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di scienza
A Florian Göbel (1972-2008)
Alessandro De Angelis
L’enigma dei raggi cosmici Le più grandi energie dell’universo
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ALESSANDRO DE ANGELIS Max Planck Institute for Physics, Monaco di Baviera
Collana i blu – pagine di scienza ideata e curata da Marina Forlizzi ISSN 2239-7477
e-ISSN 2239-7663
ISBN 978-88-470-2046-7 DOI 10.1007/978-88-470-2047-4
e-ISBN 978-88-470-2047-4
© Springer-Verlag Italia 2012 Questo libro è stampato su carta FSC amica delle foreste. Il logo FSC identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore, e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail
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Prefazione
Questo libro ripercorre tutta la storia delle misteriose radiazioni scoperte agli inizi del XX secolo e la serie di esperimenti che arrivarono a sfatare l’idea che provenissero dall’interno della terra e a provare la loro natura extraterrestre. È una storia che mostra anche con evidenza come il progresso scientifico sia un’impresa collettiva e soprattutto vuole rendere giustizia a un fisico italiano, Domenico Pacini, che per primo ideò una nuova tecnica per la misura delle radiazioni, provando la loro origine extraterrestre. Il suo decisivo esperimento fu fatto nel giugno 1911, un anno prima di quello dell’austriaco Victor Hess, che invece fu universalmente riconosciuto come lo scopritore dei raggi cosmici e per questo ebbe il premio Nobel per la fisica nel 1936, quando Pacini era morto da due anni e il suo lavoro dimenticato. La tecnica di Pacini consisteva nel misurare la misteriosa radiazione in montagna, a livello del mare e poi sott’acqua. L’esperimento fu compiuto nel golfo di Genova e poi nel lago di Bracciano. Poiché la radiazione ionizzante diminuiva con la profondità, Pacini concluse che non poteva venire dalla crosta terreste, ma dall’alto. L’austriaco Hess condusse invece una serie di misure da terra e da pallone a varie altezze. Nell’agosto 1912 raggiunse l’altezza di 5 200 metri e arrivò alla conclusione che il grado di ionizzazione cresceva con l’altezza e quindi la causa ionizzante doveva venire dall’alto. Prima e durante la grande guerra molti scienziati si cimentarono in questo genere di misure, sia utilizzando la tecnica di Pacini sia quella di Hess. Si riteneva che la radiazione ionizzante fosse di natura elettromagnetica, quella più energetica – raggi gamma generati da “cambiamenti nucleari” secondo lo statunitense Millikan. Fu solo nel 1932 che Compton mostrò che si trattava di particelle cariche e solo nel 1941 furono identificate essere in maggioranza protoni. Grazie ai raggi cosmici fu scoperta la prima particella di
VIII L’enigma dei raggi cosmici
antimateria, l’antielettrone o positrone, e poi i mesoni e altre particelle instabili. Insomma i raggi cosmici sono stati i primi acceleratori di particelle naturali fino agli anni ’50 quando cominciò la costruzione dei primi acceleratori. Oggi la fisica delle astro particelle è divenuta un campo di ricerca interdisciplinare fondamentale per la ricerca della materia oscura e si stanno sviluppando strutture per la misura dei raggi cosmici più energetici sia da terra sia dallo spazio, prodotti dai resti di supernove e dalle ancora poco conosciute regioni centrali delle galassie. Molto interessante è la parte del libro in cui si riporta la corrispondenza fra Pacini e Hess. In una lettera del 6 marzo 1920 a Hess, Pacini si congratula per l’importanza e la chiarezza di esposizione di alcuni lavori, ma lamenta che non siano stati citati i lavori italiani sull’argomento e a cui spetta la priorità. Hess risponde molto gentilmente il 17 marzo adducendo a giustificazione che l’articolo era la pubblicazione di una conferenza divulgativa, senza pretesa di dare una citazione completa di tutti i lavori sull’argomento. Ma il 12 aprile Pacini scrive ancora che in un articolo apparso su una rivista specializzata Hess cita molti lavori ma dimentica completamente di citare ancora una volta i lavori relativi alle sue misure sotto la superficie del lago di Bracciano che portarono alle conclusioni che lui, Hess, confermò con le sue esperienze in pallone. Oggi gli scambi di corrispondenza, grazie alla posta elettronica, sono molto più rapidi, e l’uso di quell’esperanto scientifico che è diventato l’inglese facilita la lettura di testi di colleghi stranieri. Pacini scriveva in italiano, Hess in tedesco e le pubblicazioni non viaggiavano come ora alla velocità della luce (o quasi). Comunque fatti del genere succedono ancora oggi e ognuno di noi ne avrebbe qualcuno da raccontare. In particolare gli americani non sempre leggono le riviste europee e a volte riscoprono l’ombrello. Edoardo Amaldi in una lettera del 14 luglio 1941 al direttore dell’Istituto di Fisica Antonino Lo Surdo dichiarava che non c’era alcun dubbio che Pacini era lo scopritore dei raggi cosmici. Questa lettera fu causata da una paradossale affermazione del giornale Il Tevere che il 2 luglio 1941 scriveva che la fisica nucleare e la fisica dei raggi cosmici erano “scienze giudaiche”! A che aberrazioni può portare una dittatura. Grazie proprio a essa dobbiamo la perdita di grandi fisici come Fermi, Bruno Rossi, Segrè, tutti emigrati negli Stati Uniti in conseguenza delle leggi razziali del ’38 – una delle
IX
Maggio 2011
Margherita Hack
Prefazione
pagine più vergognose della storia d’Italia e d’Europa. Comunque Amaldi ribadiva che questa affermazione era molto strana per chi sa che l’italiano Domenico Pacini, un non ebreo, fu lo scopritore dei raggi cosmici. Il libro conclude riportando, per i più esperti di scienze fisiche, tre articoli originali che descrivono alcune fra le esperienze pionieristiche legate allo studio dell’origine e delle proprietà della radiazione ionizzante. La lettura di questo libro, oltre a far capire come procede la scienza, come ogni scoperta avvenga col contributo più o meno cosciente di molte persone, vuole essere un tributo alla memoria di un grande scienziato dimenticato.
Indice
Prefazione
VII
Introduzione
XIII
Capitolo 1 I raggi cosmici Capitolo 2 Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici 2.1 L’enigma della ionizzazione dell’atmosfera 2.2 Il contributo di padre Wulf Capitolo 3 Pacini e le misure di attenuazione in acqua 3.1 Pacini: una breve biografia 3.2 Il contributo di Pacini alla ricerca 3.3 La via che portò Pacini a formulare l’ipotesi della radiazione extraterrestre
1 9 10 16 19 19 23 26
Capitolo 4 Hess e le misure su pallone aerostatico 4.1 I precursori: Gockel e Bergwitz 4.2 L’ambiente culturale viennese all’inizio del ’900 4.3 Victor Hess 4.4 La conferma da parte di Kolhörster 4.5 L’85o congresso dei fisici e dei medici di lingua tedesca
33 33 35 36 44 44
Capitolo 5 Sviluppi dopo la prima guerra mondiale 5.1 I raggi cosmici sono carichi o neutri? 5.2 Positivi o negativi? 5.3 Albori della fisica delle particelle elementari
47 50 52 57
XII L’enigma dei raggi cosmici
Capitolo 6 Il riconoscimento della comunità scientifica 6.1 Il premio Nobel per i raggi cosmici 6.2 L’opinione di Edoardo Amaldi 6.3 La corrispondenza tra Pacini ed Hess 6.4 Perché il lavoro di Pacini fu dimenticato?
61 61 65 70 72
Capitolo 7 I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari 7.1 Il leptone μ e i mesoni 7.2 La scoperta della stranezza 7.3 Lo “zoo” delle particelle 7.4 Il meccanismo di accelerazione di Fermi
75 76 82 86 88
Capitolo 8 La fisica dei raggi cosmici oggi 8.1 Raggi cosmici di altissima energia 8.2 Ricerca di antimateria 8.3 Raggi gamma 8.4 La fisica dei neutrini cosmici 8.5 Nuovi messaggeri: il futuro 8.6 Post scriptum
89 90 94 95 102 108 110
Appendice. Tre articoli originali fondamentali nella storia dei raggi cosmici
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Ringraziamenti
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Bibliografia
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Introduzione
Nei primi anni del ’900 gli scienziati scoprirono l’esistenza di radioattività naturale sulla Terra, e si chiesero da dove questa radioattività originasse; tra le varie ipotesi la più accreditata era che fosse dovuta a radiazioni provenienti dalla crosta terrestre. La soluzione dell’enigma richiese una decina di anni, e fu una delle imprese intellettuali più emozionanti della storia della scienza. Essa portò alla scoperta che gran parte della radiazione trae origine da sorgenti extraterrestri – e alla radiazione extraterrestre fu in seguito dato il nome di “raggi cosmici”. Sappiamo oggi che i raggi cosmici sono particelle (in maggioranza nuclei d’idrogeno, cioè protoni) che urtano l’atmosfera terrestre apparentemente da ogni direzione, a velocità prossime a quelle della luce. Le loro energie arrivano alle più alte osservate in natura (fino a cento milioni di volte l’energia delle particelle dell’acceleratore LHC al CERN di Ginevra); devono quindi provenire da potentissimi acceleratori cosmici, probabilmente in resti di supernova e nei dintorni di buchi neri supermassicci. Il meccanismo di accelerazione fu spiegato da Enrico Fermi nel 1949 (raggi cosmici di minore energia provengono, invece, dal Sole). Arrivare a questa conclusione fu difficile: la contemporanea esistenza di radiazione cosmica e di radiazione terrestre rendeva gli esperimenti particolarmente delicati. Durante una serie di esperimenti condotti tra il 1907 e il 1911, il fisico italiano Domenico Pacini [1], a quel tempo giovane ricercatore presso l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma, condusse importanti studi sulla radiazione naturale. Nel suo esperimento conclusivo, condotto nel giugno 1911 presso l’Accademia Navale di Livorno e confermato nel lago di Bracciano un paio di mesi più tardi, Pacini, con una tecnica sperimentale innovativa, osservò che le radiazioni penetranti naturali diminuivano nel passaggio dalla superficie dell’acqua a pochi metri sott’acqua (sia
XIV L’enigma dei raggi cosmici Se gran parte della radioattività viene dall’alto, ci aspettiamo di misurare in quota una ionizzazione maggiore di quella al suolo, e sotto la superficie di un lago o del mare una ionizzazione minore. Queste due tecniche consentirono di risolvere un secolo fa il primo enigma legato ai raggi cosmici, identificando l’esistenza di una radiazione extraterrestre
in mare sia nel lago), dimostrando così per primo che una parte rilevante di tali radiazioni non poteva venire dalla Terra. Pochi mesi dopo le misure di Pacini l’austriaco Victor Hess, a quel tempo giovane assistente a Vienna, realizzò un famoso esperimento: in una serie di voli in mongolfiera fino a 5300 metri misurò che il tasso di ionizzazione aumenta con l’altitudine, fornendo la prova definitiva riguardo all’origine extraterrestre delle radiazioni. Hess, che era poi divenuto professore in Austria, ricevette il Nobel per la fisica nel 1936, due anni dopo la morte di Pacini, il quale a sua volta era diventato professore di Fisica Sperimentale presso l’Università di Bari [2]. La scoperta dei raggi cosmici, una pietra miliare nella scienza e un’affascinante avventura intellettuale (si pensi che Walt Disney nel 1957 produsse un documentario [3] di un’ora per la regia di Frank Capra in cui la storia veniva raccontata come un giallo con la partecipazione di pupazzi e cartoni animati; il documentario si avvaleva della consulenza scientifica del premio Nobel Anderson e del grande fisico italiano Bruno Rossi) è dovuta a diversi scienziati in Europa e nel Nuovo Mondo, e ha avuto luogo durante un
XV Introduzione
periodo caratterizzato da nazionalismo e mancanza di comunicazione. Le figure di Pacini e di Hess sono certamente molto rilevanti, probabilmente le più rilevanti insieme a quella del gesuita Theodor Wulf che nella fase iniziale migliorò in modo decisivo gli strumenti di misura della radiazione, e per primo nel 1909 introdusse la tecnica di misurazione in quota (dalla sommità della torre Eiffel). Fatti storici, politici e personali, inseriti nel contesto storico pre- e post-prima guerra mondiale, hanno fatto dimenticare la successione delle scoperte. Questo lavoro si propone di dare un resoconto storico della scoperta dei raggi cosmici, in occasione del centenario dei primi esperimenti cruciali, e di raccontare l’evoluzione successiva dello studio fino ai giorni nostri, delineando i problemi ancora insoluti e il modo in cui essi vengono affrontati. Tre articoli fondamentali per la storia dei raggi cosmici sono riprodotti in Appendice.
Capitolo
1
I raggi cosmici
I cosiddetti “raggi cosmici” sono particelle subatomiche, provenienti dallo spazio esterno all’atmosfera terrestre. Sono in parte responsabili della radioattività naturale misurata sulla Terra (che viene in parte anche dal suolo). Il termine “raggio” deriva dai primi anni della ricerca sulla radiazione, quando il flusso di tutte le radiazioni ionizzanti era definito un “raggio” (ad esempio i raggi alfa, che sono nuclei di elio, o i raggi beta, elettroni). Il numero di raggi cosmici che arrivano sulla Terra dipende molto dalla loro energia E, e cala velocemente con essa. Tipicamente l’energia delle particelle viene misurata in elettronvolt (eV). Un elettronvolt è l’energia cinetica acquisita da un elettrone accelerato da una differenza di potenziale di 1 volt, ed è all’incirca l’energia della luce visibile; un giga-elettronvolt, o GeV (un miliardo di elettronvolt) è all’incirca l’energia necessaria per creare un protone in base alla nota relazione di Einstein E = mc2 ; un tera-elettronvolt, o TeV, è pari a 1 000 GeV. L’energia dei fasci di LHC è pari a 7 TeV; l’energia dei raggi cosmici più energetici rivelati è di circa un miliardo di TeV. La distribuzione in energia (il cosiddetto spettro) dei raggi cosmici è abbastanza ben descritta localmente da una legge di potenza (ossia da una funzione del tipo E −p ), con p numero positivo. Il cosiddetto indice spettrale p è la pendenza del grafico dei dati in unità logaritmiche. Dopo la regione di basse energie, dominata da raggi cosmici provenienti dal Sole (parte del cosiddetto vento solare), tale spettro diventa più ripido con p ∼ 2.7 per valori dell’energia inferiori a ∼ 1 000 TeV. Per valori superiori dell’energia si ha un ulteriore irripidimento, con p che diviene pari a circa 3; A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
2 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 1.1. Lo spettro (numero di particelle incidenti per unità di energia, per unità di tempo, per unità di superficie e per unità di angolo solido) dei raggi cosmici primari ([4], © Infn/Asimmetrie)
il punto in cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denominato “ginocchio”. Per energie ancora più alte (oltre un milione di TeV) lo spettro dei raggi cosmici torna a essere meno ripido, dando luogo a un ulteriore cambio di pendenza che viene chiamato “caviglia” (Fig. 1.1). Per fare un esempio quantitativo, una legge di
3 Capitolo 1. I raggi cosmici Fig. 1.2. Quando una particella cosmica primaria interagisce con i nuclei dell’atmosfera terrestre si genera uno sciame di particelle. Gli sciami possono essere composti anche da milioni di particelle, con una complessa storia di interazioni a catena, produzioni, assorbimenti e decadimenti spontanei
potenza con indice spettrale p uguale a 3 (come in gran parte dello spettro dei raggi cosmici) implica che se l’energia considerata raddoppia il flusso dei raggi cosmici si riduce a un ottavo. Il mezzo interstellare contiene nuclei atomici di ogni elemento della tavola periodica, in movimento per effetto di campi elettrici e magnetici. La maggioranza delle particelle di alta energia in arrivo di raggi cosmici sono protoni (nuclei di idrogeno), circa il 10% sono nuclei di elio (particelle alfa), e l’1% sono nuclei di elementi più pesanti. Questi insieme costituiscono il 99% dei raggi cosmici, e gli elettroni, i fotoni e tracce di antimateria partecipano al restante 1%. Il numero di neutrini (particelle neutre di massa piccolissima con bassa probabilità d’interazione con la materia) è stimato essere ad alta energia confrontabile a quello dei fotoni; a bassa energia è molto grande a causa dei processi nucleari che avvengono nel Sole, processi che comportano una grande produzione di neutrini.
4 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 1.3. Il resto della supernova nella nebulosa del Granchio, un potente emettitore di raggi gamma nella nostra galassia. L’esplosione della supernova avvenne nel 1054 e fu registrata da astronomi cinesi. È ben visibile il vortice di materia intorno al centro, dove si trova una stella di neutroni in rapida rotazione alla quale si deve un’emissione periodica (pulsar). Alcuni resti di supernova, visti dalla Terra, hanno una dimensione apparente di qualche decimo di grado – all’incirca come la Luna. Immagine del satellite Chandra della NASA
I raggi cosmici che incidono sull’atmosfera (detti raggi cosmici primari) producono in generale particelle secondarie che possono arrivare alla superficie della Terra attraverso il meccanismo dei cosiddetti “sciami” moltiplicativi, che comporta il susseguirsi di una complessa storia di interazioni a catena, produzioni, assorbimenti e decadimenti spontanei (Fig. 1.2). Senza l’effetto schermante dell’atmosfera terrestre, raggi cosmici che rappresentano un grave pericolo per la salute ci colpirebbero direttamente (persone che vivono in alta montagna o che fanno frequenti viaggi in aereo so-
5
1 Un buco nero è un oggetto dotato di un’attrazione gravitazionale talmente ele-
vata che nulla può allontanarsi dalla superficie. Questo si verifica quando la velocità di fuga (cioè la minima velocità necessaria per fuggire dalla sua attrazione gravitazionale) à superiore alla velocità della luce: per sfuggire una particella dovrebbe muoversi più velocemente della luce stessa. La condizione di buco nero è quantificata per un corpo sferico in quiete da una relazione tra la massa e il raggio R: la massa deve essere maggiore di Rc2 /2G, dove c è la velocità della luce e G è la costante di gravitazione universale (se la Terra, la cui velocità di fuga è di circa 11 chilometri al secondo e il raggio di circa 6 400 chilometri, venisse schiacciata fino ad avere un raggio di 9 millimetri, si comporterebbe come un buco nero). Le stelle più grandi possono evolvere spontaneamente in buchi neri dopo che il loro combustibile nucleare è finito. La maggior parte delle galassie note sembra avere un buco nero supermassiccio (da milioni a miliardi di masse solari) nel suo centro – in particolare la Via Lattea ha nel suo centro, nella costellazione del Sagittario, un buco nero di quasi quattro milioni di masse solari. Una volta formatosi, date le condizioni di forte gravità, un buco nero supermassiccio tende ad accrescersi inghiottendo la materia circostante e generando violente collisioni.
Capitolo 1. I raggi cosmici
no soggette a una dose supplementare misurabile di radiazioni). Oltre agli effetti legati alla radioattività, si congettura anche una correlazione tra i raggi cosmici e le condizioni meteorologiche. Recentemente sono stati raggiunti importanti risultati sperimentali in questo senso. Nell’agosto 2011 fisici del CERN di Ginevra hanno ricostruito nell’esperimento CLOUD embrioni di nuvole artificiali, osservando che i raggi cosmici fanno aumentare (anche fino a 10 volte) la formazione di particelle di aerosol e la velocità con cui queste si aggregano per formare grappoli, che via via diventano sempre più grandi fino a costituire nuvole. All’incirca una volta al secondo, una singola particella subatomica entra nell’atmosfera terrestre con la stessa energia di un sasso ben lanciato [5]. Da qualche parte nell’universo ci sono acceleratori che possono impartire a un singolo protone energie 100 milioni di volte più grandi dell’energia ottenibile dai più potenti acceleratori terrestri. Dove sono questi acceleratori e come funzionano? Si ritiene che il motore ultimo dell’accelerazione dei raggi cosmici sia legato alla forza di gravità. In giganteschi collassi gravitazionali come quelli che avvengono nei resti di supernova (stelle che implodono alla fine della loro vita, si veda ad esempio la Fig. 1.3) e nell’accrescimento dei buchi neri1 supermassicci (pari a milioni di masse solari) a spese della materia circostante (Fig. 1.4), parte dell’energia potenziale gravitazionale viene trasformata, at-
6 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 1.4. Un buco nero supermassiccio si accresce inghiottendo i corpi stellari vicini, ed emette getti di particelle cariche e raggi gamma
traverso meccanismi non facili da spiegare e non ancora completamente capiti, in energia cinetica delle particelle. La ragione per cui gli acceleratori costruiti dall’uomo non possono competere con gli ancora misteriosi acceleratori cosmici è semplice. Il metodo più efficiente per accelerare particelle richiede il loro confinamento entro un raggio R tramite un campo magnetico B, e l’energia è proporzionale al prodotto di R per B. Sulla Terra è difficile ipotizzare ragionevolmente raggi di confinamento più grandi di un centinaio di chilometri e campi magnetici più forti di una decina di tesla (centomila volte il campo magnetico terrestre). Questa combinazione può fornire energie dell’ordine della decina di TeV, come quelle dell’acceleratore LHC del CERN. In natura ci sono invece acceleratori con raggi molto maggiori, come i resti di supernove (centinaia di anni luce) e i nuclei galattici attivi delle galassie (decine di migliaia di anni luce). Oggi finalmente sappiamo sfruttare questi acceleratori cosmici, che, a differenza di
7 Capitolo 1. I raggi cosmici
quelli costruiti dall’uomo che costano ormai miliardi di euro, sono gratis. Le radiazioni di particelle cariche, viaggiando attraverso la Via Lattea, sono deviate dal debole campo magnetico galattico (all’incirca pari a un milionesimo del campo magnetico terrestre) prima di raggiungere la Terra. Al di sotto di un’energia di circa centomila TeV l’effetto dei campi magnetici galattici fa sì che si perda ogni informazione sulla direzione di provenienza. Le particelle neutre, invece, arrivano ai rivelatori conservando l’informazione sulla direzione originaria di provenienza. I raggi gamma (chiamati raggi gamma per motivi storici) sono fotoni (particelle di luce) di altissima energia, e occupano la parte più energetica dello spettro della luce; essendo privi di carica elettrica possono percorrere lunghe distanze senza essere deviati dai campi magnetici galattici ed extragalattici, e consentono lo studio diretto delle sorgenti di emissione. Lo spettro dell’energia dei raggi gamma si estende fino all’infinito, ma tipicamente quando si parla di radiazione gamma rivelata nei raggi cosmici ci si riferisce a un intervallo che va dai MeV (milioni di volte l’energia della luce visibile) ai TeV (migliaia di miliardi di volte l’energia della luce visibile). Questi fatti stanno spingendoci oggi a studiare soprattutto i raggi gamma di altissima energia e i raggi cosmici di centinaia di milioni di TeV. Tuttavia, i raggi gamma sono poco numerosi rispetto ai raggi cosmici carichi, e l’andamento dello spettro di energia fa sì che anche i raggi cosmici carichi di centinaia di milioni di TeV siano eventi molto rari. I satelliti, considerando il costo attuale delle tecnologie spaziali, sono vincolati a piccole dimensioni e piccole aree efficaci: di fatto, dato il rapido calo del flusso di particelle con l’aumentare dell’energia, per esplorare le altissime energie occorre dunque utilizzare strumenti che coprano grandi superfici al suolo (possibilmente collocati in alta montagna), rivelando i prodotti dell’interazione dei raggi gamma con l’atmosfera. Come siamo arrivati a scoprire l’esistenza della radiazione naturale, e come siamo riusciti a concludere che gran parte di questa radiazione viene dal cosmo? I prossimi capitoli analizzano la storia della ricerca sui raggi cosmici, un’affascinante avventura che da oltre un secolo impegna e appassiona molti scienziati.
Capitolo
2
Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici
L’elettroscopio (Fig. 2.1) è un dispositivo atto a rivelare la carica elettrica. Tipico è l’elettroscopio a foglie che rivela la carica attraverso il fatto che due lamine sottili (le foglie) realizzate in metallo, vincolate all’estremità superiore, si respingono e quindi divergono quando sono cariche. Se non fosse per un isolamento imperfetto, sembrerebbe a prima vista che un elettroscopio debba mantenere per sempre la sua carica. Già nel 1785 invece Coulomb1 aveva osservato [6] che gli elettroscopi si scaricano spontaneamente in aria, anche se isolati quanto meglio possibile dal punto di vista elettrico. Dopo gli studi dedicati al problema da Faraday2 intorno al 1835 [7], Crookes osservò nel 1879 [8] che la velocità di scarica diminuiva quando la pressione veniva ridotta. Si concluse quindi che la causa diretta della scarica dell’elettroscopio dovesse essere la ionizzazione dell’aria contenuta nell’elettroscopio stesso. Ma qual era la causa prima? La spiegazione del fenomeno della scarica spontanea arrivò all’inizio del XX secolo e aprì la strada a una scoperta scientifica 1 Charles-Augustin de Coulomb (Angoulême 1736 - Parigi 1806) fu ufficiale del ge-
nio militare francese. Si occupò di meccanica, di dinamica dei fluidi, e soprattutto di elettricità e magnetismo, campi ai quali dedicò fra il 1785 e il 1789 sette fondamentali memorie. Membro dell’Académie des Sciences e magistrato generale alle acque, fu poi costretto a vita privata dai rivoluzionari. 2 Michael Faraday (Newington 1791 - Hampton Court 1867) fu un chimico e fisico inglese; diede contributi importantissimi alla chimica e all’elettromagnetismo.
A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
10 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 2.1. Funzionamento schematico dell’elettroscopio
rivoluzionaria per l’umanità: i raggi cosmici. Molti articoli e volumi di rassegna sono stati scritti sulla storia della ricerca sui raggi cosmici; si vedano ad esempio [9-21].
2.1
L’enigma della ionizzazione dell’atmosfera
Lo studio della velocità di scarica degli elettroscopi richiedeva una tecnologia sperimentale abbastanza sofisticata; fortunatamente questo tipo di misura era molto in voga fin dalla fine del XVIII secolo, in quanto legato a questioni di elettricità atmosferica connesse in ultima analisi a problemi di meteorologia. William Thomson, che più tardi sarebbe stato nominato Lord Kelvin3 , trasformò l’elettrometria in una scienza, inventando nuovi elettroscopi trasportabili. La tecnica ebbe notevoli sviluppi oltre che in Gran Bretagna anche negli Stati Uniti, in Canada, in Ita3 William Thomson (Belfast 1824 - Netherall 1907) lavorò a Cambridge e fu profes-
sore a Glasgow. Svolse ricerche sui maggiori problemi della fisica, in particolare della termodinamica.
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4 Erwin Schrödinger (Vienna 1887-1961) era un fisico e biologo austriaco, tra i fon-
datori della meccanica quantistica avendo per primo formulato nel 1926 l’equazione d’onda di particelle non-relativistiche (valida cioè per velocità piccole rispetto alla velocità della luce). Professore a Oxford, Dublino, Graz e Vienna, fu premiato con il Nobel per la fisica nel 1933. 5 Maria Sklodowska, meglio nota come Marie Curie (Varsavia 1867 - Parigi 1934) fu una chimica e fisica russo-polacca, naturalizzata francese. Nel 1903 fu insignita del premio Nobel per la fisica (assieme al marito Pierre Curie e ad Antoine Henri Becquerel) e, nel 1911, del premio Nobel per la chimica per i suoi lavori sul radio (è l’unico scienziato che abbia vinto il premio Nobel in due diverse discipline scientifiche). 6 Secondo la nomenclatura dell’epoca, veniva chiamata radioemanazione l’insieme dei prodotti gassosi del Radio, oggi denominato radon. Il radon decade attraverso l’emissione di particelle α (nuclei di elio) in quello che veniva chiamato Ra A (o radio A o Ra. A), che a sua volta decade ancora con l’emissione di particelle α in Ra B; quest’ultimo a sua volta si trasforma con l’emissione di raggi β (elettroni) in Ra C. L’insieme delle sostanze Ra A, Ra B e Ra C veniva chiamato “radioattività indotta”.
Capitolo 2. Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici
lia (grazie alla scuola del professor Giovanni Battista Beccaria), in Germania, e in particolare in Austria. In alcuni casi questi studi avevano applicazioni legate all’agricoltura e alle scienze militari, due settori che avrebbero tratto grande profitto dalla possibilità che l’uomo potesse influenzare con l’elettricità i fenomeni atmosferici. Grande importanza per lo sviluppo degli studi sull’elettricità atmosferica ebbero nella seconda metà dell’Ottocento le ricerche di Franz Exner a Vienna. Exner, la cui scuola fu premiata da numerosi premi Nobel [22], non solo perfezionò ulteriormente l’elettroscopio migliorando gli strumenti di Lord Kelvin, ma riuscì anche ad attrarre molti bravi studenti, in particolare Schrödinger4 che si appassionò alla fisica proprio grazie allo studio della ionizzazione dell’atmosfera. Inoltre fu il primo a effettuare voli su pallone aerostatico a Vienna per scopi legati alla misura della ionizzazione dell’atmosfera. La radioattività naturale fu scoperta nel 1896 da Becquerel [23]. Pochi anni dopo [24], Marie5 e Pierre Curie (Fig. 2.2) osservarono che gli elementi Polonio e Radio6 sono soggetti a trasmutazioni che generano radioattività (decadimenti radioattivi). In presenza di un materiale radioattivo, un elettroscopio carico si scarica più velocemente; si può dunque concludere che la scarica spontanea degli elettroscopi possa essere dovuta a particelle cariche emesse nei decadimenti radioattivi. La velocità di scarica di un elettroscopio può dunque venire utilizzata per misurare il livel-
12 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 2.2. Marie e Pierre Curie, vincitori di premi Nobel per scoperte legate alla radioattività naturale, con la loro figlia Irène, che a sua volta avrebbe vinto il premio Nobel per la chimica nel 1935 per la scoperta della radioattività indotta o artificiale
lo di radioattività. Questa osservazione aprì in Europa e nel Nuovo Mondo (Stati Uniti e Canada in particolare) una nuova stagione nella ricerca legata agli studi sulla radioattività naturale, e in qualche modo unificò, data la comune tecnica sperimentale, gli studi della ionizzazione realizzati nel contesto della meteorologia e le ricerche legate alla radioattività ambientale. Intorno al 1900, Elster e Geitel [25] migliorarono la tecnica di isolamento dell’elettroscopio in un recipiente chiuso, aumentando così la sensibilità dello strumento (Fig. 2.3). Di conseguenza poterono effettuare misure quantitative della velocità di scarica spontanea. Julius Elster (1854-1920) e Hans Geitel (1855-1923) erano due insegnanti di ginnasio di una piccola cittadina della bassa Sassonia, Wolfenbüttel; amici fin dal tempo della scuola, divisero la stessa casa con la famiglia di Elster e lavorarono con dedizione maniacale allo studio dell’elettricità atmosferica, divenendone pionieri. In un esperimento condotto nel 1899 [25], isolando l’elettroscopio riscontrarono una diminuzione della radioattività, determinando così che la scarica era dovuta in gran parte ad
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agenti ionizzanti provenienti dall’esterno del recipiente in cui era contenuto l’elettroscopio stesso. Le domande ovvie riguardavano la natura di tali radiazioni, e se esse fossero di origine terrestre o extra-terrestre. L’ipotesi più semplice era che esse provenissero da materiali radioattivi, e quindi l’origine terrestre era un’assunzione comune; una dimostrazione sperimentale, però, sembrava difficile da raggiungere. Wilson7 confermò immediatamente [26] il risultato di Elster e Geitel e suggerì la possibilità che l’origine della ionizzazione potesse essere una radiazione estremamente penetrante di prove7 Charles Thomson Rees Wilson (Edimburgo 1869-1959) era un fisico britannico in-
ventore, nel 1911, del rivelatore chiamato camera a nebbia, o anche, dal suo cognome, camera di Wilson; di questo strumento parleremo nel seguito. Wilson si era laureato nel 1892 all’Università di Cambridge dove lavorò con J.J. Thomson al laboratorio Cavendish e nel 1925 fu nominato professore di filosofia naturale. Eseguì numerose ricerche sui nuclei di condensazione che formano le nubi e le nebbie, sull’elettricità atmosferica, i temporali, gli ioni, i raggi X e gamma, i raggi cosmici. In riconoscimento dell’invenzione della camera a nebbia, vinse il premio Nobel per la fisica nel 1927.
