Le Stelle Collana a cura di Corrado Lamberti
L’astrofilo moderno
Martin Mobberley
Con 124 Figure
Tradotto dall’edizione originale inglese: The New Amateur Astronomer di Martin Mobberley Copyright © Springer-Verlag London Limited 2004 Springer is a part of Springer Science+Business Media All Rights Reserved Versione in lingua italiana: © Springer-Verlag Italia 2007 Traduzione di Albino Carbognani
Edizione italiana a cura di: Springer-Verlag Italia Via Decembrio 28 20137 Milano springer.com
Gruppo B Editore Via Tasso 7 20123 Milano www.lestelle-astronomia.it
Springer fa parte di Springer Science+Business Media
ISBN-13 978-88-470-0543-3 Springer-Verlag Italia ISBN-10 88-89308-17-6 Sirio Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’uso di figure e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla riproduzione su microfilm o in database, alla diversa riproduzione in qualsiasi altra forma (stampa o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. Una riproduzione di quest’opera, oppure di parte di questa, è anche nel caso specifico solo ammessa nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore, ed è soggetta all’autorizzazione dell’Editore. La violazione delle norme comporta sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati ecc., in quest’opera, anche in assenza di particolare indicazione, non consente di considerare tali denominazioni o marchi liberamente utilizzabili da chiunque ai sensi della legge sul marchio. Foto di copertina: NGC 6960, ripresa dall’astrofilo del Connecticut (USA) Robert Gendler, uno dei più rinomati astro-imager del mondo Foto nel logo: rotazione della volta celeste; l’autore è il romano Danilo Pivato, astrofotografo italiano di grande tecnica ed esperienza Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano Impaginazione: Compostudio, Cernusco sul Naviglio, Milano Stampa: Geca, Cesano Boscone, Milano Stampato in Italia
Prefazione
La passione per l’osservazione del cielo notturno mi venne dalla lettura di un libro: Observer’s Book of Astronomy di Patrick Moore (edizione del 1968). In questo libro le cose che catturarono la mia attenzione furono i superbi disegni dei pianeti di Leslie Ball e le fotografie dei telescopi amatoriali degli anni ’60: il riflettore da 31 cm di diametro di Henry Brinton, quello analogo di Patrick nel capanno con il tetto scorrevole e l’Osservatorio di J. Hedley Robinson a Teignmouth. All’epoca avevo dieci anni, ma già sentivo che un giorno sarei stato in grado di riprendere immagini planetarie come quelle disegnate da Leslie Ball, avrei posseduto un buon telescopio e scritto alcuni libri come Patrick. Dopo trentacinque anni le mie ambizioni non sono mutate, mentre la tecnologia ha fatto numerosi passi avanti. In questo momento gli astrofili stanno raggiungendo il livello che i professionisti toccavano nel 1968, in termini di magnitudine limite, risoluzione e scoperte! Il “nuovo” astronomo amatoriale lotta ancora per avere un buon telescopio nel cortile dietro casa, ma ora può osservare al caldo, usando CCD e telescopi robotizzati. Il feeling con quel mio primo libro di astronomia c’è ancora e io credo fermamente che gli astrofili siano tuttora ispirati principalmente dagli spettacoli che offrono loro i pianeti, le comete e dalle immagini del profondo cielo. Credo anche che le immagini degli osservatori e dei loro strumenti siano essenziali in ogni libro che parli dell’osservazione del cielo notturno. Ecco perché ce ne sono molte in questo volumetto. La sfida maggiore per un qualsiasi scrittore di questo campo è decidere a quale livello tenere la trattazione. L’altro problema è cosa tralasciare; dopotutto, anche nell’editoria ci sono esigenze di tipo economico da rispettare. Spero di avere trovato il giusto compromesso perché questo libro vorrebbe rivolgersi sia ai principianti che agli osservatori esperti. L’ho diviso in due parti: nella prima si parla delle conoscenze di base e della strumentazione, mentre nella seconda si passa alle tecniche di osservazione. I novizi vorranno leggere i Capitoli da 1 a 3, ma gli osservatori esperti hanno il mio permesso di partire dal Capitolo 4! Ma soprattutto, vorrei che questo libro portasse i potenziali astrofili in un viaggio di scoperta, emulando i personaggi di cui si discute nella parte seconda. Buona fortuna per il vostro viaggio. Martin Mobberley Suffolk, United Kingdom luglio 2004
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Ringraziamenti
Sono riconoscente ai molti colleghi astronomi che mi hanno fornito gratuitamente le immagini per questo libro. È una politica che ho sempre adottato anch’io; se qualcuno vuole usare le mie immagini, le può avere – basta che mi mandi una riga di avvertimento; sono lusingato che altri vogliano le mie immagini! Ad essere onesti, la maggior parte dei libri di astronomia amatoriale non avrebbero alcuna resa commerciale se non fosse per la generosità degli astrofili. Anche se pensavo di sapere quanto fossero generosi i miei colleghi astrofili, sono stato stupito dalla prontezza e dall’entusiasmo con cui mi hanno offerto le loro immagini! Sono in debito con: Ron Arbour; Mark Armstrong; Tom Boles; Mike Brown; Denis Buczynski; Ron Dantowitz; Brad Ehrhon; Andrew Elliot; Ray Emery; Nigel Evans; Steve Evans; Sheldon Faworski; Maurice Gavin; Ed Grafton; Karen Holland; Guy Hurst; Nick James; Chris Kitchin; Brian Knight; Weidong Li; Jan Manek; Pepe Manteca; Hazel McGee; Michael Oates; Arto Oksanen; Donald Parker; Damian Peach; Terry Platt; Gary Poyner; Tim Puckett; Gordon Rogers; Michael Schwartz; Greg Terrance; Roy Tucker e James Young. Molte grazie anche alle seguenti aziende e organizzazioni: Starlight Xpress; Meade Instruments Corporation; Celestron International; RC Optical System; Astrophysics; Scopetronix; IOTA-ES; SBIG; JPL/NASA; ESA; Apogee; Finger Lakes Instruments; Lick Observatory. Devo anche ringraziare la mia famiglia per il supporto: in particolare voglio ricordare l’aiuto di mio padre in tutti i miei sforzi astronomici. Infine, i miei ringraziamenti devono andare a John Watson (Londra), Luise Farkas (New York) e ai loro rispettivi gruppi di lavoro alla Springer, senza i quali questo libro non avrebbe visto la luce. Martin Mobberley Suffolk, United Kingdom luglio 2004
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Sommario
Introduzione – Perché l’astronomia amatoriale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
Parte I – La strumentazione 1
Fondamenti di ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
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Acquistare un telescopio commerciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
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Navigare in un cielo sferico ruotante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
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I telescopi “Go To” e le montature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
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Fotocamere digitali e video astronomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
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Camere CCD raffreddate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
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I software per l’elaborazione delle immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
Parte II – Le persone 8
Gli imager planetari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
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Gli scopritori di supernovae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153
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I perfezionisti del deep-sky . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
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Osservatori di variabili cataclismiche e cacciatori di gamma ray-burst . . 185
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Salvare il mondo: cacciatori di Near Earth Object . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199
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Cacciatori di comete dal salotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
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Spettroscopisti amatoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
Appendice: URL di pagine Web utili e di venditori di strumentazione . . . . . . . 221 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227 ix
Introduzione Perché l’astronomia amatoriale?
Da sempre sento che molte persone sono affascinate dallo “Spazio”. Quand’ero un ragazzo di 11 anni, insieme a tutti gli abitanti del pianeta, guardai impalato per lo stupore Armstrong e Aldrin che atterravano sulla Luna. Chi non ha mai guardato il cielo notturno chiedendosi “Perché siamo qui?” oppure “C’è qualcun altro al di fuori di noi?”. La fantascienza, come le saghe di Star Trek o Guerre Stellari, ha sempre attratto milioni di spettatori e un romanzo di fantascienza come La guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams è sempre popolare. In TV non mancano programmi sull’astronomia e i viaggi spaziali: canali satellitari come The Discovery Channel coprono l’intero argomento ogni giorno. Eppure, nonostante tutto questo, l’astronomia amatoriale è un passatempo per pochi. Non è difficile capire perché: vedere programmi TV sullo spazio è una cosa, ma andare fuori al freddo, al buio e all’umido è un’altra. Abituare gli occhi e il cervello a riconoscere i tenui dettagli di Giove, Marte, Saturno e anche Venere, è tutt’altro che facile: anche le galassie e le comete luminose al principiante sembrano solo deboli macchie lattiginose. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, è emersa un’astronomia amatoriale del tutto nuova. Al vecchio e stereotipato osservatore visuale, che guarda attraverso l’oculare, si è aggiunta una nuova e (qualche volta) più giovane famiglia di astrofili, che osserva sul monitor di un personal computer (PC) dentro una stanza calda, usando telescopi a controllo remoto e camere CCD (charge-coupled device). E i vecchi osservatori/fotografi come me hanno visto crescere le possibilità del loro hobby oltre ogni aspettativa. Entro pochi minuti dalla ripresa di un’immagine la posso inviare via e-mail agli altri osservatori sparsi per il mondo e pubblicarla sulla mia pagina Web; improvvisamente l’astronomia amatoriale è diventata un hobby “fantastico”. Molti dei miei colleghi astrofili riprendono immagini CCD per mostrarle ai loro amici, alcuni si sforzano di riprendere la migliore immagine possibile, in bianco e nero o a colori, mentre altri portano avanti un lavoro scientifico e fanno scoperte – spesso restando seduti dentro casa! L’astronomia
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amatoriale è stata trasformata dal computer e dalla tecnologia CCD. Ci sono un certo numero di lati positivi in questa tecnologia, capaci di coinvolgere persone che non sarebbero mai state interessate dall’osservazione attraverso un oculare. Il primo e il più importante è che il controllo remoto di un telescopio da dentro casa è molto più piacevole e amichevole che indossare quattro maglioni sotto la giacca a vento, incespicare al freddo e al buio, guardare di traverso dentro un oculare, cercare di intravedere un oggetto debole che un CCD può vedere con facilità. Trasportare un pesante telescopio al freddo, con l’umidità e nel buio può essere molto faticoso: muovere un moderno Schmidt-Cassegrain con il mouse di un PC certo non lo è! Un’ulteriore attrattiva è data dall’aspetto di novità di certi aggeggi. Ci sono tanti tecnofili che non avrebbero dato all’astronomia una seconda possibilità prima della metà degli anni ’90 del secolo scorso. Sto parlando di quel tipo di persone che si divertono con l’ultimo PC, telefonino, camera digitale e che dispongono di un certo reddito. Sono poche le novità più impressionanti di un computer che controlla un telescopio nel giardino sotto casa! Infine, c’è l’attrattiva di fare vera scienza e di compiere scoperte dal proprio Osservatorio. I miei colleghi ed io misuriamo le posizioni di comete e asteroidi per determinare le loro orbite, produciamo curve di luce fotometriche di stelle variabili in esplosione, misuriamo i venti di Giove, Saturno e Marte e scopriamo supernovae in galassie lontane. Naturalmente ci sono sempre quelli che diranno che l’astronomia è diventata un hobby per soli ricchi, per coloro che possono permettersi le nuove tecnologie. Non sono d’accordo con questa affermazione; è come dire che non ci si può divertire a guidare a meno che non si possegga una Ferrari! Lo si può fare tranquillamente con un equipaggiamento dal costo più basso.
Parte I
La strumentazione
CAPITOLO UNO
Fondamenti di ottica
Considerazioni visuali Lo scopo di un qualsiasi telescopio visuale è di raccogliere e focalizzare la massima quantità di luce dell’occhio umano, in modo tale che si possa usare un oculare per guardare e ingrandire l’immagine formata nel piano focale. Un grande telescopio permetterà di vedere oggetti deboli (stelle, nebulose, galassie e comete); permetterà anche l’impiego di alti ingrandimenti per la Luna e i pianeti, purché l’atmosfera terrestre lo consenta. In realtà, la parola ingrandimento è un termine usato troppo spesso a sproposito. Un telescopio di lunghezza focale x, usato con un oculare di lunghezza focale y, avrà un ingrandimento pari a x/y, ma se il valore di questo rapporto è pari a 200 o 300, molto probabilmente si vedrà solo una chiazza grande, ma irrimediabilmente confusa. Prima di tutto, un telescopio deve avere una grande apertura per avere la possibilità di fornire immagini nitide ad alti ingrandimenti. Secondo, anche se l’apertura è grande, l’atmosfera è spesso così turbolenta che comunque ha poco senso usare un ingrandimento superiore alle 100-200 volte. Conosco pochi astrofili che userebbero mai un ingrandimento maggiore dell’apertura del telescopio espressa in millimetri. Il limite di risoluzione teorico (il “criterio di Rayleigh”) di un qualsiasi telescopio, ottico o radio, è determinato dalla formula: Risoluzione (in radianti) = 1,22λ/D dove D è l’apertura del telescopio e λ la lunghezza d’onda a cui si osserva, misurate nella stessa unità. Ci sono 2π radianti in 360°, ma molti astrofili hanno poca familiarità con il concetto di radianti, quindi preferiscono parlare di secondi d’arco, che sono 1/3600 di 1°, 5
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1/60 di un 1’ (primo d’arco), o 1/206.265 di un radiante. La formula ora diventa: Risoluzione (in secondi d’arco) = 251.643λ/D Se ora assumiamo per λ il valore della lunghezza d’onda della luce verde, cioè 550×10-6 mm, la formula diventa: Risoluzione in luce verde (in secondi d’arco) = 138/D dove D è l’apertura espressa in mm. In altre parole, la risoluzione di un telescopio con un’apertura di 138 mm sarà di un secondo d’arco (1⬘⬘). Questo è molto simile al cosiddetto limite di Dawes per la risoluzione delle stelle doppie con un rifrattore non ostruito, vale a dire: Risoluzione = 116/D dove D è in mm. Supponiamo di stare usando un telescopio con un’apertura compresa tra 116 e 138 mm, diciamo uno strumento da 125 mm. Se le condizioni atmosferiche sono ragionevoli ci dovremmo aspettare che questo telescopio risolva un secondo d’arco, ma che ingrandimento dovremo usare? Molto dipende dalla capacità visiva dell’osservatore e dalle sue preferenze personali. Un occhio umano può arrivare a risolvere un primo d’arco: quindi, in teoria, un oculare che fornisce un ingrandimento di 60× permetterà, a un occhio che risolve un primo d’arco, di risolvere dettagli di un secondo d’arco. Tuttavia, in pratica, è molto più confortevole usare il doppio di quest’ingrandimento, vale a dire 120×. Con grandi telescopi è la stabilità dell’atmosfera che detta la scelta del massimo ingrandimento possibile. Non stupisce che un telescopio non raggiunga il suo limite di diffrazione teorico se lo specchio o la lente non hanno la giusta forma e non sono stati lucidati a dovere. Per un riflettore, idealmente, non ci devono essere deviazioni da una curva perfetta, ovunque sulla superficie riflettente, superiori a 1/8 della lunghezza d’onda della luce; la corrispondente accuratezza per la superficie di una lente di un rifrattore è di mezza lunghezza d’onda. Una quantità più significativa da considerare è il valore RMS, vale a dire quanto è liscia l’intera superficie in media, e non solo le sue deviazioni peggiori. I valori medi di RMS per essere vicini alla perfezione sono di 1/16 e 1/4 di lunghezza d’onda rispettivamente per lo specchio e per la lente. Un sedicesimo della lunghezza d’onda della luce verde è approssimativamente 35 milionesimi di millimetro e, nonostante questo, lo specchio di un telescopio può essere un prodotto di massa offerto a un prezzo abbordabile; questo fatto l’ho sempre trovato sorprendente! Se l’accuratezza della superficie dello specchio o della lente cade al di sotto dei valori vitali, il contrasto dei dettagli vicini al limite di risoluzione comincia a diminuire sensibilmente; in altre parole, le stelle doppie strette non saranno risolte e i più fini dettagli planetari non saranno visibili agli ingrandimenti più elevati. Non sorprende che i maggiori costruttori facciano molta attenzione alla qualità ottica: viviamo anni in cui le riviste d’astronomia devono frequentemente ammettere quanto sono buone le ottiche dei telescopi commerciali. C’è un limite anche al più basso ingrandimento che un telescopio può sopportare. Il fascio di luce che emerge dall’oculare di un telescopio (la pupilla d’uscita) ha un diametro che è uguale all’apertura del telescopio diviso per l’ingrandimento. Quindi, un telescopio di 80 mm d’apertura con un ingrandimento di 10× produrrà una pupilla d’uscita
Fondamenti di ottica
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Raggi dal bordo superiore del campo
Figura 1.1. Il fascio di luce di un telescopio con una pupilla d’uscita più grande di 7 o 8 mm non può entrare nella pupilla dilatata di un occhio umano, neppure se giovanissimo.
Occhio nudo
7 o 8 mm al massimo Raggi dal bordo inferiore del campo
Pupilla adattata al buio
di 8 mm di diametro; troppo larga anche per le capacità d’accomodazione della maggior parte degli occhi anche dei più giovani (è raro che la pupilla si dilati oltre i 6-7 mm), e così la luce sarà persa (vedi Figura 1.1). In breve, se usate un telescopio x volte più grande della massima apertura dell’occhio umano, dovete usare un oculare che fornisca almeno un ingrandimento di x volte, a meno che non vi interessi di perdere un po’ di luce (può non essere importante se desiderate semplicemente un basso ingrandimento e un corrispondente grande campo di vista). In effetti, il diametro della pupilla adattata all’oscurità impone l’ingrandimento più basso, ancora utilizzabile su un telescopio per uso visuale. Questo impedisce all’osservatore di aumentare la luminosità superficiale degli oggetti estesi e di vederli a colori vivaci. Tuttavia, non c’è dubbio che, usando un telescopio di grande diametro, si vedranno maggiori dettagli negli oggetti nebulari; l’aumento del numero di fotoni e la risoluzione maggiore pagano sempre. Una buona regola empirica per l’ingrandimento minimo utilizzabile da un giovane possessore di telescopio è una volta e mezzo l’apertura in centimetri, vale a dire 15× per un telescopio di 10 cm. Una persona di mezza età può preferire 20× per 10 cm d’apertura, perché questo corrisponde a una pupilla d’uscita adattata al buio di 5 mm. Naturalmente, usando una camera CCD, o anche una pellicola, non c’è il collo di bottiglia della pupilla d’uscita e nessun limite per l’esposizione, quindi i colori degli oggetti deboli possono essere registrati con facilità. La trattazione di quale sia la sorgente più debole che un osservatore con una data apertura può vedere (la magnitudine limite visuale, Lim mv), richiederebbe un libro a sé. La formula standard che si usa è: Lim mv = 2+5 log10 D dove D è, ancora una volta, il diametro del telescopio in millimetri. Questa formula prevede come limite la magnitudine 12 per un’apertura di 100 millimetri, 14 per 250 mm d’apertura, e 15 per 400 mm. Parlando della mia esperienza, questa formula per calcolare qual è la stella più debole che posso vedere attraverso un telescopio è esatta. Tuttavia, conosco molti osservatori esperti di stelle variabili che possono vedere stelle di una magnitudine ancora più deboli, anche sotto cieli cittadini! Nei cieli più bui, dove il “rumore” di fondo del cielo non rappresenta un problema, osservatori esperti hanno raggiunto magnitudini decisamente maggiori.
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Considerazioni sul CCDs Quando si utilizza un rivelatore diverso dall’occhio umano, il ruolo del telescopio resta lo stesso, ma emergono possibilità molto interessanti. In entrambi i casi, visuale o CCD, la dimensione dell’immagine nel piano focale del telescopio è pari a: tan θ × lunghezza focale del telescopio L’angolo θ è la dimensione angolare dell’oggetto; ad esempio, la Luna ha un diametro di 0°,5. Con un CCD, il piano focale è posto sulla superficie del CCD stesso, mentre con un oculare l’immagine sul piano focale viene esaminata attraverso l’oculare e viene poi focalizzata sulla retina dell’osservatore. L’occhio umano e il cervello lavorano benissimo insieme, ma la capacità di trasferire quello che si vede in un disegno rappresenta una notevole sfida e la retina non ha la possibilità di fare lunghe esposizioni! Nonostante questo, un osservatore può lasciare una stanza molto ben illuminata, uscire al buio ed entro alcuni secondi i suoi occhi diventano migliaia di volte più sensibili. Lo stesso osservatore può quindi passare dall’osservazione di fini dettagli planetari a quella di deboli oggetti di cielo profondo senza alcuna difficoltà. Il CCD non è altrettanto versatile. L’occhio può operare su un ampio intervallo di luminosità e il cervello è un eccellente processore d’immagini, in grado di guardare un oggetto per molti secondi e dedurre quali siano i dettagli reali, nonostante il disturbo della turbolenza atmosferica (“seeing”), anche se l’oggetto è molto debole. In prove svolte, ho trovato che è necessario esporre un CCD per un secondo o più per catturare tutti i deboli dettagli nebulari visibili con l’occhio dallo stesso telescopio. Per quanto ne so (altri potrebbero dissentire) questo non è perché la retina ha un tempo d’integrazione d’alcuni secondi, ma perché la combinazione occhio-cervello è molto efficiente nell’estrarre il segnale dal rumore. Per l’occhio, il rumore è il fondo cielo; per il CCD è sia il fondo cielo sia il rumore elettronico causato dalla temperatura del CCD e dal processo di lettura. Ma i CCD hanno proprietà che vanno oltre le capacità dell’occhio, del cervello o dell’essere umano. Come già detto, i CCD possono fare pose di minuti o anche d’ore. Il trasferimento dei dati non deve fare affidamento alla memoria umana o alla bravura nel disegno. Infine, e probabilmente è la caratteristica più importante, il CCD e il computer non soffrono il freddo e non si stancano. Un PC e un CCD possono catturare immagini di centinaia di galassie per una ricerca di supernovae, o migliaia d’immagini planetarie in cerca di quella più nitida. Le immagini catturate possono essere salvate e analizzate il giorno successivo. Sono anche disponibili potenti software per estrarre più informazione possibile dalle immagini riprese; il CCD, quindi, ha molti vantaggi. Avrò molto da dire sui vantaggi del CCD nei prossimi capitoli.
Configurazioni ottiche Ci sono tre tipi fondamentali di telescopio di cui qui vedremo le caratteristiche, anche se non intendo entrare nei dettagli in un libro dedicato principalmente alle nuove tecnologie. Sono sicuro che molti lettori hanno abbastanza familiarità con i telescopi da poter saltare al prossimo paragrafo; lo facciano pure, non mi offenderò. Tuttavia, quello che voglio sottolineare è che, con qualsiasi telescopio, le ottiche de-
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Oculare Luce incidente Obiettivo
Figura 1.2. Il rifrattore.
vono essere propriamente collimate e d’elevata qualità, vale a dire gli specchi e le lenti devono essere allineati correttamente; se non lo sono, non aspettatevi grandi risultati!
Rifrattori Per prima cosa diamo un’occhiata al rifrattore (Figura 1.2). Un rifrattore di qualità usa un doppietto a lenti acromatico per focalizzare la luce e minimizzare l’aberrazione cromatica (cioè la dispersione della luce in uno spettro di colori). I rifrattori hanno la collimazione fissa (cioè le ottiche non possono essere mosse) e il tubo chiuso (così le correnti d’aria all’interno dei tubi sono inesistenti). Con piccole aperture sono robusti e trasportabili. Tuttavia, in rapporto all’apertura sono molto costosi e, a meno che non si utilizzi un costoso apocromatico, mostrano frange colorate attorno alle stelle luminose, ai pianeti e ai dettagli lunari. Tuttavia, gli apocromatici di piccola apertura sono telescopi molto apprezzati, specialmente quando l’osservatore richiede un grande campo di vista o uno strumento molto trasportabile, ad esempio per una spedizione d’osservazione di un’eclisse.
Riflettori Newton I riflettori newtoniani usano uno specchio per focalizzare la luce incidente (vedi Figura 1.3.a). Soffrono di correnti convettive nel tubo e possono essere scollimati facilmente; in cima al tubo hanno uno specchietto secondario che devia la luce nell’oculare. La presenza di questo specchietto può degradare leggermente il contrasto se il secondario è grande, ma questo conta soprattutto per gli osservatori planetari. Il riflettore ha un ottimo rapporto diametro/prezzo, specialmente nella versione dobsoniana con montatura altazimutale. I riflettori soffrono di un’aberrazione chiamata coma, a causa della quale le stelle al bordo del campo smettono di essere puntiformi e assomigliano a gabbiani. Questa aberrazione peggiora al diminuire del rapporto focale. Nonostante tutti questi svantaggi, un Newtoniano a lungo fuoco (f/6 o maggiore), con ottiche collimate e un tubo ben ventilato è bello da possedere e può fornire risultati eccellenti. Recentemente sono diventati popolari gli Schmidt-Newton a corto fuoco, che hanno un lastra correttrice posta all’inizio del tubo per ridurre il coma (vedi Figura
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Specchio secondario piano
Specchio primario
Luce incidente
Oculare
a Lastra correttrice asferica
Specchio primario sferico
Specchio secondario piano
Focheggiatore a cremagliera
F b
Figura 1.3. a Il riflettore newtoniano. b Lo Schmidt-Newton.
1.3b). Di questi strumenti parleremo ancora nel Capitolo 4. La Figura 1.4 mostra un Newtoniano a corto fuoco da 33 cm di diametro, appartenente a Denis Buczynski, un entusiasta astrofilo. Naturalmente, ci sono altri tipi di riflettore oltre al Newtoniano.
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Figura 1.4. Denis Buczynski e il suo Newton da 33 cm, f/3,5 sito a Conder Brown, Lancashire. Foto: cortesia di Nick James.
Riflettori Cassegrain Il classico riflettore Cassegrain (Figura 1.5) usa uno specchio secondario convesso per rimandare la luce attraverso un foro dello specchio primario; tuttavia, questo progetto è stato largamente eclissato dai telescopi catadiottrici (vedi sotto). La Takahashi produce una serie di telescopi Cassegrain di qualità con il marchio Mewlon. Questi usano il cosiddetto schema Dall-Kirkham e tipicamente sono a f/12; sono molto costosi, perché la qualità si paga e questi telescopi sono superbi! I telescopi catadiottrici assomigliano ai Cassegrain ma, essenzialmente, sono telescopi che usano una combinazione di specchi e lenti per focalizzare l’immagine finale. In pratica, ci sono due progetti commerciali molto popolari di telescopi catadiottrici: il primo è l’universale Schmidt-Cassegrain, mentre il secondo è il Maksutov. Come nel Cassegrain, uno specchio secondario rimanda la luce attraverso un foro dello specchio primario.
Schmidt-Cassegrain Lo specchio primario di uno Schmidt-Cassegrain è tipicamente a f/2, vale a dire, la lunghezza focale è il doppio del diametro dello specchio; tuttavia, di solito lo specchio secondario la amplifica a f/10. Le aberrazioni implicite in una configurazione a f/2 sono
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Luce incidente
Oculare
Specchio secondario iperbolico
Specchio principale parabolico
Figura 1.5. Il riflettore Cassegrain.
ridotte dall’uso di una lente di Schmidt asferica alla fine del tubo (Figura 1.6). Questa lastra ha l’ulteriore vantaggio di chiudere il tubo, quindi minimizza la turbolenza interna, e funziona anche da supporto per lo specchio secondario. Di solito, lo specchio primario di uno Schmidt-Cassegrain commerciale è il 3 o 4% più grande dell’apertura effettiva del telescopio: ciò garantisce che il campo di vista sia completamente illuminato.
Luce incidente
Oculare
Lastra correttrice
Specchio secondario
Paraluce
Figura 1.6. Lo Schmidt-Cassegrain.
Specchio primario
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Lo specchio secondario è convesso e di forma asferica. Naturalmente, per un funzionamento ottimale, il sistema ottico di uno Schmidt-Cassegrain deve essere ben progettato. In un qualsiasi sistema Cassegrain c’è il rischio che un raggio di luce obliquo proveniente dall’esterno oltrepassi il supporto del secondario e inondi il campo di vista; questo rischio è alto, specialmente quando si osserva la Luna (o un’eclisse totale di Sole allo stadio dell’anello di diamante). Un modo per ovviare a questo inconveniente è fare il supporto del secondario molto grande, ma questo elimina molta più luce di quanto sia necessario; inoltre si creerebbero anche spiacevoli effetti di diffrazione, che degraderebbero le prestazioni ottiche. Anche la forma dei paraluce di primario e secondario è critica. Sia la Meade che la Celestron inseriscono diaframmi nel paraluce del primario per impedire alla luce diffusa di degradare l’immagine. Per avere un modello di Schmidt-Cassegrain progettato secondo le richieste del cliente bisogna essere disposti a pagare almeno cinque volte il prezzo commerciale (dipende se lo strumento viene importato o no). La produzione di massa ha fatto sì che questo tipo di strumento sia alla portata di molti astrofili. Le due ditte maggiori nel mercato degli Schmidt-Cassegrain sono la Celestron (dal 1970) e la Meade (dal 1980). Il mio Meade LX200 da 30 cm è mostrato in Figura 1.7. All’inizio, dal 1970 fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la Celestron era leader di mercato e pioniere della rivoluzione degli Schmidt-Cassegrain. Negli anni ’60 la Celestron di Thomas J. Johnson trovò un modo per la produzione di massa del complesso ottico e della lastra correttrice. Il risultato fu un telescopio ultra compatto con un tubo lungo circa due volte il diametro e un insieme di accessori adatto per l’astrofotografia con lunghe esposizioni. In questo momento, il numero degli accessori è sbalorditivo.
Figura 1.7. L’autore e il suo Meade LX200 da 30 cm.
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Dalla fine degli anni ’80, la progressiva rivalità fra Celestron e Meade si è intensificata a tutto vantaggio degli astrofili: gli svantaggi e i difetti di questi telescopi furono finalmente corretti nel tentativo di conquistare i nuovi clienti. Uno dei problemi con il primo SCT (Telescopio Schmidt-Cassegrain) della Celestron era che, nonostante fosse pubblicizzato per la fotografia del cielo profondo con lunghe esposizioni, con un rapporto focale f/10 era necessaria un’esposizione di una o due ore per registrare oggetti deboli ed estesi come galassie e nebulose. Molti astrofili erano costretti a tenere le loro pellicole a –70 °C o a ipersensibilizzarle per ridurre il tempo di esposizione. Inoltre, il piano focale intrinsecamente curvo e la vignettatura dello SCT implica che solo i primi 20 mm centrali della pellicola sono utilizzabili – un problema simile a quello del coma con cui hanno a che fare i possessori di Newtoniani aperti, solo che qui il campo di vista reale è molto più piccolo. Al giorno d’oggi, la lentezza intrinseca dello Schmidt-Cassegrain è in larga misura superata perché i CCD sono da 10 a 20 volte più sensibili della miglior pellicola. Anche le aberrazioni ottiche sono meno rilevanti perché i sensori dei CCD sono piccoli (le aberrazioni peggiorano all’aumentare dell’ampiezza del campo visivo). Ora sono disponibili sofisticati riduttori di focale, gruppi di lenti aggiuntive che possono modificare il rapporto da f/10 a f/6,3, f/5 o anche a f/3,3, rendendo le ottiche più veloci, eppure senza aberrazioni.
Maksutov Il Maksutov è una forma alternativa di telescopio catadiottrico che combina la portabilità e compattezza dello Schmidt-Cassegrain con una maggiore definizione in campo planetario. La configurazione del Maksutov-Cassegrain (per dirne il nome completo) è mostrata nella Figura 1.8. A prima vista, il progetto sembra molto simile a quello dello Schmidt-Cassegrain, ma le sottili differenze sono tutte importanti.
Oculare Luce incidente
Lente correttrice a menisco sferico
Macchia alluminata
Figura 1.8. Il Maksutov.
Specchio primario sferico
Fondamenti di ottica
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Lo specchio primario di un Maksutov ha una forma asferica e di solito è aperto a f/2,5. Il secondario è uno specchio sferico e consiste in una macchia alluminata depositata sul menisco correttore di forma sferica. La lastra correttrice di uno SCT appare piatta: il menisco correttore di un Maksutov è lontano dall’essere una superficie piatta – infatti è profondamente incurvato. Lo specchio secondario convesso di solito moltiplica la lunghezza focale dello specchio primario di un fattore 6 e, nel fuoco, si ottiene un sistema a f/15. Come per gli Schmidt-Cassegrain commerciali, per ottimizzare le prestazioni sono utilizzati paraluce e diaframmi. Sotto molti aspetti i Maksutov condividono i vantaggi degli Schmidt-Cassegrain. Il tubo è compatto, robusto e libero da correnti d’aria interne. Inoltre, le caratteristiche ottiche sono eccellenti; il progetto non soffre di coma e astigmatismo e non ci sono effetti di diffrazione da parte del supporto dello specchio secondario (crociera), perché non c’è! Inoltre, la collimazione non è un problema. Gli elementi ottici di un Maksutov commerciale sono fissi e quindi la collimazione è garantita. Tuttavia, il progetto è costoso per il costruttore, anche per piccoli diametri. Per molti anni la ditta statunitense Questar è stata la sola costruttrice di telescopi Maksutov di qualità. Da pochi anni, la Meade produce tre Maksutov: gli ETX da 90 e 105 mm, e l’LX200 da 180 mm. Anche l’inglese Orion Optics si è fatta recentemente una buona reputazione nella produzione di Maksutov, con i modelli OMC 140 e OMC 200.
Riepilogo della matematica dell’oculare Abbiamo già visto che l’ingrandimento di un telescopio è calcolato con la formula: Ingrandimento = lunghezza focale del telescopio/lunghezza focale dell’oculare Abbiamo anche visto che il diametro della pupilla d’uscita è dato da: Diametro pupilla d’uscita = Diametro telescopio/Ingrandimento Per una persona giovane, la pupilla dell’occhio adattata all’oscurità può allargarsi fino a 7-8 mm. Nell’età adulta valori di 5-6 mm sono più normali, mentre gli anziani, al buio, possono arrivare a 4 mm. Queste sono considerazioni importanti quando si sceglie un oculare. Un’altra formula utile da ricordare è: Lunghezza focale oculare = valore f/ del telescopio × diametro pupilla di uscita desiderato Quindi, la lunghezza focale richiesta per un telescopio a f/5 e una pupilla d’uscita di 7 mm è: 5 × 7 = 35 mm. Per un telescopio f/7 e una pupilla d’uscita di 7 mm, è richiesto un oculare con una lunghezza focale di 49 mm. Naturalmente, una pupilla d’uscita di 7 mm va bene per un paio di occhi giovani, in grado di dilatare la pupilla fino a questa dimensione! I moderni oculari costruiti da società come Celestron, Meade e TeleVue, sono di elevata qualità e, in generale, si paga molto per avere un ampio campo visivo. Chiariamo
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una cosa: il campo di vista reale è uguale al campo di vista apparente diviso per l’ingrandimento. Quindi, se abbiamo un oculare che mostra all’occhio 50° di campo apparente, un ingrandimento di 100× fornirà un campo reale (sul cielo) di mezzo grado. Per i campi più ampi dobbiamo considerare se usare oculari con un diametro standard di 31,7 mm o oculari con un diametro di 50,8 mm. Il vantaggio degli oculari da 50,8 mm è che il barilotto interno ha un diametro di 46 mm, invece dei 27 mm degli oculari più piccoli. Oculari con una grande focale (cioè a bassi ingrandimenti) e con un ampio campo apparente avranno i loro campi compromessi dal piccolo diametro del barilotto. Possiamo fare la semplice ipotesi che il barilotto dell’oculare deve adattarsi al piano dell’immagine nel piano focale; in questo modo si può ricavare una formula utile che ci dice di che diametro del barilotto abbiamo bisogno. Se chiamiamo d (in millimetri) il diametro dell’immagine formata nel piano focale del telescopio, allora: d = CA× FL/57,3 Dove CA è il campo apparente dell’oculare (in gradi) e FL è la lunghezza focale dell’oculare (in millimetri). Invertendo la formula e ponendo d a 27 mm (il massimo diametro interno di un oculare da 31,7 mm), si ottiene la massima lunghezza focale dell’oculare (MFL) che possiamo usare con gli oculari del barilotto più piccolo, vale a dire MFL = 27 × 57,3/CA. Quindi, per un oculare con un barilotto del diametro di 31,7 mm e un campo apparente di 50°, si trova un valore di MFL pari a 31 mm; un campo apparente di 65° ha un valore di MFL pari a 24 mm; infine un campo apparente di 84° ha MFL pari a 18 mm. Una rapida occhiata agli oculari disponibili sul mercato conferma questi valori. Per esempio, gli oculari TeleVue Panoptic hanno un barilotto di 50,8 mm per lunghezze focali superiori ai 27 mm, mentre gli oculari Nagler da 82° di campo hanno questo barilotto per valori di lunghezza focale superiori ai 16 mm. Poiché è il campo apparente di un oculare e la sua lunghezza focale che dimensionano il diametro del barilotto, non c’è bisogno di prendere in considerazione il telescopio. In pratica, il massimo campo reale disponibile con gli oculari attuali (vale a dire con lenti che entrano in un barilotto da 50,8 mm) è dato dai Plössl con 50° e 55 mm di focale, o dai Super Wide Angle con 67° di campo e 40 mm di focale. Se avete una buona disponibilità economica, il TeleVue Nagler da 82° di campo e 31 mm di focale è il massimo! Prima di precipitarvi fuori per comprare un oculare da 55 mm con 50° di campo, ricordatevi il discorso precedente sulla pupilla d’uscita. A meno che il vostro telescopio abbia un rapporto focale di f/7 o superiore la pupilla d’uscita sarà più grande di 8 mm, un valore elevato anche per un occhio giovane! Un oculare con un barilotto da 50,8 mm di diametro, 55 mm di focale e 50° di campo apparente con, diciamo, un 180 mm f/9 rifrattore, farebbe restare a bocca aperta (ingrandimento 29×, 6 mm di pupilla d’uscita, 1°,7 di campo reale, e stelle puntiformi anche ai bordi del campo f/9). Per calcolare il massimo campo reale possibile (xo) sul cielo per una data lunghezza focale del telescopio, sono sufficienti le formule che seguono: Per un oculare con barilotto da 31,7 mm: xo = 27 × 57,3/Lunghezza focale (in mm) = 1547/Lunghezza focale del telescopio (in mm)
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Per un oculare da 50,8 mm: xo = 46 × 57,3/Lunghezza focale (in mm) = 2636/Lunghezza focale del telescopio (in mm). Ogni oculare che ho usato di Celestron, Meade o TeleVue (quest’ultima è la migliore) ha mostrato immagini di qualità, ma aspettatevi di pagare almeno 50 euro anche solo per un oculare Plössl di base con 50° di campo apparente; con meno, semplicemente non avrete un buon oculare. Gli oculari preferiti dagli astrofili più esperti costano almeno 150 euro ciascuno e forse più.
CAPITOLO DUE
Acquistare un telescopio commerciale
Riflessioni sull’uso del telescopio Questo libro intende invogliare gli astrofili ad unirsi alla nuova eccitante famiglia di astrofili che usano l’alta tecnologia per osservare e riprendere il cielo notturno. Molti astrofili hanno già acquistato il loro telescopio dei sogni e possono saltare questo capitolo senza perdere niente. Tuttavia, un certo numero di neofiti è costituito da persone che hanno speso diversi anni a lavorare duro per guadagnare qualche soldo con l’intenzione di spenderne una buona parte nell’acquisto di una buona strumentazione una volta raggiunta l’età della pensione. In altri casi, gli osservatori più giovani risparmiano fino a quando non possono permettersi di acquistare l’equipaggiamento dei loro sogni. Con così tanto denaro in gioco è importante prendere la decisione giusta e non ritrovarsi insoddisfatti a causa di errori che purtroppo costano cari. La mia prima raccomandazione è di non comprare mai il vostro telescopio da un negozio di fotografia di un centro commerciale. Questi negozi raramente hanno commessi che conoscano qualcosa nel campo dell’astronomia o dei telescopi. È meglio comprare il telescopio da un distributore ufficiale che avrà l’esperienza e la capacità per aiutarvi nella scelta, e di assistervi nel caso lo strumento presentasse qualche difetto in futuro. Per il principiante, la scelta fra un telescopio in montatura equatoriale (che può seguire le stelle mentre la Terra ruota), o uno in montatura altazimutale, sarà determinata dal fatto che voglia riprendere fotografie o immagini CCD oppure osservare solo visualmente. I principali distributori vi possono consigliare su questo tipo di cose, così come il club, il gruppo o la società di astronomia locale. Comprare il vostro telescopio da uno dei principali distributori non significa che diventerete automaticamente uno degli astrofili più bravi a livello mondiale. Il numero di Schmidt-Cassegrain “Go To” venduti in tutto il mondo è davvero sorprendente, ma lo 19
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è altrettanto il numero di annunci nell’usato! Può darsi che dipenda dal fatto che solo pochi acquirenti usano il proprio telescopio al massimo delle sue possibilità. È possibile che ci sia qualcosa di sbagliato da qualche parte. Secondo la mia esperienza, il motivo più frequente che impedisce agli astrofili di usare la loro attrezzatura è semplicemente la mancanza di tempo libero. L’imprevedibilità del tempo atmosferico è un altro fattore; non potete dire “Riserverò il mercoledì sera per le osservazioni”; non funziona così. Il terzo fattore, su cui qualche volta si può agire, è avere l’equipaggiamento che sia sempre pronto da tirare fuori, facile da usare, e subito fuori dalla porta di casa. Non metterò mai abbastanza in evidenza questo punto. Un qualsiasi telescopio progettato per un uso regolare dovrebbe essere montato permanentemente nel giardino dietro casa, in un Osservatorio facile da aprire. Se vi predisponete in questo modo allora, dopo dieci minuti che sarete usciti da casa, potrete iniziare le osservazioni e raccogliere immagini. L’Osservatorio rappresentato in Figura 2.1 è stato esplicitamente progettato per essere semplice da utilizzare. Il mio Osservatorio è un casotto leggero che può scorrere liberamente avanti e indietro su rotaie, utilizzarlo è un piacere, e ha cambiato la semplicità con cui faccio astro-
Figura 2.1. L’LX200 dell’autore fuori dal capanno che lo ospita.
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nomia. Ovviamente, le dimensioni compatte del mio LX200 da 30 cm della Meade posto all’interno del casotto hanno giocato il ruolo maggiore nella minimizzazione delle dimensioni del capanno.
Raccomandazioni Vediamo alcune raccomandazioni per l’acquisto di un telescopio commerciale. Se avete aspirazioni astrofotografiche o di imaging e qualche migliaio di euro da spendere, considerate l’acquisto di un moderno Schmidt-Cassegrain da un distributore con una buona reputazione. Ho usato il mio LX200 più dei miei Newtoniani da 36 e 49 cm; è semplicissimo usare la funzione “Go To” che porta il telescopio entro 5 primi d’arco dal bersaglio, si risparmia parecchio tempo. Anni fa, gli Schmidt-Cassegrain avevano una cattiva reputazione per il lavoro in alta risoluzione, ma ora vengono usati sia dai maggiori imager planetari sia dai cacciatori di supernovae. Con i moderni CCD e gli accessori hanno un valore tecnologico imbattibile, in proporzione al prezzo. Probabilmente il vantaggio maggiore è la loro dimensione compatta; con un Newtoniano da 30 cm, l’oculare può trovarsi ovunque e spesso è necessaria una scala per poterci arrivare, mentre in uno Schmidt-Cassegrain l’oculare è quasi sempre in una posizione comoda per l’osservatore. Lo voglio sottolineare ancora, il miglior telescopio è quello facile da usare, e gli Schmidt-Cassegrain sono i telescopi di taglia intermedia più facili da utilizzare. Il grande osservatore planetario Damian Peach, che non ha mai posseduto un Osservatorio, è mostrato in Figura 2.2 con il suo Schmidt-Cassegrain Celestron da 28 cm. Bene, queste sono le mie raccomandazioni per gli astrofili con un buon budget da spendere, ma torniamo sulla Terra per un momento e consideriamo un neofita con un budget più limitato. Se potete spendere da poche centinaia fino a un migliaio di euro e siete interessati principalmente alle osservazioni visuali, prendete in seria considerazione i riflettori dobsoniani. I dobsoniani sono riflettori newtoniani montati su una montatura altazimutale a bassa frizione. Non possono essere utilizzati per la fotografia a lunga esposizione a meno che non vengano radicalmente modificati. Prendono il nome dall’ex monaco californiano John Dobson, che ha speso la propria vita nel promuovere la costruzione e l’uso di questi riflettori. Oltre ad essere semplici da utilizzare, hanno un buon rapporto prestazioni/prezzo. Con poche centinaia di euro si può acquistare un Dobsoniano di 15-20 cm; sono disponibili anche aperture maggiori e un Dobsoniano da 250 mm, spesso considerato il miglior compromesso portabilità/apertura, arriva a costare cifre ragionevoli. Molti astrofili esperti vi diranno che non ci sono alternative: il Dobsoniano vi garantisce la maggiore apertura possibile acquistabile con i vostri soldi. Questo è dovuto in gran parte al fatto che i Dobsoniani non hanno motori o parti elettroniche, per cui non c’è quasi niente che possa funzionare male. È possibile acquistare dei “cerchi di puntamento” digitali da inserire nei cuscinetti di altezza e azimut di un Dobsoniano in modo tale che forniscano indicazioni su che direzione muoversi per trovare l’oggetto che stiamo cercando. Gary Poyner, fra i maggiori osservatori di stelle variabili, usa un Dobsoniano da 45 cm per fare 12 mila stime di variabili all’anno! Un moderno Dobsoniano Meade è mostrato in Figura 2.3. Nel Capitolo 4 descrivo i vari modelli di Schmidt-Cassegrain ed anche la sorpren-
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Figura 2.2. L’esperto di immagini planetarie Damian Peach e il suo Schmidt-Cassegrain Celestron da 28 cm nella sua prima casa di Rochester, Kent (UK). Notare la mancanza di un qualsiasi Osservatorio! Foto: cortesia Damian Peach.
dente portabilità dei Maksutov ETX della Meade. Il Meade ETX da 90 mm è stato un travolgente successo commerciale perché combina una totale trasportabilità con un prezzo ragionevole; tuttavia, un’apertura di soli 90 mm potrebbe non bastare a molti astrofili, per via della poca luce raccolta. Potreste anche essere tentati di acquistare, da uno dei principali distributori, un riflettore in montatura equatoriale. Fino ai primi anni ’80 del secolo scorso, un Newtoniano di grande diametro montato equatorialmente era il telescopio dei sogni per molti astrofili. Ma questo era prima che gli Schmidt-Cassegrain diventassero prodotti di massa dal prezzo competitivo. Si era in un’epoca in cui gli astrofili volevano un ampio campo visuale, di un grado o più, per fare lo star-hopping fino al bersaglio. In più, in quei giorni lontani, molti astrofili si costruivano il loro telescopio, ottiche incluse! Nel ventunesimo secolo i Newtoniani commerciali si sono scissi in due categorie, vale a dire: i Dobsoniani in montatura altazimutale e gli Schmidt-Newton montati equatorialmente. Una cosa che gli Schmidt-Cassegrain non possono dare è un grande campo visivo. Molti osservatori visuali desiderano un campo di 2° e lo possono avere da un Newtoniano a corto fuoco. Un sistema con una lunghezza focale inferiore al metro usato con un CCD darà un campo di vista di circa 20 primi d’arco, anche con i sensori più piccoli. Meraviglioso per le comete luminose che dovessero arrivare!
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Figura 2.3. Un Dobsoniano Meade da 32 cm di diametro. Foto: cortesia Meade Instruments Corporation.
Questa è la filosofia che sta dietro l’eccellente serie di Schmidt-Newton LXD55 della Meade. Il “Newtoniano definitivo” è probabilmente uno strumento planetario a lungo fuoco; sto parlando di Newtoniani f/7-f/10, di 25-40 cm di apertura. Gli specchi con questi lunghi rapporti focali possono essere levigati alla perfezione e sono molto più facili da collimare dei riflettori a corto fuoco. Possono anche avere gli specchi secondari molto piccoli, in modo da minimizzare gli effetti della diffrazione. Questi strumenti possono fornire eccellenti visioni planetarie, ma nessuno li costruisce commercialmente, perché sono troppo lunghi per essere montati su una montatura solida a un costo ragionevole. Penso di aver detto abbastanza sull’acquisto di un telescopio commerciale, ma voglio rimarcare alcuni punti: • Comprate il telescopio da uno dei principali distributori nazionali. • Leggete le recensioni sulla strumentazione che compaiono sulle riviste di astronomia come Sky & Telescope o Le Stelle. • Cercate su Internet i gruppi di discussione sui telescopi. • Visitate il locale gruppo astrofili e chiedete di osservare attraverso i telescopi dei soci prima di prendere una decisione. • Mettetevi il cuore in pace: rimpiangerete in ogni caso di non aver comprato uno strumento di apertura maggiore!
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• Se possibile, montate il vostro nuovo telescopio in modo permanente in un Osservatorio facile da utilizzare e con la visuale poco ostruita da alberi o edifici. • Se avete meno di alcune centinaia di euro da spendere, risparmiateli. • Se siete osservatori visuali con meno di qualche migliaio di euro da spendere considerate i Dobsoniani. • Se avete aspirazioni di imaging CCD pensate allo Schmidt-Cassegrain. Naturalmente c’è un’opzione che non ho ancora considerato - comprare un telescopio usato. A essere onesti è una specie di lotteria. Un motivo per vendere un telescopio è perché è difettoso, anche se appare nuovo e luccicante. Allo stesso modo, un altro motivo è che il proprietario non ha tempo di usarlo. Personalmente, prima di acquistare un qualsiasi telescopio usato chiederei di provarlo. Potete provare un’auto di seconda mano, perché non un telescopio? Se potete, acquistatelo da un membro del gruppo astrofili locale o, anche meglio, da un amico. Si fanno sicuramente molti affari nel campo dell’usato, ma è necessario essere cauti.
CAPITOLO TRE
Navigare in un cielo sferico ruotante
Il nuovo astrofilo non ha necessità di usare mappe stellari dettagliate o la tecnica dello star-hopping per muoversi in cielo. Probabilmente, la capacità di riconoscere una dozzina di stelle e i fondi per l’acquisto di un moderno telescopio “Go To” sono tutto quello che serve per individuare qualsiasi oggetto che si trovi al di sopra dell’orizzonte (alberi permettendo). Tuttavia, una comprensione di base di ciò che vediamo in cielo è di importanza fondamentale, che stiate usando un telescopio tecnologico o un Dobsoniano. Quindi, prima di arrivare ai giocattoli tecnologici del prossimo capitolo, vediamo le nozioni di base sul cielo notturno che ogni astrofilo dovrebbe conoscere. Ad eccezione di aerei, meteore e satelliti artificiali, ogni cosa che si trova nel cielo notturno è molto lontana, sorge ad est e tramonta ad ovest. La Terra ruota da ovest verso est in 24 ore e quindi stelle e pianeti sembrano muoversi nella direzione opposta in 24 ore (per la precisione sono 23 ore, 56 minuti e 4 secondi rispetto alle stelle, ma qui non è necessario essere così pignoli). La Luna orbita attorno alla Terra ogni 29,5 giorni (dal Novilunio a quello successivo) e quindi, movendosi fra le stelle verso est, in media sorge ogni notte circa 49 minuti dopo. Qualsiasi altra cosa (ad eccezione di poche comete) sembra fisso sulla cupola del cielo. Il modo più semplice che ha il principiante per visualizzare questo fatto è di prendere un globo terrestre e immaginare che la Terra sia al centro di un globo più grande al cui interno siano dipinte le stelle. Questa sfera più grande ruota nella direzione opposta alla Terra e questo permette alle stelle di sorgere ad est e di tramontare ad ovest. Se la Terra sotto di voi fosse trasparente potreste vedere l’intero cielo (eccetto la zona attorno al Sole), ma se voi poteste togliere anche il Sole e foste seduti su una Terra di vetro, potreste vedere tutte le stelle del cielo in un colpo solo. Naturalmente, in una notte buia e senza Luna potete vedere circa il 50% del cielo in ogni istante ma, a seconda del posto della Terra in cui vi trovate, la visione della sfera celeste sarà limitata dal corpo del nostro pianeta. La sfera celeste è illustrata nella Figura 3.1. 25
L’astrofilo moderno
26 Equatore terrestre Polo nord celeste (Declinazione = 90°)
Equatore celeste (Declinazione = 0°)
Asse di rotazione celeste
Polo sud celeste Le costellazioni si muovono verso ovest mentre la Terra ruota verso est
Figura 3.1. La sfera celeste: una sfera immaginaria che avvolge la Terra.
Un osservatore ai poli nord e sud della Terra vedrà sempre lo stesso 50% del cielo (quando il Sole è ben sotto l’orizzonte). A queste latitudini estreme le stelle non sorgono e non tramontano, si muovono sull’orizzonte sempre alla stessa altezza. Al polo nord la Stella Polare sarà sempre sopra le nostre teste. Un astronomo all’equatore ha la visione migliore. La Stella Polare si trova sull’orizzonte nord, mentre le costellazioni polari sud sono sull’orizzonte sud, e durante l’anno l’osservatore può vedere l’intero cielo. Ovviamente, un qualsiasi telescopio che deve inseguire le stelle deve ruotare verso ovest a una velocità tale che gli faccia compiere un giro ogni 23h 56m 4s. Questa velocità è pari a 1° ogni 4m, o 15” per ogni secondo di tempo. In pratica, il movimento deve essere omogeneo e accurato. Se i motori, le corone dentate e il software utilizzati non sono di qualità sufficiente, le stelle, nelle lunghe esposizioni, saranno elongate. Un telescopio altazimutale come un Dobsoniano non può inseguire le stelle (ha solo gli assi di altezza e azimut che gli consentono gli spostamenti su-giù e destra-sinistra). Anche se questo può sembrare un grosso svantaggio, un buon Dobsoniano montato su cuscinetti fluidi è una gioia da usare perché un piccolo tocco è sufficiente per ricentrare il campo. Questi telescopi sono ottimi per le osservazioni di profondo cielo a bassi ingrandimenti. Un telescopio su montatura equatoriale ha il suo “asse azimutale” inclinato in modo tale da puntare il polo nord o il polo sud celeste (dipende in quale emisfero vivete). Per un osservatore che vive al polo nord o al polo sud, un Dobsoniano è già in montatura equatoriale! Per ogni altra latitudine terrestre, l’angolo che l’asse azimutale – più correttamente, si chiama asse polare quando viene inclinato in questo modo – forma con il suolo deve essere uguale alla latitudine dell’osservatore. In altre parole, ai poli terrestri l’asse polare è inclinato di 90°, all’equatore di 0°, a Milano di 41°, mentre a Roma di 42°.
Navigare in un cielo sferico ruotante
27 Zenit Equatore celeste
Asse polare del telescopio
Verso nord
φ
90 – φ
Verso sud
Orizzonte dell’osservatore
Polo nord
Rotazione terrestre
Figura 3.2. Visione del cielo di un osservatore posto a una data latitudine.
