Questi temi nascono da concetti personali molto complessi che potrei spiegare in un'altra occasione; nel mio cervello passano molte altre cose oltre all'intrattenimento, sebbene sia convinto che la chiarezza e l'intrattenimento siano elementi fondamentali per il racconto fantastico. Normalmente scrivo su più di un livello. Il livello superiore è come la mente cosciente, alla quale interessano le esigenze fondamentali e immediate; il lettore può leggiucchiare tranquillamente senza sforzarsi troppo. Il livello inferiore invece entra nel simbolismo, nelle sensazioni, nel significato e nel tema; mette in luce la mia visione del mondo, per coloro a cui può interessare. Per quel che ne so io, nessun critico ha mai percepito questo livello della mia prosa, anche se molti lettori sembrano afferrarlo, e naturalmente è per loro che io scrivo. Uno dei miei temi principali ha a che fare con la musica. Credo che l'uomo si distingua dall'animale fondamentalmente per la sua arte, e un a-
spetto di quell'arte è proprio la musica. Io credo nel potere della musica, e credo nel potere della parola. Nei punti critici dei miei romanzi troverete sempre la musica, a partire dal primo che ho pubblicato, Chthon, nel quale si racconta di una canzone rotta e dello sforzo dei personaggi per ricostruirla, per passare poi a Macroscope, dove la musica è la chiave del mistero dell'universo, fino alla mia serie Fantasy, compreso questo stesso romanzo. Il cuore del mio sentimento è nel canto. Cerco sempre di dare il nome della particolare canzone che ho in mente, poiché voglio che anche il lettore senta la musica e che condivida la mia esperienza. L'avete visto in Sul Destriero Immortale, nella scena dell'inno, e ce n'è un accenno anche in Bearing an Hourglass, quando Orlene si suicida davanti al suo pianoforte. (Avete notato che i capelli color del miele di Orlene erano uguali a quelli di Niobe? Credete veramente che si sia trattata di una coincidenza?) Lo vedrete in Red Sword, quando un balbuziente impara a cantare, ed enfaticamente anche in Green Mother, quando Gaea canta con Satana... e si innamora. E naturalmente lo vedete anche qui. La canzone che inizia questo romanzo non viene identificata nel testo. Si tratta di The Bonnie Boy, e la versione che ho io è cantata dall'irlandese Mary O'Hara. Racconta più o meno questi primi tre capitoli, ovvero la storia romantica di una giovane donna e di un bel ragazzino, con tanto di finale tragico. Naturalmente io l'ho un po' corretta, ma se vi è piaciuta la storia, magari vi piacerà anche la canzone. Non so se il disco sia ancora reperibile in commercio; si tratta di Songs of Erin, etichetta London. L'ho comprato a New York nel 1959. Anche la Canzone del Pastore, nelle sue tante varianti e con i suoi vari titoli, ha la sua storia: "Vieni a stare con me, diventa il mio amore..." In The Complete Angler di Izaak Walton, che risale al 1653, vengono presentate due canzoni, e sono appunto le due citate qui. In effetti, la prima ebbe origine con Christopher Marlowe nel sedicesimo secolo. Come poesie non sembrano granché, ma con la musica sono tutt'altra cosa. Penso che ben raramente una canzone d'amore abbia avuto un fascino più durevole e un ritornello più orecchiabile. Un'altra canzone, The Wetlands Waltz, ha una storia più recente. Ho un certo interesse per la natura, soprattutto per quanto riguarda gli ambienti selvaggi, e credo che questo venga fuori nelle mie opere. Ebbene, in questo caso i due interessi si sono evoluti in parallelo. Un paio d'anni fa una delle assistenti del campeggio forestale estivo nel quale si recava regolarmente mia figlia Penny venne a casa nostra per salutarci e per conoscere il
