ERIK LONGO, Le relazioni giuridiche nel sistema dei diritti sociali. Profili teorici e prassi costituzionali.
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ERIK LONGO, Le relazioni giuridiche nel sistema dei diritti sociali. Profili teorici e prassi costituzionali.
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Frontespizio
IV
(copyright)
INDICE – SOMMARIO
INTRODUZIONE.............................................................................
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IX
CAPITOLO I INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI DIRITTI SOCIALI 1. Premessa................................................................................. 2. I diritti sociali nel percorso costituzionale italiano................ 2.1 L’elaborazione dottrinale dei diritti sociali negli anni ’50....................................................................... .................... 2.2 Segue: la dottrina successiva........................................ .... 2.3 L’apporto della giurisprudenza costituzionale.................. 3. Il significato attuale dei diritti sociali e la categoria dei doveri di solidarietà..................................................................... 4. Dal soggetto astratto alla persona............................................ 5. I diritti sociali e le relazioni giuridiche costituzionali............
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CAPITOLO II I TESTI 1. Premessa.................................................... ............................ 1.1. Il valore dell’esame del testo scritto per la conoscenza dei diritti.................................................................................. 1.2 Il percorso storico di protezione dei diritti........................ 1.3 La tutela dei bisogni sociali attraverso i diritti.................. 2. Valore e disvalore dei testi.......................................... ............ 3. La Costituzione italiana.......................................................... 3.1 L’inserimento diritti sociali all’interno della Costituzione italiana..................................................................................... 3.2 Il dibattito sull’inserimento dei diritti sociali in Assemblea Costituente.......................................................... 3.3 I diritti sociali nel Titolo II, Parte Prima, della Costituzione................................................. ........................... 3.4 Segue: i diritti sociali nel Titolo III, Parte Prima, della Costituzione...................................... ...................................... 3.5 Una visione unitaria dei diritti sociali............................... 3.6 I diritti sociali nella Seconda Parte della Costituzione italiana.......................... .......................................................... 4. L’inserimento dei diritti sociali all’interno delle Carte internazionali............................................................................... 4.1 La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR)........................... ....................... 4.2 Segue: il protocollo opzionale..........................................
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Indice - Sommario
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5. I diritti sociali nella Carta sociale europea (ESC).................. 5.1 La ESC rivisitata.............................................................. 5.2 Struttura dei diritti previsti nella Carta............................. 5.3 Il protocollo contenente la procedura di reclamo.............. 5.4 Notazioni a margine della protezione internazionale dei diritti sociali............................................................... ............. 6. La protezione dei diritti sociali all’interno del diritto europeo 6.1 Decentralizzazione ed esternalizzazione della politica sui diritti............................................................. ........................... 6.2 Le disposizioni sull’Europa sociale nei Trattati originari e nelle loro successive revisioni.............................................. 6.3 I diritti sociali nella Carta di Nizza................................... 6.4 Il Trattato di Lisbona e la “decostituzionalizzazione” dell’Europa sociale.................................................................. 6.5 La protezione dei diritti sociali in Europa: cauto ottimismo o assoluto pessimismo?..........................................
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CAPITOLO III LE INTERPRETAZIONI 1. Premessa................................................. ................................ 2. La giurisprudenza della Corte costituzionale sui diritti sociali........................................................................................... 3. Relazioni tra persone e istituzioni incaricate della disciplina di determinati istituti previsti a garanzia dei diritti sociali.......... 3.1 Famiglia............................................................................. 3.2 Salute................................................................................. 3.3 Scuola.......................................................... ...................... 4. Relazioni tra persone e formazioni sociali.............................. 4.1 Famiglia..................................................... ....................... 4.2 Comunità scientifica.............................. ........................... 4.3 Scuola................................................................... ............. 4.4 Assistenza................................................... ....................... 5. Relazioni tra persone e istituzioni incaricate di erogare una determinata prestazione (rectius di rimuovere un ostacolo...) 5.1 Famiglia.................................. .......................................... 5.2 Salute............................. ................................................... 5.3 Scuola............................................................................... 5.4 Assistenza.......................................................................... 6. Relazioni tra soggetti privati posti in una condizione di disparità iniziale o di una parità da raggiungere........................ 6.1 Famiglia......................................................... .................. 6.2 Lavoro.................................................. .............................
Indice - Sommario 7. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea...................................................... ................................... 7.1 All’origine dell’approccio ai diritti sociali: le libertà di movimento e di residenza.............................. ........................... 7.2 Il diritto alle cure mediche.................................................. 7.3 Il diritto all’educazione....................................................... 7.4 La disciplina in materia di orario di lavoro......................... 7.5 Il bilanciamento tra libertà economiche e diritti sociali dei lavoratori nella giurisprudenza più recente............................... 8. La giurisprudenza della Corte EDU: implicazioni di natura sociale ed economica per i diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.................................... .................... 8.1 Il diritto alla salute........................................... ................... 8.2 Il diritto all’abitazione................................. ....................... 8.3 Il diritto ad ottenere sussidi pubblici e i diritti delle persone deboli.......................................................................... 8.4 Conclusioni sulla protezione dei diritti sociali nella giurisprudenza della Corte EDU.................................. ...........
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CAPITOLO IV IL FUTURO DEI DIRITTI SOCIALI: DA MERE PRESTAZIONI A “DIRITTI A RELAZIONI” 1. I diritti sociali come “diritti a relazioni”................................... 2. Criteri per un approccio relazionale ai diritti sociali................ 3. Il futuro dei diritti sociali..........................................................
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BIBLIOGRAFIA................................................................................
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INTRODUZIONE Negli studi costituzionalistici si può notare una tendenza sempre più diffusa a trattare i diritti sociali entro il quadro della dura crisi economica che molti paesi europei stanno vivendo da circa quattro anni. Può accadere che la visione di tale oggetto, nella troppo vasta cornice della crisi, risulti sfuocata, contribuendo addirittura a giustificare le critiche che fin dalla loro comparsa erano state mosse ai diritti sociali. Tali giudizi, talvolta necessari quando si tratta di non deviare in una logica astratta, spesso non aiutano a mettere in luce la natura di questi diritti poichè ripropongono l’idea che essi sono null’altro che la formalizzazione giuridica delle prestazioni sociali concesse dagli Stati ai cittadini. Con questo libro intendo spostare l’attenzione sul tema dei diritti sociali, passando dall’esame degli effetti delle decisioni statali sulle prestazioni pubbliche alla natura di tali diritti e agli strumenti giuridici per conoscerli. La prospettiva da cui muovo postula un ritorno all’originale visione dei diritti sociali. La dottrina fino ad ora li aveva rappresentati essenzialmente in due modi. Vi era chi aveva considerato questo fenomeno dal punto di vista delle norme e chi dal punto di vista dell’istituzione. Per i primi ciascun diritto sociale trova ragione in una norma di legge avente ad oggetto una prestazioni da parte delle istituzioni pubbliche nei confronti di determinate persone. Diversamente, per i secondi l’oggetto di ciascun diritto sociale è ridotto alla particolare realtà istituzionale che si prende cura di quel particolare interesse, non importa se con una prestazione o con un altra tipologia di attività. In questa ricostruzione proverò a far notare l’insufficienza delle spiegazioni che si basano sulle mere prestazioni o sulle mere risposte istituzionali. Per riconsiderare la giuridicità dei diritti sociali credo che occorra partire da un’indagine sull’esperienza giuridica a cui questi diritti si riferiscono. Prenderò in esame il contenuto di tale esperienza, cioè i singoli rapporti che si intrecciano tra i soggetti di diritto nei differenti or-
dinamenti, come essa emerge nell’attribuzione di una garanzia giuridica per determinate relazioni sociali. Il tema delle relazioni sociali si riferisce agli aspetti generali del fenomeno giuridico. Se il diritto non è che un aspetto formale della realtà sociale in perenne evoluzione storica, bisogna osservare che la stessa disciplina formale apprestata dal diritto alle relazioni soggettive è in funzione della composizione della società, cioè degli elementi che la costituiscono e che determinano il soddisfacimento dei bisogni espressi dai soggetti. Perciò, la sostanza di tali rapporti si ritrova analizzando il livello di soddisfazione di certi bisogni. All’interno di questo quadro, l’oggetto dei diritti sociali si confonde con l’oggetto delle relazioni, cioè con l’attitudine di queste ultime a soddisfare certi bisogni dei soggetti del rapporto. Il fatto della relazione non esclude di certo la norma, perchè quest’ultima è la veste giuridica e la “stilizzazione” del rapporto; la norma, infatti, vive sempre nei rapporti sociali concreti. La partenza dalla relazione, inoltre, non disconosce il ruolo delle istituzioni, poichè queste ultime altro non sono che rapporti “organizzati”. Due esempi sul punto potranno essere utili per aiutare alla comprensione. Il primo riguarda il tema dell’educazione. L’oggetto del diritto all’istruzione non è propriamente l’insegnamento, ma l’utilità sprigionata dall’incontro tra chi ha bisogno di imparare e chi educa. L’insegnamento rappresenta il contenuto materiale di quel diritto, che consiste in facoltà di godimento o di disposizione. Perciò, se l’oggetto del diritto è il punto di incontro – la relazione tra due posizioni di fatto –, esso coincide con l’oggetto del rapporto, cioè con una utilità su cui si appunta una relazione tra soggetti, e che l’insegnamento serve ad indentificare. Il secondo esempio riguarda il diritto alla salute. L’oggetto di questo diritto non è propriamente la cura, ma l’interazione tra la persona che ha bisogno di curare una malattia o di ristabilire una condizione di benessere e coloro che hanno la disponibilità e le conoscenze per usare gli strumenti e il sistema di servizi per servire lo scopo della persona. La cura, così come per l’insegnamento, rappresenta il contenuto materiale di quel diritto, che consiste nell’insieme di facoltà di godere e disporre di un bene o di un servizio. Anche in questo caso, l’oggetto del diritto è l’interazione tra molteplici posizioni di fatto (il malato, il dottore, il personale sanitario, ecc.) la quale coincide con l’oggetto delle relazioni, cioè con una utilità su cui si appunta
un rapporto tra soggetti e che il fenomeno cura serve ad indentificare nelle sue espressioni empiriche. Pur concentrando l’oggetto dell’analisi sul tema delle relazioni, il lavoro prenderà in considerazione gran parte delle problematiche collegate all’esistenza dei diritti sociali. In questo senso il contenuto del libro si snoda tra l’esame degli studi italiani e internazionali sul tema, le formalizzazioni normative di tali diritti e le interpretazioni dei giudici costituzionali e delle corti sovranazionali. L’opera è divisa in quattro distinti capitoli. Nel primo analizzerò le varie ricostruzioni dei diritti sociali che sono state compiute dalla dottrina costituzionalistica, concentrandomi sull’analisi dei tre principali problemi al centro della discussione giuridica: il rapporto tra i diritti civili e sociali; il problema dell’eccessivo costo di questi diritti e la dipendenza dei diritti sociali dalle provvisorie scelte politiche dei governi in carica; la giustiziabilità di tali diritti. Nel secondo capitolo analizzerò la formalizzazione dei diritti sociali nella Costituzione italiana e nei principali documenti internazionali. Nel terzo capitolo affronterò il tema della protezione dei diritti sociali nella giurispudenza costituzionale e sovranazionale europea. Nel quarto capitolo proverò a svolgere un bilancio dell’analisi condotta e a mostrare gli sviluppi dell’indagine che ho compiuto. Firenze-Macerata, 2012
ERIK LONGO
CAPITOLO I INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI DIRITTI SOCIALI SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I diritti sociali nel percorso costituzionale italiano. – 3. Il significato attuale dei diritti sociali e la categoria dei doveri di solidarietà. – 4. Dal soggetto astratto alla persona. – 5. I diritti sociali e le relazioni giuridiche costituzionali.
1. PREMESSA Presentare uno studio in tema dei diritti sociali oggi richiede forse qualche parola di spiegazione e di giustificazione dell’intero lavoro. Dopotutto pochi temi sono così difficili da studiare come il vasto campo che si suole identificare con l’espressione “diritti sociali”. Non è per nulla semplice cercare di conoscere la consistenza della categoria, le possibili implicazioni sul piano degli assetti della democrazia e della sfera della cittadinanza, le connessioni con l’idea stessa di libertà e di eguaglianza o comprendere l’effettiva funzione di questi diritti riguardo al pluralismo sociale e alla vita delle persone1. Per via delle problematicità che produce tale argomento, la definizione dei diritti sociali è rimasta per molti anni incerta e controversa2. I temi al centro della discussione sono essenzial1
Vedi G. BONGIOVANNI, Diritti dallo statuto difficile. Aspetti del dibattito italiano sui diritti sociali nel secondo dopoguerra, in Ragione e Politica, 1, 24, 2001, p. 75 e ss. 2 Come ricorda M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, a cura di R. ROMBOLI, Torino, Giappichelli, 1994, p. 80 «pochi oggetti di analisi sono però così difficili da dominare, se non si abbandonano certi pregiudizi e certe acquisizioni della tradizione, come il vasto campo che identifichiamo con l’ellittica espressione “diritti sociali”. Le ragioni delle difficoltà sono ormai note, e si radicano nella storia profonda delle idee e delle istituzioni politiche, che ha determinato una netta divaricazione fra diritti di libertà e diritti sociali, nella quale i primi hanno finito per collocarsi al centro, ed i secondi ai margini della riflessione teorica».
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Introduzione allo studio dei diritti sociali
mente tre: il rapporto tra i diritti civili e sociali; il problema dell’eccessivo costo di questi diritti e la dipendenza dei diritti sociali dalle provvisorie scelte politiche dei governi in carica; la giustiziabilità di tali diritti3. La maggior parte delle ricostruzioni che riguardano tali diritti è stata influenzata dalla comparazione con i diritti civili e politici4. L’impostazione tradizionale, infatti, ha sempre considerato i diritti sociali come una categoria di «diritti civici5» o di «diritti pubblici di prestazione6», distinti dai tradizionali diritti di libertà, poiché rispetto a questi ultimi sono condizionati dall’intervento dell’autorità pubblica per soddisfare talune esigenze essenziali dei cittadini7. Mentre i diritti civili e politici 3
Una panoramica sui principali problemi connessi con la garanzia dei diritti sociali è stata da ultimo compiuta da J. KING, Judging Social Rights, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 2012, p. 2 e ss. 4 Il primo approccio alla definizione giuridica dei diritti sociali è avvenuto con la Costituzione della Repubblica di Weimar nel 1919. A partire da questa esperienza si è tentato di dare una definizione giuridicamente pertinente per questi diritti che potesse fondare il rapporto con i classici diritti di libertà e con lo Stato di diritto in generale. È in questo scenario che si pone il dilemma della incompatibilità tra i diritti sociali e i diritti civili e politici. Una ricostruzione di tali problematiche in chiave storica è stato realizzato da P. COSTA, All'origine dei diritti sociali: "Arbeitender Staat" e tradizione solidaristica, in Democrazia, diritti, costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee, a cura di G. GOZZI, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 277 e ss. Non si può non dare atto che nel dibattito statunitense vi è ancora chi sottolinea l’abisso esistente tra diritti sociali e diritti civili. Tali autori parlano di “second-rank status” per i diritti sociali diversamente dai diritti civili che avrebbero una tutela di primo livello. Vedi M. ROBINSON, From Rhetoric to Reality: Making Human Rights Work, in European Human Rights Law Review, 2003, p. 3. 5 In Italia questa teoria verrà ripresa da S. Romano, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V.E. Orlando, Milano, Società Editrice Libraria, 1897, S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V.E. ORLANDO, Milano, Società Editrice Libraria, 1897, p. 111 e ss. Sulla teoria di Jellinek vedi A. Baldassarre, Diritti pubblici soggettivi, in Enciclopedia giuridica, XI, Roma, 1989, A. BALDASSARRE, Diritti pubblici soggettivi, in Enciclopedia giuridica, XI, Roma, 1989, p. 1 e ss. 6 In questo senso i diritti sociali sarebbero parte di quella categoria di diritti di prestazione che appartiene al genus “diritti pubblici soggettivi”. Su questo punto v. le considerazioni di A. BALDASSARRE, Diritti pubblici soggettivi, cit., spec. p. 10 e ss. 7 Uno degli autori che ha maggiormente influenzato questo tipo di idea dei diritti sociali è certamente Norberto Bobbio. Egli individua una differenza tra i diritti di libertà e i diritti sociali derivante dal fatto che mentre per i primi vale l’eguaglianza nell’attribuzione (sono diritti di tutti indistintamente), per i se-
CAPITOLO I
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sono normalmente considerati come diritti “negativi”, poiché richiedono solo che i governi si astengano da atti che potrebbero limitarli (secondo l’idea che i diritti sono limiti all’azione del potere sovrano), i diritti sociali (economici e culturali) sono considerati come diritti “positivi”8, dato che richiedono un intervento diretto da parte dei governi e non potrebbero dunque trovare realizzazione prima di tali azioni9. Le norme relative ai «diritti sociali» sono, perciò, proposizioni prive di uno specifico significato costituzionale, nel senso che, lungi dal fondare veri e propri diritti fondamentali, esse sono state ritenute capaci di contenere premesse o indicazioni o direttive10. In fondo quest’idea si lega alla ideologia dello Stato liberale, per la quale l’individuo non poteva vantare una situazione giuridica soggettiva di natura pretensiva verso lo Stato; ciò avrebbe implicato una incisione nella sfera della sovranità pubblica e, parallelamente, una ingerenza (su istanza di parte) del soggetto pubblico nei rapporti privati11. condi sono rilevanti differenze che giustificano un non eguale trattamento (la differenza tra maggiorenni e minorenni, tra adulti e bambini). Il processo di specificazione dei diritti, e concretamente la specificazione del titolare dei diritti, consente di distinguere tra i diritti di libertà, attribuibili all’individuo in quanto singolo, e i diritti sociali, attribuibili a soggetti diversi dal singolo. Vedi N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 69 e ss. 8 Parte del senso comune sui diritti distingue tra diritti negativi, contrassegnati dalla libertà da interferenze, e diritti positivi, cioè diritti ad avere certe cose. La più influente esposizione di questa distinzione è stata offerta da I. BERLIN, Four essays on liberty, Oxford, Oxford University Press Oxford, 1969, trad it I. BERLIN, Quattro saggi sulla libertà, Milano, 1989, p. 118 e ss. Un’interessante critica a I. Berlin oltre che da C.B. Macpherson è contenuta in A. LEVINE, Liberal democracy: A critique of its theory, New York, Columbia University Press New York, 1981, p. 181 e ss. 9 Secondo questa impostazione, la distinzione tra diritti di libertà e diritti sociali coincide con quella tra diritti cui corrispondono obblighi negativi e diritti cui corrispondono obblighi positivi, ovverosia che un individuo ha un diritto di libertà se ha il diritto che gli altri (compreso lo Stato) si astengano dal tenere determinati comportamenti, e ha invece un diritto sociale se ha il diritto che altri (e innanzitutto lo Stato) tengano determinati comportamenti, cioè eseguano a suo vantaggio determinate prestazioni. Tra gli autori che hanno portato avanti questa distinzione deve essere segnalato soprattutto G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, p. 757. 10 Vedi A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur., XI, Roma, 1989, p. 3. 11 Di contro il principio informatore dell’ordinamento liberale è proprio quello, opposto, del “laissez faire” e dello Stato minimo, ma non inesistente. Su tali questioni e sul rapporto tra libertà ed eguaglianza v. L. PRINCIPATO, I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali, in Giur. cost., 2, 2001, p. 877 e ss.
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Introduzione allo studio dei diritti sociali
È per questa ragione che malgrado nel noto trinomio proclamato dagli artefici della Rivoluzione francese, accanto alla libertà ed all’eguaglianza (configurata, tuttavia solo “dinanzi alla legge”), si ponesse anche la fraternità12, i diritti sociali fanno la loro comparsa effettiva molti decenni dopo i diritti di libertà e i diritti politici13. Le concezioni liberali dominanti tra la fine del XVIII e XIX secolo non ammettevano un intervento della pubblica autorità per eliminare le sperequazioni più gravi, nell’ambito economico e sociale, fra i diversi componenti della collettività nazionale14. Sarà, infatti, solo nel periodo dopo la prima guerra mondiale, all’interno del processo che portò alla elaborazione della Costituzione di Weimar (1919) e la Costituzione messicana (1917), che queste formulazioni compariranno nella veste di veri e propri diritti all’interno dei documenti costituzionali; tuttavia sempre quali strumenti attraverso cui orientare la legislazione verso la erogazione di una serie di provvidenze di tipo assistenziale a favore delle fasce più povere della popolazione15. Sebbene la formalizzazione quali strumenti per realizzare le politiche sociali o come “compiti per il legislatore” impresse un marchio indelebile su questi diritti, rimaneva il fatto che tali norme non erano “autosufficienti”, dipendendo dall’attuazione legislativa e dall’indirizzo politico contingente16. Le prestazioni
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Che avrebbe dovuto stimolare sin da quell’epoca, ormai lontana, un’estesa attività legislativa diretta a realizzare una migliore giustizia sociale fra i cittadini. Su tale punto vedi il recente lavoro di F. PIZZOLATO, Il principio costituzionale di fraternità: itinerario di ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Roma, Città Nuova, 2012, passim. 13 Dichiarazioni sociali erano state inserite nella Costituzione francese del 1791. Malgrado il riconoscimento di alcuni compiti dello Stato in materia di assistenza ed istruzione, le posizioni soggettive che erano state previste a corredo di questo intervento non erano dello stesso rango delle libertà civili e politiche. Sul punto vedi M. MAZZIOTTI, Lo spirito del diritto sociale nelle costituzioni e nelle leggi della Francia rivoluzionaria, in Arch. giur. F. Serafini, CXLVII, 1954, p. 50 e ss. 14 Così P. BISCARETTI DI RUFFÌA, Diritti sociali (ad vocem), in Novissimo Digesto, V, Torino, 1968, p. 760. 15 Per un’analisi delle caratteristiche dei diritti sociali all’interno della Costituzione di Weimar vedi B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, Milano, Giuffrè, 2001, p. 70 e ss. 16 Come ricorda A. D'ATENA, Costituzionalismo moderno e tutela dei diritti fondamentali, in Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello. Tra Europa e Stati nazionali, a cura di A. D'ATENA, P. GROSSI, Milano, Giuffrè, 2004, p. 30 e 31, l’avvento dei diritti sociali modifica l’idea
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erano solo proceduralmente definite e mai stabili e uniformi per tutti i cittadini, tanto che una loro violazione era considerata come un’ingiustizia sociale piuttosto che come la violazione di un diritto17. Malgrado questi limiti la prima costituzionalizzazione dei diritti sociali tra le due guerre segnò un punto di svolta nella storia giuridico-politica per la sua capacità di introdurre nelle costituzioni una serie di diritti di natura sociale ed economica evitando che questo inserimento fosse semplicemente occasionale, come era avvenuto in precedenza18. Un’altra questione importante per identificare i problemi sottesi al riconoscimento giuridico dei diritti sociali è la asserita mancanza di azionabilità immediata, che invece caratterizzerebbe tutte le libertà negative. Soltanto le obbligazioni derivanti dai diritti civili e politici avrebbero la caratteristica di essere precisamente definibili, giustiziabili e suscettibili di esecuzione19. La primitiva enunciazione costituzionale dei diritti sociali a prestazioni pubbliche positive non era stata accompagnata dall’elaborazione di adeguate garanzie sociali e positive, cioè da tecniche di difesa e di giustiziabilità paragonabili a quelle apprestate dalle garanzie liberali o negative per la tutela dei diritti di libertà20. Tale dato è normalmente spiegato risalendo al fatto che solo le classiche libertà sarebbero legate a valori ampiamente condivisi di cui devono farsi carico i governi. Differentemente dai diritti di libertà, i diritti sociali (economici e culturali) non riguardano impegni politici irretrattabili. Le questioni complesse che tali diritti fanno sorgere si riducono a problemi riguardanti erogazioni discrezionalmente concesse e non veri e propri “diritti”. I diritti sociali sarebbero dunque diritti di “carta”21, cioè di Costituzione perché questa viene percepita come dipendente dalla disciplina attuativa e di svolgimento. 17 Vedi J. DONNELLY, D. WHELAN, The West, economic and social rights, and the global human rights regime: Setting the record straight, in Human Rights Quarterly, 4, 29, 2007, p. 908 e ss. 18 Così F.L. NEUMANN, Il significato sociale dei diritti fondamentali nella Costituzione di Weimar, in Il diritto del lavoro tra democrazia e dittatura, a cura di G. VARDARO, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 136 e ss. 19 Questa problematica è bene identificata nella letteratura internazionale in tema di diritti sociali. Vedi sul punto D. BARAK-EREZ, A. GROSS (cur.), Exploring Social Rights: Between Theory and Practice Hart Publishing, 2007, p. 5 20 Vedi L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali, Roma, Laterza, 2001, passim. 21 Così R. GUASTINI, "Diritti", in Analisi e diritto 1994, a cura di P. COMANDUCCI, R. GUASTINI, Torino, Giappichelli, 1994, p. 170. Anche nel
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Introduzione allo studio dei diritti sociali
non giustiziabili, del medesimo tenore delle “norme morali”22 e per questa ragione le norme costituzionali che li contengono non potrebbero essere fondamentali. Infine, in base a quelle idee menzionate, i diritti civili e politici non sarebbero considerati come ideologicamente orientati in sé e potenzialmente compatibili con tutti i sistemi di governo, a differenza dei diritti sociali che sono spesso percepiti come il risvolto di un certo tipo di stato (socialista)23 e di una certa concezione dell’economia (lontana dal libero mercato e dalla concorrenza)24. Tale questione è intimamente legata alla distinzione dei diritti sulla base dell’impiego delle risorse (pubbliche). Storicamente si fanno rientrare i diritti sociali nei cd. diritti ad alto costo, a differenza dei diritti civili e politici che sarebbero senza costo. I corollari legati a questo assunto sono tre: a) i diritti civili e politici possono essere realizzati senza significativi costi a carico della collettività, invece il godimento dei diritti sociali (ed economici) richiede un maggiore impiego di risorse; b) i diritti sociali non sono considerati capaci di immediata e completa realizzazione, a differenza dei diritti civili che costituiscocontesto internazionale emerge questo problema della effettività delle norme sui diritti sociali. Esse evocherebbero secondo certi autori delle “obbligazioni imperfette” (come gli atti di liberalità) a differenza di tutti quegli altri diritti che invece invocano “obbligazioni perfette”. M.W. CRANSTON, What are Human Rights?, London, Bodley Head, 1969, p. 234, O. O'NEILL, The Dark Side of Human Rights, in International Affairs, 2, 81, 2005, p. 34. 22 Sull’origine della considerazione dei diritti sociali come “norme morali” v. A. CANTARO, Il secolo lungo. Lavoro e diritti sociali nella storia europea, Roma, Ediesse, 2006, p. 146. 23 È molto noto a questo proposito l’appellativo usato da Carl Schmitt che, con intento chiaramente polemico chiamava questi diritti “diritti socialisti” (C. SCHMITT, Grundrechte und Grundpflichten, in Verfassungslehre, Berlin, 1958, p. 169). 24 Così E.W. BOKENFORDE, I diritti sociali fondamentali nella struttura della costituzione, in Stato, costituzione, democrazia, a cura di E.W. BOKENFORDE, Milano, Giuffrè, 2006, p. 190, ricorda che sebbene contenuti anche in altri documenti (come la Costituzione della Germania di Weimar), la rivendicazione dei diritti sociali «era la risposta alla situazione e all’impoverimento sociale dei lavoratori che nasceva, all’insegna del processo di industrializzazione e dal modello liberale di ordinamento della società borghese. Nella fase successiva del novecento socialista soprattutto nella rivoluzione bolscevica in Russia, i diritti sociali fondamentali, concepiti come diritti fondamentali dei lavoratori non possidenti, vengono contrapposti ai diritti fondamentali borghesi. Dal punto di vista del contenuto sono diritti sociali di partecipazione ai beni umani vitali e vengono come tali consapevolmente contrapposti ai diritti fondamentali di libertà e alle garanzie della proprietà, che appaiono come i diritti fondamentali della classe possidente borghese».
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no null’altro che meri obiettivi politici da realizzare in base alla situazione fiscale dello Stato; c) sebbene le politiche sociali svolgano un’importante funzione sul piano dell’integrazione sociale, i diritti sociali non modificano le relazioni di potere all’interno dello Stato, perché influiscono soltanto sui meccanismi di distribuzione delle risorse, non su quelli della loro produzione25. Dalla ricostruzione sintetica effettuata si può comprendere bene come mai per tanto tempo nella dottrina giuridica si è associato lo studio dei diritti sociali principalmente all’indagine sulla funzione sociale dello Stato moderno pluriclasse26 e sul carattere delle norme in cui questa stessa funzione si estrinseca nella definizione delle politiche sociali27. È per questo motivo che molti autori hanno identificato i diritti sociali con quelle situazioni rispetto alle quali i cittadini vanterebbero solo «interessi costituzionalmente protetti» e non veri e propri diritti soggettivi28, tanto che i diritti sociali si risolverebbero, di volta in volta, in una gamma di situazioni soggettive suscettibili di oscil-
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Vedi D. ZOLO, La strategia della cilladinanza, in La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, a cura di D. ZOLO, Roma, Laterza, 1994, p. 11 e 12. Nella letteratura internazionale tale tema è ripreso da D. BILCHITZ, Poverty and Fundamental Rights: The Justification and Enforcement of Socioeconomic Rights, Oxford, Oxford University Press Oxford, 2007, p. 5 e ss. 26 Vedi M. GIANNINI, Stato sociale: una nozione inutile, in Aspetti e tendenze del Diritto Costituzionale: Studi in onore di C. Mortati, a cura di 1, Giuffrè, Milano, 1, 1977, p. 5. 27 Su tale punto si rimanda necessariamente agli studi sociologici in materia di welfare. Fra tutti vedi T.H. MARSHALL, Citizenship and Social Class and Other Essays, London, Cambridge University Press, 1950, p. 27 e ss; G. ESPING-ANDERSEN, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Cambridge, Polity press, 1990, p. 21 e ss. Nella letteratura sociologica si distinguono a proposito di welfare due tipi di visioni: quella dei funzionalisti, i quali vedono nella politica sociale statale una risposta alla trasformazione dei modelli di lavoro e di vita seguita alla industrializzazione ed alla urbanizzazione, o, in altri termini, una risposta alle esigenze di accumulazione capitalistica, e i modelli conflittualistici che invece considerano la politica sociale come una reazione ai processi di democratizzazione e mobilitazione e ai deficit di legittimità delle élites politiche. Su questo punto v. J. ALBER, Dalla carità allo Stato sociale, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 85 e ss. 28 Vedi: V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, Giuffrè, 1952, p. 75 e ss.; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1976, p. 1138.
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lare dalla condizione di vero e proprio diritto a quella di «situazioni meramente raccomandate»29. 2. I DIRITTI SOCIALI NEL PERCORSO COSTITUZIONALE ITALIANO Se questa era il valore accordato ai diritti sociali fino alla metà del secolo scorso è facile comprendere in che direzione si è mossa la dottrina italiana nel periodo successivo per arrivare a riconoscere la natura piena di diritti costituzionali ai diritti sociali. Le maggiori critiche che sono state rivolte alla ricostruzione che vede nei diritti sociali diritti di secondo livello sono di due tipi: le prime sono di natura politica; le seconde sono di natura più propriamente giuridica. La prima tipologia di critiche è facilmente intuibile se si parte dal problema della definizione della forma di stato costituzionale-sociale. Uno degli autori che meglio di tutti ha saputo rendere l’importanza politica del riconoscimento costituzionale dei diritti sociali è Piero Calamandrei, autore di un noto articolo, apparso nell’agosto 1945 sulle pagine della rivista “Il Ponte”, in cui si cercava di indicare l’urgenza con cui la futura Assemblea costituente – da eleggere di lì a poco – avrebbe dovuto affrontare l’annoso tema della “giustizia sociale”30. Da giurista, ma soprattutto da politico, Calamandrei ricordava che tutti i progetti e gli scritti in cui emergeva l’idea della questione sociale mostravano in quel momento la necessità che «si potesse avere vera democrazia solo laddove ogni cittadino fosse in grado di esplicar senza ostacoli la sua personalità per poter in questo modo contribuire attivamente alla vita della comunità31». Non sarebbe bastato, perciò, assicurare teoricamente ai cittadini le 29
Questa è la posizione di un’altra parte della dottrina giuridica più risalente. Vedi ad esempio C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, UTET, 1985, p. 390 e ss. 30 Il sorgere di alcuni movimenti politici che invece di «accentuare l’antagonismo tra l’idea liberale e l’idea socialista hanno messo in evidenza che una democrazia vitale può attuarsi soltanto nella misura in cui la giustizia sociale, piuttosto che come ideale separato e assoluto, sia concepita come premessa necessaria e come graduale arricchimento della libertà individuale», consentiva a Calamandrei di affermare che oggi i diritti di libertà non sono più gli «strumenti giuridici del privilegio borghese». Tutte Le citazioni sono tratte da P. CALAMANDREI, Costituente e questione sociale, in Il Ponte, 1945, ora in P. CALAMANDREI, Lo Stato siamo noi, Milano, Chiarelettere, 2011, p. 47 e ss. 31 P. CALAMANDREI, Lo Stato siamo noi, cit., p. 47.
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libertà politiche, occorreva «metterle in condizione di potersene praticamente servire». Di vera libertà poteva parlarsi «solo in un ordinamento in cui essa è accompagnata per tutti dalla garanzia di quel minimo di benessere economico, senza il quale viene a mancare per chi è schiacciato dalla miseria ogni possibilità pratica di esercitare quella partecipazione attiva alla vita della comunità che i tradizionali diritti di libertà tradizionalmente gli permettevano32». Partendo da questa premessa, Calamandrei faceva discendere la necessità di adottare – anche nella futura Costituzione italiana – disposizioni simili a quelle che si trovano all’interno di altre esperienze costituzionali precedenti come la Costituzione di Weimar33. Ricostruire un tessuto sociale sul quale potesse attecchire la democrazia, all’indomani del secondo conflitto mondiale, richiedeva di rispondere anzitutto alla questione sociale. Non a caso, nel prosieguo del saggio, il giurista fiorentino provava anche a delineare le caratteristiche di questa novità, identificando nella enunciazione costituzionale il primo dovere dei Costituenti e nella predisposizione dei mezzi economici per soddisfare tali diritti il punto essenziale su cui testare la riuscita di quelle stesse norme costituzionali34. Elemento decisivo di queste notazioni di Calamandrei è – al di là di alcuni problemi relativi alla stessa definizione di questione sociale, sui quali torneremo – il fatto che dopo il secondo conflitto mondiale i diritti sociali stavano diventando un elemento tendenzialmente stabile nelle costituzioni degli stati e nelle carte internazionali35. Sotto 32 Op. cit. p. 47. Per essere veramente piene e godute da tutti le libertà politiche necessitavano di essere integrate da quel minimo di giustizia sociale senza della quale sarebbe minacciata la loro stessa esistenza. 33 Calamandrei, inoltre, guardava con simpatia ad esperienze di taglio politicoculturale come la dichiarazione dei diritti elaborata in Francia dalla rivista Esprit (Progetto d’una dichiarazione dei diritti delle persone e delle collettività’ (dalla rivista ‘Esprit’, del 1. gennaio 1944), in Il Ponte, 1, 4, 1945, p. 359 e ss.). 34 Come ebbe modo di dire altrove, in quel momento occorreva una «trasformazione effettiva della struttura economica della società, ossia una rivoluzione sociale che fornis(se) allo stato i mezzi per sodisfarli». Cfr. P. CALAMANDREI, Introduzione. L'avvenire dei diritti di libertà, in Diritti di libertà, Firenze, 1946, p. XLI. 35 Secondo una ricerca effettuata nel 2006 circa l’82% delle Costituzioni mondiali comprende il diritto al lavoro ed il diritto all’educazione pubblica, il 78% include il diritto alla salute, il 72% comprende altri diritti dei lavoratori ed i diritti delle categorie deboli, come i minori e le persone diversamente abili.
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la etichetta di “diritti sociali” o di “diritti economici, sociali e culturali”36, la quasi totalità delle carte e delle costituzioni aveva inserito un numero ampio di previsioni che si collegano alla garanzia dei beni sociali, i quali non trovavano considerazione alcuna nelle costituzioni liberali37. Come si può notare, dunque, nelle sue considerazioni Calamandrei aveva colto i maggiori problemi riguardanti i diritti sociali mostrando soprattutto le difficoltà di ordine politico che il riconoscimento di questi diritti implicava nell’avvio dell’esperienza costituzionale italiana38.
Sul punto vedi D.S. LAW, M. VERSTEEG, The Evolution and Ideology of Global Constitutionalism, in Cal. L. Rev., 99, 2011, p. 1163. 36 La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite, ed i cui principi sono stati adottati dalle costituzioni di numerosi Stati, contiene, all’art. 22, un elenco di diritti economici, sociali, culturali, tra cui vi sono: il diritto al lavoro, al giusto salario, all’organizzazione sindacale, al riposo, allo svago, alla limitazione delle ore di lavoro, e alle ferie periodiche remunerate; il diritto alla sicurezza e all’assistenza sociale; il diritto delle madri e dei fanciulli a una speciale protezione; il diritto all’istruzione, alla partecipazione alla vita culturale, e il diritto d’autore. Per una documentazione sulle disposizioni concernenti i diritti sociali nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale v. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 802 e ss. 37 Caratteristica dello Stato di diritto, così com’esso nasce ai principi del secolo XIX, non è già l’assenza di una funzione sociale, bensì che questa funzione, anziché come manifestazione di un potere pubblico meramente discrezionale fosse considerata e si svolgesse come oggetto di un diritto dei cittadini, derivante dalla loro fondamentale eguaglianza. 38 Seppure il tema sarà affrontato nella parte successiva, occorre dare conto che durante le sedute dell’Assemblea costituente Calamandrei metterà più di una volta in allerta i propri colleghi ricordando che una Costituzione ricca di norme programmatiche configurate quali diritti avrebbe avuto l’effetto di cambiare i ruoli costituzionali e semmai di trasformare la natura del potere giudiziario. È evidente che questo non gli impedì (ad esempio nella seduta del 28 novembre 1946) di dichiararsi favorevole all’inserimento nella Costituzione delle «essenziali esigenze individuali e collettive, nel campo economico e sociale, che anche se non raggiungono oggi la maturità di diritti perfetti e attuali, si prestano, per la loro concretezza, a diventare veri diritti sanzionati con leggi, impegnando in tal senso il legislatore futuro». Il discorso è ricordato da P. BARILE, La nascita della Costituzione: Piero Calamandrei e le libertà, in Scelte della Costituente e cultura giuridica. II: Protagonisti e momenti del dibattito costituzionale, a cura di U. DEL SIERVO, Il Mulino, Bologna, 1980, p. 26-32.
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2.1 L’elaborazione dottrinale dei diritti sociali negli anni ‘50 La dottrina giuspubblicistica e la giurisprudenza costituzionale hanno in parte risposto ai problemi menzionati tentando di superare propri quei pregiudizi espressi da Calamandrei. Nel prosieguo del lavoro proveremo a descrivere in che modo si è formato l’indirizzo dottrinario prevalente in materia di diritti sociali, lasciando alla terza parte di questo lavoro l’analisi della giurisprudenza costituzionale. In un primo momento, l’idea che si diffonde nella dottrina, soprattutto costituzionalistica, è che con l’affermazione dei diritti sociali si realizza una “correzione” della forma di stato liberale39. Il riconoscimento di questi diritti contribuisce a fissare la trasformazione dello Stato di diritto e, in particolare, la transizione da una concezione formale ad una materiale dello Stato costituzionale40. 39
Come scrive N. BOBBIO, Sui diritti sociali, in Cinquant' anni di Repubblica italiana, a cura di G. NEPPI MODONA, Torino, Einaudi, 1996, p. 116 «Si può dire sinteticamente che la democrazia ha per fondamento il riconoscimento dei diritti di libertà e come naturale completamento il riconoscimento dei diritti sociali o di giustizia. Per questa duplice caratteristica del riconoscimento, e relativa garanzia e protezione, di diritti individuali e diritti sociali, le democrazie contemporanee, rinate dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, sono state chiamate insieme liberali e sociali. Siccome i principi di libertà erano dati come presupposti, sviluppandosi lo stato democratico a partire dal riconoscimento dei diritti di libertà per finire al riconoscimento dei diritti sociali, s’è parlato di passaggio dalla democrazia liberale alla democrazia sociale». Il tema è affrontato nei medesimi termini anche da G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992, e da P. SCOPPOLA, La Costituzione italiana tra democrazia e diritti sociali, in Cinquant' anni di Repubblica italiana, a cura di G. NEPPI MODONA, Torino, Einaudi, 1996, p. 127 e ss. Molto interessante la notazione di quest’ultimo autore, il quale sottolinea che dopo il secondo conflitto mondiale è necessario un intervento dello Stato a favore delle categorie economiche più deboli. Non si tratta più solo di un problema economico concreto ma di un «problema di politica costituzionale: si trattava (...) di reinserire a pieno titolo i diritti sociali nell’alveo della concezione democratica fondata anche e prima di tutto sui diritti civili e politici. Si trattava di saldare democrazia e diritti sociali». 40 A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 12 ricorda che «come nel classico Stato di diritto liberale la clausola libertà-proprietà fungeva da principale criterio di ripartizione delle competenze (fra legislazione e amministrazione) e da principio d’ordine nel processo decisionale, così in quello democratico i “diritti sociali”, al pari di quelli di libertà, giocano un ruolo importante, non solo nella ripartizione delle attribuzioni (es. diversi tipi di riserva di legge), ma soprattutto nel riequilibrio delle posizioni dei soggetti coinvolti nel complesso processo decisionale della politica in un sistema pluralistico».
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Frutto di un nuovo “costituzionalismo”, le nuove Costituzioni rappresentano il portato di un mutamento sostanziale e strutturale degli assetti socio-politici41. In esse ciò che muta non sono solo le tecniche della cosiddetta “razionalizzazione del potere42“ rivolte a garantire una migliore governabilità, l’effettiva separatezza dei diversi poteri e centri di decisione, nonché la guida efficace dei sempre più vasti apparati, ma fondamentalmente la disciplina dei diritti e dei doveri dei singoli e dei gruppi sociali, ormai soggetti attivi dei processi decisionali e destinatari di molteplici servizi43. Perciò, motivi di pace interna e di disciplina sociale richiedevano la creazione di una nuova forma di diritti che potesse dare a tutti la «parte che spetta nel conferimento delle risorse individuali in società, specie in relazione ai beni collegati all’istruzione, all’assistenza, e al lavoro in caso di bisogno44». Il punto di svolta di questo impianto è riassunto nelle disposizioni che tentano di mettere insieme due mondi fino a quel momento considerati antagonisti: la libertà e l’eguaglianza45. L’espressione che meglio sintetizza questo concetto si trova nelle disposizioni dell’art. 3 Cost.: quella del primo comma, riferentesi all’idea liberale di eguaglianza giuridica, e quella del 41 Come ha indicato G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 63, la salda ancora cui ormeggiare la nuova concezione dello Stato viene rinvenuta nella “costituzionalizzazione dei diritti fondamentali”. Si assiste ad un doppio fenomeno: da un lato, i diritti vengono costituzionalizzati, vengono, cioè sottratti all’influenza diretta del potere politico e affermati come antecedenti l’autorità dello Stato, divenendo una «dotazione giuridica propria dei loro titolari indipendentemente dalla legge». Dall’altro, la legge, che nella Costituzione trova il proprio fondamento, assume una propria funzione politica legata al perseguimento di interessi pubblici non riconducibili meramente alla realizzazione dei diritti o alla difesa e promozione di interessi individuali, ma alla regolamentazione della vita sociale. 42 Così P. CARETTI, I diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2002, p. 88. 43 Su questo punto appare molto interessante rimandare a due studi: il primo è quello già citato di D.S. LAW, M. VERSTEEG, The Evolution and Ideology of Global Constitutionalism, cit., p. 1190 e ss., il quale descrive i trend di questa evoluzione usando un index di tipo statistico-descrittivo; il secondo è lo studio di P. ALSTON, A Framework for the Comparative Analysis of Bills of Rights, in Promoting Human Rights Through Bills of Rights: Comparative Perspectives, a cura di P. ALSTON, Oxford, Oxford Univ Press, 1999, p. 3 e ss. 44 Cfr.M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, cit., p. 804. 45 Come ricorda E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, p. 1774, i diritti sociali mirano a creare le condizioni effettive per realizzare 1’«eguale libertà» dei cittadini.
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secondo comma, riferentesi alla eguaglianza di tipo sostanziale, la quale evita che i più forti opprimano i più deboli e che perciò le disuguaglianze di fatto distruggano il primo tipo di eguaglianza46. Si può capire quanto questa idea sia nei fatti vicina all’intendimento espresso dallo stesso Calamandrei nello scritto sopra menzionato, in quanto l’azione sociale dello Stato, così come essa si esprime non esclusivamente nell’amministrazione e nella legislazione, ma anche nelle stesse norme costituzionali che la regolano, deve avere come scopo non già l’attuazione dell’eguaglianza di fatto, ma dell’eguaglianza giuridica, cioè dell’eguale possibilità per tutti i cittadini di godere di quei diritti fondamentali che la Costituzione, all’art. 3, comma 2, considera connessi con il “pieno sviluppo della personalità umana”. Malgrado vi fosse la necessità di dare ai diritti sociali una veste pratica di diritti, nelle prime riflessioni della dottrina sul problema della qualificazione giuridica dei diritti sociali si sottolineano soprattutto l’aspetto oggettivo anziché soggettivo di tali diritti. Le elaborazioni degli anni ‘50 e ‘60 costruiscono la figura dei diritti sociali quale espressione tanto della nuova “legalità costituzionale”, che si sostanzia in norme “oggettive” e superiori rispetto alla volontà delle diverse maggioranze politiche47, quanto dell’unitario orientamento di valore contenuto nel programma costituzionale48. L’approdo ad una visione dei diritti sociali come veri e propri diritti costituzionali porta la firma di due tra i più noti autori nel panorama del diritto pubblico italiano di quegli anni: Costantino Mortati e Vezio Crisafulli. Il primo aveva partecipato all’Assemblea Costituente e in quella sede 46
Per il collegamento dei diritti sociali alle prospettive di trasformazione sociale ex art. 3, comma 2, Cost vedi B. CARAVITA, Oltre l'eguaglianza formale, Padova, Cedam, 1984, p. 170; M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. e soc., 1980, p. 410 e ss. 47 All’interno di una visione della costituzione quale ordinamento di valori o Grundordnung, come aveva indicato la dottrina tedesca. G. BONGIOVANNI, Diritti dallo statuto difficile. Aspetti del dibattito italiano sui diritti sociali nel secondo dopoguerra, cit., p. 76. 48 Ancora op. cit., p. 77, parla a questo proposito di una “duplice oggettività”, la quale trova riscontro, da un lato, nella cd. «dottrina della costituzione» di autori quali C. Mortati e V. Crisafulli e, dall’altro lato, nella centralità del principio solidaristico e nelle configurazioni che questo assume (nella forma della preminenza del principio lavoristico) nel dibattito italiano. Su questo punto v. anche M. FIORAVANTI, La scienza del diritto pubblico dottrine dello Stato e della costituzione tra Otto e Novecento, Milano, Giuffrè, 2001, passim.
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aveva dato un contributo decisivo per individuare nei diritti sociali una parte fondamentale sia della Costituzione sia del nuovo progetto sul quale lo Stato italiano sarebbe stato ricostruito; il secondo sarà l’autore che forse più di tutti influenzerà la visione della Costituzione come fonte del diritto e fondamento nuovo dell’ordinamento giuridico italiano. Il contributo di Mortati fu decisivo soprattutto per il sostegno che egli diede al chiarimento della natura normativa dei principi, i quali rappresentano «direttive programmatiche, di carattere vincolante, e perciò giuridico, sia per la creazione di nuove norme, sia per l’interpretazione di quelle già emanate49». Superando la classica impostazione positivistica che vedeva i principi quali semplici strumenti di interpretazione/integrazione del diritto, Mortati approderà in quegli anni ad individuare in queste norme l’espressione di una visione dinamica capace di presentarli come indirizzo unitario (sia per il legislatore che per l’interprete) della futura attività politica50. Le riflessioni di Mortati vennero in un certo qual modo completate ed affinate da Crisafulli che nelle sue opere approfondirà il problema del valore delle norme programmatiche sui diritti sociali51, vedendo in queste una differenza con le norme sui diritti di libertà riguardante i destinatari di esse. I diritti sociali, per l’autore hanno come destinatari non già i vari soggetti compresi nell’ambito dell’ordinamento giuridico statale complessivo, ma soltanto gli organi legislativi dello Stato52; le norme sui diritti sociali sono come un preciso indirizzo politico inserito nella Costituzione che deve essere “attuato” dalle maggioranze parlamentari e che rappresenta il complesso di valori unitari contenuto nella Costituzione. Nella costruzione di Crisafulli si parte dall’assunto che alla proclamazione di un «dovere 49
Citazione riportata da M. FIORAVANTI, Costituzione, amministrazione e trasformazioni dello Stato, in Stato e cultura giuridica in Italia dall'unità alla repubblica, a cura di A. SCHIAVONE, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 65 50 In questo senso si esprime anche F. PERGOLESI, Alcuni lineamenti dei "diritti sociali", Milano, Giuffrè, 1953, passim. 51 Anche in aperto contrasto con altri autori che prima di lui avevano sottolineato la “vaghezza” delle disposizioni sociali della Costituzione. Cfr. V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, in part. p. 27. 52 Le disposizioni sui diritti sociali sono «vincolanti per quanto riguarda l’attività di indirizzo politico». Esse «rappresentano la fissazione, nella Costituzione dello Stato, di determinate direttive politiche (...) che per la loro importanza sono state sottratte ad ogni eventuale oscillazione e mutamento degli organi stessi». Op. cit., p. 37 e 38.
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dello Stato», costituito da norme costituzionali, corrisponde una «situazione soggettiva positiva53». Esistono però norme costituzionali che «non regolano direttamente le materie cui pure si riferiscono ma regolano propriamente l’attività statale in ordine a dette materie», cioè hanno ad oggetto immediato comportamenti dello Stato, e «dall’osservanza da parte degli organi statali delle norme stesse dipende la soddisfazione di certi interessi, che per l’innanzi non avevano alcuna distinta rilevanza giuridica, erano cioè interessi meramente di fatto54». Il risultato di queste considerazioni è noto. I diritti sociali appartengono a questa classe di norme; essi sono situazioni soggettive di rango minore, alla stregua degli interessi legittimi, cioè costituiscono un «vantaggio derivante a soggetti determinati come risultato delle norme che impongono al titolare di un potere l’osservanza di date modalità e condizioni nell’esercizio di esso55». Come si può immaginare seguendo questa rotta si ritorna a considerare i diritti sociali come mere “funzioni” della forma di stato costituzionale-sociale: i diritti sociali sono oggettivamente lo strumento attraverso cui lo Stato ed i partiti consentono ai cittadini la partecipazione ai benefici della vita associata, creando nuove posizioni soggettive di rango minore aventi ad oggetto determinate prestazioni, dirette o indirette, da parte dei poteri pubblici56. Un programma sociale unitario che appare legato alla tradizione solidaristica di derivazione ottocentesca intesa, secondo alcuni, sia quale terza via tra il liberalismo individualistico e il socialismo organicista sia quale «strumento, insieme, 53
Op. cit., p. 72. Op. cit., p. 73. 55 Op. cit. p. 74. 56 Tale concezione ha certamente il pregio di avvicinare le teorie giuridiche e le teorie sociologiche che hanno elaborato la nozione di cittadinanza nella evoluzione dello stato liberale durante il secolo scorso. L’idea che i diritti sociali siano una tappa dell’evoluzione del liberalismo è stata coniata da uno dei padri della teoria sociale moderna: trad. it. T. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET, 1976, passim. L’idea di fondo di Marshall è, quindi, che l’evoluzione interna ai diritti (dai diritti civili, ai politici, ai sociali) abbia un carattere lineare e progressivamente orientato verso l’eguaglianza. Dunque, non vi sarebbe una opposizione tra libertà ed eguaglianza. Non si può non ricordare che una tale rappresentazione non è stata coniata dai liberali inglesi, ma è presente già in autori come M. Weber (M. WEBER, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus: Vollständige Ausgabe, Tübingen, ICB Mohr, 1922, trad. it. M. WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1977, p. 98 e ss.) e autori, come Montesquieu e Tocqueville, che i sociologi considerano come loro antesignani. 54
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di legittimazione del nuovo Stato e di controllo del conflitto sociale57». La visione della prima dottrina pare assecondare le preoccupazioni e le riflessioni espresse da Calamandrei. I diritti sociali sono uno strumento per “sedare” il conflitto sociale attraverso il soddisfacimento di interessi divergenti58. Prima dell’intervento (obbligato) del legislatore essi rappresentano semplici “interessi” all’osservanza di tali norme costituzionali. Vale la pena precisare che nella visione tendente a considerare i diritti sociali come mere prestazioni pubbliche di tipo assistenziale emerge un problema di non poco momento. Per essa i diritti sociali si riducono quasi esclusivamente ad uno strumento utile alla ricostruzione di un ordinamento non più fondato su una omogeneità sociale ma su basi pluralistiche59. Il punto di svolta era così divenuto il principio di eguaglianza, ma decli57
P. COSTA, All'origine dei diritti sociali: "Arbeitender Staat" e tradizione solidaristica, cit., p. 337. 58 In autori come Lorenz von Stein (L. VON STEIN, Gesellschaft - Staat - Recht, Frankfurt, Propylaen, 1972, passim), lo Stato sociale si delinea, come è stato messo in evidenza, sulla base di «una sorta di scambio politico (...): in cambio di una garanzia della pace sociale, il capitale accetta una limitazione del proprio accrescimento». Parallelamente, l’intervento sociale dello Stato è funzionale alla ricostruzione del nesso lockeiano lavoro/proprietà/libertà in relazione ai ceti svantaggiati. Così G. GOZZI, Modelli politici e questione sociale in Italia e in Germania fra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 35. Il metodo attraverso cui realizzare questo progetto viene tradotto nella Costituzione italiana nella limitazione della proprietà con la “funzione sociale”. Esso permette di fissare dei limiti alla proprietà in funzione della soluzione del conflitto sociale e, parallelamente, di porre le condizioni per la riattivazione del legame lavoro/proprietà. Per evitare i difetti dell’individualismo liberale e dell’accumulazione capitalistica della ricchezza si individua un interesse comune che si pone quale punto di mediazione tra le parti confliggenti della società. Su tale tema v. G. BONGIOVANNI, Diritti dallo statuto difficile. Aspetti del dibattito italiano sui diritti sociali nel secondo dopoguerra, cit., p. 86. 59 Appare molto utile una citazione, riportata da G. PECES-BARBA MARTINEZ, Diritti sociali: origini e concetto, in Sociologia del diritto, 1, 2000, p. 40 del giurista tedesco Hermann Heller, il quale aveva affermato che la democrazia è possibile soltanto in una situazione di omogeneità sociale: «[...] Non c’è dubbio - dice Heller - che la democrazia politica vuole garantire ad ogni membro dello Stato, per mezzo della nomina dei suoi rappresentanti, pari probabilità di influire nella formazione dell’unità politica. Ma le differenze sociali possono trasformare il summum ius in summa iniuria. In assenza di omogeneità sociale, la più radicale uguaglianza formale diventa la più radicale forma di disuguaglianza, e la democrazia formale, dittatura della classe dominante [...]». Si può ben comprendere che ciò che in sostanza sostiene Heller è che lo “Stato sociale di diritto” integra per mezzo dei diritti sociali lo Stato liberale e l’omogeneità sociale.
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nato in funzione della costruzione di un nuovo ordine sociale: il vero obiettivo cui la nuova generazione di diritti doveva servire; per “pareggiare” gli individui e riconoscerli come “persone sociali”, anche nel potere, era necessario riconoscere altri diritti oltre quelli civili e politici, come i diritti sociali, in modo da mettere ogni individuo “in condizione di avere il potere di fare quello che è libero di fare60“. 2.2 Segue: la dottrina successiva La riflessione dottrinaria successiva ha avuto il merito di aver riportato lo studio dei diritti sociali sul piano della “giustizia sociale”, arrivando a definire tali diritti come «la parte che spetta a ciascuno nel conferimento delle risorse individuali in società61». Per questi autori i diritti sociali sono giustificati in senso oggettivo come l’insieme delle norme con le quali lo Stato assicura la funzione della eguaglianza delle situazioni malgrado le differenze di fatto, e in senso soggettivo sono il diritto di ciascuno a partecipare ai benefici della vita associata, che si manifesta in specifici diritti a prestazioni dirette ed indirette da parte delle autorità pubbliche. Per raggiungere questo risultato le norme sui diritti sociali devono avere applicazione immediata, anche nei rapporti privati, e pure in mancanza di una attuazione da parte del legislatore62. Il contributo della dottrina che si è occupata durante gli anni ‘60 del tema dei diritti sociali è costituito, dunque, dal tentativo di operare il superamento della riduzione dei diritti sociali a diritti meramente legali e non fondamentali63. Inoltre, concentrandosi sull’analisi di livello costituzionale, tali autori riconoscono che se anche il modo di intendere i “diritti sociali” come meri interessi realizzi una visione coerente e ordinata del ruolo dello Stato moderno, esso lascia fuori dal suo orizzonte una serie di situazioni e diritti che non hanno connessione immediata con le problematiche della “giustizia sociale”, ma che rappre60
Così N. BOBBIO, Sui diritti sociali, cit., p. 118 e 119. Cfr. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, cit., p. 803. 62 Op. cit., p. 806-807. 63 La nozione più diffusa di diritti sociali è ricordata da P. BISCARETTI DI RUFFÌA, Diritti sociali (ad vocem), p. 759 “specifiche pretese dei cittadini ad ottenere prestazioni di attività o di cose, nell’ambito economico-sociale, da chi esercita una pubblica funzione (di regola: lo Stato od un altro ente pubblico)”. 61
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sentano una risposta a numerose “questioni sociali”, non ultimo il problema della solidarietà, che viene relegato a strumento di controllo del conflitto sociale. Merito di questi lavori è quello di aver riscoperto la dimensione sociale delle libertà che si traduce essenzialmente con la previsione di quelle possibilità che i diritti offrono allo “sviluppo della personalità”64. La giustificazione soggettiva dei diritti sociali è intesa come sostituzione della concezione sociale dell’uomo a quella individualistica. Il perno di questo riconoscimento è situato nella Costituzione italiana, nella quale all’individuo, cioè al singolo, preso nell’esclusiva considerazione di se stesso (espressione d’individualismo) si sostituisce «la persona, cioè l’uomo quale componente della società, soggetto di rapporti con altre persone, cooperante con queste, espressione di solidarietà o di quella “fraternità” formulata in tempi non molto remoti, accanto alla “libertà” ed alla “uguaglianza”65». Insomma, tale indirizzo vede il fondamento dei diritti sociali non più nel momento individualistico della natura umana ma in quello personalistico o sociale, nel quale trova altresì giustificazione il fenomeno della “socializzazione” della libertà66. Ciò che vale la pena sottolineare è che, a differenza di altri ordinamenti, il nuovo modo di concepire i diritti sociali non è solo il frutto di uno sviluppo dottrinario, ma è espresso direttamente negli articoli della Costituzione italiana. Tre sono i principali segni di questa novità. Anzitutto, il riconoscimento che i diritti non spettano solo al singolo ma anche alle formazioni sociali, come è espresso nell’art. 2 Cost. In secondo luogo, il fatto che i diritti sociali, legati alla rimozione delle diseguaglianze, sono stati collocati in due Titoli della Parte Prima, rubricati “Relazioni etico-sociali” e “Relazioni economiche”, e che al loro interno tali titoli contengano molte altre 64 Su questo punto v. il contributo di S. LENER, Lo stato sociale contemporaneo. Lineamenti di dottrina generale, Roma, La civiltà cattolica, 1966, passim. 65 Cfr. G. CICALA, Diritti sociali e crisi del diritto soggettivo nel sistema costituzionale italiano, Napoli, Jovene, 1965, p. 32. 66 Questa cioè non va intesa come «un bene individuale da difendere dagli assalti dello Stato ma come uno strumento che consente di agire nell’ambito e per il vantaggio di un gruppo per ricevere, successivamente, da questo, delle controprestazioni». Cfr. Op. cit., p. 32 e 33. Si comprende come sia forte l’influenza del pensiero francese, ed in particolare della dottrina di G. BURDEAU, Manuel de droit public. Les libertes publiques, les droits sociaux, Paris, L.G.D.J., 1948, p. 20.
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previsioni concernenti i gruppi e le formazioni sociali, sia nella definizione dei diritti della famiglia, sia nella parte relativa all’istruzione sia nella parte relativa ai diritti dei lavoratori e ai diritti sindacali. In terzo luogo, il fatto che la soddisfazione dei diritti sociali non spetta solo allo Stato ma è affidata anche alla realizzazione privata67. A questo poi si aggiunga che la nostra Costituzione in quegli stessi articoli esprime anche la necessità che la giustizia non sia solo materia di relazioni tra Stato e individui, ma materia di relazioni tra le persone tra di loro e tra persone e istituzioni private di natura sociale (formazioni sociali). L’idea che traspare dagli autori citati e dall’esame delle norme costituzionali è, dunque, che i diritti sociali non riguardino solo la vita collettiva o la vita individuale; essi sono diritti (di tutti e non solo di alcuni) che colgono il singolo nella sua concreta posizione in seno alla società. La nuova chiave interpretativa è utile anche per mostrare che i diritti sociali si sviluppano su un doppio canale, fatto, da un lato, dallo Stato inteso quale “comunità di vita” e, dall’altro, dalla vita della società. Nei diritti sociali questi due elementi non sono antitetici, ma tendenti al medesimo obiettivo. Anzi, tali elementi sono alla radice della espressione dei diritti sociali all’interno del passaggio dallo Stato liberale alla forma di Stato costituzionale-sociale68. Come si può ben immaginare il vero fondamento di queste considerazioni è al di fuori del campo di indagine dei giuristi positivi e si trova in studi condotti da filosofi e antropologi, i quali hanno riconosciuto all’affermazione dei diritti sociali all’interno delle dichiarazioni dei diritti il merito di compiere la rottura con i totalitarismi, contribuendo a dare corpo ad una nuova concezione di uomo che origina dal riconoscimento della sua essenziale dignità69. 67 In sistemi economici in cui coesiste l’iniziativa economica pubblica e privata, come il nostro, la soddisfazione delle prestazioni può derivare, per espressa previsione costituzionale, sia da enti e istituzioni pubbliche che da enti ed istituzioni private (si vedano esemplificativamente gli artt. 34 e 38 Cost. italiana). Sul punto v. A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, in Diritto del mercato del lavoro, 2003, p. 537 e ss. 68 Nella letteratura giuridica si è fatta strada l’idea che l’evoluzione verso una forma di stato nella quale fossero riconosciuti i diritti sociali è stata il frutto di un complesso di evoluzioni pratiche piuttosto che di precise prefigurazioni teoriche. Su questo punto v. A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 2; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit. 69 Per questi autori il substrato generico ma fondamentale perché i diritti si potessero radicare di nuovo, dopo la parentesi totalitaria, nella cultura politica
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I contributi dottrinari della scienza costituzionalistica successivi degli anni ‘70 e ‘80 danno prova dell’avvio del tentativo di individuare una “dimensione soggettiva” per i diritti sociali70. Il consolidamento di questo risultato avviene principalmente attraverso tre fattori tra di loro concorrenti: il recupero del valore e del significato profondo del testo costituzionale e la sua assoluta ricchezza in tema di diritti sociali; il riavvicinamento nelle riflessioni della dottrina pubblicistica della categoria dei diritti sociali e dei diritti di libertà; il contributo della Corte costituzionale al tema dei diritti sociali. Non è un mistero che riguardo al primo dei problemi segnalati, il testo della Costituzione italiana ha dato una risposta che ha colto, in un modo del tutto originale, il valore reale delle disposizioni sui diritti sociali. Come è stato detto, la nostra Costituzione presuppone «una giustificazione complessiva dei “diritti sociali”, che non si limita (...) al rapporto tanto con la garanzia dei diritti della persona umana e della autorealizzazione dell’individuo quanto con il fine della rimozione degli ostacoli alla libertà e all’eguaglianza per lo sviluppo della democrazia nel campo politico ed economico-sociale, ma li qualifica ulteriormente attraverso la definizione degli ambiti di vita sociale o comunitaria necessari per il libero sviluppo della persona umana come formazioni originarie e, come tali, strutturalmente indipendenti ed essenzialmente intangibili da parte della Stato71». Come vedremo questa interpretazione, legata fortemente al pene giuridica è l’idea che tra gli uomini c’è una “comunanza” di fondo e che «i rapporti sociali si fondano sull’amore, sull’amicizia, sull’aiuto reciproco e sulla cooperazione». Solo una concezione antropologica che parte dalla dignità - una concezione “ottimistica” si potrebbe dire - e in cui «le persone siano trattate come fini, ma che possa essere al contempo realistica» è in grado di far ripartire la «mentalità dei diritti». Le concezioni pessimistiche, invece, «stanno alla base dei punti di vista totalitari, della “cosificazione” delle persone e della personificazione delle cose». Cfr. G. PECES-BARBA MARTINEZ, Diritti sociali: origini e concetto, cit., p. 34 e ss. 70 Il tema del recupero della dimensione soggettiva del diritto alla salute è una espressione sintetica che riflette la maturazione e la maggiore attenzione della dottrina per tutti i diritti sociali, anche considerati singolarmente. Si pensi a quanto è accaduto con il tema della salute e con l’emersione anche qui di una dimensione soggettiva di questo diritto. In questo senso v. i contributi di M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, cit., p. 769 e ss; B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e società, 1, 1983, p. 21 e ss.; B. CARAVITA, La disciplina costituzionale della salute, in Dir. e soc., 1984, p. 21 e ss. 71 Vedi A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., passim.
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siero di alcuni giuristi cattolici72, trova la sua radice negli stessi lavori dell’Assemblea Costituente73, dove emerse quale unica capace di mitigare le posizioni sia dei deputati di sinistra, secondo i quali i diritti sociali erano funzionali ad introdurre un ordine nuovo egemonico non reversibile, sia dei deputati liberali, per i quali i diritti civili dovevano saldarsi con i diritti sociali entro la cornice di una radicale riforma dell’apparato pubblico capace di rendere i soggetti dei diritti sociali protagonisti della vita dello Stato stesso74. Partendo da questa posizione, la dottrina giuridica italiana ha dato risposta anche all’altro grande interrogativo sulla natura dei diritti sociali, cioè l’impossibilità di inserire questi diritti nelle Costituzioni, stante la loro caratteristica di mere prestazioni offerte dallo Stato e unicamente strumentali ad una funzione
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Così N. ANTONETTI, Dottrine politiche e dottrine giuridiche. I cattolici democratici e i problemi costituzionali (1943-1946), in I cattolici democratici e la Costituzione, a cura di N. ANTONETTI, U. DE SIERVO, F. MALGERI, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 109 e ss. 73 Il terreno di incontro tra le anime della Costituente fu trovato su un ordine del giorno dell’on. Giuseppe Dossetti presentato il 9 settembre 1946 e così concepito: «La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia debba soddisfare, è quella che: a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella pienezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella; b) riconosca a un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose) e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, lo Stato; c) che perciò affermi sia l’esistenza dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato». Come osserva P. SCOPPOLA, La Costituzione italiana tra democrazia e diritti sociali, cit., p. 135 «quell’ordine del giorno divenne, di fatto, punto di riferimento essenziale per la definizione della “ideologia comune” della quale si avvertiva l’esigenza: in esso era radicalmente rovesciato il rapporto fra Stato e individuo caratteristico dei regimi totalitari e il concetto stesso di individuo era superato in quello di persona per sottolineare l’apertura del singolo ai valori della solidarietà». 74 Tra i deputati che maggiormente si batterono per questa posizione vi sono gli appartenenti al “Partito d’azione”, tra cui era stato eletto anche P. Calamandrei.
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pubblica75. Come già ricordato, in questa visione mentre i diritti civili creano per lo Stato semplicemente un obbligo di non fare, i diritti sociali lo impegnano a specifiche prestazioni che richiedono, per essere soddisfatte, complesse precondizioni economiche, amministrative e professionali. In assenza di queste precondizioni la loro “proclamazione” è del tutto inefficace76. Il posto dei diritti sociali sarebbe, perciò, quello della legalità ordinaria e non l’empireo della legalità costituzionale77. Su questi dilemmi la dottrina, soprattutto costituzionalistica, ha dato tre ordini di risposte. Il primo tipo di risposte mira a sottolineare il valore intrinseco della scelta politica di costituzionalizzare i diritti sociali. In fondo le costituzioni approvate dopo la seconda guerra mondiale sono state corredate da queste disposizioni. Nella costruzione dei nuovi ordinamenti i “vecchi” diritti erano considerati insufficienti rispetto alla evoluzione della vita sociale78. Pertanto, è contrario ai fatti, e soprattutto alla storia, affermare che i diritti sociali non hanno spazio nelle dichiarazioni dei diritti e nelle costituzioni. Del resto, l’evoluzione verso una forma di organizzazione costituzionale nella quale sia riconosciuto ai diritti sociali un ruolo centrale è stata più il frutto di un complesso di processi pratici che di precise configurazioni teoriche79. 75
Questo schema di analisi appare rinviare e trovare fondamento nella costruzione di G. JELLINEK dei “diritti pubblici soggettivi” in quanto assimila i diritti sociali ai diritti “civici” e si inserisce perciò in una concezione per la quale la dimensione dei diritti è esclusivamente legale. Su tale punto v. A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 5. 76 I diritti sociali vanno considerati più che “diritti” in senso stretto delle “conditional opportunities per la partecipazione ad una comunità nazionale universale”. L’espressione è di J.M. BARBALET, Citizenship: Rights, Struggle and Class Inequality, Milton Keynes, Open University Press, 1988, trad. it. J.M. BARBALET, Cittadinanza, Padova, Liviana, 1992, p. 102. 77 Come afferma L. CARLASSARE, I diritti sociali nelle prospettive di riforma costituzionale, in Quale futuro per i diritti sociali? , a cura di T. TREU, L. PALADIN, Padova, S.L., 1996, p. 52 «benché la nostra attuale Costituzione sia rigida, questi diritti si troverebbero nella medesima situazione dei diritti proclamati in una Costituzione flessibile, cioè alla mercé del legislatore». 78 Una traccia di queste idee è alla base del pensiero del giurista ucrainofrancese B. MIRKINE-GUETZEVITCH, Le Costituzioni europee, Milano, Ed. Comunità, 1951, passim il quale nel periodo tra le due guerre ha mostrato i caratteri del nuovo costituzionalismo affermatosi in quel periodo e dell’influsso su di esso delle nuove “concezioni sociali” che si sviluppavano in Europa. 79 Così T. CASADEI, «Diritti in bilico»: i diritti sociali tra riconoscimento e oscuramento, in Pluralimo e libertà fondamentalio, a cura di M. RICCIARDI, C.
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Le risposte del secondo tipo ritornano sull’idea di libertà che fonda il riconoscimento dei diritti sociali80. Dopo il secondo conflitto mondiale si rende evidente che di fronte ad una società pluriclasse una concezione della libertà come “libertà naturale o negativa” è inadeguata. Emerge, infatti, la necessità di considerare le persone non più come individui singolarmente considerati, la cui libertà - patrimonio originario di ogni individuo - viene limita e riconosciuta dall’ordinamento. Il nuovo concetto di libertà deve riflettere la nuova idea del titolare dei diritti: non più l’individuo borghese, sovrano assoluto del suo spazio vitale, ma la persona, cioè l’uomo considerato nelle sue relazioni interpersonali81. In tale passaggio – dall’individuo alla persona – il vero mutamento riguarda l’etica che informa il legame sociale, un’etica autenticamente nuova che, da un lato, esalta il “dovere di appartenenza e di solidarietà” in capo alla società e, dall’altro, si fonda sul concetto della dignità umana82. Sul piano tecnico-giuridico la riscoperta del pluralismo è stata certamente influenzata dalla introduzione della “rigidità costituzionale”. La nuova forma di Stato impone una cornice costituzionale diversa da quella flessibile liberale, espressione del tentativo liberale di negare il conflitto attraverso una “strategia censitaria”. Le Costituzioni rigide sono invece il tentativo di rappresentazione più completa dell’opzione compromissoria, inclusiva di tutti gli interessi contrapposti nella nuova architettura giuridicoistituzionale83. DEL BÒ, Milano, Giuffrè, 2004, p. 171. «Il riconoscimento dei diritti sociali e l’istituzione di un’organizzazione costituzionale che li assumesse come valori fondanti e fondamentali sono stati più il risultato di molteplici spinte, spesso contrastanti, che la conseguenza dell’azione di uno specifico e univoco movimento politico. Ciò attesta quanto la “lotta per i diritti” abbia sempre una concretezza storica, e agisca sul “potenziale di situazione” di un dato contesto, ovvero come il normativo si origini dalla “rilevanza” del fattuale». 80 Vedi M.L. SERRANO, Sul carattere fondamentale dei Diritti sociali, in WP CSDLE . "Massimo D'Antona". INT, 2009, 70, 2009, p. 24 e ss. 81 Un concetto più complesso che si riferisce sia all’uomo uti singulus sia all’homme situé, cioè alla persona calata nel contesto sociale dove vive. Così G. BOURDEAU, Traité de science politique, Paris, Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence, 1956, p. 361 82 Così D. BIFULCO, L'inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, Jovene, 2003, p. 127 e ss. 83 Particolarmente efficace a tale proposito è la ricostruzione di R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, p. 20 e ss., il quale evidenzia come l’uso di una contrapposizione nella stessa disposizione costituzionale di principi tendenzialmente antagonisti, quali l’«eguaglianza formale» e
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Le risposte del terzo tipo sono, invece, legate alla riscoperta della “categorie formali” dei diritti sociali. L’inserimento di questi diritti nelle Costituzioni approvate alla fine degli anni ‘40 e negli anni ‘50 è un dato incontrovertibile della storia politica. Lo Stato contemporaneo è sorretto su un nuovo modello di conciliazione tra l’eguaglianza e le libertà84. Inoltre, nelle Costituzioni contemporanee non ci si è limitati alla mera previsione di disposizioni che fissano programmi da attuare in futuro ma sono stati indicati veri e propri diritti immediatamente esigibili anche nei confronti dei privati85. Da tutto ciò deriva anche un’ulteriore considerazione. I diritti sociali non sono configurabili - se non astrattamente - in modo unitario. I titolari dei diritti, le situazioni giuridiche soggettive, i mezzi di tutela, le controparti delle situazioni soggettive riconosciute, ad esempio, nei Titoli II e III, Prima Parte, della Costituzione italiana impongono una considerazione dei diritti sociali come un insieme eterogeneo di diritti86. Perciò, al fine di l’«eguaglianza sostanziale», la garanzia della proprietà privata e la sua funzionalizzazione» all’utilità sociale, ecc. «dimostrano la natura fortemente compromissoria delle Costituzioni democratiche novecentesche o, se si vuole, l’incorporazione al loro interno del conflitto, in ogni sua forma, in qualità di elemento strutturante e insuperabile». 84 Come espresso da M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 93 e 94. 85 Se si guarda alla Costituzione italiana, ad esempio, si troveranno norme come quella sul diritto all’equo salario, che la prevalente giurisprudenza considera direttamente fondato sull’art. 36 Cost., o i diritti che attengono alla famiglia ed alla scuola, che hanno un incidenza diretta sulle situazioni concrete di queste realtà sociali. 86 Una delle prime classificazioni fatte in dottrina è quella di G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 763-766. Corso individua quattro controparti diverse. In primo luogo, lo Stato-legislatore nei casi in cui vi è “una prescrizione a suo carico” e le formule costituzionali hanno carattere “promozionale”, fanno cioè riferimento a “fini e obiettivi” ma non attribuiscono o riconoscono situazioni soggettive. In questo caso, tali norme costituzionali “programmatiche” hanno una dimensione giuridica in quanto si pongono quale “criterio interpretativo offerto al giudice” ma non configurano “una pretesa immediatamente azionabile a favore del soggetto (è il caso, secondo l’autore, dell’art. 4 Cost. in relazione ad alcuni aspetti del diritto al lavoro, dell’art. 30 Cost., tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, dell’art. 35 Cost., formazione e elevazione professionale dei lavoratori, dell’art. 37 Cost., tutela del lavoro dei minori) e il diritto (legale) nasce solo dopo “la legge attuativa del principio costituzionale” che ne costituisce il “fondamento”. In secondo luogo, un gruppo di norme dirette soprattutto verso lo Stato-amministratore e che riguarda “diritti a prestazioni amministrative, da erogarsi da parte di organizzazioni istituite in base alla legge” e nelle quali il profilo soggettivo “appare ... subordinato al momento organizzativo di istituzione ed attuazione del servizio” (è il caso della scuola e della sanità) e può essere configurato nella
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evitare l’impiego generico della nozione di diritto sociale, è all’interno di ciascun diritto che si deve cogliere la differenza tra le varie componenti, evidenziando in che misura e in che modo esso richieda astensioni, interventi promozionali e solidali, partecipazione, ecc.87. In chiave giuridico-positiva riemerge nuovamente l’idea del fondamento dei diritti sociali, tentando di rifondare la categoria non più solo sulla base dell’art. 3, comma 2, Cost., ma anche sull’art. 2 Cost. e, in particolare, sull’affermazione che ai diritti vantati dalla persona corrispondono doveri di solidarietà collettiva. Il contributo più consistente in questa ottica viene dalla riscoperta della fondamento pregiuridico degli articoli sui diritti sociali nella Costituzione, che opera una riscoperta di un criterio più solido per classificare tali diritti che parta dalle dimensioni sociali della persona88. Per questa strada si risolve anche l’altro grande problema dogmatico legato ai diritti sociali, cioè la loro qualificazione come “diritti fondamentali”. Come è noto il riconoscimento della “fondamentalità” anche per i diritti sociali è stato realizzato attraverso due strade. In primo luogo, mettendo in evidenza il fatto che anche i diritti di libertà richiedono un intervento attivo da parte dello Stato, senza del quale rimangono “ineffettivi”89. Anche i diritti
figura dogmatica del diritto “civico”. Poi vi sono i diritti tutelabili senza l’intervento del legislatore, come i diritti del contesto lavorativo (art. 36 e 37 Cost). Infine i diritti che possono essere fatti valere sia verso i soggetti pubblici sia verso i privati, quali il diritto alla salute, la libertà sindacale e il diritto di sciopero. 87 Ciò vuol dire che la pretesa ad un intervento rimane un fattore fondamentale ma non l’unico che caratterizza i diritti sociali. Su questo punto si segnalano i lavori di due autori che più di tutti hanno tentato di dare razionalità alle classificazioni dei diritti sociali. Il primo è A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., il quale distingue tra diverse classi di diritti sociali: diritti sociali di libertà; norme programmatiche; diritti sociali incondizionati; diritti sociali condizionati. Il secondo è M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 93 e ss. che parte dalla distinzione di tutte le libertà in quattro gruppi e che sottolinea la forte connotazione storica dello sviluppo dei diritti sociali all’interno degli ordinamenti costituzionali. Egli distingue i diritti sociali in quattro categorie: diritti di difesa, diritti a prestazione, diritti di partecipazione, diritti di avere o percepire parte di un utile sociale. 88 Così A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit. 89 Il riconoscimento dell’assenza di ogni antagonismo logico tra diritti di libertà e diritti sociali si accompagna nella riflessione di questi autori alla piena assunzione di una dimensione conflittuale nei concreti casi della vita, ed alla conseguente necessità di ricondurre i rapporti tra eguaglianza e libertà agli
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di libertà non si fondano solo sul presupposto che la Costituzione li abbia proclamati; l’intervento del legislatore è necessario per renderli azionabili e, dunque, per dare loro concreta garanzia90. A questo tema si collega anche un’ulteriore problematica, che in questa sede non possiamo affrontare in tutta la sua ampiezza e che perciò ci limitiamo a ricordare: si tratta della connessione tra gli strumenti di garanzia dei diritti ed il loro costo, un tema che di recente è tornato in auge grazie alle considerazioni contenute in volume scritto da due autori americani91, i quali hanno dato esempi e maggiore spessore argomentativo al ragionamento contro-intuitivo già espresso da altri autori prima di loro92. La prospettiva analitica, a cui lo scritto dei due autori si riferisce, rileva che tra i diritti e le forme economicoistituzionali necessarie per il loro soddisfacimento vi è un collegamento necessario, in forza del quale è necessario rivolgere l’attenzione più ad aspetti della configurazione effettiva dei diritti che alla loro matrice teorica per comprenderne il significato93. In secondo luogo si è sottolineato che pure i diritti sociali condividono lo statuto tipico dei tradizionali diritti di libertà, tanto sotto il profilo dell’efficacia quanto sotto quello della struttura giuridica94. Tali diritti sono parte essenziale della nostra forma di Stato, quindi di quella evoluzione giuridica che ha portato al superamento dello Stato assistenziale e schemi di risoluzione dei conflitti tra valori. Vedi sul punto M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 79. 90 Vedi R. GRECO, Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale, in Questione giustizia, 2-3, 1994, p. 261 e ss. 91 Vedi S. HOLMES, C.R. SUNSTEIN, The cost of rights: why liberty depends on taxes, London, Norton & Company, 1999, trad. it. S. HOLMES, C.R. SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, Il Mulino, 2000, passim. 92 Considerazioni presenti per quanto riguarda i diritti sociali già M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, cit., p. 806; anche in altre sedi tale connessione è stata avvertita come essenziale: cfr. M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, Giuffrè, 1995, p. 58 e ss. 93 Con ciò sembrerebbe essersi affievolita molto la differenza tra “diritti condizionati” e “diritti incondizionati” che aveva avuto una certa fortuna in dottrina tra la fine degli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90 e che trovava una sponda nella stessa giurisprudenza costituzionale di quegli anni. Sul punto vedi le considerazioni di M. RUOTOLO, La lotta alla povertà come dovere dei pubblici poteri. Alla ricerca dei fondamenti costituzionali del diritto a un'esistenza dignitosa, in Diritto pubblico, 2, 17, 2011, p. 391 e ss. 94 Tale è sinteticamente la posizione espressa da A. PACE, Problematica delle libertà fondamentali. Parte generale, Padova, Cedam, 2003, p. 141 e ss.
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all’inserimento di nuovi principi fondamentali capaci di rifondare il rapporto tra persona, società e soggetti pubblici95. Perciò, se l’inviolabilità e la consacrazione al rango di diritti fondamentali vengono attribuite dalla Costituzione solo a quei diritti espressione di “valori preesistenti e da tempo rilevanti presso la generalità di consociati”96, la coessenzialità dei diritti sociali allo sviluppo della persona umana implica necessariamente che venga loro conferito il crisma dell’inviolabilità e che la tutela loro accordata sia quella dei diritti costituzionali e non quella dei diritti meramente “legali”97. Quest’ultima conclusione mi pare opportuna se si guarda al fatto che nell’ordinamento italiano i diritti sociali assumono una connotazione per certi versi opposta rispetto a quella tipica dei sistemi di welfare della cultura nordeuropea. In Italia, grazie alle previsioni costituzionali che identificano un nuovo substrato antropologico della vita comune98, si è tentato di realizzare un compromesso tra una visione dei diritti sociali quali mere prestazioni pubbliche, che gli individui pretendono nei confronti delle istituzioni pubbliche incaricate di preservare la democrazia attraverso la eliminazione delle diseguaglianze, e una visione dei diritti sociali quali diritti del pluralismo, cioè diritti a presidio della integrazione e della partecipazione effettiva dei gruppi e delle persone a tutte le manifestazioni della vita, del lavoro, della sicurezza, del benessere, dell’educazione, dell’attività culturale, come a tutte le manifestazioni possibili dell’autonomia giuridica, del controllo democratico da parte degli stessi interessati99. Nell’ordinamento italiano il punto di partenza è scritto in 95 Vedi A. BALDASSARRE, I diritti sociali nella Costituzione, in Quale futuro per i diritti sociali? , a cura di T. TREU, L. PALADIN, Padova, S.L., 1996, p. 34. 96 Così M. ZANICHELLI, Il discorso sui diritti: un atlante teorico Padova, CEDAM, 2004, p. 10 e ss. 97 Sul punto vi è un quasi totale accordo in dottrina: tra tutti v. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, cit., p. 806; A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 3; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 79; F. MODUGNO, I "nuovi diritti" nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, Giappichelli, 1995, p. 66. 98 Questa nuova concezione porta ad una giustificazione nuova per gli stessi diritti fondamentali, che non può più risiedere nello Stato, essendo quest’ultimo una delle forme della vita comune. Così A. SPADARO, Il problema del «fondamento» dei diritti fondamentali, in I diritti fondamentali oggi (Atti del convegno dell’AIC, Taormina 1990), a cura di AA.VV., Padova, Cedam, 1995, p. 241. 99 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, Milano, Ed. di comunità, 1949, p. 99 e ss.
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Costituzione: non è l’esistenza dello Stato – sia inteso come “ordinamento” che come “soggetto” – alla base del riconoscimento dei diritti, ma il fatto che occorre garantire a tutti la possibilità di sviluppare le proprie capacità, intessendo relazioni di vita all’interno di luoghi e contesti sociali - come la famiglia, la scuola, il lavoro, l’ambiente di vita personale e collettiva - nei quali e mediante i quali crescere ed esprimersi come persona100. 2.3 L’apporto della giurisprudenza costituzionale Nel percorso della dottrina italiana un ruolo decisivo ha avuto l’analisi dell’apporto dato dalla giurisprudenza costituzionale alla sistematizzazione dei diritti sociali. Gli autori che hanno studiato questo tema hanno evidenziato che nell’interpretazione delle norme costituzionali sui diritti sociali i giudici delle leggi hanno fortemente influenzato sia l’orizzonte teorico di questi diritti sia il loro riconoscimento pratico. La dottrina ha sottolineato quanto sia stato importante per arrivare a riconoscere l’inviolabilità di tali diritti usare nelle sentenze costituzionali tecniche e paradigmi simili a quelli utilizzati nei giudizi sui diritti civili e politici. La ragione di tale scelta è stata pure collegata alla intrinseca omogeneità ed interdipendenza tra tutti i diritti fondamentali proclamati in Costituzione, i quali richiedono forme di giudizio nelle quali è necessario tenere presenti profili diversi riguardanti sia lo stesso diritto sia il rapporto con altre esigenze101. Ma il merito forse più grande della dottrina costituzionalistica è stato l’aver ampiamente ricostruito il ruolo della giurisprudenza costituzionale nei sistemi di produzione legislativa del diritto di famiglia, del diritto alla salute, del diritto all’istruzione, del diritto del lavoro e dell’assistenza e previdenza sociale. In questi settori la Corte costituzionale ha “interferito” nell’uso della discrezionalità legislativa fino a indirizzare il legislatore verso il riconoscimento dei nuovi equilibri sociali che si erano formati all’interno della vita civile italiana102. Inoltre, il giudizio sulla consistenza dell’attuazione legislativa ha richiesto che la Corte sviluppasse il controllo di costitu100
A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit. , p. 162. Così B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 18. 102 Cfr. C. COLAPIETRO, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale, Padova, CEDAM, 1996, in particolare p. 123 e ss. 101
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zionalità in modo da qualificare la struttura costituzionale di questi diritti non in contrapposizione o in alternativa al legislatore, ma in una logica di correzione del legislatore stesso e di auto-correzione103. Nell’ambito della definizione preliminare delle questioni legate allo sviluppo della giurisprudenza costituzionale occorre dare conto del percorso concreto svolto dalla Consulta in materia di diritti sociali. A questo proposito si possono distinguere tre diversi momenti nell’evoluzione delle decisioni costituzionali. Nel primo la Corte si è mantenuta cauta nell’affrontare le questioni che le venivano sottoposte, preferendo adottare soprattutto pronunce di rigetto per rispetto della discrezionalità del legislatore. Nel secondo i giudici delle leggi hanno cambiato rotta ed hanno cercato di elaborare nuovi tipi di pronunce capaci di incidere su tale discrezionalità, sia attraverso formule additive104 (di prestazione e di principio) sia attraverso la “giurisdizione” di ragionevolezza105. In questo periodo, piuttosto lungo, se paragonato all’intera attività, la Corte ha oscillato tra aperture verso la dichiarazione di incostituzionalità delle omissioni legislative e atteggiamenti opposti di self-restraint miranti a sottolineare l’importanza di salvaguardare le “esigenze finanziarie” e l’equilibrio di bilancio dello Stato106. In tale periodo è cresciuto 103
È in questa ottica che si può leggere il “tortuoso” percorso svolto dalla giurisprudenza costituzionale in materia di diritti sociali, in cui sia l’affinamento delle tecniche di giudizio sia l’elaborazione delle tipologie delle decisioni sono stati pensati per dare risposta a problemi contingenti più che seguire un intento di tipo politico. Così V. ONIDA, Eguaglianza e diritti sociali, in Corte Costituzionale e principio di eguaglianza. Atti del Convegno in ricordo di Livio Paladin, Padova 2 aprile 2001, Padova, 2002, p. 101 e ss. 104 V. sul punto la ricostruzione di L. ELIA, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, a cura di AA.VV., I, Padova, Cedam, I, 1985, p. 299 ss. 105 Su tale punto vedi C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, Torino, Giappichelli, 2000, passim; M.C. CAVALLARO, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Ragion pratica, 14, 2000, p. 27 e ss.; G. BONGIOVANNI, Diritti sociali e giurisprudenza della Corte costituzionale: il rapporto Corte/potere legislativo nel mutamento costituzionale, in Democrazia, diritti, costituzione. I fondamenti costituzionali delle democrazie contemporanee, a cura di G. GOZZI, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 341 e ss. 106 Sul tema G. ZAGREBELSKY, Problemi in ordine ai costi delle sentenze della Corte costituzionale, in Le sentenze della Corte costituzionale e l’articolo 81, ultimo comma, della Costituzione, a cura di AA.VV., Milano, Giuffrè, 1993, 147 e ss.; T. GROPPI, Verso una giustizia costituzionale "mite"? Recenti
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proporzionalmente l’uso delle sentenze di rigetto e sono state elaborate tipologie di decisione nuove come le additive di principio107, o si è diffuso l’uso dell’”inammissibilità per eccesso di fondatezza”108. A questa fase contrassegnata dall’invenzione giurisprudenziale di tecniche di giudizio e decisioni nuove, ha fatto seguito una nuova fase contrassegnata, sul piano del giudizio in via incidentale, da una sostanziale continuità giurisprudenziale. Le novità maggiormente degne di nota sono, invece, avvenute all’interno del giudizio in via principale. La riforma costituzionale del 2001, infatti, è intervenuta sul riparto delle competenze legislative statali e regionali inserendo clausole ampie che, da un lato, affidano la disciplina di molti diritti sociali alle regioni ma, dall’altro, mantengono allo Stato la definizione dei principi fondamentali (materie concorrenti) e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti questi diritti (art. 117, comma 2, lett. m), Cost.)109. Sebbene quest’ultimo tema non sia trattato in questo lavoro occorre tener presente che oggi la tutela giurisdizionale per i diritti sociali passa anche per il giudizio in via principale, che nasconde molte potenzialità di sviluppo in questo settore110. Fino ad ora la Corte ha usato le proprie competenze più a favore dello Stato che delle Regioni, mostrando una interpretazione delle materie riformate secondo uno schema
tendenze dei rapporti tra Corte costituzionale e giudici comuni, in Politica del diritto, 2, 33, 2002, p. 224 e ss. 107 Nel corso del suo cammino la Corte costituzionale ha usato le sentenze additive di principio non solo per indicare al legislatore la strada per dare garanzia ad interessi non sufficientemente tutelati, ma si è preoccupata di intessere un fitto dialogo con i giudici. Così G.P. DOLSO, Le sentenze additive di principio: profili ricostruttivi e prospettive, in Giurisprudenza costituzionale, 6, 1999, p. 4111 e ss. 108 Cioè decisioni pronunciate al fine di offrire una alternativa alle cd. “sentenze di spesa”. Sul tema si veda soprattutto R. ROMBOLI, Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1995-1998), Torino, Giappichelli, 1999, passim. 109 Sul tema v. C. SALAZAR, I dirittti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, in Diritti sociali e servizio sociale, a cura di P. COSTANZO, S. MORDEGLIA, Milano, Giuffrè, 2005, p. 162 e ss. 110 Sul punto vedi tra tutti A. RUGGERI, La tutela "multilivello" dei diritti fondamentali, tra esperienze di normazione e teorie costituzionali, in Politica del diritto, 3, 38, 2007, p. 317 e ss; E. LONGO, Regioni e diritti, Macerata, Eum, 2007, p. 2 e ss.; S. GAMBINO, Cittadinanza e diritti sociali fra neoregionalismo e integrazione comunitaria, in Quaderni costituzionali, 1, XXIII, 2003, p. 67 e ss.
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che limita fortemente l’innovazione legislativa in materia sociale111. La ricostruzione del ruolo della Corte costituzionale in questo settore ha trainato con sé anche un rinnovato interesse per il superamento del pregiudizio verso la non “giustiziabilità” dei diritti sociali. In questo senso vi è stata una mutua contaminazione tra la dottrina e la giurisprudenza soprattutto costituzionale112. Sulla scorta dei risultati raggiunti dalla dottrina, anche il “diritto costituzionale vivente”, come è stato affermato113, ha saputo affermare che i diritti sociali sono giustiziabili sia nei confronti dell’autorità pubblica sia nei confronti dei soggetti privati. 3. IL SIGNIFICATO ATTUALE DEI DIRITTI SOCIALI E LA CATEGORIA DEI DOVERI DI SOLIDARIETÀ
Nei paragrafi precedenti si sono approfondite le ragioni che stanno alla base della condizione di inferiorità dei diritti sociali, tentando poi di vedere le risposte date dalla dottrina a tali problemi. Merito degli autori esaminati è sicuramente il fatto di aver compreso che la problematica ricostruzione di questi diritti non ha a che fare solo con aspetti teorici, ma riguarda la loro stessa collocazione all’interno delle costituzioni contemporanee: in nome del minor valore rispetto ai diritti di libertà si è messo 111
Esemplificative a questo proposito una serie di sentenze approvate dalla Corte durante il periodo 2003-2012. Su questo punto sia consentito rimandare all’analisi contenuta in E. LONGO, G. MOBILIO, L’argomentazione sui diritti nel giudizio costituzionale in via principale. spunti di riflessione alla luce di alcuni importanti indirizzi giurisprudenziali, 2012, in corso di pubblicazione negli atti del Convegno organizzato dall’ISSIRFA (20-22 ottobre 2011) dal titolo “IL REGIONALISMO ITALIANO DALL’UNITA’ ALLA COSTITUZIONE E ALLA SUA RIFORMA”. 112 Il diritto ad una «tutela giurisdizionale piena ed effettiva» esiste secondo i giudici costituzionali sempre nel momento in cui vi è l’affermazione costituzionale di un diritto. Nella sentenza n. 26 del 1999 (punto n. 3.1. del c.i.d.) si legge che «al riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale. Il principio di assolutezza, inviolabilità e universalità della tutela giurisdizionale dei diritti esclude infatti che possano esservi posizioni giuridiche di diritto sostanziale senza che vi sia una giurisdizione innanzi alla quale esse possano essere fatte valere». 113 Cfr. C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, cit., p. 10.
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in dubbio l’effettiva valenza dei diritti sociali all’interno delle costituzioni. Si è visto che la svalutazione delle norme costituzionali sui diritti sociali ha diverse ragioni: viene contemporaneamente ricondotta ad un problema storico, relativo all’apparire delle esigenze sociali solo in un certo momento della vita umana; ad un problema economico, perchè in un sistema democratico i diritti sociali implicano un costo per lo stato mentre i diritti di libertà sono (astrattamente) a costo zero; ad un problema politico, perchè i diritti sociali sono legati alla discrezionalità politica, per cui la loro tutela dipenderà dalle opzioni e dai programmi politici dei governanti114. Il cammino compiuto in questi anni, sia dalla dottrina sia dalla Corte costituzionale, ha messo in luce un diverso modo di intendere tali diritti fondato sulla ricostruzione di essi come categoria non omogenea, che mira a tutelare molteplici beni giuridici attraverso posizioni soggettive di rango diverso. I diritti sociali non sono un tutt’uno, ma una categoria complessa in ragione del fatto che identificano momenti e luoghi dove si svolge la vita dell’uomo. Se si guarda alla declinazione dei diritti sociali nelle Costituzioni rigide e nelle Carte internazionali si comprende che rispetto alla “tradizione liberale” i diritti dell’uomo si sono arricchiti di un quid novi, che si basa sull’assunto della dignità intesa quale pietra d’angolo dell’intero edificio costituzionale. In questa visione la formalizzazione dei diritti sociali tenta di riprendere l’aggancio con i processi democratici e con la diversità delle situazioni umane concrete in cui ci troviamo a vivere115. 114
Vedi R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza, in Studi in onore di G. Berti, I, Napoli, 2005, passim. 115 In un più ampio contesto F. VIOLA, L'etica dello sviluppo tra diritti di libertà e diritti sociali, in Ragion Pratica, 1, 14, 2000, p. 115, ricorda che «I diritti non sono proclami astratti, ma sono pratiche concrete in cui idee direttive devono fare i conti con le condizioni sociali e politiche della loro implementazione. Se consideriamo queste circostanze socio-politiche solo come condizionamenti, cioè come restrizioni o limitazioni dell’ideale, allora non riusciremo a cogliere la loro portata ermeneutica. I diritti non sono idee eterne che devono negoziare con la storia, ma sono una prassi che è alla ricerca di se stessa, cioè della sua eccellenza o della sua pienezza. Per questo le circostanze storiche, le trasformazioni economiche e politiche e i mutamenti delle culture sono ben più istruttivi delle catalogazioni astratte dei diritti. Su queste situazioni di fatto dobbiamo saper gettare il nostro sguardo critico, evitando i due atteggiamenti estremi e contrapposti: il mero giustificazionismo del fatto, da una parte, e l’immobilismo delle idee dall’altra. In realtà i diritti dell’uomo
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I pregi e i difetti di questa visione sono molteplici. Secondo essa, anzitutto, non c’è bisogno di scomodare la “cittadinanza” per godere dei diritti sociali. Per questa via è riconosciuto il valore universale di tali diritti (cosmopolitismo) in forza del fatto che essi sono parte dei “diritti della persona”116. Inoltre, si confuta l’assioma che la cura dei bisogni sociali sia di spettanza esclusiva dell’amministrazione statale (la cd. amministrativizzazione dello Stato sociale). In questo orizzonte, infatti, c’è spazio non solo per la libera intrapresa ma anche per la solidarietà spontanea che vive all’interno della società civile117. Proprio sulla base della concezione solidaristica e della dignità della persona – posta al centro dei fini anche della politica dello Stato118 – è stato possibile affermare un principio di eguaglianza che potesse sia superare la concezione liberale senza negarne il valore sia evitare che l’unico metodo per abbattere le diseguaglianza fosse l’intervento attivo dello Stato. In questa ottica, il punto di saldatura di tutta l’architrave su cui poggia la ricostruzione del significato nuovo dei diritti sociali è divenuto l’art. 2 della Costituzione italiana, nel quale si descrive il rapporto tra diritti e doveri in un modo inedito rispetto al passato. Tale articolo, infatti, giustifica la richiesta di adempiere i doveri sulla base del principio di solidarietà declinato nelle tre sfere “economica, politica e sociale”, secondo un impianto che «rivela una forte tensione a superare la visione individualistica sia dei diritti fondamentali sia dei doveri inderogabili»; questi ultimi «sono definiti come “doveri di solidarietà” e, in quanto tali, fanno riferimento ad una categoria ben più esigente rispetto all’individualismo liberale», cosicché «parlare di doveri di solidarietà significa considerare quella imprescindibile relazione che lega gli uomini tra loro e che fonda in questo
mutano e si trasformano, ma ciò può avvenire per il meglio o per il peggio. È lo spirito critico che dovrà dirlo». 116 Nell’evidente presupposto, come ricorda P. RESCIGNO, Persona e comunità: saggi di diritto privato, Bologna, Il Mulino, 1966, p. 32, che «solo nella vita sociale l’esperienza singolare si fa persona». 117 Così F. GIUFFRÈ, La solidarietà nell'ordinamento costituzionale, Milano, Giuffrè, 2002, p. 146 e ss. Sul tema vedi anche il recente contributo di V. TONDI DELLA MURA, La solidarietà fra etica ed estetica. Tracce per una ricerca, in Scritti in onore di A. Mattioni, Milano, 2011, p. 651 e ss. 118 E. BALBONI, Diritti sociali e doveri di solidarietà, in Il Mulino, 5, XXXVI, 1987, passim.
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modo la societas su basi diverse dall’utilitarismo119». Il principio di solidarietà impone, infatti, una chiave ermeneutica nuova per analizzare i doveri diversa da quella tradizionale dello stato liberale120 e lontana dal giusnaturalismo ottocentesco121. Dalla lettura dell’art. 2 della Cost. si possono dedurre due corollari che contribuiscono a definire i termini del nostro lavoro: il primo riguarda la natura delle costituzioni moderne, formate come un vero e proprio patrimonio di valori fondamentali; il secondo riguarda la configurazione dei diritti e dei doveri. Un primo corollario discende dalla considerazione del pluralismo ideale, sociale e politico che costituisce il substrato della nostra Carta costituzionale. In ragione di tale origine, l’art. 2 ha ancorato i doveri alla solidarietà, che in tal modo diventa valore fondamentale - ossia fondante - dell’ordinamento: l’individuo non è concepito come mera monade, ma è proiettato naturaliter oltre se stesso122. Un secondo corollario deriva dalla caratteristica che hanno le enunciazioni che riproducono i diritti e i doveri nelle Costituzioni come la nostra. Come ha mostrato un parte della dottrina, vi è una differenza fondamentale tra le due tipologie di norme: alla tipicità di quelle che prevedono i diritti non corrisponde una altrettanto chiara definizione di quelle che incorporano i doveri, perché queste ultime (sia quando si tratti di doveri pubblici che 119
Ambedue le citazioni sono tratte da: L. VIOLINI, I doveri inderogabili di solidarietà: alla ricerca di un nuovo linguaggio per la Corte costituzionale, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2007, p. 519. 120 F. GIUFFRÈ, La solidarietà nell'ordinamento costituzionale, cit., p. 55 e ss. 121 Per il giusnaturalismo razionalistico del secolo XVIII i diritti naturali dell’uomo sono valori assoluti, assecondando la pretesa caratteristica del valore - non tanto inerente al suo status logico, quanto al suo concreto operare come criterio di scelta - di realizzarsi in modo esclusivo a qualunque costo. Mentre l’incorporazione nei contenuti materiali del diritto costituzionale toglie ai valori tale pretesa, cioè li relativizza, nel senso che essi sono positivamente riconosciuti all’uomo non come individuo isolato, ma come persona (che è un concetto di relazione la quale implica essenzialmente un rapporto con gli altri. Su tali aspetti v. ancora L. MENGONI, Fondata sul lavoro: la Repubblica tra diritti individuali dell'uomo e doveri di solidarietà, in Costituzione, lavoro e pluralismo sociale, a cura di M. NAPOLI, Milano, Vita e Pensiero, 1998, p. 48). 122 Su questo punto vedi: E. ROSSI, Art. 2, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 56 e ss.; G. TARLI BARBIERI, Doveri inderogabili, in Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, p. 2066 e ss
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di doveri incombenti in capo ai privati) non sono sempre descritte in modo netto, ma tendono per lo più a mescolarsi o a confondersi all’interno delle disposizioni sui diritti123. Ma ciò che è più importante sottolineare è che i doveri di solidarietà nella nostra Costituzione non servono se ragioniamo in un’ottica che assume solo lo Stato come responsabile della vita collettiva. Anche se i diritti e i doveri si collocano nell’orizzonte del rapporto autorità/libertà, la richiesta di adempimento dei doveri di cui parla l’art. 2 Cost. non trova come destinatario esclusivo lo Stato124, ma anche tutte quelle “forme” della vita comunitaria di cui è costellata l’esistenza umana125. A queste riflessioni se ne aggiunge un’altra, che riguarda la natura dei doveri come limiti per i diritti. In effetti, i doveri non possono essere trattati solo come un elemento che “mitiga” i profili individualistici dei diritti in funzione della costruzione della forma di stato “sociale”126; se fosse così la proclamazione dei doveri nella Costituzione non avrebbe un grande valore aggiunto. I doveri non sono la parte “negativa” dei diritti né tantomeno hanno solo un’efficacia di equilibrio in senso sociale dei diritti tradizionali, soprattutto per quanto concerne i rapporti economici. La presenza di enunciazioni sui doveri costituzionali trasforma sì le disposizioni che garantiscono le libertà, ma non le rende un mero elemento funzionale di queste ultime. I richiami costituzionali ai doveri non operano solo una conformazione dei diritti127. I doveri di solidarietà hanno un valore auto123
Così A. RUGGERI, Doveri fondamentali, etica repubblicana, teoria della Costituzione (note minimea margine di un convegno), in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2007, p. 555. 124 L’aspetto soggettivo dei doveri è analizzato nel particolare da B. DE MARIA, Sanzionabilità e giustiziabilità dei doveri costituzionali, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2007, p. 249 e ss. 125 La clausola generale dell’art. 2 Cost. trasforma le caratteristiche dei doveri e li rende – usando gli aggettivi che servono per qualificare la sussidiarietà non solo valevoli in una prospettiva “verticale”, ma anche “orizzontale”. Per le medesime considerazioni v. G. LOMBARDI, Doveri pubblici (diritto costituzionale), in Enc. dir., Agg. III, Milano, 2002, p. 361; G. SALERNO, I nostri diritti, Roma-Bari, Laterza, 2002, passim. 126 Vedi G. LOMBARDI, I doveri costituzionali: alcune osservazioni, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2007, p. 571. 127 Cioè non servono a indicare al legislatore quali limiti hanno certi diritti. Su questi aspetti vedi G. LOMBARDI, Doveri pubblici (diritto costituzionale), cit., p. 360.
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nomo che va oltre la mera funzione “servente” dei diritti; essi non sono stati scritti per dare una più compiuta rappresentazione della trama di relazioni che si accompagna all’esercizio delle libertà ed allo sviluppo della personalità del singolo128. Pur avendo una posizione costituzionale differente, dimostrata dal riferimento, in un caso, al momento dell’“adempimento” e, nell’altro, al momento del “riconoscimento” e della “garanzia”, è evidente che la medesima finalità garantistica, che determina la qualificazione dei diritti come “fondamentali”, giustifica anche l’aggettivo “inderogabili” previsto per i doveri129. Nel disegno complessivo della Costituzione, perciò, diritti e doveri svolgono un “ruolo complementare”130; ma ciò va inteso nel senso della comune ispirazione personalista e pluralista, che «impone la considerazione dell’uomo nella sua dimensione sociale»131. I doveri sono messi a tema quando si intende puntare l’attenzione sui fattori di aggregazione tra gli individui, perché la concezione di dovere che pervade la Costituzione implica una “relazione con altri”. Anzi, «l’idea stessa di dovere, per quanto spesso inappagante, ha come scopo di connotare la relazione umana sottolineando il legame che essa implica e, come tale, si discosta dalla concezione prevalente di libertà se questa è intesa come emancipazione da ogni forma di legame132». 128
I doveri non rappresentano neanche una sorta di “clausola di socialità” suscettibile di comprimere la libertà del singolo finalizzandola ad obiettivi esterni (ab extra) della sfera privata. 129 Tra i primi a segnalare questa identità degli aggettivi “inderogabili” e “inviolabili” è P. BARILE, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 68, il quale parla di significato identico nei termini della «non emendabilità (…) seppure da parte del legislatore costituzionale». Lo stesso autore distingue poi i diritti, che avrebbero una naturale «capacità espansiva», dai doveri, che invece devono essere interpretati in modo «rigorosamente restrittivo». 130 Vedi sul punto G. DI COSIMO, Art. 2 (commento a), in Commentario breve alla Costituzione a cura di S. Bartole e R. Bin, Padova, 2009, p. 11. 131 Cfr. F. GIUFFRÈ, I doveri di solidarietà sociale, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2007, cit., p. 23. Su tali aspetti v. anche L. ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano, Giuffrè, 1996, p. 164 e ss. e A. RUGGERI, Doveri fondamentali, etica repubblicana, teoria della Costituzione (note minimea margine di un convegno), cit., p. 554 e ss. 132 «Basti pensare, per fare un esempio, al dovere del genitori di istruire ed educare i figli, dovere che altro non è se non la traduzione in arido linguaggio giuridico di quella inscindibile relazione tra genitori e figli che nel mondo reale è connotata da un altissimo valore affettivo e che entra a far parte in
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La solidarietà, dunque, non termina con l’adempimento dei doveri imposti dall’autorità, ma si apre a spazi di intervento che investono anche la dimensione della volontarietà e della libertà133. È evidente, perciò, che la caratteristica comune dei doveri costituzionali è quella di essere precetti che la Costituzione include al fine di permetterne l’attuazione ed evitare il pericolo di interventi lasciati all’arbitrio del legislatore. Infatti, l’oggetto della solidarietà descritto dall’art. 2 Cost. è determinabile soltanto attraverso la puntuale individuazione di specifici e tassativi contenuti che completino le “fattispecie del dovuto”; solo in tal modo si determina un vincolo a carico del legislatore ed allo stesso tempo gli si impedisce di rimuovere dall’ordinamento quei doveri, che egli è chiamato a costruire come specifici e circostanziati “obblighi”134. Tornando alla categoria dei diritti sociali, si può capire come mai nelle formalizzazioni attuali di questi diritti sia stato possibile legarli ad una appartenenza comunitaria di fatto (luoghi, ambienti, formazioni sociali) che non è fondata sulla cittadinanza, ma sulla concezione della libertà della persona (in quanto tale), e non del cittadino in quanto appartenente alla comunità politica. Il riconoscimento dei contesti sociali in cui la persona è “calata” e la concorrente considerazione degli status o delle situazioni di benessere oltre che di tipo culturale e sociale, se letti insieme, sono la sostanza della nuova considerazione della dignità dell’uomo, quell’“assoluto costituzionale” che non può essere relativizzato135. La rinnovata sensibilità verso l’unione di “essere e appartenere” scandisce nelle Costituzioni
modo massiccio nella definizione dell’identità di ciascuno». Cfr. L. VIOLINI, I doveri inderogabili di solidarietà: alla ricerca di un nuovo linguaggio per la Corte costituzionale, cit., p. 521. 133 Come ricorda E. ROSSI, Art. 2, cit., 57, «quando un ordinamento riconosce la solidarietà quale “valore costituzionale supremo”, questa non può essere intesa esclusivamente (e restrittivamente) come sintesi dei doveri richiesti ai componenti, ma deve comprendere altresì quell’insieme di comportamenti che ogni soggetto, singolo o associato, pone in essere per la realizzazione dell’”interesse alieno” e perciò del bene comune, al di fuori di obblighi posti dall’ordinamento normativo e perciò in forza del vincolo di doverosità». 134 Ulteriori indicazioni a tale proposito si possono trarre da p. 362 e 363. 135 C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, cit., p. 27.
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rigide la trasformazione in persona di quell’«essere astratto posto al centro delle dichiarazioni settecentesche136». 4. DAL SOGGETTO ASTRATTO ALLA PERSONA Sul piano del diritto positivo l’emersione dei diritti sociali ha contribuito a evidenziare che i diritti non sono mere proclamazioni astratte, ma “pratiche concrete” in cui le idee devono fare i conti con le concezioni sociali e politiche per la loro implementazione137. La costituzionalizzazione dei diritti sociali, in più, ha avuto l’indubbio merito di porre un vincolo alle maggioranze politiche difendendo una sfera vietata all’esercizio del potere dei governanti e dei legislatori138. Ciò che viene riconosciuto soprattutto per i diritti di libertà può essere esteso anche alla sfera dei diritti sociali. Inoltre, tutti i diritti hanno bisogno della tutela predisposta sia dall’apparato legislativo che dall’apparato giudiziario139. Non posso nascondere che tale processo di avvicinamento tra le diverse libertà porta con sé il rischio di una distorsione della funzione dei diritti sociali, assimilati anche essi all’idea di una libertà assoluta e di una decontestualizzazione della persona, capace solo di reclamare assenza di condizionamenti e incapace di creare legami140. Va da sé che il pericolo di una riduzione sia dei diritti di libertà sia dei diritti sociali è cosa che quando accade viene percepita. Senza i diritti sociali i diritti di libertà sono vuoti e senza i diritti di libertà il benessere sociale è come un seme senza terra. L’esame congiunto dei diritti di libertà e dei diritti sociali mostra la necessità di considerare la complessità della persona 136
F. VIOLA, Dalla natura ai diritti, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 309. F. VIOLA, L'etica dello sviluppo tra diritti di libertà e diritti sociali, cit. 138 Su questo punto vedi le considerazioni da ultimi fatte da M. CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L. PEPINO, Introduzione, in Diritto di welfare: manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, a cura di M. CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L. PEPINO, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 13 e ss. 139 Tra i più grandi meriti del processo di assimilazione dei diritti sociali ai diritti di libertà vi è l’eliminazione del carattere prettamente programmatico che queste previsioni costituzionali parevano avere nella metà del XX secolo. F. POLITI, Diritti sociali, in I diritti costituzionali, a cura di R. NANIA, P. RIDOLA, 3, Torino, Giappichelli, 3, 2006, passim. 140 F. VIOLA, L'etica dello sviluppo tra diritti di libertà e diritti sociali, cit., p. 117. 137
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umana, che è contemporaneamente un valore indipendente dalla società e dalle formazioni sociali, ma risulta comunque legata indissolubilmente ad esse. La libertà che la persona ha di fatto non è quella di essere libera da condizionamenti materiali e biologici. Ognuno di noi nasce e cresce all’interno di contesti di vita (famiglia, scuola, ambiente di lavoro, ecc.) e diamo vita a relazioni attraverso cui ci formiamo come persone. Anche l’emancipazione da alcune di esse, come ad esempio accade nel caso della famiglia con il passaggio alla fase adulta, non è mai una liberazione da questo contesto ma una crescita ed una liberazione che avviene al loro interno141. I diritti sociali hanno il compito di essere come i momenti in cui si esprime il valore della dignità della persona all’interno di queste relazioni. Essi implicano cioè giudizi di valore sulle situazioni di fatto che si svolgono nella storia, sono quei diritti che nello sviluppo dell’umanità segnano il passaggio ad una diversa e più comprensiva contestualizzazione della vita dell’uomo come “animale” politico. In questo senso è vero che i diritti sociali sono una categoria eterogenea, come è stato sottolineato nei paragrafi precedenti attraverso il richiamo alla dottrina italiana, perché la loro portata ed estensione deve essere di volta in volta determinata in relazione al contesto di cui si tratta. Così che il ruolo del diritto non è mai solo quello di proteggere tali diritti ma soprattutto di determinarne il loro contenuto storico. Queste considerazioni spingono a ripensare quale paradigma applicare per comprendere l’universo dei diritti sociali. Non già quello dell’uomo astratto ma quello dell’uomo concreto (l’homme situè142) la cui vita è intimamente relazionale. Per comprendere a fondo questa idea occorre gettare uno sguardo seppure molto veloce alla problematica relativa al passaggio dal soggetto astratto alla persona nel diritto positivo. La riflessione sulla persona, riprese dalla dottrina nel periodo immediatamente 141
P. BARCELLONA, L'individuo e la comunità, Roma, Edizioni lavoro, 2000, p. 57, ricorda che il processo di costruzione della persona è sempre un “processo faticoso, doloroso, che si realizza in una costante mediazione sociale, che è sempre, in qualche modo, personalizzata e istituzionalizzata”. 142 Definito come «c’est celui que nous rencontrons dans le relations de la vie quotidienne, tel que caractérisent sa profession, son mode et ses moyens de vie, ses goûts, ses besoins, les chances qui s’offrent à lui, bref, c’est l’homme conditionné par son milieu». Cfr. G. BURDEAU, La démocratie gouvernante, son assise sociale et sa philosophie politique,, VII, Parigi, L.G.D.J., 1973, p. 40
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successivo alla seconda guerra mondiale, non è solo un tentativo di risalire dalle nefaste riduzioni realizzate nel periodo precedente, ma trae forza rinnovata dalla reazione al formalismo giuridico che aveva consentito la negazione legislativa della capacità giuridica, con la conseguente esclusione totale o parziale della categoria di “soggetti di diritto” ad alcuni uomini143. È in fondo questa la ragione per cui il riferimento alla persona non funziona come generico riferimento ad una astratta e decontestualizzata natura umana o ad un corpo di diritti presociali144, ma è la base su cui si fonda la storicità della complessa e non conclusa vicenda dei diritti umani145. L’esempio che illumina più di tutti il passaggio dal soggetto astratto alla persona è contenuto nello stesso art. 3 della nostra Costituzione146. In questo articolo non ci si limita al riferimento all’eguaglianza formale, affidata nel primo comma alla «necessaria indifferenza del soggetto rispetto ad una serie di dati che altrimenti lo qualificherebbero in forme discriminatorie147». Al secondo comma si permette che nel quadro dell’eguaglianza formale possano irrompere quegli “ostacoli di fatto” che mettono in crisi lo schema formale rispetto al risultato sostanziale che si vuole realizzare. La soggettività astratta si confronta e si misura nella concretezza del reale. Il soggetto astratto, quindi, non esce fuori di scena. Esso non è più utile per comprendere le realtà alle quali fa riferimento nella loro interezza. Così l’emergere della persona è alla base non solo del rilievo delle condizioni materiali dell’esistenza, ma serve per impegnare tutti i soggetti pubblici (riuniti entro il termine “Repubblica”) a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Perciò, il rapporto tra i due commi dell’art. 3 Cost., da un lato, conferma la rilevanza ed i limiti dell’eguaglianza di tipo formale 143
ss.
Cfr. G. CAPOGRASSI, Il diritto dopo la catastrofe, in Jus, 2, 1950, p. 177 e
144 P. TINCANI, Il fallito esperimento dei diritti presociali. John Locke e Robert Nozick, in Struttura e senso dei diritti, a cura di F. SCIACCA, Milano, Bruno Mondadori, 2008, p. 65 e ss. 145 I. TRUJILLO PÉREZ, La questione dei diritti sociali, in Ragion Pratica, 14, 2000, p. 43 e ss. 146 In questa ricostruzione mi riferirò soprattutto alle considerazioni di S. RODOTÀ, Dal soggetto alla persona. Trasformazioni di una categoria giuridica, in Filosofia politica, 3, 2007, p. 367 e ss. 147 Op. cit., p. 368.
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ma, dall’altro, fa emergere la condizione delle persone concrete. La persona non è il termine di un processo di astrazione ma il riferimento necessario al soggetto capace di cogliere la complessità della propria esistenza e di trasformare la realtà secondo la propria inclinazione. Se si getta uno sguardo sul sistema costituzionale italiano si può cogliere questa novità in modo ancora più netto nello stesso art. 2 Cost. La rilevanza attribuita ai legami sociali, alla realtà delle “formazioni sociali” all’interno delle quali l’uomo si fa persona, fanno cogliere bene il «tentativo di fuggire da ogni visione astratta della persona148». E tale nuova dimensione viene colta nello stesso art. 3 Cost., in cui la già richiamata rottura dello schema della eguaglianza formale avviene sia attraverso il richiamo alla “dignità sociale”, nel primo comma, sia attraverso il riferimento allo “sviluppo della persona umana” ed alla “partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese” nel secondo comma. Se la persona, dunque, diviene il tratto anche formale per dare rilevanza ai rapporti ed alle relazioni che ognuno genera, al tempo stesso, questi rapporti e relazioni non sono solo percepiti come dipendenti esclusivamente dalla dimensione dell’economico. Ed infatti tra i fattori che maggiormente contribuiscono ad una riscoperta della categoria costituzionale della persona vi è certamente il dibattito intorno alla garanzia dei diritti sociali ed al tramonto dei sistemi di welfare universalistici che avevano dominato la scena europea per più di trenta anni, compresa la loro sostituzione con sistemi selettivi capaci di intercettare il bisogno concreto espresso della persona149. Per tale ragione, al fine illuminare la transizione dal soggetto alla persona che attribuisce rilevanza alle diverse modalità dell’esistenza, credo che sia molto utile attingere alle teorie espresse in una sede diversa da quella giuridica dagli autori che hanno reinterpretato la categoria dei bisogni intendendola in termini di “capacità”150. Per tali autori le capacità fondamentali sono le funzioni che un individuo riesce ad esercitare con una 148
Op. cit., p. 370 parla di dare rilievo al “destino di socializzazione” della persona. 149 L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, in Quad. cost., 4, 22, 2002, p. 143 e ss. 150 Vedi su tutti A. SEN, On Economic Inequality, Oxford, Oxford University Press, 1997, passim; M.C. NUSSBAUM, Creating capabilities: the human development approach, Cambridge, Belknap Press of Harvard University Press, 2011, p. 12 e ss.
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certa quantità di beni. Non basta disporre di beni e servizi se poi non si ha la capacità di servirsene in modo da soddisfare i propri bisogni. Tali capacità sono le potenzialità che l’individuo ha di realizzare stati di vita umana intrinsecamente valevoli151. Se il reddito pro-capite, su cui si era fondato il moderno welfare, è solo un mezzo e non un fine da raggiungere152, sono necessari indicatori di natura sociale che, a differenza dei meri bisogni, riflettano meglio l’effettivo progresso (salute, longevità, grado di istruzione, grado di partecipazione alla vita sociale, ecc.). Le persone devono essere consapevoli di potere scegliere tra risorse ed opportunità che siano adeguate alle condizioni personali ed al contesto in cui vivono153. Tutto ciò non è certamente una assoluta novità perché si ricollega alla origine stessa dei diritti sociali, alla loro natura di diritti sia degli uomini singoli sia dei gruppi e delle loro unioni «ad una organizzazione pluralista della società che sola può garantire la libertà umana154». Quali risultati utili per fondare una nuova costruzione dei diritti sociali si possono trarre dalle considerazioni svolte? Posso individuare tre oridini di conseguenze da mettere a fuoco. Le prime riguardano le garanzie dei diritti. La costituzionalizzazione della persona indica la necessità di fare sì che i rapporti identificati dai diritti sociali avvengano nell’orizzonte di forti garanzie. I diritti sociali sono evidentemente dei diritti universali e fondamentali. Essi sono sì diritti relativi, ma non in funzione della disponibilità delle risorse quanto nel contesto 151
Ciò che deve essere abbandonata è la nozione che gli individui o le nazioni sono sviluppati o meno. Bisogna riconoscere che vi sono diversi gradi di realizzazione umana e sociale nel mondo. La giustizia sociale deve avere di mira nella misura del possibile l’eguaglianza di capacità. Secondo A. Sen “the measurement of inequality that have been proposed in the economic literature fall broadly into two categories. On the one hand there are measures that try to catch the extent of inequality in some objective sense, usually employing some statistical measure of relative variation of income, and on the other there are indices that try to measure inequality in terms of some normative notion of social welfare so that a higher degree of inequality corresponds to a lower level of social welfare for a given total of income” Cfr. A. SEN, On economic inequality, cit., p. 2. 152 “[I]ncome is only one factor among many that influence the real opportunities people enjoy”. Cfr. A. SEN, On Economic Inequality, cit., p. 195. 153 In queste teorie, chiaramente impostate su un problema di natura economica, ciò che alla fine domina è la scelta individuale e la possibilità che essa sia realizzata in modo consapevole e libero, effettuata da persone in grado effettivamente di scegliere, capaci di attingere ad un paniere di risorse e di opportunità adeguato alle condizioni individuali ed ambientali. 154 G. GURVITCH, La dichiarazione dei diritti sociali, cit., p. 126.
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delle differenze profonde tra stili di vita e nell’orizzonte del pluralismo che riguarda gli ambienti di vita dove ogni persona vive155. La sfida in questo caso diviene dunque il contemperamento tra le esigenze universalistiche legate all’ottica della capacità e le particolarità culturali. In questo senso non esistono diritti sociali senza un sistema democratico, in cui si possa coniugare l’eguaglianza e la diversità di situazioni di vita. Le seconde conseguenze hanno a che fare con il modo in cui si soddisfano i diritti sociali. Il compito dello Stato non può essere quello di “assistere” puramente le persone eliminando quegli ostacoli di fatto che impediscono la piena eguaglianza. L’etica welfarista occulta le differenze qualitative con un calcolo quantitativo dei beni e dei bisogni. Il compito principale di ogni istituzione pubblica è invece quello di realizzare uno stimolo assicurando le condizioni affinché ogni persona possa sviluppare al meglio le proprie capacità. Il recupero della dimensione personale dei diritti attraverso la logica delle “capacità” consente di coniugare la generalità delle libertà ed il particolarismo dell’eguaglianza come garanzia del superamento di limitazioni di fatto alla partecipazione democratica (da una concezione di eguaglianza che predicava l’assenza di differenze ad una nozione di eguaglianza che si fa tramite di far entrare i dati della realtà nella risoluzione dei conflitti tra diritti). In tal senso il concetto di libertà è riscoperto come un prodotto sociale codeterminato dalle scelte pubbliche, oltre che come il valore centrale dei regimi democratici. Le terze hanno invece a che fare con il fine di questi diritti sociali, che non può essere l’erogazione di un bene, di un servizio o di una merce, ma «la partecipazione ad un valore di vita che richiede attività cooperative156». I diritti sociali non segnano solo il passaggio dal soggetto come mero centro di imputazione di situazioni giuridiche, alla persona come via per il recupero integrale della individuazione di fattori fondativi del sistema. Essi sono anche uno strumento necessario per la costruzione delle relazioni umane all’interno della società. Non possiamo pensare al benessere come all’insieme di beni che si posseggono ma all’insieme di relazioni utili a soddisfare i bisogni che ognuno esprime. La proclamazione dei diritti sociali, infatti, si accompagna al capovolgimento della imposta155
Vedi F. VIOLA, L'etica dello sviluppo tra diritti di libertà e diritti sociali, cit., p. 126. 156 Op. cit., p. 125.
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zione che vedeva nella persona quasi esclusivamente il soggetto economico ed identificava la sua capacità di prendere decisioni sostanzialmente con la sua capacità patrimoniale157. Perciò, i diritti sociali sono anche figli di un “diritto plurale” e non solo il prodotto dello Stato come paradigma unico dell’azione pubblica. La tensione ad una considerazione integrale della persona che li contraddistingue apre alla regolazione giuridica molteplici potenzialità. Si tratta allora di riconoscere questo andamento irregolare della vita, la variabilità dell’esperienza158, sostituendolo con un diritto che riconosce ed accompagna la variabilità delle situazioni concrete, facendo emergere quelle che contribuiscono veramente alla vita delle persone. 5. I DIRITTI SOCIALI E LE RELAZIONI GIURIDICHE COSTITUZIONALI
Occorre precisare che questa ricerca non cerca di indagare una o più concezioni di uomo per poi identificarle all’interno della disciplina e nella interpretazione costituzionale. È evidente, infatti, che una delle più grandi fortune dei diritti fondamentali nell’epoca moderna sia quella di poter sopravvivere anche lontano delle particolari dottrine morali e filosofiche che li hanno sostenuti. Così, i diritti di libertà sono indipendenti dalle dottrine individualistico-libertarie che li hanno sostenuti e allo stesso modo i diritti sociali sono slegati dalle dottrine socialiste che 157
S. RODOTÀ, Dal soggetto alla persona. Trasformazioni di una categoria giuridica, cit., p. 374 e 375. 158 Mi pare interessante riportare a tal proposito un brano di G. CAPOGRASSI, Studi sull'esperienza giuridica, Roma, P. Maglione editore, 1932, p. 19 e ripreso da A. SIMONCINI, Esperienza elementare e diritto: una questione "persistente", in Esperienza elementare e diritto, a cura di P. CAROZZA, A. SIMONCINI, M. CARTABIA, L. VIOLINI, Milano, Guerini e associati, 2011, p. 30-31, in cui Capograssi identifica nella natura stessa del diritto l’esigenza di partire dalla concreta esperienza giuridica: “Ogni ricerca sul diritto parte dalla esperienza giuridica nella sua immediatezza, vale a dire dall’esperienza giuri dica così come esiste ed è avvertita e giudicata dalla coscienza comune e in quanto entra come elemento pratico e condizionante dell’azione pratica del soggetto vivente nel concreto delle comunità umane. (…) Benché queste considerazioni siano ovvie, è necessario sempre ripeterle: è di assoluta necessità non perdere mai di vista questa verità, fondamentale come tutte le verità comuni, che il diritto esiste e vive nella esperienza comune, come esperienza giuridica, la quale è come tale realizzata nell’azione ordinaria del soggetto.”
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hanno identificato per prime la necessità della loro protezione159. Beninteso, non intendo negare il valore di siffatte dottrine e ideologie per l’affermazione dei diritti fondamentali - peraltro anche storicamente documentato - ma solo riconoscere che l’affermazione di questi diritti assume un valore che va oltre le ideologie e che prova una necessità etica (o anche umana) che emerge nella storia e nella cultura umana. In tal modo le indagini circa la concreta protezione dei diritti si fanno ancora più interessanti, perché devono recuperare tutta la ricchezza dell’esperienza giuridica e del ragionamento pratico sui diritti, tenendo presente il modo nel quale le persone agiscono concretamente nello sviluppo delle capacita di scegliere il bene implicando il rapporto tra il proprio bene, il rapporto tra l’io e la comunità160. Nel ragionamento sin qui seguito un preciso punto di partenza è dato dalla circostanza che tutti i «diritti sociali» riconosciuti nella legislazione o nella giurisprudenza hanno avuto fino ad ora una precisa base costituzionale, la quale consta quasi sempre di una esplicita norma ad hoc o, in casi eccezionali (diritto all’ambiente e diritto all’abitazione), di un complesso di disposizioni dalle quali se ne può agevolmente desumere la garanzia. Nella ricostruzione del senso pratico di questi diritti muoverò da una ipotesi ricostruttiva in base alla quale l’oggetto ed il contenuto dei diritti sociali non è riducibile alle “prestazioni sociali” dovute dallo Stato verso persone che si trovano in particolari condizioni di bisogno (e dunque contrassegnati dal rapporto che si instaura tra lo Stato e il cittadino/persona) ma è riconducibile al significato che di essi offre ad esempio la Costituzione italiana, che li qualifica principalmente riferendoli ai rapporti creati dalle persone, all’interno di ambiti di vita sociale o comunitaria, i quali sono necessari per il libero sviluppo della persona umana e, come tali, «strutturalmente indipendenti ed essenzialmente intangibili da parte dello Stato161». 159
G. PINO, Diritti fondamentali e ragionamento giuridico, Torino, Giappichelli, 2008, p. 12 e ss. 160 Una impostazione che è diversa dall’idea dominante nelle ricostruzioni attuali ispirate alle riflessioni di R. DWORKIN, Taking rights seriously, Cambridge, Harvard University Press, 1978, p. 178 e ss. 161 Cfr. A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, Torino, Giappichelli, 1997, p. 137.
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È stato già riconosciuto che su un piano teorico i diritti sociali eccedono la capacità esplicativa di certe ricostruzioni dogmatiche tradizionali e gli strumenti concettuali normalmente usati per descrivere tale figura: rapporto individuo-stato, pretesa a prestazioni positive da parte dei poteri pubblici, giustiziabilità di tale pretesa, determinazione del titolare specifico di tale obbligo162. Alla base di questa nuova concezione dei diritti sociali vi è la considerazione che se l’ordinamento preferisce tutelare certi beni della vita o certe situazioni o legami, per comprendere tali proposizioni giuridiche occorre una attenta valutazione degli «scopi sostanziali di tale scelta rispetto al sistema giuridico nel suo complesso163», insieme alla considerazione della situazione/esperienza in cui si trova la persona (o le persone) a cui questi diritti si riferiscono. Per avviare l’indagine sulla natura di questi diritti si partirà, dunque, da un dato elementare che spesso nelle ricostruzioni giuridiche è stato messo da parte, la considerazione che per conoscere i diritti sociali occorre prendere in considerazione l’esperienza dell’ “uomo sociale” (identificato con la condizione dell’“homme situé”, come evocherebbe Burdeau, o con la “persona reale”, per usare le parole di Viola164) inteso come chi vive in un ambiente di vita e che all’interno di questo (contesto) intesse relazioni e rapporti giuridici di natura sociale che sono essenziali per la soddisfazione di certi aspetti essenziali della vita. I diritti sociali, in quest’ottica, sono l’aspetto formale di tali relazioni giuridiche. Difatti, per trovare un senso compiuto ai diritti sociali occorre partire dalla constatazione generale che i diritti ricevono senso nell’esperienza che si sviluppa negli ambienti di vita creati dall’uomo. La problematica del loro riconoscimento, infatti, è legata alla richiesta concreta di sottoporre le proprie scelte
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Le trasformazioni sociali odierne dimostrano che è impossibile concepire i diritti sociali come mere pretese di prestazioni rivolte ai poteri pubblici. Il costituzionalismo moderno ha mostrato il significato delle previsioni su tali diritti, che non sta già nella individuazione dei destinatari di un obbligo, ma nella capacità di queste norme di descrivere una realtà complessa e, infine, di dirigere lo sviluppo dei programmi politici, di fondare i processi legislativi fino a garantire l’interpretazione del diritto. Su questi aspetti vedi M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit. 163 M. ZANICHELLI, Il discorso sui diritti: un atlante teorico , cit., p. 42. 164 F. VIOLA, Dalla natura ai diritti, cit., p. 319.
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all’interno di un contesto nel quale esse sono comunicate, intese e condivise da parte di altri soggetti. Su un piano di diritto positivo, le disposizioni sui diritti sociali trovano un senso compiuto solo ove siano interpretate come norme dirette a riconoscere il valore originario e costitutivo di quelle relazioni che sono alla base della costruzione di certi ambiti di vita sociale o comunitaria, nell’evidente presupposto che “solo nella vita sociale l’esperienza singolare si fa persona165“. Sono cosciente che nel dibattito attuale sui diritti si tende a “neutralizzare” il ruolo delle relazioni che avvengono nei contesti di vita. In nome della sua autonomia la persona “trascende” il corpo, la natura e la società. Dei diritti sociali viene sottolineata soprattutto la valenza legata allo stato assistenziale ed alle istanze redistributive che mettono a fuoco soprattutto i bisogni. Meno considerata è invece l’istanza partecipativa che implica una messa a fuoco della dimensione “sociale” della vita umana e una messa a fuoco della dimensione della “capacità” piuttosto che quella del “bisogno”166. Queste riduzioni del fenomeno “diritti sociali” non sono corrette in quanto generano due tipi di fallacie. La prima ha a che fare con l’uso della differenza e dell’eguaglianza come la base (negativa) per l’attribuzione dei diritti sociali. Partendo dalla formula dell’art. 3, comma 2, della Costituzione italiana si dice che i diritti sociali garantiscono la titolarità di alcuni beni a persone che per diverse ragioni (incapacità dovuta all’età, alle condizioni psico-fisiche, alle condizioni economiche) non possono permettersi il soddisfacimento di certi bisogni essenziali. Pur essendo d’accordo con chi evidenzia questo dato, non è facilmente comprensibile come mai questi autori167, riducano tutto il problema giuridico dei diritti sociali alla previsione di un intervento attivo dello stato e, in fondo, a sistemi che si basano su una “logica di contrasti”: stato e individuo, potere e libertà, forti e deboli, ecc. La seconda fallacia riguarda la cd. “democratizzazione” dei diritti sociali, cioè la riduziuone di questi diritti a forme espressive del ruolo del cittadino quale “cliente dello Stato”168. 165
Cfr. P. RESCIGNO, Persona e comunità: saggi di diritto privato, cit., p. 32. F. VIOLA, Dalla natura ai diritti, cit., p. 319. 167 N. BOBBIO, Sui diritti sociali, cit., p. 72. 168 F. VIOLA, L'etica dello sviluppo tra diritti di libertà e diritti sociali, cit., p. 121 166
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L’antidoto a queste riduzioni non è certamente una “mera riaffermazione del dominio degli interessi privati169“. È la stessa Costituzione italiana ad indicarci una prospettiva più sostenibile. Essa offre una “giustificazione complessiva dei diritti sociali”170, nel senso che non limita il valore di tali diritti alla rimozione di quegli ostacoli che servono per garantire l’eguaglianza sostanziale e la democrazia sociale171. A leggere la Costituzione italiana si comprende bene che il punto di partenza non è dato dallo Stato, ma è rappresentato dai luoghi e dai legami di diversa natura - come la famiglia, la scuola, il lavoro, l’ambiente di vita personale e collettiva - nei quali e mediante i quali il singolo individuo si fa persona e si esprime come tale. Secondo questa prospettiva, dunque, i diritti sociali sono addirittura indipendenti dal riconoscimento che ne offre lo Stato, cioè hanno un contenuto ed una funzione che precede la loro formalizzazione legale: sono inviolabili e non vincolati nel loro contenuto dalla legge. Diventa allora decisivo indagare perchè esistono norme in Costituzione che prevedono la tutela di beni come la salute, la vita, la famiglia, l’istruzione, la formazione, l’assistenza contro la povertà, ecc. L’indagine che segue muoverà proprio dall’assunto che il riconoscimento dell’esistenza di certe relazioni umane di natura sociale è condizione fondamentale per garantire la vita delle persone e per rispondere alle esigenze che sono normalmente contrassegnate con la categoria dei diritti sociali. L’uomo, in fondo, esiste solo se ha la possibilità di esprimere una serie di relazioni basilari (famiglia, salute, educazione, assistenza, lavoro, ecc.) entro cui la sua vita progredisce.