Polo sud
Il disegno della Figura 3.2 chiarisce la situazione per un osservatore dell’emisfero nord. Sulla sfera celeste l’equivalente della latitudine e della longitudine sono chiamate, rispettivamente, declinazione (abbreviata in Dec) e ascensione retta (abbreviata in AR). Il concetto di ascensione retta spesso confonde i principianti. La declinazione dell’oggetto è misurata in gradi, primi e secondi d’arco proprio come la latitudine. L’origine del nome di ascensione retta deriva dai primi telescopi, che erano quasi tutti piazzati nell’emisfero nord. Se guardate a nord mentre siete al fianco di uno di questi telescopi, tutto quello che si trova a destra (right, in inglese) dell’asse polare sale, o ascende, mentre il telescopio insegue le stelle. Da qui ascensione retta (AR). L’ascensione retta è misurata in unità di tempo siderale, vale a dire in ore, minuti e secondi. Di nuovo, questo deriva dal fatto che i primi telescopi usavano un meccanismo ad orologeria per far ruotare l’asse polare. Un giro completo da est verso ovest attraverso il cielo viene portato a termine in 24 ore. Se guardate verso il vostro meridiano locale (la linea nord-sud che vi passa sopra la testa) e trovate che una stella ha esattamente una AR di, diciamo, 7 ore, allora dopo un’ora si troverà nello stesso punto un oggetto con AR pari a 8 ore. L’ascensione retta è proprio come la lancetta di un orologio. O quasi! È ora di spiegare la piccola anomalia per cui 24 ore di AR sono equivalenti a 23 ore, 56 minuti e 4 secondi. Questo accade perché la Terra non solo ruota attorno al proprio asse, ma orbita attorno al Sole nel corso di un anno. A mano a mano che le costellazioni invernali sono sostituite da quelle primaverili, poi estive, infine autunnali, un ciclo completo richiede 365,256 giorni, un ciclo equivalente ad uno spostamento di 24 ore, o 1440 minuti. Dividendo 1440 per 365,256
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giorni, si trovano 3,94 minuti, la quantità che l’orologio a tempo siderale guadagna sul tempo reale ogni giorno. Anni fa ogni Osservatorio aveva installato un orologio siderale che indicava l’ascensione retta degli oggetti che stavano transitando in quel momento in meridiano, vale a dire, il tempo siderale locale. (La maggior parte dei telescopi controllati dal computer mostrano ancora il tempo siderale locale sui display. Lo calcolano conoscendo la data, l’ora e la longitudine che sono state inserite la prima volta che avete inizializzato il telescopio). Quindi (vi sento chiedere!) se il tempo siderale/AR vanno da 0 ore a 23 ore e 59 minuti, dov’è il punto di partenza, dove è localizzata l’ora 0 e come posso usare AR e Dec per trovare un oggetto in cielo? Il punto con 0 ore di AR sull’equatore celeste (a zero gradi di declinazione) è localizzato all’equinozio di primavera, che è il punto in cui si viene a trovare il Sole quando si muove dall’emisfero sud verso l’emisfero nord, cosa che avviene attorno al 21 marzo. Questo punto si chiama primo punto d’Ariete, anche se ora è localizzato nella costellazione dei Pesci. Sei mesi più tardi, la linea con 0 ore di AR transita in meridiano a mezzanotte (attorno al 21 settembre) e le costellazioni attorno al primo punto d’Ariete (Andromeda, Pegaso, Pesci, Acquario ecc.) sono ben visibili. Da questo segue che, tre mesi dopo, sono le costellazioni attorno alle 6 ore di AR a transitare sul meridiano locale a mezzanotte, cioè Orione a metà dicembre; a metà marzo, la costellazione della Vergine a 12 di AR fa lo stesso; il medesimo per Ercole e Ofiuco a 18 ore di AR a metà giugno. In pratica, sia che stiate usando dei cerchi meccanici sia un telescopio “Go To”, un punto in cielo si trova calibrando i cerchi o il computer del telescopio su una stella nota, per poi muoversi verso l’oggetto desiderato. Per esempio, sul mio Meade LX200, la luminosa stella Vega era indicata come “stella 214”. Centrando questa stella nell’oculare e premendo “Star”, “214”, “Enter” e poi tenendo premuto il pulsante “Enter”, l’LX200 era informato che si trovava puntato verso Vega. Quindi sapeva che era puntato verso AR 18 ore 37 minuti e Declinazione +38 gradi 47 minuti. (Notare che i minuti di AR [di tempo] sono una misura angolare maggiore dei primi d’arco di Dec – sono 15 volte più grandi sull’equatore celeste.) D’ora in poi il telescopio sa dove si trova e, purché l’asse polare sia allineato accuratamente con quello terrestre e il motore del telescopio sia attivo, può andare verso una qualsiasi altra parte del cielo con una accuratezza di ±5 primi d’arco. Trovare l’AR e la Dec di una qualsiasi stella è facile. Ogni atlante stellare moderno contiene una griglia di linee di AR e Dec, da cui si può ottenere una posizione approssimata. Un software planetario come The Sky della Software Bisque o Guide 8.0 di Project Pluto permettono di ottenere AR e Dec semplicemente cliccando con il mouse su un oggetto. Cosa ci può essere di più facile? Il gergo può essere un enigma per il principiante. Per esempio, che cosa sono le stelle circumpolari? Facile: si tratta di stelle che, a causa della latitudine dell’osservatore, non tramontano mai. Sono sempre al di sopra dell’orizzonte e sempre visibili nelle notti serene mentre ruotano attorno al polo celeste. Per un osservatore alla latitudine di x gradi, una qualsiasi stella con una declinazione maggiore di 90 – x gradi non tramonta mai. Quindi, per una località a 50° nord, le stelle a nord dei 40° di Dec non tramontano mai; ruotano attorno alla Stella Polare
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come è mostrato nella Figura 3.3.a. Una lunga esposizione della regione polare nord, presa da Nigel Evans, è mostrata nella Figura 3.3b. Per un osservatore dell’emisfero sud posto a Sydney, Australia, a 34° sud, le stelle a sud di –56° non tramonteranno mai; si muoveranno in circolo attorno al polo celeste sud. Il problema speculare è: quali stelle non sorgono mai? Per un osservatore alla latitudine di x gradi, una qualsiasi stella con una declinazione inferiore a x – 90° non sorgerà mai. Ancora, per una latitudine di 50° nord, stelle di declinazione –40° si affacceranno appena sull’orizzonte meridionale quando la loro AR è sul meridiano
Dubhe
Vega
Stella Polare Deneb
Dec +60° Capella
Dec +48° NORD Algol
Almaak
M 31
*
a Figura 3.3. a Le stelle circumpolari sono permanentemente al di sopra dell’orizzonte. Per un osservatore alla latitudine di 50° nord, una qualsiasi stella con una declinazione maggiore di 40° nord (90° – 50°) sarà sempre al di sopra dell’orizzonte, e si muoverà attorno al polo. (per la figura 3.3 b, vedere più avanti)
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b Figura 3.3. b Tracce stellari attorno al polo celeste nord in un’esposizione di 20 minuti. Foto: cortesia Nigel Evans.
(Figura 3.4). Qualsiasi cosa più a sud non sarà mai vista da questa località. Per il nostro osservatore a Sydney, a –34°, le stelle di declinazione +56° spunteranno appena all’orizzonte nord quando la loro AR è in meridiano. Qualsiasi cosa più a nord sarà invisibile. In pratica, bisogna dire che anche le stelle appena al di sopra dell’orizzonte risulteranno invisibili a causa dell’estinzione atmosferica. Fino a questo punto ho (deliberatamente) dato l’impressione che solo i telescopi computerizzati montati equatorialmente possano muoversi in cielo e inseguire gli oggetti. Questo non è vero. Infatti, un telescopio altazimutale controllato da un computer “Go To” converte AR e Dec in altezza e azimut. Invece di inseguire un oggetto ruotando l’asse polare verso ovest, si guida il telescopio sui due assi per seguire l’azimut e l’altezza di una stella. Un tale telescopio non può essere facilmente utilizzato per le lunghe esposizioni – anche se ci sono soluzioni pure per questo problema – perché il campo di vista dell’oculare ruota lentamente, ma per uso visuale restano convenienti. Ora è tempo di esaminare i telescopi “Go To” in dettaglio.
Navigare in un cielo sferico ruotante
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Altair
Ofiuco
Antares Sagittario
M6 M7
Scorpione
Orizzonte sud da 50° nord
Figura 3.4. Stelle dell’emisfero sud che sorgono sull’orizzonte meridionale di un osservatore dell’emisfero nord. Da 50° di latitudine nord, le stelle di 40° sud dovrebbero, in teoria, affacciarsi appena sull’orizzonte meridionale dell’osservatore. Le stelle luminose a 39° sud dovrebbero (in teoria) spuntare per poco tempo al di sopra dell’orizzonte, ma le stelle a 41° sud non possono mai essere viste. In pratica, la luminosa Antares, nello Scorpione, alla Dec di –26°, è una delle stelle più meridionali che un osservatore a 50° nord può vedere.
CAPITOLO QUATTRO
I telescopi “Go To” e le montature
Informazioni di base È dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso che gli astronomi non professionisti possono acquistare telescopi commerciali in grado di puntare automaticamente il bersaglio desiderato, eliminando la difficoltà di fare lo star-hopping fino al soggetto desiderato o di usare i cerchi della montatura al buio. Nel 1986, la Celestron, pioniere degli Schmidt-Cassegrain commerciali, mise in campo il Compustar. Questo sistema accoppiava un microprocessore a un motore passo-passo consentendo al telescopio di memorizzare la posizione di 6000 oggetti e di guidare i motori sul bersaglio desiderato. Tuttavia, questa sola caratteristica non spinse molti astrofili all’acquisto del Compustar. I telescopi controllati dal computer erano molto più costosi delle loro controparti tradizionali, e camere CCD con un prezzo abbordabile erano ancora nel futuro. In retrospettiva, quest’ultimo punto fu critico, perché è diventato evidente che una nuova famiglia di astronomi non professionisti e altamente tecnologici stava aspettando di mettere le ali. Molti di questi astrofili aspiravano ad osservare dall’interno della propria casa, essendo poco interessati a sfidare il freddo, il buio e l’umidità. Un telescopio a controllo remoto poteva essere disponibile già nel 1986, ma non attrasse l’interesse degli osservatori visuali e, senza CCD, raccolse poco interesse anche fra le generazioni high-tech. Al giorno d’oggi i telescopi commerciali controllati dal computer sono numerosissimi, con prezzi e specifiche in continua evoluzione. Ciò che scriviamo in questo capitolo fornisce una panoramica ragionevole di quello che le grandi ditte produttrici di telescopi offrivano nel 2003.
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L’astrofilo moderno
L’LX200 cambia il mondo Nel 1992 la Meade Instruments Corporation presenta la sua risposta al Compustar, lo Schmidt-Cassegrain LX200. Dai primi anni ’90 erano in vendita anche le prime camere CCD e, in pochi anni, sarebbero diventati disponibili gli accessori in grado di rendere possibili le osservazioni remote senza troppe difficoltà: accessori come il riduttore di focale (telecompressor) con cui ridurre la lunghezza focale del telescopio (in modo tale che il campo di vista dei sensori CCD fosse molto più grande della incertezza di puntamento), chip per l’autoguida CCD che potevano assicurare un inseguimento quasi perfetto del telescopio, e software di tipo planetario (con cui basta cliccare sulla mappa per far sì che il telescopio punti dove si vuole!). Ma la vera forza dell’LX200 fu il suo prezzo competitivo; usando pezzi meccanici economici ed encoder ottici (invece dei motori passo-passo del Compustar), l’LX200 aveva un prezzo abbordabile. Il software per la correzione dell’errore periodico era in grado di correggere le imprecisioni di trascinamento in modo tale che si avevano le stesse prestazioni di sistemi più costosi. Il resto è storia: l’LX200 divenne il telescopio amatoriale più venduto al mondo.
Il Meade ETX Nel 1996 la Meade sviluppò un altro best-seller: il suo ETX compatto andò incontro a un successo clamoroso. Alcune centinaia di euro per un Maksutov da 90 mm con il motore di trascinamento e una buona ottica: che si voleva di più? Ma la Meade decise di andare un passo avanti e di introdurre il “Go To” su questo telescopio, per un centinaio di euro in più. A differenza dell’LX200, questo piccolo telescopio non è stato progettato per l’astrofilo evoluto con aspirazioni CCD; è stato progettato più per gli osservatori visuali che vogliano fare giri turistici del cielo premendo pochi pulsanti, e senza prosciugarsi il conto bancario. Anche il 90 mm ETX Autostar (la versione “Go To” dell’ETX) fu un successo commerciale. Ho posseduto un Meade ETX per molti anni e mi sono sempre meravigliato della qualità ottica e del rapporto qualità/prezzo dello strumento. Tuttavia, affinché l’ETX funzioni accuratamente raccomando un approccio sistematico. In nessun modo una vite senza fine di piccolo diametro può garantire uno spostamento del telescopio sul bersaglio entro più o meno mezzo grado (per quanto abile sia il software), ma l’ETX ha un cercatore, e farà entrare l’oggetto desiderato nel campo di quest’ultimo e, di solito, anche nel campo del principale. L’allineamento del telescopio con il nord e il livellamento della base (nella modalità altazimutale) o l’allineamento con il polo (in modalità equatoriale) devono essere fatti con cura e le viti di serraggio degli assi devono essere chiuse per evitare slittamenti. Se accettate che il vostro oggetto non sia necessariamente sempre visibile nell’oculare dell’ETX, ma che sia come minimo nel campo del cercatore, troverete l’uso di questo strumento confortevole e divertente.
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Figura 4.1. a Il Meade ETX 105 EC con la pulsantiera standard. Foto: cortesia Meade Corporation. (per la figura 4.1. b, vedere più avanti)
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Il Maksutov ETX è stato prodotto anche con aperture da 105 e 127 mm (vedi Figura 4.1a) e quest’ultimo modello è testa a testa con il Celestron NexStar 5i, di cui parlerò fra poco. Ci sono anche gli ETX rifrattori a corto fuoco da 60 e 70 mm (vedi Figura 4.1b). Come possessore di un Meade ETX da 127 mm so che si può prendere l’intero strumento, portarlo fuori e iniziare subito ad osservare – insieme al suo treppiede questo telescopio pesa solo 14 kg. Tengo il sistema sempre montato vicino alla porta, così che in meno di cinque minuti posso andare fuori e iniziare a osservare. Un 20 cm SCT (per esempio) sarebbe troppo pesante per sperare di fare la stessa cosa, e qualsiasi strumento con un’apertura più piccola di 127 mm non sarebbe sufficiente per le mie necessità. Secondo me, il sistema mostrato in Figura 4.2 è buono per comode osservazioni occasionali. Anche se possiedo telescopi di diametro maggiore, uso molto il mio ETX da 127 mm perché è comodo. Mi chiedo quanti siano gli astrofili di livello avanzato che trascorrono piacevolmente il loro tempo ad osservare, per esempio, una falce di Luna o il Primo Quarto, stelle doppie come Albireo o la gamma di Andromeda o alcuni degli oggetti di Messier più luminosi. Sicuramente tanti.
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Figura 4.1. b Il Meade ETX 70AT con la pulsantiera standard. Foto: cortesia Meade Corporation.
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Gli strumenti “Go To” più economici A differenza degli ETX 90EC, 105EC e 125EC, i Meade ETX 60-AT e 70-AT sono telescopi a corto fuoco, essenzialmente dei rifrattori di qualità che lavorano, rispettivamente, a f/5,8 e f/5,0. Le lunghezze focali sono entrambe di 350 mm. Sono classificati come telescopi ETX perché hanno la stessa base, forcella e motori. Detto questo, non ci vuole un genio per capire che, confrontati con i rapporti focali f/13,8-f/15 degli ETX Maksutov, i piccoli rifrattori ETX hanno lunghezze focali quattro o cinque volte più brevi e quindi un campo visivo quattro o cinque volte più ampio (a parità di oculare). I massimi campi visivi di questi piccoli rifrattori (circa 4°) sono simili a quelli dei cercatori del Maksutov ETX. Con un campo di 4°, centrare un bersaglio è molto più semplice e si può risparmiare il cercatore, riducendo il costo finale dello strumento. I telescopi Meade DS-2000 (DS sta per Digital Series) non usano la base dell’ETX,
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Figura 4.2. Il Meade ETX dell’autore sul treppiede BC& F ETX.
ma hanno capacità di puntamento simili con la pulsantiera Meade Autostar. Al momento, la serie DS-2000 include un rifrattore da 70 mm f/10 e due riflettori a corto fuoco da 114 e 127 mm di apertura. Il Celestron NexStar 80GT è in competizione diretta con i piccoli rifrattori della Meade, ma ha un’apertura di 80 mm e 400 mm di focale. Come per tutti e quattro i NexStar Celestron “entry-level” viene incluso un cercatore a punto rosso (i più piccoli della Meade non hanno cercatore). In termini di soddisfazione complessiva del principiante, l’80GT è probabilmente la migliore offerta Celestron a basso prezzo, perché la sua apertura è già buona e il campo visivo è compatibile con l’accuratezza di puntamento dei motori. Il NexStar 60GT è un rifrattore da 60 mm f/12 (focale di 720 mm), mentre il 114GT è un riflettore newtoniano da 1026 mm di lunghezza focale. Dovendo scegliere fra questi tre, io personalmente ho scelto l’80GT per la facilità e semplicità d’uso. Il NexStar 4GT è un’offerta un poco diversa; è una versione ridotta dei NexStar maggiori, con lo stesso supporto monobraccio, ma con un’apertura di 100 mm e un’ottica Maksutov aperta a f/13.
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LX90 e LX200 Ora che abbiamo parlato dei più piccoli telescopi Meade a puntamento automatico, aumentiamo le dimensioni e vediamo l’LX90 (vedi Figura 4.3). L’LX90 è stato progettato specificatamente per essere rivale del Celestron NexStar 8, un telescopio il cui fratello minore (il NexStar 5) è stato a sua volta costruito per eclissare la serie ETX della Meade. Le caratteristiche dell’LX90 sono la tastiera Autostar dell’ETX (secondo me, migliore della tastiera originale della serie LX200) e un costo inferiore, ottenuto risparmiando sul sistema dei motori, più piccoli di quelli dell’LX200. Ma soprattutto l’LX90 ha una corona e una vite senza fine di dimensioni maggiori di quella dell’ETX, quindi le capacità di controllo dell’Autostar possono essere sfruttate meglio. Allora l’LX90 ha una buona accuratezza di puntamento e l’inseguimento è abbastanza accurato da permettere la ripresa di fotografie e immagini CCD? La risposta è “sì”. I compromessi fatti per ridurre il costo dell’LX90 hanno impedito l’inclusione del correttore dell’errore periodico (PEC), mentre la forcella e i motori sono più piccoli. Nessuno di questi compromessi va a scapito della precisione di puntamento e l’acquisto di una autoguida o la somma di brevi esposizioni può compensare l’assenza del PEC.
Figura 4.3. Robin Carmichael, membro della Società Astronomica di Leeds, e Xavier Vermeren (all’oculare) con il Meade LX90 di Robin. Foto: cortesia Ray Emery.
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I componenti meccanici standard dell’LX200 possono tener testa ad aperture fino a 35 cm di diametro, mentre l’LX90 è stato progettato specificatamente per un telescopio da 20 cm. Dal punto di vista di un ingegnere elettronico, alcuni dei componenti usati negli LX200 sono vecchi, quindi un cambiamento del progetto (il sistema Autostar) era atteso da tempo. Il nuovo sistema, introdotto per primo sugli ETX, poi sull’LX90, è stato messo sul nuovo LX200 GPS (Autostar II). Le caratteristiche correnti dell’Autostar includono: 1. Il “Go To” per 13.235 oggetti del profondo cielo, cioè tutti i cataloghi NGC, IC, Messier e Caldwell. 2. Il “Go To” per 16.888 stelle, tutti i pianeti e la Luna. 3. Il “Go To” per 26 asteroidi, 15 comete, 50 satelliti terrestri e 200 oggetti definiti dall’utente. 4. Tour guidati di oggetti da osservare all’oculare e menù degli eventi speciali (per esempio eclissi, minimi di Algol, sorgere e tramonto di Sole e Luna, periodi degli sciami di meteore). L’LX90 ha un incredibile rapporto prezzo/prestazioni. Come si colloca l’LX200 GPS (vedi Figure 4.4a e 4.4b) in confronto ad esso? Per quanto riguarda l’LX200 GPS da 20 cm, la sola differenza è che ha motori migliori, è equipaggiato con il PEC, ha il più potente Autostar II e un database maggiore (145.000 oggetti celesti). Anche se il PEC non è disponibile sull’LX90, si può usare un’autoguida CCD per correggere gli errori dei motori, purché si acquisti la porta opzionale Meade. Molti astrofili che riprendono immagini CCD preferiscono l’autoguida al PEC per migliorare l’inseguimento nelle lunghe esposizioni. Per esposizioni brevi, diciamo di 60 secondi, come quelle necessarie per la ricerca di supernovae, il PEC dell’LX200 probabilmente è il sistema più semplice. Se siete veramente desiderosi di riprendere belle immagini, potreste voler acquistare l’AO7, il sistema di ottica adattiva con autoguida della SBIG di cui parlerò più avanti. L’LX200 GPS con il suo database di 145.000 oggetti punta i bersagli ancora più accuratamente dell’LX90 e, più importante, è disponibile nei modelli con 20, 25, 30 e 35 cm di diametro. Con i modelli maggiori è essenziale bilanciare il telescopio in AR e Dec, specialmente quando si trovano montati equatorialmente – i motori sono sottoposti a un notevole stress quando si muovono a 6° al secondo. Il fiore all’occhiello della Meade, l’LX200 da 40 cm, appartiene a un’altra categoria – lo vedremo meglio più avanti. A mio parere, il modulo GPS dei telescopi Celestron e Meade è solo una trovata pubblicitaria. Significa che, accendendo il telescopio, si possono usare i satelliti GPS per stabilire dove ci si trova, di solito entro poche decine di metri. Il telescopio conosce anche l’ora esatta senza che l’utente debba immetterla dalla tastiera da un orologio radio-controllato – e questo è un sicuro vantaggio. Sicuramente evita di dover maneggiare la tastiera al buio. Ci sono altre caratteristiche integrate incluse che hanno a che fare con la ricerca del nord e il livellamento della base del telescopio ma, per me, anche queste sono solo trovate pubblicitarie. Indubbiamente altri non saranno d’accordo.
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Figura 4.4. a L’LX200 GPS da 20 cm della Meade. Foto: cortesia Meade Corporation.
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Celestron La risposta della Celestron al lancio dell’ETX da 90 mm e del fratello maggiore da 127 mm, fu la serie NexStar, partita con il NexStar 5, rivale del maggiore strumento Meade. Il modello del NexStar è diventato così popolare che è stato esteso anche ai diametri maggiori della serie di prodotti Celestron, ci sono così modelli da 20 e 28 cm, con il sistema GPS opzionale. Anche se il NexStar 5i (Figura 4.5) e il Meade 127 mm ETX hanno aperture identiche, puntamento computerizzato opzionale e altre caratteristiche simili, ci sono alcune differenze, e cioè:
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Figura 4.4. b L’LX200 GPS da 35 cm della Meade. Foto: cortesia Meade Corporation.
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• Il NexStar 5i è uno Schmidt-Cassegrain f/10,8 con un campo di vista maggiore dell’ETX, ma senza la collimazione fissa del Maksutov f/13,8 della Meade. • Il NexStar 5i ha un cercatore a punto rosso per l’allineamento su stelle visibili a occhio nudo, mentre l’ETX ha un cercatore 8×25 con un campo di vista di 5°. • Il NexStar 5i ha pulsanti sulla tastiera dedicati agli oggetti di Messier, Caldwell e NGC, mentre l’ETX richiede lo scorrimento dei menù per selezionare gli oggetti. • Nei test che ho condotto il NexStar 5 centra gli oggetti più spesso dell’ETX, anche tenendo conto che il NexStar ha un campo di vista maggiore a parità di oculare. • L’ETX ha le frizioni sugli assi, così gli osservatori esperti possono lasciar perdere il puntamento motorizzato e muovere il telescopio manualmente. Un’altra caratteristica notevole del NexStar 5i è la forcella monobraccio, in contrasto con la tradizionale forcella a due bracci usata da trent’anni sugli Schmidt-
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Figura 4.5. Il NexStar 5i della Celestron. Foto: cortesia Celestron International.
Cassegrain. Solamente un produttore, la Quantum, ha usato questo modello in passato, sul suo Maksutov rivale del leggendario Maksutov Questar. La forcella monobraccio del NexStar ha anche una piacevole caratteristica, la pulsantiera può essere ospitata sulla forcella medesima. Se il NexStar 5i o il Meade 125 EC fossero più pesanti, portarli fuori sarebbe molto meno divertente. Tuttavia, se i vostri muscoli sono più robusti dei miei (non è difficile) potreste essere felici di trasportare i telescopi maggiori della serie NexStar. Voglio sottolineare che l’offerta di telescopi Celestron è molto più ampia di quella che ho descritto qui, ed è in costante cambiamento ed evoluzione. Questo rende quasi impossibile per uno scrittore l’essere più specifico, perché al tempo in cui voi leggerete questo libro le caratteristiche possono essere già cambiate. Le pagine Web dei costruttori e l’annuale Almanacco dei Telescopi della rivista Le Stelle sono la miglior fonte per le ultime informazioni (vedi l’Appendice).
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I NexStar 8i/8GPS contro i Meade LX90/LX200 GPS I Celestron NexStar 8i e 8GPS sono in diretta concorrenza con i Meade LX90 e LX200 da 20 cm. È, da capo, la sfida fra l’ETX 127 e il NexStar 5. O non è così? Tutti questi telescopi sono Schmidt-Cassegrain da 20 cm, f/10 con un’ostruzione centrale paragonabile. Essenzialmente, il Celestron NexStar 8i (Figura 4.6) è una soluzione economica: un tubo più grande sulla stessa montatura del 5i, con una tastiera e un treppiede opzionali. Principalmente è stato concepito per gli osservatori visuali. Il NexStar 8GPS viene fornito con un pesante treppiede, ha motori di elevata qualità e un tubo in fibra di carbonio a basso coefficiente di espansione. È il diretto concorrente del Meade LX200 GPS da 20 cm, ha il PEC e la porta per l’autoguida. È ideale per iniziare a riprendere immagini CCD. Sia i NexStar che i telescopi Meade GPS hanno all’incirca prezzi paragonabili. Il Meade LX90 è uno strumento per l’osservatore visuale con aspirazioni CCD ma, come abbiamo visto, non c’è il PEC è l’autoguida è opzionale. Il NexStar 8i è uno strumento visuale con forcella monobraccio; come opzioni prevede la tastiera computerizzata e il modulo GPS; può portare quasi sempre un oggetto all’interno del campo di un oculare a basso ingrandimento, ma non nel piccolo campo di un sensore CCD.
Figura 4.6. Il Celestron NexStar 8i. Foto: cortesia Celestron International.
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Dal punto di vista della trasportabilità, il NexStar 8i è molto leggero (11 kg, da confrontare con i 14 kg dell’LX90) e anche il treppiede lo è. L’LX90 ha maniglie sui bracci della forcella, ma la maggior parte delle persone non si sentono sicure nel trasportare gli strumenti al buio a meno che non ci sia un amico ad aiutare. Il NexStar 8i ha la stessa base e monobraccio di supporto del NexStar 5i, ma l’8GPS ha una forcella con due bracci. Il lungo tubo dell’8i implica che lo strumento non può essere usato per osservazioni allo zenit. Come per il NexStar 5i, anche l’8i non ha i cerchi di puntamento graduati (il Meade sì) ed è stato concepito per muoversi con i motori, mentre l’LX90 consente anche il puntamento manuale. L’8i ha lo stesso cercatore a punto rosso del NexStar 5i, mentre l’8GPS, l’LX90 e l’LX200 hanno cercatori di qualità del tipo 8×50, un accessorio utile per individuare esattamente il punto di osservazione. Una notte serena spesso significa una notte fredda, e i display LCD della serie NexStar possono diventare difficili da leggere al buio, quando la temperatura è bassa. Dal punto di vista dell’alimentazione, il compartimento delle batterie dell’LX90 è più grosso e ospita otto pile di tipo C, mentre il NexStar 8i può ospitare solo otto pile tipo AA. Tenendo conto che il Celestron può essere mosso solo con i motori, un set di batterie nuove può non bastare durante una sessione di osservazione in una notte fredda (quattro ore di durata è una stima ragionevole per un uso normale). Quanto meno il compartimento delle batterie del NexStar è facilmente accessibile! La Celestron fornisce anche un trasformatore per quelli che possono collegarsi a una presa elettrica. L’LX90 ha 30.000 oggetti in memoria fra Sistema Solare, profondo cielo, stelle e quelli definiti dall’utente; il database del NexStar 8i (opzionale) e quello del NexStar 8GPS hanno 40.000 oggetti, mentre l’LX200 ne ha 125.000. Mi piace la pulsantiera computerizzata della Celestron perché ha pulsanti dedicati per Messier, NGC, Caldwell, pianeti e stelle (vedi Figura 4.7).
Gli SCT da 25-35 cm Escludendo il Meade LX200 da 40 cm, i diametri della serie LX200 GPS vanno dai 20 ai 35 cm. Nei primi anni ’90 del secolo scorso c’erano solo i modelli LX200 da 20 e 25 cm. Poi alla stessa montatura fu aggiunto un tubo da 30 cm di diametro (ne ho uno!). Alla fine del 2002 fu aggiunto un tubo da 35 cm, sempre sulla stessa montatura. D’accordo, gli ingranaggi sono di diametro maggiore (naturalmente) ma, essenzialmente, si tratta della stessa montatura. I modelli LX200 GPS da 25, 30 e 35 cm condividono tutte le caratteristiche del modello LX200 GPS da 20 cm di cui si è parlato sopra; hanno solamente un’ottica di diametro maggiore. La serie NexStar Celestron ha un modello extra, il NexStar GPS da 28 cm (Figura 4.8), in diretta concorrenza con il Meade da 25 cm. Con l’introduzione del Meade LX200 GPS da 35 cm che ha affiancato il modello da 30 cm, la competizione sulle grandi aperture è molto forte! Tutti questi strumenti sono eccellenti per uso visuale o CCD e hanno un buon rapporto fra la qualità tecnologica e il prezzo. Mi piace guardare la corona dentata dei motori della Celestron (su entrambi gli assi la corona ha un diametro di 143 mm, con 180 denti che si accoppiano alla vite senza fine); mi piace anche la possibilità di bloccare lo specchio primario nei Meade LX200 per impedire lo spostamento del fuoco durante i movimenti del tubo. Il tubo in carbonio del Celestron NexStar è qualcosa in
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Figura 4.7. La pulsantiera del Celestron NexStar. Notare i pulsanti dedicati a Messier, NGC e Caldwell. Foto: cortesia Celestron International.
più, così come lo sono le ottiche f/2 Fastar-compatibili (potete mettere una camera CCD al fuoco primario del Celestron NexStar GPS per la ripresa di immagini a grande campo).
I telescopi Meade LXD55 “Go To” Nel 2001 la Meade introdusse un’altra serie di prodotti, tutti basati su una modesta montatura equatoriale alla tedesca. La serie fu chiamata LXD55 e aveva tre possibili configurazioni ottiche: • Rifrattori acromatici di 127 e 152 mm di apertura. • Uno Schmidt-Cassegrain da 203 mm.
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Figura 4.8. Il superbo Celestron NexStar GPS da 28 cm. Foto: cortesia Celestron International.
• Una nuova serie di Schmidt-Newton da 152, 203 e 254 mm di diametro (vale a dire Newtoniani con una lastra correttrice davanti al tubo). Sono questi Schmidt-Newton che hanno generato il maggior interesse per il buon rapporto prestazioni/prezzo. Questi telescopi sono stati pensati come strumenti visuali; il sistema di motori è migliore di quello dell’ETX ma certamente non può essere paragonato con quello LX90/LX200. Con l’Autostar opzionale, l’ottica ideale per il “Go To” sarebbe lo Schmidt-Newton a largo campo. Il prezzo di questi strumenti è notevolmente basso: meno di un migliaio di euro per uno Schmidt-Newton f/5 da 152 mm con Autostar e
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un database di 30.000 oggetti; poco più di mille euro per uno Schmidt-Newton f/4 da 254 mm con Autostar. Il primo strumento, usato con un oculare da 26 mm, dà un ingrandimento di 29× e un campo di 1°,7. La combinazione di una grande apertura e un grande campo, con motori migliori, rende il primo strumento più adatto al principiante dell’ETX 90EC con l’Autostar opzionale. Naturalmente, questo strumento non è trasportabile come l’ETX, ma probabilmente dà maggiori soddisfazioni. Gli strumenti della serie LXD55 non sono stati pensati per la ripresa di immagini CCD, ma come telescopi visuali per principianti non hanno rivali. Una caratteristica interessante del modello di Autostar è che se il puntamento “Go To” manca il bersaglio, premendo ancora “Go To” inizia una ricerca su un percorso a spirale, fino a quando l’utente non vede l’oggetto! La Figura 4.9 mostra un Meade Schmidt-Newton LXD55.
Figura 4.9. Lo Schmidt-Newton LXD55 da 20 cm della Meade. Foto: cortesia Meade Corporation.
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I più grandi telescopi “Go To” Fino ad ora abbiamo considerato quel tipo di telescopi che un astrofilo appassionato può comprare a prezzi tutto sommato accessibili a molti. Ma che dire di quei telescopi che costano come un’automobile di media cilindrata? Probabilmente i contendenti più noti sono il Meade LX200 da 40 cm e il Celestron da 35 cm (il famoso “C14”), montato sulla Paramount ME della Software Bisque o sulla Astrophysics AP1200GTO.
L’LX200 da 40 cm L’LX200 da 40 cm è stato introdotto attorno al 1994 e si trova in una categoria diversa dai telescopi più piccoli della serie LX200 e LX200 GPS, anche trascurando la sua apertura maggiore. In Figura 4.10a è mostrato l’LX200 da 40 cm di Gordon Rogers (a sua volta mostrato in Figura 4.10b). Il 40 cm ha una forcella più robusta e una migliore meccanica rispetto agli altri Meade. Il 40 cm LX200 ha corone dentate da 280 mm di diametro su ciascun asse e monta cuscinetti a sfera di precisione (80 mm di diametro in Dec e
a Figura 4.10. a Il 40 cm LX200 di Gordon Rogers. Foto: cortesia Gordon Rogers.
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Figura 4.10. b Gordon Rogers nel suo Osservatorio. Foto: cortesia Gordon Rogers.
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100/150 mm in AR), necessari per sostenerne il peso. La precisione di puntamento, di solito, è attorno ai 2 primi d’arco. Il 40 cm della Meade ha la caratteristica di mantenere la posizione del telescopio anche quando viene spento (utile per operazioni in remoto) e ha una ventola per la stabilizzazione termica sul retro della cella che ospita il primario, per raffreddare rapidamente le ottiche alla temperatura ambiente (molto utile per lavori planetari). Nonostante la mole imponente della forcella, il telescopio è molto compatto quando è usato in configurazione altazimutale. Per questa configurazione la Meade può fornire come accessorio un derotatore di campo, che si inserisce in una presa del pannello di controllo del telescopio. Questo accessorio ruota la fotocamera o il CCD collegato al telescopio per compensare la rotazione del campo di vista quando il telescopio insegue in modalità altazimutale. In pratica, il derotatore di campo è necessario per esposizioni più lunghe di 2 minuti. Se per le riprese progettate di usare un telescopio, o qualche altro dispositivo fotografico, posto in parallelo al tubo del principale allora avrete sempre bisogno di allineare al polo il telescopio. Tuttavia, per un telescopio grande come l’LX200 da 40 cm, la configurazione altazimutale permette di risparmiare una grossa quantità di spazio – e, naturalmente, di soldi (il supporto equatoriale del 40 cm è molto massiccio – vedi la Figura 4.11!).
The Paramount ME + C14 L’LX200 da 40 cm è un telescopio amatoriale imponente, ma la montatura Paramount della Software Bisque (Figura 4.12) è ancora qualcosa di più. Si può dire che sia la migliore montatura per telescopi amatoriali del mondo. Senza dubbio è la montatura
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Figura 4.11. Il Meade LX200 da 40 cm sul suo supporto equatoriale. Foto: cortesia Meade Corporation.
Figura 4.12. La montatura Paramount ME della Software Bisque con un tubo ottico Ritchey-Chretien da 40 cm di diametro. Foto: cortesia Brad Ehrhorn/RC Optical Systems.
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scelta da chi si occupa della ricerca di supernovae. La combinazione da sogno è sempre stata la montatura Paramount con il tubo ottico Schmidt-Cassegrain del Celestron 14 (35 cm di diametro). Ora, considerato che anche la Meade offre un 35 cm, sono due le possibili scelte. Nel 1997 la Software Bisque decise di investire nell’ingegneria meccanica per produrre la Paramount GT-1100, una montatura per telescopi in grado di rendere giustizia al loro software. Negli ultimi cinque anni a questa montatura originaria sono stati apportati vari miglioramenti; alla fine del 2000 fu annunciata la GT-1100s e, un anno dopo, era disponibile la “Millennium Edition”: Paramount GT-1100 ME. Non passò molto tempo che la superba montatura della Software Bisque cominciò ad essere molto richiesta sia dagli astrofili che dai professionisti. Le prime quattro montature Paramount furono vendute alla US Air Force per localizzare i satelliti spia. Molte di più furono vendute ad astrofili appassionati che cercavano da tempo una montatura di questa qualità. Uno dei primi acquirenti fu lo statunitense Michael Schwartz. Michael fu il primo astrofilo a collezionare un numero consistente di scoperte di supernovae usando la Paramount per controllare centinaia di galassie ogni notte. Combinando l’accuratezza di puntamento e di inseguimento della montatura con la grande apertura del Celestron da 35 cm (che lavora a f/11) e usando una sensibilissima camera CCD retro-illuminata, le scoperte di supernovae sono state molte e in un breve periodo di tempo. Al momento della stesura di questo libro Schwartz aveva scoperto più di 70 supernovae (vedi Capitolo 9). Quali sono le caratteristiche che rendono la Paramount così buona? Prima di tutto, i componenti meccanici sono di qualità molto elevata: la vite senza fine e la corona dentata sugli assi di AR (290 mm di diametro) e Dec (180 mm di diametro) sono solo il punto di partenza. L’accoppiamento fra la corona dentata e la vite senza fine è così efficiente che non si perde energia nella trasmissione di movimento fra il motore e il telescopio; inoltre fra gli ingranaggi il backlash è assente. Il cuscinetto dell’asse di AR della Paramount ha un diametro di ben 20 cm. Per quanto riguarda i motori di guida, la Paramount usa servo-motori a spazzola in corrente continua. Questi motori sono costosi, ma le sole parti meccaniche in movimento sono i cuscinetti: ciò significa avere un’aspettativa di vita molto lunga. I motori usati negli SCT commerciali non durano molti anni se si intraprende un lavoro di sorveglianza di supernovae! Per apprezzare la differenza di qualità basta ascoltare il rumore emesso da una Paramount e quello di uno SCT commerciale durante il puntamento alla massima velocità. La montatura Paramount è sempre stata fornita con il software professionale Tpoint, in grado di rendere il puntamento del telescopio molto più accurato. L’ultima release del software contiene Pro Track, che usa il modello della montatura costruito da Tpoint per rendere più accurato l’inseguimento. Detto in modo semplice, una volta che avete eliminato un qualsiasi errore periodico della montatura usando un fit polinomiale del quinto ordine con il software fornito, le maggiori sorgenti per l’errore di inseguimento sono la rifrazione atmosferica, la flessione del tubo, il disallineamento polare e l’eccentricità degli ingranaggi. Mentre le prime versioni di Tpoint aumentavano la capacità di puntamento della Paramount portandola al di sotto del primo d’arco, Pro Trak usa lo stesso modello per migliorare l’inseguimento. I miglioramenti sono così notevoli che sono possibili pose CCD di 4 minuti, non guidate, con 2 m di focale! La montatura può anche essere programmata per seguire comete e asteroidi mentre si muovono lentamente rispetto alle stelle di sfondo. Quando un telescopio può sorvegliare centinaia di galassie a notte, notte dopo notte, in estate o in inverno, senza mai rompersi o mostrare segni di logoramento,
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anno dopo anno, ha un’affidabilità totale; questo è quello che può fare la Paramount. Probabilmente il solo svantaggio di questa eccellente montatura alla tedesca è la necessità di essere “normalizzata” quando il tubo del telescopio attraversa il meridiano locale. (In altre parole, il tubo e il contrappeso devono essere scambiati di posto per impedire che il tubo colpisca il piedistallo della montatura stessa.) Questo è un problema minore, ma ricordatevi che il costo di questa montatura è paragonabile a quella di un’auto di media cilindrata. Prima di lasciare il regno dei sogni, diamo una rapida occhiata a qualche altra eccellente montatura per telescopi.
L’Astrophysics 1200GTO e le Takahashi Temma Un costruttore alternativo di montature di alta qualità è l’Astrophysics, di Rockford, Illinois. L’Astrophysics è molto rinomata per la sua serie di rifrattori apocromatici, telescopi in grado di fornire eccellenti visioni del cielo notturno; tuttavia, le loro montature equatoriali alla tedesca sono ugualmente impressionanti e per alcuni anni hanno vantato una caratteristica unica – il controllo vocale del telescopio. Il fiore all’occhiello delle montature Astrophysics è la 1200GTO che possiede una corona dentata in AR da 25 cm di diametro con 225 denti, mentre in Dec ha un diametro di 18 cm ma sempre con 225 denti; infine, gli assi di AR e Dec sono robusti e montati su cuscinetti a sfera. La capacità di carico utile è di 63,6 kg. La velocità di movimento dei motori va da 0,25 a 1200 volte la velocità siderale; cioè si arriva a una velocità di puntamento di 5° al secondo (su entrambi gli assi). Il peso della sola montatura è di 41,4 kg. L’astrometrista e scopritore di asteroidi Stephen Laurie è uno fra gli osservatori che usa una Astrophysics 1200 GTO, nel suo caso per sostenere il tubo ottico di un Celestron 14. L’Astrophysics 1200GTO è mostrata in Figura 4.13. L’Astrophysics può fornire il software DigitalSkyVoiceTM per l’utilizzo con la montatura. Questo software, in grado di girare su un comune PC equipaggiato con un microfono, è in grado di riconoscere comandi vocali e di spostarsi sul bersaglio secondo le indicazioni dell’utente. Quindi niente più tastiere da manovrare al buio; ma ci vuole un po’ di pratica per imparare ad usarlo bene! Molti esperti astrofotografi sono dell’opinione che, a parte le montature professionali, la Paramount ME e l’Astrophysics 1200 GTO siano in una categoria a parte – quella delle montature amatoriali definitive. La Takahashi è un altro marchio che da tempo è associato con la qualità e ora è in grado di offrire una montatura di qualità in grado di puntare diversi bersagli. Le montature “Temma” della Takahashi sono disponibili in quattro diversi modelli (cioè la Takahashi EM-10, 200, NJP e EM-500) con una velocità di puntamento che va da 150 a 400 volte la velocità siderale, vale a dire da 0°,6 a 1°,7 per secondo. Queste montature sono progettate per portare carichi utili che vanno dal piccolo rifrattore al Newton da 300 mm di apertura. Va tenuto presente che la Takahashi è molto prudente con le sue specifiche: le loro montature possono sopportare carichi utili molto più pesanti di quelli specificati! Ancora, l’aggiunta del puntamento automatico non ne ha compromesso l’accuratezza di inseguimento; le loro montature possono muoversi più lentamente di quelle degli SCT commerciali, ma la precisione di inseguimento è eccellente.
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Figura 4.13. La montatura Astrophysics 1200GTO, probabilmente la sola seria rivale della Paramount ME. In questa immagine è mostrata con il tubo ottico di un rifrattore apocromatico Astrophysics Starfire, diametro di 155 mm, f/7. Foto: cortesia Marjorie Christen/Astrophysics.
Come con la Paramount, queste montature non sono economiche. Pagate per quello che avete. Mentre questo libro andava in stampa, la Celestron ha presentato alcune montature di qualità che possono coprire il gap fra la classe NexStar/LX200 e quella della Paramount ME. Si tratta di montature equatoriali alla tedesca computerizzate per aperture fra i 25 e i 35 cm, commercializzate sotto il marchio CGE. Sarà interessante vedere come questi strumenti possano competere con i modelli già esistenti nella fascia media dei prezzi. Un’altra interessante new-entry, commercializzata alla fine del 2003, è la Sphinx Go To della Vixen. È stata concepita per carichi utili fino a 10 kg, ed è un’opzione a basso costo per strumenti di diametro compreso fra 20 e 25 cm.
CAPITOLO CINQUE
Fotocamere digitali e video astronomia
Confronto fra le digicam e i CCD raffreddati Prima del 1990 la grande maggioranza degli astrofotografi usava le pellicole fotografiche per riprendere gli oggetti del cielo notturno. Dai primi anni ’90 c’è stato un graduale spostamento verso i CCD e, con l’eccezione della stima visuale delle magnitudini per stelle variabili e comete, ogni aspetto dell’astronomia è stato trasformato dai rivelatori CCD. I non astronomi godono degli stessi benefici quando usano una macchina fotografica digitale (digicam): ma questi dispositivi commerciali possono essere usati per l’astronomia? Ci sono alcune differenze importanti fra le camere CCD astronomiche e quelle commerciali, vale a dire: • I CCD nelle camere astronomiche sono raffreddati 30 °C al di sotto della temperatura ambiente, che riduce il rumore termico di un fattore 20. • Nella maggior parte delle digicam le lenti dell’obiettivo non possono essere rimosse e per interfacciarle al telescopio sono richiesti accessori aggiuntivi. • Il numero di pixel è maggiore per i CCD delle digicam, quindi i file delle immagini sono notevolmente più grossi (un fattore importante se si devono inviare via e-mail o caricare su un sito Web). • I CCD delle digicam hanno filtri colorati sui pixel della matrice e usano un image processing spinto. Queste caratteristiche sono ottimizzate per le riprese diurne, non per quelle notturne. • L’apertura (non il rapporto d’apertura f/) delle lenti dell’obiettivo nelle digicam
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non-reflex compatte è piccola quando la si confronti con quella delle macchine fotografiche tradizionali, a pellicola, basti pensare all’obiettivo “normale” di queste ultime, diciamo un 50 mm di focale a f/1,8. Questa è una diretta conseguenza del fatto che un CCD copre solo 1/20 dell’area di una pellicola 24×36 mm. Per lo stesso campo di vista e con un obiettivo del medesimo rapporto d’apertura, l’apertura (in area) sarà 1/20 di quella della pellicola. Purtroppo, questo cancella il vantaggio della maggiore efficienza quantica del CCD, e quindi la maggior parte delle digicam tascabili non sono più sensibili di quelle a pellicola, anzi! Gli astrofili che acquistano una camera digitale per riprendere immagini di campi stellari e costellazioni devono assicurarsi che i controlli della camera consentano la messa a fuoco e l’esposizione manuale, oltre che la posa B. La maggior parte delle camere digitali di pregio hanno un “sistema di riduzione del rumore” che agisce come la sottrazione del dark frame nelle camere CCD astronomiche: sottraendo il rumore termico, possono essere impostate pose a lunga esposizione. Se la massima esposizione è un minuto, o meno, è probabile che il costruttore abbia volutamente limitato l’esposizione ben sapendo che le lunghe esposizioni sarebbero dominate dal rumore termico del CCD; un’immagine può anche essere saturata dal rumore (e quindi apparirà bianca!) La mia digicam, una Nikon Coolpix 5700, ha un’eccellente posa B di 5 minuti che va bene per riprendere immagini di tracce stellari, costellazioni con stelle fino alla magnitudine +7, e immagini più profonde, con lo zoom 8×, fino alla magnitudine +11. Quando si cerca una digicam per astronomia è essenziale ricordare che una maggiore apertura delle lenti dell’obiettivo significa una maggiore raccolta di luce e quindi la registrazione di stelle più deboli nelle riprese. Dividendo la lunghezza focale per il rapporto d’apertura, si ottiene il diametro dell’obiettivo, ma bisogna stare attenti a fare confronti omogenei; alcuni manuali riportano solo quella che sarebbe la lunghezza focale equivalente per il formato 35 mm: per esempio, indicheranno 35-105 mm, mentre la vera lunghezza focale dell’obiettivo è solo 9-27 mm. Considerate i vantaggi di usare la camera con lo zoom al massimo: il campo di vista sarà molto più piccolo, ma l’apertura è generalmente maggiore, quindi si potranno catturare più stelle. Le più grandi aperture disponibili sono quelle raggiunte con le “macchine digitali professionali di tipo SLR” (single lens reflex), cioè quelle camere che hanno l’obiettivo rimovibile e un grande chip CCD, di dimensioni simili a quelle dei film da 35 mm, progettate per essere usate con gli obiettivi standard delle 35 mm a pellicola. Esempi di questo tipo di macchine sono la Nikon D1, la Canon D60 e la Fujicolor Finepix S2 Pro. Queste camere possono usare senza problemi gli obiettivi fatti per le macchine con pellicola da 35 mm e questo si traduce in un aumento della magnitudine limite stellare. Di solito, un’esposizione di 30 secondi con una digicam di questo tipo con un obiettivo di 50 mm di focale a f/1,8 ci consentirà di raggiungere la magnitudine 10, mentre una digicam standard con un obiettivo di focale 8-9 mm raggiungerà solo la magnitudine 6 o 7. Le digicam SLR con l’obiettivo rimuovibile possono essere utilizzate come le macchine a pellicola per riprendere immagini d’oggetti del profondo cielo con il telescopio. Le loro sensibilità sono una via di mezzo fra quella di una pellicola e quella di un CCD raffreddato, e sommando fra loro molto esposizioni brevi si può ridurre in modo drastico il rumore presente in una singola immagine. Quando questo libro stava per essere completato, la Canon sorprese il mondo delle camere digitali introducendo due notevoli digitali SLR a basso prezzo, destinate a
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diventare le digicam di riferimento per l’astronomo amatoriale. Con un prezzo abbordabile, la Canon Digital Rebel negli Stati Uniti, o la 300D (in Europa) e poi la 350D, sono entrate velocemente nella lista dei desideri degli astrofili. La versione più costosa, la Canon 10D, si sta rivelando in grado di rivaleggiare con le immagini riprese da CCD non raffreddati. La situazione in questo campo cambia però di mese in mese. Probabilmente, i campi d’applicazione migliori per le digicam commerciali sono la sorveglianza delle novae, la fotografia delle meteore e quella delle aurore. Tuttavia, astrofili pieni di risorse hanno usato le digicam per la ripresa d’immagini di Sole, Luna e pianeti. Come primo passo, vediamo il monitoraggio delle novae.
Il monitoraggio delle novae La Figura 5.1 mostra le regioni celesti più interessanti da tenere d’occhio per il monitoraggio delle novae per un osservatore posto alle medie latitudini settentrionali, nei mesi primaverili, estivi e autunnali. Riporta 26 novae confermate più luminose della magnitudine 9, nella Via Lattea estiva, fra le declinazioni –20° e +55°, osservate fra il 1967 e il 2001. Sono mostrate anche quattro novae luminose comparse nella stessa regione nel 1918, 1920, 1934 e 1963. Naturalmente, osservatori posti più a sud possono monitorare le novae anche verso il centro della Via Lattea, cioè nel Sagittario e nelle costellazioni adiacenti. L’area rettangolare da monitorare è larga 30° e lunga 40°, e ha gli angoli opposti ai punti con AR/Dec 20h/–10° e 18h/+30°. Questa regione è ottima per una sorveglianza con una digicam. (Un obiettivo con 50 mm di focale e una pellicola da 35 mm coprirebbe un’area solo un poco più piccola.) Una moderna digicam SLR potrebbe sorvegliare facilmente questa regione rettangolare fino alla magnitudine +10, con tempi di esposizione dell’ordine del minuto. Un’altra soluzione consiste nell’usare un obiettivo fish-eye accoppiato con un CCD astronomico raffreddato. La lunghezza focale tipica di un obiettivo di questo tipo è 16 mm e può compensare la perdita di campo visivo dovuta alla piccola dimensione del chip CCD. Anche se non c’entra con le digicam, questa è una soluzione per il monitoraggio delle novae che uso io stesso (la Figura 5.2 mostra le regioni dell’Aquila e della Volpetta riprese con un fish-eye da 16 mm, f/2,8 e un CCD MX916.) La copertura totale della regione di cielo indicata avrebbe portato alla scoperta di 17 novae in 34 anni, cioè una ogni due anni; e questo solo per le novae che conosciamo! Bene, abbiamo stabilito che il monitoraggio delle novae può essere fatto con una camera digitale (o un CCD collegato con un obiettivo fish-eye) ma che altro possiamo fare?
La ripresa di Sole, Luna e pianeti con una camera digitale La Figura 5.3 mostra l’immagine di un’occultazione lunare di Saturno ripresa da Hanzel McGee nel suo primo tentativo di astrofotografia digitale; è la prova, se ce ne fosse bisogno, che la ripresa di immagini lunari a bassa risoluzione è relativamente
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M-39
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75 Deneb
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34 63
M-13
Vega 86 18h 84
+30
84 68 87
76
67 77
87 91
76
99
Altair 70
99 82
93 95
70 18
75 20h - 10
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70 83 74
Antares 30 novae luminose comparse fra la Dec –20° e la Dec +55°
Figura 5.1. La regione in cui monitorare la comparsa di novae per un osservatore posto nell’emisfero settentrionale. La regione riquadrata è di 30°×40°.
facile. In questo caso la camera era semplicemente rivolta verso l’oculare. Giacché la grande maggioranza delle camere digitali non ha l’obiettivo rimuovibile, questo è uno dei pochi metodi per conseguire un risultato. I problemi nel puntamento della camera attraverso l’oculare (ripresa afocale) sono duplici, cioè: tenere la camera ferma e, inoltre, convogliare tutta la luce che viene dal telescopio verso il chip CCD senza interruzioni o vignettatura del cono di luce. Il primo problema si risolve facilmente; si possono acquistare degli adattatori per il tele-
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Figura 5.2. La regione celeste a nord dell’Aquila fino alla Volpetta e a sud del Cigno, ripresa con un obiettivo fish-eye da 16 mm f/2,8 collegato a un CCD Starlight Xpress MX916. Tre minuti di esposizione; foto dell’autore.
Figura 5.3. Saturno emerge dall’occultazione da parte della Luna. Immagine ripresa il 3 novembre 2001 con una digicam sostenuta a mano da Hazel McGee. La camera era semplicemente rivolta verso l’oculare di un LX200 da 30 cm.
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scopio dai negozi di accessori astronomici. Molti rivenditori vendono dispositivi che rendono rigido e stabile l’accoppiamento fra l’oculare e la camera. Il secondo problema è più complesso e maggiormente dipendente dalle dimensioni delle lenti della camera rispetto alle lenti dell’oculare e all’esatta forma dell’oculare. A prima vista si potrebbe pensare che la priorità qui dovrebbe andare a una camera con un buon diametro dell’obiettivo, in modo tale che l’intera pupilla d’uscita dell’oculare possa entrare nell’obiettivo della camera. Il diametro della pupilla d’uscita è il diametro del fascio di luce sulla lente di campo dell’oculare, dove normalmente l’osservatore pone il suo occhio. In precedenza abbiamo detto che questa larghezza è calcolata dividendo il diametro del telescopio per l’ingrandimento di un dato oculare. Se il diametro della pupilla d’uscita è maggiore della pupilla dell’occhio, non tutta la luce raccolta dal telescopio può entrarvi e quindi è persa. Quando mettiamo una camera digitale vicino all’oculare, dove si trova di solito l’occhio dell’osservatore, si deve applicare lo stesso ragionamento. In pratica, l’affievolimento complessivo dell’immagine per via della perdita di luce causata dal piccolo diametro dell’obiettivo della camera non è un problema. Lo è invece la notevole vignettatura che si ha quando l’obiettivo della camera è troppo grande e non può andare troppo vicino all’oculare. Le immagini che si ottengono in questa situazione sono simili a quelle che si vedrebbero guardando attraverso un tubo nero un campo illuminato: in questo modo, si vede solo una frazione del campo che si vedrebbe con l’occhio attaccato all’oculare. A parte l’usare una camera digitale con una lente più piccola, i metodi per risolvere questi problemi di vignettatura sono: • usare la camera con lo zoom al massimo: in questo modo si ingrandisce la regione illuminata. • Posizionare l’obiettivo della camera in modo tale che la lente frontale sia vicinissima a quella dell’oculare; oculari con lenti che si trovano in posizione rientrata non sono adatti. • Usare l’oculare con la focale maggiore che abbia la lente dell’occhio la più grande possibile. • Operare con il fuoco della camera in modalità manuale. • Se la vostra digicam ha la modalità macro si può togliere l’oculare e, se il piano focale del telescopio è accessibile, si può cercare di riprenderlo direttamente. • Acquistare un adattatore Scopetronix Digi-T/Digi-Adapt (Figure 5.4 e 5.5) con un
Oculare con il paraocchi rimosso Anello Digi-T Anello di raccordo
Figura 5.4. L’adattatore Scopetronix Digi-T per fissare una camera digitale all’oculare di un telescopio. (cortesia Scopetronix)
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Figura 5.5. L’oculare Scopetronix MaxField. Notare la dimensione della lente di campo e la sua prossimità con la parte anteriore dell’oculare per la massima efficienza di accoppiamento in modalità afocale. (cortesia Scopetronix)
Plössl Scopetronix da 25 o 30 mm, o anche un superbo oculare MaxView Scopetronix da 40 mm. Quest’ultimo ha la lente rivolta verso l’occhio, piuttosto grande ed esterna, così si ha un trasferimento ottimale della luce. Questa è una delle migliori soluzioni. Con un oculare a basso ingrandimento e un po’ di sperimentazione, le immagini afocali con una camera digitale possono dare risultati spettacolari, specialmente su soggetti come la Luna, facile da vedere nel mirino per la sua luminosità. Le complicazioni vengono se si vogliono ottenere immagini a grande campo. Con la ripresa afocale non possono essere acquisite visioni a grande campo senza una perdita significativa di luce, con conseguente vignettatura. Il solo modo per aggirare il problema è di acquistare una camera digitale del tipo SLR, cioè con l’obiettivo rimuovibile, o acquistare una camera CCD astronomica e focheggiare sul sensore CCD senza avere oculari o lenti della camera sul cammino ottico. Per riprese a grande campo, l’osservatore sarà interessato alle lunghe esposizioni sugli oggetti di profondo cielo e sulle foto cometarie. A questo scopo, servirebbe semmai una camera CCD astronomica raffreddata. Con un po’ di pazienza, le normali camere digitali possono essere usate per riprendere ottime immagini lunari e planetarie: in questa applicazione hanno un certo numero di vantaggi sui CCD per astronomia. Le camere digitali possono riprendere a colori, quindi la tricromia (passaggio obbligato per una buona parte dei CCD per astronomia) non è necessaria. Una qualsiasi macchina digitale ha molti più pixel dei CCD astronomici; quindi, a parità di risoluzione del pixel, il campo di vista è maggiore ed è più facile localizzare l’oggetto che si vuole riprendere. Visto che l’obiettivo della camera non si può rimuovere, c’è meno possibilità di accumulare polvere sulla finestra del CCD; questo della polvere è l’incubo ricorrente per tutti gli imager CCD planetari. Considerata l’assenza di dispo-
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Figura 5.6. a Il rifrattore Celestron di 80 mm, f/5, di Ray Emery, con un filtro H-alfa per l’idrogeno del diametro di 40 mm della Coronado. b Ray Emery mentre punta la macchina digitale Coolpix 885 nell’oculare del rifrattore di 80 mm. (cortesia Ray b
Emery/John Ericson)
sitivi di raffreddamento, sul chip CCD non si forma nessuna condensazione – mentre qualche volta può succedere con i chip raffreddati. I problemi riguardo alla polvere e alla condensazione possono apparire banali ma, quando si usano le più potenti tecniche di image processing, anche il più piccolo granello di polvere, ad elevati rapporti focali, può danneggiare un’immagine. Molte digicam possono riprendere filmati, ad esempio per registrare l’occultazione di un pianeta da parte della Luna o eventi dinamici simili. Dove le camere digitali possono essere meno vantaggiose è nel salvataggio delle immagini planetarie per l’analisi successiva. Quando riprendo immagini planetarie
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mi piace collezionarne un centinaio per notte con esposizioni molto brevi (in modo tale da congelare il seeing e catturare quei rari momenti di visibilità perfetta). L’immagine che si forma sul monitor di un PC è molto debole e non si può giudicare subito se sia eccellente o meno; la salvo in ogni caso. Il giorno successivo mi guardo le immagini in una stanza buia per selezionare le migliori. Con le limitate capacità di memoria delle digicam questa tecnica di lavoro può subire restrizioni, a meno che non si usi una scheda di memoria da 1 o 2 GB. La ripresa di immagini solari è un altro campo molto adatto per l’imaging digitale, specialmente se si usano piccoli telescopi come i rifrattori di 60-80 mm di apertura. Naturalmente, come per tutti i lavori sul Sole, non si deve mai guardare il Sole attraverso il telescopio a meno che non si sia certi al 100% che si sta usando un filtro solare di qualità. Lo stesso vale nelle riprese di immagini digitali: i filtri solari a tutta apertura devono essere sempre impiegati. Il Sole è così luminoso che, anche con i filtri, non sono mai necessarie lunghe esposizioni e raramente è indispensabile una grande apertura. Di solito, il seeing atmosferico diurno è così scarso che un’apertura di 40-60 mm spesso mostra tutto i dettagli raggiungibili. L’uso di una piccola apertura è un vantaggio per la ripresa afocale perché, ad esempio, con un rifrattore di 60 mm, un oculare a basso ingrandimento può avere un campo di una decina di gradi, ideale per la ripresa del Sole sul CCD ben all’interno della regione vignettata. Questo significa che si può ottenere un’immagine dell’intero disco solare. Con il numero di pixel ora disponibili sulle camere digitali, si può aumentare l’ingrandimento così da avere un pixel per ogni milionesimo dell’emisfero solare, una scala appropriata nelle osservazioni solari. Negli ultimi anni, gli astrofili equipaggiati con le digicam hanno ripreso ottime immagini delle protuberanze solari usando filtri H-alfa collegati a piccoli telescopi. Ray Emery, della Società Astronomica di Leed, è il pioniere inglese in questo campo. Il suo equipaggiamento è mostrato nelle Figure 5.6a e b. Ray usa un rifrattore a corto fuoco della Celestron, un 80 mm f/5, equipaggiato con un filtro H-alfa Coronado a banda stretta di 40 mm di apertura. La Nikon Coolpix 885 viene sostenuta a mano libera contro l’oculare del telescopio ma, nonostante questo, Emery ottiene risultati sbalorditivi ogni settimana (qualche volta anche tutti i giorni), vedi la Figura 5.7.
