BOILEAU-NARCEJAC LE VITTIME (Les Victimes, 1964) Personaggi principali PIERRE BRUUN lui CLAIRE JALLU lei RENÉ JALLU l'al...
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BOILEAU-NARCEJAC LE VITTIME (Les Victimes, 1964) Personaggi principali PIERRE BRUUN lui CLAIRE JALLU lei RENÉ JALLU l'altro MANOU l'altra BLÈCHE ingegnere 1 Come mi venne il sospetto che Manou mi avesse ingannato? Soltanto un'ora prima pensavo a lei con tristezza, perché eravamo separati da migliaia di chilometri, perché non sapevo se si sarebbe decisa a raggiungerci, perché gli innamorati sono sempre tristi quando iniziano a porsi delle domande. Ma non era ancora vero dolore. Soffrivo come al solito, come a Parigi, né più né meno. Non so chi ha inventato la storia delle frecce di Cupido, ma non c'è nulla di più vero. Soltanto non è una verità piacevole. È una verità atroce. Da due settimane, minuto dopo minuto, ora dopo ora, provavo al cuore la fitta lancinante della separazione. Tuttavia Manou mi amava. Avrei dovuto essere felice. E in effetti lo ero, quando era con me. Ma quando aprivo le braccia per lasciarla partire, il supplizio ricominciava, a volte così insopportabile che mi mancava il respiro, come un moribondo. E cominciavo ad aspettare. In ufficio, in strada, a tavola, al telefono, la aspettavo. Manou! Ero come un cane senza padrone. Pensavo, consumando ogni ora, consumandomi contro ogni ora: "Questa è la felicità. Non proverai mai più un sentimento così forte. Soffri, vecchio mio. Sforzati". Percorrevo a lunghi passi la mia stanza. Non prendevo più l'autobus. Avevo sempre bisogno di camminare. L'amore è tutto qui: camminate irrequiete senza sosta. Le mie dita erano chiazzate di tabacco. Entravo in un bar e bevevo grandi bicchieri di acqua minerale che mi raggelavano senza dissetarmi. Penso che tutti gli uomini abbiano conosciuto questa sete. Ma Manou non era una donna come tutte le altre. Ed ecco che il dubbio si abbatté su di me, come una manganellata improvvisa. Ricordo ancora il punto preciso. Avevamo appena lasciato la
strada, quella che in quel Paese si chiama una strada, per imboccare la pista che conduceva alla diga. Jaii era al volante. Accanto a lui, Jallu sonnecchiava a capo chino. La sua nuca sotto il casco coloniale pareva ora quella di un vecchio, incavata, con una ragnatela di rughe e qualche capello grigio sparso qua e là. Attorno a noi, la montagna. Ma non la nostra montagna con la sua ridicola finzione di nudità. La montagna delle origini, di un'epoca in cui gli uomini ancora non c'erano. Roccia bruta, a perdita d'occhio, cotta dal sole, screpolata dal gelo, conciata come una pelle, orribilmente insensibile e assente. Una massa enorme che colmava l'orizzonte, le cui vette non celavano che altre vette, e quelle altre ancora fino all'infinito. Non un'ombra. Il sole a picco. E sempre un'aquila, immobile nel cielo terso, come fosse ogni volta la stessa. "Mi ha ingannato." La frase si formò da sola dentro di me, come se qualcuno mi avesse parlato. Ma Jaii era ancora aggrappato al volante della Land-Rover e Jallu si era affondato contro la portiera, folgorato dal sonno. Non ebbi nemmeno il tempo di organizzare una qualche difesa. La certezza mi aveva già avvelenato il sangue. Certo che mi aveva ingannato. Sin dall'inizio. Non mi aveva tradito con un altro. No. Era molto più grave, anche se non riuscivo ancora a formulare chiaramente l'accusa. Non era nemmeno un'accusa. Semplicemente ora la mia angoscia si era fatta più acuta, più tagliente. Mi trafiggeva come un colpo di sciabola, e io mi chinavo in avanti, gli occhi chiusi, le braccia serrate contro i fianchi, come se cercassi di tamponarne la ferita. Manou! Parla! Dimmi qualcosa! Non è possibile! Gli occhiali da sole mi scivolarono in grembo. Me li infilai di nuovo, e mi protesi ancora a ricevere in volto l'aria rovente. Troppo tardi! Ormai avrei dovuto convivere con quel dolore, fare i conti con lui, in una lotta fatta d'inganni e sotterfugi, che mi avrebbe visto alla fine sconfitto. La jeep ci scrollava come dei sacchi di farina. Il lago comparve a monte della diga, azzurro intorno alle rive, color mercurio al centro. Da noi, l'acqua fa nascere piante e uccelli. In maggio, persino un lago di montagna fa la sua toilette, si orna di fiori e di foglie, trattiene una nube. Qui, l'acqua è un elemento, un materiale, una massa che si anima soltanto alla cascata della diga. Qui ritrova la sua grazia, la sua luce e la sua voce mentre precipita in un bacino di roccia. Ma subito il cielo la beve, ed è una valle pietrosa che digrada verso un arido altipiano. Jallu si raddrizzò. In un batter d'occhio, ritornò a essere il padrone, men-
tre riprendeva a guardare la diga. La sua diga. Non pensava a Manou, lui. Eppure lei era sua moglie. Ma la diga era lui stesso. Era la sua febbre, la sua ambizione, la sua ragion d'essere imprigionata in una colata di cemento. Ora la contemplava come Dio Padre, giudicandola buona. Se mi avesse letto nel pensiero mi avrebbe disprezzato. Detestava i sognatori, i cacciatori di stelle. Quando diceva di qualcuno: "È un dilettante" aveva pronunciato l'estrema condanna, lo aveva cancellato. Guardava la sua diga senza amicizia, senza gioia, senza fierezza; quei sentimenti non sono che dei fronzoli. Ma era in cuor suo felice di aver saputo opporre alla spinta dell'acqua la resistenza intelligente della pietra abilmente disposta. E i suoi occhi grigi (lo vedevo di profilo alla mia destra) seguivano soddisfatti la curva netta della costruzione. Quel muro che sgorgava dal lago come un molo e si arrotondava ardito da una riva all'altra, non più largo in centro del camminamento di ronda che lo coronava, aveva la purezza astratta di un teorema. Era fatto di cifre, più che di cemento. Jallu non stava contemplando una diga, verificava il risultato di un'equazione. Lo odiavo e avevo paura di lui. Avevamo abbordato i primi tornanti, e ora scendevamo verso la centrale elettrica. Vista dalla valle, la diga era una porta scintillante e prodigiosa, che sigillava la gola. C'era da soffocare a osservare lo scontro titanico tra la pietra e l'acqua, a misurare stupefatti la profondità del bacino di raccolta. In basso, la centrale elettrica sembrava minuscola. I tralicci dell'alta tensione si perdevano a vista d'occhio, verso l'orizzonte vuoto e desolato. Nient'altro esisteva in quel luogo che quel gigantesco muraglione. Era l'unico a vivere, perché viveva alla sua maniera, esprimendosi con la sua curva, come una cattedrale con le sue arcate. La cascata fumava. Il suo rumore assordante copriva il motore della jeep. Eravamo arrivati. Erano quindici giorni che abitavo lì, accanto a Jallu. Parigi era come una vita precedente, un sogno, un altrove che non riuscivo più a collocare. Persino Manou non era che un'immagine corrosa dall'assenza. Quando ero solo, cercavo di riafferrarla, di restituirle i colori della vita. Ci riuscivo ancora. Sentivo i passi di Manou, la vedevo in piedi accanto alla finestra, che osservava la strada. Quando uscivo dalla mia stanza, non sapevo più dove mi trovavo. Il frastuono della cascata mi restituiva alla realtà. Uscivo sulla terrazza, e gli spruzzi d'acqua erano un pulviscolo gelido sulle mie guance. Ero a sessanta chilometri da Kabul e di Manou non mi restava che quella fitta fin troppo familiare che mi faceva camminare con una mano sul costato, come un malato. Ero malato di Manou. Quando la segretaria mi aveva annunciato la sua visita, le avevo rispo-
sto: "Le dica di attendere". E mi ero immerso di nuovo nella corrispondenza. Erano passati... mio Dio, soltanto quattro mesi. L'otto gennaio. Le dieci del mattino. Una mattinata grigia, appiccicata alle finestre come carta sporca. Svolgevo il mio lavoro abituale, e intorno a me continuava la vita di tutti i giorni. I profani immaginano che una casa editrice sia una sorta di Parnaso, lontano dalla banalità dell'esistenza quotidiana, un crocevia del destino attraversato da esseri eccezionali. A volte è vero. Manou ne è la prova. Comunque, lavoravo da un anno nello stesso ufficio, con il sottofondo degli stessi rumori: lo scatto secco dell'ascensore, il crepitio delle macchine per scrivere, la voce deformata del direttore letterario nell'interfono: "Può venire un momento, signor Brulin...". Finora non avevo conosciuto che la piccola schiavitù di un lavoro noioso. Dirigevo una nuova collana, Est/Ovest, che tardava ad affermarsi. Leggevo dei manoscritti insipidi, che respingevo annoiato. Quel mattino, Manou attendeva il mio verdetto, il cuore in tumulto, mentre finivo una sigaretta. Non avevo provato nulla, non un presentimento. Ma il suo manoscritto mi era sembrato non privo di interesse. Finalmente qualcuno che conosceva un po' l'Oriente! Le avevo chiesto di passare nel mio ufficio. Sì, avevo osato farla aspettare, la mia adorata Manou! Poi era entrata. Una giovane donna bruna, alta, graziosa. Una giovane donna come tante altre. Mi aveva interessato, non di più. Si era seduta sull'orlo della poltrona con molta naturalezza, ma le sue mani tremavano. Mi pare che avesse una pelliccia, non so di che animale, non sono cose a cui bado. Aveva i capelli raccolti in una crocchia, il volto dal colore delicato di un confetto. I suoi occhi mi guardavano aperti e franchi, occhi scuri e luminosi, dallo sguardo un po' triste. Il destro era leggermente più piccolo del sinistro, forse per l'emozione. Assaporavo quel momento come uno sciocco. Ero il padrone del suo destino. Con una sola parola potevo cambiare l'espressione di quegli occhi. Dio, com'era confusa! «Ho letto il suo manoscritto, signora.» Non mi corresse, era dunque sposata. «Mi ha fatto un'ottima impressione...» I suoi occhi non mi abbandonavano più. Batté le ciglia una volta, e subito le si bagnarono di lacrime. Ma la gioia divorava il suo pianto. Mi guardava incredula, stupefatta. «È vero» proseguii. «Ha scritto un'opera notevole.» Ebbe un sospiro che rassomigliava a un singhiozzo e io m'innamorai. Quella scena mi ripassa incessantemente davanti agli occhi come un film,
e io studio Manou in una sequela infinita di primi piani. No, in quel momento Manou non era che felicità. Anche lei mi ha amato da allora, me l'ha detto più tardi. La mia vita sta tutta in quel secondo, nei nostri occhi che non volevano più lasciarsi. Mosse le labbra e compresi che mi stava ringraziando. «Si figuri. Non deve ringraziarmi.» Non riuscivo più a star fermo. Le offrii una sigaretta, feci il giro della scrivania per avvicinarmi a lei. «È veramente stata a Bombay?» «Sì, mi ero appena sposata. È stato quel viaggio a darmi l'idea.» Parlava a bassa voce, con aria colpevole, e spiava tutti i miei movimenti con una specie di timore, come se io potessi da un momento all'altro cambiare idea e strapparle la speranza che le avevo appena regalato. «È il mio primo libro.» «Le faccio tutti i miei complimenti. Non voglio dire che sia tutto perfetto. Qualche dettaglio da rivedere, qualche particolare da limare. Agli esordi è inevitabile. Ho visto che si firma Emmanuelle. Secondo me è un errore, non sta scrivendo per una rivista di moda...» «Sta sognando, vecchio mio. Nostalgia di casa?» Blèche! Ancora lui. Non potevo restar solo un momento che subito veniva fuori pieno di storie, di pettegolezzi, di segreti ridicoli. Una diga è come una petroliera, va avanti anche senza il nostro intervento. Devi soltanto tener d'occhio qualche manometro, e le ore non passano mai per l'equipaggio. Non c'è altro da fare che frugare la vita dei propri compagni. In quello Blèche era un asso. Mi girava intorno perché fiutava qualcosa di allettante da scoprire e divulgare. Non c'era modo di evitarlo. La parte abitabile della centrale elettrica non era più grande di un quadrato ufficiali. Ci ritrovavamo tutti insieme fatalmente alla mensa, al bar, nella sala da fumo. Tutti! Non eravamo poi tanti, una quindicina di ingegneri e di tecnici. Il personale indigeno stava nelle baracche sulla riva destra. Blèche era il solo francese. Sovrintendeva ai sistemi di sicurezza. Gli ingegneri erano tedeschi e i tecnici inglesi e olandesi. Per la maggior parte erano taciturni e diffidenti. In servizio tutti parlavano inglese, ma ognuno ritornava alla sua lingua durante le pause. "La nostra piccola Europa" la chiamava scherzando Blèche. Mi trascinò verso il bar. «Ha una faccia... Ha litigato con Lui?» "Lui" era Jallu. Blèche non lo chiamava mai per nome. Diceva: il boss, il
grande capo, il nonno o lo stronzo. Hassan ci servì un whisky, come al solito. Sin dalla fine della prima settimana, avevo preso delle piccole abitudini, delle preferenze per un posto a tavola o una poltrona sulla terrazza. I giorni si ripetevano immutabili. Era forse il frastuono continuo, ossessionante della cascata? Il tempo qui non è una misura ma un elemento solido, una materia spessa e vischiosa. In realtà aspettavo Manou; un giorno o l'altro sarebbe venuta. Anche Jallu l'aspettava. È per questo che mi ero messo a bere, cercando di pensare ad altro. Ma ritornavo sempre a quel problema: chi era Manou? Che cosa aveva voluto nascondermi? «Scusi. Ho mal di testa.» «È il calore» rispose Blèche. «Non ha ancora visto nulla, in agosto ammazza gli uccelli in pieno volo.» Presi il bicchiere e mi sedetti accanto alla finestra, da dove potevo vedere la cascata fino al graticcio. I flutti bianchi e scintillanti mi affascinavano, e mi aiutarono a rientrare in quel sogno a occhi aperti in cui Manou era ancora accanto a me. L'avevo invitata a pranzo in un ristorantino del boulevard SaintGermain. Adoravo la sua luce soffusa, i paioli di rame alle pareti, i tavolini stretti, i vetri fumé. Dovevamo chinarci in avanti per parlare, e ogni frase significava molto di più di quel che apparisse. Si era tolta i guanti e la pelliccia. Era magra e sottile nel suo tailleur nero con la camicetta molto scollata. Ero affascinato dalla grazia del suo piccolo seno e dalla dolcezza del suo viso. Ascoltavo le sue prime confidenze con una tale attenzione febbrile che congedai seccamente il maître che era venuto a prendere le ordinazioni. Più tardi! Non avevamo fame, non quel genere di fame. Aveva la vivacità e la franchezza di una ragazzina, mentre mi raccontava i suoi errori, i capitoli venti volte riscritti, e non mi stancavo di guardare quegli occhi in cui covava il fuoco di una tenerezza che ancora ignoravo. Sembrava volermi aprire tutta la sua vita, tuttavia dovetti interrogarla. «È vedova?» «No. Perché?» «C'è un piccolo segno bianco, al suo anulare. Come se una volta lei avesse portato la vera.» Abbassò gli occhi sul dito che le stavo carezzando dolcemente. «Non è il caso che mi risponda. Non mi riguarda.» «Sono sposata» sussurrò «ma sono anni che non porto più la vera.» Il maître ci osservava da lontano. Senza dubbio comprese che avevamo raggiunto un momento di una particolare importanza, e che ci occorreva
ora un attimo di tregua, di silenzio, perché si avvicinò sorridente, complice. Non ricordo cosa ordinammo. Ma le sue parole, ogni sua frase, le posso sentire e le sentirò sino alla fine di questa vita che ora non ha più senso. Mi raccontò che il primo anno del suo matrimonio aveva viaggiato a lungo. «È stato a causa del lavoro di mio marito.» Ma non volle precisarmi la natura di quel lavoro, né mi rivelò il suo nome, la sua età, il suo indirizzo. Il manoscritto che ci aveva inviato portava quest'unica indicazione: EMMANUELLE, CASELLA POSTALE 71/17 PARIGI. Non le feci alcuna domanda, tanto ero sicuro che ci saremmo rivisti. Non badai alla sua reticenza. Ero abbacinato. A volte la mia mano si posava sulla sua, e lei sorrideva, riconoscente. «È proprio sicuro che lo pubblicheranno?» «Certamente, tra qualche giorno le manderò una lettera di conferma, con il contratto.» «Sono pazza di gioia. Se sapesse... Stamattina morivo di paura, e poi...» «E poi ci siamo incontrati. Emmanuelle e Pierre.» «Posso chiamarla Pierre?» «Mi farebbe piacere.» Levai il bicchiere in un brindisi. Lei mi imitò, i nostri sguardi ancora una volta si unirono. «Grazie... Pierre.» Non sorrideva più. Qualcuno aveva aperto la porta e il frastuono della cascata spazzò via le nostre voci. Il whisky era ancora intatto. Non mi ero nemmeno tolto gli occhiali da sole. Mi girai a guardare l'orologio elettrico. Jallu mi fece un cenno. Era ora di pranzo. Lo seguii in sala mensa. «Sembra stanco, signor Brulin.» «Un po'. Fatico parecchio ad acclimatarmi.» Ero furioso di essere stato sorpreso, ma forse esistevo per Jallu? Senza dubbio ancor meno degli uomini che pranzavano in silenzio a tavoli separati: gli inglesi, i tedeschi, gli olandesi, e Blèche che era costretto a mangiare da solo. Facevano finta di non occuparsi di noi, ma non perdevano nessuno dei nostri movimenti. Jallu per loro era il nemico. E io che cos'ero? Rollam, il domestico afghano, servì le portate: pernice con riso e cavoli, ananas sciroppato. Serviva tutto insieme, per ordine di Jallu che detestava aspettare. «Tuttavia lei è già stato in Oriente?» continuò Jallu.
«Sì, ma in Turchia, in Israele, una volta a Ceylon... Un Oriente piacevole in confronto a questa regione.» Chiaramente non mi ascoltava. Lo osservavo di sottecchi. Sapevo che aveva quarant'anni, ma era impossibile dargli un'età. Con i capelli a spazzola, i solchi profondi delle rughe, le guance smunte, sembrava un missionario. Aveva lo sguardo di un navigatore del passato, occhi vacui che guardavano lontano, verso l'orizzonte, a volte febbrili, sempre carichi d'ansia. Blèche mi aveva spiegato il perché. Da quando in Portogallo una delle sue dighe era crollata, erano sorte delle voci, delle maldicenze. Blèche era addirittura convinto che tutte le dighe costruite secondo le teorie di Jallu avrebbero presto ceduto una dopo l'altra, come un castello di carte. Con un gessetto mi aveva tracciato uno schizzo sul tavolo della terrazza. "Il punto debole del suo muro a conchiglia, vede, non è dov'è sottile. Anzi, in questo caso dovremmo rendere omaggio al Vecchio, è pur sempre qualcuno. Ma la spinta laterale è eccessiva. Basta che il terreno si smuova un pelo, e tutto va a farsi fottere. E il terreno si smuove comunque, a dispetto di tutte le iniezioni di cemento che ci possiamo mettere. Un terremoto lontano, un assestamento delle falde sotterranee... Sa cosa voglio dire, roba così" a questo punto Blèche aveva percosso pesantemente il pavimento col piede. "Non dico di no, dureranno quindici anni, vent'anni... Ma tra cinquant'anni, eh? Ne so qualcosa, perché tocca a me controllare la solidità di queste opere. Le conosco come le mie tasche. Bene, scommetto quel che vuole che avremo delle sorprese. Quando ne ha fatta una a Bombay, c'ero anch'io. È là che abbiamo iniziato a scontrarci. L'anno scorso hanno dovuto risistemare la riva destra, hanno trivellato fino a trecento metri... Doveva vedere che lavoro! Certo così si abbattono i costi, si va più in fretta. Nei Paesi poveri questo conta qualcosa. Ma al suo posto avrei gli incubi!" Jallu mangiava in fretta. Non riuscivo mai a tenergli dietro, ero sempre in ritardo e mi irritava molto quando mi diceva con finta tolleranza: «Non è il caso che si affretti. Lei non deve correre, signor Brulin. Io invece...» E con questo voleva dire senza dubbio che in fondo non ero che un turista, un perdigiorno, forse persino un importuno. Sì, lo odiavo, istintivamente, tuttavia non ero geloso. Non riuscivo a immaginarlo come suo marito. Non li avevo mai visti insieme. E soprattutto sapevo che tra di loro non c'era più alcuna intimità, e per me quella era una rivincita. Sì, adesso posso riconoscerlo, subivo il suo ascendente come tutti gli altri. Ma allora mi sarei fatto uccidere piuttosto di confessarlo. Non capivo niente del suo
lavoro e lui non capiva niente del mio. Ritenevo che la partita fosse chiusa, pari e patta. Per questo mi irritava di non riuscire a sostenere il suo sguardo. Avrei voluto disobbedirgli una buona volta. Ne avevo il diritto, non ero il suo servo. Ma quando mi diceva: "Conto su di lei, questo pomeriggio, signor Brulin" chinavo il capo troppo rapidamente, mio malgrado. Se mi avesse adulato, forse avrei potuto rispettarlo. Ma teneva le distanze. Per lui non ero che una specie di segretario-interprete, capace ma trascurabile. Così, durante i nostri viaggi giornalieri a Kabul, mi costringevo a pensare a Manou con tutte le mie forze, quasi disperatamente, per vendicarmi di lui e segretamente umiliarlo. Ma non umiliavo che me stesso. Tuttavia quel giorno i modi di Jallu mi lasciavano indifferente. Il mio problema era Manou. Da un'ora, lentamente, il sospetto aveva preso corpo, fino a diventare opprimente: Manou si era servita di me. Ma questo non significava niente. A quale scopo si era servita di me? Per fare pubblicare il suo libro? Assurdo. E allora? L'avevo rivista il giorno dopo. Avevamo lavorato insieme nel mio ufficio, poi l'avevo invitata a casa mia. Aveva accettato con la consueta naturalezza. Il mio tono le aveva fatto capire che desideravo realmente lavorare con lei e per lei, senza il minimo sottinteso equivoco. Abitavo nell'alloggio che avevo ereditato da mio padre, in rue d'Alésia. Dopo la sua morte avevo ristrutturato il salone e la biblioteca, e l'aspetto era ora abbastanza gradevole pur rimanendo un po' austero a causa dei libri. Invadevano tutto l'appartamento e Manou ne fu molto impressionata. «Lei è uno studioso!» «No» protestai. «Doveva conoscere mio padre, lui sì che era un vero studioso. Parlava un'infinità di lingue. Vede, le sue opere occupano tre scaffali, su quella parete. Ero ancora bambino che già m'insegnava il persiano.» «La compiango» rispose. «A quell'età mia madre m'insegnava il nome dei fiori e degli uccelli. La verità è che non so niente. Forse la deludo...» Era una frase che ritornava sovente sulle sue labbra. Manou era fiera, di una fierezza ombrosa che ci causò numerose discussioni. Ma quel momento non era ancora venuto. Ci cercavamo con emozione e tutto in noi era gioia. Non dimenticherò mai quei primi incontri di lavoro... Mi chiedo perché rimuovere quelle ceneri! Mentre spiegavo a Manou i suoi errori, vedevo che il suo volto s'illuminava. "Sì, capisco" esclamava congiungendo le mani come se le avessi offerto un regalo troppo costoso che non aveva il coraggio di accettare. Mi comprendeva al volo, e le correzioni che
proponeva erano sempre acute. Aveva molto più talento di quel che credesse. Ero costretto a interrompere quel duro lavoro per ricordarle che avevamo anche diritto a una tazza di tè. Allora insisteva per prepararlo lei stessa; s'impadroniva d'autorità della cucina, lasciandomi sul divano. Non la contrastavo, mi bastava guardarla. Ogni giorno indossava un vestito nuovo, ma lo portava senza ostentazione e quasi senza civetteria. I suoi gioielli erano semplici, orecchini intonati all'abito e un pesante braccialetto d'oro che si toglieva per lavorare e che le aveva segnato il polso con una leggera quadrettatura. «Viene dall'Oriente?» le chiesi una volta. «Sì, l'ho comprato a Bombay.» Ma cambiò rapidamente il soggetto della conversazione, interrogandomi sulla mia infanzia, sui miei genitori. Con la tazzina in mano, percorreva gli scaffali della biblioteca, leggendo qualche titolo, palpando con sensualità inconsapevole gli oggettini che ricordavano i viaggi di mio padre. Una sera le regalai un minuscolo budda d'avorio che non aveva mai cessato di ammirare, e per poco non si mise a piangere. «Oh, Pierre» ripeteva «che meraviglia! È troppo gentile.» Fu più forte di lei, improvvisamente mi si strinse al collo, con un gesto impulsivo da ragazzina felice, e mi baciò dolcemente sulle tempie. L'attrassi verso di me. Subito si liberò. «No» disse «no, Pierre.» Rimise il budda sullo scaffale. «Lo accetti» insistetti. «La prego.» Avevo già paura di perderla. Ebbi in quel momento la lancinante intuizione che sarebbe sempre stata per me un animaletto selvatico che non si avvicina se non ha la sicurezza di una finestra aperta dietro di sé. Se ne andò immediatamente, impedendomi di accompagnarla. Ma l'indomani fu... Stavo per scrivere la mia amante. No. Fu la mia sposa. Le chiesi di divorziare. «Se potessi, Pierre» rispose seguendo col dito il disegno delle mie labbra. «Signor Brulin, al telefono.» Era Aman, il centralinista indigeno. Jallu si alzò. «Dev'essere per me.» Corremmo insieme all'apparecchio. Jallu prese la cornetta. Aveva il volto delle brutte giornate, gli occhi grigi senza espressione. «Pronto! Jallu... Ah, sei tu Claire?»
Ebbi una fitta alla bocca dello stomaco. Arretrai. «Mi scusi» dissi. Dallo spiraglio della porta, non potevo distogliere lo sguardo dalla schiena di Jallu, e immaginavo Claire nella villa di Neuilly, nel salotto dai mobili ricoperti come fantasmi, parlare al telefono con voce annoiata, reticente, stanca, con quell'aria che aveva gli ultimi giorni, prima della mia partenza. «No» rispondeva Jallu. «Non ho ricevuto niente... Arriverà certo con la prossima posta... Quando vuoi... Temevo che non durasse a lungo, povera donna. Capisci, la leucemia, alla sua età... Però non stancarti troppo... Qui tutto bene... Sì, le trattative vanno a rilento, è normale, ma siamo sulla strada buona.» Caricavo coscienziosamente la pipa come se, assorbito dalle mie preoccupazioni, non mi accorgessi nemmeno di poter essere indiscreto. «Sì, ho dei buoni collaboratori... Grazie, sei gentile, ma non ci serve nulla... Aspetta, gli chiedo...» Jallu si girò e mi chiamò. Feci dapprima finta di non aver sentito, poi mi avvicinai senza fretta, continuando a caricare la pipa. «Signor Brulin, mia moglie mi chiede se ha bisogno di qualcosa.» Per poco non rischiai di tradirmi. La gioia mi colpì come un pugno allo stomaco. Arrossii, e fu come se sanguinassi. Dovevo rispondere una cosa qualunque, senza riflettere. «Una stilografica. La mia non funziona più.» Non riuscii nemmeno a ringraziare. Non ascoltavo più. Mi amava ancora, e l'avrei presto rivista. Se non aveva preso l'aereo con noi a Orly era proprio per la ragione che mi aveva detto suo marito, la vecchia zia malata di leucemia, e non perché all'ultimo momento si fosse rifiutata di accompagnarmi. Il mio timore era stato senza fondamento... Non sapevo cosa pensare. Le mie mani tremavano, dovetti rinunciare ad accendere la pipa. Salii in camera, misi in moto il ventilatore e mi gettai sullo stretto lettino da campo, un letto da caserma o da collegio che sapeva ancora di vernice. Manou! Come avevo potuto credere che non avesse voluto partire? Non stavo forse per rovinare tutto, isolando nei miei ricordi qualche parola, un silenzio, un atteggiamento, che, uniti arbitrariamente, potevano suggerire l'idea di un tradimento del tutto immaginario? Perché sempre quella mania di voler interpretare gli altri, di voler tradurre il loro comportamento? "Tu vuoi sempre capire" mi rimproverava a volte Manou, quando con una ma-
no le sollevavo il volto per studiarla nel profondo del suo animo, mormorando: "Chi sei?". Quella domanda continuava ad assillarmi. Certo, era puerile chiederselo, ma in Manou c'era un mistero che andava al di là del semplice mistero dell'animo femminile. Come esprimerlo? Quando Manou se ne andava, richiudendo la porta, non ero più sicuro di nulla. Manou diventava un'idea, un'astrazione. Le prime tre settimane non sapevo nemmeno come si chiamasse né dove vivesse. In realtà la sua casa non l'ho vista che una volta. Manou si dava a me senza aprirsi. Né io la interrogavo. Ero troppo preso, troppo meravigliato. Solo la sua presenza m'importava. Che lei fosse tra le mie braccia, quella era per me la verità assoluta. Le sue amicizie, il suo passato, i suoi amori non m'interessavano. Manou era mia e mia soltanto. Io l'avevo inventata, io l'avevo rivelata e soltanto questo contava. Quando arrivavamo al tragico momento del distacco, solitamente mi turbava, dicendo: "Adesso passo dalla vita alla morte." Sì, aveva ragione, mille volte ragione. Senza di lei la vita non era vita, ma una semplice esistenza scandita dalle lancette dell'orologio in cui la minima azione diventava un peso insopportabile. La corvée del lavoro, la corvée del tempo libero, e la corvée del ristorante e la corvée del riposo. Un'esistenza fatta di attese e di ricordi. Ma anche di angoscia, perché ogni nuovo arrivederci mi sembrò ben presto un addio, perché tutto nei nostri incontri era precario e periclitante, perché un giorno forse Manou non sarebbe tornata, e allora per lei come per me sarebbe cominciata la morte nella vita, un'eternità priva di amore. Non mi era mai capitato nulla del genere. Prima di Manou avevo avuto delle avventure, a volte felici, a volte malinconiche, ma sempre prive di intensità. Fu Manou che m'insegnò l'inquietudine e il tormento. Arrivava, come dalla nebbia nel suo lungo mantello di pelliccia, e anche il suo viso era lungo, pallido e quasi dolente a causa degli occhi troppo scuri, del trucco troppo levigato che le faceva una maschera delicata come una conchiglia. Sembrava provenire dall'inverno, dall'assenza, da un paese ignoto abitato soltanto da vedove. La nostra frenesia serviva a difenderci da un segreto timore. Sapevamo di non potere mai considerare il futuro. E ogni pomeriggio alle sei, Manou scompariva. Mi fu sempre impossibile trattenerla più a lungo. Provai una volta, una volta sola. La vidi così addolorata, così agitata, così implorante che l'aiutai io stesso a rivestirsi e a fuggire da me. Gli amanti adorano la notte. Noi invece non avevamo che frammenti di mattinata, brandelli di pomeriggio. Spesso mi telefonava. Sapeva perfettamente come passavo il mio tempo e dove raggiungermi quando voleva, mentre io, se avessi avuto un incidente,
se fossi stato in pericolo di vita, non sarei nemmeno riuscito ad avvertirla. Sarei stato meno infelice se avessimo fissato in anticipo l'ora del prossimo appuntamento. Ma quando le chiedevo: «Allora, ci vediamo domani?» Lei sorrideva tristemente, mi metteva un dito sulle labbra: «Ti telefono io. Promesso.» E mi lasciava nell'incertezza e nella disperazione. A volte mi gettavo sul letto in cui mi aveva reso così felice, cercando il suo profumo; gli occhi mi si riempivano di lacrime sotto le palpebre serrate. Quanto avrei dovuto aspettare quella telefonata? E nel frattempo bisognava cenare, dormire, lavarsi, radersi, andare in ufficio... Mi avrebbe chiamato in ufficio? Forse no. E poi il telefono squillava, il trillo mi si conficcava nella carne. «Pronto! Sei tu?» La sentivo respirare dentro di me, così vicina e tuttavia incorporea come un'anima. Mi indicava l'ora dell'appuntamento in fretta, a bassa voce, come se la spiassero, e non mancava mai di aggiungere dopo una breve pausa: "Ti amo". Ed era così bello sentire quelle parole, che la distanza rendeva minuscole come miniature, ma che conservavano miracolosamente il calore, la vita, la fuggevole realtà di Manou, e lasciavano sulle mie tempie, dove mi aveva baciato la prima volta, l'invisibile impronta delle sue labbra. Erano quelli i momenti in cui le scrivevo. Le scrivevo delle sciocchezze, parole d'amore senza importanza, per essere già con lei. Prendevo il primo pezzo di carta, i fogli intestati della casa editrice, l'orribile carta da lettere dei caffè, magari una fattura, e mi liberavo delle parole che mi riempivano la testa e il cuore, frizzanti e inebrianti come il vino. Le frasi sgorgavano in una schiuma effervescente, tanto che la mia mano non riusciva a scrivere così velocemente. Se entrava qualcuno, di scatto nascondevo il foglio come uno scolaretto preso in fallo. Indirizzavo i miei vaniloqui alla sua casella postale, poiché non sapevo dove abitava, poiché non conoscevo nemmeno il suo numero di telefono. Del resto, quando me lo diede, mi vietò tassativamente di usarlo, talmente temeva un'imprudenza da parte mia. Conducevamo una vita pazzesca. Non uscivamo mai di casa, Manou temeva sempre di essere riconosciuta. Mi obbligava a chiudere la porta a chiave, spiava la strada dall'angolo della finestra. Ma il mio vecchio appartamento le piaceva terribilmente e il suo gusto non aveva tardato a trasformarlo. Avevamo modificato ridendo la posizione di tutti i mobili, e quelle stanze in cui errava un tempo l'ombra austera di mio padre erano ora diventate un "interno" come diceva Manou; su sua indicazione acquistai dei
tappeti, dei soprammobili, delle lampade, molte lampade perché non si sentiva felice che a tende tirate. A volte illuminavamo completamente l'alloggio, a volte cercavamo la penombra propizia alle carezze. Oppure, per calmare il desiderio di una vita in comune, organizzavamo degli spuntini, anche se entrambi avevamo mangiato da poco. «Vedi» provavo a dirle «come sarebbe bello...» «Smettila, Pierre. Non facciamoci del male.» Per un momento i nostri sguardi si evitavano. Quella finzione di felicità mi pareva così crudele che un giorno non riuscii a controllarmi. «Ma allora divorzia, Manou... Che cosa t'impedisce di divorziare?» «Bada a quello che dici, Pierre» mi rispose. Fu la nostra prima lite. Per la prima volta intuivo che Manou non era soltanto la donna tenera, sensibile, raffinata che amavo. C'era anche un'altra Manou, violenta, ostinata, che in ogni istante poteva divenire mia nemica. Mi guardai bene dall'insistere. Manou mi abbracciò, mi mordicchiò un orecchio... Quando ci separammo, ci eravamo riconciliati. Il giorno dopo le regalai un cofanetto di sigarette americane lunghe e sottili, che erano le sue preferite. Ero sempre affascinato dal modo in cui manifestava la sua gioia. Restava senza fiato, congiungeva lentamente le mani. Bisognava dirle: «Prendi... È per te!» E lei mormorava, soffocata dall'emozione: «Pierre... Marito mio!» Ma anche questo era un gioco. Come i suoi progetti. Con un'incoscienza che mi torturava, parlava spesso del nostro futuro: «Se avrò successo, se diventerò ricca, sai cosa vorrei fare? Potremmo andarcene tutt'e due dalla Francia. Faremmo dei viaggi... Senti, Londra ti piacerebbe?» In quei momenti si dimenticava di non voler divorziare. Fumava una sigaretta con gli occhi socchiusi, le gambe ripiegate sul divano, e forse scriveva già il suo secondo libro, sola nel suo sogno. Mentre la guardavo trattenevo il respiro per non spezzare l'incanto. «Londra, la sera, che meraviglia! Cammineremmo accanto sotto lo stesso ombrello. Saremmo liberi, nessuno ci conoscerebbe. Andremmo insieme a teatro...» Attraverso il fumo della sigaretta vedeva cadere la pioggia di Londra. Intorno a noi, un silenzio da mettersi a urlare. Restavo immobile, addolorato ma già pronto a credere. E se provavo a dire: «Davvero, Manou?» Lei si arrovesciava sulla schiena, cercava la mia mano: «Vieni, vieni Pierre!» La cascata scrosciava lontana dietro le mura della fortezza. Il ventilatore ronzava come uno sciame di maggiolini. Gli altri vivevano, almeno. Molti
avevano portato la famiglia a Kabul. Molti erano senza problemi e forse senza desideri. Guadagnavano del denaro, si costruivano giorno per giorno un futuro da piccoli risparmiatori di cui non parlavano mai. E il mio futuro? Non avevo futuro, come un uomo che ha perso la sua ombra. Manou mi aveva sottratto il futuro. Ed ecco che tornava nella mia mente, era lei la fonte del mio dolore. Manou, quando smetteva di sognare, mi poneva delle domande precise. Si può guadagnare molto con un libro? E se viene tradotto in altre lingue? E se ne faranno un film? Non osavo dirle che doveva essere paziente, che le occorreva ancora consolidare il suo talento. Le mie risposte evasive la irritavano, come se il suo successo non dipendesse che da me. Non che mi rimproverasse: semplicemente diventava distratta, sembrava perdersi in calcoli, valutare non so che cosa. Viveva allora in un mondo dal quale ero escluso, il che mi faceva soffrire terribilmente. Quali erano i suoi progetti in quei momenti in cui mi confinava in un presente alquanto incerto? Ma non erano che ombre, e le braccia di Manou attorno al mio collo le ricacciavano facilmente. Tuttavia... Tuttavia la mia tristezza cominciava a prendere corpo. Ma non riuscivo ancora a esplicitarla. Impiegai molto tempo prima di capire che Manou non mi idolatrava. Quella parola mi venne in mente proprio quel giorno, mentre, le braccia incrociate sotto la nuca, nella mia cella di cemento, prigioniero della diga, cercavo di evadere nel passato. No, Manou non mi idolatrava. Non mi anteponeva al resto del mondo, mentre lei per me era il mondo, la natura, Dio e le sue stelle. E quella parola illuminò la tenebra in cui mi trovavo. Per esempio, l'impazienza di Manou quando le dicevo che il suo contratto non era ancora pronto... «Non hai fiducia in me?» le ripetevo. «L'affare è sicuro. Ma la Casa ha le sue tradizioni. Non bisogna far fretta al Grande Capo.» Manou mi ascoltava fissando un punto al di là delle mie spalle. Odiavo quello sguardo perso, che mi cancellava dalla stanza. «Hai bisogno di denaro?» Glielo avevo chiesto timidamente. Manou si sarebbe sicuramente irritata. Ma, senza osare confessarlo nemmeno a me stesso, cercavo in fondo una di quelle liti salutari che stanano il verme del sospetto e permettono di schiacciarlo definitivamente. Manou non rispose. Sapevo di aver colpito nel segno, e non potei più controllarmi: «Hai bisogno di denaro? Tu?» E volevo dire: tu che sei ricca, molto più ricca di me, che sei abituata a un lusso che io sono incapace di darti. Ero offensivo. Ma lei non si offese.