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Cfr. A. SIMONCINI, Esperienza elementare e diritto: una questione "persistente", cit.. p. 71. 170 T. CASADEI, «Diritti in bilico»: i diritti sociali tra riconoscimento e oscuramento, cit., p. 175. 171 Nella nostra Carta i diritti sociali assumono una connotazione inusuale per ampiezza e sistematicità che li rende diversi dalle garanzie del welfare state emerse nella cultura del laburismo britannico, la quale rimane legata alla categoria dei diritti legali (i diritti sociali sono concepiti come “entitlements” di sicurezza sociale e dei conseguenti benefici), e cioè a una figura di Stato essenzialmente paternalista.
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CAPITOLO II I TESTI SOMMARIO: 1. Premessa. – 1.1. Il valore dell’esame del testo scritto per la conoscenza dei diritti. – 1.2 Il percorso storico di protezione dei diritti. – 1.3 La tutela dei bisogni sociali attraverso i diritti. – 2. Valore e disvalore dei testi. – 3. La Costituzione italiana. – 3.1 L’inserimento diritti sociali all’interno della Costituzione italiana. – 3.2 Il dibattito sull’inserimento dei diritti sociali in Assemblea Costituente. – 3.3 I diritti sociali nel Titolo II, Parte Prima, della Costituzione. – 3.4 Segue: i diritti sociali nel Titolo III, Parte Prima, della Costituzione. – 3.5 Una visione unitaria dei diritti sociali. – 3.6 I diritti sociali nella Seconda Parte della Costituzione italiana. – 4. L’inserimento dei diritti sociali all’interno delle Carte internazionali. – 4.1 La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR). – 4.2 Segue: il protocollo opzionale. – 5. I diritti sociali nella Carta sociale europea (ESC). – 5.1 La ESC rivisitata. – 5.2 Struttura dei diritti previsti nella Carta. – 5.3 Il protocollo contenente la procedura di reclamo. – 5.4 Notazioni a margine della protezione internazionale dei diritti sociali. – 6. La protezione dei diritti sociali all’interno del diritto europeo. – 6.1 Decentralizzazione e esternalizzazione della politica sui diritti. – 6.2 Le disposizioni sull’Europa sociale nei Trattati originari e nelle loro successive revisioni. – 6.3 I diritti sociali nella Carta di Nizza. – 6.4 Il Trattato di Lisbona e la “decostituzionalizzazione” dell’Europa sociale. – 6.5 La protezione dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo: cauto ottimismo o assoluto pessimismo?
1. PREMESSA L’esame compiuto nella parte precedente ha messo in luce che i diritti sociali hanno segnato nel profondo la svolta che contrassegnerà il costituzionalismo della seconda meta del Novecento, anzitutto modificando le forme e i contenuti delle costituzioni. Queste ultime non sono più chiamate ad essere la
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rappresentazione dello stato borghese, ma a costituire la trama unificante di un tessuto sociale pluralistico percorso da forti antagonismi1. Per questa via il mutamento funzionale delle costituzioni ha condotto all’indomani della fine della seconda guerra mondiale ad accettare l’ampliamento del catalogo dei diritti. Dalle costituzioni cd. “brevi” di età liberale in molti stati europei si è passati progressivamente a costituzioni cd. “lunghe”. Il cambiamento nel modo di intendere le costituzioni, la loro natura, le loro funzioni nella società e nell’ordinamento giuridico, ha ripercussioni importantissime per il modo di intendere la “materia costituzionale” e il rapporto tra norme costituzionali e norme gerarchicamente inferiori. Le costituzioni, infatti, da documenti meramente politici che hanno un valore solo nei confronti delle istituzioni acquistano efficacia orizzontale nei rapporti interprivati e divengono suscettibili di applicazione diretta da parte dei giudici2. A ciò si aggiunge un’ulteriore novità. Nei nuovi testi si supera la dicotomia tra “libertà degli antichi” e “libertà dei moderni”, sia configurando il rapporto politica/società in termini di un rapporto dialettico di unità/distinzione sia disponendo in esse i diritti secondo una tavola di valori ordinativa di un processo di integrazione lungo direttrici di orientamento potenzialmente antagonistiche (come libertà e democrazia, diversità ed eguaglianza, mercato e solidarietà). La consapevolezza che un’eguaglianza solo formale non basta, ma che ai poteri pubblici è chiesto di intervenire a colmare e a rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione di tutti alla vita sociale si accompagna alla considerazione che i soli diritti civili e politici da soli non sono sufficienti e che sono necessari anche i diritti 1
Per un esame delle differenze tra i due tipi di costituzioni vedi C.H. MCILWAIN, Constitutionalism: ancient and modern, Ithaca, N.Y., Cornell Univ Press, 2005, p. 5 e ss.; M. FIORAVANTI, Costituzionalismo: percorsi della storia e tendenze attuali, Roma-Bari, Laterza, 2009, passim. Vedi anche i testi in V. ONIDA (cur.), L’ ordinamento costituzionale italiano dalla caduta del fascismo all’avvento della Costituzione repubblicana: testi e documenti, con due saggi introduttivi sul periodo Costituente e sulla Costituzione, Giappichelli, Torino, 1991, passim. 2 In proposito, S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 145 e ss., M. DOGLIANI, Interpretazioni della Costituzione, Milano, 1982, p. 69 e ss. Bisogna dare atto che questo modo di concepire le costituzioni non è condiviso dalla dottrina mondiale. Si veda a tale proposito la ricostruzione di F.I. MICHELMAN, Welfare Rights in a Constitutional Democracy, in Washington University Law Quarterly, 3, 1979, p. 659 e ss.
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sociali3. Si aggiunge anche la necessità – maturata con la scomparsa delle esperienze totalitarie – di fare dei diritti sociali la naturale espansione dei diritti civili e politici, ristabilendo finalmente quel nesso tra diritti e democrazia spezzato dalle esperienze di totalitarismo4. In senso generale, questo processo di costituzionalizzazione dei diritti sociali fu ispirato da un contesto non solo politico ma anche economico favorevole alla emersione della dimensione socio-economica della persona. Prima fra tutti deve essere ricordata l’influenza delle idee keynesiane che avevano consentito a Lord Beveridge negli anni immediatamente antecedenti al secondo conflitto mondiale di ridefinire il complesso ruolo dello Stato nell’economia5, per non parlare dell’influsso che ebbe il richiamo alla “libertà dal bisogno” presente nel famoso discorso inviato dal presidente F.D. Roosevelt al Congresso americano (6 gennaio 1941) che sintetizzava in poche parole tutte le misure messe in atto durante il “New Deal”6.
3 Argomento confermato non solo dalla dottrina italiana ma anche a livello internazionale. Vedi tra tutti C. FABRE, Social Rights Under the Constitution: Government and the Decent Life, Oxford, Clarendon Press, 2000, p. 126 e ss. 4 L’idea del nesso tra democrazia e diritti sociali supera anche la distinzione tra democrazia come procedura e democrazia come sostanza del vivere civile. Uno degli autori che meglio ha contribuito a definire questo orizzonte è certamente C.B. Macpherson, il quale afferma che la democrazia deve essere vista come “un tipo di società, non semplicemente una procedura per decidere: il principio di eguaglianza inerente ai regimi democratici richiede non solo ‘un uomo un voto’, ma anche ‘un uomo, un diritto eguale a vivere pienamente la propria umanità come ognuno ritiene”. Cfr. C.B. MACPHERSON, Democratic Theory: Essays in Retrieval, Clarendon, Clarendon Press Oxford, 1973, p. 51. (Nostra la traduzione). 5 Sul tema vedi la recente raccolta W. BEVERIDGE, Alle origini del welfare state: il rapporto su assicurazioni sociali e servizi assistenziali, Milano, F. Angeli, 2010, passim. 6 Il Presidente Franklin Delano Roosevelt rispose alla grande depressione con un pacchetto di aumenti di misure di spesa e con la creazione di un sistema di agenzie rivolte a dare risposta ai bisogni sociali emergenti. Tali agenzie includevano tra le altre: il price-setting National Recovery Administration (1933), il National Labor Relations Board (1935), il Securities and Exchange Commission (1934), la Federal Communications Commission (1934) e il Social Security Board (1936). Roosevelt difese questi programmi in termini di “freedom from want”, come la sua visione del Bill of Social Rights americano. Vedi su questo C. SUNSTEIN, The Second Bill of Rights, New York, Basic Books, 2004, passim.
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1.1. Il valore dell’esame del testo scritto per la conoscenza dei diritti Obiettivo di questa parte del lavoro è analizzare la formalizzazione dei diritti sociali nella Costituzione italiana e nei principali documenti internazionali. Bisogna premettere che tutti i documenti che analizzeremo hanno caratteristiche linguistiche e giuridiche molto diverse, tanto che non è semplice trovare elementi stabili che possano essere usati come strumenti per un paragone dei diritti protetti in ognuno di essi. L’eterogeneità linguistica dei testi, il tasso di “pluralismo” giuridico, l’indefinitezza semantica sono molto alti. Anche dopo uno sguardo veloce ci si accorge che diritti contenuti nelle varie dichiarazioni, pur avendo come obiettivo la protezione del medesimo bisogno vitale, sono fraseggiati spesso in maniera diversa, si compongono secondo formulazioni alquanto eterogenee, a volte più vicine al vocabolario etico-filosofico che al linguaggio tecnico-giuridico7. Sebbene il lessico dei diritti sia diverso all’interno dei documenti esaminati non è possibile liquidare le differenze riferendosi esclusivamente alla diversità del soggetto che ha adottato quell’atto. Bisogna scendere nello specifico di quelle disposizioni per comprendere se esistono elementi comuni e differenze tra di esse. A questo proposito uno degli obiettivi principali di questa parte sarà proprio quello di comprendere la ragione profonda delle diversità presenti in alcuni testi che contengono i diritti sociali. L’esame dei testi costituzionali e delle dichiarazioni internazionali non basta per comprendere le differenze nella garanzia dei diritti tra ordinamenti. Offrire un tale esame, tuttavia, ci indica quali sono i confini dei diritti e la base fondamentale sulla quale poi si fondano le fasi successive di attuazione e garanzia di queste prescrizioni8. Prima di entrare nel vivo dell’esame occorre anticipare la trattazione di alcune questioni utili per il percorso che si svolgerà in queste pagine. L’idea di analizzare i “testi” che contengo7
Come ha rilevato G. Pino, Diritti fondamentali e ragionamento giuridico, cit., p. 8, “l’affollamento di diritti, la loro formulazione in modo non dettagliato, la loro conflittualità, la loro apertura a compromessi con considerazioni diverse non rappresentano un mero errore nella tecnica di redazione delle nostre costituzioni: semplicemente, non avrebbe potuto essere altrimenti”. 8 G. PALOMBELLA, L'autorità dei diritti: i diritti fondamentali tra istituzioni e norme, Bari-Roma, Laterza, 2002, p. 23 e ss.
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no i diritti sociali risponde a due obiettivi generali: essa serve sia per mettere a fuoco il percorso storico della protezione giuridica dei diritti sia per evidenziare il tipo di protezione offerta ai diritti sociali. Il primo obiettivo è più semplice da esplicare. In base ad una nota idea, il cambiamento di paradigma nei confronti dei diritti avvenuto a partire dalla fine del XVIII secolo, prima ancora che un dato teorico o etico, è un fenomeno storico9. Da questo punto di vista, l’elemento di maggiore novità nel percorso di affermazione dei diritti è certamente l’inserimento di disposizioni di principio tendenti a riconoscere un valore superiore a certi beni della vita umana all’interno delle costituzioni, delle dichiarazioni e delle carte10. Tutti questi documenti in vario modo hanno rivoluzionato il diritto positivo introducendo paradigmi di riflessione che fino a quel momento erano patrimonio solo dei filosofi e dei pensatori11. È per questo che i diritti possono essere considerati come delle conquiste di civiltà12, come l’elemento essenziale del progresso morale, per dirla con le parole di Ignatieff13. Anche nell’immaginario collettivo l’atto del “dichiarare” i diritti contrassegna un momento nel quale si condensa una svolta rispetto al passato14. Più difficile è comprendere il secondo obiettivo sotteso alle dichiarazioni dei diritti. Non bisogna dimenticare che le regole sui diritti hanno un carattere di utilità pratica, cioè servono alla vita comune. Se è lecito operare un paragone si pensi alle carte, alle costituzioni e alle dichiarazioni come potenti arnesi nelle mani di chi le possiede: questi arnesi possono essere usati per ottenere protezione di beni giuridici già violati o minacciati da una lesione, ma possono anche servire per fornire un valido supporto a chi deve operare decisioni pubbliche. È per questo che i testi sui diritti consistono sia di regole concrete ma anche 9
A. PACE, Potere costituente, rigidità costituzionale, autovincoli legislativi, Padova, CEDAM, 2002, passim. 10 In dottrina di recente è stata oggetto di rivalutazione il ruolo sociale e politico dell’inserimento dei diritti all’interno delle Costituzioni. Vedi su tutti R. BIN, Che cos'è la Costituzione?, in Quaderni costituzionali, 1, 27, 2007, p. 11 e ss. 11 N. BOBBIO, L’età dei diritti, cit., p. 16 e ss. 12 Tanto che spesso si parla di “lotta per i diritti”. 13 M. IGNATIEFF, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 8. 14 Su tale valore delle Carte vedi funditus M. ZANICHELLI, Il discorso sui diritti: un atlante teorico cit., p. 101 e ss.
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di princìpi e in questa duplice veste possono essere utilizzati tanto dai giudici quanto dai legislatori15. Perciò quando si parla dei diritti si usano variamente sostantivi come “garanzia”, “tutela” o “protezione”, ma anche “attuazione”, “implementazione” o “esecuzione”. A livello di struttura, infatti, i diritti sono elementi del diritto positivo ma anche istanze sostanziali la cui effettività (e non la normatività) a volte è condizionata da un’attività di specificazione legislativa successiva16. 1.2 Il percorso storico di protezione dei diritti Alcuni autori, molto correttamente, ritengono che la situazione di “minorità” nella quale versano i diritti sociali rispetto ai diritti civili e ai diritti politici troverebbe un fondamento storico già nelle vicende legate alla primissima traduzione giuridica dei diritti17; la minore capacità politica di affermare la protezione dei diritti sociali deriverebbe dalla mancata considerazione di questi ultimi all’interno delle carte fondative del costituzionalismo moderno: il Bill of Rights americano e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Prendiamo, ad esempio, questo secondo documento all’interno del percorso storico entro cui è venuto alla luce. È noto che sebbene durante le riunioni delle assemblee rivoluzionarie in Francia non fossero mancate posizioni a favore dell’inserimento dei diritti legali all’”état social”18, il prodotto di 15
Su questo tema è necessario un riferimento alla dottrina dei princìpi elaborata da R. DWORKIN, Taking rights seriously, cit., trad. it. R.M. DWORKIN, I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 90 e ss. Per la dottrina italiana vedi G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia: tre capitoli di giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 211 e ss.; R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 8 e ss. 16 Come è stato ricostruito da R. ALEXY, A theory of constitutional rights, translated by J. Rivers, Oxford, Oxford University Press, 2010, p. 342 e ss. 17 M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 83. 18 Come è documentato, non mancò durante il periodo rivoluzionario un’attenzione a diritti soggettivi molto simili a quelli che oggi chiamiamo “diritti sociali”. Diritti di questo tipo erano presenti nelle parole del noto abate Siéyès, deputato del Terzo Stato all’Assemblea nazionale costituente francese del 1789. Nota è la presa di posizione di quest’ultimo durante una delle discussione dell’Assemblea in cui dichiarò «i vantaggi che si possono trarre dallo stato sociale non si limitano alla protezione efficace della libertà individuale […]. Si sa che quei cittadini che una sorte disgraziata condanna
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queste discussioni, cioè la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, riportò solo prescrizioni legate ai cd. diritti di libertà. Il motivo di questa scelta escludente non è chiaro. Sul punto si sono contrapposte due visioni. Secondo alcuni il motivo della mancata comprensione dei diritti sociali sarebbe da ascrivere a due delle idee più diffuse tra la borghesia illuminata che partecipava ai lavori dell’Assemblea: l’uomo, il cittadino può rivendicare solo nei confronti dello Stato i suoi diritti essenziali e fondamentali; il borghese trova esclusivamente nella proprietà individuale e privata la sicurezza di cui ha bisogno. Nelle Assemblee rivoluzionarie prevalse, dunque, l’idea che occorresse riconoscere nella Dichiarazione un posto solo a quei diritti riferiti all’individuo in quanto tale, escludendo tutte le sfere di protezione che coinvolgessero la vita sociale19. Secondo altri, invece, dietro questa precisa opzione si nasconderebbero ragioni più profonde di tipo cultural-politico. I diritti di libertà erano considerati le uniche libertà essenziali per il formarsi del regime instaurato con la Rivoluzione del luglio 1789: in un’ottica di tipo politico, questi diritti (civili e politici) erano la prima condizione perché si affermasse la protezione dell’uomo in quanto individuo. La scelta di non menzionare anche altri diritti non derivava, perciò, da una considerazione negativa nei confronti della protezione di alcuni bisogni rispetto ad altri, ma da una considerazione realistica che la protezione all’impossibilità di poter provvedere ai propri bisogni hanno il diritto di essere aiutati dai concittadini, ecc. Si sa che niente è più valido a perfezionare la specie umana, nel morale e nel fisico, di un buon sistema di educazione e istruzione pubblica […]. I cittadini hanno in comune il diritto a tutto ciò che lo Stato può fare in loro favore». La citazione è tratta da M. GAUCHET, Diritti dell'uomo, in Dizionario critico della Rivoluzione francese, a cura di F. FURET, M. OZUOF, Milano, Bombiani, 1994, p. 771. Le opinioni di Siéyès non erano certamente espressione di un pensiero isolato all’interno delle assemblee rivoluzionarie. Tuttavia per vari motivi tali impostazioni non riuscirono a vedere la luce neanche nella successiva Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino del 1795. Su tali aspetti v. la ricostruzione che offre U. VINCENTI, Diritti e dignità umana, Roma, Laterza, 2009, p. 53 e ss. e gli articoli in G. RUOCCO (cur.), L’evidenza dei diritti: la déclaration des droits di Sieyès e la critica di Bentham Macerata, Eum, 2009, passim. 19 Vedi sul punto quanto ricorda F. BATTAGLIA, Dichiarazioni dei diritti, in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964, p. 416 e 417. Egli comunque nota che la caratteristica fortemente individualistica della Dichiarazione fu soggetta a dure critiche, tanto che i rinnovamenti delle Costituzioni rivoluzionarie che seguirono allentarono l’impostazione fortemente liberale per passare a forme sempre più democratiche.
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delle libertà fosse da intendere come un “cammino” da realizzare secondo passi prestabiliti20. Non vi è dubbio che questo secondo tentativo di spiegazione persuade più del primo: l’idea che la spinta rivoluzionaria si dovesse realizzare gradualmente venne espressa da molti partecipanti all’Assemblea del 1789 – tra cui l’abate di Siéyès –, i quali mostrarono chiaramente la necessità che la protezione dei diritti da parte dello Stato dovesse puntare a trattare gli uomini come eguali e soprattutto a garantire la cura di tutti quei bisogni che esprimessero la “dimensione sociale” della vita umana21. Qualunque sia la ragione, è innegabile però che la scelta dell’Assemblea provocò un ritardo nell’affermazione di quella idea di garanzia sociale espressa da molti costituenti francesi. È una considerazione in negativo che si desume dal fatto che nel momento in cui vennero inserite nella Dichiarazione, quelle libertà assunsero una veste di “sacralità” che produceva quasi automaticamente uno spartiacque con qualsiasi altro diritto o principio al di fuori di quella cerchia. Una sacralità legata fortemente alla cittadinanza, intesa come elemento di collegamento tra individuo e stato22. Perché si realizzasse una svolta nella protezione dei diritti sociali si dovrà attendere almeno cento anni, e il passaggio non avverrà comunque in un modo trionfale come era accaduto per i diritti di libertà23. Sarà solo nel nuovo secolo e dopo la prima guerra mondiale che i diritti sociali conquisteranno una dichiarazione solenne, come già ricordato, con il loro inserimento nella Costituzione di Weimar del 191924. Per la prima volta, dunque, anche i diritti sociali entrano a pieno titolo in un ordinamento positivo passando attraverso la proclamazione in Costituzione. In realtà, però, l’ingresso avviene in un modo rocambole20
Secondo quanto riportato da P. COSTA, Diritti fondamentali (storia), in Enciclopedia del diritto, Annali II, Milano, 2008, p. 388 e ss. 21 M. MAZZIOTTI, Lo spirito del diritto sociale nelle costituzioni e nelle leggi della Francia rivoluzionaria, cit., p. 61 e ss. 22 P. COSTA, All'origine dei diritti sociali: "Arbeitender Staat" e tradizione solidaristica, cit., passim. 23 Alla fine dell’Ottocento con gli sconvolgimenti provocati dalla rivoluzione industriale, le devastanti crisi economiche del nascente capitalismo e la conseguente conflittualità sociale si porrà per la prima volta il problema del riconoscimento dei diritti sociali. 24 È solo con la Costituzione di Weimar, approvata nel 1919, che tali diritti compariranno non solo come “impegni” della Repubblica ma come vere e proprie situazioni soggettive di cui avrebbero goduto i cittadini del Reich a garanzia del loro benessere.
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sco e non condiviso da tutti. La più agguerrita dottrina osteggerà moltissimo l’accoglimento di questi diritti nella Costituzione di Weimar25. Sarà solo dopo la seconda guerra mondiale che i diritti sociali verranno riconosciuti come una parte essenziale delle costituzioni e dei documenti ufficiali approvati a livello internazionale. La “scommessa” delle nuove costituzioni è la possibilità di conciliare il principio dell’autonomia del soggetto con la salvaguardia della sua dimensione e responsabilità sociale. Gli esempi costituzionali più significativi sono certamente la Germania e l’Italia. In Germania dell’Ovest la Carta fondamentale non raccoglierà in toto l’eredità di Weimar ma formalizzerà al suo interno la clausola dello Stato sociale26. In Italia, invece, la Costituzione collegherà l’affermazione dei diritti sociali allo stesso fondamento della forma di stato democratica, in contrapposizione alle varie forme di governo autocratiche che avevano dominato la storia precedente, sarà fondato sul riconoscimento dell’uomo come «persona», nel duplice senso che ha ricostruito la dottrina, cioè come soggetto «morale», ma anche persona «sociale», perché vive dalla nascita fino alla morte all’interno di contesti, come la famiglia, la scuola, i luoghi di lavoro, i partiti, i sindacati, fino alle varie forme associative laiche e religiose e di aggregazione nelle quali la personalità dell’uomo si sviluppa, si arricchisce e prende forma. Nel cammino delle libertà, i diritti sociali hanno trovato, dunque, una formalizzazione giuridica solo nel corso del Novecento27, in conseguenza del diffondersi di una nuova concezione di uomo e dell’allargamento del concetto di eguaglianza finalizzato a garantire le premesse democratiche dei nuovi stati28. Tali 25
Come ricorda P. COSTA, Diritti fondamentali (storia), cit., 391, secondo questi autori non poteva bastare la menzione di tali diritti nella Carta costituzionale per attribuirgli un loro ruolo meno fondamentale nell’ordinamento rispetto ai diritti di libertà. I diritti sociali erano ritenuti per loro natura non già assoluti, ma condizionati: dipendono, quanto alla loro effettiva realizzazione, dalle decisioni del sovrano, del legislativo e dell’esecutivo. Ancora una volta, come è stato detto, i soli veri diritti rimanevano le libertà proclamate nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. 26 La Legge Fondamentale della Repubblica Federale di Germania, 1949 (come emendata nel 2009), art. 20, comma 1. Insieme alla Costituzione tedesca bisogna ricordare anche lo “Strumento di Governo” svedese del 1974, capitolo 1, art. 2. 27 Sul punto occorre rimandare ancora a D.S. LAW, M. VERSTEEG, The Evolution and Ideology of Global Constitutionalism, cit., p. 1194 e ss. 28 P. CARETTI, Diritti fondamentali, III, Milano, Giuffrè, 2006, p. 1881 e ss.
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prese di posizione sono state importanti, se così si può dire, per costringere - in uno dei momenti più tragici dell’umanità - gli Stati e le istituzioni pubbliche a impegnarsi solennemente per assicurare protezione ad alcuni bisogni fondamentali dei cittadini (lavoro, salute, istruzione, assistenza, ecc.) attraverso dichiarazioni ufficiali nelle quali non solo ne fosse riconosciuta l’importanza, ma fosse anche prevista corrispondentemente la realizzazione concreta di queste garanzie. Come si vede la decisione sulla scrittura dei diritti è appunto una decisione che fonda un ordinamento, e in quanto tale «presuppone e formalizza l’opzione su un determinato principio politico29». Ogni volta che i diritti sono estrapolati dal loro contesto iniziale e formalizzati in un nuovo testo si realizza un’operazione politica che è destinata a mutarne la natura e i termini del rapporto con gli altri diritti. 1.3 La tutela dei bisogni sociali attraverso i diritti La seconda ragione che porta a mettere in evidenza la necessità di partire dall’esame dei testi che incorporano norme sui diritti sociali fa parte della più ampia considerazione dei “diritti” come “figure deontiche”, cioè come elementi di cui si compone il linguaggio normativo30. L’esistenza dei diritti, infatti, implica sempre la presenza di un sistema normativo inteso, sia in senso storico (come abbiamo visto in precedenza) sia in senso tecnico, come un insieme di norme che guidano le azioni umane. Sarebbe riduttivo analizzare i diritti senza evidenziare l’insieme di obblighi, di pretese, di facoltà e di immunità (per usare le categorie del linguaggio hohfeldiano) di cui sono composte le norme che li incorporano31. Solo attraverso l’analisi dei testi in cui i diritti concretamente compaiono sarà possibile intendere in che modo acquistano forma le norme che prevedono la tutela dei diritti sociali. Proverò a mostrare qualche esempio di quanto affermato attraverso il catalogo dei diritti inclusi nella Costituzione. 29
Così M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, in Politica del diritto, 3, XXXI, 2000, p. 387. 30 Vale a dire di «un linguaggio in cui si parla di norme e su norme». Cfr. N. BOBBIO, L’età dei diritti, cit., p. 82. Nostri i corsivi. 31 W.N. HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as Applied to Judicial Reasoning, New Haven, Yale Univ Press, 1919, passim.
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L’esperienza dice che i nostri Costituenti avrebbero potuto limitarsi, come avvenuto in altri paesi europei, ad attribuire qualificazione costituzionale soltanto a diritti e valori elencati in documenti precedenti alla Costituzione, prevedendo norme a favore di beni - come la proprietà o l’integrità fisica - tutelati nel codice civile e nel codice penale. Si sarebbero potuti limitare insomma ad indicare solo quei diritti già riconosciuti nello Statuto Albertino o ancora affermare che la piena protezione giuridica costituzionale doveva essere garantita solo per quelle libertà che erano state oggetto di particolare limitazione durante il periodo fascista (libertà personale, libertà di stampa e di manifestazione del pensiero, libertà di riunione e di associazione, ecc.). Tuttavia, anziché scegliere una di queste soluzioni, i Costituenti preferirono attribuire rilievo costituzionale anche a categorie di interessi e di beni che tradizionalmente non formavano oggetto né della tutela civile e penale né della tutela garantita dallo Statuto del Regno32. La differenza di impostazione è evidente, non solo per il numero dei diritti, ma per l’idea stessa di persona che sta alla base di queste norme. Nella più ampia dimensione costituzionale, infatti, i Costituenti hanno affermato una visione della tutela della persona non limitabile ad alcuni beni (diritto all’integrità, diritto al nome, diritto all’immagine, diritto di agire in giudizio, ecc.), ma una garanzia in senso più ampio - vale a dire nella logica che prima abbiamo descritto della protezione della persona come tale – che si estende a tutti quei valori che in qualche modo sono riconducibili alla solidarietà (art. 2 Cost.) e alla “dignità sociale” (secondo quanto affermato nell’art. 3, comma 2, Cost). Come per le categorie, anche per le forme di tutela la Costituzione del Novecento ha rappresentato un passo avanti rispetto al passato, non solo di natura politica ma anche di natura giuridica. Sono molti gli esempi che si possono usare per sottolineare tale passaggio. Limitatamente all’oggetto più specifico della nostra analisi potremmo richiamare il testo dell’art. 32 Cost., leggendo il quale ci si accorge in modo netto di una novità assai rilevante nell’impostazione. In questo articolo, infatti, non c’è solo il riconoscimento del diritto alla salute - garantito attraverso l’elevazione del corrispondente bene al rango di “interesse 32
Alludiamo a tutti quei diritti, come anche i diritti sociali, che si collegano allo sviluppo della personalità (art. 2), all’eguaglianza anche nella sua forma concreta (eguaglianza sostanziale) e a settori prima non considerati come la salute, l’istruzione, l’assistenza, i diritti dei lavoratori.
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costituzionale” - ma la previsione stessa di una serie di forme di garanzia nuove e mai contemplate33, sia nei confronti dei soggetti pubblici sia nei confronti dei privati: il diritto solenne degli indigenti di ottenere cure gratuite, il diritto di tutte le persone al rispetto della propria libertà di curarsi, la tutela contro comportamenti arbitrari dell’autorità pubblica che ledano la dignità della persona, ecc.34 La nuova “qualificazione” dei diritti non si limita all’allargamento del numero degli stessi, ma riguarda anche il modo in cui questi devono essere intesi. Un esempio tratto dal diritto internazionale può aiutarci a tal proposito. Sappiamo che nonostante fosse un portato delle più risalenti concezioni politiche, è solo dopo la dichiarazione di Vienna e del programma di azione adottato durante la Conferenza mondiale del 1993 che la categoria dei “diritti umani” è stata formalmente concepita come contenente un insieme di diritti «universali, indivisibili, interdipendenti e correlati» che devono essere trattati «in modo giusto ed equo, sullo stesso piano e con la stessa importanza»35. Al di là di una certa duttilità che l’uso di questo linguaggio comporta, la presa di posizione raggiunta a livello internazionale, per la quale si è arrivati a tale dichiarazione, rappresenta un passo in avanti notevole per i diritti sociali36. Considerare questi 33
Per un approfondito esame di queste posizioni sia consentito rimandare a A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), in Commentario alla Costituzione a cura di M. Olivetti - A. Celotto - R. Bifulco, I, Torino, 2006, passim. 34 Naturalmente alle forme di tutela si devono poi aggiungere gli strumenti o mezzi di tutela che introducono una speciale protezione costituzionale per i diritti e riguardano in special modo la giurisdizione. Dunque ci riferiamo a tutti quegli articoli che riconoscono il diritto di azione in giudizio contro la lesione di un diritto, il diritto ad un giudice e la speciale garanzia apprestata dalla Corte costituzionale mediante il proprio giudizio sulle leggi e gli atti aventi forza di legge. 35 “Vienna Declaration” e “Programme of Action” (adottato il 25 giugno 1993 dal Congresso mondiale dei diritti umani), paragrafo 5. Per una ricostruzione del modo in cui si è arrivati alla dichiarazione vedi K. RITTICH, Social Rights and Social Policy. Transformations on the International Landscape, in Exploring Social Rights. Between Theory and Practice, a cura di D. BARAKEREZ, A.M. GROSS, Oxford and Portland, Hart Publishing, 2007, p. 111; A. EIDE, Economic, Social and Cultural Rights as Human Rights, in Economic, Social and Cultural rights, a cura di A. EIDE, C. KRAUSE, A. ROSAS, Netherlands, Kluwer, 2001, passim. 36 Su questi aspetti vedi i saggi contenuti nel volume I. MERALI, V. OOSTERVELD (cur.), Giving Meaning to Economic, Social, and Cultural Rights, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2010, passim.
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diritti alla stregua dei classici diritti di libertà è stato riconosciuto come il portato essenziale di un processo storico-evolutivo che ha consentito di caratterizzare entrambe le categorie quali pre-condizioni imprescindibili della democrazia politica e dello sviluppo della persona37. 2. VALORE E DISVALORE DEI TESTI Nel paragrafo precedente ho mostrato i motivi che ci spingono ad anteporre l’esame dei cataloghi dei diritti all’indagine sul significato che essi hanno nell’interpretazione giurisprudenziale e nelle principali concezioni giuridiche. In questo paragrafo intendo affinare le chiavi di lettura già mostrate, per scendere nello specifico dell’esame dei testi. Lo farò partendo da alcune evidenze empiriche che si registrano nell’esame dei cataloghi di cui mi occuperò. La prima evidenza riguarda il cd. “momento” in cui avviene la positivizzazione dei diritti. Tanto a livello statale quanto a livello internazionale e sovranazionale l’invenzione dei cataloghi dei diritti risponde ad un obiettivo “fondativo”: i cataloghi sono il frutto di un potere definibile “costituente”, hanno la pretesa di fondare o ri-fondare l’assetto giuridico complessivo38. In questo senso essi sono l’enunciazione di un progetto giuridico in atto o in fieri che si sta realizzando, e non importa se ratificano una situazione già in essere o creano le basi per un nuovo ordine, perché in entrambi i casi l’essenziale è che il momento della scrittura contiene in sé una forza costitutiva e una capacità costituente che supera le divisioni e le particolarità presenti in una società39. Per tale ragione, quando mettono in evidenza il
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Così I. KOCH, Human Rights as Indivisible Rights: the Protection of Socioeconomic Demands Under the European Convention on Human Rights, Martinus Nijhoff, 2009, p. 1 e ss. 38 La nozione di diritti fondamentali richiama l’idea della fondazione e attraverso di essa la circostanza che i diritti siano attribuiti da norme che hanno una particolare importanza in considerazione tanto del loro contenuto quanto della loro posizione nella gerarchia delle fonti. Su tale punto v. A. SPADARO, Il problema del «fondamento» dei diritti fondamentali, cit., p. 235 e ss. 39 Su questo punto v. M. CARTABIA, P. CAROZZA, A. SIMONCINI, Il tempo e il miracolo, in Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosvelt e la Dichiarazione universale dei diritti umani, a cura di M.A. GLENDON, Macerata, Liberilibri, 2008, p. XI e ss.
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valore dei cataloghi, sia i giuristi che i filosofi usano per i diritti in essi contenuti l’aggettivo “fondamentali”40. La seconda evidenza riguarda il lessico usato per formare i cataloghi. Se rimaniamo su un piano empirico è facile riconoscere che il linguaggio dei “diritti” differisce molto dal linguaggio del “diritto”. Se quest’ultimo risponde prevalentemente al criterio del «comando» e dell’«obbligo», impone modelli di condotta e fissa sanzioni nel caso di inadempimento, il primo, invece, persino quando i diritti sono posti in essere per via legislativa, non si arrende ad essere considerato come il puro prodotto della volontà statale che, come tale, è spesso legato alle contingenze. Con i diritti, infatti, il linguaggio giuridico si rovescia in “positivo”: i cataloghi stabiliscono poteri e libertà dei soggetti, piuttosto che limitazioni e doveri. I diritti si presentano sempre più come entità di tipo prepolitico, che hanno sì bisogno di tutele e riconoscimenti pubblici ma che pretendono di esistere indipendentemente da questi stessi. Essi, come è stato detto, da un lato «vivono sospesi tra la dimensione giuridica e quella etica41», dall’altro devono rimanere arnesi semplici, maneggevoli, e suscettibili di essere usati oltre le nazionalità. Con quest’ultima notazione si è introdotto anche la terza evidenza, quella che riassume la dimensione comunicativa dei diritti. Non bisogna dimenticare che le carte, i cataloghi e le stesse costituzioni sono documenti giuridici che trasmettono un “messaggio” sociale: i diritti veicolano una comunicazione assumendo una valenza culturale esteriore. Nei documenti più recenti tale caratteristica è quanto mai evidente, perché quando le varie carte e dichiarazioni si autoproclamano universali altro non fanno che esprimere una precisa opzione giuridica attraverso un messaggio di tipo politico. 40
Nel percorso di queste notazioni non vi è certamente lo spazio per analizzare la forza evocativa che ha l’uso dell’aggettivo fondamentali. Basterà solo notare che l’esperienza giuridica e le concettualizzazioni teoriche concordano sul fatto che i diritti sono il “fondamento” degli ordinamenti moderni sia in senso “formale”, in quanto i documenti che li recepiscono hanno un valore giuridico superiore, sia in senso sostanziale, perché è speciale l’importanza dei beni che tutelano. Sul punto vedi M. ZANICHELLI, Il significato dei diritti fondamentali, in I diritti in azione, a cura di M. CARTABIA, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 508 e ss. 41 Non a caso, solo per i diritti si pone la questione della «positivizzazione», che non ha nessun senso riferita alla legge: la legge o è «positiva» o non è. Per la citazione ne testo cfr. M.R. FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, il Mulino, 2002, passim.
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In questo senso, non è impropria l’immagine che usa M.R. Ferrarese riguardo alle dichiarazioni internazionali dei diritti quando dice: “(…) il loro carattere essenzialmente comunicativo, indefinito, persino la loro genericità e il loro tono promozionale le rendono adatte alla bisogna di una società transnazionale: come mappe di orientamento, primi strumenti di cui servirsi per dare alla comunicazione sui diritti dei riferimenti più sicuri e dei “punti di convergenza”42.
Oltre ad essere “obiettivi” i diritti sono anche importanti “strumenti” nelle mani dei popoli; strumenti che seguono trasformazioni non sempre orientabili da un punto di vista politico e che perciò documentano un “paradosso” sul quale ancora molti autori si interrogano. Si prenda la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Anzitutto, non è spiegabile come rappresentanti di nazioni così diverse siano giunti ad un testo comune. In secondo luogo, oggi si può riscontrare che il successo di tale Dichiarazione è inversamente proporzionale alla marginalità che questo documento ebbe all’interno dei negoziati tra i paesi che diedero vita all’ONU. Quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò il documento, che poi sarebbe divenuta la Dichiarazione, nessuna delle grandi potenze partecipanti alla decisione avrebbe potuto immaginare l’impatto che essa avrebbe avuto nel futuro. Il clima, le aspettative e le fasi di quella discussione sono documentate da una tra le più note giuriste americane, M.A. Glendon, la quale ricorda che: “Il progetto dei diritti umani aveva un’importanza marginale; veniva varato come una concessione fatta alle nazioni più piccole e in risposta alle richieste avanzate da numerose associazioni umanitarie religiose, le quali pretendevano che gli Alleati si dimostrassero all’altezza della loro retorica di guerra garantendo che la comunità delle nazioni non avrebbe mai più tollerato in futuro altrettanto gravi violazioni della dignità umana. La Gran Bretagna, la Cina, la Francia, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non si aspettavano che tali garanzie avrebbero interferito con la loro sovranità nazionale”43. 42
Op. cit., p. 169. M.A. GLENDON, Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosvelt e la Dichiarazione universale dei diritti umani, a cura di S. Sileoni, Macerata, Liberilibri, 2008, cit., p. 10.
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I cataloghi dei diritti, pur se scritti secondo la logica della “neutralità” e della “universalità”, hanno naturalmente dei destinatari. Essi portano un messaggio che non è solo giuridico ma più ampiamente politico. Questa caratteristica del linguaggio dei diritti consente una riflessione più ampia su uno dei rischi maggiori in cui si può incorrere quando si dà troppa enfasi ai cataloghi delle libertà; vale a dire il rischio di alimentare un discorso meramente celebrativo e iconografico sulle libertà mascherando i pur evidenti difetti e le bruttezze che esse possono avere44. In questo senso, il presente capitolo deve essere letto in stretta connessione con quelli che verranno nel corso della trattazione, come un pezzo di un percorso più lungo che ci porta a scoprire la natura dei diritti sociali. 3. LA COSTITUZIONE ITALIANA Questa parte del lavoro avrà ad oggetto un tipo di testi che, da un punto di vista cronologico, precede quasi tutte le carte e le dichiarazioni che contengono i diritti sociali, fino ad ora analizzate. La scelta di collocare l’esame della garanzia costituzionale all’inizio dell’indagine sui testi è dovuta all’intenzione di seguire uno schema conoscitivo che metta in evidenza che oramai la tutela dei diritti rappresenta un “continuum stabile” tra ordinamenti. Gli Stati nazionali sono storicamente l’istanza di riferimento dei movimenti che si battevano per l’eguaglianza sostanziale, la giustizia sociale e il riconoscimento delle pretese ad azioni anche positive per la soddisfazione dei vari bisogni individuali e collettivi. Oggi, tuttavia, questo monopolio è venuto meno45. Nonostante il sistema dei poteri pubblici si stia allar44
La suggestione più forte in questo senso deriva dalla lettura di un saggio di uno dei maggiori studiosi del diritto europeo, J.H.H. Weiler. Con la solita prosa dissacrante Weiler ammonisce sulla riduzione più forte a cui può condurre un affidamento della tutela dei diritti solo alla lingua scritta; i diritti si devono alimentare attraverso un circuito più ampio, che considera il testo e l’effettiva protezione di essi come un unico campo di indagine. J.H.H. WEILER, Introduzione. Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo, in Diritti e confini, a cura di M.E. COMBA, Milano, Edizioni di Comunità, 2002, p. 2 e ss. 45 La moltiplicazione di poteri sovranazionali e internazionali, da un lato, e l’impulso allo spostamento di competenze allocative verso autorità politico-
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gando verso l’alto e verso il basso, le decisioni circa il welfare trovano ancora nella dimensione statale il loro centro motore, sia per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti sociali sia per quanto riguarda la definizione delle politiche sociali46. Perciò, l’esame delle costituzioni statali è essenziale sia per ragioni legate alla garanzia dei diritti sociali sia per ragioni che riguardano l’origine di questa particolare categoria di diritti. È nell’ordinamento statale, infatti, che prima di tutti la tutela dei bisogni sociali prende forma, ed è sempre negli ordinamenti nazionali che ancora oggi i diritti sociali trovano le loro principali fonti di soddisfazione. In fondo, la garanzia prevista nell’ordinamento internazionale e nell’ordinamento sovranazionale ha sempre come riferimento ultimo un certo tipo di azioni o di politiche che dovranno essere realizzate all’interno degli ordinamenti statali di riferimento. La protezione dei diritti sociali all’interno degli stati è così importante da aver addirittura conformato l’essenza di questi ordinamenti.47 Da quel momento lo Stato non è più chiamato a servire soltanto gli interessi e i diritti che si possono riferire ad una classe; ad esso e alle sue diverse articolazioni viene ora affidato un compito più impegnativo, quello di ampliare il raggio di protezione dei diritti garantendo insieme alla proprietà anche l’allocazione egualitaria di alcuni beni, in modo da rendere possibile ad ogni persona lo sviluppo della propria personalità e la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale della nazione. Nei nuovi ordinamenti accadono due fenomeni amministrative operanti in aree territoriali più circoscritte e più direttamente rappresentative delle esigenze delle comunità locali (ed anche verso organismi deputati a corrispondere ad interessi più marcatamente inerenti allo sviluppo della personalità dell’individuo, come quelli operanti nel campo dell’istruzione e della formazione), dall’altro lato, hanno significativamente mutato, soprattutto nell’ultimo quarto del secolo scorso, l’ordine spaziale dei problemi relativi al welfare, secondo svolgimenti connotati da ulteriori elementi di complessità. Sulla valenza di tali fattori per lo sviluppo dello stato sociale vedi A. MASSERA, Eguaglianza e giustizia nel welfare state, in Dir. amm., 1, 2009, p. 14 e ss. 46 Vedi S. FOIS, Analisi delle problematiche fondamentali dello "Stato sociale", in Diritto e società, 2, 1999, p. 163 e ss. 47 L’inserimento dei diritti sociali, infatti, ha permesso (nella prima metà del XX Secolo) lo sviluppo di una nuova concezione dei rapporti tra poteri pubblici e individuo, che muove dal riconoscimento di ogni essere umano come fine in sé e soggetto di numerosi diritti che comprendono anche la soddisfazione dei bisogni primari. Vedi C.A. GEARTY, V. MANTOUVALOU, Debating Social Rights, Oregon, Hart, 2011, p. 98 e ss.
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complementari: da un lato, i diritti sociali diventano lo strumento per garantire il benessere della persona e il corollario democratico ai diritti politici; dall’altro, la diversa realtà costituzionale diviene il fattore che maggiormente determina lo sviluppo e la formazione dei diritti sociali. La relazione di funzionalità rispetto alla realtà costituzionale conferisce ai diritti sociali, e in generale alla politica sociale, un significato che non coincide più con la realtà storico-politica nella quale questi interventi hanno visto la luce (nel XIX secolo), ma riconosce ad essi un valore legato intimamente allo sviluppo della democrazia48. Oggi, infatti, la dichiarazione e la garanzia del diritto di ogni individuo di accedere a una quota delle risorse materiali e culturali di cui la collettività dispone si realizza mediante l’attribuzione di un valore costituzionale fondamentale alle pretese relative a tali diritti49. 3.1 L’inserimento diritti sociali all’interno della Costituzione italiana La Costituzione italiana prevede accanto alla tutela delle tradizionali libertà civili e politiche anche la tutela dei diritti sociali e dei diritti economici. Al pari di altre carte coeve50, la nostra Costituzione segna una svolta epocale nella protezione dei diritti perché prevede numerosi diritti sociali. Come già ho ricordato, la previsione di questi ultimi è una novità assoluta della Costituzione italiana rispetto allo Statuto Albertino, tipico esempio di costituzione liberale ottocentesca nella quale erano riconosciuti solo alcuni diritti civili e politici. Se scorriamo gli artt. dal 24 al 32 dello Statuto – raccolti sotto il titolo Dei diritti e doveri dei cittadini – vediamo affermati solo i diritti del cittadino a un “non fare” da parte dello Stato o ad un “fare” del cittadino stesso nel confronti della vita pubblica dello Stato. Questo binomio è superato dalle previsioni attuali della 48
Sul nesso tra presupposti costituzionali e sviluppo del welfare vedi P. FLORA, A.J. HEIDENHEIMER, Il nucleo storico e il cambiamento dei confini del "welfare state", in Lo sviluppo del welfare state in Europa e in America, a cura di P. FLORA, A.J. HEIDENHEIMER, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 32 e ss. 49 Di questo nesso parla P. SCOPPOLA, La Costituzione italiana tra democrazia e diritti sociali, cit., p. 126 e ss., ricordando anche come questo nesso sia alla base del riconoscimento dei diritti sociali anche nella Dichiarazione dei diritti umani elaborata in seno alle Nazioni Unite tra il 1946 e il 1948. 50 M. MAZZIOTTI DI CELSO, Diritti sociali, cit., p. 802 e ss.
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Costituzione repubblicana che è ricca di disposizioni concernenti la materia solitamente riassunta con l’uso delle locuzioni “diritti sociali” e “diritti economici”. A differenza delle costituzioni liberali e della Costituzione tedesca del 1919 che aveva finito per accostare a fianco dei diritti individuali una serie di “vaghe esigenze sociali”51, la nostra Costituzione contiene un’innovazione fortissima. L’insieme dei diritti (e dei doveri) inseriti nella Prima Parte esprime chiaramente un’immagine di uomo che non è più quella del liberalismo classico (e neanche quella del social-comunismo sovietico), ma è funzionale ad una specifica ed inequivocabile identità democratico-pluralistica che si fonda sull’idea di “persona”, cioè di essere umano considerato nella sua dimensione di singolo e di soggetto sociale capace di intessere relazioni. La realtà evocata dalle disposizioni contenute negli artt. da 29 a 47 della Costituzione, raggruppate nei Titoli sui “Rapporti etico-sociali” ed i “Rapporti economici”, va dunque oltre la mera previsione di alcune libertà e diritti garantiti ai cittadini; essa si lega agli stessi principi che reggono la forma di stato pluralista delineata dai Costituenti che li ha indotti a radicare solidamente quei diritti nell’attualità costituzionale e non all’interno di schemi proiettati verso il futuro52. Alla base del riconoscimento dei diritti sociali, infatti, si rinvengono i principi fondamentali che caratterizzano la forma di stato italiana, cioè il principio lavoristico previsto nello stesso art. 1 (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”) e gli artt. 2, 3 e 4 Cost., i quali segnano alcune tra le novità più rilevanti all’interno del nostro ordinamento53. I principi descritti in questi articoli sono il terreno per la creazione di una nuova forma di stato nella quale la garanzia dell’eguaglianza e della solidarietà 51
A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 151. Cioè verso una realizzazione futura, come vedremo emergerà fortemente nella contrapposizione tra Calamandrei, il quale parlerà di diritti che promettono una rivoluzione, e gli altri costituenti, soprattutto La Pira e Dossetti, ispirati alle idee personaliste di matrice francese. 53 La garanzia dei diritti inviolabili della persona considerata nella sua natura di singolo e di soggetto che dà vita a organismi sociali; l’obbligo per le istituzioni pubbliche di «rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale»; la garanzia del lavoro come diritto e come dovere di ogni persona e l’occupazione come dato essenziale per ottenere lo sviluppo sociale. 52
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tra i cittadini assume un ruolo decisivo (forma di stato costituzionale-sociale)54. Ripercorrerò velocemente il quadro dei diritti sociali ed economici previsti nella Costituzione, offrendo così una panoramica che consentirà di evidenziare alcuni “criteri di analisi” capaci di accompagnere nei paragrafi successivi. Prima di iniziare occorre un’avvertenza. In queste pagine non darò un’interpretazione delle singole disposizioni costituzionali ma solo un quadro complessivo, e il più possibile unitario, di queste norme, utile al fine di intendere gli aspetti generali della tutela costituzionale dei diritti sociali55. Il primo gruppo di disposizioni sociali è contenuto nel Titolo II della Parte Prima della Costituzione intitolato “Rapporti etico-sociali”. Qual’è il contenuto di questi rapporti? Nell’art. 29 è prevista l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi; nell’art. 30 sono previsti il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare in ogni caso i figli (anche in caso di incapacità dei genitori) ed è sancita una tutela particolare per i figli nati fuori dal matrimonio; nell’art. 31 si dice che le istituzioni hanno il compito di agevolare con misure economiche e altri tipi di provvidenze la formazione della famiglia con riguardo specificamente a quelle numerose, oltre che una tutela particolare per la maternità, l’infanzia e la gioventù anche attraverso gli istituti necessari a tale scopo; nell’art. 32, poi, si trovano le previsioni che riguardano la tutela della salute, intesa sia come bene individuale sia come bene collettivo, insieme alla garanzia delle cure gratuite per le persone indigenti e al divieto di imporre i trattamenti sanitari che non abbiano alla base una legge, con la garanzia di un rispetto particolare per la dignità umana; nell’art. 33 è disciplinata, invece, la libertà della scienza e dell’insegnamento insieme alla garanzia che la Repubblica detti “norme generali 54
La presenza nella Costituzione di numerosi riferimenti – spesso impliciti – alla solidarietà e all’eguaglianza rappresenta un dato da non dimenticare per intendere il valore che al suo interno hanno le libertà sociali. Vedi G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 755 e ss.; A. BARBERA, F. COCOZZA, G. CORSO, Le situazioni soggettive. Le libertà dei singoli e delle formazioni sociali. Il principio di eguaglianza, in Manuale di diritto pubblico, a cura di G. AMATO, A. BARBERA, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 201 e ss. 55 Fuori delle previsioni degli articoli da 29 a 47 vi è un’ulteriore previsione che garantisce un diritto sociale ed è quella contenuta nell’art. 24, comma 3, la quale prevede che siano assicurati “ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.
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sull’istruzione”, alla creazione di un sistema scolastico statale per ogni ordine e grado, alla libertà per chiunque di istituire scuole e istituti di educazione paritari garantendo piena libertà sia per le scuole che per gli alunni e un trattamento scolastico equipollente, e la garanzia dell’autonomia delle istituzioni di cultura e le università; nell’art. 34, infine, è affermato che la scuola deve essere “aperta a tutti”, che l’obbligo scolastico dura per otto anni ed è garantito ai capaci e ai meritevoli il raggiungimento dei più alti gradi degli studi, mediante l’erogazione di borse di studio e di altre provvidenze alle famiglie (in base ad un sistema concorsuale). Come si può notare si tratta di un numero molto ampio di previsioni normative, che riguardano dimensioni eterogenee della vita umana. Già a un esame sommario appare chiaro che tutte hanno contenuti, finalità e struttura diverse. Ci sono disposizioni che riguardano la sfera dei rapporti familiari, disposizioni che attengono alla sfera della salute e altre che riguardano la sfera dell’istruzione e della formazione. Come dirò più avanti, il raggruppamento di tali norme in un titolo unico risponde ad una precisa concezione di fondo. Ognuna di esse rappresenta una situazione collegata direttamente alla personalità dell’uomo e allo sviluppo di quelle relazioni di cui si è parlato in precedenza56. Apparentemente diverso è il tenore del secondo tipo di previsioni, contenute nel Titolo III della Parte Seconda intitolata ai “Rapporti economici”. I diritti di questo titolo hanno una caratterizzazione mista, non solo sociale ma anche economica. I primi sei articoli, infatti, si concentrano sulla regolazione del fenomeno lavorativo e delle vicende a esso legate, in attuazione del principio lavoristico57: l’art. 35 sancisce la tutela del “lavoro” (in tutte le sue forme), il diritto ad ottenere la formazione ed 56
Con l’unica eccezione – se così si può dire – della salute, la cui protezione è stata collocata all’interno di questo titolo per il collegamento con la sfera personale dell’individuo e per la caratterizzazione sociale delle libertà che si riconducono ad essa, tutte le altre si riferiscono alla sfera più intima della vita umana, la famiglia, e agli ambienti di vita in cui la persona si trova immersa fin dall’infanzia (sfera dell’educazione). 57 La dottrina tende a collocare le disposizioni costituzionali in materia di lavoro non come parte dei diritti economici quanto della parte sui diritti sociali. Questa scelta appare suffragata anche dall’analisi compiuta a livello internazionale e sovranazionale. Su tale punto vedi E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 1779-1780; A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 14.
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una elevazione professionale, il diritto di emigrare e la tutela dei lavoratori italiani all’estero; l’art. 36 garantisce al lavoratore una retribuzione proporzionata e sufficiente, un massimo di durata della giornata lavorativa e il diritto al riposo ed alle ferie; l’art. 37 introduce la parità di tutela delle lavoratrici donne, la garanzia della conciliazione tra lavoro e funzioni familiari e i diritti dei minori lavoratori; l’art. 38 garantisce il diritto di tutti i cittadini che siano inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere al mantenimento e all’assistenza sociale, il diritto dei lavoratori ad una protezione particolare in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, il diritto dei minorati e degli inabili all’educazione e all’avviamento professionale; l’art. 39 sancisce la libertà sindacale e gli strumenti per garantirla; infine, l’art. 40 tutela il diritto di sciopero. I successivi sette articoli si riferiscono non più al lavoro ma al fenomeno economico-imprenditoriale e alla proprietà. Anche questi articoli attribuiscono un carattere diverso, di garanzia sociale, ad alcune delle libertà economiche già garantite dallo stato liberale: l’art. 41 in primo luogo afferma la “libertà di iniziativa economica”, imponendo che questa non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alle persone, e prevede che la legge determini i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica sia indirizzata e coordinata a fini sociali; l’art. 42 garantisce il diritto di proprietà (pubblica e privata) e ne prevede le limitazioni al fine di garantirne le funzioni sociali e l’accesso a tutti; l’art. 43, poi, prevede la possibilità di nazionalizzare alcune imprese che si riferiscano a «servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale»; l’art. 44 stabilisce la possibilità di apporre obblighi e vincoli alla proprietà privata al fine di garantirne fini sociali; l’art. 45 tutela la cooperazione; l’art. 46 riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende; infine, l’art. 47 prevede la tutela del risparmio e in particolare l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione. Come si può notare tra i primi sei articoli relativi al diritto al lavoro (artt. 35-40) e i restanti sette (artt. 41-47) vi è una differenza notevole. Mentre quelli legati al lavoro si riferiscono alla esigenza della protezione della personalità umana, come per le libertà previste nel Titolo II, e soprattutto nel Titolo I (tanto
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che i diritti che ne fanno parte assurgono a diritti inviolabili), i diritti economici sono stati scritti in modo da poter subire maggiori compressioni per la presenza di contrapposte esigenze di interesse pubblico o di utilità sociale58. 3.2 Il dibattito sull’inserimento dei diritti sociali in Assemblea Costituente L’inserimento dei diritti sociali nella Costituzione fu il frutto di un lungo dibattito in Assemblea Costituente59, che vide contrapposte tre differenti posizioni60: quella dei Partiti di matrice socialista e comunista; quella espressa da una grande parte degli esponenti del Partito della Democrazia Cristiana; quella espressa dai membri del Partito d’Azione. A dispetto di quanto si può immaginare la discussione sui diritti sociali occupò un grande spazio e fu molto ricca quanto a posizioni espresse e a ipotesi effettuate61. 58
M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in Digesto discipline pubblicistiche, V, Torino, 1990, p. 377. 59 Nella fase di elaborazione costituzionale precedente alla Costituente il tema dei diritti sociali venne affrontato all’interno della Commissione Forti. Su questo tema vedi l’approfondito esame di B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 97 e ss. 60 Sebbene per motivi di sintesi parliamo di posizioni dei partiti, non possiamo tacere del fatto – come emerge dai documenti – che la Costituzione non fu solo il frutto dell’impegno dei gruppi ma è il prodotto di un lavoro di singole personalità che diedero voce prima ancora che ad un certo credo ideologico a proprie convinzioni personali. In termini molto simili E. CHELI, Il problema storico della Costituente, Napoli, Esi, 2008, p. 37. «La Costituzione del 1948, pur registrando un ampio lavoro preparatorio e gli echi di un processo di rinnovamento dei modelli istituzionali già avviato su scala europea, si pone principalmente come prodotto autogeno dell’Assemblea eletta il 2 giugno, come espressione cioè di una cultura politica evoluta, ma sostanzialmente elitaria. Questa osservazione induce a ricercare le ragioni della nascita e della fisionomia assunta dal prodotto costituzionale, ancor più che sul piano della storia generale del nostro paese, essenzialmente in direzione della storia “interna” dell’Assemblea, sul terreno cioè della “qualità” dei costituenti e dei rapporti che tra essi, nel corso dei lavori, si vennero a determinare». 61 Sia all’interno dell’Assemblea Costituente sia all’interno della Commissione dei 75, infatti, il tema dei diritti sociali venne affrontato insieme ad alcune delle principali questioni generali che riguardavano la scrittura della Costituzione, come la sua lunghezza, la rigidità e la presenza all’interno della Carta costituzionale di disposizioni programmatiche e di diritti formulati alla maniera dei principi. Su tale punto vedi B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 106 e ss.
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Una prima traccia delle discussioni incentrate sulla necessità di includere i diritti sociali all’interno della Commissione dei 75 si trova nella seduta del 25 ottobre 194662. Quel giorno la Commissione stava per licenziare la bozza del testo di Costituzione da inviare all’Assemblea, malgrado solo una delle tre sottocommissioni avesse terminato il proprio lavoro. In quella occasione si accese un vivace dibattito circa l’oggetto e il metodo di lavoro della Commissione dei 75. Fu in quella occasione che l’inserimento dei diritti sociali all’interno della Costituzione venne tirato in ballo come uno dei problemi principali sui quali non vi era l’accordo di tutti i partiti della Costituente. Mentre si discutevano le direttive per la redazione del progetto di Costituzione formulate nell’ordine del giorno presentato da Bozzi e altri63, prese la parola Calamandrei. Il discorso pronunciato in 62
Prima di quella occasione il tema dei diritti sociali era stato affrontato durante la seduta della Prima Sottocommissione, il 9 e 11 settembre del 1946, all’interno della discussione sulla relazione di La Pira riguardate i principi sui rapporti civili. La Pira, come è noto, espresse in quella relazione la sua visione “organicistica” della società e corrispondentemente l’idea che i diritti appartenessero non all’uomo astratto ma alla persona immersa in un contesto di formazioni sociali. L’idea di La Pira, infatti, era che i diritti avessero una base in una concezione antropologica e sociologica di cui la teoria dei diritti era un riflesso. Nella sua visione la Costituzione avrebbe dovuto mostrare una concezione di “società pluralista”, nella quale ogni uomo ha una funzione e un posto nel corpo sociale che dovrebbero essere definiti dallo Stato. L’idea di La Pira fu poi alla base del “compromesso” che durante quella seduta venne raggiunto tra Dossetti e Togliatti sulla “precedenza” della persona rispetto allo Stato; anteriorità che, come dirà lo stesso Dossetti, si completa nella comunità in cui la persona si integra, e cioè nella famiglia, nelle associazioni sindacali, ecc. La visione della persona come anteriore non si poteva, secondo quest’ultimo, arrestare ad una visione puramente corporea di essa ma doveva allargarsi a ciò all’interno della società è frutto della libertà della persona. Sulla base di questa discussione e delle affermazioni di Togliatti che riconobbe nelle parole di Dossetti “un ampio terreno di intesa” venne poi approvato nella seduta successiva un ordine del giorno il cui contenuto era l’affermazione della precedenza della persona rispetto allo Stato, il riconoscimento della necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale (in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità) e per tutto ciò che non basti nello Stato. Vedi Atti Assemblea Costituente, seduta 9 settembre 1946. 63 L’o.d.g. Bozzi era del seguente tenore: «1) la Costituzione dovrà essere il più possibile semplice, chiara e tale che tutto il popolo la possa comprendere; 2) il testo della Costituzione dovrà contenere nei suoi articoli disposizioni concrete, di carattere normativo e costituzionale; 3) la Costituzione dovrà limitarsi a norme essenziali di rilievo costituzionale e di supremazia sopra tutte le altre norme, lasciando lo sviluppo delle disposizioni conseguenti a leggi che non richiedano, per la loro eventuale modificazione, il ricorso al
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quella occasione dal giurista fiorentino - di cui ho già evidenziato le caratteristiche nel capitolo precedente - mostrò con tutta evidenza la posizione assolutamente contraria che egli aveva nei confronti dell’inserimento in Costituzione di norme sui diritti sociali che avessero natura di principi. Non bisogna sottovalutare il punto di partenza di Calamandrei, che anche in questa circostanza rappresentava un punto di vista molto critico ma sicuramente improntato ad un forte realismo64. Egli riteneva che alcuni dei diritti individuali elaborati dalla prima e dalla terza Sottocommissione avevano natura di vere e proprie norme giuridiche; altri invece avevano la natura di “affermazioni generiche, desideri, programmi politici”, e come tali non potevano essere compresi all’interno di una Costituzione. Come si può immaginare, anche sulla base di quanto si è riportato in precedenza65, le ragioni di questa contrarietà sono essenzialmente due: la prima di natura storico-politica, la seconda di natura tecnico-giuridica. La prima ragione è molto nota. Calamandrei vedeva nel processo costituente un vizio di fondo. A dispetto delle costituzioni liberali che avevano tradotto in norme giuridiche una rivoluzione già compiuta, la Costituzione italiana scontava un vizio di fondo: essa voleva porsi come strumento per una “rivoluzione da compiere” senza però che vi fosse alla sua base un accordo di tutte le forze politiche. La seconda ragione derivava principalmente dal “background” giuridico di Calamandrei. Il suo atteggiamento era in linea con le dottrine del positivismo giuridico assorbite nella scuola chiovendiana, ed era sostenuto dal timore che la previsione di una miriade di propositi, programmi, invocazioni, avrebbe impedito l’attuazione immediata dei veri diritti, soggettivi o meno. Egli vedeva nei diritti sociali un elemento pre-giuridico che poco avrebbe dato di nuovo al patto costituzionale o anzi ne avrebbe minacciato la tenuta. Nella misura in cui i diritti sociali erano la sostanza di quella rivoluzione da compiere, secondo Calamandrei essi dovevano essere collocati fuori della Costituzione, in processo di revisione costituzionale». Cfr. Atti Assemblea Costituente, seduta del 25 ottobre 1946. 64 Sulla posizione di Calamandrei alla Costituente vedi le ricostruzioni di: P. BARILE, Piero Calamandrei all'Assemblea Costituente, in Piero Calamandrei: ventidue saggi su un grande maestro, a cura di P. BARILE, Milano, Giuffrè, 1990, p. 333 e ss.; E. CHELI, Piero Calamandrei e la ricerca dei valori fondamentali della nuova democrazia repubblicana, in Rassegna parlamentare, 2, 2007, p. 281 e ss. 65 Parte Prima, paragrafo 2.
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una sorta di preambolo che mostrasse tutta la a-giuridicità di queste affermazioni contenenti programmi e desideri66. È esemplificativo che nella stessa discussione l’idea della “rivoluzione da compiere” era alla base dell’idea di altri costituenti come Togliatti. Qust’ultimo rivendicò che la Costituzione italiana in costruzione dovesse avere un carattere anche programmatico, almeno nelle sue parti in cui si afferma la necessità di dare un nuovo contenuto ai diritti sociali. Se la rivoluzione non è ancora compiuta, perciò, era maggiormente necessario inserire nella Costituzione norme di principio e programmatiche che potessero orientare la rivoluzione da compiere soprattutto sul piano dell’assetto sociale e dell’affermazione del diritto al lavoro. Nella discussione, a Togliatti seguirono le parole del deputato democristiano Fanfani. Anche secondo quest’ultimo tutto ciò che riguardava e fissava l’ordinamento, o l’azione sociale del nuovo stato, doveva entrare nel testo della nuova Costituzione. Non si trattava, secondo Fanfani, di costituzionalizzare le speranze, ma di esprimere una precisa volontà normativa, pienamente autorizzata dal mandato popolare che i Costituenti avevano e che costituiva anche una spinta e un obbligo per il legislatore futuro. Anche il democristiano Dossetti obiettò a Calamandrei. Il suo intervento non solo criticò i presupposti politici del deputato azionista, ma le stesse motivazioni giuridiche contenute nel suo discorso sul tema dell’azionabilità dei diritti sociali. Dossetti affermò con forza che la Costituzione doveva contenere anche diritti formulati come programmi o principi, perché accanto a diritti immediatamente azionabili occorreva inserire norme con le quali si sarebbe potuto piegare l’ordinamento alla soddisfazione di alcuni bisogni umani di natura sociale. La seconda volta che in Commissione dei 75 si discusse ampiamente del contenuto “sociale” che avrebbe informato la nostra Costituzione, fu durante la seduta del 28 novembre 1946. Rispetto alla precedente seduta, di cui si è parlato sopra, quella 66
Al termine della discussione, riprendendo le critiche rivoltegli dagli altri partecipanti alla seduta, Calamandrei avrà modo di affrontare un ulteriore problema sull’inserimento dei diritti sociali, vale a dire quello della possibilità che attraverso l’inserimento dei diritti sociali si sarebbe dato un potere eccessivo al giudice (soprattutto costituzionale), perché quest’ultimo avrebbe potuto da quel momento in poi sottoporre la legislazione ad un controllo sostanzialmente di tipo politico. Vedi Atti Assemblea Costituente, seduta 25 ottobre 1946.
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del 28 novembre vide la partecipazione di un numero più alto di Costituenti. Ciò nonostante, le posizioni espresse furono le medesime della seduta precedente. I partecipanti si divisero tra una adesione necessaria ai diritti sociali (comunisti e democristiani) e una contrarietà al loro inserimento in Costituzione (liberali e partito d’Azione). In avvio della discussione sullo schema di articoli della Costituzione il presidente Ruini diede lettura di un ordine del giorno presentato da Calamandrei con il quale si intendeva sollecitare una modifica del contenuto dell’ordine del giorno Bozzi del 25 ottobre 194667. Il contenuto dell’o.d.g. è chiaramente una “mitigazione” delle posizioni contrarie all’inserimento di disposizioni di natura sociale espresse dallo stesso giurista fiorentino durante la seduta di fine ottobre ‘4668.
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Il contenuto dell’ordine del giorno è il seguente: «La Commissione per la Costituzione; a conferma e integrazione dell’ordine del giorno approvato nella seduta del 25 ottobre; mentre si dichiara convinta che nel testo della Costituzione, come suprema legge della Repubblica, debbano trovare posto non proclamazioni di idealità etico-politica, ma soltanto norme giuridiche aventi efficacia pratica, che siano fondamento immediate di poteri e di organi, a garanzia di diritti concretamente sanzionati; riconosce opportuno che, come speciale categoria dei diritti, trovi posto tra gli articoli della Costituzione la enunciazione di quelle essenziali esigenze individuali e collettive, nel campo economico e sociale che, anche se non raggiungono oggi la maturità di diritti perfetti e attuali, si prestano, per la loro concretezza, a diventare veri diritti sanzionati con leggi, impegnando in tal senso il legislatore futuro; ritiene invece che, per ogni altra enunciazione generale di finalità etico-politiche di cui si ritenga opportuno far cenno nella Costituzione, esigenze di chiarezza e di tecnica impongano di non confonderle con le vere norme giuridiche e di riservarle ad un sobrio e sintetico preambolo». Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta del 28 novembre 1946. 68 Bisogna fare attenzione a non concepire la posizione di Calamandrei come contraria ad una “visione sociale” della libertà. In realtà egli era preoccupato per due cose: non si poteva prendere in giro le persone promettendogli delle cose che non sarebbero successe; non si poteva accostare alla parte sui diritti di libertà che garantisce pretese immediatamente azionabili, previsioni dalle quali non emergono diritti, facoltà, pretese, obblighi di fare o di dare. Quella di Calamandrei, insomma, non era una crociata contro una concezione sociale della libertà e la esaltazione della libertà come strumento per l’autonomia, la self determination e l’individualismo. Per il giurista fiorentino la libertà doveva essere sempre «garanzia di espansione sociale» e non «garanzia di isolamento egoistico», come scrive nelle pagine di apertura del volume di Ruffini nel 1946. Per Calamandrei, insomma, il fine delle libertà è la partecipazione del cittadino alla vita sociale. Cfr. P. CALAMANDREI, Introduzione. L'avvenire dei diritti di libertà, p. XVI e ss. Su tale punto vedi anche la ricostruzione di A. PACE, Diritti di libertà e diritti sociali nel pensiero di P. Calamandrei, in Politica del diritto, 4, 1988, p. 683 e ss.
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Il primo a prendere la parola durante la discussione sullo schema di Costituzione fu Carìstia (democristiano). Il suo fu chiaramente un tentativo di mediazione che andava nello stesso senso delineato dall’ordine del giorno di Calamandrei. Punto di partenza dell’intervento era la necessità ravvisata di introdurre nella Costituzione un articolato di norme sociali che però non potesse snaturare il pieno valore giuridico della Carta costituzionale. Carìstia, tuttavia, coglieva un dato essenziale dell’intera discussione, quello del nuovo valore dell’eguaglianza, non più solo “giuridica” ma “economica” e “sociale”69. La Costituzione, dunque, doveva evitare dichiarazioni di diritti senza garanzia come pure di schiacciare il testo sulla mera esigenza di azionabilità, senza tenere conto che l’ordinamento doveva essere composto anche di norme giuridiche di principio. Nella discussione ebbero modo di intervenire in sequenza tutti coloro che avevano partecipato alla seduta del 25 ottobre. Gli interventori ebbero modo di riprendere molte delle affermazioni già compiute sia in adesione sia in contrasto con l’ordine del giorno presentato da Calamandrei. Il primo ad intervenire fu La Pira. L’intervento riprendeva il contenuto della relazione fatta pochi giorni prima. La Pira ebbe modo di precisare i termini della sua visione personalista delle libertà che si ispirava al principio del pluralismo degli ordinamenti sociali70. Fu poi la volta di Togliatti, il quale si espresse negativamente rispetto all’o.d.g. Anche Calamandrei ebbe modo di specificare il contenuto del suo ordine del giorno mostrandosi, come era prevedibile, meno aperto all’inserimento dei diritti sociali rispetto al momento in cui aveva proposto l’o.d.g.71. Quasi in chiusura di seduta intervenne pure Mortati. Fu soprattutto quest’ultimo a schierarsi contro l’introduzione dei diritti sociali in un preambolo. Secondo la sua visione vi erano dei 69 L’instaurazione di una democrazia doveva per forza di cose integrare l’eguaglianza solo giuridica del periodo liberale con l’eguaglianza sociale ed economica che i Costituenti avrebbero dovuto costruire. La trasformazione dell’eguaglianza come descritta aveva bisogno di un intervento dello Stato ma allo stesso tempo che quest’ultimo riconoscesse ai singoli ampie sfere di libertà. 70 S. GRASSI, Giorgio La Pira alla Costituente, in Testimonianze, 203-206, XXI, 1978, p. 246 e ss. Vedi anche l’apporto dato dallo stesso La Pira all’introduzione dei principi in materia di lavoro nella discussione del 16 ottobre 1946 in I Sottocommissione. 71 Soprattutto poiché Calamandrei ribadì con forza la necessità di collocare i diritti e le affermazioni sociali all’interno di un “preambolo” alla Costituzione.
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motivi tecnici per i quali la Costituzione dovesse contenere tanto norme immediatamente applicative e azionabili tanto principi direttivi che potessero valere per il legislatore72. In nome della natura normativa di tutti i principi, egli difese i diritti sociali e rigettò così ogni ipotesi di porli in una posizione speciale affinché se ne percepisse l’unità sistematica con i diritti di libertà73. Nelle sedute dell’Assemblea Costituente le discussioni più importanti sui diritti sociali si tennero già in sede di dibattito introduttivo sul progetto presentato dalla Commissione dei 75. Come è immaginabile, durante le adunanze, a partire dal 4 marzo 1947, molti dei Costituenti che avevano partecipato alla stesura del progetto di Costituzione in Commissione dei 75 ribadiranno le posizioni già espresse in quella sede74. Il primo a prendere la parola fu Calamandrei, il quale sulla scorta della discussione del 25 ottobre 1946 svolse un ampio intervento di natura tecnica teso a dimostrare la necessità di un preambolo come parte preliminare della Costituzione in cui collocare le norme programmatiche ed anche le disposizioni sui diritti sociali. Le sue parole tracciarono una sorta di bilancio generale del lavoro compiuto sul punto in Commissione dei 7575. Calandrei ribadì 72 Nel discorso di Mortati si avverte chiaramente l’eco degli studi sul tema della “costituzione materiale” quando egli mostra il pericolo che l’esistenza di un preambolo avrebbe prodotto un eccessivo irrigidimento interpretativo del testo. 73 Intervennero infine Dossetti, Cappi, Targetti e Perassi mostrando chiaramente che sul punto la Commissione aveva raggiunto un compromesso tale che non fosse possibile più tornare indietro. Quasi al termine della riunione, dopo l’intervento di Perassi, Calamandrei ritirò la sua proposta di o.d.g. ma non abbandonò la battaglia, dato che riproporrà le sue perplessità anche più avanti, durante le sedute dell’Assemblea Costituente. Vedi B. COVILI, I diritti sociali nella concezione storico-giuridica di Piero Calamandrei: la speranza riformatrice e le inadempienze costituzionali, in Scienza & Politica. Per una storia delle dottrine, 14, 2010, p. 95. 74 Non è un caso, dunque, che tra il testo finale e il testo predisposto dalla Commissione dei 75 non vi fu una differenza notevole. Come è stato notato, l’uniformità di testi e, diremmo alla luce del nostro esame, anche il tenore della discussione, derivava dal fatto che le intese in Commissione furono prevalentemente di tipo politico e non solo tecnico. E. CHELI, Il problema storico della Costituente, cit., p. 53 e ss. 75 Il discorso venne intitolato dallo stesso Calamandrei “Chiarezza nella Costituzione” (sul punto vedi B. COVILI, I diritti sociali nella concezione storicogiuridica di Piero Calamandrei: la speranza riformatrice e le inadempienze costituzionali, cit., p. 96). Per le citazioni v. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta del 4 marzo 1947. Il testo di questo intervento compare anche in P. CALAMANDREI, Scritti e discorsi politici, II, Firenze, La Nuova Italia, 1966, p. 17 e ss. Il valore particolare del discorso e la novità politica che esso rappre-
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fortemente i suoi intendimenti – polemizzando a distanza con Mortati e Togliatti – fino ad affermare che l’inserimento dei diritti sociali all’interno della nostra Costituzione sarebbe stato un “sabotaggio” della nuova legalità76. La visione di Calamandrei incontrava l’opposizione di gran parte dei Costituenti, soprattutto del gruppo dei comunisti. Tra questi vi fu chi, come il deputato Laconi, (seduta del 5 marzo 1947) ribadì in modo chiaro la posizione delle sinistre su questo punto: l’affermazione dei diritti sociali, riconobbe quest’ultimo, non era un mero esercizio di logica giuridica ma rispondeva ad un “patto tra le forze sociali e politiche che si impegnavano nel corso della vita del nostro Paese a realizzare questi principi, a rendere effettivi questi diritti”. I diritti sociali erano visti, perciò, non come delle “garanzie immediate”, ma come “impegni” assunti dai partiti di massa allorché si erano presentati alle elezioni politiche; impegni che, tuttavia, non potevano essere collocati all’interno di un preambolo ma dovevano piuttosto avere un posto centrale nell’architettura della Costituzione77. Le provocazioni lanciate da Calamandrei accesero una discussione che proseguì anche nelle sedute successive. Nel suo intervento del 6 marzo 1947 Basso (Partito Socialista) difese con fermezza l’origine compromissoria della Costituzione. Egli infatti non vedeva quei contrasti tra le disposizioni che invece Calamandrei aveva evidenziato nella seduta del 4 marzo 1947. Come lo stesso Basso ebbe modo di specificare, egli era stato tra coloro che avevano voluto più di altri la norma dell’art. 7 del sentò sono messi in luce anche da E. CHELI, Piero Calamandrei e la ricerca dei valori fondamentali della nuova democrazia repubblicana, cit., p. 284286. 76 Calamandrei, dunque, ritornò rigidamente sulle sue posizioni denunciando che il risultato sarebbe stato il discredito delle leggi e del senso della legalità. Anche in Assemblea, come era successo in Commissione, il discorso del giurista fiorentino non ebbe grande successo. Solo pochi espressero una visione eguale. Come il deputato Mastrojanni (Fronte dell’Uomo Qualunque), il quale si mostrò solidale con alcune delle critiche portate al testo da Calamandrei e Lussu; in particolare quelle che sottolineavano l’eccessiva genericità di alcune disposizioni costituzionali e la necessità di garantire i diritti attraverso formule chiare che non fossero riducibili ad interpretazioni particolari. Vedi sul punto P. BARILE, Piero Calamandrei all'Assemblea Costituente, cit., p. 343 e 344. 77 Laconi ricordava, inoltre, che solo in questo modo si sarebbe potuta realizzare l’assoluta democraticità dell’ordinamento, perché “senza la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla vita sociale, economica e politica del Paese” la democrazia sarebbe rimasta nel limbo. Le citazioni nel testo sono riscontrabili in Atti dell’Assemblea Costituente, seduta del 5 marzo 1947.
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progetto poi divenuta l’art. 3, comma 2, della Costituzione. La sua visione si legava all’ideale della partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, unico modo per liberare le persone dalla schiavitù e renderle effettivamente libere78. L’obiezione di Calamandrei che le norme del progetto di Costituzione sarebbero state ancora troppo “contraddittorie” venne ripresa nella discussione del 6 marzo 1947 anche da Saragat (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria). La sua risposta sottolineò la particolarità del lavoro che i Costituenti stavano compiendo: un lavoro di natura differente rispetto a quello che era stato fatto in altri paesi europei dove le rivoluzioni avevano spazzato via tutto, e dunque i costituenti potevano ricostruire su una tabula rasa. L’Italia di quel periodo storico invece era diversa. La Costituzione doveva avere un carattere “non lineare” – forse contraddittorio agli occhi dei più – ma che in realtà seguiva la “natura delle cose” e soprattutto la ricchezza politica e partitica del momento79. 78 In questo senso è molto interessante la visione del processo costituente che il deputato socialista espresse. In polemica con Calamandrei egli affermò che il processo costituente non poteva considerarsi variabilmente il frutto di procedenti trasformazioni o il riflesso di trasformazioni che sono in atto o la porta di trasformazioni che verranno, perché la Costituzione è un processo unitario, è la sintesi di queste “trasformazioni”; le quali convergono per uno scopo unico, quello della creazione e del mantenimento della democrazia in Italia. È utile riportare una parte specifica del discorso di Basso, in cui egli afferma: «Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia. E questo è il senso profondo, onorevole Calamandrei, degli articoli sul lavoro, che ella e molti altri colleghi hanno criticato; ella in forma particolare, quasi con spavento, dicendo che questi articoli sono formulati in modo che i cittadini domani, leggendo la Carta costituzionale, potrebbero dire: “Non è vero”. Certo, non è vera oggi che la democrazia italiana, che la Repubblica italiana sia in grado di garantire a tutti il lavoro, che sia in grado di garantire a tutti un salario adeguato alle proprie esigenze familiari; ma il senso profondo di questi articoli nell’armonia complessa della Costituzione, dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti, sta propria in questo: che finche questi articoli non saranno veri, non sarà vera il resto; finche non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finche non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia». Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 6 marzo 1946. 79 Saragat affermerà pure durante il suo intervento: «Tutto quello che possiamo oggi chiedere al testo legislativo che dobbiamo elaborare è di assecondare questa processo di evoluzione delle masse, fondato su una nuova giustizia sociale, questo ordine nuovo fondato sulla liberta politica. E noi dobbiamo
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Il discorso di Saragat non si fermava alla demolizione delle obiezioni relative all’inserimento dei diritti sociali, in quanto mostrava pure il lato positivo di questi diritti e della loro inclusione in Costituzione. Egli richiamò, infatti, il valore essenzialmente costruttivo delle disposizioni sui diritti sociali, attraverso le quali, mediante un’evoluzione legislativa, la Costituzione avrebbe realizzato il progresso della Nazione. Nel discorso di Saragat emergeva chiaramente il ruolo “unificatore” della Costituzione. Questa visione tra l’altro si raccordava in modo perfetto con gli intendimenti di tutti gli altri maggiori esponenti dei partiti di sinistra, i quali vedevano nel perseguimento della giustizia sociale l’unico mezzo per mantenere la democrazia80. In un passaggio molto importante del suo intervento, Saragat affermerà che la parte sui diritti sociali era la “più viva e più innovativa” di tutto il testo della Costituzione81. Un altro importante dialogo sui diritti sociali – e in generale sulla struttura della parte sui diritti – si svolse pochi giorni più tardi, durante la seduta pomeridiana dell’11 marzo 1947. In quella occasione prese la parola La Pira, colui che durante le sedute della Commissione dei 75 aveva cercato di identificare i presupposti della nuova organizzazione delle libertà. La relazione di La Pira affrontò un tema anteriore ad ogni riconoscimento dei diritti e alla stessa scrittura del testo costituzionale, cioè quello della “crisi costituzionale”82, intesa, secondo il depuchiedere al legislatore di assecondarlo in misura efficace». Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 6 marzo 1946. 80 Su questo aspetto è molto interessante la compenetrazione forte che egli sottolinea tra diritti di libertà e diritti sociali. In un passaggio dirà che «se non siamo capaci di dare un contenuto concreto a questi diritti sociali, non possiamo difendere neanche i diritti di libertà. Se cade la parte sociale di questa Costituzione e se, in altri termini, non siamo in grado di realizzare la parte sociale di questa Costituzione, non saremo in grado di difendere la parte politica». Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 6 marzo 1946. 81 Nelle sue parole si scorge tutto il valore aggiunto che le forze di sinistra portarono ai lavori della Costituente, cioè la consapevolezza che il sistema politico non potesse essere più indipendente dal sistema sociale e che perciò l’introduzione di previsioni che stimolassero un intervento dello Stato nella vita sociale giovava a tutti. Vedi Atti dell’Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 6 marzo 1946. 82 Il tema della crisi costituzionale era già stato affrontato da La Pira in altre occasioni, soprattutto durante la fase immediatamente anteriore ai lavori dell’Assemblea Costituente. Su questi aspetti si veda: G. LA PIRA, La casa comune: una costituzione per l'uomo, a cura di U. De Siervo, Firenze, Cultura, 1979, p. 7 e ss.; S. GRASSI, Giorgio La Pira alla Costituente, cit., p. 241 e ss.
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tato cattolico, come una sproporzione tra la Costituzione scritta e la realtà sociale che essa si trovava a dover governare. Nel suo discorso, che mostrò tutta la passione per una ricerca del fondamento antropologico e teoretico delle disposizioni costituzionali sui diritti83, si scorgevano con evidenza l’ampio retroterra culturale, i riferimenti alla tomistica e la vicinanza con il pensiero di Mounier e Maritain84. La Pira era fermamente convinto che senza questo fondamento la Carta costituzionale avrebbe avuto vita breve85, al punto che in un passaggio egli ebbe modo di ricordare con forza che i diritti sociali dovevano essere considerati come quei particolari diritti collegati alla persona umana, non come singolo, ma in quanto membro di quelle collettività crescenti che vanno dalla famiglia allo Stato86. Le parole di La Pira87, nelle quali vi fu spazio anche per le questioni in tema di rapporto tra lavoratori e datori di lavoro, trovarono una sponda molto forte in Togliatti, il quale a più riprese nell’intervento immediatamente successivo ebbe modo di sottolineare che la Costituzione avrebbe dovuto rappresentare il frutto di una visione unitaria e solidale delle diverse forze politiche che su
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Vedi V. ATRIPALDI, Il catalogo delle libertà civili nel dibattito in Assemblea Costituente, Napoli, Liguori, 1979, p. 146 e ss. 84 G. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano al potere, Firenze, Vallecchi, 1978, 189 e ss. 85 In questo senso sono molto interessanti i continui paragoni tra l’attività dell’architetto e quella del giurista, su cui grava il compito di ricostruire l’ordinamento giuridico in modo da porre la realtà sociale quale asse portante delle strutture giuridiche del nuovo ordine. 86 Il testo della relazione riporta «…se è vera questa struttura pluralista del corpo sociale, la conseguenza è questa: l’assetto giuridico non può essere né individualista, né statalista; è un assetto giuridico conforme a questa visione, un assetto giuridico pluralista, che ha come conseguenza che la Carta integrale dei diritti dell’uomo non è quella del 1789. Lì vi sono alcuni diritti dell’uomo, ma sono ignorati altri e fondamentali: i diritti sociali, cioè i diritti che sono collegati alla persona umana, non in quanto singolo, ma in quanto membro di queste collettività crescenti che vanno dalla famiglia allo Stato. Una Carta integrale dei diritti dell’uomo non può essere una carta dei diritti individuali, ma accanto ad essi deve porre questi diritti sociali, e quindi i diritti delle comunità e delle collettività di cui gli uomini fanno parte necessariamente per lo sviluppo della loro persona. Ecco, quindi, questa Carta costituzionale che vi appare come nuova, integrale, pluralista dei diritti». Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 11 marzo 1946. 87 Il discorso di La Pira è analizzato in modo puntuale da M. MASSA, In margine a due discorsi di La Pira e Dossetti Costituenti, in Nomos, 2, 2001, p. 68-69.
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quegli articoli avevano già trovato un’idem sentire88. Nelle successive discussioni il tema dei diritti sociali fu richiamato più di una volta, ma senza grandi novità89. È necessario, dopo aver analizzato una tale mole di discorsi, di dibattiti, di prese di posizione, abbozzare un giudizio sintetico su quanto si è letto e si è cercato di sintetizzare. I resoconti della Costituente dimostrano con fermezza l’ipotesi di partenza, cioè che la presenza di alcune tra le più eminenti personalità di politici e giuristi dell’epoca influì notevolmente sul processo di formazione della Carta repubblicana, lasciando una traccia indelebile nel nostro modello costituzionale. Non è un caso se molte delle questioni affrontate durante i lavori della Costituente coincidono o sono alla base dei problemi che la scienza giuridica ancora dibatte. Nel caso dei diritti sociali ciò è oltremodo vero. È indubbio che analizzare le parole dei Costituenti costituisce un passaggio chiave per comprendere, nelle sue luci e nelle sue ombre, il percorso storico che ha contrassegnato l’affermarsi della Repubblica e dello Stato sociale in Italia. Un percorso orientato da una Costituzione nata debolissima in ragione del compromesso iniziale che l’aveva caratterizzata, ma che poi si è andata rafforzando nel corso del tempo, in ragione della maggiore consapevolezza acquisita dal popolo italiano e della stessa attuazione costituzionale. Non c’è dubbio che i Costituenti diedero un apporto decisivo non solo di natura politica ma anche scientifica. In particolare ne voglio sottolineare uno tra tutti. Essi, infatti, seppero costruire l’architettura dei diritti sociali non solo sul fondamento dell’eguaglianza sostanziale prevista nell’art. 3, comma 2, della Costituzione, ma lo hanno esteso anche ai principi dei diritti inviolabili della persona umana e alla dignità umana (art. 2) oltre che all’eguaglianza di fronte alla legge (art. 3, comma 1). Tale novità avrà una forza dirompente non solo nell’interpretazione dei diritti sociali ma anche per i principi di 88 In questo senso vale ancora di più quanto è stato detto in precedenza che in Commissione dei 75 non era stato fatto solo un lavoro tecnico, ma si era giunti addirittura ad un accordo politico sul testo della Costituzione. 89 E non poteva essere altrimenti, poiché nella prima decade di marzo ‘47 il tema era già stato affrontato approfonditamente e le posizioni della maggioranza dei Costituenti si erano ben consolidate a favore dell’inserimento dei diritti sociali. Il tema dei diritti sociali verrà ripreso con una certa potenza nei seguenti interventi: il 15 marzo 1947 da Rovagnan, il 3 maggio 1947 da Dominedò, il 6 maggio 1947 da Belotti, il 7 maggio 1947 da Di Vittorio.
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eguaglianza e di dignità umana90. Sarà quest’ultimo principio, soprattutto, ad essere interpretato non più solo come valore etico-morale o spirituale ma come principio che si riconosce la persona quale essere immerso nella concreta esistenza sociale e capace di intessere relazioni di vita91. Inoltre, i diritti sociali, quali risultano dal lavoro dei Costituenti, discendono direttamente dal postulato della democrazia pluralista secondo cui i diritti, sia se riferiti ai singoli sia se riferiti alle formazioni sociali, dovevano essere considerati come “inalienabili”92. Lo stesso sarà anche per l’eguaglianza che sarà interpretata da quel momento come “pari dignità sociale” e come garanzia della equal liberty93. 3.3 I diritti sociali nel Titolo II, Parte Prima, della Costituzione È stato rilevato nel precedente paragrafo che il catalogo dei diritti sociali contenuto nella nostra Costituzione ha un’inusuale ampiezza, riconducibile – per quanto emerge dall’esame testuale – non all’idea di una lista di diritti da sistemare, ma alla ampiezza delle relazioni sociali che fanno parte della tutela costituzionale. I diritti sociali previsti nel titolo che stiamo esaminando consentono di approfondire la considerazione già fatta sul metodo di classificazione adottato nella scrittura del testo costituzionale. Il Titolo II, infatti, segue un criterio ispirato ad un criterio “organico”: al centro dell’esame c’è la persona umana e con gradazione crescente vengono considerati i rapporti tra questa e le varie formazioni sociali dove si realizza la personalità (famiglia, scuola, luoghi di cura, impresa, organismi associativi, etc.). Tale modo di disciplinare i diritti ha un grande effetto sul modo di formazione dei testi, al punto che anche i diritti economici tendono a configurarsi come proiezioni ulteriori della personali-
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Come è stato fatto notare da A. D'ALOIA, Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale: contributo allo studio delle azioni positive nella prospettiva costituzionale, Padova, Cedam, 2002, p. 10 e ss. 91 Per queste notazioni v. A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 152. 92 D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit., p. 87. 93 B. CARAVITA, Oltre l'eguaglianza formale, cit., p. 162.
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tà umana o condizioni per un suo pieno dispiegamento in regime di libertà94. Il grado di protezione costituzionale conferito ai diritti sociali (ma anche ai diritti economici) conduce ad individuare una gamma assai diversificata di situazioni suscettibili di essere inquadrate nelle due categorie95. Volendo operare una classificazione che parta dal dato positivo delle previsioni costituzionali96, si possono individuare due modi di raggruppare i diritti del Titolo II. Rispetto all’uso di questo criterio si rende necessaria un’avvertenza. Quale sia il criterio usato per analizzare e studiare i diritti sociali all’interno della costituzione esso non potrà mai rappresentare un modo assoluto per indicare la protezione dei diritti sociali all’interno del nostro ordinamento. L’assetto globale della garanzia dei diritti sociali, infatti, emerge dalla combinazione della protezione costituzionale, dell’attuazione legislativa ed amministrativa e dall’attività interpretativa dei giudici (specie da parte della Corte costituzionale). 3.3.1 Primo criterio di classificazione Il primo criterio per analizzare questi diritti parte dal considerare chi sono i soggetti titolari delle pretese alle quali gli artt. da 29 a 34 si riferiscono e, insieme a questo, i soggetti sui quali gravano i corrispondenti doveri o obblighi di soddisfazione. Usando tale criterio possiamo individuare in tali norme quattro tipi di rapporti (a cui corrispondono altrettanti oggetti): a1) rapporti tra persone e istituzioni pubbliche chiamate a disciplinare un certo istituto; 94 Si comprende così il senso di una formula quale quella adottata dall’art. 41 Cost., dove si afferma, come regola generale, la libertà dell’iniziativa economica privata, ma si pone poi un limite attraverso il divieto che la stessa possa svolgersi «in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». In questo modo per la prima volta si accostano fini che normalmente sono antagonisti e si tenta di integrarli secondo un metodo che eviti la mera soccombenza di un diritto rispetto all’altro. E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 1780. 95 Tali diritti – come ad esempio accade per la salute – riassumono in molti casi situazioni complesse le quali coprono un ampio numero di diritti o di interessi garantiti, appartenenti alle volte anche alla sfera dei diritti di libertà. 96 G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 758 e ss. propone altre classificazioni che sottolineano ad esempio i beni ed i valori fondamentali tutelati dalle disposizioni sui diritti sociali.
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b1) rapporti tra persone (o formazioni sociali) e istituzioni pubbliche chiamate a riconoscere una determinata sfera di libertà; c1) rapporti tra persone (o altri soggetti) e istituzioni della Repubblica chiamate all’erogazione di una determinata misura economica o a fornire un determinato servizio; d1) rapporti tra persone (soggetti privati) poste in un rapporto di parità giuridica da realizzare, ovvero tra persone (soggetti privati) per le quali occorre raggiungere una parità, in quanto una di esse è il soggetto debole del rapporto. Proviamo ora a selezionare questi rapporti entro il quadro costituzionale italiano. I rapporti sub (a1) compaiono in otto casi. I primi due sono contenuti nell’art. 30 Cost. Il primo caso è previsto nel secondo comma, dove si legge che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. Il secondo è previsto sempre nello stesso articolo dove è previsto che: “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”. Il riferimento ad un dovere in capo al legislatore di disciplinare un istituto è previsto due volte nell’art. 32 Cost. Nel primo comma, anche se non è prevista una riserva di legge, si legge che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Qui è evidente che si trova un’indicazione concreta di intervento per il legislatore che deve disciplinare la tutela della salute. Più specifica, invece, la previsione dell’art. 32, comma 2, che implicitamente indica la necessità che i trattamenti sanitari obbligatori siano previsti per legge, con la garanzia ulteriore (riserva rinforzata) che la “legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Altre quattro previsioni descrittive di rapporti tra persone e istituzioni pubbliche chiamate a disciplinare un certo istituto sono contenute nell’art. 33 Cost.: la norma del secondo comma, dove si dice la Repubblica deve dettare le “norme generali sull’istruzione”; la disposizione del quarto comma, che prevede una riserva sulla fissazione dei diritti e degli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità; la norma del quinto comma, dove si legge che occorre sostenere un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclu-
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sione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale; infine il sesto comma che prevede il diritto delle istituzioni di alta cultura, delle università e delle accademie di «darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Come si può notare si tratta di disposizioni che comprendono una riserva di legge che, in alcuni casi, è supportata da un’ulteriore indicazione di contenuto valevole come riserva rinforzata. I rapporti sub (b1), cioè tra persone (o formazioni sociali) e istituzioni pubbliche chiamate a riconoscere una determinata sfera di libertà, assumono un valore particolare all’interno di questo esame. Mentre i rapporti del primo tipo sono tutti ben distinguibili all’interno del testo degli articoli, questo secondo tipo emerge solo in pochi casi all’interno delle disposizioni del Titolo II, e tutte le volte per indicare una situazione o un bene al quale l’ordinamento riconosce un valore costituzionale particolare. Esemplificativi in questo senso sono: le disposizioni dell’art. 29, comma 1, in cui si legge che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”; l’art. 33, secondo il quale “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; l’art 34, secondo il quale “la scuola è aperta a tutti”. Lo stesso valore di queste previsioni esplicite si può riconoscere pure per quelle disposizioni nelle quali la tutela di una particolare sfera di libertà è garantita in via indiretta, mediante il riferimento alla difesa di un bene particolare della vita, o attraverso il riferimento a un “limite” che la legge deve rispettare a garanzia della sfera di libertà tutelata. Esempi della protezione indiretta sono le disposizioni dell’art. 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo” o la previsione del secondo comma di questo articolo in base alla quale “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Più numerosi sono invece le disposizioni nelle quali si esprime un “limite” che la legge deve rispettare a garanzia della libertà, dove effettivamente vi è l’indicazione della soglia oltre la quale lo Stato con il suo potere normativo non può spingersi97. 97
Si vedano in questo senso: art. 29, comma 2, “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”; art. 30, comma 4, “La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”; art. 32, comma 2, “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”; art 33, comma 6, “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il
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Un discorso ancora più particolare è quello che si deve fare intorno al terzo tipo di rapporti, quelli sub (c1), relativi alle situazioni nelle quali è prevista l’erogazione di un particolare prestazione o la fornitura di un particolare servizio. Le previsioni relative sono collocate principalmente negli articoli 31 e 34 e negli articoli 32 e 33. L’articolo 31 è scritto chiaramente come disposizione che rimanda alla previsione di prestazioni o servizi. Nel primo comma, infatti, si dice che la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi debba essere agevolato con “misure economiche e altre provvidenze”. Nel secondo comma, invece, è previsto che allo scopo di favorire la maternità, l’infanzia e la gioventù vengano creati istituti. Di diverso tenore l’art. 34, relativo alla istruzione e alla formazione. La norma del primo comma secondo la quale “la scuola è aperta a tutti” si presta ad una duplice interpretazione. Da un lato essa rappresenta una tipica norma che definisce un ambito di libertà per la persona, dall’altro essa indica la modalità di fornitura di un servizio che ha così il carattere dell’”universalità”. Molto più univoche sono invece le norme dei commi successive, nelle quali si trova la previsione della “gratuità” del servizio scolastico e l’indicazione delle prestazioni che devono consentire ai capaci e ai meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi (art. 34, commi 3 e 4). Tra le disposizioni del Titolo II vi sono pure quelle che descrivono i rapporti (di natura sociale) tra persone poste in un rapporto di eguaglianza da raggiungere, nei quali una delle due parti del rapporto si trova in una condizione di debolezza di fatto (d1). Particolarmente esemplificative di questa disciplina delle relazioni subiettive tra i consociati sono: la previsione dell’art. 29, comma 2, che detta il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi; le norme previste nell’art. 30, dove si individuano i principi che devono essere alla base dei rapporti all’interno della famiglia legittima e i rapporti di coloro che appartengono a questa con altri soggetti, come i figli nati fuori dal matrimonio (anche relativamente alla ricerca della paternità). La disciplina di questi rapporti è chiaramente diretta a tutelare una particolare categoria di persone (minori e donne) diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. In quest’ultimo caso ovviamente il problema dei limiti si gioca in senso inverso rispetto al modo in cui vale nei casi precedenti. Malgrado ciò, esso vale comunque ad indicare un particolare modo di essere del rapporto tra queste formazioni sociali e la disciplina legislativa.
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contro eventuali pregiudizi dei loro diritti fondamentali e a stabilirne così una protezione costituzionale particolarmente alta. È quanto possiamo indirettamente trovare anche all’interno di altre previsioni che pur indicando un certo tipo di prestazioni o di servizi finiscono per modellare i relativi rapporti sociali tra persone98. L’uso di questo criterio ha dimostrato tutta la pervasività della nostra Costituzione, che «interviene direttamente nei rapporti sociali per modellarli secondo i propri precetti ed instaurare (o garantire) così un ordine tra i diversi soggetti che in precedenza non esisteva (o che comunque era in via di formazione) e che il loro libero e spontaneo confronto non sarebbe stato in grado di realizzare (o stabilizzare nel tempo)99». In questo senso la Costituzione italiana rappresenta un notevole passo avanti rispetto alle costituzioni liberali, poiché essa intende imprimere alla società una fisionomia culturale e un assetto sociale profondamente rinnovati. Non è solo il rapporto tra cittadino e stato a mutare ma gli stessi rapporti tra cittadini che oggi trovano una nuova forma. Le norme costituzionali, infatti, non operano più solo in senso verticale ma anche in senso orizzontale, cioè nei rapporti tra persone e tra formazioni sociali e persone. 3.3.2 Secondo criterio di classificazione Il secondo criterio di classificazione prende in considerazione i valori ai quali questi rapporti si riferiscono, e considera principalmente due sfere: a2) quella della solidarietà; b2) quella dell’eguaglianza. Per individuare la prima sfera occorre muovere dall’esame dell’art. 2 della Costituzione che stabilisce il fondamento di legittimazione dell’ordinamento repubblicano prefigurando un assetto di rapporti inteso a garantire le libertà attraverso l’assunzione, in forma individuale e collettiva, di connesse re98 Esempio di questo si può trarre dalla disciplina del diritto alla salute dell’art. 32, dal diritto alla istituzione delle scuole paritarie dell’art. 33 e all’interno della disciplina del lavoro. 99 Cfr. A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all'eguaglianza sostanziale, Napoli, Jovene, 1999, p. 10-11.
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sponsabilità sul piano politico, sociale ed economico100. Il riconoscimento dei diritti sociali nella Costituzione, infatti, si fonda su una qualificazione particolare di quegli ambiti di vita sociale e comunitaria necessari per il libero sviluppo della persona umana che sono originarie e indipendenti rispetto allo Stato101. Molte delle norme previste dagli artt. 29 in poi si possono spiegare solo se interpretate come riconoscimenti dei valori personalisti che la Costituzione assume alla sua base, in connessione con la trama di solidarietà che informa tutti gli ambienti di vita. Questa lettura ha numerosi riscontri nel testo degli articoli che si stanno esaminando102. In essi si comprende che la Carta fondamentale prende in considerazione il singolo non solo come “possessore” di un certo numero di libertà, ma lo considera come persona la cui vita è intessuta in una trama sociale di relazioni e di rapporti di reciproca solidarietà che operano tanto in una dimensione orizzontale tra i singoli e le formazioni sociali, quanto in una dimensione verticale, nei rapporti tra le istituzioni pubbliche e i cittadini, in vista della garanzia di quella eguale libertà che è condizione della dignità di ciascuna esistenza individuale103. Il valore tutto particolare che ha la solidarietà all’interno della descrizione dei diritti sociali dimostra tutta la sua forza non solo nella descrizione dei singoli diritti che la Costituzione prevede ma anche nel loro concreto operare. La solidarietà, infatti, conforma il contenuto dei diritti perché detta la misura in cui essi concretamente si esplicano. La libertà del singolo, perciò, non dovrà solo relazionarsi con la libertà degli altri soggetti con cui entra in contatto (rapporto giuridico). Questa relazione dovrà tenere conto che tali rapporti avvengono all’interno di una comunità. Pertanto l’interesse concreto dei singoli deve misu100
F. GIUFFRÈ, I doveri di solidarietà sociale, cit., p. 23. A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p 161. 102 Quando l’art. 29 riconosce «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» e «l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi», l’art. 30 prevede che i genitori hanno un «dovere e diritto» di «mantenere, istruire ed educare i figli», l’art. 32 prevede che la salute è tutelata sia come «fondamentale diritto dell’individuo» sia come «interesse della collettività», l’art. 33 prevede la libertà di istituire scuole e la libertà di chi le frequenta di ottenere un’istruzione uguale a chi frequenta scuole statali, e quando infine l’art. 34 prevede che «la scuola è aperta a tutti». 103 A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 161 e ss.; F. GIUFFRÈ, I doveri di solidarietà sociale, cit., p. 24-25.; V. TONDI DELLA MURA, La solidarietà fra etica ed estetica. Tracce per una ricerca, cit., p. 659 e ss. 101
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rarsi con la solidarietà della comunità e tendere esso stesso (per primo) a realizzare quel fine. In altri termini, la soddisfazione dell’interesse del singolo è consentita «nella misura in cui essa non urti contro quella solidarietà, che non si realizza nella comunità senza prima realizzarsi nel nucleo costituito dai soggetti del rapporto giuridico104». Dal riferimento all’art. 2 e a questo particolare valore della solidarietà si può risalire ad un altro valore sotteso al riconoscimento dei diritti sociali, il principio della “dignità umana”. Se l’idea di uomo sottesa a questi diritti è quella della persona che non ha soltanto valore come singolo individuo ma anche come soggetto di relazioni sociali o come parte della società, la dignità umana assume ancora più valore, perché viene interpretata non più solo come valore etico-morale o spirituale ma come sintesi della vita concreta della persona105. La seconda sfera presa in considerazione da questo criterio è quella dell’eguaglianza. Se per la prima sfera il riferimento ai diritti sociali appare più complesso da individuare, il richiamo alla sfera dell’eguaglianza nella ricostruzione dei diritti sociali appare più semplice. Come abbiamo visto anche questa scelta ha avuto origine all’interno del dibattito in Assemblea Costituente. Il principio di eguaglianza è a fondamento, infatti, del riconoscimento di molti (ma non tutti) i diritti sociali previsti in Costituzione106. Prima ancora di svolgere l’esame occorre fare una premessa sui possibili modi di lettura dell’art. 3, comma 2, Cost. Ritengo che lo scopo di questa norma non è quello di prevedere un modello sostanziale di giustizia redistributiva, ma è quello di autorizzare i pubblici poteri ad intervenire in funzione correttiva o riformatrice, laddove il gioco spontaneo delle forze sociali possa creare sproporzioni nella distribuzione dei poteri e delle risorse sociali. È una norma, dunque, che ha un valore direttamente coincidente con i principi delle democrazie pluraliste, in quanto autorizza i poteri pubblici a scegliere se realizzare un 104 Cfr. F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 8a edizione, Napoli, Jovene, 1964, p. 76. 105 È all’uomo concreto (homme situé) che mi riferisco e non al soggetto astratto. Perciò, anche il valore della dignità risulta amplificato e da considerare diversamente. Vedi a tal proposito le notazioni di A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 152 e 153 e di D. BIFULCO, L'inviolabilità dei diritti sociali, cit., 128 e ss. 106 I diritti sociali non si esauriscono nell’eguaglianza sostanziale. Sul punto v. B. CARAVITA, Oltre l’eguaglianza formale, p. 64 e ss.
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ampio numero di scelte di politica sociale in funzione di raggiungere l’eguaglianza tra le persone. Sotto questo aspetto l’art. 3, comma 2, non è antitetico né con il sistema costituzionale vigente, come se fosse un innesto proveniente da un sistema di socialismo reale, né con il concetto di eguaglianza “formale” previsto nel primo comma dell’art. 3. Rispetto a quest’ultimo, secondo l’idea che regge la nostra forma di stato, esso è complementare, in quanto risponde all’obiettivo di realizzare la “pari dignità sociale” attraverso la piena autorealizzazione della persona in tutti gli ambiti di vita in cui essa si trova107. In questo senso appare più utile dare alle norme che si rivolgono agli “indigenti” o ai “capaci e meritevoli” lo stesso significato di tutte le altre norme che sono dirette espressamente a riconoscere il valore della dignità umana contro possibili discriminazioni108. 3.2.3 Terzo criterio di classificazione Occorre considerare, infine, l’ambito entro cui i rapporti sociali di cui abbiamo parlato vengono ad esistenza. Si può così distinguere tra: a3) quelli che riguardano la vita delle persone all’interno delle formazioni sociali; b3) quelli che riguardano la vita collettiva; c3) quelli che riguardano i rapporti tra gli individui singoli. In base a quanto ho indicato appare chiaro che i diritti sociali esprimono la tendenza dialettica tra l’individuo e gli ambiti di vita particolari nei quali gli interessi protetti dall’ordinamento 107
A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 158 e 159. 108 Come ad esempio le norme che all’interno della famiglia prescrivono espressamente l’“eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” e l’eguaglianza dei figli legittimi con i “figli nati al di fuori del matrimonio” oppure, all’interno delle norme sull’istruzione, la previsione di un “trattamento scolastico equipollente” per gli alunni delle scuole paritarie. In questo senso è giusto quando si afferma che la Costituzione prescrive il raggiungimento della pari dignità sociale e dell’esistenza realmente libera e dignitosa per tutti, intesi come risultati che potranno essere realizzati secondo un ampio ventaglio di scelte che (liberamente) dovrà effettuare il legislatore. Vedi A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all’eguaglianza sostanziale, cit., p. 29-31.
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prendono forma concreta. Sembra quasi che nel diritto costituzionale italiano i diritti sociali non possano esistere in capo al soggetto singolo o a collettività se non si individui il relativo ambito di vita sociale o comunitaria a cui questi diritti fanno riferimento. Se perciò si guarda agli articoli che fino ad ora abbiamo analizzato dal punto vista dei rapporti che essi creano o descrivono, si possono variamente individuare diversi ambiti di vita umana a cui essi si riferiscono. Così è per i diritti riferiti alla dimensione familiare, ad esempio, che vengono riconosciuti in ragione della appartenenza ad una formazione sociale distinta e ben delineata, che si apre all’esterno attraverso una trama di relazioni. Lo stesso vale poi per la salute, descritta come diritto individuale e interesse della collettività; nozione da intendere anche qui non come riferita a una massa informe di persone, ma come elemento che descrive un insieme definito di persone che condividono interessi, obiettivi e scopi omogenei. Uguale considerazione vale per i diritti che si riferiscono alla scuola, intesa sia come luogo sociale primario per l’istruzione, vale a dire per quel che concerne l’insegnamento e l’apprendimento necessari per la vita di relazione. In tutti e tre i casi menzionati è evidente che l’aver posto come punto di partenza i luoghi (materiali e immateriali) in cui le formazioni sociali prendono vita e si sviluppano, consente di unire il progresso della persona e della vita collettiva, in accordo con gli obiettivi della forma di stato personalista (e democratica) che informa la Costituzione repubblicana. 3.4 Segue: i diritti sociali nel Titolo III, Parte Prima, della Costituzione Rispetto al Titolo II, il Titolo III della Prima Parte ha degli elementi di somiglianza molto stretti. Anzitutto, la struttura in base alla quale esso è organizzato, che replica (o anche continua) lo schema organico prima evidenziato in base al quale la Costituzione protegge gli ambiti di vita entro cui la persona si trova, secondo quell’immagine della “piramide rovesciata” che aveva coniato Moro durante i lavori dell’Assemblea Costituente. È per questa ragione che nei primi sei articoli (35-40) del titolo si trovano i diritti che hanno a che fare con il fenomeno del lavoro e i restanti sette articoli (41-47) si riferiscono alla
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dimensione più propriamente legata al fenomeno economico e produttivo in tutte le sue esplicazioni109. Prima di entrare nel vivo dell’esame degli articoli secondo i tre criteri di analisi già usati per il Titolo sui “rapporti sociali” bisogna fare due premesse. La prima è che, come ho già ricordato in precedenza, la Costituzione italiana non sposa un particolare modello economico110. Le norme della Costituzione, infatti, lasciano libero il legislatore di scegliere tra diversi tipi di interventi, senza individuare a priori quali sono le modalità attraverso le quali si deve organizzare i rapporti socio-economici. La nostra Costituzione, inoltre, diversamente da altre, non contiene una clausola generale sullo stato sociale, come invece l’art. 20 della Grundgesetz111. La seconda premessa riguarda il fatto che la tecnica normativa costituzionale in tema di disciplina delle libertà economiche non si discosta da quella consueta dei rapporti civili e dei rapporti etico-sociali; non si discosta se non in quanto negli stessi articoli è contemplata anche la tutela costituzionale di altri interessi e di altri diritti in qualche modo contrapposti alle libertà economiche. Ciò è la dimostrazione non solo di una certa idea di queste libertà che i Costituenti intesero affermare, ma anche del fatto che oggettivamente si tratta di libertà il cui esercizio più frequentemente può incidere sulle posizioni garantite da altri soggetti o entrare in conflitto con esse112. I primi articoli del Titolo III si riferiscono al lavoro. Come è emerso già in precedenza, le libertà che hanno a che fare con il lavoro sono considerate come la parte più antica dei diritti sociali. Le disposizioni degli art. 35 e ss. si riferiscono chiaramente al principio sancito nell’art. 4 della Costituzione. È a
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Le norme che si riferiscono all’economia dello Stato si completano con il riferimento alle disposizioni contenute negli artt. 23 e 81. 110 P. OLIVELLI, La Costituzione e la sicurezza sociale, Milano, Giuffrè, 1988, passim; E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit.; A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit., p. 537 e ss. 111 Art. 20, comma 1, «Die Bundesrepublik Deutschland ist ein demokratischer und sozialer Bundesstaat». Perciò, nella Costituzione italiana non si troverà l’indicazione di uno specifico fine che lo Stato deve perseguire, ma un insieme di diritti che devono essere garantiti o attuati. 112 P. BARILE, Garanzie costituzionali e diritti fondamentali: un'introduzione, in Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, a cura di L. LANFRANCHI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana - Treccani 1997, p. 11.
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questo articolo, se correttamente letto113, che si ispirano i diritti ed il complesso delle disposizioni attinenti ai rapporti di lavoro114. Accanto a questi diritti si collocano poi le disposizioni che riguardano più da vicino le libertà della sfera economicoimprenditoriale. Secondo le categorie del diritto costituzionale italiano queste ultime non apparterrebbero al catalogo dei diritti sociali. Malgrado abbiano natura e struttura diversa da quelli analizzati fino ad ora e dai diritti che attengono alla sfera del lavoro, non si possono tenere fuori tali diritti dall’esame. La loro comprensione all’interno del percorso descritto è funzionale all’idea generale di questo studio ed è necessaria per comprendere in che modo la Costituzione italiana tratta il fenomeno sociale. Tutte le libertà comprese nel Titolo III hanno una contropartita “sociale”. Per esse la Costituzione prevede numerosi e pervasivi limiti (sotto forma di fini e obiettivi) che segnano il confine tra l’intrapresa privata e la necessità di realizzare – in modo imposto o spontaneo – la solidarietà. Per rendere più chiaro l’esame tenderemo a non affrontare gli articoli dal 35 al 40 insieme a quelli previsti dagli articoli dal 41 al 47. 3.4.1 Primo criterio di classificazione Ricordo che il primo criterio analizza i diritti a partire dai soggetti titolari delle pretese alle quali gli artt. da 35 a 47 si riferiscono e, insieme a questo, i soggetti sui quali gravano i corri113
Si ritiene che questo articolo non attribuisce a tutti i cittadini idonei al lavoro un diritto all’occupazione; esso piuttosto esprime l’impegno per lo stato di garantire una «politica di piena occupazione», il diritto alla libera scelta dell’attività lavorativa, la libertà di accesso al lavoro e il diritto a scegliere un’attività che sia corrispondente alle proprie capacità professionali. Sul punto A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, cit., p. 165 e ss.; P. BARILE, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, cit., passim. 114 Dall’art. 4 Cost. derivano tutta una serie di diritti che vengono sanciti nel Titolo III della Costituzione, tra cui la previsione contenuta nell’art. 35, comma 1, relativa alla “tutela del lavoro”, i principi la cui attuazione è rimessa all’intervento del legislatore, come quelle concernenti la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori (art. 35, comma 2) la stipula di accordi internazionali diretti ad affermare e regolare i diritti del lavoro (art. 35, comma 3), la tutela del lavoro italiano all’estero (art. 35, comma 4), la tutela della donna lavoratrice (art. 37, comma 1), l’educazione e l’avviamento professionale degli inabili e dei minorati (art. 38, comma 3), l’instaurazione di un sistema di assicurazioni sociali diretto a soddisfare il diritto all’assistenza e alla previdenza (art. 38, comma 1 e 2), la disciplina della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende (art. 46).
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spondenti doveri o obblighi di soddisfazione. Usando tale criterio si possono individuare in tali norme quattro tipi di rapporti (a cui corrispondono altrettanti oggetti)115, tre dei quali hanno a che fare con i rapporti tra istituzioni pubbliche e persone (a1), (b1) e (c1), mentre un quarto (d1) concerne quelle norme che disciplinano rapporti intersoggettivi. I rapporti che prevedono la disciplina di un certo istituto (a1) sono individuabili all’interno degli articoli 35, 37, 39 e 40 Cost. In particolare nell’art. 35 laddove si prevede che è compito della Repubblica curare la “formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori” e promuovere e favorire “gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”. Più difficile è individuare il contenuto del primo oggetto. Per quanto riguarda il secondo il riferimento è chiaramente identificabile: l’incentivo, attraverso la partecipazione secondo le forme del diritto internazionale, alla stipula di accordi in cui siano coinvolte organizzazioni internazionali dedite alla promozione dei diritti dei lavoratori116. Più complesso è far rientrare in questo tipo di rapporti la previsione dell’art. 37, ultimo comma, Cost. che sancisce il dovere delle istituzioni politiche di tutelare il lavoro minorile attraverso “norme speciali”117. Le altre disposizioni che possiamo inserire all’interno di questa categoria sono contenute nell’art. 39 e nell’art. 40. Il primo dei due ha, come noto, una storia del tutto particolare. Tale articolo rappresenta uno dei pochi casi di articoli che non hanno ricevuto compiuta attuazione all’interno dell’ordinamento italiano. Pertanto risulterebbe vano addentrarsi alla ricerca di un suo significato, tranne che per la norma contenuta nel primo comma. Ben più interessante è invece la previ115
Si tratta dei seguenti criteri: (a1) tra persone e istituzioni pubbliche chiamate a disciplinare un certo istituto; (b1) tra persone (o formazioni sociali) e istituzioni pubbliche chiamate a riconoscere una determinata sfera di libertà; (c1) tra persone (o altri soggetti) e istituzioni della Repubblica chiamate all’erogazione di una determinata misura economica o a fornire un determinato servizio; (d1) tra persone (soggetti privati) poste in un rapporto di parità giuridica, economica e sociale ovvero tra persone (soggetti privati) che non sono poste su di un piano di parità perché una di esse è il soggetto debole del rapporto. 116 È evidente il legame con le disposizioni esaminate in precedenza di tipo internazionale e europeo. 117 In realtà si può immaginare che i rapporti descritti da questo comma siano diretti a riequilibrare una disparità contrattuale e pertanto rientrino nell’ultimo tipo di rapporti (d1).
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sione dell’art. 40, che garantisce il diritto di sciopero e prevede che esso si eserciti “nell’ambito delle leggi che lo regolano”. La norma, in realtà, non solo prevede un ambito o materia da disciplinare con legge, ma anche una sfera particolare di libertà, legata in modo stretto alla garanzia del lavoro e alla eguaglianza nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. La descrizione di questo diritto come una classica libertà civile e l’estrema sintesi dei Costituenti danno a questa norma un valore che la rende classificabile mediante l’uso di tutti i tipi di rapporti che stiamo usando per l’analisi. Le sfere di libertà (b1) garantite all’interno di questo gruppo di norme sono tre, a cui si può aggiungere il caso della libertà di sciopero di cui abbiamo parlato proprio ora e la previsione dell’art. 38, ultimo comma, in cui si dice che “l’assistenza privata è libera”. Gli altri rapporti sono identificati attraverso il riconoscimento della libertà sindacale (art. 39), della libertà di emigrazione e della tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35). La libertà di emigrazione si collega alla previsione dell’art. 16 Cost. (libertà di espatriare), mentre la tutela del lavoro è da considerare come una sorta di “prolungamento” della previsione dell’art. 4 Cost. Le norme che disciplinano i rapporti tra persone e istituzioni repubblicane incaricate della erogazione di prestazioni o di fornire un determinato servizio (c1) sono contenute tutte all’interno dell’art. 38 Cost. Tale norma si distingue da tutte le altre contenute nel Titolo III. Essa riconosce in capo alle persone una serie di diritti che attengono tanto alla situazione lavorativa quanto alle situazioni della vita in cui le persone si trovano in una condizione di maggiore vulnerabilità. In quanto legati alla garanzia della eguaglianza sostanziale, i diritti previsti dall’art. 38 non sono mai descritti come “diritti di tutti”118, ma come diritti che appartengono a coloro che si trovano in una determinata situazione di vita119.
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G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl, 1981, cit., p. 759. 119 A. Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all'eguaglianza sostanziale, cit., p. 17 sottolinea che tali diritti sono quelli della persona in quanto membro della società, della persona cioè considerata nella sua dimensione sociale, e in particolare nella sua concreta posizione economica.
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I primi tre commi, dunque, prevedono la tutela di tre soggetti specificamente indicati120. È particolarmente evidente la divergenza tra il campo individuato dal secondo comma e dal primo dell’art. 38 Cost. Pur avendo sotto il profilo giuridico-costituzionale una forte analogia strutturale (intervento delle istituzioni a fronte di una situazione di bisogno), il diritto all’assistenza e il diritto alla previdenza differiscono quanto a soggetti titolari, contenuto e presupposto della tutela121. Il primo è chiaramente costruito come un parallelo della previsione dell’art. 36 Cost. che garantisce il “diritto al lavoro equamente retribuito, nel senso che ad ogni cittadino inabile al lavoro deve essere riconosciuto il diritto ad avere un minimo di mezzi materiali perché possa vivere un’esistenza degna della propria condizione umana122. Al contrario, il secondo comma prevede il diritto alla previdenza, ed è chiaramente caratterizzato come diritto spettante ai lavoratori, intesi come coloro che esercitano (o hanno esercitato) un’attività lavorativa. Obbligati a queste prestazioni, secondo il successivo comma 4, sono anzitutto gli “organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”, dovendo intendersi, evolutivamente, con il termine “Stato” in realtà la “Repubblica”, ovverosia, tutti i livelli di autorità pubblica italiani. Tale obbligo si estende anche ai soggetti privati che liberamente intendano attivarsi in tale direzione, dato che l’ultimo comma dell’art. 38 fa esplicito riferimento all’assistenza privata (“l’assistenza privata è libera”). È implicito, dunque, che il versante passivo dei diritti previsti nell’art. 38 si leghi all’affermazione della solidarietà generale e perciò si possa riferire a tutti quelli che sono tenuti agli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale123. 120 Si tratta rispettivamente dei cittadini che sono inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, ai quali è riconosciuto il “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”; i lavoratori in condizione di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e disoccupati involontariamente che hanno il diritto a “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”; gli inabili e i minorati che hanno diritto all’”educazione e all’avviamento professionale”. 121 P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., p. 386 e ss. 122 A. BALDASSARRE, Diritti fondamentali e valori costituzionali, , cit., p. 180. 123 Letta in questo modo, la differenza tra la sfera dell’assistenza e la sfera della previdenza sembrano confondersi. In realtà potremmo azzardare una lettura diversa. Se, infatti, all’assistenza corrisponde un dovere di solidarietà generale, alla previdenza può corrispondere una solidarietà più ristretta, cioè limitata ad una logica di scambio, come nei casi in cui i sistemi previdenziali sono retti da logiche mutualistico-assicurative. Per il vero l’art. 38 non sembra
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Un peso diverso e maggiore all’interno delle norme dagli artt. 35 a 40 hanno le disposizioni che individuano i rapporti tra persone poste in un rapporto di parità giuridica, economica e sociale ovvero tra persone (soggetti privati) che non sono poste su di un piano di parità perché una di esse è il soggetto debole del rapporto (d1). Queste norme esprimono, come è stato riconosciuto, uno dei massimi intenti realizzati da coloro che hanno scritto le costituzioni del Novecento, cioè quello di intervenire direttamente nei rapporti sociali per modellarli secondo i propri precetti ed instaurare o garantire un ordine diverso tra i soggetti del rapporto contrattuale di lavoro e delle relazioni produttive in generale124. È in quest’ottica che devono essere lette le disposizioni degli artt. 36 e 37, le quali si dirigono essenzialmente a dettare un nuovo equilibrio per i rapporti subiettivi legati al lavoro. L’art. 36, comma 1, a questo proposito, rappresenta il paradigma di tale tipo di intervento. Lo stesso tenore hanno chiaramente le norme contenute nell’art. 37 Cost. che orientano gli interventi regolativi non sul versante dello squilibrio contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro ma tra lavoratore in una particolare condizione di debolezza (donne e minori) e datori di lavoro. Obiettivo di queste norme è assicurare una protezione all’integrità psicofisica del lavoratore (specie se in condizione di particolare fragilità) oppure accrescere il suo potere contrattuale, al fine di recuperare lo squilibrio che normalmente si verifica nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. In quanto dirette ad intervenire su una particolare condizione di disuguaglianza le disposizioni degli artt. 36 e 37 possono essere lette come una forma di garanzia dell’eguaglianza sostanziale.125 La scomposizione delle norme degli artt. da 41 a 47 secondo i criteri usati ha il pregio di mostrare tutto il potenziale di contenere né questo orientamento che limita la solidarietà né l’orientamento opposto che considera solidali tutti coloro che concorrono alle spese pubbliche (art. 53 Cost.). Su quest’ultimo aspetto vedi G. LOMBARDI, Diritti di libertà e diritti sociali, in Politica del diritto, 1, 1999, p. 7 e ss. L’interpretazione di questo articolo sarà oggetto di un esame specifico che condurremo nella terza parte del lavoro. 124 Vedi A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all'eguaglianza sostanziale, cit., p. 10-11. 125 Tale lettura, pur avendo un indubbio valore euristico, si può prestare ad una critica in quanto i rapporti a cui ci riferiamo non presentano uno sbilanciamento di natura economica o sociale, ma semmai uno squilibrio che assume un valore anzitutto giuridico e solo di conseguenza economico o sociale.
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queste norme. Esse contengono, come si può immaginare, anzitutto “sfere di libertà” detenute dalle persone, ma rappresentano pure il luogo dove si realizza l’intervento delle istituzioni pubbliche, al fine di realizzare una più equa distribuzione della ricchezza. È in questo senso che si possono leggere i numerosi riferimenti all’”utilità sociale”, alla “funzione sociale”, all’”utilità generale” o all’equità nei rapporti sociali. Lo stretto legame con gli interessi sociali è presente soprattutto in due norme centrali come gli artt. 41 e 42, ma è una costante anche nelle disposizioni successive. Il richiamo a principi che riguardano i diritti sociali nell’ambito della disciplina economica della Costituzione rappresenta una conferma del fatto che queste disposizioni non si ispirano ad una logica autonoma e differenziata da tutta la Costituzione e dalle altre norme del Titolo III126. Anche nella definizione dei principi e dei valori che reggono il fenomeno economico la Costituzione non smette di riferirsi al sottofondo personalista che la anima, per cui il riferimento al sociale non è da intendersi come la realizzazione di qualcosa di nuovo e non ancora realizzato, ma la valorizzazione della realtà pluralista fatta non solo della contrapposizione tra capitale e lavoro, ma di un tessuto sociale ben più complesso nel quale sono presenti numerose realtà di tipo sociale. 3.4.2 Secondo criterio di classificazione Dopo le considerazioni svolte nel precedente paragrafo è più semplice analizzare le norme degli articoli sul rapporto di lavoro in base al secondo criterio di classificazione. Come già detto, con esso si vuole prendere in esame il modo in cui questi rapporti si riferiscono alla sfera della solidarietà (a2) o alla sfera dell’eguaglianza (b2). Per quanto riguarda il primo valore è evidente il richiamo alle norme dell’art. 38 Cost. In esse si realizza la solidarietà secondo tutte le geometrie che tale principio è capace di realizzare. Quindi, non solo la solidarietà tra i lavoratori ma anche la solidarietà tra tutti i cittadini, compreso le formazioni sociali. È una ricchezza di interventi possibili quello che anima la scrittura di questo articolo. Non è perciò possibile solo una solidarietà di 126
M. LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, cit., p. 377.
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categoria ma più modalità di intervento, in modo che fosse chiaro quale era l’obiettivo di chi ha scritto tali articoli, cioè anzitutto la garanzia della libertà e non l’imposizione di un modello sociale o economico127. L’altro versante da esaminare è l’eguaglianza. Salvo che si tratti dell’assistenza privata, però, il rapporto tra soggetti passivi e soggetti attivi forma una relazione tra persone e istituzioni pubbliche erogatrici delle prestazioni o dei servizi, e mira a realizzare l’eguaglianza di tipo distributiva. Il fondamento di queste disposizioni, come si è detto, è unitario e l’eguaglianza rappresenta la base di tutta la regolamentazione, sia per quando riguarda l’incarico dato al legislatore di determinare le basi per la realizzazione degli interventi perequativi sia per quanto riguarda il riconoscimento della pretesa ad accedere ad alcuni beni ritenuti fondamentali perché legati a bisogni essenziali della persona umana. Dall’operare congiunto dei due principi costituzionali emerge che ciò che la Costituzione vuole in ordine alla concreta realizzazione delle pretese sociali è esclusivamente il risultato, e cioè quell’esistenza libera e dignitosa che l’art. 36 pone come obiettivo primario del rapporto contrattuale di lavoro e che poi diviene metro per considerare tutti gli altri rapporti. Per quanto riguarda poi le norme contenute negli artt. da 41 a 47 valgono le considerazioni fatte nel paragrafo precedente. 3.4.3 Terzo criterio di classificazione Alla luce delle considerazioni da ultimo svolte appare sempre più evidente che i diritti sociali esprimono quella tendenza dialettica tra la persona, gli ambiti di vita particolare in cui essa vive e la dimensione collettiva della vita umana in cui gli interessi che l’ordinamento giuridico protegge prendono forma concreta. Anche il Titolo III si presta a questa distinzione tra rapporti che le persone vivono all’interno delle formazioni sociali (a3), rapporti che riguardano la vita collettiva (b3); e rapporti tra individui singoli (c3).
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Una notazione che in termini generali per la parte sui diritti sociali ed economici è stata già compiuta da E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 1773 e ss.; A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit., p. 375.
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Non v’è dubbio che nel Titolo III si confermi che i diritti sociali non possano esistere in capo al soggetto singolo o a una collettività di individui se non si arrivi a determinare il relativo ambito di vita sociale o comunitaria a cui questi diritti fanno riferimento. Se si guardano agli articoli che fino ad ora ho analizzato dal punto vista dei rapporti che essi creano o descrivono ci si accorge che essi hanno, pur nella diversità delle dimensioni, una matrice unitaria. Tutti hanno a che fare con aspetti che poi sono riassumibili secondo il paradigma delle relazioni sociali cui dà vita il lavoro. Ma qual’è forse l’elemento di maggiore pregio di questi articoli? Quello di aver indicato quale fosse l’ossatura fondamentale della realtà economico-sociale del nostro paese prevedendo un certo numero di strutture idonee a realizzare una tutela particolare del fattore lavoro. Così l’art. 39 che riguarda il sindacato, l’art. 40 che riguarda il diritto di sciopero, l’art. 41 che coniuga l’esistenza dell’essenziale libertà di intraprendere un’attività economica con la sicurezza, la libertà e la dignità dei lavoratori. 3.5 Una visione unitaria dei diritti sociali A conclusione dell’esame delle previsioni costituzionale sui diritti sociali occorre aggiungere alcune brevi notazioni. La prima notazione riguarda l’idea di fondo che da questi articoli emerge. L’idea organicistica e personalista che tanto aveva influenzato durante la fase di scrittura della Costituzione certamente è quella che più di tutte aiuta nella lettura di questi articoli. Tale interpretazione ha un forte riscontro nei lavori della Costituente, nel corso dei quali emerge chiaramente come la sola forza politica portatrice di una concezione generale dei diritti sociali fosse quella cattolica e come questa concezione fosse divenuta in sostanza il ponte che permise l’accordo tra i deputati democristiani e le forze di sinistra, con esclusione dei liberali il cui apporto, come testimoniato nei discorsi di Calamandrei, venne nei fatti congelato. La filosofia positiva dei cattolici, ed in particolare del gruppo dei professori, come si suole indicarli, apparì come una proposta concreta per una articolazione nuova delle libertà nella Costituzione, in virtù della quale accanto ai diritti della persona come singolo si collocavano i diritti delle formazioni sociali necessarie per il libero sviluppo della persona umana, con quel
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gioco di cerchi concentrici che disegnava i soggetti del pluralismo, partendo dalla famiglia e attraverso la scuola e i luoghi di cura arrivava fino ai sindacati e ai luoghi di lavoro128. Aver individuato il nesso tra gli ambienti di vita e i diritti sociali in quanto rapporti rappresentava non solo un passo in avanti notevole per la configurazione dello stato sociale su basi pluralistiche, ma era anche il punto di partenza per distinguerlo dal tipico welfare state di matrice britannica129. È per questa elementare ragione che la nostra Costituzione contiene un elenco di diritti sociali che è tematizzato – a differenza di altri documenti come la ICESCR o della Carta di Nizza – in modo armonico, nel rispetto della natura di quei diritti come legati a contesti di vita. La seconda notazione è più o meno un corollario della prima. È facile rilevare nel Titolo II, e poi anche nei primi articoli del Titolo III, una certa predominanza della “famiglia” come formazione sociale “privilegiata”130 all’interno degli articoli della Costituzione. Oltre che negli artt. 29, 30 e 31 - chiaro specchio di questa concezione – tale lettura è corroborata pure dal testo degli artt. 34, 36 e 37, i quali esprimono altrettanto chiaramente tale visione131. Ma sono i primi tre articoli dei “rapporti etico-sociali” ad esprimere la novità maggiore. Qui la Costitu128
Come i diritti della persona dovevano essere considerati inalienabili così dovevano essere anche i diritti delle società intermedie, a testimonianza della originarietà e della pari dignità sociale delle formazioni sociali e dei diritti necessari per la loro esistenza. P. SCOPPOLA, La Costituzione italiana tra democrazia e diritti sociali, cit., passim. 129 Come ho già ricordato, nella Costituzione italiana, infatti, i diritti sociali non sono un modo per identificare l’intervento dello Stato dispensatore di beni sociali in funzione redistributiva della ricchezza, ma costituiscono trame di valori di cui la persona è titolare in funzione della partecipazione a quegli ambienti di vita dove i bisogni emergono e possono essere soddisfatti. Per queste concezioni si rinvia chiaramente agli scritti di La Pira (v. a tale proposito la raccolta G. LA PIRA, La casa comune. Una costituzione per l'uomo, a cura di U. DE SIERVO, Cultura, Firenze, 1979) e al lavoro di A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., passim, che assorbe quella matrice culturale e ne ancora dopo quaranta anni dall’approvazione della Costituzione la chiave di lettura sintetica delle disposizioni sui diritti sociali. 130 Aggettivo usato da A. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 352. 131 L’art. 34 pone la famiglia come snodo essenziale per l’elevazione dei minori indicando in essa il soggetto sul quale catalizzare gli interventi per rendere effettivo il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi; l’art. 36 pone il “salario familiare” come un elemento essenziale per definire il tenore dei rapporti di lavoro; mentre nell’art. 37 la libertà della donna diviene necessario presupposto per l’evoluzione della famiglia e questa a sua volta rappresenta lo snodo essenziale per la trasformazione giuridica della donna.
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zione esclude in radice qualsiasi possibilità di intervento autoritario dello Stato, mediante una formula che purtroppo rappresenta per molti uno sbaglio dei Costituenti, e mentre ammette interventi necessari per adeguare il regime dei rapporti familiari all’evoluzione costituzionale riserva ai singoli membri la responsabilità di elaborare personalmente i valori e i modelli di convivenza in famiglia, mediante un’interpretazione evolutiva che tiene conto dei diritti di ciascun membro e dell’interesse familiare. Così l’art. 31 enuncia una direttiva importante che deve essere letta in combinato con l’art. 38, allorché tenta di prefigurare un sistema di assistenza nel quale occorre incoraggiare i cittadini a formare una famiglia e ad assumere gli obblighi relativi, al di fuori di qualsiasi retorica sull’espansione demografica. Nella Costituzione, perciò, non c’è un diritto per i forti e un diritto per i deboli132. L’esame dei Titoli II e III dimostra che la nostra Carta fondamentale non mira a dividere ma ad unire; tende cioè a realizzare l’eguaglianza a tutto tondo e a non usare la leva della rimozione degli ostacoli economici per raggiungere un certo risultato politico. In questo la Costituzione si dimostra decisamente innovativa non solo per l’epoca ma anche per la situazione odierna. 3.6 I diritti sociali nella Seconda Parte della Costituzione italiana In un sistema costituzionale basato sul riconoscimento di forti autonomie territoriali, come quello italiano, l’implementazione dei diritti sociali, ossia la traduzione di quanto disposto dalla Costituzione in apposite discipline legislative che rendano effettivo l’esercizio dei diritti (la dove l’intervento del legislatore sia necessario), non spetta solo allo Stato, ma rappresenta un compito che tutti i livelli di governo debbono adempiere. Non a caso l’art. 3, comma 2, affida tale compito alla Repubblica, intendendo con ciò fare riferimento a tutti i soggetti istituzionali che la compongono (Stato, Regioni, enti locali minori, ciascuno sulla base dei poteri e delle responsabili-
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M. AINIS, I soggetti deboli nella giurisprudenza costituzionale, in Politica del diritto, 1, XXX, 1999, p. 25 e ss.