Figura 5.7. Immagine del Sole in H-alfa ripresa da Ray Emery il 26 aprile 2002, usando la strumentazione mostrata nella Figura 5.6. Rifrattore Celestron da 80 mm, f/5, più filtro H-alfa Coronado da 40 mm. Digicam Nikon Coolpix 885 al massimo zoom (22 mm, f/4,9) a 200 ISO con 1/60s.
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Oltre ad usare camere digitali in astronomia, molti astrofili hanno scoperto che anche le moderne videocamere, le telecamere di sorveglianza e le webcam possono essere usate per riprendere il cielo notturno, ed è quello che vedremo nel prossimo paragrafo.
La video astronomia In generale, in astronomia i tempi-scala tipici sono molto lunghi. Quando però un evento si sviluppa velocemente, allora lo spettacolo è assicurato. È in questi casi che gli equipaggiamenti video domestici, o più avanzati, possono giocare un ruolo. I video sono importanti anche in quelle situazioni dove, a causa del cattivo seeing, è vantaggioso riprendere centinaia di immagini di breve esposizione e sommare le migliori, piuttosto che riprendere poche immagini con esposizioni lunghe. I seguenti campi possono beneficiare in modo notevole delle tecniche video: • • • • • • •
ripresa di immagini planetarie a media risoluzione; eclissi totali di Sole; occultazioni lunari radenti; occultazioni planetarie; occultazione di stelle luminose da parte degli asteroidi; sciami di meteore (è richiesto un intensificatore di immagini!); ripresa dello Space Shuttle/ISS attraverso un telescopio a puntamento rapido.
Inoltre, la proliferazione delle tecniche di montaggio video con il PC ha incoraggiato molti astrofili evoluti a produrre animazioni accelerate di eventi che normalmente si verificano in molte ore: sto pensando alle animazioni di comete e asteroidi che si muovono in cielo, la rotazione di Giove e l’allungarsi delle ombre dei picchi lunari prossimi al terminatore. Software commerciali come AIP, di Richard Berry e James Burnell, possono allineare e sommare le immagini di questo tipo e convertirle in un video da intrattenimento senza problemi. Con qualche sforzo in più, le immagini GIF o JPEG animate possono produrre effetti simili. Iniziamo considerando le attrezzature e le tecniche disponibili.
Tecnologia video per astronomia Adirondack, webcam e telecamere di sorveglianza Negli ultimi anni c’è stata una svolta significativa nella conversione all’astronomia di webcam e telecamere di sorveglianza. Le moderne videocamere sono vendute con il software e l’hardware necessari per la cattura e il montaggio dei video con il PC. Inoltre, economici dispositivi per la cattura dei frame come Snappy o Snap Magic permettono l’importazione dei frame anche su PC tramite la porta parallela. Ci sono indubbi vantaggi nell’utilizzo di tutta questa tecnologia. Per un osservatore con una videocamera, è relativamente facile catturare singoli frame per utilizzo astro-
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nomico. Naturalmente, i singoli frame non andranno troppo in profondità, ma sono ideali per la ripresa di Luna e pianeti. Per molti anni (lo facevo nel 1985) c’era chi riprendeva videotape della superficie lunare e non c’era niente di più simile a ciò che si vedeva nell’oculare (anche superiore alle riprese fotografiche). In anni recenti sono scomparsi due colli di bottiglia della video astronomia. Il primo era il problema di immagazzinare molti minuti di registrazione, con 25 o 30 frame al secondo, su un PC, mentre il secondo riguardava il tempo di elaborazione, cioè il tempo impiegato dal sistema per catturare il frame, salvarlo ed essere pronto per l’arrivo del successivo. Il primo problema è stato risolto con l’introduzione di hard disk con capacità dell’ordine di decine o centinaia di gigabyte, mentre il secondo è scomparso con le ultime generazioni di processori veloci e interfacce elettroniche molto rapide, come le porte IEEE–1394 (Firewire). Ora possono essere ripresi e salvati filmati di Luna e pianeti con un’elevata frequenza di frame al secondo e della durata di ore, o fino a quando è necessario! Il vantaggio è che possono essere selezionati e sommati i frame con i momenti di miglior seeing per ottenere un’immagine con un rumore inferiore a quello del singolo frame. Questa tecnica è simile al metodo usato, con frequenze di cattura minori, dagli imager planetari più noti al mondo, usando camere CCD astronomiche. Le tecniche di “somma” sono discusse in dettaglio nel Capitolo 8. Le camere astronomiche sono, nella maggior parte dei casi, meno rumorose (specialmente quando sono raffreddate) e hanno una maggiore efficienza quantica di videocamere, webcam e telecamere di sorveglianza. Tuttavia, anche con l’interfaccia USB, riescono a riprendere un’immagine ogni manciata di secondi e non 25-30 al secondo: quindi, con i video ci sono molte più immagini da sommare, anche se sono molto più rumorose. Le webcam e le telecamere di sorveglianza possono essere modificate per avere un guadagno maggiore e integrare le immagini su tempi da alcuni secondi ad alcuni minuti, invece che al classico tasso video. Ci sono molte pagine Web dedicate agli entusiasti dell’astronomia con la webcam; probabilmente, al momento in cui è stato scritto questo libro, il miglior gruppo di utenti è quello di Steve Wainwright: è il QCUIAG (QuickCam and Unconventional Imaging Astronomy Group) il cui indirizzo Web è riportato in Appendice. Le webcam e le telecamere di sorveglianza usano chip CCD come le camere astronomiche dedicate, ma alcuni dei chip CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor) sono rumorosi e, naturalmente, le webcam non hanno il chip di autoguida che possa interfacciarsi con i motori del telescopio. La mancanza di un sistema per il raffreddamento del chip è il maggior problema che si incontra con l’utilizzo delle webcam per le lunghe esposizioni, perché il rumore termico tende a dominare sul segnale. Ma, ancora una volta, la somma delle immagini può compensare questo problema. Una somma di 16 immagini avrà un quarto del livello di rumore di un singolo frame con lo stesso tempo totale di esposizione. La somma di frame può essere impiegata al massimo livello di efficienza con la tecnica del drift scan: si riprendono immagini con una frequenza video da una camera o da un telescopio fissi, avendo cura di allineare in seguito le riprese in modo da compensare la rotazione terrestre.
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Specifiche tecniche Quando si leggono le specifiche tecniche di una videocamera si noterà che la sensibilità alla luce è espressa in lux, mentre le camere CCD astronomiche sono caratterizzate dall’efficienza quantica e dal rumore di lettura. Gli astrofili tendono a preferire specifiche che dicano, per esempio, quale è la magnitudine della stella più debole che può essere registrata con un dato telescopio in 60s. Il lux è l’unità di illuminazione per la radiazione fotovisuale (centrata sui 550 nm). Ma convertire da questa unità alla magnitudine stellare (1 lux è l’illuminazione dovuta a una densità di flusso di 1,47·10-7 W/cm2) non è una cosa semplice. Gli ingegneri illuminotecnici usano un filamento di tungsteno alla temperatura di 2854 K e un filtro visuale (centrato a 550 nm) per definire il livello di illuminazione di un lux. Chiaramente, la temperatura di colore di una lampada a tungsteno non ha alcuna rilevanza in astronomia; nonostante questo, i valori in lux vengono ancora usati per dare la sensibilità delle camere astronomiche. Vediamo alcuni esempi. La migliore videocamera moderna può riprendere immagini di oggetti illuminati dalla Luna; questo livello di illuminazione corrisponde alla sensibilità di circa 0,2-0,3 lux. Se si applica una videocamera con una sensibilità di 0,2-0,3 lux a un telescopio di 25 cm di apertura si dovrebbe essere in grado di riprendere stelle fino alla magnitudine 5. Le migliori telecamere di sorveglianza ad alto guadagno, basso rumore, e monocromatiche, possono essere ancora centinaia di volte più sensibili, senza ricorrere a lunghe esposizioni. Con una sensibilità tipica di 0,0050,0005 lux, una telecamera può riprendere immagini stellari fino alla magnitudine +12 attraverso un telescopio di 25 cm, con esposizioni tipiche di 1/60s.
Sistemi commerciali Probabilmente il pioniere della video astronomia commerciale è la Adirondack Video Astronomy di Glens Falls (New York, USA). Nel momento della stesura di questo libro, Adirondack fornisce due tipi di videocamere che sono di grande interesse per gli astrofili. La prima è la PlanetCam Color piccola e a colori. Questa camera ha larghezza, altezza, profondità di soli 5 cm e un peso inferiore ai 200 grammi. L’esposizione può variare da 1/60 a 1/1000 di secondo e l’output video può essere registrato sia su VHS che su un formato video meno rumoroso come il MiniDV. Piccoli pulsanti e interruttori sulla camera permettono all’utente di modificare il contrasto, la nitidezza delle immagini, il guadagno e il bilanciamento dei colori. Tuttavia, questa non è una camera per il profondo cielo; lavora solamente su Luna, pianeti o il Sole filtrato, visto che ha una sensibilità di 1 lux. Può anche fornire piacevoli immagini planetarie a una scala ragionevole perché il chip CCD ha i pixel da 5 micrometri di lato. A differenza delle videocamere convenzionali la si pone direttamente al posto dell’oculare: non ci sono lenti aggiuntive. La seconda e la terza offerta di Adirondack sono le videocamere monocromatiche Astrovid StellaCam e StellaCam-Ex. Quando sentii parlare per la prima volta di questo modello pensavo fossero state violate le leggi della fisica, visto che vari utenti asserivano di poter riprendere la stella centrale della nebulosa ad anello della Lira (M57) attraverso un piccolo telescopio! La stella ha una magnitudine visuale di +15,4 e in genere occorre almeno un telescopio di 40 cm per poterla vedere. Tuttavia, la sua
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magnitudine fotografica è circa 14 e non avevo capito che le StellaCam/StellaCamEx possono sommare fino a 128 frame con un’esposizione di 1/60s raggiungendo così un’esposizione effettiva di 2 secondi. Trascurando le considerazioni sul rumore, questo equivale a una sensibilità superiore di cinque magnitudini stellari rispetto al singolo frame. Adesso si può capire come questa camera possa riprendere stelle così deboli. Effettivamente è una via di mezzo fra una videocamera e una camera CCD a lunga esposizione. Non è la sola via di mezzo: l’STV della SBIG è un sistema ancora più sofisticato, con la possibilità di vedere e memorizzare la immagini, con tempi di esposizione compresi fra 0,001s fino a 10m. Tuttavia, le StellaCam/StellaCam–Ex costano meno di un terzo dell’STV. Secondo Adirondack, la sensibilità della StellaCam e StellaCam–Ex è, approssimativamente, 0,0001 e 0,00005 lux per una somma di 128 frame. Andrew Elliott, della British Astronomical Association, pioniere nell’utilizzo dei video per lavori di occultazione, ha usato per qualche tempo una videocamera a basso prezzo fatta dalla Watec, precisamente il modello 902H. Questa camera ha una sensibilità dichiarata di 0,0003 lux (che, di per sé, non significa molto, a meno che non siano specificate le modalità di utilizzo: usata con uno Schmidt-Cassegrain di 25 cm, f/10, si possono registrare facilmente stelle di magnitudine +12). Usata insieme con un obiettivo da 50 mm di focale, a f/1,8, raggiunge la magnitudine +9. La Watec 902H non è la sola camera a basso prezzo adatta per i lavori di occultazione; ci sono anche camere più economiche e i prezzi di tutti i modelli sono in continua discesa. La Supercircuits PC164C costa ancora meno della Watec, ma va messa in un case e ha una sensibilità che è la metà. Questa camera usa un chip Sony Exview HAD che è anche utilizzato per la video camera CCTV 2006X. La camera CCTV ha un prezzo molto basso ed è facilmente reperibile in Europa. Anche la Meade costruisce un economico “oculare elettronico” che può essere messo nel portaoculari di un qualsiasi telescopio. Non è un dispositivo super-sensibile come le camere discusse prima, ma permette di vedere su un monitor TV Luna, pianeti e oggetti diurni. Gli indirizzi dettagliati per tutte queste videocamere sono in Appendice.
La sensibilità e il rapporto segnale-rumore Quando si considera che queste camere lavorano a 50 frame al secondo, interlacciati per produrre un video con 25 frame per secondo, può sembrare sbalorditivo che le esposizioni siano sufficientemente lunghe per riprendere il cielo notturno. Ma, alla fine, qualsiasi cosa deve sottostare al rapporto segnale/rumore. Ora divertiamoci un po’ a conteggiare fotoni. Il numero di fotoni che passano attraverso l’apertura di un centimetro quadrato, nel range spettrale di un tipico CCD astronomico, è di circa un milione per secondo per una stella di magnitudine 0 (assumendo valori tipici di trasparenza atmosfera/ottica telescopica). Questo valore è un dato empirico, utile per illustrare alcuni fatti salienti. Visto che una stella di quinta magnitudine è 100 volte meno luminosa di una di magnitudine zero, il flusso sarà di 10.000 fotoni per secondo per centimetro quadrato. Una stella di magnitudine +10 ci manderà 100 fotoni per secondo, e una stella di magnitudine +15 solo un fotone per secondo.
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Un obiettivo da 50 mm, f/1,8 (tipico di una 35 mm SLR), ha il diametro di 28 mm (superficie di 6 cm2) e collezionerà 1500 fotoni al secondo da una stella di magnitudine +9. Se moltiplichiamo questa quantità per il tempo effettivo di esposizione della videocamera – diciamo, ad esempio, 1/60s – otteniamo 25 fotoni che per ogni esposizione arrivano al CCD. Non ci si deve sorprendere che una videocamera con un obiettivo come questo giunga fino alla magnitudine +9; invece, possiamo cominciare a capire perché non possa andare oltre. Per la verità, quando consideriamo le stelle più deboli che l’occhio può vedere attraverso un binocolo, comprendiamo subito che la mancanza di fotoni non è un problema: il problema vero è il rapporto segnale/rumore, anche se l’occhio umano e il cervello sono eccellenti processori di segnali! Il termine “efficienza quantica” può essere fuorviante: potremmo infatti credere che se un CCD ha una buona efficienza, allora mostrerà ciascun fotone che riceve come un punto bianco sullo schermo del computer. Non illudiamoci. Anche se 25 fotoni possono sembrare abbastanza numerosi, in astronomia è il rapporto segnale/rumore che va considerato – il rumore di lettura e termico del CCD e la luminosità del fondo cielo sono probabilmente sufficienti per cancellare il segnale risultante dalla conversione di questo piccolo numero di fotoni in elettroni. Su quanti pixel si distribuisce l’immagine stellare? Per strumenti con una lunga focale questo va attentamente considerato: la sola turbolenza atmosferica farà sì che l’immagine di una stella sia diffusa su almeno 10 secondi d’arco quadrati. I calcoli precedenti mostrano che riprendere una stella di magnitudine +9 è possibile con un obiettivo di 50 mm e con l’esposizione di un frame video. Non è assurdo tentare di registrare questa stessa magnitudine con una macchina digitale SLR usando lo stesso obiettivo: qui saranno necessarie pose di molti secondi (o anche minuti).
Immagini planetarie a media risoluzione Avete già visto che le immagini planetarie possono essere riprese con una videocamera; rispetto a una camera astronomica si può ottenere un maggior numero di frame, ma i singoli frame sono rumorosi. A parte questo aspetto, i criteri per ottenere buone immagini planetarie sono gli stessi discussi nel Capitolo 8. Andate lì per avere maggiori informazioni.
Eclissi totali di Sole Le moderne videocamere sono adatte non solo per riprendere i dettagli delle eclissi totali di Sole ma anche per catturare l’atmosfera che si respira in questi eventi. Una singola immagine non potrà mai rendere giustizia a questo spettacolo, sempre diverso. Inoltre, come potrà confermare chiunque abbia cercato di riprendere un’eclisse totale di Sole, i sentimenti che si vivono sono questi: un’attenzione estrema, condita dal timore di non farcela, durante l’eclisse; un senso di rimorso alla fine della totalità, perché si è speso poco tempo a osservare l’eclisse visualmente;
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infine, la delusione quando si sviluppano le foto perché sono tutte velate. Questo è ciò che capita a me. Le moderne videocamere hanno un notevole range dinamico (la capacità di registrare sia i dettagli deboli che quelli luminosi sulla stessa immagine) e la maggior parte offre la possibilità di catturare il singolo frame trasformandolo in un’immagine digitale che può essere importata su un PC. Anche se queste immagini saranno più rumorose e con meno pixel rispetto a quelle riprese con una camera digitale di qualità, la videocamera può riprendere in modo continuo e quindi catturare gli istanti del secondo e terzo contatto (anello di diamanti) con facilità, permettendo al cacciatore di eclissi di sedersi e godersi lo spettacolo. Anche la traccia audio è importante, considerato che registrerà le esclamazioni dei vostri compagni di viaggio e rivelerà qualsiasi espressione di sorpresa vocale (e ce ne sono!). Qualche volta l’analisi del video può essere utilizzata per estrarre alcuni dati scientifici. Se su ogni immagine è registrata l’ora e sono note la longitudine e latitudine del luogo di osservazione (ad esempio, grazie a un ricevitore GPS), si può calcolare l’esatta durata dell’eclisse. Questo è molto utile, specialmente se gli osservatori sono collocati ai limiti nord e sud della fascia di totalità. In questi punti si può osservare un anello di diamanti di durata maggiore, ma la corona esterna non potrà mai essere vista. Tuttavia, quello che si osserva è così sensibile alla misura del diametro solare, che l’analisi del video può aiutare a capire se il Sole si sta espandendo o restringendo. Questo tipo di misure è difficile da fare se non durante le eclissi totali; l’orbita e il profilo lunare sono conosciuti esattamente e il nostro satellite lavora come un disco occultatore al di fuori dell’atmosfera. Il disco solare è così brillante che anche il più avanzato equipaggiamento ottico terrestre non riesce a misurare il diametro solare con la precisione raggiungibile durante un’eclisse totale. Per molti anni l’International Occultation Timing Association ha posizionato gli astrofili lungo i confini nord e sud della fascia di totalità delle eclissi per condurre ottime ricerche scientifiche. Le sole cose necessarie sono una videocamera di qualità e un ricevitore GPS!
Occultazioni lunari radenti Ogni notte la Luna si muove sulla sfera celeste da ovest verso est di una quantità pari al suo diametro (mezzo grado) ogni ora. Nel corso di questo viaggio può passare davanti a stelle luminose. Se la fase lunare è precedente al Plenilunio, le stelle scompariranno al lembo oscuro e riappariranno al bordo illuminato. Dopo il Plenilunio si verifica l’opposto. Ovviamente, le stelle più luminose poste sulla traiettoria della Luna saranno occultate meno spesso semplicemente perché sono poche di numero. Se un osservatore è al posto giusto nel momento giusto, una stella può sfiorare le montagne del lembo nord o sud della Luna, quindi la stella lampeggerà, sparendo quando passa davanti a una montagna e riapparendo quando passa in una valle. Questo fatto può essere molto spettacolare ma è essenziale essere posizionati sulla traccia radente: per ottenere il miglior effetto ci si deve posizionare, in senso nord-sud, entro pochi chilometri o anche poche centinaia di metri dalla posizione dove “l’ombra” delle montagne lunari causerà questo effetto. È raro che un evento del genere si verifichi nel sito dove si trova già l’osservatore. Quindi, come nel caso delle eclissi totali di Sole, un equipaggiamento portatile è di grande utilità, come può esserlo una telecamera di sorve-
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glianza o una videocamera portatile. Le videocamere domestiche possono essere usate ma, come abbiamo visto, sono disponibili anche camere più sensibili a un prezzo modico. Organizzare una spedizione per osservare e riprendere un’occultazione lunare radente può essere divertente. Naturalmente, alcune ricerche sono necessarie prima di partire. I contadini del luogo potrebbero non essere felici di vedere una dozzina di astrofili sparsi per i loro campi, e la polizia può mal interpretare la presenza di un gruppo di persone di notte sul ciglio della strada. Tuttavia, a parte i problemi organizzativi (e di tempo meteo), la registrazione video di un’occultazione lunare radente è un vero spettacolo. Poche cose in astronomia generano entusiasmo e sorpresa in un auditorio come un buon video di radenza.
Occultazioni planetarie Non sorprende il fatto che la sparizione di un pianeta dietro la Luna sia un evento raro. Abbiamo detto che la Luna si sposta da ovest verso est attraverso le costellazioni dell’eclittica, rispetto alla quale la sua orbita è inclinata di 5°. Non solo, i poli orbitali sono soggetti a un moto di precessione (che viene completato in poco più di 18,6 anni). Questo significa che la Luna non si sposta esattamente lungo l’eclittica ogni mese: se ne può allontanare fino a 5°. Quando questa inclinazione è allineata con l’inclinazione dell’asse terrestre, la Luna può oscillare tra una Dec di +28°,5 a una di –28°,5. Quando è allineata nell’altro senso (a causa della precessione) può variare da una Dec di +18°,5 a una di –18°,5. Considerato che i pianeti tendono a stare sul piano dell’eclittica, è chiaro perché la Luna passi raramente di fronte ad essi. La buona notizia è che quando la Luna è sull’eclittica, in un punto in cui si trova anche un pianeta, di solito le occultazioni si ripetono molte volte durante l’anno. Come con le occultazioni stellari radenti, le occultazioni planetarie radenti possono essere viste se ci si trova sulla traccia giusta. Come esempio – per dimostrare che è possibile – nella Figura 5.8a è riportata un’occultazione radente di Giove (la cui traccia è passata sull’Inghilterra settentrionale il 26 gennaio 2002) catturata in un frame video da Ray Emery. Tre mesi dopo, si è verificata un’occultazione di Saturno, mostrata nella Figura 5.8b. Ad essere onesti, dal punto di vista scientifico, le riprese delle occultazioni sono sostanzialmente inutili ma, come per le loro controparti stellari, è molto gratificante mostrarle nei meeting di astronomia. Come detto, le occultazioni lunari possono essere di quattro tipi: sparizione al lembo oscuro o luminoso e riapparizione al lembo scuro o luminoso. I moderni astro-imager devono considerare attentamente i diversi aspetti di queste configurazioni, visto che gli eventi si verificano in un minuto o due e una preparazione a tavolino può fare la differenza fra un brillante successo e una cocente sconfitta. Per le sparizioni, si può vedere dove si trova il pianeta prima che sparisca. Ma se la scomparsa è sul lembo oscuro (cioè quando ci si trova prima del Plenilunio) non si sarà in grado di vedere l’avvicinamento del lembo; questo va bene se si sta riprendendo un video, perché non si perderà neppure un secondo, ma i fotografi devono stare molto più attenti. Ci possono essere problemi anche se la scomparsa avviene al lembo luminoso. Prendiamo il caso di Saturno e del lembo luminoso della Luna Piena: probabilmente voi vorrete avere un’immagine ove si vedono sia la Luna che Saturno con i suoi anelli bene esposti.
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Figura 5.8. a L’occultazione radente di Giove del 26 gennaio 2002. Immagine ripresa da Ray Emery usando un Meade LX200 di 250 mm con un riduttore di focale a f/6,3; videocamera di sorveglianza della Maplins, registrazione digitale su nastro. b Saturno appena emerso dal lembo lunare il 16 aprile 2002 alle 21h 26m TU. Stessi dati di Giove.
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Se non che, la luminosità superficiale della Luna Piena è più di dieci volte quella di Saturno. Anche se Saturno è un corpo molto più riflettente della nostra grigia Luna, è quasi 10 volte più lontano dal Sole, quindi appare piuttosto debole se confrontato con l’abbagliante lembo lunare. Avrete bisogno di determinare quale sia l’esposizione più lunga che il sistema sopporta senza sovraesporre i dettagli lunari, molto prima della notte dell’evento. È sorprendente come si possano sottovalutare questi aspetti. Con i dettagli lunari bene esposti, Saturno, al confronto, apparirà molto debole ma ricordatevi che un po’ di elaborazione digitale può salvare un’immagine sottoesposta, mentre non è possibile fare alcunché nel caso di un’immagine sovraesposta. Per la riapparizione, un problema ulteriore è sapere dove il pianeta riapparirà. Un buon almanacco astronomico o un software planetario darà l’angolo di posizione (AP) della riapparizione sul disco lunare per ogni evento astronomico, misurato in senso antiorario a partire dal nord: ad esempio, un AP di 270° significa che l’oggetto riapparirà al lembo ovest (il bordo destro se si osserva a occhio nudo) a “ore 3”. Una volta noto l’AP, si possono individuare i mari lunari o i crateri vicini a questo punto e puntare lo strumento in anticipo. Una mia immagine CCD che mostra il riapparire di Saturno il 16 aprile 2002 è riportata in Figura 5.9. Diverso il caso nelle riapparizioni al lembo oscuro; tutto quello che potete fare è stimare dove il pianeta
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riapparirà in base al valore dell’AP e stare all’erta per quando il pianeta inizierà a riapparire. Questo è un campo dove le moderne videocamere o le telecamere di sorveglianza possono essere di grande aiuto agli astrofili. Il vantaggio maggiore è che dopo il posizionamento del telescopio si può iniziare la ripresa senza preoccuparsi di nient’altro. Inoltre, quasi tutte le videocamere digitali permettono la cattura e il salvataggio di singoli frame nel formato TIFF o JPG, pronti per essere manipolati dai software per l’elaborazione delle immagini.
Figura 5.9. Lo stesso evento della Figura 5.8b. Saturno che emerge dietro il lembo lunare il 16 aprile 2002 alle 21h 27m 30s TU. Foto dell’autore fatta con un Newton di 0,49 m, f/4,5 diaframmato a 50 mm di apertura (!). Esposizione di 1/100s con un CCD raffreddato MX916. (copyright Martin Mobberley)
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Occultazioni di stelle luminose da parte degli asteroidi Negli ultimi anni la proliferazione di software astronomici e PC ha enormemente facilitato le predizioni accurate delle occultazioni di stelle luminose (magnitudine 12 o inferiore) da parte degli asteroidi. Quando questo si combina con gli alert via e-mail e con un gruppo di osservatori con l’equipaggiamento adatto, allora si possono ottenere ottimi risultati scientifici, per esempio i valori dei diametri degli asteroidi. In effetti, quando si verifica un’occultazione, l’osservatore terrestre si trova nel cono d’ombra proiettato dall’asteroide. A seconda dell’angolo che l’ombra forma con il suolo, la traccia dell’ombra sulla Terra può avere la stessa larghezza, oppure misurare il doppio o il triplo delle dimensioni dell’asteroide. Se l’asteroide è molto grande e/o l’orbita e la posizione della stella sono conosciute con grande accuratezza, si può fare la predizione dell’occultazione con certezza. Tuttavia, in molti casi, l’asteroide sarà piccolo (diciamo minore di 100 km) e la sua posizione può essere nota con un’accuratezza solo dell’ordine del secondo d’arco; in questi casi, la traccia dell’ombra può essere prevista con un’incertezza anche di 1000 km. La Figura 5.10a mostra una traccia di occultazione dell’IOTA (International
a Figura 5.10. a La traccia dell’ombra di (345) Tercidina proiettata sull’Europa il 17 settembre 2002 mentre occultava la stella Hipparcos 19388, di magnitudine 5,5. I pallini indicano la posizione degli osservatori che hanno contribuito alle misure. (cortesia Jan Manek/IOTA-ES) (per la figura 5.10. b, vedere più avanti)
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b Figura 5.10. b Le corde ottenute dagli osservatori europei che hanno osservato la sparizione della stella Hipparchos 19388 mentre era occultata dall’asteroide (345) Tercidina. Le 57 corde osservate hanno fissato le dimensioni dell’asteroide in 99×93 km. (cortesia Jan Manek/IOTA-ES)
Occultation Timing Association), per l’asteroide (345) Tercidina sull’Europa. Le corde di sparizione osservate sono mostrate nella Figura 5.10b; questa è stata l’occultazione asteroidale di maggior successo osservata dall’Europa, seconda solo all’occultazione della stella 1 Vulpeculae da parte dell’asteroide (2) Pallas, verificatasi il 28 maggio 1983 e che fu osservata da 130 stazioni dislocate negli Stati Uniti meridionali e nel nord-ovest del Messico. Gli osservatori che si dedicano alle occultazioni asteroidali possono osservare una dozzina o più di eventi potenziali senza vedere sparire la stella (!), ma un successo come quello di Tercedina fa dimenticare le delusioni. La tecnologia video è di grande aiuto per i nuovi astrofili che vogliano partecipare a questi programmi. Fissare costantemente una stella di magnitudine +11 per una decina di minuti, cercare di non sbattere le palpebre e resistere alla tentazione di guardare l’oro-
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logio è un lavoro noioso. Inoltre, quando si verifica l’evento, con quale precisione riusciremo a premere il cronometro all’inizio e alla fine della sparizione della stella? Le cose sono molto più facili se si può riprendere un video dell’evento con un segnale radio temporale sovrapposto al nastro. Lo IOTA e l’EAON (European Asteroid Occultation Network, vedi l’Appendice) consigliano vivamente questa strumentazione. La sensibilità della videocamera è molto importante. Ho già citato l’utilizzo da parte di Andrew Elliot della Watec 902H, una camera ad alta sensibilità che può registrare stelle fino alla magnitudine +12 con un’apertura di 25 cm; questa camera e altre simili sono ideali per il lavoro sulle occultazioni degli asteroidi. Le videocamere domestiche, anche quelle che si fregiano della sensibilità di “un lux”, hanno prestazioni più modeste e, con un’apertura di 25 cm, possono registrare solo le stelle di magnitudine +5. Un’altra strumentazione cui vale la pena di pensare è l’STV della Santa Barbara Instruments Group (SBIG), vedi Figura 5.11. L’STV è un blocco unico e può funzionare sia come autoguida per le lunghe esposizioni con un’altra camera CCD (o pellicola) sia come camera di ripresa. Non è necessario avere un computer: l’STV è indipendente e può fare tutto da solo. Questa sola caratteristica è interessante per coloro la cui esperienza con la ripresa di immagini CCD è stata un’inutile battaglia, al freddo e all’umido, con un garbuglio di fili fra la camera CCD e il computer. A questo punto vale la pena parlare di sicurezza. Con un tipico setup amatoriale telescopio/camera CCD, la sicurezza è di vitale importanza anche se spesso è trascurata. È facile predisporre involontariamente una sedia elettrica con i cavi elettrici bagnati dalla rugiada. Se bisogna usare un generatore, allora un interruttore con un circuito di messa a terra fornisce una buona sicurezza (lo si può acquistare da un ferramenta) e dovrebbe essere considerato essenziale. Non ha senso spendere grosse cifre per l’equipaggiamento e non spendere pochi euro per un circuito di sicurezza. Torniamo alla camera. Le immagini dell’STV possono essere memorizzate su un nastro video, nella memoria stessa dell’STV oppure, se si preferisce, su un PC. Il trasferimento su un PC può essere fatto anche più tardi, senza la necessità di avere un computer in Osservatorio. Fondamentalmente, l’STV è una videocamera raffreddata, un CCD astronomico e un’autoguida tutto in uno. Nel modello deluxe è incluso un
Figura 5.11. L’STV della SBIG, un sistema versatile di ripresa immagini/autoguida. Foto dell’autore.
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monitor LCD da 125 mm e non c’è nemmeno bisogno di un monitor separato per la visione delle immagini riprese. Se state pensando seriamente alla registrazione video delle occultazioni asteroidali o altri eventi deboli ma volete essere in grado di passare istantaneamente dal video alle pose CCD a lunga esposizione, l’STV può fare per voi. È sicuramente l’unica videocamera che conosco con un chip CCD raffreddato, la possibilità di fare esposizioni da 1/1000s a 600s e salvare i risultati su nastro, sulla memoria interna o su un PC. Viene pubblicizzata come in grado di raggiungere la magnitudine 14 in un secondo con un’apertura di 20 cm, il che equivale a raggiungere la magnitudine +10 in 1/40s; sono performance video molto vicine a quelle della telecamera di sicurezza ad alta sensibilità di cui abbiamo parlato prima. Incidentalmente, vale la pena menzionare il fatto che alcuni astrofili usano l’STV collegata a rifrattori a corto fuoco, in modo da utilizzarli come cercatori quando muovono il telescopio in cielo. In questo caso, si può usare l’“efinder” della SBIG come cercatore. Fornisce un campo di 2°,7 fino alla magnitudine +9,5 con un’esposizione di 3s. Questo, combinato con il breve tempo di download dell’STV, fornisce prestazioni simili a quelle che si possono avere con un intensificatore d’immagini, non troppo diverse da quelle che si ottengono usando la StellaCam-Ex della Adirondack. Naturalmente, molti osservatori di occultazioni asteroidali preferiranno osservare visualmente; è certamente più economico e c’è l’eccitazione di vedere le cose con i propri occhi. Ricordo bene l’occultazione della stella 28 Sgr da parte di Titano (la maggiore luna di Saturno) il 3 luglio 1989. Osservai l’evento visualmente attraverso un rifrattore di 12 cm mentre riprendevo un video con una primitiva videocamera CCD ad alta sensibilità che chiesi in prestito all’azienda in cui lavoravo. Questa videocamera costava migliaia di euro nel 1985, ma le sue performance sono eguagliate da una qualsiasi videocamera a basso costo d’oggidì. Osservare visualmente e aggiungere un commento audio alla registrazione video può dare il meglio di entrambi i campi. In Europa non sono molti gli osservatori che sono stati testimoni di un’occultazione asteroidale e la maggioranza degli eventi con riscontro positivo riguardano un solo osservatore. In un Paese dove il cielo è nuvoloso per gran parte del tempo e dove c’è una probabilità bassa che la sottile traccia dell’occultazione passi vicino a un osservatore, questo stato di cose non è certo sorprendente. Inoltre, le basse temperature notturne per metà dell’anno non aiutano certo a generare entusiasmo. Naturalmente, da un punto di vista scientifico, quello che è necessario è una serie di “corde” che attraversano il profilo dell’ombra dell’asteroide fatte da osservatori situati (di solito) lungo la direzione nord-sud della traccia dell’ombra. Il tempo di occultazione della stella cronometrato da una certa località equivale a una misura del diametro a una data “latitudine” (in mancanza di un termine migliore) sull’asteroide. Se è disponibile un insieme di accurate misure temporali che ricoprano da cima a fondo le diverse “latitudini” dell’asteroide, allora, con queste “corde” si ricava (con un po’ di matematica) la forma precisa dell’asteroide. Un esempio di misura è stato mostrato in precedenza e un’interpretazione artistica di ciò che si misura è raffigurato in Figura 5.12. Ci sono solo altri due modi di misurare le dimensioni e la forma dell’asteroide: inviare una sonda spaziale sul posto o usare un impulso radar quando l’asteroide passa a pochi milioni di chilometri dalla Terra. Quindi le occultazioni asteroidali sono, per gli astrofili con un minimo di equipaggiamento, un modo semplice con cui possono contribuire alla ricerca scientifica. Bene, giunti a questo punto dove si possono trovare le previsioni per le prossime
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Figura 5.12. La misura del diametro di un asteroide dalla misura del tempo di occultazione di una stella luminosa. Ogni corda nera rappresenta il periodo di tempo per cui la stella sparisce dietro l’asteroide, così come è misurato dal cronometro dell’osservatore. Ciascuna linea rappresenta un osservatore in una data località, pochi chilometri a nord o sud dell’osservatore vicino. Con un numero sufficiente di osservatori e una misura accurata dei tempi si può ricavare un profilo accurato dell’asteroide. Immagine originale dell’asteroide (243) Ida: cortesia NASA.
occultazioni asteroidali visibili dalla vostra località? In Europa, Ludek Vasta della Repubblica Ceca ha fondato il sito Web della EAON (European Asteroid Occultation Network). La lista degli eventi futuri è stata completata da Edwin Goffin ed è stata integrata da Jan Manek con le finestre delle osservazioni consigliate. Gli indirizzi Internet per questi siti, più altri utili, sono riportati nell’Appendice. Nell’Appendice troverete anche l’indirizzo del centro mondiale per le occultazioni asteroidali, lo IOTA, mantenuto da David Dunham.
Riprese video degli sciami di meteore L’astronomia raggiunge il picco della spettacolarità quando i fenomeni si producono rapidamente. Gli argomenti trattati nelle pagine precedenti avevano a che fare con eventi che cambiano con tempi scala dell’ordine dei minuti: nelle piogge di meteore ciascuna meteora luminosa dura invece solo pochi secondi e può apparire in qualsiasi punto del campo di vista dell’osservatore. A differenza delle occultazioni e delle eclissi, l’apparizione di bolidi veramente spettacolari è impossibile da prevedere, anche se uno o due sono quasi garantiti quando si hanno i massimi dei maggiori sciami di meteore annuali. L’occhio umano, una volta adattato al buio, è incredibilmente efficiente nel vedere sia le meteore luminose che quelle deboli; l’occhio rivaleggia ancora con qualsiasi dispositivo costruito dall’uomo. Per la sua apertura, l’occhio umano adattato al buio è incredibilmente sensibile; ha l’unico inconveniente che non può integrare le imma-
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gini: le lunghe esposizioni sono impossibili. I fotografi di meteore sono ben consapevoli di questo. Anche con una lente da 50 mm, f/1,8, le pellicole più sensibili potranno registrare solo meteore al più di magnitudine +1 o +2 e ciò nonostante il fatto che la lente ha un’apertura che la avvantaggia di almeno tre magnitudini sulla pupilla dell’occhio! Ancora una volta, dobbiamo tornare a considerare l’efficienza quantica che, nel caso della pellicola fotografica, è solo del 2%, anche senza prendere in considerazione la luminosità del fondo cielo. Ricordate il nostro calcolo sul flusso di fotoni nel paragrafo sulle occultazioni lunari radenti? Bene, l’occhio umano ha un range di sensibilità spettrale che è circa la metà di quello di un CCD, quindi i fotoni che arrivano da una stella di magnitudine 0 attraverso un’apertura di un centimetro quadrato sono circa 500.000 per secondo. Un osservatore esperto da un posto eccezionalmente buio può vedere stelle fino alla magnitudine +7,5 (e anche più deboli se si tratta di un osservatore con la vista d’aquila). È difficile da credere ma è vero. Io, a occhio nudo e dai cieli di campagna dell’Inghilterra, mi sforzo per vedere stelle più deboli della magnitudine +5,5; questi cieli possono sembrare scuri a un abitante della città, ma in realtà non lo sono! Andate in mezzo a un deserto o sulla cima di una montagna alta qualche migliaio di metri, ben lontano dalla città più vicina, e vedrete un cielo notturno completamente diverso; qui anche l’osservatore con meno esperienza potrà vedere stelle di magnitudine +6,5. Se ipotizziamo che la pupilla adattata al buio abbia un diametro di 6 mm, poiché una stella di magnitudine +7,5 è circa 1000 volte più debole di una di magnitudine 0, ci saranno 140 fotoni che, ogni secondo, colpiscono la retina dell’osservatore. Considerato che il “tempo di esposizione” dell’occhio è solo una frazione di secondo e che il cervello non registra “un impulso” a meno che non si attivino contemporaneamente diversi bastoncini ultra-sensibili (cellule della retina), possiamo vedere come l’occhio umano sia un notevolissimo rivelatore. Alcuni astrofili hanno affermato che gli occhi possono avere un tempo di integrazione di alcuni secondi perché, fissando per molti minuti un oggetto al limite della visibilità, occasionalmente hanno una “fugace” apparizione di quello che stanno guardando (probabilmente sono fluttuazioni casuali del numero di fotoni che permettono di vedere l’oggetto, oppure è la loro fantasia che entra in gioco!). Personalmente i miei occhi non lavorano così. Preferisco essere in grado di vedere un oggetto con la visione distolta prima di dire che lo posso vedere. Ma sto deviando, visto che tutto quello che sto cercando di dimostrare è il contrario di ciò che potete pensare: la pellicola fotografica è un rivelatore di fotoni molto inefficiente mentre l’occhio è molto buono. Per lasciare un’immagine sulla pellicola fotografica avete bisogno di concentrare in un solo punto diverse migliaia di fotoni. Per quanto riguarda le meteore, le lunghe esposizioni non aiutano. Si otterrebbe solo la velatura della pellicola a causa della luce diffusa del fondo cielo. Le meteore si muovono attraverso la pellicola a una velocità incredibile, riducendo il numero di fotoni che cadono in un dato punto a un livello che – per la maggior parte delle meteore – non lascia alcuna traccia. Naturalmente, se potete viaggiare per essere testimoni di una pioggia di meteore e usate molte camere fotografiche contemporaneamente, potete ottenere spettacolari immagini (vedi Figura 5.13) ma per uno sciame di meteore medio è necessario rivolgersi all’elettronica e trovare un rivelatore che sia sensibile almeno come l’occhio umano.
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Figura 5.13. Una composizione di due immagini di un bolide delle Leonidi, fotografato dall’autore dal tetto del Palasia Hotel, Palau, il 18 novembre 2001 alle 18h 48m 30s TU. Obiettivi 50 mm, f/1,8 e 16 mm, f/2,8; Fuji Superia 1600. (copyright Martin Mobberley)
Intensificatori d’immagine L’intensificatore d’immagini è stato lo strumento tradizionalmente scelto per la videoripresa delle meteore. In questo tipo di dispositivi un fotone incidente è convertito in un elettrone, che viene amplificato fino a ottenerne 100.000, i quali vengono inviati contro uno schermo fluorescente che emette luce quando lo colpiscono. Nei sistemi commerciali più costosi la videocamera CCD è interfacciata direttamente allo schermo intensificatore con un fascio di fibre ottiche, che è molto più efficiente nel trasferimento della luce. Per poche centinaia di euro possono essere acquistati intensificatori economici o ex
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modelli militari ma sono necessarie alcune precauzioni. I più economici intensificatori commerciali di solito hanno un basso guadagno o un’immagine rumorosa e non sono adatti per astronomia; ancora peggio, molti intensificatori a bassi livelli d’illuminazione hanno un LED infrarosso per illuminare la scena con lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano. Questo va bene se si sta usando l’intensificatore per studiare animali e piante di notte, ma non va bene per illuminare le meteore. In astronomia possono essere usati intensificatori d’immagine di buona qualità di seconda, o meglio di terza, generazione anche se le immagini possono apparire rumorose (di fatto, il rumore è difficilmente sopprimibile quando si considera la quantità di guadagno necessario!). È interessante osservare che, fino a pochi anni fa, i frame CCD sarebbero apparsi rumorosi se confrontati anche con un singolo frame video ripreso con un intensificatore di immagini, quando amplificato della stessa quantità. Quindi, se i CCD hanno un’efficienza quantica paragonabile a quella degli intensificatori di immagini perché non possono essere usati per riprendere le meteore? Fino a pochi anni fa il problema era il rumore di lettura dell’elettronica del CCD. I CCD usati nelle applicazioni video di solito fanno un refresh dell’immagine 25 volte al secondo (50 volte al secondo per un’immagine interlacciata). Il rumore di lettura di una luminosa immagine televisiva è insignificante, ma non lo è più quando si vuole il massimo del dettaglio in condizioni di bassa illuminazione. Quando i CCD sono usati per le lunghe pose astronomiche i maggiori fattori di rumore sono il rumore termico e la luminosità di fondo cielo ma, per esposizioni molto brevi, è il rumore di lettura il fattore dominante. Gli intensificatori di immagine non soffrono di questo problema perché l’immagine non è “letta”, è semplicemente mostrata su uno schermo fluorescente. Negli ultimi anni i costruttori hanno fatto notevoli progressi nella riduzione del rumore di lettura, grazie all’esplosione di interesse nelle videocamere, macchine digitali e telecamere di sorveglianza ad alta sensibilità. Il risultato di tutto questo è che le camere già citate in questo capitolo, cioè la Watec 902H, la Supercircuits PC164C e la CCTV 2006X, hanno tutte un rumore di lettura più basso di una decina di anni fa; anzi, gli intensificatori di immagini rivali costano dieci, venti o trenta volte di più. Si potrebbe acquistare una telecamera di sorveglianza semplicemente per riprendere lo schermo dell’intensificatore di immagini, ma oggi si può tagliare il costo dell’intensificatore e usare solamente la telecamera! In conclusione, che risultati ci si possono aspettare sugli sciami di meteore da un intensificatore di immagini o da una telecamera di sicurezza ad alta sensibilità? Come nell’uso di una camera CCD è necessario un compromesso fra sensibilità e grande campo. Obiettivi a grande campo inevitabilmente hanno corte focali e un’apertura piccola; possono abbracciare una grande porzione di cielo, ma non possono registrare le meteore più deboli. Come con le camere digitali, il fotocatodo di un intensificatore e il CCD di una telecamera di sorveglianza saranno più piccoli di una pellicola (molto più piccoli nel caso del CCD): quindi il campo di vista con un dato obiettivo sarà più piccolo di quello che si ottiene con una pellicola. Nonostante questa limitazione, l’efficienza quantica di questi rivelatori implica che con un obiettivo a corto fuoco che copra 30° o 40° di cielo, e purché l’apertura sia superiore a 10 mm, si possono rilevare le meteore in modo più efficiente di quanto possa fare l’occhio umano. Un grande fotocatodo può avere un diametro di 20-25 mm; perciò, in questo caso, l’area dell’immagine è simile a quella di un sistema basato sulla pellicola, ma circa 100 volte più sensibile! Al momento in cui scrivo, un intensificatore di immagini ex militare di seconda o terza generazione dal prezzo abbordabile è in grado di fornire pre-
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Figura 5.14. Una tipica ripresa da intensificatore d’immagine. Questa è una Perseide del 2002. (Steve Evans)
stazioni superiori a quelle di una telecamera di sicurezza super-sensibile in bianco e nero, ma i progressi nell’eliminazione del rumore di lettura e l’aumento di dimensioni dei chip CCD presto ridurrà le differenze di performance. Una tipica immagine da un intensificatore è mostrata nella Figura 5.14. In Germania l’osservatore di meteore Sirko Molau ha sviluppato un sistema usando un intensificatore di immagini di seconda generazione e una videocamera accoppiata con un PC dotato di frame-grabber. Il suo software, chiamato Metrec, analizza tutti i frame del video, rilevando e misurando automaticamente le meteore. Questo software può essere scaricato dal sito Web della International Meteor Organization (vedi Appendice). Il sistema Metrec è efficiente tanto quanto un osservatore esperto (ma non soffre il freddo e non si stanca). Durante i picchi delle Leonidi del 1999 e 2001, alcuni osservatori di meteore telescopiche hanno ripreso, usando videocamere ad alta sensibilità, deboli flash di luce mentre le Leonidi colpivano la superficie lunare. Purtroppo, dal tempo in cui questo libro è pubblicato, la prossima tempesta delle Leonidi sarà fra 30 anni.
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Riprese video della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) Molti astrofili avranno visto lo Space Shuttle, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) o la defunta Stazione Spaziale Mir, muoversi rapidamente attraverso il cielo. Le previsioni dei passaggi possono essere trovate sul sito Web di Heavens Above (vedi Appendice). Pochi astrofili hanno avuto successo nel riprendere immagini ad alta risoluzione di questi oggetti e a risolvere dettagli di pochi metri. In termini di pura risoluzione non è un’impresa impossibile. Per un oggetto a 390 km dalla Terra, un semplice calcolo mostra che 1 secondo d’arco sottende solo 2 m (tan(1/3600)×390.000 = 1,89). Risolvere dettagli grandi come un astronauta dovrebbe essere una formalità per un osservatore planetario. Sfortunatamente questo non è il problema principale. La ISS, per mantenersi sulla sua orbita percorsa in 90 minuti, si muove a circa 8 chilometri al secondo. Questo si traduce in una velocità di 1°,2 al secondo (quando passa allo zenit), pari a 4320 secondi d’arco per secondo. Messa in un altro modo, questa è circa 300 volte la velocità di un telescopio che insegue le stelle alla velocità siderale. Molti Schmidt-Cassegrain commerciali possono muoversi a velocità di 6° o 8° al secondo, ma non si tratta di un movimento preciso o programmabile. Ma allora, che tecnica si può usare per acquisire immagini in alta risoluzione dello Space Shuttle e della ISS. Molti astrofili che hanno avuto successo in questo campo hanno investito parecchio denaro in una costosa montatura equatoriale come la Paramount ME della Software Bisque, la Archimage della Merlin Controls Corporation o montature autocostruite. Fortunatamente funzionano anche metodi più primitivi ma economici. Ad esempio, per un comune PC è disponibile un pacchetto software chiamato C-sat (vedi Appendice) in grado di guidare un comune Schmidt-Cassegrain Go To per seguire 3500 satelliti, inclusa la ISS. Usando un Meade LX200 da 30 cm e C-sat, Ron Dantowitz dell’Hayden Planetarium di Boston (USA) ha ripreso molte immagini dettagliate dell’ISS e dello Space Shuttle. Il solo vantaggio che si ha in questo campo è la luminosità della ISS. È un oggetto ad alta riflettività e, mentre orbita attorno alla Terra, non le manca la luce solare. La ISS è invisibile nel mezzo della notte perché cade nel mezzo dell’ombra terrestre quando passa sopra la testa dell’osservatore: i satelliti terrestri in orbita bassa sono visibili solo all’alba o al tramonto (il Sole deve essere tramontato per avere un cielo buio, ma se è troppo sotto l’orizzonte, allora la luce solare non illuminerà il satellite). Visto che la ISS è luminosa, può essere filmata con una videocamera standard con un’esposizione standard; vale a dire esposizioni di 20 ms o minori. Anche se il telescopio non sta inseguendo la ISS perfettamente, la breve esposizione può congelare il moto. Inoltre, con un video è possibile acquisire migliaia di frame in soli pochi minuti di ripresa. Usando questo metodo, astrofili determinati hanno ottenuto immagini sorprendentemente buone della ISS movendo manualmente il telescopio e tenendo la ISS al centro di un cercatore ben allineato, mentre la videocamera riprendeva al fuoco principale. È una procedura che richiede una concentrazione considerevole e un buon sangue freddo per i pochi minuti che la ISS impiega a passare sopra la testa ma, come spesso succede in astronomia, si migliora quando si soffre. Una buona immagine nitida della ISS, magari quando lo Shuttle si attacca/stacca da essa è un premio di cui
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Figura 5.15. La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ripresa da James W. Young e Gary L. Gresdalen il 16 giugno 2002 dall’Osservatorio JPL/Table Mountain con un Cassegrain di 61 cm, f/16 e una camera digitale Minolta Dimage 7. È stato usato un oculare MaxView40 della Scopetronix e un adattatore EZPix per collegare la macchina fotografica al telescopio. Esposizione di 1/15s con sensibilità di 100 ASA. Il telescopio è stato programmato per inseguire la ISS.
vale la pena entrare in possesso ed è una di quelle cose che genera molto interesse nei meeting di astronomia. Una superba immagine della ISS, presa con una digicam Minolta Dimage 7, è mostrata in Figura 5.15.
CAPITOLO SEI
Camere CCD raffreddate
Introduzione Per i nuovi arrivati nel mondo dell’astronomia che sfogliano le riviste di settore può essere difficile capire esattamente che cosa sia una camera CCD raffreddata. Dopo tutto, anche le fotocamere digitali usano un chip CCD. Ma perché sono così economiche? Rivediamo quello che fa un CCD. Facciamo un’analogia: potete immaginare il CCD come il giardino sotto casa pieno di secchi vuoti; i secchi sono disposti in diverse centinaia di righe e colonne, per un totale di centinaia di migliaia di secchi (e spesso più di un milione). Se supponiamo che la caduta della pioggia sia equivalente all’arrivo dei fotoni dal cielo e chiamiamo ciascun secchio un “pixel”, l’analogia è completa. Un CCD raccoglie i fotoni allo stesso modo in cui i secchi raccolgono le gocce d’acqua. La complicazione è la misura accurata dell’acqua (la carica elettrica risultante da ciascun fotone) di ciascun secchio (pixel). Questo è un problema in astronomia perché i livelli di illuminazione sono piuttosto bassi; è come misurare poche gocce di pioggia in un vecchio secchio bagnato, rilevandone il contenuto attraverso una conduttura bucata! Le camere digitali usano gli stessi chip CCD ma, nelle condizioni normali di illuminazione diurna, i livelli di illuminazione sono centinaia di migliaia di volte maggiori, cioè i secchi sono quasi sempre mezzi pieni. Quando sul chip CCD arriva un piccolo numero di fotoni, questi sono quasi sommersi dal rumore termico dell’elettronica e, per esposizioni brevi, dal rumore di lettura del chip CCD. Provate a riprendere una posa di 30 secondi del cielo notturno con una fotocamera digitale commerciale e vedrete quanto rumorosa sarà l’immagine – è come una TV sintonizzata su una stazione talmente lontana da essere quasi fuori portata. Fortunatamente, questi problemi non sono insormontabili. Raffreddando il CCD, 85
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ogni 7 °C il rumore elettronico si dimezza. Le moderne camere CCD astronomiche possono raffreddare il chip da 30 a 40 °C al di sotto della temperatura ambiente, di conseguenza il rumore è ridotto di circa 30 volte. Ma questo non è ancora tutto. I CCD e l’elettronica destinata all’astronomia sono costruiti in modo da avere il rumore elettronico più basso possibile. Sono anche progettati per avere l’efficienza quantica più alta possibile, per garantire che in ogni pixel sia generata una carica per ogni fotone in arrivo. Questa tecnologia però è disponibile a un prezzo più elevato. La differenza di prezzo si capisce quando si tiene conto del fatto che i produttori di CCD astronomici in un anno vendono solo centinaia o migliaia di camere, mentre Canon, Nikon e Fuji ne vendono milioni. Un problema connesso con le camere CCD raffreddate è cosa fare per evitare la condensazione. Le camere CCD per astronomia vengono progettate per essere ermetiche e, in molti casi, hanno il silica gel sostituibile per mantenere secco l’interno della camera. Abbiamo già visto altrove in questo libro che le camere digitali standard possono essere usate per riprese lunari e planetarie (anche se le webcam sono più adatte e meno costose), ma che per la ripresa di oggetti del profondo cielo e delle comete, neppure con la somma di centinaia di frame risultano competitive. Le immagini CCD di alta qualità di galassie, nebulose e comete vengono sempre prese con camere CCD raffreddate. Ci sono tre tipi fondamentali di camere CCD raffreddate, e cioè: 1. CCD a scan progressivo (usato in molte astrocamere di qualità) che impiega un otturatore meccanico per coprire il chip CCD durante il download dell’immagine. 2. CCD a trasferimento di frame (di solito usati per la ripresa di immagini planetarie/per piccoli chip/per le camere di autoguida) che compiono una lettura rapida (in millisecondi) dell’immagine, trasferendola in una parte del chip al riparo dalla luce, seguita da una fase di lettura più lenta per la misura elettronica. 3. CCD interlinea: sono chip a basso costo, simili a quelli usati nelle videocamere/ digicam, in cui parte della superficie del pixel è impiegata per portare via la carica e l’area oscurata è recuperata parzialmente da microlenti poste sulla superficie del chip. La Starlight Xpress usa questa tecnologia al massimo delle sue capacità, come vedremo più avanti. Quando le prime camere CCD accessibili comparvero sul mercato nel 1989, la possibilità di scelta per gli astrofili era molto limitata. Il primo vero successo commerciale in questo campo fu l’ST4 della Santa Barbara Instruments Group (SBIG). Inizialmente concepito come autoguida per le fotografie su pellicola a lunga esposizione, l’ST4 divenne presto un sistema per la ripresa di immagini per proprio conto, nonostante le ridotte dimensioni (2,5×2,5 mm) e il limitato numero di pixel (32.000). In quel periodo divenne popolare anche un altro piccolo chip, il Lynx. In questi primi anni la priorità non era l’eccellenza delle immagini CCD; era già una novità essere in grado di usare un mezzo dieci volte più sensibile delle pellicole più veloci e prendere esposizioni di 60 secondi, affidandosi solo ai motori del telescopio per inseguire bene. Però, che sollievo non dover cercare la stella di guida e guidare per 10 o 20 minuti (per non parlare della guida fuori asse nella fotografia delle comete!). L’aspetto negativo della ripresa di immagini CCD era semplicemente centrare l’oggetto sul chip, che spesso richiedeva una precisione di puntamento del telescopio di pochi primi d’arco. Ma ora gli astrofili possono avere il meglio: CCD ultra-sensibili, il doppio più sensibili dei loro predecessori, e che possono riprendere immagini su una superficie quasi pari a quella di una pellicola fotografica, se le finanze lo consentono. Inoltre, la capacità di
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memoria dei moderni PC e la velocità delle interfacce USB permettono alla tecnologia CCD di crescere senza incontrare seri colli di bottiglia. Gli analoghi progressi nella tecnologia di Internet implicano che gli astrofili sparsi per il mondo possono caricare il loro lavoro notturno su pagine Web entro pochi minuti dalla ripresa delle immagini. Sicuramente è un mondo astronomico molto più frizzante di quello degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, dove non si potevano conoscere i risultati altrui fino a quando non venivano pubblicate le fotografie sulle riviste diversi mesi dopo! Ma allora quali sono le scelte disponibili per l’astrofilo che voglia acquistare un CCD nei primi anni del XXI secolo? Prima di vedere le nuove meraviglie tecnologiche dobbiamo chiarire che cosa chiedere a un CCD.