Capitolo 2. Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici
Fig. 2.3. Un elettroscopio di Elster e Geitel degli inizi del XX secolo. Questo strumento è composto da un elettroscopio attraverso il quale può essere pompato un flusso d’aria. Per cortesia del Gabinetto di Fisica dell’Istituto Calasanzio di Empoli
14 nienza extraterrestre. Wilson scrisse: L’enigma dei raggi cosmici
Si devono condurre esperimenti per capire se la produzione di ioni nell’aria priva d’impurità possa venire spiegata come originata da sorgenti esterne all’atmosfera, probabilmente di radiazioni come i raggi di Röntgen o i raggi catodici, ma enormemente più penetranti. Tuttavia, le indagini sperimentali non supportarono l’ipotesi extraterrestre: Wilson portò il suo elettroscopio in una galleria in Scozia, ben schermata dalla roccia circostante, ma non misurò, a causa delle incertezze sperimentali, una diminuzione della radioattività come si aspettava di trovare se quell’ipotesi fosse stata vera. La teoria di una provenienza extraterrestre della radiazione, anche se di tanto in tanto discussa, fu abbandonata per i dieci anni successivi. I risultati di Elster e Geitel e di Wilson motivarono un grande interesse per la questione in Germania e in Inghilterra, al Cavendish Laboratory di Cambridge; Vienna rimase comunque uno dei punti focali della ricerca in Europa. Al di là dell’oceano, in Canada, nel 1903 Rutherford8 e Cooke [27] e McLennan e Burton [28] confermarono il fatto che la ionizzazione era significativamente ridotta quando l’elettroscopio era chiuso in una scatola di metallo priva d’impurità radioattive, e fecero vari esperimenti cambiando le condizioni di isolamento, in particolare collocando pareti isolanti in diverse direzioni. Conclusero (non senza coraggio, date le condizioni sperimentali incerte) che la radiazione sembrava venire da tutte le direzioni con la stessa intensità. Nel periodo dal 1906 al 1908 numerose ricerche sistematiche vennero compiute nel mondo per caratterizzare l’origine della radiazione. Il gruppo di Mache a Vienna e il gruppo di McLennan in Canada misurarono la radiazione in diverse condizioni di temperatura, altitudine e posizione, dal monte Cervino alla superficie 8 Ernest Rutherford (Nelson, Nuova Zelanda 1871 - Cambridge 1937) lavorò al Ca-
vendish Laboratory di Cambridge, dove iniziò a studiare sotto la direzione di J.J. Thomson la ionizzazione prodotta dai raggi X nei gas. Dal 1898 si dedicò allo studio della natura dell’emissione radioattiva. Introdusse la tecnica d’indagine microscopica nella quale si bombardano i bersagli di cui vuole studiare la struttura con particelle di alte energie, studiandone la deflessione (scattering); per queste ricerche, che consentirono di ricostruire la forma dell’atomo, fu premiato con il Nobel per la chimica nel 1908. Geiger, l’inventore dell’omonimo rivelatore di particelle, fu suo assistente.
15 Capitolo 2. Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici
ghiacciata dei Grandi Laghi. In linea di principio ci aspettiamo che la radiazione sulla superficie di un lago sia un po’ più bassa che sul terreno, data la minor presenza di materiali radioattivi nell’acqua; le fluttuazioni legate alla posizione, all’ora del giorno, alla pressione e alla temperatura erano però superiori alla precisione degli strumenti, e sembrava impossibile farsi un’idea chiara. Mache riteneva tuttavia, in base allo studio della ionizzazione in funzione della velocità del vento, che esistesse una componente atmosferica della radiazione. Nel 1907 Strong misurò la radioattività in molti luoghi diversi tra cui il suo laboratorio, il centro di una cisterna piena di acqua piovana, e un luogo all’aria aperta; i risultati erano dominati da errori statistici e sistematici, e le fluttuazioni non consentirono di trarre conclusioni. Fra il 1907 e il 1908 anche Eve effettuò misure in vari luoghi; i risultati mostrano entro gli errori livelli di radioattività consistenti nell’Oceano Atlantico, in Inghilterra e a Montreal. Nel 1908 Elster e Geitel osservano un calo del 28% spostando il loro elettroscopio dalla superficie della Terra fino al fondo di una miniera di sale. Essi concludono che, in accordo con la letteratura, la Terra è la sorgente della radiazione penetrante e che certi tipi di suolo, come i depositi di sale, sono relativamente liberi da sostanze radioattive, e quindi possono agire efficientemente da schermi. La situazione nel 1909 è ben riassunta da Kurz [29] e da Cline [30]. Il fenomeno di scarica spontanea è coerente con l’ipotesi che anche in ambienti isolati esista una radiazione di fondo. Nel suo articolo di rassegna del 1909 Kurz discute tre possibili sorgenti per la radiazione penetrante: una radiazione extraterrestre forse proveniente dal Sole [31], radioattività dalla crosta della Terra, e radioattività nell’atmosfera. Kurz conclude che la possibilità di una radiazione extraterrestre sembra scarsa: l’opinione prevalente era che la maggior parte delle radiazioni provenissero da materiale radioattivo nella crosta terrestre. Fu calcolato come la radiazione dovrebbe diminuire con l’altezza (si veda ad esempio Eve [32]) e furono eseguite misure orientate a verificare la consistenza dello scenario.
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2.2
Il contributo di padre Wulf
L’enigma dei raggi cosmici
Gli strumenti di misura tuttavia erano ancora difficili da trasportare; occorreva un miglioramento delle condizioni sperimentali e possibilmente un’idea innovativa su come realizzare le misure. A questa esigenza rispose il fondamentale lavoro di Wulf. Padre Theodor Wulf (Hamm, Westfalia, 1868 - Winterberg, Sauerland, 1946) fu uno scienziato tedesco; divenne sacerdote gesuita all’età di venti anni, prima di studiare fisica sotto la guida di Walther Nernst presso l’Università di Göttingen. Insegnò fisica nell’Università dei Gesuiti di Valkenburg, nei Paesi Bassi, dal 1904 al 1914 e dal 1918 al 1935, e lavorò al Collegio Romano (l’università gesuita di Roma). Wulf progettò e costruì un elettrometro più sensibile, e soprattutto più trasportabile, rispetto al normale elettroscopio a foglie d’oro; nell’elettroscopio di Wulf le due foglie erano sostituite da due fili o lamelle di vetro metallizzato con silicio, con una molla di tensione di vetro posta nel mezzo. Nel 1909 Wulf provò il suo elettroscopio misurando la ionizzazione in vari luoghi della Germania, dell’Olanda e del Belgio. Concluse che i risultati dei suoi esperimenti confermavano la validità dello strumento da lui sviluppato, e che tutto era consistente con l’ipotesi che la radiazione penetrante fosse causata da sostanze radioattive presenti negli strati superiori della crosta della Terra. Misurò anche variazioni temporali che interpretò come causate da fluttuazioni nella pressione atmosferica o nel flusso d’aria. Scrisse infine che, se una componente addizionale esisteva, essa era troppo piccola per venire misurata con la strumentazione a disposizione. Una volta perfezionato lo strumento e verificata la validità delle misure, Wulf ebbe l’idea di misurare la variazione di radioattività con l’altezza per capire la sua origine. L’idea era semplice: se la radioattività veniva dalla Terra, essa sarebbe diminuita con l’altezza. Nel 1909-1910 [33] portò con sé a Parigi l’elettroscopio da lui inventato (Fig. 2.4), e misurò il tasso di ionizzazione a Parigi in cima alla Torre Eiffel (a circa 300 metri di altezza). Ipotizzando che la maggior parte della radiazione fosse di origine terrestre si aspettava di trovare in cima una ionizzazione minore di quella al suolo; il tasso di ionizzazione mostrò, tuttavia, un calo troppo piccolo per confermare l’ipotesi. Wulf concluse nel suo articolo che, in
17 Capitolo 2. Gli inizi della ricerca sui raggi cosmici Fig. 2.4. L’elettroscopio di Wulf [33]. Il cilindro ha 17 cm di diametro e 13 cm di profondità. A destra il microscopio da cui si legge la distanza tra i due fili di vetro metallizzato, illuminati con una luce riflessa dallo specchio a sinistra. La sensibilità dello strumento è di circa 1 volt
confronto con i valori al suolo, l’intensità della radiazione diminuisce “a circa 300 metri di nemmeno della metà del suo valore a terra”, mentre nell’ipotesi che la radiazione emergesse dal terreno si aspettava che rimanesse in cima alla torre “solo una piccola percentuale della radiazione a terra” [33]. Le osservazioni di Wulf furono di grande valore, perché i dati vennero registrati a diverse ore del giorno e per diversi giorni nello stesso luogo. Per lungo tempo i dati di Wulf sono stati considerati come la fonte più affidabile d’informazione sugli effetti dell’altitudine sulla radiazione penetrante. Wulf, tuttavia, concluse che la spiegazione più probabile del suo risultato era ancora l’emissione da parte del suolo. L’esperimento di Wulf colpì inoltre l’immaginazione collettiva per la sua semplicità ed eleganza.
18 L’enigma dei raggi cosmici
L’interpretazione prevalente era insomma che la radioattività provenisse principalmente da materiali radioattivi nella crosta terrestre. Schrödinger, il quale aveva svolto all’interno del gruppo di Exner anche misure sperimentali di ionizzazione, scrisse nel 1911 [34] che tre possibili spiegazioni erano state suggerite riguardo alla sorgente della radiazione penetrante osservata, ma le opinioni degli esperti riguardo all’importanza relativa delle tre erano veementemente in disaccordo: le sostanze radioattive contenute nel suolo o precipitate sulla superficie della Terra; sostanze radioattive sospese nell’atmosfera; ipotetiche sorgenti extraterrestri di radiazione. La terza sorgente di radiazione [. . . ] è completamente ipotetica e dovrebbe essere introdotta, solo se adeguatamente giustificata, unicamente se si dimostrasse che le prime due sono assolutamente insufficienti a spiegare le osservazioni [34].
Capitolo
3
Pacini e le misure di attenuazione in acqua
La congettura che la radioattività provenisse principalmente dalla crosta terrestre fu messa in dubbio dal fisico italiano Domenico Pacini. A conclusione di una serie di misure del tasso di ionizzazione in montagna, sulla superficie di un lago, e sul mare Tirreno [35,36], nel 1911 Pacini realizzò un innovativo esperimento immergendo un elettroscopio in profondità nel tratto di mare antistante Livorno [37] e poi nel lago di Bracciano, misurando una significativa diminuzione della radioattività in profondità rispetto alla superficie: dimostrò così che parte della radiazione veniva dall’alto. Chi era Domenico Pacini [1, 2, 38-40], e perché le sue scoperte sono state dimenticate (in particolare in Italia)? Le sue vicende personali intrecciate alle vicende storiche hanno contribuito a questo destino.
3.1 Pacini: una breve biografia Domenico Pacini (Fig. 3.1) nacque il 20 febbraio 1878 a Marino (Roma) da Filippo, allora trentenne, segretario comunale, e da Giovanna Annunziata Mecheri, ventiduenne, casalinga. La famiglia del padre era originaria di Scanzano di Foligno, in provincia di Perugia. Nella guerra del 1870 il padre era stato sottufficiale dell’esercito pontificio, e aveva combattuto contro i piemontesi venendo fatto prigioniero e inviato al carcere di Peschiera; successivamente si era laureato in filosofia presso l’Università Pontificia. La famiglia della madre era originaria di San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo. A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
20 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 3.1. Domenico Pacini
Per ragioni di salute della madre il padre Filippo si dimise dall’incarico a Marino nel 1885; fu congedato dal comune con un encomio e una generosa gratifica. Si trasferì dapprima a Roma, e in seguito nel paesino di Forme di Massa d’Albe in provincia dell’Aquila, divenendo amministratore delle tenute dei conti Pace. Domenico Pacini (in famiglia Mimmino, e poi Mimmo) soggiornò a Forme fino all’età giusta per andare a studiare a Roma, dove frequentò gli studi secondari superiori presso la sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico “Leonardo da Vinci”. Si laureò poi in fisica nel 1902 presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Roma. Presso l’Università di Roma, per i successivi tre anni, lavorò come assistente del professor Pietro Blaserna1, e studiò anche la conducibilità elettrica nei mezzi gassosi sotto la supervisione del pro1 Pietro Blaserna (Fiumicello di Aquileia 1836 - Roma 1918) divenne professore di
Fisica Sperimentale presso l’Università di Palermo, e, dal 1879, Presidente dell’Ufficio Italiano di Meteorologia e Geodinamica. Nominato senatore nel 1890, dal 1906 fu vicepresidente del Senato. Blaserna lavorò sull’induzione elettromagnetica, sulla misurazione degli indici di rifrazione, sulla cinetica dei gas, e sull’acustica. Fu tra i fondatori della Società Italiana di Fisica, e il suo primo presidente nel 1897 [41,42].
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Anche se le osservazioni furono realizzate in condizioni molto favorevoli [. . . ] egli non poté rilevare alcun aumento di luminosità in uno schermo fosforescente causato da ignoti raggi derivanti da acciaio stirato o temperato, da una lampada di Auer, da una lampada di Nernst, da vibrazioni sonore, o da un campo magnetico, sebbene vari osservatori francesi affermassero che in ciascuno di questi casi vengono emessi raggi N che producono un effetto sullo schermo. Insomma, il giovane Pacini si dimostrò nell’occasione uno sperimentatore serio, e il suo contributo fu segnalato da una rivista molto prestigiosa. Nell’agosto del 1905 Pacini ottenne un posto di ruolo come assistente al Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, diretto a quel tempo dal professor Luigi Palazzo3 , e lavorò nel gruppo incaricato di studiare i temporali e i fenomeni elettrici nell’atmosfera. Molte delle attività dell’Ufficio Centrale richiedevano viaggi in diverse parti d’Italia: Pacini trascorse lunghi periodi in missione per conto dell’ente: in particolare a Castelfranco Veneto, presso il Monte Velino in Abruzzo (non lontano da Forme), 2 Alfonso Sella (Biella 1865 - Roma 1907) era figlio di Quintino Sella, mineralogista
e presidente del Consiglio del governo italiano. Professore all’Università di Roma, lavorò sulla radioattività. 3 Luigi Palazzo (Torino 1861 - Firenze 1933) fu un geofisico e un accademico; diresse l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica dal 1900 al 1931.
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
fessor Alfonso Sella2. Nel 1904 Pacini decise di studiare i famigerati raggi N. I raggi N sono spesso ricordati come un esempio di “cattiva scienza”, come recentemente la “fusione fredda” – e le due storie hanno molte similitudini. All’inizio del XX secolo il fisico francese René-Prosper Blondlot, intento allo studio dei raggi X, asserì di avere scoperto una nuova radiazione visibile in grado di penetrare l’alluminio; tale radiazione venne chiamata “raggi N” e suscitò grandissimo interesse. Inizialmente molti scienziati confermarono le osservazioni di Blondlot, ma dopo numerosi studi le sue affermazioni vennero smentite: i raggi N semplicemente non esistevano. Pacini eseguì un esperimento sui raggi N, il cui risultato (nullo) fu comunicato in una lettera a Nature [43].
22 L’enigma dei raggi cosmici
e presso l’osservatorio meteorologico di Sestola, vicino a Modena, a un’altitudine di 1 090 metri sul livello del mare. Nel luglio del 1913 Pacini ottenne, su proposta di una commissione presieduta dal professor Vito Volterra4 , la libera docenza (abilitazione all’insegnamento) in Fisica Sperimentale. Fu incaricato del corso di Matematica per gli studenti di Chimica e di Scienze Naturali all’Università di Roma dal 1915 al 1919, e poi del corso di Fisica Terrestre dal 1924 al 1925. Nel 1926 Pacini partecipò a una selezione per una cattedra in Fisica Sperimentale all’Università di Bari, e fu classificato al terzo posto. Nel 1927 fu promosso geofisico principale presso l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. Tuttavia, dal momento che i due migliori candidati classificati nel concorso a cattedra del 1926, Polvani5 e Rita Brunetti, erano stati nel frattempo nominati professori rispettivamente a Pisa e a Ferrara, Pacini poté optare per il ruolo di professore ordinario presso l’Università di Bari, e si dimise nel 1928 dal Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. A Bari fu incaricato della istituzione degli studi di Fisica della Facoltà di Medicina, e della riorganizzazione dell’Istituto di Fisica, che egli diresse. Insegnò Fisica Generale per Scienze della vita, e Mineralogia. In Puglia i suoi interessi di ricerca si concentrarono principalmente sui processi di diffusione della luce nell’atmosfera. Nel 1932 Guglielmo Marconi lo nominò membro del Comitato per l’Astronomia, la Matematica Applicata e la Fisica in seno al Consiglio Nazionale delle Ricerche (Fig. 3.2). Nel 1933 organizzò insieme a Quirino Majorana6 il Congresso Nazionale della Società Italiana di Fisica, che si svolse proprio a Bari. 4 Vito Volterra (Ancona 1860 - Roma 1940) fu un matematico e fisico, noto per i suoi
contributi alla biologia matematica e alle equazioni integrali. Divenne professore di fisica matematica a Pisa nel 1883 e poi, nel 1900, all’Università di Roma. Nominato senatore nel 1905, nel 1922 si unì all’opposizione al regime fascista di Mussolini e nel 1931 fu uno dei pochi professori che rifiutarono di prestare il giuramento obbligatorio di fedeltà. Come risultato fu costretto a dimettersi dal suo incarico universitario e dalla sua appartenenza ad accademie scientifiche, e negli anni successivi visse in gran parte all’estero, tornando a Roma solo poco prima della morte. Tra i fondatori della Società Italiana di Fisica, ne fu presidente dal 1909 al 1919; fu anche presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. 5 Giovanni Polvani (Spoleto 1892 - Milano 1970) fu un fisico sperimentale, presidente della Società Italiana di Fisica e del Consiglio Nazionale delle Ricerche. 6 Quirino Majorana (Catania 1871 - Rieti 1957), zio del più famoso Ettore, fu professore di fisica sperimentale all’Università di Roma, al Politecnico di Torino e all’Università di Bologna. Fu presidente della Società Italiana di Fisica. Con i suoi esperi-
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3.2 Il contributo di Pacini alla ricerca Il contributo di Domenico Pacini alla fisica si sviluppò all’inizio lungo tre linee principali di ricerca: • La radiazione solare, il magnetismo terrestre, e la meteorologia. Il lavoro di Pacini in questi campi sembra essere nei primi anni, secondo il giudizio del collegio di docenti che lo valutò per l’abilitazione all’insegnamento nel 1913, per lo più descritmenti sulla trasmissione dei segnali diede un importante contributo alla nascita e allo sviluppo della telefonia. 7 Giovanni Battista Rizzo (1866-1941), fisico, fu dapprima assistente all’Osservatorio Astronomico di Torino, e poi al Gabinetto di Fisica dell’Università della stessa città. Conseguita la libera docenza in Ottica fisica e Spettroscopia, nel 1908 fu nominato Professore di Fisica presso l’Università di Messina, trasferendosi successivamente a Napoli dove diresse l’Istituto di Fisica Terrestre e Meteorologica. Pubblicò numerosi lavori di meteorologia, spettroscopia, magnetismo e vulcanesimo. 8 Filippo Eredia (Catania 1877 - Roma 1948) studiò fisica a Catania e divenne assistente dapprima all’Osservatorio Astrofisico di Catania, e quindi all’Istituto di Fisica dell’Università. Studioso di meteorologia, entrò nel 1905 all’ufficio centrale meteorologico di Roma, dove rimase fino al 1926, raggiungendo la carica di geofisico principale. Partecipò alla spedizione polare Amundsen-Ellsworth col dirigibile ‘Norge’, e nel 1934 divenne divenne professore ordinario, prima a Napoli e poi a Roma. Fu anche noto divulgatore scientifico.
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
Domenico Pacini morì di polmonite a Roma il 23 maggio 1934, un anno dopo la scomparsa della madre, e poco dopo il matrimonio (che avvenne a Bologna il 7 aprile 1934) con la bolognese Caterina Rangoni, battezzata Pierina in San Pietro in Vaticano a Roma il 25 ottobre 1887; la vedova donò tutti i suoi manoscritti e libri all’Università di Bari, ma questi manoscritti non sono stati ritrovati. La città di Marino e l’Università di Bari ricordarono Pacini poco dopo la morte. Il professor Giovanni Battista Rizzo7 dell’Istituto di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli scrisse l’epitaffio ufficiale [38] per la Società Italiana di Fisica, e tenne l’orazione funebre a Bari. Il professor Filippo Eredia8 scrisse l’orazione funebre per il comune di Marino. Pacini fu sepolto a Roma nel Cimitero Monumentale del Verano; nel 1988 le sue spoglie vennero traslate presso il cimitero di Forme di Massa d’Albe, nella tomba in cui è sepolta anche la madre. Nelle vicinanze di Forme parte della discendenza di Ada e Augusta Pacini, sorelle di Domenico, vive ancora.
24 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 3.2. Copia della lettera a firma di Guglielmo Marconi con cui Pacini viene nominato membro del Comitato per l’Astronomia, la Matematica Applicata e la Fisica in seno al Consiglio Nazionale delle Ricerche
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• La conducibilità elettrica attraverso i gas [46]. Relativamente a questo argomento, si deve notare che la conducibilità dell’aria, misurata dal tasso di scarica di un elettroscopio, era studiata all’inizio del XX secolo [19] come parte della fisica dell’atmosfera (meteorologia). Tale linea di ricerca permise a Pacini di migliorare il suo know-how sulla strumentazione necessaria a misurare bassi livelli di ionizzazione; questo sarà importante per il suo principale argomento di ricerca (punto successivo). • La radioattività e l’elettricità atmosferica. Questo è l’argomento principale della ricerca di Pacini, e sarà discusso in maggior dettaglio nella prossima sezione. Oltre ai tre temi sopra elencati, dopo il 1913 Pacini lavorò allo studio delle emissioni di carica elettrica da parte di sali radioattivi [47] e della formazione dei nuclei di condensazione [48]. Nell’ambito dello studio della formazione di nuclei di condensazione, Pacini si interessò alla condensazione di vapore su piccole impurità nell’aria, neutra o ionizzata. Egli concluse che questo fenomeno avviene quando il vapore è soprassaturo, a un livello che aumenta man mano che i nuclei di condensazione diventano più piccoli, e propose una tecnica per misurare la densità delle particelle di polvere a partire dal tasso di condensazione. Pacini scrisse infine tre articoli di rassegna, due relativi all’energia elettrica atmosferica [49, 50], e uno sui fenomeni dell’alta atmosfera [51].
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
tivo [39]. In un periodo successivo, però, Pacini sviluppò tecniche originali di spettroscopia. Nell’ambito dello studio del colore del cielo [44], egli effettuò a Sestola misure sulla composizione spettrale della luce diffusa dall’atmosfera. Misurò il rapporto tra l’intensità della luce diffusa a 90◦ e l’intensità della luce emessa dal Sole per un certo numero di lunghezze d’onda, e in questo modo poté fornire una stima della costante di Avogadro. Dal momento che parte della luce del cielo è dovuta all’albedo della Terra (la frazione di energia solare riflessa dal suolo verso l’atmosfera), e deve essere sottratta negli studi di diffusione della luce del Sole, Pacini decise di misurare l’albedo stesso al fine di migliorare la qualità dei suoi risultati; queste ultime misure furono eseguite a Sestola e a Ciampino tra il 1927 e il 1928 [45].
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3.3 L’enigma dei raggi cosmici
La via che portò Pacini a formulare l’ipotesi della radiazione extraterrestre
Sicuramente il principale contributo di Pacini alla fisica è legato allo studio della ionizzazione atmosferica. La lunga strada che portò Pacini all’ipotesi dei raggi cosmici (o, per essere più precisi, di radiazioni che non provengono dalla Terra) prese avvio dagli studi sulla conducibilità elettrica nei mezzi gassosi che egli realizzò presso l’Università di Roma durante i primi anni del XX secolo. Pacini si interessò al problema della ionizzazione dell’aria, e familiarizzò con molti strumenti per la misurazione di questa quantità (Fig. 3.3). La ionizzazione può derivare dai raggi ultravioletti, dal vento, e da effetti meccanici; ma la causa principale è dovuta alla radioattività – anche se il livello finale di ionizzazione è influenzato da molti effetti, ad esempio dall’umidità. Prima di studiare in modo corretto la ionizzazione, è quindi necessaria una formazione accurata per imparare a controllare gli effetti sistematici.
Fig. 3.3. Tre elettroscopi utilizzati da Pacini nelle sue misure (si tratta degli strumenti originali andati perduti). In primo piano l’elettroscopio di Ebert
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. . . nella ipotesi che l’origine delle radiazioni penetranti sia nel terreno, siccome bisogna ammettere che, almeno quando questo non è coperto per recenti precipitazioni, esse siano emesse dal suolo in quantità all’incirca costante, non si possono spiegare i risultati finora ottenuti [35]. Come riassunto da Cline [30] nel 1910, gli esperimenti di quel tempo erano prevalentemente orientati a misurare variazioni giornaliere o variazioni stagionali della ionizzazione. Nei mesi di agosto e settembre del 1908, Pacini iniziò uno studio sistematico della variazione nel tempo della ionizzazione in una camera di zinco di 1.3 millimetri di spessore. Egli trovò forti variazioni (fino a un fattore cinque), dipendenti da temperatura, pressione e umidità. Individuò anche un ciclo giornaliero con due massimi; per spiegare tale variazione temporale egli ipotizzò l’origine solare di una parte della radiazione penetrante, confermando osservazioni precedenti [31]; concluse tuttavia che il Sole non poteva essere l’unica sorgente. Cline citò il lavoro di Pacini sulle variazioni giornaliere
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
Pacini iniziò gli studi sulla ionizzazione nel 1905, e dimostrò dapprima che l’effetto della ionizzazione è maggiore in presenza di alcuni aerosol, come quelli di alcol; egli spiegò questo fatto formulando un modello appropriato. Nel periodo dal 1907 al 1911 Pacini, in quegli anni assistente al Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e di Geodinamica, effettuò diverse misure sistematiche della conducibilità dell’aria, utilizzando un elettroscopio di Ebert, derivato dall’elettroscopio di Elster e Geitel (Fig. 2.3) e ad esso molto simile, strumento che migliorò per aumentare la sensibilità della misura (egli sostenne di poter raggiungere una sensibilità di un terzo di volt). In un primo periodo realizzò molte misure (Fig. 3.4) per stabilire le variazioni nel tasso di scarica dell’elettroscopio in funzione dell’ambiente. Nel 1907 e nel 1908 effettuò misure sistematiche della densità ionica a Roma, a Sestola, a Livorno, sul Monte Velino e nella vallata sottostante presso Forme. Pacini cercò di individuare le sorgenti della ionizzazione, e in particolare tramite lo studio del tasso di disattivazione di un filo carico poté riconoscere le famiglie del radio, del torio e dell’attinio; tali fonti di radioattività sono presenti nella crosta terrestre. Un riassunto di questi risultati indica, secondo le conclusioni dell’autore, che
28 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 3.4. Pacini fotografato mentre effettua una misura nel maggio 1910
della radiazione. La misura di Pacini fu sottolineata nell’articolo di Cline come una prima prova del fatto che si può escludere che il Sole sia la principale causa della radiazione penetrante; il lavoro di Pacini fu citato anche da Marie Curie nel suo Traité de radioactivité. Pacini continuò e perfezionò il suo programma sperimentale di misure sistematiche della radiazione al suolo (a quote differenti, anche a livello del mare (Fig. 3.4), e in diversi luoghi per studiare gli effetti locali) e sul mare [36]. Ulteriori misure furono eseguite sul mar Tirreno, di fronte all’Accademia Navale di Livorno [52, 53] su una nave della Marina Militare Italiana, il cacciatorpediniere “Fulmine” (Fig. 3.5), comandato dal capitano di Corvetta Gustavo Orsini (Pacini aveva già svolto misure sul “Fulmine” a partire dal 1907, in particolare con il professor Palazzo, direttore del suo Istituto). Queste misure erano volte a verificare se la radioattività all’interno della crosta terrestre fosse sufficiente a spiegare gli effetti di ionizzazione (circa 13 ioni al secondo per ogni centimetro cubo d’aria) che erano stati misurati sulla superficie terrestre. Inizialmente Pacini posizionò l’elettroscopio sul terreno e sul mare a pochi chilometri dalla costa; le misure di ionizzazione erano confrontabili,
29
ma sembrava osservarsi una leggera diminuzione dei valori misurati sulla superficie del mare, pur comparabile con le fluttuazioni intrinseche. Studi accurati [36] dimostrarono che la ionizzazione sulla superficie del mare, a 300 metri dalla spiaggia di Livorno di fronte all’Accademia Navale, era circa due terzi della ionizzazione a terra. In disaccordo rispetto al punto di vista dominante all’epoca i risultati supportavano, anche se in modo solo marginalmente significativo dal punto di vista della statistica, l’idea che una parte non trascurabile della radiazione penetrante fosse indipendente dall’emissione del suolo. Pacini concluse, non senza coraggio, che . . . dai risultati qui ottenuti appare che una parte non piccola della radiazione penetrante presente nell’aria, e in modo particolare quella parte che è soggetta ad oscillazioni anche notevoli, ha origine indipendente dall’azione diretta delle sostanze attive contenute negli strati superiori della crosta terrestre. L’esperimento definitivo, tuttavia, è quello effettuato nel giugno del 1911 [37], durante sette giorni di misure in acque profonde
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
Fig. 3.5. Il cacciatorpediniere “Fulmine” fotografato durante la prima missione cui Pacini partecipò, nel 1907. La fotografia è stata scattata nelle vicinanze dell’approdo di Santa Margherita Ligure
30 L’enigma dei raggi cosmici
nel mar Tirreno, di fronte all’Accademia Navale di Livorno. Questo esperimento ha un posto importante nella storia della fisica, in quanto introduce per la prima volta la tecnica di misurazione della radiazione sott’acqua. Con l’apparecchio alla superficie del mare a 300 metri dalla costa, Pacini misurò otto volte durante tre ore la velocità di scarica dell’elettroscopio, ottenendo come risultato una perdita media di 12.6 volt all’ora, pari a 11.0 ioni al secondo per centimetro cubo (con un errore stimato di 0.5 volt all’ora); con l’apparecchio a una profondità di 3 metri in un tratto di mare profondo 7 metri, egli misurò come risultato di sette prove una perdita media di 10.3 volt all’ora, pari a 8.9 ioni al secondo per centimetro cubo (con un errore stimato di 0.2 volt all’ora). La differenza (2.1 ioni al secondo per centimetro cubo) fu ritenuta essere per la maggior parte (circa l’80% nella stima di Pacini) attribuibile a una radiazione particolare, indipendente dalla radiazione generata dalla crosta terrestre – la misurazione subacquea era del 20% inferiore rispetto a quella alla superficie, in linea con l’assorbimento da parte dell’acqua di una radiazione proveniente dall’esterno. Il risultato era per la prima volta statisticamente significativo: usando un linguaggio moderno, la significatività era di 4.3 deviazioni standard. Risultati consistenti con questi furono ottenuti durante misure successive compiute al lago di Bracciano, alla stessa profondità. Pacini riportò queste misure, i risultati ottenuti, e la loro interpretazione, in una nota intitolata “La radiazione penetrante alla superficie ed in seno alle acque” [37]. Questa nota, pubblicata sul Nuovo Cimento nel febbraio del 1912 (Fig. 3.6), segnò l’inizio della tecnica subacquea per gli studi dei raggi cosmici (una tecnica che è stata implementata tante volte fino ai giorni nostri). Pacini scrisse: Con un coefficiente di assorbimento di 0.034 per l’acqua, è facile dedurre dalla nota equazione I/I0 = exp(−d/λ), dove d è lo spessore della materia attraversata, che, nelle condizioni dei miei esperimenti, le attività del fondo marino e della superficie erano entrambe trascurabili. La spiegazione sembra essere che, a causa del potere assorbente dell’acqua e della quantità minima di sostanze radioattive in mare, l’assorbimento della radiazione proveniente dall’esterno avviene, dunque, quando l’apparecchio è immerso.
31 E [37] concluse:
La tecnica di Pacini non poteva escludere con certezza un’origine atmosferica della radiazione, ma Pacini citò Eve il quale aveva concluso che il contributo di sostanze radioattive nell’aria è trascurabile. Questa fu la prima volta in cui venne stabilito che i risultati di molti esperimenti sulla radiazione non potevano essere spiegati dalla radioattività della crosta terrestre. Va citato come curiosità il fatto che nel 1910 Pacini aveva cercato di verificare un possibile aumento della radioattività durante
Fig. 3.6. Copertina del numero del Nuovo Cimento nel quale è stato pubblicato l’articolo [37]
Capitolo 3. Pacini e le misure di attenuazione in acqua
. . . appare confermino le esperienze di cui è oggetto questa nota [. . . ] che esista nell’atmosfera una sensibile causa ionizzante, con radiazioni penetranti, indipendente dall’azione diretta delle sostanze radioattive del terreno.
32 L’enigma dei raggi cosmici
il passaggio della cometa di Halley [54], e non aveva trovato indizi di un effetto dalla cometa stessa. Infine, come sottolineato in [39], l’Italia già all’inizio del secolo aveva palloni aerostatici in grado di volare fino a 5 000 metri di altitudine; sebbene Pacini avesse pubblicato nel 1909 un articolo [55] sulle perturbazioni prodotte da palloni sul campo elettrico terrestre, non realizzò mai misure della ionizzazione in alta quota. L’edizione completa delle pubblicazioni originali di Pacini relative ai raggi cosmici può essere consultata in [56].
Capitolo
4
Hess e le misure su pallone aerostatico
Al fine di chiarire le osservazioni di Wulf sull’effetto dell’altitudine, divenne ben presto evidente la necessità di esperimenti su pallone aerostatico [57]. Va detto che in quel periodo gli esperimenti su pallone aerostatico erano comunque ampiamente utilizzati per gli studi sull’elettricità atmosferica. Inoltre fin dall’invenzione della mongolfiera da parte del gesuita Bartolomeu de Gusmão e dei fratelli Montgolfier l’uso delle misure in quota nella scienza era diffuso. Famosa è l’ascensione fino a 6 000 metri effettuata dai giovani Gay Lussac e Biot nel 1805 per verificare le leggi dei gas.