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tà che la Costituzione loro attribuisce) e ai corpi intermedi creati dalla convivenza civile. Ho già affrontato altrove tale problema133. Non è questa l’occasione per ripetere o approfondire le analisi già effettuate. Pertanto mi limiterò a richiamare, per dovere di completezza, alcuni degli articoli della Parte Seconda della Costituzione che si riferiscono più da vicino al tema dei diritti sociali. È evidente, sia in forza dei precedenti scritti sul tema sia in parte grazie all’analisi svolta in questo lavoro, che le due parti in cui è divisa la Carta costituzionale sono intimamente legate. Lo ha evidenziato molto bene la dottrina sottolineando l’esistenza di uno stretto legame tra “Costituzione dei diritti e Costituzione dei poteri”134. In realtà, l’intreccio tra i diritti sanciti nella Prima Parte e l’organizzazione della Seconda Parte della Costituzione va ben oltre ogni tendenza semplificatrice. Il merito di questo rinnovato vigore degli studi sul rapporto tra Prima e Seconda parte della Costituzione deriva principalmente dalle riforme costituzionali del 1999 e del 2001. Sono esse ad aver riportato in auge il dibattito sulle relazioni tra le due parti della Costituzioni; un dibattito che è parte fondamentale del processo di continua formazione e legittimazione dell’ordine normativo costituzionale perché costringe a riesaminare lo stesso fondamento dei diritti negli stati moderni rispetto ai modi della loro attuazione da parte dei pubblici poteri. Il compito di chi voglia analizzare le norme costituzionali sui diritti sociali si carica perciò di un peso maggiore, che va ben oltre la mera interpretazione letterale di quelle disposizioni e si deve fare carico dell’esame delle nuove geometrie istituzionali create dalle riforme costituzionali, cercando il punto di congiuntura tra le esigenze di riequilibrio sociale, e più in generale il principio di eguaglianza e solidarietà, e il nuovo assetto della Repubblica135. Quali sono le novità più interessanti di questo assetto? La prima grande novità del rinnovato Titolo V della Costituzione è che in esso ora si prevede un rapporto esplicito tra 133
E. LONGO, Regioni e diritti, cit., passim. Mi riferisco all’articolo di M. LUCIANI, La «Costituzione dei diritti» e la «Costituzione dei poteri». Noterelle brevi su un modello interpretativo ricorrente, in Studi Crisafulli, a cura di II, Padova, Cedam, II, 1985, passim. 135 Su questo vedi i contributi in E. CATELANI (cur.), I principi negli statuti regionali, Bologna, Il Mulino, 2008, passim. 134
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l’articolazione territoriale del potere legislativo ed amministrativo e la tutela dei diritti sociali. Nel novellato testo costituzionale sono molteplici i riferimenti al piano dei diritti costituzionali. In particolare, la nuova formulazione dell’art. 117 Cost. prevede in capo alle regioni competenze che hanno immediatamente a che fare con la tutela dei diritti sociali (“istruzione”, “tutela della salute”, “sicurezza sociale”, “tutela e sicurezza del lavoro”). L’ampliamento delle competenze concorrenti regionali trova tuttavia numerosi limiti all’interno delle competenze esclusive statali. Il legislatore costituzionale oltre ad aver esplicitato nel comma 2° dell’art. 117 alcune delle tradizionali funzioni statali dirette a garantire l’uniformità statale nella garanzia delle libertà136, ha pure assegnato allo Stato la competenza esclusiva a disciplinare con legge i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, comma 2, lett. m). Nella disposizione si può cogliere una delle novità più interessanti di tutta la riforma del Titolo V. In estrema sintesi, essa ha come finalità necessaria quella di assicurare – esplicitamente – la garanzia su «tutto il territorio nazionale» del principio di eguaglianza previsto in Costituzione137. La seconda grande novità della nuova architettura istituzionale riguarda il principio di sussidiarietà. Nell’art. 118 della Costituzione questo principio è stato inserito sia nella sua veste di regola distributiva delle competenze amministrative tra centro e periferia (cd. sussidiarietà verticale) sia nella sua veste di principio che favorendo l’azione della società civile, contribui136
Come ad esempio le materie: “politica estera e rapporti internazionali dello Stato”, “concorrenza”, “perequazione delle risorse finanziarie”, “immigrazione”, “ordine pubblico e sicurezza”, “cittadinanza”, “giurisdizione e norme processuali”, “ordinamento civile e penale”, “norme generali sull’istruzione”, “previdenza sociale”. 137 Tale materia, infatti, si configura non solo come clausola capace di produrre il massimo di efficacia unificante dell’ordinamento, ma come potestà attraverso cui lo Stato adempie per parte sua al vincolo che compete a tutti i decisori (pubblici) di dare attuazione alla Prima Parte della Costituzione. Il riferimento ai “livelli essenziali delle prestazioni”, perciò, garantisce un rapporto tra livelli di governo nella protezione dei diritti che mira a realizzare la solidarietà e l’eguaglianza tra individui a prescindere dal territorio in cui essi si trovano. La letteratura su questo tema è sconfinata. Tra tutti si rinvia all’ultimo lavoro ricostruttivo di L. TRUCCO, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in Gruppo di Pisa, http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/09/TruccoDEF.pdf, 2012
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sce alla creazione di un ordinamento veramente democratico (cd. sussidiarietà orizzontale). Con il principio di sussidiarietà verticale il legislatore costituzionale del 2001 ha sostituito al criterio del parallelismo tra la funzione legislativa e quella amministrativa un diverso criterio, già previsto all’interno delle leggi di attuazione del terzo decentramento amministrativo adottate durante il 1997 e il 1998, che si basa sulla preferenza per la decisione amministrativa presa dal livello di governo più prossimo ai destinatari della decisione stessa. L’impatto di questo principio è attenuato dalla previsione successiva dell’art. 118, in base alla quale le funzioni amministrative, generalmente attribuite agli enti inferiori «possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurare l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza». Diverso, e per certi versi ancora più direttamente incidente sul sistema di garanzia dei diritti sociali, è il principio di sussidiarietà orizzontale. In base all’art. 118, comma 4, Cost. «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». In virtù di questa disposizione nell’esercizio delle funzioni pubbliche attinenti alla soddisfazione di “interessi generali” deve essere favorita l’iniziativa autonoma dei singoli e delle formazioni sociali. Non è certamente questa la sede per approfondire i molteplici aspetti di interesse ed i punti critici che questa norma pone, soprattutto per quanto riguarda la difficile attuazione che essa incontra a ragione della scarsa forza precettiva delle parole usate dal legislatore costituzionale138. La terza rilevante novità che segnaliamo riguarda invece il sistema di finanziamento delle funzioni amministrative degli enti territoriali. L’art. 119 prevede che gli enti territoriali, comprese le regioni, debbono finanziare mediante tributi propri, compartecipazione al gettito dei tributi statali e partecipazione al fondo perequativo le «funzioni pubbliche a loro attribuite». A 138
Sulla carta questo articolo getta un ponte molto solido con l’impostazione assunta nella Prima Parte della Costituzione. All’interno di questa continuità esso esprime un orientamento, un ben determinato favor, per cui nel rapporto tra autorità pubbliche e libertà dei cittadini deve essere data preferenza a quest’ultima, cioè al «soggetto sussidiato», considerandolo all’interno dell’ordinamento costituzionale non come attore complementare, bensì costitutivo, la cui possibilità di azione viene ora ribadita da una espressa previsione costituzionale.
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questi enti, dunque, sono attribuite risorse autonome con le quali coprire le spese legate ad attività di programmazione, gestione, erogazione e controllo in ordine alla erogazione di beni e servizi. È questo in fondo il senso da attribuire alla parola “funzioni proprie”, come espressione che evoca tutte le attività che gli enti territoriali esplicano, compresi i servizi pubblici. La formulazione dell’art. 119 è interessante anche per il suo stretto collegamento con la norma prevista nell’art. 117, comma 2, lett. m). Al di fuori della soglia uniforme stabilita dalle leggi statali, le differenze tra le prestazioni sono rese inevitabili dalle disponibilità finanziarie che i singoli enti territoriali hanno. La circostanza che la Costituzione sancisca il principio perequativo insieme all’autonomia finanziaria induce a ritenere che obiettivo costituzionale non è l’eliminazione delle differenze ma la sua riduzione. L’intervento del fondo perequativo sarebbe illegittimo, infatti, se sostituisse del tutto le entrate proprie o se si spingesse oltre il normale esercizio delle funzioni perché in questo caso rischierebbe di vanificare l’attribuzione di autonomia agli enti territoriali139. A queste tre grandi novità se ne aggiunge una quarta, di non minore valore nell’economia di questo studio, che riguarda l’introduzione all’interno del nuovo Titolo V di un riferimento alle relazioni tra ordinamento italiano e l’Unione europea e ai rapporti tra diritto interno e diritto internazionale. Sono state introdotte infatti tre gruppi di norme. Quelle che fissano «a) disposizioni specifiche e puntuali, dedicate alla partecipazione delle regioni alla formazione e all’attuazione del diritto comunitario (art. 117, 2° e 5° comma; art. 120 2° comma); b) materie di competenza legislativa statale o regionale (art. 117, 2° e 3° comma); c) limiti all’esercizio della funzione legislativa, dello Stato e delle Regioni (art. 117, 1° comma)140». Soprattutto quest’ultima previsione ha il pregio di indicare la continuità tra l’interpretazione che era sorta in assenza di questi limiti espressi e la loro introduzione senza ulteriori indicazioni. Secondo l’opinione maggioritaria tale richiamo varrebbe, dunque, a indicare finalmente il principio della prevalenza del diritto comuni139
Su tale punto v. G. FRANSONI, G. DELLA CANANEA, Art. 119, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, III, Torino, 2006, p. 2358 e ss. 140 T. GROPPI, Regioni e Unione Europea, in La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, a cura di T. GROPPI, M. OLIVETTI, Torino, Giappichelli, 2003, p. 156.
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tario su quello interno, anche di rango costituzionale – tranne che per i principi supremi –, come era stato già da tempo affermato dalla Corte costituzionale. Esso però non consentirebbe il superamento delle teorie “dualiste” affermate dalla Corte costituzionale in favore delle teorie “moniste” di derivazione comunitaria. L’espressa menzione del rispetto dei vincoli comunitari, laddove si individuano gli spazi della competenza statale e regionale, individua una clausola che ha indubbiamente valore sul piano delle fonti e non sul rapporto tra ordinamenti141. In base a questa previsione, l’emersione a livello costituzionale dei vincoli comunitari, ancora una volta, pur non alterando in maniera strutturale il modello di garanzia dei diritti, certamente lo precisa con riguardo alle competenze che ora sono state acquisite dall’ordinamento comunitario e soprattutto alle forme di finanziamento dei diritti sociali142. Se guardate nel loro insieme, appare chiaro che la riforma del Titolo V non è di segno neutro rispetto all’esame dei diritti sociali. Tra tutte, la novità più rilevante è di certo la nuova distribuzione del potere legislativo sui diritti. Le formule dell’art. 117, comma 2, lett. m), e le competenze regionali concorrenti del comma 3 dello stesso articolo sono indicative di un mutamento nelle forme di garanzia politica dei diritti sociali. L’indicazione che spetta allo Stato disciplinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali risponde ad una argomentazione strettamente legata con quanto abbiamo detto in precedenza relativamente ai diritti sociali: la definizione del contenuto essenziale necessario per garantire la protezione basilare di quei diritti risponde ad una ragione egualitaria e solidaristica allo stesso tempo. In un nuovo quadro costituzionale caratterizzato dalla potestà legislativa attribuita in via generale alle Regioni e dalla attribuzione preferenziale delle funzioni amministrative ai Comuni, la determinazione «dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» rappresenta cer141
Come nel caso dei vincoli internazionali, dunque, anche per i vincoli comunitari il nuovo art. 117, comma 1, della Costituzione non intaccherebbe l’importanza cardinale che l’art. 11 ha come base di legittimità dell’efficacia delle norme comunitarie, ma contribuirebbe più che altro a garantire l’efficacia di questo limite. 142 Con specifico riferimento a: patto di stabilità europeo; forme di coordinamento delle politiche economiche; meccanismi di sorveglianza dei disavanzi degli Stati.
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tamente un “controlimite”143 statale rispetto al rafforzamento delle potestà legislative regionali ed amministrative locali. Tale clausola, infatti, inserisce nel sistema di garanzia dei diritti sociali un elemento correttivo di una situazione di fatto, espressione del diverso sistema di finanziamento delle prestazioni sociali che si ricava dall’art. 119 Cost. (in base al quale le fonti di finanziamento delle prestazioni sociali erogate dagli enti territoriali solo in parte può pesare su una quota di fondo perequativo nazionale)144. Ma il significato della definizione dei livelli essenziali da parte dello Stato ha anche un significato ulteriore, che vale a definire in maniera molto precisa le norme attuative sui diritti sociali: letta in controluce, la disposizione della lett. m) assume che il livello oltre l’essenziale di quelle prestazioni può variare nel territorio nazionale (ovviamente solo in senso ascendente)145. Il legame tra le disposizioni della Prima e della Seconda parte della Costituzione mette in luce ancora di più il valore delle norme costituzionali sui diritti, formulate in un linguaggio “a trama aperta” che impedisce di considerare la Costituzione solo come atto e induce a confrontarsi con essa (anche) come “processo”146. Per questo motivo si comprende che la definizione del contenuto dei diritti sociali è frutto di un cammino incessante che si alimenta degli input provenienti dal livello sopranazionale147, dei processi di attuazione della Costituzione e della inter143
L’espressione è di A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit., 549. 144 Dal combinato disposto della norma sulla determinazione dei livelli essenziali e quella dell’art. 119 deriva, da un lato, che l’individuazione delle funzioni è condizione per poter definire il fabbisogno degli enti territoriali e, d’altro canto, che la definizione delle risorse attribuite a questi ultimi diventa la “misura” dell’attività loro consentita e dunque dell’effettività dei diritti che tali enti possono garantire nell’ambito delle loro competenze. 145 Sulla carta, perciò, il testo costituzionale dell’art. 117, comma 2, lett. m), ha ristretto la discrezionalità del legislatore nazionale e di quelli locali, attribuendo il rango di fonti interposte a specifici provvedimenti con cui, caso per caso, lo Stato mette a fuoco le concrete attività, strutture e procedure non derogabili in pejus dalla legislazione regionale, che sono imprescindibili perché i diritti possano dirsi effettivi, cioè serventi alla realizzazione della dignità della persona. A questa attività statale poi potrà corrispondere un’azione regionale diretta a garantire all’interno delle risorse regionali livelli di tutela più alti. 146 Le definisce così C. SALAZAR, I diritti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, in Rivista di diritto della sicurezza sociale, 2, 2004, p. 169. 147 Su queste potenzialità si è soffermata di rencente G. RAZZANO, Lo "statuto" costituzionale dei diritti sociali, in Gruppo di Pisa,
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pretazione data dalla Corte costituzionale e dai giudici comuni. In questo senso ha ragione quella parte della dottrina che parla a tale proposito della definizione di questa parte della Costituzione come di un “processo storico” aperto148. 4. L’INSERIMENTO DEI DIRITTI SOCIALI ALL’INTERNO DELLE CARTE INTERNAZIONALI L’idea di prendere in considerazione il livello internazionale di protezione dei diritti sociali all’interno di un testo che intende affrontare i diritti sociali secondo una prospettiva costituzionalistica merita un’adeguata spiegazione. Non analizzerò il livello internazionale per motivi di completezza o per ragioni formali ma per ragioni strettamente correlate all’indagine che sto conducendo. A livello internazionale, infatti, si ritrovano problematiche molto simili a quelle che vengono affrontate anche a livello nazionale con sfumature e con caratteristiche tali che consentono anche allo studioso di questioni interne di avere un paragone ed un confronto utili alla sua indagine. Mettiamo subito in chiaro un dato. La protezione dei diritti umani all’interno del contesto internazionale è un fatto relativamente recente, ma che negli ultimi anni ha innovato parecchio la scena interna degli stati149. Due sono le ragioni alla base della decisione di prendere in considerazione la protezione dei diritti sociali a livello internazionale: la prima è l’emersione di un’idea dei diritti individuali come patrimonio universale dell’umanità la cui realizzazione concreta deve essere un obiettivo extraterritoriale; la seconda ragione è l’accresciuta consapevolezza che è impossibile confinare lo sviluppo e il rafforzamento dei diritti individuali esclusivamente entro il quadro nazionale150. Il primo esempio di internazionalizzazione dei diritti sociali è stato realizzato con la creazione nel 1919 dell’Organizzazione http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/08/RazzanoDEF.pdf, 2012, p. 67 e ss. 148 E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit., passim. 149 Si pensi a come l’irrompere dei diritti umani sta erodendo l’idea classica di “cittadinanza” e di sovranità. Sul punto si veda S. CASSESE, Oltre lo Stato, Bari-Roma, Laterza, 2006, p. 180 e ss. 150 P. COSTA, Diritti fondamentali (storia), in Enciclopedia del diritto, Annali II, Milano, 2008, p. 395 e ss.
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internazionale per il lavoro (d’ora in avanti, ILO)151, un organismo specificamente deputato ad «abolire le ingiustizie, le limitazioni e le privazioni che minacciavano i lavoratori e a garantire giuste ed umane condizioni di lavoro», e formato secondo una struttura tripartita che vede coinvolti i rappresentanti dei governi, i lavoratori e le imprese. Malgrado questi primi esempi, è solo dopo la il secondo conflitto mondiale che si assiste alla maturazione completa della protezione dei diritti umani a livello internazionale. La Carta delle Nazioni Unite approvata nel 1945 inizia questa nuova fase del diritto internazionale. Essa impone agli stati membri di realizzare una cooperazione stretta per promuovere la garanzia e il rispetto dei diritti umani senza distinzioni di sesso, razza, lingua e religione152. A questa segue il documento principe tra quelli che affermano i diritti umani a livello internazionale, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti, UDHR), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948153. Con essa il riconoscimento dei diritti sociali, economici e culturali è divenuto uno degli obiettivi principali delle relazioni internazionali tra gli stati. Secondo un’impostazione olistica, l’UDHR riconosce due tipologie distinte ma non separate di diritti: i diritti appartenenti alla sfera civile e politica e i diritti appartenenti alla sfera sociale, economica e culturale154. 151
L’ILO è stato stabilito con il Trattato di Versailles del 1919 subito dopo la Prima guerra mondiale. L’ILO è stato anche la prima agenzia specializzata a far parte del sistema delle Nazioni Unite dal 1946. 152 A tale proposito si può consultare il preambolo della Carta insieme agli articoli 1, 55 e 56. Il preambolo afferma che gli stati avranno “fede nei fondamentali diritti umani, nella dignità e nel valore della persona umana, [e] nell’eguale diritto di uomini e donne”. Per un commento su questo punto vedi B. SIMMA, H. MOSLER, A. PAULUS, E. CHAITIDOU, The Charter of the United Nations: a commentary, I, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 37 e ss. 153 Diversamente dai documenti statali la carta non sceglie alcuni diritti come “fondamentali”. Al contrario presenta tutti i diritti come indispensabili allo sviluppo della personalità di ogni essere umano. Certamente il principio che maggiormente ispira l’impianto è quello di eguaglianza, ma esso non viene usato per creare una gerarchia tra previsioni. Su tale punto A. CASSESE, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 12 e ss. 154 La visione che i diritti economici, sociali, culturali, civili e politici fossero indivisibili, interdipendenti e correlati è antica quanto l’affermazione dei diritti umani. La prima affermazione di questi si può ritrovare in un passaggio contenuto nella risoluzione 421 (V) del 1950 nella quale l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise di adottare una singola convenzione che comprendesse tutti i diritti dell’uomo. Nella risoluzione si legge, inoltre, “qualora fosse privato dei propri diritti economici, sociali e culturali, un uomo non rappresen-
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La previsione di tutti i diritti in un unico documento enfatizza l’idea del rispetto universale e dell’osservanza di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, senza però scendere a dare per questi diritti una specifica definizione legale. A questo proposito, infatti, già nella UDHR i due gruppi di diritti sono trattati differentemente. L’art. 22, caposaldo del modo in cui si intende la protezione dei diritti ESC all’interno della UDHR, prevede infatti che “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”
L’esame testuale dell’articolo mostra chiaramente che esso è il frutto di un compromesso tra diverse visioni. La dottrina che si è occupata del tema ha mostrato, infatti, che la disposizione venne elaborata sulla base di una proposta che vide il contributo diretto di più personalità: del rappresentante francese R. Cassin, di E. Roosevelt e dei rappresentanti del governo sovietico, i quali difesero strenuamente l’idea che la UDHR dovesse contenere l’indicazione del dovere degli stati di prendere tutti i necessari provvedimenti, incluso gli interventi legislativi, per l’attuazione dei diritti inseriti nella Dichiarazione ed in special modo dei diritti sociali155. Fu la stessa E. Roosevelt, in seguito, a sottolineare come questo articolo fosse stato il frutto di un compromesso tra due blocchi di paesi, capeggiati l’uno dagli Stati terebbe la persona libera che la Dichiarazione Universale intende”. Questo principio fu ribadito nella risoluzione 543 (VI), contenente la Bozza di convenzione sui diritti umani e la bozza delle “misure di implementazione”. Su tali aspetti vedi I. KOCH, Human Rights as Indivisible Rights: the Protection of Socio-economic Demands Under the European Convention on Human Rights, p. 1 e ss.; C. SCOTT, Interdependence and Permeability of Human Rights Norms: Towards a Partial Fusion of the International Covenants on Human Rights, in Osgoode Hall Law Journal, 27, 1989, p. 769–878.; M. SSENYONJO, Economic, social and cultural rights in international law, Oxford, Hart Pub., 2009, p. 3 e ss.; E. PALMER, Judicial review, socio-economic rights and the human rights act, Portland, Hart, 2007, p. 11 e ss. 155 Vedi M.J. DENNIS, D.P. STEWART, Justiciability of Economic, Social, and Cultural Rights: Should There Be an International Complaints Mechanism to Adjudicate the Rights to Food, Water, Housing, and Health?, in The American Journal of International Law, 3, 98, 2004, p. 478.
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Uniti l’altro dalla URSS; un compromesso tra una visione che enfatizzava il ruolo dello stato come responsabile del benessere dei cittadini e una visione che invece tendeva a rendere più tenui gli obblighi scaturenti dall’articolo 22.156 Come è stato più volte ricordato, i problemi legati al riconoscimento dei diritti economici, sociali e culturali non ebbero tuttavia una soluzione nella Dichiarazione. Ne è testimonianza indiretta ciò che accadde nel periodo seguente, quando si dovette passare alla fase di attuazione delle disposizioni della UDHR. Le negoziazioni nella Commissione per i diritti umani durarono molti anni, nonostante l’intenzione originale dell’Assemblea Generale dell’ONU fosse quella di arrivare in tempi brevi ad una sola Convenzione che contenesse tutti i diritti umani. Nel momento in cui si procedette alla trasformazione delle norme previste dalla UDHR in regole obbligatorie si decise di confezionare due separate convenzioni, una sui diritti civili e politici (di seguito ICCPR), un’altra sui diritti economici, sociali e culturali (di seguito ICESCR)157. La scelta di far confluire i diritti civili e politici in una Convenzione e i diritti economici, sociali e culturali in un’altra rappresentò il prodotto di un complessissimo negoziato – durato molti anni – durante il quale emerse con forza il diverso intendimento degli stati appartenenti all’ONU circa il valore delle due categorie di diritti. Mentre i paesi che diedero vita al blocco occidentale si espressero più volte in modo critico di fronte 156
Malgrado l’enfasi per la ricostruzione di certe scelte di tipo politico – legate per lo più agli orientamenti degli stati – appare interessante notare che anche nella Dichiarazione i diritti sociali sono stati considerati alla stregua non di diritti collettivi (come poteva immaginarsi visto l’apporto dei paesi del futuro blocco sovietico), ma di diritti che considerano gli individui in quanto “membri della società”. Nell’art. 22, infatti, vi è un’evidente “matrice sociale”, il cui riconoscimento va al di là delle considerazioni di politica internazionale legate al momento in cui la Dichiarazione vide la luce. 157 International Covenant on Civil and Political Rights, adottata il 16 dicembre 1966, G.A. Res. 2200 (XXI), U.N. GAOR, 21a sessione, U.N. Doc. A/6316 (1966), 999 U.N.T.S. 3 (entrata in vigore il 23 marzo 1976); International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, adottata il 16 dicembre 1966, G.A. Res. 2200 (XXI), U.N. GAOR, 21a sessione, U.N. Doc. A/6316 (1966), 993 U.N.T.S. 3 (entrata in vigore il 3 gennaio 1976). La ICESCR attualmente è stata ratificata da 160 stati. Le due convenzioni costituiscono il cuore del diritto internazionale sui diritti umani ed affermano l’universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani protetti. Nonostante fossero considerati come “atti gemelli”, i due strumenti differiscono quanto ai meccanismi di attuazione delle norme in esse contenute
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all’idea di riconoscere valore giuridico pieno alla protezione dei diritti sociali, l’intendimento dei paesi del blocco orientale, coagulati intorno alle posizioni della Russia, fu molto diverso158. Proviamo a dare una breve panoramica sui due documenti citati. L’ICCPR e la ICESCR sono due convenzioni molti differenti159. Gli articoli della prima, infatti, sono scritti in termini precisi e con previsioni che indicano chiaramente l’esistenza di un diritto in capo a tutti. Le previsioni della seconda, invece, indicano un’obbligazione degli stati di intraprendere azioni, secondo le proprie risorse, al fine di garantire la protezione dei diritti. La differenza tra le due Convenzioni fu evidenziata fin dall’inizio tra gli addetti ai lavori in forza della scelta di non creare per l’ICESCR un organismo indipendente che si occupasse di monitorare l’applicazione dei diritti ESC a livello dei paesi aderenti160. Sebbene vi fosse stato un dibattito sulla possibilità di corredare anche l’ICESCR di un strumento di reclamo, 158
Non è il caso di approfondire questi temi che hanno ovviamente un sapore più storico. È il caso però di menzionare che quand’anche alla base del ritardo dei negoziati attuativi della Dichiarazione vi fossero differenze di posizione politica tra Est e Ovest, la bipartizione dei diritti protetti dalla UDHR in due Convenzioni attuative non fu solo il frutto della vittoria politica degli stati “occidentali”. Vi furono altre ragioni, che qui possiamo solo accennare, e che riguardano soprattutto il ruolo di quegli organismi internazionali già costituiti che si occupano delle libertà previste nella ICESCR (come l’ILO, l’UNESCO, WHO). Durante i negoziati che furono realizzati dalla Commissione per i diritti umani più volte i tre organismi menzionati rappresentarono la possibilità che i problemi legati all’implementazione dei diritti ESC rientrasse variamente in una delle proprie competenze. 159 Vedi M.J. DENNIS, D.P. STEWART, Justiciability of Economic, Social, and Cultural Rights: Should There Be an International Complaints Mechanism to Adjudicate the Rights to Food, Water, Housing, and Health?, cit., p. 476 e ss. 160 Per contro la Commissione sui diritti umani creò da subito per l’ICCPR un organismo apposito, composto da diciotto esperti, con il compito di analizzare il modo in cui a livello nazionale venivano rispettate le obbligazioni fondate sulla Convenzione. Era previsto che questa commissione adempisse alle sue obbligazioni attraverso l’esame di report periodici sottomessi dagli stati partecipanti contenenti la descrizione delle misure che gli stati hanno adottato per dare effetto ai diritti riconosciuti nella ICCPR e sui progressi raggiunti nel godimento di tali diritti da parte degli individui. L’ICCPR fu, inoltre, corredata di un meccanismo di reclamo, come tutte le convenzioni delle Nazioni Unite, previsto all’interno di un protocollo opzionale all’ICCPR in cui si riconosce la competenza della Commissione per i diritti civili e politici a «ricevere comunicazione da individui soggetti alla sua giurisdizione che affermano di essere vittime di una violazione da uno stato di uno dei diritti previsti nella convenzione. Su tale aspetto vedi l’art. 1 del primo Optional Protocol alla ICCPR».
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quest’ultima convenzione rimase priva di un sistema di garanzia per gli individui (almeno fino all’approvazione del Protocollo opzionale di cui parleremo più avanti). Si scelse invece di dare al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (di seguito ECOSOC) la responsabilità di ricevere ed esaminare i report inviati dagli stati aderenti, creando così una disparità evidente tra le due Convenzioni161, sulla quale ebbe poca influenza la decisione dell’ECOSOC, nel 1985, di creare (con la risoluzione 1985/18) una Commissione di esperti indipendenti (il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali) con il compito di svolgere report periodici in tema di diritti sociali. Dopo la fine della “guerra fredda” il tema della protezione dei diritti sociali ha avuto nuova vitalità; il crollo del muro di Berlino ha permesso che tutta quella grande energia accumulata per anni si liberasse162. Così l’idea del rispetto dei diritti umani è divenuto uno dei fondamenti della nuova architettura globale destinata a regnare dopo che gran parte dei popoli abitanti l’oriente del mondo si è aperto all’economia di mercato163. 4.1 La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) Proviamo a guardare più da vicino quale è l’organizzazione della ICESCR164 e il ruolo del Comitato istituito nel 1985 161
Nel 1976 l’ECOSOC adottò una risoluzione (1988) con la quale istituì un “sessional working group” per assisterlo nel fase di analisi dei reports. Su questi aspetti v. K. ARAMBULO, Strengthening the supervision of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: theoretical and procedural aspects; Strengthening the supervision of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: theoretical and procedural aspects, Antwerpen-Groningen-Oxford, INTERSENTIA-HART, 1999, p. 28 e ss. 162 Vedi C. GEARTY, V. MANTOUVALOU, Debating Social Rights, Hart Pub., 2010, p. 23. 163 Sotto la leadership di Kofi Annan, in particolare, le Nazioni Unite si sono impegnate soprattutto nella ridefinizione del linguaggio dei diritti umani, riandando alle radici dei valori e dei principi dai quali essi sono derivati, opportunamente scorgendo in questa operazione il modo assolutamente più adeguato per fondare una nuova era nella quale il mondo si sarebbe dovuto fondare sulla pace. L’atteggiamento delle Nazioni Unite sul tema non è andato esente da numerose critiche. Vedi da ultimo S. MOYN, The Last Utopia: Human Rights in History, Belknap Press, 2010, passim. 164 L’Italia ha ratificato la ICESCR il 15 settembre 1978.
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dall’ECOSOC.165 Partiamo dal preambolo della ICESCR. Esso rammenta che in accordo con i principi proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità, dell’eguaglianza e dei diritti inalienabili di tutte le persone sono a fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Si legge, inoltre, che le libertà inerenti la sfera economica, sociale e culturale sono essenziali per raggiungere la libertà dalla paura e dal bisogno166. Infine, si ricorda che gli individui sono responsabili verso gli altri e verso la comunità a cui appartengono e che perciò hanno doveri di promuovere i diritti previsti nella convenzione. Dunque, si fa riferimento a quel dogma della “indivisibilità” dei diritti che connota i documenti internazionali adottati dopo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La ICESCR è divisa in cinque parti. La prima parte riconosce i diritti di tutte le persone all’autodeterminazione167; la parte seconda (artt. da 2 a 5) contiene le previsioni generali che si applicano a tutti i diritti della convenzione168; la parte terza (artt. 6-15) contiene alcune delle più significative previsioni legali internazionali in tema di diritti sociali, economici e culturali169; la parte quarta (artt. 16-25) contiene il meccanismo internazionale di implementazione e il sistema di supervisione attraverso i report periodici; la parte quinta riporta le previsioni ordinarie dei trattati sui diritti umani relativi alla ratifica, all’entrata in vigore e al processo di modifica della convenzione (appendice A). Gli articoli 16 e 17 della ICESCR richiedono che gli stati sottomettano dei report, ad intervalli definiti dal Consiglio eco165 Per quanto riguarda la nascita dell’ICESCR vedi A.G. MOWER, International cooperation for social justice: global and regional protection of economic/social rights Westport, Greenwood Press, 1985, passim. 166 Chiaro riferimento alle note quattro libertà proclamate da F.D. Roosevelt nel 1941. 167 Una norma simile si trova anche nella ICCPR. 168 L’art. 2 che si occupa di definire la natura degli obblighi ricadenti sugli stati aderenti e di indicare il principio di non discriminazione, l’art. 3 che stabilisce le regole sull’eguaglianza, gli artt. 4 e 5 che si focalizzano sulle limitazioni generali. 169 Tra le quali il diritto al lavoro (art. 6) in condizioni adeguate e favorevoli (art. 7), i diritti sindacali e il diritto di sciopero (art. 8), il diritto alla protezione sociale e all’assicurazione sociale (art. 9), la protezione della famiglia ed in particolare della maternità (art. 10), il diritto ad uno standard adeguato di vita (art. 11), al più alto standard di salute fisica e mentale (art. 12), il diritto all’educazione (art. 13), il diritto a prendere parte alla vita culturale ed il diritto a godere dei benefici della libertà culturale e scientifica (artt. 14 e 15).
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nomico e sociale dell’ONU (di seguito ECOSOC), sulle misure che essi hanno adottato e sui progressi intervenuti per raggiungere il rispetto dei diritti previsti nella Convenzione. La conformità degli stati agli obblighi della Convenzione è oggi monitorata dal Comitato per i diritti sociali, economici e culturali (CESCR). Come abbiamo già detto, il Comitato è stato stabilito nel 1985 (ed è entrato in funzione nel 1987) da una decisione dell’ECOSOC, al fine di dare assistenza nell’esame dei report compilati dagli stati170. Perciò il CESCR non è un organo stabilito dal trattato, ma un organo sussidiario dell’ECOSOC con il compito di monitorare l’implementazione dei diritti previsti nella ICESCR. La procedura di “reporting” è basata su un sistema che consente un dialogo “diretto” tra la delegazione di esperti dello stato e il Comitato. Al termine del procedimento quest’ultimo adotta le sue “osservazioni conclusive” in relazione al report sottomesso dallo stato171. Il lavoro del Comitato, fin dal suo esordio, è stato contrassegnato dalla necessità di aiutare a sviluppare la struttura concettuale dei diritti sociali, economici e culturali. Fino agli anni ‘80 molti governi e gli stessi organi delle Nazioni Unite erano indifferenti o comunque non disposti a collaborare nella implementazione della Convenzione172. Come emerge da vari documenti elaborati173, il Comitato ha dovuto dedicare un significativo sforzo per superare l’indifferenza verso i diritti proclamati nella ICESCR e incoraggiare tutti gli attori di questo sviluppo a coinvolgersi nell’implementazione di questo strumento. L’influenza è stata particolarmente forte sul fronte delle orga-
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Il Comitato è composto di 18 esperti con riconosciuta competenza nel campo dei diritti umani, eletti secondo una equa distribuzione geografica e in rappresentanza di diversi sistemi legali. Vedi M. SSENYONJO, Economic, Social and Cultural Rights in International Law, cit., 27 e 28. 171 Le osservazioni contengono un riferimento alla procedura svolta davanti al Comitato e individuano gli aspetti importanti, le difficoltà incontrate dagli stati nell’attuazione del Trattato e le indicazioni per una migliore implementazione dello stesso. 172 Vedi M. LANGFORD, J.A. KING, Committee on Economic, Social and Cultural Rights. Past, Present and Future, in Social Rights Jurisprudence: Emerging Trends in International and Comparative Law, a cura di M. LANGFORD, New York, Cambridge University Press, 2008, p. 477. 173 Tra in quali sono essenziali i “Commenti” del Comitato sulle posizioni degli stati indicate nei report.
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nizzazioni non governative e di tutti gli altri organismi internazionali dedicati al sostegno verso i paesi in via di sviluppo174. Il punto più difficile del lavoro svolto dal Comitato ha riguardato la definizione della natura degli obblighi risultanti dalla Convenzione. Mentre l’art. 2 della ICCPR prevede che gli stati parte della Convenzione devono “rispettare” e “assicurare” i diritti civili e politici, l’equivalente previsione della ICESCR è più tenue. All’art. 2 (che è la norma fondamentale della Convenzione) prevede: “ogni Stato (…) si impegna ad adottare misure, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, in particolare nel campo economico e tecnico, al massimo delle proprie risorse disponibili, per conseguire progressivamente la piena realizzazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l’adozione di misure legislative175“.
Soprattutto alla luce di questa disposizione la dottrina internazionalistica ha sottolineato la differenza che c’è tra le disposizioni della ICCPR e della ICESCR, suggerendo che queste ultime – a differenza delle prime – avrebbero natura di mere “aspirazioni”. A questa visione si è opposto negli anni scorsi più volte il Comitato per i diritti sociali, economici e culturali che intanto ha sottolineato il valore di “obbligazioni di risultato” delle disposizioni della Convenzione, ma poi ha anche fatto presente che l’indeterminatezza di alcune parti della disposizioni sarebbe legata alla circostanza che esse danno agli stati partecipanti la scelta dei mezzi per raggiungere tali risultati e li lasciano liberi di realizzare gli obiettivi indicati nel tempo. La decisione del Comitato suscita qualche perplessità. Portata all’eccesso, infatti, questa visione rischia di privare la convenzione di contenuto. Se i risultati devono essere raggiunti progressivamente nel tempo, dando agli stati la facoltà di scegliere qualsiasi mezzo, non c’è possibilità di giudicare se essi hanno rispettato le previsioni della Convenzione o meno. Tale problema è stato sottolineato con molto vigore da due autori (tra cui uno ex presidente del Comitato) che hanno riconosciuto nel174
Vedi M. SEPÙLVEDA, The nature of the obligations under the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, Antwerpen, Intersentia Uitgevers NV, 2003, 175 Nostra la traduzione.
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le disposizioni della Convenzione tanto l’esistenza di un’obbligazione di “risultato” quanto un’obbligazione di “condotta”176. Tali autori concludono, infatti, che per l’unicità della progressiva implementazione delle norme della ICESCR gli obblighi contenuti in essa hanno una “natura ibrida”: gli stati sarebbero giudicati sia per le azioni intraprese al fine di applicare la Convenzione sia per il modo in cui hanno progressivamente realizzato i diritti con le risorse a loro disposizione177. Anche la “giurisprudenza” del Comitato, durante questi, anni ha messo a punto una serie di distinzioni per rendere più efficaci le disposizioni della ICESCR. Nel Commento Generale n. 12 sul diritto a un’adeguata alimentazione esso è arrivato a riconoscere addirittura che dalla Convenzione derivino obblighi che impongono immediato “rispetto, protezione e realizzazione” di alcuni dei diritti proclamati178. Ovviamente il passaggio fondamentale per la soluzione del problema circa la natura delle obbligazioni scaturenti dalla Convenzione si trova nel Commento Generale n. 3, in cui il Comitato ha risolto il problema dell’attribuzione di un valore “non immediato” alle disposizioni della Convenzione179. Punto di partenza del Comitato è la notazione che se dall’art. 2 sorge l’obbligo di realizzare i diritti in modo progressivo e al massimo 176
Vedi P. ALSTON, G. QUINN, The Nature and Scope of States Parties' Obligations Under the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, in Human Rights Quarterly, 2, 9, 1987, cit., p. 185. 177 Su tale punto sono intervenuti risolutivamente anche: M.C. CRAVEN, The International Covenant on Economic, Social, and Cultural rights: a perspective on its development, Portland, Oxford University Press, 1998, p. 12 e ss.; M. SEPÙLVEDA, The nature of the obligations under the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, cit., p. 184-196. 178 “The obligation to respect existing access to adequate food requires States parties not t take any measures that result in preventing such access. The obligation to protect requires measures by the State to ensure that enterprises or individuals do not deprive individuals of their access to adequate food. The obligation to fulfil (facilitate) means the State must pro-actively engage in activities intended to strengthen people’s access to and utilization of resources and means to ensure their livelihood, including food security. Finally, whenever an individual or group is unable, for reasons beyond their control, to enjoy the right to adequate food by themeans at their disposal, States have the obligation to fulfil (provide) that right directly”. Vedi il General Comment No. 12, Right to adequate food (Twentieth session, 1999), U.N. Doc. E/C.12/1999/5 (1999), par. 15. 179 General Comment No. 3, The nature of States parties’ obligations, (Fifth session, 1990), U.N. Doc. E/1991/23, annex III at 86 (1991), par. 9. Nostra la traduzione.
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delle risorse disponibili, bisogna capire in che modo uno stato deve realizzare un particolare diritto individuale, come ad esempio il più alto standard raggiungibile di tutela della salute. Secondo il Comitato (Commento Generale n. 3) si deve distinguere tra “obblighi ad effetto immediato”, nei quali rientrano certamente le misure per proteggere i diritti sindacali, il diritto di sciopero e i divieti di discriminazione (soprattutto a favore delle donne)180, e obblighi che non hanno tale effetto. Strettamente legato all’obbligo di prendere misure adeguate è il tema del divieto di “misure regressive”181. Il Commento Generale n. 3 prevede che: “ogni ponderata misura regressiva a tale riguardo (nel campo delle misure adeguate) richiede la più cauta considerazione e ha bisogno di essere completamente giustificata dal riferimento alla totalità dei diritti previsti dalla Convenzione e dopo la verifica della possibilità di prendere altre misure182“.
Come è stato affermato, l’applicazione di questo principio è stata molto interessante nel caso della crisi economica argentina. Il Comitato ha sottolineato che in questo caso il governo avrebbe potuto fare molto di più per la protezione delle fasce più deboli della popolazione183. Lo scrutinio delle misure regressive ci proietta automaticamente in un altro settore di analisi del Comitato che riguarda l’individuazione di un nucleo minimo di obblighi (cd. minimum core) al di sotto dei quali i diritti economici, sociali e culturali sono negati184. Nello stesso Commento Generale n. 3 si legge: “[I]l comitato ritiene che per soddisfare un livello minimo di protezione di ogni diritto, spetta ad ogni stato partecipante un nucleo 180 Su tale punto v. M. LANGFORD, J.A. KING, Committee on Economic, Social and Cultural Rights. Past, Present and Future, cit., 486-488. 181 Vedi M. DOWELL-JONES, Contextualising the international covenant on economic, social and cultural rights: assessing the economic deficit, Leiden, Martinus Nijhoff, 2004, p. 52-54. 182 General Comment No. 3, The nature of States parties’ obligations, cit., par. 9. Nostra la traduzione. 183 Vedi Conclusions and recommendations of CESCR: Argentina, U.N. Doc. E/C.12/1/Add.38 (1999), par. 33. 184 Tra i primi a parlare del tema: P. ALSTON, Out of the Abyss: The Challenges Confronting the New UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights, in Human Rights Quarterly, 3, 9, 1987, 351 e ss.
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minimo di obblighi (minimum core obligation). Perciò, uno stato partecipante nel quale un numero significativo di individui è privato di beni alimentari essenziali, di cure mediche essenziali, di abitazioni di base o di una educazione base, ha fallito l’adempimento dei suoi obblighi derivanti dalla Convenzione (…). Uno stato partecipante può attribuire il proprio fallimento nel raggiungimento di obblighi dal contenuto minimo ad una mancanza di risorse disponibili se dimostra che è stato compiuto ogni sforzo per usare tutte le risorse che erano a sua disposizione al fine di soddisfare, come questione prioritaria, tali obblighi minimi185“.
Secondo il Commento, la non osservanza del contenuto minimo di un’obbligazione produce due effetti: la violazione delle norme della convenzione e l’obbligo di usare ogni mezzo per soddisfare il diritto considerandolo come una questione prioritaria. Malgrado il comitato abbia inserito tale raccomandazione in ogni singolo commento sui diritti della convenzione, non ne è chiaro il contenuto, poiché in un contesto internazionale ciò che è un livello essenziale di un diritto per uno stato (o anche una parte della popolazione all’interno di questo) potrebbe non esserlo per un altro186. Arriviamo così ad uno degli aspetti più interessanti, cioè al modo in cui gli stati devono affrontare le proprie obbligazioni. Il Comitato ha articolato un insieme di standard specifici nelle proprie osservazioni. Nel già menzionato Commento Generale n. 3 si legge in merito all’obbligazione dell’impegno ad agire previsto nel comma 1 dell’art. 2: “Mentre la completa realizzazione dei diritti rilevanti deve essere raggiunta in modo progressivo, l’impegno a raggiungere quegli obiettivi (indicati nell’art. 2) deve essere realizzato in un tempo breve e ragionevole dopo che la Convenzione sia entrata in vigore per gli stati interessati. Questi impegni devono essere ponderati, concreti e miranti il più chiaramente possibile a soddisfare gli obblighi contenute nella Convenzione187“. 185
General Comment No. 3, The nature of States parties’ obligations, cit., par. 10. Nostra la traduzione. 186 Sul punto, tuttavia, vi sono opinioni discordanti in dottrina. V. LANGFORD, KING, Committee on Economic, Social and Cultural Rights. Past, Present and Future, cit., p. 493-495. 187 V. General Comment No. 3, The nature of States parties’ obligations, cit., par. 2. Nostra la traduzione.
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Per quanto riguarda la clausola del raggiungimento degli obiettivi con ogni mezzo appropriato, il Comitato indica semplicemente che: “Mentre ogni stato partecipante deve decidere per sé quali mezzi sono i più appropriati secondo le circostanze proprie di ogni diritto, l’«appropriatezza» dei mezzi scelti non sarà auto-evidente. È allora desiderabile che i report confezionati dagli stati partecipanti indichino non solo le misure che sono state prese ma anche le basi sulle quali essi hanno considerato quelle come le misure più “appropriate” secondo quelle circostanze. Tuttavia, l’ultima decisione sulla appropriatezza delle misure deve essere presa dal Comitato188“.
È stato notato da alcuni autori che per determinare se le misure sono “appropriate” il Comitato si serve di un “margine di apprezzamento”, proprio come quello usato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo189. Nel Commento generale n. 12 in tema di diritto all’alimentazione (ma simili affermazioni sono state compiute anche per il diritto alla salute e all’acqua) questa considerazione è stata formalizzata come segue: “Ogni stato dovrà avere un margine di apprezzamento nello scegliere il proprio approccio. Ma la convenzione chiaramente richiede che ogni stato partecipante si impegna ad operare in modo necessario per assicurare che ogni persona sia libera dalla fame e che prima possibile possa godere del diritto ad un’alimentazione adeguata190“.
Sul punto, tuttavia, non mancano considerazioni negative e commenti che sottolineano i problemi sollevati da tale indirizzo e gli svantaggi derivanti dall’applicazione della dottrina del margine di apprezzamento a tale area191.
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V. General Comment No. 3, The nature of States parties’ obligations, cit., par. 3. Nostra la traduzione. 189 M. CRAVEN, The International Covenant on Economic, Social, and Cultural rights: a perspective on its development, cit., 116. 190 V. General Comment No. 12, Right to adequate food (Twentieth session, 1999), U.N. Doc. E/C.12/1999/5 (1999), par. 21. Nostra la traduzione. 191 Vedi E. BENVENISTI, Margin of appreciation, consensus, and universal standards, in New york university journal of international law and politics, 31, 1998, p. 843 e ss.
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Una delle differenze chiave tra la ICESCR e gli altri strumenti di diritto internazionale che proteggono i diritti umani è la mancanza di un meccanismo di reclamo192. Nonostante il Comitato durante questi anni abbia dimostrato una notevole abilità nel trarre obblighi concreti a carico degli stati partecipanti, la mancata possibilità di ricorsi individuali è sempre stata considerata come un elemento che non deponeva a favore dei diritti sociali, economici e culturali. Solo nel 1990 il Comitato ha iniziato a discutere la possibilità di dare vita ad un protocollo opzionale. Nella Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993 i membri del Comitato hanno espresso un forte sostegno per lo sviluppo di un protocollo opzionale che includesse la possibilità di svolgere udienze al fine di risolvere controversie sollevate da privati per violazione di uno degli articoli della ICESCR. La proposta è culminata in un report presentano durante la cinquantatreesima sessione della Commissione dell’Onu sui diritti umani nel 1997193. Nei tre anni successivi il draft è stato sottoposto ad una procedura di esame e di commento da parte degli stati e delle organizzazioni non governative. 4.2 Segue: il protocollo opzionale Dopo i primi documenti nei quali si ravvisava la necessità di realizzare uno strumento di reclamo anche per la ICESCR, nel 2003 il Consiglio dell’Onu per i diritti umani ha costituito ufficialmente un gruppo di lavoro/esperti (presieduto dalla portoghese Catarina de Albuquerque) per confezionare un protocollo opzionale194. Il tema centrale che ha interessato i lavori del gruppo di esperti è stato contrassegnato dalla verifica della possibilità di una “giustiziabilità” dei diritti sociali, economici e culturali. Dopo quattro sessioni di lavoro, nel 2007 un’ipotesi di 192
Un meccanismo che invece fin dal 1966 è stato previsto per la ICCPR a garanzia dei diritti civili e politici: Optional Protocol to the International Covenant on Civil and Political Rights. Adopted and opened for signature, ratification and accession by General Assembly resolution 2200A (XXI) of 16 December 1966 entry into force 23 March 1976. Cfr. http://www2.ohchr.org/english/law/ccpr-one.htm 193 Vedi il background descritto da C. MAHON, Progress at the Front: The Draft Optional Protocol to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, in Human Rights Law Review, 8, 2008, p. 621 e ss. 194 I report del Working Group sono disponibili nel sito http://www2.ohchr.org/english/issues/escr/intro.htm
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protocollo opzionale è stata presentata dal gruppo di lavoro alla Commissione sui diritti umani195 che ha imposto alcune modifiche, recepite poi dal gruppo di lavoro nella quinta sessione di lavoro, durante la quale, il 4 aprile 2008 attraverso il metodo del consensus il gruppo ha deciso di trasmettere il testo del protocollo opzionale al Consiglio sui diritti umani affinché procedesse all’approvazione del testo (avvenuta poi il 10 dicembre 2008196). Il protocollo opzionale (di seguito OP-ICESCR) è stato aperto alla firma il 24 settembre 2009. Quanto al contenuto l’OP-ICESCR prevede, come già ricordato, una nuova competenza quasi-giudiziale per il Comitato: è prevista la possibilità di una comunicazione da parte di individui e gruppi che asseriscono di essere state vittime di una violazione dell’ICESCR. A norma dell’art. 2, i reclami possono essere rivolti solo contro uno stato che ha firmato il protocollo e da persone che sono “sotto la giurisdizione” di uno stato parte197. Conformemente a tale tipo di procedure, i ricorsi possono essere presentati solo quando i rimedi interni sono stati già esperiti (art. 3) e sempre che non sia stata già avocata un’altra procedura internazionale198. L’OP-ICESCR garantisce inoltre la possibilità di adottare misure cautelari per evitare danni alle persone o pregiudizi irreparabili alle vittime in forza di una violazione della Convenzione (art. 5): l’esame del caso dovrà essere compiuto in un incontro ristretto dei membri del Comitato, i quali – se lo ritengono opportuno ed utile - potranno consultare la documentazione emanata dagli altri organi delle Nazioni Unite, da agenzie specializzate e da altri organismi specializzati, incluse le corti regionali e altri soggetti specializzati collocati a livello nazionale (art. 8). È inoltre previsto che quando il Comitato avrà raggiunto la propria opinione, la trasmetterà attraverso una comunicazione e una raccomandazione alle parti interessate (art. 9). Da questo momento lo stato parte ha sei mesi per dare una risposta scritta al Comitato, includendo informazioni circa ogni azione intrapresa per rispondere alle raccomandazioni ri195
Il progetto riconosce esplicitamente la competenza del Comitato a ricevere i ricorsi (articolo 1) che possono essere presentati sia dai singoli individui sia dai gruppi (articolo 2). 196 Risoluzione A/RES/63/117. 197 È previsto che il ricorso possa essere sollevato per conto di vittime delle violazioni ma solo con il loro consenso. 198 L’art. 3 prevede anche una serie criteri di ammissibilità della domanda che riguardano il “giudicato” ed altre cause di incompatibilità con la convenzione.
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cevute. È prevista, poi, una procedura detta di “informazione”, attraverso la quale il Comitato si può attivare per investigare su una grave e sistematica violazione dei diritti previsti nell’ICESCR e invitare lo stato in questione a cooperare per conoscere la fondatezza della asserita violazione199. Rispetto agli altri strumenti simili previsti a livello internazionale, il sistema dell’OP-ICESCR contiene delle particolarità che lo rendono diverso. Anzitutto, per l’inclusione del principio della “realizzazione progressiva” e il riferimento alle “risorse disponibili” previsti nell’art. 2 della ICESCR (art. 8, par. 4)200. Tale sistema differisce dagli altri strumenti di ricorso messi a punto dall’ONU perché include una previsione che permette al Comitato di filtrare i reclami che gli vengono presentati. Difatti, l’art. 4 prevede che “il Comitato può, se necessario, evitare di considerare una comunicazione nel caso in cui non appare che l’autore della stessa abbia subito un chiaro svantaggio, a meno che il Comitato non consideri che la comunicazione sollevi una questione seria e di interesse generale201“.
Il protocollo opzionale solleva una serie di questioni relativamente alla protezione internazionale dei diritti sociali che qui è necessario esaminare. La prima e più importante è certamente la questione legata alla giustiziabilità di tali diritti. Molto spesso tra coloro che si occupano di diritti fondamentali si intende con il termine giustiziabilità l’esistenza di una procedura o più in generale di un meccanismo per risolvere le violazioni presunte di un diritto. In questa ottica, i diritti sono giustiziabili se e nella misura in cui il meccanismo stesso prevede la decisione di un organo terzo (di solito un giudice), mentre non è giustiziabile se manca la possibilità di adire tale soggetto terzo202. 199
A norma dell’art. 11, questo tipo di procedura si applica solo se lo stato lo ha accettato (opt in). 200 Tale previsione guida il Comitato quando esamina una comunicazione a “considerare la ragionevolezza delle azioni intraprese dagli stati partecipanti in accordo con la parte II della Convenzione” (art. 8). 201 Nostra la traduzione. 202 Coloro che a livello internazionale si sono occupati in modo maggiore del tema dei diritti economici, sociali e culturali hanno sottolineato che una tale nozione di giustiziabilità può in fin dei conti risolversi in una tautologia o in una questione di tipo solo formale che non raggiunge l’effettiva protezione del
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Proprio la previsione di un meccanismo di tutela a livello internazionale giustifica un approccio diverso, di tipo sostanziale, al tema della giustiziabilità che guardi alla natura di questi diritti e alle obbligazioni che essi prevedono, oltre che ovviamente al fatto che la violazione sia suscettibile di una soluzione razionale e qualificata da parte di un’autorità con pieni poteri. Appare chiaro che la giustiziabilità dei diritti sociali ha a che fare con la pratica e completa risoluzione dei problemi che i diritti sociali sollevano e con la necessità di sollecitare/imporre un intervento dei soggetti politici incaricati dell’“implementazione” di tali diritti. La seconda questione che solleva il protocollo riguarda più da vicino il processo attraverso cui si è arrivati alla sua approvazione e l’approccio ai diritti sociali che gli stati hanno avuto durante le negoziazioni. La vicenda merita di essere analizzata in questo lavoro seppure per grandi linee. Come è stato ricordato in un modo molto preciso, il processo di negoziazione che ha portato all’OP-ICESCR «non ha portato ad un meccanismo che prendesse in considerazione le violazioni dei diritti ESC e le specificità di questi diritti», esso è piuttosto il riflesso degli antichi pregiudizi nei confronti di questi diritti203. Gli indizi di questa situazione si rinvengono proprio attraverso l’esame testuale del protocollo. L’art. 8 ne è forse il segno più evidente. Per determinare se uno Stato ha violato un diritto ESC, il Comitato deve considerare in senso positivo, in base al criterio della “reasonableness” (ragionevolezza), che esso aveva un grande ventaglio di possibili misure di policy per dare attuazione ai diritti previsti nella convenzione. Si noti che tale soluzione è stata preferita rispetto alla possibilità di inserire un richiamo al “margine di apprezzamento”, che avrebbe sicuramente consentidiritto sociale. Non basta la decisione di un giudice perché il diritto sia effettivo; occorre anche capire se poi questa decisione avrà un reale effetto sulla protezione del diritto. K. ARAMBULO, Strengthening the supervision of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: theoretical and procedural aspects; Strengthening the supervision of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: theoretical and procedural aspects, cit., p. 57, M.C. CRAVEN, The International Covenant on Economic, Social, and Cultural rights: a perspective on its development, cit., p. 102. 203 Vedi A. VANDENBOGAERDE, W. VANDENHOLE, The Optional Protocol to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: An Ex Ante Assessment of its Effectiveness in Light of the Drafting Process, in Human Rights Law Review, 2, 10, 2010, p. 219. (nostra la traduzione).
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to al Comitato di valutare con maggiore libertà il rapporto tra decisioni politiche e allocazione delle risorse. La ragionevolezza, invece, per il modo in cui è stata tradotta si trasforma in un margine troppo “ampio”, usando il quale il Comitato potrebbe essere molto più limitato nel giudizio sull’attuazione dei diritti. Ma la norma che forse desta maggiore preoccupazione per la sua capacità di frenare il ricorso al meccanismo di reclamo previsto nel protocollo, è contenuta nell’art. 4 dove si legge «il Comitato può, se necessario, evitare di considerare una comunicazione se da essa non emerge che l’autore ha sofferto un chiaro svantaggio, a meno che il Comitato non consideri che la comunicazione solleva un problema di importanza generale204». Questo requisito è chiaramente il frutto di una considerazione critica nei confronti dei diritti ESC. Tale criterio di ammissibilità potrebbe benissimo escludere casi che, pur essendo degni di considerazione, richiederebbero un supplemento di investigazioni da parte del Comitato205. Come si può vedere dall’esame specifico del protocollo sono emerse le questioni classiche che attengono all’affermazione dei diritti sociali in una prospettiva che considera il rapporto tra norme internazionali e obblighi degli stati. Ognuna di esse è l’esempio dell’unitarietà di tali diritti e della aterritorialità delle previsioni che li riguardano. 5. I DIRITTI SOCIALI NELLA CARTA SOCIALE EUROPEA (ESC) Le obbligazioni imposte dalla Carta delle Nazioni Unite vennero usate non solo come la base legale per la produzione delle regole sui diritti umani a livello internazionale, ma anche per la produzione di una serie di Carte regionali in Europa, in America e poi in Africa. A livello europeo l’organismo che si è fatto promotore della implementazione della filosofia ONU sui diritti umani è il Consiglio d’Europa (d’ora in avanti COE). Dei quasi cento trattati conclusi sotto la supervisione del COE, la Convenzione eu204
Nostra la traduzione. La presenza di questo criterio/soglia è stato determinato da un compromesso raggiunto durante i negoziati. Cfr. A. VANDENBOGAERDE, W. VANDENHOLE, The Optional Protocol to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights: An Ex Ante Assessment of its Effectiveness in Light of the Drafting Process, cit., p. 235. 205
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ropea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali (d’ora in avanti ECHR) approvata nel 1950 e la Carta sociale europea (d’ora in avanti ESC) approvata nel 1961 sono i due che hanno avuto il maggiore impatto. I due trattati erano stati concepiti dal COE come “complementari”206. Mentre nella ECHR erano state inserite previsioni relative alle libertà civili e politiche, nella ESC si trovavano le disposizioni sulla garanzia dei diritti sociali (con un particolare riguardo per le libertà e le forme di garanzia connesse al lavoro). Malgrado la comune origine, i due trattati hanno avuto una storia molti differente. Mentre la prima è stata approvata con notevole accordo ed è entrata in vigore nella prima metà degli anni Cinquanta, raggiungendo un successo che non deve neanche essere menzionato tanto è nota, la seconda ha vissuto una storia alquanto travagliata. Intanto l’ESC originaria è stata firmata nel 1961 ed è entrata in vigore dopo la quinta ratifica il 26 febbraio del 1965. Per molti anni, inoltre, la ESC ha vissuto in una sorta di “letargo”, dovuto soprattutto all’idea che i diritti in essa contenuti fossero privi di valore giuridico pieno207; un letargo dal quale si è svegliata solo grazie ai cambiamenti geopolitici accaduti dopo il crollo del muro di Berlino e al nuovo
206
Quando il Consiglio d’Europa decise di approvare i documenti internazionali diretti a proteggere i diritti umani, si decise di dividere, come stava avvenendo a livello ONU, la protezione dei diritti in due categorie: diritti civili e politici, da un lato, e diritti economici, sociali e culturali, dall’altra parte. Come accaduto a livello ONU per la ICCPR e la ICESCR, la distinzione a livello di COE riproduceva la divisione dell’Europa nel blocco occidentale e nel blocco orientale. Le democrazie occidentali vedevano nei diritti civili e politici l’obiettivo principale della protezione giuridica de diritti, mentre i paesi dell’Europa dell’est enfatizzavano l’aspetto economico, sociale e culturale dei diritti, in base all’ideologia socialista prevalente in questi paesi. La Carta è un documento internazionale (nonché fonte primaria di diritto interno, in forza della legge di autorizzazione) che all’interno del Consiglio d’Europa prevede la protezione di diciannove tipologie di diritti e le regole che ogni stato deve prendere per la loro attuazione/implementazione. Su questi aspetti vedi D. GOMIEN, D. HARRIS, L. ZWAAK, Law and Practice of the European Convention on Human Rights and the European Social Charter, Strasburg, Council of Europe Publishing, 1999, passim. 207 Sottolinea fortemente questo aspetto in contrapposizione al rilancio giuridico di cui è stata fatta oggetto la Carta F. OLIVERI, La Carta sociale europea tra enunciazione dei diritti, meccanismi di controllo e applicazione nelle corti nazionali. La lunga marcia verso l'effettività, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, 3, 8, 2008, p. 510.
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atteggiamento del COE verso la protezione dei diritti sociali208, di cui certamente le modifiche alla ESC avvenute nel 1988, nel 1991, nel 1995 e l’approvazione della ESC rivisitata nel 1996 sono l’esempio più eclatante. Ad oggi, dunque, sono in vigore ben cinque trattati che si riferiscono in generale al tema dei diritti sociali: - Carta sociale europea (ESC) originaria del 18 ottobre 1961; - Protocollo addizionale alla ESC del 5 maggio 1988; - Protocollo emendativo alla ESC del 21 ottobre 1991; - Protocollo addizionale alla ESC che prevede un sistema di reclamo collettivo, del 9 novembre 1995; - ESC rivisitata del 3 maggio 1996. La ESC originaria è strutturata in un Preambolo, cinque Parti e un appendice. Il Preambolo prevede gli scopo della Carta: consentire il godimento dei diritti sociali senza discriminazioni di ogni tipo; aumentare gli standard di vita delle persone; promuovere il benessere sia di chi vive nelle zone rurali sia di chi vive nelle zone urbane. I diritti protetti sulla base di questi obiettivi sono elencati in modo sintetico all’interno della Parte I della Carta e poi specificati nelle disposizioni della Parte II. I diritti sono divisi secondo cinque tipologie: il lavoro; i sindacati; protezione dei lavoratori; apprendistato e libertà di circolazione dei lavoratori. Il primo gruppo (articoli dall’1 al 4) include il: diritto al lavoro, il diritto a giuste condizioni di lavoro (orario di lavoro, ferie e periodo di riposo), il diritto alla sicurezza e a condizioni di lavoro sicure, il diritto ad un’equa remunerazione. I diritti che si riferiscono al secondo gruppo (articoli 5 e 6) riguardano invece la costituzione dei sindacati e la contrattazione collettiva. Il terzo gruppo (articoli 7, 8, 11-14, 16 e 17) ha a che fare con la protezione di certe categorie di lavoratori: minori; giovani, donne; il diritto alla protezione della salute, alla 208
Nel 1990, con la ratifica da parte del primo stato facente parte dell’ex blocco sovietico, l’Ungheria, il Consiglio d’Europa decise di rilanciare la Carta sociale tentando di allinearla alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ECHR). Come ricorda il Segretario esecutivo della Carta, Régis Brillat, la Carta «soffriva per tre gravi debolezze: la mancanza di visibilità; la mancanza di un sistema reale di supervisione che potesse avere la forza di influenzar le decisioni degli stati» (nostra la traduzione). Vedi R. BRILLAT, The European Social Charter and monitoring its implementation, in Social rights: challenges at European, regional and international level, a cura di N. ALIPRANTIS, I. PAPAGEORGIOU, Bruxelles, Bruylant, 2010, p. 43 e 44.
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sicurezza sociale e all’assistenza medica209. Il diritto alla formazione professionale è previsto, invece, negli articoli 9, 10 e 15 e questo diritto è specificamente rivolto a quelle persone che sono disabili per motivi fisici o mentali. Gli individui in ognuna di queste condizioni hanno diritti a che siano garantiti il diritto alla riabilitazione ed all’assistenza. La parte III della Carta prevede gli impegni ai quali le parti si sottopongono in relazione ai diritti previsti nella Parte I e II. L’articolo 20 obbliga tutti gli Stati parti a realizzare gli obiettivi della Parte I con ogni mezzo. A questo poi si aggiunge una previsione molto importante all’interno del sistema della ESC, quella che prevede l’obbligo delle parti di obbligarsi (cd. sistema à la carte) ad almeno cinque articoli della Parte II della Carta (tra 1, 5, 6, 12, 13, 16 e 19). Il punto IV della Carta, articoli 21-29, descrive le procedure attraverso le quali gli standard della Carta devono essere implementati. Elemento fondamentale di questa parte è il sistema di reporting, al quale ogni stato è soggetto, che obbliga questi ultimi a sottomettere un rapporto sullo stato di attuazione delle norme della Carta (come accade anche per la CESCR). Tale sistema, come vedremo più avanti parlando del protocollo che istituisce il reclamo collettivo, è stato sottoposto a numerose critiche, soprattutto per la inefficacia pratica e la scarsa affidabilità delle informazioni raccolte che non permettono al Comitato sui diritti sociali di verificare fino in fondo la veridicità delle informazioni raccolte210. 5.1 La ESC rivisitata Malgrado l’immediata efficacia delle sue disposizioni, per molto tempo la Carta è rimasta priva di efficacia giuridica per gli stati che l’avevano ratificata. Tanto che verso la fine degli anni ottanta essa è stata sottoposta ad alcune valutazioni critiche, soprattutto motivo del sistema di monitoraggio e controllo, ritenuto confuso, e alla mancanza di alcuni diritti ritenuti invece necessari per un documento del suo tenore. 209
Questi articoli contengono anche il diritto a beneficiare delle misure di welfare e il diritto della famiglia ad avere protezione sociale, economica e legale con particolare riferimento alle madri e ai figli. 210 Vedi sul punto A.G. MOWER, International cooperation for social justice: global and regional protection of economic/social rights, cit., p. 112; B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 159-160.
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Negli anni novanta del secolo scorso il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha autorizzato la costituzione di una Commissione ad hoc – il Comitato sulla Carta sociale europea – incaricato di sottoporre proposte per implementare l’effettività della Carta. Il lavoro del Comitato ha prodotto un Protocollo contenente gli emendamenti relativi ai rapporti degli Stati (1991), il Protocollo Addizionale (1995) che contiene un sistema di reclami collettivi che le parti sociali e le ONG internazionali accreditate al Consiglio d’Europa possono depositare contro gli stati inadempienti211. Questa vasta riforma tendeva non solamente ad attualizzare il catalogo dei diritti sociali, ma anche - e soprattutto – a rinforzarne la garanzia212. Il rilancio della Carta non ha riguardato solo gli aspetti procedurali, ma anche il contenuto sostanziale delle disposizioni: i nuovi diritti previsti dal protocollo del 1988 sono stati incorporati in una versione riveduta della Carta aperta alla firma nel 1996 ed entrata in vigore due anni dopo. In essa il corpo degli articoli originari del 1961 sono stati ampiamente rielaborati o specificati, mentre altri sono stati inseriti ex novo, anche alla luce dell’esperienza e del mutato contesto socio-politico. Inoltre è stata inserita, in analogia all’art. 14, ECHR, un’articolata disposizione in materia di non-discriminazione relativa al godimento dei diritti protetti dall’accordo. La riforma della Carta ha fatto crescere il numero delle ratifiche. Ad oggi, infatti, 43 (su 47) paesi membri del COE hanno ratificato la ESC in almeno una delle due versioni (30 lo hanno fatto già nella sua versione rivisitata)213. Nella sua versione rivisitata la Carta è divisa in sei parti – sui principi, sui singoli diritti protetti, sugli obblighi degli stati, sui meccanismi di controllo, su varie clausole attuative, sui procedimenti di adesione e
211
Vedi M. JAEGER, The Additional Protocol to the European Sodal Charter Providing for a System of Collective Complaints, in Leiden Tournal of InternationaI Law, 10, 1997, p. 69 e ss. Entrambi questi protocolli sono oggi entrati in vigore. http://conventions.coe.int/ 212 Tale era precisamente il destino del protocollo del 1995. La procedura di reclamo collettivo prevista - disegnata sulla base del meccanismo messo in atto all’interno dell’ILO per la protezione dei diritti sindacali - doveva in effetti permettere di migliorare la protezione effettiva dei diritti sociali pervisti all’interno della Carta. Vedi J.-F. AKANDJI-KOMBE, L'application de Ia Charte sociale europeenne Ia mise en oeuvre de Ia procedure de reclamations collectives, in Droit social, 9-10, 2000, p. 889. 213 Situazione aggiornata al 3 marzo 2010.
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denuncia – più un Preambolo e un Annex relativo all’interpretazione del testo e sua parte integrante214. La ESC rimane un documento esemplare quanto alle sue caratteristiche e allo spirito che la anima215, poiché «va oltre un’accezione puramente strumentale dei diritti sociali rispetto alle logiche economiche». Tale Convenzione, infatti, fu pensata anzitutto come strumento di tutela dei diritti dei popoli, prima ancora che come documento che vale solo per i cittadini europei e in speciale modo per i lavoratori migranti. Nonostante queste previsioni appare evidente la differente incisività rispetto ai rimedi previsti per la ECHR. Avere escluso un tale meccanismo di garanzia per i diritti sociali lascia intendere che i diritti sociali sarebbero una categoria diversa dagli altri diritti fondamentali216. Sia nella lettera che nella prassi, dunque, la Carta esprime chiaramente lo scenario entro cui si colloca, a partire da un doppio pregiudizio d’ineffettività: prima per la natura internazionale dei suoi obblighi, poi per il contenuto sociale delle sue disposizioni. È evidente, tuttavia, che ad oggi la separazione dei diritti sociali dalle altre categorie di diritti continua a reggere più su un piano politico (natura internazionale delle obbligazioni) che su un piano giuridico vero e proprio (struttura dei diritti sociali)217. Le resistenze che impediscono la piena effettività a livello nazionale della Carta sociale europea, sia in termini di politiche che di prassi delle corti, sono dovute in buona parte a motivi “esterni”, cioè la vicenda storica di costruzione degli statinazione moderni. Se perciò da un lato è vero che gli stati sono oggi sempre più in crisi, per effetto dei processi globali di denazionalizzazione e per effetto della costruzione di ordinamenti legali transnazionali e multilivello218, dall’altro non è sempre 214
Dal 1998 il Comitato di esperti indipendenti previsto già nel 1961 come istanza di controllo, e fornito dai due protocolli aggiuntivi di più chiare competenze, assume la denominazione di “Comitato europeo dei diritti sociali”. 215 Vedi D. BIFULCO, L'inviolabilità dei diritti sociali, cit., p. 327. 216 B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 163. 217 Op. cit., p. 163. 218 Per questo tema si rinvia in senso generale alle considerazioni di A. CARDONE, Diritti fondamentali (tutela multilivello dei), in Enc. dir., Ann., IV, Milano, 2011, p. 335 e ss. Per il caso specifico dei diritti sociali vedi D. TEGA, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, in Gruppo di Pisa, http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2012/09/TegaDEF.pdf, 2012
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chiaro se queste tesse trasformazioni inducano effettivamente un ampliamento nella capacità delle persone di compiere scelte autonome di vita, estendendo i diritti prima proclamati solo per i cittadini anche a quelle persone che de jure o de facto sono escluse dalla cittadinanza219. Rimane però il fatto che ESC ha avuto un’incidenza notevole all’interno dei cataloghi dei diritti nazionali, specie di quelle Costituzioni approvate durante gli anni novanta dai paesi dell’ex blocco comunista, ed è stata più volte invocata all’interno delle giurisdizioni di quei paesi (anche dell’Italia), che la considerano come direttamente applicabile ed invocante dei principi che si impongono nell’interpretazione dei testi nazionali220. 5.1.1 Il Comitato europeo dei diritti sociali Passiamo ora ad analizzare le norme sugli organi della ESC. Il Comitato europeo per i diritti sociali (ECSR) è un organo indipendente composto da esperti in materia di politiche sociali e di diritto. Il Comitato, originariamente chiamato “Comitato di esperti”, è composto da 15 membri, anche essi indipendenti e imparziali, nominati dal Consiglio dei ministri per un periodo di sei anni, rinnovabile una volta. Come abbiamo già visto esso gioca un ruolo chiave sia nell’attività di reporting sia nella procedura di reclamo, malgrado in tutti e due i casi la decisione finale spetti al Consiglio dei ministri del COE, unico organo abilitato a inviare raccomandazioni agli stati membri. A parte queste considerazioni, l’ESCR è l’unico organo dotato del potere di dare un’interpretazione autentica della Carta221, operazione spesso necessaria per via 219
F. OLIVERI, La Carta sociale europea tra enunciazione dei diritti, meccanismi di controllo e applicazione nelle corti nazionali. La lunga marcia verso l'effettività, cit., p. 509 e ss. 220 In senso problematico sul punto vedi A. SPADARO, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo "modello sociale europeo": più sobrio, solidale e sostenibile) in AIC - Associazione italiana dei costituzionalisti, http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/articolorivista/i-diritti-socialidi-fronte-alla-crisi-necessit-di-un-nuovo-modello-sociale-europeo, 4, 2011, p. 10 e ss. 221 L’art 24, parte 4, della Carta rivisitata prevede che il Comitato valuti «da un punto di vista legale la conformità del diritto e della prassi nazionali per quanto riguarda gli obblighi derivanti dalla Carta».
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dell’ampiezza delle disposizioni di quest’ultima. Tali interpretazioni, insieme alle considerazioni che seguono i report degli stati e alle decisioni sui reclami, rappresentano quella che viene spesso chiamata “giurisprudenza” della ECSR. Diversamente dagli altri organi simili, come l’ICESCR dell’ONU o la Commissione sui i diritti umani, la ECSR non produce però “commenti generali” che seguono l’attività di controllo e monitoraggio relativa al trattato222. Negli ultimi anni è divenuto sempre più chiaro che il ruolo dell’ECSR è prioritariamente quello di «decidere sulla conformità alla Carta delle situazioni nazionali223». Ciò ha avuto un effetto benefico decisivo sia per l’organo sia per i diritti sociali previsti dalla Carta, la cui effettività è stata certamente rafforzata dalle decisioni prese. 5.2 Struttura dei diritti previsti nella Carta Su un piano tematico i diritti previsti nella ESC (originaria e rivisitata) possono essere divisi in due grandi parti: i diritti che riguardano più da vicino i lavoratori e i diritti che riguardano le altre categorie di persone. I primi proteggono tutte le condizioni in cui si trovano i lavoratori, dal loro accesso fino al termine dell’attività. I secondi – meno sviluppati nel testo originario della Carta – si riferiscono alla coesione sociale ed economica e partecipano di una certa idea della posizione sociale della persona, protetta non in base al suo apporto produttivo ma alla sua qualità ed alla partecipazione al corpo sociale224. Il testo della Carta rivisitata segna un notevole passo avanti in questa direzione. Da un punto di vista strutturale, poi, tanto la carta originale quanto la carta rivisitata distinguono i “core rights” dai “non
222
Comunque a partire dal 2006 la ECSR ha pubblicato una raccolta contenente i casi relativi alla Carta rivisitata. U. KHALIQ, R. CHURCHILL, The European Committee of Social Rights Putting Flesh on the Bare Bones of the European Social Charter, in Social Rights Jurisprudence. Emerging Trends in International and Comparative Law, a cura di M. LANGFORD, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, p. 428-429. 223 G. GORI, II Comitato europeo dei Diritti sociali: il ruolo e l'azione dell' organa di controllo della Carta sociale europea, 2009, p. 196. 224 J.-F. AKANDJI-KOMBE, L'application de Ia Charte sociale europeenne Ia mise en oeuvre de Ia procedure de reclamations collectives, cit., p. 888.
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core rights”225. La differenza tra questi due gruppi deriva dalla facoltà che è data agli stati di ratificare la Carta senza accettare tutti i diritti previsti nella stessa (approccio à la carte): le parti della Carta originale dovevano accettare almeno 5 dei 7 core rights e in totale almeno 10 dei 19 articoli o 45 dei 72 paragrafi numerati; per quanto riguarda la Carta rivisitata le parti che ratificano devono accettare almeno 6 dei 9 core rights e nel complesso almeno 16 dei 31 articoli oppure 63 dei 98 paragrafi numerati. La ragione alla base di questa possibilità di opzione è alquanto semplice. Nel momento in cui venne prevista la Carta i paesi membri del Consiglio d’Europa decisero di abbassare la soglia, invogliando così anche gli stati meno progrediti da un punto di vista sociale ed economico a ratificare la Carta226. Sul piano della scrittura, le norme della Carta hanno le caratteristiche tipiche delle disposizioni di diritto internazionale: prevedono la protezione di una serie di diritti e stabiliscono le relative obbligazioni da parte degli stati che firmano il trattato. A differenza delle norme della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, i diritti che si possono trovare nella ESC non hanno generalmente la 225
Nella Carta di Torino c’erano sette core rights: il diritto al lavoro; il diritto a formare un sindacato o un’associazione di datori di lavoro; il diritto alla negoziazione collettiva; il diritto all’assistenza medica e sociale; la protezione legale, economica e sociale della famiglia; la protezione dei lavoratori migranti. La Carta rivisitata aggiunge due nuovi core rights: la protezione dei fanciulli e il diritto ad avere eguali opportunità e eguale trattamento nel campo del lavoro. Alla categoria dei non core rights appartengono: il diritto a giuste condizioni di lavoro; il diritto a condizioni di lavoro sicure e salutari; il diritto ad una giusta retribuzione; il diritto all’orientamento, alla formazione e al riadattamento professionale; una protezione sociale per minori, donne, disabili, persone anziane, migranti e in generale per tutte le categorie deboli; diritto alla salute; diritti ad accedere ai servizi di welfare. Il protocollo del 1988 ha aggiunto quattro ulteriori non core rights alla Carta: il diritto alle eguali opportunità e all’eguale trattamento dei lavoratori; il diritto dei lavoratori ad essere informati e consultati nel luogo di lavoro; il diritto dei lavoratori a prendere parte nelle determinazioni e nel miglioramento delle loro condizioni di lavoro; la protezione sociale durante il periodo di vecchiaia. La Carta rivisitata aggiunge ulteriori otto non core rights: il diritto alla protezione in caso di licenziamento; la garanzia dei crediti dei lavoratori nel caso di insolvenza del datore di lavoro; la dignità del lavoro; l’eguale opportunità e trattamento dei lavoratori con impegni familiari; la protezione delle rappresentanze dei lavoratori nel luogo di lavoro; il diritto all’informazione e alle consultazioni nel caso di procedure di licenziamento collettivo; la protezione contro la povertà e l’esclusione sociale; il diritto all’abitazione. 226 U. KHALIQ, R. CHURCHILL, The European Committee of Social Rights Putting Flesh on the Bare Bones of the European Social Charter, cit., p. 429.
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natura di diritti “programmatici” (o “progressivi”, come si usa nel linguaggio internazionale), cioè non devono essere implementati gradualmente dagli stati membri secondo l’entità delle proprie risorse, ma hanno un’efficacia immediata (immediatamente precettivi, secondo il linguaggio italiano). La Carta non possiede una delle caratteristiche che hanno i trattati contenenti i diritti economici e sociali, nei quali la maggior parte dei diritti sono fraseggiati in modo vago ed esortativo. Anzi, per quanto concerne i diritti che riguardano i diritti dei lavoratori il linguaggio usato è talmente preciso da lasciare intendere che si tratta di diritti che possono ottenere una garanzia giudiziale immediata (senza interposizione del legislatore interno)227. La struttura complessa della Carta, che unisce una parte di enunciazione dei diritti ad una parte dedicata alla specificazione degli obblighi, consente di distinguere in modo molto netto i diritti dei singoli dagli obblighi in capo agli stati. L’aspetto della enunciazione risalta nelle previsioni che attribuiscono vere e proprie situazioni soggettive228; mentre l’individuazione delle azioni e dei comportamenti pubblici corrispondenti alle pretese sono specificamente formulate nelle disposizioni della seconda parte, in cui ciascun diritto ha le misure necessarie alla implementazione229. 5.3 Il protocollo contenente la procedura di reclamo Si è già ricordato che tra le maggiori innovazioni contenute nel pacchetto di riforme che ha subito la Carta, la più significativa è certamente il protocollo che garantisce alle organizzazioni internazionali dei datori di lavoro, alle altre organizzazioni internazionali non governative accreditate presso il Consiglio d’Europa e alle organizzazioni sindacali nazionali la possibilità di presentare reclami diretti a sanzionare un’insoddisfacente 227
I diritti contenuti nella Carta riguardano solo i cittadini degli stati membri e coloro che sono in essi residenti o lavorano regolarmente. La giurisdizione della ESC è dunque esclusa per coloro che non hanno un legame con lo stato membro, come invece accade per i diritti garantiti nella CEDU. Op. cit., p. 429 e ss. 228 R. BRILLAT, The European Social Charter and monitoring its implementation, cit., p. 46. 229 Su tali aspetti v. gli esempi di B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 161.
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attuazione della Carta230. Il sistema di reclamo è il primo esempio di processo quasi-giurisdizionale a livello internazionale che riguarda i diritti sociali. Secondo il Report esplicativo del Protocollo l’introduzione del sistema di reclamo collettivo è «diretta ad incrementare l’efficienza dei meccanismi di supervisione basati fino a quel momento solo sulla sottomissione dei report governativi. In particolare questo meccanismo dovrebbe aumentare la partecipazione delle associazioni di categoria e le associazioni non governative231». Vale la pena rimarcare i fatti che portarono alla preparazione del protocollo addizionale232. La procedura di reclamo collettivo fa parte di quel processo di rivitalizzazione della Carta iniziato nel 1990 con la creazione da parte del Comitato dei ministri di un Comitato sulla ESC (generalmente conosciuto come il Comitato Charte-Rel) il cui compito era specificamente quello di proporre un rilancio della Carta stessa. Fu durante il secondo incontro, nel maggio del 1991, che il Comitato Charte-Rel decise di istituire un gruppo di lavoro per produrre una proposta di protocollo addizionale che introducesse il sistema di reclamo collettivo. In seguito alla proposta del gruppo di lavoro il comitato Charte-Rel adottò la bozza di protocollo addizionale nel settembre 1991. L’articolato fu discusso – in modo non risolutivo - durante la conferenza ministeriali che si tenne a Torino nell’ottobre del 1991 in occasione del trentennale della firma della ESC. A seguito della conferenza di Torino il Comitato Charte-Rel continuò ad esaminare il progetto di protocollo e riuscì a finalizzare il testo definitivo nel maggio 1992, trasmettendolo poi al Comitato dei ministri. Quest’ultimo, dopo aver consultato l’assemblea parlamentare del COE adottò il testo del protocollo nel giugno 1999 aprendo alle firme degli stati il 9 novembre 1995233. L’approvazione e l’entrata poi in vigore del protocollo nel 1998 hanno avuto un notevole effetto sulla procedura di control230
Art. 1 del Protocollo. Explanatory Report on the Collective Complaints Protocol (1995), parr. 1– 8, http://conventions.coe.int/treaty/en/Reports/HTML/158.htm (nostra la traduzione). 232 Su questi aspetti vedi approfonditamente: R. BRILLAT, The European Social Charter and monitoring its implementation, cit., p. 422-423. 233 Secondo l’art. 14, comma 1, il protocollo richiede cinque ratifiche per entrare in vigore. Questa condizione si è realizzata nel maggio del 1998 e conseguentemente il protocollo è entrato in vigore il 1° luglio 1998. 231
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lo internazionale di applicazione della Carta. Le novità possono essere sommariamente inquadrate in due punti. In primo luogo, cambia del tutto la valutazione a cui la Carta e il comportamento degli stati erano sottoposti. L’introduzione di una procedura di reclamo ha rinnovato il modo classico di rapporto tra gli stati legato ad una valutazione periodica dei progressi sulla via della attuazione delle norme della Carta. Nella procedura di reclamo intervengono parti private (seppure soggetti collettivi), ma che creano una situazione nella quale gli stati sono chiamati a rendere ragione del proprio comportamento nel contraddittorio con altri soggetti. Vi è una vera e propria tendenza verso la giurisdizionalizzazione (o quasi-giurisdizionalizzazione) della garanzia dei diritti proclamati nella ESC234. In secondo luogo, perché si tratta di una procedura di reclamo che abilita soggetti privati – quindi non gli stati – ad agire a livello internazionale per sanzionare la violazione di un diritto sociale. La scelta, come si può comprendere, è il frutto di un compromesso tra chi riteneva sufficiente il sistema dei rapporti periodici degli stati e chi invece spingeva per l’introduzione di un sistema giurisdizionale mosso da un ricorso individuale al ECSR. La procedura prevista nel protocollo, dunque, è parziale e non si può evitare di affermare che certamente l’obiettivo raggiunto nel 1995 rappresenta solo un primo passo, al quale dovrà certamente far seguito una successiva fase al termine della quale si potrà arrivare ad una procedura veramente giurisdizionale. È importante notare fin dall’inizio che il sistema permette solo ricorsi individuali e non collettivi. Ciò di solito si fa risalire al fatto che nel momento in cui il Protocollo fu negoziato i membri del Consiglio d’Europa non erano preparati ad accettare l’introduzione di un diritto di petizione individuale235. 5.3.1 Soggetti abilitati a proporre i reclami Ci sono quattro tipi di organizzazioni che hanno la facoltà di proporre reclami all’interno del sistema creato dal Protocollo. 234
Per questi aspetti vedi le considerazioni che negli ultimi hanno ha svolto la dottrina di lingua francese. Su tutti: J.-F. AKANDJI-KOMBE, L’application de la Charte sociale europeenne Ia mise en oeuvre de Ia procedure de reclamations collectives, cit., p. 889. 235 Perciò i reclami possono essere effettuati solo da un certo tipo di organizzazioni e non dagli individui e dagli stati membri.
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Il primo comprende le organizzazioni internazionali di datori di lavoro e di sindacati che appartengono alla categoria degli osservatori che hanno diritto a partecipare alle riunioni del Comitato dei ministri dedicate alla verifica dei report inviati dagli stati. Le organizzazioni che soddisfano tali requisiti sono tre: la Confederazione europea dei sindacati, l’Unione delle confederazioni dell’industria e delle imprese europee, l’Organizzazione internazionale delle imprese. Il secondo tipo di organizzazioni titolari del diritto di presentare reclami sono le cd. altre organizzazioni non governative che hanno lo status di “soggetti consultati” dal Consiglio d’Europa e per questo inseriti in una lista tenuta dal Consiglio dei ministri236. Per essere inseriti nella lista, una associazione non governativa deve dimostrare che ha accesso a fonti autorevoli di informazioni ed è capace di dare prova delle proprie affermazioni attraverso forme legali. Tali soggetti sono inseriti nella lista per un periodo di quattro anni rinnovabili. Al momento attuale sono iscritte sessanta organizzazioni non governative. Alcuni autori hanno affermato che è un numero sorprendentemente piccolo, se paragonato con la quantità di organismi non governativi che sono nella lista di soggetti che possono essere consultati dal Consiglio d’Europa237. A dire il vero il meccanismo creato rappresenta un filtro alquanto sovradimensionato, tenuto conto del fatto che allo stesso risultato si sarebbe potuti arrivare attraverso la predisposizione di un meccanismo di verifica dell’ammissibilità più adeguato. Il terzo tipo di organizzazioni titolari del diritto di reclamo sono le organizzazioni nazionali rappresentative dei lavoratori e dei sindacati che agiscono all’interno della giurisdizione degli stati membri contro i quali hanno presentato la domanda. Spetta poi alla ECSR quando si occupa di verificare l’ammissibilità del reclamo, determinare se tali sindacati siano effettivamente “rappresentativi”238. Il quarto ed ultimo tipo di soggetti titolari del diritto a proporre un reclamo sono le altre organizzazioni comprese 236
Le organizzazioni di questa seconda categoria sono titolari del diritto di reclamo solo per quelle questioni per le quali – sulla base dello statuto e della loro effettiva attività - sono riconosciute come dotate di una “particolare competenza”. 237 R. BRILLAT, The European Social Charter and monitoring its implementation, cit., passim. 238 La ECSR ritiene che la rappresentatività dei sindacati sia un “concetto autonomo, oltre l’ambito delle considerazioni nazionali così come del contest delle relazioni collettive domestiche”.
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nella dizione “altre ONG rappresentative” con “particolari competenze sulle questioni governate dalla Carta”239. 5.3.2 Oggetto del reclamo La procedura di reclamo inizia con un documento redatto da un soggetto qualificato che scrive al segretario dell’ECRS affermando che lo stato parte “non ha assicurato l’attuazione completa” di una o più previsioni della Carta alle quali è obbligata. I reclami formulati dalle prime due categorie di soggetti abilitati, cioè le organizzazioni internazionali, devono essere redatti in una delle lingue ufficiali del Consiglio d’Europa, mentre i reclami da parte dei sindacati nazionali, dalle organizzazioni degli imprenditori e dalle associazioni non governative devono essere redatte anche in un altro linguaggio. La terminologia usata dal protocollo che prevede il diritto di presentare reclami adducendo «un’attuazione insoddisfacente della Carta» rappresenta un’espressione giudicata da alcuni autori “inusuale”240. La ragione del cambiamento non è scontata ed il Rapporto esplicativo frequentemente usa il termine “conformità” invece che “attuazione soddisfacente” (vedi per esempio i paragrafi 11 e 31). La terminologia della applicazione insoddisfacente può essere spiegata facendo riferimento al fatto che in molti dei trattati contenenti i diritti civili e politici il soggetto che sporge denuncia deve anche dimostrare di essere “vittima di una violazione” di un diritto riconosciuto. In questo caso, invece, siamo di fronte a disposizioni che non permetterebbero di dimostrare che c’è una violazione, perché formulate secondo il linguaggio delle norme programmatiche che non permetterebbero di individuare con precisione il nesso tra un comportamento e il pregiudizio subito241. D’altronde una formula239
R.R. CHURCHILL, U. KHALIQ, The Collective Complaints System of the European Social Charter: an effective mechanism for ensuring compliance with economic and social rights?, in European Journal of International Law, 3, 15, 2004, cit., p. 424. 240 Birk, ad esempio, sottolinea che il termine “attuazione insoddisfacente” (o meglio, nella versione originale “unsatisfactory application”) non appartiene alla categoria delle espressioni legali. Sarebbe stato meglio usare la parola “conformità” (o meglio compliance), che è usato dalla Carta in connessione con il ruolo della ECSR nel sistema di reporting. Vedi op. cit. 241 Come fanno notare gli autori citati «one of the themes of whose writings on the Charter is that economic and social rights are unjustifiably much more weakly protected by the Council of Europe than civil and political rights, ar-
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zione simile è contenuta anche nell’art. 24 della Costituzione dell’OIL. Prima di decidere nel merito la ECSR deve stabilire se il reclamo è ammissibile. Per operare questo giudizio, come già abbiamo detto, non è prevista una particolare procedura. I requisiti di ammissibilità sono previsti nell’art. 4 del Protocollo, dove si legge che «il reclamo deve essere scritto, riferirsi ad una previsione della Carta accettata dallo stato parte interessato e deve indicare in che modo questo non ha assicurato l’attuazione soddisfacente della previsione»242. A differenza di molti trattati sui diritti umani, il Protocollo non contiene dunque un’esplicita e completa lista di condizioni che devono essere realizzate prima che un reclamo sia considerato ammissibile. Nonostante ciò, nei fatti la ECSR applica una serie di condizioni di ammissibilità chiedendo l’adempimento di alcune verifiche prima che il reclamante agisca243. Qualora una richiesta sia giudicata ammissibile la ECSR passa all’esame del merito. In questo caso verrà chiesto al reclamante e al soggetto convenuto di esprimere la propria opinione in merito alla domanda presentata. Come in tutti i consessi internazionali, anche gli altri Stati parti del Trattato possono partecipare al giudizio sottoponendo loro deduzioni; lo stesso vale per le organizzazioni non governative che hanno la stessa caratteristica del reclamante. Sulla base del materiale scritto, delle udienze e del report preparato dal relatore, la ECSR delibera nel merito a porte chiuse e stila un documento finale che riporta tutti i fatti accaduti e le conclusioni cui il collegio arriva in merito alla “applicazione satisfattiva” delle previsioni (parametro) della carta che si assumono violate. Le conclusioni dell’ECSR non chiudono la procedura. Esse sono trasmesse al Comitato dei ministri che prende la decisione finale sul reclamo, della quale poi sarà data comunicazione alle parti e all’Assemblea del Consiglio d’Europa244.
gues that the difference in terminology between the ECHR and the Charter indicates the ‘inferior status of social rights’ protected under the Charter because a ‘violation’ is implicitly a ‘much more serious matter’ than ‘unsatisfactory application’». Op. cit. p. 416. 242 R.R. CHURCHILL, U. KHALIQ, The Collective Complaints System of the European Social Charter: an effective mechanism for ensuring compliance with economic and social rights?, cit., p. 64. 243 Op. cit., p. 432. 244 Art. 9 del Protocollo.
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5.3.3 Valutazioni sulla procedura di reclamo La descrizione della procedura di reclamo non può che terminare con un giudizio sintetico sull’intera procedura che possa mettere in evidenza i problemi di tale meccanismo. Il primo rilievo riguarda in generale i poteri del Comitato. Quest’ultimo ha solo limitati poteri nella procedura di reclamo. Una volta accertata la violazione della ESC esso è costretto a proporre delle conclusioni che sono inserite in un rapporto consegnato al Comitato dei ministri, il quale può anche decidere per il mero invio di una raccomandazione allo Stato in oggetto. Come si può intendere il meccanismo previsto dal Protocollo del 1995 è il frutto di un compromesso fondato sulla volontà di rafforzare la procedura di reporting senza però introdurre un controllo di tipo giurisdizionale. Tale meccanismo non si può certo paragonare con il sistema della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche se è chiaro che è con questa che l’ECSR viene per primo confrontato245. Il secondo rilievo riguarda la procedura di ammissibilità dei reclami. Dato che i singoli non possono proporre domanda, né è richiesta l’individuazione di una “vittima” o di aver esaurito le vie giudiziarie interne e dover rispettare un termine temporale preciso, la ESCR ha tenuto un approccio alquanto “liberale” nella valutazione dell’ammissibilità, tanto che sono davvero pochi i reclami rigettati per mancanza dei requisiti di procedura246. Certamente questo dato non depone a favore del sistema creato, poiché, da un lato, lascia comprendere quanto sia stato limitato l’uso dei reclamo e, dall’altro, fa supporre che il controllo preliminare dei reclami da parte dell’ESCR sia nei fatti molto debole. 5.4 Notazioni a margine della protezione internazionale dei diritti sociali L’esame condotto fino ad ora ha fatto emergere un numero elevato di dati che insieme vanno a comporre il quadro della protezione internazionale dei diritti sociali. Le carte internazio245
J.-F. AKANDJI-KOMBE, L'application de Ia Charte sociale europeenne Ia mise en oeuvre de Ia procedure de reclamations collectives, cit., p. 889. 246 Secondo i dati in nostro possesso allo stato attuale sono state sottoposti 67 reclami alla ESCR. http://www.coe.int/t/dghl/monitoring
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nali approvate fino ad ora hanno un indubbio valore anche per un’indagine che si colloca nel solco del diritto costituzionale. Le esperienze internazionali di protezione dei diritti sociali offrono allo studioso del diritto interno l’esempio di un nuovo approccio ai problemi legati all’effettività e alla attuazione dei diritti sociali che coinvolge tanto gli attori pubblici quanto gli attori privati. In questi testi emergono, infatti, le più importanti questioni costituzionali che riguardano i diritti sociali: la natura, la giustiziabilità, l’effettività, la dimensione “sociale” della garanzia, l’implementazione delle disposizioni di principio, ecc. La prima importante lezione che questi documenti internazionali ci danno, dunque, riguarda la ragione stessa dell’esistenza di previsioni che contengono libertà sociali all’interno delle “carte” dei diritti. L’uso del linguaggio dei documenti internazionali non solo esprime la prospettiva che i diritti siano garantiti in modo universale e incondizionato, ma consente che l’azione di quei gruppi organizzati a livello nazionale e internazionale possa pescare in questo linguaggio per articolare la propria azione. In questo senso, il protocollo sul reclamo introdotto all’interno del sistema della ESC rappresenta il passaggio successivo di questo processo, attraverso il quale si offre a certe organizzazioni, che già stavano usando la Carta come uno strumento per le loro azioni, un mezzo in più per la difesa dei diritti che esse supportano. Ovviamente, la formalizzazione dei diritti è il primo step per riconoscere il particolare valore di alcuni beni giuridici rispetto ad altri ma non basta, in quanto rappresenta un punto di partenza sulla via della protezione che dovrà essere completata con strumenti che offrano una garanzia idonea al bisogno sociale espresso con quel diritto. La seconda questione che tali documenti aiutano a mettere in luce riguarda la “gerarchia” dei diritti. La tradizionale tassonomia che divide in modo netto i diritti civili e politici dai diritti sociali ed economici ci ha abituati a ragionare in modo gerarchico e per “età”. I documenti internazionali dimostrano tutta l’incoerenza di tale approccio, che poteva avere un senso nel periodo della guerra fredda, ma che non trova alcun riscontro nella realtà. La distinzione a livello ONU tra ICCPR e ICESCR è la conseguenza di un particolare assetto geopolitico, tanto che la differenza strutturale tra i diritti ne è il risultato (e non la causa). I diritti sociali, perciò, possono essere immediatamente considerati come diritti umani e non come mere aspirazioni che gli stati possono (ma non devono) realizzare.
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Anche il problema della giustiziabilità viene ridimensionato dopo l’esame delle esperienze internazionali247. I diritti economici e sociali sono stati tradizionalmente considerati privi del crisma della giustiziabilità, una qualità che invece è riconosciuta ai diritti civili e politici. La ragione usualmente data è che i diritti sociali ed economici sono spesso considerati programmatici o progressivi in sé e che molti di questi diritti sono espressi in un linguaggio che è molto impreciso e perciò difficilmente utilizzabile in giudizio. Perciò una considerazione tradizionale è stata che solo corpi che sono incaricati dell’attuazione dei trattati contenenti diritti civili e politici dovrebbe essere in grado di prevedere mezzi di ricorso per la violazione di questi e avere il potere di dare effettività a queste decisioni. Sebbene vi sia un certo grado di verità in queste argomentazioni, esse non sono da prendere come vere in toto. Come è noto, il meccanismo adottato per l’attuazione delle norme contenute nell’ International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR) e l’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (ICESCR) furono il risultato di un compromesso politico tra est e ovest. Ma soprattutto quello che non regge è la categorizzazione stessa dei diritti. Concepire che tutti i trattati che promuovono i diritti economici e sociali sono incapaci di generare norme utilizzabili in giudizio è una semplificazione eccessiva. Anzitutto perché essa non tiene conto dell’esistenza di disposizioni dalle quali si può ricavare l’esistenza di un diritto in capo alla persona singola senza che vi sia la necessità di una traduzione giuridica all’interno di una legge statale (come ad esempio le disposizioni sul diritto alla salute o le disposizioni che prevedono il diritto alla retribuzione equa). Inoltre, accanto alle disposizioni immediatamente precettive ve ne sono altre suscettibili di attuazione, il cui contenuto precettivo non si può considerare “sospeso” fino a che lo Stato non si attivi. Certo vi può essere un problema nel determinare quando è che lo stato attua tali disposizioni, ma da questo non si può trarre come conclusione che esse non hanno valore giuridico ma solo politico o esortativo. Oltretutto vi sono molti Stati, tra cui l’Italia, dove le Corti costituzionali e le corti supreme hanno riconosciuto che non è possibile considerare diversamente le norme programmatiche dalle altre norme immediatamente precettive perché la Costituzione è una quanto 247
Attenzione a non confondere però il problema della giustiziabilità con il “ruolo delle corti” nella tutela dei diritti sociali. Su questo vedi C. GEARTY, V. MANTOUVALOU, Debating Social Rights, cit., p. 102.
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a valore normativo. È importante notare, perciò che non c’è niente nella struttura dei diritti sociali che esclude l’uso giudiziario dei diritti sociali ed economici248. Se si guarda al preambolo della ICESCR si può trovare una risposta interessante al pregiudizio che sottolinea lo scarto tra previsione normativa e realtà pratica nei diritti sociali. L’idea base è che i diritti sociali non sarebbero veri diritti perché sarebbe troppo complesso determinare quando si ha la loro completa realizzazione. Le persone non se ne farebbero nulla di previsioni che non riescono ad usare perché troppo vaghe. L’ultima considerazione contenuta nel preambolo della ICESCR ricorda che ogni «individuo, in quanto ha doveri nei confronti degli altri individui e della comunità cui appartiene, ha la responsabilità di battersi per la promozione e l’osservanza dei diritti riconosciuti» nella Convenzione. I diritti, dunque, richiedono uno sforzo. La loro proclamazione richiede che ciascuno debba “lottare” per esso. Se è vero che siamo titolari fin dalla nascita di certi diritti, è altrettanto vero che dobbiamo lavorare per ottenerne garanzia. I diritti sono un risultato concreto verso cui tendiamo e non un complesso di facoltà di cui siamo dotati alla nascita. Pertanto dobbiamo accettare che sia anzitutto la politica ad occuparsi della realizzazione di questi obiettivi e solo in seconda istanza i giudici249. Il processo di regionalizzazione delle carte dei diritti (di cui la ESC è uno degli esempi più interessanti) opera in questa direzione. Le specificazioni delle Carte dell’ONU cercano di reagire alla necessità di porre le basi per la realizzazione politica dei diritti. La ricerca di una contiguità territoriale, di una maggiore omogeneità dei diritti, tali da farli aderire meglio alla tradizione di un continente, mira a creare un ambiente giuridico più favorevole che possa consentire una migliore conoscenza e presa di responsabilità di fronte agli obblighi di garanzia previsti250. Tutte queste Carte non vanno esenti da problemi. Molti sono stati evidenziati in precedenza. Le dichiarazioni approvate a valle della UDHR soffrono di quella che chiamerei eccessiva ampiezza concettuale delle dichiarazioni internazionali. In tutte le Carte si tende a mettere insieme categorie di diritti molto di248
Vedi R.R. CHURCHILL, U. KHALIQ, The Collective Complaints System of the European Social Charter: an effective mechanism for ensuring compliance with economic and social rights?, cit., p. 419. 249 Vedi C. GEARTY, V. MANTOUVALOU, Debating Social Rights, cit., p. 24. 250 Vedi B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 140.
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verse senza un’idea sintetica che sia dietro a questi diritti. Anche lo stesso collegamento tra diritti sociali e diritti economici spesso sconta il tentativo di voler comprendere in unico documento diritti dal tenore diverso senza dare spiegazione del criterio sottostante a questo accostamento251. Ma ciò di cui questi strumenti internazionali sono certamente mancanti è il supporto agli stati parti dei trattati nella implementazione di queste norme252. Malgrado un certo numero di indicatori suggerisca che le disposizioni dei trattati abbiano ricevuto un endorsement da parte di numerosi stati che considerano indubbiamente le disposizioni delle convenzioni come giustiziabili, ancora manca molto da compiere sul fronte del riconoscimento dei diritti sociali come diritti che hanno a che fare con la libertà dell’individuo e non solo con le obbligazioni positive in capo agli stati253. 6. LA PROTEZIONE DEI DIRITTI SOCIALI ALL’INTERNO DEL DIRITTO EUROPEO All’interno dell’indagine sugli strumenti per la protezione dei diritti sociali non può mancare l’esame del diritto dell’Unione europea. La ragione dell’importanza di questo livello è alquanto evidente. Attualmente, in forma diretta o indiretta, cioè per via dei vincoli finanziari imposti agli stati a fronte della partecipazione all’Unione e ai vincoli legati alla moneta unica254, la decisione su molti diritti sociali può essere ricondot-
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A questo si aggiunga poi che le situazioni giuridiche soggettive sono definite in modo diverso in tutti i documenti. I. KOCH, Human Rights as Indivisible Rights: the Protection of Socio-economic Demands Under the European Convention on Human Rights, cit. 252 M.J. DENNIS, D.P. STEWART, Justiciability of Economic, Social, and Cultural Rights: Should There Be an International Complaints Mechanism to Adjudicate the Rights to Food, Water, Housing, and Health?, cit., p. 507 e ss. 253 Y. SHANY, Stuck in a Moment in Time: The International Justiciability of Economic, Social and Cultural Rights, in Exploring Social Rights. Between Theory and Practice, a cura di D. BARAK-EREZ, A.M. GROSS, Oxford and Portland, Hart Publishing, 2007, passim. 254 Si pensi in questo senso al salvataggio dell’economia greca nel 2011 da parte degli altri paesi che hanno adottato l’Euro e ai pesanti tagli allo stato sociale imposti a questo paese per via dell’eccessivo deficit pubblico. Tra i primi a parlare di impatto “negativo” delle disposizioni economiche dei Trattati europei M. POIARES MADURO, Striking the elusive balance between
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ta a fonti o provvedimenti adottati da istituzioni dell’Unione europea. In questo capitolo affronteremo le tappe dello sviluppo delle norme sulla protezione dei diritti sociali principalmente all’interno dei Trattati europei, dal Trattato di Roma del 1950 al recente Trattato Lisbona. Svilupperemo un punto di vista critico che ci porterà ad analizzare come mai le istituzioni europee hanno assunto tale potere e quali effetti esso ha sulla protezione dei diritti all’interno dei singoli stati membri. 6.1 Decentralizzazione e esternalizzazione della politica sui diritti La protezione dei diritti a livello di Unione europea è un fatto recente. Le tre comunità originarie non erano state “incaricate” dagli Stati membri di occuparsi della protezione dei diritti. Nel Trattato di Roma e di Parigi mancavano disposizioni che fissassero obiettivi politici implicanti lo sviluppo di decisioni sui diritti. Sebbene l’allargamento dei poteri comunitari alla protezione dei diritti fu affrontato durante la scrittura del Trattato sulla Comunità economica europea, i rappresentanti degli Stati limitarono alla sola integrazione economica i compiti delle nuove istituzioni; meglio era affidare l’obiettivo di realizzare una cooperazione più stretta in materia di diritti al neonato Consiglio d’Europa e alla Carta europea dei diritti dell’uomo realizzata sotto l’egida dell’ONU. Non mancò, tuttavia, chi fin da subito rilevò che la creazione di migliori condizioni economiche e la messa in comune delle risorse a livello europeo avrebbe avuto comunque effetti sui diritti perché avrebbe certamente aiutato ad evitare future violazioni dei diritti umani, specie dopo quello che era accaduto in Europa durante la Seconda guerra mondiale. Mentre l’integrazione dei mercati avrebbe influito sui sistemi di protezione sociale, compresi i sistemi di garanzia dei lavoratori e le relazioni industriali. Se dunque da un lato le comunità avrebbero contribuito a stabilire la pace tra i popoli europei esse avrebbero dall’altro garantito una situazione di maggiore benessere
economic freedom and social rights in the EU, in The EU and human rights, a cura di P. ALSTON, Oxford, Oxford University Press, 1999, p. 464 e ss.
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per i popoli europei influenzando il godimento dei principali diritti sociali connessi con la sfera del lavoro. Si può intendere perciò nell’avvio dell’esperienza comunitaria un “paradosso”255 che però ha acquisito nel tempo la natura di una consapevolezza: l’evoluzione economica delle Comunità non poteva darsi senza essere accompagnata da un corrispondente incremento della difesa dei diritti e dalla realizzazione di una coesione sociale più stretta tra i popoli europei256. Se questo vale per i diritti umani in generale, il discorso si fa ancora più difficile quando si tratta dei diritti sociali a livello europeo. Ricostruire la protezione dei diritti sociali all’interno di un ordinamento come quello delle Comunità e poi dell’Unione europea impone una fatica doppia. Si tratta di ordinamenti diversi e per certi versi più “deboli” rispetto a quelli degli stati, ma del tutto originali rispetto alle forme istituzionali finora sperimentate, e soggetti a un’elaborazione progressiva che ancora oggi è in atto. La difficoltà più grande ad affrontare questo tema deriva perciò dal carattere parziale e incompleto dell’ordinamento europeo; parzialità che ha le radici non solo nella configurazione istituzionale e nella legittimazione democratica, ma anche nella configurazione degli stessi ambiti di competenza e nella definizione delle funzioni fondamentali rimaste per molto tempo legate alla necessità contingente di realizzare obiettivi esclusivamente economici257. Sono queste le ragioni in sintesi che tendono a considerare i diritti sociali ancora alla stregua di un “intruso” nell’ordinamento europeo. L’ordinamento giuridico creato negli anni Cinquanta era stato costruito lasciando da parte qualsiasi riferimento a tali diritti all’interno degli obiettivi economici che il nuovo soggetto internazionale avrebbe dovuto realizzare. Se, dunque, per quanto riguarda i diritti fondamentali i fondatori delle Comunità decisero che non c’era bisogno di duplicare il lavoro di altre istituzioni internazionali, sul fronte dei diritti sociali le Comunità dovevano avere come unico obiettivo quello di realizzare l’integrazione dei mercati, minimizzando
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Vedi P. ALSTON, J.H.H. WEILER, An 'Ever Closer Union' in Need of a Human Rights Policy, in European Journal of International Law, 4, 9, 1998, p. 661. 256 Vedi E. PALMER, Judicial review, socio-economic rights and the human rights act, cit., p. 86-87. 257 Op. cit., p. 432.
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l’interferenza con i solidi e ben consolidati sistemi di protezione sociale creati dagli stati membri258. All’avvio le Comunità non avevano ancora quella fisionomia ben definita che hanno assunto nel tempo e non vi era certamente la consapevolezza – cresciuta nel tempo – che ogni intervento incidente su dinamiche economiche potesse avere implicazioni con il sistema delle relazioni industriali e con i meccanismi finanziari che stanno alla base dello stato sociale. Sebbene siano passati più di cinquanta anni dall’avvio dell’esperienza delle Comunità i diritti sociali sono considerati ai margini del sistema legale europeo, mostrandosi più come un problema da risolvere che una risorsa per creare una coesione ancora più stretta tra i popoli europei. 6.2 Le disposizioni sull’Europa sociale nei Trattati originari e nelle loro successive revisioni Anche da un punto di vista testuale le norme originarie dei trattati europei contenevano pochissime previsioni di tipo sociale259. Le ragioni alla base di questa decisione sono alquanto note e ampiamente studiate260; riteniamo però che valga la pena approfondirle nell’economia del presente lavoro. I padri dell’Europa avevano la necessità di creare istituzioni che aprissero al mercato senza limitare il potere degli stati di creare un
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J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, in Economic and Social Rights Under the EU Charter of Fundamental Rights: A Legal Perspective, a cura di T. HERVEY, J. KENNER, Oxford, Hart Publishing, 2003, p. 5. 259 Vedi in generale sul tema G. DE BURCA, The Language of Rights and European Integration, in New Legal Dynamics of European Union, a cura di G. MORE, J. SHAW, Clarendon, Oxford University Press, 1995, p. 29-54 260 Come ricorda S. Giubboni: «Nel disegno dei padri fondatori, la costruzione di un forte mercato transnazionale europeo avrebbe aperto e integrato le economie dei paesi membri senza creare alcuna minaccia alle «sovranità sociali» nazionali, che avrebbero anzi potuto contare sui benefici effetti dell’armonizzazione spontanea e progressiva dei sistemi sociali o, quantomeno, sul maggior dividendo fiscale derivante dalla creazione del mercato comune. La Cee non avrebbe, perciò, avuto bisogno – tranne che in poche e delimitate aree e, di massima, soltanto laddove la teoria del commercio internazionale avesse ravvisato rischi effettivi di dumping – di sue proprie competenze sociali». Cfr. S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, in La dimensione sociale dell’integrazione europea Bologna, 2003, p. 28.
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proprio sistema di protezione sociale261. Le poche disposizioni che riguardavano il tema del sociale avevano a che fare esclusivamente con le previsioni collegate al mercato, cioè quelle sulla libertà di circolazione dei lavoratori262 e quelle dirette ad evitare i rischi del cd. dumping sociale prodotto dalle norme che aprivano le frontiere a lavoratori e a imprese collocate in stati diversi. D’altronde, l’idea di creare un welfare europeo, formato come una sintesi dei diversi sistemi di welfare dei paesi membri – idea discussa per molto tempo263 –, era praticamente impossibile ed anche poco produttiva di effetti reali. Per giunta le Comunità, fin dal loro avvio, non disponevano di risorse per questa voce264. In tale contesto, il riconoscimento dei diritti ed in particolare dei diritti sociali poteva apparire superfluo e finanche inopportuno,
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Nel disegno originario era stato ritagliato uno spazio solo per quelle disposizioni funzionali alla creazione dell’integrazione delle economie e dei mercati. Nella migliore delle ipotesi sarebbero state le naturali dinamiche del mercato comune ad attivare un processo di spontanea ed automatica armonizzazione dei sistemi nazionali di previdenza, senza la necessità di un intervento dall’alto da parte delle istituzioni comuni. Come affermano F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, "Costituzione" europea e diritti sociali fondamentali, in Lavoro e diritto, 2, 2000, p. 286 «il dinamismo negli affari e la realizzazione di un’area di libero scambio costituivano i capisaldi dell’edificio comunitario, di cui la difesa della dignità del lavoratore ed il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro erano semplici corollari. La stessa attività di armonizzazione rivolta ad attenuare le sperequazioni di trattamento economiconormativo fra i lavoratori dei diversi Stati membri veniva iscritta in una logica economica di strumento di ripristino della libera competizione fra i soggetti economici, alterata da pratiche di dumping sociale». 262 M. POIARES MADURO, Striking the elusive balance between economic freedom and social rights in the EU, cit., 449 e ss. 263 V. ad esempio l’Ohlin Report sugli “Aspetti sociali dell’integrazione europea” (1956) e il più noto Spaak Report (1956). Il tema è stato affrontato tra gli altri da J. KENNER, EU employment law: from Rome to Amsterdam and beyond, Oxford, Hart Publishing, 2003, p. 1-21. 264 Il bilancio della Comunità economica europea era per l’80% quasi rivolto alla politica agricola comune, dunque rimaneva poco anche per il solo coordinamento dei sistemi di welfare. Inoltre, era impossibile pensare a un sistema unico o anche a una tendenziale sintesi dei sistemi di welfare presenti nei diversi paesi membri, dato che essi avevano modelli di benessere considerevolmente diversi. Vedi a questo proposito i dati forniti da S. LEIBFRIED, P. PIERSON, Prospects for social Europe, in Politics and Society, 3, 20, 1992, passim. In generale sul tema dello sviluppo dell’idea di un welfare europeo e degli ostacoli alla sua costruzione vedi F.W. SCHARPF, The European social model, in JCMS: Journal of Common Market Studies, 4, 40, 2002, p. 645 e ss.
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perché poteva rappresentare la minaccia di un surrettizio aumento delle competenze comunitarie265. La lettura delle disposizioni originarie del Trattato di Roma aiuta a comprendere meglio quanto si sta affermando. L’art. 2, infatti, prevedeva: «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano»266. Anche le disposizioni sulle “politiche sociali” contenute nel Titolo III del testo originario del Trattato manifestavano esplicitamente la tendenza a concepire il progresso sociale come un risultato della più stretta integrazione delle economie dei sei paesi membri. L’art. 117, infatti, prevedeva nel primo comma una convergenza tra gli stati membri «sulla necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera che consenta la loro parificazione nel progresso» ed enunciava nel secondo comma che l’armonizzazione dei sistemi sociali risulterà, tra le altre, dal «funzionamento del mercato comune»267. Il successivo articolo (118) prevedeva, infatti, che la Commissione avesse un mero potere di «promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale» con indicazione di alcune specifiche materie268. L’unica 265
Su questo punto vedi quanto ha affermato J.H.H. Weiler in merito alla decisione di non includere un bill of rights all’interno dei Trattati europei originari per evitare che in tal modo si determinasse un’espansione delle competenze della neoistituita Comunità europea, specialmente in considerazione del fatto che l’introduzione di un corpus di norme sui diritti economici e sociali appariva allora ancor più problematica di quanto non lo si ritenga oggi. J.H.H. WEILER, Il sistema comunitario europeo, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 139 e 140. 266 Sull’art. 2 e 3 vedi E. SZYSZCZAK, Protecting social rights in the european union, in Economic, Social and Cultural rights, a cura di A. EIDE, Netherlands, Kluwer, 2001, p. 497. 267 Le formulazioni dell’art. 117, tuttavia, non erano corredate da una base normativa e da strumenti specifici di intervento della CEE in materia sociale, ma solo da alcune regole di organizzazione dell’attività della Commissione. Sulla natura programmatica dell’art. 117 del Trattato, almeno nella sua formulazione originaria, vedi G. ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione europea, I, Milano, Giuffrè, 1998, p. 111. 268 Vedi F.A. CANCILLA, Servizi di welfare e diritti sociali nella prospettiva dell'integrazione europea, Milano, Giuffrè, 2009, p. 34.
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disposizione di carattere sociale che aveva come obiettivo l’armonizzazione delle legislazioni era contenuta nell’art. 119, e si riferiva alla parità di retribuzione tra uomini e donne. L’idea alla base di tutte queste disposizioni, dunque, era che il miglioramento delle condizioni sociali dei lavoratori sarebbe stato il frutto della tendenza all’armonizzazione verso l’alto dei sistemi sociali nazionali, generata dall’integrazione europea. Perciò, vi era spazio solo per quei diritti sociali strettamente funzionali all’instaurazione del mercato integrato e pur arricchendo la posizione del cittadino-lavoratore europeo, tali diritti restavano un corollario delle misure rivolte a rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei fattori produttivi nel mercato comune. La protezione garantita dagli artt. 48 e ss. del Trattato CEE, per esempio, assumeva un ruolo ancillare rispetto alle altre libertà garantite nel Trattato stesso, secondo un’ottica negativa di rimozione degli ostacoli alla libera circolazione269. Un discorso a parte meritano le norme del Trattato CEE in materia di Politica agricola comune. In questa materia il Trattato di Roma ha compiuto una scelta radicale a favore di un sistema che irrigidisse fino a farli scomparire gli spazi di libera concorrenza. L’obiettivo perseguito era quello di assicurare un «tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare al miglioramento del reddito di coloro che lavorano in agricoltura270». Il modello socio-economico della Comunità economica europea come previsto dal Trattato di Roma, potrebbe essere sinteticamente descritto nel seguente modo: il benessere dei cittadini sarà realizzato secondo un sistema operante su più livelli; la Comunità avrebbe contribuito promuovendo la crescita economica proveniente dalla competizione all’interno del mercato 269
Lo stesso valeva per le altre norme in materia sociale previste nel Trattato di Roma, relative al Fondo sociale europeo. L’art. 123 prevedeva, infatti, che il fondo fosse istituito al fine di «migliorare le possibilità di occupazione dei lavoratori all’interno del mercato comune e contribuire così al miglioramento del tenore di vita», con il compito specifico di «promuovere all’interno della Comunità le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori». Rispetto alle più ampie proposte del rapporto Spaak, il Fondo era chiaramente rivolto a servire per la creazione del mercato comune del lavoro, redistribuendo agli Stati le risorse che essi stessi avevano messo in comune. Op. cit., p. 32. 270 Così l’art. 39, comma 1, Trattato CEE. Diversamente da tutti gli altri settori, infatti, la PAC ha funzionato come un grande meccanismo di redistribuzione del reddito, un vero e proprio sistema settoriale di welfare comunitario previsto solo a favore di alcune categorie di lavoratori.
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comune; gli stati membri, per parte loro, avrebbero continuato a disciplinare e a fornire la protezione per i classici diritti sociali attraverso la predisposizione dei classici strumenti statali271. Lo stesso giudizio dato deve essere espresso per le previsioni contenute nel Trattato di Parigi sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e per le norme del Trattato CEE sulla PAC. Il primo, pur ribadendo che la Comunità non debba e non possa interferire con la piena autonomia degli Stati membri in materia di determinazione dei salari e delle prestazioni sociali, conteneva una norma molto interessante nel secondo comma dell’art. 68. In base ad essa, gli organi della CECA avrebbero potuto imporre agli Stati misure per evitare o mettere fine a fenomeni di dumping sociale272. Non diversamente dal Trattato di Roma, anche quello di Parigi concepiva la politica comune in termini restrittivi ed essenzialmente in funzione strumentale alla corretta regolazione dei processi di mercato273. 6.2.1 La crisi del sistema originario e le soluzioni degli anni ‘80 Il sistema creato nel 1957 con il Trattato di Roma non tardò a mostrare tutti i suoi limiti. L’idea che potesse instaurarsi un rapporto non conflittuale o addirittura virtuoso tra mercato e finalità sociali era un miraggio. L’idea che si potesse produrre 271
Vedi D. DAMJANOVIC, B. DE WITTE, Welfare integration through EU law: The overall picture in the light of the Lisbon Treaty, in Integrating Welfare Functions into EU Law, a cura di U. NEEGAARD, R. NIELSEN, L.M. ROSEBERRY, Copenaghen, Djøf, 2008, p. 59 e ss. 272 La prima delle «riserve» contemplate dall’art. 68 del Trattato era destinata a operare nel caso in cui una o più imprese adottavano prezzi anormalmente bassi dovuti a «salari fissati da queste imprese ad un livello anormalmente basso rispetto al livello dei salari praticati nella medesima regione». In tal caso, l’Alta Autorità della CECA, se riconosceva una diretta correlazione tra livello anormalmente basso dei prezzi e retribuzioni, rivolgeva alle imprese interessate «raccomandazioni necessarie», sentito il parere del Comitato consultivo. S. Giubboni, Diritti sociali e mercato, cit., p. 50. 273 Ciò nonostante possiamo riscontrare in quest’ultimo Trattato una differenza: è escluso il fenomeno dell’armonizzazione ed è previsto un meccanismo generale di ripristino di eque condizioni di concorrenza in termini di costo del lavoro destinato ad operare all’interno dei singoli sistemi. V. sul tema L. RIVA SANSEVERINO, Commento all’articolo 68, in Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Commentario, diretto da R. Quadri, R. Monaco e A. Trabucchi, II, Padova, 1970, p. 704 e ss.
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una «progressiva tendenza all’armonizzazione verso l’alto dei sistemi sociali nazionali», come naturale conseguenza delle dinamiche del mercato, si rivelò ben presto fallace. La crisi fiscale che rallentò l’economia nei primi anni settanta palesò l’impossibilità di produrre all’infinito una maggiore ricchezza da redistribuire attraverso il sistema di welfare. L’abbandono del modello originario di armonizzazione sociale non fu repentino e non si realizzò neanche in modo lineare, data la mancanza di un potere esplicito delle istituzioni comunitarie sul punto. Per comprendere quanto sia avvenuto in quel periodo e gli effetti generati sul piano della protezione sociali si devono osservare due dinamiche. La prima riguarda il modo in cui le istituzioni comunitarie risposero ai problemi del welfare. La crisi del modello originario che poggiava sul dogma della non intromissione comunitaria nelle questioni legate al welfare si realizzò attraverso strumenti diversi dalle altre politiche. In luogo degli strumenti dell’armonizzazione per il welfare si parlò dell’implementazione di una logica della “convergenza” dei sistemi nazionali274. In assenza di un consenso tra gli Stati membri ad aumentare le competenze della Comunità economica europea, attraverso l’introduzione di standard minimi nell’area delle politiche sociali, le istituzioni comunitarie decisero di esplorare la possibilità di un approccio alternativo basato sull’identificazione di un catalogo di “diritti fondamentali sociali”, che avrebbe potuto servire come sponda per realizzare una maggiore protezione dei lavoratori sia a livello comunitario sia a livello nazionale275. La strategia dei diritti funzionava, dunque, come uno strumento di convergenza degli stati per arginare la corsa al ribasso dovuta all’assenza di una disciplina sociale europea276. 274
Come è stato ricordato, «la progressiva istituzionalizzazione del dialogo sociale europeo a partire dall’Atto unico europeo, e la successiva immissione della contrattazione collettiva comunitaria tra le fonti dell’ordinamento giuridico della Comunità si iscrivono […] nello stesso disegno di sostanziale superamento e abbandono del modello originario di armonizzazione sociale». Cfr. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, cit., p. 81. 275 Su tale punto vedi J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, cit., p. 7. 276 Il mutamento di clima in realtà era espresso già nel Libro Verde sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese del 1975, nel quale si affermava che «una sufficiente convergenza delle politiche economiche e sociali e delle strutture» non si sarebbe verificata «automaticamente come conseguenza dell’integrazione dei mercati comunitari…». Queste conclusioni furono riba-
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La seconda dinamica si accompagna all’effetto di spill over delle regole del mercato e della libera concorrenza, che – grazie anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, di cui si parlerà più avanti – cominciano a permeare ogni aspetto della vita economica, compresa la sfera sociale277. La metamorfosi dell’equilibrio iniziale produsse un lento depotenziamento e la crisi del ruolo sociale degli stati; fenomeni non accompagnati tuttavia dal rafforzamento immediato delle competenze della CEE in materia sociale ma solo da un maggiore potere della Corte di giustizia278. In questo quadro, l’adozione dell’Atto unico europeo (1986) rappresentò il momento propizio per realizzare alcune delle novità già in gestazione da anni. Nel preambolo e negli articoli 21, 22 e 23 che modificavano il Trattato CEE nella parte relativa alle “politiche sociali” e inserivano un nuovo titolo dedicato alla “coesione sociale” emergeva un diverso modo di concepire le finalità sociali della Cee279. La modifica dell’art. 118 del Trattato di Roma contenuta nell’art. 21 prevedeva che «per contribuire alla realizzazione dell’obiettivo previsto al paragrafo 1 [promuovere il miglioramento dell’ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori], il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, in cooperazione con il Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta mediante direttive le prescrizioni minime applicabili progressivamente, dite poi nel Libro Bianco sul mercato interno del 1985 (Comunicazione 310/1985). 277 M. POIARES MADURO, Striking the elusive balance between economic freedom and social rights in the EU, cit., p. 450-451 278 Op. cit., p. 445, ne parla come uno degli esempi più interessanti di uso strategico del diritto comunitario. 279 «[Gli stati europei sono] determinati a lavorare insieme per promuovere la democrazia basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle costituzioni e dalle leggi degli Stati membri, dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta sociale europea, in particolare la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale». Come fa notare J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, cit., p. 8 «indubbiamente questa disposizione non aveva un senso meramente diplomatico, ma prevedeva un fondamento, sebbene superficiale, per ottenere una proposta seria da parte del Comitato economico e sociale di un una direttiva quadro che stabilisse i ‘diritti sociali inalienabili’ ispirandosi alle previsioni delle convenzioni dell’OIL, le norme della CEDU e della Carta europea dei diritti sociali. Obiettivi del Comitato era offrire una garanzia comunitaria per i diritti sociali fondamentali che fosse ‘immune da pressioni competitive’». Nostra la traduzione.
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tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro». La creazione di una nuova competenza comunitaria era una conquista decisiva. I frutti di questa novità saranno raccolti poco tempo dopo con il Trattato di Maastricht e con l’estensione del voto a maggioranza su altre materie riguardanti il “sociale”. 6.2.2 La Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 L’evoluzione della protezione dei diritti sociali all’interno del panorama comunitario si è sviluppata non solo attraverso l’introduzione di modifiche ai Trattati originari, ma anche attraverso l’approvazione di documenti solenni che riconoscevano la tutela dei diritti tra gli obiettivi fondamentali delle istituzioni comunitarie. L’Atto unico europeo, di cui abbiamo appena parlato, era stata una tappa fondamentale nel cammino di promozione dei diritti sociali, e non solo perché poneva le basi per le evoluzioni successive, ma anche perché consentiva di giustificare a posteriori alcuni dei principali provvedimenti legislativi adottati in materia sociale negli anni precedenti. Malgrado questi avanzamenti, era sempre più evidente che a livello comunitario mancasse un approccio complessivo ai diritti sociali280. La risposta delle istituzioni comunitarie a tale deficit non tardò ad arrivare. Dopo un primo tentativo di adottare una Carta dei diritti sociali dei cittadini europei, la Commissione decise di proporre la sottoscrizione di una “Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori”281. La Carta fu approvata dal Consiglio europeo di Strasburgo del 1989282. 280
Vedi I.D. KOUKIADIS, Social rights and the European Union secondary legislation, in Social rights at european, regional and international level, a cura di N. ALIPRANTIS, I. PAPAGEORGIOU, Bruxelles, Bruylant, 2010, p. 83. 281 La preparazione della Carta dei diritti sociali fondamentali è analizzata da B. HEPPLE, The Implementation of the Community Charter of Fundamental Social Rights, in The Modern Law Review, 5, 53, 1990, p. 643 e ss.; J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, cit., p. 9-10. 282 In seguito ad una serie di risoluzioni del Parlamento europeo (del 15 marzo e del 14 settembre del 1989) la Commissione elaborò un progetto relativo a questo documento che sancisce i diritti dei lavoratori migranti. La Carta fu varata con il consenso di 11 su 12 membri della CEE, dato il veto posto dalla Gran Bretagna. Su tale vicenda vedi G. LYON-CAEN, Le Royame-Uni, mauvais élève ou rebelle indomptable?, in Droit social, 11, 1994, p. 923 e ss.
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Rispetto agli altri documenti internazionali che prevedono i diritti sociali, la Carta è un documento molto più limitato sia ratione personae sia ratione materiae. Per quanto riguarda il primo aspetto, essa si riferisce solo ai “lavoratori della Cee”; mentre, per quel che concerne il catalogo dei diritti contemplati, mancano molti dei diritti sociali che sono contenuti nella ESC (prima esaminata) o in altri strumenti come le convenzioni dell’OIL283. La Carta è divisa in due parti. La prima contiene i diritti sociali fondamentali dei lavoratori284. La seconda parte prevede alcune specificazioni dei diritti menzionati e pone le basi per la realizzazione dei diritti stessi. In base al principio di sussidiarietà, la prima responsabilità nell’implementazione dei diritti sociali è degli Stati membri, che devono agire all’interno della coesione economica e sociale garantita nel mercato unico285. Sebbene avesse innovato considerevolmente nel settore dei diritti sociali comunitari, la Carta era evidentemente affetta da alcuni limiti, dovuti principalmente all’oggetto delle previsioni286. Essenzialmente mancava un riferimento complessivo ai diritti sociali. Da ciò derivava anche l’inidoneità di tale atto a proporsi come strumento di tutela dei diritti sociali fondamentali sul piano comunitario. Fu certamente questa una delle ragioni – insieme all’opting out della Gran Bretagna e al richiamo alla sussidiarietà nell’esercizio delle competenze – che sconsigliò di
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Come fatto rilevare già da D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit., p. 339. 284 La libertà di movimento, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la protezione sociale, il diritto di associazione e di contrattazione collettiva, il dialogo sociale e il diritto di scioperare (soggetto alle obbligazioni che derivano dalla regolazione nazionale e dagli accordi collettivi), l’apprendistato, l’eguaglianza tra uomini e donne, l’informazione e la consultazione, la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro e la protezione delle categorie deboli, come i minori, i disabili e gli anziani. 285 In ogni caso, alla Commissione europea è chiesto di implementare le disposizioni sui diritti sociali con misure che rispettassero le competenze comunitarie; previsioni che poi hanno dato una base giuridica per gran parte della legislazione sociale adottata in quegli anni (tempo di lavoro, informazione e consultazione nel quadro europeo, protezione dei minori, ecc.). 286 Trattando solo della condizione dei lavoratori essa rappresenta solo quelle situazioni soggettive che si riferiscono a coloro che si trovano in tale condizione.
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rendere obbligatorie le previsioni della Carta, malgrado il contesto favorevole allo sviluppo delle previsioni in essa contenute287. La Carta, dunque, è un documento particolare ma che rimane a livello esemplificativo. Priva di forza giuridica fino alla incorporazione nei Trattati, nella realtà dei fatti essa ha dato vita ad un nuovo corso della protezione legislativa dei diritti sociali fondamentali288. 6.2.3 Il Trattato di Maastricht e la creazione dell’Euro Il destino dei diritti sociali era strettamente legato all’evoluzione delle Comunità. La maggiore attenzione per i problemi istituzionali legati alla creazione dell’Unione e agli aspetti economico-finanziari connessi con il mercato interno e l’unione monetaria furono anche alla base dell’impatto del Trattato di Maastricht del 1992 sulla protezione dei diritti sociali. Come è noto, tra le innovazioni più rilevanti di questo Trattato vi era la determinazione di un rapporto fisso tra deficit e prodotto interno loro e l’individuazione di un livello massimo di disavanzo che ogni paese membro avrebbe dovuto obbligatoriamente rispettare per rimanere parte dell’Unione europea. Si tratta, dunque, di norme che nei fatti limitavano gli stati nelle loro determinazioni di politica economica, monetaria e sociale e che contribuivano a ridurre considerevolmente la prassi del deficit spending attraverso la quale i governi si erano sempre mossi per realizzare le loro politiche redistributive e di crescita. Il Trattato di Maastricht, infatti, sottraeva agli stati membri il governo della moneta e li privava di gran parte delle leve di politica economica con le quali si realizza la spesa per il welfare. I nuovi parametri, inoltre, imponevano agli Stati membri di misurarsi con un’accresciuta competenza intracomunitaria e internazionale, principalmente attraverso «misure di flessibilizzazione dei sistemi di regolazione del mercato del lavoro e dei sistemi di 287
Su tale punto vedi quanto ha scritto A. ADINOLFI, Quale progresso con la Carta comunitaria dei diritti sociali?, in Rivista di diritto internazionale, 1, 1989, p. 89 e ss. 288 V. a tale proposito B. DE WITTE, The Trajectory of Fundamental Social Rights in the European Union, in Social right in Europe, a cura di G. DE BÚRCA, B. DE WITTE, Oxford, Oxford Univ. Press, 2002, p. 156 e ss. e J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, cit., p. 10 e 11.
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protezione sociale»289. La centralizzazione delle decisioni sulla politica monetaria e della regia del mercato unico determinò effetti notevoli anche nel cuore della disciplina sociale, elemento tra tanti che può essere inciso da queste scelte economiche. Al di là degli effetti indiretti delle decisioni economicofinanziarie la novità del Trattato riguardava anche le disposizioni sociali “dirette”. Oltre all’art. 2 del TCE e alle maggiori competenze comunitarie290, un protocollo esterno formalizzava l’Accordo sulla politica sociale (APS). L’APS riprendeva alcuni aspetti positivi della Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori e prevedeva una formula innovativa di adeguamento degli ordinamenti nazionali agli obblighi comunitari, attraverso una specie di interazione tra questi ultimi e la contrattazione collettiva nazionale291. Uno dei limiti maggiori dell’APS è certamente quello di non essere stato ratificato dall’Inghilterra, paese che aveva posto l’opting out anche nei confronti della Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. È all’atteggiamento di questo paese che si possono ricondurre le difficoltà nell’implementazione successiva dell’APS. La resistenza inglese, infatti, aveva agito da deterrente anche nei confronti degli altri stati che non avevano usato l’opting out come un’arma per evitare politiche sociali innovative da parte della Comunità292. Inoltre, il timore che si sviluppasse un’Europa sociale à la carte pesava fortemente su questo riconoscimento293.