Al contrario, tornò a includermi nel suo sguardo, che si era fatto spento come se fosse miope. «Sì» disse. «Tu capisci tutto. Non c'è nessuno al mondo come te.» Non ci voleva altro per farmi perdere il senso della misura. Aveva bisogno di me! Ero pazzo di gioia. «Vuoi che ti dia un anticipo io stesso? È molto semplice, Manou. Lo sai, non hai che da parlare.» Le feci un assegno. Lo prese. «Presto te lo restituirò, Pierre.» Subito comprese di avermi ferito e cercò di rimediare. «Ti spiegherò... Fidati di me, caro... Se sapessi che vita difficile...» Troppo tardi. Quella frase era stata così gelida, mi respingeva. Naturalmente dopo le inventai mille giustificazioni. Mi ricordo di averle scritto una lettera interminabile, chiedendole scusa per la mia suscettibilità. Ero sincero, mi sentivo in colpa. Per tre giorni Manou non diede segno di vita. Il terzo giorno ero alla deriva. E poi il telefono suonò. Manou ritornò da me. Ero folle di gioia, non notai nemmeno che aveva dimenticato di scusarsi, e quando me ne accorsi, scacciai quel pensiero con una violenza che mi stupì. Come se Manou avesse avuto bisogno di scusarsi! Era già così sfortunata, con un marito che la sorvegliava, le controllava le spese... Mi raccontavo dettagliatamente la vita di Manou come la immaginavo, e il mio amore aumentò ancora d'intensità. Del resto fa parte del mio lavoro inventare delle storie. Ma quel marito, al quale di solito non volevo pensare, a poco a poco si frappose tra lei e me. Dal momento che era il responsabile della strana condotta di Manou, decisi di assumere delle informazioni su di lui. Cominciai con l'interrogare Manou, balbettando per l'imbarazzo. Lei cedette subito, e io compresi, o piuttosto credetti di comprendere, che la mia riservatezza era stata maldestra e che Manou preferiva piuttosto un atteggiamento più franco, anche se scortese. In un improvviso accesso di fiducia, mi disse tutto, a cominciare dal suo nome. Da tempo si era stancata di Jallu. Per lui non esisteva che il suo lavoro. Guadagnava molto, tuttavia viveva nel timore perpetuo di un futuro meno fortunato. «Ma... Tutti i tuoi vestiti? I tuoi gioielli?» Facevano parte della facciata, della posizione sociale. Jallu era potente e doveva dimostrarlo. Sua moglie era un oggetto di lusso da mostrare con segreto compiacimento. Ma verificava anche la minima spesa, passava i conti al setaccio, era lui stesso a trattare con i fornitori, teneva d'occhio severamente la cameriera, una ragazzina di quindici anni che aveva fatto ve-
nire dall'Alvernia perché costava meno. Manou aveva così poco denaro con sé che era spesso costretta a prendere la metropolitana. «Capisci, Pierre?» Sì, credevo di capire ed ero felice per aver indovinato così esattamente la verità. Tornai di nuovo alla carica. «Mi chiedo perché resti ancora con lui.» Impossibile strapparle una spiegazione. Di colpo, era il muro completo. Iniziava a guardare l'ora, aveva fretta di andarsene. Dopo, passavo delle ore a farmi delle domande. Che cosa la tratteneva accanto a quell'uomo? Soffriva come me, ne ero sicuro. Ma avremmo potuto cercare insieme una soluzione. E mi resi conto che in fondo non mi aveva detto nulla. Cercai il nome di Jallu nel Who's Who. Jallu René. Ingegnere. Nato a Paimpol il 25 marzo 1918. Sposato il 16 febbraio 1957 a Claire Lamy. Studi: Liceo di Rennes, Scuola Centrale. Costruttore e inventore delle prime dighe a pareti sottili: Santarelli, Sango, Pandharpur. Cavaliere della Legion d'Onore. Abitazione: 31 bis, rue de la Ferme, Neuilly-surSeine. Troppo poco. Provai a chiedere a qualcuno. "René Jallu? Aspetta, mi ricorda qualcosa." Ma nessuno sapeva chi era Jallu. Finalmente un giorno un inglese che ci aveva presentato un manoscritto notevole sul carbone bianco, mi diede qualche informazione più precisa: «Jallu? Certo che lo conosco. Ha lavorato per delle società americane. Pare che creda di essere un Le Corbusier.» Un ingegnere dell'EDF mi parlò di lui, una sera a un cocktail, «Ha avuto il suo momento. Ma la sua tecnica in Europa non ha sfondato. Sarebbe troppo lungo entrare nei dettagli. Sa, c'è una moda nel cemento armato come nei vestiti. Adesso vanno di moda le dighe pesanti in cemento precompresso. Non so se Jallu sia un retrogrado o un precursore.» E aggiunse ridendo: «In ogni caso è un genio, può starne certo!» Le mie ipotesi avevano bisogno di qualche ritocco: no, Manou (non potevo chiamarla altrimenti) non era infelice, anzi lo ammirava. Lo amava ancora. Ricominciai a torturarmi. Attribuivo a Manou degli scrupoli, dei rimorsi, a volte persino un certo cinismo. Certo che mi desiderava come amante; si annoiava, cercava distrazioni, e io per lei ero l'evasione ideale dalla routine quotidiana. Ma prima di tutto teneva alla sua posizione. Chi
ero io ai suoi occhi? Uno scrittore mancato, un funzionario di basso rango, che non aveva neanche il potere di accelerare l'iter del suo contratto. Non ero ancora arrivato a provare rancore nei suoi confronti, ma i nostri silenzi non avevano più lo stesso sapore. Ognuno di nascosto studiava l'altro, a parole giuravamo reciprocamente di essere sinceri, di dirci tutto, e in realtà cominciavamo a mentirci, o almeno a tacere i nostri tormenti. E ciascuno di noi non trovava più nell'altro di che spegnere la sua sete. Mi alzai da letto per andare a bere. Erano le tre del pomeriggio. Avrei dovuto rimettermi al lavoro, preparare per Jallu un riassunto degli incontri che avevamo avuto nei giorni precedenti con il rappresentante del re. Mi accorgo di non aver spiegato chiaramente quali erano i miei compiti alla diga. Facevo l'interprete. L'astuto Jallu aveva compreso che la sua impresa avrebbe ottenuto più facilmente l'appalto della costruzione di una nuova diga a Landahar se lui avesse potuto trattare direttamente con i ministri interessati. Le società concorrenti avevano imposto l'inglese; grazie a me Jallu svolgeva le sue trattative in afghano, e questo lo aveva sicuramente favorito. Ormai era praticamente sicuro di ottenere l'appalto. Ciononostante io non dipendevo da Jallu, ma dal mio editore, che mi aveva "prestato" all'ingegnere per un periodo di tre mesi, durante il quale avrei dovuto scrivere un libro sull'Afghanistan. Così mi sentivo più libero, potevo andare dove volevo, e Jallu era obbligato a considerarmi un invitato, e non un dipendente. Tutte le sere gli consegnavo un rapporto sugli incontri della mattinata, un lavoro leggero che avrei potuto sbrigare in un'ora, ma che curavo con estrema pignoleria per far sentire a Jallu che aveva bisogno di me. Invece il mio libro andava a rilento. Mi annoiavo troppo. E poi la presenza invadente e ossessionante di Jallu mi inaridiva. Quel che avevo già sofferto a causa sua! Ogni brandello di confidenza che ottenevo da Manou mi costringeva a chiudere gli occhi, a trattenere il respiro. Spesso erano cose che non avrei mai voluto "sapere. Per esempio, aveva scritto il suo libro sotto pseudonimo perché non voleva che i personaggi venissero identificati, in quanto lui era Jallu, e lei era Manou. Allora, dopo che se ne era andata, io correvo a rileggere il manoscritto, sezionandone amaramente ogni passaggio. Sì, un tempo aveva amato Jallu, come ora amava me. Ma veramente allo stesso modo? Arrivavo al punto di soppesare ogni parola. C'erano delle descrizioni che mi ferivano, dei dettagli che letteralmente mi annientavano. Quando ritornavo alla realtà, dopo un lungo istante di sconvolgimento che mi lasciava privo di forze, provavo a ripetere a me stesso, percor-
rendo a lunghi passi la biblioteca: "Tutto questo è ormai finito da tempo, non conta più. Per lei è ormai solamente un estraneo". Provavo a immaginarmelo, gli inventavo mille fisionomie. E Jallu non era che quell'uomo secco e taciturno, con il quale ora dividevo gran parte delle mie giornate e che mi sembrava totalmente incapace di amare. Ciò lo rendeva ancora più inquietante. Osservavo le sue labbra, la sua fronte, il suo naso, le sue mani, le sue rughe... Ogni parte del suo corpo era un cifrario di cui solo Manou conosceva la chiave. Non ce l'avevo con lui, ma con lei. A Parigi ero riuscito a ritardare la firma del contratto di pubblicazione. Quell'uomo mi affascinava, ma il libro mi disgustava. Intuivo sin troppo chiaramente quali immagini d'amore avesse contemplato Manou nel profondo del suo animo, per poter poi trovare le frasi migliori, le più efficaci ed espressive. In quel momento aveva tradito inconsciamente l'uomo che più tardi avrebbe amato, e che ancora non conosceva. Così incominciai a odiarla. L'acqua dell'otre di pelle di capra era calda, e sapeva di asfalto. Era ridicolo pensare che dietro quel muro c'erano milioni di tonnellate d'acqua, e noi usavamo ancora gli otri come i nomadi del deserto. Ma la diga era una fabbrica, non un hotel di lusso. Uscii sulla terrazza. Vi trovai Jallu e Blèche. Compresi immediatamente che era avvenuta una nuova lite. Blèche era rosso in viso e il casco gli aveva lasciato un segno bianco, come una banda attorno alla fronte e alle tempie. «So benissimo quel che devo fare!» gridava. «Farò rapporto!» Jallu era di spalle. Era apparentemente tranquillo, ma le mani, dietro la schiena, appallottolavano nervosamente una lettera dalla inconfondibile carta azzurra. La carta da lettere di Manou. «Se ci sono stati degli errori» continuava Blèche «io non ne sono responsabile.» «Se ne vada!» rispose Jallu. La lettera non era più che una pallina di carta. Blèche tacque di colpo. La sua bocca tremava. Mi cercò con lo sguardo. Blèche aveva paura. Internamente stava cedendo. «Se ne vada» ripeté con calma Jallu. E Blèche di colpo cedette. Pesava venti chili più di Jallu ed era un tipo muscoloso. Ma i suoi occhi non riuscivano a continuare la lotta. Se ne andò scuotendo le spalle, poi tornò a voltarsi minaccioso: «Sentirà ancora parlare di me.»
«Imbecille» mormorò Jallu restando immobile. Attese che Blèche fosse scomparso nel corridoio che portava agli alternatori, mentre le sue mani continuavano a triturare la lettera con delle brusche scosse che sembravano degli spasmi. Poi avanzò verso la balaustra e mi notò. «Ah, ha sentito, signor Brulin. Le chiedo scusa, ma quell'idiota mi ha fatto perdere le staffe.» Gli offrii una sigaretta. Parve accorgersi allora di tenere fra le dita un informe brandello di carta e s'incupì. Il suo volto era macchiato di chiazze biancastre e le labbra erano grigie. «Domani se ne andrà» disse. Le sue dita cercavano macchinalmente di svolgere la pallottola di carta. Poi rinunciò e la gettò nel vuoto. «Non ho neanche avuto il tempo di leggere la lettera di mia moglie. Un rapporto! Un rapporto!» Mi chinai in avanti, appoggiandomi alla balaustra. La lettera che era arrivata con la posta delle due, la lettera di Manou, era stata risucchiata dalla cascata. Chissà come Manou chiamava suo marito? "Caro René? Mio caro? Marito mio?..." L'acqua ribolliva nel bacino, depositando sulle rocce una sorta di saliva fremente alla quale la brezza strappava un rosario di minuscole bollicine. "Ti abbraccio? Ti amo?" Jallu si era infilato la sigaretta tra i denti. Le mani gli si aprivano e gli si chiudevano in un movimento automatico. «La invidio» mi disse all'improvviso. «Lei viaggia per puro piacere, senza problemi, senza preoccupazioni. Io invece ho sul mio capo tutto questo!» Tutto questo era il muro vertiginoso che si elevava alle nostre spalle fino al cielo rovente. Riuscì a controllarsi e mi disse seccamente: «L'incidente è chiuso. L'aspetto alle cinque, signor Brulin.» A Parigi Manou preparava i bagagli. 2 Lavorai poco più di un'ora con Jallu nell'ufficio che l'ingegnere capo della centrale elettrica gli aveva prestato. Avremmo dovuto abitare a Kabul, ma Jallu aveva preferito essere ospitato alla diga. Lì si sentiva a casa sua. Di solito sul lavoro era preciso, rapido, leggermente ironico e sprezzante. Ma quel giorno mi ascoltava appena, disegnava distrattamente sul notes.
Stava pensando a Manou che tra qualche giorno avrebbe rivisto? Non interruppi i suoi sogni. Anch'io pensavo a Manou. Ora, con grande ritardo, cominciavo a capire che lei mi amava, malgrado qualcosa che non aveva avuto il coraggio di dirmi. Manou aveva un segreto. Infatti, dopo tre mesi di un amore folle, aveva lentamente manovrato perché io mi staccassi da lei. Intanto le sue visite si erano fatte sempre più brevi. Di poco certamente, ma abbastanza per allarmarmi. Una sera vidi nello specchio che mentre mi abbracciava guardava l'ora preoccupata. Non fu mai così tenera come in quel momento, era il suo modo di spegnere il rimorso. Quando se ne fu andata le scrissi una lunga lettera... Manou, se disgraziatamente tu non mi amassi più, me lo diresti, vero? Ricorda che abbiamo promesso di essere sempre sinceri a qualunque costo. Colpiscimi una sola volta. In amore non ammetto l'eutanasia... Mi rispose il giorno dopo con quella sua carta da lettere azzurra che sapeva di verbena: Sciocco, sai bene che sono tua. Ma non tormentarmi, per favore. Sarebbe il modo per perdermi. Ti amo. Non dimenticherò mai quella lettera telegrafica che dosava sapientemente l'amore e la minaccia. Ma perché la minaccia? Per giorni rimuginai quest'interrogativo, poiché Manou per una settimana non diede segno di vita. Voleva senza dubbio rintuzzare il mio orgoglio. Ma non riuscivo a esserne irritato, amavo troppo Manou. Ma avevo l'impressione di aver capito, voleva sottomettermi, assicurarsi della mia docilità, forse non in maniera cosciente e sistematica, ma certo con sottigliezza e perseveranza. Qual era il suo scopo? Iniziai a studiarla, e questo segnò una svolta nella nostra storia. All'inizio Manou era stata il mio amore, la mia vita, un secondo me stesso. Ora la esaminavo come il personaggio di un romanzo. Studiavo la sua orbita, la sua forza di gravità. Alla fine riconobbi che era una donna come tutte le altre. Dopodiché non esitai più a interrogarla, affettando un certo distacco come se avesse perduto il suo potere di farmi soffrire. Per esempio le dicevo, fingendo di scherzare: «In fondo tu ami tuo marito.» «Ti prego, Pierre.» «Cosa ci sarebbe di strano? L'hai sposato perché l'ammiravi e sono sicu-
ro che lo ammiri ancora. È naturale, Manou. Lo capisco benissimo, sai...» Mi chinavo su di lei cercando di sorprendere una sfumatura di assenso che mi avrebbe annientato. Ma lei si girava di scatto, o chiudeva gli occhi. «No, Pierre. Non posso spiegarti. Cerca di capirmi. Non lo amo e non lo ammiro affatto, ma se lo lasciassi sarebbe come un verdetto di condanna. I suoi nemici ne sarebbero fin troppo felici. Se sapessi come la sua posizione è delicata, come viene continuamente bersagliato di critiche...» Era una risposta che mi sembrava troppo bella per essere vera. Un mese prima avrei creduto a Manou e la sua delicatezza mi avrebbe entusiasmato. Adesso non cercavo che i suoi moventi occulti, senza dubbio meno edificanti. Manou era una bestiolina istintiva, combattuta tra la fierezza e la ricerca ossessiva della felicità. Perché non lasciava Jallu? Jallu si alzò e andò alla finestra. Gli piaceva parlare girando le spalle al suo interlocutore. «Per oggi è tutto» disse. Raccolsi le penne e le mie carte. «Ha parlato spesso con Blèche, signor Brulin?» «Abbastanza...» «Le ha detto cosa pensa della diga?» «Veramente...» «Andiamo, andiamo, non cerchi di glissare. Blèche le avrà detto che la diga è condannata, come tutte le altre. È la sua idea fissa... Qual è la sua opinione, signor Brulin?» «Mi scusi, ma non sono abbastanza competente per...» «Allora la pensa come lui. Ma sì, quell'uomo mi ha fatto dei danni incredibili. E dire che... Bene, non la trattengo, signor Brulin.» Infilò i pugni nelle tasche. Era rosso di collera. Uscì senza far rumore. Il giorno non era ancora finito, ma già la valle era coperta dall'ombra della diga. Ero libero fino all'indomani. Libero di torturarmi accusando Manou, accusando me stesso, rimuginando mille tormenti forse immaginari. M'incamminai per la strada tutta curve che portava in riva al lago. Tutte quelle discussioni con Manou, e Dio sa quante ce n'erano state, erano rimaste impresse nella mia memoria. Mi ricordavo persino le intonazioni, le sue esitazioni, le sue reticenze. Quando le dicevo: «Dove stiamo andando, Manou?» Lei mi rispondeva: «Sii paziente, Pierre.» «Certo che sono paziente. E il fatto di essere paziente cambia forse qual-
cosa?» «Perché cerchi sempre di farmi male?» «Manou, non essere ingiusta. Al contrario, vorrei invece renderti felice.» E se non osavo dirglielo di persona, le scrivevo: Capisco che tu non voglia lasciare tuo marito che sicuramente non accetterebbe il divorzio. Ma forse esiste un altro metodo per risolvere il nostro problema. Purtroppo non esisteva. Avevo un bel tornare a ripensarci, non riuscivo a trovare una soluzione. Se Manou avesse parlato a suo marito della sua attività di scrittrice, avrebbe potuto fare dei viaggi con il pretesto di cercare del materiale per i suoi romanzi. Saremmo partiti insieme, per tre mesi, per sei mesi. Sarebbe bastato per salvarci. Ma dal momento che non voleva parlarne con Jallu, era inutile insistere. Allora qual era la soluzione? Se non trovavo un sistema, sentivo che il nostro amore era condannato. Ero talmente infelice che avrei accettato qualunque proposta. Così, quando intravidi una soluzione non mi chiesi se era ragionevole, o realizzabile, oppure assurda. L'accettai immediatamente e subito la proposi a Manou. Dovevo aver assunto un'aria un po' troppo solenne, perché Manou cominciò a burlarsi di me. «Aspetta, caro, so che stai per dire una sciocchezza... Ti è piaciuto il mio tè?» Quel giorno aveva provato a fare un tè alla menta, ed era delizioso. Tutto quello che faceva era delizioso. E dal momento che adorava i complimenti non mancavo mai di fargliene. Ma non vedevo l'ora di spiegarle la mia idea. «Mi ami, non è vero Manou?» Lei sbuffò e io continuai di cattivo umore: «Ma no, Manou, te lo giuro. È molto importante. Se non mi ami non è il caso che continui. Allora, mi ami? Davvero? Bene, d'altro canto non puoi lasciare tuo marito, siamo d'accordo.» Posai la tazza perché avevo bisogno di affrontare le difficoltà gesticolando come un avvocato. Manou mi guardava incuriosita, gli occhi scintillanti di tenera ironia. «Allora non c'è che una soluzione, Manou. Una sola.» «Uccidere mio marito» esclamò lei ridendo. Vedendomi sconcertato e furioso aggiunse: «Scusami, Pierre. Ho voglia
di ridere oggi. Non mi capita spesso... Scusami... mi sta passando.» M'inginocchiai accanto a lei, ritirai la sua tazzina e le accesi una sigaretta. «Ascoltami, Manou. È una cosa seria. La soluzione che ho immaginato... Mi lasci parlare? La soluzione è che tu scompaia.» Manou non riusciva a capire. «È molto semplice. Immagina di essere vittima di un incidente, non so quale, non ci ho ancora pensato... Ti sto semplicemente esponendo l'idea nelle sue linee generali... Tu scompari. Tuo marito crede che tu sia morta. Fuggiamo all'estero e... E non abbiamo più problemi.» Manou non aveva più voglia di ridere. Mi carezzò la testa e mormorò: «Pierre, piccolo mio, tu sei pazzo!» «Non condannarmi troppo in fretta.» «Andiamo, Pierre, non sta in piedi! Vieni vicino a me.» Mi accomodai sul divano, deciso a insistere anche se la mia idea era completamente irrealizzabile. Non volevo più cedere. «Ammetto che di primo acchito la mia proposta possa sembrare bizzarra.» «Anche di secondo acchito. Come vuoi che io faccia a scomparire? Proponi qualcosa di concreto, di solido.» Ero battuto, perché non avevo previsto niente, non avevo preparato nulla. «Tutti i giorni delle persone scompaiono... Specialmente durante le vacanze. In mare, sui fiumi, in montagna...» «Ma tutti li cercano... E prima o poi ritrovano i loro corpi.» «Una sparizione come quella di cui sto parlando dovrebbe essere preparata accuratamente. È il nostro lavoro inventare degli intrighi.» La mia risposta era carica di amarezza. Manou mi carezzò una guancia. Ora cominciava a rendersi conto che non era un gioco, che mi ero attaccato a quel progetto insensato perché ero allo stremo, ma ci lasciammo trascinare dalla discussione. «Ammettiamo che sia vero. Sotto quale nome potrei vivere all'estero?» «Ti procurerò dei documenti falsi. È facile averli, se paghi il giusto prezzo. Non ci sono problemi.» «Io non possiedo nulla di mio.» «Lavorerò. Farò il traduttore, il professore... Potrei trovare un posto nel Vietnam, ho degli appoggi in quel Paese.» «E se incontriamo qualcuno che mi conosce?»
«Ammetti che sarebbe una coincidenza sbalorditiva.» «Ma non potremo più tornare in Francia.» «Ci tieni così tanto, in realtà?» Erano parole inutili, per conservare per un istante l'illusione di un possibile accordo. Ma sapevo benissimo che Manou era contraria, e che l'avevo profondamente ferita chiedendole di sacrificare il suo nome, la sua identità, offrendole uno squallido futuro, un esilio in capo al mondo in compagnia di un piccolo funzionario. Avevo voglia di piangere. La mia buona volontà mi aveva fatto perdere Manou. Era la prova che non avremmo mai potuto convivere. Manou aveva ragione: non ero che un bambino. «Non tormentarti così» disse Manou. «Anch'io sto cercando un sistema.» Puntellandosi con il gomito, avvicinò il suo volto al mio, così vicino che mi sembrava il volto di un'altra. «Non rinuncerò mai a te, Pierre, capisci? Mai, qualunque cosa accada!» Poi ripeté: «Qualunque cosa accada» in tono dolente, e adagiò il capo sulla mia spalla. Non parlammo più del mio progetto. Avevo di nuovo fiducia in lei. E lei in me. Per qualche tempo ritornò la felicità dei primi giorni... Avevo accelerato il passo, immerso nei miei ricordi. Mi fermai tutto sudato accanto alla garitta che sorvegliava l'ingresso della strada della montagna. Due soldati dagli abiti logori fumavano una sigaretta, passandosela a intervalli regolari. Un terzo, all'interno del posto di guardia, cucinava un piatto dall'odore nauseabondo. Alle loro spalle cominciava subito il deserto, le colline rosse che circondavano il lago scuro. La riva, alla mia sinistra, scendeva ripida fino all'acqua immobile. Una profondità di più di cento metri! Se Manou avesse visto quel lago non avrebbe più pensato che era impossibile scomparire senza lasciare traccia... Ma no, quel piano era ridicolo. E poi Manou non voleva lasciare la Francia, l'avevo subito capito, e ne ebbi ben presto un'altra prova. Mi aveva telefonato in ufficio per un nuovo appuntamento, ed era così agitata che temetti le fosse successo qualcosa. «Qualcosa di brutto, Manou?» «Più di quello che credi... Ti spiegherò.» «Dimmelo subito.» «Bene... Mio marito deve andare in Afghanistan e vuole che io l'accompagni.»
Riattaccò e io passai ancora una volta una mattinata orrenda. Mi raggiunse a casa mia. Avevo comprato dei dolci e del pollo freddo ma non avevamo voglia di mangiare. Non avevo mai visto Manou così angosciata. «Non può di certo obbligarti» dissi. «E poi mi chiedo come ti troveresti in quel Paese... L'Afghanistan è a casa del diavolo.» Presi l'atlante, ma lei non volle guardare. Si era intestardita e pareva pronta a prendersela con me. Non sapevo come calmarla. «Forse cambierà idea...» azzardai. «Lui? Non lo conosci. Se vuole che vada anch'io, è perché... No, non posso dirtelo, mio povero Pierre.» «Dimmelo, te ne prego.» «No, non insistere. Non voglio immischiarti nelle nostre storie. Tu sei pulito.» «Cosa significa?» Non mi disse altro, neanche nei giorni successivi. Tuttavia ritornai alla carica, rischiando di nuovo di ferirla. Perché non doveva dirmelo? Le giurai che nulla poteva farmi del male, mentre il suo silenzio al contrario mi offendeva. Come poteva esserci nella sua esistenza una zona proibita in cui non avevo il diritto di penetrare? In quel momento non potevo crederlo. Avevo solo il vago sospetto che mi avesse mentito dicendomi di non essere più innamorata di suo marito. Forse era obbligata a cedere ai suoi capricci per calmare la sua gelosia. M'incamminai su quella falsa pista e Manou mi incoraggiò. Parlando di zona proibita, sentivo di aver sfiorato la verità. Ma quale verità? Che cosa mi nascondeva Manou? Ma allora i miei dubbi non erano così chiari. Per me una sola domanda aveva importanza: Manou sarebbe partita? Se se ne andava, ciò avrebbe dimostrato che suo marito aveva ancora del potere su di lei. Manou sosteneva che non sarebbe partita, ma in un modo così poco convincente che vivevo ormai in un delirio continuo. Dovevano partire alla fine di aprile, diciamo dopo tre settimane, e io cominciai a immaginare dei progetti, uno più irrealizzabile dell'altro. In realtà non avevo alcun sistema per trattenere Manou. E non tardai a capire che a mia insaputa stava già facendo i preparativi per il viaggio. A volte arrivava in ritardo, e sosteneva, distogliendo lo sguardo, che la metropolitana aveva tardato. Sapevo che era stata in un grande magazzino. Un giorno le sfuggì: «Povero caro, quando io...» Finii la frase per lei: «Quando io non ci sarò... Volevi dire così?» «Non essere maligno, Pierre.» Per lei ero maligno quando riuscivo a vederci chiaro. Non mi ero mai
sentito così male. Avevo sofferto i dolori dell'attesa, della gelosia, del dubbio, della disperazione, ma non avevo mai avuto paura. E ora una specie di terrore mi rodeva quando immaginavo Manou separata da me da migliaia di chilometri di distanza. No, non avrei potuto resistere. Se lei se ne andava, anch'io dovevo partire. Quell'idea crebbe in me come un tumore. Cominciai a informarmi dettagliatamente sull'Afghanistan. Sarebbe stata per me l'occasione di perfezionare il mio persiano. Manou mi disse che Jallu conosceva soltanto l'inglese e il tedesco. Questo favoriva il mio piano. Andai immediatamente a parlarne al mio direttore. Sei mesi di congedo? Era molto. E per quale motivo? Inventavo le mie ragioni sul momento: volevo scrivere un romanzo, un'idea nuova alla quale pensavo da tempo. Ma avevo sempre esitato, perché l'Afghanistan è in capo al mondo. «Cosa? L'Afghanistan?» «Sì, è un Paese in pieno sviluppo, ricco di faide e di intrighi politici. Un Paese meno sfruttato di molti altri, tuttavia. Praticamente ignorato dal grande pubblico, l'ambiente ideale per un'azione romanzesca...» Ormai ero lanciato, ricamavo con tutta la mia abilità oratoria. Il mio direttore mi ascoltava sorridendo, senza lasciarsi del tutto ingannare. Non volevo intraprendere un simile viaggio a spese della casa editrice, ma sapevo che un'importante società costruttrice avrebbe mandato a Kabul un esperto, l'ingegner Jallu, e che quell'esperto non aveva un interprete qualificato. Bastava insomma che mi raccomandassero a Jallu, al quale avrei fatto un vero piacere se lo avessi accompagnato. Non potevano rifiutarmelo. La casa editrice aveva già sovvenzionato due o tre viaggiatori e... «Bene, bene» disse il mio capo. «Non le prometto niente, ma tenterò. Se tutto si sistema, le potremmo dare quattro mesi.» La sera stessa avevo la risposta di Jallu. Mi aspettava il giorno dopo alle undici nel suo ufficio. Ero talmente eccitato che per la prima volta dissi a Manou che non potevo incontrarmi con lei. Intuì immediatamente che era successo qualcosa d'insolito. «Pierre... Pronto? Pierre, stai bene?» «Benissimo, te lo assicuro. Devo soltanto finire un lavoro urgente e poi il padrone ha convocato tutti i capi servizio. La riunione finirà molto tardi.» «Mi sembri contento, Pierre. O sbaglio?» «Contento? No, non particolarmente.» «Allora, domani? Prima di sera?»
«Certamente. Arrivederci, cara Manou.» La notte era calata all'improvviso, immensa e ostile, le stelle aride come ciottoli. Mi sedetti su una roccia ancora rovente. Jallu mi aveva ricevuto tra una telefonata e l'altra. Giusto il tempo di esaminarmi e di dirmi: "D'accordo. Discuterà i dettagli con il mio segretario". Un istante più tardi mi chiedevo ancora se era proprio vero quello che era successo. Ero andato al colloquio nello stato d'animo di un candidato poco sicuro di sé e che si aspetta di dover sostenere un duro assalto. Invece Jallu era stato distratto, stremato dal troppo lavoro. «È sempre così?» «No» mi rispose il segretario. «Ma in questo momento non so che cos'abbia. Credo che quel viaggio gli abbia dato un sacco di problemi.» E mi spiegò a sua volta che Jallu aveva molti nemici, che tutti gli mettevano dei bastoni tra le ruote e che se falliva questo nuovo affare sarebbe finito come ingegnere in un'impresa di secondo piano. «Sarebbe la sua morte» concluse. Rivedevo gli occhi grigi e affaticati che mi avevano fissato. Anche il segretario sembrava stremato. «E se fallisce?» «No, dicevo così per dire, naturalmente. Lui non può fallire.» «Ciononostante immaginiamo che avvenga.» «Allora sarebbe completamente rovinato. O forse peggio... Non posso entrare nei dettagli, perché lei non è del mestiere, ma deve capire che gli interessi in gioco sono molto complessi. Il signor Jallu non può più fare il minimo errore. Al primo incidente salta. E in questo caso...» Il segretario fece un ampio cenno che voleva sottintendere che tutto sarebbe stato spazzato via, la ricchezza, l'onore, la vita... Manou... «Non esageriamo» si affrettò ad aggiungere. «Non siamo a questo punto. Ma lei potrà aiutarlo più di quello che possa pensare. Dal momento che sta scrivendo un libro, perché non parla di un uomo come il signor Jallu? Perché non racconta la storia di una diga? È appassionante, sa. Come una battaglia, perché è una battaglia. Ma la gente non lo sa. Il signor Jallu è solo. Lei non immagina quanto.» «Via...» «Proprio così.» «Ma c'è lei ad aiutarlo, no? E la signora Jallu.» Il segretario mi offrì una sigaretta e il suo accendino.