4.1 I precursori: Gockel e Bergwitz Il primo volo in mongolfiera finalizzato a studiare le proprietà della radiazione penetrante fu effettuato in Svizzera nel dicembre del 1909 con un pallone denominato Gotthard dell’aeroclub svizzero. Albert Gockel, professore all’Università di Friburgo in Svizzera, effettuando misure fino a 3 000 metri di altitudine trovò [58, 59] che la ionizzazione non diminuisce con l’altezza come ci si attendeva nell’ipotesi di un’origine terrestre (Fig. 4.1). Gockel confermò la conclusione di Pacini in [35], citandolo correttamente, e concluse
A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
L’enigma dei raggi cosmici
Ioni/(cm3 s)
34 20
10
1
2 Altitudine (km)
3
Fig. 4.1. La ionizzazione misurata da Gockel a varie altitudini nel 1911
“che una parte non trascurabile della radiazione penetrante è indipendente dall’azione diretta delle sostanze radioattive degli strati più superficiali della Terra” [59]. In effetti Gockel era stato particolarmente sfortunato. Calcoli successivi, effettuati da Schrödinger durante il suo lavoro di tesi e subito dopo, dimostrarono che, se la radioattività viene in parte dalla Terra e in parte dall’alto (come è il caso), fino a tremila metri la decrescita della radioattività proveniente dalla crosta terrestre può essere compensata dalla crescita della radioattività da sorgenti extraterrestri (una tale conclusione venne riportata in seguito da Hess, che forse conosceva i calcoli di Schrödinger dato che entrambi si trovavano a Vienna; Hess tuttavia non citò il lavoro di Schrödinger). Se Gockel avesse insistito probabilmente avrebbe ottenuto un risultato significativo. Contemporaneamente a Gockel, il tedesco Bergwitz eseguì misure fino a 1 500 metri di altitudine. Nonostante le conclusioni di Pacini, e i risultati (non conclusivi) di Wulf e Gockel sulla dipendenza della radioattività dall’altitudine, i fisici erano comunque riluttanti ad abbandonare l’ipotesi di un’origine terrestre. La situazione fu chiarita grazie a una lunga serie di voli in pallone aerostatico da parte del fisico austriaco Victor Hess, che lavorava alla scuola di Vienna. Hess poté fornire una prova indipendente e solida dell’origine extraterrestre di almeno una parte della radiazione che causa la ionizzazione osservata.
35
All’inizio del XX secolo l’Austria-Ungheria godeva di una situazione culturale eccezionale, riassumendo in sé le culture tedesca, ungherese, ceca, slovacca, polacca, slovena, croata e italiana, solo per citare le più importanti; le culture centroeuropee a loro volta portavano con sé la memoria delle culture dell’Asia Centrale. Il cuore di questo melting pot era Vienna, e non è quindi per caso che in questo periodo a Vienna nascessero e si sviluppassero alcune delle idee interdisciplinari più rivoluzionarie per il genere umano, dalla psicoanalisi, alla fisiologia, alla teoria quantistica, alla nuova musica. Probabilmente questo sistema complesso, che conteneva già nella sua molteplicità il germe della propria decadenza, ha disperso nel suo disfacimento i semi della cultura contemporanea che sono poi cresciuti in tutto il mondo. Vienna era una metropoli di commercio, di politica e di cultura, rispettosa dei diritti degli ebrei (che costituivano il 5% della popolazione nel 1910). Dopo che Mahler, ebreo boemo, decise di trasferirvisi, le nuove visioni musicali di Schönberg e di Webern vi trovarono una culla naturale. L’architettura funzionalista abbellì la città, e la nuova pittura vi si stabilì con Klimt e poi con Schiele e Kokoschka. La letteratura raggiunse il livello più alto in particolare con Musil e poi con Roth. Tutti questi creativi si potevano incontrare nei caffè del centro. La scienza non fu da meno, partorendo personalità difficili da inquadrare in questa o quella disciplina scientifica, come Mach (che aveva influenzato Musil, il quale aveva scelto come argomento della sua tesi di laurea proprio le idee di Mach), Boltzmann, Wittgenstein, Freud. Mach era forse il fisico più noto della scuola di Vienna alla fine dell’800. Di origine morava, aveva una profonda cultura interdisciplinare (gli vennero offerte una cattedra di fisiologia, una di fisica e una di matematica, e scelse quest’ultima); dovette purtroppo lasciare Vienna per motivi di salute nel 1901 per concludere la sua vita a Monaco di Baviera (le sue spoglie sono custodite al cimitero di Nordfriedhof vicino all’istituto Max Planck per la fisica), mentre
Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
4.2 L’ambiente culturale viennese all’inizio del ’900
36 L’enigma dei raggi cosmici
a Vienna diventava sempre più luminosa la stella di Boltzmann, cui era stata assegnata nel1894 la cattedra già occupata da Stefan. La visione olistica impregna la cosiddetta “idea di Mach”1 , che tanto avrebbe influenzato la fisica moderna e in particolare il pensiero di Einstein. Pure in un ambiente così ricco, la fisica terrestre non era trascurata, anzi. Come detto il gruppo di Exner eccelleva, e Schrödinger che entrò in università nel 1906 (l’anno del suicidio di Boltzmann) scelse all’inizio della sua carriera di occuparsi di fisica ambientale. Nei primi anni del ’900 studiò a Vienna – con Boltzmann – anche Lise Meitner, che fu tra le prime donne a conseguire il dottorato in fisica e proprio a Vienna iniziò le ricerche nel campo della radioattività che l’avrebbero portata in seguito alla scoperta della fissione nucleare. In questo ambiente forse unico nella storia si inserì Victor Hess.
4.3
Victor Hess
Victor (o Viktor)2 Franz Hess nacque il 24 giugno 1883 nel castello di Waldstein vicino a Steiermark, nella regione austriaca della Stiria (il padre, Vinzens, era amministratore delle tenute del principe Öttingen-Wallerstein; la madre, Sarafine Grossbauer, era casalinga). Frequentò il ginnasio a Graz, e nel 1901 cominciò a studiare fisica nell’università della città. Divenne dottore in fisica nel 1906 “sub auspiciis imperatoris” (una menzione di eccezionalità). Dopo la laurea avrebbe voluto trasferirsi a Berlino per lavorare a questioni di ottica con il professor Drude, il quale lo aveva accettato come post-doc; ma Drude si suicidò poche settimane prima dell’inizio del contratto, ed Hess decise di trasferirsi a Vienna nell’Istituto diretto da Exner. Exner lo spinse a occuparsi di radioattività ed elettricità atmosferica. 1 Mach afferma che i comportamenti di un sistema fisico (e in particolare l’iner-
zia dei corpi) dipendono dalla distribuzione delle masse nell’universo. Ne derivano un’incompatibilità con lo schema riduzionista (lineare) di Cartesio, Galilei e Newton, e l’impossibilità di studiare il tutto scomponendolo in parti più piccole e poi risommandole (il cosiddetto “principio di sovrapposizione”). 2 Il nome è scritto come Viktor in molte delle pubblicazioni, mentre è scritto con l’ortografia latina nella biografia autorizzata dallo stesso Hess per la fondazione Nobel.
37
Questa è una discrepanza così seria [rispetto ai risultati di Wulf ] che la sua soluzione sembra essere della massima importanza per la teoria radioattiva dell’elettricità atmosferica [63]. Dal momento che nell’interpretazione dei risultati di Wulf e Gockel la lunghezza di assorbimento della radiazione (in quel momento identificata per la maggior parte come radiazione gamma nell’aria) entrava in modo cruciale, Hess decise per prima cosa di migliorare l’accuratezza sperimentale dei risultati di Eve tramite “misure dirette dell’assorbimento dei raggi gamma nell’aria” [62] con campioni radioattivi a distanze variabili dall’elettroscopio (probabilmente a causa della manipolazione di queste sostanze radioattive Hess in seguito si ammalò e dovette subire l’amputazione di un pollice) e ottenne un coefficiente di assorbimento compatibile con quello di Eve. Quindi la contraddizione dei risultati di Wulf rimaneva; Hess concluse che “una chiarificazione può giungere solo da ulteriori misure della radiazione penetrante in ascensioni in mongolfiera” [62]. Hess continuò quindi i suoi studi tramite osservazioni su pallone aerostatico (Fig. 4.2). La prima ascensione ebbe luogo il 28 agosto 1911. “Il pallone aerostatico ‘Radetzky’ dell’aeroclub austriaco con il sottotenente S. Heller come pilota e me come unico passeggero fu portato in quota” [62]. L’ascensione durò quattro ore e arrivò fino a una altezza di 1 070 metri dal suolo. Una seconda ascensione con un altro pallone (“Austria”) fu effettuata durante la notte del 12 ottobre 1911.
Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
Nel 1910 Hess ottenne l’abilitazione all’insegnamento, e fu incaricato di corsi di fisica medica presso la facoltà di Medicina Veterinaria; divenne assistente del professor Meyer all’Istituto di Ricerca sul Radio dell’Accademia Viennese delle Scienze, dove svolse la maggior parte del suo lavoro sui raggi cosmici. Hess iniziò i suoi esperimenti dallo studio dei risultati di Wulf, conoscendo le dettagliate previsioni di Eve [61] sui coefficienti di assorbimento per la radioattività nell’atmosfera. Eve aveva scritto che, se si assume una distribuzione uniforme di sostanze radioattive sulla superficie e negli strati più superficiali della Terra, “un innalzamento di 100 metri dovrebbe ridurre l’effetto [della radiazione] al 36 per cento del valore al suolo”. Hess aggiunse:
38 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 4.2. Lo storico volo in mongolfiera di Hess nel 1912
Durante entrambi i voli, Hess trovò che l’intensità della radiazione penetrante non variava con l’altitudine entro gli errori. Dall’aprile del 1912 all’agosto del 1912 Hess ebbe l’opportunità di effettuare sette ascensioni portando a bordo tre diversi strumenti di misura della radioattività (racchiusi in contenitori con pareti metalliche di spessori differenti per stimare l’effetto della radiazione beta). Ho usato in primo luogo per l’osservazione della radiazione penetrante due rivelatori di radiazione di Wulf con pareti di tre millimetri di spessore, a perfetta tenuta e capaci di resistere alle variazioni di pressione in tutte le ascensioni [. . . ] Entrambi gli strumenti erano stati zincati elettroliticamente all’interno per ridurre la radiazione dalle pareti del recipiente [. . . ]
39
Lo spessore delle pareti degli strumenti 1 e 2 è di tre millimetri, in modo che essenzialmente solo i raggi gamma possano essere efficaci. Al fine di studiare simultaneamente il comportamento dei raggi beta ho usato anche un terzo strumento, che non è stato costruito a tenuta d’aria, ma consisteva in un comune elettrometro di Wulf a due lamelle su cui è stato rovesciato un vaso cilindrico di ionizzazione di volume pari a 16.7 litri, fatto della lamina di zinco più sottile disponibile in commercio, [. . . ] in modo che raggi soffici con le caratteristiche dei raggi beta potessero anch’essi svolgere un ruolo efficace. Nel volo finale, il 7 agosto del 1912, Hess raggiunse i 5 200 metri a bordo della mongolfiera “Böhmen” (Boemia) durante un viaggio di sei ore da Aussig, nella Boemia settentrionale, a Pieskow, un villaggio a una sessantina di chilometri a est di Berlino (Fig. 4.3). I risultati mostrarono chiaramente che la ionizzazione, dopo essere passata per un minimo, aumentava considerevolmente con l’altezza (Fig. 4.4). Hess trovò che: (i) immediatamente sopra al suo-
Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
Fig. 4.3. Il volo decisivo di Hess da Aussig a Pieskow nell’agosto 1912
Rivelatore 1 30
Rivelatore 2
20
Coppie di ioni/(cm3 s)
L’enigma dei raggi cosmici
Coppie di ioni/(cm3 s)
40
80
1913 1914 40
60
10 20
2
4
6
Altitudine (km)
2
4
6
8
Altitudine (km)
Fig. 4.4. Variazione della ionizzazione con l’altitudine. A sinistra: l’ascensione finale di Hess (1912), con due elettroscopi (l’elettroscopio 2 era schermato con pareti più spesse). A destra: le ascensioni di Kolhörster (1913, 1914)
lo la radiazione totale diminuisce leggermente; (ii) a un’altitudine fra i 1 000 e i 2 000 metri avviene una leggera ricrescita della radiazione penetrante; (iii) l’aumento raggiunge, a un’altitudine fra i 3 000 e i 4 000 metri, già il 50% della radiazione totale che si osserva al suolo; (iv) tra i 4 000 e i 5 200 metri la radiazione è più forte di oltre il 100% che al suolo [63]. Hess concluse che l’aumento della ionizzazione con l’altezza deve dipendere dal fatto che la radiazione proviene dall’alto, e pensò che questa radiazione fosse di origine extraterrestre: I risultati delle presenti osservazioni sembrano essere spiegati più logicamente dall’assunzione che una radiazione di grandissimo potere penetrante entri nella nostra atmosfera dall’alto, e produca in seguito negli strati più bassi una parte della ionizzazione osservata in recipienti chiusi. L’intensità di questa radiazione sembra essere soggetta a variazioni transitorie, osservabili su scale di tempo di un’ora [63].
41 Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
Inoltre egli escluse il Sole come sorgente diretta di questa ipotetica radiazione penetrante a causa dell’assenza di variazione fra la notte e il giorno, e dai risultati di una missione compiuta durante un’eclissi parziale. Hess infine pubblicò un riassunto dei suoi risultati nel Physikalische Zeitschrift nel 1913 [64], un articolo che raggiunse il grande pubblico. Lo scienziato austriaco coniò per la radiazione il termine “Höhenstralung” (radiazione dall’alto). L’anno successivo (1913) Hess ebbe l’opportunità di volare sul pallone “Astarté” (di proprietà del triestino E. Sigmundt, che glielo aveva messo a disposizione gratuitamente) fino a 4 500 metri. Le misure quantitative si dimostrarono in accordo con i risultati precedenti e con calcoli effettuati dal giovane Schrödinger nell’ipotesi che una parte della radiazione venisse dal suolo e una parte fosse di origine cosmica. Questi calcoli sono un bell’esempio di un uso elegante dell’analisi matematica. Dopo gli anni della guerra Hess continuò a insegnare a Vienna, e in seguito divenne professore associato di Fisica Sperimentale a Graz nel 1920; nello stesso anno si sposò con Maria Bertha Breisky, vedova di un ufficiale e di lui più anziana. Nel febbraio 1921 iniziò un periodo di congedo sabbatico biennale negli Stati Uniti, dove divenne direttore di un laboratorio di ricerca sulla radiazione nel New Jersey (il laboratorio fu costruito sotto la sua supervisione). In quel periodo Hess insegnò in varie università americane e lavorò come consulente per l’Ufficio Minerario federale. Hess tornò all’Università di Graz nel 1923 e fu nominato professore ordinario. Rimase a Graz fino al 1931, quando accettò un posto come professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto per la ricerca sulle radiazioni presso l’Università di Innsbruck. Continuò a studiare i raggi cosmici, in particolare progettando e realizzando esperimenti in alta montagna. Hess si accostò con grandi progetti alla nuovo cattedra: il suo sogno era di costruire un laboratorio sul monte Hafelekar presso Innsbruck, a un’altitudine di 2 300 metri sul livello del mare; il laboratorio avrebbe offerto una “Stazione di ricerca sulla radiazione extraterrestre”, un osservatorio meteorologico, un piccolo osservatorio astronomico e un laboratorio per ricerche alpine. Tuttavia, a causa dell’insufficienza di fondi, riuscì solo ad attrezzare a laboratorio una stanza di 13 metri quadrati nel rifugio dello Hafelekar (Fig. 4.5). L’energia elettrica era
42 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 4.5. Il rifugio dello Hafelekar
disponibile, l’acqua doveva essere presa in inverno dalla stazione a monte della funivia. Nel 1936 gli fu assegnato il premio Nobel per la fisica, e di questo parleremo diffusamente in un capitolo successivo. Nel 1937 Hess tornò a Graz. Nel 1938, pochi mesi dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, gli fu tolto il posto, probabilmente sia perché aveva una moglie ebrea, sia perché aveva espresso opinioni contrarie all’annessione. Con l’aiuto di un ufficiale della Gestapo suo amico, il quale gli rivelò che la sua famiglia stava per essere internata in un campo di concentramento, riuscì tuttavia a riparare in Svizzera, e da lì negli stati Uniti, dove un figlio di sua moglie già viveva e dove gli era stata offerta una cattedra di fisica sperimentale alla Fordham University (l’università gesuita di New York). Negli Stati Uniti Hess (che divenne cittadino americano nel 1944) si dedicò con passione all’insegnamento (Fig. 4.6) e orientò la sua ricerca a problemi di meteorologia e di radioprotezione. Divenne un forte oppositore dei test nucleari (disse che “sappiamo troppo poco di radioattività in questo momento per dire con certezza che i test sotterranei o al di sopra dell’atmosfera non
43
avranno alcun effetto sul corpo umano”). Scrisse anche che aveva intenzione di dedicare il resto della sua vita a comprendere meglio gli effetti delle radiazioni sugli esseri umani. Gli anni americani furono caratterizzati anche dalla morte della moglie nel 1955, e da un secondo matrimonio, avvenuto nello stesso anno, con Elizabeth Hoencke, che aveva assistito la moglie nell’infermità. Da nessuno dei due matrimoni Hess avrebbe avuto figli propri. Hess andò in pensione nel 1958, ma continuò a lavorare come professore emerito (anche se la sua salute si deteriorò) vivendo a New York fino alla morte avvenuta nel 1964; fu sepolto nel cimitero di White Plains, nella contea di Westchester. La Fordham University ha allestito un archivio che custodisce i suoi manoscritti e i libri. Oltre agli articoli scientifici, Hess ci ha lasciato anche alcune monografie, tra cui il volume “Die Weltstrahlung und ihre biologische Wirkung” (1940), scritto con Jakob Eugster e pubblicato nell’ultima edizione con il titolo “Cosmic Radiation and its Biological Effects” (“I raggi cosmici e i loro effetti biologici”) dalla casa editrice della Fordham University nel 1949.
Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
Fig. 4.6. Hess fa lezione alla Fordham University (Archivio Fordham)
44
4.4
La conferma da parte di Kolhörster
L’enigma dei raggi cosmici
I risultati di Hess furono successivamente confermati da Kolhörster [65], che in una serie di voli fino a 9 300 metri di altitudine compiuti fra il 1913 e il 1914 trovò un aumento nella ionizzazione fino a dieci volte rispetto al livello del mare. Egli misurò anche il coefficiente di assorbimento della radiazione; il valore ottenuto suscitò grande sorpresa dato che era otto volte più piccolo del coefficiente di assorbimento dell’aria per i raggi gamma conosciuto in quel momento. Kolhörster non investigò ulteriormente questo risultato che avrebbe potuto portarlo all’importante conclusione che la radiazione extraterrestre non era costituita prevalentemente da raggi gamma; e così si dovettero aspettare ancora quindici anni prima di capirlo. Perfezionando un’idea di Hess, Kolhörster aveva realizzato elettroscopi di vario spessore che potevano venire perfettamente sigillati, riducendo quindi alcuni possibili errori sistematici della misura; questa infatti nel caso di elettroscopi a pareti sottili doveva venire corretta per le variazioni di pressione, introducendo una certa arbitrarietà.
4.5
L’85o congresso dei fisici e dei medici di lingua tedesca
Dal 21 al 28 settembre 1913 si tenne a Vienna uno dei più importanti congressi della storia della fisica, l’ottantacinquesimo congresso dei fisici e dei medici di lingua tedesca; esso offrì una vetrina unica per la discussione dei nuovi risultati sui raggi cosmici. Vienna era al massimo del suo splendore architettonico, artistico e in generale culturale; oltre settemila scienziati accorsero all’evento, forse il più grande della storia della scienza fino a quel tempo. La corte imperiale e la città di Vienna organizzarono banchetti per i congressisti. I fisici viennesi poterono mostrare il loro nuovo Istituto per lo studio della radioattività; erano previste ben sei sessioni dedicate alla fisica (nella seconda sessione il giovane Einstein presentò in nuce il suo lavoro sulla relatività generale, la famosa prima versione del calcolo della deflessione della luce nel passaggio vicino al Sole, affermando: “speriamo che l’eclissi prevista nel 1914 ci consenta
45 Capitolo 4. Hess e le misure su pallone aerostatico
di ottenere finalmente l’importante decisione [fra l’approccio della relatività generale e quello classico]”; naturalmente polarizzò l’attenzione del pubblico). Sui contributi alla fisica di quel congresso si potrebbe scrivere un libro intero; essi influenzarono gli sviluppi successivi della relatività e della fisica quantistica – anche perché negli anni successivi, a causa della guerra, gli scienziati avrebbero avuto poche possibilità d’incontrarsi. La terza sessione era dedicata alla misura della radioattività e alla radiazione penetrante nell’atmosfera. Geiger, che dopo essere stato assistente di Rutherford a Manchester aveva avuto da poco l’insegnamento a Berlino, presentò le idee che sarebbero state alla base del famoso rivelatore di radiazione che oggi prende il suo nome. Hess tenne una presentazione sperimentale, discutendo i miglioramenti da lui apportati all’elettroscopio di Wulf. Wulf fece una presentazione di rassegna sull’origine dei raggi cosmici, riassumendo una serie di esperimenti a lui noti e concludendo che “l’idea di una sorgente extraterrestre dei raggi cosmici non è supportata dalle osservazioni. Se questo tipo di radiazione si può osservare a grandi altezze, non è apprezzabile vicino al suolo”. Egli affermò inoltre che le variazioni osservate potevano essere dovute a fluttuazioni. Hess non riportò sui voli su pallone, essendo la presentazione sull’argomento stata affidata a Kolhörster. All’epoca Kolhörster aveva realizzato tre ascensioni in mongolfiera, raggiungendo quote di 3 600 metri, 4 000 metri e 6 300 metri rispettivamente; i risultati confermavano l’esito dell’esperimento di Hess (anche se non ancora in modo così spettacolare come quelli dei voli del 1914). Gli altri due pionieri dei voli in pallone, Bergwitz e Gockel, presenti alla discussione, si divisero: Gockel sostenne i risultati di Hess e Kolhörster, mentre Bergwitz si mostrò dubbioso, non essendo convinto dell’affidabilità dell’apparato sperimentale di misura. Pacini, che non apparteneva all’ambiente universitario, non fu inviato al congresso. Se nella vita c’è a volte un ultimo treno, Pacini lo perse in quel settembre del 1913.
Capitolo
5
Sviluppi dopo la prima guerra mondiale
Durante la prima guerra mondiale (1914-1918), e negli anni immediatamente successivi, furono realizzate pochissime indagini sulla radiazione penetrante. Kolhörster continuò i suoi studi utilizzando strumenti di misura di nuova concezione e realizzò misure in montagna con risultati (pubblicati nel 1923) in accordo con quelli dei voli su pallone aerostatico. Ci furono, comunque, anche posizioni negative rispetto all’ipotesi di una radiazione extraterrestre. Il tedesco Hoffmann, utilizzando elettrometri sensibilissimi da lui sviluppati, concluse [66] che la causa della ionizzazione erano gli elementi radioattivi nell’atmosfera. Conclusioni simili furono raggiunte da Behounek [67]. Dopo la guerra, il fulcro della ricerca si spostò negli Stati Uniti. Millikan1 e Bowen [68] svilupparono un elettrometro di piccola massa (circa 200 grammi) e una camera a ioni per ascensioni senza pilota su pallone aerostatico utilizzando tecnologie di trasmissione sviluppate durante la guerra mondiale. In ascensioni fino a 15 000 metri di altitudine in Texas trovarono con grande sorpresa un’intensità di radiazione di non più di un quarto dell’intensità riportata da Hess e Kolhörster. Attribuirono questa differenza a un rovesciamento dell’intensità ad altitudini maggiori, dato 1 Robert A. Millikan (Morrison 1868 - Pasadena 1953) fu un fisico sperimentale ame-
ricano, premio Nobel per la fisica per le sue misure della carica dell’elettrone e per il suo lavoro sull’effetto fotoelettrico. Studioso di letteratura classica prima di dedicarsi alla fisica, fu presidente del California Institute of Technology (Caltech) dal 1921 al 1945.
A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
48 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 5.1. Millikan e collaboratori trasportano apparecchi per la misura dei raggi cosmici sul monte Whitney nel 1925. Cortesia del California Institute of Technology
che non conoscevano l’esistenza di un effetto geomagnetico che fa sì che la quantità di radiazione cosmica in quota sia significativamente diversa in Europa e in Texas. Millikan quindi pensò che non vi fosse radiazione extraterrestre, e al congresso dell’American Physical Society nel 1925 affermò che “l’intera radiazione penetrante è di origine locale”. Nel 1926 tuttavia Millikan e Cameron [69] effettuarono misure di assorbimento della radiazione a diverse profondità nei laghi (riproducendo la tecnica di Pacini) e ad altezze elevate (Fig. 5.1). Basandosi sui coefficienti di assorbimento noti all’epoca e sulla dipendenza della radiazione dall’altitudine, conclusero che la radiazione era formata da raggi gamma di alta energia e che “questi raggi si propagano attraverso lo spazio in modo uniforme in tutte le direzioni”, chiamandoli “raggi cosmici”. Il lavoro di Pacini non fu citato, così come non fu citato il lavoro di Hess. Millikan aveva fama di scienziato rapace: una delle battute che circolavano su di lui al Caltech era “Jesus saves, and Millikan takes the credit” (Gesù ci salva, e Millikan se ne prende il merito). Oltre a questa presunta rapacità sapeva gestire con ener-
49 Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale Fig. 5.2. Millikan ebbe l’onore della copertina del diffusissimo settimanale Time
gia e competenza la comunicazione con i media, e negli Stati Uniti la scoperta dei raggi cosmici divenne, secondo l’opinione pubblica, un successo della scienza americana (Fig. 5.2). Millikan sostenne che le radiazioni sono “generate da cambiamenti nucleari che hanno valori di energia non lontani da [quelli] nella materia nebulosa dello spazio”, e scrisse che la radiazione cosmica era il “vagito di nascita degli atomi” nella nostra galassia. Le sue lezioni attrassero un’attenzione notevole da parte, fra gli altri, di Eddington e Jeans, che si impegnarono nella descrizione di processi che potessero giustificare le affermazioni di Millikan.
50
5.1
I raggi cosmici sono carichi o neutri?
L’enigma dei raggi cosmici
Generalmente si credeva che la radiazione cosmica fosse costituita da fotoni di tipo gamma a causa del suo potere di penetrazione (il potere di penetrazione delle particelle cariche di altissima energia non era conosciuto al tempo). Millikan aveva proposto l’ipotesi che questo tipo di raggi gamma venissero prodotti quando i protoni e gli elettroni formano nuclei di elio nello spazio interstellare. Un esperimento cruciale, che avrebbe stabilito la natura dei raggi cosmici (e in particolare se fossero carichi o neutri), fu la misurazione della dipendenza dell’intensità dei raggi cosmici dalla latitudine geomagnetica. Il campo magnetico terrestre, infatti, devia le particelle cariche, fatto che induce una disomogeneità nel flusso di tali particelle provenienti dall’esterno a diverse latitudini. Importanti misure furono effettuate nel 1927 e nel 1928 dall’olandese Clay [70] che, durante due viaggi in nave tra Giava e Genova, seguiti poi da altri viaggi tra Giava e Amsterdam e Giava e Southampton, trovò che la ionizzazione aumentava con la latitudine
Fig. 5.3. Misure di radioattività effettuate da Clay e collaboratori; è chiaro l’effetto della latitudine
51
(Fig. 5.3) in modo riproducibile. Variazioni di questo genere non si sarebbero attese se la radiazione fosse stata di tipo gamma, ma Clay non trasse una conclusione definitiva sulla natura della radiazione cosmica. Il lavoro di Clay fu confutato da Millikan. Con l’introduzione del tubo contatore di Geiger-Müller (Fig. 5.4) nel 1928 iniziò una nuova era negli esperimenti. Il contatore Geiger, inventato da Hans Wilhelm Geiger (1882-1945), e perfezionato dal suo studente Walther Müller, è uno strumento utile per misurare radiazioni di tipo ionizzante. In particolare può essere usato per misurare le radiazioni provenienti da decadimenti di tipo alfa e beta (rispettivamente nuclei di elio ed elettroni). È costituito da un tubo contenente un gas a bassa pressione. Lungo l’asse del tubo è teso un filo metallico, isolato dal tubo stesso; tra il filo e il tubo si stabilisce un’alta differenza di potenziale, dell’ordine di 1 000 volt. Quando una radiazione attraversa il tubo e colpisce una delle molecole del gas, la ionizza, creando, tramite il processo della moltiplicazione a valanga, coppie di cariche positive e negative. L’impulso elettrico risultante è testimone dell’avvenuto contatto con una radiazione ionizzante – lo strumento ha quindi grande sensibilità alle particelle cariche, e consente di distinguere tra particelle cariche e neutre. Mediante l’uso del contatore di Geiger-Müller presto arrivò la conferma definitiva che la radiazione cosmica è principalmente corpuscolare, grazie a un’indagine sperimentale compiuta da Bothe2 e Kolhörster [71]. L’indagine utilizzava la tecnica di coincidenza appena introdotta da Bothe; sostanzialmente, la tecnica di 2 Walther Wilhelm Georg Bothe (Oranienburg 1891 - Heidelberg 1957) era un fisico, matematico e chimico tedesco, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1954, per “il metodo della coincidenza e le scoperte fatte in quell’ambito.” Fu professore presso l’Università di Heidelberg.
Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale
Fig. 5.4. Contatori Geiger del 1930
52 L’enigma dei raggi cosmici
coincidenza consente di dire se un evento si è verificato contemporaneamente (o entro un intervallo di tempo prestabilito) tra due punti diversi e quindi, in particolare, di tracciare la direzione di provenienza di una particella. Nonostante i chiari risultati sperimentali Millikan era ancora scettico. Nel 1932 Compton3 svolse un esperimento a livello planetario per risolvere la controversia; a questo esperimento parteciparono più di sessanta fisici che svolsero misure indipendentemente (era un esperimento antesignano di quella che oggi chiamiamo big science). A seguito dei risultati ottenuti Compton riferì [72] che vi era un effetto di latitudine, che i raggi cosmici erano particelle cariche e che Millikan aveva torto. Millikan attaccò con forza Compton, ma dopo aver ripetuto il suo esperimento nel 1933 ammise che vi era un effetto di latitudine e che i raggi cosmici dovevano essere (per la maggior parte) particelle cariche.
5.2
Positivi o negativi?
Ci si chiedeva a questo punto se le particelle fossero positive o negative. La soluzione fu trovata grazie a un’idea originale di Bruno Rossi, un fisico italiano (Venezia 1905 - Boston 1993) che, dopo aver studiato tra Padova e Bologna, fondò la scuola fiorentina di fisica dei raggi cosmici, lavorando come astrofisico presso l’osservatorio di Arcetri, e nel 1932 diventò professore di fisica sperimentale all’Università di Padova. Rossi si prodigò per la costruzione dell’attuale dipartimento di fisica della città veneta, ma nel 1938, essendo di origini ebraiche, fu costretto a lasciare l’Italia a seguito della promulgazione delle leggi razziali, spostandosi negli Stati Uniti (lavorò in diverse prestigiose università ed enti di ricerca, e si stabilì alla fine al Massachusets Institute of Technology – MIT – di Boston, dove oggi viene custodito un archivio dei suoi manoscritti e del materiale scientifico da lui lasciato). Ad Arcetri nel 1930 Rossi perfezionò la tecnica di coincidenza, costruendo circuiti che consentivano di collegare rivelatori a grandi distanze. Nello stesso anno ebbe l’idea di utilizzare il campo 3 Arthur Holly Compton (Wooster 1892 - Berkeley 1962) fu professore dal 1920 alla
Washington University, Saint Louis, e dal 1923 a Chicago. Nel 1927 vinse il premio Nobel per la scoperta dell’effetto che da lui prende il nome; l’effetto Compton è legato alle proprietà corpuscolari della luce.
53 Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale Fig. 5.5. Il fatto che i raggi cosmici siano prevalentemente particelle di carica positiva fa sì che, per l’interazione con il campo magnetico terrestre, provengano prevalentemente da Ovest che da Est. L’effetto è particolarmente chiaro vicino all’Equatore
magnetico terrestre per misurare se le particelle cosmiche fossero prevalentemente positive o negative (Fig. 5.5): se i raggi cosmici sono prevalentemente particelle di carica positiva, per l’interazione con il campo magnetico terrestre appariranno provenire prevalentemente da Ovest; se sono particelle negative appariranno provenire prevalentemente da Est. Eseguì la misura proprio ad Arcetri, e ottenne un risultato ambiguo. Rossi allora pensò di spostarsi all’Asmara nelle colonie eritree, perché l’effetto Est-Ovest doveva essere maggiore in prossimità dell’Equatore (Fig. 5.6). Riuscì a programmare il suo viaggio nel 1933, dimostrò che i raggi cosmici erano prevalentemente parti-
54 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 5.6. Il giovane Rossi, un soldato italiano e un ascaro (soldato eritreo che collaborava con le autorità coloniali) accanto alla tenda usata come campo base per le misure
celle di carica positiva, e pubblicò il suo risultato nel 1934. Rossi fu sfortunato: qualche mese prima Alvarez4 e Compton avevano ottenuto lo stesso risultato (citarono comunque correttamente nel loro lavoro il fatto che l’idea era stata di Rossi). Un terzo gruppo americano, guidato da Johnson, confermò indipendentemente i risultati di Alvarez e di Rossi. Solo più tardi, nel 1941, si poté comunque concludere con certezza che tali particelle di carica positiva erano protoni. Nel corso delle sue misure all’Asmara Rossi ottenne un altro risultato importantissimo. Riportò durante un test delle apparecchiature l’osservazione di scariche quasi simultanee di contatori Geiger molto distanti tra loro posti su una linea orizzontale. Nella sua relazione sull’esperimento, scrisse [73]: La frequenza delle coincidenze registrate con i contatori lontani l’uno dall’altro e indicata nelle tabelle sotto il no4 Luis Walter Alvarez (San Francisco 1911 - Berkeley 1988) era un fisico statunitense
di origine spagnola. All’inizio degli anni Cinquanta, il suo gruppo rilevò l’esistenza di nuove particelle instabili sconosciute all’epoca; per questo nel 1968 gli venne assegnato il premio Nobel per la fisica.