289
S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, cit., p. 83. Condizioni di lavoro, informazioni e consultazioni, rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori. 291 L’art. 2, comma 4, dell’APS stabilisce che «uno Stato membro può affidare alle parti sociali, a loro richiesta congiunta, il compito di mettere in atto le direttive» stabilite dal Consiglio in materia di prescrizioni minime di tipo sociale. 292 Vedi funditus sul tema D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit., p. 347 e ss. 293 Malgrado le numerose critiche, il problema fondamentale dell’APS era soprattutto quello di aver spostato progressivamente il debole diritto sociale europeo dal linguaggio chiaro del diritto al linguaggio più vago delle politiche. S. SIMITIS, A. LYON-CAEN, Community labour law: a critical introduction to its history, in European Community Law. Principles and Perspectives. Liber Amicorum Lord Wedderburn of Charlton, a cura di P. DAVIES, A. LYON-CAEN, S. SCIARRA, S. SIMITIS, Oxford, Clarendon Press, 1996, p. 1 e ss. 290
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6.2.4 Il Trattato di Amsterdam e il rafforzamento degli obiettivi sociali Il Trattato di Amsterdam294 (entrato in vigore il 1° maggio 1999) introdusse significativi passi in avanti in tema di garanzia dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo. La nuova versione del Trattato dell’Ue menzionava tra gli obiettivi dell’Unione quello di promuovere un «progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione295», attraverso il rafforzamento della «coesione economica e sociale296, e affermava l’impegno dell’Unione per la protezione dei diritti fondamentali e per i diritti sociali297. Per la prima volta i diritti sociali, già espressi nella Carta europea dei diritti sociali del 1961 (ESC) e nella Carta dei diritti sociali fondamentali del 1989, ricevevano riferimento nei Trattati298. La scelta di menzionare tali Carte rappresentò tuttavia una soluzione di ripiego rispetto ad una revisione dei Trattati che includesse una lista di diritti sociali299; 294
L’adozione del Trattato di Amsterdam fu anticipata dalla Commissione di portare avanti un dibattito circa il ruolo dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione europea. Un Comitato di saggi venne incaricato di realizzare uno studio sui diritti fondamentali che il nuovo trattato avrebbe dovuto includere. Il report fu uno strumento complessivo per aumentare la necessità di rinforzare la democrazia e la cittadinanza all’interno dell’Ue. Il report del Comitato è pubblicato nell’appendice al volume P. ALSTON, M. BUSTELO, J. HEENAN (cur.), The EU and human rights, Oxford, Oxford University Press, 1999, 921 e ss. 295 Art. 2. 296 Art. 3. 297 Art. 6. 298 Su questo aspetto vedi la nuova formulazione dell’art. 136 TCE laddove si legge che «La Comunità e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione…». In generale sul riconoscimento dei diritti sociali nel trattato di Amsterdam: S. ROBIN-OLIVIER, La référence aux droits sociaux fonda-mentaux dans le traite d'Amsterdam, in Droit social, 1999, p. 609 e ss. 299 Nei primi anni ‘90 vi era stata una fervida discussione circa la possibilità di introdurre un set di diritti sociali estrapolati dalla Carta del 1989 all’interno dei trattati istitutivi. La soluzione, tuttavia, venne scartata all’interno della Conferenza intergovernativa che produsse il nuovo Trattato di Amsterdam. Le ragioni di questo “fallimento” sono dovute, secondo B. DE WITTE, The Trajec-
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inoltre, i diritti sociali non ricevevano un “posto in prima fila”, come invece accadeva per le norme della CEDU richiamate dall’art. 6 del TUE. Le novità più significative in tema di diritti sociali, tuttavia, riguardavano la nuova legittimazione dell’azione comunitaria nel settore delle politiche sociali e l’attribuzione alla Comunità di un fondamento giuridico certo al suo intervento, coincidente con un’espansione del raggio delle competenze sociali300. Il maggiore spazio di azione comunitaria non deve essere sottovalutato, poiché ha prodotto effetti benefici anche per il riconoscimento dei diritti sociali301. Sul piano delle politiche sociali, infatti, il Trattato di Amsterdam sviluppava gli obiettivi già previsti a Maastricht in tema di occupazione e di protezione sociale302. tory of Fundamental Social Rights in the European Union, cit., p. 157, all’esigenza contingente di evitare stalli nel processo di allargamento. In quel periodo Austria, Finlandia e Svezia si preparavano ad entrare nell’Unione europea. 300 Il nuovo trattato ingloba nel corpo del Trattato istitutivo due appositi capitoli sull’occupazione (Titolo VIII) e sulla politica sociale (il Trattato ingloba il protocollo n. 14 in tema di politica sociale che prima era un semplice allegato). La competenza in materia di occupazione, secondo gli artt. 125 e 126 è di natura concorrente. Come si può notare il cambiamento di scenario è evidente: si ritorna all’Europa sociale ad una sola velocità; vengono costituzionalizzati, seppur per relationem visto che si incorpora il contenuto della Carta sociale europea e della Carta sociale comunitaria, una serie di diritti sociali fondamentali ed inalienabili che devono sorreggere e guidare l’azione comunitaria. Su questi aspetti v. S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato, cit., p. 125 e ss.; F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, "Costituzione" europea e diritti sociali fondamentali, cit., p. 289; F. PIZZOLATO, Il sistema di protezione sociale nel processo di integrazione europea, Milano, Giuffrè, 2002, p. 49 e 50. 301 Elemento sottolineato da M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 369, il quale non manca di notare che la fondamentalità rappresenta un fattore che spiegherà valore nel futuro, sicché nell’immediato l’incorporazione dei diritti sociali ha come unica conseguenza che gli stati membri sono definitivamente vincolati alle nuove previsioni sociali. 302 L’art. 2 del TCE ad esempio stabilisce – come già ricordato – che: «La Comunità ha il compito di promuovere […], mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli artt. 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri».
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Il fine è sempre quello di consolidare la competitività economica ma ora in un contesto socialmente accettato. È dunque ripreso l’assunto, fatto proprio dalla Carta del 1989, per cui gli aspetti sociali e quelli economici devono essere sviluppati in modo equilibrato e convergente, in modo da evitare irrimediabili «scollature» fra realtà sociale e civile e realtà economicofinanziaria303. La necessità che le politiche sociali siano “coerenti” con gli indirizzi e le politiche economiche degli Stati e della Comunità è espressa anche all’interno di altre disposizioni del TCE, tra cui il Titolo VIII in materia di occupazione304 (artt. 125-130) e il Titolo XI in materia di politica sociale, istruzione, formazione professionale e gioventù (artt. 136-145) che incorpora le previsioni dell’APS all’interno del Trattato CE305. In particolare, nell’art. 136 sorge un chiaro monito a non staccare le politiche sociali dalla competitività economica e dal mercato. Il primo comma di questo articolo, infatti, prevede che i diritti sociali devono essere “tenuti presenti” nel perseguimento degli obiettivi che lo stesso articolo fissa; il secondo comma, invece, prevede che nell’adozione delle misure sociali gli Stati tengano presente la «necessità di mantenere la competitività dell’economia della Comunità»; mentre il terzo comma stabilisce che l’«evoluzione sociale» della Comunità deriverà sia dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste nel presente trattato e dal riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative»306. Nel campo delle politiche per l’occupazione, poi, si adotta un nuovo metodo di integrazione che dopo il Consiglio di Lisbona del 2000 verrà chiamato “metodo di coordinamento aperto”. Il nuovo strumento sfrutta meccanismi di soft law per spo303
La Comunità assume inoltre per la prima volta esplicitamente il compito di promuovere la parità tra uomini e donne, anche se le basi giuridiche rimangono quelle generali date dagli artt. 94 (ex 100), 95 (ex 100-A) e 308 (ex 235) del Trattato Ce, e dall’articolo specifico inserito nel titolo sulla Politica sociale (art. 141 ex 119). 304 Artt. 126, par. 1, e 128, par. 2. 305 Vi è chi ritiene che il cuore della tutela dei diritti sociali si sia spostato su queste disposizioni più che su quelle che esplicitamente o implicitamente riconoscono diritti. Su tale punto L.S. ROSSI, Con il Trattato di Amsterdam l'Unione è più vicina ai suoi cittadini?, in Il diritto dellíUnione europea, 2-3, 1998, p. 339 e ss. 306 Su questo tema vedi F. PIZZOLATO, Il sistema di protezione sociale nel processo di integrazione europea, cit., p. 55 e ss.
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sare la variabilità dei mercati del lavoro con il coordinamento delle politiche nazionali307. Anche il “protocollo sociale” annesso al Trattato contiene alcune novità che è bene evidenziare308. Anzitutto, esso estende il raggio delle competenze sociali comunitarie, distinguendo, a seconda del procedimento di formazione legislativa, materie sociali soggette alla regola della maggioranza qualificata (condizioni di lavoro, informazione e consultazione dei lavoratori, parità uomo-donna nel mercato del lavoro e nelle condizioni di lavoro, integrazione dei soggetti esclusi dal mercato del lavoro) e materie riservate alla regola dell’unanimità (sicurezza e protezione sociale dei lavoratori, tutela dei lavoratori in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la codeterminazione, condizioni di impiego dei cittadini extracomunitari, contributi finanziari per la promozione dell’occupazione). In secondo luogo, il Trattato prevede una nuova “fonte materiale” del diritto comunitario, cioè la contrattazione collettiva europea, nella duplice veste degli accordi «liberi», svincolati dal processo normativo comunitario e idonei a regolare anche materie escluse dalla competenza normativa sociale della Comunità e degli «accordi per la concertazione legislativa». Malgrado le rilevanti novità e i passi in avanti compiuti, rimangono alcune asimmetrie tra la garanzia degli interessi economici e la protezione dei diritti sociali, relegati ancora in una 307
Il metodo di coordinamento aperto sviluppa un percorso basato sulla logica del diritto promozionale-riflessivo che è stato poi intrapreso dalla Commissione e dal Consiglio anche in altri campi, come la sicurezza sociale e la lotta all’esclusione sociale. Il modello di new governance proposto dal metodo di coordinamento aperto si basa sulla soft law, sul decentramento delle decisioni, sulla diversificazione, sulla riaffermazione del primato dei processi politici. Su tale strumento e per l’implicazione che ha in tema di diritti sociali vedi P. OLIVELLI, Diritti sociali e "metodo di coordinamento aperto" in Europa, in Arg. dir. lav., 2, 2002, p. 313 e ss.; N. BERNARD, A "New Governance" Approach to Economic, Social and Cultural Rights in the EU, in Economic and Social Rights Under the EU Charter of Fundamental Rights: A Legal Perspective, a cura di T. HERVEY, J. KENNER, Oxford, Hart Publishing, 2003, p. 247 e ss. 308 Non si dimentichi che tra i risultati più importanti raggiunti ad Amsterdam c’è l’estensione delle decisioni di tipo sociale da 11 membri a 15 (dopo l’adesione dell’Austria, Svezia e Finlandia) e dalla vincolatività degli accordi in materia sociale anche al di là delle opzioni negative di alcuni stati (Inghilterra in primis).
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dimensione “pre-costituzionale” o, se si può dire, “precomunitaria”309. L’esame delle disposizioni dei trattati indica che i diritti sociali non sono ancora una finalità necessaria che la Comunità deve raggiungere. Il Trattato di Amsterdam, infatti, inizia a gettare le basi per la creazione di un modello sociale in Europa310. Tuttavia la protezione dei diritti sociali compare come un flebile richiamo attraverso la menzione delle Carte del 1961 e del 1989 e rimane forte il condizionamento delle esigenze economico-finanziarie sulle politiche sociali; tanto che le procedure in materia sociale non sono l’unico modo per realizzare gli interessi sociali; anzi, secondo il Trattato, l’evoluzione sociale auspicata dovrebbe risultare anzitutto dal «funzionamento del mercato comune». Ma il punto più debole del Trattato di Amsterdam è certamente il fatto che per la disciplina dei settori cruciali dell’Europa sociale permane la regola dell’unanimità, anziché quella della maggioranza qualificata311.
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La parola “pre-costituzionale” (insieme a “pre-federale”) è usata con riguardo ai diritti sociali che attengono al rapporto di lavoro S. SCIARRA, Integration Through Courts: art. 177 as a pre-Federal device, in Labour law in the Courts, a cura di S. SCIARRA, Oxford, Hart Publishing, 2001, p. 18 e ss. 310 Obiettivo dell’azione della Comunità diventano alcune specifiche politiche: occupazione, protezione sociale, dialogo sociale, parità uomo donna, garanzia della mobilità dei lavoratori. In questo senso vedi L. AZZENA, L'integrazione attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, Torino, Giappichelli, 1998, la quale afferma che con Amsterdam la Comunità diviene uno “stato sociale” vero e proprio. Un giudizio che appare difficile da sostenere, specie se si guarda agli sviluppi degli anni successivi, durante i quali lo “stato sociale” europeo in realtà non è decollato veramente. 311 Questa regola che ha caratterizzato per molto tempo le decisioni di politica sociale, e che era dovuta all’atteggiamento scettico di alcuni paesi come l’Inghilterra, ha reso difficile la realizzazione di una vera politica sociale a livello europeo. Anche dopo Amsterdam, dunque, manca il riferimento ad un intervento diretto della Comunità in materia sociale; quest’ultima, come dice l’art. 137, si limita a sostenere e completare l’azione degli Stati e perciò lascia a questi ultimi un’autonomia molto ampia nella definizione delle politiche sociali. Su questi aspetti si vedano le considerazioni di M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 372 e 373 che arriva a riconoscere nell’azione della Comunità su diritti sociali – salvo alcune eccezioni, tra cui quella più rilevante è la parità uomo-donna - solo un ruolo “promozionale”. Sugli altri limiti della protezione dei diritti sociali nel Trattato di Amsterdam vedi M.-C. PONTHOREAU, Le principe de l'indivisibilite des droits. L'apport de la Charte des droits fondamentaux de l'Union europeenne ala theorie generale des droits fondamentaux, in Revue francaise de droit administratif, 5, 2004, p. 928 e ss. Sulla procedura vedi J.H.H. WEILER, M. CARTABIA,
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6.2.5 La riflessione successiva: la creazione dei Comitati di saggi Le lacune, le incoerenze e i difetti che contrassegnarono le previsioni sociali del Trattato di Amsterdam furono tutte analizzati negli anni successivi all’interno di un processo di riflessione sul ruolo svolto dall’Unione europea in materia di protezione dei diritti. In questo lavoro di analisi non furono risparmiate numerose critiche alle modalità con le quali si inserirono nel Trattato di Amsterdam le disposizioni sulle politiche sociali312. La marcia verso la riforma del ruolo dei diritti all’interno dell’UE prese il via attraverso l’istituzione – a distanza molto ravvicinata nel tempo – di tre Comitati (ad hoc comités des sages), incaricati del doppio compito di analizzare quali fossero i problemi e le prospettive per la tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione e di formulare un Report sulla relativa situazione. Il primo Comitato era presieduto da M. De Lourdes Pintasilgo313, il secondo è il Comitato di saggi composto da A. Cassese, C. Lalumiere, P. Leuprecht e M. Robinson314, il terzo era presieduto da S. Simitis315. Dei tre comitati è certamente quest’ultimo quello che ha avuto maggiore importanza ed influenza all’interno delle istituzioni europee, non fosse altro perché è dal documento elaborato al suo interno che il Consiglio euro-
L'Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, passim. 312 Per la dottrina italiana v. le critiche al sistema sociale europeo e alla mancanza di una corrispondente previsione a livello europeo dei diritti sociali mosse da P. RIDOLA, Diritti di libertà e mercato nella "costituzione europea", in Quaderni costituzionali, 1, 2000, p. 32 e ss.; M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 517 e ss.; B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit., p. 190. 313 Il Report finale del Comité des Sages è intitolato “For a Europe of Civic and Social Rights” (1996). 314 Il Comité des Sages intitolato “Leading by Example: A Human Rights Agenda for the European Union for the Year” ha terminato il suo lavoro nel 1999. 315 Questi tre comitati hanno elaborato dei report sui diritti civili, politici, economici e sociali. Sul tema vedi G. DE BURCA, Beyond the Charter: How Enlargement Has Enlarged the Human Rights Policy of the European Union, in Fordham Int'l LJ, 27, 2003, p. 887-888.
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peo è partito per l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea316. Alcune delle notazioni contenute nel Rapporto Simitis furono particolarmente interessanti per descrivere la situazione dei diritti sociali nell’Unione317. All’interno della relazione si rilevava che le innovazioni contenute nel Trattato di Amsterdam non erano soddisfacenti a proposito della tutela dei diritti sociali in quanto sussisterebbero ancora delle contraddizioni e delle lacune nel modo in cui l’Unione tratta questi temi. In particolare, si denunciava che tanto la Carta del 1961 quanto quella del 1989 erano considerate ancora esclusivamente come la base per le politiche comunitarie e non la fonte di diritti veri e propri: pur richiamando più volte la Carta sociale europea e la Carta comunitaria negli artt. 136 e 137 il Trattato disponeva che l’obbligo per la Comunità di sostenere e integrate gli sforzi degli Stati membri intesi ad attuare gli obiettivi della politica sociale non si applicava al diritto di associazione, né al diritto di sciopero e di serrata318. Se ne ricava – secondo le parole del Rapporto – che «l’Unione è nell’impossibilità di intervenire di propria iniziativa per garantire una migliore protezione dei diritti che rientrano tradizionalmente nei diritti sociali fondamentali e che, a più riprese, sono stati affermati sia dalle legislazioni nazionali che dai Trattati internazionali. L’inclusione dei diritti sociali fra i principi cui si ispirano le politiche e le attività dell’Unione europea, benché apparentemente generale, risulta quindi in concreto soltanto parziale»319. In linea con gli scopi della Commissione, il Rapporto Simitis conteneva anche una serie di suggerimenti diretti a sostenere
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Fu sulla base del documento Simitis che la Presidenza tedesca dell’UE nel 1999 decise che l’imperativo era quello di “portare l’Europa più vicino ai propri cittadini”. Il tema è ripreso in modo molto efficace da A. PIZZORUSSO, Il rapporto del Comitato Simitis, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2, 1999, p. 556 e ss. 317 S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa: i modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna, Il Mulino, 2012, passim. 318 Su questo aspetto vedi S. SCIARRA, La Costituzionalizzazione dell'Europa sociale. Diritti fondamentali e procedure di "soft law", in Quaderni costituzionali, 2, 24, 2004, p. 287. 319 Su tali aspetti vedi P. GARGIULO, I diritti sociali in Europa, in Verso l'Europa dei diritti. I diritti sociali nel Trattato costituzionale dell'Unione europea, a cura di I. DEL BIONDO, M.P. DEL ROSSI, E. MONTALI, Roma, Ediesse, 2004, p. 50 e 51.
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un rafforzamento della tutela dei diritti fondamentali nella Comunità320. A questo proposito, erano tre i principali suggerimenti: in primo luogo, l’aumento della “visibilità” dei diritti nel processo democratico europeo; in secondo luogo, l’introduzione contemporaneamente di strumenti che consentano di migliorare la “giustiziabilità” dei diritti e la previsione di obblighi per l’Unione e gli Stati membri di adottare misure specifiche che permettano l’attuazione dei diritti stessi321; in terzo luogo, la garanzia della indivisibilità dei diritti, vale a dire la conferma a livello europeo che qualsiasi tentativo di riconoscere esplicitamente i diritti fondamentali deve contenere tutti i diritti, quindi una considerazione non solo dei diritti civili e politici, ma anche dei diritti sociali, economici e culturali nell’ottica della protezione eguale di tutti i cittadini comunitari322. 6.3 I diritti sociali nella Carta di Nizza All’interno del percorso che delinea il modo in cui i diritti sociali hanno ricevuto protezione nell’ordinamento europeo, la Carta di Nizza rappresenta certamente uno dei passaggi più importanti. Oltre a rappresentare una momento cruciale di quel processo costituente che molti ravvisano nella storia istituziona-
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Op. cit., p. 52. Interessante quanto nota op. cit., p. 52, secondo il quale «pur sostenendo che la protezione giudiziaria è un elemento cruciale della salvaguardia dei diritti fondamentali, ritiene che essa non ne costituisca l’unico presupposto e debba pertanto essere integrata da misure legislative o altre volte ad attuare e garantire i diritti. Entrambi gli aspetti devono far parte di “un sistema regolamentare unico” in assenza del quale si riducono le possibilità per l’individuo di esercitare i propri diritti». 322 In questo senso il Rapporto si rivela un’interessante cassa di risonanza delle preoccupazioni già espresse a livello internazionale tanto dalla dottrina quanto dai diversi organismi incaricati della protezione dei diritti economici, sociali e culturali. 321
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le recente dell’Europa323, la Carta indubbiamente segna uno dei momenti decisivi in questa parte del lavoro324. Nella parte finale del paragrafo precedente abbiamo già messo in luce il processo riformatore che si è svolto alla fine degli anni ‘90 e che ha portato le istituzioni europee a decidere di usare i diritti come uno dei mezzi per avvicinare l’Europa ai cittadini europei. Il lavoro di elaborazione della Carta è stato compiuto a valle di questo processo da una specifica istanza, la Convenzione, la cui composizione e il mandato sono stati determinati dai Consigli europei di Colonia (3-4 giugno 1999) e Tampere (15-16 ottobre 1999)325. La Carta è stata poi proclamata nella forma solenne a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dalla Commissione326. Per alcuni anni dopo la sua proclamazione, la Carta non ha avuto carattere giuridico vincolante e ciò è stato oggetto di notevole discussione327. 323
Molto è stato scritto su come la Carta rappresenti un passaggio cruciale all’interno del percorso istituzionale recente dell’Unione europea. Un efficace quadro dei passaggi fondamentali si può trovare in: A. PIZZORUSSO, La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: le principali tappe preparatorie, in Teeniche di garanzia dei diritti fondamentali, a cura di G. ROLLA, Torino, Giappichelli, 2001, p. 103 e ss. 324 La sua approvazione è arrivata al termine di un percorso nel quale si è assistito alla riaffermazione dell’autonomia della dimensione giuridica al suo massimo livello, che è quello dell’adozione di una dichiarazione di diritti contenente l’affermazione tanto delle libertà civili e politiche quanto dei diritti sociali, economici e culturali. Sul punto vedi M. BARBERA, Dopo Amsterdam. I nuovi confini del diritto sociale comunitario Brescia, Promodis Italia Editrice, 2000, p. 88 e ss. 325 Il Consiglio europeo di Colonia ha assunto la decisione di affidare alla Convenzione il mandato di predisporre un progetto di Carta dei diritti fondamentali nel quale fossero sanciti i diritti fondamentali garantiti dalla Cedu e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, nonché i diritti economici, sociali e culturali quali enunciati nella Carta sociale europea del 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989. Il Consiglio europeo di Tampere ha definito nei dettagli la composizione della Convenzione stabilendo che sarebbe stata composta da 62 membri divisi come segue: 15 rappresentanti dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, 1 rappresentante del presidente della Commissione, 16 membri del Parlamento europeo, 30 membri dei Parlamenti nazionali (2 per ciascun Parlamento), due rappresentanti della Corte di Giustizia e due rappresentanti del Consiglio d’Europa. A presiedere la Convenzione fu nominato l’ex presidente tedesco, Roman Herzog. La Convenzione terminò i propri lavori il 2 ottobre 2000. 326 A. PIZZORUSSO, La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: le principali tappe preparatorie, cit., p. 105 e ss. 327 Gli Stati membri e le istituzioni comunitarie preferirono impegnarsi a rispettare la Carta nell’adozione della nuova legislazione. Tuttavia il destino
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Oggi, dopo gli emendamenti del Trattato di Lisbona, l’art. 6 del TUE prevede che la Carta, dopo l’adozione avvenuta a Strasburgo nel 2007, sia divenuta parte del diritto primario dell’Ue328. Su questo punto ci soffermeremo più avanti analizzando gli effetti del Trattato di Lisbona sulla protezione dei diritti sociali. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea rafforza la dimensione assiologica dei diritti fondamentali all’interno del quadro europeo, rimediando alla frammentarietà nella tutela che aveva contrassegnato, come abbiamo visto, il periodo precedente329. Il rafforzamento di tale dimensione unitaria caratterizza tutte le disposizioni della Carta e in special modo le previsioni sui diritti sociali. Non bisogna dimenticare che per la prima volta a livello internazionale i diritti sociali e i diritti civili e politici sono contenuti in un unico documento, sono perciò equivalenti (cioè non gerarchicamente ordinati) e si riferiscono a tutti gli esseri umani330. Sul piano strutturale la Carta contiene 54 articoli distribuiti in sei capi331. della Carta fu rinviato per essere definito nel momento in cui sarebbero state sciolte le riserve sul futuro “costituzionale” dei Trattati. In questo senso v. le dichiarazioni del Consiglio Europeo di Laeken (14-15 dicembre 2001). Per un’analisi delle principali questioni legate alla decisione di Laeken vedi U. DE SIERVO, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Dir. pubbl., 1, 2001, p. 33 e ss.; V. ANGIOLINI, Carta dei diritti dell’Unione europea e diritto costituzionale: incertezze apparenti e problemi veri, in Dir. pubbl., 3, 2001, p. 923 e ss.; A. PACE, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 1, 46, 2001, p. 193 e ss.; A. SPADARO, Sulla giuridicità della Carta europea dei diritti: c'è ma per molti non si vede, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, a cura di G.F. FERRARI, Milano, Giuffrè, 2001, p. 257 e ss.; M.P. MADURO, The Double Constitutional Life of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, in Economic and Social Rights Under the EU Charter of Fundamental Rights: A Legal Perspective, a cura di T. HERVEY, J. KENNER, Oxford, Hart Publishing, 2003, p. 269 e ss. 328 Pur non essendo inserita nei due Trattati (TUE e TFUE) la Carta è allegata alla versione consolidata dei Trattati stessi. 329 V. BALLESTRERO, Brevi osservazioni su costituzione europea e diritto del lavoro italiano, in Lavoro e diritto, 4, 2000, p. 563. 330 S. COPPOLA, Social Rights in the European Union: The Possible Added Value of a Binding Charter of Fundamental Rights, in The EU Charter of Fundamental Rights. From declaration to binding instrument, a cura di G. DI FEDERICO, Springer, 2011, p. 210. 331 I capi sono suddivisi in: Dignità (Capo I - artt. 1–5), Libertà (Capo II - artt. 6–19), Uguaglianza (Capo III - artt. 20–26), Solidarietà (Capo VI - artt. 27– 38), Cittadinanza (Capo V - artt. 39–46), Giustizia (Capo VI - artt. 47-50). Le
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I diritti sociali occupano soprattutto il capo sull’”eguaglianza” e sulla “solidarietà”, ma sono presenti anche negli altri capi. Se, infatti, per diritti sociali intendiamo non solo quei diritti che hanno a che fare con una prestazione offerta dallo stato (o anche i meri diritti positivi, secondo un certo modo di intendere questi diritti) o da un altro soggetto pubblico, ma tutti i diritti che si riferiscono alla vita sociale delle persone, cioè diritti che necessariamente implicano il carattere relazionale della vita umana, dobbiamo necessariamente allargare l’ambito dell’indagine e analizzare molte altre previsioni della Carta. L’art. 1, ad esempio, sancisce la tutela della dignità umana, presupposto fondamentale per la protezione dei diritti sociali332, mentre l’art. 5 fa divieto del “lavoro forzato”. Nel capo II, poi, vi sono previsioni classicamente ricondotte nella tutela dei diritti sociali, come l’art. 14 che prevede il diritto all’educazione e il diritto a “creare istituti nel rispetto dei principi democratici” e l’art. 15 che prevede la libertà professionale e il diritto di lavorare, in cui è compreso il diritto di “cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro”333. Allo stesso modo il capo III prevede diritti che hanno a che fare con quella che secondo le categorie costituzionali italiane sono le misure per favorire e garantire l’eguaglianza formale e sostanziale: si tratta dell’art. 23, dove è prevista la parità tra uomini e donne, da garantire in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione, l’art. 24 che prevede i diritto del bambino, in cui sono compresi il diritto al “benessere” del bambino, l’art. 25 che contiene i diritti dell’anziano a “condurre una vita dignitosa e indipendente e a partecipare alla vita sociale e cultunorme finali (Capo VII - artt. 51–54) riguardano le regole generali sulla sua interpretazione e sulla portata delle disposizioni (dette anche “previsioni orizzontali”). La più importante delle norme finali è certamente la previsione che le norme della Carta si applicano alle istituzioni europee e agli Stati membri – sulla base del principio di sussidiarietà -esclusivamente quando essi attuano il diritto dell’Unione (art. 51), e senza che da tali disposizioni sui diritti possa derivarne un ampliamento delle competenze dell’Unione (art. 52). Giova ricordare, anche se lo analizzeremo in seguito, che in base ad uno specifico protocollo opzionale firmato a Lisbona il capo sulla Solidarietà non si applica alla Polonia e al Regno Unito. 332 F. VIOLA, Etica e metaetica dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2000, p. 75 ricorda che “i diritti sociali hanno il compito di far valere la dignità umana all’interno dei contesti di esercizio della condizione umana”. 333 Potremmo citare tra queste previsioni anche la libertà di impresa dell’art 17 che pur non facendo parte dei diritti sociali rappresenta comunque un “limite” per molti diritti sociali, specie quelli collegati al lavoro.
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rale”, l’art. 26 che garantisce i diritti dei disabili di “beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”334. La gran parte dei diritti sociali previsti nella Carta sono contenuti negli articoli del capo IV sulla “solidarietà”, quello che più di tutti è stato ritenuto essenziale per la protezione di tali diritti all’interno della Carta335. Quasi tutte le previsioni contenute in questi articoli hanno a che fare con la dimensione del lavoro336, sia nella sua fase iniziale (collocamento e accesso al mercato) sia nella sua fase finale (trattamento pensionistico e assistenza nel caso di perdita del lavoro)337; vi sono anche il diritto di negoziazione e il diritto di ricorrere ad azioni collettive per la difesa degli interessi, compreso lo sciopero (art. 28). Alla dimensione del lavoro si collega poi la protezione della vita familiare in quanto tale, stabilita nell’art. 33, e il diritto a conciliare le esigenze familiari con il diritto al lavoro. Il capo sulla solidarietà si chiude poi con quattro disposizioni senza un collegamento diretto alla protezione dei lavoratori e che hanno una marcata natura di norme meramente promozionali. L’art. 35, che prevede il diritto di accedere alla protezione sanitaria e di ottenere cure mediche; l’art. 36, che protegge l’accesso ai servizi di interesse economico generale; l’art. 37, che garantisce la
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Come si può notare queste previsioni hanno una notevole caratterizzazione sociale e in molti casi sono conformate come veri e propri diritti (cioè come pretese o garanzie collegate a previsioni di veri e propri doveri o obblighi correlativi) e non come meri obiettivi formulati come politiche o principi di cui deve tenere conto la legislazione europea. Aspetto sottolineato anche da F. PIZZOLATO, Il sistema di protezione sociale nel processo di integrazione europea, cit., p. 153. 335 M.A. DAUSES, The Protection of Fundamental Rights in the Legal Order of the European Union, Germany, Peter Lang, 2010, p. 86 e 87 distingue le disposizioni presenti in questo capo in quattro tipologie di diritti: le libertà con rilevanza sociale (es. art. 28); i diritti fondamentali sociali ed economici che giustificano domande di protezione (es. art. 27, 31, 32, 33); i diritti fondamentali sociali ed economici che giustificano diritti di partecipazione (es. art. 29, 34, 35, 36); principi sociali che non giustificano diritti subiettivi, ma che trasferiscono i già esistenti obiettivi del Trattato CE alla Carta come previsioni orizzontali, tra cui la salute (art. 35), la protezione ambientale (art. 37) e la protezione dei consumatori (art. 38). 336 Per un esame delle disposizioni sul lavoro v. le considerazioni di R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, in Dir. rel. ind., 3, 2001, p. 340 e ss. 337 All’art. 32 sono previsti anche il divieto di lavoro minorile e la protezione dei giovani sul luogo di lavoro.
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tutela dell’ambiente; l’art. 38, sulla protezione dei consumatori.338 Nel complesso, la protezione garantita dalle norme della Carta ai diritti sociali, intesi come diritti che hanno a che fare con la dimensione relazionale della persona umana e con la risposta a certi bisogni della vita (assistenza, salute, educazione, servizi pubblici, ambiente, protezione del lavoro, protezione della famiglia, protezione dei soggetti deboli), è presente in molte norme della Carta. I diritti sociali inverano quei principi di dignità, libertà, eguaglianza di opportunità che si proiettano all’interno di tutto il documento e che non possono essere limitati esclusivamente alla sfera della solidarietà. In questo senso la riconduzione alla solidarietà di molti dei diritti che hanno a che fare con il lavoro appare giustamente riduttiva; alla luce della concezione della cittadinanza sociale che emerge in questo documento non ci si può limitare alla solidarietà più propriamente redistributiva senza considerare le implicazioni sociali e politiche di cui tale concetto si è arricchito durante gli anni339. Seguendo il filo delle considerazioni svolte, appare evidente poi che la scelta di dividere i diritti nella Carta secondo l’ancoraggio a sette mega valori, intesi come “ragioni” alla base della protezione dei diritti, è un’operazione che rischia di generare due effetti distorsivi per il catalogo: da un lato, esso può produrre un disallineamento di questo documento rispetto alle costituzioni nazionali, le quali distinguono i diritti per “generazioni” e non secondo criteri astratti o legati alla costruzione di un nuovo umanesimo europeo; dall’altro, per la struttura che adotta la Carta tende a lasciare in ombra tutte quelle possibili interrelazioni e combinazioni tra previsioni collocate in capi diversi, le quali formano tipicamente la base per quelle operazioni di bilanciamento realizzate dalla giurisprudenza in casi di conflitto tra titolari di diversi diritti340.
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A differenza dei casi precedenti, in questi tre ultimi articoli non si fa conto del riconoscimento di un diritto ma si affermano solo principi e obiettivi di cui gli Stati membri e le istituzioni comunitarie devono farsi carico nell’esercizio dei loro poteri. 339 In questo senso v. R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, cit., p. 345. Critico su un tale uso della nozione di solidarietà P.F. LOTITO, Art. 27, in L'Europa dei diritti, a cura di M. CARTABIA, A. CELOTTO, R. BIFULCO, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 209. 340 In questo senso non è del tutto comprensibile, o comunque poco proficua, la scelta di collocare il diritto all’educazione e il diritto di lavorare nel capo
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Una menzione particolare merita anche la scelta di raggruppare sotto la voce “solidarietà” la maggior parte dei diritti sociali. Per questo motivo la Carta rappresenta certamente il frutto di uno sforzo di conciliazione di diversi modi di intendere i diritti, ma anche della necessità di trovare una strada autonoma e singolare alla protezione europea dei diritti fondamentali. L’esistenza di un capo sulla solidarietà appare sia il riflesso della necessità di considerare i diversi modi di intendere i diritti sociali all’interno degli stati europei sia il prodotto di un tentativo di tradurre in un linguaggio unico la protezione europea di tali diritti, escludendo però il dovere di affrontare il delicato punto dei presupposti antropologici a fondamento dei diritti proclamati341. Tale decisione da una parte evidenzia l’esigenza di riunire secondo un’unica chiave di lettura i diritti individuali e collettivi relativi al welfare, ma dall’altra rischia di essere inutile in quanto chiara espressione di un mero impeto retorico che astrae i diritti dalla società alla quale essi si riferiscono342. Per essere concepita come elemento identificativo dei diritti sociali l’idea della solidarietà si sarebbe dovuta allargare fino a com-
sulla dignità o di aver previsto norme sulla famiglia in tre capi anziché riunire tutte le previsioni in un unico articolo o comunque in un unico capo. 341 Se questo è vero, cioè che chi ha scritto la Carta ha evitato di porsi il problema sui presupposti antropologici di essa, è fonte di ambiguità e di indeterminatezza tentare di interpretare quale sia il fondamento dei diritti contenuti nella Carta. Negli anni passati molti autori hanno oscillato tra l’identificare in quest’ultima tracce di pluralismo o di puro individualismo. Su tali aspetti si sono soffermati molti autori con visioni a volte molto divergenti, i quali hanno sottolineato l’ambiguità di un discorso si fondamenti che venga applicato in modo asettico su tutte le dichiarazioni a qualunque livello esse vengano adottate. In dottrina v. soprattutto quanto hanno affermato sul punto: E. ROSSI, Tutela individuale e tutela collettiva dei diritti fondamentali europei, in La Carta europea dei diritti. Atti del convegno di Genova del 16-17 marzo 2001, a cura di P. COSTANZO, Genova, De Ferrari, 2002, passim; A. SPADARO, La carta europea dei diritti fra identità e diversità e fra tradizione e secolarizzazione, in Quaderni regionali, 1, 2002, p. 139 e ss.; A. MANZELLA, Dal mercato ai diritti, in Riscrivere i diritti in Europa, a cura di A. MANZELLA, P. MELOGRANI, E. PACIOTTI, S. RODOTÀ, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 34. 342 I problemi relativi ad un certo uso retorico della solidarietà – anche attraverso la riconduzione del concetto al motto rivoluzionario della fraternité tendente ad oscurarne il senso v. le considerazioni generali di M. ROSS, Solidarity: A New Constitutional Paradigm for the EU?, in Promoting Solidarity in the European Union, a cura di M. ROSS, Y. BORGMANN-PREBIL, Oxford, Oxford University Press, 2010, p. 23 e ss.
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prendere l’intero “circuito” del welfare343, e perciò comprendere anche l’educazione pubblica, i diritti dei soggetti deboli (bambini, anziani, disabili, etc.), il diritto all’abitazione (e non solo il diritto all’assistenza abitativa). In più sotto questo capo si sarebbero dovute collocare norme che si riferiscono alle “istituzioni” della solidarietà (famiglia, sindacati, società civile, istituzioni del terzo settore e in generale istituzioni non governative)344. In questo senso non quadra nemmeno il riferimento alla solidarietà per delineare la natura della maggioranza dei diritti sociali riferiti al lavoro. Mediante l’introduzione di un sistema di valori ispiratori delle paritarie categorie dei diritti fondamentali, la Carta contribuisce a superare in maniera rilevante il limite del carattere esclusivamente “economico” del processo di integrazione europea, per tentare di proiettarlo in una dimensione politica e conseguentemente “costituzionale”345. Tanto che secondo alcuni autori non sarebbe fuori luogo parlare dello sviluppo di una vera e propria “cittadinanza europea sociale” – costituita dai diritti proclamati – accanto alla cittadinanza europea di cui parlano le ultime disposizioni della Carta346. In generale, però, i diritti contenuti nella carta formano un “nucleo assiologico (molto) caotico”347, tanto che non è semplice individuare quali effetti siste343
L’idea di collegare gli istituti del welfare e conseguentemente alcuni diritti sociali al tema della solidarietà non è un fatto nuovo negli studi europei. Tra tutti vedi G. MAJONE, The European Community between social policy and social regulation, in JCMS: Journal of Common Market Studies, 2, 31, 1993, p. 156 e ss. 344 La solidarietà non può essere richiamata in senso generale, senza l’identificazione dei soggetti, degli attori, e dell’ambiente dove la solidarietà stessa prende corpo e si sviluppa. 345 V. sul tema G. AZZARITI, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel "processo costituente europeo", in Europa e diritti, a cura di G. AZZARITI, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2002, p. 9 e ss.; D. GRIMM, Il significato della stesura di un catalogo europeo dei diritti fondamentali nell’ottica della critica dell’ipotesi di una Costituzione europea, in Diritti e costituzione nell’Unione Europea, a cura di G. ZAGREBELSKY, Roma, Laterza, 2003, p. 5 e ss. 346 Vedi Y. KRAVARITOU, European Union Charters and social rights, in Social rights: challenges at European, regional and international level, a cura di N. ALIPRANTIS, I. PAPAGEORGIOU, Bruxelles, Bruylant, 2010, p. 66. L’autore parla dei diritti riconosciuti nella Carta come l’espressione dell’immaginario istituzionale collettivo della società europea che insieme alla protezione costituzionale dei diritti include tra le altre istituzioni democratiche, sistemi di partecipazione e di dialogo sociale. 347 Citazione tratta da F. VIOLA, Etica e metaetica dei diritti umani, cit., p. 31.
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mici essi potranno produrre in termini istituzionali. Quando i diritti superano la condizione dell’ordine sparso è doveroso individuarne un criterio unificante, che di solito ha l’aspetto di un fine, di un télos, che questo nuovo corpo di disposizioni intende raggiungere348. Non si può evitare di paragonare i diritti della Carta con le previsioni di altri documenti simili, come le Costituzioni degli stati o le dichiarazioni internazionali, perché è in questo paragone che emerge lo specifico contributo che ognuno di questi documenti offre alla protezione dei beni fondamentali che appartengono all’uomo349. Sotto il profilo della titolarità giuridica delle posizioni soggettive, le norme della Carta contengono i riferimenti più disparati a seconda del bene tutelato (e non del valore di fondo a cui si riferiscono)350. Non è un caso che la Carta usi il termine “cittadinanza” solo nel Capo V, in senso molto ristretto, riferendolo ai soli diritti politici. In molte delle previsioni esaminate, infatti, si nota una tendenza a superare il concetto tradizionale che vorrebbe i diritti sociali previsti solo per i cittadini di uno stato. Anzi, nella Carta affiora un superamento dell’idea marshalliana di “cittadinanza sociale”351. E questo avviene sia sotto il profilo dell’esplicita affermazione della rilevanza dei diritti sociali sul piano dei rapporti tra privati sia sotto il profilo dell’ampliamento della titolarità delle diverse posizioni soggettive protette, che non sono attribuite solo al lavoratore ma più in generale chi si trovi in una “qualificata posizione sociale352“ o perché “lavoratore” o perché aspirante ad entrare nel mercato di lavoro o perché in una situazione di bisogno in cui sia incorso. Esemplificativi in questo senso sono gli artt. 34 e 35: il primo è relativo al diritto di ogni individuo (sia che risieda sia che solo si sposti legalmente all’interno dell’Unione) alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali (comma 2), nonché al di348
F. SALMONI, Diritti sociali e Unione Europea: dall’ordinamento comunitario allo Stato sociale europeo, in Studi in onore di Gianni Ferrara, a cura di AA.VV., III, Torino, Giappichelli, III, 2005, p. 531 e ss. 349 Critico sulla possibilità di comparare la filosofia di fondo della Carta con le altre Dichiarazioni e le Costituzioni R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, cit., p. 344 e 345. 350 D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit., p. 355 e 356. 351 T. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale, cit., passim. 352 Affermazione di M. BARBERA, La carta di Nizza e le politiche sociali europee, in La Carta di Nizza. I diritti fondamentali dell'Europa, a cura di M. NAPOLI, Milano, Vita & Pensiero, 2006, p. 48.
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ritto all’assistenza sociale e abitativa per tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti (comma 3); il secondo articolo prevede il diritto di ogni individuo di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche353. Vi è un filo rosso fondamentale tra la Carta e le fonti internazionali che riguardano, in generale, in diritti umani e, in particolare, i diritti sociali. In effetti il collegamento è molto forte e non riguarda solo quei documenti che oramai affermano la pari garanzia e indivisibilità di tutti i diritti ma anche l’insieme delle Convenzioni dell’OIL e delle decisioni ICESCR, al punto che è possibile ascrivere la Carta all’interno di quel processo di espansione e generalizzazione globale dei diritti umani che sta accadendo davanti ai nostri occhi354. Ma se da un lato la Carta è protesa verso il mondo, nella consapevolezza della dimensione “universale e indivisibile” dei diritti355, dall’altro essa è soprat353
Queste previsioni sono significative del fatto che la Carta «riconosce posizioni giuridiche soggettive all’individuo in quanta tale, considerato come portatore di bisogni, avviando cosi il superamento (o meglio, l’ampliamento) dell’orizzonte precedentemente ristretto quasi esclusivamente al lavoratore». Cfr. F. PIZZOLATO, Il sistema di protezione sociale nel processo di integrazione europea, cit., 155. 354 Su questo specificamente S. RODOTÀ, Diritto, diritti, globalizzazione, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 4, I, 2000, p. 765 e ss. Ma vedi anche le notazioni di M. CARTABIA, L’universalità dei diritti umani nell’età dei «nuovi diritti», in Quad. cost., 3, XXIX, 2009, p. 537 e ss. 355 Aver collezionato in un unico testo sia i diritti civili sia i diritti sociali rappresenta un salto in avanti notevole, in cui si può cogliere il riflesso dei risultati raggiunti anche in sede teorica sulla indivisibilità e eguale “fondamentalità” dei diritti umani. Ovviamente anche sottolineando questo dato non si deve perdere di vista che, malgrado la proclamata indivisibilità, le diverse categorie di diritti hanno una storia diversa sia a livello internazionale e nazionale sia a livello europeo. Il tema del riconoscimento combinato dei diritti civili e dei diritti sociali in un unico testo è esaminabile anche dal punto di vista del processo di integrazione europeo ed in special modo sul piano del rapporto tra due assi contrapposti, quello del decentramento e quello dell’accentramento delle politiche sociali. Su questo tema si incentra il lavoro di J. KENNER, Economic and Social Rights in the EU Legal order: the Mirage of Indivisibility, cit., passim. Il tema della indivisibilità ed eguale protezione è stato oggetto di esame a livello internazionale più di una volta, sia durante la conferenza di Teheran del 1968 sia durante la Conferenza di Vienna del 1993. Il problema, inoltre, era stato affrontato anche all’interno del Rapporto Simitis (v. in particolare p. 21 del Rapporto). In questo senso il risultato raggiunto con la Carta sembra andare nella direzione già sottolineata dalla Corte costituzionale e dalla dottrina italiana che ha da molto tempo individuato l’esistenza di un vero e proprio “interesse della collettività” a liberare i cittadini dal bisogno e a garantire «quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono
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tutto un documento europeo. Essa, in particolare, porta a compimento quella tutela dei diritti sociali contenuta tanto nelle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa quanto nelle Costituzioni nazionali356. La Carta di Nizza, infatti, intende porsi come un “ammodernamento” delle precedenti dichiarazioni dei diritti. È significativo che questo documento accoglie e sviluppa in più direzioni l’idea che i diritti sociali valgano non solo sul piano del rapporto individuo/persona-stato ma anche sul piano dei rapporti tra privati357. Sul piano del contenuto, infine, è certamente rilevante l’aver finalmente ricompreso il diritto di sciopero tra le libertà collettive garantite ai lavoratori. Non mancano, dunque, le lacune e le aporie in questa ricollocazione dei diritti all’interno di un unico corpo normativo358. Malgrado sia stato compiuto un grande balzo in avanti all’interno della protezione europea dei diritti, alcune questioni rimangono ancora irrisolte. Una parte della dottrina, infatti, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (art. 6) ritiene che per la protezione dei diritti sociali da parte dell’UE vi siano ancora alcuni problemi, che sono legati tanto alla natura delle disposizioni della Carta quanto alle difficoltà che derivano dalla mancanza di norme corrispondenti sulle politiche sociali359. Un tema, quest’ultimo, che ha trovato concordi molti autori, i quali hanno avvertito che la Carta rischia di essere un documento inutile a causa della mancanza di riferimenti certi alle l’effettivo godimento dei diritti civili e politici». Cfr. Corte cost. n. 286/1987, punto n. 3.2 del c.i.d. 356 Su questo aspetto la Carta non porta novità decisive, visto che già l’esaminato art. 136 del TCE inserito con il Trattato di Amsterdam riconosceva il valore delle Carte del 1961 e del 1989 per la tutela dei diritti sociali in Europa. 357 R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, cit., p. 338. 358 Si pensi ad esempio all’esclusione dei diritti che si riferiscono ai sindacati e alla negoziazione collettiva. 359 O. ZETTERQUIST, The Charter of Fundamental Rights and the European Res Publica, in The EU Charter of Fundamental Rights. From declaration to binding instrument, a cura di G. DI FEDERICO, Springer, 2011, p. 12 e 13 afferma che la Carta, anche dopo Lisbona, soffre di due grandi problemi: uno è il carattere superfluo delle sue previsioni, destinate a seguire e non a determinare sul piano legislativo le competenze dell’Ue; l’altro è l’impossibilità dei diritti proclamati, specie quelli sociali, di essere giustiziati. Soprattutto a causa di quest’ultimo problema le norme sui diritti sociali potrebbero, secondo l’autore, portare ad un “depotenziamento” anche degli altri diritti previsti nella Carta.
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politiche europee in essere e che concernono sia la promozione sia l’applicazione dei diritti360. I problemi evidenziati da questa parte della dottrina sono difficilmente risolvibili. Coloro che puntano il dito sulla mancanza di una netta distinzione tra “rights” dai “principles” all’interno della Carta, evidenziano quanto tale ambiguità di fondo lasci nelle mani dei giudici il compito politico di individuare le previsioni effettivamente giustiziabili361. Il rilievo coglie una verità di fondo che non si può certo eludere, ma che nemmeno può costituire il giudizio definitivo sul cammino compiuto. La Carta, infatti, assume un punto di vista nuovo sui diritti sociali, valorizzando a livello europeo sia i risultati raggiunti all’interno degli ordinamenti nazionali sia l’esperienza internazionale. È per questo motivo che i diritti sociali sono costruiti ora come situazioni giuridiche soggettive in capo alla persona (gli “entitlements” di cui parla la dottrina inglese), ora come meri obiettivi di politica che le istituzioni europee e gli stati membri dovranno realizzare362. Si pensi, per esempio, alla previsione dell’art. 51, comma 2, dove si legge che la Carta «non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati». Tale previsione acquista chiarezza se letta in combinato con il primo comma dello stesso articolo ed in special modo con il dovere di rispettare i diritti, di osservare i principi e di promuoverne «l’applicazione secondo le rispettive competenze». La Carta, perciò, ha un senso molto chiaro: le disposizioni di principio e i diritti sono anzitutto un “upgrade” degli obiettivi, principi e diritti che devono essere implementati dalla legislazione secondaria dell’Unione e, in se360
Su questo aspetto è intervenuto negli anni successivi all’adozione della Carta passim, il quale mette in luce la necessità di non dimenticare il valore reale che deve avere una carta dei diritti al di là delle proclamazioni formali e delle “iconografie”. 361 Sia la distinzione tra questi due concetti e la mancanza di chiarezza nella Carta sono stati criticati da molti autori. Fra tutti vedi D. ASHIAGBOR, Economic and Social Rights in the European Charter of Fundamental Rights, in European Human Rights Law Review, 1, 2004, p. 71 e ss.; G. DE BURCA, Fundamental rights and citizenship, in Ten Reflections on the Constitutional Treaty for Europe, a cura di B. DE WITTE, Florence, EUI, Robert Schuman Centre, 2003, p. 22 e ss.; B. DE WITTE, The Trajectory of Fundamental Social Rights in the European Union, cit., p. 159 e ss. 362 B. HEPPLE, Towards a european social constitution, in Labour law and industrial relations at the turn of the century: liber amicorum in honour of Roger Blanpain, a cura di C. ENGELS, M. WEISS, London - Boston, The Hague, 1998, p. 302 e ss.
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condo luogo, un rafforzamento dei compiti delle istituzioni comunitarie, adesso tenute a “promuovere l’applicazione” dei diritti contenuti in essa363. Se è così, deve essere pure rivista quella lettura riduttiva che tendeva dare alla Carta un mero valore ricognitivo. È vero che essa arriva al termine di un percorso che parte da molto lontano e corrisponde con la stessa storia dell’integrazione comunitaria, ma le sue disposizioni rappresentano un quid novi all’interno della protezione dei diritti fondamentali, e in special modo dei diritti sociali364. E la nostra considerazione non è legata solo a quello che il testo dice, ma anche a cosa non dice – specie per quanto riguarda i congegni di garanzia dei diritti – e quindi alle necessità di uno sviluppo futuro della protezione dei diritti fondamentali a livello europeo, anche in combinazione con le previsioni nazionali che insistono sul medesimo oggetto. L’elaborazione di una Carta dei diritti, dunque, rappresenta una tappa decisiva e simbolicamente efficace del processo di integrazione europeo (positiva e negativa) perché riesce a coglierne contemporaneamente il “prima” e il “dopo”365. 6.4 Il Trattato di Lisbona e la “decostituzionalizzazione” dell’Europa sociale Nel percorso descritto il Trattato di Lisbona merita certamente un esame particolare. Non solo perché rappresenta una tappa cruciale del processo di realizzazione dei diritti sociali all’interno del sistema comunitario, ma anche per l’evoluzione dell’Unione europea che esso segna366. Il Trattato, infatti, è arri363
La clausola che prevede la promozione dei diritti è un fatto davvero innovativo se paragonato con le norme delle costituzioni nazionali. Su questo vedi M. CARTABIA, Art. 51, in L'Europa dei diritti, a cura di M. CARTABIA, A. CELOTTO, R. BIFULCO, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 350. 364 C. SALAZAR, I diritti sociali nella Carta dei diritti fondamentali dellíUnione europea: un "viaggio al termine della notte"?, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, a cura di G.F. FERRARI, Milano, Giuffrè, 2001, p. 252 e ss. 365 In questo senso si possono leggere le considerazioni di: A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 104 e ss.; M. CARTABIA, A. CELOTTO, R. BIFULCO, Introduzione, cit., p. 12. 366 In molti hanno affermato che nella sostanza il Trattato di Lisbona rappresenta un’evoluzione costituzionale e che in realtà poco cambia rispetto al Trattato costituzionale. In realtà i cambiamenti ci sono e quanto diremmo in materia di diritti dimostra se non altro che la strategia generale perseguita dal nuo-
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vato al termine di un percorso, tortuoso e imprevisto, che ha visto i paesi dell’Unione prima impegnati nello sforzo di redigere una Costituzione europea, poi – dopo i due fallimenti dei referendum in Francia e in Olanda – li ha costretti a rinnegare ogni ambizione costituzionale e a scegliere una mera “revisione” dei trattati originari367. L’elemento sistematico che emerge subito leggendo la riforma è che dopo Lisbona rimangono comunque in piedi due trattati distinti: uno sull’Unione europea (TUE) e uno sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)368. Si tratta di un ordinamento non più basato sui tre pilastri, ma su due atti fondamentali (i trattati consolidati) che hanno un indubbio valore costituzionale, nonostante questa caratteristica fosse stata negata dal mandato di Bruxelles369. II diritto primario dell’Unione si basa, dunque, sul TUE ( contenente i “principi fondamentali, i principi democratici, le istituzioni, l’importante capitolo sulla politica esterna, sulla sicurezza comune, le procedure di modifica dei trattati europei e il sistema di recesso dall’Unione) e sul TFUE (contenente le complesse norme sul funzionamento dell’Unione che nel Trattato costituzionale costituivano la parte terza)370.
vo Trattato può essere avvicinata ma non sovrapposta del tutto a quella del precedente. Su tale punto vedi l’interessante studio compiuto da C. REH, The Lisbon Treaty: De Constitutionalizing the European Union?, in JCMS: Journal of Common Market Studies, 3, 47, 2009, p. 625 e ss. 367 Sulle tappe e il contenuto del Trattato di Lisbona vedi J.C. PIRIS, Una valutazione politica del Trattato di Lisbona, in Quaderni costituzionali, 1, 2011, p. 179 e ss.; I. PERNICE, Treaty of Lisbon: Multilevel Constitutionalism in Action, in Colum. J. Eur. L., 15, 2008, p. 349 e ss.; M. DOUGAN, The Treaty of Lisbon 2007: Winning minds, not hearts, in Common market law review, 3, 45, 2008, p. 617 e ss.; P. CRAIG, The Treaty of Lisbon, process, architecture and substance, in European Law Review, 2, 33, 2008, p. 137 e ss.; R. CROWE, The Treaty of Lisbon: A Revised Legal Framework for the Organisation and Functioning of the European Union, in 9, 2008, p. 163 e ss. Il deposito dello strumento di ratifica previsto per l’entrata in vigore del Trattato si è perfezionato il giorno 13 novembre 2009. In conformità all’art. 6, paragrafo 2, il esso è entrato in vigore il 18 dicembre 2009 (Comunicato 20 gennaio 2010, pubblicato nella G.U. 20 gennaio 2010, n. 15). 368 In Italia il Trattato di Lisbona è stato ratificato con la legge 2 agosto 2008, n. 130. 369 Su questa ambiguità vedi J.H.H. WEILER, Editorial: Marking the Anniversary of the Universal Declaration; The Irish No and the Lisbon Treaty, in European journal of international law, 4, 19, 2008, p. 647 e ss. 370 Le innovazioni fondamentali si possono trovare in J. ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, Il Mulino, 2007, passim.
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Prima di occuparci nello specifico delle novità riguardanti il rinvio alla Carta di Nizza e alla CEDU (art. 6 del TUE), occorre analizzare le norme che riguardano i diritti sociali all’interno dei nuovi TUE e TFUE, per scoprire quali sono le novità più importanti riguardo all’Europa sociale. Anzitutto occorre fissare un dato di fondo che vale soprattutto per le disposizioni del TUE: in tutte le nuove norme echeggia il tema del rafforzamento della protezione dei diritti fondamentali, come elemento che conferisce al Trattato un valore aggiunto rispetto al passato. All’interno di queste norme sono molti i valori e i principi direttamente riferibili alla protezione dei diritti sociali. L’art. 2 del TUE, ad esempio, individua la solidarietà tra i valori/principi fondanti dell’ordinamento UE insieme all’eguaglianza, il pluralismo, la democrazia ed il rispetto dei diritti umani371. In maniera innovativa poi nel comma 3 dell’art. 3 del TUE vi è un accenno alla cosiddetta “economia sociale di mercato” e al “progresso sociale”. Il medesimo comma prevede che: «L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri»372. La moderazione del Trattato di Lisbona in tema di diritti 371
Il nuovo art. 2 prevede che «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». La modifica è inserita nell’art. 1 del Trattato di Lisbona. 372 Come rileva D. CANCILLA, Servizi di welfare e diritti sociali nella prospettiva dell’integrazione europea, cit., p. 84 si tratta di una norma prima di valore in quanto il TFUE non prevede competenze dell’Unione su questo tema. L’art. 3 TFUE, infatti, individua - fra le altre - come materia di competenza esclusiva dell’Unione la “definizione delle regale di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno”; l’art. 4 TFUE elenca fra le materie di competenza concorrente: “politica sociale, per quanta riguarda gli aspetti definiti nel presente trattato”, “coesione economica, sociale e territoriale”, “protezione dei consumatori”; infine, l’art. 61FUE enumera quali settori suscettibili di un’azione di sostegno e di coordinamento da parte dell’Unione: “tutela e miglioramento della salute umana”, “istruzione, formazione professionale, gioventù e sport”. Difetta pertanto un capo in tema di welfare. Questa conclusione è vera, ma non bisogna pure dimenticare che l’art. 9 del TFUE prevede che «Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di oc-
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fondamentali si riscontra anche nell’art. 4 dal quale si può ricavare, con un ragionamento a contrario, che la materia del welfare rimane in carico agli Stati membri373. Allo stesso modo, l’art. 21 annovera i principi della universalità, della indivisibilità dei diritti, del rispetto della dignità e della solidarietà tra i valori che informano l’azione europea anche nelle sue relazioni esterne. Per quanto riguarda le politiche in materia sociale è significativo che il Trattato di Lisbona, salvo alcune non significative modifiche, non intervenga né sulle disposizioni dedicate nello specifico alle politiche occupazionali (art. 14-150 TFUE), né nelle norme sulle politiche sociali (artt. 151-161 TFUE), né nelle disposizioni sull’istruzione, la formazione professionale, la cultura e la sanità pubblica (art. 165 e ss. TFUE). Nel nuovo art. 151 TFUE è mantenuto il riferimento alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti dei lavoratori. Rimane anche la previsione del vecchio art. 137 TCE (ora trasfuse nell’art. 153 TFUE) in base alla quale l’azione dell’Unione, in una serie di materie che hanno a che fare con la protezione dei lavoratori, la sicurezza sociale, la parità, la lotta all’esclusione sociale, ecc., non può compromettere «la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non devono incidere sensibilmente sull’equilibrio finanziario dello stesso374». Tali disposizioni dunque non innovano sostanzialmente il quadro dei riferimenti alle politiche e ai diritti sociali già consolidati nel Trattato di
cupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana». 373 L’art. 4, tra le altre, prevede che «In conformità dell’articolo 5 (principio di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità), qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. (…)». 374 Come seconda condizione, però, l’art. 153 prevede che: “Le disposizioni adottate a norma del presente articolo: (…) non ostano a che uno Stato membro mantenga o stabilisca misure, compatibili con i trattati, che prevedano una maggiore protezione”.
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Nizza375. Alcuni marginali cambiamenti si registrano nel regime delle competenze. A seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, le misure di cui all’art. 153 lett. a) e b)376 possono essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio con direttive a maggioranza, secondo, la procedura legislativa ordinaria (prima chiamata “codecisione”), previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni. Rimangono delle materie per le quali il Consiglio delibera secondo una procedura speciale, all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni. La regola dell’unanimità subisce pero una deroga, la cosiddetta norma «passerella». È prevista la possibilità che il Consiglio, deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, decida di rendere applicabile la procedura legislativa ordinaria nel caso di adozione di misure che riguardino le materie di cui alle lett. d), f), e g)377. Questa regola vale per tutte le materie per cui è prevista l’unanimità, salvo quelle che riguardano la lett. c), cioè «sicurezza sociale» e «protezione sociale dei lavoratori». La norma che genera una maggiore aspettativa è contenuta nell’art. 152 del TFUE. Essa non deriva dal vecchio TCE ma dal progetto di Trattato Costituzionale ed era inserita nella parte sulla vita democratica dell’Unione. Molto semplicemente questa disposizione prevede che: «L’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti, nel rispetto della loro autonomia». Si riconosce all’Unione, dunque, il compito di promuovere, nella diversità dei sistemi nazionali e nel rispetto del principio di sussidiarietà, il ruolo delle parti sociali. Come è stato notato, in tal modo tali prassi vengono connesse non solo al pluralismo istituzionale e al plu375
B. CARUSO, Introduzione. I diritti sociali fondamentali dopo il trattato di Lisbona (tanto tuono che piovve), in Rassegna di diritto pubblico europeo, 1, 2010, p. 6 e ss. 376 Si tratta delle materie «miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori» e «condizioni di lavoro». 377 Si tratta rispettivamente di «protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro», «rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione, fatto salvo il paragrafo 5», «condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio dell’Unione».
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ralismo sociale ma soprattutto allo sviluppo della sussidiarietà orizzontale378. È evidente che se sfruttato, il metodo inscritto in questo articolo potrà avere un valore decisivo per trasformare il metodo del dialogo sociale e della concertazione istituzionale a livello europeo. Le evoluzioni che si segnano in alcuni aspetti particolari delle politiche sociali sono in parte controbilanciate dall’accentuazione del metodo di coordinamento aperto per le politiche occupazionali e le politiche sociali degli Stati membri, come previsto nel nuovo art. 5 TFUE379. Di un certo interesse, soprattutto per i possibili sviluppi futuri, è pure la previsione contenuta nell’art. 21 del TFUE, che stabilisce: «Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Quando un’azione dell’Unione risulti necessaria per raggiungere questo obiettivo e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare disposizioni intese a facilitare l’esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1. Agli stessi fini enunciati al paragrafo 1 e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo».
L’articolo contiene molte delle norme già contenute nell’art. 18 del TCE, con una variante di non poco momento rappresentata dalla previsione del terzo comma, la quale conferisce al Consiglio il potere di adottare all’unanimità quelle misure concernenti la sicurezza sociale che dovessero risultare opportune per individuare limiti e condizioni all’esercizio della 378
B. CARUSO, Introduzione. I diritti sociali fondamentali dopo il trattato di Lisbona (tanto tuono che piovve), cit., p. 7 e 8 il quale sottolinea pure la necessità di legare le previsioni di questo articolo alle norme previste nell’art. 11 TUE che prevede i principi del dialogo sociale sia con le associazioni rappresentative che con la società civile. 379 Su questo aspetto v. le preoccupazioni di E. ALES, Lo sviluppo della dimensione sociale comunitaria: un'analisi "genealogica", in Rivista del diritto della sicurezza sociale, 3, 2009, p. 52.
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libertà di circolazione. Ulteriore novità è rappresentata dall’art. 48 del TFUE (ex art. 42 TCE) in base al quale il Parlamento e il Consiglio adottano la procedura legislativa ordinaria per deliberare, in materia di sicurezza sociale, «le misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori», garantendo così ai lavoratori migranti sia dipendenti che autonomi sia il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali sia il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri. Come si può notare viene superato il meccanismo dell’unanimità per queste deliberazioni, tanto che si può chiaramente affermare oramai «europeizzata», anche sul piano delle fonti primarie, la tutela previdenziale e la sicurezza sociale dei lavoratori migranti. A questa procedura, tuttavia, è stato previsto un “freno”. Il comma successivo, infatti, prevede che «Qualora un membro del Consiglio dichiari che un progetto di atto legislativo di cui al primo comma lede aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, i costi o la struttura finanziaria, oppure ne altera l’equilibrio finanziario, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa» fino a che il Consiglio europeo non decide di rinviare al Consiglio la decisione o chiede alla Commissione di presentare una nuova proposta. Come si può notare la norma ha un carattere del tutto particolare perché, da un lato, consente ad uno Stato membro di salvaguardare esigenze interne particolari, quale quella in tema di equilibrio economico del sistema e, dall’altro, conferisce al Consiglio europeo, massimo organo politico, di decidere. 6.4.1 L’incorporazione della Carta dei diritti Veniamo ora all’oggetto più prossimo del nostro esame. È noto che il potenziamento della protezione dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione era già ai tempi del Trattato costituzionale uno dei maggiori obiettivi del processo riformatore. Ridotta ai minimi termini, la discussione ruotava intorno a due questioni principali: la prima riguardava il ruolo da assegnare alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; la se-
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conda concerneva l’ingresso dell’Ue nella CEDU380. Entrambe le questioni sono state risolte all’interno del TUE. L’art. 6 di quest’ultimo, oggi completamente riscritto anche rispetto al Trattato costituzionale del 2004381, prevede tre distinte fonti per la protezione dei diritti umani all’interno dell’Unione: i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e poi adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e che «ha lo stesso valore giuridico dei trattati», cioè è assunta al rango di fonte primaria all’interno dell’ordinamento europeo382; la CEDU, a cui l’Unione decide di aderire secondo una procedura stabilita nel Trattato di Lisbona; i principi generali (parte del diritto Ue) che comprendono i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU stessa e quelli che risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Tranne la terza fonte, che era in vigore fin dalla riforma di Amsterdam, le prime due sono una novità (anche rispetto al Trattato costituzionale). Il nuovo schema tripartito corrisponde solo nella struttura alla previsione corrispondente che era contenuta nel Trattato costituzionale. Venendo meno l’incorporazione della Carta nel Trattato, il nuovo punto n. 1 prevede il mero “richiamo” ad es380
Sul punto vedi M. CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi equilibri?, in Giorn. dir. amm., 3, 2010, 221 e ss. 381 Art. 6 TUE: «L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali». 382 La Carta non viene dunque incorporata nel Trattato, anche in considerazione dell’esistenza del Protocollo n. 30 annesso al Trattato che ne esclude l’applicazione alla Polonie a al Regno Unito, sul quale si tornerà successivamente nel testo.
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sa. La Carta rimane un documento a sé stante e autonomo, secondo una scelta che si spiega bene con lo spirito di Lisbona di evitare qualsiasi simbolo costituzionale. Ciò che maggiormente interessa, per l’economia del presente lavoro, è capire a che punto è il riconoscimento dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo. Per capirlo è necessario prima di tutto fissare alcuni elementi sistematici relativi allo statuto giuridico attuale della Carta di Nizza. Già abbiamo ricordato sopra che essa oggi è divenuta parte del diritto primario dell’Unione, modificando così la scelta effettuata con il Trattato costituzionale di incorporarla all’interno del Trattato383. Non è questa la sede per una disamina del diverso valore della scelta di Lisbona rispetto a quella effettuata con il Trattato costituzionale, è evidente però che la scelta di usare il rinvio ha, anche in termini simbolici, un valore minore rispetto all’incorporazione384. Ma il minore valore non è ascrivibile tanto al testo della Carta o alla tecnica usata – richiamo anziché incorporazione -, quanto alla differenza tra Trattato costituzionale e Trattato “emendativo”. Riguardo alla protezione dei diritti sociali si sommano letture che sottolineano il carattere quasi superfluo dell’art. 6-I, letture invece riduttive e letture che tentano di scorgere in questa previsione un avanzamento nella protezione europea dei diritti385. I primi, ad esempio, prospettano una visione minimalista del rinvio, nel senso che la Carta avrebbe già svolto il suo ruolo nel lungo periodo di transizione quando, pur avendo natura di soft law, essa era stata usata e richiamata più volte dalla giuri-
383
Per un esame comparativo dei due testi dell’attuale art. 6 TFUE e dell’art. I-9 del Trattato costituzionale vedi B. BERCUSSON, The Lisbon Treaty and Social Europe, in ERA-Forum, 10, 2009, p. 91-93. 384 Serve, cioè, nell’idea del mandato della Conferenza intergovernativa a “smorzare” i toni costituzionali del nuovo Trattato. Su questi aspetti è tornata di recente M. CARTABIA, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell'Unione, in Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, a cura di F. BASSANINI, G. TIBERI, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 81 e ss. 385 Non menzioniamo tutti altri problemi evidenziati dalla dottrina, come la mancanza di una distinzione tra diritti e principi, la mancata predisposizione di strumenti di raccordo tra le corti europee e le corti nazionali, la mancanza di emendamenti sostanziali alla Carta che la rendano più adatta al nuovo ordinamento europeo. Su tutti questi aspetti vedi F. SEATZU, La tutela dei diritti fondamentali nel nuovo Trattato di Lisbona, in Comunità internazionale, 1, 64, 2009, p. 48-50.
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sprudenza della Corte di Giustizia386. Altri, invece, sottolineano che con il rinvio si rischia un’invasione della giurisprudenza della CGE all’interno degli ordinamenti nazionali. Ciò dovrebbe indurre le Corti costituzionali degli Stati membri ad erigere barriere protettive per evitare che i diritti sociali (specialmente quelli collettivi) previsti nelle costituzioni nazionali si inquinino387. A queste preoccupazioni, tuttavia, risponde in parte la garanzia della prevalenza della migliore tutela dei diritti prevista nell’art. 53 della Carta, che correttamente interpretata impedisce ogni interpretazione al ribasso degli standard nazionali388. Vi sono poi le tesi ottimistiche, le quali evidenziano il notevole potenziale espansivo per la protezione dei diritti che deriva dal pieno valore giuridico della Carta. È evidente che tutte le ipotesi dovranno essere verificate nel futuro; tuttavia, già da ora appare chiaro che a Lisbona è stato realizzato un balzo in avanti notevole riconoscendo il pieno valore giuridico alla Carta389. Nonostante alcune voci contrarie390, il “surplus” per i diritti sociali è tangibile: questi ultimi, 386
Per tutti vedi P. SYRPIS, The Treaty of Lisbon: Much Ado... But About What?, in Industrial Law Journal, 3, 37, 2008, p. 219 e ss.; M. CARTABIA, Il Trattato di Lisbona, in Giorn. dir. amm., 3, 2010, p. 222 e ss. In questo senso è esemplificativa la vicenda dei casi Viking e Laval che sono stati decisi dalla Corte di Giustizia proprio durante il periodo di formazione del Trattato di Lisbona richiamando la forza vincolante dell’art. 28 della Carta. 387 V. a tale proposito le preoccupazioni M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di giustizia "bilancia" il diritto di sciopero, in Lavoro e diritto, 2, 2008, p. 371 e ss. 388 B. CARUSO, Introduzione. I diritti sociali fondamentali dopo il trattato di Lisbona (tanto tuono che piovve), cit., p. 12 e 13. 389 Non riteniamo che a questo giudizio si possa obiettare affermando che vi sono indizi di una volontà differente all’interno del processo di Lisbona, come ad esempio il protocollo n. 30 che esclude per certi versi l’applicazione della Carta agli ordinamenti di Regno Unito e Polonia. Su questo aspetto si tornerà più avanti. Vedi su questo punto F. SEATZU, La tutela dei diritti fondamentali nel nuovo Trattato di Lisbona, cit., p. 46. 390 Molto interessante tra tutte la posizione di B. Bercusson, il quale criticava duramente il riconoscimento della Carta rispetto agli altri principi fondamentali previsti nell’art. 6. L’a. sottolineava, infatti, un paradosso esistente tra il riconoscimento del valore giuridico della Carta e la posizione dei diritti in essa previsti. Questi ultimi sarebbero stati in fondo “declassati” dopo Lisbona perché non compresi nel novero di “principi generali del diritto europeo”, come d’altronde li aveva qualificati la Corte di giustizia nella sua giurisprudenza. Cfr. B. BERCUSSON, The Lisbon Treaty and Social Europe, cit., p. 94-95. Contra L. DANIELE, La protezione dei diritti fondamentali nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: un quadro d’insieme, in Il diritto dell'Unione Europea, 3, XIV, 2009, p. 651.
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infatti, non hanno più quell’”aura” di minorità giuridica che li ha sempre accompagnati e sono intesi oggi in senso chiaro quali situazioni soggettive piene391. Tale risultato ha due indubbi vantaggi, da un lato rispetta maggiormente la certezza del diritto e dall’altro nulla toglie al valore che ha la giurisprudenza europea nella garanzia di questi diritti. Affermare il pieno valore della Carta in un momento come questo – in cui i benefici dell’integrazione sono spesso messi in dubbio – appare un grande successo, che può indurre – se ben sviluppata – a superare le settorializzazioni tra ordinamento europeo e ordinamenti degli stati membri che sono alla base delle difficoltà di dialogo tra le Corti supreme392. 6.4.2 L’opting out del Regno Unito e della Polonia Lo sviluppo del nuovo ruolo che hanno i diritti all’interno dei due nuovi Trattati aiuta a riprendere il filo di un discorso che emerge più volte all’interno della storia della protezione europea dei diritti sociali393. I negoziati che hanno portato alla stesura del Trattato di Lisbona, infatti, hanno portato alla luce gli antichi contrasti di alcuni paesi nei confronti dello sviluppo di un’Europa sociale394, segno ancora una volta che il tema dei diritti sociali non gode di un consenso assoluto ed incondizionato da parte di tutti gli Stati membri, ma anzi è oggetto di valuta391
In questo senso, non è condivisibile la conclusione di F. SEATZU, La tutela dei diritti fondamentali nel nuovo Trattato di Lisbona, cit., p. 47 secondo il quale attraverso l’integrazione della Carta di Nizza disposta mediante la particolare tecnica del rinvio si contribuisce a «”disancorare” […] il sistema di garanzia dei diritti e delle liberta fondamentali nell’Unione europea dai tradizionali criteri formali del riparto delle competenze a favore di un suo successivo e positivo radicamento nel terreno, secondo quanto auspicato comprensibilmente da molti, di una nuova sovranità condivisa tra Unione, da un lato, e Stati membri, dall’altro lato». 392 Insieme alla Carta il ragionamento riguarda anche i nuovi principi generali contenuti nel TUE. Il valore della Carta come nucleo intorno al quale è possibile garantire l’evoluzione politica e sociale dell’UE. In questo senso vedi G. ITZCOVICH, Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2006, spec. cap. II. 393 Su questo problema vedi anche P. BIANCHI, I diritti sociali dopo Lisbona: prime risposte dalla Corte di Giustizia, in Diritto di welfare: manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, a cura di M. CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L. PEPINO, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 133 e ss. 394 Già messi in luce durante l’esame della redazione della Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori.
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zioni contrastanti, almeno in relazione a certi suoi possibili sviluppi giurisprudenziali. Come emerge poi in modo molto chiaro dal testo dell’opting out il regime speciale del protocollo ha il fine di evitare l’attivismo della Corte di giustizia in materia di diritti fondamentali e di diritto sociali in particolare. È per questa ragione che una trattazione sullo stato della tutela dei diritti sociali dopo Lisbona non può escludere l’esame del già menzionato “Protocollo n. 30” sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea a Regno Unito e Polonia. Nonostante si riferisca a soli due paesi dei 27 che compongono l’Unione europea, non si tratta di un fatto marginale che possiamo considerare privo di valore. Il protocollo ha, infatti, un valore che eccede la sua applicazione agli ordinamenti di Polonia e Regno Unito, perché è lo specchio della situazione politica complessiva che sta accompagnando l’entrata in vigore del nuovo Trattato, come dimostra pure l’adozione Dichiarazione n. 61 annessa al Trattato, secondo la quale «la Carta [dei diritti] lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di legiferare nel settore della moralità pubblica, del diritto di famiglia nonché della protezione della dignità umana e del rispetto dell’integrità fisica e morale dell’uomo»395. Veniamo ora al testo del Protocollo. L’art. 1 afferma: «1. La Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le disposizioni, le pratiche o l’azione amministrativa della Polonia o del Regno Unito non siano conformi ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma. 2. In particolare e per evitare dubbi, nulla nel titolo IV della Carta crea diritti azionabili dinanzi a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui la Polonia o il Regno Unito abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno.»
L’art. 2 prevede:
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Questa Dichiarazione solenne è stata usata per venire incontro ai problemi relativi alla ratifica del nuovo Trattato da parte dell’Irlanda, paese dove c’è stato bisogno di due referendum popolari prima che il popolo potesse accettare. Su tale tema vedi C.M. BRUGHA, Why Ireland rejected the Lisbon Treaty, in Journal of Public Affairs, 4, 8, 2008, passim.
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«Ove una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, detta disposizione si applica alla Polonia o al Regno Unito soltanto nella misura in cui i diritti o i principi ivi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche della Polonia o del Regno Unito.»
Anche se è il frutto di una soluzione di compromesso tra due posizioni di partenza differenti396, l’intento delle disposizioni del Protocollo è evidente: escludere o attenuare la cogenza e l’efficacia della Carta, e in particolare del suo Titolo IV sulla solidarietà, nei confronti dei due Stati membri menzionati. Non si tratta, dunque, di un atto contenente disposizioni meramente interpretative, ma anzi di un documento che introduce ad una “integrazione differenziata” rispetto all’ambito dell’applicazione dei diritti397. La volontà politica degli autori è molto netta ed appare comunque volta a neutralizzare le possibili evoluzioni giurisprudenziali in senso accrescitivo del diritto dell’Ue che trae fondamento nella Carta398. Bisogna ricordare, infatti, che a differenza delle altre clausole di opting out questo protocollo non esclude in toto l’applicazione della Carta ai due paesi, ma qualifica in modo restrittivo le garanzie giurisdiziona-
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La differenza tra le due posizioni emerge chiaramente dall’esame delle Dichiarazioni nn. 61 e 62 annesse al Trattato di Lisbona. La prima, relativa come abbiamo già detto all’Irlanda e alla Polonia stessa, riguarda l’incidenza dei diritti fondamentali della persona che possono avere nuove e rilevanti implicazioni di carattere sociale, etico e religioso. La seconda, invece, appare più come una dichiarazione di intenti, in quanto esprime che «La Repubblica di Polonia dichiara che, tenuto conto della tradizione di movimento sociale di “Solidarność” e del suo importante contributo alla lotta per i diritti sociali e del lavoro, rispetta pienamente i diritti sociali e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione europea e, in particolare, quelli ribaditi nel titolo IV della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Diversa la posizione del Regno Unito che già durante il periodo della Commissione Herzog aveva indicato nella indistinzione tra rights e principles una delle ragioni per le quali la Carta non poteva essere accettata. Ciò, come noto, fu alla base della “formale” dichiarazione solenne della Carta durante il Consiglio europeo di Nizza anziché alla sua adozione come diritto primario dell’Ue. Su tale aspetto “storico” si richiama quanto già detto e le considerazioni di B. DE WITTE, The Trajectory of Fundamental Social Rights in the European Union, cit., p. 153 e ss. 397 S. AMADEO, Il Protocollo n. 30 sull’applicazione della Carta a Polonia e Regno Unito e la tutela “asimmetrica” dei diritti fondamentali: molti problemi, qualche soluzione, in Il diritto dell'Unione Europea, 3, XIV, 2009, p. 720 e ss. 398 Per quanto riguarda il Regno Unito è chiaro l’intento di evitare quelle intromissioni della Corte di Giustizia sui temi legati alla protezione dei diritti.
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li e indebolisce il parametro funzionale rispetto all’accertamento di una sua eventuale violazione399. L’esame dell’art. 2 chiarisce molto bene questa prospettiva. Esso qualifica il riferimento alla legislazione degli Stati membri da parte delle norme della Carta come un rinvio agli specifici ordinamenti di Polonia e Regno Unito. Una norma del genere appare chiaramente rivolta far derivare, da quelle disposizioni che rinviano agli ordinamenti degli Stati400, la possibilità per i due paesi di decidere se e come adeguarsi alle disposizioni della Carta e di evitare dunque che da queste disposizioni possa derivare invece un “obbligo” di adeguamento. Evitando dunque di approfondire la descrizione del Protocollo e i numerosi problemi interpretativi che esso pone, conviene soffermarsi sull’art. 2 dello stesso. La ratio di questa disposizione è evidentemente quella di restringere l’applicazione dei diritti sociali (Titolo IV della Carta) ed evitare che essi si possano applicare al Regno Unito e alla Polonia. Si è voluto quindi scongiurare il rischio che di tali diritti, stante il nesso con norme pattizie (Carta sociale europea e Carta sociale europea rivisitata), si possa (o si debba) tener conto con un significato diverso e più ampio di quello accolto dalla legislazione nazionale corrispondente. Il rango primario che la Carta acquisirà in virtù dell’art. 6, par. 1, co. 1 del nuovo Trattato UE sopra citato, è stato giudicato un’incognita rischiosa per le ripercussioni che si potrebbero avere nel caso in cui i due Stati (o uno solo dei due, logicamente) non siano parte di accordi che espongono e regolano questi diritti oppure nel caso in cui, pur essendone parte, i medesimi Stati non abbiano provveduto a dettare idonee regole di adattamento al riguardo, determinando cosı` una attuazione parziale degli accordi stessi401. 399
Gli effetti del Protocollo, dunque, lungi dall’apparire univoci, sono invece modulabili, in funzione tanto delle decisioni che prenderanno gli organi legislativi e giudiziari dei due stati, quanto poi delle scelte interpretative che spetterà prendere alla Corte di Giustizia. Questa flessibilità che le disposizioni del Protocollo evidentemente hanno, non è un dato di minore importanza. Vedi S. AMADEO, Il Protocollo n. 30 sull’applicazione della Carta a Polonia e Regno Unito e la tutela “asimmetrica” dei diritti fondamentali: molti problemi, qualche soluzione, cit., p. 728. 400 Come le norme contenute negli artt. 27 e 28 della Carta che riguardano rispettivamente il diritto dei lavoratori all’informazione e consultazione nell’impresa e il diritto di negoziazione e di azioni collettive. 401 La tradizionale ostilità britannica alla costruzione di un autentico spazio sociale europeo, che aveva già avuto modo di esprimersi in occasione del negoziato per il Trattato di Maastricht, si ripropone oggi in relazione alle ga-
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Sulla reale portata delle disposizioni di questo protocollo e sulla possibilità che esse potranno raggiungere le finalità perseguite dai due paesi, si sono espressi in maniera molto dubbia tanti autori402. Soprattutto sono poco chiare alcune contraddizioni tra il testo della Carta stessa e le norme del Protocollo ovvero all’interno delle norme del Protocollo stesso. Ad esempio la disposizione dell’art. 52, paragrafo 6, della Carta che ribadisce la necessità di tenere pienamente conto delle legislazioni e delle prassi nazionali come da tale norma specificato e la previsione dell’art. 1, paragrafo 2, del Protocollo. Ugualmente un’incongruenza si riscontra tra quanto afferma il suo Preambolo e quanto stabilisce, tra l’altro in modo involuto, il suo dispositivo. Nel Preambolo ci si preoccupa, in effetti, di precisare come la Carta dei diritti fondamentali non crei nuovi diritti o princìpi ma ribadisca unicamente, rendendoli più visibili, i diritti, le libertà e i princıìpi riconosciuti dall’Unione403. Proprio tali formulazioni lasciano intendere come il Protocollo n. 30 non sia davvero uno strumento di opting out ma piuttosto un espediente atto, per l’appunto, a circoscrivere e a bloccare i contenuti di una Carta dei diritti fondamentali divenuta giuridicamente vincolante entro un perimetro meramente ricognitivo, compilativo e codificatorio, anche in previsione delle eventuali ricadute derivanti dalle fonti internazionali di cui si è ampiamente discusso. La Carta di Strasburgo sarà dunque applicabile sia alla Polonia sia al Regno Unito, sebbene la sua in-
ranzie della Carta dei diritti fondamentali, seguitandosi a guardare con un certo disfavore all’ipotesi di aumento dei poteri dell’Unione in tale settore. Analoghe preoccupazioni, sebbene motivate da esigenze di altro genere, ha manifestato la Polonia, nonostante la sua Dichiarazione n. 62 relativa al Protocollo n. 30 e allegata all’Atto Finale della Conferenza intergovernativa, abbia in seguito attenuato, quanto ai diritti sociali fondamentali, il rigore che ne aveva caratterizzato in un primo tempo l’atteggiamento. 402 Tra tutti vedi J. ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, cit., p. 178; P. CRAIG, The Treaty of Lisbon, process, architecture and substance, cit., p. 164. 403 Viene poi esternato il desiderio di “(…) chiarire l’applicazione della Carta in relazione alle leggi e all’azione amministrativa della Polonia e del Regno Unito e la sua azionabilità dinanzi a un organo giurisdizionale in Polonia e nel Regno Unito”. I riferimenti fatti nel Protocollo all’applicazione di specifiche norme della Carta non pregiudicano “(…) in alcun modo l’applicazione di altre disposizioni della Carta” e il Protocollo medesimo non incide né sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali agli altri Stati membri né sugli altri obblighi imposti alla Polonia e al Regno Unito dai TUE e TFUE e, in generale, dal diritto dell’Unione.
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terpretazione, in e nei riguardi di questi due Stati, potrà essere condizionata dai termini del Protocollo. 6.5 La protezione dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo: cauto ottimismo o assoluto pessimismo? Per descrivere conclusivamente il cammino di protezione dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo prenderemo in prestito una locuzione elaborata nel 1993 da Giandomenico Majone. In un noto scritto, per descrivere le caratteristiche relative alla condizione presente e future dell’Europa sociale l’autore affermava che tutte le opinioni possibili sul modo di intendere l’Europa sociale possono variare tra un cauto ottimismo e un assoluto pessimismo (from cautious optimism to outright pessimism)404. Nei quasi venti anni che ci separano da quelle parole si può dire che il giudizio sull’Europa sociale non è variato. Quella lettura comprendeva le caratteristiche proprie dello strano e complesso sistema di protezione dei diritti sociali che si è venuto a creare in Europa, prima con l’inclusione di alcune politiche sociali all’interno dei Trattati originari e poi con la proclamazione della Carta di Nizza. Partiamo, perciò, con il descrivere gli aspetti che ci inducono ad essere cautamente ottimisti sul riconoscimento dei diritti sociali in Europa. Il primo dato è che i diritti sociali ora sono proclamati a livello europeo insieme ai diritti civili. Dopo Amsterdam e ancora più con l’approvazione della Carta di Nizza, i diritti sociali occupano nello spazio europeo un piano alto. Sono divenuti una pietra principale dell’edificio costituzionale creato prima delle Comunità e poi dall’Unione. Per l’Ue, dunque, la presenza di un catalogo dei diritti fondamentali, anche se non armonico, costituisce una innovazione importante. Non è certamente il contenuto del catalogo dei diritti ad essere innovativo. L’innovazione
404
G. MAJONE, The European Community between social policy and social regulation, cit.: «These developments show that EC policies in the social field are evolving along quite different lines from those followed by the Member States. National historical traditions have created a dense web of welfare institutions covering most citizens “from the cradle to the grave”, while the Community remains, and will very possibly remain, a “welfare laggard”».
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consiste piuttosto nell’aver fatto di questo catalogo il contenuto di una Carta dei diritti405. Il secondo dato positivo è la contaminazione tra principi generali del diritto comunitario e le tradizioni costituzionali comuni. Questo è accaduto non solo grazie all’attivismo della Corte di giustizia e alla sua capacità di assorbire le rivendicazioni provenienti dai tribunali costituzionali nazionali (Italia e Germania in primis) ma è avvenuto anche grazie all’affacciarsi all’interno del dibattito politico e giuridico europeo di schemi teorici propri del costituzionalismo406. Le evoluzioni che fino a qui abbiamo descritto sono chiaramente un esempio di una serie di passaggi che non solo hanno una valenza costituzionale in sé, ma che segnano una trasformazione in senso costituzionalistico della costruzione europea407. Ci troviamo di fronte ad una vicenda che non può essere più spiegata con il canone della limitazione di sovranità per gli Stati membri, ma è oramai un “procedere costituzionale” comprensivo di più livelli integrati a formare una dimensione unica408. Il punto di partenza è oramai lontano. Non abbiamo più a che fare con una comunità rivolta esclusivamente al mercato e alla competizione economica, che pertanto esclude i diritti e gli interessi sociali dal suo orizzonte. È cambiato lo stesso quadro assiologico entro cui le strategie politiche si collocano: nuovi principi fondamentali, obiettivi e riconoscimento di diritti che si collegano strettamente alla protezione interna agli stati. Anche la stabilità finanziaria e la tutela della concorrenza sono diventati elementi all’interno di un orizzonte più ampio, rimangono indicatori di performance di cui non si può non tenere conto, ma sono collocati all’interno di una prospettiva che assume l’eguaglianza, la solidarietà, la libertà, la lotta alle discriminazioni e la crescita sostenibile come valori di base dell’ordinamento europeo. Tutti valori che ora sono previsti all’interno del TUE. Oggi, dopo l’adozione della Carta di Nizza e le riforme dei Trattati adottate a Lisbona, i diritti sociali
405
V. BALLESTRERO, Brevi osservazioni su costituzione europea e diritto del lavoro italiano, cit., p. 563. 406 Op. cit., p. 564. 407 Trasformazione che ha un valore ben al di là dell’uso della parola Costituzione per descrivere il processo stesso. A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, cit., p. 180-181. 408 M. CARTABIA, Europe and Rights: Taking Dialogue Seriously, in European Constitutional Law Review (EuConst), 01, 5, 2009, p. 6.
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comunitari hanno acquisito un valore non più eludibile nell’esame di questo tema a livello costituzionale. Perciò il giudizio che tendeva a far derivare la sottovalutazione della dimensione sociale nella prima fase delle comunità come conseguenza di una considerazione consapevolmente minore ed accessoria dei diritti e delle politiche sociali, a favore delle libertà rivolte alla creazione del mercato, deve essere riletto alla luce di quello che alcuni autori hanno chiamato “effetto di costruzione” dell’ordinamento europeo409. D’altronde l’esperienza europea non nasce con l’esigenza di aggregare diverse collettività e non aspira all’universalità delle proprie statuizioni normative. Esso si presenta semplicemente come un’unione di stati che mettono in comune alcuni aspetti della propria vita economica e per tale ragione conferiscono alle istituzioni create il potere di decidere in questi settori. Da quel momento ad oggi molto è cambiato e non solo per gli effetti negativi o anche riflessi di questa integrazione in altri settori (come il settore sociale), ma perché gli stati hanno deciso di procedere insieme alla costruzione di un “ordine” con caratteristiche nuove. Questo – non bisogna dimenticarlo – è avvenuto perché le comunità prima e poi l’Unione si sono sviluppate su di un piano sia politico-normativo sia giurisprudenziale. Su questa evoluzione il discorso sui diritti ha inciso moltissimo, rappresentando forse la vera chiave di volta dell’evoluzione europea410. In quest’ottica diventa essenziale adottare una linea interpretativa del processo di integrazione europeo e dei suoi effetti sulle strutture normative ed economiche della solidarietà più cauta e coerente con la complessità degli scenari teleologici che l’evoluzione più recente dell’ordinamento europeo svela411. I diritti sociali rimangono saldamente ancorati a livello nazionale, rimangono i terminali privilegiati delle istanze di protezione sociale e i luoghi (politici prima ancora che giuridici) dove i bisogni sociali da proteggere sono selezionati.
409 Vedi D'ALOIA, Diritti sociali e politiche di eguaglianza nel "processo" costituzionale europeo, in Il diritto costituzionale comune europeo. Principi e diritti fondamentali, a cura di M. SCUDIERO, III, Napoli, Jovene, III, 2002, p. 848 410 Op. cit., p. 852 e 853. 411 M. CARTABIA, Europe and Rights: Taking Dialogue Seriously, in European Constitutional Law Review, 1, 5, 2009, cit., p. 6.
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Passiamo ora alle considerazioni che ci fanno dare un giudizio assolutamente pessimistico sulla protezione dei diritti sociali nell’ordinamento europeo412. È stata la dottrina italiana a sollevare uno dei problemi più decisivi sulla tutela dei diritti sociali nel panorama europeo e cioè quello che tutto il percorso di affermazione di questi diritti soffra ancora oggi del vizio di fondo che abbiamo sottolineato all’inizio, ovvero l’esistenza di norme dei trattati che fissano obiettivi politici alle quali non corrispondono competenze normative definite dell’Unione413. Il problema non è di poco momento ed è condivisibile, anche se non al cento per cento. In questo senso condividiamo le osservazioni di chi ha giudicato queste posizioni viziate di eccessivo realismo414. Diritti e politiche, infatti, si integrano in un’azione complessa che deve svolgersi contemporaneamente su più terreni, e nella quale i “paletti” posti dai diritti (anche attraverso norme meramente programmatiche) tenderanno probabilmente a rappresentare, nel medio e lungo periodo, un ‘‘faro’’ sempre più luminoso per l’azione politica degli organismi comunitari e degli Stati membri, oltre che un fattore che potrà aiutare le istituzioni comunitarie a guadagnare terreno sulle competenze degli Stati, erodendo la sussidiarietà415. Non è escluso, ad esempio, che la Carta di Nizza possa trasformarsi – ancor più oggi che è stata parificata al diritto dei Trattati - da “topolino” (quale ancora è), in un “cavallo di Troia” per le istituzioni di Bruxelles. È pur vero che molte delle norme in questione (ma non tutte), provenendo da un ordinamento di secondo grado, contengono a loro volta una concessione alla sovranità nazionale, attraverso il rinvio “alle legislazioni e prassi nazionali” (v. ad es. artt. 27 e 30). Ma il ventaglio delle scelte attuative, che in tal modo si apre, non e 412 A. D’ALOIA, Diritti sociali e politiche di eguaglianza nel “processo” costituzionale europeo, cit., p. 872.; M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit. 413 Vedi V. BALLESTRERO, Brevi osservazioni su costituzione europea e diritto del lavoro italiano, cit., p. 547 e ss. 414 M. ROCCELLA, Tutela del lavoro e ragioni di mercato nella giurisprudenza recente della Corte di giustizia, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 1, 2001, p. 33. 415 Si pensi che alcune materie, come la libertà sindacale ed il diritto di sciopero, sono attualmente escluse dalla competenza comunitaria. Sul tema vedi T. TREU, Diritti sociali europei: dove siamo, in Lavoro e diritto, 3, 14, 2000, p. 439. In senso fortemente critico M. BIAGI, R. SALOMONE, L’Europa sociale e il diritto al lavoro: il ruolo della «European Social Charter», in LG, 5, 2000, passim.
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indeterminato, rimanendo sottoposto all’imperativo di rispettare, come dispone l’art. 52, comma 1, il “contenuto essenziale” dei diritti riconosciuti dalla Carta, anche se spesso in modo estremamente scarno e con rinvii quasi “in bianco”, sui quali dovrà applicarsi il difficile lavoro dell’interprete (si pensi al diritto di informazione e consultazione ex art. 27)416. Il “problema dei problemi” che riguarda i diritti sociali è però un altro. Dopo Amsterdam (ma potremmo dire che è avvenuto già con Maastricht) avviene una separazione tra politica sociale e possibilità di un suo finanziamento. Da un punta di vista giuridico-formale gli Stati membri hanno mantenuto pressoché intatta la potestà regolativa dello stato sociale417, pur avendo perduto, a causa dei condizionamenti comunitari, il dominio delle risorse destinabili al soddisfacimento di quegli stessi diritti. Si sarebbe cioè lacerato l’essenziale collegamento fra politica sociale e politica economica (e monetaria), con il risultato di un grave indebolimento della prima. Sul piano dell’effettività della protezione dei diritti abbiamo compreso che oramai dal Trattato di Maastricht è cambiato il circuito della decisione sullo stato sociale. Si è rotto quell’equilibrio del circuito società-politica-economia che aveva retto tutto il periodo precedente. La politica non è più capace di strutturare qualitativamente il mercato e le libertà economiche verso obiettivi prioritari di giustizia sociale. I governi risultano sempre più condizionati da procedure europee e mondializzate che impongono indicatori, performances e valutazioni che non hanno a che fare con quello che la società desidera e impone ma con fattori e grandezze di tipo finanziario. Sul piano più strettamente europeo questo scenario è rappresentato in modo netto dalla creazione di una unione monetaria e dalla introduzione di parametri di bilancio e di finanza che gli Stati membri devono rispettare, a prescindere dalle decisioni di tipo sociale che essi hanno scelto. In questo senso non ha più senso parlare dell’autonomia delle scelte sociali, oggi così condizionate da questi dati economico-finanziari. È di tutta evidenza che non si tratta di strumenti di integrazione “positiva” ma di meccanismi che per via indiretta o negativa inducono sempre più a valutare 416
P. RIDOLA, Diritti di libertà e mercato nella “costituzione europea”, cit. R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, cit., p. 339. “la politica sociale assieme alla politica estera e alla difesa, rimane uno dei pochi baluardi praticamente intatti della sovranità nazionale”.
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la necessità di una armonizzazione non solo delle decisioni contingenti sulle singole politiche ma una riformulazione del catalogo dei diritti stessi che possa consentire di costruire un nuovo rapporto tra le caratteristiche di competitività di un sistema economico e il welfare che esso può offrire. Il punto dolente, perciò, è capire se i sistemi di welfare sono pronti ad abbandonare quello splendido isolamento che in alcuni casi – come è accaduto in Grecia – ha reso l’erogazione di certe prestazioni sociali un veleno per l’economia di questi paesi. La risposta a tale domanda deve venire necessariamente dalla politica, a causa della sua endemica forza di rappresentazione delle istanze sociali. Per fare questo però la politica dovrà recuperare una sua autonoma forza e capacità di decisione, la quale sappia individuare forme di realizzazione dei diritti sociali che possano bilanciare tra equilibrio finanziario, crescita economica e redistribuzione del reddito. Stretti tra un ordinamento comunitario nel quale sono largamente assenti e ordinamenti statali che li riconoscono (talora anche a livello costituzionale), ma non hanno la piena disponibilità dei mezzi per proteggerli, i diritti sociali stanno vivono un periodo difficile che oramai dura da anni418. In realtà questo fenomeno è meglio intellegibile con i criteri che Maduro usa per i rapporti tra diritti sociali e diritti economici. Egli ricorda che in realtà la questione del bilanciamento tra social rights e economic freedoms nel diritto europeo è un riflesso del contemperamento tra integrazione negativa e positiva e addirittura nella preferenza tra efficienza e giustizia distributiva. L’impatto del diritto comunitario sui diritti sociali, attraverso l’integrazione negativa del mercato, è stata considerata come un fatto negativo da parte di quanti vedevano in questo strumento un modo per restringere la capacità degli stati di attuare i diritti sociali. In ogni caso la questione è più complessa e richiede un’analisi approfondita del rapporto tra le istituzioni del mercato (responsabili dell’integrazione negativa) e il processo politico a livello europeo (responsabili dell’integrazione positiva) che deve decidere tra efficienza e giustizia distributiva419. Quanto alla Carta di Nizza, non si può negare che in essa vi è qualche assenza importante sul piano del metodo di scrittura e della struttura sostanziale delle norme sui diritti e, in particolare, 418
A. LA SPINA, G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 195. 419 M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 384.
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sui diritti sociali.420 Allo stesso modo sono evidenti alcune disarmonie testuali e di contenuto assiologico che riguardano principalmente le disposizioni sull’impresa e sulla solidarietà. Anzitutto difetta una previsione simile a quella prevista nell’art. 3, comma 2, della Costituzione421, il cui tenore può essere recuperato solo parzialmente attraverso le disposizioni sulla protezione dei soggetti deboli; così come vi sono delle lacune importanti in tema di “diritto-dovere al lavoro” diverso dal “diritto a lavorare”; ugualmente non si scoprono nel testo quell’insieme di limiti che valgono a caratterizzare422, ad esempio, la protezione dei diritti costituzionali e soprattutto il loro bilanciamento423 con esigenze o interessi sociali, economici e culturali, come ad esempio accade nell’art. 41 della Costituzione italiana, che non può neanche essere raffrontato con la timida disposizione dell’art. 16 della Carta di Nizza. In questo senso è vero quanto ha affermato la dottrina, e cioè che la Carta non manifesta uno slancio in avanti, ma rappresenta un minimo comune denominatore del costituzionalismo statale dei diritti424, un documento che consolida i diritti già presenti nell’ordinamento europeo425, soprattutto grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia. Per questo motivo la Carta non può sostituirsi ai meccanismi di ga-
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M. POIARES MADURO, Striking the elusive balance between economic freedom and social rights in the EU, cit., p. 465-467. 421 U. DE SIERVO, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, , cit., p. 50-52 422 E’ stato osservato che la Carta non propone una scala di valori, non compie specifici bilanciamenti di valori e non indica per ciascun diritto quali limiti possano valere per il suo esercizio. L’art. 52 si limita a stabilire che le limitazioni devono essere previste per legge e rispettare il contenuto essenziale dei diritti e, che, nel rispetto dei principi di proporzionalità, esse possano essere apportate solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione e all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, cit. 423 Vedi a tale proposito le preoccupazioni espresse da M. BARBERA, La carta di Nizza e le politiche sociali europee, cit., 53., il quale sottolinea l’estrema libertà che verrebbe data ai giudici della Corte di giustizia. 424 Vedi P. CARETTI, I diritti fondamentali nell'ordinamento nazionale e nell'ordinamento comunitario: due modelli a confronto, in Dir. pubbl., 3, 2001, p. 939 e ss. 425 A. D’ALOIA, Diritti sociali e politiche di eguaglianza nel “processo” costituzionale europeo, cit., p. 869.
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ranzia nazionali ma integrarsi con essi riconoscendone il valore, come è previsto nello stesso art. 53 della stessa426. Vi sono poi in essa due stonature che riguardano l’organizzazione generale e poi i diritti compresi nel capo sulla solidarietà. Dal primo punto di vista l’aggregazione degli articoli sulla base dei cinque valori dichiarati rischia di essere un mero assemblaggio di valori senza che essi dicano qualche cosa di reale sui diritti. I diritti non possono valere come proclamazioni astratte ma devono riferirsi ad aspetti della realtà piuttosto critici. Nella Carta sembra invece che si tenda a sublimare in un discorso pulito questioni ben più difficili da trattare nella realtà dei fatti. Tale giudizio vale a maggior ragione per i diritti previsti nel capo sulla solidarietà, dove non manca un ordine ma un riferimento dei diritti alla vita reale. E se il catalogo dei diritti non basta è altrettanto evidente che nei testi sui diritti al livello europeo sono assenti del tutto i doveri, specie i doveri di solidarietà. È noto che i diritti di solidarietà intanto possono esistere se sono sostenuti da corrispondenti doveri di solidarietà, per la duplice ragione che si quei doveri indicano la volontà di sancire l’eguale appartenenza ad una comunità nella quale ci si identifica sia perché il soddisfacimento di quei diritti richiede mezzi che solo l’assolvimento dei doveri di solidarietà può realizzare. L’assenza dei doveri, dunque dimostra ancora una volta la mancanza di una comunità politica a livello europeo e al medesimo tempo lascia intendere che la protezione dei diritti sociali non è possibile senza un intervento pubblico – non necessariamente statale – di sostegno che deve armonizzarsi con il libero mercato427. Tutte queste considerazioni hanno messo in luce le caratteristiche fondamentali delle previsioni comunitarie sui diritti sociali. L’indagine ha mostrato con tutta evidenza un dato: volendo cercare la natura e la protezione costituzionale dei diritti sociali non ci si può oggi arrestare all’esame della loro previsione
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Il cui testo recita «Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti […] dalle costituzioni degli Stati membri». 427 Il tema dei diritti sociali si interseca con l’altro grande tema della cittadinanza europea. Su questo tema v. le ancora efficaci notazioni di M. CARTABIA, A. CELOTTO, R. BIFULCO, Introduzione, cit., p. 24-25.
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e garanzia a livello nazionale ma si deve arrivare fino alla protezione europea e internazionale428. Non sarebbe possibile esaminare i diritti sociali riferendosi esclusivamente all’ordinamento nazionale, lasciando da parte l’ordinamento europeo e in qualche modo l’insieme delle norme che scaturiscono dall’integrazione dei due ordinamenti. Le regole sui diritti sociali non provengono in modo unilaterale da un ordinamento ma sono il frutto di una logica di intreccio tra livelli, di reciproca esplicitazione di contenuti e prospettive assiologiche destinate a unirsi e non ad essere divise. In questo senso l’analisi successiva, che ci porterà ad esaminare la situazione all’interno dell’ordinamento nazionale, offrirà spunti per comprendere in che modo l’ordinamento interno si integra con l’ordinamento sovranazionale. L’integrazione europea modifica i parametri entro cui va considerato il sistema di protezione sociale così come disciplinato dagli Stati membri e, al tempo stesso, consente di individuare nuove posizioni soggettive che non potrebbero trovare tutela negli ordinamenti nazionali429. Le considerazioni sull’ordinamento europeo e sull’integrazione sociale verranno poi riprese nello specifico all’interno del capitolo dedicato allo studio delle maggiori pronunce della Corte di giustizia europea sui diritti sociali, le quali sveleranno il ruolo di questo potente attore all’interno delle dinamiche di protezione dei diritti sociali nel nostro continente.
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F. CARINCI, A. PIZZOFERRATO, “Costituzione” europea e diritti sociali fondamentali, cit., p. 287. parla di una complessità oggettiva quando si guarda al sistema di protezione sociale europeo perché si deve intersecare anche il livello nazionale nel quadro della integrazione e dell’armonizzazione delle politiche. Nel prosieguo del testo lo stesso a. ricorda che i modelli di welfare non sono mai semplici schemi regolativi o figurazioni esclusivamente giuridico-normative, ma appunto - come ricorda A. D’ALOIA, Diritti sociali e politiche di eguaglianza nel “processo” costituzionale europeo, cit., p. 841 - «patrimoni sociali di cultura pubblica», fenomeni multidimensionali in cui le manifestazioni normative poggiano e vengono alimentate da strutture di interessi, valori, spinte sociali e culturali. 429 In questo senso vedremo in che modo soprattutto la Corte di Giustizia si è mossa verso la individuazione di nuovi diritti sociali all’interno dell’ordinamento comunitario dando un significato giuridico vincolante a disposizioni sulle politiche che sarebbero potute apparire prive di valore giuridico vincolante.
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CAPITOLO III LE INTERPRETAZIONI SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La giurisprudenza della Corte costituzionale sui diritti sociali. – 3. Relazioni tra persone e istituzioni incaricate della disciplina di determinati istituti previsti a garanzia dei diritti sociali. – 4. Relazioni tra persone e formazioni sociali. – 5. Relazioni tra persone e istituzioni incaricate di erogare una determinata prestazione (rectius di rimuovere un ostacolo...). – 6. Relazioni tra soggetti privati posti in una condizione di disparità iniziale o di una parità da raggiungere. – 7. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea. – 8. La giurisprudenza della Corte EDU: implicazioni di natura sociale ed economica per i diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
1. PREMESSA Il nostro principale interesse in questo capitolo è verificare nella giurisprudenza costituzionale italiana, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e della Corte EDU l’ipotesi ricostruttiva sul significato dei diritti sociali da cui questo lavoro parte. Allo stesso modo in cui ciò è già avvenuto con l’esame del testo della Costituzione e delle Carte internazionali ed europee sui diritti, anche in questa parte proveremo a capire se i diritti sociali sono trattati nella giurisprudenza come meri “diritti a prestazioni”, ovvero se l’attività interpretativa svolta dai giudici italiani ed europei non metta in rilievo una diversa natura di tali diritti, che implichi la considerazione giuridica dell’insieme di quelle relazioni tra persone, formazioni sociali e istituzioni che già la nostra Costituzione sottolinea1. 1
Vedi sul punto quanto è emerso durante l’esame delle norme della Costituzione italiana nella parte I. In questo senso è molto vicina alla nostra concezione quanto ha affermato N. BOBBIO, Sui diritti sociali, cit., p. 115, secondo
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Le interpretazioni
Nell’esame precedente sui testi, tale ipotesi ci aveva portati a distinguere la Costituzione italiana dalle Carte internazionali entrate in vigore successivamente ad essa. Il lavoro svolto ha mostrato che mentre nella prima i diritti sociali sono considerati prevalentemente come espressione della socialità della persona2, nelle seconde prevale, invece, una visione dei diritti sociali in senso funzionale, intesi come “strumenti” che donano all’individuo facoltà necessarie a pretendere una prestazione o un servizio da parte di istituzioni pubbliche. Già in molti hanno sottolineato i limiti della visione che relega i diritti sociali a mere “prestazioni” che devono essere soddisfatte attraverso l’impegno dei pubblici poteri3. La ragione di questo limite è facilmente intuibile. Nel momento in cui tale visione tenta di spiegare per vie euristiche una parte di ciò che accade, essa finisce per ridurre i diritti sociali a mere pretese (entitlements) condizionate dal tipo di decisioni adottate dalle istituzioni pubbliche4. In tale ottica, i diritti sociali sono necessariamente ridotti a semplici facoltà che esistono solo nel momento in cui lo Stato prevede certe misure economiche, senza la possibilità che a quei bisogni siano le stesse persone a poter dare risposta5. il quale «in contrapposizione ai diritti individuali, per “diritti sociali” si intende l’insieme delle pretese o esigenze da cui derivano legittime aspettative, che i cittadini hanno, non come individui singoli, uno indipendente dall’altro, ma come individui sociali che vivono, e non possono non vivere, in società con altri individui». 2 Cioè come indicatori della necessità di considerare quei luoghi all’interno dei quali la persona può soddisfare bisogni di natura sociale. Per tale impostazione rimandiamo nuovamente a A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 5 e ss. 3 G. Corso, I diritti sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 755 e ss.; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 79 e ss.; P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit. 4 T. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale, cit., passim, e per la dottrina giuridica R. ALEXY, A theory of constitutional rights, cit., passim. 5 È oramai acclarato che non è possibile dedurre dal mero “costo” dei diritti sociali l’esigenza di isolarli dal concetto stesso di diritto fondamentale o comunque di diritto pubblico soggettivo costituzionalmente protetto (su questo v. le considerazioni di S. HOLMES, C.R. SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, cit., passim, e per l’ordinamento italiano A. PACE, Eguaglianza e libertà, in Politica del diritto, 2, 32, 2001, p. 155 e ss.). Pertanto va confermata non solo la loro equiparazione al regime riservato ai diritti fondamentali c.d. classici, ma anche l’esigenza logica e politicocostituzionale di far valere per essi i criteri interpretativi e le garanzie costituzionali che di solito dottrina e Corte Costituzionale ritengono connessi alla natura stessa di diritti fondamentali. Argomentazioni in questo senso sono
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Nel nostro ordinamento costituzionale, invece, sono escluse le soluzioni estreme, quali, da un lato, la negazione di un interesse pubblico alla copertura o alla soddisfazione di determinati bisogni individuali e, dall’altro, l’assunzione in via esclusiva da parte del potere pubblico della soddisfazione di tutti i bisogni indicati nelle norme costituzionali6. La nostra Costituzione, adottando un’idea dei diritti sociali che guarda alle relazioni sociali ed alle sfere di vita entro cui le persone vivono, si muove sul crinale rappresentato da questi due estremi, lasciando al legislatore e all’interprete l’onere di trovare le forme di riconoscimento e di tutela dei diritti e delle libertà ed i modi di bilanciamento e di composizione fra questi7. Le decisioni indicate sono spesso sottoposte al sindacato di legittimità della Corte costituzionale. Anche sotto questo profilo si conferma l’ampiezza dello spazio di scelta disponibile all’interno del quadro costituzionale, dato che la giurisprudenza costituzionale utilizza principalmente i principi di eguaglianza e di ragionevolezza per giudicare le scelte legislative relative o per valutare il bilanciamento fra valori e principi costituzionali, preferendo solo di rado affrontare i problemi concernenti la conformazione (costituzionale) del diritto sociale o della situazione soggettiva ad esso legata. La complessità che si incontra nel ricostruire il significato di questi diritti deriva certamente da problemi di natura giuridica, ma è anche il frutto di problemi teorici molto più ampi. I diritti sociali occupano uno spazio conteso tra visioni contrapposte del fenomeno economico: da una parte, posizioni di stampo liberale, dall’altra, posizioni che invocano la necessità di un intervento della mano pubblica nell’economia, soprattutto a garanzia dei cittadini meno abbienti. Non è un caso, infatti, che in un momento come quello attuale in cui è diventato sempre più urgente affrontare i problemi legati alle politiche monetarie, finanziarie e fiscali del nostro Stato ed è divenuta sempre più impellente, soprattutto per i paesi membri dell’Unione Europea, l’esigenza di contenere la spesa pubblica e i livelli di inflazione, presenti in molti autori: L. CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, in Quad. cost, 1, 33, 1995, p. 64 e ss.; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit., p. 79 e ss. 6 Vedi L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, p. 713 e ss. 7 A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. giur, XI, Roma, 1989, spec. p. 35 e infra; D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit.; R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, cit.
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si è diffusa la convinzione che ogni diritto caricato sulla spesa sociale faccia parte a pieno titolo di una nuova categoria di “beni di lusso” di natura diffusa. Tutto ciò è espressione di quel conflitto insanabile tra “socialità” ed economia in virtù del quale ogni passo verso una maggiore equità sarebbe, in fondo, compiuto a spese dell’efficienza8. Mi fermo qui con le considerazioni. L’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale e della giurisprudenza europea aiuteranno a far venire fuori i problemi teorico-pratici di cui si sta parlando. 2. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI DIRITTI SOCIALI
L’esame della giurisprudenza si colloca in un crocevia importantissimo del nostro lavoro ricostruttivo. Se prendiamo in considerazione le pronunce della Corte costituzionale emerge con chiarezza che esse rappresentano uno dei terreni più consoni per verificare l’ipotesi che abbiamo svolto all’inizio di questo lavoro. Nella propria giurisprudenza la Consulta compie, infatti, un lavoro di esplicitazione del dettato costituzionale e di verifica dell’attuazione disposta dal legislatore che non ha eguali. Nella nostra esperienza costituzionale repubblicana credo che difficilmente si potrebbe parlare dei diritti sociali senza far riferimento agli interventi ed al ruolo svolto dalla giurisprudenza costituzionale. Le sentenze, tuttavia, non hanno a che fare con tutto il problema dell’attuazione, ma solo con quei particolari casi nei quali il rapporto tra il testo costituzionale e l’attuazione legislativa “entra in crisi”9. La Corte non è “padrona della propria agenda”10, ma – salvo rare eccezioni – è vincolata al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato11. Le pronunce esami8
A. MASSERA, Eguglianza e giustizia nel welfare state, in Diritto amministrativo, 1, 2009, p. 1 e ss. 9 L’interpretazione è essenzialmente una scienza “pratica” come hanno già indicato molti autori. Cfr. su tutti G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1977, p. 39 e 40. 10 R. ROMBOLI, La Corte costituzionale e il suo processo, in Foro It., I, 1990, p. 1090 e ss. 11 R. DI MARIA, Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel giudizio di legittimità costituzionale: l’insopprimibile iato fra giudizio principale e giudizio incidentale, in I principi generali del processo comune
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nate sono perciò da considerare come casi particolarmente importanti di incorretta attuazione. Perciò, quando ci si accinge a parlare di operazioni interpretative, occorre avere chiaro che tale attività risulta essenzialmente finalizzata alla risoluzione di casi concreti12. Vi è anche un altro valore aggiunto che la giurisprudenza costituzionale offre alla elaborazione dei diritti sociali. Questi ultimi sono un settore in la Corte costituzionale ha avuto modo di dare un contributo “creativo” molto incisivo al circuito delle decisioni politiche, con implicazioni capaci di operare una profonda trasformazione dello stesso ruolo della Consulta e di modificare il modo in cui essa concepisce l’attività cui è chiamata13. Si pensi, ad esempio, al contributo creativo della giurisprudenza costituzionale alla elaborazione delle sentenze additive di prestazione o delle additive di principio14, le quali hanno contribuito negli anni passati a superare l’annoso problema della giustiziabilità dei diritti sociali. Prima di entrare nel merito, bisogna chiarire in che modo verrà condotta l’analisi della giurisprudenza. Il primo punto da decifrare è quali pronunce saranno prese a base di questo lavoro. Come è possibile intuire, la scelta è caduta principalmente sulle pronunce rese dalla Corte all’interno del giudizio in via incidentale e in via principale. Nello specifico sono state analizzate quelle pronunce nelle quali la Corte usa come parametro una delle norme dei Titoli II e III della Parte prima della Costituzione, dal momento che queste ultime hanno maggiore attinenza con la protezione dei diritti sociali. La scelta delle sentenze ha seguito un criterio di “rilevanza” del tema affrontato dalla Corte. Ho usato, cioè, quelle sentenze che avevano una portata significativa per la conoscenza sistematica dei diritti sociali e
ed i loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale, a cura di E. BINDI, M. PERINI, A. PISANESCHI, Torino, Giappichelli, 2008, p. 53 e ss. 12 L. MEZZETTI, La giustizia costituzionale: storia, modelli, teoria, in La giustizia costituzionale, a cura di L. MEZZETTI, M. BELLETTI, E. D'ORLANDO, E. FERIOLI, CEDAM, Padova, 2007, p. 229 e ss. 13 È anche grazie alla necessità di risolvere questo tipo di problematiche che la Corte costituzionale ha saputo trasformarsi, come ha scritto E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale e la dinamica dei poteri, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 95 e 107, da mero giudice di legittimità (delle leggi) a giudice delle “opportunità”. 14 C. SALAZAR, I diritti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, cit., p. 505 e ss.
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che, a loro volta, potevano mostrare meglio il contributo della Corte costituzionale al tema. Nell’esame delle pronunce è stata, inoltre, privilegiata l’analisi della motivazione (e del dispositivo), lasciando così da parte la descrizione del fatto. L’idea fondamentale che mi ha guidato è quella di descrivere il modo in cui la Corte “decide”15, cioè la struttura, la funzione e gli esiti che essa intende raggiungere attraverso le sue decisioni16. Sin d’ora si può anticipare un risultato che già l’analisi delle norme ha mostrato e che nell’esame della giurisprudenza sarà oltremodo chiaro: nella dimensione costituzionale il problema della qualificazione giuridica dei diritti sociali evoca i problemi «soggettivi» piuttosto che «oggettivi» di questi diritti17. A fini introduttivi è pure necessario precisare le modalità con cui procederò all’esposizione dei dati raccolti. Per coerenza metodologica ho strutturato l’analisi per aree tematiche, riprendendo quelle distinzione per “rapporti/relazioni”, che ho già usato nel capitolo precedente allorché si è trattato di sistematizzare le norme costituzionali. Nell’esposizione della giurisprudenza costituzionale sarà utilizzato, perciò, un canone simile a quello che ho già sperimentato nello studio dei testi. Non cercherò di esporre, in prima battuta, un criterio che raggruppa le pronunce per materia, ma un criterio analitico che si basa sul “tipo” di relazioni tutelate. Ovviamente all’interno di ciascun paragrafo le singole norme costituzionali saranno analizzate separatamente per temi comuni (salute, famiglia, istruzione, ecc.). In questo modo si studieranno dapprima le sentenze nelle quali vengono ad evidenza i rapporti tra individui e istituzioni pubbliche che sono incaricate di disciplinare un certo istituto (Principi per la disciplina di istituti di garanzia dei diritti sociali), poi le sentenze che hanno a che fare con le disposizioni costituzionali che riconoscono una particolare libertà per la persona (Disposizioni che riconoscono una sfera particolare di libertà alle relazioni tra persone all’interno 15
M. LUCIANI, Le decisioni processuali e la logica del giudizio costituzionale incidentale, Padova, Cedam, 1984, p. 215 e ss. 16 Terremo perciò conto del particolare valore delle motivazioni della Corte, cioè della loro natura di ragionamenti logici e di strumenti retorici. Sulla specificità della motivazione delle sentenze della Corte costituzionale si veda A. SAITTA, Logica e retorica nella motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Milano, Giuffrè, 1996, spec. p. 89 e ss. 17 Si tratta di capire a chi spettano, come si possono esercitare, quali sono le situazioni soggettive tutelate, ecc.
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di formazioni sociali). Collocherò poi su di un altro piano quelle sentenze che riguardano i rapporti tra persone e istituzioni incaricate di erogare una determinata prestazione (Relazioni tra persone e istituzioni incaricate di erogare una determinata prestazione) e, infine, quelle pronunce che si occupano delle relazioni tra soggetti privati collegate con un diritto sociale (Relazioni tra soggetti privati posti in una condizione di parità iniziale o di una parità da raggiungere). Come è intuibile, queste classificazioni non hanno l’obiettivo di chiudere entro schemi rigidi le interpretazioni della Corte. In molti casi, infatti, si tratterà di situazioni nelle quali l’una e l’altro tipo di relazioni sono interconnesse, tanto che la Corte quasi non distingue tra diverse situazioni ovvero le considera come particolari che formano una realtà complessa. Il punto di maggiore difficoltà nella definizione dell’analisi delle sentenze riguarda il modo in cui si descrive il metodo argomentativo usato della Corte costituzionale18. Ho già ricordato che l’ipotesi più plausibile di lavoro è prendere in considerazione le motivazioni della Corte nella loro veste di argomentazioni razionali, cioè di argomentazioni attraverso le quali si sottopone un testo legislativo all’esame delle sue funzionalità pratiche, e dunque alla verifica della sua capacità di servire allo scopo per il quale esso deve esistere19. Da questo punto di vista, lo studio si focalizzerà sui passaggi essenziali, sulle strategie argomentative, sui modelli interpretativi e sulle soluzioni poi rese dalla Corte a proposito dei rapporti che abbiamo giudicato più rilevanti. Si deve, infine, avere presente che per ognuno dei diritti sociali menzionati nella nostra Costituzione esistono interpretazioni consolidate che sono state oggetto di esame da parte degli studiosi di ciascuna delle discipline interessate (si pensi ad esempio al diritto della famiglia o al diritto al lavoro e al diritto sindacale). L’obiettivo di queste pagine è quello di offrire un quadro complessivo dei diritti sociali, che non sostituisce 18
Usando il verbo descrivere intendiamo mettere in evidenza il criterio attraverso cui si rappresentano le pronunce e si mettono insieme gli elementi di somiglianza tra di esse. Su tale aspetto veda F. VIOLA, G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 222 e ss. 19 V. sul punto vedi A. Costanzo, L’ argomentazione giuridica, Milano, Giuffrè, 2003, p. 19 e ss.; E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, Giappichelli, 1999, spec. p. 541 e ss.; R. ALEXY, Teoria dell'argomentazione giuridica, Milano, Giuffrè, 1998, p. 123 relativamente alle teorie dell’argomentazione usate da Perelman.
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l’analisi sistematica di ogni singolo aspetto. Per questa ragione tanto è doveroso rimandare alla dottrina che si è occupata dell’esame dei diritti costituzionali e delle tecniche decisorie della Corte costituzionale in materia di diritti sociali20, quanto è necessario tenere in debito conto - come già indicato - che il lavoro non affronterà i singoli istituti (famiglia, salute, istruzione, lavoro) in modo organico ma segue un paradigma di analisi che seleziona i diritti da esaminare per sfere di relazioni e in base al bene tutelato. 3. RELAZIONI TRA PERSONE E ISTITUZIONI INCARICATE DELLA DISCIPLINA DI DETERMINATI ISTITUTI PREVISTI A GARANZIA DEI DIRITTI SOCIALI
Il primo tipo di norme contenute nei Titoli II e III, Prima Parte della Costituzione che esaminerò sono quelle che in maniera diretta stabiliscono la necessità che il legislatore disciplini una serie di istituti, necessari per la garanzia e la soddisfazione di determinati bisogni della persona espressi all’interno delle formazioni sociali. Saranno analizzate le seguenti disposizioni costituzionali: art. 30, commi 2 e 3; art. 32, comma 2; art. 33, commi 2, 4, 5, 6; art. 34, comma 3. I settori a cui mi riferisco sono dunque quelli della famiglia, della salute, dell’istruzione. 3.1 Famiglia Come è stato indicato dalla dottrina, il diritto di famiglia è uno di quelli in cui maggiore è stato l’influsso della Costituzione sull’ordinamento21. Esso è stato dapprima modificato per effetto di numerose sentenze della Corte costituzionale, poi per effetto dell’introduzione di una serie di norme che hanno cambiato alcune disposizioni del codice civile ed altri istituti parti20
Si pensi ad esempio ai seguenti lavori generali sul tema dei diritti sociali: C. COLAPIETRO, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale, cit.; G. BONGIOVANNI, Diritti sociali e giurisprudenza della Corte costituzionale: il rapporto Corte/potere legislativo nel mutamento costituzionale, cit.; C. SALAZAR, I dirittti sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale, cit.; B. PEZZINI, La decisione sui diritti sociali, cit.; D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, cit. 21 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 347.
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colari come il divorzio e l’aborto, sui quali tra l’altro si sono svolti due referendum22. Nella Costituzione alla famiglia come “società naturale”23 si riconosce una posizione di autonomia rispetto allo Stato, si introduce il principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e si prevede che la legge stabilisca strumenti di intervento a favore dei figli nel caso di incapacità dei genitori. L’art. 30, comma 2, Cost. prevede che «nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». L’interpretazione data dalla Corte costituzionale di questo secondo comma dell’art. 30 Cost. ha riflessi molto interessanti per il tema dei diritti sociali. Occorre ricordare che il diritto dei genitori ad educare i figli previsto nel primo comma dello stesso articolo è considerato come una “funzione” e non come una loro libertà personale, cioè come un “diritto-dovere” che «trova nell’interesse del figlio la sua funzione ed il suo limite24». Se, come è stato detto, la funzione educativa affidata ai genitori consiste nell’assicurare al figlio uno sviluppo e la maturazione della sua personalità conformi ai precetti degli artt. 2 e 3 della Costituzione, la disciplina della potestà dei genitori è finalizzata strettamente all’interesse dei figli ed alla loro personalità, ed è pertanto conformata come un “diritto-dovere”. A questi obiettivi la Corte costituzionale mostra di aderire fin da subito nelle sue sentenze, a partire dalla metà degli anni ‘7025. Tra le più significative vi è certamente la sent. n. 11/1981, nella quale la Corte era chiamata a decidere, tra le altre, una questione di legittimità costituzionale sollevata sulle norme della legge n. 431/1967, la quale aveva introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’adozione speciale26. In questa pronuncia la Consulta afferma che «la legge n. 431 ha alterato a favore del minore l’equilibrio che poteva ormai riconoscersi, nell’adozione ordinaria per i minori» tra l’interesse dei genitori e l’interesse del minore ad essere allevato ed educato in condizioni più vantaggiose. Lo spostamento del centro di gravità dell’istituto era im22 P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia, 1796-1975, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 249 e ss.; G. GIACOBBE, La famiglia tra codice civile e Costituzione, 1, 1994, p. 59 e ss. 23 Il significato del primo comma dell’art. 29 sarà analizzato più avanti nella trattazione. 24 Cfr. Corte cost., sent. n. 132/1992. 25 Cfr. ad es. Corte cost., sent. n. 76/1974. 26 Disciplina in seguito modificata prima con la l. 184/1983 e poi dalla l. n. 149/2001.
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posto prima ancora che sul piano legislativo «sul piano superiore della normativa costituzionale, per il combinato disposto degli artt. 2 e 30, primo e secondo comma, della Costituzione»27. Tali norme, «riconoscendo come fine preminente lo svolgimento della personalità in tutte le sedi proprie», pongono come obiettivo primario «la promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a ciò più idoneo», che deve essere ravvisata in primissima istanza nella famiglia di origine e, soltanto in caso di incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva. Soprattutto l’art. 30, comma 2, Cost. prevede «il dovere del legislatore e dell’autorità pubblica in generale di predisporre quegli interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei loro compiti da parte dei genitori di sangue: e cioè alle funzioni connesse al dovere - diritto di mantenere, istruire ed educare i figli». La finalità di una educazione sostitutiva alla garanzia del minore «comporta la soddisfazione del bisogno di famiglia avvertito con forza dal minore, che richiede per la sua crescita normale affetti individualizzati e continui, ambienti non precari, situazioni non conflittuali»28. È interessante notare che sarà proprio a partire da questa giurisprudenza in tema di adozioni che la Corte costituzionale troverà la strada per la enucleazione del principio del “preminente interesse del minore” che sia nella giurisprudenza sia nella legislazione hanno avuto notevole influenza29. Sebbene tali pronunce abbiano a che fare con interessi di tipo civilistico, legati ai rapporti tra genitori e figli ed alle garanzie apprestate dalla giurisdizione, è tuttavia innegabile che in queste sentenze si può riscontrare un “valore sociale” innegabile di cui il legislatore e i giudici sono i custodi30. L’esempio dove 27 Su tale punto v. le considerazioni di P.F. GROSSI, Lineamenti di una disciplina della famiglia nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2, 2005, p. 585 e ss. 28 Tutte le citazioni sono tratte dalla sent. n. 11/1981. A questa sentenza seguono molte altre di tenore simile, tra cui ricordiamo la sent. n. 197/1986, 182/1988, 27/1991, 148/1992. 29 Tra tutte v. Corte cost., sent. n. 27/1991. Per un commento dell’evoluzione immediata di queste pronunce vedi A. COSTANZO, Vicende di due principi costituzionalmente rilevanti e affini, in Il Diritto di famiglia e delle persone, 3, 1995, p. 1129 e ss. 30 Uno spunto essenziale a tale considerazione può essere trovato in un passaggio di un’altra sentenza, nella quale la Corte cost. afferma: «L’organica disciplina della adozione dei minori, dettata dalla legge n. 184 del 1983, ha come essenziale e dominante obiettivo - in conformità alle convenzioni inter-
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si può comprendere in modo migliore tale ruolo si trova nella sentenza n. 132/1992 in tema di sanzioni ai genitori nel caso in cui omettano di sottoporre i propri figli alle vaccinazioni obbligatorie. In un passaggio fondamentale dell’argomentazione in diritto la Corte afferma che «la potestà dei genitori nei confronti del bambino è riconosciuta dall’art. 30, primo e secondo comma, della Costituzione non come loro libertà personale, ma come diritto-dovere che trova nell’interesse del figlio la sua funzione ed il suo limite». I giudici costituzionali ricordano che è grazie alla Costituzione che è stata rovesciata la concezione che assoggettava i figli ad un «potere assoluto ed incontrollato» e si è affermato «il diritto del minore ad un pieno sviluppo della sua personalità collegando funzionalmente a tale interesse i doveri che ineriscono, prima ancora dei diritti, all’esercizio della potestà genitoriale»31. D’altronde, come è stato affermato32, la primazia riconosciuta dalla Costituzione agli interessi del minore e la conseguente limitazione dei poteri del genitore traggono fondamento dal medesimo art. 30, comma 2, Cost. stesso. Perciò, in caso di incapacità dei genitori ad assolvere i propri doveri educativi e di cura, la legge dovrà prescrivere come extrema ratio «misure di intervento pubblico» surrogatorie della famiglia di origine da cui deriverà l’«affievolimento» (e non la decadenza) dell’esercizio della potestà genitoriale33. Quest’ultima, infatti, pure essendo oggetto di tutela da parte della Costituzione, non potrebbe essere affermata in modo incondizionato ed assoluto dovendo «coesistere con i diritti fondamentali ed inviolabili» del minore incapace di autodeterminarsi, come il diritto soggettivo «ad assumere ai fini della sopravvivenza un determinato
nazionali volte a disciplinare e proteggere in modo specifico i minori (si veda in proposito la Convenzione di Strasburgo sulla loro adozione, ratificata in forza della legge 22 maggio 1974, n. 357) - l’interesse dei minori stessi ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale si possa sviluppare la loro personalità, godendo di un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come riferimento idonei genitori adottivi» (Corte cost., sent. n. 89/1993). 31 Cfr. Corte cost., sent. n. 132/1992. Sugli aspetti connessi a questa giurisprudenza ed alle responsabilità dei genitori vedi quanto scrive G. FACCI, La responsabilità del genitore per gli illeciti compiuti ai danni della prole, in Responsabilità civile e previdenza, 11, 2008, p. 2194 e ss. 32 Vedi M. DOGLIOTTI, Potestà dei genitori, vaccinazioni obbligatorie, procedimento ex art. 333 c.c., in Dir. fam. e delle pers, 3, 1993, p. 578 e ss. 33 Vedi M. BESSONE, Art. 29-31, in Commentario della Costituzione a cura di Giuseppe Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 127.
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trattamento terapeutico», e quindi «cedere di fronte ad esigenze che nel contesto sociale hanno valore primario»34. L’altra norma da trattare in questa parte relativamente alla famiglia è l’art. 30, comma 3, Cost., il quale stabilisce che «la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima». Anche l’interesse per questa norma deriva dalla garanzia particolare che la nostra Costituzione prevede a favore di una particolare categoria di persone: si tratta della tutela dei figli nati fuori dal matrimonio (cioè dei figli naturali). Per molto tempo la previsione dell’art. 30, comma 3, Cost. è stata analizzata per comprendere la compatibilità tra il particolare trattamento che questa norma stabilisce verso i figli legittimi e il principio generale di eguaglianza, dal quale discenderebbe un generale divieto di considerare diversamente le persone in base alle loro «condizioni personali e sociali». Tra i due poli, l’eguaglianza e l’eccezione alla stessa, oggi si tende a far prevalere la prima interpretando restrittivamente il limite della compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima35. Nelle pieghe della giurisprudenza della Corte costituzionale - anche recente - sul tema si possono ravvisare spunti molto interessanti che riguardano il rapporto tra persone e istituzioni incaricate della disciplina di un particolare istituto. Significativa a tale proposito appare la sentenza n. 335/2009, ultima - in senso cronologico - ad affrontare la delicata composizione degli interessi ereditari della famiglia legittima e dei figli naturali. In tale pronuncia la Corte costituzionale ribadisce la ratio sottesa alla disciplina costituzionale, riconoscendo che l’art. 30, comma 3, Cost. non viola il principio di eguaglianza nel momento in cui differenzia la condizione dei figli naturali e dei figli legittimi attraverso la previsione del cd. trattamento “compatibile”. Il riferimento a tale criterio, continuano i giudici delle leggi, «assume la funzione di autentica clausola generale, aperta al divenire della società e del costume», ed è pertanto legittima in quanto consente il recepimento nel suo ambito dispositivo «delle singole fattispecie, commisurate proprio a quella dinamica
34 Per una ricostruzione degli aspetti medico-legali collegati a queste situazioni vedi L. CHIEFFI, Trattamenti immunitari e rispetto della persona, in Politica del diritto, 4, 1997, p. 605 e ss. 35 Vedi E. LAMARQUE, Art. 30, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 622 e ss.
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evolutiva dei rapporti sociali, che attualizza il precetto costituzionale»36. Da quest’ultima sentenza, così come da precedenti interventi37, si traggono dunque indicazioni molto utili che hanno a che fare con il primo criterio da noi utilizzato nell’analisi dei diritti sociali. In particolare quello che emerge è che nella previsione dei rapporti tra persone e istituzioni incaricate di disciplinare un certo istituto, il legislatore deve farsi carico della armonizzazione della disciplina all’evoluzione sociale, dando così una valutazione “costituzionalmente orientata” che non ignori (ma prenda necessariamente in considerazione) «la naturale evoluzione nel tempo della coscienza sociale e dei costumi». È certamente in questo criterio che si deve leggere il riferimento dell’articolo 30, comma 3, alla garanzia dell’eguale “tutela sociale”, intesa come direttiva rivolta al legislatore di legare la legislazione, e dunque la composizione degli interessi e dei diritti, allo sviluppo sociale. 3.2 Salute Prevedendo che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” il primo comma dell’art. 32 Cost. contiene, come abbiamo già detto, un riferimento preciso ad un compito in capo al legislatore di disciplinare fenomeni che hanno a che fare con la tutela della salute. Negli anni questo settore della legislazione ha subito numerose trasformazioni diventando uno di quegli ambiti entro i quali la garanzia costituzionale ha inciso maggiormente38. Sebbene il riconoscimento della valenza piena di tale diritto ha tardato a manifestarsi, oggi possiamo dire che assistiamo alla fioritura della concezione complessa di salute, che abbraccia ormai una tutela composta da un ampio spettro di materie legi-
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Cfr. Corte. cost., sent. n. 335/2009. Cfr. per tutte Corte. cost., sent. n. 168/1984. Sul nesso tra la sentenza del 2009 e la giurisprudenza precedente vedi C. SGOBBO, Il diritto di commutazione nel rispetto del principio di eguaglianza e del divieto di differenziazioni basate su condizioni personali e sociali, in Giur. it., 4, 2010, p. 784 e ss. 38 M. COCCONI, Il diritto alla tutela della salute, Padova, Cedam, 1998, passim. 37
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slative legate a interessi e oggetti molto diversi39. Specie nella sua proiezione attuativa, la tutela della salute – secondo l’efficacia propria delle norme di principio40 – ha generato una numerosa serie di pretese giuridiche a determinati comportamenti pubblici, oltre che ovviamente pretese di astensione, situazioni soggettive di vantaggio e di svantaggio dirette sia verso i poteri pubblici che verso gli altri consociati41, delle quali parleremo più avanti. Più che in altri settori, la consapevolezza della effettiva portata dell’articolo 32 della Costituzione deriva principalmente dall’opera della giurisprudenza (non solo costituzionale ma anche di legittimità42). In poco tempo dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla salute quale diritto primario ed assoluto di cui è titolare ciascuna persona e che spetta soprattutto alle istituzioni pubbliche tutelare43. Il cambiamento, che porterà fino alla approvazione della legge ospedaliera del 1968 e la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale del 1978, estende notevolmente la portata dell’articolo 32 Cost. mostrando tutta l’ampiezza delle fattispecie (dimensioni) in esso comprese. In via generale, ad una nozione di salute intesa esclusivamente come “assenza di malattia” si sostituisce una nozione ampia - estesa - che considera gli interventi a tutela della salute non solo in funzione curativa (per eliminare gli stati morbosi) ma come diretti a realizzare il benessere complessivo della persona. 39
Vedi R. BALDUZZI, Salute (diritto alla), in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, VI, Milano, 2006, , op. cit.p. 5394 e ss. 40 V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, cit., p. 75 e ss. 41 In dottrina sul punto vedi: R. BALDUZZI, Salute (diritto alla), cit., p. 5394 e ss.; A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), cit., p. 658 e ss.; D. MORANA, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, Milano, Giuffrè, 2002, p. 32 e ss.; F. MODUGNO, I "nuovi diritti" nella Giurisprudenza Costituzionale, cit., p. 46 e ss.; M. LUCIANI, Salute I) Diritto alla salute - Dir. cost, in Enc. dir., XXVII, Roma, 1991, p. 5 e ss.; B. CARAVITA, La disciplina costituzionale della salute, p. 22 e ss.; B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, cit., p. 22 e ss.; M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, cit., p. 779 e ss. 42 In questo senso v. i rilievi di C. PANZERA, Legislatore, giudici e Corte costituzionale di fronte al diritto alla salute (verso un inedito "circuito" di produzione normativa?), in Diritto e società, 3, 2004, p. 311 e 312. 43 Per una ricostruzione dei principali ostacoli sulla via della definizione del diritto alla salute come diritto costituzionale pienamente tutelato si veda D. MORANA, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, cit., p. 8 e ss.