«Partirete tra una decina di giorni» continuò. «Mi occuperò io di tutti i dettagli. Non si preoccupi. Venga a parlarmi la prossima settimana.» «Sarò sullo stesso aereo dei signori Jallu?» «Naturalmente.» La mia domanda dovette sembrargli sciocca ma la sua risposta mi riempì di gioia. Corsi ad avvertire il mio direttore. Non ricordo bene cosa feci aspettando Manou. Non è vero. Comprai un volume sulle dighe. Era pieno di formule, di equazioni, di schemi, e mi abbandonai all'impressione deliziosa di essere travolto dagli avvenimenti. Ero in partenza! In viaggio con Manou! Non volevo più pensare a Jallu. E continuavo a ripetermi che non era poi così temibile e che avevo avuto torto a preoccuparmi così tanto per quel colloquio. Un uomo braccato, ecco quello che era. Avrebbe fallito l'affare, sarebbe stato spazzato via e mi avrebbe lasciato Manou. Comprai dei fiori, molti fiori. Non riuscivo più a connettere le idee e impiegai un'ora a vestirmi. Manou comprese immediatamente. L'abbracciai. «Non sei seccata? Rispondi, Manou... Ho fatto bene, non è vero? Non potevo agire in altro modo; rifletti! Tu laggiù e io qui, non era possibile!» Ero già all'arringa della difesa. Ancora una volta ero colpevole. Ancora una volta le chiedevo scusa per averla troppo amata. Ascoltava le mie spiegazioni con gli occhi socchiusi, il volto teso, il corpo irrigidito in un atteggiamento di rifiuto. Avevo un bel dimostrarle che il mio piano era perfetto e non comportava alcun rischio. Scuoteva il capo come se avesse deciso alla fine di rompere. Ormai non era più il viaggio a essere messo in questione, ma il nostro amore. «Non volevo ferirti. Dovevo agire in fretta, prendere subito una decisione. Pensavo che saresti stata d'accordo... Non potevo chiederti il permesso d'incontrare tuo marito.» «Ma come puoi immaginarci tutti e tre insieme, ogni giorno, per settimane e settimane!» «Ah! Non avevo guardato tanto lontano!» La lasciai e mi infilai le mani in tasca perché lei non vedesse che tremavano. Il suo dito guantato mi sfiorò una guancia. «Povero Pierre, non pensi mai a nulla. No, ti prego, non arrabbiarti. Soltanto, rifletti. Cosa diverrei io tra voi due? E tu che faccia farai quando ti augureremo la buona notte? E lui che capisce tutto, persino i silenzi, soprattutto i silenzi, credi che accetterà?» «Allora cosa proponi?»
Prese un garofano e lo mordicchiò nervosamente. Che cosa mi avrebbe proposto? «Sii paziente, Pierre...» «Bene, capisco.» Presi il telefono. «Cosa fai?» «Annuncio le mie dimissioni. Non ho altra scelta, mi pare.» «Aspetta!» Mi obbligò a posare la cornetta, si guardò attorno, come per raccogliere tutte le forze contro di me. «Ti chiedo un giorno, un giorno soltanto. Ti chiamerò domani sera. D'accordo?» Mi baciò sulle tempie dolcemente, poi la porta si chiuse senza rumore. Volevo inseguirla, chiamarla. Era forse un addio? Non l'avrei più rivista? Quella tregua non era stata che un trucco per liberarsi, un modo elegante per andarsene evitando i rimproveri, il sarcasmo, le minacce e le lacrime di una rottura? Il nostro amore era morto. E ancora non sapevo cosa sarebbe successo... 3 Feci qualche passo nell'oscurità. Di nuovo quella fitta... Mi sentivo soffocare. Lanciai con tutte le mie forze un sasso nel lago, che si estendeva ai miei piedi. Sentii il tonfo lontano dell'impatto e provai a immaginare il tragitto della pietra, inghiottita da cento metri di acqua scura fino a toccare il fondo della valle allagata. Come sarebbe stato facile simulare un incidente in quel lago! Manou aveva riso quando le avevo proposto di scomparire, ma se avesse visto... Ero uno sciocco a pensare che avrebbe accettato qui quello che a Parigi aveva rifiutato con tanta ostinazione. D'accordo, si era finalmente decisa a venire, ma questo non cambiava nulla. Se avesse mutato opinione mi avrebbe scritto. Bastava che battesse a macchina l'indirizzo, Jallu non controllava la mia posta. E, invece, non una lettera, non un biglietto. Il nulla. La notte. Tuttavia, a Parigi... Avevo aspettato la sua telefonata come un malato attende il risultato di un'analisi. Era veramente una questione di vita o di morte. Ricordo che in ufficio avevo preso un foglio e avevo provato a elencare in una colonna
tutti i miei dubbi e in un'altra tutte le mie speranze. Era una fatica inutile e puerile, poiché non riuscivo a raggranellare nulla di palpabile, di oggettivo. Nulla che potesse essere espresso, definito a parole. "Sentivo" che Manou mi nascondeva qualcosa, Avevo "l'impressione" che il suo segreto non fosse piacevole, che lo difendesse con accanimento, temendo il mio disprezzo se ne fossi venuto a conoscenza. Ma quando tentavo di dar corpo a questa fuggevole intuizione mi sembrava invece di allontanarmi dalla verità. Come nei giochi dei bambini, quando i compagni indirizzano beffardi le ricerche maldestre di un oggetto nascosto con "Fuoco" e "Acqua". Quand'ero "Fuoco" e quando "Acqua"? Quando sospettavo Manou di servirsi di me? Tuttavia era sincera quando diceva: "Non rinuncerò mai a te, qualunque cosa succeda...". Ma perché quella conclusione così grave e così drammatica? Che cosa doveva succedere? Vagavo in una foresta di dubbi, che mi graffiavano quando cercavo di attraversarli. Manou mantenne la promessa. Mi telefonò. Sì, era d'accordo. Avrei accompagnato Jallu, e avremmo tentato. La voce era triste, rotta, come se avesse pianto a lungo. Io invece non riuscivo a parlare per la gioia. Quella sera camminai a lungo per la città addormentata, sussurrando per gioco che amavo Manou in tutte le lingue e dialetti che conoscevo, dal turco al bengali. Il giorno dopo venne a casa mia, ma, quando volli ringraziarla, mi chiuse la bocca dolcemente con la mano guantata: «Zitto! Non parliamo del viaggio, per favore.» E allora cominciò il periodo più bizzarro del nostro amore, forse il più piacevole. Ci incontravamo tutti i giorni verso sera. Avevamo ripreso le vecchie abitudini, e Manou era tornata appassionata come un tempo. Sapevamo di essere giunti a una svolta importante, ma io mi sentivo come un soldato in licenza dal fronte, che conta suo malgrado i giorni che passano e pensa che ogni carezza potrebbe anche essere l'ultima. Ed ero sicuro che anche Manou provava la stessa sensazione. Ci abbracciavamo, sperduti l'uno nell'altra, e i nostri sorrisi avevano qualcosa di forzato, di fittizio. Parlavamo senza interruzione, in una continua finzione d'allegria, consci che un istante di silenzio sarebbe stato insostenibile. Paradossalmente, non eravamo più "insieme". «Pierre» mi disse una sera «vuoi venire a casa mia?» «Ma... e tuo marito?» «Domani sarà a Bruxelles per lavoro. Vieni, ti prego.» «Ma non pensi, Manou, che...» «Non faccio altro che pensare in questi ultimi tempi» m'interruppe. «Per
favore, vieni. Mi hai sempre detto che avresti voluto vedere la mia casa, e sarò felice di fartela visitare. La cameriera è tornata in Alvernia dai suoi, saremo soli.» Non insistette, ma io compresi le sue intenzioni e l'abbracciai, cullandola teneramente per dimostrarle la mia gratitudine. Lei che era sempre stata così prudente, troppo prudente, ora mi concedeva tutto come se all'improvviso avesse preso una decisione estrema. Ma non si abbandonò nelle mie braccia. Era tesa, in guardia. Avrebbe potuto lasciarsi andare, svelarmi i suoi pensieri. La guardai. Sorrideva e pareva sorridere più a se stessa che a me. Cosa esprimeva quel sorriso? Gioia? Trionfo? Si vendicava di Jallu? O era semplicemente felice di aver vinto la sua incertezza? «Abito a Neuilly» mi disse. «All'angolo di rue de la Ferme con rue Saint-James. Vedrai, il giardino è circondato da un'inferriata. L'ingresso principale è in rue de la Ferme, poi c'è una porta secondaria che dà su rue Saint-James. Naturalmente tu passerai dal cancello principale.» «A che ora?» «Facciamo per le nove. È un quartiere tranquillo, non incontrerai nessuno. Ti aspetterò, dovrai soltanto battere due colpi col batacchio del cancello. Vuoi venire, vero?» Certo che lo volevo! Era da settimane che lo desideravo. L'attesa, il giorno dopo, fu la più lunga e angosciosa di tutte. Le sigarette mi nauseavano, i libri non riuscivano a trattenere la mia attenzione. Ricevetti per posta il biglietto dell'aereo. Andai alla banca, feci qualche acquisto. Come vivevo prima di conoscerla? Come riuscivo a passare il tempo? La mia esistenza allora era ricca di piccoli momenti piacevoli. Chiacchieravo con gli amici, leggevo dei manoscritti, andavo alle prove generali di qualche spettacolo teatrale. Assaporavo ogni istante, mentre ora ero come un condannato che al mattino sa che la sera è terribilmente lontana, e che non servirà a niente pensare o non pensare, camminare o restare immobile. L'unica mia attività era torturarmi, trasformare la mia attesa in una sorta d'inebetito tormento. Se Manou mi invitava ad andare da lei era forse per dirmi che per tutto il viaggio non mi avrebbe più rivolto la parola. O che avrebbe cercato un sistema per non partire. Oppure... Ormai ero un asso in quel drammatico gioco, e quando finalmente mi diressi a Neuilly la mia gioia si era tramutata in un'ansia carica di diffidenza. Osservai la casa da lontano. Era una villa grande ed elegante, un vero e proprio palazzo, di cui non potevo scorgere che il primo piano con le finestre sbarrate e il tetto a mansarde. L'alto cancello nascondeva ai passanti la vista della casa e
dell'ampio giardino. Pensai che non doveva essere allegro per Manou stare da sola in una villa così grande... Mi avvicinai al cancello e battei due colpi come convenuto. Manou venne ad aprire. Mi affrettai a entrare, pieno di timore, e la baciai castamente sulle guance. Si era messa per me un abito da sera, il che mi metteva in soggezione. Non ero a casa di Manou ma a casa della signora Jallu. Per un secondo ebbi voglia di fuggire. Mi prese per mano con un gesto grazioso da ragazzina e mi condusse per il lungo viale che portava a una scalinata di quattro o cinque gradini. Il viale era bordato da una fitta siepe di alberi, due muri oscuri che sbarravano la vista a sinistra e a destra. «Ti piace vivere qui?» le chiesi. «Sopravvivo!» «Strano, non riesco a immaginarti in questo posto.» Tutto mi sembrava strano, forse a causa della notte che era caduta all'improvviso, silenziosa. Certo di giorno quel giardino recondito mi sarebbe piaciuto, avrei trovato elegante quella facciata con il suo frontone e i suoi due pilastri, che ora invece mi sembrava pretenziosa e vagamente ostile. Ancora una volta pensai che non sarei dovuto venire. Manou scivolò nell'ombra del vestibolo e accese la luce. Chiuse la porta alle mie spalle. «Ti piace?» Avrei voluto dimostrarle un poco della gioia che lei si aspettava. Ma mi sentivo sempre più imbarazzato, il mio sorriso fu alquanto stentato. «Fammi vedere il museo.» «Oh, sai, è presto fatto. Questo è il salone.» Accese un lampadario, che illuminò delle sagome bianche accovacciate. I mobili erano già coperti da teloni. Non avevo alcuna voglia di entrare. Manou fece due o tre passi, si guardò intorno. Il gioiello che le fermava una spallina lanciava lampi cangianti. Era come se anche lei fosse in visita. Attraversammo in silenzio la casa morta. Gli alti specchi riflettevano le nostre sagome fugaci. Le stanze sapevano già di chiuso. Era il museo dell'assenza e Manou non era che una delle sue ombre. «Manou» sussurrai «dev'esserci pure una stanza tutta tua... È quella che io voglio vedere...» Mi precedette sulle scale e al primo piano ricominciò a spalancare delle porte sul vuoto. «La stanza degli ospiti... La stanza di mio marito... Lo spogliatoio... La mia stanza...»
Era lì che viveva. Mi fermai per un momento sulla soglia, circondando con un braccio le sue spalle. Il letto, le poltrone, lo scrittoio, il tavolino a tre gambe. Con una sola occhiata avevo preso possesso di tutto. E avevo ritrovato il profumo di Manou, che avrei riconosciuto tra mille perché era il profumo dell'erba, dell'alba, dell'estate. Qui il mio amore mi attendeva intatto. Manou sollevò il capo e io mi chinai su di lei. Cercando di trattenere il mio fervore posai le labbra sui suoi occhi, sulla sua bocca. «Manou, tesoro» le dissi «non ci sarà nessun'altra dopo di te, lo sai?» «Sciocco, vieni a sederti.» Ma una tenera curiosità mi spingeva da un soprammobile all'altro. Volevo vedere tutto, toccare tutto, respirare tutta l'atmosfera di quella stanza. Passavo dal letto allo scrittoio, esplorando i cassetti, spostando ogni cosa, e Manou mi guardava con un sorriso di giocosa complicità. Quei piccoli tocchi da predone la divertivano, la commuovevano, la turbavano. «E questo cos'è?» «Il mio carillon, aprilo...» Sollevai il coperchio dello scrigno, e una melodia fievole, appassita, un po' falsa, si alzò nel silenzio. La Trota di Schubert. Manou ne canticchiò l'aria a bocca chiusa. Ogni tanto si fermava per dare al meccanismo il tempo di eseguire i passaggi più difficili, poi riprendeva a canticchiare, segnando dolcemente il tempo come se avesse voluto incoraggiare l'invisibile musicista che s'imbrogliava nelle sue note e tentennava sulla sua spinetta. Alla fine sollevò un poco la gonna e accennò una riverenza. Il fascino perfetto di quell'istante mi fece applaudire. Manou arrossì, ma le scintillavano gli occhi. Mi indicò lo scrigno. «Guarda all'interno.» Vi erano conservate le mie lettere nelle loro buste. Estrassi un foglio e lei ne lesse ad alta voce qualche passo, appoggiandosi a me. «Scrivi meglio di me» osservò poi. «Forse perché riesci meglio a mentire.» «Manou, ti impedisco...» Mi abbracciò. Dio, ho vissuto quel momento! Quell'istante è esistito davvero. E adesso... Cercai la serratura del piccolo scrigno. «Non c'è» mi disse Manou. «Allora chiunque potrebbe... Anche tuo marito...» «Non viene mai qui.» Tra le lettere c'era uno spesso quadernetto che Manou mi strappò dalle
mani. «Questo no, è il mio diario. Ogni sera mi racconto la mia giornata. Tu non puoi capire, sei un uomo.» «Posso leggere? Soltanto una pagina...» «No, per favore.» «Chi ti ha regalato il carillon?» «Nessuno, era dei miei nonni.» Mi avvicinai al caminetto sul quale c'era una fotografia. «I miei genitori» disse Manou. «Un mese prima dell'incidente. È per questo che ci tengo così tanto.» L'uomo era alto, bruno, con i baffetti sottili. Il volto di sua moglie, nascosto in parte da un cappello di paglia, pareva sofferente. «Non ti assomigliano» osservai. «La mamma era malata, allora. Le donne nella nostra famiglia non sono molto forti. Sua sorella, la zia Lea, ha un cancro, sta morendo.» Imbarazzato, andai alla finestra, una bizzarra finestra ad angoli smussati. Attraverso le persiane potei notare il giardino e il tratto di strada illuminato da un alto lampione, attorno al quale ronzavano gli insetti. Un vialetto fiancheggiato da una spessa siepe si dipartiva dalla casa e conduceva alla porticina della rue Saint-James. Manou mi era venuta accanto. «È un peccato, non abbiamo tempo di occuparci del giardino. Del resto, con una casa così, avremmo bisogno di diversi domestici. E mio marito trova già la cameriera troppo cara.» Mi girai verso Manou e le sollevai il volto con una mano: «Lascia stare. Per stasera non pensarci. Tra due giorni saremo in Afghanistan, e vorrei che questo viaggio fosse per noi una vera vacanza.» Cercò di scuotere il capo per protestare, ma la mia stretta la trattenne. La fissai negli occhi con una certa durezza. «Manou, te lo prometto, sarò prudente. Tuo marito non si accorgerà di nulla. Starete tranquilli come se non ci fossi. Voglio soltanto vederti. Tutti i giorni. Avremo un codice, capisci? Quando dirai: "Che caldo!" vorrà dire: "Ti amo". È una frase che potrai ripetere tutti i giorni.» Scoppiai a ridere, eccitato da quell'idea, e Manou, trascinata dalla mia allegria ripeté: «Che caldo!» «Ora tocca a te inventare un codice.» «Bene... Quando dirai: "Ho sete" vorrà dire: "Ho voglia di abbracciarti".»
«Ottimo, Manou. Allora ho sete.» «Cosa?» «Ho sete, non capisci? Ho sete. Ho sete.» L'abbracciai e lei cercò di liberarsi. «No, Pierre... Ti prego... Non qui.» Nella sua voce c'era un tale terrore che la lasciai andare immediatamente. Mi aggirai lentamente per la stanza, esasperato e pronto a risponderle con durezza. Tutti quegli oggetti, tutti quei mobili erano un regalo di Jallu. I gioielli nel cofanetto d'avorio sul comodino erano di Jallu. Persino il numero sul telefono bianco era quello di Jallu. Insomma, a parte il mio budda d'avorio sullo scrittoio, tutto apparteneva a Jallu. Persino Manou, soprattutto Manou. «Pierre... Non volevo ferirti.» «Figurati, ci sono abituato!» «Vedi, ti sei offeso! E non siamo ancora partiti. Allora, cosa farai in Afghanistan?» «Non dovevo venire qui.» «Aiutami, Pierre. Ti prego.» Mi voltai a guardarla. In quel momento squillò il campanello a pianterreno. «Tuo marito?» «No, dev'essere mia cognata.» Scivolò accanto alla finestra, ma l'alto cancello nascondeva ai nostri occhi il marciapiede. Eravamo immobili, raggelati. Il campanello suonò ancora una volta, a piccoli colpi discreti e ben distanziati, come la campanella del parlatorio. «È lei» sussurrò Manou. «Riconosco il suo modo di suonare.» «Tuo marito ha una sorella?» «Sì, ti pare strano?» «No, semplicemente non lo sapevo. Devi proprio andare ad aprirle?» «Sono costretta, è venuta da Nizza per salutarci. Se non le apro, telefonerà a René, e lui si preoccuperà, lui sa che di sera io non esco mai. E poi ha sicuramente visto la luce... Mi dispiace, Pierre.» «Vuoi che me ne vada? Ma come...» «Vieni.» Mi trascinò verso le scale, mentre il campanello suonava per la terza volta con maggior forza. Mi condusse in cucina, in fondo all'atrio. Prese due chiavi unite da un anello e appese al muro.
«La più grande apre la porta di rue Saint-James» mi spiegò a bassa voce. «L'altra è quella della cucina, non confonderti. Sbrigati, nessuno ti vedrà uscire. Tieni le chiavi, io ne ho un altro paio. Non sei offeso?» «Manou, amore.» La strinsi a me come se fossi conscio di perderla. Poi m'infilai furtivamente nel vialetto laterale che conduceva alla porta posteriore. Una volta uscito, me ne andai lentamente verso l'incrocio, come un qualunque passante notturno. Rue de la Ferme era deserta. Mi accostai al cancello, tendendo l'orecchio, ma non udii alcun rumore. Presi un taxi e tornai a casa. Non ricordo cosa feci nei due giorni seguenti. L'attesa della partenza fu lieve, perché ero sovraccarico di impegni. Il segretario di Jallu mi augurò buon viaggio. «Soprattutto, sia puntuale, non li faccia aspettare. In questo periodo è fuori di sé!» Avrei voluto chiedergli di Manou, ma in ogni caso lei sarebbe stata a Orly come previsto. Ormai niente l'avrebbe trattenuta dal partire. Non le scrissi nemmeno al suo fermoposta. D'altronde era troppo tardi, non sarebbe più andata all'ufficio postale. Dovevo telefonarle? E perché poi? Soltanto per il piacere di sorprenderla in casa? E se era Jallu a rispondere? Nessun problema, avrei riattaccato fingendo di aver sbagliato numero. E se mi rispondeva lei? Non avevo più niente da dirle, avevamo già fissato tutti i dettagli della partenza. Di scrupolo in scrupolo, di esitazione in esitazione, mi decisi infine a chiamarla, mentre il cuore mi batteva all'impazzata. Lasciai che il telefono squillasse otto volte prima di rinunciare. Non c'era nessuno. Meglio così. Passai la serata al cinema e poi dovetti prendere un sonnifero per addormentarmi. Non volevo più pensare a quell'impossibile viaggio. Perché Manou aveva ragione. Che cosa sarei diventato accanto a loro due? Jallu mi avrebbe trattato con disinvolta sicumera e io non avrei sopportato di essere umiliato davanti a Manou. Magari avrebbe maltrattato sua moglie e io non avrei avuto la forza di mordere il freno. E se non avesse fatto attenzione a noi due, avrei anche potuto commettere qualche imprudenza. Magari... la lista dei "magari" era infinita. Costeggiavo il lago fumando una sigaretta dopo l'altra. Il freddo cominciava a farsi sentire e le stelle brillavano come da noi in inverno, vicine, aspre, come cocci di vetro. Le difficoltà che mi avevano spaventato alla vigilia della partenza, le avrei ritrovate intatte l'indomani, quando Manou sarebbe finalmente arrivata. Inspiegabilmente, ormai non mi facevano più
paura. Forse perché mi ero abituato a Jallu. Invece, quando un taxi mi condusse a Orly, Jallu mi spaventava ancora. Non avevamo preso il pullman insieme. Non so perché, ma l'incontro mi sembrava meno preoccupante nel frastuono degli aerei in partenza che al buffet del terminal degli Invalides. Arrivai con più di un'ora di anticipo, e iniziai a passeggiare nervosamente nell'immensa hall tra un berciare di altoparlanti. Ero molto più agitato di quel che volessi dimostrare anche a me stesso. Quel viaggio mi eccitava, l'Afghanistan mi aveva sempre attirato. Ma soprattutto mi sarei trovato per la prima volta nel mondo esterno con Manou. Finora c'era stato soltanto quel pranzo nel ristorante di boulevard Saint-Germain, all'inizio della nostra relazione. Ma non contava, perché dopo quel breve episodio ci eravamo sempre incontrati di nascosto. Non avevo mai camminato per strada accanto a Manou. Non mi ero mai seduto con lei nel déhors di un caffè. Insomma, aspettavo una sconosciuta. Avrei scoperto una donna nuova e quasi ignota, perché non sapevo come si comportava con suo marito, come gli parlava, come lo guardava. Claire Jallu non era la stessa persona di Manou. Scossi le spalle, ecco che romanzavo già il nostro nuovo incontro. Sarebbe sempre stata Manou dopotutto! Ancora una mezz'ora. Il Boeing per Rio rollò lentamente sulla pista, poi prese il volo. Mi rifugiai nel bar per sfuggire a quel frastuono che mi faceva battere i denti. Non dovevano più tardare. Provavo un senso di angoscia mentre cercavo di scorgere la sagoma di Manou nella folla dei viaggiatori indaffarati. E allora vidi Jallu. Solo. La cosa non mi sorprese. Mi ricordo che dissi fra me: "Era inevitabile!". Sì, Manou era riuscita a non venire con noi, l'avevo previsto. Jallu mi stava cercando. Mi alzai a fatica. Avevo ancora qualche istante per decidere: potevo tornare a Parigi, rinunciare al viaggio, restare con Manou. E invece andavo a incontrare Jallu. Mi strinse la mano in modo amichevole, e mi diede le spiegazioni che attendevo. La zia di Manou stava morendo e Manou aveva deciso all'ultimo momento di ritardare la partenza. Questione di giorni. Jallu cercava di mostrarsi indifferente, ma dietro la sua maschera c'era indubbiamente della collera e persino della violenza, insieme a qualcos'altro che non riuscivo a individuare. Lo capii in seguito, quando litigò con Blèche. Jallu a Orly aveva lo stesso aspetto di quando licenziò Blèche. Certo tra lui e la moglie doveva esserci stata una violenta scenata. Salimmo sull'aereo e pochi istanti più tardi Parigi scompariva alle nostre spalle. Lasciavo Manou per un lungo periodo, forse per sempre, perché la malattia
della zia non era che una scusa. Manou non aveva voluto accompagnarci. Ma in quel momento quell'idea non era ancora così netta e precisa. Era un pensiero che non prese corpo che poco a poco, quando ebbi il tempo di riflettere con calma su tutti quegli avvenimenti. Manou aveva una ragione precisa per non venire. Manou mi aveva ingannato. E invece sarebbe arrivata con il prossimo aereo. Dunque mi ero sbagliato. Ero andato troppo in là con i miei sospetti e le mie paure. Ero un individuo che non voleva conoscere la felicità. Decisi di abbandonare le mie inquietudini. Manou mi amava. Il suo comportamento non era stato né strano né ambiguo. E io ero felice, felice, felice... Ritornai malinconicamente alla diga e mi coricai senza riuscire a prendere sonno. Il giorno dopo fu esattamente identico ai precedenti: colazione, lavoro, pranzo, Kabul, ritorno alla diga, cena... E sempre quel calore inumano che cuoceva le pietre. Jallu era taciturno come al solito. Nemmeno l'arrivo imminente di sua moglie riusciva a distrarlo dalle sue preoccupazioni. Al contrario, io non riuscivo a trattenermi dal seguire Manou con il pensiero. Alle diciotto da Orly... No, bisognava tener conto del fuso orario... Come si sarebbe vestita? Cosa si sarebbe portata in Afghanistan? Mi mettevo a sognare davanti a una carta geografica, pensavo a tutti gli incidenti possibili. Se almeno mi avesse scritto, rivelandomi tutti quei piccoli dettagli che aiutano gli amanti lontani a sopravvivere, avrei potuto immaginare qualcosa di più preciso. Invece vedevo una donna in abito da sera errare in una casa deserta tra degli spettri di mobili, una Manou sempre meno reale, quasi annientata dalla lontananza e dal silenzio. «Domani mattina» mi disse Jallu «dopo colazione lei mi accompagnerà a Kabul, signor Brulin. Avrei voluto andare io stesso a prendere mia moglie all'aeroporto, ma ho un incontro molto importante nel pomeriggio. Vuol essere così gentile da andare lei al mio posto?» «Ma...» «Oh! Non avrà problemi a riconoscerla. Non c'è molta gente all'aeroporto di Kabul. Ci ritroveremo al bar del Cecil Hotel.» «Ma lei si stupirà se...» «Sicuramente no. Conosce benissimo l'importanza della partita che sto giocando in questo posto. Spero che non le dispiaccia...» «Al contrario, me ne occuperò ben volentieri.» «È già tutto pronto» disse seccamente Jallu. «Ho fatto preparare una camera per Claire accanto alla mia. Il pranzo sarà servito alle due.»
«Non crede che se è stanca...» «Claire, stanca! È molto più resistente di me!» La decisione di Jallu, che non avevo previsto, mi riempiva di gioia. Così Manou e io avremmo avuto un'ora buona per rivederci, chiacchierare teneramente e prepararci ad assumere un aspetto di circostanza per il ritorno di Jallu. La prova così sarebbe stata meno difficile. Passai le ore successive in uno stato d'animo singolarmente distaccato, come se avessi preso una droga. La Land Rover volava sulla strada di Kabul. «A presto» mi disse Jallu. «Faccia a Claire le mie scuse, e ancora grazie.» L'aeroporto. Il parcheggio. Non riuscivo più a star fermo. Nonostante il calore, rimasi fuori, a passeggiare lungo il recinto. Quando l'altoparlante annunciò il Boeing mi sentii girare la testa. Le gambe erano diventate di piombo. L'aereo scintillante atterrò a una notevole distanza, rollò a lungo sulla pista, poi descrisse un semicerchio e si avvicinò lentamente, mentre gli addetti dell'aeroporto spingevano in avanti l'alta scaletta. Non riuscivo più a muovermi. Il portellone ovale si aprì nel fianco dell'apparecchio. I viaggiatori cominciarono a scendere... Molti uomini... Una donna... Poi un'altra... Mi tolsi gli occhiali da sole e per un istante il riverbero inghiottì le loro sagome. In tutto, soltanto quattro donne scendevano lentamente la scaletta, con le borse da viaggio azzurre sotto braccio. Avrei dovuto riconoscerla. I viaggiatori s'incamminavano a piccoli gruppi. Uno dei piloti scese di corsa ridendo, e andò a raggiungere una hostess. Sulla scaletta non c'era più nessuno... Impossibile! I viaggiatori erano entrati nell'edificio della dogana. Continuavo a cercarla stupefatto. Era in ritardo... Forse una borsetta dimenticata... Un documento perduto... Ma già sentivo dentro di me una voce che non sarei più riuscito a zittire: "Non è venuta... Non verrà più... Non la vedrai mai più... È finita, Manou. È finita! È finita!". «Il signor Brulin?» Mi girai di scatto. Di fronte a me c'era una giovane donna. Aveva posato sul cemento le due valigie e si asciugava le mani sudate con un minuscolo fazzoletto. «Vedo che sta aspettando qualcuno» continuò. «Anch'io. Lei è il signor Brulin?» «Sì.» «Io sono la signora Jallu.»