cavallo di Penny, Blue, che a sua volta appare in diversi dei miei romanzi. L'assistente si chiama Jill Jarobe, e quest'inverno ha mandato a Penny un nastro registrato, intitolato Songs front the Water World. A quanto pare Jill Jarobe ha formato un gruppo con quattro ragazzi del campeggio estivo, e assieme hanno prodotto una serie di canzoni che celebrano la natura. Si tratta di un gruppo misto sotto il profilo razziale; Jill Jarobe è bianca, mentre Mike Carey, Mike Kinsey, Shaun Martinez e Andrew Rock sono neri. Io sono a favore dell'integrazione razziale, come forse si capisce da questo romanzo. Non è comunque un gruppo che mira al grande mercato; credo che si tratti semplicemente di un tentativo per rendere popolare l'ottima causa della consapevolezza ecologica. Penny praticamente m'infilò di forza le cuffie un mattino che stavo facendo colazione leggendo il giornale, e fu così che la sentii la prima volta. Rimasi colpito. Erano belle canzoni, anche se non nel genere "Top Forty" commerciale, ma piuttosto piacevoli e molto gratificanti per una persona che ama la natura come l'amo io. Così ho chiesto il permesso di citarne una in questo romanzo. Chiunque fosse interessato a ottenere la cassetta originale, scriva a Jill Jarobe. Il mio riferimento al Wetlands Waltz è in realtà anacronistico in quanto la canzone non esisteva ancora nel 1915, periodo nel quale si svolge quel particolare episodio, ma naturalmente Chronos potrebbe averla sentita e riportata indietro. Dopotutto, siamo nel campo della fantasy, e quindi gli anacronismi non ci interessano più di tanto. Nel frattempo, mentre lavoravo alle diverse fasi del romanzo, il Fato infilò il suo dito nel piccolo vortice quotidiano della mia esistenza in diversi modi. In fondo la vita va avanti, e la mia in particolare è sempre costellata di esempi dei miei interessi e della mia testardaggine. Comprai un'altra cassetta di Songs from the Water World e la spedii a un'organizzazione ambientalista della quale sono socio a vita, suggerendo che ne pubblicassero un commento nella loro rivista a tiratura nazionale per farla conoscere ad altri soci ai quali poteva interessare un approccio positivo alla consapevolezza ecologica. Non mi hanno mai risposto. Se avessi gettato la cassetta nel Vuoto, sarebbe stata la stessa cosa. In seguito mi hanno mandato tre diversi bollettini di versamento in bianco per chiedermi un contributo in denaro. Ma data la risposta alla mia lettera, mi venne in mente la Regola d'Oro e risposi nello stesso modo. Ho comperato alcuni di quegli apparecchi a ultrasuoni antinsetti che sono tanto pubblicizzati ovunque, in quanto non mi piace far del male agli
insetti se non mi stanno effettivamente mordendo e allo stesso tempo non amo gli scarafaggi nel mio cibo o le pulci sui miei cani. Bene, alla fine ho dovuto combattere una battaglia durata mesi per farmi restituire i soldi, con tanto di appuntamento dall'avvocato e una dura lettera all'ufficio locale della difesa del consumatore in quanto gli apparecchi in questione non funzionavano affatto. Ho persino scritto a un giornale che si occupa proprio di queste cose, ponendo una domanda precisa: esiste una prova oggettiva dell'efficacia di questi apparecchi? Finora, non ne è venuta fuori alcuna. Il nostro cane Basenji, che abbiamo adottato undici anni fa dopo che era stato investito da un'auto e il padrone non era venuto né a reclamarlo né a pagare il conto del veterinario che gli aveva riaggiustato una zampa con il fil di ferro, è morto di vecchiaia nel giro di un quarto d'ora proprio nel momento in cui ricevevo per posta il manifesto rigido per Dragon on a Pedestal usato alla Convention dell'American Booksellers Association a Dallas; una sfortunata coincidenza. Ora quel poster adorna la parete proprio in quel punto nefasto. Non era il mio cane preferito, ma devo dire che la morte mi disturba in un modo che gli altri non sembrano comprendere. So che un giorno sarò costretto ad affrontare la morte di qualcuno che per me conta molto di più del mio cane, e non so proprio come farò. Un giorno sono uscito per la mia solita corsa di tre miglia, e sono tornato a un diverso indirizzo; l'Orifizio Postale si