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Come è stato detto, ad una nozione di salute in senso “statico” si sostituisce una nozione di essa in senso “dinamicorelazionale”44. A questo obiettivo ha dato certamente un apporto decisivo chi ha colto l’affermarsi di un concetto di salute non più solo in senso biologico ma anche “etico-sociale”45, in coincidenza con la collocazione stessa dell’art. 32 all’interno del titolo II della Parte prima della Costituzione46. Ma è certamente la giurisprudenza della Corte costituzionale che in tale sviluppo ha giocato il ruolo più importante. A quest’ultima va soprattutto il merito di aver saputo cogliere il nesso tra la salute e i “contesti” più ampi in grado di condizionarla; contesti rappresentati non solo dai luoghi di cura ma anche dagli ambienti di vita, dai luoghi di lavoro e dall’ambiente esterno in generale47. È stato così possibile un fiorire di tutele che hanno assunto un valore essenziale per la protezione della salute, come per esempio la salubrità ambientale48 o la protezione di chi non è “malato” ma è semplicemente invalido49; tutti indirizzi che trovano in questa evoluzione giurisprudenziale la loro origine e pure il loro sviluppo. Insieme a tali novità, non si può dimenticare che nello stesso momento in cui la Consulta insieme alla Cassazione trovava una nuova strada alla protezione dell’ambiente e dei luoghi di lavoro, stava fiorendo anche un altro settore all’interno della tutela della salute. Quel settore che poi ha generato, attraverso 44
Sul punto vedi R. ROMBOLI, Commento all'art. 5, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 225 e ss. 45 Su tale punto vedi F. ROVERSI MONACO, C. BOTTARI, Artt. 1 e 2, in Il Servizio sanitario nazionale (Commento alla l. 833/1978), a cura di F. ROVERSI MONACO, Milano, Giuffrè, 1979, p. 12 e M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, cit., p. 792. 46 Lo studio sulla collocazione sistematica dell’art. 32 Cost entro il Titolo II ed i riflessi che questo ha sugli altri articoli è stato condotto in modo molto dettagliato già da B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, cit., p. 32 e ss. 47 In questo senso si veda la sentenza n. 399/1996 della Corte costituzionale sul fumo passivo. 48 Per quanto riguarda l’ambiente, il punto di avvio dell’intera vicenda è la nota sentenza delle Cass., SS.UU., n. 5172/1979. La sentenza è analizzata in modo specifico da F. GIAMPIETRO, Diritto alla salubrità dell'ambiente, Milano, Giuffrè, 1980, p. 102 e ss. Sul riconoscimento dell’ambiente come oggetto di un nuovo diritto v. F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza Costituzionale, cit., p. 52 e ss. 49 Come è accaduto nella giurisprudenza che ha evidenziato l’importanza della frequenza scolastica negli istituti superiori per la socializzazione delle persone diversamente abili. Vedi in particolare Corte cost., sent. n. 167/1999.
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la garanzia ampia dell’integrità psico-fisica della persona, la tutela del cd. danno biologico (attraverso l’uso diretto dell’art. 32 come norma applicabile direttamente senza interposizione del legislatore)50. Fatta questa premessa, proviamo ora a capire quali sono i diritti che la Corte costituzionale ha tratto partendo dalla previsione dell’art. 32, primo comma, Cost. e che possiamo collocare all’interno del primo criterio di analisi usato in questo lavoro. La prima categoria di diritti ha a che fare con la ricostruzione in generale della tutela legata a questo articolo. Nella sent. n. 559/1987 la Corte costituzionale parte con il riconoscere che, secondo un indirizzo generale, dall’art. 32 Cost. deriva una tutela che si spiega sia su un versante pubblicistico sia su un versante privatistico. Secondo i giudici costituzionali se prendiamo in considerazione questo primo punto di vista - ed in particolare la «generale garanzia assicurata a tutti i cittadini» - dobbiamo considerare che una «tutela privilegiata spetta ai lavoratori», nei cui confronti tra l’altro la tutela della salute si lega alla garanzia dell’assistenza da riconoscere secondo l’art. 38 Cost. “in caso di malattia”. Nel rapporto di lavoro, infatti, la salute rileva non solo al fine di garantire l’igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro o l’imposizione di una serie di norme a sicurezza dei lavoratori (addirittura come condizione per il legittimo esercizio della libertà di impresa), ma è un problema che deve portare ad una diversa organizzazione del rapporto di lavoro, tale da «riversare entro certi limiti sull’imprenditore il rischio della malattia» del lavoratore, imponendogli degli obblighi ulteriori, come quello di non recedere dal contratto o di corrispondergli la retribuzione. Per questa ragione nella sentenza n. 559/1987 la Corte ritiene infondata la questione che aveva a che fare con le norme che riconoscevano il diritto del lavoratore di accedere alle cure termali in un periodo che non fosse quello di congedo ordinario o delle ferie annuali. Dall’art. 32, comma primo, Cost, deriva pertanto la legittimità di una disciplina che riconosce in capo al lavoratore il diritto di fruire di particolari cure durante il periodo
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Pertanto, assieme alle novità sopra citate si aggiungeva anche l’ulteriore garanzia costituita dalla immediata opponibilità del diritto alla salute nei rapporti privati. Su tale punto si veda in particolare la sent. Cassazione, SS.UU., n. 796/1973, la quale qualifica il diritto alla salute come diritto “primario” ed “assoluto” e aggiunge che esso non può essere condizionato o influenzato da alcun rapporto giuridico.
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di lavoro e, correlativamente, attribuisce all’imprenditore l’onere retributivo per tale periodo51. Un’altra grande categoria di diritti che derivano dall’art. 32, primo comma, Cost. riguarda il risarcimento del danno biologico. Per quel che interessa ai fini di questo lavoro è rilevante notare il cammino della giurisprudenza costituzionale sulla via del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico. L’indirizzo giurisprudenziale parte alla fine degli anni ‘70 con la sentenza Corte cost. n. 88/197952 e culmina, come noto, nella sentenza Corte cost. n. 184/198653. Vale la pena notare che in questa pronuncia i giudici costituzionali ricordano che la tutela risarcitoria del diritto alla salute, ricondotta secondo il diritto vivente alla norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c., «riguarda prioritariamente e indefettibilmente il danno biologico in sé considerato, rappresentato dalla stessa menomazione psico-fisica, a prescindere dalle conseguenze che da essa possano o meno derivarne: a prescindere, cioè, dalla eventuale perdita o riduzione di reddito che ne sia conseguenza immediata e diretta, così come dai danni morali soggettivi contemplati dall’art. 2059 c.c.». Dalla cd. lettura “costituzionale” dell’art. 2043 si evince, perciò, che nella correlazione del risarcimento al contenuto dell’iniuria, occorre «tener conto della evoluzione che il diritto privato ha subìto per effetto della Costituzione: dalla tendenziale considerazione dei soli beni patrimoniali alla prioritaria garanzia di beni e valori personali». La giurisprudenza, dunque, trae all’interno della legislazione vigente un diritto nuovo che a questo punto il legislatore non può ignorare; diritto che ha un valore civile ma che trova tutta la sua forza nell’evoluzione sociale e nella connessa 51
In questo senso vedi quanto afferma: E. GHERA, Cure termali e retribuzione: contrasto nella giurisprudenza ordinaria ed intervento della Corte costituzionale, in Giur. cost., 12, 1987, p. 3523 e ss. 52 In questa sentenza per la prima volta la Corte costituzionale, sulla base del riconoscimento della immediata precettività dell’art. 32 Cost., ha statuito che il diritto alla salute “si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati (...) da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione”. A commento della sent. n. 88/1979 vedi A. ANZON, L'altra "faccia" del diritto alla salute, in Giur. Cost, 1, 1979, p. 657 ss; A. DE CUPIS, Il diritto alla salute tra cassazione e corte costituzionale, in Giust. civ., 3, 1980, p. 534 e ss. 53 In dottrina sul punto si veda A. PISANESCHI, La Corte Costituzionale ed il danno alla salute: considerazioni in merito all' operatività dell' art. 32 Cost. nell' attuale sistema di responsabilità civile, in Giur. cost., 4, 1987, p. 1072 e ss.
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garanzia di un bene, la salute, che non può essere qualificato più in modo angusto né come mero “diritto pubblico soggettivo” opponibile solo nei confronti dello Stato né solo come interesse della collettività54. A questi fini è utile pure analizzare l’iter argomentativo contenuto in un’altra pronuncia55, nella quale proprio a partire dal riconoscimento del “valore orizzontale” dell’art. 32, primo comma, Cost. la Consulta afferma che «non sono configurabili limiti alla risarcibilità in ogni caso del danno biologico per sé considerato». Il tema in questione era sempre legato al risarcimento del danno biologico e riguardava un infortunio occorso ad un lavoratore. Nella sentenza, la Corte ha affermato che «le stesse ragioni che hanno indotto a introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, inducono a ritenere che il rischio della menomazione dell’integrità psico-fisica del lavoratore medesimo, collegato allo svolgimento delle sue mansioni, deve godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consente quella integrale ed automatica riparazione del danno biologico che la disciplina comune non è in grado di apprestare in modo effettivo. Il danno all’integrità fisica deve essere oggetto di piena tutela assicurativa per finalità che trovano consacrazione nell’art. 32 Cost. ed anche - come è stato rilevato in dottrina nel senso di solidarietà sociale che permea di sé l’intera Costituzione»56. È la finalità di solidarietà sociale, insieme alla previsione dell’art. 32 Cost., dunque, ad imporre un intervento diretto attraverso un sistema assicurativo idoneo ad apprestare una piena ed integrale garanzia del danno biologico che può derivare dagli infortuni sul lavoro o dalle malattie professionali57. La questione è poi precisata in un’altra sentenza di poco successiva a quella citata in precedenza, la n. 485/1991, nella quale la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità di una norma del d.P.R. n. 1124/1965 che impediva al lavoratore, nel caso di infortunio in cui fosse accertato anche un reato, di godere cumulativamente sia del risarcimento del danno biologico sia delle somme dovute a titolo di indennità per gli assicurati INAIL.
54 V. sul punto A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), cit., p. 660 e ss. 55 Corte cost., sent. n. 356/1991. 56 Corte cost., sent. n. 356/1991. 57 A tali fini si può vedere anche Corte cost. sent. n. 91/1991.
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Ma il significato dell’art. 32, primo comma, Cost. non emerge solo dalla legislazione che riguarda le lesioni dell’integrità psico-fisica e sui relativi danni che possono derivare alla salute della persona. Le vicende che aiutano a comprendere la portata di questo articolo hanno a che fare anche con altre situazioni, a volte molto distanti dal tema del risarcimento del danno biologico. La prima vicenda da menzionare è stata decisa con la sentenza n. 399/1996 in materia di divieto di fumo nei luoghi pubblici. Pur avendo, quindi, un oggetto diverso dalle precedenti, questa decisione è certamente debitrice delle precedenti che affrontano la materia del danno biologico. Pure in questo caso, infatti, i giudici costituzionali riconoscono l’efficacia dell’art. 32, comma 1, come norma che consente di leggere la disciplina vigente e di attribuirle un significato ulteriore rispetto a quanto testualmente indicato, cioè che l’art. 32 Cost. è direttamente fonte di diritti e di doveri anche laddove non esista la disciplina specifica. Pur rimanendo in capo al legislatore la scelta sulle modalità attraverso le quali individuare le prestazioni da garantire sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche possedute in un tale momento, i datori di lavoro non possono obiettare la mancanza di una legislazione specifica sul divieto di fumare in certi luoghi per evitare di sanzionare determinate condotte58. Sarà il legislatore, però, e non i giudici ad avere il potere di «riconsiderare l’intera materia per migliorare la disciplina in tema di tutela della salute dei cittadini, ed in particolare la prevenzione dai danni cagionati dal fumo passivo59». Il secondo caso deriva dalla legislazione a tutela della maternità. Come è noto negli anni passati è sorto un notevole contenzioso costituzionale diretto in buona sostanza a chiedere la parificazione della condizione delle lavoratrici autonome e delle lavoratrici dipendenti quanto al regime delle indennità di maternità. A questo riguardo, rileva la sent. n. 3/1998 in cui la Corte costituzionale ha offerto un’interpretazione complessiva della 58 La Corte afferma che «pur non essendo ravvisabile nel diritto positivo un divieto assoluto e generalizzato di fumare in ogni luogo di lavoro chiuso, è anche vero che nell’ordinamento già esistono disposizioni intese a proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo». Cfr. Corte cost. n. 399/1996, punto n. 4 del c.i.d. Per un commento alla sentenza v. J. LUTHER, Una tutela preventiva ragionevole dei non fumatori: come un monito al legislatore si trasforma in moniti al giudice e al datore di lavoro, in Giur. cost., 2, 1997, p. 1121 e ss. 59 Cfr. Corte cost., sent. n. 399/1991.
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disciplina a tutela della maternità, riconoscendo nella protezione del bene salute, tanto della madre quanto del figlio, l’elemento essenziale che tale corpus di legislazione mira a proteggere. I giudici costituzionali ricordano, infatti, che la tutela di tale bene rappresenta al medesimo tempo l’origine e il test per misurare l’effettiva sostenibilità della legislazione che protegge la maternità, facendone così derivare una conseguenza molto importante: la mancanza di una legislazione a tutela della donna gestante o la differenza tra le condizioni delle diverse lavoratrici può essere sanzionata solo qualora urti contro la tutela della vita e la salute della donna e del bambino. Tutti gli altri interessi, come ad esempio la garanzia della funzione familiare della donna o l’interesse professionale, devono essere graduati rispetto al bene salute, e non possono essere posti come unica ragione giustificatrice di una legislazione contente una “garanzia speciale” a favore di certe categorie o come mezzo per “livellare” la legislazione60. Questa sentenza, malgrado abbia dato adito a non pochi commenti negativi61, rappresenta un ulteriore passo sulla via del riconoscimento di una tutela che nell’ordinamento è arrivata anzitutto per via giurisprudenziale ad un diritto sociale fondamentale. Il terzo caso deriva dalla legislazione in materia di assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto dei veicoli adibiti al trasporto di persone disabili. L’impugnazione in questo caso riguardava la norma che prevedeva la limitazione del beneficio della riduzione dell’imposta ai soli acquirenti di autoveicoli “adattati negli organi di guida” trascurando tutte le ipotesi di veicoli diversamente adattati per il trasporto di soggetti disabili. La sentenza è interessante per il tipo di decisione che la Corte rende sull’istanza proveniente dal giudice a quo. La Consulta, infatti, non dichiara la questione infondata ma inammissibile. La ragione di questa scelta si legge nella stessa motivazione: «va lasciato al legislatore dare all’istanza sociale, che esso stesso riconosce apprezzabile, una risposta adeguata, dettando una disciplina articolata con riferimento alle varie ipotesi di adatta60 In questa sentenza il giudice chiedeva se non fosse illegittimo che la legislazione non prevedesse l’astensione obbligatoria delle libere professioniste che usufruivano dell’indennità di maternità. 61 V. soprattutto i commenti di M. CINELLI, Indennità di maternità e lavoro libero-professionale, in Giust. civ., 5, 1998, p. 1203 e ss.; G. PERA, Indennità di maternità senza danno?, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2, 1998, p. 231 e ss.
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mento dei veicoli necessarie a seconda dei tipi di handicap e alle possibili garanzie richieste per assicurare che i veicoli adattati siano adatti, o effettivamente destinati, al trasporto degli handicappati». È, dunque, il legislatore il primo ad essere incaricato della tutela di certe situazioni. Solo a quest’ultimo spetta la disciplina di questi ambiti. Il giudice costituzionale non può intervenire per primo, in quanto rientrano tra le decisioni di natura politica che solo gli organi legislativi possono prendere. Nella sentenza in commento, tuttavia, la Corte non manca di indicare attraverso un “monito” la via da compiere per adeguare la situazione legislativa alla realtà effettiva, così come indicato nella stessa motivazione, in cui si fa riferimento – cosa del tutto eccezionale – ad un “ordine del giorno” approvato dalla Camera con il quale si mirava a chiedere al Governo di modificare la disciplina delle agevolazioni in questione62. Il quarto caso da esaminare (Corte cost. sent. n. 167/1991) entra ancora più nel vivo delle questioni legate alla natura del diritto sociale alla salute. La questione sottoposta all’esame della Corte concerneva il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS, dettato con la legge 5 giugno 1990, n. 135, che, nel disciplinare l’accertamento dell’infezione e le rilevazioni epidemiologiche, stabilisce che nessuno può essere sottoposto senza il suo consenso ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per motivi di necessità clinica e nel suo interesse. Questa legislazione, secondo il giudice che aveva rimesso la questione, era mancante di una parte ritenuta essenziale, dal momento che non prevedeva, limitatamente alle attività che per la loro particolare natura presentano il serio rischio di trasmissione dell’infezione, «la possibilità di accertamenti sanitari, con garanzie di riservatezza, anche contro la volontà degli interessati». Dopo aver ricordato in premessa il contenuto generale del diritto alla salute, i giudici costituzionali analizzano la questione sollevata dal punto di vista dello scontro tra profilo individuale e collettivo della salute. Nella parte in diritto la Consulta svolge un’ampia disamina dell’art. 32, primo comma, Cost. mostrando come nel caso sot62
Si legge nella sent. n. 167/1991 «(…) va rivolta al legislatore stesso la più viva raccomandazione affinché - ove non ritenga di adottare più ampie e addirittura generalizzate misure di protezione degli handicappati - sopperisca all’inadeguatezza posta a carico della disciplina adottata nello specifico settore adempiendo al voto espresso con l’approvazione dell’ordine del giorno sopra richiamato».
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Le interpretazioni
topostole si sia di fronte ad un tipico esempio di contrasto tra la salute come diritto del singolo e la salute come interesse della collettività. Il tema degli accertamenti, infatti, prima ancora che la garanzia dei trattamenti sanitari obbligatori (oggetto del secondo comma dello stesso art. 32 Cost.), investe il rapporto tra la scelta del singolo e la tutela doverosa della salute dei terzi, specie se si prendono in considerazione attività che maggiormente rispetto ad altre possono causare un contagio. Stando a questa ratio, dunque, in quelle attività che possono creare l’occasione di un contagio occorre sottoporre il personale a dei rigidi controlli. Per tale motivo la norma in questione è illegittima, poiché non prevede l’obbligo degli accertamenti sanitari diretti a verificare l’assenza di sieropositività all’infezione da HIV «come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi»63. Le considerazioni svolte paiono riferibili anche ad un quinto caso, nella cui configurazione emergono gli stessi termini di contrasto tra la libertà del singolo e l’interesse collettivo. Si tratta della sent. n. 438/1995. In quest’ultima la Corte costituzionale era chiamata a decidere se non fosse contraria a Costituzione la norma che fissava automaticamente per i malati di AIDS conclamato il differimento dell’esecuzione della pena. La Consulta ha ritenuto incostituzionale tale norma proprio in ragione della mancanza nella legge di un criterio di verificabilità dell’effettivo stato di salute del carcerato. È interessante rimarcare il dispositivo della sentenza, nel quale si legge che tale norma è incostituzionale «nella parte in cui prevede che il differimento ha luogo anche quando l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio della salute del soggetto e di quella degli altri detenuti». Come a dire che la salute non può essere l’unico criterio che il legislatore deve usare per disciplinare tali situazioni, essendo necessaria una gradualità nell’applicazione delle misure, in relazione alla gravità dello stato in cui versa il carcerato64. Il sesto caso da esaminare attiene al rapporto tra detenzione dei militari e diritto alla salute. La sottoposizione del militare (o anche di diversa persona) a detenzione non giustifica una dimi63
Per tutte le citazioni cfr. Corte cost., sent. n. 218/1994. L’analisi sulla “ragionevolezza” della disciplina in cui lo stato di salute è uno dei criteri del giudizio deve dunque essere compiuta in concreto e non può essere lasciata a meccanismi automatici. Nel caso di specie, poi, si deve considerare l’effettivo stato di salute più che la malattia di cui la persona è affetta. 64
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nuzione del suo diritto alla salute. Secondo i giudici costituzionali tale diritto non solo costituisce un valore supremo, ma non può neanche consentire «distinzioni e graduazioni di status personali»65. Secondo la Corte non può esservi discriminazione tra cittadini e soldati che arrivi fino a giustificare per questi ultimi un diverso modo di espiazione della pena nel caso in cui si ravvisino condizioni di salute che ostacolano la detenzione. Se il bene fondamentale della vita e della salute ha la forza di sottrarre il cittadino alle armi esso consente pure, a chi è stato condannato ad una modalità di espiazione speciale, di convertire il suo status in una misura diversa come la “detenzione domiciliare”. Anche in questa ipotesi la Corte risponde con una sentenza additiva (questa volta di garanzia) rivolta, come si può intendere dalla motivazione, a invocare un intervento del legislatore a tutela della salute dei detenuti. Il settimo caso da esaminare ha a che fare con il “diritto di scelta del medico”, come diritto che deriva dall’art. 32, primo comma, Cost. L’esame di questa problematica è affrontata nell’argomentazione svolta dalla Corte nella sent. n. 293/1997, in cui ci si trovava di fronte alla necessità di disciplinare un sistema di assistenza medica alla popolazione che consentisse la scelta del cd. “medico di fiducia”. L’ultimo punto del c.i.d. della sentenza affronta la questione con un insieme interessante di passaggi argomentativi. Secondo la Consulta la ragione dell’esistenza del “diritto alla scelta del medico” sta proprio nella natura del diritto alla salute come esso è indicato nel primo comma dell’art. 32 (diritto del singolo e interesse della collettività). È questo che permette all’amministrazione sanitaria di «predisporre, nel quadro di “preminenti esigenze organizzative e funzionali” (sentenza n. 175 del 1982), una disciplina del diritto di scelta del medico, da parte del cittadino utente, tale da assicurare, attraverso un ragionevole bilanciamento di interessi contrapposti, come si verifica nella specie, la più adeguata garanzia del singolo e la migliore efficienza del servizio66». Il rapporto medico e paziente è oggetto anche di un altro gruppo di sentenze che hanno a che fare con il rapporto tra evidenze scientifiche e decisioni che incidono sulla salute. A questo proposito, secondo la Corte costituzionale sono incostituzionali quelle previsioni legislative che non riconoscono «al medi65 66
Per queste e le altre citazioni cfr. Corte cost., sent. n. 414/1991. Cfr. Corte cost., sent. n. 293/1997.
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co la possibilità di una valutazione, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, del singolo caso sottoposto al trattamento». Le acquisizioni scientifiche e sperimentali in continua trasformazione pongono un limite alla «discrezionalità legislativa», per cui «la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte li67». Il penultimo caso da analizzare riguarda uno dei settori dove si può capire in modo ancor più approfondito quanto l’esigenza di proteggere la salute di alcune persone possa essere posto alla base di un intero corpus legislativo. Si tratta della sent. n. 161/1985 in tema di rettificazione del sesso. Pur essendo risalente nel tempo, questa pronuncia assume un valore molto alto nel percorso di ricostruzione del contenuto del diritto alla salute come diritto ad una relazione. Nel caso di specie la Corte era chiamata a verificare se nella disciplina posta con la legge n. 164/1982 il legislatore non avesse violato le norme costituzionali a tutela della salute e a tutela della famiglia. La questione riguardava quindi la possibilità che tale normativa violasse i principi a tutela della salute autorizzando atti di “disponibilità del proprio corpo” illeciti. Proprio partendo dalla garanzia dell’art. 32, comma primo, Cost. i giudici costituzionali affermano che è per la “natura terapeutica” che questi interventi hanno e conseguentemente per la garanzia della salute che è giustificata la liceità degli atti di mutamento del sesso68. L’ultima tipologia di sentenze riguarda il tema del cd. “consenso informato”. La disciplina del consenso informato non ha ancora - nel momento in cui scriviamo - una tutela legislativa “dedicata” nel nostro ordinamento69. Le norme che si applicano a tale proposito si ricavano dalla Convenzione approvata nel 1997 ad Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, ratificata in Italia nel 2001 con la legge n. 14570. 67
Cfr. Corte cost., sent. n. 151/2009 e prima sentt. n. 338/2003 e n. 282/2002. Cfr. punto n. 10 del c.i.d. della sent. n. 161/1985. 69 Esistono chiaramente norme che stabiliscono una disciplina di “settore”, come nella disciplina in materia di “interruzione di gravidanza”, “prevenzione e lotta contro l’AIDS”, “trasfusioni”, ecc. 70 Malgrado queste previsioni, le norme sul consenso informato si traggono per lo più da interventi della giurisprudenza di legittimità di questi ultimi anni. Anche la Corte costituzionale ha detto la sua sul tema, almeno in due importanti circostanze. Nel primo caso con la sent. n. 438/2008, nel secondo con la sent. n. 253/2009. 68
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Assieme a questi problemi c’è un’altra questione che deriva dall’esame specifico dell’art. 32 Cost. che qui bisogna mettere in luce. Come si può notare, tale norma, in modo simile a molte altre, indica il soggetto incaricato della garanzia del bene tutelato: “la Repubblica”. Il tema assume una particolare importanza nel caso della salute, e non solo per ragioni connesse all’organizzazione territoriale della potestà legislativa ma per via di una sentenza (n. 17/1997) – precedente alla stessa riforma costituzionale del 2001 – resa dalla Corte costituzionale in un giudizio sull’ammissibilità di un referendum abrogativo promosso nel 1996 da alcune regioni e diretto all’abrogazione del Ministero della sanità (oggi ministero della Salute)71. Nella motivazione della sentenza, che giudicò inammissibile la richiesta delle regioni per via della necessaria esistenza di alcune funzioni amministrative “costituzionalmente necessarie” in capo allo Stato, la Corte ebbe modo di ricordare che l’intera materia sanitaria «è dominata, dal punto di vista costituzionale, dai principi di cui all’art. 32, primo comma, della Costituzione»; perciò «le funzioni, anche amministrative in senso stretto - come tali non suscettibili di essere svolte dagli organi di governo senza il supporto di apparati amministrativi veri e propri - attribuite allo Stato in materia sanitaria sono, almeno in parte, sicuramente da considerarsi come costituzionalmente necessarie»72. L’interesse per questa sentenza è chiaramente legato al fatto che la Corte ricavi l’esistenza di un potere amministrativo dello Stato in modo diretto e a partire dalla previsione dell’art. 32, comma 1, Cost. Ciò indica, come già ricordato, che da questo articolo sorge un dovere per lo Stato stesso di creare una struttura amministrativa che ha a che fare in senso generale con la tutela della salute.
71 Il motivo che aveva scatenato la richiesta referendaria era la necessità di accelerare la devoluzione alle regioni di tutti i poteri rilevanti in materia di organizzazione del sistema ospedaliero. 72 Per questo motivo la richiesta di abrogazione totale attraverso il referendum delle norme che prevedono l’esistenza del Ministero della sanità, dal momento che coinvolgono «anche l’esercizio di funzioni amministrative costituzionalmente necessarie», non è stata ammessa in quanto incidente su «norme a contenuto costituzionalmente vincolato». Per queste citazioni e per tutte le altre cfr. Corte cost., sent. 17/1997.
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Le interpretazioni
Anche l’art. 32, comma 2, Cost.73, si presta bene ad essere letto sotto la lente del primo tipo ricostruttivo che abbiamo scelto. Come è avvenuto in precedenza, anche in questo caso ci riferiamo ad un rapporto in cui i termini della relazione sono la persona e il legislatore o comunque quelle istituzioni incaricate di disciplinare una certa libertà. Malgrado la semplicità cui cui si mostrano i termini della questione, comprendere quante e quali posizioni soggettive si possono trarre dal secondo comma dell’art. 32 non è cosa semplice. In molti casi sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno interpretato questa disposizione traendone norme che difficilmente potevano venire fuori dal testo costituzionale74. L’art. 32, comma 2, Cost. delinea un campo classico della legislazione in tema di salute, quello dei “trattamenti sanitari obbligatori”75. Il tema è alquanto vasto e rappresenta uno degli argomenti su cui di più la Corte costituzionale è stata chiamata a giudicare la legislazione cd. sanitaria, operando distinzioni necessarie tra la libertà protetta nell’art. 32 e la libertà personale. La giurisprudenza su questo specifico tema risale ad alcune note sentenze che hanno costruito negli anni un corpo di regole giurisprudenziali molto denso76. Dalla giurisprudenza esaminata emerge con chiarezza che, pur trattandosi di diritti garantiti sotto le spoglie delle libertà più classiche, essi mostrano una natura più vicina a quella dei diritti sociali, a causa soprattutto delle finalità che essi esprimono. La via attraverso la quale la Corte è intervenuta in questo campo - come già indicato - è segnata fortemente dal tema delle vaccinazioni obbligatorie, tra i pochi settori che oggi rimangono a dare corpo alla nozione di “trattamenti sanitari obbligatori”. In particolare, l’argomento sul quale la Consulta è stata chiamata a dare il suo contributo è rappresen73 Art. 32, comma, 2 Cost.: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». 74 Nel tempo, ad esempio, da questo comma, attraverso una lettura combinata con quanto previsto nel primo comma, si è arrivati a desumere il fondamento della stessa libertà terapeutica e della sfera di tutte quelle libertà che attengono alla fase della cura. Cfr. A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), cit., p. 633 e ss. 75 Sul punto sono ancora valide le notazioni fatte prima da V. CRISAFULLI, In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Diritto e società, 2, 1982, p. 558 e ss. e poi da P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 385 e ss. 76 V. Corte cost., sent. n. 307/1990, 218/1994, 399/1996. Sul tema si rinvia ai contributi specifici in materia: D. MORANA, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, cit., p. 172 e ss.
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tato dalla galassia del sistema indennitario previsto per ristorare coloro che abbiano subito danni alla salute da malattie infettive contratte attraverso trasfusioni o semplicemente attraverso il contatto con altre persone malate. Bisogna notare che la materia delle vaccinazioni si presta in modo molto adeguato ad essere inserita all’interno del primo paradigma di lettura dei diritti sociali che abbiamo individuato. L’intervento della giurisprudenza costituzionale sul tema ha assunto un ruolo propulsivo dell’intera legislazione a garanzia dei danni da vaccinazioni obbligatorie segnando, come si usa dire, il contenuto stesso della disciplina poi adottata dal legislatore77. La sentenza che mette la prima pietra dell’intero edificio è la n. 307/1990. Con essa la Corte riconosce per la prima volta un diritto autonomo in forma di indennizzo a favore di coloro che avessero riportato un danno a causa di un trattamento sanitario obbligatorio imposto dalla legge. La sentenza riconosce l’esistenza di una forma di risarcimento del danno alla salute che va oltre la sfera dell’art. 2043 c.c. destinato ad operare rispetto al danno che può essere ricondotto sotto l’aspetto oggettivo al trattamento sanitario obbligatorio. Tale rimedio ulteriore nel caso di danno alla salute si giustifica, secondo la Corte, a causa della necessità di operare un corretto bilanciamento dei valori chiamati in causa dall’art. 32 della Costituzione «in relazione alle stesse ragioni di solidarietà nei rapporti fra ciascuno e la collettività78» che legittimano l’imposizione del trattamento sanitario. Per questa ragione che la disciplina sulla obbligatorietà delle vaccinazioni antipoliomelite viene dichiarata incostituzionale nella parte in cui non prevede a carico dello Stato un’equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c., da contagio o da altra malattia causata dalla vaccinazione obbligatoria antipolio a cui sono sottoposti i bambini. Come si può vedere dunque, alla base di questa disciplina c’è la necessità di distinguere il risarcimento del danno derivante dalle vaccinazioni obbligatorie che trova causa nella solidarietà collettiva e soprattutto nella considerazione che le vaccinazioni obbligatorie del secondo comma sono il frutto del corretto “bilanciamento” tra la salute come diritto del singolo e come interesse della collettività. Si tratta, infatti, di 77
Come aveva auspicato S. PANUNZIO, Trattamenti sanitari obbligatori e costituzione (a proposito della disciplina delle vaccinazioni), in Diritto e società, 4, 1979, p. 875 e ss. 78 Vedi Corte cost., sentt. n. 307/1990.
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una protezione ulteriore che la Corte ritiene debba essere riconosciuta a favore del soggetto passivo del trattamento sanitario. Il diritto alla salute della persona danneggiata, in mancanza di una previsione legislativa che riconosce il risarcimento per responsabilità oggettiva nell’eventualità del danno finirebbe per essere minacciato nel suo contenuto essenziale. Come è noto alla sentenza del 1990 seguì la legge n. 210/1992, recante disciplina dell’”indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”79. Malgrado rappresentasse una innovazione decisiva, la disciplina contenuta in questa legge fu più volte sottoposta al vaglio della Corte costituzionale80. Nella sentenza n. 258/1994 la Corte affronta due argomenti, quello degli accertamenti preventivi – idonei a ridurre il rischio di gravi complicanze da vaccino con esiti lesivi dell’integrità psicofisica – volti alla verifica della sussistenza di eventuali controindicazioni alla vaccinazione e quello relativo alla specificazione del tipo di accertamenti che debbono compiersi - oltre alla normale visita – a carico della persona da sottoporre a vaccinazioni. La sentenza in questione dichiara la questione inammissibile. Al giudice a quo che riteneva necessaria approvare una legge che contenesse «una più puntuale ed espressa prescrizione» dei singoli accertamenti preventivi «idonei a ridurre, se non ad eliminare radicalmente, il rischio (…) di lesioni alla integrità psico-fisica per complicanze da vaccino», la Corte risponde che tali decisioni restano fuori della sua competenza. Nell’indicare il carattere “discrezionale” di una tale decisione la Consulta va oltre quanto le sarebbe richiesto perché oltre ad indicare puntualmente i mo79
La legge n. 210 del 1992 prevede la possibilità, per diverse categorie di soggetti danneggiati, di chiedere un indennizzo alle istituzioni pubbliche. In proposito, si rinvia a L. DI COSTANZO, Il danno da trasfusione ed emoderivati infetti, Napoli, Esi, 1998, p. 22 e ss. che sottolinea l’inadeguatezza del sistema italiano di protezione sociale introdotto da tale legge. Infatti, una piena attuazione del principio di solidarietà del quale il provvedimento legislativo è espressione, richiederebbe “una risposta adeguata alle drammatiche esigenze dei malati”. L’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, che ha natura assistenziale e non risarcitoria, pone problemi applicativi sui quali è intervenuta più volte la Corte costituzionale. 80 Anche in ragione dell’alto numero di questioni sorte in sede applicativa e che avevano dato luogo a numerose cause per risarcimento dei danni davanti ai giudici comuni. Su tale specifico punto vedi P. FRATI, G. MONTANARI VERGALLO, La tutela risarcitoria dei pazienti danneggiati da emotrasfusioni infette, in Rivista italiana di medicina legale, 1, 2009, p. 39 e ss.
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tivi che escluderebbero il suo intervento, finisce anche per mostrare come la richiesta del giudice non potrebbe essere soddisfatta neanche dal legislatore. Il tasso di tecnicità di questa disciplina unito alla necessità di tenere conto anche di fattori economici escluderebbe infatti che lo stesso legislatore intervenisse con una disciplina generale e astratta81. Nelle successive sentenze la Corte si occupa del tema delle vaccinazioni obbligatorie dal punto di vista della decorrenza del diritto al ristoro nel caso di danno alla salute. La sentenza n. 118/1996 dichiara incostituzionale la disciplina contenuta negli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge n. 210/199282. In questa successiva occasione la Consulta precisa la ratio della disciplina sulle indennità dovute a coloro che subiscono un danno dalle vaccinazioni obbligatorie. Secondo i giudici costituzionali, si tratta perciò di un «obbligo avente uno speciale carattere», in quanto per la collettività non è in questione soltanto il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque, ma «l’obbligo di ripagare il sacrificio che taluno si trova a subire per un beneficio atteso dall’intera collettività». Alla luce del dovere di solidarietà stabilito dall’art. 2 sarebbe contrario al principio di giustizia (come risultante dall’art. 32 della Costituzione) che il soggetto colpito venga abbandonato alla sua sorte o alle sue sole risorse ovvero «che il danno in questione venga considerato come un qualsiasi evento imprevisto al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza». È per queste ragioni che la Corte arriva ad individuare tre conse81
Si legge nel punto n. 5-bis del c.i.d.: «…per la necessità - già sottolineata di realizzare un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite, si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico - a livello primario attesa la riserva relativa di legge, ed eventualmente a livello secondario integrativo - che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità. Ed al tempo stesso (…) si dovrebbero fissare standards di fattibilità che nella discrezionale valutazione del legislatore potrebbero dover tenere anche conto del rapporto tra costi e benefici, eventualmente stabilendo criteri selettivi in ordine alla utilità - apprezzata anche in termini statistici - di eseguire gli accertamenti in questione». 82 Sul punto vedi G. PONZANELLI, "Pochi ma da sempre": la disciplina sull'indennizzo per il danno da vaccinazione, trasfusione o assunzione di emoderivati al primo vaglio di costituzionalità, in Foro It., I, 119, 1996, c. 2326 e ss.
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Le interpretazioni
guenze per la menomazione della salute derivante dalle vaccinazioni obbligatorie: il diritto al risarcimento del danno secondo l’art. 2043 c.c., il diritto ad un equo indennizzo derivante dall’art. 32, comma 2, Cost. e il diritto ad una misura assistenziale disposta dal legislatore che trova la sua ragione d’essere nell’art. 38, comma 2, Cost.83. La natura dell’indennizzo previsto sulla base dell’art. 32, comma 2, Cost. viene ulteriormente precisata dalla Corte nella sent. n. 27/1998. Con questa pronuncia la Consulta dichiara incostituzionale tale norma nella parte in cui non garantisce la retroattività dell’indennizzo, senza tuttavia indicare quale sia la misura che il legislatore deve garantire. Il rispetto della discrezionalità del legislatore suggerisce alla Corte di specificare, nella parte finale della motivazione, che anche per la salute vale il criterio della protezione della «misura minima essenziale». L’indennizzo perciò non può essere simbolico e non deve scendere al di sotto di quella soglia che determinerebbe l’elusione dei precetti costituzionali e la violazione del diritto stesso84. Un’ulteriore specificazione dell’indirizzo formatosi a partire dalla sentenza del 1990 è intervenuta nel 200085. Questa volta la Corte (sent. n. 226/2000) doveva comprendere se era legittimo estendere gli effetti retroattivi dell’indennizzo previsto dalla legge del 1992 per i danni da vaccinazioni anche a favore degli emofiliaci che a seguito di trasfusioni avessero contratto i virus dell’HIV e HCV. La natura particolare della richiesta proveniente dai giudici a quo consentì alla Corte di precisare la ratio delle misure indennitarie riferendosi alla giurisprudenza pregressa. Secondo i giudici delle leggi, infatti, l’indennizzo si giustifica solo per l’esistenza di un interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario, il quale, 83
Nello specifico la sent. n. 118/1996 parla di «tre conseguenze: a) il diritto al risarcimento pieno del danno, riconosciuto dall’art. 2043 del codice civile, in caso di comportamenti colpevoli; b) il diritto a un equo indennizzo, discendente dall’art. 32 della Costituzione in collegamento con l’art. 2, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia stato subito in conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale; c) il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell’ambito dell’esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali, in tutti gli altri casi». 84 L’indennizzo non ha natura assistenziale (e quindi non rientra nella protezione dell’art. 38 Cost.) ma assume il significato di “misura di solidarietà sociale”. Cfr. Corte cost., sent. n. 27/1998, punto 4.2 del c.i.d. 85 Sul punto vedi G. PONZANELLI, A. PALMIERI, Responsabilità civile e sicurezza sociale: un decennio "tribolato" in Foro It., I, 124, 2001, c. 3 e ss.
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per conseguenza, viene (e può essere) dalla legge assunto ad oggetto di obbligo legale. È in questo interesse - una volta assunto dal legislatore a ragione dell’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio o di una politica incentivante - «il fondamento dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottomettendosi al trattamento, vengono a soffrire di un pregiudizio alla loro salute86». È perciò l’interesse collettivo alla salute la ragione determinante del diritto all’indennizzo e non l’obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse. La riconduzione dell’indennizzo al dovere di solidarietà collettiva che lega la salute del singolo a quella della collettività è ribadita anche nella sentenza n. 342/2006. Di fronte alla richiesta di dichiarare incostituzionale la previsione di un termine triennale per richiedere l’indennizzo nel caso di contagio dell’epatite a seguito di una trasfusione, la Corte dichiara infondata la richiesta a ragione della impossibilità di «sindacare il merito e l’opportunità delle opzioni adottate dal legislatore nella previsione di misure di sostegno assistenziale in caso di malattia87». Per completezza si deve ricordare, infine, che con due sentenze, la n. 476/2002 e la n. 28/2009, la Corte ha esteso le misure indennitarie previste a favore del personale sanitario, che abbia subito danni alla salute, anche ad altre malattie oltre a quelle indicate espressamente nella legge n. 210/1992. 3.3 Scuola Dettando un obbligo di prevedere le norme generali sull’istruzione e di istituire scuole statali per ogni ordine e grado, l’art. 33, comma 2, della Costituzione prevede l’essenzialità ed inderogabilità di un assetto di rapporti pubblicistici nei quali spetta alla Repubblica il compito dell’istruzione88. Da queste previsioni derivano pure - come corollari - l’obbligo di dettarne con legge le norme regolatrici ed il potere-dovere di soddisfare 86
Cfr. punto n. 3.1 del c.i.d., Corte cost. sent. n. 442/2000. Cfr. Corte cost., sent. n. 342/2006. Anche in questa sentenza la Corte ribadisce che ad essa «compete, tuttavia, verificare che le scelte legislative non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità ovvero non comportino una lesione del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 226 del 2000 e n. 27 del 1998)». 88 Art. 33, comma 2, Cost.: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. 87
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Le interpretazioni
direttamente il bisogno dell’istruzione attraverso istituzioni scolastiche statali. È fin troppo evidente che da questo articolo non deriva solo il compito di disciplinare l’istruzione ma anche quello correlato di creare, organizzare e gestire un sistema completo e compiuto di istruzione per ogni ordine e grado89. Soffermiamoci tuttavia sul tema centrale di questo paragrafo. Dall’art. 33, secondo comma, Cost. deriva un obbligo espresso per le istituzioni pubbliche a cui spetta anzitutto dettare una disciplina del sistema scolastico. La natura di questo obbligo è chiaramente ciò che interessa maggiormente questa parte del lavoro. A tal proposito la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di precisare in diverse occasioni la natura dell’obbligo di prevedere le norme generali sull’istruzione. La definizione di questo compito è stata realizzata per lo più all’interno della giurisprudenza costituzionale sulla materia “istruzione” nel contenzioso che interessa i rapporti tra stato e regioni. Il primo problema che pone questa norma è infatti quello di individuare cosa si intenda con il termine “Repubblica”. A dispetto di una lettura ampia dell’uso di questa parola, che può trarsi sia dalle interpretazioni dottrinarie sia dalla giurisprudenza costituzionale, in questo caso specifico al termine Repubblica si è sempre associato il significato di Stato. In una sentenza della Corte costituzionale, precedente alla riforma del Titolo V del 2001, si è chiarito infatti che questa espressione «allude allo Stato come insieme dei poteri centrali, e non già come complesso dei molteplici poteri pubblici dislocati in tutto l’ordinamento giuridico, dal momento che soltanto l’ente rappresentativo dell’intera comunità nazionale è in grado di dettare le regole generali vòlte ad assicurare, senza distinzione di aree geografiche, un trattamento scolastico in condizioni di eguaglianza a tutti i cittadini90». Tale giurisprudenza è stata confermata anche successivamente dopo l’entrata in vigore della riforma del 2001 che ha modificato lo stesso art. 117 introducendo al comma 2 la materia “norme generali sull’istruzione” di competenza esclusiva statale91.
89
In questo senso tale previsione si connette direttamente con l’art. 34, comma 1, Cost. in base al quale “La scuola è aperta a tutti”. Su tale tema G. FONTANA, Art. 33, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 686. 90 Cfr. c.i.d. della sent. Corte cost. n. 290/1994. 91 Cfr. c.i.d. della sent. Corte cost. n. 200/2009.
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La giurisprudenza citata individua con molta cura il contenuto della locuzione contenuta nell’art. 33, secondo comma, Cost. Secondo la prima delle due sentenze citate, nell’ambito delle norme generali, lo Stato deve anzitutto «individuare le discipline oggetto di insegnamento in ciascun tipo di scuola, oltre a stabilire l’orario di studio da dedicare a ogni disciplina». La ragione di questa competenza è da individuare nel fine di garantire un trattamento scolastico in condizioni di eguaglianza a tutti i cittadini e nella garanzia di un minimo di omogeneità dei programmi scolastici. Tale esigenza, affermano i giudici costituzionali, deve essere collegata per la scuola dell’obbligo alla «necessità di garantire a tutti, in modo sostanzialmente eguale, l’alfabetizzazione e un livello minimale di cultura generale», mentre per quel che riguarda l’istruzione superiore, è indubbiamente connessa al «riconoscimento del valore legale dei titoli di studio, diretti ad attestare la preparazione culturale e professionale del loro titolare»92. Una maggiore precisione nella individuazione del contenuto della formula delle norme generali sull’istruzione è contenuta nella seconda sentenza citata. Anche in questo caso la Corte si trovata di fronte alla necessità di stabilire i confini dell’intervento statale e regionale, ma in un contesto mutato. Nella sentenza n. 200/2009, infatti, la disciplina statale impugnata dalle regioni era stata approvata dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e dopo la approvazione di un’altra legge statale (n. 53/200393) deputata a fissare sia le norme generali 92
Per tutte le citazioni v.. Corte cost., sent. n. 290/1994. Ai sensi di questa legge rientrano nelle norme generali sull’istruzione: la definizione generale e complessiva del sistema educativo di istruzione e formazione, delle sue articolazioni cicliche e delle sue finalità ultime; la regolamentazione dell’accesso al sistema ed i termini del diritto-dovere alla sua fruizione; la previsione generale del contenuto dei programmi delle varie fasi e dei vari cicli del sistema e del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la “quota nazionale”; la previsione e la regolamentazione delle prove che consentono il passaggio ai diversi cicli; la definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per il passaggio ai percorsi scolastici; la definizione generale dei “percorsi” tra istruzione e formazione che realizzano diversi profili educativi, culturali e professionali (cui conseguono diversi titoli e qualifiche, riconoscibili sul piano nazionale) e la possibilità di passare da un percorso all’altro; la valutazione periodica degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e formazione, attribuito agli insegnanti della stessa istituzione scolastica; i princípi della valutazione complessiva del sistema; il modello di alternanza scuola93
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Le interpretazioni
sull’istruzione sia i principi fondamentali della materia istruzione sia i livelli essenziali nel medesimo settore. Anche in questa circostanza la Corte afferma che «appartengono a tale categoria quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge94». Questa legislazione, dunque, ha un fine “unitario”. Le basi del sistema nazionale di istruzione sono funzionali, anche nel loro profilo di rilevanza organizzativa, ad assicurare, mediante «la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale, l’identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all’art. 33, primo comma, Cost.». Gli altri due tipi di rapporti da analizzare per il settore della scuola sono disciplinati nei commi quattro e cinque dell’art. 33 Cost.95. Il compito dello Stato di dettare le norme generali sull’istruzione non può essere limitato alla creazione di un sistema nel quale garantire l’eguaglianza e l’uniformità delle prestazioni. A questo obiettivo si collega sia il rafforzamento del sistema secondo una logica di rete sia la necessità di garantire l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questa seconda logica si realizza attraverso un nuovo modello di organizzazione nel quale alla libertà di autodeterminazione di ciascuna realtà scolastica corrisponde un modo di rispondere all’esigenza di unitarietà e uniformità dell’offerta formativa nuovo, diverso dal precedente modello centralizzato ed uniforme. La presa di coscienza lavoro, al fine di acquisire competenze spendibili anche nel mercato del lavoro; i princípi di formazione degli insegnanti. 94 Cfr. Corte cost., sent. n. 200/2009. Sempre secondo questa sentenza, a tali ambiti si aggiunge anche la disciplina relativa alla «autonomia delle istituzioni scolastiche», facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell’art. 117 della Costituzione. 95 Art. 33, comma 4: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Art. 33, comma 5, «È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale».
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della necessità di ridisegnare l’organizzazione del sistema scolastico durante gli ultimi anni si è collegata all’abbandono di una concezione unitaria e omogenea della formazione e con il fine di rendere più aperta la scuola alle reali esigenze dei diversi contesti ambientali e sociali96. Tale evoluzione è stata permessa certamente dalla progressiva valorizzazione della libertà di istituire le scuole prevista nell’art. 33, comma 3, Cost. e dalla riscoperta del compito riferito al legislatore statale di definire norme per assicurare agli alunni di queste scuole un «trattamento equipollente a quello degli alunni delle scuole statali», così come prevede l’art. 33, comma 4, Cost. In termini generali la libertà di istituire scuole ed istituti di educazione vale a concretizzare il principio del pluralismo scolastico e della libertà della scuola e si connette alla previsione dell’art. 30 Cost. che attribuisce ai genitori il dovere di istruire ed educare i figli. In base alle norme costituzionali la libertà della scuola non sta solo a significare libertà per soggetti privati di istituire e gestire scuole diverse da quelle statali. Tale libertà assume anche un altro significato in virtù del quale i protagonisti della libertà non sono solo gli istitutori della scuola ma gli utenti, cioè gli allievi e per essi i genitori; in questa seconda accezione la libertà della scuola sta ad indicare libertà di scegliere una scuola diversa da quella statale. Senza entrare nella 96 In questo senso vedi A. SANDULLI, Il sistema nazionale di istruzione, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 15, il quale fa notare cinque dimensioni del diritto all’istruzione oggi: 1) l’oggetto dell’attività, consiste nella trasmissione di un complesso di valori e conoscenze, il cui perimetro è difficilmente misurabile, in quanto varia a seconda del significato che la società intende attribuire alla nozione di istruzione; 2) il soggetto cui si rivolge l’attività è un individuo in formazione, per lo più un minore, la cui personalità è influenzata in modo decisivo dal percorso di studi e di vita che si realizza in seno alla comunità scolastica; 3) il luogo in cui si esercita l’attività di istruzione costituisce un vero e proprio microcosmo, la comunità scolastica, al cui interno si produce un complesso intrecciarsi di diritti e libertà di persone fisiche e giuridiche, tra erogazione di servizi e momenti di autorità; 4) il contesto territoriale nel quale si inserisce ciascuna istituzione scolastica è ampio, non ripiegato su se stesso, implicante la necessità, per la scuola, di intessere rapporti con le formazioni sociali (portatrici di istanze politiche, economiche e culturali) del territorio nel quale essa opera; 5) il contesto generale in seno al quale le istituzioni scolastiche svolgono la propria attività è rappresentato dal sistema nazionale di istruzione, cioè una struttura di tipo puntiforme, che, globalmente intesa, realizza un disegno integrato di produzione del servizio pubblico di istruzione da parte di soggetti pubblici e privati, ma che, puntualmente considerata, consente di vedere pienamente soddisfatto, presso ogni istituzione scolastica, il diritto sociale all’istruzione.
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Le interpretazioni
discussione circa il primato della scuola pubblica rispetto alla scuola paritaria o privata è interessante notare quale è lo scopo perseguito attraverso la creazione del sistema di istruzione italiano. In esso, infatti, è istituita una scuola statale ed è riconosciuta la scuola privata valorizzando la natura “pubblica” di quest’ultima. In questo modo si abbandona nei fatti la concezione oramai non più sostenibile, se non a rischio di trovarsi in una situazione paradossale, che postula una differenza funzionale nelle due tipologie di scuole97. Al di là delle possibili differenza rimane il fatto che oggi le scuole private paritarie - così denominate dopo l’entrata in vigore della legge n. 62/2000 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione) - sono parte del sistema nazionale dell’istruzione per espressa previsione legale. A questo proposito viene in rilievo un caso molto interessante in cui la giurisprudenza costituzionale ha affrontato il tema della parità e del trattamento equipollente degli studenti delle scuole paritarie. La questione concerneva il numero massimo di candidati esterni legittimati a partecipare agli esami di stato presso le scuole paritarie98. La norma statale nel fissare al 50% il tetto massimo di candidati esterni che possono partecipare agli esami in ogni tipo di scuola consentiva solo agli istituti statali di costituire commissioni di esame per gli studenti eccedenti tale percentuale. Nel dichiarare infondata la questione sollevata99, la Corte costituzionale trova una di quelle rare occasioni per dare corpo al parametro dell’art. 33, comma 4, della Costituzione e individua le ragioni che hanno portato a dare attuazione alle norme sul pluralismo scolastico100. La Corte ricorda che prima 97
Come riporta G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 689 la differenza tra scuole pubbliche e private è stata individuata nella diversità della funzione perseguita, per cui «mentre nelle prime è l’avanzamento culturale per ogni componente mentre per le seconde è la protezione di una precisa identità culturale ed ideologica». Questa distinzione postula un conflitto tra libertà nella scuola e libertà della scuola. Su questo tema diremo più avanti quando tratteremo l’art. 33, comma 3, Cost. 98 V. Corte cost., sent. n. 220/2007. 99 Ciò che consente di salvare la norma impugnata è l’art. 33, comma 5, Cost. La Corte costituzionale interpreta tale norma assumendo che da essa può trarsi un principio in base al quale occorre garantire che le scuole paritarie non si trasformino da «luogo di insegnamento in sedi per esami di Stato». Cfr. punto n. 6.2 del c.i.d. sent. n. 220/2007. 100 La Corte fissa pure i criteri per operare un corretto bilanciamento tra l’esercizio della libertà di istituire scuole e la necessità di garantire la distribuzione delle scuole sul territorio.
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della legge n. 62/2000, nell’ordinamento esistevano, accanto alle scuole statali, due tipologie di scuole private: quelle che non rilasciavano titoli avente valore legale e quelle (variamente chiamate parificate, pareggiate, legalmente riconosciute) che avevano tale legittimazione. In questo contesto, i privatisti potevano sostenere gli esami di Stato solo presso gli istituti statali. Nella legge del 2000, in attuazione dell’art. 33, comma 4, Cost., sono state invece introdotte le scuole paritarie (pubbliche degli enti locali, e private), che costituiscono, insieme alle scuole statali, il sistema nazionale di istruzione, secondo un modello pluralistico integrato. Esse svolgono un servizio pubblico e sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale, secondo standard stabiliti dalla legge. A queste condizioni la scuola paritaria è abilitata al rilascio dei titoli di studio. Secondo la Consulta, inoltre, deve essere distinto il momento della istituzione della scuola dal momento della parità e tantomeno si può confondere la libertà dell’iniziativa economica privata dell’art. 41 Cost. con la fornitura di istruzione. La prima è garantita ai gestori di scuole paritarie nei limiti della parità di cui all’art. 33, quarto comma, Cost. Ne deriva, ai fini della decisione della Corte che la scuola paritaria non rileva come impresa quando sono in questione le modalità di svolgimento degli esami, che dunque si configurano come momento pubblicistico legato al rispetto di precise esigenze pubbliche. In termini ancora più concreti, dunque, l’articolazione ricavabile dal testo costituzionale segnala la non identificabilità della scuola privata e della scuola che entra a far parte del sistema nazionale di istruzione attraverso la parità. Quest’ultima, infatti, impartendo una istruzione che rispetta gli standard e i programmi nazionali ha diritto a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e si connota per dover rispettare vincoli e doveri che per la prima non valgono101. Le ultime due previsioni che occorre affrontare riguardano momenti e tipi di rapporti che rientrano nella categoria esaminata in questo capitolo ma che intrecciano pure il tema del rispetto
101
Va aggiunto a completamento di quanto previsto nella disciplina del 2000 che in una prospettiva di semplificazione è stato emanato il decreto-legge n. 250/2005, convertito nella legge n. 27/2006 che ha previsto ulteriori norme per le scuole paritarie e non paritarie private e la razionalizzazione di questo settore attesa da anni. Su tale punto vedi F. FRACCHIA, Il sistema educativo di istruzione e formazione, Torino, Giappichelli, 2008, p. 315-316.
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Le interpretazioni
della libertà della persona che analizziamo nel paragrafo successivo. La previsione che per prima viene in commento è contenuta nell’art. 33, sesto comma102, Cost. in cui si legge che “le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Tralasciando per un attimo l’affronto singolo dei problemi legati alle dimensioni di questa previsione (che gravitano per lo più intorno al problema della “autonomia universitaria”), proviamo a guardare in modo unitario, secondo la prospettiva di questo scritto, al significato del testo contenuto nell’art. 33, ultimo comma, Cost. Da questa disposizione deriva, infatti, un obbligo specifico, definito attraverso una riserva di legge, a disciplinare l’ordinamento delle università, delle accademie e delle altre istituzioni di alta cultura103. La Corte costituzionale ha in più occasioni analizzato il tenore di questa norma. Sotto il profilo delle libertà la Consulta ha affermato che il riconoscimento operato dall’art. 33, ultimo comma, rappresenta uno strumento per la realizzazione dei diritti previsti nel primo comma dello stesso articolo. La potestà di auto-ordinamento, di cui sono fatte oggetto le università, rappresenta un mezzo per raggiungere obiettivi generali che vanno oltre il mero aspetto scientificoculturale. Più recentemente la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sulla natura della riserva di legge prevista da questo articolo e in tale occasione ha operato una ricostruzione complessiva della connessione di tali aspetti organizzativo-ordinamentali con l’esercizio delle libertà. In un passaggio della sent. n. 383/1998 la Corte ha affermato, infatti, che «[g]li “ordinamenti autonomi” delle università, cui la legge, secondo l’art. 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l’aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. (...) L’organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi». Per questo motivo la necessità di leggi dello Stato che introducono limiti dell’autonomia ordinamentale universitaria «vale sia per l’aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per 102
Art. 33, comma 6, «Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». 103 Sul punto vedi E. CASTORINA, Autonomia universitaria e stato pluralista, Giuffrè, Milano, 1992, p. 70 e ss.
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l’aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni». In questa ottica l’art. 33, comma 6, Cost. si atteggia come una norma che fa da “cerniera” e con la quale si attribuisce alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all’autonomia universitaria relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all’istruzione universitaria, nell’ambito del principio secondo il quale “la scuola è aperta a tutti” (art. 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi” (art. 34, terzo comma, Cost.). Un discorso a parte merita la previsione dell’art. 34, terzo comma, Cost.104. Tale norma deve essere letta in combinazione con quando indicato nel comma successivo dello stesso articolo, secondo il quale il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi diventa effettivo con la predisposizione di «borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». La formulazione di tale norma indica chiaramente l’esistenza di un onere a carico della Repubblica non solo di prevedere misure economiche e di altro tipo che favoriscano il diritto allo studio - su cui parleremo più avanti - ma anche l’onere di predisporre un sistema di regole funzionali allo svolgimento del compito delle istituzioni pubbliche di disciplinare un certo settore. Tutto ciò è evidenziato in sentenza della Corte ess, 2008, p. 418. Vedi, per esempio, Scialacqua c. Italia, Ricorso 34151/96, (1998) 26 EHRR CD 164. Nitecki c. Polonia, Ricorso 65653/01. Decisione sull’inammissibilità del 21 marzo 2mplessa disciplina legislativa” che tenga conto soprattutto dei limiti di bilancio. Anche in questo caso, dunque, la Corte, prima ancora che affermare l’esistenza di un diritto ad una prestazione, riconosce il bisogno di un impianto legislativo che serva per dare corpo alle misure stesse. 4. RELAZIONI TRA PERSONE E FORMAZIONI SOCIALI Con questa seconda categoria ho inteso selezionare tutte quelle disposizioni che hanno a che fare con il riconoscimento e 104
Art. 34, comma 3, «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
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Le interpretazioni
la conseguente tutela di una sfera particolare di libertà sociale a favore di determinati soggetti che appartengono ad alcune formazioni sociali. Se i diritti sociali non esauriscono il loro raggio di azione nel determinare solo i rapporti del cittadino con lo Stato, ma anzi riguardano la vita complessiva della persona nel quadro della tutela costituzionale, bisogna individuare un modo per leggere quegli aspetti di tali diritti che hanno a che fare con la dimensione relazionale della vita. Il punto da cui partire è la constatazione che i diritti sociali – come d’altronde anche i diritti civili e politici – non si esauriscono nella dimensione soggettiva ed individuale dell’uomo che si rapporta con l’istituzione statale per soddisfare alcuni bisogni. Il fatto che tali diritti si riferiscano, invece, alla persona considerata nel contesto dei suoi molteplici ambiti di vita sociale, implica che lo Stato e in generale le istituzioni operino anche riconoscendo valore alla capacità delle persone di dare vita a luoghi, ambiti, comunità che cercano di soddisfare i bisogni individuali105. Se i diritti hanno a che fare con la capacità relazionale delle persone questo deve avere un nesso sia con la capacità di autodeterminazione sia con la libertà di organizzare ambiti di vita dandogli una forma che rispecchi la personalità umana sia con l’incentivo all’adesione critica a tutti quei luoghi che già esistono. Proviamo ad individuare se vi è traccia di questo modo diverso di pensare ai diritti nella nostra Costituzione. La risposta è certamente affermativa. La Costituzione italiana non definisce solo in positivo quali sono i tipi di valori che si riferiscono alle prestazioni che le istituzioni pubbliche (anzitutto lo Stato) devono garantire, ma comprende anche quei valori che fondano la tutela della capacità relazionale dell’uomo, attraverso la garanzia e la promozione di quelle forme di vita organizzata (o ordinamenti) nelle quali i diritti delle persone e delle formazioni sociali (con un particolare status) possono essere soddisfatti106. 105
Come riconosciuto oggi nell’art. 118, comma 4, della Costituzione italiana a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione operata nel 2001. 106 È stato ricordato di recente che tale concezione è stata indicata anche dall’on. Moro durante i lavori dell’Ass. Costituente, quando ha affermato che «tutte le libertà che vengono sancite in questa costituzione non vanno intese come una garanzia di fronte allo Stato, ma come espressione della convergenza degli sforzi individuali in una società ordinata e compatta per il bene di tutti», seduta 1° ottobre 1946. Citazione tratta da V. TONDI DELLA MURA, La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi, in Quaderni costituzionali, 1, 28, 2008, p. 111.
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Tutelando la famiglia, la scuola, le università e riconoscendo implicitamente il valore sociale della tutela della salute e l’importanza della dimensione comunitario-sociale delle ricerca, la nostra Costituzione non si limita alla mera indicazione delle condizioni di fatto che rendono possibile l’esercizio delle libertà ma prevede regole e valori che permettano l’esistenza di quelle stesse forme di vita organizzata. Come si può notare già dai richiami svolti, ci riferiamo a fenomeni tra di loro molto differenti, quanto alla tipologia di libertà esercitata, ma che hanno un denominatore comune, facilmente riscontrabile già dopo una prima lettura. Con tali formule, infatti, la norma costituzionale riconosce e delimita una precisa sfera di libertà che non richiede necessariamente un intervento positivo o una particolare forma di astensione delle istituzioni pubbliche. Sono sfere di libertà che le istituzioni sono incaricate di “riconoscere”, come è sancito nell’art. 2 Cost., e che in termini storici preesistono rispetto ad esse107. La peculiarità di queste norme si trova nel fatto che la descrizione delle sfere di libertà indicate avviene in termini relazionali. La Costituzione, cioè, non descrive situazioni pretensive o poteri o obbligazioni ma individua una serie di rapporti che devono essere costruiti o mantenuti in vita in funzione della protezione di certi valori fondamentali attinenti alla vita sociale. Lo scopo di questo paragrafo sarà dunque quello di andare in fondo a questa intuizione verificando se e in che modo nella giurisprudenza costituzionale emergono gli elementi per suffragare tale modo di lettura delle disposizioni costituzionali. Per questa ragione si indagheranno tre aspetti delle norme costituzionali: le tipologie di relazioni; le forme organizzative che servono queste relazioni; i valori che sono protetti dalle stesse relazioni. 4.1 Famiglia Il primo esempio di tale categoria si trova in quelle disposizioni che attribuiscono alcune particolari libertà alle persone appartenenti alla famiglia. L’art. 29, comma 1, Cost. prevede il riconoscimento sociale dei “diritti della famiglia” e la sua quali107
A. PACE, Problematica delle libertà fondamentali. Parte generale, cit., passim; I. BERLIN, Quattro saggi sulla libertà, cit., passim.
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ficazione come “società naturale fondata sul matrimonio”. Tale articolo è stato doppiamente identificato sia come il “ponte” tra le libertà previste nel primo e nel secondo titolo della parte prima sia come un vero e proprio «diritto sociale dell’uomo». La famiglia nasce spontaneamente per un’esigenza naturale e perciò senza che lo Stato o altre istituzioni la creino; essa è cioè pregiuridica in quanto esiste prima ed indipendentemente dal riconoscimento pubblico e dalla disciplina che ne regoli la struttura ed i rapporti connessi. L’originarietà della famiglia denota in modo chiaro il legame tra queste previsioni e i diritti inviolabili dell’uomo. Nella famiglia l’uomo si fa persona e l’esercizio di molti di quei diritti diviene possibile. Senza la famiglia alcuni degli stessi diritti previsti nella parte prima della Costituzione non potrebbero essere esercitati perché non troverebbero uno “spazio” di vita in cui potersi sviluppare. Ciò non vuol dire che la famiglia assume diritti propri che possono superare o scavalcare la libertà del singolo ma solo che i titolari di certi diritti, ed in particolare i diritti della famiglia, sono le persone che appartengono alla famiglia in quanto “formazione sociale tipizzata” (dunque in ragione del possesso di un particolare status)108. D’altronde nella Costituzione la famiglia rileva non come istituzione posta a fondamento dei rapporti economici della società, secondo la concezione di matrice liberale che invece ispirava il codice civile precedente, né come istituzione funzionale alle esigenze dello Stato-apparato. La famiglia rileva secondo la sua realtà originaria, come “comunità naturale” costituita dall’unione tra un uomo ed una donna, con l’assunzione reciproca di diritti e di doveri sancita dal matrimonio; essa è perciò essenzialmente un luogo dove si sviluppa la persona in un contesto di reciproca solidarietà intergenerazionale109.
108
A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit. Su questo punto vedi quanto scrive P. CAVANA, La famiglia nella Costituzione italiana in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2, 2007, p. 905 e ss.: «Nel suo complesso (...) l’art. 29 Cost. presenta una concezione della famiglia in cui la visione giusnaturalista si coniuga con il riconoscimento del carattere storico di taluni aspetti della sua disciplina. La famiglia è individuata come una comunità “naturale”, ossia dotata di una propria peculiare fisionomia di carattere meta-giuridico, radicata in una ben determinata concezione antropologica della persona e in una secolare tradizione storico-giuridica, e, come tale, sottratta al potere condizionante del legislatore, tenuto a rispettarne l’intima natura». 109
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È chiaro, perciò, come mai i Costituenti inserirono questa disciplina all’interno dei “Rapporti etico-sociali” insieme alla scuola e alla salute. Essi riconobbero alla famiglia quella peculiare, fondamentale ed essenziale funzione per la promozione e lo sviluppo della persona umana. Non è un caso che per l’art. 29 Cost. viene usato il verbo “riconoscere” anziché “conferire”. Tale formula intende anzitutto qualificare l’atteggiamento della Repubblica nei confronti della famiglia. Coloro che scrissero la Costituzione erano fermi nel sancire l’anteriorità sociale della famiglia rispetto allo Stato ed alle istituzioni stesse110. Quanto di più lontano è dunque immaginare in questa formula un richiamo a teorie giusnaturalistiche o un rinvio al diritto prestatale. Essa ribadisce semplicemente che la famiglia è anteriore rispetto a qualsiasi potere precostituito111 e il compito di quest’ultimo rimane quello di favorire l’espansione della personalità dell’individuo in quanto esso solo è in grado di scegliere le forme essenziali del suo realizzarsi112. Come è noto, dalla previsione del primo comma dell’art. 29 Cost. sono sorte diverse questioni interpretative che hanno a che fare con la sistematica dei diritti sociali. Questioni che d’altronde erano state quasi tutte affrontate nel momento della scrittura di tale articolo ma che si sono riproposte anche con forza maggiore negli anni successivi di fronte all’uso e all’applicazione del testo costituzionale113. La prima questione attiene al significato da attribuire alla formula “diritti della famiglia”. La Costituzione si riferisce ai diritti dei singoli, ai diritti della famiglia come istituzione o a ambedue queste tipologie di diritti? In che misura questa affermazione intercetta il tema dei diritti sociali? Bisogna premettere che a differenza di molte altre, la Costituzione italiana ha scelto di non identificare in maniera chiara 110
Vedi F. VARI, Contributo allo studio della famiglia nella Costituzione italiana, Bari, Cacucci, 2004, p. 26 e ss. 111 Su questo aspetto si veda E. LAMARQUE, Famiglia (Dir. Cost.), in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, III, Milano, 2006, p. 2418. 112 Vedi G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano, Giuffrè, 1979, p. 83. 113 Una ricostruzione del dibattito è stata recentemente svolta da C. BERGONZINI, Art. 29, in Commentario breve alla Costituzione a cura di S. Bartole e R. Bin, Padova, 2009, p. 302 e ss. e da P. VERONESI, Costituzione, "strane famiglie" e "nuovi matrimoni", in Quaderni costituzionali, 3, 28, 2008, p. 579 e ss. Sul tema vedi anche quanto ha scritto F. CUOCOLO, Famiglia, I, Profili costituzionali, in Enciclopedia giuridica, XIV, Roma, 1989, p. 1 e 2.
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Le interpretazioni
quali fossero i “diritti della famiglia”. La scelta non si configura certamente come una omissione. Del resto la formulazione di tale articolo è tale per cui risulta agevole all’interprete identificare quali sono tali “diritti”, soprattutto nell’area dei diritti cd. civili. La dottrina ha autorevolmente riconosciuto infatti nella previsione costituzionale «quei diritti (e corrispondenti doveri) che in un determinato momento storico formano la struttura portante dell’istituzione famiglia114» che poi possono essere identificati in gran parte negli artt. 143 e 160 del codice civile. É noto che la lettura della disposizione contenuta nell’art. 29 Cost. ha dato luogo a delle divergenze interpretative. Il riferimento ai diritti della famiglia operato nel primo comma ha riproposto, infatti, sul terreno costituzionale il dilemma del riconoscimento di una soggettività giuridica autonoma alla famiglia come gruppo, con possibilità per questo di atteggiarsi con profili di alterità rispetto ai singoli membri115. L’orientamento che privilegiava una qualificazione pubblicistica della famiglia, soggetto di diritti e organismo distinto dai suoi componenti, è stato fin da subito escluso, negando la possibilità di una soggettività giuridica del gruppo contrapposta a quella dei suoi componenti. La dottrina quasi maggioritaria ha fatto propria una lettura della formula contenuta nell’art. 29 come una «sintesi dei diritti dei singoli in quanto partecipi di una relazione familiare116». Come ha fin da subito indicato la dottrina più autorevole sul punto, adottando la formula sopra riferita la Costituzione «non ha proclamato i diritti della famiglia contro lo Stato, o che la famiglia sia, sovrana, indipendente o superiore allo Stato, sicché possa vantare diritti sui di esso, ma ha semplicemente riconosciuto i diritti, le facoltà, le potestà che si svolgono all’interno della famiglia ed i poteri della famiglia sui propri membri117». Naturalmente quest’ultima visione non esclude che al riconoscimento dei diritti dei singoli si accompagni anche il ricono114
A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit. Per una panoramica di questa nozione anche nelle altre scienze vedi P. CASTO, La famiglia tra la costituzione e i cambiamenti della società, in Segni e comprensione, 66, 2009, p. 143 e ss. 116 Vedi F. CAGGIA, A. ZOPPINI, Art. 29, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 607. Su tale punto v. anche la posizione radicale espressa da P. BARCELLONA, Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, 1967, p. 782 e 783. 117 Vedi C. ESPOSITO, La Costituzione italiana: saggi, Padova, Cedam, 1954, p. 136. 115
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scimento di una dimensione organizzativa o collettiva del fenomeno familiare e il riconoscimento che la protezione dei diritti dei singoli ha bisogno della contemporanea protezione della famiglia in quanto comunità di persone118. La Costituzione quindi giustifica che i diritti ed i rapporti all’interno della famiglia siano configurati in modo del tutto particolare, in modo diverso da qualsiasi altro negozio giuridico. Tale ricostruzione trae sostegno oltremodo dalla connessione esistente tra la norma prevista nell’art. 29 e lo stesso art. 2 Cost. Il contenuto di quest’ultimo articolo, nel momento in cui dimostra la compresenza dei diritti dei singoli e delle formazioni sociali in cui i primi vivono, rappresenta un sicuro argomento sia a favore di un’autonomia del gruppo rispetto ai singoli sia a favore di una visione del gruppo come il luogo entro cui è possibile una regolazione originale e libera degli interessi dei singoli e dei loro rapporti. La lettura dell’art. 29 Cost., coordinata con l’art. 2 Cost. e con gli altri articoli dedicati alla famiglia, contribuisce infatti a qualificare in modo netto quest’ultima come formazione sociale e permette di identificare l’ambito applicativo della garanzia costituzionale119. È certamente da preferire perciò la lettura della famiglia come un “rapporto” o “relazione” avente per contenuto lo svolgimento della personalità di ciascun membro anziché come un “organismo”120. La formazione sociale in 118
Su questo aspetto è molto chiaro quanto scrive E. LAMARQUE, Famiglia (dir. cost.), cit., p. 2422 «La formulazione inserita nel testo costituzionale (...) anche se probabilmente non tendeva, come pure è stato ritenuto, a conferire soggettività giuridica alla famiglia, aveva comunque come minimo il significato di segnalare l’esistenza di un interesse comune ai suoi membri, distinto e potenzialmente confliggente, e quindi secondo la norma costituzionale in ipotesi prevalente, rispetto agli interessi e ai diritti dei singoli individui membri della stessa famiglia, e conteneva quindi certamente una direttiva di astratto favore per l’istituzione familiare, esteso al di là o anche contro le esigenze di tutela delle personalità dei singoli». Tale teoria ci pare da preferire rispetto ad altre espresse soprattutto dalla dottrina civilistica (fra tutti P. BARCELLONA, Famiglia (dir. civ.), cit., p. 783). 119 Ciò sta a dimostrare che la Costituzione in realtà prefigura un «modello di organizzazione sociale che assicuri le condizioni materiali di adempimento dei doveri familiari e i necessari istituti di integrazione della funzione collettiva». Nel momento in cui si sottolinea il rapporto tra l’art. 29 e l’art. 2 della Costituzione non si può fare a meno di evidenziare l’analogia con quanto è scritto negli artt. 39 e 49 Cost. per i partiti ed i sindacati. 120 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, p. 351. «La famiglia è un “società naturale” in quanto ivi si realizza l’individuo, si svolge la sua personalità: una formazione sociale che è espressione di un “massimo di intensità e di intimità nel rapporto interpersonale».
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fondo consegue allo svolgimento della personalità e la dimensione in cui vengono esercitati i diritti è quella del rapporto o relazione intersoggettiva. L’interesse comune allo svolgimento della personalità in tutti coloro che ne sono parte fornisce il “tratto distintivo” di questo rapporto rispetto agli altri con rilevanza costituzionale. I diritti di libertà ed i diritti sociali che si riferiscono alla famiglia non sono altro, allora, che la conseguenza della tutela accordata alla persona che per essere piena deve richiedere la costituzione e la vita del gruppo e dei suoi componenti121. Non è un caso dunque che tali letture siano state fatte proprie dalla Corte costituzionale la quale, in più di una occasione, ha mostrato la relazione tra questa norma e lo stesso principio personalista previsto in Costituzione, fino ad affermare in una nota pronuncia che «la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti: nella specie, il diritto del figlio» e che «il valore delle “formazioni sociali”, tra le quali eminentemente la famiglia, è nel fine ad esse assegnato, di permettere ed anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani122». Dalla lettura delle sentenze costituzionali appare evidente, infatti, che quando parla di diritti della famiglia, la Costituzione indica un insieme di situazioni composite non irriducibili ai soli diritti della famiglia come istituzione o alla somma dei diritti dei singoli che la compongono, ma fa riferimento a qualche cosa di più che implica le persone e la comunità123. Ovviamente la dimensione comunitaria che la famiglia in quanto formazione sociale esprime non può mai rappresentare una contrapposizione o, peggio, una sostituzione della volontà o della decisione dei singoli, ma la condizione materiale, lo spazio in senso fisico ed in senso sociale, attraverso cui la personalità dell’individuo sorge e si afferma. É per questo che l’art. 29 è costruito in un modo così particolare, con l’intento evidente di impedire il riaccadere di quelle strumentalizzazioni, indotte autoritativamente a fini 121
G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, cit., p. 77 e 78. Cfr. Corte cost., sent. n. 494/2002 in tema di diritti dei figli incestuosi. 123 A questo proposito si veda anche Corte cost., sent. n. 2/1980 in tema di diritto alla pensione di reversibilità. Qui la Consulta mostra chiaramente di assumere un concetto di famiglia nel suo significate etico-sociale, non già economico. In tal senso la famiglia denota una comunità o «una comunione» spirituale-materiale, nella quale le attività materiali (mantenimento, assistenza, ecc.) sono finalizzate alla realizzazione di un ordine morale, consistente nei valori etici di cui la famiglia stessa è la sostanza. 122
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ideologici nell’epoca fascista124. Come ebbe modo di affermare lo stesso Dossetti, l’obiettivo di chi scrisse la Costituzione non era quello di «cristallizzare la famiglia in certe superstrutture che potevano essere, o meno, storicamente giustificate centocinquanta anni fa o anche in tempi più recenti; bensì (...) liberarla dalla ganga esteriore, per individuarne il nucleo essenziale ed aprirla – attraverso le norme che si verranno stabilendo – a quella vocazione sociale, già riconosciuta alla persona, che giustamente le compete125». Perciò, se il modello che emerge è quello della famiglia come formazione sociale volta ad assicurare l’autonomo svolgimento della personalità dei singoli, il modello della famiglia “istituzione” si svuota dal suo interno, perché non è concretamente possibile considerare interessi sovraordinati rispetto a quelli dei singoli stessi, a meno di confondere interessi individuali come interessi della “famiglia”126. Il secondo e grande dilemma riguarda il significato da dare alla formula “società naturale”. È stato di recente ricordato che l’uso di questa terminologia non assumeva per la maggior parte dei Costituenti alcun sapore di matrice giusnaturalista127. Nel suo significato più concreto questa disposizione intendeva sottolineare - ancora una volta in antitesi rispetto al passato - che la famiglia era formazione sociale autonoma rispetto allo Stato ed al legislatore, in tal modo assicurando ad essa un’autonomia dai poteri pubblici e da possibili strumentalizzazioni (anche politiche). È necessario ricordare, tuttavia, che la formula si presta ad una duplice lettura128, la prima che tende a cristallizzarne il si124
Come già ricordato il regime fascista aveva adottato una concezione pubblicistica e “istituzionista” della famiglia, ma asservendola ai fini propri dello Stato, arrivando al punto di prevedere il dovere dei genitori di educare e istruire la prole, oltre che in base ai “princìpi della morale”, in conformità al “sentimento nazionale fascista” (art. 147 c.c. del 1942 nel testo originario). Sul punto: P. CAVANA, La famiglia nella Costituzione italiana cit., p. 902; A.M. SANDULLI, Rapporti etico sociali, art. 29, in Commentario al diritto italiano della famiglia a cura di G. Cian - G. Oppo - A. Trabucchi, I, Padova, 1992, p. 10. Una ricostruzione molto chiara dei modelli di famiglia è stata svolta da V. TONDI DELLA MURA, La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi, cit., pp. 103 e ss. 125 La citazione è tratta da P. VERONESI, Costituzione, “strane famiglie” e “nuovi matrimoni”, cit., p. 580 e 581. 126 Ci si riferisce ai rapporti tra i coniugi ed alla filiazione. 127 Vedi F. DAL CANTO, Le coppie omosessuali davanti alla Corte costituzionale:dalla “aspirazione” al matrimonio al “diritto” alla convivenza,, in Rivista della Associazione dei costituzionalisti, 0, 2010, p. 6. 128 La difficoltà nella lettura di questa formula sono evidenziate da molti autori: vedi tra tutti R. BIN, La famiglia: alla radice di un ossimoro, in Lavoro e
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Le interpretazioni
gnificato ad un modello tradizionale e statico, la seconda che invece considera la formula come mero “rinvio” al modo in cui la famiglia si atteggia nella storia. Non possiamo certamente passare in rassegna l’ampia gamma delle argomentazioni poste a suffragio dell’una o dell’altra formula. Pertanto, al di là delle possibili interpretazioni ci pare più adeguata quella lettura che valorizzi la natura compromissoria di questa norma, come frutto della mediazione tra i diversi orientamenti presenti nella fase costituente fino alla decisione di indicare la «priorità della famiglia rispetto all’organizzazione della società nello Stato e secondo il diritto129». Il senso di questa affermazione, dunque, è quello di respingere l’ottica della subordinazione della sfera privata familiare alla sfera pubblica, cosicché il rapporto con le istituzioni statali si configuri come dovere da parte di queste ultime di porre la famiglia in condizione di realizzare le sue funzioni di riproduzione e di socializzazione130. Non è il caso di ripercorrere in questa sede l’ampio dibattito dottrinario che si è sviluppato sul punto. Ci limiteremo ad analizzare in che modo la Corte costituzionale ha preso posizione in merito a tale formula. È noto che la Consulta si è pronunciata in modo netto a favore del riconoscimento alla famiglia di un suo “ruolo naturale”, nel senso che «lo Stato non può prescindere da tale realtà sociale a cui tende per natura la stragrande maggioranza degli individui131» ed ha identificato in tale previsione un fine specifico, rappresentato dalla tutela dei diritti e dall’adempimento dei doveri cui sono tenuti i singoli132. É diritto, 1, 15, 2001, p. 9 e ss; A. RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in Quaderni costituzionali, 4, 27, 2007, p. 751 e ss. 129 F. CAGGIA, A. ZOPPINI, Art. 29, cit., p. 606. 130 V. POCAR, P. RONFANI, La famiglia e il diritto, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 35 e 36. 131 Cfr. Corte cost., sent. n. 138/2010. In passato la Corte aveva affermato che riconoscendo la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio la Costituzione tutelerebbe questa «nei confronti di qualsiasi interferenza esterna, specialmente di quella statale» (cfr. Corte cost., sent. n. 109/1981). 132 Nella sent. n. 532/2000 la Corte parla della famiglia intesa quale società naturale come di un «gruppo che si pone quale fonte di solidarietà» (cfr. punto n. 3 del c.i.d.). Nella sent. n. 7/1987 si legge a spiegazione dell’obiettivo di tutelare la vita dei partecipanti alla famiglia: «La tutela della famiglia si realizza - in primo luogo - nella salvaguardia della vita dei suoi componenti, anche in considerazione dell’interesse generale all’adempimento dei doveri ed all’assolvimento dei compiti e delle funzioni che essi sono chiamati, dalla stessa Costituzione, a svolgere» (cfr. punto n. 4 del c.i.d.).
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questo d’altronde il modo più utile per leggere non solo l’art. 29, ma anche tutte le altre disposizioni costituzionali che si riferiscono alla famiglia, le quali mirano anche a definire quale è l’ambito entro cui possono essere goduti i diritti dei singoli uti socii133. In quanto società, infatti, la famiglia si pone come centro di imputazione dei diritti che si caratterizzano come “familiari”, i quali, come ho ricordato, si caratterizzano per essere esercitati uti socii e non uti singuli. Essa viene meno per circostanze eccezionali di carattere naturale, volontario o autoritativo e mai ad esempio per mutuo dissenso o per recesso unilaterale ad nutum di uno dei partecipanti134. Infine, è l’aggettivo “naturale” che caratterizza, come già detto, il rapporto di questa entità e lo Stato e dice pure della natura delle regole che valgono per la famiglia, le quali non possono essere tratte solo dalle regole del diritto contrattuale ma devono formarsi all’interno dello stesso rapporto interpersonale. Il terzo problema riguarda la seconda parte della formula contenuta nell’art. 29, comma 1, Cost. che si riferisce alla famiglia “fondata sul matrimonio”. Anche con riguardo a tale formulazione non sono mancate divisioni e vere e proprie spaccature nella dottrina giuridica italiana. Le questioni dibattute si sono rivolte soprattutto riguardo al rapporto di tale formula con le parole “società naturale”: sono due locuzioni unite, tali da essere considerate come endiadi, ovvero sono distinte. La questione non è di poco momento e non già perché si tratta di analizzare la natura del vincolo che la Costituzione prescrive135, ma perché dal modo in cui tale formula è letta si possono far derivare i diritti di coloro che scelgono altre “forme” di convivenza diverse dalla famiglia legittima. Come già detto tale tema è stato
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V. a questo proposito quanto afferma la sent. n. 181/1976 della Corte costituzionale secondo la quale «i diritti inviolabili dell’uomo che la Repubblica riconosce e garantisce (art. 2) sono qui oggetto di specifica e particolare considerazione nei successivi artt. 29 e 31...». Su tale punto vedi P.F. GROSSI, Lineamenti di una disciplina della famiglia nella giurisprudenza costituzionale italiana, p. 587 e ss. 134 Come ebbe a dire Esposito: «la Costituzione, se non sancisce la indissolubilità, pone però la stabilità come esigenza inderogabile del vincolo matrimoniale». C. ESPOSITO, La Costituzione italiana: saggi, cit., p. 141. 135 La natura del vincolo matrimoniale non viene specificata nè in Costituzione nè all’interno del codice civile. Su tale punto vedi le considerazioni di M. BESSONE, Art. 29-31, cit., p. 27 e la ricostruzione di C. BERGONZINI, Art. 29, cit., p. 304 e ss.
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ampiamente dibattuto in dottrina ed è quindi noto ai più136. La Corte costituzionale ha analizzato tale problema sia dal punto di vista del riconoscimento delle convivenze cd. more uxorio tra persone eterosessuali sia delle convivenze tra persone dello stesso sesso. Posto che l’esplicito riferimento al matrimonio ed alla famiglia attribuisce alla famiglia legittima un favor, «indicando nell’unione matrimoniale una forma giuridica della convivenza di coppia obiettivamente insuperabile per “garanzie di certezza”, “stabilità” dei rapporti e “serietà dell’impegno”137», si è posto con molta forza il quesito circa la possibilità di ricondurre entro il medesimo perimetro costituzionale anche la tutela accordata alle altre forme di convivenza. In uno studio sui diritti sociali, come quello che si sta qui conducendo, il tema dei diritti delle coppie non sposate ma conviventi assume rilievo essenzialmente al fine di capire quali risposte si accordano ai bisogni espressi da tali tipi di rapporti. La giurisprudenza costituzionale e gran parte della dottrina oggi tende ad escludere l’estensione delle garanzie contenute nell’art. 29 Cost. oltre la famiglia legittima per i fini civili e penali. La Corte costituzionale in numerose sentenze ha escluso una parificazione della condizione dei conviventi ai coniugi138 preferendo trattare la famiglia di fatto come una formazione sociale tutelata dall’art. 2 Cost. I problemi circa il riconoscimento di un valore alla famiglia di fatto è stata oggetto di numerose analisi della dottrina civilistica e costituzionalistica. In generale all’interno della dottrina è prevalsa l’opinione che in quanto frutto della libera scelta delle persone conviventi, che preferiscono tale formula rispetto alla famiglia legittima, la famiglia di fatto non può essere parificata al matrimonio. Né l’interprete né il legislatore possono puramente e semplicemente estendere per analogia alla famiglia di fatto le situazioni della famiglia legittima. Se lo facessero verrebbero a «violare la libertà di quella comunità naturale, che vuole poggiare solo sul perdurante consenso e non vuole atteggiarsi secondo il diritto del matrimonio139». Tale regola, come si dirà tra poco, è suffragata anche da 136
Tra gli interventi più recenti vedi M. PEDRAZZA GORLERO, L. FRANCO, La deriva concettuale della famiglia e del matrimonio. Note costituzionali, in Diritto pubblico, 1-2, 16, 2010, p. 247 e ss. 137 M. BESSONE, Art. 29-31, cit., p. 32. 138 Sul tema vedi anche: Corte cost., sentt. nn. 6/1977; 45/1980, 237/1986; 423/1988; 310/1989; 2/1998; 166/1998. 139 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 356.
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un costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale, deve essere temperata nel caso in cui si tratti di tutelare i componenti più deboli della famiglia, cioè i minorenni e il partner più debole. Un esempio di questa eccezione si trova nella sentenza n. 404/1988 della Corte costituzionale in tema di “diritto all’abitazione”. Nel contesto della riforma intervenuta con la legge n. 392/1978 (cd. equo canone), la Corte ha esteso anche ai conviventi more uxorio il diritto di succedere nella titolarità del contratto di locazione in caso di morte del conduttore. Pur nella generale conferma che la condizione del coniuge resta diversificata rispetto a quella del convivente, ed argomentando esclusivamente in base alla diversa ratio della disciplina contenuta nell’art. 6 della legge n. 392/1978, diretta a tutelare la «convivenza di un aggregato esteso», la Corte ha valorizzato una lettura ampia di quella disposizione rivolta a impedire che non solo i membri della famiglia legittima restino provi di un tetto140. Tuttavia, al di fuori di questa eccezione, che riconosce il diritto all’abitazione anche ai conviventi, la Corte ha sempre negato le richieste di estensione dei diritti previsti per i coniugi ai conviventi more uxorio. La verifica della compatibilità tra disciplina costituzionale della famiglia ed evoluzione sociologica dei modelli costituzionali è stata sempre condotta in modo molto stretto dalla Corte costituzionale escludendo una relazione tra l’art. 29 e l’articolazione dei modelli familiari sul terreno sociale. Ad esempio di questo indirizzo giurisprudenziale si possono segnalare due pronunce della Consulta.
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Secondo la Corte la novella legislativa, ispirata al dovere di solidarietà sociale, riconosce un diritto sociale all’abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell’uomo e specifica un regime di successione nel contratto di locazione che supera le norme previgenti, essendo rivolto a non privare dell’abitazione immediatamente dopo la morte del conduttore il più esteso numero di soggetti, anche al di fuori della famiglia nucleare, purché con quello abitualmente conviventi. Ne consegue, secondo quanto si legge nella sentenza, che è irragionevole la mancanza nell’elencazione dei successori nel contratto di locazione del titolare originario del contratto coloro che erano legati da stabile convivenza more uxorio. L’art. 3 della Costituzione è invocato dunque non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la «contraddittorietà logica della esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare l’abituale convivenza». Cfr. Corte cost., sent. n. 404/1988. Su tale sentenza vedi il commento di A. PACE, Il convivente more uxorio, il "separato in casa" e il cd. "diritto" fondamentale all'abitazione, in Giur. cost., 4, 1988, p. 1801 e ss.
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Le interpretazioni
La prima riguarda la materia penale: era stato chiesto alla Corte l’«estensione al convivente della causa di non punibilità prevista nel caso di favoreggiamento personale quando il fatto sia stato commesso essendo costretti dalla necessità di salvare il coniuge da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore». La Corte dichiara la questione infondata con riferimento alla violazione dell’art. 29 Cost.. In un passaggio della sentenza si afferma chiaramente che nonostante sia un dato la «notevole diffusione della convivenza di fatto, quale rapporto tra uomo e donna ormai entrato nell’uso e comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo coniugale» la «trasformazione della coscienza e dei costumi sociali (...) non autorizza (...) la perdita dei contorni caratteristici delle due figure in una visione unificante come quella che risulta dalla radicale ed eccessiva affermazione (...) secondo la quale la convivenza di fatto rivestirebbe oggettivamente connotazioni identiche a quelle che scaturiscono dal rapporto matrimoniale e dunque le due situazioni in nulla differirebbero, se non per il dato estrinseco della sanzione formale del vincolo». Da ciò deriva, secondo la Corte, la «netta diversità della convivenza di fatto, fondata sull’affectio quotidiana - liberamente e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato da stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio». È, dunque, la Costituzione che ha dato delle due situazioni una valutazione differente, che «esclude l’ammissibilità, secondo un punto di vista giuridico-costituzionale, di affermazioni omologanti, del tipo di quella sopra riferita». I due tipi di rapporto non possono essere omologati. Nella medesima sentenza si legge, infatti, che «per la famiglia legittima, non esiste soltanto un’esigenza di tutela delle relazioni affettive individuali e dei rapporti di solidarietà personali. A questa esigenza, può sommarsi quella di tutela dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale e caratterizzante è la stabilità, un bene che i coniugi ricercano attraverso il matrimonio, mentre i conviventi affidano al solo loro impegno bilaterale quotidiano. Posto che la posizione del convivente meriti riconoscimento, essa non necessariamente deve dunque coincidere con quella del coniuge dal punto di vista della protezione dei vincoli affettivi e solidaristici141». 141
Per tutte le citazioni cfr. Corte cost., sent. n. 8/1996, punto n. 2 del c.i.d.
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La seconda sentenza riguarda invece l’estensione della nozione di “matrimonio” all’unione tra persone dello stesso sesso (sent. n. 138/2010). In questo caso i Giudici delle leggi motivano la loro decisione affrontando due questioni tra di loro connesse. Da un lato, infatti, essi riconoscono all’unione omosessuale il rango di “formazione sociale” ex art. 2 Cost. e, dall’altro, escludono che la nozione di matrimonio possa contenere anche le unioni tra persone dello stesso sesso. Nel compiere questa operazione i giudici costituzionali italiani operano uno strano mix di due orientamenti formatisi sui temi costituzionali della famiglia. Per un verso, infatti, essi riconoscono la necessità di una lettura “relativa” dell’art. 29 Cost. affermando che: «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi». Per un altro verso, tuttavia, essi accolgono una visione “cristallizzata” dei concetto di famiglia e di matrimonio. Nel paragrafo successivo della sentenza si legge che tale lettura «non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata142». Le parole della sentenza lasciano intendere - contrariamente a quanto era avvenuto in passato riguardo alle convivenze - che l’art. 29 può diventare oggetto di un’”interpretazione creativa” (estensione del significato) solo che il legislatore (costituzionale) lo decida. Per esigenze di sistematizzazione riteniamo che dall’esame condotto in questo paragrafo si possono trarre numerose indicazioni che incidono sul tema generale dei diritti sociali. La prima indicazione, forse banale, è che abbiamo di fronte uno degli argomenti più complessi nel campo del diritto. Il diritto di famiglia è intimamente lo specchio dell’esperienza e dell’evoluzione della società. Non è un caso dunque che il tema della famiglia abbia attratto così tanto l’interesse della dottrina costituzionalistica, civilistica e penalistica. È evidente che l’interesse profuso sia andato di pari passo con l’avvicendarsi di letture relativistiche e letture invece originaliste della formula dell’art. 29 Cost. 142
Per questa e per la precedente citazione cfr. Corte cost., sent. n. 138/2010, punto n. 2 del c.i.d.
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Le interpretazioni
Ma nella dialettica tra le diverse posizioni emergono alcuni elementi interessanti su cui si deve prestare particolare attenzione. La libertà della famiglia, intesa come formazione sociale, esprime un bene comune di cui tutte le istituzioni pubbliche si devono fare carico, e non solo nell’interesse individuale ma in vista del perseguimento di un “interesse sociale”. I «delicati compiti che la famiglia assolve», per usare un’affermazione della stessa Corte costituzionale (sent. n. 286/1995), prevedono non solo che il legislatore svolga interventi di promozione sociale (alla maniera dei diritti a prestazioni positive) ma implicano pure il divieto di introdurre discipline che impediscano la generale “libertà della famiglia”. Anche le altre forme di convivenze esprimono un interesse sociale ma seguendo altre “forme” e scegliendo modalità che sviluppano gli stessi obiettivi in modo diverso. Sicché anche il riconoscimento della libertà delle persone nell’uso di queste forme deve avvenire in un modo differente. Come ha indicato la Consulta, «per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione143». In tutte le sentenze sul tema delle coppie di fatto i Giudici delle leggi usano sempre il parametro del principio di eguaglianza, affermando che occorre trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse, senza avvallare le richieste di uniformazione della situazione del convivente al coniuge144 e fino a riconoscere che «tali diversità, senza escludere la riconosciuta rilevanza giuridica della convivenza di fatto, valgono (...) a giustificare che la legge possa riservare in linea di principio all’una e all’altra situazione un trattamento non omogeneo145». Si può certo dire che tali sentenze della Consulta evidenziano tutta la forza e l’innovatività della Costituzione e l’impossibilità di trarre da essa letture che, da un lato, sconfinino nella più atroce chiusura verso espressioni affettive che non 143
Cfr. Corte cost., sent. n. 237/1986. Tra le numerose sentenze che riguardano la pretesa estensione di disposizioni della legge penale sostanziale e processuale (e anche della legge extrapenale) che, a diversi fini, fanno riferimento al rapporto di coniugio si veda in particolare Corte cost., sent. n. 352/2000. Su tale aspetto v. V. TONDI DELLA MURA, La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi, cit., p. 118 e ss. 145 Cfr. Corte cost., sent. n. 140/2009. 144
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rientrino nel matrimonio e, dall’altro, rischino di snaturare la fisionomia della famiglia e il ruolo sociale, educativo e storico che essa svolge. Nella cornice costituzionale non è impossibile fondare la legittimazione di altri tipi di convivenza, nell’ottica del pluralismo dei modelli che si è affermato nel corso degli ultimi decenni146. Sul punto ci pare necessario rimarcare la necessità di evitare atteggiamenti verso la famiglia che ne valorizzino letture in senso originalistico o in senso relativistico. A meno di grossolani errori, è il caso di ricordare che ambedue gli orientamenti, in fondo, richiamano alla necessità di un intensificazione della regolazione pubblica del fenomeno familiare e così facendo ottengono un esito paradossale: quello di riattrarre sotto l’orbita del legislatore situazioni che invece la Costituzione ha inteso sottrarre al potere condizionante di quest’ultimo147, in funzione di un’astratta contrapposizione tra diritti del singolo e interessi superiori della istituzione. La prospettiva più adeguata, perciò, rimane quella che parte dalla considerazione dell’esigenza di socializzazione che le persone esprimono e dalla constatazione che per rispondervi occorre riconoscere una sfera di libertà ai singoli; una libertà che in prima battuta si configura come diritto a costituire una realtà nuova - nella fattispecie la famiglia - e poi come diritto a dare ad essa una organizzazione e delle regole che rispecchino la stessa l’immagine che la persona ha di quella realtà. Riconoscere i “diritti della famiglia” non vuol dire perciò solo collocarsi in una posizione negativa, di non interferenza, ma vuole essere anche riconoscere il compito che le istituzioni pubbliche hanno di promuovere tutti quegli interventi che siano necessari al fine di rendere possibile ed effettivo al singolo il suo realizzarsi come persona nell’ambito di un’esperienza familiare e godere di determinati beni di natura relazionale. 4.2 Comunità scientifica Il secondo esempio di disposizione che riguarda il riconoscimento e la conseguente tutela di una sfera particolare di libertà a favore di determinati soggetti si trova all’art. 33 Cost., 146
Contra V. POCAR, P. RONFANI, La famiglia e il diritto, cit., p. 35. Ovviamente non stiamo parlando di un ordine naturale immutabile ed estraneo rispetto alle vicende del diritto positivo. 147
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primo comma, dove si legge che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Prima di iniziare occorre fare una precisazione. Il ragionamento che condurremo ha notevoli analogie con quanto è stato espresso nel punto precedente. Si tratta di capire che dosaggio di protezione c’è tra sfera della libertà del singolo e sfera della libertà di una formazione sociale. Ad un generico esame, infatti, la libertà della scienza appare con le medesime fattezze di quanto abbiamo visto sopra. È evidente che stiamo parlando di situazioni soggettive diverse e lontane che attengono a beni della vita diversissimi. Con tutta l’approssimazione che una affermazione di questo genere può avere, è utile notare che quanto si è detto rispetto alla famiglia ha notevoli punti di contatto con quanto si troverà in questo paragrafo. Il tema del pluralismo, la necessità di una legislazione non solo “regolativa” ma anche “promozionale”, la coesistenza di più interessi e poi il riferimento della tutela ad ambiti oggettivi in cui si svolge la vita delle persone. È lecito anzitutto domandarsi come mai una disposizione di questo tenore sia presente nella parte dei rapporti etico-sociali della Costituzione italiana. La libertà della scienza, dell’arte e dell’insegnamento avrebbero dovuto essere collocate più utilmente all’interno del Titolo I sui rapporti civili, in ragione sia del legame che esse hanno con la libertà di manifestazione del pensiero sia per la natura evidente di libertà negative che tali diritti posseggono. Pur non potendo indagare a fondo la ragione della collocazione di queste libertà nel Titolo II, Parte prima, della Costituzione, è opportuno ricordare che il posizionamento delle libertà all’interno del quadro costituzionale non deriva solo dalle opzioni ideali dei Costituenti ma è il prodotto anche di compromessi e di tentativi di dare alle posizioni soggettive menzionate un ambito di tutela che desse ragione complessiva di questi diritti. Alla Costituente si è preferito sottolineare il legame tra l’arte e la scienza e l’istruzione, nel contesto di quest’ultima, piuttosto che evidenziarne la derivazione dalla libertà di manifestazione del pensiero, senza nulla togliere al fatto che tali libertà hanno un legame intimo tra di esse. I nostri Costituenti, come è noto, hanno attribuito notevole rilievo alle materie della scuola, della cultura e della ricerca, a quei principi cioè che realizzano quello che può definirsi “Stato di cultura”, secondo la definizione della dottrina tedesca, poi fatta propria
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anche da autori italiani148. Perciò, all’enunciazione di massima, posta tra i principi generali della Costituzione, che demanda alla Repubblica il compito di promuovere “lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica” (art. 9, comma 1), fanno riscontro le norme più specifiche in materia di istruzione contenute nel Titolo II della Parte prima, dedicato ai rapporti eticosociali, in ragione soprattutto del valore che hanno quegli ambienti di vita dove si può coltivare l’arte e la scienza ed insieme insegnarle. La stessa Corte costituzionale non ha mancato di ravvisare una netta complementarietà tra il primo comma e i successivi dell’art. 33 Cost. come disposizioni che evidenziano la stretta connessione tra la libertà dell’arte e della scienza e l’insegnamento. A questo proposito è interessante quanto la Corte stessa afferma nella sentenza n. 59/1960, in cui, partendo dall’assunto che «quella particolare manifestazione della libertà di pensiero che consiste nella possibilità di diffonderlo, riguardando ogni forma di pensiero, riguarda anche quelle più elevate espressioni di esso, che sono le creazioni artistiche e scientifiche», afferma pure che «della diffusione di queste non si occupa l’art. 33 Cost., il quale proclama e tutela la libertà dell’arte o della scienza e quella del loro insegnamento. Onde la disciplina della loro diffusione è da considerar ricompresa nel disposto del 1 comma dell’art. 21149». Dunque, un conto è la “libertà di concepire e manifestare le idee e le varie espressioni della scienza e dell’arte”, altro è la “libertà di avvalersi di ogni possibile mezzo per diffonderle”. Dunque, la vera differenza è che la Costituzione attribuisce alle libertà scientifiche una tutela differenziata e più intensa rispetto a quella prevista nell’art. 21. La scelta, come ha avuto modo di precisare la Corte costituzionale, consente di distingue148 Per la dottrina italiana vedi su tutti E. SPAGNA MUSSO, Lo Stato di cultura nella costituzione italiana, Napoli, A. Morano, 1961, p. 23; S. MERLINI, La promozione della cultura e della scienza nella Costituzione italiana, in Libertà costituzionali e limiti amministrativi, Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, XII, Padova, 1990, p. 379 e ss.; M. AINIS, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, Cedam, 1991, p. 155 e ss. 149 Cfr. Corte cost., sent. n. 59/1960. Su questo punto vedi E. DE MARCO (cur.), La pubblica istruzione, Padova, Cedam, 2007, p. 65 e ss. Su tali aspetti v. in generale quanto dice con riguardo al tema delle libertà culturali F. RIMOLI, Le libertà culturali, in I diritti costituzionali, a cura di R. NANIA, P. RIDOLA, II, Torino, Giappichelli, II, 2001, p. 672 e ss.
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re, sotto il profilo della tutela giuridica, i processi di cognizione che attengono per le metodologie seguite all’espressione del pensiero culturale dalla più ampia categoria rappresentata dalla generica manifestazione del pensiero150. La libertà della scienza, infatti, ha più dimensioni che, come è stato ricordato dalla dottrina, attengono alla «scelta dell’oggetto e del metodo, l’accesso ai mezzi, il diritto alla comunicazione e all’insegnamento151». Sono tutti aspetti strettamente connessi e correlati, condizionati da decisioni di tipo collettivo e da decisioni costituzionali di vario livello. Al di là di queste giuste notazioni, pare evidente che oggi libertà dell’arte e della scienza e del connesso libero insegnamento non possono essere più considerate come mera espressione di una libertà di tipo negativo, ma si sostanziano anche in un diritto positivo. Non si tratta di due punti di vista, ma di due dimensioni connaturali alle libertà scientifiche che possono entrare in contrapposizione. È di tutta evidenza però che non esiste una libertà della scienza “da” senza la correlata libertà “di”152. Ma quand’è che l’individuo libero ha la forza di chiedere e di pretendere più eguaglianza? Per rispondere a questa domanda occorre farsene un’altra più radicale che deriva 150
L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona, Napoli, ESI, 1992, p. 61, sottolinea che il rapporto tra le libertà garantite dall’art. 33 e la libertà di manifestazione del pensiero è un rapporto in cui quest’ultima rappresenta il genus mentre le prime sono species caratterizzate da una particolare autonomia e specificità legato al desiderio di conoscenza dell’uomo. Sul punto vedi anche S. FOIS, Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero, Milano, Giuffrè, 1957, p. 55. La dottrina unanime riconosce che a differenza della manifestazione del pensiero che è soggetta espressamente al limite del “buon costume”, le libertà garantite nell’art. 33 Cost. non possono esservi sottoposte. Una espressione del pensiero scientifico che sia tale non potrà essere sottoposta al limite dell’art. 21 Cost., prevalendo in questo caso il carattere peculiare e perciò scientifico che rifiuta in nuce qualsiasi possibilità di offesa del suddetto sentimento. Le opere scientifiche per lo «spirito da cui sono animate, per il rigore con cui sono condotte, non potrebbero caratterizzarsi finalisticamente come manifestazione in perversione ai costumi». Cfr. C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, Giuffrè, 1958, p. 42. Sul punto vedi anche S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, in Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1976, p. 229. 151 Cfr. A. ORSI BATTAGLINI, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, in Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Padova, 1990, p. 89. Sul tema vedi anche quanto afferma G. ENDRICI, Poteri pubblici e ricerca scientifica, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 15 e ss. 152 Sul punto vedi G. CORSO, M. MAZZAMUTO, La libertà della scienza, in Il Consiglio nazionale delle ricerche - CNR: struttura e funzioni, a cura di G. CORSO, A. LA SPINA, vol. 38, Bologna, Il Mulino, vol. 38, 1994, p. 209 e ss.
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dall’osservazione attenta dei fatti da cui si alimenta tale fenomeno, e cioè “in che modo i titolari di questi diritti normalmente esercitano le prerogative ad essi legate?”. È di tutta evidenza che ciascuna delle libertà attinenti alla scienza e al fenomeno istruzione richiedono sì una tutela delle persone come individui ma anche una tutela specifica dei luoghi dove queste libertà si esplicano, perciò la protezione tanto del profilo negativo quanto del profilo positivo di questi beni (sia come promozione da parte dei poteri pubblici sia come capacità delle persone di pretendere di dare autonomamente risposta ai propri bisogni). Se prendiamo in considerazione la libertà della scienza, ad esempio, ci accorgiamo bene che pur rimanendo una libertà garantita in una dimensione individuale – ed anzi esplicandosi come un “diritto di tutti” e non solo di alcuni – il suo esercizio effettivo non può non tenere conto della struttura sociale dell’attività scientifica153. La libertà della scienza, infatti, non può che essere «attuazione di tale socialità154» umana. Essa è, anzitutto, «libertà non solo dai pubblici poteri, ma dalle costrizioni di qualunque potere od autorità» e, in secondo luogo, «trova normalmente il miglior luogo di esplicazione non all’esterno delle organizzazioni sociale, ma nel loro ambito155». L’affermazione giuridica che esiste un versante positivo della libertà di scienza mostra un altro importante dato. Anche nel comparto della scienza si avverte la necessità che i poteri centrali si adoperino per assicurarne gli strumenti indispensabili per consentire lo svolgimento adeguato delle indagini e conseguentemente per cercare di migliorare i livelli di benessere collettivo. Qui il profilo dell’art. 33 Cost si intreccia non solo con l’art. 3, comma 2, Cost. ma anche con l’art. 41 Cost. e in particolare con la clausola dei “fini sociali”. Su questo tema che ha avuto ad oggetto anche una pronuncia della Corte costituzionale156 torneremo più avanti.
153
L’affermazione di T. Kuhn riportata da G. CORSO, M. MAZZAMUTO, La libertà della scienza, cit., p. 213 appare molto semplice e risolutiva a tale fine: “per quanto la scienza venga praticata da singoli, la conoscenza scientifica è intrinsecamente un prodotto di gruppo e non possono essere comprese nè la sua peculiare efficacia nè le sue modalità di sviluppo senza fare riferimento alla natura particolare dei gruppi che la producono” (la citazione originaria è in T. KUHN, La tensione essenziale, Torino, Einaudi, 1980, p. XX). 154 L. SAPORITO, La ricerca scientifica, Padova, Cedam, 1993, p. 12. 155 Op. cit., p. 12 e 13. 156 Corte cost., sent. n. 20/1978.
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Le interpretazioni
Le libertà di ricerca e di scienza esprimono meglio di altre il carattere democratico e pluralistico dello stato157. Le situazioni di vantaggio che si situano entro questa sfera non sono solo legate alla dimensione individuale, i diritti afferenti al singolo rinvengono il proprio fondamento di legittimazione costituzionale preminentemente nella formula dell’art. 2 Cost. nella duplice veste di norma matrice delle libertà del singolo e delle formazioni sociali. Al suo interno anche le libertà dell’art. 33 Cost. si scompongono in una pluralità di situazioni che si riferiscono a degli “status” soggettivi e “intersoggettivi”158. La conseguenza immediata di questo è che la libertà garantita nell’art. 3, primo comma, Cost. è assicurata non solo attraverso il riconoscimento di una sfera particolare di autonomia ai singoli (ricercatori e non) ma anche attraverso il riconoscimento di una particolare autonomia a quelle comunità dove essi si trovano ed alle relazioni che entro queste si sviluppano. Non è più solo la situazione attiva del singolo ricercatore a ricevere tutela. Una posizione di vantaggio collegata a questa è riconosciuta anche al libero organizzarsi all’interno della della comunità scientifica. In questo senso una tutela di tale genere non potrà essere accordata genericamente alla “collettività” ma deve sempre trovare un centro di imputazione in soggetti concreti. La ragione di questo sta nel fatto che comunque la libertà di ricerca è funzionale al raggiungimento di certi obiettivi in termini concreti (teorici o pratici che siano)159. Anche la ricerca, dunque, risente dell’ispirazione pluralistica della Costituzione, in modo eguale e forse maggiore delle altre libertà, nel senso del favore costituzionale per il collegamento della scienza – attraverso la pluralità dei centri di ricerca – al maggior numero di interessi sociali160. In forza del principio 157
L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona, cit., p. 74 e ss. A. ORSI BATTAGLINI, Libertà, legalità, mercato. Profili comparatistici del diritto della scienza, in Scritti per Mario Nigro, I, Milano, 1991, p. 441. 159 In questo senso sono d’accordo con M. MAZZIOTTI DI CELSO, L'autonomia universitaria nella Costituzione, in Diritto e società, 1, 1980, p. 223 e ss. quando afferma che le libertà garantite nell’art. 33 Cost. sono in realtà uno strumento per la promozione della cultura e quindi per la garanzia dei presupposti di questa promozione, cioè della libertà della ricerca e dell’insegnamento. 160 Esiste un collegamento stretto, in questo senso, tra l’art. 33, primo comma, e l’art. 41 della Costituzione. Proclamando la libertà dell’iniziativa economica tale articolo implicitamente afferma l’essenziale connessione tra processo produttivo e processo tecnologico lasciando intendere il nesso tra iniziativa economica privata e autonomia dei centri di ricerca. Si può aggiungere che i 158
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pluralista, così come la tutela delle formazioni sociali costituisce uno strumento di sviluppo della personalità dell’uomo (art. 2), ugualmente le istituzioni scientifiche debbono godere di quella autonomia necessaria alla attuazione della libertà individuale degli scienziati. È evidente, in questo senso, lo stretto legame che intercorre, da un lato, tra la previsione del primo e dell’ultimo comma dell’art. 33 Cost., e, dall’altro, tra la previsione del primo comma dell’art. 33 Cost. e l’art. 9 Cost. La scienza non è solo libera ma viene anche promossa dalle istituzioni. La disponibilità di mezzi economici e l’autonomia dei centri di ricerca privati e pubblici rappresentano i presupposti necessari per la realizzazione di un regime di effettiva libertà di ricerca. Ma è per l’appunto il pluralismo che può ben descrivere l’ambito entro cui il nesso tra le libertà della scienza trova maturazione. Si ritorna così al punto di partenza. Il pluralismo, in fondo, è uno degli aspetti principali e comuni a tutti i diritti sociali che stiamo trattando: il rapporto tra la libertà del singolo (ricercatore) e la libertà della comunità di riferimento (comunità scientifica e comunità di ambito). Variabilmente queste posizioni devono essere considerate come sfere in cui si esprime la libertà della ricerca e della scienza. È vero, infatti, che il principio pluralista è «l’autentica chiave di volta dell’edificio eretto dai costituenti per l’amministrazione delle attività scientifiche161». La rinunzia ad una “cultura di stato” e ad ogni forma “totale” di sapere ha infatti reso possibile che vi sia un’effettiva competizione tra soggetti autonomi162. limiti dell’iniziativa economica privata, che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana sono di conseguenza anche limiti dell’attività di ricerca scientifica. Ulteriori limiti specifici a tale attività sono imposti da altre norme, come ad esempio, in tema di salute, dall’art. 32, comma 1. Su questo punto vedi anche L. CHIEFFI, Ricerca scientifica e tutela della persona, cit. 161 Cfr. M. AINIS, La promozione della scienza, in Il Consiglio nazionale delle ricerche - CNR: struttura e funzioni, a cura di G. CORSO, A. LA SPINA, vol. 38, Bologna, Il Mulino, vol. 38, 1994, p. 260. 162 Il pluralismo vieta allo Stato il finanziamento solo di alcune aree scientifiche e di intervenire in modo che sia di fatto limitata la libera espressione dell’arte e della scienza. Questa lettura ci pare suffragata anche dall’interpretazione più accreditata della formula dell’art. 9 Cost. nel quale si distingue tra «cultura storicizzata nel “patrimonio” culturale e naturale e la cultura e le scienze intese, invece, come ricerca». Per la prima si parla infatti di “tutela” mentre per la seconda di “promozione”. Sono perciò due principi tra di loro contrapposti, «il primo, di tipo interventista, che impegna il potere
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Le interpretazioni
Il principio pluralista ha una serie di implicazioni utili per il nostro percorso. Qui vale la pena sottolinearne alcune per la loro rilevanza particolare nell’ambito costituzionale. La prima riguarda la condivisione tra diversi livelli regolativi della competenza a sostenere la ricerca e la scienza. La seconda riguarda invece il rapporto tra singolo/i e gruppo/i (istituzione/comunità di scienziati). Sulla prima. Per realizzare un’effettiva libertà di ricerca e di scienza è necessario instaurare un clima non solo di concorrenza tra diversi soggetti ma anche un ambiente culturale favorevole (plurale) allo sviluppo di centri di ricerca. Non è solo una questione economica. Solo l’articolazione di un apparato pubblico in un reticolo di centri propulsori riesce a garantire questa libertà per intero. Non può, perciò, esistere un solo soggetto competente a sostenere la libertà della ricerca e della scienza. I titolari delle azioni di sostegno devono essere prima di tutto pubblici e privati; e tra i primi non si può tollerare un potere esclusivo solo in capo ad un soggetto. Il pluralismo spinge, infatti, verso un sistema nel quale non vi è solo il divieto di astensione dello Stato dall’impegno attivo nel campo della cultura, ma in cui si evita al contrario il monopolio statale delle competenze in tali materie. Per meglio comprendere quanto si va affermando si pensi al fondamento di questa lettura. Essa, infatti, si basa tanto sull’art. 2 quanto sull’art. 5 della Costituzione. Questi due articoli, infatti, sono interpretabili come l’uno il completamento dell’altro163. Tanto che è impossibile non vedere i riflessi del pluralismo e del valore della solidarietà sociale nell’articolazione stessa dei poteri tra stato e periferia. Tanto quanto questo è vero, bisogna anche domandarsi entro quali confini può estendersi la competenza degli organi inferiori in materia di cultura e ricerca. Il tema è stato considerato all’interno della giurisprudenza costituzionale durante gli ultimi anni. La Corte ha sottolineato che il ruolo regionale sul tema della ricerca è diverso (ma non secondario) rispetto a quello
politico ad ingerirsi direttamente nello sviluppo-tutela della cultura; il secondo, di tipo garantista, che, per quanto riguarda la cultura-ricerca, impegna il potere pubblico a porre in essere soltanto le condizioni di un forte sviluppo culturale». Cfr. S. MERLINI, La promozione della cultura e della scienza nella Costituzione italiana, cit., p. 395. 163 Assieme al rapporto tra centro e periferia si deve oggi tenere in considerazione anche il rapporto tra Stato e Unione Europea.
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dello Stato (che invece deve ritenersi primario)164. Argomentando circa la ricostruzione del diverso ruolo regionale nella ricerca, la Corte ha considerato il tema delle competenze come una funzione dell’esercizio di una libertà, in particolare delle libertà di impresa. Secondo i giudici costituzionali quest’ultima potrà essere limitata non solo nel caso di contrasto con l’utilità sociale, ma anche quando da essa possono derivare effetti negativi all’ambiente, e alle persone in generale, sulla base di indirizzi fondati sullo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche165. L’elaborazione di questi indirizzi spetta, secondo i giudici costituzionali, al legislatore statale, e perciò ad essi si devono attenere anche le regioni. L’interpretazione data dalla Corte coglie certamente nel segno. La ragione di ciò è facilmente intuibile. L’interesse pubblico che riguarda l’attività di ricerca scientifica è duplice166: da un lato, la ricerca è un valore in sé, come attività diretta all’ampliamento della conoscenza e della cultura in generale e, dall’altro, essa è un valore strumentale a più fini, quello economico, sanitario, ambientale, militare, ecc. Perciò, è impossibile incasellare questo settore entro il recinto stretto di una materia, pur nella consapevolezza che la scienza e la ricerca sono dotate della loro specificità e del loro particolare statuto costituzionale167. 164
V. Corte cost., sentt. nn. 569/2000, 282/2002, 338/2004, 116/2006 (spec. punto n. 6 del c.i.d.). Su tale punto vedi F. PREZIOSO, Gli inevitabili conflitti, non solo giuridici, tra libertà di scienza e certezza del diritto, in Giur. cost., 4, 2004, p. 2978 e ss. 165 La Corte aveva espresso un indirizzo del tutto simile anche nella nota sent. n. 282/2002 in tema di rapporto tra divieti di terapie imposti dalla legislazione regionale e autonomia dell’arte e scienza medica. Anche in questo caso, come nel precedente, la ricostruzione delle libertà sottese all’intervento regionale ha portato la Corte a considerare non possibile un intervento del legislatore regionale per mancanza di fondamento della decisione su evidenze scientifiche. Sul punto vedi L. VIOLINI, La tutela della salute e i limiti al potere di legiferare: sull'incostituzionalità di una legge regionale che vieta specifici interventi terapeutici senza adeguata istruttoria tecnico-scientifica, in Le Regioni, 6, 30, 2002, p. 1450 e ss. 166 G. ENDRICI, La ricerca scientifica, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese. Diritto amministrativo speciale, Tomo II, Milano, 2000, p. 1418. 167 È di tutta evidenza, dunque, che nel momento in cui svuota di fatto il contenuto della nuova competenza concorrente in materia di “ricerca scientifica e tecnologica”, la Corte pone anche una severa ipoteca sulla possibilità di considerare l’esistenza di implied powers regionali che possano portare a considerare uno spazio di competenza regionale - desumendolo dal catalogo delle materie - ogni volta che l’impulso offerto dall’occuparsi di ricerca possa sal-
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Le interpretazioni
Vediamo ora il secondo tipo di contraddizione che abbiamo sottolineato (rapporti singoli-gruppi). Qui il problema si pone sia relativamente ai rapporti tra libertà di ricerca (e scienza) del singolo e indirizzi della comunità sia relativamente ai rapporti tra questi ultimi e la libertà di insegnamento. Il nesso e il possibile conflitto tra questi poli, libertà scientifica del singolo e libertà della istituzione/comunità, è stato analizzato dalla Corte costituzionale in rare – ma importanti – occasioni. La prima volta è stato nella sentenza n. 195/1972. Qui la Corte costituzionale ha enunciato un principio che ha fatto non poco discutere, soprattutto per via del bilanciamento tra libertà dell’istituzione di tendenza di scegliere i propri docenti e la libertà di insegnamento. Merita una sottolineatura il punto di partenza da cui muove la Consulta. Essa ha infatti prima di tutto accertato che «non contrasta con l’art. 33 la creazione di università libere, che possono essere confessionali o comunque ideologicamente caratterizzate», e ne ha fatto derivare che «la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti – libertà pienamente garantita nelle università statali – incontra nel particolare ordinamento di siffatte università, limiti necessari a realizzarne le finalità»168. In ragione di questa posizione i giudici costituzionali hanno statuito che «non si può negare ad una libera università ideologicamente qualificata il potere di scegliere i suoi docenti in base ad una valutazione della loro personalità». Impedendo, infatti, alla stessa «di recedere dal rapporto ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola, si mortificherebbe e si rinnegherebbe la libertà di questa, inconcepibile senza la titolarità di quei poteri». La preminenza del diritto della università costituisce una “limitazione” indiretta della libertà del docente, ma non una “violazione”169. Malgrado questo tipo di bilanciamento possa
darsi con la cura dei singoli settori affidati alle regioni. Ovviamente ciò non impedisce la normale attività di “sponsorizzazione culturale” entro i limiti del rispetto del principio di eguaglianza. Si possono approfondire tali rilievi, per quanto riguarda il periodo anteriore alla riforma del Titolo V, in M. AINIS, La promozione della scienza, cit., p. 262. 168 In ragione di queste ultime si configura una speciale garanzia a favore di queste ultime che vale come riconoscimento di una piena libertà di regolarsi e organizzarsi (nel rispetto della costituzione) conformemente a questi fini. 169 La ragione è «perché libero è il docente di aderire, con il consenso alla chiamata, alle particolari finalità della scuola; libero è egli di recedere, a sua
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apparire ad alcuni astrattamente convincente, è di tutta evidenza che laddove esso non venga collocato entro una fattispecie determinata esso rischia di far percepire un annullamento della libertà del singolo docente a tutto vantaggio dell’istituzione. Il secondo esempio di intervento della Corte nel delicato orizzonte del rapporto tra la libertà del singolo e quella delle istituzioni della cultura è avvenuto con la sentenza n. 1017/1988. Anche in questo secondo caso la Corte si è espressa in favore del diritto delle Università e per una correlativa compressione della libertà del docente che a tali decisioni deve sottostare. Punto di partenza dell’argomentazione condotta dai giudici costituzionali è l’assunto oramai acclarato che esiste una «correlazione funzionale tra libertà di ricerca e di insegnamento», un valore che «contrassegna al massimo livello l’attività delle istituzioni di alta cultura». Secondo i giudici costituzionali ciò non significa che «la libertà di ricerca e di insegnamento del docente universitario si identifichi con l’autonomia dell’istituzione a cui appartiene», dal momento che «l’autonomia universitaria si esprime non solo nel tutelare l’autodeterminazione dei docenti, ma anche nel demandare agli organi accademici l’ordinamento dell’istituzione e la conduzione della stessa170». Dall’analisi di queste pronunce possiamo trarre perciò un modello che serve in termini operativi al nostro lavoro. Si potrebbe descrivere nei seguenti passaggi: a) la Costituzione prende in considerazione la scienza e l’arte in quanto attività tipica che avviene all’interno di determinate comunità istituzionalizzate; b) tali istituzioni formano oggetto di specifica considerazione in quanto luoghi e apparati di produzione di attività scientifica e culturale; c) in forza della natura di tali luoghi e dell’esercizio delle libertà, queste comunità si sono istituzionalizzate ed hanno ottenuto il riconoscimento (costituzionale) di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato; d) l’organizzazione che queste comunità hanno il diritto di darsi deve essere compatibile con la libertà dell’arte e della scienza riconosciuta ai singoli operatori; e) l’autorganizzazione è una forma di garanzia in quanto evita la compressione che il singolo può subire dall’esterno. L’autonomia di questi enti, infatti, non è funzionale alla garanzia della distribuzione di potere tra soggetti dotati di autogoscelta, dal rapporto con essa quando tali finalità più non condivida». Cfr. Corte cost., sent. n. 195/1972. 170 Cfr. Corte cost., sent. n. 1017/1988, punto n. 3 del c.i.d.
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verno, come avviene per gli enti locali e le regioni, ma è necessaria per l’ente stesso e per chi svolge la propria attività al loro interno; quindi è funzionale alle libertà garantite dal primo comma dell’art. 33 Cost. Pertanto, così come rappresenta il mezzo per risolvere una contrapposizione, non bisogna dimenticare che dal rapporto tra i singoli e le formazioni sociali possono sorgere anche problemi. L’autonomia può trasformarsi da supporto a controparte della libertà. È per questi casi che è stata prevista la formula “nei limiti delle leggi dello Stato”. Essa non serve a tutela dello Stato, ma ancora una volta è funzionale alla tutela dei singoli ricercatori contro il possibile eccesso di ingerenza del soggetto istituzionale nella loro attività individuale171. L’interpretazione prospettata sul punto si deve necessariamente confrontare con un altro dato, quello della titolarità dell’autonomia prevista dallo stesso ultimo comma dell’art. 33 Cost. Sul tema è noto che vi è stato in passato un contrasto dottrinario tra chi ha ritenuto tassativa tale ultima previsione e chi invece ha preferito parlare di una formula aperta, che non ha la forza di circoscrivere la rilevanza nell’alveo delle sole persone giuridiche pubbliche. Malgrado la difficoltà a scegliere per l’una e l’altra ipotesi, in assenza di un elemento testuale preciso, è significativo notare che l’autonomia venga riferita nella Costituzione alle “istituzioni di alta cultura, università ed accademie” a prescindere dalla loro qualificazione di enti pubblici o privati. Inoltre, se l’autonomia è un diritto funzionale all’esercizio delle libertà previste nel primo comma dell’art. 33 Cost., che è libertà di tutti, essa non potrà avere una proiezione soggettiva di minore ampiezza. L’autonomia è la posizione che completa il diritto alla libertà individuale. La visione che soddisfa questa natura strumentale dell’autonomia rende ragione a chi ha interpretato questa formula come esemplificativa del genus delle istituzioni di alta cultura, delle università e delle accademie172. Altra questione essenziale è quella relativa al rapporto tra le diverse libertà garantite dal primo comma dell’art. 33. In dottrina e nella giurisprudenza stessa è stato posto il problema della relazione esistente tra libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento. Occorre ricordare che la previsione trae notevole spunto da un articolo della Costituzione di Weimar del 1919, nel quale si leggeva: «L’arte, la scienza e il suo insegna171
G. CORSO, M. MAZZAMUTO, La libertà della scienza, cit., p. 188. M. MAZZIOTTI DI CELSO, L’autonomia universitaria nella Costituzione, cit., p. 230. 172
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mento sono liberi. Lo Stato garantisce la loro protezione e promuove la loro coltivazione» (art. 142). I Costituenti, perciò, non ebbero molta fatica da fare per ricostruire il nesso tra queste libertà, essendo sul punto noi italiani certamente debitori dei risultati della scienza tedesca. Partiamo dal primo dato. La Costituzione riconosce la libertà della scienza nel contesto più ampio della protezione dell’arte e dell’insegnamento. Il fenomeno culturale è inteso nel suo insieme sia come strumento di tutela dell’ingente patrimonio di beni aventi valore artistico nel nostro paese sia come sviluppo delle attività scientifiche e delle fasi dell’istruzione e della formazione nel contesto del pluralismo173. Il problema del rapporto tra le libertà garantite nell’art. 33, primo comma, Cost. è stato affrontato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 240/1974. Secondo i giudici delle leggi «l’una e l’altra libertà (la coppia libertà di arte e scienza e la libertà di insegnamento) sono affermate congiuntamente, in unico contesto, dall’art. 33 e sono, in realtà, strettamente tra loro connesse, giacché la seconda, anche se suscettibile di atteggiarsi diversamente in funzione dei diversi tipi e gradi di insegnamento, rappresenta pur sempre - massimamente nel campo dell’arte - quasi una prosecuzione ed espansione della prima174». È oltremodo interessante la sottolineatura della natura “sociale” della libertà di insegnamento espressa in questa sentenza. L’insegnamento – e la relativa libertà – è considerato anche nella sua veste di attività da cui nascono rapporti. Secondo la Corte, infatti, per insegnare un’arte e per “formarsi una scuola” non occorre un particolare riconoscimento legale o un’autorizzazione che attesti particolari requisiti, giacché è insito nella stessa libertà (vocazione) artistica la connessa libertà di insegnare e di avere un rapporto privilegiato con alcuni soggetti (allievi) ai quali tramandare/trasferire le proprie conoscenze175. Pertanto anche l’ambito di 173
Tra gli autori che hanno meglio analizzato il tema vedi F. RIMOLI, Le libertà culturali, cit., p. 670. Interessante sul punto anche quanto dice M. AINIS, Cultura e politica. Il modello costituzionale, cit., in merito alla considerazione che inserendo nella Costituzione il binomio libertà dell’arte e della scienza/libertà di insegnamento ed il riferimento alla promozione della cultura quale compito primario della Repubblica, assolvono ad una funzione perpetuativa dei valori della democrazia. 174 Cfr. Corte cost., sent. n. 240/1974. 175 La sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 4 gennaio 1951, n. 28, “Ratifica, con modificazioni, del decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1236, concernente il riordinamento della Scuola nazionale di
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applicazione di queste libertà è il più ampio possibile176. Non è soltanto la scuola, strettamente intesa, l’unico luogo deputato allo svolgimento dell’attività contemplata dalla disposizione in esame. Ne deriva allora una considerazione semplice. Le tre libertà indicate nell’art. 33, comma 1, Cost. sono “libertà coesistenti”, essendo la libertà di insegnamento così connessa con la libertà della scienza e dell’arte che non potrebbero esistere ognuna senza le altre177. Il tipo di nesso che c’è tra queste libertà è differente dalle altre. Esse non si autolimitano a vicenda, ma sono l’una alimento dell’altra. Non si presuppongono necessariamente, ma sono interconnesse e la garanzia dell’una giova alle altre. Secondo dato. Le libertà della scienza e dell’insegnamento assumono la ricerca scientifica come valore in sè, strettamente collegata con l’agire della persona umana (in linea con quanto abbiamo detto fino ad ora). Sia la libertà dell’arte e della scienza sia la libertà di insegnamento derivano da un processo cognitivo. La manifestazione del proprio pensiero preordinata ad una trasmissione delle conoscenze acquisite e all’educazione dei giovani (una relazione) è in rapporto di strumentalità rispetto alle libertà culturali, consentendo la massima diffusione e perciò la massima informazione della comunità su un certo pensiero scientifico ed artistico178. Terzo dato. La Costituzione ci dice che sono tutelate la libertà di scienza, dell’arte e di insegnamento, ma non ci dice co-
danza in Roma” perché subordinava l’esercizio della professione di maestro di danza (e l’assunzione del titolo relativo) al possesso del diploma rilasciato dall’Accademia nazionale di danza o da un istituto pareggiato. 176 Della disposizione dell’art. 33, primo comma, Cost. si può dare un’interpretazione più ampia, tale da includervi qualsiasi forma di conoscenza artistica o scientifica a prescindere dalla particolare organizzazione o dai destinatari. 177 V. sul punto G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 681 e ss. anche per quanto riguarda i limiti alle stesse libertà. 178 Si veda a questo proposito la sentenza n. 57/1976 della Corte costituzionale nella quale si legge che lo scopo di questa previsione è quello di “consentire all’arte ed alla scienza di esteriorizzarsi, senza subire orientamenti ed indirizzi univocamente e autoritativamente imposti. Sotto tale esclusivo profilo, questa esteriorizzazione non può considerarsi tutelata fino al punto di pregiudicare altri interessi costituzionalmente garantiti”. L’articolo della Costituzione va inteso come un’indicazione precisa che preclude allo Stato di “dirigere teleologicamente” le attività artistiche e scientifiche.
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sa si intende per esse, lo presuppone179. Qui il discorso deve farsi ancora più sintetico. Il problema è capire se la Costituzione indirettamente contiene una certa ipotesi di scienza o meno. Il tema è assolutamente dibattuto e non si presta a semplificazioni. A noi spetta forse solo dire come mai questo immenso interrogativo interferisce con l’oggetto di questo studio e dunque perché ce ne occupiamo seppure tangenzialmente. La ragione non si coglie sottolineando ancora una volta elementi teorici ma l’utilità che la scienza ha nel tempo presente, in cui essa, e in generale la ricerca, è diventata una componente essenziale del processo produttivo e della domanda sociale180. Il testo della Costituzione coglie questo passaggio, dal disinteresse all’interesse per la scienza, contribuendo a mettere in luce tre elementi in cui la transizione si svolge. Il primo è la libertà da dover garantire agli scienziati contro ogni interferenza nella scelta dell’oggetto, del metodo e nel raggiungimento dei risultati. Il secondo è la garanzia che la scienza sia anche funzione dei rapporti economico-sociali e venga perciò assoggettata al contesto181. Il terzo è certamente l’incorporazione di una grande parte degli scienziati nella organizzazione pubblica182.
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Il tentativo di identificare in che modo la Costituzione e la legislazione si occupano della scienza, con riferimenti a cosa si intende per essa, è contenuto in F. MERLONI, Autonomia e libertà nella ricerca scientifica, Milano, Giuffrè, 1990, p. 3 e ss. 180 A. ORSI BATTAGLINI, Libertà, legalità, mercato. Profili comparatistici del diritto della scienza, cit., p. 1453 e ss. 181 Il ruolo assegnato alla comunità nel processo evolutivo rappresenta «un varco decisivo attraverso il quale il contesto può penetrare all’interno del processo: esse non sono infatti soggetti necessariamente separati e immuni dalle sollecitazioni economico-sociali». Cfr. A. ORSI BATTAGLINI, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, cit., p. 93 e 94 il quale continua il pensiero affermando che «La crescita e la differenziazione dei soggetti in qualche modo attivi nella scienza favorisce anzi una diretta influenza del contesto sulla loro formazione e conformazione, e dunque sui caratteri della scienza (o delle scienze) che tali comunità elaborano. Il controllo del contesto rompe ogni possibile barriera tra interno e esterno; il processo scientifico non è più visto come gerarchico-discendente ma come complesso di interazioni tra saperi locali, tra scienza pura, scienza applicata e tecnologia e dunque si moltiplicano i terminali attraverso i quali l’economia conforma le comunità e gli stessi statuti della scienza». 182 Gran parte degli scienziati sono pubblici dipendenti ed esistono organi pubblici rappresentativi degli scienziati stessi a cui spetta la gestione della categoria, il reclutamento e la distribuzione delle risorse. In questo orizzonte tali meccanismi sono sotto il controllo dell’opinione pubblica.