Rise senza dimostrare il minimo imbarazzo e mi strinse la mano. «È stato gentile a venire» disse. «Lo sapevo che René sarebbe stato occupato. Sta bene?» «Sì.» Rispondevo come un automa. Era come se un altro me stesso avesse preso galantemente le valigie e si stesse dirigendo verso la jeep. Io non facevo che seguirlo. Continuavo a ripetermi: "È un'insolazione. Sicuramente un'insolazione". Ma la giovane donna che mi trotterellava accanto era vera, esisteva realmente. Cominciai a poco a poco a esaminarla con più attenzione, con una diffidenza unita a un certo disgusto. Era piccola, bionda, minuta, i capelli raccolti all'indietro in un artistico chignon. Molto chic, molto disinvolta. Come poteva sperare d'ingannare Jallu? E cosa significava quella commedia? Parlava incessantemente, entusiasta di essere arrivata e di scoprire un Paese nuovo. Il viaggio era stato piacevole, a parte un po' di turbolenza sul Mediterraneo. Sull'aereo aveva incontrato un amico di suo marito, Georges Larue, un ingegnere minerario, e così il tempo era passato in fretta. Mi accorsi che se continuavo a stare in silenzio mi avrebbe considerato un maleducato. «Mi dispiace per sua zia» le dissi. «Ah, René gliel'ha detto. Molto triste, povera zia Lea. Le ero molto affezionata, non avevo che lei.» «E i suoi genitori?» «Li ho perduti molto tempo fa in un incidente d'auto.» Sistemai nervosamente le valigie sulla Land Rover. Non avevo il tempo di riflettere, ma cominciavo a odiare quella donna tranquilla, sicura di sé, che mi si era seduta accanto sorridendo gentilmente. «Il signor Jallu ci raggiungerà al bar del Cecil Hotel» le dissi, e partii bruscamente. Le mie mani tremavano mentre reggevo il volante. Avevo fretta di vedere Jallu per chiarire quella sciocca commedia. Guidai a tutta velocità fino a Kabul. La sconosciuta sembrava adorare la velocità. Si tolse gli occhiali da sole e offrì il volto alla brezza ardente. «Dietro c'è un casco anche per lei» le gridai. Non si mosse. Forse non mi aveva sentito. Per poco non la insultai. Avevo l'impressione che Manou si fosse presa gioco di me in una maniera atroce. Aveva mandato un'altra al suo posto? Impossibile. E in questo caso come spiegare la calma di quella donna? Rallentai e parcheggiai l'automobile all'ombra, in un vicolo accanto
all'hotel. «Mio marito mi aveva avvertita, ma ciononostante mi aspettavo che la città fosse più grande. Non è brutta... Anzi, le montagne sono splendide.» Le passai il casco coloniale. «Se lo metta... o avrà una bella insolazione.» «Sto bene? Sinceramente, Pierre...» Quella familiarità mi esasperò. Osservai freddamente: «Non ha mai portato un casco coloniale?» «Oh, sì! Una volta a Bombay. Il meno possibile!» Scacciai brutalmente due cani famelici che stavano annusando le mie gambe. Qual era il significato di quella partita che stavo giocando senza convinzione? Che cosa speravo di ottenere, alla fine? «Io prenderei qualcosa» mi disse. «È lontano questo bar?» «Siamo arrivati.» Spinsi la porta e lei entrò sorridente e distesa. Fu lei stessa a scegliere un tavolino accanto alla vetrata, dalla quale si poteva vedere la confusione che regnava in strada. Guardai l'ora. Jallu non doveva tardare. In quel momento notai che era vestita con un tailleur scuro. Quel dettaglio mi era sfuggito. Come i suoi occhi... Erano scuri con dei riflessi gialli. «Cosa preferisce? Qui beviamo soprattutto del whisky.» «Va bene, un Gilbey's.» Per poco non la fermai: "A Manou il whisky non piace!". Chiamai Mustafà e gli ordinai due whisky e soda. «Avete una buona sistemazione alla diga? René dice che si sta bene, ma lui sta bene dappertutto.» Cominciai a parlarle della diga. Subito mi fermò: «Non mi chiami signora, andiamo. Dobbiamo vivere come compagni per settimane e settimane. Ho già fatto altri viaggi del genere, sa? La vita è quella del campeggio. Esagero, forse? Dunque, niente cerimonie.» «Il signor Jallu non ama le familiarità.» «Oh, lui! Senta, Pierre, detto tra noi... Come si comporta con lei? È distaccato? Brusco?» «Piuttosto rigido.» «Lo sapevo. Non bisogna prendersela. Ha così tante preoccupazioni. E poi è il suo carattere... È spesso stravagante. Non finisce mai di stupirti. Mi dia retta, quando ha la luna di traverso faccia finta di non accorgersene. Oh! Guardi!» M'indicò una tonga tirata da un vecchio ronzino coperto di mosche. Die-
tro la carretta camminavano due contadini vestiti di stracci, con il fucile a tracolla. «Gli indigeni adorano le armi» le spiegai. «Si sentono nudi senza un fucile.» Non mi ascoltava. Certo aveva voluto semplicemente cambiare discorso. Bevve un sorso di whisky. La vera le scintillò al dito. Era un anellino di platino tempestato di minuscoli brillanti. Manou non portava la vera. «Alla fine rimpiangerà Parigi.» «Non credo. Abitiamo in un luogo abbastanza isolato. Conosce rue de la Ferme? No? È a Neuilly... La casa è triste, troppo grande per noi... René va spesso via, mi lascia sola. Non posso dire di amare quel posto. Se non ci fossero i miei libri...» «Scrive?» «Almeno ci provo. Lei riderà di me, lei è un professionista. Un maestro!» Nella sua voce non c'era la minima nota falsa. Si raccontava spontaneamente con semplicità e naturalezza. Era sbalorditivo. «Un maestro, io! Andiamo!» «René mi ha parlato di lei. Trovo il suo mestiere affascinante.» E in quel momento vidi Jallu. Camminava accanto al muro, per approfittare della stretta striscia d'ombra, una minuscola oasi di freschezza sul marciapiede dell'albergo. L'avrebbe presa alla sprovvista. La porta era alle sue spalle, la sorpresa sarebbe stata totale. Abbassai gli occhi per non insospettire la giovane donna. Jallu entrò, si tolse il casco e gli occhiali da sole, fece un cenno di saluto quando ci vide. Mi alzai in piedi. Jallu si stava già sporgendo verso il nostro tavolino. «Ciao, Claire. Hai fatto buon viaggio? No, non alzarti.» Si abbracciarono teneramente come due sposi felici di ritrovarsi e di poter riprendere le loro abitudini. Jallu si sedette accanto a noi. «Per me un'acqua minerale» gridò a Mustafà. Era quasi felice e guardava Claire con una tenerezza che trasformava il suo volto abitualmente corrucciato. E anche Claire lo guardava, con la stessa attenzione. C'era qualcosa di carezzevole nella sua bocca, nel sorriso appena accennato. Quei due si amavano, ne ebbi l'immediata, profonda convinzione. Mi avevano dimenticato. Li ascoltavo mentre la testa mi girava. Claire raccontava la morte di sua zia, i funerali a Versailles... «Non l'ho detto a nessuno, non ho messo nemmeno un necrologio sui giornali. La povera zia non frequentava più da tempo. Maury è stato per-
fetto. Mi ha prenotato un posto sull'aereo e non ho dovuto praticamente occuparmi più di niente. Prima di partire ho pagato il gas e la luce... A proposito, Larue ti saluta.» «Cosa sta facendo?» «Lavora con la sua impresa in Giappone... Se fossi venuto all'aeroporto, l'avresti incontrato. Sempre dinamico, pieno di progetti.» Una coppia affiatata! E io? Avevo perso Manou ancora una volta. Non soltanto non sapevo più dov'era, ma non sapevo nemmeno più chi era. «Scusate» dissi. «Torno subito.» «Mi può ordinare un altro whisky?» disse Claire. «Ho sete!» Rimasi per un momento interdetto. "Ho sete..." Il nostro codice... "Ho voglia di abbracciarti!" Mi allontanai bruscamente per trattenere il mio dolore, stringendo i pugni: "Non vuoi mica metterti a piangere... Sciocco... Sciocco!". Mi rifugiai nella toilette, riempii il cavo delle mani di un'acqua che sapeva di cloro e mi lavai la faccia. Vivere senza Manou! Dovevo fare i bagagli e rientrare a Parigi con il primo aereo. E a Parigi? Che cosa avrei fatto a Parigi? No, era meglio aspettare, fare qualche domanda a Claire. Ma quali domande? In quello stretto cubicolo la temperatura era soffocante. Mi sentivo male. Uscii senza aver preso nessuna decisione. Comunque, non era questione di minuti. Forse il mistero si sarebbe chiarito da solo, grazie a una parola, un'allusione... Ordinai due whisky e ritornai al mio posto. Jallu stava spiegando a sua moglie perché le trattative procedevano a rilento. Gli americani avevano attaccato il suo progetto, ma il re riteneva che si trattasse di una manovra politica e non si fidava di loro, senza sapere esattamente che decisione prendere. Jallu si destreggiava tra quegli intrighi orientali con un'abilità sorprendente. Inconsciamente si atteggiava a eroe, cercando l'approvazione di Claire. Le confidenze di Manou non mi avevano fatto scomparire quel nuovo aspetto del carattere di Jallu. Mi aveva dunque mentito? Forse mi aveva sempre mentito... «Sembra stanco, signor Brulin» disse Claire. «Allora rientriamo» decise Jallu. «È in grado di guidare? Vuole lasciarmi il volante?» «No, no...» Quell'atmosfera ardente e afosa mi soffocava. Presi la macchina e la portai davanti all'albergo. Ero coperto di sudore, angosciato e disgustato da tutto e da tutti. Per fortuna i miei riflessi erano ben saldi e d'altronde non c'era nessuno sulla pista. Potevo zigzagare a mio piacimento, mentre ten-
devo l'orecchio per cogliere dei frammenti della loro conversazione. Ero deciso a non cessare di spiarli neppure per un momento, perché se Manou conosceva intimamente i signori Jallu, chiaramente anche loro dovevano conoscerla. Era l'unica certezza che mi restava nel tumulto dei miei pensieri. Presto o tardi si sarebbero messi a parlare di lei, tranquillamente, senza alcuna diffidenza. Tuttavia non conoscevo il vero nome di Manou. Se avessero parlato di una giovane donna loro amica come avrei fatto a sapere che si trattava di lei? Ma non potevo contemporaneamente ascoltare e riflettere. Non riuscivo a sentire molto di quello che dicevano. La Land Rover sferragliava allegramente e nei punti in cui dovevo innestare il 4X4 ogni conversazione diventava impossibile. Parlavano soprattutto della diga. Jallu citò il nome di Blèche. «Blèche!» disse Claire. «Quell'ingegnere che... Credi che possa farti del male?» Strada battuta, buche, cambiare marcia. «Figurati! Ha sempre sognato di distruggermi!» «Non ha nessuna influenza, però.» «Ti sbagli. Basterebbe che...» Frenata, ingranare la prima. «La strada non è un granché. Dovete farla tutti i giorni?» «Non possiamo farne a meno.» Claire abbassò la voce: «Il tuo segretario sembra simpatico.» «È un giovane di valore.» Quell'affermazione di Jallu mi fece tornare con i piedi sulla terra, e mi restituì il coraggio che mi aveva abbandonato. Dovevo chiarire tutta quella storia. Ma ripensai alla stanza che Manou mi aveva mostrato e ripiombai nella più cupa disperazione. Quando tentavo di dare una spiegazione a tutto quello che era successo subito era di nuovo il caos. Le chiavi per esempio... Le due chiavi che avevo lasciato nel cassetto della mia scrivania prima di andarmene da Parigi. Quelle non erano un'illusione... Quelle due chiavi che Manou aveva preso in cucina con il gesto rapido e sicuro di chi sta in casa sua e sa trovare qualunque oggetto a occhi chiusi. Quelle due chiavi appartenevano alla signora Jallu! «Ti ho fatto preparare la stanza migliore» disse Jallu. «Comunica con la mia. Lavoro spesso fino a tardi.» «Capisco.» Nonostante il casco, il sole mi martellava il cranio. Ancora cinque chi-
lometri di strada sassosa e surriscaldata. Il rombo del motore faceva da sottofondo alle mie estenuanti elucubrazioni. Conoscevo Jallu, e avevo visto con i miei occhi che quando aveva incontrato quella donna il suo volto si era illuminato. Perché negare l'evidenza? Era Claire, sua moglie. Claire... Manou... Claire... Mi sentii male e dovetti rallentare. Uno sciame scintillante danzava davanti a me sulla strada rovente. «Ne hai ancora per molto?» «Un mese» disse Jallu. «Almeno un mese, se le cose vanno per il meglio. Se tutto va bene, io...» Una curva e l'automobile con un colpo di reni si issò sull'altipiano. Il lago apparve. «Di giorno non sto mai alla diga. Ma Brulin ti terrà compagnia.» «È impressionante» disse Claire. «Mi avevi avvertita, ma questo paesaggio supera ogni mia immaginazione!» Tacquero e Claire si alzò in piedi alle mie spalle per guardar meglio. Il lago incandescente vibrava in un vapore di calore. Le rocce rosse riflettevano una luce selvaggia, una vampata rovente sulle guance, sulle mani. «È l'ora peggiore» disse Jallu. Raggiunsi il posto di guardia alla cui ombra due sentinelle sonnecchiavano accovacciate, e lasciai scivolare il fuoristrada fino alla centrale elettrica. Jallu aiutò la moglie a scendere. Lei fissava stupefatta quel muro tanto liscio che lo sguardo rimbalzava fino al cielo. Il frastuono della cascata aumentava curiosamente l'impressione di solitudine. Era lo stesso sentimento che avevo provato anch'io il primo giorno. Claire annuiva un po' sperduta. Jallu pensò sicuramente che stesse ammirando la sua opera. Io sapevo che invece aveva paura. Lui si girò verso di me: «La ringrazio, signor Brulin. Vada pure al bar, si merita un rinfresco.» Mi trascinai fino alla doccia, poi mi distesi nudo e ancora bagnato sulla brandina. Manou! Era un urlo silenzioso che si formava nella mia carne, scoppiava nella mia testa dolorante. Manou mi aveva tradito! E io stesso l'avrei tradita, sforzandomi a detestarla. Il colpo era stato accuratamente preparato... Mi ricordavo il suo sconvolgimento quando le avevo detto che sarei andato con lei. In quel momento aveva deciso di rompere. Aveva preparato tutto, organizzato tutto... E ora non potevo più scriverle né telefonarle. Non aveva né nome né indirizzo. Non era più nessuno... Ora tutto si chiariva... Perché non aveva mai accettato di uscire con me? Perché temeva di incontrare qualcuno che la salutasse col suo vero nome. Questo spiegava il fermoposta e le sue precauzioni per nascondermi la sua identità. Non abitava né aveva mai abitato nella villa di Neuilly.
La luce si stava facendo strada in me e tanto peggio se avessi ucciso il ricordo di Manou. A ogni costo avevo bisogno di sapere. Dunque non abitava a Neuilly. Per allontanare i miei sospetti mi aveva invitato in quella casa prima di partire, ma quando l'avevo abbracciata mi aveva detto: "Non qui, ti prego". Anche lei era in visita. In effetti ne avevo avuto l'impressione mentre girovagavamo per quella casa, con i mobili morti sotto i loro sudari. E la sua camera era quella di Claire. Manou era arrivata prima di me e aveva avuto il tempo di mettere le mie lettere nel carillon e di lasciare bene in vista il piccolo budda. Soltanto quelle lettere e il budda le appartenevano. Tutto il resto era di Claire. E i genitori nella foto erano i genitori di Claire. Un'ultima idea finì per convincermi. Il campanello? Era Claire che tornava a casa, Claire che non aveva più le chiavi perché lei gliele aveva prese. No, andavo troppo in là. In questo caso Manou non le avrebbe aperto. Ma ero poi sicuro che le avesse aperto? Chiunque fosse la visitatrice, forse si era stancata e se n'era andata. Ecco perché non avevo più visto nessuno in strada. Certo, alcuni dettagli erano ancora inspiegabili. Manou non avrebbe lasciato il suo profumo nella stanza di un'altra donna. In realtà non avevo fatto caso al profumo di Claire, ma se fosse stato identico a quello di Manou l'avrei notato. Nel complesso le mie spiegazioni reggevano. Manou mi aveva mentito, mi aveva imbrogliato. La parola era brutta ma non ne riuscivo a trovarne un'altra. Fin dal primo momento si era presa gioco di me, assumendo l'identità di Claire Jallu. Mi ricordai all'improvviso che mi aspettavano al bar e mi alzai immediatamente. Stavo meglio. Mi lavai la faccia. Pantaloni corti immacolati, camicia e calze bianche, ero di nuovo presentabile. Mentre mi vestivo provai a rispondere a un'altra obiezione: il diario di Manou. Naturalmente era quello di Claire. Manou l'aveva letto per rassomigliare in ogni punto al suo modello. Bastava che ci pensassi e subito trovavo uno sciame di soluzioni. Tutte da verificare, certo. Ma avevo Claire a portata di mano, bastava che la interrogassi abilmente. E poi? Sì, dove volevo arrivare? Va bene, Manou mi aveva ingannato. Ma mi amava. Forse molto di più di quel che credessi, perché in ogni momento aveva corso il rischio di essere smascherata. Ecco perché era sempre così preoccupata quando veniva da me. Andiamo, non era il caso d'intenerirsi. Non era che una sgualdrina. Chiusi gli occhi per il dolore. Inutile cercare di cancellarla, Manou restava il mio unico amore, un amore che ora si nutriva della mia collera, lentamente, ferocemente, fino all'ossessione... Ave-
vo ragione, ora lo capisco bene. Andai in sala mensa. Claire si era messa un abito leggero di tessuto stampato. Discretamente si era rifatta il trucco. Da lontano potevo sentire il suo profumo. Quello di Manou. O piuttosto, no... Era Manou che... Non capivo più nulla. Mi sedetti di fronte a lei, ancora sconvolto. «René è stato chiamato al telefono» mi disse. «Come sta? Prima mi sembrava che lei non stesse bene...» I suoi occhi mi fissavano con gentile franchezza. Era una di quelle giovani donne sincere, rette, prive di mistero, che offrono immediatamente la loro amicizia. Ormai il mio risentimento si era dissolto. Lei non c'entrava nulla coi miei problemi. «Ho spesso mal di testa» spiegai. «Faccio fatica ad acclimatarmi.» «Forse si annoia, signor Brulin... No, niente alcol per il signor Brulin, solo un succo di frutta.» Respinse Hassan con fermezza, e io fui contento che si occupasse tanto di me. «No, non mi annoio, anzi è un luogo ideale per lavorare.» «Si possono fare delle passeggiate nei dintorni?» «Non ci sono dintorni. Ci sono montagne dappertutto, nude e inumane come questo altipiano.» «Ma in fondo non è proprio un deserto...» «No, certe vallate sono fertili, credo. Ma bisognerebbe andare molto lontano, e lei ha visto in che stato sono le piste.» «René non mi aveva presentato la situazione in questi termini» mormorò pensierosa. «Se ho capito bene, qui siamo e qui dobbiamo restare.» Protestai per pura formalità: «Di primo mattino e quando cala la sera si può uscire e fare il giro del lago. E poi si può sempre andare a Kabul. Ci sono americani, inglesi, tedeschi, ma pochi francesi, per la maggior parte funzionari di basso rango. Si ritrovano tutti al Cecil, a bere whisky e a spettegolare l'uno dell'altro.» «Lo so, a Bombay era la stessa cosa.» «C'è sempre il suo libro... Avrà tutto il tempo di finirlo. Sarà un'ottima distrazione!» «Non mi prenda in giro. Il mio libro non è che un abbozzo, e non riesco a trarne qualcosa di organico. E dire che ho fatto un sacco di viaggi con René, ho conosciuto molti personaggi curiosi. Avrei sicuramente nelle mani il materiale per un buon romanzo.» «Ha portato con lei i suoi appunti?»
«No, li ho lasciati a Parigi.» «Di cosa si tratta? Mi scusi se sono indiscreto, ma è un interesse professionale... Sono ricordi di viaggio, fatti, date, aneddoti?» «No, è soltanto un abbozzo ancora informe. Niente di definito. E temo che non andrò più in là, non ho abbastanza fantasia.» «Non ha qualcuno che possa aiutarla, un'amica per esempio? Avrà sicuramente qualche amica intima con cui confidarsi...» «Ho soltanto conoscenti, non amiche.» Jallu venne al nostro tavolo, mentre io sospiravo d'impazienza. Ero forse sul punto di scoprire la verità. Se Manou aveva visto quegli appunti, non mancando d'immaginazione avrebbe potuto... Avevo incontrato spesso delle donne che avrebbero fatto qualunque cosa pur di essere pubblicate. «Se volete accomodarvi» disse Jallu «il pranzo è servito.» Il pasto fu veloce. Non avevo voglia di parlare e Jallu, immerso nei suoi progetti, non si preoccupava di tenere la conversazione. Claire ci interrogava sulle risorse del Paese, su come si mangiava, su come si viveva alla diga. Era una donna pragmatica, un tipo che mi ha sempre irritato. Intuivo che avrebbe cercato di prendere il timone della nostra vita da scapoli per darle un tocco di vita familiare. Non mi piaceva affatto. Ero affezionato al mio disordine, e Manou aveva saputo rispettarlo. Ma Claire aveva un'allegria, una vitalità, una franca limpidezza che ebbero ben presto ragione delle mie resistenze. Quando confrontavo le due donne ero costretto a riconoscere che Claire era l'immagine stessa della pace e della sicurezza. Io che non avevo mai conosciuto mia madre ero alquanto sensibile a questo tipo d'influenza femminile. Certo Manou non irradiava tranquillità. Alt, direzione vietata! Non dovevo pensare a Manou... «Sta sognando a occhi aperti, signor Brulin?» disse Claire. «Su, mi dia il piatto.» Rideva divertita accanto all'enorme samovar che con le due sfere di vetro assomigliava a un alambicco d'alchimista. «Cosa fate questo pomeriggio?» chiese Jallu. «Io sistemerò un po' la mia stanza» rispose Claire. «E io ho dei lavori da finire.» «Bene, quando mia moglie si sarà riposata, le faccia visitare la diga. Ci vediamo per cena.» Jallu baciò frettolosamente Claire sulla fronte e mi strinse la mano, una rara prova di buona volontà. Claire si alzò. «Le ho portato qualcosa da Parigi, Pierre.»
L'accompagnai in camera, una cella di cemento identica alla mia. Frugò nei bagagli appena disfatti e mi offrì un pacchettino avvolto in carta velina. Compresi immediatamente che era la penna che le avevo chiesto. Aprii l'astuccio ed ebbi un tuffo al cuore. Non era una penna qualunque, ma proprio la lussuosa Waterman che un giorno Manou mi aveva promesso. "Te la regalerò se stai tranquillo" mi aveva detto allora. Il che voleva dire: "Se non mi fai domande, se mi accetti così come sono...". Rivedevo la scena: Manou seduta sul divano con in mano una tazza di tè. Era... Sì, era il giorno in cui le avevo dato un assegno. Non pensai nemmeno a ringraziare Claire. Ero di nuovo a Parigi con Manou. «Non le piace?» «Scusi? Sì, certo... Sono confuso... Perché una Waterman?» «Non so, è il venditore che me l'ha consigliata. Pare che sia completamente stagna e che la si possa usare persino in aereo. Non che ci abbia capito molto.» Già, perché non una Waterman? Cosa andavo a pensare? Presi il portafoglio. «No» disse Claire. «No, non voglio. È un regalo. Lei aiuta mio marito. Se riesce in quest'affare sarà anche merito suo. Se rifiuta, mi offendo. Siamo amici.» Mi tolse la penna dalle mani e me la infilò nel taschino. «Le porterà fortuna» aggiunse. «La userà per scrivere il suo libro. Sarò una scrittrice per interposta persona.» Rideva con una certa amarezza. Ma forse ero ben lontano dal capire. Avrei dovuto scoprire ancora molte cose sul conto di Claire Jallu. Vivevo come un fantasma, tra il sogno e la realtà, e Claire era come un'incarnazione di Manou e Manou come la forma primigenia di Claire. Mentre rileggo queste righe mi accorgo che rappresentano esattamente i miei sentimenti di allora. Quelle due donne erano come intercambiabili. Pensavo che avrei potuto far luce sul passato di Manou se avessi indagato su quello di Claire. Ero sicuro che Manou fosse un'amica di Claire. Dunque, le confidenze di Claire mi avrebbero infallibilmente portato a Manou. Non fu così. Più Claire mi parlava di se stessa, più mi sembrava di sentire Manou. Non ricordo esattamente come si svolsero quelle giornate, così identiche le une alle altre. Ricordo soltanto di quel terribile periodo i momenti più sconvolgenti. Apparentemente erano momenti come gli altri. Per me erano vuoti d'aria, istanti di soffocamento, di vertigine. Avevo l'im-
pressione di cadere nel vuoto come capita negli incubi. Per esempio, la sera in cui Claire canticchiò la Trota. Stavamo passeggiando sulla riva orientale del lago, la più desolata. Il lago si estendeva senza un'increspatura da una riva all'altra. Non viveva che per le stelle che cominciavano a specchiarsi nelle sue acque. E Claire si mise a canticchiare a bocca chiusa la Trota. Perché proprio quell'aria? Glielo chiesi. «Non lo so» mi rispose sorpresa. «Forse perché da noi è l'ora in cui i pesci vanno a caccia, e si mettono a saltare in superficie. Non ci sono pesci in questo lago? Ma perché lei cerca sempre la ragione delle cose?» Anche Manou me l'aveva detto. Una coincidenza, è chiaro. Ma perché proprio quell'aria di Schubert? Insistetti e Claire si mise a ridere. «Ora ricordo. Se viene a trovarmi a Parigi... Verrà, non è vero? Guardi che ci conto... le farò vedere un vecchio carillon che era dei miei nonni. Suona la Trota quando lo apri. Ho sentito tante volte quel ritornello che ora fa parte di me. Non mi accorgo nemmeno più di cantarlo.» Naturalmente! Mi ero dimenticato che il carillon era suo e non di Manou. Era Manou l'intrusa, non lei. Mi confondevo sempre. «E cosa nasconde in quel carillon?» «Non ho niente da nascondere» protestò. «Ci tengo delle lettere, dei quaderni.» «Quali quaderni?» «Lei vuol proprio sapere tutto!» «È il mio lavoro essere curioso.» «Il mio diario... Mi prenda pure in giro!» «Non la prendo in giro, glielo assicuro.» Delle lettere! Le mie lettere! No, non le mie lettere! Era inutile che continuassi a torturarmi. Ma non riuscivo ad allontanare il ricordo di quell'ultima serata. Sentivo ancora nelle mie mani tutte quelle lettere d'amore. Ne avevamo riletto qualche passo, lei e io, Manou e io. Cosa mi aveva detto? "Scrivi meglio di me, forse perché sei più bravo a mentire." Dunque mentiva. Tuttavia nel mio subcosciente si rifugiava ancora un ultimo, estremo scetticismo. Manou era capace di essere reticente, non di mentire, non di recitare una parte con tanta perfezione. Interrogavo la sua voce, che continuavo a sentire dentro di me. E la sua voce era tutta tenerezza, sempre con la stessa sfumatura d'angoscia. Di nuovo una fitta al cuore. Non sapevo più cosa credere. Riuscivo appena a riconoscere le acque oscure e il brontolio lontano della diga. Se avessi incontrato Claire da un'altra parte sono certo che il mio dolore non avrebbe preso un aspetto così morboso. Ma qui, il
sole e il rumore avevano qualcosa di selvaggio e di implacabile. Soprattutto il rumore. Il ribollire incessante della cascata che lentamente ottenebrava i sentimenti. L'acqua faceva vibrare il sottosuolo, le turbine facevano vibrare l'edificio e per evadere dalla diga non c'era che la Land Rover che rombava anch'essa, traballando sulla pista. La luce accecante e il calore rendevano il cielo vitreo. Era un mondo insidiosamente febbrile e contagioso. Avevo preso la febbre della diga! «Lei è così strano, Pierre!» Claire mi osservava preoccupata. Un giorno mi disse: «Lei è infelice, Pierre...» Allora capii che ero in pericolo, che dovevo stare in guardia se non volevo raccontarle tutto. Che cosa mi impediva di spiegarle la verità? Ormai i nostri rapporti erano molto amichevoli. Passavamo praticamente insieme tutta la giornata. Lavoravo ancora qualche volta per Jallu, lo accompagnavo ogni tanto a Kabul. Ma lui preferiva che io stessi accanto a sua moglie. Mi aveva dato l'incarico di farla divertire. Anche quello era un mistero, perché aveva obbligato Claire a raggiungerlo se già sapeva che non avrebbe potuto occuparsi di lei? Perché l'aveva fatta venire se lui doveva essere sempre assente dal mattino alla sera? Sospettavo senza del resto averne la minima prova che non andassero d'accordo. Forse i miei pensieri erano assurdi, perché Jallu era sempre molto attento e premuroso nei confronti della moglie. I miei dubbi provenivano dalle confidenze di Manou, quando si faceva passare per la signora Jallu. Confidenze inventate di sana pianta per uno scopo che ancora mi sfuggiva. Tuttavia spiavo Claire e suo marito come se lei fosse stata Manou. Anzi, ero quasi geloso quando Jallu a tavola faceva riferimento a un dettaglio della loro vita in comune, citava un nome, ricordava un episodio. Era ridicolo, ma le mie contraddizioni sussistevano. Ammettevo che Claire fosse la moglie di Jallu, pur continuando a pensare che Jallu fosse il marito di Manou. Tutto ciò era comico, ma mi distruggeva lentamente. Ammetto che il mio comportamento era diventato sbalorditivo. Prima che arrivasse Claire, amavo bere un bicchiere con i tecnici, chiacchierare con gli ingegneri. A volte li andavo a trovare mentre erano di turno alla centrale. Amavo quel sottile senso di terrore che provavo quando penetravo nelle sale immense in cui le turbine, enormi come locomotive, giravano vorticosamente. Dietro la parete c'era il lago con tutta la sua massa liquida. Sfioravo il muro, con il suo cemento rugoso, sorpreso che non cedesse alla spinta inimmaginabile di quel possente semicerchio d'acqua.
Ora invece non parlavo che con Claire. Il resto, uomini e cose, non m'interessava più. Quando il calore era troppo forte stavamo sulla terrazza, ci scambiavamo visite in camera. Inevitabilmente parlavamo di Parigi. Io fumavo, lei cuciva delle tendine. Porte chiuse, per ripararci dal frastuono. Accendevamo il ventilatore, che dirigeva il suo soffio da sinistra a destra, da destra a sinistra, sui nostri volti, sui capelli di Claire che sollevava al passaggio. Lei rideva: «Avrò l'aspetto di uno spaventapasseri.» Allora avevo voglia di dirle tutto, di chiederle: "Quale delle sue amiche ha potuto prendere il suo posto, farsi passare per lei? Chi conosceva la sua vita al punto di voler rubare i suoi ricordi, le sue abitudini, i suoi gusti e i suoi modi?". Sarebbe stato facile ma qualcosa mi tratteneva. Non riuscivo ad accusare Manou, e non volevo che un'altra donna lo facesse. Soprattutto non avevo alcuna voglia di sapere che Manou si chiamava in realtà Yvonne o Suzanne, che era la moglie di qualche mediocre funzionario statale e che si era servita di me per sfuggire alla mediocrità della sua esistenza. La verità a volte è peggiore delle peggiori menzogne. Ma avevo un altro motivo per tacere e aspettare, un motivo che, ora che il passato può essere visto nella sua prospettiva e nel suo autentico significato, mi appare più chiaro, mentre allora mi sembrava molto più confuso. Quei momenti di intimità erano dolci, Claire credeva che io mi interessassi a lei mentre non pensavo che a Manou. La mia tenerezza per la donna che non c'era dava alle mie frasi una malinconia carezzevole che non poteva lasciare insensibile la donna che invece era presente. Mi accorsi ben presto che Claire ricercava questi momenti intimi, aspettava con ansia le mie domande e spesso le provocava. Amava raccontarmi della sua infanzia, e io, chiudendo gli occhi, immaginavo che fosse Manou, venuta infine a spiegarmi quel che mi aveva nascosto. In sottofondo il ventilatore faceva un ronzio da proiettore cinematografico. Lo schermo s'illuminava nella mia mente, e io vedevo scorrere le immagini di Manou bambina, Manou liceale, Manou alla Sorbona e nel giorno del suo matrimonio. Rispondevo cercando di spiegarle chi ero, cosa volevo, cosa desideravo, avendo cura di evitare ogni allusione a Manou, e così, in quelle confessioni insieme spontanee e reticenti, restavano dei vuoti, degli omissis che stuzzicavano la curiosità di Claire. Non tardò a capire che c'era una donna nella mia vita, cosicché iniziò a inseguirmi mentre io la inseguivo. Ci giravamo intorno celando trucchi infiniti sotto un'apparente franchezza, e Manou era il nostro perno. «Pierre, lei dovrebbe sposarsi» mi diceva. «Sono troppo giovane. Manco completamente di serietà. E poi, non ho
ancora incontrato la donna che... Capisce?» Capiva fin troppo bene, e io provavo un piacere malvagio a infliggerle quelle rapide stoccate, sicuro di farla soffrire affettando indifferenza o cinismo. Lei non osava contrattaccare, rimproverarmi di mentire. E allora usava dei sotterfugi: «Nel suo ambiente le donne belle e intelligenti non devono mancare. La vedrei bene al fianco di una scrittrice...» Era il suo turno di farmi male. Rispondevo seccamente: «Detesto le scrittrici.» Poi aggiungevo con calcolata ipocrisia: «Non parlo di lei, Claire. Del resto lei non è una scrittrice.» «E chi sono allora, secondo lei?» «Be'... Una donna... Una donna che come me sta cercando la sua strada.» Quelle banalità portavano lontano e davano alla nostra intimità una sfumatura grave che ci spingeva a ulteriori confidenze, questa volta definitive. Che cosa volevo in realtà? Non saprei dirlo. Mi piaceva vedere la moglie di Jallu interrogarsi su di me. Nello stato di apatia in cui mi trovavo questo mi aiutava a resistere, a sopportare il peso dei giorni. E poi stavo bene accanto a Claire. Mi sentivo come un convalescente che quasi rimpiange la sua malattia. Claire si occupava di me esattamente come io mi ero occupato di Manou, con la stessa sollecitudine carica di angoscia, ma con una dolcezza che apparteneva a lei sola. Tanto peggio per Claire se non riusciva a dominare l'attrazione che provava per me. Mi aveva rubato Manou, non le dovevo niente. Approfittavo di quel dolce torpore per pensare a Manou in maniera più organica, più metodica. Ma avevo un bel riflettere, non riuscivo a immaginare un'ipotesi coerente. Va bene, Manou era un'intima amica dei Jallu. Aveva le chiavi di casa, conosceva la villa come se ci vivesse. Ne aveva approfittato per recitare la commedia degli addii. E poi? Per un momento avevo sospettato che in fondo a tutta la questione ci fosse qualche trucco riguardante il manoscritto, ma questo dove mi portava? Il manoscritto era ottimo, sarebbe stato pubblicato anche senza il mio appoggio. Manou non poteva prevedere il nostro incontro e cosa ne sarebbe seguito. E poi, se avesse voluto nascondermi il suo inganno, non mi avrebbe detto di essere sposata con Jallu, che era il modo migliore per far cadere il suo piano. Quello era un ostacolo insormontabile... Forse Manou non era una buona attrice, forse io credevo che il suo comportamento fosse stato astutamente premeditato, mentre lei in realtà era stata costretta a improvvisare... In questo caso il trucco più facile per lei sarebbe stato di farsi passare per Claire.
Quella era una direzione da esplorare. Immaginavo una donna ambiziosa, solitaria, delusa che, invidiando Claire, si sostituiva a poco a poco a lei, le rubava i suoi ricordi di viaggio per trarne un romanzo originale e, come conseguenza di quel furto vergognoso, si costruiva la vita che aveva sempre sognato. Tutto ciò era possibile. Bisognava mettere le cose in chiaro. Spesso, quando il mio silenzio si prolungava, Claire mi chiedeva: «Pierre, a cosa sta pensando?» Una volta approfittai dell'occasione: «C'è una cosa che mi stupisce. Non voglio essere indiscreto ma... Perché è venuta qui? Non mi dica che suo marito l'ha obbligata, non mi pare che l'abbia sempre seguito in tutti i suoi spostamenti...» Non sembrava imbarazzata: «A Parigi mi annoiavo. Ecco tutto.» «Ma a Parigi lei non esce, non incontra mai nessuno?» «Sì, ma mi annoio lo stesso.» «Lei mi ha detto che non ha molte amiche. Ma ne avrà almeno due o tre...» «No.» «Una, allora...» «Dipende da quello che lei intende per amica.» «Be', quello che tutti intendono di solito con questa parola. Una donna a cui lei racconta i suoi piccoli segreti, a cui telefona tutti i giorni, che si trova da lei come a casa sua, che sa tutto di lei...» «No, Pierre, mi dispiace, ma non ho nessuna amica del genere.» «Perché?» «Perché mio marito non lo accetterebbe.» «Ma anche lui avrà degli amici, immagino!» «Si sbaglia, la sua posizione non gli permette nemmeno di avere dei compagni.» «Non capisco.» Esitò, fingendo di cercare le forbici per tagliare un filo del ricamo. «A lei lo posso dire: René è stato accusato due anni fa di malversazione. Un'accusa falsa, naturalmente. Ma tutti i mezzi sono buoni per distruggere un rivale. René tratta affari giganteschi, è bastato che una delle sue dighe crollasse perché iniziasse a circolare la voce che lui subappaltava i lavori a delle imprese equivoche. È iniziata un'indagine che poi è stata archiviata; allora lo hanno accusato di aver corrotto gli inquirenti. Se René fosse stato più malleabile lo scandalo si sarebbe ben presto fermato. Ma lei sa bene quanto è violento! Il suo comportamento ha scoraggiato tutti. Quelli che lo
difendevano si sono stancati di farlo. A poco a poco tutti lo hanno abbandonato, persino gli amici più cari.» «Ha dei fratelli, delle sorelle?» «Una sorella che vive a Nizza. È rimasta la sua unica alleata.» «Che età ha?» «Una trentina d'anni.» «È sposata?» «Vedova.» Esitai un istante prima di continuare: «Rassomiglia molto a suo fratello? Claire mi fissò stupita.» «Fisicamente, vuol dire?» «Sì, e anche moralmente.» Rifletté per un istante. «Moralmente, forse sì. Ma certo non fisicamente. Peccato che non abbia una sua foto, sembra che le interessi.» «Mi interessa nei suoi rapporti con lei. Siete amiche?» «Non molto. Per fortuna viene di rado a Parigi.» Sicuramente mi ero sbagliato. Mi affrettai a rispondere: «Bene, suo marito non ha amici. Non è una ragione perché anche lei non ne abbia.» «Certo che sì. Cerchi di capire. Mio marito adesso diffida di tutti, si crede vittima di una persecuzione. Vede complotti e congiure dappertutto. Prenda Blèche, per esempio. Non so cosa è successo esattamente tra loro, ma è un comportamento abbastanza caratteristico.» «Hanno litigato per la diga.» «Vede! Ha licenziato Blèche, nonostante fosse uno dei suoi più vecchi collaboratori, un uomo che conoscevamo da anni. Lei stesso, Pierre, ha un buon rapporto con mio marito? Lo dica francamente... Vedo che non osa rispondere. Allora dovrebbe capire perché non frequento nessuno.» Strano, la descrizione di Claire mi rappresentava Jallu tale e quale Manou me lo aveva dipinto. Anche Manou diceva di essere isolata a causa delle fobie di suo marito di cui aveva persino paura. «Ha paura di lui, Claire?» «Perché me lo chiede?» Improvvisamente si era turbata e mi fissava ansiosa. Mi ricordai delle confidenze di Manou e tentai un esperimento: «Cerchi di capire, suo marito le rende la vita impossibile, ecco la verità. Non soltanto le impedisce di avere delle amiche, ma la controlla, la sorveglia, le misura persino le spese, tanto è divenuto meschino e diffidente.»
«Come lo sa?» mormorò stupefatta. «È da tempo che lo osservo. Ho finto di non sapere nulla per vedere cosa mi avrebbe risposto, per spingerla a confidarsi. E ora capisco di aver indovinato. Il carattere di un uomo è come uno scheletro fossile, lo si può ricostruire a partire da un frammento.» «Sì. René è terrorizzato dal pensiero della rovina economica. Vive nella paura del fallimento, di essere obbligato a cambiare lavoro. Guadagna molto denaro ma si priva di tutto. Per esempio, ha fatto venire dall'Alvernia una cameriera quindicenne perché costava meno...» No. Era impossibile! Era come se tutte due recitassero la stessa parte. Erano le stesse frasi, le stesse parole... Ma Jallu non poteva avere due mogli! Ora non ascoltavo più Claire. Certo, Manou era l'amante di Jallu! Questo spiegava tutto! Ritornai a pensare a tutti gli avvenimenti che prima non riuscivo a interpretare. Ora tutti i fatti combaciavano in un perfetto ordine logico. Ecco perché Manou evitava ostinatamente di rispondermi quando le consigliavo il divorzio! «Deve aver proprio fatto un cattivo matrimonio» risposi a Claire. La mia voce tremava di collera, ma Claire non vi fece caso. Era come si fosse liberata da un peso, felice di avermi detto tutto come per una specie di prova d'amore, e io ne fui seccato. «La tradisce?» le chiesi brutalmente. «Non ne ha il tempo, si figuri. Lo può ben immaginare, se ha capito anche il resto. E poi vuole essere inattaccabile. Un'amante significa delle spese, un costoso tenore di vita che rischia di provocare delle debolezze, delle tentazioni. No, se René si priva degli amici, capirà che non si permette di certo di avere un'amante.» Una risposta di buon senso. «E lei non ha mai pensato di tradirlo?» «Qualche volta.» Mi sorrideva. Ero sempre più irritato di essermi lasciato invischiare in una conversazione così scabrosa. «Non ha osato?» «Si metta al mio posto...» «Perché non divorzia?» Ero tornato indietro di parecchie settimane, come se stessi ancora discutendo con Manou. Sapevo già cosa mi avrebbe risposto, avevo già sentito le sue obiezioni: "Se lo lasciassi, avrei l'aria di condannarlo. I suoi nemici ne sarebbero troppo felici...".