Scegliere una camera CCD Gli aspetti più importanti da considerare quando si acquista una camera CCD per l’astronomia sono il campo di vista e la risoluzione necessarie al campo di indagine scelto. Se il vostro sogno è di ottenere immagini del profondo cielo della migliore qualità, allora avete bisogno di pensare a un pixel del CCD che copra, sul cielo, 1 o 2 secondi d’arco (1/3600 di un grado). In pratica, con un’atmosfera tipicamente instabile, 2 o 3 secondi d’arco per pixel saranno sufficienti, visto che anche le stelle più deboli saranno dilatate fino a 4 o 5 secondi d’arco sia dall’atmosfera che dall’inseguimento non perfetto del telescopio. Tuttavia, coloro che in questo campo cercano la perfezione hanno dimostrato che con il miglior equipaggiamento, la migliore autoguida, le migliori condizioni atmosferiche e un oggetto ad elevata altezza sull’orizzonte, vale la pena di prendere immagini con una scala di 1 secondo d’arco per pixel, anche se in tal modo si sacrifica il campo di vista. Sotto queste condizioni perfette, le immagini delle stelle deboli possono avere solo 2 secondi d’arco di diametro! Sfortunatamente, i rapporti focali dei telescopi newtoniani non sono ottimali, essendo piuttosto aperti. Sono disponibili accessori per gli Schmidt-Cassegrain commerciali, i quali lavorano normalmente a f/10 o f/11, che possono comprimere la loro focale di 0,33 o 0,63? (un terzo o due terzi circa), aumentando il numero di secondi d’arco per pixel e il campo di vista disponibile. La semplice formula che segue vi permetterà di risparmiare tempo con la trigonometria (ricordate che un micrometro è un millesimo di millimetro): Scala del CCD (secondi d’arco per pixel) = 206 × dimensioni del pixel (in micrometri) /lunghezza focale (in mm) Ad esempio, per 490 mm di apertura, un Newtoniano f/4,5 e una camera CCD con 23 micrometri per pixel: Scala del CCD (secondi d’arco per pixel) = 206 × 23/(490 × 4,5) = 2,15 secondi d’arco per pixel. Se il nostro scopo è la ripresa di immagini planetarie in alta risoluzione, allora avremo bisogno di pensare a lunghezze focali maggiori, di solito cinque o sei volte più lunghe di quelle ottimali per la ripresa di immagini del profondo cielo. In questo caso, vorrete catturare i dettagli più fini che il vostro telescopio può risolvere nei brevi momenti di buon seeing. I migliori imager planetari del pianeta hanno trovato che
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scale delle immagini di 0,2 o 0,3 secondi d’arco per pixel sono ottime per catturare i dettagli più fini e delicati (dirò qualcosa di più in un capitolo successivo). Questo equivale (per il teorema di Nyquist) a catturare dettagli di 0,4-0,6 secondi d’arco sul pianeta o, messa in un altro modo, a raggiungere la risoluzione teorica di un telescopio con uno specchio fra i 290 e i 190 mm di apertura. Se scegliamo un’immagine con una scala di 0,3 secondi d’arco per pixel, la seguente formula semplificata ci dirà la lunghezza focale richiesta: Lunghezza focale richiesta (in mm) = dimensione dei pixel (in micrometri) × 688. Per esempio, per un CCD con pixel da 10 micrometri: Lunghezza focale richiesta (in mm) = 10 × 688 = 6880 mm. Per uno Schmidt-Cassegrain con un’apertura di 300 mm, questo implica un rapporto focale di 6880/300 = 22,9. Perciò, possiamo usare una lente di Barlow 2×, per aumentare il tipico rapporto f/10 in un f/20, ottimo per la ripresa di immagini planetarie. Lo stesso strumento f/10 e la camera CCD possono usare un riduttore di focale a 0,33× per dare una lunghezza focale di 990 mm e una scala di 2,08 secondi d’arco per pixel, ideale per le immagini del profondo cielo. Quindi, un’escursione di sei volte sulla lunghezza focale copre le richieste sia dell’imager planetario ad alta risoluzione sia di chi riprende il profondo cielo con “seeing tipico”. Ora lasciamo la matematica e diamo un’occhiata a quello che offre il mercato. Lo spazio disponibile non permette di passare in rassegna tutte le camere CCD disponibili, ma solo quelle delle maggiori case produttrici. Partiremo con il leader del mercato, la SBIG.
I CCD e gli accessori della SBIG Nel momento in cui sto scrivendo, la SBIG ha un’ampia varietà di camere CCD disponibili, in grado di soddisfare tutte le lunghezze focali e i budget. Dal punto di vista dell’acquirente le cose più importanti da tenere presente saranno il prezzo, l’efficienza quantica, il tempo di scaricamento di un’immagine e l’accoppiamento della focale del telescopio con la dimensione dei pixel, ma qui dipende se si vogliono riprendere immagini di profondo cielo, planetarie o entrambe. Un’altra cosa da tenere presente è la guida per le lunghe esposizioni; qui ci sono cinque possibili opzioni: 1. Nessuna guida per le lunghe esposizioni, cioè solo pose brevi non guidate (l’opzione tipica per la ricerca di supernovae). 2. Autoguida usando un CCD separato nella testa della camera CCD. 3. Guida con un sistema di ottica adattiva come l’AO-7 della SBIG. 4. Autoguida usando un’autoguida separata con un telescopio di guida. 5. Il modo antico: guida manuale a occhio (solo per masochisti, orribile!). Molte camere della SBIG hanno un CCD separato e più piccolo nella testa della camera CCD, specificatamente per l’autoguida. Il movimento della stella di guida
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scelta attraverso il chip di guida innesca le piccole correzioni che vengono inviate ai motori del telescopio in modo tale che la stella resti sempre centrata sul CCD principale e le immagini siano nitide e senza stelle elongate. Tuttavia, un telescopio ha una massa considerevole e può impiegare una frazione di secondo per rispondere ai comandi dell’autoguida. L’AO-7, l’unità di ottica adattiva della SBIG, usa le stesse informazioni dal chip di autoguida ma, in questo caso, la correzione non è inviata ai motori del telescopio quanto piuttosto allo specchio dell’AO-7. Va detto che l’AO-7 si pone fra il telescopio e la camera CCD e tutta la luce che colpisce entrambi i CCD deve essere riflessa da uno specchio. Considerata la leggerezza dello specchio, la risposta ai comandi del chip dell’autoguida è immediata (entro 10 ms), e l’AO-7 può fornire ottimi risultati anche con telescopi dai motori meno che perfetti; i migliori risultati si ottengono alle grandi lunghezze focali, anche con buoni motori. Lo specchio dell’AO7 ha un range di spostamento equivalente a circa ±450 micrometri sul CCD o a ±50 pixel se i pixel sono di 9 micrometri. Se la scala della vostra immagine è di 2 secondi d’arco per pixel, questo equivale a ±100 secondi d’arco o a un range totale oltre 3 primi d’arco. Questo significa che se avete un motore scadente, ma con meno di 3 primi d’arco di errore periodico totale, può essere preferibile l’acquisto di una camera CCD con autoguida della SBIG con l’AO-7, piuttosto che acquistare una nuova montatura per il telescopio. Attualmente, le camere CCD con autoguida della SBIG hanno chip di 5 dimensioni diverse, l’ST-7XE, ST-8XE, ST-9XE, ST-10XE e l’ST-2000XM. La “X” indica che è presente il download tramite USB; questa caratteristica è stata introdotta nei cinque modelli nell’aprile 2002 e ha aumentato drasticamente la velocità di scaricamento delle immagini. Inoltre, tre di queste camere con la “X” (l’ST-8/9/10XE) ora usano un chip di autoguida di maggiori dimensioni: invece del chip TC-211 della Texas Instruments, hanno ora adottato il CCD TC-237 che ha tre volte l’area del TC-211 e i pixel sono due volte più grandi. L’ST-7XE è la camera con autoguida più economica che produce la SBIG; ha un sensore CCD di 765×510 pixel con pixel quadrati di 9 micrometri di lato; in tutto abbiamo 390.150 pixel su un’area di 6,9×4,6 mm. Quindi, dalla prima delle formule precedenti, la lunghezza focale richiesta per raggiungere la scala di un secondo d’arco per pixel è 206×9/1 = 1854 mm, mentre per avere 2 secondi d’arco per pixel sono richiesti 927 mm. Il campo di vista con 1 secondo d’arco per pixel sarà 765 secondi d’arco × 510 secondi d’arco = 12,8 primi d’arco × 8,5 primi d’arco, mentre a 2 secondi d’arco per pixel sarà 25,6 primi d’arco × 17,0 primi d’arco. Se i vostri principali interessi astronomici e le limitazioni sono simili ai miei, cioè la ripresa veloce di immagini di media qualità in condizioni di seeing cattivo (spesso attraverso aperture nelle nuvole) di novae, supernovae e comete, troverete che una scala di 2 secondi d’arco per pixel è ideale da usare con l’ST-7. Perché? In pratica, in un Paese europeo, l’astronomia è una battaglia contro gli elementi e gli impegni personali. Con un equipaggiamento e un cielo non perfetti, senza abbastanza tempo libero per fare tutto quello che la vita moderna richiede, si ha bisogno di un equipaggiamento che sia facile da usare, con il quale si possa trovare rapidamente e in modo affidabile gli oggetti, così da approfittare delle schiarite fra le nuvole. Una scala dell’immagine di 2 secondi d’arco per pixel è più che adeguata per questo lavoro e, con un campo di vista di 25,6×17,0 primi d’arco, anche un LX200 consumato dall’uso dovrebbe portare il bersaglio all’interno del campo! L’attrattiva dell’ST-7 originale era il chip di autoguida inserito nella testa della camera, una caratteristica comune a molte delle camere della SBIG (vedi il sistema di autoguida dell’ST-9XE nella Figura 6.1); questo è il motivo per cui la acquistai nel
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1997. Nelle notti davvero serene, quando non ci sono nuvole, posso dare un’occhiata a quello che il CCD di autoguida sta vedendo e scegliere una stella su cui guidare. Questo processo è un po’ più lungo di quanto si sarebbe portati a credere, prima di tutto perché l’aggressività nella risposta dell’autoguida deve essere ottimizzata per adattarsi al sistema dell’operatore e alla luminosità della stella di guida e, inevitabilmente, non ci sono sempre stelle di guida adatte nel campo del chip di autoguida (specialmente a f/10). Un altro fattore è il backlash in declinazione che, in alcune notti, può rendere l’intero processo piuttosto complicato. Naturalmente, se si ha l’AO-7 della SBIG, i motori del telescopio non hanno bisogno di essere disturbati dall’autoguida (a meno che l’errore periodico sia così cattivo che lo specchio dell’AO7 vada fuori corsa). Per quegli osservatori, che sono specializzati nell’ottenere solo una mezza dozzina di immagini astronomiche a colori per anno, magari fino alla 22esima magnitudine, l’autoguida con motori costosi e/o l’AO-7 è il solo modo di riprendere astro-immagini. Nel Capitolo 10 parleremo ancora di questa categoria di osservatori esigenti. Per la maggior parte di noi, specialmente per chi va alla ricerca di supernovae, prendere immagini con 60-120 secondi di esposizione e sommarle è l’opzione più semplice,
Figura 6.1. Il chip principale e quello di autoguida della ST-9XE della SBIG fotografati dall’autore.
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Figura 6.2. Un’immagine della galassia M101 ripresa con una SBIG ST-8E da Gordon Rogers. Ripresa fatta con un LX200 Meade di 0,4 m di diametro a f/6,3. Èstato usato l’AO-7, l’autoguida ad ottica adattiva della SBIG.
valida per la maggior parte delle notti. Tuttavia, io credo che molti astrofili vorrebbero un’opzione per l’autoguida, perché sognano di riprendere l’immagine perfetta a lunga esposizione. Ma, poi in pratica, la maggior parte userà raramente questa opzione! Con il nuovo download USB, un’intera immagine di 765×510 pixel può essere catturata in circa un secondo, usando un PC con un 1 GHz di frequenza della CPU. Ma allora, se la ST-7EX della SBIG è una camera eccellente, perché guardare a quelle più costose? Le ST-10XE/10MXE e la ST-8XE hanno molti più pixel (2184×1472 e 1530×1020, rispettivamente), quindi un’immagine prodotta da queste camere può avere quasi una qualità fotografica. In Figura 6.2 è mostrata una superba immagine di M101, ripresa con l’ST8 da Gordon Rogers. Quando sono accoppiati con rifrattori di qualità a corto fuoco o teleobiettivi, questi CCD possono produrre spettacolari immagini a grande campo di oggetti come la Galassia di Andromeda (M31) e la Nebulosa di Orione (M42). Queste immagini hanno così tanti pixel che possono essere stampate sulle copertine delle riviste di astronomia senza pixelature o sfocature. Anche se la scala dell’immagine di 1 o 2 secondi d’arco per pixel cattura il massimo dell’informazione, spesso succede che l’immagine manchi di definizione, perché i problemi con il seeing e con la guida allargano l’immagine delle stelle. Tuttavia, a una lunghezza focale di, diciamo, 500 mm, l’ST-10XE e l’ST-8XE avranno, rispettivamente, una scala di 2,8 e 3,7 secondi d’arco/pixel, quindi le stelle saranno piccole, ma non quadrettate, e il campo di vista (ampio 1°,7 e 1°,6) sarà spettacolare. L’ST-10XE ha pixel molto piccoli
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Figura 6.3. a La camera CCD SBIG ST-9XE fotografata dall’autore.
(6,8 micrometri) che la rendono molto interessante agli utenti dotati di strumenti a corta lunghezza focale. Che cosa dire della ST-9XE riportata nelle Figure 6.3a e b? Di che cosa si tratta? Il CCD ha 512 × 512 pixel, con dimensioni di 20 micrometri; perché acquistare una camera così? Ecco perché: i grandi pixel dell’ST-9XE sono ideali per la ripresa di immagini di alta qualità di oggetti del profondo cielo al fuoco f/10 o f/11 degli Schmidt-Cassegrain commerciali. Per i maggiori cacciatori di supernovae del mondo, come Mark Armstrong, Michael Schwartz, Tim Pucket e Tom Boles, la scelta originaria è stata un Celestron C14 di 35 cm f/11, montato su una Paramount e un CCD con i pixel grandi. Il C14 ha una focale di circa 3900 mm, quindi i pixel da 6,8 e 9 micrometri dell’ST-10XE/MXE e dell’ST8XE darebbero una scala di un terzo (206 × 6,8/3900) e di un mezzo (206 × 9/3900) secondo d’arco per pixel al fuoco f/11, il tipo di scala associato con la ripresa di immagini planetarie. Naturalmente, i pixel piccoli possono essere accoppiati a 2 × 2 o anche 3 × 3 per fare pixel più grandi, ma per molti il punto critico è che l’ST-9XE costa la metà dell’ST-10XE/MXE e due terzi dell’ST-8XE. I pixel da 20 micrometri dell’ST-9XE, con una focale di 3,9 m, danno giusto un secondo d’arco per pixel, una scala dell’immagine ideale per riprendere immagini in condizioni di buon seeing su oggetti ben al di sopra dell’orizzonte e cercare deboli supernovae vicine ai nuclei delle galassie. Se il vostro interesse principale è la ricerca di supernovae, la scelta ottimale è una camera con un tempo di download ridotto e una scala dell’immagine prossima a un secondo d’arco per pixel. Con tale scala, il chip di 512 × 512 pixel dell’ST-9XE copre un campo di 8,5 × 8,5 primi d’arco – una piccola area di cielo, ma grande abbastanza
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Figura 6.3. b Le interfacce della camera SBIG ST-9XE: sono visibili l’alimentazione, l’USB, la porta per l’ottica adattiva/la ruota dei filtri colorati/porta di guida del telescopio e una porta per accessori futuri. Fotografia dell’autore.
per il puntamento con un LX200 Go To e un facile bersaglio per una montatura di qualità come la Paramount o la Astrophysics GTO. Una mia immagine di una supernova ripresa con una ST-9XE a una scala di 1,4 secondi d’arco per pixel è mostrata nella Figura 6.4. Una via alternativa per addomesticare la grande lunghezza focale degli Schmidt-Cassegrain consiste nell’usare un riduttore di focale come il Celestron o il Meade 0,63×, oppure l’Optec WideField (0,5×)/MaxField (0,33×, per piccoli chip CCD). Tuttavia, in pratica, i cacciatori di supernovae che in questi anni hanno avuto il maggior successo non hanno usato riduttori di focale, ma hanno optato per camere CCD dai grossi pixel e con un’elevata efficienza quantica; i risultati parlano da soli. Un’altra considerazione per l’acquirente di un CCD è se scegliere una camera ABG oppure NABG (con antiblooming gate o senza). Che cosa vuole dire? Un antiblooming gate è un canale semiconduttore sulla superficie del CCD che toglie le cariche in eccesso nei pixel saturati. In altre parole, quando la luce di una stella luminosa riempie il pixel, l’eccesso di carica viene inghiottito dall’antiblooming gate (ABG). In un CCD non-AGB (NABG) la carica “deborda” dal pixel e, di solito, lascia una striscia verticale sopra e sotto il pixel stesso. Si potrebbe pensare che l’ABG sia l’opzione migliore; tuttavia con l’ABG ci sono alcuni svantaggi quando il CCD viene usato per scopi scientifici: il gate inizia a togliere l’eccesso di carica molto prima che il secchio sia pieno; questo significa che la carica nel pixel non è in relazione lineare con la luminosità della stella se quest’ultima è più del 50% vicino alla saturazione. Quindi, se il
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Figura 6.4. Un’esposizione di 60 secondi della galassia NGC 6946, fatta con una camera CCD SBIG ST-9XE e un LX200 di 30 cm, che mostra la supernova 2002hh. (copyright Martin Mobberley)
vostro interesse primario sono belle immagini del profondo cielo preferirete un CCD con l’ABG per evitare le linee bianche che “colano” dalle stelle luminose, ma se siete interessati a una fotometria accurata è preferibile l’opzione NABG. Nella metà del 2002 la SBIG offriva le versioni ABG e NABG del ST-7XE e 8XE, ma solo l’NABG sul ST-9XE e 10XE. Un’altra considerazione riguarda l’efficienza quantica; con l’ABG si possono ottenere belle immagini stellari, ma l’efficienza quantica è ridotta. Per me l’NABG è sempre da preferire. Negli ultimi cinque anni, le migliori immagini di oggetti del profondo cielo sono state ottenute con camere SBIG ST-7E e ST-8E abbinate a ottiche di qualità (spesso tubi assemblati con ottiche Ritchey-Chretien, qualche volta Schmidt-Cassegrain standard) e montature di qualità, qualche volta usate con l’AO-7. Di solito, la lunghezza focale del telescopio è stata compressa con un riduttore di focale da 0,75× (Astrophysics) o 0,63× (Meade/Celestron), per avere una scala dell’immagine di 0,70,9 secondi d’arco per pixel. Ma ottenere un’elevata qualità non è solo un problema di equipaggiamento o di scala dell’immagine; si tratta anche di un’accurata messa a fuoco, un accurato allineamento polare, molta pazienza e un cielo buio! Fino ad ora non ho menzionato l’ultima camera della SBIG, l’ST-2000XM. Questa rappresenta la nuova linea di tendenza della SBIG, sviluppata per dare una risposta a quei clienti che chiedevano immagini migliori e più grandi, ma a un prezzo più basso di quello dei modelli ST-8/10. Il chip è di tipo interlinea (lo stesso adottato da molti anni dalla concorrente Starlight Xpress). I CCD interlinea sono molto usati per le applicazioni video e quindi sono più economici dei loro equivalenti a trasferimento di frame. La SBIG ha scelto di utilizzare un dispositivo della Kodak; la Starlight Xpress si è rivolta alla Sony. I CCD interlinea hanno i circuiti per il download delle immagini direttamente sulla superficie del chip, quindi impediscono al pixel di silicio di raccogliere tutta la luce disponibile. Questo condiziona l’efficienza quantica del dispositivo, ma, usando microlenti per recuperare la luce persa, la sensibilità diventa comparabile
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Figura 6.5. a L’interno della ruota portafiltri CFW8 della SBIG, che mostra i filtri rosso, verde, blu, trasparente e il foro vuoto. Fotografia dell’autore. (per la figura 6.5. b, vedere più avanti)
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con quella dei piccoli chip Kodak ABG, come quelli usati per l’ST-7XE. La 2000 XM ha 1600 × 1200 pixel da 7,4 micrometri, quindi ha più pixel dell’ST-8XE, ma un’area leggermente più piccola. Tuttavia, per molti il pregio maggiore è il costo: l’ST-2000XM costa solo il 60% dell’ST-8XE. A questo punto abbiamo una buona panoramica delle camere CCD con autoguida della SBIG, tutte compatibili con la ruota portafiltri CFW-8 della SBIG (Figure 6.5a e b), e l’unità di ottica adattiva AO-7. La SBIG costruisce anche diverse altre camere, come le ST-1001E, ST-5C, ST-237A e STV. L’ST-1001E vanta la maggiore area d’immagine di qualsiasi camera CCD della SBIG. Incorpora un’area attiva di 1024 × 1024 pixel quadrati con lato di 24 micrometri, cioè 24,5 × 24,5 mm. In questo modo ricopre il 70% dell’area di un frame fotografico 24×36 mm. È un grosso chip con pixel grandi, ma è piuttosto costoso e non ha il download USB, la compatibilità con la ruota portafiltri o il chip di autoguida. Le camere ST-5C e ST-237A hanno pixel di piccole dimensioni (rispettivamente, 10 e 7,4 micrometri), sono più piccole del resto delle camere SBIG e questo le rende un carico meno pesante quando vengono usate con piccoli telescopi o montate in parallelo con teleobiettivi. Sia l’ST-5C che l’ST-237A possono riprendere sia immagini di profondo cielo sia planetarie, ma i 320 × 240 pixel dell’ST-5C vengono considerati idonei alle riprese planetarie, mentre i 657 × 495 pixel dell’ST-237A sono particolarmente adatti per l’uso con il sistema Fastar della Celestron, aperto a f/2. Entrambe le camere sono disponibili con una piccola ruota portafiltri interna, ma i loro giorni come sistemi d’imaging planetario sono contati, visto l’avanzare in questo campo delle economiche webcam a colori. Tuttavia, se avete qualche dubbio sui risultati che si possono ottenere con queste piccole camere CCD, date un’occhiata alle riprese di Giove e Saturno ottenute da Damian Peach nel capitolo sull’imaging planetario. Il rapido tempo di download di un’immagine ogni 3 secondi ha contribuito a fare dell’ST-5C il CCD di riferimento per le immagini planetarie, ma con le webcam come
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Figura 6.5. b La ruota portafiltri CFW8 della SBIG collegata a una camera CCD della SBIG. Fotografia dell’autore.
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la Philips ToUcam Pro, che hanno un download di 25 frame per secondo, questo vantaggio è sfumato. Raramente lo sviluppo nel campo dei CCD, e specialmente di quelli della SBIG, si ferma per più di pochi mesi. Mentre era terminata la correzione delle bozze di questo libro, la SBIG ha annunciato l’imminente disponibilità di alcuni nuovi prodotti. Fra questi, la versione senza autoguida delle camere ST7, 9 e 10, una versione a colori dell’ST-2000MX, e una nuova linea di camere per la ricerca, dotate di chip massicci (fino a 24×36 mm), con prezzi accessibili. Controllate le pagine Web della SBIG per gli ultimi dettagli.
Le camere CCD della Starlight Xpress In termini di costo le camere della Starlight Xpress sono quelle che hanno spianato la strada al successo dei CCD. Questo è vero soprattutto in Inghilterra, dove il fondatore della compagnia, Terry Platt, divenne un viso familiare nei raduni di astrofili fin dagli
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anni ’80 e il suo nome veniva istantaneamente associato a eccellenti immagini planetarie. Le camere CCD della Starlight Xpress sono piccole, leggere e accessibili; inoltre vengono offerte un paio di camere a colori che evitano le fatiche della ripresa di immagini in tricromia. L’accessibilità è la chiave di volta del successo delle camere Starlight Xpress. Non hanno camere con un CCD separato di autoguida (anche se hanno un dispositivo di autoguida, lo Star 2000) e non hanno milioni di pixel come la SBIG ST-10E. Le Starlight Xpress sono meno sensibili degli ultimi modelli della SBIG e alcuni chip CCD non hanno i pixel quadrati (che devono essere corretti via software con il ricampionamento dell’immagine). La Starlight Xpress usa i chip CCD interlinea usati nelle videocamere commerciali. Nei più tradizionali CCD a scansione progressiva o in quelli a trasferimento del frame, ci sono molti meno circuiti sulla superficie di silicio e l’assorbimento della luce può avvenire su un’area maggiore. Al momento in cui scrivo la SBIG ha a sua volta introdotto una camera con CCD interlinea (la ST-2000 XM), anche se è molto più costosa delle piccole camere della Starlight Xpress. Recentemente, i costruttori di chip hanno migliorato la capacità di raccolta della luce dei CCD interlinea, quindi c’è meno differenza rispetto agli altri tipi di chip. Il chip “Super HAD” Sony usato dalla Starlight Xpress incorpora microlenti su ciascun pixel, che convogliano la luce sull’area sensibile alla luce, che altrimenti sarebbe caduta sui circuiti. Se state pensando di usare una camera CCD della Starlight Xpress, un’altra considerazione da tenere presente è capire quando un pixel non è un pixel! I chip usati nelle applicazioni video lavorano in modo interlacciato, cioè i pixel possono essere “accoppiati in senso verticale” e questo dimezza la risoluzione del chip. Inoltre, per un’immagine a colori, si usa una matrice di filtri colorati in binning 2×2, in grado di fornire il colore per ogni parte dell’immagine. Quindi, in queste camere la luminanza (luminosità monocromatica) ha una risoluzione doppia della crominanza (immagine dei colori). Visto che la combinazione occhio-cervello è molto più sensibile alla risoluzione della luminanza che alla risoluzione della crominanza, è una buona luminanza che rende buona un’immagine; la risoluzione della componente a colori è meno importante. Se state pensando di acquistare una camera a colori della Starlight Xpress per riprendere solo immagini a colori di Luna e pianeti, allora una webcam USB come la Philips ToUcam Pro o una webcam con la connessione firewire è una scelta migliore. Questi dispositivi hanno prezzi molto bassi, difficili da sopportare per un negozio che venda camere CCD. Gli adattatori webcam-telescopio sono disponibili senza problemi. Tuttavia, per la ripresa di immagini a colori, con una sola esposizione, di galassie, nebulose o comete la Starlight Xpress regna suprema, anche se la supremazia in campo planetario è stata spazzata via dalle webcam. In tutto questo, la principale competitrice è la Philips ToUcam Pro che usa il CCD Sony interlinea ICX098AK, con 640×480 pixel. L’area attiva del chip misura circa 3,9×2,8 mm e i pixel sono quadrati, con lato di 5,6 micrometri. I colori sono naturali e il tasso di download arriva a 25 frame per secondo tramite la porta USB. L’immagine sullo schermo del PC è simile a ciò che si può vedere attraverso l’oculare. È un piccolo miracolo che le webcam inizino a dominare per lavori a posa breve. Le camere della Starlight Xpress non hanno un compartimento con il silica gel (il silica gel è usato per rendere secca l’aria interna alla camera e impedire la condensazione quando lo stadio Peltier riduce la temperatura del chip di 30 °C al di sotto della temperatura ambiente). Al suo posto, la camera utilizza un compartimento d’aria molto piccolo che impedisce lo sviluppo dell’umidità. Ancora, queste piccole camere
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non includono un otturatore meccanico; quindi per la ripresa dei dark frame è necessario mettere il tappo al telescopio o alla camera. Un otturatore meccanico è spesso necessario quando si riprendono oggetti luminosi, come la Luna, con un CCD a trasferimento di frame, per impedire strisciate in fase di lettura del frame. I CCD interlinea possono fare senza, quindi costano meno e non ci sono problemi di affidabilità dal punto di vista meccanico. Nel momento in cui scrivo, la Starlight Xpress offre le seguenti sette camere: 1. MX516: 500×290 pixel rettangolari; dimensione dei pixel 9,8×12,6 micrometri. 2. MX916: 376×290 pixel rettangolari; dimensione dei pixel 23,2×22,4 micrometri. 3. HX516: 659 494 pixel quadrati; dimensione dei pixel 7,4×7,4 micrometri. 4. HX916: 1300×1030 pixel quadrati; dimensione dei pixel 6,7×6,7 micrometri. 5. MX5C: (colore) 510×289 pixel rettangolari (luminanza); dimensione dei pixel 9,8×12,6 micrometri. 6. MX7C: (colore) 752×580 pixel rettangolari (luminanza); dimensione dei pixel 8,6×8,3 micrometri. 7. MX716: 752×580 pixel rettangolari; dimensione dei pixel 8,6×8,3 micrometri. 8. SXV-H9 e SXV-H9c: 1392×1040 pixel quadrati; dimensione dei pixel 6,45×6,45 micrometri. Monocromatica o a colori. La camera 8 era il nuovo modello mentre questo libro era in stampa. La SXVH9/H9c è, indubbiamente, la camera più interessante della Starlight Xpress con un sensore da un megapixel, con l’opzione a colori e un economico sensore di guida opzionale. Consultate la pagina Web della Starlight Xpress per le ultime informazioni sul prezzo e la disponibilità. Immagini di prova riprese dalla Starlight Xpress con la SXV-H9c mostrano risultati superbi! Quanto alla serie esistente, essa parte con due camere, con chip grande e piccolo, e pixel non quadrati. Seguono due camere ad alta risoluzione “HX” con pixel piccoli e quadrati e due camere a colori. Infine si arriva all’ultima camera, la gamma intermedia MX716, che ha pixel piccoli leggermente rettangolari. Tutte le camere sono contenute in un piccolo barilotto, poco più grande di un oculare da 51 mm. La MX516 ha il prezzo più basso ed è il modello “entry level” e, per molti, il modo più economico per iniziare a riprendere immagini CCD. Della MX916 ho un’esperienza diretta durata molti anni. Anche se i pixel non sono quadrati, ricampionare l’immagine per correggere la piccola differenza del 3,6% nella lunghezza dei lati non è necessario. La MX916 veniva reclamizzata come se disponesse di una varietà di modalità in alta risoluzione usando due frame interlacciati in vario modo. Alcuni di questi modi usano l’interpolazione per creare un’altra linea, quindi l’aumento della risoluzione è artificiale. Per la verità, usata con una lunghezza focale di 2,2 m (2,1 secondi d’arco per pixel) ho trovato che le modalità ad alta risoluzione sono indistinguibili dal ricampionare l’immagine con 376×290 pixel fino a 752×580 pixel, con una scala di 1,05 secondi d’arco per pixel, con Paint Shop Pro. A parte questi stratagemmi sulla risoluzione, sono stato molto soddisfatto della mia MX916. Le immagini sono pulite, con poco rumore e spesso non dovevo nemmeno preoccuparmi di togliere il dark frame. Inoltre, il filetto tipo M42 e il peso ridotto del barilotto rendono molto facile collegare l’obiettivo di una fotocamera alla camera e montare il tutto su una piccola montatura equatoriale. In Figura 6.6. è mostrata un’esposizione di 3 minuti della supernova 2002ap in M74 fatta dall’autore usando la MX916. Per questa immagine non è stato usato nessun dark frame o flat-field; la sola elaborazione è stato un leggero aumento del contrasto.
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Figura 6.6. La supernova 2002ap in M74, ripresa dall’autore il 14 febbraio 2002 con un Newton di 49 cm a f/4,5 da un sito urbano con inquinamento luminoso, usando un CCD Starlight Xpress MX916 e un’esposizione di 180s.
Il software che viene fornito con le camere Starlight Xpress permette un’elaborazione di base delle immagini, ma ci sono software più sofisticati come Maxim DL, AstroArt e AIP di Richard Berry. Probabilmente il difetto maggiore con il software fornito è l’incapacità di mostrare più di un’immagine alla volta e l’impossibilità di applicare tutte le funzioni a un’immagine ingrandita. Ciò nonostante, il software è molto facile e istintivo da usare, per chiunque, anche per quelli che hanno solo una conoscenza di base dell’astronomia CCD. Un altro aspetto positivo è che non ho mai avuto problemi nell’installare il software della Starlight Xpress su un qualsiasi PC moderno; a differenza di altri, non richiede che pochi megabyte di spazio sull’hard disk e la maggior parte del software lavora con soli 8 megabyte di RAM. Questo può sembrare un punto inessenziale, ma molti astrofili nei loro Osservatori usano PC vecchi o di seconda mano, e PC che hanno più di cinque anni non possono fare fronte alle richieste di memoria della maggior parte del software moderno. Il software della Starlight Xpress è estremamente compatto. Per molti versi, la MX916 ha in sé molti dei vantaggi della gamma Starlight Xpress: è compatta, ha un buon valore, è affidabile e facile da usare. Inoltre, a differenza di molte ditte produttrici di camere CCD, la Starlight Xpress non è un’entità astratta; se voi inviate una richiesta su un problema tecnico via e-mail, ci sono buone possibilità
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che, entro pochi giorni, vi risponda Terry Platt in persona con la soluzione. Non conosco nessun altro costruttore di camere CCD che offra lo stesso servizio. Visto che sto parlando di PC vale la pena di menzionare il fatto che poter tenere il PC sempre in Osservatorio salva da un enorme numero di scocciature. Anche un portatile può essere una noia da portare fuori e connettere per ogni sessione osservativa; i cavi di alimentazione e quelli di comunicazione tendono misteriosamente ad annodarsi insieme durante le poche ore che si trovano all’aperto. Uso il PC e la camera CCD da oltre dieci anni e posso dire, con cognizione di causa, che uno dei criteri più importanti per avere successo nella ripresa delle immagini è un equipaggiamento libero da problemi. Sono numerosi gli ostacoli posti sulla nostra strada per impedirci di riprendere immagini eccellenti: nubi, vento, umidità, ghiaccio, alberi, stanchezza, cattivo seeing, impegni di lavoro, impegni familiari, rottura dell’hard disk e altre noie all’equipaggiamento sono in cima alla lista. Per avere ottime immagini, questi ostacoli devono essere rimossi, uno per uno, in modo meticoloso e sistematico per raggiungere il traguardo dell’eccellenza. Le noie all’equipaggiamento spesso possono essere facilmente evitate con un po’ di attenzione. Nei primi anni ’90 portavo fuori un PC completo per ogni sessione osservativa: era un tormento! In seguito, per portare fuori il PC ogni notte, presi un carrello su ruote; era ancora un tormento ma già in misura minore! Infine vidi la luce ed estesi dentro casa i fili di controllo del telescopio e della camera, sia per il mio Newton di 49 cm che per l’LX200 di 30 cm. Non sempre è possibile controllare un telescopio da remoto; in questi casi è meglio tenere un vecchio PC fuori nell’Osservatorio piuttosto che tirarsene dietro uno tutte le sere. Conosco molti osservatori che usano questa strategia e la sola insidia è che il PC può inumidirsi quando è tenuto in Osservatorio, a meno che non sia permanentemente acceso. Mentre c’è solo un piccolo rischio che un qualsiasi pezzo di un apparato elettrico prenda fuoco mentre è acceso, c’è una certezza del 100% di un danno temporaneo o permanente dovuto al freddo e all’umidità. Tenere un PC acceso in permanenza tiene lontana l’umidità. Tuttavia, il rischio che il PC degradi o si incendi non è zero, ma questo rischio va confrontato con quello dovuto all’attacco dell’umidità. Comprare un rivelatore di fumo e collegarlo al sistema di sicurezza della propria abitazione è forse la soluzione migliore. Con il tipo di software che fornisce la Starlight Xpress per le proprie camere, il PC può anche essere molto vecchio, quindi un malfunzionamento dovuto all’umidità non è una catastrofe finanziaria. Bene, ora vediamo più da vicino le camere con i pixel quadrati, la HX516 e la HX916. La camera CCD HX516 (Figura 6.7) ha pixel piccoli e usa un CCD Sony HyperHAD a “scansione progressiva”. Con questi chip non ci sono misteri riguardo alla risoluzione: i pixel sono quadrati da 7,4 micrometri e non è necessario alcun ricampionamento per rendere geometricamente corretta l’immagine. Il chip ha una corrente di buio molto bassa e una buona sensibilità al blu, ciò che rende la camera eccellente per le riprese in tricromia, utile se non vi piacciono i pixel rettangolari delle camere Starlight Xpress a colori e volete raggiungere un buon bilanciamento del colore. Per le immagini del profondo cielo, i pixel da 7,4 micrometri di lato sono adatti per lunghezze focali attorno al metro, mentre ciascun pixel riprenderà 1,5 secondi d’arco. Per lavori planetari, una lunghezza focale di 3 m fornirà 0,5 secondi d’arco per pixel; mentre 6 m daranno 0,25 secondi d’arco per pixel. L’astro-imager inglese Mike Brown ha ripreso molte immagini lunari eccellenti con la sua HX516 e un Newton di 37 cm: una delle sue immagini è mostrata nella Figura 6.8. La camera CCD HX916 (Figura 6.9) ha pixel anche più piccoli e ne possiede 1,3 milioni! Usata senza binning la camera ha 1300×1030 pixel da 6,7 micrometri di lato;
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Figura 6.7. La Starlight Xpress HX516. (cortesia Terry Platt/Starlight Xpress)
con l’interfaccia USB tutti gli 1,3 milioni di pixel possono essere scaricati in 10-12 secondi. La dimensione dell’area attiva del CCD è 8,71 × 6,9 mm, molto simile a quella della MX916. In termini di numero di pixel, la HX916 ne ha solo il 20% in meno della ST-8E della SBIG e il prezzo è solo una frazione di quest’ultima. D’altra parte, la camera della Starlight Xpress non ha un CCD separato per l’autoguida e non è compatibile con lo “Star 2000”, il sistema di autoguida della Starlight Xpress. Ma, come tutte le camere della Starlight Xpress, ha un ottimo rapporto qualità/ prezzo. Prima di vedere le camere a colori va detto qualcosa della MX716 (Figura 6.10). Questa camera si pone nel mezzo della gamma Starlight Xpress sia per numero (752 × 580) sia in termini di dimensioni dei pixel (8,6 × 8,3 micrometri). Per questi aspetti la camera compete direttamente con la SBIG ST-7EX, tranne per il fatto che la SBIG è più sensibile, ha pixel esattamente quadrati e ha un CCD di autoguida. Naturalmente, la ST-7EX ha un prezzo doppio rispetto alla MX716 e questo può essere un punto critico per molti. Anche se la MX716 non ha un chip separato per l’autoguida, è compatibile con lo Star 2000, il sistema di guida della Starlight Xpress. Questo sistema sfrutta la struttura interlacciata dei CCD interlinea della Starlight Xpress e sfrutta un campo interlacciato per riprendere le immagini di guida, mentre l’altro campo accumula luce per l’esposizione principale. Naturalmente, si capisce che questo è un trucco e che, in effetti, solo la metà della superficie del chip raccoglie fotoni per l’esposizione principale. Quando si usa l’autoguida, la Starlight Xpress suggerisce di raddoppiare l’esposizione. Nonostante ciò, lo Star 2000 è solo un cugino povero del doppio CCD della SBIG. Per usare lo Star 2000 è necessario acquistare un’interfaccia autoguida separata e il sistema funziona solo con le camere della gamma MX monocromatiche (la compatibilità con le MX a colori è promessa). Lo Star 2000 ha un grosso vantaggio e cioè che può guidare su un oggetto in movimento come una cometa. Nel caso di un’autoguida con due chip, il CCD di guida vede un campo stellare diverso da quello del CCD principale. Questo normalmente non è un problema, perché tutte le stelle si muovono nella stessa misura quando si verifica un errore di inseguimento. Tuttavia, se si vuole inseguire un oggetto in movimento si deve guidare sull’oggetto stesso e questo può essere fatto solo usando lo Star 2000. Gli astrofili che si dedicano in modo particolare alla ripresa di immagini di comete possono essere influenzati da questo vantaggio. Naturalmente, se siete abbastanza fortunati da avere una montatura buona come una Paramount ME, potete sfruttare
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Figura 6.8. Una superba immagine del cratere lunare Theophilus e dintorni fatta da Mike Brown di o Yrk, Inghilterra. Camera Starlight Xpress HX516 con modulo USB collegato, focheggiatore motorizzato Crayford, Newton diametro 37 cm, f/5,8. Per la ripresa è stata usata una Barlow 2×. (cortesia Mike Brown)
le capacità di inseguimento della montatura e programmare il sistema per seguire la cometa senza bisogno della guida; almeno per alcuni minuti. Che cosa si può dire delle camere a colori della Starlight Xpress? Le immagini originali delle MX5-C e MX7-C con i filtri disposti a scacchiera sui pixel possono apparire orrende sullo schermo del PC ma, dopo l’elaborazione, hanno un aspetto molto migliore. La presenza della matrice a colori può rendere difficile il riconoscimento di un’immagine buona da una cattiva subito dopo il download dalla camera. È necessario “sintetizzare” il colore per avere un’immagine a colori completa. In questo processo l’intensità del segnale dato da ciascun pixel con un dato filtro colorato è analizzato e convertito in un segnale di luminanza ad alta risoluzione e in un segnale di crominanza a bassa risoluzione. Sfortunatamente, il bilanciamento dei colori va fatto a piccoli passi, così come quello della saturazione, fino a quando l’immagine ha un aspetto naturale. Spesso il software di terze parti fa un lavoro migliore e l’eccellente pacchetto Maxim DL ha un comando utilissimo chiamato “convert MX” che, quando viene combinato con i settaggi per l’aumento dei contrasti “planetari”, produce immagini planetarie di qualità (seeing permettendo). Anche il pacchetto AstroArt può essere usato con le
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Figura 6.9. La Starlight Xpress HX916. (cortesia Terry Platt/Starlight Xpress)
Figura 6.10. La Starlight Xpress MX716. (cortesia Terry Platt/Starlight Xpress)
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camere a colori MX. Il grosso vantaggio delle camere “one-shot” a colori è, naturalmente, che è necessaria una sola immagine, invece di tre o quattro. Per le immagini a colori standard, gli astrofili usano le esposizioni filtrate L + RGB (L = luce bianca del visibile, RGB = Red, Green, Blue) o, qualche volta, esposizioni IR + GB, dove IR è il segnale non filtrato, con una grossa componente infrarossa, che arriva dal CCD. Una somma di quattro esposizioni a colori di Saturno, riprese con la mia MX5-C, è mostrata in Figura 6.11a. Per le immagini del profondo cielo queste camere offrono un metodo semplice ed economico per la ripresa di immagini a colori di nebulose e galassie (Figura 6.11b). Un’immagine della MX7-C è mostrata nella Figura 6.12. Se le immagini a colori riprese con queste camere vengono confrontate con le migliori del mondo possono apparire di qualità inferiore, ma se vengono confrontate con i risultati tipici che un astrofilo consegue usando la tricromia, allora possono reggere il confronto. Spesso gli imager sono delusi quando confrontano i loro sforzi con le migliori immagini che trovano in Internet. Dovrebbe essere tenuto in mente che le immagini eccezionali sono riprese da siti molto bui, spesso ad alta quota e con lunghe esposizioni, usando l’autoguida o un’unità di ottica adattiva. Mentre la gara per le buone immagini è sostenibile, raramente possono essere eguagliati i risultati eccellenti da un tipico sito amatoriale. Certamente, in Italia, la grande maggioranza delle immagini di profondo cielo riguardano eventi eccezionali, come supernovae o comete, che
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Figura 6.11. a Saturno ripreso dall’autore il 28 settembre 2002 usando la camera Starlight Xpress MX5c e un Cassegrain da 0,36 m, f/20. Somma di quattro esposizioni da 0,2s per ridurre il rumore. b La galassia peculiare M82 ripresa da Terry Platt usando una camera Starlight Xpress MX5c con un Newton di 33 cm, f/4,3. Esposizione di 3m. (cortesia Terry Platt/Starlight Xpress)
b
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Figura 6.12. La camera a colori Starlight Xpress MX7c. (cortesia Terry Platt/Starlight Xpress)
possono trovarsi a bassa altezza sull’orizzonte, in cieli con inquinamento luminoso, e spesso in cieli poco trasparenti. In queste circostanze un perfetto bilanciamento dei colori non potrà mai essere raggiunto e le differenze fra l’uso di una camera “oneshot” a colori e il sistema della tricromia si riduce a una: è più semplice usare la camera a colori. Ora, tutte le camere della Starlight Xpress hanno l’opzione di un download USB veloce e quelle a colori non fanno eccezione. Abbiamo visto le camere offerte dalla SBIG, la leader di mercato, e quelle con il miglior rapporto qualità/prezzo fornite dalla Starlight Xpress; quali altre camere CCD restano da vedere?
Le camere CCD della Apogee Instruments La Apogee è la ditta che ha portato alla comunità degli astrofili (almeno quelli dalle tasche profonde!) la prima camera CCD retro-illuminata, alla fine degli anni ’90. La camera AP7 era la più sensibile in assoluto, anche se costava più di un LX200 da 30 cm! I migliori astrofili a livello mondiale cacciatori di supernovae si mettevano in fila per acquistare questa camera, quando i CCD concorrenti combattevano per raggiungere la metà della sua efficienza quantica! Una Apogee AP7, con un obiettivo a lenti, è
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mostrata nella Figura 6.13. La AP7 ha grossi pixel da 24 micrometri di lato in una matrice 512×512 pixel; ideale per l’uso al fuoco diretto di un tipico Celestron 14 a f/11, in cui ciascun pixel vede 1,3 secondi d’arco e il campo coperto misura 10×10 primi d’arco. Al giorno d’oggi la situazione è leggermente differente, visto che i migliori CCD non retro-illuminati non sono più tanto distanti se confrontati con l’efficienza quantica dell’AP7. Ma, esattamente, che cos’è questo processo di “retro-illuminazione”? Bene, in un chip CCD normale, illuminato dall’alto, i fotoni devono viaggiare attraverso uno strato assorbente di circuiti elettronici posti nel materiale semiconduttore, prima di cadere nei “secchi” che compongono ciascun pixel. A causa di ciò molti fotoni vengono persi, specialmente quelli nella parte blu dello spettro. In un chip retro-illuminato, i fotoni provengono dalla direzione opposta ed evitano l’assorbimento; ma questo succede solo se il chip è fatto con un wafer estremamente sottile, più o meno con una profondità di un centesimo di millimetro. Non c’è bisogno di dire che fare rivelatori CCD così sottili è un processo costoso, da qui i costi elevati delle camere CCD retro-illuminate. I chip usati nelle camere Apogee sono noti come chip SITe, perché sono costruiti dalla Scientific Imaging Technologies. La Apogee assembla solamente il corpo della camera e l’elettronica: non fornisce il software per il controllo e l’elaborazione delle immagini prese con la camera. Questo non è un problema, perché a questo scopo possono essere usati CCDsoft della Software Bisque e MaxIm DL/CCD della Cyanogen. Ci sono altri costruttori che usano i chip della SITe nelle loro camere; per esempio, la Hale Research usa il SITe SIA502AB nella sua camera CCD Hale EAC512-11 con un raffreddamento a tre stadi ad acqua. La Apogee vende anche una camera con 1024×1024 pixel con un CCD della SITe, cioè la AP8p (p sta per porta parallela). La camera maggiore ha pixel da 24 micrometri
Figura 6.13. Il corpo della camera CCD Apogee AP7. (cortesia Apogee Instruments Inc.)
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e quindi copre quattro volte l’area della AP7p. È impossibile evitare il confronto fra queste camere con i pixel grossi e quelli della SBIG, ST-9XE e ST-1001E. I chip della SITe sono ancora i migliori in termini di efficienza quantica. L’efficienza quantica della SITe ha un picco attorno al 90% nel rosso e quasi del 70% nella parte blu dello spettro. Al confronto, il Kodak KAF-0261E/1001E blue-enhanced ha un picco del 65% nella parte media dello spettro visuale, ma crolla al 45% nel blu. Così i chip KAF hanno circa due terzi dell’efficienza quantica dei loro rivali SITe. Tuttavia, hanno anche meno di due terzi del costo della concorrenza. A parte l’AP7 e l’AP8, la Apogee fa anche camere AP non retro-illuminate, con gli stessi chip Kodak usati dalla SBIG, e anche camere per telescopi di media lunghezza focale. La AP47p ha una matrice di 1024×1024 pixel di 13 micrometri di lato e usa un CCD Marconi 47-10 dall’alta efficienza quantica e con illuminazione frontale. A circa 2,7 m di lunghezza focale (cioè per uno SCT Celestron da 280 mm, f/10) risulta una scala dell’immagine di 1 secondo d’arco per pixel. Nella Figura 6.14 è mostrata la AP10 (2048×2048 pixel, dimensioni di 14 micrometri). Maggiori dettagli su tutte queste camere e molto di più si possono trovare nel sito Web della Apogee (vedi Appendice).
Figura 6.14. La Apogee AP10 con un CCD da 2048 × 2048 pixel. (cortesia Apogee Instruments Inc.)
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Le camere CCD della Finger Lakes Instrumentation (FLI) La FLI è un’azienda che, negli ultimi anni, si è guadagnata un certo favore fra i migliori astro-imager del mondo. I corpi delle camere FLI sono compatti (anche se non come quelli della Starlight Xpress) e hanno un certo numero di raffreddamenti opzionali disponibili. Con il rumore che raddoppia per ogni aumento di temperatura di 7 °C, questo non è banale e la FLI vi ha riservato molta attenzione; sono disponibili raffreddamenti ad aria, acqua, con l’assistenza di un turboventilatore. La FLI usa gli stessi CCD Kodak della SBIG per i loro sistemi a illuminazione frontale (cioè i chip KAF-0401E, KAF-1602E, KAF-0261E e il KAF-3200E), ma è in grado di offrire anche i sistemi Marconi e SITe retro-illuminati e con chip di grande formato. Nel momento in cui scrivo, ci sono due tipi di camere FLI: la serie MaxCam (Figura 6.15) e la serie IMG (Figura 6.16). Le MaxCam CM7, 8, 9 e 10 usano i quattro CCD illuminati frontalmente citati sopra, e quindi sono equivalenti alle SBIG ST-7XE, 8XE, 9XE e 10XE. La serie include anche le MaxCam CM1 e CM2, che incorporano due chip retro-illuminati della Marconi, una matrice 512×512 pixel, con pixel da 24 micrometri, e una matrice da 1024×1024 con pixel da 13 micrometri. Le camere sono fornite con 5 m di cavo e il software di controllo FLIGrab. Separatamente è necessario acquistare anche un “modulo di interfaccia”; questo può offrire una porta parallela a 16 bit, USB, USB ad alta velocità o Ethernet per la comunicazione con il PC. Il tempo di scaricamento della porta USB ad alta velocità è 3 microsecondi per pixel, le stesse performance del sistema USB della SBIG. La FLI può fornire una prolunga USB per operare con la camera MaxCam fino a 100 m di distanza. La serie IMG della FLI offre performance di raffreddamento superiori e l’operatività su porta parallela fino a 150 m di distanza senza bisogno dell’amplificazione del segnale. La serie IMG offre anche CCD molto grandi (per quelli con le tasche profonde). La serie IMG ha anche una porta di guida, cui può essere collegato un altro CCD (ad esempio una MaxCam) per essere utilizzato come autoguida della camera principale. Le “macchine dei sogni” sono le camere IMG512S e IMG1024S, che includono i CCD della Scientific Imaging Technologies retro-illuminati SITe SI512 e SITe S1003. Questi sono dispositivi con 512×512 e 1024×1024 pixel con lato di 24 microme-
Figura 6.15. La MaxCam, una delle camere CCD della Finger Lakes Instruments. (cortesia FLI)
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Figura 6.16. La camera CCD Img della Finger Lakes Instruments. (cortesia FLI)
tri, in diretta competizione con le camere Apogee AP7 e AP8. Con un prezzo pari a quello di una piccola utilitaria, il chip da 512 × 512 pixel potrebbe essere attraente per un astrofilo facoltoso, ma le camere basate sul chip KAF-0261E, anche se meno sensibili, sono più abbordabili. Incidentalmente, vale la pena menzionare che la FLI offre un bel focheggiatore digitale da usare con i suoi CCD (figura 6.17).
Figura 6.17. Il focheggiatore digitale della Finger Lakes Instruments. (cortesia FLI)
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Oltre alle maggiori ditte costruttrici di camere CCD presenti sul mercato, si possono anche trovare ditte specializzate, spesso costituite da uno o due elettronici per hobby, che possono costruire una camera CCD con caratteristiche meno avanzate di quelle dei maggiori produttori, ma a un prezzo più basso. In alcuni casi, viene fornita solo la camera, mentre l’utente deve acquistare o anche scrivere il software di gestione. In Inghilterra una di queste compagnie è la Rockingham Instruments di Northampton. Le loro camere sono basate sui chip Kodak KAF-0401E e KAF-1602E come quelli usati nelle SBIG ST-7XE e 8XE. Sono sicuramente camere di valore equivalente. In Francia il progetto Audine offre camere CCD astronomiche sotto forma di un kit economico. Come per tutte le compagnie, l’indirizzo è fornito in Appendice.
CAPITOLO SETTE
I software per l’elaborazione delle immagini
Non c’è bisogno di dire che ogni camera CCD ha bisogno di un buon software, sia per controllare la camera sia per elaborare le immagini finali. Tuttavia, molto spesso gli astrofili si danno molto da fare per avere il software che faccia il caso loro, ma poi non trovano abbastanza tempo per leggere attentamente i corposi manuali d’uso. Invariabilmente, i manuali dei software sono scritti in un modo che è ovvio per l’autore, ma non per l’utente! Inoltre, anche quando ci si è impadroniti delle procedure di base, basta non usare una particolare procedura per alcuni mesi che ce la si dimentica, a meno che (come faccio io) si inseriscano bigliettini pro-memoria all’interno del manuale. Ci sono numerosi pacchetti software disponibili, alcuni anche freeware e scaricabili da Internet. Ancora, quasi tutte le camere CCD vengono fornite con un software di base per il download e l’elaborazione delle immagini. Tuttavia, la maggior parte degli utenti vuole qualcosa di meglio del semplice software di base. Attualmente, molti dei maggiori costruttori di camere CCD, come la SBIG, forniscono software di qualità con le loro camere (CCDOPS nel caso della SBIG). Alcuni forniscono software di terze parti, o uno sconto per l’acquisto. Considerato che il miglior software può costare anche alcune centinaia di euro, è bene che prima dell’acquisto l’utente scarichi le versioni trial dai siti Web dei produttori. Queste versioni di prova hanno caratteristiche limitate o cessano di funzionare dopo un certo numero di giorni. Bastano però per dare all’utente potenziale una buona idea di quello che il pacchetto può fare. Inoltre, molti produttori di camere CCD hanno pagine Web con le domande degli utenti e le relative risposte e possono ospitare forum di discussione, dove i problemi hardware e software sono liberamente discussi e dove vengono dati consigli gratuiti. Questi forum sono un’inesauribile fonte di informazioni e vale la pena di visitarli prima dell’acquisto del software, o se il software dà problemi.
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Il gergo intimidatorio dell’elaborazione delle immagini Sfortunatamente il software, e specialmente quello astronomico, richiede la conoscenza di alcune abbreviazioni e di un certo gergo, che userò spesso nelle prossime pagine. Quindi, per rendere le cose più semplici, ecco qui una breve spiegazione di alcuni dei termini che incontreremo. Se desiderate una spiegazione completa vi raccomando caldamente la lettura del libro The Handbook of Astronomical Image Processing, di Richard Berry e James Burnell. Dopo avere letto le oltre 600 pagine di questo bel libro, la vostra conoscenza dell’argomento sarà completa! È importante capire che non avete bisogno di conoscere proprio tutti i termini tecnici. La grande maggioranza degli astrofili impara semplicemente chiedendo ad altri astrofili come hanno ottenuto i loro risultati e “sperimentando”. Non bisogna essere geni per elaborare le immagini. Pazienza e persistenza nell’ottenere le informazioni dai migliori astronomi non professionisti (che sono sempre contenti di aiutare) sono il modo migliore per imparare l’arte dell’elaborazione delle immagini astronomiche.
Astrometria Consiste nel misurare la posizione di stelle, asteroidi e comete usando come riferimento alcune stelle di posizione nota presenti nell’immagine CCD. Software avanzati possono riconoscere il campo stellare e triangolare la posizione del bersaglio rispetto alle stelle note. Di solito, con il software viene fornito un catalogo astronomico (ad esempio l’Hubble Guide Star Catalogue). Alcuni software possono anche generare automaticamente un form con le misure astrometriche dei corpi minori (comete e asteroidi). In questo modo, i dati vengono già formattati nello stile richiesto dal Minor Planet Center, il punto di raccolta per l’astrometria di comete e asteroidi.
Sottrazione automatica del dark frame e divisione per il flat-field I dark frame sono esposizioni fatte con l’otturatore della camera chiuso. Sono una mappa del “rumore termico” della camera CCD e sono della stessa durata dell’immagine che si prenderà del cielo notturno. Sottraendo un dark frame si elimina una buona parte del rumore dell’immagine. Un’immagine di flat-field è invece un’immagine di uno sfondo perfettamente uniforme, ad esempio del cielo serale, poco prima che siano visibili le prime stelle. Questa immagine registrerà tutte le imperfezioni del telescopio (granelli di polvere e vignettatura ai bordi). Quando l’immagine astronomica (meno il dark frame) è divisa per l’immagine di flat-field, l’immagine risultante appare perfettamente pulita e uniforme. Molti software offrono l’opzione della correzione automatica per il dark e il flat; in altre parole, la camera può essere programmata per chiudere l’otturatore e prendere un dark frame e richiamare un flat-field dalla memoria. Ogni volta che si riprende un’immagine, le operazioni di dark e flat vengono eseguite automaticamente in modo che l’utente non debba farlo manualmente. Di solito, viene ripreso un nuovo dark frame ogni volta che la temperatura della camera varia di una frazione di grado.