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Dunque, se è vero che la Costituzione non identifica una precisa nozione di scienza è altrettanto vero che essa sostituisce la “rappresentazione” che si ha di questo fenomeno: dal trionfalismo di una scienza capace di porsi come fattore di progresso e perfino come criterio e strumento di governo a una «scienza come variabile del contesto, non solo e non tanto come piegata a servire interessi determinati, ma come sostanzialmente costruita da questi183». Quarto dato. La protezione di queste libertà implica tanto una garanzia di tipo negativo, cioè il divieto di interferenze con le posizioni attive di libertà, sia una garanzia di tipo positivo, come impegno a promuovere le condizioni di fatto che permettono di rendere effettive tali libertà. Si è già ricordato che la Costituzione italiana contribuisce al superamento dell’impostazione di matrice liberale che vedeva i rapporti tra cultura e politica in termini di tendenziale separatezza e garantiva la libertà della cultura solo sotto la specie della libertà di manifestare il pensiero184. La nostra Carta fondamentale supera quest’ultima impostazione: a segnare il nuovo approccio alla scienza non vi è solo una specificazione della libertà della scienza, dell’arte e dell’insegnamento, vi è anche la promozione della ricerca scientifica tra i principi fondamentali185.
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A. ORSI BATTAGLINI, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, cit., p. 94. 184 In base a questa impostazione l’unico atteggiamento che i poteri pubblici possono assumere in armonia con il valore della libertà della cultura consiste nella tolleranza verso ogni espressione culturale ed in un sostanziale astensionismo; lo Stato deve limitarsi alla creazione delle condizioni che favoriscono il libero ed autonomo sviluppo della cultura, senza altre pretese di sorta. Vedi sul punto U. POTOTSCHNIG, Istruzione (diritto alla), XXIII, Milano, 1961, p. 97 e ss. La ragione dell’astensionismo statale è motivata richiamando al principio della libertà del pensiero. La libertà della scienza è trattata come libertà di ricerca. Da tale deduzione se ne trae la considerazione quasi elementare che lo Stato deve disinteressarsi della ricerca scientifica perchè altrimenti invaderebbe la manifestazione libera del pensiero. Si può immaginare quanto era forte questa impostazione pensando al fatto che nella letteratura e nell’arte è stata per molto tempo dominante una concezione “romantica” di scienziato come uomo geniale dedito in solitudine all’interrogazione della natura. Su questi temi v. le considerazioni critiche di M.S. GIANNINI, L'organizzazione della ricerca scientifica, in Riv. trim. di dir. pubbl., 1, 1966, p. 4 e 5. 185 Come ha rilevato M. NIGRO, Lo Stato italiano e la ricerca scientifica (profili organizzativi), in Riv. Trim. dir. pubb., 3, 1972, p. 753 «le due norme si pongono rispettivamente in antitesi con gli ordinamenti liberali per i quali era inconcepibile un’azione statale di promovimento della ricerca scientifica e
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La cultura e la scienza non sono perciò solo libere ma devono essere anche oggetto di “promozione” da parte delle istituzioni186. La promozione presume due condizioni. La prima è che l’attività promossa sia effettivamente libera e sia esplicata nella misura maggiore possibile. Inoltre, se la libertà implica anche la possibilità del non esercizio di una attività, la promozione presume invece l’esercizio e può dunque esigere azioni volte ad indurre o ad incentivare l’esercizio di una attività che il singolo potrebbe altrimenti non svolgere. Infine, l’attività in quanto promossa non è direttamente posta in essere da chi la promuove ma da un soggetto diverso che è responsabile di essa187. Quinto dato. Se è vero quanto abbiamo appena detto, cioè che i Costituenti pur intervenendo nel settore della scienza si sono limitati a dettare poche norme senza indicare i meccanismi del contemperamento tra decisione pubblica e libertà della comunità scientifica, è altrettanto vero che al nostro orizzonte si affaccia una diversa modalità interpretativa di queste disposizioni. I precetti dell’art. 33, comma 1 e 6, e l’art. 9 Cost. ricevono contenuto direttamente dalle norme contenute negli artt. 2 e 3 della Costituzione. Sono questi ultimi articoli, infatti, che aiutano a decifrare i rapporti che riguardano la scienza: libertà del singolo; autonomia delle comunità e della comunità scientifica in particolare; rapporto tra la libertà del singolo e la comunità di riferimento; rapporto tra libertà e autonomia e organizzazione pubblica (politica). Nei nessi che tali relazioni sono capaci di creare la libertà della scienza e l’autonomia delle organizzazioni perdono il loro carattere individualistico per acquistare invece un profilo legato alla socialità delle persone e all’impronta pluralistica ed egualitaria che modella la nostra Costituzione188. Si può chiaramente assumere che per quanto la garanzia di questi con l’ordinamento fascista per il quale non vi è libertà della scienza ma assoluta subordinazione della cultura alla forza politica dominante». 186 La promozione, come nella scienza, appare anche in altre previsioni costituzionali a proposito delle autonomie locali, delle organizzazioni internazionali, della cooperazione e del risparmio. 187 Bisogna fare attenzione solo ad un dato che ci pare essenziale: la Costituzione ci dice quali sono i valori in gioco, gli obiettivi da raggiungere, ma non ci dice il modo in cui si raggiungono. La Carta fondamentale esprime insomma i valori da perseguire e non l’azione da intraprendere; scegliere le modalità resta un compito che spetta al delicato rapporto tra l’autonomia della comunità scientifica e la regolazione (eteronomia) imposta dal legislatore. 188 V. sul punto quanto afferma con lungimiranza M. NIGRO, Lo Stato italiano e la ricerca scientifica (profili organizzativi), cit., p. 753 e 754.
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beni rilevi in senso individualistico, la dimensione dei rapporti/relazioni tra il singoli ed i gruppi sociali rappresenta un elemento essenziale della protezione costituzionale. Nell’idea costituzionale l’autonomia delle comunità scientifiche non è la proiezione della libertà individuale. La Costituzione, infatti, non garantisce l’autonomia della scienza come dato totalizzante, ma come punto di arrivo della garanzia della libertà dei singoli, della libertà delle diverse istituzioni scientifiche e delle relazioni tra questi due elementi189. In base ai risultati esposti è più semplice allora sottolineare un approccio a queste libertà che evidenzi gli effetti della democrazia e del pluralismo che ispira la nostra Carta fondamentale. E non è un caso che i punti di maggior rilievo di tale impostazione si traducono in oggetti di libertà da salvaguardare in una ottica “interelazionale”190. L’analisi dell’art. 33, primo comma, Cost. ha evidenziato, dunque, tutto il valore di questa norma per la disciplina dei rapporti etico-sociali che attengono alla sfera della libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento. Scoprire la natura di tali libertà è oltremodo importante per uno studio sui diritti sociali. La ragione non sta solo nel fatto che l’avvento dello stato sociale ha comportato un intervento più penetrante e diffuso dei pubblici poteri anche nei settori della cultura, sia sul piano della disciplina sia sul piano della gestione amministrativa sia sul piano del finanziamento. La rilevanza costituzionale del fenomeno si accompagna negli ultimi cinquanta anni con una diffusione senza precedenti della scienza e del progresso che hanno messo in crisi molte delle considerazioni relative all’esercizio della libertà della scienza e dell’arte. Nate come situazioni giuridiche difensive dell’individuo nei confronti dello Stato, la libertà di scienza, di ricerca e di insegnamento si sono dilatate negli ultimi anni sino a divenire un sistema obiettivo di valori che regge i rapporti tra 189
Non ci pare, perciò, possibile individuare una contrapposizione tra i due poli e neanche una priorità temporale o una condizionalità tra la protezione del singolo e della comunità. Su tali temi v. le considerazioni di F. MERLONI, Autonomia e libertà nella ricerca scientifica, cit., p. 12. 190 Tra questi oggetti spiccano: pluralità dei centri di ricerca; stretta relazione tra ricerca ed interessi sociali (radicamento della ricerca nella prassi sociale); esigenza di controllo della spesa pubblica e di efficienza dell’azione scientifica; necessità di consentire agli scienziati il massimo possibile di libertà di organizzazione compatibile con il fine della loro attività e con la necessità di una funzionalizzazione sociale della scienza.
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lo Stato stesso e la comunità degli scienziati, degli artisti e degli insegnanti e funge come criterio per il sostegno organizzativo e finanziario dei relativi sistemi191. L’attuale rapporto tra libertà di ricerca e intervento dei pubblici poteri è il risultato di queste tensioni, più che della sola organizzazione pubblica. Anzi negli ultimi anni è vero che soprattutto nella ricerca si sta definendo in modo diverso dal passato la linea di demarcazione tra cosa è “pubblico” e cosa è invece “privato”192. Le novità in atto sono dunque dovute all’intersecarsi di tendenze istituzionali di carattere più generale, a spinte interne al settore, a caratteristiche proprie dell’attività e non ultimo dal modo in cui i pubblici poteri si atteggiano rispetto alla scienza193. L’argomento è così ampio che sembra impossibile isolare tutte le dinamiche da un contesto generale. Quello che qui si deve rimarcare è l’approccio costituzionale a queste problematiche, il quale si sostanzia nel riconoscimento di un complesso di dimensioni sociali ed individuali che riguardano la sfera della libertà della scienza e della ricerca. 4.3 Scuola Il terzo esempio nel quale indagare i particolari rapporti tra persone o formazioni sociali e istituzioni pubbliche chiamate a riconoscere una particolare sfera di libertà è quello della “libertà di istituire le scuole” garantito nell’art. 33, comma 3, Cost. L’educazione è elettivamente un campo nel quale la tutela delle libertà ha a che fare con la protezione di una serie di relazioni situate all’interno di forme organizzative stabili. La nostra Costituzione, infatti, prima di prevedere che enti e privati possono istituire scuole si preoccupa di indicare – come già analiz191
Proprio per questo carattere intrusivo dello Stato, è stato pure riconosciuto che le libertà previste nell’art. 33, comma 1, Cost. non sono fini a se stesse ma devono essere associate ad una “obbligazione pubblica”, perché dovrebbero portare a una diffusione della conoscenza e delle scoperte che possa essere “socialmente utile”, in modo che i docenti e i discenti siano educati attraverso lo sviluppo del sapere ad agire percependo la loro responsabilità sociale. 192 Si pensi alla collaborazione oramai istituzionalizzata tra imprese e università o alla sempre maggiore tecnicizzazione della scienza, che consente di guardare al rapporto tra soggetti privati e pubblici (sia enti di ricerca che soggetti finanziatori) nei termini di partners operativi. 193 G. ENDRICI, Poteri pubblici e ricerca scientifica, cit., p. 38 e ss.
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zato – un rapporto stretto tra l’istruzione come fenomeno da disciplinare e la scuola come l’istituzione scelta per dare risposta al bisogno che questo fenomeno veicola. La scelta di prevedere anche la possibilità per i privati e gli enti di dare vita a scuole dice qualche cosa di più che la mera indicazione di un “potere”, ma è l’indicazione chiara che nell’orizzonte delle relazioni che intercorrono nel settore dell’istruzione viene dato un particolare risalto e importanza alla dimensione della costruzione di un apparato organizzativo capace di dare risposta autonoma al bisogno educativo. È un’evidenza, che forse non necessita una grande spiegazione: questa previsione rappresenta una specificazione-continuazione del diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli previsto dall’art. 30 Cost. ed è al medesimo tempo una implicazione della libertà di insegnamento prevista nel comma primo dello stesso articolo 33 Cost.194 La libertà riconosciuta ai privati, dunque, concretizzerebbe il principio del pluralismo sia garantendo ai genitori la scelta del tipo di insegnamento che realizza l’aspirazione insita nel percorso educativo scelto sia offrendo la possibilità di creare istituzioni stabili che hanno natura di scuole. La lettura più in uso di queste disposizioni tende a creare una dicotomia tra istituzioni necessarie e istituzioni non necessarie. In questa ottica l’esistenza della scuola privata sarebbe giustificata da una diversa funzione che essa ha nel percorso educativo: mentre la scuola pubblica serve per «l’avanzamento culturale», la scuola privata avrebbe come obiettivo «la protezione di una precisa identità culturale ed ideologica»195. Sulla base di questa differenza vi sarebbe dunque una endemica conflittualità tra il principio della “libertà nella scuola” e la “libertà della scuola”, poiché una scuola caratterizzata da una precisa identità ideologica non permetterebbe alla libertà di insegnamento del singolo docente di esprimersi completamente. Il singolo docente non sarebbe insomma libero di insegnare secondo concezioni contrastanti con quelle della scuola di appartenenza a meno di una corrispondente limitazione della libertà della scuola di perseguire quel determinato orientamento. Il tema è molto noto sia per i suoi sviluppi dottrinali che giudiziari. La stessa Corte costituzionale in una delle sentenze già citate in precedenza (sent. n. 195/1972) – in cui affronta il 194 195
Vedi S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, cit. Cfr. G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 689.
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caso che vedeva contrapposti l’Università Cattolica del Sacro Cuore e il prof. Franco Cordero – ha statuito che tra le due libertà in conflitto deve essere quella della scuola a prevalere, lasciando intatto per il docente solo l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, come tale irrinunciabile e inviolabile. È utile ripercorrere i passaggi di questa sentenza per comprendere quali sono secondo la Consulta le implicazioni insite nella previsione dell’art. 33, terzo comma, Cost. Anzitutto, il presupposto da cui parte la Corte nel punto n. 6 di questa sentenza, in base al quale lo Stato ha l’obbligo di provvedere alla pubblica istruzione ma «non ha l’esclusività dell’insegnamento». Il “primato della scuola statale” è giustificato perciò alla luce del dovere di intervento pubblico e a fronte del carattere solo eventuale della scuola “privata”. Ne consegue che non esiste solo un tipo di scuola ma una pluralità. L’art. 33 Cost. individua le altre tipologie attraverso il riconoscimento di un’azione: la possibilità di creare istituzioni private con il nome “scuola”196. Se non contrasta con la Costituzione che esistano scuole o università libere – con un particolare orientamento confessionale o ideologico –, ne deriva necessariamente che la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti, pienamente garantita nelle università statali, può incontrare nel particolare ordinamento di siffatte scuole o università limiti necessari a realizzare le finalità di queste ultime. Detto in altri termini laddove nel perseguire le proprie finalità le istituzioni libere si pongono in contrasto con la libertà di insegnamento del singolo docente, sarà quest’ultima a subire una limitazione. La ragione di questa particolare giustificazione è svolta attraverso il richiamo ad una ragione “vitale”: se non fosse possibile all’istituzione che è stata creata libera di scegliere i docenti secondo il proprio apprezzamento e di recedere da tale rapporto nel caso in cui lo stesso docente non condivida l’indirizzo della scuola, si rischierebbe di
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Non si può perdere, per la sua rilevanza nel percorso argomentativo, che il principio del pluralismo scolastico ha a sua volta una origine (la Corte parla di “conformità”) a quello altrettanto fondamentale «della libertà dell’arte e della scienza». Per la sua natura, dunque, il “pluralismo scolastico” non è diverso dalla libertà di insegnamento.
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metterebbe a repentaglio la stessa esistenza della scuola o università197. Occorre fare un solo commento sul ragionamento della Corte. È comune la considerazione che l’argomentazione svolta in questo punto della sentenza n. 195/1972 possa avere un valore anche se letta in senso inverso al procedere del ragionamento che la Consulta svolge; lettura che si documenta per due corollari che vengono tratti a partire da questa sentenza: il primo è che nella scuola statale si realizzi la maggiore libertà di insegnamento; il secondo è che l’esistenza della scuola statale realizza un sistema scolastico e di insegnamento che corrisponde pienamente ai principi costituzionali di socialità, laicità e pluralismo e che meglio promuove valori di eguaglianza civica e di integrazione sociale198. Da questi due corollari si fa ulteriormente discendere che la scuola privata e la scuola pubblica sono differenti quanto a “funzione”: mentre la prima è funzionale all’avanzamento culturale per ogni componente, la seconda è funzionale alla protezione di una precisa identità culturale ed ideologica199. Perciò, è la diversità della funzione perseguita dai due tipi di scuole a creare un conflitto tra la libertà del docente e la libertà della scuola; un conflitto che poi si risolverà con la limitazione della libertà del docente che perde il suo diritto per lasciare spazio alla libertà della scuola. Tale ragionamento, nei termini in cui si è descritto, non va esente da almeno tre ordini di problemi. Il primo è che esso non tiene conto che la scelta di istituire e poi promuovere una scuola libera non deriva mai in maniera esclusiva dal bisogno di esprimere un indirizzo ideologico o confessionale, ma aspira ad una funzione sociale così come accade per la scuola statale. Non si può evitare di riconoscere che la scuola privata e la scuola statale abbiano in comune la “funzione educativa” e sociale svolta. È per questo motivo che esse esistono200. 197
Nel bilanciamento prevale il criterio del minor danno o della perdita minore, e non c’entra che è il singolo ad essere limitato rispetto alla istituzione che è più forte. 198 Vedi G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 689, il quale richiama sul punto il pensiero di P. Calamandrei e di N. Bobbio. 199 Vedi L. ZANNOTTI, La libertà di insegnare nella scuola che cambia, in Istruzione e servizio pubblico, a cura di C. MARZUOLI, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 292. 200 E la stessa Corte costituzionale lo ha affermato nella sentenza citata ancorando il pluralismo alla previsione dell’art. 33, primo comma, della Costituzione che afferma la libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento.
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Il secondo problema è che in tal modo viene postulato un astratto concetto di libertà nella quale non vi è spazio per nessun limite e, soprattutto, per il vero argine entro cui la libertà di insegnamento deve svolgersi, il rispetto della personalità dello studente. La libertà dell’insegnamento e la libertà della scuola (rectius la libertà di istituire scuole e istituti di educazione) sono limitate dal dovere di rispetto della personalità del minore. Se infatti compito della scuola – di qualunque tipo – è quello di continuare nell’opera educativa che spetta ai genitori, è imposto anche a questa di tenere conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli. Una simile opzione interpretativa emerge da una lettura combinata degli artt. 2, 3, 30 e 33 della Costituzione: l’educazione deve essere rivolta alla promozione della personalità dello studente-figlio così da promuovere la progressiva e fisiologica autonomia del minore. Educare, in fondo non vuol dire infondere nozioni o abilitare ma rendere la persona capace di essere libero, cioè di svolgere opzioni libere e e coscienti, «per conquistare nella cultura il mezzo della libertà201» (gli studenti non sono una massa indistinta ma persone con talenti da coltivare). A questi fini, stante l’interpretazione dell’art. 33 che guarda indietro agli altri articoli citati in precedenza, sono deputati i genitori e tutti gli ambienti che, direttamente o indirettamente, possono incidere sul processo di maturazione della persona. Pertanto, è solo astrattamente immaginabile che la scuola svolga una funzione meramente “neutrale”. Sia essa statale o privata, la scuola in quanto formazione sociale entro cui si sviluppa la personalità del minore deve indirizzarsi attraverso l’insegnamento dei suoi docenti a mettere in grado i discenti di poter realizzare il loro progetto di vita, secondo le diverse capacità, inclinazioni e le diverse aspirazioni202. È perciò priva di fondamento l’idea che la personalità del minore possa trovare una restrizione nella scuola privata e nell’insegnamento che ivi si realizza203. 201
Vedi F. RUSCELLO, L'istruzione tra scuola e famiglia: tecniche di tutela della persona, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1992, p. 207. 202 Op. cit., p. 207 che richiama alla formulazione dell’art. 147 cod. civ. in cui si dice che il compito educativo dei genitori deve tenere conto delle capacità, delle inclinazione e dell’aspirazione dei figli. 203 Un insegnamento che non abbia come fine quello di impartire un’educazione con contenuto culturale, cioè capace di trasmettere contenuti e di introdurre il discente alla realtà esterna rendendo effettiva la sua partecipazione alla vita politica, economica e sociale, non risulterebbe al fondo meritevole di ottenere tutela.
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Il terzo, è che pare eccessivamente semplicistico il ragionamento che vede solo nella scuola privata il rischio di una divergenza tra libertà di insegnamento e libertà della scuola. Anche perché non è chiaro come questo rischio sia escluso o escludibile nella scuola statale. In fondo anche in questo caso vi potrebbe essere una divergenza tra indirizzo della struttura e indirizzo dell’insegnante, laddove per esempio quest’ultimo non ritenesse di dover seguire la rigida programmazione ministeriale. La possibilità di un conflitto, inoltre, si può estrapolare in via argomentativa. Anche i più strenui difensori della primazia dell’insegnamento nelle scuole statali in fondo non cedono alla tentazione di vedere in questo tipo di scuola un fine (storico) contingente avente un preciso carattere ideologico, che è prioritario rispetto alla libertà degli insegnanti e degli alunni204. Così intesa, anche la scuola statale deve ammettere l’esistenza di un fine superiore alle stesse esigenze degli insegnanti e degli studenti. È paradossale, dunque, che in tal modo si arrivi a trovare un elemento di similitudine all’origine dei due termini contrapposti (esplicitamene escluso almeno per uno dei due termini), per cui solo la scuola privata sarebbe funzionale ad un fine e-
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L. ZANNOTTI, La libertà di insegnare nella scuola che cambia, cit., p. 291, il quale afferma: «...la libertà di insegnamento viene soprattutto affermata in nome del progresso scientifico che è interesse diretto e primario della società. La funzione della scuola viene prima delle esigenze degli insegnanti e degli studenti». Cosa vuol dire che la libertà di insegnamento deve essere rivolta al progresso scientifico? A quale immagine di progresso ci si riferisce? Ritengo altrettanto non corretto paragonare l’istruzione ad ambiti come la giustizia, postulando che l’indipendenza sta alla giustizia come la neutralità sta all’insegnamento e perciò alla scuola (C. MARZUOLI, Istruzione: libertà e servizio pubblico, in Istruzione e servizio pubblico, a cura di C. MARZUOLI, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 18). Non è possibile ritenere corretto questo accostamento per tre motivi. Il primo è che si tratta di un discorso al cui interno compare una contraddizione irrisolubile. Quando l’autore deve mostrare quale sia il suo modello di scuola neutra afferma che è quel tipo di istituzione che abbia come suo fine quello «di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite». Perciò è un’istituzione neutra ma rivolta ad un fine ideologico anche se largamente accettato. Il secondo motivo è perché tale accostamento è errato in premessa: la giustizia non può essere considerata come un “servizio pubblico”, a meno di snaturare completamente il significato di essa. Il terzo motivo è che questo modo di intendere la scuola, l’insegnamento appiattisce tutto sulla nozione di servizio scolastico, senza aprire ad una conoscenza più ampia del fenomeno.
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sterno all’istruzione mentre la scuola statale realizzerebbe a pieno l’ideale della libertà attraverso la neutralità ideologica. Per questa via si chiarisce quale è il significato che si vuole attribuire al disposto dell’art. 33, comma 3, Cost. Nell’ottica che stiamo esprimendo in questo lavoro, la previsione contenuta in tale comma non avrebbe come suo fine quello di vedere una contrapposizione di classe attraverso istituzioni antitetiche. Posto che non è possibile disquisire in termini esclusivamente di diritto soggettivo attribuito a privati e a enti, occorre guardare alla prospettiva differente che introduce la previsione di questa norma all’interno di un contesto in cui la scuola è considerata come una formazione sociale necessaria per lo sviluppo della educazione e della cultura rendendo così effettiva la realizzazione della personalità che l’art. 2 Cost. richiede. Non si può non vedere, dunque, nella scuola il luogo di relazioni nelle quali un singolo aspetto è collegato con il tutto del fenomeno culturale205. È per questo che discorrere del diritto di istituire scuole come di una mera pretesa soggettiva appare riduttivo, perché tende a circoscrivere la nascita di una delle più importanti formazioni sociali entro l’ambito di una situazione soggettiva nata per soddisfare esigenze patrimoniali. L’uso di queste categorie difficilmente più servire per spiegare la complessità delle vicende che coinvolgono l’insieme delle relazioni che sorgono in questo particolare ambito. Merita di essere ripetuto, perciò, quanto si è già detto in precedenza. La scuola non può essere considerata semplicemente come un luogo dove si impartiscono nozioni, ma un luogo dove attraverso le nozioni si rende possibile lo sviluppo della personalità del discente e di ognuno di coloro che vi partecipano. In questa ottica è chiaro quale sia il più grande limite che è imposto ai privati nella istituzione delle scuole: garantire l’esistenza di un luogo deputato allo sviluppo della personalità individuale; promuovere la cultura e le manifestazioni del pensiero in termini di eguaglianza così che la persona, appartenente alle formazioni sociali come scuola e famiglia, possa essere messa in grado di comprendere i diversi rapporti che la legano all’ambiente politico, economico e sociale206. 205 Contra U. POTOTSCHNIG, Istruzione (diritto alla), cit., p. 97 esclude che la scuola possa essere considerata come una “comunità”, atteso che si tratterebbe di un servizio pubblico avente una complessità maggiore. 206 Questo modo di intendere è confermato dalla giurisprudenza costituzionale. In una dalle sue prime sentenze si può leggere (sent. n. 36/1958):
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Le interpretazioni
All’interno di questa stessa prospettiva credo che vada affrontato e risolto pure il problema del finanziamento della scuola privata. Un problema che avevo lambito in precedenza quando abbiamo analizzato la giurisprudenza in tema del art. 33, secondo comma, Cost. ma che ora dovrò affrontare in modo diretto. Si possono dare per assodate le ricostruzioni del significato della formula presente nell’inciso dell’art. 33, terzo comma, Cost. come pure il riconoscimento della “nebulosità interpretativa” creata da questa disposizione. Negli anni, infatti, si sono avvicendate letture molto diverse frutto di contrapposizioni non solo ideologiche ma anche politiche207. Vediamo allora quale posizione ha preso sul punto la Corte costituzionale e quali sono le argomentazioni presenti nelle sentenze emesse. Bisogna dare conto in anticipo che lo sviluppo della giurisprudenza intervenuta sul tema del finanziamento della scuola privata non ha mai riguardato tale tema in modo diretto. Salvo un caso, per altro non deciso, in cui era stata impugnata una legge regionale contenente misure a favore degli alunni delle scuole private, nelle altre occasioni la Consulta ha trattato tale tema in modo non diretto, ma sempre entro la cornice della giustificazione di misure indirette da cui si poteva evincere il divieto di trattare in maniera eguale scuola privata e scuola pubblica. Soprattutto nelle prime decisioni, la Corte ha affrontato il problema della legittimità costituzionale di alcune norme di legge che, prevedendo alcune provvidenze a favore degli alunni delle scuole pubbliche (trasporto e fornitura di libri gratuita), ne escludevano l’estensione a favore degli alunni delle scuole private. La sentenza più importante è la n. 36/1982 con la quale è stata dichia«L’istruzione è uno dei settori più delicati della vita sociale, in quanto attiene alla formazione delle giovani generazioni, le quali, da un lato perché rappresentano la continuità della Nazione, dall’altro perché l’inesperienza dell’età le espone maggiormente, abbisognano di più intensa protezione. Il diritto di istituire e gestire scuole private è dunque di quelli sui quali la cura dello Stato deve esercitarsi in modo più assiduo, con studio degli interessi - di natura non soltanto educativa e culturale - dei singoli e della collettività. E naturale quindi che, per tradizione, il patrio legislatore se ne sia preoccupato e continui a preoccuparsene». 207 Sul punto vedi le ricostruzioni di M. CROCE, Le libertà garantire dell'art. 33 Cost. nella dialettica irrisolta (e irrisolvibile?) individualismocomunitarismo, in Diritto pubblico, 3, 15, 2009, p. 910 e ss.; G. FONTANA, Art. 33, cit., p. 690 e ss.; Q. CAMERLENGO, Art. 33 (commento a), in Commentario breve alla Costituzione a cura di S. Bartole - R. Bin Padova, 2008, p. 339 e 340.
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rata infondata la questione sollevata dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana avverso una norma con la quale nel momento in cui veniva concesso il trasporto gratuito agli alunni della scuola dell’obbligo e delle scuole medie superiori, si escludeva dal beneficio coloro che frequentavano scuole private non autorizzate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato ad alunni a cui carico restavano le tasse di frequenza. Nel passaggio più importante di questa sentenza si legge che dalla garanzia costituzionale della libertà di scelta della scuola «non può certo dedursi l’obbligo della Repubblica di assumersi gli oneri eventualmente necessari per esercitarla, mentre non può correttamente sostenersi che sia la legge – nella specie regionale – a determinare un ostacolo di fatto nel momento in cui se ne lamenta la mancata rimozione ad opera della legge stessa208». La prima richiesta di inconstituzionalità era costruita sulla base della considerazione che la mancata estensione del trasporto pubblico per gli alunni delle scuole private abitanti in località in cui non esisteva una scuola statale metteva in pratica una misura “discriminatoria” a loro carico. Non si trattava – secondo quanto riporta il considerato in fatto – della richiesta di un finanziamento delle scuole private, ma solo di «apprestare un servizio sociale destinato a rimuovere eventuali ostacoli di carattere economico che possano impedire a tutti gli utenti di accedere alla istruzione». Su questo punto la Corte risponde dichiarando che in questo caso difetterebbe «quell’identità o quell’omogeneità dei termini messi a raffronto indipendentemente dalle quali non è ipotizzabile la violazione dell’art. 3 Cost». Di eguale tenore la risposta in merito alla estensione del medesimo servizio a favore di alunni che frequentano scuole, convitti ed istituti con tasse annuali di frequenza oltre una certa soglia209. L’orientamento giurisprudenziale sul
208
Corte cost., sent. n. 36/1982, punto n. 3 del c.i.d. Secondo i giudici costituzionali dal momento che si tratta di rimuovere un ostacolo di ordine economico, rappresentato dalla spesa per il trasporto, «non è irragionevole desumere dalla libera scelta dell’interessato, implicante la corresponsione di tasse di frequenza o rette di un determinato ammontare per fruire di un servizio scolastico cui è possibile accedere anche gratuitamente, quella disponibilità di mezzi che legittima, sul piano costituzionale e nell’ambito dell’intervento regionale, l’esclusione dalla provvidenza in esame», Corte cost., sent. n. 36/1982, punto n. 4 del c.i.d. 209
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Le interpretazioni
punto è stato poi ribadito successivamente con un’ordinanza del 1988210. L’indirizzo così formato è successivamente mutato con la approvazione della sentenza n. 454/1994. Questa volta ad essere impugnate non erano più leggi regionali. L’ordinanza di rinvio censurava la legge dello Stato che prevede la gratuità dei libri per la scuola elementare, ed in particolare quella norma che limita la fornitura gratuita dei libri di testo esclusivamente agli alunni delle scuole elementari statali e autorizzate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato. Bisogna subito dire che nella motivazione è esclusa già in avvio la somiglianza del caso in questione con quelli affrontati in precedenza. La differenza di posizione sta in un passaggio di questa sentenza in cui la Corte ricostruisce la natura della fornitura gratuita di libri affermandone il rapporto diretto con l’assolvimento dell’obbligo scolastico211. Secondo i giudici costituzionali, poiché «l’obbligo scolastico può essere adempiuto in modi diversi dalla frequenza delle scuole pubbliche o di quelle private abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale», è ingiustificatamente discriminatoria l’esclusione, per chi l’assolva in uno dei modi diversi da tale tipo di frequenza, dal godimento di «una provvidenza destinata non alle scuole bensì direttamente agli alunni e quindi in connessione con l’obbligo scolastico212» stesso. Rispondendo alle deduzioni mosse dall’Avvocatura dello Stato, la Consulta ha avuto modo di indicare due corollari di questo spostamento di baricentro “dalla scuola all’alunno”213, 210
Corte cost., ord. n. 668/1988: «non è irragionevole desumere dalla libera scelta dell’interessato, implicante la corresponsione di tasse di frequenza o rette di un determinato ammontare per fruire di un servizio scolastico cui è possibile accedere anche gratuitamente, quella disponibilità di mezzi che legittima, sul piano costituzionale e nell’ambito dell’intervento regionale, l’esclusione delle provvidenze suddette, previste nell’intento di rimuovere le condizioni di ordine economico che ostacolano l’esercizio del diritto allo studio». 211 Secondo la Corte «la fornitura dei libri di testo delle scuole elementari, come risulta testualmente dalla disposizione impugnata, è una provvidenza destinata direttamente agli alunni e quindi, come osserva il giudice rimettente, è considerata dal legislatore ordinario strettamente connessa all’assolvimento dell’obbligo scolastico, senza peraltro alcun riferimento alla capacità economica dello studente». Cfr. Corte cost., sent. n. 454/1994. 212 Cfr. Corte cost., sent. n. 454/1994, punto n. c.i.d. 213 Altri autori (G. PITRUZZELLA, Provvidenze alla scuola e provvidenze agli alunni: una distinzione per nuovi sviluppi del pluralismo scolastico, in
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che è il punto più rilevante ai nostri fini. Con il primo la Corte esclude che tale previsione possa contrastare con la norma che impedisce l’assunzione da parte dello Stato di oneri a favore delle scuole private. Scrivono i giudici costituzionali: «una volta che il legislatore ordinario, coerentemente con i principi propri dell’assistenza scolastica, ha previsto di destinare la fornitura gratuita dei libri di testo direttamente agli alunni (...) il comprendervi anche quelli che frequentino scuole meramente private non equivale alla assunzione di un onere da parte dello Stato in favore di dette scuole214». Con il secondo corollario, invece, si esclude l’altro ostacolo posto nella giurisprudenza dei primi anni Ottanta che in maniera apodittica escludeva provvidenze e gratuità di ogni genere a favore degli alunni delle scuole private a motivo del fatto che la frequenza di dette scuole sarebbe indice di una maggiore “capacità economica”. La Corte lo esclude alla radice richiamando il fatto che la disposizione impugnata «prescinde da ogni riferimento alla capacità economica dei destinatari della provvidenza»215. Le implicazioni di questa pronuncia sono, come si può facilmente intuire, moltissime. Non vi è solo una valorizzazione della libertà di scelta della scuola ma anche un diverso fondamento dello stesso pluralismo, in una ottica che porta immediatamente al centro lo studente e non la scuola. In particolare mi pare di poter aderire a quell’orientamento che ha colto in tale pronuncia il passaggio ad una concezione nuova della scelta scolastica, non più considerata semplicisticamente come espressione della maggiore capacità economica, ma come «preferenza di una formazione sociale con certe caratteristiche entro cui svi-
Giurisprudenza costituzionale, 1, 1995, p. 584) parlano di un “diverso punto di prospettiva” per indicare più nello specifico la torsione argomentativa che in quest’ultima pronuncia si realizzerebbe sull’obbligo scolastico anziché sulla provvidenza in sé considerata. 214 Cfr. Corte cost., sent. n. 454/1994, punto n. 5 c.i.d. 215 Secondo i giudici costituzionali «anche a voler ammettere, in via di pura ipotesi, che l’iscrizione presso scuole meramente private, diverse da quelle altrettanto private ed anch’esse onerose per gli utenti - abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale (agli alunni delle quali la disposizione impugnata pur riconosce, come agli alunni di quelle pubbliche, il diritto alla prestazione) costituisca di per sé indice di maggiore capacità economica, questa non potrebbe giustificare la diversità di trattamento, perché tale condizione non è presa in considerazione dalla legge». Cfr. Corte cost., sent. n. 454/1994, punto n. 5 c.i.d.
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luppare la personalità dell’alunno216». Ancora una volta, dunque, torniamo all’identificazione di un fascio di diritti compresi entro relazioni motivate dall’appartenenza ad una formazione sociale determinata. Non posso in questa sede approfondire il seguito di tale giurisprudenza. Basterà solo richiamare che negli anni successivi, dopo il cambiamento di prospettiva segnato da tale pronuncia, il tema del finanziamento della frequenza delle scuole private ha subito un’evoluzione notevole. Le linee di sviluppo sono state essenzialmente due. Da un lato, gli interventi regionali sul tema dell’assistenza scolastica che hanno continuato a proliferare in numerose regioni217 e, dall’altro, il riconoscimento di un contributo economico alle scuole che dopo l’approvazione della legge n. 62/2000218 sono divenute parte del “Sistema nazionale di istruzione”, acquisendo la condizione di “scuole paritarie”219. La Corte costituzionale, tra l’altro, si è occupata di questa legge direttamente in un unico caso, chiamata a giudicare dell’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo di alcune delle norme contenute nella legge n. 62/2000. La sentenza che dichiara inammissibile la richiesta referendaria per la contraddittorietà nella scelta delle norme da applicare220, affronta solo de relato il tema del finanziamento con un chiaro riferimento tuttavia all’orientamento espresso nella precedente sent. n. 454/1994221. Terminato l’esame di questo particolare esempio di disposizione che riconosce una sfera particolare di libertà alle perso216
Una scelta protetta perché ha che fare con la decisione per una determinata comunità a cui appartenere. Cfr. G. PITRUZZELLA, Il pluralismo della scuola e nella scuola, in I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, a cura di R. BIN, C. PINELLI, Torino, Giappichelli, 1996, p. 229. 217 Una descrizione del fenomeno si può trovare in E. LONGO, Regioni e diritti, cit. 218 Legge 10 marzo 2000, n. 62, titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”. 219 La legge sulla parità scolastica e la successiva (n. 289/2002) pongono il tema del finanziamento della scuola privata in termini nuovi, avendo esplicitamente previsto, nell’ottica della costruzione di uno statuto generale della scuola pubblica (statale, degli enti locali e privata paritaria), l’erogazione di contributi mediante “borse di studio” a favore degli iscritti alle scuole rientranti nel sistema nazionale dell’istruzione. 220 Sul tema v. le considerazioni di A. POGGI, Verso il superamento della distinzione pubblico-privato nell'offerta formativa?, in Quaderni costituzionali, 2, 23, 2003, p. 380 e ss. 221 Cfr. Corte cost., sent. n. 42/2003, punto n. 3 del c.i.d.
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ne all’interno di una formazione sociale proviamo a fare un bilancio di quanto abbiamo tratto dall’esame svolto. Il primo elemento di valore si trae dalla vicenda appena descritta, relativa al significato da dare alla formula “senza oneri per lo stato”. Il percorso giurisprudenziale fissato ci ha aiutati a capire che questo divieto non può essere considerato in maniera astratta ma deve essere valutato in concreto. Se all’apice del nostro ordinamento vi è lo sviluppo della persona umana anche nella lettura della norma contenuta nell’art. 33, terzo comma, Cost. non si può prescindere da esso. La torsione interpretativa compiuta dalla Corte – libertà e tutela dello studente – dimostra che il divieto di finanziamento non si può porre in maniera assoluta ed astratta, ma attende una continua verifica storica del fatto concretamente determinato. Quando alla prospettiva che parte dal dato astratto si sostituisce una diversa prospettiva che parte dal dato concreto, è possibile porre in relazione gli interessi sottesi alla situazione di fatto e attribuire la preferenza a quello che, secondo l’ordine gerarchico dell’ordinamento, è espressione di un valore di grado superiore222. Nella prospettiva esaminata il percorso descritto ha un altro pregio molto utile per capire la natura relazionale dei diritti sociali. La giurisprudenza costituzionale ha riqualificato la natura del diritto di istituire scuole sia togliendolo dall’angolo della qualificazione economica sia mostrandone tutto il nesso con la libertà di educazione, così che la libertà di scelta della scuola non è più vista in termini “aristocratici” come una eccezione all’art. 3 Cost., ma come un interesse che riguarda tutta la comunità. Si capisce allora che il cambiamento di strada ha consentito un alleggerimento del significato della libertà della scuola a tutto vantaggio dell’assicurazione del percorso educativo dello studente. L’ultimissimo aspetto da sottolineare coglie ancora più in profondità il rapporto che c’è tra questo settore e il filo conduttore di queste pagine. L’overruling giurisprudenziale in materia di scuola e i cambiamenti successivi nella legislazione statale e regionale descrivono un nuovo modo di concepire il pluralismo scolastico. Se nei tempi meno recenti ci si poteva accontentare di una lettura della libertà dei privati di istituire scuole come un 222
Solo quando è stato collocato entro questa prospettiva il tema del divieto del finanziamento ha perso tutta la sua astrattezza, tanto che la Corte ha potuto stimare il comportamento statale non come una violazione o una eccezione di esso.
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Le interpretazioni
corollario della libertà di istruzione, rivolta a dare corpo alla pretesa di dare alla scuola un orientamento predeterminato, nei tempi attuali ha preso corpo un diverso modo di concepire il rapporto tra istruzione statale e privata, nel quale è fondamentale conciliare tre binomi: libertà di scelta e mantenimento di un’offerta plurale, libertà di insegnamento del docente e libertà di orientamento della scuola, divieto di finanziamenti ed eguaglianza degli studenti. 4.4 Assistenza Il quarto esempio di una sfera di libertà che non richiede necessariamente un intervento positivo o una particolare forma di astensione delle istituzioni pubbliche, ma che si concretizza nel riconoscimento di un insieme di relazioni da tutelare, si trova nel settore dell’assistenza. La disposizione costituzionale che invera la garanzia suddetta è l’ultimo comma dell’art. 38 Cost., il quale prescrive la libertà dell’«assistenza privata». L’analisi di questo articolo della Costituzione mostra alcuni aspetti molto simili a quelli che si sono visti nei precedenti punti. Pur non venendo meno alla necessità che in uno Stato sociale siano le istituzioni pubbliche a doversi occupare delle provvidenze a favore dei bisognosi di assistenza, l’art. 38 Cost. sancisce il diritto dei privati ad istituire liberamente enti di assistenza. Come accade per la scuola, infatti, anche per l’assistenza la Costituzione nega il monopolio aprendo alla possibilità di una sfera di libertà cui i privati possono accedere per soddisfare i propri bisogni. Non si può mancare, anche qui, di sottolineare il legame tra questa previsione e una disposizione della parte seconda della Costituzione, in particolare l’art. 118, ultimo comma, così come modificato dalla riforma costituzionale del 2001223. 223
Già alcuni autori hanno svolto con interessanti risultati indagini circa i cambiamenti generati dal nuovo art. 118, comma 4, Cost. sul tema dell’assistenza sociale. Vedi su tutti R. CAMELI, La categoria giuridica dei servizi sociali tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo, in Dir. amm., 4, 2006, p. 903 e ss.; L. ANTONINI, 'Taking subsiadirity seriously'. Verso i nuovi diritti sociali, in Rivista di diritto finanziario e scienze delle finanze, 2005, p. 551 e ss.; L. VIOLINI (cur.), L'attuazione della sussidiarietà orizzontale in Lombardia, Milano, Giuffrè, 2004, passim; A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit., pp. 537 e ss.
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La Corte costituzionale ha usato questa norma come parametro soltanto in poche occasioni, sottolineando la specificità della disciplina dell’assistenza che da essa deriverebbe224. La prima occasione per occuparsi del tema è stata nel 1972, con la sent. n. 139, in cui vi era questione relativamente al contenuto della materia concorrente “beneficenza pubblica”225. La Corte decise di escludere la competenza regionale su un certo tipo di soggetti privati che operano nel settore della beneficenza. Per farlo i giudici costituzionali si riferirono espressamente alla norma contenuta nell’ultimo comma dell’art. 38 Cost., seguendo un ragionamento che può essere così sintetizzato: se la Costituzione prevede la libertà dell’assistenza privata, le istituzioni private di assistenza caratterizzate dal particolarismo degli scopi che trovano una regolazione esclusivamente nel codice civile non possono rientrare nella nozione di “beneficenza pubblica”; dunque, ad esse deve applicarsi un regime di controllo pubblico più tenue di quello previsto per le I.P.A.B.226. La seconda volta in cui la Corte ha utilizzato il parametro dell’art. 38, quinto comma, è nella causa poi decisa con la sent. n. 173/1981227. In un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale la Corte costituzionale era chiamata a giudicare della legittimità dell’art. 25 del d.lgs. n. 616/1977 contenente il cd. secondo trasferimento di funzioni amministrative alle regioni
224
Nei casi più importanti l’esame da parte del giudice costituzionale si è concentrato sulla legge “Crispi” (legge n. 6972/1890) che aveva proceduto a trasformare in enti pubblici - le I.P.A.B. (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) - tutte le istituzioni private aventi scopo di assistenza e beneficenza. In tutti i casi l’accesso alla Corte è avvenuto per la via principale, principalmente attraverso ricorsi da parte delle regioni contro leggi dello Stato. Per una panoramica dei problemi connessi vedi A. SIMONCINI, E. LONGO, Servizi sociali, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, a cura di G. CORSO, V. LOPILATO, II, Milano, Giuffrè, II, 2006, p. 230. 225 Le regioni Lombardia, Puglia ed Emilia-Romagna avevano impugnato il d.lgs. n. 9/1972 nella parte in cui prevede che spetti allo Stato e non alle regioni la disciplina dei “comitati di soccorso ed altre istituzioni private di beneficenza operanti nel territorio regionale”. 226 Cfr. Corte cost., sent. n. 139/1972, punto n. 5 del c.i.d.. Nel medesimo passaggio la Corte ricorda che già «la legge fondamentale del 1890, nell’art. 2, riferendosi alla fenomenologia del tempo, dichiarava espressamente sottratti alla disciplina da essa dettata» i comitati di soccorso ed altre istituzioni temporanee, in ragione del loro carattere precario, le fondazioni private e le associazioni particolari. 227 Su tale sentenza vedi le osservazioni di S. BARTOLE, Impressioni sulla sentenza concernente le I.P.A.B., in Le Regioni, 6, 1981, p. 1332 e ss.
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operato in attuazione del titolo V della Costituzione228. Anche in questo caso la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma contenuta nell’art. 25 per eccesso di delega. Secondo i giudici costituzionali operare il riordino delle I.P.A.B. all’interno del decreto di trasferimento delle funzioni andava oltre le previsioni della legge di delega del 1975. La ragione della violazione del parametro interposto è costruita soprattutto attraverso il riferimento all’art. 38, quinto comma, Cost. In un passaggio - poi divenuto molto noto perché ripreso successivamente da altre pronunce - i giudici costituzionali si appellano a quest’ultima norma per giustificare la necessità di inserire una riforma complessiva di questi enti nel contesto più ampio di una riforma dell’intera materia dell’assistenza229. Il terzo caso di utilizzo come parametro dell’art. 38, quinto comma, Cost. risale al 1988230. Quest’ultima sentenza assume un importanza notevole ai fini del riconoscimento della libertà dell’assistenza privata, tanto da potersi affermare che in realtà è solo dopo tale momento che l’ultimo comma dell’art. 38 Cost. ha ricevuto piena attuazione231. La sentenza riconosce pieno valore a quest’ultimo principio abrogando la norma che pubblicizzava obbligatoriamente tutti gli enti di beneficenza. Quanto alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 38 la Corte, in linea con quanto affermato in precedenza (in partic. sent. n. 173/1981), la Corte ricorda che tale articolo riconoscendo «la libertà dell’assistenza privata e conformando l’intero sistema costituzionale dell’assistenza ai principi pluralistici, sancisce il diritto dei privati di istituire liberamente enti di assistenza e, consequenzialmente, quello di vedersi riconosciuta, per tali enti,
228
Le censure riguardavano in particolare la norma che inseriva all’interno del decreto di trasferimento delle funzioni anche il riordino delle I.P.A.B., mediante l’affidamento delle funzioni di controllo, di vigilanza ai comuni e di gestione del personale, con la possibilità in concreto di chiudere queste istituzioni. 229 In particolare la Consulta afferma che «dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, intraprendere una riforma del sistema, come è configurato dalla legge Crispi, comporta che si faccia debito conto dei precetti contenuti negli artt. 18, 19, 33 e 38 della Carta costituzionale e che sia affrontato, alla luce dell’art. 38, ultimo comma, il tema del pluralismo delle istituzioni in relazione alle possibilità di pluralismo nelle istituzioni...». 230 Corte cost., sent. n. 396/1988. 231 Dal punto di vista giuridico la pronuncia della Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 1 della legge Crispi per contrasto con il principio della libertà dell’assistenza privata.
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una qualificazione giuridica conforme alla propria effettiva natura». Per effetto della entrata in vigore della Costituzione, dunque, si é realizzata una “inversione di tendenza”, nel senso del superamento del principio di pubblicizzazione generalizzata per realizzare quel sistema di «pluralismo delle istituzioni in relazione alla possibilità di pluralismo nelle istituzioni»232, già auspicato dalla sentenza n. 173/1981 e che tanto le interpretazioni dottrinarie quanto le prassi applicative avevano puntualmente colto233. L’ultima rilevante occasione in cui la giurisprudenza costituzionale ha utilizzato il parametro dell’art. 38 u.c. è contenuta nella sentenza n. 466/1990; la Corte conferma quanto detto in precedenza, sottolineando ancora di più il carattere particolare delle I.P.A.B. ed il riferimento per la loro disciplina all’esigenza del pluralismo istituzionale presente nel nostro ordinamento in materia di assistenza. Le sentenze riportate segnano i passaggi del percorso che si è tentato di descrivere. L’esistenza di una libertà a favore delle persone con riferimento a certe tipologie di formazioni sociali ha consentito di intervenire anche in quelle materie nelle quali per motivi storici la presenza di un forte interesse pubblico imponeva di affermare la legittimità di associazioni coattive. Tale riconoscimento esclude non solo in via teorica ma anche nei fatti il principio del monopolio dello Stato sulle attività indirizzate a fini di interessi generale234. È per questo che è illegittimo 232
Sul punto vedi le osservazioni di: U. DE SIERVO, La tormentata fine delle IPAB, in Giur. cost., 3, 1988, pp. 1757 e ss.; P. CAVALERI, L'assistenza tra disciplina pubblica e libertà dei privati, Milano, Giuffrè, 1992, spec. p. 18 e ss; G. CIOCCA, Le I.P.A.B. oggi: verso la privatizzazione?, in Giur. it., 12, 1990, p. 530 e ss. 233 Sul punto, già prima della sentenza, U. DE SIERVO, Assistenza e beneficenza pubblica, in Dig. disc. pubbl, Torino, 1987, p. 454 e ss. aveva fatto notare che negli anni ‘80 si stava diffondendo sempre più sia a livello nazionale che regionale una prassi basata sull’esercizio dell’art. 38 u.c. di “desuetudine della prescrizione contenuta negli artt. 1 e 2 della legge 6972/1890 di creazione di nuove Istituzioni di assistenza e beneficenza in corrispondenza di iniziative di assistenza e beneficenza promosse da privati e minimamente stabili e strutturate”. Lo stesso autore già in precedenza aveva affrontato il tema in U. DE SIERVO, Le trasformazioni della legislazione in tema di I.P.A.B., in Giur. cost., 2, 1985, p. 269 e ss. 234 L. FERRARA, Enti pubblici ed enti privati dopo il caso I.P.A.B.: verso una rivalutazione del criterio "sostanziale" di distinzione?, in Riv. trim. di dir. pubbl., 2, 1990, p. 446 e ss.s
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un ipotetico potere del legislatore di disporre l’estinzione di enti associativi privati ovvero di limitare il diritto delle associazioni private operanti nel settore dell’assistenza di sottrarsi ad un regime di obbligatoria pubblicizzazione235. Non è un caso che, seppure con difficoltà e percorsi non sempre lineari236, questa legislazione ha subito negli anni successivi una potente azione di riforma sia da parte del legislatore nazionale sia da parte del legislatore regionale237, frutto anche dell’attribuzione – a seguito della riforma del Titolo V – della materia “assistenza sociale” alla potestà residuale regionale238. 5. RELAZIONI TRA PERSONE E ISTITUZIONI INCARICATE DI EROGARE UNA DETERMINATA PRESTAZIONE (RECTIUS DI RIMUOVERE UN OSTACOLO...) Con questa categoria di relazioni intendo mettere in evidenza tutti quei rapporti giuridici di tipo verticale che si posso rintracciare all’interno della Costituzione nei quali le persone 235
F. RIGANO, La libertà assistita, Padova, Cedam, 1995, p. 27 e 28. Per questa sottolineatura L. VIOLINI, Art. 38, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 792. 237 Dopo l’emanazione del d.p.c.m. 16.2.1990 («Direttiva alle Regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle I.P.A.B. di carattere regionale e infraregionale) sono seguiti l’art. 128, d.lgs. 112/1998, che ha ridefinito la materia dei servizi sociali e la legge quadro sull’assistenza n. 328/2000 e, infine, il d.lgs. 207/2001 con cui sono stati delineati i principi e i criteri direttivi volti alla “riprivatizzazione” degli enti in questione. Con la trasformazione in associazioni o fondazioni le I.P.A.B. diventano «persone giuridiche di diritto privato senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale, e perseguono scopi di utilità sociale utilizzando tutte le modalità consentite dalla loro natura giuridica». Su tali aspetti vedi A. ARGENTATI, Il riordino del sistema delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, in Giorn. dir. amm., 12, 2001, p. 1211 e ss. Per una panoramica della legislazione regionale in materia di assistenza vedi F. DI LASCIO, La legislazione regionale in materia di assistenza sociale dopo la riforma del Titolo V, in Giorn. dir. amm., 7, 2003, p. 679 e ss. 238 Sulla materia dell’assistenza e dei servizi sociali dopo la riforma costituzionale del 2001 si veda: G. MELONI, Il nuovo assetto costituzionale delle competenze e la legislazione di settore in materia di assistenza sociale, in Nuove Autonomie, 3, 2002, p. 337 e ss.; A. SIMONCINI, E. LONGO, Servizi sociali, cit., p. 234 e ss. Per la giurisprudenza più recente vedi A. ANZON DEMMING, Potestà legislativa residuale e livelli essenziali delle prestazioni, in Giur. cost., 1, 2010, p. 155 e ss.; E. LONGO, I diritti sociali al tempo della crisi. La Consulta salva la social card e ne ricava un nuovo titolo di competenza statale, cit., p. 164 e ss. 236
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divengono titolari di una pretesa a che lo Stato o altre istituzioni pubbliche eroghino un particolare bene o un servizio di natura sociale. Lo scopo di queste pretese è intimamente connesso all’obiettivo di rimozione quegli «ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2, Cost.). Prenderò in esame quattro aree: famiglia, salute, scuola e assistenza. 5.1 Famiglia L’art. 31 Cost. è interamente dedicato alla previsione di norme che garantiscono il favor familiae, attraverso la previsione di provvidenze di natura economica, istituti dedicati a tale scopo e altre misure. Secondo questo articolo la Repubblica è impegnata su un duplice fronte: a) quello della agevolazione della formazione della famiglia e dell’adempimento dei relativi obblighi, con particolare riguardo alle famiglie numerose; b) quello della protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù per mezzo di una strategia di intervento pubblico intesa a favorire gli istituti necessari a tale scopo. Le previsioni in questione mostrano chiaramente l’intento di dare una tutela del tutto particolare all’istituzione della famiglia, attraverso una serie di direttive generali che non possono essere ridotte a semplici aspetti politico-programmatici239. L’art. 31 supera la mera idea di individuare un regime assistenziale particolare per la famiglia che non consideri la libertà di questa come formazione sociale originaria. Il primo comma di questo articolo stabilisce, infatti, un preciso dovere per la Repubblica di favorire la famiglia, attraverso l’incoraggiamento dei cittadini sia nella direzione della formazione di questa sia nel successivo adempimento dei compiti relativi, con una particolare garanzia dei nuclei familiare di numero maggiore; mentre il secondo comma, con un lessico molto simile ad altri articoli (cfr. per es. l’art. 9 Cost.), prevede una particolare garanzia per tre momenti o status particolari in cui la 239
M. BESSONE, Art. 29, cit., p. 135 e 136.
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persona si può trovare (maternità, infanzia, gioventù) attraverso azioni intese a favorire gli istituti necessari a tale scopo. È evidente la differenza concettuale tra la protezione realizzata attraverso la creazione di istituti rivolti a tale scopo e il mero “favorire”, che denota sia un minore impegno statale sia una correlata garanzia del potere di ciascuno di rispondere liberamente ai bisogni che sorgono in questi particolari momenti della vita. La scelta per la tutela costituzionale di azioni che non limitassero la libertà della famiglia, ma che allo stesso tempo garantissero in che modo i diritti della famiglia sarebbero stati protetti nell’ordinamento repubblicano, è stata oggetto di una attenta ponderazione240. Non si deve inoltre dimenticare che le disposizioni dell’art. 31, comma 2, Cost. sono alla base di altre disposizioni costituzionali che ne integrano e specificano il significato: l’art. 32 riguardo alla tutela della salute collettiva, l’art. 34 in tema di diritto allo studio, l’art. 36 sulla giusta retribuzione, l’art. 37 relativamente alla funzione della donna nella famiglia. In tutti questi casi la protezione della famiglia emerge come necessità storica che si lega alla trasformazione delle istituzioni sociali e alla garanzia della rimozione degli ostacoli che impediscono la piena eguaglianza tra le persone (art. 3, comma 2)241. Al di là di possibili riduzioni a mere previsioni di tipo programmatico, le norma contenuta nell’art. 31 Cost. è stata ritenuta anche dalla Corte costituzionale come direttamente efficace tanto nei rapporti tra cittadino e istituzioni pubbliche quanto nei rapporti tra privati. In questo senso quanto dirò anticipa un argomento che verrà trattato più avanti. Le prime decisioni scelte riguardano i giudizi in cui la Corte ha usato come parametro il primo comma dell’art. 31, verificando nello specifico i casi in cui nelle leggi si riscontrava il rispetto del principio costituzionale che impone di “agevolare la formazione della famiglia”. Di 240
La scelta di usare solo il verbo favorire e di non aggiungere a questo anche la previsione che compito della Repubblica fosse anche quello di “istituire enti rivolti a questo scopo” è frutto di un dibattito molto intenso avvenuto in Assemblea Costituente, al termine del quale fu preferita la formulazione attuale di questo articolo che evitava - secondo i Costituenti stessi - di spingere troppo innanzi l’ingerenza statale nell’attuazione degli istituti a difesa della maternità, dell’infanzia e della gioventù. Su questi aspetti v. il lavoro ricostruttivo svolto da L. CASSETTI, Art. 31, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 643. 241 Cfr. M. BESSONE, Commento agli artt. 30 e 31 della Costituzione, cit., p. 137-138.
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fronte alla deduzione del contrasto tra la norma che prevedeva la durata quadriennale del contratto di affitto e la disposizione del primo comma dell’art. 31 Cost., la Consulta ha precisato che, per essere contraria a quest’ultima, una disposizione di legge deve contenere misure direttamente incidenti con la formazione della famiglia. Non si può asserire l’incostituzionalità di una disposizione solo perché essa può avere un riflesso indiretto ed eventuale sulla formazione della famiglia, occorre «un nesso di stretta consequenzialità tra il fatto considerato e la formazione della famiglia e non soltanto una possibile mera influenza di carattere indiretto e riflesso242». L’attività della Corte non si è rivolta solo verso il riconoscimento dell’estrema discrezionalità da attribuire al legislatore in questa materia, ma ha fissato pure i termini del sindacato di costituzionalità. In una sentenza successiva in tema di pensioni minime riconosciute ai pubblici dipendenti i giudici costituzionali, pur ribadendo che una norma di legge può essere dichiarata incostituzionale solo se ha un effetto negativo diretto sulla possibilità di formare una famiglia, hanno ribadito che spetta ad essi valutare la bontà del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco243. Di eguale tenore sono anche altre sentenze, come quella che esclude l’incostituzionalità rispettivamente della normativa sulla presunzione muciana nel caso di coniugi che hanno optato per il regime della separazione dei beni244, ovvero alcune sentenze che escludono l’illegittimità della mancata estensione di particolari benefici previdenziali previsti per le donne anche agli uomini245, ovvero ancora le sentenze che e242
Cfr. Corte cost., sent. n. 252/1983, punto n. 7 del c.i.d. Cfr. Corte cost., sent. n. 329/1990, punti n. 3 e 4 del c.i.d. 244 Cfr. Corte cost., sent. n. 286/1995, punto n. 10 del c.i.d. dove la Consulta ha precisato che sebbene l’art. 31 della nostra Costituzione non si limiti ad impegnare la Repubblica ad interventi di promozione sociale a tutela della famiglia, ma implica altresì il divieto per il legislatore di introdurre discipline sfavorevoli alla famiglia stessa deve essere precisato che «da ciò non discende tuttavia l’illegittimità costituzionale anche di quelle norme che - in un equilibrato bilanciamento di interessi contrapposti - pongano a carico dei coniugi oneri giustificati e non pregiudizievoli ai delicati compiti che la famiglia assolve anche nell’interesse sociale». 245 È il caso della sent. n. 374/1989 nella quale si legge che «spetta alla discrezionalità del legislatore, con la salvaguardia dei valori costituzionali, apprestare le misure atte ad agevolare l’adempimento, da parte dei coniugi, dei loro compiti nella famiglia, e di valutare i riflessi della disciplina degli aspetti economici, eventualmente implicati, in relazione all’osservanza del principio di parità. In questa linea assume particolare rilievo il già ricordato precetto posto 243
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scludono la incostituzionalità delle norme che vietano di attribuire la pensione di reversibilità quando la differenza di età tra i coniugi supera i venti anni246. Il rispetto della discrezionalità del legislatore è usato in senso diverso da questi precedenti nel caso della giustificazione del divieto di licenziare lavoratrici per causa di matrimonio (rectius lavoratrici sposate da meno di un anno)247. Tracce dell’attività della Corte indirizzata a correggere eventuali disparità contenute all’interno delle leggi sono risconin materia di lavoro femminile dall’art. 37 della Costituzione, che ha affermato l’“essenziale funzione familiare” della donna. Peraltro, tale funzione non deve impedire la piena realizzazione della donna in correlazione ad attività da esplicare, a parità dell’uomo, al di fuori della famiglia, sì da non circoscrivere soltanto in quest’ambito risorse preziose». Per questa ragione, in quanto diretta ad agevolare tale scelta, la norma impugnata non si poneva in contrasto né con l’art. 29, secondo comma, né con l’art. 31, primo comma, della Costituzione, giacché il beneficio da essa attribuito alle impiegate statali (e non agli impiegati) non era irragionevole o discriminatorio, ma era «giustificato dal perseguimento di un valore costituzionalmente protetto, a fronte del quale appare di mero fatto il pregiudizio lamentato, come tale inidoneo ad avere rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale». 246 Cfr. Corte cost., sent. n. 3/1975. Qui la Corte afferma un principio molto interessante ai nostri fini: «La libertà di formare una famiglia non può ritenersi concretamente limitata dal ridimensionamento di una mera aspettativa, futura ed incerta, come quella di conseguire una pensione di reversibilità. L’istituto della famiglia, costituzionalmente tutelato, ha contenuti e risponde a scopi etico-sociali più pregnanti di quello che sarebbe dato rinvenire in un rapporto istituito con finalità così limitate e ristrette». 247 Nei casi che abbiamo analizzato la Consulta giustifica questa previsione del tutto particolare alla luce dell’interesse collettivo espresso dall’art. 31, comma 1, che sia favorita la formazione della famiglia legittima fondata sul matrimonio. Nella sent. n. 27/1969 la Corte afferma in linea con l’indirizzo espresso che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire un regime preferenziale di garanzia di conservazione del lavoro in favore di determinate categorie (nella specie le donne appena sposate) tutte le volte in cui sussistano motivi che lo giustifichino. Nel caso in esame i giudici riconoscono che la legge è sorretta da «ragioni che trovano valido riscontro nella realtà sociale e nella Costituzione». Si tratta in particolare della previsione degli artt. 31 e 37 Cost. La tutela contro i licenziamenti è alla base pure di un altro giudizio, reso nella sent. n. 46/1993, nella quale la Corte dichiara ancora una volta l’infondatezza della questione di incostituzionalità delle disposizioni dell’art. 1 della legge n. 7/1963. Queste norme, secondo i giudici costituzionali, sarebbero escluse da un giudizio di manifesta eccessività di tutela del diritto al matrimonio e alla creazione di una famiglia sia per un interesse individuale (sotto forma di diritto fondamentale) sia per un interesse pubblico, tutelato nella specie dall’art. 31 Cost., a che sia favorita la formazione della famiglia legittima fondata sul matrimonio (tenuto conto della limitatezza della durata del divieto di licenziamento).
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trabili anche in altre sentenze. In riferimento al settore dell’assistenza e previdenza è significativa la pronuncia con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale le disposizioni sugli assegni familiari in ragione della violazione dei precetti costituzionali che garantiscono la tutela della famiglia e l’attuazione dei suoi compiti248. Tale previsione, nella sua originaria versione, negava la qualifica di capo famiglia, con il diritto agli assegni familiari per fratelli o sorelle a carico, al figlio lavoratore di genitori disoccupati senza indennità. Particolarmente degna di nota ai nostri fini l’ultima frase con cui si chiude la motivazione di questa sentenza. La Corte trova una ragione di particolare gravità nell’esclusione di tali soggetti dalla percezione degli assegni familiari, in quanto essi sono tenuti per legge (artt. 433 e 441 del codice civile) al mantenimento dei propri familiari che versano in stato di bisogno (es. fratelli e sorelle minori)249. Il giudizio sulla base dell’art. 31 è alla base pure di altre dichiarazioni di incostituzionalità di norme fondate su considerazioni divenute poi anacronistiche, come quelle legate alla disparità di trattamento della donna all’interno della famiglia. Il caso più eclatante riguardava le norme in base alle quali, al fine di individuare i soggetti passivi dell’imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, i redditi della moglie dovevano cumularsi con quelli del marito e per cui sul reddito complessivo così formato l’imposta è applicata con aliquota progressiva. La Corte, nel dichiarare incostituzionale queste norme, ha individuato due principi essenziali nella tutela della famiglia rivolti ambedue a sottolineare il principio di una tutela egualitaria dei coniugi all’interno della famiglia250. 248
Cfr. Corte cost., sent. n. 42/1990. La norma dichiarata incostituzionale era contenuta nell’art. 3, secondo comma, lett. a) del d.P.R. 30 maggio 1970, n. 797 (Testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari). 249 Come a dire che la legge non può negare di riconoscere un diritto laddove esso si può considerare legato ad un corrispondente obbligo. 250 Il primo è che così congegnata tale normativa tributaria «non “agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” ed anzi dà vita per i nuclei familiari legittimi e nei confronti delle unioni libere, delle famiglie di fatto e di altre convivenze familiari, ad un trattamento deteriore». Il secondo riguarda il fatto che «la mancata tutela egualitaria dei coniugi non è il riflesso o il correlato della esistenza di norme dettate a garanzia dell’unità familiare. Ché anzi è possibile riscontrare, anche per la normativa risultante dalla riforma tributaria, una scelta di politica legislativa che anche a non volerla ritenere in contrasto con gli interessi tutelati dall’art. 31 della Costituzione, di certo non può dirsi dettata in
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Un altro ampio numero di decisioni della Corte costituzionale riguardano il rispetto della previsione dell’art. 31, secondo comma, Cost. in materia di protezione della “maternità”. L’uso di questo parametro, sommato all’art. 37 Cost., ha consentito alla Corte di rendere la disciplina sui congedi più corrispondente ai mutamenti della realtà sociale, tutelando non già solo la funzione familiare rispetto agli altri ambiti ma anche la condizione particolare della donna-lavoratrice251. La giurisprudenza della Corte costituzionale, come poteva immaginarsi, ha inoltre influenzato molto il legislatore, portandolo a riformare più volte la disciplina dei congedi parentali252. L’evoluzione normativa di questi istituti è fortemente debitrice nei confronti della corposa ed incisiva opera della Corte costituzionale che in molte occasioni ha fornito un apporto determinante per adeguare alla Costituzione le disposizioni relative alla tutela della maternità253. Lasciando ad altri l’onere di ripercorrefavore della famiglia legittima». Cfr. Corte cost., sent. n. 179/1976, punto n. 9 del c.i.d. 251 L. CASSETTI, Art. 31, cit., p 647. 252 Su tale tema v. le considerazioni di R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2, 2000, p. 149 e ss. 253 A partire dalla sent. n. 1/1987 che ha molto condizionato l’evoluzione legislativa successiva. Tuttavia già prima di questo periodo il legislatore aveva già disciplinato il tema della maternità in attuazione delle disposizioni costituzionali. La prima legge ad essere approvata è la l. 26 agosto 1950, n. 860 («Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri»), che ampliava di molto le prerogative della madre lavoratrice, ma che presentava anche dei punti critici, amplificati peraltro da interpretazioni restrittive della giurisprudenza (M.V. BALLESTRERO, Maternità (ad vocem), in Dig. disc. priv., Sez. comm., IX, Torino, 1993, p. 328 e ss.). A questa legge aveva fatto seguito la l. 30 dicembre 1971, n. 1204 («Tutela delle lavoratrici madri»), con la quale si è avuta la completa definizione legislativa delle tutele a favore della maternità, basate su quattro principi cardine: il divieto di licenziamento; l’astensione dal lavoro, diversificata in dipendenza della vicinanza al parto; il trattamento economico e la tutela della salute. A queste va aggiunta la l. 9 dicembre 1977, n. 903 («Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»), che è fondamentale per due motivi: innanzitutto perché ha allargato l’ambito di applicazione di alcune disposizioni dalla filiazione naturale all’adozione, e poi perché per la prima volta ha introdotto alcune previsioni a vantaggio del padre lavoratore. Occorre pure menzionare che la disciplina di questi eventi era compresa anche all’interno della tutela apprestata dall’art. 2110 del codice civile. A queste norme (che riguardavano le lavoratrici subordinate) hanno fatto seguito, ad una certa distanza, la l. 29 dicembre 1987, n. 546, che disciplina l’indennità di maternità per le lavoratrici autonome, e la l. 11 dicembre 1990, n. 379, che riguarda, per la stessa materia, le libere professioniste. Il punto di arrivo di questa evoluzione è, allo stato, la l. 8 marzo 2000, n. 53 («Disposizioni per il
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re il percorso giurisprudenziale segnato dalla Corte costituzionale, mi concentrerò sul maggiore risultato che questa giurisprudenza ha raggiunto, ovvero quello di aver completamente riconformato i principi della legislazione a tutela della maternità. Queste sentenze hanno individuato in altri valori concorrenti il centro di questa disciplina, non centrata più solo sulla tutela della salute della donna e la condizione della madre ma anche sulla protezione del bambino, ed in particolare della sua capacità relazionale254. Le sentenze che maggiormente esprimo l’approdo giurisprudenziale verso un nuovo modo di considerare la maternità sono le recenti n. 285/2010 e 116/2011255. La transizione da una tutela meramente incentrata sulla donna, in quanto “lavoratrice” sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città»), in forza della quale (art. 15) è stato emanato il d.lgs. n. 151 del 2001 (14); a questo epilogo ha dato un contributo importante la Direttiva europea 96/94/CE, cui la l. n. 53 del 2000 ha dato attuazione. Su quest’ultimo aspetto vedi quanto dice C. SALAZAR, Art. 37, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 761 e ss. 254 In queste pronunce la Corte, come essa stessa ha affermato, ha sempre tentato di mantenere «il giusto equilibrio fra i diversi principi costituzionali: (...) della tutela della maternità, dell’autonomo interesse del minore, della parità di diritti-doveri dei coniugi, nonché della parità degli uomini e delle donne in materia di lavoro, tenendo altresì conto della moderna evoluzione della legislazione e della giurisprudenza in tema di rapporti sociali nell’ambito della famiglia» (cfr. sent. n. 146/1993). È importante sottolineare che la Corte si riferisca esplicitamente al «giusto equilibrio» fra i diversi diritti e doveri coinvolti, sottintendendo, quindi, che nessuno di questi può annichilire completamente uno o più degli altri interessi coinvolti. Sul punto v. le considerazioni di P. CHIRULLI, La Corte costituzionale pronuncia una parola chiara in merito alla (non) spettanza dell'indennità di maternità al padre libero professionista in caso di filiazione naturale, in Giur. Cost, 5, 2010, p. 4013 e ss. 255 Ambedue le sentenze sottolineano i due aspetti fondamentali della disciplina sui congedi: da una parte, la tutela della maternità e la salute della donna, dall’altra la tutela del bambino e soprattutto delle sue esigenze di tipo affettivo-relazionale rivolte allo sviluppo della personalità. In passaggio della sent. n. 116/2011 si legge con riferimento alla norma che non prevede il differimento del diritto di astensione nel caso di parto prematuro: «La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino». Cfr. punto n. 4 del c.i.d. Sul punto vedi le considerazioni di L. TEBANO, La consulta inietta una nuova dose di flessibilità nel congedo di maternità, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 3, 2011, p. 760 e ss.
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debole per via della gravidanza e del puerperio, ad una tutela che tiene conto delle “relazioni” di vita che nascono con il parto è un punto di notevole forza raggiunto da questa giurisprudenza256. Più consolidata è invece la protezione in queste sentenze e nella legislazione approvata a partire dal 1977 sulla partecipazione del padre alla tutela della prole nei primi mesi di vita. Qui la novità è derivata non solo dalla necessità di garantire l’eguaglianza ma anche dalla diversa concezione della protezione della famiglia che negli ultimi cinquanta anni si è sviluppata: una formazione sociale all’interno della quale vi è un equilibrio tra le diverse funzioni genitoriali in vista della educazione dei figli. Anche grazie a questa giurisprudenza è derivato il superamento di una concezione legata alla protezione di una categoria di soggetti e la piena acquisizione che l’art. 31, secondo comma, Cost. protegge un evento, la maternità, che si estrinseca in una relazione tra una madre e/o un padre e un figlio, e non già la figura della lavoratrice o del lavoratore. Non a caso le sentenze da ultimo citate si riferiscono ad un passo contenuto in una precedente sentenza, la n. 405/2001, nella quale il cambiamento verso una protezione di tipo più “oggettivo” della maternità, o più in generale dell’evento contrassegnato dalla entrata in famiglia di una nuova persona che deve essere educata e curata257, è sintetizzato in maniera molto precisa258. In tale senso è molto opportuno quanto è stato detto da alcuni autori in relazione alla natura dell’indennità di maternità, la quale si configurerebbe «come una prestazione nella quale le connotazioni previdenziali si uniscono a quelle tipiche delle prestazioni di tipo assistenziale, mentre il diritto corrispondente tende ad abbandonare la lavoratrice e a dirigersi sempre più verso la madre259». 256
Le novità della giurisprudenza costituzionale sottolineano non solo una conquista, sulla via della maggiore considerazione della donna e dell’eguaglianza tra i coniugi, ma pure un definitivo approdo ad una concezione diversa di quei rapporti che scaturiscono dalle norme costituzionali sui diritti sociali. 257 Come può essere nel caso dell’adozione di un minore. 258 «Gli interventi legislativi succedutisi in materia attestano come il fondamento della protezione sia sempre più spesso e sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato, solo in quanto collegata allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata». Cfr. Corte cost., sent. n. 405/2001, punto n. 2.1 del c.i.d. 259 Cfr. M. LUCIANI, La protezione della maternità davanti alla Corte. Brevi note sulla sent. n. 405 del 2001, in Giur. Cost, 6, 2001, p. 3921. Su questo punto v. anche quanto hanno scritto in precedenza M. CINELLI, Diritto della
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Inoltre, sotto questo profilo appare chiaro che la logica dell’art. 31 Cost. tende ad espandersi e a inglobare anche la protezione dell’art. 37 Cost., traducendosi in una garanzia che ha a che fare con l’evento maternità inteso in senso ampio260. Dall’analisi compiuta delle disposizioni dell’art. 31 Cost. si possono trarre due indicazioni molto utili. La prima è che la protezione indicata da queste norme risente molto delle scelte discrezionali compiute dal legislatore. Evidentemente la disposizione è formulata in un modo tale da affidare al legislatore il compito di precisare il livello di tutela che deve essere garantito. Nell’esempio appena accennato della tutela della maternità il ruolo del legislatore è stato determinante per costruire una tutela che risponda alle esigenze sociali espresse. Ma vi è un ulteriore profitto che può trarsi da questa analisi. L’inserimento della garanzia della maternità all’interno dei rapporti etico-sociali risponde a scopi più pregnanti di quelli che si hanno nel caso di una tutela riferita solo al momento lavorativo. Cambiano, perciò, anche le finalità della disciplina. Malgrado l’ampiezza di scelta a disposizione del legislatore un grandissimo merito in questo cambiamento è da attribuire alla Corte costituzionale, la quale, da un lato, ha saputo valutare nel merito la congruità delle scelte legislative in materia di provvidenze economiche e sistema di tassazione dei redditi in relazione al parametro del favor familiae261, dall’altro, è riuscita a segnalare l’evoluzione dei principi costituzionali a tutela della maternità passando da una tutela meramente eventuale di questo momento ad una tutela “oggettiva”, intendendo la maternità come il luogo delle relazioni affettive in nome dell’interesse superiore dell’equilibrio psicofisico dei minori. La seconda indicazione da evidenziare riguarda il tentativo di qualificare questa disposizione come una norma “programmatica”262. La giurisprudenza costituzionale menzionata ha moprevidenza sociale, Torino, G. Giappichelli, 2003, p. 342 e ss. e R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, cit., p. 157. 260 Tanto che la prestazione sociale è legata solo eventualmente al rapporto di lavoro e si estende anche oltre questo. L’estensione legislativa e giurisprudenziale di questi benefici anche ai lavoratori autonomi e alle persone non occupate testimonia in modo molto evidente il passaggio che abbiamo cercato di sottolineare. 261 Vedi L. CASSETTI, Art. 31, cit., p. 646 e 647. 262 Vedi M. BESSONE, Commento agli artt. 30 e 31 della Costituzione, cit., p. 136 e 137.
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strato che l’art. 31 Cost. tende a prefigurare un sistema di assistenza che non ha esclusivamente un carattere economico, ma promuove il ricorso a tutti quegli strumenti che possano aiutare nella formazione delle famiglie, in un quadro generale di protezione sociale della stessa263. In quanto tale, l’art. 31 rappresenta una norma riassuntiva della posizione della Repubblica nei confronti della famiglia e contribuisce a interpretare le disposizioni più specificamente precettive degli articoli che lo precedono264. In questo senso la collocazione della tutela sociale della maternità e dell’infanzia all’interno dei rapporti etico-sociali - come già ricordato - ha contribuito fortemente ad allontanare l’art. 31 dall’infelice destino di mero parametro etico-politico privo di qualsiasi valore precettivo ed ha saputo guidare il legislatore, con il contributo della Corte costituzionale, verso un programma di intervento coordinato a sostegno della famiglia e delle situazioni soggettive (maternità, infanzia, adolescenza) che maturano all’interno della famiglia come formazione sociale. 5.2 Salute L’art. 32, comma 1, Cost. oltre a prevedere la tutela della salute come diritto fondamentale della persona singola e della collettività, stabilisce anche che «la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti»265. Questa previsione dà vita a due tipi di posizioni soggettive: da una parte c’è il dovere delle istituzioni pubbliche di erogare prestazioni rivolte alla cura, dall’altra c’è la pretesa di chi si trovi in una situazione di indigenza (relativa) di ricevere gratuitamente tali prestazioni. La dottrina unanime ha utilizzato per tale previsione la categoria esplicativa del “diritto a prestazione” di tipo soggettivo, la protezione del quale può essere esercitata in quanto il legislatore vi dà attuazione e 263
Vedi C. GRASSETTI, Il diritto di famiglia, Appunti dalle lezioni 1970/1971, Milano, Giuffrè, 1975, p. 73. 264 Vedi M. BESSONE, Commento agli artt. 30 e 31 della Costituzione, cit., p. 138. 265 La previsione delle cure gratuite agli indigenti diede luogo, come spesso si usa ricordare, ad un aspro dibattito in Assemblea Costituente al termine del quale vinse la posizione di coloro che ritenevano per il momento necessario mantenere una previsione che garantisse le cure per coloro che non potevano sopportarne il relativo costo. Su tale punto vedi la ricostruzione in A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), cit., p. 632.
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secondo il principio di gradualità delle risorse266. A stretto rigore interpretativo, e sebbene in molti casi ciò crea confusione, la formula costituzionale non sceglie un determinato tipo di organizzazione del servizio sanitario. Dall’articolo 32, primo comma, Cost. deriva esclusivamente che lo Stato o altre istituzioni pubbliche territoriali devono farsi carico (in forma diretta o indiretta) della cura di determinate persone in ragione della loro condizione di indigenza relativa, evitando che per tali soggetti l’accesso alle cure sia difficoltoso o addirittura impossibile267. Una previsione di questo tipo si giustifica, dunque, in base a due ragioni: da un lato, proteggere la salute delle persone che non possono acquistare prestazioni nel libero mercato e, dall’altro, lasciare al legislatore la scelta dell’organizzazione del sistema sanitario268. L’oggetto della relazione, che questa parte dell’articolo 32, primo comma, Cost. individua, è stato solo in parte chiarito dalla Corte costituzionale. L’attività interpretativa della Corte è stata resa ardua durante questi anni dalle innumerevoli oscillazioni attuative avvenute tanto a livello legislativo quanto regolamentare. I continui cambiamenti legislativi hanno impedito per molto tempo alla Consulta di individuare un significato univoco di tale norma la cui attuazione ha subito un tale “mescolamento” di interventi che ha reso difficile lo scrutinio di costituzionalità. Il punto maggiormente problematico ha riguardato la confusione del diritto all’assistenza pubblica di chi può sostenerne i costi e il diritto alle cure gratuite di coloro che invece si trovano in una condizione di indigenza. In pratica per molto 266
In dottrina si è espresso in questi termini M. LUCIANI, Salute I) Diritto alla salute - Dir. Cost., cit., p. 9. 267 Come ha rilevato P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 372, ai due versanti della tutela della salute come diritto del singolo e interesse della collettività si aggiunge un terzo versante «complementare, che aggiunge un diritto “speciale” a favore degli “indigenti”: il che vuol dire ancora che lo Stato non può e non deve garantire cure gratuite a tutti, ma solo ai cittadini che non sono in grado di pagarle». 268 In questo senso la garanzia delle cure gratuite agli indigenti protegge dalla possibilità che alcune persone non siano in grado di ottenere cure in sistemi dove le prestazioni sanitarie sono ottenute nel mercato libero o sono erogate da strutture pubbliche con la compartecipazione dell’utente stesso (art. 3, comma 2, Cost.). Si noti la differenza tra la previsione dell’art. 32, comma 1, e l’art. 34, comma 1, Cost., che invece afferma che “la scuola è aperta a tutti” e che prevede sia l’obbligo scolastico fino all’età di quattordici anni per tutte le persone che vivono in Italia sia il dovere per lo Stato di predisporre un servizio universale obbligatorio cui tutti devono accedere.
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tempo la gratuità è stata assunta come regola generale per tutti269. A stretto rigore occorre rimarcare che queste scelte vanno oltre il dettato costituzionale. La Repubblica potrebbe limitarsi a tutelare la salute, come vuole la Costituzione, apprestando esclusivamente gli strumenti per la tutela della stessa, ma facendo pagare a tutti – salvo gli indigenti – il costo dei servizi nel momento del bisogno, evitando che sia la generalità delle persone che percepiscono un reddito a pagare la sanità attraverso i contributi previdenziali e fiscali270. In questo settore, dunque, la Corte ha dovuto usare tutta la propria capacità interpretativa per tenere distinti il “diritto alle prestazioni sanitarie”, che può essere esercitato «sia nei confronti dei soggetti pubblici che nei confronti dei soggetti privati, ed è condizionato al possesso della capacità economica di sopportarne i costi271», dal diritto alle cure gratuite che spetta solo ai soggetti indigenti272. La ragione di questa difficoltà, come si è detto, deriva principalmente dal fatto che l’impostazione concretamente seguita dal legislatore italiano nella storia repubblicana non è sempre stata la stessa273. All’interno di questo percorso si possono distinguere almeno quattro grandi periodi. Il primo è immediatamente successivo all’approvazione della Co269
La ragione di questa scelta rimane legata all’architettura complessiva dello stato sociale creato in Italia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, in cui per il finanziamento dell’assistenza medica è stato scelto di attingere direttamente al sistema fiscale e previdenziale. 270 P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 373. 271 Cfr. M. LUCIANI, Brevi note sul diritto alla salute, in Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio, a cura di L. CHIEFFI, Milano, Giuffrè, 2003, p. 64, secondo il quale pur avendo il diritto a farsi curare il contenuto della pretesa ad una prestazione materiale, «questo non significa, però, che si debba necessariamente trattare di una prestazione costosa per le finanze pubbliche». 272 Anche nel primo caso è possibile che le prestazioni possano essere gratuite o venire offerte in forma di compartecipazione o a totale carico del destinatario. La scelta rispetto alla misura di finanziamento di ogni singola cura è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente correlata alle proprie disponibilità finanziarie e soprattutto alla scelta di quale sistema di protezione socio-sanitaria è stato istituito. Non bisogna, inoltre, dimenticare che sulla base di queste previsioni spetta al legislatore stesso la predisposizione di strumenti idonei a consentire anche a soggetti privati lo svolgimento della stessa funzione. 273 Il tema dell’evoluzione del sistema sanitario italiano è affrontato da moltissimi autori. Si rinvia per brevità alla corposa ricostruzione sia normativa che bibliografica compiuta da N. AICARDI, La sanità, in Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, a cura di S. CASSESE, 1, Milano, Giuffrè, 1, 2003, p. 665 e ss.
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stituzione. In quel momento il perdurare di una situazione di fatto analoga a quella pre-repubblicana aveva di fatto legittimato un’interpretazione «minimale» del dettato contenuto nel primo periodo dell’art 32, comma 1, Cost. L’assistenza sanitaria era perciò legata alla contribuzione mutualistica e all’azione dei corpi intermedi. Il secondo periodo inizia sul finire degli anni settanta, allorquando il legislatore italiano – importando nel nostro ordinamento un sistema di welfare molto simile a quello realizzato in Inghilterra – ha preferito “estendere” il più possibile il concetto di gratuità, che la Costituzione imponeva soltanto nei confronti degli indigenti, a favore di tutta la popolazione, mediante l’introduzione di un sistema che garantisse «globalità delle prestazioni», «universalità dei destinatari» e «uguaglianza del trattamento»274. In questo modo il diritto a prestazioni nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche è stato reinterpretato come un «diritto a ricevere cure pagate in prevalenza con il denaro pubblico»275. Il terzo periodo prende avvio nei primi anni Novanta. Dinanzi alle sempre maggiori ed indilazionabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, il legislatore è tornato a ridurre l’area della gratuità, traducendo il diritto a prestazioni in un diritto – di fatto – condizionato dalla compartecipazione del beneficiario alla spesa276. Il diritto all’assistenza medica per tutti viene così nuovamente “relativizzato” e messo in correlazione con la quantità concreta di risorse 274
Tali principi erano previsti dall’art. 1 della legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale che quasi parafrasando il dettato costituzionale prevede: “La Repubblica tutela la salute come come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività mediante il Servizio sanitario nazionale”, la cui attuazione è finalizzata al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali o secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”. 275 Come ha rilevato P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, cit., p. 373 «dalla fine degli anni Sessanta in poi avviene quella che è stata chiamata la “rianimazione del nucleo precettivo” dell’art. 32. Si crea lo slogan della “rivoluzione culturale” del 68-70: “la salute non si paga, la nocività si elimina”. Entra in crisi la tesi che risolveva le questioni della tutela della salute nei limiti di un problema assicurativo (“fatalità dell’infortunio”, “monetizzazione del rischio”, collegati all’insalubrità o alla pericolosità dell’ambiente di lavoro). 276 Il riordino della sanità è stato affidato negli anni Novanta ad un complesso intreccio normativo avviato con la legge n. 421/1992, cui ha fatto seguito il d.lgs. n. 502/1999, (poi modificato dal d.lgs. n. 517/1993) e le leggi di accompagnamento alle leggi finanziarie per il 1995 e il 1996 (leggi n. 724/1994 e n. 549/1995) ed infine il d.lgs. n. 229/1999 (cd. Decreto «Bindi»).
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Le interpretazioni
organizzative e finanziarie disponibili277. Infine, tra la fine degli anni novanta e l’inizio del secolo in corso si è registrato un quarto passaggio di tipo organizzativo che incide direttamente sul settore delle prestazioni mediche: la sanità è diventata definitivamente materia di competenza concorrente regionale, per cui allo Stato è rimasta la responsabilità generale dell’indirizzo del sistema, mentre alle regioni è stata definitivamente attribuita la gestione delle risorse e la governance del sistema sanitario278. Di fronte ad un percorso legislativo tanto emblematico quanto complesso, si può comprendere bene che l’opera della giurisprudenza costituzionale non sia stata per nulla facile. Mentre in Costituzione l’erogazione gratuita delle prestazioni trova un criterio fondante nel “bisogno”, da non intendersi solo in senso economico ma come indicativo di un’ampia gamma di situazioni si svantaggio che richiedono interventi compensativi, il nostro legislatore ha cercato prima di estendere questa area in nome della natura universale del servizio per poi tendere verso un riallineamento del rapporto tra la copertura delle spese sanitarie e l’effettiva possibilità del singolo di pagare le prestazioni279. Il passaggio dalla programmaticità dell’art. 32 alla realizzazione del Sistema sanitario nazionale organizzato sulla base dei principi della globalità, della generalizzazione e dell’eguaglianza ha avuto come effetto che nel nostro paese il diritto alle cure si risolvesse in un diritto ad avere prestazioni pagate in prevalenza con il pubblico denaro280. Perciò, il primo grande problema con il quale la Corte ha dovuto fare i conti è la mancanza di una chiara distinzione legislativa tra la «dimensione economica e la dimensione personalistica del diritto ad essere curato», specie nel caso in cui si ricorre a cure o diagnosi presso strutture private o presso strutture ubicate in paesi esteri. Su questo punto la Consulta ha “oscilla277
R. BALDUZZI, Il Servizio sanitario nazionale tra razionalizzazione delle strutture e assestamento normativo (riflessioni sulla legge 30 novembre 1998, n. 419), in Quaderni regionali, 3, 1998, p. 948 e ss. 278 L’attribuzione del ruolo “esecutivo” alle regioni ha una incidenza immediata sulla protezione dei diritti. Su questo punto sia consentito rinviare a E. LONGO, Regioni e diritti, cit., passim. 279 R. BALDUZZI, Salute (diritto alla), cit., p. 5397. 280 Come fa notare M. LUCIANI, Salute I) Diritto alla salute - Dir. Cost., cit., p. 8 in «una realtà in cui l’assistenza sanitaria privata è in grado di fornire - a pagamento - pressoché qualsiasi cura, la pretesa di essere assistito dalle strutture pubbliche finisce per avere un contenuto essenzialmente economico; chi reclama l’assistenza pubblica reclama in realtà un’assistenza a costi limitati».
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to” – per usare un termine che già molti commentatori hanno scelto – tra una giurisprudenza che riconosceva senza alcun limite (economico) il diritto al rimborso, nel caso in cui si dovesse ricorrere ad un tipo di prestazione diagnostica non ottenibile all’interno di una struttura pubblica281, e una giurisprudenza che invece ha fortemente ridimensionato il diritto alle prestazioni gratuite per tutti282, affermando che esse sono garantite nella misura in cui ciò possa ritenersi compatibile con altri diritti e soprattutto con le risorse finanziarie date283. Malgrado queste oscillazioni, la giurisprudenza costituzionale ha saputo trovare un punto di compromesso tra le diverse posizioni soggettive tutelate nel settore della cura attraverso il riconoscimento che le esigenze di finanza pubblica e gli altri diritti in potenziale conflitto non possono assumere un peso tale da comprimere il “nucleo essenziale284“ del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come proiezione della dignità umana285. Lo sviluppo della dottrina del “nucleo essenziale” – al di là dei suoi risvolti teorici286 – ha consentito alla Corte costitu281
Con la sent. n. 922/1988, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità della legge finanziaria del 1984 nella parte in cui non consentiva l’eseguibilità di prestazioni indispensabili di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private non convenzionate, che nel caso di specie erano le uniche detentrici delle relative apparecchiature. Vedi a questo proposito E. FERRARI, Diritto alla salute e prestazioni sanitarie tra bilanciamento e gradualità, in Le Regioni, 5, 1991, p. 1923 e ss. 282 La Corte cost. ha imboccato questa via a partire dalla sent. n. 12/1992, seguita poi dalle sentt. nn. 416/1996 e 267/1998. 283 Come indicato nella oramai famosa sent. della Corte cost. n. 455/1990, nella quale per la prima volta la Corte costituzionale distingue tra diritti “incondizionati” e diritti “condizionati” dall’attuazione che il legislatore vi dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato con gli altri interessi protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse economico-organizzative di cui dispone. Per un’analisi del valore che questa sentenza ha avuto nella giurisprudenza successiva vedi C. PANZERA, Legislatore, giudici e Corte costituzionale di fronte al diritto alla salute (verso un inedito “circuito” di produzione normativa?), cit., p. 346 e 347. 284 Anche chiamato “nucleo irriducibile”. 285 Vedi sul punto Corte cost., sentt. nn. 309/1999, 267/1998, 416/1995, 304/1994. Il tema è affrontato, come si ricorderà, anche nella sent. n. 42/2000 con riguardo alla richiesta referendaria regionale di abrogare le norme che istituiscono il ministero della salute. 286 Sul punto vedi le considerazioni presenti in alcune pregevoli ricostruzioni compiute alla fine degli anni Novanta del potere interpretativo della Corte costituzionale all’interno dell’area dei diritti sociali: O. CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile
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zionale di trovare una via mediana tra l’imperativo costituzionale di definire l’ambito della protezione costituzionale dei diritti legati alla salute distinguendo quattro aree di operatività del diritto alle cure: a) la tutela delle cure gratuite a favore degli indigenti; b) la garanzia delle prestazioni indifferibili ed urgenti; c) le cure all’estero; d) le aspettative legittime derivanti dalla predisposizione di cure sperimentali per situazioni non tutelabili altrimenti. L’esportazione della dottrina del nucleo irriducibile ha consentito di distinguere per questo diritto un settore intangibile per il legislatore a cui si aggiungono altri settori con uno statuto minore la cui tutela non intacca la sostanza del diritto costituzionale287. Il controllo di costituzionalità così formulato attraverso la dottrina del contenuto minimo essenziale del diritto alla salute ha reso possibile non solo la tutela degli indigenti sotto forma di quella che prende il nome di “indigenza relativa”288, ma ha anche consentito di raggiungere una specifica tutela sia a favore di coloro che si recavano all’estero al fine di ottenere cure non erogate dal sistema sanitario nazionale289 sia a favore di coloro che, trovandosi all’estero per motivi che non fossero di studio o di lavoro, avevano urgente bisogno di ottenere cure mediche290. bilanciamento, in Giur. cost., 2, 1998, p. 1170 e ss.; I. MASSA PINTO, La discrezionalità politica del legislatore tra tutela costituzionale del contenuto essenziale e tutela ordinaria caso per caso dei diritti nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. Cost, 2, 1998, p. 1309 e ss. 287 Tale distinzione non è meramente teorica. La Corte ha infatti ritenuto che soltanto ciò che attiene a detto nucleo irriducibile deve essere garantito ad ogni persona (in forza dei principi posti dagli art. 2 e 3 Cost.), mentre la parte ulteriore potrà essere garantita dal legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità politica, soltanto ad alcuni soggetti e non a tutti. Su questo punto v. Corte cost., sent. n. 252/2001. In dottrina vedi da ultimo E. ROSSI, Corte Costituzionale e discrezionalità del legislatore, in La Corte costituzionale vent’anni dopo la svolta : atti del seminario svoltosi a Stresa il 12 novembre 2010, a cura di R. BALDUZZI, M. CAVINO, J. LUTHER, Torino, Giappichelli, 2011, p. 334. 288 È quasi scontato che oramai quando si parla di indigenza si usa questo termine in senso relativo, legandolo cioè al costo specifico delle prestazioni erogate e non ad una condizione oggettiva di povertà. Sul punto vedi Corte cost., sentt. nn. 185/1998 e 309/1999. Il tema è affrontato anche da numerosi autori. Tra i primi a parlarne B. CARAVITA, La disciplina costituzionale della salute, cit., p. 21 e ss. 289 Vedi a tale proposito Corte cost., sent. n. 304/1994. 290 Cfr. Corte cost., sent. n. 354/2008 in materia di risarcibilità delle spese mediche sostenute da cittadini italiani all’estero. Come ha rilevato nel commento a quest’ultima sentenza L. PRINCIPATO, Il contenuto minimo e la tutela cautelare del diritto alle cure mediche, in rapporto alle condizioni
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La giurisprudenza sul contenuto essenziale del diritto alla salute, inoltre, non ha riguardato solo l’area delle spese per prestazioni all’estero o in strutture private. Un ulteriore interessante giudizio costituzionale si è sviluppato a partire dal caso della sperimentazione del farmaco antitumorale denominato “multitrattamento Di Bella”. L’esempio è molto noto sia per le cronache dell’epoca sia per l’eco avuta da questa vicenda nella comunità scientifica291. Quello che qui merita sottolineare è che nel giudizio di costituzionalità delle norme che prevedevano la sperimentazione la Consulta ebbe modo di precisare che nel nucleo essenziale del diritto alla salute rientrano anche le aspettative che sorgono nel caso in cui il legislatore decida di disciplinare una sperimentazione medica che dia risposta ad esigenze terapeutiche estreme, impellenti e senza alternative. In base al principio così indicato secondo la Corte è fondata la pretesa che lo Stato debba fornire gratuitamente le medicine in sperimentazione a tutti coloro che si trovino nella condizioni di “pazienti eligibili292“ indipendentemente dalle condizioni economiche.
economiche del malato ed alle esigenze di bilancio dello Stato, in Giur. cost., 5, 2008, p. 3921, «(p)roprio le condizioni di indigenza divengono essenziali per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, di modo che il principio espresso nella sentenza additiva può trovare applicazione (chiunque se ne ritenga destinatario) solo ed esclusivamente se il cittadino che si trova all’estero versi in condizioni economiche disagiate, rendendo irrilevanti i motivi della permanenza dell’interessato fuori dai confini nazionali». Da notare che questa sentenza riprende la giurisprudenza già formatasi sulla base della decisione n. 309/1999. 291 Sul tema vedi la ricostruzione di C. COLAPIETRO, La salvaguardia costituzionale del diritto alla salute e l'effettività della sua tutela nella sperimentazione del "multitrattamento Di Bella", in Giur. it., 1, 1999, p. 160 e ss.; C. PANZERA, Il bello dell'essere diversi. Corte costituzionale e Corti europee ad una svolta, in Riv. trim. dir. pubbl., 1, 2009, p. 339 e ss. 292 Come la stessa Corte costituzionale afferma, si deve trattare di «pazienti affetti da patologie tumorali comprese tra quelle sottoposte alla sperimentazione in corso, di cui all’art. 1, rispetto ai quali il medico ritenga sotto la propria responsabilità, e sulla base di elementi obiettivi, che non esistano valide alternative terapeutiche tramite medicinali o trattamenti già autorizzati per tali patologie». Cfr. sent. n. 185/1998, punto n. 10 del c.i.d. Su questo punto v. anche la sent. n. 188/2000 che ha dichiarato infondata la questione sollevata sulle norme dell’art. 1 del decreto-legge n. 186/1998 nella parte in cui esclude che i pazienti oncologici in stato di indigenza possano usufruire del “multitrattamento Di Bella” per la cura di patologie non elencate nell’allegato 1 di detto decreto-legge, quando non vi sia alternativa terapeutica e sia accertata la stabilizzazione della malattia. In questo caso la Consulta ha evitato di intervenire per non violare il principio della libera discrezionalità medica.
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Oltre a quanto detto, la giurisprudenza sul nucleo essenziale del diritto alla salute offre indicazioni altre utili ai nostri fini. La prima indicazione è che dall’indirizzo giurisprudenziale che usa il nucleo essenziale deriva un ostacolo verso revisioni in pejus della legislazione sociale nel caso in cui la sfera di interessi protetti sia stata ampliata dal legislatore entro la specifica tutela costituzionale. Il legislatore non è, perciò, titolare di una discrezionalità piena nell’operare il bilanciamento tra la salute e gli altri interessi protetti (e nel graduarne la tutela) e non ha come unico vincolo quello di garantire prestazioni sanitarie in forma gratuita a favore di persone (relativamente) indigenti, perché a questo si oppongono i vincoli che derivano dai diritti costituzionali stessi293. La seconda indicazione segue la prima e riguarda più da vicino la effettività del diritto alla salute come diritto soggettivo pieno avente immediata tutela davanti alle autorità giurisdizionali294. Per questa via anche nel settore delle cure è stato possibile riconoscere che contro le innovazioni normative che aggravino le situazioni di svantaggio (legate ad un bisogno) e compromettano lo sviluppo della persona sono esperibili rimedi giurisdizionali che possono arrivare fino alla declaratoria di incostituzionalità di una legge. In questa ottica, dunque, le legittime preoccupazioni statali di bilancio non possono giustificare un esercizio irragionevole della discrezionalità legislativa che risulta libera di dare attuazione alla formula costituzionale sotto il vigile giudizio dei giudici e della Corte costituzionale295. Le categorie dei beneficiari, perciò, possono essere circoscritte, in ragione della limitatezza delle risorse296,
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Le prestazioni essenziali non possono essere rifiutate dalla struttura pubblica mai, neppure qualora la loro erogazione non fosse prevista da alcuna norma, neanche quando, difettando valide alternative terapeutiche, il malato intenda impiegare i medicinali per finalità curative diverse da quelle per le quali sono stati sperimentati. Su tale punto vedi C.M. D'ARRIGO, Salute (ad vocem), in Enc. dir., Aggiornamento V, Milano, 2001, p. 1112 e ss. 294 Vedi D. Morana, La salute nella Costituzione italiana, cit., p. 95 e ss. 295 In questo senso il principio del nucleo essenziale ci pare più efficace del mero bilanciamento tra diritti che risulta in queste circostanze un’arma piuttosto spuntata. Per le critiche all’uso del bilanciamento quando sono in gioco la protezione dei diritti sociali vedi R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 109 e ss. e A. GIORGIS, La Corte costituzionale riserva al legislatore la tutela dei diritti che costano?, in Giur. it., 10, 1995, p. 1995. 296 Sul punto vedi M. MIDIRI, Giurisprudenza, tutela dei diritti, vincoli di bilancio, in Contratto e impresa, 3, 2011, p. 598 e G. CORSO, Lo Stato come
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solo a patto che si garantisca la ragionevolezza della differenziazione e, in questo modo, venga garantita sia l’eguaglianza su tutto il territorio nazionale297 sia il rispetto del “nucleo essenziale” di diritti che riguardano la sfera della salute298. La protezione di questi diritti risulta perciò legata non solo al principio della gradualità delle risorse, ma anche alla ragionevolezza ed alla garanzia del nucleo essenziale di questi diritti299. Ma ciò che importa è che ognuno di questi criteri rientra sotto l’occhio vigile della Corte costituzionale300. dispensatore di beni. Criteri di distribuzione, tecniche giuridiche ed effetti, in Sociologia del diritto, 1-2, 1990, p. 120. 297 Alla Corte costituzionale in questi anni non è sfuggito il controllo di ragionevolezza delle prescrizioni che pongono i presupposti per l’erogazione di un beneficio destinato a soggetti svantaggiati, come gli immigrati. V. sent. n. 432/2005. Il rapporto tra uso delle risorse economiche e principio di eguaglianza non sfugge al giudizio della Corte neanche sotto un altro punto di vista, cioè quello del giudizio in via principale. Negli ultimi anni, infatti, sono numerose le sentenze nelle quali la Corte ha stabilito che la competenza (primaria) dello Stato a decidere sulla distribuzione delle risorse da destinare alla sanità deriva dalla necessità di «assicurare, ad un tempo, l’equilibrio della finanza pubblica e l’eguaglianza di tutti i cittadini nel godimento (...) del diritto alla salute». Cfr. Corte cost., sent. n. 94/2009. Sul punto specifico v. anche sent. 98 e 193/2007 e 203/2008. Quest’ultima sentenza ha un valore particolare per il nostro tema in quanto affronta il problema della decisione sulla compartecipazione alle spese sanitarie attraverso il pagamento del ticket. Qui la Corte ha stabilito che i criteri di compartecipazione devono assumere carattere omogeneo in ragione della appartenenza di tali decisioni al settore dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2, lett. m), Cost.). 298 Vedi a questo riguardo la sent. n. 252/2001 che ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Genova sull’art. 19, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero extra-comunitario che, essendo entrato irregolarmente nel territorio dello Stato, vi permanga al solo scopo di terminare un trattamento terapeutico che risulti essenziale in relazione alle sue pregresse condizioni di salute. La Corte costituzionale conclude per l’infondatezza statuendo che il giudice a quo sarebbe partito da un presupposto interpretativo erroneo: le prestazioni “indifferibili ed urgenti” sono parte del “nucleo irriducibile” del diritto alla salute di cui gode chiunque si trovi nel territorio della Repubblica italiana, anche irregolarmente. In questo modo qualora vi siano ragioni fondate per ritenere che la permanenza dello straniero sia necessaria per ottenere prestazioni indifferibili ed urgenti non si potrà espulsione nei suoi confronti. 299 P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., p. 397. 300 Sul tema della verifica dei criteri indicati e sull’evoluzione delle tecniche decisorie (soprattutto le additive di principio) della stessa Corte costituzionale vedi le osservazioni di C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei
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Dalla giurisprudenza esaminata possiamo sviluppare una doppia serie di considerazioni legate alle relazioni che attengono all’area delle prestazioni mediche: le prime riguardano più da vicino il profilo delle cure e delle terapie; le seconde invece sono più legate ad aspetti di tipo organizzativo-finanziario. Vediamo anzitutto le considerazioni legate al tema delle cure e delle terapie. Occorre tenere in debita considerazione che l’oggetto cui esse si riferiscono è alquanto ampio e variegato. In questo ambito si distinguono numerosi fatti e situazioni. Non è possibile, infatti, considerare questo settore in modo univoco, in quanto è composto da numerosi profili degni di considerazione. Ad un primo livello, infatti, possiamo distinguere tra il diritto a ricevere cure, da un lato, e la libertà terapeutica, dall’altro. Il diritto alle cure può essere distinto a sua volta in tre tipi di situazioni: (1a) il diritto a ricevere cure tout court; (1b) il diritto a ricevere cure gratuite da parte di strutture pubbliche anche se non si è indigenti; (1c) il diritto a ricevere cure gratuite da parte di strutture pubbliche se si è in condizioni di indigenza. All’interno del diritto alla libera scelta terapeutica distinguiamo invece: (2a) il diritto alla scelta della terapia, (2b) del luogo di cura301 e (2c) del medico. A sua volta all’interno della scelta terapeutica possiamo distinguere altre situazioni meritevoli di tutela, come (2d) il diritto ad accedere alle strutture, (2e) il diritto a cure immediate in situazioni di emergenza302, (2f) il diritto all’informazione accurata sulla terapia, sulla struttura e sul medico, (2g) il diritto a poter reclamare o a poter ricorrere nel caso di problemi nella erogazione della prestazione o nel caso di mancanza (o facilitazione) di una delle decisioni da prendere nel percorso di cura, e molti altri diritti che rientrano in questa sfera303. I diritti che derivano dalla cura e dalla scelta terapeutica non hanno tra di essi una precisa gerarchia funzionale, cioè non hanno rapporti di condizionamento particolari. Ciò nonostante, esiste una stretta correlazione tra di essi, in quanto è per il fordiritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, cit., passim. 301 Il diritto alla scelta del luogo di cura è previsto anche dall’art. 25 della l. 833/1978. A questo diritto possiamo ritenere oggi legato anche il diritto alla mobilità sanitaria interregionale. 302 Su questo punto v. le sentt. nn. 309/1999 e 267/1998. 303 Su questo aspetto v. la “Carta europea dei diritti del paziente” siglata a Roma nel 2002 dove è possibile ritrovare un numeroso elenco di diritti che sono previsti a favore dei pazienti nei confronti delle strutture e dei medici.
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male esercizio della libertà di cura per esempio che sorge il diritto ad esercitare la libertà di scelta terapeutica. In quanto elementi che concorrono alla definizione del risultato di salute che ciascuno può legittimamente pretendere dalle istituzioni a ciò preposte, questi diritti sono oggetto diretto della prestazione di cura e non elementi esterni la cui garanzia si aggiunge a quella del bene principale. In tal senso, la dimensione relazionale in cui il diritto alla salute pone ogni persona si arricchisce di profili di tutela che non possono ridursi alla semplice predisposizione e fornitura di prestazioni mediche. Accanto ed insieme a ciò occorre, infatti, che l’amministrazione si preoccupi di garantire che la persona di cui si intende realizzare il diritto alla salute sia tutelato nella sua pienezza (nel momento di accesso alla struttura fino al momento della dimissione dalla stessa)304. La multiformità dei diritti che gravitano nel settore delle cure è tale che è necessario parlare di una relazione complessa che trova solo in parte protezione costituzionale nell’art. 32, primo comma, Cost. In più solo quelle situazioni che rientrano nel “nucleo irriducibile del diritto alla salute” (o nucleo essenziale) come ambito inviolabile della dignità umana possono avere una protezione costituzionale piena, esaustiva ed effettiva305. Quanto al secondo aspetto, quello dell’organizzazione sanitaria, nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale emergono alcune indicazioni molto utili. L’importanza di questo aspetto è decisiva e richiede una corretta comprensione. Il tema dell’organizzazione si collega in modo stretto con i problemi sostanziali delle cure e delle prestazioni in generale. Non è un caso, infatti, che il tema della intangibilità del nucleo essenziale del diritto alle prestazioni sanitarie sia stato ripreso e costituzionalizzato nella legge costituzionale che ha riformato il Titolo V della Costituzione. Il legislatore del 2001, infatti, ha inserito tra le materie di competenza dello Stato la determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti 304
Occorre fare una precisazione. Nel caso del servizio sanitario nazionale la libertà di cura non vuol dire libertà di scelta sull’an e sull’esigenza sanitaria, in quanto resta confermato - come la stessa giurisprudenza costituzionale ha deciso - il principio fondamentale che l’erogazione delle prestazioni soggette a scelta dell’assistito è subordinata a formale prescrizione a cura del servizio sanitario. Da ultimo v. Corte cost., sent. n. 200/2005. Per questa prospettiva v. anche in dottrina A. PIOGGIA, Diritti umani e organizzazione sanitaria, in RDSS, 1, 2011, p. 21 e ss. 305 Cfr. Corte cost., sent. n. 992/1988.
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civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” ed ha inserito tra le competenze concorrenti il titolo “tutela della salute”306. Malgrado non vi sia ancora un indirizzo giurisprudenziale consolidato su questo specifico tema, è evidente che le prestazioni terapeutiche garantite agli indigenti rientrano nei livelli essenziali dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione e sono quindi da definire a livello nazionale. Spetta, dunque, alla legislazione nazionale stabilire le tipologie di prestazioni insieme alle norme di principio sul finanziamento delle stesse307. Un esempio tratto dalla giurisprudenza costituzionale può aiutare a focalizzare questo punto. La Corte ha ritenuto costituzionalmente legittima la decisione in tema di organizzazione del sistema sanitario con il quale è stato acclarato che spetta allo Stato definire i fondamenti del sistema di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, ma allo stesso tempo ha indicato che in tale settore rimane alle regioni sia la competenza a definire gli aspetti organizzativi e di governance di questi sistemi sia il potere di realizzare quegli obiettivi stabiliti a livello nazionale mediante l’uso razionale delle risorse distribuite308. Alla luce di queste considerazioni proviamo allora a selezionare le caratteristiche costituzionali delle relazioni che descrive l’articolo 32, primo comma, Cost. con riguardo alla sfera delle cure. Si tratta di relazioni di tipo complesso in cui si confrontano cinque categorie di soggetti: le persone che richiedono una prestazione sanitaria; i medici che decidono circa gli aspetti sanitari delle cure; le strutture che erogano la prestazione e il personale sanitario ed amministrativo che in esse opera; le regioni che decidono il governo delle prestazioni sanitarie al proprio interno; lo stato che mantiene un controllo (non totale ma 306
Su tale punto v. soprattutto il rapporto tra la norma costituzionale inserita nel 2001 e gli sviluppi giurisprudenziali e normativi precedenti. Per questa ricostruzione si rimanda a R. BALDUZZI, Salute (diritto alla), cit., p. 5397 e ss. 307 Con l’ulteriore garanzia che sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale sia il corrispondente livello di finanziamento saranno oggetto di forme di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse. Vedi sul punto Corte cost., sent. n. 111/2005. 308 Se dunque l’allocazione del potere di legiferare sul punto allo Stato deriva dalla necessità di evitare che si possano determinare disparità di trattamento tra le persone che vivono in territori differenti, occorre allo stesso tempo garantire che la stessa offerta di servizi sanitari non venga imposta unilateralmente dallo Stato ma sia concordata per alcuni aspetti con le Regioni, le quali hanno comunque la responsabilità di gestire il complesso sistema delle prestazioni mediche. Vedi sul punto Corte cost., sent. n. 98/2007.
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condiviso con le regioni) della spesa sanitaria, attraverso la definizione degli aspetti generali del modello di organizzazione e la previsione del finanziamento dell’intero settore. L’oggetto di queste relazioni sono tutti quei diritti costituzionali attinenti alla cura che hanno a che fare con una “prestazione pubblica” erogata da soggetti appartenenti sia direttamente sia indirettamente al sistema sanitario309. Nello specifico i diritti alla cura e alle terapie mediche si suddividono in numerosi altri diritti non minori che attengono alla dimensione relazional-organizzativa dei servizi erogati dalle strutture, così come alla dimensione spaziale (i luoghi di cura) ed alla dimensione interpersonale (il cd. rapporto medico-paziente). Tali diritti sono centrali rispetto alla dimensione della cura e della terapia. Essi contribuiscono a formare la dimensione costituzionale del diritto alla salute ed esprimono l’attualità di quella vocazione espansiva che è propria di questo diritto “fondamentale”310. 5.3 Scuola Nel caso della scuola, l’articolo della Costituzione italiana nel quale si può trovare la descrizione delle relazioni che stiamo analizzando è l’art. 34. Già si è ricordato che quest’articolo ha una formulazione molto complessa. I primi due commi sono enunciati come degli assunti: “la scuola è aperta a tutti”, “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbli309
La tutela di questi diritti spetta al sistema sanitario. Dal punto di vista della loro effettività, infatti, è incarico delle strutture pubbliche farli rispettare, sia nel caso in cui siano queste ultime ad erogare la prestazione sia nel caso in cui l’utente ottenga la stessa presso strutture private, le quali se operano in regime di accreditamento devono sottostare al controllo dei decisori pubblici. Sul tema dell’accreditamento in generale vedi i contributi nel volume curato da A. PIOGGIA, M. DUGATO, G. RACCA, S. CIVITARESE MATTEUCCI (cur.), Oltre l'aziendalizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, Milano, Franco Angeli, 2008, passim. Per quanto riguarda gli aspetti legati al giudizio costituzionale su questo tema v. il commento a Corte cost., sent. n. 361/2008, scritto da A. ROVAGNATI, Inadempienze regionali e controllo di legittimità costituzionale. Brevi considerazioni a margine di una (opportuna) decisione del giudice delle leggi in tema di (cattiva) organizzazione del servizio sanitario, in Le Regioni, 1, 37, 2009, p. 135 e ss. 310 Il tema della cd. “vocazione espansiva” del diritto alla salute è affrontato da molto tempo in dottrina. Tra i contributi più significativi su questo aspetto occorre ricordare B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, cit., p. 25 e ss.; D. MORANA, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, cit., passim; A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32 (commento a), cit., p. 2345.
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gatoria e gratuita”. Soltanto il comma terzo si riferisce espressamente ad un “diritto”, e tra l’altro afferma che non tutti ne sono titolari ma solo i “capaci e meritevoli”. Il quarto comma è una specificazione del terzo, cosicché la previsione che i “capaci e meritevoli” possano raggiungere i gradi più alti degli studi trova già in Costituzione la garanzia della effettività: “La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Esistono, perciò, almeno due tipi di previsioni nell’articolo 34 Cost. I primi due commi prevedono un diritto che riguarda tutte le persone e sono composti da tre elementi fondamentali: “la scuola è aperta a tutti”, cioè ha una funzione che riguarda tutta la popolazione che si trova nel territorio della Repubblica, senza discriminare tra cittadini o non cittadini; l’istruzione impartita per otto anni è obbligatoria per tutti; la gratuità nell’accesso alla comunità scolastica per otto anni è il modo per rendere effettivo il diritto all’istruzione. I successivi due commi invece prevedono che coloro che hanno le capacità e riescono a raggiungere certi risultati hanno espressamente un diritto ad arrivare ai gradi più alti degli studi. L’effettività di quest’ultimo diritto è garantita anche a coloro che non hanno i mezzi, attraverso “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”311. La descrizione effettuata lascia facilmente intendere quanto sia complessa le relazioni che nel settore dell’istruzione si realizzano tra persone ed enti pubblici. Una serie di problemi sorgono già nell’esame della previsione contenuta nel primo comma dell’art. 34 Cost. L’indicazione che la “scuola è aperta a tutti” si presta ad una riduzione facilmente intuibile. Taluno ha interpretato tale norma come se fosse rivolta solo ad escludere ogni possibile discriminazione nell’ammissione alla scuola312. Sennonché ad intenderla in questo modo essa perde tutta la sua capacità prescrittiva. In realtà, l’affermazione del diritto 311
Come nel caso della salute, anche qui si tratta di una previsione che deriva direttamente dall’art. 3, comma 2, Cost. perché evidentemente contribuisce a rimuove quegli ostacoli di ordine non solo economico ma anche sociale che, limitando la libertà e l’eguaglianza tra i cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. 312 Vedi sul punto la ricostruzione effettuata da A. POGGI, Art. 34, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 704.
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all’istruzione è un risultato cui già gli stessi Costituenti miravano, per il significato profondamente innovatore che questo diritto avrebbe avuto per l’intera società italiana313. La scelta che maturò all’interno del dibattito costituente è un segno chiaro della necessità di ribadire alle generazioni future che l’istruzione non può altro che essere “un diritto di tutti e non solo di alcuni”314. Perciò, l’art. 34, primo comma, esprime un significato molto più forte ed inclusivo di quanto si può immaginare: non si tratta solo del diritto di essere ammesso alla scuola, ma del diritto di ognuno a ricevere un’istruzione adeguata e un’educazione che consenta la formazione della propria personalità e l’assolvimento dei compiti sociali315. Vi è un nesso esplicito tra gli articoli 2, 3, secondo comma, 33 e 34 Cost. che porta ad affermare l’esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo nei confronti dell’azione pubblica. Perciò, ha certamente colto nel segno la dottrina che ha sottolineato la necessità di intendere tutti i commi dell’art. 34 Cost. in un modo tendenzialmente “compatto”, ad esempio evitando di interpretare il suo primo comma in una chiave diversa da quella richiesta per i successivi dove il diritto all’istruzione viene riconosciuto nelle sue diverse forme316. Nella giurisprudenza costituzionale non manca un’attenta analisi di questa dimensione del diritto all’istruzione. Nell’evoluzione giurisprudenziale possiamo cogliere tre momenti fondamentali. Nel primo si è ritenuta la formula dell’art. 34, primo comma, Cost. come meramente programmatica. Nel secondo a tale norma si è dato un significato più forte nell’ottica del riconoscimento di un vero e proprio diritto, anche se limitato solo al tema dell’insegnamento. Nel terzo l’elaborazione giurisprudenziale del diritto all’istruzione contenuto nell’art. 34 è arrivata fino a riconoscere in questo articolo della Costituzione un diritto espressivo degli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.317. 313 314
S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, cit., p. 220. Vedi quanto riporta U. POTOTSCHNIG, Istruzione (diritto alla), cit., p. 98 e
99. 315
F. FRACCHIA, Il sistema educativo di istruzione e formazione, cit., p. 23 e
ss.
316
U. POTOTSCHNIG, Istruzione (diritto alla), cit., p. 99. Contra S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, cit., p. 253 e 254. 317 La questione sottoposta alla Corte riguardava il tema della frequenza delle scuole superiori da parte degli studenti disabili. Nel percorso che ha portato la Consulta a dichiarare l’illegittimità costituzionale di quelle norme che si limitavano a prevedere solo una “facilitazione” e non una vera e propria “assicura-
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Nella prospettiva della giurisprudenza costituzionale appare chiaro che la Costituzione ha apportato una innovazione fondamentale sia con riguardo all’obbligatorietà sia con riguardo alla gratuità della scuola318. Questi due concetti sono stati reinterpretati alla luce dell’esistenza di un diritto, l’istruzione, e di un luogo specifico dove ottenere garanzia di esso, la scuola. Le forme della gratuità e dell’obbligo sono state così ricostruite secondo una prospettiva del tutto particolare: non si tratta solo di garantire un servizio pubblico su tutto il territorio nazionale e di riconoscere il diritto del singolo di usufruire delle prestazioni in esse garantite in forma gratuita, ma di garantire un diritto con una matrice partecipativa, fino al punto di ritenere che l’effettività del diritto all’istruzione implica la partecipazione alla comunità scolastica. Il nesso tra gratuità e obbligatorietà è certamente il problema maggiore con il quale la dottrina si è confrontata. Nell’ordinamento pre-repubblicano la gratuità era considerata una conseguenza della obbligatorietà319. Meglio ancora, la gratuità era un incentivo alla obbligatorietà. Oggi, invece questi due termini hanno una relazione differente320. Entrambi si riferiscono al diritto all’istruzione, rivolto a garantire il pieno svolgimento della persona umana e l’eguaglianza sostanziale, come è stato ricordato. A questo proposito soccorre un ulteriore paszione” della frequenza alle scuole medie superiori per vi è un passaggio particolarmente efficace che riassume il significato della norma contenuta nel primo comma dell’art. 34. Si legge nella sentenza: «Statuendo che “la scuola è aperta a tutti”, e con ciò riconoscendo in via generale l’istruzione come diritto di tutti i cittadini, l’art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” apprestata dall’art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L’art. 2 poi, si raccorda e si integra con l’altra norma, pure fondamentale, di cui all’art. 3, secondo comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini». Cfr. Corte cost., sent. n. 215/1987, punto n. 6 del c.i.d. 318 M. MAZZIOTTI DI CELSO, Studio (diritto allo), in Enc. giur., XXX, Roma, 1993, p. 3 e ss. 319 U. POTOTSCHNIG, Istruzione (diritto alla), cit., p. 99 e ss. 320 Il nesso tra obbligatorietà e gratuità non si può far derivare neanche dalla universalità del servizio, come a dire che un servizio universale e obbligatorio non può che essere gratuito. In questo senso la Costituzione innova considerevolmente rispetto al passato. Contra G. CORSO, Principi costituzionali sull'istruzione, in Istruzione e servizio pubblico, a cura di C. MARZUOLI, Bologna, Il Mulino, 2003, cit., p. 38.
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saggio della sentenza precedentemente citata della Consulta, la quale distingue l’effettività del diritto all’istruzione nella scuola dell’obbligo e nei gradi successivi. Mentre nel primo caso l’effettività è garantita dalla sua “gratuità”, dice la Corte, nel secondo caso l’effettività «è garantita anche a chi, capace e meritevole, sia privo di mezzi», mediante quell’insieme di strumenti di cui parla l’art. 34, comma 4, Cost.321. Perciò, se l’obbligo scolastico e il diritto all’istruzione per la scuola inferiore sono connessi, anche i titolari di queste due posizioni saranno gli stessi: cioè soggetti passivi dell’obbligo sono le stesse persone che hanno la titolarità del diritto all’istruzione; a questi però occorre aggiungere coloro che partecipano alla relazione educativa che si instaura tra il singolo e l’amministrazione pubblica, come ad esempio i genitori o i tutori legali322 Un altro tema da affrontare è quello della compresenza nell’istruzione di un obbligo e di un diritto in capo ai medesimi soggetti e per lo stesso oggetto. A prima vista la coesistenza di due posizioni così differenti sembrerebbe una contraddizione. Il tema è stato già esaminato in dottrina. Coloro che lo hanno trattato hanno richiamato a proposito la teoria economica dei cd. “beni meritori”323. Secondo questi autori alla radice dell’imposizione di un obbligo, laddove vi sarebbe un diritto, vi è la considerazione che l’istruzione è un bene che non tutti vogliono consumare ma che invece lo stato ritiene tutti debbano consumare, sia per l’utilità diretta del cittadino sia per l’utilità generale. Le istituzioni pubbliche si comporterebbero in queste circostanze in modo paternalistico per paura che se l’istruzione fosse lasciata completamente al mercato si verificherebbe un esempio particolare di market failure, con conseguenze sociali negative324. La considerazione riportata si presta ad alcuni rilievi. Sebbene la teoria dei beni meritori si adatti particolarmente bene a questo tipo di situazione, essa non riesce fino in fondo a spiegare come mai vi sia la presenza di un diritto e di un obbligo per il medesimo soggetto. Portando alle estreme conseguenze questa teoria potremmo arrivare a dire che in fondo essa ci mostra la quasi completa inutilità dell’affermazione in Costituzione del diritto all’istruzione. Esso sarebbe un puro richiamo 321
Cfr. Corte cost., sent. n. 215/1987, punto n. 6 del c.i.d. Vedi sul punto la ricostruzione di A. POGGI, Art. 34, p. 706. 323 G. CORSO, Principi costituzionali sull’istruzione, cit., p. 38 e 39. 324 Il disallineamento tra domanda e offerta produrrebbe cioè un alto tasso di analfabetizzazione. 322
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retorico senza un grande valore aggiunto. Quello che invece conterebbe è che il servizio scolastico venga utilizzato da tutte le persone non in quanto diritto ma per una utilità decisa a monte dallo Stato. Se è così, allora l’affermazione del diritto costituzionale non ha molto senso. Sarebbe bastata la norma che prevede l’obbligo scolastico e la sanzione collegata nel caso di inosservanza di esso. La ragione che porta alla previsione di un obbligo nel caso dell’istruzione è, invece, strettamente collegata all’esistenza del diritto all’istruzione; anzi, essa deriva dall’esistenza di questo. Proviamo a giustificare questo assunto con un ragionamento. In un sistema costituzionale, come quello stabilito in Italia nel 1947, prevedere l’esistenza di un obbligo scolastico per ognuno richiese di dare una giustificazione del motivo per cui si chiedeva ad ogni membro di accettare le regole comuni. Il primo punto da mettere a fuoco è che tale richiesta è effettuata ad ognuno in quanto membro di una determinata comunità politica. Non è mai una richiesta che si fonda sul mero obbligo derivante dal potere dello Stato. In fondo l’obbligo e il riconoscimento di un diritto da parte della società stessa non possono che essere giustificati con questo stesso motivo. Ma cosa è implicato nel chiedere ad una persona di essere membro di una comunità e di essere obbligato dalle sue leggi? Il primo dato è quello di essere rispettato come persona e di essere trattato ugualmente agli altri325. Una comunità può chiedere il rispetto di un obbligo solo se quell’ordine della legge si accorda con il rispetto di quella stessa persona come libera ed eguale. Come si collegano il diritto e l’obbligo relativo? Il contenuto di questi due elementi dipenderà dalle pratiche sociali di quella specifica comunità. Tornando al problema in questione, in una società dove l’educazione è disponibile per tutti, dove essa è considerata generalmente come necessaria per la soddisfazione personale e per ottenere successo nel proprio lavoro, e dove si ritiene che i partecipanti ad una cultura politica e sociale abbiano un certo grado di istruzione, le pratiche sociali riconosceranno l’esistenza di un diritto e giustificheranno l’imposizione di un dovere personale (sanzionato o meno) di essere istruiti326. In questo modo pos325 Su questo aspetto mi sento debitore della lettura di R.M. DWORKIN, Social rules and legal theory, in The Yale Law Journal, 5, 81, 1972, p. 857 e ss. 326 Vedi sul punto gli interessanti esempi di C.E. BAKER, Utility and Rights: Two Justifications for State Action Increasing Equality, in Yale LJ, 84, 1974, p. 56 e 57.
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siamo arrivare alla medesima conclusione cui arriva chi afferma la natura della scolarità come bene meritorio. Prevedere insieme un obbligo e un diritto è funzionale a giustificare che per soddisfare il bisogno di tutti (come la scolarizzazione) occorre generare un decremento nell’utilità che ogni individuo potrebbe raggiungere ove il diritto non fosse invece riconosciuto a tutti327. Una scuola che intende offrire un servizio per tutta la popolazione produrrà certamente una minore utilità individuale in coloro che avrebbero usufruito di quel servizio senza la previsione dell’obbligo generalizzato. Proviamo ora a utilizzare i principi elaborati e a paragonare la previsione della gratuità per la scuola con la garanzia del servizio universale nel caso del diritto alla salute. L’interpretazione dell’art. 34 Cost. che abbiamo effettuato consente di mettere in mostra le caratteristiche comuni di questa norma con le altre della Costituzione che disciplinano la sanità e l’assistenza. In particolare nel caso della sanità appare particolarmente evidente lo statuto organizzativo comune. Pur essendo due beni differenti, sono tutti e due appartenenti alla categoria di quei servizi che nel moderno welfare state vengono organizzati in gran parte dalle istituzioni pubbliche. Sanità ed istruzione godono di uno statuto molto simile e corrispondono ad interessi di natura individuale e collettiva al medesimo momento. In ambedue i casi si ha a che fare con situazioni nelle quali occorre giustificare scelte sociali che garantiscono un bene per tutti ma possono generare una diminuzione delle utilità individuali. Inoltre, tutti e due i casi registrano una tendenza convergente a riconoscere la necessità di un servizio universale e una giustificazione di questo sulla base della garanzia di un diritto328. 327
I diritti, in questo senso, sono la base per giustificare scelte sociali che riducono la somma delle utilità individuali. Il tema è affrontato già da molti autori, partendo dal noto saggio di F.I. MICHELMAN, Foreword: On Protecting the Poor Through the Fourteenth Amendment, in Harv. L. Rev., 83, 1969, p. 12-14. 328 Tuttavia, se nel caso della salute la gratuità è stata prevista esclusivamente nei confronti delle fasce più povere della popolazione, nel caso dell’istruzione si è scelto di esplicitare direttamente in Costituzione che l’istruzione di base è concessa a tutti in forma gratuita. Nei fatti, come abbiamo visto in precedenza, anche nel caso della salute la politica adottata dallo Stato italiano, ispirata allo stato di benessere, ha portato ad estendere l’area delle prestazioni gratuite fino ad identificare un livello essenziale di prestazioni che devono essere garantite a tutti come nucleo essenziale delle prestazioni necessarie alla soddisfazione del bisogno di cura.
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Torniamo ora al tema dell’utenza del servizio ed alle caratteristiche specifiche dell’istruzione. Dall’istruzione inferiore, obbligatoria e gratuita l’art. 34 Cost., secondo comma, distingue i “gradi più alti degli studi”. Per l’istruzione superiore la regola non è l’universalismo ma la selezione ed è previsto che l’accesso all’istruzione superiore non venga pregiudicata dalla insufficienza del reddito. L’effettività di questo diritto, ricorda la Costituzione, è condizionata dal rispetto della regola del concorso329. Per l’istruzione superiore si è scelto di “selezionare” gli utenti. La ragione non è certamente di tipo elitario o aristocratico330 ma pragmatica. L’istruzione superiore è considerata un bene scarso di cui possono godere solo alcune persone. A causa della la limitatezza delle risorse il servizio deve essere garantito solo ad alcuni, di modo che le utilità singole non vengano oltremodo pregiudicate dalla presenza di una larga utenza. Da qui discende la limitazione del diritto di accedere ai gradi più alti degli studi solo ai “capaci e meritevoli” a prescindere dal reddito, il quale in base ad un principio che trova derivazione direttamente nell’art. 3, secondo comma, Cost. non può divenire la base per discriminare tra coloro che possiedono merito e capacità. A tutti gli altri rimane solo una “possibilità” di accedere ai gradi più alti degli studi condizionata dalla previa soddisfazione del diritto di chi invece ha quel “diritto” perché capace e meritevole. Tali limitazioni per altro convivono con il principio che la “scuola è aperta a tutti” in base alla “metrica delle azioni positive331“: in primis hanno diritto di accedere i capaci e meritevoli, se rimane spazio l’accesso può essere consentito anche agli altri; solo esigenze organizzative però possono giustificare l’esclusione di chi non ha le caratteristiche del comma 3 dell’art. 34 Cost.332 L’analisi della effettività del diritto all’istruzione e del diritto allo studio ad esso strettamente connesso hanno uno specifico valore anche all’interno della giurisprudenza costituzionale. Per questa ragione useremo le decisioni della Corte costituzionale come strumento di aiuto nella corretta definizione dei vari prin329
Il tema del concorso è di fondamentale importanza in questo settore. Per una ricostruzione del valore costituzionale di questa previsione vedi A. POGGI, Art. 34, cit., p. 710 e Q. CAMERLENGO, Art. 34 (commento a), in Commentario breve alla Costituzione a cura di S. Bartole - R. Bin Padova, 2008, p. 345. Nella giurisprudenza costituzionale si v. soprattutto la sent. n. 202/1995. 330 Come affermano S. CASSESE, A. MURA, Art. 33, cit., p. 253. 331 A. POGGI, Art. 34, cit., p. 710. 332 G. CORSO, Principi costituzionali sull’istruzione, cit., p. 39.
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cipi costituzionali esaminati. Uno degli aspetti generali che la Corte ha affrontato riguarda la connessione tra “diritto” all’istruzione e “organizzazione” dei servizi relativi. I giudici costituzionali hanno al riguardo chiarito la relazione che esiste tra l’art. 33 e 34 Cost., soprattutto per quanto riguarda i gradi più alti dello studio. Il primo dei due articoli è dedicato alla definizione della organizzazione scolastica, mentre il secondo al diritto di accedervi ed usufruire delle prestazioni che la scuola è chiamata a fornire333. Definire il rapporto tra diritti e organizzazione richiede anche di individuare chi è il soggetto passivo dell’obbligo, quale è lo strumento con cui definire quest’ultimo e inoltre quale è il contenuto che il legislatore può dare alla legislazione relativa al diritto all’accesso all’organizzazione. Quanto al primo punto, i soggetti coinvolti nell’azione di garanzia e di sostegno del diritto all’istruzione sono certamente quegli enti che istituzionalmente hanno l’incarico di apprestare l’organizzazione del sistema scolastico: perciò si tratterà tanto dei diversi livelli di governo indicati ora nell’art. 114, primo comma, Cost. quanto delle istituzioni scolastiche334. Per quanto riguarda invece la fonte capace di attuare le norme sul diritto all’istruzione ed allo studio previste nell’art. 34 della Cost., la Corte, nella sentenza richiamata in precedenza, ha affermato che sulla base delle libertà coinvolte e delle decisioni pubbliche di insieme implicate, «inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche», spetta anzitutto alla fonte primaria disciplinare la materia, lasciando poi alle fonti inferiori di completare il quadro normativo335. Quanto, invece, al contenuto che il legislatore deve dare al diritto dei capaci e meritevoli di accedere ai livelli più alti dell’istruzione, la giurisprudenza costituzionale ha affermato 333
È interessante notare che secondo la Corte costituzionale «organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l’una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione». Cfr. Corte cost., sent. n. 383/1998, punto n. 4 del c.i.d. 334 A. POGGI, Istruzione, formazione e servizi alla persona. Tra regioni e comunità nazionale, Torino, Giappichelli, 2003, passim. 335 Sent. n. 383/1998, punto n. 4.1 del c.i.d. Su tali temi vedi R. NIRO, Numero chiuso all'Università e potere regolamentare del Ministro: morte della riserva di legge o sua trasfigurazione?, in Giur. cost., 2, 1999, p. 1235 e ss.