«Se divorziassi» rispose Claire «non mancherebbero di cercare delle ragioni nascoste. Magari inventandole, se è necessario. Per René sarebbe la fine. Tutti penserebbero che lo consideravo colpevole.» Era troppo assurdo! Stavo quasi per parlare a Claire di Manou, tanto ero allo stremo. Quel che mi trattenne fu il comportamento di Claire. Si era completamente ingannata sulla causa delle mie domande, e credeva di certo che io fossi in preda, da quando l'avevo incontrata per la prima volta, a degli scrupoli dolorosi. Che sciocca! Come se fossi nell'animo d'innamorarmi di lei! Avevo sbagliato a interrogarla sui suoi rapporti con suo marito. Mi ero spinto troppo in là. Capivo dal modo in cui mi guardava che m'incoraggiava a continuare. E proprio perché sono timido, perché non mi piace dare agli altri delle delusioni, perché detesto essere scortese, non le dissi nulla di Manou. Anzi, per qualche giorno trovai ogni scusa per evitare Claire. Fingevo di avere mal di testa per potermi alzare per primo da tavola, dicevo che dovevo lavorare al mio romanzo per rimanere nella mia camera. Jallu, sempre tra le nuvole, andava, veniva, non si accorgeva di niente. Ma continuavo a sentire intorno a me l'amore di Claire. Avevo creduto che fosse prudente allontanarmi da lei, invece avevo ottenuto proprio l'effetto contrario. Le mie domande, i miei silenzi, il mio strano comportamento, la mia tristezza, la mia amarezza, tutto era stato da lei interpretato al contrario. Credeva che io lottassi contro lo sbocciare di una passione, il gioco l'aveva presa e non si poteva più tornare indietro. A volte ero così disperato che avrei voluto andarmene. Ma la cosa non mi convinceva. Temevo soprattutto il disprezzo di Jallu. Sapevo che mi avrebbe detto: "È libero di andarsene" e il suo tono sarebbe stato come una frustata. E cosa avrei fatto a Parigi senza Manou? Mi sarei trascinato da casa in ufficio, disgustato di tutto, il cuore vuoto. Almeno Claire mi divertiva. In certi momenti la disperazione mi donava una cinica allegria. Sì, Claire mi divertiva, Jallu mi divertiva, la situazione in cui mi trovavo era così comica che avevo voglia di piangere. Dopo essere stato l'amante della prima signora Jallu, lo sarei stato anche della seconda... E la seconda, sarebbe scomparsa anche lei? Forse la seconda non era più vera della prima? Un giorno mi sarei svegliato solo nel deserto, e avrei scoperto che la diga non esisteva come non esisteva nemmeno Jallu. E allora cosa importava se Claire e io... Il ricordo di Manou serviva ancora a proteggermi, ma diventava sempre meno efficace man mano che aumentava il mio risentimento. Un risentimento che cercavo di nutrire e di addomesticare come si può fare con una fiera. Ogni sera, prima di dormire, nel momento che di solito viene dedicato a
una preghiera o a un esame di coscienza, traducevo Manou davanti al mio tribunale, la obbligavo a giustificarsi, le imputavo i suoi silenzi, le sue reticenze, la costringevo ad ammettere di non aver mai cessato di nascondermi le sue vere intenzioni. L'immagine di Manou danzava intorno a me, vuota e silenziosa, ma a volte, mentre il sonno s'impadroniva di me, pareva animarsi, prendeva forza vitale e realtà. Si chinava su di me per dirmi qualcosa che non riuscivo a comprendere, e quando mi svegliavo avevo in bocca il sapore salato delle lacrime. Così mi preparai all'inevitabile senza avere per Claire la minima pietà. Era la mia vendetta nei confronti di Manou. Claire le assomigliava e nello stesso tempo era diversa. Le avrei distrutte insieme e alla fine sarei stato libero. Dal momento che ormai non desideravo che di liberarmi della mia idea fissa, avevo rinunciato a cercare d'interpretarne il mistero. Jallu aveva invitato un gruppo di tecnici stranieri a visitare la diga e aveva offerto loro una cena in sala mensa. Claire aveva aiutato i servitori a decorare la sala. Adorava i ricevimenti e voleva dare a quella serata l'aspetto di un vero party. Era persino di rigore l'abito scuro. Anch'io fui costretto a indossare lo smoking. Quando scesi, Claire stava ricevendo gli invitati. Era in abito da sera. Per gioco m'inchinai con gravità e le baciai la mano. Aveva al braccio un pesante gioiello d'oro, il braccialetto di Manou. Mi raddrizzai sbalordito, e già lei offriva la mano a un ingegnere svedese che bofonchiava un complimento inintelligibile. La serata fu un successo. Lo stesso Jallu sembrava disteso. Claire era raggiante, felice di sentire tanti sguardi su di lei. Soprattutto i miei. Non poteva immaginare che questi ultimi erano rivolti esclusivamente al suo braccialetto. Era proprio lo stesso. Era formato da una quadruplice catena a maglie piatte, che avevano segnato il polso di Manou con una sottile quadrettatura. Se lo avessi tolto a Claire ero sicuro che avrei scoperto sulla sua pelle lo stesso disegno che così spesso avevo sfiorato con le mie labbra. Tornavo a pensare al cofanetto d'avorio pieno di gioielli, nella casa di Parigi. Manou poteva dunque servirsene a suo piacimento? E come poteva Claire non sapere che un'altra donna portava il suo braccialetto, e magari la sua collana e i suoi orecchini? Chissà, forse persino i suoi abiti. Già, l'abito da sera di Claire non era forse quello che aveva indossato Manou quella sera, nella villa di Neuilly? No, Manou era molto più alta. Ma bastava il solo braccialetto a presentarmi una congerie di dubbi. Dovevo rispondere alle domande del mio vicino, un altro svedese, che, credendomi un esperto, mi bombardava di cifre in un francese incerto. Ma, mentre tentavo di rispondergli, una voce dentro di
me mi sussurrava: "Non ti ha detto tutto. Diventa il suo amante e saprai la verità. Diventa il suo amante!". Continuavo a bere per non mettere lo svedese in imbarazzo. Ero piuttosto lontano da Claire e nessuno poteva accorgersi che non cessavo di fissarla. Nessuno eccetto lei. Il braccialetto le scintillava al polso. A volte mi sorrideva ostentatamente, e io allora abbassavo gli occhi. Quando mi alzai da tavola ero un poco alticcio. Gli invitati andarono sulla terrazza a fumare e a bere liquori. Claire restò indietro ad aspettarmi. «C'è qualcosa che non va?» Bisognava urlare per superare il frastuono della cascata. «Niente affatto, va tutto bene. Complimenti per la serata.» «È stato un successo, vero?» «Veramente riuscita. E lei è meravigliosa. Il suo braccialetto è stupendo.» «L'ho messo per lei.» L'alcol mi martellava la testa. Continuavo a sentire quella voce: "Diventa il suo amante, lei ti dirà tutto!". Claire cercò suo marito nel gruppo, lo vide che discuteva con il mio svedese. Mi prese per mano e mi trascinò verso la scala. Sapevo dove voleva portarmi. Sapevo che, non appena avesse chiuso la porta della sua stanza, si sarebbe gettata nelle mie braccia. Anch'io avevo voglia di lei. Avevo fretta di averla. Eravamo come impazziti; ma io, anche se l'alcol mi bruciava le vene, mantenevo ancora una fredda lucidità. Sapevo quel che volevo, e quando Claire si abbandonò pensai: "Alla fine parlerai, stupida. Non credere che ti ami!". 4 Non avevo immaginato che Claire si sarebbe innamorata di me. Credevo che fosse soltanto stanca di Jallu, che avesse per me una semplice attrazione mista a curiosità. Purtroppo invece si trattava di una donna sentimentale, infelice, che desiderava la grande storia d'amore. Interrogarla ormai non era possibile. Subito mi trovai in difesa. Dovetti giurarle che le donne che avevo conosciuto prima di lei non contavano, che ero pazzo di lei, che saremmo stati insieme per l'eternità. Niente era troppo grande, niente era troppo folle per lei, perché mi amava. Io, che avevo il cuore pieno di Manou, la osservavo con un'attenzione un po' stupita. Tanta pena, tanta esaltazione, tante angosce, tanti allarmi, per un uomo così comune come me!
Come disilluderla? Ed era poi prudente che lo facessi? Per vari giorni vissi nel timore di uno scontro. Non era possibile che Jallu non notasse il cambiamento che era avvenuto in Claire. Era diventata pensierosa, irritabile, gli rispondeva bruscamente; soprattutto aveva gli occhi dell'amore, dilatati, fissi, annebbiati, come attoniti. Quando c'incontravamo, cercavo di strapparla a quel delirio, la supplicavo di stare attenta. «Me l'hai detto anche tu che è un violento. Non vorrai che ci scopra...» E allora lei mi abbracciava e io stringevo i pugni per l'impazienza. Stavamo andando incontro a una catastrofe. Se Jallu era cieco c'erano pur sempre gli altri, gli ingegneri che vivevano con noi, in cui ci imbattevamo almeno tre volte al giorno, e che fiutavano Claire da lontano come dei maschi frustrati. Quelli avrebbero certo saputo come avvertire Jallu! Decisi di non uscire più la sera. Fu l'incidente che provocò la prima lite tra Claire e suo marito. Spesso prendevamo la Land Rover e quando il sole colava a picco dietro la montagna facevamo il giro del lago e ci avventuravamo sull'arido altipiano. Là eravamo soli. Potevamo concederci qualunque follia. Ma tutti ci vedevano andare e venire, e io presentivo già i commenti e i sorrisetti ironici. Presi dunque la decisione di restare alla diga. Claire, che viveva soltanto per quelle passeggiate, s'intestardì e chiese a Jallu il permesso di prendere ancora una volta la Land Rover. Avrebbe guidato lei stessa. Jallu rifiutò. La trazione su quattro ruote rendeva l'automobile difficile da guidare, bastava un errore di manovra per uscire di strada e capottare. Claire scagliò in terra il tovagliolo e se ne andò. Abbassai la testa sul piatto. Jallu era rimasto impassibile. «Non ho ragione, signor Brulin?» mi chiese. «Claire ha la patente ma sono anni che non guida. I mezzi non sono miei. Appartengono alla centrale.» Naturalmente gli diedi ragione. Quella sera non vidi più Claire e passai una notte terribile. Se il litigio continuava, sentivo che Claire era capace di commettere le peggiori imprudenze. Falso allarme! Il giorno dopo Claire mi chiese scusa. «E tuo marito?» «Lavora in camera sua. Non conto niente per lui. Non sono che un peso morto nella sua vita. Hai torto a preoccuparti.» Invece io mi preoccupavo. Conoscevo fin troppo bene l'astuzia di Jallu. Avevo visto in che modo scaltro e sottile si era guadagnato la fiducia dei ministri e del re. Restai in guardia, il che mi fornì una scusa per la freddez-
za che dimostravo a volte a Claire quando le sue carezze mi irritavano. «Di cosa hai paura?» mi diceva allora Claire. È vero, avevo paura come l'aveva avuta Manou. Mi accorsi che parlavo e mi comportavo esattamente come lei. Entravo nella camera di Claire e mi mettevo in ascolto per paura di essere spiato, come Manou quando sorvegliava la strada dietro le tendine. Claire mi baciava, mi sussurrava le parole futilmente tenere della passione, e io sorridevo gentilmente per nascondere la mia indifferenza. A volte guardavo l'ora, proprio come Manou. La cinica noia dell'amore non condiviso. Lei ti dice: "A cosa pensi?". E tu rispondi docilmente: "A te" per non dirle che vorresti essere da qualunque parte, finalmente solo. Ritrovavo Manou guardando me stesso. Anch'io proponevo di fare del tè per occupare la mia mente e allontanare le carezze di Claire. Anch'io abbreviavo i nostri incontri. Non dicevo di dover tornare a casa ma di dover lavorare, con la stessa rincresciuta impotenza. Quando se ne andava tiravo un sospiro di sollievo. Anche Manou, quando se ne andava, provava un senso di liberazione? Avevo già molto sofferto per causa sua, ma quel che stavo rivelando a me stesso era terribile. Anche Manou aveva recitato la stessa commedia che stavo recitando per Claire? Ma io avevo uno scopo per accettare l'amore di Claire. E Manou, qual era stato il suo scopo? Era proprio per scoprirlo che mi ero dato a Claire. L'amore di Manou, l'amore di Claire, la verità e la menzogna finivano per confondersi, e io ero così sconvolto che finivo per legarmi ancora di più a Claire; ma quella che lei considerava la frenesia della sensualità non era che angoscia. Mi torturavo per scoprire lo scopo di Manou. Lei aveva impiegato tutte le risorse del suo ingegno per respingermi, per evitare di sposarmi. Quello non era uno scopo, anzi il contrario! Anch'io avrei cercato di scoraggiare Claire se avesse voluto sposarmi. Ma non avrei rotto il nostro legame fin quando non avessi soddisfatto la mia curiosità. Manou invece l'aveva fatto. L'essenziale mi sfuggiva sempre. «Tesoro» sussurrava Claire «se soltanto mi amassi come ti amo io.» Ero sconcertato, avevo anch'io propinato a Manou delle banalità del genere? In fondo non c'era da stupirsi... E quando scorgevo negli occhi di Claire lo stesso dubbio patetico che io provavo quando abbracciavo Manou, cominciavo a sentire per lei un po' di pietà. Allora diventavo più gentile, più tenero, per lasciare a Claire un po' del suo sogno. Così non potevo più parlarle di Manou, ero prigioniero di una situazione insostenibile. A volte riuscivo a farle qualche domanda, senza approfondire troppo. Il brac-
cialetto? L'aveva comprato a Bombay. Me lo aspettavo. «Strano. Mi sembra di averne visto uno uguale a Parigi.» «È impossibile. L'orafo che me lo ha venduto mi ha detto che era un pezzo unico.» Se avesse avuto qualcosa da nascondere a proposito del braccialetto mi avrebbe dato una risposta evasiva, come: "Sì, possono essercene delle copie". Oppure: "In realtà è abbastanza banale". «Non l'hai mai prestato a nessuno?» «E tu presteresti a qualcuno la tua penna, il tuo orologio? Un gioiello è una cosa mille volte più personale.» Era un vicolo cieco che richiudeva il mistero su se stesso. Provai un'altra strada. Claire amava parlare della sua infanzia, le feci delle domande e lei mi rispose cosa già sapevo. Mi mostrò persino la foto dei suoi genitori, quella con l'uomo dai baffetti sottili e la giovane donna con il cappello di paglia che avevo già visto nella camera di Manou, vale a dire in quella di Claire. Non ero nemmeno più stupito. Claire mi lasciò frugare nella sua borsa. Aveva delle altre foto, una casa di campagna, un Jallu molto più giovane ("È la casa di mio suocero"). Un gruppo di ingegneri ai piedi di una diga ("Qui eravamo a Bombay. Sono stata io a scattarla. René è il terzo a destra.") Accanto a lui riconobbi Blèche. Mi sentivo stanco, come anestetizzato, la testa avvolta in un bozzolo di dubbi. Come aveva fatto Manou a vivere la stessa vita di Claire? Era forse una pazza? E allora mi chiudevo in camera e mi stendevo sul letto affondando la testa nel cuscino, per proiettare nella mia mente qualche immagine casuale della mia vita passata. Ma Manou era sempre più lontana, una vaga ombra con la quale non riuscivo più a comunicare. Rimaneva soltanto sempre vivida e violenta l'impressione che tra me e Manou ci fosse stato un malinteso, che non fosse riuscita a rivelarmi un segreto di capitale importanza. Ma quel segreto ormai inaccessibile era il principale ostacolo tra me e Claire. Poiché ora odiavo Manou, odiavo anche Claire, e quel che non perdonavo all'una lo rimproveravo inconsciamente all'altra, dubitavo che Claire mi nascondesse quel che Manou mi aveva taciuto. E quel pensiero inane mi forniva almeno una scusa per resistere a Claire. Perché ben presto dovetti cominciare a resisterle. Claire era una donna energica, testarda. Tanto Manou amava giocare con i suoi sogni e illuminarsi per progetti irrealizzabili, tanto Claire detestava le fantasie e i castelli in aria. Se lei mi amava anch'io dovevo amarla. Dunque dovevamo trovare una soluzione per uscire a ogni costo da quella am-
bigua situazione. Non aveva la minima esitazione, per lei se un uomo e una donna si amavano dovevano stare insieme, sposarsi il più presto possibile. Questa era la sua morale di donna sana e semplice. Il guaio nasceva dal fatto che era stata anche la mia, soltanto poche settimane prima. E adesso tutto questo mi sembrava puerile e vagamente volgare. Approvavo a parole, e il mio cuore si burlava di me. Mio malgrado dicevo a Claire quello che Manou mi aveva detto: "Abbi pazienza... aspetta...". Una volta avevo spinto Manou ad arrivare con suo marito a una spiegazione definitiva, ora ero obbligato a trattenere Claire dal prendere decisioni affrettate. E si trattava sempre dello stesso marito! Quasi mi mettevo a ridere quando osservavo: "È un uomo che non si rassegnerà mai. Non lo provochiamo!". Dovevamo trovare un modo per liberarci. Claire lo cercava, io facevo solo finta. Come potevo confessarle che avevo passato quasi un anno a cercarlo? Il solo sistema che avevo inventato era stato respinto con sdegno da Manou. In fondo ero felice che non ci fosse soluzione, e quella sicurezza giustificava in un certo senso la mia apatia. Vivevo ormai in un mondo sempre più astratto, fatto di abitudini e di sensazioni elementari. Avevo scelto di esserne prigioniero. Se non avessi mai scoperto chi era Manou, a che scopo muoversi, guardare, lavorare, amare? Ero in effetti un pessimo amante. Claire mi annoiava. Quando andavo a trovarla, cercavo di perder tempo nel corridoio, e spesso i miei baci non erano che fraterni. Ma nulla poteva scoraggiare Claire quando si dedicava a un'impresa. Lei era la mia donna, dunque Jallu era il nemico. Si chiudeva in camera sua e non gli permetteva di avvicinarla. A tavola le liti si susseguivano alle liti. Jallu arrivava per ultimo e se ne andava per primo. Serrava i denti e si rivolgeva bruscamente a Claire, quasi per ferirla. Cercavo d'interrogare Claire, e lei mi rispondeva: «Non è nulla. Stai calmo, non si tratta di te.» E allora io gridavo seccato: «Non ho paura di lui!» Ma non potevo perdonare a Claire di giocare con la mia tranquillità. Quando Manou litigava con Jallu, dopo si irritava con me? No, era impossibile. Manou non aveva mai litigato con Jallu, Manou non era mai stata la moglie di Jallu! E allora perché era così spesso innervosita, come lo ero io in questo momento? Più i rapporti tra Claire e Jallu si avvelenavano, più si aggravavano le ostilità tra me e Manou. Non aveva mai voluto rifarsi una vita con me. Lo sapevo perché anch'io non volevo sposare Claire. I miei attuali sentimenti riproducevano diabolicamente quelli di Manou. Si era data a me come io mi ero dato a Claire, niente di più. E poi non aveva più
smesso di rimpiangere quella debolezza. Ma se insultavo Manou, insultavo anche me stesso. E io non mi sentivo colpevole nei confronti di Claire. Perché avevo bisogno che Manou fosse colpevole? Cercavo di dimenticare la mia malafede bevendo, e in quel periodo dovetti bere molto. Claire se ne accorse, ma non osava rimproverarmi e questo la faceva vivere in una perenne angoscia. Forse per il tormento, forse per l'afa, aveva perso l'appetito. Non osavamo più confidarci, e tra di noi si era ormai innalzato un muro di silenzio. «Bisogna farla finita» diceva lei. E anch'io lo avevo detto a Manou. Claire si procurò una mappa dello Stato. L'avevo fatto anch'io. Finsi di stupirmi, e lei mi spiegò: «Mi è venuta un'idea.» Quell'idea la tenne occupata per parecchi giorni. Con un righello misurava le distanze, le paragonava alla scala, si dedicava a calcoli astrusi. «Se vuoi scappare, sarà meglio prendere l'aereo» le feci notare. «Ci sono molti modi per scappare.» Ma io non volevo scappare. A pensarci bene, perché dovevo aver paura di Jallu? A Parigi era un'altra cosa. Intanto, lo conoscevo soltanto attraverso le parole di Manou, lo immaginavo come un uomo capace di tutto. E poi non mi ero mai innamorato prima di allora di una donna sposata. L'immagine di un marito bastava a evocare per me l'idea della battaglia, dello scontro definitivo e inevitabile. Ormai erano settimane che vedevo Jallu tutti i giorni, e qui aveva assunto proporzioni più umane. Fisicamente non lo temevo. Non volevo perdere la faccia davanti a lui, soltanto questo. Ma Jallu avrebbe avuto tutto da perdere da uno scandalo, proprio ora che le trattative andavano così bene. In più io non amavo Claire, e mi sentivo fuori pericolo. Se c'era un pericolo (cosa di cui dubitavo), non mi riguardava. In passato mi sarei vergognato di un simile sentimento. Ma da quando avevo visto Claire ero diventato un'altra persona. Pensavo che dei tre io ero di certo il più sfortunato. La rottura tra Claire e suo marito non mi riguardava. Mi sentivo totalmente indifferente ai progetti di Claire. Se Jallu ci avesse scoperti, bastava semplicemente che me ne andassi. Ma ancora una volta avevo sottovalutato Claire. Un giorno mi ricevette in gran segreto nella sua camera e mi disse: «Ci ho pensato a lungo e ho trovato una soluzione.» Ancora una volta mi sembrava di aver già vissuto quella scena, e intuii immediatamente quello che mi avrebbe detto. Claire mi toccò una spalla: «Devo scomparire. Non c'è altro sistema.»
Mi accasciai sul letto. Alla fine era arrivata alla mia stessa idea, quell'idea che Manou aveva accantonato senza nemmeno discuterla. «Capisci, se io scompaio, se tutti mi credono morta, siamo a posto. Potremo rifarci una vita da un'altra parte.» I suoi occhi brillavano di speranza. Era posseduta da quel progetto. Di nuovo in lei tornava ad affluire la vita, ritrovava una spinta verso il futuro. Anch'io di certo avevo affrontato Manou con lo stesso entusiasmo, lo stesso desiderio di riuscire. «Non può funzionare!» le dissi. Contro Claire non avevo che da sollevare le stesse obiezioni di Manou. «Sapevo» rispose «che ti avrei sorpreso. Ma lasciamo da parte i dettagli, per il momento. In generale, sei d'accordo sulla mia idea? Altrimenti non è il caso di continuare.» Annuii stancamente. Se avessi detto di no avrebbe ricominciato a dirmi che non l'amavo, e quelle discussioni mi facevano orrore... "Non mi ami, se mi amassi, io invece ti amo..." Bene, l'amavo. E poi? «Bisogna abituarsi un po' per volta a quest'idea» continuò Claire. «Presto ti accorgerai che non è così folle come sembra.» «Se sparisci, ti cercherà e alla fine ti troverà, sta' tranquilla.» «No. No, se scompaio qui. No, se ho un incidente qui.» «Confesso che...» «Rifletti! In fondo è di una semplicità straordinaria. Basta che il mio corpo non venga mai ritrovato.» «Appunto. Come potrebbero non ritrovare un corpo in questo deserto dove non ci sono che sassi?» «Invece un sistema c'è.» Restai in silenzio. Claire mi osservava, tutta felice che io avessi preso sul serio la sua idea e che cercassi di scoprire la soluzione che lei aveva pensato. Ma i miei pensieri erano ben diversi. Mi ero ricordato delle parole di Manou: "Anch'io cerco un sistema". E aveva aggiunto: "Non rinuncerò mai a te, Pierre". No, non stava mentendo. E se una soluzione fosse esistita... «Ci sei arrivato?» No, non c'ero arrivato. Ero con Manou e tutto il resto non importava. Se Claire voleva scomparire, che facesse pure. Claire colpì il muro in un gesto di stizza. «Dimentichi il lago e i suoi cento metri di profondità. Come vuoi che possano ritrovare il mio corpo là dentro?»
La fissavo attonito. Claire mi abbracciò e si sedette vicino a me. «Non ho nessuna intenzione di annegare, sciocco. Ma supponi che noi organizzassimo un incidente. Tutti crederebbero che io sia caduta nel lago. È possibile dragare il fondo?» «Non credo, dev'essere pieno di detriti.» «Sarebbe possibile prosciugarlo?» «Certamente no. Bisognerebbe allagare tutta la valle.» «Allora siamo a posto.» «Come a posto? È vero che se qualcuno annegasse nel lago forse il suo corpo non verrebbe mai ripescato, ma dal momento che è vietato farvi il bagno, un incidente non sarebbe credibile. E anche se... Poi bisognerebbe lasciare il Paese. Le frontiere sono sorvegliate.» «E allora? I miei documenti sono in regola. Uscirò come sono entrata.» «Supponiamo... Non so... che alla dogana registrino il tuo nome, poi si viene a sapere dell'incidente e...» I miei argomenti erano miseri. A Parigi avevo spazzato via d'un colpo le obiezioni di Manou, per averla avrei affrontato qualunque cosa. Una semplice dogana non mi avrebbe creato problemi. E invece ora la tranquilla certezza di Claire mi disgustava. «E poi dove andremmo a vivere?» «Sicuramente non in Francia. All'estero.» «E se un giorno dovessimo incontrare qualcuno che ti conosce? Dobbiamo essere pronti al peggio...» «Non c'è nemmeno una possibilità su un milione. E poi cambierò pettinatura, il trucco, mi tingerò i capelli... È molto facile per una donna cambiare completamente aspetto.» «E la mia posizione?» Era l'ultima domanda da fare, ma perché avrei dovuto risparmiare Claire? Con quale diritto voleva obbligarmi a sacrificare tutta la mia vita? Mi guardò come se l'avessi colpita. «Cerca di capirmi» insistetti. «Non parlo delle mie ambizioni, quelle non contano. Ma come vivremmo?» «Tu parli un mucchio di lingue.» «Sarà, ma i traduttori guadagnano poco.» «Lavorerò anch'io.» Era veramente pronta a sopportare di tutto per me. Posò una mano sulla mia con un gesto d'infinita dolcezza. «Di' di sì, Pierre.»
Ancora una volta cedetti a quella pietà che aveva preso il posto dell'amore. «Va bene. Ammettiamo di aver risolto il problema della nostra esistenza all'estero. Ci resta il più difficile: l'incidente. Dimentichi che a monte della diga c'è un posto di guardia.» «Le sentinelle dormono tutto il giorno.» «Non è così semplice. Le sentinelle dormono di giorno, quando nessuno va in giro intorno al lago. Ma quando cala la sera sono ben sveglie, ne sono sicuro. Se andiamo a spasso e uno di noi cade in acqua, daranno subito l'allarme.» Credevo di crearle degli ostacoli. Non la conoscevo. «Mi ero dimenticata delle guardie, lo ammetto. Ma la loro presenza ci aiuterà, invece. Non possiamo simulare un incidente con la macchina? Non so ancora come, dovremmo pensarci... Aspetta, lasciami arrivare fino alla fine. Supponi che andiamo una mattina a fare delle spese a Kabul... L'abbiamo già fatto una volta e nessuno si è stupito.» «Continua.» «Rientri da solo in piena notte... e la macchina va a finire nel lago.» «Facile a dirsi!» «La porti sul ciglio della pista, metti la prima, salti giù... Non è troppo complicato. Le guardie sentiranno il rumore, daranno l'allarme. Non dovrai che fare la commedia. Dirai che eri sceso dalla macchina e che io ho voluto prendere il volante e ho sbagliato manovra. Ecco tutto.» Non ero affatto convinto, certo, e mi riservavo di distruggere quel folle piano, ma sul momento non potevo che ammirare l'ingegnosa ostinazione di Claire. Se Manou avesse avuto anche una sola scintilla di quella energia tutto sarebbe stato diverso. Provai a sollevare una prima obiezione: «E se per caso non avessi la possibilità di gettare la macchina nel lago?» «Il giorno dopo mi verrai a prendere a Kabul. Ho ben il diritto di passare una notte a Kabul. No, riguardo a ciò non c'è nulla da temere, René non si stupirà. Se non ti vedo arrivare, fuggirò a Peshawar.» Parlava già al futuro. Eravamo usciti dalle ipotesi, e io mi trovavo incastrato mio malgrado. «No» dissi. «In teoria è molto astuto, ma in realtà ci sono parecchi dettagli che non vanno.» «Per esempio?» «Be'... Come farai a raggiungere la frontiera? Lo dico così a caso, è la prima obiezione che mi viene in mente.»
«Ascolta. Se vuoi dirmi che ci sono dei rischi, non è neanche il caso di parlarne. Di rischi ce ne saranno sempre. Ma se aspettiamo ancora, correremo dei rischi peggiori. Pierre, ne ho abbastanza delle nostre menzogne. Non ne posso più. Ma se mio marito ci scopre, sarà terribile. Devi scegliere, Pierre.» Per poco non le risposi: "Stai tranquilla, non farmi fretta" come mi avrebbe detto Manou. Claire posò la testa sulle mie spalle. «Ce la farò, vedrai» continuò. «In queste circostanze le donne sono più abili degli uomini. A Kabul non mi conoscono. Affitterò una macchina fino alla frontiera, è molto vicina. E là ti assicuro che passerò senza problemi. A Peshawar prenderò l'aereo... Non ti fidi di me?» «No.» «Perché no?» Cercavo invano un argomento forte. Ero costretto ad ammettere che in generale il piano di Claire stava in piedi. «Sarebbe molto più semplice se divorziassi» le dissi. «Se hai paura lasciamo perdere» mi rispose freddamente. Si allontanò da me, riprese a ricamare, e io dovetti capitolare. Non credo che avrei potuto fare altrimenti. Dal momento che ero diventato il suo amante, dovevo accettarne tutte le conseguenze. La vera responsabile era Manou, naturalmente. Ma ormai non era più il caso di parlare a Claire di Manou. Claire in fondo mi chiedeva un aiuto, non una complicità. Non voleva più stare con Jallu e sapeva che lui non le avrebbe concesso il divorzio. Ma io non sarei intervenuto nelle loro questioni, avrei soltanto aiutato Claire a riottenere la sua libertà, niente di più. Quanto ai suoi progetti futuri, per ora non mi interessavano, ne avremmo riparlato. La verità era che Claire si serviva di me per sfuggire a Jallu. Se invece di me avesse incontrato un altro sarebbe stato lo stesso. Ma quell'altro non avrebbe esitato! Questa riflessione mi convinse a cedere. Ma prima feci ancora delle obiezioni. «Per lo stato civile saresti morta.» «E credi che adesso io sia viva?» gridò lei. «Sono anni che non appartengo più a me stessa. Per lui contano soltanto le sue volontà, le sue decisioni. Non a caso costruisce delle dighe. È capace soltanto a fare questo, sbarrare la strada, impedire alla vita di scorrere. Ormai ne ho abbastanza. Piuttosto di stare ancora con lui preferirei morire per davvero. Ti prego, Pierre, mi resti soltanto tu.» «Ne riparleremo...»
«No, piantala di tergiversare! A forza di pensarci su non prenderai mai una decisione. O è un sì, o è un no!» La adoravo quando mi guardava con quegli occhi da cane fedele. Manou non si era mai data a me così completamente, non aveva mai avuto davvero bisogno di me. Insultavo Claire quando pensavo che nei miei confronti avesse dei secondi fini. Se non ci fossimo incontrati probabilmente si sarebbe rassegnata. Diceva la verità. Non aveva che me, io che calcolavo, io che temporeggiavo, io che cercavo una scappatoia. Io che volevo tradirla perché Manou mi aveva tradito. Le presi la mano. Il mio slancio era sincero. «La risposta è sì. Io ti salverò!» Jallu si assentò per una settimana. Doveva incontrarsi a Roma con un gruppo di uomini d'affari, e per me e Claire quello fu uno strano periodo. Eravamo liberi. Mi sentivo fisicamente decompresso, come un sommozzatore che ritorna in superficie. Vedevo di nuovo le persone intorno a me. La diga non era più una prigione, i pasti non erano più una terribile partita a poker in cui ognuno sorvegliava gli sguardi degli altri. Io e Claire potevamo parlarci tranquillamente, uscire insieme senza dover trovare dei pretesti. «Vedi» mi diceva Claire «come saremo felici. Non avremo dei problemi a vivere insieme.» Questo la spingeva a sviluppare il suo progetto. Dopo l'incidente sarei tornato a Parigi e lei mi avrebbe raggiunto. «A proposito, dove abiti? Non so nemmeno il tuo indirizzo.» «Sto in rue d'Alésia. Ma sarebbe una pazzia.» «Perché? Parigi è grande, e rue d'Alésia è lontana da Neuilly.» "Per un po' mi nasconderò a casa tua. Voglio proprio vedere come ti sei sistemato. È importante per dopo, cercheremo da un'altra parte un appartamento identico al tuo e lo arrederemo come piace a te." «Da un'altra parte?» «Oh! Non andremo mica in capo al mondo! Perché non andiamo a vivere a Londra? René non ci va mai.» Era come se Manou mi sussurrasse all'orecchio: "Londra di sera, che meraviglia! Cammineremmo insieme sotto l'ombrello...". «Non ti piace Londra?» insisteva Claire. «Certo che mi piace.» Claire continuava a organizzare la nostra vita con una pignoleria che mi
irritava. Mi aveva già incasellato sotto la dicitura: "marito". I progetti di Manou mantenevano sempre un che d'improbabile e di avventuroso. Quelli di Claire erano precisi fino al dettaglio e uccidevano il futuro prendendone possesso. Ma avevo detto di sì. Dunque continuai ad annuire, ma dentro di me rifiutavo ogni suo suggerimento con tutte le mie forze. Se l'avessi ascoltata, la nostra fuga d'amore sarebbe diventata un'operazione di commando. L'avremmo studiata sulle mappe, avremmo fatto delle manovre sul terreno. Claire subiva l'influenza di Jallu. Anzi, gli assomigliava molto. La stessa mania di calcolare, di soppesare, di progettare in anticipo il modo migliore per piegare gli elementi alla propria volontà. Mi sentivo soffocare, così imprigionato nelle loro dettagliate planimetrie. Avevo rinunciato a formulare delle obiezioni, rispondevo semplicemente "d'accordo" anche se non lo ero affatto, perché ormai non potevo rispondere altrimenti. Saremmo partiti dalla diga alle sette del mattino, a Kabul ci saremmo separati, lei avrebbe preso una stanza sotto falso nome in un albergo modesto, il Royal... D'accordo. Il mattino dopo mi avrebbe aspettato fino alle dieci davanti al garage Ford, se non l'avessi raggiunta questo avrebbe significato che tutto procedeva per il meglio, e allora lei avrebbe affittato una macchina e se ne sarebbe andata. D'accordo! «Ma insomma, dimmi cosa ne pensi» s'infuriava lei. «È così snervante discutere con te!» «Mi sembra che tutto fili liscio» rispondevo allora. «Siamo d'accordo, non è il caso di rimuginare sempre le stesse cose.» «Bisogna pur rimuginarle, se non vogliamo commettere errori. Sinceramente, credi che possa funzionare?» «E come potrei dirti il contrario? Se ti rispondo che in albergo ti chiederanno i documenti, tu ribatti che quello è affar tuo, che si tratterà soltanto di dare delle mance, che non devo preoccuparmi! E allora, avanti!» Per un momento ci guardammo come nemici. Manou forse non mi amava, ma nemmeno nelle nostre discussioni più aspre non era mai mancata tra noi una sorta di complicità, un contatto segreto e intimo che ci teneva legati. Eravamo entrambi deboli e pieni d'immaginazione, ecco perché ci eravamo subito riconosciuti. Claire era di un'altra razza. Con lei ogni dissapore diveniva uno scontro che ci costringeva ad affrontarci. Ma mentre Manou si ritirava senza mai cedere le armi, Claire si arrendeva subito. Se Manou si fosse messa in testa di fare quello che ora Claire voleva fare, sarei stato preso da mille inquietudini. Ma di Claire non mi preoccupavo affatto, e questo la feriva profondamente. Capivo che pensava, arrovellando-
si: "Non mi ama, è soltanto una commedia". E allora cercavo di cambiare discorso: «Parliamo della Land Rover.» Claire naturalmente aveva già esaminato la questione in ogni dettaglio. Le avevo spiegato come funzionavano le marce e la trazione integrale, e lei mi aveva dimostrato che era molto facile ingranare in prima il 4X4 e poi gettarsi dalla macchina senza pericolo. La jeep sarebbe andata avanti da sola. Verificammo in seguito che avrebbe anche potuto superare un terrapieno senza deviare dalla sua rotta. Restava da scoprire il punto propizio, non troppo lontano dal posto di guardia, perché il rumore facesse subito accorrere le sentinelle, ma non così vicino da permetter loro di osservare distintamente la scena. La scelta fu facile. A centocinquanta metri dalla garitta vi era una stretta gola in cui il rombo del motore si ripercuoteva assordante. Poi i bordi di quella specie di trincea si abbassavano, e tra la pista e la riva del lago non rimaneva che un basso terrapieno. Mi sarebbe bastato mettere la prima all'uscita dalla trincea, voltare a destra, balzare dalla jeep e poi inseguirla a piedi. La Land Rover avrebbe superato facilmente il terrapieno e sarebbe poi precipitata giù per la ripida scarpata fino a colare a picco nel lago. Se fossero anche riusciti a ripescarla nessuno si sarebbe stupito della scomparsa di Claire, di sera era normale che la capote non fosse sollevata. Unica difficoltà: sarei riuscito a fingermi sconvolto? Claire mi stordì di suggerimenti che accettai di malagrazia, poiché non ero affatto sicuro di saper simulare il dolore, lo sconforto, il rimorso, un miscuglio di sentimenti molto difficili da riprodurre. Ma nel panico generale che ne sarebbe seguito nessuno mi avrebbe osservato troppo attentamente. Sarebbe bastato che apparissi abbattuto, come pietrificato, ripetendo meccanicamente le parole che Claire aveva scelto per me. "Ritornando alla diga da Kabul, mi è venuta una forte emicrania, e abbiamo dovuto fermarci diverse volte. La signora Jallu voleva guidare al mio posto, ma io ho rifiutato. Giunti sull'altipiano, non ce la facevo più, e allora mi sono fermato per fare quattro passi. La macchina improvvisamente è ripartita, mi sono voltato e la signora mi ha gridato qualcosa. Deve aver deciso di prendere lei il volante e di farmi salire, ma, non essendo pratica, ha sbagliato manovra. Ho cercato di fermarla, ho gridato, ma non c'è stato più nulla da fare." Claire approvò la mia recitazione. Dovevo limitarmi soltanto a quelle poche plausibili spiegazioni. «Non aver troppo l'aria di recitare, però.» «Ma certo, non sono mica stupido.»