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Focheggiatura automatica Poche cose scocciano come combattere per la messa a fuoco di una camera CCD. Spostare un poco il focheggiatore; controllare il monitor; spostare il focheggiatore; controllare il monitor; può essere davvero una sofferenza. Fortunatamente, ora è possibile automatizzare questa operazione usando software come “@Focus”. In questi sistemi, dell’immagine CCD scaricata tramite porta USB o parallela viene analizzata la nitidezza (quanto sono piccole le immagini stellari) e un focheggiatore motorizzato (di solito connesso con una porta seriale) viene mosso per minimizzare le dimensioni delle stelle. Con un download USB di solo una parte dell’immagine, il miglior fuoco può essere conseguito in pochi secondi, invece di spendere minuti o decine di minuti.
Il blink Quando si cercano oggetti in movimento, come deboli asteroidi, è bene essere in grado di confrontare due immagini riprese a pochi minuti di distanza (funzione di blink). Alcuni software hanno questa funzione, e possono anche allineare le immagini al posto vostro; il migliore che io conosca è AIP di Richard Berry. È insostituibile se si sta conducendo una campagna di sorveglianza delle novae.
La FFT e il kernel Questi due termini si trovano anche nei più semplici manuali sull’elaborazione delle immagini e sembra che siano causa di insicurezza nei principianti. Una FFT è una trasformata rapida di Fourier. Si tratta di un modo rapido per rappresentare una qualsiasi funzione matematica periodica con una serie infinita (ma di solito poche dozzine bastano) di funzioni seno e coseno. Visto che tutte le immagini hanno dati ad alta (piccole scale) e bassa (grandi scale) frequenza, è di grande utilità aver modo di rappresentare e manipolare velocemente questi dati: da qui la FFT. La FFT è una procedura matematica con cui possono essere implementate le routine di calcolo per l’elaborazione delle immagini. La parola “kernel” significa semplicemente “il nucleo o la parte essenziale”, come quello che si trova dentro una nocciola. Nei software per l’elaborazione delle immagini, come Maxim DL o altri prodotti, i filtri kernel sono semplicemente un insieme di passa-alto (per aumentare la nitidezza) o di passa-basso (per diminuirla), o di altri filtri alternativi alla FFT. L’utilizzo varia da software a software, ma le opzioni del kernel spesso includono opzioni per la rimozione dei pixel morti (neri) e dei pixel caldi (bianchi).
Filtri Sfortunatamente la parola “filtri” nei software astronomici significa qualcosa di completamente diverso dai filtri di vetro colorato che si usano nelle osservazioni al telescopio. Nell’elaborazione delle immagini, un filtro indica un’operazione matematica fatta sull’immagine. All’inizio del Capitolo 10, vedremo in dettaglio la tecnica di filtro
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DDP (Digital Development Processing). Sostanzialmente, questo filtro è in grado di dare a un’immagine CCD una qualità simile a quella della pellicola, con l’intensificazione delle regioni deboli, la soppressione delle regioni luminose e l’aumento di nitidezza delle stelle, tutto con un piccolo incremento del rumore. Il filtro della maschera sfuocata (unsharp masking) è indubbiamente la routine più potente usata dagli imager planetari, ma è necessario usarla con attenzione, altrimenti si creano degli artefatti. Il nome deriva dal fatto che, un tempo, i fotografi dovevano creare un’immagine sfuocata del negativo originale in camera oscura, usando poi questa maschera come un filtro ottico reale per eliminare le variazioni a grande scala (a bassa frequenza spaziale) e esaltare quelle su piccola scala (ad alta frequenza spaziale). Il DDP è diventato il filtro fondamentale per chi riprende immagini del cielo profondo, ma ce ne sono altri. Loro scopo comune è di rendere le immagini, planetarie o di cielo profondo, più nitide ma senza un eccessivo rumore. Anche il processo di deconvoluzione sarà nominato spesso. Senza entrare troppo in dettaglio e annoiare il lettore, la deconvoluzione è un po’ come avere un’immagine confusa e sforzarsi di immaginare come doveva essere l’immagine nitida. Il software si rappresenta quella che potrebbe essere l’immagine “pulita” e poi la sfoca per vedere se è simile all’immagine sfuocata di partenza. Questo processo può essere ripetuto molte volte, fino a quando non si trova il miglior compromesso. Negli anni ’80 per questo processo erano richieste diverse ore di elaborazione su un veloce personal computer dell’epoca. Ora si impiegano pochi secondi. Ci sono diverse routine che possono essere usate: la deconvoluzione con la massima entropia è una di queste, la Lucy-Richardson è un’altra. Contrariamente alla credenza popolare, Lucy Richardson non è il nome di una ragazza. Questa particolare trasformazione matematica fu semplicemente inventata da H.W. Richardson nel 1972 e adattata all’astronomia da L.B. Lucy nel 1974. Sono pochi i software che offrono un filtro “Larson-Sekanina”, che è una trasformazione matematica specificatamente progettata per mostrare i getti di gas e polveri nella chioma delle comete.
LRGB La tecnica LRGB, applicata sia alle immagini planetarie che a quelle di profondo cielo, è spiegata in dettaglio nei Capitoli 8 e 10 rispettivamente. Le lettere stanno per Luminanza, Red, Green e Blue. Un’immagine a colori di un qualsiasi oggetto astronomico può essere creata dalle immagini monocromatiche riprese attraverso i filtri rosso, verde e blu (red, green e blue). In effetti, il software semplicemente mescola i colori fra loro. Recentemente, specialmente per immagini di profondo cielo, è venuto di moda riprendere la luminanza a lunga esposizione (senza filtri), per avere il massimo rapporto segnale/rumore e poi aggiungere i colori usando i dati delle immagini R, G e B. Il risultato combina la profondità dell’immagine non filtrata con il colore RGB, ma senza il rumore tipico dell’RGB. Molti software moderni permettono di costruire senza problemi, tramite allineamento e somma, immagini RGB o LRGB. Alcuni software consentono anche la tricromia CMY (Cyan, Magenta e Yellow). La tecnica CMY in anni recenti ha guadagnato molta popolarità perché offre una migliore copertura dello spettro visibile e raccoglie una maggiore quantità di luce dal CCD, ma è una tecnica specialistica, visto che l’RGB è la norma.
I software per l’elaborazione delle immagini
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Fotometria/Generazione di curve di luce Se si hanno i filtri appropriati per la propria camera CCD, si può misurare la luminosità delle stelle variabili. Il software fotometrico convertirà le cariche elettriche raccolte dai pixel del CCD in magnitudini stellari e permetterà di specificare un’“apertura” attorno alla stella in cui misurare la luce stellare e il fondo cielo. I software più recenti consentono la fotometria automatica con generazione della curva di luce. In altre parole, il software misurerà la luminosità della stella bersaglio, la confronterà con quella di una stella conosciuta, farà i calcoli per ottenere la magnitudine e proseguirà così per tutte le immagini riprese. Al termine di una sessione osservativa, i dati saranno presentati in una forma che potrà essere elaborata con Microsoft Windows Excel, per produrre un grafico della magnitudine stellare in funzione del tempo, sia per la variabile che per la stella di confronto. Ora vediamo alcuni dei migliori software reperibili sul mercato.
CCDSoft, The Sky e Orchestrate della Software Bisque La Software Bisque è il nome commerciale più rinomato nel campo del software astronomico. Nel 1984 i fratelli Steve e Tom Bisque entrarono nell’arena astronomica con il software The Sky, e non ne sono più usciti. La versione originale di The Sky era un semplice planetario in grado di mostrare 1000 stelle sullo schermo di un PC o di un Mac. Diciannove anni dopo, l’ultima versione consente di accedere a 500 milioni di oggetti astronomici. Negli ultimi dieci anni The Sky è stato in grado di controllare i telescopi come gli LX200 collegandosi tramite la porta seriale di un PC. La Software Bisque produce anche un ottimo software per l’elaborazione delle immagini chiamato CCDSoft e, con il pacchetto Orchestrate, possono essere fatti collaborare l’uno con l’altro The Sky e CCDSoft. Cosa significa? Bene, Orchestrate permette di scrivere e integrare script per il telescopio e la camera CCD, in modo tale che un astrofilo potrebbe condurre, ad esempio, una survey automatica di supernovae. Questi script definiscono la durata dell’esposizione CCD per ogni galassia, la lista delle galassie da riprendere e la cartella in cui salvare le immagini. In teoria, si può anche andare a letto mentre il telescopio sta riprendendo! Gli scopritori inglesi di supernovae Mark Armstrong e Tom Boles usano il pacchetto integrato della Software Bisque per controllare la montatura del loro telescopio e la camera CCD; loro però non vanno a letto: osservano lo scaricamento delle immagini seduti in casa e al caldo. Con questo sistema, entrambi gli osservatori possono riprendere un migliaio di immagini a notte, e in ogni immagine CCD si raggiunge la magnitudine +18 con 30 secondi di posa. Come già detto, nel 1996 la Software Bisque decise di entrare nel mondo delle montature per telescopi; già fornivano il software per automatizzare la montatura del telescopio, ma non c’erano montature robotiche che potessero rendere giustizia al loro software. Così, nel 1996 costruirono la Paramount GT1100, presto aggiornata alla GT1100S e, nel 2002, la superba Paramount ME. In qualsiasi campo dell’astronomia la Software Bisque sia entrata ha dimostrato la sua eccellenza. La versione 5 di CCDSoft è un potente software per l’elaborazione delle immagini che viene fornito con tutte la camere CCD della SBIG (la SBIG fornisce anche il suo software, CCDOPS, ma la maggior parte degli utenti preferisce usare CCDSoft. La SBIG
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con le sue camere fornisce anche The Sky, per un valore complessivo di software pari a qualche centinaio di euro.). Oltre ad essere compatibile con le camere CCD della SBIG, CCDSoft, con plug-in aggiuntivi, può controllare anche le camere Apogee e Finger Lakes. Le caratteristiche di CCDSoft sono troppo numerose per essere elencate, ma fra le tante ricordiamo: • costruzione di immagini LRGB attraverso comandi per il controllo della ruota portafiltri; • l’autofocus @Focus (da usare con focheggiatori compatibili); • tutte le funzioni per contrasto/luminosità e istogrammi; • un comparatore di immagini, più le routine per astrometria/fotometria/curve di luce; • generatore automatico di form astrometrici per i corpi minori; • unsharp masking e Lucy-Richardson; • numerosi filtri e operazioni sui pixel; • correzione automatica per dark frame e flat-field; • possibilità di zoom e funzione per la creazione di animazioni. Tra le caratteristiche di un software di tipo planetario, The Sky include le seguenti: • mostra il cielo notturno dal 4712 a.C. al 10.000 d.C.; • mostra le stelle fino alla magnitudine +16 (Hubble Guide Star Catalogue o GSC) o anche fino alla +20 (Palomar Deep Sky Survey, DSS); • mostra i satelliti di Giove e Saturno, più una visione 3D del Sistema Solare; • produce mappe stellari; • mostra i passaggi dei satelliti artificiali; • integra il controllo per il telescopio ed è compatibile con CCDSoft/Orchestrate. Senza dubbio il trio di software della Software Bisque è il pacchetto più potente disponibile, specialmente per quelli dotati di camere SBIG, FLI o Apogee. Ma ci sono anche altri pacchetti che possono essere adatti ad altre camere, o servire come opzione extra per quelli che vogliono avere ogni software a loro disposizione. Vediamo AIP di Richard Berry.
AIP Quasi sempre, nella vita di tutti i giorni si ha in base a quello che si paga, e raramente i prodotti migliori sono anche economici. Un’eccezione è AIP (Astronomical Image Processing) di Richard Berry e James Burnell, che si presenta come un bel libro sull’elaborazione delle immagini, con CD allegato. Sono sicuro che molti dei lettori di AIP mi scuseranno se dico che è il CD-ROM che attrae l’attenzione dei più. Ma, per prima cosa, vediamo il libro. Sono pochi gli astrofili che non hanno mai sentito parlare di Richard Berry. Fin dai primi anni ’80 egli ha sempre incoraggiato gli astrofili alla comprensione e all’uso delle camere CCD, con libri e con articoli (Choosing and Using a CCD Camera, Introduction to Astronomical Image Processing e The CCD Camera Cookbook). Il suo collaboratore per AIP (James Burnell) prese interesse all’elaborazione delle immagini
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alla fine degli anni ’80, quando lavorava per i laboratori Bell. I suoi primi esperimenti in questo campo riguardavano l’elaborazione delle immagini dei Voyager della NASA usando un mainframe UNIX. Dopo avere conosciuto Richard nei primi anni ’90, i due decisero di collaborare scrivendo The Handbook of Astronomical Image Processing, un progetto editoriale che richiese tre anni per essere completato. Il solo libro, lungo ben 624 pagine, è veramente notevole, e varrebbe il prezzo anche senza il software. Poiché io stesso conosco quanto scarsi siano i margini di profitto per gli autori di libri astronomici specialistici, posso dire che Berry e Burnell hanno scritto il loro per puro amore di conoscenza: un servizio reso all’intera comunità astronomica. Il libro è diviso in 18 capitoli che portano il lettore dai concetti di base sulle immagini, ai formati digitali, a come riprendere buone immagini CCD, fino ai campi specialistici come astrometria, fotometria e ripresa a colori. Le quattro appendici contengono un glossario, una bibliografia, l’elenco delle funzioni del software e tutorial passo-passo che spiegano l’utilizzo del software sul CD. Non c’è un modo semplice per insegnare le tecniche fondamentali dell’elaborazione delle immagini a un principiante, ma lo stile di scrittura, i grafici e le figure esplicative del libro non potrebbero essere migliori. Se avete il tempo di leggere l’intero testo, senza dubbio potrete capire tutto quello che c’è da capire sull’elaborazione delle immagini astronomiche. Questo non è un libro che sorvoli sulle cose. Se veramente volete conoscere quanti fotoni stanno colpendo ciascun pixel della vostra camera CCD ogni secondo, quanti elettroni sono prodotti, in che misura il rumore condizioni le immagini, e com’è la matematica dell’elaborazione delle immagini, tutto questo è nel libro. Non ce ne sono altri che trattino l’argomento con la stessa chiarezza e profondità. Ora veniamo al software. Sospetto che molti astrofili abbiano acquistato il libro solo per avere il CD di AIP4Win. Se il libro non fosse abbastanza buono di per sé, c’è il software per l’elaborazione delle immagini a sole poche decine di euro! Se si guarda alla concorrenza (ad esempio a Maxim DL che costa almeno il triplo) il pacchetto software/libro è davvero molto conveniente. Molti utenti di un software per l’elaborazione delle immagini hanno un certo numero di desideri sopra tutti gli altri. Dunque le caratteristiche essenziali per un software di image-processing penso che siano le seguenti: 1. un’interfaccia utente intuitiva; 2. la capacità di importare tutti i formati di immagini di tutte le camere CCD; 3. la possibilità di fare scienza con le immagini; 4. l’incorporazione del maggior numero di routine possibile. Ebbene, AIP4Win soddisfa tutti e quattro i punti. Ho usato AIP per un paio d’anni e, per il suo prezzo, è il miglior software che abbia mai visto. Lo spazio non mi consente di parlare di tutte le sue caratteristiche, ma ogni routine per l’elaborazione delle immagini che io conosca c’è. Quando acquistai AIP per la prima volta ero preoccupato del fatto che nel CD non fosse stato incluso anche l’algoritmo Digital Development di Kunihiko Okano (introdotto nel 2001) adatto per le riprese di oggetti del profondo cielo. Non c’era motivo di preoccuparsi: AIP4Win ha un’ottima funzione DDP (Figure 7.1 e 7.2) che, con pochi click del mouse, mette in evidenza i bracci a spirale, riduce il rumore, evita la sovraesposizione dei nuclei galattici e riduce le immagini stellari a puntini di luce. Superbo! Questa funzione ha lavorato bene con le mie veccie immagini riprese con la ST7 della SBIG, anche se all’inizio
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Figura 7.1. a Un’esposizione di 120s della galassia M51, fatta dall’autore ed elaborata con un semplice stretch di contrasto (LX200 da 0,3 m, f/3,3 e SBIG ST7). b La stessa immagine processata con la funzione DDP di AIP. Notare come i dettagli deboli siano evidenziati, i dettagli luminosi soppressi e il rumore ridotto, tutto in uno! b
ho avuto problemi nell’importare i file FITS a 16 bit ottenuti con la Starlight Xpress. Una volta importate con AIP, tutte le stelle luminose avevano buchi neri al centro, ma il problema è stato risolto salvando l’originale come un’immagine a 8 bit. AIP ha anche una funzione chiamata “Universal Loader”, che permette di caricare una qualsiasi immagine con qualsiasi parametro (ad esempio la lunghezza delle righe e delle colonne), come si preferisce.
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Figura 7.2. a Un’esposizione di 60s della galassia M66, fatta dall’autore e processata con un semplice stretch di contrasto (LX200 da 0,3 m, f/3,3 e SBIG ST7). b La stessa immagine processata con la funzione DDP di AIP. Di nuovo, si vede come la DDP evidenzi i dettagli deboli, sopprima i più luminosi e riduca il rumore, tutto con pochi click del mouse. b
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Un altro esempio dell’utilità di AIP4Win è che si tratta di uno dei pochi software che conosco che permetta la fotometria su più immagini. In altre parole, il software può misurare automaticamente la luminosità di una stella variabile in un insieme di immagini e dare come output la curva di luce! Mentre ci sono software fatti in casa con questa caratteristica, non ne ho mai trovati di simili tra quelli commerciali. Come test finale sulle capacità di acquisizione di AIP, ho provato a vedere se il software poteva importare immagini, riprese da un amico per il monitoraggio delle novae con una camera CCD Starlight Xpress MX5, allinearle e “blinkarle”. Questo è un test che è fallito con tutti gli altri software. Non poteva essere un’operazione più semplice: AIP4Win ha caricato i file e poi, dopo avere cliccato su due stelle, sia delle immagini master che di quelle di sorveglianza, le ha autoscalate, ruotate, allineate e blinkate; una performance impressionante per qualsiasi osservatore di novae. Da quello che ho potuto vedere, se potete cambiare il formato del vostro file in FITS, o se il formato raw della vostra camera CCD è letto da AIP4Win (è molto probabile) non resterete delusi da questo software della Willman-Bell. La combinazione software-libro è davvero vincente.
Maxim DL e DL/CCD della Software Cyanogen Maxim DL e DL/CCD (quest’ultimo controlla anche la camera CCD) è un pacchetto software indipendente e di qualità per l’elaborazione delle immagini astronomiche. Come la Software Bisque, anche la Cyanogen non produce camere CCD; è una ditta canadese che fornisce software astronomico e che mantiene buoni contatti con i produttori di camere CCD. Maxim DL/CCD è il software pubblicizzato più insistentemente. In termini di rapporto “qualità/prezzo” AIP lo sorpassa; inoltre non avete un libro di 600 pagine che vi spieghi l’elaborazione delle immagini. Quello che però Maxim DL offre è un pacchetto per l’elaborazione delle immagini molto potente, onnicomprensivo e intuitivo, accompagnato da un corposo manuale d’uso. A mano a mano che i produttori di camere CCD rilasciano nuovi modelli, Maxim aggiunge degli upgrade al software, scaricabili dal sito Web gratuitamente fino a un anno dall’acquisto. Se si acquista DL/CCD con tutte le opzioni, si ha un pacchetto che può controllare totalmente la camera CCD e numerosi accessori. Maxim DL è ASCOM (Astronomy Common Object Model) compatibile, il che significa che gli utenti avanzati possono usare gli script per integrare Maxim con gli altri pacchetti software che stanno utilizzando. Fra le numerose caratteristiche incluse in Maxim DL, meritano di essere ricordate: • • • • • • • •
deconvoluzione con la massima entropia; digital development processing (DDP); maschera sfocata; filtri FFT e kernel; combinazioni RGB, CMY e L (luminanza); operazioni matematiche sui pixel; fotometria e disegno della curva di luce; somma di immagini, allineamento e blink (simile ai toll di AIP);
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• l’elevata profondità delle immagini, in bit, che Maxim può gestire assicura un buon mantenimento dei dettagli anche dopo numerosi passaggi di elaborazione. Il modulo di controllo della camera CCD di Maxim è compatibile con le seguenti camere CCD/strumenti: • • • • • • • • •
Apogee Astrovid Celestron FLI HiSIS Meade SBIG Starlight Xpress Ruote portafiltri più comuni, autoguide, e l’unità di ottica adattiva AO-7 della SBIG.
AstroArt 2.0 AstroArt è un pacchetto software meno costoso di Maxim DL, ma ha anche meno caratteristiche. Tuttavia, è una buona scelta per gli utenti di CCD alla ricerca di un software migliore di quello fornito con la camera. In termini di prezzo è vicino al libro di Berry con il software AIP, ma l’imponente libro di Berry può condizionare la decisione di molte persone. Il software è compatibile con la maggior parte delle camere Starlight Xpress, SBIG, Apogee, HiSIS, LISA e Cookbook, ma lo trovo particolarmente adatto nell’elaborazione delle immagini della Starlight Xpress, specialmente le immagini raw dalle camere a colori “one-shot”. Venendo al dunque, la caratteristica più richiesta per i pacchetti software amatoriali è la somma delle immagini. Per esempio, poter sommare immagini di una cometa che si muove velocemente, usando il falso nucleo come punto di riferimento, è una funzione desiderata. AstroArt non delude; ha una semplice routine di somma delle immagini, simile a quella di AIP e Maxim DL, ma sembra funzionare più velocemente (almeno sul mio PC). Altrettanto facile è la somma di immagini planetarie per la riduzione del rumore. Le altre caratteristiche di AstroArt includono: • funzioni per contrasto/luminosità/istogramma facili da usare; • filtri per la maschera sfuocata (unsharp masking), passa alto e passa basso, mediano; • filtri per la massima entropia, Lucy-Richardson e Larson-Sekanina (nuclei cometari); • tool astrometrico e fotometrico con l’uso del catalogo GSC dell’Hubble; • controlli per la camera CCD. AstroArt è una buona scelta se si vuole un pacchetto per l’elaborazione delle immagini con molte funzioni, ma economico. Come il pacchetto di Berry AIP, AstroArt può caricare quasi tutti i formati delle camere CCD commerciali, più le immagini FITS: quindi, dovete essere proprio sfortunati se la vostra camera non è compresa nella lista.
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Guide 8.0 Prima di lasciare il regno del software, va detto che The Sky, della Software Bisque, non è l’unico software planetario con il controllo del telescopio. Ci sono molti altri software meno costosi e, secondo me, Guide 8.0 della Project Pluto è un ottimo pacchetto, anche intuitivo. Maggiori informazioni sono disponibili nel sito Web di Project Pluto (vedi l’Appendice). Guide vi mostrerà tutte le costellazioni, stelle, asteroidi, galassie e ogni altra categoria di oggetti che vogliate vedere. Non richiede un grosso esborso economico, è facile da usare e si installa senza problemi su qualsiasi PC, non importa quanto vecchio! È altamente raccomandabile.
SkyMap Pro 8 Un altro pacchetto software economico è SkyMap Pro 8, di Chris Marriott. Facile da manovrare, può essere usato per programmare e raccogliere le osservazioni, controllare il telescopio, stampare mappe stellari di alta qualità, e molto altro ancora. Conosco un certo numero di utenti di LX200 e di osservatori di stelle variabili che sarebbero persi senza questo software.
Parte II
Le persone
CAPITOLO OTTO
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Quando, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 del secolo scorso, comparvero sul mercato le prime camere CCD, furono fortemente apprezzate dagli appassionati di osservazioni planetarie per la loro capacità di fare brevi esposizioni e quindi di “congelare” la turbolenza atmosferica, il flagello degli astrofotografi. La prima camera CCD commerciale, la SBIG ST4, cessò di essere considerata solo per l’autoguida: era molto più utile come camera da ripresa planetaria. Le camere CCD hanno anche altri vantaggi sulle macchine a pellicola, che non riguardano solo la sensibilità. Non soffrono delle vibrazioni dovute all’otturatore o allo specchio delle reflex (anche se alcune hanno delle eliche in rotazione per facilitare la ripresa del dark frame); le immagini possono essere viste immediatamente; ogni notte si possono riprendere centinaia di immagini; e, più importante, le immagini possono essere sommate ed elaborate per ottenere il massimo dettaglio.
I migliori Nonostante il fatto che la maggior parte degli osservatori planetari conosca questi vantaggi, pochi raggiungono quei livelli qualitativi che li fanno considerare tra i migliori imager CCD del mondo. Chi sono queste persone e perché hanno avuto successo dove altri hanno fallito? Può essere istruttivo fare una lista di alcuni dei migliori imager planetari e del loro equipaggiamento (Tabella 8.1). (La lista andrebbe però aggiornata anno dopo anno). Come si vede dalla tabella, la maggior parte di questi usa gli Schmidt-Cassegrain commerciali della Meade (diametro di 25 e 30 cm) o della Celestron (diametro 28 o 35 cm) e c’è una predisposizione verso le camere CCD della SBIG, specialmente l’ST5c. Per tutto il 2003 c’è stato un netto trend verso la webcam ToUcam Pro della Philips. In 125
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126 Tabella 8.1 Alcuni dei migliori imager CCD Osservatore
Telescopio
CCD
Località
Antonio Cidadao Ed Grafton Thierry Legault Don Parker Damian Peach Jesus R. Sanchez Maurizio Sciullo Eric Ng Tan Wei Leong
SCT 25 e 28 cm SCT 35 cm SCT 30 cm SCT e Newton 40 cm SCT 30 e 28 cm SCT 28 cm Newton 25 cm, f/8 Newton 25 e 30 cm, f/6 Takahashi Mewlon 25 cm
SBIG ST5c/FLI CM7-1E SBIG ST5c/ST6 HiSIS22/VestaPro webcam SBIG ST9/ToUcam Pro SBIG ST5c/Ucam Pro ToUcam Pro webcam Starlight Xpress HX516 ToUcam Pro webcam ToUcam Pro webcam
Portogallo Texas Francia Florida Tenerife/UK Spagna Florida Hong Kong Singapore
termini di siti, due di questi imager vivono in Florida, il resto è distribuito un po’ in tutto il mondo. Andando un po’ più a fondo, si scoprirebbe che Cidadao, Parker, Ng, Wei Leong e Peach osservano dal tetto di casa o dal balcone: un dato interessante! Un altro punto da menzionare è che tutti privilegiano una scala dell’immagine nella regione degli 0,2-0,4 secondi d’arco per pixel per le loro immagini più dettagliate (anche se talvolta lavorano con 0,8 secondi d’arco per pixel). Usando le formule già riportate in questo libro, con un pixel di 10 micrometri di lato ciò comporta una lunghezza focale di: 206 × 10 (da 0,2 a 0,4) = 2060 (da 0,2 a 0,4) = da 10.300 a 5150 mm Quindi, con uno SCT standard di 30 cm con 3000 mm di focale (f/10), per aumentare la focale equivalente del sistema è necessaria una Barlow 2 o 3×. È anche giusto dire che tutti questi osservatori si trovano in località che presentano condizioni di seeing migliori della media.
Il tempo del download è cruciale Quando iniziai a scrivere questo capitolo, solo pochi astrofili avevano cominciato a sperimentare le webcam per le immagini planetarie. Il motivo principale era che, anche se molti di essi avevano una camera CCD come la SBIG ST5c, vivevano in aree dove il seeing cattivo è la norma. Le webcam hanno download USB o anche Firewire. Sono molto veloci nello scaricare le immagini e alcune sono sensibili quanto le camere CCD astronomiche, anche se sono tutte più “rumorose”. Quando una webcam scarica 25 frame di Giove per secondo, ci sono molte probabilità di averne qualcuno preso durante i pochi istanti di buon seeing. Sfortunatamente, le singole immagini fornite dalle webcam sono (in generale) compresse (alcuni dati vanno persi) e sono parecchio “rumorose”. Quello che serve è un software che possa essere usato con facilità dall’operatore, in grado di cercare fra le centinaia di frame di un filmato AVI fatto con la webcam, i frame migliori e li sommi insieme. Ciò riduce sensibilmente il rumore e il risultato è una singola immagine molto più “pulita” dell’originale. Ebbene, questo software esiste ed è gratuito, cortesia di Cor Berrevoets!
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Figura 8.1. a Il leggendario Don Parker con il suo superbo Newton di 40 cm di diametro, f/6, sul balcone di casa a Coral Gables, Florida. Don è uno dei pochi osservatori che realizza eccellenti immagini sia su pellicola che CCD.
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Foto: cortesia Don Parker.
b Il Celestron di 28 cm di Damian Peach, situato su una terrazza che domina Puerto de la Cruz, Tenerife, equipaggiato con una camera SBIG ST5c. Foto: cortesia Damian Peach.
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Il suo programma, chiamato Registax, lavora come in un sogno e può essere scaricato da http://registax.astronomy.net/. Ora, molti astrofili sotto un cielo con seeing scarso usano le webcam e il software di Berrevoets ottenendo ottimi risultati. In generale usano webcam specifiche, come la
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ToUcam Pro della Philips, dotata di un CCD interlinea Sony ICX098AK con 640×480 pixel. L’area attiva del chip misura circa 3,9×2,8 mm e i piccoli pixel sono quadrati con 5,6 micrometri di lato, ideali per la ripresa di immagini planetarie con rapporti focali di f/20 o più (ad esempio uno Schmidt-Cassegrain più una lente di Barlow 2×). Il chip della Sony è estremamente sensibile ed è ideale sui pianeti, dove il tempo di esposizione deve essere mantenuto breve. L’inglese Damian Peach, che normalmente usa una ruota portafiltri RGB con una ST5c, ha ottenuto superbi risultati con la webcam ToUcam Pro, ma ha concluso che in buone condizioni di seeing la sua ST5c fornisce prestazioni migliori: il rumore è molto basso e, con il filtro di rigetto dell’infrarosso presente sui filtri RGB, i colori appaiono molto più naturali. Nonostante ciò, si vadano a vedere le sbalorditive immagini di Giove e Saturno riprese da Eric NG da Hong Kong e da Tan Wei Leong da Singapore (entrambi usano un telescopio di 25 cm di apertura e la ToUcam Pro), e si capirà perché le webcam sono ritenute strumenti seri per l’osservatore planetario, specialmente se il seeing atmosferico è scarso e non si vuole spendere troppo per acquistare un CCD. Perché la SBIG ST5c è preferita per il lavoro planetario? Prima che arrivassero i PC a 2 GHz e il download USB, lo scaricamento di un’immagine CCD era un processo che richiedeva tempo. Minore è il numero di pixel di una camera, più breve sarà il tempo di download: da qui la grande diffusione dei 192×164 pixel della SBIG ST4. Con una scala di 0,3 secondi d’arco per pixel, il pianeta più grande, Giove (che al massimo misura 50 secondi d’arco), ha bisogno di soli 160 pixel per ricoprirne il diametro: quindi anche l’ST4 va bene, purché l’inseguimento del telescopio sia eccellente! Il tempo di download è assolutamente cruciale quando si riprende un’immagine di un pianeta ad alta velocità di rotazione come Giove. Il gigante fra i pianeti ha una circonferenza di 450.000 chilometri e all’equatore ha un periodo di rotazione di 9 ore e 50 minuti. Questo equivale a una velocità di rotazione equatoriale di 46.000 chilometri all’ora. Quando Giove è alla minima distanza dalla Terra di 590 milioni di chilometri, la rotazione equatoriale genera una traslazione del meridiano centrale di 16 secondi d’arco all’ora, o 1 secondo d’arco in meno di 4 minuti. Il moderno imager planetario sommerà numerose immagini del pianeta per ridurre il rumore e riprenderà immagini nel rosso, verde e blu (o ciano, magenta e giallo) per creare un’immagine a colori. Inoltre, la grande maggioranza delle immagini prese non sarà utilizzabile a causa del cattivo seeing dell’atmosfera terrestre. Non ci vuole molto a capire che, con i dettagli del pianeta che si muovono di 1 secondo d’arco ogni 4 minuti, per avere una risoluzione di un secondo d’arco e molte immagini da sommare, l’imager planetario si troverà nella necessità di riprendere moltissime immagini prima che il pianeta ruoti troppo. Se fra la prima e l’ultima immagine passano più di alcuni minuti, il tentativo di allineare le immagini su un dettaglio al centro del disco provocherà un disallineamento del bordo che, nelle immagini a colori si manifesta come una serie di bande colorate al bordo. Se le immagini vengono allineate usando come riferimento il disco del pianeta, allora saranno i dettagli centrali a risultare sfasati se il meridiano centrale è ruotato per più di un pixel. Ora si può capire perché la SBIG ST5c è stata a lungo la camera favorita degli imager planetari. Con soli 320×240 pixel e un tempo di download di 3 secondi, il buon seeing consente di ottenere dozzine di immagini planetarie nitide prima che i dettagli si siano mossi troppo. Naturalmente, sono state tante le camere che nel 2002 sono passate al download USB, riducendo drasticamente i tempi di cattura. Per esempio la super-sensibile SBIG ST-9E con 512×512 pixel usa un collegamento su porta parallela
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Figura 8.2. Giove ripreso il 13 ottobre 2000 alle 01h 45m TU, da Damian Peach da un balcone al settimo piano, con una camera CCD SBIG St5c. Composizione di una dozzina di immagini per luminanza e RGB riprese in un periodo di 2 minuti usando un Meade LX200 da 30 cm, f/10 e una lente di Barlow, con un rapporto focale complessivo f/21 e una risoluzione di 0,3 secondi d’arco per pixel (pixel di 10 micrometri). Damian si trovava a Norfolk (Inghilterra). Foto: cortesia Damian Peach.
per scaricare l’immagine e impiega 11 secondi. Il suo equivalente USB, la ST-9XE, ha un tempo di download (con un PC moderno) al di sotto del secondo (400.000 pixel per secondo), una dozzina di volte più veloce! In questo modo può essere utilizzata sia per la sorveglianza delle novae che per la ripresa di immagini planetarie. Ma la ST5c ha pure altri vantaggi: è economica, ha una ruota porta-filtri opzionale a basso costo, e viene fornita con un ottimo software (CCDSoft e The Sky della Software Bisque e CCDOPS/Planet Master dalla SBIG). Ha anche piccoli pixel da 10 micrometri che sono molto adatti per le lunghezze focali raggiungibili da uno Schmidt-Cassegrain con una Barlow, almeno per quanto riguarda la ripresa dei pianeti. La ST-9XE è una camera molto più costosa, ma ha anche una maggiore efficienza quantica. Inoltre, chiunque abbia provato la fatica di riuscire a tenere il disco di un pianeta ben fermo su un piccolo CCD apprezzerà il maggior numero di pixel, che consente di contenere l’immagine anche quando un po’ si muove a causa dell’errore periodico del telescopio. Una caratteristica extra dell’ST5c che è bene menzionare è la modalità di download parziale, in grado di scaricare fino a tre frame per secondo se si usa solo una frazione del chip. In Inghilterra, Damian Peach (Figura 8.4) ha usato questa modalità per riprendere belle immagini in alta risoluzione dei satelliti galileiani di Giove (vedi Figure 8.5 e 8.6). Quando si considera che i diametri all’opposizione di Io, Europa, Ganimede e Callisto vanno da 1,0 a 1,7 secondi d’arco, si capisce che questo è un ottimo risultato!
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Figura 8.3. a Giove ripreso il 2 ottobre 2001 alle 10h 58m TU da Ed Grafton a Huston, Texas, con una camera CCD SBIG ST6. Si può vedere la Grande Macchia Rossa e l’ombra del satellite Io. Questa immagine è la somma di una dozzina di immagini per la luminanza e l’RGB riprese con un Celestron 14 di 35 cm f/11, portato, in proiezione dell’oculare, a f/66. Questa combinazione fornisce un campionamento di 0,22 secondi d’arco per pixel. Foto: cortesia Ed Grafton. b Ed Grafton con il Celestron 14, nel suo Osservatorio a tetto scorrevole di Houston, Texas. Questo equipaggiamento è stato usato per riprendere alcune delle immagini planetarie a più alta risoluzione mai realizzate dal suolo. Notare il basso angolo dell’asse polare alla latitudine di 30° nord. Foto: cortesia Sheldon Faworski e Ed Grafton.
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Figura 8.4. Damian Peach e il suo SchmidtCassegrain Celestron di 28 cm di diametro, ripreso nell’ottobre 2002 a Puerto de la Cruz, Tenerife. Nel momento in cui scrivo, Damian è il più prolifico degli astro-imager planetari ad alta risoluzione. Foto: cortesia Damian Peach.
Figura 8.5. Giove, la sua luna Ganimede e l’ombra di Callisto. Immagine di Damian Peach ripresa il 16 febbraio 2002 alle 19h 40m TU. Il diametro di Giove era di soli 43 secondi d’arco. Composizione di una dozzina di immagini di luminanza e RGB prese in un periodo di due minuti usando un LX200 di 30 cm f/10 e una lente di Barlow che ha portato il sistema a f/29 fornendo una campionatura di 0,23 secondi d’arco per pixel (pixel di 10 micrometri di lato). Il tempo di esposizione per ogni immagine è stato di 0,15s per la luminanza senza filtri, e di 0,4s per le immagini con i filtri, riprese con una camera SBIG ST5c. Damian era a Rochester, Kent (Inghilterra). Foto: cortesia Damian Peach.
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Figura 8.6. a Un ingrandimento del satellite di Giove, Ganimede, fatto da Damian Peach. I dettagli sono gli stessi della Figura 8.5. Foto: cortesia Damian Peach.
b Altro ingrandimento di Ganimede; stesse caratteristiche tecniche, solo che l’immagine è stata scattata 20 minuti più tardi, alle 20h 00m TU. Foto: cortesia Damian b
Peach.
Pianeti diversi: diverse velocità di rotazione Già che stiamo trattando la velocità di rotazione di Giove, vediamo quali sono le corrispondenti velocità di Marte, Saturno e dei Galileiani. Marte ha una circonferenza di 21.340 km, ruota in 24h 37m e può avvicinarsi alla Terra fino a 59 milioni di chilometri. Saturno ha una circonferenza di 379.000 km, ruota in 10h 14m (all’equatore), e
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raggiunge una distanza minima dalla Terra di 1200 milioni di chilometri. Le corrispondenti velocità di rotazione angolare del meridiano planetario viste dalla Terra (nel periodo dell’opposizione), sono 3 secondi d’arco all’ora per Marte e 6,4 secondi d’arco all’ora per Saturno: se le confrontiamo con i 16 secondi d’arco all’ora di Giove, si vede che questi pianeti concedono tempi più ampi per la raccolta di immagini. I maggiori satelliti di Giove e le loro ombre si spostano sul disco del pianeta quasi esattamente come i dettagli che si trovano sul meridiano. Chiunque si diverta ad osservare i satelliti di Giove e i transiti delle loro ombre avrà notato che quando Io, Europa o Ganimede stanno transitando sulla parte centrale del disco del pianeta gigante, sembrano quasi far parte di esso: le strutture atmosferiche e il satellite si muovono all’incirca con la stessa velocità angolare. L’oggetto che transita più di frequente è Io, perché orbita in 1,77 giorni a 422.000 km dal pianeta. I corrispondenti valori per Europa, Ganimede e Callisto sono (3,55/671.000), (7,16/1.070.000) e (16,7/1.880.000). Alla distanza di opposizione media dalla Terra, queste quattro velocità orbitali corrispondono a 20, 16, 12,7 e 9,5 secondi d’arco all’ora; quindi, in una ripresa di 3m fatta all’opposizione Io si muoverà di 1 secondo d’arco e supererà lentamente i dettagli dell’atmosfera di Giove. Il fatto che i satelliti abbiano un moto simile a quello di Giove, significa che spesso possono essere usati anche come riferimenti per allineare le immagini.
Scegliere la scala dell’immagine in funzione delle condizioni del seeing Ho già detto che gli imager planetari preferiscono scale dell’immagine nella regione fra 0,2 e 0,4 secondi d’arco per pixel ma, in pratica, buone immagini planetarie possono anche essere ottenute con una risoluzione peggiore, come 0,8 o 1 secondo d’arco per pixel. Abbiamo visto che il limite di Dawes per la massima risoluzione teorica di un telescopio ottico è dato dalla formula: Risoluzione (in secondi d’arco) = 116/Apertura (in millimetri) Così un’apertura di 116 mm, teoricamente, potrà risolvere 1 secondo d’arco e quella di 232 mm risolverà 0,5 secondi d’arco. A causa della legge del campionamento digitale chiamata “Teorema del campionamento di Nyquist”, per non perdere informazione, abbiamo bisogno di campionare al doppio della frequenza di arrivo dei dati. In questo contesto, dobbiamo campionare a 0,2 secondi d’arco per pixel se vogliamo raggiungere una risoluzione di 0,4 secondi d’arco, quella teorica di un’apertura di 290 mm. Tuttavia, anche la più spettacolare delle immagini amatoriali è raro che possa risolvere oggetti molto più piccoli di un secondo d’arco! Accordare la scala dell’immagine con il seeing locale è parte importante dell’imaging planetario. L’aumento della focale del telescopio per avere un campionamento elevato renderà l’immagine più scura e sarà necessario un tempo di esposizione più lungo. Un tempo di esposizione lungo darà all’atmosfera terrestre una maggiore possibilità di degradare l’immagine. Tenere l’esposizione breve e riprendere immagini deboli non è una buona idea; anche se la luminosità e il contrasto possono essere aggiustati in sede di elaborazione,
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un’immagine debole ha un rapporto segnale/rumore più basso di quello di un’immagine luminosa e perciò è fortemente raccomandabile un’immagine con la giusta esposizione, che riempia almeno la metà del range dinamico della camera. Molto spesso, un’immagine mostrerà una risoluzione ragionevole, ma apparirà a tratti discontinua, a blocchi, per via della corta focale necessaria per ridurre il tempo di esposizione. La Divisione di Cassini negli anelli di Saturno è un buon esempio di una struttura ad alto contrasto che apparirà “pixelata” quando non si possono usare lunghe focali. Questo capita perché con una larghezza di soli 0,7 secondi d’arco occupa solo uno o due pixel. Un metodo standard per rendere l’immagine più piacevole è fare un ricampionamento, cioè usare un software per le immagini come Adobe Photoshop o Paint Shop Pro, al fine di aumentare il numero di pixel dell’immagine, mantenendo l’informazione originaria. L’immagine finale non sarà più ricca di informazione, ma apparirà migliore! Il ricampionamento è di importanza critica per l’osservatore planetario moderno, specialmente quando si sommano le immagini, come vedremo più avanti. Concludendo, qual è la strategia per accordare al meglio la scala dell’immagine con il seeing atmosferico? Consiglierei ai principianti di partire con una scala di 0,8-1 secondo d’arco per pixel, con un tempo di esposizione di circa 0,1 secondi (per Giove); solo dopo si potrebbero usare focali più lunghe. Con un buon seeing, aumentando progressivamente la focale, a un certo punto si otterranno buoni risultati, fermandosi attorno a 0,2 secondi d’arco per pixel (se non ci si è fermati prima!). Senza dubbio, la maligna indifferenza dell’atmosfera terrestre alle necessità degli imager planetari è il motivo principale per cui la maggior parte degli astrofili non riesce a ottenere buone immagini dei pianeti. È normale, dopo mesi o anni di tentativi, gettare la spugna e accettare il fatto che non si otterranno mai immagini planetarie di qualità. Se usate una camera CCD a breve esposizione (ad esempio un centesimo di secondo) e riprendete l’immagine di una stella luminosa, è orribile vedere le contorsioni che il disco stellare presenta in immagini successive: tutto questo è dovuto alla turbolenta atmosfera della Terra. Mentre il seeing è, probabilmente, il problema numero uno, l’imager planetario deve poi rimuovere sistematicamente tutti gli ostacoli che si trova sul cammino e che bloccano la strada verso l’immagine perfetta. Questo aspetto non lo sottolineerò mai abbastanza! Devono essere tenuti sotto controllo i seguenti punti: • • • • • • •
seeing atmosferico, turbolenza locale, previsioni del tempo; pulizia delle ottiche; collimazione delle ottiche; ripresa del flat-field; focheggiatura del telescopio/sistema CCD; somma delle immagini e riduzione del rumore; perfetta tecnica di elaborazione delle immagini.
Ora esaminiamo tutti questi punti in maggiore dettaglio.
Seeing C’è qualcosa che possa essere fatto per agire sul seeing atmosferico, o il seeing locale? I migliori imager planetari del mondo hanno trovato che gli Osservatori situati sulla
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sommità di colline o sui balconi, spesso godono di un seeing migliore. Questo succede perché il calore che proviene dal raffreddamento del suolo nel periodo notturno causa notevoli turbolenze quanto più vicini ci si trova al suolo. Anche l’altezza in cielo di un pianeta è di vitale considerazione; il cattivo seeing è molto più probabile se il pianeta è basso sull’orizzonte. Come regola generale (ma ci sono le eccezioni) raramente si può fare alta risoluzione quando l’altezza di un pianeta è inferiore ai 40°. Per chi vive in Italia (latitudine media di 42° nord) questo significa che il pianeta deve transitare a una declinazione superiore diciamo a –5°. Le notti in cui l’aria è stagnante, quasi sempre associate con zone di alta pressione atmosferica, sono promettenti per avere buone condizioni di seeing. Infatti, quando le previsioni meteorologiche annunciano un tempo nebbioso, questo generalmente significa buon seeing. Ho avuto alcune delle mie visioni planetarie migliori proprio mentre si formava la nebbia, con un po’ di umidità sul tubo del telescopio. Dopo il tramonto del Sole, le temperature all’inizio di una notte serena crollano rapidamente, per poi scendere molto più lentamente dopo poche ore. Il cielo dell’alba, anche con una luce significativa, spesso offre le condizioni atmosferiche più stabili. Quindi il buon seeing si ha più spesso prima che un pianeta raggiunga l’opposizione, piuttosto che dopo. Molti seri osservatori di pianeti hanno tentato di trovare un modo per migliorare il seeing locale usando ventole antivibrazione per creare un flusso d’aria laminare (nei tubi dei Newton) e portare lo specchio alla stessa temperatura dell’aria notturna. La turbolenza creata dal calore rilasciato da uno spesso specchio di vetro è la causa principale della scarsa definizione dei pianeti. Allo stesso modo, una cupola non è una buona soluzione per l’osservatore di pianeti; l’edificio della cupola si riscalda durante il giorno e rilascia il calore durante la notte. I nove osservatori elencati nella Tabella 8.1 non usano cupole, ma balconi, tetti o siti all’aria aperta. In pratica, la maggior parte degli osservatori raramente avrà un seeing perfetto, ma l’astrofilo moderno ha un’arma molto potente a disposizione. Anche con un seeing mediocre, si possono prendere centinaia di immagini a breve esposizione per notte, massimizzando la probabilità di alcune riprese nitide. Se questo si combina con l’osservare il maggior numero di notti possibile durante l’opposizione, si avranno alcune immagini eccezionali, purché tutti gli altri punti siano soddisfatti. Un altro vantaggio delle osservazioni CCD è che ci si può posizionare ben lontani dal telescopio; può sembrare un punto banale, ma il calore del corpo dell’osservatore è una sorgente significativa di turbolenza locale e di seeing cattivo.
Pulire le ottiche La pulizia delle ottiche del telescopio non è qualcosa che possa essere fatto senza una buona pianificazione e senza la massima cura. In questo campo, la prevenzione è certamente meglio della cura. Mentre è vero che uno specchio che appaia sporco e ricoperto di polvere può ancora dare visioni piacevoli, se stiamo cercando di ottenere immagini planetarie in alta risoluzione è necessario che le ottiche siano il più pulite possibile. Ricordate: le buone ottiche hanno un’accuratezza di lavorazione della superficie migliore di un decimo di millesimo di millimetro; quindi, ogni deposito, ancorché trasparente, farà sì che il telescopio si comporti come se la lavorazione ottica fosse stata meno accurata. Uno dei maggiori problemi è il fatto che lo strumento generalmente sta all’esterno, in un ambiente dove c’è molta umidità, sporco, polvere e insetti. Per un telescopio che si trovi nel giardino dietro casa non ci può essere un ambiente peggiore.
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Responsabile principale di ottiche sporche e macchiate è la condensazione. Spesso la condensazione viene elusa con l’ausilio di resistenze elettriche, ma le sorgenti di calore sono un pericolo nell’osservazione planetaria: ogni cosa deve essere tenuta in equilibrio termico. Ma allora come si deve operare? Molti astrofili lasciano accesi riscaldatori da serra a bassa potenza o lampadine all’interno dei tubi dei loro Newton per tenere a bada l’umidità quando il telescopio non è in uso. Altri utilizzano un cappuccio che quasi si appoggia sullo specchio principale o sulla lastra correttrice, in modo da lasciare ben poca aria intrappolata fra il cappuccio e l’ottica. Durante la notte, per evitare la condensazione di umidità sulla lastra correttrice degli SchmidtCassegrain, è consigliabile un lungo paraluce. Ma i paraluce riscaldati sono raccomandabili solo per osservazioni del cielo profondo. Il silica gel è una sostanza che assorbe l’umidità e, con certi prodotti simili, i granuli cambiano colore (di solito dal blu al rosa) quando si inumidiscono. Ma il silica gel va usato in modo razionale. Lasciandone sacchetti dentro il tubo di un telescopio aperto se ne ha la saturazione, a causa della condensazione, in una sola notte. Il trucco è di mettere il silica gel fra il cappuccio che ricopre l’ottica e l’ottica stessa, in modo tale da assorbire l’umidità del sottile strato di aria che vi resta intrappolato. Il gel dovrebbe essere fatto essiccare in un forno, se possibile ogni settimana. Se le ottiche si sono sporcate, allora, a meno che non debbano essere rialluminate, le potete pulire personalmente. Personalmente, questa è un’operazione che tendo ad evitare (e lo raccomando a tutti), ma se proprio volete pulire da soli lo specchio principale, questo è ciò che dovete fare: 1. rimuovere lo specchio dal telescopio; non toccate la superficie dello specchio con le vostre dita (e non fatelo cadere!). 2. Mettere lo specchio in un lavello da cucina con la superficie riflettente in alto, e dirigete sul centro dello specchio un moderato getto d’acqua tiepida, in modo da rimuovere i granelli di polvere. Non usate acqua troppo calda, altrimenti lo shock termico può spaccare lo specchio in due! Se lo specchio è sottile, o è una lastra di vetro, anche l’acqua tiepida può romperlo. 3. Mettere alcune gocce di detergente sulla superficie umida dello specchio e lasciare agire per dieci minuti, in modo che sciolga lo sporco. 4. Risciacquare lo specchio con l’acqua del rubinetto per diversi minuti. 5. Fare un risciacquo finale con acqua distillata o acqua ben filtrata demineralizzata. 6. Posizionate lo specchio sul proprio bordo e lasciate che l’acqua scivoli via ma, se gocce persistenti restano in superficie, soffiatele con un getto d’aria compressa (i negozi di elettronica vendono bombolette d’aria compressa), prima che asciughino lasciando il segno. 7. Rimontate lo specchio.
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Collimare le ottiche Senza dubbio, la maggior parte dei possessori di riflettori Newton, Cassegrain o Schmidt-Cassegrain non riescono a collimarli. La conseguenza è che non potranno mai riprendere immagini planetarie in alta risoluzione. Rifrattori e Maksutov, per fortuna, hanno la collimazione tarata in fabbrica, e spesso questo è il motivo per cui sono considerati buoni strumenti planetari. Collimare un telescopio non è difficile, ma richiede un approccio sistematico e paziente. I Newton e i Cassegrain classici si collimano regolando sia lo specchio primario, sia quello secondario. Negli SchmidtCassegrain commerciali, per la collimazione si può regolare solo lo specchio secondario.
Collimazione diurna La Figura 8.7 mostra le tre fasi della collimazione diurna di un telescopio newtoniano. Sono mostrate le visioni, attraverso il tubo portaoculari, che si possono avere quando si mette l’occhio al posto dell’oculare. Un contenitore portapellicola da 35 mm con un piccolo foro al centro è un eccellente tubo di collimazione per posizionarvi l’occhio. Il passo successivo è la collimazione notturna su una stella. Con uno SchmidtCassegrain basta eseguire la collimazione diurna, cioè aggiustare le tre viti sullo specchio secondario fino a quando la riflessione del primario sul secondario è concentrica. Sia per la collimazione dei Newton che per quella degli Schmidt-Cassegrain, il lavoro è molto più facile se si può disporre di un assistente, in modo tale che si possa guardare attraverso l’oculare di collimazione mentre l’assistente gira le viti. La collimazione di un Newton è molto semplice se si acquista un oculare con un collimatore laser, o uno dei molti dispositivi di collimazione disponibili da ditte come la Kendrik. Fino a un anno fa, i dispositivi di collimazione erano disponibili solo per i Newton, mentre adesso lo sono anche per gli Schmidt-Cassegrain. Come usare questi dispositivi va oltre gli scopi di questo capitolo, perché con l’acquisto di questi dispositivi vi verranno fornite le istruzioni dettagliate. Tuttavia, anche con questi dispositivi, gli astrofili più esigenti fanno anche la collimazione fine usando una stella.
Collimazione con una stella Il primo passo per la collimazione con una stella non è necessario se la collimazione diurna è già stata eseguita. Si tratta di osservare una stella sfuocata di prima magnitudine a 250× e verificare che il disco scuro (l’ombra dello specchio secondario) sia al centro del disco stellare sfuocato. La Figura 8.8a mostra l’immagine reale di una stella fuori fuoco, ripresa con uno Schmidt-Cassegrain collimato da Damian Peach. Notare come l’immagine reale appaia molto diversa dalla simulazione riportata in Figura 8.8b. La Figura 8.8b, come la maggior parte delle immagini di collimazione qui riportate, è stata prodotta dal software di simulazione Aberrator. Se il disco scuro non è al centro, bisogna agire sulle viti di collimazione fino a quando l’ombra è centrata. Il secondo passo nella collimazione con una stella è molto più impegnativo e può essere eseguito solo quando le condizioni del seeing sono accettabili. Di solito, si
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138 Riflessione del secondario e del suo sostegno sul primario Interno del tubo del telescopio, dietro il secondario
Sostegno del secondario, correttamente centrato all’interno del tubo portaoculari
Portaoculari
a
Specchio primario
Primario centrato esattamente al centro del secondario b
Primario orientato correttamente verso il secondario
c
Figura 8.7. I tre passi iniziali per la collimazione di un riflettore Newton, prima della collimazione con una stella – questa fase è molto meno critica in un Newton ad elevato rapporto focale.
sceglie una stella di terza magnitudine (per un’apertura di 300 mm) ben al di sopra dell’orizzonte in modo da minimizzare la turbolenza atmosferica. Si usa poi un ingrandimento molto elevato (600× o più) e si esaminano gli anelli di diffrazione sfuocando la stella dalla posizione intrafocale a quella extrafocale. Al centro dovrebbe esserci una macchia luminosa circondata da una serie di anelli concentrici luminosi e oscuri. Mentre il telescopio passa attraverso il fuoco, questa figura dovrebbe aprirsi e chiudersi in modo scorrevole e simmetrico (Figura 8.9); se ciò non succede, le viti dello specchio hanno bisogno di essere ritoccate. Naturalmente, ogni volta che le viti sono ritoccate, la stella si muoverà e avrà bisogno di essere riportata al centro del campo. Una volta che le figure in intra ed extra focale sono perfetti anelli di diffrazione, si può passare al terzo punto.
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Figura 8.8. a Damian Peach ha fotografato l’immagine di una stella completamente sfuocata vista attraverso il suo Celestron 11. b Simulazione di (a) usando il software Aberrator, cioè una stella completamente sfuocata vista attraverso un telescopio collimato. Si è assunta una perfetta stabilità atmosferica. b
Il terzo e ultimo passo per una perfetta collimazione può essere compiuto quando le condizioni di seeing sono quasi perfette, un evento molto raro. Il setup è come per il punto 2, tranne il fatto che la stella è perfettamente a fuoco. Ora cercheremo di osservare il disco di Airy, il così detto “falso” disco centrale, circondato dagli anelli di diffrazione di luminosità decrescente (come in Figura 8.10a). Se il primo anello non è uniforme, o è incompleto (come in Figura 8.10b), le viti di collimazione vanno girate di una piccola quantità in modo da ottenere un primo anello uniforme. Quest’ultimo test è così sensibile che anche spostare il telescopio da un punto all’altro del cielo può
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Figura 8.9. Un’immagine simulata di una stella leggermente sfocata vista attraverso un telescopio perfettamente collimato.
alterare la situazione. Gli imager planetari più esigenti, prima di cominciare a riprendere, spesso ritoccano la collimazione del telescopio con la procedura del terzo punto e la aggiustano nel corso di tutta la notte! Bene, ora abbiamo visto la collimazione, ma va sottolineato che per lo star test, le figure di diffrazione che vedremo non assomiglieranno a quelle dei manuali a meno che la notte non sia perfetta. Se volete vedere figure di diffrazione da manuale in una notte non perfetta, provate a guardare attraverso un piccolo Maksutov di qualità una stella molto luminosa. Questo vi permetterà di familiarizzare con ciò che dovreste vedere. Chi possiede un Newton gigante, ad esempio di 40 cm di apertura o maggiore, dovrà accettare il fatto che non vedrà mai la figura di diffrazione o il disco di Airy a meno di non diaframmare lo strumento! Non solo le “celle” atmosferiche stabili raramente superano i 30 cm di diametro, ma il problema è che i grandi telescopi hanno un tempo di raffreddamento molto lungo. Naturalmente, anche in una buona notte quando le stelle non scintillano violentemente, se il disco di Airy appare distorto, e voi avete collimato con cura il telescopio, è possibile che abbiate ottiche di scarsa qualità. Ad essere onesti, è molto raro che succeda con ottiche Celestron, Meade o di uno qualsiasi degli altri maggiori costruttori. La competizione nel mercato dei telescopi è selvaggia e i produttori non possono rischiare di offrire ottiche scadenti. Tuttavia, se state usando un vecchio telescopio o uno di seconda mano dalle dubbie origini, è possibile che la colpa sia delle ottiche. Tuttavia, secondo la mia esperienza, la maggior parte degli astrofili che si lamentano di una scarsa qualità delle ottiche, semplicemente non le hanno collimate con la precisione richiesta per ottenere immagini dei pianeti al limite di diffrazione. Inoltre, anche la cella dello specchio principale che “stringe” troppo l’ottica spesso è la causa di immagini stellari non perfette.