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due principi fondamentali che qui richiamiamo sinteticamente: da un lato, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la menzione del merito e della capacità non può portare ad escludere automaticamente dal raggiungimento dei gradi più alti degli studi le persone con disabilità336, dall’altro, la Consulta ha affermato, con riguardo alla disciplina dell’accesso programmato ai corsi universitari, che il legislatore pur potendo orientare e incentivare l’accesso agli studi con riguardo ai requisiti di capacità e di merito in condizioni di eguaglianza, non può invece puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni che non siano in alcun modo riconducibili al merito e alla capacità337. Per completare la ricostruzione delle caratteristiche che ha la relazione tra persona e istituzioni pubbliche nell’art. 34 Cost. occorre prestare attenzione a due aspetti collegati a quelli che abbiamo analizzato fino ad ora. Il primo riguarda la individuazione di chi può essere considerato “capace e meritevole”. La verifica della presenza di questi requisiti – secondo la giurisprudenza costituzionale – deve implicare «un riscontro relativamente al “profitto”» in modo da escludere che la tutela costituzionale possa incoraggiare quei casi in cui l’iscrizione formale non è seguita da un «inadeguato (o nessuno) impegno»338. Perciò, pur spettando questa decisione al legislatore, la Corte non vedrebbe male la previsione di sistemi di controllo della effettiva dedizione degli studenti, specie con riguardo all’istruzione universitaria339. 336
Nota con passaggio della 215/1987, punto 6 cid. Corte cost., sent. n. 219/2002, punto n. 4 del c.i.d. La Corte si riferisce in questo occasione alla legislazione che prevedeva l’esclusione dall’accesso ai corsi di specializzazione per coloro che possedessero già un diploma di specializzazione. Sul tema dell’accesso all’istruzione universitaria e il ruolo della Corte costituzionale vedi anche P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., p. 410. 338 La sentenza riguardava un caso in cui si chiedeva la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevedeva la perdita del beneficio della pensione di reversibilità per i figli dei lavoratori iscritti all’ENASARCO che pur essendo iscritti all’università siano comunque percettori di un reddito da lavoro. La Corte ha dichiarato incostituzionale la norma in questione «nella parte in cui prevede la perdita del diritto alla pensione di reversibilità per i figli maggiorenni infraventiseienni che frequentino scuole o università, quando a qualsiasi titolo abbiano un reddito proprio, anziché prevedere che dalla pensione di reversibilità sia decurtata la misura di tale reddito proprio». I punti citati nel testo sono tratti da Corte cost., sent. n. 274/1993, punto n. 7 del c.i.d. 339 Per quanto riguarda poi il concetto di studente “capace e meritevole” la Corte ha avuto modo di affermare che tale concetto «si ricollega necessariamente anche con l’idoneità del medesimo a concludere il ciclo degli studi nei 337
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Il secondo aspetto riguarda invece il problema del reperimento delle risorse per finanziare il sistema scolastico. Al pari di tutti gli altri diritti sociali già analizzati, come la salute e l’assistenza, anche per il diritto alla istruzione e allo studio si pone il problema del finanziamento del sistema (scolastico). Il tema è stato trattato fin dal principio nelle sentenze che hanno affrontato il problema istruzione. La Corte, sul punto, ha tenuto un orientamento in base al quale gli obblighi posti dall’art. 34 Cost., e intesi a garantire il diritto dei capaci e meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi, debbono essere adempiuti nell’osservanza dei “limiti del bilancio” dello Stato340. Seguendo questo orientamento, la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità relative alla norma della regione Siciliana che non prevedeva il trasporto gratuito a favore degli alunni delle scuole private341, così come ha sancito l’infondatezza la questione di l’incostituzionalità sollevata sulle norme che ponevano il divieto di fruire una seconda volta della borsa di studio nel caso di iscrizione ad un dottorato di ricerca, anche se per un titolo diverso342.
tempi fissati dalle norme», a prescindere dalla previsione di una legislazione sulla durata dell’istruzione superiore che nel caso specifico dell’università consente sine die di avere lo status di studente “fuori corso”. Cfr. Corte cost., sent. n. 278/1998, punto n. 4 del c.i.d. 340 Cfr. Corte cost., sent. n. 125/1975, punto n. 2 del c.i.d. Si legge nella sentenza: «L’art. 34, secondo comma, della Costituzione, come emerge dal suo contenuto, non stabilisce affatto un obbligo assoluto rispetto alla generalità dei cittadini, ma, inteso in connessione con il successivo terzo comma, prevede un diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi, diritto che “la Repubblica rende effettivo con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. E appare ovvio rilevare che l’adempimento di tali obblighi, come dei principi della scuola aperta a tutti e di gratuità dell’istruzione elementare e media - sanciti dal citato art. 34, primo e secondo comma, della Costituzione - , debbono essere adempiuti nel quadro degli obblighi dello Stato secondo una complessa disciplina legislativa e nell’osservanza dei limiti del bilancio». 341 Corte cost., sent. n. 36/1982. 342 Corte cost., sent. n. 208/1996. La Consulta ha altresì ritenuto infondata la richiesta di dichiarare incostituzionale le norme della legge n. 390/1991 in tema di diritto allo studio, in quanto «compete al legislatore statale, nella disciplina delle modalità di realizzazione del diritto allo studio universitario, determinare un divieto generale di cumulo quale quello indicato nella norma impugnata, divieto che ben può trovare la sua giustificazione di ordine costituzionale nelle connotazioni proprie del diritto agli studi universitari e nella esigenza di impiegare le risorse pubbliche destinate alla realizzazione di tale
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Le interpretazioni
A questo orientamento, invece, fa eccezione l’ipotesi in cui si tratti della necessità di non discriminare, tra alunni delle scuole statali e alunni delle scuole private o paritarie, in ordine a quelle provvidenze tese a garantire direttamente la frequenza scolastica343. In tutti gli altri casi la Corte ha sempre indicato che allo Stato spetta, anche sulla base dell’art. 33 Cost., l’organizzazione del pubblico servizio scolastico, nel quale rientra solo l’organizzazione del servizio e dell’ambiente dove avviene l’insegnamento344. Come si può notare da queste ultime indicazioni vi è una notevole differenza tra il diritto alla salute precedentemente analizzato e il diritto all’istruzione. Mentre nel primo caso la giurisprudenza costituzionale ha faticato a sviluppare una dottrina del contenuto minimo/essenziale del diritto alla salute o del diritto alle cure, nel caso dell’istruzione la Corte ha fin da subito forgiato un orientamento che le ha consentito di distinguere tra i concetti di insegnamento, di istruzione e di educazione345 e partendo da questa distinzione i giudici costituzionali hanno inteso stabilire che allo Stato spetta garantire solo l’obbligo di assunzione del servizio e della sua organizzazione come livello essenziale346. Come si può intendere dalla ricostruzione effettuata, il diritto all’istruzione non può essere ridotto alla stregua di una mera pretesa ad ottenere una prestazione subordinata al bilanciamento con altre situazioni soggettive ed alla disponibilità di bilancio dello Stato. Nel caso dell’istruzione è evidente, infatti, che la fornitura di un servizio (o prestazione) da parte dei soggetti istituzionali non può far venire meno il nesso tra l’interesse pubblico al soddisfacimento di bisogni individuali di importanza collettiva e le formazioni sociali primariamente incaricate della cura di questi interessi. Questa considerazione è provata da due evidenze. La prima è che con riguardo all’istruzione la Costituzione si riferisce anzitutto ad una formazione sociale, la scuola. La seconda è che quando la Corte costituzionale ha intediritto secondo criteri di razionalità e di giustizia distributiva, così da garantire una maggiore estensione della sfera dei soggetti beneficiari». 343 Corte cost., sent. n. 454/1994. 344 Orientamento che come si è indicato è stato per la prima volta sancito dalla Corte nella sent. n. 7/1967. 345 Cfr. Corte cost., sent. n. 7/1967, punto n. 3 del c.i.d. 346 Sembra evidente che in questa attività si può ravvisare l’esistenza la fissazione di un livello “essenziale” che il legislatore deve riconoscere nella disciplina delle norme generali sull’istruzione.
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so tale diritto, non lo ha mai considerato svincolato dall’adempimento di corrispondenti doveri da parte della famiglia. In fondo, lo stesso art. 30, primo comma, Cost. nella sua formulazione composita, riconosce l’istruzione come uno degli oggetti delle relazioni etico-sociali composte di diritti e doveri che trovano nella famiglia il loro fondamentale ambito347. 5.4 Assistenza Le previsioni contenute nei commi dall’uno al quattro dell’art. 38 Cost. rientrano a pieno titolo tra quei rapporti giuridici di tipo verticale nei quali le persone divengono titolari di un diritto avente ad oggetto l’erogazione di determinati beni o servizi da parte dello Stato o di altre istituzioni rivolto a dare soddisfazione ad un particolare bisogno di natura primaria. La materia coperta da queste norme è molto complessa e in in queste poche righe non pretendiamo di ricostruire tutta la densità di tali relazioni. Ci limiteremo perciò a dare un contributo che sviluppi il diverso modo di intendere i diritti sociali che in questo lavoro stiamo esaminando. Affronteremo due argomenti. Il primo riguarda i presupposti di questa disposizione. Il secondo riguarda più nello specifico la natura delle relazioni e dei rapporti che in esso possiamo individuare. L’art. 38 della Costituzione fa parte di quel gruppo di articoli costituzionali che rappresentò, nel momento in cui fu scritto, una vera e propria scommessa. In controtendenza rispetto a quanto era accaduto in precedenza, e differentemente da altri ordinamenti, questa previsione ha innovato considerevolmente per tre ragioni. In primo luogo, l’art. 38 fa parte a pieno titolo della complessa esigenza di rinnovamento sociale indicata negli artt. 2 e 3, comma 2, Cost. Esso trova ampia motivazione nel riconoscimento dell’esigenza di promozione dei valori individuali dell’uomo considerato sia singolarmente sia in quelle comunità e formazioni sociali in cui egli esprime la sua personalità. Il primo e il secondo comma di questo articolo segnano, dunque, il superamento di una concezione meramente assicurativo mutualistico della previdenza, considerando quest’ultima come una delle più ampie manifestazioni della solidarietà e della conce347
Cfr. il punto n. 3 del c.i.d. della sent. n. 7/1967.
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zione costituzionale che prevede una protezione particolare per il cd. “contraente debole”. Inoltre, questo articolo mentre abbraccia un determinato modello di intervento sociale indica al legislatore attraverso un linguaggio comune una serie di obiettivi pratici. Nello specifico si costruiscono una serie di posizioni soggettive in capo a determinate categorie di persone sulla base di un articolo costituzionale, senza prescindere dall’intervento concreto del legislatore348, ma mettendo a riparo certi soggetti in ragione della loro condizione soggettiva di debolezza. Da questa previsione costituzionale derivano, dunque, diritti veri e propri di cui tutte le persone possono godere a prescindere dall’intervento concreto dello Stato349. Gli stessi lavori preparatori aiutano a decifrare che tale norma fa sorgere immediatamente un diritto a favore dei beneficari, la quale non ha bisogno della mediazione del legislatore per esistere. Malgrado le differenze tra assistenza e previdenza, a cui poi faremo accenno, anche la Corte costituzionale ha riconosciuto che i primi due commi dell’art. 38 Cost. contengono disposizioni immediatamente precettive350 da cui sorgono diritti soggettivi in senso proprio, azionabili e tutelabili in giudizio come tutti i diritti inviolabili351. In secondo luogo, l’articolo 38 segna il passaggio definitivo da forme assicurative di tipo privato ad un sistema di assicurazione di tipo sociale. In quest’ultimo manca un contratto di assicurazione per l’irrilevanza del rischio individuale e per la mancanza di corrispettività fra la copertura del rischio e il contributo. Il rapporto cui da vita il sistema di previdenza sociale ha, infatti, caratteristiche totalmente diverse che derivano 348
L’intervento del legislatore è anzi necessario al fine di stabilire un ragionevole bilanciamento fra le esigenze sottese ai bisogni dei possibili beneficiari e le esigenze connesse al godimento di altri diritti costituzionali e al perseguimento di interessi di ordine generale costituzionalmente rilevanti. A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 183. 349 Come è stato indicato, “dalla norma dell’art. 38 discende una tutela effettiva, costituzionalmente vincolata, del diritto in esame, diritto fondamentale, imprescrittibile e irrinunciabile. Più precisamente, esso con tiene in sé un «nucleo essenziale» non modificabile in sede legislativa, nel senso che sul legislatore grava l’obbligo di non vanificare la tutela predisposta dalla Costituzione e di conservare pertanto tale nucleo essenziale. Invero, l’effettività della garanzia comporta che i benefici attribuiti non siano insignificanti e, dunque, che non siano erogate prestazioni irrisorie”. L. VIOLINI, Art. 38, cit. 350 Vedi Corte cost., sentt. nn. 103/1981, 349/1983. 351 vedi Corte cost., sentt. nn. 22/1969, 80/1971, 160/1974, 64/1975, 88/1979, 184/1986, 497 e 1011/1988.
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dall’applicazione del principio di solidarietà, sia fra datori di lavoro e lavoratori sia tra gli stessi lavoratori sia tra i componenti dell’intera comunità nazionale, e dalla considerazione che il lavoro ha assunto nella Costituzione repubblicana una utilità ed una funzione sociale insostituibile. La sfida per il legislatore si legava in modo diretto alla problematica circa la natura delle nostre norme costituzionali di principio ed alla creazione di un sistema che potesse dare concretamente attuazione alla previsioni di principio sulla forma di stato. L’idea che animava i costituenti era che anche questa parte della Costituzione dovesse seguire uno sviluppo comunque prevedibile (con diritti di contenuto tipico). Se anche non vi era grandissima chiarezza sul modo di garantirli, si riconosceva comunque che questi diritti erano indisponibili alle maggioranze, le quali dovevano fare i conti con l’organizzazione di un sistema di prestazioni utili a rispondere a certi bisogni primari352. Questo può essere affermato soprattutto per l’art. 38, comma 2, Cost., che in maniera del tutto innovativa rispetto ai previgenti sistemi previdenziali di stampo corporativomutualistico-corrispettivo, non indica le prestazioni specifiche alle quali hanno diritto i lavoratori soggetti ai rischi elencati nello stesso, ma prevede il «diritto a che siano preveduti ed assicuraci mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» qualora detti rischi/eventi si verifichino, «lasciando così intendere non tanto una improbabile e finanziariamente insostenibile continuità quantitativa tra ammontare della prestazione previdenziale (soprattutto pensionistica) e ultima retribuzione percepita, quanto, piuttosto, la necessità di un’attenta valutazione da parte del legislatore ordinario delle caratteristiche strutturali necessarie a rendere la prestazione stessa funzionale alla realizzazione del dettato costituzionale353». In terzo luogo, non bisogna dimenticare la concezione teorica di cui questa previsione è frutto. Da un lato, l’idea che tra i compiti dello stato rientrasse anche la liberazione dal bisogno e la sicurezza sociale; idee che i nostri costituenti mutuavano soprattutto dalle due esperienze del “New Deal” americano e del
352
F. SANTORO PASSARELLI, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, in Rivista italiana di previdenza sociale, 1, 1948, p. 177 e ss. 353 E. ALES, Sicurezza sociale ed assistenza sociale (art. 34 e 38), in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2, VII, 2008, p. 215.
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“Piano Beveridge” inglese354. Dall’altro, l’ideologia che considerava le prestazioni in cui l’azione sociale dello Stato si concreta come oggetti di veri e propri diritti dei cittadini, fondati sul generale diritto di eguale partecipazione ai benefici della vita sociale e sulla partecipazione di tutti in funzione di garanzia della libertà355. Dunque, tali norme costituiscono una novità netta rispetto al passato356. Sulla base dell’impostazione metodologica che riconosce il valore assolutamente innovativo dell’art. 38 si è proceduto alla individuazione di quale fosse il carattere soggettivo ed oggettivo dei rapporti contenuti in questo articolo, nella prospettiva rivolta a contestualizzare il contenuto di queste previsioni all’interno della giurisprudenza costituzionale, per poi passare ad una valutazione sintetica delle direttrici di sviluppo del modello di protezione dei diritti sociali. Anzitutto, prestiamo attenzione alla struttura dell’articolo in questione descrivendone tre caratteri: i soggetti, l’oggetto del 354
Il Social Security Act del 1935 negli Stati Uniti inizia l’era del Welfare State introducendo un sistema innovativo di assicurazioni di vecchiaia, di assistenza ai disoccupati, di aiuto alle famiglie numerose, di assistenza sanitaria. La politica americana innovò così la politica sociale, introducendo un elemento nuovo, quello della prevenzione e della copertura dci rischi sociali. La vastità della materia, l’empirismo della organizzazione e la eterogeneità con cui l’espressione “social security” viene usata, non toglie valore a questa nuova impostazione dei rapporti tra Stato e cittadino che ebbe una portata globale. Il nuovo indirizzo di politica sociale dello Stato moderno ebbe, infatti, una influenza decisiva anche in Europa, anzitutto in Inghilterra, dove prima il “Piano Beveridge” del 1942 intese estendere il sistema assicurativo sociale a tutta la popolazione, poi la legge del 1944 unificò il sistema delle assicurazioni sociali come premessa ad un «servizio nazionale sanitario», avente per scopo la prevenzione e l’assistenza verso tutta la popolazione. Vedi a tale proposito: M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, Giappichelli, 2012, e ss. 355 M. MAZZIOTTI DI CELSO, Assistenza (dir. cost.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, p. 749 e ss. 356 Già da molto tempo la dottrina ha affermato che questa norma, da un lato, ha rivestito di una guarentigia costituzionale l’intera disciplina legislativa della materia previdenziale che era in vigore al momento dell’emanazione della Costituzione, sì da scongiurare «qualsiasi mutamento in senso privatistico, qualsiasi specie di ritorno verso forme organizzative anteriori», dall’altro, ha lasciato il legislatore ordinario libero di introdurre per il futuro, anche per la soddisfazione del diritto dei lavoratori «ai mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», un diverse assetto organizzativo non più improntato (in tutto o in parte) allo schema assicurativo della mutualità obbligatoria di gruppo e della corrispondenza tra prestazione previdenziale e concorso alle spese. Sul punto vedi V. CRISAFULLI, Costituzione e protezione sociale, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952, passim.
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rapporto ed il suo contenuto. Quanto ai soggetti attivi la Costituzione riconosce e garantisce una speciale tutela sia al cittadino (art. 38, primo comma) «inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere» sia al lavoratore (art. 38, secondo comma) «in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria». Soggetto passivo di questo rapporto giuridico (art. 38, comma 4, Cost.) è in tutti e due i casi è lo Stato, il quale interviene attraverso suoi «organi ed istituti» che possono essere «predisposti o integrati»357. Nonostante la chiara dizione dell’art. 38, commi 1 e 2, Cost. la dottrina discute sulla interpretazione di queste norme358. È oramai pacifico, grazie al 357
La nostra Costituzione, infatti, dispone che la realizzazione del programma previsto da questo articolo deve avvenire ad opera dello Stato, tenuto non solo a predisporre ma anche ad integrare gli istituti e gli organi necessari a tale scopo. L’azione dello Stato non si può limitare, dunque, alla costituzione degli istituti ed alla disciplina dell’organizzazione e dei rapporti, ma deve tendere, secondo il dettato degli artt. 2 e 3 Cost., alla effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protetti e perciò alla realizzazione dell’utilità pubblica a cui l’interesse di questi corrisponde. M. PERSIANI, Diritto della previdenza sociale, Padova, Cedam, 2011, p. 17. 358 La dottrina ha espresso due fondamentali visioni dell’art. 38 Cost. Una parte ritiene che nell’art. 38 si sarebbe riaffermata l’antica e tradizionale distinzione tra assistenza sociale (prima comma) e previdenza sociale (secondo comma). Tale ricostruzione (denominata anche “dualistica”) assicurerebbe l’assistenza sociale a tutti i cittadini, purché inabili al lavoro, minorati fisici o psichici o indigenti. In tal modo, tuttavia, sarebbero soddisfatti i bisogni di alcune categorie soltanto di soggetti, ai quali verrebbero riconosciuti il c.d. mantenimento sociale o altre forme di intervento. A titolo esemplificativo si vedano la posizione espresse da: G. MAZZONI, Previdenza, assistenza e sicurezza sociale, in Studi in onore di Tullio Ascarelli, a cura di AA.VV., III, Milano, Giuffrè, III, 1969, p. 1226 ss.; U. PROSPERETTI, Sulle nozioni di protezione soviale e di sicurezza sociale, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 4-5, V, 1954, p. 298 e ss.; M.S. GIANNINI, Profili costituzionali della protezione sociale delle categorie lavoratrici, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, I, III, 1953, p. 1 e ss.; M. CINELLI, Appunti sulla nozione di previdenza sociale, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1, I, 1982, p. 156 e ss. Per un’altra parte, invece, dal confronto dei primi due commi dell’art. in esame con il secondo comma dell’art. 3 Cost. si evincerebbe che «la Costituzione repubblicana, profondamente innovando rispetto alle concezioni che erano state accolte durante 1’ordinamento corporative, considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la collettività (cfr. n. 4 en. 5). Secondo i principi costituzionali, il titolo per avere diritto alle prestazioni previdenziali risiede sol tanto nell’essere cittadini e i livelli di quelle prestazioni, in quanta destinate ad assicurare ai cittadini che siano, o siano stati, anche lavoratori, “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, debbono essere determinati soltanto in funzione delle scelte politiche che ispirano il legislatore nella valutazione e
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contributo interpretativo dalla Corte costituzionale, che la condizione dei cittadini e quella dei lavoratori costituiscono “due distinte fattispecie tipiche”. Come ricorda la Consulta: “La distinzione tra cittadini e lavoratori qui viene sottolineata non certo allo scopo d’affermare che soltanto nei confronti dei cittadini, di cui al primo comma dell’art. 38 Cost., e non dei lavoratori, lo Stato debba istituire e gestire gli strumenti operativi atti a soddisfare il diritto dei cittadini stessi al mantenimento ed all’assistenza sociale; bensì per precisare che il secondo comma dell’art. 38 Cost., indicando fatti giuridici di soggetti particolarmente qualificati (lavoratori) rinvia a tutte le norme che impongono le contribuzioni previdenziali dei lavoratori stessi o che comunque attengono al lavoro prestato359”. Oggetto del rapporto giuridico è, dunque, l’utilità che il cittadino, da un lato, e il lavoratore, dall’altro, traggono. Nell’un caso e nell’altro non si tratta di un bene materiale, ma consiste nel “sollievo dall’ansia procurato dalle preoccupazioni generate dall’incertezza circa l’avvenire, circa lo stato di salute360“ o le condizioni economiche. Tutti questi elementi, che nello specifico vengono espressi genericamente come «mantenimento» e «assistenza sociale» o come «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», non sono passibili immediatamente e rigidamente di una valutazione economica, perchè si tratta di interessi che hanno una natura morale e sociale. L’aspettativa che riguarda il lavoratore o il cittadino è diretta a procurare una utilità al verificarsi di determinati fatti, che nel primo comma sono collegati dell’inabilità al lavoro e dell’essere sprovvisti dei mezzi necessari per vivere; mentre nel secondo comma sono i fatti singoli di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria che condizionano il sorgere del rapporto giuridico previdenziale. nella individuazione delle esigenze di liberazione dal bisogno alle quali occorre dare soddisfazione». Cfr. M. PERSIANI, Diritto della previdenza sociale, cit. Su tale punto v. anche la posizione di M. MAZZIOTTI DI CELSO, Assistenza (dir. cost.), cit., p. 752-753 che pur non entrando nell’agone della disputa offre uno spunto per mediare tra le due posizioni affermando (nel momento in cui scrive) che, nonostante le differenze, il nostro ordinamento sembra indicare uno sviluppo tendente verso un sistema di protezione sociale che come quello britannico «mira a creare una condizione di sicurezza per tutta la collettività, quale che sia la classe professionale cui essi appartengono». 359 Cfr. Corte cost., sent. n. 31/1986, punto n. 3 del c.i.d. 360 In questo senso v. le considerazioni di A. BARETTONI, Il rapporto giuridico previdenziale, in Rivista italiana di previdenza sociale, 6, 12, 1959, p. 13.
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Contenuto, infine, dei due rapporti giuridici è la somma delle varie facoltà che il rapporto medesimo garantisce al soggetto attivo e i relativi doveri/obblighi per il soggetto passivo. Nel primo comma il rapporto giuridico assistenziale prevede, dal lato attivo, una serie di diritti in capo al cittadino rivolti al mantenimento ed all’assistenza sociale e, dal lato passivo, l’obbligo di prestazioni dirette a provvedere ai mezzi necessari per vivere; nel secondo comma il rapporto giuridico prevede, dal lato attivo, il diritto dei lavoratori, in quanto tali, ad essere forniti dei mezzi adeguati alle (loro) esigenze di vita e, dal lato passivo, l’obbligo di prestazioni tendenti a garantire ai lavoratori stessi “mezzi adeguati”. La Corte costituzionale stessa, nella sentenza appena citata, ha mostrato che i “mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita: questi ultimi comprendono i primi ma non s’esauriscono in essi361”. In tal senso, l’interpretazione di questo articolo mostra alcune similitudini con quanto già analizzato in precedenza circa il diritto alla salute ed il diritto all’istruzione. Il confronto tra le espressioni usate nel primo e nel secondo comma dell’art. 38 Cost. offre lo spunto per rilevare che i Costituenti hanno privilegiato la condizione dei lavoratori – per il contributo che essi danno alla collettività e per la contribuzione previdenziale prestata – ed hanno garantito ai cittadini (rectius non lavoratori) il minimo essenziale, cioè i mezzi necessari per vivere. Vi è, come dice la stessa Corte costituzionale, un “profilo modale” che separa i due modelli dei quali si discute: “per realizzare la garanzia assicurata ai cittadini, per provvedere alla pensione sociale, l’art. 38 Cost. implicitamente in mancanza di contribuzioni previdenziali (non trattandosi di lavoratori non è dato invocare solidarietà particolari di gruppi o categorie) si fonda unicamente sulla solidarietà collettiva, chiamando i cittadini tutti a fornire i mezzi economico-finanziari indispensabili ad attuare le prestazioni assistenziali. Allo scopo di realizzare, invece, la garanzia assicurativa ai lavoratori, per provvedere alla prestazione previdenziale, l’art. 38, secondo comma, si rifà, implicitamente, o almeno finché sia attuato mediante strumenti mutualisticoassicurativi, alle contribuzioni versate durante i periodi di lavoro362”. Non è un caso, dunque, che la Corte costituzionale con361 362
Cfr. Corte cost., sent. n. 31/1986, punto n. 3 del c.i.d. Cfr. Corte cost., sent. n. 31/1986, punto n. 3 del c.i.d.
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cludeva sul punto ricordando che “l’idea della sicurezza sociale (...) ispira tutto l’articolo in esame” ma ipotizza solo due modelli tipici della medesima, non escludendone altri363. Malgrado sia unico il fondamento e l’anima ispiratrice dei due commi, essi sono strutturalmente e qualitativamente distinti in quanto realizzano in modo diverso uno stesso scopo, “apprestando cioè ai cittadini, in generale, in occasione di alcuni eventi e d’accertata situazione di bisogno, alcune garanzie attraverso il concorso della collettività ed offrendo ai lavoratori, in situazioni particolarmente significative, altre, più elevate garanzie attraverso il concorso degli stessi lavoratori e dei datori di lavoro364”. La distinzione operata dalla Corte costituzionale rimanda implicitamente alla correlazione che c’è in questi due commi tra “rischio” e “bisogno”. Per rischio si intende evidentemente la possibilità di un evento che provoca oggettivamente un bisogno del soggetto, mentre bisogno nella sua accezione più neutra è la mancanza di un bene. L’uso delle categorie del bisogno e del rischio (tipiche dei sistemi assicurativi sia privati che pubblici365) rappresenta uno strumento agevole per distinguere tra l’oggetto del primo e quello del secondo comma dell’art. 38 Cost. Mentre nel secondo comma si trovano esempi di correlazione tra eventi rischiosi e situazioni di bisogno, nel primo comma esiste solo una condizione di bisogno che non è un fatto eventuale, ma connaturato (salvo rare eccezioni) alla persona. Se questo vale a distinguere le due condizioni, vi sono però degli elementi che tendono ad avvicinare le situazioni descritte nei due commi. Anche la previdenza sociale, infatti, non adempie ad una funzione indennitaria di ristoro di un danno subito dal lavoratore, ma invece ad una funzione di sollievo dal bisogno, fornendo al lavoratore non prestazioni equivalenti a quelle che aveva prima dell’evento, ma solo adeguate alle sue esigenze di vita; nella Costituzione il bisogno viene considerato in senso oggettivo ed entro certi limiti con riguardo alla retribuzione ed al tenore di vita del lavoratore, come bisogno socialmente rilevante366. 363
Ad esempio nel caso della stessa sent. n. 31/1986 la Corte era chiamata a giudicare la speciale garanzia del “trattamento minimo pensionistico dovuto ai lavoratori”. 364 Cfr. Corte cost., sent. n. 31/1986, punto n. 3 del c.i.d. 365 F. SANTORO PASSARELLI, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, cit., p. 177 e ss. 366 Op. cit., p. 183.
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La prima direttrice di sviluppo che la giurisprudenza costituzionale ha contribuito a definire riguarda l’indicazione a leggere l’articolo in esame non come norma programmatica ma come precetto immediatamente giustiziabile367. La Corte costituzionale ha stabilito questo indirizzo in numerose pronunce. Significativa tra tutte è la sentenza n. 160/1974 nella quale la Consulta ha statuito - ancor più chiaramente che in precedenti occasioni368 - che la disposizione del capoverso dell’art. 38 crea “veri e propri diritti di prestazione, il cui carattere precettivo non viene meno per il fatto che il destinatario della norma sia lo Stato, il quale è vincolato ad operare con organi ed istituti predisposti o da esso integrati, nel settore della disciplina dei rapporti sociali assicurativi nel senso voluto dalla Costituzione”369. L’art. 38 Cost., dunque, non contiene solo un principio di natura politica che esaurisce i suoi effetti nell’affermazione di un dovere dello Stato di provvedere all’assistenza sociale, come fosse una mera dichiarazione in prospettiva. E oltre ad avere effetti sul contenuto sostanziale della norma, la natura fondamentale del diritto in questione influisce anche sul suo regime giuridico, come è possibile desumere da quelle sentenze costituzionali che hanno attribuito ai diritti previdenziali ed assistenziali una speciale protezione: diritti irripetibili, imprescrittibili, non assoggettabili a misure cautelari o espropriative o di compensazione. La seconda direttrice di sviluppo ha riguardato la realizzazione del principio di eguaglianza all’interno della disciplina previdenziale ed assistenziale. Come è stato indicato, nelle prime pronunce la Corte ha dato una lettura della operatività del principio di eguaglianza volta principalmente a rimuovere l’ingiustificato privilegio di una disciplina più favorevole rispetto a quella messa in comparazione. Più o meno fino all’inizio degli anni novanta la giurisprudenza costituzionale ha dato soprattutto risposta alle numerosissime istanze provenienti da quanti erano rimasti privi di protezione sociale o che il legislatore aveva lasciato sotto protetti. Tale orientamento negli anni successivi è mutato. La crisi finanziaria del nostro sistema previdenziale hanno costretto il legislatore a cambiare orientamento. Di fronte all’esigenza di razionalizzare il nostro sistema di previdenza e di assistenza anche la Corte costituzionale è stata costretta ad assecondare l’esigenza di contenere i costi delle 367
Vedi L. VIOLINI, Art. 38, cit., p. 776. Vedi ad esempio Corte cost., sent. n. 80/1971. 369 Cfr. Corte cost., sent. n. 160/1974, punto n. 2 del c.i.d. 368
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prestazioni in funzione della razionalizzazione de sistema370. Esemplificativa di questo argomento è soprattutto la sentenza n. 99/1995 con la quale la Consulta ha usato in modo molto più netto che in passato il criterio della sostenibilità finanziaria delle prestazioni previdenziali. Di fronte alla richiesta che anche per le prestazioni previdenziali si seguisse il criterio della “adeguatezza e proporzionalità” previsti dall’art. 36 Cost., i giudici costituzionali hanno dichiarato che stante la utilizzabilità di questo ultimo criterio anche nella fase del collocamento a riposo del lavoratore, deve essere tenuto in conto che “esiste il limite delle risorse disponibili”. Perciò, il Parlamento e il Governo sono pienamente legittimati ad introdurre modifiche alla legislazione di spesa previdenziale – anche di segno contrario alle aspettative dei lavoratori, ma sempre entro la soglia della ragionevolezza371 – ove ciò sia reso necessario dalle esigenze di “salvaguardare l’equilibrio di bilancio dello Stato e a perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria372“. Il tema della incomparabilità di prestazioni previdenziali diverse è stata affermata dalla Corte costituzionale anche in altre pronunce, sia per ragioni legate alla natura delle prestazioni stesse373 sia per ragioni legate alla adeguatezza delle prestazioni previste dal legislatore374. La terza direttrice riguarda il finanziamento delle prestazioni che rientrano all’interno della cornice dell’art. 38 Cost. La scelta di fondo degli ordinamenti contemporanei, e così anche del nostro, è stata quella di finanziare il sistema previdenziale (non quello dell’assistenza sociale) mediante i contributi obbligatori a carico dei lavoratori calcolati con riferimento alla retri370
M. PERSIANI, Conflitto industriale e conflitto generazionale (cinquant'anni di giurisprudenza costituzionale), in Argomenti di diritto del lavoro, 4-5, 2006, p. 1066. 371 V. a questo proposito Corte cost., sent. n. 196/1993, che dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di assistenza sociale obbligatoria, il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale in ordine agli interessi legali e al risarcimento del maggior danno sofferto dal titolare per la diminuzione di valore del suo credito”. 372 Cfr. Corte cost., sent. n. 99/1995, punto n. 2 del c.i.d. Da ultimo vedi anche Corte cost., sentt. nn. 506/2002 e 87/2003. 373 Si veda a tale proposito Corte cost., sent. n. 34/2011, in cui la Corte afferma la incomparabilità della pensione di guerra e le prestazioni previdenziali a favore di persone incollocabili per invalidità. 374 Corte cost., sent. n. 426/2006.
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buzione. In questo quadro, la fiscalità generale sembrerebbe aver assunto un ruolo marginale o sussidiario, essendo circoscritta ad alcuni limitati ambiti, quali il finanziamento di alcune prestazioni rivolte alla generalità dei cittadini (pensione sociale poi divenuta assegno sociale). A dire il vero il finanziamento mediante lo schema assicurativo ha seguito uno sviluppo del tutto particolare a seguito dell’assunzione dello schema dell’assicurazione sociale, di cui abbiamo parlato sopra. Per effetto di questa scelta, nella disciplina previdenziale manca una relazione sinallagmatica tra prestazione patrimoniale del lavoratore e prestazione sociale da parte dell’ente previdenziale375. Da ciò è derivato per tutta conseguenza che sia la prima prestazione sia la seconda hanno assunto un carattere automatico al verificarsi delle condizioni dettate dalla legislazione. Così l’obbligo della prestazione a carico dell’ente previdenziale non è stato in alcun modo condizionato dalla correlazione causale con la controprestazione376. L’assunzione della funzione previdenziale direttamente da parte dello Stato – pur attraverso l’uso degli enti pubblici istituiti o integrati da esso – ha modificato nei fatti la finalità del sistema di welfare. Dalla garanzia verso certe persone in ragione della loro condizione di bisogno siamo passati ad una tutela dell’interesse generale della collettività stabilito nelle direttrici generali dello stato sociale. Il cambiamento nella connessione della prestazione sociale allo stato di bisogno del consociato, assieme al finanziamento mediante oneri contributivi stabiliti per legge, ha mutato il fondamento della sicurezza sociale (e dell’assistenza), il quale deve essere ricercato in un dovere generale di solidarietà assunto dalla comunità organizzata nella forma dello Stato, ente espressivo massimo di questa stessa comunità377. Sebbene durante questi anni il legislatore abbia inse375
Vedi in questo senso quanto si può leggere in Corte cost., sent. n. 287/1996 in tema di assoggettabilità della indennità di disoccupazione ad un regime di tassazione separata anziché al cumulo con gli altri redditi percepiti dal lavoratore in anni precedenti o successivi. 376 Di regola i contributi devono essere versati sempre, anche se manchi il diritto ad una prestazione previdenziale, e soprattutto le prestazioni previdenziali prescindono dal versamento dei contributi, tanto che devono essere versate anche a favore di coloro per i quali i datori di lavoro hanno omesso di versare gli oneri contributivi agli enti previdenziali. 377 La radice di questa idea si può trarre fin dai discorsi dei Costituenti all’interno del dibattito che portò alla creazione degli articoli del Titolo III della Parte prima della Costituzione, e sui quali ci siamo soffermati nella parte
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rito elementi che correggono le finalità redistributive della ricchezza caratterizzanti il nostro sistema di welfare, la finalità retributiva non ha ancora un grande peso nella organizzazione del sistema previdenziale378. La ricostruzione del nostro sistema di previdenza sociale, secondo una finalità di tipo solidaristico legata a tutta la comunità statale, ha trovato un terreno fertile all’interno di alcuni indirizzi della giurisprudenza costituzionale379. Il tema più forte che la Corte costituzionale ha consentito di fare emergere è proprio la connessione tra il precetto dell’art. 38 e gli artt. 2 e 3, comma 2, della Costituzione380. La solidarietà alla base della sicurezza sociale è stata considerata come uno strumento di promozione sociale a garanzia della libertà di ciascun consociato, in quanto diretta a favorire il perseguimento di una effettiva tutela della dignità personale e a permettere la partecipazione al programma di sviluppo della personalità umana381. Il contributo obbligatorio alla base del sistema di assicurazione sociale è stato connesso, in tale circuito, al dovere generale di solidarietà
precedente di questo lavoro. Un affinamento di questo pensiero è stata realizzata negli anni successivi alla Costituente da alcuni dei protagonisti di quel dibattito. Si vedano ad esempio i seguenti contributi di A. MORO, Le funzioni sociali dello Stato, in Funzioni e ordinamento dello stato moderno, a cura di U.G.C. ITALIANI, Roma, Studium, 1953, p. 44 e G. DOSSETTI, Funzioni e ordinamento dello stato moderno, in Funzioni e ordinamento dello stato moderno, a cura di U.G.C. ITALIANI, Roma, Studium, 1953, p. 57. 378 Su tale punto vedi i rilievi generali di M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit. 379 Tra le prime sentenze che affermano le caratteristiche del nostro sistema previdenziale vedi in particolare Corte cost., sent. n. 160/1974. 380 Argomento già analizzato in precedenza con riguardo all’indirizzo espresso in Corte cost., sent. n. 31/1986. 381 La tesi qui esposta è stata espressa in modo molto limpido all’interno di Corte cost., sent. n. 393/2000, punto n. 3 del c.i.d. La vicenda riguardava la disciplina che aveva subordinato il conseguimento del diritto a prestazioni previdenziale di tipo complementare al momento in cui il lavoratore maturava i requisiti previsti dalla disciplina generale obbligatoria. Nel dichiarare infondata la questione di legittimità, la Corte si sofferma sulla connessione tra la previdenza obbligatoria e la previdenza complementare. Ambedue traggono fondamento nell’art. 38, comma 2, Cost. e soprattutto la tutela dell’interesse individuale del lavoratore ad usufruire di forme di previdenza complementare non deve essere disgiunta, in misura proporzionata, dal “dovere specifico di cura dell’interesse pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti ai soggetti più deboli” (in tal senso v. Corte cost., sentt. 421/1995, 292/1997, 178/2000 e 506/2002).
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generale ed ha perso riferimento alla prestazione contrattuale382, così da divenire nei fatti una prestazione tributaria il cui fondamento logico va ricercato nella esigenza di solidarietà generale383, con l’ulteriore conseguenza che il presupposto normativo del contributo previdenziale ha dovuto essere considerato conforme ai parametri costituzionali della capacità contributiva e dell’interesse fiscale384. Se nei fatti questa è stata l’impronta che il legislatore ha dato al sistema di previdenza, rimane comunque fermo il riconoscimento che la Corte costituzionale ha compiuto di un’ampia discrezionalità in capo al legislatore stesso, sia dei tempi sia dei modi sia della misura delle prestazioni sociali, sulla base del contemperamento con gli altri diritti e nei limiti della disponibilità finanziaria dello Stato385. Anche nel sistema che riconosce il fondamento delle prestazioni sociali sulla solidarietà collettiva e sulla discrezionalità esistono limiti intesi a trovare un equilibrio tra doveri collettivi e interessi dei singoli o delle comunità di riferimento. La solidarietà collettiva non ha infatti un carattere assoluto, ma trova un limite sia positivo che negativo nella solidarietà dei corpi intermedi. L’intervento dello Stato nell’assistenza in funzione della solidarietà generale non può – e non deve – prescindere, secondo la Corte costituzionale, dall’intervento solidaristico delle collettività minori e delle relazioni collegate, come accade in particolare nei rapporti familiari. Nel caso di specie la Consulta ha affermato che malgrado il nostro sistema costituzionale richieda “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale (art. 2)” e sancisca “il diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale di chi sia inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere (art. 38, primo comma), l’apporto di chi abbia specifici doveri solidaristici e quello della collettività si presentano in una relazione non di esclusio382
Si veda a tale proposito Corte cost., sent. n. 297/1999, punto n. 4 del c.i.d. La pronuncia distingue tra le prestazioni erogate dall’INPS e dall’INAIL, affermando che mentre le prime sono legate al sistema della solidarietà sociale ed hanno pertanto un connotato prettamente solidaristico, le seconde hanno invece un connotato “risarcitorio”. In tal senso anche Corte cost., sent. n. 310/1995 383 M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit. 384 Per il sistema precedente alla riforma previdenziale degli anni Novanta v. Corte cost., sent. n. 173/1986, punto n. 10 del c.i.d. 385 Anche se tale indirizzo è generalizzato, espressioni particolari di esso si possono ritrovare nella già citata sent. n. 31/1986 e nella sent. n. 17/1995.
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ne, ma di integrazione reciproca: sia nel senso che vi sono taluni interventi di sostegno che vanno direttamente ‘predisposti’ dallo Stato, sia nel senso che vanno da esso ‘integrati’ quelli privati laddove questi non risultino sufficienti alla liberazione dallo stato di bisogno386”. La Corte costituzionale, con questo indirizzo, ha perciò qualificato come “sussidiario” l’intervento dello Stato per garantire le finalità dell’assistenza sociale non giustificando l’apporto della solidarietà collettiva nel caso in cui la persona assistita possa condurre un’esistenza dignitosa fruendo dell’assistenza e di redditi provenienti da altri familiari (non solo il coniuge). Ed è interessante che la stessa sentenza pone un ‘controlimite’ a questo criterio, affermando che “così come l’intervento statuale non si rende necessario qualora la consistenza patrimoniale del coniuge consenta ad entrambi condizioni di vita agiate o comunque pienamente dignitose, allo stesso modo la sua esclusione non potrebbe dirsi giustificata se, in ragione dell’apporto fatto gravare su di lui, il coniuge venisse ridotto in condizioni che si approssimino alla mera za387“. Essendosi sviluppata in un modo e con delle caratteristiche non del tutto diverse da quelle del secondo comma, anche dalla previsione del primo comma dell’art. 38 Cost. si è tratta l’esistenza di un diritto soggettivo all’assistenza. Come già abbiamo identificato, questo diritto prescinde da qualunque altra valutazione che non sia il bisogno ritenuto oggettivamente presente nel caso in cui non si possegga un reddito superiore a quello stabilito dalla legge. La già citata sentenza n. 31/1986 ha 386
Cfr. Corte cost., sent. n. 75/1991. Le citazioni sono tratte da Corte cost., sent. n. 75/1991, punto n. 5 del c.i.d. Quanto alla determinazione del contributo che il coniuge deve dare alla vita familiare la Corte costituzionale è intervenuta anche in altre pronunce nelle quali ha esteso di fatto tale indirizzo anche alle prestazioni previdenziali. Nella sent. n. 127/1997, punto n. 5 del c.i.d., ad esempio la Consulta ha infatti affermato che “se l’integrazione della pensione deve assicurare che la prestazione previdenziale consenta di fare fronte alle esigenze di vita minime dell’assicurato e della sua famiglia, per converso non si può escludere che per valutare le necessità della famiglia, di cui si deve sovvenire con l’intervento solidaristico, si considerino i redditi percepiti da altri componenti della famiglia”. Nel caso specifico la Corte richiede che per cumulare i redditi dei due coniugi al fine di escludere l’integrazione al minimo a favore del coniuge pensionato, l’importo della pensione dell’altro coniuge debba essere adeguatamene superiore all’importo dei redditi del titolare che determinerebbero l’esclusione stessa. Sul punto del rapporto tra solidarietà collettiva e familiare v. anche Corte cost., sentt. nn. 286/1987, 395/1999 e 400/1999. 387
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indicato che lo scopo di questo comma è garantire ai cittadini inabili e bisognosi “il minimo esistenziale, i mezzi necessari per vivere”, differentemente dal secondo comma dello stesso articolo che “garantisce non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori388“. A ben vedere una importante precisazione circa le differenze tra assistenza e previdenza era arrivata già con una precedente sentenza della Corte costituzionale che aveva configurato tre ragioni di distinzione: in relaziona ai soggetti,389 ai fatti giuridici dai quali nascono i due distinti rapporti390 e al contenuto finalistico delle due prestazioni391. L’esame di questi commi dell’art. 38 Cost. è reso più complesso per via del fatto che l’attuazione del diritto all’assistenza è stato attribuito parzialmente dalla seconda metà degli anni ‘70 alle regioni attraverso la competenza in materia di “assistenza e beneficenza pubblica” contenuta nell’art. 117 Cost.392. 388
Cfr. Corte cost., sent. n. 31/1986, punto n. 3 del c.i.d. Cfr. Corte cost., sent. n. 25/1965. I giudici delle leggi si rifanno sostanzialmente all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui nel primo comma si prevedono «fatti giuridici attribuiti a soggetti non particolarmente qualificati (cittadini), mentre nel secondo si ipotizzano fatti giuridici attribuibili a soggetti “propri” (lavoratori)», che si presentano come destinatari d’una serie di obblighi adempiuti personalmente o attraverso terzi. 390 Sotto questo profilo i due diritti si distinguono chiaramente. Mentre nel «primo comma i fatti collegati dell’inabilità al lavoro e dell’essere sprovvisti dei mezzi necessari per vivere condizionano il nascere del rapporto giuridico assistenziale; nel secondo comma sono, invece, i fatti singoli di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria a condizionare il sorgere del rapporto giuridico previdenziale». Cfr. c.i.d. sent. n. 25/1965 391 La Costituzione riconosce ai cittadini sprovvisti dei “mezzi necessari per vivere” il diritto al “mantenimento”, mentre ai lavoratori che non possano adempiere al rapporto contrattuale di lavoro i “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita”. È evidente come afferma la Consulta che le prestazioni del primo tipo sono tali da garantire il diritto alla vita (“minimo esistenziale”); le seconde invece hanno l’obiettivo di adeguare il tenore di vita dei lavoratori alla condizione in cui essi si trovano normalmente. Da ciò deriva nel ragionamento della Corte che per le prestazioni del secondo tipo «non è legittimo richiedere una determinazione quantitativa unica, uniforme per tutti i lavoratori in quanto l’oggetto della valutazione che conduce al giudizio di adeguatezza dei mezzi alle esigenze di vita può riguardare anche la posizione economicosociale delle diverse categorie di lavoratori, i rischi volontariamente assunti o comunque incombenti, i redditi conseguiti durante l’attività lavorativa». Cfr. Corte cost., sent. n. 31 del 1986. 392 Per l’evoluzione di questa competenza anteriormente alla riforma del Titolo V si veda tra tutti U. DE SIERVO, Assistenza e beneficenza pubblica, cit.; per 389
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L’evoluzione costituzionale di questo diritto non può prescindere, perciò, dall’assetto regionale del nostro ordinamento e dal coinvolgimento tanto di questi enti quanto degli enti locali. Non è questa la sede per analizzare quanto profondo sia stato lo smantellamento delle funzioni e delle competenze in precedenza riservate allo Stato o ad Enti pubblici nazionali. Ci interessa, invece, approfondire l’evoluzione, specifica e complessiva, che tali disposizioni comportano e riflettono in relazione agli stessi concetti di assistenza e beneficenza, e in ordine agli stessi principi costituzionali: ciò anche perché la stessa Corte costituzionale aveva, nel 1972 in qualche modo avallato e definito il triplice livello attraverso cui si realizzava il programma di sicurezza sociale della Repubblica, quello previdenziale, quello legato all’assistenza sociale, e quello della beneficenza. Non a caso, anzi, la stessa Corte, chiamata a decidere in materia di soppressione di un ente nazionale di assistenza (l’Opera nazionale per l’assistenza agli orfani dei sanitari italiani – ONAOSI), si è occupata ex professo della latitudine assunta dall’art. 22 del d.P.R. n. 616/1977, rivedendo in buona parte le posizioni del 1972. Con la sentenza n. 174/1981, la Corte costituzionale ha fornito una interpretazione che muove da due premesse, l’una giuridica l’altra schiettamente sociale. Da un punto di vista normativo, sembra non vi sia dubbio che la legge delega n. 382/1975 prevedesse, e anzi richiedesse, una nuova definizione della materia da parte del legislatore delegato. Sia quando prescriveva che il trasferimento delle funzioni amministrative doveva «essere finalizzato ad assicurare una disciplina ed una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni per il territorio e per il corpo sociale» sia quando presupponeva che lo stesso legislatore delegato valutasse direttamente come realizzare la «più stretta connessione esistente tra funzioni affini, strumentali e complementari» (art. l, 3° co.). Secondo la Corte era insito nella delega l’invito a riesaminare la questione sulla base dell’evoluzione intervenuta nei metodi e nelle prassi assistenziali. D’altronde, nella sentenza il richiamo al “dato sociale” era per la Corte essenziale e “dirimente”, tale cioè da garantire della ragionevolezza delle scelte del legislatore delegato. la situazione successiva alla riforma del Titolo V si veda tra tutti A. ALBANESE, Diritto all’assistenza e servizi sociali, Milano, Giuffrè, 2007, passim e A. SIMONCINI, E. LONGO, Servizi sociali, cit.
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Ad esempio, a sentenza del 1981 afferma con nettezza che l’ampliamento e la dilatazione del concetto di beneficenza “costituiscono innanzitutto i primi risultati di una nuova linea di politica sociale, in base alla quale i servizi sociali dovrebbero essere rivolti a mantenere i cittadini nel loro ambiente familiare e sociale con interventi di carattere domiciliare o con centri diurni. Il recupero e il reinserimento nel nucleo familiare e nel normale ambiente di vita di tutti i cittadini che per qualsiasi causa ne fossero stati esclusi costituirebbe un ulteriore obiettivo previsto per i nuovi servizi, con la prevenzione e rimozione degli ostacoli di diverso ordine che si frappongono al conseguimento di questi obiettivi393“. È interessante notare che l’impronta di questa sentenza si può riscontrare non solo nei trasferimenti di competenza dallo Stato alle Regioni ma anche nella legislazione successiva, la quale superare la logica dell’assistenza differenziata per categorie di assistiti e adotta una concezione egualitaria ed universalistica che sancisce da un lato l’uguaglianza di prestazioni a parità di situazione e dall’altro l’opzione a favore di servizi di cui possa usufruire la maggior parte della popolazione394. La legislazione nazionale e regionale intervenute successivamente, infatti, hanno ampliato le fattispecie oggettive di bisogno primario tutelate alla luce del dettato costituzionale395. Ne è derivato un allargamento delle prestazioni primarie che è arrivato fino a prevedere tutti quegli interventi diretti a «garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza» e a stabilire che la Repubblica «previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia396». Come si può notare sul piano oggettivo la legislazione regionale e statale ha inteso attuare l’art. 38 Cost. pervenendo ad indicare una sfera ampia di beni da tutelare, oltre il mero “sostentamento” previsto da questo articolo397. 393
Cfr. Corte cost., sent. n. 174/1981. Cfr. A. SIMONCINI, E. LONGO, Servizi sociali, cit. 395 L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, cit. p. 721. L’assistenza cessa di essere un intervento riparatore, strettamente correlata ad una situazione di bisogno economico o di inabilità al lavoro, per diventare un sistema di protezione attivo mirato al benessere psicofisico della persona. 396 Cfr. art. 1, legge n. 328/2000. 397 G. GUIGLIA, Il diritto all'assistenza sociale nella prospettiva multilivello, Padova, Cedam, 2005, p. 110. 394
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Per quanto riguarda i soggetti titolari del diritto all’assistenza l’evoluzione giurisprudenziale ha fatto registrare un notevole allargamento della platea dei beneficiari con riguardo soprattutto agli stranieri. Anche per la spinta di numerose sentenze di eguale tenore emesse negli ultimi anni dalle giurisdizioni sovranazionali398, la nostra Corte costituzionale ha demolito gran parte delle norme sia nazionali che regionali preclusive dei benefici a favore dei non cittadini italiani utilizzando il criterio dell’eguaglianza e della ragionevolezza399. Tra le più rilevanti possiamo citare la sentenza n. 432/2005, che ha dichiarato incostituzionale una norma della regione Lombardia in materia di servizi di trasporto400, la sentenza n. 306/2008, che ha dichiarato incostituzionale una norma della legge finanziaria per il 2001 nella parte in cui esclude la possibilità di conferire l’indennità di accompagnamento a favore degli stranieri extracomunitari non in possesso di un reddito che gli consenta di beneficiare del permesso di soggiorno CE401, o anche la sent. n. 40/2011 che ha dichiarato incostituzionale una norma della regione Friuli–Venezia Giulia in materia di servizi sociali. La garanzia del mantenimento di cittadini indigenti e inabili al lavoro è stata realizzata dal legislatore prima con la legge che ha introdotto la cd. pensione sociale e poi la legge n. 335/1995 che ha sostituito tale tipo di misura con l’assegno sociale a favore delle persone stabilmente residenti in Italia ultra sessantacinquenni e bisognose di assistenza per la mancanza di reddito o con redditi inferiori ai minimi stabiliti dalla legge. Sulla natura della pensione sociale la Corte costituzionale è intervenuta con la già ricordata sentenza n. 31/1986. In merito alla scelta di introdurre l’assegno sociale la Corte non si è espressa direttamente, salvo indicare, in due pronunce che riguardano il problema del cumulo dei redditi tra beneficiario della pensione 398
A.O. COZZI, Un piccolo puzzle: stranieri e principio di eguaglianza nel godimento delle prestazioni socio-assistenziali, in Quaderni costituzionali, 3, 30, 2010, p. 551 e ss. 399 B. PEZZINI, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non-cittadino, in Lo statuto costituzionale del non cittadino (Atti del 24. Convegno annuale: Cagliari, 16-17 ottobre 2009), a cura di AIC, Napoli, Jovene, 2010, passim. 400 F. RIMOLI, Cittadinanza, eguaglianza e diritti sociali: qui passa lo straniero, in Giur. cost., 6, 2005, p. 4675 e ss. 401 A.M. BATTISTI, Rilevanza del reddito e adeguatezza della prestazione assistenziale per i cittadini e gli stranieri extracomunitari, in Giur. cost., 4, 2008, p. 3338 e ss.
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e coniuge, che in seguito alla riforma del 1995 l’assegno sociale “fa fronte a quel particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza, risultando altre prestazioni assistenza sanitaria, indennità di accompagnamento preordinate a soccorrere lo stato di bisogno derivante da grave invalidità o non autosufficienza402”. Un discorso a parte deve essere fatto con riguardo alla previsione del terzo comma dell’art. 38. Cost. Con il riconoscimento ai soggetti disabili dei diritti “all’educazione e all’avviamento professionale”, questo articolo esprime a pieno la finalità innovativa delle norme costituzionali, animate non da un mero scopo caritatevole, ma orientate verso la possibilità che le persone diversamente abili possano esprimere tutte le loro capacità403. Nel complesso, l’attuazione di questi principi è stata orientata verso una forma unitaria di protezione sociale, centrata anzitutto sulla persona in quanto tale e non sull’appartenenza a qualche categoria particolare. Sia il legislatore che la Corte costituzionale hanno espresso l’impossibilità di scindere la tutela dei bisogni assistenziali dalle concrete condizioni di vita e dall’appartenenza ad un determinato ambito di vita, soprattutto con riguardo alla scuola. Particolarmente esemplificativa, dal lato del legislatore, è la legge n. 328/2000404; per la giurisprudenza costituzionale occorre ricordare certamente la sent. 215/1987405 e poi le più recenti sentenze n. 329/2002406 e n. 402
Cfr. Corte cost., sent. n. 400/1999, punto n. 6 del c.i.d. In questo senso vedi Corte cost., sent. n. 106/1992. 404 agli artt. 14 e 16 definisce due importanti serie di principi che sono stati poi implementati all’interno della legislazione regionale degli ultimi anni. Il primo articolo, infatti, istituisce i progetti individuali per realizzare l’obiettivo dell’integrazione delle persone disabili nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro; mentre il secondo definisce il ruolo del sistema integrato di interventi e servizi sociali soprattutto attraverso «il sostegno al ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale». L’idea che emerge dalle previsioni contenute nella legge quadro è quella di una protezione che si modula in relazione alla specificità del caso; una protezione che dunque è elastica perché deve rispondere alle esigenze concrete di chi si trova in una condizione di “debolezza” sociale. Su tali aspetti sia consentito rimandare a E. LONGO, Unitarietà del bisogno di cura. Riflessioni sugli effetti giuridici conseguenti al passaggio dal modello medico al modello sociale di disabilità, in Non profit, 2, XVII, 2011, p. 224 e ss. 405 Con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che “Sarà facilitata”, anziché 403
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80/2010, con la quale sono state dichiarate incostituzionali norme della legge finanziaria 2008 nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno407. Da ultimo occorre ricordare che negli ultimi anni l’attuazione dell’art. 38 Cost. è stata realizzata anche con una serie di azioni riconducibili alla categoria “misure di contrasto alla povertà”408. Tanto il legislatore nazionale quanto alcuni ledisporre che “È assicurata” la frequenza alle scuole medie superiori. Come ricordato da questa sentenza deriva una interpretazione estensiva del diritto sancito nel comma 1 dell’art. 38 Cost., letto dalla Corte non solo come diritto all’educazione ma come un vero e proprio diritto “ad una piena socialità” della persona diversamente abile. Vedi F. FURLAN, La tutela costituzionale del cittadino portatore di handicap, in Terzo settore, nuova statualità e solidarietà sociale, a cura di C. CATTENEO, Milano, Giuffrè, 2001, p. 231 e ss. 406 Con la quale la Corte ha reinterpretato la disciplina dell’indennità di frequenza della scuola prevedendo che l’iscrizione - o la richiesta di iscrizione nelle liste di collocamento per il disabile maggiorenne che frequenti la scuola non può essere intesa come condizione imprescindibile per l’erogazione dell’assegno mensile. Cfr. Corte cost., sent. n. 329/2002. 407 La sentenza ricorda che “Ciascun disabile è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all’interno del quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano”. Cfr. Corte cost., sent. n. 80/2010, punti n. 3 e 4 del c.i.d. 408 Il Reddito minimo di inserimento (RMI) è stato previsto per la prima volta in via sperimentale dal d.lgs. n. 237/1998 al fine di contrastare i fenomeni «della povertà e dell’esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere per cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento proprio e dei figli» (Art. 1). La sperimentazione è terminata con la Finanziaria per il 2003 (legge n. 289/2002) che non ha previsto finanziamenti di questa misura. Il bisogno di una misura economica per contrastare la povertà ha spinto alcune regioni ad intraprendere strade autonome avviando forme di sperimentazione del cd. «reddito di cittadinanza». In passato due regioni hanno avviati progetti diretti a offrire una protezione di base dalla povertà che avessero le caratteristiche della generalità e non categorialità. La prima è la Regione Campania, che con la legge n. 2 del 2004 ha avviato la sperimentazione del “reddito di cittadinanza” e la seconda 1è la Regione Toscana, che nella legge n. 41 del 2005 ha previsto tra le misure dirette a prevenire o a risolvere i fenomeni dell’esclusione sociale forme di integrazioni al reddito denominate anche in questo caso “reddito di cittadinanza”. Queste regioni hanno goduto di quanto previsto nella finanziaria per il 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350) in cui il Governo ha introdotto all’art. 3, comma 101 una misura diretta a finanziare quelle regioni che avessero istituito «il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro». Questa norma però è stata dichiarata incostituzionale nella sent. n. 423/2004, sul presupposto che lo Stato non può de-
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gislatori regionali hanno inteso creare tipologie di misure per contrastare la povertà e l’esclusione sociale delle fasce più povere. Su queste previsioni, sia nazionali che regionali, la Corte costituzionale è intervenuta in più occasioni, ma sempre con riguardo alla spettanza regionale o nazionale del potere di legiferare sul punto409. Dall’esame effettuato emerge chiaramente che non è facile individuare quali sono le conseguenze delle decisioni del giudice delle leggi in materia di assistenza e previdenza. Il quadro appare molto frammentato e mancante di elementi di sintesi. Lo sviluppo del nostro sistema di welfare è stato fortemente segnato da una legislazione tanto dettagliata quanto priva di un disegno unitario. In più a questo si deve aggiungere che la stessa Costituzione non stabilisce una connessione stabile tra modelli di welfare e tipi di intervento pubblico o, su un piano più strettamente giuridico, tra tipologie di situazioni soggettive e strumenti e tecniche di tutela. Perciò, in questa condizione è divenuto oramai normale parlare di “crisi” per indicare la condizione del welfare410. Eppure dietro questa parola si celano questioni più importanti relative alle mutazioni del rapporto tra il potere politico, il sistema economico-industriale e il contesto sociale411. Perciò, l’esame della giurisprudenza costituzionale è una finestra da cui si può osservare in una prospettiva privilegiata quanto accade all’interno del moderno stato sociale di diritto. Ed è proprio su tali questioni che il nostro esame ha mostrato una serie di tendenze stabili. La prima in ordine di importanza è certamente quella che potremmo chiamare l’interpretazione ampia dell’art. 38 Cost. Il tema di fondo che la giurisprudenza ha contribuito più di tutti a sviluppare è una lettura “inclusiva” delle disposizioni della Costituzione sull’assistenza. Alla base c’è la caratteristica di queste norme costituzionali, estremamente duttili e capaci non solo di giustificare modelli variabili di welfare ma di dare copertura a posizioni soggettive sempre nuove e non inizialmente previste dal legislatore. La stessa Corte costituzionale ha avallato la castinare nella materia servizi sociali un cofinanziamento vincolato alla specifica finalità di erogare misure assistenziali di questo tipo. 409 Cfr. Corte cost., sent. n. 423/2004. 410 L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, cit., p. 713. 411 A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit.
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Le interpretazioni
pacità generativa delle norme costituzionali agendo spesso sia come arbitro del riequilibrio delle disparità sia come interlocutore privilegiato degli interessi cd. deboli412, per riparare ad una legislazione disorganica ed eccessivamente frammentaria che produceva numerose diseguaglianze. Ne è emerso un ruolo di supplenza da parte dei giudici delle leggi che in situazioni di sviluppo economico hanno assecondato tale tendenza, colmando quei divari creati dagli interventi non sempre organici del legislatore, ed hanno invece contenuto le spinte del sistema sociale giustificando interventi di contenimento delle spese in momenti di recessione413. A questa differenza di azione si può fare corrispondere, per il primo tipo di interventi, le sentenze additive di prestazione mentre, per il secondo tipo, le sentenze additive di principio (o a dispositivo generico)414. Al di là dei rilievi sulla differenza tra le tipologie di pronunce additive415, rimane che per alcune prestazioni la Corte costituzionale ha indicato l’esistenza di un “nucleo irriducibile” di garanzie legate al concetto di assistenza e che tale rimarrà qualunque evoluzione prenda l’organizzazione del sistema so412
M. AINIS, I soggetti deboli nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 25 e
ss. 413
Dagli inizi degli anni ‘90, a fronte della crisi economica, non è più possibile individuare un indirizzo univoco nella giurisprudenza costituzionale, in quanto si è anche diffuso il ricorso a nuove tecniche decisorie, più sensibili al problema delle compatibilità economiche e attente al bilanciamento tra diritti ed esigenze di bilancio. Su questo tema vedi L. CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, cit.; C. PINELLI, Diritti costituzionali condizionati, argomento delle risorse disponibili, principio di equilibrio finanziario, in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale: atti del seminario di Messina, 7-8 maggio 1993, a cura di A. RUGGERI, Torino, Giappichelli, 1994, p. 548 e ss.; C. COLAPIETRO, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale, cit. Sul punto si rimanda anche al volume collettaneo che raccoglie gli atti del Convegno tenutosi presso la Corte costituzionale nei giorni 8 e 9 novembre 1991: AA.VV., Le sentenze della Corte costituzionale e l'art. 81, u.c. della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1993, passim.; A. PUGIOTTO, Dottrina del diritto vivente e ridefinizione delle sentenze additive, in Giurisprudenza costituzionale, 5, 1992, p. 3672 e ss. 414 In tema di sentenze additive vedi G. PARODI, La sentenza additiva a dispositivo generico, Torino, Giappichelli, 1996, passim. Sui limiti delle decisioni additive di principio si v. C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, cit. 415 In generale sul tema delle sentenze additive si rimanda a: L. ELIA, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, cit., p. 266 e ss.; G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit.; R. ROMBOLI, Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1995-1998), cit.
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ciale416. L’intervento della Corte costituzionale successivo alla riforma delle pensioni del 1995 ha tentato di raggiungere questo obiettivo: seguire il trend di razionalizzazione del sistema previdenziale, e quindi di diminuzione della spesa pubblica, garantendo però la soddisfazione delle esigenze essenziali. La Corte sembra, infatti, aver condiviso le preoccupazioni del legislatore e confermare in numerosi casi i limiti posti alle aspettative dei lavoratori o ai diritti dei pensionati. È, dunque, spettato alla Consulta fare sì che i diritti sociali, già compressi e sacrificati sull’altare della gradualità e del bilanciamento degli interessi, non restino del tutto senza difesa di fronte agli annunciati progetti di “reversibilità” dello stato sociale, nei quali la logica del mercato sembra dominare come unica razionalità possibile417. Ha colto, perciò, nel segno la dottrina giuslavoristica nel sottolineare che la più recente giurisprudenza costituzionale mantiene un ruolo nevralgico, in quanto appare oggi come uno degli ultimi baluardi rimasti a garanzia del valore costituzionale della solidarietà specie nella composizione «il conflitto tra chi ancora lavora e sostiene l’onere contributivo e chi già gode di una pensione finanziata con i contributi di chi lavora418». La Corte in molte delle circostanze esaminate ha agito come “giudice di ultima istanza” dando una risposta concreta alle richieste che, seppure attraverso il filtro del giudizio incidentale, provenivano dalle persone stesse. La seconda tendenza è stata identificata nelle modalità di attuazione dell’art. 38 Cost. Sebbene il modello di welfare delineato in Costituzione sia stato improntato ad una chiara tendenza egualitaristica e distributiva in virtù dei menzionati principi, esso ha dovuto tenere conto dell’imprescindibile distribuzione dei poteri tra gli enti territoriali. L’attuazione del sistema regionale durante il trentennio che va dalla entrata in funzione delle regioni ordinarie alla riforma costituzionale del 2001 ha sottratto in modo graduale allo Stato la competenza in materia assistenziale419. 416
A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., p. 181. R. GRECO, Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale, cit. 418 M. PERSIANI, Conflitto industriale e conflitto generazionale (cinquant’anni di giurisprudenza costituzionale), cit., p. 1043. 419 Il transito della materia assistenza sociale all’interno delle competenze residuali sembrerebbe essere a questo punto completato, malgrado la stessa Corte costituzionale abbia deciso in molte occasioni di intraprendere la strada 417
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Le interpretazioni
Ne emerge un quadro non molto chiaro in cui se, da un lato, è venuto meno l’obbligo per le regioni di attenersi ai principi definiti dalle leggi statali in materia di assistenza, dall’altro, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto allo Stato ampi margini di manovra e la possibilità di giustificare la propria legislazione in materia di assistenza con clausole nei fatti molto simili al vecchio “interesse nazionale”. L’unico bilanciamento che la Corte costituzionale ha saputo trovare in questa situazione è stato il principio di leale collaborazione, la cui funzione essenziale consiste proprio nel rendere equilibrati i rapporti tra il livelli di governo. La terza tendenza riguarda la definizione dei rischi e dei bisogni e delle tecniche di tutela. Il sistema di welfare, anche grazie agli interventi della Corte costituzionale si è rimodellato in questi anni su un’idea di persona e benessere complessivamente inteso e non come riparatore di una condizione di bisogno. Anche la giurisprudenza della Corte ha potuto beneficiare dell’avvio di una fase di superamento, almeno in termini scientifici, della contrapposizione tra gli schemi noti della giustizia distributiva e dell’utilitarismo. Il dibattito attuale ha messo i presupposti per abbandonare questa contrapposizione e per affermare un diverso e più moderno orientamento «che muove non più (solo) dalla necessità di garantire la massima utilità o di assicurare la giusta redistribuzione di risorse, quanto dalla preoccupazione in ordine alla differente capacità delle persone di trasformare i beni primari nella libertà di perseguire i propri obiettivi420». L’orientamento che ha come padre A. Sen considera insufficiente, a fini di giustizia e di uguaglianza, la distribuzione di beni primari, perché alla distribuzione non corrisponde una uguale capacità da parte di ciascuno di utilizzare e trasformare i beni primari stessi421. Questo sistema realizza un obiettivo che solo negli effetti può essere equiparato alla previsione dell’art. 3, comma 2, Cost. Il sistema delle “capabilities”, di cui si può trovare un riscontro nella giurisprudenza costituzionale sull’integrazione delle persone diversamente abili, mira ad assicurare che ciascuno sia messo in condizione di utilizzare i beni primari e che tale utilizzazione non sia imposta dall’alto, dell’ampliamento della competenza statale in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni”. 420 L. TORCHIA, Sistemi di welfare e federalismo, cit., p. 721. 421 Vedi A. SEN, La libertà individuale come impegno sociale, Bari-Roma, Laterza, 1997, passim.
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mediante il perseguimento e il condizionamento di uniformità e conformità, ma sia adeguata in relazione al progetto di vita che ciascuno vuole perseguire, come per altro previsto all’interno della legge n. 328/2000 e nelle leggi regionali che ad essa hanno dato attuazione. Il riferimento alla persona caratterizza questo orientamento in senso universalista sia quanto all’accesso, come rivolto a considerare i beni come mezzi per realizzare l’integrazione sociale di tutte le persone, sia quanto all’utilizzo dei benefici ed alla loro trasformazione in strumenti di garanzia della libertà e della eguaglianza. L’ultima tendenza da rilevare è connessa al mantenimento della organizzazione di un sistema pubblico di assistenza nel quale la responsabilità ultima della “distribuzione” delle risorse è in capo agli enti pubblici. Dall’esame che abbiamo condotto è emerso che la responsabilità pubblica per le libertà sociali non è sempre della stessa ampiezza. Le norme costituzionali indicano l’ambito necessario di intervento, senza precludere che il legislatore adatti le prestazioni rispetto alle condizioni di necessità ed al criterio del merito. Le norme costituzionali si mantengono sul piano della definizione dell’ambito necessario dell’intervento (malattia, infortunio, generale protezione del lavoratore in condizioni di bisogno, maternità, disabilità, ecc.), senza precludere la possibilità che in via ordinaria e perciò anche attraverso la giurisprudenza costituzionale si verifichi un ampliamento di questi ambiti di tutela. L’esempio più evidente di questa tendenza è certamente l’espansione della tutela assistenziale a favore dei non cittadini italiani, che nel giro di un decennio hanno visto mutare le condizioni di “eleggibilità” soggettiva dei benefici previste sia a livello statale che a livello regionale. Nelle sentenze esaminate è emerso chiaramente che non si può escludere indebitamente alcuni soggetti in ragione della cittadinanza. Per operare questo “allargamento” la Corte ragiona in termini di “logica di solidarietà sociale” e sulla ragionevole presupposizione che le condizioni di beneficio siano legate solo allo stato di bisogno della persona e non ad altro. Le ragioni della solidarietà non possono essere affrontate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco, di cui si è fatto carico il legislatore422. 422
Questo principio è affermato con riguardo alla disciplina degli stranieri, ma è interessante come principio fondamentale cui la Corte ricorre sempre in tema di assistenza. Vedi tra tutte la sent. n. 353/1997.
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Le interpretazioni
6. RELAZIONI TRA SOGGETTI PRIVATI POSTI IN UNA CONDIZIONE DI DISPARITÀ INIZIALE O DI UNA PARITÀ DA RAGGIUNGERE Nelle ricostruzioni operate dai costituzionalisti si è abituati a pensare che il valore dell’eguaglianza sostanziale si fermi alle norme della Costituzione che prevedono servizi o prestazioni a favore di categorie in condizioni debolezza e di bisogno. Il valore del principio dell’eguaglianza in Costituzione ed in particolare della sua versione sostanziale non si ferma a tali norme ma ha un effetto anche su altri aspetti della vita giuridica. La Costituzione italiana prevede, infatti, nella parte in cui sono contenuti i diritti sociali, una serie di rapporti che esprimono la necessità di ristabilire una eguaglianza laddove le relazioni tra determinati soggetti determinano una disparità di fatto. In questi settori la Costituzione ha inteso offrire una disciplina positiva che ha modificato direttamente l’ordinamento giuridico attraverso l’introduzione di un complesso di norme fondamentali direttamente incidenti nei rapporti intersoggettivi (direttamente applicabili)423. La disciplina costituzionale sui diritti sociali non riguarda dunque solo le relazioni tra i cittadini e lo stato. Il modello verticale non arriva a definire tutte le possibili situazioni nelle quali si realizza la protezione dei diritti sociali. Le trasformazioni della società mostrano in modo evidente le possibili minacce che possono derivare alle persone dai rapporti con gli altri consociati. In questi casi si pone il problema in modo inverso da quanto siamo portati ad immaginare per i diritti socili: non è invocato un problema di azione o inazione statale ma un problema relativo all’azione o inazione di soggetti privati. 423
Come già ricordato nell’ordinamento italiano la Costituzione non e più considerata un complesso di principi generali diretti alla definizione dei rapporti tra il potere costituito e il cittadino, quanto, piuttosto, un complesso di norme fondamentali, direttamente incidenti nei rapporti intersoggettivi, e, tra questi, nei rapporti coinvolgenti il valore fondamentale della persona. Lo schema è quello della Drittwirkung dei diritti fondamentali originariamente riferiti ai diritti di libertà, «che al singolo sono riconosciuti e che il singolo deve potere far valere verso tutti. Diritti che perciò possono essere minacciati oltre che dai poteri pubblici, anche dai poteri privati G. LOMBARDI, Potere privato e diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 1970, p. 86 ss.; A. BARBERA, Art. 2 (commento a), in Commentario alla Costituzione, 1, Bologna-Roma, 1975, p. 67 e 107-108; G. CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 768. Su questo tema vedi anche G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia: tre capitoli di giustizia costituzionale, cit., p. 155 e ss.
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In risposta al problema dell’uso di poteri da parte di soggetti privati nel campo dei diritti sociali, in alcuni contesti nazionali è palesemente accettato che i diritti sociali abbiano applicazione nei rapporti orizzontali, tra parti private, e non solo nei rapporti tra individui e autorità pubbliche424. L’estensione dei principi sui diritti sociali anche alle relazioni private è uno sviluppo positivo dell’idea che tali diritti incorporano valori fondamentali dell’ordinamento che dovrebbero essere rispettati sia nella sfera pubblica sia nella sfera privata425. Anche nella Costituzione italiana questa espansione dei diritti sociali è palesemente accettata e usata in funzione della garanzia dell’eguaglianza tra le persone. Su di un piano tecnico questo avviene attraverso quelle norme che avendo una struttura sufficientemente completa, sono in grado di operare direttamente come regola dei casi concreti e dunque di essere utilizzate da tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico, pur in difetto di un intervento attuativo da parte del legislatore426. Queste disposizioni costituzionali stabiliscono sia la prestazione in cui consiste il diritto considerato sia il soggetto passivo della relazione, al quale spettano obblighi e doveri a favore dell’altra parte. A differenza di quanto accade nelle altre relazioni studiate, in questo caso il soggetto passivo concorre attivamente e spontaneamente alla nascita del rapporto giuridico e del relativo diritto soggettivo in capo all’altra parte, ed è sempre un soggetto individuato anche dal punto di vista strettamente giuridico427. Pertanto, laddove presentino una struttura sufficientemente completa e abbiano ad oggetto la disciplina dei diversi luoghi sociali particolari nei quali ciascuno è inserito, le norme della Costituzione
424
In Germania per esempio, la Corte costituzionale ha sviluppato la già ricordata dottrina della Drittwirking, in base alla quale i diritti costituzionali possono essere applicati ai rapporti tra le parti private. Ugualmente in Inghilterra, l’Human Rights Act (HRA) impone obbligazioni sia nei rapporti verticali con soggetti pubblici sia nei rapporti orizzontali tra soggetti privati. In questo modo, se anche l’HRA non contiene diritti sociali come tale, attraverso la sua applicazione orizzontale esso ha effetti sulla legislazione che incorpora i principi sociali. Sul punto vedi da ultimo C.A. GEARTY, V. MANTOUVALOU, Debating Social Rights, cit. p. 148-149. 425 Per uno sguardo alla situazione degli altri ordinamenti vedi H. HERSHKOFF, Horizontality and the Spooky Doctrines of American Law, in Buff. L. Rev., 59, 2011, p. 455 e ss. 426 Vedi a tale proposito A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all'eguaglianza sostanziale, cit., p. 92. 427 Op. cit., p. 92.
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Le interpretazioni
con valore sul piano dei rapporti orizzontali possono essere invocate come regole immediate nei rapporti giuridici. Quanto si è fin qui detto trova un’ulteriore specificazione alla luce dei criteri di analisi che ho utilizzato. Se, infatti, i diritti sociali sono contraddistinti dall’esistenza di certe particolari relazioni giuridiche, laddove la Costituzione preveda una norma che introduce una correzione in funzione dell’eguaglianza sostanziale a determinate relazioni sociali, questa stessa norma diviene il mezzo attraverso cui il particolare progetto di riforma sociale introdotto con la Costituzione prende corpo. Dalla previsione dell’art. 3, comma 2, Cost. non deriva perciò solo che le istituzioni si accollino l’onere di rimuovere le differenze attraverso prestazioni che soddisfano i bisogni sociali, poichè questa disposizione implica anche che nei rapporti tra privati l’ordinamento si faccia carico di abolire quei fattori di debolezza che incidono sulla condizione giuridico-sociale dei soggetti della relazione. Paradigmatiche sono una serie di disposizioni costituzionali che realizzano tale obiettivo nel settore della famiglia e del lavoro. 6.1 Famiglia Uno dei settori dove maggiormente è penetrata l’idea che compito delle disposizioni costituzionali fosse il riequilibrio di rapporti sbilanciati a favore di una categoria di persone è certamente il diritto di famiglia. La disposizione dell’art. 29, comma 2, Cost., nel sancire che «il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi», fa riserva dei «limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Non è mia intenzione entrare nelle questioni relative alla nascita di questo articolo sulla quale già tanti autori si sono spesi anche recentemente428. È evidente che una previsione di questo genere sia stata il frutto di un compromesso intervenuto in Assemblea Costituente tra due posizioni espressive di una diversa idea del
428
Il tema è stato analizzato da molti autori: v. in particolare C. GRASSETTI, I principi costituzionali relativi al diritto familiare in Commentario sistematico alla Costituzione italiana a cura di P. Calamandrei e A. Levi, I, Firenze, 1950, p. 288 e 289; E. LAMARQUE, Famiglia (dir. cost.), in Dizionario di diritto pubblico a cura di S. Cassese, III, Milano, 2006, p. 2423 e 2424.
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ruolo e delle caratteristiche della famiglia429. Si può ben immaginare, però, quanto questa previsione fosse lontana dalle norme contenute nel codice civile informato ad una visione anteriore dei rapporti familiari430, incentrati più su necessità di natura economica e patrimoniale che affettive431. D’altronde, il ritardo nell’approvazione della riforma del diritto di famiglia testimonia la dimensione innovativa della norma costituzionale, la quale in modo alquanto lungimirante anticipava i tempi dell’evoluzione sociale degli anni successivi. Per molto tempo, in attesa della riforma del diritto di famiglia, questo articolo ha vissuto una fase di “scongelamento” operata dalla Corte costituzionale. L’interpretazione dei giudici delle leggi, infatti, ha fortemente influenzato l’applicazione di numerosi istituti o disposizioni di legge che erano in palese contrasto con le norme costituzionali. Sin dalla fine degli anni Sessanta numerose pronunce della Corte costituzionale hanno reso effettiva la proclamazione costituzionale eliminando quelle forme di discriminazioni, dirette o indirette, che avevano origine al periodo precedente all’entrata in vigore della Carta fondamentale432. 429
V. tra tutti le ricostruzioni svolte da A. COSSIRI, Art. 29, in Commentario del diritto di famiglia, Padova, 2009, passim. 430 Occorre considerare che la struttura familiare allora esistente secondo il codice civile prevedeva una disciplina rigidamente gerarchica della famiglia, caratterizzata dalla posizione sopraordinata del marito e conseguentemente da quella sottordinata della moglie. In questo sistema il marito era il capo della famiglia ed aveva ogni potere relativo alla determinazione dell’indirizzo della vita familiare. L’art. 29 della Costituzione, dunque, rappresenta, un momento radicalmente innovatore nella disciplina dei rapporti familiari, come è confermato dal fatto che la legge di riforma del 1975 ha realizzato, per applicare quei principi, una diversa disciplina giuridica dei rapporti familiari diretta a determinare un raccordo tra norme costituzionali e codice civile. Su tale punto vedi G. GIACOBBE, Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, in Rivista di diritto civile, 6, XLIII, 1997, passim. 431 F. CUOCOLO, Famiglia (profili costituzionali), in Enc. giur., XIV, Torino, 1989, p. 3; A. SPADAFORA, Regime patrimoniale della famiglia e principio di eguaglianza, in Giust. civ., 2, 1991, p. 127 e ss. e F. CAGGIA, A. ZOPPINI, Art. 29, cit., p. 613. 432 L’apporto della Corte costituzionale può essere distinto in due momenti, quello anteriore alla riforma del diritti di famiglia e quella successiva. Per il periodo anteriore si veda tra tutti P. BARILE, L'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi nella giurisprudenza costituzionale, in Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, a cura di AA.VV., Napoli, Jovene, 1975, p. 37 e ss.; per il periodo successivo alla riforma del diritto di famiglia vedi G. FERRANDO, I rapporti personali tra coniugi: principio di eguaglianza e garanzia dell'unità della famiglia, in Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza
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Le interpretazioni
Si analizzeranno ora le implicazioni dell’art. 29, comma 2, Cost. per la categoria di quelle relazioni in cui uno dei soggetti è in una condizione di diseguaglianza. Parto con il ricordare che in questo articolo l’eguaglianza è declinata non soltanto sul terreno giuridico, ma anche su quello della “morale”. La qualificazione della eguaglianza in questi due modi può apparire singolare. In realtà essa è in linea con l’intero titolo cui appartiene l’art. 29 che è rubricato “Rapporti etico-sociali” ed è connessa con l’art. 3 Cost. che con riferimento al principio di eguaglianza di fronte alla legge, ne determina il superamento nella più complessa categoria della della “pari dignità sociale”433. Perciò, nella misura in cui la pari dignità sociale caratterizza i rapporti intersoggettivi nell’ambito della comunità sociale, l’eguaglianza morale tra i coniugi è il criterio di determinazione dei valori all’interno della famiglia che la Costituzione ha inteso affermare e garantire. Il disegno costituzionale delinea una normativa che contempera la libertà e l’unità della famiglia. L’integrale rispetto dell’altrui personalità impone di “circoscrivere la previsione di eventuali limiti all’eguaglianza dei coniugi agli aspetti giuridici e formali del loro rapporto434”. Significativo a questo proposito è quanto statuito da una sentenza della Corte costituzionale in cui si legge che l’eguaglianza «anche morale» dei coniugi sancita dalla Costituzione testimonia una diretta «valutazione della pari dignità di entrambi, disponendo che a questa debbano ispirarsi le strutture giuridiche del matrimonio435» da cui l’esigenza di non costituzionale, a cura di M. SESTA, V. CUFFARO, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 2006, p. 131 e ss. Il valore della “svolta” impressa dalla giurisprudenza costituzionale alla disciplina della famiglia contenuta nel codice civile si trova in S. RODOTÀ, La riforma del diritto di famiglia alla prova, in Politica del diritto, 5-6, 1975, p. 666 e ss. 433 Il rapporto tra art. 3 e art. 29, comma 2, Cost. è stato oggetto di numerose interpretazioni. Senza voler ricostruire tutta la lunga serie di commenti sul punto ricordo che la dottrina si divide tra colo che ritengono questi due principi cosa diversa e coloro che invece vedono nel secondo una specificazione del primo. Salvo alcune eccezioni la dottrina costituzionalistica è schierata nel considerare tra le due norme un rapporto di genus ad speciem (v. fra tutti quanto riporta F. CUOCOLO, Famiglia, I, Profili costituzionali, cit., p. 3 e ss) mentre la dottrina civilistica quasi unanimemente considera le due norme come diverse (S. PULEO, Famiglia, II, Disciplina privatistica in generale, in Enc. giur., XIV, Torino, 1989, p. 6). 434 M. BESSONE, Art. 29, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Art. 29-34, Rapporti etico-sociali, Bologna-Roma, 1976, p. 64. 435 Cfr. Corte cost., sent. n. 127/1968.
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«creare alcuna inferiorità a carico della moglie436» neppure in occasione della emanazione di norme dirette a preservare l’unità familiare437. La norma contenuta nell’art. 29, comma 2, Cost., dunque, deve essere considerata come l’espressione della esigenza di dare attuazione al principio di parità tra uomo e donna e, perciò, alla «necessità di considerare la famiglia come comunità tra pari, in cui i rapporti intersoggettivi debbono essere disciplinati secondo criteri di parità etica, prima ancora, ed oltre che, di parità giuridica438». In questo contesto si inserisce anche un’altra norma, quella dell’art. 30, comma 1, Cost., che sancisce la scomparsa di ogni discriminazione tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio439. Anche questo è un altro aspetto del valore fondamentale della persona umana inserito nel Titolo II allo scopo di indicare l’obbligo di rimuovere vecchi ostacoli che impedivano la piena eguaglianza sia tra le persone che fanno parte della famiglia legittima sia tra coloro che sono nati fuori dal matrimonio. Norme di questo genere, come è stato indicato, «denunciano una strategia di intervento istituzionale di complessa natura, che iscrive le previsioni degli artt. 29, 30 e 31 nel quadro più generale di un progetto di riforma delle strutture della società civile440». Pare interessante notare come queste disposizioni siano davvero il prototipo dell’obiettivo costituzionale di considerare i diritti sociali come un aspetto fondamentale e non solo complementare dei diritti civili e politici. Nell’idea dei costituenti la famiglia non è più mera comunità nella quale prevalgono interessi patrimoniali441, con conseguente esclusione 436
Cfr. Corte cost., sent. n. 126/1968 In questo senso l’interpretazione della norma costituzionale supera l’indirizzo affermatosi negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione che aveva portato a limitare il valore del principio dell’eguaglianza. Per l’interpretazione restrittiva dell’eguaglianza in funzione della garanzia dell’unità si rimanda a F. SANTORO PASSARELLI, Il governo della famiglia, in Saggi di diritto civile, a cura di I, Napoli, Jovene, I, 1961, p. 409 e ss. e a A. DE CUPIS, Coniuge (diritto civile), in Enc. Dir., IX, Milano, 1961, p. 2 e ss. 438 Cfr. G. GIACOBBE, Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, cit., p. 906. 439 Sul tema E. LAMARQUE, Art. 30, cit., p. 630 e ss. 440 M. BESSONE, Art. 29, cit., p. 3. 441 La disciplina codicistica legava la condizione patrimoniale della famiglia ad istanze individualistiche, espressione della prevalenza dei profili economici rispetto a quelli etico-personali propri della comunità familiare. Su tale punto 437
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dell’eguaglianza marito-moglie e dei figli nati fuori dal matrimonio, ma una entità che trova nel matrimonio il suo “fondamento” e che proietta i propri effetti giuridici in tema di tutela della persona anche nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio. L’introduzione all’art. 29 Cost. del principio dell’eguaglianza morale ha contribuito a realizzare la piena parificazione tra moglie e marito all’interno del rapporto coniugale, secondo le direttrici fissate dagli artt. 2 e 3 Cost. e perciò espressive del superamento della dialettica conflittuale uomodonna. Anche l’unità della famiglia, piuttosto che rappresentare una eccezione, si rafforza nel rispetto dei principi della “solidarietà” e “parità” tra i coniugi442. Nell’ottica della affermazione del carattere relazionale delle norme sui diritti sociali la vicenda della famiglia viene a caratterizzarsi come paradigmatica di un rapporto che si fonda su una comunione di vita materiale e spirituale, tale da rendere quella formazione sociale non un gruppo intermedio qualsiasi ma un nucleo indispensabile e fondamentale per l’essere e il divenire delle persone. Il fondarsi del rapporto sullo svolgimento della personalità implica tre conseguenze. La prima è che i diritti e gli obblighi che formano il contenuto del rapporto sono sì reciproci, ma non interdipendenti, cioè non rinvengono la loro ragione nell’adempimento degli altri e viceversa. Diritti e obblighi che derivano dallo svolgimento della personalità spettano non in quanto conferiti in forma pattizia, ma come caratteristiche della persona umana in quanto soggetto di diritto. Al rapporto familiare, la persona si presenta in questa configurazione che «non consegue ma precede l’instaurarsi della relazione e ne è causa per ciò che la personalità umana del singolo, per realizzarsi, non può non ricercare il contatto con quella altrui443». La seconda considerazione riguarda la distinzione di ruoli all’interno della famiglia e l’indirizzo che l’eguaglianza tra i coniugi ha preso in relazione alla Costituzione. La norma costituzionale che stiamo analizzando ha introdotto una innovazione considerevole rispetto al passato perché sulla base della Costiv. le considerazioni di P. PERLINGERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, ESI, 1991, p. 67 e ss. 442 Su questo punto v. Corte. cost., sent. n. 133/1970. 443 G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, cit., p. 62 e ss.
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tuzione e della previsione sull’eguaglianza connessa è stato dato rilievo al lavoro della donna sia entro che fuori la famiglia. Il raccordo tra la disciplina della famiglia e una diversa percezione della donna444 – non più considerata alla stregua di uno “strumento per la procreazione” – rappresentano la scelta più chiaramente in controtendenza rispetto alla disciplina codicistica, che seppure parificava la condizione della donna con l’uomo non aveva parificato tale condizione all’interno della famiglia445. Su questa considerazione se ne innesta una altra che contribuisce a correggere un’interpretazione non corretta delle norme costituzionali che aveva portato a distinguere i ruoli all’interno della famiglia, soprattutto mediante la sottolineatura della norma contenuta nell’art. 37, comma 1, Cost., secondo il quale, lo ricordiamo, le condizioni di lavoro devono consentire alla donna lavoratrice «l’adempimento della sua essenziale funzione familiare»446. La Corte costituzionale – e in seguito il legislatore – è intervenuta sul punto in numerose sentenze che hanno esteso al marito i diritti ed i doveri originariamente previsti solo a carico della moglie, indirizzando il suddetto principio costituzionale verso interpretazioni meno assolutizzanti che stemperano la diversità di ruoli, non solo dei coniugi all’interno della famiglia, ma anche di tutti i membri della comunità familiare. Il tema è stato già affrontato in precedenza e perciò non occorre soffermarsi sul punto. Basta ricordare il testo della sentenza n. 341/1991 con la quale la Consulta ha indicato che l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi realizza in capo agli stessi una 444 L. CALIFANO, La famiglia e i figli nella Costituzione italiana, in I diritti costituzionali, a cura di R. NANIA, P. RIDOLA, II, Torino, Giappichelli, II, 2001, p. 701 e ss. 445 L’art. 144 del c.c. del 1942, posto sotto la rubrica «Potestà maritale», recitava: «Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza». Il passaggio da questa disposizione che sanciva il “dominio spirituale” di uno dei due coniugi e disponeva che uno fosse il “capo” e l’altro il “subordinato membro della famiglia” è sottolineato in modo molto esatto ed ancora attuale in C. ESPOSITO, Famiglia e figli nella Costituzione italiana, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 142. 446 Con questa frase parte della dottrina aveva indicato che la Costituzione sanciva una differente funzione delle donne, che pure emancipate e parificate agli uomini, comunque erano legate al ruolo svolto all’interno della famiglia. Sul punto vedi C. ESPOSITO, Sulla punizione del solo adulterio femminile, in Giur. cost., 2, 1961, p. 1230 e ss.
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vera parità sostanziale, tendente a rimuovere quegli ostacoli che limitano l’eguaglianza tra i due, così che pur essendo possibile collegare ai coniugi comportamenti differenziati, essi comunque sono finalizzati al “riequilibrio” di posizioni differenti e perciò al pieno sviluppo della persona447. La terza considerazione si collega strettamente alla prima e riguarda le caratteristiche sociali che oggi ha assunto la famiglia. Si suole ricordare, già da molto tempo, che dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso in Italia è iniziata a diffondersi un nuovo tipo di famiglia, definita “nucleare” in quanto si riduce alla unione dei coniugi e dei figli. II centro delle vicende economiche cade ormai al di la dell’ambito familiare, nelle relazioni di lavoro, fonte principale di ricchezza e misura del valore dell’uomo moderno. Il lavoro, subordinato o autonomo, privato o pubblico, si svolge e soltanto può attuarsi all’interno di strutture articolate e complesse, le quali offrono l’immagine di diverse “comunità” di vita. Perciò, il rapporto tra i coniugi si colo-
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Vedi Corte cost., sent. n. 341/1991, in cui si legge che riguardo alle esigenze di la salute della donna e esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino «la Corte ha richiamato il principio – al quale è del resto orientata la moderna evoluzione del diritto di famiglia – di una paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi, tanto nella famiglia quanto rispetto alle attività extrafamiliari. Viene in tal modo riconosciuto che anche il padre è idoneo – e quindi tenuto – a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore, sì che non vi è ragione per negare al padre – che proprio in funzione di tale dovere e di tale capacità di assistere può già usufruire dell’astensione facoltativa – il diritto di avvalersi altresì – in caso di mancanza o di grave malattia della madre – della astensione obbligatoria nei primi tre mesi di vita del bambino». Su questo punto vedi anche la precedente e fondamentale sent. n. 1/1987 e la sentenza successiva n. 179/1993 in base alla quale il diritto del padre lavoratore di godere dei periodi di riposo giornaliero non può essere limitata al caso di impossibilità della madre di avvalersene. Tali congedi, infatti, non sono finalizzati alla salvaguardia della salute della madre ma esclusivamente alla protezione dell interesse del bambino e conseguentemente debbono essere riconosciuti al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, essendo «la delicata scelta di quel genitore che, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere a tali esigenze» necessariamente «all’accordo degli stessi coniugi, in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del loro figlio». Su tale punto vedi anche la successiva legge n. 53/2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) e la legge n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).
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ra di tinte diverse rispetto al passato che solo in modo astratto poneva i coniugi su un piano paritario. Da questo punto di vista si realizza un ulteriore e interessante sviluppo, perché da un piano di formale pariteticità e reciprocità, la Costituzione costringe a rivedere i doveri di solidarietà all’interno della famiglia448. L’eguaglianza morale e giuridica, infatti, tende a coincidere con l’affermazione della “solidarietà familiare” fra coniugi, la quale, più che essere funzionale ad intendere il dovere di collaborare nell’interesse della famiglia, esprime giuridicamente l’esistenza di un rapporto affettivo tra due persone che richiede comunione di vita. Ciò non vuol dire considerare la famiglia come un “tutto organico”, ma come una “comunione” che caratterizza il rapporto tra i coniugi è non è «scomponibile in manifestazioni esterne ed interne449». In questo senso è da considerare quantomeno opportuno l’indirizzo espresso dalla Corte costituzionale nella giurisprudenza in cui dovendosi occupare delle questioni relative al riconoscimento delle famiglie di fatto, ha ribadito che in linea con le caratteristiche della vita umana contemporanea - e senza entrare in dispute ideologiche - la famiglia non è da trattare alla stregua di una generica formazione sociale450. Al di là di tali considerazioni, ciò che interessa sottolineare è che la nuova considerazione dell’eguaglianza all’interno della famiglia ha avuto un effetto dirompente sia nell’organizzazione della famiglia stessa sia nella organizzazione del lavoro e dei sistemi di welfare. La cura dei figli e l’affermazione della pari responsabilità dei genitori nella giurisprudenza costituzionale hanno contribuito alla affermazione dell’eguaglianza sostanziale e ad una più sviluppata 448
A. SCALISI, La famiglia nella cultura del nostro tempo, in Dir. famiglia, 23, 2002, p. 710 sottolinea la connessione tra la libertà e il dovere di solidarietà tra i coniugi, considerato che ciascuno di essi non è isolato in se stesso, ma parte attiva del rapporto coniugale e perciò portatore di una istanza solidaristica. 449 Secondo una parte della dottrina in passato i rapporti coniugali richiedevano solidarietà non per cementare affetti ma per fare fronte comune verso l’esterno, a tutela degli interessi familiare che assumono particolare rilevanza quando la famiglia vanti ad esempio un illustre nome e tradizione. Sul punto vedi F. RUSCELLO, I rapporti personali fra coniugi, Milano, Giuffrè, 2000, p. 47 e 48. Per una sottolineatura del fatto che il valore della solidarietà riguarda i diversi momenti del rapporto coniugale vedi P. PERLINGERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 477 e prima ancora V.M. CAFERRA, Il dovere di solidarietà tra i coniugi, in Foro It., 12, 1976, p. 297 e ss. 450 Mi riferisco principalmente alle sentenze nn. 140/2009 e 138/2010 della Corte costituzionale.
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coscienza della funzione sociale della famiglia e alla considerazione degli interessi di ognuno dei suoi componenti451. Le considerazioni svolte, dunque, mostrano evidentemente che la disciplina costituzionale della famiglia ha ottenuto una interpretazione creativa, da parte della Corte costituzionale e dei giudici ordinari, la quale ha preso le mosse dalla doverosa interpretazione sistematica delle norme costituzionali degli artt. 2 e 3 della Costituzione oltre che dai mutamenti intervenuti nella società, specie nella condizione della donna, nei rapporti tra moglie e marito e nel riconoscimento del valore del rapporto affettivo a prescindere dalla natura del vincolo452. In questo senso, e per chiudere sul punto, appare molto esemplificativa del ruolo riequilibratore delle condizioni di disparità all’interno della famiglia la sentenza che ha dichiarato incostituzionali le norme del codice civile che escludevano la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini nei casi in cui il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato. Secondo i giudici costituzionali la Costituzione non «non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti»; in base all’art. 2 della Costituzione, che proclama il principio personalistico, «risulta che il valore delle “formazioni sociali”, tra le quali eminentemente la famiglia, è nel fine a esse assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani453». 6.2 Lavoro Quanto abbiamo affermato nel caso della famiglia, con riguardo alla garanzia dei rapporti tra soggetti privati all’interno delle norme sui diritti sociali, trova una conferma nella disciplina costituzionale del rapporto di lavoro. Paradigmatico è a questo proposito l’articolo 36 della Costituzione che prevede nei suoi tre commi quanto segue: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro 451
C. SCISO LIBERATI, Maternità, paternità, lavoro: il lungo cammino verso l'eguaglianza sostanziale, in Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale, a cura di M. SESTA, V. CUFFARO, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 165 e ss. 452 E. LAMARQUE, Famiglia (Dir. Cost.), cit., p. 2420 e ss.; F. CAGGIA, A. ZOPPINI, Art. 29, cit., p. 612. 453 Per le due citazioni vedi Corte cost., sent. n. 494/2002, punto n. 6.1. del c.i.d.
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e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Il rapporto di lavoro è tra quelli che maggiormente hanno subito l’influenza delle disposizioni costituzionali. Il riconoscimento del diritto all’equo trattamento economico, identificato con la proporzionalità e la sufficienza, mira a commisurare la retribuzione, in termini di “libertà dal bisogno”, sia al lavoro effettivamente prestato sia alle esigenze personali e familiari di vita del lavoratore454. Questa disposizione viene fuori all’interno di un compromesso tra diverse anime del dibattito costituente italiano, le quali ebbero un punto di contatto nel ritenere che dovesse essere compito della Repubblica l’azione di promozione della crescita del tenore di vita dei lavoratori e delle loro famiglie455. Il risultato del compromesso è stato del tutto particolare. La norma costituzionale è ispirata ad una logica correttiva che tenta di mediare tra due esigenze diverse e contrapposte: da un lato, la natura contrattuale – e perciò libera – del corrispettivo della prestazione lavorativa; dall’altro, la funzione della retribuzione quale forma principale di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia, di cui l’intervento delle istituzioni pubbliche deve farsi garante.
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Vedi M. DELL'OLIO, Retribuzione, quantità e qualità di lavoro, qualità di vita, in ADL, 1, 1995, p. 1 e ss. 455 Come ricorda P. ICHINO, Lezioni di diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 2003, cap. VIII, fu dall’incontro della posizione degli on. Togliatti e Dossetti che emerse l’idea di un emendamento all’art. 32 del progetto di Costituzione elaborato dalla III Sottocommissione della Commissione dei 75 poi discusso e approvato dall’Assemblea Costituente il 10 maggio 1947. I due deputati concordarono sull’idea che la remunerazione del lavoro intellettuale e manuale dovesse contenere qualche cosa di più del mero soddisfacimento delle «necessità fondamentali dell’esistenza del singolo e della sua famiglia». Nella seduta dell’8 ottobre 1946 Dossetti ritenne necessario che nell’articolo in discussione si considerassero le esigenze «del vitto, della casa, del vestiario, ma anche alle esigenze dell’esistenza libera e perciò degna dell’uomo (…)», fino a riconoscere che seppure «tali principi programmatici non avranno la possibilità di operare un miracolo, perché la loro attuazione dipenderà dalle condizioni sociali della vita politica italiana, ma serviranno almeno a una progressiva elevazione delle condizioni di lavoro nel prossimo avvenire». Cfr. Atti Assemblea Costituente, seduta dell’8 ottobre 1946.
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Anche queste disposizioni si possono leggere entro la cornice creata dalla esigenza di affrontare le disparità di condizione tra datori di lavoro e lavoratori che erano presenti nella situazione italiana durante la metà del XX Secolo. In questo senso ha certamente colto nel segno, sia su un piano storico che economico, la dottrina che ha ravvisato nell’intendimento dei costituenti la volontà di correggere quelle “distorsioni monopsonistiche” tipiche della fase in cui l’industria si sviluppa a spese dell’agricoltura456. Si può così intendere la non facile sintesi tra proporzionalità e sufficienza, due criteri generici e in un certo qual modo suscettibili di entrare in contraddizione457, rivolti a promuovere l’innalzamento dei livelli economico/retributivi senza impedire che la retribuzione venga determinata in una dinamica contrattuale collettiva. Si suole dire che malgrado l’indendimento originario dei costituenti, i quali erano mossi dalla necessità di un intervento correttivo dei risultati prodotti dal libero mercato in funzione della progressiva elevazione degli operai, la norma permise una diversa interpretazione che riguardava tanto il quomodo quanto l’an dell’intervento stesso. La disposizione in esame ha avuto una storia del tutto particolare, a causa non solo di una serie di eventi singolari e della fortunata attuazione458, ma anche per via dell’inserimento di essa entro la cornice dei diritti sociali costituzionali ed della interpretazione giudiziale sviluppatasi. Il veicolo di questa fortuna è stato anzitutto il riconoscimento della immediata efficacia normativa dell’art. 36 Cost. Tra il 1950 e il 1953 questo articolo è stato accettato come norma precettiva «atta a colmare quello che era percepito come il vuo456
La logica secondo la quale il lavoratore non ha scelta perché l’impresa manifatturiera che gli offre un contratto è l’unica alternativa a una situazione di disoccupazione o sottooccupazione agricola. Vedi sul punto P. ICHINO, La nozione di giusta retribuzione nell'articolo 36 della Costituzione, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4, 2010, p. 721 e ss. 457 Come è stato indicato da M. PERSIANI, La retribuzione tra legge, autonomia collettiva e determinazione giudiziale, in ADL, 1, 1998, p. 31 e ss. che una retribuzione proporzionala alla qualità e quantità del lavoro non è affatto detto che «debba essere, per ciò solo, anche sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa e viceversa». 458 Gli autori parlano a tale proposito di “vitalità normativa”: vedi a tale proposito T. TREU, Art. 36, in Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979, p. 72. L’espressione è ripresa e sviluppata anche da C. COLAPIETRO, Art. 36, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino, 2006, p. 743.
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to legislativo derivante dall’inattuazione dell’art. 39 Cost.459». A partire da quegli anni, infatti, la giurisprudenza ha intrapreso la strada della “diretta applicabilità” ai rapporti individuali di lavoro della disposizione in commento, ritenendo nulle le clausole contrattuali volte a riconoscere ai dipendenti trattamenti salariali inferiori al minimo previsto dall’articolo 36, comma 1, Cost.460 I giudici assunsero a parametro del valore di mercato della prestazione lavorativa le tariffe salariali di fonte collettiva, correggendo in vario modo questa determinazione461. Ancora oggi, infatti, la regola giurisprudenziale del riferimento alle tariffe collettive, come parametro per la determinazione della retribuzione sufficiente, non ha una applicazione meccanica, essendo consentiti scostamenti e limitazioni di diverso tipo462. Anche la Corte costituzionale si è allineata a tale interpretazione. Da parte loro, i giudici costituzionali hanno legittimato la prassi giurisprudenziale del riconoscimento della diretta applicabilità e immediata precettività dell’art. 36 Cost, prima con la sent. n. 129/1963 e poi con la n. 156/1971. Tale indirizzo è stato combinato con la tendenza a riconoscere la contrattazione collettiva come fonte privilegiata «dei modi di attuazione della 459
G. GIUGNI, Introduzione a M.L. DE CRISTOFARO, La giusta retribuzione: l’articolo 36 comma 1 della Costituzione nella giurisprudenza delle corti di merito, Bologna, Il Mulino, 1971, p. I e ss.. 460 Una ricostruzione dettagliata dei profili costituzionali di questa interpretazione è offerta da A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all'eguaglianza sostanziale, cit., p. 97 e ss., il quale riporta anche il testo della nota sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila che dette avvio al riconoscimento giurisprudenziale della efficacia immediata dell’art. 36 Cost. nei rapporti privati di lavoro. Su questo aspetto vedi anche i rilievi alla prima giuriprudenza mossi da F. SANTORO PASSARELLI, Nuove prospettive della giurisprudenza sulla retribuzione sufficiente, in Massimario della giuriprudenza sul lavoro, 1, XXXIII, 1960, p. 147-148. 461 È vero, infatti, che dalla metà degli anni ‘60 lo Stato ha inteso affidare completamente alle organizzazioni sindacali il compito di progressiva elevazione delle condizioni dei lavoratori, con specifico riguardo alla determinazione dei minimi salariali. Di fronte della perdurante inattuazione del sistema di registrazione delle associazioni sindacali delineato in Costituzione all’articolo 39, si giunse ad estendere l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi di diritto comune, tramutandoli, da fonte vincolante solo per i lavoratori appartenenti ai sindacati firmatari, in fonte dei rapporti tra i datori di lavoro ed i lavoratori non iscritti, come fonti statuenti i trattamenti retributivi minimi inderogabili dai contratti collettivi. Nei fatti le tariffe negoziate in sede di contrattazione collettiva hanno finito per divenire l’unico possibile criterio per la determinazione del “dovuto”. Così P. CARETTI, I diritti fondamentali, cit., p. 377. 462 Su questo vedi P. ICHINO, La nozione di giusta retribuzione nell'articolo 36 della Costituzione, cit., p. 740 e ss.
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garanzia costituzionale del salario sufficiente», determinando così, «in ordine alla quantificazione dei trattamenti retributivi minimi dei lavoratori, una stretta connessione dell’art. 36 con l’art. 39, primo comma463». Non è questo il momento per analizzare le giustificazioni teorico-dogmatiche che stanno alla base di questo orientamento464, così pure non interessa in questa sede analizzare le caratteristiche della “supplenza” giudiziale e il fallimento dell’ordinamento contrattuale previsto dall’art. 39 Cost.465 Il punto centrale della mia riflessione riguarda l’applicazione diretta della Costituzione e il significato della formula costituzionale usata per indicare la retribuzione equa e sufficiente. I due problemi scontano una medesima origine nella “dilatazione” del concetto di corrispettività466, il quale si giustifica attraverso l’assorbente rilevanza che nella determinazione della retribuzione del lavoratore acquistano le sue esigenze di vita rispetto al normale equilibrio che si stabilisce tra le prestazioni contrattuali. Le due direttive dei costituenti, proporzionalità e sufficienza, sono chiaramente ispirate alla dimensione personalistica che assume la nostra Costituzione in questo tipo di rapporti. Attraverso la norma costituzionale, la corrispettività tra prestazione e retribuzione si stempera nella definizione di quest’ultima come tutto ciò che il lavoratore riceve in dipendenza del rapporto di lavoro, e non solo quale compenso dell’opera prestata. Con la prestazione il lavoratore entra in un’area di garanzia in cui tanto la sua personalità fisica quanto la personalità morale viene “tutelata nel senso più ampio dell’espressione467”. Il trattamento economico è unico, ma ha due caratteristiche essenziali. Da un lato, esso ha natura corrispettiva; si contraddistingue per il sinallagma che lo lega al lavoro effettivamente prestato, ed è riconducibile al principio costituzionale della “proporzionalità” della retribuzione. Dall’altro, il trattamento economico si caratteriza per la funzione di garanzia dei diritti sociali fondamentali 463
Cfr. Corte cost., sent. n. 124/1991. Per le quali si rinvia a P. ICHINO, La nozione di giusta retribuzione nell'articolo 36 della Costituzione, cit., p. 720 e ss. 465 Su questi aspetti vedi tra tutti: B. CARAVITA, Art. 36, in Commentario breve alla Costituzione a cura di V. Crisafulli e L. Paladin, Padova, 1990, p. 243 e ss.; T. TREU, Art. 36, cit., p. 77 e ss.; C. MORTATI, Il lavoro nella Costituzione, in Dir. lav., 1, 1954, p. 149 e ss. 466 Cfr. C. COLAPIETRO, Art. 36, cit., p. 743. 467 Cfr. F. MORTILLARO, Retribuzione: l) Rapporto di lavoro privato, in Enc. Giur., XXVII, Roma, 1997, p. 3. 464
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del lavoratore, riconducibile al principio costituzionale di “sufficienza”; deve essere considerato tutto ciò che consente al lavoratore di garantire a sé e alla propria famiglia un’esistenza dignitosa, anche in quei momenti in cui per diverse ragioni egli non può svolgere la sua prestazione468. Come è stato rilevato da alcuni autori, “questa distinzione tra «retribuzione corrispettiva» e «retribuzione sociale» coglie indubbiamente un aspetto rilevante dell’istituto giuridico della retribuzione: precisamente la sua duplice funzione, per un verso di strumento necessario per l’efficienza dell’azienda e del mercato del lavoro, per altro verso di strumento di garanzia della sicurezza del lavoratore469”. La formulazione della norma costituzionale ed anche la sua collocazione entro i rapporti economici svela l’idea che nella relazione tra datore di lavoro e lavoratore non si può concepire la prestazione lavorativa come mero bene di scambio, ma si deve contemporaneamente dare ad essa una valutazione etico-sociale funzionale a garantire la persona umana. Non si può spiegare tale disposizione costituzionale che entro una dinamica che cerchi di identificare un nesso tra i due elementi della proporzionalità e sufficienza. Entrambi i requisiti sono accomunati dal fine di garantire il riequilibrio di una situazione che altrimenti provocherebbe uno sbilanciamento a favore del contraente più forte. Per raggiungere questo obiettivo, la Costituzione prescrive la garanzia della sufficienza attraverso il riferimento alle esigenze di vita, inserendo così elementi di concretezza e di storicità in un campo dominato dall’astrattezza del rapporto di scambio470. Anzi, la valutazione della proporzionalità “suggerisce un metodo di traduzione reciproca tra grandezze per sé incommensurabili, quali il lavoro e i beni, soprattutto monetari, in cui consiste la retribuzione471”, tanto che la sufficienza deve essere commisurata, in termini di «libertà dal bisogno» alle esigenze personali e familiari di vita, concepite non già astrattamente, “bensì quali avvertite nel contesto sociale e riferite ai vari livelli cui proprio la qualità e quantità del lavoro 468
Questa dimensione è sottolineata da L. ZOPPOLI, La corrispettività nei contratto di lavoro, Napoli, ESI, 1991, p. 305. 469 Cfr. P. ICHINO, La nozione di giusta retribuzione nell'articolo 36 della Costituzione, cit., p. 754. 470 Vedi G. ROMA, Le funzioni della retribuzione, Bari, Cacucci, 1997, p. 28 e ss. 471 Cfr. M. DELL'OLIO, Retribuzione, quantità e qualità di lavoro, qualità di vita, cit., p. 10.
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prestato, a sua volta in attuazione del diritto-dovere coerente alle capacità e alle scelte, colloca ciascuno472”. La garanzia particolare prevista per il lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro incide sulla definizione del punto di equilibrio tra i contrapposti interessi in esso dedotti ed implica una concezione della corrispettività diversa dal modo comune in cui essa è intesa. L’esplicazione più chiara di questo diverso modo di afferrare il significato delle norme contenute nel primo comma dell’art. 36 Cost. ha ricevuto consacrazione nella stessa giurisprudenza costituzionale. Particolarmente efficace a questo riguardo è una sentenza nella quale era in questione il diritto del lavoratore a ottenere cure mediche termali in periodi diversi dalle ferie. Secondo i giudici costituzionali «l’assumere che il principio di corrispettività nel rapporto di lavoro si risolve meccanicamente, salvo deroghe eccezionali, in una relazione biunivoca tra prestazione lavorativa e retribuzione urta contro il concetto di retribuzione assunto dall’art. 36 Cost.». La retribuzione «non é (…) mero corrispettivo del lavoro, ma compenso del lavoro proporzionale alla sua quantità e qualità e, insieme, mezzo normalmente esclusivo per sopperire alle necessità vitali del lavoratore e dei suoi familiari, che deve essere sufficiente ad assicurare a costoro un’esistenza libera e dignitosa473». Dopo aver definito cosa si intende per retribuzione proporzionata e sufficiente ed aver individuato nelle concrete esigenze di vita espresse dal lavoratore, il criterio scelto dai costituenti per mediare tra i valori antitetici della prestazione e la retribuzione, occorre ora passare a capire quale tipo di intervento istituzionale sia implicato in questa disposizione. Dico subito che seguirò una interpretazione valutativa che intende la formula costituzionale dell’art. 36 come non orientata ad indicare un certo tipo di intervento statale. Da quest’ultimo articolo non può desumersi soltanto un obbligo costituzionale a carico dello Stato di operare per correggere la disparità tra lavoratore e datore di lavoro, finalizzato ad attivare e favorire quel processo di tra472
Op. cit., p. 10-11. La Corte continua affermando che «l’interesse alla salvaguardia della salute del lavoratore - che può subire pregiudizio anche per le modalità della prestazione lavorativa - fa perciò parte del sinallagma contrattuale; e conseguentemente, la corresponsione della retribuzione durante le assenze per malattia (art. 2110 c.c.) non é fatto eccezionale, ma strumento per far assolvere ad essa la sua normale funzione». Cfr., per le citazioni in testo e in nota, Corte cost., sent. n. 559/1987, punto n. 8 del c.i.d. 473
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sformazione sociale le cui linee ispiratrici sono state, appunto, indicate nell’art. 3, comma 2, della Carta costituzionale474. Questa lettura della norma costituzionale deve essere combinata – oggi ancora di più – con l’esigenza di cogliere l’apertura contenuta nella Costituzione a molteplici ipotesi attuative delle norme sulla retribuzione, che poi si traducono in diversi modelli di welfare e di relazioni industriali475. La dimostrazione che occorre pensare ad un modello nel quale lo Stato garantisca qualche cosa di più che il mero spazio entro cui si realizza un contemperamento equo tra le istanze del lavoratore e del datore di lavoro è data dal fatto che oramai la nostra Costituzione ha incorporato il principio antitrust, che impone non soltanto all’ordinamento di adoperarsi, di regola, per il superamento di qualsiasi rendita monopolistica, ma che induce a considerare diversamente il ruolo giocato dal mercato e dalle istituzioni pubbliche. Il dato qui sinteticamente esposto ha due consueguenze. La prima, e più semplice, è il mutamento del ruolo assunto dalle istituzioni pubbliche, le quali, da un lato, sono tenute a garantire la tutela giudiziaria, laddove ci si trovi dinanzi a lesioni o violazioni di pretese giuridiche perfette connesse a questi diritti, e, dall’altro, devono supplire con il loro intervento qualora il mercato o l’assetto sociale non realizzino o impediscano il godimento del nucleo essenziale di questi diritti. La seconda conseguenza è che nelle dinamiche delle relazioni di lavoro entra in gioco oggi anche la tutela del consumatore, il quale è interessato a mantenere un efficiente meccanismo di formazione dei prezzi e ad evitare la formazione di monopoli o la formazione di pattuizioni collettive che determinino una distorsione del mercato.
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E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, cit., p. 1774-1775. 475 Come è stato opportunamente sottolineato da A. SIMONCINI, La riforma del Titolo V ed il “modello costituzionale di welfare” in Italia, cit., p. 545-546. A questo proposito si pensi come la Costituzione all’art. 38 impone che il lavoratore sia in misura ragionevole assicurato contro i possibili impedimenti sopravvenuti della prestazione (malattia, infortunio, invalidità e sospensione imputabile all’azienda), ma non impone affatto che tale garanzia sia posta a carico dell’azienda con conseguente arricchimento funzionale della retribuzione, ben potendo invece il vincolo costituzionale essere adempiuto anche mediante l’attivazione di un rapporto assicurativo distinto dal contratto di lavoro.
Le interpretazioni
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7.
LA GIURISPRUDENZA DELL’UNIONE EUROPEA
DELLA
CORTE
DI
GIUSTIZIA
Assieme alla protezione da parte degli ordinamenti nazionali, i diritti sociali trovano tutela anche all’interno dell’ordinamento dell’Unione Europea. Già è stato detto che sebbene non previsti originariamente nei Trattati istitutivi476, i diritti sociali sono entrati a fare parte dell’ordinamento europeo già da molto tempo477. Alla garanzia di tipo legislativo prevista dai Trattati e dalle disposizione di diritto derivato si accompagna, fin dagli anni ‘90, un fitto numero di sentenze della Corte di Giustizia tendenti a riconoscere protezione entro l’ordinamento europeo ad una serie di finalità sociali espresse soprattutto come portato dell’esercizio della libertà di circolazione da parte delle persone478. La giuriprudenza della Corte di Giustizia sui diritti sociali, infatti, è essenzialmente la derivazione della esigenza originaria di coniugare il rispetto del diritto di muoversi liberamente all’interno del territorio comunitatio con i sistemi di protezione sociale previsti sia per i lavoratori sia per coloro che in generale esercitano la libertà di stabilimento prevista dai Trattati479. Perciò, non abbiamo a che fare con una giurisprudenza con le stesse caratteristiche di quella costituzionale. Non vi è traccia nelle sentenze della Corte di Giustizia di questioni legate alla protezione pura dei diritti sociali, ma sempre alla giustiziabilità di posizioni soggettive che hanno valore all’interno della cornice dei problemi economici coperti dal diritto europeo. Perciò, 476
Le poche previsioni sociali del Trattato di Roma (1957) sevivano semplicemente come accompagnamento alle disposizioni sul mercato comune. Vedi G.S. KATROUGALOS, Implementation of Social Rights in Europe, The, in Colum. J. Eur. L., 2, 1995, p. 304–305; J. LODGE, Social Europe, in Journal of European Integration, 2-3, 13, 1990, p. 138. 477 M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 367 e ss.; S. GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell'ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Diritto dell'Unione Europea, 2-3, 2003, p. 325 e ss. 478 Sul punto vedi: M. DOUGAN, E. SPAVENTA, ‘Wish You Weren’t Here…’. New Models of Social Solidarity in the European Union, in Social Welfare and EU Law, a cura di M. DOUGAN, E. SPAVENTA, Oxford and Portland (Oregon), Hart Publishing, 2005, p. 181 e ss. 479 Vedi a tal proposito K. LENAERTS, P. FOUBERT, Social Rights in the CaseLaw of the European Court of Justice. The Impact of the Charter of Fundamental Rights of the European Union on Standing Case-Law, in Legal Issues of Economic Integration, 3, 28, 2001, p. 272 e ss.
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l’approccio dei giudici di Lussemburgo è stato per molti anni qualificato come essenzialmente “funzionalista”. La Corte ha guardato alle regole che erano in questione di fronte ad essa e le ha interpretate in accordo con gli obiettivi comunitari per i quali esse erano state adottate. Malgrado le caratteristiche illustrate, tali sentenze hanno assunto negli ultimi anni un valore particolare non solo nell’ottica della protezione dei diritti previsti dai Trattati e dalle fonti derivate, ma anche nell’ottica del diritto costituzionale europeo. Le sentenze della Corte di Lussemburgo hanno modificato il modo di intendere la protezione delle prestazioni sociali previste dagli ordinamenti nazionali a favore dei cittadini di altri stati480. Questa giurisprudenza ha inciso soprattutto su quelle relazioni tra persone e istituzioni incaricate della protezione dei diritti sociali che ho analizzato nel paragrafo 5 di questo capitolo. Sebbene si collochi entro quel quadro di rapporti, tale giurisprudenza ha caratteristiche del tutto particolari, non solo in forza della natura sovranazionale delle istutuzioni coinvolte ma anche per l’effetto che esse hanno avuto negli ordinamenti dei singoli stati481. Due caratteristiche che sono alla base dell’ordinamento giuridico delle Comunità prima e poi dell’Unione oggi meritano una menzione particolare per il contributo che hanno dato alla sostanza ed all’effettiva attuazione dei diritti sociali davanti alla Corte di giustizia. Anzitutto, la supremazia del diritto UE nei confronti del diritto prodotto dagli Stati. In secondo luogo, la dottrina dell’effetto diretto. Il diritto europeo, infatti, prevale sul diritto degli ordinamenti statali. In caso di conflitto tra i due ordinamenti è il primo a imporsi482. La natura superiore del diritto UE è stata un fattore vitale per assicurare la protezione di questi diritti anche da parte della Corte di giustizia europea, come si vedrà nella discussione dei casi. Egualmente importante è l’effetto diretto attraverso il quale i cittadini possono riferirsi
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Sul punto si vedano le considerazioni espresse in termini generali da S. GIUBBONI, Un certo grado di solidarietà. Libera circolazione delle persone e accesso al welfare nella giurisprudenza della Corte di giustizia Ce, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, 1, 8, 2008, p. 19 e ss. 481 In termini generali vedi sul punto J.H.H. WEILER, M. CARTABIA, L'Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, cit., passim. 482 Causa C-26/62 Van Gend en Loos [1963] ECR 1; Causa C-6/64 Costa v. ENEL [1964] ECR 585; Causa C-106/77 Simmenthal [1978] ECR 692.
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al diritto europeo come una fonte di diritti che i giudici interni devono salvaguardare483. Un’ulteriore questione riguarda il tipo di giudizio all’interno del quale la Corte di Giustizia prende in considerazione le questioni sui diritti sociali. Tali diritti emergono principalmente nel contesto del rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE), ma possono in alcuni casi sorgere all’interno di altri tipi di giudizi, come quelli avviati dai ricorsi per infrazione che possono essere presentati dalla Commissione europea (o da uno Stato membro) per accertare l’inadempimento da parte di uno Stato membro agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione (art. 258260 TFUE)484. Nei paragrafi che seguono proverò, dunque, a identificare le problematiche relative alla protezione dei diritti sociali all’interno del contesto europeo esaminando alcuni tra i più importanti casi in cui la Corte di Giustizia si è trovata ad affrontare questioni relative alla protezione di tali diritti. 7.1 All’origine dell’approccio ai diritti sociali: le libertà di movimento e di residenza Nel primo periodo di vita delle Comunità solo il diritto delle persone economicamente attive di muoversi all’interno del territorio comunitario era considerato all’interno dei Trattati e della legislazione secondaria. Per esempio, mentre le norme dei Trattati prevedevano la libertà di circolazione a favore degli erogatori di servizi e il loro diritto di offrire servizi alle stesse condizioni di una impresa stabilita in un altro Stato membro, lo stesso non avveniva per il diritto dei clienti di questi servizi. Allo stesso modo sebbene l’art. 39 del Trattato di Roma prevedesse il diritto di spostarsi in un altro Stato per svolgere un lavoro, nessuna menzione vi era del diritto di entrare in un altro Stato alla ricerca di un lavoro.
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Un esempio lampante di questo è il caso Defrenne (C-43/75 [1976] ECR 455), nel quale la Corte ha ritenuto che l’allora articolo 141 TEC, che pone il principio di parità salariale tra uomini e donne, fosse direttamente applicabile senza necessità di previa attuazione legislativa. 484 Per un’esame di questa procedura vedi il recente saggio di P. PALCHETTI, M. ANGELI, La procedura di infrazione, in L'Italia inadempiente, a cura di G. DI COSIMO, Padova, CEDAM, 2012, p. 135 e ss.
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Mentre il diritto dei trattati e la legislazione secondaria hanno fissato le basi per la libertà di circolazione nel caso di persone coinvolte in una attività economica e hanno creato lo status di cittadino comunitario per definire in breve l’insieme di queste libertà, il compito di estendere questi diritti anche ai soggetti non contemplati è stato lasciato alla sapiente opera interpretativa della Corte di Giustizia485. Sono stati i giudici di Lussemburgo a fissare il contenuto e i parametri dei diritti che emergevano all’interno delle domande di pronunce pregiudiziali sollevate dai giudici e tribunali nazionali contro leggi che non consideravano – o addirittura discriminavano – la condizione dei cittadini di altri Stati che intendevano esercitare il loro diritto di circolare liberamente all’interno del territorio comunitario486. Tale giurisprudenza ha poi ricevuto una consacrazione definitiva con le sentenze Martinez Sala e R, Baumbast, Trojani e Chen della fine degli anni ‘90 che hanno toccato il problema dei diritti sociali. In Martinez Sala487 la Corte ha offerto una base di partenza nella direzione della realizzazione e del consolidamento dei diritti di circolazione come pure di accesso al welfare dei cittadini economicamente inattivi. In Baumbast488 la Corte ha riconosciuto che il diritto di soggiorno sul territorio degli Stati membri sancito dall’art. 18 TCE è attribuito direttamente a ogni cittadino dell’Unione da una disposizione chiara e precisa del trattato. In queste sentenze, come è stato ricordato, anche se si riconosceva che gli Stati membri potevano subordinare il diritto di soggiorno di un cittadino europeo economicamente non attivo alla “disponibilità di risorse sufficienti”, ciò nondimeno si stabiliva che le i cittadini comunitari potevano “fruire del prin485
M. POIARES MADURO, Striking the elusive balance between economic freedom and social rights in the EU, cit., p. 449 e ss. 486 Nel caso Luisi e Carbone (cause riunite C-286/82 e C-26/83 [1984] ECR 377) la Corte stabilì il diritto dei cittadini di muoversi liberamente per accedere al mercato dei servizi. Nel caso Cowan e Bickel e Franz (C-186/87 [1989] ECR 195) si stabilì il principio che il beneficiario di un servizio deve essere trattato allo stesso modo come i cittadini del paese nel quale i servizi sono erogati. In Antonissen (C-292/89 [1991] ECR I-745) si stabilì il diritto di entrare e rimanere nel territorio di uno Stato membro per un ragionevole periodo di tempo allo scopo di trovare lavoro. Per una rassegna completa di tutte le pronunce intervenute sul tema vedi A.P. VAN DER MEI, Free movement of persons within the European Community: cross-border access to public benefits, Hart Publishing, 2003, p. 28 e ss. 487 Causa C-85/96 [1998] ECR I-2691. 488 Causa C-413/99 [2002] ECR I-7091.
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cipio di parità di trattamento qualora avessero soggiornato legalmente nel paese ospitante per un certo periodo di tempo o disponessero di un titolo di soggiorno dal medesimo rilasciato489”. Ma quello che è più interessante ai fini del riconoscimento dei diritti sociali è la catena di diritti che compaiono nella sentenza Baumbast come ragione che fonda il diritto di rimanere in uno Stato ospitante. I giudici di Lussemburgo accertano, infatti, che i figli di un cittadino dell’Unione europea stabiliti in uno Stato membro ove il genitore si avvalga del diritto di soggiorno in quanto lavoratore migrante, godono del diritto di soggiornare in tale Stato al fine di seguirvi corsi di insegnamento generale (conformemente all’art. 12 del regolamento n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità europea). A questo scopo è irrilevante il fatto che il matrimonio tra i genitori sia stato sciolto e che dunque solamente uno dei genitori è cittadino dell’Unione europea e che l’altro genitore non è più lavoratore migrante nello Stato membro ospitante ovvero che i figli non siano essi stessi cittadini dell’Unione europea490. Da tutto ciò deriva, in primo luogo, che i figli godono del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante al fine di seguirvi corsi di insegnamento generale conformemente al diritto alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità e, in secondo luogo, che tale disposizione dev’essere interpretata nel senso che essa consente al genitore effettivamente affidatario di tali figli, indipendentemente dalla sua nazionalità, di soggiornare con i medesimi in modo da agevolare l’esercizio di tale diritto, indipendentemente dal fatto che il matrimonio tra lei o lui e il coniuge cittadino dell’Unione europea sia oramai sciolto491. 7.2 Il diritto alle cure mediche Sebbene il ruolo dell’Unione europea nella sfera della salute pubblica è confinato nelle misure complementari e di incentivo e non può mai diventare oggetto di armonizzazione, il potere 489 Cfr. S. GIUBBONI, Un certo grado di solidarietà. Libera circolazione delle persone e accesso al welfare nella giurisprudenza della Corte di giustizia Ce, cit., p. 31. 490 Punto n. 63 della sentenza. 491 Punto n. 94 della decisione.
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degli Stati di organizzare e strutturare i sistemi sanitari si è dovuto adeguare alle disposizioni originarie e derivate dell’Unione così come alle numerose sentenze della Corte di Giustizia emanate nel campo del diritto alle cure. Alcuni dei più controversi casi affrontati dai giudici di Lussemburgo hanno riguardato il diritto dei cittadini europei a recarsi in un altro Stato membro al fine di ottenere cure che fossero rimborsate dal proprio sistema sanitario. L’attribuzione di questo diritto è stata prevista dall’art. 22 del Regolamento n. 1408/71 sulla estensione dei benefici sanitari previsti dai sistemi di sicurezza sociale degli stati ai lavoratori, ai professionisti e ai loro familiari che decidono di esercitare il diritto di muoversi all’interno del territorio europeo492. Sulla base di questa norma la Corte di Giustizia ha deciso che le prestazioni rese dai sistemi di sicurezza sociale, come quelle mediche, non si sottraggono al principio della libera circolazione dei servizi e che, pur rimanendo gli Stati membri competenti ad organizzare i loro sistemi previdenziali493, non si possono tollerare normative nazionali che rendano più difficile o più oneroso ottenere una prestazione all’estero anziché nello Stato di appartenenza494. 492
In generale, il regolamento n. 1408/71 ha previsto una serie di norme dirette ad armonizzare i sistemi sanitari nell’obiettivo di raggiungere una piena libertà di circolazione dei lavoratori, la libera offerta di servizi e la libertà di stabilimento. In base all’art. 22 del regolamento, una persona che volesse ottenere una prestazione sanitaria in un altro Stato membro deve sopportare il solo onere della autorizzazione da parte dell’ente previdenziale o del soggetto competente in base alle norme del proprio stato, salvo situazioni di emergenza. Sul tema vedi T.K. HERVEY, The current legal framework on the right to seek health care abroad in the European Union, in Cambridge yearbook of European legal studies, 1, 9, 2012, p. 261 e ss. 493 Ogni singolo Stato, infatti, deve approntare un sistema che garantisca il diritto a ottenere trattamenti all’estero gratuitamente o dietro rimborso delle spese sostenute, senza complessi e lunghi adempimenti burocratici nel proprio paese - oltre che in quello dove la prestazione si effettua - con la possibilità di accedere a tutte le strutture, pubbliche e private, previa informazione riguardo la reale qualità, il valore e l’appropriatezza dei trattamenti che si otterranno. I servizi sanitari, dunque, salvo che per alcuni loro aspetti, sono rimasti estranei all’armonizzazione comunitaria. Il modello sociale europeo è stato basato sulla premessa che la tutela della salute non è un “bene commerciabile” e che l’accesso al sistema sanitario è parte del diritto alla salute. Vedi su questo tema 494 In generale su questa tendenza vedi le considerazioni di D.S. MARTINSEN, The Europeanization of Welfare - The Domestic Impact of Intra-European Social Security, in JCMS: Journal of Common Market Studies, 5, 43, 2005, p. 1027 e ss.
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In particolare, le sentenze della Corte hanno affrontato il rapporto sussistente tra prestazioni sanitarie, principio di libera circolazione dei servizi e delle persone, contemperamento della tutela del diritto del paziente di scegliere il luogo dove ricevere un determinato trattamento sanitario ed esigenza di salvaguardare i sistemi previdenziali interni limitando il flusso dei pazienti verso e dall’esterno. La giurisprudenza europea è stata orientata a ritenere incompatibile con il principio della libertà di circolazione dei servizi, previsto dall’art. 59 e 60 del TCE, tutti i provvedimenti di uno Stato membro che senza il rispetto della proporzionalità subordinino un servizio, come il rimborso delle spese mediche all’estero, alla preventiva autorizzazione dell’amministrazione495. Le tappe fondamentali della giurisprudenza della Corte di giustizia degli ultimi venti anni consentono non solo una rigorosa definizione del contenuto del diritto alla salute europeo ma permettono anche di intendere il modo in cui è avvenuta la “comunitarizzazione” di alcuni ambiti normativi prima riservati ai singoli sistemi sanitari nazionali. La possibilità di considerare il diritto di un qualsiasi cittadino comunitario di recarsi in un altro Stato membro per ricevere una prestazione medica è stata esaminata per la prima volta nella già ricordata sentenza Luisi e Carbone496, in cui si affermava che “la libera prestazione dei servizi comprende la libertà, da parte dei destinatari dei servizi, di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere impediti da restrizioni, (…) e che i turisti, i fruitori di cure mediche e coloro che effettuano viaggi di studi o d’affari devono essere considerati destinatari di servizi”. Le regole del Trattato CE, perciò, si applicavano anche al mercato interno delle prestazioni mediche, in quanto queste costituiscono un “servizio”. Tale decisione non ha avuto un considerevole impatto sulla tutela della salute, almeno fino a quando la Corte non è stata interrogata in merito alla possibilità di trarre, dall’interpretazione delle norme comunitarie sulla libertà di prestazione dei servizi, l’esistenza dell’obbligo per gli enti previdenziali di rimborsare le spese sostenute dai propri assicurati per le cure all’estero, anche in ipotesi non direttamente contemplate dagli artt. 22 e ss. del reg. n. 1408/71. Dopo più di dieci 495
Da ultimo sul tema V. PUTRIGNANO, Libertà di circolazione dei servizi e rimborso delle spese sanitarie, in RDSS, 2, 2007, p. 523 e ss. 496 Cause riunite C-286/82 e C-26/83 [1984] ECR 377.
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anni dalla precedente, nelle sentenze Kohll497 e Decker498 i giudici di Lussemburgo hanno superato gli effetti restrittivi delle norme previste nel regolamento citato, riconducendo i servizi sanitari nazionali direttamente all’interno degli scopi dell’art. 49 del Trattato CE499. Il rimborso delle spese mediche trova ora fonte e giustificazione direttamente e in via generale nei principi comunitari e non più nelle specifiche “deroghe” contemplate dalle norme regolamentari. La Corte, ovviamente, ribadisce che l’organizzazione del sistema di sicurezza sociale è una competenza esclusiva degli Stati membri, ma afferma che nell’esercizio di tale potere gli Stati devono rispettare il diritto comunitario e, dunque, il principio fondamentale della libera circolazione. Pur senza approfondire minimamente lo spinoso rapporto che si verrebbe così a creare tra gli artt. 152 e 49 del TCE, i giudici comunitari trattano le prestazioni mediche come qualsiasi altra prestazione ed escludono che per le norme impugnate possa valere la principale causa di giustificazione della misura restrittiva imposta alla libera circolazione, individuata, come noto, nell’intento di preservare l’equilibrio finanziario del sistema previdenziale giustificato dallo scopo di realizzare un livello elevato di tutela della salute. La garanzia della programmazione sanitaria delle prestazioni mediche a tutela della salute è richiamata anche nelle sentenze Smits e Peerbooms500 e Vanbraekel501, in cui la Corte era chiamata a verificare la non contrarietà all’ordinamento comunitario delle norme olandesi e belghe che subordinano il rilascio di una preventiva autorizzazione per il rimborso delle spese ospedaliere sostenute in un altro Stato membro ad una duplice condizione: che il trattamento sia “usuale negli ambienti profes-
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Causa C-158/96 [1998] ECR I-1931. Causa C-120/95 [1998] ECR I-1831. 499 Su questo argomento vedi P. VAN DER MEI, Cross-Border Access toMedical care within the European Union – Some Reflections on the Judgments Decker and Kohll’, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 3, V, 1998, p. 277 e ss., R. GIESEN, Comments to ECJ’s judgements in C-120/95, Nicolas Decker v. Caisse de maladie des employés privés and C-158/96, Raymond Kohll v. Union des caisses des maladie, in CMLR, 4, 36, 1998, p. 841 e ss. 500 Caso Geraerts-Smits and Peerbooms C-157/99 [2001] ECR I-5473. 501 Caso Abdon Vanbraekel and Others v. Alliance Nationale de Mutualités Chretiennes (ANMC) C-368/98 [2001] ECR I-5363. 498
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sionali interessati” e non possa essere tempestivamente ottenuto presso strutture convenzionate dello Stato di appartenenza502. Pur senza travolgere del tutto le norme nazionali, in applicazione del requisito della “programmazione sanitaria”, i giudici comunitari introducono un ulteriore elemento di giudizio della disciplina nazionale relativa al rimborso delle spese sanitarie: le condizioni che uno Stato prevede per ottenere l’autorizzazione preventiva, infatti, devono soddisfare “il requisito della proporzionalità503”. Vale a dire che il regime dell’autorizzazione non deve introdurre oneri più gravosi di quelli oggettivamente necessari allo scopo perseguito e tale risultato non deve poter essere ottenuto con un provvedimento meno incisivo. Perché il regime della previa autorizzazione possa essere giustificato, soprattutto quando – come in questo caso – costituisce una deroga legittima alle libertà fondamentali del Trattato CE, non deve essere discrezionale, ma fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo agli interessati; inoltre, deve basarsi su un sistema procedurale di facile accesso, tale da garantire agli interessati che la loro domanda sarà trattata entro un tempo ragionevole e in modo oggettivo ed imparziale, con la possibilità di opporre ricorso giurisdizionale contro eventuali dinieghi504. Nella terza tappa di questa evoluzione giurisprudenziale in tema di rimborso delle spese mediche, la Corte si trova a dover fare fronte ad una nuova distinzione, quella tra prestazioni sanitarie ambulatoriali e prestazioni sanitarie ospedaliere. La sentenza Müller-Fauré e Van Riet505 muove da questa distinzione per affermare che solo nel caso delle prestazioni ospedaliere la necessità di una certa programmazione, derivante dalla esigenza di garantire cure adeguate e allo stesso tempo di gestire i costi delle stesse, possa comportare da parte degli Stati una limitazione – come una autorizzazione preventiva – del principio di 502
Sul punto A. KACZOROWSKA, A Review of the Creation by the European Court of Justice of the Right to Effective and Speedy Medical Treatment and its Outcomes, in European Law Journal, 3, 12, 2006, p. 356-357. 503 Vedi sul punto X. CONTIADES, A. FOTIADOU, Social rights in the age of proportionality: Global economic crisis and constitutional litigation, in International Journal of Constitutional Law, 3, 10, 2012, p. 660 e ss. 504 Per uno sguardo critico sulla sentenza vedi G. HATZOPOULOS, Killing National Health and Insurance Systems but Healing Patients? The European Market for Health Care Services after the Judgments of the ECJ in Vanbraekel and Peerbooms, in CMLR, 39, 2002, p. 683 e ss. 505 Causa C-385/99 Muller-Faure e Van Riet [2003] ECR I-4509.