Avevamo previsto tutto? L'emicrania? Jallu sapeva che soffrivo il caldo. La manovra sbagliata? Claire aveva voluto fare marcia indietro per venirmi a prendere, ma aveva sbagliato a cambiare e la jeep era invece balzata in avanti. Claire, sorpresa, non aveva avuto il tempo di sterzare o di frenare. No, non c'erano lacune, la morte di Claire sarebbe apparsa del tutto naturale. Jallu doveva tornare il lunedì, e martedì sarebbe avvenuto l'incidente. Così l'effetto sorpresa sarebbe stato ancor più forte, e Jallu, stanco e ancora immerso nei problemi trattati nei giorni precedenti, avrebbe subito passivamente la sciagura. Mi avrebbe rimproverato aspramente, ma non ci sarebbero state domande. Ancora quattro giorni. Claire era di una calma impressionante. Io passavo dalla determinazione a un abbattimento carico di rassegnazione. Presentivo la catastrofe come un animale selvatico fiuta l'avvicinarsi di un terremoto. Ma avevo il puntiglio di voler apparire distaccato, come se il complotto non mi riguardasse. Tra me e Claire c'era come una lotta silenziosa e mai sopita. Tutto il suo atteggiamento voleva dire: "È per te, è perché ti amo, che io mi butto in questa avventura" mentre io mi comportavo come se non fossi altro che un suo aiutante, un testimone compiacente. Un rapido scontro, qualche colpo di fioretto, e poi seguiva l'immancabile, prudente riconciliazione. L'amore non trovava più posto in quella veglia d'armi. Claire metteva a punto gli ultimi dettagli, sceglieva gli abiti che si sarebbe messa per non essere troppo notata a Kabul, decideva che avrebbe preso una delle mie valigie, perché le sue erano troppo lussuose. Pensava veramente a tutto, con calma e tranquillità, come si fosse trattato di preparare un picnic. Organizzava persino il disordine che avrebbe lasciato in camera sua per eliminare ogni sospetto di una fuga, il ricamo abbandonato su una sedia, i sandali di cuoio ai piedi del letto. Mi suggeriva di non dimenticare di lasciare il suo casco sul sedile accanto al guidatore, nell'acqua sarebbe venuto a galla, e l'effetto sarebbe stato straziante. La domenica il cielo si oscurò e il caldo diminuì, il che ci preoccupò alquanto. Se iniziava a cadere una di quelle piogge torrenziali, che sono tipiche di quelle regioni, saremmo stati obbligati a rimandare il nostro piano, perché non sarebbe stato possibile recarsi a Kabul. Claire, però, mi fece notare che non aveva importanza, poiché l'incidente in realtà poteva avvenire in qualsiasi giorno. Quel pomeriggio passeggiammo a lungo a capo scoperto sulle rive del lago. Per la prima volta la temperatura si era fatta sopportabile, ma sotto il cielo plumbeo la diga e la valle avevano preso un
aspetto sinistro. Eravamo soli. Salvo il personale di turno, tutti se ne erano andati in città per prendersi una giornata di svago. Sentivo una stretta al cuore. Claire mi prese per mano: «So a che cosa pensi. Anche a me non piace quello che stiamo facendo, ma è colpa sua. In fondo non è cattivo, ma è talmente pieno di sé che non si può discutere con lui.» «Ti dispiace?» «Oh, no! Resterà da solo. Tanto peggio, l'ha voluto lui! Non ha che una cosa in testa: ottenere la rivincita di fronte al mondo. Di fronte a quelli che hanno dubitato di lui, che lo hanno denigrato, accusato, gettato nel fango.» «Francamente, è veramente innocente?» Claire esitò, si abbassò a raccogliere un sasso tutto tempestato di pagliuzze brillanti. «Devi cercare di capirlo. Tu, se hai voglia di scrivere un libro, prendi carta e penna e lo scrivi. La materia prima non ti costa niente. Lui, per provare che è Jallu, che i suoi progetti sono i migliori, che è il dominatore degli elementi, ha bisogno di una montagna, di un fiume, di migliaia di tonnellate di cemento; gli occorrono dei miliardi. Tu puoi scrivere venti libri, trenta libri, quanti ne vuoi. Lui, anche nella migliore delle ipotesi, non potrà avere che sette o otto possibilità. E ancora, verrà contestato fino alla fine... Non credo che abbia commesso delle... irregolarità. Ma un uomo come lui potrebbe chiudere gli occhi, sì... su certi traffici, pur di avere un appalto, agguantare ancora una volta l'occasione di affermare se stesso o piuttosto le sue teorie.» «E la vita degli altri?» «Non ci pensa nemmeno. Lui sa, capisci, sa di non potersi sbagliare. Non vende dighe, vende dei calcoli di cui è assolutamente sicuro. Me l'ha spiegato lui stesso, una volta. Ammetto che è un po' inquietante. Per lui la solidità di una diga non dipende dal materiale impiegato per costruirla, ma dalla forma. Afferma addirittura che gli altri sprecano il cemento, che ne mettono sempre troppo!» «Tutto ciò può essere alquanto pericoloso!» Claire gettò il sasso nel lago, fissò i cerchi che si irradiavano, poi la curva elegante della diga e il flusso dell'acqua scura all'imbocco degli sfioratori. «Quello è il suo dramma. La sua vita è simile a un lento suicidio. Ora capisci perché voglio fuggire?» «Ma non temi che la tua sparizione gli arrechi un colpo mortale?» «Anch'io ho il diritto di vivere.»
«E se più tardi ti ritrovasse?» «È meglio che non avvenga.» Camminammo per un po' in silenzio. Quello era l'uomo al quale tra due giorni avrei dovuto dare delle spiegazioni. «Dunque» le dissi «non devi tornare a Parigi, sarebbe una follia. Vai provvisoriamente a Londra, dal momento che vuoi che sia Londra. Mi darai il tuo indirizzo, ti raggiungerò.» «Sì, forse è meglio.» «Starai in albergo sotto il tuo vero nome?» «Che importanza può avere a Londra!» «E... poi?» «Poi! Sta tranquillo, mi procurerò dei documenti falsi.» Terminammo la nostra passeggiata in silenzio. Osservai per l'ultima volta il posto dove avrei fatto precipitare la jeep nel lago. Era ben scelto, il rumore familiare avrebbe attirato l'attenzione delle guardie senza insospettirle, sarebbero uscite, avrebbero assistito alla caduta, ma sarebbero state troppo lontane per vedere se c'era qualcuno a bordo oppure no. Lasciai Claire sulla porta della sua stanza. «Riguardo ai documenti falsi...» cominciai. «Abbi fiducia in me!» Anche Manou me l'aveva detto. E io avevo avuto fiducia in lei. Ma poi... Jallu tornò alla diga il lunedì. Non aveva voluto che lo andassimo a prendere all'aeroporto. Tornò in piena notte con un camion del campo. Mi strinse la mano, abbracciò Claire, sempre distante, sempre sbrigativo. Non una parola delle sue trattative. Eravamo degli aiutanti, non dei soci. Cenò da solo in camera. Aveva del lavoro da finire. Claire mi guardò negli occhi, e sembrava che mi dicesse: "Vedi!". E sì, vedevo. Ora capivo perché Jallu aveva preferito il bivacco della centrale elettrica al Cecil Hotel. Dalla sua stanza poteva vedere la diga, la "sua" diga. Lì era a casa sua, molto di più che nella villa di Neuilly. La diga era la sua ragione di vita, un muro contro i suoi nemici. «Prima di coricarmi» mi sussurrò Claire «gli dirò che domani andiamo a Kabul.» Feci una doccia. Ero letteralmente inondato di sudore. Domani! Domani! Quella parola mi martellava le tempie. Per fortuna, nella notte scoppiò il temporale, una tempesta selvaggia, una cannonata che riempì la valle di un tumulto assordante, da fine del mondo. Quel frastuono m'intorpidì, e io
mi addormentai, con il cuore che batteva tumultuosamente, dopo aver ricapitolato tutti i motivi per cui avremmo fallito. Non avevamo nemmeno una possibilità su cento. E se anche avessimo vinto, "io" avrei vinto? Ogni passo verso Claire mi allontanava da Manou. Il solo vantaggio per me era che sarei rientrato a Parigi. Avrei ripreso le mie indagini, sarei tornato a Neuilly. Avevo le chiavi, avrei avuto tutto il tempo di frugare dappertutto, perché se tutto andava bene Claire mi avrebbe aspettato a Londra, e Jallu sarebbe rimasto ancora alla diga. Quando mi svegliai, mi accorsi che il ritmo del tempo era cambiato, che ogni minuto era solenne come il giorno di una cerimonia. Uscii sulla terrazza. Il cielo era di un blu intenso, quasi bianco all'orizzonte; le montagne, avvolte nella nebbia, avevano un aspetto sinistro. La cascata, ingrossata dalle piogge della notte, ribolliva rumorosamente e il flutto delle acque schiumanti si perdeva a valle sotto il ponte di un arcobaleno. Tra pochi giorni avrei rivisto l'Arco di Trionfo. Ero pronto. Jallu e Claire facevano colazione in sala mensa. Li salutai. Il volto di Claire era liscio e riposato. Forse non aveva nemmeno sentito il temporale. Accanto al marito era l'immagine stessa della tranquillità. Con la consueta voce monotona gli chiese: «Hai bisogno di qualcosa? Sai che andiamo a Kabul...» «No. Grazie. Vi accompagnerei ma devo terminare il mio rapporto.» Claire aveva previsto anche questo. Sapeva che il giorno dopo il ritorno di Jallu saremmo stati liberi. Dal momento che non aveva lasciato nulla al caso, aveva sicuramente già progettato come procurarsi i documenti falsi. Decisi alla fine di non agitarmi, di abbandonare una volta per tutte quel fardello di incertezze e di timori che mi spezzava le reni. Non mi ricordo più cosa ci dicemmo. Jallu si alzò per primo da tavola. Baciò Claire sulla fronte, mi strinse la mano. «A stasera. Oggi farà caldo, vi avverto.» Claire lo fissò mentre si allontanava. Lo stava vedendo per l'ultima volta. Uscendo da quella stanza, lui usciva dalla sua vita per sempre. Claire era perfettamente calma e tranquilla. Jallu chiuse la porta. «Dammi una sigaretta» mormorò Claire. Poi, con un'allegria che mi ferì: «Tutto bene?» «Sì, bene.» «Allora, se vogliamo andare...» Andai a prendere la Land Rover. Era il momento in cui i domestici pulivano gli uffici. Così, quando portai in macchina la valigetta non incontrai nessuno. La nascosi sotto un telone, poi Claire mi raggiunse e finalmente
partimmo. «Sarà molto facile, vedrai» mi disse, mentre acceleravo sulla pista. Poi restammo in silenzio fino a Kabul. Mi disse di fermarmi presso le prime capanne della periferia. «Dobbiamo separarci qui. D'ora in poi non ci conosciamo più. Se mi incontri durante la giornata, cerca di evitarmi.» «Ma tutti ti noteranno! Un'europea che attraversa la città con una valigia...» «Non ha importanza, basta che non sappiano che sono la signora Jallu. Ma questo, sei solo tu a saperlo... Non dimenticare: domani, al garage Ford fino alle dieci. Non fare quella faccia, amore. Funzionerà, vedrai. Combatti, piccolo Pierre. Per noi.» Mi diede un bacio rapido e lieve. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Scesi cavallerescamente, ma lei mi aveva già preceduto. La valigia era già ai suoi piedi. «Va... va, presto.» Mi scacciò con un gesto. Me ne andai e a lungo vidi nello specchietto la sua figura che scompariva in lontananza, seguita da un cane randagio che ne fiutava la pista. Andai al Cecil. Ora cominciava il momento più duro, l'interminabile attesa fino a sera, fino alla tragedia. Fumai, bevetti, sognai. Cercavo d'immaginare le mosse di Claire, le sue manovre per affittare un'automobile. Qui la gente è curiosa. Una macchina, una donna sola, vogliono dire un'infinità di domande. Avrebbe dovuto pagar caro il silenzio degli impiegati. Più bevevo e più avevo paura. Per rassicurarmi mi dicevo che c'era molto traffico con l'India, che una folla di viaggiatori attraversava ogni giorno la frontiera nei due sensi, che Claire avrebbe potuto prendere un pullman se non riusciva a noleggiare una macchina, che il denaro poteva tutto in quel Paese così misero. Ogni tanto guardavo in strada, ero addolorato e combattuto. Che cosa provavo in realtà per Claire? Se avessi avuto la fortuna di ritrovare Manou, Claire avrebbe ancora contato per me? Ero macerato da mille rimorsi inutili, toccavo il fondo di una cupa disperazione, di un coacervo di sentimenti contraddittori. Le ore si sgranavano lentamente mentre io mi abbandonavo alle mie nauseanti meditazioni. Avrei veramente rivisto Claire? Se Manou non ricompariva sarei andato a Londra? Avrei voluto sposare una donna costretta a nascondere la sua vera identità? Il matrimonio non sarebbe stato valido. Ancora una volta il futuro si annebbiava, mi sfuggiva sornione. Che vita sarebbe stata? Avremmo dovuto continuamen-
te diffidare degli altri, spiare guardinghi gli spettatori prima di entrare in un teatro, un cinema, essere nel perenne terrore dell'incontro fatale che ci avrebbe smascherati. Eravamo condannati a vivere una piccola esistenza meschina, costretti all'incognito e all'isolamento. E allora i miei progetti, i miei libri? Come avevamo potuto evitare di confrontarci con quell'ostacolo? No. Non sarei andato a Londra. Avrei risposto a Claire ciò che lei stessa mi aveva detto con tanta violenza: "Anch'io ho il diritto di vivere!". Salutai da lontano qualche funzionario sfaccendato, pranzai senza appetito, continuando a pensare a Claire e a Manou. Era un gioco di specchi, e l'immagine dell'una rifletteva quella dell'altra all'infinito. Una sonnolenza febbrile mi intorpidì per una parte del pomeriggio, poi, preso all'improvviso da un'incontrollabile irrequietezza, uscii. Ma avevo un bel percorrere le strade della città, non riuscivo a trovare Claire. Non potevo più tornare indietro. Per incoraggiarmi continuavo a ripetermi: "L'hai voluto tu! Quando proponevi a Manou di scomparire non eri forse pronto a fare quello che ora ti sembra tanto azzardato? Allora, immagina che Claire sia Manou!". Perché ritornavo sempre a Manou, mio malgrado, con la stolidità di una mosca che si accanisce contro un vetro. Andiamo, era il momento! Il sole stava calando dietro la montagna, donandole uno scintillio di lamiera. La testa mi faceva male, almeno in quello non avrei mentito. Posai sul sedile accanto a me il casco di Claire e mi diressi verso la diga. Sarei riuscito a dominare la Land Rover? E se il motore si fosse fermato, se non fossi riuscito a farla finire nella scarpata? Cosa avrei detto? Claire me lo aveva spiegato, perché aveva previsto quell'eventualità come tutte le altre, ma non ricordavo più le sue raccomandazioni. La macchina sobbalzava sulla pista, e il tramonto era un forno. Ero terrorizzato all'idea di non riuscire a saltare, di essere trascinato nella caduta. Arrivai in vista del lago, incandescente come metallo fuso, girai nella comba ai piedi dell'altipiano, attaccai la ripida salita. Ancora un chilometro. Ripassai mentalmente tutto quello che dovevo fare, passare in prima, ingranare il 4X4, sterzare a destra subito dopo la gola e balzare fuori. Una serie di operazioni da eseguire una dopo l'altra, senza precipitarsi. La diga era sempre più vicina, si stagliava nella luce radente. Al di fuori della garitta non c'era nessuno. Attenzione, era il momento. Inforcai il corridoio roccioso e il rimbombo del motore mi assordò. Mi sentivo nudo, sotto gli sguardi di tutti e colpevole fino al midollo. Passare in prima, acceleratore a tavoletta, volante a destra; balzai fuori dalla macchina e caddi male. Un dolore brutale come una bastonata mi falciò la caviglia sinistra. Rotolai a terra, mi rialzai zoppicando. La
pesante Land Rover s'inerpicava di sbieco sul terrapieno, mentre io la seguivo e la gamba non mi reggeva. La scarpata la ghermì e ne fece un unico boccone, in un tremendo frastuono di ferraglia. Arrivai sulla cima nel momento in cui s'inabissava nel lago e un fiotto d'acqua giunse fino a me. Una tanica scaraventata a terra da un sobbalzo del fuoristrada rotolava ancora sola sul pendio, finché non s'immerse anch'essa nei flutti. E allora la caviglia cedette e caddi a terra. Se una roccia non mi avesse trattenuto avrei fatto la stessa fine. Chiusi gli occhi. Avevo male dappertutto ma il peggio era passato. Sentivo delle grida, gente che correva. Stavo per svenire e l'incoscienza mi rendeva felice. Per me era finita. La valanga provocata da Claire cominciava il suo cammino rovinoso, e allora ancora non sapevo che ne saremmo stati tutti travolti. Non affrontai subito Jallu. Non ero in grado di rispondere. Ero su una barella, e qualcuno mi chiedeva: «La signora Jallu era con lei?» E un altro: «L'hai visto il suo casco, là che galleggia!» E ancora, e ancora: «Attenti, è ferito...» «Dev'essere annegata...» «Ci vorrebbe un'attrezzatura da sub, ma non l'abbiamo...» «Sì, l'hanno avvertito. Sta arrivando...» Qualcuno, non so chi, urtò il mio piede e svenni. Fu soltanto più tardi in infermeria che mi trovai faccia a faccia con Jallu. Come sempre capita, nulla avvenne come avevo immaginato. Jallu mi si sedette accanto, spossato, vecchio, vinto. «Non si muova, si è slogato la caviglia, e si è fatto un brutto taglio alla testa.» Non mi ero ancora accorto di avere il capo bendato. Equivocò sull'espressione del mio volto e aggiunse: «No, non l'hanno ritrovata. Non la ritroveranno mai, è impossibile.» Di colpo recuperai tutto il mio sangue freddo. Avevo temuto uno scatto, un'esplosione di collera, una scenata insostenibile. Invece avevo a che fare con un uomo che sapeva controllarsi e mantenere un dominio ferreo sui suoi sentimenti. Soltanto la voce lo tradiva. Gli spiegai come potevo l'incidente, e lui annuiva. Certo, sua moglie era stata molto imprudente! «Sono stato preso completamente alla sprovvista» dissi. «Sul momento non ho nemmeno capito cos'era successo.» «L'acqua del lago è gelida. Mia moglie sapeva nuotare, ma dev'essere stata presa da un'immediata congestione. E poi, forse, era ferita...»
Tirò un sospiro, poi concluse: «Sono stato io a insistere perché venisse qui anche lei. La colpa è mia... Faremo ancora delle ricerche, ma non ho più speranze. Ho ancora bisogno di lei domani, per l'inchiesta. Buonasera, signor Brulin. Cerchi di dormire.» E io dormii, stremato, sollevato, disgustato, abbrutito. L'indomani potei alzarmi. La caviglia mi faceva male ma non era molto gonfia. La testa mi ronzava. L'inchiesta fu rapida. Raccontai la mia storia a un afghano che doveva essere il loro equivalente di un commissario di polizia. Feci una deposizione firmata che andò ad aggiungersi a quella delle guardie che erano state testimoni del dramma. Per mio tramite, Jallu pregò le autorità di soffocare lo scandalo. Date le circostanze, preferiva evitare che se ne parlasse troppo. Avveniva tutto come Claire aveva previsto. La discrezione dei poliziotti garantiva il successo della sua fuga. Quella sera non ebbi più dubbi. Claire aveva vinto. Ormai per il mondo era morta. Restai parecchi giorni in infermeria, incerto sulla condotta da tenere. Jallu mi fece soltanto due visite, per la forma. Era chiaro che si sforzava. Certamente mi odiava, ma non lo dava a vedere. Quando gli annunciai la mia intenzione di ritornare in Francia, disse semplicemente: «Credo che sia la soluzione migliore.» Quello fu il suo congedo, e allora affrettai i preparativi per la partenza. Volevo salutarlo prima di andarmene dalla diga. Il suo domestico mi disse che non era alla centrale. Il camion dei rifornimenti mi attendeva. Guardai per l'ultima volta la diga, la sua diga, e la cascata fumante e la valle perduta. E adesso cosa mi aspettava? Presi posto accanto all'autista. E allora vidi Jallu in piedi sulla cima del terrapieno, dove la Land Rover era scomparsa. Immobile. Fissava il lago ostinatamente. Quando il camion gli passò accanto non si girò nemmeno. 5 Fu con un'immensa gioia che rividi Parigi. La città si stava svuotando per le ferie, e io la guardavo con occhi nuovi, un cuore nuovo. Ricordo che per diversi giorni, come un provinciale stolidamente sbigottito, continuai a passeggiare, per rivedere quel che avevo già visto mille volte, mi affacciavo al parapetto dei ponti e ne carezzavo la pietra con la punta delle dita. I lunghi viali che portavano fino all'azzurro del cielo erano luoghi di teneri appuntamenti con me stesso e con un ricordo che ben presto divenne un
incubo. Manou! Dal momento che sapeva tante cose su Claire, doveva anche sapere che si era recata a Kabul e che di conseguenza io avevo scoperto il suo trucco. Ormai avrebbe fatto di tutto per evitarmi. Non l'avrei mai più rivista. Forse aveva lasciato Parigi. Tuttavia non riuscivo a odiarla. Lei aveva cercato d'ingannarmi, ma io, io non ero forse divenuto l'amante di Claire? Sì, ero molto più colpevole di lei! Quando avesse scoperto che Claire era stata la mia amante, e l'avrebbe di certo scoperto, non avrebbe potuto che disprezzarmi. E io non avrei avuto modo di giustificarmi con lei. La gioia del ritorno era ormai morta. Ero ricaduto nei dubbi di un tempo. Perché in realtà non ero sicuro di niente. Perché Manou avrebbe dovuto sapere che Claire era stata la mia amante? Chi glielo avrebbe detto? Non Claire. E allora? Sapevo dove mi avrebbero portato tutte quelle sterili riflessioni. Ciononostante continuavo a resistere. Ero uno sciocco a continuare ad aggrapparmi al passato. Che Manou pensasse quel che voleva. Ero libero. Non dovevo niente a nessuno. Nemmeno a Claire. Povera Claire! Certo in questo momento era a Londra, a macerarsi nei dubbi dell'attesa. Ma non avevo più alcuna voglia di rivederla. Sarei stato sorpreso se mi avessero detto che avevo dei doveri nei suoi confronti. Non pensavo che a Manou, e una sera compresi che la mia resistenza era alla fine, e che ormai non mi restava che cedere le armi. Manou aveva vinto. Come sempre. Le scrissi una lettera dal ristorante in cui una volta avevamo pranzato. Poche righe frettolose: Manou, Manou tesoro. Non posso dimenticarti. Sono tornato a Parigi e ti ritrovo dappertutto. A casa mia, a casa nostra, sei così viva e palpitante che non oso più guardare nulla, toccare nulla, per paura di sfiorare la tua mano. Se esco è soltanto per vederti in ogni persona che incontro. E se sono solo è per respirare ancora l'aria che tu respiri. Manou, se per un momento mi hai amato, conosci anche tu questo miraggio. La morte, non so, mi sembra che si possa venire a patti con la morte. La morte la si può meditare. Ma l'assenza... L'assenza non è fatta, Manou, che delle nostre piccole viltà, delle nostre debolezze. Basterebbe soltanto un po' di coraggio, un po' di franchezza... Quel che hai voluto nascondermi non ha nessuna importanza, perché ti amo. Durante il mio viaggio (vedi, ti dico tutto) ho tentato di amare un'altra donna per sopravvivere. Ho fallito. Non riuscirò più ad amare nessun'altra che te.