55
1. In 21 ore e 37 vennero registrate fra tre contatori allontanati e disposti in modo che uno stesso corpuscolo non potesse attraversarli, 14 coincidenze. Se queste fossero da considerarsi come casuali, alla registrazione dovrebbe venir attribuito un potere risolutivo di circa 0.02 secondi; ma in questo caso fra due contatori scoperti dovrebbero prodursi circa 200 coincidenze casuali all’ora, mentre in realtà se ne osservano solamente 6. 2. Quando in una delle due registrazioni adoperate i contatori erano disposti in modo da registrare le coincidenze doppie “casuali”, le rare coincidenze segnate da questa registrazione erano spesso accompagnate da una coincidenza simultanea della seconda registrazione. Parrebbe dunque (poiché il dubbio di possibili disturbi venne escluso con opportune esperienze di controllo), che di tanto in tanto giungessero sugli apparecchi degli sciami molto estesi di corpuscoli, i quali determinassero coincidenze fra contatori anche piuttosto lontani l’uno dall’altro. Mi è mancato purtroppo il tempo di studiare più da vicino questo fenomeno per stabilire con sicurezza l’esistenza dei supposti sciami di corpuscoli ed investigarne l’origine. Nel 1937 Pierre Auger, probabilmente ignaro del precedente articolo di Rossi, rilevò lo stesso fenomeno e indagò in maggior dettaglio. Concluse [74] che ampi sciami di particelle vengono generati da particelle di raggi cosmici primari ad alta energia che interagiscono con i nuclei d’aria nell’alta atmosfera, dando inizio a una cascata di interazioni secondarie che alla fine porta uno sciame di elettroni, fotoni, muoni che raggiungono il livello del suolo.
Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale
me di “coincidenze casuali”, appare più elevata di quella che sarebbe stata prevedibile in base al potere risolutivo delle registrazioni, misurato a Padova prima della partenza (2 × 10−4 secondi per la registrazione II). Ciò fece nascere il dubbio che tali coincidenze non fossero, in realtà, tutte casuali. Questa ipotesi sembra essere avvalorata dalle due seguenti osservazioni:
56 L’enigma dei raggi cosmici
Gli sciami di particelle sono la spiegazione diretta del fenomeno di scarica spontanea degli elettroscopi, da cui tutta l’indagine era partita all’inizio del secolo! La teoria formale dello sviluppo degli sciami venne poi sviluppata grazie a Bethe, Heitler, Rossi, Greisen, e a contributi pionieristici di Heisenberg5 , con il quale Rossi aveva un fitto rapporto epistolare. Prima della seconda guerra mondiale Heisenberg, a quel tempo a Lipsia, aveva pubblicato diversi lavori sui raggi cosmici, e in particolare sugli sciami di particelle (si veda, ad esempio, [75, 76]). Nel 1943, durante la guerra, Heisenberg curò un volume sui raggi cosmici in onore di Sommerfeld [77]; cinque degli articoli del volume sono scritti dallo stesso Heisenberg6 . Negli anni tra le due guerre fu data molta attenzione alla questione della variazione nel tempo della radiazione. Molti ricercatori (Wulf, Pacini ed Hess in particolare) avevano osservato tali variazioni, ma verso il 1930 l’opinione generale era che esse non fossero significative. Un’analisi accurata compiuta da Forbush dimostrò che l’intensità dei raggi cosmici osservata nell’atmosfera terrestre variava significativamente con il tempo [78].
5 Werner Heisenberg (Würzburg 1901 - Monaco di Baviera 1976) iniziò i suoi stu-
di a Monaco sotto la guida di Sommerfeld. Nel 1922 iniziò a collaborare con Bohr a Copenaghen e con Hilbert a Göttingen; elaborò un nuovo formalismo matematico per la meccanica quantistica e dimostrò il teorema noto come “principio di indeterminazione” che stabilisce l’esistenza di un limite intrinseco alla determinabilità simultanea di alcune coppie di osservabili. Nel 1927 fu chiamato a ricoprire la cattedra di fisica teorica all’università di Lipsia; nel 1932 gli fu conferito il premio Nobel per la fisica per i suoi contributi alla fisica quantistica. Accusato di collaborazione con i nazisti, fu fatto prigioniero, fino a che, riabilitato, dal 1952 fu incaricato di creare e organizzare a Monaco l’istituto di ricerca Max Planck per la fisica e l’astrofisica, che oggi porta il suo nome. S’impegnò a fondo nella ricostruzione dei centri di ricerca tedeschi ed europei, e fu tra i fondatori del CERN di Ginevra. Diede anche importantissimi contributi logici, filosofici ed epistemologici alla fisica quantistica. 6 Nella prefazione, datata giugno 1943, Heisenberg descrive la difficile situazione per la scienza in Germania. Egli sottolinea la mancanza di informazioni da parte di paesi stranieri e l’assenza di relazioni a partire dall’estate del 1941. La situazione di boicottaggio degli scienziati tedeschi è simile a quella che si era verificata durante e subito dopo la prima guerra mondiale.
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Grazie allo sviluppo della fisica dei raggi cosmici gli scienziati scoprirono che le sorgenti astrofisiche fornivano proiettili ad altissima energia che giungevano nell’atmosfera. Fu quindi naturale sia indagare la natura di tali proiettili, sia utilizzarli come sonde per studiare in dettaglio la materia, sulla falsariga dell’esperimento realizzato da Rutherford nel 1900 (Rutherford aveva introdotto la tecnica d’indagine microscopica nella quale si bombardano i bersagli di cui vuole studiare la struttura con particelle di alte energie, studiando la deflessione di queste ultime). La fisica delle particelle elementari, scienza dei costituenti fondamentali della materia, ebbe dunque inizio con i raggi cosmici. E grazie ai raggi cosmici furono fatte molte scoperte fondamentali, probabilmente le più importanti nella storia della fisica delle particelle. La prima fu la scoperta dell’antimateria, una scoperta che ha cambiato il modo in cui gli esseri umani si pongono di fronte all’universo. L’equazione di Schrödinger, proposta nel 1926 come equazione del moto di una particella quantistica, aveva la pecca di essere inconsistente con la teoria della relatività. Il giovane Dirac7 giunse a un’equazione quantisticamente corretta e consistente con la teoria della relatività, e la pubblicò nei Proceedings of the Royal Society of London il 2 gennaio 1928, col titolo “La teoria quantistica dell’elettrone”. L’equazione di Dirac era molto elegante e spiegava lo spin (ossia il momento angolare intrinseco) dell’elettrone, come pure il corretto valore del suo momento magnetico, tutto questo senza bisogno di alcuna ipotesi ulteriore. Prediceva inoltre un nuovo sottile effetto sull’energia degli elettroni nell’atomo d’idrogeno, 7 Paul Adrien Maurice Dirac (Bristol 1902 - Tallahassee 1984) è stato tra i fondato-
ri della fisica quantistica. Dopo gli studi in fisica, divenne professore di matematica a Cambridge. Nel 1933 ricevette il premio Nobel assieme a Schrödinger per “la scoperta di nuove forme della teoria atomica”. Assegnò al concetto di “bellezza matematica” un ruolo preminente tra gli aspetti fondamentali intrinseci alla natura fino al punto di sostenere che “una teoria matematicamente bella ha più probabilità di essere giusta e corretta di una sgradevole che venga confermata dai dati sperimentali”.
Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale
5.3 Albori della fisica delle particelle elementari
58 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 5.7. La camera a nebbia costruita e utilizzata da Anderson e Neddermeyer tra il 1935 e il 1940 (California Institute of Technology)
effetto che fu puntualmente osservato. Tuttavia prediceva anche qualcosa di più: l’esistenza di anti-particelle per tutte le particelle elementari di materia esistenti. Quindi oltre all’elettrone ci doveva essere un “anti-elettrone”, particella identica al “nostro” elettrone ma di carica positiva. Inizialmente Dirac non si rese conto di questa implicazione; quando il “problema” gli fu presentato nel 1930 da Weyl, cercò di eliminarlo. Nel frattempo un nuovo strumento prendeva piede nello studio dei raggi cosmici: la camera a nebbia. La camera a nebbia (Fig. 5.7) è una scatola a tenuta ermetica che contiene aria satura di vapore acqueo collegata, mediante un condotto, a un cilindro entro il quale scorre un pistone. Un rapido spostamento dello stantuffo provoca nella camera un’espansione adiabatica del vapore che passa allo stato instabile di soprassaturazione. In tali condizioni una particella carica elettricamente che penetri nella scatola ionizzando gli atomi con i quali si scontra crea, lungo il proprio tragitto, un fitto susseguirsi di nuclei di condensazione (atomi ionizzati), attorno ai quali il vapore soprassaturo si raccoglie a formare minuscole goccioline (nebbia). La traccia lasciata dalla traiettoria percorsa della particella può essere fotografata attraverso una parete trasparente della scatola.
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Diventava quindi possibile “fotografare” le traiettorie dei raggi cosmici. Carl Anderson8 era uno studente di Millikan al quale il relatore aveva chiesto di costruire una camera a nebbia. All’interno della sua camera a nebbia Anderson sistemò una lastra di piombo per far perdere energia alle particelle. Mentre stava analizzando le tracce dei raggi cosmici che passavano attraverso la sua ca8 Carl David Anderson (New York 1905 - Pasadena 1991) era un fisico statunitense
di origine svedese. Allievo di Millikan, dopo il premio Nobel nel 1936 divenne dal 1939 professore presso il California Institute of Technology. Millikan era anche una persona originale come supervisore: Anderson raccontò nelle sue memorie che, dopo avergli assegnato l’argomento di tesi, non andò mai a trovarlo durante i tre anni dello svolgimento della tesi stessa.
Capitolo 5. Sviluppi dopo la prima guerra mondiale
Fig. 5.8. Fotografia che mostra il passaggio di un anti-elettrone, o positrone, attraverso una camera a nebbia immersa in un campo magnetico. Si capisce che la particella viene dal basso per il fatto che, dopo avere attraversato la lastra di materiale nel mezzo (e quindi perduto energia), il raggio di curvatura diminuisce. Si capisce che è positiva dal verso di rotazione nel campo magnetico. La massa si misura dalla densità delle bolle (un protone avrebbe perso energia più velocemente)
60 L’enigma dei raggi cosmici
mera a nebbia, Anderson nel 1932 scoprì l’antimateria9 in forma dell’anti-elettrone (Fig. 5.8), l’elettrone positivo anche chiamato positrone [79]. Quindi Dirac non aveva bisogno di modificare la sua teoria: l’equazione si era dimostrata più intelligente del suo autore. Molte scoperte vennero fatte successivamente in fisica delle particelle grazie ai raggi cosmici, e ne parleremo nel Capitolo 7.
9 È tuttavia ormai un fatto storicamente stabilito che il fisico russo Dmitry Skobel-
tzyn (1892-1982) della scuola di Leningrado osservò sperimentalmente positroni nei raggi cosmici già fra il 1923 e il 1927, ben prima di Anderson. Purtroppo sottovalutò la scoperta e non la pubblicò, riportando solo in un congresso a Cambridge che curiosamente aveva osservato tracce di elettroni che curvavano nel verso sbagliato. In assenza di una teoria la sua osservazione fu dimenticata nello stesso modo in cui egli l’aveva trascurata.
Capitolo
6
Il riconoscimento della comunità scientifica
Finalmente nel 1936 la scoperta dell’origine dei raggi cosmici fu premiata con il Nobel (Fig. 6.1) che fu assegnato a Victor Hess; il premio fu condiviso con C.D. Anderson, il quale fu scelto per la scoperta del positrone (la prima particella di antimateria scoperta dall’umanità, rivelata anch’essa nei raggi cosmici). Il lavoro di Pacini fu correttamente citato nella relazione del Comitato per il Nobel, nonostante egli non fosse mai stato nominato per il premio (stupisce in particolare a tale riguardo la totale assenza di proposte da parte della comunità scientifica italiana, fatto che probabilmente è spiegabile con la chiusura e l’organizzazione in “clan” dell’ambiente culturale e accademico). Va comunque sottolineato che Pacini, essendo morto da due anni, non avrebbe potuto essere premiato. La ricerca scientifica è caratterizzata oggi dalla rapida comunicazione dei risultati. Quando i raggi cosmici furono scoperti la situazione era molto diversa [2]: la comunicazione era lenta, vi erano importanti barriere linguistiche aggravate dal nazionalismo e le conseguenze degli esiti della prima guerra mondiale erano molto pesanti.
6.1 Il premio Nobel per i raggi cosmici La Reale Accademia di Svezia aveva ricevuto nel 1936 trentuno candidature per il premio Nobel; poiché alcuni nomi si ripetevano nelle candidature stesse, i papabili erano in totale ventidue. A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
62 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 6.1. Da sinistra Petrus Debye (premio Nobel per la chimica), Carl Anderson e Victor Hess (premi Nobel per la fisica) aspettano di ricevere il premio a Stoccolma il 10 dicembre 1936. Dietro di loro alcuni scienziati premiati negli anni precedenti: Manne Siegbahn (premio Nobel per la fisica nel 1924), Gustav Dalén (premiato per la fisica nel 1912) e The Svedberg (premiato per la chimica nel 1926) (Fondazione Nobel)
Hess era stato candidato da Clay (il quale aveva suggerito che a Hess venisse assegnato un premio non condiviso con altri; un grande gesto di signorilità, dato che Clay era a sua volta candidato per la scoperta della dipendenza del flusso dei raggi cosmici dalla latitudine) e da Compton (che aveva suggerito di attribuire il premio a Hess e ad Anderson, cosa che poi avvenne). Hess era stato nominato per la prima volta nel 1931 da Pohl, professore a Göttingen, poi nel 1933 da Plotnikov, professore a Zagabria, e nel 1934 da Willstätter, professore a Monaco di Baviera.
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. . . è giunto il momento, mi sembra, in cui si può dire con certezza che i cosiddetti raggi cosmici hanno origine a distanze così remote dalla Terra che possono essere correttamente chiamati cosmici, e che l’uso di queste particelle [di altissima energia] ha ormai portato a risultati di un’importanza tale che essi possono essere considerati una scoperta di prima grandezza [. . . ] Credo sia corretto affermare che Hess fu il primo a stabilire l’aumento della ionizzazione osservata negli elettroscopi con l’aumento dell’altitudine; ed egli fu il primo ad attribuire con sicurezza tale aumento di ionizzazione a una radiazione proveniente dall’esterno della Terra. Perché un riconoscimento così tardivo? Compton sottolinea che solo di recente lo studio dei raggi cosmici è stato utile anche in altre aree della fisica, e scrive: Prima che fosse corretto assegnare il premio Nobel per la scoperta di questi raggi, è stato necessario attendere prove più concrete delle loro caratteristiche peculiari e della loro importanza in vari campi della fisica. Questo ora è avvenuto. Studi degli effetti della latitudine magnetica sul flusso di questa radiazione hanno mostrato che essa comprende particelle di energie molto più alte di quelle disponibili da sorgenti artificiali, e hanno fornito ulteriori conferme che esse vengono da sorgenti che possono appropriatamente venire chiamate cosmiche. L’utilità di questa radiazione è stata dimostrata dall’esperimento che ha rivelato l’esistenza dell’anti-elettrone [2]. La Reale Accademia formò una sottocommissione incaricata di studiare le candidature legate ai raggi cosmici; la sottocommissione era formata dai professori H. Pleijel, presidente; A.E. Lindh, C.W. Oseen e M. Siegbahn; E. Hulthén, segretario. Questa sottocommissione preparò una relazione di nove pagine sui raggi cosmici e la inviò al Comitato per il Nobel per la fisica nel giugno 1936; la relazione, firmata da Hulthén, fu poi inclusa come appendice nella proposta del Comitato alla Reale Accademia delle Scienze di Svezia.
Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
Nella sua lettera di candidatura per Hess e Anderson Compton aveva scritto:
64 L’enigma dei raggi cosmici
Hulthén rileva che, per quanto riguarda la candidatura di Hess, la sua scoperta è abbastanza vecchia. Tuttavia sia Clay sia Compton, nominando Hess, sottolineano che solo di recente l’origine della radiazione cosmica penetrante è stata stabilita con certezza, e che essa è stata molto importante in relazione ad altre scoperte recenti. Nella sua relazione attenta e completa Hulthén descrive anche in dettaglio il lavoro di Hess sulle misure di ionizzazione residua osservata all’interno di elettroscopi da parte di Wilson e di Elster e Geitel. Ulteriori ricerche compiute da Rutherford e Cooke, e da McLennan e Burton, hanno dimostrato che la ionizzazione osservata si riduce quando l’elettroscopio è circondato da assorbitori. Hulthén sottolinea che all’epoca la ricerca sulla radioattività, scoperta nel 1896 da Becquerel, era nella sua infanzia e l’azione di sostanze radioattive nel terreno sembrava una spiegazione naturale dell’origine della ionizzazione. Afferma che in seguito sulla base di esperimenti di Eve, Pacini e Mache era diventato chiaro che solo una piccola frazione della ionizzazione residua potesse essere attribuita a sostanze radioattive. Sulla base di misure di assorbimento dei raggi gamma erano state elaborate stime sulla ionizzazione a diverse quote; tuttavia, le prime misurazioni su pallone da parte di Bergwitz e Gockel non avevano mostrato una riduzione significativa della ionizzazione con l’altitudine. Hulthén commenta il fatto che i risultati delle misure su pallone aerostatico confermano le misure di Pacini, le quali indicavano che una parte non trascurabile della radiazione è indipendente dall’azione diretta di sostanze contenute nella crosta terrestre. Egli rileva tuttavia che il lavoro attento di Hess comprende anche una misurazione accurata dell’assorbimento dei raggi gamma in funzione della distanza e varie ascensioni in mongolfiera tra il 1911 e 1912, al termine delle quali viene trovato finalmente un aumento di un fattore due nella ionizzazione a un’altitudine di 5 200 metri. Hulthén cita la conclusione di Hess secondo cui i risultati mostrano che una radiazione molto penetrante incide sull’atmosfera dall’esterno (“I risultati delle presenti osservazioni sembra possano essere spiegati partendo dal presupposto che una radiazione di altissima forza di penetrazione entri dall’alto nella nostra atmosfera” [64]). I risultati di Hess avevano attirato molta attenzione, ma erano stati anche messi in discussione a causa di incertezze sperimentali; molto presto, però, ricevettero conferma da Kolhörster, che misurò una ionizzazione 40 volte più grande che al suolo
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6.2 L’opinione di Edoardo Amaldi Edoardo Amaldi1 non aveva alcun dubbio sul fatto che Domenico Pacini fosse lo scopritore dei raggi cosmici, come dichiarato in una lettera (Fig. 6.2) scritta il 14 luglio 1941 all’allora direttore dell’Istituto di Fisica di Roma, Antonino Lo Surdo2 . La lettera di E. Amaldi fu motivata da un articolo dal titolo “La scienza e gli ebrei” [81] apparso il 2 luglio 1941 nel giornale romano Il Tevere. Nell’articolo, a firma del direttore Giuseppe Pensabene, si affermava che la fisica nucleare e la fisica dei raggi cosmici erano scienze giudaiche. Questo articolo bene illustra la pesante atmosfera culturale dei tempi del fascismo. Non è da oggi che si osserva da quelli che guardano nell’insieme lo stato delle scienze fisiche un crescente turbamento che sembra incepparle e comunque confonderne i propri e nitidi caratteri [. . . ] formati in Italia [. . . ] di porsi davanti alla natura in un’attitudine riverente di osservatori e di spe1 Edoardo Amaldi (Carpaneto Piacentino 1908 - Roma 1989) lavorò a stretto con-
tatto con Enrico Fermi (fu uno dei “ragazzi di Via Panisperna”) fino al 1938, quando Fermi fu costretto a lasciare l’Italia. Professore di fisica sperimentale a Roma per più di 40 anni, fu co-fondatore del CERN, di cui fu il primo segretario generale (così era denominato quello che oggi è il direttore generale) durante gli anni 1952-1954, dell’ESA, e della Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), di cui fu presidente dal 1960 al 1965. I suoi campi di interesse sono stati la fisica delle particelle elementari, la fisica nucleare, e la fisica della radiazione cosmica, con una particolare attenzione allo studio delle onde gravitazionali. 2 Antonino Lo Surdo (Siracusa 1880 - Roma 1949) fu professore di fisica all’Università di Roma dal 1919; divenne direttore dell’Istituto di Fisica nel 1937. Fondatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, fu espulso dopo la seconda guerra mondiale dall’Accademia dei Lincei, una delle più prestigiose accademie scientifiche d’Italia, a causa di denunce di collaborazione con il regime di Mussolini, e più tardi reintegrato [80].
Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
a un’altitudine di 9 300 metri. Dopo la prima guerra mondiale la ricerca è stata ripresa nel 1920. I risultati di Hess e Kolhörster furono ancora messi in discussione, tra gli altri da Millikan, che tuttavia nel 1925 confermò la conclusione di Hess. Hulthén conclude la sua relazione con una discussione sull’importanza dei risultati di Hess per altri settori della fisica fondamentale.
66 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 6.2. Lettera di E. Amaldi a Lo Surdo. La lettera fa parte dell’Archivio Amaldi (scatola 212, fasc. 1) all’Università “La Sapienza” di Roma (per cortesia di U. Amaldi e G. Battimelli)
rimentatori anziché di raziocinanti, e di scopritori delle sue leggi anziché di ideatori di surrogati teorici della realtà. Valga per tutti un esempio: da un pezzo oramai sono penetrati nella fisica i concetti della geometria pluridimensionale. Questa come tutti sanno non ha nessun legame con la realtà: è solo il risultato d’una convenzione che può farsi come non farsi senza che nessuna necessità lo imponga. Infatti ha solo per base un’analogia, cioè questa: nello stesso modo come ai numeri elevati alla seconda e alla terza potenza corrispondono nella realtà i quadrati ed i cubi così anche a quelli elevati alla quarta, alla quinta od alla ennesima potenza poniamo che corrispondano figure a quattro, a cinque o ad enne dimensioni. Siffatte figure nessuno
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Il nome di Einstein non viene fuori di proposito. L’orientamento accennato della fisica non è infatti più antico d’un cinquantennio; ed è stato indubbiamente contemporaneo all’apparire anche in questo campo di personalità ebraiche, spesso divenute molto influenti per l’attitudine alla propaganda propria della loro razza; ed in ogni modo portate per istinto a questo modo di pensare. Nel quale il motivo cabalistico è a prima vista evidente. Una conoscenza anche superficiale degli antichi filosofi e matematici di quella nazione permette di rendersene conto. Per esempio si guardi ad uno dei cavalli di battaglia degli ebrei che oggi si occupano di fisica: cioè sopratutto alla fisica nucleare. Una costruzione in gran parte fondata sull’arbitrio; e intanto qual è il suo tema fondamentale? Quello dell’identità tra materia ed energia. Non pare di ritrovare le stesse vedute della Cabala, quelle cioè per cui il mondo non è che continua emanazione? Tipica d’altronde l’incapacità ebraica di guardare alla natura, cioè di osservare: che è stato invece il fondamento nel quale si è fino ad oggi sviluppata in Occidente la scienza. Gli ebrei teorizzano, non osservano: ecco una delle ragioni per cui la scienza decade. Giacché si trova come tante altre cose sotto l’influenza degli ebrei. Tuttociò considerato non mi sembra che abbia torto uno studioso, l’ing. G. Di Gaddo, del quale proprio in questi gior-
Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
mai le ha viste: appartengono ad uno spazio diverso e sconosciuto dal nostro: poniamo però che esistano. Ora una matematica così fatta potrà se mai seguirsi solo come una curiosa costruzione logica: ma il volere oggi adeguare ad essa persino la fisica che è per eccellenza scienza di osservazione, ed adeguarla in modo non che questa sia servita dalla matematica (come s’era fatto dopo Cartesio) ma che addirittura la serva anche nelle sue meno reali costruzioni, è già un segno d’evidente decadenza. Cosa che si è vista soprattutto in un’occasione: cioè quando lo scienziato Einstein ha creduto di potere dimostrare tra l’altro la validità di siffatta irreale matematica osservando la pretesa curvatura d’un raggio luminoso, proveniente da una stella lontanissima.
68 L’enigma dei raggi cosmici
ni ci è pervenuta una lettera e che ha osservato tra l’altro: esiste una scienza ebraica; cioè un modo ebraico di trattare o piuttosto di corrompere la scienza. Visto che ci siamo liberati sotto tanti aspetti dell’influenza degli ebrei perché non dare un occhio anche a questo? Cosa che a quel che pare ancora non si fa. Infatti, proprio in questi giorni, nella Rivista La Ricerca scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche è uscito al posto d’onore un articolo intitolato ‘La camera di Wilson dell’Istituto di Fisica di Milano’ corredato da molte fotografie sul quale ecco come scrive il Di Gaddo: ‘È la descrizione d’un apparecchio ideato da un inglese che un tal Polvani ha fatto costruire per l’Università di Milano impiegando fondi forniti dal Consiglio delle Ricerche. L’apparecchio serve a ricerche di fisica giudaica come tutti sanno; vi pare che i denari del Consiglio delle Ricerche non si dovrebbero spendere meglio specie in questo momento?’ In realtà scopo dell’apparecchio è di prestarsi alle ricerche sui raggi cosmici e alle infinite ed arbitrarie elucubrazioni alle quali danno luogo: campo anche questo adattissimo per la mentalità cabalistica e al tempo stesso pubblicitaria degli ebrei. Noi da parte nostra osserviamo: qual è il programma del Consiglio nazionale delle Ricerche? Incoraggiare quelle ricerche che per i loro eventuali sviluppi possano mostrarsi giovevoli alla vita nazionale. Non si può dire certo che queste siano di tale natura. E poi rispecchiano l’indole d’un’altra razza: distruttrice e sovvertitrice di qualsiasi vera ricerca. Per tale doppio motivo concordiamo con quanto ci è stato scritto dal Di Gaddo; e non troviamo opportuna l’iniziativa denunciata. Anche se Il Tevere non era il giornale ufficiale del partito fascista, esercitava comunque una grande influenza politica, dato che era opinione diffusa che il suo contenuto venisse dettato da Benito Mussolini. Amaldi scrive che l’opinione espressa dal direttore del giornale, potenzialmente pericolosa per la scienza fondamentale in Italia, “sembra così strana a chi [. . . ] sa certamente che l’italiano Domenico Pacini [un non-ebreo], fu lo scopritore dei raggi cosmici”. Va tra l’altro sottolineato che Pacini, come ricordato da Rizzo nella sua commemorazione all’Università di Bari, era stato iscritto
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3 Max Mayer nacque a Bonn nel 1913. La sua iscrizione all’università venne rifiuta-
ta a Berlino e poi a Monaco a causa delle leggi razziali. Nel 1933 emigrò a Bari e fu accettato dalla facoltà di Medicina; Pacini all’epoca era direttore dell’Istituto di Fisica di Medicina. Quando anche in Italia vennero promulgate le leggi razziali, Mayer scappò e si rifugiò in India dove esercitò la professione di medico nei villaggi. Successivamente si trasferì a Dublino e poi a Londra, dove morì nel 2005. Durante gli anni dell’esilio in India Mayer portò con sé una valigia dalla quale non si separò fino alla morte; la valigia conteneva le sue cose più care. La moglie Ivonne aprì la valigia dopo la morte di Mayer, e vi trovò l’immagine commemorativa della morte di Pacini.
Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
al partito fascista, come la maggior parte degli accademici e dei funzionari pubblici italiani dell’epoca. Non risulta però che Pacini sia stato politicamente attivo. Un episodio [83] indica comunque che egli non sostenne posizioni razziste, ma anzi avrebbe fatto quanto in suo potere per rimediare a ingiustizie da esse create. L’episodio è legato alla storia di Max Mayer, uno studente ebreo di medicina a Bari, poi divenuto medico missionario (gli fu anche dedicato un film documentario, “Benvenuto Max Mayer”, uscito nel 2006). Risulta dai ricordi della famiglia Mayer che Pacini aiutò Max, il quale era stato ostacolato in Germania, nell’ammissione alla facoltà universitaria di medicina e negli studi a Bari3 . Guardando i fatti da lontano, è giusto dire, come fece Edoardo Amaldi, che Pacini fu lo scopritore dei raggi cosmici e che fu poi seguito da Hess, Kolhörster, ecc.? Una grande scoperta è in genere il risultato degli sforzi comuni di molti ricercatori. È certamente vero che Pacini scrisse, già nel 1909, che l’azione delle sostanze attive nel terreno non era sufficiente a spiegare le proprietà osservate della radiazione penetrante; e che egli fu il primo a trarre questa conclusione sulla base di dati sperimentali, fornendo una dimostrazione conclusiva nel 1911 (un anno prima di Hess, che era a conoscenza dei risultati di Pacini quando pubblicò il suo famoso articolo). È anche vero che le misure di Pacini nel giugno del 1911 rappresentarono una svolta, dato che la tecnica di misura sotto la superficie del mare, utilizzando l’acqua come schermo, ebbero inizio proprio grazie al suo esperimento. Bisogna tuttavia riconoscere che l’esperimento di Pacini, che dimostrò che la radiazione proveniva in gran parte dall’esterno della crosta terrestre, non poté escludere con fermezza l’atmosfera come una possibile sorgente, mentre l’esperimento di Hess poté farlo.
70 In ogni caso: L’enigma dei raggi cosmici
. . . in Pacini è impressionante lo svolgersi di un filo conduttore per la ricerca basato sul convincimento, espresso fin dal primo lavoro, che l’azione diretta delle sostanze attive nel terreno non è sufficiente a spiegare le proprietà osservate della radiazione penetrante, come confermato dall’analisi delle oscillazioni, dalle misure sul mare e sotto il mare [39].
6.3
La corrispondenza tra Pacini ed Hess
Alcuni estratti da scambi di corrispondenza che avvennero tra i due scienziati nel 1920, riportati da [2,38], sono molto illuminanti riguardo all’attribuzione delle priorità scientifiche e alla reciproca conoscenza dei risultati. Il 6 Marzo 1920, Pacini scrisse a Hess: . . . ho potuto leggere alcune Sue pubblicazioni sui fenomeni elettro-atmosferici da Lei spedite al direttore del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. Alcuni di questi lavori erano già noti a me nei riassunti che ne sono potuti pervenire durante la guerra. [Ma] mi è giunto quello nuovo intitolato “Die Frage der durchdringenden Strahlung ausserterrestrischen Ursprunges” (“Il problema della radiazione di origine extraterrestre”). Mentre devo farle in proposito i miei complimenti per la chiarezza con cui espone in forma semplice lo stato della importante questione, mi duole che non siano stati citati affatto i lavori italiani su questo argomento, lavori a cui spetta senza dubbio la priorità, per quanto si riferisce alla previsione delle importantissime conclusioni a cui sono successivamente pervenuti il Gockel, Ella stessa, signor Hess, ed il Kolhörster; e tanto più me ne duole, in quanto, nelle mie pubblicazioni, io non ho mai dimenticato di citare chi di dovere. La risposta di Hess, datata 17 marzo 1920, fu: Stimatissimo signor Professore, il suo pregiatissimo scritto del 6 corrente mi fu particolarmente gradito, perché riannoda le nostre relazioni così lungamente interrotte durante la sfortunata guerra: volentieri io le avrei scritto prima di
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Il 12 aprile 1920, Pacini scrive ancora a Hess: . . . sta benissimo quanto ella mi dice circa le misure di radiazione penetrante eseguite su pallone aerostatico, tuttavia nella sua pubblicazione “Il problema della radiazione penetrante di origine extraterrestre” si parla a lungo delle misure fatte per stabilire l’assorbimento di queste radiazioni e si citano vari autori, mentre non vedo citati i miei lavori in proposito, eseguiti in seno alle acque del mare e in seno alle acque del lago di Bracciano, lavori dai quali potetti dedurre il valore della radiazione penetrante nell’aria e trarre conclusioni che le esperienze a bordo di un pallone aerostatico hanno poi confermato. Nella lettera conclusiva del 20 maggio 1920 Hess risponde: . . . riconosco volentieri che indubbiamente spetta a lei la priorità di aver espresso la convinzione che vi è una radiazione non proveniente dal suolo. [. . . ] Tuttavia la certezza della esistenza di una nuova sorgente della radiazione penetrante proveniente dall’alto è scaturita dalla mia ascensione del 7 agosto 1912, nella quale io ho osservato per la prima volta un aumento enorme della radiazione al di sopra dei 3 000 metri. La corrispondenza fra Hess e Pacini, nove anni dopo il lavoro di Pacini e otto anni dopo il volo in mongolfiera di Hess del 1912, mostra quanto fosse difficile la comunicazione a quel tempo. Anche le difficoltà linguistiche possono avere contribuito, dato che Pacini pubblicò prevalentemente in italiano ed Hess in tedesco (anche nelle lettere scambiate ognuno scrive nella propria lingua). Infine, a causa della mancanza di libertà accademica, Pacini non poté
Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
allora, ma, purtroppo, ignoravo ove ella fosse. La breve memoria: “Il problema della radiazione penetrante di origine extraterrestre” è la pubblicazione di una conferenza popolare, e perciò la letteratura non ha alcuna pretesa di essere completa. Poiché si trattava, in prima linea, delle misure fatte su pallone aerostatico, non mi sono addentrato a parlare in modo speciale delle sue misure sul mare, le quali mi sono ben note. Io la prego di scusare benevolmente questa omissione, la quale era lontana da ogni mio proposito.