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libera circolazione dei servizi, nel rispetto del principio di proporzionalità e senza legittimare un comportamento discrezionale da parte delle autorità deputate al rilascio delle autorizzazioni. Diversamente, nel caso delle prestazioni non ospedaliere, il limitato impatto finanziario sugli Stati di iscrizione, il numero minimo di prestazioni normalmente effettuate e la possibilità per gli Stati di porre un limite massimo di rimborsabilità delle spese sostenute (secondo criteri obiettivi, non discriminatori e trasparenti) non giustificano la presenza di un sistema di autorizzazione preventiva, cioè non legittimano un meccanismo che renda più difficile l’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato CE506. Il successivo passaggio della complessa vicenda dei rimborsi delle spese mediche è il caso Inizan507, in cui la Corte ritorna sulle norme dell’art. 22 del regolamento (CEE) n. 1408/71 per chiarirne le differenze e le particolarità rispetto alle situazioni soggettive che in questi anni aveva tratto direttamente dagli artt. 49 e 50 del TCE. La sentenza sembra avere solo uno scopo ricognitivo delle precedenti pronunce. In realtà, i giudici di Lussemburgo colgono l’occasione per definire una questione che riguarda la compatibilità tra le norme regolamentari che prescrivono una procedura di tipo autorizzatorio per ottenere cure all’estero e le norme del Trattato sulla libertà di circolazione secondo l’interpretazione dalla giurisprudenza comunitaria. La Corte, infatti, pur tenendo (giustamente) distinte le due strade, le uniforma quanto a condizioni e criteri, ribadendo le caratteristiche della procedura di autorizzazione già descritte nella sentenza Smits e Peerbooms. A questa operazione si aggiunge poi il fatto che nella motivazione i giudici rienfatizzano la posi-
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Ne consegue che anche gli Stati in cui «la normativa nazionale istituisce un regime di prestazioni in natura in forza del quale gli assicurati hanno diritto non al rimborso delle spese sostenute per cure mediche, ma alle cure stesse, che sono dispensate gratuitamente» devono prevedere il rimborso a posteriori di quanto versato, sia in applicazione delle disposizioni del reg. n. 1408/71 che sulla base delle norme ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria. In questo senso G. DAVIES, Health and Efficiency: Community Law and National Health Systems in the Light of Müller-Fauré, in Modern Law Review, 1, 67, 2004, p. 94 e ss. 507 Causa C-56/01 Patricia Inizan [2003] ECR I-12403.
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zione del paziente in quanto titolare di veri e propri diritti tutelati a livello europeo508. Un più recente intervento nella complessa opera ricostruttiva della Corte di Giustizia è contenuto nella sentenza Stamatelaki509, in cui i giudici comunitari dichiarano la non rispondenza delle norme dello Stato greco che impediscono il rimborso delle spese mediche sostenute in cliniche private all’estero per persone che abbiano superato il quattordicesimo anno di età. Anche se la pronuncia appare come una conferma del cammino svolto dalla Corte, in essa si possono scorgere almeno due elementi in più rispetto ai casi precedenti: il primo riguarda la fermezza con cui i giudici affermano l’esistenza di un diritto assoluto alle cure mediche, che gli Stati possono disciplinare solo limitatamente ad alcuni aspetti; il secondo, invece, riguarda il modo in cui i giudici europei ribattono alla obiezione del Governo greco circa l’impossibilità per gli enti previdenziali greci di effettuare controlli sulla qualità delle cure prestate nelle cliniche private situate in un altro Stato membro510. Secondo la Corte l’obiezione non è fondata, giacché le cliniche private situate in altri Stati membri già sono soggette a controlli qualitativi da parte dello Stato cui appartengono e quindi i medici che vi operano, vista anche la direttiva sulla libera circolazione degli esercenti le professioni sanitarie, offrono garanzie equivalenti a quelle del sistema sanitario greco. Stando alle parole della Corte, perciò, l’armonizzazione delle norme sulle arti mediche ha implicitamente attirato al livello comunitario anche le regole sui requisiti delle strutture sanitarie. In conclusione, come per un “effetto domino” le sentenze della Corte di giustizia stanno velocemente operando la “europeizzazione” di sempre più ampi spazi dei sistemi previdenziali e assistenziali511. Peraltro, si fa notare che proprio la complessa opera messa in campo dalla Corte di progressiva estensione dei diritti conte508
Vedi per questa considerazione D.S. MARTINSEN, Towards an internal health market with the European Court, in West European Politics, 5, 28, 2005, p. 1043. 509 Causa C-444/05 Stamatelaki [2007] ECR I-3185. 510 Per queste problematiche sia consentito di richiamare E. LONGO, Il diritto ai migliori trattamenti sanitari nella giurisprudenza di Lussemburgo, in Quaderni costituzionali, 3, 2007, p. 662-665. 511 V. HATZOPOULOS, T. HERVEY, Coming into line: the EU's Court softens on cross-border health care, in Health economics, policy, and law, 2012, p. 1 e ss.
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nuti prima nel Trattato CE, e ora nel TFUE e nella Carta di Nizza, è stata uno dei fattori che ha spinto la Commissione europea ha adottare il successivo regolamento n. 833/2004, che abroga il precedente reg. n. 1408/71512. Quello che è importante notare è che la giurisprudenza comunitaria in materia di politiche sanitarie si sta sviluppando con percorsi non sempre lineari ma in maniera decisa513, rompendo la consolidata convinzione dei Governi secondo cui le decisioni relative alle cure della salute appartengano alla loro esclusiva sovranità514. 7.3 Il diritto all’educazione Anche la responsabilità sull’educazione e in tema di organizzazione dei sistemi scolastici ricade sugli Stati membri. L’articolo 149 del TCE espressamente prevedeva che la Comunità non era in potere di armonizzare le regole nazionali in questo settore. Le norme originarie dei Trattati, tuttavia, contenevano un riferimento all’accesso ai sistemi nazionali di educazione come portato delle libertà economiche previste negli stessi. Il Regolamento 1612/68, inoltre, menzionava il diritto alla formazione professionale per i lavoratori comunitari ed il diritto all’educazione per i figli degli stessi lavoratori. Sulla base di queste previsioni la Corte di Giustizia ha riconosciuto che il diritto del lavoratore contemplava anche il diritto ad ottere borse di studio ed altre provvidenze a favore degli studenti. In maniera speculare a quanto è accaduto per il diritto alle cure mediche, anche per l’educazione la disciplina sociale di tipo funzionale è stata utilizzata per attribuire alla Corte di Giustizia un nuovo potere sui diritti sociali previsti all’interno degli 512
D.S. MARTINSEN, K. VRANGBAEK, The Europeanization of health care governance: implementing the market imperatives of Europe, in Public Administration, 1, 86, 2007, p. 169 e ss. 513 Nel periodo più recente si segnano tre quattro ulteriori pronunce sul tema: Causa C-169/07 Hartlauer [2009] ECR I-1721; Causa C-211/08 Commission v Spain (Emergency hospital care) [2010] ECR I-5267; Causa C512/08 Commission v France (Major Medical Equipment) [2010]; Causa C173/09 Elchinov [2010]; Case C-490/09 Commission v Luxembourg (Laboratory Analyses and Tests) [2011]. 514 D.S. MARTINSEN, The Europeanization of Health Care: Processes and Factors, in Establishing Causality in Europeanization, a cura di T. EXADAKTYLOS, C.M. RADAELLI, London, Palgrave Macmillan, 2012, p. 141 e ss.
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Stati. L’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi venti anni ha rivalutato la posizione degli studenti all’interno della categoria dei cittadini migranti economicamente inattivi ed ha conferito ad essi, sotto l’egida dell’evoluzione del diritto accesso transfrontaliero ai sistemi di assistenza, forme di garanzia del reddito (sotto forma di borse di studio, assegni di mantenimento o prestazioni di natura assistenziale). L’orientamento giurisprudenziale ha consentito alla Corte di affermare anche in questo settore l’allargamento dei vincoli solidaristici nei confronti dei cittadini europei nello Stato membro ospitante e ha consentito, come già notato dalla dottrina, «di aprire nuovi canali di deterritorializzazione delle prestazioni specificamente erogate a tale categoria di migranti europei515», che impegnano direttamente la responsabilità del paese di provenienza dello studente. Il primo caso importante in questo filone è Gravier516. Françoise Gravier era una cittadina francese che si era trasferita a Liegi, in Belgio, per studiare fumettistica presso l’Académie Royale des Beaux Arts di Liegi nell’ambito di un ciclo di studi artistici superiori della durata di quattro anni. In quanto proveniente da paese straniero le era richiesto di pagare una tassa scolastica, senza alcuna possibilità di esonero. In questo caso, per la prima volta, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’imposizione di una “tassa d’iscrizione o una tassa scolastica, come condizione per l’accesso ai corsi di formazione professionale, agli studenti cittadini di altri Stati membri”, quando lo stesso onere non viene posto a carico degli studenti nazionali, “costituisce una discriminazione in base alla cittadinanza, vietata dall’art. 7 del trattato”, riguardante il divieto di discriminazioni517. Il caso Gravier ha stabilito per la prima volta il principio del diritto alla libertà di movimento per gli studenti all’interno del territorio comunitario, almeno per svolgere corsi di tipo professionale. Il concetto di “formazione professionale”, inizialmente definito dalla Corte come la preparazione ad un particolare percorso professionale, fu in seguito esteso dagli stessi giudi-
515
Cfr. S. GIUBBONI, Un certo grado di solidarietà. Libera circolazione delle persone e accesso al welfare nella giurisprudenza della Corte di giustizia Ce, cit., p. 34. 516 Causa 293/83 [1985] ECR 593. 517 P. WATSON, Case 293/83, Gravier v. City of LiBge, Judgment of 13 February 1985, in Common Market Law Review, 1, 1987, p. 89 e ss.
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ci europei (caso Blaizot518) a tutti gli studi universitari con caratteristiche professionalizzanti. Per effetto di queste sentenze la Corte di Giustizia affermò il diritto all’eguale accesso ai corsi professionali per tutti i cittadini comunitari, con il risultato che qualsiasi tassa o altro criterio di accesso non poteva produrre discriminazioni tra studenti comunitari (cittadini e non cittadini di uno Stato membro). I successivi casi Lair519 e Brown520 sollevarono una questione strettamente collegata a quella già decisa in Gravier e Blaizot. Una volta che si era deciso di vietare ogni ostacolo all’accesso infra-comunitario ai corsi di studio era difficile mantenere una legislazione in tema di borse di studio, assegni di mantenimento o prestazioni di natura assistenziale per gli studenti che contenesse disposizioni suscettibili di generare discriminazioni in base alla nazionalità. Per effetto di questi due casi, infatti, le tasse universitarie, nel caso di iscrizione ad un corso connesso con finalità di accesso ad una determinata professione, furono ritenute materia che rientrava all’interno degli scopi dei Trattati, tanto da dover essere imposte in base ai principi di eguale trattamento e non discriminazione. L’estensione piena agli studenti del diritto di accesso crossborder alle prestazioni di protezione sociale è stata realizzata solo successivamente nel caso Grzelczyk 521. Ancora una volta, come era accaduto per Gravier, all’origine della vicenda vi è il trasferimento per motivi di studio di un cittadino francese in Belgio. Rudy Grzelczyk era infatti un cittadino francese che aveva svolto un corso di studi di educazione fisica in Belgio per cinque anni. Al terzo anno di studi Rudy presentava richiesta per ottenere il “minimex”, una forma di pre-salario studentesco belga a disposizione degli studenti universitari. La richiesta prima era accolta e poi revocata sulla base di un rilievo del Governo belga circa la cittadinanza del beficiario. La Corte di Giustizia ha ritenuto illegittimo tale diniego sulla scorta del fatto che un cittadino dell’Unione il quale compie studi universitari in uno Stato membro diverso da quello di cui è cittadino non può subire una discriminazione fondata sulla cittadinanza, come previsto dall’art. 6 del TUE. Tale divieto nella specie dev’essere letto, secondo i giudici, in combinazione 518
Causa 24/86 [1988] ECR 375. Causa 263/88 [1988] ECR 5356. 520 Causa 197/86 [1988] ECR 3205. 521 Causa C-184/99 [2001] ECR I-6193. 519
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con l’art. 8 A, n. 1, del TUE, il quale sancisce il «diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso». Pertanto Rudy Grzelczyk aveva un diritto legittimo a godere del minimex dal momento che egli rispettava le condizioni che valevano anche per i cittadini belgi. Ovviamente, il diritto al minimex non aveva natura assoluta. Allo scopo di prevenire la possibilità che i beneficiari stranieri potessero divenire un peso irragionevole per le casse dei paesi ospitanti, la Corte ha ritenuto che lo Stato membro deve poter disciplinare con disposizioni chiare questo diritto, evitando chiaramente di produrre discriminazioni in base alla nazionalità, e deve pure vigilare che tali studenti mantengano le condizioni di eligibilità previste dalla disciplina sulla libertà di circolazione522. Il passaggio successivo della vicenda relativa al diritto di accesso degli studenti europei ai sistemi universitari e scolastici di altri paesi dell’Unione è contenuto nella più rencente sentenza Bidar523. Dany Bidar, un cittadino francese, entrò nel territorio del Regno Unito per la prima volta nel 1998 con sua madre. Dopo aver terminato nel Regno Unito gli studi secondari nel settembre 2001 egli iniziava studi di economia presso l’University College London. Sebbene il sig. Bidar beneficiasse di un aiuto a titolo delle sue tasse scolastiche, gli veniva rifiutata la domanda di aiuto economico a copertura delle spese di mantenimento, sotto forma di prestito per studenti, con la motivazione che non era ancora stabilmente residente nel Regno Unito in base all’Immigratio Act del 1971. Nel ricorso avverso tale decisione di rifiuto egli affermava che le Student Support Regulations inglesi, subordinando la concessione di un prestito per studenti a un cittadino di uno Stato membro alla condizione che tale cittadino sia stabilito nel Regno Unito entro le norme sull’immigrazione, aveva posto in essere una discriminazione vietata ai sensi dell’art. 12 TCE. Seguendo quanto già aveva deciso in Grezelczyk la Corte affermò che “un aiuto concesso, sia sotto forma di prestiti sovvenzionati sia di borse, agli studenti che soggiornano legalmente nello Stato membro ospitante a copertura delle spese di mantenimento rientra nel campo di applicazione del Trattato CE ai 522 523
Vedi in particolare i punti n. 52-54 della sentenza. Causa C-209/03 [2005] ECR I-2119.
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fini del divieto di discriminazione sancito dall’art. 12, primo comma, dello stesso”, ed inoltre che lo stesso articolo deve essere interpretato nel senso che “osta ad una normativa nazionale che concede agli studenti il diritto ad un aiuto a copertura delle spese di mantenimento solo se sono stabiliti nello Stato membro ospitante, escludendo così che un cittadino di un altro Stato membro ottenga, in quanto studente, lo status di persona stabilita anche se detto cittadino soggiorna legalmente e ha svolto parte importante degli studi secondari nello Stato membro ospitante e ha, di conseguenza, stabilito un legame effettivo con la società di tale Stato”. Con questa posizione la Corte ha seguito la giurisprudenza dei casi D’Hoop e Collins circa i diritti delle persone in cerca di lavoro, le quali come Bidar affrontano il problema dal punto di vista del grado di integrazione nello stato ospitante necessario per qualificare la posizione della persona beneficiaria. L’ultimo capitolo nello sviluppo di questa giurisprudenza riguarda le norme degli Stati membri sul numero programmato previsto per l’accesso ai corsi universitari. Il caso Bressol e Chaverot524 affronta l’annosa questione del numero chiuso e i poteri che lo Stato membro ha di escludere studenti provenienti da altri paesi sulla base di ragioni legate all’organizzazione di alcuni particolari servizi, come il sistema di sanità pubblica525. La Corte di Giustizia qui ha affermato che “gli artt. 18 TFUE e 21 TFUE ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto delle cause principali, che limiti il numero di studenti non considerati residenti in Belgio che possono iscriversi per la prima volta in corsi di formazione medica e paramedica di istituti di istruzione superiore”. Unica eccezione a questa regola è la circostanza che abilita il giudice del rinvio, in esito ad una valutazione di tutti i pertinenti elementi presentati dalle autorità competenti, a constatare che la normativa restrittiva dell’accesso per cittadini stranieri “risulti giustificata con riguardo all’obiettivo della tutela della sanità pubblica”.
524
Causa C-73/08 Bressol e Chaverot [2010] ECR I-0000. Sul tema vedi A. VAN DER MEI, Free Movement of Students and the Protection of National Educational Interests: Reflections on Bressol and Chaverot, in European Journal of Migration and Law, 1, 13, 2011, p. 123 e ss. 525
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7.4 La disciplina in materia di orario di lavoro Il penultimo esempio di sentenze nelle quali la Corte di giustizia interviene a garantire alcune espressioni dei diritti sociali riguarda la materia dell’orario di lavoro. Le vicende legate alla normativa sull’orario di lavoro rappresentano un paradigmatico esempio dello sviluppo raggiunto dalla disciplina europea in materia di politica sociale e dei problemi che l’incremento di questa legislazione pone per l’interprete a livello nazionale. Nella elaborazione giurisprudenziale su questo punto si segnalano tre sentenze della Corte di giustizia in cui recentemente sono state affrontate alcune questioni legate alla interpretazione della disciplina in materia di godimento del diritto alla limitazione del tempo di lavoro ed alla fruizione dei riposi previste a livello europeo nella direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003. Il primo caso (Günter526) risolve una questione pregiudiziale sollevata nell’ambito di una controversia relativa alla applicabilità (o meno) della normativa del Land tedesco SachsenAnhalt sulla durata massima della settimana lavorativa anche ai pubblici dipendenti impiegati nel servizio tecnico antincendi delle città e dei comuni. Il secondo caso (Union syndicale Solidaires Isère527) concerne una domanda pregiudiziale sollevata contro un decreto del governo francese che esclude il diritto ad un periodo minimo di riposo giornaliero per i titolari di contratti di assistenza educativa impiegati in attività occasionali e stagionali. Il terzo caso (Accardo528) ha ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Torino all’interno di un procedimento nel quale alcuni vigili urbani in servizio presso il comune di Torino lamentavano il mancato rispetto del diritto ad avere un periodo di riposo settimanale. Le vicende legate alla normativa sull’orario di lavoro, espresse nei tre casi, rappresentano un paradigmatico esempio dello sviluppo raggiunto dalla disciplina europea in materia di politica sociale e dei problemi che l’incremento di questa legislazione pone per l’interprete a livello nazionale. Non è un caso che le tre sentenze in commento richiamano un passaggio già 526
Causa C-243/09 Günter Fuß [2010] ECR I-0000. Causa C-428/09 Union syndicale Solidaires Isère [2010] ECR I-000. 528 Causa C-227/09 Accardo [2010] ECR I-000. 527
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esplicato dalla giurisprudenza europea529, secondo la quale i limiti massimi relativi alla durata del periodo di lavoro costituiscono norme di diritto sociale dell’Unione con “importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quale prescrizione minima necessaria per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute”530. L’obiettivo perseguito dallo strumento europeo in materia di orario di lavoro non è limitato alla mera determinazione delle regole sul tempo del lavoro, ma individua un nesso funzionale tra gli interventi sull’orario di lavoro e le istanze di tutela della salute e della sicurezza del prestatore. Il sistema di regole sui tempi di lavoro va al di la della mera definizione dell’organizzazione della prestazione, sia coinvolgendo altri aspetti della tutela individuale sia riconoscendo un valore sociale più ampio alla disciplina531. Su quest’ultimo aspetto le tre sentenze evidenziano che dietro la disciplina sull’orario si cela in realtà un problema di fondo legato al futuro del modello sociale europeo: il conflitto tra le finalità sociali della disciplina in materia di orario di lavoro (che mira non solo a garantire la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore ma anche le esigenze occupazionali e di redistribuzione del reddito) e le istanze di flessibilità e di competitività del sistema del lavoro. Nelle pronunce, la Corte di Giustizia ha modo di evidenziare che tanto l’originaria direttiva quanto le sue successive modifiche risolvono solo formalmente il confronto tra queste due esigenze. La Corte, infatti, evidenzia l’insufficienza dell’obbiettivo “securitario” come limite unico alla definizione dei regimi temporali della prestazione lavorativa. Nel caso Günter, ad esempio, la Corte statuisce che la violazione dell’art. 6 della direttiva 2003/88/CE in tema di durata massima della settimana lavorativa può essere valutata a pre529
Vedi tra tutte la sentenza Pfeiffer del 5 ottobre 2004 (Cause riunite da C397/01 to C-403/01 Pfeiffer [2004] ECR I-8835). 530 Per un panoramica sulla giurisprudenza europea in tema vedi funditus FENOGLIO, Le ferie: dalle recenti sentenze della Corte di Giustizia nuovi spunti di riflessione sulla disciplina Italiana, in ADL, 2, 2010, p. 450 e ss. 531 La molteplicità di interessi coinvolti emerge dal complesso dei meccanismi previsti nella fase di attuazione a livello interno. Nelle direttive, infatti, il bilanciamento tra la protezione dei lavoratori e le esigenze legate all’organizzazione del lavoro lascia consistenti margini agli stati membri: al loro interno questi ultimi possono tanto migliorare la tutela dei lavoratori (obiettivo sì auspicabile ma difficile da realizzare) quanto diminuirla, con la garanzia di rispettare le condizioni poste dalle norme della stessa direttiva (art. 17 e 18 direttiva 2003/88).
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scindere dalla dimostrazione della sussistenza di un danno specifico alla salute del lavoratore532. Allo stesso modo in Accardo la Corte di giustizia indica che le disposizioni derogatorie contenute nella direttiva devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tali deroghe permettono di proteggere, lasciando intendere che questi stessi interessi possono andare oltre la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore e coinvolgere tutti quegli aspetti legati al rapporto tra “tempo di lavoro” e di “non-lavoro”533. L’analisi della disciplina sull’orario apre uno spazio per effettuare l’analisi dei diritti sociali quali libertà costituzionali fondamentali. Il diritto ad un tempo di lavoro ragionevole richiama direttamente l’esigenza che la persona possa essere libera di gestire i tempi della propria vita, prima ancora che alla responsabilità imprenditoriale dei fattori di produzione e lavoro. La necessità di conciliare una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro con la garanzia della sicurezza, della salute e della dignità dei lavoratori stessi richiede un approccio ai diritti sociali in senso diverso da come normalmente li si concepisce (meri diritti ad esigere una prestazione da parte delle istituzioni statali), cioè come qui ho cercato di esprimere, ovvero come libertà che esprimono l’intima relazionalità/socialità della persona umana. Nel caso del diritto al riposo e del diritto alle ferie ciò è particolarmente evidente, poiché il godimento di tali diritti è al medesimo tempo presupposto e fine della creazione di ambiti o ambienti di vita (lavoro, famiglia e altri luoghi di vita). Dagli esempi analizzati emerge, dunque, che se anche i cambiamenti sollecitati dal diritto europeo (specie sul piano dei fini della disciplina e sull’assetto delle fonti) restano circoscritti alla sfera lasciata alla discrezionalità del legislatore, non si può escludere che essi possano giungere (come del resto è avvenuto) fino a colpire il livello di protezione costituzionale dei diritti. Nella prospettiva qui delineata diviene ancora più delicato il ruolo che svolgono le istituzioni europee e le istituzioni nazio532
Sulle problematiche applicazioni della direttiva menzionata vedi M. ROCCELLA, D. IZZI, Lavoro e diritto nell'Unione europea, Padova, CEDAM, 2010, p. 144 e ss. 533 Sul tema vedi: G. RICCI, Orario di lavoro, riposi e ferie: questioni d'attualità, in Foro It., 9, 2009, c. 2353 e ss.; M. FALSONE, La Corte di giustizia interviene in tema di periodo minimo di riposo giornaliero e di durata massima dell'orario settimanale di lavoro, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4, 2011, p. 1262 e ss.
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nali, sia nel processo discendente di attuazione e di armonizzazione del diritto sociale europeo sia nel processo ascendente di creazione di tale disciplina. 7.5 Il bilanciamento tra libertà economiche e diritti sociali dei lavoratori nella giuriprudenza più recente L’ultimo tema da affrontare relativamente alla protezione dei diritti sociali all’interno dell’ordinamento europeo riguarda il bilanciamento tra libertà economiche e diritti sociali. Tale problema è affrontato dalla Corte di Giustizia in due casi, Viking534 e Laval535, decisi nel dicembre del 2007. 534
Causa C-438/05 Viking [2007] ECR I-10779-10840. In Viking una società di traghetti finlandese (la Viking Line) operante nel mar Baltico aveva impugnato il boicottaggio compiuto a suo carico dalla associazione internazionale che raggruppa i sindacati dei lavoratori del trasporto (International Transport Workers’ Federation). Poiché una delle sue navi, la Rosella, era in perdita e subiva la concorrenza negativa delle navi estoni, la Viking aveva deciso di cambiarne la bandiera immatricolandola in Estonia. Il reflagging avrebbe consentito alla Viking di concludere un contratto collettivo con i sindacati estoni e in tal modo di applicare tariffe orarie e condizioni di lavoro più economiche rispetto a quelle previste nella legislazione finlandese. Il sindacato a cui l’equipaggio della Rosella apparteneva (FSU) giudicava negativamente l’operazione; vi vedeva il rischio concreto di un peggioramento delle condizioni lavorative a cui era sottoposto l’equipaggio e la minaccia di una futura imposizione di tagli al personale. Per tale ragione FSU aveva organizzato un’azione di boicottaggio nei confronti della Viking, che si estendeva anche al di fuori dei confini finlandesi, grazie all’endorsement della International Transport Workers’ Federation. Come effetto dell’azione sindacale Viking aveva cambiato i termini dell’operazione ed era stata indotta a rinegoziare il contratto con l’FSU. Tuttavia, in seguito al rischio che il nuovo accordo potesse essere oggetto di ulteriori azioni di boicottaggio, la Viking aveva dato avvio ad un’azione giudiziale in Inghilterra nei confronti dell’International Transport Workers’ Federation. In primo grado la sentenza si era risolta con la vittoria della Viking, la Corte di appello, cui il sindacato aveva fatto ricorso, ha tuttavia sollevato una richiesta di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia relativa all’applicazione diretta dell’art. 43 del TCE e tutta incentrata sulla compatibilità/bilanciamento tra azioni collettive e libertà di stabilimento. 535 Causa C-341/05, Laval [2007] ECR I-11767-11894. Laval deriva da un rinvio pregiudiziale dell’Arbetsdomstolen (tribunale del lavoro) del regno di Svezia all’interno di una controversia che vedeva contrapposti un’azienda lettone di costruzioni (Laval) e il sindacato svedese dei lavoratori dell’edilizia (Byggnads). La lite era iniziata a seguito di un’azione collettiva (interruzione del lavoro in cantiere) intrapresa da Byggnads per dimostrare la propria solidarietà nei confronti di un gruppo di lavoratori lettoni distaccati nel cantiere di Vaxholm dall’impresa lettone. L’azione sindacale di disturbo era diretta a
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Le due sentenze sono state usate come il simbolo di una contrapposizione tra istituzioni europee circa le misure da adottare per ottenere un più equilibrato rapporto tra diritti economici e diritti sociali536. Alla base di questa antitesi vi è uno dei cambiamenti più forti determinati dall’allargamento europeo, cioè la scelta di spostare le attività produttive verso (o di attrarre manodopera da) quei paesi dove il costo del lavoro è più basso, con tutte le conseguenze che ciò genera, comprese le trasformazioni delle relazioni industriali537. La questione sulla quale le due sentenze si soffermano può essere riassunta, dunque, usando il canone del rapporto tra diritti da bilanciare: la compatibilità fra distinte sfere di diritti e libertà nel contesto dell’economia sociale di mercato. Nelle due pronunce, infatti, si scontrano a parere della Corte di Giustizia, due tipologie di diritti: da un lato, i diritti sociali a negoziare e a svolgere azioni collettive protette dalle costituzioni interne e, dall’altro, l’esercizio delle libertà economiche individuali garantite nei trattati europei. La compatibilità di queste libertà diviene ancor più complessa nell’ottica del diritto europeo, nel quale sono intrecciate questioni relative alla garanzia dei diritti con l’applicazione e la trasposizione del diritto primario e secondario all’interno dei contesti nazionali. Il tema non è nuovo né all’interno degli ordinamenti nazionali né all’interno della giurisprudenza della CGE, come testimonia un passaggio essenziale contenuto in ambedue i giudizi, che riconosce la presenza delle “finalità sociali” all’interno dell’ordinamento europeo538. La novità che si può cogliere, nei costringere Laval ad applicare ai lavoratori distaccati provenienti dalla Lettonia le condizioni contrattuali assicurate nel luogo della prestazione anziché quelle del loro paese di origine. Il rinvio alla Corte di giustizia riguardava l’implementazione della direttiva sul distacco dei lavoratori in Svezia e la possibilità per i sindacati di avviare azioni industriali per tentare di forzare un prestatore di servizi a concedere migliori condizioni per i lavoratori distaccati sulla base dell’art. 49 del TCE. 536 S. SCIARRA, Diritti collettivi e interessi transnazionali: dopo Laval, Viking, Ruffert, Lussemburgo, in Libertà economiche e diritti sociali nell'Unione Europea, a cura di A. ANDREONI, B. VENEZIANI, Roma, Ediesse, 2009, p. 23 e ss. 537 V. ANGIOLINI, Laval, Viking, Ruffert e lo spettro di Le Chapelier, in Libertà economiche e diritti sociali nell'Unione Europea, a cura di A. ANDREONI, B. VENEZIANI, Roma, Ediesse, 2009, p. 51 e ss. 538 “Poiché dunque la Comunità non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e
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casi in questione, riguarda il fatto che la CGE decide di trattare i conflitti – diversamente dal passato – alla maniera di un giudice “costituzionale”, legando le sorti delle cause ad un puro bilanciamento tra diritti incompatibili. Questa originalità è un dato di notevole importanza, perché corrisponde ad una evoluzione nell’ordinamento europeo, orientato nei fatti verso una nuova forma di costituzionalizzazione, la quale segna un primo superamento della dottrina classica della supremazia delle regole europee in tutti i casi in cui siano implicati “obiettivi” propri di questo ordinamento. Nei casi in commento, infatti, i giudici di Lussemburgo compiono un passo avanti rispetto ai propri precedenti. Da un lato, perché la Corte di Giustizia supera il divieto di proiettare la loro tutela su atti di autorità statali che riguardino materie del tutto estranee al diritto comunitario539; dall’altro, poiché essa raggiunge tale risultato usando tecniche di interpretazione costituzionale (soluzione di antinomie e di conflitti tra principi, applicazione di regole di coerenza tra principi, ecc.) che rendono le decisioni di questo tipo molto simili a quelle dei giudici di quegli ordinamenti interni – come quello italiano o tedesco – dove i diritti fondamentali godono una forte tutela costituzionale. Cuore delle due sentenze è, infatti, il bilanciamento dei diritti sociali collettivi con le libertà economiche secondo il principio di proporzionalità. In questo senso, il ragionamento della Corte porta ad una restrizione delle forme di lotta sindacale, le quali – a detta dei giudici – non devono essere “eccessive” né essere finalizzate ad obbiettivi “vessatori” per la controparte imprenditoriale. Sebbene dia una soluzione immediata al contrasto tra diritti, l’affermazione si presta a non pochi rilievi sia nei presupposti sia nei contenuti. Il test di proporzionalità presuppone sia che i diritti posti a confronto rientrino nel medesimo ordinamento giuridico sia che ciascun diritto in conflitto si possa internamente scomporre in un nucleo essenziale da salvadei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale, tra i quali figurano in particolare, come risulta dall’art. 136 CE, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata e il dialogo sociale”. Viking punto 79; Laval punto 105. 539 In tal senso le due sentenze inaugurano di certo una nuova fase dell’”attivismo” giudiziario che ha contraddistinto in questi anni la CGE. V. sul punto M. CARTABIA, L’universalità dei diritti umani nell’età dei «nuovi diritti», cit., 544 e ss.
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Le interpretazioni
guardare e in parti secondarie da ammettere al bilanciamento ed eventualmente sacrificare540. L’operazione già è molto difficile quando si trovano in conflitto diritti sociali ad esercizio individuale, si può immaginare quanto sia complessa nel caso in cui si tratti di un diritto sociale ad esercizio collettivo541. Si è già ricordato che ambedue le sentenze in esame affrontano un problema di bilanciamento tra diritti contrapposti. Da un lato, nella sentenza Viking, v’è una contrapposizione tra diritto di stabilimento e diritti sindacali; dall’altro, nella sentenza Laval, questi ultimi diritti entrano in conflitto con la libertà di prestazione dei servizi. 7.5.1 Viking Nella sentenza Viking i giudici del rinvio chiedevano di verificare se l’art. 43 TCE (divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento) potesse essere applicato ad un’azione collettiva intrapresa da un sindacato o da un raggruppamento di sindacati nei confronti di un’impresa, per indurla a sottoscrivere un contratto collettivo il cui contenuto fosse in grado di dissuadere la stessa dall’avvalersi della libertà di stabilimento.
540
Secondo le tecniche descritte da R. BIN, Diritti e argomenti, cit., p. 107 e
ss.
541
A livello di principio, l’uso di queste tecniche si fonde molto bene con il fine principale perseguito dai giudici europei, che è quello di evitare distorsioni della concorrenza tra imprese stabilite nei paesi aderenti da più tempo alle Comunità europee e imprese di quei paesi (soprattutto dell’est) che hanno perfezionato l’ingresso nell’UE da poco, senza intervenire direttamente a correggere il divario tra i sistemi sociali di queste due realtà. In tal senso la decisione rappresenta il portato (giudiziario) dell’introduzione di un riferimento alla “economia sociale di mercato” nell’art. 3 TFUE. La decisione di inserire questo riferimento all’ “economia sociale di mercato” corrisponde alla volontà di trovare un nuovo equilibrio tra i due obiettivi indicati sopra e di combattere il cd. deficit sociale dell’Unione. È chiaro che si tratta di un’arma che può risultare “spuntata”, dato che i mezzi per sviluppare un’Europa sociale sono alquanto limitati. La “nuova” Unione – allo stesso modo delle Comunità – non ha competenze in materia di armonizzazione sociale, ma solo strumenti di coordinamento in relazione alle politiche sociali e al “diritto sociale” degli Stati membri, che a loro volta sono basati su modelli economici e sociali molto differenti. Vedi criticamente sul punto C. JOERGES, F. RÖDL, "Social Market Economy" as Europe's Social Model?, in EUI Working Papers, 8, 2004, passim.
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Per arrivare al bilanciamento tra queste libertà la Corte compie alcune operazioni logicamente preliminari che servono soprattutto a individuare il tenore del diritto di azione collettiva. Il primo passo è consistito nel ricondurre il diritto di azione collettiva nell’ambito di applicazione dell’art. 43 TCE attraverso la dottrina dell’effetto orizzontale delle norme europee (punti 33-37). Il passaggio è decisivo. L’affermata possibilità di applicare l’art. 43 ad atti considerati restrittivi della relativa libertà, che – come lo sciopero o altri tipi di azione collettiva – siano posti in essere da privati, consente di ricondurre le vicende in esame nell’orbita concettuale e regolativa della prestazione di servizi. L’azione collettiva realizzata da soggetti privati (i sindacati) può rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 43 TCE solo se si attribuisce a tale disposizione un effetto diretto orizzontale. Aderendo alla prospettazione dell’Avvocato generale M. Poiares Maduro, i giudici hanno riconosciuto che il rispetto del divieto di discriminazione previsto dall’art. 43 TCE si impone non solo alle autorità pubbliche, ma anche a tutti i soggetti in grado di porre una disciplina (anche non pubblica) finalizzata a regolamentare in modo collettivo il lavoro indipendente e le prestazioni di servizi. Il tema, come rilevato, ha suscitato un notevole dibattito in sede processuale tra “nuovi” e “vecchi” Stati membri, rappresentando uno dei passaggi più “critici” dell’intera vicenda, e non solo perché ha costituito condizione indispensabile per l’operazione di bilanciamento che altrimenti sarebbe rimasta preclusa, ma perché costituisce un’opinione discutibile sia per gli argomenti utilizzati nelle conclusioni degli avvocati generali542 sia poi per gli effetti sulla decisione finale543. Le affermazioni della Corte, secondo le quali l’abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone ed alla libera prestazione dei servizi sarebbe compromessa se l’eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall’esercizio dell’autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non 542
Sul punto vedi quanto dice A. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, in Lavoro e diritto, 1, 2008, 77 e ss. 543 Come ha espresso B. BERCUSSON, The Trade Union Movement and the European Union: Judgment Day, in European Law Journal, 3, 13, 2007, p. 279 e ss.
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pubblicistica, appaiono indubbie. Tuttavia, in tutto il ragionamento non funziona l’assimilazione dei sindacati a quei soggetti privati (come le associazioni professionali) che possono limitare la libertà di stabilimento mediante barriere all’entrata nel mercato del lavoro, e dunque l’equiparazione delle azioni collettive (che è un comportamento, e dunque un fatto e non “una normativa” di carattere generale) alle attività di tali soggetti privati dotate di effetti generali544. Con il passaggio logico successivo nella sentenza Viking la Corte supera l’ulteriore ostacolo relativo alla mancanza di un titolo di competenza europeo nei settori controversi545. L’art. 137 non è, dunque, ritenuto in grado di vietare che l’effetto orizzontale dell’art. 43 porti l’azione collettiva nell’ambito di applicazione di tale ultima norma, aprendosi così la strada per valutare la legittimità dell’azione collettiva alla luce di una libertà fondamentale garantita dai Trattati546. Per raggiungere tale obiettivo la CGE affronta un ulteriore nodo problematico, consistente nell’affermare che il diritto di azione collettiva è un diritto fondamentale riconosciuto sia all’interno dei singoli stati sia all’interno del panorama internazionale e all’interno del diritto comunitario, in particolare nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE547. È questo passaggio che consente alla CGE di affermare che anche il diritto di intraprendere un’azione collettiva e il diritto 544
Si deve ricordare che gran parte della giurisprudenza sul tema della libertà di accesso al mercato del lavoro (principalmente Bosman e Wouters) interveniva a censurare misure private apertamente discriminatorie, il cui fine era quello di escludere i cittadini di altri Stati membri dal godimento di diritti che si intendevano riservare ai cittadini nazionali. In Viking e poi in Lava, la misura privata – cioè lo sciopero – costituisce essa stessa l’esercizio di un diritto da parte dei cittadini nazionali e non interferisce in alcun modo con l’esercizio di quello stesso diritto da parte di cittadini stranieri. Cfr. le opinioni diA. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, cit., p. 80. 545 Come è stato riconosciuto, i giudici di Lussemburgo superano “di slancio” l’ostacolo (art. 137.5 TCE), statuendo che sebbene nei settori che non rientrano nella competenza della Comunità gli Stati membri restino in linea di principio liberi di determinare le condizioni di esistenza dei diritti in questione e i modi di esercizio degli stessi, resta tuttavia il fatto che, nell’esercizio delle proprie competenze riservate, essi sono tenuti a rispettare il diritto comunitario. (Punto 40 della decisione). A tal proposito sono molto utili le considerazioni di M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di giustizia "bilancia" il diritto di sciopero, cit., p. 378. 546 Il rispetto del diritto comunitario di cui aveva appena parlato nel punto 40. 547 Punto 43 della decisione.
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di sciopero debbono essere riconosciuti come “diritti fondamentali facenti parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte stessa garantisce il rispetto” e il cui “esercizio può essere sottoposto a talune restrizioni”548. L’inclusione del diritto di azione collettiva nel diritto europeo determina, come logica conseguenza, la necessità di “bilanciare” il diritto sociale fondamentale con la libertà economica (libertà di stabilimento), non meno fondamentale nel diritto comunitario. Il punto finale di questo complesso processo logico è il richiamo della dottrina espressa nelle due sentenze Schmidberger e Omega549. Nella motivazione sul punto la Corte richiama queste ultime sentenze per ribadire che quand’anche la tutela dei diritti fondamentali rappresenti un legittimo interesse che giustifica, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto comunitario (ancorché derivanti da una libertà fondamentale garantita dal Trattato), comunque l’esercizio dei diritti fondamentali non esula dall’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato, e deve essere conciliato con i diritti tutelati dal Trattato stesso, alla luce del principio di proporzionalità. Ne deriva che “il carattere fondamentale del diritto di intraprendere un’azione collettiva non è tale da escludere le azioni collettive [...] dall’ambito di applicazione dell’art. 43 CE550“, e anche che l’art. 43 CE conferisce a un’impresa privata diritti opponibili a un sindacato o a un’associazione di sindacati (seconda questione sottoposta alla Corte). Dati questi presupposti logici, i giudici di Lussemburgo risolvono la questione relativa all’esistenza delle restrizioni cui sarebbe stata sottoposta la libertà di stabilimento invocata dalla difesa della Viking. Per provare l’esistenza delle restrizioni, la Corte non incontra particolari problemi. Essa richiama l’indirizzo espresso già da tempo nella sentenza Factorname, secondo la quale l’immatricolazione di una nave non può essere scissa dall’esercizio della libertà di stabilimento. Sull’esistenza 548
Punto 44 della decisione. Questo punto della sentenza richiama prima l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e poi la normativa finlandese che vieta l’esercizio del diritto di sciopero qualora esso sia contrario al buon costume o vietato dal diritto nazionale o comunitario. 549 Punti 45 e 46 della decisione. Per tale aspetti vedi J. MORIJN, Balancing Fundamental Rights and Common Market Freedoms in Union Law: Schmidberger and Omega in the Light of the European Constitution, in European Law Journal, 1, 12, 2006, p. 15 e ss. 550 Punto 47 della decisione.
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di una restrizione ingiustificata, perciò, i giudici non hanno dubbi551. Resta da chiarire se l’azione collettiva, che limita di fatto la libertà di stabilimento, è anche giustificata. La risposta è contenuta nel punto 75 della sentenza. Una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se: a) persegua un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato552; b) sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale; c) sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di ciò che è necessario per conseguirlo. È questo in sintesi il paradigma della proporzionalità che i giudici utilizzano553. L’azione collettiva non ha un obiettivo legittimo se, nella fattispecie concreta, non vi è una reale minaccia di peggioramento delle condizioni di lavoro554. Dunque, nel caso in cui, al termine di tale valutazione, il giudice del rinvio concluda che i posti o le condizioni di lavoro dell’equipaggio erano realmente compromessi o seriamente mi551
“Un’azione collettiva come quella progettata dalla FSU ha l’effetto di scoraggiare, se non addirittura di vanificare (…) l’esercizio da parte della Viking della sua libertà di stabilimento, poiché essa impedisce a quest’ultima (…) di beneficiare, nello Stato membro ospitante, del medesimo trattamento degli altri operatori economici stabiliti in tale Stato”. Punto 72 della decisione. 552 Per quanto riguarda questo aspetto la Corte ribadisce che “il diritto di intraprendere un’azione collettiva che ha come scopo la tutela dei lavoratori costituisce un legittimo interesse in grado di giustificare, in linea di principio, una restrizione a una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (…), e che la tutela dei lavoratori rientra tra le ragioni imperative di interesse generale già riconosciute dalla Corte” (punto 77 della decisione). 553 A dispetto di quanto accade normalmente nell’applicazione del paradigma interpretativo della proporzionalità (G. SCACCIA, Gli "strumenti" della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, Giuffrè, 2000, passim; V. BONCINELLI, I valori costituzionali fra testo e contesto, Torino, Giappichelli, 2007, p. 153 e ss), il controllo che si opera durante il primo passaggio logico è, in questa circostanza, decisivo. Si può comprendere bene leggendo il punto 81 della sentenza: “sebbene (l’)azione, finalizzata alla tutela dei posti e delle condizioni di lavoro dei membri di tale sindacato a rischio di essere lesi dal cambiamento di bandiera del Rosella, potesse a prima vista essere ragionevolmente considerata connessa all’obiettivo di tutela dei lavoratori, tale qualificazione non potrebbe tuttavia essere conservata se fosse accertato che i posti o le condizioni di lavoro in questione non erano compromessi o seriamente minacciati”. (Nostro il corsivo). 554 L’autodeterminazione, che costituisce, nelle tradizioni costituzionali comuni, un’essenziale componente dell’autonomia sindacale è messa in discussione, perché spetterà comunque al giudice del rinvio valutare la legittimità dell’obiettivo. M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di giustizia "bilancia" il diritto di sciopero, cit., p. 383.
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nacciati dal cambiamento di bandiera del Rosella, egli avrà ancora l’onere di verificare se l’azione collettiva intrapresa da tale sindacato sia adeguata per garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di ciò che è necessario per conseguirlo555. 7.5.2 Laval Anche nel caso Laval siamo di fronte alla necessità di comporre un contrasto tra una delle libertà economiche tutelate dai trattati e un diritto sociale ad azione collettiva. Nella sentenza la Corte di Giustizia dichiara contrastanti con il Trattato le norme della “legge Britannia” del Regno di Svezia per contrasto con l’art. 43 del TCE e pone un’interpretazione molto stretta della direttiva sul distacco dei lavoratori. Le differenze tra le questioni rilevanti in Laval e in Viking non sono minime e neanche trascurabili. Nella sentenza Laval era sottoposto allo scrutinio della Corte di Giustizia non solo il comportamento messo in pratica dal sindacato ma anche le norme dell’ordinamento svedese che davano attuazione alla direttiva europea sul distacco dei lavoratori. Per questa ragione le premesse in fatto e in diritto da cui muove la sentenza, come pure le conclusioni cui la Corte arriva, appaiono diverse. Non muta, invece, il nocciolo delle motivazioni espresse dai giudici, cioè la qualificazione delle libertà in conflitto e il bilanciamento tra di esse. La prima differenza che, perciò, emerge tra i due giudizi riguarda la qualificazione che la Corte da dell’azione sindacale. In Laval il contrasto tra il comportamento del sindacato e l’art. 49 TCE rappresenta un presupposto della motivazione più che
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Se, per quanto riguarda il requisito dell’adeguatezza, i giudici europei ritengono pacifico che le azioni collettive costituiscano uno dei mezzi principali attraverso cui i sindacati tutelano gli interessi dei loro membri, non altrettanto è per il requisito della necessarietà. La Corte afferma che spetta al giudice del rinvio accertare che il sindacato “non disponesse di altri mezzi, meno restrittivi della libertà di stabilimento, per condurre a buon fine il negoziato collettivo avviato con la Viking e, (…) se detto sindacato avesse esperito tutti questi mezzi prima di avviare l’azione in questione” (punto 87). Ne deriva che al fine di comprendere la proporzionalità della misura in questione occorre verificare che l’azione collettiva costituiva non uno ma “il” rimedio ultimo.
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la sua conclusione556. Di eguale tenore la questione relativa alla garanzia che uno stato è in grado di richiedere per i lavoratori distaccati557. Per quanto concerne la legittimità dell’azione collettiva, la decisione si svolge in due passaggi. Nel primo, corrispondente ai punti 86-101, si ritrovano per grandi linee il contenuto e i passaggi della sentenza Viking: l’effetto diretto orizzontale dell’art. 49 TCE e la riconducibilità dell’azione collettiva nel campo di applicazione dello stesso articolo; la qualificazione dell’azione collettiva come restrizione alla libertà di circolazione dei servizi; il diritto di azione collettiva come diritto fondamentale riconosciuto dal diritto europeo; il “bilanciamento” tra i due diritti, entrambi fondamentali; l’ammissibilità della restrizione alla libertà di circolazione, basata sulla legittimità dell’obiettivo e sulla proporzionalità dell’azione. Nel secondo passaggio la Corte analizza, invece, nel merito gli obiettivi e la proporzionalità dell’azione collettiva intrapresa dai sindacati svedesi, legando tale valutazione ad un’operazione ermeneutica delle disposizioni della direttiva sul distacco lavoratori, alla quale si riferisce come ad una normativa di tutela di questi ultimi, ma della quale sembra dimenticare la funzione di controllo del dumping sociale, cioè di tutela dei lavoratori dello Stato ospitante che con alcuni limiti la direttiva stessa tenta di compiere.
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Nel punto 71 della sentenza, che chiude lo svolgimento della questione relativa alla possibilità a disposizione degli Stati membri di determinare le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili ai lavoratori distaccati, ivi compresi i minimi salariali, si legge che: “uno Stato membro nel quale i minimi salariali non sono determinati in uno dei modi previsti dall’art. 3, nn. 1 e 8, della direttiva 96/71 non ha il diritto di imporre, sulla base di tale direttiva, alle imprese stabilite in altri Stati membri, nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale, una trattativa caso per caso, sul luogo di lavoro, che tenga conto della qualifica e delle mansioni dei dipendenti, affinché le dette imprese possano conoscere la retribuzione che dovranno pagare ai loro dipendenti distaccati”. 557 Nel punto 80 della sentenza si legge che: “l’art. 3, n. 7, della direttiva 96/71 non può essere interpretato nel senso che esso consentirebbe allo Stato membro ospitante di subordinare la realizzazione di una prestazione di servizi sul suo territorio al rispetto di condizioni di lavoro e di occupazione che vadano al di là delle norme imperative di protezione minima”.
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7.5.3 La natura delle libertà in gioco nelle due sentenze Ad un giudizio sbrigativo, il paradigma interpretativo usato dai giudici di Lussemburgo nelle due cause appare coerente e razionale. Non mancano, ad un esame più approfondito della tecnica usata e del contenuto dei diritti bilanciati, alcune aporie che occorre qui sottolineare. Anzitutto, occorre svolgere una breve precisazione sull’oggetto delle controversie. Dalla lettura dei fatti indicati nella sentenza Viking, come pure nel rinvio pregiudiziale a base della stessa, emerge con chiarezza che lo sciopero non era utilizzato per impedire alla Viking Line di prestare servizio di traghetto dopo essersi trasferita in Estonia (cosa che essa già realizzava), ma che viceversa il trasferimento in questo paese fosse esclusivamente un mezzo per prestare a più basso costo gli stessi servizi che essa già forniva come impresa finlandese558. Dunque, l’obiettivo dell’azione sindacale non era quello di impedire ad un’impresa che già si è trasferita all’estero di prestare i propri servizi nello Stato in cui aveva sede in precedenza ma solo di peggiorare le condizioni dei lavoratori mediante un’azione di social dumping. Questo punto è decisivo per quanto riguarda la giustificazione dei limiti alla libertà di stabilimento perché nella sentenza non vi è alcun punto in cui si sottomette a criteri di verifica della ragionevolezza del fine questa libertà. Il secondo aspetto riguarda, invece, la natura delle libertà in gioco nelle sentenze. In questo senso è vero che per ricondurre all’art. 43 TCE i diritti sociali ad esercizio collettivo e consentirne il bilanciamento con la libertà di stabilimento, la Corte finisce per snaturare (o addirittura non considerare affatto) le peculiarità del diritto all’autodeterminazione e all’autonomia sindacale, mettendo oltretutto a repentaglio la legittimità di tutte quelle procedure (a volte informali) che vengono condotte negli Stati per evitare che il conflitto sociale sfoci in una rottura (si pensi alle procedure di conciliazione precedenti agli scioperi)559. Come è noto, il diritto di intraprendere azioni collettive non vi558
M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di giustizia "bilancia" il diritto di sciopero, cit., p. 382 e 383. 559 V. ANGIOLINI, Laval, Viking, Ruffert e lo spettro di Le Chapelier, cit., 56 e ss. Opportunamente l’autore fa notare che le decisioni sindacali non sono “legge”, di cui l’ordinamento deve assicurare la rispondenza con l’«interesse generale». La decisione del sindacato è diretta a garantire la tutela dei lavoratori aderenti, a cui l’ordinamento, ove voglia assicurare la libertà sindacale, deve lasciare libertà di autodeterminarsi quanto alle azioni collettive.
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ve da solo, ma deve essere considerato in relazione ai fini per i quali le azioni stesse sono realizzate. Il contratto collettivo, infatti, è parte di un sistema economico complesso nel quale i mezzi impiegati, se singolarmente considerati, difficilmente possono essere ritenuti proporzionati rispetto al fine560. Ovviamente la convinzione che si debba sottoporre ad una tutela specifica l’autonomia sindacale non è un dogma, specie in un momento di profonda crisi economica. Non si può non difendere però l’autonomia dei sindacati rispetto al sistema politico e ancora di più rispetto al controllo degli Stati, incentivando tali associazioni soprattutto laddove garantiscono la libertà di negoziazione dei salari (fine economico) e, insieme, preservano i diritti dei lavoratori connessi con questi fattori economici. La contrattazione collettiva e lo sciopero, perciò, hanno finalità economiche (e non solo sociali) che proprio nell’obiettivo del mercato europeo devono essere tutelate, e semmai corrette, per perseguire fini di natura sociale561. Il terzo aspetto riguarda l’effetto orizzontale delle norme del trattato, con specifico riguardo alle libertà economiche in conflitto. Le due sentenze hanno un archetipo comune, giacché sono rivolte a giustificare la prevalenza del diritto dei Trattati sui diritti previsti negli ordinamenti nazionali a livello costituzionale. Nello specifico, l’assunto da cui muove la Corte di Giustizia suona in questo modo: le norme sul TCE, relative al diritto di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, condizionano non solo le autorità pubbliche ma anche i soggetti privati, ivi compresi i sindacati, in ragione dell’“effetto diretto o560
Non è un caso che le sentenze Viking e Laval rovesciano la valutazione compiuta nella sentenza Albany (C-67/96 [1993] ECR I-393), dove la Corte aveva affermato: “(se è vero) che taluni effetti restrittivi della concorrenza sono inerenti agli accordi collettivi stipulati tra organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori. Tuttavia, gli obiettivi di politica sociale perseguiti da tali accordi sarebbero gravemente compromessi se le parti sociali fossero soggette all’art. 85, n. 1, del Trattato nella ricerca comune di misure volte a migliorare le condizioni di occupazione e di lavoro. Da un’interpretazione utile e coerente dell’insieme delle disposizioni del Trattato risulta quindi che gli accordi conclusi nell’ambito di trattative collettive tra parti sociali al fine di conseguire tali obiettivi debbono essere considerati, per la loro natura ed il loro oggetto, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 85, n. 1, del Trattato”. (Punti 59 e 60 della sentenza Albany). 561 Vedi sul punto: M. LUCIANI, Diritto di sciopero, forma di Stato e forma di governo, in ADL, 1, 2009, p. 1 e ss; U. CARABELLI, Note critiche a margine delle sentenze della Corte di Giustizia nei casi Laval e Viking, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 1, 2008, p. 155.
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rizzontale” delle stesse norme sui diritti economici fondamentali562. Questo è certamente tra i punti più critici dell’intera vicenda, non solo perché ha costituito uno dei passaggi fondamentali per arrivare al bilanciamento tra diritti economici e diritti sociali, ma perché ha rappresentato una vera e propria spaccatura tra gli Stati newcomers e gli Stati old members. La Corte di Giustizia in questo senso aderisce all’intendimento degli Stati del primo tipo, secondo le prospettazioni degli avvocati generali Maduro e Mengozzi, i quali hanno richiamato a base delle loro conclusioni la giurisprudenza meno recente in tema di estensione del vincolo di non discriminazione dell’art. 49 TCE anche a quei soggetti non pubblici dotati del potere di disciplinare in modo collettivo sia il lavoro indipendente sia la prestazione di servizi. Il riferimento è molto chiaro. Si tratta di quella giurisprudenza che a partire dai noti casi Bosmann, Waldrave, MecaMedina, Wouters aveva impedito che il potere regolativo di soggetti o organismi privati autonomi potesse creare ostacoli o vincoli alla libera circolazione di persone o alla libera prestazione di servizi. È chiaro che estendere una tale giurisprudenza anche ai casi Viking e Laval appare oltremodo discutibile, perché è diversa la natura dei soggetti in questione ed è diverso l’oggetto della censura. Non è un caso che l’analogia tra i diversi soggetti produca un risultato abnorme: si considerano equivalenti sul piano giuridico, sulla base degli effetti equivalenti che ambedue sarebbero in grado di produrre, un fatto o un comportamento (lo sciopero) e una “regola” giuridica (se anche posta in essere da un privato)563. Il quarto aspetto – che consente di guardare più da vicino al tenore costituzionale delle due pronunce – riguarda la difficoltà a ricondurre il ragionamento della CGE entro i criteri dello stretto principio di proporzionalità, inteso nei termini in cui si è abituati all’utilizzo di questo principio nei giudizi dei giudici costituzionali e internazionali564. Le ragioni di questa difficoltà 562
P. SYRPIS, T. NOVITZ, Economic and social rights in conflict: Political and judicial approaches to their reconciliation, in European law review, 3, 33, 2008, p. 411 e ss. 563 In questo senso vedi A. A. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, cit., p. 80 e ss. 564 Fra tutti vedi: F.G. JACOBS, Recent developments in the principle of proportionality in European Community Law, in The Principle of Proportionality in the Laws of Europe, a cura di E. ELLIS, Oxford and
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non sono tutte di ordine teorico. A difettare è soprattutto l’operazione interpretativa che avviene per prima quando si usa il criterio di proporzionalità, quella che viene chiamata da alcuni autori la “topografia del conflitto565”. Nella sentenza non è chiaro in che modo l’estensione della tutela del diritto perseguito si sovrappone all’interesse di cui si lamenta la compressione e, soprattutto, non emerge quale spazio residuo resti all’esercizio dei due diritti in conflitto dopo l’operazione di bilanciamento. Non è tanto (e solo) un problema che attiene al puro bilanciamento, ma una questione che riguarda l’operazione interpretativa antecedente a questo. Data la complessità dei diritti da bilanciare, sarebbe stato più utile che la Corte avesse proceduto in via generale all’individuazione dell’area protetta dai diritti in conflitto e alla definizione in via generale ed astratta dei limiti della tutela di ognuno, lasciando intendere quali garanzie sociali fossero compatibili e quali no con la libertà di stabilimento. In tal modo il bilanciamento e la decisione finale avrebbero avuto un respiro più ampio, perché oltre a risolvere nello specifico la questione, la CGE avrebbe permesso al giudice e alle parti di comprendere sia quale fosse l’area delle due libertà in conflitto sia quale delle due avesse prevalso, con la garanzia che il nucleo essenziale dell’altra libertà comunque fosse preservato dal bilanciamento. Questo test avrebbe consentito di evitare il fuorviante verdetto che comprime eccessivamente la libertà sindacale facendola “regredire” alla natura di libertà tutelata solo se ciò non contrasti con il diritto di stabilimento566. Ma questo è un problema più ampio, che deriva sia dal modo in cui sono scritte le norme europee sulle libertà (soprattutto nella Carta europea dei diritti fondamentali) sia dall’esperienza Portland (Oregon), Hart Publishing, 1999, p. 1 e ss.; E. CANNIZZARO, Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, Giuffrè, 2000, p. 39 e ss.; J. CHRISTOFFERSEN, Fair balance: proportionality, subsidiarity and primarity in the European Convention on Human Rights, Leiden, Martinus Nijhoff, 2009, p. 31 e ss. 565 Per usare le parole di R. BIN, Diritti e argomenti, cit., p. 62 e ss. 566 In questo senso, appare come una mera premessa poco produttiva di effetti, l’affermazione che: “I diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale, tra i quali figurano in particolare (…) il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata e il dialogo sociale”. (Punto 77 Viking e punto 103 Laval).
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ancora limitata della CGE in materia di bilanciamento tra diritti contrapposti. Nell’ordinamento europeo, infatti, i diritti sono considerati obiettivi in sé che raramente si prestano a un confronto con altri interessi. Ben diversa è invece la situazione dei giudici interni, abituati ad avere a che fare con i diritti negli ambiti nazionali e con le definizioni date dalle costituzioni degli Stati, nelle quali il riconoscimento della tutela contiene l’individuazione dei limiti alle stesse libertà. È emblematico, per quanto ci riguarda, che nella Costituzione italiana (art. 41, comma 2) il primo “limite” al diritto di iniziativa economica è il divieto di contrasto con l’”utilità sociale” intesa – secondo la recente giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, sent. n. 270/2010 - come un interesse che deve essere tenuto in considerazione nel bilanciamento con gli interessi economici specie quando essi possono entrar in conflitto con la tutela del lavoro. 7.5.4 La difficile protezione dei diritti sociali nel contesto europeo Non si può dimenticare che la Corte di Giustizia sviluppa le due sentenze in un contesto che almeno all’apparenza è favorevole alla protezione dei diritti sociali. Nel Trattato di Lisbona l’obiettivo di conferire all’Europa una più forte componente sociale è stato tradotto con il riferimento esplicito all’“economia sociale di mercato”. Tale concetto di derivazione tedesca – elemento non secondario in questa vicenda – corrisponde chiaramente a due obiettivi. Il primo obiettivo, coincidente con lo sforzo di creare un bilanciamento sociale alla prevalenza delle libertà di tipo economico, si riferisce all’idea che l’integrazione europea debba essere realizzata senza un danno per i sistemi sociali dei paesi membri, soprattutto per quanto riguarda i benefici sociali raggiunti dai paesi più ricchi. Il secondo obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra sostenibilità della spesa sociale e sistema economico attraverso la lotta al “social deficit” dell’Unione. È abbastanza chiaro che se queste sono le premesse da cui i giudici di Lussemburgo partono, vi è un vizio originario nelle due sentenze che genera una contraddizione di non poco momento. Gli strumenti per realizzare in modo diretto una nuova
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Europa sociale appaiono alquanto limitati e non sostituibili mediante un’azione giudiziaria. L’Unione continua a non avere competenze esplicite in materia di armonizzazione dei sistemi sociali e solo pochi strumenti di coordinamento in relazione alle politiche sociali e alla normativa sociale degli stati membri. Una situazione che contiene un potenziale esplosivo considerando il rischio di competizione tra i modelli di welfare degli stati originari e degli stati newcomers, la cui appartenenza all’Unione genera quei vantaggi comparativi che derivano dal minore costo del lavoro e dalla loro più veloce capacità di crescita567. La rilocazione dei lavoratori (Viking) e il social dumping (Laval) sono l’esempio più chiaro di questi problemi. L’approccio della Corte a questi temi, dunque, soffre di un’irregolarità di fondo che affligge tutta la politica dell’Unione su tale punto, abituata ad interventi che fino ad ora hanno mostrato tutti i limiti di un “piecemeal approach” nel quale poi, alla fine, la mancanza di una decisione politica univoca diviene una delega alla Corte di Giustizia a risolvere i dilemmi più delicati della disciplina europea. Le direttive sulla libera prestazione di servizi e sul trasferimento dei lavoratori sono esempi di questo atteggiamento che tende a scaricare le questioni più controverse sui giudici europei568. Dunque, non può meravigliare che la Corte di Giustizia tenda a ricomporre il conflitto imponendo un proprio standard, mediante l’applicazione dei principi generali dell’UE piuttosto che applicare un generale margine di apprezzamento attraverso il quale gli stati sarebbero molto più liberi. Come è intuibile, l’applicazione di un margine di apprezzamento è un compito difficile, dato che la sua operatività dipende dal contesto fattuale e dalla legittimità degli obiettivi perseguiti dalle misure restrittive. La complessità di questo bilanciamento più ampio, che si lega al tema del “pluralismo costituzionale” europeo, si comprende nel paragone difficile tra le due sentenze qui analizzate e il caso Omega dove la Corte ha, invece, applicato il margine di apprezzamento perché diversi erano i fatti della causa. Nelle sentenze in commento la Corte di Giustizia deve aver compiuto un ragionamento più “drastico” – che purtroppo non emerge 567
J.E. DØLVIK, J. VISSER, Free movement, equal treatment and workers' rights: can the European Union solve its trilemma of fundamental principles?, in Industrial relations journal, 6, 40, 2009, p. 493 568 M. RAVERAIRA, L’ordinamento dell’Unione europea, le identità costituzionali nazionali e i diritti fondamentali, in RDSS, 2, IX, 2011, p. 325 e ss.
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nella motivazione – per il timore che le azioni sindacali nei paesi scandinavi potessero generare un’eccessiva chiusura dei mercati del lavoro nei confronti dei lavoratori provenienti dagli stati più poveri del mar Baltico. Non si può nascondere che operando diversamente la Corte avrebbe fatto pendere il bilanciamento in favore di un’idea di “Europa sociale” che avrebbe potuto permettere l’esclusione di una parte consistente dei propri cittadini. Si può dunque scorgere in queste sentenze una decisione che tende molto più di quanto si immagini a “flessibilizzare” l’esercizio dei diritti collettivi, lasciando alle parti coinvolte nelle relazioni industriali il diritto/dovere di negoziare gli obiettivi sociali da raggiungere e i mezzi attraverso i quali ottenere tali risultati. Tale visione, seppur enfatica, potrebbe rappresentare la riparazione della faglia aperta da queste due sentenze sui sistemi di welfare domestici. Le decisioni, si è già ricordato in altra sede569, sono il frutto di un problema più profondo. In esse esiste un divario tra la realizzazione dei diritti sociali (e delle politiche sociali) e l’evoluzione della giurisprudenza europea, la quale non è sempre in grado di cogliere la specificità e la particolarità delle questioni rimesse al suo giudizio quando si tratta di affrontare argomenti legati a tali diritti. Alla base della giurisprudenza esaminata, infatti, si affaccia una contraddizione di non poco momento che pare cogliere una tendenza in atto già da tempo nelle istituzioni comunitarie, e così sintetizzabile: i giudici europei dimostrano una scarsa conoscenza del linguaggio dei diritti sociali (soprattutto ad esercizio collettivo) e mostrano anche di non avere gli strumenti necessari per affrontare i complessi problemi che vengono in luce allorché vi sia da coniugare la garanzia di questi ultimi diritti con l’esercizio delle libertà economiche previste nei trattati. Malgrado ciò, i giudici di Lussemburgo non smettono di attrarre nell’ambito del diritto europeo questioni che sono fuori dalla competenze dell’Unione, senza la consapevolezza di quali conseguenze possono generare tali invasioni di campo570. 569
E. LONGO, R. ZAHN, I casi Viking e Laval in tema di diritti sociali, in Dieci casi sui diritti in Europa. Uno strumento didattico, a cura di M. CARTABIA, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 223. 570 Da questo punto di vista i due casi Viking e Laval sono una delle più chiare esemplificazioni di quei problemi costituzionali di bilanciamento tra diritti che le istituzioni europee (e in primis la Corte) si trovano ad affrontare nel momento in cui l’integrazione socio-economica sottrae di fatto competenze ai singoli stati membri. M. CARTABIA, Europe and Rights: Taking Dialogue
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8. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EDU: IMPLICAZIONI DI NATURA SOCIALE ED ECONOMICA PER I DIRITTI PROTETTI DALLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO Durante la descrizione dei testi contenenti i diritti sociali si è messo in luce che nello stabilire un quadro della protezione dei diritti umani in Europa è stata strategicamente mantenuta la divisione tra diritti civili e politici, da un lato, e diritti sociali, dall’altro571. Allorchè si decise di tradurre i diritti umani da proclamazioni politiche a contenuti legalmente vincolanti, l’unità dei diritti venne meno: sia redattori degli strumenti internazionali sia i redattori dei trattati regionali ritennero che vi fossero differenze molto profonde tra le categorie di diritti, non solo per la loro natura ma pure per i metodi di attuazione572. A costoro, perciò, sembrò opportuno scegliere di limitare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU) ai soli diritti civili e politici e dotarla di un sistema di controllo giudiziario che consentisse di verificare il pieno ed effettivo godimento dei diritti proclamati573. Per arrivare ad approvare una carta corrispondente che contenesse i diritti sociali (Carta sociale europea - ESC) ci fu bisogno di altri dieci anni, e perfino quando si raggiunse questo obiettivo (18 ottobre 1961) gli Stati membri del Consiglio d’Europa decisero di non dotare tale strumento di un corrisponSeriously, p. 5 e ss.; K. LENAERTS, J.A. GUTIÉRREZ-FONS, The constitutional allocation of powers and general principles of EU law, in Common market law review, 2010, p. 1629 e ss.; C. PINELLI, Modello sociale europeo e costituzionalismo sociale europeo, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, 2, 8, 2008, p. 251 e ss. 571 E. PALMER, Judicial review, socio-economic rights and the human rights act, cit., p. 49 e ss. 572 Per queste considerazioni vedi C. TOMUSCHAT, Social Rights under the European Convention on Human Rights, in Human Rights, Democracy and the Rule of Law. Liber amicorum Luzius Wildhaber, a cura di S. BREITENMOSER, et al., Zurich-Baden Baden, Dike-Nomos, 2007, p. 837 e ss. In generale sui problemi legati alla formulazione delle norme sui diritti umani vedi M.A. GLENDON, Knowing the Universal Declaration of Human Rights, in Notre Dame L. Rev., 73, 1997, p. 1153 e ss. 573 Una documentazione puntuale degli sviluppi che hanno portato alla formulazione della Convenzione si può trovare in S. GREER, The European Convention on Human Rights: achievements, problems and prospects, New York, Cambridge University Press, 2006, p. 17-19.
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dente meccanismo di controllo574. I diritti procalamti dalla Carta sociale europea sono tutelati attraverso un meccanismo di controllo dello stato di adempimento da parte degli Stati membri agli obblighi contenuti nella Carta stessa575. Il fatto che i diritti sociali siano sostanzialmente estranei alla CEDU non è stato di ostacolo all’affermarsi durante gli anni di una giurisprudenza della Corte di Strasburgo che prendesse in considerazione tali diritti. Un approccio sostanzialmente “dinamico” nella interpretazione dei diritti della CEDU ha aperto la strada a forme di protezione dei diritti sociali anche attraverso questo strumento, secondo dinamiche del tutto particolari e legate alla natura stessa di tali diritti576. La protezione data dalla Corte di Strasburgo è del tutto caratteristica, non solo perchè si ha a che fare con un giudice che non ha il compito “istituzionale” della protezione dei diritti sociali, ma perchè nei fatti tali diritti trovano tutela spesso in modo implicito e indiretto nelle sentenze della Corte EDU, tanto che sembra più corretto affermare che nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si possono notare null’altro che una serie di elementi che in negativo portano a sviluppare la fisionomia dei diritti sociali in contrasto o in adesione a quella delle classiche libertà civili e politiche. Non è un caso, dunque, che la prima, e forse più importante, sentenza nella quale i giudici di Strasburgo hanno affrontato il tema della protezione dei diritti sociali sia stata colta anzitutto come la sentenza che più di tutte ha aperto la strada a riconoscere che tutti i diritti sanciti nella Convenzione impongono agli Stati membri non solo obblighi “negativi” ma anche obblighi “positivi”577. Perciò, è più corretto dire che la giurisprudenza di 574
La vicenda è ripercorsa nei particolari da D. HARRIS, The European Social Charter, in International and Comparative Law Quarterly, 3, 13, 1964, p. 1076 e ss. 575 Meccanismo che poi è stato integrato con il protocollo del 1995, entrato in vigore nel 1998. Vedi supra cap. 2. 576 A. GUAZZAROTTI, Giurisprudenza CEDU e giurisprudenza costituzionale sui diritti sociali a confronto, in Gruppo di Pisa, http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/09/GuazzarottiDEF.pdf, 2012 577 Sentenza 9 ottobre 1979, Airey v. Ireland, Publications, Series A n. 32, § 32. In Airey la Corte EDU ha riconosciuto che sebbene l’art. 8 abbia come scopo principale quello di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle pubbliche autorità, esso non si limita a imporre agli Stati obblighi negativi. Dall’art. 8 possono infatti derivare anche obblighi positivi diretti ad assicurare l’effettivo rispetto della vita privata o familiare. Tali obblighi possono riguardare misure dirette ad assicurare il rispetto della vita privata nel
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Strasburgo ha contribuito a riconoscere la “dimensione sociale” dei diritti civili e politici espressamente riconosciuti nel sistema della Convenzione; mentre più controverso appare la riconduzione dei diritti economici e sociali all’ambito applicativo di alcune disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli578. In questo senso mi pare corretto affermare che la giurisprudenza della Corte EDU sui diritti sociali nasce dall’esigenza di sviluppare soluzioni eque per i casi portati davanti alla Corte579. Si tratta, infatti, di indirizzi essenzialmente legati alla natura dei casi esaminati ed alle circostanze specifiche da cui questi stessi sorgono. Ciò nonostante vi sono dei fili rossi che legano tutte le sentenze ed il mio compito in questa parte del lavoro è cercare di mostrarli nelle loro caratteristiche essenziali. Per conoscere questi fili si devono analizzare i modi attraverso cui si fa discendere la tutela di taluni diritti sociali dalle disposizioni della CEDU e dunque rispondere alla domanda fondamentale: come è stato possibile piegare la lettura di queste disposizioni per soddisfare le richieste di protezione dei diritti sociali? Analizzerò tre casi: la protezione della salute, il diritto all’abitazione e il diritto ad ottenere sussidi pubblici. 8.1 Il diritto alla salute La possibilità che possa essere sottoposto alla cognizione della Corte di Strasburgo il diritto sociale alla salute, sulla base dell’art. 2 (Diritto alla vita), è stata per la prima volta suggerita
quadro non solo delle relazioni fra Stato e individuo ma anche delle relazioni fra individui. Su questo punto vedi S. SONELLI, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 4, 58, 2004, p. 1443. In generale sul tema degli obblighi positivi vedi: A.R. MOWBRAY, The development of positive obligations under the European Convention on Human Rights by the European Court of Human Rights, Oxford and Portland (Oregon), Hart Publishing, 2004, passim. 578 Cfr. S. SONELLI, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, cit., p. 1444. 579 Vedi C. TOMUSCHAT, Social Rights under the European Convention on Human Rights, cit., p. 845, il quale ricorda che: «Since Airey [the Court] has consistently stuck to the general premise that the rights under the ECHR comprehend a component of positive obligations, but it has refrained from specifying in general terms what outer limits confine the scope of such obligations».
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in due noti casi affrontati dalla Commissione durante gli anni ‘70. Nel primo caso, X c. Irlanda580, i genitori di una bambina disabile pretendevano per la propria figlia il diritto alle cure mediche gratuite da parte dello Stato. La Commissione decise, in fase di verifica della ammissibilità, di far rientrare questo caso all’interno della protezione accordata dall’art. 2 della CEDU relativo al diritto alla vita. Sebbene fosse stato inquadrato entro tale contesto, la Commissione ritenne che la bambina aveva bisogno solo di alcuni tipi di cure mediche e che pertanto la vita della stessa non era in pericolo. Il secondo caso, Associazione X c. Regno Unito581, derivava da un ricorso contro un programma di vaccinazione volontaria che aveva provocato la morte di molti bambini in Inghilterra. Malgrado la Commissione ritenne che il ricorso fosse inammissibile, affermò che in base all’art. 2 CEDU gli Stati membri non sono obbligati solo ad astenersi dal privare intenzionalmente della vita ma hanno anche l’obbligo positivo di salvaguardarla nell’ottica del raggiungimento di un elevato standard di tutela per tutti i cittadini degli Stati parti582. Più interessanti sono altre due vicende meno risalenti nel tempo che coinvolgevano il Regno Unito e relative ad aspetti ambientali incidenti sulla tutela della salute. Il primo caso, LCB c. UK583, riguardava i danni alla salute provocati da esposizione a fonti di radiazioni nucleari autorizzate o comunque permesse dallo Stato, senza alcuna forma di avvertimento verso coloro che vi erano esposti dei possibili effetti negativi di tali esposizioni. Arrivati di fronte alla Corte EDU, all’unanimità i giudici hanno ritenuto in sede di verifica della base giuridica a cui collegare la violazione che tale attività riguardasse l’art. 2 della Convenzione; tuttavia essi hanno affermato che in base alle prove fornite non poteva esserci nessun collegamento tra l’attività nociva e la malattia che le persone esposte alle radiazioni (o loro discendenti) avevano sviluppato. In quella sede, la Corte affermò pure che l’obbligo positivo degli Stati di decidere appropriate misure per tutelare la vita dei propri cittadini può richiedere che in certi casi si chieda alle imprese di porre in es-
580
X c. Irlanda (1976) 7 DR 78. Ricorso 7154/75 (1978) 14DR 31, Commissione EDU. 582 Nella versione originale “not only to refrain from taking life intentionally but also to safeguard life”. 583 LCB c. Regno Unito (1998) 27 EHRR 212. 581
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sere misure procedurali e sostanziali che possano evitare situazioni come quella sottopostale584. Anche nel caso Osman c. Regno Unito la Commissione, nella sua opinione preliminare585, ha affrontato il problema della natura e dell’estensione che ha l’obbligazione dello Stato in materia ambientale con riguardo agli effetti negativi di certe attività per la salute. In tale decisione la Commissione afferma che qualora vi sia una colpa dello Stato parte nell’adozione delle misure necessarie a proteggere la vita di alcune persone, si può verificare un caso di violazione del diritto alla vita586. L’effetto di questo approccio, come è stato ricordato587, è quello di aver posto a carico dello Stato l’onere di giustificare il motivo dell’insuccesso nel caso in cui esso abbia prodotto un “reale ed imminente rischio per la vita”. In base a tale indirizzo si era in un certo qual modo generata l’aspettativa che sulla base dell’art. 2 CEDU si potesse formare un indirizzo rivolto a far valere la responsabilità degli Stati nella realizzazione di appropriate forme di cura della salute. Così non è stato. I casi successivi hanno mostrato una certa prudenza della Corte nell’estendere questo orientamento588. Inoltre, è chiaro che in queste controversie i giudici di Strasburgo hanno mostrato un atteggiamento di esitazione nel leggere entro le norme della Convenzione l’esistenza di obblighi positivi per gli 584
La Corte ritenne che “the first sentence of Article 2(1) enjoins the State not only to refrain from the intentional and unlawful taking of life, but also to take appropriate steps to safeguard the lives of those within its jurisdiction”. 585 Osman c. Regno Unito, Ricorso 23452/95, report della Commissione del 1° luglio 1997, p. 91. 586 Id, paragrafo 12: “Whether risk to life derives from disease, environmental factors or from the intentional activities of those acting outside the law, there will be a range of policy decisions, relating, inter alia, to the use of State resources, which it will be for Contracting States to assess on the basis of their aims and priorities, subject to these being compatible with the values of democratic societies and the fundamental rights guaranteed in the Convention. . . the extent of the obligation to take preventive steps may however increase in relation to the immediacy of the risk to life. Where there is a real and imminent risk to life to an identified person or group of persons, a failure by State authorities to take appropriate steps may disclose a violation of the right to protection of life by law”. 587 L. CLEMENTS, A. SIMMONS, European Court of Human Rights. Sympathetic Unease, in Social Rights Jurisprudence: Emerging Trends in International and Comparative Law, a cura di M. LANGFORD, New York, Cambridge University Press, 2008, p. 418. 588 Vedi, per esempio, Scialacqua c. Italia, Ricorso 34151/96, (1998) 26 EHRR CD 164.
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Stati a fornire cure verso tutta la popolazione. Ad esempio, per alcuni ricorsi la Corte ha adottato un approccio che pur ritenendo ragionevole l’esistenza di obbligazioni positive, non ha comunque riscontrato l’esistenza di alcuna violazione della Convenzione, come è avvenuto in Nitecki c. Polonia589, relativo al rimborso del prezzo pagato per medicine salva-vita, e in Scialacqua c. Italia590, riguardante il diritto ad ottenere il rimborso delle cure non convenzionali ottenute dal ricorrente per risolvere una grave patologia epatica. L’atteggiamento oscillante della giurisprudenza EDU su punto è legato soprattutto alla natura del caso sottoposto. In Passanante c. Italia591, per esempio, la Commissione mostra un atteggiamento positivo verso l’esistenza di un’obbligazione positiva in capo agli Stati, ma non indica le modalità per far valere il diritto. La ricorrente lamentava che l’attesa di circa cinque mesi per una visita medica specialistica da effettuarsi tramite il servizio sanitario nazionale, a fronte di un’attesa di soli quattro giorni se ella avesse effettuato la visita privatamente a pagamento, costituiva una violazione dell’art. 8 della Convenzione relativo al rispetto della vita privata. In sede di verifica della ammissibilità del ricorso la Commissione affermava che “se uno Stato ha l’obbligo di provvedere cure mediche, un eccessivo ritardo da parte delle strutture sanitarie nell’erogazione delle prestazioni alle quali il paziente ha diritto, e il fatto che tale ritardo ha, o può avere, un impatto sulle condizioni di salute dello stesso, solleva una questione che ricade nel raggio di applicazione dell’art. 8, paragrafo 1, della Convenzione592”. Tuttavia, la Commissione aveva giudicato il ricorso manifestamente infon589
Nitecki c. Polonia, Ricorso 65653/01. Decisione sull’inammissibilità del 21 marzo 2002. Si legge nella motivazione: “Bearing in mind the medical treatment and facilities provided to the applicant, including a refund of the greater part of the cost of the required drug, the Court considers that the respondent State cannot be said, in the special circumstances of the present case, to have failed to discharge its obligations under Article 2 by not paying the remaining 30% of the drug price” (p. 5). 590 Nella motivazione che decide per l’inammissibilità si legge: “Even assuming that Article 2. . . can be interpreted as imposing on states the obligation to cover the costs of certain medical treatments of medicines that are essential in order to save lives, the Commission considers that this provision cannot be interpreted as requiring states to provide financial covering for medicines which are not listed as officially recognised medicines”. 591 Passanante c. Italia, Ricorso 32647/96, decisione di ammissibilità del 1° luglio 1998. 592 Id, paragrafo 15. Nostra la traduzione.
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dato, in quanto la ricorrente non aveva sostenuto che tale attesa aveva avuto un qualche serio effetto sulle sue condizioni di salute593. Tra gli argomenti che la i giudici di Strasburgo usano maggiormente per valutare l’ammissibilità delle questioni sollevate in materia di salute e diritto alle cure vi è il rispetto del “margine di apprezzamento” degli Stati. Nel recente caso Valentina Pentiacova et al. c. Rep. Moldova594 la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cittadina moldava, affetta da una malattia renale cronica, che chiedeva di dichirarare inadempiente la Moldavia per la mancanza di un sistema pubblico capace di fornire gratuitamente trattamenti di emodialisi. La Corte anzitutto riconosce che la Convenzione non prevede un diritto alle cure mediche gratuite, ma ugualmente accetta di sottoporre la vicenda al proprio scrutinio in base all’art. 8, come era accaduto in Passanante. Nel fare ciò, tuttavia, i giudici sottolineano che lo Stato ha un ampio margine di apprezzamento in tale materia. Essi affermano che: “The margin of appreciation referred to above is even wider when, as in the present case, the issues involve an assessment of the priorities in the context of the allocation of limited State resources595“.
Nonostante ciò, i giudici di Strasburgo ricordano che la tutela di questi diritti spetta anzitutto alle autorità statali: “In view of their familiarity with the demands made on the health care system as well as with the funds available to meet those demands, the national authorities are in a better position to carry out this assessment than an international court. In addition (...) while it will apply the Convention to the concrete facts of this particular case in accordance with Article 34, a decision issued in an individual case will nevertheless at least to some extent establish a precedent, valid for all Contracting States”.
Nello stesso paragrafo la Corte fa notare che:
593
Nel caso di specie il ritardo non aveva generato quel “problema serio” che sulla base dell’art. 8 si dovrebbe verificare per ottenere la condanna dello Stato. 594 Ricorso 14462/03, decisione sull’ammissibilità datata 4 gennaio 2005. 595 Per tutte e tre le citazioni cfr. p. 131.
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“(...) the applicants’ claim amounts to a call on public funds which, in view of the scarce resources, would have to be diverted from other worthy needs funded by the taxpayer”.
L’uso del margine di apprezzamento nelle cause in cui si tratta degli effetti dell’inquinamento non è nuovo. In Powell e Rayner c. Regno Unito596, il primo di una serie di casi sull’inquinamento acustico generato dall’aereoporto di Heathrow Airport, la Corte decise che: “Whether the present case is to be analysed in terms of a positive duty on the State to take reasonable and appropriate measures to secure the applicants’ rights under paragraph 1 of Article 8 [.…] or in terms of an “interference by a public authority” to be justifi ed in accordance with paragraph 2 [.…] the applicable principles are broadly similar. In both contexts regard must be had to the fair balance that has to be struck between the competing interests of the individual and of the community as a whole; and in both contexts the State enjoys a certain margin of appreciation in determining the steps to be taken to ensure compliance with the Convention [.…]”597.
Inoltre, se in taluni casi il margine di apprezzamento conduce alla prevalenza dell’interesse del singolo in altri prevale l’interesse della comunità intera. Nel caso López Ostra c. Spagna598, per esempio, la Corte di Strasburgo ha ritenuto fondato un ricorso in cui una cittadina spagnola si lamentava dell’inquinamento proveniente dalle esalazioni di una discarica costruita a dodici metri dalla sua abitazione. I giudici europei riconoscono lo Stato spagnolo responsabile per non aver messo in pratica tutte le misure necessarie (tra cui la ricerca di una nuova abitazione) al fine di evitare i danni alla salute che la Signora López Ostra e sua figlia avevano subito a causa della presenza della discarica. A questo proposito essi ritengono che: “severe environmental pollution [n]aturally [.…] may aff ect individuals’ well-being and prevent them from enjoying their homes in such a way as to aff ect their private and family life adversely, without, however, seriously endangering their health”. 596
Powell e Rayner c. Regno Unito, Ricorso 9310/81, (1990) 12 EHRR 355 Paragrafo 41, nostra la sottolineatura. 598 López Ostra c. Spagna, sentenza 9 dicembre 1994, Publications Series A n. 303-C. 597
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Anche in questo caso non manca un richiamo all’uso del margine, come nel caso Powell e Rayner. La Corte ha ritenuto, infatti, che: “Having regard to the foregoing, and despite the margin of appreciation left to the respondent State, the Court considers that the State did not succeed in striking a fair balance between the interest of the town’s economic well-being – that of having a waste-treatment plant – and the applicant’s eff ective enjoyment of her right to respect for her home and her private and family life599“.
Più interessante la vicenda legata ad un ricorso (Hatton et al. c. Regno Unito600) presentato nel 1993 e deciso dalla terza sezione della Corte EDU nel 2001. Ancora una volta si trattava dell’inquinamento provocato dall’aereoporto di Heathrow. Un gruppo di persone aveva presentato un ricorso rilevando una violazione dell’art. 8 della Convenzione per via dell’aumento dell’inquinamento acustico provocato dall’allargamento dell’aereoporto e dall’intensificarsi dei voli durante la notte. Nel giudizio del 2001 la Corte è partita con il considerare che gli Stati sono tenuti a minimizzare il più possibile l’interferenza tra diritti in situazioni di contrasto, cercando soluzioni alternative e perseguendo i loro obiettivi con il minore pregiudizio per i diritti umani. Nel caso di specie i giudici riconoscono che sebbene fossero stati compiuti passi avanti per garantire la protezione dei diritti delle persone che vivevano nei pressi dell’aereoporto, ancora non erano state messe in pratica le misure necessarie per proteggere la posizione dei ricorrenti. Nella motivazione si legge: “Having regard to the foregoing and despite the margin of appreciation left to the respondent State, the Court considers that in implementing the 1993 Scheme the State failed to strike a fair balance between the United Kingdom’s economic wellbeing and the applicants’ eff ective enjoyment of their right to respect for their homes and their private and family life”.
599
Ivi, paragrafi 57 e 58. Hatton et al. c. Regno Unito, Ricorso 36022/97, giudizio dell’8 luglio 2003. 600
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Per questa condanna lo Stato inglese fece ricorso alla Grande Camera, che di lì a poco ha ribaltato la decisione della terza sezione con la seguente motivazione: “The Court must consider whether the State can be said to have struck a fair balance between those interests and the conflicting interests of the persons affected by noise disturbances, including the applicants. Environmental protection should be taken into consideration by States in acting within their margin of appreciation and by the Court in its review of that margin, but it would not be appropriate for the Court to adopt a special approach in this respect by reference to a special status of environmental human rights. In this context the Court must revert to the question of the scope of the margin of appreciation available to the State when taking policy decisions of the kind at issue”.
È interessante ricordare che la Grande Camera ha sottoposto il bilanciamento tra i diritti e gli interessi coinvolti ad un ampio scrutinio, tenendo presente il complesso delle esternalità economiche prodotte dalla presenza dell’aereoporto, compreso il fatto che il valore delle case dei ricorrenti era aumentato negli ultimi anni e che dunque per essi era più semplice trovare una soluzione abitativa alternativa601. L’ultimo caso da esaminare riguarda sempre l’ambiente e gli effetti negativi per la salute dell’installazione di una discarica. In Fadeyeva c. Russia602 la Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 8 della Convenzione da parte della Russia che però non riguarda solo la decisione di collocare una discarica in una zona densamente popolata, ma anche la circostanza che in questo caso venivano superati gli stessi limiti di emissione previsti dalle norme russe in materia di inquinamento. Sul punto la Corte concluse che sebbene l’ampio margine di apprezzamento, la Russia non aveva realizzato un corretto bilanciamento tra i diritti in questione: 601
Si legge a questo riguardo: “The Court considers it reasonable, in determining the impact of a general policy on individuals in a particular area, to take into account the individuals’ ability to leave the area. Where a limited number of people in an area (2 to 3% of the affected population, according to the 1992 sleep study) are particularly affected by a general measure, the fact that they can, if they choose, move elsewhere without financial loss must be significant to the overall reasonableness of the general measure”. Hatton et al. c. Regno Unito, paragrafo 127. 602 Fadeyeva c. Russia, Ricorso 55723/00, giudizio del 30 novembre 2005.
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“The State authorised the operation of a polluting plant in the middle of a densely populated town. Since the toxic emissions from this plant exceeded the safe limits established by the domestic legislation and might endanger the health of those living nearby, the State established through legislation that a certain area around the plant should be free of any dwelling. However, these legislative measures were not implemented in practice. It would be going too far to assert that the State or the polluting undertaking were under an obligation to provide the applicant with free housing and, in any event, it is not the Court’s role to dictate precise measures which should be adopted by the States in order to comply with their positive duties under Article 8 of the Convention. In the present case, however, although the situation around the plant called for a special treatment of those living within the zone, the State did not offer the applicant any effective solution to help her move away from the dangerous area. Furthermore, although the polluting plant in issue operated in breach of domestic environmental standards, there is no indication that the State designed or applied effective measures which would take into account the interests of the local population, affected by the pollution, and which would be capable of reducing the industrial pollution to acceptable levels603“.
8.2 Il diritto all’abitazione Nella Convenzione non appare alcun riferimento esplicito al diritto all’abitazione nè ad alcuna forma particolare di protezione dei diritti di quelle persone cui manca un alloggio. Non esistono all’interno della CEDU norme come quelle previste dall’art. 11 della ICESCR o l’art. 31 della ESC che proteggono il diritto all’alloggio. L’unica menzione ai problemi legati all’abitazione è contenuta nel già ricordato art. 8 che protegge il domicilio e, come si può intendere, si riferisce al diritto di coloro che già hanno una abitazione e non di coloro che aspirano ad averla. Ugualmente, nessuna protezione esplicita può essere attribuita sulla base dell’art. 1 del Protocollo n. 1, da cui in generale non può discendere l’esistenza di un diritto ad ottenere una proprietà. Sebbene il tenore testuale di questi articoli non lasci scampo ad un allargamento delle fattispecie tutelate, l’evoluzione interpretativa degli stessi ha consentito – come già notato per 603
Ivi, paragrafi 132 e 133.
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l’art. 2 e l’art. 8 stesso in materia di diritto alla salute – di ricavare la protezione del lato attivo di questi diritti. In numerose occasioni la Corte ha statuito che dall’art. 8 deriva un obbligo “positivo” a proteggere l’individuo dalle possibili interferenze provenienti da terze parti. Per esempio, nel caso Marzari c. Italia604, in cui una persona disabile reclamava che le autorità amministrative locali non avevano compiuto quanto necessario per trovargli un abitazione adeguata alla sua condizione, i giudici di Strasburgo, pur dichiarando la questione inammissibile, hanno riconosciuto che: “although Article 8 does not guarantee the right to have one’s housing problem solved by the authorities, a refusal of the authorities to provide assistance in this respect to an individual suffering from a severe disease might in certain circumstances raise an issue under Article 8 of the Convention because of the impact of such refusal on the private life of the individual”
La possibilità che la CEDU possa includere anche elementi che portino ad un ruolo attivo della Corte nel dare giustizia a questioni legate al diritto alla casa è stato tradotto in pratica solo in pochissimi casi. In un caso importante, per esempio, la Corte ha riconosciuto fondato il reclamo da parte di alcune persone basato sull’art. 8 e rivolto ad ottenere tutela per un diritto a ricevere un “permesso di residenza” nel caso in cui le autorità pubbliche richiedano questo tipo di autorizzazione (Gillow c. Regno Unito605). Il caso è interessante soprattutto per la vicenda dalla quale scaturisce. I Gillow avevano costruito una casa nel’isola di Guernsey, nella quale erano vissuti dal 1958 al 1960. In quel periodo essi avevano un diritto di residenza che permetteva loro di vivere sull’isola senza un permesso particolare. Nel 1960 i Gillow avevano lasciato l’isola per andare a lavorare in un altro luogo ed avevano affittato la loro casa a persone autorizzate dalle autorità locali. Quando, dopo più di diciotto anni, la famiglia Gillow fece ritorno sull’isola e decise di tornare ad abitare nella loro casa originaria le autorità fecero notare che secondo le leggi approvate durante il periodo di loro assenza essi avevano perso il diritto di dimorare sull’isola. La Corte EDU considerò che, sebbene i ricorrenti fossero mancati dall’isola per più di diciotto anni, la loro casa originaria doveva essere considerata 604 605
Marzari c. Italia, Ricorso 36448/97, decisione del 4 marzo 1999. Gillow c. Regno Unito, (Series A no. 109) (1986) 11 EHRR 335.
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la loro abitazione sulla base dell’art. 8 della CEDU. Seppure avessero abitato lontano dall’isola per così tanto tempo, i Gillow non avevano mai manifestato l’intenzione di non tornare, tanto che avevano mantenuto la casa in buono stato con addirittura l’arredamento. La decisione di rifiutare il “permesso di residenza” e la multa che le autorità avevano inferto alla famiglia per essersi riappropriata della propria casa rappresentavano, secondo la Corte, una violazione dell’art. 8. Ma quello che più interessa notare è come la Corte di Strasburgo considera il rifiuto di concedere il permesso di residenza motivato sulla base dell’esigenza di mantenere sotto una certa soglia la popolazione sull’isola. Secondo i giudici, infatti, la legislazione sottoposta a scrutinio non appariva né viziata da illegittimità né sproporzionata606, poichè l’obiettivo di mantenere la popolazione locale entro certi limiti – specie con riguardo ad obiettivi ambientali e turistici – non era astrattamente interferente con le disposizioni della Convenzione, ma doveva essere sottoposto ad uno scrutinio particolare, specie, come nel caso in questione, in cui i ricorrenti avevano già la loro abitazione sull’isola ed avevano mantenuto la proprietà con la palese intenzione di fare ritorno nella loro casa originaria. Un altro gruppo di casi ha riguardato il diritto all’abitazione vantato dagli appartenenti all’etnia rom in Inghilterra. Il primo e più importante caso è Buckley c. Regno Unito607. La vicenda concerne il diritto di sosta in un terreno di proprietà senza l’autorizzazione relativa. La ricorrente aveva reclamato il diritto a sostare con le proprie roulottes all’interno di un terreno che ella aveva acquistato a tale scopo. Tale diritto le era stato negato dal momento che il South Cambridgeshire District Council le aveva negato il permesso di sostare in quel terreno affermando che il municipio locale aveva destinato un’altra area allo scopo di permettere la sosta delle roulottes dei rom. Nel decidere questo caso la Corte di Strasburgo, anzitutto, riconosce che il rispetto per l’abitazione deve essere garantito anche quando la casa è stata costruita senza il rispetto delle norme urbanistiche. Per decidere il caso, la maggioranza dei giudici ricorrono alla già citata dottrina del margine di apprezzamento per definire il bilanciamento tra il diritto della signora rom di usare il proprio terreno per la sosta dei caravan e la decisione del District Coun606 607
Gillow c. Regno Unito, paragrafo 56. Buckley c. Regno Unito (1996) 23 EHRR 101 at 115.
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cil di negarle tale diritto indicandole un luogo ritenuto più adeguato dove sostare. In particolare, dopo aver indicato il tipo di uso del margine di apprezzamento che in questo caso doveva essere utilizzato608, la Corte afferma che: “(...) in the instant case the interests of the community are to be balanced against the applicant’s right to respect for her “home”, a right which is pertinent to her and her children’s personal security and well-being (...). The importance of that right for the applicant and her family must also be taken into account in determining the scope of the margin of appreciation allowed to the respondent State. Whenever discretion capable of interfering with the enjoyment of a Convention right such as the one in issue in the present case is conferred on national authorities, the procedural safeguards available to the individual will be especially material in determining whether the respondent State has, when fixing the regulatory framework, remained within its margin of appreciation”609.
È, perciò, ancora l’uso del margine a far dichiarare la decisione del District Council non sproporzionata: “the means employed to achieve the legitimate aims pursued cannot be regarded as disproportionate. In sum, the Court does not find that in the present case the national authorities exceeded their margin of appreciation”610.
Sebbene la decisione raggiunta nel caso Buckley avesse costituito l’esempio di una presa di posizione forte della Corte, sia sul punto del reclamo del diritto alla casa sia della prevalenza del potere degli Stati membri di decidere su questioni legate alla collocazione delle abitazioni, la soluzione non era stata del tutto condivisa dai giudici di Strasburgo. Il tema è ritornato all’attenzione dei giudici pochi anni più tardi nel caso Chapman c. Regno Unito611, arrivato dopo una prima sentenza della terza sezione davanti alla Grand Chambre. La decisione, presa a maggioranza di dieci giudici su diciassette, rappresenta una precisazione importante della precedente, 608
Id, paragrafo 75, ”(...) as the exercise of discretion involving a multitude of local factors is inherent in the choice and implementation of planning policies, the national authorities in principle enjoy a wide margin of appreciation”. 609 Id, paragrafo 76 610 Id, paragrafo 84. 611 Chapman c. Regno Unito, Ricorso 27238/95, (2001) 33 EHRR 18, 399
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soprattutto perchè la Corte si trovava di fronte ad un cambiamento di atteggiamento degli Stati membri con riguardo alla protezione della minoranza rom. Alcuni Stati europei, tra cui anche l’Inghilterra, avevano infatti sottoscritto una “Convenzione quadro sulla protezione delle minoranze nazionali”. Dalla sottoscrizione di questo atto internazionale poteva desumersi l’implicita affermazione di un diverso atteggiamento da tenere anche nei confronti della popolazione rom e perciò un ridimensionamento dell’ampio margine di apprezzamento che era stato accordato all’Inghilterra in Buckley. La maggioranza dei giudici della Grand Chambre, tuttavia, non ha concordato sul punto con i ricorrenti, ritenendosi: “not persuaded that the consensus is sufficiently concrete for it to derive any guidance as to the conduct or standards which Contracting States consider desirable in any particular situation. The framework convention, for example, sets out general principles and goals but the signatory States were unable to agree on means of implementation. This reinforces the Court’s view that the complexity and sensitivity of the issues involved in policies balancing the interests of the general population, in particular with regard to environmental protection, and the interests of a minority with possibly conflicting requirements renders the Court’s role a strictly supervisory one612“.
In aggiunta, la Grand Chambre non ha ritenuto che in questo caso si potesse arrivare a concludere che poichè il numero di roulottes appartenenti ai rom in Inghilterra era superiore alla disponibilità di luoghi dove sostare, esisterebbe un diritto di questa popolazione ad occupare altri terreni senza ottenere un’autorizzazione. In particolare: “The Court does not, however, accept the argument that, because statistically the number of Gypsies is greater than the number of places available on authorised Gypsy sites, the decision not to allow the applicant Gypsy family to occupy land where they wished in order to install their caravan in itself, and without more, constituted a violation of Article 8. This would be tantamount to imposing on the United Kingdom, as on all the other Contracting States, an obligation by virtue of Article 8 to make available to the Gypsy community an adequate number of suitably equipped sites. The Court is not convinced, despite the un612
Chapman c. Regno Unito, paragrafo 94.
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doubted evolution that has taken place in both international law, as evidenced by the framework convention, and domestic legislations in regard to protection of minorities, that Article 8 can be interpreted as implying for States such a far-reaching positive obligation of general social policy613“.
A questo proposito la maggioranza riconosce che il diritto ad ottenere una casa è totalmente fuori dalla protezione dell’art. 8 della CEDU, tanto che più avanti nel paragrafo 99 della sentenza Chapman si legge: “While it is clearly desirable that every human being have a place where he or she can live in dignity and which he or she can call home, there are unfortunately in the Contracting States many persons who have no home. Whether the State provides funds to enable everyone to have a home is a matter for political not judicial decision”.
Insieme agli esempi di tutela reclamati dall’etnia rom, il caso più interessante in cui si controverte sul diritto all’abitazione nella giurisprudenza della Corte EDU è James et al. c. Regno Unito614. La questione di diritto con la quale i giudici di Strasburgo si dovuti misurare riguardava l’interpretazione della clausola sulla “pubblica utilità” presente all’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU in materia di diritto di proprietà615. La vicenda era stata originata da una controversia che vedeva contrapposti, da un lato, i proprietari di un latifondo che avevano costruito nel XIX Secolo un quartiere allora poco fuori dal centro della città di Londra e, dall’altro, gli inquilini di alcune di queste case che avevano beneficiato delle norme di una legge (approvata dal Parlamento inglese nel 1967) che consentiva per i contratti di lunga durata il diritto di riscatto della nuda proprietà mediante il pagamento di una cifra quasi simbolica al proprietario della casa. Allorchè alcuni degli inquilini iniziò ad esercitare il proprio diritto di riscatto i proprietari dei beni avviarono una lunga causa giudiziaria diretta a far dichiarare illegittima la norma inglese, la quale permette il riscatto della casa 613
Id, paragrafo 98. James et al. c. Regno Unito, Ricorso 8793/79, sentenza del 21 febbraio 1986. 615 Secondo il paragrafo 1 dell’art. 1, “Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”. 614
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nel caso di contratti di lunga durata, per violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU. La Corte EDU ritenne, con una sentenza del 1986, che non vi era stata da parte del Regno Unito alcuna violazione del Protocollo. Nella motivazione i giudici approfondirono la questione relativa alla giustificazione delle norme contenute nel “Landlord and Tenant Act” all’interno della clausola di “utilità pubblica” che secondo il paragrafo 1 dell’art. 1 può porsi a ragione della privazione del diritto di proprietà. L’argomentazione dei ricorrenti mirava a far riconoscere che una norma adottata in attuazione di tale clausola dovesse richiedere, a bilanciamento della perdita della proprietà per alcuni, un vantaggio per tutta la collettità e non per singoli privati616. Per decidere sul bilanciamento la Corte fece ricorso al margine di apprezzamento ma non si fermò a riconoscere la discrezionalità dello Stato. I giudici, infatti, qualificarono in modo sostanziale il significato di quella clausola. Si legge nella sentenza: “(...) the notion of ‘public interest’ is necessarily extensive. In particular, as the Commission noted, the decision to enact laws expropriating property will commonly involve consideration of political, economic and social issues on which opinions within a democratic society may reasonably differ widely. The Court, finding it natural that the margin of appreciation available to the legislature in implementing social and economic policies should be a wide one, will respect the legislature’s judgment as to what is “in the public interest” unless that judgment be manifestly without reasonable foundation. In other words, although the Court cannot substitute its own assessment for that of the national authorities, it is bound to review the contested measures under Article 1 of Protocol No. 1 (P1-1) and, in so doing, to make an inquiry into the facts with reference to which the national authorities acted”.
Secondo i giudici, dunque, non vi era alcuna violazione dell’art. 1 del Protocollo. Il Parlamento inglese non aveva abu616
Secondo la Corte: “the compulsory transfer of property from one individual to another may, depending upon the circumstances, constitute a legitimate means for promoting the public interest. In this connection, even where the texts in force employ expressions like “for the public use”, no common principle can be identified in the constitutions, legislation and case-law of the Contracting States that would warrant understanding the notion of public interest as outlawing compulsory transfer between private parties”. Cfr. James et al. c. Regno Unito, paragrafo 40.
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sato del suo margine discrezionale approvando una legislazione che permetteva agli affittuari di ottenere la proprietà del bene dopo molti anni ed alle condizioni definite617. 8.3 Il diritto ad ottenere sussidi pubblici e i diritti delle persone deboli Sebbene anche il diritto ad ottenere beneficio di sicurezza sociale non sia previsto all’interno della CEDU, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha analizzato in un corposo numero di sentenze i ricorsi legati all’ottenimento di prestazioni assistenziali pubbliche. In una serie di casi la Corte EDU ha considerato le controversie relative al diritto ad ottenere misure di sicurezza sociale sulla base dell’art. 6 (diritto all’equo processo)618. In Salesi c. Italia619, il ricorrente si lamentava per il rifiuto della pensione di invalidità da parte dell’Inps. Nel dichiarare il ricorso fondato, la Corte ha precisato anzitutto che la ricorrente aveva sofferto una limitazione dei “propri mezzi di sussistenza” e che il ricorso era rivolto ad ottenere soddisfazione di un diritto individuale economico che derivava da norme specifiche della Costituzione e da leggi attuative di quest’ultima (e non dal contratto di lavoro)620. Secondo i giudici, dunque, quando si tratta di un beneficio che non è discrezionale ma che è previsto sia da una disposizione costituzionale specifica sia da una legge attuativa, lo Stato deve concedere il beneficio.
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Sugli effetti della decisione vedi M. SCHEININ, Economic and Social Rights as Legal Rights, in Economic Social and Cultural Rights, a cura di A. EIDE, C. KRAUSE, A. ROSAS, Dordecht, Martinus Nijhoff Publisher, 2001, p. 29 e ss. 618 Il tema non è nuovo dato che era già stato esaminato nella sentenza Airey c. Irlanda. 619 Salesi c. Italia (1993), Ricorso 13023/87, sentenza del 26 febbraio 1993, (1993) 26 EHRR 187. In precedenza la Corte si era pronunciata sul tema con la sentenza Feldbrugge c. Paesi Bassi, Ricorso 8562/79, sentenza del 29 maggio 1986, (1986) 8 EHRR 425. 620 “The most important of these lies in the fact that despite the public law features pointed out by the Government, Mrs Salesi was not affected in her relations with the administrative authorities as such, acting in the exercise of discretionary powers; she suffered an interference with her means of subsistence and was claiming an individual, economic right flowing from specific rules laid down in a statute giving effect to the Constitution”. Cfr. Salesi c. Italia, paragrafo 19.
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In un altro gruppo di casi la Corte ha ritenuto che i benefici di welfare e le prestazioni sociali possono costituire un “possesso” o una “proprietà” per gli obiettivi dell’art. 1, Protocollo 1 CEDU. Nel noto caso Gaygusuz c. Austria621, la Corte era stata raggiunta dal ricorso di un cittadino turco che aveva lavorato in Austria per un certo numero di anni. Egli aveva adito le vie legali per via del diniego del diritto ad ottenere un beneficio assistenziale emergenziale (emergency assistance) previsto per le persone che avevano perso il diritto ad ottenere l’assegno di disoccupazione. Sebbene avesse tutti i requisiti necessari, il sig. Gaygusuz non poteva ottenere il beneficio per via del difetto di cittadinanza. La legislazione austriaca, infatti, prevedeva che misure di assistenza emergenziale potessero essere accordate solo ai propri cittadini. La ragione di questa limitazione era stata fatta risalire alla circostanza che il pagamento di tale forma di assistenza, in parte con la tassazione generale, ne faceva una misura di cui potevano godere solo i cittadini. Nella sua argomentazione la Corte ha ritenuto che: “the right to emergency assistance - in so far as provided for in the applicable legislation - is a pecuniary right for the purposes of Article 1 of Protocol No. 1 (P1-1). That provision (P1-1) is therefore applicable without it being necessary to rely solely on the link between entitlement to emergency assistance and the obligation to pay taxes or other contributions”.
Il riconoscimento di questo diritto all’interno dell’art. 1 del Protocollo 1 ne ha fatto dunque un diritto che non può essere sottoposto a limitazione sulla base della nazionalità. Una tale discriminazione poneva in essere una violazione palese dell’art. 14 della Convenzione. L’ultimo ambito da esaminare riguarda la tutela delle persone deboli (anziani, bambini, persone diversamente abili, ecc.). Sulla base della giurisprudenza della Corte, gli Stati sono obbligati a proteggere le persone vulnerabili dall’abbandono ed a provvedere un ampio spettro di servizi, incluso assistenza domiciliare e cure da fornire all’interno di strutture pubbliche. Uno dei casi più recenti in cui si riconosce un dovere degli Stati di fornire tutela e cura per persone in situazione di abban-
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Gaygusuz c. Austria, Ricorso 40892/98, sentenza del 30 settembre 2003.
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dono è HM c. Svizzera622. La vicenda riguarda un’anziana signora che le autorità del Cantone di Berna avevano coattivamente collocato all’interno di una struttura pubblica assistenziale. Secondo la sig.ra HM la decisione di collocarla in una struttura assistenziale contro la sua volontà violava la sua libertà tutelata dall’art. 5, comma 1, della CEDU. La Corte ha rigettato l’argomentazione del ricorrente. Secondo i giudici di Strasburgo la decisione dell’autorità territoriale non era stata realizzata in violazione della Convenzione. Anzi essa era l’unico modo per garantire il diritto della sig.ra HM ad ottenere le cure necessarie, dato che essa si era rifiutata di ottenere prestazioni domiciliari. Meno recente, ma più interessante, il caso Botta c. Italia623. Il ricorrente, una persona fisicamente disabile, lamentava la mancata eliminazione delle barriere architettoniche che gli impedivano di accedere al resort “Lido degli Estensi” presso Comacchio e ai servizi igienici presenti negli stabilimenti balneari adiacenti. Nel ricorso si lamentava la carenza di attuazione della legge n. 13/1989624 da parte dello Stato italiano. Secondo il ricorrente, il titolare dello stabilimento non aveva provveduto a costruire rampe di accesso alla struttura ricettiva ed alla adiacente spiaggia, non consentendo al sig. Botta di accedere al luogo di balneazione attraverso l’auto. La Corte EDU, pur rigettando il ricorso sulla base del fatto che l’art. 8 non può essere usato per tutelare tale tipo di posizione, ha concluso che: “the right asserted by Mr Botta, namely the right to gain access to the beach and the sea at a place distant from his normal place of residence during his holidays, concerns interpersonal relations of such broad and indeterminate scope that there can be no conceivable direct link between the measures the State was urged to take in order to make good the omissions of the private bathing establishments and the applicant’s private life625”.
Se in Botta la Corte EDU aveva enfatizzato, al fine di decidere che non si trattasse di una vera e propria violazione dell’art. 8, il fatto che il ricorrente si trovasse in vacanza, nel 622
HM c. Svizzera, Ricorso 39187/98, sentenza del 26 febbraio 2002. Botta c. Italia, Ricorso 21439/93, sentenza del 24 febbraio 1998, (1998) 26 EHRR 241. 624 Rubricata ”Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”. 625 Botta c. Italia, paragrafo 35. Nostro il grassetto. 623
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successivo caso Zehnalovà e Zehnal c. Repubblica Ceca626, la Corte non ha atteggiamento dinnanzi ad una coppia che lamentava l’inaccessibilità a persone diversamente abili di molti edifici pubblici situati nella propria città. I giudici di Lussemburgo hanno sottolineato, infatti, che l’art. 8: “cannot be considered applicable each time an individual’s everyday life is disrupted, but only in the exceptional cases where the State’s failure to adopt measures interferes with that individual’s right to personal development and his right to establish and maintain relations with other human beings and the outside world627“.
In effetti la Corte ha dubitato che i ricorrenti avessero bisogno di accedere a quelle strutture ogni giorno, considerando che non c’era un diretto e immediato nesso tra le misure che lo Stato avrebbe dovuto intraprendere con urgenza e la protezione della vita privata dei ricorrenti. 8.4 Conclusioni sulla protezione dei diritti sociali nella giurisprudenza della Corte EDU La sintetica rassegna della giurisprudenza CEDU completa il quadro delle interpretazioni che riguardano i diritti sociali all’interno del contesto europeo. La ricostruzione impone di mettere a fuoco alcuni aspetti essenziali della protezione europea che servono ai fini della analisi fin qui condotta. La prima questione è che la configurazione assunta dai diritti sociali all’interno dell’interpretazione della Corte EDU mostra chiaramente che la nozione di e “inviolabilità” deve essere certamente riferita sia ai diritti sociali sia ai diritti sociali ed economici. Il fatto che nella giurisprudenza della Corte europea non si sia potuto arrestare l’afflusso di questioni concernenti i diritti sociali è un segno evidente che l’esistenza dei diritti sociali è resa necessaria nell’ottica della protezione dei diritti civili e politici. I casi esaminati sono la base empirica per ricostruire tale indivisibilità anche nell’ottica di uno studio più ampio che possa mettere in comparazione la tutela dei diritti sociali in 626
Zehnalovà e Zehnal c. Repubblica Ceca, Ricorso 38621/97, decisione sull’ammissibilità datata 14 maggio 2002. 627 Id, paragrafo 12.
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ordinamenti, come ad esempio gli Stati Uniti, dove la protezione dei diritti sociali non è espressamente riconosciuta in Costituzione. Inoltre, viene da chiedere se i numerosi esempi di casi in cui la Corte di Strasburgo allarghi il significato dei diritti della Convenzione anche alla protezione di diritti non individuali, non consenta di ripensare a questo strumento come qualche cosa di più che un mero “meccanismo” per la tutela di diritti individuali. In fondo anche chi lotta per la tutela del proprio diritto lotta per la comune tutela, appunto perchè la tutela apprestata al singolo è parte del diritto oggettivo e preziosa qualità del carattere di ogni persona. La seconda questione da mettere a fuoco riguarda più al loro interno i ragionamenti che svolgono i giudici di Strasburgo quando nelle sentenze sui diritti sociali. In molte sentenze, come si è visto, la Corte affronta le questioni che le vengono sottoposte attraverso la dottrina del margine di apprezzamento. Il valore di questa clausola nella composizione delle decisioni non può essere assolutamente omesso. Il margine di apprezzamento funziona normalmente nella giurisprudenza EDU come un elemento di flessibilità che vale tanto per la Corte quanto per gli Stati628: per la prima, tale strumento consente di decidere sia l’an che il quomodo del proprio intervento629; per i secondi, tale strumento è un elemento di rassicurazione della possibilità di perseguire, con gli strumenti adeguati, gli scopi che essi ritengono necessari per la tutela degli interessei pubblici. Nel caso dei diritti sociali il margine di apprezzamento non solo non ha impedito alla Corte EDU di occuparsi di questi diritti, ma ha funzionato come uno strumento di necessaria apertura di articoli tagliati per la protezione dei soli diritti civili alla più ampia protezione di vicende che non potevano essere ricomprese entro le norme della Convenzione. Sotto questo aspetto l’uso del margine è uno strumento che ha avvicinato la Corte ai diritti sociali, consentendole di estendere a questi diritti quei consueti criteri di giudizio, tipici della giurisprudenza di Stra628
Sul punto vedi F. DONATI, P. MILAZZO, La dottrina del margine di apprezzamento nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo, in La Corte costituzionale e le corti d’Europa: atti del Seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, a cura di P. FALZEA, A. SPADARO, L. VENTURA, Torino, Giappichelli, 2003, p. 114. 629 Per una disamina di questi aspetti si rimanda a P. TANZARELLA, Il margine d'apprezzamento, in I diritti in azione, a cura di M. CARTABIA, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 149 e ss.
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sburgo, che sono la proporzionalità della misura o la ragionevolezza630. In molti casi, inoltre, si è visto che l’esistenza di un collegamento tra la discrezionalità degli stati e il riconoscimento di un common ground a livello europeo ha consentito alla Corte di intervenire nel merito della protezione dei diritti sociali, ma mantenendosi sempre entro un’ottica di flessibilità dell’intervento per evitare di entrare in contrasto con la decisione degli Stati. Non si può non notare, infine, che contrariamente a quanto normalmente accade nell’interpretazione dell’art. 2 della Convenzione, nell’utilizzo di questo articolo ai diritti sociali è stato possibile utilizzare il margine di apprezzamento, normalmente confinato dalla Corte ad altri articoli631. In questo senso è più che mai necessario ritornare a quanto si era già notato all’interno del capitolo II, richiamando l’importanza e la caratteristica delle proclamazioni dei diritti. Anche nel contesto internazionale e sovranazionale – in modo forse paradossale per quanto si poteva immaginare – una volta proclamati i diritti tendono a sfuggire ad una logica di rigida positivizzazione. La loro previsione piuttosto li trasforma in strumenti suscettibili di essere usati oltre le nazionalità e secondo l’apertura alle vicende della vita, al mondo dei valori e all’esperienza economica, sociale e culturale sottostante alla stessa affermazione delle Carte dei diritti. Anche la capacità dei giudici internazionali di porsi come apripista di un nuovo modo di concepire i diritti deve misurarsi con la possibilità che questi diritti trovino applicazione e recepimento all’interno degli Stati, evitando spaccature e la percezione che attraverso l’uso delle Carte si stia in fondo imponendo una particolare visione dei diritti e non interpretazioni neutrali che formano parte di un comune sentire. Si può, perciò, abbozzare un ipotesi sul futuro della protezione dei diritti sociali all’interno del sistema della CEDU. I casi esaminati dimostrano la rilevanza di una interpretazione che rifugge da un’astratta considerazione dei diritti sociali all’interno del sistema della Convenzione. Ciò mi porta a ipo630
D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, fra principio di necessarietà e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e rilevanza effettiva del principio, in Riv. it. dir. pubbl. comunit, 3, 1999, p. 749 e ss. 631 In argomento si rinvia a J. CALLEWAERT, Is there a Margin of Appreciation in the Application on Articles 2, 3 and 4 of the Convention?, in Human Rights Law Journal, 1, 19, 1998, p. 9 e ss. soprattutto per la giurisprudenza ivi richiamata.
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tizzare che nel futuro il potenzionale della Corte EDU come giudice dei diritti sociali sarà destinato a crescere e che dunque altri aspetti di tali diritti entreranno nell’ambito di protezione dalla CEDU.
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CAPITOLO IV IL FUTURO DEI DIRITTI SOCIALI: DA MERE PRESTAZIONI A “DIRITTI A RELAZIONI” Sommario: 1. I diritti sociali come “diritti a relazioni”. – 2. Criteri per un approccio relazionale ai diritti sociali. – 3. Il futuro dei diritti sociali.
1. I DIRITTI SOCIALI COME “DIRITTI A RELAZIONI” L'analisi sviluppata in questo libro ha portato alla luce la possibilità di considerare i diritti sociali come veri e propri “diritti a relazioni”. Rispetto all'ipotesi di partenza sono emersi alcuni dati che qui occorre ripercorrere sinteticamente. In primo luogo, si è messo in evidenza quanto fosse stata un’idea vincente per lo sviluppo dei diritti sociali l’inserimento all’interno dei cataloghi costituzionali e internazionali dei diritti. Malgrado i dubbi ed i sospetti di molti, la formalizzazione dei diritti sociali all’interno di questi documenti ha prodotto realmente una spinta alla maggiore tutela e alla considerazione stabile dei bisogni espressi in questi diritti. In secondo luogo, l’analisi delle interpretazioni giurisprudenziali sia a livello costituzionale che sovranazionale ha fatto notare un elemento costante: l’ancoraggio di questi diritti ad un’idea della persona come centro di imputazione di una serie di relazioni di vita. Queste ultime contribuiscono al benessere tanto dell’individuo quanto delle formazioni sociali cui esso dà vita. La prova di ciò deriva principalmente dal fatto che in tutti i diritti sociali l’oggetto del diritto è costituito da una serie di relazioni stabili, normativamente individuate, che le persone intessono e le istituzioni garantiscono. Ciò permette tra l’altro di conoscere tale categoria di diritti per l’originale contributo alle scienze giuridiche ed evita di dover “ergere” il contenuto degli
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stessi diritti (la prestazione, il servizio, la rimozione dell’ostacolo, ecc.) ad elemento che ne identifica l'oggetto. In terzo luogo, nello sviluppo della giurisprudenza si è notato pure che il paradigma delle relazioni aiuta nella soluzione efficace dei possibili conflitti tra i diritti, perché consente di superare la prospettiva individualistica, la quale vede i diritti come mere pretese sprovviste di una connessione con la dimensione della responsabilità soggettiva e della categoria del dovere di solidarietà. In quarto luogo, attraverso questo lavoro si è iniziato a comprendere che anche la categoria delle relazioni, per non rimanere vago concetto, deve essere indagata nella sua ampiezza. Le relazioni rappresentano, infatti, un concetto vasto che deve essere utilizzato per ricostruire l’oggetto dei diritti sociali. L’annodarsi di una serie di relazioni dimostra l’esistenza di una utilità a cui si riferiscono tanto il potere giuridico del soggetto attivo quanto il dovere giuridico del soggetto passivo del rapporto. Le relazioni, in questo senso, sono un concetto utile ad identificare i caratteri delle cose e dei fatti materiali che formano il termine cui si appuntano le volontà delle persone e delle istituzioni1. Perciò, anche quando l’oggetto materiale di un rapporto giuridico è una cosa materiale, come ad esempio la prestazione stabilita per molti diritti sociali, l’aspetto giuridico sotto il quale si deve prendere in esame la “cosa” non contempla solo le sue qualità materiali, ma in ultima analisi riguarda sempre una utilità che porta le persone a creare relazioni2. 2. CRITERI PER IDENTIFICARE I DIRITTI SOCIALI COME RELAZIONI
La tesi da cui questo lavoro muove è, come già ripetuto, quella di provare a conoscere i diritti sociali partendo dall'ipotesi che il bene giuridico protetto da tali diritti è la stessa relazione che essi aiutano a creare. L’uomo per vivere ha bisogno di 1
Il rapporto tra fatti, volontà e utilità è stato ripercorso da R. TREVES, Il diritto come relazione: saggi di filosofia della cultura, riedizione a cura di A. Carrino, Napoli, Esi, 1993, p. 34 e ss. 2 L’idea che anche quando l’oggetto di un rapporto è una cosa l’aspetto giuridico sotto il quale si prende in considerazione questa non contempla le sue qualità materiali ma in ultima analisi una utilità, sulla quale si appunta una relazione fra soggetti è di A. LEVI, Teoria generale del diritto, Padova, CEDAM, 1967, p. 414 e ss.
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creare relazioni. Queste ultime non sono solo confinate alla sfera del pre-giuridico, ma hanno a che fare, fin dal momento in cui nasciamo, con il fenomeno del giuridico. L’idea della relazione come oggetto dei diritti sociali parte dall’intuizione che nella esperienza umana le relazioni stesse sono la sostanza dei rapporti giuridici che ognuno intesse. Tale idea è principalmente il frutto della osservazione della realtà umana e della prassi in cui si atteggia il fenomeno giuridico3. Vale la pena riassumere quali sono i criteri usati per identificare le relazioni all’interno dei testi e delle interpretazioni. Il primo dato di fatto da cui sono partito è che i diritti si conoscono solo nell’indagine sull’“esperienza giuridica4” di coloro che li esercitano. Il rapporto giuridico ritaglia una sfera ben delimitata dell’esperienza pratica umana a causa del carattere della intersoggettività. Perciò, nel ricostruire le relazioni sociali che formano l’oggetto dei diritti sociali sono partito dalla condizione dei soggetti dei diritti sociali e dal modo in cui la Costituzione descrive queste relazioni, secondo una logica organica che parte dalla cellula base della socialità, la famiglia, fino ad arrivare a tutte le relazioni e ai principali luoghi della vita umana (scuole, università e accademie, ospedali e luoghi dove si erogano i trattamenti sanitari, luoghi di lavoro, istituti deputati all’assistenza ed alla cura delle persone in condizione di debolezza, ecc.). Nel percorso descritto l’analisi relazionale ha fornito un quadro per aiutare a indentificare i beni giuridici ovvero le utilità prese di mira dalle costituzioni e dalle carte internazionali nel momento in cui attribuiscono un diritto sociale. In termini concreti, identificare i diritti sociali con la categoria dei “diritti a relazione” ha cinque implicazioni. La prima. Solo accentuando il carattere relazionale che forma l’oggetto di questi diritti essi si possono definire pari ai diritti civili e politici. Il tema è stato l’oggetto sullo sfondo di questo volume. È evidente che la relazionalità umana è nella nostra ottica il meccanismo chiave che dà forma a tutti i valori 3
Il tema delle relazioni è conosciuto già da tempo nella dottrina sociologica. Per gli ultimi sviluppi nell’uso di questo concetto vedi P. DONATI, I. COLOZZI, Reti societarie, capitale sociale e valorizzazione dei beni pubblici, in Il volore aggiunti delle relazioni sociali, a cura di P. DONATI, I. COLOZZI, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 5 e ss. 4 A. SIMONCINI, Esperienza elementare e diritto: una questione "persistente", cit., p. 30.
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dell’ordinamento, compresi quelli che stanno alla base dei diritti civili e politici. La categoria del rapporto giuridico e delle relazioni acquista un valore anche nella comprensione di questi ultimi. Non è un caso che la Costituzione italiana usa la parola “rapporti” per tutti i Titoli della Parte Prima. La seconda. La concezione delle relazioni come l’oggetto delle norme sui diritti sociali produce come ulteriore e più raffinata conseguenza che i rapporti giuridici sociali sono incontro e collegamento tra diritti e doveri. Non che questi ultimi concetti debbano essere tra di loro necessariamente correlati e interdipendenti. Il rapporto è la modalità con cui queste due dimensioni – spesso antitetiche – del fenomeno giuridico trovano un contemperamento ed un punto di incontro. Seguendo questa strada si arriva a comprendere che il rapporto è il complesso di relazioni tra diritti e obblighi rivolti al fine comune di consentire alle persone di avvantaggiarsi dell’utilità descritta nelle stesse norme. Ecco allora che paiono riattivate quelle potenzialità giuridiche che la riduzione dei diritti sociali a mere prestazioni erogate dallo Stato aveva tenuto compresse. Il rapporto si propone come l’unità elementare sulla quale il fascio delle relazioni dà vita ai diritti sociali. Tali diritti non sono dunque solo realtà ridotta a schema, a concetto, o peggio ricondotti a meri accidenti creati da una certa ideologia economica, ma identificano un vero oggetto che appartiene alla realtà materiale prima ancora che giuridica. La terza. L’ordine giuridico cui i diritti sociali appartengono è da molto tempo quello pubblico. I diritti sociali sono stati spesso concepiti come elementi che contribuiscono alla trasformazione della forma dello stato costituzionale contemporaneo. Tuttavia, essi non presuppongono necessariamente lo Stato. L’ordinamento statale, dunque, non esaurisce i diritti sociali. Quest’ultimo è fuori dubbio una delle istituzioni più importanti e forse da sessanta anni a questa parte una delle più solide, ma oggi sulla sua solidità si potrebbe discutere e certamente non è l’unico. Il rapporto giuridico presuppone invece la pluralità delle istituzioni così come la teoria delle relazioni presuppone il pluralismo dei corpi sociali e perciò degli ordinamenti. In questo senso, le evoluzioni dei diritti sociali a livello internazionale e regionale non è solo il portato della diffusione del compito di protezione dei diritti umani, ma è una delle prove che per la vita di quelle relazioni non è necessaria una determinata tipologia di
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strutture ed organizzazioni. Perfino l’effettività dei diritti non è più affare solo degli Stati5. La quarta implicazione riguarda il rapporto tra le relazioni che descrivono l’oggetto dei diritti sociali e le relative norme. Fino a questo momento quello che ho descritto può dirsi contraddistinto da una lettura della semplice “esperienza giuridica”. Cosa accade quando volgiamo dalla prassi alle norme? La ricerca che ho effettuato non è stata rivolta alla creazione di un nuovo catalogo di diritti sociali o ad un nuovo modo di scrivere le norme che incorporano le relazioni. Si è trattato esclusivamente di indagare nelle norme positive le caratteristiche proproprie dei diritti. A mio avviso non può che essere altrimenti. La descrizione del lavoro dei Costituenti italiani ha mostrato che un’idea dei diritti non prevale per ragioni astratte. Ogni teoria dei diritti deve fare il sacrificio di sottoporsi alla valutazione dell’esperienza per essere accolta. È quello che credo sia emerso con evidenza nella descrizione delle discussioni alla Costituente. Nelle parole di tutti i rappresentanti dei partiti emerge la convinzione che occorresse prima riconoscere la condizione umana precedente alla formalizzazione giuridica e poi trovare ai diritti sociali un posto in Costituzione. La quinta ed ultima implicazione ha a che fare con il “giudizio” sui diritti sociali. Dall’esame compiuto nel capitolo sulle interpretazioni emerge un modo diverso di ragionare sui diritti sociali. L’impianto basato sui rapporti che ho seguito si scontra di fronte alla concezione dei diritti che hanno la Corte di Giustizia e la Corte EDU. I giudici di Lussemburgo ragionano secondo una logica funzionalista, rivolta alla creazione di un mercato in cui prevalgono esigenze economiche; i giudici di Strasburgo ragionano in termini di contrapposizione tra individui e stati, e perciò in termini di garanzia della mera soddisfazione delle loro pretese. Solo una corte interna, come la nostra Corte costituzionale, appare capace di ragionare in termini veramente “sociali”, come questi diritti veramente richiedono. A questo punto trovo lo spazio per anticipare la risposta a due rilievi che immagino possano essere mossi alla mia ricostruzione. Il primo è che il mio ragionamento può reggere fino
5
Si veda quanto rileva E. ROSSI, Agire per la tutela dei diritti oggi: alcune considerazioni, in Diritto di welfare: manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, a cura di M. CAMPEDELLI, P. CARROZZA, L. PEPINO, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 453-454.
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al momento in cui si rimane nella discussione teorica sui diritti sociali; ben altra cosa sarebbero le “norme” su tali diritti. Per evitare questa critica devo anzitutto ribadire che la mia ricostruzione è partita dal diritto positivo. L’origine del fatto giuridico cui mi riferisco non evoca una astratta pre-giuridicità. Tuttavia, è un dato di fatto che le relazioni sono anzitutto un “fatto” sociale e non solo un fattore della psiche che vive nelle coscienze degli individui. Esse hanno una caratteristica materiale che il diritto qualifica e riconosce, come previsto nell’art. 2 Cost., attraverso una valutazione di “utilità”. Il secondo rilievo, che immagino possa rappresentare una critica generale a tutta l’impostazone seguita, riguarda il modo in cui ho preso in considerazione il fenomeno giuridico. Si potrebbe osservare, infatti, che questo volume, in fondo, ripropone una generica prospettiva “soggettivistica” cui aderire ogni qualvolta non è possibile aderire ad un significato oggettivo ed ideale dei diritti sociali. Come si può passare – per parafrasare le parole di Bobbio6 – dalla considerazione dei diritti sociali a parte subiecti alla trattazione a parte obiecti? A questo rilievo se ne assomma addirittura un altro. Se i diritti sociali hanno natura di “diritti a relazioni”, essi non sono “diritti assoluti” ma diritti dipendenti dalle caratteristiche contingenti, e fin anche spaziali, in cui si trovano a vivere i soggetti di queste relazioni. Nel momento in cui rilevo i possibili problemi debbo anche riscontrare che una lettura attenta del tessuto dei bisogni sociali e dei corrispondenti diritti mostra che questi sono caratterizzati da una nuova idea di assolutezza: “ab-solutus”, nel linguaggio normale dei diritti che si è affermato negli ultimi anni, sta per “sciolto da qualsiasi relazione”, mentre in questi diritti è proprio la relazione a costituire il cuore vitale – ed in in questo senso veramente è un assoluto – della tutela giuridica; sono diritti di ognuno ed oggettivi, benchè non abbiano un carattere incondizionato. Sono, dunque, diritti “nucleari” ovverosia caratterizzati da un core assoluto, identificato dalle relazioni vitali che intendono proteggere e da un’area più o meno ampia generata dalla maggiore o minore capacità espansiva di tali relazioni. In questo senso si potrebbero definire non tanto diritti economicamente condizionati – nella riduzionistica visione che si è affermata in 6
N. BOBBIO, Teoria generale del diritto come teoria del rapporto giuridico, in Scritti giuridici in onore della CEDAM nel cinquantenario della sua fondazione, I, Padova, 1953, p. 49-50.
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questi anni – ma diritti “socialmente condizionati”, perchè legati al tasso di solidarietà e vitatilità espresso dai contesti sociali di riferimento. Ma assieme a queste ragioni, credo vi sia anche una giustificazione diversa e più diretta da poter addurre contro una certa idea di assolutizzazione dei diritti. Negli stati costituzionali attuali essere titolari un diritto non significa necessariamente avere “un argomento sempre decisivo e conclusivo contro considerazioni concorrenti” (trumps). I diritti fondamentali compresi nelle costituzioni e nelle carte internazionali e sovranazionali sono formulati in termini generici e indeterminati. Affinchè uno di questi diritti fondamentali diventi “operativo” deve essere riconosciuta l’esperienza a cui esso si riferisce – comprese le relazioni –, e all’interno del terreno identificato da queste ultime occorre sempre operare bilanciamenti e valutazioni comparative tra diritti ed interessi contrapposti7. 3. IL FUTURO DEI DIRITTI SOCIALI Quale è allora il futuro dei diritti sociali? L’ipotesi che ho percorso e documentato in questo volume è quella della riconsiderazione di tale categoria attraverso la teoria delle relazioni sociali, intendendo così dimostrare che è nel concreto dei rapporti giuridici che deve essere trovata una via per ricostruire la natura di questi diritti. Accanto all’idea di fondo sviluppata, vi è la riscoperta che i titolari dei diritti non sono i terminali passivi di decisioni prese altrove, ma i protagonisti delle scelte che li riguardano. Le relazioni sociali generano quei valori che poi costituiranno la sostanza dei diritti sociali. Il quadro non è, perciò, solo “descrittivo”, ma anche “impegnativo”, nel senso che indica la strada per superare le difficoltà che si trovano sempre nel passaggio dalle proclamazioni astratte alla garanzia concreta. La via per trovare una modernizzazione nella discussione sui diritti sociali passa, dunque, per una collaborazione tra le persone, le formazioni sociali e le istituzioni erogatrici di servizi e prestazioni, siano essi di natura pubblica o privata. D’altronde nella Costituzione italiana e nelle Carte internazionali che ho esaminato, per la maggior parte prodotte nel periodo immedia7
G. PINO, Diritti fondamentali e ragionamento giuridico, cit., p. 214.
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tamente successivo al secondo conflitto mondiale, la visione di uomo da cui si prende le mosse è quella di un soggetto “capace di agire socialmente e politicamente” e di arricchire la sua esistenza, di orientare il suo destino e di perseguire la sua felicità, un soggetto che non vive da solo (è un “essere sociale”), che ha bisogno degli altri, al punto che anche quando realizza il bene comune percepisce il nesso tra quest’ultimo e il suo interesse. La “natura relazionale dell’uomo8”, come è stato di recente ribadito, rende i diritti sociali una necessità di cui in futuro, dunque, non potremo fare a meno. Allo stesso tempo non possiamo più pensare che tali diritti trovino la loro derivazione e la caratteristica essenziale nell’attribuzione di beni e servizi sotto forma di prestazioni pubbliche fornite dell’etichetta dello “stato sociale”. Questo orizzonte è ormai venuto meno nella fase di recessione economica in cui stiamo vivendo. Tuttavia la crisi economica, che oramai sembra legittimare – nel discorso pubblico – la messa in discussione dei diritti sociali, dimentica che essi sono emersi come beni indispensabili proprio in momenti di crisi. La crisi è, infatti, un’occasione perché evidenzia due possibili strade. Seguendo l’una, i diritti sociali, legati all’idea delle prestazioni, sono un lusso che non possiamo più permetterci. Seguendo la seconda, i diritti sociali, in quanto relazioni, sono una risorsa indispensabile per affrontare ogni condizione di cambiamento, anche quella che appare più avversa.
8 Cfr. L. VIOLINI, G. VITTADINI, Introduzione, in La sfida del cambiamento, a cura di L. VIOLINI, G. VITTADINI, Milano, Bur - Rizzoli, 2012, p. III.
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