Se ricevi questa lettera, ti prego, mia piccola Manou, rispondimi, dammi un segno. Soltanto Dio ha il diritto di esistere senza mai manifestarsi. Non avevo dimenticato il numero della sua casella postale. Spedii dunque la lettera e per qualche ora mi sentii più tranquillo. Manou non mi avrebbe sicuramente lasciato nell'incertezza. Avrei già dovuto scriverle dalla diga. Se invece di cedere a un inverosimile rancore le avessi raccontato tutto... No. Non potevo dirle niente. Parlarle di Claire voleva dire rimproverarle apertamente o implicitamente la sua condotta. Del resto, se mi rispondeva, se mi dava un appuntamento, non sarei stato obbligato a chiederle perché aveva preso il posto di Claire? Avevo commesso un errore, avrei dovuto farle capire che avremmo voltato pagina, che non saremmo mai tornati sul passato. In piena notte mi alzai per scriverle un'altra lettera, ma questa volta non riuscivo più a trovare le parole. Mettendo una pietra sopra il passato, avevo l'aria di accusarla. Venne il mattino, e io ero stremato e ormai deciso a lasciare la Francia per andare non so dove. Ma era solo per amore, oppure stavo semplicemente romanzando me stesso? Rimuginavo questi pensieri in cucina, mentre l'acqua del caffè bolliva, traboccava, crepitava toccando la fiamma. Avevo preso in uggia il mio stesso appartamento. E scoprivo in quel momento che non si sa mai se si ama, che l'amore sta forse in una specie di patto grazie al quale ci si dà l'illusione di non cambiare, di sfidare il tempo e il segreto desiderio di dimenticare. Era l'algida lucidità del mattino dopo, mi ci ero già ferito tante volte. Uscii e vagabondai a lungo nella città deserta dai negozi chiusi, nelle strade in cui il primo sole sembrava dare una festa privata e misteriosa. La voglia di scriverle mi stringeva il cuore, una fitta più lancinante del desiderio di un tempo. Passeggiai sul lungosenna, tra mille frasi che ammettevano la mia sconfitta. Consumai al banco di un bar dei croissant che sapevano di colla e decisi di colpo di rimettermi al lavoro. Sentivo improvvisamente il bisogno del mio ufficio, delle mie schede di lettura, della mia vita di prima. Volevo vedere persone, sentir suonare il telefono. Stavo morendo di solitudine, e non ero più che un'ombra negli inferi. Due giorni dopo, alle dieci, mi feci ricevere dal mio direttore. Mi accolse con la solita gentilezza. Aveva saputo dai giornali della morte della signora Jallu e gli sarebbe piaciuto avere qualche particolare in proposito. Non senza timore, gli raccontai le circostanze dell'incidente. Se un giorno si
fosse saputa la verità non mi avrebbe perdonato le mie menzogne. Ero stato pazza ad ascoltare Claire, e in quell'ufficio ne ebbi l'accecante certezza. «Sembra stanco» mi disse. «Vuole ancora qualche giorno di congedo? In questo momento la casa editrice va al rallentatore.» «No, proprio no. Conto sul lavoro per cercare di rimettermi.» «Sta scrivendo il suo libro sull'Afghanistan?» «Lo scriverò più tardi.» «Le consiglio di romanzarlo molto» mi disse sorridendo. «Altrimenti Jallu ci darebbe sicuramente delle noie. La morte di sua moglie non ha di certo giovato alla sua situazione, e non credo che provi ora per lei un grande sentimento di amicizia.» Parlammo a lungo dei progetti in corso, del periodo dopo le ferie, che come tutti gli anni sarebbe stato piuttosto difficile. Prima che me ne andassi, mi trattenne prendendomi per un braccio. «Non vorrebbe per caso andare in Vietnam?» «No... A quanto pare i lunghi viaggi non sono la mia specialità.» «Peccato. Avrei potuto mandarla a Saigon per conto di un grande giornale della sera.» «Dica, dica pure...» «No, se non le interessa... Comunque ci pensi. Se cambia idea, possiamo ancora vedere.» Mi accompagnò fino al pianerottolo e io scesi nel mio ufficio; come al solito era in disordine, pieno di libri, di riviste. Nella stanza accanto, la mia segretaria batteva a macchina la corrispondenza. Passeggiai per un po', accesi una sigaretta. Pensavo al giorno in cui la porta in fondo si era aperta ed era entrata Manou. Si era seduta là, in quella poltrona. Rivivevo la scena. Nulla era cambiato. Bastava che sfogliassi il mio notes e avrei ritrovato la pagina in cui avevo scritto Emmanuelle. Il suo manoscritto doveva essere ancora nello schedario... Lo aprii, frugai tra gli incartamenti. Dove lo avevo messo? Ero sicuro di averlo riportato in ufficio, quando avevamo terminato la revisione. Chiamai Yvonne, la mia segretaria. Non sapeva che ero già tornato e per un quarto d'ora dovetti subire il suo interrogatorio, spiegarle come vivevamo alla diga, cosa mangiavamo, com'erano vestiti gli indigeni; mi lasciavo andare, ridevo con lei, e nello stesso tempo pensavo che il manoscritto era un'esca potente. Sarebbe bastato che scrivessi a Manou con la carta intestata della casa editrice per costringerla ad accettare un appuntamento d'affari. Teneva troppo al suo libro. Se avesse saputo che era in stampa e che avevamo bisogno di lei per una ragione che avrei
inventato facilmente, sarebbe venuta, ne ero certo. Come avevo potuto trascurare una simile arma? Nell'agitazione dei giorni che avevano preceduto la partenza, avevo completamente dimenticato il manoscritto. E dopo...! «Che strana idea» strepitava Yvonne «tornare al lavoro quando tutti vanno in ferie. Al suo posto me ne sarei andata in vacanza.» «Oh, non è che abbia intenzione di ammazzarmi di lavoro. Ma devo pur far vivere la nostra collana. A proposito, dov'è finito il manoscritto di Emmanuelle? Si ricorda, la storia di quella giovane donna a Bombay?» «È stato ritirato.» «Ritirato? Non capisco.» «Ha telefonato venerdì pomeriggio. Ha detto che lo voleva riavere, per fare ancora qualche correzione.» «Chi ha telefonato?» «Ma... l'autrice.» «Con chi ha parlato?» «Con me.» «Un momento, non capisco. In pratica cosa è successo?» Yvonne mi fissava interdetta. «Non voglio rimproverarla. Semplicemente, non capisco. Mi ripeta esattamente cosa è successo.» «Be', l'hanno chiamata sulla sua linea. Ho risposto e...» «Era una donna?» «Sì, ha chiesto di lei. Le ho risposto che lei non c'era, che era in viaggio. E allora mi ha pregata di rimandarle il suo manoscritto.» «A che indirizzo?» «Alla sua casella postale.» «E lei cosa ha fatto?» «L'ho spedito la sera stessa. Non dovevo?» «Be', non è molto importante.» «In ogni modo, di certo non tarderà a riportarlo.» «Sì, ha ragione. Grazie... Devo scrivere qualche lettera. Scusi un momento, Yvonne.» Uscì, e io mi sedetti, annientato. Così Manou sapeva che ero tornato. Come l'aveva saputo? Chi l'aveva avvertita? Di certo non Jallu. Di certo non Claire che si nascondeva a Londra. Ma il fatto era che Manou, per evitare di dovermi rivedere si era fatta restituire il suo manoscritto. Sorvegliava i miei movimenti. Forse sapeva anche che ero rimasto in casa per parecchi giorni, senza dire a nessuno del mio ritorno. Sentivo la fragilità di
tutte le mie ipotesi, che tuttavia si stavano imponendo su ogni altro pensiero. Non era una coincidenza. Venerdì ero tornato a Parigi e quello stesso giorno Manou mi telefonava, sulla mia linea personale. Cercai di mettermi al lavoro. Inutilmente. Non riuscivo a scrivere nemmeno una parola. Avevo ricominciato a sperare. Perché Manou era a Parigi, questo era certo. Va bene, manteneva il silenzio, ma viveva da qualche parte nella mia ombra. Si occupava di me. E se ero astuto sarei forse riuscito ad afferrarla. Manou! Cosa significava quel terribile gioco a nascondino? Camminavo nervosamente in quell'ufficio di cui mi sentivo ora prigioniero. Avrebbe portato il manoscritto da un altro editore, ma mi bastavano cinque o sei telefonate per scoprire da chi. E questo lei di sicuro lo sapeva. Aveva dunque rinunciato alla pubblicazione del suo libro? Ma quel romanzo era la sua ragione di vita. A meno che... Sì, mi era già venuta quell'idea... Se Manou si era servita degli appunti di Claire, se aveva in un certo senso scritto il libro di un'altra, sapeva ora di essere stata scoperta, smascherata, poiché io avevo incontrato Claire alla diga e avevamo avuto il tempo di parlarci. Manou, nella sua fierezza, doveva ora credere che la disprezzassi... Così scarabocchiai in gran fretta un'altra lettera: Manou, mia piccola Manou, ho saputo che ti sei fatta restituire il manoscritto. Dobbiamo finalmente arrivare a un chiarimento. Cerca di capirmi, non ha alcuna importanza che il tuo lavoro sia stato ispirato, volontariamente oppure no, da un materiale precedente. Il romanzo è tuo, capisci. Mi hai messo ora in una situazione insostenibile. Se per un motivo che non riesco a capire non vuoi più venire a casa mia, incontriamoci nel mio ufficio. E restituiscimi quel manoscritto che ora appartiene anche a me, anche se sembra che tu l'abbia dimenticato. Manou, se mi dici apertamente: "È finita" ti do la mia parola che ti lascerò andare. Non cercherò più di rivederti. Ma non puoi scomparire dalla mia vita come una ladra... Cancellai quell'ultima parola, bestemmiai tra i denti, poi, tanto peggio, la riscrissi. L'indirizzo... ancora il fermoposta, naturalmente. E fu allora che mi venne in mente... Come avevo fatto a non pensarci prima? Bastava che andassi all'ufficio postale. Se il pacchetto e la mia prima lettera erano an-
cora nella casella, le mie supposizioni erano sbagliate. Se la casella era vuota, allora avrei potuto scrivere a Manou tutti i giorni, sommergerla di lettere e forse avrebbe ceduto. Ero avvolto in una ragnatela di ragionamenti sterili e riuscii a liberarmi di quel groviglio di supposizioni prendendo un taxi per avenue de Wagram. E se avessi incontrato Manou? Entrai nell'ufficio guardandomi intorno. No, Manou non c'era. Passai in rivista la fila delle caselle postali. E mi fermai sconvolto davanti alla casella 71, la casella di Manou. Attraverso il vetro ne vedevo chiaramente l'interno. Il manoscritto non c'era più. E la mia lettera nemmeno. Dunque Manou era venuta. Osservai di nuovo la folla intorno a me. Di colpo provavo una sensazione nuova: mi sembrava di essere spiato. Tuttavia Manou non avrebbe corso il rischio di seguirmi. Ma allora come aveva fatto a sapere... Ritornai a casa lentamente con la testa imbottita di quel nuovo mistero. Nuovo? Era piuttosto sempre il vecchio che rinasceva, ancora più opaco e torturante. Se cercavo di mettere le cose in chiaro, continuavo a scontrarmi sempre con la stessa contraddizione: da una parte ci doveva essere un legame tra Manou e Claire; dall'altra non ci poteva essere alcun legame tra di loro. Altrimenti l'avrei saputo, visto che ero stato l'amante di entrambe. E in realtà lo ero ancora! Era il colmo dell'assurdità, io fuggivo dalla donna che mi amava, e la donna che amavo fuggiva da me. Pranzai tristemente in un ristorante qualunque rimuginando le idee più assurde. Pensai persino di assumere un detective privato. Lui avrebbe svolto senza difficoltà certe operazioni che invece mi ripugnavano. Per esempio, non mi sarei mai messo a interrogare i fornitori di Jallu. Poi, pensandoci, compresi che avrei guastato tutto. Manou era in guardia. Se avessi tentato di cingerla d'assedio, di ghermirla con la forza, l'avrei persa per sempre. Dovevo pazientare, attendere, restare in agguato. Tornai in ufficio, e tutto ora mi pareva un gioco. Fingevo con me stesso di essere pedinato, spiavo nel riflesso delle vetrine la gente alle mie spalle. Un gioco, soltanto un gioco, ma che resuscitava la passione di un tempo. Che cosa era stata Manou per me se non una perenne attesa? Il mio amore si era sublimato nella sua assenza. Quante volte mi ero chiesto: "Dove sarà?" E ora mi ripetevo: "Manou, forse sei qui vicino. Fatti vedere... Vedi, rallento il passo perché tu mi possa raggiungere. Se infili il braccio sotto il mio, non ti farò domande. Cammineremo uno accanto all'altra, e il passato non esisterà più". Ma ero solo sul marciapiede all'ombra dei platani... Scriverle? Non ne avevo più il coraggio. Quando mi sedetti nel mio ufficio, fui preso da un grande scoraggiamento. Lavorare? E a cosa sarebbe servito? Mi tolsi la
giacca, misurai con l'occhio le ore che mi separavano dalla sera. Era molto più difficile superare quel pomeriggio che attraversare l'altipiano calcinato dal sole della diga di Jallu. Ben presto mi assopii per il calore, e quando il telefono squillò credetti per un momento che fosse Jallu che mi chiamava. Mi ero addormentato, non riconoscevo più il mio ufficio. Irritato contro me stesso, afferrai il ricevitore quasi con violenza: «Pronto? Parla Brulin.» Nessuno rispose. «Pronto? Pronto? Sono Pierre Brulin.» Sentivo respirare all'altro capo del filo. E allora compresi che era lei. Mormorai senza fiato: «Manou? Sei tu?» Tutto il mio corpo, tutti i miei nervi erano tesi all'ascolto. Ogni rumore era cessato. E tra di noi non era rimasta che quell'attesa vertiginosa. «Manou... Ti prego, Manou... Non riattaccare, aspetta... Manou, mia cara... Mi ascolti? Nulla è cambiato tra di noi, ti amo come ti amavo prima... Se prima non ti sei fatta viva, avevi le tue ragioni... Guarda, non hai bisogno di spiegarti. Ma ritorna, Manou... Stasera, a casa nostra... Se sapessi cosa...» Dall'altra parte tolsero la comunicazione, e lo scatto rimbombò nella mia testa come una detonazione. Continuavo a biascicare parole che lei non poteva più sentire. Per un momento la distanza tra di noi si era annullata, poi era tornata a dividerci e a respingerla lontano da me. Dove? Mi appigliavo a quell'ultimo appuntamento per metà accettato e per metà rifiutato. Come sapere? Tornai a posare il ricevitore sulla forcella. Avevo il batticuore, e mi massaggiai il petto col pollice, senza poter formulare un pensiero coerente. Perché mi aveva chiamato? Non le avevo dato il tempo di parlare, avevo agito come un idiota. Forse era caduta la linea, forse mi avrebbe richiamato... Aspettai fino a sera, sussultando a ogni nuova chiamata. Ma non erano che telefonate di servizio. Alle sei me ne andai, malato d'incertezza. Tuttavia strada facendo acquistai dei fiori, dei dolci, una bottiglia di champagne, le sigarette che preferiva, e preparai a casa mia la festa per un'invitata che non sarebbe mai venuta. Mi addormentai accanto alla tavola imbandita. Ero distrutto. Molto dopo mezzanotte, dei crampi dolorosi mi risvegliarono. La torta gelato cominciava a sfiorire nella sua confezione. Ne tagliai una fetta. La lampada accanto al divano illuminava le mie mani tremanti. Ancora un altro giorno, più interminabile del precedente. Non osavo più abbandonare il mio ufficio. Nemmeno per un secondo. Di sicuro mi avrebbe richiamato. Non poteva non farlo! Alla mezza mi rassegnai a uscire. In-
contrai un giovane che qualche mese prima aveva pubblicato un romanzo da noi. Mi invitò a pranzo e io accettai per cercare di sfuggire alla mia ossessione. Ma quando il mio orologio segnò le due e quarantacinque, non feci più attenzione a quel che mi diceva. Il giorno prima Manou mi aveva chiamato alle tre. Non potei più resistere, mi scusai e corsi in ufficio. «Yvonne... Qualcuno mi ha cercato?» «No. Ma è arrivata una lettera per lei.» «Dov'è?» «Sulla sua scrivania.» Chiusi la porta di comunicazione per restare solo e afferrai la lettera, una busta col mio nome scritto a macchina, che pareva contenere diversi fogli. Aveva preferito scrivermi. Ora avrei saputo. Aprii la busta con il mio tagliacarte. Conteneva una mazzetta di banconote. Nient'altro. Le contai. Era esattamente l'anticipo che avevo versato a Manou sui suoi diritti d'autore. Mi precipitai nell'atrio del palazzo. L'usciere leggeva il giornale nella sua guardiola a vetri. «Clément, ha portato lei una busta nel mio ufficio?» «Sì, signore.» «Chi gliel'ha data?» «Nessuno. L'ho trovata nella buca quando sono tornato alle due.» Così Manou aveva scelto il momento in cui sapeva che gli uffici sarebbero stati deserti per riportarmi quel denaro. Chiaramente questo significava che tra noi tutto era finito. E io che avevo voluto un segno! Bene, ora lo avevo ricevuto. Il gesto di Manou era fin troppo eloquente. Poteva anche darmi un assegno, come si fa con un fornitore... Mi fermai con la mano sulla maniglia della porta del mio ufficio. Perché non mi aveva dato un assegno? Perché non voleva, perché non poteva indicarmi la sua vera identità. Altrimenti, che motivo avrebbe avuto per correre il rischio di venire? Tante precauzioni fin dall'inizio, lo pseudonimo, la casella postale, e oggi quella busta... Mi sedetti alla scrivania, senza nemmeno raccogliere quel denaro. C'era un'obiezione: mi aveva ricevuto a casa sua... Sì, ma l'avevo pregata per settimane, e lei aveva atteso l'ultimo momento, quando la casa era già stata chiusa per la partenza. Ancora una volta stavo forse interpretando al contrario i segnali che lei mi mandava. Forse cercava semplicemente di farmi intuire la verità. Tuttavia non aveva che da telefonarmi, e finalmente rivelarmi tutto. Nessuno la sorvegliava, nessuno glielo avrebbe impedito, che diamine! Piano, in fondo io che ne sapevo? Mi vergognavo della mia stessa malafede. Invece di fare buon viso a cattivo gioco mi met-
tevo a rimuginare delle fantasie, mi appellavo a delle ipotesi idiote. Non ti ama più, non è il caso che ti celi dietro a dei cavilli. Ti vergogni, sei seccato. Non vuoi ammettere che ti ha congedato. È sempre la donna che viene lasciata, non è vero? No, non era così. Nelle canzoni e sui giornali da parrucchiera l'amore viene e va. Ma Manou e io, no quella era un'altra cosa. Dio, bastava anche un solo ricordo... Se Manou si comportava con me in quel modo inesplicabile ci doveva essere una ragione. Forse qualcuno l'aveva obbligata a rompere. Ma allora chi? Jallu? Lei era l'amante di Jallu! Ci avevo già pensato... E se Jallu, credendosi vedovo, le proponeva di sposarlo? Forse Manou, malgrado tutta la sua ripugnanza, era sul punto di accettare... Jallu aveva senza dubbio dettato le sue condizioni: ritirare il manoscritto, rinunciare a ogni velleità letteraria, rompere immediatamente con... E così c'era stata quella strana telefonata. Alla fine Manou non aveva avuto il coraggio di parlare. Quella era probabilmente la spiegazione giusta. Raccolsi ridendo le banconote. Cara Manou, mi amava ancora, ma non voleva perdere Jallu, la sua fortuna, la sua posizione. Io me n'ero andato, e lei ci aveva ripensato. E intanto io mi prestavo alle fantasie di Claire per far riuscire i progetti di Manou. Era troppo ridicolo! E io che temevo Jallu. Anzi, avrebbe dovuto abbracciarmi! Gli avevo tolto le castagne dal fuoco! Ma io non sarei stato fino alla fine lo sciocco piccolo Pierre, sempre pronto ad aiutare gli altri. E così scrissi un'altra lettera: Manou, Manou mia adorata, è giunta l'ora di separarci. Hai pagato il tuo debito e io ti ringrazio. Ho sempre pensato che tu fossi una donna intelligente. Tuttavia non hai previsto tutto. Hanno forse ritrovato il corpo della signora Jallu? Metti che Claire non sia morta... Credimi, non lo dico alla leggera. Sono stato l'unico testimone dell'incidente, non dimenticarlo. Potevate parlarmi dei vostri progetti, vi avrei dato dei buoni consigli. Ma tu hai preferito tacere, tanto peggio per te e per lui. Ora sarò meno discreto. Ti auguro, mia cara Manou, tutta la felicità che mi avevi promesso e che non ho potuto avere. Indirizzai la lettera alla solita casella postale, poi la diedi a Yvonne da spedire. La collera mi fece star meglio fino a sera. Avrei realmente messo in esecuzione le mie minacce? Non lo sapevo nemmeno io. Ma ora tenevo in pugno Manou. Erano mesi che mi scivolava tra le dita, ma adesso non
l'avrei più supplicata di venire da me, glielo avrei ordinato e lei sarebbe venuta. A cena tornai a ripassare tutti i dettagli della nostra storia per verificare la forza delle mie argomentazioni. No, non mi sbagliavo, avevo visto giusto. Domani avrebbe ricevuto la mia lettera, e allora avrebbe ceduto. Ero così felice e contento di me stesso che trovai la forza di andare a Neuilly. Era notte, e c'era una luce nella camera di Manou. O piuttosto in quella di Claire. Cercavo una prova dell'adulterio di Manou e l'avevo trovata. Manou si era impossessata della casa. Come se fosse casa sua. E se avessi suonato? No, era meglio aspettare. Volevo umiliarla. E alla fine sarebbe stata lei a suonare alla mia porta. Rientrai a piedi, ed era mezzanotte quando finalmente mi adagiai sul letto, stremato. Tutta l'eccitazione mi aveva abbandonato. Forse l'avevo avuta vinta su Manou, ma ciononostante l'avevo perduta. Le sigarette che le volevo regalare erano là, accanto alla bottiglia di champagne e ai fiori non ancora appassiti. Stavo per stappare la bottiglia quando il campanello suonò. Restai attonito. Era già qui? Per forza, a quell'ora non poteva essere che lei. Corsi ad aprire. «Tu!» «Non mi aspettavi» rispose Claire. Entrò, posò sul divano la valigia che le avevo dato alla diga e una borsa da viaggio blu con le lettere TWA. Vide i fiori, la bottiglia, ed ebbe un sorriso tremante. «Sono per me? Oh! Caro!» Mi abbracciò e io chiusi gli occhi. 6 «Hai già cenato?» «Sì» rispose. «A Londra.» «Potevi scrivere...» «Ho preferito venire. È molto più facile procurarsi qui dei documenti falsi.» «È andato tutto bene?» Si era tolta il soprabito ed esaminava curiosa l'appartamento. «È carino qui da te.» Presi la bottiglia di champagne per farla scomparire nel frigorifero. «Buona idea» equivocò lei. «Muoio di sete, aspetta che ti aiuto.» Trovò i bicchieri, un vassoio e persino un pacchetto di biscotti di cui io stesso avevo dimenticato l'esistenza.
«Claire, perché sei venuta?» le dissi. «Dimmi la verità.» Si tolse le scarpe e si accomodò sul divano, con le gambe ripiegate sotto il corpo. Versai lo champagne e per un po' ci guardammo senza parlare. «Non sei contento?» mi rispose alla fine. «Non molto. Prima prendi mille precauzioni, mi raccomandi di essere prudente, e poi non aspetti altro che di venire a Parigi.» «Nessuno mi ha vista. Del resto, sono tutti in ferie!» «Bene, non parliamone più. Come sempre hai ragione tu.» «Pierre, ascolta, se non fossi venuta, tu cosa avresti fatto?» «Ma se sono tornato appena da otto giorni! Dammi il tempo di guardarmi intorno. Non si può lasciare un posto come il mio così all'improvviso. Ci sono delle leggi, cara, sembra quasi che tu non lo sappia. Non posso andarmene prima di un mese...» Inventavo delle frottole sul momento. Ero furioso, disgustato, da lei e da me stesso. Con quale diritto piombava all'improvviso in casa mia? Con quale diritto rubava il posto di Manou? Chi le aveva permesso di piazzarsi sul divano, di prendere il comando della casa come... come se fosse mia moglie? Non la amavo e avevo voglia di gridarglielo in faccia. Ne avevo abbastanza di quelle bugie. Perché non avevo accettato di andare nel Vietnam? Per fortuna potevo ancora farlo. «Non voglio importi la mia presenza» disse Claire. «Non è questo il punto.» «Credevo che...» «Ti prego, basta. Lasciami riflettere.» Non avevo mai vissuto un momento così falso, così stridente. Mi aveva talmente preso alla sprovvista che non riuscivo nemmeno ad assumere l'aria preoccupata ma tenera che l'avrebbe ingannata. Ero addolorato e mi comportavo come un porco. Sì, lei mi aveva sacrificato tutto. Sì, per colpa mia ora non era più nessuno, non aveva più nemmeno un'identità. Certo, ma ciò che nell'inumana solitudine della diga sembrava accettabile qui non era diventato che uno squallido melodramma. Me ne fregavo dei suoi sentimenti. Aspettavo Manou e basta. «Vuoi che me ne vada?» continuò lei. Mi diceva tutto quello che non bisognava dire. Vuotai il bicchiere lentamente. I tipi come me non sanno far altro che guadagnare del tempo. «Se non mi avessi trovato» le risposi infine «dove saresti andata?» «In un albergo modesto, ce ne sono a dozzine. Non devi preoccuparti, Pierre. Ammetto di non aver pensato alle vacanze. Ma è chiaro che le per-
sone che mi conoscono in questo momento sono fuori Parigi. Tra qualche settimana ci sarà veramente pericolo, ma allora tu avrai risolto le tue questioni di lavoro.» Manou se ne sarebbe andata sbattendo la porta. Claire invece distruggeva le mie obiezioni una per una ancor prima che riuscissi a formularle. «Qui sono al sicuro. Se hai paura della portinaia puoi dire che sono una tua parente. Uscirò il meno possibile, soltanto per fare le spese. Vedrai, non ti darò noia. E potremo organizzare senza fretta tutti i nostri progetti. Vuoi?» «Ma io devo stare tutto il giorno in ufficio.» «Hai paura che mi annoi? Ma se qui è pieno di libri!» «E se mi chiamano al telefono?» «Figurati, semplicemente non rispondo. E se suonano non andrò ad aprire. Non sono pazza. E nemmeno gelosa.» «E perché dovresti essere gelosa?» Per la prima volta Claire sembrò imbarazzata. «Non so... Magari hai... che so, una vecchia amica... un legame... No, non ti chiedo nulla, Pierre. Se ho visto giusto, ti offro tutta la mia fiducia. So che non mi abbandonerai.» Le sue parole erano così franche, così toccanti, che all'improvviso mi vergognai di me stesso. Mi inginocchiai accanto a lei. «Claire... Non penserai che...» Con la punta delle dita mi accarezzò la fronte e le guance. «Per chi erano quei fiori, lo champagne? Certo non mi stavi aspettando.» «Ma per nessuno, te lo giuro. I fiori erano per mettere un po' di vita nell'alloggio che sapeva di chiuso. E la bottiglia... Ne ho sempre due o tre in frigorifero, per avere qualcosa da offrire.» «Mi dici la verità?» «Naturalmente.» «Se ci fosse qualcuno, Pierre, me lo diresti? Davvero? Non voglio essere una palla al piede, mi toglierei subito d'impiccio.» I suoi occhi si bagnarono di lacrime. Si portò la mia testa in grembo e per poco non le dissi tutto. Ma quando sono agitato non riesco a parlare. E dire che è il mio mestiere maneggiare le parole. Le frasi che mi venivano in mente suonavano false, eccessive, grossolane. Il tempo di cercarne di migliori e l'occasione è passata. Ora il mio pudore maldestro sarebbe sembrato un'abile menzogna. Ebbi paura. «Posso restare, Pierre?»
«Sì, naturalmente.» «Grazie.» Fu lei a spegnere la luce prima di dormire. Ricordo che prima di prendere sonno mi ripromisi di dirle la verità. Forse gli avvenimenti mi sarebbero venuti in aiuto. In fondo ero libero. Non dovevo più niente a Manou. Ma l'indomani, quando mi svegliai, quando vidi Claire accanto a me, mi sentii perduto. Se Manou fosse venuta... Avevo un bel rompermi la testa, non trovavo alcuna soluzione. Chi avrebbe creduto alla nostra buona fede? Cosa avrebbe pensato di me e di Claire? Mi alzai e Claire mi chiamò. Fu l'inizio di una giornata abominevole. Claire era allegra, canticchiava facendo il caffè, mentre io cercavo disperatamente un pretesto per mandarla via. Ma ero stato io a dirle il giorno prima che poteva restare. Sentivo l'acciottolio delle tazze, lo scricchiolio delle sue ciabatte. Provavo a immaginare come sarebbe stata la nostra vita se avessi avuto la debolezza di cederle. Con Claire avrei avuto una "famiglia" e quella parola mi faceva orrore. Costretto insieme a lei in quella camera dove Manou mi aveva reso così felice, non sapevo più dove posare lo sguardo. Il caffè sapeva di fiele. Claire profumava di dentifricio. Mi sentivo a disagio. Manou mi aveva corrotto, dell'amore amavo soltanto l'aspetto più furtivo e clandestino. Forse non sarei più riuscito a vivere come tutti gli altri, sopportare accanto a me una donna mattina e sera, le sue chiacchiere, le sue domande, i suoi accessi di tenerezza. «Sei preoccupato?» disse Claire. «Ma no, ma no.» E invece ero preoccupato davvero. Non avrebbe dovuto accorgersene. Volevo restar padrone dei miei sguardi, dei miei pensieri. «Torni per pranzo?» Per poco non scoppiai. Pranzare! Io che, dal mio ritorno, mangiavo dove capitava seguendo l'umore del momento! «Non posso. Sono molto occupato, davvero.» «Allora ti vedrò soltanto stasera?» Accesi una sigaretta per non doverle rispondere. «Pierre, non ti ho mica fatto arrabbiare?» Immediatamente tornai a passare in rassegna tutti i miei errori, le mie colpe. "Non dimenticare che sei stato tu a metterla in questo pasticcio. Non hai voluto niente, ma hai accettato tutto. E ora lei è come un cane senza padrone." Feci un sorriso forzato e le battei sulla mano. «Non preoccuparti, cara.»
Prima di uscire trovò ancora il modo di trattenermi per spazzolarmi la giacca. Scesi le scale di corsa e soltanto in strada riuscii a calmarmi. Là almeno ero da solo. Allora, cosa decidevo? Risi tra me, amaramente, di quella ridicola riflessione. Come se fossi abituato a decidere! Da mesi andavo alla ventura. Era Manou che conduceva la partita e io non sapevo nemmeno di che partita si trattasse. Ma adesso cosa mi tratteneva dal riprendere l'iniziativa? Avevamo rotto, e in effetti la mia ultima lettera aveva sancito la fine del nostro rapporto, dunque ora eravamo semplicemente degli amici. Ripensai per un momento a quell'idea così bizzarra. Se da Manou non attendevo più niente, ormai avevo il diritto di chiederle delle spiegazioni, dei chiarimenti. Ciò che prima mi aveva rifiutato perché mi amava, ora me lo avrebbe accordato, dal momento che non ero più il suo avversario. Avevo completamente sbagliato le mie manovre. Le mie lettere erano idiote. Perché semplicemente non andavo a parlarle? A casa sua. Là, avremmo messo le carte in tavola... A casa sua? Passai la mattinata a pesare i pro e i contro. Mi era facile entrare nella villa, perché avevo ancora la chiave della porta posteriore. Ma non ero del tutto sicuro di trovarvi Manou. Certo non abitava ancora dal suo amante. Probabilmente veniva di tanto in tanto alla villa per cambiare aria prima del ritorno di Jallu, per mettere tutto in ordine. L'altra sera, quando avevo visto la luce al primo piano, doveva essere in casa. Se tornavo alla stessa ora avevo una possibilità d'incontrarla. Ma Claire mi avrebbe chiesto perché uscivo a tarda sera. Claire... Ancora Claire! A mezzogiorno incrociai nell'atrio il mio direttore. «Ci ha pensato?» mi chiese ridendo. «Chissà, se ne sapessi di più...» «Oh, non c'è niente da nascondere. Sono in ottimi rapporti con... Ma lasciamo stare. Si tratterebbe di un'inchiesta sul Vietnam... Un'indagine completa, molto approfondita. Bisognerebbe stare sul posto a lungo, parecchi mesi... Le condizioni sono molto interessanti... Sono certo che lei farebbe centro. A proposito...» Mi trascinò in un angolo. «Ha saputo di Jallu?» «No.» «Gli è andata male. L'appalto lo hanno preso gli americani. L'ho saputo per caso poco fa. Ma non lo dica a nessuno, eh?» Ammetto che sul momento la notizia non mi colpì, finché non compresi cosa significasse. Jallu sarebbe tornato a Parigi. Forse era già in viaggio. E
Claire era da me. Questa volta il rischio era terribile. Non sapevo nemmeno io perché. Jallu non aveva il minimo motivo per venire da me. Se voleva vedermi, mi avrebbe telefonato in ufficio. E poi perché doveva telefonare? Ma non ero più padrone di me stesso. Dovevo assolutamente spingere Claire ad andarsene. Era necessario, presentivo già la catastrofe. Alle cinque tornai a casa in métro. Claire mi aspettava come previsto, sfogliando tranquillamente delle riviste. Quando mi vide, intuì la mia inquietudine. «Il mio direttore mi ha detto che tuo marito sta per tornare» risposi a una sua occhiata. «Tutto qui?» «Come! Sei veramente un'incosciente, parola mia.» «Dovevamo pur aspettarci che un giorno o l'altro sarebbe tornato. Che cosa cambia per noi? Per lui non esisto più.» «Ma io esisto. Metti che voglia incontrarsi con me, metti che venga qui... Metti che scopra...» «Che cosa vorresti, Pierre? Dillo chiaramente, vuoi che me ne vada?» «No... Non voglio dire questo... Devi solo nasconderti da un'altra parte. È molto più prudente, è chiaro.» «Non insistere. Non è il caso.» Si alzò, ma io la fermai. «Dove vai?» «Vado a fare le valigie.» La obbligai a risedersi. «No, Claire. No. Niente scenate. Cerca di capire una buona volta. Non ti sto mettendo fuori di casa. Vorrei soltanto che tu stessi in albergo finché... finché non ce ne andremo. Qui, potresti essere scoperta da un momento all'altro. E poi ho un sacco d'impegni in questo periodo, inviti da tutte le parti. Ecco, per esempio dopo cena devo incontrarmi con un giovane scrittore che è appena tornato da Istanbul, non posso rifiutare. Tutti sanno che sono scapolo e che non posso avere altri impegni. Che scusa vuoi che trovi? Se mi chiudo in casa tutti si insospettiranno. Penseranno subito che ho un'amante, cosa che voglio assolutamente evitare...» Claire mi guardava con i suoi occhi franchi e luminosi in cui non avevo mai sorpreso una traccia d'ironia. «Se vado in albergo...» La interruppi. «Certo che verrò a trovarti. Non appena sarò libero ti telefonerò. Sarò il
solo a sapere dove stai, potrai rispondere tranquillamente.» Mi ero liberato di un tale peso che mi misi a parlare in tutta franchezza. Cominciammo ad affrontare seriamente il problema di come rifare all'estero una nuova vita. Soltanto in Oriente avrei potuto trovare un posto di insegnante. La Turchia, l'India, forse il Giappone... E sullo slancio già mi inventavo le più svariate professioni. Improvvisavo la storia di un altro Brulin pronto a fuggire con il suo amore in un Paese lontano, ma nel frattempo guardavo l'ora di nascosto. «Senti» le dissi alla fine «se vogliamo trovar posto in un albergo occorrerà sbrigarsi. Parigi è piena di turisti stranieri in questo periodo.» Claire radunò i suoi pochi bagagli. Mentre mi voltava le spalle presi le chiavi della villa di Neuilly. «Non troppo lontano, ti prego» mi disse. «Mi sembrerebbe di perderti.» Si strinse a me e mi abbracciò con una sorta di disperazione. «Pierre» sussurrò «tutto quello che mi hai detto poco fa lo pensi veramente?» «Sono obbligato a pensarlo. Come potrei diversamente?» Le presi le valigie, lei si guardò intorno per l'ultima volta e mi seguì. Conoscevo un albergo molto confortevole in avenue du Maine. Claire prese una camera a mio nome e ci separammo. «Mi telefonerai?» mi supplicò. «Promesso!» Finalmente libero! E senza troppi danni. Ora toccava a Manou. Era fin troppo presto, ma avrei fatto una parte del tragitto a piedi. Di cena, non se ne parlava nemmeno. Ero troppo ansioso. Tenevo stretta, le mani in tasca, la chiave della porticina. Era chiaro che Manou non sarebbe più tornata da me, tuttavia un'assurda scintilla di speranza mi stringeva il cuore. Quando ci saremmo trovati di nuovo insieme... Forse non tutto era perduto... Più mi avvicinavo, più il panico mi dilaniava. Entrai in un bar e presi un whisky liscio. Faceva caldo e la notte non la finiva più di calare. Tra un'ora tutto sarebbe stato finito. Non mi restava che partire con Claire. E dopo? Dopo, tutti i giorni sarebbero stati uguali, per sempre. Claire diffondeva allegria intorno a sé come un'infezione. Un'allegria di donna, drammaticamente inalterabile. Avrei supplicato Manou, sarei stato vile quanto occorreva. Oppure duro, senza pietà, non lo sapevo nemmeno io. Ma non avrei mai accettato di perderla. Erano le dieci quando mi trovai di fronte alla casa. Nessuna luce, la villa sembrava deserta, abbandonata. Decisi di attendere ancora, e lentamente
feci il giro dell'isolato. Quando tornai, nulla era cambiato: stesso silenzio, stesso abbandono. Se mi notavano mentre mi aggiravo nel buio intorno a tutte quelle ricche proprietà, la mia presenza sarebbe diventata sospetta. Era meglio entrare e aspettarla in casa. Introdussi la chiave nella serratura. La porta si aprì. Ero nel giardino. Riconobbi lo stretto viale dei bossi attraverso il quale ero fuggito quell'ultima sera... Lo percorsi di nuovo camminando con precauzione. Entrai in cucina. Brancolavo nel buio temendo di rovesciare qualcosa. E se avessi trovato Jallu? Quest'ultima idea mi paralizzò e mi fece trattenere il respiro. Poteva essere già qui, in aereo non ci avrebbe messo più di un giorno. Ero entrato in casa sua come un ladro. Perso nell'oscurità, le mani in avanti, avevo voglia di andarmene. Non era paura, era vergogna. Mi sembrava di fare qualcosa di sporco. Se all'improvviso si fosse accesa la luce, cosa avrei detto? Ero tutto teso ad ascoltare, e la casa incombeva su di me con il suo opprimente silenzio. Avanzavo a piccoli passi, non mi ero mai trovato in una situazione così scabrosa. Attraversai esitante la cucina e mi avventurai nel vestibolo. Non riuscivo a orientarmi, cercavo a tentoni il vano di una porta. Anche se Jallu fosse già arrivato, di certo dormiva al primo piano. Se avessi acceso per un istante la luce non avrei rischiato nulla. Toccai un oggetto arrotondato, una maniglia. La girai. Spinsi una porta che per fortuna non scricchiolò. Dopo un interminabile minuto d'esplorazione trovai finalmente l'interruttore. Lo premetti come se fosse il grilletto d'una pistola. Un lampadario si accese. Era il salone. I mobili erano stati liberati dai loro sudari. Avevo ragione, Manou era venuta per riordinare la villa in attesa di Jallu. Lo aspettava. Erano d'accordo. Un lungo rettangolo luminoso interrompeva ora l'oscurità del vestibolo, e le scale, vagamente rischiarate, si perdevano nella penombra. Ora mi ritrovavo perfettamente. Un brusco accesso di collera mi aveva fatto recuperare tutta la calma. Spensi la luce e, tenendomi al corrimano, salii le scale con coraggio crescente, perché ero sicuro di essermi sbagliato. Jallu non c'era, non poteva esserci. Se fosse tornato avrei visto i bagagli nel vestibolo. Avrei scoperto quelle tracce di disordine che sempre rivelano la presenza di un uomo. Distinguevo confusamente nella penombra le porte delle camere. Tutte chiuse. In quel silenzio assoluto il respiro di una persona che dormiva non poteva sfuggirmi. Ebbi il coraggio di socchiudere la porta della stanza di Jallu. Non c'era nessuno, ma come nel salone i teloni dei mobili erano scomparsi. Entrai nella stanza di Manou e mi sedetti sul letto. Non riuscivo più a resistere. Manou! Il mio rancore, il mio risentimento, le malevole affermazioni del mio amor proprio ferito, tutto era
stato spazzato via. Non era rimasta che quell'allucinante assenza, più reale e palpabile della mia stessa vita. Il budda che le avevo regalato era sempre allo stesso posto. Lo presi, lo toccai. Ero riconoscente a Manou di non avermelo restituito. Forse voleva conservare qualcosa di me? Aveva anche tenuto le mie lettere? Mi alzai e aprii il carillon. Era vuoto. Cominciò a suonare la Trota, e quelle note stridenti e sovrapposte erano così lugubri che richiusi di scatto il coperchio. Stavo visitando il museo del mio amore defunto. Mi aggirai per la stanza e mi fermai davanti al caminetto. Accanto alla fotografia dei genitori di Claire c'era un piattino, e nel piattino le briciole di un dolce. Manou doveva avervi consumato un croissant o qualcosa del genere. Me la immaginavo mentre prendeva possesso di quella casa che sarebbe presto stata sua, mentre spolverava i mobili, preparava tutto per il ritorno dell'uomo che voleva sposare. Aveva anche scelto la stanza di cui si voleva impossessare per venirvi a mangiare un croissant. Chissà se allora aveva pensato a me... Jallu, non ero sicuro che non l'amava. Ma come capita a molte donne aveva preferito la sicurezza alla felicità. E per questo mi aveva impietosamente... E in quel momento vidi il manoscritto. Lo riconobbi immediatamente. L'aveva lasciato sull'altra estremità della mensola del camino e la carta che lo aveva avvolto era ripiegata sullo scrittoio. Non esitai e accesi immediatamente l'abat-jour. Lo sfogliai e ritrovai le nostre correzioni intrecciate, la lunga scrittura di Manou alternata con la mia fine ed elaborata. E quelle due grafie s'inseguivano di pagina in pagina, si raggiungevano, si separavano per accoppiarsi un paragrafo più in là, e poi di nuovo cercarsi e giocare a rimpiattino attorno a una frase. Era una rappresentazione così fresca e ingenua della nostra storia che non riuscii più a resistere. Mi sedetti alla scrivania, presi una matita come se avessi dovuto tracciare delle annotazioni per un libro, e su una pagina della mia agenda le dissi: Manou, mia dolce Manou, perdonami. Dimentica la mia ultima lettera. Sono nella tua stanza. Sono entrato con le chiavi che mi avevi dato, ricordi, prima che me ne andassi a Kabul. Devi capire cosa provo in questo momento. Non ti ho mai amata così tanto. È per questo che voglio confessarti che la moglie di Jallu non è morta. Poco importa come faccio a saperlo. Ma voglio avvertirti prima che sia troppo tardi, Jallu sta per tornare. Evitalo. È nel tuo interesse che tu parli prima con me. Altrimenti rischi di essere coinvolta presto o tardi in uno scandalo di cui non puoi immagi-
nare la gravità. Ma ti spiegherò tutto di persona. Manou, non sto pensando a me stesso. Voglio soltanto salvarti. Ecco la mia proposta: tu sai sicuramente quando arriva Jallu. Se arriva domani, avvertimi e fisseremo un appuntamento. Se non telefoni vorrà dire che abbiamo ancora una breve tregua e io verrò a trovarti qui domani sera, perché questa casa è il luogo ideale per incontrarci senza testimoni importuni e quello che ho da dirti sarà molto lungo. Domani... non mancare. È una questione di capitale importanza per te, e forse anche per me. Ti amo, dolce Manou, ma sono anche tuo amico. Pierre Lasciai la mia lettera bene in vista sopra il manoscritto. Manou l'avrebbe notata di sicuro. Questa volta avremmo avuto la spiegazione definitiva. Spensi la luce e uscii in giardino. In strada non c'era nessuno. Chiusi la porta a chiave. Ora provavo un grande senso di pace. Certo, il mio piano era pieno di rischi, d'incertezze. Manou poteva anche non tornare il giorno dopo alla villa. Ma verosimilmente doveva passare di lì prima del ritorno di Jallu. E Jallu sarebbe tornato da un momento all'altro... Sì, doveva funzionare. Comunque avrei rinnovato il mio appello finché non mi avesse dato un segno di vita. Ritornai a casa, ed ero stremato. E a casa mi attendeva il ricordo di Claire. Con la mente piena di Manou, non avevo pensato nemmeno per un istante alle terribili difficoltà che sarebbero sopravvenute. Se dicevo la verità a Manou, cosa ne sarebbe stato di Claire? Quella Manou irruente e vendicativa che avevo ben conosciuto non si sarebbe alla fine rivoltata contro Jallu? E Jallu, furioso, mi avrebbe ritenuto responsabile di tutto. Ma se Manou si fosse rivoltata anche contro di me, cosa avrebbe fatto Claire? Per riafferrare Manou non avevo forse innestato un congegno infernale che alla fine ci avrebbe travolti? Vagai nelle mie tenebre per ore. Non c'era soluzione. In ogni caso sarei stato perdente... Cercai di stordirmi con un sonnifero. Fu il telefono a svegliarmi, e allora l'incubo ricominciò. «Pronto? Pierre? Hai dormito bene? Io ho passato una notte stupenda. Mi hai scelto uno splendido albergo, sai? Come stai? Pierre... mi ascolti?» «Sì, sì. Ti ascolto.» «Oggi, vieni a trovarmi?» Sospirai.