era inghiottito la nostra fantascientifica "Star Route" trasformandola in "Pineleaf Lane", mandandoci completamente in tilt in quanto, ricevendo fino a quattro chili di posta al giorno, abbiamo dovuto immediatamente notificare a tutti il cambiamento di indirizzo. La notifica dell'ufficio postale ci è pervenuta nel marzo dell'84, e diceva di avvertire tutti i nostri corrispondenti entro il dicembre dell'83. L'ufficio postale si aspetta parecchio, anche da uno scrittore di fantasy anacronistica. Passai poi alla seconda stesura di questo romanzo, e battei un mio precedente record, arrivando alla bellezza di 65.000 parole in cinque giorni nonostante l'improvviso freddo artico che mi costrinse a imbaccucarmi nella mia coperta mentre picchiavo con fatica sulla mia macchina per scrivere manuale. Pare che esistano due soli scrittori di questo genere che scrivono ancora senza computer, e io sono uno dei due. Credo che l'altro sia Harlan Ellison. Purtroppo però le Olympia manuali non le fanno più, e questa ha dieci anni e dieci milioni di parole alle spalle, quindi forse sarò presto costretto a lanciarmi anch'io nell'era dei computer, procurandomi un
apparecchio su misura che mi permetta di mantenere la mia tastiera speciale. Dicono che il word processing sia una vera e propria manna per gli scrittori, eppure non conosco nessuno che con questi apparecchi scriva più di quanto non scriva io con una matita e una macchina per scrivere all'antica. La tecnologia non basta a sostituire una buona immaginazione e una tastiera Dvorak. Comunque, dopo quei cinque giorni ho dovuto fare una pausa di tre per rispondere a una quarantina di lettere. La stessa cosa accadde un mese dopo, negli ultimi cinque giorni della battitura finale; in una sola giornata la posta mi recapitò esattamente quarantasette oggetti, da pacchetti a libri a lettere di ammiratori, compresa quella di uno scrittore di belle speranze che mi chiedeva se ero disposto a leggere il suo romanzo di 800 pagine e a dargli un consiglio su come pubblicarlo, un'altra di una casa editrice che mi chiedeva un commento favorevole su un romanzo accluso, e un'ultima di un'altra casa editrice che mi mandava alcune copie di un romanzo che avevo già letto e recensito nel dicembre precedente. È piuttosto strano vedere il proprio nome sulla copertina del romanzo di qualcun altro; peccato che non si fossero preoccupati di correggere gli errori che avevo segnato. Forse ho già fatto notare l'ironia del fatto che, quando avevo il tempo di leggermi qualsiasi libro di fantasy, non avevo i soldi per comprarmeli; ora che invece me lo potrei permettere, mi manca il tempo di leggere persino ciò che mi viene spedito gratuitamente. Immagino che la questione si sia evoluta in parallelo con quella della torta e del diabete. Poi c'era anche una lettera di una bambina di otto anni, la stessa età di Xanth; finora si tratta della mia ammiratrice più giovane. A quella ho risposto immediatamente; in fondo anch'io ho avuto otto anni, una volta. In quanto alle altre ventinove lettere di ammiratori ricevute quel giorno, ci penserò quando avrò finito questa "Nota" e i compendi dei due romanzi finali di questa serie. Spingendo troppo nei miei esercizi di ginnastica mi sono pizzicato il nervo della schiena tre volte di fila, e ho dovuto fare una pausa di dieci giorni aspettando che il dolore della sciatica si placasse; ora sto facendo un po' meno esercizi, e questa è una svolta significativa per me. Ad ogni mio compleanno annoto gli esercizi che faccio, e al mio quarantanovesimo ho battuto tutti i miei precedenti record. Credo però che al cinquantesimo non ne batterò nessuno. Ormai ho trascorso due terzi della mia vita, e mentre scrivevo questo romanzo la marea è cambiata. Sapete, questo potrebbe risultare il cinquantesimo romanzo che pubblico. La sua stesura è stata interrotta diverse volte dal mio agente, che sta