72 L’enigma dei raggi cosmici
partecipare alla conferenza di Vienna del settembre 1913 (85a Versammlung Naturforscher Deutscher und Ärtze, il congresso degli scienziati naturali e dei medici di lingua tedesca) in cui furono discussi i nuovi risultati sull’origine della radiazione penetrante [57].
6.4
Perché il lavoro di Pacini fu dimenticato?
Il professor H. Pleijel, presidente del Comitato per il Nobel per la fisica della Regia Accademia Svedese delle Scienze, dichiarò nel suo discorso [82] alla cerimonia di premiazione del Nobel del 10 dicembre 1936: [Una] ricerca di sostanze radioattive fu svolta [da parte di diversi scienziati]: nella crosta terrestre, nei mari, e in atmosfera; e fu usato lo strumento appena citato – l’elettroscopio. Furono trovati ovunque raggi radioattivi, sia che le indagini fossero state effettuate nelle acque profonde dei laghi, o in alta montagna. [. . . ] Sebbene queste indagini non avessero fornito risultati concreti, esse mostrarono che l’onnipresente ionizzazione non poteva essere attribuita all’azione di sostanze radioattive della crosta terrestre. [. . . ] Il mistero dell’origine di questa radiazione rimase insoluto fino a quando il professor Hess lo scelse come il problema della sua vita. [. . . ] Con superba abilità sperimentale Hess perfezionò l’attrezzatura strumentale utilizzata ed eliminò le fonti di errore. Dopo aver completato questi preparativi, Hess fece una lunga serie di ascensioni su pallone aerostatico. [. . . ] Da queste indagini Hess trasse la conclusione che esiste una radiazione estremamente penetrante, proveniente dallo spazio, che entra nell’atmosfera terrestre. Un’intera comunità di ricercatori fu coinvolta in quel campo di ricerche. Pacini certamente impresse una svolta introducendo la tecnica della misurazione subacquea e misurando una diminuzione significativa della radiazione rispetto alla superficie, fatto grazie al quale si poté escludere la Terra come unica fonte di radiazione; purtroppo, egli non poté partecipare in modo adeguato al dibattito in corso, e non riuscì a proporre i suoi risultati con energia. Il lavoro di Pacini fu realizzato in condizioni difficili a causa della
73 Capitolo 6. Il riconoscimento della comunità scientifica
mancanza di risorse disponibili, della mancanza di libertà scientifica durante gli anni cruciali in cui lavorava presso l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, e della sostanziale indifferenza con cui il suo lavoro fu accolto dal mondo accademico italiano – il che, di per sé, rese difficile la candidatura al premio Nobel. Molte cause potrebbero aver contribuito alla mancanza di riconoscimento che scontò e sconta ancora oggi il lavoro di Pacini [39, 40], ultime in ordine di tempo le rivalità e le controversie tra l’Europa e gli Stati Uniti [2, 22, 84]. La ricerca che portò alla scoperta dei raggi cosmici, una pietra miliare nel campo della scienza, coinvolse scienziati in Europa e nel Nuovo Mondo e si svolse in un periodo caratterizzato da mancanza di comunicazione e dal nazionalismo che era conseguenza anche dalla prima guerra mondiale. Nel lavoro che culminò con i voli in mongolfiera ad alta quota da parte di Hess, furono dimenticati importanti contributi. Accanto a storie personali legate agli avvenimenti della vita dei singoli protagonisti, e alla situazione politica internazionale, molti altri fatti storici e politici legati all’Italia contribuirono alla mancanza di riferimenti al lavoro di Pacini. Se oggi il lavoro di Hess è molto più conosciuto, ciò si deve in gran parte a una diversa organizzazione nazionale della ricerca in Germania e in Italia. Un’organizzazione nazionale della ricerca illuminata, aperta e lungimirante può essere la chiave del successo e del consolidamento di una tradizione culturale. Molti sono abituati a pensare che agli italiani non serva organizzazione, e che il “genio italico” riesca a sopperire alla carenza d’infrastrutture; probabilmente questo non è mai stato vero, e certamente non è vero nella scienza di oggi. La vicenda di Pacini dovrebbe servire da insegnamento per la politica scientifica del futuro. Si vuole comunque sottolineare a conclusione del capitolo, dopo aver cercato di dare un resoconto obiettivo e organico della storia, l’opinione personale dell’autore di questo libro: e cioè che al di là delle nostre cure e delle nostre pene di studiosi, rivolte a un’organizzazione corretta e ben pianificata del progresso della scienza e della società, la vita sia fatta anche di episodi.
Capitolo
7
I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
Dopo la fondamentale scoperta dell’antimateria da parte di Anderson, i nuovi risultati sperimentali sulla fisica delle particelle elementari con i raggi cosmici ebbero un’accelerazione, guidata e accompagnata da un miglioramento degli strumenti di rivelazione, e in particolare dal perfezionamento della camera a nebbia. Una scoperta immediatamente successiva fu quella della conversione dei fotoni in coppie di elettroni e positroni [86] nel 1933. Oltre a predire l’esistenza dell’antielettrone o positrone, la teoria di Dirac prevede anche che un fotone di energia sufficientemente alta possa trasformarsi in una coppia elettrone-antielettrone; il fenomeno fu effettivamente osservato nei raggi cosmici da Blackett1 e Occhialini2 , che avevano inventato a Cambridge una nuova tecnica di osservazione accoppiando una camera a nebbia a un sistema di contatori in coincidenza in modo tale che si poteva decidere di fotografare la camera a nebbia stessa in corrispondenza 1 Patrick Maynard Stuart Blackett (Londra 1897-1974) era un fisico britannico. Do-
po gli studi e un periodo post-dottorale all’Università di Cambridge lavorò all’Università di Manchester e all’Imperial College di Londra. È noto per i suoi studi sulla camera a nebbia, per il perfezionamento della quale gli fu conferito il premio Nobel per la fisica nel 1948. 2 Giuseppe (per gli amici Beppo) Occhialini (Fossombrone 1907 - Parigi 1993) fu professore di fisica a Milano. Contribuì in maniera essenziale all’ideazione e allo sviluppo della tecnica delle camere a nebbia, tecnica mediante la quale si scoprirono gli sciami di particelle e gli elettroni positivi nella radiazione cosmica. Essenziale fu anche il suo contributo allo sviluppo della tecnica delle emulsioni nucleari. Occhialini esplorò nuovi campi di ricerca, tra i quali spicca quello della fisica dello spazio, e partecipò alla fondazione dell’Agenzia Spaziale Europea [85].
A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
76 L’enigma dei raggi cosmici
del passaggio di raggi cosmici. Questo aumentava la probabilità di ottenere una fotografia significativa, e quindi l’efficienza. La produzione di coppie elettrone-antielettrone è una conferma dell’equivalenza tra massa ed energia: la differenza tra una particella di massa non nulla e una senza massa non è cruciale. Questa è una conferma semplice e diretta di quanto predetto dalla teoria della relatività. È anche una dimostrazione del comportamento particellare della luce, e conferma il concetto quantistico che inizialmente era stato espresso come “dualismo onda-particella”: il fotone si comporta in modo evidente come particella di luce.
7.1
Il leptone μ e i mesoni
Già nel XVII secolo Newton aveva concluso che oltre all’interazione elettrica e alla forza di gravità doveva esistere a piccole scale di distanza un’interazione più forte che teneva insieme la materia, interazione che diventava invisibile a grandi distanze. Questa interazione è stata proprio chiamata in seguito “forte” (o anche “nucleare”). Fino a un secolo fa, tuttavia, nessuno sapeva spiegare come questa forza, intensissima a distanze dell’ordine di un fermi (detto anche femtometro, un miliardesimo di micron), si attenuasse rapidamente a maggiori distanze (essendo già trascurabile a una distanza di un millesimo di micron). Nel 1935 il fisico giapponese Yukawa3 , allora ventottenne, formulò un’innovativa teoria della forza “forte” che spiegava il comportamento di quest’interazione [87]. Tale teoria aveva notevoli analogie con la teoria dell’interazione elettromagnetica, richiedendo una particella “mediatrice”; mentre però l’interazione elettromagnetica è mediata dal fotone, una particella di massa nulla, l’interazione forte sarebbe stata mediata da una particella a quel tempo non ancora scoperta, di massa intermedia tra quella dell’elettrone e quella del protone – e per questo chiamata mesone (“in mezzo” tra l’elettrone e in protone). Se la massa del protone corrisponde a un’energia di circa 1 GeV, la massa dell’elettrone è un duemillesimo di questa; Yukawa formulò la previsione secon3 Hideki Yukawa (Tokyo 1907 - Kyoto 1981), professore all’università di Kyoto, die-
de fondamentali contributi alla meccanica quantistica. Per le sue ricerche gli fu assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1949.
77 Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
do cui il mesone doveva avere una massa di circa un decimo di GeV (circa duecento volte la massa dell’elettrone): una tale massa avrebbe spiegato il rapido attenuarsi dell’interazione forte con la distanza. Negli anni successivi gli studiosi dei raggi cosmici cominciarono a notare nuovi tipi di particelle di masse intermedie. Lo stesso Anderson, che nel frattempo era diventato professore, e il suo studente S.H. Neddermeyer osservarono sulle montagne del Colorado particelle di raggi cosmici positivi e negativi con una capacità di penetrazione che superava quella delle particelle conosciute al tempo; sembrava che queste particelle fossero più pesanti dell’elettrone ma più leggere del protone. Neddermeyer e Anderson pubblicarono i loro risultati nel 1937 [88], suggerendo il nome “mesotrone” per la nuova particella. Negli anni 1938 e 1939 venne effettuata grazie all’analisi di fotografie di raggi cosmici in camera a nebbia una misura accurata, calcolando la quantità di moto dalla curvatura della traiettoria in campo magnetico, e la velocità dalla ionizzazione. Le misure fornirono un valore di un decimo di GeV per la massa (più precisamente, una massa compresa tra 200 volte la massa dell’elettrone e 240 volte la massa dell’elettrone); questo corrispondeva alle previsioni di Yukawa. La maggior parte dei ricercatori si convinse che queste particelle fossero proprio i portatori della forza “forte” previsti da Yukawa, e che venissero create quando raggi cosmici primari urtano nuclei negli strati più alti dell’atmosfera, così come un elettrone emette fotoni quando si scontra con un nucleo. Vedremo che l’interpretazione era sbagliata: i mesotroni erano ben presto destinati a cambiare nome. La vita media dei mesotroni fu misurata studiandone il flusso a diverse altitudini, in particolare dal gruppo di Bruno Rossi in Colorado (Rossi si era nel frattempo trasferito negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni razziali); il risultato fu che tale vita media era di circa due microsecondi (circa cento volte più grande di quella predetta da Yukawa per la particella che trasmetteva l’interazione forte, ma comunque non troppo dissimile). L’attenuazione del numero di mesotroni in funzione dell’altitudine consentì anche una verifica della cosiddetta “dilatazione dei tempi”, prevista dalla teoria della relatività (in assenza di tale dilatazione, i mesotroni dovrebbero percorrere in media solo uno spazio pari al prodotto della loro vita media per la velocità della luce, circa 600 metri, e non arrivare mai dall’alta atmosfera alla superficie della Terra).
78 L’enigma dei raggi cosmici
Si trovò che alla fine della sua vita il mesotrone decadeva in un elettrone e in altre particelle neutre (neutrini) che non lasciavano tracce nella camera a bolle (il mesotrone positivo decadeva in un elettrone positivo e in neutrini). Al di là dell’eccitazione iniziale, però, i conti non tornavano. In particolare, la particella di Yukawa era la “colla” fra i nucleoni (ossia i protoni e i neutroni), e quindi non poteva essere altamente penetrante – i nuclei dell’atmosfera avrebbero dovuto assorbirla rapidamente. Molti teorici cercarono spiegazioni complicate per salvare la teoria. La spiegazione più semplice si dimostrò corretta: quello che era stato chiamato mesotrone non era la particella di Yukawa. L’ipotesi formulata fu che le particelle in gioco fossero due: la particella predetta da Yukawa, da allora chiamata pione (anche il termine “mesone π” viene utilizzato per indicare lo stesso oggetto), è creata nelle interazioni dei protoni cosmici con l’atmosfera, e poi interagisce con i nuclei dell’atmosfera o decade in quello che era stato chiamato mesotrone; quest’ultima particella, che da allora venne chiamata muone (o, per motivi che chiariremo dopo, leptone μ), non è il portatore della forza “forte”. La misura chiave in proposito è dovuta a Marcello Conversi e Oreste Piccioni, ai quali in un secondo tempo si aggregò Ettore Pancini. Questi ricercatori, in un epico esperimento [89] per misurare la penetrazione dei raggi cosmici con coincidenze veloci alla Rossi, svolto a Roma tra il 1941 e il 1944, in mezzo ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, determinarono che i muoni cosmici non potevano essere le particelle responsabili dell’interazione forte che tiene insieme i nucleoni nei nuclei. Quando il loro apparato sperimentale era quasi pronto, nel 1943, l’Università di Roma fu duramente bombardata; Conversi e Piccioni spostarono tutti gli strumenti in un sotterraneo presso il Vaticano, nella convinzione poi verificatasi corretta di essere maggiormente al sicuro. I risultati finali dell’esperimento furono pubblicati solo nel 1947. Restava ancora da scoprire il pione, il vero mesone di Yukawa. Se il pione interagiva velocemente con i nuclei, per trovarlo sperimentalmente l’unica possibilità sembrava di andare a compiere misure in altissima montagna o inviare rivelatori nelle fasce superiori dell’atmosfera (questo può essere per esempio realizzato mediante palloni senza equipaggio, o mediante palloni con cabine pressurizzate; agli inizi tuttavia vennero effettuati anche voli su ca-
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4 Cecil Frank Powell (Tonbridge, UK 1903 - Valsassina 1969) fu studente di Ruther-
ford e Wilson a Cambridge, e divenne poi professore a Bristol. Gli fu assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1950 per lo sviluppo del metodo fotografico e le scoperte sui mesoni compiute grazie a tale metodo.
Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
bine non pressurizzate, alcuni dei quali si conclusero tragicamente). Il problema era quello di progettare rivelatori appropriati, che funzionassero efficientemente senza supervisione umana e senza energia elettrica. Fra gli anni ’30 e gli anni ’40 la tecnica delle misure nella stratosfera (ad altezze superiori a 12-15 chilometri) ebbe grande sviluppo soprattutto nel contesto delle ricerche sui raggi cosmici, grazie ai fratelli Piccard e alla Società Spaziale Sovietica, istituita nel 1929. Nel 1932 Auguste Piccard raggiunse i 16 chilometri di altezza. Nel 1933 il pallone sovietico “Sirius” raggiunse i 18 chilometri di altezza, e tornò al suolo con i suoi tre passeggeri sani e salvi. Alla fine del 1933 Jean Piccard, fratello di Auguste (fra i due fratelli era in corso una sfida), volò con il pallone “Secolo del progresso” (Fig. 7.1) fino a quasi 19 km; a bordo aveva strumenti per la rivelazione dei raggi cosmici, e moscerini per studiare se l’esposizione ai raggi cosmici potesse indurre mutazioni genetiche. Nel 1934, raggiunta una quota di 20 chilometri, il “Sirius” collassò e cadde, con la morte dei tre ricercatori a bordo impegnati in una missione per lo studio dei raggi cosmici. Una serie di francobolli fu emessa per celebrare i fasti del “Sirius”. La tecnica di voli su palloni stratosferici sarebbe ripresa con grande vigore dopo la seconda guerra mondiale. Powell4 e Occhialini (che era tornato in Inghilterra dopo aver trascorso un periodo in Brasile, dove aveva fondato una scuola di studiosi dei raggi cosmici ancora oggi attivissima) in Inghilterra tentarono entrambe le sfide, quella dei palloni aerostatici e quella dell’alta montagna. Avevano risolto il problema dei rivelatori non supervisionati utilizzando emulsioni nucleari (una tecnica simile a quella usata da Marie Curie nei suoi studi sulla radioattività con emulsioni fotografiche) che venivano analizzate con un microscopio. Le emulsioni nucleari sono rivelatori di particelle subnucleari con ottima risoluzione spaziale (migliore di un decimo di micrometro) costituiti da cristalli di sali d’argento in sospensione in un gel organico (spesso di origine animale). Rispetto alle normali emulsioni fotografiche, le emulsioni nucleari sono di maggiore spessore (e
80 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 7.1. Il volo del “Secolo del progresso” nel 1933
quindi consentono una ricostruzione tridimensionale) e hanno una maggiore densità di cristalli. Come le pellicole fotografiche esse vanno sviluppate dopo l’esposizione per visualizzare l’immagine. Analogamente al caso della camera a nebbia la massa della particella può essere ottenuta dalla densità dei puntini che formano la traccia e dalle deviazioni della traiettoria da una linea retta a causa di collisioni con i nuclei dell’emulsione; più lenta è la particella, più atomi è in grado di ionizzare, e maggiore è la densità dei punti; più leggera è la particella, più facilmente viene deviata negli urti. Nel 1946 Powell e Occhialini esposero alcune dozzine di lastre fotografiche sul Pic du Midi, nei Pirenei francesi, a un’altitudine di circa 2 900 metri. Contemporaneamente Perkins dell’Imperial College di Londra volò su un aereo della RAF a 9 100 metri di altitudine, portando con sé lastre fotografiche che vennero impressionate dai raggi cosmici. I risultati sembravano indicare l’esistenza del pione, ma non erano decisivi. Erano necessarie misure più complete, con lunghe esposizioni ad altezze superiori a quella del Pic du Midi. Fortunatamente Oc-
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chialini aveva portato con sé dal Brasile uno studente, Cesare Lattes5 , che conosceva il luogo giusto per svolgere le misure: l’altopiano delle Ande. In particolare sul monte Chacaltaya in Bolivia, non lontano dalla capitale La Paz, c’era un laboratorio meteorologico a 5 500 metri di altezza. Nel 1947 Powell, Occhialini e Lattes [90], esponendo emulsioni nucleari ai raggi cosmici sul monte Chacaltaya, dimostrarono finalmente l’esistenza dei pioni carichi, positivi e negativi, osservando contemporaneamente il pione e il muone e determinandone le masse (la massa del pione risultò del 30% superiore a quella del muone). Per questa scoperta a Cecil Powell, capogruppo, fu assegnato il premio Nobel nel 1950. Numerose fotografie di emulsioni nucleari raccolte nel seguito, soprattutto in esperimenti su pallone aerostatico, mostrarono chiaramente le tracce di due tipi di particelle. La particella più pesante era il pione. Alla fine della sua traccia cominciava quella di una particella più leggera; questa particella era il muone. L’analisi delle emulsioni consentì di misurare la massa del muone, che risultò essere di circa 106 MeV (1 MeV è un millesimo di GeV, circa due volte la massa dell’elettrone), e la massa del pione carico, che risultò di 140 MeV. In alcune fotografie si vedeva la catena completa di decadimenti π → μ → e (Fig. 7.2). 5 Cesare (o César) Lattes (Paraná 1924 - Campinas 2005) fu un fisico brasiliano di
origine italiana. Professore a Rio de Janeiro, a San Paolo e a Campinas, fondò il Centro Brasiliano di Ricerche Fisiche.
Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
Fig. 7.2. Pione e muone: la catena di decadimenti π → μ → e (il pione viaggia dal basso in alto a sinistra, il muone orizzontalmente, e l’elettrone dal basso in alto a destra della fotografia). La quantità di moto mancante è trasportata da neutrini. Da C.F. Powell, P.H. Fowler & D.H. Perkins, The Study of Elementary Particles by the Photographic Method (Pergamon Press 1959)
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A questo punto era chiara la distinzione tra pioni e muoni. Il leptone μ, o muone, è un fratello maggiore dell’elettrone, e appartiene quindi alla famiglia dei leptoni; è molto penetrante perché come tutti i leptoni non “sente” l’interazione forte. Dopo la scoperta del pione il muone, in base alle conoscenze dell’epoca, non aveva nessun motivo teorico per esistere (è attribuita al fisico Isidor Rabi negli anni ’40 la famosa battuta: “Chi l’ha ordinato?”).
Il pione neutro Prima ancora di sapere che i mesotroni non erano le particelle di Yukawa, la teoria dei mesoni ebbe grande sviluppo. Nel 1938 in Gran Bretagna Kemmer aveva pubblicato la teoria della simmetria di carica, secondo la quale il fatto che le forze fra protoni e neutroni, fra neutroni e neutroni e fra protoni e protoni sono simili implica che esistano mesoni positivi, negativi e anche neutri. Il pione neutro era più difficile da scoprire rispetto a quello carico, a causa del fatto che le particelle neutre non lasciano tracce nei rivelatori (e anche del fatto, scoperto successivamente, che la sua vita è cento milioni di volte più breve). Tuttavia, fra il 1947 e il 1950, esso fu identificato nei raggi cosmici analizzando i suoi prodotti di decadimento all’interno degli sciami; più tardi arrivò una conferma chiara mediante acceleratori di particelle. Così, dopo quindici anni di ricerca, la teoria di Yukawa aveva finalmente trovato completa conferma.
7.2
La scoperta della stranezza
Anche la scoperta delle cosiddette “particelle strane” [91] fu realizzata grazie ai raggi cosmici. Nel 1947, dopo che lo spinoso problema del mesone era stato risolto, la fisica delle particelle sembrava una scienza compiuta. Si conoscevano 14 particelle (alcune delle quali all’epoca erano solo postulate, e sarebbero state trovate sperimentalmente in seguito): al protone, al neutrone (protone e neutrone nel loro insieme appartengono alla famiglia dei barioni; l’etimologia greca della parola richiama al concetto di “pesantezza”) e all’elettrone, con le loro antiparticelle, si affiancavano il neutrino, che era stato
83
Fig. 7.3. Le prime immagini del decadimento di particelle che oggi conosciamo come mesoni K o kaoni – i primi esempi di particelle “strane”. L’immagine di sinistra mostra il decadimento di un kaone neutro. Essendo neutro esso non lascia traccia, ma quando decade in due particelle più leggere cariche, ognuna delle quali è un pione (appena sotto la barra centrale verso destra), appare una “V”. L’immagine a destra mostra il decadimento di un kaone carico in un muone e un neutrino. Il kaone arriva in alto a destra della camera e il decadimento avviene dove la traccia sembra piegare bruscamente a sinistra. La traccia al di là di questo nodo è dovuta al muone, che attraversa la barra centrale essendo altamente penetrante. Il neutrino non ha carica e rimane invisibile nel rivelatore – la sua presenza è dedotta dall’apparente violazione della conservazione della quantità di moto (da C. Butler e G. Rochester, 1947)
Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
postulato per spiegare apparenti violazioni osservate al principio di conservazione dell’energia, tre pioni e due muoni. A parte il muone, che sembrava una particella inutile, tutte le altre parevano avere un ruolo nella natura: l’elettrone e i nucleoni costituiscono l’atomo, il fotone trasporta la forza elettromagnetica, e il pione la forza “forte”. I neutrini sono necessari per la conservazione dell’energia. Ma ancora una volta, quando tutto sembrava chiarito, una nuova rivoluzione era dietro l’angolo. Fin dal 1944 strane topologie di particelle cosmiche cominciarono a venire fotografate di quando in quando in camere a nebbia. Nel 1947 G.D. Rochester e C.C. Butler dell’Università di Manchester
84 L’enigma dei raggi cosmici
osservarono chiaramente nelle fotografie di camera a bolle un paio di tracce, provenienti da un unico punto, a forma di lettera V; le due tracce venivano deviate in versi opposti da un campo magnetico esterno [91]. L’analisi della fotografia dimostrò che una particella sconosciuta neutra, con massa di circa mezzo GeV (intermedia tra la massa di un protone e quella di un pione) si disintegrava in una coppia di pioni di carica opposta. Una traccia spezzata in una seconda fotografia indicava il decadimento di una particella carica, all’incirca della stessa massa, in una coppia di pioni, uno neutro e l’altro carico (Fig. 7.3). Queste particelle, che venivano prodotte unicamente in interazioni molto energetiche, si osservavano solo ogni centinaio di fotografie. Fino al 1953 non fu possibile produrle in laboratorio, e i raggi cosmici ne costituirono l’unica sorgente. Esse sono oggi note come mesoni K (o kaoni); i kaoni possono essere positivi, negativi o neutri. Una nuova famiglia di particelle era stata scoperta, e queste nuove particelle vennero chiamate “particelle strane” (per usare una terminologia moderna, tutte le particelle composte dal quark strano). Lo studio dei mesoni K motivò l’esperimento G-Stack, un rivelatore su pallone che per primo dimostrò la violazione della simmetria di parità. Dopo i mesoni K vennero scoperte anche particelle strane più pesanti del protone e del neutrone. Esse decadevano con una topologia “a V” in stati finali che includevano protoni: erano i cosiddetti barioni strani, o iperoni (Λ, Σ, . . . ).
Laboratori sulle montagne La scoperta dei mesoni, che aveva messo in subbuglio la fisica mondiale nell’immediato dopoguerra, si può considerare come l’origine della “moderna” fisica delle particelle elementari. Gli anni successivi mostrarono un rapido sviluppo dei gruppi di ricerca che si occupavano di raggi cosmici, insieme a un progresso delle tecniche sperimentali di rivelazione, che sfruttavano la complementarietà delle camere a nebbia e delle emulsioni nucleari. Il costo limitato delle emulsioni nucleari consentì la diffusione di esperimenti e lo stabilirsi di collaborazioni internazionali. Divenne evidente che era opportuno attrezzare laboratori sulle montagne per studiare i raggi cosmici; in Europa l’Italia (Fig. 7.4), la Francia e l’Unione Sovietica in particolare si arricchirono di tali laboratori.
85
Per quanto riguarda l’Italia, il gruppo di fisici di Roma guidato da Gilberto Bernardini con Pancini, Conversi ed Edoardo Amaldi costruì il laboratorio della Testa Grigia di Cervinia. Il laboratorio era stato collocato nel posto più alto d’Italia che fosse in teoria raggiungibile tutto l’anno; la quota era di 3 505 metri. Era collegato con il fondovalle tramite la più alta funivia d’Europa inaugurata, a sua volta, nel 1938. Costruito in legno e alluminio per permettere la massima penetrazione dei raggi cosmici, doveva però resistere a venti fortissimi e metri di neve in inverno. Venne inaugurato nel 1948, e formò la scuola di Torino. Nel 1950 la SADE (Società Adriatica di Elettricità), che allora aveva il monopolio nel Triveneto della produzione e della distribuzione dell’energia elettrica, iniziò la costruzione di una diga per ottenere energia idroelettrica immagazzinando le acque di disgelo della Marmolada presso il Pian Fedaia, alla quota di circa 2 000 metri. Per iniziativa di Antonio Rostagni di Padova fu costrui-
Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
Fig. 7.4. Il laboratorio della Testa Grigia (sopra) e quello del passo Fedaia (sotto)
86 L’enigma dei raggi cosmici
to ai piedi del versante Nord della Marmolada un laboratorio per lo studio dei raggi cosmici, che poteva disporre di grandi quantità di energia elettrica. Fu quindi possibile sistemarvi un grande elettromagnete, costruito all’uopo dall’ingegner Someda; giovani fisici di Padova come Bassi, Cresti, Filosofo, Guerriero, Loria, Zago, vi trasferirono una parte rilevante della loro attività sperimentale. Fermi e Powell vi passarono brevi periodi. Nel frattempo, tuttavia, la tecnologia degli acceleratori di particelle cominciava ad affermarsi consentendo di effettuare misure in condizioni controllate.
7.3
Lo “zoo” delle particelle
I fisici delle particelle utilizzarono i raggi cosmici come strumento principale per le loro ricerche fino all’avvento degli acceleratori di particelle negli anni ’50, e i risultati pionieristici in questo campo sono dovuti ai raggi cosmici. Per i primi trent’anni i raggi cosmici consentirono di ricavare informazioni sulla fisica delle particelle elementari. Con l’avvento
Fig. 7.5. Il cosiddetto “acceleratore massimo” di Fermi (riproduzione del disegno originale di Fermi nel suo discorso del 1954 all’American Physical Society) (Fermi National Laboratory, Batavia, IL)
87
6 Enrico Fermi (Roma 1901 - Chicago 1954) dopo aver studiato a Pisa si presentò
nel 1922, per avere suggerimenti sulla strada da intraprendere, a Corbino, allora direttore dell’Istituto di fisica dell’università di Roma. Questi riconobbe subito l’eccezionalità del giovane e si adoperò per indirizzarlo alla carriera accademica. Nel 1925 Fermi andò a Firenze come professore incaricato di meccanica razionale, e dopo avere pubblicato nel 1926 il famoso articolo su quella che oggi viene chiamata statistica di Fermi fu chiamato in cattedra a Roma. Ben presto si circondò di un gruppo di brillanti giovani collaboratori, i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, tra cui E. Amaldi, E. Majorana, B. Pontecorvo, Rasetti, Segrè. Per Fermi, teoria ed esperimento erano inseparabili: come altri grandi fisici del passato egli tenne sempre ferma per tutta la vita, e realizzò nella propria attività di ricerca, l’esigenza di una stretta unità di competenze e di capacità teoriche e sperimentali. Nel 1934 scoprì che i neutroni lenti catalizzavano una certo tipo di reazioni nucleari, il che consentì di ricavare energia atomica dalla fissione. Il lavoro intensissimo dei “ragazzi di via Panisperna” sui neutroni proseguì nel 1935, ma sul finire di quell’anno Rasetti si trasferì in America, Pontecorvo a Parigi, Segrè divenne professore a Palermo. Nel 1938 Fermi si recò a Stoccolma per ricevere il premio Nobel, conferito per questi suoi fondamentali lavori sui neutroni, e da lì proseguì per gli Stati Uniti, dove si stabilì prendendo la cittadinanza americana nel 1944 in aperta contestazione delle leggi razziali. Partecipò attivamente al progetto Manhattan, per l’utilizzazione bellica dell’energia nucleare, ma si espresse contro l’uso della bomba atomica su bersagli civili. Subito dopo la fine della guerra, si dedicò a studi teorici sulla fisica delle particelle elementari e sull’origine dei raggi cosmici. Pochi scienziati del Novecento hanno inciso così profondamente come Fermi in settori diversi della fisica: Fermi si colloca per eleganza e potenza di pensiero nel gruppo di geni immortali come Einstein, Landau, Feynman, Heisenberg.
Capitolo 7. I raggi cosmici e la fisica delle particelle elementari
degli acceleratori di particelle, a partire dal 1950, la maggior parte dei fisici passò dalla caccia alla pastorizia. Sono questi gli anni del cosiddetto “zoo di particelle”: il numero di quark passa da tre a sei, il numero di mesoni da una manciata a un migliaio, il numero di barioni da tre a qualche centinaio. Va però sottolineato che, nonostante i grandi progressi della tecnica degli acceleratori, e gli indubbi vantaggi della pastorizia rispetto alla caccia, le più alte energie saranno sempre raggiunte dai raggi cosmici. I padri fondatori del CERN (Laboratorio Europeo per la Fisica delle Particelle), nella costituzione dell’organismo di ricerca (Convention for the Establishment of a European Organization for Nuclear Research, 1953) specificarono esplicitamente che tra gli scopi dell’ente c’è lo studio dei raggi cosmici. Abbiamo già fornito nell’introduzione una stima della massima energia ragionevolmente possibile per le energie raggiunte da un acceleratore. È interessante a questo proposito riportare un calcolo [92] effettuato da Fermi6 per stimare la massima energia raggiungibile – anche irragionevolmente e con ipotesi ottimistiche.
88 L’enigma dei raggi cosmici
Fermi aveva preso in considerazione un acceleratore di protoni con un anello grande come la circonferenza massima della Terra (Fig. 7.5). Nel discorso “What can we learn with High Energy Accelerators” (“Che cosa possiamo imparare dagli acceleratori di alta energia”) tenuto all’American Physical Society il 29 gennaio del 1954, aveva considerato l’ipotesi di un acceleratore di protoni, avente il raggio terrestre, come il maggior acceleratore possibile. Assumendo un campo magnetico di 2 tesla, si ottiene un’energia massima di circa 5 000 TeV. È l’energia dei raggi cosmici un po’ sotto il “ginocchio”, la tipica energia degli acceleratori galattici. Fermi stimò con grande ottimismo, estrapolando il ritmo del progresso degli acceleratori negli anni ’50, che questo acceleratore si sarebbe potuto realizzare nel 1994 al costo di circa 170 miliardi di dollari. Le cose non sono andate come Fermi prevedeva, e il progresso degli acceleratori è rallentato. I cacciatori di particelle hanno continuato a lavorare e da vent’anni stanno vivendo una nuova stagione di gloria.