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Figura 8.10. a Simulazione di una visione ad alti ingrandimenti con un telescopio perfettamente collimato di una stella perfettamente a fuoco. b Simulazione di una visione ad alti ingrandimenti con un telescopio scollimato.
b
Riprendere il flat-field La ripresa di immagini planetarie viene fatta con grandi lunghezze focali e con rapporti focali elevati. Questo significa che il cono di luce che passa attraverso la superficie del CCD è molto sottile. Di conseguenza, qualsiasi macchia di polvere (o macchie di condensa) sulla finestra di vetro al di sopra del chip CCD, ostruirà una quantità significativa della luce per ogni pixel. Quando si prendono in considerazione le potenti routine per l’elaborazione delle immagini usate dagli imager planetari (prima
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di tutto l’unsharp masking) i “grani di polvere a ciambella” che escono fuori possono rovinare un’immagine altrimenti piacevole. Una soluzione per questo problema è riprendere flat-field di qualità. Un flat-field è semplicemente l’immagine di uno sfondo uniformemente illuminato, ripreso con la stessa orientazione e rapporto focale dello strumento usato per la ripresa delle immagini astronomiche. Il flat-field conterrà una registrazione di tutte le imperfezioni del sistema ottico (grani di polvere, vignettatura ecc.) e, quando dividete l’immagine principale per il flat-field, tutte le macchie di polvere e l’illuminazione non uniforme spariranno. Bene, questa è la teoria e quando si lavora bene il miglioramento è spettacolare! Un flat-field orripilante è mostrato nella Figura 8.11. In questo caso, le “ciambelle” sono causate dal ghiaccio che ha iniziato a formarsi sulla finestra della camera CCD. In ogni caso, un cattivo flat-field può essere addirittura peggiore di nessun flat-field. La maggior parte dei flat-field sono ottenuti riprendendo il cielo serale con un’esposizione fatta in modo tale che riempia a metà il range dinamico del CCD. Queste immagini è meglio realizzarle quando il cielo è abbastanza scuro, in modo tale che pose di un secondo non saturino il CCD. A mano a mano che il cielo diventa più scuro è sempre più difficile che la luce del tramonto saturi la metà del CCD e le esposizioni più lunghe cominceranno a mostrare le stelle, anche se il motore per il trascinamento orario è spento! Il problema è che stiamo parlando di grani di polvere che, per loro natura, possono muoversi da notte a notte e anche di minuto in minuto! Quindi, io raccomando caldamente il flat-field, anche se si tratta di un’altra difficoltà da incorporare nel frenetico elenco di cose da fare da parte dell’imager planetario (insieme con la collimazione e la messa a fuoco); ma, dopo tutto, stiamo aspirando alla perfezione!
Figura 8.11. Un flat-field infernale, causato dal ghiaccio formatosi su centri di condensazione della finestra del CCD. Immagine: cortesia Nick James.
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Le soluzioni alternative al flat-field sono: 1. tenere la finestra del CCD scrupolosamente pulita ed evitare di riprendere immagini in ambienti polverosi; oppure 2. combinare così tante immagini di qualità (mentre l’immagine del pianeta si sposta sul chip CCD) in modo tale da mediare il contributo delle particelle di polvere. La vignettatura è improbabile nella ripresa dei pianeti a piccolo campo, mentre la polvere e la condensa sono un grosso problema. Se sommate dozzine di immagini, e se il pianeta si sposta sul chip, potreste non aver bisogno del flat-field (qui un motore di inseguimento poco preciso può essere addirittura un vantaggio!).
Focheggiatura Nella semplice focheggiatura del telescopio per un lavoro planetario c’è un problema molto serio da risolvere; come fare il fuoco su qualcosa che è costantemente sfuocato, e sempre in innumerevoli modi diversi! La tecnica adottata da alcuni imager planetari è di focalizzare prima su una stella molto luminosa e vicina al pianeta, usando tempi di esposizione molto brevi per minimizzare gli effetti del seeing. Questa fase di focheggiatura per tentativi può richiedere anche un’ora e più prima che l’imager sia soddisfatto (naturalmente, dopo potrebbero venire le nubi). Focheggiare su una stella luminosa è altamente raccomandabile, ma c’è la necessità di farlo più di una volta durante la stessa sessione, perché mentre la temperatura cambia e il telescopio si muove, cambia il punto di fuoco. Un aspetto che difficilmente viene colto è come sia difficile focalizzare un telescopio quando il rapporto focale sia superiore a f/20. Gli Schmidt-Cassegrain, sotto questo punto di vista, sono un incubo, perché la posizione di fuoco si raggiunge muovendo, rispetto al secondario, lo specchio primario a f/2. Diamo un’occhiata ad alcune statistiche terrorizzanti. Se stiamo usando un riflettore da 250 mm di apertura con un rapporto focale assurdamente lungo come f/20, il suo limite di diffrazione di 0,46 secondi d’arco corrisponderà a 0,011 mm sul piano focale. Se i singoli coni di luce che arrivano da due punti separati di 0,011 mm non devono sovrapporsi, non possiamo muovere il fuoco avanti o indietro per più di 20 × 0,011, ossia ± 0,22 mm. Questo valore è indipendente dall’apertura, perché la risoluzione nel piano focale (0,011 mm) aumenterà se si riduce la risoluzione ma si contrarrà con una lunghezza focale più breve. Infatti, la tolleranza al fuoco diminuisce con il quadrato del rapporto focale misurato nell’elemento focheggiatore del sistema. Sembra una cosa difficile da capire ma, essenzialmente, significa che focheggiare muovendo lo specchio f/2 di uno Schmidt-Cassegrain sarà 25 volte più critico che usare un focheggiatore attaccato al fuoco f/10 che esce dal tubo posteriore! La tolleranza di ± 0,22 mm a f/20 diventa ± 0,055 mm a f/10, ± 0,014 mm a f/5 e ± 0,002 mm a f/2! Immaginate di cercare di aggiustare uno specchio entro due micrometri dalla posizione giusta; bene, questo è ciò che viene richiesto con uno Schmidt-Cassegrain f/2 se si focheggia muovendo lo specchio (vedi Figura 8.12). Da tutto questo è facile vedere che il posto migliore dove mettere un focheggiatore è alla fine del cammino ottico, vale a dire appena prima della camera CCD. Non sorprende che questa è la soluzione adottata dai migliori imager planetari. Ditte come la Jim Mobile Inc. (JMI) costruiscono focheggiatori speciali da usare con gli Schmidt-Cassegrain proprio per i problemi di fuoco che si hanno a f/2. Il loro NGF-S (New Generation Focuser for Schmidt-Cassegrain) può essere fornito con un motore, un lettore digitale di posi-
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Allo specchio Piano focale
Cono di luce a f/2
1 micrometro = 0,4 secondi d’arco
Cono di luce a f/2
4 micrometri di tolleranza per la posizione ottimale della pellicola e del CCD
Figura 8.12. Se si vuole riprendere a piena risoluzione, la tolleranza di fuoco di un telescopio a f/2 è di soli ± 0,2 micrometri. In pratica, i telescopi planetari usano rapporti focali molto più elevati ma, se ad essere spostato è lo specchio f/2 di uno SchmidtCassegrain, la tolleranza di focheggiatura è questo valore critico.
zione (Figura 8.13), e anche un compensatore di temperatura. Altri astrofili impiegano una varietà di focheggiatori personalizzati e di ausili ottici per mettere a fuoco i pianeti nei loro telescopi. Lo strumento di Don Parker, un Newtoniano di 40 cm, è mostrato in Figura 8.14. A prima vista può sembrare un’accozzaglia disordinata di dispositivi, ma date un’occhiata ai risultati che riesce ad ottenere (Figura 8.15). Tra parentesi mi piace ricordare il leggendario astrofotografo e ottico inglese Horace Dall (1901-1986) che, con il suo Dall-Kirkham Cassegrain, fotografava i pianeti con un rapporto focale f/200. A f/200 la tolleranza di fuoco è di ± 22 mm! E così abbiamo imparato alcuni trucchi sulla messa a fuoco, ma che cosa fare se, durante una sessione di osservazioni, non si vuole rifocheggiare costantemente sul disco di Giove? Un trucco che ho usato per la ripresa di immagini di Giove è di trovare un satellite del pianeta (Io è sempre entro 2 primi d’arco dal lembo gioviano) e di lavorare sul fuoco in modo che diventi il più piccolo possibile; naturalmente i satelliti non sono sorgenti puntiformi, ma sono già buoni riferimenti. Prima dell’elaborazione delle immagini, i dettagli di Giove sono a basso contrasto e giudicare il fuoco è difficoltoso. Se sul disco c’è l’ombra di un satellite, anche questa può essere usata come indicatore del fuoco. Per il fuoco su Saturno si possono usare dettagli ad alto contrasto, come gli anelli e la Divisione di Cassini.
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Figura 8.13. L’unità Motofocus NGF-S della JMI, che permette una focheggiatura senza vibrazioni e accurata, con il lettore digitale di posizione. Foto dell’autore.
Sommare le immagini per ridurre il rumore Se c’è un’arma potente che l’elaborazione delle immagini ha fornito all’imager planetario, questa è la possibilità di sommare immagini multiple per ridurre il rumore. In tutti i tipi di immagini, un elevato rapporto segnale/rumore significa avere un’immagine di elevata qualità. Quando si usano esposizioni brevi per “congelare” i dettagli planetari, il segnale del pianeta sarà basso e quando l’immagine viene elaborata il rumore esce fuori con grande evidenza. Se le vostre immagini planetarie sono deboli e rumorose perché le brevi esposizioni sono il solo modo di congelare il seeing, cercate di riprendere immagini a una scala inferiore (diciamo fino ad 1 secondo d’arco per pixel) con un’esposizione che saturi la metà del CCD. La somma delle immagini è un metodo alternativo per ridurre il rumore senza fare uso di immagini a grande scala e con lunghe esposizioni. Il rumore può venire da una varietà di sorgenti e spesso è casuale; questo è vero, specialmente quando il disco di un pianeta si muove su diversi pixel e diverse aree della finestra di vetro del CCD. Il rumore viene anche esaltato dall’uso delle routine di elaborazione. Tuttavia, il rumore si riduce con la radice quadrata del numero delle immagini sommate; quindi, a parità di altre condizioni, una somma di quattro immagini planetarie avrà metà del rumore di una singola immagine e una somma di 16 immagini planetarie avrà un quarto del rumore di un singolo frame. Alcuni eccellenti esempi di somma di immagini planetarie sono visibili nelle Figure 8.16, 8.17 e 8.18. Quante immagini sommano i migliori imager planetari per
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Figura 8.14. La camera CCD SBIG ST9E USB, la ruota portafiltri, il cercatore e il focheggiatore personalizzato del Newton da 40 cm, f/6 di Don Parker. La ST9 è usata a f/46 per una scala dell’immagine di 0,22 secondi d’arco per pixel. Foto: cortesia Don Parker.
ottenere un buon risultato e che tempo di esposizione usano? Prendiamo ad esempio Damian Peach che, a differenza di altri, ha dovuto combattere contro il cattivo seeing dell’Inghilterra prima di trasferirsi a Tenerife.
La tecnica di Damian Peach Damian ha usato due strumenti per ottenere i suoi notevoli risultati: un Meade LX200 di 30 cm più una lente di Barlow per arrivare a f/29,1 e un Celestron di 28 cm più una Barlow per arrivare a f/31,4. Entrambi i sistemi, con una camera CCD SBIG ST5c con pixel da 10 micrometri, forniscono una scala dell’immagine di 0,23 secondi d’arco per pixel. Per Giove, Damian di solito riprende immagini LRGB dove la luminanza ha una esposizione di 0,2 secondi senza filtri, mentre le immagini rosse, verdi e blu (con filtro
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Figura 8.15. Marte ripreso da Don Parker il 24 aprile 1999 con il suo Newton da 40 cm, f/6 portato a f/48 e una camera CCD Lynxx. I filtri usati sono: Blu, Schott BG 12 + IR-Cut; verde, Schott VG9 + IR-Cut; rosso RG610. Le immagini sono state elaborate con BatchPix e ColorPix di Richard Berry e Photostyler. Le immagini mostrano un “fronte freddo” che esce fuori dalla calotta polare nord, una brillante nube orografica sul Monte Olimpo posto sul bordo di sinistra e nubi sopra i vulcani a scudo della regione di Elysium vicino al centro del disco. Notate anche la famosa Blue Syrtis Cloud sul bordo destro (mattutino), nell’immagine in alto a destra, ripresa poco dopo. Foto: cortesia Don Parker.
per eliminare l’infrarosso) hanno tempi di esposizione di 0,4 secondi ciascuna. In una tipica notte, Damian salva centinaia di immagini con una velocità poco più alta di 3 per secondo e, durante i 3 minuti di miglior seeing di tutta la notte, può salvare fino a 70 immagini di luminanza per la somma. Una tipica sequenza nei 3 minuti di seeing eccellente può quindi consistere di due insiemi di 35 immagini di luminanza e da sei a otto immagini in ciascuno dei tre colori, riprese un poco più tardi (l’occhio è più tollerante sulla risoluzione delle immagini a colori). Nei 90 secondi di ripresa della luminanza, i dettagli al centro del disco si saranno mossi di 0,4 secondi d’arco (con il pianeta all’opposizione). Damian quindi somma i due set di immagini da 90 secondi su cui è stato fatto un ricampionamento (per ingrandirle), lasciando la piccola rotazione planetaria fra i due insiemi di immagini. Infine viene aggiunta la componente RGB. I risultati sono mozzafiato! Con Saturno che ruota più lentamente, Damian ha trovato che può raccogliere fino a 80 immagini di luminanza in un periodo di 220 secondi, senza preoccuparsi della rotazione planetaria.
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Figura 8.16. Saturno ripreso da Ed Grafton il 18 ottobre 2001 alle 08h 52m TU con un Celestron 14 a f/68 e una camera CCD SBIG ST6. Si tratta di una composizione di una dozzina di immagini di luminanza e RGB riprese in diversi minuti. La risoluzione originaria è di 0,21 secondi d’arco per pixel. Foto: cortesia Ed Grafton.
Figura 8.17. Marte ripreso da Ed Grafton l’11 giugno 2001 alle 07h 03m TU con un Celestron 14 con rapporto focale f/60 e una camera CCD SBIG ST6. Foto: cortesia Ed Grafton.
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Figura 8.18. Saturno ripreso il 17 ottobre 2002 da Damian Peach da Puerto de la Cruz, Tenerife, Isole Canarie. SCT Celestron di 28 cm di diametro a f/31,4 con camera SBIG ST5c con pixel da 10 micrometri. Set di filtri SBIG RGB. Una media di 152 immagini riprese in un periodo di 8 minuti, comprese 119 immagini di luminanza (0,39 secondi), 10 esposizioni con filtro rosso (0,6 secondi), 12 esposizioni con filtro verde (0,6 secondi), e 11 esposizioni con filtro blu (0,7 secondi). Elaborazione con unsharp masking. Nel momento della ripresa, il diametro equatoriale era di 19,2 secondi d’arco e il pianeta si trovava a 54° sull’orizzonte. Le immagini sono state sommate in due insiemi per minimizzare gli effetti della rotazione del pianeta, tenendola al di sotto di 0,3 secondi d’arco. Risoluzione originale 0,23 secondi d’arco per pixel. Foto: cortesia Damian Peach.
Nel 2003, Damian si è trasferito dai poveri cieli dell’Inghilterra a quelli di Tenerife e ha cominciato ad usare la webcam ToUcam pro della Philips al posto della sua SBIG ST5c. I suoi più recenti risultati su Saturno sono stati generati sommando fino a 3000 frame, raccolti in un periodo di 300 secondi. Per Giove di solito somma 1000 frame raccolti in 120 secondi. Va sottolineato di nuovo che l’occhio umano e il cervello sono in grado di percepire meglio la definizione e il contrasto della luminanza (bianco e nero) che compone l’immagine rispetto alla crominanza (componente colorata). Perciò, in una qualsiasi immagine astronomica, planetaria o di cielo profondo, non è un disastro se la componente colorata non è così ben definita come quella in bianco e nero.
Ancora su somma e ricampionamento di immagini Ora possiamo vedere lo scopo principale del moderno osservatore di pianeti con il CCD quando è al telescopio: bisogna riprendere il maggior numero di immagini nitide e ben esposte possibili, prima che i dettagli planetari si siano mossi, al più, di mezzo secondo d’arco. Sommando insieme centinaia o migliaia di immagini, l’imma-
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gine planetaria risultante apparirà molto “liscia” e il rumore sarà ridotto più di una decina di volte quando confrontato con quello di una singola immagine. Possiamo anche capire perché un tempo di download veloce è così importante per l’osservatore planetario. Gli astrofili che usano webcam e videocamere sensibili hanno raggiunto ottimi risultati in questo modo. I frame provenienti da videocamere, camere di sorveglianza e webcam di solito sono piuttosto rumorosi se confrontati con i singoli frame di una camera CCD raffreddata; quindi, in questo contesto, la somma delle immagini per la riduzione del rumore è anche più importante. Anche la somma di immagini riscalate è un trucco efficace per compensare una scala dell’immagine piccola. Immaginate di non poter ottenere immagini nitide dei pianeti a meno che il tempo di esposizione non sia inferiore a 0,2 secondi. Allora, per ottenere un buon rapporto segnale/rumore, bisogna ridurre la scala dell’immagine a circa 1 secondo d’arco per pixel. Sfortunatamente, a questa scala il bordo di Giove comincerà ad apparire frastagliato, anche quando l’immagine viene ricampionata; la Divisione di Cassini avrà un aspetto ancora peggiore, a meno che non si scenda a 0,5 secondi d’arco per pixel. Tuttavia, quando si fa il ricampionamento (diciamo ad un’immagine quattro volte più larga) di una dozzina o più di immagini del pianeta e poi le allineate e sommate con una accuratezza di un pixel (0,25 secondi d’arco nella nuova scala dell’immagine), si ottiene un miracolo; come per magia, compare immediatamente un’immagine ad alta risoluzione! Quello che avete fatto è stato di raggiungere una risoluzione più elevata facendo una media statistica di immagini sottocampionate ingrandite. Tutti i più esperti imager planetari usano questa tecnica, fra le più potenti che l’era delle immagini digitali abbia messo a disposizione. Quando un occhio umano allenato, nelle notti di seeing scadente, vede i fugaci dettagli planetari, li percepisce in una frazione di secondo. Per catturarli elettronicamente, l’esposizione deve essere molto breve, e quindi si ha necessità di una scala dell’immagine più piccola di quanto sia desiderabile. Tuttavia, la somma e la tecnica del ricampionamento compensano per la scala dell’immagine e consentono all’osservatore con un seeing medio di avere eccellenti risultati. Robert J. Stekelenburg ha creato un software molto utile, Astrostack, facile da usare e molto adatto per l’allineamento e la somma delle immagini planetarie. Può sommare immagini FITS o BMP. Si può trovare nel sito Web di Robert dedicato ad Astrostack (vedi l’Appendice). Tutti i migliori pacchetti software contengono funzioni per allineare e sommare le immagini, LRGB o altro che siano. Alcuni hanno anche funzioni basate sulla tecnica CMY, che è migliore in termini di uso efficiente dei fotoni. Se avete Maxim della Software Bisque o AIP, l’allineamento e la somma delle immagini non sarà un problema.
Le tecniche per un perfetto image-processing Non vorrei che il lettore pensasse che un singolo frame planetario non possa produrre una buona immagine; con un attento uso dell’elaborazione per ridurre il rumore, anche i singoli frame possono dare buoni risultati. Tuttavia l’allineamento e la somma di immagini multiple è preferibile! Qualcosa che non ho ancora menzionato, ma lo faccio ora, è la tecnica “drizzle”. Si
Gli imager planetari
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tratta di una tecnica di ricampionamento usata dai professionisti e da alcuni astrofili e richiede che i motori del telescopio si spostino per meno di un pixel fra le immagini che devono essere sommate. Il termine tecnico per questo movimento è “dither”. Come prima, con questa tecnica si ottiene un elevato campionamento (e quindi un aumento di risoluzione dell’immagine finale), grazie alle informazioni statistiche di luminosità derivate dalle immagini multiple. Una buona notizia è che il software free IRIS di Christian Buil, contiene un comando che implementa la tecnica drizzle. IRIS, ha anche la funzione “wavelet”, utilissima per avere il massimo da ogni singola immagine planetaria. Anche se abbiamo esaminato i trucchi usati dai migliori imager planetari, può essere istruttivo elencare i passi seguiti da chi non usa la webcam per elaborare le proprie immagini. I passi sono: 1. selezionare le immagini migliori per luminanza e RGB riprese in un periodo di 2 o 3 minuti (il software PlanetMaster della SBIG in questa fase può essere utile); 2. rendere nitida ciascuna immagine usando la funzione di unsharp masking; 3. ricampionare tutte le immagini a una dimensione maggiore; 4. allineare e sommare tutte le immagini (con l’accuratezza di un pixel) per ciascun colore L, R, G e B; 5. fondere le immagini L, R, G e B finali per comporre l’immagine finale a colori. La funzione di unsharp masking è indubbiamente la routine più potente usata dagli imager planetari, ma è necessario usarla con cura, in modo tale che non si creino artefatti. Il nome deriva dagli anni in cui i fotografi dovevano creare maschere sfocate dell’originale negativo in camera oscura. Questa maschera veniva poi usata come un filtro per sopprimere le basse frequenze spaziali, ed esaltare i dettagli fini, quelli alle alte frequenze. Probabilmente il modo migliore per visualizzare che cosa può fare questa tecnica è di ricordare i problemi che avevano i fotografi nel riprendere il disco luminoso di Giove e il bordo più scuro. Era difficile registrare i dettagli più evanescenti sul disco perché, quando si usava carta ad alto contrasto, erano soffocati dallo sfondo e il bordo spariva nel buio. Con l’unsharp masking si risolvono questi problemi in un colpo solo. Sfortunatamente, se si usa una singola immagine, l’unsharp masking accentua tutti i grani di polvere e gli altri artefatti che sfuggono al flat-field. Un modo per evitare questo problema è di applicare una lieve sfocatura Gaussiana prima dell’unsharp masking. Così evitiamo gli artefatti dovuti alla polvere. A differenza dei migliori, io sono un imager planetario occasionale, sempre in lotta con il seeing da una latitudine di 52° nord! Per la maggior parte delle mie immagini planetarie ho usato una camera CCD a colori, la Starlight Xpress MX5c, riprendendo singole immagini, e qualche volta sommandone una decina. Molti astrofili inglesi usano la MX5c a colori per le immagini dei pianeti e molti riprendono una singola immagine monocromatica per notte. Per queste persone, ecco qui un riepilogo della mia strategia di elaborazione per le singole immagini riprese con la MX5c; per me questo è il metodo che funziona meglio: 1. aumentare il contrasto dell’immagine grezza fino a riempire il 90% del range dinamico. 2. Con il comando dell’MX5c, sintetizzare un colore con una saturazione 2. 3. Applicare un leggero filtro gaussiano per rimuovere gli artefatti dei singoli pixel. 4. Applicare l’unsharp masking (raggio 4, potenza 2 con il software della camera).
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5. Salvare l’immagine come TIF e chiudere il software della Starlight Xpress. 6. Usando Paintshop Pro (o Adobe Photoshop) ricampionare l’immagine e correggere per i pixel non quadrati; questo rende l’immagine meno “pixelata”. 7. Correggere il bilanciamento dei colori (per me funziona +16% rosso e +5% verde). 8. Aumentare la luminosità fino a quando la parte più luminosa dell’immagine è quasi saturata. In questo capitolo abbiamo visto in dettaglio le tecniche dei maggiori imager planetari; indubbiamente essi godono di un seeing migliore della maggior parte di noi ma, come ha mostrato Damian Peach, anche alle latitudini settentrionali dell’Inghilterra, devastate dalla turbolenza del jet stream e dai sistemi a bassa pressione, si possono avere brevi periodi di seeing perfetto. Se vi interessa la ripresa dei dettagli planetari, perché non provarci?
CAPITOLO NOVE
Gli scopritori di supernovae
L’inizio Nel 1985 mi sono iscritto al gruppo inglese di monitoraggio delle supernovae. Mi furono assegnate sei galassie NGC luminose da sorvegliare fotograficamente. Al più, il mio motore orario poteva inseguire per 30 secondi senza guida; quindi, senza guida, potevo rilevare al massimo supernovae di magnitudine +14. Guidando, potevo raggiungere la magnitudine +16 o +17, ma ogni esposizione richiedeva mezz’ora per essere fatta, di solito da passare al freddo. Per riprendere sei immagini bisognava usare cerchi di puntamento con graduazione molto fine e muovere fisicamente il pesante Newtoniano di 36 cm da una galassia all’altra. Poi c’era la noia di guidare su una stella vicina per ciascuna esposizione. Dopo diverse ore di questo supplizio, le difficoltà non erano finite. La pellicola doveva essere caricata nelle tank di sviluppo, sviluppata, fissata e asciugata e poi esaminata con una lente. La probabilità statistica di scoprire una supernova da un campione di sei galassie era praticamente nulla; stavamo tutti cavalcando lo stesso cavallo sfiancato! A quel tempo, solo il Reverendo Robert Evans, dall’Australia, scopriva supernovae con un equipaggiamento amatoriale, ma lo faceva visualmente. Negli anni ’90 si è verificata una rivoluzione nella sorveglianza delle supernovae; sono stati un certo numero di fattori che lo hanno reso possibile. Per prima cosa, i rivelatori CCD hanno soppiantato la pellicola, permettendo di riprendere, con le camere più sensibili, stelle di magnitudine +17 o +18 in soli 60 secondi di posa (usando aperture di 25-36 cm). Con la correzione dell’errore periodico degli SchmidtCassegrain, esposizioni non guidate di 30-60 secondi divennero di routine. Allo stesso tempo l’LX200 della Meade permetteva di passare da un bersaglio all’altro con una precisione di 5 primi d’arco; tanto bastava per avere sempre la galassia bersaglio sul sensore CCD. Lo stesso strumento ha reso possibile un’altra cosa: gli astrofili ora 153
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potevano stare in casa al caldo, mentre il telescopio e la camera osservavano fuori al freddo. Quest’ultimo punto è stato di importanza vitale, perché spesso sono proprio le notti fredde e umide che indeboliscono la forza di volontà degli osservatori.
La Paramount GT1100 cambia le cose Il cacciatore di supernovae statunitense Michael Schwartz, direttore del suo Osservatorio privato, il “Tenagra” Observatory, nell’Oregon, fece da apripista acquistando una delle prime Paramount GT1100 e montandoci sopra il tubo ottico del suo Celestron 14 con un sensore CCD a illuminazione posteriore (vedi Figura 9). Con questa strumentazione poteva raggiungere la magnitudine +19 in 60 secondi di posa. La Paramount, il C14 e i CCD super-sensibili divennero il kit standard per i cacciatori di supernovae; a un prezzo paragonabile a quello di un’auto di media cilindrata era una strumentazione che pochi astrofili potevano permettersi, ma era interessante vedere la forte competizione fra i cacciatori di supernovae! Incidentalmente è interes-
Il Tenagra I con la montatura Paramount GT1100 e il C14; sopra, la stanza di controllo.
© 1998 Tenagra Observatories, Ltd. Tutti i diritti riservati.
Figura 9.1. Il telescopio originale di Michael Schwartz usato per la ricerca delle supernovae: una Paramount GT1100 con un Celestron 14 al Tenagra Observatory, Oregon. Foto: cortesia Michael Schwartz.
Gli scopritori di supernovae
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Figura 9.2. Il riflettore Ritchey-Chretien f/7 di 81 cm di apertura di Michael Schwartz in Arizona. Foto: cortesia Michael Schwartz.
sante ricordare che ora Michael Schwartz ha un secondo, un terzo e un quarto telescopio. Il massiccio Tenagra II è un riflettore Ritchey-Chretien f/7 di 81 cm di apertura, usato per la fotometria delle supernovae e il controllo di deboli galassie dall’Arizona (vedi Figura 9.2). Questo strumento raggiunge la magnitudine +22 con 5 minuti di posa non guidata. Il terzo telescopio, quasi completo al momento in cui scrivo, è un riflettore RitcheyChretien da 0,6 m di diametro, f/10, progettato per la ripresa di immagini a elevata magnitudine limite dall’Arizona. Il quarto strumento è un altro C14 automatizzato, usato principalmente per la ripresa di asteroidi/comete. Il rivale statunitense di Michael, Tim Puckett, usa anche lui la combinazione Paramount/C14/CCD Apogee, oltre a un riflettore di 60 cm autocostruito (vedi Figura 9.3). È l’astrofilo che ha il maggior successo al mondo nella scoperta di supernovae dal proprio Osservatorio, localizzato sulle montagne della Georgia del Nord (USA).
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Figura 9.3. Tim Puckett, il numero uno mondiale dei cacciatori di supernovae, con il suo Ritchey-Chretien di 60 cm, f/8, sulle montagne della Georgia. Foto: cortesia Tim Puckett.
Il telescopio automatico Katzman Sfortunatamente, gli astrofili devono subire la competizione dai professionisti, dotati di potenti telescopi per la ricerca di supernovae. Il più produttivo è il KAIT (Katzman Automatic Imaging Telescope). Questo strumento è localizzato al Lick Observatory, sulla cima del Monte Hamilton (1300 m d’altezza), poco a est di San Jose, California. Il progetto KAIT è guidato da Alex Filippenko, del Dipartimento di Astronomia di Berkeley, Università della California. Nello sviluppo dello strumento hanno un ruolo attivo anche Richard Treffers e Michael Richmond. I fondi per il KAIT sono stati forniti a Filippenko da Istituti e Società come: US National Science Foundation, AutoScope Corporation, Photometrics Ltd., Sun Microsystem, Hewlett-Packard Company, Lick Observatory, e l’Università di Berkeley. Il completamento del telescopio è stato possibile grazie a una donazione della fondazione Katzman. Il predecessore di questo progetto era chiamato Leuschner Observatory Supernova Search (LOSS), che ora è diventato il Lick Observatory Supernova Search (ancora LOSS).
Gli scopritori di supernovae
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Il KAIT è un telescopio Ritchey-Chretien di 0,76 m di diametro, f/8,2, con uno specchio primario a f/2,5 (vedi Figura 9.4). Può riprendere 80-90 immagini di galassie ogni ora e raggiungere la magnitudine +19,5 con una esposizione di 30 secondi. La maggiore apertura lo rende in grado di raggiungere una magnitudine più elevata rispetto agli astrofili che usano il C14 e ha una lunghezza focale del 60% più lunga rispetto a quella del C14 operante a f/11. Con la sua camera CCD Apogee AP7 (512×512 pixel, 24 micrometri di lato), ciascuna immagine copre un campo di vista di 6,8 primi d’arco con una scala dell’immagine di 0,8 secondi d’arco per pixel. Ha un database di oltre 5000 galassie (simile a quelli amatoriali) e, riprendendo 1000 immagini di galassie ogni notte, impiega pochi giorni per coprire tutte le galassie visibili in una particolare epoca dell’anno. Recentemente, il team del KAIT ha iniziato a collaborare con Michael Schwartz, in modo tale che le survey non vengano duplicate. La collaborazione è chiamata LOTOSS (Lick Observatory and Tenagra Observatory Supernova Searches). Nel 1998, 1999, 2000 e 2001 il KAIT ha scoperto, rispettivamente, 20, 40, 38 e 68 supernovae. Durante questo periodo ha anche scoperto 19 novae, principalmente nella galassia di Andromeda, M31, e nelle galassie satelliti M32 e M110, più due comete. Come parte del LOTOSS, Michael Schwartz nel 2000 ha scoperto cinque supernovae
Figura 9.4. Il KAIT (Katzman Automatic Imaging Telescope), il telescopio per la caccia alle supernovae più produttivo al mondo, e i suoi principali utilizzatori, Weidong Li e Alex Filippenko. Foto: cortesia Weidong Li/Lick Observatory Supernova Search.
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con il telescopio Tenagra II, mentre nel 2001 sono state otto. Due delle scoperte di Michael sono mostrate nelle Figure 9.5 e 9.6. Il KAIT e altri sistemi professionali usano un software che verifica automaticamente la presenza di supernovae. Questi sistemi allineano l’immagine di riferimento di ogni galassia con la nuova immagine e poi sottraggono le due immagini. Quello che rimane potrebbe essere una supernova ed è segnalato dal software. Questo sistema può sembrare impossibile da battere, specialmente se i cieli dei siti professionali sono sgombri e trasparenti. Tuttavia, le cose non sono mai semplici come sembrano. Come vi potrà dire un qualsiasi cacciatore di supernovae, le immagini della stessa galassia non sono mai le stesse da una notte all’altra, a causa dei cambiamenti di altezza sull’orizzonte del campo inquadrato, della trasparenza del cielo, dei cambiamenti nel fuoco e di altri fattori. In una notte eccezionale, le immagini possono essere più profonde di quella di riferimento, producendo diverse possibili sospette supernovae. I metodi di verifica professionali sono lontani dall’essere perfetti e anche il KAIT non può ricoprire l’intero cielo ogni notte; quindi gli astrofili hanno ancora dei buchi in cui infilarsi. Il KAIT ha alcune restrizioni sul cielo osservabile, dovute alla cupola del telescopio: non può sorvegliare al di sopra di +70° di declinazione (o al di sotto di -34°). Non può riprendere regioni basse sull’orizzonte a est e a ovest se sono a più di 73° dal meri-
SN2002ct 0.81 –m Tenagra II mag. ~20.1
Figura 9.5. La supernova SN 2002ct; essendo di magnitudine +20,1 è la più debole supernova mai scoperta da un astrofilo. Ripresa di Michael Schwartz fatta con il Tenagra II, Ritchey-Chretien da 0,81 m di diametro. Foto: cortesia Michael Schwartz.
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Figura 9.6. Un’altra supernova scoperta da Michael Schwartz. SN 2001gb in IC 582, ripresa con il Tenagra di 0,5 m. Foto: cortesia Michael Schwartz.
diano sud. Con così tante galassie disponibili, le supernovae possono verificarsi in una qualsiasi notte, e ci sono galassie per tutti. I migliori cacciatori amatoriali di supernovae del mondo hanno salvato sui loro hard disk fino a 10.000 immagini di galassie.
Evitare falsi allarmi Scoprire vere supernovae – l’opposto che generare falsi allarmi – è qualcosa che deve essere fatto in modo professionale. Se sulla singola immagine di sorveglianza appare un nuovo oggetto, ciò potrebbe essere dovuto a un raggio cosmico che ha colpito il CCD, a un difetto di funzionamento hardware/software, a un asteroide, una cometa, una stella variabile o una supernova già scoperta da altri. In ogni caso di sospetta supernova, deve essere ripresa al più presto possibile una seconda immagine e, se le nubi e il buio lo permettono, un’intera serie di immagini su un intervallo di diverse ore per verificare se l’oggetto si muove o meno. Nel passato, la più grande sorgente di falsi allarmi amatoriali si verificava quando una galassia veniva ripresa per la prima volta con una nuova camera CCD o telescopio e l’immagine veniva confrontata con una presa con il vecchio equipaggiamento; è importante confrontare immagini di origine simile: le immagini di sorveglianza non possono essere confrontate con immagini master più deboli. È anche richiesta esperienza nelle misurazioni astrometriche: è necessario misurare la posizione dell’oggetto sospetto usando uno dei numerosi software astrometrici disponibili. Devono essere a portata di mano anche dei software planetari come Guide 8 o The Sky, per verificare se nell’area si trovano comete, asteroidi o stelle variabili. Anche Internet è una risorsa fondamentale per verificare i casi sospetti; in particolare, il CBAT/Minor Planet Center ha una pagina per la verifica delle sospette supernovae (vedi l’Appendice). Questa utility Web vi dice in pochi secondi se c’è un asteroide da qualche parte nelle vicinanze della galassia scelta. Anche il possesso di una copia del Real Sky, la Digitized Palomar Sky Survey
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Figura 9.7. Guy Hurst, direttore del The Astronomer Magazine, nella sede centrale di TA, ottobre 2002. Foto: cortesia Guy Hurst.
(DSS), è un grosso vantaggio; i singoli frame possono essere scaricati anche dal sito Web della DSS (vedi l’Appendice). La magnitudine limite della Digitized Sky Survey è oltre la +19, mentre la profondità e la risoluzione sono simili a quelle delle immagini amatoriali di supernovae. Tuttavia, il metodo più potente per verificare una possibile scoperta di supernova è consultare scopritori amatoriali esperti. Uno dei gruppi amatoriali più esperti per la ricerca di novae/supernovae è il team The Astronomer, organizzato, fin dal 1974, da Guy Hurst dal quartier generale di The Astronomer in Basingstoke (vedi Figura 9.7). La rete di sorveglianza inglese di novae/supernovae è coordinata da Guy, responsabile della verifica di oltre 80 scoperte di supernovae. The Astronomer ha un eccellente sito Web (vedi l’Appendice). I principali scopritori di supernovae inglesi sono Mark Armstrong, Tom Boles e Ron Arbour. I loro equipaggiamenti sono mostrati nelle Figure 9.8, 9.9 e 9.10. Alla fine del 2003, Mark, Tom e Ron hanno scoperto rispettivamente 55, 60 e 11 supernovae, con Mark e Tom che hanno una media di una scoperta ogni 3000 immagini riprese.
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a Figura 9.8. a Mark Armstrong alla consolle di controllo del suo Osservatorio in Inghilterra. I computer controllano un Celestron 14/Paramount GT1100 e un Meade LX200 di 30 cm, con le corrispondenti camere CCD. Foto: cortesia di Mark e Claire Armstrong. (per la figura 9.8. b, vedere più avanti)
La statistica di Mark Armstrong Diamo ora un’occhiata alla strategia di osservazione di Mark Armstrong. Nessuna supernova era stata scoperta dall’Inghilterra fino al 23 ottobre 1996 quando Mark scoprì la sua prima supernova in NGC 673. La stella era di magnitudine +16,5 e ricevette la sigla 1996bo; fu co-scoperta anche dal Beijing Astronomical Observatory in Cina. Mark scoprì la SN 1996bo usando un Meade LX200 da 25 cm e una camera CCD Starlight Xpress. Meno di sei mesi dopo, Stephen Laurie, un altro osservatore inglese, scoprì la seconda supernova dall’Inghilterra, anch’egli usando un Meade LX200 di 25 cm, ma con una camera CCD SBIG ST7. La prima scoperta di Tom Bole arrivò sei mesi dopo questa e da allora le cose sono andate sempre meglio, con oltre 70 scoperte nei sei anni successivi! L’astrofotografo e astro-imager Ron Arbour è stato il primo cacciatore di supernovae inglese. Iniziò la ricerca fotografica attorno al 1980 e si costruì un Newton di 40 cm controllato dal computer con cui continuò a cercare fino al 1997, quando passò a un LX200 di 30 cm (che ha ampiamente modificato). Nel 1998 Ron scoprì la sua prima supernova; il passaggio all’onnipresente SCT della Meade ha portato un buon risultato entro il primo anno! Anche se Ron non è stato il primo scopritore inglese di supernovae, fu la sua ricerca che ispirò Mark Armstrong, e fu la prima scoperta di Mark che ispirò tutti gli altri. Mark iniziò la sorveglianza il 21 giugno 1995 con il già citato LX200 di 25 cm e una
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b Figura 9.8. b La Paramount GT1100 con il Celestron 14, la camera CCD SBIG ST9E e il paraluce anticondensa di Mark Armstrong. Questo solo strumento ha scoperto più di 20 supernovae. Foto: cortesia di Mark e Claire Armstrong.
camera CCD Starlight Xpress SX. Con questo sistema ha controllato 45.585 galassie e scoperto quattro supernovae. Successivamente passò a un LX200 di 30 cm con una camera CCD Hale (con CCD retro-illuminato) e con 73.716 immagini fece 11 scoperte. Con lo stesso LX200 e una camera Apogee AP7p realizzò quattro scoperte da 30.657 immagini. Infine, con il più efficiente sistema C14/Paramount/CCD ST9, ha fatto 16 scoperte con sole 44.652 immagini, fino all’inizio del 2002. Tre supernovae inglesi sono mostrate nelle Figure 9.11, 9.12 e 9.13. Quando si calcolano le statistiche di scoperta di Mark sul periodo di sette anni che va dal 1995 al 2002, esce fuori che il lavoro di sorveglianza ha riguardato oltre 200.000 galassie. In questo periodo Mark ha: • • • •
controllato il cielo (spesso attraverso spiragli fra le nubi) ogni 2,8 notti; impiegato 4,4 ore per ogni notte serena o parzialmente serena; tenuto una media di 223 galassie per notte; tenuto una media di 50 galassie per ora;
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Figura 9.9. Tom Boles con il suo Celestron 14 e la Paramount GT1100s a Coddenham, Suffolk, Inghilterra. Foto: cortesia Nick James.
• scoperto una supernova ogni 5260 galassie esaminate; • scoperto una supernova ogni 24 notti serene o parzialmente serene; • scoperto una supernova ogni 103 ore di sorveglianza. Penso che queste statistiche mostrino bene che, anche se avete l’equipaggiamento giusto, ci vuole una grande dedizione, perseveranza e tempo libero per scoprire delle supernovae. Nel momento in cui scrivo, solo Tim Puckett e Michael Schwartz hanno scoperto più supernovae di Mark Armstrong e Tom Bole ma, per me, le scoperte di Mark e Tom sono più impressionanti: la loro sorveglianza avviene attraverso gli squarci fra le
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Figura 9.10. a L’Osservatorio di Ron Arbour a South Wonston, equipaggiato con un LX200 da 0,3 m: visto da nord-ovest. b L’Osservatorio visto da ovest. Foto: cortesia b
Brian Knight e Ron Arbour.
nubi che ricoprono l’Inghilterra e lavorano da soli, senza co-investigatori. Naturalmente, tutte queste imprese sono oscurate dall’australiano Bob Evans che ha fatto le sue 38 scoperte visualmente, molto prima dell’era della caccia con il CCD!
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Figura 9.11. La supernova 2001ib in NGC 7242, scoperta da Ron Arbour e Mark Armstrong. Immagine dell’autore, ripresa il 14 dicembre 2001 con un LX200 da 0,3 m e una camera CCD SBIG ST7. Foto: copyright Martin Mobberley.
Strategie Oltre alla dedizione, gli astrofili scopritori di supernovae hanno sviluppato delle strategie che rendono il lavoro di sorveglianza più efficiente massimizzando le probabilità di scoperta. Con così tanti competitori questo è essenziale. Il C14 o l’LX200 di 30 cm hanno grandi lunghezze focali che raramente vengono ridotte dai cacciatori di supernovae, con riduttori di focale. A prima vista questo sembra strano, stante che un campo di vista maggiore nell’ammasso di galassie della Vergine può permettere la ripresa di due o tre galassie contemporaneamente. Tuttavia, gli scopritori di successo hanno trovato che una scala dell’immagine compresa fra 1 e 1,5 secondi d’arco per pixel (quasi una scala da immagine planetaria) fornisce quel po’ di scala dell’immagine in più che permette di separare le supernovae deboli dal nucleo della galassia
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Figura 9.12. La supernova 2002bx in IC 2461, scoperta da Tom Boles. Immagine dell’autore, ripresa il 5 aprile 2002 con un LX200 da 0,3 m e una camera CCD SBIG ST7. Foto: copyright Martin Mobberley.
Figura 9.13. La supernova 2001iq in UGC 12032 scoperta da Mark Armstrong. Immagine ripresa dall’autore il 1° gennaio 2002 con un LX200 di 0,3 m e una camera CCD SBIG ST7. Foto: copyright Martin Mobberley.
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ospite. Inoltre riduce la luminosità del cielo sul singolo pixel. Anche se il seeing locale sembrerebbe non giustificare questa scala dell’immagine, sono così tante le supernovae di magnitudine +16 e +17 scoperte vicino al nucleo delle galassie che la scala extra ne facilita l’identificazione. Nonostante il fatto che una focale lunga riduca il campo del CCD al di sotto dei 10 primi d’arco (nella maggior parte dei casi) è più produttivo cercare di avere più galassie sullo stesso chip. Nella grande maggioranza dei casi questo non è possibile, ma negli ammassi compatti di galassie può essere fatto: quindi si possono monitorare due o tre galassie per ogni immagine. Su questo tema la Webb Society ha pubblicato un numero del Quarterly Journal che può essere di grande interesse per i cacciatori di supernovae. Il numero 122 (autunno 2000), compilato da Miles Paul, è stato intitolato An Atlas of Galaxy Trios e consiste di 137 immagini di tripletti di galassie, comprese fra i –32° e i +90° di declinazione. Il criterio di scelta richiedeva che tutte le galassie fossero più luminose della magnitudine +16,5 e che la loro separazione angolare fosse entro i 10 primi d’arco. Anche quando non è possibile riprendere due o tre galassie per volta, è sempre meglio sorvegliare gli ammassi di galassie che le singole galassie. Nonostante le capacità di puntamento dei telescopi moderni, muoversi di mezzo grado verso la galassia successiva è molto più rapido che spostarsi di mezza volta celeste! Ricordate, i cacciatori di supernovae stanno cercando di eguagliare le capacità di sorveglianza del KAIT, con 80-90 galassie all’ora. Alcuni iniziano la sorveglianza con gli ammassi di galassie più accessibili posti oltre i +70° di declinazione nord (le regioni dove il KAIT non può andare). Altri invece si concentrano nelle regioni prossime all’alba (dove sono pochi gli astrofili che sorvegliano). Con i CCD la Luna non deve essere considerata una barriera per le osservazioni. I sorveglianti visuali e fotografici hanno una settimana di interruzione attorno al plenilunio, ma esposizioni CCD brevi con strumenti aperti a f/10 o f/11 sono immuni dall’interferenza della luce lunare. D’accordo che con la Luna Piena non potete esaminare la stessa parte di cielo in cui si trova la Luna, ma si possono facilmente riprendere stelle di magnitudine +16 in altre parti del cielo. Potrebbe sembrare che la scoperta di supernovae sia solo una competizione fra astrofili con l’equipaggiamento giusto, ma va sottolineato che questa attività è vitale per aumentare la nostra comprensione dell’Universo. Gli astronomi professionisti sono interessati soprattutto a osservare le supernovae di tipo Ia, perché il massimo della loro luminosità si verifica sempre alla stessa magnitudine assoluta. Questo fatto le rende candele standard; cioè quando di una supernova Ia si misura la luminosità e lo spettro si ha una buona idea di quanto sia distante e di quanto velocemente la galassia che la ospita si allontani da noi. Questo aiuta a definire meglio la nostra comprensione dell’espansione dell’Universo. La sorveglianza delle supernovae non è per tutti, ma se avete tempo, dedizione e attrezzatura, è una delle aree più prestigiose e gratificanti della moderna astronomia amatoriale. Se avete un buon equipaggiamento, ma non avete il tempo per riprendere e controllare centinaia di galassie ogni notte, allora il prossimo capitolo può essere di maggiore interesse per voi.
CAPITOLO DIECI
I perfezionisti del deep-sky
Quando le prime camere CCD apparvero sulla scena dell’astronomia non professionale erano usate per riprendere immagini monocromatiche della durata di 60 secondi di campi stellari e galassie con una profondità pari a quella che la pellicola poteva raggiungere in 10 o 20 minuti di esposizione, cioè al più fino alla magnitudine +17. Finalmente non c’era la necessità di guidare la posa, a patto che il motore di trascinamento potesse arrivare a 60 secondi senza la necessità di correzioni. Non c’è bisogno di dire che gli astrofili, a mano a mano che imparavano a padroneggiare la nuova tecnologia, volevano sempre qualcosa di più. Che riprese profonde si possono ottenere con un CCD realmente sensibile? Che cosa si ottiene se si usano lunghe focali e lunghi tempi di esposizione da un sito buio? E se si usa un secondo CCD per il telescopio di guida? Come verrà un’immagine amatoriale a colori del cielo profondo? Per tutte le immagini del cielo profondo, fotografiche o CCD, ci sono alcuni fattori che vanno tenuti presenti e che fanno la qualità dell’immagine. I quattro fattori più importanti sono: • • • •
accuratezza della messa a fuoco; accuratezza della guida; lunghezza dell’esposizione (rapporto segnale/rumore); assenza di inquinamento luminoso (rapporto segnale/rumore).
È incredibile come spesso i primi due fattori siano trascurati – questo porta sempre a ottenere risultati di qualità inferiore. L’inquinamento luminoso può essere evitato solo osservando da un sito veramente buio; gli altri tre fattori sono molto più semplici da trattare. Anche l’allineamento polare qualche volta viene trascurato nonostante tutte le informazioni disponibili sui metodi di allineamento. A prima vista può sembrare irrilevante, specialmente se le immagini sono state guidate; tuttavia, la stella di guida è
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inevitabilmente a qualche distanza dal centro del campo e un qualsiasi disallineamento polare causerà la rotazione del campo dell’immagine attorno alla stella di guida. I possessori della Paramount ME, con l’aiuto del sistema Tpoint, possono allineare il sistema alla polare entro pochi secondi d’arco, dopo poche notti di tentativi; per i possessori di un moderno SCT, usando le istruzioni del manuale del telescopio, dovrebbe essere semplice allineare al polo con una precisione di pochi primi d’arco. Se le vostre lunghe esposizioni soffrono di rotazione di campo, potete recuperare parzialmente la situazione prendendo esposizioni più brevi per poi allinearle e sommarle con una funzione di allineamento a due stelle (come quelle che si trovano in Maxim DL o AIP). Tuttavia, un preciso allineamento polare è il solo modo per ottenere i risultati migliori.
“Dark” e “flat” Non c’è bisogno di dire che, per i migliori risultati, bisogna riprendere il dark frame e il flat-field per ogni ripresa del cielo profondo di alta qualità. Il dark frame è semplicemente un’esposizione di durata simile all’immagine, ripresa con il telescopio tappato. Questa immagine è la registrazione del solo rumore termico generato durante la lunga esposizione. Viene successivamente sottratta dall’immagine grezza, e in questo modo la maggiore sorgente di rumore è il fondo cielo. Il flat-field è stato discusso nel Capitolo 8. Il modo più facile per ottenere un flatfield è di riprendere il cielo serale con la camera CCD e il telescopio, appena il cielo serale è abbastanza scuro da poter essere ripreso. L’esposizione dovrebbe essere tale che l’immagine del CCD sia a metà dalla saturazione, cioè l’immagine deve essere grigia. L’immagine risultante è una registrazione della vignettatura delle ottiche del telescopio, del tubo di focheggiatura, e dei granelli di polvere sulla finestra del CCD. L’immagine principale può essere divisa per il flat-field e magicamente spariscono tutte le imperfezioni ottiche! Il software fornito con le moderne camere CCD guida l’utente attraverso tutto questo processo.
Messa a fuoco Ho già parlato della messa a fuoco nel capitolo sull’imaging planetario. Per la ripresa di oggetti del profondo cielo le richieste sono meno critiche, ma non per questo trascurabili. Ancora una volta, per ottenere un buon fuoco si può usare una stella luminosa. Se si usano esposizioni di pochi secondi, si può impiegare la tecnica della messa a fuoco della diffrazione. In questo metodo, gli spike di diffrazione vengono usati come indicatori dell’accuratezza del fuoco. Se si ha un riflettore Newton con un sostegno del secondario a quattro raggi, una stella luminosa apparirà come un pallino con quattro raggi (spike). Se la stella è anche un pochino fuori fuoco, ciascuno degli spike apparirà doppio: si tratta di una buona guida per la messa a fuoco. Se avete uno Schmidt-Cassegrain, potete costruirvi facilmente una serie di strisce da fissare sulla lastra correttrice e creare così gli spike “artificiali” per la messa a fuoco. Un altro approccio consiste nel fare una maschera di Hartmann. In questo caso, è
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necessario un tappo a tutta apertura che si infili sul tubo del telescopio. Ai bordi del tappo, ad intervalli di 90°, si trovano quattro buchi circolari di 50 mm di diametro. Visto che ciascun foro si comporta come un piccolo telescopio con una risoluzione di 2”, se il telescopio è fuori fuoco il CCD mostrerà quattro immagini. Queste immagini si fondono in una, solo quando il telescopio è a fuoco. Una cosa che va tenuta presente quando si riprendono immagini a lunga esposizione per tutta la notte, è che il punto di fuoco cambia in modo apprezzabile quando il telescopio si raffredda. Per un lavoro planetario o di cielo profondo di qualità, è essenziale la verifica regolare della messa a fuoco. In precedenza avevo menzionato che la Jim Mobile Inc (JMI) vende il “New Generation Focuser” con la lettura digitale opzionale e il motore di focheggiatura per rendere le cose più semplici; vendono anche un (costoso!) focheggiatore compensatore della temperatura, che ricorda gli aggiustamenti del fuoco necessari per ogni diversa temperatura e li applica automaticamente. Michael Schwartz usa questo sistema quando va a caccia di supernovae con il suo Celestron 14.
Guida Al giorno d’oggi gli astrofili del profondo cielo hanno un certo numero di opzioni possibili per tenere la stella di guida nel campo del telescopio e ottenere immagini di qualità. Guidare visualmente con un oculare di guida è ancora possibile, ma è una tecnica usata raramente dagli astrofili moderni. In realtà, le scelte disponibili sono: 1. usare una camera CCD della SBIG con un doppio chip di cui uno per l’autoguida; 2. usare un CCD di autoguida separato, collegato a un telescopio di guida o a una guida fuori asse; 3. usare il sistema di autoguida della Starlight Xpress, lo Star 2000; 4. usare le camere CCD della SBIG con l’AO-7, l’unità di ottica adattiva. Ho già descritto i prodotti precedenti in altri capitoli, quindi non ripeterò i dettagli tecnici. La maggior parte degli astrofili più noti a livello mondiale usa le camere CCD della SBIG con autoguida, con o senza l’unità di ottica adattiva AO-7. Il principale vantaggio dell’AO-7 consiste nel fatto che muove solo uno specchietto per l’autoguida su piccoli angoli, invece di dare l’istruzione al motore di muovere l’intero telescopio. In pratica, entrambi i sistemi, quando sono usati con un buon motore, possono rivelare spostamenti sub-pixel della stella di guida e correggere la guida in una frazione di secondo. Se il seeing atmosferico è eccezionalmente buono e se si usano grandi lunghezze focali (scale di 1 secondo d’arco per pixel o minori) l’AO-7 può fare la differenza per una buona immagine, ma non è essenziale.
Tempi di integrazione La maggior parte delle immagini amatoriali del cielo profondo sono esposizioni brevi, tipicamente con una durata di 1 o 2 minuti, oppure possono essere diverse pose da 1
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minuto sommate insieme. Quando vengono confrontate con esposizioni veramente lunghe (singole o sommate), si rivelano rumorose, con uno sfondo granuloso e “pixelato”. Raramente hanno la qualità e la regolarità che si ottiene con una lunga esposizione. È tutto un problema di rapporto segnale/rumore. Nelle esposizioni brevi i deboli dettagli dei bracci a spirale delle galassie, o i bordi delle nebulose, sono scarsamente visibili contro la luminosità del fondo cielo. Il trucco standard per compensare la debolezza dei dettagli è di fare uno stretch del contrasto, ma mentre i dettagli diventano più luminosi, il rumore diventa più evidente. Le lunghe esposizioni sono sempre necessarie per ottenere i migliori risultati; al giorno d’oggi gli imager migliori usano esposizioni molto lunghe che sono una reminiscenza di quelle usate dagli astrofili che usavano la pellicola Kodak 2415 ipersensibilizzata negli anni ’80 – ma i risultati ottenuti da questi astrofili sono assolutamente fantastici: immagini a colori nitide e pulite fino alla magnitudine 22.
LRGB Fino a pochi anni fa la maggior parte dei deep-sky imager prendevano tre immagini in rosso, verde e blu, le sommavano e questa era l’immagine finale. Ma c’era ancora un notevole margine per migliorare. Un problema è che i filtri rosso, verde e blu attenuano in modo considerevole la luce che cade sui pixel del CCD. Il sogno degli astrofili evoluti era produrre immagini di qualità con la regolarità e la magnitudine limite di un’immagine non filtrata, e in più il colore di un’immagine in tricromia. Era nato il concetto dell’immagine di profondo cielo LRGB (L = luminanza). A causa del fatto che la combinazione occhio-cervello non è molto sensibile alla risoluzione dei colori, le immagini filtrate non devono essere riprese alla stessa risoluzione delle immagini monocromatiche. Le esposizioni filtrate possono essere fatte in binning 2×2 per avere una maggiore sensibilità, o anche essere riprese con un diverso telescopio. Quando le immagini vengono riscalate e sommate correttamente la risoluzione dei colori non è critica. Il grande vantaggio di un’immagine LRGB è che si tratta, in effetti, di un’immagine di luminanza ad elevato rapporto segnale/rumore, che ha il colore, ma non il rumore, di un’immagine RGB. I moderni software di imageprocessing possono sommare le immagini LRGB, cosa che si può fare anche con Adobe Photoshop. La sequenza di operazioni nella costruzione di un’immagine di cielo profondo LRGB non è molto diversa da quella di una tipica immagine planetaria, eccetto che le esposizioni sono molto più lunghe e possono essere fatte su molte notti, non in 2-3 minuti! La procedura è la seguente: • • • •
esporre una lunga immagine(monocromatica) di luminanza; esporre le immagini filtrate RGB; applicare il darkframe e il flat-field alle immagini ottenute; usare un software appropriato per sommare e allineare l’informazione del colore RGB con l’immagine di luminanza non filtrata.
Resta solo qualche altra considerazione da fare. Primo, non c’è motivo per non allineare e sommare immagini filtrate o monocromatiche per formare ciascuna immagine L, R, G e B. Secondo, la durata delle immagini R, G e B dovrebbe essere scelta in funzione della sensibilità della combinazione camera CCD/filtro. Le vecchie camere
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CCD erano molto più sensibili al rosso che al blu. I valori tipici per le migliori riprese LRGB possono essere 60 minuti per L, 20 minuti per R, 20 minuti per G e 30 minuti per B, con le immagini filtrate riprese in binning 2×2 perché e la sensibilità, non la risoluzione, ciò che conta nelle esposizioni a colori. Terzo, non ho ancora menzionato una tecnica di image-processing appropriata per le immagini LRGB del profondo cielo. La tecnica migliore, universalmente applicata dai migliori astrofili, è conosciuta come Digital Development Process, o DDP.