organizzando la pubblicazione di otto dei miei vecchi lavori in un'edizione unica. Gli ammiratori che mi tormentano chiedendo dei miei romanzi inediti saranno presto accontentati. Durante questo periodo di sciatica (si tratta di un dolore lancinante alla gamba, anche se questa non ha nulla; il problema è alla spina dorsale, ma il corpo crede che sia la gamba) diedi un'occhiata al commento che avevo scritto l'anno prima sulla serie Dorsai di Gordon Dickson, e notai in particolare il mio riferimento a "Eileen". Improvvisamente mi venne un dolore al cervello che per diversi giorni mi afflisse più di quello alla gamba. Nel romanzo di Dickson Soldier, Ask Not, c'è la scena della morte di un giovane che viene mandato a combattere una guerra che non capisce su un lontano pianeta. Prima di morire, il ragazzo fa a tempo a pronunciare il nome di sua moglie, Eileen, come se sperasse che la donna corra da lui a togliergli il dolore. La cosa mi ha scosso parecchio; mi commuovo moltissimo per coloro che vengono strappati a ciò che amano e conoscono, e che ostinatamente sperano in un ritorno impossibile. Ma proseguiamo; abbiamo comperato un videoregistratore, con grande gioia delle mie figlie che hanno molto più tempo di me per guardare la televisione. Ora guardano delle cose veramente bizzarre, alcune delle quali non sono adatte a padri di ragazze adolescenti. Sospiro. Abbiamo anche comprato un telefono senza fili, così non devo più correre in casa dallo studio per rispondere dopo l'ultimo squillo, il che semplifica parecchio la mia vita. E Penny è finalmente riuscita a passare l'esame per la patente. Meno male! Una in meno. La mia seconda figlia, Cheryl, si è classificata seconda nella presentazione verbale del suo studio sulla conservazione del suolo e dell'acqua. L'argomento si adattava perfettamente a questo romanzo, e devo ammettere che l'ho aiutata parecchio in quel lavoro. Sospetto infatti che meritasse il primo posto ma che i giudici fossero dei maschilisti occulti. Naturalmente questa mia opinione potrebbe non essere completamente obiettiva. Ho visto un triangolo di stelle piuttosto luminoso nel cielo del mattino, quindi ho spulciato alcuni volumi d'astrologia e ho scoperto che era la costellazione della Bilancia. Sì, proprio in quei giorni stavo scrivendo la scena della pesa dei diavoli. Fra l'altro la Libra è il segno zodiacale di Penny. Forse perché legge parecchio; sapete, Libra, libro... - Sono finalmente riuscito a tirare fuori una strofa di una splendida e misteriosa melodia che avevo sentito per anni solo a piccoli frammenti; credo che si intitoli Twin Sons of Different Mothers. Anche questo ha a che fare con il romanzo che
avete appena letto, con due ragazze virtualmente identiche, figlie di due madri diverse. Io ricerco melodie allo stesso modo in cui ricerco idee per le mie storie, e sono tormentato da quei motivi che scompaiono lasciandomi a bocca asciutta dopo aver disseminato nell'aria poche note seducenti. Ho anche proseguito la mia ricerca per la racchetta da ping pong perfetta, e credo di averla trovata. È di grafite, molto leggera ed elastica, e da un lato c'è una superficie con lunghi punti in rilievo grazie ai quali si riesce a contrastare l'effetto della pallina avversaria, mettendo nei pasticci lui anziché me. Fantastica! L'ho usata a Tampa per difendere l'onore della fantasy alla mia prima Convention di fantascienza, NECRONOMI-CON, nell'Ottobre dell' '83, mese in cui vennero pubblicati tre miei romanzi. Naturalmente ho portato con me le mie figlie, che si sono divertite moltissimo, e ora sono pazze per le Con. C'era anche una mia corrispondente, ma quando si è presentata non sono riuscito a fare il debito collegamento mentale. Ho sempre desiderato avere una memoria migliore per i nomi! Ho ricevuto una telefonata da Bowker, editore di Fiction 1876-1983, in risposta a una mia secca nota nella quale contestavo il modo in cui avevano elencato i miei romanzi (mettendone alcuni sotto Anthony