7.4
Il meccanismo di accelerazione di Fermi
Nel grande giallo mancava ancora una spiegazione del modo in cui i raggi cosmici sono accelerati, il modo cioè in cui acquisiscono le altissime energie che hanno quando li riveliamo sulla Terra. A questa domanda diede una risposta Enrico Fermi alla fine degli anni ’40. L’idea originale di Fermi [93] era che le particelle cariche nella galassia guadagnassero energia nelle collisioni con le regioni di disomogeneità dei campi magnetici, regioni che sono in movimento (il mezzo interstellare è occupato da un plasma a bassa densità che si sposta). Questa è una successione di molti eventi casuali, durante i quali una particella acquista ogni volta una frazione di energia proporzionale a quella iniziale, fino ad arrivare a energie altissime, un po’ come nel caso di una palla da tennis che viene colpita più volte da racchette (le quali pure hanno velocità non troppo alte rispetto alla velocità finale acquisita dalla palla). Fermi poté spiegare il fatto che lo spettro di energia dei raggi cosmici è descritto da una legge di potenza. Successivamente l’idea di Fermi venne raffinata, ma è ancora alla base della visione odierna del meccanismo di accelerazione.
Capitolo
8
La fisica dei raggi cosmici oggi
I raggi cosmici sono oggi in primo piano nella ricerca soprattutto grazie al nuovo campo d’indagine costituito dalla cosiddetta fisica astroparticellare, un settore interdisciplinare tra astrofisica, cosmologia e fisica delle particelle elementari. La fisica astroparticellare è cresciuta e sta crescendo in modo considerevole nel XXI secolo e molti grandi progetti sono in corso per la ricerca, ad esempio, della materia oscura1 dell’universo. Circa un centinaio di esperimenti sui raggi cosmici sono attualmente operativi, spesso sulle montagne più sperdute; essendo più economica della fisica agli acceleratori, la fisica dei raggi cosmici è più “dispersa” e interessa anche piccole nazioni. Il lavoro è faticoso e spesso svolto in condizioni difficili; decine di colleghi hanno pagato con la vita il loro impegno, e tra questi l’amico Florian Göbel cui questo libro è dedicato. Ma i luoghi sono spesso bellissimi, e l’entusiasmo delle scoperte fa dimenticare la fatica e le difficoltà. Alcuni esperimenti sono collocati in gallerie nelle montagne, per schermare i rivelatori dai raggi cosmici meno penetranti e registrare solo le particelle più penetranti (i muoni e, a maggior ragione, i neutrini, che a energie ordinarie hanno scarsa probabilità di interagire con la materia anche passando attraverso il diametro della Terra). Grandi laboratori in cui si svolgono queste ri1 La cosiddetta materia oscura è una forma di materia non ancora rivelata, che si
pensa costituisca circa un quarto del contenuto totale di energia dell’universo e circa il 90% della sua massa; essa manifesta i suoi effetti gravitazionali in molteplici fenomeni astronomici, ma la sua natura è uno dei principali misteri della fisica moderna.
A. De Angelis, L'enigma dei raggi cosmici © Springer-Verlag Italia 2012
90 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 8.1. L’osservatorio Pierre Auger in Argentina, con i suoi 1 600 “bidoni” e i quattro rivelatori di fluorescenza periferici (la distanza orizzontale coperta dalla mappa è di oltre sessanta chilometri)
cerche si trovano per esempio in Italia (i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti, in Canada, e in Giappone, dove la fisica delle particelle elementari è stata eccellente negli ultimi anni dominando in particolare il panorama mondiale della fisica dei neutrini con una messe di nuovi risultati. Molti esperimenti sono posti negli osservatori astrofisici; molti in regioni desertiche.
8.1
Raggi cosmici di altissima energia
Lo studio degli sciami indotti nell’atmosfera dai raggi cosmici di più alta energia, settant’anni dopo la scoperta di sciami atmosferici di particelle da parte di Rossi e Auger, continua a essere fonte di nuove conoscenze. Come studiare l’origine dei raggi cosmici? Un modo diretto potrebbe essere una specie di “osservazione astronomica”, mappan-
91
2 James (Jim) Cronin (Chicago 1931) è un fisico americano, professore emerito
a Chicago, insignito del premio Nobel nel 1980 per i suoi studi sulle proprietà dei mesoni K.
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
do il cielo con i raggi cosmici stessi. Il valore dei campi magnetici galattici tuttavia fa sì che le particelle cariche (che costituiscono come abbiamo visto la componente principale dei raggi cosmici) vengano deviate e non sia possibile tracciarne l’origine, a meno che non si arrivi a energie qualche joule (un joule, l’unità di misura dell’energia nel sistema internazionale, è all’incirca l’energia cinetica acquisita da una massa di 100 grammi che cade da un’altezza di un metro; corrisponde a più di sei miliardi di GeV) e oltre per particella. Il rapido calo del numero di raggi cosmici con l’energia fa sì che a queste energie si abbia meno di una particella per chilometro quadrato ogni anno: occorrono quindi rivelatori grandissimi. La fisica degli sciami però ci viene in aiuto: poiché uno sciame è composto da molte particelle, non occorre coprire tutta la superficie che si vuole usare per la rivelazione, ma è sufficiente campionarla. Nel 1992 Cronin2 e Watson proposero la costruzione di un osservatorio per i raggi cosmici così grande da poter raccogliere una statistica consistente sui raggi cosmici di altissime energie; questo osservatorio richiedeva una nazione generosa e ospitale che mettesse a disposizione una vasta superficie, e l’Argentina rispose positivamente. Nel 2004 il grande rivelatore a terra chiamato Osservatorio Pierre Auger [94] ha cominciato a raccogliere dati; esso campiona attualmente una superficie di oltre 3 000 chilometri quadrati (Fig. 8.1) nella pampa vicino a Malargue (circa tre volte la superficie del comune di Roma, che è il più esteso d’Italia; oltre 50 volte la superficie dell’isola di Manhattan). L’osservatorio Auger [94] sta fornendo informazioni fondamentali sui raggi cosmici, in particolare indicando (Fig. 8.2) che la direzione dei raggi cosmici di energia estremamente alta (superiore ad alcuni joule per particella) sarebbe correlata ai nuclei delle galassie al di fuori della Via Lattea [95]. Sembrerebbe quindi provato che l’origine dei raggi cosmici di altissima energia è legata ai collassi gravitazionali in prossimità dei buchi neri supermassicci. Va anche detto che esiste un limite superiore teorico all’energia dei raggi cosmici che arrivano da sorgenti lontane. Questo limite è
92 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 8.2. I 58 eventi con energia superiore a circa 10 joule visti dall’Osservatorio Auger sono rappresentati con punti neri in una mappa del cielo in coordinate galattiche (la Via Lattea si trova sul piano equatoriale), mentre con diverse gradazioni di scuro è rappresentata la densità di galassie con nuclei attivi (buchi neri supermassicci), entro una distanza di circa 600 milioni di anni luce [4]. Si nota una concentrazione di eventi nella zona ad alta densità di galassie (più scura)
stato calcolato nel 1966 da Greisen, Kuzmin and Zatsepin [96], ed è oggi chiamato in loro onore il “cutoff GZK”. I protoni di energie superiore a una decina di joule interagiscono con i fotoni che sopravvivono dal big bang, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo (in inglese Cosmic Microwave Background, CMB) a una temperatura di circa 3 kelvin, e quindi non viaggiano per distanza superiore a quelle tipiche del superammasso locale di galassie3 . A meno che le leggi della fisica in regioni lontane dell’universo non siano diverse da quelle verificate vicino a noi, quindi, le particelle di altissima energia rivelate provengono da galassie nel nostro superammasso. Lo scoprire una frazione rilevante di particelle oltre il cutoff GZK indicherebbe sorgenti esotiche, come particelle di grandissima massa sopravvissute ai primi istanti di vita dell’universo, o leg3 Le galassie sono organizzate in gruppi, ammassi e superammassi. Il superammas-
so cui appartiene la Via Lattea, la nostra galassia, è detto superammasso locale; esso comprende il nostro Gruppo Locale, e all’interno di questo la nostra galassia. Ha la forma di un disco appiattito, con un diametro di circa 200 milioni di anni luce. Comprende circa 100 tra gruppi e ammassi di galassie, e ha circa 1015 stelle (diecimila volte il numero di stelle della Via Lattea).
93
Fig. 8.3. Il funzionamento del rivelatore di raggi cosmici di altissima energia JEM-EUSO
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
gi della fisica diverse da quelle che conosciamo (come ad esempio una violazione del principio di relatività). L’astronomia con i raggi cosmici carichi è comunque difficile, perché anche con strumenti grandissimi come Auger, il numero di eventi raccolti è piccolo (qualche decina all’anno). Una tecnica recentemente che ha cominciato a dare i suoi frutti “sposta” il problema: poiché l’interazione di raggi cosmici con l’atmosfera comporta l’emissione di onde radio, la rivelazione di transienti radio con antenne può essere associata, in condizioni di basso rumore come quelle che si possono avere in Antartide e in particolare nell’alta atmosfera, a raggi cosmici di altissima energia. L’esperimento ANITA al Polo Sud ha recentemente pubblicato uno spettro di energia dei raggi cosmici con questa tecnica. Un’altra tecnica, che si pensa di realizzare nella decade del 2020, sfrutta l’osservazione del cielo da un’orbita “alta” qualche centinaio di chilometri attorno alla Terra alla ricerca dei “flash” causati dalla luce di fluorescenza che viene dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera. Un piccolo strumento (che potreb-
94 L’enigma dei raggi cosmici
be essere agganciato alla Stazione Spaziale o anche volare su un proprio satellite) può sorvegliare una grandissima superficie efficace (Fig. 8.3); il progetto giapponese JEM-EUSO (Extreme Universe Space Observatory on the Japanese Experiment Module) si sviluppa lungo questa linea.
8.2
Ricerca di antimateria
Nello studio dei raggi cosmici l’alta energia e le grandi distanze non sono l’unica frontiera: anche la ricerca di antimateria può fornire nuove conoscenze fondamentali. La distinzione tra materia e antimateria con gli strumenti attuali è possibile solo fino a energie non altissime; questo tipo di ricerche riguarda quindi il cosiddetto “fondo diffuso” nell’universo, senza possibilità di puntare direttamente alle sorgenti. Come è noto viviamo in un mondo fatto quasi esclusivamente di materia, e uno dei più grandi problemi della fisica attuale è capire perché (l’antimateria è scomparsa nei primi istanti di vita dell’universo o si trova ancora da qualche parte lontano da noi?). Poiché l’antimateria si annichila rapidamente a contatto con la materia, è molto improbabile che una particella primaria di antimateria arrivi sulla Terra, in quanto interagisce prima con l’atmosfera; per questo è necessario collocare i rivelatori di antimateria nello spazio. Lo spettrometro magnetico PAMELA [97] è un satellite principalmente progettato e costruito da scienziati russi e italiani; esso può misurare le cariche e le masse delle particelle, e quindi distinguere tra materia e antimateria. Lanciato nel 2006, ha recentemente rivelato un fatto difficile da spiegare: la quantità di antielettroni è molto più alta di quella che ci si attendeva, e per giunta il rapporto fra antielettroni ed elettroni cresce all’aumentare dell’energia. Tuttora non riusciamo a capire perché; una delle ipotesi è che questo risultato indichi l’esistenza di particelle di grandi masse, riconducibili forse ai primi istanti di vita dell’universo, che decadono “democraticamente” in particelle di materia e particelle di antimateria. La missione AMS-02 [98] della NASA, un rivelatore con una forte partecipazione italiana in orbita dal maggio 2011 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sta per estendere l’indagine astroparticellare sull’antimateria.
95
8.3 Raggi gamma Come si è visto all’inizio di questo capitolo le tecniche basate sulla rivelazione di raggi cosmici carichi richiedono energie elevatissime per poter fare in modo adeguato astrofisica, e la finestra osservativa è molto piccola essendo superiormente limitata dal cutoff GZK. Per questo si seguono linee diverse; quella che ha dato i frutti più spettacolari negli ultimi anni è la rivelazione dei raggi cosmici neutri (che però costituiscono un piccolo sottoinsieme del flusso totale). In particolare i raggi gamma, per i quali siamo ormai riusciti a sviluppare tecniche efficienti di rivelazione [99], sono circa un millesimo del flusso totale di raggi cosmici. I raggi gamma, non venendo deviati dai campi magnetici in quanto neutri, puntano direttamente alle loro sorgenti e sono la “firma” di raggi cosmici decine di volte più energetici. Già nel 1959 a Mosca Giuseppe Cocconi suggerì la possibilità di rivelare fotoni di altissima energia da sorgenti cosmiche; i fotoni gamma potevano essere separati dal fondo perché puntavano alla sorgente, e Cocconi suggerì anche di “osservare” la nebulosa del Granchio, che in base ai suoi calcoli sarebbe potuta essere una sorgente di raggi gamma. La sua proposta motivò Aleksandr Chudakov dell’Istituto Lebedev a costruire pochi anni dopo il primo telescopio per i raggi gamma in Crimea; questo telescopio non riuscì tuttavia a rivelare il segnale dalla nebulosa del Granchio. I fotoni (o raggi) gamma possono venire osservati in modo diretto, sistemando rivelatori su satelliti, o indiretto, rivelando a terra gli sciami di particelle da essi generati nell’interazione con l’atmosfera. Questa seconda tecnica, tuttavia, costringe a osservare soltanto raggi gamma di altissima energia, essendo i raggi gamma di bassa energia assorbiti nelle fasce superiori dell’atmosfera.
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Si stanno anche rendendo disponibili palloni ad alta quota per lunghi voli circumpolari (oltre i quaranta giorni) che potrebbero rendere economica l’esplorazione al di fuori dell’atmosfera; la disponibilità di questo tipo di strumenti potrebbe essere di giovamento anche alla fisica dei raggi gamma (vedi nel seguito).
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I satelliti gamma: Fermi e AGILE L’enigma dei raggi cosmici
Lo studio dei raggi gamma da satellite fu preceduto da una fase pionieristica di studio dell’emissione di sorgenti astrofisiche nella banda dei raggi X [100]. Questo studio rivelò molti nuovi aspetti di tali sorgenti – e per i brillanti risultati ottenuti venne assegnato al fisico italoamericano Riccardo Giacconi (Genova 1931) il premio Nobel per la fisica nel 2002. Dopo che i primi satelliti gamma scoprirono più sorgenti di quante ci si potesse aspettare e strani fenomeni come emissioni violentissime [101] di raggi gamma, come i cosiddetti “fiotti di raggi gamma” (Gamma Ray Bursts, GRB), che emettono in pochi secondi più energia radiante di quanta ne emetta tutto il
Fig. 8.4. Sopra: il satellite Fermi. Sotto: schema di funzionamento del telescopio
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Fig. 8.5. Mappa dell’universo in coordinate galattiche che mostra i circa 1 500 emettitori di raggi gamma a energie più grandi di 100 MeV; la mappa è ricavata dai dati raccolti nel primo anno dal satellite Fermi
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
resto dell’Universo [102], si rese necessario progettare un grande satellite, che richiedeva una grande collaborazione internazionale. Il satellite Fermi della NASA [103], originariamente chiamato GLAST (la NASA usa cambiare nome ai suoi satelliti dopo che sono entrati con successo in orbita), viene ideato nel 1994 dal gruppo di Atwood a Stanford, e nasce alla fine del XX secolo da una collaborazione fra gli Stati Uniti, l’Italia, il Giappone, la Francia e la Svezia. Lanciato nel 2008, orbita a una distanza dalla terra di circa 565 km con un periodo di rivoluzione di 95 minuti; è stato progettato in modo da poter funzionare per almeno dieci anni. Lo schema di funzionamento è illustrato nella Fig. 8.4: il cuore dello strumento, che ha circa 1,8 × 1,8 metri quadrati di superficie, è il Large Area Telescope o LAT, costruito dall’industria italiana; esso registra la conversione dei fotoni gamma attraverso il tracciatore, che è una successione di piani paralleli di rivelatori di silicio intercalati da piani convertitori di tungsteno. Il satellite Fermi ha un peso di circa tre tonnellate, e grazie a un’elettronica sofisticata consuma solo 500 watt (come cinque lampade a incandescenza). Già nel primo anno il satellite Fermi ha identificato circa 1 500 sorgenti di raggi gamma di energia superiore a un decimo di GeV (Fig. 8.5).
98 L’enigma dei raggi cosmici
I raggi gamma sono testimoni di processi particolarmente violenti e lontani dall’equilibrio termico: in particolare una parte dell’energia rilasciata nei collassi gravitazionali di sistemi supermassicci è emessa sotto forma di raggi gamma che hanno consentito e consentono di “fotografare” (anzi di “filmare”, data la rapida variabilità dei processi in gioco) questi eventi cataclismici. Il cielo visto dal satellite Fermi è una sequenza di lucine che si accendono e si spengono con scale di tempi spesso dell’ordine del giorno, e a volte anche di pochi minuti. Un precursore tutto italiano del satellite Fermi è il satellite AGILE (Astro rivelatore Gamma a Immagini LEggero), progettato e costruito dall’Agenzia Spaziale Italiana insieme all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e a industrie italiane di eccellenza. AGILE ha fatto in qualche modo da “guida” a Fermi, venendo lanciato un anno prima; nonostante la sua sensibilità sia circa un decimo di quella del telescopio Fermi, ha fornito e fornisce importanti informazioni scientifiche. Insomma il cielo è abbastanza grande per tutti!
I grandi esperimenti gamma a terra I satelliti, considerando il costo attuale delle tecnologie spaziali, sono vincolati a piccole dimensioni: di fatto, dato il calo rapido del flusso di fotoni gamma con l’aumentare dell’energia, le massime energie rivelabili da satellite sono di circa 100 GeV (se si considera la sorgente di raggi gamma più luminosa del cielo, essa invia su un’area come quella del satellite Fermi, il più grande dei telescopi gamma mai messi in orbita, meno di un fotone al giorno a questa energia). Per esplorare le altissime energie, quelle oltre il centinaio di GeV, occorre dunque utilizzare strumenti al suolo, rivelando gli sciami di particelle prodotti dell’interazione dei raggi gamma con l’atmosfera. Gli sciami di particelle originati da raggi gamma si possono distinguere con sofisticate tecniche di classificazione e riconoscimento dagli sciami originati dai protoni, un migliaio di volte più numerosi. Il numero di particelle cariche prodotte da un tipico sciame elettromagnetico generato da fotoni gamma di altissima energia ha un massimo a cinque-dieci chilometri di quota, ed è trascurabile al livello del mare. Pertanto se vogliamo rivelare i raggi gamma
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con rivelatori di particelle sensibili agli elettroni e ai positroni dello sciame (tecnica cosiddetta degli Extensive Air Shower detectors, rivelatori di sciami estesi, utilizzata per esempio dall’esperimento italo-cinese ARGO in Tibet) bisogna collocare gli strumenti ad altissima quota, con notevoli problemi logistici. Anche con questi sforzi, le soglie minime di energia per i rivelatori di sciami estesi sono piuttosto alte e la sensibilità alla scoperta di nuove sorgenti è limitata. La tecnica che si è dimostrata vincente per l’astrofisica gamma è la tecnica Cherenkov4 , che sfrutta l’emissione di luce da parte delle particelle cariche in uno sciame. Negli sciami, sia elettromagnetici sia adronici, le particelle cariche possono viaggiare a velocità superiori a quella della luce in atmosfera (ricordiamo che questo non viola la teoria della relatività, in quanto la velocità della luce in un materiale trasparente è c/n, dove n è l’indice di rifrazione ed è maggiore dell’unità). In questi casi emettono un lampo di luce, la cosiddetta luce Cherenkov (dal nome dello scopritore del fenomeno, premio Nobel nel 1958 per la scoperta), che è l’analogo ottico 4 Pavel Alekseevic Cherenkov (Novaja Cigla 1904 - Mosca 1990) fu un fisico sovieti-
co, membro della prestigiosa Accademia delle Scienze. A trent’anni scopri l’effetto che oggi porta il suo nome.
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Fig. 8.6. Mappa dell’universo che mostra gli emettitori di raggi gamma a energie più grandi di 100 GeV. Il piano equatoriale mostra la nostra galassia; gli emettitori della Via Lattea sono prevalentemente resti di supernova. Fuori dall’equatore, buchi neri supermassicci di altre galassie
100 L’enigma dei raggi cosmici
del “bang” supersonico per le onde sonore. Il lampo è emesso in un cono di ampiezza di circa un grado rispetto alla direzione della particella che lo genera, e viaggia verso il suolo insieme alle altre particelle dello sciame: la luce è in gran parte visibile, e l’emissione è più intensa nella regione del blu. I rivelatori Cherenkov riflettono con la loro grande superficie ottica il debole lampo di luce su un sensore a matrice di fotomoltiplicatori posto nel piano focale del telescopio; quindi le informazioni sui singoli fotomoltiplicatori (pixel) che hanno ricevuto il segnale vengono digitalizzate. In questo modo il raggio gamma viene fotografato come se fosse una specie di stella cadente, il cui lampo dura appena 2 o 3 nanosecondi; l’immagine viene registrata su un sistema di computer e immagazzinata per l’analisi dei dati. Secondo una tecnica i cui pionieri sono stati Weekes, irlandese divenuto professore a Tucson, e Hillas, la forma dell’immagine consiste di distinguere gli sciami generati da fotoni dagli sciami (molto più numerosi) generati da protoni. Questa tecnica consentì nel 1989 di localizzare il primo emettitore di raggi gamma ad altissima energia, che era proprio la nebulosa del Granchio (Crab nebula). Tre sistemi multitelescopio ad effetto Cherenkov per la rivelazione di raggi gamma altissima energia sono attualmente operativi; essi sono strutturalmente e funzionalmente simili. HESS (High Energy Stereoscopic System, [105]) in Namibia, operativo dal 2003; MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov telescope, [106]) alle Canarie (Fig. 8.7), operativo dal 2004; e VERITAS (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System [107]) nel deserto dell’Arizona, operativo dal 2006, stanno disegnando, in sinergia con il satellite Fermi, la mappa degli emettitori cosmici dei raggi gamma (e quindi, indirettamente, dei raggi cosmici) nella regione dei TeV. Il risultato più importante è proprio quello che dalla morfologia dell’emissione dei resti di supernova nella galassia si è avuta la prova che tali oggetti sono emettitori di raggi cosmici fino ad alcune centinaia di TeV. Grazie ai telescopi Cherenkov negli ultimi cinque anni il numero di sorgenti di altissima energia conosciute è più che decuplicato, con una frequenza di scoperte di circa una o due sorgenti al mese: si conoscono oggi oltre 100 sorgenti. Dalla Fig. 8.6 si vede che il cielo gamma ad altissime energie è popolato soprattutto in corrispondenza del piano galattico: la vicinanza gioca un ruolo fondamentale nel definire l’abbondanza delle sorgenti osservate. Le
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Fig. 8.7. Il sistema binoculare MAGIC sul cratere del vulcano Taburiente (2 250 metri sul livello del mare) all’isola di La Palma, nelle Canarie. Con i suoi due riflettori parabolici da 240 metri quadrati di superficie ciascuno, MAGIC non è solo il più grande rivelatore di raggi cosmici gamma al mondo, ma offre anche la più grande superficie ottica riflettente a scopi astronomici (tale superficie è di costruzione italiana, grazie alle alle Università di Padova, Siena e Udine, all’INFN e all’INAF). Tanto per fornire un raffronto visivo, la casetta bianca che si vede a destra (la sala di controllo di MAGIC) ha due piani
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102 L’enigma dei raggi cosmici
sorgenti soffrono di un interessante effetto di attenuazione: l’universo è poco trasparente ai raggi gamma a causa dell’interazione di questi con la “nebbia” di fotoni infrarossi delle stelle nelle galassie e con la radiazione fossile del big bang; tale interazione porta alla formazione di coppie di particelle di cariche opposte. La misura dell’orizzonte gamma è quindi anche una misura della densità di fotoni nell’universo. Esternamente alla Via Lattea si osservano prevalentemente galassie brillanti, in gran parte nuclei galattici attivi, cioè buchi neri supermassicci al centro di galassie che si stanno accrescendo a spese del materiale stellare circostante. Gli oggetti celesti più lontani non sono facilmente visibili, in quanto più deboli a causa della distanza. La maggior parte delle rivelazioni riguardano un particolare sottoinsieme di nuclei galattici attivi chiamati blazar. In circa un decimo dei nuclei galattici attivi la materia che cade nel buco nero accende potenti getti collimati che fuoriescono a velocità relativistiche in versi opposti (Fig. 1.4). Se un getto è osservato a un angolo piccolo rispetto alla linea di vista, l’emissione rivelata è amplificata per la teoria relatività sino a due o tre ordini di grandezza, e domina l’osservazione: abbiamo in tal caso un blazar. I telescopi Cherenkov stanno anche mettendo alla prova la teoria della relatività in regioni sconosciute, in cui ci si aspetta che essa possa essere violata [108], e studiando la struttura del vuoto quantistico [109]. Le collaborazioni MAGIC, HESS e VERITAS si sono da poco consorziate per costruire lo strumento del futuro: due gigantesche matrici di telescopi, chiamate Cherenkov Telescope Array (CTA), la cui sensibilità dovrebbe superare di oltre un ordine di grandezza quella dei telescopi attuali. Per questa nuova impresa la tecnologia scelta sembra essere simile a quella utilizzata oggi, replicata su decine di strumenti, con due siti, uno nell’emisfero australe e uno nell’emisfero boreale, a coprire superfici di vari chilometri quadrati. L’industria italiana è responsabile dell’ottica di questi strumenti.
8.4
La fisica dei neutrini cosmici
Oltre ai fotoni gamma un altro strumento d’indagine con messaggeri che puntano direttamente alle sorgenti potrebbe essere quel-
103 Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
lo che si basa sulla rivelazione dei neutrini. Fra i raggi cosmici, soprattutto a energie relativamente basse, c’è un gran numero di neutrini, anche perché queste particelle sono prodotte copiosamente dal Sole. I neutrini interagiscono molto poco con la materia: circa 100 miliardi di neutrini provenienti dal Sole passano ogni secondo attraverso un nostro dito, ma non li sentiamo perché interagiscono raramente e solo molto debolmente con la materia. Per ogni cento miliardi di neutrini solari che passano attraverso tutta la Terra, solo uno interagisce con essa. Se da un lato questo consente di guardare l’universo in grande profondità, dall’altro rende difficile costruire rivelatori sensibili. Ci sono tre tipi di neutrini conosciuti. La fusione nucleare nel Sole produce neutrini che sono associati con gli elettroni, i cosiddetti neutrini dell’elettrone. Gli altri due tipi di neutrini, i neutrini muonici e i neutrini del tau, sono prodotti, per esempio, negli acceleratori in laboratorio o a maggior ragione nei grandi acceleratori (resti di supernova e buchi neri) fuori dal sistema solare, o ancora negli sciami che vengono dall’interazione dei raggi cosmici primari con l’atmosfera. Fino agli anni ’90 si sapeva ben poco dei neutrini, a causa della loro scarsa probabilità d’interazione con la materia. Non si sapeva neppure se essi fossero dotati di massa, ed era prevalente l’opinione che ne fossero privi, come i fotoni. Gli anni a cavallo tra il XX e il XXI secolo hanno visto una rivoluzione nella fisica dei neutrini; questa rivoluzione è legata allo studio dei raggi cosmici, e alla costruzione di rivelatori di neutrini così grandi da potere stimare il flusso di queste particelle elusive. Dato che i neutrini hanno probabilità d’interazione bassa, gli esperimenti che li rivelano devono essere schermati dagli altri tipi di radiazione cosmica, ed essere quindi collocati nelle profondità sottomarine, in gallerie dentro le montagne, o in miniere. Il primo mistero legato ai neutrini cosmici è stato storicamente il cosiddetto “problema dei neutrini solari”. Sappiamo che il Sole produce energia tramite un meccanismo di fusione nucleare che in sostanza trasforma idrogeno in elio; questo processo comporta emissione di neutrini dell’elettrone, e dall’energia del Sole siamo in grado di sapere quanti neutrini vengono prodotti ogni secondo. Il primo esperimento in grado di contare i neutrini dell’elettrone emessi dal Sole fu progettato e realizzato negli Stati
104 L’enigma dei raggi cosmici
Uniti da Davis5 ; nel 1968 cominciò a misurare il flusso di neutrini. Questo si rivelò essere circa un terzo di quello calcolato dai modelli di fusione nucleare del Sole (l’esperimento di Davis rivelava solo i neutrini dell’elettrone, mentre non era sensibile ai neutrini muonici e a quelli del tau). Quindi o l’esperimento era sbagliato, o i modelli di emissione da parte del Sole erano sbagliati, oppure infine accadeva qualcosa ai neutrini dell’elettrone nel loro viaggio dal Sole alla Terra. Bruno Pontecorvo6 aveva suggerito una possibile spiegazione, legata alla possibilità che i neutrini si trasformassero l’uno nell’altro durante il viaggio. Questo spiegherebbe un flusso di neutrini dell’elettrone sulla Terra pari a circa un terzo di quello emesso. La fisica quantistica implica che una tale transizione sia possibile solo se i neutrini hanno massa diversa da zero. Questa possibilità motivò Koshiba7 a compiere misure specifiche utilizzando un nuovo rivelatore sotterraneo di neutrini in una miniera di zinco in Giappone, inizialmente da lui concepito per lo studio dei possibili decadimenti dei nucleoni. Il rivelatore Kamiokande è un enorme serbatoio di acqua circondato da rivelatori dei lampi di luce Cherenkov prodotta quando i neutrini interagiscono con i nuclei atomici nelle molecole d’acqua. Koshiba dapprima confermò i risultati di Davis secondo cui neutrini dell’elettrone che arrivano dal Sole sono meno di quelli previsti. Nel 1987 Kamiokande ebbe un colpo di fortuna: una supernova esplose nella
5 Raymond (Ray) Davis (Washington 1914 - New York 2006) era un fisico statuni-
tense; lavorò nell’esercito americano e ai Laboratori Nazionali di Brookhaven. Ideò e diresse un esperimento per la rivelazione di neutrini nelle miniere d’oro di Homestake, in South Dakota; per i risultati di questo esperimento gli fu attribuito il premio Nobel per la fisica nel 2002, premio condiviso con Koshiba e Giacconi. Negli ultimi anni di vita era affetto dalla sindrome di Alzheimer, e la lezione magistrale in occasione della consegna del premio Nobel dovette essere tenuta da suo figlio Andrew, professore a Chicago. 6 Bruno Pontecorvo (Pisa 1913 - Dubna 1993) era un fisico italiano allievo e poi assistente di Enrico Fermi. Divenuto cittadino britannico nel 1948, partecipò alla costruzione della bomba atomica britannica. In seguito nel 1950 si trasferì a Dubna presso Mosca, nel prestigioso centro di ricerca sovietico sull’energia atomica, e lì continuò i suoi studi sui neutrini e sui muoni; divenne Accademico delle Scienze dell’Unione Sovietica. 7 Masatoshi Koshiba (Toyohashi 1926) è un astrofisico giapponese, professore a Chicago e a Tokyo, insignito nel 2002 del premio Nobel per la fisica per i suoi contributi alla fisica dei neutrini.
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Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della Via Lattea, a pochi milioni di anni luce di distanza; il rivelatore osservò un fiotto di dodici neutrini provenienti dall’esplosione (anche l’esperimento IMB negli Stati Uniti osservò otto neutrini in corrispondenza dell’evento, e l’esperimento Baksan in Russia rivelò cinque neutrini). Dopo la costruzione di una versione ancora più grande e più sensibile del suo rivelatore, chiamata Super-Kamiokande (Fig. 8.8) o Super-K, divenuta operativa nel 1996, Koshiba osservò nel 1998 un deficit di neutrini muonici provenienti dai raggi cosmici. Questa era la prova che i neutrini muonici “scomparivano” trasformandosi in un altro tipo di neutrini, e quindi spiegava implicitamente anche
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Fig. 8.8. L’esperimento Super-Kamiokande visto dall’interno. Super-K è costituito da un rivelatore cilindrico di 39 metri di diametro e 42 metri di altezza contenente 50 000 tonnellate di acqua; è posto nella miniera di Kamioka, in Giappone, sotto un chilometro di roccia che lo scherma dai raggi cosmici con l’eccezione dei neutrini. L’acqua costituisce il bersaglio per l’interazione dei neutrini; le particelle prodotte emettono un flash di luce Cherenkov, che viene rivelato da 11 000 fotomoltiplicatori di mezzo metro di diametro che coprono la superficie interna del cilindro. Con questo rivelatore è possibile ricostruire l’energia e la direzione delle particelle provenienti dai neutrini
106 L’enigma dei raggi cosmici
il problema dei neutrini solari. I risultati dei gruppi di Davis e di Koshiba furono completati e migliorati dagli esperimenti GALLEX e MACRO al Gran Sasso. Successivamente, nel 2002 in Giappone, l’esperimento KamLAND, che rivelava neutrini prodotti da un reattore lontano circa 180 chilometri, osservò in condizioni controllate la scomparsa di neutrini dell’elettrone. Contemporaneamente l’esperimento SNO (Sudbury Neutrino Observatory, collocato circa 2 km sotto la superficie terrestre nella miniera Creighton vicino alla città di Sudbury, Ontario) in Canada rivelò la comparsa di neutrini di tipo diverso da quello dell’elettrone dal flusso di neutrini elettronici provenienti dal Sole. Infine nel 2010 l’esperimento OPERA ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che rivela i prodotti dell’interazione di un fascio di neutrini muonici proveniente dal CERN dopo circa 700 chilometri di viaggio sotto la crosta della Terra, migliorò i risultati giapponesi e canadesi fotografando la comparsa di un neutrino del tau (che veniva dunque presumibilmente dalla trasformazione di un neutrino del mu prodotto dal CERN in condizioni controllate); nel 2011 in Giappone l’esperimento T2K, che osserva il flusso di neutrini muonici prodotti dall’acceleratore J-PARC, a circa 300 chilometri di distanza, osservò in 6 casi la comparsa di neutrini dell’elettrone. Quello che è probabilmente il più importante risultato di fisica delle particelle degli ultimi vent’anni (il fatto che il neutrino ha massa diversa da zero) è stato quindi ottenuto dallo studio dei raggi cosmici, e solo molto più tardi è stato confermato grazie agli acceleratori.