DDP Quando la ripresa di immagini CCD del cielo profondo era nella sua infanzia, lo scopo principale dell’image-processing sembrava fosse quello di contrastare qualsiasi cosa in modo da fare uscire i dettagli più deboli. Purtroppo, per oggetti come le galassie, questo porta anche a una saturazione del nucleo centrale. Era necessaria una funzione che sopprimesse i nuclei saturati delle galassie, ed esaltasse le deboli regioni esterne. Qualche volta veniva usata la funzione di unsharp mask ma, per sua natura, questa lascia le stelle del campo circondate da anelli scuri. Alcuni astrofili preferivano utilizzare degli stretch di contrasto non lineari, ma nessuna delle funzioni disponibili sembrava agire correttamente. A un certo punto si inserì Kunihiko Okano (vedi l’Appendice per l’URL delle sue pagine Web), un astrofilo giapponese fan delle Ford Mustang. Okano sviluppò il suo algoritmo di elaborazione digitale per conferire alle immagini digitali una “qualità fotografica”. A prima vista questo può sembrare un passo indietro, ma cerchiamo di non confonderci; nessuno vuole tornare ai giorni precedenti l’esistenza dei rivelatori CCD. La pellicola è molto poco sensibile se confrontata con il CCD, ha però un paio di caratteristiche molto attraenti. Per la pellicola, la così detta “curva del gamma” (il grafico della luminosità in entrata in funzione della luminosità di uscita) si appiattisce sul lato delle luci alte, mentre i CCD raggiungono la saturazione e tutto diventa bianco. Così, una lunga esposizione su pellicola di una galassia soffre meno del problema del nucleo saturato rispetto a un’immagine CCD (naturalmente, l’esposizione CCD può essere un ventesimo del tempo di esposizione della pellicola, ma non è questo ciò di cui stiamo discutendo). Questo significa che la pellicola ha la capacità di comprimere il range dinamico delle caratteristiche della galassia durante l’esposizione, e quindi tali caratteristiche verranno riprodotte bene in sede di stampa. La pellicola ha un’altra proprietà desiderabile, il cosiddetto effetto di “adiacenza chimica” che conferisce un alto grado di nitidezza ai contorni dell’immagine in fase di sviluppo. Okano, quando creò la sua funzione DDP, che combina la modifica alla curva del gamma con una funzione modificata di unsharp mask, cambiò radicalmente l’image-processing delle galassie perché portò le due migliori qualità della pellicola fotografica nel mondo dei CCD. Combinando una luminanza a lunga esposizione trattata con la funzione DDP con una crominanza RGB si ottengono immagini molto spettacolari, specialmente di galassie. È ancora possibile avere stelle circondate da aloni scuri, grazie alla componente di unsharp mask, ma si può evitare se si tiene il raggio della mask abbastanza piccolo. Programmi come Maxim DL hanno delle routine per LRGB/DDP e dei tutorial che guidano attraverso il processo per ottenere immagini spettacolari. Queste tecniche sono potenti, ma non faranno il lavoro al posto vostro. Ricordate che i migliori astrofili internazionali pongono sempre grande attenzione alle cose di base – messa a
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fuoco, guida, lunga esposizione, allineamento polare e, se possibile, un sito con il cielo buio. La tecnica DDP è il miglior modo per produrre immagini spettacolari di galassie e nebulose, ma la sua applicazione cancella i dati scientifici dell’immagine. Nello specifico, le immagini DDP non dovrebbero mai essere usate per stimare la magnitudine stellare, né con tool fotometriche, né confrontando le dimensioni dei dischetti stellari. Non solo questo tipo di funzione modifica i valori, ma modifica anche la dimensione delle stelle. La funzione DDP è ottima nel trasformare piccole stelle un po’ diffuse in stelle puntiformi. A questo punto è bene ricordare una cosa. Quando acquistate una camera CCD per la ripresa di immagini del cielo profondo avete la scelta fra i modelli con l’antiblooming (ABG) e quelli senza (NABG). Come ho spiegato nel capitolo sui CCD, le camere ABG sono non-lineari, ma impediscono alle stelle luminose di saturare il CCD. I CCD NABG sono molto più sensibili alla luce e hanno una risposta molto più lineare quando si avvicinano alla saturazione. La maggior parte degli astrofili sceglie la sensibilità e la linearità e si tiene le stelle saturate che debordano. La scelta è vostra. Per quanto mi riguarda, io raccomando l’opzione NAGB.
I telescopi per le immagini deep-sky: i Ritchey-Chretien Prima di terminare la nostra occhiata al mondo del deep-sky, vediamo quali sono i telescopi che usano i migliori imager. Nonostante la preponderanza sul mercato, gli Schmidt-Cassegrain sono usati raramente dai migliori imager. Il motivo è che i migliori astrofili deep-sky sono perfezionisti per quanto riguarda il sito osservativo e l’equipaggiamento. Ci sono però alcune eccezioni a questa “regola”, che mostrano come sia possibile usare anche gli SCT standard. Per esempio, uno dei migliori deep-sky imager inglesi è Gordon Rogers, che usa un Meade LX200 di 40 cm con una camera SBIG ST8 e l’AO-7. Il suo telescopio è montato in modo spettacolare in una cupola sulla sua casa (vedi Capitolo 4). Gordon usa il suo SCT di 40 cm con un riduttore di focale che dà un rapporto focale f/6,3 e una scala dell’immagine di 0,74 secondi d’arco per pixel. Una sequenza completa delle immagini di Gordon riguardante la galassia M106 è mostrata in Figura 10.1. Altre immagini di Gordon sono mostrate dalla Figura 10.2 fino alla Figura 10.5. Un LX200 da 40 cm è usato anche da Adam Block, un astronomo del centro visitatori del Kitt Peak, che riprende immagini sbalorditive. Il centro Advanced Observing Program del Kitt Peak permette agli astrofili di affittare l’equipaggiamento e di trarre vantaggio dei superbi cieli dell’Arizona. Le immagini di Adam sono fra le migliori che io abbia mai visto; maggiori dettagli sull’Advanced Observing Program possono essere trovati sulle pagine Web dell’AOP riportate in Appendice. Come Gordon Rogers, le immagini di Adam sono prese con una SBIG ST8, con pixel da 9 micrometri, a f/6,3, e anche a f/10 (quando il seeing lo permette). Quando richiesto, può anche essere utilizzata un’unità di ottica adattiva. Ma se la maggior parte dei migliori (e ricchi) astrofili a livello internazionale non usa uno Schmidt-Cassegrain, a che cosa si affida? La risposta, piuttosto prevedibile, è il già menzionato telescopio Ritchey-Chretien. Infatti, si tratta del miglior sistema ottico per riprendere immagini a grande campo di
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b Figura 10.1. Immagini raw, dark, flat, luminanza e RGB usate per creare l’immagine di M106 ripresa da Gordon Rogers con il suo Meade LX200 da 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Tutte le immagini sono cortesia di Gordon Rogers. a raw; b dark; c flat (per le figure 10.1 d, e, f vedi più avanti)
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elevata qualità. L’AOP del Kitt Peak ha installato due Ritchey-Chretien di 0,4 m e di 0,63 m della RCOS nel suo centro visitatori (montati su Paramount ME). Che bei giocattoli da prendere in affitto per una notte sotto quel cielo buio! Tutti i telescopi standard a riflessione soffrono in varia misura di un’aberrazione
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e Figura 10.1. Continua dalla pagina precedente. Le immagini raw, dark, flat, la luminanza e l’RGB usate per creare l’immagine di M106 ad opera di Gordon Rogers con il suo Meade LX200 da 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Tutte le
f
immagini sono cortesia di Gordon Rogers. d luminanza; e rosso; f verde
chiamata coma: più ci si allontana dal centro del campo di vista, più le stelle appaiono come chiazze a forma di pera (o a forma di ventaglio). Con un piccolo riflettore Newton f/5 (o più aperto), questo effetto è evidente sulle stelle che si trovano a più di 10 primi d’arco dal centro del campo di vista e lo si vede bene in un’immagine CCD.
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Figura 10.1. Continua. Immagini raw, dark, flat, luminanza e RGB usate per creare l’immagine di M106 ripresa da Gordon Rogers con il suo Meade LX200 di 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Tutte le immagini sono cortesia di Gordon Rogers. g blu; h immagine finale
h
In condizioni di seeing tipiche (cioè cattivo), il più piccolo diametro stellare su un’immagine CCD sarà di circa 4 secondi d’arco. Quindi, non appena le immagini fuori asse saranno distorte di un ammontare maggiore di questa quantità, l’effetto sarà rilevante. Anche gli Schmidt-Cassegrain soffrono del coma, ma non i Ritchey-Chretien. I loro specchi con le superfici iperboliche producono infatti immagini libere dal coma. Hanno anche un paio di altri vantaggi. Non c’è una lastra correttrice come negli Schmidt-Cassegrain, quindi è minore la luce diffusa; inoltre, il fattore di amplificazione del secondario è, tipicamente, 2,5-3×, di contro ai 5× per lo SCT, e il campo è più piano. Uno svantaggio di un Ritchey-Chretien è che di solito ha uno specchio secondario che è il 40% del diametro del primario, e ciò riduce il contrasto nei lavori sui pianeti. Questo non ha importanza per aperture al di sopra dei 300 mm o quando si usa una camera CCD, perché la grande apertura e l’image-processing possono compensare la notevole ostruzione. Per la maggior parte degli osservatori lo svantaggio più grande è il costo. I tubi ottici assemblati (OTA) del tipo Ritchey-Chretien sono molto più costosi degli OTA prodotti in massa degli Schmidt-Cassegrain. Di solito, i prezzi dei Ritchey-Chretien
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Figura 10.2. NGC 5985, LX200 di 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Foto cortesia di Gordon Rogers.
sono almeno 4 volte quelli dei corrispondenti Schmidt-Cassegrain di diametro analogo. Qui si parla di una grande quantità di denaro, e senza la montatura! Le due compagnie USA leader di mercato per i Ritchey-Chretien (RC) sono la Optical Guidance System di Huntingdon Valley (Pennsylvania), e la RC Optical System (RCOS) di Flagstaff, Arizona. La Optical Guidance System ha fornito telescopi RC sia agli astrofili che ai professionisti a partire dal 1983 e afferma di essere la numero uno al mondo. Ora costruisce telescopi completi fino a 1 m di apertura e telescopi a controllo robotico via Internet. La ditta ha fornito oltre cento telescopi, di vari progetti ottici, a professionisti e astrofili evoluti di tutto il mondo. La RC Optical System (RCOS) è una ditta nuova, ma afferma di avere consegnato il maggior numero di telescopi RitcheyChretien al mondo, più di qualsiasi altra ditta, a partire dal 1998. Le Figure 10.6, 10.7 e 10.8 mostrano alcuni dei loro prodotti. La RCOS è specializzata nella costruzione di OTA con un range di apertura di 25-40 cm; l’OTA più popolare è il 32 cm f/9. I prezzi per un OTA di 25 cm f/9 sono equivalenti a quelli di uno Schmidt-Cassegrain di apertura circa doppia. Per qualche tempo, ha offerto un OTA di 63 cm come maggiore apertura, ma ora è previsto l’arrivo di un 81 cm. Le migliori collezioni di immagini amatoriali che ho visto su Internet sono nella sezione gallery della SBIG e della RC Optical System (vedi Appendice). Raccomando
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Figura 10.3. M82, LX200 di 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Foto cortesia di Gordon Rogers.
Figura 10.4. NGC 4631, LX200 di 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Foto cortesia di Gordon Rogers.
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Figura 10.5. NGC 5907, LX200 di 0,4 m, f/6,3 con la SBIG ST8E e l’AO-7. Foto cortesia di Gordon Rogers.
fortemente al lettore di visitare queste pagine e di vedere cosa possono fare i migliori astrofili, per lo più con un Ritchey-Chretien di 32 cm f/9: stupende immagini a colori in tricromia fino alla magnitudine 22, con un fondo nero e uniforme. La maggior parte di questi astrofili ha montato i loro OTA sulla Astrophysics 1200GTO o sulla Paramount, per avere un sistema il cui costo è grosso modo, quello di una macchina di media cilindrata. (Chi lo avrebbe immaginato, dieci anni fa, che gli astrofili avessero così tanto denaro!) Incidentalmente, le potenzialità come ottico
Figura 10.6. Un OTA Ritchey-Chretien di 25 cm della Optical Systems. Foto: cortesia Brad Ehrhorn/RC Optical System.
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Figura 10.7. Un Ritchey-Chretien di 40 cm della Optical Systems su una montatura Paramount ME della Software Bisque. Questo telescopio è installato al centro visitatori del Kitt Peak in Arizona. Foto: cortesia Brad Ehrhorn/RC Optical Systems.
di George Willis Ritchey furono riconosciute niente meno che da George Ellery Hale. I due uomini lavorarono insieme all’Osservatorio di Yerkes e dal 1950 a Monte Wilson. Ritchey, in collaborazione con l’ottico francese Henri Chretien, sviluppò il sistema a grande campo che porta il suo nome per il riflettore da 150 cm di Monte Wilson. Tuttavia, quando Hale si rifiutò di usare lo stesso schema ottico per il riflettore da 250 cm, i due litigarono e Hale licenziò Ritchey. Oggi lo schema Ritchey-Chretien è usato per tutti i grandi telescopi professionali, “Hubble” incluso. In pratica, i tubi ottici Ritchey-Chretien acquistati negli ultimi cinque anni dagli astrofili, non hanno un vantaggio ottico schiacciante sugli SchmidtCassegrain per quanto riguarda la ripresa di galassie a piccolo campo. Il coma non è un problema su un campo di vista piccolo (meno di 10 primi d’arco) e la maggior parte dei CCD usati al fuoco f/10 di uno SCT copre un campo di questa ampiezza. Ci sono pochissime galassie più grandi di 10 primi d’arco. Le immagini di Adam Block riprese a Kitt Peak dimostrano che un RitcheyChretien non è essenziale per le immagini a piccolo campo. Tuttavia, gli SCT hanno un certo numero di difetti che devono essere ben presenti
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Figura 10.8. Un OTA Ritchey-Chretien di 63,5 cm della Optical Systems, uno strumento professionale! Foto: cortesia Brad Ehrhorn/RC Optical Systems.
all’astrofilo che vorrebbe ottenere immagini di qualità. Gli SCT notoriamente soffrono del “mirror flop”. I loro specchi sottili sono sostenuti dal paraluce centrale e, quando il telescopio si muove per inseguire, il fuoco può spostarsi di poco, rovinando la qualità dell’immagine. Inoltre, gli SCT sono sensibili alla variazione di fuoco causata da variazioni di temperatura. Entrambi i maggiori costruttori di tubi Ritchey-Chretien impiegano materiali che hanno un coefficiente di espansione zero (o molto prossimo a zero). Per i tubi vengono impiegate le fibre di carbonio, oppure alluminio/magnesio con sbarre di invar. Inoltre, sono disponibili sistemi per il controllo della temperatura (ventole antivibrazione collegate a un sistema di monitoraggio della temperatura). Con uno SCT dovete sprecare almeno un quarto d’ora ogni volta che uscite ad osservare, solo per rifare il fuoco. Molte notti dovrete aggiustare il fuoco ogni ora (a meno che non acquistiate uno di quei costosi focheggiatori con la compensazione della temperatura). Con un moderno Ritchey-Chretien, da una notte all’altra potreste non aver bisogno di aggiustare il fuoco. La qualità qui non riguarda solo il supporto dello specchio e il materiale del tubo; le ottiche sono fatte con materiale a coefficiente di espansione zero e sono lavorate a mano con una grande accuratezza. Se avete molti soldi da spendere e volete il meglio per quanto riguarda l’ottica e la montatura, un Ritchey-Chretien non vi deluderà! Anche il modesto Newton può essere usato per riprendere ottime immagini deepsky. Non è soggetto al mirror flop e fornisce buone immagini, specialmente con rapporti focali lunghi come f/6 o f/7. Il solo motivo per cui sono raramente usati è dovuto
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alla compattezza dei tubi degli SCT e alla comodità d’uso delle loro montature con l’autoguida. Molti astrofili – specialmente negli USA – per avere un cielo buio e trasparente portano i loro telescopi sulle montagne; per molti, il Monte Pinos in California è il sito di osservazione preferito. Portare un Newton di 30 cm f/7 su una montagna è assai più difficile che portare un LX200 di 30 cm. La possibilità dell’autoguida è meno importante, perché è un aspetto che può essere compensato facilmente. Molti motori di telescopi commerciali sono stati interfacciati con l’autoguida e ci sono tante persone sui gruppi di discussione di Internet che possono dare consigli. Inoltre, l’unità di ottica adattiva della SBIG, l’AO-7 (Figura 10.9), combinata con una camera CCD SBIG a doppio sensore, può correggere per gli errori del motore muo-
Figura 10.9. Un’unità di ottica adattiva SBIG AO-7, applicata fra una camera CCD e un focheggiatore digitale, permette di fare correzioni di guida molto rapide senza tentare di muovere la massa considerevole del telescopio. Molti deep-sky imager usano questo dispositivo per avere i migliori risultati con una scala inferiore a un secondo d’arco per pixel. Foto: cortesia Arto Oksanen.
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vendo il suo specchio, senza interfacciarsi con i motori del telescopio. L’unità può coprire un movimento di ±50 pixel, prima che lo specchio vada fuori corsa; quindi, con un secondo d’arco per pixel, il motore di un Newton con un errore periodico inferiore a ± 50 secondi d’arco può essere usato per riprendere ottime immagini deep-sky. Con pazienza e perseveranza qualsiasi buon telescopio può essere sfruttato per riprendere spettacolari immagini deep-sky ma, se avete bisogno di qualche ispirazione, una veloce occhiata ai risultati dei migliori imager sulle pagine Web della SBIG e della RCOS dovrebbe spronarvi.
CAPITOLO UNDICI
Osservatori di variabili cataclismiche e cacciatori di gamma ray-burst
Gli outburst delle variabili cataclismiche Osservare le stelle variabili è qualcosa di affascinante già di per sé, ma c’è il vantaggio che i risultati sono anche di grande interesse per gli astronomi professionisti. Questa è vera scienza. Una categoria di stelle oggetto di una speciale attenzione fra i professionisti è quella delle variabili cataclismiche. La Springer-Praxis ha pubblicato un libro che viene considerato come la “Bibbia” per questo tipo di studi: Cataclysmic Variable Stars, di Coel Hellier (ISBN 1-85233-211-5): lo raccomando caldamente. Le variabili cataclismiche (CV) sono stelle doppie che orbitano così vicino l’una all’altra che avviene un interscambio di materia, producendo outburst e variabilità di luce in modo diverso da qualsiasi altra categoria di stelle variabili. Le variazioni possono prodursi su un tempo scala di minuti, ore, giorni, settimane o mesi: le CV sono i soggetti favoriti per gli osservatori di stelle variabili. Non è una esagerazione dire che per un variabilista accanito, il campo stellare della variabile cataclismica preferita può diventare familiare come un vecchio amico. Osservatori visuali come gli inglesi Gary Poyner e Chris Jones hanno osservato CV per anni. Gary potrebbe localizzare e stimare la magnitudine di oltre cento stelle variabili per notte, andando solo a memoria! Sì, è proprio così: ha memorizzato la posizione e le stelle di confronto per centinaia di variabili, principalmente CV (sono note oltre 1000 CV). Per i comuni mortali che non hanno l’abilità di Gary (lui usa il Dobsoniano di 45 cm mostrato in Figura 11.1) l’era dei telescopi Go To ha aperto nuove possibilità. Con un LX200 e un software adatto, gli astrofili possono passare da una variabile all’altra 185
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Figura 11.1. Gary Poyner e il suo Dobsoniano Obsession di 45 cm f/4,5. Foto: cortesia Gary Poyner.
con facilità è programmare il Pc con la lista delle osservazioni prima che faccia buio. Uno di questi astrofili è Hazel McGee. Lei ammette senza problemi che se non avesse un LX200 non avrebbe modo di passare attraverso tutti i campi stellari, e il suo telescopio sarebbe sotto-utilizzato. Da quando ha preso un LX200 da 30 cm (Figura 11.2) è diventata uno dei migliori osservatori di stelle variabili di tutta l’Inghilterra: in un anno può fare 2500 stime visuali di stelle variabili. Hazel usa il software Skymap Pro per pianificare le sessioni di osservazione e muovere l’LX200 da un campo all’altro durante la notte. Oltre ad osservare CV con un telescopio Go To, un numero crescente di astrofili ha iniziato a monitorarle con i CCD per catturare gli outburst appena si verificano. Molte di queste stelle hanno il minimo di luminosità ben al di sotto della magnitudine 14 o 15, che rappresenta il limite per gli osservatori visuali, e visto che se ne conosce un migliaio, è difficile che passi una notte senza che si verifichi l’outburst di una CV. In pratica, gli astrofili tendono a restringere la loro attività sorvegliando le CV i cui outburst si verificano su una scala di tempo ragionevolmente breve e che sono alla portata dei loro strumenti. Come ordine di grandezza, ci sono una dozzina di CV osservate regolarmente ogni notte e circa un centinaio che vengono monitorate di quando in quando per cogliervi un outburst, che si verifica raramente. La Sezione Stelle Variabili della BAA ha una lista di 80 “Oggetti Ricorrenti” ad elevata priorità e,
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Figura 11.2. Hazel McGee, una delle maggiori osservatrici di stelle variabili dall’Inghilterra, e il suo LX200 di 30 cm. Il PC usa SkyMap Pro per guidare l’LX200 alla stella variabile successiva. Foto: cortesia Hazel McGee.
nel corso di un anno, da dieci a quindici di questi avranno un outburst. Una volta che sono stati osservati numerosi outburst, le stelle vengono rimosse dalla lista, mentre altre sospette variabili vengono aggiunte. La scoperta di un outburst raro di una CV è il premio più ambito; è successo anche a me una volta – il 20 settembre 2000 ho ripreso un’immagine CCD a lunga esposizione del campo della stella V402 Andromedae (nota anche come 62 And) che normalmente si trova alla magnitudine 20. Un altro osservatore CCD, Tonny Vanmunster dal Belgio, aveva ripreso un’immagine del campo due giorni prima per verificare l’esistenza di un outburst, ma non aveva trovato niente fino alla magnitudine +17,6, mentre nella mia immagine la stella era chiaramente visibile alla magnitudine 15,7. Successivamente è venuta la conferma visuale da Gary Poyner e Chris Jones che hanno stimato la stella di magnitudine 15,4. Per fortuna sono stato in grado di acquisire una mappa della regione dal sito Web dell’AAVSO (vedi sotto) e avevo già preparato un’immagine della regione dal CD-ROM Real Sky della Palomar Sky Survey; altrimenti, identificare il campo sarebbe stato un incubo! Il potenziale osservatore di outburst ha bisogno di ricevere una circolare da almeno una delle principali organizzazioni che si occupano di questi eventi per poterne seguire lo sviluppo. Cinque fra le migliori organizzazioni di stelle variabili del mondo sono elencate qui sotto. Le loro pagine Web vengono riportate in Appendice. Sono: • • • • •
la American Association of Variable Star Observer (AAVSO); la Sezione Stelle Variabili della British Astronomical Association; la rivista The Astronomer (TA); la Variable Star Netwok (VSNet) giapponese; il Center for Backyard Astrophysics (CBA) (per gli appassionati specialisti di fotometria CCD).
Se volete essere aggiornati con gli ultimi outburst delle stelle variabili, la VSNet sarà felice di bombardarvi con un numero apparentemente infinito di bollettini su quello
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che sta succedendo. Se preferite poche e-mail, l’AAVSO può tenervi bene informati e le e-circular di The Astronomer riguardano gli outburst più rari delle stelle variabili, che hanno avuto appena luogo. Il sito Web di The Astronomer è aggiornato regolarmente con immagini di novae, supernovae e outburst di stelle variabili ed è una risorsa inesauribile per quelli che vogliono trovare un’immagine CCD di una variabile in outburst. Come ho già detto, avere una carta della regione, oppure un’immagine della Palomar Sky Survey, non ha prezzo. È bene preparare le carte prima di iniziare un’attenta sorveglianza delle CV. L’AAVSO e la TA sono ottime fonti di carte. Le immagini della Palomar Sky Survey possono essere scaricate dalle pagine DDS dello Space Telescope Science Institute (vedi Appendice). In alternativa, potete acquistare i CD-ROM della serie Real Sky della Astronomical Society of the Pacific, ma le immagini sono altamente compresse e di bassa qualità. Un’altra arma insostituibile nella caccia alle CV è l’ottima pubblicazione conosciuta come “Downes e Shara”: più propriamente si tratta di A Catalog and Atlas of Cataclysmic Variables, anche questo pubblicato dalla Astronomical Society of the Pacific. La pubblicazione cataloga le 1020 CV conosciute e ha (principalmente nella prima edizione) immagini in miniatura, larghe 4 primi d’arco, di 500 campi stellari attorno alle rispettive CV. Anche se non è essenziale, si tratta di una buona risorsa per identificare gli oggetti quando sono deboli e quando si hanno mappe a grande campo a portata di mano.
La fotometria delle stelle variabili Probabilmente il maggiore contributo che un astrofilo può dare all’astronomia professionale (tolta la scoperta di una cometa, nova, supernova o un outburst di una CV) è l’andamento della curva di luce di una stella variabile inusuale. Questa area è ben sfruttata da un numero crescente di astrofili equipaggiati con CCD. Fortunatamente, a causa del fatto che ci sono centinaia di variabili CV e che gli astrofili sono sparpagliati su tutto il globo, alcuni nell’emisfero diurno, alcuni in quello notturno (e molti con cielo nuvoloso), ci sono ancora alcune nicchie da occupare in questo campo. Tradizionalmente, la maggioranza delle stime di magnitudini delle stelle variabili è stata fatta visualmente. Un osservatore confronta la luminosità della stella bersaglio con altre due stelle (quando ci sono), una più debole e una più luminosa del bersaglio. Con questo metodo, gli osservatori esperti spesso possono stimare la magnitudine con un’incertezza di ± 0,2 magnitudini. Prima dell’avvento dei CCD, alcuni astrofili usavano il fotometro fotoelettrico per ottenere curve di luce accurate delle stelle variabili luminose. Tuttavia, il CCD è molto più sensibile e può essere usato per ottenere curve di luce accurate entro ± 0,05 magnitudini. Ottenere questa precisione non è banale. È anche vero dire che molti fotometristi in erba sono scoraggiati dai passi necessari per raggiungere questo livello di precisione. È meglio puntare a un processo di miglioramento graduale piuttosto che cercare di raggiungere i migliori risultati fotometrici in un colpo solo. Pacchetti software come AIP di Richard Berry, Maxim e CCDSoft possono tutti tracciare la curva di luce, dopo avere analizzato i frame della stella variabile. Possono anche guidare attraverso l’intero processo fotometrico passo-passo; sotto questo punto di vista AIP è molto buono. Software di minor pregio sono da evitare a meno che non abbiate la certezza
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assoluta che funzionano bene! Varie routine di software precedenti offrono pacchetti fotometrici che sono lontani dall’essere accurati. Sono due i problemi specifici che vanno capiti fin dall’inizio: la linearità del CCD e la sua sensibilità spettrale. I CCD con l’antiblooming diventano sempre meno lineari nella risposta mano a mano che il CCD si avvicina alla saturazione; quindi le esposizioni vanno mantenute brevi, in modo tale che nessuna stella importante faccia andare qualche pixel oltre la soglia di saturazione del 50%. Inoltre, la fotometria professionale nella banda visuale richiede un filtro V (vedi il paragrafo sui filtri fotometrici più avanti) per essere sicuri che tutti gli osservatori stiano misurando la luce nella stessa banda spettrale; messa in modo più semplice, le magnitudini stellari devono essere misurate nello stesso colore. Questo non significa che un’osservazione senza filtro sia senza valore visto che per la maggior parte delle volte una stima di magnitudine con il CCD senza filtri non è meno accurata delle migliori stime visuali, specialmente quando si misurano stelle più deboli della magnitudine +14. Tuttavia, in tutti i lavori sulle stelle variabili è essenziale annotare le stelle di confronto e i filtri usati con il CCD: questo permette i confronti fra le osservazioni. I CCD sono molto più sensibili dell’occhio umano nel rosso e nell’infrarosso vicino. Questo significa che se il bersaglio o le stelle di confronto emettono fortemente nell’infrarosso, la stima di magnitudine sarà diversa da quella nella banda V. Più precisamente, i CCD non filtrati possono avere problemi quando le stelle mostrano grandi fluttuazioni di luminosità in una banda ristretta dello spettro, restando relativamente costanti su tutte le altre bande. Un esempio di questo tipo è stata la nova scoperta in Cassiopea nel dicembre 1993 da Kanatsu. Questa nova aveva un decadimento di tipo DQ Her a causa della polvere che bloccava l’emissione luminosa. Alle lunghezze d’onda maggiori, la radiazione dell’infrarosso vicino può penetrare le polveri con molta più facilità rispetto alle lunghezze d’onda blu, che sono più brevi, e la magnitudine CCD di questa nova, durante il periodo di decadimento, era sempre più luminosa della magnitudine visuale. Per quanto riguarda la non-linearità, è essenziale determinare sperimentalmente quanto sia lineare (o meno) la vostra camera particolare. Molte camere CCD vengono fornite con un pacchetto software che offre un’opzione fotometrica e fornisce la magnitudine stellare con due cifre decimali dopo la virgola quando si clicca su una stella. Tuttavia, questa misura è quasi senza significato a meno che il costruttore abbia tenuto nel debito conto la linearità della camera e sia stato usato un filtro fotometrico. Inoltre, se la stella da misurare è debole e poco al di sopra del rumore di fondo, l’incertezza nella magnitudine sarà considerevole: ad esempio, avendo un risultato tipo magnitudine 16 ± 1 (la stella è da qualche parte fra la magnitudine +15 e la magnitudine +17). Gli astronomi professionisti con sistemi CCD filtrati e calibrati possono raggiungere una precisione fotometrica di 0,01 magnitudini con una singola stella di confronto nel campo; gli astrofili evoluti devono darsi molto da fare per raggiungere la precisione di 0,05 magnitudini. Come guida approssimata è utile ricordare che variazioni di 0,01 magnitudini equivalgono all’incirca all’1% e di 0,1 magnitudini al 10% della luminosità. A meno che non siate certi della linearità del vostro particolare sistema, la cosa più sicura è fare come la maggior parte degli osservatori visuali: usare due stelle di confronto presenti nel campo. Sfortunatamente, l’accuratezza fotometrica delle stelle nell’Hubble Guide Star Catalogue non è eccezionale; in alcuni casi ci sono errori di una o due magnitudini! Se possibile, dovrebbe sempre essere usato un campo stellare contenente una sequenza
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di stelle fotometriche. Fortunatamente, molte delle stelle variabili più osservate hanno sequenze fotometriche affidabili. I cataloghi UCAC 2 o A2.0 dell’US Naval Observatory (http://www.usno.navy.mil) sotto questo aspetto sono insuperabili. Se usate due stelle di confronto, idealmente dovrebbero essere appena sopra e sotto la magnitudine della stella bersaglio, perché questo permette una calibrazione accurata della linearità della camera per una data esposizione. Se il software della vostra camera permette di monitorare l’output digitale dal convertitore A/D (prima che qualsiasi software “corregga” le anomalie della camera) potrete essere più sicuri dell’efficienza del vostro sistema. Prima dell’analisi fotometrica è assolutamente necessario che non venga applicata alcuna routine di image-processing (eccetto la sottrazione del dark frame e la divisione per il flat-field). La fotometria di grande precisione è possibile se ci si applica con una cura meticolosa e utilizzando il tipo di software che ho già citato, per esempio AIP, Maxim e CCDSoft. La scelta dell’apertura è un altro fattore. In questo contesto non sto parlando dell’apertura del telescopio, ma dell’area sul chip CCD da cui sono raccolte le cariche. Vogliamo misurare tutta la luce che viene da ciascuna stella, fino a quando non si confonde con la luminosità di fondo cielo, ma non vogliamo includere la luce da una qualsiasi stella debole che può trovarsi vicino alla stella in questione. Naturalmente, dobbiamo misurare anche un’area di cielo vuota della stessa apertura in modo da conoscere il valore del fondo cielo. In pratica, l’apertura ottimale da usare è un cerchio di 10-40 secondi d’arco, con una preferenza per le aperture sopra i 20 secondi d’arco quando l’inseguimento del telescopio o il seeing sono scarsi. Alla scala di due secondi d’arco per pixel il diametro di una tipica apertura potrebbe essere 10 pixel.
Filtri fotometrici Gli astronomi professionisti misurano le magnitudini secondo gli standard internazionali – la sensibilità del loro equipaggiamento è definita accuratamente a lunghezze d’onda ben definite. È stata definita una serie di filtri passa-banda dall’ultravioletto all’infrarosso e il sistema più usato per definire queste bande è quello UBVRI di KronCousins. (U = Ultravioletto; B = Blu; V = Visibile; R = Rosso; I = Infrarosso). Come è prevedibile, la banda V è quella che interessa la maggior parte degli astrofili. Questa banda approssima quella visuale dell’occhio umano, quindi la magnitudini CCD ottenute con un filtro V sono direttamente confrontabili con le stime visuali di magnitudine. Ma anche le bande B e R sono interessanti. Alcune stelle variabili variano considerevolmente all’estremo blu dello spettro, anche più che nella banda visuale. I CCD hanno il massimo di sensibilità nella banda R, quindi anche questa regione è di interesse. La banda I è di interesse per gli astronomi professionisti specializzati, mentre la banda U è vicino al limite di sensibilità spettrale della maggior parte dei CCD. Se si determina la magnitudine di una stella nelle bande V e B, allora la quantità B – V (B meno V) è “l’indice di colore” della stella. L’indice di colore ci può dire molto riguardo alla stella; può anche essere usato per calibrare fotometricamente un sistema CCD. Quando scegliamo i filtri per la camera CCD è importante tenere presente che le bande spettrali di Kron-Cousin definiscono un sistema ideale che non è possibile riprodurre esattamente con un dato set di filtri su un CCD. Il CCD avrà la sua risposta
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a specifiche lunghezze d’onda e per derivare la risposta complessiva del sistema è necessario moltiplicare la risposta spettrale dei filtri scelti con la risposta spettrale del chip CCD. La moltiplicazione va fatta fra ciascun punto della curva di risposta spettrale dei filtri, per ogni lunghezza d’onda, con ciascun punto della curva di sensibilità spettrale del CCD. Attualmente, la maggior parte di costruttori di CCD vende, o raccomanda venditori di terze parti, il set di filtri appropriati che va bene per la camera CCD. Ad esempio, la SBIG può vendervi dei filtri fotometrici specifici per la loro ruota portafiltri CFW-8, o una ruota portafiltri completa di filtri fotometrici che si combinano bene con la sensibilità delle loro camere. Vale la pena ricordare che un filtro V abbassa di 1,5 la magnitudine limite della camera CCD. Se a questo si aggiunge il fatto che è necessario avere un buon segnale proveniente dalla stella (ma non oltre il 50% della saturazione!) c’è bisogno di un’esposizione molto lunga per arrivare a quelle stelle di magnitudine +16 che sono oltre i limiti degli osservatori visuali – un’ulteriore prova della formidabile abilità della combinazione occhio-cervello, che può stimare in un istante la magnitudine di una stella debole!
Progetti fotometrici specifici Una volta che avete un setup fotometrico funzionante, che progetti di osservazione potete seguire? Prima di tutto è essenziale contattare qualche astrofilo che coordina le osservazioni in questo campo. La AAVSO e la BAA hanno questi coordinatori; possono inserirvi in una mailing list che vi avvisa quando una CV interessante o trascurata è in outburst. Molti professionisti in USA o in Inghilterra vi attingono i dati fotometrici di alta qualità per i loro progetti di ricerca, quindi potete diventare improvvisamente popolari! Negli ultimi anni Bill Worraker, in Inghilterra, ha organizzato un progetto specifico per rilevare le eclissi delle “novae nane”, un altro nome per le CV che le distingue dalle novae vere e proprie, molto più rare ed energetiche. Per la cronaca, una tipica nova nana è una CV che ha outburst di 3-5 magnitudini ogni pochi mesi o anche ogni pochi anni (dipende dalla instabilità del disco di accrescimento). Per confronto, un nova si ha quando si verifica una reazione nucleare incontrollata sulla superficie di una nana bianca, con un’ampiezza di 8-15 magnitudini; per le novae si verifica un solo evento, e non hanno un altro outburst nel corso di una vita umana (anche se esistono le novae ricorrenti). Il progetto di Bill si focalizza su un mistero degli studi sulle CV. Nonostante il grande numero di CV conosciute e nonostante facciano tutte parte di sistemi binari, sono molto poche quelle che mostrano eclissi visibili dalla Terra. Ovviamente, un’eclisse si verifica solamente quando il piano orbitale del sistema è allineato con visuale dalla Terra. Questo può sembrare improbabile ma, ricordate, che le due stelle sono molto vicine. Quando si verifica un outburst di una nova nana e il disco di accrescimento diventa più luminoso della magnitudine +15, ci sono ottime probabilità per gli astrofili di osservare le eclissi del luminoso disco di accrescimento da parte della stella secondaria. Delle oltre 400 novae nane con outburst ben documentati, solamente una dozzina mostrano eclissi, nonostante i teorici prevedano che il 30% dovrebbe mostrarle.
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192
11,5
IP Peg BAA star D - 12.72
+ ×
magnitudine non filtrata
12,0
12,5
13,0
13,5
14,0
1
2
3 tempo (h)
4
5
Figura 11.3. Una spettacolare curva di luce della variabile cataclismica IP Peg che mostra un’eclisse durante la fase di outburst. La curva è stata ottenuta da Nick James con un Newton di 30 cm f/5,25 il 18 ottobre 2001 in un periodo di 5 ore. La linea retta rappresenta la fotometria di una stella di riferimento di magnitudine 12,72. Immagine: cortesia Nick James.
In teoria, se ci si trova entro ± 20° dal piano orbitale della nova nana, l’eclisse dovrebbe essere visibile. Ovviamente c’è una discrepanza fra osservazione e teoria e questo è l’esempio di un campo in cui gli astrofili fotometristi possono contribuire con dati scientifici vitali. Una curva di luce della variabile cataclismica IP Peg (fatta da Nick James) che mostra un’eclisse mentre si trova in outburst è mostrata in Figura 11.3. Questa stella di solito è più debole della magnitudine +18, ma in outburst raggiunge la +12. Durante questa fase si può fare fotometria anche con strumenti amatoriali. Nick usa un Newton di 30 cm. Il progetto sulle eclissi delle novae nane è solo un’area dove c’è una stretta cooperazione fra gli astrofili e gli astronomi professionisti. I teorici hanno ipotizzato che la parte interna del disco di accrescimento di una nova nana possa presentare certi miniburst durante la quiescenza. Di questo fenomeno c’è qualche evidenza dalle curve di luce della luminosa CV SS Cygni (la variabile CV più osservata del cielo), ma gli astronomi hanno bisogno di sapere se gli outburst sono blu o rossi per capire se è il disco di accrescimento o la stella secondaria a causarli. L’astrofila Karen Holland (Figura 11.4) è coinvolta in questo progetto e per questo lavoro sta usando uno speciale filtro fotometrico fornito dalla BAA.
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Figura 11.4. Karen Holland e il suo LX200 di 25 cm. Foto: cortesia Karen Holland.
La fotometria non è necessariamente ristretta alle sole stelle variabili. Riprendendo immagini ripetute degli asteroidi che si avvicinano alla Terra, gli astrofili sono in grado (anche senza filtri) di determinare il loro periodo di rotazione (gli asteroidi di solito ruotano attorno a uno o più assi con tempi scale di qualche ora). Se un asteroide luminoso è al di sopra dell’orizzonte in un cielo sereno per diverse ore, qualche idea del suo periodo di rotazione si può dedurre anche da una sola notte di osservazioni. Più spesso è necessario combinare diverse notti di osservazione, di osservatori sparsi su tutto il globo, per produrre una curva di luce completa. Un esempio di una curva di luce di un asteroide (ottenuta da Nick James) è la Figura 11.5. Questa mostra la variazione della luce riflessa dall’asteroide 1998 WT24 che è passato vicino alla Terra nel dicembre 2001. La curva di luce di Nick mostra una variazione sinusoidale di circa 0,25 magnitudini su un periodo di circa due ore. Ottenere la curva di luce di un oggetto che si sta spostando di circa un grado all’ora è piuttosto difficile ma, nonostante i problemi, Nick è riuscito a fare due buone sessioni sull’oggetto e ad acquisire più di 350 immagini CCD per ciascuna sessione. Petr Pravec combinando i dati con quelli ottenuti all’Osservatorio di Ondrejov, nella Repubblica Ceca, ha trovato un periodo di rotazione di 3,7 ore. Questo valore è consistente con i risultati radar ottenuti dal team di Steve Ostro usando i radar di Goldstone e Arecibo.
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194 0,80 0,85
magnitudine relativa non filtrata
0,90 0,95 1,00 1,05 1,10 1,15 1,20 1,25 1,30
23,0
23,5
24,0 tempo (h, TU)
0,5
1,0
Figura 11.5. La curva di luce dell’asteroide 1998 WT24 costruita da Nick James l’11 dicembre 2001. Quando viene combinata con risultati professionali, si trova un periodo di rotazione di 3,7 ore.
Gamma Ray-Burst: bersagli fotometrici di frontiera! Anche se non sono nella categoria delle stelle variabili, probabilmente le osservazioni fotometriche più rare (ma che danno più soddisfazione) che un astrofilo può fare sono quelle relative alla controparte ottica di un Gamma Ray-Burst (GRB). I GRB sono gli eventi più energetici conosciuti. In un periodo che va da pochi secondi a pochi minuti il burst può emettere tanta energia gamma quanta ne emette il resto dell’Universo visto dalla Terra. In pochi minuti, o ore, il burst può sparire! Sono poche le controparti ottiche associate ai GRB, ma aumentano rapidamente; circa 24 ore dopo un GRB di solito c’è bisogno del Telescopio Spaziale “Hubble” o del Keck per rilevare l’afterglow (il “bersaglio residuo”), se ancora visibile. In origine si pensava che i GRB fossero associati a stelle di neutroni della nostra Galassia. Questa ipotesi era comoda, visto che l’output di energia non sarebbe stato straordinario se fossero stati (relativamente) vicini. Tuttavia, il rivelatore BATSE del satellite Compton (lanciato nel 1991) ha mostrato che questi oggetti non sono distribuiti nel piano galattico. Sono molto distanti dalla nostra Galassia, e questo significa che il loro output energetico è colossale.
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Presto si capì che valeva la pena di usare i grandi telescopi per osservare nella direzione del GRB entro pochi minuti dalla scoperta. Si sarebbe potuto rilevare una debole controparte ottica. Tuttavia c’erano (e ci sono ancora) due problemi. Primo, spesso la posizione di un GRB è conosciuta con una precisione di 10 o 20 primi d’arco, un’area grande per il piccolo campo di vista di un CCD di un potente telescopio. Secondo, i telescopi professionali sono in uso permanente e non possono essere sempre distolti dai loro programmi predefiniti (o possono trovarsi in pieno giorno quando si verifica un GRB). Questi sono i motivi che hanno portato all’arruolamento degli astrofili per rilevare le controparti ottiche dei GRB. C’è anche un caso un cui un GRB ha raggiunto la magnitudine ottica +9! Sì, sarebbe stato visibile in un binocolo: il 23 gennaio 1999, un alert del BATSE ha permesso a un rivelatore CCD robotico collegato a un obiettivo fotografico di 400 mm di riprendere l’immagine del GRB di magnitudine +9 entro pochi secondi dall’outburst. Questo è molto raro e nella grande maggioranza dei casi gli astrofili che vogliano prendere
a Figura 11.6. a Arto Oksanen, leader dei cacciatori di GRB europei e astro-imager con il Meade LX200 di 0,4 m del Nyrolo Observatory, a Jyväskylä, Finlandia. Foto: cortesia Arto Oksanen. (per la figura 11.6. b, vedere più avanti)
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Figura 11.6. b Il Meade LX200 di 0,4 m del Nyrolo Observatory, a Jyväskylä, Finlandia. Notare l’elevato angolo dell’asse polare alla latitudine di 62° nord.
b
Foto: cortesia Arto Oksanen.
parte a questi programmi devono essere in grado di riprendere immagini fino alla magnitudine +18. Al momento in cui scrivo, esiste una rete di alert rapido con cui gli astrofili possono essere informati di un GRB ricevendo un messaggio SMS sul loro telefonino. Per maggiori informazioni controllate il sito Web dell’AAVSO o la rivista The Astronomer. Le pagine Web di entrambi sono riportate nell’Appendice. Gli astrofili hanno già rilevato il decadimento delle controparti ottiche dei GRB. Uno dei casi più celebri, almeno in Europa, è stata l’osservazione della controparte ottica del GRB 000926 il 28 settembre 2000 da parte dall’osservatore finlandese Arto Oksanen dal Nyrola Observatory (Figure 11.6a, b). In risposta a un alert di astronomi professionisti, Arto ha usato un Meade LX200 di 0,4 m a f/6,3 per riprendere 20 immagini della durata di 4 minuti. Quando queste immagini sono state sommate insieme e analizzate da Hitoshi Yamaoka della Kyushu University (Giappone) e più tardi da
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Figura 11.7. Un’immagine di Arto Oksanen del GRB che esplose il 26 settembre 2002. La ripresa è del 28 settembre 2002, dalle 18h 18m alle 19h 40m TU, con il Meade LX200 di 0,4 m del Nyrolo Observatory, circa 42 ore dopo il GRB. Camera CCD SBIG ST7E senza filtri. Esposizione 20×240s con l’autoguida AO7. Al tempo della ripresa il GRB era sceso alla magnitudine +20. Foto: cortesia Arto Oksanen.
Guy Hurst di The Astronomer, non ci sono stati dubbi sul fatto che Arto avesse registrato l’afterglow del GRB (vedi Figura 11.7) alla magnitudine di +20! Questo è stato un risultato notevole e un’ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, che gli astrofili possono eguagliare gli osservatori professionisti anche nelle ricerche di punta della moderna astronomia. Il 4 ottobre 2002, io e una mezza dozzina di altri astrofili inglesi siamo stati i primi
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Figura 11.8. Il 4 ottobre 2002 l’autore e una mezza dozzina di altri astrofili inglesi fu tra i primi a riprendere l’immagine della controparte ottica in attenuazione di un gammaray burst. La controparte, al momento della ripresa, era di magnitudine 18. Immagine fatta con un LX200 di 30 cm a f/3,3 e camera CCD SBIG ST7 con esposizione di 20×100s centrata sulle 19h 45m TU.
in Inghilterra a riprendere la controparte ottica di un GRB. Gli altri astrofili sono Nick James, Mark Armstrong, Tom Boles, David Strange, Peter Birtwhistle e Eddie Guscott. La mia immagine è mostrata nella Figura 11.8.
CAPITOLO DODICI
Salvare il mondo: cacciatori di Near Earth Object
Gli astrometristi: salvare la Terra dalla distruzione? Prima dell’era dei CCD misurare la posizione di nuovi asteroidi e comete era un lavoro noioso che richiedeva un attento esame di delicati negativi e molto tempo per la loro misura meccanica. Oggi, con il software adatto e pochi click del mouse, si può ottenere la misura precisa della posizione di un oggetto riferita a dozzine di stelle di riferimento dell’Hubble Guide Star Catalogue. Con tutta questa potenza di calcolo disponibile si potrebbe pensare che per l’astrometrista (colui che fa le misure di posizione) sia rimasto ben poco da fare. Infatti, nel caso di nuove comete luminose è vero che di solito non c’è carenza di astrometria. Tuttavia, a mano a mano che le survey di ricerca professionali come il LINEAR (Lincoln Laboratories Near-Earth Asteroid Research telescopes), il NEAT (Near-Earth Asteroid Tracking facility), e il LONEOS (Lowell Observatory Near-Earth Object Survey) continuano a scoprire centinaia di nuovi asteroidi, c’è un bisogno crescente di tenere sotto controllo questi oggetti, specie quelli di tipo NEO (Near Earth Object) o PHA (Potentially Hazardous Asteroids).
Asteroidi potenzialmente pericolosi Prima di continuare con l’astrometria mi sia concessa una digressione sui PHA. Un PHA è definito come un oggetto di almeno 150 m di diametro, con una distanza 199
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minima di intersezione con l’orbita terrestre di 7,5 milioni di chilometri (0,05 UA). Il Minor Planet Center (MPC) nelle sue pagine Web ha una lista di PHA che si avvicineranno alla Terra entro 0,05 UA nei prossimi 176 anni (vedi l’Appendice). Tutte le volte che si scopre un nuovo asteroide che potrebbe, un giorno, passare molto vicino alla Terra, sui media compaiono sempre titoloni sensazionalistici. Questa pubblicità ha luogo nonostante il fatto che sempre nuovi PHA siano regolarmente scoperti e nonostante sia impossibile dire che un oggetto colpirà la Terra fino a quando non sia stato fatto un gran numero di misure astrometriche da professionisti e astrofili. Al momento sono noti più di 600 PHA e il numero aumenta con un tasso maggiore di uno alla settimana! Richard P. Binzel del MIT ha creato una scala, chiamata la Scala Torino, che classifica il rischio rappresentato da un PHA dal gradino 0 (rischio trascurabile) al gradino 10 (catastrofe climatica globale). Eventi con il grado 10 (cioè l’impatto sicuro di un asteroide con diametro maggiore di 150 m) possono verificarsi in media ogni 100.000 anni. La scala è stata chiamata “Torino” perché è stata adottata durante una conferenza a Torino tenutasi nel 1999. Nel momento in cui scrivo è previsto che l’asteroide 2000 WO107 passerà vicino alla Terra più degli altri PHA noti nei prossimi 176 anni (cioè fino al 2178). Il 1° dicembre 2140 passerà a 80 mila chilometri dalla Terra, poco più di 6 diametri terrestri! Questo oggetto, scoperto il 29 novembre 2000 dal LINEAR, ha una magnitudine assoluta (definita come la luminosità dell’oggetto quando si trova a 149 milioni di chilometri dalla Terra e dal Sole) di +19,4, che equivale a un diametro di circa 500 m. Oltre alla sigla PHA, qualche volta si usano anche i termini NEO (Near-Earth Object) e NEA (Near-Earth Asteroid). Generalmente, i termini NEO e NEA sono usati quando l’oggetto è scoperto per la prima volta e non si conosce ancora molto del suo pericolo potenziale. NEO è anche una sigla che può essere usata per le comete che passano vicino alla Terra. Il rischio di un impatto con una cometa è minore, perché ci sono molte poche comete che passano vicino alla Terra. Quelle a breve periodo sono spesso associate a sciami di meteore, come la Swift-Tuttle (Perseidi) o la Tempel (Leonidi). Un grande problema con le comete che arrivano dallo spazio profondo ai confini del Sistema Solare è che dalla loro scoperta all’arrivo sulla Terra può passare meno di un anno: non è molto, come avviso! Le grosse comete possono avere nuclei con diametri di molti chilometri (o decine di chilometri), quindi quando colpiscono la Terra a una velocità di decine di chilometri al secondo, l’impatto è potenzialmente catastrofico per tutte le forme di vita. Al momento, le stime variano in funzione del numero di PHA esistenti. Sembra che ci sia un piccolo rallentamento nel tasso di scoperta, ma è essenziale scoprirne il più possibile così da poterne calcolare le orbite e catalogare tutti i corpi di maggiori dimensioni. I PHA si dividono in tre categorie a seconda del tipo di orbita (vedi Figura 12.1). La prima è la categoria degli Aten, formata da corpi che trascorrono la maggior parte del loro tempo all’interno dell’orbita terrestre (cioè più vicini al Sole), molti di essi attraversano l’orbita terrestre e quindi costituiscono una minaccia. La categoria degli Apollo è formata da corpi che attraversano l’orbita terrestre ma che trascorrono la maggior parte del loro tempo al di fuori della nostra orbita. Infine c’è la categoria degli Amor, formata da corpi che si avvicinano all’orbita terrestre, stanno entro l’orbita di Marte, e hanno il loro perielio (punto più vicino al Sole) a meno di 1,3 UA dal Sole. L’atmosfera terrestre può fermare, o distruggere, gli asteroidi più piccoli, quelli
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Amor Orbita della Terra
Sole
Figura 12.1. Le orbite degli asteroidi Aten, Apollo e Amor.
Aten Earth-crossing Apollo
sotto i 50 o 60 m di diametro. Qualsiasi cosa più grande (specialmente qualsiasi cosa maggiore di poche centinaia di metri di diametro) potrebbe causare notevoli devastazioni. Se cade sulla terraferma può causare un “inverno nucleare” e scavare un grande cratere, mentre se cade nell’oceano può provocare un’onda di tsunami. In totale si valuta che ci siano 2000 PHA, e in questo caso ne abbiamo scoperti poco più di un quarto. Nel 1998 la NASA stabilì di voler scoprire il 90% dei NEO più grandi di un chilometro entro il 2010. Al momento il LINEAR nel New Mexico sta scoprendo molti più oggetti che il NEAT della NASA con i telescopi a Palomar e nelle Hawaii. In qualsiasi modo si guardi al problema, semplicemente non sappiamo niente della maggior parte degli oggetti che sono là fuori e che, un giorno, ci colpiranno certamente. Statisticamente, la probabilità di un grande impatto è molto bassa durante la vita di una persona. Tuttavia, se si verificasse un impatto, il risultato potrebbe andare dalla devastazione locale alla catastrofe globale eliminando tutta la vita umana sul pianeta. Recentemente, il 30 giugno 1908, una piccola cometa o un asteroide esplose nel cielo di Tunguska in Siberia, devastando un’area di 2000 chilometri quadrati. Originariamente, questo oggetto doveva avere un diametro di 50 m, ed è esploso con un’energia di 40 megaton. Ha devastato un tratto di foresta siberiana, ma immaginate le conseguenze se avesse colpito una grande città. E poi pensate di scalare il tutto per un oggetto di centinaia di metri di diametro!
Il premio Benson È chiaro che è importante non solo scoprire questi oggetti, ma anche determinare accuratamente le loro orbite. Nel 1997 James W. Benson della Space Development Corporation, annunciò l’istituzione del premio Benson per ricompensare i primi dieci astrofili che avessero scoperto dei NEO. Il primo vincitore del premio fu lo statunitense dell’Arizona Roy Tucker che ha scoperto tre NEO (1997 MW1, 1998 FG2 e 1998 HE3) e che si è intascato tre volte il premio. La sua immagine di scoperta di 1997 MW1 è mostrata in Figura 12.2. Roy ha
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Figura 12.2. L’asteroide Near Earth 1997MW 1 scoperto da Roy Tucker. Foto: cortesia Roy Tucker.
portato avanti la sua ricerca sistematica con uno SCT Celestron di 35 cm di diametro dal suo Osservatorio di Tucson. Le tecnica usata era di applicare una camera CCD da 1024×1024 pixel sul suo SCT e di fare una scansione del cielo. Con questa tecnica, il motore del telescopio è spento e le linee del CCD sono lette alla stessa velocità con cui si muovono le stelle sul sensore. Con il software adatto, si può ottenere l’immagine di una lunga striscia di cielo combinando le immagini ottenute dallo scorrimento del campo stellare davanti all’obiettivo fisso del telescopio. Alla fine di ogni scansione, Roy riportava il telescopio al punto di partenza e iniziava una nuova scansione. Infine, veniva fatta una terza scansione. Il passo successivo era quello di “blinkare” tutte le immagini alla ricerca di oggetti dall’elevato moto proprio. Anche se i risultati della scansione hanno una magnitudine limite bassa, la tecnica è indipendente dagli errori di trascinamento del telescopio (i motori sono spenti!) e non è necessario un sofisticato controllo robotico dello strumento per muoversi verso nuovi campi stellari. Quindi, anche se non avete una Paramount ME o una Astrophysics 1200GTO come montatura, potete ancora cercare gli asteroidi! Il Celestron 14 originale di Roy è mostrato nella Figura 12.3a. Attualmente Roy dispone di una rete di tre telescopi riflettori da 35 cm impiegati nella sua nuova ricerca dei NEO, usando ancora la tecnica della scansione (vedi Figura 12.3b). Dal 1998 ci sono state altre due scoperte amatoriali di NEA. Il 2 luglio 2000 l’insegnante Leonard Amburgery, di Fitchburg (Massachusetts), scoprì un asteroide di classe Apollo di tredicesima magnitudine, 2000 NM, mentre osservava un altro asteroide nel Serpente con il suo Newton Takahashi CN212, 212 mm di apertura f/3,9. Il 2 marzo 2002 è stata fatta la prima scoperta di un NEO dalla Spagna. L’astrofilo Rafael Ferrando stava riprendendo immagini di diverse comete (inclusa la superba IkeyaZhang) prima di spostarsi verso la luminosa supernova 2002ap in M74. Più tardi, quando portò il suo LX200 da 30 cm nel campo dell’asteroide 2000 QW65 per farne l’astrometria, notò una debole striscia sull’immagine data dalla sua camera CCD ST9. Una seconda esposizione confermò che l’oggetto si stava muovendo rapidamente. Questo oggetto non era sulle pagine Web dei NEO, quindi Rafael avvisò il Minor Planet Center e continuò a riprendere immagini e a fare astrometria. Furono allertati rapidamente altri Osservatori distribuiti in tutto il mondo (aspettatevi che il MPC
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Figura 12.3. a Roy Tucker e il suo primo Celestron 14 nella sua cupola, utilizzato per le prime scoperte di NEO. b Il nuovo sistema di scoperta dei NEO di Roy Tucker comprende tre telescopi di 35 cm. Foto: cortesia Roy Tucker.