e altri sotto Piers, trascurando il mio primo bestseller apparso nella lista del New York Times, Ogre, Ogre e ripetendo il mio nome anagrafico ben nove volte di fila) e consigliavo loro di assumere un correttore di bozze, visto che il volume costa ben cento dollari e dovrebbe essere una rassegna completa. L'editore si è scusato, ma non si è pronunciato riguardo al correttore di bozze. È arrivata un'altra telefonata da un mio ammiratore del Colorado; voleva farmi visita, era in giro con un gruppo scolastico di circa venti persone e voleva un consiglio su dove potevano stare senza spendere troppo. Mia moglie ha fatto un po' di telefonate in giro e alla fine è riuscita a organizzargli un campeggio gratuito nel parco locale. Siamo andati a parlare con i responsabili del parco per dimostrare che avevamo il permesso di campeggio, e alla fine il gruppo ha cambiato idea e si è recato da un'altra parte. Ciò nonostante l'ammiratore del Colorado è venuto a trovarmi, e abbiamo chiacchierato per un paio d'ore. In seguito mi ha scritto che è stato il momento più bello della sua vita. È stato molto generoso; sono una persona dal carattere piuttosto ordinario, e non valgo veramente un simile sforzo. Mia moglie ha individuato una svendita di ottime librerie, e quindi ora
stiamo per smantellare i vecchi scaffali cadenti per mettere su quelli nuovi e bellissimi. Finalmente le copie d'inventario dei miei libri avranno un degno trattamento! Tengo una copia d'inventario di ogni edizione di tutti i libri che ho pubblicato; edizioni di lusso, economiche, inglesi, tradotte in tedesco, francese, giapponese, eccetera; al momento sono circa centocinquanta volumi, e l'incremento sembra costante. In primavera sono arrivate le elezioni primarie, e sono stato costretto a vedere il miglior uomo in campo, l'ex governatore della Florida Ruben Askew, che mangiava la polvere nello New Hampshire. Ancora una volta il processo politico s'incammina inevitabilmente verso la mediocrità. E poi ho sentito di un recente sondaggio; il 96 per cento degli americani crede in Dio, e il 90 per cento di questi crede anche nel Paradiso e nell'Inferno. Giusto, credere in uno senza credere nell'altro è una forma d'ipocrisia. Però solo il 4 per cento crede che andrà all'Inferno. Ah, sì? Be', qualcuno avrà delle belle sorprese! Questa è la mia vita quotidiana, che si consuma a piccoli passi giorno dopo giorno. Avrete notato che se si toglie il fantastico, nella mia vita non rimangono molti interessi. Se vi siete addormentati negli ultimi paragrafi, vi posso capire. È venuto il momento di separarmi anche da questo romanzo, e lo faccio con una serie di emozioni miste e confuse. Da un lato sono soddisfatto, poiché credo che Skein sia un lavoro decente. Provo però una grande nostalgia per l'esperienza che mi sto lasciando alle spalle, e mi angustio se penso al suo futuro viaggio attraverso la gimcana del processo di pubblicazione fino all'interesse generale dei lettori. Provo anticipato sdegno per i commenti irriverenti di alcuni critici che dibatteranno sui meriti e i demeriti del romanzo e che sogghigneranno inevitabilmente nel leggere questa nota. Un recente sondaggio ha dimostrato che più il critico è ignorante, più le sue recensioni sono negative; qualsiasi scrittore professionista avrebbe potuto dirvi la stessa cosa già vent'anni or sono. Anzi, Alexander Pope ce lo diceva già due secoli e mezzo fa: "È difficile dire se la mancanza di abilità si trovi più nello scrittore o in colui che lo giudica male". Ma aveva la risposta: "Lasciamo che questi insegnino ad altri che già sanno, e che censurino liberamente coloro che hanno scritto bene". Sono anche preoccupato per il mare di lettere che potrebbe generare questa nota quando il romanzo verrà pubblicato in versione economica. Oh, sì, ricevo parecchia posta riguardante le mie note; a volte il lettore si concentra solo su quelle, e non mi parla neanche del libro stesso.