I neutrini come tracciatori di processi astrofisici Il fatto che i neutrini abbiano bassa probabilità d’interazione e che viaggino in linea retta li rende anche molto adatti a rivelare sorgenti lontane di raggi cosmici; sfortunatamente, a parte i neutrini solari e i neutrini dalla supernova del 1987 di cui abbiamo già parlato, finora non sono mai state rivelate sorgenti astrofisiche di neutrini. È quindi evidente che i “telescopi di neutrini” per poter rivelare i flussi da sorgenti astrofisiche debbano essere molto più grandi di rivelatori già grandissimi come Super-K. Due linee di ricerca sono in corso per costruire grandi rivelatori di neutrini con volumi attivi dell’ordine del chilometro cubo.
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Fig. 8.9. Il rivelatore IceCube
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Un progetto molto avanzato (IceCube), proposto dal fisico fiammingo-americano Halzen, sfrutta come rivelatori i ghiacci dell’Antartide, instrumentati con fotorivelatori. Il cuore dell’osservatorio comprende oltre 5 000 rivelatori grandi come palloni da pallacanestro, organizzati in 86 serie di 60 e disposti all’interno di un chilometro cubo di ghiaccio (Fig. 8.9). I rivelatori sono stati “calati” nel ghiaccio forando il ghiaccio stesso con trivelle e getti di acqua calda; poco dopo l’operazione, il ghiaccio si riforma e il fotorivelatore è “in posizione”. La costruzione del rivelatore è stata conclusa alla fine del 2010, e gli scienziati impegnati nel progetto stanno ora regolando gli ingranaggi di questa macchina così grande e complicata. Un progetto in corso di perfezionamento è chiamato Km3Net, e consiste in una serie di stringhe di fotorivelatori calati nel mar
108 L’enigma dei raggi cosmici
Mediterraneo, in particolare al largo di Marsiglia, di Capo Passero in Sicilia, e dell’isola di Pilos in Grecia.
8.5
Nuovi messaggeri: il futuro
Le informazioni raccolte dai telescopi gamma presenti e futuri potrebbero aprire la strada ai grandi rivelatori di neutrini cosmici cui abbiamo accennato, e anche ai rivelatori di onde gravitazionali, lungo una via della quale fu pioniere Edoardo Amaldi. Le onde gravitazionali (gravitoni), mai rivelate, sono ipotizzate essere il messaggero della più debole delle interazioni, per l’appunto l’interazione gravitazionale, e sono associate al moto relativo delle masse stesse; sono previste essere particolarmente intense in condizioni di accelerazione come quelle associate a cataclismi cosmici. L’onda gravitazionale, al suo passaggio, deforma lo spazio, e cambia le distanze di quantità piccolissime. Si spera di poter misurare queste variazioni di distanza con il metodo dell’interferometria di fasci di luce. Lo strumento tipico è un interferometro con due bracci perpendicolari tra loro, o un triangolo nel quale si misura la somma degli angoli interni (se questa è diversa da 180 gradi lo spazio si è deformato). Attualmente sono in funzione nel mondo tre grandi interferometri, due negli Stati Uniti per il progetto LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory [111]), con bracci di 4 km, e uno vicino a Pisa (Fig. 8.10), con bracci di 3 km, chiamato Virgo [112]. Questi interferometri lavorano in sinergia per aumentare l’efficienza e consentire di localizzare i possibili emettitori di onde gravitazionali. La speranza è che un cataclisma abbastanza vicino (ma non troppo!) come un’esplosione di supernova o la coalescenza di un sistema binario possa emettere un fiotto di gravitoni abbastanza potente da essere rivelato. Data la trasparenza della materia nei loro confronti, le onde gravitazionali giungono dal cuore del cataclisma stellare, fornendo dati altrimenti inaccessibili. Si ritiene anche che le onde gravitazionali siano il primo segnale emesso in eventi di altissima energia. È in fase di progetto da parte dell’ESA con la collaborazione della NASA un interferometro spaziale chiamato LISA (Laser Inter-
109
ferometer Space Antenna [113]) con bracci di 5 milioni di chilometri (15 volte la distanza tra la Terra e la Luna), da collocare in orbita nel Sistema Solare (Fig. 8.11) all’incirca nel 2020. Si spera che esso sarà sensibile a fenomeni violenti a distanze cosmologiche, quali i collassi di materia e la coalescenza di buchi neri supermassicci; ciò darà preziose informazioni sui primi istanti di vita dell’universo.
5 × 106 km
1A
U
Earth
20
°
°
60
Sun Venus
Mercury
Fig. 8.11. L’orbita del sistema di satelliti LISA nel Sistema Solare
Capitolo 8. La fisica dei raggi cosmici oggi
Fig. 8.10. Vista aerea del rivelatore di onde gravitazionali Virgo a Cascina presso Pisa (laboratorio EGO)
110
8.6
Post scriptum
L’enigma dei raggi cosmici
In un libro come questo, che si conclude con una rassegna degli esperimenti in corso, si rischia di terminare la lettura con una maggiore attenzione rispetto ai problemi da risolvere rispetto alla considerazione della quantità di problemi risolti e delle conoscenze acquisite. Questo sarebbe ingiusto nei confronti dei pionieri dello studio dei raggi cosmici e anche dei ricercatori presenti, visto che in un secolo è stato possibile accumulare una quantità impressionante di conoscenze. Nel 1911 non avevamo certezze: oggi sappiamo, raccontandolo in sintesi estrema, che i raggi cosmici sono di origine extraterrestre (quelli di più bassa energia vengono dal Sole, quelli di energia intermedia dalla Via Lattea e in particolare dai resti di supernova, quelli di più alta energia, oltre la decina di joule per particella, dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie); che sono prevalentemente protoni, con una piccola frazione di nuclei di elio, elettroni, fotoni, neutrini e tracce di altre particelle; sappiamo in linea di principio come vengono prodotti, con quale spettro di energie e come viaggiano nello spazio. Inoltre, in considerazione dei limiti fondamentali degli acceleratori sulla Terra, che difficilmente potranno nel XXI secolo superare le energie di una decina di TeV, i raggi cosmici e le sorgenti cosmologiche sono nuovamente diventati il punto focale della fisica delle alte energie. Al di là di ciò che abbiamo imparato, ed è moltissimo, le sorprese che potrà ancora regalare l’universo nell’osservazione di questi fenomeni sono il premio di cui potranno godere gli scienziati che con pazienza e sempre maggior competenza investiranno nella ricerca in questo ramo all’incrocio tra l’astrofisica e la fisica delle particelle. È proprio la potenzialità di scoperta di questo nuovo settore che sta attirando un numero sempre maggiore di giovani scienziati, e che porta allo sviluppo di nuove idee, alla realizzazione di nuove tecnologie e all’individuazione di nuovi misteri. E abbiamo la coscienza che i rivelatori che abbiamo costruito in questa generazione sono le vedette dei confini dell’universo. L’avventura iniziata un secolo fa ha dato frutti che nessuno all’epoca avrebbe potuto immaginare. È bello pensare che i pionieri della fisica dei raggi cosmici possano vedere tutte le scoperte che le loro intuizioni hanno generato ed è bello pensare che potranno, e speriamo noi con loro, vedere le scoperte ancora a venire.
Appendice
Nel seguito vengono riportati e commentati tre articoli fondamentali nella storia dei raggi cosmici. Essi sono stati scelti in quanto, a parere dell’autore di questo volume, rappresentano e sintetizzano l’evoluzione della comprensione dei raggi cosmici nella fase pionieristica. • Il primo articolo (febbraio 1912) è quello fondamentale di Pacini nel quale viene riportata la misura sottomarina del 1911. In questa misura per la prima volta viene stabilita la presenza di una componente extraterrestre della radiazione. • Il secondo articolo (novembre 1912) è quello nel quale Hess descrive le sue esperienze su mongolfiera. Ora si può parlare con certezza di raggi cosmici. • Il terzo articolo (1913) è quello che descrive la scoperta dell’antimateria da parte di Anderson, studiando i raggi cosmici con una camera a nebbia.
112 L’enigma dei raggi cosmici
Domenico Pacini La radiazione penetrante alla superficie ed in seno alle acque∗ Pezzo a pezzo si compone nella mente originale e creativa di Pacini il puzzle che porta alla corretta interpretazione dell’origine dei raggi cosmici. Questo è l’esempio di una metodologia che porta a una ricerca scientifica di successo. • Nel 1909 Pacini aveva riportato una misura delle variazioni periodiche diurne e delle fluttuazioni della ionizzazione, e concludeva che “[n]ella ipotesi che l’origine delle radiazioni penetranti sia nel terreno [. . . ] non si possono spiegare i risultati finora ottenuti.” • Nel 1910 Pacini pubblica il risultato di un confronto tra la ionizzazione dell’aria sulla superficie del mare (anche lontano dalla costa) e al suolo; trova che la radiazione è leggermente minore alla superficie del mare e conclude che “dai risultati qui ottenuti appare che una parte non piccola della radiazione penetrante presente nell’aria, e in modo particolare quella parte che è soggetta ad oscillazioni anche notevoli, ha origine indipendente dall’azione diretta delle sostanze attive contenute negli strati superiori della crosta terrestre.” • Nel terzo e decisivo articolo Pacini completa il suo studio misurando una riduzione significativa della ionizzazione sott’acqua rispetto alla superficie del mare, e conclude che “appare confermino le esperienze di cui è oggetto questa nota [. . . ] che esista nell’atmosfera una sensibile causa ionizzante, con radiazioni penetranti, indipendente dall’azione diretta delle sostanze radioattive del terreno.” Qui di seguito riportiamo la trascrizione dell’articolo decisivo di Pacini. Le note inserite dall’autore di questo volume sono comprese fra parentesi quadre, e identificate dall’espressione “Nota del curatore”. Per rendere il testo più “moderno” e facilmente comprensibile, è stato utilizzato il modo oggi correntemente accettato di esprimere le unità di misura e sono stati usati i simboli attuali del Sistema Internazionale; la virgola è stata sostituita dal punto come separatore tra le cifre intere e le decimali; è stata qualche volta modificata la punteggiatura. ∗ Nuovo Cimento vol. VI/3 (1912), pp. 93 e ss.
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Nota di D. PACINI Le osservazioni eseguite sul mare nel 19101 mi conducevano a concludere che una parte non trascurabile della radiazione penetrante che si riscontra nell’aria avesse origine indipendente dall’azione diretta delle sostanze attive contenute negli strati superiori della crosta terrestre. Riferirò ora sopra ulteriori esperienze che confermano quella conclusione. I risultati precedentemente ottenuti indicavano esistere sulla superficie del mare, dove non è più sensibile l’azione del terreno, una causa ionizzante di tale intensità da non potersi spiegare esaurientemente considerando la nota distribuzione delle sostanze radioattive nell’acqua e nell’aria. Difatti, come l’Eve2 ha mostrato, si può calcolare facilmente quale dovrebbe essere l’azione ionizzante dovuta alle radiazioni γ emesse da particelle attive nell’aria, alla superficie del mare. Sia: – Q l’equivalente in Ra. C per cm3 nell’atmosfera, espresso come in grammi di Radio in equilibrio radioattivo Q = 8 × 10−17 ; – K il numero di ioni generati per cm3 al secondo da un grammo di Radio ad 1 cm di distanza: K = 3.4 × 109 per l’aria racchiusa in elettroscopio d’alluminio; K = 3.1 × 109 all’aria libera; – λ il coefficiente d’assorbimento dei raggi γ nell’aria = 0.000044; – r la distanza dal punto in cui si considera l’azione; allora il numero q di ioni dovuti ai raggi γ del Radio C nell’aria sarà espresso da: ∞ 2 −λr r e q = 2πKQ dr r2 0 KQ q = 2π = 0.035 . λ 1 D. Pacini. Ann. dell’Uff. Centr. Meteor. Vol. XXXII, parte I, 1910. – Le Radium, T. VIII,
pag. 307, 1911. 2 A.S. Eve. Phil. Mag., 1911.
Appendice. Domenico Pacini
LA RADIAZIONE PENETRANTE ALLA SUPERFICIE ED IN SENO ALLE ACQUE
114 L’enigma dei raggi cosmici
Bisognerebbe ora tener conto dell’effetto dei prodotti attivi del Torio; ma non si hanno elementi precisi in proposito per poter completare il calcolo. L’Eve ammette che, per effetto della radiazione γ emessa dai prodotti del Torio, si generino, per cm3 al secondo, ioni 0.025. Il che fa in totale per l’aria ioni 0.06. In questo calcolo si suppone che l’aria al disopra della superficie del mare abbia la stessa composizione radioattiva come al disopra del suolo, mentre in realtà, ad una certa distanza dalla costa, il contenuto di emanazione radioattiva nell’aria del mare è inferiore a quello dell’aria sul suolo, specialmente per ciò che riguarda il Torio. Per il contributo dato dall’acqua del mare, il calcolo si fa anche facilmente, conoscendosi dalle esperienze di Joly3 l’equivalente in Radio Q = 1.1 × 10−14 ; il coefficiente di assorbimento λ si ottiene subito ricordando che il rapporto fra detto coefficiente e la densità: λ = 0.034 4 . ρ Così si ottiene per il mare il valore q = 0.066. Dobbiamo aggiungere al valore, q = 0.066, l’effetto della radiazione secondaria destata sulle pareti del recipiente, che possiamo ammettere aumenti del 20 % l’azione che si avrebbe all’aria libera; giungeremo così in totale ad una ionizzazione che è dell’ordine del decimo di ione per cm3 . Le osservazioni da me fatte sul mare avevano tuttavia fornito per q, in media, dei valori notevolmente più grandi di quello che la teoria comporterebbe. Prendo ad esempio le indicazioni dell’apparecchio A5 che aveva le pareti di 1.5 mm e tali cioè da escludere la grande maggioranza delle radiazioni tipo β. [Nota del curatore: il cosiddetto “apparecchio A” usato da Pacini è un elettrometro di Wulf schermato da pareti più spesse di quelle dell’analogo “apparecchio B”. Dal confronto delle misure “A” e “B” Pacini riesce a distinguere le radiazioni β, meno penetranti, dalle radiazioni più penetranti, che egli pensava essere prevalentemente radiazioni γ. Una tecnica simile verrà usata da Hess.] Questo apparecchio dette sul mare, a bordo di una lancia di circa 4 m2 di superficie, una media di ioni 8.9 ed un minimo di ioni 4.7; e nella ipotesi, avvalorata 3 Joly. Phil. Mag., September 1909. 4 Mc. Lelland. Phil. Mag., July 1904. 5 Vedi Pacini, l.c.
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come dovuto alla radiazione penetrante sul mare a oltre 300 metri dalla costa. Successivamente nel maggio 1911 è stata pubblicata una nota di Simpson e Wright6 che hanno istituito osservazioni di elettricità atmosferica a bordo del “Terra Nova” nel viaggio dall’Inghilterra alla Nuova Zelanda della spedizione antartica del capitano Scott. Per quanto riguarda la radiazione penetrante i citati Autori hanno trovato in media, a bordo della loro nave, il valore di circa 6 ioni; essi riscontrarono però valori di circa 9 ioni per molte ore dopo che la nave aveva lasciato le coste; quindi un aumento di 3 ioni sul valore medio di q. Il minimo valore che ottennero per q fu di 4 ioni. Questi risultati di Simpson e Wright intanto confermano che anche all’infuori dell’azione diretta del suolo è possibile constatare oscillazioni notevoli nei valori della radiazione penetrante, e quelli delle esperienze sulle quali ora riferirò sembrano anch’essi attestare della presenza di effetti ben misurabili della radiazione penetrante nell’aria sopra un mezzo assorbente. Vedremo pertanto che immergendo l’apparecchio nelle acque si può ulteriormente abbassare, al disotto del suo medio valore, la radiazione penetrante osservata alla superficie del mare o di un lago. L’apparecchio A, già. adoperato nelle esperienze sopra citate, venne racchiuso in una scatola di rame per poterlo immergere in seno alle acque. Le esperienze furono condotte ancora presso l’Accademia navale di Livorno e precisamente nello stesso luogo dove erano state eseguite quelle dell’anno precedente. L’apparecchio fu disposto a bordo della medesima lancia che fu ancorata a oltre 300 metri dalla costa, sopra 8 m di fondo e dal 24 al 31 giugno [Nota del curatore: la data del 31 giugno è citata nella pubblicazione] si fecero delle osservazioni coll’apparecchio alla superficie, e coll’apparecchio immerso nelle acque, a 3 m di profondità. 6 G.C. Simpson e C.S. Wright: “Atmospheric Electricity over the Ocean”. Proceed. of
the Royal Soc. Vol. 85, pag. 175, 1911.
Appendice. Domenico Pacini
dai risultati finora ottenuti, che il minimo di ioni 4.7 possa ascriversi interamente alla ionizzazione residua, resta una media di ioni 4.2, dalla quale sottraendo l’azione delle radiazioni secondarie avremo il valore: q = ioni 3.4
116 L’enigma dei raggi cosmici
Ecco i risultati di queste osservazioni, ciascuna delle quali ha all’incirca la durata di 3 ore: – Coll’apparecchio alla superficie del mare si ebbe una perdita oraria di Volta: 13.2 − 12.2 − 12.1 − 12.6 − 12.5 − 13.5 − 12.1 − 12.7 media 12.6 equivalente a ioni 11 per cm3 al secondo. – Coll’apparecchio immerso: 10.2 − 10.3 − 10.3 − 10.1 − 10.0 − 10.6 − 10.6 media 10,3 equivalente a ioni 8.9 per cm3 al secondo. La differenza fra questi due valori è di ioni 2.1. La barca era la medesima che servì per le misure in cui fu possibile constatare il minimo di 4.7 ioni, ed essendo essa sempre tenuta nelle stesse condizioni, cioè o in mare, o sospesa sul mare dalla banchina mediante grue, abbiamo ragione di ritenere che la imbarcazione non contenesse materiali attivi estranei a quelli provenienti dall’aria o dal mare. Nelle ore in cui non si facevano esperienze, l’apparecchio era tenuto carico, sempre nello stesso locale, ove la dispersione della elettricità si conservò rigorosamente costante. Collo stesso apparecchio furono eseguite osservazioni anche sul lago di Bracciano. A 350 metri dalla riva, ottenni in superficie q = 12.4 ed in seno alle acque a 3 m di profondità, in un luogo ove il fondo superava i 7 m, si ebbe q = 10.2. La differenza nei due valori di q fu quindi di ioni 2.2. Il coefficiente d’assorbimento per l’acqua essendo 0.034 è facile dedurre dalla nota equazione I/I0 = e−λd , dove d è lo spessore di materia traversata, che nelle condizioni delle mie esperienze l’azione del fondo e quella della superficie erano trascurabili. La temperatura dell’acqua fu in media di pochi decimi di grado inferiore a quella dell’aria sovrastante e, operandosi a tenuta d’aria, il numero di ioni generato nello spazio interno varierà solo al variare della causa ionizzante. Dalle differenze 2.1 e 2.2 sottraendo il 20 % come dovuto alla radiazione secondaria, quei numeri si riducono a: ioni 1.7 e ioni 1.8
per il mare per il lago di Bracciano.
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7 G.C. Simpson and C.S. Wright (l.c.). 8 D. Pacini (l.c.).
Appendice. Domenico Pacini
Questa diminuzione nel valore di q, passando dalla osservazione in superficie all’indagine dell’interno delle acque, sarà dovuta alle azioni esterne o forse ad una variazione della ionizzazione residua del recipiente nel passaggio dall’aria all’acqua? Nulla sappiamo di sicuro circa la origine della ionizzazione residua dell’aria rinchiusa in un recipiente metallico. Le cause che ci appaiono come possibili generatrici della ionizzazione residua, quando l’aria introdotta sia priva di emanazione, sono: l’attività propria, o le impurità radioattive del metallo, e forse anche la ionizzazione spontanea del gas racchiuso7 . È poco probabile che, nelle condizioni in cui vengono adoperati per queste esperienze, i metalli, ad eccezione del piombo, contengano impurità radioattive: d’altronde nella lunga serie di osservazioni fatte in precedenza coll’apparecchio da me adoperato, non fu osservato un aumento di dispersione che potesse ascriversi ad impurità. Nella ipotesi di un’attività propria del metallo, o di una emissione di elettroni per disgregazione spontanea del gas racchiuso nell’apparecchio, non appare come si potrebbe dedurre una variazione di queste cause ionizzanti col mutare di condizione dell’istrumento, a tenuta d’aria, fra la superficie e l’interno delle acque. La spiegazione che sembra doversi dare del fenomeno è che, per il potere assorbente dell’acqua e per la quantità minima di sostanze radioattive contenute nel mare, realmente si verifichi, nell’atto della immersione, un assorbimento delle radiazioni γ provenienti dall’esterno. Di questa ionizzazione dell’aria dovuta alla radiazione penetrante, e che non dipende direttamente dalle sostanze attive contenute nel terreno, è naturale, come già fu osservato8, ricercarne l’origine in un accumulamento, intorno al luogo d’osservazione, del materiale radioattivo diffuso nell’atmosfera. Anche Simpson e Wright attribuiscono a questa causa l’aumento di tre ioni sulla ionizzazione normale da essi osservata in mare; secondo questi Autori le particelle attive si sarebbero depositate dall’aria sulla nave, quando la nave trovavasi in vicinanza della costa.
118 L’enigma dei raggi cosmici
Se supponiamo che i prodotti attivi siano ripartiti uniformemente nell’atmosfera fino a 5 km di altezza, e che essi vengano rapidamente a depositarsi dall’aria sulla superficie della terra, dai dati di Eve si deduce che si avrebbe, per ogni cm2 , uno strato di Ra. C equivalente a 4 × 10−11 grammi di Radio, in equilibrio con esso; e questo genererebbe nell’aria, ad un metro di altezza, ioni 1.8 per cm3 al secondo. Nel caso delle mie esperienze, trascurando l’azione delle particelle attive che si depositano sulle acque, perché può supporsi che esse vadano presto in soluzione a causa del moto ondoso, ci si può fare un’idea di quale sarebbe l’effetto della sostanza attiva che si depositasse sulla barca che ha circa 4 m2 di superficie. Supponiamo che il Ra. C depositatosi sulla barca agisca sull’apparecchio (che era situato al centro, sopra una tavola, all’altezza dell’orlo) come se fosse distribuito uniformemente sulla superficie di una mezza sfera di 80 cm di raggio, in ragione di una quantità Q, equivalente a 4 × 10−11 grammi di Ra per ogni cm2 . Il numero di ioni a cui tutto il deposito radioattivo darebbe luogo in un cm3 d’aria, al centro della emisfera sarebbe espresso da q=
KQ −λr 2 e 2πr = 0.8 ioni r2
e supponendo che i prodotti del Torio influiscano in questo caso per 0.5 ioni, avremmo in totale ioni 1.3. Il calcolo ci fornisce così un valore minore di quello osservato, ma tuttavia l’effetto sarebbe ben misurabile. Un rapido abbassamento dei prodotti attivi dell’atmosfera potrebbe verificarsi per forti valori del campo terrestre e sopratutto nel caso di precipitazioni. Le osservazioni finora eseguite sull’andamento della radiazione penetrante durante la pioggia non sono abbastanza concordi, né sufficientemente numerose, per stabilire in modo indubbio la esistenza di una azione nel senso sopra detto. Recentemente sono state fatte delle ricerche in pallone libero sulla radiazione penetrante nell’alta atmosfera9 . Anche queste osservazioni, sebbene non si possano considerare come definitive per ciò che riguarda lo studio della radiazione penetrante ad una certa altezza sul suolo, avrebbero tuttavia mostrato che là dove, per la legge dell’assorbimento dell’aria (recentemente verificata 9 A. Gockel. Phys. Zeit., p. 595, 1911 e V.F. Hess. Phys. Zeit., p. 998, 1911.
119 Appendice. Domenico Pacini
dall’Hess), non è più sensibile l’azione delle sostanze attive del terreno, si riscontrano ancora alti valori per la radiazione penetrante. Risultato questo che ha condotto il Gockel e l’Hess a ripetere quanto lo scrivente ebbe a concludere dalle prime osservazioni eseguite sul mare e quanto appare confermino le esperienze di cui è oggetto questa nota: cioè che esista nell’atmosfera una sensibile causa ionizzante, con radiazioni penetranti, indipendente dall’azione diretta delle sostanze radioattive del terreno.
120 L’enigma dei raggi cosmici
Victor Franz Hess Misure della radiazione penetrante in sette voli su pallone∗ Nel seguito è tradotto il fondamentale articolo di Hess del 1912, articolo che gli vale il premio Nobel, nel quale per la prima volta si misura un significativo aumento della radiazione all’aumentare dell’altitudine. Ciò avviene nell’ultimo dei sette voli su pallone aerostatico descritti. Gran parte dell’articolo è dedicata alle fluttuazioni delle misure di radioattività; per non confondere o annoiare il lettore abbiamo omesso il dettaglio di questo materiale.
∗ Physikalische Zeitschrift vol. 13 (1912), pp. 1 084 e ss.
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Dalla Sezione di Geofisica, Meteorologia e Geomagnetismo:
L’anno scorso ho avuto l’opportunità di compiere due ascese su pallone aerostatico per indagare la radiazione penetrante: sul primo volo ho già riferito nel corso della riunione scientifica a Karlsruhe.1 In entrambi i viaggi non è stato riscontrato fino a un’altitudine di 1 100 metri alcun cambiamento fondamentale nella radiazione rispetto ai valori misurati al suolo. Gockel2 analogamente in due ascensioni in mongolfiera non era riuscito a trovare la riduzione della radiazione prevista con l’altezza. Si concluse quindi che non ci deve essere altra fonte della radiazione penetrante oltre alla radiazione gamma dalle sostanze radioattive nella crosta terrestre. Un contributo della Reale Accademia delle Scienze di Vienna mi ha permesso di effettuare quest’anno una serie di altre sette ascese su pallone, da cui ho potuto ottenere materiale osservativo più completo, esteso in vari modi. Ho usato in primo luogo per l’osservazione della radiazione penetrante due rivelatori di radiazione di Wulf con pareti di tre millimetri di spessore, a perfetta tenuta e capaci di resistere alle variazioni di pressione in tutte le ascensioni. Lo strumento 1 ha un volume di ionizzazione di 2 039 centimetri cubi, e la sua capacità è di 1 597 centimetri. Lo strumento 2 ha un volume di 2 970 centimetri cubi, e capacità pari a 1 097 centimetri. Quindi una perdita di carica di 1 volt per ora corrispondeva nello strumento 1 a un tasso di ionizzazione di q = 1.56 ioni per centimetro cubo al secondo, e nello strumento 2 a q = 0.7355 ioni per centimetro cubo al secondo. Entrambi gli strumenti erano stati zincati elettroliticamente all’interno per ridurre la radiazione dalle pareti del recipiente. Questa tecnica è stato suggerita dal dottor Bergwitz. Dopo il trattamento il rilevatore 1 indicava in condizioni normali una ionizzazione di circa 16 ioni per centimetro cubo al secondo, il rivelatore 2 di 11 ioni per centimetro cubo al secondo. La fabbrica di Gun1 Phys. Zeit. 12, 998-1 001; Wien. Sitz.-Ber. 120, 1 575-1 585, 1911. 2 Phys. Zeit. 12, 595-597, 1911.
Appendice. Victor Franz Hess
Viktor F. Hess (Vienna), Osservazioni delle radiazioni penetranti in sette voli su pallone
122 L’enigma dei raggi cosmici
ther e Tegetmeyer a Braunschweig ha anche fornito un altro miglioramento fondamentale per l’apparato: fino ad allora la misura di precisione della posizione delle lamelle si svolgeva unicamente spostando l’oculare, il che dava luogo a un cambiamento non trascurabile nell’ingrandimento, e nei successivi aggiustamenti questo produceva differenze fino a 0.5 ioni per centimetro cubo al secondo nelle letture. La fabbrica ha ora montato nel tubo oculare un obiettivo scorrevole, che permette la messa a fuoco delle fibre per varie posizioni senza apprezzabili variazioni dell’ingrandimento. La precisione della regolazione è dunque notevolmente migliorata. Lo spessore delle pareti degli strumenti 1 e 2 è di tre millimetri, in modo che essenzialmente solo i raggi gamma possano essere efficaci. Al fine di studiare simultaneamente il comportamento dei raggi beta ho usato anche un terzo strumento, che non è stato costruito a tenuta d’aria, ma consisteva in un comune elettrometro di Wulf a due lamelle su cui è stato rovesciato un vaso cilindrico di ionizzazione di volume pari a 16.7 litri, fatto della lamina di zinco più sottile disponibile in commercio (spessore della parete di 0.188 millimetri), in modo che raggi soffici con le caratteristiche dei raggi beta potessero anch’essi svolgere un ruolo efficace. Una punta di zinco di 20 centimetri fissata al supporto per le foglie dell’elettrometro agiva come dispersore di carica. La capacità era di 6.57 centimetri. La perdita di isolamento nei rivelatori di Wulf con pareti spesse, 1 e 2, è stata determinata come di consueto con un tubo di controllo. La perdita oraria di carica era pari a 0.2 volt nello strumento 1, e a 0.7 volt nello strumento 2. Non si è mai osservata una brusca perdita di isolamento a causa di eccessiva umidità. ... Maggiore attenzione è stata dedicata alle fluttuazioni della radiazione. Pacini3 ha osservato, misurando contemporaneamente due rivelatori di Wulf con letture a intervalli di un’ora, un’indubbia correlazione nelle variazioni delle velocità di scarica sulla terra e sul mare; la causa delle fluttuazioni è quindi chiaramente al di fuori della stessa apparecchiatura di misura della radiazione. ... 3 Le Radium, 8, 307-312, 1911.
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Nel seguito q1 , q2 , q3 denotano la radiazione penetrante osservata con i tre strumenti 1, 2, 3, espressa in ioni per centimetro cubo al secondo. La carica elementare è assunta essere e = 4, 65×10−10 esu [Nota del curatore: il valore è espresso nelle unità cgs, un sistema di unità di misura oggi sostituito dal sistema internazionale; è circa del 3 % inferiore rispetto al valore oggi ben conosciuto]. L’altezza media del pallone durante un dato periodo di osservazione (di solito della durata di un’ora) è stata desunta con un metodo grafico dalla traccia del barografo. Un valore medio dell’altezza relativa è stato quindi calcolato partendo dall’altitudine sul livello del mare della località direttamente sottostante. L’ora del giorno è data nelle tabelle in una scala da 0 a 24 ore. Un resoconto completo di tutte le osservazioni su pallone è stato presentato alla Accademia Imperiale delle Scienze a Vienna, e 4 Phil. Mag. (6) 23, 242, 1912.
Appendice. Victor Franz Hess
L’ultimo e più importante punto dell’indagine è stata la misura della radiazione alle maggiori altezze possibili. Mentre nelle sei ascese effettuate partendo da Vienna la debole forza di sollevamento del gas e le condizioni meteorologiche non lo avevano permesso, in una salita con un pallone riempito d’idrogeno da Aussig sull’Elba sono riuscito a effettuare misurazioni fino a 5 350 metri di altitudine. Per diverse ore prima di ogni volo sono state effettuate misure di controllo con tutti e tre i rivelatori. A questo scopo gli strumenti sono stati fissati per mezzo di staffe al cesto del pallone, esattamente come durante il volo. Le osservazioni prima dell’ascesa sono state effettuate presso il sito dell’Österreichischen Aeroklub, un terreno erboso nel Prater a Vienna. L.V. King4 aveva congetturato che le osservazioni su pallone potrebbero essere disturbate dalla vicinanza della sabbia usata come zavorra, sabbia che è debolmente radioattiva. Non è mai stato trovato un aumento della radiazione causato da campioni della sabbia usata per la zavorra. Negli strumenti 1 e 2, la densità dell’aria stessa prevale sempre all’interno dello spazio di ionizzazione rispetto al sito della salita (in media 750 millimetri). D’altra parte nel rivelatore a parete sottile 3, la pressione è sempre la stessa dell’esterno. Un’opportuna correzione dei dati osservati direttamente è quindi necessaria, soprattutto nelle osservazioni a grandi altezze. ...