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risponda molto rapidamente a questo tipo di scoperta – lo fanno sempre!) e l’Osservatorio di Ondrejov, nella Repubblica Ceca, cominciò a fare misure entro poche ore dalla scoperta. L’oggetto ricevette la designazione 2002 EA e si scoprì essere un Apollo con un diametro di non più di 100 m. Un paio di settimane più tardi passò a 10 milioni di chilometri dalla Terra. Anche se le scoperte amatoriali di NEO sono rare, quelle di asteroidi non lo sono. L’astrofilo giapponese T. Kobayashi di Oizumi ha oltre 1500 asteroidi numerati a suo credito e usa niente più di un riflettore di 25 cm di diametro a f/4,4! Il fatto che solo un astrofilo, Roy Tucker, abbia scoperto più di un NEA da quando il premio Benson è stato introdotto mostra quanto sia difficile perlustrare i cieli alla
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ricerca di oggetti in rapido movimento. Tuttavia, dove gli astrofili possono veramente svolgere un buon compito è nell’astrometria – che era l’argomento del paragrafo prima che partissi con la digressione sulle scoperte dei PHA.
Astrometria dei NEO I telescopi di sorveglianza professionali che operano sotto i programmi del LINEAR e NEAT scoprono centinaia di nuovi Aten Apollo e Amor ogni anno. Nel 2001 sono stati scoperti 30 Aten, 200 Apollo e 200 Amor. Nel 2005 erano 50 gli Aten, 340 gli Apollo e 230 gli Amor. Non c’è bisogno di dire che, anche con la facilità con cui l’astrometria può essere fatta, le risorse astrometriche mondiali fanno fatica a tenere dietro a questa serie ininterrotta di scoperte. Ma se c’è una categoria di oggetti per cui è richiesta l’astrometria, eccola qui: il destino del mondo può dipendere da questo! La necessità maggiore si avverte nell’astrometria degli oggetti deboli (più deboli della magnitudine +18). È notevole la velocità con cui un piccolo asteroide può cadere sotto questo limite mentre si allontana dalla Terra. Un asteroide di 400 m di diametro può sembrare grande ma, in termini astronomici, la sua magnitudine assoluta (la luminosità a 149 milioni di chilometri dalla Terra e dal Sole) sarebbe solo +20. Per calcolare un’orbita accurata è necessario ottenere un arco di misure il più lungo possibile, quindi misurare le posizioni di un oggetto mentre svanisce è di vitale importanza. Per loro natura i NEO hanno “incontri ravvicinati” con la Terra e attraversano rapidamente il cielo, così che anche se non sono deboli, passano per molti pixel del CCD ogni minuto; questo riduce la loro rivelabilità. Un moderno CCD collegato a un telescopio di 30 cm è in grado di arrivare alla magnitudine +20 o superiore con esposizioni di 5-10 minuti, ma non registrerà un oggetto che attraversa un pixel ogni pochi secondi. Fortunatamente (se ve lo potete permettere) la Paramount ME insegue così accuratamente che può essere programmata per inseguire qualsiasi asteroide veloce. L’immagine risultante, in cui le stelle sono a strisce, mostrerà il NEO come un punto. Naturalmente, se il NEO è appena stato scoperto, il suo moto preciso sarà incerto; tuttavia, anche settare un moto approssimato può essere di aiuto. I moderni software astrometrici possono misurare senza problemi anche questo tipo di immagini. Se non avete una montatura robotica super-accurata come la Paramount ME, il software Astrometrica di Herbert Raab (vedi l’Appendice) vi permetterà di sommare brevi esposizioni tenendo conto del movimento dell’oggetto. Per identificare facilmente il campo stellare si può usare un catalogo stellare su una delle immagini a breve esposizione. Il miglior catalogo da usare è l’USNO A2.0, disponibile su Internet. Ulteriori dettagli possono essere trovati agli URL dei siti Web riportati in Appendice. Ma allora dove si possono trovare le nuove scoperte che hanno bisogno di misure astrometriche? Il Minor Planet Center mantiene una NEO Confirmation Page sul Web, che riporta ogni oggetto scoperto ad alta velocità e queste pagine sono aggiornate frequentemente (spesso diverse volte al giorno). Se gli oggetti elencati sono troppo deboli per il vostro sistema, c’è un’altra pagina chiamata Dates of Observations of NEOs not Seen Recently che contiene altri oggetti poco studiati che hanno bisogno dell’astrometria. Gli indirizzi di entrambe queste pagine sono nell’Appendice. Gli oggetti nella NEO Confirmation Page hanno bisogno di essere misurati su un periodo di diverse ore durante la notte perché questo è vitale per migliorare l’orbita e
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rendere possibile il ritrovamento nei giorni successivi. Molti degli oggetti della lista sono NEO genuini (asteroidi o comete), alcuni potrebbere persino non esistere, e alcuni essere asteroidi della Fascia Principale. Gli oggetti restano nella NEO Confirmation Page fino a quando non ci sono abbastanza dati per emettere una MPEC (Minor Planet Electronic Circular). Se l’oggetto resta non confermato dopo cinque giorni, allora è dichiarato “perso”; in realtà, alcuni non sono mai esistiti: ricordate che molti di questi oggetti sono estremamente deboli, sono “i sospetti di una notte”. Visto che è vitale pubblicare nuovi dati astrometrici il più presto possibile, gli osservatori amatoriali possono vedere le loro misure pubblicate al più alto livello professionale (cioè dal MPC) entro poche ore dall’invio dei dati. Ci sono molte pagine Web affascinanti sui NEO per stimolare l’appetito degli osservatori. Il sito Web del “NEODyS”, Near-Earth Objects Dynamic Web site, creato dall’Università di Pisa contiene molti dati sulla maggior parte dei PHA pericolosi (vedi l’Appendice per l’URL). Le loro pagine di rischio elencano tutti gli oggetti che hanno una probabilità molto piccola, ma non zero, di colpire la Terra entro il 2080. Notare che questi sono tutti oggetti che sono stati persi o che hanno osservazioni astrometriche insufficienti per dimostrare che mancheranno la Terra. Per i prossimi 200 anni, nessun oggetto già scoperto e per cui è disponibile un’orbita accurata, rappresenta un serio pericolo. Ma chi sono questi astrofili che portano avanti l’astrometria dei NEO? Un esempio
Figura 12.4. n Ua composizione di sette esposizioni di 60 secondi fatta dall’autore quando l’asteroide Near Earth 1998 TW 24 passòa 2 milioni di chilometri dalla Terra il 14 dicembre 2001. Il gap èdovuto al cattivo inseguimento del telescopio che ha costretto a scartare l’immagine. Il campo èdi 9 ×12 primi d’arco. LX200 di 0,3 m e camera CCD SBIG ST7 . Foto: Copyright Martin Mobberley.
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tipico è Stephen Laurie, scopritore della supernova 1997bq in NGC 3147, e di 30 asteroidi numerati fra il 1995 e il 1997. Nella caccia alla supernova e agli asteroidi Stephen ha usato un LX200 di 25 cm, ma ora usa un ben più potente SCT Celestron di 355 mm di apertura (il C14) montato su una Astrophysics AP-1200; questo equipaggiamento può raggiungere la magnitudine 20 in meno di 10 minuti. Con un riduttore di focale, il suo C14 ha un rapporto focale di f/7,8, che con la SBIG ST7E che impiega fornisce una scala di 0,7 secondi d’arco per pixel (i pixel sono quadrati di 9 micrometri) con un campo di vista di 9×6 primi d’arco. Dal sito di osservazione di Stephen (IAU Observatory Code 966), risulta che si è fatta astrometria di NEO fino alla magnitudine 20,7! Nel numero del giugno 2002 della rivista The Astronomer, Stephen riportava il suo tasso di successo con l’astrometria di follow-up sugli oggetti presenti nella NEO Page. Ha ottenuto un tasso di successo inferiore al 50%, principalmente a causa del piccolo campo di vista che gli fa perdere molti oggetti. Nonostante ciò, in soli due mesi del suo programma osservativo sui NEO, ha ottenuto le posizioni di 27 NEO, un risultato impressionante! La maggior parte dei NEO sono molto deboli ma, occasionalmente, un NEO passa vicino alla Terra e diventa molto luminoso. Una mia immagine di un NEO in questa fase è mostrata nella Figura 12.4 L’astrometria dei NEO è una scienza esatta, che richiede gli standard professionali più elevati di osservazione e misura. Nonostante questo, molti astrofili la praticano e un giorno uno di questi potrebbe giocare un ruolo essenziale nella sopravvivenza della razza umana.
CAPITOLO TREDICI
Cacciatori di comete dal salotto
L’astrofilo Michael Oates (Figura 13.1) fino al 29 gennaio 2000 non sapeva che le comete potessero essere scoperte sfogliando le immagini disponibili su Internet ma, incredibilmente, fra il 30 gennaio 2000 e la fine di luglio 2002 ha scoperto non meno di 136 comete senza mai uscire di casa! Come è possibile che tutte queste comete siano sfuggite al rilevamento del LINEAR e del NEAT? Si tratta di comete SOHO di tipo Sun-grazing (radenti il Sole): piccoli frammenti di nuclei cometari che diventano visibili solo quando si trovano a pochi raggi solari dal Sole perché è lì che vengono attivati a livelli straordinari. Sono chiamate “comete SOHO”, invece di essere chiamate con il nome dello scopritore, perché sono scoperte dalle immagini del LASCO (Large Angle and Spectrometric Coronograph) inviate a terra dal satellite SOHO (Solar and Heliospheric Observatory). La maggior parte di queste comete non sono mai state osservate con un qualsiasi altro strumento. Il satellite SOHO è in una posizione particolare, in un punto lagrangiano, dove la forza gravitazionale del Sole e della Terra si fanno equilibrio, un punto di stabilità nello spazio. Il LASCO è puntato verso il Sole, ma l’abbagliante disco solare viene deliberatamente occultato. Visto che lo strumento è nello spazio non c’è la diffusione della luce da parte dell’atmosfera terrestre, quindi le regioni vicino al Sole possono essere passate al setaccio per andare a caccia di comete, proprio come si può fare durante un’eclisse solare. Per accedere alle immagini di SOHO-LASCO basta andare nelle pagine Web riportate in Appendice e seguire i link che vi sono riportati. In Appendice c’è anche una pagina dedicata alle Sungrazer di SOHO-LASCO. Molte delle comete scoperte guardando le immagini del LASCO sono state pescate attraverso l’esame di un gran numero di immagini di archivio: quindi scoprire comete mentre si è seduti al PC non è così facile come potrebbe sembrare. Ci sono anche un certo numero di professionisti e astrofili che frugano nelle immagini, quindi la competizione è intensa. Fino ad agosto 2005 erano state scoperte 1000 comete SOHO. I
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Figura 13.1. Michael Oates mentre sta cercando una cometa SOHO. Foto: cortesia Michael Oates.
maggiori scopritori erano Michael Oates, Rainer Kracht, Xavier Leprette, Doug Biesecker, Michael Boschat e Maik Meyer. Di questi sei, solo Doug Biesecker è un astronomo professionista. Michael Oates usa Maxim DL per elaborare le immagini SOHO-LASCO e un pacchetto software chiamato ACDSee per confrontare le immagini e cercare nuove comete. La sua determinazione ha mostrato che l’era degli astrofili scopritori di comete non è morta. Le comete SOHO possono essere scoperte da casa: solo, non c’è la soddisfazione di dare loro il proprio nome. Le Figure 13.2a e b mostrano due comete SOHO scoperte da Michael. I dati SOHOLASCO usati qui sono prodotti da un consorzio fra il Naval Research Laboratory (USA), il Max Planck Institut für Aeronomie (Germania), il Laboratoire d’Astronomie (Francia), e l’Università di Birminghan (UK). SOHO è un progetto di cooperazione internazionale fra l’ESA e la NASA.
Gli scopritori visuali di comete e il premio Edgard Wilson Anche se questo libro riguarda prima di tutto la nuova “era CCD” degli astrofili, va ricordato il fatto che la scoperta visuale delle comete è ancora possibile. Come incen-
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Figura 13.2. a La cometa SOHO 111 scoperta congiuntamente da Oates, Boschat, Lovejoy e Gorrelli. b La cometa SOHO 143 fu scoperta sulle immagini che mostravano la luminosa SOHO 53. Le riprese SOHO-LASCO sono state combinate da Michael Oates per produrre questa immagine. Foto: cortesia Michael Oates/ESA/NASA.
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tivo c’è il premio Edgard Wilson, gestito dallo Smithsonian Astrophysical Observatory, che ricompensa gli astrofili che hanno scoperto una cometa usando un equipaggiamento amatoriale (vengono però considerate anche le scoperte di astrofili fatte con il CCD).
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È disponibile un fondo di 20.000 dollari l’anno. Nel luglio 2002 ho scritto un articolo per la rivista The Astronomer in cui descrivevo come LINEAR, NEAT e LONEOS avessero mancato di scoprire in modo automatico ben cinque comete negli ultimi anni, che sono state poi scoperte da astrofili. Le comete in oggetto sono le: C/2000 W1 (Utsunomiya-Jones), P/2001 Q2 (Petriew), C/2001 C1 (Ikeya-Zhang), C/2002 E2 (Snyder-Murakami) e C/2002 F1 (Utsunomiya). Queste prolifiche macchine di scoperta, come il LINEAR, devono pur avere anch’esse qualche punto debole! Tanto per cominciare, sono tutte dislocate nell’emisfero nord e raramente scoprono qualcosa più a sud di –30° di declinazione. Secondo, evitano le regioni che si trovano nel crepuscolo o vicino all’orizzonte, proprio le zone che vengono esaminate dagli astrofili cacciatori di comete. Terzo, raramente scoprono comete più deboli della magnitudine +19; quindi le comete intrinsecamente deboli che finiscono nel cielo del crepuscolo o nell’emisfero sud quando diventano più luminose, possono essere perse. Infine, per eludere il disturbo lunare possono evitare di esplorare parti del cielo per un periodo fino a due settimane: in un periodo così lungo, una cometa vicino alla Terra e con un perielio basso, può portarsi rapidamente all’interno del range di scoperta degli astrofili. Quindi, anche se le macchine scoprono la grande maggioranza di comete “potenzialmente scopribili dagli astrofili” un anno prima che entrino nel Sistema Solare interno, c’è ancora qualche speranza per i cacciatori visuali di comete. Il disegno della Figura 13.3 mostra come la cometa Ikeya-Zhang abbia beffato il LINEAR e tutti gli altri nell’anno prima della scoperta. Se assumete che una cometa al di sopra della magnitudine +19, al di sotto dei –30° di declinazione e con un’elongazione dal Sole inferiore a 90° sia fuori dal range di scoperta del LINEAR, il disegno vi rivela come mai questa cometa riuscì a farla franca.
Ikeya-Zhang
30°
60°
Scoperta * –30°
90°
120°
Elongazione
Febbraio 2002 magnitudine 9
Febbraio 2001 magnitudine19 Dicembre 2001 magnitudine 12
Ottobre 2001 magnitudine 14
Declinazione
–60°
Figura 13.3. Il percorso della Ikeya-Zhang nell’anno prima della scoperta. Disegno dell’autore.
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Nel 2002, oltre alla scoperta della Ikeya-Zhang e delle comete Snyder-Murakami e Utsunomiya, ci sono state altre due scoperte amatoriali interessanti. Il 21 gennaio, William Kwong Yu Yeung di Benson, Arizona, scopre un oggetto su un’immagine CCD, inizialmente classificato come un asteroide di magnitudine +17 con la sigla 2002 BV. Osservazioni successive di Timothy Spahr da Mount Hopkins, Arizona, hanno rivelato una chioma e l’oggetto è stato riclassificato come una cometa periodica, P/2002 BV. Il 22 luglio 2002, Sebastian Hoenig dalla Germania scopre casualmente la cometa 2002 O4 mentre osservava con un LX200 di 25 cm. Anche se è già uno scopritore di 11 comete SOHO-LASCO, Sebastian ha passato cinque anni a caccia di comete in visuale. Tuttavia, quella notte stava casualmente osservando oggetti di profondo cielo nella regione di Andromeda-Pegaso quando vide la nuova cometa di magnitudine +12 che LINEAR e NEAT avevano mancato; è stata la prima cometa ad essere scoperta dalla Germania dal 1946! Devo dire che sono rimasto contento che una cometa spettacolare come la IkeyaZhang (vedi Figura 13.4) sia stata scoperta visualmente. Non solo è stata la cometa più bella che io abbia mai visto dal passaggio della Hyakutake e della Hale-Bopp nel 19961997, ma è stata anche quella con il periodo più lungo (con un periodo di 340 anni dall’ultimo ritorno) che sia stata osservata due volte. La cometa che deteneva il record precedente era la Herschel-Rigollet, con un periodo di 155 anni. Quando una cometa storica come la Ikeya-Zhang può essere ancora scoperta visualmente, vuol dire che l’ultimo capitolo sulla scoperta visuale delle comete non è ancora stato scritto.
Figura 13.4. La IkeyaZhang ripresa dall’autore con un astrografo Takahashi Epsilon di 0,16 m, f/3,3 e una camera CCD Starlight Xpress MX916. 26 marzo 2002, 80s di posa. Foto: Copyright Martin Mobberley.
CAPITOLO QUATTORDICI
Spettroscopisti amatoriali
La spettroscopia non è un campo che abbia ispirato molti astrofili, nonostante il fatto che gli astronomi professionisti abbiano imparato più cose sull’Universo studiando gli spettri che in qualunque altro campo. Forse una lunga striscia grigia o colorata attraversata da linee verticali non è così eccitante come una bella immagine di Saturno o di M51. Oppure la maggior parte degli astrofili non ne vuole sapere perché è un campo che richiede apparecchiature ottiche complicate ed è un campo dell’astronomia che semplicemente faticano a capire. La maggior parte dei capitoli sulla spettroscopia amatoriale che ho letto iniziano “uccidendo” il lettore interessato, immergendolo nella matematica, nella fisica e nell’ottica. È questo il motivo per cui ora lascio da parte questi aspetti tecnici e inizio con le cose eccitanti. Come sanno bene tutti i lettori di questo libro, uno spettrografo suddivide la luce che viene da una stella in uno spettro; se lo spettro è sufficientemente disperso sarà molto debole, ma un’esposizione CCD prolungata può compensare questo aspetto. Anche il più semplice prisma o reticolo separerà la luce del Sole nei suoi colori costituenti e mostrerà righe di assorbimento scure che sono prodotte da elementi specifici nell’atmosfera del Sole. I limiti visuali dello spettro del Sole vanno grosso modo dalle linee H e K del calcio a 393,4 e 396,8 nm (un nm è pari a 10-9 m), nel violetto, alla riga H-alfa dell’idrogeno a 656,3 nm, nel rosso. Un qualsiasi spettroscopio che voglia essere utile deve essere in grado di registrare dettagli in questo range.
Lo spettroscopio della SBIG Senza dubbio lo strumento più interessante in questo campo è lo spettrografo della SBIG (Figura 14.1). Questo spettrografo è progettato esclusivamente per essere usato con le camere CCD con autoguida ST7 e ST8, e con i chip moderni è 3 magnitudini più 213
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Figura 14.1. Lo spettrografo con autoguida della SBIG collegato a una camera CCD SBIG ST7. La luce passa da A (interfaccia del telescopio) attraverso una fenditura a B (specchio), a C (specchio collimatore), a D (reticolo). Lo spettro prodotto è poi diretto sulla seconda metà dello specchio collimatore (E) che lo focalizza nella camera CCD (G) per mezzo di un altro specchio (F). Foto: cortesia Maurice Gavin.
sensibile delle migliori pellicole fotografiche; da qui si capisce come un moderno SCT di 30 cm con un CCD possa eguagliare le performance di uno strumento di 1 m che utilizzi la pellicola. C’è un’eccezione nell’ultravioletto vicino, dove la pellicola può rivaleggiare con le performance dei vecchi CCD, ma ora si usano CCD di ultima generazione per le riprese della parte blu dello spettro. Probabilmente è ugualmente importante il fatto che i risultati del CCD possano essere analizzati appena termina l’esposizione; non c’è la noia delle fasi di sviluppo, fissaggio e asciugatura. Ma che scienza si può fare con uno strumento come lo spettrografo della SBIG? Il dépliant promozionale della SBIG riporta un rapporto segnale/rumore di 10:1 per una stella di magnitudine +9 con un’esposizione di 20 minuti usando un CCD ST-7 di tipo NAGB e un telescopio di 25 cm di apertura nella modalità ad alta risoluzione spettrale (circa 0,24 nm). La modalità a bassa risoluzione spettrale (al più 1 nm) raggiungerà lo stesso rapporto segnale/rumore con una stella di magnitudine +10,5 usando la fenditura opzionale della SBIG. In pratica, queste specifiche ci dicono che lo spettro di galassie luminose (per esempio le galassie di Messier) riprese con una SBIG possono mostrare facilmente il redshift causato dall’espansione dell’Universo quando si confrontano con gli spettri delle stelle vicine.
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Probabilmente, il migliore utilizzo di questo strumento in mani amatoriali è per il monitoraggio degli spettri delle novae, che di solito vengono scoperte a una magnitudine di +10 o inferiore. È anche possibile determinare il tipo spettrale di una supernova luminosa anche se, perfino se si usa il CCD, sono necessarie lunghe esposizioni e telescopi amatoriali di grande diametro. In teoria, un telescopio amatoriale grande (0,4-0,5 m) dovrebbe essere in grado di riprendere spettri utilizzabili di una supernova di magnitudine +15 con un’esposizione di 1 ora; il rapporto segnale/rumore sarebbe scarso, ma abbastanza buono per distinguere una supernova di tipo I da una di tipo II. Tuttavia, da quanto ne so al momento in cui scrivo, nessun astrofilo riprende regolarmente spettri di supernovae.
Obiettivi spettroscopici per gli astrofili In Inghilterra, Maurice Gavin è il pioniere della spettroscopia CCD. Per molti anni ha ripreso numerosi spettri di stelle variabili inusuali e novae usando un Meade LX200 di 30 cm e uno spettroscopio autocostruito. Per alcune supernovae luminose (magnitudine +12 o +13), Maurice ha tentato di determinare il tipo spettrale.
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2 Figura 14.2. Spettro della supernova 1999 by in NGC 2841 ripreso da Maurice Gavin. Esposizione di 4 minuti per l’immagine convenzionale e 15 minuti per lo spettro attraverso uno spettrografo autocostruito. SCT LX200 di 0,3 m. La riga di assorbimento del silicio ionizzato (SiII) a 612 nm è chiaramente visibile e identifica la supernova come di tipo Ia. Foto: cortesia Maurice Gavin.
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Sill 612 nm
4 1) Posa 4m; identificazione della SN; 2) piazzare il reticolo di trasmisione prima del CCD per prendere lo spettro; posa 15m; 3) isolare e distendere lo spettro con PaintShopPro; 4) convertire lo spettro della SN in un grafico; 5) identificare la riga del Sill (612 nm) in assorbimento, tipica delle SN Ia.
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L’astrofilo moderno
La Figura 14.2 mostra una sua esposizione di 15 minuti, fatta con uno spettrografo autocostruito, della supernova 1999by in NGC 2841. Le righe di assorbimento del silicio II a 612 nm sono chiaramente visibili e questo identifica la supernova come di tipo Ia, un risultato notevole. Maurice ha anche ripreso gli spettri di numerose novae. Un esempio di una di queste immagini è mostrato in Figura 14.3, ed è della nova Cygni 2001 n. 2. È chiaramente visibile la riga H-alfa in emissione, caratteristica delle novae. Negli anni ’80, l’astrofilo inglese Gerald North usava il riflettore Coudè di 0,76 m del Royal Greenwich Observatory (RGO) a Herstmonceux (Inghilterra) per riprendere numerosi spettri della Luna, come parte della caccia ai Transient Lunar Phenomena (TLP: occasionali scintillii di colore e oscuramenti della superficie lunare). Uno degli obiettivi di Gerald era di emulare lo spettro ottenuto dal russo Nikolai Kozyrev il 3 novembre 1958 usando il riflettore d 1,58 m della Crimea. Quello spettro presumibilmente mostrava la possibile emissione di molecole di vapori di anidride carbonica da parte del picco del cratere Alphonsus in un “processo di tipo vulcanico”. Questa fu un’osservazione altamente controversa e, ad essere sinceri, scartata da molti professionisti come “ridicola”. Tuttavia, il fare conta più delle parole e Gerald era determinato ad ottenere quanti più spettri della superficie lunare possibili nei momenti in cui gli osservatori visuali segnalavano un TLP. Purtroppo, questo lavoro non è più portato avanti, perché l’RGO non esiste più e nessuno ha sostituito Gerald nel suo ruolo. Tuttavia, una moderna camera CCD e uno spettroscopio su un riflettore di 30 cm potrebbero proseguire il lavoro di Gerald con tempi di esposizione di soli pochi minuti. È bello pensare che un giorno qualcun altro lavorerà ancora in questo campo.
Figura 14.3. Immagine CCD e spettrogramma della nova Cygni 2001 n. 2 presa da Maurice Gavin il 20 agosto 2001. È chiaramente visibile la riga di emissione dell’H-alfa caratteristica delle novae. SCT LX200 di 0,3 m e spettrografo autocostruito. Foto: cortesia Maurice Gavin.
Spettroscopisti amatoriali
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Come funziona uno spettroscopio Bene, ora che abbiamo stimolato l’appetito dei lettori per la spettroscopia, ecco la parte tecnica. I componenti di base di uno spettrografo a prisma singolo sono mostrati nella Figura 14.4. Essenzialmente, lo scopo è quello di raccogliere quanta più luce è possibile dalla stella osservata (e non da qualche altra!), scomporre la luce della stella in uno spettro e focalizzarlo. Se si esamina un singolo fascio di luce da una sorgente intensa e puntiforme (o quasi), tutto ciò di cui avete bisogno è una fenditura in una tendina e un prisma. Ma per la spettroscopia astronomica con un telescopio avete bisogno di rendere parallelo il fascio di luce che proviene dalla stella prima che passi nel prisma e poi usare una lente per focalizzare la parte rossa dello spettro su un lato del chip CCD e la parte blu sull’altro. Questo è il modo più semplice ed efficiente per catturare lo spettro. Muovendoci da sinistra verso destra nella figura, la prima cosa che si incontra è la fenditura. In un telescopio normale questa è posta dove l’oculare sarebbe a fuoco o dove si metterebbe il CCD – cioè sul piano focale, dove si viene a formare l’immagine. Lo scopo della fenditura è di ridurre il rumore di fondo dal resto del cielo e di ridurre la sovrapposizione fra lunghezze d’onda vicine. Più sottile la fenditura, migliore è la risoluzione dello spettro, ma se la fenditura è più sottile del diametro della stella sul piano focale, allora una parte della luce sarà persa. Il collimatore è semplicemente una lente progettata per garantire che i raggi di luce che entrano nel prisma siano paralleli. Una volta che il fascio di luce parallelo è stato scomposto in uno spettro dal prisma, la lente del mini telescopio dello spettrografo – la lente d’immagine – focalizzerà la luce rossa verso un lato del CCD e la luce blu verso l’altro; in questo modo, lo spettro viene steso sul chip CCD. Questa è solo la versione di base. In pratica, ci possono essere molte varianti. Per esempio, il prisma può essere sostituito da un reticolo di diffrazione, che disperde la luce in modo simile. Sto trascurando i dettagli per cercare di mantenere le cose semplici. Altri problemi riguardano quanto si può risolvere lo spettro, che lunghezza focale dovrebbe avere la lente del telescopio dello spettrografo e come si adatta lo spettro alla lunghezza del CCD. Con i tipici prismi e reticoli disponibili per gli astrofili, il centro dello spettro visuale può essere risolto fino a 0,1 nm. Ma gli stessi prismi e reticoli di solito disper-
Fenditura di entrata
Collimatore Elemento per la formazione dell’immagine Luce rossa
Figura 14.4. Le componenti di base di uno spettrografo. Disegno: cortesia Chris Kitchin..
Luce del telescopio Prisma (o reticolo di diffrazione)
Spettro Luce blu
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L’astrofilo moderno
dono lo spettro in modo tale che 0,1 nm dello spettro sottendono un angolo di soli 2 secondi d’arco. Questo significa che la lente per la formazione dell’immagine dello spettrografo dovrebbe avere una lunghezza focale di 1 m per catturare 0,1 nm con un pixel del CCD di 10 micrometri. Tuttavia, a questa scala, 500 pixel della matrice del CCD cattureranno solo 50 nm dello spettro visibile, da confrontare con l’intero spettro visibile che corre tra 400 e 700 nm, cioè ha un’estensione di 300 nm. L’unità della SBIG permette la scelta fra due tipi diversi di reticoli di diffrazione, che danno 0,1 nm per pixel e 0,43 nm per pixel. Ma ha anche un ingegnoso specchio doppio concavo che agisce sia come collimatore che come lente di immagine e fa sì che le dimensioni dell’unità restino compatte. Tuttavia, l’autocostruttore di uno spettrografo che voglia tenere la lunghezza focale della lente d’immagine breve potrà mantenere il sistema compatto fissando la risoluzione ad alcuni decimi di nm per pixel e usando un CCD con pixel piccoli. È importante non confondere la risoluzione spettrale con la dispersione. Diamo ancora un’occhiata allo spettroscopio della SBIG per chiarire la questione. L’unità della SBIG, come tutti gli spettroscopi, ha una risoluzione spettrale che è determinata dalle performance del reticolo di diffrazione, ma questa può essere compromessa se la fenditura viene allargata (per ridurre il tempo di esposizione) oppure dalle carenze strumentali. Per catturare la risoluzione sul CCD, la dispersione e la lunghezza focale della lente/specchio per l’immagine deve dare una scala “nm/pixel” sufficientemente piccola. L’unità della SBIG permette di scegliere fra due reticoli di diffrazione di 150 e 600 linee per mm con la corrispondente risoluzione di 1 e 0,24 nm con la fenditura a 18 micrometri (18 micrometri = 2 secondi d’arco con 2 m di lunghezza focale). Con la fenditura più ampia, a 72 micrometri, i reticoli a 150 e 600 linee forniscono una risoluzione di 3,8 e 1 nm. La dispersione di questi reticoli, combinata con la lunghezza focale della lente/specchio d’immagine, fornisce una scala dell’immagine di 0,43 nm per pixel con il reticolo di 150 linee, e 0,1 nm per pixel con il reticolo a 600 linee. La scala dell’immagine è sempre di una risoluzione più fine della risoluzione spettrale per garantire che tutta la risoluzione disponibile con lo strumento venga catturata dal CCD. Raramente sono disponibili dei buoni reticoli/prismi per venire incontro alle esigenze degli autocostruttori di spettroscopi; idem per le lenti per la collimazione e la formazione dell’immagine. Spesso si tratta di acquistare componenti economici e di metterli insieme per vedere che cosa succede! È raro che gli spettrografi amatoriali siano costruiti con precisione. Fortunatamente, reticoli di diffrazione con 600 linee/mm possono essere acquistati per poche decine di euro e una fenditura regolabile può essere fatta con due lamette da barba. Per la lente collimatrice e d’immagine si possono usare quelle di una fotocamera usata; il CCD è il componente più costoso. Con un reticolo di diffrazione, la dispersione è maggiore rispetto a quella di un prisma singolo (i vecchi spettroscopi spesso usavano diversi prismi in sequenza) ma producono due insiemi di spettri, ciascuno con diversi “ordini” di spettri (vedi Figura 14.5). La maggior parte della luce va nello spettro di “ordine zero” (che rappresenta l’immagine in luce bianca della sorgente), ma non tutta, di modo che gli spettri non sono così luminosi come quelli fatti con un prisma. Tuttavia, se il reticolo è del tipo “blazed” (lo sono più spesso i reticoli a riflessione), le linee sulla superficie del reticolo sono inclinate di un angolo tale da mandare la maggior parte della luce nello spettro. Per avere un vantaggio da questa cosa, il reticolo deve essere posizionato accuratamente per dirigere lo spettro più luminoso verso il rivelatore. Un altro problema è come tenere il telescopio di guida in modo tale da garantire che la stella che deve essere analizzata sia mantenuta fissa sulla fenditura. Un modo è
Spettroscopisti amatoriali
219 Secondo ordine
Primo ordine
Ordine zero Primo ordine Secondo ordine
Spettro
Figura 14.5. La produzione di uno spettro multiplo ai diversi ordini usando un reticolo di diffrazione.
Reticolo di diffrazione a trasmissione
Luce incidente
Disegno: cortesia Chris Kitchin.
di focalizzare un oculare di guida o un telescopio sulla superficie esterna della fenditura; questa fenditura, se altamente levigata, mostrerà facilmente le propaggini esterne del disco stellare. È effettivamente vantaggioso fare oscillare la stella in ascensione retta avanti e indietro sulla lunghezza della fenditura perché questo produce l’altezza dello spettro. Con un inseguimento perfetto, lo spettro sarebbe una linea sottile e molto difficile da analizzare. La fenditura dell’unità commerciale della SBIG è formata da due metà di uno specchio piano che riflette l’immagine nel piano focale per il CCD di guida. Quindi, mentre il CCD principale raccoglie lo spettro, il CCD di guida mostra il campo, con una linea scura (o bianca se ad illuminazione posteriore) che indica la posizione della fenditura; probabilmente il massimo dei lussi per uno spettroscopio! Pochi astrofili saranno in grado di spendere la cifra necessaria per lo spettroscopio della SBIG ma, fortunatamente, le componenti di base di uno spettrografo sono tutte facilmente disponibili. Tutto quello che è necessario è qualche abilità ingegneristica, Asse ottico del telescopio
Fenditura opzionale Obiettivo focalizzato all’infinito sul CCD Reticolo posto verticalmente
Figura 14.6. Schema dello spettrografo Littrow di Maurice Gavin. Disegno: cortesia Maurice Gavin.
Adattatore fra l’oculare e il telescopio
Prisma di abbattimento
Asse ottico della lente/reticolo
Anello di accoppiamento fra la lente e il CCD
CCD spostato sotto l’asse della lente/reticolo
L’astrofilo moderno
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molta sperimentazione, e abbastanza pazienza per regolare lo strumento. In Figura 14.6 è mostrato lo spettrografo “Littrow” di Maurice Gavin. Il suo spettrografo ad alta risoluzione, collegato all’LX200, è mostrato invece in Figura 14.7. Se volete maggiori informazioni su come costruire uno spettrografo, Maurice sarà molto contento della vostra visita alle sue pagine Web, il cui indirizzo è riportato in Appendice. Spero che questo breve capitolo incoraggerà altri ad infoltire le schiere degli astrofili spettroscopisti, per ottenere gli spettri di stelle variabili inusuali, novae e supernovae luminose. Questa è vera scienza, fatta dal giardino sotto casa.
Spettrografo ad alta risoluzione di Gavin
Anello di accoppiamento Obiettivo focale 50-300mm fra il CCD e il telescopio [autocollimatore Littrow]
Righe del sodio in Aldebaran:
Sede del reticolo Reticolo con 1200 linee/mm
30 cm SCT con spettrografo di Gavin, 60s, dispersione di 0,025 nm/pixel
< blu
rosso >
589,0 nm
589,6nm
Figura 14.7. Lo spettrografo ad alta risoluzione di Maurice Gavin collegato al suo LX200 di 30 cm. Disegno: cortesia Maurice Gavin.
APPENDICE
URL di pagine Web utili e di venditori di strumentazione
Inseguimento di satelliti Per informazioni sul software C-Sat per l’inseguimento della ISS e di altri satelliti, vedi: http://www.skyshow.com Per informazioni sulla visibilità della Stazione Spaziale Internazionale e altri satelliti, vedi: http://www.heavens-above.com
Occultazioni di asteroidi In Europa, Ludek Vasta, della Repubblica Ceca, ha costituito la EAON (European Asteroid Occultation Network), sito a: http://sorry.vse.cz/~ludek/mp/2001 La lista degli eventi futuri è stata completata da Edwin Goffin e integrata con le finestre di osservazione raccomandate da Jan Manek. Il sito originale di Edwin Goffin e Jan Manek sulle occultazioni asteroidali con i file in postscript è disponibile via ftp all’indirizzo: ftp://ftp.ster.kuleuven.ac.be/dist/vvs/asteroids Il software per calcolare le tracce di occultazione degli asteroidi (Asteroid Pro) è disponibile in: http://www.anomalies.com/asteroid/info.html Il centro mondiale per le occultazioni di asteroidi, lo IOTA (International Occultation Timing Association) mantenuto da David Dunham, è a: http://www.anomalies.com/iotaweb/index.htm
221
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L’astrofilo moderno
Analisi di immagini di meteore Il sito Web della International Meteor Organization con il software Metrec di Sirko Molau è a: http://www.imo.net/video/metrec
Allineamento e somma di immagini Il software Astrostack di Robert J. Stekelenburg può essere trovato qui: http://www.astrostack.com
Gruppi di utilizzatori di webcam e telecamere di sorveglianza Il QCUIAG, Quik Cam and Unconventional Imaging Astronomy Group, di Steve Wainwright, è una miniera di informazioni sulla conversione di webcam e telecamere di sicurezza all’uso astronomico: http://www.astrabio.demon.co.uk/QCUIAG
Venditori di telecamere astronomiche sensibili e di sorveglianza All’AVA, Adirondack Video Astronomy, sono pionieri nella fornitura di equipaggiamento video per l’astronomia. Il loro indirizzo è 26 Graves Street, Glens Falls, NY 12801 USA. Hanno un sito Web all’indirizzo: http://www.astrovid.com Il distributore inglese dell’AVA è la True Technology Ltd, Wood Pecker Cottage, Red Lane, Aldermaston, Berks, RG7 4PA. Pagina Web: http://www.trutek-uk.com In Europa il modello della telecamera ad alta sensibilità CCTV 2006X è disponibile da RF Concepts, Unit B2, Dundonald Enterprise Park, Carrowreagh Road, Dundonald, BT16 1QT N, Irlanda. Pagina Web: http://www.rfconcepts.co.uk Negli USA, la camera ad elevata sensibilità Watec 902H è disponibile da Rock House Products International, 2 Low Avenue, Suite 205, Middletown, New York 10940. Pagina Web: http://rock2000.com La camera Supercircuits PC164C è disponibile da Supercircuits a One Supercircuits Plaza, Liberty Hill, Tx 78642. Pagina Web: http://www.supercircuits.com
Verifica delle sospette supernovae Il CBAT/Minor Planet Center (http://cfa-www.harvard.edu/cfa/ps/cbat.html) ha una pagina per la verifica delle sospette supernovae a http://scully.harvard.edu/~cgi/CheckSN.
URL di pagine Web utili e di venditori di strumentazione
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Questa facility Web vi dirà in pochi secondi se c’è un asteroide da qualche parte vicino alla galassia che avete scelto.
Deep-sky survey Per fotografie del cielo fino alla magnitudine +20, la pagina della Palomar DSS è a: http://stdatu.stsci.edu/dss
Rivista The Astronomer Il sito Web di The Astronomer è all’indirizzo http://www.theastronomer.org e il direttore, Guy Hurst, può essere contattato a
[email protected]
Link all’eccellenza nel deep-sky Kunihiko Okano (Giappone), inventore della DDP, ha una pagina Web in: http://www.asahi-net.or.jp/~rt6k-okn/index.html Il Kitt Peak Advanced Observing Program può essere trovato qui: http://www.noao.edu/outreach/aop La galleria di immagini della SBIG è qui: http://www.sbig.com/sbwhtmls/gallery.htm La galleria di immagini della RC Optical System è a: http://www.rcopticalsystem.com/gallery.html
Osservatori di stelle variabili Le pagine Web dell’American Association of Variable Star Observer (AAVSO) sono a: http://www.aavso.org La Sezione Stelle Variabili della British Astronomical Association è a: http://www.britastro.org Le pagine Web della Variable Star Network giapponese (VSNet) è a: http://www.kusastro.kyoto-u-ac.jp/vsnet/ Le pagine Web del Center for Backyard Astrophysics, CBA (per gli appassionati della fotometria CCD) sono a: http://cba.phys.columbia.edu
Link per l’astrometria dei NEO Le pagine Web degli incontri ravvicinati del MPC, che elencano gli oggetti che si avvicineranno alla Terra (non solo alla sua orbita) entro 0,05 UA nei prossimi 176 anni, sono a: http://cfa-www.harvard.edu/iau/lists/PHACloseApp.html
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Il software Astrometrica di Herbert Raab è disponibile all’indirizzo: http://www.bitnik.com/astrometrica/index.html Il catalogo USNO A2.0 è disponibile su Internet. Ulteriori dettagli si trovano qui: http://tdc-www.harvard.edu/software/catalogs/ua2.html Il Minor Planet Center mantiene una NEO Confirmation Page per gli oggetti in rapido movimento appena scoperti a: http://cfa-www.harvard.edu/iau/NEO/ToConfirm.html La pagina precedente viene aggiornata di frequente (spesso diverse volte al giorno). Se gli oggetti che vi sono elencati sono troppo deboli per il vostro sistema c’è un’altra pagina chiamata Dates of Observations of NEOs not Seen Recently all’indirizzo: http://cfa-www.harvard.edu/iau/NEO/LastObsNEO.html Questa contiene altri oggetti che necessitano dell’astrometria. Il sito del “NEODys”, Near-Earth Objects Dynamics site, creato dall’Università di Pisa, ha molti dati utili sui PHA più pericolosi all’indirizzo: http://newton.dm.unipi.it/cgi-bin/neodys/neoibo
Comete SOHO Per accedere alle immagini SOHO-LASCO e cercare le comete SOHO bisogna andare a: http://sohowww.nascom.nasa.gov/data/realtime-images.html oppure http://lasco-www.nrl.navy.mil/lasco.html e seguire i link da lì. C’è anche una pagina sulle sungrazer SOHO-LASCO: http://sungrazer.nascom.nasa.gov/ Michael Oates usa il software ACDSee per confrontare le immagini. Il software è qui: http://www.acdsystem.com
Spettroscopia Le pagine di Maurice Gavin sulla spettroscopia amatoriale sono a: http://www.astroman.fsnet.co.uk/begin.html
I maggiori costruttori di telescopi Meade: http://www.meade.com Distributore inglese BC&F: http://www.telescopehouse.co.uk Celestron: http://www.celestron.com Distributore inglese David Hinds: http://www.dhinds.co.uk Software Bisque (Software e la Paramount ME) http://www.bisque.com Astrophysics (la montatura AP1200GTO e i rifrattori apocromatici) http://www.astro-physics.com
URL di pagine Web utili e di venditori di strumentazione
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Takahashi True Technology (UK) http://www.trutek.com Texas Nautical (USA) http://www.takahashiamerica.com RC Optical System (RCOS) http://www.rcopticalsystem.com Optical Guidance System http://www.opticalguidancesystem.com Jims Mobile Inc. (focheggiatori e accessori) http://www.jimsmobile.com TeleVue (oculari e piccoli rifrattori apocromatici) http://www.televue.com
Costruttori di CCD SBIG http://www.sbig.com Starlight Xpress http://www.starlight-xpress.co.uk APOGEE http://www.ccc.com FLI http://www.fli-cam.com Audine (camera CCD francese sotto forma di kit di montaggio) http://www.astrosurf.com/audine/English/index en.html Rockingham Instruments http://www.rockinghaminstruments.com
Software Software Bisque (CCDSoft, The Sky, Orchestrate e Tpoint) http://www.bisque.com Maxim (Maxim DL/CCD) http://www.cyanogen.com AIP (The Handbook of Astronomical Image Processing) Il libro di Richard Berry e il CD di AIP possono essere ordinati alla Willman Bell. Pubblicato nel 2000, ISBN 0-943396-67-0 http://www.willbell.com AstroArt http://www.msb-astroart.com Project Pluto (Guide 8.0) http://www.projectpluto.com SkyMap Pro 8 http://www.skymap.co
Indice
AAVSO, 187, 188, 191, 196, 223 Aberrazione cromatica, 9 Acromatico, 9 Adams, Douglas, 1 Adattamento al buio, 7 Adattiva, ottica, 39, 88, 89, 91, 93, 95, 104, 121, 171, 174, 183 Adirondack, 64, 66, 67, 222 Adobe Photoshop, 134, 152, 172 Aldrin, Buzz, 1 Alphonsus, cratere, 216 Altazimutale, 9, 19, 21, 22, 26, 30, 34, 49 Amburger, Leonard, 202 Amor, asteroidi, 200, 201, 204 Apocromatico, 9, 53, 225 Apogee Instruments, 105-107, 225 Apollo, asteroidi, 200, 201, 202, 203, 204 Arbour, Ron, vii, 160, 161, 164, 165 Armstrong, Mark, vii, 92, 115, 160166, 198 Armstrong, Neil, 1 Astrometrica, 204, 224 Astronomer, The, 160, 187, 188, 196, 197, 206, 210, 223 Astronomical Image Processing (AIP), 64, 99, 112, 113, 116-122, 150, 170, 188, 190, 225 Astrophysics, 52, 53, 93, 94, 180, 206, 223, 224 Aten, asteroidi, 200, 201, 204 Autoguida, 34, 38, 39, 43, 65, 75, 86-91, 95-97, 101, 104, 108, 125, 183, 197, 212, 214 Ball, Leslie, v Barlow, lente di, 88, 102, 126, 128, 129, 131, 146 Benson, Premio, 201-203 Berrevoets, Cor, 126-127 Berry, Richard, 64, 99, 112, 113, 116, 117, 121, 147, 188, 225 Biesecker, Doug, 208 Binzel, Richard P., 200 Blazed, reticolo, 218 Block, Adam, 174, 181
Boles, Tom, vii, 92, 115, 160, 163, 166, 198 Boschat, Michael, 208, 209 British Astronomical Association, BBA, 67, 187, 192, 223 Broadhurst, Clarkson & Fuller (BC&F), 225 Brown, Mike, vii, 100, 102 Buczynski, Denis, vii 10, 11 Camera – CCD raffreddato, 56, 72, 76 85110, 150 Campo, reale e apparente, 16, 17 Campo, rotazione di, 49, 170 Canon Digital SLR, 56, 57 Capanno scorrevole, vedi Osservatori Cassegrain, 2 11, 12-15, 19, 21, 22, 24, 33, 34, 41-43, 45, 51, 67, 82, 83, 87, 88, 92-94, 104, 125, 128, 129, 131, 136, 137, 143, 144, 153, 170, 174, 177, 178, 181 Catadiottrico/i, 11-14 CCD a scansione progressiva, 86, 97 CCD a trasferimento di frame, 86, 98 CCD Interlinea, 86, 94, 97, 98, 101, 128 Celestron International, vii, 13-15, 17, 33, 37, 39-46, 48, 51-53, 62, 225 Cerchi di puntamento, 21, 28, 33, 44, 153 Cidadao, Antonio, 126 Circumpolare, 28, 29 Collimazione, 9, 15, 41, 134, 137142, 218 Coma, 9, 14, 15, 176, 177, 181 Coronografo LASCO, 207-209, 211, 224 Correzione Errore Periodico (PEC), 34, 38, 39 43, 51,153 Cupola, problemi dell’Osservatorio, 135, 158
Cyanogen Production, 106, 120, 225 Dall, Horace, 144 Dall-Kirkham, 11, 144 Dantowitz, Ron, vii, 82 Dark frame, 56, 98, 112, 116, 125, 170, 175, 190 Dawes, limite di, 6,133 Deep-sky, 169-184, 223 Diffrazione, 6, 13, 15, 23, 133, 138141, 143, 170, 217-219 Digital Development Processing (DDP), 114, 117-120, 173, 174, 223 Discovery Channel, 1 Dobson, John, 21 Dobsoniano, 21-26, 185, 186 Downes e Shara, 188 Eclisse solare, 64, 68, 69, 207 Eclisse, equipaggiamento, 68-69 Edgard Wilson, premio, 208-209 Ehrhorn, Brad (telescopi RC), 50, 180-182 Elliot, Andrew, vii, 67, 75 Emery, Ray, vii, 38, 62, 63, 70, 71 ETX, Meade, 15, 22, 34-41, 43, 46, 47 Evans, Nigel, vii, 29, 30 Evans, Robert, 153, 164 Evans, Steve, 81 Fastar (Celestron f/2), 45, 95 Faworski, Sheldon, vii, 130 Ferrando, Rafael, 202 Filippenko, Alex, 156-157 Filtri fotometrici, 189, 190-191 Filtri planetari, 129, 146, 147, 149, 151 Filtro di contrasto (vedi DDP), 173, 174 Filtro visuale, 66, 190 Finger Lakes Instruments, vii, 108, 109 Focheggiatura, 113, 134, 143-145, 170, 171, 182
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L’astrofilo moderno
228 Focheggiatore, 10, 102, 109, 113, 143-146, 171, 183 Fotometria Kron-Cousin, 190 Fotometria, CCD, 187-194, 223 Galassie, trio di, 167 Gamma-Ray Burst, cacciatori di, 185, 194-198 Gavin, Maurice, vii, 214-216, 219220, 224 Giove, immagini di, 128-133 Grafton, Ed, vii, 126, 130, 148 Guida, 39, 43, 65, 75, 76, 86-91, 9597, 101, 102, 104, 108, 125, 171, 183-184, 197, 213 Guide 8.0, software, 28, 122, 225 Hale-Bopp, 211 Hellier, Coel, 185 Herschel-Rigollet, 211 Hoenig, Sebastian, 211 Holland, Karen, vii, 192, 193 Hubble Guide Star Catalogue, 112, 116, 122, 189, 199 Hurst, Guy, vii, 160, 197, 223 Hyakutake, 211 Ikeya-Zhang, 202, 210, 211 Image Processing – Profondo cielo (Deep-Sky), 111121, 169, 171- 174, 183, 184, 223 – Pianeti, 111-121, 129-134, 141, 142, 146-152 Imaging planetario, 95, 125-152, 170 Immagini, comparatore di, 116 Ingrandimento, 5-7, 15, 16, 43, 47, 60, 61, 63, 132, 138 Inquinamento luminoso, 99, 105, 169 Intensificatore d’immagine, 78-81 James, Nick, vii, 11, 142, 192-194, 198 JMI (Jim Mobile Inc.), 143 -145, 171, 225 Johnson, Thomas, 13 Katzman Automatic Imaging Telescope (KAIT), 156, 157 Kitt Peak, 174, 175, 181, 223 Kobayashi, 203 Kozyrev, Nikolai, 216 Kracht, Rainer, 208 Larson-Sekanina, filtro di, 114, 121 Laser, collimatore, 137 Laurie, Stephen, 52, 161, 206 Leeds Astronomical Society, 38
Legault, Thierry, 126 Lente collimatrice, 218 Lente Fish-eye, 57, 59 Leprette, Xavier, 208 Li, Weidong, vii, 157 Lick Observatory, 156, 157 LINEAR, telescopio, 199-201, 204, 207, 210, 211 LONEOS, 199, 210 LOSS, 156 LOTOSS, 157-159 LRGB, tecnica, 114, 116, 121, 146, 150, 172, 173 Lucy Richardson, deconvoluzione di, 114, 116, 121 Lunghezza focale, 5, 15-17, 22, 34, 37, 56, 57, 87-89, 91-94, 98, 100, 107, 126, 143, 157, 217, 218, LX200, Meade, 13, 15, 20, 21, 28, 34, 38-44, 46, 48-50, 53, 59, 71, 82, 89, 91, 93, 94, 100, 105, 115, 118, 119, 122, 129, 131, 146, 153, 161, 162, 164-166, 174-180, 183, 185-187, 193, 195-198, 205, 206, 211, 215, 216, 220 Magnitudine limite, 7, 56, 155, 160, 169, 172, 180, 191, 202 Maksutov, 11, 14-15 Manek, Jan, vii, 73, 74, 77, 221 Mappe stellari, 25, 116, 122 Marte, immagini di, 147, 148 Massima Entropia, deconvoluzione, 114, 120, 121 Maxim DL, 99, 102, 104, 106, 113, 117, 120, 121, 170, 173, 208, 225 McGee, Hazel, vii, 57, 59, 186, 187 Meade Instruments Corporations, vii, 13, 21-23, 28, 34, 51, 224 Meyer, Maik, 208 Montatura Vixen Sphinx, 53 Montature – Altazimutale, 9, 19, 21, 26, 34, 49 – Equatoriale, 19, 22, 26, 45 Moore, Patrick, v Near Earth Object (NEO), 199-206, 224 NEAT, telescopio, 199, 201, 204, 207, 210, 211 NEO, astrometria dei, 204-206, 223 NEODys, 205, 224 Newton a lungo fuoco, 23 Newtoniano, 9-10, 21-23, 37, 46, 47, 87, 102, 126, 127, 135, 137, 138, 146, 153, 161, 170, 184, 192, 202 Nexstar, Celestron, 35, 37, 38, 4046 Ng, Eric, 126, 128
North, Gerald, 216 Nova, sorveglianza, 57-59 Oates, Michael, vii, 207-209 Occultazioni – Asteroidali, 73-77 – Lunari radenti, 64, 69-70 – Planetarie, 64, 70-72 Oculari, 5, 15-17, 60 Oksanen, Arto, vii, 183, 195-197 Ondrejov Observatory, 203 Orchestrate, software, 115, 225 Orion Optics (Inghilterra), 15 Osservatori – Balcone/tetto, 126, 127, 129, 131 – Tetto scorrevole, 130, 164 – Capanna/casotto scorrevole, 13, 20-21 Paintshop Pro, 152 Paramount GT 1100 51, 115, 154, 161-163 Paramount ME, 48, 49-53, 82, 92, 101, 115, 170, 175, 181, 202, 204, 224 Parker, Don, vii, 126, 127, 144, 146, 147 Peach, Damian, vii, 21, 22, 126129, 131, 132, 137, 139, 146, 147, 149, 152 Peltier, raffreddamento, 97 Petriew, cometa, 210 Pisa, Università di, 205, 224 Pixel (analogia con i secchi), 85 Platt, Terry, vii, 96, 100, 101, 103105 Potentially Hazardous Asteroid (PHA), 199-201, 204, 205, 223, 224 Poyner, Gary, vii, 21, 185-187 Project Pluto, 28, 122, 225 Puckett, Tim, vii, 95, 155, 156, 163 Pulizia ottiche, 135-136 Pupilla d’uscita, 6-7, 15, 16, 60 Questar, 15, 42 Raab, Herbert, 204, 224 Registax, 127 Reticolo di diffrazione, 217-219 Ricampionamento, 97, 98, 100, 134, 147, 149, 150, 151 Riduttore di focale, 34, 71, 87, 88, 93, 94, 165, 174, 206 Riflettori, Newton, 9-10, 21, 23, 37, 46, 47, 87, 102, 126, 127, 135, 137, 138, 146, 170, 176 Rifrattori, 9, 35-37, 45, 52, 63, 76, 91, 224, 225
Indice Ritchey-Chretien, 50, 94, 155-158, 174-183 Robinson, Hedley, v Rogers, Gordon, vii, 48, 49, 174-180 Rotazione planetaria, 128, 132, 133, 147 Sanchez, Jesus, 126 Santa Barbara Instruments Group (SBIG), prodotti CCD – AO7, ottica adattiva, 39, 88, 89, 91, 93, 95, 104, 121, 171, 174, 183, 197 – ST-7XE, 89, 94, 95, 108, 110 – ST-8XE, 89, 91, 95 – ST-9XE, 89-94, 107, 129 – ST-10XE, 89, 91, 92 – ST-1001E, 95, 107 – ST-2000XM, 89, 94, 95 – Spettroscopio, 213-217, 219 – STV, 67, 75, 76, 95 Saturno, immagini di, 133, 148, 149 Scala dell’immagine, 89, 91, 92, 94, 107, 126, 133, 134, 146, 150, 157, 165, 167, 174, 218 Scala Torino, 200 Schmidt-Cassegrain, 2, 11-15, 19, 21, 22, 24, 33, 34, 41, 43, 45, 51, 67, 82, 87, 88, 92, 93, 94, 125, 128, 129, 131, 136, 137, 143, 144, 153, 170, 174, 177, 178, 181 Schwartz, Michael, 51, 92, 154, 155, 157-159, 163, 171 Sciami di meteore, 39, 64, 77, 80, 200 Sciullo, Maurizio, 126
229 Secondi d’arco per pixel, 87-89, 91, 93, 94, 98, 100, 126, 128, 129, 130, 131, 133-134, 146, 148-150, 157, 165, 174, 190, 206 Seeing, atmosfera, 63-65, 87-89, 91, 92, 100, 102, 126-129, 133-135, 137, 139, 143, 146, 147, 150-152, 167, 171, 174, 177, 190 Sfera Celeste, 25-27, 69 Snyder-Murakami, cometa, 210, 211 Software Bisque, 28, 48-51, 82, 106, 115-116, 120, 122, 129, 150, 181, 224 Software, image processing, 111122 SOHO, comete, 207-209 Somma di immagini, 120, 121, 145, 150, 145-147, 149-150, 151 Spahr, Timothy, 211 Spettroscopia, 213-220, 224 Spettroscopio, SBIG, 213-215, 219 Sphinx, Vixen, 53 Starlight Xpress, CCD, 59, 86, 94, 96-105, 108, 120, 121, 126 Starlight Xpress, modelli – HX516, 98, 100-102, 126 – HX916, 98, 100, 101, 103 – MX516, 98 – MX5C, 98, 104 – MX7C, 98, 105 – MX716, 98, 101, 103 – MX916, 98-99, 101 – SXV-H9, 98 Stazione Spaziale Internazionale (ISS), 82, 83 Stelle Variabili, fotometria delle, 188-194 STV, SBIG, 67, 75, 76, 95
Supernovae, cacciatori di, 152, 154-167, 171, 188, 202, 206, 215, 216, 220, 222 Takahashi, Temma, 52 Telecamere di sorveglianza, 64, 65, 66, 72, 80, 222 TeleVue, 15-17 Tetto scorrevole, vedi Osservatori The Sky (software planetario), 28, 115, 116, 122, 129, 159, 225 ToUcam Pro, webcam, 96, 97, 125, 126, 128, 149 Transient Lunar Phenomena (TLP), 216 Tucker, Roy, 201-203 UBVRI, fotometria, 190 Umidità, prevenzione, 97, 100, 135, 136 Unsharp mask, 114, 116, 121, 142, 149, 151, 173 US Naval Observatory, 190 Utsunomiya-Jones, cometa, 210, 211 Variabili cataclismiche, 185-195 Video astronomia, 55, 64-83 Videocamera, 64, 66-71, 75, 76, 79, 81, 82 VSNet, 187, 223 Webcam, 64, 65, 86, 95, 97, 126, 127, 128, 149, 150, 151, 222 Wei Leong Tan, 126 Young, James, 83 Yu Yeung William Kwong, 211