Una volta ho ricevuto una lettera da un ammiratore che aveva trovato un mio libro nella spazzatura, aveva letto solo la "Nota dell'Autore", mi aveva scritto una lettera come ammiratore, e poi, sospetto io, ha gettato nuovamente il libro nella spazzatura. Ma la nota gli era piaciuta veramente molto. Non si può certo dire che abbia fatto un cattivo acquisto. Cerco sempre di stare alla pari con la mia corrispondenza, ma dopo aver scritto settecentodue lettere l'anno scorso (sì, rimango sempre un maniaco dei conteggi) comincio a vedere la scrittura nelle ferite della mia testa che sbatte contro la parete, quindi sospetto che anche in questo campo, come in quello della ginnastica, la marea sia cambiata, e stia per abbassarsi. Fra l'altro non si tratta neanche di lettere semplici; devo cercare di dare risposte sensate a tutti quelli che mi chiedono come diventare scrittori di successo in quattro e quattr'otto (se l'avessi saputo mi sarei risparmiato otto anni della mia vita!) o che mi tormentano con liste di domande complessissime per le loro ricerche, o che tentano di convertirmi a Gesù (ho imparato a conoscere Gesù quando l'ho inserito come personaggio in Tarot, ma non credo che loro intendano la stessa cosa), o che contemplano il suicidio. Non è uno scherzo; là fuori ci sono un sacco di problemi molto reali, e io non mi sento in grado di risolverli. Tuttavia ci devo provare, perché questa gente vuole la mia opinione così com'è. Cerco sempre di ricordare a me stesso che è molto meglio avere dei rapporti con i propri lettori che essere emotivamente soli. Se il Fato è la trama della vita, il sentimento deve essere il suo reale contenuto. Essere conosciuti, essere amati, sentire che qualcuno ha bisogno di te... questo potrebbe essere il vero toccasana della nostra società. Vediamo gente che si dà all'alcool, a droghe che alterano la mente e lo stato d'animo, al gioco d'azzardo, al sesso casuale sia eterosessuale che omosessuale, alla violenza, ai culti e ai comportamenti autodistruttivi, e queste probabilmente non sono che delle sublimazioni del riconoscimento, dell'interazione, della sicurezza e dell'amore, ovvero ciò a cui anelano in realtà. Non è forse una terribile ironia il fatto che alcuni di noi siano costretti persino a darsi alla fantasy per afferrare un bagliore di quella compagnia che ci viene negata nell'esistenza sociale? E non possiamo neanche gridare "Eileen!" Noi soffriamo di ogni genere di comportamento coercitivo come futile reazione a fondamentali labilità emotive che non siamo in grado di comprendere. Mentre lavoravo a questo romanzo, una donna è stata violentata in massa su un tavolo da biliardo; ebbene, quando i colpevoli sono stati condan-
nati, le donne di quel paese hanno protestato in favore dei violentatori. Il sesso senza amore invade tutti i media. Bambini dell'asilo vengono molestati sessualmente dal personale dell'asilo stesso, e si dice che questo sia solo un piccolo esempio degli abusi incestuosi e non che al giorno d'oggi non sono rari ma normalissimi. Certamente c'è lo zampino di Satana. Tuttavia, al mondo c'è anche la gioia. Alcuni la trovano nella religione, e nella certezza che Dio li ama. Alcuni la trovano nei legami familiari. Io stesso sono riuscito a guadagnarmi un po' del Paradiso nella vita familiare, dopo essere emerso dall'Inferno della sua negazione, ma il segno è rimasto. Non mi piace viaggiare, poiché da bambino sapevo che i miei viaggi erano di sola andata, e non mi piace lasciare la mia famiglia, perché ricordo bene quanto può essere fragile l'esistenza. Alcuni dicono che come padre sono eccessivamente protettivo, ma ho deciso fin dall'inizio che i miei figli non avrebbero mai vissuto ciò che ho vissuto io, e dopo averne persi tre, so che la vita non è affatto garantita. Rifiuto la maggior parte degli inviti che mi vogliono come Ospite d'Onore alle varie Conventions, ma non tanto perché non mi piaccia la gente o perché abbia paura di apparire in pubblico (sono riuscito a vincere la paura da palcoscenico e il blocco dello scrittore tempo addietro, e mi trovo piuttosto a mio agio fra i miei ammiratori), ma semplicemente perché non c'è alcun posto che preferisco alla mia casa. Spero che dopo aver letto questa nota, coloro che sono delusi dal fatto che non appaia mai in pubblico capiscano che non si tratta di una posa. È uno dei modi in cui ho imparato ad affrontare la mia esistenza. Spero che ciò che scrivo aiuti altri ad imparare ad affrontare la loro. FINE