124 L’enigma dei raggi cosmici
pubblicato nei proceedings. Qui mi limiterò a dare resoconti dettagliati della sole due ascensioni più importanti e mi accontenterò di citare i valori medi per gli altri.
Primo volo Il primo volo avvenne in occasione della notevole eclissi parziale di Sole in Austria meridionale il 17 aprile 1912. Abbiamo effettuato osservazioni dalle 11 del mattino all’una di pomeriggio a un’altitudine assoluta di 1 900-2 750 metri sopra uno strato quasi completo di nubi cumuliformi. Non è stata osservata alcuna riduzione della radiazione penetrante durante l’eclissi. Lo strumento 2 ha misurato, ad esempio, una ionizzazione di 10.7 ioni prima della salita; 11.1 ioni più tardi, a un’altezza media relativa di 1 700 metri; 14.4 ioni da 1 700 a 2 100 metri, durante la prima fase dell’eclissi; e in seguito 15.1 ioni a circa 50 % di oscuramento solare. Ulteriori misure non sono state possibili, dato che il pallone è stato costretto a scendere a causa del raffreddamento del gas. A circa 2 000 m è stato misurato un aumento della radiazione. Poiché non si vedeva alcun effetto dell’eclissi sulla radiazione penetrante, si può concludere che, se una parte della radiazione è di origine cosmica, difficilmente può venire dal Sole, almeno finché si pensa a una radiazione di tipo gamma che propaga in linea retta. Il fatto che in successivi voli in mongolfiera non abbia mai trovato una differenza significativa nella radiazione tra il giorno e la notte conferma questa tesi. ... Il settimo volo, descritto nel seguito, è stato fatto a una quota veramente alta.
Settimo volo (7 agosto 1912) Siamo partiti alle 6:12 del mattino da Aussig sull’Elba. Abbiamo sorvolato il confine della Sassonia da Peterswalde, Struppen vicino a Pima, Bischofswerda e Kottbus. Abbiamo raggiunto l’altezza di 5 350 metri nella regione di Schwielochsee. Alle 12:15 siamo atterrati vicino a Pieskow, 50 km a est di Berlino. Purtroppo non abbiamo potuto effettuare osservazioni presso il luogo della salita prima del viaggio, ma le misurazioni [di calibrazione] sono state effettuate dopo l’atterraggio sotto il pallone ancora gonfio, per
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... In entrambi i rivelatori di raggi gamma i valori alla massima altitudine sono di circa 20-24 ioni superiori a quelli al suolo. Valori molto elevati (q1 = 28.1 e q2 = 22.7) sono stati trovati anche in fase di discesa a 4 400 metri. Questi sono molto superiori ai valori normali di 12 e 11 ioni. Nella successiva rapidissima discesa (2 metri al secondo) abbiamo misurato il valore molto basso di 9.7 con lo strumento 1 a un’altezza media di 1 200 metri, mentre lo strumento 2 ha registrato il valore normale di 11.5. Credo sia possibile che nello strumento 1, che aveva lamine molto spesse, una certa rigidità del filamento a volte potesse produrre notevoli fluttuazioni. I risultati ottenuti da entrambi i rivelatori sotto il pallone ancora gonfio dopo l’atterraggio erano, come osservato in precedenza, del tutto normali. Per ottenere un quadro della variazione media della radiazione penetrante con l’altitudine, ho combinato nella seguente tabella tutti gli 88 valori di radiazione osservati nel volo in intervalli appropriati di altezza. Per ogni altezza, le medie sono formate da diversi singoli valori che sono stati ottenuti in condizioni diverse e
Appendice. Victor Franz Hess
vedere subito dopo la discesa dai 5 000 metri se il pallone si era coperto di radioattività indotta e quindi emetteva a sua volta radiazione. [. . . ] [N]on è stato osservato alcun segno di un aumento della radiazione sotto il pallone dopo l’atterraggio. Il cielo non era perfettamente sereno in questo viaggio: una depressione barometrica in avvicinamento da ovest si è fatta evidente causando un rannuvolamento. Va tuttavia espressamente affermato che non siamo mai stati dentro una nuvola e nemmeno nelle vicinanze; al tempo in cui isolate nubi cumuliformi sono apparse distribuite su tutto l’orizzonte, eravamo già sopra i 4 000 metri di altezza. Sopra di noi mentre ci avvicinavamo alla massima altezza si è formato un sottile strato di nuvole molto più elevato, la cui base era probabilmente almeno a 6 000 metri, e attraverso il quale il Sole brillava solo debolmente. Consideriamo dapprima i risultati con gli strumenti a pareti spesse 1 e 2. Fra i 1 500 e i 2 500 metri di altitudine media la radiazione misurata è circa uguale a quella a terra. Poi inizia un chiaro percettibile aumento della radiazione con l’altezza, visto da entrambi gli strumenti – a 3 600 metri sopra il suolo entrambi i valori sono già di circa 4-5 ioni più elevati rispetto a quelli al suolo.
126 L’enigma dei raggi cosmici
che potrebbero essere influenzati dalle già citate variazioni transitorie, sicché non ci si deve aspettare di avere un quadro del tutto esatto della dipendenza della radiazione dall’altezza. Il numero tra parentesi indica il numero di osservazioni da cui ogni valore medio è stato ottenuto.
Tabella dei valori medi Radiazione osservata (ioni/cm3 /s)
Altezza media sul suolo (m)
0 Fino a 200 200-500 500-1 000 1 000-2 000 2 000-3 000 3 000-4 000 4 000-5 200
Strumento 1
Strumento 2
Strumento 3
q1
q2
q3 (corretto)
q3 (non corretto)
16.3 (18) 15.4 (13) 15.5 (6) 15.6 (3) 15.9 (7) 17.3 (1) 19.8 (1) 34.4 (2)
11.8 (20) 11.1 (12) 10.4 (6) 10.3 (4) 12.1 (8) 13.3 (1) 16.5 (1) 27.2 (2)
19.6 19.1 18.8 20.8 22.2 31.2 35.2 –
19.7 (9) 18.5 (8) 17.7 (5) 18.5 (2) 18.7 (4) 22.5 (1) 21.8 (1) –
Da questa tabella impariamo che direttamente sopra il suolo la radiazione decresce un po’; in media questa diminuzione è pari a 0.8-1.4 ioni. Poiché, tuttavia, una diminuzione di più di 2 ioni è stata osservata in molti casi, e fino a 3 ioni in alcune ascensioni, stimiamo a circa 3 ioni il valore massimo della diminuzione. Questa diminuzione continua fino a 1 000 metri dal suolo. Essa viene chiaramente, come detto in precedenza, dall’assorbimento dei raggi gamma emessi dalla superficie della Terra. Quindi possiamo concludere che la radiazione gamma dalla superficie terrestre e dagli strati più alti della crosta terrestre fornisce una ionizzazione di circa 3 ioni per cc al secondo in vasi di zinco. Ad altitudini fino a 2 000 metri la radiazione comincia di nuovo ad aumentare sensibilmente. Da 3 000 a 4 000 metri l’incremento è pari a 4 ioni, e da 4 000 a 5 200 metri è pari a 16-18 ioni, in entrambi i rivelatori. Con il rivelatore a pareti sottili, quando i valori sono corretti per ottenere il valore stimato a pressione normale, la diminuzione è invertita più presto e in modo più evidente.
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5 Wien. Sitz.-Ber. 120, 1 205-1 212, 1911. 6 Le Radium 9, 200-202, 1912.
Appendice. Victor Franz Hess
Qual è la causa dell’aumento della radiazione penetrante con l’altitudine, osservata molte volte e contemporaneamente con tre rivelatori? Se si adotta il punto di vista che solo le sostanze radioattive conosciute presenti nella crosta terrestre e l’atmosfera emettono una radiazione con le caratteristiche delle radiazioni gamma e producono ionizzazione in recipienti chiusi, si hanno gravi difficoltà che sfidano ogni spiegazione. Secondo le determinazioni dirette del coefficiente di assorbimento dei raggi gamma in aria pubblicate da me5 e da Chadwick6 , l’assorbimento della radiazione proveniente dalla superficie della Terra deve essere rapido, in modo che appena il 10 % della radiazione può sopravvivere a 500 metri di altitudine. Come è stato ricordato, sono stato in grado di confermarlo sperimentalmente nel volo in pallone; ma allo stesso tempo sembra che le sostanze radioattive provenienti dal terreno non giochino un ruolo preponderante nella radiazione totale come molti autori credono. La parte legata alla radiazione del terreno è stata stimata di 3 ioni per centimetro cubo al secondo [Nota del curatore: secondo le misure attuali circa un quarto della radioattività totale: la stima di Hess era, dunque, abbastanza corretta – come lo era stata quella di Pacini]. Ci sono ancora i prodotti di decadimento delle emanazioni, che potrebbero produrre ionizzazione attraverso radiazioni gamma ad alta quota. A causa della loro breve vita media, le emanazioni dovute al torio e all’attinio e ai loro prodotti di decadimento non sono in grado di raggiungere grandi altezze. Solo le emanazioni del Radio, con un tempo di dimezzamento di circa 4 giorni, possono essere spinte fino a grandi altitudini dalle correnti d’aria ascensionali. In generale, comunque, la concentrazione di emanazione, e quindi anche il contenuto di RaC dell’aria, dovrebbe diminuire rapidamente con l’altezza. Un aumento della radiazione con l’altezza potrebbe in linea di principio venire da un accumulo casuale di RaC di carattere puramente locale: è per esempio immaginabile che tali accumuli potrebbero verificarsi in strati stabili a seguito di una inversione di temperatura, o in cumuli o in nebbia, in quanto è noto che gli atomi di RaC spesso agiscono come nuclei di condensazione. Tuttavia, un aumento uniforme della radiazione pe-
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netrante con l’altitudine, come trovato nelle mie osservazioni, non può essere spiegato in questo modo. Inoltre, nei voli 2 e 6, in cui il pallone ha viaggiato vicino al suolo per un’ora in uno strato stabile in corrispondenza a una inversione, non ho osservato alcun aumento di radiazione, anche se il contenuto di RaC dell’aria deve essere maggiore vicino al terreno. A un’altezza di 5 000 metri il contenuto di RaC non è certamente sufficiente a causare un così grande aumento nella radiazione come quello che ho trovato. Anche le fluttuazioni nella radiazione spesso osservate da Pacini7 e Gockel8 sul mare e sulla terraferma, e da me nel volo in pallone, sollevano grandi difficoltà nel contesto di una spiegazione della radiazione penetrante basata solo sulla teoria della radioattività. Ho più volte osservato tali variazioni nel bel mezzo della notte, in condizioni di atmosfera tranquilla. In assenza di qualsiasi cambiamento meteorologico, non vi sono motivi per attribuirne la causa a cambiamenti nella distribuzione delle sostanze radioattive nella l’atmosfera. I risultati delle presenti osservazioni sembrano essere spiegati più logicamente dall’assunzione che una radiazione di grandissimo potere penetrante entri nella nostra atmosfera dall’alto, e produca in seguito negli strati più bassi una parte della ionizzazione osservata in recipienti chiusi. L’intensità di questa radiazione sembra essere soggetta a variazioni transitorie, osservabili su scale di tempo di un’ora. Poiché non ho trovato una riduzione della radiazione nei miei voli in pallone né di notte né durante un eclissi solare, difficilmente si può considerare il Sole come l’origine di questa radiazione ipotetica, almeno finché si pensa solo a una radiazione gamma diretta che si propaga in linea retta. Non è così sorprendente che l’aumento della radiazione diventi davvero apprezzabile solo oltre 3 000 metri: la diminuzione della radiazione gamma da terra prevale nei primi 1 000 metri, e in seguito si verifica una diminuzione della potenza di induzione, che si fa sentire fino a più di 3 000 metri. L’assorbimento della radiazione proveniente dall’alto segue in ogni caso una curva esponenziale; l’aumento della radiazione verificato durante le ascensioni diventa quindi sempre più rapido man mano che si sale.
7 Op. Cit. 8 Jahrb. d. Rad. u. Elektron. 9, 1-15, 1912.
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Questo è l’articolo in cui viene presentata la scoperta sperimentale dell’antimateria, scoperta per la quale Anderson verrà premiato con il Nobel (condiviso con Hess) nel 1936. Anderson propone di chiamare la prima particella di antimateria, l’anti-elettrone, col nome di positrone. La denominazione avrà molto successo, ed è ancora usata. Non ha invece successo la sua proposta di rinominare l’elettrone chiamandolo “negatrone”. Si osservi che Anderson nelle sue fotografie aveva scoperto anche la conversione di fotoni in coppie elettrone-antielettrone, ma non se ne accorse.
∗ Physical Review vol. 43 (1933), pp. 491 e ss.
Appendice. Carl D. Anderson
Carl D. Anderson L’elettrone positivo∗
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L’elettrone positivo L’enigma dei raggi cosmici
CARL D. ANDERSON, California Institute of Technology, Pasadena, California (Ricevuto il 28 febbraio 1933) In un campione di 1 300 fotografie di tracce di raggi cosmici in una camera di Wilson verticale, 15 tracce venivano da particelle positive che non potevano avere una massa grande come quella del protone. Da un esame della perdita di energia e della ionizzazione prodotta si è concluso che la carica è certamente meno del doppio di quella del protone, e probabilmente è esattamente uguale ad essa. Se queste particelle hanno carica positiva unitaria i raggi di curvatura e le ionizzazioni osservate implicano che la massa sia meno di venti volte la massa dell’elettrone. Queste particelle saranno chiamate positroni. Poiché si presentano in gruppi associati con altre tracce si è concluso che devono essere particelle secondarie espulse dai nuclei atomici. L’editore ***** Il 2 agosto 1932, mentre fotografavo le tracce dei raggi cosmici prodotte in una camera verticale di Wilson (in un campo magnetico di 15 000 gauss) progettata nell’estate del 1930 dal professor R. A. Millikan e da me, ho ottenuto le tracce in fig. 1, che sembravano essere interpretabili solo sulla base dell’esistenza di una particella di carica positiva, ma con una massa dello stesso ordine di grandezza di quella posseduta da un elettrone libero negativo. In seguito lo studio della fotografia da parte di un intero gruppo di colleghi del laboratorio Norman Bridge ha rafforzato questa interpretazione. La ragione per cui questa interpretazione sembrava così inevitabile è che la traccia che appare nella metà superiore della figura non può assolutamente avere una massa grande come quella di un protone dato che non appena la massa è fissata l’energia è al tempo fissata dalla curvatura. L’energia di un protone di quella curvatura risulta essere di 300 000 volt [Nota del curatore: viene usato il volt per indicare l’elettronvolt], ma un protone di quell’energia secondo determinazioni ben consolidate e
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Grandezza della carica e massa È possibile con questi dati sperimentali solo assegnare limiti piuttosto ampi per la grandezza della carica e la massa della particella. 1 Rutherford, Chadwick e Ellis, Radiazioni da sostanze radioattive, p. 294. Assumendo R ∝ v3 e usando i dati lì riportati il range di un protone di 300 000 volt in aria
a NTP è di circa 5 mm. 2 C.D. Anderson, Science, 76, 238 (1932).
Appendice. Carl D. Anderson
universalmente accettate1 viene assorbito dopo circa 5 mm in aria mentre la traiettoria effettivamente visibile in questo caso supera i 5 cm senza un notevole cambiamento nella curvatura. L’unica via di uscita da questa conclusione sarebbe quella di supporre che esattamente nello stesso istante (e la nitidezza delle le tracce determina che “istantaneamente” significa in questo caso entro circa un cinquantesimo di secondo) due elettroni indipendenti producessero due tracce collocate in modo da dare l’impressione di un’unica particella attraverso la lastra di piombo. [Nota del curatore: dopo pochi centesimi di secondo le tracce delle camere a bolle diventano meno nitide, perché le goccioline di vapore s’ingrossano e precipitano.] Questa ipotesi è stato respinta sulla base della sua scarsa probabilità, dato che una traccia chiara con una curvatura di questo ordine di grandezza si è osservata nella camera una sola volta in circa 500 esposizioni nelle condizioni sperimentali prevalenti, e dal momento che non c’era praticamente nessuna possibilità che entrambe le tracce si allineassero in questo modo. Abbiamo anche scartato come completamente insostenibile l’ipotesi di un elettrone di 20 milioni di volt che entrasse nel piombo da un lato e ne uscisse con una energia di 60 milioni di volt dall’altro lato. Una quarta possibilità è che un fotone, entrando nel piombo dall’alto, eiettasse fuori dal nucleo di un atomo di piombo due particelle, di cui una verso l’alto e l’altra verso il basso. Ma in questo caso quella che si muove verso l’alto sarebbe una particella positiva di piccola massa in modo che anche questa interpretazione porta all’esistenza dell’elettrone positivo. Nel corso delle settimane successive sono state ottenute altre fotografie che possono essere interpretate logicamente solo sulla base dell’esistenza dell’elettrone positivo, e una breve relazione sull’interpretazione è stata pubblicata con la dovuta cautela in considerazione dell’importanza dell’annuncio2 .
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La ionizzazione specifica non è stata misurata in questi casi, ma sembra molto probabile, dalla conoscenza delle condizioni sperimentali e dal confronto con molte altre fotografie di elettroni ad alta e bassa velocità nelle stesse condizioni, che la carica non possa differire in grandezza da quella di un elettrone per un fattore due. Inoltre, se si assume che la fotografia rappresenti una particella positiva che penetra una lastra di piombo di 6 mm, l’energia persa per unità di carica è di circa 38 milioni di elettron-volt, un valore praticamente indipendente dalla massa della particella fintanto che non è troppe volte superiore a quella di un elettrone libero negativo. Si è ritenuto legittimo confrontare questo valore di perdita di energia di 63 milioni di volt per cm per la particella positiva con la media misurata di circa 35 milioni di volt3 per elettroni negativi di energia di 2-300 milioni di volt poiché il tasso di perdita di energia per le particelle di piccole masse dovrebbe cambiare solo molto lentamente in un intervallo di energia che va da diversi milioni di a diverse centinaia di milioni di volt. Fatte salve possibili incertezze sperimentali, il tasso di perdita di energia per la particella positiva può quindi essere considerato minore del quadruplo di quello di un elettrone, il che fissa, con la solita relazione fra il tasso di ionizzazione e carica, un limite superiore alla carica del doppio di quella dell’elettrone negativo. Si è concluso, pertanto, che la carica dell’elettrone positivo (che d’ora in poi chiameremo positrone) è molto probabilmente pari a quella di un elettrone libero negativo che per considerazioni di simmetria potremmo naturalmente quindi chiamare negatrone. Si precisa che la profondità della camera lungo linea di vista, che coincide con la direzione delle linee di forza magnetiche, è di 1 cm e il suo diametro perpendicolarmente a quella direzione è di 14 cm, il che assicura che la particella attraversa la camera praticamente in direzione normale alle linee di forza. Il cambiamento di direzione a causa dello scattering nel piombo,3 in questo caso circa 8◦ misurato nel piano della camera, è un valore probabile per una particella di questa energia anche se inferiore al valore più probabile. Nelle attuali condizioni sperimentali non si può dire nulla sulla grandezza della massa oltre a fissare un limite superiore di circa 20 volte rispetto a quella dell’elettrone. Se la figura 1 rappresen3 C.D. Anderson, Phys. Rev. 43, 381A (1933).
133 Appendice. Carl D. Anderson Fig. 1. Un positrone di circa 63 milioni di volt di energia (Hρ = 2.1 × 105 gauss-cm) penetra la lastra di piombo di 6 millimetri ed emerge con energia di circa 23 milioni di volt (Hρ = 7.5 × 104 gauss-cm). La lunghezza di quest’ultima traiettoria è almeno dieci volte più grande della possibile lunghezza della traiettoria di un protone con questa curvatura
ta una particella di carica unitaria che passa attraverso la lastra di piombo, le curvature, sulla base delle informazioni sulla ionizzazione, forniscono un valore troppo alto per la perdita di energia a meno che la massa non sia meno di venti volte quella dell’elettrone negativo. Grazie a ulteriori determinazioni di Hρ per particelle di energia relativamente bassa prima e dopo l’attraversamento di una quantità nota di materia, insieme ad uno studio degli effetti balistici come le collisioni con elettroni con grandi trasferimenti di energia, sarà possibile porre limiti più stretti alla massa. A tutt’oggi, su 1 300 fotografie di raggi cosmici 15 mostrano particelle positive inconsistenti con l’avere la massa del protone che entrano nel piombo, il che dimostra l’esistenza di particelle di carica unitaria positiva e di massa piccola rispetto a quella di un protone. In molti altri casi non è possibile distinguere con certezza tra protoni e positroni a causa della brevità della traccia disponi-
134 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 2. Un positrone di 20 milioni di volt di energia (Hρ = 7.1 × 104 gauss-cm) e un elettrone di 30 milioni di volt (Hρ = 10.2 × 104 gauss-cm) proiettati da una lastra di piombo. Il range della particella positiva preclude, data la curvatura, la possibilità che questa sia un protone
bile per la misura o dell’alta energia della particella. Un confronto tra le sei o settecento tracce positive di raggi cosmici che abbiamo registrato, tuttavia, è consistente con la considerazione che la particella positiva prodotta dai raggi cosmici primari nella collisione sia nella maggior parte dei casi un protone. [Nota del curatore: le considerazioni fenomenologiche fatte nel paragrafo che ora inizia rappresentano un tentativo di spiegare i fatti sperimentali. Tuttavia violano leggi fondamentali, come la conservazione del numero barionico, oggi ben conosciute.] Dal fatto che i positroni si presentano in gruppi associati con le altre tracce, si conclude che essi devono essere particelle secondarie espulse da un nucleo atomico. Se accettiamo il punto di vista che un nucleo sia composto da protoni e neutroni (e particelle α) e che un neutrone rappresenti una stretta combinazione di un protone e di un elettrone, dalla teoria elettromagnetica, per l’origine della massa la più semplice ipotesi sembra essere che una collisione tra
135 Appendice. Carl D. Anderson Fig. 3. Un gruppo di 6 particelle proiettate da una regione nella parete della camera. La traccia a sinistra nel gruppo centrale di 4 tracce è un elettrone di circa 18 milioni di volt di energia (Hρ = 6.2 × 104 gauss-cm) e quella a destra un positrone di circa 20 milioni di volt di energia (Hρ = 7.0 × 104 gausscm). Non è stato possibile identificare le due tracce al centro. A sinistra si vede un elettrone di circa 15 milioni di volt. Questo gruppo rappresenta tracce “vecchie” che sono state dilatate dalla diffusione degli ioni. L’uniformità della dilatazione indica che tutte le particelle sono entrate nella camera contemporaneamente
il raggio cosmico primario in arrivo e un protone possa avvenire in modo da ampliare il diametro del protone fino al valore posseduto dal negatrone. Questo processo libererebbe un’energia di un miliardo di elettronvolt che apparirebbe come un fotone secondario. Come una seconda possibilità il raggio primario potrebbe disintegrare un neutrone (o più di uno) nel nucleo con l’espulsione di un negatrone o di un positrone, con la conseguenza che un protone positivo o un protone negativo, a seconda dei casi, rimane nel nucleo al posto del neutrone, evento che si verifica in questo caso senza l’emissione di un fotone. Questa alternativa, però, postula l’esistenza nel nucleo di un protone di carica negativa, fatto del
136 L’enigma dei raggi cosmici Fig. 4. Un positrone di circa 200 milioni di volt di energia (Hρ = 6.6× 105 gauss-cm) penetra la lastra di piombo di 11 millimetri ed emerge con energia di circa 125 milioni di volt di (Hρ = 4.2 × 105 gauss-cm). L’ipotesi che le tracce rappresentino un protone che attraversa la lastra di piombo è incompatibile con le curvature osservate: le energie sarebbero, rispettivamente, circa 20 milioni e 8 milioni di volt sopra e sotto il piombo, troppo basse per permettere al protone di penetrare una lastra di piombo di 11 mm di spessore
quale non esiste alcuna indicazione. Tuttavia la grande simmetria tra le cariche positive e negative rivelata dalla scoperta del positrone dovrebbe rivelarsi uno stimolo per la ricerca di prove dell’esistenza di protoni negativi. Se si dimostrasse che il neutrone è una particella fondamentale di un nuovo genere, anziché una stretta combinazione di un protone e di un negatrone, le ipotesi di cui sopra dovrebbero essere abbandonate in quanto il protone sarebbe quindi con ogni probabilità una particella composita costituita da un neutrone e un positrone. Mentre questo articolo era in preparazione un comunicato stampa ha annunciato che P.M.S. Blackett e G. Occhialini in un ampio studio sui raggi cosmici hanno a loro volta dimostrato
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l’esistenza di particelle leggere positive, il che conferma la nostra precedente relazione. Desidero esprimere il mio grande debito al Professor R.A. Millikan per avermi suggerito questa ricerca e per le molte utili discussioni durante il suo svolgimento [Nota del curatore: più tardi, dopo avere ricevuto il premio Nobel, Anderson disse in un’intervista che durante gli anni del lavoro di tesi il suo relatore Millikan, dopo avergli assegnato il lavoro, non gli aveva mai parlato]. Ho apprezzato molto anche il competente aiuto di Seth H. Neddermeyer.
Ringraziamenti
Non sono un professionista della storia della fisica: la passione per questa disciplina mi è nata nel 2007, quando i miei amici dell’Università di Bari, Paolo Spinelli e Nico Giglietto, mi hanno invitato a Bari a tenere una relazione durante una celebrazione del lavoro di Pacini. Non potrò mai ringraziarli abbastanza, perché grazie a loro ho scoperto un mondo molto interessante. La celebrazione di Pacini a Bari era organizzata dall’Università, e in particolare (oltre che da Giglietto e Spinelli) dai colleghi Garuccio, Guerriero, Romano e Stramaglia, e proprio Sebino Stramaglia ha scoperto molto del nuovo materiale su Pacini che ho presentato in questo libro. Luisa Cifarelli ed Enzo De Sanctis mi hanno incoraggiato dal 2007 nello studio biografico di Pacini; Cifarelli mi ha gentilmente autorizzato a riprodurre materiale del Nuovo Cimento e mi ha aiutato, insieme all’ufficio editoriale della Società Italiana di Fisica a Bologna, nella ricerca. Sandro Bettini mi ha dato preziosi suggerimenti. I colleghi Guerra e Robotti hanno reso noti i documenti relativi alla “libera docenza” di Pacini e la lettera di Edoardo Amaldi al giornale “Il Tevere”; molti aspetti della carriera e del percorso intellettuale di Pacini mi sono chiari grazie a discussioni con Francesco Guerra. Roberto Garra ha rinvenuto materiale interessante al “Collegio Romano”. Ringrazio Ugo Amaldi e Giovanni Battimelli per l’autorizzazione a riprodurre la lettera di E. Amaldi. Il comandante Bagnasco e Andrea Lombardi dell’Associazione Culturale Italia, Cristiano D’Adamo e Hugo von Zeschau dell’associazione Regia Marina Italiana, il Ten. Col. Michele Piemontese della Guardia di Finanza, e Luisa Rischitelli mi hanno aiutato a trovare fotografie storiche e informazioni sulla flotta della Marina e sui contributi della Marina al lavoro di Pacini. L’AMA – Servizi Cimiteriali di Roma e don Mario Del Turco di Forme mi hanno gentilmente fornito informazioni sulla salma di
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Pacini; a partire da ciò ho ritrovato la famiglia Pacini, grazie alla quale è stato possibile reperire tante preziose informazioni e materiale biografico e fotografico non pubblicato (grazie in particolare a Lia Santoponte, a Giovanna Minardi Zincone, a Sergio Zincone, a Benedetto Valente, al collega Cesare Bacci). Ugo Onorati di Marino e padre Roberto Tosi hanno scoperto negli archivi comunali e parrocchiali interessanti informazioni biografiche su Pacini. Ho interagito molto, con estremo piacere personale e arricchimento scientifico e umano, con il collega e amico Per Carlson, già presidente della classe di Fisica della Reale Accademia delle Scienze di Svezia. Per ha scoperto materiale interessantissimo legato all’assegnazione del Nobel a Hess; le discussioni con lui sono state fondamentali soprattutto in relazione ai problemi del nazionalismo e dell’internazionalismo nella scienza, e ai meccanismi di assegnazione del premio Nobel. Il professor Grandin della Reale Accademia delle Scienze di Svezia ha fornito aiuto e sostegno nello studio degli archivi dell’Accademia stessa. I colleghi Bitossi, Dazzi, De Lotto, Menichetti, Mezzetto, Paoletti, Persic mi hanno fornito a vario titolo sostegno, suggerimenti, commenti e chiarimenti. Ho trovato illuminanti le discussioni con Helmut Rechenberg e Alan Watson. Ugo Amaldi, Luisa Bonolis, Marcello Cresti, Piero Galeotti, Paolo Lipari, Mário Pimenta e Paolo Spinelli mi hanno fatto l’onore di leggere il manoscritto, di comunicarmi le loro opinioni e i loro commenti, e di suggerire correzioni; Margherita Hack oltre a trovare il tempo di leggere il manoscritto ancora in fase embrionale mi ha anche onorato di una sua prefazione. I consigli di Marina Forlizzi sono stati radicali e preziosissimi. Trascrizioni e traduzioni dal tedesco sono state realizzate da Burkhart Steinke. Lorenzo Marafatto ha tradotto in gran parte la prima bozza di questa memoria (originariamente scritta in inglese); parte della cura dei lavori originali di Pacini è dovuta a Michela De Maria e a Marafatto. Giulia De Angelis ha collaborato per la parte grafica. Infine, questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la gentilezza dei bibliotecari scientifici di Monaco, Padova e Udine, in particolare di J. Pietsch, F. Tavazzi, G. Bertante, A. Barbierato, A. Cominotto, B. Patui, R. D’Andrea.
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144 L’enigma dei raggi cosmici
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i blu – pagine di scienza
Passione per Trilli Alcune idee dalla matematica R. Lucchetti Tigri e Teoremi Scrivere teatro e scienza M.R. Menzio Vite matematiche Protagonisti del ’900 da Hilbert a Wiles C. Bartocci, R. Betti, A. Guerraggio, R. Lucchetti (a cura di) Tutti i numeri sono uguali a cinque S. Sandrelli, D. Gouthier, R. Ghattas (a cura di) Il cielo sopra Roma I luoghi dell’astronomia R. Buonanno Buchi neri nel mio bagno di schiuma ovvero L’enigma di Einstein C.V.Vishveshwara Il senso e la narrazione G.O. Longo Il bizzarro mondo dei quanti S. Arroyo Il solito Albert e la piccola Dolly La scienza dei bambini e dei ragazzi D. Gouthier, F. Manzoli Storie di cose semplici V. Marchis novepernove Sudoku: segreti e strategie di gioco D. Munari
Il ronzio delle api J.Tautz Perché Nobel? M. Abate (a cura di) Alla ricerca della via più breve P. Gritzmann, R. Brandenberg Gli anni della Luna 19501972: l’epoca d’oro della corsa allo spazio P. Magionami Chiamalo X! Ovvero: cosa fanno i matematici? E. Cristiani L’astro narrante La luna nella scienza e nella letteratura italiana P. Greco Il fascino oscuro dell’inflazione Alla scoperta della storia dell’Universo P. Fré Sai cosa mangi? La scienza del cibo R.W. Hartel, A. Hartel Water trips Itinerari acquatici ai tempi della crisi idrica L. Monaco Pianeti tra le note Appunti di un astronomo divulgatore A. Adamo I lettori di ossa C.Tuniz, R. Gillespie, C. Jones Il cancro e la ricerca del senso perduto P.M. Biava Il gesuita che disegnò la Cina La vita e le opere di Martino Martini G. O. Longo
La fine dei cieli di cristrallo L’astronomia al bivio del ’600 R. Buonanno La materia dei sogni Sbirciatina su un mondo di cose soffici (lettore compreso) R. Piazza Et voilà i robot! Etica ed estetica nell’era delle macchine N. Bonifati Quale energia per il futuro? Tutela ambientale e risorse A. Bonasera Per una storia della geofisica italiana La nascita dell’Istituto Nazionale di Geofisica (1936) e la figura di Antonino Lo Surdo F. Foresta Martin, G. Calcara Quei temerari sulle macchine volanti Piccola storia del volo e dei suoi avventurosi interpreti P. Magionami Odissea nello zeptospazio G.F. Giudice L’universo a dondolo La scienza nell’opera di Gianni Rodari P. Greco Un mondo di idee La matematica ovunque C. Ciliberto, R. Lucchetti (a cura di) PsychoTech Il punto di non ritorno La tecnologia che controlla la mente A.Teti La strana storia della luce e del colore R. Guzzi Attraverso il microscopio Neuroscienze e basi del ragionamento clinico D. Schiffer
Teletrasporto Dalla fantascienza alla realtà L. Castellani, G.A. Fornaro GAME START! Strumenti per comprendere i videogiochi F. Alinovi Mercury 13 La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio M. Ackmann Cassandra non era un’idiota Il destino è prevedibile R. Di Lorenzo L’enigma dei raggi cosmici Le più grandi energie dell’universo A. De Angelis
Di prossima pubblicazione Pensare l’impossibile Dialogo infinito tra arte e scienza L. Boi Sanità e Web Come Internet ha cambiato il modo di essere medico e malato in Italia W. Gatti