«Se posso, sì... Ma non contarci troppo. Ho un sacco di impegni.» La voce di Claire si fece più sorda. «Avevi promesso, Pierre.» Riattaccai. Anche a Manou avevo fatto una promessa. 7 Passai la giornata in uno stato di febbrile abbattimento. Non avevo niente da fare in ufficio. L'afa in città era rovente, come se ancora fossi alla diga. Non pensavo che a Jallu. Avevo un folle timore di rivederlo. Alla diga lo stordimento della caduta mi aveva permesso di ingannarlo. Ma se ora mi avesse interrogato, ero sicuro che mi sarei tradito. Ma doveva essere troppo felice di essersi sbarazzato di sua moglie. Non avrebbe mai cercato di mettermi in difficoltà. D'altronde, dal modo in cui aveva per così dire messo sotto silenzio tutta la storia dell'incidente, era facile capire che mi aveva completamente cancellato dalla sua vita. La cosa più curiosa era che Claire ignorava l'esistenza di Manou. In realtà avevamo corso un rischio enorme per nulla. Se Claire avesse saputo chi era Manou avrebbe semplicemente chiesto il divorzio. Non sapevo neanch'io perché non gliene avessi mai parlato. Forse perché amavo rappresentarmi Manou come una donna sfortunata, delusa, che aveva bisogno del mio aiuto: Ammettere che si trattava di un'avventuriera significava riconoscere che mi aveva ingannato, che mi aveva preso in giro. Così attendevo con impazienza le sue spiegazioni. Per tutta la giornata il telefono restò muto. Meglio, così l'avrei rivista. Immaginavo la scena, e ogni volta la interpretavo in maniera diversa, la rimproveravo, l'abbracciavo, e niente mi sembrava ridicolo. E invece ero solo, nella mia poltrona a soffocare d'emozione, i piedi sul tavolo, la sigaretta che mi bruciava le dita. Quel pomeriggio ero tornato a casa abbastanza presto. Nessun messaggio. Perfetto. Mi vestii con cura. Avevo già superato il momento in cui si preparano accuratamente tra di sé le frasi che si dovranno dire. Mi sentivo come svuotato. Non sognavo che una cosa soltanto: riavere Manou. Anche se era l'avventuriera che avevo smascherato. Avrei avuto tempo più tardi per ritornare alle mie sterili recriminazioni. Più tardi, quando la vita sarebbe ricominciata. Ancora cinque ore. Uscii di casa per una passeggiata solitaria, e Parigi era vuota come una frazione di provincia. Ma è inutile nobilitare di un racconto quelle ore perdute, terribili e meravigliose. Il sole tramontava, e io ero sempre più vicino a Neuilly. Aspettai le tenebre in un caffè. Quando la lunga fila di lampioni si accese
d'un sol colpo sino all'estremo orizzonte dei viali alberati, lentamente mi diressi verso Manou. La sua stanza era illuminata, un sottile filo d'oro che ricamava le persiane. Era già arrivata. Aveva accettato l'incontro. Per poco non mi misi a correre, le mie mani tremavano e quasi non riuscivo ad aprire la porta del giardino. Mi fermai nel vialetto dei bossi. Attento Pierre, se hai l'aria troppo felice sei sconfitto. Non dovevo dimenticare che ero venuto lì per chiederle delle spiegazioni. Entrai in cucina e accesi l'interruttore. Il vestibolo era illuminato. Arrivai ai piedi delle scale. «Manou!» Non mi aveva sentito. «Manou... Sono io.» Bene, rifiutava di fare il primo passo. Salii le scale. La sua stanza era aperta. Sentivo una fitta al fianco. Gli ultimi metri di un così lungo viaggio! Ma ora il distacco si era colmato. «Manou.» C'era un cadavere in terra davanti allo scrittoio. Jallu. Attorno a lui una chiazza di sangue che si stava solidificando. Mi girai di scatto. No, quel fiato ansante era il mio. Manou non c'era più. Era scappata dopo aver sparato al suo amante. Ero accecato dal sudore. Mi asciugai il volto con un fazzoletto e mi costrinsi a dare ancora un'occhiata. Jallu era bocconi, con un braccio ripiegato sotto il corpo e l'altro teso in avanti. Potevo vedere il suo profilo, grigio come il marmo. Un foglio di carta sulla moquette... La mia lettera. Non riuscivo a fare un passo, e dovetti restare aggrappato alla maniglia. Era abominevole quel silenzio, e tutte quelle luci accese alle mie spalle. Ero solo ma mi sentivo spiato. Non osavo muovermi, ed era soltanto la mia mente a correre. Jallu era arrivato prima di Manou. Aveva letto la mia lettera, aveva scoperto che Claire era viva e che la sua amante l'aveva tradito. E poi? Tra lui e Manou doveva esserci stata una terribile discussione. Conoscevo bene la violenza di Jallu. Aveva minacciato Manou? Manou aveva sparato per prima? Non c'erano armi accanto al corpo. Manou aveva portato via la pistola. E se? Quell'ipotesi era terrificante... E se Manou fosse venuta per uccidere me, l'unico testimone che poteva metterle il bastone tra le ruote? No, era assurdo e odioso. E poi, non avrebbe lasciato quella lettera sul pavimento... Aveva forse l'intenzione di tornare? E allora fui preso dal terrore, abbandonai la maniglia e afferrai la mia lettera, poi corsi fuori, lasciando le luci accese e le porte aperte. Ne avevo
abbastanza. Jallu... Manou... No, quell'incubo era durato troppo a lungo. Era il momento di abbandonare la partita. Mi ritrovai in strada, e fui stupito di camminare su un vero marciapiede, circondato da veri alberi. Fu come una rivelazione, la realtà esisteva ancora. E tornava ad accogliermi. Da mesi vivevo nelle tenebre, inseguivo una donna inafferrabile e venivo inseguito da una donna che tutti credevano morta. E adesso quel cadavere... Feci a pezzi la lettera e ne disseminai i frammenti infinitesimali dietro di me, di strada in strada. Ora Manou era perduta per sempre, e Claire... e Jallu! L'ultimo filo si era strappato. Potevo partire, tornare nel mondo dei vivi. Seppi allora che da tempo avevo scelto di andare nel Vietnam. L'indomani ne parlai col mio direttore. Non avevo che da lasciarmi trascinare dagli avvenimenti, ed essi da soli presero il loro corso. Si occuparono di me, dei miei documenti. Due giorni, e tutto fu a posto. Evitavo di pensare, di tornare alle mie ombre, anche se a volte ero ancora visitato dai miei dubbi, dai miei scrupoli. Claire! Avevo il diritto di... Respinsi con fermezza quell'ultima tentazione. Se cedevo, ero perduto. Avevo dato delle ferree disposizioni alla mia segretaria. Se mi cercavano, doveva rispondere che ero partito per un lungo viaggio. La stessa raccomandazione alla mia portinaia. Avendo così turato le brecce attraverso le quali i fantasmi avrebbero ancora potuto infilarsi di soppiatto nella mia vita, ora ero pronto a partire, quasi impaziente. Non vedevo l'ora di essere lontano, il più lontano possibile. Gli ultimi momenti trascorsero in un'intollerabile angoscia. E poi la bomba scoppiò. Di colpo Jallu finì in prima pagina. DELITTO O SUICIDIO? RENE JALLU IL CELEBRE PROGETTISTA DI DIGHE TROVATO MORTO NELLA SUA VILLA DI NEUILLY. Erano stati i vicini a trovarlo. Si erano stupiti che in casa la luce fosse accesa notte e giorno e avevano chiamato la polizia. Gli agenti avevano trovato un'automatica sotto una poltrona. Il calcio era zigrinato ed era risultato impossibile trovarvi delle impronte. Non si era potuto capire se Jallu era stato assassinato o se si era ucciso con un colpo al cuore. Non avevo pensato che potesse trattarsi di un suicidio. Ero sconvolto, forse le mie ipotesi erano totalmente sbagliate. Ma allora, Manou... No, era troppo tardi persino per riflettere. Io non c'entravo nulla in tutta quella faccenda. Era Manou che aveva premeditato tutto, innescato tutta quella macchinazione infernale. Era lei che dovevano arrestare. Questi pensieri rivelavano a me stesso un Pierre che ancora non conoscevo, instabile, bizzarro, pieno di angoli inesplorati, e trovai in questo una ragione supplementare e perentoria per andarmene. Presto! Presto! Presto!
Acquistai le ultime edizioni dei giornali a Orly prima di prendere il Boeing per Saigon, ma non osai aprirli finché l'aereo non decollò. Non c'erano molte notizie. La versione del suicidio guadagnava terreno. Il segretario aveva dichiarato che Jallu era stato sconvolto dalla sconfitta in Afghanistan e dalla scomparsa di sua moglie. Vedovo e a un passo dalla rovina economica, completamente scoraggiato, aveva preferito farla finita. Dunque Claire non aveva dato segno di vita. Probabilmente era ancora nascosta nell'albergo di avenue du Maine. La vera vittima era lei perché non avrebbe più potuto farsi vedere. Se si fosse manifestata, la polizia l'avrebbe subito sospettata. La tesi del suicidio veniva accettata soltanto in mancanza di altri elementi... Ricominciavo a rimuginare. Avevo creduto che lasciando Parigi sarei stato libero, ma ora mi rendevo conto che la convalescenza sarebbe stata lunga, molto lunga. Finché fossi stato assalito da dubbi, sarei stato malato. E i dubbi non sarebbero mai finiti. Come potevo evitare di pensare a Claire, sola e abbandonata, priva di un'identità, senza nemmeno più il diritto di ereditare da suo marito, costretta a vivere un'esistenza che... Era orribile. Non ci avevo pensato: essendo legalmente morta, non soltanto Claire non poteva ereditare da Jallu, ma non poteva nemmeno toccare i suoi stessi risparmi. Lei era morta prima di Jallu, dunque tutto quello che possedeva apparteneva a suo marito. In quell'avventura aveva perduto tutto... Tuttavia qualcosa non mi convinceva. Claire aveva sicuramente previsto le conseguenze legali della sua scomparsa. Scioccamente non l'avevo interrogata su questo punto, che ora era divenuto di estrema importanza. Come fare? Non volevo assolutamente ricominciare con lei. Non sapevo nemmeno sotto quale nome ora vivesse, non potevo nemmeno scriverle o mandarle del denaro. Improvvisamente eravamo diventati l'uno per l'altra due estranei, due sconosciuti... Appartenevamo ora a due mondi differenti. La mia improvvisa decisione di partire aveva reso insolubili delle difficoltà che il tempo sicuramente avrebbe appianato. Avevo giurato di dimenticare, e invece non perdevo occasione per torturarmi. Per fortuna l'aereo era più veloce delle notizie dalla Francia. A Saigon fui preso da mille problemi e per parecchi giorni non ebbi più il tempo di pensare a me stesso. Poi, una sera in albergo trovai un giornale già vecchio e ingiallito, tutto spiegazzato, che mi affrettai a portarmi in camera. Soltanto un trafiletto mi interessava, perché ora l'affare Jallu era già stato relegato nelle oscure segrete della cronaca nera. Così potei sapere che la sorella di Jallu, la vedova Cléry, era stata interrogata dalla polizia e che la morte di Jallu era stata archiviata come un suicidio. Il giornale non diceva
nulla di più, ma per me era abbastanza. Di colpo dalle tenebre era sgorgata la luce. La vedova Cléry! La sorella! Manou! Come avevo fatto a essere così sciocco e così cieco da non capirlo prima? Manou non era l'amante di Jallu, ma sua sorella. Aveva sempre avuto libero accesso a Neuilly, in quella casa era nello stesso tempo padrona e invitata, il che spiegava il suo atteggiamento, quella naturalezza unita a una sfumatura d'imbarazzo che tanto mi aveva dato da pensare. Ed era lei alla fine a ereditare. Era questo lo scopo nascosto delle sue manovre? Certo, restavano ancora alcuni punti oscuri, ma avevo l'impressione di aver scoperto la verità. Dopo aver disperatamente sperato di dimenticare, ora maledicevo il lavoro che mi teneva prigioniero. Se avessi avuto due o tre giorni di tregua, sapevo che avrei dipanato tutta la matassa. Ma ero sempre in pista, sorvegliato da tutti. A un tempo inquisito e inquisitore, giocavo una partita terribilmente complicata tra vietnamiti, francesi e americani, la cui fatica mi abbrutiva. Sì, la sorella di Jallu... Ma ora tutto questo non era che preistoria. Tuttavia, come a far da sottofondo alle mie attuali preoccupazioni, i soliti dubbi continuavano ad assalirmi, quando meno me lo aspettavo. Ero al bar dell'hotel, chiacchieravo bevendo uno scotch e all'improvviso mi dicevo: "Manou non poteva prevedere che sua cognata si sarebbe innamorata di me...". L'obiezione restava senza risposta. Oppure: "Manou non poteva assolutamente prendere l'aereo con noi, avrei subito capito che era sua sorella. Ecco perché aveva cercato di distogliermi dal mio progetto. Il giorno stesso in cui io avevo deciso di accompagnare Jallu alla diga, lei si era sentita perduta. Ma perché mi aveva fatto credere di essere sua moglie?". Non c'era risposta. Era piuttosto una certezza che sgorgava lentamente dal profondo e, distruggendo a poco a poco la mia gelosia, a poco a poco annientava il mio amore. La sorella! Quella parola aveva in sé un non so che di anonimo che rendeva Manou inoffensiva e priva di fascino. Naturalmente lei e Claire si detestavano. Ricordavo bene con quale sdegnoso distacco Claire mi aveva parlato di lei alla diga. Ricordavo anche l'improvviso terrore di Manou, l'ultima sera, quando era squillato il campanello. Una sorella segretamente innamorata del fratello, al punto di farsi passare per gioco per sua moglie? Perché no? Un simile sospetto illuminava del suo crudo bagliore certi passi del manoscritto di Manou, e spiegava anche il suo ambiguo comportamento nei miei riguardi. In un certo senso aveva giocato con me a tradire suo fratello, e per lei non ero stato che un pretesto. Povera Manou! Ora che la comprendevo meglio, era tornata una donna come le altre. E io cominciavo a rimpiangere Claire.
Avevo poco tempo da dedicare ai rimorsi, ero obbligato a partecipare a dei party, a ballare, a flirtare, a comportarmi come tutti gli altri. Conobbi delle ragazze piuttosto graziose, ma nessuna aveva la franchezza, la generosità di Claire. Erano soltanto annoiate, cercavano una breve avventura, non desideravano da me che dei complimenti che lusingassero la loro vanità. Prede crudeli e nient'altro. Come Manou. E io che non avevo dato importanza a Claire. Se un giorno avessi di nuovo incontrato Manou, le avrei gettato in faccia tutto il mio disprezzo. Per colpa sua avevo perduto Claire. Manou... Claire... Stavo vivendo un fotoromanzo di bassa lega, cominciavo a coltivare dei sentimenti del tutto immaginari. Ma non mi accorgevo che questi erano i primi sintomi della guarigione. Il lavoro mi assorbiva completamente, e io ne traevo una gioia profonda. La vita tornava ad affluire nelle mie vene. Ero di nuovo un vigile osservatore del mondo che mi circondava, e i miei articoli quasi si scrivevano da soli. Avevo ritrovato la gioia di scrivere, la ghiotta frenesia della scelta di un termine, di una parola. Passavo giorni e settimane senza più pensare a Claire e a Manou. Non avrei mai saputo la verità. Tanto peggio! Ciononostante continuavo a comprare i giornali francesi come per una specie di superstizione, e non riuscivo ad aprirli senza che il cuore cominciasse a battere più forte. Ma né i giornali né le rare lettere che ricevevo mi parlavano di Manou, e tanto meno di Claire. Il mio direttore mi commissionò un viaggio-inchiesta in Giappone. Accettai senza esitare. La Francia era per me agli antipodi. Restai otto mesi in Giappone. Poi passai qualche tempo a Calcutta. Andai a visitare Bombay. Inseguivo i passi di Claire, senza riuscire a provare altro che la distaccata malinconia del turista. Ormai potevo tranquillamente ritornare in Francia. Qualche tempo dopo ero di nuovo a Parigi. Ripresi subito le vecchie abitudini, e se non fossi stato obbligato a tornare ogni sera a casa mia, sarei riuscito a dimenticare il passato. Purtroppo esso si annidava in ogni angolo del mio appartamento. I ricordi mi facevano ancora soffrire, così mi decisi a mettere in vendita l'alloggio. E un giorno l'ex segretario di Jallu mi venne a trovare. Girava le agenzie immobiliari in cerca di un appartamento. Mi spiegò a lungo le sue difficoltà, mentre io lo ascoltavo annoiato. In pochi istanti aveva distrutto la mia quiete. Avevo di nuovo voglia di sapere. Non lasciai trasparire nulla del mio interesse, sperando che lui stesso mi parlasse di Jallu. Ma lui l'aveva completamente dimenticato, non pensava che ai
suoi maledetti problemi di alloggio. Era pronto ad accettare le mie condizioni, ma desiderava ancora qualche giorno per prendere una decisione. Lo accompagnai alla porta e gli dissi casualmente: «A Saigon ho saputo per caso della morte di Jallu. Pare che si sia ucciso...» «Una vera tragedia. Sa, un giorno o l'altro doveva capitare. Jallu era un giocatore e aveva puntato tutto sull'affare dell'Afghanistan. E così...» «La morte di sua moglie deve essere stato un brutto colpo per lui...» «Certo, ma ci sarebbe voluto ben altro per annientarlo.» «Era rovinato?» «Sì e no. Moralmente, forse. La diga era per lui l'ultima possibilità di dimostrare al mondo le sue teorie. Certo non lo era finanziariamente, e deve aver lasciato ai suoi eredi un patrimonio notevole.» «Chi ha ereditato?» «Sua sorella, non c'erano altri parenti.» «Mi sembra che vivesse nel Sud della Francia.» «Sì, ma adesso sta a Parigi. Anzi, tra qualche giorno si sposa.» «Quando?» «La settimana prossima, credo. Aspetti...» Consultò un'agendina e mi disse: «Mercoledì prossimo alle undici. A Saint-Pierre-de-Chaillot. Un buon matrimonio. Ma ora è diventata un ottimo partito.» «Chi deve sposare?» «Un tale de Saint-Côme o de Saint-Cosne, non ricordo. Appartiene al Servizio Diplomatico, e pare che abbia un ottimo futuro.» Se ne andò tutto lieto di aver trovato l'appartamento dei suoi sogni. E io rimasi annientato. La messa era cominciata da tempo quando mi infilai nella chiesa invasa da una folla elegante. Avevo cercato di resistere alla tentazione. Manou aveva ottenuto quel che aveva sempre desiderato, la ricchezza e una brillante posizione. Che cosa voleva di più? Non sarebbe stato dignitoso assistere al suo trionfo. Perché ancora una volta dovevo farmi del male? E se mi avesse visto tra gli astanti non avrebbe potuto che disprezzarmi. Ma dopo queste e cento altre riflessioni, il mattino dopo alle undici e mezzo aprivo la porta imbottita della chiesa e mi sedevo in un banco in fondo alla navata. La coppia era inginocchiata di fronte all'altare. Ero arrivato al momento in cui dovevano scambiarsi gli anelli. Un raggio di sole attraversava la vetrata policroma e rivestiva i due sposi di riflessi cangianti. Erano ve-
stiti di nero, il che dava alla cerimonia un carattere bizzarro. Ero in mezzo alla folla, non ero riuscito a trovare un posto esterno, così ero costretto a sporgermi per cercare di vederli. Ascoltavo la musica e sognavo di essere accanto a Manou. Certo in quel momento pensava a me, come io pensavo a lei. Vi erano tra di noi dei legami che non avremmo potuto infrangere neanche se lo avessimo voluto. Quando ci alzavamo in piedi intravedevo la sua sagoma in controluce accanto all'uomo che mi aveva soppiantato. L'organo risuonava nella mia testa con il suo lancinante frastuono. Perché ero venuto? Presto avrei dovuto stringerle la mano, farle con glaciale cortesia le mie congratulazioni. Era idiota. Peggio, era odioso. Ma la mia decisione era presa. Non potevo lasciarmi congedare come, come... Non trovavo una parola adeguata ma mi occorreva una rivincita. Il rumore della folla che sfila verso l'uscita, il tumulto dell'organo. Gli amici si dirigevano verso la sagrestia per complimentarsi con gli sposi. Esitavo. Chi di noi due sarebbe riuscito a ferire l'altro più nel profondo? La sorpresa mi avrebbe dato un certo vantaggio. E poi me ne sarei andato, indifferente... Percorsi lentamente la navata ed entrai nella sagrestia, che ora era piena di gente. Lo sposo, un bell'uomo distinto, aveva lasciato Manou per occuparsi di un gruppo di invitati. Manou mi girava la schiena. Mi diressi verso di lei. Il parapiglia per arrivare fino alla sposa era indecente. Per un istante fui respinto, riuscii a infilarmi, la chiamai a bassa voce: «Manou!» E a questo punto si voltò. Ma non era Manou. Era Claire. 8 Nulla è cambiato. Ho soltanto spinto il tavolino accanto alla finestra per vedere il giardino. La tomba è là, un poco più a destra. Intorno ho piantato delle dalie. Voglio che sia sempre fiorita, anche d'inverno. Sembra soltanto un'aiuola ben curata, e nessuno potrà mai sospettare la verità. Ora la casa è mia. L'ho comprata quando ho saputo... È stato allora che ho cominciato a scrivere questa storia, e mi sembra che Manou la stia leggendo al di sopra della mia spalla. Accanto a me c'è il piccolo scrigno, che ora è pieno soltanto di sigarette. Quando sono stanco, mi fermo un istante a fumare, ascolto la Trota e accarezzo il nostro piccolo budda, che ti piaceva tanto, Manou. Vedi, abbiamo finito per ritrovarci, dopo tanti drammatici malintesi, e non ci lasceremo mai più. Nessuno deve profanare il mistero di questa
casa. E qui io vivrò per te, come tu sei morta per me. Manou! E dire che se Claire non avesse parlato non avrei capito nulla. Avevo immaginato tante cose. Persino che eri l'amante di Jallu, oppure sua sorella. Soltanto le apparenze mentivano. Fin dall'inizio. Perché non hai mai osato dirmi fino a che punto tuo marito ti rendeva infelice. Se semplicemente mi avessi detto: "È pazzo. È talmente ossessionato dalle sue dighe che è capace di tutto, persino del peggior delitto". Avremmo potuto allora comportarci in altro modo. Non l'avresti affrontato da sola, prima di partire per l'Afghanistan, non ci sarebbe stata quella tremenda discussione. Perché, Manou, perché provocarlo a quel modo, facendogli capire chi era veramente, rivelandogli che ormai potevi farne a meno di lui, e che ti saresti rifatta una vita secondo i tuoi desideri? Claire mi ha raccontato tutto. Lascia che la chiami ancora così, anche se la vera Claire Jallu sei tu. Ma per me tu sarai sempre Manou. Manou, mia moglie. La mia donna. L'altra, la donna che incontrai all'aeroporto di Kabul e che aveva usurpato il tuo nome, continuo a chiamarla Claire. È inutile che mi sforzi: c'è Claire Jallu e c'è Manou, e continuo a non riuscire a credere, quando ripenso alla diga, che fosse la sorella di Jallu a sostituirti. A un certo momento ti sei in qualche modo sdoppiata per me. È per questo che ti ho tradita. Scusami, Manou. E non volermene se continuo a chiamarla Claire. Sì, mi ha raccontato tutto. Certo non hai mai capito sino a che punto ammirasse suo fratello. Non vi siete mai capite. Tu diffidavi di lei. Eri terribilmente chiusa in te stessa, Manou, ricordi, ne ho sofferto anch'io. Ma anche Claire ha sofferto per la tua freddezza. Avresti trovato in lei un'alleata se avessi... Non dovrei rivangare il passato, ma come non pensare che tutto forse avrebbe potuto essere evitato. Hai preferito tacere, non rivelare il tuo segreto a nessuno. All'ultimo momento, poiché mi amavi, hai rifiutato di partire per l'Afghanistan. Lui ti ha schiaffeggiata. Tu l'hai respinto e lui ti ha presa al collo... In questa stanza, proprio in questa stanza. La scena si ripete davanti ai miei occhi incessantemente. Vedi, Manou? Sono sempre con te. Mi è difficile riprendere in mano la penna quando rivivo quel momento. Tu sei morta, e io muoio con te. Quel che mi aiuta a continuare è la convinzione, per bizzarra o inopportuna che sia, che tutti noi abbiamo agito in buona fede. Persino Jallu con tutto il suo egoismo e la sua violenza. Anche lui ti amava, e non avrebbe voluto ucciderti. Era pronto a denunciarsi quando è arrivata Claire. Era perduto, e allora Claire, per salvare suo fra-
tello a qualunque costo, ha avuto l'idea, quella folle idea... Ma se non funzionava ci sarebbe stata la Corte d'assise per lui. Intanto, bisognava guadagnare del tempo. Jallu sarebbe partito da solo l'indomani. Avrebbe spiegato che sua moglie era stata trattenuta a Parigi per assistere una vecchia zia ammalata. Poi, più tardi, Claire avrebbe raggiunto suo fratello alla diga e si sarebbe fatta passare per te. Così a Parigi nessuno si sarebbe stupito per la tua assenza... Era un piano di stupefacente audacia e astuzia. In un batter d'occhio, Claire aveva posto riparo a tutte le difficoltà. Una volta che Jallu fosse stato in Afghanistan, sua sorella l'avrebbe raggiunto a Kabul viaggiando sotto il suo vero nome, il che non avrebbe creato alcun problema. E a Kabul avrebbero organizzato un incidente che avrebbe provocato la morte della presunta signora Jallu. Così, Manou, tutti avrebbero pensato che tu fossi morta alla diga e nessuno avrebbe sospettato la verità. Claire avrebbe ripreso la sua vera identità e Jallu, vedovo e onorato da tutti, avrebbe continuato la sua opera. Sfortunatamente alla diga c'era Blèche che ti conosceva, Manou. Ma Jallu avrebbe fatto in modo di cacciarlo via definitivamente. Quanto a quel Brulin, il nuovo segretario di Jallu, la sua presenza non avrebbe creato problemi. Anzi, sarebbe stato il testimone ideale. Ecco il piano che Claire immaginò negli istanti che seguirono il dramma. Bisognava agire in fretta. Innanzitutto sbarazzarsi del... Questi dettagli, Manou, non ho voluto sentirli, ma Claire non me li avrebbe comunque rivelati. Tuttavia, Jallu le ha obbedito in questo come in tutto il resto. E il resto però me l'ha raccontato. Il suo arrivo a Kabul, il nostro incontro. Aveva lasciato la villa di Neuilly quando il fratello se n'era andato. Così ignorava che le lettere, tutte quelle lettere che ti scrivevo da settimane, Manou, erano custodite nel carillon. Per lei Brulin non era che un giovane qualunque di cui servirsi quando si fosse presentata l'occasione giusta. Presto, tuttavia, quel giovane assunse una certa importanza, perché la guardava con una sorta di curiosità appassionata. Si è innamorata di me a causa di quel malinteso. Capisci, Manou, perché ti ho tradita mio malgrado? Se Claire era la moglie di Jallu, tu mi avevi mentito. E lei era chiaramente la moglie di Jallu. Tutto lo dimostrava, le loro chiacchiere, le loro allusioni, il loro comportamento quotidiano fatto insieme di riservatezza e di intimità. Persino i dettagli più insignificanti si inserivano nel mosaico. Come avrei potuto sapere, per esempio, che la carta da lettere di Claire, quella carta azzurra così particolare, era uguale alla tua semplicemente perché Jallu ve ne aveva regalato un giorno due identiche confezioni? Tutto era così normale e naturale, mentre per me fatalmente diveniva tutto così ambiguo.
Claire, che aveva così spesso vissuto con voi, recitava la parte alla perfezione, senza forzare. La foto dei genitori, il braccialetto, tutte precauzioni in vista dell'incidente, in caso fosse stato necessario lasciare ben in mostra degli oggetti che facilitassero l'identificazione. E quegli oggetti invece servivano solo a nutrire i miei incubi... Manou, voglio che tu sappia quali sono stati i miei tormenti. Ho ceduto all'amore di Claire per aggrapparmi a qualcosa di vivo, di reale. Mi sembrava di morire. E quell'amore, per un supremo paradosso, mimava alla perfezione l'adulterio. Non sapevo che Jallu disapprovava con tutte le sue forze quella relazione di sua sorella. Vedevo soltanto il suo cattivo umore, notavo che a volte mi fissava con animosità. Sorprendevo delle liti sorde che cessavano all'improvviso alla mia comparsa. Quando le dicevo qualcosa, Claire rispondeva: "Abbi fiducia in me. Non ti preoccupare". Naturalmente Jallu non aveva il diritto di farle il minimo rimprovero. Una volta che lo avesse salvato, sarebbe stata libera di amarmi. In fondo quell'amore imprevisto serviva alla perfezione al loro piano. Claire cominciò a organizzare le nostra esistenza futura e a preparare la nostra fuga all'estero, lontano da Parigi. Se lei avesse cambiato nome e si fosse chiamata signora Brulin, Jallu sarebbe stato perfettamente al sicuro. Certo lui approvava la sua idea, ma continuava ad avercela con me pensando che avessi sedotto sua sorella. E io percepivo confusamente tutto ciò e ne provavo un perenne disagio, pur senza comprenderne la vera causa. E poi, il piano del falso incidente mi sembrava strano, pericoloso. Come potevamo sperare che Jallu si sarebbe fatto ingannare? Immaginavo anche che Claire si sarebbe trovata di fronte a enormi difficoltà per poter lasciare il Paese. E invece le sarebbe bastato mostrare il passaporto per poter girare dappertutto liberamente. Era soltanto a me che non poteva farlo vedere, i presunti documenti falsi le sarebbero serviti soltanto per ingannare me! Aveva ben ragione di ripetermi: "Abbi fiducia in me". Dopo, gliene ho voluto per questo. E ancora le serbo un po' di rancore, per uno stupido amor proprio. Ma non aveva scelta. Anche lei era prigioniera del passato. E poi, quando percepiva il mio disagio nei suoi confronti, quella povera donna immediatamente indovinava che le nascondevo qualcosa, che ero ancora ossessionato da un'immagine di donna, di un'altra donna. Senza poterlo mai confessare, era gelosa. Gelosa di te, Manou, e questo rende la nostra avventura ancora più terribile. Ingabbiata nel suo ruolo, doveva mentirmi fino alla fine. E lo ha fatto con un coraggio e una devozione straordinaria. Mi ha raccontato del suo ritorno in Francia. Bisogna compiangerla, Ma-
nou. In questa storia in cui non ci sono che vittime, Claire è stata la più duramente colpita. Pensaci, Manou. Ritornata in questa casa, che già l'attendeva con i suoi ricordi insostenibili, si trova di fronte alla verità che è in agguato da settimane nel carillon. Era rientrata subito a Parigi, dove per altro non correva alcun rischio. Perché mai avrebbe dovuto andare a Londra? Era tornata senza diffidare, convinta di rivedermi presto. Ma prima voleva assicurarsi che la casa conservasse ancora il suo segreto, e poi doveva recuperare certi oggetti che le appartenevano. Dà un'occhiata nella tua stanza, apre lo scrigno, e vi trova il tuo diario, le mie lettere. In quella stessa camera in cui aveva concepito il piano che doveva salvare suo fratello, viene a sapere che tutto è perduto. Legge quelle pagine piene d'amore e immediatamente scopre che io non l'ho mai amata. La nostra relazione, il tuo manoscritto, la casella postale, immediatamente tutto le viene rivelato. È seduta qui, in questa stessa poltrona sulla quale ora sto scrivendo. Ha voglia di morire. Ha veramente pensato a uccidersi, sai Manou, me l'ha detto lei stessa. Le resta però una flebile speranza. Forse non tutto è perduto, dal momento che io continuo a non sapere perché tu sei scomparsa dalla mia vita. Io continuo a credere che tu non voglia più vedermi. Se mi convinco che tra noi tutto è finito, se rinuncio a te per sempre, Manou, Claire ha ancora una possibilità di salvare suo fratello e il suo amore per me. Lentamente recupera il suo sangue freddo e incomincia a soppesare i pro e i contro. Sarebbe una follia avvertire Jallu per telefono, ma gli scriverà per spingerlo a rientrare al più presto. Lo metterà brevemente al corrente della situazione. E, in attesa del suo ritorno, si sostituirà ancora una volta a te. Dapprima si fa restituire il tuo manoscritto. Tra le mie lettere ha trovato la chiave della casella postale, dunque le è facile recuperarlo. Poi mi chiama al telefono... Povera Claire! Sa benissimo che resuscitare Manou vuol anche dire resuscitare la mia passione. Ma la necessità non ammette legge. Quel gioco terrificante la costringe a restituirmi il denaro che ti avevo prestato. L'avrei finalmente capita che avevo torto ad amare una Manou così, ingrata ed egoista? E invece io ti scrivo e continuo a scriverti! E ognuna delle mie lettere le rivela che non guarirò mai. Al telefono, rispondo dicendole delle frasi che la turbano profondamente. Naturalmente io non so che rivolgendomi a Manou sto parlando con Claire. Muoio di mille morti ma nello stesso tempo la uccido mille volte. Dobbiamo perdonarla, Manou.
...È tardi. Ritorno al tavolino per terminare questa confessione liberatoria. Il profumo dei fiori entra dalla finestra aperta. Manou perduta, ritrovata, perduta per sempre. Che dire ancora? Di noi quattro sono stato il più debole, il più vile. Sì, sono stato odioso... Ma adesso pago duramente. Non finirò mai di pagare. Jallu si è ucciso. Rimorso, stanchezza, disgusto... Tutto questo insieme, suppongo. O più semplicemente ha avuto paura. Claire ha preferito non soffermarsi su questo particolare. Come non ha voluto far allusione alla mia fuga. Mi ha atteso a lungo, poi si è rassegnata. E ora, estrema ironia del destino, se n'è andata a Teheran, dove suo marito è stato nominato ambasciatore. E io? Io resto qui, accanto a te Manou. Scriverò dei libri per te, i libri che tu non hai potuto scrivere. Il nostro amore ricomincia. Per sempre. FINE